INTELLIGENZA ARTIFICIALE.
INTELLIGENZA
ARTIFICIALE.
La
Cina plasma l’intelligenza artificiale
a sua
immagine e somiglianza (e sono guai).
Linkiesta.it
- Lorenzo Lamperti – (25 aprile 2023) – ci dice:
Per
non perdere il controllo sull’informazione e sui contenuti, il Partito
comunista sta modellando le piattaforme di ultima generazione in modo da
riflettere i «valori fondamentali del socialismo».
Come
facciamo a non perdere il controllo sull’informazione e sui contenuti che
circolano su internet?
La Cina se lo è chiesto, ormai un paio di
decenni fa o anche oltre.
Il
mondo credeva che l’impresa fosse impossibile e che la rete sarebbe stata un
dedalo di connessioni e comunicazioni incontrollabili.
Così
non è stato:
il Partito comunista ha modellato a sua
immagine e somiglianza l’ecosistema digitale della Repubblica Popolare con una
continua rinegoziazione di spazi e contenuti tra il nucleo (l’autorità
centrale) e le immense periferie (i netizens).
Con il
nucleo che amplia o riduce a intermittenza l’orbita gravitazionale di tutto ciò
che gli gira intorno e rientra sotto la sua attenta giurisdizione.
Oggi
la Cina si chiede come fare a non perdere il controllo sull’informazione e sui
contenuti che circolano sulle piattaforme di intelligenza artificiale
generativa.
Mentre
l’Occidente si interroga su come sviluppare applicazioni etiche o responsabili,
e l’Italia blocca “ChatGpt,” la Cina è al lavoro per provare a completare la nuova opera
di rimodellamento.
In
Europa ci si muove per adesso ancora in modo discontinuo, mentre la Cina sta
chiedendo alle aziende di registrare i prodotti di intelligenza artificiale e
di sottoporli a un controllo di sicurezza prima del rilascio.
Ovviamente,
oltre la sicurezza può subentrare anche una componente politica o ideologica,
visto che uno dei requisiti richiesti alle nuove applicazioni è quello di riflettere i
«valori fondamentali del socialismo».
Potenzialmente, infatti, il Partito vede le
nuove applicazioni come ipotetiche vie di fuga di informazioni o di opinioni in
grado di sfuggire alle maglie della rete con caratteristiche cinesi cucite con
fatica e solerzia.
A
dover rispettare le indicazioni del nucleo sono d’altronde satelliti, per
quanto immensi, che sono stati “rettificati” nel corso degli ultimi anni.
“Baidu”,”
SenseTime” e “Alibaba” hanno già presentato le loro versioni di intelligenza
artificiale generativa.
Le
nuove offerte vanno da “Ernie Bot” (Baidu), “SenseChat” (SenseTime) e “Tongyi
Qianwen” (Alibaba), che più o meno significa «verità da mille domande».
In
particolare, la creatura di “Jack Ma” è stata in qualche modo addomesticata
negli ultimi anni, allo scopo di riorientare la sua attività in settori
ritenuti maggiormente strategici.
E allo
stesso tempo di spacchettarla, come dimostra la recente suddivisione
dell’impero in sei unità autonome, intervenendo sulle posizioni dominanti o
persino di semi-monopolio sul mercato digitale.
Proprio
contestualmente al lancio di “Tongyi Qianwen” da parte di “Alibaba”,
l’amministrazione cinese per il cyberspazio – l’ente addetto alla sorveglianza
della rete – ha pubblicato la bozza di un disegno di legge che prevede maggiori
controlli proprio nel settore dell’intelligenza artificiale: i fornitori di servizi saranno
chiamati a
garantire che i contenuti siano accurati, rispettino la proprietà
intellettuale, non siano discriminatori e non mettano a repentaglio la
sicurezza.
Gli
operatori dovranno anche etichettare chiaramente i contenuti generati
dall’intelligenza artificiale.
L’autorità di regolamentazione ha inoltre
dichiarato che i fornitori di servizi devono richiedere agli utenti di fornire
la propria identità reale e le relative informazioni generali.
In
caso di mancata osservanza delle regole i fornitori saranno multati e i loro
servizi sospesi o sottoposti a indagini penali.
Se le
loro piattaforme generano contenuti inappropriati, le aziende devono aggiornare
la tecnologia entro tre mesi per evitare che contenuti simili vengano generati
di nuovo.
Regole
teoricamente non così diverse da quelle che sta provando a stabilire
l’Occidente, sulle quali si innesta però un’interpretazione più stringente di
«oggettività» e «accuratezza», che in Cina significano non proporre visioni in
contrasto con governo, partito e leader.
Come
già succede per l’ecosistema digitale più ampio, le applicazioni saranno infatti
anche chiamate a «riflettere i valori fondamentali del socialismo e non devono
contenere elementi di sovversione del potere statale, rovesciamento del sistema
socialista, incitamento alla divisione del Paese».
E
ancora: non
dovranno «danneggiare l’unità nazionale, promuovere il terrorismo,
l’estremismo, l’odio etnico e la discriminazione etnica, la violenza, le
informazioni oscene o pornografiche, le informazioni false e i contenuti che
possono turbare l’ordine economico e sociale».
Come
prevedibile, i servizi di intelligenza artificiale generativa internazionali
come “ChatGpt” non vengano resi accessibili sul
territorio della Repubblica Popolare, a meno di aggirare la «grande
muraglia digitale» attraverso l’utilizzo di una rete VPN.
Certo,
va capito quanto le misure su carta verranno applicate nella realtà.
La
controindicazione della messa in sicurezza delle applicazioni di ultima
generazione da parte del Partito potrebbe essere quella di bloccare
l’innovazione nel settore.
La
stessa obiezione che si è spesso sentita sul fronte di internet:
il
controllo della Cina sulla rete non ha soffocato lo sviluppo del settore o il
lancio di applicazioni nuove e in grado persino di conquistare la scena globale.
Un
esempio su tutti è ovviamente quello di “ByteDance,” che dopo aver lanciato “Douyin”
sul fronte interno è arrivata dappertutto con” TikTok”.
Tuttavia, non è semplice immaginare come
questo modello possa essere replicato in applicazioni così diverse e peculiari
– come quelle sull’intelligenza artificiale generativa – senza uscire dal
perimetro di sicurezza individuato dalle autorità.
D’altronde,
la tendenza generale è molto chiaramente rivolta verso una centralizzazione del
processo decisionale in materia di tecnologia e politiche digitali.
Così come di gestione dei dati.
Nelle
recenti “due sessioni” è stata annunciata l’istituzione di una nuova
Commissione per la scienza e la tecnologia allo scopo di «rafforzare la
leadership centralizzata e unificata del Comitato Centrale del Partito».
Il
nuovo organo sarà responsabile del coordinamento delle politiche atte a
perseguire l’autosufficienza tecnologica.
Contestualmente,
predisposta anche una nuova agenzia governativa per la gestione dei dati:
una
novità destinata ad avere un impatto anche sulle nuove applicazioni di
intelligenza artificiale generativa.
Intanto,
la “China Mobile Communications Association” e altre entità industriali di cui
lo Stato detiene quote aziendali (come “China Mobile” e “China Unicom”) hanno
formato una “Alleanza industriale Gpt”, che nelle intenzioni di Pechino costruirà «un solido ponte tra il governo, il
mondo accademico e l’industria, dando vita all’intelligenza artificiale
universale indipendente della Cina».
Alla
fine, però, a essere universali potrebbero essere alcuni metodi di approccio
alla questione.
Non il risultato finale.
Come
accaduto per internet, l’ecosistema dell’”intelligenza artificiale generativa”
cinese potrebbe avere caratteristiche piuttosto diverse da quello che potrebbe
svilupparsi in Occidente.
Come
ha sottolineato l’esperto di mondo digitale cinese “Rogier Creemers”
(Università di Leida):
«I servizi occidentali, come” ChatGpt”, si
sono concentrati sulla capacità di scrivere saggi e poesie, raccontare
barzellette o rispondere a domande di carattere politico, in altre parole su argomenti
importanti per la classe dei chiacchieroni», ha scritto sui” DigiChina”.
«I servizi cinesi saranno ovviamente soggetti
a censura politica. Tuttavia, questi emergono anche all’interno di un diverso
panorama di politica industriale, che vede il futuro di queste tecnologie
strettamente intrecciato con i prodotti e i servizi esistenti».
Qualche
esempio?
“Baidu”
ha annunciato partnership per il suo “Ernie” con produttori di elettrodomestici
e automobili.
Altri colossi potrebbero fare lo stesso in alcune
delle aree considerate prioritarie e strategiche dal quattordicesimo piano
quinquennale del Partito.
Piuttosto che oracoli o assistenti di ricerca,
le nuove applicazioni potrebbero dunque diventare strumenti più specifici e
utili a scopi su misura.
Senza uscire dall’orbita gravitazionale che
gli verrà assegnata volta per volta dal nucleo centrale.
L’esperto
Nello Cristianini spiega meraviglie,
debolezze
e pericoli dell’Intelligenza artificiale.
“Non
sappiamo se pensa”
Ilfattoquotidiano.it
- Michele Maestroni – (25 APRILE 2023) – ci dice:
L’intelligenza
artificiale non è solamente telefonare casa con Siri o intrattenere ore di
conversazione con “Chat Gpt”.
Nello
sviluppo dell’IA ci sono gli interessi economici dei big della tecnologia,
oligarchie che si contendono il controllo di tutte le informazioni.
C’è il rischio che la formazione di nuove menti
esperte non riesca a tenere il passo dell’evoluzione dei sistemi informatici.
Ci
sono le tutele del Parlamento europeo confronti dei dati dei 500 milioni di
utenti che vivono nell’Ue.
Il
dibattito intorno alle possibilità e i rischi dell’IA è spesso si divide tra
gli entusiasti al limite del fanatismo e i puristi che vorrebbero fare marcia
indietro.
Ma in
mezzo a questi due poli “la cosa che dovremmo fare è usare il cervello e la cultura” dice Nello Cristianini, professore
del corso di Intelligenza Artificiale all’Università di Bath nel Regno Unito e
autore del libro” La scorciatoia”.
“Come le macchine sono diventate intelligenti senza
pensare in modo umano” edito da Il Mulino.
Intervistato
da Ilfattoquotidiano.it, Cristianini ha spiegato perché se vogliamo convivere
con l’IA è fondamentale che le nuove tecnologie vengano comprese da tutti,
senza esaltarle o demonizzarle.
Nello
Cristianini, partiamo dal sottotitolo del suo libro: “Come le macchine sono diventate
intelligenti senza pensare in modo umano”.
Quindi
l’intelligenza artificiale non pensa come noi?
Non
sappiamo nemmeno se pensa.
L’intelligenza artificiale si comporta in modo
“intelligente”: prende decisioni, pianifica e impara a perseguire i propri
obiettivi.
Ma non
lo fa come lo facciamo noi, che invece ragioniamo per simboli e astrazioni.
Quando io devo consigliare un libro, cerco di capire i
gusti della persona a cui devo regalarlo o i libri che ha letto in passato.
Ci
ragiono.
La
macchina invece analizza la cronologia degli acquisti, o l’archivio delle
vendite avvenute nella stessa zona geografica, e su queste basi produce una
raccomandazione.
E lo fa senza darsi una spiegazione.
Eppure
se si conversa con “ChatGpt”, “Siri” o altri sistemi sembra di aver a che fare
con un essere umano.
L’illusione
è molto forte perché questo tipo di software processa il linguaggio umano.
Ed è difficile non farsi suggestionare. Ma la
macchina non può comprendere il significato di quello che sta dicendo.
“Parla”
bene, traduce, riassume testi.
Ma fa
tutto questo senza comprenderlo.
Almeno
al momento.
Il
Garante per la privacy ha fatto bene a portare al blocco di “ChatGPT” in
Italia?
Ho
seguito la vicenda ma non spetta a me giudicare.
C’è
molta concorrenza nello sviluppo della nuova tecnologia di intelligenza
artificiale.
Mi vengono in mente i soliti “big”: Google,
Amazon, Microsoft, Elon Musk…
Al
momento le risorse necessarie a creare questo tipo di tecnologia sono enormi. Le aziende hanno bisogno di tanti
soldi, un alto numero di personale e molti macchinari.
Di conseguenza al mondo ci sono pochi gruppi
che possono fare questi investimenti.
Ma
così non rischia di essere un gioco di potere tra oligarchie che si contendono
il controllo totale delle nostre informazioni, dei nostri dati, per i loro fini
commerciali?
È un
problema che esiste ma che esisteva anche cinque, dieci anni fa, con i motori
di ricerca e i social network.
E
anche questi sono rimasti in pochi perché è un business che ha bisogno di
risorse enormi per stare in piedi.
E in
mezzo a questa gara dove sta l’interesse pubblico?
L’IA non rischia di essere un progresso calato
dall’alto?
Infatti
è qui che il Parlamento europeo può e deve fare qualcosa.
Non
deve lasciare che sia l’azienda a decidere per noi cittadini, ma fissare delle
regole per l’accesso ai dati dei quasi 500 milioni di consumatori che abitano
nell’Unione Europea.
L’Ue è un bacino che fa molta gola alle grandi
compagnie, che in quel caso per accedere a questo mercato sono obbligate a
rispettare la legge.
Il peso delle istituzioni va preso seriamente,
i politici devono decidere quali sono le priorità e i valori che riguardano
l’utilizzo dell’IA.
Come
scrivo anche nel mio libro, un sistema di licenze assegnate anche in base alla
trasparenza degli strumenti informatici potrebbe essere inevitabile per
garantire la sicurezza degli utenti.
Ne “La
scorciatoia” dice che questi sistemi sono “sovrumani”.
Ovvero
che ottengono prestazioni migliori degli esseri umani con comportamenti che a
volte non possiamo capire.
Per esempio nei giochi da tavolo, quando le
mosse dell’IA sembrano agli occhi degli esseri umani degli “errori”, salvo poi
che è proprio grazie a una scelta a noi incomprensibile che riescono a battere
l’avversario.
Questo
significa che la formazione di nuove menti umane per gestire l’IA non sta
andando di pari passo con la velocità di apprendimento delle macchine?
Questo
è un pericolo e bisogna cercare delle soluzioni.
È fisiologico che la formazione di un essere
umano sia più lenta: occorrono decenni prima che abbia raggiunto il livello
adeguato.
Una
nuova generazione di GPT ci ha messo dieci mesi per nascere.
È un gap che dobbiamo colmare con la cultura
scientifica.
Una formazione scientifica più diffusa sarebbe
un’ottima idea. Però voglio aggiungere che il termine “sovrumano” significa che
la macchina ha prestazioni migliori del miglior essere umano.
Accade già in alcuni videogiochi, molto presto
le macchine potrebbero ottenere risultati sovrumani nel guidare un’automobile o
leggere una radiografia.
E
anche nel ricordare.
E
infatti tendiamo sempre più ad affidare i nostri ricordi ai dispositivi
tecnologici…
Mi
riferivo ai dati, ma è così:
la
memoria è una capacità cognitiva, e in questo l’essere umano è inferiore alla
macchina.
E non
solo a quella.
Ci
sono persino alcuni animali che ci battono: gli scoiattoli sono capaci di
nascondere le noci in tanti posti di versi e ritrovarle dopo mesi.
Noi siamo piuttosto mediocri in questo.
Il
bisogno di immagazzinare continuamente le informazioni dentro i dispositivi
informatici è cresciuto insieme alla produttività economica delle società,
tant’è che oggi teniamo un computer in ogni ufficio per conservare le
informazioni sui clienti e fornitori.
Travasare alcuni dati dentro le nostre
macchine non è una cosa negativa perché è utile per noi.
Secondo
lei dovremmo preoccuparci di più per l’impatto ambientale dell’IA?
I data center sfruttano enormi quantità di
energia elettrica e di acqua. Ogni conversazione con “ChatGPT”, per esempio, ne
consuma un litro.
È una
questione su cui si discute molto in campo accademico, molto meno fuori dalle
università.
La tecnologia deve diventare sostenibile.
Ma si
tratta sempre di fare una scelta: a parità di costi, se dobbiamo impiegare
risorse naturali, forse sarebbe meglio farlo per creare un motore di ricerca
che risponde alle domande di un medico invece che produrre bitcoin.
I centri di calcolo dell’IA utilizzano “Gpu” e
“Tpu”, due tipi di processori molto costosi.
Come quelli che si trovano nell’”Xbox” e nella
“PlayStation”.
Sono
circuiti che si scaldano, consumano energia e producono calore, e serve tanta
acqua per raffreddarli.
Immagini
averne 8mila in una stanza.
Si
potrebbe convertire il calore prodotto dai data center in energia per il
riscaldamento domestico.
E si sta lavorando su questo.
Tra i
fanatici e gli apocalittici da quale parte è meglio stare?
Per
accettare ogni cosa o rifiutare ogni cosa non c’è bisogno di un cervello, basta
scrivere due righe di codice che rifiuta o accetta tutti gli input.
Gli
esaltati che vogliono tutta la tecnologia e gli assolutisti che vogliono
tornare al passato sono due estremi che non hanno bisogno di pensare.
Il
lavoro che invece dovremmo fare è usare cervello, cultura e conoscenza.
Rimanere nel mezzo e riflettere caso per caso.
E
decidere quello che è meglio per tutti e quello che invece non lo è.
Le
migliori risorse online per ottenere
il
massimo dall'intelligenza artificiale.
Wired.it
- DAVID NIELD – Maria Rosaria Iovinella – (25.04.2023) – ci dicono:
(Wired
Usa)
Dai
podcast ai tutorial, passando per i corsi: abbiamo selezionato gli strumenti
più utili disponibili in rete per chi vuole ampliare conoscenze e competenze.
La
recente ondata di servizi di intelligenza artificiale generativa, da “ChatGpt”
a “Midjourney”, è progettata per essere semplice da usare:
l'idea
è che chiunque possa sfruttare questi sistemi per produrre testo o immagini
ricorrendo a un linguaggio naturale e non tecnico.
Tuttavia,
c'è ancora molto da imparare su come ottenere il massimo da questi strumenti e
sulla tecnologia su cui si poggiano, soprattutto se l'obiettivo è utilizzarli
per fare qualcosa di veramente creativo.
Dedicando
un po' di tempo alle risorse che vi proponiamo qui sotto, sarete in grado di
padroneggiare l'Ai in modo più efficace rispetto all'utente medio.
Se
volete investire nella rivoluzione dell'Ai generativa, i podcast, i portali e i
blog segnalati in questo articolo meritano di finire tra vostri i preferiti.
La maggior parte delle risorse che troverete
di seguito sono in inglese, ma abbiamo incluso anche alcuni consigli in
italiano per chi non avesse grande dimestichezza con la lingua.
Ovviamente,
Wired segue da vicino tutti gli sviluppi nel mondo dell'Ai:
per
rimanere sempre aggiornati, potete consultare le nostre pagine dedicate
all'intelligenza artificiale, “Midjourney”, “ChatGpt”, “Google” Bard e tutti
gli ultimi chatbot.
Alcune
delle migliori risorse in circolazione per quanto riguarda l'Ai generativa sono
su” Substack”, come il primo sito di “questo elenco.
Gestito
dal tecnologo “Linus Ekenstam”, Inside My Head” presenta una serie di materiali
utili sull'Ai, tra cui dei “tutorial” su come ottenere risultati ottimali da
questi strumenti.
Ci
sono anche notizie sugli ultimi avvenimenti nel mondo dell'intelligenza
artificiale, suggerimenti su diverse applicazioni che possono tornare comode e
molto altro ancora, per esempio un corso di formazione.
Alcuni post possono essere letti
gratuitamente, mentre altri richiedono un abbonamento che costa dieci dollari
al mese.
Towards
Ai.
Towards
AI è il portale online per tutte le vostre esigenze legate all'intelligenza
artificiale generativa: include notizie e opinioni, tutorial, un'affollata
comunità online e altro ancora, con l'intelligenza artificiale e gli ultimi
sviluppi a fare da filo conduttore.
Il
sito si occupa di strumenti che aiutano a ottenere il massimo dall'Ai, propone
interviste con ingegneri che lavorano nel campo e, naturalmente, l'immancabile
newsletter a cui ci si può iscrivere. Ci sono anche storie su alcune
interessanti applicazioni Ai a cui probabilmente non avevate mai pensato prima.
The Ai
Podcast.
L'Ai
Podcast dell'azienda tecnologica “Nvidia” viene pubblicato ogni quindici giorni
e copre ogni aspetto dell'intelligenza artificiale, compreso l'impatto della
tecnologia su videogiochi, scienza, sport, linguaggio, hardware e altro ancora.
Ogni
settimana il podcast ospita un esponente di una diversa organizzazione del
settore, ed è una risorsa coinvolgente e stimolante per ampliare le proprie
conoscenze e capire in che direzione puntano queste innovazioni.
Dal
momento che si tratta di una delle risorse più recenti di questa lista, non ci
sono ancora molti contenuti;
sul sito potete però già trovare un “toolkit
Ai” scaricabile e una discussione sugli aspetti etici della tecnologia.
Alcuni post hanno un paywall, che parte da 8
dollari al mese.
Gpt
for Educators.
L'ascesa
dell'intelligenza artificiale generativa ha sconvolto anche il mondo
accademico.
Nonostante
la tecnologia sia solo agli albori, già oggi “i chatbot” sono in grado di superare esami e
scrivere tesi di laurea.
Per
questo è fondamentale che tutti gli operatori nel settore dell'istruzione
sappiano con cosa hanno a che fare.
Gpt
for Educators è un corso online di 18 lezioni (per un totale di due ore e mezza di
video e 19,90 dollari) che aiuta a capire come integrare l'intelligenza
artificiale generativa in classe, come utilizzarla per aiutare gli studenti e
quali sono le sfide e i problemi etici che pone questa tecnologia
rivoluzionaria.
I
corsi su “Udemy”.
Il
grande portale di apprendimento online “Udemy” ha una sezione in rapida
espansione dedicata all'Ai generativa.
Questi video-corsi trattano un'ampia gamma di
argomenti e hanno prezzi diversi. E anche se “Udemy” non permette di provarli
gratuitamente, è possibile dare un'occhiata alle recensioni degli altri utenti
e chiedere un rimborso se non siete soddisfatti.
I
contenuti offerti coprono praticamente tutti i campi di applicazione dell'Ai
generativa, dal marketing alla programmazione, passando per l'ecommerce.
Ci
sono corsi adatti a qualsiasi livello, dagli utenti alle prime armi a chi è
invece interessato ad approfondire aspetti specifici.
Occhio
anche, naturalmente, alle proposte italiane.
Tra i
contenuti disponibili al momento, spicca un post sul modo in cui le Ai
sviluppano il loro vocabolario e un altro su come funziona il rilevamento delle
immagini.
È tutto disponibile gratuitamente, ma è
possibile sostenere l'autore attraverso “Substack”.
Learn
prompting.
Ci
vuole una certa abilità per generare le richieste giuste da sottoporre ai
sistemi di Ai generativi.
Più
dettagliati e creativi sono i vostri input, tanto migliori saranno i risultati
che otterrete.
Learn
Prompting è un corso online gratuito e open source che vi guida passo dopo
passo nell'arte della creazione delle richieste per l'Ai, con numerosi esempi.
I livelli di difficoltà sono indicati
chiaramente con i colori, in modo da poter iniziare con contenuti rivolti ai
principianti prima di passare al materiale più complesso.
Mit Ai
Ml Club.
“YouTube”
è piena di tutorial e spiegazioni che possono aiutarvi a usare in modo più
efficace l'Ai generativa.
Qui
abbiamo deciso di segnalarvi un canale relativamente nuovo, che però può
contare sulla reputazione di un'istituzione come il “Massachusetts Institute of
Technology” (Mit).
Il
canale del Mit dedicato all'Ai – “Mit Ai Ml Club” – offre già lezioni,
conversazioni e dimostrazioni su come utilizzare l'intelligenza artificiale per
produrre ogni tipo di contenuto, a cui nel prossimo futuro se ne aggiungeranno
sicuramente degli altri.
“Intelligenza
artificiale spiegata semplice”.
“Intelligenza
artificiale spiegata semplice” è un podcast in italiano curato dai divulgatori
Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore, che gestiscono anche un'omonima community.
Si rivolge a imprenditori, manager e studenti
che vogliono valorizzare le potenzialità della tecnologia.
Appuntamento
dopo appuntamento, i temi spaziano dai segreti del marketing digitale alle
lezioni apprese da manager e imprenditori sulla vicenda “ChatGpt”; e poi i
segreti dei concorrenti di “Gpt-3”, l'Ai per predire le malattie, e uno sguardo
rivolto al mercato.
Il tutto con la voce di esperti e addetti ai
lavori.
“Talk
magic”.
Sei
appuntamenti, freschissimi, quelli di “Talk Magic”, il podcast con Gianluca
Maruzzella, amministratore delegato di “indigo.ai” – una startup milanese che
offre servizi di Ai conversazionale – e Mario Moroni, imprenditore digitale:
una vera e propria panoramica, sincopata ma densa, che parte dalle origini per
approdare alle grandi questioni dei giorni nostri intorno all'intelligenza
artificiale.
“Osservatorio
Artificial Intelligence”.
Qui il
taglio è più per addetti ai lavori, che però può comunque tornare utile anche a
chi non è strettamente del settore e vuole farsi un'idea di dove stia andando
l'intelligenza artificiale.
L'Osservatorio
Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, patrocinato dall'Associazione italiana per
l’intelligenza artificiale, offre un mix di risorse che spaziano dai report alle
infografiche, dagli eventi ai contributi di professionisti e accademici, dai
podcast agli approfondimenti sui temi caldi, come il salto dell'Ai generativa
dai laboratori al pubblico e l'hyperautomation.
Ci si
abbona per accedere ai contenuti, che sono pensati in particolare per chi vuole
acquisire conoscenze solide nel settore e rimanere sempre aggiornato sullo
stato dell'arte e sull'adozione italiana delle tecnologie Ai.
(Wired
US).
Cos’è
l’intelligenza artificiale (AI),
come
funziona e applicazioni.
Ai4business.it
– Redazione – (14-2-2023) – ci dice:
Che
cos'è l'intelligenza artificiale: storia, i vari tipi, le applicazioni. Cos'è
il machine learning e quali applicazioni trova. Il quadro di regolamentazione
dell'AI in Italia e in Europa.
Deep
Learning, Intelligenza Artificiale, Machine Learning.
Potremmo
definire l’intelligenza artificiale come l’abilità di un sistema tecnologico di
risolvere problemi o svolgere compiti e attività tipici della mente e
dell’abilità umane.
Guardando
al settore informatico, potremmo identificare l’AI – artificial intelligence
come la disciplina che si occupa di realizzare macchine (hardware e software)
in grado di “agire” autonomamente (risolvere problemi, compiere azioni, ecc.).
Cos’è
l’intelligenza artificiale (AI), definizione.
L’intelligenza
artificiale è una disciplina dell’informatica che si occupa di creare macchine
in grado di imitare le capacità dell’intelligenza umana attraverso lo sviluppo
di algoritmi che consentono di mostrare attività intelligente.
Il
fermento attuale attorno a questa disciplina si spiega con la maturità
tecnologica raggiunta sia nel calcolo computazionale (oggi ci sono sistemi
hardware molto potenti, di ridotte dimensioni e con bassi consumi energetici),
sia nella capacità di analisi in real-time ed in tempi brevi di enormi quantità
di dati e di qualsiasi forma (Analytics).
Nella
sua accezione puramente informatica, l’intelligenza artificiale potrebbe essere
classificata come la disciplina che racchiude le teorie e le tecniche pratiche
per lo sviluppo di algoritmi che consentano alle macchine (in particolare ai
‘calcolatori’) di mostrare attività intelligente, per lo meno in specifici
domini e ambiti applicativi.
Già da
questo primo tentativo di definizione è evidente che bisognerebbe attingere ad
una classificazione formale delle funzioni sintetiche/astratte di ragionamento,
meta-ragionamento e apprendimento dell’uomo per poter costruire su di essi dei
modelli computazionali in grado di concretizzare tali forme di ragionamento e
apprendimento (compito arduo dato che ancora oggi non si conosce a fondo il reale
funzionamento del cervello umano).
Non
solo, quando si parla di capacità di ragionamento e apprendimento automatico
sulla base dell’osservazione spesso si incappa nell’alveo del “Cognitive
Computing “che va però inteso come l’insieme delle piattaforme tecnologiche
basate sulle discipline scientifiche dell’intelligenza artificiale (tra cui “Machine
Learning” e “Deep Learning”) e il “Signal Processing” (la capacità di elaborare
i segnali).
La
storia dell’intelligenza artificiale: dalle reti neurali degli anni ’50 a oggi.
L’interesse
della comunità scientifica per l’intelligenza artificiale ha inizio però da
molto lontano:
il
primo vero progetto di artificial intelligence (ormai nota con l’acronimo AI) risale
al 1943 quando i due ricercatori Warren McCulloch e Walter Pitt proposero al mondo scientifico il
primo neurone artificiale cui seguì poi nel 1949 il libro di Donald Olding Hebb, psicologo canadese, grazie al quale
vennero analizzati in dettaglio i collegamenti tra i neuroni artificiali ed i
modelli complessi del cervello umano.
I
primi prototipi funzionanti di reti neurali [cioè modelli matematici/informatici
sviluppati per riprodurre il funzionamento dei neuroni biologici per risolvere
problemi di intelligenza artificiale intesa, in quegli anni, come la capacità
di una macchina di compiere funzioni e fare ragionamenti come una mente umana –
ndr] arrivarono
poi verso la fine degli anni ’50 e l’interesse del pubblico si fece maggiore
grazie al giovane Alan Turing che già nel 1950 cercava di spiegare come un
computer possa comportarsi come un essere umano.
Il
termine artificial intelligence in realtà parte “ufficialmente” dal matematico
statunitense John McCarthy (nel 1956) e con esso il “lancio” dei primi linguaggi di
programmazione (Lisp nel 1958 e Prolog nel 1973) specifici per l’AI.
Da lì
in poi la storia dell’intelligenza artificiale è stata abbastanza altalenante
caratterizzata da avanzate significative dal punto di vista dei modelli
matematici (sempre più sofisticati modellati per “imitare” alcune funzionalità
cerebrali come il riconoscimento di pattern) ma con alti e bassi dal punto di
vista della ricerca sull’hardware e sulle reti neurali.
La
prima grande svolta su quest’ultimo fronte è arrivata negli anni ’90 con
l’ingresso sul mercato “allargato” (arrivando cioè al grande pubblico) dei
processori grafici, le Gpu – graphics processing unit (chip di elaborazione dati molto più
veloci delle Cpu, provenienti dal mondo del gaming ed in grado di supportare
processi complessi molto più rapidamente, per altro operando a frequenze più
basse e consumando meno energia rispetto alle “vecchie” Cpu).
L’ondata
più recente è arrivata nell’ultimo decennio con lo sviluppo dei cosiddetti “chip neuromorfici”, ossia microchip che integrano
elaborazione dati e storage in un unico micro componente (grazie all’accelerazione che ha
avuto anche la ricerca nel campo delle nanotecnologie) per emulare le funzioni sensoriali e
cognitive del cervello umano (ambito quest’ultimo dove si stanno concentrando anche molte
startup).
Guardando
un po’ alla storia passata, è alla fine degli anni ’50 che risale il primo
modello di rete neurale:
si
trattava del cosiddetto “percettrone”, proposto nel 1958 da Frank Rosenblatt (noto psicologo e computer scientist
americano), una rete con uno strato di ingresso ed uno di uscita ed una regola
di apprendimento intermedia basata sull’algoritmo ‘error back-propagation’ (minimizzazione degli errori);
la
funzione matematica, in sostanza, in base alla valutazione sui dati effettivi
in uscita – rispetto ad un dato ingresso – altera i pesi delle connessioni
(sinapsi) provocando una differenza tra l’uscita effettiva e quella desiderata.
Alcuni
esperti del settore fanno risalire proprio al percettrone di Rosenblatt la nascita della cibernetica e
dell’intelligenza artificiale [Artificial Intelligence – AI: il termine in realtà fu
coniato nel 1956 dal matematico statunitense John McCarthy, ed è del 1950 il
primo assunto di Alan Turing nel quale spiega come un computer possa comportarsi
come un essere umano – ndr], anche se negli anni immediatamente successivi i due
matematici Marvin
Minsky e Seymour Papert dimostrarono i limiti del modello di rete neurale di
Rosenblatt:
il
percettrone era in grado di riconoscere, dopo opportuno “addestramento” solo funzioni
linearmente separabili (attraverso il training set – l’algoritmo di apprendimento
– nello spazio vettoriale degli input, si riescono a separare quelli che
richiedono un output positivo da quelli che richiedono un output negativo);
inoltre, le
capacità computazionali di un singolo percettrone erano limitate e le prestazioni fortemente
dipendenti sia dalla scelta degli input sia dalla scelta degli algoritmi
attraverso i quali ‘modificare’ le sinapsi e quindi gli output.
I due
matematici Minsky e Papert intuirono che costruire una rete a più livelli di percettroni
avrebbe potuto risolvere problemi più complessi ma in quegli anni la crescente
complessità computazionale richiesta dall’addestramento delle reti mediante gli
algoritmi non aveva ancora trovato una risposta sul piano infrastrutturale (non esistevano sistemi hardware in grado
di ‘reggere’ tali operazioni).
La
prima svolta importante dal punto di vista tecnologico arriva tra la fine degli
anni ’70 e il decennio degli anni ’80 con lo sviluppo delle Gpu che hanno ridotto notevolmente i
tempi di addestramento delle reti, abbassandoli di 10/20 volte.
Reti
Neurali cosa sono.
Film
intelligenza artificiale, la guida.
Parlare
di casi applicativi per l’intelligenza artificiale è impossibile senza citare
il mondo del cinema e la grandissima filmografia che esiste proprio intorno ai
robot, all’AI, al Machine Learning.
Una
cinematografia che vale la pena di studiare a fondo proprio perché spesso
foriera di visioni e preziose anticipazioni del mondo e del mercato che in
molti casi si sono poi concretizzate nell’arco di pochi anni.
Nasce con questo spirito di monitoraggio e
analisi la nostra “guida speciale” denominata” Film intelligenza artificiale”, costantemente aggiornata anche
grazie al contributo dei lettori.
Intelligenza
Artificiale Film.
Tipi
di intelligenza artificiale.
Già da
questo rapidissimo “viaggio storico” si intuisce che dare una definizione
esatta di intelligenza artificiale è un compito arduo ma, analizzandone le
evoluzioni, siamo in grado di tracciarne i contorni e quindi di fare alcune
importanti classificazioni.
Intelligenza
artificiale “debole e forte”: cosa sono e in cosa si distinguono.
Prendendo
come base di partenza il funzionamento del cervello uomo (pur sapendo che ancora oggi non se
ne comprende ancora a fondo l’esatto meccanismo), una intelligenza artificiale dovrebbe
saper compiere in alcune azioni/funzioni tipiche dell’uomo:
agire
umanamente (cioè
in modo indistinto rispetto a un essere umano);
pensare
umanamente (risolvendo
un problema con funzioni cognitive);
pensare
razionalmente (sfruttando cioè la logica come fa un essere umano);
agire
razionalmente (avviando un processo per ottenere il miglior risultato atteso in base
alle informazioni a disposizione, che è ciò che un essere umano, spesso anche
inconsciamente, fa d’abitudine).
Queste
considerazioni sono di assoluta importanza perché permettono di classificare
l’AI in due grandi “filoni” di indagine/ricerca/sviluppo in cui per altro la
comunità scientifica si è trovata concorde, quello dell’AI debole e dell’AI
forte:
Debole (weak AI).
Identifica
sistemi tecnologici in grado di simulare alcune funzionalità cognitive
dell’uomo senza però raggiungere le reali capacità intellettuali tipiche
dell’uomo (parliamo
di programmi matematici di problem-solving con cui si sviluppano funzionalità
per la risoluzione dei problemi o per consentire alle macchine di prendere
decisioni);
Forte (strong AI).
In
questo caso si parla di “sistemi sapienti” (alcuni scienziati si spingono a
dire addirittura “coscienti di sé”) che possono quindi sviluppare una propria intelligenza senza
emulare processi di pensiero o capacità cognitive simili all’uomo ma
sviluppandone una propria in modo autonomo.
Machine
Learning e Deep Learning, cosa sono.
La
classificazione “AI debole” e “AI forte” sta alla base della distinzione tra “Machine
Learning” e “Deep Learning”, due ambiti di studio che rientrano nella più ampia
disciplina dell’intelligenza artificiale che meritano un po’ di chiarezza, dato
che ne sentiremo parlare sempre più spesso nei prossimi anni.
Dopo
le opportune chiarificazioni, possiamo ora spingerci a definire l’intelligenza artificiale
come la capacità delle macchine di svolgere compiti e azioni tipici
dell’intelligenza umana (pianificazione, comprensione del linguaggio, riconoscimento
di immagini e suoni, risoluzione di problemi, riconoscimento di pattern, ecc.),
distinguibile
in AI debole e AI forte.
Ciò
che caratterizza l’intelligenza artificiale da un punto di vista tecnologico e
metodologico è il metodo/modello di apprendimento con cui l’intelligenza
diventa abile in un compito o azione.
Questi modelli di apprendimento sono ciò che
distinguono “Machine Learning” e “Deep Learning”.
“Machine
Learning” Cos'è.
Come
funziona l’intelligenza artificiale.
Ciò
che abbiamo visto finora è il funzionamento tecnologico dell’intelligenza
artificiale (IA).
Dal punto di vista delle abilità
intellettuali, il funzionamento di una AI si sostanzia principalmente attraverso quattro differenti livelli
funzionali:
comprensione: attraverso la simulazione di capacità
cognitive di correlazione dati ed eventi l’AI (artificial intelligence) è in
grado di riconoscere testi, immagini, tabelle, video, voce ed estrapolarne
informazioni;
ragionamento: mediante la logica i sistemi
riescono a collegare le molteplici informazioni raccolte (attraverso precisi
algoritmi matematici e in modo automatizzato);
apprendimento: in questo caso parliamo di sistemi
con funzionalità specifiche per l’analisi degli input di dati e per la loro
“corretta” restituzione in output (è il classico esempio dei sistemi di “Machine Learning” che con
tecniche di apprendimento automatico portano le AI a imparare e a svolgere
varie funzioni);
interazione (Human Machine Interaction):
in questo caso ci si riferisce alle modalità di funzionamento
dell’AI in relazione alla sua interazione con l’uomo.
È qui che stanno fortemente avanzando i
sistemi di NLP – Natural Language Processing, tecnologie che consentono
all’uomo di interagire con le macchine (e viceversa) sfruttando il linguaggio naturale.
Esempi
di intelligenza artificiale.
Le
Over The Top come Facebook, Google, Amazon, Apple e Microsoft stanno
battagliando non solo per portare al proprio interno startup innovative nel campo
dell’AI ma
anche per avviare ed alimentare progetti di ricerca di cui già oggi vediamo
alcuni frutti (come il riconoscimento delle immagini, dei volti, le applicazioni
vocali, le traduzioni linguistiche, ecc.).
Oggi
la maturità tecnologica ha fatto sì che l’intelligenza artificiale uscisse dall’alveo
della ricerca per entrare di fatto nella vita quotidiana.
Se come consumatori ne abbiamo importanti
“assaggi” soprattutto grazie a Google e Facebook, nel mondo del business la
maturità (e la disponibilità) delle soluzioni tecnologiche ha portato la
potenzialità dell’AI in molti segmenti.
Questi
quelli più in fermento in questo momento:
Vendite.
L’intelligenza
artificiale applicata alle vendite ha già dimostrato importanti risultati, in particolare grazie all’utilizzo
di sistemi esperti [applicazioni che rientrano nella branca dell’intelligenza
artificiale perché riproducono le prestazioni di una persona esperta di un
determinato dominio di conoscenza o campo di attività – ndr].
Le soluzioni
che al loro interno integrano sistemi esperti permettono agli utenti (anche non
esperti) di risolvere problemi particolarmente complessi per i quali servirebbe
necessariamente l’intervento di un essere umano esperto dello specifico
settore, attività o dominio di conoscenza ove si presenta il problema.
In
parole semplici, sono sistemi che permettono alle persone di trovare una soluzione ad un
problema anche senza richiedere l’intervento di un esperto.
Dal
punto di vista tecnologico, i sistemi esperti consentono di mettere in atto, in
modo automatico, delle procedure di inferenza (ossia di logica: con un processo
induttivo o deduttivo si giunge ad una conclusione a seguito dell’analisi di
una serie di fatti o circostanze).
In
particolare i cosiddetti sistemi esperti basati su regole sfruttano i principi
molto noti nell’informatica “IF-THEN” dove” If” è la condizione e” Then”
l’azione (se
si verifica una determinata condizione, allora avviene una certa azione).
Il
perché i sistemi esperti rientrano nella branca dell’intelligenza artificiale
anziché nell’alveo dei normali programmi software sta nel fatto che dati una
serie di fatti, i sistemi esperti, grazie alle regole di cui sono composti,
riescono a dedurre nuovi fatti.
Questi
sistemi risultano particolarmente performanti e adatti ai configuratori
commerciali (soluzioni utilizzate dalle Vendite in business model dove la proposta
risulta particolarmente complessa per la natura stessa dei prodotti
commercializzati, per le combinazioni possibili delle soluzioni, per le
variabili che incidono sul risultato finale e, quindi, sulla realizzazione
stessa del prodotto ed il suo prezzo).
In
generale, un configuratore di prodotto deve assolvere il compito di
semplificazione nella scelta di un bene da acquistare; processo non sempre
immediato quando le variabili in gioco sono numerose (dimensionamento, numero elevato di
componenti, utilizzo di materiali particolari, combinazione tra materie prime e
materiali vari con conseguenti impatti sulle proprietà fisiche, meccaniche o
chimiche, ecc.).
Quando
a dover essere configurati sono prodotti che vanno calati in progetti complessi
(pensiamo
agli impianti manifatturieri oppure a sistemi e macchinari che devono operare
in particolari condizioni climatiche o ambienti industriali “critici”), i
configuratori di prodotto devono essere “esperti ed intelligenti” al punto da
mettere gli utenti in condizioni di cercare, individuare, valutare e richiedere in autonomia
quello che serve, senza ricorrere all’esperto tecnico.
È
proprio qui che i sistemi esperti – come quelli sviluppati da” Myti” – esprimono al
meglio il loro potenziale.
intelligenza artificiale.
Declaro
– Myti.
DECLARO, per esempio, è un “rule engine” (motore di regole) che permette al configuratore di
prodotto di proporre all’utente non esperto le domande giuste, alle cui
risposte seguono altre domande corrette.
L’accumularsi
di esperienze (tra domande e risposte) non solo accelera e rende più efficace la
configurazione della soluzione adatta alle proprie esigenze, ma diventa anche
un sistema di knowledge base aziendale che si arricchisce in continuazione.
Nella
soluzione messa a punto da “Myti” il “motore” di domande e risposte si presenta
come comune interfaccia web.
Le “regole If-Than” sono costruite a monte dall’esperto
di dominio ma il sistema è poi in grado di fare delle domande a un utente non
esperto e in base alle risposte – accedendo alla conoscenza dell’esperto che ha definito
le regole –
fare altre
domande che aiutano l’utente (per esempio il venditore) alla scelta e poi alla
configurazione di un prodotto complesso o una articolata proposta commerciale.
Marketing.
Assistenti
vocali/virtuali (chatbot, Siri di Apple, Cortana di Microsoft, Alexa di Amazon) che sfruttano l’intelligenza
artificiale sia per il riconoscimento del linguaggio naturale sia per
l’apprendimento e l’analisi delle abitudini e dei comportamenti degli utenti;
analisi in real-time di grandi moli di dati
per la comprensione del “sentiment” e delle esigenze delle persone per
migliorare customer care, user experience, servizi di assistenza e supporto ma anche
per creare e perfezionare sofisticati meccanismi di ingaggio con attività che
si spingono fino alla previsione dei comportamenti di acquisto da cui derivare
strategie di comunicazione e/o proposta di servizi.
L’AI
nel Marketing sta mostrando da qualche anno tutta la sua massima potenza e
l’area di impiego maggiore è sicuramente quella della gestione della relazione
con gli utenti.
Artificial
Intelligence Marketing (AIM), algoritmi per persuadere le persone.
Da
diversi anni è nata una vera e propria disciplina, l’Artificial Intelligence Marketing
(AIM), una
branca del Marketing che sfrutta le più moderne tecnologie che rientrano
nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale, come Machine Learning e Nlp – Natural
Language Processing, integrate a tecniche matematiche/statistiche (come quelle
delle reti bayesiane) e di Marketing comportamentale (behavioral targeting).
Si
tratta, in concreto, dell’utilizzo degli algoritmi di intelligenza artificiale
e Machine Learning con l’obiettivo di persuadere le persone a compiere
un’azione, acquistare un prodotto o accedere ad un servizio (in altre parole, rispondere ad una “call to action”).
Aggregazione
e analisi dei dati (anche quelli destrutturati e basati su linguaggio naturale) in un processo continuo di
apprendimento e miglioramento per identificare di volta in volta le azioni, le
strategie e le tecniche di comunicazione e vendita probabilisticamente più
efficaci (quelle
che hanno il potenziale più elevato di efficacia/successo per singoli target di
utenti).
È questo, in sostanza, quello che fa l’ “AIM”
Sanità.
L’AI
ha avuto il pregio di migliorare molti sistemi tecnologici già in uso da
persone con disabilità (per esempio i sistemi vocali sono migliorati al punto da
permettere una relazione/comunicazione del tutto naturale anche a chi non è in
grado di parlare) ma è sul fronte della diagnosi e cura di tumori e malattie
rare che si potranno vedere le nuove capacità dell’AI.
Già
oggi sono disponibili sul mercato sistemi cognitivi in grado di attingere,
analizzare e apprendere da un bacino infinito di dati (pubblicazioni scientifiche, ricerca,
cartelle cliniche, dati sui farmaci, ecc.) ad una velocità inimmaginabile per
l’uomo, accelerando processi di diagnosi spesso molto critici per le malattie
rare o suggerendo percorsi di cura ottimali in caso di tumori o malattie
particolari.
Non
solo, gli
assistenti virtuali basati su AI iniziano a vedersi con maggiore frequenza nelle sale
operatorie, a supporto del personale di accoglienza o di chi offre servizi di primo
soccorso.
Cybersecurity.
La
prevenzione delle frodi è una delle applicazioni più mature dove l’intelligenza
artificiale si concretizza con quelli che tecnicamente vengono chiamati “advanced analytics”, analisi molto sofisticate che
correlano dati, eventi, comportamenti ed abitudini per capire in anticipo
eventuali attività fraudolente (come la clonazione di una carta di credito o
l’esecuzione di una transazione non autorizzata);
questi sistemi possono in realtà trovare
applicazione anche all’interno di altri contesti aziendali, per esempio per la
mitigazione dei rischi, la protezione delle informazioni e dei dati, la lotta
al cybercrime.
Supply
chain.
L’ottimizzazione
e la gestione della catena di approvvigionamento e di distribuzione richiede
ormai analisi sofisticate e, in questo caso, l’AI è il sistema efficace che
permette di connettere e monitorare tutta la filiera e tutti gli attori
coinvolti;
un
caso molto significativo di applicazione dell’intelligenza artificiale al
settore del Supply chain management è relativo alla gestione degli ordini (in questo caso le tecnologie che
sfruttano l’intelligenza artificiale non solo mirano alla semplificazione dei
processi ma anche alla totale integrazione di essi, dagli acquisti fino
all’inventario, dal magazzino alle vendite fino ad arrivare addirittura
all’integrazione con il marketing per la gestione preventiva delle forniture in
funzione delle attività promozionali o delle campagne di comunicazione).
Sicurezza
pubblica.
La
capacità di analizzare grandissime quantità di dati in tempo reale e di
“dedurre” attraverso correlazioni di eventi, abitudini, comportamenti,
attitudini, sistemi e dati di geo-localizzazione e monitoraggio degli
spostamenti di cose e persone offre un potenziale enorme per il miglioramento
dell’efficienza e dell’efficacia della sicurezza pubblica.
Per
esempio, per la sicurezza e la prevenzione dei crimini in aeroporti, stazioni
ferroviarie e città metropolitane oppure per la prevenzione e la gestione della
crisi in casi di calamità naturali come terremoti e tsunami.
Intelligenza
artificiale: aggiornamenti.
GPT-3,
l’AI che scrive testi
Nel
corso del 2020, l’azienda “OpenAI”, ha presentato il sistema GPT-3, un potente “strumento intelligente” per la produzione di testi.
Basato
su tecniche di pre-training senza supervisione nello sviluppo di sistemi Natural Language
Processing.
GPT-3
è un “generatore di linguaggio” ed è in grado di scrivere articoli e saggi in totale
autonomia.
GPT-3
è stato preceduto da GPT-2, che era già in grado di scrivere testi in una gamma
di stili diversi a seconda della frase inserita come input.
Per
capire la differenza fra i due sistemi basti pensare che GPT-3 ha 175 miliardi
di “parametri”, cioè i valori che la rete neurale utilizzata nel modello
ottimizza durante l’addestramento), mentre GPT-2 ne ha “appena” 1,5 miliardi.
GPT-3:
poltrone, avocado e il futuro dell’intelligenza artificiale.
GPT-3:
apprendimento di modelli statistici del linguaggio, conoscenza e intelligenza
naturale.
“DALL-E”,
dalle parole alle immagin.i
Ancora
l’azienda “OpenAI”
ha
rilasciato nella seconda metà del 2020 un nuovo modello di intelligenza
artificiale: “DALL-E”.
Il sistema è capace di produrre immagini da
descrizioni testuali esprimibili in linguaggio naturale, sulla base di un input
di testo o testo + immagine, ottenendo in uscita una immagine artificiale.
Il nome trae origine dal pittore “Salvador
Dalì” e dal robot cinematografico “WALL-E” ed è una variante del modello GPT-3.
Ecco “DALL-E
2”, l’AI a supporto della creatività umana – AI4Business.
“LaMDA”
di Google e “Wav2vec-U” di Facebook.
Ai
sistemi GPT di OpenAI hanno fatto seguito i modelli di linguaggio naturale
LaMDA di Google e Wav2vec-U di Facebook.
LaMDA (acronimo di “Language Model for
Dialogue Applications”), è basato (come BERT e GPT-3) su” tecnologia Transformer” e nasce dall’intento di Google di
comprendere meglio le intenzioni degli utenti quando fanno una ricerca sul web.
“Wav2vec-U”
è invece un metodo per creare sistemi di riconoscimento del parlato senza il
bisogno di avere trascrizioni sulle quali addestrare il modello.
“Deep
face”: “questa persona non esiste”.
“ThisPersonDoesNotExist.com” è un sito che, utilizzando le reti
neurali, generare volti falsi, ossia del tutto inventati.
Creato
da Philip
Wang,
autore del software
di Uber,
il sito utilizza un algoritmo “StyleGAN” sviluppato dalla “NVIDIA Corporatio”n, una rete neurale di tipo GAN (Generative Adversarial Network).
“Deep Nostalgia”, far rivivere il passato.
Sulla
scia di “deep face”, ai primi del 2021 è apparso un nuovo sistema basato su AI
chiamato “Deep Nostalgia”, opera dell’azienda My Heritage.
Si
tratta di un software che “anima” foto di persone, facendole come “rivivere”.
“Deep Nostalgia” utilizza una tecnica
di computer vision chiamata” Face Alignmen”t, basata su deep neural networks.
“Copilot”,
il
software che scrive software.
Gli
sviluppatori di software di “GitHub” (Microsoft) hanno sviluppato “Copilot”, un
software che aiuta gli sviluppatori a gestire e archiviare i codici, ossia un
programma che utilizza l’intelligenza artificiale per assistere gli stessi
sviluppatori. Ad esempio, si digita una query di comando e “Copilot” indovina l’intento
del programmatore, scrivendo il resto.
“Shopping”
assistance robot.
Sta
prendendo sempre più piede l’utilizzo dei robot nel settore delle vendite.
Tra le loro funzioni: assistenza del cliente alla cassa,
rispondere alle domande degli acquirenti circa l’ubicazione degli articoli e
assisterli nella scelta. Inoltre, pulire i pavimenti e consegnare i prodotti a
domicilio.
“ChatGPT”, l’AI generativa che compone testi.
Intelligenza
artificiale e Agenda Digitale in Italia.
L’intelligenza
artificiale è da tempo sui tavoli di lavoro dell’AgID ed è uno dei temi ampiamente
dibattuti e studiati nell’ambito dell’”Agenda Digitale Italiana” per comprendere come la diffusione di
nuovi strumenti e tecnologie di IA possa incidere nella costruzione di un nuovo
rapporto tra Stato e cittadini e analizzare le conseguenti implicazioni sociali
relative alla creazione di ulteriori possibilità di semplificazione,
informazione e interazione.
Proprio
seguendo questo “filone” è stata creata in Italia una “Task Forc”e, all’interno
di “AgID”, i cui componenti hanno il
compito di:
– studiare e analizzare le principali
applicazioni relative alla creazione di nuovi servizi al cittadino, definendo
le strategie di gestione delle opportunità per la Pubblica Amministrazione;
– mappare a livello italiano i
principali centri – universitari e non – che operano nel settore
dell’intelligenza artificiale con riferimento all’applicazione operativa nei
servizi al cittadino;
– mappare il lavoro già avviato da alcune
amministrazioni centrali e locali proponendo azioni da intraprendere per
l’elaborazione di policy strategiche;
–
evidenziare e studiare le implicazioni sociali legate all’introduzione delle
tecnologie di intelligenza artificiale nei servizi pubblici.
AGENDA
DIGITALE E APPROFONDISCI sul valore dell’Intelligenza Artificiale nell’ambito
dell’Agenda digitale dell’Italia.
Lo
stato dell’arte delle normative sull’intelligenza artificiale Italia.
Nell’ottobre
2020 il governo italiano ha pubblicato la bozza di Strategia nazionale per
l’Intelligenza Artificiale, basata sulle proposte avanzate a luglio da un gruppo di
esperti.
Il punto principale della Strategia è la
formazione.
L’ecosistema
italiano dell’AI si basa su:
ricerca
e trasferimento tecnologico;
produzione;
adozione.
L’Italia, inoltre, fa parte della “Global Partnership on AI” (GPAI), iniziativa internazionale che lo
scopo di favorire lo sviluppo responsabile dell’intelligenza artificiale per
garantire il rispetto dei diritti umani, dell’inclusione e della diversità.
Europa.
Il 21
aprile 2021 la Commissione Europea ha presentato una bozza di Regolamento
sull’intelligenza artificiale, regole che saranno applicate direttamente e nello stesso
modo in tutti gli Stati membri e che seguono un approccio basato sul rischio:
maggiore
il rischio, maggiori le regole.
Per le
aziende che non rispetteranno queste regole saranno previste multe fino al 6%
del fatturato.
Proposta
di regolamentazione dell’intelligenza artificiale in Europa, un approfondimento.
Il
Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale e i suoi rapporti con il GDPR.
Regolamentazione
dell’AI:
le raccomandazioni del “Centre for Information Policy Leadership”.
Nel
marzo 2022 la Commissione per il mercato interno e la protezione dei
consumatori del Parlamento Europeo, oltre che della Commissione per le libertà
civili, la giustizia e gli affari interni, ha pubblicato una relazione
congiunta contenente delle raccomandazioni inerenti alla proposta di
Regolamento sull’Intelligenza Artificiale.
L’ ”AI
Act” fa progressi: la Ue pubblica nuove raccomandazioni – AI4Business.
Lavoro
e intelligenza artificiale: presente e futuro.
Quando
si parla di intelligenza artificiale non si può non toccare aspetti etici e
sociali come quelli legati al lavoro e all’occupazione dato che i timori nella
comunità globale crescono.
Timori
giustificati se si pensa che la metà delle attività lavorative di oggi potrebbe
essere automatizzata entro il 2055.
Qualsiasi
tipo di lavoro è soggetto a una automazione parziale ed è partendo da questa
considerazione che nel report “A Future That Works: Automation, Employment and
Productivity”, realizzato da “McKinsey Global Institute – MGI” (un report di 148 pagine, disponibile
sul sito del World Economic Forum di Davos di Klaus Schwab, dove è stato
ufficialmente presentato nello scorso gennaio),
si
stima che circa la metà dell’attuale forza lavoro possa essere impattata
dall’automazione grazie alle tecnologie già note e in uso oggi.
In
realtà a mettere un freno ai timori che da mesi spopolano via web e social
sulla responsabilità dell’intelligenza artificiale nel “distruggere” posti di
lavoro arrivano diversi studi.
Di seguito segnaliamo quelli più
significativi:
secondo
lo studio di “Capgemini” intitolato “Turning AI into concrete value: the
successful implementers’ toolkit” l’83% delle imprese intervistate conferma la
creazione di nuove posizioni all’interno dell’azienda, inoltre, i tre quarti delle società
intervistate hanno registrato un aumento delle vendite del 10% proprio in
seguito all’implementazione dell’intelligenza artificiale;
un
recente report di “The Boston Consulting Group” e “MIT Sloan Management Review “dimostra che la riduzione della forza
lavoro è temuta solo da meno della metà dei manager (47%), convinti invece
delle potenzialità (l’85% degli interpellati pensa che permetterà alle aziende
di guadagnare e mantenere un vantaggio competitivo).
I
rischi dell’intelligenza artificiale.
Gli
economisti si interrogano da tempo su quali strumenti attivare per impedire che
l’evoluzione della società verso un’economia a sempre minore intensità di
lavoro – la cui evoluzione è oggi accelerata dall’intelligenza artificiale –
non si traduca in un impoverimento della popolazione, situazione che richiederebbe
una “redistribuire” della ricchezza considerando che la maggior parte di questa
verrà prodotta dalle macchine.
Alle
tematiche sociali, si affiancano questioni etiche sullo sviluppo e l’evoluzione
dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie.
Ci si
interroga da tempo sul “potere degli algoritmi” e dei big data, domandandosi se
questi segneranno la superiorità del cervello delle macchine su quello
dell’uomo.
I
timori (alimentati in rete da noti personaggi di spicco come “Stephen Hawking”
ed “Elon Musk”) possono apparire eccessivi ma sottovalutare gli impatti
dell’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare il rischio numero uno.
A
mettere in guardia dai rischi dell’intelligenza artificiale è stato, primo fra
altri personaggi di spicco, il noto “Stephen Hawking”:
«non siamo in grado di prevedere cosa riusciremo a
fare quando le nostre menti saranno amplificate dall’intelligenza artificiale –
ha detto il fisico durante l’ultimo Web Summit di Lisbona -.
Forse,
con strumenti nuovi, riusciremo anche a rimediare a tutti i danni che stiamo
provocando alla natura, e magari saremo anche in grado di trovare soluzioni
definitive a povertà e malattie.
Ma… è anche possibile che con la distruzione
di milioni di posti di lavoro venga distrutta la nostra economia e la nostra
società».
«L’intelligenza
artificiale potrebbe essere il peggior evento della storia della nostra civiltà
– è la visione drammatica dell’astrofisico -.
Porta
con sé pericoli, come potenti armi automatiche, nucleari o biologiche,
addirittura abilita nuovi modi per permettere a pochi individui ed
organizzazioni di opprimere e controllare moltitudini di uomini (e cose).
Dobbiamo
prepararci a gestirla per evitare che questi potenziali rischi prendano forma e
diventino realtà».
Sorprende
anche che l’ultimo monito sia venuto proprio da un imprenditore di successo
come “Elon Musk”.
“L’intelligenza
artificiale è il più grande rischio cui la nostra civilizzazione si trova a far
fronte”, ha avvertito.
In
particolare ha evidenziato i rischi di una guerra scatenata dai computer o una catastrofe occupazionale dovuta a
decisioni basate soltanto sulle elaborazioni dell’intelligenza artificiale, unico vero pilastro dominante
dell’economia del futuro capace di riservare alle macchine migliaia, forse
milioni, di lavori oggi ancora gestiti dagli uomini.
“White Paper - Application Management”: come modernizzare l’azienda grazie
a un partner esperto.
Intelligenza
artificiale decentralizzata: cos’è e perché può essere la risposta ai problemi etici.
La
comunità scientifica internazionale sta lavorando da tempo alla cosiddetta” super
intelligenza”, una intelligenza artificiale generale [la ricerca in questo campo ha come
obiettivo la creazione di una AI – artificial intelligence capace di replicare
completamente l’intelligenza umana; fa riferimento alla branca della ricerca
dell’intelligenza artificiale forte secondo la quale è possibile per le
macchine diventare sapienti o coscienti di sé, senza necessariamente mostrare
processi di pensiero simili a quelli umani – ndr].
Tuttavia
i rischi sono elevatissimi, soprattutto se a portare avanti la ricerca sono
poche aziende in grado di dedicare ingenti risorse (economiche e di competenze)
ai progetti più innovativi.
Decentralizzare
l’intelligenza artificiale e fare in modo che possa essere progettata,
sviluppata e controllata da una “grande rete internazionale” attraverso la “programmazione open source” è per molti ricercatori e
scienziati l’approccio più sicuro per creare non solo la super intelligenza ma
democratizzare l’accesso alle intelligenze artificiali, riducendo i rischi di
monopolio e quindi risolvendo problemi etici e di sicurezza.
Oggi,
una delle preoccupazioni maggiori in tema di intelligenza artificiale riguarda
proprio l’utilizzo dei dati e la fiducia con la quale le “AI” sfruttano dati ed
informazioni per giungere a determinate decisioni e/o compiere azioni
specifiche.
La
mente umana, specie quando si tratta di “Deep Learning” (per cui vi rimandiamo alla lettura
del servizio “Cos’è il Machine Learning, come funziona e quali sono le sue
applicazioni” per avere un quadro di maggior dettaglio), non è in grado di interpretare i
passaggi compiuti da “una intelligenza artificiale” attraverso una “rete
neurale profonda” e deve quindi “fidarsi” del risultato raggiunto da una “AI”
senza capire e sapere come è giunta a tale conclusione.
In
questo scenario, la “blockchain” sembra essere la risposta più rassicurante:
l’uso
della “tecnologia blockchain” consente registrazioni immutabili di tutti i dati, di tutte
le variabili e di tutti i processi utilizzati dalle intelligenze artificiali per
arrivare alle loro conclusioni/decisioni. Ed è esattamente ciò che serve
controllare in modo semplice l’intero processo decisionale dell’”AI”.
L’Intelligenza
Artificiale cambierà
il
mondo del lavoro entro il 2030.
Prepariamoci.
Ilfattoquotidiano.it
- Tom's Hardware – (21 SETTEMBRE 2018)
L'Intelligenza
Artificiale avrà creato un mercato miliardario entro il 2030, ma anche grandi
cambiamenti per governi, aziende e lavoratori.
Bisogna
prepararsi.
Entro
il 2030 l’Intelligenza Artificiale avrà creato un giro d’affari da 13 trilioni
di dollari (13 miliardi di miliardi).
Lo
suggerisce un recente studio del “McKingsey Global Institute” (MGI), sviluppato
proprio per comprendere il potenziale impatto dell’“AI” sull’economia globale.
Un
generico e sostanzioso aumento del PIL globale appare senz’altro come una buona
notizia, ma lo studio prende in considerazione luci e ombre di questa nascente
rivoluzione.
Come
aveva già suggerito lo studioso Kai-Fu Lee (tra gli altri), anche “MGI” segnala
il pericolo di divari e ineguaglianze in aumento, e la necessità di affrontare
l’emergenza lavorativa con la riqualificazione; lo stesso principio era stato
sottolineato pochi giorni fa dal “World Economic Forum” di Klaus Schwab.
“MGI”
divide le aziende in tre grandi categorie:
i front-runner, quelle che stanno già adottando la
AI e la sfrutteranno al massimo nei prossimi anni.
I follower, che partiranno in ritardo ma riusciranno a
raccogliere qualcosa.
E i ritardatari, che si faranno sfuggire questa
occasione e registreranno perdite importanti entro il 2030.
Sostanziale anche la differenza tra chi saprà
assorbire tutte e cinque le categorie di “AI” (computer vision, natural language,
virtual assistants, robotic process automation, advanced machine learning) entro la data indicata, e chi
invece riuscirà solo a iniziare la sperimentazione con una o due di esse.
Si
tratta di differenze enormi: stando alla simulazione di “MGI”, infatti, entro il 2030
meno della metà delle grandi aziende del mondo avrà assorbito tutte e cinque le
categorie di “AI”.
Questo
darà ai “front-runner” un vantaggio probabilmente impossibile da recuperare per
tutti i concorrenti.
In altre parole, colossi come Google, Apple,
Microsoft, Shell e così via si ritaglieranno una posizione ancora più solida,
usando l’“AI” per rendere la concorrenza sostanzialmente impossibile.
La
crescita non sarà lineare ma esponenziale: all’inizio potrebbe apparire
relativamente lenta, per poi esplodere nell’ultima parte del periodo preso in
considerazione.
La
crescita registrata nel 2013 potrebbe essere superiore di tre o più volte
rispetto a quella del periodo 2019-2024.
Il “McKingsey
Global Institute” ha esaminato il potenziale impatto della rivoluzione “AI” da
tre diversi punti di vista: sui paesi, sulle aziende e sui lavoratori.
Nel
primo caso, l’istituto registra un potenziale aumento del divario tra paesi
sviluppati e paesi in via di sviluppo, con i primi che potrebbero assorbire
fino al 25% in più dei benefici economici.
I
paesi più ricchi, si legge sul documento, “potrebbero non aver scelta se non scommettere sull’”AI”
per incrementare la crescita, a fronte di un rallentamento nell’aumento del PIL
e rispondendo in parte alla sfida di un’età media in aumento.
Inoltre
in questi paesi le buste paga sono alte, il che significa una maggiore
incentivo a sostituire il lavoro umano con le macchine rispetto ai paesi in via
di sviluppo”.
Nei
paesi meno ricchi e in via di sviluppo invece succede l’esatto contrario, con
una minore spinta a investire sull’Intelligenza Artificiale.
“I
paesi in via di sviluppo hanno altri strumenti, come adottare “best practices”
o ristrutturare il settore industriale per aumentare la produttività.
Quindi ci sono meno incentivi a spingere
sull’AI”.
A
lungo termine, tuttavia, queste differenze potrebbero creare una distanza
incolmabile tra paesi dotati di una forte “economia AI” e altri che ne sono
privi.
Simile
il panorama se si guarda alle aziende: le previsioni parlano di una
distanza in aumento tra i “front-runner”s (le aziende che investono già ora in
AI e che completeranno per prime il processo) e tutte le altre.
I primi arrivati potrebbero persino
raddoppiare il cash-flow, mentre gli altri potrebbero dover far fronte a una
riduzione anche del 20%.
Lo
sguardo sui lavoratori fa eco all’analisi del World Economic Forum:
le
attività ripetitive sono quelle più a rischio, con una riduzione dei posti
disponibili e una stagnazione dei compensi.
In
crescita invece il lavoro per quei profili che richiedono abilità sociali e
cognitive, con stipendi in crescita fino al 13%.
Le
conseguenze possibili includono la nascita di una vera e propria guerra per il
lavoro tra le figure qualificate, il cui esito è difficile da prevedere.
All’altro
estremo c’è però la maggior parte della popolazione, che non ha le competenze
necessarie né avrà possibili sbocchi lavorativi – o ne avrà molti di meno.
Sommando
queste due tendenze” MGI” afferma che “in generale l’adozione e
l’assorbimento dell’AI potrebbe non avere un impatto significativo sul numero
netto di impieghi. L’impatto potrebbe essere più limitato rispetto alle paure
di molti”.
Vale a dire che potrebbe non esserci quella emorragia
di posti di lavoro che temono alcuni, ma il pericolo esiste e va affrontato.
“Gli
amministratori dovranno mostrare forti capacità di leadership per far fronte al
comprensibile malessere tra i cittadini riguardo alla minaccia percepita verso
i loro lavori, mentre l’automazione si diffonde. Anche le aziende avranno un
ruolo importante nella ricerca di soluzioni all’enorme compito di formare e
riformare le persone.”
Ognuno
di noi in ogni caso dovrà “adattarsi al nuovo mondo “.
Un
mondo dove si cambia lavoro più spesso, e dove un cambiamento può anche essere
radicale: non
il semplice cambiare azienda ma fare la stessa cosa, oppure passare a
un’attività anche molto diversa.
Per
questo sarà necessario saper “aggiornare continuamente le proprie competente per rispondere
ai bisogni di un mercato del lavoro che cambia dinamicamente”.
“Ecco
come cambierà il lavoro
con
l’intelligenza artificiale.”
Sky.it
- Daniele Semeraro – (06 apr. 2023) – ci dkce:
Intervista
a “Dave
Wright”, Chief Innovation Officer di “ServiceNow”, definito un “evangelist”, un pioniere e un
divulgatore tecnologico nel campo della trasformazione digitale collegata al
futuro dell’occupazione.
Come
cambierà il mondo del lavoro grazie all’intelligenza artificiale?
Come
cambierà il panorama tecnologico con la diffusione sempre più marcata
dell’intelligenza artificiale e dei modelli linguistici di grandi dimensioni
(come “ChatGPT”, di cui si parla sempre più).
E
ancora: quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi del relazionarsi
sempre di più con l’intelligenza artificiale nel lavoro, nello studio, nell’intrattenimento?
A rispondere alle nostre domande è “Dave Wright”,
Chief Innovation Officer di “ServiceNow”, multinazionale californiana che aiuta
le aziende a gestire i flussi di lavoro digitali e ad aumentare e ad
automatizzare la produttività.
Wright,
passato qualche giorno fa per Milano, è definito un “evangelist”, un pioniere e un divulgatore
tecnologico nel campo della trasformazione digitale collegata al futuro del
lavoro.
Quali
saranno gli impatti più tangibili dell’intelligenza artificiale nel mondo del
lavoro nei prossimi cinque anni?
"Se
si pensa a cosa succederà nei prossimi cinque anni credo che vadano analizzati
tre fattori distinti:
l’automazione, la previsione, la
personalizzazione.
Innanzitutto
direi che l’intelligenza artificiale inizierà a capire il modo in cui le
persone lavorano e il modo in cui alle persone piace lavorare.
Saremo in grado di anticipare le tendenze e riusciremo
a liberarci dallo svolgimento dei compiti più banali e ripetitivi, ottenendo in
cambio la possibilità di poter essere forse un po’ più creativi".
A suo
avviso quali sono gli aspetti positivi e quelli meno positivi dei sistemi
basati sull’intelligenza artificiale come “ChatGPT”?
"Se partiamo dagli aspetti positivi
metterei in luce il fatto che consente ai dipendenti di sbarazzarsi di ciò su
cui in genere non vogliono lavorare, che è in grado di eliminare almeno in
parte i lavori ripetitivi.
Penso
sia interessante anche dal punto di vista dell’esperienza che quando si usa uno
strumento come “ChatGPT”, le risposte che si ottengono danno una sensazione di
maggiore naturalezza rispetto al processo ormai 'antico' di cliccare sui link
che vengono presentati dai motori di ricerca.
Al contrario, quali sono gli aspetti meno
positivi?
Beh
punterei tutto sulla visibilità, sul fatto che la maggior parte
dell’intelligenza artificiale sia oscura, una sorta di buco nero.
Non si
capisce davvero cosa accada, da dove arrivino le risposte.
E poi
c’è anche il fatto che l’intelligenza si ritiene soddisfatta di dare una
risposta corretta ma si ritiene altrettanto soddisfatta di dare una risposta
completamente sbagliata".
Con
l’uso sempre maggiore dell’intelligenza artificiale rischiamo che gli studenti
si presentino sul mondo del lavoro meno competenti di prima?
"Io
ho due ragazzi, uno di 16 e uno di 13 anni, e credo che inizieranno a usare
l’intelligenza artificiale come strumento di studio esattamente come la
generazione precedente ha usato Google:
consultare
un motore di ricerca non significava che le persone diventassero immediatamente
super-informate su tutto ma che avrebbero avuto un altro strumento per trovare
quello che stavano cercando.
Ecco, io penso che l’intelligenza artificiale
possa in un certo modo preparare le persone per il mondo del lavoro perché
questo strumento sarà sempre più utilizzato nel mondo del lavoro.
Quindi
acquisire queste abilità durante la scuola non è necessariamente un male".
L’intelligenza
artificiale diventa sempre più parte integrante delle nostre giornate. Ma
allora come cambierà il mondo del lavoro?
"Penso
che il lavoro cambierà esattamente com’è cambiato in passato.
Se
guardiamo a come lavoravano le persone 200 anni fa scopriamo che il 90% di loro
negli Stati Uniti lavoravano in agricoltura;
ora
neanche l’1% lavora in quel settore.
Quindi
semplicemente emergeranno lavori diversi.
Ad esempio nel campo del servizio clienti, si
inizia a vedere una sorta di ripartizione di come viene definito questo
servizio.
Ci
sono aziende che utilizzeranno le stesse persone per fornire il servizio ai
propri clienti e per venire incontro allo stesso modo anche alle esigenze dei
dipendenti".
C’è qualcosa
che l’intelligenza artificiale non può o non riesce ancora a fare?
"Credo
che l’intelligenza artificiale non sia molto brava a creare da zero.
Le si
possono dare delle linee guida e costruirà qualcosa, ma quando si tratta di
un’attività puramente creativa si comporta in modo pessimo.
Non va bene neanche per tutto ciò che richiede
il buon senso:
quindi
se qualcosa è ovvia per un essere umano (il tono di voce, il sarcasmo), non è
detto che funzionerà con l’intelligenza artificiale.
Così come un’altra cosa che non funziona con
l’intelligenza artificiale è l’adattamento, perché tende ad apprendere in base
alla ripetizione".
Lei
pensa che tramite l’intelligenza artificiale si possa combattere la disinformazione?
Pensiamo solo a quanto si stanno diffondendo
le fake news o i video falsi come i deepfake… Siamo a rischio?
"Credo
che vedremo sempre più quest’evoluzione:
l’intelligenza
artificiale usata per creare contenuti e sistemi realizzati apposta per
rilevare come questi contenuti sono stati creati.
Avviene
ad esempio adesso con “ZeroGPT”, utilizzato per rilevare se un testo è stato
creato attraverso “ChatGPT”.
Ma in
generale penso che l’intelligenza artificiale abbia le capacità di capire se un
qualcosa è stato creato artificialmente.
Credo
che sia davvero importante avere a disposizione questi strumenti e questa capacità
di monitorare e garantire la veridicità dell’intelligenza artificiale:
sarà essenziale che le persone li usino nel
modo corretto".
L’intelligenza
artificiale
cambierà
il mondo?
Diariodiunconsulente.it
- Luca Giorgetti – (20/03/2023) – ci dice:
(Passo due)
Si
parla ormai da anni di intelligenza artificiale (AI), ma per molti rimane un
concetto oscuro, distante e difficilmente afferrabile.
Soprattutto
non apertamente fruibile, se non in maniera indiretta (e forse anche un po’
fastidiosa) attraverso i servizi assistenza di aziende tecnologiche come quelle
operanti nel mercato della telefonia che ci costringono a parlare con ottuse
voci elettroniche.
Quella
fase è finita.
Da
adesso praticamente tutti potranno accedere attivamente ai benefici
dell’intelligenza artificiale e questi sono incalcolabili!
È
troppo tardi per indignarsi o rimanere titubanti all’idea di farne uso.
Pensare di poter procedere nel futuro senza “AI” è
l’equivalente odierno di vivere senza internet.
Riuscireste
a lavorare senza connessione, messaggistica istantanea, motori di ricerca, etc?
Personalmente,
da quando ho iniziato ad utilizzare alcuni degli strumenti di cui vi parlerò,
non vi è più riunione o progetto che prescinda dall’utilizzo di una qualche
intelligenza artificiale.
La
fine della creatività?
Vuoi
scrivere un articolo per il tuo blog.
Cerchi
su Google “ChatGPT”, con un click ti si apre una finestra in cui puoi domandare
ciò che vuoi e l’intelligenza artificiale ti risponderà.
“Scrivimi
un articolo di 800 parole, con introduzione, tre paragrafi ed una conclusione
sul tema dell’“AI” e di come questa cambierà il mondo”.
Premi
invio.
“ChatGPT”
in un minuto ti ha scritto l’articolo.
Rimani
basito: ti trovi di fronte ad un italiano corretto, con dei contenuti
interessanti e che rispettano le tue richieste.
Provi
ad inserire nuovamente il prompt (il comando da dare all’AI) e viene fuori un nuovo articolo,
completamente diverso, altrettanto valido.
Azzardi
allora nuove richieste “Inserisci più riferimenti bibliografici”, e quella che ormai la tua nuova
preziosa amica lo fa fornendoti finanche delle scelte di titoli accattivanti.
Provare per credere.
Questo
era “solo” “ChatGPT”.
Ma se volessi
crearmi un logo o delle immagini suggestive per arricchire il testo potrei
rivolgermi a
“Midjourney”.
Se,
esagerando, volessi poi creare un tutorial, in cui c’è una persona in video che
legge il testo in modo convincente potrei rivolgermi a “Synthesia” (sì, esatto: ti crea una persona che
non esiste e che interpreta ciò che tu hai scritto).
Poi”
AI” che crea app su misura a seconda della tua richiesta, che generano “slideshow”,
organizzano l’agenda, editano i video, creano musica (e pure bella!) e così
via.
Tutto facilmente reperibile sul web.
E
allora io che ci sto a fare se può benissimo farlo una macchina al posto mio?
Quante volte nella storia dev’essere stata detta questa frase!
Per
rispondere alla domanda che è a titolo di questo paragrafo: secondo me no, non
è la fine della creatività.
intelligenza
artificiale cambiamento nuova finestra.
Si
apre invece una nuova finestra ed è bene varcarla con saggezza.
Da “content creator” a “prompter”.
Quando
alla fine dell’introduzione vi ho parlato del fatto che in futuro non potremo
prescindere dall’uso attivo della “AI” nella nostra realtà lavorativa, non sto
parlando di un futuro lontano.
La rivoluzione avverrà entro pochi anni!
Da
cosa si capisce?
Dal
fatto che i colossi di Big Data stanno entrando nel mercato uno dietro l’altro.
Microsoft sta testando l’applicazione di “ChatGPT” per incorporarla in “Bing”,
il suo
motore di ricerca.
Google
farà a breve uscire “Google Bard”, un temibile competitor forte della quantità
incalcolabile di dati di cui dispone.
Amazon farà la stessa cosa e dietro tutti gli
altri.
La
portata di queste mosse non è ancora afferrabile.
Ciò
che è certo è che ci sarà una corsa all’utilizzo fruttuoso di questi nuovi
strumenti.
Come in tutti i grandi passaggi della storia,
certi mestieri verranno sconvolti, altri decolleranno, altri ancora nasceranno
dal nulla.
Se una volta per avere la rappresentazione del
proprio volto occorreva un pittore, nel tempo è diventato possibile rivolgersi
anche a un fotografo.
Se una
volta era imprescindibile un maniscalco per ferrare gli zoccoli dei cavalli,
oggi troviamo meccanici che aggiustano automobili.
Chi ha mandato l’uomo sulla luna compilava
interminabili fogli di calcoli, oggi tutto questo è delegato a dei software.
E così via.
Senza
dubbio una competenza che sarà richiesta a chi crea dei contenuti sarà quella
di diventare dei bravi “prompter”, ovvero delle persone capaci di estrapolare
informazioni da quella densissima sorgente di dati che è una “AI”.
Questo
cambiamento ci obbliga a domandarci:
Cosa
di ciò che faccio potrà essere facilmente sostituito da una AI?
Che
implica la sotto domanda: cosa so fare io meglio di qualsiasi intelligenza
artificiale?
In che
modo posso utilizzare queste novità all’orizzonte per rivoluzionare il mio
lavoro e reinventarmi?
Etica
ed intelligenza artificiale.
Il
dilemma etico di fronte al quale ci troviamo è sia intimo che sociale.
Ormai
sempre più persone si rivolgono all’AI per confessare i propri sentimenti,
“farsi ascoltare”, ricevere consigli e rielaborare i propri sentiti interiori.
Anche
gli psicologi sottopongono i propri casi all’AI e questa restituisce loro
teorie e suggerimenti terapeutici.
Tutto
ciò deve spingerci a chiederci:
L’intelligenza
artificiale può sbagliare?
La
risposta secondo gli esperti è “Sì, e pure spesso.”
Ergo,
non possiamo delegarle tutto.
Ancora:
L’AI è
in buona fede o restituisce risposte condizionate profondamente dai suoi
sviluppatori?
Ancora una volta la risposta è affermativa.
Essa può essere condizionata.
Non è
fantascienza, è attualità.
Stiamo
vivendo un periodo storico in cui siamo obbligati a mettere in discussione il
nostro antropocentrismo per come l’abbiamo vissuto fino d’ora.
Saremo
obbligati, anche nel business, a ragionare sui concetti di Anima, Spirito e tutto ciò che ci
distingue di fatto da una macchina, introducendo definitivamente idee come quella del capitale spirituale e del soul
management.
E
questo, a mio personale avviso, non può che essere un bene.
Chi
comanderà il mondo tramite l”I.A “ ?
Google.com
– Redazione – (6-2-2023) – ci dice:
Con la
Cina e gli Stati Uniti che si sfidano per diventare la prima superpotenza
dell'IA, altri Paesi come il Canada, il Giappone e la Corea del Sud hanno
portato avanti in silenzio le proprie iniziative nel campo della tecnologia
dell’“IA”.
Quali
sono i Paesi che guidano
la
corsa all'intelligenza artificiale?
Google.com
– Redazione – (6-2-2023) – ci dice:
L'8
febbraio Google rivelerà la sua risposta al “ChatGPT “di “OpenAI”, uno sviluppo
entusiasmante nella corsa alla creazione di tecnologie di intelligenza
artificiale (AI).
Questa notizia ha fatto scalpore tra gli
osservatori tecnologici e gli investitori, dato che molti dei principali Paesi
del mondo stanno cercando di essere all'avanguardia nello sviluppo dell'IA.
In
seguito a un evento di emergenza, la potenza dell'IA può essere utilizzata per
re immaginare il modo in cui le persone cercano informazioni e risorse critiche. Aziende come Google stanno già
investendo molto nello sviluppo di tecnologie avanzate di IA, che senza dubbio
rappresenteranno un grande vantaggio durante una crisi.
Dovrebbe
sfruttare il modello linguistico di grandi dimensioni “LaMDA” (Language Model
for Dialogue Applications) di “Alphabet”, basato sull'IA.
Google
ha recentemente annunciato la sua risposta a ChatGPT di OpenAI:
LaMDA, un modello linguistico di grandi
dimensioni con circa 135 miliardi di parametri che consente alle persone di
porre domande e ricevere risposte dettagliate simili a ChatGPT.
Questa
tecnologia si rivelerà senza dubbio preziosa in tempi di crisi, poiché aiuta le
persone ad accedere rapidamente a informazioni e risorse critiche.
Nell'ambito
del suo impegno per la creazione di soluzioni “AI” avanzate, Google ha
investito molto in ricerca e sviluppo negli ultimi dieci anni!
La
corsa agli armamenti dell'intelligenza artificiale è ufficialmente iniziata!
Negli
ultimi anni, la corsa all'intelligenza artificiale (AI) si è intensificata e i
Paesi di tutto il mondo si contendono la supremazia in questo campo
all'avanguardia.
Ma chi è davvero in testa al gruppo? Ecco uno
sguardo ad alcuni dei principali contendenti.
Gli
Stati Uniti sono il leader indiscusso nello sviluppo dell'IA, con le principali
aziende tecnologiche che hanno sede in questo paese che guidano la carica.
Gli
Stati Uniti sono indiscutibilmente diventati l'hub principale per lo sviluppo
dell'intelligenza artificiale, con giganti tecnologici come Google, Facebook e
Microsoft all'avanguardia nella ricerca sull'IA.
Mentre
la corsa al dominio dell'IA si fa sempre più competitiva in tutto il mondo, le
aziende statunitensi stanno esplorando nuove opportunità per rafforzare la loro
posizione nel settore attraverso acquisizioni, accordi di condivisione e
progressi interni.
Il loro obiettivo: diventare un attore importante
in un settore che si prevede raggiungerà i 118 miliardi di dollari entro il
2025.
Mentre i concorrenti in Cina e in altre parti del
mondo sono intenzionati a sfidare il dominio degli Stati Uniti, le aziende
statunitensi continuano a portare avanti iniziative all'avanguardia che le
posizionano come leader dell'IA per gli anni a venire.
La
Cina è seconda, con il governo che investe massicciamente nella ricerca e nello
sviluppo dell'IA.
Mentre
gli Stati Uniti sono attualmente in testa alla corsa agli armamenti
dell'intelligenza artificiale, la Cina sta rapidamente diventando un secondo
posto.
Il
governo cinese ha infatti investito molto nella ricerca e nello sviluppo
dell'IA, compiendo così passi per cercare di superare gli Stati Uniti in questa
nuova corsa tecnologica.
Importanti
aziende, tra cui “Alibaba”, “Baidu” e “Tencent”, sono tutte attivamente
impegnate a spingere le capacità di IA della Cina verso nuovi traguardi;
molti dei loro sforzi hanno portato a
risultati rivoluzionari che hanno spinto i confini dell'IA come mai prima
d'ora.
Nonostante
gli investimenti e il lavoro dedicato, resta da vedere se la Cina riuscirà o
meno a colmare il divario che la separa dagli Stati Uniti in termini di abilità
nell'IA;
solo
il tempo potrà dirlo in questo campo tecnologico in continua evoluzione.
Anche
altri paesi come il Canada, il Giappone e la Corea del Sud stanno facendo passi
da gigante nella tecnologia dell'IA.
Con la
Cina e gli Stati Uniti che si sfidano per diventare la prima superpotenza
dell'IA, altri Paesi come il Canada, il Giappone e la Corea del Sud hanno
portato avanti in silenzio le proprie iniziative nel campo della tecnologia
dell'IA.
Nel
2018 il Canada ha introdotto una strategia per l'IA sostenuta da 125 milioni di
dollari per promuovere la ricerca e sviluppare forti talenti.
Anche
il Giappone ha recentemente intensificato il proprio impegno con il piano "Society 5.0", che incorpora elementi di IA
in una nuova visione dello sviluppo nazionale.
La Corea del Sud ha promesso di diventare una
potenza dell'IA attraverso la collaborazione tra il settore pubblico e quello
privato, stanziando 14.000 miliardi di won allo scopo di rafforzare la
competitività nazionale nel settore.
Questi investimenti rivelano che, sebbene Cina
e Stati Uniti stiano dominando i titoli dei giornali quando si tratta della
corsa all'IA, ci sono molti altri concorrenti che cercano di prendere il
controllo di questo settore di primo piano.
La
Cina è uno dei Paesi leader nella corsa agli armamenti dell'intelligenza
artificiale (AI) e investe molto per aumentare le proprie capacità di ricerca e
sviluppo.
Il governo cinese ha stanziato miliardi di
dollari per sviluppare la prossima generazione di tecnologie AI, dai veicoli
autonomi ai sistemi di riconoscimento facciale.
Anche
grandi aziende come Alibaba, Baidu e Tencent sono coinvolte in progetti basati
sull'IA e sono riuscite a superare i limiti del possibile.
Sono
intenzionate a sfidare il dominio degli Stati Uniti in questo settore in
espansione e, se continueranno a progredire, la Cina potrebbe diventare un
serio concorrente nei prossimi anni.
L'Europa
nel suo complesso è in ritardo nello sviluppo dell'intelligenza artificiale, ma
singoli paesi come la Francia e la Germania stanno iniziando a recuperare il
ritardo.
Nonostante
l'Europa nel suo complesso sia in ritardo nello sviluppo dell'Intelligenza
Artificiale (IA), singoli Paesi come Francia e Germania stanno lottando
duramente per essere competitivi nella crescente corsa all'IA.
Negli
ultimi anni, entrambi i Paesi hanno annunciato piani per investire miliardi di
dollari nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie AI.
Essi
cercano di costruire le basi per migliori opportunità nei settori dei servizi
sociali, dei trasporti e in molti altri campi che si basano fortemente
sull'innovazione dell'IA.
Questi
investimenti contribuiranno a far avanzare l'Europa nella competizione con
alcune delle sue controparti globali come la Cina e gli Stati Uniti.
Anche se ci vorrà un po' di tempo prima che
possano competere con loro in questo campo, Francia e Germania stanno
sicuramente prendendo provvedimenti per assicurarsi di rimanere competitivi
mentre il mondo si muove verso un futuro più orientato al digitale.
L'Europa
è certamente in una posizione unica quando si tratta di offrire un'alternativa
europea all'IA.
Sebbene
la regione sia rimasta indietro rispetto ad altri Paesi, come la Cina e gli
Stati Uniti, in termini di sviluppo, sta iniziando a fare passi da gigante con
singole nazioni come la Francia e la Germania che investono pesantemente nella
tecnologia AI.
Anche
l'Unione Europea (UE) ha preso provvedimenti per costruire capacità di IA in
tutto il continente, lanciando l'iniziativa "IA per l'Europa" nel
2019.
Questa
iniziativa fornirà una piattaforma per la cooperazione e il coordinamento tra
gli Stati membri quando si tratta di progressi tecnologici nell'IA.
È
chiaro che tutti questi Paesi si contendono un posto ai vertici del settore
dell'IA, con Cina e Stati Uniti in testa.
Tuttavia,
grazie alle numerose iniziative e agli investimenti europei nello sviluppo
dell'IA, stanno lentamente iniziando a lasciare il segno in questo mercato
sempre più competitivo.
Resta
da vedere quale sarà l'impatto di questi Paesi sul settore nei prossimi anni,
ma è chiaro che l'Europa sta facendo passi avanti per diventare un forte
concorrente nella corsa agli armamenti dell'IA.
In
definitiva, è importante che tutti i Paesi siano coinvolti nello sviluppo della
tecnologia AI per garantire che i suoi benefici siano condivisi da tutti.
Mentre
la corsa agli armamenti competitivi dell'intelligenza artificiale accelera
verso il futuro, è di vitale importanza che tutti i Paesi siano coinvolti per
garantire che i benefici della tecnologia siano condivisi equamente da tutti.
Ciò è
particolarmente importante se si considerano le potenziali implicazioni etiche,
economiche e militari dell'intelligenza artificiale, nessuna delle quali
dovrebbe essere esclusiva di una singola nazione o gruppo di nazioni.
L'Intelligenza Artificiale può sbloccare
enormi progressi nell'assistenza sanitaria, nella mobilità e in innumerevoli
altri settori; se si permette che la tecnologia rimanga incontrollata ed esclusiva
solo di alcune aree, potrebbero facilmente verificarsi importanti ramificazioni
per la stabilità e l'equità globale.
Coinvolgendo tutti nella discussione, è
possibile mantenere condizioni di parità in termini di risorse disponibili,
garantendo un'equa possibilità di avanzamento indipendentemente dalla posizione
geografica o finanziaria.
In definitiva, con una tecnologia così potente
a nostra disposizione, è essenziale che ogni nazione sulla terra lavori insieme
per plasmare un futuro collettivo in cui tutti possano prosperare.
La
corsa globale all'intelligenza artificiale è una gara a cui tutti i Paesi
dovrebbero partecipare, poiché i vantaggi di questa tecnologia sono troppo
grandi per essere lasciati a poche nazioni.
Gli
Stati Uniti sono attualmente in testa, con le principali aziende tecnologiche
che investono massicciamente in ricerca e sviluppo.
Tuttavia, la Cina non è lontana e anche altri
Paesi come il Canada, il Giappone e la Corea del Sud stanno facendo passi da
gigante.
L'Europa
nel suo complesso è attualmente in ritardo, ma singoli Paesi come Francia e
Germania stanno iniziando a recuperare.
In
definitiva, è importante che tutti i Paesi siano coinvolti nello sviluppo della
tecnologia AI per garantire che i suoi benefici siano condivisi da tutti.
UNO
STUDIO SULL’ABOLIZIONE
DELL’UOMO.
Comedonchisciotte.org
– REDAZIONE GREAT RESET - Cynthia Chung – (11 Aprile 2023) – ci dice:
Perché
il “cervello del mondo” di “H.G. Wells “e “l'uomo hackerabile” di “Yuval Harari”
non avranno successo.
(Uno
studio sull’abolizione dell’Uomo).
Nel 2018 Yuval
Harari ha tenuto una presentazione al World Economic Forum (WEF) di Klaus
Schwab intitolata “Il futuro sarà umano?”.
Nella
sua presentazione, Harari sembrava confermare le nostre peggiori paure di un
futuro distopico direttamente da un film di fantascienza.
Rischiamo di annientarci se continuiamo a
percorrere la strada che abbiamo già intrapreso con l’avanzare di un’era di
tecnologia avanzata.
Queste
crude previsioni di Harari sono state accolte quasi come se si trattasse di un
profeta, le cui visioni del futuro era certo si sarebbero realizzate, ma non gli
era chiaro alcun dettaglio riguardo a tale futuro, quando si sarebbe
realizzato, come si sarebbe realizzato e, soprattutto, come evitare esattamente
un tale destino?
Quando
Harari è stato interrogato dopo la sua presentazione e in un’altra sessione di
domande e risposte durante lo stesso incontro del WEF, tutto ciò che Harari ha
potuto ripetere è stato il suo algoritmo per una profezia di apocalisse molto
generica.
A tutte le altre domande che riguardavano i
dettagli o i meccanismi di come si sarebbe svolto un futuro distopico, Harari
rispondeva che non lo sapeva.
Questo
dovrebbe essere problematico per qualsiasi pensatore.
Dobbiamo
cioè ascoltare Harari come se fosse uno studioso o un profeta?
Se
dobbiamo considerare Harari come uno studioso, che ha sviluppato un’intuizione
sugli argomenti che tratta grazie agli studi che ha fatto, allora è un problema
che non riesca a discutere di questi aspetti specifici, ma li eviti
completamente.
Infatti,
se analizziamo gli algoritmi che Harari stesso utilizza per formulare la sua
visione di un futuro distopico, li vediamo pieni di ipotesi, giudizi e
conclusioni personali, mascherati da algoritmi oggettivi.
Prima
di esaminare alcuni di questi algoritmi biologici di Harari, che hanno
sostenuto la sua teoria secondo la quale gli esseri umani sono hackerabili,
dovremmo rivedere rapidamente come un tale punto di vista matematico ed
evolutivo sia stato in primo luogo accettato, all’interno del mondo accademico,
per definire la natura umana e l’universo in cui viviamo.
Harari
ha attinto a piene mani nel suo lavoro dalle opere di Darwin, Bertrand Russell
e H.G. Wells e quindi è utile per noi rivedere come opere di questi autori
hanno influenzato la nostra comprensione della natura umana e dell’universo,
cioè come è stata creata una scienza moderna, per creare a sua volta una
religione moderna, che a sua volta ci avrebbe promesso un’utopia moderna.
Se tutto ciò vi sembra stravagante, vi ricordo che
H.G. Wells, Russell, Aldous Huxley e lo stesso Harari hanno scritto e discusso
sulla necessità di realizzare una cosa del genere.
Nella
presentazione di Harari al WEF del 2020 di Klaus Schwab , il moderatore ha
fatto un parallelo con 1984 di George Orwell e Brave New World di Aldous Huxley
in relazione alle previsioni di Harari sul futuro.
Questo
è certamente rilevante, ma non nel modo in cui potreste pensare…
Questo
estratto da “Brave New World” di Huxley arriva al nocciolo della
giustificazione della necessità di una” dittatura scientifica” e del modo in
cui viene perpetuata.
Vale a
dire, negando lo scopo, negando l’intenzione.
Questo non riguarda solo la discussione
sull’evoluzione e sulla natura umana, ma anche il funzionamento
dell’universo stesso.
In
effetti, “Aldous” è la continuazione di questa eredità per negare lo scopo
nelle scienze.
Fu suo nonno T.H. Huxley, che si autoproclamò
il” bulldog di Darwin”, a spingere la teoria dell’evoluzione di Darwin a
livelli tali che l’intero campo delle scienze non sarebbe più stato lo stesso e
sarebbero diventate le scienze moderne.
Ciò
significava che secoli e secoli di scienziati di tutto il mondo, provenienti da
culture diverse, che avevano in gran parte considerato l’universo come dotato
di un’intenzione e di uno scopo con un creatore, dovevano ora essere relegati
nella spazzatura dell’irrilevanza.
Darwin
aveva apparentemente dimostrato che l’universo era privo di scopo e che non esisteva
un creatore con un disegno intelligente. Tuttavia, questo non è vero, Darwin
non ha mai dimostrato una cosa del genere…
La
teoria dell’evoluzione di Darwin nacque dopo la lettura del “Saggio sul principio di popolazione”
di Thomas Malthus, che a sua volta avrebbe coniato il termine “malthusianesimo” o “malthusiano” in riferimento alle “politiche di
controllo della popolazione”.
Questo
punto catastrofico, come mostrato nel grafico, è calcolato come il punto in cui
la popolazione umana supererà la sua capacità di carico.
Ma cosa determina la capacità di carico?
Si
noti che la “capacità di carico” è il numero calcolato di organismi che un
ecosistema può reggere in modo sostenibile.
Thomas
Malthus, che ha creato il modello di crescita malthusiano, non ha mai specificato un numero
esatto di quando la popolazione umana avrebbe raggiunto la sua capacità di
carico.
Questo
perché si capiva che la capacità di carico non è qualcosa di fisso, ma può
aumentare o diminuire a seconda delle innovazioni apportate dall’uomo, come
l’agricoltura.
Thomas
Malthus, tuttavia,
fece la profezia che avremmo raggiunto la nostra capacità di carico entro il
1890, circa 100 anni dal momento in cui fece la previsione, che, inutile dirlo,
era molto lontana dal vero.
Va notato
che Malthus era pienamente convinto che la sua profezia fosse esatta e che
l’unico modo per evitare una simile catastrofe fosse quello di frenare
immediatamente la crescita della popolazione umana. Ciò includeva la negazione delle cure
mediche e del cibo ai bisognosi, poiché i seguaci di Malthus ritenevano che il
rinvio della loro morte avrebbe solo consumato ulteriori risorse senza alcun
contributo alla società.
Suona
un po’ familiare, vero?
Il
motivo per cui Malthus era così lontano dal bersaglio è che un tale punto nel
futuro, riguardante la capacità di carico umana, non può essere determinato da
un’estrapolazione lineare, come Malthus tenta di fare nel grafico sopra
riportato.
Questo
perché le innovazioni umane cambiano il nostro rapporto con le risorse che
utilizziamo in modo qualitativo e non solo quantitativo.
Il
cambiamento qualitativo è sempre stato l’incubo dei matematici nel produrre modelli
che presumibilmente prevedano le tendenze future.
Come
può un modello matematico prevedere tutti i cambiamenti qualitativi che avverranno in futuro, il che
significherebbe prevedere tutte le forme future di innovazione, invenzione e
scoperta?
È possibile? Per ora la risposta è no.
Come
vedremo, questo sarà un tema comune nell’analisi dei modelli matematici che
cercano di prevedere il futuro lontano.
Nel
1838, leggendo il “Saggio sul principio di popolazione” di Thomas Malthus, Darwin formulò la sua teoria
dell’“evoluzione” basata sulla “selezione naturale” del più adatto, coniando il
termine come analogia di quella che definì la “selezione artificiale”
dell’allevamento selettivo, con riferimento in particolare alla pratica
dell’allevamento dei cavalli.
Darwin
vedeva una somiglianza tra gli allevatori che sceglievano i capi migliori
nell’allevamento selettivo e una “Natura” malthusiana che selezionava le
varianti casuali.
In
altre parole, le idee di Darwin sulla “selezione naturale” e sulla
“sopravvivenza del più adatto” non implicavano una direzionalità
dell’evoluzione, ma si basavano piuttosto sulla selezione di varianti casuali
da parte della Natura. Ma come fa una parte di un organismo a evolversi senza
influenzare le altre parti di tale organismo?
Contrariamente
a come ci viene fatto credere oggi il dibattito sull’evoluzione, nella prima
parte dell’Ottocento la comunità scientifica era principalmente d’accordo sul
fatto che i processi viventi e i loro ambienti si sono effettivamente
“evoluti”.
Charles
Darwin, cioè, era uno dei tanti scienziati dell’epoca che sostenevano
l’evoluzione.
Non si
trattava di un “one man show”. Il dibattito non era quindi se l’evoluzione si stesse
effettivamente verificando, ma piuttosto come si stesse verificando.
Ancora
una volta, contrariamente a come siamo incoraggiati a pensare a questa
discussione oggi, c’erano molti scienziati di spicco e ben rispettati in questo
campo che non pensavano che il processo di evoluzione contraddicesse
l’esistenza di un creatore con un disegno intelligente.
“Georges
Cuvier” (1769-1832) e “Etienne Geoffroy Saint-Hilaire “ne sono due esempi di
spicco.
Il
loro lavoro pionieristico sull’evoluzione è rispettato ancora oggi e ha aperto domande su ciò che dà
forma al cambiamento evolutivo che non sono ancora state risolte.
Secondo
Étienne
Geoffroy Saint-Hilaire, esiste un “potenziale” intrinseco nell’evoluzione;
il
potenziale di cambiamento è insito nell’organismo e il modellamento delle sue
numerose parti avviene in modo armonico e coerente.
In altre parole, il cambiamento si
muove in modo mirato, non casuale.
L’evoluzione
delle ali per il volo, degli occhi per la vista, del sistema nervoso per il
pensiero:
Geoffroy stava affermando che queste non
erano il risultato di innumerevoli e minuscole mutazioni che si verificavano e
venivano selezionate l’una dall’altra, ma che le trasformazioni avvenivano
con l’intenzione stessa di creare forme di volo, vista e pensiero.
Rifiutando
questa tesi, Darwin ha creato un paradosso all’interno della sua stessa teoria
O il potenziale di cambiamento è insito
nell’organismo, in cui molte parti sono in grado di cambiare in modo
armonico/coerente, oppure non lo è.
Tuttavia,
se si tratta di quest’ultimo caso, come sostiene Darwin, il cambiamento casuale
di una qualsiasi parte da sola, senza riconoscimento dell’insieme, porterebbe
il più delle volte alla morte dell’organismo, come si è visto negli studi sulla
formazione degli embrioni, o creerebbe un’isola dei mostri del dottor Moreau
(che tra l’altro è un altro romanzo del nostro antieroe H.G. Wells).
Le
creazioni eleganti che vediamo nascere attraverso i processi evolutivi
sarebbero una rarità estrema in un mondo di casualità come questo.
Con
tutto ciò che sappiamo oggi dei dettagli incredibilmente intricati della
biochimica, il coordinamento dei processi metabolici che si verificano nelle
loro migliaia di “parti” dovrebbe evolversi come processi casualmente separati
e, tuttavia, dovrebbe anche verificarsi simultaneamente e in combinazione con
le altre parti funzionanti.
Questo
renderebbe fondamentalmente impossibile il concetto di Darwin di selezione di
varianti casuali all’interno di un insieme coordinato e funzionante.
L’evoluzione
dell’occhio non solo è uno dei miracoli dell’evoluzione, ma presenta innumerevoli
variazioni su sé stesso, tanto che non esiste un modello standard di “occhio”.
Dobbiamo
quindi credere che ciò si sia verificato casualmente non solo una volta, ma
migliaia di volte in ogni specie con la propria variazione distinta di ciò che
è un “occhio”?
All’epoca
c’era una forte opposizione a Darwin e Huxley in Europa e negli Stati Uniti.
James
Dwight Dana (1813-1895), contemporaneo di T.H. Huxley, era tra i leader
americani che si opponevano a questo punto di vista e sosteneva che l’evoluzione
progrediva in modo direzionale, utilizzando esempi come l’osservazione che gli
organismi biologici procedevano verso una maggiore “cefalizzazione”.
In altre parole, l’evoluzione stava formando una
tendenza generale verso sistemi nervosi sempre più sofisticati, in grado di
rispondere e interagire con l’ambiente.
In
questo modo, l’evoluzione si dirigeva verso forme di complessità maggiori con
forme di funzione più sofisticate.
Tuttavia,
Thomas
Huxley, “il bulldog di Darwin”, si opponeva con veemenza a questa visione della
direzionalità intenzionale della Natura.
Non
importava che la teoria di Darwin fosse solo quella, una teoria, che ancora non
riusciva a spiegare molte delle cose osservate nel processo evolutivo.
T.H.
Huxley sarebbe stato vittorioso nell’elevare la teoria di Darwin a dogma
accettato e nell’aggirare con successo le numerose lacune della teoria di
Darwin nel rispondere a come la vita si forma ed evolve.
Nonostante
queste domande rimangano tuttora senza risposta, la teoria dell’evoluzione di
Darwin fu celebrata come l’annuncio di una nuova era della scienza, una scienza
moderna.
Da ciò
scaturirono due importanti cambiamenti, frutto dell’appassionata promozione
della teoria dell’evoluzione di Darwin da parte di T.H. Huxley:
1) la Natura, e quindi si potrebbe dire
l’Universo, non era governata da uno scopo, ma piuttosto dalla casualità, e
2) l’Uomo non era che una bestia, non più da
annoverare tra i Figli di Dio, non più considerato partecipe di nulla che fosse
divino o sacro.
E se
l’uomo non è che una bestia, cosa gli importa delle verità superiori?
Di che cosa ha bisogno una bestia se non delle
semplici forme di comfort e di felicità, come quelle promosse da Mustapha Mond
in “Brave New World”?
Vorrei
aggiungere rapidamente che l’adorazione del DNA è una continuazione e un risultato
della teoria dell’evoluzione di Darwin, che è il modo in cui siamo arrivati a
questa idea
transumanista e a come siamo passati dall’essere paragonati alle scimmie all’essere paragonati ai
computer.
A
quanto pare, ci è permesso pensare a noi stessi come a qualcosa di diverso
dall’essere umano.
La
scoperta della struttura molecolare del DNA fu salutata come un Santo Graal
quando fu scoperta per la prima volta nel 1953 da Watson e Crick.
Tutto
ciò che siamo, a quanto pare, era già contenuto nelle presunte istruzioni
molecolari che avevamo dentro di noi, che non solo indicavano come
dovevamo essere formati fisicamente, ma stabilivano anche il cosiddetto
progetto di come le nostre personalità, i nostri temperamenti, i nostri
desideri, le nostre dipendenze, le nostre depravazioni dovessero essere programmate
dentro di noi.
Coloro
che sostenevano questa visione fino all’estremo cominciarono a negare che
esistesse il libero arbitrio e che fossimo tutti programmati fin dalla nascita
e quindi predeterminati in ogni azione e risultato della nostra vita.
Come
vediamo, Harari
ha portato avanti questa falsa credenza nella sua tesi secondo cui gli esseri
umani sono algoritmi hackerabili, di cui parlerò più avanti.
Il
Progetto Genoma Umano, che si proponeva di mappare l’intero genoma umano, pensava di poter trovare i geni
deterministici alla base di tratti indesiderati come la dipendenza dal gioco
d’azzardo, i debiti, l’alcolismo, la mancanza di una casa, ecc.
Non
dovrebbero passare inosservate le applicazioni alla sterilizzazione e
all’eugenetica, con il pretesto della “medicina”.
Basti
dire che a tutt’oggi non esiste alcuna prova che i geni determinino queste
cose.
Il
progetto ha raccolto con successo un’enorme quantità di dati, ma si tratta di
dati in gran parte privi di significato (hanno relegato circa il 90% del nostro
DNA come cosiddetto “DNA spazzatura”).
Il Progetto Genoma Umano non è riuscito a raggiungere gli
obiettivi prefissati, ma nel mondo accademico si continua a credere che i geni
siano il codice di tutta l’esistenza.
Dawkins
si spinse oltre e aggiunse il concetto del cosiddetto “gene egoista”, cioè un gene che contiene un programma per
risultati specifici, risultati di cui noi come individui non siamo consapevoli
e quindi incapaci di opporci.
Furono
Watson e Crick a sostenere per primi l’idea che il DNA determina tutto
dell’organismo.
Lo
definirono il dogma centrale della biologia.
Negli
ultimi 70 anni i libri di testo universitari e i finanziamenti hanno seguito
indiscutibilmente questo dogma.
Crick
aveva dichiarato di aver eliminato, come semplice uomo, la necessità di Dio o
di qualsiasi altra intelligenza nell’universo, poiché tutto ciò che ci riguarda
deriva dal nostro DNA.
Tuttavia,
oggi, soprattutto nel campo dell’elettromagnetismo, questa venerazione del DNA
come progetto definitivo per tutta la vita è stata messa seriamente in
discussione. I
n una
presentazione di 15 minuti disponibile su youtube, intitolata “Electrical
Shaping of Biology”, il dottor Michael Clarage illustra alcuni dei problemi
principali legati al sostegno del DNA come progetto della vita.
Un
caso di studio che cita proviene da un esperimento condotto dai biologi della
Tufts University.
I
vermi piatti hanno la capacità di far ricrescere la testa o la coda quando
vengono tagliate.
Tuttavia,
in questo esperimento, gli scienziati hanno tagliato la testa di una specie di
verme piatto e successivamente, modificando il campo elettromagnetico che circondava
l’area decapitata, sono stati in grado di indurre la formazione di una nuova testa appartenente
a una specie diversa di verme piatto.
Il
campo elettromagnetico doveva essere specifico per formare una specie di testa
contro un’altra.
Il DNA
non è cambiato, solo il campo elettromagnetico, quindi la capacità di adottare la
forma di un’altra specie non è chiaramente limitata alla cosiddetta struttura
“deterministica” del DNA.
Forse
questa era l’intenzione fin dall’inizio?
Siamo
passati dal paragone con le scimmie al paragone con i computer, evitando
chiaramente di discutere cosa significhi essere semplicemente umani.
Agli
studi biologici sul darwinismo del XX secolo si affiancarono quelli matematici che sostenevano gli stessi principi
darwinistici di base della natura umana e dell’universo e che il cambiamento
era casuale e non intenzionale, almeno non era uno scopo che potessimo mai
comprendere come semplici mortali.
All’inizio
del XX secolo, l’influente Congresso Internazionale dei Matematici organizzò
una conferenza a Parigi, in Francia, nel 1900.
Fu a
questa conferenza che David Hilbert, matematico di spicco dell’Università di Gottinga, fu invitato a parlare del futuro
della matematica, sottolineando la necessità per il campo della matematica di
“dimostrare che tutti gli assiomi dell’aritmetica sono coerenti” e di
“assiomatizzare quelle scienze fisiche in cui la matematica gioca un ruolo
importante”.
Nella
sua sfida per il futuro della matematica, Hilbert chiedeva che tutte le
conoscenze scientifiche fossero riducibili alla forma della “logica” matematica;
che
fossero contenute in un minimo di verità e regole di derivazione accettate, che
potessero essere dimostrate da prove matematiche formali coerenti e complete.
In
questo modo, tutta la conoscenza scientifica sarebbe stata in futuro dedotta da tali
modelli matematici, non c’era più nulla da “scoprire” nel senso tipico di ciò
che definiva le indagini scientifiche del XIX secolo e precedenti, gli
scienziati dovevano solo fare riferimento al modello matematico appropriato.
Nel
1900, “Bertrand
Russell” e “Alfred North Whitehead” si misero in testa di raccogliere la sfida di Hilbert, dando vita ai “Principia Mathematica”, pubblicati tredici anni dopo.
Anche
se Kurt
Gödel avrebbe
smentito l’intera premessa dei “Principia Mathematica” con i suoi “teoremi di incompletezza”, i “Principia Mathematica” sono
rimasti una delle opere più influenti del XX secolo, che non solo ha dato forma
alla logica moderna, ma ha anche costituito la base per l’ultimo sviluppo della
cibernetica e dell’analisi dei sistemi da parte di Norbert Wiener, allievo di
Russell, durante la seconda guerra mondiale, che è stata utilizzata come sistema
operativo su cui si è basato il “transumanesimo”.
In
altre parole, i Principia Mathematica sostengono che tutta la conoscenza è riducibile alla
logica matematica.
Nonostante
sia stato smentito, è comunque considerato un pilastro della filosofia e della
matematica ancora oggi ed è ciò che ha portato allo sviluppo della cibernetica.
Prima
di concludere che Russell stesso non credeva personalmente che l’irrazionalità
fosse una forza fondamentale dell’Universo solo perché aveva cercato di
formalizzare tale Universo, vale la pena di leggere una sezione della sua visione
amaramente misantropica dell’umanità presentata nel suo “Culto di un uomo
libero” del 1903:
Almeno
Russell non nega il risultato del cosiddetto culto dell’uomo libero, che
secondo Russell è la negazione dell’esistenza di un creatore amorevole e quindi
la convinzione, in ultima analisi, che l’uomo possa, debba sostituire Dio.
Come
abbiamo scoperto di recente, anche l’idea della “vasta morte dell’universo, qualcosa di
così quasi certo che nessuna filosofia che la rifiuti può sperare di stare in
piedi” è diventata un’ipotesi che oggi ha un terreno molto instabile.
Russell
era così sicuro di questa teoria del “Big Bang”, come ennesimo trionfo su coloro
che sostenevano la necessità di un universo con una direzione e uno scopo e di
un creatore amorevole, che era addirittura orgoglioso del suo apparente “culto dell’uomo libero”, costruito
sulle “solide fondamenta di un’inflessibile disperazione”!
Tuttavia,
è emerso che anche la Teoria del Big Bang è sbagliata e ora possiamo
dimostrarlo.
Così,
Russell appare piuttosto ridicolo nella sua versione del culto dell’uomo
libero.
Sembra
piuttosto che Russell abbia mangiato da un bidone della spazzatura per tutto
questo tempo, quando invece c’era un banchetto abbondante accanto a lui…
Che si
tratti di una visione deterministica o casuale, l’obiettivo era lo stesso: promuovere in modo disonesto una
concezione dell’Universo che non avesse alcuno scopo di governo, alcuna direzionalità e alcuna
moralità, che fosse essenzialmente un meccanismo, scopribile con poche e semplici leggi
matematiche.
Con
questa visione, il nostro legame con l’Universo diventa irrilevante: l’Universo è visto come qualcosa di
freddo, inconoscibile e, in ultima analisi, morto o morente.
Questo
concetto non fa che rafforzare l’idea che non c’è un vero significato per
nulla, non c’è uno scopo, o almeno non è uno scopo in cui noi abbiamo un posto.
Tuttavia,
come abbiamo visto finora, nessuna di queste credenze dogmatiche nelle “scienze
moderne”, in altre parole:
l’unico
focus sulle scienze materialiste riduzioniste, è stata dimostrata attraverso il
rigore dell’indagine scientifica reale, anche se si è dato per scontato che
fosse così.
In
realtà, questi dogmi si sono rivelati alquanto vacillanti quando sono stati
sottoposti a un onesto esame scientifico o sono stati del tutto smentiti.
Eppure,
la credenza continua con il pretesto della “scienza moderna”.
Si
scopre che Harari (il filosofo di Klaus Schwab) non è l’unico a basarsi più sulla
profezia che sul rigore scientifico o filosofico, anzi, dopo un’analisi più
attenta, “sembrerebbe
che Harari sia un discendente di una scuola di pensiero che sembra essere
composta principalmente da falsi profeti e aspiranti semidei” piuttosto che da ciò che potrebbe anche solo
lontanamente qualificarsi come scienziato.
Infine,
prima di discutere gli algoritmi di Harari, passiamo in rassegna un modello
matematico che è arrivato a governare tutti i livelli di funzionamento della
società.
La
teoria dei giochi è considerata da molti uno strumento essenziale per modellare
i comportamenti e i risultati economici, politici, sociologici e militari e
viene insegnata come tale in molte università prestigiose, come qualcosa di
praticamente fisso.
La
teoria dei giochi, ovvero la teoria matematica dei giochi di strategia, è stata sviluppata da “John von
Neumann” nel suo libro “Theory of Games and Economic Behaviour” (Teoria dei giochi e del comportamento
economico), di cui fu coautore insieme a “Oskar Morgenstern”.
Il
punto cruciale della teoria è che il comportamento di un individuo sarà sempre
motivato a raggiungere un risultato ottimale, determinato dall’interesse
personale.
John
von Neuman riconosce
nel suo stesso libro che l’intero funzionamento del loro modello si basa sul
presupposto che siamo governati da un comportamento razionale ed egoistico, e che si sentono sicuri di questo
presupposto poiché la realtà ha apparentemente confermato loro questo fatto.
Il
motivo per cui i matematici si sentono sicuri nel fare tali ipotesi, come
quelle di cui
sono carichi gli algoritmi di Harari, è dovuto alla continua fede
dogmatica nel darwinismo, per cui un’ipotesi del genere, inserita in un modello
matematico influente, non ha più bisogno di essere messa in discussione.
Nel
mondo della matematica è considerato un dato di fatto, ma non è un dato di
fatto e quindi l’intero modello è reso un inutile strumento di previsione.
(Quindi
Harari e Klaus Schwab & C. sono solo dei buffoni che stanno conducendo un
gioco che porta l’umanità alla sua completa distruzione! NDR.)
È
invece uno strumento molto utile per il condizionamento, per programmare il
comportamento desiderato che un controllore come Mustapha Mond di “Brave New
World” vorrebbe vedere nelle persone.
Nel
caso della Teoria dei Giochi, non si tenta nemmeno di dimostrare che, in ultima
analisi, siamo questi programmi informatici prevedibili che operano in base al
risultato ottimale motivato dall’interesse egoistico.
L’intera
ipotesi si basa su un presupposto e questa è quella che chiamiamo “scienza moderna”, apparentemente libera da sistemi di credenze
dogmatiche!
Una
tale eccessiva semplificazione della natura umana mostra l’audacia che si cela
dietro i presupposti che costituiscono formulazioni come la teoria dei giochi.
Non
siete altro che “un avatar virtuale” nel loro mondo sintetico, con limiti
programmati a ciò che potete o non potete fare nel gioco che hanno creato per
voi.
La
teoria dei giochi non rappresenta le motivazioni che stanno alla base della
natura umana, ma piuttosto impone tali limitazioni poiché, come loro stessi
riconoscono, è più facile prevedere e controllare i comportamenti egoistici che
vengono incoraggiati e premiati con “incentivi” all’interno di questi giochi.
È un
sistema di schiavitù che incoraggia i suoi schiavi a lottare tra loro per gli
“avanzi della tavola” e a non mettere mai in discussione la mano che trattiene,
il sistema che crea una falsa scarsità e promuove l’antagonismo a partire da
fattori di stress artificiali.
Ci
viene insegnato (da dei Buffoni) a non mettere mai in discussione le regole che ci vengono
date in questi scenari da teoria dei giochi, ma a reagire di conseguenza a ciò
che ci è
stato definito come un insieme limitato di opzioni in uno scenario artificiale.
L’industria
dell’intrattenimento ha promosso l’idea che il meglio che possiamo fare quando
ci viene detto che siamo diretti verso un futuro apocalittico è semplicemente
adattarci e sopravvivere: una “sopravvivenza a tutti i costi”.
Siamo
stati condizionati all’idea di una sopravvivenza a tutti i costi, cioè di una
sopravvivenza del più adatto in un mondo post-apocalittico.
Abbiamo
imparato a considerarla come la nostra “liberazione”, questa idea falsa e delirante che,
finché si riesce a sopravvivere, vale la pena vivere.
Siamo
stati condizionati a non mettere in discussione le nostre circostanze o il modo
in cui siamo arrivati qui.
Siamo
stati condizionati a pensare che non c’è soluzione e che l’unica cosa che
possiamo fare è accettare il futuro sempre più cupo che ci viene detto essere
necessario e inevitabile.
La
nostra vita diventa simile a quella di un topo di laboratorio che non ha altra
scelta se non quella di attenersi ai parametri del gioco in cui è stato
inserito e di escogitare qualsiasi mezzo per sopravvivere.
In questa vita, siamo stati condizionati a
pensare che la libertà e la liberazione possano essere raggiunte se ci
guadagniamo la medaglia d’oro in questi giochi olimpici apocalittici.
La
libertà non consiste più nel mettere in discussione, resistere e sfidare
l’oppressione e la schiavitù di una società, ma si concentra piuttosto sui suoi
“migliori soggetti”, per così dire, sui suoi “migliori sopravvissuti” che
possono meglio esercitare il tipo di comportamento che i suoi controllori
vogliono vedere.
È la
“sopravvivenza del più adatto” di Darwin nella sua conclusione finale.
Siamo
anche onesti con noi stessi.
Esiste una visione distopica del futuro che
non sia un’immagine tratta da qualche film o romanzo di fantascienza di
Hollywood?
Le
immagini che abbiamo in testa su temi e argomenti importanti, compreso il
futuro, ci vengono sempre più spesso fornite dall’industria
dell’intrattenimento.
Si può
davvero dire di essere padroni dei propri pensieri se ci si lascia governare da
un immaginario così distopico?
(Questi “asini idioti” ci impongono
una schiavitù perenne con l’unico fine di toglierci di mezzo ed alla svelta.
N.D. R.)
Non
dovrebbe quindi sorprenderci che Harari abbia dichiarato che il miglior uso per
le cosiddette “persone inutili è metterle sotto farmaci e giocare ai videogiochi”.
Questo
è essenzialmente ciò in cui stiamo già vivendo se si aderisce alla teoria dei
giochi, alla cibernetica e al transumanesimo.
Tuttavia,
non si tratta di un essere umano superiore o di un computer umanoide, ma di un essere umano che si vincola alle
regole di un gioco creato artificialmente per renderlo schiavo piuttosto che alle leggi
dell’universo e che si attiene ai parametri artificiali creati per lui all’interno di
tale gioco, credendo che questo sia più reale della realtà stessa.
Vediamo
ora alcune delle formulazioni che Harari ha fatto per promulgare la sua teoria
secondo cui gli esseri umani sono hackerabili.
Harari
tende ad usare l’orientamento sessuale e l’orientamento politico generalizzato,
ridotto al tifo per una squadra, come esempi del fatto che i Controllori sanno
cosa pensiamo.
È possibile che Harari pensi che gli esseri
umani siano così semplici, dal momento che lui stesso potrebbe esserlo, ma
questo è un ordine inferiore di esistenza, è un’esistenza simile a quella di
una bestia, in cui Harari sostiene che i Controllori di tutti i dati sapranno cosa vi
eccita, vi fa paura, vi rende desiderosi e così via sulla base dei dati
biometrici, ma possono conoscere i vostri pensieri più profondi?
Se
pensate a voi stessi come a una mera bestia governata dai vostri sensi, allora
un sistema basato semplicemente sui dati biometrici potrebbe essere in grado di
prevedere il vostro comportamento futuro e di incentivare o scoraggiare
determinati comportamenti, ma perché queste funzioni dovreste volontariamente ridurvi
all’esistenza di una bestia che vive momento per momento, giorno per giorno.
Proprio
come i falsi profeti della teoria dei giochi, il cosiddetto “umano hackerabile”
di Harari è in realtà qualcuno che si è volontariamente ridotto a rientrare nei
parametri di questa realtà.
In altre parole, se ci si vede schiavi o semplici
pedine dei padroni del gioco, ci si comporterà come schiavi o pedine, ma questo
destino non è ineluttabile.
Questo
è il gioco vecchio di secoli:
chi “controlla
l’economia che governa un popolo” è in grado di creare l’illusione di una falsa
scarsità e quindi di una mancanza di opportunità e di scelta in ciò che ci
accade nella vita.
Il
concetto di algoritmi biologici di Harari, come la teoria dei giochi, sono intesi come giustificazioni per
la nostra auto-imposizione di schiavitù.
Ciò
che si sostiene come onnipotenza dell’algoritmo biologico è essenzialmente la
stessa cosa che si diceva del DNA e del gene egoista: non si può cambiare il
proprio destino, è predeterminato, non si ha libero arbitrio.
Questo
è il motivo per cui vogliono che abbiate una mentalità il più possibile
semplice e che crediate di essere solo un ammasso di carne programmato per
desiderare il piacere ed evitare il dolore.
Se
accettate di abbassarvi a questa semplice esistenza, sarete i più facili da
prevedere e controllare.
La
macchina della verità utilizza molte delle stesse misure che i sensori
biometrici misurano, come la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca, il
ritmo respiratorio, ecc.
Tuttavia,
i
risultati dei test poligrafici non sono ammissibili in tribunale, poiché non sono
sufficientemente affidabili dal punto di vista scientifico per essere
utilizzati quando la posta in gioco è così alta come in tribunale.
Questo perché è ben documentato che alcune
persone possono superare il test pur mentendo, mentre altre che dicono la
verità possono fallire il test.
Eppure
Harari sostiene (falsamente! N.D.R.) che i sensori biometrici, che misurano praticamente le
stesse cose di un poligrafo, tranne il movimento degli occhi, ci diranno in qualche
modo cosa succede nel nostro cervello, che lui equipara alla mente.
Se il
poligrafo non è nemmeno ammissibile in un tribunale, perché dovremmo credere
alle crude previsioni di Harari per il futuro come qualcosa di possibile?
Vogliono
farvi credere di avere il massimo controllo su di voi, in modo che siate
sconfitti nei vostri parametri immaginari che non esistono nemmeno nella
realtà.
In una
prigione mentale non c’è bisogno di quattro mura per confinarvi.
Se
crediamo nella nostra prigione mentale non c’è bisogno di una prigione vera e
propria. Se
crediamo che siano capaci di tutte queste incredibili capacità, accettiamo di
aver sostanzialmente perso.
Siete
stati sconfitti all’interno di un costrutto mentale che non è altro che
un’illusione.
È lo
strumento definitivo per il controllo assoluto, per sconfiggere qualcuno nella
sua stessa mente prima che possa anche solo contemplare il pensiero di
ribellarsi.
Una
simile tecnica era già stata delineata nello scenario del “Panopticon” di “Jeremy
Bentham”.
Il
concetto consiste nel permettere a tutti i prigionieri di un istituto di essere
osservati da un’unica guardia di sicurezza, senza che i detenuti sappiano se
sono osservati.
Sebbene
sia fisicamente impossibile per l’unica guardia osservare tutte le celle dei
detenuti contemporaneamente, il fatto che i detenuti non possano sapere quando sono
osservati li spinge a comportarsi come se fossero tutti osservati in ogni
momento.
Sono
di fatto costretti all’autoregolazione.
Nella
foto sopra a destra, sì, quella è una testa mummificata tra le gambe di Jeremy
Bentham, in realtà è la testa di Bentham che apparentemente ha richiesto
espressamente che fosse mummificata e posta tra le sue gambe come parte del suo
testamento.
Credo
che da qualche anno la testa mummificata fosse riposta nella sua custodia
poiché troppi spettatori erano comprensibilmente confusi e disgustati
dall’esposizione.
Sulla base di questa profezia funesta di
Harari, cosa propone come soluzione all’inevitabilità, due anni dopo la sua prima
presentazione al World Economic Forum di Klaus Schwab?
Una
regolamentazione mondiale, naturalmente!
E chi
saranno i regolatori mondiali di questa tecnologia?
Il WEF
cerca di essere evasivo, ma ovviamente si tratta di loro stessi.
(Intanto
il “capoccia di turno” continua tranquillo a costruire bombe atomiche nei suoi
stabilimenti in Sud Africa! N.D.R.)
A
quanto pare il nostro futuro è condannato solo se non riusciamo a eleggere il
WEF di Klaus Schwab come supervisore del mondo…
Ora
torniamo alla domanda:
Una “Scienza
Moderna” genera una “Religione Moderna” che genera un’“Utopia Moderna”?
H.G.
Wells fu tra i primi a discutere della necessità di una religione moderna, ora
che la scienza era diventata moderna.
La religione era considerata ancora uno
strumento utile, ma ora non si sarebbe concentrata su un creatore dei cieli, ma piuttosto sull’adorazione dell’uomo come
creatore,
che si sarebbe assunto il compito di creare l’uomo futuro e tutta la vita
vivente per tutto il futuro.
T.H.
Huxley fu il mentore di H.G. Wells. E quindi Wells fu anche fortemente
influenzato dal lavoro di Malthus e Darwin.
Wells
scriverà nel suo libro “The Open Conspiracy”:
Il
riferimento al comunismo e al socialismo da parte di Wells è meglio compreso
attraverso il lavoro di Georges Sorel, che stava studiando come il socialismo e
il comunismo potessero essere distorti per sostenere una prospettiva fascista o
meglio nazista.
I fascisti italiani ripresero in larga misura il
lavoro di Georges Sorel ed è per questo che si definirono “nazionalsocialisti”
prima che il mondo li conoscesse come fascisti italiani.
Anche
H.G. Wells fu coinvolto nei circoli filofascisti britannici e Oswald Mosley
sostenne pubblicamente la visione di Wells di una dittatura scientifica (per
saperne di più, si veda il mio libro “L’impero su cui non tramonta mai il
sole nero”).
Wells
conclude nel suo “The Open Conspiracy”:
H.G.
Wells, tra i suoi numerosi romanzi di fantascienza, scrisse “I primi uomini
sulla Luna”, in cui proponeva quella che, secondo le sue conclusioni, era la
forma più avanzata di organizzazione comunitaria, sul modello della “colonia di
formiche”.
Ogni
sottospecie avrebbe avuto gli attributi fisici e mentali più adatti ai suoi
compiti specializzati e ristretti nel servire la comunità delle formiche.
H.G.
Wells era anche ossessionato dall’idea di equiparare le dimensioni della testa
all’intelligenza e così vediamo i membri più intelligenti della colonia di
formiche con teste bulbose, più intelligente è la formica, più grande è la
testa… “gelatine vaganti di conoscenza”.
Questo
era il sogno di Wells su ciò che avrebbe potuto formare un sistema
organizzativo stabile e pacifico per gli esseri umani, è ciò che ha ispirato il
lavoro di Aldous Huxley nel suo “Brave New World” e la sua gerarchia biologica
o sistema di caste biologiche creato in laboratorio per produrre Epsilon,
Delta, Beta, Alpha, Alpha+ e i circa 13 controllori del mondo… probabilmente
immaginati con teste bulbose.
L’abolizione
dell’uomo.
Per
chi non lo sapesse, C.S. Lewis ha scritto una risposta a “I primi uomini sulla
luna” di Wells sotto forma di trilogia fantascientifica.
Lewis
ha anche scritto una risposta a questa tendenza transumanista sotto forma di un
saggio, intitolato “L’abolizione dell’uomo”, conclusione di una serie di tre
parti (“Uomini senza petto” e “La via/il tao”).
Lewis
scrive in “L’abolizione dell’uomo”:
Tutte
queste alte ambizioni che nutrono, in quanto autoproclamatisi nuovi dei del
mondo, non raggiungeranno il loro obiettivo, poiché stanno cercando di ottenere
l’impossibile.
Non è
possibile creare di nuovo le leggi dell’universo. Così, lungi dal raggiungere
lo status di dio, come Icaro e le sue ali di cera, [questi tentativi]
causeranno solo la loro autodistruzione.
Non
lasciatevi quindi ingannare dai sedicenti maghi di oggi, i maghi di Oz, che
rivendicano poteri così elevati.
È tutto seduto su una collina di sabbia ed è
solo una mera illusione di ciò che significa essere onnipotenti.
Negare
che dalla civiltà sia nato qualcosa di nobile, come le meravigliose scoperte
fatte in vari campi, che non solo hanno innalzato la nostra vita, ma ci hanno
offerto meraviglie come la possibilità di conoscere una bellezza che può venire
solo da un’istruzione superiore… Se neghiamo tutto questo, neghiamo la parte
civile che è in noi, tagliamo fuori la nostra natura migliore.
Schiller
parlava del selvaggio e del barbaro nelle sue “Lettere estetiche”: “L’uomo si può opporre a sé stesso
in due modi: o come selvaggio, se i suoi sentimenti dominano i suoi principi, o
come barbaro, se i suoi principi distruggono i suoi sentimenti”.
Se ci
convinciamo di essere più nobili in quanto selvaggi o barbari, allora saremo più facilmente controllati
attraverso i nostri desideri primordiali e ridotti in schiavitù.
Più la
nostra natura è nobile, più siamo liberi.
Non è
quindi una coincidenza che un sistema di imperio non voglia che ci
identifichiamo con un concetto giusto e bello della nostra civiltà.
È la
censura più diffusa ed efficace che si possa avere.
Non
c’è bisogno di censurare i libri e la libertà di parola quando le persone non
hanno alcun desiderio di leggerli o parlarne.
Il
problema dell’uso improprio della tecnologia è quindi quale sia l’intenzione
della struttura di governo per tale società.
Oggi
il nostro mondo vive principalmente a vantaggio della tirannia.
Il
nostro sistema finanziario, il nostro sistema educativo, la nostra cultura, la
nostra riscrittura della storia o la vera e propria censura della storia, le
nostre scienze sono state tutte prese in consegna.
Non si
tratta quindi solo di una crisi tecnologica, ma di una crisi esistenziale.
Non
risolveremo una crisi esistenziale semplicemente eliminando alcuni materiali
dalla nostra vita. Dobbiamo riconnetterci al nostro io migliore e non accettare
più di servire un sistema che sostiene la tirannia.
La
tirannia non richiede una tecnologia avanzata per esistere. La tirannia regna
sovrana ovunque ci sia un popolo che non si considera libero, forte e
dignitoso.
Questa
è la nostra crisi oggi.
È
nell’interesse degli aspiranti Controllori che noi consideriamo la situazione
senza speranza, che la consideriamo inevitabile, poiché non ci opporremo a
questo futuro se siamo già mentalmente sconfitti.
Non
rischieremo nulla per lottare per un futuro migliore se pensiamo che un futuro
migliore non sia possibile.
Ci
accontenteremo di vivere momento per momento, sperando di poter ritardare il
più possibile le nubi oscure che incombono.
La
nostra natura non è quella che ci è stata raccontata da coloro che hanno
promosso la dottrina della scienza moderna e della religione moderna.
Siamo
in realtà esseri sacri e partecipi del bene, del vero e del bello.
Ci
hanno mentito e svilito, affinché fossimo più facilmente controllabili. Spetta a ogni individuo scegliere se
uscire da questa realtà artificiale che è stata creata per schiavizzare la
propria mente all’interno di un costrutto mentale e partecipare a ciò che
significa essere veramente umani.
La
nostra libertà, la nostra salvezza dal tormento spirituale della nostra crisi
esistenziale può essere raggiunta semplicemente se riconosciamo la nostra vera
natura, non come una natura selvaggia o barbara, ma la nostra natura migliore,
la nostra natura più nobile.
Come
scrisse Schiller nelle sue “Lettere estetiche”, è attraverso la Bellezza, cioè
un’anima nobile, che arriviamo alla Libertà.
Uno
studio sull’abolizione dell’Uomo di Cynthia Chung.
(Cynthia
Chung è docente, scrittrice, co-fondatrice ed editrice della Rising Tide
Foundation -Montreal, Canada).
(cynthiachung.substack.com/p/why-hg-wells-world-brain-and-yuval)
(Un’umanità
nazistoide di super intelligenti che schiavizzano tutti gli altri viene invece
ridimensionata e portata a più umana misura in “I nostri amici da Frolix 8” di
Philip K. Dick.)
UN
LEGISLATORE CON UN DOTTORATO
IN “IA” SUI PERICOLI DELLA TECNOLOGIA.
Comedonchisciotte.org
– Jay Obernolte -Joseph Lord – (24 Aprile 2023) – ci dicono:
(CptHoo)
(Joseph
Lord – The Epoch Times)
Non si
tratta di robot killer, afferma Jay Obernolte.
Possiamo
stare tranquilli?
Secondo
il deputato americano intervistato da Joseph Lord, la tecnologia in sé non
dovrebbe rappresentare un problema ma, come per le armi (che non sparano da
sole), tutto dipende dalle mani in cui andrà a finire.
In
questo senso, non ci dice quasi niente di nuovo, se non sfatare le leggende che
“la Mecca del cinema” continua a sfornare a getto continuo.
È sicuramente da apprezzare il fatto che,
molto raramente, tra i politici si trovi qualcuno che sa di cosa parla e, a
parte l’ossessione tipicamente “yankee” per il “pericolo giallo” (vedere la
trave nell’occhio del vicino non significa non averne nel proprio), i termini
entro cui colloca la questione Intelligenza Artificiale.
D’altra parte, comunque, il suo non è un
atteggiamento critico unidirezionale; direi anzi che parla abbastanza chiaro
anche ai suoi compatrioti.
L’unico
membro del Congresso ad avere una laurea avanzata in Intelligenza Artificiale
invita alla cautela mentre altri legislatori e leader del settore si affrettano
a regolamentare la tecnologia.
Il
deputato Jay Obernolte (R-Calif.), uno di solo quattro programmatori di
computer presenti nel Congresso, nonché l’unico ad avere un dottorato in
Intelligenza Artificiale, sostiene che la fretta di regolamentare [questa
tecnologia] è sbagliata.
Obernolte
ha altresì dichiarato che le sue maggiori preoccupazioni riguardo
all’intelligenza artificiale riguardano invece l’uso potenzialmente
“orwelliano” di tale tecnologia da parte dello Stato.
Di
recente, una coalizione di leader tecnologici come Elon Musk, proprietario di
Twitter, e Tim Cook, A.D. di Apple, ha chiesto l’abbandono totale della ricerca
e dello sviluppo dell’IA.
Ciò ha
fatto seguito al rilascio di “ChatGPT 4”, una “chatbot” di intelligenza artificiale estremamente
potente che, tra le altre cose, ha completato test come l’esame di abilitazione
per avvocati al 90° percentile e ha superato il [test] SAT.
Il
rilascio di “ChatGPT 4”, l’intelligenza artificiale più potente [attualmente]
sul mercato, ha fatto temere che l’intelligenza artificiale stesse diventando
molto più intelligente e molto più rapidamente del previsto.
Nella loro lettera, i leader del settore
tecnologico hanno chiesto di bloccare per sei mesi lo sviluppo di nuove” IA” e
hanno invitato il Congresso a regolamentare la tecnologia.
Obernolte
si è incontrato con “The Epoch Times” per discutere sull’”IA”, affermando che
la regolamentazione è sconsiderata e si basa su un’incomprensione fondamentale
della tecnologia dell’IA.
“Non
sto dicendo che non dovremmo regolamentare “, ha precisato Obernolte. “Penso
invece che alla fine la regolamentazione sarà necessaria “.
(Il
logo di ChatGPT)
Ma ha
anche aggiunto che i legislatori devono assicurarsi di “comprendere quali sono
i pericoli da cui stiamo cercando di proteggere i consumatori “.
“Se
non abbiamo questa comprensione, allora è impossibile creare un quadro
normativo che protegga da questi pericoli, che è lo scopo principale della regolamentazione
“, ha detto Obernolte.
“In
questo momento, è molto chiaro che non abbiamo una buona comprensione dei pericoli
“.
Altri
membri del Congresso hanno chiesto un’azione tempestiva sulla questione.
“È
qualcosa che ci coglierà di sorpresa e arriveremo al punto in cui saremo troppo
coinvolti per apportare cambiamenti significativi prima che sia troppo tardi“,
ha dichiarato a “Fox News” il deputato “Lance Gooden” (R-Texas).
Lui e
altri esponenti di entrambi i partiti hanno espresso preoccupazione per la
possibilità che l’IA prenda il posto di lavori precedentemente svolti dall’uomo.
Altri
si preoccupano della cosiddetta “Singolarità “, un momento previsto nello
sviluppo dell’IA in cui quest’ultima supererà l’intelligenza e le capacità
umane.
Non è
probabile che l’IA conquisti il mondo.
Obernolte
ha affermato che la lettera dei leader tecnologici “è utile per richiamare
l’attenzione sull’emergere dell’IA e sugli impatti che avrà sulla nostra società
“.
Ha però anche fatto notare che per i non
addetti ai lavori le paure più grandi legate all’IA sono quelle dei “film di
Terminator”, una serie di IA che prendono il controllo delle reti informatiche
umane e distruggono il mondo in un’apocalisse nucleare.
“Il
profano probabilmente pensa che il pericolo maggiore dell’IA sia un esercito di
robot malvagi che si alzano per conquistare il mondo “, ha detto. “Non è questo
che tiene svegli di notte i progettisti e gli sviluppatori dell’IA.
Di
certo non tiene me sveglio la notte “, ha detto Obernolte.
Prima
che il Congresso possa prendere in considerazione una regolamentazione, ha
proseguito Obernolte, deve “definire il pericolo” nel contesto dell’IA.
“Cosa
temiamo possa accadere? Dobbiamo rispondere a questa domanda per rispondere
alla domanda [su come e quando regolamentare]”.
(musk_letter)
Una
stampa-schermo della lettera firmata da Elon Musk ed altri che mettono in
guardia dai pericoli di uno sviluppo affrettato dell’intelligenza artificiale
(da The Epoch Times).
Un
grande timore citato da Obernolte è lo sviluppo di “capacità emergenti”
nell’IA.
Si
tratta di una situazione in cui un’IA è in grado di fare qualcosa per cui non è
stata inizialmente programmata.
Ma Obernolte ha anche affermato che questo non
è un problema così grave come alcuni sostengono, poiché segue tendenze simili
osservate nei cervelli dei primati.
“Una
delle cose che allarmano i critici dell’IA sono le cosiddette capacità emergenti
“, ha spiegato Obernolte.
“La
capacità di un algoritmo di fare qualcosa che non è stato addestrato a fare,
che non si pensava nemmeno che sarebbe stato in grado di fare, e [che]
all’improvviso [si scopre che] è in grado di farlo.
“Questo
spaventa e allarma le persone “, ha continuato.
“Ma se
ci pensate, non dovrebbe essere così allarmante, perché si tratta di reti
neurali.
Il nostro cervello è una rete neurale. Ed è
così che funziona il nostro cervello.
Se si considerano le dimensioni dei cervelli
dei primati, si nota che, con l’aumento delle dimensioni del cervello,
all’improvviso cominciano a emergere cose come il linguaggio… e stiamo
scoprendo le stesse cose sull’intelligenza artificiale.
Quindi
non lo trovo allarmante “.
Obernolte
ha detto che la reale funzione di “ChatGPT 4” non fa che rafforzare la sua
posizione.
“Se si
osserva da vicino “ChatGPT 4”, questo rafforza la veridicità di ciò che sto dicendo
“, ha detto Obernolte.
“L’intelligenza
artificiale è tremendamente potente ed efficiente nel riconoscimento di modelli
“.
“ChatGPT
4 è stato
progettato per recepire una enorme quantità di linguaggio, immagini e prosa al
fine di sintetizzare le risposte alle domande “, ha aggiunto.
“Se si inquadra ciò che ha allarmato [i
critici dell’IA], nel contesto di tutti i dati di cui è stata addestrata a
riconoscere gli schemi, diventa molto meno allarmante “.
L’IA
non può pensare o ragionare.
Un
altro aspetto importante dell’IA che Obernolte ha sottolineato è la sua
incapacità di superare il test di Turing o di ragionare in modo indipendente.
Questo
aspetto è importante perché se l’IA non è in grado di ragionare come un essere
umano e di agire in modo indipendente, non rappresenta un rischio per gli
esseri umani.
Quasi
tutti i timori sull’IA riguardano il fatto che l’IA diventi indipendente
dall’umanità e che lavori contro gli interessi dell’umanità.
Ma
finora, ha osservato Obernolte, la tecnologia non è nemmeno in grado di imitare
in modo affidabile un essere umano.
Il
test di Turing, proposto dal decifratore britannico della Seconda Guerra
Mondiale “Alan Turing”, descrive la somiglianza di una macchina con un essere
umano.
Affinché una IA “passi” il test di Turing, gli
esseri umani che le parlano via chat non devono essere in grado di capire che
stanno parlando con un’IA.
Il test
è stato proposto come misura del perfezionamento della tecnologia delle IA.
(Alter_3)
Un
robot IA chiamato “Alter 3.
Molti
considerano il test di Turing come il test più probante per misurare
l’intelligenza artificiale. Ad oggi, nessuna IA è in grado di superare il test
di Turing.
Obernolte
ha affermato che anche se in futuro un’IA riuscisse a superare il test di
Turing, ciò non significherebbe necessariamente che sia “un’entità pensante e
ragionante”.
È una
questione di dibattito filosofico se le IA possano mai avere motivazioni o
compiere azioni indipendenti nello stesso senso degli esseri umani.
Almeno
per il prossimo futuro, secondo Obernolte, non c’è motivo di preoccuparsi.
“Certamente
“ChatGPT 4” non può superare il test di Turing “, ha detto Obernolte. “Potrebbe
essere che ChatGPT 6 o 7 possano superare il Turing.
Può
darsi che ci riescano.
Potremmo stare seduti per un’ora, discutendo
di tutto, e non essere in grado di determinare se si tratta di una persona o di
un computer: questo non significa comunque che abbiamo creato un’entità
pensante e ragionante “.
La
regolamentazione darebbe potere ai nemici degli Stati Uniti.
Obernolte
ha affermato che la chiusura della ricerca statunitense sulla tecnologia IA
servirebbe solo a rafforzare i nemici dell’America.
“Nel
caso più draconiano, supponiamo che domani io introduca una legge che imponga a
tutti gli Stati Uniti d’America di interrompere lo sviluppo di IA che vadano
oltre le capacità del” GPT 4“, ha detto Obernolte.
“Ma
negli Stati Uniti ci sarebbero ancora dei “cattivi soggetti” che, vedendo un
guadagno economico nel continuare a sviluppare IA avanzate, continuerebbero a
farlo, violando la legge.
Ci
sarebbero ancora avversari stranieri che la utilizzerebbero “.
(china_soldiers)
(Soldati
del Battaglione della Guardia d’Onore dell’Esercito Popolare di Liberazione
marciano fuori dalla Città Proibita, vicino a Piazza Tienanmen, il 20 maggio
2020 a Pechino, Cina.)
Quindi,
secondo Obernolte, lo sviluppo dell’IA continuerebbe a verificarsi, ma solo tra
gli operatori del mercato nero e gli avversari degli Stati Uniti.
“È
innegabile che se interrompessimo lo sviluppo dell’IA avanzata, metteremmo il
nostro Paese a maggior rischio di attacco “, ha affermato.
“Perché quando riprenderemo, la nostra IA non sarà
così avanzata come quella di chi non si è fermato. Quindi non è realistico
dire: ‘Smettete tutti di fare quello che state facendo’“.
“Parliamone
“, ha aggiunto. “Mi fa piacere che se ne parli “.
Usi
“orwelliani.
Obernolte
ha detto di non temere che l’IA diventi indipendente e distrugga l’umanità, ma
bensì di essere preoccupato per gli usi “orwelliani” che la tecnologia potrebbe
avere.
“Mi
preoccupano altri pericoli molto reali che, a loro modo, sono altrettanto
conseguenti e pericolosi della conquista del mondo da parte dei robot, ma in
modi diversi “, ha detto Obernolte.
Per
esempio, ha citato “la straordinaria capacità dell’intelligenza artificiale di
penetrare nella privacy digitale personale “.
Il
risultato, ha detto, potrebbe essere quello di aiutare le entità governative o
aziendali a prevedere e controllare il comportamento.
Obernolte
ha osservato come l’IA potrebbe mettere insieme dati precedentemente
disaggregati “e usarli per formare modelli comportamentali che fanno previsioni
spaventosamente accurate sul futuro comportamento umano. E, tra l’altro, dare
alle persone indizi su come influenzare il futuro comportamento umano “.
“È già
stato fatto “, ha aggiunto, indicando le aziende di social media il cui modello
di business ruota attorno alla raccolta e alla vendita di dati personali.
A
livello aziendale, Obernolte ha detto che questo potrebbe significare che pochi
grandi operatori potrebbero avere un “monopolio” sui dati con barriere
all’ingresso effettivamente insormontabili.
E teme
anche che gli effetti potrebbero essere ben peggiori se uno Stato entrasse in
possesso della tecnologia.
“Mi
preoccupa il modo in cui l’IA può consentire a uno Stato nazionale di creare,
essenzialmente, uno Stato di sorveglianza, come sta facendo la Cina “, ha detto Obernolte.
“Hanno
creato essenzialmente il più grande stato di sorveglianza del mondo.
Usano queste informazioni per fare dei
punteggi predittivi sulla fedeltà delle persone al governo.
E le
usano come punteggi di fedeltà per assegnare privilegi.
È piuttosto orwelliano”.
“Quindi
questo è un modo dirompente in cui il governo può usarle “, ha aggiunto. “E,
come abbiamo imparato per nostra sfortuna nella storia del nostro Paese,
dobbiamo mettere delle barriere di sicurezza intorno al governo e all’industria
“.
(Joseph
Lord)
(theepochtimes.com/exclusive-lawmaker-with-phd-in-ai-warns-about-technologys-real-danger-its-not-killer-robots_5212304.html)
(Joseph Lord è giornalista di notizie politiche,
analisi delle legislazioni in corso, delle elezioni statali e nazionali e delle
politiche federali. Particolarmente interessato alle dinamiche di potere tra
democratici progressisti e moderati alla Camera e al Senato, le leggi
elettorali e di voto federali e le prossime battaglie elettorali.)
Bloccare
il futuro con le mani è inutile.
It.linkedin.com
- Andrea Cinelli – (1 apr. 2023) – ci dice:
(Ceo
& Founder FoolFarm Spa)
Il
futuro non può essere bloccato. Può essere guidato ma mai bloccato.
Dovremmo
averlo imparato abbondantemente nella storia dell'uomo.
Non
avrei mai pensato di vedere qualcosa come” ChatGPT” nella mia vita.
È un
vaso di Pandora, vero, ma anche una rivoluzione al pari e superiore all'energia
elettrica e al “World Wide Web” (WWW).
Vorrei
esplorare qui la rivoluzione portata avanti da “ChatGPT”, la sua importanza nel
contesto storico e le sfide che pone al progresso della società.
La
rivoluzione di “ChatGPT”.
“ChatGPT”
è un'innovazione basata sull'intelligenza artificiale, capace di comprendere e
generare linguaggio umano con una naturalezza senza precedenti.
Questa
tecnologia ha aperto nuove frontiere in vari settori, come l'istruzione, la
medicina, il giornalismo e l'assistenza clienti.
Analogamente
alle rivoluzioni portate dall'energia elettrica e dal” WWW”, “ChatGPT” ha il
potenziale di cambiare radicalmente il modo in cui viviamo e interagiamo con il
mondo.
Il
potere del cambiamento.
La
storia dell'umanità è costellata di rivoluzioni tecnologiche che hanno
trasformato il corso della civiltà.
Ogni
innovazione, come l'energia nucleare, è neutra e può essere pericolosa o
benefica a secondo dell'utilizzo che ne fa l'uomo.
Dall'invenzione
della ruota a quella della stampa, passando per l'energia elettrica e il “WWW”,
ogni progresso ha aperto nuove opportunità e sfide.
“ChatGPT”
rappresenta una tappa fondamentale in questo percorso di continua evoluzione e
innovazione.
Il
futuro è inarrestabile.
Cercare
di bloccare o limitare l'accesso a “ChatGPT” significa ignorare la lezione
della storia: il futuro non può essere bloccato, ma può essere guidato.
L'umanità ha sempre trovato il modo di
adattarsi e sfruttare le nuove tecnologie per migliorare la qualità della vita.
Invece
di temere il progresso, dovremmo concentrarci su come utilizzare al meglio “ChatGPT”
per il bene comune.
Le
sfide di “ChatGPT”.
Sebbene
“ChatGPT “offra enormi potenzialità, è innegabile che porta con sé anche nuove
sfide.
La questione dell'etica e della responsabilità
nell'utilizzo dell'intelligenza artificiale è fondamentale per garantire che
queste tecnologie siano impiegate in modo sostenibile e benefico per la
società.
Inoltre,
la crescente dipendenza dalle macchine e dall'automazione potrebbe avere
ripercussioni sul mercato del lavoro e sulla privacy dei cittadini.
Guidare
il futuro.
Come
italiani dobbiamo non bloccare ma guidare il futuro.
Per
affrontare le sfide poste da “ChatGPT”, è essenziale che governi, istituzioni,
aziende e cittadini lavorino insieme per creare un quadro normativo e sociale
adeguato.
Ciò
include l'elaborazione di linee guida etiche e regolamentazioni specifiche per
l'uso responsabile dell'intelligenza artificiale e il monitoraggio.
In
un'epoca in cui la tecnologia e l'intelligenza artificiale (IA) svolgono un
ruolo sempre più centrale nella vita quotidiana, la recente decisione di
chiudere “ChatGPT” suscita a mio avviso perplessità e preoccupazioni, come
cittadino.
Questo
provvedimento sembra andare contro le tendenze globali e mette in discussione
la capacità del nostro Paese di rimanere al passo con gli sviluppi nel campo
dell'IA.
È come
se stessimo bloccando il futuro con le sole mani. Vi sembra possibile?
A tal
scopo provo ad esplorare le ragioni per cui la chiusura di “ChatGPT” in Italia
è assurda e fuori dal tempo, analizzando i benefici che questa tecnologia offre
e le conseguenze negative che potrebbero derivarne.
Una
rivoluzione dell'intelligenza artificiale.
ChatGPT
è un modello di linguaggio basato sull'architettura “GPT-4” di “OpenAI”.
Questa
tecnologia, grazie alla sua capacità di comprendere e generare testi in modo
naturale, ha rivoluzionato il modo in cui interagiamo con le macchine.
“ChatGPT”
ha trovato applicazioni in numerosi settori, tra cui l'istruzione, la medicina,
il giornalismo e l'assistenza clienti.
Privare l'Italia di questa tecnologia
significa allontanarla dal progresso e dal potenziale offerto dall'intelligenza
artificiale.
Benefici
di ChatGPT per l'Italia.
L'adozione di ChatGPT potrebbe portare
numerosi vantaggi all'Italia, tra cui:
Miglioramento
dell'efficienza:
ChatGPT
ha permesso di automatizzare processi e risolvere problemi in tempi più rapidi,
migliorando la produttività delle aziende e dei lavoratori.
Innovazione
nell'istruzione:
l'IA
ha rivoluzionato il settore dell'istruzione, fornendo strumenti di apprendimento
personalizzati e interattivi che supportano gli studenti nel loro percorso
formativo.
Assistenza
sanitaria avanzata:
ChatGPT
è stato utilizzato per supportare la diagnosi e il trattamento di patologie,
oltre a fornire informazioni mediche aggiornate ai professionisti del settore.
Accesso
a nuovi mercati:
la
padronanza di ChatGPT ha permesso alle aziende italiane di espandere la loro
presenza a livello internazionale, migliorando la loro competitività.
... sky is the limit!
3. Le
conseguenze della chiusura di ChatGPT in Italia.
La decisione di chiudere ChatGPT in Italia
avrà ripercussioni negative su vari aspetti della società:
Perdita
di competitività: l'Italia rischia di essere superata da altri Paesi che continuano a
investire nell'intelligenza artificiale e nelle sue applicazioni.
Difficoltà
nel reclutamento di talenti: molti esperti nel campo dell'IA potrebbero decidere di
trasferirsi all'estero, privando l'Italia di risorse umane preziose.
Frenata
all'innovazione: senza ChatGPT, l'Italia potrebbe perdere l'opportunità di sviluppare
nuovi prodotti e servizi basati sull'intelligenza artificiale, limitando la
crescita e l'innovazione nel Paese.
Impatto
negativo sull'istruzione e la ricerca: la chiusura di ChatGPT potrebbe
ostacolare lo sviluppo di nuove metodologie didattiche e la realizzazione di
progetti di ricerca nel campo dell'IA.
Divario
digitale:
la mancanza di accesso a tecnologie come ChatGPT potrebbe aumentare il divario
digitale tra l'Italia e i Paesi più avanzati in termini di IA, con conseguenze
negative per l'economia e la società nel suo complesso.
Perdita
di accesso ai capitali e di investimenti anche per le nostre Startup. Fenomeno
a cui stiamo già assistendo.
A mio
giudizio la chiusura di ChatGPT: una scelta miope e fuori dal tempo.
La
decisione di chiudere ChatGPT in Italia rappresenta un passo indietro nel campo
dell'innovazione tecnologica.
Invece di cogliere le opportunità offerte
dall'intelligenza artificiale, l'Italia si chiude in una visione conservatrice
e obsoleta, ignorando le tendenze globali e i vantaggi che queste tecnologie
possono offrire.
È
fondamentale comprendere che l'IA, se utilizzata in modo etico e responsabile, può
contribuire in modo significativo alla crescita e al progresso di un Paese.
Limitare
l'accesso a ChatGPT significa negare agli italiani l'opportunità di
sperimentare e beneficiare delle ultime innovazioni nel campo dell'intelligenza
artificiale.
La
chiusura di ChatGPT in Italia è una decisione assurda e fuori dal tempo, che rischia di isolare il nostro
Paese dall'evoluzione tecnologica globale e di limitare la crescita e
l'innovazione in numerosi settori.
È
fondamentale che le istituzioni italiane riconsiderino questa decisione e lavorino per promuovere l'adozione
responsabile e sostenibile dell'intelligenza artificiale, affinché l'Italia
possa continuare a competere a livello internazionale e trarre beneficio dai
progressi in questo campo.
In un
mondo sempre più interconnesso e digitalizzato, è essenziale rimanere al passo
con le innovazioni e gli sviluppi tecnologici.
La
chiusura di ChatGPT rappresenta un passo indietro per l'Italia e una scelta
miope che avrà ripercussioni negative sulla società nel suo complesso.
È
giunto il momento di invertire la rotta e lavorare insieme in Italia per
garantire un futuro migliore, sostenuto dall'intelligenza artificiale e dalle
sue enormi potenzialità.
Apriamo
le porte al futuro e non chiudiamoci in una roccaforte fuori dal tempo.
La
necessità di un approccio equilibrato e sostenibile.
Invece
di chiudere completamente ChatGPT in Italia, sarebbe più opportuno adottare un
approccio equilibrato e sostenibile al suo utilizzo.
È
importante promuovere un dibattito aperto e inclusivo che coinvolga tutte le
parti interessate, tra cui esperti nel campo dell'IA, rappresentanti del settore pubblico
e privato, accademici e cittadini, per discutere le potenziali implicazioni etiche e
sociali dell'uso di ChatGPT e definire linee guida e regolamenti adeguati.
Lezioni
da altri Paesi.
Guardando
all'estero, l'Italia può trarre lezioni preziose su come gestire in modo
efficace e responsabile l'intelligenza artificiale.
Molti
Paesi hanno già adottato politiche e strategie volte a promuovere lo sviluppo e
l'uso etico dell'IA, investendo in ricerca e formazione, e collaborando con
organismi internazionali per condividere conoscenze e best practice.
Opportunità
per un cambiamento positivo.
La
chiusura di ChatGPT in Italia offre anche un'opportunità per avviare un dialogo
costruttivo sulla regolamentazione e l'uso responsabile dell'intelligenza
artificiale nel Paese.
Istituzioni,
aziende e cittadini possono lavorare insieme per creare un ecosistema in cui
l'IA sia utilizzata in modo etico e sostenibile, con un impatto positivo sulla
società e sull'economia.
Un
futuro promettente per l'intelligenza artificiale in Italia.
Se
l'Italia decide di riconsiderare la chiusura di ChatGPT e investire nell'IA, il
futuro potrebbe essere promettente.
Potrebbe emergere un settore innovativo e
dinamico, caratterizzato da nuove opportunità di lavoro, una maggiore
competitività e una migliore qualità della vita per i cittadini.
L'IA
potrebbe contribuire a risolvere alcune delle sfide più urgenti del Paese, come
l'invecchiamento della popolazione, la disoccupazione giovanile e la necessità
di una maggiore sostenibilità ambientale.
Tuttavia,
questa situazione può anche essere vista come un'opportunità per avviare un
dibattito aperto e costruttivo sull'uso responsabile dell'intelligenza
artificiale e per lavorare insieme a un futuro in cui l'IA sia utilizzata in
modo etico e sostenibile. Diventiamo non un argine ma una guida. Bloccare senza
guidare è inutile e dannoso.
In un
mondo sempre più interconnesso e digitalizzato, l'Italia deve rimanere al passo
con le innovazioni e gli sviluppi tecnologici, investendo nell'IA e nelle sue
enormi potenzialità.
Serve
un piano d'azione per il futuro dell'IA in Italia. Per garantire che l'Italia possa
trarre pienamente vantaggio dall'intelligenza artificiale e dalle sue
potenzialità, è importante mettere in atto un piano d'azione che includa i
seguenti elementi:
Riconsiderare
la chiusura di ChatGPT e consentire alle aziende e alle istituzioni di
utilizzare questa tecnologia in modo etico e responsabile.
Investire
nella formazione e nella ricerca nel campo dell'IA, per garantire che l'Italia
disponga delle competenze necessarie per rimanere competitiva a livello internazionale.
Sviluppare
un quadro normativo chiaro ed equilibrato per l'uso dell'intelligenza
artificiale, che tenga conto delle potenziali implicazioni etiche e sociali.
Promuovere
la collaborazione tra il settore pubblico e privato, per stimolare l'innovazione
e lo sviluppo di soluzioni basate sull'IA che affrontino le sfide sociali ed
economiche del Paese.
Stabilire
partenariati internazionali e partecipare a iniziative globali nel campo
dell'intelligenza artificiale, al fine di condividere conoscenze e best
practice.
Ed è
fondamentale che ci sia un ruolo dei cittadini e della società civile in questo
percorso.
È
fondamentale coinvolgere anche i cittadini e la società civile nella
discussione sull'intelligenza artificiale e sul suo impatto sulla vita quotidiana.
I cittadini devono essere informati sui
benefici e sui rischi dell'IA e partecipare attivamente al dibattito sul suo
utilizzo responsabile.
Inoltre,
la società civile può svolgere un ruolo cruciale nel garantire che l'IA sia
utilizzata in modo etico e sostenibile e che i diritti e le libertà
fondamentali siano protetti.
Lancio
quindi a tutti un appello all'azione.
La
chiusura di ChatGPT in Italia rappresenta un momento cruciale per il futuro
dell'intelligenza artificiale nel Paese.
È giunto il momento di agire e di lavorare
insieme per garantire che l'IA possa essere utilizzata in modo responsabile e
sostenibile, a beneficio di tutti.
Questo
richiede un impegno congiunto di istituzioni, aziende, cittadini e società
civile.
Solo attraverso
la collaborazione e il dialogo aperto sarà possibile creare un futuro in cui
l'intelligenza artificiale sia una forza positiva per il progresso e il
benessere in Italia e nel mondo.
Bloccare
il futuro e restare fuori dal tempo è un pericolo come paese e per i nostri
giovani.
Quindici
anni dopo:
l’Unione del futuro.
Legrandcontinent.eu
– Riccardo Perissch – Redazione – (9 giugno 2022) – ci dice:
Prospettive
Politiche.
Si
tratta di un paradosso ben conosciuto e collaudato: mentre sembra incapace di
produrre cambiamenti strutturali, l'Unione reagisce sempre meglio e più
rapidamente alle crisi. In questa panoramica, Riccardo Perissich ripercorre le
trasformazioni che potrebbero delineare la forma dell'Europa dopo la guerra in
Ucraina.
L’attuale
dibattito europeo presenta allo stesso tempo vigorosi appelli alla necessità di
nuovi progetti ambiziosi, per esempio nelle parole di Emmanuel Macron e Mario
Draghi, ma anche richiami alla prudenza da parte di numerosi governi.
L’Unione
Europea si trova quindi davanti a un trilemma.
Le circostanze vorrebbero un progresso deciso
nell’integrazione.
Tuttavia
realizzare progressi importanti con il consenso di tutti i membri diventa sempre
più difficile.
Allo stesso tempo però l’unità dei 27 è ancor
più che per il passato un bene prezioso da proteggere.
Come
sempre, la fattibilità dei progetti, allo stesso tempo ciò che è necessario e
ciò che è fattibile, dipenderà dall’evoluzione degli avvenimenti.
È
quindi da lì che bisogna cominciare.
Nei
quindici anni che ci separano dalla crisi finanziaria, l’UE ha vissuto uno dei
suoi periodi di più intensa mutazione.
Il
decennio precedente che era stato il teatro di due decisioni epocali come l’introduzione
dell’euro e il passaggio da 15 a 28 paesi membri;
per quanto importanti, esse tuttavia erano
annunciate da tempo, il compimento di progetti e impegni presi in precedenza in
seguito alla caduta del muro di Berlino e alla dissoluzione dell’URSS.
Nulla
di quanto è successo più recentemente era stato programmato.
Abbiamo
dovuto reagire agli avvenimenti e l’abbiamo fatto spesso in una situazione di
sostanziale vuoto giuridico e con istituzioni mal equipaggiate per far fronte a
crisi di quell’ampiezza.
Dire
che tutto ciò è successo sotto la guida di fatto di Angela Merkel, Cancelliera
del paese più importante dell’Unione, è solo in parte una semplificazione.
Il percorso effettuato riflette quindi il suo
stile, ma più in generale la prudenza con cui la Germania si muove solo dopo
aver assicurato un grado elevato di consenso interno e poi europeo.
È un modo di procedere che può creare
esasperazione e suggerire un’analogia con quanto Churchill diceva dell’America:
“fanno la cosa giusta solo dopo aver
esaurito tutte le alternative”.
D’altro
canto, il consenso (interno ed europeo) così acquisito si è poi dimostrato
duraturo, in contrasto con gli ondeggiamenti che hanno caratterizzato la
politica europea di altri grandi paesi come la Francia e l’Italia.
La
Germania ha anche introdotto nel dibattito europeo un concetto di sacralità
delle regole che è parte integrante del suo consenso interno e riflette la
volontà di esorcizzare un drammatico passato.
L’altra
caratteristica del percorso effettuato è che l’UE è programmata fin dalla sua
creazione per occuparsi delle crisi quando avvengono ma non di affrontare i
nodi sistemici che le permetterebbero di prevedere e prevenire le crisi
successive.
Gli
avvenimenti a cui mi riferisco sono noti.
Intorno
a Brexit ci sono due narrative.
Secondo
la prima, l’Europa ne risulta indebolita sul piano economico, politico e
militare. Inoltre è stato infranto il tabù della perennità.
Secondo
la seconda, Brexit ha effetti positivi perché viene a mancare uno dei paesi che
in passato si erano opposti con più forza a una maggiore integrazione.
Entrambe
le interpretazioni sono vere, ma devono anche essere relativizzate.
L’opposizione
britannica è spesso servita di alibi alla resistenza di altri, ma non ha mai
impedito progressi che erano fortemente voluti da una maggioranza di paesi: per
esempio Schengen e l’euro.
Inoltre, Brexit ha rafforzato l’unità dei 27 e
accresciuto il senso di appartenenza anche di chi era tradizionalmente vicino
alle posizioni britanniche.
D’altro canto però, l’assertività di questi
paesi (gli scandinavi e l’Olanda per esempio) è stata rafforzata dall’assenza
del più influente difensore del liberismo in economia e dell’atlantismo in
politica estera e ha dato loro quasi una “nuova missione” in seno all’UE.
Brexit
ha peraltro incoraggiato la tesi di una inevitabile frattura, politica,
culturale e addirittura valoriale, fra il continente europeo e un mitico “mondo
anglosassone”.
Tesi
che non ha però fondamento reale e sottovaluta sia quanto la Gran Bretagna sia
in realtà “europea”, sia quanto una parte importante dell’Europa, soprattutto a
nord ma anche a est, si senta vicina storicamente, politicamente e
culturalmente al mondo anglosassone.
Detto
questo, Brexit resta un cantiere incompiuto, mal negoziato dal governo
britannico e ancora mal digerito.
Ciò non toglie che l’UE e la Gran Bretagna
hanno comunque bisogno l’una dell’altra.
La
seconda serie di avvenimenti riguarda la risposta alle ricorrenti crisi
economiche:
prima
quella finanziaria, poi quella dovuta alla pandemia, infine quella che si
annuncia in seguito alla guerra in Ucraina.
È noto
quanto il percorso sia stato accidentato.
È
cominciato con l’illusione che si potesse fare interamente affidamento sulla
sacralità e l’automatismo delle regole, per poi proseguire con i gravi errori
della “passeggiata di Deauville” fra Merkel e Sarkozy, nella risposta
accidentata e a momenti drammatica alla crisi greca, al “Whatever it takes” di Mario
Draghi, alla creazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES),
all’ammissione da parte della Commissione Juncker che le regole dovevano essere
interpretate e applicate con flessibilità, alla sospensione delle regole stesse
durante la pandemia, fino al tabù infranto dell’indebitamento comune con il “Next
Generation EU”.
Nessuna
persona sana di mente potrebbe sostenere che la risposta dell’Unione sia stata
in ogni momento tempestiva e brillante.
Tuttavia,
l’UE e l’euro hanno tenuto di fronte alla prova forse più difficile dall’inizio
della costruzione europea.
A ciò
si è aggiunta la decisione di fare della transizione climatica il progetto
destinato a definire la strategia economica dell’UE per i prossimi anni.
Il
terzo avvenimento è la pandemia.
In partenza, l’UE era sprovvista di competenze
e mandato chiaro in materia sanitaria.
La
risposta dell’Europa è stata all’inizio confusa e frammentata con
manifestazioni di egoismo nazionale che hanno fatto temere il peggio.
Poi,
con sorprendente rapidità, la situazione è stata raddrizzata, è stato varato un
programma comune di sviluppo e approvvigionamento di vaccini.
Alla distanza, la risposta dell’Europa alla
pandemia non è stata peggiore e sotto vari aspetti è stata migliore di quella
degli USA e di molti paesi asiatici, Cina compresa.
Poi,
la crisi forse più importante di tutte, l’aggressione della Russia all’Ucraina.
Anche
questa volta, la rapidità con cui si è trovata l’unità dell’Europa e della NATO
è sorprendente per quanto riguarda sia la durezza delle sanzioni sia l’invio di
armi sempre più pesanti.
Infine,
la crisi a cui è stata data la risposta più insufficiente: quella di una
pressione migratoria senza precedenti dall’Africa e dal Medio Oriente.
Per
un’organizzazione che, secondo il suo creatore Jean Monnet, è destinata a
“progredire nelle crisi”, il minimo che si può dire è che siamo stati ben
serviti.
L’evoluzione
dell’UE non è stata solo guidata dagli avvenimenti così sommariamente
descritti, ma anche da un contesto internazionale profondamente mutato.
La
costruzione europea è il prodotto più compiuto della concezione dei rapporti
internazionali sviluppata dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale:
quella
di un mondo non dominato da rapporti di forza, ma da un sistema di regole
accettate e condivise.
Un
mondo “kantiano”, o se vogliamo “post westfaliano”.
Questa
visione del mondo coincideva con quella che l’Europa aveva di sé stessa: una
“potenza gentile”, nata da un desiderio di pace, che non aveva bisogno di una
grande forza militare e che poteva espandere la sua influenza attraverso la
sapiente elaborazione di regole.
Regole
che si sarebbero imposte per la loro saggezza ed efficacia, ma anche perché
erano la porta d’accesso al più grande mercato del mondo.
Poco
importa se dietro questa concezione ci fosse una notevole dose di diniego, dal
momento che la difesa dell’Europa era stata di fatto appaltata agli Stati Uniti.
L’UE
era così diventata il principale campione di un multilateralismo che non aveva
inventato, ma aveva fortemente contribuito a costruire.
Al
crollo del comunismo era seguito un breve periodo di incontrastata egemonia
americana, quindi occidentale, che aveva portato con sé l’illusione che
quell’ordine sarebbe presto diventato globale.
Sappiamo
che non è andata così.
Alcuni
errori strategici compiuti in Medio Oriente dagli Stati Uniti, la minaccia del
terrorismo islamico e soprattutto l’ascesa della Cina hanno profondamente
modificato la situazione.
Questa
diffusa situazione di instabilità ha permesso ad alcune potenze intermedie
(L’Iran, il Brasile, la Turchia e altre) di cercare di affermarsi come attori
autonomi.
È
un’evoluzione che ha anche avuto importanti ripercussioni economiche,
conducendo a una messa in discussione dei benefici della globalizzazione, o
quanto meno mostrarne i limiti e la fragilità.
Oggi,
chi vuole promuovere il multilateralismo è sulla difensiva. L’Europa, creatura kantiana, si è
così trovata confrontata a un mondo sempre più hobbesiano; una sfida che per
l’UE è, prima ancora che politica, quasi ontologica.
L’Europa
è ora costretta a trarre due conclusioni non facili da questo contesto
internazionale.
La prima è che l’emergere di una potenza come
la Cina, poco rispettosa delle regole internazionali e campione di un
capitalismo largamente sottoposto alla politica, non consente più di separare
le questioni economiche e commerciali da quelle geopolitiche.
Tanto
più che anche gli Stati Uniti non esitano a usare a fini politici la loro forza
economica.
La
seconda è che l’Europa aveva accumulato un notevole ritardo rispetto agli USA e
alla Cina nella rivoluzione digitale.
Questo
doppio risveglio ha introdotto nella narrativa europea alcuni concetti nuovi:
quello
di dimensione geopolitica dell’azione dell’UE e quello di “autonomia
strategica”.
Il
secondo in particolare, lanciato nel dibattito da Emmanuel Macron, ha creato
allo stesso tempo grande interesse ma anche numerosi interrogativi.
Parlare
di “autonomia” europea o come è anche stato fatto di “sovranità”, contiene una
dose elevata di ambiguità.
La moderna fisica quantistica ci dice che lo
stato di una particella non può essere determinato a priori, ma dipende da
quando, come e chi la osserva.
Così
il concetto di autonomia europea cambia a seconda che lo si guardi dall’interno
o dall’esterno.
Nel primo caso può voler dire che i membri dell’UE
devono essere capaci di esercitare la loro sovranità in comune.
Nel
secondo che bisogna essere autonomi da qualcosa di diverso da noi.
Questa
seconda discussione si è immediatamente concentrata sulle conseguenze per il
rapporto con gli Stati Uniti e con la NATO.
Si
tratta di una delle questioni più divisive del dibattito europeo che ha il
potenziale di paralizzare tutto il resto.
Sulla
base di quanto precede, è interessante ora vedere non tanto la bontà e i
difetti di ciò che è stato fatto, ma piuttosto quanto tutto ciò ha modificato i
rapporti di forza all’interno dell’UE, il suo modo di operare, i suoi interessi
strategici e la sua identità.
Quei
recenti, drammatici avvenimenti hanno tra l’altro condotto a superare o
addirittura a smentire un certo numero di analisi su cui erano basati sia
consensi dati per acquisiti, sia dissidi a volte difficili da sanare.
La
prima questione riguarda i valori fondanti.
L’Unione
Europea è un’organizzazione che comprende paesi che, pur con strutture
costituzionali diverse, condividono gli stessi valori democratici, liberali e
il rispetto dello stato di diritto.
Tuttavia,
non essendo una compiuta unione politica, non dispone degli strumenti per imporne il rispetto
dai suoi membri.
Fino a
tempi recenti ciò era considerato implicito, al punto che il principio di
supremazia del diritto europeo su quelli nazionali era basato sul presupposto
che la Corte di Giustizia europea avrebbe “per definizione” rispettato nei suoi
giudizi i diritti fondamentali che sono alla base delle costituzioni degli
stati membri.
L’esperienza
con i nuovi membri dell’est ha scosso questo equilibrio.
Il cammino verso una compiuta democrazia liberale si è
rivelato per alcuni di loro (Polonia e Ungheria ma non solo) più accidentato
del previsto.
Ne
sono risultate alcune gravi anomalie nel rispetto ai principi dello stato di
diritto che sono mal percepite dall’opinione pubblica degli altri paesi la
quale non capisce perché si possano sanzionare mancanze molto meno gravi e non
veri attentati alla democrazia.
Il problema è che gli strumenti di cui l’UE
dispone per combattere le deviazioni sono molto deboli, essenzialmente di
natura finanziaria, e difficili da usare quando i paesi “devianti” sono più
d’uno.
La
seconda questione riguarda l’idea di un’Unione irrimediabilmente divisa da un
dissidio fra liberisti (o ordoliberisti) da una parte e keynesiani e
interventisti dall’altra; come è stato anche detto, fra cicale e formiche.
Questa
supposta frattura, ha assunto il carattere di una lacerazione nord-sud.
A
parte il fatto che fra il “liberismo” e l’ordo-liberismo prevalente in Germania
e in gran parte dell’Europa ci sono colossali differenze e che i sacerdoti di
Francoforte si trovano difficilmente a loro agio a Chicago, la gestione
concreta della crisi ha permesso di de-ideologizzare il dibattito.
Nessuno
sembra più pensare che le regole siano per definizione né sacre (come vorrebbero alcuni) né “stupide” (come le aveva definite Romano
Prodi, allora Presidente della Commissione).
Inoltre la creazione di strumenti di solidarietà come
il “MES” e “Next Generation EU”, pur senza rappresentare il “momento
Hamiltoniano” rivendicato da alcuni, costituiscono un’innovazione di cui
nessuno può sottovalutare l’importanza.
Allo
stesso modo, affrontare il ritardo che si è creato nella rivoluzione digitale e
la contemporanea sfida di un mondo in cui le regole multilaterali sono messe
sempre più in discussione, richiede un ruolo dell’intervento pubblico maggiore
di quanto si considerava auspicabile fino a poco tempo fa.
L’atteggiamento
verso la globalizzazione, in particolare a causa della fragilità delle filiere di
produzione, è sottoposto a revisione.
Su queste questioni, tradizionalmente oggetto
di forti contestazioni, si constata una notevole convergenza anche fra due
paesi tradizionalmente su fronti opposti come Francia e Germania.
D’altro
canto, è anche chiara la percezione che fra le grandi aree economiche l’UE è
quella che più dipende dal commercio internazionale e non può quindi isolarsi
dal resto del mondo.
Nonostante
la sua dimensione e l’attrattiva del suo mercato, non può nemmeno illudersi di
poter regolare in piena libertà tecnologie che non possiede.
Nessuno
quindi pensa che ciò possa significare il ritorno a forme di politiche
industriali simili a quelle praticate in Francia, in Italia e altrove fino agli
anni ’80 del secolo scorso.
Le
questioni che seguono riguardano il superamento della distinzione fra
dimensione economica e strategica dell’integrazione;
quindi
il concetto di Europa “geopolitica”, o di autonomia strategica.
La politica estera, grande assente nel disegno
iniziale di Jean Monnet, ha fatto prepotentemente irruzione nel dibattito
europeo.
Il
caso più importante, quello che ci obbliga al più grande ripensamento, sono i
rapporti con la Russia alla luce dell’aggressione all’Ucraina.
Dopo
il crollo dell’URSS era prevalsa in Occidente la speranza che anche la Russia
potesse, se non diventare compiutamente democratica e occidentale, almeno avere
un’evoluzione compatibile con un ordine europeo stabile e consensuale.
Soprattutto
dopo l’avvento di Putin al potere i segnali di involuzione, troppo noti per
enumerarli tutti si erano moltiplicati.
Tuttavia
molti paesi europei, soprattutto Germania, Francia e Italia avevano preferito decidere
che il dialogo con Mosca restasse prioritario;
sposavano
così la teoria tedesca del “Wandel durch Handel”, il cambiamento attraverso il
commercio.
In altri termini, legare a noi la Russia sul
piano economico ne avrebbe facilitato un’evoluzione nella direzione auspicata.
Ne è
seguita una dipendenza massiccia dalle importazioni di idrocarburi dalla
Russia.
In
questa ottica, un’invasione dell’Ucraina era considerata improbabile se non
impossibile.
A
questa narrativa se ne contrapponeva un’altra, portata soprattutto dai paesi
baltici, dalla Polonia e da altri paesi dell’est.
Secondo
questa analisi gli “aperturisti”, obnubilati dal loro illuminismo, avevano
gravemente torto.
La
deriva adottata da Putin aveva invece radici profonde.
L’obiettivo
era di ristabilire un’identità russa libera da corruzioni occidentali e basata
su un nazionalismo allo stesso tempo etnico, territoriale e religioso che si
rifaceva alle radici autocratiche, ortodosse e imperiali della storia russa.
L’ostilità
ai valori occidentali intesi come la principale minaccia al ritorno della
Russia alle sue radici, era quindi irriducibile.
In
questa ottica, la Russia non era solo un partner difficile, ma una minaccia
concreta.
Ristabilire il controllo sulle antiche
repubbliche della Georgia, della Moldavia e soprattutto dell’Ucraina non era
solo un modo per ristabilire una sfera imperiale, ma anche per difendersi dalla
contaminazione da eventuali evoluzioni democratiche e occidentali di quei
popoli.
Questo
è del resto il vero senso dell’ossessiva, quasi paranoica, opposizione
all’allargamento della NATO.
La
risposta degli altri europei fu di comprendere i timori storici della Polonia e
degli altri, ma di considerarli anche con un po’ di condiscendenza
eccessivamente estremisti.
Per
calmare le loro paure, si favorì l’ingresso nella NATO e nell’UE, ma per il
resto continuò l’atteggiamento di diniego della minaccia.
Persino Angela Merkel, che pure aveva di Putin
una visione molto lucida, scelse di non modificare sostanzialmente la politica
tedesca e europea.
Nemmeno
l’espansione della Russia nel Medio Oriente, nel Mediterraneo e in Africa
condusse a sostanziali ripensamenti.
Questa risposta insufficiente, concretizzata nella
reazione velleitaria e ambigua alla richiesta di Ucraina e Georgia di adesione
alla NATO, consolidava la convinzione di Putin della decadenza e divisione
dell’occidente.
D’altro canto gli permise di eccitare ancor più i
sentimenti nazionalisti all’interno con la tesi dell’accerchiamento dovuto
all’allargamento della NATO e delle umiliazioni inflitte alla Russia dai
vincitori della guerra fredda.
Oggi è
doveroso ammettere che la Polonia e i suoi amici avevano ragione e la maggior
parte degli altri paesi avevano torto.
Il risultato è la guerra a cui stiamo
assistendo.
Non è
qui il posto adatto per analizzarne gli sviluppi.
Basterà
costatare che la combinazione delle insufficienze militari dell’esercito russo,
delle terribili atrocità commesse, della imprevista capacità di resistenza
degli ucraini, e della altrettanto sorprendente risposta unitaria
dell’occidente e dell’Europa, rendono un negoziato di pace molto improbabile
nel prevedibile futuro.
Resta
la possibilità di una tregua provvisoria e precaria, inevitabilmente seguita da
una lungo periodo di tensione che da molti punti di vista sarà non dissimile
dalla guerra fredda.
La prospettiva di un nuovo e condiviso sistema
di sicurezza europea, è realisticamente tramontata.
Per
questo sarà necessario che cambi quello che è diventato l’equivalente russo del
“Sonderweg tedesco”, l’ossessiva ricerca di un’identità speciale distinta e in
opposizione all’occidente.
Permane
però, come ai tempi della guerra fredda la necessità di un sistema di regole
del gioco condivise per evitare che il conflitto latente si trasformi in
conflitto aperto.
Ne
discendono un certo numero di conseguenze.
Putin è stato fermato, oltre che dall’eroismo
degli ucraini e dai suoi stessi errori, dall’unità dell’occidente.
Il
rapporto fra NATO e autonomia europea ne risulta profondamente modificato.
È
infatti stato dimostrato aldilà di ogni possibile dubbio che non esiste, oggi e
per un avvenire prevedibile, una risposta militare efficace dell’Europa al di
fuori della NATO.
Uno
sviluppo confermato e rafforzato dalla storica decisione di Finlandia e Svezia
di aderire all’alleanza.
È
stata comunque clamorosamente smentita la favola di un’America che voltava le
spalle all’Europa per pensare solo al Pacifico.
D’altro
canto però si è anche visto che l’unità dell’Europa è indispensabile per
rafforzare l’efficacia della risposta occidentale.
Il
mantenimento dell’impegno americano in Europa dipende oggi anche da un concreto
rafforzamento dell’impegno europeo.
Senza l’UE, sanzioni di quella portata non
sarebbero state possibili.
Se
l’unità dell’occidente è dunque fondamentale, nasce spontanea la domanda se il
tempo giochi a favore nostro o di Putin.
A medio termine, gioca sicuramente a nostro favore.
Le
sanzioni mostrano infatti di avere pesanti effetti sull’economia russa e quindi
anche sulla sua capacità militare.
A breve termine la risposta è meno certa, anche
perché le sanzioni hanno bisogno di tempo per operare e una sconfitta militare della Russia
sul campo non è ipotizzabile.
Il consenso intorno alla strategia adottata
dall’occidente è al momento solido, anche perché in assenza di serie
prospettive di tregua non ha alternative.
Tuttavia la situazione in alcuni paesi
importanti come l’Italia e la Francia è fragile a causa di una forte
polarizzazione politica interna.
Anche
la posizione tedesca presenta ancora elementi di incertezza.
Assistiamo
quindi al paradosso di paesi che, pur sostanzialmente sulla stessa linea,
adottano retoriche pubbliche a volte divergenti e comunque ambigue.
Ciò è
visibile soprattutto in Italia e in Francia, ma anche in Germania.
Adattare
il discorso alle condizioni politiche locali fa parte del realismo politico.
In
questo caso tuttavia, l’opinione pubblica può essere indotta a dubitare
dell’unità dell’occidente, o addirittura a convincersi che l’ostacolo alla
tregua sta da noi e non a Mosca.
Un
cedimento del consenso interno in alcune importanti nazioni europee avrebbe
effetti potenzialmente devastanti non solo per l’unità dell’Europa, ma anche
per le prospettive della sicurezza e della pace.
L’unità
dell’occidente è quindi oggi un bene supremo da preservare, sia per convincere
Putin dell’inanità delle sue minacce, sia per consolidare il consenso della
nostra opinione pubblica.
È uno sforzo che richiede da parte di tutti
collaborazione nel linguaggio e nei comportamenti.
Il
principale pericolo per il mantenimento dell’unità dell’occidente e
dell’Europa, il fattore che più di altri può compromettere il consenso interno,
è di natura economica e sociale.
Il
conflitto ci impone allo stesso tempo di accelerare il disimpegno dalla
dipendenza dagli idrocarburi russi e la transizione climatica, ma senza
compromettere le fragili possibilità di ripresa economica che si intravedevano
prima della crisi.
Si tratta di una sfida, aggravata da forti
tensioni inflazioniste, che richiede un impegno eccezionale nazionale e
collettivo dei paesi europei.
L’architettura
stessa del governo della moneta e dell’economia ne sarà condizionata.
Un’altra
conseguenza del conflitto è di aver posto in termini nuovi il problema dello
sforzo specificamente europeo per la difesa comune.
In
questo caso, il principale attore di cambiamento è la Germania che ha annunciato
una “Zeitenwende”, una svolta epocale nel suo atteggiamento verso le spese
militari.
Questa
svolta, sia pure accompagnata da esitazioni e ambiguità tipiche del
funzionamento del sistema politico tedesco, permette per la prima volta di dare
un senso concreto e urgente alla prospettiva di una difesa europea.
Prospettiva
tanto più concreta che la svolta tedesca vuole esplicitamente conciliare
impegni europei e impegni atlantici.
Anche in questo caso, la tecnologia ha cambiato i
termini della questione.
Per gli europei non si tratta tanto o solo di
costruire in comune qualche aereo o qualche sottomarino, ma di prepararsi a
conflitti ibridi che smentiscono l’antico detto di Cicerone:” inter pacem et bellum nihil medium”, non c’è nulla fra la pace e la
guerra.
Conflitti
quindi che possono rappresentare un continuo fra disinformazione, provocazioni
di varia natura, sanzioni economiche, hackeraggio, uso militare delle
tecnologie spaziali e dell’intelligenza artificiale, fino all’uso delle
tecnologie militari classiche e dell’arma nucleare.
Una
prospettiva che modifica profondamente anche il concetto di deterrenza.
Molto
è stato scritto sul fatto che la NATO ha riunito importanti alleati fuori delle
sue frontiere (Giappone, Australia e altri ancora), ma che un gran numero di
paesi emergenti hanno dichiarato la loro neutralità.
Questo
fenomeno è in realtà naturale e comprensibile.
Anche
durante la guerra fredda gran parte dell’umanità era neutrale. Essere neutrali in questo caso non
vuol dire schierarsi a favore della Russia e tanto meno della Cina; semplicemente, questa “non è la loro
guerra”.
Tra
l’altro le motivazioni di questa posizione sono molto dissimili, per esempio
fra asiatici, africani o latino americani.
Ciò
non toglie che si tratta di motivazioni di cui dobbiamo tenere conto, per
esempio facendo il massimo sforzo per far fronte alla penuria alimentare che il
conflitto ucraino rischia di provocare in parti dell’Africa.
Di
particolare importanza sono le motivazioni dei pasi asiatici, per esempio
dell’India, che sono naturalmente determinate più che dal conflitto in sé dal ruolo
della Cina.
Per
molti paesi dell’area e per gli Stati Uniti, il conflitto in Ucraina è anche
una metafora del problema di Taiwan.
L’alleanza fra la Russia e la Cina non è stata
provocata da noi.
È il
prodotto della naturale convergenza fra due grandi paesi la cui politica è
nutrita da un forte nazionalismo, dal rifiuto dei valori occidentali e dalla
volontà di sovvertire l’ordine e le regole che l’occidente ha stabilito nel
corso dei decenni passati.
La convergenza è quindi basata su ragioni
oggettive.
La
“questione cinese” rappresenta il fallimento dell’altra grande illusione di un
mondo che, grazie a commerci liberi e aperti, si riunirebbe facilmente attorno
al multilateralismo e ai valori occidentali.
Tuttavia gli interessi di due attori come Russia
e Cina che sono peraltro in un rapporto molto squilibrato fra loro, coincidono
solo in parte.
La prova è che il sostegno cinese
all’aggressione russa è stato finora poco più che verbale e alcuni sperano che
la Cina possa avere un ruolo attivo nella ricerca di una tregua.
La
realtà è che per molti attori asiatici e per gli americani, il confronto con la
Cina resta la sfida che caratterizzerà più di ogni altra il corso del secolo.
Per
quanto riguarda l’Europa, una conseguenza importante è che non possiamo più
considerare i teatri europeo e asiatico come completamente distinti.
Non possiamo nemmeno continuare a considerare
la “questione cinese” sotto un angolo unicamente economico e commerciale.
Ciò si
aggiunge alla lista dei dinieghi europei che devono essere superati; ciò vale
soprattutto per la Germania, ma non solo.
Ugualmente
velleitaria sarebbe la tentazione di volersi porre come mediatori fra Cina e
USA.
Realizzare
una politica unitaria verso la Cina è però ancora più difficile che verso la
Russia.
Un’altra
conseguenza del conflitto in Ucraina è il flusso di qualche milione di
rifugiati, in prevalenza donne e bambini, verso l’Europa.
Si tratta di cifre senza precedenti, come
senza precedenti è la reazione di apertura e di accoglienza di molti membri
dell’UE.
Resta
da vedere se questa grande manifestazione di solidarietà che contrasta con il
permanente atteggiamento di chiusura verso l’immigrazione dall’Africa e dal
Medio Oriente, faciliterà il raggiungimento di un maggiore consenso europeo
sulla politica migratoria.
Le
questioni che precedono hanno in comune la caratteristica di porre in termini
nuovi problemi che già esistevano e di porre tutte con forza la necessità di un
rapporto stretto con gli Stati Uniti, allo stesso tempo sul piano strategico ed
economico.
Fra le
due rive dell’Atlantico ci sono inevitabili divergenze di percezione e di
interessi contingenti, ma esse si manifestano all’interno di una sostanziale
convergenza strategica allo stesso tempo sui valori e sugli interessi.
Le condizioni attuali dei rapporti
transatlantici sono le migliori da moltissimo tempo.
Lo sforzo di dialogo dell’amministrazione
Biden è innegabile.
Anche la politica francese, forse il partner
europeo più difficile da questo punto di visto ha subito una notevole
evoluzione.
È
interessante esaminare l’evoluzione della retorica macroniana, dalla
constatazione di “morte cerebrale” della NATO fino a una gestione della crisi
ucraina in sostanziale coordinamento con gli alleati.
Tuttavia
permane in Europa una forte diffidenza verso l’affidabilità degli USA,
alimentata dall’esperienza traumatica della presidenza Trump, ma anche da
incertezze o errori della politica americana che datano da ben prima di Trump.
Il timore di un secondo Trump è a volte
agitato da parte dei nemici europei dell’unità occidentale come una profezia di
cui in fondo si auspica la liberatoria realizzazione.
Speculare
a tutto ciò è una diffusa diffidenza americana verso l’affidabilità degli
alleati europei.
Si
tratta quindi di convincere gli americani che non potranno affrontare il mondo
turbolento che si prepara senza l’apporto europeo.
Per gli europei si tratta invece di capire che
autonomia non vuol dire distacco, ma piuttosto l’emancipazione di un partner
diventato adulto.
Sul piano economico, entrambi i partner dovrebbero
prendere coscienza che, mentre la tendenza alla globalizzazione resterà forte,
un certo grado di disconnessione tecnologica dalla Cina è ineluttabile ed è del
resto già in atto.
Né gli
USA, né l’Europa, né i nostri alleati in Asia sono in grado di realizzare da
soli la regolamentazione di cui internet ha bisogno o la riorganizzazione delle
filiere di produzione e approvvigionamento di alcune componenti critiche.
Una
vera convergenza strategica non sarà né facile né automatica.
Per
realizzarla e mantenerla ci vorrà un costante sforzo di dialogo e di volontà
politica.
Sviluppando
anche strumenti di coordinamento permanente che in parte si stanno creando come
per esempio il “Trade and Technology Council”, ma che per il momento esistono
in modo solo parziale.
Ciascuna
delle sfide di cui abbiamo parlato porrebbe di per sé problemi formidabili a un
sistema fragile e imperfetto come quello dell’UE.
Tutte
insieme possono sembrare insormontabili.
Esse
sono però largamente interconnesse:
affrontarne
una aiuterà a trattare le altre.
Se
l’evoluzione degli avvenimenti ha profondamente modificato i termini di molti
problemi e rende possibili convergenze prima considerate impossibili, bisogna
ora vedere quanto l’UE sia preparata a rispondere concretamente a tutte queste
sfide. La prima risposta spontanea è negativa.
La
struttura istituzionale resta barocca e poco comprensibile dall’opinione
pubblica e troppe decisioni importanti richiedono il consenso unanime degli
stati membri.
In
queste condizioni, realizzare in tempi rapidi un consenso a 27 è spesso
estremamente difficile.
Una
difficoltà spesso sottovalutata è l’assenza di un vero dibattito politico
europeo.
Mai
come oggi sarebbe necessario non solo che le autorità spieghino senza compiacenza
la verità all’opinione pubblica, ma anche che lo facciano in modo coerente con
i partner europei.
La
“Convenzione” che si è appena conclusa e che ha organizzato il dibattito fra
qualche centinaio di cittadini europei, costituisce un tentativo generoso e
utile, ma dimostra anche i limiti dell’esercizio.
È
stato detto che gli Stati Uniti hanno cominciato a esistere come entità
politica solo nei primi decenni dell’800, quando la tecnologia ha reso
possibili la stampa di giornali a grande diffusione.
Oggi la tecnologia non è certo un problema.
Il principale ostacolo al dibattito
transnazionale sono le barriere linguistiche che rafforzano il carattere
nazionale della politica.
Quel
tanto di dibattito transnazionale che pure esiste è per definizione limitato a
un’élite.
Per
esempio, sarà necessario spiegare in modo coerente all’opinione pubblica le
ragioni e i limiti della nostra politica di contrasto all’aggressione russa, ma
anche che accelerare il disimpegno dalla dipendenza dagli idrocarburi russi,
richiede qualche arbitrato difficile con la strategia di transizione climatica.
Ciò è tanto più importante dal momento che la
guerra attuale avviene in parte anche sul terreno dell’informazione e della
disinformazione.
Il modo con cui si sviluppa il confronto
politico in Europa è anche molto diverso.
In
alcuni paesi, soprattutto a sud e in quelli in cui la politica è più
polarizzata, le questioni tendono a essere discusse in termini di alternative
radicali, di cambi di paradigma.
In
altri, soprattutto a nord, le scelte sono discusse in termini di cambiamenti
incrementali.
Abbiamo
assistito a una campagna elettorale francese che contrapponeva radicali scelte
di società, preceduta da una campagna elettorale tedesca in cui Scholz, candidato
dell’opposizione, si presentava come un continuatore… di Angela Merkel con la
quale peraltro governava fino a prima delle elezioni.
Tutto
ciò conduce a riaprire una discussione sulle istituzioni europee che era sopita
dopo il fallimento dei referendum francese e olandese sul progetto di
“costituzione”.
Le
questioni da discutere sono molte, ma la più importante è sicuramente quella
dell’esigenza di unanimità che ancora esiste per materie importanti come la
politica estera, la difesa e la fiscalità.
Leader
importanti come Macron e Draghi ne hanno ufficialmente chiesto l’abbandono.
La
difficoltà più grande in Europa resta sempre quella di riunire una maggioranza,
ma è innegabile che il diritto di veto può paralizzare o comunque ritardare
decisioni importanti.
Basti
pensare ai problemi ora posti dall’Ungheria.
In un’organizzazione come l’UE che riunisce
stati sovrani prevarrà sempre il riflesso di ricercare il consenso, ma la
possibilità concreta di votare cambia completamente la strategia negoziale di
tutti gli attori perché spinge ad anticipare la ricerca dei compromessi che
consentono di far parte di un’eventuale maggioranza.
Questa
riforma sarebbe quindi altamente auspicabile ed è bene che la discussione
cominci.
Bisogna
tuttavia essere coscienti che le prospettive di progresso a breve termine sono
modeste.
Non
solo la questione è per definizione controversa, ma la reticenza a lanciarsi in
una nuova operazione di riforma dei trattati è ancora molto diffusa.
Non si tratta solo di cattiva volontà.
Alcune
delle materie per cui si dovrebbe poter votare, sono vicine al cuore della
sovranità dei nostri paesi.
Anche
se non ottimali e a volte complicati da attuare, i modi per aggirare i veti
esistono e ne conosciamo diversi esempi.
Alcuni
sono molto importanti, come Schengen e l’euro.
È una
pratica di cui sono state date definizioni diverse; le più comuni sono geometria
variabile e differenziazione.
Almeno finché l’UE non avrà raggiunto una forma
stabile di unione politica compiuta, questo resterà uno dei percorsi principali
per far progredire l’integrazione:
l’azione
di avanguardie che mostrano il cammino, pronte in seguito ad accogliere i
ritardatari.
Tuttavia,
l’esperienza di Brexit dovrebbe averci insegnato che la pratica della geometria
variabile è per definizione precaria, difficile da gestire e non può durare
eternamente.
Prima
o poi, la scelta fra ricomposizione e rottura non potrà essere evitata.
Le
cose si complicano quando si vuole trasformare questo modo di procedere, da
pragmatico in strutturale.
È la teoria dei cosiddetti “cerchi concentrici” per
cui i paesi membri dell’UE si raggrupperebbero in cerchi caratterizzati,
dall’esterno verso l’interno, da gradi maggiori d’integrazione;
ognuno
essendo dotato di una propria struttura istituzionale, aperta ma distinta.
Ne
parliamo qui perché alcuni ne hanno voluto vedere tracce nel discorso di Macron
a Strasburgo.
Si
tratta di un’idea intellettualmente attraente, ma densa di pericoli che possono
condurre a gravi fratture.
Per prima cosa, l’idea di cerchi concentrici
non corrisponde alla realtà delle cose.
Se
prendiamo quelli più importanti, Schengen, l’euro, le cooperazioni rafforzate
in materia di difesa, definire un nucleo centrale sulla base di uno di essi
sarebbe impossibile perché, se di cerchi si tratta, essi si intersecano
piuttosto che sovrapporsi.
Inoltre, la gestione del mercato unico, che
per definizione dovrebbe comprendere l’intero cerchio esterno dei 27, non è una
zona di libero scambio che funziona da sola, ma un insieme integrato cha ha
bisogno di essere governato politicamente, giuridicamente e finanziariamente.
La sua
gestione non è facilmente separabile da, per esempio, quella dell’euro o dalla
decisione di applicare sanzioni economiche a paesi ostili.
Se non si vuole che l’Unione vada incontro a
fratture insanabili, è quindi necessario che la differenziazione sia gestita da
una struttura istituzionale unitaria.
Ci
sono però ragioni più profonde che incitano alla prudenza.
L’Unione ha bisogno di un motore.
Per
molto tempo si è pensato che dovesse essere la coppia franco-tedesca.
Essa
resta essenziale, ma ormai lungi dall’essere sufficiente.
Tutto
il sistema è diventato politicamente molto più complesso e sarebbe pericoloso
sottovalutare le spinte centrifughe.
Sappiamo
tutti che durante la crisi dell’euro si è creata una forte tensione nord-sud.
Sappiamo
anche che molti a nord delle Alpi hanno a lungo pensato che un euro liberato
dal peso delle cicale meridionali sarebbe stato più stabile e sicuro.
La svolta è avvenuta quando, posti di fronte a
un dilemma concreto, si è deciso di resistere alla tentazione che pure esisteva
di escludere la Grecia dall’euro.
Oggi, uno dei pochi punti di consenso unanime
a proposito del governo dell’economia è che le soluzioni e i compromessi devono
tener conto degli interessi e delle esigenze, non solo di tutti i membri
dell’euro ma anche di quelli che ancora non ne fanno parte.
Il senso politico della recente presentazione
di un documento ispano-olandese non è sfuggito a nessuno.
Non
sarà facile, ma alcuni sviluppi fanno pensare che una nuova iniziativa volta a
finanziare in comune la risposta alle nuove sfide come la transizione
energetica e il rinnovato sforzo a rafforzare la difesa europea, possa maturare
in tempi non troppo lunghi.
La
dimensione est/ovest è più complicata.
A suo
tempo tutti giudicarono l’allargamento a est come il naturale complemento della
fine della guerra fredda e il ricongiungimento in nome della democrazia di due
parti dell’Europa artificialmente separate.
Mentre
sul piano economico l’operazione può essere considerata un successo, sul piano
politico il cammino è stato molto più accidentato.
Il
modo tradizionale e un po’ burocratico con cui era stato affrontato il processo
di allargamento, aveva sottovalutato le difficoltà politiche di integrazione
per popoli la cui tradizione democratica era più fragile e recente di quella
della parte occidentale del continente.
Popoli
inoltre per cui il nazionalismo non era tanto percepito come un male da
superare, ma spesso come un valore da conservare perché simbolo di una libertà
ritrovata.
Ci
eravamo dimenticati che quell’arco di popoli che va dal Baltico all’Adriatico è
il luogo in cui sono nate due guerre mondiali e avvenuti alcuni degli orrori
più atroci della nostra storia.
Una storia la loro condizionata da un costante
conflitto fra il mondo germanico, quello ottomano e quello russo.
Quando
abbiamo scoperto che l’integrazione era molto più complicata del previsto,
abbiamo ascoltato le spiegazioni di alcuni intellettuali come “Ivan Krastev “che
cercavano di educarci alla complessità e alle contraddizioni delle vicende di
quei popoli e ai pericoli che rappresentavano anche per noi occidentali, ma lo
abbiamo fatto con condiscendenza e un po’ di fastidio.
In
fondo, ci dicevamo, quella gente deve solo adeguarsi.
Ci
siamo comportati come in Italia quei piemontesi e lombardi che, dopo il 1860,
hanno creduto che l’impresa di Garibaldi volesse solo dire una nazione più
grande e non anche profondamente diversa.
L’aggressione
russa all’Ucraina suona il risveglio.
Non è
più possibile concepire una politica verso la Russia, oggi il nostro principale
test di politica estera, senza prendere pienamente in conto ciò che pensano i
baltici, la Polonia, altri paesi dell’est e anche gli scandinavi.
Una
difficoltà dello stesso genere si presenta per la gestione della lunga lista di
paesi nei Balcani occidentali, a cui si aggiungono ora Ucraina, Moldavia e
Georgia, che sono candidati all’adesione.
Non
c’è dubbio che la lezione degli errori compiuti nell’ultimo allargamento debba
essere oggetto di attenta riflessione.
I tempi interminabili obbiettivamente
richiesti dalla complessità dei problemi concreti, si scontrano con aspettative
emotive sempre più forti che rischiano di produrre ingranaggi infernali che non
consentono di affrontare i problemi più importanti che sono quelli politici.
Un paio di anni fa, su iniziativa della Francia, si
era deciso di adottare un metodo diverso, più flessibile e progressivo che
mettesse in primo piano la gestione politica dell’adesione e rendesse possibile
graduare le forme di appartenenza all’UE secondo il grado di maturazione
politica ed economica.
Un processo allo stesso tempo incentivante e
reversibile.
Era sicuramente la strada giusta.
Nel
discorso di Strasburgo, Macron ha proposto di dare a ciò anche una veste
istituzionale con la creazione di una forma di “Comunità politica”, una specie
di cerchio esterno dell’UE.
Il valore simbolico di questa proposta, che in
Italia è formulata anche da Enrico Letta, è innegabile.
Prima di intraprendere quella strada vale però
la pena di chiederci quali sono i reali vantaggi di sovrapporre una struttura
istituzionale comune a un processo politico necessariamente differenziato.
All’atto
pratico, essa rischia di essere la tipica “cattiva buona idea” e di comportare
più inconvenienti che vantaggi.
Un’istituzione richiede una lunga discussione
sulle sue strutture e rischia rapidamente di diventare una macchina pesante e
burocratica.
L’esperienza della “Unione del Mediterraneo” avrebbe
dovuto insegnarci qualcosa.
Più
seri sono i rischi politici.
I paesi candidati sono quasi tutti in
condizioni, con aspirazioni e problemi molto diversi fra loro.
Un’istituzione
comune contiene implicitamente la domanda di gestirli in modo unitario e
coordinato.
Bastano
due esempi per illustrare i pericoli.
Cosa
si fa con la Turchia, paese importantissimo ma sappiamo quanto difficile per
l’Europa?
La sua
candidatura è forse la più antica, ma tutti da Ankara a Stoccolma sanno che non
ha ormai nessuna probabilità di arrivare a compimento.
Come è
possibile mettere nella stessa istituzione, che si vuole per definizione
“politica”, l’Ucraina e la Serbia storicamente alleata e ancora oggi molto
vicina alla Russia?
Abbiamo
detto che la coppia franco-tedesca resta essenziale per fare avanzare l’Europa.
Dopo
un lungo periodo di un processo guidato dalla prudenza tedesca, un po’ di
decisionismo francese non guasta.
Tuttavia
la leadership non richiede solo di indicare gli obiettivi, ma anche e
soprattutto acquisire il consenso per realizzarli.
Bisogna
prendere atto che la difficoltà di conciliare il valore supremo dell’unità dei
27 con la possibilità di permettere ad alcune avanguardie di progredire, è più
grande che in passato.
La
crisi dell’euro ha fatto riscoprire la necessità di dare spazio anche ad altri
grandi paesi come l’Italia e la Spagna; ma anche questo non basta.
Come
abbiamo detto, la crisi ucraina rende impossibile una politica estera in cui la
Polonia e i baltici non abbiano un ruolo centrale.
Questa
nuova centralità della Polonia, obiettivamente non facile da gestire, comporta
però il vantaggio di introdurre un cuneo importante fra Polonia e Ungheria, i
due principali problemi per la questione dello stato di diritto.
Non è
ormai nemmeno più possibile pensare solo in termini di “grandi paesi”.
Aggregazioni
come il gruppo dei cosiddetti “frugali” che va dall’Olanda agli scandinavi fino
all’Austria, non è solo come alcuni pensano con fastidio e disprezzo
un’escrescenza del rigorismo tedesco, ma la manifestazione di una volontà di
esistere.
A fronte di questa complessità, si leggono
invece sui media analisi di suprema arroganza che, riferendosi a Germania,
Francia, Italia e Spagna, parlano “dell’Europa che conta”.
La prudenza tedesca nell’era di Angela Merkel era a
volte eccessiva, ma era anche ispirata dalla consapevolezza imposta dalla
storia e dalla geografia di quanto sia necessario tener conto di tutte le
variabili del gioco europeo.
Sarebbe
bene che un po’ di questo senso della complessità attraversasse il Reno e le
Alpi per approdare anche a Parigi e a Roma.
In
Europa, la leadership è come uno spazzaneve.
In
caso di forte nevicata, se lo spazzaneve non c’è o va troppo lentamente, la
neve si accumulerà e la strada resterà bloccata.
Se
però la velocità con cui lo spazzaneve si muove è superiore alla potenza con
cui riesce e a liberare il terreno, resterà intrappolato lui stesso.
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