INTELLIGENZA ARTIFICIALE.

 

INTELLIGENZA ARTIFICIALE.

 

 

La Cina plasma l’intelligenza artificiale

a sua immagine e somiglianza (e sono guai).

Linkiesta.it - Lorenzo Lamperti – (25 aprile 2023) – ci dice:

 

Per non perdere il controllo sull’informazione e sui contenuti, il Partito comunista sta modellando le piattaforme di ultima generazione in modo da riflettere i «valori fondamentali del socialismo».

Come facciamo a non perdere il controllo sull’informazione e sui contenuti che circolano su internet?

 La Cina se lo è chiesto, ormai un paio di decenni fa o anche oltre.

Il mondo credeva che l’impresa fosse impossibile e che la rete sarebbe stata un dedalo di connessioni e comunicazioni incontrollabili.

Così non è stato:

 il Partito comunista ha modellato a sua immagine e somiglianza l’ecosistema digitale della Repubblica Popolare con una continua rinegoziazione di spazi e contenuti tra il nucleo (l’autorità centrale) e le immense periferie (i netizens).

Con il nucleo che amplia o riduce a intermittenza l’orbita gravitazionale di tutto ciò che gli gira intorno e rientra sotto la sua attenta giurisdizione.

Oggi la Cina si chiede come fare a non perdere il controllo sull’informazione e sui contenuti che circolano sulle piattaforme di intelligenza artificiale generativa.

Mentre l’Occidente si interroga su come sviluppare applicazioni etiche o responsabili, e l’Italia blocca “ChatGpt,” la Cina è al lavoro per provare a completare la nuova opera di rimodellamento.

In Europa ci si muove per adesso ancora in modo discontinuo, mentre la Cina sta chiedendo alle aziende di registrare i prodotti di intelligenza artificiale e di sottoporli a un controllo di sicurezza prima del rilascio.

Ovviamente, oltre la sicurezza può subentrare anche una componente politica o ideologica, visto che uno dei requisiti richiesti alle nuove applicazioni è quello di riflettere i «valori fondamentali del socialismo».

 Potenzialmente, infatti, il Partito vede le nuove applicazioni come ipotetiche vie di fuga di informazioni o di opinioni in grado di sfuggire alle maglie della rete con caratteristiche cinesi cucite con fatica e solerzia.

A dover rispettare le indicazioni del nucleo sono d’altronde satelliti, per quanto immensi, che sono stati “rettificati” nel corso degli ultimi anni.

“Baidu”,” SenseTime” e “Alibaba” hanno già presentato le loro versioni di intelligenza artificiale generativa.

Le nuove offerte vanno da “Ernie Bot” (Baidu), “SenseChat” (SenseTime) e “Tongyi Qianwen” (Alibaba), che più o meno significa «verità da mille domande».

In particolare, la creatura di “Jack Ma” è stata in qualche modo addomesticata negli ultimi anni, allo scopo di riorientare la sua attività in settori ritenuti maggiormente strategici.

E allo stesso tempo di spacchettarla, come dimostra la recente suddivisione dell’impero in sei unità autonome, intervenendo sulle posizioni dominanti o persino di semi-monopolio sul mercato digitale.

Proprio contestualmente al lancio di “Tongyi Qianwen” da parte di “Alibaba”, l’amministrazione cinese per il cyberspazio – l’ente addetto alla sorveglianza della rete – ha pubblicato la bozza di un disegno di legge che prevede maggiori controlli proprio nel settore dell’intelligenza artificiale: i fornitori di servizi saranno chiamati a garantire che i contenuti siano accurati, rispettino la proprietà intellettuale, non siano discriminatori e non mettano a repentaglio la sicurezza.

Gli operatori dovranno anche etichettare chiaramente i contenuti generati dall’intelligenza artificiale.

 L’autorità di regolamentazione ha inoltre dichiarato che i fornitori di servizi devono richiedere agli utenti di fornire la propria identità reale e le relative informazioni generali.

In caso di mancata osservanza delle regole i fornitori saranno multati e i loro servizi sospesi o sottoposti a indagini penali.

Se le loro piattaforme generano contenuti inappropriati, le aziende devono aggiornare la tecnologia entro tre mesi per evitare che contenuti simili vengano generati di nuovo.

Regole teoricamente non così diverse da quelle che sta provando a stabilire l’Occidente, sulle quali si innesta però un’interpretazione più stringente di «oggettività» e «accuratezza», che in Cina significano non proporre visioni in contrasto con governo, partito e leader.

Come già succede per l’ecosistema digitale più ampio, le applicazioni saranno infatti anche chiamate a «riflettere i valori fondamentali del socialismo e non devono contenere elementi di sovversione del potere statale, rovesciamento del sistema socialista, incitamento alla divisione del Paese».

E ancora: non dovranno «danneggiare l’unità nazionale, promuovere il terrorismo, l’estremismo, l’odio etnico e la discriminazione etnica, la violenza, le informazioni oscene o pornografiche, le informazioni false e i contenuti che possono turbare l’ordine economico e sociale».

Come prevedibile, i servizi di intelligenza artificiale generativa internazionali come “ChatGpt” non vengano resi accessibili sul territorio della Repubblica Popolare, a meno di aggirare la «grande muraglia digitale» attraverso l’utilizzo di una rete VPN.

Certo, va capito quanto le misure su carta verranno applicate nella realtà.

La controindicazione della messa in sicurezza delle applicazioni di ultima generazione da parte del Partito potrebbe essere quella di bloccare l’innovazione nel settore.

La stessa obiezione che si è spesso sentita sul fronte di internet:

il controllo della Cina sulla rete non ha soffocato lo sviluppo del settore o il lancio di applicazioni nuove e in grado persino di conquistare la scena globale.

Un esempio su tutti è ovviamente quello di “ByteDance,” che dopo aver lanciato “Douyin” sul fronte interno è arrivata dappertutto con” TikTok”.

 Tuttavia, non è semplice immaginare come questo modello possa essere replicato in applicazioni così diverse e peculiari – come quelle sull’intelligenza artificiale generativa – senza uscire dal perimetro di sicurezza individuato dalle autorità.

D’altronde, la tendenza generale è molto chiaramente rivolta verso una centralizzazione del processo decisionale in materia di tecnologia e politiche digitali.

 Così come di gestione dei dati.

Nelle recenti “due sessioni” è stata annunciata l’istituzione di una nuova Commissione per la scienza e la tecnologia allo scopo di «rafforzare la leadership centralizzata e unificata del Comitato Centrale del Partito».

Il nuovo organo sarà responsabile del coordinamento delle politiche atte a perseguire l’autosufficienza tecnologica.

Contestualmente, predisposta anche una nuova agenzia governativa per la gestione dei dati:

una novità destinata ad avere un impatto anche sulle nuove applicazioni di intelligenza artificiale generativa.

Intanto, la “China Mobile Communications Association” e altre entità industriali di cui lo Stato detiene quote aziendali (come “China Mobile” e “China Unicom”) hanno formato una “Alleanza industriale Gpt”, che nelle intenzioni di Pechino costruirà «un solido ponte tra il governo, il mondo accademico e l’industria, dando vita all’intelligenza artificiale universale indipendente della Cina».

Alla fine, però, a essere universali potrebbero essere alcuni metodi di approccio alla questione.

 Non il risultato finale.

Come accaduto per internet, l’ecosistema dell’”intelligenza artificiale generativa” cinese potrebbe avere caratteristiche piuttosto diverse da quello che potrebbe svilupparsi in Occidente.

Come ha sottolineato l’esperto di mondo digitale cinese “Rogier Creemers” (Università di Leida):

 «I servizi occidentali, come” ChatGpt”, si sono concentrati sulla capacità di scrivere saggi e poesie, raccontare barzellette o rispondere a domande di carattere politico, in altre parole su argomenti importanti per la classe dei chiacchieroni», ha scritto sui” DigiChina”.

 «I servizi cinesi saranno ovviamente soggetti a censura politica. Tuttavia, questi emergono anche all’interno di un diverso panorama di politica industriale, che vede il futuro di queste tecnologie strettamente intrecciato con i prodotti e i servizi esistenti».

Qualche esempio?

“Baidu” ha annunciato partnership per il suo “Ernie” con produttori di elettrodomestici e automobili.

 Altri colossi potrebbero fare lo stesso in alcune delle aree considerate prioritarie e strategiche dal quattordicesimo piano quinquennale del Partito.

 Piuttosto che oracoli o assistenti di ricerca, le nuove applicazioni potrebbero dunque diventare strumenti più specifici e utili a scopi su misura.

 Senza uscire dall’orbita gravitazionale che gli verrà assegnata volta per volta dal nucleo centrale.

 

 

 

 

L’esperto Nello Cristianini spiega meraviglie,

debolezze e pericoli dell’Intelligenza artificiale.

“Non sappiamo se pensa

Ilfattoquotidiano.it - Michele Maestroni – (25 APRILE 2023) – ci dice:

 

L’intelligenza artificiale non è solamente telefonare casa con Siri o intrattenere ore di conversazione con “Chat Gpt”.

Nello sviluppo dell’IA ci sono gli interessi economici dei big della tecnologia, oligarchie che si contendono il controllo di tutte le informazioni.

 C’è il rischio che la formazione di nuove menti esperte non riesca a tenere il passo dell’evoluzione dei sistemi informatici.

Ci sono le tutele del Parlamento europeo confronti dei dati dei 500 milioni di utenti che vivono nell’Ue.

Il dibattito intorno alle possibilità e i rischi dell’IA è spesso si divide tra gli entusiasti al limite del fanatismo e i puristi che vorrebbero fare marcia indietro.

Ma in mezzo a questi due poli “la cosa che dovremmo fare è usare il cervello e la cultura” dice Nello Cristianini, professore del corso di Intelligenza Artificiale all’Università di Bath nel Regno Unito e autore del libro” La scorciatoia”.

 “Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano” edito da Il Mulino.

Intervistato da Ilfattoquotidiano.it, Cristianini ha spiegato perché se vogliamo convivere con l’IA è fondamentale che le nuove tecnologie vengano comprese da tutti, senza esaltarle o demonizzarle.

Nello Cristianini, partiamo dal sottotitolo del suo libro: “Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano”.

Quindi l’intelligenza artificiale non pensa come noi?

Non sappiamo nemmeno se pensa.

 L’intelligenza artificiale si comporta in modo “intelligente”: prende decisioni, pianifica e impara a perseguire i propri obiettivi.

Ma non lo fa come lo facciamo noi, che invece ragioniamo per simboli e astrazioni.

 Quando io devo consigliare un libro, cerco di capire i gusti della persona a cui devo regalarlo o i libri che ha letto in passato.

Ci ragiono.

La macchina invece analizza la cronologia degli acquisti, o l’archivio delle vendite avvenute nella stessa zona geografica, e su queste basi produce una raccomandazione.

 E lo fa senza darsi una spiegazione.

Eppure se si conversa con “ChatGpt”, “Siri” o altri sistemi sembra di aver a che fare con un essere umano.

L’illusione è molto forte perché questo tipo di software processa il linguaggio umano.

 Ed è difficile non farsi suggestionare. Ma la macchina non può comprendere il significato di quello che sta dicendo.

“Parla” bene, traduce, riassume testi.

Ma fa tutto questo senza comprenderlo.

Almeno al momento.

Il Garante per la privacy ha fatto bene a portare al blocco di “ChatGPT” in Italia?

Ho seguito la vicenda ma non spetta a me giudicare.

C’è molta concorrenza nello sviluppo della nuova tecnologia di intelligenza artificiale.

 Mi vengono in mente i soliti “big”: Google, Amazon, Microsoft, Elon Musk…

Al momento le risorse necessarie a creare questo tipo di tecnologia sono enormi. Le aziende hanno bisogno di tanti soldi, un alto numero di personale e molti macchinari.

 Di conseguenza al mondo ci sono pochi gruppi che possono fare questi investimenti.

 

Ma così non rischia di essere un gioco di potere tra oligarchie che si contendono il controllo totale delle nostre informazioni, dei nostri dati, per i loro fini commerciali?

È un problema che esiste ma che esisteva anche cinque, dieci anni fa, con i motori di ricerca e i social network.

E anche questi sono rimasti in pochi perché è un business che ha bisogno di risorse enormi per stare in piedi.

E in mezzo a questa gara dove sta l’interesse pubblico?

 L’IA non rischia di essere un progresso calato dall’alto?

Infatti è qui che il Parlamento europeo può e deve fare qualcosa.

Non deve lasciare che sia l’azienda a decidere per noi cittadini, ma fissare delle regole per l’accesso ai dati dei quasi 500 milioni di consumatori che abitano nell’Unione Europea.

 L’Ue è un bacino che fa molta gola alle grandi compagnie, che in quel caso per accedere a questo mercato sono obbligate a rispettare la legge.

 Il peso delle istituzioni va preso seriamente, i politici devono decidere quali sono le priorità e i valori che riguardano l’utilizzo dell’IA.

Come scrivo anche nel mio libro, un sistema di licenze assegnate anche in base alla trasparenza degli strumenti informatici potrebbe essere inevitabile per garantire la sicurezza degli utenti.

Ne “La scorciatoia” dice che questi sistemi sono “sovrumani”.

Ovvero che ottengono prestazioni migliori degli esseri umani con comportamenti che a volte non possiamo capire.

 Per esempio nei giochi da tavolo, quando le mosse dell’IA sembrano agli occhi degli esseri umani degli “errori”, salvo poi che è proprio grazie a una scelta a noi incomprensibile che riescono a battere l’avversario.

Questo significa che la formazione di nuove menti umane per gestire l’IA non sta andando di pari passo con la velocità di apprendimento delle macchine?

Questo è un pericolo e bisogna cercare delle soluzioni.

 È fisiologico che la formazione di un essere umano sia più lenta: occorrono decenni prima che abbia raggiunto il livello adeguato.

Una nuova generazione di GPT ci ha messo dieci mesi per nascere.

 È un gap che dobbiamo colmare con la cultura scientifica.

 Una formazione scientifica più diffusa sarebbe un’ottima idea. Però voglio aggiungere che il termine “sovrumano” significa che la macchina ha prestazioni migliori del miglior essere umano.

 Accade già in alcuni videogiochi, molto presto le macchine potrebbero ottenere risultati sovrumani nel guidare un’automobile o leggere una radiografia.

E anche nel ricordare.

E infatti tendiamo sempre più ad affidare i nostri ricordi ai dispositivi tecnologici…

Mi riferivo ai dati, ma è così:

la memoria è una capacità cognitiva, e in questo l’essere umano è inferiore alla macchina.

E non solo a quella.

Ci sono persino alcuni animali che ci battono: gli scoiattoli sono capaci di nascondere le noci in tanti posti di versi e ritrovarle dopo mesi.

 Noi siamo piuttosto mediocri in questo.

Il bisogno di immagazzinare continuamente le informazioni dentro i dispositivi informatici è cresciuto insieme alla produttività economica delle società, tant’è che oggi teniamo un computer in ogni ufficio per conservare le informazioni sui clienti e fornitori.

 Travasare alcuni dati dentro le nostre macchine non è una cosa negativa perché è utile per noi.

Secondo lei dovremmo preoccuparci di più per l’impatto ambientale dell’IA?

 I data center sfruttano enormi quantità di energia elettrica e di acqua. Ogni conversazione con “ChatGPT”, per esempio, ne consuma un litro.

È una questione su cui si discute molto in campo accademico, molto meno fuori dalle università.

 La tecnologia deve diventare sostenibile.

Ma si tratta sempre di fare una scelta: a parità di costi, se dobbiamo impiegare risorse naturali, forse sarebbe meglio farlo per creare un motore di ricerca che risponde alle domande di un medico invece che produrre bitcoin.

 I centri di calcolo dell’IA utilizzano “Gpu” e “Tpu”, due tipi di processori molto costosi.

 Come quelli che si trovano nell’”Xbox” e nella “PlayStation”.

Sono circuiti che si scaldano, consumano energia e producono calore, e serve tanta acqua per raffreddarli.

Immagini averne 8mila in una stanza.

Si potrebbe convertire il calore prodotto dai data center in energia per il riscaldamento domestico.

 E si sta lavorando su questo.

Tra i fanatici e gli apocalittici da quale parte è meglio stare?

Per accettare ogni cosa o rifiutare ogni cosa non c’è bisogno di un cervello, basta scrivere due righe di codice che rifiuta o accetta tutti gli input.

Gli esaltati che vogliono tutta la tecnologia e gli assolutisti che vogliono tornare al passato sono due estremi che non hanno bisogno di pensare.

Il lavoro che invece dovremmo fare è usare cervello, cultura e conoscenza. Rimanere nel mezzo e riflettere caso per caso.

E decidere quello che è meglio per tutti e quello che invece non lo è.

 

 

 

 

Le migliori risorse online per ottenere

il massimo dall'intelligenza artificiale.

Wired.it - DAVID NIELD – Maria Rosaria Iovinella – (25.04.2023) – ci dicono:

(Wired Usa)

 

Dai podcast ai tutorial, passando per i corsi: abbiamo selezionato gli strumenti più utili disponibili in rete per chi vuole ampliare conoscenze e competenze.

La recente ondata di servizi di intelligenza artificiale generativa, da “ChatGpt” a “Midjourney”, è progettata per essere semplice da usare:

l'idea è che chiunque possa sfruttare questi sistemi per produrre testo o immagini ricorrendo a un linguaggio naturale e non tecnico.

Tuttavia, c'è ancora molto da imparare su come ottenere il massimo da questi strumenti e sulla tecnologia su cui si poggiano, soprattutto se l'obiettivo è utilizzarli per fare qualcosa di veramente creativo.

Dedicando un po' di tempo alle risorse che vi proponiamo qui sotto, sarete in grado di padroneggiare l'Ai in modo più efficace rispetto all'utente medio.

 

Se volete investire nella rivoluzione dell'Ai generativa, i podcast, i portali e i blog segnalati in questo articolo meritano di finire tra vostri i preferiti.

 La maggior parte delle risorse che troverete di seguito sono in inglese, ma abbiamo incluso anche alcuni consigli in italiano per chi non avesse grande dimestichezza con la lingua.

Ovviamente, Wired segue da vicino tutti gli sviluppi nel mondo dell'Ai:

per rimanere sempre aggiornati, potete consultare le nostre pagine dedicate all'intelligenza artificiale, “Midjourney”, “ChatGpt”, “Google” Bard e tutti gli ultimi chatbot.

Alcune delle migliori risorse in circolazione per quanto riguarda l'Ai generativa sono su” Substack”, come il primo sito di “questo elenco.

Gestito dal tecnologo “Linus Ekenstam”, Inside My Head” presenta una serie di materiali utili sull'Ai, tra cui dei “tutorial” su come ottenere risultati ottimali da questi strumenti.

Ci sono anche notizie sugli ultimi avvenimenti nel mondo dell'intelligenza artificiale, suggerimenti su diverse applicazioni che possono tornare comode e molto altro ancora, per esempio un corso di formazione.

 Alcuni post possono essere letti gratuitamente, mentre altri richiedono un abbonamento che costa dieci dollari al mese.

 

Towards Ai.

Towards AI è il portale online per tutte le vostre esigenze legate all'intelligenza artificiale generativa: include notizie e opinioni, tutorial, un'affollata comunità online e altro ancora, con l'intelligenza artificiale e gli ultimi sviluppi a fare da filo conduttore.

Il sito si occupa di strumenti che aiutano a ottenere il massimo dall'Ai, propone interviste con ingegneri che lavorano nel campo e, naturalmente, l'immancabile newsletter a cui ci si può iscrivere. Ci sono anche storie su alcune interessanti applicazioni Ai a cui probabilmente non avevate mai pensato prima.

The Ai Podcast.

L'Ai Podcast dell'azienda tecnologica “Nvidia” viene pubblicato ogni quindici giorni e copre ogni aspetto dell'intelligenza artificiale, compreso l'impatto della tecnologia su videogiochi, scienza, sport, linguaggio, hardware e altro ancora.

Ogni settimana il podcast ospita un esponente di una diversa organizzazione del settore, ed è una risorsa coinvolgente e stimolante per ampliare le proprie conoscenze e capire in che direzione puntano queste innovazioni.

Dal momento che si tratta di una delle risorse più recenti di questa lista, non ci sono ancora molti contenuti;

 sul sito potete però già trovare un “toolkit Ai” scaricabile e una discussione sugli aspetti etici della tecnologia.

 Alcuni post hanno un paywall, che parte da 8 dollari al mese.

Gpt for Educators.

L'ascesa dell'intelligenza artificiale generativa ha sconvolto anche il mondo accademico.

Nonostante la tecnologia sia solo agli albori, già oggi “i chatbot” sono in grado di superare esami e scrivere tesi di laurea.

Per questo è fondamentale che tutti gli operatori nel settore dell'istruzione sappiano con cosa hanno a che fare.

Gpt for Educators è un corso online di 18 lezioni (per un totale di due ore e mezza di video e 19,90 dollari) che aiuta a capire come integrare l'intelligenza artificiale generativa in classe, come utilizzarla per aiutare gli studenti e quali sono le sfide e i problemi etici che pone questa tecnologia rivoluzionaria.

I corsi su “Udemy”.

Il grande portale di apprendimento online “Udemy” ha una sezione in rapida espansione dedicata all'Ai generativa.

 Questi video-corsi trattano un'ampia gamma di argomenti e hanno prezzi diversi. E anche se “Udemy” non permette di provarli gratuitamente, è possibile dare un'occhiata alle recensioni degli altri utenti e chiedere un rimborso se non siete soddisfatti.

I contenuti offerti coprono praticamente tutti i campi di applicazione dell'Ai generativa, dal marketing alla programmazione, passando per l'ecommerce.

Ci sono corsi adatti a qualsiasi livello, dagli utenti alle prime armi a chi è invece interessato ad approfondire aspetti specifici.

Occhio anche, naturalmente, alle proposte italiane.

Tra i contenuti disponibili al momento, spicca un post sul modo in cui le Ai sviluppano il loro vocabolario e un altro su come funziona il rilevamento delle immagini.

 È tutto disponibile gratuitamente, ma è possibile sostenere l'autore attraverso “Substack”.

Learn prompting.

Ci vuole una certa abilità per generare le richieste giuste da sottoporre ai sistemi di Ai generativi.

Più dettagliati e creativi sono i vostri input, tanto migliori saranno i risultati che otterrete.

Learn Prompting è un corso online gratuito e open source che vi guida passo dopo passo nell'arte della creazione delle richieste per l'Ai, con numerosi esempi.

 I livelli di difficoltà sono indicati chiaramente con i colori, in modo da poter iniziare con contenuti rivolti ai principianti prima di passare al materiale più complesso.

Mit Ai Ml Club.

“YouTube” è piena di tutorial e spiegazioni che possono aiutarvi a usare in modo più efficace l'Ai generativa.

Qui abbiamo deciso di segnalarvi un canale relativamente nuovo, che però può contare sulla reputazione di un'istituzione come il “Massachusetts Institute of Technology” (Mit).

Il canale del Mit dedicato all'Ai – “Mit Ai Ml Club” – offre già lezioni, conversazioni e dimostrazioni su come utilizzare l'intelligenza artificiale per produrre ogni tipo di contenuto, a cui nel prossimo futuro se ne aggiungeranno sicuramente degli altri.

“Intelligenza artificiale spiegata semplice”.

“Intelligenza artificiale spiegata semplice” è un podcast in italiano curato dai divulgatori Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore, che gestiscono anche un'omonima community.

 Si rivolge a imprenditori, manager e studenti che vogliono valorizzare le potenzialità della tecnologia.

Appuntamento dopo appuntamento, i temi spaziano dai segreti del marketing digitale alle lezioni apprese da manager e imprenditori sulla vicenda “ChatGpt”; e poi i segreti dei concorrenti di “Gpt-3”, l'Ai per predire le malattie, e uno sguardo rivolto al mercato.

 Il tutto con la voce di esperti e addetti ai lavori.

“Talk magic”.

Sei appuntamenti, freschissimi, quelli di “Talk Magic”, il podcast con Gianluca Maruzzella, amministratore delegato di “indigo.ai” – una startup milanese che offre servizi di Ai conversazionale – e Mario Moroni, imprenditore digitale: una vera e propria panoramica, sincopata ma densa, che parte dalle origini per approdare alle grandi questioni dei giorni nostri intorno all'intelligenza artificiale.

 

“Osservatorio Artificial Intelligence”.

Qui il taglio è più per addetti ai lavori, che però può comunque tornare utile anche a chi non è strettamente del settore e vuole farsi un'idea di dove stia andando l'intelligenza artificiale.

L'Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, patrocinato dall'Associazione italiana per l’intelligenza artificiale, offre un mix di risorse che spaziano dai report alle infografiche, dagli eventi ai contributi di professionisti e accademici, dai podcast agli approfondimenti sui temi caldi, come il salto dell'Ai generativa dai laboratori al pubblico e l'hyperautomation.

Ci si abbona per accedere ai contenuti, che sono pensati in particolare per chi vuole acquisire conoscenze solide nel settore e rimanere sempre aggiornato sullo stato dell'arte e sull'adozione italiana delle tecnologie Ai.

(Wired US).

 

 

 

Cos’è l’intelligenza artificiale (AI),

come funziona e applicazioni.

Ai4business.it – Redazione – (14-2-2023) – ci dice:

 

Che cos'è l'intelligenza artificiale: storia, i vari tipi, le applicazioni. Cos'è il machine learning e quali applicazioni trova. Il quadro di regolamentazione dell'AI in Italia e in Europa.

Deep Learning, Intelligenza Artificiale, Machine Learning.

Potremmo definire l’intelligenza artificiale come l’abilità di un sistema tecnologico di risolvere problemi o svolgere compiti e attività tipici della mente e dell’abilità umane.

Guardando al settore informatico, potremmo identificare l’AI – artificial intelligence come la disciplina che si occupa di realizzare macchine (hardware e software) in grado di “agire” autonomamente (risolvere problemi, compiere azioni, ecc.).

Cos’è l’intelligenza artificiale (AI), definizione.

L’intelligenza artificiale è una disciplina dell’informatica che si occupa di creare macchine in grado di imitare le capacità dell’intelligenza umana attraverso lo sviluppo di algoritmi che consentono di mostrare attività intelligente.

Il fermento attuale attorno a questa disciplina si spiega con la maturità tecnologica raggiunta sia nel calcolo computazionale (oggi ci sono sistemi hardware molto potenti, di ridotte dimensioni e con bassi consumi energetici), sia nella capacità di analisi in real-time ed in tempi brevi di enormi quantità di dati e di qualsiasi forma (Analytics).

Nella sua accezione puramente informatica, l’intelligenza artificiale potrebbe essere classificata come la disciplina che racchiude le teorie e le tecniche pratiche per lo sviluppo di algoritmi che consentano alle macchine (in particolare ai ‘calcolatori’) di mostrare attività intelligente, per lo meno in specifici domini e ambiti applicativi.

Già da questo primo tentativo di definizione è evidente che bisognerebbe attingere ad una classificazione formale delle funzioni sintetiche/astratte di ragionamento, meta-ragionamento e apprendimento dell’uomo per poter costruire su di essi dei modelli computazionali in grado di concretizzare tali forme di ragionamento e apprendimento (compito arduo dato che ancora oggi non si conosce a fondo il reale funzionamento del cervello umano).

Non solo, quando si parla di capacità di ragionamento e apprendimento automatico sulla base dell’osservazione spesso si incappa nell’alveo del “Cognitive Computing “che va però inteso come l’insieme delle piattaforme tecnologiche basate sulle discipline scientifiche dell’intelligenza artificiale (tra cui “Machine Learning” e “Deep Learning”) e il “Signal Processing” (la capacità di elaborare i segnali).

La storia dell’intelligenza artificiale: dalle reti neurali degli anni ’50 a oggi.

L’interesse della comunità scientifica per l’intelligenza artificiale ha inizio però da molto lontano:

il primo vero progetto di artificial intelligence (ormai nota con l’acronimo AI) risale al 1943 quando i due ricercatori Warren McCulloch e Walter Pitt proposero al mondo scientifico il primo neurone artificiale cui seguì poi nel 1949 il libro di Donald Olding Hebb, psicologo canadese, grazie al quale vennero analizzati in dettaglio i collegamenti tra i neuroni artificiali ed i modelli complessi del cervello umano.

I primi prototipi funzionanti di reti neurali [cioè modelli matematici/informatici sviluppati per riprodurre il funzionamento dei neuroni biologici per risolvere problemi di intelligenza artificiale intesa, in quegli anni, come la capacità di una macchina di compiere funzioni e fare ragionamenti come una mente umana – ndr] arrivarono poi verso la fine degli anni ’50 e l’interesse del pubblico si fece maggiore grazie al giovane Alan Turing che già nel 1950 cercava di spiegare come un computer possa comportarsi come un essere umano.

Il termine artificial intelligence in realtà parte “ufficialmente” dal matematico statunitense John McCarthy (nel 1956) e con esso il “lancio” dei primi linguaggi di programmazione (Lisp nel 1958 e Prolog nel 1973) specifici per l’AI.

Da lì in poi la storia dell’intelligenza artificiale è stata abbastanza altalenante caratterizzata da avanzate significative dal punto di vista dei modelli matematici (sempre più sofisticati modellati per “imitare” alcune funzionalità cerebrali come il riconoscimento di pattern) ma con alti e bassi dal punto di vista della ricerca sull’hardware e sulle reti neurali.

La prima grande svolta su quest’ultimo fronte è arrivata negli anni ’90 con l’ingresso sul mercato “allargato” (arrivando cioè al grande pubblico) dei processori grafici, le Gpu – graphics processing unit (chip di elaborazione dati molto più veloci delle Cpu, provenienti dal mondo del gaming ed in grado di supportare processi complessi molto più rapidamente, per altro operando a frequenze più basse e consumando meno energia rispetto alle “vecchie” Cpu).

 

L’ondata più recente è arrivata nell’ultimo decennio con lo sviluppo dei cosiddetti “chip neuromorfici”, ossia microchip che integrano elaborazione dati e storage in un unico micro componente (grazie all’accelerazione che ha avuto anche la ricerca nel campo delle nanotecnologie) per emulare le funzioni sensoriali e cognitive del cervello umano (ambito quest’ultimo dove si stanno concentrando anche molte startup).

 

Guardando un po’ alla storia passata, è alla fine degli anni ’50 che risale il primo modello di rete neurale:

si trattava del cosiddetto “percettrone”, proposto nel 1958 da Frank Rosenblatt (noto psicologo e computer scientist americano), una rete con uno strato di ingresso ed uno di uscita ed una regola di apprendimento intermedia basata sull’algoritmo ‘error back-propagation’ (minimizzazione degli errori);

la funzione matematica, in sostanza, in base alla valutazione sui dati effettivi in uscita – rispetto ad un dato ingresso – altera i pesi delle connessioni (sinapsi) provocando una differenza tra l’uscita effettiva e quella desiderata.

Alcuni esperti del settore fanno risalire proprio al percettrone di Rosenblatt la nascita della cibernetica e dell’intelligenza artificiale [Artificial Intelligence – AI: il termine in realtà fu coniato nel 1956 dal matematico statunitense John McCarthy, ed è del 1950 il primo assunto di Alan Turing nel quale spiega come un computer possa comportarsi come un essere umano – ndr], anche se negli anni immediatamente successivi i due matematici Marvin Minsky e Seymour Papert dimostrarono i limiti del modello di rete neurale di Rosenblatt:

il percettrone era in grado di riconoscere, dopo opportuno “addestramento” solo funzioni linearmente separabili (attraverso il training set – l’algoritmo di apprendimento – nello spazio vettoriale degli input, si riescono a separare quelli che richiedono un output positivo da quelli che richiedono un output negativo); inoltre, le capacità computazionali di un singolo percettrone erano limitate e le prestazioni fortemente dipendenti sia dalla scelta degli input sia dalla scelta degli algoritmi attraverso i quali ‘modificare’ le sinapsi e quindi gli output.

I due matematici Minsky e Papert intuirono che costruire una rete a più livelli di percettroni avrebbe potuto risolvere problemi più complessi ma in quegli anni la crescente complessità computazionale richiesta dall’addestramento delle reti mediante gli algoritmi non aveva ancora trovato una risposta sul piano infrastrutturale (non esistevano sistemi hardware in grado di ‘reggere’ tali operazioni).

La prima svolta importante dal punto di vista tecnologico arriva tra la fine degli anni ’70 e il decennio degli anni ’80 con lo sviluppo delle Gpu che hanno ridotto notevolmente i tempi di addestramento delle reti, abbassandoli di 10/20 volte.

Reti Neurali cosa sono.

Film intelligenza artificiale, la guida.

Parlare di casi applicativi per l’intelligenza artificiale è impossibile senza citare il mondo del cinema e la grandissima filmografia che esiste proprio intorno ai robot, all’AI, al Machine Learning.

Una cinematografia che vale la pena di studiare a fondo proprio perché spesso foriera di visioni e preziose anticipazioni del mondo e del mercato che in molti casi si sono poi concretizzate nell’arco di pochi anni.

 Nasce con questo spirito di monitoraggio e analisi la nostra “guida speciale” denominata” Film intelligenza artificiale”, costantemente aggiornata anche grazie al contributo dei lettori.

Intelligenza Artificiale Film.

Tipi di intelligenza artificiale.

Già da questo rapidissimo “viaggio storico” si intuisce che dare una definizione esatta di intelligenza artificiale è un compito arduo ma, analizzandone le evoluzioni, siamo in grado di tracciarne i contorni e quindi di fare alcune importanti classificazioni.

Intelligenza artificiale “debole e forte”: cosa sono e in cosa si distinguono.

Prendendo come base di partenza il funzionamento del cervello uomo (pur sapendo che ancora oggi non se ne comprende ancora a fondo l’esatto meccanismo), una intelligenza artificiale dovrebbe saper compiere in alcune azioni/funzioni tipiche dell’uomo:

agire umanamente (cioè in modo indistinto rispetto a un essere umano);

pensare umanamente (risolvendo un problema con funzioni cognitive);

pensare razionalmente (sfruttando cioè la logica come fa un essere umano);

agire razionalmente (avviando un processo per ottenere il miglior risultato atteso in base alle informazioni a disposizione, che è ciò che un essere umano, spesso anche inconsciamente, fa d’abitudine).

Queste considerazioni sono di assoluta importanza perché permettono di classificare l’AI in due grandi “filoni” di indagine/ricerca/sviluppo in cui per altro la comunità scientifica si è trovata concorde, quello dell’AI debole e dell’AI forte:

Debole (weak AI).

Identifica sistemi tecnologici in grado di simulare alcune funzionalità cognitive dell’uomo senza però raggiungere le reali capacità intellettuali tipiche dell’uomo (parliamo di programmi matematici di problem-solving con cui si sviluppano funzionalità per la risoluzione dei problemi o per consentire alle macchine di prendere decisioni);

Forte (strong AI).

In questo caso si parla di “sistemi sapienti” (alcuni scienziati si spingono a dire addirittura “coscienti di sé”) che possono quindi sviluppare una propria intelligenza senza emulare processi di pensiero o capacità cognitive simili all’uomo ma sviluppandone una propria in modo autonomo.

Machine Learning e Deep Learning, cosa sono.

La classificazione “AI debole” e “AI forte” sta alla base della distinzione tra “Machine Learning” e “Deep Learning”, due ambiti di studio che rientrano nella più ampia disciplina dell’intelligenza artificiale che meritano un po’ di chiarezza, dato che ne sentiremo parlare sempre più spesso nei prossimi anni.

Dopo le opportune chiarificazioni, possiamo ora spingerci a definire l’intelligenza artificiale come la capacità delle macchine di svolgere compiti e azioni tipici dell’intelligenza umana (pianificazione, comprensione del linguaggio, riconoscimento di immagini e suoni, risoluzione di problemi, riconoscimento di pattern, ecc.), distinguibile in AI debole e AI forte.

 

Ciò che caratterizza l’intelligenza artificiale da un punto di vista tecnologico e metodologico è il metodo/modello di apprendimento con cui l’intelligenza diventa abile in un compito o azione.

 Questi modelli di apprendimento sono ciò che distinguono “Machine Learning” e “Deep Learning”.

 

“Machine Learning” Cos'è.

Come funziona l’intelligenza artificiale.

Ciò che abbiamo visto finora è il funzionamento tecnologico dell’intelligenza artificiale (IA).

 Dal punto di vista delle abilità intellettuali, il funzionamento di una AI si sostanzia principalmente attraverso quattro differenti livelli funzionali:

comprensione: attraverso la simulazione di capacità cognitive di correlazione dati ed eventi l’AI (artificial intelligence) è in grado di riconoscere testi, immagini, tabelle, video, voce ed estrapolarne informazioni;

ragionamento: mediante la logica i sistemi riescono a collegare le molteplici informazioni raccolte (attraverso precisi algoritmi matematici e in modo automatizzato);

apprendimento: in questo caso parliamo di sistemi con funzionalità specifiche per l’analisi degli input di dati e per la loro “corretta” restituzione in output (è il classico esempio dei sistemi di “Machine Learning” che con tecniche di apprendimento automatico portano le AI a imparare e a svolgere varie funzioni);

interazione (Human Machine Interaction):

 in questo caso ci si riferisce alle modalità di funzionamento dell’AI in relazione alla sua interazione con l’uomo.

 È qui che stanno fortemente avanzando i sistemi di NLP – Natural Language Processing, tecnologie che consentono all’uomo di interagire con le macchine (e viceversa) sfruttando il linguaggio naturale.

Esempi di intelligenza artificiale.

Le Over The Top come Facebook, Google, Amazon, Apple e Microsoft stanno battagliando non solo per portare al proprio interno startup innovative nel campo dell’AI ma anche per avviare ed alimentare progetti di ricerca di cui già oggi vediamo alcuni frutti (come il riconoscimento delle immagini, dei volti, le applicazioni vocali, le traduzioni linguistiche, ecc.).

Oggi la maturità tecnologica ha fatto sì che l’intelligenza artificiale uscisse dall’alveo della ricerca per entrare di fatto nella vita quotidiana.

 Se come consumatori ne abbiamo importanti “assaggi” soprattutto grazie a Google e Facebook, nel mondo del business la maturità (e la disponibilità) delle soluzioni tecnologiche ha portato la potenzialità dell’AI in molti segmenti.

Questi quelli più in fermento in questo momento:

Vendite.

L’intelligenza artificiale applicata alle vendite ha già dimostrato importanti risultati, in particolare grazie all’utilizzo di sistemi esperti [applicazioni che rientrano nella branca dell’intelligenza artificiale perché riproducono le prestazioni di una persona esperta di un determinato dominio di conoscenza o campo di attività – ndr].

Le soluzioni che al loro interno integrano sistemi esperti permettono agli utenti (anche non esperti) di risolvere problemi particolarmente complessi per i quali servirebbe necessariamente l’intervento di un essere umano esperto dello specifico settore, attività o dominio di conoscenza ove si presenta il problema.

In parole semplici, sono sistemi che permettono alle persone di trovare una soluzione ad un problema anche senza richiedere l’intervento di un esperto.

Dal punto di vista tecnologico, i sistemi esperti consentono di mettere in atto, in modo automatico, delle procedure di inferenza (ossia di logica: con un processo induttivo o deduttivo si giunge ad una conclusione a seguito dell’analisi di una serie di fatti o circostanze).

In particolare i cosiddetti sistemi esperti basati su regole sfruttano i principi molto noti nell’informatica “IF-THEN” dove” If” è la condizione e” Then” l’azione (se si verifica una determinata condizione, allora avviene una certa azione).

Il perché i sistemi esperti rientrano nella branca dell’intelligenza artificiale anziché nell’alveo dei normali programmi software sta nel fatto che dati una serie di fatti, i sistemi esperti, grazie alle regole di cui sono composti, riescono a dedurre nuovi fatti.

Questi sistemi risultano particolarmente performanti e adatti ai configuratori commerciali (soluzioni utilizzate dalle Vendite in business model dove la proposta risulta particolarmente complessa per la natura stessa dei prodotti commercializzati, per le combinazioni possibili delle soluzioni, per le variabili che incidono sul risultato finale e, quindi, sulla realizzazione stessa del prodotto ed il suo prezzo).

In generale, un configuratore di prodotto deve assolvere il compito di semplificazione nella scelta di un bene da acquistare; processo non sempre immediato quando le variabili in gioco sono numerose (dimensionamento, numero elevato di componenti, utilizzo di materiali particolari, combinazione tra materie prime e materiali vari con conseguenti impatti sulle proprietà fisiche, meccaniche o chimiche, ecc.).

Quando a dover essere configurati sono prodotti che vanno calati in progetti complessi (pensiamo agli impianti manifatturieri oppure a sistemi e macchinari che devono operare in particolari condizioni climatiche o ambienti industriali “critici”), i configuratori di prodotto devono essere “esperti ed intelligenti” al punto da mettere gli utenti in condizioni di cercare, individuare, valutare e richiedere in autonomia quello che serve, senza ricorrere all’esperto tecnico.

È proprio qui che i sistemi esperti – come quelli sviluppati da” Myti” – esprimono al meglio il loro potenziale.

 intelligenza artificiale.

Declaro – Myti.

DECLARO, per esempio, è un “rule engine” (motore di regole) che permette al configuratore di prodotto di proporre all’utente non esperto le domande giuste, alle cui risposte seguono altre domande corrette.

L’accumularsi di esperienze (tra domande e risposte) non solo accelera e rende più efficace la configurazione della soluzione adatta alle proprie esigenze, ma diventa anche un sistema di knowledge base aziendale che si arricchisce in continuazione.

Nella soluzione messa a punto da “Myti” il “motore” di domande e risposte si presenta come comune interfaccia web.

 Le “regole If-Than” sono costruite a monte dall’esperto di dominio ma il sistema è poi in grado di fare delle domande a un utente non esperto e in base alle risposte – accedendo alla conoscenza dell’esperto che ha definito le regole fare altre domande che aiutano l’utente (per esempio il venditore) alla scelta e poi alla configurazione di un prodotto complesso o una articolata proposta commerciale.

Marketing.

Assistenti vocali/virtuali (chatbot, Siri di Apple, Cortana di Microsoft, Alexa di Amazon) che sfruttano l’intelligenza artificiale sia per il riconoscimento del linguaggio naturale sia per l’apprendimento e l’analisi delle abitudini e dei comportamenti degli utenti;

 analisi in real-time di grandi moli di dati per la comprensione del “sentiment” e delle esigenze delle persone per migliorare customer care, user experience, servizi di assistenza e supporto ma anche per creare e perfezionare sofisticati meccanismi di ingaggio con attività che si spingono fino alla previsione dei comportamenti di acquisto da cui derivare strategie di comunicazione e/o proposta di servizi.

L’AI nel Marketing sta mostrando da qualche anno tutta la sua massima potenza e l’area di impiego maggiore è sicuramente quella della gestione della relazione con gli utenti.

Artificial Intelligence Marketing (AIM), algoritmi per persuadere le persone.

Da diversi anni è nata una vera e propria disciplina, l’Artificial Intelligence Marketing (AIM), una branca del Marketing che sfrutta le più moderne tecnologie che rientrano nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale, come Machine Learning e Nlp – Natural Language Processing, integrate a tecniche matematiche/statistiche (come quelle delle reti bayesiane) e di Marketing comportamentale (behavioral targeting).

Si tratta, in concreto, dell’utilizzo degli algoritmi di intelligenza artificiale e Machine Learning con l’obiettivo di persuadere le persone a compiere un’azione, acquistare un prodotto o accedere ad un servizio (in altre parole, rispondere ad una “call to action”).

Aggregazione e analisi dei dati (anche quelli destrutturati e basati su linguaggio naturale) in un processo continuo di apprendimento e miglioramento per identificare di volta in volta le azioni, le strategie e le tecniche di comunicazione e vendita probabilisticamente più efficaci (quelle che hanno il potenziale più elevato di efficacia/successo per singoli target di utenti).

 È questo, in sostanza, quello che fa l’ “AIM”

Sanità.

L’AI ha avuto il pregio di migliorare molti sistemi tecnologici già in uso da persone con disabilità (per esempio i sistemi vocali sono migliorati al punto da permettere una relazione/comunicazione del tutto naturale anche a chi non è in grado di parlare) ma è sul fronte della diagnosi e cura di tumori e malattie rare che si potranno vedere le nuove capacità dell’AI.

Già oggi sono disponibili sul mercato sistemi cognitivi in grado di attingere, analizzare e apprendere da un bacino infinito di dati (pubblicazioni scientifiche, ricerca, cartelle cliniche, dati sui farmaci, ecc.) ad una velocità inimmaginabile per l’uomo, accelerando processi di diagnosi spesso molto critici per le malattie rare o suggerendo percorsi di cura ottimali in caso di tumori o malattie particolari.

Non solo, gli assistenti virtuali basati su AI iniziano a vedersi con maggiore frequenza nelle sale operatorie, a supporto del personale di accoglienza o di chi offre servizi di primo soccorso.

Cybersecurity.

La prevenzione delle frodi è una delle applicazioni più mature dove l’intelligenza artificiale si concretizza con quelli che tecnicamente vengono chiamati “advanced analytics”, analisi molto sofisticate che correlano dati, eventi, comportamenti ed abitudini per capire in anticipo eventuali attività fraudolente (come la clonazione di una carta di credito o l’esecuzione di una transazione non autorizzata);

 questi sistemi possono in realtà trovare applicazione anche all’interno di altri contesti aziendali, per esempio per la mitigazione dei rischi, la protezione delle informazioni e dei dati, la lotta al cybercrime.

Supply chain.

L’ottimizzazione e la gestione della catena di approvvigionamento e di distribuzione richiede ormai analisi sofisticate e, in questo caso, l’AI è il sistema efficace che permette di connettere e monitorare tutta la filiera e tutti gli attori coinvolti;

un caso molto significativo di applicazione dell’intelligenza artificiale al settore del Supply chain management è relativo alla gestione degli ordini (in questo caso le tecnologie che sfruttano l’intelligenza artificiale non solo mirano alla semplificazione dei processi ma anche alla totale integrazione di essi, dagli acquisti fino all’inventario, dal magazzino alle vendite fino ad arrivare addirittura all’integrazione con il marketing per la gestione preventiva delle forniture in funzione delle attività promozionali o delle campagne di comunicazione).

Sicurezza pubblica.

La capacità di analizzare grandissime quantità di dati in tempo reale e di “dedurre” attraverso correlazioni di eventi, abitudini, comportamenti, attitudini, sistemi e dati di geo-localizzazione e monitoraggio degli spostamenti di cose e persone offre un potenziale enorme per il miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia della sicurezza pubblica.

Per esempio, per la sicurezza e la prevenzione dei crimini in aeroporti, stazioni ferroviarie e città metropolitane oppure per la prevenzione e la gestione della crisi in casi di calamità naturali come terremoti e tsunami.

Intelligenza artificiale: aggiornamenti.

GPT-3, l’AI che scrive testi

Nel corso del 2020, l’azienda “OpenAI”, ha presentato il sistema GPT-3, un potente “strumento intelligente” per la produzione di testi.

Basato su tecniche di pre-training senza supervisione nello sviluppo di sistemi Natural Language Processing.

GPT-3 è un “generatore di linguaggio” ed è in grado di scrivere articoli e saggi in totale autonomia.

GPT-3 è stato preceduto da GPT-2, che era già in grado di scrivere testi in una gamma di stili diversi a seconda della frase inserita come input.

Per capire la differenza fra i due sistemi basti pensare che GPT-3 ha 175 miliardi di “parametri”, cioè i valori che la rete neurale utilizzata nel modello ottimizza durante l’addestramento), mentre GPT-2 ne ha “appena” 1,5 miliardi.

 

GPT-3: poltrone, avocado e il futuro dell’intelligenza artificiale.

GPT-3: apprendimento di modelli statistici del linguaggio, conoscenza e intelligenza naturale.

“DALL-E”, dalle parole alle immagin.i

Ancora l’azienda “OpenAI” ha rilasciato nella seconda metà del 2020 un nuovo modello di intelligenza artificiale: “DALL-E”.

 Il sistema è capace di produrre immagini da descrizioni testuali esprimibili in linguaggio naturale, sulla base di un input di testo o testo + immagine, ottenendo in uscita una immagine artificiale.

 Il nome trae origine dal pittore “Salvador Dalì” e dal robot cinematografico “WALL-E” ed è una variante del modello GPT-3.

 

Ecco “DALL-E 2”, l’AI a supporto della creatività umana – AI4Business.

 

“LaMDA” di Google e “Wav2vec-U” di Facebook.

Ai sistemi GPT di OpenAI hanno fatto seguito i modelli di linguaggio naturale LaMDA di Google e Wav2vec-U di Facebook.

LaMDA (acronimo di “Language Model for Dialogue Applications”), è basato (come BERT e GPT-3) su” tecnologia Transformer” e nasce dall’intento di Google di comprendere meglio le intenzioni degli utenti quando fanno una ricerca sul web.

 

“Wav2vec-U” è invece un metodo per creare sistemi di riconoscimento del parlato senza il bisogno di avere trascrizioni sulle quali addestrare il modello.

“Deep face”: “questa persona non esiste”.

“ThisPersonDoesNotExist.com” è un sito che, utilizzando le reti neurali, generare volti falsi, ossia del tutto inventati.

Creato da Philip Wang, autore del software di Uber, il sito utilizza un algoritmo “StyleGAN” sviluppato dalla “NVIDIA Corporatio”n, una rete neurale di tipo GAN (Generative Adversarial Network).

“Deep Nostalgia”, far rivivere il passato.

Sulla scia di “deep face”, ai primi del 2021 è apparso un nuovo sistema basato su AI chiamato “Deep Nostalgia”, opera dell’azienda My Heritage.

Si tratta di un software che “anima” foto di persone, facendole come “rivivere”.

Deep Nostalgia” utilizza una tecnica di computer vision chiamata” Face Alignmen”t, basata su deep neural networks.

“Copilot”, il software che scrive software.

Gli sviluppatori di software di “GitHub” (Microsoft) hanno sviluppato “Copilot”, un software che aiuta gli sviluppatori a gestire e archiviare i codici, ossia un programma che utilizza l’intelligenza artificiale per assistere gli stessi sviluppatori. Ad esempio, si digita una query di comando e “Copilot” indovina l’intento del programmatore, scrivendo il resto.

“Shopping” assistance robot.

Sta prendendo sempre più piede l’utilizzo dei robot nel settore delle vendite.

 Tra le loro funzioni: assistenza del cliente alla cassa, rispondere alle domande degli acquirenti circa l’ubicazione degli articoli e assisterli nella scelta. Inoltre, pulire i pavimenti e consegnare i prodotti a domicilio.

“ChatGPT”, l’AI generativa che compone testi.

Intelligenza artificiale e Agenda Digitale in Italia.

L’intelligenza artificiale è da tempo sui tavoli di lavoro dell’AgID ed è uno dei temi ampiamente dibattuti e studiati nell’ambito dell’”Agenda Digitale Italiana” per comprendere come la diffusione di nuovi strumenti e tecnologie di IA possa incidere nella costruzione di un nuovo rapporto tra Stato e cittadini e analizzare le conseguenti implicazioni sociali relative alla creazione di ulteriori possibilità di semplificazione, informazione e interazione.

Proprio seguendo questo “filone” è stata creata in Italia una “Task Forc”e, all’interno di “AgID”, i cui componenti  hanno il compito di:

studiare e analizzare le principali applicazioni relative alla creazione di nuovi servizi al cittadino, definendo le strategie di gestione delle opportunità per la Pubblica Amministrazione;

mappare a livello italiano i principali centri – universitari e non – che operano nel settore dell’intelligenza artificiale con riferimento all’applicazione operativa nei servizi al cittadino;

mappare il lavoro già avviato da alcune amministrazioni centrali e locali proponendo azioni da intraprendere per l’elaborazione di policy strategiche;

– evidenziare e studiare le implicazioni sociali legate all’introduzione delle tecnologie di intelligenza artificiale nei servizi pubblici.

AGENDA DIGITALE E APPROFONDISCI sul valore dell’Intelligenza Artificiale nell’ambito dell’Agenda digitale dell’Italia.

Lo stato dell’arte delle normative sull’intelligenza artificiale Italia.

Nell’ottobre 2020 il governo italiano ha pubblicato la bozza di Strategia nazionale per l’Intelligenza Artificiale, basata sulle proposte avanzate a luglio da un gruppo di esperti.

 Il punto principale della Strategia è la formazione.

L’ecosistema italiano dell’AI si basa su:

ricerca e trasferimento tecnologico;

produzione;

adozione.

L’Italia, inoltre, fa parte della “Global Partnership on AI” (GPAI), iniziativa internazionale che lo scopo di favorire lo sviluppo responsabile dell’intelligenza artificiale per garantire il rispetto dei diritti umani, dell’inclusione e della diversità.

Europa.

Il 21 aprile 2021 la Commissione Europea ha presentato una bozza di Regolamento sull’intelligenza artificiale, regole che saranno applicate direttamente e nello stesso modo in tutti gli Stati membri e che seguono un approccio basato sul rischio:

maggiore il rischio, maggiori le regole.

Per le aziende che non rispetteranno queste regole saranno previste multe fino al 6% del fatturato.

Proposta di regolamentazione dell’intelligenza artificiale in Europa, un approfondimento.

Il Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale e i suoi rapporti con il GDPR.

Regolamentazione dell’AI: le raccomandazioni del “Centre for Information Policy Leadership”.

 

Nel marzo 2022 la Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori del Parlamento Europeo, oltre che della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, ha pubblicato una relazione congiunta contenente delle raccomandazioni inerenti alla proposta di Regolamento sull’Intelligenza Artificiale.

 

L’ ”AI Act” fa progressi: la Ue pubblica nuove raccomandazioni – AI4Business.

Lavoro e intelligenza artificiale: presente e futuro.

Quando si parla di intelligenza artificiale non si può non toccare aspetti etici e sociali come quelli legati al lavoro e all’occupazione dato che i timori nella comunità globale crescono.

Timori giustificati se si pensa che la metà delle attività lavorative di oggi potrebbe essere automatizzata entro il 2055.

Qualsiasi tipo di lavoro è soggetto a una automazione parziale ed è partendo da questa considerazione che nel report “A Future That Works: Automation, Employment and Productivity”, realizzato da “McKinsey Global Institute – MGI” (un report di 148 pagine, disponibile sul sito del World Economic Forum di Davos di Klaus Schwab, dove è stato ufficialmente presentato nello scorso gennaio),

si stima che circa la metà dell’attuale forza lavoro possa essere impattata dall’automazione grazie alle tecnologie già note e in uso oggi.

In realtà a mettere un freno ai timori che da mesi spopolano via web e social sulla responsabilità dell’intelligenza artificiale nel “distruggere” posti di lavoro arrivano diversi studi.

 Di seguito segnaliamo quelli più significativi:

secondo lo studio di “Capgemini” intitolato “Turning AI into concrete value: the successful implementers’ toolkit” l’83% delle imprese intervistate conferma la creazione di nuove posizioni all’interno dell’azienda, inoltre, i tre quarti delle società intervistate hanno registrato un aumento delle vendite del 10% proprio in seguito all’implementazione dell’intelligenza artificiale;

un recente report di “The Boston Consulting Group” e “MIT Sloan Management Review “dimostra che la riduzione della forza lavoro è temuta solo da meno della metà dei manager (47%), convinti invece delle potenzialità (l’85% degli interpellati pensa che permetterà alle aziende di guadagnare e mantenere un vantaggio competitivo).

I rischi dell’intelligenza artificiale.

Gli economisti si interrogano da tempo su quali strumenti attivare per impedire che l’evoluzione della società verso un’economia a sempre minore intensità di lavoro – la cui evoluzione è oggi accelerata dall’intelligenza artificiale – non si traduca in un impoverimento della popolazione, situazione che richiederebbe una “redistribuire” della ricchezza considerando che la maggior parte di questa verrà prodotta dalle macchine.

Alle tematiche sociali, si affiancano questioni etiche sullo sviluppo e l’evoluzione dell’intelligenza artificiale e delle nuove tecnologie.

Ci si interroga da tempo sul “potere degli algoritmi” e dei big data, domandandosi se questi segneranno la superiorità del cervello delle macchine su quello dell’uomo.

I timori (alimentati in rete da noti personaggi di spicco come “Stephen Hawking” ed “Elon Musk”) possono apparire eccessivi ma sottovalutare gli impatti dell’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare il rischio numero uno.

A mettere in guardia dai rischi dell’intelligenza artificiale è stato, primo fra altri personaggi di spicco, il noto “Stephen Hawking”:

 «non siamo in grado di prevedere cosa riusciremo a fare quando le nostre menti saranno amplificate dall’intelligenza artificiale – ha detto il fisico durante l’ultimo Web Summit di Lisbona -.

Forse, con strumenti nuovi, riusciremo anche a rimediare a tutti i danni che stiamo provocando alla natura, e magari saremo anche in grado di trovare soluzioni definitive a povertà e malattie.

 Ma… è anche possibile che con la distruzione di milioni di posti di lavoro venga distrutta la nostra economia e la nostra società».

«L’intelligenza artificiale potrebbe essere il peggior evento della storia della nostra civiltà – è la visione drammatica dell’astrofisico -.

Porta con sé pericoli, come potenti armi automatiche, nucleari o biologiche, addirittura abilita nuovi modi per permettere a pochi individui ed organizzazioni di opprimere e controllare moltitudini di uomini (e cose).

Dobbiamo prepararci a gestirla per evitare che questi potenziali rischi prendano forma e diventino realtà».

Sorprende anche che l’ultimo monito sia venuto proprio da un imprenditore di successo come “Elon Musk”.

“L’intelligenza artificiale è il più grande rischio cui la nostra civilizzazione si trova a far fronte”, ha avvertito.

In particolare ha evidenziato i rischi di una guerra scatenata dai computer o una catastrofe occupazionale dovuta a decisioni basate soltanto sulle elaborazioni dell’intelligenza artificiale, unico vero pilastro dominante dell’economia del futuro capace di riservare alle macchine migliaia, forse milioni, di lavori oggi ancora gestiti dagli uomini.

 

 “White Paper - Application Management”: come modernizzare l’azienda grazie a un partner esperto.

Intelligenza artificiale decentralizzata: cos’è e perché può essere la risposta ai problemi etici.

La comunità scientifica internazionale sta lavorando da tempo alla cosiddetta” super intelligenza”, una intelligenza artificiale generale [la ricerca in questo campo ha come obiettivo la creazione di una AI – artificial intelligence capace di replicare completamente l’intelligenza umana; fa riferimento alla branca della ricerca dell’intelligenza artificiale forte secondo la quale è possibile per le macchine diventare sapienti o coscienti di sé, senza necessariamente mostrare processi di pensiero simili a quelli umani – ndr].

Tuttavia i rischi sono elevatissimi, soprattutto se a portare avanti la ricerca sono poche aziende in grado di dedicare ingenti risorse (economiche e di competenze) ai progetti più innovativi.

Decentralizzare l’intelligenza artificiale e fare in modo che possa essere progettata, sviluppata e controllata da una “grande rete internazionale” attraverso la “programmazione open source” è per molti ricercatori e scienziati l’approccio più sicuro per creare non solo la super intelligenza ma democratizzare l’accesso alle intelligenze artificiali, riducendo i rischi di monopolio e quindi risolvendo problemi etici e di sicurezza.

Oggi, una delle preoccupazioni maggiori in tema di intelligenza artificiale riguarda proprio l’utilizzo dei dati e la fiducia con la quale le “AI” sfruttano dati ed informazioni per giungere a determinate decisioni e/o compiere azioni specifiche.

La mente umana, specie quando si tratta di “Deep Learning” (per cui vi rimandiamo alla lettura del servizio “Cos’è il Machine Learning, come funziona e quali sono le sue applicazioni” per avere un quadro di maggior dettaglio), non è in grado di interpretare i passaggi compiuti da “una intelligenza artificiale” attraverso una “rete neurale profonda” e deve quindi “fidarsi” del risultato raggiunto da una “AI” senza capire e sapere come è giunta a tale conclusione.

In questo scenario, la “blockchain” sembra essere la risposta più rassicurante:

l’uso della “tecnologia blockchain” consente registrazioni immutabili di tutti i dati, di tutte le variabili e di tutti i processi utilizzati dalle intelligenze artificiali per arrivare alle loro conclusioni/decisioni. Ed è esattamente ciò che serve controllare in modo semplice l’intero processo decisionale dell’”AI”.

 

 

 

 

 

L’Intelligenza Artificiale cambierà

il mondo del lavoro entro il 2030.

Prepariamoci.

Ilfattoquotidiano.it - Tom's Hardware – (21 SETTEMBRE 2018)

 

L'Intelligenza Artificiale avrà creato un mercato miliardario entro il 2030, ma anche grandi cambiamenti per governi, aziende e lavoratori.

Bisogna prepararsi.

 

Entro il 2030 l’Intelligenza Artificiale avrà creato un giro d’affari da 13 trilioni di dollari (13 miliardi di miliardi).

Lo suggerisce un recente studio del “McKingsey Global Institute” (MGI), sviluppato proprio per comprendere il potenziale impatto dell’“AI” sull’economia globale.

Un generico e sostanzioso aumento del PIL globale appare senz’altro come una buona notizia, ma lo studio prende in considerazione luci e ombre di questa nascente rivoluzione.

Come aveva già suggerito lo studioso Kai-Fu Lee (tra gli altri), anche “MGI” segnala il pericolo di divari e ineguaglianze in aumento, e la necessità di affrontare l’emergenza lavorativa con la riqualificazione; lo stesso principio era stato sottolineato pochi giorni fa dal “World Economic Forum” di Klaus Schwab.

“MGI” divide le aziende in tre grandi categorie:

 i front-runner, quelle che stanno già adottando la AI e la sfrutteranno al massimo nei prossimi anni.

 I follower, che partiranno in ritardo ma riusciranno a raccogliere qualcosa.

 E i ritardatari, che si faranno sfuggire questa occasione e registreranno perdite importanti entro il 2030.

 Sostanziale anche la differenza tra chi saprà assorbire tutte e cinque le categorie di “AI” (computer vision, natural language, virtual assistants, robotic process automation, advanced machine learning) entro la data indicata, e chi invece riuscirà solo a iniziare la sperimentazione con una o due di esse.

Si tratta di differenze enormi: stando alla simulazione di “MGI”, infatti, entro il 2030 meno della metà delle grandi aziende del mondo avrà assorbito tutte e cinque le categorie di “AI”.

Questo darà ai “front-runner” un vantaggio probabilmente impossibile da recuperare per tutti i concorrenti.

 In altre parole, colossi come Google, Apple, Microsoft, Shell e così via si ritaglieranno una posizione ancora più solida, usando l’“AI” per rendere la concorrenza sostanzialmente impossibile.

La crescita non sarà lineare ma esponenziale: all’inizio potrebbe apparire relativamente lenta, per poi esplodere nell’ultima parte del periodo preso in considerazione.

La crescita registrata nel 2013 potrebbe essere superiore di tre o più volte rispetto a quella del periodo 2019-2024.

Il “McKingsey Global Institute” ha esaminato il potenziale impatto della rivoluzione “AI” da tre diversi punti di vista: sui paesi, sulle aziende e sui lavoratori.

Nel primo caso, l’istituto registra un potenziale aumento del divario tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, con i primi che potrebbero assorbire fino al 25% in più dei benefici economici.

I paesi più ricchi, si legge sul documento, “potrebbero non aver scelta se non scommettere sull’”AI” per incrementare la crescita, a fronte di un rallentamento nell’aumento del PIL e rispondendo in parte alla sfida di un’età media in aumento.

Inoltre in questi paesi le buste paga sono alte, il che significa una maggiore incentivo a sostituire il lavoro umano con le macchine rispetto ai paesi in via di sviluppo”.

Nei paesi meno ricchi e in via di sviluppo invece succede l’esatto contrario, con una minore spinta a investire sull’Intelligenza Artificiale.

“I paesi in via di sviluppo hanno altri strumenti, come adottare “best practices” o ristrutturare il settore industriale per aumentare la produttività.

 Quindi ci sono meno incentivi a spingere sull’AI”.

A lungo termine, tuttavia, queste differenze potrebbero creare una distanza incolmabile tra paesi dotati di una forte “economia AI” e altri che ne sono privi.

Simile il panorama se si guarda alle aziende: le previsioni parlano di una distanza in aumento tra i “front-runner”s (le aziende che investono già ora in AI e che completeranno per prime il processo) e tutte le altre.

 I primi arrivati potrebbero persino raddoppiare il cash-flow, mentre gli altri potrebbero dover far fronte a una riduzione anche del 20%.

Lo sguardo sui lavoratori fa eco all’analisi del World Economic Forum:

le attività ripetitive sono quelle più a rischio, con una riduzione dei posti disponibili e una stagnazione dei compensi.

In crescita invece il lavoro per quei profili che richiedono abilità sociali e cognitive, con stipendi in crescita fino al 13%.

Le conseguenze possibili includono la nascita di una vera e propria guerra per il lavoro tra le figure qualificate, il cui esito è difficile da prevedere.

All’altro estremo c’è però la maggior parte della popolazione, che non ha le competenze necessarie né avrà possibili sbocchi lavorativi – o ne avrà molti di meno.

Sommando queste due tendenze” MGI” afferma che “in generale l’adozione e l’assorbimento dell’AI potrebbe non avere un impatto significativo sul numero netto di impieghi. L’impatto potrebbe essere più limitato rispetto alle paure di molti”.

 Vale a dire che potrebbe non esserci quella emorragia di posti di lavoro che temono alcuni, ma il pericolo esiste e va affrontato.

Gli amministratori dovranno mostrare forti capacità di leadership per far fronte al comprensibile malessere tra i cittadini riguardo alla minaccia percepita verso i loro lavori, mentre l’automazione si diffonde. Anche le aziende avranno un ruolo importante nella ricerca di soluzioni all’enorme compito di formare e riformare le persone.”

Ognuno di noi in ogni caso dovrà “adattarsi al nuovo mondo “.

Un mondo dove si cambia lavoro più spesso, e dove un cambiamento può anche essere radicale: non il semplice cambiare azienda ma fare la stessa cosa, oppure passare a un’attività anche molto diversa.

Per questo sarà necessario saper “aggiornare continuamente le proprie competente per rispondere ai bisogni di un mercato del lavoro che cambia dinamicamente”.

 

 

 

“Ecco come cambierà il lavoro

con l’intelligenza artificiale.”

Sky.it - Daniele Semeraro – (06 apr. 2023) – ci dkce:

 

Intervista a “Dave Wright”, Chief Innovation Officer di “ServiceNow”, definito un “evangelist”, un pioniere e un divulgatore tecnologico nel campo della trasformazione digitale collegata al futuro dell’occupazione.

Come cambierà il mondo del lavoro grazie all’intelligenza artificiale?

Come cambierà il panorama tecnologico con la diffusione sempre più marcata dell’intelligenza artificiale e dei modelli linguistici di grandi dimensioni (come “ChatGPT”, di cui si parla sempre più).

E ancora: quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi del relazionarsi sempre di più con l’intelligenza artificiale nel lavoro, nello studio, nell’intrattenimento?

 A rispondere alle nostre domande è “Dave Wright”, Chief Innovation Officer di “ServiceNow”, multinazionale californiana che aiuta le aziende a gestire i flussi di lavoro digitali e ad aumentare e ad automatizzare la produttività.

Wright, passato qualche giorno fa per Milano, è definito un “evangelist”, un pioniere e un divulgatore tecnologico nel campo della trasformazione digitale collegata al futuro del lavoro.

Quali saranno gli impatti più tangibili dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro nei prossimi cinque anni?

 

"Se si pensa a cosa succederà nei prossimi cinque anni credo che vadano analizzati tre fattori distinti:

 l’automazione, la previsione, la personalizzazione.

Innanzitutto direi che l’intelligenza artificiale inizierà a capire il modo in cui le persone lavorano e il modo in cui alle persone piace lavorare.

 Saremo in grado di anticipare le tendenze e riusciremo a liberarci dallo svolgimento dei compiti più banali e ripetitivi, ottenendo in cambio la possibilità di poter essere forse un po’ più creativi".

A suo avviso quali sono gli aspetti positivi e quelli meno positivi dei sistemi basati sull’intelligenza artificiale come “ChatGPT”?

"Se partiamo dagli aspetti positivi metterei in luce il fatto che consente ai dipendenti di sbarazzarsi di ciò su cui in genere non vogliono lavorare, che è in grado di eliminare almeno in parte i lavori ripetitivi.

Penso sia interessante anche dal punto di vista dell’esperienza che quando si usa uno strumento come “ChatGPT”, le risposte che si ottengono danno una sensazione di maggiore naturalezza rispetto al processo ormai 'antico' di cliccare sui link che vengono presentati dai motori di ricerca.

 Al contrario, quali sono gli aspetti meno positivi?

Beh punterei tutto sulla visibilità, sul fatto che la maggior parte dell’intelligenza artificiale sia oscura, una sorta di buco nero.

Non si capisce davvero cosa accada, da dove arrivino le risposte.

E poi c’è anche il fatto che l’intelligenza si ritiene soddisfatta di dare una risposta corretta ma si ritiene altrettanto soddisfatta di dare una risposta completamente sbagliata".

Con l’uso sempre maggiore dell’intelligenza artificiale rischiamo che gli studenti si presentino sul mondo del lavoro meno competenti di prima?

"Io ho due ragazzi, uno di 16 e uno di 13 anni, e credo che inizieranno a usare l’intelligenza artificiale come strumento di studio esattamente come la generazione precedente ha usato Google:

consultare un motore di ricerca non significava che le persone diventassero immediatamente super-informate su tutto ma che avrebbero avuto un altro strumento per trovare quello che stavano cercando.

 Ecco, io penso che l’intelligenza artificiale possa in un certo modo preparare le persone per il mondo del lavoro perché questo strumento sarà sempre più utilizzato nel mondo del lavoro.

Quindi acquisire queste abilità durante la scuola non è necessariamente un male".

L’intelligenza artificiale diventa sempre più parte integrante delle nostre giornate. Ma allora come cambierà il mondo del lavoro?

"Penso che il lavoro cambierà esattamente com’è cambiato in passato.

Se guardiamo a come lavoravano le persone 200 anni fa scopriamo che il 90% di loro negli Stati Uniti lavoravano in agricoltura;

ora neanche l’1% lavora in quel settore.

Quindi semplicemente emergeranno lavori diversi.

 Ad esempio nel campo del servizio clienti, si inizia a vedere una sorta di ripartizione di come viene definito questo servizio.

Ci sono aziende che utilizzeranno le stesse persone per fornire il servizio ai propri clienti e per venire incontro allo stesso modo anche alle esigenze dei dipendenti".

C’è qualcosa che l’intelligenza artificiale non può o non riesce ancora a fare?

"Credo che l’intelligenza artificiale non sia molto brava a creare da zero.

Le si possono dare delle linee guida e costruirà qualcosa, ma quando si tratta di un’attività puramente creativa si comporta in modo pessimo.

 Non va bene neanche per tutto ciò che richiede il buon senso:

quindi se qualcosa è ovvia per un essere umano (il tono di voce, il sarcasmo), non è detto che funzionerà con l’intelligenza artificiale.

 Così come un’altra cosa che non funziona con l’intelligenza artificiale è l’adattamento, perché tende ad apprendere in base alla ripetizione".

Lei pensa che tramite l’intelligenza artificiale si possa combattere la disinformazione?

 Pensiamo solo a quanto si stanno diffondendo le fake news o i video falsi come i deepfake… Siamo a rischio?

"Credo che vedremo sempre più quest’evoluzione:

l’intelligenza artificiale usata per creare contenuti e sistemi realizzati apposta per rilevare come questi contenuti sono stati creati.

Avviene ad esempio adesso con “ZeroGPT”, utilizzato per rilevare se un testo è stato creato attraverso “ChatGPT”.

Ma in generale penso che l’intelligenza artificiale abbia le capacità di capire se un qualcosa è stato creato artificialmente.

Credo che sia davvero importante avere a disposizione questi strumenti e questa capacità di monitorare e garantire la veridicità dell’intelligenza artificiale:

 sarà essenziale che le persone li usino nel modo corretto".

 

 

 

L’intelligenza artificiale

cambierà il mondo?

Diariodiunconsulente.it - Luca Giorgetti – (20/03/2023) – ci dice:

(Passo due)

Si parla ormai da anni di intelligenza artificiale (AI), ma per molti rimane un concetto oscuro, distante e difficilmente afferrabile.

Soprattutto non apertamente fruibile, se non in maniera indiretta (e forse anche un po’ fastidiosa) attraverso i servizi assistenza di aziende tecnologiche come quelle operanti nel mercato della telefonia che ci costringono a parlare con ottuse voci elettroniche.

Quella fase è finita.

Da adesso praticamente tutti potranno accedere attivamente ai benefici dell’intelligenza artificiale e questi sono incalcolabili!

È troppo tardi per indignarsi o rimanere titubanti all’idea di farne uso.

 Pensare di poter procedere nel futuro senza “AI” è l’equivalente odierno di vivere senza internet.

Riuscireste a lavorare senza connessione, messaggistica istantanea, motori di ricerca, etc?

Personalmente, da quando ho iniziato ad utilizzare alcuni degli strumenti di cui vi parlerò, non vi è più riunione o progetto che prescinda dall’utilizzo di una qualche intelligenza artificiale.

La fine della creatività?

Vuoi scrivere un articolo per il tuo blog.

Cerchi su Google “ChatGPT”, con un click ti si apre una finestra in cui puoi domandare ciò che vuoi e l’intelligenza artificiale ti risponderà.

“Scrivimi un articolo di 800 parole, con introduzione, tre paragrafi ed una conclusione sul tema dell’“AI” e di come questa cambierà il mondo”.

Premi invio.

“ChatGPT” in un minuto ti ha scritto l’articolo.

Rimani basito: ti trovi di fronte ad un italiano corretto, con dei contenuti interessanti e che rispettano le tue richieste.

Provi ad inserire nuovamente il prompt (il comando da dare all’AI) e viene fuori un nuovo articolo, completamente diverso, altrettanto valido.

Azzardi allora nuove richieste “Inserisci più riferimenti bibliografici”, e quella che ormai la tua nuova preziosa amica lo fa fornendoti finanche delle scelte di titoli accattivanti.

 Provare per credere.

Questo era “solo” “ChatGPT”.

Ma se volessi crearmi un logo o delle immagini suggestive per arricchire il testo potrei rivolgermi a “Midjourney”.

Se, esagerando, volessi poi creare un tutorial, in cui c’è una persona in video che legge il testo in modo convincente potrei rivolgermi a “Synthesia” (sì, esatto: ti crea una persona che non esiste e che interpreta ciò che tu hai scritto).

Poi” AI” che crea app su misura a seconda della tua richiesta, che generano “slideshow”, organizzano l’agenda, editano i video, creano musica (e pure bella!) e così via.

 Tutto facilmente reperibile sul web.

E allora io che ci sto a fare se può benissimo farlo una macchina al posto mio? Quante volte nella storia dev’essere stata detta questa frase!

Per rispondere alla domanda che è a titolo di questo paragrafo: secondo me no, non è la fine della creatività.

intelligenza artificiale cambiamento nuova finestra.

Si apre invece una nuova finestra ed è bene varcarla con saggezza.

Da “content creator” a “prompter”.

Quando alla fine dell’introduzione vi ho parlato del fatto che in futuro non potremo prescindere dall’uso attivo della “AI” nella nostra realtà lavorativa, non sto parlando di un futuro lontano.

 La rivoluzione avverrà entro pochi anni!

Da cosa si capisce?

Dal fatto che i colossi di Big Data stanno entrando nel mercato uno dietro l’altro. Microsoft sta testando l’applicazione di “ChatGPT” per incorporarla in “Bing”, il suo motore di ricerca.

Google farà a breve uscire “Google Bard”, un temibile competitor forte della quantità incalcolabile di dati di cui dispone.

 Amazon farà la stessa cosa e dietro tutti gli altri.

La portata di queste mosse non è ancora afferrabile.

Ciò che è certo è che ci sarà una corsa all’utilizzo fruttuoso di questi nuovi strumenti.

 Come in tutti i grandi passaggi della storia, certi mestieri verranno sconvolti, altri decolleranno, altri ancora nasceranno dal nulla.

 Se una volta per avere la rappresentazione del proprio volto occorreva un pittore, nel tempo è diventato possibile rivolgersi anche a un fotografo.

Se una volta era imprescindibile un maniscalco per ferrare gli zoccoli dei cavalli, oggi troviamo meccanici che aggiustano automobili.

 Chi ha mandato l’uomo sulla luna compilava interminabili fogli di calcoli, oggi tutto questo è delegato a dei software.

 E così via.

Senza dubbio una competenza che sarà richiesta a chi crea dei contenuti sarà quella di diventare dei bravi “prompter”, ovvero delle persone capaci di estrapolare informazioni da quella densissima sorgente di dati che è una “AI”.

Questo cambiamento ci obbliga a domandarci:

Cosa di ciò che faccio potrà essere facilmente sostituito da una AI?

Che implica la sotto domanda: cosa so fare io meglio di qualsiasi intelligenza artificiale?

In che modo posso utilizzare queste novità all’orizzonte per rivoluzionare il mio lavoro e reinventarmi?

Etica ed intelligenza artificiale.

Il dilemma etico di fronte al quale ci troviamo è sia intimo che sociale.

Ormai sempre più persone si rivolgono all’AI per confessare i propri sentimenti, “farsi ascoltare”, ricevere consigli e rielaborare i propri sentiti interiori.

Anche gli psicologi sottopongono i propri casi all’AI e questa restituisce loro teorie e suggerimenti terapeutici.

Tutto ciò deve spingerci a chiederci:

L’intelligenza artificiale può sbagliare?

La risposta secondo gli esperti è “Sì, e pure spesso.”

Ergo, non possiamo delegarle tutto.

Ancora:

L’AI è in buona fede o restituisce risposte condizionate profondamente dai suoi sviluppatori?

 Ancora una volta la risposta è affermativa. Essa può essere condizionata.

Non è fantascienza, è attualità.

Stiamo vivendo un periodo storico in cui siamo obbligati a mettere in discussione il nostro antropocentrismo per come l’abbiamo vissuto fino d’ora.

Saremo obbligati, anche nel business, a ragionare sui concetti di Anima, Spirito e tutto ciò che ci distingue di fatto da una macchina, introducendo definitivamente idee come quella del capitale spirituale e del soul management.

E questo, a mio personale avviso, non può che essere un bene.

 

 

Chi comanderà il mondo tramite l”I.A “ ?

Google.com – Redazione – (6-2-2023) – ci dice:

 

Con la Cina e gli Stati Uniti che si sfidano per diventare la prima superpotenza dell'IA, altri Paesi come il Canada, il Giappone e la Corea del Sud hanno portato avanti in silenzio le proprie iniziative nel campo della tecnologia dell’“IA”.

 

 

 

Quali sono i Paesi che guidano

la corsa all'intelligenza artificiale?

Google.com – Redazione – (6-2-2023) – ci dice:

 

L'8 febbraio Google rivelerà la sua risposta al “ChatGPT “di “OpenAI”, uno sviluppo entusiasmante nella corsa alla creazione di tecnologie di intelligenza artificiale (AI).

 Questa notizia ha fatto scalpore tra gli osservatori tecnologici e gli investitori, dato che molti dei principali Paesi del mondo stanno cercando di essere all'avanguardia nello sviluppo dell'IA.

In seguito a un evento di emergenza, la potenza dell'IA può essere utilizzata per re immaginare il modo in cui le persone cercano informazioni e risorse critiche. Aziende come Google stanno già investendo molto nello sviluppo di tecnologie avanzate di IA, che senza dubbio rappresenteranno un grande vantaggio durante una crisi.

Dovrebbe sfruttare il modello linguistico di grandi dimensioni “LaMDA” (Language Model for Dialogue Applications) di “Alphabet”, basato sull'IA.

Google ha recentemente annunciato la sua risposta a ChatGPT di OpenAI:

 LaMDA, un modello linguistico di grandi dimensioni con circa 135 miliardi di parametri che consente alle persone di porre domande e ricevere risposte dettagliate simili a ChatGPT.

Questa tecnologia si rivelerà senza dubbio preziosa in tempi di crisi, poiché aiuta le persone ad accedere rapidamente a informazioni e risorse critiche.

Nell'ambito del suo impegno per la creazione di soluzioni “AI” avanzate, Google ha investito molto in ricerca e sviluppo negli ultimi dieci anni!

La corsa agli armamenti dell'intelligenza artificiale è ufficialmente iniziata!

Negli ultimi anni, la corsa all'intelligenza artificiale (AI) si è intensificata e i Paesi di tutto il mondo si contendono la supremazia in questo campo all'avanguardia.

 Ma chi è davvero in testa al gruppo? Ecco uno sguardo ad alcuni dei principali contendenti.

Gli Stati Uniti sono il leader indiscusso nello sviluppo dell'IA, con le principali aziende tecnologiche che hanno sede in questo paese che guidano la carica.

Gli Stati Uniti sono indiscutibilmente diventati l'hub principale per lo sviluppo dell'intelligenza artificiale, con giganti tecnologici come Google, Facebook e Microsoft all'avanguardia nella ricerca sull'IA.

Mentre la corsa al dominio dell'IA si fa sempre più competitiva in tutto il mondo, le aziende statunitensi stanno esplorando nuove opportunità per rafforzare la loro posizione nel settore attraverso acquisizioni, accordi di condivisione e progressi interni.

 Il loro obiettivo: diventare un attore importante in un settore che si prevede raggiungerà i 118 miliardi di dollari entro il 2025.

 Mentre i concorrenti in Cina e in altre parti del mondo sono intenzionati a sfidare il dominio degli Stati Uniti, le aziende statunitensi continuano a portare avanti iniziative all'avanguardia che le posizionano come leader dell'IA per gli anni a venire.

La Cina è seconda, con il governo che investe massicciamente nella ricerca e nello sviluppo dell'IA.

Mentre gli Stati Uniti sono attualmente in testa alla corsa agli armamenti dell'intelligenza artificiale, la Cina sta rapidamente diventando un secondo posto.

Il governo cinese ha infatti investito molto nella ricerca e nello sviluppo dell'IA, compiendo così passi per cercare di superare gli Stati Uniti in questa nuova corsa tecnologica.

Importanti aziende, tra cui “Alibaba”, “Baidu” e “Tencent”, sono tutte attivamente impegnate a spingere le capacità di IA della Cina verso nuovi traguardi;

 molti dei loro sforzi hanno portato a risultati rivoluzionari che hanno spinto i confini dell'IA come mai prima d'ora.

Nonostante gli investimenti e il lavoro dedicato, resta da vedere se la Cina riuscirà o meno a colmare il divario che la separa dagli Stati Uniti in termini di abilità nell'IA;

solo il tempo potrà dirlo in questo campo tecnologico in continua evoluzione.

Anche altri paesi come il Canada, il Giappone e la Corea del Sud stanno facendo passi da gigante nella tecnologia dell'IA.

Con la Cina e gli Stati Uniti che si sfidano per diventare la prima superpotenza dell'IA, altri Paesi come il Canada, il Giappone e la Corea del Sud hanno portato avanti in silenzio le proprie iniziative nel campo della tecnologia dell'IA.

Nel 2018 il Canada ha introdotto una strategia per l'IA sostenuta da 125 milioni di dollari per promuovere la ricerca e sviluppare forti talenti.

Anche il Giappone ha recentemente intensificato il proprio impegno con il piano "Society 5.0", che incorpora elementi di IA in una nuova visione dello sviluppo nazionale.

 La Corea del Sud ha promesso di diventare una potenza dell'IA attraverso la collaborazione tra il settore pubblico e quello privato, stanziando 14.000 miliardi di won allo scopo di rafforzare la competitività nazionale nel settore.

 Questi investimenti rivelano che, sebbene Cina e Stati Uniti stiano dominando i titoli dei giornali quando si tratta della corsa all'IA, ci sono molti altri concorrenti che cercano di prendere il controllo di questo settore di primo piano.

La Cina è uno dei Paesi leader nella corsa agli armamenti dell'intelligenza artificiale (AI) e investe molto per aumentare le proprie capacità di ricerca e sviluppo.

 Il governo cinese ha stanziato miliardi di dollari per sviluppare la prossima generazione di tecnologie AI, dai veicoli autonomi ai sistemi di riconoscimento facciale.

Anche grandi aziende come Alibaba, Baidu e Tencent sono coinvolte in progetti basati sull'IA e sono riuscite a superare i limiti del possibile.

Sono intenzionate a sfidare il dominio degli Stati Uniti in questo settore in espansione e, se continueranno a progredire, la Cina potrebbe diventare un serio concorrente nei prossimi anni.

L'Europa nel suo complesso è in ritardo nello sviluppo dell'intelligenza artificiale, ma singoli paesi come la Francia e la Germania stanno iniziando a recuperare il ritardo.

Nonostante l'Europa nel suo complesso sia in ritardo nello sviluppo dell'Intelligenza Artificiale (IA), singoli Paesi come Francia e Germania stanno lottando duramente per essere competitivi nella crescente corsa all'IA.

Negli ultimi anni, entrambi i Paesi hanno annunciato piani per investire miliardi di dollari nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie AI.

Essi cercano di costruire le basi per migliori opportunità nei settori dei servizi sociali, dei trasporti e in molti altri campi che si basano fortemente sull'innovazione dell'IA.

Questi investimenti contribuiranno a far avanzare l'Europa nella competizione con alcune delle sue controparti globali come la Cina e gli Stati Uniti.

 Anche se ci vorrà un po' di tempo prima che possano competere con loro in questo campo, Francia e Germania stanno sicuramente prendendo provvedimenti per assicurarsi di rimanere competitivi mentre il mondo si muove verso un futuro più orientato al digitale.

L'Europa è certamente in una posizione unica quando si tratta di offrire un'alternativa europea all'IA.

Sebbene la regione sia rimasta indietro rispetto ad altri Paesi, come la Cina e gli Stati Uniti, in termini di sviluppo, sta iniziando a fare passi da gigante con singole nazioni come la Francia e la Germania che investono pesantemente nella tecnologia AI.

Anche l'Unione Europea (UE) ha preso provvedimenti per costruire capacità di IA in tutto il continente, lanciando l'iniziativa "IA per l'Europa" nel 2019.

Questa iniziativa fornirà una piattaforma per la cooperazione e il coordinamento tra gli Stati membri quando si tratta di progressi tecnologici nell'IA.

È chiaro che tutti questi Paesi si contendono un posto ai vertici del settore dell'IA, con Cina e Stati Uniti in testa.

Tuttavia, grazie alle numerose iniziative e agli investimenti europei nello sviluppo dell'IA, stanno lentamente iniziando a lasciare il segno in questo mercato sempre più competitivo.

Resta da vedere quale sarà l'impatto di questi Paesi sul settore nei prossimi anni, ma è chiaro che l'Europa sta facendo passi avanti per diventare un forte concorrente nella corsa agli armamenti dell'IA.

In definitiva, è importante che tutti i Paesi siano coinvolti nello sviluppo della tecnologia AI per garantire che i suoi benefici siano condivisi da tutti.

Mentre la corsa agli armamenti competitivi dell'intelligenza artificiale accelera verso il futuro, è di vitale importanza che tutti i Paesi siano coinvolti per garantire che i benefici della tecnologia siano condivisi equamente da tutti.

Ciò è particolarmente importante se si considerano le potenziali implicazioni etiche, economiche e militari dell'intelligenza artificiale, nessuna delle quali dovrebbe essere esclusiva di una singola nazione o gruppo di nazioni.

 L'Intelligenza Artificiale può sbloccare enormi progressi nell'assistenza sanitaria, nella mobilità e in innumerevoli altri settori; se si permette che la tecnologia rimanga incontrollata ed esclusiva solo di alcune aree, potrebbero facilmente verificarsi importanti ramificazioni per la stabilità e l'equità globale.

 Coinvolgendo tutti nella discussione, è possibile mantenere condizioni di parità in termini di risorse disponibili, garantendo un'equa possibilità di avanzamento indipendentemente dalla posizione geografica o finanziaria.

 In definitiva, con una tecnologia così potente a nostra disposizione, è essenziale che ogni nazione sulla terra lavori insieme per plasmare un futuro collettivo in cui tutti possano prosperare.

 

La corsa globale all'intelligenza artificiale è una gara a cui tutti i Paesi dovrebbero partecipare, poiché i vantaggi di questa tecnologia sono troppo grandi per essere lasciati a poche nazioni.

Gli Stati Uniti sono attualmente in testa, con le principali aziende tecnologiche che investono massicciamente in ricerca e sviluppo.

 Tuttavia, la Cina non è lontana e anche altri Paesi come il Canada, il Giappone e la Corea del Sud stanno facendo passi da gigante.

L'Europa nel suo complesso è attualmente in ritardo, ma singoli Paesi come Francia e Germania stanno iniziando a recuperare.

In definitiva, è importante che tutti i Paesi siano coinvolti nello sviluppo della tecnologia AI per garantire che i suoi benefici siano condivisi da tutti.

 

 

 

 

UNO STUDIO SULL’ABOLIZIONE

DELL’UOMO.

Comedonchisciotte.org – REDAZIONE GREAT RESET - Cynthia Chung – (11 Aprile 2023) – ci dice: 

 

Perché il “cervello del mondo” di “H.G. Wells “e “l'uomo hackerabile” di “Yuval Harari” non avranno successo.

(Uno studio sull’abolizione dell’Uomo).

Nel 2018 Yuval Harari ha tenuto una presentazione al World Economic Forum (WEF) di Klaus Schwab intitolata “Il futuro sarà umano?”.

Nella sua presentazione, Harari sembrava confermare le nostre peggiori paure di un futuro distopico direttamente da un film di fantascienza.

 Rischiamo di annientarci se continuiamo a percorrere la strada che abbiamo già intrapreso con l’avanzare di un’era di tecnologia avanzata.

Queste crude previsioni di Harari sono state accolte quasi come se si trattasse di un profeta, le cui visioni del futuro era certo si sarebbero realizzate, ma non gli era chiaro alcun dettaglio riguardo a tale futuro, quando si sarebbe realizzato, come si sarebbe realizzato e, soprattutto, come evitare esattamente un tale destino?

Quando Harari è stato interrogato dopo la sua presentazione e in un’altra sessione di domande e risposte durante lo stesso incontro del WEF, tutto ciò che Harari ha potuto ripetere è stato il suo algoritmo per una profezia di apocalisse molto generica.

 A tutte le altre domande che riguardavano i dettagli o i meccanismi di come si sarebbe svolto un futuro distopico, Harari rispondeva che non lo sapeva.

Questo dovrebbe essere problematico per qualsiasi pensatore.

Dobbiamo cioè ascoltare Harari come se fosse uno studioso o un profeta?

Se dobbiamo considerare Harari come uno studioso, che ha sviluppato un’intuizione sugli argomenti che tratta grazie agli studi che ha fatto, allora è un problema che non riesca a discutere di questi aspetti specifici, ma li eviti completamente.

Infatti, se analizziamo gli algoritmi che Harari stesso utilizza per formulare la sua visione di un futuro distopico, li vediamo pieni di ipotesi, giudizi e conclusioni personali, mascherati da algoritmi oggettivi.

Prima di esaminare alcuni di questi algoritmi biologici di Harari, che hanno sostenuto la sua teoria secondo la quale gli esseri umani sono hackerabili, dovremmo rivedere rapidamente come un tale punto di vista matematico ed evolutivo sia stato in primo luogo accettato, all’interno del mondo accademico, per definire la natura umana e l’universo in cui viviamo.

Harari ha attinto a piene mani nel suo lavoro dalle opere di Darwin, Bertrand Russell e H.G. Wells e quindi è utile per noi rivedere come opere di questi autori hanno influenzato la nostra comprensione della natura umana e dell’universo, cioè come è stata creata una scienza moderna, per creare a sua volta una religione moderna, che a sua volta ci avrebbe promesso un’utopia moderna.

 Se tutto ciò vi sembra stravagante, vi ricordo che H.G. Wells, Russell, Aldous Huxley e lo stesso Harari hanno scritto e discusso sulla necessità di realizzare una cosa del genere.

Nella presentazione di Harari al WEF del 2020 di Klaus Schwab , il moderatore ha fatto un parallelo con 1984 di George Orwell e Brave New World di Aldous Huxley in relazione alle previsioni di Harari sul futuro.

Questo è certamente rilevante, ma non nel modo in cui potreste pensare…

Questo estratto da “Brave New World” di Huxley arriva al nocciolo della giustificazione della necessità di una” dittatura scientifica” e del modo in cui viene perpetuata.

Vale a dire, negando lo scopo, negando l’intenzione.

 Questo non riguarda solo la discussione sull’evoluzione e sulla natura umana, ma anche il funzionamento dell’universo stesso.

 

In effetti, “Aldous” è la continuazione di questa eredità per negare lo scopo nelle scienze.

 Fu suo nonno T.H. Huxley, che si autoproclamò il” bulldog di Darwin”, a spingere la teoria dell’evoluzione di Darwin a livelli tali che l’intero campo delle scienze non sarebbe più stato lo stesso e sarebbero diventate le scienze moderne.

Ciò significava che secoli e secoli di scienziati di tutto il mondo, provenienti da culture diverse, che avevano in gran parte considerato l’universo come dotato di un’intenzione e di uno scopo con un creatore, dovevano ora essere relegati nella spazzatura dell’irrilevanza.

Darwin aveva apparentemente dimostrato che l’universo era privo di scopo e che non esisteva un creatore con un disegno intelligente. Tuttavia, questo non è vero, Darwin non ha mai dimostrato una cosa del genere

La teoria dell’evoluzione di Darwin nacque dopo la lettura del “Saggio sul principio di popolazione” di Thomas Malthus, che a sua volta avrebbe coniato il termine “malthusianesimo” o “malthusianoin riferimento alle “politiche di controllo della popolazione”.

Questo punto catastrofico, come mostrato nel grafico, è calcolato come il punto in cui la popolazione umana supererà la sua capacità di carico.

 Ma cosa determina la capacità di carico?

Si noti che la “capacità di carico” è il numero calcolato di organismi che un ecosistema può reggere in modo sostenibile.

Thomas Malthus, che ha creato il modello di crescita malthusiano, non ha mai specificato un numero esatto di quando la popolazione umana avrebbe raggiunto la sua capacità di carico.

Questo perché si capiva che la capacità di carico non è qualcosa di fisso, ma può aumentare o diminuire a seconda delle innovazioni apportate dall’uomo, come l’agricoltura.

Thomas Malthus, tuttavia, fece la profezia che avremmo raggiunto la nostra capacità di carico entro il 1890, circa 100 anni dal momento in cui fece la previsione, che, inutile dirlo, era molto lontana dal vero.

Va notato che Malthus era pienamente convinto che la sua profezia fosse esatta e che l’unico modo per evitare una simile catastrofe fosse quello di frenare immediatamente la crescita della popolazione umana. Ciò includeva la negazione delle cure mediche e del cibo ai bisognosi, poiché i seguaci di Malthus ritenevano che il rinvio della loro morte avrebbe solo consumato ulteriori risorse senza alcun contributo alla società.

Suona un po’ familiare, vero?

Il motivo per cui Malthus era così lontano dal bersaglio è che un tale punto nel futuro, riguardante la capacità di carico umana, non può essere determinato da un’estrapolazione lineare, come Malthus tenta di fare nel grafico sopra riportato.

Questo perché le innovazioni umane cambiano il nostro rapporto con le risorse che utilizziamo in modo qualitativo e non solo quantitativo.

Il cambiamento qualitativo è sempre stato l’incubo dei matematici nel produrre modelli che presumibilmente prevedano le tendenze future.

Come può un modello matematico prevedere tutti i cambiamenti qualitativi che avverranno in futuro, il che significherebbe prevedere tutte le forme future di innovazione, invenzione e scoperta?

 È possibile? Per ora la risposta è no.

Come vedremo, questo sarà un tema comune nell’analisi dei modelli matematici che cercano di prevedere il futuro lontano.

 

Nel 1838, leggendo il “Saggio sul principio di popolazione” di Thomas Malthus, Darwin formulò la sua teoria dell’“evoluzione” basata sulla “selezione naturale” del più adatto, coniando il termine come analogia di quella che definì la “selezione artificiale” dell’allevamento selettivo, con riferimento in particolare alla pratica dell’allevamento dei cavalli.

Darwin vedeva una somiglianza tra gli allevatori che sceglievano i capi migliori nell’allevamento selettivo e una “Natura” malthusiana che selezionava le varianti casuali.

In altre parole, le idee di Darwin sulla “selezione naturale” e sulla “sopravvivenza del più adatto” non implicavano una direzionalità dell’evoluzione, ma si basavano piuttosto sulla selezione di varianti casuali da parte della Natura. Ma come fa una parte di un organismo a evolversi senza influenzare le altre parti di tale organismo?

Contrariamente a come ci viene fatto credere oggi il dibattito sull’evoluzione, nella prima parte dell’Ottocento la comunità scientifica era principalmente d’accordo sul fatto che i processi viventi e i loro ambienti si sono effettivamente “evoluti”.

Charles Darwin, cioè, era uno dei tanti scienziati dell’epoca che sostenevano l’evoluzione.

Non si trattava di un “one man show”. Il dibattito non era quindi se l’evoluzione si stesse effettivamente verificando, ma piuttosto come si stesse verificando.

Ancora una volta, contrariamente a come siamo incoraggiati a pensare a questa discussione oggi, c’erano molti scienziati di spicco e ben rispettati in questo campo che non pensavano che il processo di evoluzione contraddicesse l’esistenza di un creatore con un disegno intelligente.

“Georges Cuvier” (1769-1832) e “Etienne Geoffroy Saint-Hilaire “ne sono due esempi di spicco.

Il loro lavoro pionieristico sull’evoluzione è rispettato ancora oggi e ha aperto domande su ciò che dà forma al cambiamento evolutivo che non sono ancora state risolte.

Secondo Étienne Geoffroy Saint-Hilaire, esiste un “potenziale” intrinseco nell’evoluzione;

il potenziale di cambiamento è insito nell’organismo e il modellamento delle sue numerose parti avviene in modo armonico e coerente.

In altre parole, il cambiamento si muove in modo mirato, non casuale.

L’evoluzione delle ali per il volo, degli occhi per la vista, del sistema nervoso per il pensiero:

Geoffroy stava affermando che queste non erano il risultato di innumerevoli e minuscole mutazioni che si verificavano e venivano selezionate l’una dall’altra, ma che le trasformazioni avvenivano con l’intenzione stessa di creare forme di volo, vista e pensiero.

 

Rifiutando questa tesi, Darwin ha creato un paradosso all’interno della sua stessa teoria

 O il potenziale di cambiamento è insito nell’organismo, in cui molte parti sono in grado di cambiare in modo armonico/coerente, oppure non lo è.

Tuttavia, se si tratta di quest’ultimo caso, come sostiene Darwin, il cambiamento casuale di una qualsiasi parte da sola, senza riconoscimento dell’insieme, porterebbe il più delle volte alla morte dell’organismo, come si è visto negli studi sulla formazione degli embrioni, o creerebbe un’isola dei mostri del dottor Moreau (che tra l’altro è un altro romanzo del nostro antieroe H.G. Wells).

Le creazioni eleganti che vediamo nascere attraverso i processi evolutivi sarebbero una rarità estrema in un mondo di casualità come questo.

Con tutto ciò che sappiamo oggi dei dettagli incredibilmente intricati della biochimica, il coordinamento dei processi metabolici che si verificano nelle loro migliaia di “parti” dovrebbe evolversi come processi casualmente separati e, tuttavia, dovrebbe anche verificarsi simultaneamente e in combinazione con le altre parti funzionanti.

Questo renderebbe fondamentalmente impossibile il concetto di Darwin di selezione di varianti casuali all’interno di un insieme coordinato e funzionante.

L’evoluzione dell’occhio non solo è uno dei miracoli dell’evoluzione, ma presenta innumerevoli variazioni su sé stesso, tanto che non esiste un modello standard di “occhio”.

Dobbiamo quindi credere che ciò si sia verificato casualmente non solo una volta, ma migliaia di volte in ogni specie con la propria variazione distinta di ciò che è un “occhio”?

All’epoca c’era una forte opposizione a Darwin e Huxley in Europa e negli Stati Uniti.

James Dwight Dana (1813-1895), contemporaneo di T.H. Huxley, era tra i leader americani che si opponevano a questo punto di vista e sosteneva che l’evoluzione progrediva in modo direzionale, utilizzando esempi come l’osservazione che gli organismi biologici procedevano verso una maggiore “cefalizzazione”.

 In altre parole, l’evoluzione stava formando una tendenza generale verso sistemi nervosi sempre più sofisticati, in grado di rispondere e interagire con l’ambiente.

In questo modo, l’evoluzione si dirigeva verso forme di complessità maggiori con forme di funzione più sofisticate.

Tuttavia, Thomas Huxley, “il bulldog di Darwin”, si opponeva con veemenza a questa visione della direzionalità intenzionale della Natura.

Non importava che la teoria di Darwin fosse solo quella, una teoria, che ancora non riusciva a spiegare molte delle cose osservate nel processo evolutivo.

T.H. Huxley sarebbe stato vittorioso nell’elevare la teoria di Darwin a dogma accettato e nell’aggirare con successo le numerose lacune della teoria di Darwin nel rispondere a come la vita si forma ed evolve.

Nonostante queste domande rimangano tuttora senza risposta, la teoria dell’evoluzione di Darwin fu celebrata come l’annuncio di una nuova era della scienza, una scienza moderna.

Da ciò scaturirono due importanti cambiamenti, frutto dell’appassionata promozione della teoria dell’evoluzione di Darwin da parte di T.H. Huxley:

 1) la Natura, e quindi si potrebbe dire l’Universo, non era governata da uno scopo, ma piuttosto dalla casualità, e

 2) l’Uomo non era che una bestia, non più da annoverare tra i Figli di Dio, non più considerato partecipe di nulla che fosse divino o sacro.

E se l’uomo non è che una bestia, cosa gli importa delle verità superiori?

 Di che cosa ha bisogno una bestia se non delle semplici forme di comfort e di felicità, come quelle promosse da Mustapha Mond in “Brave New World”?

Vorrei aggiungere rapidamente che l’adorazione del DNA è una continuazione e un risultato della teoria dell’evoluzione di Darwin, che è il modo in cui siamo arrivati a questa idea transumanista e a come siamo passati dall’essere paragonati alle scimmie all’essere paragonati ai computer.

 

A quanto pare, ci è permesso pensare a noi stessi come a qualcosa di diverso dall’essere umano.

La scoperta della struttura molecolare del DNA fu salutata come un Santo Graal quando fu scoperta per la prima volta nel 1953 da Watson e Crick.

Tutto ciò che siamo, a quanto pare, era già contenuto nelle presunte istruzioni molecolari che avevamo dentro di noi, che non solo indicavano come dovevamo essere formati fisicamente, ma stabilivano anche il cosiddetto progetto di come le nostre personalità, i nostri temperamenti, i nostri desideri, le nostre dipendenze, le nostre depravazioni dovessero essere programmate dentro di noi.

Coloro che sostenevano questa visione fino all’estremo cominciarono a negare che esistesse il libero arbitrio e che fossimo tutti programmati fin dalla nascita e quindi predeterminati in ogni azione e risultato della nostra vita.

Come vediamo, Harari ha portato avanti questa falsa credenza nella sua tesi secondo cui gli esseri umani sono algoritmi hackerabili, di cui parlerò più avanti.

Il Progetto Genoma Umano, che si proponeva di mappare l’intero genoma umano, pensava di poter trovare i geni deterministici alla base di tratti indesiderati come la dipendenza dal gioco d’azzardo, i debiti, l’alcolismo, la mancanza di una casa, ecc.

Non dovrebbero passare inosservate le applicazioni alla sterilizzazione e all’eugenetica, con il pretesto della “medicina”.

Basti dire che a tutt’oggi non esiste alcuna prova che i geni determinino queste cose.

Il progetto ha raccolto con successo un’enorme quantità di dati, ma si tratta di dati in gran parte privi di significato (hanno relegato circa il 90% del nostro DNA come cosiddetto “DNA spazzatura”).

 Il Progetto Genoma Umano non è riuscito a raggiungere gli obiettivi prefissati, ma nel mondo accademico si continua a credere che i geni siano il codice di tutta l’esistenza.

Dawkins si spinse oltre e aggiunse il concetto del cosiddetto “gene egoista”, cioè un gene che contiene un programma per risultati specifici, risultati di cui noi come individui non siamo consapevoli e quindi incapaci di opporci.

Furono Watson e Crick a sostenere per primi l’idea che il DNA determina tutto dell’organismo.

Lo definirono il dogma centrale della biologia.

Negli ultimi 70 anni i libri di testo universitari e i finanziamenti hanno seguito indiscutibilmente questo dogma.

Crick aveva dichiarato di aver eliminato, come semplice uomo, la necessità di Dio o di qualsiasi altra intelligenza nell’universo, poiché tutto ciò che ci riguarda deriva dal nostro DNA.

Tuttavia, oggi, soprattutto nel campo dell’elettromagnetismo, questa venerazione del DNA come progetto definitivo per tutta la vita è stata messa seriamente in discussione. I

n una presentazione di 15 minuti disponibile su youtube, intitolata “Electrical Shaping of Biology”, il dottor Michael Clarage illustra alcuni dei problemi principali legati al sostegno del DNA come progetto della vita.

Un caso di studio che cita proviene da un esperimento condotto dai biologi della Tufts University.

I vermi piatti hanno la capacità di far ricrescere la testa o la coda quando vengono tagliate.

Tuttavia, in questo esperimento, gli scienziati hanno tagliato la testa di una specie di verme piatto e successivamente, modificando il campo elettromagnetico che circondava l’area decapitata, sono stati in grado di indurre la formazione di una nuova testa appartenente a una specie diversa di verme piatto.

Il campo elettromagnetico doveva essere specifico per formare una specie di testa contro un’altra.

Il DNA non è cambiato, solo il campo elettromagnetico, quindi la capacità di adottare la forma di un’altra specie non è chiaramente limitata alla cosiddetta struttura “deterministica” del DNA.

Forse questa era l’intenzione fin dall’inizio?

Siamo passati dal paragone con le scimmie al paragone con i computer, evitando chiaramente di discutere cosa significhi essere semplicemente umani.

Agli studi biologici sul darwinismo del XX secolo si affiancarono quelli matematici che sostenevano gli stessi principi darwinistici di base della natura umana e dell’universo e che il cambiamento era casuale e non intenzionale, almeno non era uno scopo che potessimo mai comprendere come semplici mortali.

All’inizio del XX secolo, l’influente Congresso Internazionale dei Matematici organizzò una conferenza a Parigi, in Francia, nel 1900.

Fu a questa conferenza che David Hilbert, matematico di spicco dell’Università di Gottinga, fu invitato a parlare del futuro della matematica, sottolineando la necessità per il campo della matematica di “dimostrare che tutti gli assiomi dell’aritmetica sono coerenti” e di “assiomatizzare quelle scienze fisiche in cui la matematica gioca un ruolo importante”.

Nella sua sfida per il futuro della matematica, Hilbert chiedeva che tutte le conoscenze scientifiche fossero riducibili alla forma della “logica” matematica;

che fossero contenute in un minimo di verità e regole di derivazione accettate, che potessero essere dimostrate da prove matematiche formali coerenti e complete.

In questo modo, tutta la conoscenza scientifica sarebbe stata in futuro dedotta da tali modelli matematici, non c’era più nulla da “scoprire” nel senso tipico di ciò che definiva le indagini scientifiche del XIX secolo e precedenti, gli scienziati dovevano solo fare riferimento al modello matematico appropriato.

Nel 1900, “Bertrand Russell” e “Alfred North Whitehead” si misero in testa di raccogliere la sfida di Hilbert, dando vita ai “Principia Mathematica”, pubblicati tredici anni dopo.

Anche se Kurt Gödel avrebbe smentito l’intera premessa dei “Principia Mathematica” con i suoi “teoremi di incompletezza”, i “Principia Mathematica” sono rimasti una delle opere più influenti del XX secolo, che non solo ha dato forma alla logica moderna, ma ha anche costituito la base per l’ultimo sviluppo della cibernetica e dell’analisi dei sistemi da parte di Norbert Wiener, allievo di Russell, durante la seconda guerra mondiale, che è stata utilizzata come sistema operativo su cui si è basato il “transumanesimo”.

In altre parole, i Principia Mathematica sostengono che tutta la conoscenza è riducibile alla logica matematica.

Nonostante sia stato smentito, è comunque considerato un pilastro della filosofia e della matematica ancora oggi ed è ciò che ha portato allo sviluppo della cibernetica.

Prima di concludere che Russell stesso non credeva personalmente che l’irrazionalità fosse una forza fondamentale dell’Universo solo perché aveva cercato di formalizzare tale Universo, vale la pena di leggere una sezione della sua visione amaramente misantropica dell’umanità presentata nel suo “Culto di un uomo libero” del 1903:

Almeno Russell non nega il risultato del cosiddetto culto dell’uomo libero, che secondo Russell è la negazione dell’esistenza di un creatore amorevole e quindi la convinzione, in ultima analisi, che l’uomo possa, debba sostituire Dio.

Come abbiamo scoperto di recente, anche l’idea della “vasta morte dell’universo, qualcosa di così quasi certo che nessuna filosofia che la rifiuti può sperare di stare in piedi” è diventata un’ipotesi che oggi ha un terreno molto instabile.

Russell era così sicuro di questa teoria del “Big Bang”, come ennesimo trionfo su coloro che sostenevano la necessità di un universo con una direzione e uno scopo e di un creatore amorevole, che era addirittura orgoglioso del suo apparente “culto dell’uomo libero”, costruito sulle “solide fondamenta di un’inflessibile disperazione”!

Tuttavia, è emerso che anche la Teoria del Big Bang è sbagliata e ora possiamo dimostrarlo.

Così, Russell appare piuttosto ridicolo nella sua versione del culto dell’uomo libero.

Sembra piuttosto che Russell abbia mangiato da un bidone della spazzatura per tutto questo tempo, quando invece c’era un banchetto abbondante accanto a lui…

Che si tratti di una visione deterministica o casuale, l’obiettivo era lo stesso: promuovere in modo disonesto una concezione dell’Universo che non avesse alcuno scopo di governo, alcuna direzionalità e alcuna moralità, che fosse essenzialmente un meccanismo, scopribile con poche e semplici leggi matematiche.

Con questa visione, il nostro legame con l’Universo diventa irrilevante: l’Universo è visto come qualcosa di freddo, inconoscibile e, in ultima analisi, morto o morente.

Questo concetto non fa che rafforzare l’idea che non c’è un vero significato per nulla, non c’è uno scopo, o almeno non è uno scopo in cui noi abbiamo un posto.

Tuttavia, come abbiamo visto finora, nessuna di queste credenze dogmatiche nelle “scienze moderne”, in altre parole:

l’unico focus sulle scienze materialiste riduzioniste, è stata dimostrata attraverso il rigore dell’indagine scientifica reale, anche se si è dato per scontato che fosse così.

In realtà, questi dogmi si sono rivelati alquanto vacillanti quando sono stati sottoposti a un onesto esame scientifico o sono stati del tutto smentiti.

Eppure, la credenza continua con il pretesto della “scienza moderna”.

Si scopre che Harari (il filosofo di Klaus Schwab) non è l’unico a basarsi più sulla profezia che sul rigore scientifico o filosofico, anzi, dopo un’analisi più attenta, “sembrerebbe che Harari sia un discendente di una scuola di pensiero che sembra essere composta principalmente da falsi profeti e aspiranti semidei” piuttosto che da ciò che potrebbe anche solo lontanamente qualificarsi come scienziato.

Infine, prima di discutere gli algoritmi di Harari, passiamo in rassegna un modello matematico che è arrivato a governare tutti i livelli di funzionamento della società.

La teoria dei giochi è considerata da molti uno strumento essenziale per modellare i comportamenti e i risultati economici, politici, sociologici e militari e viene insegnata come tale in molte università prestigiose, come qualcosa di praticamente fisso.

La teoria dei giochi, ovvero la teoria matematica dei giochi di strategia, è stata sviluppata da “John von Neumann” nel suo libro “Theory of Games and Economic Behaviour” (Teoria dei giochi e del comportamento economico), di cui fu coautore insieme a “Oskar Morgenstern”.

Il punto cruciale della teoria è che il comportamento di un individuo sarà sempre motivato a raggiungere un risultato ottimale, determinato dall’interesse personale.

John von Neuman riconosce nel suo stesso libro che l’intero funzionamento del loro modello si basa sul presupposto che siamo governati da un comportamento razionale ed egoistico, e che si sentono sicuri di questo presupposto poiché la realtà ha apparentemente confermato loro questo fatto.

Il motivo per cui i matematici si sentono sicuri nel fare tali ipotesi, come quelle di cui sono carichi gli algoritmi di Harari, è dovuto alla continua fede dogmatica nel darwinismo, per cui un’ipotesi del genere, inserita in un modello matematico influente, non ha più bisogno di essere messa in discussione.

Nel mondo della matematica è considerato un dato di fatto, ma non è un dato di fatto e quindi l’intero modello è reso un inutile strumento di previsione.

(Quindi Harari e Klaus Schwab & C. sono solo dei buffoni che stanno conducendo un gioco che porta l’umanità alla sua completa distruzione! NDR.)

È invece uno strumento molto utile per il condizionamento, per programmare il comportamento desiderato che un controllore come Mustapha Mond di “Brave New World” vorrebbe vedere nelle persone.

Nel caso della Teoria dei Giochi, non si tenta nemmeno di dimostrare che, in ultima analisi, siamo questi programmi informatici prevedibili che operano in base al risultato ottimale motivato dall’interesse egoistico.

L’intera ipotesi si basa su un presupposto e questa è quella che chiamiamo “scienza moderna”, apparentemente libera da sistemi di credenze dogmatiche!

Una tale eccessiva semplificazione della natura umana mostra l’audacia che si cela dietro i presupposti che costituiscono formulazioni come la teoria dei giochi.

Non siete altro che “un avatar virtuale” nel loro mondo sintetico, con limiti programmati a ciò che potete o non potete fare nel gioco che hanno creato per voi.

La teoria dei giochi non rappresenta le motivazioni che stanno alla base della natura umana, ma piuttosto impone tali limitazioni poiché, come loro stessi riconoscono, è più facile prevedere e controllare i comportamenti egoistici che vengono incoraggiati e premiati con “incentivi” all’interno di questi giochi.

È un sistema di schiavitù che incoraggia i suoi schiavi a lottare tra loro per gli “avanzi della tavola” e a non mettere mai in discussione la mano che trattiene, il sistema che crea una falsa scarsità e promuove l’antagonismo a partire da fattori di stress artificiali.

Ci viene insegnato (da dei Buffoni) a non mettere mai in discussione le regole che ci vengono date in questi scenari da teoria dei giochi, ma a reagire di conseguenza a ciò che ci è stato definito come un insieme limitato di opzioni in uno scenario artificiale.

L’industria dell’intrattenimento ha promosso l’idea che il meglio che possiamo fare quando ci viene detto che siamo diretti verso un futuro apocalittico è semplicemente adattarci e sopravvivere: una “sopravvivenza a tutti i costi”.

Siamo stati condizionati all’idea di una sopravvivenza a tutti i costi, cioè di una sopravvivenza del più adatto in un mondo post-apocalittico.

Abbiamo imparato a considerarla come la nostra “liberazione”, questa idea falsa e delirante che, finché si riesce a sopravvivere, vale la pena vivere.

Siamo stati condizionati a non mettere in discussione le nostre circostanze o il modo in cui siamo arrivati qui.

Siamo stati condizionati a pensare che non c’è soluzione e che l’unica cosa che possiamo fare è accettare il futuro sempre più cupo che ci viene detto essere necessario e inevitabile.

La nostra vita diventa simile a quella di un topo di laboratorio che non ha altra scelta se non quella di attenersi ai parametri del gioco in cui è stato inserito e di escogitare qualsiasi mezzo per sopravvivere.

 In questa vita, siamo stati condizionati a pensare che la libertà e la liberazione possano essere raggiunte se ci guadagniamo la medaglia d’oro in questi giochi olimpici apocalittici.

La libertà non consiste più nel mettere in discussione, resistere e sfidare l’oppressione e la schiavitù di una società, ma si concentra piuttosto sui suoi “migliori soggetti”, per così dire, sui suoi “migliori sopravvissuti” che possono meglio esercitare il tipo di comportamento che i suoi controllori vogliono vedere.

È la “sopravvivenza del più adatto” di Darwin nella sua conclusione finale.

Siamo anche onesti con noi stessi.

 Esiste una visione distopica del futuro che non sia un’immagine tratta da qualche film o romanzo di fantascienza di Hollywood?

Le immagini che abbiamo in testa su temi e argomenti importanti, compreso il futuro, ci vengono sempre più spesso fornite dall’industria dell’intrattenimento.

Si può davvero dire di essere padroni dei propri pensieri se ci si lascia governare da un immaginario così distopico?

(Questi “asini idioti” ci impongono una schiavitù perenne con l’unico fine di toglierci di mezzo ed alla svelta. N.D. R.)

Non dovrebbe quindi sorprenderci che Harari abbia dichiarato che il miglior uso per le cosiddette “persone inutili è metterle sotto farmaci e giocare ai videogiochi”.

Questo è essenzialmente ciò in cui stiamo già vivendo se si aderisce alla teoria dei giochi, alla cibernetica e al transumanesimo.

Tuttavia, non si tratta di un essere umano superiore o di un computer umanoide, ma di un essere umano che si vincola alle regole di un gioco creato artificialmente per renderlo schiavo piuttosto che alle leggi dell’universo e che si attiene ai parametri artificiali creati per lui all’interno di tale gioco, credendo che questo sia più reale della realtà stessa.

Vediamo ora alcune delle formulazioni che Harari ha fatto per promulgare la sua teoria secondo cui gli esseri umani sono hackerabili.

 

Harari tende ad usare l’orientamento sessuale e l’orientamento politico generalizzato, ridotto al tifo per una squadra, come esempi del fatto che i Controllori sanno cosa pensiamo.

 È possibile che Harari pensi che gli esseri umani siano così semplici, dal momento che lui stesso potrebbe esserlo, ma questo è un ordine inferiore di esistenza, è un’esistenza simile a quella di una bestia, in cui Harari sostiene che i Controllori di tutti i dati sapranno cosa vi eccita, vi fa paura, vi rende desiderosi e così via sulla base dei dati biometrici, ma possono conoscere i vostri pensieri più profondi?

Se pensate a voi stessi come a una mera bestia governata dai vostri sensi, allora un sistema basato semplicemente sui dati biometrici potrebbe essere in grado di prevedere il vostro comportamento futuro e di incentivare o scoraggiare determinati comportamenti, ma perché queste funzioni dovreste volontariamente ridurvi all’esistenza di una bestia che vive momento per momento, giorno per giorno.

Proprio come i falsi profeti della teoria dei giochi, il cosiddetto “umano hackerabile” di Harari è in realtà qualcuno che si è volontariamente ridotto a rientrare nei parametri di questa realtà.

 In altre parole, se ci si vede schiavi o semplici pedine dei padroni del gioco, ci si comporterà come schiavi o pedine, ma questo destino non è ineluttabile.

Questo è il gioco vecchio di secoli:

chi “controlla l’economia che governa un popolo” è in grado di creare l’illusione di una falsa scarsità e quindi di una mancanza di opportunità e di scelta in ciò che ci accade nella vita.

Il concetto di algoritmi biologici di Harari, come la teoria dei giochi, sono intesi come giustificazioni per la nostra auto-imposizione di schiavitù.

Ciò che si sostiene come onnipotenza dell’algoritmo biologico è essenzialmente la stessa cosa che si diceva del DNA e del gene egoista: non si può cambiare il proprio destino, è predeterminato, non si ha libero arbitrio.

Questo è il motivo per cui vogliono che abbiate una mentalità il più possibile semplice e che crediate di essere solo un ammasso di carne programmato per desiderare il piacere ed evitare il dolore.

Se accettate di abbassarvi a questa semplice esistenza, sarete i più facili da prevedere e controllare.

La macchina della verità utilizza molte delle stesse misure che i sensori biometrici misurano, come la pressione sanguigna, la frequenza cardiaca, il ritmo respiratorio, ecc.

Tuttavia, i risultati dei test poligrafici non sono ammissibili in tribunale, poiché non sono sufficientemente affidabili dal punto di vista scientifico per essere utilizzati quando la posta in gioco è così alta come in tribunale.

 Questo perché è ben documentato che alcune persone possono superare il test pur mentendo, mentre altre che dicono la verità possono fallire il test.

Eppure Harari sostiene (falsamente! N.D.R.) che i sensori biometrici, che misurano praticamente le stesse cose di un poligrafo, tranne il movimento degli occhi, ci diranno in qualche modo cosa succede nel nostro cervello, che lui equipara alla mente.

Se il poligrafo non è nemmeno ammissibile in un tribunale, perché dovremmo credere alle crude previsioni di Harari per il futuro come qualcosa di possibile?

Vogliono farvi credere di avere il massimo controllo su di voi, in modo che siate sconfitti nei vostri parametri immaginari che non esistono nemmeno nella realtà.

In una prigione mentale non c’è bisogno di quattro mura per confinarvi.

Se crediamo nella nostra prigione mentale non c’è bisogno di una prigione vera e propria. Se crediamo che siano capaci di tutte queste incredibili capacità, accettiamo di aver sostanzialmente perso.

Siete stati sconfitti all’interno di un costrutto mentale che non è altro che un’illusione.

È lo strumento definitivo per il controllo assoluto, per sconfiggere qualcuno nella sua stessa mente prima che possa anche solo contemplare il pensiero di ribellarsi.

Una simile tecnica era già stata delineata nello scenario del “Panopticon” di “Jeremy Bentham”.

Il concetto consiste nel permettere a tutti i prigionieri di un istituto di essere osservati da un’unica guardia di sicurezza, senza che i detenuti sappiano se sono osservati.

Sebbene sia fisicamente impossibile per l’unica guardia osservare tutte le celle dei detenuti contemporaneamente, il fatto che i detenuti non possano sapere quando sono osservati li spinge a comportarsi come se fossero tutti osservati in ogni momento.

Sono di fatto costretti all’autoregolazione.

Nella foto sopra a destra, sì, quella è una testa mummificata tra le gambe di Jeremy Bentham, in realtà è la testa di Bentham che apparentemente ha richiesto espressamente che fosse mummificata e posta tra le sue gambe come parte del suo testamento.

Credo che da qualche anno la testa mummificata fosse riposta nella sua custodia poiché troppi spettatori erano comprensibilmente confusi e disgustati dall’esposizione.

 Sulla base di questa profezia funesta di Harari, cosa propone come soluzione all’inevitabilità, due anni dopo la sua prima presentazione al World Economic Forum di Klaus Schwab?

Una regolamentazione mondiale, naturalmente!

E chi saranno i regolatori mondiali di questa tecnologia?

Il WEF cerca di essere evasivo, ma ovviamente si tratta di loro stessi.

(Intanto il “capoccia di turno” continua tranquillo a costruire bombe atomiche nei suoi stabilimenti in Sud Africa! N.D.R.)

A quanto pare il nostro futuro è condannato solo se non riusciamo a eleggere il WEF di Klaus Schwab come supervisore del mondo…

Ora torniamo alla domanda:

Una “Scienza Moderna” genera una “Religione Moderna” che genera un’“Utopia Moderna”?

H.G. Wells fu tra i primi a discutere della necessità di una religione moderna, ora che la scienza era diventata moderna.

 La religione era considerata ancora uno strumento utile, ma ora non si sarebbe concentrata su un creatore dei cieli, ma piuttosto sull’adorazione dell’uomo come creatore, che si sarebbe assunto il compito di creare l’uomo futuro e tutta la vita vivente per tutto il futuro.

T.H. Huxley fu il mentore di H.G. Wells. E quindi Wells fu anche fortemente influenzato dal lavoro di Malthus e Darwin.

Wells scriverà nel suo libro “The Open Conspiracy”:

Il riferimento al comunismo e al socialismo da parte di Wells è meglio compreso attraverso il lavoro di Georges Sorel, che stava studiando come il socialismo e il comunismo potessero essere distorti per sostenere una prospettiva fascista o meglio nazista.

 I fascisti italiani ripresero in larga misura il lavoro di Georges Sorel ed è per questo che si definirono “nazionalsocialisti” prima che il mondo li conoscesse come fascisti italiani.

Anche H.G. Wells fu coinvolto nei circoli filofascisti britannici e Oswald Mosley sostenne pubblicamente la visione di Wells di una dittatura scientifica (per saperne di più, si veda il mio libro “L’impero su cui non tramonta mai il sole nero”).

Wells conclude nel suo “The Open Conspiracy”:

H.G. Wells, tra i suoi numerosi romanzi di fantascienza, scrisse “I primi uomini sulla Luna”, in cui proponeva quella che, secondo le sue conclusioni, era la forma più avanzata di organizzazione comunitaria, sul modello della “colonia di formiche”.

Ogni sottospecie avrebbe avuto gli attributi fisici e mentali più adatti ai suoi compiti specializzati e ristretti nel servire la comunità delle formiche.

H.G. Wells era anche ossessionato dall’idea di equiparare le dimensioni della testa all’intelligenza e così vediamo i membri più intelligenti della colonia di formiche con teste bulbose, più intelligente è la formica, più grande è la testa… “gelatine vaganti di conoscenza”.

Questo era il sogno di Wells su ciò che avrebbe potuto formare un sistema organizzativo stabile e pacifico per gli esseri umani, è ciò che ha ispirato il lavoro di Aldous Huxley nel suo “Brave New World” e la sua gerarchia biologica o sistema di caste biologiche creato in laboratorio per produrre Epsilon, Delta, Beta, Alpha, Alpha+ e i circa 13 controllori del mondo… probabilmente immaginati con teste bulbose.

L’abolizione dell’uomo.

Per chi non lo sapesse, C.S. Lewis ha scritto una risposta a “I primi uomini sulla luna” di Wells sotto forma di trilogia fantascientifica.

Lewis ha anche scritto una risposta a questa tendenza transumanista sotto forma di un saggio, intitolato “L’abolizione dell’uomo”, conclusione di una serie di tre parti (“Uomini senza petto” e “La via/il tao”).

Lewis scrive in “L’abolizione dell’uomo”:

Tutte queste alte ambizioni che nutrono, in quanto autoproclamatisi nuovi dei del mondo, non raggiungeranno il loro obiettivo, poiché stanno cercando di ottenere l’impossibile.

Non è possibile creare di nuovo le leggi dell’universo. Così, lungi dal raggiungere lo status di dio, come Icaro e le sue ali di cera, [questi tentativi] causeranno solo la loro autodistruzione.

Non lasciatevi quindi ingannare dai sedicenti maghi di oggi, i maghi di Oz, che rivendicano poteri così elevati.

 È tutto seduto su una collina di sabbia ed è solo una mera illusione di ciò che significa essere onnipotenti.

Negare che dalla civiltà sia nato qualcosa di nobile, come le meravigliose scoperte fatte in vari campi, che non solo hanno innalzato la nostra vita, ma ci hanno offerto meraviglie come la possibilità di conoscere una bellezza che può venire solo da un’istruzione superiore… Se neghiamo tutto questo, neghiamo la parte civile che è in noi, tagliamo fuori la nostra natura migliore.

Schiller parlava del selvaggio e del barbaro nelle sue “Lettere estetiche”: “L’uomo si può opporre a sé stesso in due modi: o come selvaggio, se i suoi sentimenti dominano i suoi principi, o come barbaro, se i suoi principi distruggono i suoi sentimenti”.

Se ci convinciamo di essere più nobili in quanto selvaggi o barbari, allora saremo più facilmente controllati attraverso i nostri desideri primordiali e ridotti in schiavitù.

Più la nostra natura è nobile, più siamo liberi.

Non è quindi una coincidenza che un sistema di imperio non voglia che ci identifichiamo con un concetto giusto e bello della nostra civiltà.

È la censura più diffusa ed efficace che si possa avere.

Non c’è bisogno di censurare i libri e la libertà di parola quando le persone non hanno alcun desiderio di leggerli o parlarne.

Il problema dell’uso improprio della tecnologia è quindi quale sia l’intenzione della struttura di governo per tale società.

Oggi il nostro mondo vive principalmente a vantaggio della tirannia.

Il nostro sistema finanziario, il nostro sistema educativo, la nostra cultura, la nostra riscrittura della storia o la vera e propria censura della storia, le nostre scienze sono state tutte prese in consegna.

Non si tratta quindi solo di una crisi tecnologica, ma di una crisi esistenziale.

Non risolveremo una crisi esistenziale semplicemente eliminando alcuni materiali dalla nostra vita. Dobbiamo riconnetterci al nostro io migliore e non accettare più di servire un sistema che sostiene la tirannia.

La tirannia non richiede una tecnologia avanzata per esistere. La tirannia regna sovrana ovunque ci sia un popolo che non si considera libero, forte e dignitoso.

Questa è la nostra crisi oggi.

È nell’interesse degli aspiranti Controllori che noi consideriamo la situazione senza speranza, che la consideriamo inevitabile, poiché non ci opporremo a questo futuro se siamo già mentalmente sconfitti.

Non rischieremo nulla per lottare per un futuro migliore se pensiamo che un futuro migliore non sia possibile.

Ci accontenteremo di vivere momento per momento, sperando di poter ritardare il più possibile le nubi oscure che incombono.

La nostra natura non è quella che ci è stata raccontata da coloro che hanno promosso la dottrina della scienza moderna e della religione moderna.

Siamo in realtà esseri sacri e partecipi del bene, del vero e del bello.

Ci hanno mentito e svilito, affinché fossimo più facilmente controllabili. Spetta a ogni individuo scegliere se uscire da questa realtà artificiale che è stata creata per schiavizzare la propria mente all’interno di un costrutto mentale e partecipare a ciò che significa essere veramente umani.

La nostra libertà, la nostra salvezza dal tormento spirituale della nostra crisi esistenziale può essere raggiunta semplicemente se riconosciamo la nostra vera natura, non come una natura selvaggia o barbara, ma la nostra natura migliore, la nostra natura più nobile.

Come scrisse Schiller nelle sue “Lettere estetiche”, è attraverso la Bellezza, cioè un’anima nobile, che arriviamo alla Libertà.

Uno studio sull’abolizione dell’Uomo di Cynthia Chung.

(Cynthia Chung è docente, scrittrice, co-fondatrice ed editrice della Rising Tide Foundation -Montreal, Canada).

(cynthiachung.substack.com/p/why-hg-wells-world-brain-and-yuval)

(Un’umanità nazistoide di super intelligenti che schiavizzano tutti gli altri viene invece ridimensionata e portata a più umana misura in “I nostri amici da Frolix 8” di Philip K. Dick.)

UN LEGISLATORE CON UN DOTTORATO

 IN “IA” SUI PERICOLI DELLA TECNOLOGIA.

Comedonchisciotte.org – Jay Obernolte -Joseph Lord – (24 Aprile 2023) – ci dicono: 

(CptHoo)

(Joseph Lord – The Epoch Times)

Non si tratta di robot killer, afferma Jay Obernolte.

Possiamo stare tranquilli?

Secondo il deputato americano intervistato da Joseph Lord, la tecnologia in sé non dovrebbe rappresentare un problema ma, come per le armi (che non sparano da sole), tutto dipende dalle mani in cui andrà a finire.

In questo senso, non ci dice quasi niente di nuovo, se non sfatare le leggende che “la Mecca del cinema” continua a sfornare a getto continuo.

 È sicuramente da apprezzare il fatto che, molto raramente, tra i politici si trovi qualcuno che sa di cosa parla e, a parte l’ossessione tipicamente “yankee” per il “pericolo giallo” (vedere la trave nell’occhio del vicino non significa non averne nel proprio), i termini entro cui colloca la questione Intelligenza Artificiale.

 D’altra parte, comunque, il suo non è un atteggiamento critico unidirezionale; direi anzi che parla abbastanza chiaro anche ai suoi compatrioti.

L’unico membro del Congresso ad avere una laurea avanzata in Intelligenza Artificiale invita alla cautela mentre altri legislatori e leader del settore si affrettano a regolamentare la tecnologia.

Il deputato Jay Obernolte (R-Calif.), uno di solo quattro programmatori di computer presenti nel Congresso, nonché l’unico ad avere un dottorato in Intelligenza Artificiale, sostiene che la fretta di regolamentare [questa tecnologia] è sbagliata.

Obernolte ha altresì dichiarato che le sue maggiori preoccupazioni riguardo all’intelligenza artificiale riguardano invece l’uso potenzialmente “orwelliano” di tale tecnologia da parte dello Stato.

Di recente, una coalizione di leader tecnologici come Elon Musk, proprietario di Twitter, e Tim Cook, A.D. di Apple, ha chiesto l’abbandono totale della ricerca e dello sviluppo dell’IA.

Ciò ha fatto seguito al rilascio di “ChatGPT 4”, una “chatbot” di intelligenza artificiale estremamente potente che, tra le altre cose, ha completato test come l’esame di abilitazione per avvocati al 90° percentile e ha superato il [test] SAT.

Il rilascio di “ChatGPT 4”, l’intelligenza artificiale più potente [attualmente] sul mercato, ha fatto temere che l’intelligenza artificiale stesse diventando molto più intelligente e molto più rapidamente del previsto.

 Nella loro lettera, i leader del settore tecnologico hanno chiesto di bloccare per sei mesi lo sviluppo di nuove” IA” e hanno invitato il Congresso a regolamentare la tecnologia.

Obernolte si è incontrato con “The Epoch Times” per discutere sull’”IA”, affermando che la regolamentazione è sconsiderata e si basa su un’incomprensione fondamentale della tecnologia dell’IA.

“Non sto dicendo che non dovremmo regolamentare “, ha precisato Obernolte. “Penso invece che alla fine la regolamentazione sarà necessaria “.

(Il logo di ChatGPT)

Ma ha anche aggiunto che i legislatori devono assicurarsi di “comprendere quali sono i pericoli da cui stiamo cercando di proteggere i consumatori “.

“Se non abbiamo questa comprensione, allora è impossibile creare un quadro normativo che protegga da questi pericoli, che è lo scopo principale della regolamentazione “, ha detto Obernolte.

“In questo momento, è molto chiaro che non abbiamo una buona comprensione dei pericoli “.

Altri membri del Congresso hanno chiesto un’azione tempestiva sulla questione.

“È qualcosa che ci coglierà di sorpresa e arriveremo al punto in cui saremo troppo coinvolti per apportare cambiamenti significativi prima che sia troppo tardi“, ha dichiarato a “Fox News” il deputato “Lance Gooden” (R-Texas).

Lui e altri esponenti di entrambi i partiti hanno espresso preoccupazione per la possibilità che l’IA prenda il posto di lavori precedentemente svolti dall’uomo.

Altri si preoccupano della cosiddetta “Singolarità “, un momento previsto nello sviluppo dell’IA in cui quest’ultima supererà l’intelligenza e le capacità umane.

Non è probabile che l’IA conquisti il mondo.

Obernolte ha affermato che la lettera dei leader tecnologici “è utile per richiamare l’attenzione sull’emergere dell’IA e sugli impatti che avrà sulla nostra società “.

 Ha però anche fatto notare che per i non addetti ai lavori le paure più grandi legate all’IA sono quelle dei “film di Terminator”, una serie di IA che prendono il controllo delle reti informatiche umane e distruggono il mondo in un’apocalisse nucleare.

“Il profano probabilmente pensa che il pericolo maggiore dell’IA sia un esercito di robot malvagi che si alzano per conquistare il mondo “, ha detto. “Non è questo che tiene svegli di notte i progettisti e gli sviluppatori dell’IA.

Di certo non tiene me sveglio la notte “, ha detto Obernolte.

Prima che il Congresso possa prendere in considerazione una regolamentazione, ha proseguito Obernolte, deve “definire il pericolo” nel contesto dell’IA.

“Cosa temiamo possa accadere? Dobbiamo rispondere a questa domanda per rispondere alla domanda [su come e quando regolamentare]”.

(musk_letter)

Una stampa-schermo della lettera firmata da Elon Musk ed altri che mettono in guardia dai pericoli di uno sviluppo affrettato dell’intelligenza artificiale (da The Epoch Times).

Un grande timore citato da Obernolte è lo sviluppo di “capacità emergenti” nell’IA.

Si tratta di una situazione in cui un’IA è in grado di fare qualcosa per cui non è stata inizialmente programmata.

 Ma Obernolte ha anche affermato che questo non è un problema così grave come alcuni sostengono, poiché segue tendenze simili osservate nei cervelli dei primati.

“Una delle cose che allarmano i critici dell’IA sono le cosiddette capacità emergenti “, ha spiegato Obernolte.

“La capacità di un algoritmo di fare qualcosa che non è stato addestrato a fare, che non si pensava nemmeno che sarebbe stato in grado di fare, e [che] all’improvviso [si scopre che] è in grado di farlo.

“Questo spaventa e allarma le persone “, ha continuato.

“Ma se ci pensate, non dovrebbe essere così allarmante, perché si tratta di reti neurali.

 Il nostro cervello è una rete neurale. Ed è così che funziona il nostro cervello.

 Se si considerano le dimensioni dei cervelli dei primati, si nota che, con l’aumento delle dimensioni del cervello, all’improvviso cominciano a emergere cose come il linguaggio… e stiamo scoprendo le stesse cose sull’intelligenza artificiale.

Quindi non lo trovo allarmante “.

Obernolte ha detto che la reale funzione di “ChatGPT 4” non fa che rafforzare la sua posizione.

“Se si osserva da vicino “ChatGPT 4”, questo rafforza la veridicità di ciò che sto dicendo “, ha detto Obernolte.

“L’intelligenza artificiale è tremendamente potente ed efficiente nel riconoscimento di modelli “.

“ChatGPT 4 è stato progettato per recepire una enorme quantità di linguaggio, immagini e prosa al fine di sintetizzare le risposte alle domande “, ha aggiunto.

 “Se si inquadra ciò che ha allarmato [i critici dell’IA], nel contesto di tutti i dati di cui è stata addestrata a riconoscere gli schemi, diventa molto meno allarmante “.

L’IA non può pensare o ragionare.

Un altro aspetto importante dell’IA che Obernolte ha sottolineato è la sua incapacità di superare il test di Turing o di ragionare in modo indipendente.

Questo aspetto è importante perché se l’IA non è in grado di ragionare come un essere umano e di agire in modo indipendente, non rappresenta un rischio per gli esseri umani.

Quasi tutti i timori sull’IA riguardano il fatto che l’IA diventi indipendente dall’umanità e che lavori contro gli interessi dell’umanità.

Ma finora, ha osservato Obernolte, la tecnologia non è nemmeno in grado di imitare in modo affidabile un essere umano.

Il test di Turing, proposto dal decifratore britannico della Seconda Guerra Mondiale “Alan Turing”, descrive la somiglianza di una macchina con un essere umano.

 Affinché una IA “passi” il test di Turing, gli esseri umani che le parlano via chat non devono essere in grado di capire che stanno parlando con un’IA.

Il test è stato proposto come misura del perfezionamento della tecnologia delle IA.

(Alter_3)

Un robot IA chiamato “Alter 3.

Molti considerano il test di Turing come il test più probante per misurare l’intelligenza artificiale. Ad oggi, nessuna IA è in grado di superare il test di Turing.

Obernolte ha affermato che anche se in futuro un’IA riuscisse a superare il test di Turing, ciò non significherebbe necessariamente che sia “un’entità pensante e ragionante”.

È una questione di dibattito filosofico se le IA possano mai avere motivazioni o compiere azioni indipendenti nello stesso senso degli esseri umani.

Almeno per il prossimo futuro, secondo Obernolte, non c’è motivo di preoccuparsi.

“Certamente “ChatGPT 4” non può superare il test di Turing “, ha detto Obernolte. “Potrebbe essere che ChatGPT 6 o 7 possano superare il Turing.

Può darsi che ci riescano.

 Potremmo stare seduti per un’ora, discutendo di tutto, e non essere in grado di determinare se si tratta di una persona o di un computer: questo non significa comunque che abbiamo creato un’entità pensante e ragionante “.

La regolamentazione darebbe potere ai nemici degli Stati Uniti.

Obernolte ha affermato che la chiusura della ricerca statunitense sulla tecnologia IA servirebbe solo a rafforzare i nemici dell’America.

“Nel caso più draconiano, supponiamo che domani io introduca una legge che imponga a tutti gli Stati Uniti d’America di interrompere lo sviluppo di IA che vadano oltre le capacità del” GPT 4“, ha detto Obernolte.

“Ma negli Stati Uniti ci sarebbero ancora dei “cattivi soggetti” che, vedendo un guadagno economico nel continuare a sviluppare IA avanzate, continuerebbero a farlo, violando la legge.

Ci sarebbero ancora avversari stranieri che la utilizzerebbero “.

(china_soldiers)

(Soldati del Battaglione della Guardia d’Onore dell’Esercito Popolare di Liberazione marciano fuori dalla Città Proibita, vicino a Piazza Tienanmen, il 20 maggio 2020 a Pechino, Cina.)

Quindi, secondo Obernolte, lo sviluppo dell’IA continuerebbe a verificarsi, ma solo tra gli operatori del mercato nero e gli avversari degli Stati Uniti.

“È innegabile che se interrompessimo lo sviluppo dell’IA avanzata, metteremmo il nostro Paese a maggior rischio di attacco “, ha affermato.

 “Perché quando riprenderemo, la nostra IA non sarà così avanzata come quella di chi non si è fermato. Quindi non è realistico dire: ‘Smettete tutti di fare quello che state facendo’“.

“Parliamone “, ha aggiunto. “Mi fa piacere che se ne parli “.

Usi “orwelliani.

Obernolte ha detto di non temere che l’IA diventi indipendente e distrugga l’umanità, ma bensì di essere preoccupato per gli usi “orwelliani” che la tecnologia potrebbe avere.

“Mi preoccupano altri pericoli molto reali che, a loro modo, sono altrettanto conseguenti e pericolosi della conquista del mondo da parte dei robot, ma in modi diversi “, ha detto Obernolte.

Per esempio, ha citato “la straordinaria capacità dell’intelligenza artificiale di penetrare nella privacy digitale personale “.

Il risultato, ha detto, potrebbe essere quello di aiutare le entità governative o aziendali a prevedere e controllare il comportamento.

 

Obernolte ha osservato come l’IA potrebbe mettere insieme dati precedentemente disaggregati “e usarli per formare modelli comportamentali che fanno previsioni spaventosamente accurate sul futuro comportamento umano. E, tra l’altro, dare alle persone indizi su come influenzare il futuro comportamento umano “.

“È già stato fatto “, ha aggiunto, indicando le aziende di social media il cui modello di business ruota attorno alla raccolta e alla vendita di dati personali.

A livello aziendale, Obernolte ha detto che questo potrebbe significare che pochi grandi operatori potrebbero avere un “monopolio” sui dati con barriere all’ingresso effettivamente insormontabili.

E teme anche che gli effetti potrebbero essere ben peggiori se uno Stato entrasse in possesso della tecnologia.

“Mi preoccupa il modo in cui l’IA può consentire a uno Stato nazionale di creare, essenzialmente, uno Stato di sorveglianza, come sta facendo la Cina “, ha detto Obernolte.

“Hanno creato essenzialmente il più grande stato di sorveglianza del mondo.

 Usano queste informazioni per fare dei punteggi predittivi sulla fedeltà delle persone al governo.

E le usano come punteggi di fedeltà per assegnare privilegi.

 È piuttosto orwelliano”.

“Quindi questo è un modo dirompente in cui il governo può usarle “, ha aggiunto. “E, come abbiamo imparato per nostra sfortuna nella storia del nostro Paese, dobbiamo mettere delle barriere di sicurezza intorno al governo e all’industria “.

(Joseph Lord)

(theepochtimes.com/exclusive-lawmaker-with-phd-in-ai-warns-about-technologys-real-danger-its-not-killer-robots_5212304.html)

 (Joseph Lord è giornalista di notizie politiche, analisi delle legislazioni in corso, delle elezioni statali e nazionali e delle politiche federali. Particolarmente interessato alle dinamiche di potere tra democratici progressisti e moderati alla Camera e al Senato, le leggi elettorali e di voto federali e le prossime battaglie elettorali.)

 

 

 

Bloccare il futuro con le mani è inutile.

It.linkedin.com - Andrea Cinelli – (1 apr. 2023) – ci dice:

(Ceo & Founder FoolFarm Spa)

 

Il futuro non può essere bloccato. Può essere guidato ma mai bloccato.

Dovremmo averlo imparato abbondantemente nella storia dell'uomo.

Non avrei mai pensato di vedere qualcosa come” ChatGPT” nella mia vita.

È un vaso di Pandora, vero, ma anche una rivoluzione al pari e superiore all'energia elettrica e al “World Wide Web” (WWW).

Vorrei esplorare qui la rivoluzione portata avanti da “ChatGPT”, la sua importanza nel contesto storico e le sfide che pone al progresso della società.

La rivoluzione di “ChatGPT”.

“ChatGPT” è un'innovazione basata sull'intelligenza artificiale, capace di comprendere e generare linguaggio umano con una naturalezza senza precedenti.

Questa tecnologia ha aperto nuove frontiere in vari settori, come l'istruzione, la medicina, il giornalismo e l'assistenza clienti.

Analogamente alle rivoluzioni portate dall'energia elettrica e dal” WWW”, “ChatGPT” ha il potenziale di cambiare radicalmente il modo in cui viviamo e interagiamo con il mondo.

Il potere del cambiamento.

La storia dell'umanità è costellata di rivoluzioni tecnologiche che hanno trasformato il corso della civiltà.

Ogni innovazione, come l'energia nucleare, è neutra e può essere pericolosa o benefica a secondo dell'utilizzo che ne fa l'uomo.

Dall'invenzione della ruota a quella della stampa, passando per l'energia elettrica e il “WWW”, ogni progresso ha aperto nuove opportunità e sfide.

“ChatGPT” rappresenta una tappa fondamentale in questo percorso di continua evoluzione e innovazione.

Il futuro è inarrestabile.

Cercare di bloccare o limitare l'accesso a “ChatGPT” significa ignorare la lezione della storia: il futuro non può essere bloccato, ma può essere guidato.

 L'umanità ha sempre trovato il modo di adattarsi e sfruttare le nuove tecnologie per migliorare la qualità della vita.

Invece di temere il progresso, dovremmo concentrarci su come utilizzare al meglio “ChatGPT” per il bene comune.

Le sfide di “ChatGPT”.

Sebbene “ChatGPT “offra enormi potenzialità, è innegabile che porta con sé anche nuove sfide.

 La questione dell'etica e della responsabilità nell'utilizzo dell'intelligenza artificiale è fondamentale per garantire che queste tecnologie siano impiegate in modo sostenibile e benefico per la società.

Inoltre, la crescente dipendenza dalle macchine e dall'automazione potrebbe avere ripercussioni sul mercato del lavoro e sulla privacy dei cittadini.

 

Guidare il futuro.

Come italiani dobbiamo non bloccare ma guidare il futuro.

Per affrontare le sfide poste da “ChatGPT”, è essenziale che governi, istituzioni, aziende e cittadini lavorino insieme per creare un quadro normativo e sociale adeguato.

Ciò include l'elaborazione di linee guida etiche e regolamentazioni specifiche per l'uso responsabile dell'intelligenza artificiale e il monitoraggio.

In un'epoca in cui la tecnologia e l'intelligenza artificiale (IA) svolgono un ruolo sempre più centrale nella vita quotidiana, la recente decisione di chiudere “ChatGPT” suscita a mio avviso perplessità e preoccupazioni, come cittadino.

Questo provvedimento sembra andare contro le tendenze globali e mette in discussione la capacità del nostro Paese di rimanere al passo con gli sviluppi nel campo dell'IA.

È come se stessimo bloccando il futuro con le sole mani. Vi sembra possibile?

A tal scopo provo ad esplorare le ragioni per cui la chiusura di “ChatGPT” in Italia è assurda e fuori dal tempo, analizzando i benefici che questa tecnologia offre e le conseguenze negative che potrebbero derivarne.

Una rivoluzione dell'intelligenza artificiale.

ChatGPT è un modello di linguaggio basato sull'architettura “GPT-4” di “OpenAI”.

Questa tecnologia, grazie alla sua capacità di comprendere e generare testi in modo naturale, ha rivoluzionato il modo in cui interagiamo con le macchine.

“ChatGPT” ha trovato applicazioni in numerosi settori, tra cui l'istruzione, la medicina, il giornalismo e l'assistenza clienti.

 Privare l'Italia di questa tecnologia significa allontanarla dal progresso e dal potenziale offerto dall'intelligenza artificiale.

Benefici di ChatGPT per l'Italia.

 L'adozione di ChatGPT potrebbe portare numerosi vantaggi all'Italia, tra cui:

Miglioramento dell'efficienza:

ChatGPT ha permesso di automatizzare processi e risolvere problemi in tempi più rapidi, migliorando la produttività delle aziende e dei lavoratori.

Innovazione nell'istruzione:

l'IA ha rivoluzionato il settore dell'istruzione, fornendo strumenti di apprendimento personalizzati e interattivi che supportano gli studenti nel loro percorso formativo.

Assistenza sanitaria avanzata:

ChatGPT è stato utilizzato per supportare la diagnosi e il trattamento di patologie, oltre a fornire informazioni mediche aggiornate ai professionisti del settore.

Accesso a nuovi mercati:

la padronanza di ChatGPT ha permesso alle aziende italiane di espandere la loro presenza a livello internazionale, migliorando la loro competitività.

... sky is the limit!

3. Le conseguenze della chiusura di ChatGPT in Italia.

 La decisione di chiudere ChatGPT in Italia avrà ripercussioni negative su vari aspetti della società:

Perdita di competitività: l'Italia rischia di essere superata da altri Paesi che continuano a investire nell'intelligenza artificiale e nelle sue applicazioni.

Difficoltà nel reclutamento di talenti: molti esperti nel campo dell'IA potrebbero decidere di trasferirsi all'estero, privando l'Italia di risorse umane preziose.

Frenata all'innovazione: senza ChatGPT, l'Italia potrebbe perdere l'opportunità di sviluppare nuovi prodotti e servizi basati sull'intelligenza artificiale, limitando la crescita e l'innovazione nel Paese.

Impatto negativo sull'istruzione e la ricerca: la chiusura di ChatGPT potrebbe ostacolare lo sviluppo di nuove metodologie didattiche e la realizzazione di progetti di ricerca nel campo dell'IA.

Divario digitale: la mancanza di accesso a tecnologie come ChatGPT potrebbe aumentare il divario digitale tra l'Italia e i Paesi più avanzati in termini di IA, con conseguenze negative per l'economia e la società nel suo complesso.

Perdita di accesso ai capitali e di investimenti anche per le nostre Startup. Fenomeno a cui stiamo già assistendo.

A mio giudizio la chiusura di ChatGPT: una scelta miope e fuori dal tempo.

La decisione di chiudere ChatGPT in Italia rappresenta un passo indietro nel campo dell'innovazione tecnologica.

 Invece di cogliere le opportunità offerte dall'intelligenza artificiale, l'Italia si chiude in una visione conservatrice e obsoleta, ignorando le tendenze globali e i vantaggi che queste tecnologie possono offrire.

È fondamentale comprendere che l'IA, se utilizzata in modo etico e responsabile, può contribuire in modo significativo alla crescita e al progresso di un Paese.

Limitare l'accesso a ChatGPT significa negare agli italiani l'opportunità di sperimentare e beneficiare delle ultime innovazioni nel campo dell'intelligenza artificiale.

La chiusura di ChatGPT in Italia è una decisione assurda e fuori dal tempo, che rischia di isolare il nostro Paese dall'evoluzione tecnologica globale e di limitare la crescita e l'innovazione in numerosi settori.

È fondamentale che le istituzioni italiane riconsiderino questa decisione e lavorino per promuovere l'adozione responsabile e sostenibile dell'intelligenza artificiale, affinché l'Italia possa continuare a competere a livello internazionale e trarre beneficio dai progressi in questo campo.

In un mondo sempre più interconnesso e digitalizzato, è essenziale rimanere al passo con le innovazioni e gli sviluppi tecnologici.

La chiusura di ChatGPT rappresenta un passo indietro per l'Italia e una scelta miope che avrà ripercussioni negative sulla società nel suo complesso.

È giunto il momento di invertire la rotta e lavorare insieme in Italia per garantire un futuro migliore, sostenuto dall'intelligenza artificiale e dalle sue enormi potenzialità.

Apriamo le porte al futuro e non chiudiamoci in una roccaforte fuori dal tempo.

La necessità di un approccio equilibrato e sostenibile.

Invece di chiudere completamente ChatGPT in Italia, sarebbe più opportuno adottare un approccio equilibrato e sostenibile al suo utilizzo.

È importante promuovere un dibattito aperto e inclusivo che coinvolga tutte le parti interessate, tra cui esperti nel campo dell'IA, rappresentanti del settore pubblico e privato, accademici e cittadini, per discutere le potenziali implicazioni etiche e sociali dell'uso di ChatGPT e definire linee guida e regolamenti adeguati.

Lezioni da altri Paesi.

Guardando all'estero, l'Italia può trarre lezioni preziose su come gestire in modo efficace e responsabile l'intelligenza artificiale.

Molti Paesi hanno già adottato politiche e strategie volte a promuovere lo sviluppo e l'uso etico dell'IA, investendo in ricerca e formazione, e collaborando con organismi internazionali per condividere conoscenze e best practice.

Opportunità per un cambiamento positivo.

La chiusura di ChatGPT in Italia offre anche un'opportunità per avviare un dialogo costruttivo sulla regolamentazione e l'uso responsabile dell'intelligenza artificiale nel Paese.

Istituzioni, aziende e cittadini possono lavorare insieme per creare un ecosistema in cui l'IA sia utilizzata in modo etico e sostenibile, con un impatto positivo sulla società e sull'economia.

Un futuro promettente per l'intelligenza artificiale in Italia.

Se l'Italia decide di riconsiderare la chiusura di ChatGPT e investire nell'IA, il futuro potrebbe essere promettente.

 Potrebbe emergere un settore innovativo e dinamico, caratterizzato da nuove opportunità di lavoro, una maggiore competitività e una migliore qualità della vita per i cittadini.

L'IA potrebbe contribuire a risolvere alcune delle sfide più urgenti del Paese, come l'invecchiamento della popolazione, la disoccupazione giovanile e la necessità di una maggiore sostenibilità ambientale.

Tuttavia, questa situazione può anche essere vista come un'opportunità per avviare un dibattito aperto e costruttivo sull'uso responsabile dell'intelligenza artificiale e per lavorare insieme a un futuro in cui l'IA sia utilizzata in modo etico e sostenibile. Diventiamo non un argine ma una guida. Bloccare senza guidare è inutile e dannoso.

In un mondo sempre più interconnesso e digitalizzato, l'Italia deve rimanere al passo con le innovazioni e gli sviluppi tecnologici, investendo nell'IA e nelle sue enormi potenzialità.

Serve un piano d'azione per il futuro dell'IA in Italia. Per garantire che l'Italia possa trarre pienamente vantaggio dall'intelligenza artificiale e dalle sue potenzialità, è importante mettere in atto un piano d'azione che includa i seguenti elementi:

Riconsiderare la chiusura di ChatGPT e consentire alle aziende e alle istituzioni di utilizzare questa tecnologia in modo etico e responsabile.

Investire nella formazione e nella ricerca nel campo dell'IA, per garantire che l'Italia disponga delle competenze necessarie per rimanere competitiva a livello internazionale.

Sviluppare un quadro normativo chiaro ed equilibrato per l'uso dell'intelligenza artificiale, che tenga conto delle potenziali implicazioni etiche e sociali.

Promuovere la collaborazione tra il settore pubblico e privato, per stimolare l'innovazione e lo sviluppo di soluzioni basate sull'IA che affrontino le sfide sociali ed economiche del Paese.

Stabilire partenariati internazionali e partecipare a iniziative globali nel campo dell'intelligenza artificiale, al fine di condividere conoscenze e best practice.

Ed è fondamentale che ci sia un ruolo dei cittadini e della società civile in questo percorso.

È fondamentale coinvolgere anche i cittadini e la società civile nella discussione sull'intelligenza artificiale e sul suo impatto sulla vita quotidiana.

 I cittadini devono essere informati sui benefici e sui rischi dell'IA e partecipare attivamente al dibattito sul suo utilizzo responsabile.

Inoltre, la società civile può svolgere un ruolo cruciale nel garantire che l'IA sia utilizzata in modo etico e sostenibile e che i diritti e le libertà fondamentali siano protetti.

Lancio quindi a tutti un appello all'azione.

La chiusura di ChatGPT in Italia rappresenta un momento cruciale per il futuro dell'intelligenza artificiale nel Paese.

 È giunto il momento di agire e di lavorare insieme per garantire che l'IA possa essere utilizzata in modo responsabile e sostenibile, a beneficio di tutti.

Questo richiede un impegno congiunto di istituzioni, aziende, cittadini e società civile.

Solo attraverso la collaborazione e il dialogo aperto sarà possibile creare un futuro in cui l'intelligenza artificiale sia una forza positiva per il progresso e il benessere in Italia e nel mondo.

Bloccare il futuro e restare fuori dal tempo è un pericolo come paese e per i nostri giovani.

 

 

 

Quindici anni dopo:

 l’Unione del futuro.

Legrandcontinent.eu – Riccardo Perissch – Redazione – (9 giugno 2022) – ci dice:

 

Prospettive Politiche.

Si tratta di un paradosso ben conosciuto e collaudato: mentre sembra incapace di produrre cambiamenti strutturali, l'Unione reagisce sempre meglio e più rapidamente alle crisi. In questa panoramica, Riccardo Perissich ripercorre le trasformazioni che potrebbero delineare la forma dell'Europa dopo la guerra in Ucraina.

L’attuale dibattito europeo presenta allo stesso tempo vigorosi appelli alla necessità di nuovi progetti ambiziosi, per esempio nelle parole di Emmanuel Macron e Mario Draghi, ma anche richiami alla prudenza da parte di numerosi governi.

L’Unione Europea si trova quindi davanti a un trilemma.

 Le circostanze vorrebbero un progresso deciso nell’integrazione.

Tuttavia realizzare progressi importanti con il consenso di tutti i membri diventa sempre più difficile.

 Allo stesso tempo però l’unità dei 27 è ancor più che per il passato un bene prezioso da proteggere.

Come sempre, la fattibilità dei progetti, allo stesso tempo ciò che è necessario e ciò che è fattibile, dipenderà dall’evoluzione degli avvenimenti.

È quindi da lì che bisogna cominciare.

Nei quindici anni che ci separano dalla crisi finanziaria, l’UE ha vissuto uno dei suoi periodi di più intensa mutazione.

Il decennio precedente che era stato il teatro di due decisioni epocali come l’introduzione dell’euro e il passaggio da 15 a 28 paesi membri;

 per quanto importanti, esse tuttavia erano annunciate da tempo, il compimento di progetti e impegni presi in precedenza in seguito alla caduta del muro di Berlino e alla dissoluzione dell’URSS.

Nulla di quanto è successo più recentemente era stato programmato.

Abbiamo dovuto reagire agli avvenimenti e l’abbiamo fatto spesso in una situazione di sostanziale vuoto giuridico e con istituzioni mal equipaggiate per far fronte a crisi di quell’ampiezza.

Dire che tutto ciò è successo sotto la guida di fatto di Angela Merkel, Cancelliera del paese più importante dell’Unione, è solo in parte una semplificazione.

 Il percorso effettuato riflette quindi il suo stile, ma più in generale la prudenza con cui la Germania si muove solo dopo aver assicurato un grado elevato di consenso interno e poi europeo.

 È un modo di procedere che può creare esasperazione e suggerire un’analogia con quanto Churchill diceva dell’America:

fanno la cosa giusta solo dopo aver esaurito tutte le alternative”.

D’altro canto, il consenso (interno ed europeo) così acquisito si è poi dimostrato duraturo, in contrasto con gli ondeggiamenti che hanno caratterizzato la politica europea di altri grandi paesi come la Francia e l’Italia.

La Germania ha anche introdotto nel dibattito europeo un concetto di sacralità delle regole che è parte integrante del suo consenso interno e riflette la volontà di esorcizzare un drammatico passato.

L’altra caratteristica del percorso effettuato è che l’UE è programmata fin dalla sua creazione per occuparsi delle crisi quando avvengono ma non di affrontare i nodi sistemici che le permetterebbero di prevedere e prevenire le crisi successive.

Gli avvenimenti a cui mi riferisco sono noti.

Intorno a Brexit ci sono due narrative.

Secondo la prima, l’Europa ne risulta indebolita sul piano economico, politico e militare. Inoltre è stato infranto il tabù della perennità.

Secondo la seconda, Brexit ha effetti positivi perché viene a mancare uno dei paesi che in passato si erano opposti con più forza a una maggiore integrazione.

Entrambe le interpretazioni sono vere, ma devono anche essere relativizzate.

L’opposizione britannica è spesso servita di alibi alla resistenza di altri, ma non ha mai impedito progressi che erano fortemente voluti da una maggioranza di paesi: per esempio Schengen e l’euro.

 Inoltre, Brexit ha rafforzato l’unità dei 27 e accresciuto il senso di appartenenza anche di chi era tradizionalmente vicino alle posizioni britanniche.

 D’altro canto però, l’assertività di questi paesi (gli scandinavi e l’Olanda per esempio) è stata rafforzata dall’assenza del più influente difensore del liberismo in economia e dell’atlantismo in politica estera e ha dato loro quasi una “nuova missione” in seno all’UE.

Brexit ha peraltro incoraggiato la tesi di una inevitabile frattura, politica, culturale e addirittura valoriale, fra il continente europeo e un mitico “mondo anglosassone”.

Tesi che non ha però fondamento reale e sottovaluta sia quanto la Gran Bretagna sia in realtà “europea”, sia quanto una parte importante dell’Europa, soprattutto a nord ma anche a est, si senta vicina storicamente, politicamente e culturalmente al mondo anglosassone.

Detto questo, Brexit resta un cantiere incompiuto, mal negoziato dal governo britannico e ancora mal digerito.

 Ciò non toglie che l’UE e la Gran Bretagna hanno comunque bisogno l’una dell’altra.

La seconda serie di avvenimenti riguarda la risposta alle ricorrenti crisi economiche:

prima quella finanziaria, poi quella dovuta alla pandemia, infine quella che si annuncia in seguito alla guerra in Ucraina.

È noto quanto il percorso sia stato accidentato.

È cominciato con l’illusione che si potesse fare interamente affidamento sulla sacralità e l’automatismo delle regole, per poi proseguire con i gravi errori della “passeggiata di Deauville” fra Merkel e Sarkozy, nella risposta accidentata e a momenti drammatica alla crisi greca, al “Whatever it takes” di Mario Draghi, alla creazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), all’ammissione da parte della Commissione Juncker che le regole dovevano essere interpretate e applicate con flessibilità, alla sospensione delle regole stesse durante la pandemia, fino al tabù infranto dell’indebitamento comune con il “Next Generation EU”.

Nessuna persona sana di mente potrebbe sostenere che la risposta dell’Unione sia stata in ogni momento tempestiva e brillante.

Tuttavia, l’UE e l’euro hanno tenuto di fronte alla prova forse più difficile dall’inizio della costruzione europea.

A ciò si è aggiunta la decisione di fare della transizione climatica il progetto destinato a definire la strategia economica dell’UE per i prossimi anni.

Il terzo avvenimento è la pandemia.

 In partenza, l’UE era sprovvista di competenze e mandato chiaro in materia sanitaria.

La risposta dell’Europa è stata all’inizio confusa e frammentata con manifestazioni di egoismo nazionale che hanno fatto temere il peggio.

Poi, con sorprendente rapidità, la situazione è stata raddrizzata, è stato varato un programma comune di sviluppo e approvvigionamento di vaccini.

 Alla distanza, la risposta dell’Europa alla pandemia non è stata peggiore e sotto vari aspetti è stata migliore di quella degli USA e di molti paesi asiatici, Cina compresa.

Poi, la crisi forse più importante di tutte, l’aggressione della Russia all’Ucraina.

Anche questa volta, la rapidità con cui si è trovata l’unità dell’Europa e della NATO è sorprendente per quanto riguarda sia la durezza delle sanzioni sia l’invio di armi sempre più pesanti.

Infine, la crisi a cui è stata data la risposta più insufficiente: quella di una pressione migratoria senza precedenti dall’Africa e dal Medio Oriente.

Per un’organizzazione che, secondo il suo creatore Jean Monnet, è destinata a “progredire nelle crisi”, il minimo che si può dire è che siamo stati ben serviti.

L’evoluzione dell’UE non è stata solo guidata dagli avvenimenti così sommariamente descritti, ma anche da un contesto internazionale profondamente mutato.

La costruzione europea è il prodotto più compiuto della concezione dei rapporti internazionali sviluppata dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale:

quella di un mondo non dominato da rapporti di forza, ma da un sistema di regole accettate e condivise.

Un mondo “kantiano”, o se vogliamo “post westfaliano”.

Questa visione del mondo coincideva con quella che l’Europa aveva di sé stessa: una “potenza gentile”, nata da un desiderio di pace, che non aveva bisogno di una grande forza militare e che poteva espandere la sua influenza attraverso la sapiente elaborazione di regole.

Regole che si sarebbero imposte per la loro saggezza ed efficacia, ma anche perché erano la porta d’accesso al più grande mercato del mondo.

Poco importa se dietro questa concezione ci fosse una notevole dose di diniego, dal momento che la difesa dell’Europa era stata di fatto appaltata agli Stati Uniti.

L’UE era così diventata il principale campione di un multilateralismo che non aveva inventato, ma aveva fortemente contribuito a costruire.

Al crollo del comunismo era seguito un breve periodo di incontrastata egemonia americana, quindi occidentale, che aveva portato con sé l’illusione che quell’ordine sarebbe presto diventato globale.

Sappiamo che non è andata così.

Alcuni errori strategici compiuti in Medio Oriente dagli Stati Uniti, la minaccia del terrorismo islamico e soprattutto l’ascesa della Cina hanno profondamente modificato la situazione.

Questa diffusa situazione di instabilità ha permesso ad alcune potenze intermedie (L’Iran, il Brasile, la Turchia e altre) di cercare di affermarsi come attori autonomi.

È un’evoluzione che ha anche avuto importanti ripercussioni economiche, conducendo a una messa in discussione dei benefici della globalizzazione, o quanto meno mostrarne i limiti e la fragilità.

Oggi, chi vuole promuovere il multilateralismo è sulla difensiva. L’Europa, creatura kantiana, si è così trovata confrontata a un mondo sempre più hobbesiano; una sfida che per l’UE è, prima ancora che politica, quasi ontologica.

L’Europa è ora costretta a trarre due conclusioni non facili da questo contesto internazionale.

 La prima è che l’emergere di una potenza come la Cina, poco rispettosa delle regole internazionali e campione di un capitalismo largamente sottoposto alla politica, non consente più di separare le questioni economiche e commerciali da quelle geopolitiche.

Tanto più che anche gli Stati Uniti non esitano a usare a fini politici la loro forza economica.

La seconda è che l’Europa aveva accumulato un notevole ritardo rispetto agli USA e alla Cina nella rivoluzione digitale.

Questo doppio risveglio ha introdotto nella narrativa europea alcuni concetti nuovi:

quello di dimensione geopolitica dell’azione dell’UE e quello di “autonomia strategica”.

Il secondo in particolare, lanciato nel dibattito da Emmanuel Macron, ha creato allo stesso tempo grande interesse ma anche numerosi interrogativi.

Parlare di “autonomia” europea o come è anche stato fatto di “sovranità”, contiene una dose elevata di ambiguità.

 La moderna fisica quantistica ci dice che lo stato di una particella non può essere determinato a priori, ma dipende da quando, come e chi la osserva.

Così il concetto di autonomia europea cambia a seconda che lo si guardi dall’interno o dall’esterno.

 Nel primo caso può voler dire che i membri dell’UE devono essere capaci di esercitare la loro sovranità in comune.

Nel secondo che bisogna essere autonomi da qualcosa di diverso da noi.

Questa seconda discussione si è immediatamente concentrata sulle conseguenze per il rapporto con gli Stati Uniti e con la NATO.

Si tratta di una delle questioni più divisive del dibattito europeo che ha il potenziale di paralizzare tutto il resto.

Sulla base di quanto precede, è interessante ora vedere non tanto la bontà e i difetti di ciò che è stato fatto, ma piuttosto quanto tutto ciò ha modificato i rapporti di forza all’interno dell’UE, il suo modo di operare, i suoi interessi strategici e la sua identità.

Quei recenti, drammatici avvenimenti hanno tra l’altro condotto a superare o addirittura a smentire un certo numero di analisi su cui erano basati sia consensi dati per acquisiti, sia dissidi a volte difficili da sanare.

La prima questione riguarda i valori fondanti.

L’Unione Europea è un’organizzazione che comprende paesi che, pur con strutture costituzionali diverse, condividono gli stessi valori democratici, liberali e il rispetto dello stato di diritto.

Tuttavia, non essendo una compiuta unione politica, non dispone degli strumenti per imporne il rispetto dai suoi membri.

Fino a tempi recenti ciò era considerato implicito, al punto che il principio di supremazia del diritto europeo su quelli nazionali era basato sul presupposto che la Corte di Giustizia europea avrebbe “per definizione” rispettato nei suoi giudizi i diritti fondamentali che sono alla base delle costituzioni degli stati membri.

L’esperienza con i nuovi membri dell’est ha scosso questo equilibrio.

 Il cammino verso una compiuta democrazia liberale si è rivelato per alcuni di loro (Polonia e Ungheria ma non solo) più accidentato del previsto.

Ne sono risultate alcune gravi anomalie nel rispetto ai principi dello stato di diritto che sono mal percepite dall’opinione pubblica degli altri paesi la quale non capisce perché si possano sanzionare mancanze molto meno gravi e non veri attentati alla democrazia.

 Il problema è che gli strumenti di cui l’UE dispone per combattere le deviazioni sono molto deboli, essenzialmente di natura finanziaria, e difficili da usare quando i paesi “devianti” sono più d’uno.

 

La seconda questione riguarda l’idea di un’Unione irrimediabilmente divisa da un dissidio fra liberisti (o ordoliberisti) da una parte e keynesiani e interventisti dall’altra; come è stato anche detto, fra cicale e formiche.

Questa supposta frattura, ha assunto il carattere di una lacerazione nord-sud.

A parte il fatto che fra il “liberismo” e l’ordo-liberismo prevalente in Germania e in gran parte dell’Europa ci sono colossali differenze e che i sacerdoti di Francoforte si trovano difficilmente a loro agio a Chicago, la gestione concreta della crisi ha permesso di de-ideologizzare il dibattito.

Nessuno sembra più pensare che le regole siano per definizione né sacre (come vorrebbero alcuni) né “stupide” (come le aveva definite Romano Prodi, allora Presidente della Commissione).

 Inoltre la creazione di strumenti di solidarietà come il “MES” e “Next Generation EU”, pur senza rappresentare il “momento Hamiltoniano” rivendicato da alcuni, costituiscono un’innovazione di cui nessuno può sottovalutare l’importanza.

Allo stesso modo, affrontare il ritardo che si è creato nella rivoluzione digitale e la contemporanea sfida di un mondo in cui le regole multilaterali sono messe sempre più in discussione, richiede un ruolo dell’intervento pubblico maggiore di quanto si considerava auspicabile fino a poco tempo fa.

L’atteggiamento verso la globalizzazione, in particolare a causa della fragilità delle filiere di produzione, è sottoposto a revisione.

 Su queste questioni, tradizionalmente oggetto di forti contestazioni, si constata una notevole convergenza anche fra due paesi tradizionalmente su fronti opposti come Francia e Germania.

D’altro canto, è anche chiara la percezione che fra le grandi aree economiche l’UE è quella che più dipende dal commercio internazionale e non può quindi isolarsi dal resto del mondo.

Nonostante la sua dimensione e l’attrattiva del suo mercato, non può nemmeno illudersi di poter regolare in piena libertà tecnologie che non possiede.

Nessuno quindi pensa che ciò possa significare il ritorno a forme di politiche industriali simili a quelle praticate in Francia, in Italia e altrove fino agli anni ’80 del secolo scorso.

Le questioni che seguono riguardano il superamento della distinzione fra dimensione economica e strategica dell’integrazione;

quindi il concetto di Europa “geopolitica”, o di autonomia strategica.

 La politica estera, grande assente nel disegno iniziale di Jean Monnet, ha fatto prepotentemente irruzione nel dibattito europeo.

Il caso più importante, quello che ci obbliga al più grande ripensamento, sono i rapporti con la Russia alla luce dell’aggressione all’Ucraina.

Dopo il crollo dell’URSS era prevalsa in Occidente la speranza che anche la Russia potesse, se non diventare compiutamente democratica e occidentale, almeno avere un’evoluzione compatibile con un ordine europeo stabile e consensuale.

Soprattutto dopo l’avvento di Putin al potere i segnali di involuzione, troppo noti per enumerarli tutti si erano moltiplicati.

Tuttavia molti paesi europei, soprattutto Germania, Francia e Italia avevano preferito decidere che il dialogo con Mosca restasse prioritario;

sposavano così la teoria tedesca del “Wandel durch Handel”, il cambiamento attraverso il commercio.

 In altri termini, legare a noi la Russia sul piano economico ne avrebbe facilitato un’evoluzione nella direzione auspicata.

Ne è seguita una dipendenza massiccia dalle importazioni di idrocarburi dalla Russia.

In questa ottica, un’invasione dell’Ucraina era considerata improbabile se non impossibile.

A questa narrativa se ne contrapponeva un’altra, portata soprattutto dai paesi baltici, dalla Polonia e da altri paesi dell’est.

Secondo questa analisi gli “aperturisti”, obnubilati dal loro illuminismo, avevano gravemente torto.

La deriva adottata da Putin aveva invece radici profonde.

L’obiettivo era di ristabilire un’identità russa libera da corruzioni occidentali e basata su un nazionalismo allo stesso tempo etnico, territoriale e religioso che si rifaceva alle radici autocratiche, ortodosse e imperiali della storia russa.

L’ostilità ai valori occidentali intesi come la principale minaccia al ritorno della Russia alle sue radici, era quindi irriducibile.

In questa ottica, la Russia non era solo un partner difficile, ma una minaccia concreta.

 Ristabilire il controllo sulle antiche repubbliche della Georgia, della Moldavia e soprattutto dell’Ucraina non era solo un modo per ristabilire una sfera imperiale, ma anche per difendersi dalla contaminazione da eventuali evoluzioni democratiche e occidentali di quei popoli.

Questo è del resto il vero senso dell’ossessiva, quasi paranoica, opposizione all’allargamento della NATO. 

La risposta degli altri europei fu di comprendere i timori storici della Polonia e degli altri, ma di considerarli anche con un po’ di condiscendenza eccessivamente estremisti.

Per calmare le loro paure, si favorì l’ingresso nella NATO e nell’UE, ma per il resto continuò l’atteggiamento di diniego della minaccia.

 Persino Angela Merkel, che pure aveva di Putin una visione molto lucida, scelse di non modificare sostanzialmente la politica tedesca e europea.

Nemmeno l’espansione della Russia nel Medio Oriente, nel Mediterraneo e in Africa condusse a sostanziali ripensamenti.

 Questa risposta insufficiente, concretizzata nella reazione velleitaria e ambigua alla richiesta di Ucraina e Georgia di adesione alla NATO, consolidava la convinzione di Putin della decadenza e divisione dell’occidente.

 D’altro canto gli permise di eccitare ancor più i sentimenti nazionalisti all’interno con la tesi dell’accerchiamento dovuto all’allargamento della NATO e delle umiliazioni inflitte alla Russia dai vincitori della guerra fredda.

Oggi è doveroso ammettere che la Polonia e i suoi amici avevano ragione e la maggior parte degli altri paesi avevano torto.

 Il risultato è la guerra a cui stiamo assistendo.

Non è qui il posto adatto per analizzarne gli sviluppi.

Basterà costatare che la combinazione delle insufficienze militari dell’esercito russo, delle terribili atrocità commesse, della imprevista capacità di resistenza degli ucraini, e della altrettanto sorprendente risposta unitaria dell’occidente e dell’Europa, rendono un negoziato di pace molto improbabile nel prevedibile futuro.

Resta la possibilità di una tregua provvisoria e precaria, inevitabilmente seguita da una lungo periodo di tensione che da molti punti di vista sarà non dissimile dalla guerra fredda.

 La prospettiva di un nuovo e condiviso sistema di sicurezza europea, è realisticamente tramontata.

Per questo sarà necessario che cambi quello che è diventato l’equivalente russo del “Sonderweg tedesco”, l’ossessiva ricerca di un’identità speciale distinta e in opposizione all’occidente.

Permane però, come ai tempi della guerra fredda la necessità di un sistema di regole del gioco condivise per evitare che il conflitto latente si trasformi in conflitto aperto.

Ne discendono un certo numero di conseguenze.

 Putin è stato fermato, oltre che dall’eroismo degli ucraini e dai suoi stessi errori, dall’unità dell’occidente.

Il rapporto fra NATO e autonomia europea ne risulta profondamente modificato.

È infatti stato dimostrato aldilà di ogni possibile dubbio che non esiste, oggi e per un avvenire prevedibile, una risposta militare efficace dell’Europa al di fuori della NATO.

Uno sviluppo confermato e rafforzato dalla storica decisione di Finlandia e Svezia di aderire all’alleanza.

È stata comunque clamorosamente smentita la favola di un’America che voltava le spalle all’Europa per pensare solo al Pacifico.

D’altro canto però si è anche visto che l’unità dell’Europa è indispensabile per rafforzare l’efficacia della risposta occidentale.

Il mantenimento dell’impegno americano in Europa dipende oggi anche da un concreto rafforzamento dell’impegno europeo.

 Senza l’UE, sanzioni di quella portata non sarebbero state possibili.

Se l’unità dell’occidente è dunque fondamentale, nasce spontanea la domanda se il tempo giochi a favore nostro o di Putin.

 A medio termine, gioca sicuramente a nostro favore.

Le sanzioni mostrano infatti di avere pesanti effetti sull’economia russa e quindi anche sulla sua capacità militare.

 A breve termine la risposta è meno certa, anche perché le sanzioni hanno bisogno di tempo per operare e una sconfitta militare della Russia sul campo non è ipotizzabile.

 Il consenso intorno alla strategia adottata dall’occidente è al momento solido, anche perché in assenza di serie prospettive di tregua non ha alternative.

 Tuttavia la situazione in alcuni paesi importanti come l’Italia e la Francia è fragile a causa di una forte polarizzazione politica interna.

Anche la posizione tedesca presenta ancora elementi di incertezza.

Assistiamo quindi al paradosso di paesi che, pur sostanzialmente sulla stessa linea, adottano retoriche pubbliche a volte divergenti e comunque ambigue.

Ciò è visibile soprattutto in Italia e in Francia, ma anche in Germania.

Adattare il discorso alle condizioni politiche locali fa parte del realismo politico.

In questo caso tuttavia, l’opinione pubblica può essere indotta a dubitare dell’unità dell’occidente, o addirittura a convincersi che l’ostacolo alla tregua sta da noi e non a Mosca.

Un cedimento del consenso interno in alcune importanti nazioni europee avrebbe effetti potenzialmente devastanti non solo per l’unità dell’Europa, ma anche per le prospettive della sicurezza e della pace.

L’unità dell’occidente è quindi oggi un bene supremo da preservare, sia per convincere Putin dell’inanità delle sue minacce, sia per consolidare il consenso della nostra opinione pubblica.

 È uno sforzo che richiede da parte di tutti collaborazione nel linguaggio e nei comportamenti.

Il principale pericolo per il mantenimento dell’unità dell’occidente e dell’Europa, il fattore che più di altri può compromettere il consenso interno, è di natura economica e sociale.

Il conflitto ci impone allo stesso tempo di accelerare il disimpegno dalla dipendenza dagli idrocarburi russi e la transizione climatica, ma senza compromettere le fragili possibilità di ripresa economica che si intravedevano prima della crisi.

 Si tratta di una sfida, aggravata da forti tensioni inflazioniste, che richiede un impegno eccezionale nazionale e collettivo dei paesi europei.

L’architettura stessa del governo della moneta e dell’economia ne sarà condizionata.

Un’altra conseguenza del conflitto è di aver posto in termini nuovi il problema dello sforzo specificamente europeo per la difesa comune.

In questo caso, il principale attore di cambiamento è la Germania che ha annunciato una “Zeitenwende”, una svolta epocale nel suo atteggiamento verso le spese militari.

Questa svolta, sia pure accompagnata da esitazioni e ambiguità tipiche del funzionamento del sistema politico tedesco, permette per la prima volta di dare un senso concreto e urgente alla prospettiva di una difesa europea.

Prospettiva tanto più concreta che la svolta tedesca vuole esplicitamente conciliare impegni europei e impegni atlantici.

 Anche in questo caso, la tecnologia ha cambiato i termini della questione.

 Per gli europei non si tratta tanto o solo di costruire in comune qualche aereo o qualche sottomarino, ma di prepararsi a conflitti ibridi che smentiscono l’antico detto di Cicerone:” inter pacem et bellum nihil medium”, non c’è nulla fra la pace e la guerra.

Conflitti quindi che possono rappresentare un continuo fra disinformazione, provocazioni di varia natura, sanzioni economiche, hackeraggio, uso militare delle tecnologie spaziali e dell’intelligenza artificiale, fino all’uso delle tecnologie militari classiche e dell’arma nucleare.

Una prospettiva che modifica profondamente anche il concetto di deterrenza.

Molto è stato scritto sul fatto che la NATO ha riunito importanti alleati fuori delle sue frontiere (Giappone, Australia e altri ancora), ma che un gran numero di paesi emergenti hanno dichiarato la loro neutralità.

Questo fenomeno è in realtà naturale e comprensibile.

Anche durante la guerra fredda gran parte dell’umanità era neutrale. Essere neutrali in questo caso non vuol dire schierarsi a favore della Russia e tanto meno della Cina; semplicemente, questa “non è la loro guerra”.

Tra l’altro le motivazioni di questa posizione sono molto dissimili, per esempio fra asiatici, africani o latino americani.

Ciò non toglie che si tratta di motivazioni di cui dobbiamo tenere conto, per esempio facendo il massimo sforzo per far fronte alla penuria alimentare che il conflitto ucraino rischia di provocare in parti dell’Africa.

 

Di particolare importanza sono le motivazioni dei pasi asiatici, per esempio dell’India, che sono naturalmente determinate più che dal conflitto in sé dal ruolo della Cina.

Per molti paesi dell’area e per gli Stati Uniti, il conflitto in Ucraina è anche una metafora del problema di Taiwan.

 L’alleanza fra la Russia e la Cina non è stata provocata da noi.

È il prodotto della naturale convergenza fra due grandi paesi la cui politica è nutrita da un forte nazionalismo, dal rifiuto dei valori occidentali e dalla volontà di sovvertire l’ordine e le regole che l’occidente ha stabilito nel corso dei decenni passati.

 La convergenza è quindi basata su ragioni oggettive.

La “questione cinese” rappresenta il fallimento dell’altra grande illusione di un mondo che, grazie a commerci liberi e aperti, si riunirebbe facilmente attorno al multilateralismo e ai valori occidentali.

 Tuttavia gli interessi di due attori come Russia e Cina che sono peraltro in un rapporto molto squilibrato fra loro, coincidono solo in parte.

 La prova è che il sostegno cinese all’aggressione russa è stato finora poco più che verbale e alcuni sperano che la Cina possa avere un ruolo attivo nella ricerca di una tregua.

La realtà è che per molti attori asiatici e per gli americani, il confronto con la Cina resta la sfida che caratterizzerà più di ogni altra il corso del secolo.

Per quanto riguarda l’Europa, una conseguenza importante è che non possiamo più considerare i teatri europeo e asiatico come completamente distinti.

 Non possiamo nemmeno continuare a considerare la “questione cinese” sotto un angolo unicamente economico e commerciale.

Ciò si aggiunge alla lista dei dinieghi europei che devono essere superati; ciò vale soprattutto per la Germania, ma non solo.

Ugualmente velleitaria sarebbe la tentazione di volersi porre come mediatori fra Cina e USA.

Realizzare una politica unitaria verso la Cina è però ancora più difficile che verso la Russia.

Un’altra conseguenza del conflitto in Ucraina è il flusso di qualche milione di rifugiati, in prevalenza donne e bambini, verso l’Europa.

 Si tratta di cifre senza precedenti, come senza precedenti è la reazione di apertura e di accoglienza di molti membri dell’UE.

Resta da vedere se questa grande manifestazione di solidarietà che contrasta con il permanente atteggiamento di chiusura verso l’immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente, faciliterà il raggiungimento di un maggiore consenso europeo sulla politica migratoria.

Le questioni che precedono hanno in comune la caratteristica di porre in termini nuovi problemi che già esistevano e di porre tutte con forza la necessità di un rapporto stretto con gli Stati Uniti, allo stesso tempo sul piano strategico ed economico.

Fra le due rive dell’Atlantico ci sono inevitabili divergenze di percezione e di interessi contingenti, ma esse si manifestano all’interno di una sostanziale convergenza strategica allo stesso tempo sui valori e sugli interessi.

 Le condizioni attuali dei rapporti transatlantici sono le migliori da moltissimo tempo.

 Lo sforzo di dialogo dell’amministrazione Biden è innegabile.

 Anche la politica francese, forse il partner europeo più difficile da questo punto di visto ha subito una notevole evoluzione.

È interessante esaminare l’evoluzione della retorica macroniana, dalla constatazione di “morte cerebrale” della NATO fino a una gestione della crisi ucraina in sostanziale coordinamento con gli alleati.

Tuttavia permane in Europa una forte diffidenza verso l’affidabilità degli USA, alimentata dall’esperienza traumatica della presidenza Trump, ma anche da incertezze o errori della politica americana che datano da ben prima di Trump.

 Il timore di un secondo Trump è a volte agitato da parte dei nemici europei dell’unità occidentale come una profezia di cui in fondo si auspica la liberatoria realizzazione.

Speculare a tutto ciò è una diffusa diffidenza americana verso l’affidabilità degli alleati europei.

Si tratta quindi di convincere gli americani che non potranno affrontare il mondo turbolento che si prepara senza l’apporto europeo.

 Per gli europei si tratta invece di capire che autonomia non vuol dire distacco, ma piuttosto l’emancipazione di un partner diventato adulto.

 Sul piano economico, entrambi i partner dovrebbero prendere coscienza che, mentre la tendenza alla globalizzazione resterà forte, un certo grado di disconnessione tecnologica dalla Cina è ineluttabile ed è del resto già in atto.

Né gli USA, né l’Europa, né i nostri alleati in Asia sono in grado di realizzare da soli la regolamentazione di cui internet ha bisogno o la riorganizzazione delle filiere di produzione e approvvigionamento di alcune componenti critiche.

Una vera convergenza strategica non sarà né facile né automatica.

Per realizzarla e mantenerla ci vorrà un costante sforzo di dialogo e di volontà politica.

Sviluppando anche strumenti di coordinamento permanente che in parte si stanno creando come per esempio il “Trade and Technology Council”, ma che per il momento esistono in modo solo parziale. 

Ciascuna delle sfide di cui abbiamo parlato porrebbe di per sé problemi formidabili a un sistema fragile e imperfetto come quello dell’UE.

Tutte insieme possono sembrare insormontabili.

Esse sono però largamente interconnesse:

affrontarne una aiuterà a trattare le altre.

Se l’evoluzione degli avvenimenti ha profondamente modificato i termini di molti problemi e rende possibili convergenze prima considerate impossibili, bisogna ora vedere quanto l’UE sia preparata a rispondere concretamente a tutte queste sfide. La prima risposta spontanea è negativa.

La struttura istituzionale resta barocca e poco comprensibile dall’opinione pubblica e troppe decisioni importanti richiedono il consenso unanime degli stati membri.

In queste condizioni, realizzare in tempi rapidi un consenso a 27 è spesso estremamente difficile.

Una difficoltà spesso sottovalutata è l’assenza di un vero dibattito politico europeo.

Mai come oggi sarebbe necessario non solo che le autorità spieghino senza compiacenza la verità all’opinione pubblica, ma anche che lo facciano in modo coerente con i partner europei.

La “Convenzione” che si è appena conclusa e che ha organizzato il dibattito fra qualche centinaio di cittadini europei, costituisce un tentativo generoso e utile, ma dimostra anche i limiti dell’esercizio.

È stato detto che gli Stati Uniti hanno cominciato a esistere come entità politica solo nei primi decenni dell’800, quando la tecnologia ha reso possibili la stampa di giornali a grande diffusione.

 Oggi la tecnologia non è certo un problema.

 Il principale ostacolo al dibattito transnazionale sono le barriere linguistiche che rafforzano il carattere nazionale della politica.

Quel tanto di dibattito transnazionale che pure esiste è per definizione limitato a un’élite.

Per esempio, sarà necessario spiegare in modo coerente all’opinione pubblica le ragioni e i limiti della nostra politica di contrasto all’aggressione russa, ma anche che accelerare il disimpegno dalla dipendenza dagli idrocarburi russi, richiede qualche arbitrato difficile con la strategia di transizione climatica.

 Ciò è tanto più importante dal momento che la guerra attuale avviene in parte anche sul terreno dell’informazione e della disinformazione.

 Il modo con cui si sviluppa il confronto politico in Europa è anche molto diverso.

In alcuni paesi, soprattutto a sud e in quelli in cui la politica è più polarizzata, le questioni tendono a essere discusse in termini di alternative radicali, di cambi di paradigma.

In altri, soprattutto a nord, le scelte sono discusse in termini di cambiamenti incrementali.

Abbiamo assistito a una campagna elettorale francese che contrapponeva radicali scelte di società, preceduta da una campagna elettorale tedesca in cui Scholz, candidato dell’opposizione, si presentava come un continuatore… di Angela Merkel con la quale peraltro governava fino a prima delle elezioni.

Tutto ciò conduce a riaprire una discussione sulle istituzioni europee che era sopita dopo il fallimento dei referendum francese e olandese sul progetto di “costituzione”.

Le questioni da discutere sono molte, ma la più importante è sicuramente quella dell’esigenza di unanimità che ancora esiste per materie importanti come la politica estera, la difesa e la fiscalità.

Leader importanti come Macron e Draghi ne hanno ufficialmente chiesto l’abbandono.

La difficoltà più grande in Europa resta sempre quella di riunire una maggioranza, ma è innegabile che il diritto di veto può paralizzare o comunque ritardare decisioni importanti.

Basti pensare ai problemi ora posti dall’Ungheria.

 In un’organizzazione come l’UE che riunisce stati sovrani prevarrà sempre il riflesso di ricercare il consenso, ma la possibilità concreta di votare cambia completamente la strategia negoziale di tutti gli attori perché spinge ad anticipare la ricerca dei compromessi che consentono di far parte di un’eventuale maggioranza.

Questa riforma sarebbe quindi altamente auspicabile ed è bene che la discussione cominci.

Bisogna tuttavia essere coscienti che le prospettive di progresso a breve termine sono modeste.

Non solo la questione è per definizione controversa, ma la reticenza a lanciarsi in una nuova operazione di riforma dei trattati è ancora molto diffusa.

 Non si tratta solo di cattiva volontà.

Alcune delle materie per cui si dovrebbe poter votare, sono vicine al cuore della sovranità dei nostri paesi.

Anche se non ottimali e a volte complicati da attuare, i modi per aggirare i veti esistono e ne conosciamo diversi esempi.

Alcuni sono molto importanti, come Schengen e l’euro.

È una pratica di cui sono state date definizioni diverse; le più comuni sono geometria variabile e differenziazione.

 Almeno finché l’UE non avrà raggiunto una forma stabile di unione politica compiuta, questo resterà uno dei percorsi principali per far progredire l’integrazione:

l’azione di avanguardie che mostrano il cammino, pronte in seguito ad accogliere i ritardatari.

Tuttavia, l’esperienza di Brexit dovrebbe averci insegnato che la pratica della geometria variabile è per definizione precaria, difficile da gestire e non può durare eternamente.

Prima o poi, la scelta fra ricomposizione e rottura non potrà essere evitata.

 

Le cose si complicano quando si vuole trasformare questo modo di procedere, da pragmatico in strutturale.

 È la teoria dei cosiddetti “cerchi concentrici” per cui i paesi membri dell’UE si raggrupperebbero in cerchi caratterizzati, dall’esterno verso l’interno, da gradi maggiori d’integrazione;

ognuno essendo dotato di una propria struttura istituzionale, aperta ma distinta.

Ne parliamo qui perché alcuni ne hanno voluto vedere tracce nel discorso di Macron a Strasburgo.

Si tratta di un’idea intellettualmente attraente, ma densa di pericoli che possono condurre a gravi fratture.

 Per prima cosa, l’idea di cerchi concentrici non corrisponde alla realtà delle cose.

Se prendiamo quelli più importanti, Schengen, l’euro, le cooperazioni rafforzate in materia di difesa, definire un nucleo centrale sulla base di uno di essi sarebbe impossibile perché, se di cerchi si tratta, essi si intersecano piuttosto che sovrapporsi.

 Inoltre, la gestione del mercato unico, che per definizione dovrebbe comprendere l’intero cerchio esterno dei 27, non è una zona di libero scambio che funziona da sola, ma un insieme integrato cha ha bisogno di essere governato politicamente, giuridicamente e finanziariamente.

La sua gestione non è facilmente separabile da, per esempio, quella dell’euro o dalla decisione di applicare sanzioni economiche a paesi ostili.

 Se non si vuole che l’Unione vada incontro a fratture insanabili, è quindi necessario che la differenziazione sia gestita da una struttura istituzionale unitaria.

Ci sono però ragioni più profonde che incitano alla prudenza.

 L’Unione ha bisogno di un motore.

Per molto tempo si è pensato che dovesse essere la coppia franco-tedesca.

Essa resta essenziale, ma ormai lungi dall’essere sufficiente.

Tutto il sistema è diventato politicamente molto più complesso e sarebbe pericoloso sottovalutare le spinte centrifughe.

Sappiamo tutti che durante la crisi dell’euro si è creata una forte tensione nord-sud.

Sappiamo anche che molti a nord delle Alpi hanno a lungo pensato che un euro liberato dal peso delle cicale meridionali sarebbe stato più stabile e sicuro.

 La svolta è avvenuta quando, posti di fronte a un dilemma concreto, si è deciso di resistere alla tentazione che pure esisteva di escludere la Grecia dall’euro.

 Oggi, uno dei pochi punti di consenso unanime a proposito del governo dell’economia è che le soluzioni e i compromessi devono tener conto degli interessi e delle esigenze, non solo di tutti i membri dell’euro ma anche di quelli che ancora non ne fanno parte.

 Il senso politico della recente presentazione di un documento ispano-olandese non è sfuggito a nessuno.

Non sarà facile, ma alcuni sviluppi fanno pensare che una nuova iniziativa volta a finanziare in comune la risposta alle nuove sfide come la transizione energetica e il rinnovato sforzo a rafforzare la difesa europea, possa maturare in tempi non troppo lunghi.

La dimensione est/ovest è più complicata.

A suo tempo tutti giudicarono l’allargamento a est come il naturale complemento della fine della guerra fredda e il ricongiungimento in nome della democrazia di due parti dell’Europa artificialmente separate.

Mentre sul piano economico l’operazione può essere considerata un successo, sul piano politico il cammino è stato molto più accidentato.

Il modo tradizionale e un po’ burocratico con cui era stato affrontato il processo di allargamento, aveva sottovalutato le difficoltà politiche di integrazione per popoli la cui tradizione democratica era più fragile e recente di quella della parte occidentale del continente.

Popoli inoltre per cui il nazionalismo non era tanto percepito come un male da superare, ma spesso come un valore da conservare perché simbolo di una libertà ritrovata.

Ci eravamo dimenticati che quell’arco di popoli che va dal Baltico all’Adriatico è il luogo in cui sono nate due guerre mondiali e avvenuti alcuni degli orrori più atroci della nostra storia.

 Una storia la loro condizionata da un costante conflitto fra il mondo germanico, quello ottomano e quello russo.

Quando abbiamo scoperto che l’integrazione era molto più complicata del previsto, abbiamo ascoltato le spiegazioni di alcuni intellettuali come “Ivan Krastev “che cercavano di educarci alla complessità e alle contraddizioni delle vicende di quei popoli e ai pericoli che rappresentavano anche per noi occidentali, ma lo abbiamo fatto con condiscendenza e un po’ di fastidio.

In fondo, ci dicevamo, quella gente deve solo adeguarsi.

Ci siamo comportati come in Italia quei piemontesi e lombardi che, dopo il 1860, hanno creduto che l’impresa di Garibaldi volesse solo dire una nazione più grande e non anche profondamente diversa.

L’aggressione russa all’Ucraina suona il risveglio.

Non è più possibile concepire una politica verso la Russia, oggi il nostro principale test di politica estera, senza prendere pienamente in conto ciò che pensano i baltici, la Polonia, altri paesi dell’est e anche gli scandinavi.

Una difficoltà dello stesso genere si presenta per la gestione della lunga lista di paesi nei Balcani occidentali, a cui si aggiungono ora Ucraina, Moldavia e Georgia, che sono candidati all’adesione.

Non c’è dubbio che la lezione degli errori compiuti nell’ultimo allargamento debba essere oggetto di attenta riflessione.

 I tempi interminabili obbiettivamente richiesti dalla complessità dei problemi concreti, si scontrano con aspettative emotive sempre più forti che rischiano di produrre ingranaggi infernali che non consentono di affrontare i problemi più importanti che sono quelli politici.

 Un paio di anni fa, su iniziativa della Francia, si era deciso di adottare un metodo diverso, più flessibile e progressivo che mettesse in primo piano la gestione politica dell’adesione e rendesse possibile graduare le forme di appartenenza all’UE secondo il grado di maturazione politica ed economica.

 Un processo allo stesso tempo incentivante e reversibile.

 Era sicuramente la strada giusta.

Nel discorso di Strasburgo, Macron ha proposto di dare a ciò anche una veste istituzionale con la creazione di una forma di “Comunità politica”, una specie di cerchio esterno dell’UE.

 Il valore simbolico di questa proposta, che in Italia è formulata anche da Enrico Letta, è innegabile.

 Prima di intraprendere quella strada vale però la pena di chiederci quali sono i reali vantaggi di sovrapporre una struttura istituzionale comune a un processo politico necessariamente differenziato.

All’atto pratico, essa rischia di essere la tipica “cattiva buona idea” e di comportare più inconvenienti che vantaggi.

 Un’istituzione richiede una lunga discussione sulle sue strutture e rischia rapidamente di diventare una macchina pesante e burocratica.

 L’esperienza della “Unione del Mediterraneo” avrebbe dovuto insegnarci qualcosa.

Più seri sono i rischi politici.

 I paesi candidati sono quasi tutti in condizioni, con aspirazioni e problemi molto diversi fra loro.

Un’istituzione comune contiene implicitamente la domanda di gestirli in modo unitario e coordinato.

Bastano due esempi per illustrare i pericoli.

Cosa si fa con la Turchia, paese importantissimo ma sappiamo quanto difficile per l’Europa?

La sua candidatura è forse la più antica, ma tutti da Ankara a Stoccolma sanno che non ha ormai nessuna probabilità di arrivare a compimento.

Come è possibile mettere nella stessa istituzione, che si vuole per definizione “politica”, l’Ucraina e la Serbia storicamente alleata e ancora oggi molto vicina alla Russia?

Abbiamo detto che la coppia franco-tedesca resta essenziale per fare avanzare l’Europa.

Dopo un lungo periodo di un processo guidato dalla prudenza tedesca, un po’ di decisionismo francese non guasta.

Tuttavia la leadership non richiede solo di indicare gli obiettivi, ma anche e soprattutto acquisire il consenso per realizzarli.

Bisogna prendere atto che la difficoltà di conciliare il valore supremo dell’unità dei 27 con la possibilità di permettere ad alcune avanguardie di progredire, è più grande che in passato.

La crisi dell’euro ha fatto riscoprire la necessità di dare spazio anche ad altri grandi paesi come l’Italia e la Spagna; ma anche questo non basta.

Come abbiamo detto, la crisi ucraina rende impossibile una politica estera in cui la Polonia e i baltici non abbiano un ruolo centrale.

Questa nuova centralità della Polonia, obiettivamente non facile da gestire, comporta però il vantaggio di introdurre un cuneo importante fra Polonia e Ungheria, i due principali problemi per la questione dello stato di diritto.

Non è ormai nemmeno più possibile pensare solo in termini di “grandi paesi”.

Aggregazioni come il gruppo dei cosiddetti “frugali” che va dall’Olanda agli scandinavi fino all’Austria, non è solo come alcuni pensano con fastidio e disprezzo un’escrescenza del rigorismo tedesco, ma la manifestazione di una volontà di esistere.

 A fronte di questa complessità, si leggono invece sui media analisi di suprema arroganza che, riferendosi a Germania, Francia, Italia e Spagna, parlano “dell’Europa che conta”.

 La prudenza tedesca nell’era di Angela Merkel era a volte eccessiva, ma era anche ispirata dalla consapevolezza imposta dalla storia e dalla geografia di quanto sia necessario tener conto di tutte le variabili del gioco europeo.

Sarebbe bene che un po’ di questo senso della complessità attraversasse il Reno e le Alpi per approdare anche a Parigi e a Roma.

In Europa, la leadership è come uno spazzaneve.

In caso di forte nevicata, se lo spazzaneve non c’è o va troppo lentamente, la neve si accumulerà e la strada resterà bloccata.

Se però la velocità con cui lo spazzaneve si muove è superiore alla potenza con cui riesce e a liberare il terreno, resterà intrappolato lui stesso.

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