QUELLA CHE CI PROSPETTANO È LA FINE INGLORIOSA DI UN SOGNO.

 

QUELLA CHE CI PROSPETTANO È LA FINE INGLORIOSA DI UN 

SOGNO.

 

 

Il valore e il mondo nuovo.

La prima crisi di riproduzione

complessiva del Sistema.

Leparoleelecose.it - Salvo Torre – (4 settembre 2020) – ci dice:

 

1. Il capitalismo è l’insieme dei rapporti socio-ecologici di produzione.

Cosa sia esattamente il sistema sociale in cui viviamo è ancora una domanda centrale per le esperienze politiche e le riflessioni indirizzate alla costruzione di una società liberata e felice.

 Si tratta di una delle domande che hanno accompagnato la storia della modernità e riemerge in corrispondenza delle tante crisi sociali e ecologiche, soprattutto di quelle che si avvicendano costantemente da oltre cinquant’anni e hanno disegnato un sistema in cui convivere con l’incertezza assoluta è la quotidianità.

Stiamo attraversando la più grande crisi della storia del capitalismo, nei prossimi anni affronteremo sicuramente l’insieme di tutto ciò che è successo, dalla fine ingloriosa del paradigma neoliberale e di quello della crescita, all’immane disastro prodotto da secoli di pressione sulla biosfera e sull’ambiente.

Forse è un bene anche ripetersi che il resto delle nostre vite ruoterà intorno alla crisi climatica, a quella ecologica e a quella economica.

 Perché stiamo attraversando una crisi in cui sono coinvolte pienamente e a un livello generale tutte le risorse del pianeta, a partire da quelle fondamentali per la sopravvivenza che sono già sempre meno disponibili.

La condizione in cui ci troviamo ha però sostenuto negli ultimi mesi la necessità di ampliare la riflessione sulle possibilità di uscire da questo sistema, ripartendo dalla sua stessa definizione, ancora realizzabile secondo me, attraverso una rilettura in termini neo marxiani: il capitalismo è l’insieme dei rapporti socio-ecologici di produzione.

La mia ipotesi è che quella che stiamo vivendo sia la prima crisi che coinvolge pienamente il processo di riproduzione complessiva del sistema, una crisi molto lunga da cui il nostro mondo-fabbrica, la società globale che è costantemente impegnata a riprodurre sé stessa, uscirà trasformato nelle sue linee generali.

 La situazione attuale ha molte novità, nonostante sia il risultato evidente di una lunga storia scandita da più livelli temporali:

 è il risultato della crisi che si protrae dagli anni Settanta del Novecento, così come è il risultato del funzionamento storico del capitalismo, è la naturale conclusione di un percorso che si è mosso tutto nel solco della conversione universale e totalizzante alla produzione e al consumo, ai tempi del mercato ai ritmi dettati dalla valorizzazione capitalista.

Si è quindi inceppato il sistema che ha incorporato per secoli tutto, fagocitando le possibilità di riproduzione biologica, mosso dalla visione distopica per cui sarebbe stato possibile sovrapporre la riproduzione dei rapporti sociali e quella biologica, includere definitivamente i processi creativi del vivente nelle relazioni produttive capitaliste.

Se quella che stiamo vivendo è la prima crisi che origina direttamente nei processi di riproduzione del sistema, la possibilità di uscita comporterà una mobilitazione pari a quella della sua nascita, inimmaginabile nei termini ristretti dei calcoli sulle crisi finanziarie degli ultimi decenni e dei mutamenti che sta già producendo.

2. Le crisi sono il sistema.

La teoria delle crisi è una parte fondamentale delle modalità con cui Marx ha fondato la sua critica, ma su cosa siano effettivamente le crisi del capitalismo si è concentrato un enorme dibattito.

 Semplificando estremamente, il fulcro della teoria marxiana può essere considerato l’instabilità generale di un sistema che tende a raggiungere un equilibrio senza mai riuscire a realizzare tale risultato.

La situazione di equilibrio è ovviamente quella di crescita proporzionata dell’economia, non della distribuzione equa della ricchezza.

Il sistema si organizza cioè sull’idea che produzione, mercato e consumo funzionino in modo armonico, articolandosi nelle loro forme sociali, tenuti insieme da una crescita economica costante e infinita.

 Si può dire però che tutta l’organizzazione sociale e economica si muova in modo irregolare sopra o sotto la linea dell’equilibrio e che questo andamento sia la storia degli ultimi secoli.

Ritengo che, se si rilegge tutto il dibattito anche alla luce delle riflessioni sui processi di riproduzione generale espresse dall’ecologia politica, dall’ecofemminismo e già nelle riflessioni contenute nei Grugnisse, questa condizione di equilibrio non ci sia mai stata nella storia del capitalismo.

 Il sistema si è fondato sulla tensione verso un principio teorico che non si è mai creato, se non nelle rappresentazioni che ne venivano fornite o nella narrazione del sottoprodotto del capitalismo di Stato.

 Non si è mai creato perché è irraggiungibile, astratto e falsato nei suoi assunti, ma soprattutto perché il sistema non tende all’equilibrio in nessuna forma.

Le crisi cioè alimentano il funzionamento dei processi di accumulazione e ne scandiscono il mutamento, le crisi sono il sistema e definiscono i rapporti sociali di produzione.

 Il surriscaldamento globale, le catastrofi ambientali, le pandemie non sono il limite del capitalismo, sono il limite creato dal capitalismo, il prodotto prevedibile della sua storia.

David Harvey ha chiarito come i limiti vengano prodotti costantemente per essere superati, innescando processi di accumulazione.

 Nel caso dei disastri ecologici la situazione è esattamente la stessa, non c’è realmente un processo di internalizzazione del limite fisico, per cui un sistema economico si trova a contrastare il limite rappresentato dalle risorse naturali.

 C’è un processo di creazione di quel limite, di riduzione delle risorse causata dal funzionamento dell’economia.

Si tratta di una questione specifica che assume anche un grande valore politico in quella sfera che veniva considerata come propria dei rapporti di classe.

 Una contraddizione fondamentale perché la creazione del limite corrisponde all’esclusione della maggioranza della popolazione dall’accesso alle risorse, la scarsità è il risultato della costruzione elitaria del sistema.

Contrariamente a quanto sosteneva O’Connor, per esempio, non ritengo che esista un limite interno, rappresentato da un disequilibrio nelle condizioni di produzione, cioè da una contraddizione tra i rapporti di produzione e le condizioni della produzione.

In quell’ottica le condizioni di produzione erano anche le risorse biologiche, mentre lo stato aveva il compito di garantire le condizioni di produzione.

Penso che questa sia la prima volta in cui il problema è l’impossibilità di riprodurre l’intero sistema all’interno degli stessi principi.

 La crisi colpisce la riproduzione sociale complessiva, anche perché sono stati fagocitati gli aspetti politici della questione e lo stato non possiede più gli strumenti che aveva prima.

Il funzionamento di questo processo è parte della natura più intima del sistema, riguarda la sua storia e le sue scarse possibilità di sopravvivenza a lungo termine.

 3. Il sistema si nutre di tempo e di vita.

La situazione attuale ci permette anche di guardare a tutto quello che è successo finora in modo diverso.

 Il capitalismo è un insieme di relazioni che nasce dalla soluzione di una lunga serie di crisi sistemiche, che si genera alla fine dell’età medievale, dalla sequenza di pandemie, tracolli commerciali, produttivi, politici, dall’espansione coloniale e dai massacri che comporta, dall’appropriazione del lavoro delle donne, dall’affermazione di nuove gerarchie sociali che comportano anche la reinvenzione del dominio patriarcale, il tutto lungo un periodo che abbraccia almeno tre secoli.

Non penso si possa individuare esattamente il momento di nascita di un sistema sociale, ma sicuramente toccherà ripensare anche alla stretta relazione con le pandemie di fine medioevo e prima età moderna.

In parte toccherà ricordare che già il superamento della pandemia di peste è stato un primo passo, così come lo sono state le sperimentazioni di uscita dalla lunga crisi del Seicento.

Silvia Federici ha poi individuato in modo preciso le modalità con cui tutto ciò passa, nella stessa fase storica, anche attraverso l’appropriazione del lavoro delle donne e dello spazio riproduttivo.

La sottrazione di valore dal lavoro di riproduzione è un passaggio fondamentale per la nascita del nuovo sistema sociale.

 

 Il sistema capitalista si è affermato dunque come risposta a una lunga serie di crisi, ma le ha incorporate come presupposto del proprio funzionamento, procedendo come ha chiarito Nancy Fraser per grandi ondate di accumulazione.

 Si tratta di un processo che ha progressivamente coinvolto tutta la biosfera, di una tendenza generale a incorporare tutto per poi produrre limiti e margini, espellendo il superfluo.

Un nodo essenziale per il funzionamento di tutto il sistema è stata però la riorganizzazione del tempo.

Proprio il tempo è una questione centrale, perché da un lato l’alterazione dei tempi è l’orizzonte verso cui si muove tutto, dall’altro il fulcro del sistema è la vendita del tempo.

Come ha sottolineato André Gorz, si può parlare dell’esistenza del capitalismo con sicurezza quando si può individuare stabilmente la vendita della manodopera calcolata in base al tempo di lavoro.

Tutta questa storia può essere vista cioè come il lungo tentativo di liberarsi da quella che veniva definita dipendenza dalla natura, ma può essere vista anche come il tentativo di convertire i tempi complessivi della biosfera in tempi della produzione e del consumo.

Si tratta di una conversione materiale diretta, come avviene nei casi della produzione di animali per il consumo umano, la riduzione del tempo di crescita e di vita in batteria o della produzione agricola in serra.

 Ma è anche una conversione indiretta, prodotta dall’incompatibilità tra i tempi della biosfera e i tempi di recupero dei danni ambientali prodotti dall’economia umana.

Tutto il processo poteva reggere però solo finché i tempi erano congruenti con i tempi generali di riproduzione biologica;

quando si è disarticolato questo rapporto, nell’arco di un paio di secoli siamo arrivati alla situazione attuale.

Siamo al punto di aver innescato la prima crisi di riproduzione generale del sistema, è diventato impossibile ripartire all’interno degli stessi schemi modificando solo gli assetti di potere interni.

Adesso che si è mangiato anche il tempo di riproduzione biologica, inizia a diventare sempre più difficile riprodurre l’ordine sociale.

In altri termini, la contraddizione capitale/vivente è irrisolvibile.

4. Il valore è sempre composto da una percentuale di morte.

Un processo essenziale per tutto il sistema è dunque quello per cui il Capitale ha una tendenza costante a incorporare tutto, a rielaborare e utilizzare, ma anche semplicemente a distruggere, nella forma del consumo, qualunque aspetto della realtà, dalle risorse biologiche più basilari alle relazioni umane.

 La capacità di incorporare tutto comporta un mutamento nella composizione della realtà sociale, mentre la conversione in merce consumabile comporta una trasformazione che va oltre la banale attribuzione di un prezzo a qualunque cosa.

Soprattutto se si guarda al fatto che il valore di scambio è il principale rapporto sociale, come peraltro già suggerito dal Marx dei Grugnisse.

Un sistema che si costruisce sulla sottrazione di capacità riproduttiva alla biosfera, sulla conversione dei tempi di riproduzione e che costruisce ricchezza su questo processo perché lo colloca alla base della catena di creazione del valore, ha bisogno di erodere costantemente le proprie basi.

 Per creare valore di scambio cioè si consuma sempre una quota di capacità riproduttiva biologica.

Da una prospettiva filosoficamente più ampia, ciò significa che tutte le forme di valore di scambio sono sempre composte da una percentuale di morte, contengono sempre una parte di risorse riproduttive sottratte alla biosfera.

 Il capitale è composto di materia vivente trasformata in materia inerte e quindi non riconvertibile, oltre al lavoro contiene anche capacità riproduttiva.

Perché ciò che finisce con il diventare valore di scambio non è convertibile in valore di riproduzione, in nessun caso.

Siamo alle basi della comprensione della biosfera, ciò che è stato distrutto non si può riconvertire a fonte di riserva per la riproduzione biologica, mentre il mantenimento della vita è la prima direttiva dei sistemi viventi.

La biosfera segue principi radicalmente opposti, la vita si riproduce e organizza in modo diverso.

 La nostra quotidianità si sviluppa dentro questo processo e ciò rende evidente quanto siano limitate le proposte di correzione ecologica delle attività umane, restando nello stesso quadro.

La tendenza generale a cercare margini di guadagno maggiori ha inoltre accelerato i tempi e la dimensione del saccheggio negli ultimi due secoli.

 La fine dell’era del petrolio è un esempio perfetto, sta dimostrando quanto può diventare veloce e devastante il processo.

 La crisi attuale arriva dopo una lunga sequenza di tentativi di uscire da quella dei primi anni Settanta, realizzati attraverso il rilancio e l’espansione del sistema, l’esasperazione crescente delle modalità con cui funziona, dei processi estrattivi, della devastazione ambientale, delle emissioni di gas serra.

Finché non si è arrivati al punto in cui per la prima volta è stato evidentemente eroso il principio di funzionamento della biosfera, sono stati intaccati definitivamente i processi di equilibrio nel mutamento climatico e l’intera popolazione umana del pianeta è stata resa più vulnerabile, esposta alle malattie, oltre che nella stragrande maggioranza povera, sul limite della sussistenza quotidiana.

Il prossimo anno, in sintesi non sarà possibile riprodurre una parte di sistema e la parte che non sarà riproducibile sarà via via maggiore se si prosegue nello stesso schema.

5. Le ondate di opposizione corrispondono a quelle di accumulazione.

 

 La storia delle grandi ondate di accumulazione può essere vista però in modo differente.

In corrispondenza di ogni ondata si è infatti verificata una conflittualità sociale di enorme portata, costruita sia sull’opposizione alle nuove forme esasperate di sfruttamento sia sulla produzione di innovazioni sociali, introdotte per uscire dalle crisi.

La capacità di appropriazione da parte del sistema ha riguardato anche questo aspetto.

Le innovazioni rivoluzionarie sono state assorbite ai fini dell’accumulazione, mentre le rivendicazioni politiche sono state riconvertite e utilizzate come politiche di stabilizzazione.

Innovazione e conflitto sono però elementi costanti di fasi come quella che stiamo vivendo.

Un altro aspetto da non sottovalutare è che i soggetti sociali si sono sempre definiti all’interno di questo processo conflittuale, non sono nati all’esterno, sono il prodotto delle trasformazioni interne.

 Le grandi ondate di conflittualità sociale, in tutto il pianeta, sono già il segno del processo di scomposizione e ricomposizione che accompagna le crisi e le nuove ondate di accumulazione.

 Il blocco delle relazioni sociali degli ultimi mesi non ha fermato le dinamiche di conflitto che erano già diventate esplosive negli ultimi anni in buona parte del pianeta, sembra averle esasperate.

 I processi sociali si muovono autonomamente, mentre le soluzioni finanziarie istituzionali che si prospettano sembrano non intaccare minimamente i processi in atto, anzi sono probabilmente destinate a peggiorare la situazione.

Una novità sta proprio nel fatto che al momento non è visibile uno spazio di appropriazione che possa garantire margini di mantenimento in vita del sistema sul lungo periodo.

Al momento si nota solo la corsa alla concentrazione di ricchezza.

Come sempre, invece, le innovazioni sociali si trovano nel campo dell’opposizione ai processi di accumulazione capitalista, non nella ristrutturazione dei suoi spazi politici.

 La storia dei grandi movimenti sociali degli ultimi decenni è una storia di opposizione che probabilmente ha contribuito alla crisi del capitalismo, quantomeno a modificare in modo inaspettato le relazioni interne.

 Anche questa storia andrebbe rivista radicalmente, osservando gli effetti su un periodo più lungo.

 Lo scenario attuale è quello di un grande sforzo per la costruzione di spazi politici nuovi, in cui i movimenti europei sono ancora coinvolti solo parzialmente, ma che si sta espandendo.

Il capitalismo si è mangiato i tempi di riproduzione e ha innescato il primo conflitto interno alla contraddizione tra capitale e vivente.

 È la prima volta quindi in cui dovremo affrontare la questione su questo piano e sicuramente le prossime crisi si svolgeranno nello stesso campo.

 Quella contraddizione è sia il fulcro del crollo sia il possibile spazio di ricomposizione, è cioè il luogo del conflitto.

Anche questa è una novità assoluta, in cui costruire spazi di autonomia sarà l’unica possibilità per uscire dalle crisi, in cui per la prima volta si confrontano direttamente le prospettive di costruzione materiale di alternative, in tutte le forme che sono state sperimentate negli ultimi decenni.

 

 

 

                                                    

Ieri mitomani, oggi narcisisti:

ecco perché siamo tutti un po’ imbroglioni.

Linkiesta.it - Giovanni Maria Ruggiero – (25 Giugno 2016) – ci dice:

 

IL GRANDE IMBROGLIO.

Dalla pseudologia fantastica dell'Ottocento al disincanto contemporaneo, quel che crediamo di aver perso è la facilità di sognare.

Perché quel che conta è l'interesse personale (compreso immaginarsi capo del mondo)

Siamo tutti un po’ mitomani, e forse un po’ tanto, a partire da quel gruppo di scimmie pazze che decisero di scendere dagli alberi per inventarsi un futuro non dettato dell’istinto.

Immaginare vite fantastiche, convincersi di essere in amicizia con il principe di Galles trascorrendo con lui il pomeriggio al Jockey prima di passare a trovare le vecchie zie alla sera, pensare di essere Anastasia la discendente dello zar di Russia sopravvissuta all’eccidio, inventarsi continuamente storie di cui il raccontatore stesso s’innamora in buona fede e ci crede, dando un colore al grigiore dei giorni di questa nostra vita, illudersi e illudere.

Tutto questo è patologia dell’anima, ma è anche un bisogno umano, quello di raccontarsi storie con cui non solo intrattenersi.

Vogliamo crederci.

La mitomania, o pseudologia fantastica, è un fenomeno estremo che fa parte più della bizzarra psichiatria ottocentesca – col suo sapore da gabinetto del prof. Caligari – che dei giorni nostri.

Oggi siamo tutti più disincantati e perfino coloro che non hanno tutte le rotelle a posto sono più prosastici e meno sbalorditivi nelle loro manifestazioni.

Ecco che quindi al posto del mitomane abbiamo il più banale narcisista.

Anche il narcisista contemporaneo vive in un mondo fantastico.

Ha un senso grandioso della propria importanza, è assorbito da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza illimitati, o di amore ideale, crede di essere speciale e unico e di poter essere capito solo da altre persone altrettanto speciali.

Però, rispetto al mitomane del passato, mantiene un contatto con la realtà e, soprattutto, usa le sue fantasie di grandezza in maniera più chiaramente interessata rispetto al mitomane.

Anche il narcisista contemporaneo vive in un mondo fantastico.

 Ha un senso grandioso della propria importanza, è assorbito da fantasie di successo, potere, fascino e bellezza illimitati, o di amore ideale, crede di essere speciale e unico e di poter essere capito solo da altre persone altrettanto speciali. Però, rispetto al mitomane del passato, mantiene un contatto con la realtà.

L’obiettivo di rafforzare – raccontando balle – l’opinione che di lui hanno gli altri è perseguito dal narcisista con molta minore ingenuità rispetto al mitomane, mantenendo una credibilità sociale e procedendo più per allusioni e ammiccamenti che per racconti fantastici.

Il racconto può esserci, intendiamoci, e in questo i narcisisti non hanno nulla da invidiare ai mitomani;

ma il narcisista dei giorni nostri ha una pelle spessa che il mitomane dell’ottocento può solo sognare.

Il racconto narcisista non è ingenuo e persegue l’obiettivo di convincere gli altri prima ancora che se stessi.

 Vi è un desiderio di sfruttamento degli altri e una sensazione che tutto sia dovuto nelle fantasie di grandezza del narcisista che nel mitomane scompare.

Il mitomane invece sembra davvero un individuo capace di vivere (troppo!) nelle sue storie, nelle sue fantasie con un’ingenuità e una semplicità nelle quali il fine di impressionare e – ancor meno – sfruttare gli altri svanisce, o almeno arretra nello sfondo.

A volte il narcisista si nasconde, ma nemmeno questo rimpicciolirsi lo redime.

Nemmeno in questa condizione riesce a liberarsi di questa sua pulsione a paragonarsi agli altri e a immaginarsi sovrano dell’universo e dittatore della vita sociale.

 È ancora una volta qualcosa di più di quella che poteva essere l’innocente sindrome di Walter Mitty, il personaggio inventato da James Thurber nel 1939 sulle pagine del New Yorker.

Il mitomane invece sembra davvero un individuo capace di vivere (troppo!) nelle sue storie, nelle sue fantasie con un’ingenuità e una semplicità nelle quali il fine di impressionare e – ancor meno – sfruttare gli altri svanisce, o almeno arretra nello sfondo.

A volte il narcisista si nasconde, ma nemmeno questo rimpicciolirsi lo redime.

Mitty è un uomo qualunque, la cui irrefrenabile immaginazione lo porta attraverso scenari eroici a fare della sua vita qualcosa di eccezionale, degna di essere raccontata.

Mitty sceglieva di sognare con l’obiettivo (per nulla segreto) di non uscire mai dalle proprie fantasticherie

 Mitty aveva una sua ingenuità letteraria che però nella vita reale svanisce.

Come scrive lo psicologo Lowen, nella realtà i sognatori coltivano un rabbioso senso di rivalsa che, trattenuta, rende loro un’ingannevole umanità.

Scrive Lowen: «Qualcosa dei suoi modi m’indusse ad indagare sull’immagine che aveva di sé stesso. Gli chiesi di descriversi e Richard disse: ‘Mi sento forte, energico, in gamba. Mi sento più intelligente e più preparato degli altri, e tutti lo dovrebbero riconoscere.

Ma mi tiro indietro.

 Sono nato per essere in prima fila: sono nato re, superiore a tutti gli altri».

Forse è ingenuo ritenere che il mitomane ottocentesco, il millantatore affetto da pseudologia fantastica o il Mitty di prima della guerra mondiale non nutrissero a loro volta questi stati d’animo di rivalsa rabbiosa, non fossero una persona innamorata soprattutto delle sue storie ma, più squallidamente, nutrissero soprattutto l’obiettivo di vincere nella lotta sociale che ci fa tanto feroci.

Forse ci piace troppo pensare che solo la nostra epoca sia affetta da una completa perdita della capacità di sognare gratuitamente, mentre in passato questo era ancora possibile.

 Forse questa è l’unica ingenuità che ci è concessa, la nostra moderna mitomania, la convinzione di essere l’unica età in cui sognare sia difficile.

 

 

 

Disarmo incondizioNato.

 

Dinamopress.it - Alfio Nicotra – (16 Marzo 2022) – ci dice:

Una soluzione alternativa è possibile ridando “potere” alle Nazioni Unite e riducendo quello della Nato.

Solo l’Onu può smilitarizzare i corridoi umanitari e congelare l’invasione sul campo.

Non esiste soluzione militare alla guerra in Ucraina.

L’unica soluzione militare plausibile sarebbe l’intervento della Nato e la generalizzazione della guerra ai Paesi confinanti, con il rischio, praticamente una certezza, di una devastante guerra nucleare.

 Più ci si infila dentro questo “cul de sac” più si alzano i decibel della propaganda bellicista.

C’è una chiamata alle armi dei cervelli, che non devono più pensare alle responsabilità, all’incredibile sequenza di errori ed orrori che ha portato a questo esito catastrofico.

Chiunque prova a ragionare è additato di collusione con il nemico e accusato di essere equidistante tra aggredito ed aggressore.

 Eppure sta a noi costruttori di pace, in Russia come in Italia, rompere questa spirale, in cui l’intelligenza è sostituita dalla propaganda e provare a dare una alternativa alla guerra.

 La nostra idea di “neutralità attiva” non significa stare con le mani in mano, attendere che gli eventi avvengano, non prendere parte dentro le controversie.

 Ma la nostra parte sono sempre stati i popoli, coloro che la guerra la subiscono, gli sfollati, le vedove, gli orfani, insomma l’umanità che si vorrebbe silenziata sotto il fragore delle bombe e della isteria bellica.

Intanto alla propaganda di guerra contrapponiamo alcune semplici domande.

Partiamo dall’invio delle armi all’Ucraina deciso dal nostro Governo e da quelli della Ue: sono in grado di ribaltare i rapporti di forza tra aggredito e aggressore?

Nessun generale o esperto di Difesa vi dirà che questo invio di armi cambierà la situazione: troppo sproporzionate sono le forze militari in campo.

L’unica soluzione militare possibile è un intervento della Nato a guida Usa, ma è una ipotesi talmente da brividi che sono proprio i vertici politico/militari ad escluderla come dimostra il “niet” alla richiesta ucraina di una “no fly zone”.

Chi fa articoli e post patriottici e bellicisti dalle sue calde case in occidente è disponibile a rischiare la vita dei suoi ragazzi e a mettere lo stivale sul terreno?

Mandare armi agli ucraini avrebbe senso solo in questo caso, come avvenne in Italia ed in Francia nella seconda guerra mondiale quando britannici e statunitensi lanciarono armi per i partigiani che indebolivano così il nemico nelle retrovie e facilitavano il loro lavoro di liberazione sul fronte militare.

Possiamo dire che il “vi armiamo ma crepate voi” senza che a questa segua un intervento diretto della Nato non è solo un poco ipocrita, ma anche vigliacco nei confronti del popolo ucraino?

Questa è la questione che abbiamo davanti, è la domanda che noi giornalisti dobbiamo proporre alle nostre opinioni pubbliche: se scegliamo la soluzione militare dobbiamo entrare in guerra a fianco dell’Ucraina. Siete disponibili?  Il resto è tutta ipocrisia.

Ma se la soluzione militare è impossibile sono impossibili altre soluzioni?

Tornare all’Onu per esempio, che nella sua assemblea generale straordinaria ha condannato senza “se” e senza “ma” l’invasione, isolando Mosca anche dai suoi potenziali alleati come la Cina o l’India.

 I due giganti asiatici hanno scelto l’astensione che, in questo contesto, equivale ad una presa di distanza netta dall’invasione e dalla logica dell’uso della forza per la risoluzione delle controversie internazionali.

 

Tornare all’Onu significa anche riavvolgere il nastro di questi tre decenni in cui la guerra è stata usata dall’occidente come strumento principe di dominio globale.

 Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Siria l’elenco della via crucis bellica è lungo e tragico dove si è travolto il diritto internazionale e destabilizzato e reso più insicuro ed ingiusto il pianeta.

Significa ripartire da Srebrenica in Bosnia Erzegovina, quando un contingente di caschi blu (nessuno dei quali processato) si rifiutò di proteggere la popolazione civile consegnandola al suo massacratore.

 Quei caschi blu avevano una nazionalità, erano olandesi ovvero di un Paese della Nato e fu proprio la Nato a beneficiare di quello shock che l’eccidio provocò nell’opinione pubblica.

Da quel momento l’Onu è uscita di scena e la Nato si è convertita a gendarmeria globale, rilanciando la propria stessa esistenza, arrivando ad includere quasi tutti i paesi europei dell’ex Patto di Varsavia.

 Se l’ingloriosa ritirata dall’Afghanistan e prima ancora il tradimento dei curdi in Siria con l’aggressione da parte della Turchia (altro paese Nato) avevano aperto una discussione sulla “morte cerebrale” dell’Alleanza Atlantica, l’invasione di Putin ha improvvidamente cancellato ogni dibattito.

Ma oggi la Nato appare inservibile, prigioniera del limite di aver diviso l’Europa e il mondo in alleati e nemici, impedendo quella “casa comune europea” che Gorbaciov aveva prospettato quando, con l’azione dei popoli, venne fatta cadere la cortina di ferro e il muro di Berlino.

Tornare all’Onu significa sostituire la contrapposizione amico-nemico con l’accordo negoziato tra le parti, in un quadro di sicurezza comune garantito anche da contingenti internazionali militari e civili composti in modo multilaterale per essere da garanzia per tutti i contendenti.

È l’Onu che può smilitarizzare i corridoi e congelare l’invasione sul campo, così come è l’Onu quello che può prospettare zone e Paesi neutrali in grado di dare garanzia per la sicurezza ad est e ad ovest.

Solo l’Onu è in grado di permettere che i corridoi umanitari non si trasformino in un semplice esodo dalle proprie case dei civili, preludio per la distruzione da parte dell’occupante russo delle città assediate.

 Questo consentirebbe il negoziato vero, su tutti i temi sul tappeto e che fino ad oggi non si è voluto affrontare.

Il ritorno al diritto internazionale consentirebbe anche alla Ue di recuperare la sua originale missione, quella di unire i popoli europei e di garantire la pace.

Una Ucraina nella Ue e non nella Nato andrebbe a rafforzare quei paesi neutrali che ne fanno parte come Finlandia, Svezia, Austria e Irlanda e che hanno dimostrato di avere una qualità della loro democrazia non certamente inferiore alla nostra.

Solo il cessate il fuoco ed una garanzia internazionale consentirebbe agli ucraini di proseguire la resistenza all’invasore senza armi, attraverso la disobbedienza civile, l’organizzazione di comunità solidali, l’indisponibilità alla cancellazione delle proprie identità nazionali (che anche in Ucraina, sono diverse e non una sola). Lo sciopero generale degli operai dei cantieri Lenin in Polonia servì molto di più che i missili Cruise a far sfarinare il regime di Varsavia.

Un territorio così vasto come l’Ucraina di oltre 40 milioni di abitanti non può essere occupato stabilmente da un esercito di 200mila soldati, senza che cresca una opposizione anche in Russia.

Le migliaia di arresti di pacifisti indicano che il fronte interno è il più ingestibile da parte dell’oligarchia legata al regime.

Perché il problema è anche questo: che non esiste soluzione militare, anche se tragicamente oggi praticata, neanche per Putin.

 L’unica soluzione è la trattativa, il negoziato, far tacere le armi.

 Avere la forza e non la ragione alla fine non paga e i popoli si liberano lo stesso.

Per fare questo bisogna salvare il popolo ucraino dal bagno di sangue anche perché ognuno di loro sarà prezioso in vita per continuare la lotta.

 

 

 

 

L’AGGRESSIONE NATO DEL 1999

ALLA JUGOSLAVIA È STATA

UN PUNTO DI SVOLTA.

Comedonchisciotte.org – Redazione CDC - Zivadin Jovanovic – (05 Aprile 2023) – ci dice: 

 

 

Ieri come oggi, i Balcani al centro dello scacchiere geopolitico e dei venti di guerra.

Il bombardamento di Belgrado fu nel 1999.

Il 24 marzo scorso, il Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, l’Associazione dei Generali e Ammiragli di Serbia, l’Associazione dei Veterani SUBNOR di Serbia e altre associazioni indipendenti e “thank tank”, hanno celebrato il 24° anniversario dell’aggressione della NATO alla Serbia e al Montenegro (Repubblica Federale di Jugoslavia) onorando gli eroi caduti nella difesa del Paese e tutte le vittime di questo atto illegale e criminale.

Come è ampiamente riconosciuto, questa aggressione è stata intrapresa in violazione dei principi fondamentali del Diritto Internazionale, compresa la violazione della Carta delle Nazioni Unite e senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Considerando che la Jugoslavia non rappresentava una minaccia per nessun Paese membro della NATO, la leadership della NATO ha violato persino il suo stesso atto costitutivo, mentre i Paesi membri della NATO hanno violato le loro stesse costituzioni, nella misura in cui hanno agito senza l’autorizzazione dei rispettivi Parlamenti.

Alla conferenza di alto livello dell’”Alleanza atlantica”, tenutasi il 28-30 aprile 2000 a Bratislava, i rappresentanti degli Stati Uniti hanno confermato esplicitamente agli alleati e poi ai candidati alleati, tre importanti motivazioni per la “guerra contro la Jugoslavia”:

in primo luogo, sottrarre il Kosovo (e Metohija) alla Serbia e renderlo uno Stato separato e indipendente;

in secondo luogo, trasformarlo nella portaerei dei Balcani per le truppe statunitensi;

 e, in terzo luogo, creare un precedente per gli interventi militari in tutto il mondo senza richiedere il mandato del “Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”.

Sebbene sia stata falsamente presentata dai mass media come “intervento umanitario”, in realtà è stata la guerra di espansione geopolitica della NATO/USA verso est, verso i confini russi, creando anche il precedente per aggressioni successive: Afghanistan, Irak, Libia, Siria…

L’istituzione immediata della grande base militare statunitense “Bondstil”, nei pressi di Urosevac, in Kosovo e Metohija, è stata solo la prima di una lunga catena di nuove basi militari USA nell’Europa centrale e orientale: Bulgaria (3), Romania (3), Polonia…

Così la NATO non solo ha portato la prima guerra sul suolo europeo, ma allo stesso tempo ha fornito un impulso straordinario all’intenso processo di militarizzazione del Vecchio Continente.

 Tutti i Paesi membri sono stati obbligati a destinare il 2% della spesa militare del loro PIL, ad adattare le infrastrutture civili ai nuovi requisiti militari, a limitare la vendita delle principali aziende ai soli investitori potenziali dell’UE e della NATO (“per motivi di sicurezza”), a non importare nuove tecnologie da “fornitori inaffidabili” (5G), a non acquistare gas e petrolio da coloro che li utilizzano “per minare la sicurezza dell’Europa”.

I missili, compresi quelli con bombe all’uranio impoverito, incluse le bombe a grappolo, sono caduti in Serbia e Montenegro, uccidendo i loro cittadini e distruggendo la loro economia.

 La Serbia si sta ancora riprendendo dalle immense perdite economiche e sociali. Belgrado e altre grandi città, anche nelle zone centrali, continuano a convivere con le rovine e le macerie degli edifici governativi e di altri edifici bombardati dalla NATO.

Ma allo stesso tempo, l’aggressione della NATO del 1999 contro la Serbia e Montenegro (RFJ) ha distrutto l’intera architettura di sicurezza e di cooperazione dell’Europa e del mondo, cancellando Teheran, Jalta, Potsdam, Helsinki e altri accordi e pilastri dell’ordine post-Seconda guerra mondiale, portando così disordine, insicurezza e persino il caos.

L’aggressione della NATO terminò con la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (1999), che garantiva la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Federale di Jugoslavia (Serbia) e un’ampia autonomia per la Provincia del Kosovo e Metohija all’interno della Serbia.

L’aggressione, tuttavia, è continuata da allora con altri mezzi. Sebbene la Provincia fosse sotto il mandato dell’ONU e la KFOR, composta per lo più da truppe NATO, autorizzata a garantire una uguale sicurezza a tutti, circa 250.000 serbi e altri non albanesi sono stati epurati, le loro case bruciate, le terre usurpate.

Nel 2008, l’ex leadership terroristica dell’UCK ha proclamato la secessione unilaterale.

 I Paesi della NATO e dell’UE, ad eccezione di Spagna, Romania, Slovacchia, Grecia e Cipro, sono stati tra i primi a riconoscere la secessione, consapevoli del fatto che era contraria al diritto internazionale, alla risoluzione 1244 del CS delle Nazioni Unite e alla Costituzione della Serbia.

Ultimamente, la Serbia sta subendo pressioni senza precedenti da parte di USA/NATO/UE perché eviti di opporsi all’adesione del Kosovo alle organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU, per stabilire relazioni di buon vicinato basate sull’uguaglianza, sul rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale, per riconoscere reciprocamente lo Stato e i simboli nazionali, per stabilire relazioni quasi diplomatiche.

Con il pretesto della “normalizzazione delle relazioni”, l’Occidente, guidato dagli Stati Uniti, cerca di fatto di obbligare la Serbia a riconoscere de facto il nuovo Stato del Kosovo, nato dall’aggressione della NATO del 1999.

 Le promesse di adesione all’UE, gli investimenti e le donazioni vengono sfruttati per spingere la Serbia a riconoscere la secessione di una parte del territorio del proprio Stato, rinunciando così a tutti i diritti fondati sul diritto internazionale, sulla Carta dell’ONU, sulle garanzie della CS dell’ONU e sulla propria Costituzione.

Tutte queste richieste sono contenute nel cosiddetto “Accordo sul percorso di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia”, presentato alla Serbia il 27 febbraio 2023 e confermato il 18 marzo 2023, a Ohrid, nella Macedonia del Nord, sotto forma di un ultimatum più o meno aperto.

 È interessante notare che questo ultimatum, accompagnato dalle minacce di misure e restrizioni economiche, finanziarie e di altro tipo in caso di mancato rispetto, sarà confermato dal “Consiglio Europeo” il 24 marzo 2023, data in cui esattamente 24 anni fa la NATO iniziò a bombardare Belgrado, Pristina e altre città in tutta la Serbia.

Quali sono le vere ragioni di tutto questo?

 Rendere il Kosovo idoneo a entrare nella NATO e persino a unirsi all’Albania; stabilire la completa egemonia NATO nei Balcani, Serbia e Bosnia-Erzegovina incluse;

allontanare la presenza russa e cinese dai Balcani;

rimuovere l’obiezione di cinque Stati membri dell’UE (quattro della NATO) al riconoscimento della secessione unilaterale del Kosovo, ristabilendo così l’unità all’interno delle alleanze.

L’aggressione della NATO a Serbia e Montenegro (RFJ) nel 1999, ha rappresentato il punto di svolta dell’Alleanza da difensiva ad aggressiva, dell’Europa parzialmente autonoma alla completa sottomissione agli Stati Uniti nel perseguimento della globalizzazione dell’interventismo e del confronto globale con Russia e Cina.

Sebbene sembrasse il culmine dell’arroganza unipolare e dell’egemonia USA/NATO, essa è stata un campanello d’allarme per tutti coloro che credono in un nuovo ordine mondiale democratico.

(Zivadin Jovanovic)

(wpc-in.org/statements/nato-1999-aggression-yugoslavia-turning-point)

 

 

 

Giocare a "Fool's Mate" sulla

Grande Scacchiera Eurasiatica.

Unz.com - RON UNZ – (3 APRILE 2023) – ci dice:

Per almeno una generazione o più, le politiche internazionali americane sono state sempre più governate dal nostro “Ministero della Propaganda”, e il conto potrebbe finalmente iniziare a scadere.

Mercoledì scorso il “WALL Street Journal” ha riferito che l'Arabia Saudita stava aderendo all'”Organizzazione cooperativa cinese di Shanghai”, una decisione che è arrivata poche settimane dopo l'annuncio di aver ristabilito le relazioni diplomatiche con l'”arcinemico Iran” a seguito dei negoziati tenuti a Pechino sotto gli auspici cinesi.

Per tre generazioni, il regno ricco di petrolio era stato il più importante alleato arabo dell'America, e la frase principale dell'articolo del “Journal “sottolineava che questo drammatico sviluppo rifletteva la nostra influenza calante in Medio Oriente.

Lo stesso giorno, il Brasile ha dichiarato che stava abbandonando l'uso di dollari nelle sue transazioni con la Cina, il suo più grande partner commerciale, a seguito di una precedente dichiarazione secondo cui il suo presidente aveva in programma di incontrare il leader cinese a sostegno degli sforzi di quel paese per porre fine alla guerra Russia-Ucraina, un'iniziativa diplomatica fortemente osteggiata dal nostro stesso governo.

 Le tessere del domino geopolitiche sembrano cadere rapidamente, abbattendo con sé l'influenza americana.

Dati gli orrendi deficit di bilancio e commerciali del nostro paese, il continuo tenore di vita dell'America dipende fortemente dall'uso internazionale del dollaro, specialmente per le vendite di petrolio, quindi questi sono sviluppi estremamente minacciosi.

 Per decenni, abbiamo liberamente scambiato il nostro copione governativo con beni e merci provenienti da tutto il mondo, e se ciò diventa molto più difficile, la nostra situazione globale potrebbe diventare disastrosa.

Durante la crisi di Suez del 1956, il minacciato crollo della sterlina britannica segnò la fine dell'influenza britannica sulla scena globale, e l'America potrebbe avvicinarsi rapidamente al suo "momento di Suez".

Nonostante i nostri enormi sforzi e lo stridulo sostegno dei media occidentali globali, pochi paesi oltre ai nostri vassalli servili sono stati disposti a seguire il nostro esempio e imporre sanzioni alla Russia, un'ulteriore prova del nostro peso internazionale notevolmente diminuito.

Dal 1980 ho considerato lo spostamento tettonico del potere geopolitico verso la Cina come una conseguenza quasi inevitabile dello sviluppo di quel paese, e più di un decennio fa avevo descritto quelle potenti tendenze, già visibili da tempo.

(L'ascesa della Cina, la caduta dell'America Ron Unz • Il conservatore americano • 17 aprile 2012)

Ma i fatti sono ormai diventati palesemente evidenti.

“Jacques Sapir” è direttore degli studi presso” l'EHESS”, una delle principali istituzioni accademiche francesi, e pochi mesi fa ha pubblicato un breve articolo che espone le sorprendenti statistiche economiche, un'analisi che ha ricevuto meno attenzione di quanto meritasse.

Valutare geo strategicamente.

(le economie russa e cinese Jacques Sapir • Affari americani • 20 novembre 2022 •)

Ha spiegato che secondo i tassi di cambio nominali la Russia aveva una piccola economia, grande solo la metà di quella della Francia e all'incirca uguale a quella spagnola, quindi era sembrata molto vulnerabile all'ondata senza precedenti di sanzioni occidentali imposte dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Ma la Russia è sopravvissuta quasi indenne, e invece è stato l'Occidente a soffrire di carenze energetiche critiche, un grave attacco di inflazione e altri gravi stress economici, suggerendo che quei paragoni erano semplicemente illusori.

Al contrario, secondo la metrica molto più realistica della parità del potere d'acquisto (PPP), l'economia russa era in realtà molto più grande, essendo paragonabile a quella della Germania. Ma anche questa misura ha seriamente sottovalutato il vero equilibrio del potere internazionale.

Tra le economie occidentali, i servizi comprendono una grande, a volte schiacciante frazione dell'attività economica totale, e queste statistiche sono molto più soggette a manipolazione.

Alcuni economisti hanno sostenuto che lo spaccio di droga, la prostituzione e altre attività criminali dovrebbero essere inclusi in quel totale, il che aumenterebbe quindi la presunta misura della nostra prosperità nazionale.

Al contrario, durante i periodi di forte conflitto internazionale, i settori produttivi del PIL – industria, miniere, agricoltura e costruzioni – costituiscono probabilmente una misura molto migliore del potere economico relativo, e la Russia è molto più forte in quella categoria.

 Quindi, sebbene il PIL nominale della Russia sia solo la metà di quello della Francia, la sua economia produttiva reale è più del doppio, rappresentando quasi cinque volte uno spostamento del potere economico relativo.

 Questo aiuta a spiegare perché la Russia ha superato così facilmente le sanzioni occidentali che ci si aspettava l'avrebbero paralizzata.

Quando Sapir estende questa stessa analisi ad altri paesi, i risultati sono ancora più notevoli.

Sebbene i nostri media mainstream in malafede descrivano invariabilmente la Cina come la seconda economia più grande del mondo, in realtà ha superato l'America in termini reali diversi anni fa, come chiunque può confermare consultando il World Factbook della CIA.

Ma mentre un sostanziale 44% dell'economia completamente moderna della Cina è costituito da servizi, il settore dei servizi americano – pubblicità, vendite al dettaglio, istruzione, servizi personali, consulenza sulla diversità – ammonta a quasi l'80% del nostro totale, riducendo la nostra produzione produttiva a una piccola frazione residua.

Una delle tabelle di Sapir ha dimostrato che già nel 2019 l'economia produttiva reale della Cina era già tre volte più grande di quella americana.

In effetti, entro il 2017 il settore produttivo reale della Cina ha superato il totale combinato per America, Unione Europea e Giappone.

I sostenitori americani spesso trovano conforto nei nostri presunti vantaggi nella tecnologia e nell'innovazione, ma sebbene il nostro vantaggio passato fosse stato enorme, questo sembra meno vero oggi o in futuro.

Sapir ha fornito un grafico che mostra l'enorme crescita delle domande di brevetto cinesi negli ultimi quarant'anni, che sono aumentate da quasi nulla a oltre il 60% del totale mondiale entro il 2018, quasi cinque volte la quota americana.

Ci sono alcune prove empiriche che queste statistiche ufficiali hanno un impatto sul mondo reale.

 Le aziende americane hanno creato e una volta dominato interamente l'ecosistema dei social media e degli smartphone che è così importante per i consumatori globali, e per anni la loro posizione è sembrata inattaccabile.

Ma secondo un recente articolo del WSJ, quattro delle “cinque app per smartphone” più popolari negli Stati Uniti sono ora cinesi, con Facebook al quinto posto.

La risposta principale della nostra classe politica bipartisan è stata quella di minacciare un divieto di TikTok, molto popolare tra i nostri giovani, proprio come la nomenklatura della decadente Unione Sovietica aveva una volta cercato disperatamente di vietare i blue jeans occidentali e la musica rock.

Questo rapido aumento della Cina nella tecnologia e nella competitività economica non è affatto sorprendente.

Come ha sottolineato il fisico “Steve Hsu” nel 2008, secondo” i dati psicometrici internazionali”, la popolazione americana contiene probabilmente circa 10.000 individui con un” QI” di 160 o superiore, mentre il totale per la Cina è di circa 300.000, una cifra trenta volte più grande.

La più grande vulnerabilità strategica della Cina era stata la sua dipendenza dall'energia e dalle materie prime importate per alimentare la sua massiccia base industriale, e durante un confronto internazionale l'America avrebbe potuto potenzialmente usare il suo controllo dei mari per interdire tali forniture vitali.

 Ma la Russia possiede il più grande scrigno del mondo di tali risorse, e la nostra incessante ostilità ha ora spinto quel paese in uno stretto abbraccio del suo vicino cinese, come recentemente sottolineato dal vertice di Mosca dei loro due leader nazionali.

Pertanto, le nostre azioni hanno forgiato una forte alleanza Cina-Russia che sembra destinata a spostare l'America dalla sua posizione globale dominante.

 Un tale risultato sarebbe un evento di proporzioni storiche, paragonabile per grandezza al crollo dell'Unione Sovietica tre decenni fa.

“Graham Allison” di Harvard è stato il decano fondatore della “Kennedy School of Government”, assumendo quel posto mentre ero ancora al liceo, e il suo influente bestseller del 2017” Destinati alla guerra” ha coniato la frase "la trappola di Tucidide" per quello che temeva potesse essere un conflitto quasi inevitabile tra una Cina in ascesa e un'America dominante a livello globale.

Ma la nostra ostilità irrazionale verso la Russia ha ora trasformato il panorama geopolitico, e la scorsa settimana è andato sulle pagine di “Foreign Policy” per sostenere che l'alleanza Cina-Russia ora probabilmente ha superato la nostra:

“Xi e Putin hanno l'alleanza non dichiarata più importante al mondo:

È diventato più importante delle alleanze ufficiali di Washington oggi”.

(“Graham Allison • Politica estera • 23 marzo 2023”)

I suoi paragrafi conclusivi meritano di essere citati per intero:

Una proposizione elementare nelle relazioni internazionali 101 afferma: "Il nemico del mio nemico è mio amico".

Confrontandosi contemporaneamente con Cina e Russia, gli Stati Uniti hanno contribuito a creare ciò che l'ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Zbigniew Brzezinski ha definito una "alleanza delle persone offese".

Ciò ha permesso a Xi di invertire il successo della "diplomazia trilaterale" di Washington del 1970 che ha ampliato il divario tra la Cina e il nemico principale degli Stati Uniti, l'Unione Sovietica, in modi che hanno contribuito in modo significativo alla vittoria degli Stati Uniti nella Guerra Fredda.

Oggi, Cina e Russia sono, nelle parole di Xi, più vicine degli alleati.

Dal momento che Xi e Putin non sono solo gli attuali presidenti delle loro due nazioni, ma leader i cui mandati non hanno effettivamente date di scadenza, gli Stati Uniti dovranno capire che stanno affrontando l'alleanza non dichiarata più importante del mondo.

Secondo Allison, stiamo attualmente assistendo alla fine del dominio globale incontrastato americano che ha seguito il crollo dell'Unione Sovietica più di tre decenni fa.

Pertanto, era abbastanza appropriato che egli citasse le opinioni di Zbigniew Brzezinski, lo scienziato politico di origine polacca che era stato uno dei principali architetti della nostra strategia di successo durante le ultime vittoriose fasi di quel conflitto della Guerra Fredda.

Studioso accademico di lunga data della scuola "realista" nelle università di Harvard e Columbia, Brzezinski era stato il principale organizzatore della “Commissione Trilaterale” nel 1973 e nel 1976 fu nominato” Consigliere per la Sicurezza Nazionale nell'amministrazione Carter”, guadagnando gradualmente ascendente per le sue opinioni più dure contro il suo rivale, il Segretario di Stato Cyrus Vance.

Ha fortemente sostenuto l'attività dissidente dell'Europa orientale, in particolare includendo il potente movimento Solidarność nella sua nativa Polonia, e ha anche orchestrato una pesante assistenza militare ai ribelli musulmani nell'Afghanistan controllato dai sovietici.

Entrambi questi sforzi probabilmente giocarono un ruolo significativo nell'indebolire fatalmente l'URSS.

In effetti, sebbene Brzezinski fosse lui stesso un democratico di forti tendenze socialdemocratiche, le sue posizioni in politica estera furono così ammirate dai conservatori repubblicani che ci furono anche affermazioni successive che Ronald Reagan gli aveva chiesto di rimanere in quello stesso ruolo dopo la sconfitta di Carter del 1980.

A metà degli anni 1980, Brzezinski si era convinto che il comunismo sovietico fosse in declino terminale e nel 1989 pubblicò “The Grand Failure”, con il sottotitolo profetico "La nascita e la morte del comunismo nel ventesimo secolo".

L'opera apparve in stampa quasi un anno prima che la caduta del muro di Berlino segnasse la fine di un'epoca.

 

Il crollo della cortina di ferro ha riunito le metà tagliate dell'Europa due generazioni dopo la loro separazione, e questo è stato seguito due anni dopo dal crollo scioccante e dalla disintegrazione della stessa Unione Sovietica.

Mosca perse presto il controllo sui territori che aveva governato per secoli, con la maggior parte dei confini dello stato successore russo tornati a quello che erano stati prima del regno di Pietro il Grande nel 1682.

L'improvvisa scomparsa dell'URSS ha completamente trasformato il panorama geopolitico, lasciando l'America come unica superpotenza mondiale, con il dominio incontrastato sull'intero globo, una situazione unica nella storia del mondo.

Brzezinski considerò le conseguenze di quello sconvolgimento globale e nel 1997 pubblicò” The Grand Chessboard”, un libro breve ma influente che riassumeva la nostra posizione internazionale senza precedenti e delineava le politiche geostrategiche per rafforzare il nostro nuovo dominio sul continente mondiale eurasiatico, la regione che costituiva la "grande scacchiera" del suo titolo.

Nel corso degli anni, ho visto spesso accuse secondo cui Brzezinski stava sostenendo una strategia per l'egemonia globale americana permanente, ma penso che tali critici confondessero le sue idee con il crudo trionfalismo sposato dai Neoconservatori, che seguivano un percorso ideologico completamente diverso.

Ho finalmente letto il suo libro diversi anni fa e mi sono imbattuto in un'analisi molto ponderata e moderata dei pericoli e delle opportunità che l'America ha affrontato sulla massa continentale eurasiatica, con l'autore che ha ripetutamente sottolineato che il nostro dominio mondiale era solo una condizione temporanea, impossibile da mantenere in modo permanente.

L'America era il suo paese e certamente ha proposto alleanze e altre misure per rafforzare ed estendere la nostra posizione globale, ma ha cercato di farlo in modo ragionevole e sobrio, evitando azioni provocatorie o precipitose e adattando adeguatamente i legittimi interessi geopolitici di altre grandi potenze come Cina, Russia, Giappone e i più grandi stati europei.

Il suo libro era apparso vicino al prestigio e dell'influenza americana e all'indomani degli attacchi dell'9/11 pochi anni dopo, Brzezinski divenne un forte critico pubblico dei piani influenzati dai Neoconservatori dell'amministrazione Bush per una guerra in Iraq, un errore disastroso che ha distrutto la stabilità del Medio Oriente, ha sperperato la nostra credibilità nazionale. e ci è costato molti trilioni di dollari.

Dalla metà degli anni 1970 il suo più stretto alleato e collaboratore era stato il suo ex aiutante militare Bill Odom, che come generale a tre stelle in seguito ha gestito la “NSA” per Ronald Reagan durante la metà degli anni 1980, e i due in seguito hanno sollecitato un immediato riavvicinamento strategico con l'Iran e il ritiro dall'Iraq.

I drammatici cambiamenti geopolitici che stiamo vivendo di recente mi hanno spinto a rileggere il breve libro di Brzezinski del 1997 e così facendo hanno pienamente confermato i miei ricordi.

All'inizio, ha esposto le ragioni chiave del dominio globale dell'America, aspettandosi che la maggior parte di esse persistesse per almeno una generazione e forse più a lungo:

In breve, l'America è suprema nei quattro settori decisivi del potere globale:

militarmente, ha una portata globale senza pari;

economicamente, rimane la principale locomotiva della crescita globale, anche se sfidata per certi aspetti dal Giappone e dalla Germania (nessuno dei quali gode degli altri attributi della potenza globale);

tecnologicamente, mantiene la leadership generale nelle aree di punta dell'innovazione; e

 culturalmente, nonostante un po' di grossolanità, gode di un fascino che non ha rivali, specialmente tra i giovani del mondo, il che dà agli Stati Uniti un peso politico che nessun altro stato si avvicina a eguagliare.

È la combinazione di tutti e quattro che rende l'America l'unica superpotenza globale completa.

Sebbene l'autore di origine polacca abbia sicuramente mantenuto una profonda ostilità personale verso il tradizionale avversario russo della sua patria e il suo libro sia stato scritto vicino al nadir del declino nazionale della Russia, erano visibili solo tracce di tale animosità, e considerava pienamente la possibilità che una Russia rinata si integrasse con successo in un'Europa allargata, la "casa comune europea" una volta sposata da Mikhail Gorbaciov.

Ha espresso una certa preoccupazione per l'instabilità nel mondo islamico, ma le nostre disastrose guerre mediorientali post-9/11 sarebbero sembrate atti di inimmaginabile incoscienza e follia.

Il penultimo e più lungo capitolo della sua analisi sull'Eurasia era intitolato "L'ancora dell'Estremo Oriente" e descriveva quella regione come "un successo economico senza paralleli nello sviluppo umano".

 Ha osservato che durante la loro fase di decollo dell'industrializzazione, la Gran Bretagna e l'America avevano impiegato circa mezzo secolo per raddoppiare la loro produzione, mentre sia la Cina che la Corea del Sud avevano raggiunto lo stesso risultato in un solo decennio.

Brzezinski era fiducioso che, salvo circostanze sfortunate, la Cina sarebbe sicuramente diventata una potenza economica globale leader e credeva che il nostro paese dovesse cercare di incorporarla nel sistema mondiale che avevamo costruito, pur riconoscendo correttamente che "la storia della Cina è stata una storia di grandezza nazionale".

Ma sebbene la valutazione di Brzezinski delle prospettive della Cina fosse molto favorevole, la sua analisi del 1997 era in realtà piuttosto cauta nelle sue proiezioni.

Dubitava che i notevoli tassi di crescita economica del paese sarebbero continuati per un altro paio di decenni, qualcosa che avrebbe richiesto "una combinazione insolitamente felice di un'efficace leadership nazionale" e numerose altre condizioni favorevoli, sostenendo che una tale "combinazione prolungata di tutti questi fattori positivi era problematica".

Invece, si è orientato verso una prognosi più convenzionale secondo cui entro il 2017 la Cina potrebbe avere un PIL totale considerevolmente più grande di quello del Giappone, stabilendolo così come "una potenza globale, all'incirca alla pari con gli Stati Uniti e l'Europa".

Ma la realtà era che in quell'anno il PIL reale della Cina era più di quattro volte più grande di quello del Giappone, e la sua produzione industriale reale era maggiore di quella dell'America e dell'Unione Europea messe insieme.

Pertanto, il peso economico della Cina nel mondo di oggi supera di gran lunga le ipotesi di Brzezinski del 1997 e questa differenza amplifica l'importanza dei suoi avvertimenti strategici, che la nostra leadership politica ha completamente ignorato.

In tutto il suo libro, ha ripetutamente sottolineato che il più grande pericolo che l'America avrebbe affrontato sarebbe stato se avessimo inutilmente inimicato le principali nazioni eurasiatiche, che avrebbero potuto unirsi contro di noi:

Infine, alcune possibili contingenze che coinvolgono futuri schieramenti politici dovrebbero anche essere brevemente notati ... gli Stati Uniti potrebbero dover determinare come far fronte alle coalizioni regionali che cercano di spingere l'America fuori dall'Eurasia, minacciando così lo status dell'America come potenza globale.

Potenzialmente, lo scenario più pericoloso sarebbe una grande coalizione di “Cina, Russia e forse Iran”, una coalizione "anti egemonica" unita non dall'ideologia ma da rimostranze complementari.

Evitare questa contingenza, per quanto remota possa essere, richiederà una dimostrazione di abilità geostrategica degli Stati Uniti sui perimetri occidentale, orientale e meridionale dell'Eurasia contemporaneamente.

Tuttavia, una coalizione che allea la Russia sia con la Cina che con l'Iran può svilupparsi solo se gli Stati Uniti sono abbastanza miopi da inimicarsi contemporaneamente Cina e Iran.

Dati gli eventi recenti, i suoi avvertimenti profetici furono completamente ignorati. Invece, la nostra leadership politica nazionale ha scelto di invertire esattamente i suoi suggerimenti, e lo ha fatto nonostante la Cina fosse diventata molto più forte di quanto avesse immaginato.

Lo stesso Brzezinski ha riconosciuto alcuni di questi importanti sviluppi e l'anno prima della sua morte nel 2017, ha aggiornato la sua analisi per proclamare che l'era del dominio americano stava già volgendo al termine e dovremmo riconoscere quella realtà.

Verso un riallineamento globale.

Mentre la loro era di dominio globale finisce, gli Stati Uniti devono assumere un ruolo guida nel riallineare l'architettura di potere globale.

(Zbigniew Brzezinski • L'interesse americano • 17 aprile 2016)

Invece di ascoltare le sue preoccupazioni e adeguare le loro politiche di conseguenza, il nostro governo ha raddoppiato la sua rozza strategia di tentare di mantenere un'impossibile egemonia globale americana, una politica che sembra destinata a finire in un disastro nazionale.

I nostri leader hanno apparentemente deciso di giocare una partita di "Fool's Mate" sulla grande scacchiera eurasiatica.

 

 

 

È Stati Uniti vs. Cina, anche nella

rincorsa all’intelligenza artificiale.

Giornalettismo.com – Enzo Boldi – (24-3-2023) – ci dice: 

 

Dopo il derby interno tra ChatGPT (OpenAI e Microsoft) e Bard (Google), le aziende americane devono fare i conti anche con” Bernie Bot di Baidu”.

Le tensioni internazionali viaggiano, da decenni, sul filo del rasoio.

Stati Uniti e Cina sono protagonisti di un confronto non solo a livello politico, ma anche a livello tecnologico.

Prima i dispositivi (dai pc agli smartphone), poi i software a corredo.

E ora la grande rincorsa alla ricerca dello sviluppo delle intelligenze artificiali.

Ad aprire le danze è stata “OpenAI” che, poi, ha ricevuto un finanziamento miliardario da parte di Microsoft (che già aveva attenzionato il progetto) con l’integrazione di “ChatGPT-4” all’interno del motore di ricerca” Bing” per il browser “Edge”.

Un prima passo a stelle e strisce che ha portato a una reazione immediata da parte dei “rivali interni” di Google che, nel febbraio scorso, hanno annunciato la loro “chatbot” basata su una” AI “conversazionale: “Bard”.

 E proprio in quei giorni, dall’Oriente è arrivata una notizia che completa il quadro della situazione:

la cinese” Baidu” ha lanciato” Ernie Bot” (il cui nome reale è Wenxin Yiyan). Dunque, ci troviamo di fronte a tre potenze mondiali che hanno dato vita a questo confronto diretto.

Tre progetti differenti, tre velocità differenti (soprattutto perché le ultime due hanno rincorso) nel tentativo di farsi una concorrenza che – anche a livello tecnologico – è spietata.

 Bard, ChatGPT, Ernie Bot sono i volti differenti di una medaglia a tre facce.

 E mentre Google e Microsoft lottano per il monopolio in Occidente, la vita di Baidu (il principale motore di ricerca cinese) ha una vita propria – in attesa di scoprire con esattezza le funzionalità della sua intelligenza artificiale – all’interno di un mercato che (non solo politicamente) è monopolistico.

Senza concorrenza.

Bard, ChatGPT e Ernie Bot, la corsa all’intelligenza artificiale.

Di ChatGPT, OpenAI e Microsoft è già stato detto e scritto molto. Fin da quando, nel novembre scorso, la versione ChatGPT-3 (che si era fermata a database datati 2021) era stata lanciata nel web a disposizione di tutti, arrivando poi all’integrazione con” Bing”.

Alcuni mesi dopo, intorno alla metà di febbraio, ecco i due annunci che hanno dato vita a un principio di concorrenza ancora non ben definito.

Nel giro di pochi giorni, dagli Stati Uniti Google annunciava (senza troppo clamore) la chatbot Bard e dalla Cina Baidu raccontava al suo mondo chiuso le potenzialità dell’intelligenza artificiale conversazionale Ernie Bot.

 

La “guerra” degli annunci senza sensazionalismi.

Nessuna grande celebrazione.

Anzi, annunci in tono minore spiegando come i vari sistemi siano ancora in fase di rodaggio, con pecche che sembrano essere piuttosto palesi.

La domanda, dunque, sorge spontanea: perché lanciare (anche solo in versione di test limitati geograficamente e per funzionalità) queste due chatbot in fretta e furia senza che siano perfettamente funzionanti?

 Perché, questa volta, a tenere il banco è stata Microsoft che ha anticipato tutti sostenendo, finanziando e integrando ChatGPT.

Da lì l’effetto domino che ha portato Google ad accelerare sul progetto LaMDA (Language Model for Dialogue Applications), alla base dell’intelligenza artificiale di Bard.

Un derby interno che si scontra all’esterno con quel mercato chiuso cinese.

 

 

 

Cronache dell’altro mondo

 o del giudizio di Dio.

Antiit.com – Giuseppe Leuzzi – (5 aprile 2023) - ci dice:

Si processa Trump non per ricatto, di un portiere di albergo e di una prostituta, ma per 34 capi d’accusa su ricatto di un portiere d’albergo e di una prostituta.

Il procuratore di New York che ne ha voluto e ottenuto l’incriminazione, Alvin Bragg, è un politico - la carica è politica.

La giuria che lo ha condannato al giudizio preliminare, è anch’essa scelta politicamente, non a sorteggio.

Il giudice del processo, che dirige il dibattito in aula, è anche lui un politico, nemico dichiarato di Trump da tempo.

Sua figlia Lore ha diretto la campagna elettorale digitale di Kamala Harris, la vice-presidente di Biden.

Il processo, “media circus”, con Trump in “stato di arresto”, libero su cauzione, durerà diciotto mesi, fino a ottobre 2024.

Il 4 novembre si vota.

La giustizia in America è come nei western:

chi spara meglio quello ha ragione.

Il vecchio “giudizio di Dio”.

 (Giuseppe Leuzzi)

 

L’Italia senza braccia.

L’Italia è l’unica grande economia europea con una politica dell’immigrazione solo restrittiva.

Il governo conservatore inglese, che minaccia la deportazione degli immigrati irregolari in Ruanda, nel 2022 ha regolarizzato oltre mezzo milioni di nuovi arrivi – a fronte dei 90 mila italiani.

 La Francia, che ha semplificato le procedure giudiziarie per l’espulsione degli indesiderati, ha creato corridoi di regolarizzazione semplificata nei settori produttivi e di servizi a carenza di manodopera.

In Italia il calo demografico è più accentuato che in Gran Bretagna, Francia e Germania, e tuttavia non ha una politica di compensazione attraverso una immigrazione regolarizzata qualificata (rispondente ai bisogni):

l’immigrazione resta irregolare, casuale, poco o nulla qualificata, regolarizzata ex post, per numeri sempre insufficienti, e casualmente – un continente semi-sommerso, poco o nulla produttivo.

Per i prossimi quindici anni l’Istat certifica, sulla base delle nascite degli ultimi quindici anni, una diminuzione della popolazione in età lavorativa, tra i 15 e i 64 anni, di cinque milioni – il 13 per cento del mercato del lavoro.

Mentre solo per attuare i progetti del Pnrr sarebbero necessari quest’anno e il prossimo 375 mila lavoratori in più – secondo una prospezione della Banca d’Italia.

 In aggiunta a quelli che ormai da un anno e mezzo mancano nei servizi alla persona – ristorazione, accoglienza, collaborazione domestica – e in agricoltura, sia braccianti che operai qualificati (allevatori, trattoristi, etc.).

(Giuseppe Leuzzi)

 

Berlino in cerca di immigrati.

Dall’opposizione cristiano-democratica la politica di attivazione dell’immigrazione che il governo del cancelliere socialista Scholz persegue è criticata come limitata: i Popolari tedeschi spingono per la creazione di un’Agenzia federale per l’immigrazione.

Che operi per reclutare “attivamente” lavoratoti qualificati stranieri.

È prossimo il varo a Berlino del pacchetto legislativo predisposto in primavera per una politica attiva dell’immigrazione.

Sul presupposto che il paese ha bisogno di “più lavoratori qualificati”, da “stabilizzare più rapidamente”, per averne accertato “un bisogno urgente in molti settori produttivi”.

Le nuove norme renderanno “più agevoli i ricongiungimenti familiari”, quasi automatici – com’era l’uso nei apesi anglosassoni.

E semplificheranno le procedure amministrative per la residenza e i permessi di lavoro.

La coalizione di governo, cosiddetta “semaforo”, rossa, verde e gialla, socialdemocratica, verde, liberale, è compatta. E anche l’opposizione cristiano-democratica, guidata da Friedrich Merz, concorda su questo punto.

Per la destra al governo, i Liberali del ministro delle Finanze Lindner si limitano a chiedere che l’immigrazione sia “controllata” - ma riconoscendo il “cambiamento demografico”.

(Giuseppe Leuzzi) 

 

L’immigrazione è attrazione, non invasione.

L’Oim-Onu, l’organizzazione internazionale per le migrazioni, definisce la rotta del Mediterraneo “la più pericolosa al mondo” per le ondate migratorie, calcolando in oltre duemila l’anno i morti nei venti anni del millennio.

Una stima che precisa essere “minima”, o al ribasso.

Non tenendo conto cioè dei migranti morti nell’avvicinamento alla costa mediterranea, nei trasferimenti o nelle lunghe attese, spesso in campi di vera e propria detenzione.

La stessa organizzazione valuta il fenomeno migratorio inarrestabile, in conseguenza dei processi di urbanizzazione e proletarizzazione accelerati in corso da un paio di decenni in Africa e in Asia meridionale - nonché in alcuni paesi dell’America Latina, il Perù in primo luogo, l’Ecuador e l’area caraibica.

Nel quadro statistico-demografico dell’Organizzazione, il movimento migratorio non è solo di espulsione ma anche di attrazione:

l’Europa occidentale e il Nord America sono aree di attrazione “naturale” per via del “inverno demografico”, della denatalità.

 Dall’effetto tanto più pronunciato in quanto si produce in aree di forte intensità produttiva.

In questo quadro, perfino un paese a grande popolazione come la Cina comincia a soffrire di mancanza di manodopera.

(Giuseppe Leuzzi)

 

La Germania fa da sé.

Volkswagen, Siemens, Basf e molti altri gruppi tedeschi moltiplicano gli investimenti in Cina nel dopo-covid.

 I maggiori con l’obiettivo di diventare “gruppi cinesi per la Cina”, cioè per il mercato cinese.

Per i tre gruppi citati il radicamento viene spiegato e promosso dai capi azienda, come piano strategico.

 Il decoupling che l’amministrazione americana richiede nei confronti della Cina viene attuato nel senso che la produzione la produzione tedesca in Cina si vuole cinese – una sorta di decoupling aziendale.

La Cina diventerà una seconda sede mondiale del gruppo Volkswagen”, secondo i responsabili della casa di Wolfsburg:

 “Non indeboliremo la nostra posizione in Cina esclusivamente per motivi politici.

Lo stesso per Ronald Busch, il ceo di Siemens.

 “Siamo un’azienda locale in molti mercati.

Produciamo localmente per i mercati locali, sia negli Stati Uniti che in Cina”.

Lo stesso il per il ceo di Basf, il gruppo chimico:

il mercato cinese “rappresenta già quasi il 50 per cento del mercato globale del nostro gruppo” ed è un’economia “molto dinamica”.

Con la Russia e con la Cina la Germania marcia come vuole il governo americano, ma “con judicio”.

Mantiene in vita, con le assicurazioni appena rinnovate, e con la manutenzione per la tratta in mare, il NordStream 2, la gigantesca condotta di gas dalla Russia, anche dopo il sabotaggio fatto operare da Biden - la condotta è praticamente nazionalizzata, avendo Berlino rilevato le quote del socio russo, Rosneft, e nazionalizzato Uniper, il socio tedesco.

 E i carri armati Leopard 2 che ha deciso di fornire all’Ucraina ha limitato a un reggimento, tre compagnie carri da 6 – un supporto simbolico, poco utile militarmente, tanto più considerando che un reggimento carri si ritiene operativo quando ne funzionano 12 su 18 (il tank è un mezzo sensibile, nell’elettronica, la meccanica, i cingoli).

(Giuseppe Leuzzi) 

 

Le bombe della liberazione.

Cosenza “celebra” con alcune ricerche e un convegno i bombardamenti americani del 1943, benché città e comprensorio di nessun interesse militare.

 Questo il comunicato di Editoriale Progetto, che edita gli studi e li presenta, di eventi ignorati dai più e comunque rimossi, benché con molti morti e molti mutilati.

“Lunedì 12 aprile 1943 Cosenza veniva bombardata dagli aerei americani; in quella incursione morirono 75 persone, tra cui 5 scolari che uscivano dalla Scuola elementare dello Spirito Santo.

La morte arrivò dal cielo e nuove incursioni aeree colpirono la città con altri lutti e feriti.

Nella storia recente di Cosenza, non c’è data come quella di lunedì 12 aprile 1943 che possa raccontare un episodio più drammatico;

nessun cosentino avrebbe mai pensato che in un giorno di primavera dal cielo piovessero bombe e morte.

Nessuno fu risparmiato, dai più piccoli agli anziani, ai negozianti, agli artigiani a quelli che lavorando alle ferrovie, erano tutti intenti a trasportare le persone dalla città capoluogo ai vari paesi che fanno da corona a Cosenza.

“C’era anche un circo equestre che aveva montato le sue tende nei pressi del Crati, per strappare un sorriso a chi poteva comprare il biglietto per lo spettacolo. Poi dall’azzurro del cielo… il nero della morte, la distruzione, case bruciate, vite spezzate o mutilate, niente più come prima.

“L’orrore della morte che veniva dal cielo si ripeterà per altri 150 giorni; la brutalità della guerra non risparmiò i luoghi della cultura e finanche ospedali, orfanotrofi, conventi e chiese”.

 Le notizia della guerra in Ucraina danno conto di morti qua e lì, sotto i missili, una dozzina qui, una dozzina lì, talvolta anche bambini, e sembra una catastrofe.

E lo è. Ma è poca cosa a fronte dei bombardamenti che una semplice città, non al fronte, non base o obiettivo militare, nella remota Calabria, come già in Sicilia prima dello sbarco, e dopo, ebbe a soffrire.

La storia dei bombardamenti, che non si fa, è peraltro solo una piccola parte della storia della Liberazione che non si fa.

E dei successivi, anche attuali, assetti internazionali, specie dell’Europa.

(Giuseppe Leuzzi)

 

Le bombe dell’intelligence.

Due racconti d’avventure senza avventure.

Due feroci parodie. “Il principe Racoczi” del solito intrigo di terroristi e spie a Ginevra.

“Il capitano misterioso” del complotto, per sentito dire:

 dell’avventura che nasce in piazza, basta uno sconosciuto che attraversi in macchina, una “piccola vettura” che si fa vedere “ogni giorno e proprio durante l’ora più calda; o per meglio dire la si sarebbe potuta vedere, se ci fosse stato qualcuno fuori di casa” a quell’ora.

Il primo racconto, di bombe che viaggiano fra spie, terroristi, e  zii ignari, prende un po’ di sale come parodia dell’esperienza che Pizzuto stesso ebbe a vivere come funzionario del Quirinale addetto alle riunioni periodiche dei servizi internazionali di sicurezza:

una presa in giro della intelligence (sic, già allora) – di cui ora si fa invece grande spolvero, come di una scienza, ci sono pure corsi universitari appositi. 

Due racconti del primo Pizzuto, 1949-1950, quando ancora non aveva sposato l’incomunicabilità – il romanzo delle parole, dei suoni più che dei significati (“La Signorina Rosina” e seguenti).

Ma già corrosivi.

Demistificanti dello storytelling, destrutturanti.

Pizzuto ancora non si prendeva sul serio – non erano ancora anni di avanguardie letterarie, di demolizione del testo.

I due racconti sono stati esumati dalla figlia Maria.

 Il primo era uscito in “Mediterranea”, Almanacco di Sicilia, 1949 (un volume di 632 pagine, molto illustrato, strenna del Banco di Sicilia), il secondo nello stesso almanacco, l’anno dopo.

Entrambi sotto lo pseudonimo di “Salino Salini”, che è una storia a parte – è il nome di capobrigante italo-boemo, di un romanzo tedesco di spiriti e ladroni di metà Ottocento.

(Giuseppe Leuzzi) 

 

 

 

L'articolo 9 della Costituzione:

cultura, paesaggio e ricerca.

Altalex.com – Avvocato Irene Marconi – (16/04/2021) – ci dice:

 

Contenuto, genesi e finalità della norma.

Art 9 della Costituzione.

 La promozione della cultura e della ricerca, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione:

 l’art. 9 della Costituzione tra storia, esegesi e prospettive future.

Sommario.

 

1. Il contenuto dell’articolo 9 della Costituzione.

2. La genesi della norma.

3. La ratio della norma.

4. L’articolo 9 della Costituzione: la spiegazione.

5. In che modo la Repubblica promuove la cultura e tutela il paesaggio?

6. Come si promuove la ricerca scientifica e tecnica?

 

1. Il contenuto dell’articolo 9 della Costituzione.

I primi dodici articoli della Costituzione italiana contengono i cosiddetti “principi fondamentali”, valori alla base dell’ordinamento repubblicano immodificabili neppure attraverso il procedimento di revisione costituzionale.

L’inserimento dei principi fondamentali nell’incipit della Costituzione non è affatto casuale ma risponde al preciso intento dei Costituenti di evidenziarne, anche testualmente l’importanza, fugando al contempo ogni possibile dubbio circa la loro immediata efficacia ed applicabilità.

Tra i principi fondamentali figura anche l’articolo 9, che testualmente recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”

2. La genesi della norma.

L’inclusione di tale previsione in Costituzione, per di più tra i principi fondamentali, si deve a due illustri esponenti quali Aldo Moro e Concetto Marchesi, che sfidarono la ritrosia di gran parte dei Costituenti, secondo i quali la norma era del tutto superflua e avrebbe solo appesantito inutilmente la Carta fondamentale.

Così ad esempio Edoardo Clerici, secondo cui “… la Costituzione afferma cose che possono essere controverse […] non cose che sono pacifiche. Altrimenti, se dovessimo mettere nella Costituzione tutto ciò che è evidente e pacifico, per quale ragione non dovremmo dire che la lingua che usiamo è la lingua italiana, e che usiamo le lettere latine e le cifre arabe?”.

 

Dello stesso avviso Paolo Rossi, secondo cui “L’arte e la scienza sono la libertà stessa nella sua forma più alta: dire che arte e scienza sono libere è come dire che la libertà è libera!”, un enunciato appunto inutile, ovvio e ridondante.

Fu dunque soprattutto grazie alla determinazione di Marchesi se la norma vide la luce: egli obiettò infatti che se è vero che arte e scienza sono mere astrazioni, per cui non sono di per sé né libere né serve, è altrettanto vero che le manifestazioni del genio artistico e le teorie scientifiche possono essere oggetto di censura e come tali vanno tutelate.

Le parole di Marchesi riportarono alla mente dei Costituenti la tristemente nota e ancor ben viva stretta repressiva su arte e cultura operata dalla dittatura fascista, rinnovando il monito affinché quanto accaduto non potesse né dovesse più ripetersi.

3. La ratio della norma

La previsione contenuta all’art. 9 consente di definire quella italiana una “Costituzione culturale”, che indubbiamente colpisce per la sua modernità: nella neo nata Repubblica, all’indomani di ben due conflitti mondiali e con un livello di analfabetismo che coinvolgeva almeno 6 milioni di cittadini, i padri e le madri Costituenti scelsero infatti di investire su cultura e progresso scientifico, addirittura annoverandoli tra i principi fondamentali.

Ciò perché era consapevoli della loro importanza come strumenti di emancipazione da logiche impositive arbitrarie, oltre che valido “motore” di crescita per la rinascita socio-economica del Paese.

3.1. L’importanza della cultura.

I principali dizionari definiscono “cultura” il patrimonio di cognizioni ed esperienze acquisite da un individuo tramite lo studio e la vita di relazione, utili sia alla sua formazione sul piano intellettuale e morale che a conferirgli maggior consapevolezza circa il suo ruolo all’interno della società.

Sull’importanza della cultura si sono espressi i più illustri autori; uno tra tanti Pasolini, che definì istruzione e cultura le sole armi in grado di difendere il cittadino contro la società dei consumi.

 

Dell’importanza della cultura erano ben consci anche i Costituenti, soprattutto in ragione del contesto storico-politico in cui vide la luce la Carta fondamentale ed il livello di “appiattimento” culturale in cui la dittatura fascista aveva relegato l’Italia.

L’ignoranza delle masse è, da sempre, una delle condizioni primarie per la nascita di regimi dittatoriali, poiché fintanto che il popolo è privo di cultura, di senso critico e di strumenti per analizzare la realtà per conto proprio è anche facilmente manipolabile.

Di qui la volontà di investire sulla promozione e lo sviluppo scientifico e culturale, elevandoli addirittura a principi fondamentali dello Stato, in modo da consegnare alle future generazioni uno strumento potentissimo e universalmente valido per contrastare imposizioni illogiche e arbitrarie.

Emblematiche, ancora una volta, le parole pronunciate da Marchesi durante i lavori della Costituente.

Egli affermò infatti che “Bisogna diffondere il libro sotto qualunque forma, non importa se catechismo o libro di novelle. Bisogna educare il popolo, e l’alfabeto è lo strumento fondamentale non solo agli effetti della elevazione spirituale e politica della gente, ma anche nei riguardi della produzione economica del Paese. Con biblioteche circolanti in tutti i villaggi, con insegnanti volanti nelle campagne, si potrà ottenere l'invocata diffusione della cultura popolare.”

4. L’articolo 9 della Costituzione: la spiegazione.

Analizzando la norma più nel dettaglio colpisce innanzitutto il riferimento alla “Repubblica” anziché allo “Stato”, scelta lessicale presente anche in altri articoli della Costituzione (ad esempio l’art. 4).

Un termine niente affatto casuale ma utilizzato con lo specifico intento di prevenire un’eventuale, eccessiva ingerenza regionale in materia. I Costituenti temevano infatti che con l’avvento delle Regioni e le possibili rivendicazioni avanzate da queste ultime in vari ambiti, i principali musei e gallerie d’Italia, così come i grandi centri di scavo e restauro venissero sottratti al controllo nazionale e posti sotto l’iniziativa locale.

Una preoccupazione condivisa anche dall’”Accademia Nazionale dei Lincei”, secondo cui il passaggio all’Ente Regione avrebbe reso inefficiente tutta l’organizzazione delle Belle Arti, fino ad allora garante dell’elevata qualità di conservazione di monumenti ed opere e della diffusione della coscienza artistica nel popolo italiano.

A ben vedere, il riferimento alla “Repubblica” può assumere però anche un significato ulteriore e ben più profondo: è infatti possibile leggervi la volontà di coinvolgere non solo i pubblici poteri ma anche l’intera collettività nella promozione e nello sviluppo dei settori menzionati, all’insegna di una tutela attiva del patrimonio storico, artistico, naturalistico e culturale.

4.1. Promozione e tutela

La norma opera su due direttrici distinte e ben definite: da un lato la promozione della cultura e dello sviluppo tecnico e scientifico; dall’altro, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.

La promozione è espressamente riferita alla cultura e alla ricerca tecnica e scientifica, a sottolineare l’impegno attivo assunto dalla Repubblica (nell’ampia accezione suindicata) nei settori in questione.

Un intervento di impulso e valorizzazione, quindi, che tuttavia deve avvenire nel rispetto dell’art. 33 della Costituzione, garantendo cioè che cultura e ricerca siano libere dall’ingerenza dei pubblici poteri: solo in tal modo il progresso potrà infatti operare in chiave personalistica, consentendo la realizzazione e lo sviluppo della persona umana anche in questi ambiti.

Quando si parla di tutela si fa invece esplicito riferimento al paesaggio (e dunque, per estensione all’ambiente, come vedremo più oltre) e al patrimonio storico e artistico della Nazione, che la Repubblica è chiamata a valorizzare e preservare.

4.2. La spinta ecologista: dalla tutela del paesaggio alla tutela ambientale.

La tutela paesaggistica, affermata all’art. 9, ha assunto una portata via via sempre più ampia, in linea con l’evoluzione del termine stesso.

 

L’idea di paesaggio nota ai Costituenti era quella coniata da Benedetto Croce, che lo identificava con “la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari”.

Per Croce il paesaggio era quindi l’insieme delle bellezze naturali del Paese, sede dell’identità storica e culturale della comunità e come tale meritevole di protezione.

Proprio a Croce si deve la legge n. 778/1922 “per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”, legge che rifacendosi ai previgenti regolamenti borbonici garantiva, in modo del tutto inedito, la possibilità di preservare vedute o scorci carichi di bellezza e di storia.

La “legge Croce” non teneva però conto del dinamismo, cioè dell’impatto (attivo e spesso distruttivo) dell’uomo sul paesaggio, contro il quale non era prevista alcun tipo di tutela.

Solo all’inizio degli anni ’70, con l’avvento della spinta ecologista, la nozione di paesaggio andò progressivamente ampliandosi, abbracciando anche quella di ambiente.

L’assenza di espliciti riferimenti costituzionali in materia ambientale non rappresentò tuttavia un ostacolo in tal senso, né portò ad una riscrittura della Carta Costituzionale.

A partire dagli anni ’70 l’ambiente divenne infatti un tema ricorrente nelle pronunce della Corte Costituzionale, che ricavò la corrispondente nozione in via interpretativa, coniugando l’art. 9 con i riferimenti contenuti agli artt. 32, 41 e 44 della Costituzione.

Il vero salto di qualità lo segnò però la giurisprudenza della Corte di fine anni ’80, identificando l’ambiente come bene unitario e “valore primario ed assoluto” (si vedano, tra le tante, Corte Cost. sent. n. 641/1987; sent. n. 210/1987; ord. n. 195/1990).

 

4.3. Cosa significa tutelare il paesaggio?

Oggi, la tutela del paesaggio affermata all’art. 9 è quindi anche tutela ambientale e la riforma del Titolo V della Carta sembra averla fortemente sbilanciata verso questa seconda prospettiva.

L’attuale formulazione dell’art. 117 Cost. pone infatti la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” tra i temi oggetto di potestà legislativa concorrente Stato-Regioni, riservando allo Stato quella esclusiva in tema di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.

Si tratta di una tutela che, quantomeno sulla carta, è attuale ma anche proiettata verso il futuro, in un coinvolgimento corale di collettività e pubblici poteri.

Tutela, quindi, che è sinonimo di senso civico, rispetto del paesaggio, dell’ambiente e delle sue bellezze e a cui è chiamato sia il singolo - sempre più incurante dell’impatto che ha sul territorio – sia la classe politica, con interventi di sensibilizzazione, prevenzione e valorizzazione, attuando politiche edilizie consapevoli e rispettose del valore del territorio, a beneficio della collettività e delle future generazioni.

5. In che modo la Repubblica promuove la cultura e tutela il paesaggio?

Alla domanda potrebbe banalmente rispondersi che sarebbe sufficiente dare attuazione all’art. 9 della Costituzione in modo serio e consapevole.

Questo perché la norma fino ad oggi è rimasta per lo più un mero tentativo, una sorta di monito perenne, anziché un “motore” per l’operato della politica italiana.

Nel 1975, a seguito della “spinta” ambientalista, è stato istituito il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, divenuto nel 2013 MIBACT – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Un Ministero che avrebbe ben potuto forgiarsi del riferimento all’art. 9 della Carta Costituzionale ma la cui legge istitutiva non vi fa invece nessun accenno, e che peraltro risulta carente anche di una struttura e un programma precisi.

 

Ciò ha portato l’emerito giurista e Presidente delle Corte Costituzionale Sabino Cassese a definirlo “una scatola vuota”, mentre l’esperto di restauro e beni culturali, nonché direttore dell’Istituto Centrale di Restauro, Giovanni Urbani, ne ha parlato addirittura in termini di “un buco nero capace di inghiottire tutto e tutto nullificare in vuote forme verbali”.

Parole durissime che però ben rendono l’idea di un apparato del tutto inadeguato nel dare attuazione al principio costituzionale (che peraltro nemmeno menziona), consegnando la promozione della cultura e la tutela del paesaggio ad una politica sostanzialmente inadempiente, sia a livello centrale che territoriale.

Non è un caso se, nello stesso anno di nascita del Ministero, la Regione Sicilia ha ottenuto la piena devoluzione dei Beni Culturali (chiesta addirittura a partire dal lontano 1946), decretando così la rinuncia da parte della Repubblica ad un’ingente porzione del patrimonio culturale e ambientale.

5.1. Art. 9 Cost. ed emergenza sanitaria.

La mancata attuazione dell’art. 9 (anche) sul versante culturale si avverte soprattutto oggi, in tempo di pandemia, dove la cultura è uno dei settori più colpiti dalla crisi economica e l’emergenza ambientale un tema non più rinviabile.

Emblematiche le parole dell’archeologo e storico dell’arte, nonché direttore della Scuola Normale di Pisa, Salvatore Settis, che in un articolo pubblicato su “Il Faro” lo scorso 26 aprile, scrisse:

 “Oggi abbiamo il cuore spezzato per i nostri simili che continuano a morire e per l’insidia che ci minaccia, ma dobbiamo averlo anche per il tramonto delle istituzioni culturali già da tempo marginalizzate da un cieco economicismo, a cui è ora di reagire prima che sia troppo tardi. Vogliono convincerci che i musei o i teatri debbano reggersi sugli introiti di cassa: e adesso che non ce ne sono? Come si farà ricerca a biblioteche chiuse? Che pensieri innescherà nei giovani la scuola, se immiserita a contatti virtuali via web? Se vogliamo davvero pensare a una seria ripartenza, cominciamo da domande di fondo come queste. La scuola deve educare i cittadini del futuro a pensare criticamente o allevare ossequienti esecutori dell’ordine costituito? Il paesaggio è vivaio comune di bellezza e di memorie o terreno di caccia per speculatori edilizi?”

L’auspicio è dunque quello di una riforma organica che, partendo dall’art. 9 della Costituzione, lo tenga ben a mente, dandogli finalmente attuazione: solo in tal modo la promozione della cultura e la tutela del paesaggio saranno veramente effettive.

6. Come si promuove la ricerca scientifica e tecnica?

Nel corso degli anni l’Italia ha visto drammaticamente ridotti gli stanziamenti in materia di ricerca, salvo poi trovarsi di fronte a catastrofi di portata mondiale, come la recente pandemia, che hanno evidenziato una necessaria, urgente inversione di rotta.

A ciò si aggiunge l’altissima percentuale di giovani che ogni anno, dopo il completamento di brillanti percorsi universitari in Italia, scelgono di lavorare all’estero a causa della complessa e farraginosa macchina del sistema italiano, molto poco meritocratico e remunerativo, e dei ricercatori che invece scelgono di rimanere in Italia, spesso con incarichi precari e retribuzioni del tutto inadeguate.

La promozione della ricerca tecnica e scientifica dovrebbe quindi tradursi nello stanziamento di risorse congrue, erogate in modo continuativo ed efficiente, nella semplificazione dei bandi e delle procedure amministrative e contabili, nello snellimento degli iter burocratici e nella valorizzazione dei giovani talenti presenti sul territorio.

6.1. L’Agenzia Nazionale per la Ricerca.

Allo scopo di razionalizzare le procedure di finanziamento e gestire al meglio le risorse disponibili per i vari progetti di ricerca scientifica, la legge di bilancio 2020 ha istituito l’Agenzia Nazionale per la Ricerca (ANR).

Un’iniziativa varata in risposta alla richiesta, da parte della comunità scientifica, di un ente autonomo e indipendente che coordinasse i vari progetti di ricerca e garantisse certezza e regolarità dei bandi, assicurando uniformità di criteri nelle procedure di assegnazione delle risorse e nella valutazione di progetti e finanziamenti.

Non sono però mancate le perplessità, legate sia alla composizione dell’Agenzia – il cui comitato direttivo è di nomina politica – sia alla sua effettiva utilità, posto che la valutazione sulla qualità e l’attività degli Enti di ricerca, così come quelle di efficacia ed efficienza dei programmi pubblici di finanziamento, è già svolta dall’”Agenzia Nazionale di Valutazione” (ANV), istituita nel 2006.

 

 

 

 

Chi è davvero Zelensky?

Conoscenzealconfine.it – (5 Aprile 2023) – Redazione – ci dice:

Sappiamo che nasce nel 1978 da una famiglia di origini ebraiche e che la sua prima lingua non è l’ucraino, ma il russo.

Sceglie la carriera di attore e comico, fonda il “Kvartal 95 Studio” e produce la Telenovela “Sluha Narodu” (Servitore del Popolo), in cui lo stesso Zelensky interpreta l’uomo qualunque che stanco della corruzione politica che imperversa in Ucraina, viene inaspettatamente eletto presidente.

Pare che a Igor Kolomoyskyi – potente uomo d’affari dal triplo passaporto ucraino, cipriota e israeliano, fiduciario degli USA e principale oligarca di Ucraina guardando la popolare telenovela venga la magnifica idea di trasformare la fiction in realtà, e di far interpretare all’attore comico Zelenzky la parte del Presidente, non soltanto in video ma anche nella realtà.

 

Subito dopo, Zelensky annuncia la fondazione di un partito che porta lo stesso nome della popolare telenovela: “Servitore del popolo” e, all’apice della sua popolarità televisiva, annuncia la propria candidatura alle elezioni presidenziali dell’anno successivo.

Da quel momento la sua società, la Kvartal 95, registrerà un anomalo flusso di finanziamenti, gestiti attraverso società off-shore con sedi in paradisi fiscali, per un ammontare di 40 milioni di dollari.

Il principale sovvenzionatore della campagna di Zelensky è proprio il discusso oligarca Kolomoyskyi, proprietario di “PrivatBank”, la più importante banca in Ucraina, coinvolta in diversi casi di bancarotta fraudolenta e investimenti illeciti.

Igor Kolomoysky è stato uno dei principali finanziatori di alcuni dei gruppi paramilitari che nel 2014 hanno prodotto il colpo di stato che ha rovesciato il legittimo governo del Presidente Janukovic, innescando 8 anni di instabilità e guerra civile nella regione.

Nell’Aprile del 2019 Zelensky appena eletto Presidente provvede subito a distribuire incarichi governativi ai soci della sua società, la Kvartal 95.

Ivan Bakanov, già Amministratore Delegato della società, diventa il capo dei Servizi Segreti, mentre il Vice Direttore Serhiy Shefir diventa il portavoce ufficiale del presidente.

L’oligarca Igor Kolomoysky, padrino e finanziatore di Zelensky, ha forti interessi economici sul Donbass, motivo per cui il suo esercito privato di organizzazioni “neonaziste”, in parte inquadrate nell’Esercito ucraino, dal 2015 ha sterminato circa 16k russofoni, nel silenzio della comunità internazionale.

Questo è anche il motivo per cui Zelensky alle trattative di pace rifiuta le richieste russe di riconoscimento delle Repubbliche Popolari del Donbass ed è disposto a continuare la guerra con ogni mezzo, cercando in tutti i modi di coinvolgere la NATO e allargarla al resto d’Europa.

In base a quanto emerso nei “Pandora Papers” e riportato dal “The Guardian” del 3.10.2021, Zelensky detiene quote azionarie di tre società off-shore, ha legami con diversi oligarchi da cui riceve finanziamenti illeciti e introiti miliardari, ed è coinvolto direttamente in un giro di armi e soldi ai gruppi paramilitari.

Alla luce di ciò e del suo dichiarato interesse a far aderire l’Ucraina alla NATO, piazzando basi missilistiche americane ai confini della Russia, invocando la no-fly zone e l’uso della bomba atomica… viene da chiedersi se il presidente ucraino sia davvero l’“eroe” che i mass media europei stanno rappresentando.

Ci domandiamo se i politici e i mezzi di informazione occidentali si rendano davvero conto di quale “grumo di affarismo e corruzione” si celi dietro questo “turpe personaggio” e di quanto ci stiano facendo rischiare nell’assecondare i deliri bellici di questo faccendiere squilibrato….

(quando i” pazzi” comandano, gli “imbecilli” si adeguano. N.D.R)

(t.me/escapefromthematrix)

 

 

 

 

La criminalità dei potenti.

 

Dirittopenaleuomo.org – (24.02.2021) - Raffaele Bianchetti - Vincenzo Ruggiero – ci dicono:

 

Una conversazione con “Vincenzo Ruggiero”.

Professore, Lei è docente di sociologia ed è, attualmente, Direttore del “Centre for Social and Criminological Research “della Middlesex University di Londra.

 Tra le Sue innumerevoli pubblicazioni ve ne sono alcune che ci hanno interessato in modo particolare (come, ad esempio, “Perché i potenti delinquono”, “Dirty Money”. “On Financial Delinquency”, “Los crimenes de la economia”) perché trattano temi centrali del nostro programma di ricerca, quali, appunto, la criminalità, l’economia e il potere.

Di conseguenza, vorremmo porle alcune domande in proposito, poiché Lei è uno dei massimi esperti e conoscitori di questi aspetti della società contemporanea.

 

Gli studi e le ricerche sulla criminalità economica (la c.d. criminalità dei “colletti bianchi”), a che punto sono? Come stanno procedendo? Che cosa stanno riscontrando?

 

Dai primi studi di Sutherland ad oggi, quali sono stati i principali risultati di ricerca raggiunti? E questi risultati, possono dirsi soddisfacenti rispetto ad altri ambiti della ricerca criminologica?

La criminalità dei potenti viene ancora relativamente ignorata rispetto a quella convenzionale.

Una indagine recente, esaminando le maggiori riviste accademiche internazionali nel campo criminologico, ha concluso che solo il 4-5% dei contributi pubblicati prendono di mira il fenomeno.

La mia stessa esperienza con gli studenti suggerisce che per criminalità si intende ancora, soprattutto, le condotte predatorie o violente di strada:

 all’inizio di ogni corso devo chiarire a chi mi ascolta che i comportamenti criminali non sono solo il frutto dell’emarginazione e dello svantaggio, ma anche dei privilegi e del potere.

La criminalità dei potenti viene ancora relativamente ignorata rispetto a quella convenzionale […]. Solo il 4-5% dei contributi pubblicati prendono di mira il fenomeno.

Quando si parla di criminalità dei potenti, che cosa si intende precisamente? Chi sono i soggetti/gli attori di questo tipo di criminalità? Che settori della vita sociale riguardano? Che effetti producono?

Tale tipo di criminalità ha a che fare, oltre che con il mondo economico-finanziario, anche con il mondo della giustizia e della politica?

La criminalità dei potenti, che io definisco anche “crimine di potere”, viene comunemente commessa da individui e gruppi che posseggono risorse materiali e simboliche esorbitanti rispetto alle risorse possedute da chi ne è vittima.

Questa esorbitante polarizzazione si manifesta in ogni sfera sociale e politica, per cui troviamo crimini di potere nell’economia, nel mondo della politica, dell’amministrazione della cosa pubblica e, in genere, in ogni apparato dello Stato.

Secondo la teoria del bilancio del controllo un eccesso di controllo in capo ad una persona (o ad un gruppo di persone) dà vita a forme specifiche di devianza (ad esempio danni ambientali, corruzione, riciclaggio di denaro, evasione fiscale), poiché alla base di questi comportamenti vi è la consapevolezza di poter controllare le “regole” del gioco e, quindi, di non essere ostacolati o addirittura puniti.

 È questo secondo Lei, più che lo status sociale dei suoi attori, l’aspetto che caratterizza la c.d. criminalità dei potenti?

Questa domanda ne contiene almeno tre.

 

Controllare le regole vuol dire anche modificarle, e le violazioni hanno spesso valore “fondante”, nel senso che spostano il confine tra comportamento legittimo e illegittimo.

Una volta commessa, la violazione crea un precedente, indica una nuova modalità di azione, cambia la giurisprudenza e può avere infine valore legislativo.

 Una nuova legge decriminalizzerà quel comportamento illegittimo.

Lo status dei rei consente loro di presentare un’immagine di sé stessi come persone che commettono errori nel corso di una carriera altrimenti esemplare.

Gli “errori”, peraltro, hanno carattere sofisticato e richiedono altrettanta sofisticazione da parte di chi deve svelarne la natura criminale:

una frode, ad esempio, deve essere molto simile a una transazione legittima per avere successo.

Una volta commessa, la violazione crea un precedente, indica una nuova modalità di azione, cambia la giurisprudenza e può avere infine valore legislativo. Una nuova legge decriminalizzerà quel comportamento illegittimo

Quanto alla punizione degli autori, un semplice calcolo economico può portare alla convinzione che nel punire persone potenti si costringano attori che producono ricchezza all’inattività, e che quella ricchezza venga così persa.

Nel punire un disgraziato, al contrario, si rende inattiva una persona la cui produzione di ricchezza è trascurabile.

Bisogna fare attenzione, però:

 incriminare un potente può tradursi in un danno di immagine per l’intera élite, mentre i potenti che di tanto in tanto vengono puniti sono coloro che, seguendo esclusivamente i propri interessi, pregiudicano gli interessi collettivi delle classi cui appartengono.

Il tema del riciclaggio è fortemente legato a quello della supervisione da parte dei Governi sulle attività finanziarie, supervisione che appare spesso lacunosa, anche perché molto spesso le regole sono scritte dagli stessi centri di potere chiamati poi ad applicarle:

 è a causa di questi conflitti di interesse che si inceppa il meccanismo di controllo?

Alcuni gruppi sono investiti dell’autorità di fare da supervisori, o da polizia di sé stessi.

Tra chi è impiegato in un’organizzazione finanziaria e chi è chiamato a valutarne la condotta esiste un costante pendolarismo.

Un supervisore può diventare operatore finanziario e viceversa.

 Il meccanismo è simile a quello che avviene nei parlamenti, dove i rappresentanti politici favoriscono le imprese che in seguito li accoglieranno tra i loro dirigenti, mentre i rappresentanti delle imprese (tra cui i loro lobbisti) vengono compensati con l’opportunità di una carriera politica.

Che idea si è fatto dello scandalo dei “Fincen Files” portato alla luce dalla recente inchiesta giornalistica internazionale?

Com’è possibile che quantità di denaro tanto ingenti – si parla di 2.000 miliardi di dollari (informazioni giornalistiche) – siano state movimentate senza che nessuno – né le banche né le autorità preposte alla repressione di questi fenomeni – facesse nulla per impedirlo?

A mio avviso bisogna riflettere sulla storia della criminalità finanziaria per comprenderne gli inizi e osservarne gli esiti contemporanei.

Nel Seicento, tra i colpevoli delle irregolarità in materia finanziaria si individuano gli operatori senza scrupoli e gli investitori comuni, che rifiutano il lavoro onesto e cercano fortuna nel gioco di borsa (si pensi allo scandalo dei “bulbi di papavero” in Olanda).

 

Nel Settecento, la criminalità finanziaria viene assimilata agli incidenti, come quelli causati, osservava Jeremy Bentham, da un gentiluomo che investe un passante con la sua carrozza.

Eventi naturali o prodotto di patologie individuali, questi delitti vengono anche visti come componenti dello sviluppo economico.

 L’imprudenza degli operatori finanziari, commentava ancora Bentham, costituisce il prezzo degli esperimenti necessari mirati al progresso.

Le tecniche dei truffatori, insomma, vanno protette da copyright.

Al volgere dell’Ottocento, l’enfasi si colloca sull’ingordigia maldestra di chi investe e nessuna legislazione, si dice, è in grado di neutralizzare l’idiozia degli idioti.

Nel Novecento, le interpretazioni ruotano intorno all’immoralità strutturale dei mercati, alle dinamiche organizzative e alla compresenza nel mondo della finanza di operatori dal colletto bianco e clienti dal colletto “sporco” (rappresentanti di gruppi criminali).

Nel secolo corrente, infine, si osserva una simbiosi tra imprenditori legittimi e imprenditori del crimine che, insieme, godono di un servizio che consente loro di nascondere la rispettiva ricchezza.

 La colpevolezza, pian piano, scompare, lasciandoci di fronte a ladri che vengono adorati come profeti.

Perché i potenti, che godono già di molti privilegi, delinquono?

 La volontà di mantenere i propri privilegi, attraverso una diversa distribuzione delle risorse sociali, è, secondo Lei, un fattore alla base della criminalità economica?

Lei analizza alcune variabili esplicative (consenso, imitazione, coercizione, occultamento):

 ci può dire perché le ritiene così rilevanti per la comprensione del fenomeno?

L’élite non può mantenere la propria posizione esclusivamente in virtù della forza e della segretezza.

Ha bisogno di mostrare che il proprio repertorio d’azione è ragionevole e necessario, e che può essere imitato da chiunque.

Ecco il motivo del mio interesse nella riproducibilità del comportamento criminale dei potenti.

Per riprodursi, quel comportamento deve destare una dose di ammirazione e deve segnalarsi nella società come “conato” di un potere che brucia ogni ostacolo.

I potenti emettono segnali e lanciano una forma di pubblicità delle loro iniziative che, in regime di segretezza, sarebbe impossibile da comunicare.

 Promuovono le loro abilità e credenziali, si presentano come modelli e complici potenziali di chi ama l’avventura.

Allearsi idealmente con loro, o soltanto imitarli, vuol dire schierarsi a favore di chi ha successo, mentre osteggiarli significa votarsi al fallimento.

Chi ha potere, come diceva il Marchese de Sade, coltiva il sogno di infrangere qualsiasi proibizione.

Per riprodursi, quel comportamento deve destare una dose di ammirazione e deve segnalarsi nella società come “conato” di un potere che brucia ogni ostacolo.

 I potenti emettono segnali […].

I privilegi, dice Sutherland (1983), sono fattori favorenti

a) la messa in atto di comportamenti devianti e/o criminali e

b) la loro reiterazione nel tempo, se non altro per mantenere o incrementare gli stessi privilegi.

Di conseguenza, quanto rileva secondo Lei l’elemento/la variabile culturale in tale settore?

Sono diversi gli elementi culturali che giustificano la criminalità dei potenti, tra i quali includerei:

 concorrenza senza freni, arroganza pervasiva e un’etica della titolarità (o del merito).

È quanto ho già suggerito in “Perché i potenti delinquono”.

Con la variabile “concorrenza” faccio riferimento alle economie di mercato come ambienti potenzialmente criminogeni.

(Zelensky docet! N.D.R)

La variabile arroganza allude alla sicurezza acquisita da chi è abituato a dare ordini e all’insolenza di chi non ha mai ricevuto rifiuti o incontrato disubbidienti.

Infine, un’etica della titolarità o del merito comporta la ripulsa di qualsiasi forza esterna che si opponga al diritto di accumulare ricchezza.

Questo tipo di etica, va notato, può diffondersi al punto da diventare costume e tradursi in disprezzo automatico per la legalità.

Lei scrive che le relazioni di potere comportano l’abilità da parte di alcuni di tracciare dei confini obbligati alle azioni di altri.

Che cosa intende dire?

 È vero che l’esercizio del potere si estrinseca non solo nello stabilire le priorità sociali (cioè i problemi sociali che devono essere trattati) ma anche a livello legislativo (ossia nello stabilire che cosa è vietato e come deve essere contrastato) e a livello giudiziario (ovverosia nello stabilire che cosa deve essere perseguito e che cosa, in concreto, deve essere punito)?

Se così fosse, può farci qualche esempio di un recente intervento legislativo e di una recente decisione giudiziaria che vanno chiaramente in questa direzione?

Se lei si riferisce al contrasto della criminalità dei potenti, credo che ogni legislazione al proposito sia insufficiente se non accompagnata da “proibizioni” che emergono dal seno della società civile.

I movimenti sociali hanno spesso indicato delle “proibizioni”, operando una sorta di controllo o di vigilanza etica nei confronti dei potenti.

Una novità in questo senso è l’uso delle cosiddette “licenze o permessi di collettività” in questioni riguardanti le grandi aziende e il loro diritto ad operare in certi territori.

Diversi colleghi australiani, ad esempio, hanno studiato il ruolo delle comunità nell’impedire, modificare o consentire l’operato delle imprese.

Non basta un “permesso legale” per condurre gli affari, occorre anche la ratifica di chi potrà trarne beneficio e di chi prevede di pagarne le conseguenze.

 Questo tipo di “licenza o permesso collettivo”, insomma, ricorda a chi avvia un’attività produttiva che il suo scopo principale è il benessere di tutti, non l’arricchimento di pochi e la distruzione dell’ambiente.

La paura del futuro può essere tra le cause della criminalità? Di tutte le persone o solo dei potenti? Per quanto riguarda nello specifico la criminalità dei potenti, perché questa paura spinge alla messa in atto di condotte devianti e/o criminali?

 

Evito di ripetere quanto affermato in diverse occasioni e, quindi, rinvio ad alcuni miei recenti scritti.

Vorrei piuttosto esplorare altre strade interpretative, riferendomi ad alcuni elementi di “economia comportamentale”.

Quello che comunemente chiamiamo “homo oeconomicus”, presumibilmente, è in grado di raccogliere informazioni sufficienti per massimizzare i propri interessi.

L’economia comportamentale espelle dalla scena questo carattere fittizio, descrivendo gli esseri umani come inadeguati ad effettuare un preciso computo dei costi e benefici della propria azione. Il rispetto per sé stessi, la reputazione, la moralità e la passione motivano il nostro operare in maniera più potente di quanto non possa fare il guadagno materiale.

La nostra razionalità, insomma, è selettiva, mentre le nostre scelte derivano da “scorciatoie logiche” e da condizioni situazionali.

A volte, anzi, possiamo decidere di non decidere, il che ci consente di abitare senza sforzi nella zona inerte dello status quo.

Uno dei principi che si prestano all’analisi dei potenti e della loro criminalità consiste in quello che l’economia comportamentale definisce “percezione differenziale del rischio”.

Quest’ultima ci dispone ad adottare condotte altamente rischiose per evitare quanto possiamo perdere e scarsamente rischiose quando perseguiamo un guadagno. Ecco chiarito il ruolo della nostra paura del futuro, presentato da Hobbes nel Leviatano come caratteristica degli umani, unici animali che avvertono oggi la fame che avranno domani. Per questo, i potenti rischiano molto per mantenere la propria posizione di privilegio, in quanto temono che, con un imprevisto mutamento nel clima sociale e politico, i propri privilegi possano svanire.

Geni della truffa.

Tittidamato.it – (15 dic.2020) – Titti Damato – Relazioni pericolose- ci dice:

 

Cura dei danni e letture per uscirne, “Manipolazione e violenza psicologica”, Tutti gli articoli del Blog “Relazioni pericolose”.

Ogni tanto la natura stimola l’evoluzione biologica e gli organismi, per sopravvivere, devono adattarsi alle mutazioni che questa impone.

 Una buona filosofia di vita potrebbe considerare la natura assegnataria, nei confronti degli psicopatici, del delicatissimo ruolo di rielaborazione e riadattamento della nostra evoluzione personale, sociale, psicologica e spirituale.

Vista in questo modo, gli “psyco” sarebbero stati inventati dalla natura per rispondere alle nostre esigenze di evoluzione e miglioramento; in altre parole, per servirci.

La gente che è entrata in contatto con gli psicopatici spesso sostiene che essi hanno qualità “rettiliane”, dal nome di quella parte del cervello, fredda e guidata da impulsi egoistici, che è legata alla sopravvivenza genetica attraverso l’attività sessuale.

Fortunatamente, nel resto degli esseri umani, c’è anche qualcosa di non materiale, chiamato “compassione”, che ha la precedenza.

 Il sistema di onde cerebrali degli psicopatici è completamente diverso da quello degli altri, anche se i primi conoscono perfettamente la distinzione tra bene e male:

 scelgono il male semplicemente perché è in grado di eccitarli e dare loro potere.

Se si è sprovvisti di empatia e senso di rimorso scegliere il male può essere la strada più veloce per ottenere ciò che si vuole, semplicemente togliendolo a qualcun altro.

Anche se le personalità psicopatiche possono sembrare perfettamente normali con un lavoro, una famiglia e dei figli, va ricordato che si tratta soltanto di equilibri temporanei e di facciata:

 le loro vite sono continuamente in bilico, segnate da ripetizioni continue di raggiri e dalla ricerca spasmodica di coperture in grado di nascondere le innumerevoli falle che le contraddistinguono.

Verità delle quali anche le persone più intime sono spesso ignare fino al momento in cui il velo si solleva e la cruda realtà si fa evidente.

John List uccise sua moglie, sua madre e i suoi tre figli nel 1971 per ricominciare una nuova vita.

Prima di uccidere, per mesi interi, usciva tutte le mattine dalla sua casa del New Jersey facendo finta di recarsi al lavoro, dal quale invece era stato licenziato tempo addietro. 

Nel caos che contraddistingueva la sua vita niente di ciò era noto ai familiari, vista la regolare pendolarità delle sue abitudini giornaliere.

Quando non fu più possibile nascondere le stranezze della sua routine,

sì scoprirono i conti non pagati e il denaro necessario a sanare i debiti non venne fuori, List decise che la cosa più facile fosse uccidere i familiari e iniziare una nuova vita con una diversa identità.

Un giorno rincasò presto dal lavoro immaginario e sparò un colpo alla nuca della moglie e un altro all’occhio della madre.

I due figli più giovani, Patricia e Frederick, tornarono a casa da scuola e vennero entrambi freddati alla nuca.

Quello più grande, John Jr, era fuori per una partita di football.

 List si cucinò il pranzo e poi andò a prenderlo.

 Lo riportò a casa e sparò contro di lui ben dieci colpi per assicurarsi che fosse morto.

 Con calma e come se niente fosse, sistemò i corpi nella cantina della casa e iniziò la sua nuova vita dall’altra parte del Paese fino a quando, grazie allo show televisivo “America’s Most Wanted”, non venne arrestato nel 1989.

 La sua nuova famiglia non aveva la minima idea dei crimini del passato e di chi lui fosse in realtà.

Di versioni non violente di John List, sia uomini che donne, in grado di abbandonare dall’oggi a domani la propria famiglia e ricominciare da capo una nuova esistenza, con la stessa facilità con cui si cambia un lavoro, è pieno il mondo.

A loro non importa lasciare gli altri nel dolore, nella disperazione, nella rovina economica e nella devastazione psicologica.

 Gli psicopatici passano la propria vita a cercare l’approvazione delle altre persone. Ma una volta conficcati gli artigli nella preda, il brivido della caccia sfuma e le unghie vengono affilate e lucidate in vista della prossima vittima. È un ciclo senza fine.

C’è una curiosa analogia tra la mania di collezionare esseri umani e l’interesse ossessivo per la passione o il passatempo di turno.

Senza ragioni particolari e all’improvviso uno psicopatico può sviluppare la mania, per esempio, dei libri antichi o può fissarsi con l’arte animata o con qualsiasi cosa sia in grado di catturare la sua fantasia per un paio di mesi, giusto il tempo di prosciugare i propri risparmi (o i vostri) e poi perdere tutto l’interesse e dimenticarsi della nuova passione come non fosse mai esistita.

 La facilità di prendere e mollare oggetti inanimati è la stessa che adotta con gli esseri umani.

 Non vi è differenza tra una collezione di piatti, una di ex, per quanto possano essere devote, e una di vecchi colleghi.

Per lo psicopatico le vite degli altri non hanno significato emotivo e non sono meritevoli di rispetto più di quanto possa esserne una saliera o una pepiera.

Può sembrare inconcepibile, eppure è una delle realtà della psicopatologia:

questi soggetti non vedono altro valore degli altri se non quello legato all’utilità personale, sociale, sessuale, professionale e economica.

Un’altra realtà è che gli psicopatici non pensano mai che, alla fine, si raccoglie ciò che si semina.

 Finiranno isolati e in rovina in un campo di battaglia e nelle loro giornate proveranno a truffare chiunque sia a portata di mano.

 

 

 

 

VIOLENZA PSICOLOGICA E

TECNICHE DI MANIPOLAZIONE.

Psiconline.it – (26 gennaio 2020) – Dott.ssa Mina Rienzo – ci dice:

 

MANIPOLARE UN’ALTRA PERSONA DI MODO CHE QUESTA ARRIVI A FARE, DIRE E PENSARE COSE CHE MAI AVREBBE CREDUTO POSSIBILI È UNA GRAVE FORMA DI VIOLENZA PSICOLOGICA.

 LA MANIPOLAZIONE PORTA A PERDERE IL CONTROLLO SU SE STESSI, A MODIFICARE LE PROPRIE CREDENZE, I PROPRI VALORI, I COMPORTAMENTI, LE ABITUDINI.

La violenza psicologica è manipolazione.

La manipolazione psicologica avviene utilizzando tecniche specifiche, il cui scopo è quello di sottomettere, di controllare la mente.

Ovviamente quando parliamo di controllo della mente siamo ben lontani da “trucchi di magia”, ma parliamo di metodi per influenzare il comportamento altrui ampiamente studiati e validati.

Manipolare un’altra persona di modo che questa arrivi a fare, dire e pensare cose che mai avrebbe creduto possibili, è una realtà, è una grave forma di abuso emotivo.

 La manipolazione mentale porta gradualmente a perdere il controllo su sé stessi, a modificare le proprie credenze, i propri valori, i comportamenti, le abitudini.

Essa porta a spostare i confini della propria zona personale, a perdere i paletti relativi al proprio IO.

I soggetti manipolatori sono prevalentemente persone con un disturbo della personalità del “cluster B” (DSM), spesso personalità miste, con caratteristiche di narcisismo perverso e maligno.

Lo scopo di questi individui è assoggettare una persona al fine di ottenere da lei qualcosa di cui necessitano, sia essa soldi, sesso, successo, prestigio.

In specifico, mi riferisco qui alle tecniche di manipolazione messe in atto nei confronti di una partner all’interno di una relazione di coppia.

La vittima prescelta deve arrivare a fidarsi, a stabilire un rapporto stretto, intimo ed è per questo che un manipolatore utilizzerà tutte le strategie migliori, spenderà tempo ed energie per costruire tale rapporto.

 Lo scopo è sedurre, determinare un senso di fiducia, di accoglienza. Ovviamente nulla sarebbe possibile se la truffa fosse chiara alla vittima da subito!

I termini utilizzati per indicare le tecniche di “lavaggio del cervello” sono spesso in lingua inglese, poiché sono state studiate negli Stati Uniti da esperti quali Robert Hare, George Simon e altri e a volte impossibili da tradurre.

 Ne farò cenno, premettendo che per ognuna di esse potrebbe essere scritto un articolo a sé, allo scopo di mostrare cosa sia in concreto la manipolazione mentale.

LOVEBOMBING.

Soprattutto durante il primo periodo, la donna viene adorata, riempita di lusinghe, di attenzioni, con la capacità di far sentire unici, compresi, accettati.

I manipolatori hanno la capacità di inserirsi nel “mondo” dell’altro, carpirne le preferenze, le passioni e adattarvisi totalmente.

La vittima viene posta al centro dell’attenzione, qualsiasi cosa faccia e dica viene elogiata, la si fa sentire una persona prescelta e speciale, come fosse unica: nessuna è uguale a lei, brava come lei, ha le sue qualità.

Essi lusingano, seducono verbalmente e con contatti corporei carichi di (falso) affetto, baci, abbracci, carezze, coccole.

 L’interesse dimostrato appare genuino.

Lo scopo principale è, come accennato, creare un legame affettivo, soprattutto fiducia.

RISPECCHIAMENTO.

Strettamente collegato al primo elemento di idealizzazione, vi è la tecnica definita “rispecchiamento”.

Il manipolatore, al fine di adescare e far innamorare la preda prescelta utilizza l’imitazione del comportamento, del linguaggio non verbale, dei gesti, della postura, della mimica dell’altro.

Ne copia anche il modo di parlare, l’uso di alcuni termini del suo linguaggio.

Si appropria delle preferenze e passioni della vittima creando in lei un senso di affinità, di unione.

In questa fase la vittima si rende vulnerabile raccontando fatti personali, segreti, preferenze, che verranno dapprima utilizzate per creare il rapporto e poi per screditare e ferire toccando i punti più sensibili.

GASLIGHTING.

È un comportamento manipolatorio messo in atto dall’abusante mirato a far dubitare l’altra persona di sé stessa, della sua capacità di giudizio e del suo grado di contatto con la realtà fino a sentirsi confusa, sbagliata, in errore

 È molto difficile da individuare e soprattutto da dimostrare a causa all’abilità del manipolatore di mentire e di rendere succube la partner che arriva a credere di essere matta.

La vittima si sente minimizzata, è costantemente in secondo piano, i suoi sentimenti, le sue percezioni, i suoi ricordi sono messi in discussione al punto che si chiede se non stia davvero impazzendo.

 Questa tecnica mina l’intera percezione della realtà.

Il gaslighting fa dubitare dei propri ricordi, percezioni e giudizi, gettando emotivamente e psicologicamente in una condizione di disequilibrio.

Chi manipola usa una varietà di tecniche sottili per minare e mettere in dubbio la realtà dei fatti.

 Queste includono, ad esempio:

Screditare facendo credere ad altre persone che la partner è irrazionale o instabile.

Cambiare argomento durante la conversazione.

Minimizzare e banalizzare i sentimenti e i pensieri altrui, acquistando sempre più potere.

Negazione ed evitamento.

Affermando che non ricorda, che l’altro mente, che inventa, che non capisce nulla, il partner narcisista crea dubbi e confusione.

Distorsione e ricontestualizzazione.

Egli distorce ciò che viene detto, lo rigira a suo favore, ne modifica il contesto.

TRIANGOLAZIONE.

La triangolazione è uno dei modi attraverso cui il manipolatore controlla le emozioni di un'altra persona, si sente potente perché dalle sue parole scaturisce la reazione emotiva dell'altro.

È la situazione in cui due persone vengono messe l'una contro l'altra da una terza che mente ad entrambe in modo da creare attrito e portare la vittima in uno stato di confusione, dove niente è distinguibile come vero o falso.

Il soggetto narcisista/psicopatico coinvolge una terza parte (a volte più di una) per portare il caos nella relazione.

 La terza parte può essere un partecipante disponibile o potrebbe non essere consapevole del fatto che viene utilizzata in questo modo.

Una terza parte può anche essere un frutto dell'immaginazione del manipolatore, interamente inventata.

Indipendentemente da ciò, la terza parte sarà solitamente qualcuno a cui la vittima è improbabile si avvicini al fine di corroborare/smentire la storia del narcisista, a meno che sia proprio questo che egli vuole.

La triangolazione è spesso usata per creare gelosia, sospetto, insicurezza.

Il manipolatore può sedersi e guardare il dramma che ha creato, o per aumentare il risultato può piombare dentro il triangolo e prendere una parte contro l'altra, apparendo come un eroe a una e causando rabbia o gelosia all'altra.

Potrebbe agire in privato a supporto di entrambe le parti, mentre queste si massacrano a vicenda.

Le possibilità sono infinite e tutto questo è un gioco che li fa sentire potenti.

TECNICA DEL FUTURE FAKING.

Nell'ambito dell’innata capacità di mentire dei soggetti narcisisti perversi e maligni, i "future fakes" (grossolanamente tradotto finti futuri) sono fatti proposti al fine di ingannare la partner creando in lei false aspettative.

Non vanno confusi con le promesse non mantenute, anche se vi assomigliano, essi possono concernere situazioni più o meno importanti e coinvolgenti nella vita della compagna.

 Possono andare dall'organizzazione di una cena, di un fine settimana, a una vacanza più lunga, una prospettiva di cambiare casa, fino alla proposta di convivenza o dell'avere un figlio.

Non si tratta di desideri o di sogni ad occhi aperti, ma di veri e propri progetti, spesso definiti nei dettagli, ma che non si realizzeranno.

La partner, inconsapevole e convinta di avere a che fare con una persona sana, si organizza di conseguenza, fino a trovarsi in guai seri quando il fatto non si realizzerà.

In alcuni casi "minori" saranno disagi: appuntamenti mancati all'ultimo minuto, viaggi disdetti un'ora prima, biglietti di concerti non utilizzati, prenotazioni di alberghi, biglietti aerei disdetti all'ultimo.

Con il passare del tempo la partner non saprà mai quando un fatto è vero o no, ritrovandosi a non sapere come agire, vive in un continuo stato di dubbio e incertezza.

INTERMITTENZA

L'elemento centrale per definire sia l'abuso narcisistico sia la sofferenza che ne deriva è l'intermittenza.

Una relazione in cui il buono e il cattivo, l'adulazione e la denigrazione, gli apprezzamenti e le critiche si alternano costantemente è senza dubbio una relazione tossica.

Inoltre, la causa principale della sofferenza nella persona vittima di violenza è l'alternarsi di momenti d'oro e momenti infernali poiché da questo deriva sia la dipendenza sia la dissonanza cognitiva.

Voglio ricordare un tipo di condizionamento studiato dallo psicologo americano “B.Skinner” e che ci permette di comprendere cosa ci accade durante la relazione con un manipolatore.

(Ad esempio Zelensky è un perfetto manipolatore! N.D.R)

“Skinner” effettuò questo esperimento: mise in una gabbietta un topo, in presenza di una levetta.

Nel primo caso il topo premendo casualmente la levetta riceveva del cibo, il topo continuava le sue attività, sinché, avendo fame, si avvicinava alla levetta, la premeva e otteneva il cibo.

 In un altro caso, un topo messo nelle stesse condizioni non otteneva nulla premendo la levetta.

Il topo ben presto si disinteressò alla levetta.

Ora veniamo al nostro caso. In una terza situazione il topo riceveva il cibo premendo la levetta, ma dopo questo primo periodo di condizionamento, la situazione venne modificata: il topo poteva o no ricevere la pallina di cibo, del tutto casualmente.

Cosa accadde?

 Il topo si ossessionò nel premere la levetta, smise di fare qualsiasi altra cosa per rimanere attaccato alla levetta in attesa di quel cibo che inizialmente riceveva sempre, questa situazione si chiama “rinforzo intermittente”.

 Anche quando gli sperimentatori smisero completamente di erogare cibo, il topo rimase accanto alla levetta, fino a lasciarsi morire.

Dopo il periodo di idealizzazione (rinforzo positivo), inizia la svalutazione, il manipolatore dà molto meno e a caso ciò che desideriamo.

Al momento dello scarto cessa completamente di "erogare cibo" affettivo. Noi che facciamo?

Siamo state condizionate e ci comportiamo come il topo dell'esperimento: continuiamo a stare lì in attesa della pallottola che, prima arriverà sempre meno e in modo casuale, poi non arriverà più.

È scattata la dipendenza, siamo diventate dipendenti da quella situazione e la continuiamo a cercare illogicamente, in modo continuo, fino a morirne.

Il narcisista perverso o lo psicopatico crea appositamente la situazione, condiziona fino a rendere schiave.

Nulla di "malato", nulla di "folle" nella cavia, ma uno sperimentatore sadico e perverso che gode nel farla soffrire, nel sottometterla e portarla a morire di dolore.

MENTIRE.

La menzogna è la caratteristica imprescindibile del manipolatore.

I narcisisti maligni mentono per adescare, per avere il controllo, per ottenere ciò che desiderano, per soddisfare i loro bisogni, per divertimento, per disprezzo della verità, per creare una maschera, per nascondere le loro reali intenzioni.

La bugia, per il narcisista, è uno strumento di lavoro.

La bugia è la distorsione della verità con cognizione di causa e competenza, con un obiettivo, con l’intenzione di ottenere qualcosa.

Lo psicopatico è un bugiardo patologico, come scrive “Cleckley,” “mostra uno spiccato disprezzo per la verità; non dobbiamo credere alle sue storie del passato, alle promesse per il futuro e alle intenzioni del presente”.

Mentire alimenta il narcisismo di questi individui, poiché li fa sentire superiori, in grado di condizionare, di far provare a loro piacimento emozioni, illusioni, speranze, come un burattinaio muove i fili della vita di altre persone.

Questo li fa sentire più astuti, più intelligenti, in grado di truffare senza essere scoperti.

(Zelenky indossa il maglione grigio verde del guerriero per prendere denaro dai potenti della terra! N.D.R))

Essi non danno valore alla verità, soprattutto gli psicopatici hanno verità soggettive, fugaci, valide “per ora”.

“S. Forward” scrive che queste persone disturbate non provano vergogna, non sono perciò spinti ad essere onesti.

Non rispettano le regole sociali e morali, per loro non sbagliano mai.

 Usano la menzogna per far accettare agli altri la loro versione dei fatti, che per loro è l’unica a contare.

COMUNICAZIONE.

Con un manipolatore la comunicazione non è diretta: chi maltratta non utilizza un linguaggio chiaro e diretto, ma tortuoso e indiretto.

Non risponde alle domande, oppone il silenzio, rifiuta il dialogo, nega l'esistenza di conflitto.

Non c’è una comunicazione efficace con loro: il manipolatore non dà rilievo al messaggio che riceve, più il messaggio è importante più c’è disattenzione da parte sua.

Manipola la conversazione tramite tecniche tipo PNL che usa in modo naturale, ad ottenere un effetto ipnotico.

Un narcisista perverso o maligno manipola con una conversazione ambigua e paradossale.

Tipico è il cosiddetto “doppio legame” (double bind) che indica una situazione in cui la comunicazione tra due individui uniti da una relazione emotivamente rilevante, presenta un'incongruenza tra il livello del discorso esplicito e il livello detto metacomunicativo (non verbale, gesti…).

Come osserva lo psichiatra argentino “Marietan”, il narcisista perverso o lo psicopatico conosce profondamente l’enorme valore manipolatorio delle parole, fin dove può arrivare la loro suggestione:

sa metterle nel momento esatto in cui avranno il maggior peso e sa ometterle quando il silenzio fa più male.

Egli parla, ma molte volte non informa.

Lo psicopatico sa occultare tutto a prescindere dalla curiosità della partner, con questi individui la trasparenza è impossibile.

Il narcisista non gioca mai a carte scoperte, la partner, invece (purtroppo), svela tutte le sue carte e quello che ha rivelato verrà usato contro di lei.

Un soggetto narcisista avrà gioco facile nell’utilizzare quelli che in PNL vengono definiti “comandi nascosti” e che fanno parte dell’ipnosi conversazionale (vedi R. James).

 Si tratta di un uso strategico del linguaggio per oltrepassare le difese consce e inconsce dell’interlocutore, di modo da convincerlo, persuaderlo, guidarlo nelle scelte.

La vittima non si accorge che in questo modo vengono superate le sue resistenze, i suoi freni, i suoi valori.

Questi comandi ipnotici non vengono riconosciuti dalla parte razionale della mente, ma raggiungono la parte subconscia, mimetizzandosi nella conversazione.

Questo accenno alle tecniche di manipolazione ci mostra come esse siano una delle principali cause del senso di confusione e di dissonanza cognitiva della donna abusata.

Arriva un momento, infatti, in cui i pezzi del puzzle cominciano ad andare al loro posto e si inizia a comprendere che si è state un giocattolo a cui si è fatto credere di tutto dalle piccole cose all'amore e non ci si capacita che la perversione e la malvagità esistano e abbiano lasciato ferite più profonde di un coltello.

Le ferite hanno il nome di “Sindrome da abuso narcisistico”.

(Dott.ssa Mina Rienzo, Psicologa-Psicoterapeuta)

 

 

 

Il sonno della ragione:

la crisi dell’Europa a

confronto in Husserl e Huizinga.

 Pandorarivista.it - Luca Barison – (5-2-2023) – ci dice:

 

«Ogni volta che le nostre società ristrette, in perenne crisi di crescita, cominciano a dubitare di loro stesse, si domandano se abbiano avuto ragione a interrogare il loro passato, oppure se l’abbiano interrogato correttamente».

Con queste parole “Marc Bloch”, nel suo “Apologia della storia”, esponeva le motivazioni che lo avevano spinto a scrivere l’opera, poco dopo l’entrata delle armate naziste a Parigi nel giugno del 1940:

 tutto iniziava in un momento di smarrimento e di tracollo per l’Europa dell’epoca, quando molti sentivano ormai di essere ad un passo dall’abisso.

Si trattava di un sentimento che da molto tempo aleggiava nel vecchio continente e non solo, sia nelle accademie che nella letteratura;

impossibile non citare “Il tramonto dell’Occidente” di “Spengler” (1918), vero e proprio contro-manifesto dell’ottimismo positivista, ma anche un rapido sguardo al numero di opere con il termine “crisi” nel titolo, pubblicate negli anni Venti e Trenta in Germania, 370 secondo i calcoli, può far ben comprendere il fenomeno.

Questo articolo si pone come obbiettivo l’analisi comparativa di due esempi del contesto appena descritto, ovvero “La crisi delle scienze europee” e “la fenomenologia trascendentale” di Edmund Husserl (1936) e “la Crisi della civiltà” di Johan Huizinga (1935).

Quasi contemporanei, i due libri mostrano una comune ricezione della stessa temperie culturale: un’unione in un sentimento di inquietudine e di timore di fronte al procedere dell’umanità verso una direzione, ormai consolidata e definita, che l’avrebbe presto portata alla distruzione.

Era presente in molti la percezione che sul domani, parafrasando il titolo originale dell’opera di Huizinga, si allungassero ombre poco rassicuranti;

diversi autori e pensatori se ne fecero interpreti, declinando questa idea della “decadenza” dell’umanità ora nel pensiero filosofico, ora nell’evoluzione politica, o ancora nelle credenze religiose.

Su questa base, si cercherà di analizzare i punti in comune tra le due opere, in particolare quelli legati alla riflessione sul tema della ragione.

De profundis: la crisi apparente e la crisi latente dell’Europa.

Il primo elemento condiviso è la compresenza di due crisi in ognuno degli scritti, cioè la descrizione di una “crisi manifesta” che in realtà è mera propaggine e conseguenza di una “crisi latente”.

Per comprendere ciò, è necessario definire quale sia il momento critico di cui i due autori parlano, ossia come declinino quel comune sentimento di inquietudine decadente di cui si è detto sopra.

Sin da subito Husserl si premura di fare alcune precisazioni, perché parlare di crisi delle scienze dà adito a molte possibili interpretazioni.

Il decadimento cui ci si trova di fronte non è, scrive il filosofo, quello adelle scienza classica, scossa nelle sue fondamenta dalle nuove teorie moderne;

 non è neanche il venir meno della capacità delle scienze specifiche di rispondere alle domande riguardanti «un senso per la vita» dopo la loro riduzione, ad opera del pensiero positivista, a mere scienze che spiegano il mondo come un assemblaggio di fatti naturali o culturali, lasciando il campo aperto rispettivamente al “naturalismo” e al “costruttivismo”.

Ancor meno si può parlare di una crisi “tecnica” delle scienze, visti i loro continui successi pratici e tecnologici.

 La crisi di cui parla Husserl è un’altra, molto più profonda, ovvero la crisi che coinvolge la scienza per eccellenza, o meglio la scientificità per eccellenza.

Scrive il filosofo che se la scientificità tecnica continua a fiorire, quella che lui definisce autentica si trova di fronte ad un indebolimento delle sue fondamenta: una scienza filosoficamente fondata non è più rintracciabile;

 manca cioè una filosofia assoluta come scienza universale dell’essere, un criterio universale di scientificità che funga da base da cui partire per poter iniziare a discutere correttamente di scienza.

 In sintesi, si potrebbe dire, quella radice dell’albero cartesiano del sapere autentico su cui le scienze si innestano come dei rami, in modo da consentirsi l’accesso alla verità, alla possibilità di dare conto dell’essere.

È interessante notare come Huizinga, anch’egli sin dai primi capitoli, anticipi l’obiezione del progresso della civiltà del suo tempo: di fronte ad un’epoca così segnata dall’avanzamento tecnologico, come si può parlare di crisi della civiltà?

Risponde che «non è affatto paradossale affermare che una civiltà, con un “progresso” realissimo e innegabile potrebbe arrivare alla sua rovina», in quanto la decadenza che gli uomini della sua epoca sentono di star attraversando è qualcosa che va molto più in profondità.

 Quello cui si è di fronte è un processo progressivo di crisi irreversibile, diversa da ogni altro simile evento del passato, poiché è la crisi stessa delle condizioni che determinano l’esistenza della cultura, fattore che a sua volta è alla base dell’essere di una civiltà.

Scrive infatti lo storico olandese che una cultura, per esistere, necessità di tre fattori fondamentali:

 l’armonia tra i valori materiali e spirituali, un comune scopo cui dirigersi e la possibilità di dominare la natura.

La civiltà europea degli anni Trenta del XX secolo, quand’anche capacissima di controllare gli elementi naturali, si ritrova sbilanciata a favore dei valori “mondani” e vitali mentre ognuno tende al proprio personale ideale, spesso di basso livello e poco elevato rispetto a questi valori materiali.

Nel caso husserliano, la crisi delle scienze è quindi derivata dalla crisi di ciò da cui dipendono, ossia la filosofia, quella scientificità autentica che permettere di cogliere un assoluto sapere fondato;

allo stesso modo, nell’opera di Huizinga, a determinare il decadimento della complessità della vita civilizzata è la crisi della cultura, che è alla base dell’essere stesso della civiltà, del processo di civilizzazione nel senso più generale del termine.

Questa riflessione introduce ad un altro elemento di convergenza, cioè il “contesto europeo” in cui tutto si svolge.

Lo si vede bene sin dal titolo dell’opera di Husserl, dove le scienze sono definite come proprie della civiltà occidentale, mentre è chiaro che lo storico olandese, sebbene cerchi di mantenere il discorso nella maggiore generalità possibile, definisca la sua riflessione sulla base del contesto del Vecchio Continente:

i momenti critici che abbiamo appena definito sono ragione e motore del crollo, per dirla con Husserl, «dell’umanità europea».

 La filosofia nel primo caso e la cultura nel secondo sono poste a fondamento della vita stessa dell’Occidente:

il filosofo da un lato parla del telos spirituale-filosofico che l’Europa possiede sin dai tempi antichi e che si esplica nella ricerca di una verità per sé stessa e assoluta, della filosofia che sia guida per l’umanità;

dall’altra parte lo storico indica la crisi del suo tempo come priva di precedenti nella storia pregressa, perché mai si negò di andare «alla conquista e all’impiego dell’antica saggezza», l’Europa non si straniò così profondamente dal suo passato come ora, preferendo dimenticare ciò su cui la sua essenza si basa.

Cause e sintomi della crisi: l’abbandono della ragione.

Il terzo punto di continuità tra le due opere qui prese in oggetto si codifica come la ridefinizione della storia della filosofia (o di una parte di essa) al fine di sostenere la visione della crisi proposta, in relazione ai vari passaggi che hanno portato tale processo di decadenza ad avviarsi:

per quanto difficile, si proverà a sintetizzare le riflessioni di Husserl e di Huizinga, con l’obiettivo di cogliere il punto di continuità appena citato.

Nel secondo capitolo, il filosofo descrive la storia della filosofia moderna come segnata dal difetto interno dell’oggettivismo fisicalista, a partire dalla fondamentale figura di Galileo.

Erede di una geometria pura, che è stata sempre più distaccata dal mondo reale da cui proviene, lo scienziato per Husserl ha scelto di applicare le leggi di questo mondo matematico al Lebenswelt (mondo della vita) pre-scientifico:

ha dato avvio ad una trasformazione del mondo empirico e percepibile in una realtà idealizzata e matematizzata, di fatto vestendo questo complesso di un abito ideale che ha nascosto il vero essere del mondo della realtà.

 Il pensiero filosofico moderno diviene quindi «sempre preso nel realismo rappresentativo della contrapposizione soggetto/oggetto», a partire da Cartesio, verso l’idea di una natura che va dimostrata, base del successivo idealismo di Berkeley e dello scetticismo humeano, dove tutto diventa finzione, realtà inclusa.

È la crisi della ragione filosoficamente intesa, cioè il fallimento della trasformazione della filosofia in una scienza rigorosa, legata alla sua origine del mondo della vita invece che dimentica del suo legame intenzionale con esso: la scientificità autentica della filosofia cade in una «bancarotta», divenendo incapace di rispondere alle domande sulla razionalità dell’essere, sulle condizioni di possibilità per cui si può affrontare razionalmente il problema dell’essere, proprio perché ha separato e contrapposto l’essere e ciò che è.

La crisi di Husserl è «the dissolution of the idea of universal philosophy, i.e. the idea of a self-explication of human reason able to serve as the guide for an authentic humanity, in a word, it is the crisis of reason».

Riprendendo le fila dell’opera di Huizinga, la sua definizione di un’epoca contemporanea segnata dalla possibilità del venir meno della cultura lascia spazio ad una spiegazione dei primi sintomi di questa situazione: è bene però anticipare la codificazione della causa di questa decadenza, in modo da avere una migliore comprensione.

Ciò che ha posto le basi del venir meno dei fondamenti della cultura è «il momento centrale» costituito dal conflitto tra sapere ed essere:

l’epoca attuale, nell’eterno conflitto tra intelletto e azione, ha infatti elevato la seconda contro il primo, di fatto dando adito alla crescita di una filosofia anti-intellettualistica priva di precedenti:

 mai come in questo momento, secondo la visione dell’autore, la verità è stata rinnegata così intensamente e sistematicamente. L’uomo odierno si è fatto portatore di un pensiero vitalistico, che lo pone in totale opposizione al sapere, alla ragione, all’intelletto, alla ricerca della verità.

Huizinga cerca anche di indicare delle “responsabilità” di questa evoluzione in relazione ad alcune figure:

pensatori come Cusano e Kierkegaard hanno sempre più distanziato la realtà dai nostri mezzi intellettuali, intendendo la prima come incomprensibile dal pensiero proprio perché diversa da esso.

Questa tendenza sviluppò cioè un pensiero pragmatistico che, negando all’uomo la capacità di giungere ad una verità assoluta, assegnò, secondo Huizinga, ad essa un valore relativo.

 L’Europa si consegnò quindi all’antirazionalismo, alla soppressione della cultura spirituale in favore del mondo attivo: e ciò, per l’autore, ha determinato ogni ambito del vivere dell’uomo.

La scienza, il raziocinio, lo spirito critico, la differenza tra bene e male, i principi del giudizio e del dovere, la morale, la responsabilità individuale si sono annichiliti a favore di un mondo segnato dal culto dell’eroe, dal puerilismo, dalla superstizione, dall’idea della responsabilità collettiva del popolo.

(E’ il regno di Zelensky ! N.D.R)

La maestria con cui ogni tema è trattato meriterebbe un’analisi specifica per ognuno, ci si limiterà però a prendere qui in considerazione solo il tema della scienza, visto la comunanza con Husserl.

Così come il filosofo ceco, Huizinga non nega la validità e il successo delle scienze, ma sostiene che anche esse sono intaccate dalla decadenza:

se anche l’uomo ha aumentato i suoi campi d’indagine, il sapere scientifico «non tiene più il passo» di fronte alla vastità della realtà analizzata, proprio a causa dell’indebolimento dello spirito critico-razionale su cui esso si basa.

Così ridotta, la conoscenza scientifica ha smesso di essere considerata come la guida del sapere e della conoscenza umana, come la sede per eccellenza della ragione:

ciò ha generato o la deriva verso forme di pseudo-scienza completamente errate (come la teoria razziale o l’astrologia) oppure l’assorbimento da parte del sapere tecnico delle conoscenze scientifiche per scopi pratici.

 Risulta chiaro un forte legame con il pensiero husserliano.

Per Husserl le scienze hanno perso la capacità di accedere alla verità del mondo della vita e di conseguenza l’umanità europea manca ormai dell’anelito alla ragione filosofica che da sempre la contraddistingue, così come in Huizinga lo stesso sapere generalmente inteso è stato abbandonato: in entrambi i casi è decaduta la ricerca della verità, il che ha portato rispettivamente alla crisi della filosofia e della civiltà, ma in ognuna delle due opere sono anche le scienze a pagarne il prezzo.

La causa della crisi è, nei due scritti, il sonno della ragione, inteso come il venir meno di quel pensiero filosofico-intellettuale che viene posto alla base dell’umanità europea, ovvero la ricerca di un’ideale di verità per sé che garantisca un senso costitutivo all’attività intellettuale dell’uomo.

Per concludere il paragrafo è bene soffermarsi brevemente anche su una comune importanza, nelle due riflessioni, del termine “vita”.

 Ciò va probabilmente ascritto ad una tendenza generale dell’epoca di ricollegarsi a tutta una serie di studi biologico-evolutivi sul tema del Leben, dell’evoluzione dell’uomo.

È certo però che in Husserl la vita, nella definizione del “mondo della vita” ha un’accezione “positiva” perché esso è il luogo in cui bisogna tornare, quel mondo reale necessario alla comprensione della realtà delle cose, alla fondazione delle scienze sulla ragione.

 In Huizinga invece la vita è ciò che, come un idolo, è stato elevato sopra alla ragione e alla conoscenza gettando in crisi tutti questi elementi e spingendo quindi la civiltà nel baratro della barbarie.

Da dove arriverà la salvezza?

È questa la domanda che Huizinga continuamente si pone nei capitoli finali dell’opera.

 È davvero possibile che l’umanità non abbia altra scelta che cadere nelle barbarie, in quella decadenza che sembra vedere così poco distante da sé?

Accostare l’idea di una soluzione/salvezza della crisi nei due autori è forse azzardato, ma è bene provare a confrontare solo l’idea generale dell’uscita da questo stato di cose, termine più adatto, che viene proposta.

Husserl propone una prima possibilità di uscire dalla crisi, descritta come un «ricominciare da capo», dove l’inizio da cui bisogna ripartire è, per forza di cose, il mondo della vita obliato dalla filosofia moderna.

Questo elemento, così come è stato descritto, è la sede della realtà delle cose e quindi la scienza che intende chiarificarle deve per Husserl partire da questo mondo prescientifico:

non potrebbe essere altrimenti, visto che le scienze sono in tutto e per tutto parte di questo mondo, contenente gli scienziati, i loro strumenti, le loro proposizioni, ecc.

 La verità scientifica accade in questo mondo, pertanto l’analisi della scientificità autentica non può che essere analizzata in questo contesto. Come va interpretato questo mondo?

Tramite un cambio di atteggiamento che consiste nella rinuncia da parte dell’uomo, così sicuro e certo del suo sapere, del riconoscimento della realtà;

egli deve praticare l’epochè, la sospensione delle sue concezioni che gli garantisce un ruolo non più da partecipante, ma da spettatore della realtà.

Deve passare dall’essere inserito in essa, a porsi in una posizione che gli consenta di esaminare come il mondo si dà nella sua percezione.

 Significa che egli dovrà terminare di esprimersi sulla scienza e sul mondo della vita, astraendosi da queste due realtà per porsi nell’ambito fenomenologico, in cui potrà studiare il mondo in relazione alla sua datità, come puro fenomeno di coscienza.

Solo in questo ambito egli potrà essere l’osservatore della correlazione tra il mondo e un io, tra le cose e il conoscere:

 coglierà cioè il senso d’essere del mondo, dimenticato dalla filosofia precedente nel contesto di questa nuova filosofia fenomenologica e trascendentale, ovvero incentrata sullo studio della realtà come fenomeno, in relazione alla sua datità, e capace di far giungere la filosofia, e quindi anche le scienze, alla verità assoluta e autentica, non nascosta in qualche mondo iperuranico, ma legata al mondo reale della vita.

Il quadro che lo storico olandese traccia è sempre più cupo:

guardando al passato, scrive, non vi è mai stato un periodo di fioritura di lunga durata, il presente non sembra mostrare altro che la crisi della ragione e della civiltà.

 Il futuro non dà speranze.

Egli comunque prova a tracciare una via d’uscita, configuratasi come una purificazione interna all’uomo, un suo cambio di atteggiamento mentale, una catarsi/ascesi:

la somiglianza con Husserl è palese, perché in entrambi i casi l’uomo, che la crisi l’ha generata, è l’unico a poterne uscire con i suoi soli mezzi.

Bisogna però anche dire che l’autore non va oltre mere indicazioni generali, lasciando ampio spazio all’interpretazione:

ciò che è necessario fare è creare uno spirito nuovo, basato sulla consapevolezza di questo indebolimento della ragione sul recupero consequenziale della stessa, in modo da ricostituire la cultura, la morale, il raziocinio.

 È un quadro chiaramente diverso da quello husserliano, dove le “modalità” per riottenere che la filosofia, e successivamente le scienze, accedano nuovamente alla contemplazione della verità assoluta non mancano.

Anche in questa apparente diversità si può però trovare un punto di contatto tra lo storico e il filosofo, ovvero il fare appello a delle determinate categorie di persone, indicate come i destinatari della descrizione della crisi e quindi i futuri “riparatori” del danno dei predecessori.

In Huizinga la chiamata è rivolta alla «comunità degli uomini di spirito», sparsa in tutto il globo e diversificata, ma unita da una forte volontà di lavorare al bene della comunità:

 è un impeto questo, scrive l’autore, che è in ogni uomo toccato dalla crisi, ma in essi è percepito come più tenace.

Da chi è costituito questo gruppo?

Non è chiaro il riferimento di Huizinga, oscillante tra i politici del mondo e i giovani, ma certa è la vocazione all’internazionalismo, ad uno sforzo globale di colmare il mondo di spirito, cioè di ragione intellettuale.

Nel contesto husserliano sono invece i filosofi ad essere chiamati alla missione di guidare il mondo fuori dalla crisi.

Essi sono i «funzionari dell’umanità», secondo la definizione che lo stesso autore dà.

Si codificano come i portatori del “telos originario dell’uomo europeo”, quell’ideale obbiettivo di ricerca dell’autentico sapere per sé.

 Solo essi, compreso l’errore della modernità e il necessario passaggio dall’atteggiamento naturale all’approccio fenomenologico, potranno far sì che l’Europa non cada nelle barbarie e nell’ignoranza e saranno capaci di attuare «la rinascita dell’Europa dallo spirito della filosofia, attraverso un eroismo della ragione capace di superare definitivamente il naturalismo».

Si vede quindi come le possibilità di invertire la rotta della crisi siano, in entrambi i casi, incentrate sui temi della ragione e dello spirito.

 L’obiettivo è far tornare l’uomo alla sfera del sapere intellettuale, del raziocinio nel senso più proprio, inteso da Husserl come l’autentica conoscenza fenomenologica capace di rimettere in contatto l’uomo con la realtà del mondo e da Huizinga come la base stessa di una civiltà propriamente detta:

ciò significa far riguadagnare all’umanità europea il suo spirito autentico, ossia, per dirla con il filosofo ceco, «una vita in cui l’Io può diventare assolutamente certo della propria ragione come ragione assoluta».

 

 

 

Case non vendibili dal 2030 – Direttiva Green

approvata dal Parlamento Europeo

 ibpost.it – The ImmoBillion post – (31 Marzo 2023) – Redazione – ci dice:

1 Cosa significa avere una casa in classe G?

2 Quale classe energetica servirà per vendere casa nel 2030?

3 Quali immobili dovranno essere ristrutturati?

4 L’adeguamento energetico per vendere casa.

5 È necessaria una classificazione unica in Europa.

6 Sarà l’Italia a decidere quali saranno le case non vendibili dal 2030.

7 Occorre un piano d’azione immediato.

Andiamo ad analizzare tutti i perché esiste un reale rischio di case non vendibili dal 2030.

La nuova direttiva green va verso un blocco delle vendite di case in classe energetica bassa, immobili in classe “G”, per accogliere edifici residenziali in classe “E” entro il 2030 e in classe “D” entro il 2033.

Cosa significa avere una casa in classe “G”?

Vivere in una casa a classe energetica “G” implica abitare in una dimora che consuma una grande quantità di energia.

Ciò accade perché l’edificio non rispetta i requisiti di efficienza energetica, il che significa che le spese energetiche per la famiglia che lo abita saranno sempre elevate.

A partire dal 2028, tutti i nuovi edifici dovranno avere emissioni zero. Sono i dati della nuova direttiva dell’UE, per far sì che entro il 2050 gli edifici avranno un impatto ambientale pari a zero.

Numeri e date che finiranno per avere un impatto significativo sul mercato immobiliare, causando una lunga lista di case non vendibili dal 2030.

 Perché è questo che succederà a tutti gli edifici che non saranno in grado di stare al passo con la normativa.

Certo è vero, il testo definitivo sulle case green in Europa deve ancora essere approvato attraverso il “processo di Trilogo”, che prevede il negoziato tra il Parlamento, la Commissione e il Consiglio.

Così come che, in seguito, ogni paese dovrà recepire la direttiva.

Tuttavia queste modifiche potrebbero avere un impatto significativo sulla maggior parte degli edifici in Italia.

È indiscusso che si tratti di una svolta importante verso l’attuazione del nuovo provvedimento, che, se da un lato mira a migliorare l’efficienza energetica degli edifici, dall’altro rischia di impattare pesantemente sul mercato.

 Inoltre, uno dei punti deboli del provvedimento è la mancanza di finanziamenti da parte sia dell’Unione Europea che dei singoli Paesi membri.

Quale classe energetica servirà per vendere casa nel 2030?

Il testo che è stato approvato è sostanzialmente lo stesso che è stato elaborato dalla commissione parlamentare Industria.

 Prevede che gli edifici residenziali raggiungano la classe energetica “E” entro il 2030 e la classe energetica “D” entro il 2033.

L’obiettivo principale della direttiva case green dell’Unione Europea è concentrarsi sul 15% degli edifici più energivori, che saranno classificati nella classe energetica più bassa, ovvero la “G”, in base alle decisioni dei vari paesi membri.

In Italia, questo riguarda circa 1,8 milioni di edifici residenziali su un totale di 12 milioni, come riferito dall’Istat.

Quali immobili dovranno essere ristrutturati?

Per contrastare il cambiamento climatico e ridurre le emissioni di CO2, dal 2030 sarà quindi vietato vendere o affittare abitazioni che non abbiano una specifica classe energetica.

 Questo divieto sarà applicato alle case che rientrano nelle classi energetiche” G” a partire dal 1° gennaio 2030 e nelle classi energetiche “E” dal 2033.

 

Tutti gli edifici e gli immobili costruiti, venduti, ristrutturati o affittati, anche in caso di rinnovo del contratto di locazione, dovranno avere una attestazione energetica obbligatoria, allungando la lista di case non vendibili dal 2030.

Inoltre, gli edifici pubblici dovranno rispettare ulteriori restrizioni, con l’obbligo di raggiungere la classe” F” entro il 2027 e la classe “E” entro il 2030.

La Direttiva sul rendimento energetico (EPBD) stabilisce quindi che tutti i nuovi edifici costruiti dal 2028 dovranno avere emissioni zero.

Stessa cosa ma con due anni di anticipo per gli edifici utilizzati o gestiti dal pubblico e quelli di proprietà degli enti pubblici.

Inoltre, dal 2028, i nuovi edifici dovranno essere dotati di tecnologie solari solo se tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile. Entro il 2032, gli edifici residenziali esistenti dovranno rispettare i nuovi requisiti di emissioni solo se sottoposti a importanti ristrutturazioni.

Qual è quindi l’obiettivo principale della direttiva case green?

Aumentare il tasso di ristrutturazione degli edifici energeticamente efficienti e migliorare le prestazioni energetiche, stabilendo nuovi parametri per la classificazione della prestazione energetica degli edifici.

L’adeguamento energetico per vendere casa.

Quali saranno quindi le conseguenze per le tasche dei padroni di casa?

Ad oggi l’approvazione della direttiva del Parlamento europeo non implica necessariamente la necessità di spendere soldi per ristrutturare la propria casa per adeguarsi alle normative.

 Ogni paese membro potrà infatti elaborare un piano nazionale di ristrutturazione adattato alle proprie esigenze.

Inoltre, sono previste eccezioni per gli edifici di pregio artistico, storico, di culto, le seconde case e quelle con una superficie inferiore ai 50 mq.

Gli Stati membri potranno anche richiedere deroghe alla Commissione europea per considerare le particolarità del proprio patrimonio immobiliare e altri fattori come i costi e la manodopera qualificata.

Ci sono possibilità di adattare i nuovi obiettivi in funzione della fattibilità economica e tecnica delle ristrutturazioni.

È necessaria una classificazione unica in Europa.

Per valutare l’effettivo effetto di questa disposizione, occorre notare che ogni Paese dell’UE ha la propria classificazione energetica che differisce da quella degli altri Paesi.

Di conseguenza, i requisiti per raggiungere la classe “D” in Italia possono essere diversi da quelli necessari per raggiungere la stessa classe in un altro Paese dell’UE.

Per questo motivo la Direttiva Green propone l’unificazione delle classificazioni energetiche in tutti i paesi dell’UE.

Di conseguenza, gli interventi di modifica richiesti potrebbero avere un impatto meno significativo rispetto a quanto previsto utilizzando i parametri di classificazione attuali in Italia.

La Direttiva prevede che ogni Stato Membro possa segnalare problemi tecnici o situazioni specifiche che potrebbero impedire di raggiungere la classe energetica stabilita dalla normativa.

In tali casi, sarà sufficiente raggiungere un livello di efficienza energetica “tecnicamente possibile” anche se inferiore a quello richiesto dalla direttiva.

Ciononostante, non mancano le preoccupazioni da parte dell’Italia.

A questo proposito, il relatore per l’Europarlamento, Ciaran Cuffe, ha provveduto a chiarire crescenti dubbi sulla normativa.

C’è stata molta disinformazione in Italia e Spagna.

Si è detto che Bruxelles dire agli Stati membri cosa fare, ma nulla è più lontano dalla realtà”.

Gli emendamenti adottati, infatti, “lasciano ampia flessibilità agli Stati per i loro piani nazionali di ristrutturazione, che contribuiranno a creare lavoro e a mettere a disposizione dei cittadini europei case che consumano meno energia, migliorando la qualità della loro vita”.

La nuova normativa europea sulle case green “divide l’Europa in quattro aree con quattro target di efficienza diversi, particolarmente interessante per Stati come l’Italia e la Spagna il cui target verranno proporzionati ricalcolando le classi energetiche affinché in classe “G” ricada il 15% degli edifici più energivori”.

Sarà l’Italia a decidere quali saranno le case non vendibili dal 2030.

L’approvazione della direttiva rappresenta quindi solo il primo passo e dovrà essere successivamente adottata dai singoli Stati membri.

Ci sono quindi aspetti che guideranno la regolamentazione nazionale verso edifici sempre più sostenibili.

 Ad esempio sarà necessario affinare gli standard minimi in edilizia per adattarli alle esigenze specifiche di ogni paese.

Gli obiettivi da raggiungere sono ambiziosi e per questo dovranno essere rivisti tutti i regolamenti relativi all’edilizia, agli impianti e ai materiali.

E questo richiede una pianificazione accurata e tempi precisi fin dall’inizio. Le nuove prescrizioni avranno un impatto sia sui nuovi edifici che su quelli già esistenti.

In definitiva, l’edificio diventa parte di un sistema più ampio di sostenibilità ambientale.

 Questo significa che deve essere dotato di infrastrutture adeguate come:

stazioni di ricarica per auto elettriche all’interno dei condomini e sistemi intelligenti per la gestione dell’energia, sia elettrica che termica.

Occorre un piano d’azione immediato.

Considerando che gli edifici sono responsabili di oltre un terzo delle emissioni di gas serra, per raggiungere l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050, è fondamentale agire sin da subito.

Un compito che, per quanto meritevole, potrebbe non rivelarsi facile.

Specie in Italia, dove circa il 60% degli edifici è attualmente in classe “F” e “G”.              

 E, di certo, anche solo il passaggio alla classe “E” finirà per avere un impatto significativo sulle famiglie.

Per fare il salto di classe, infatti, è necessario ridurre i consumi energetici di circa il 25%, il che richiede interventi come l’installazione di un cappotto termico, la sostituzione degli infissi o della caldaia.

Tuttavia queste spese non dovrebbero gravare sui cittadini, per molti dei quali la casa rappresenta l’unico patrimonio o fonte di reddito.

È quindi auspicabile che l’adeguamento degli edifici alla nuova normativa sia accompagnato da incentivi accessibili ai proprietari, affinché la spesa non gravi sulle loro tasche.

Inoltre, i proprietari dovrebbero essere in grado di vendere o affittare gli immobili semplicemente presentando la certificazione della classe energetica attuale, mentre gli acquirenti potrebbero fare i lavori di adeguamento sfruttando gli incentivi.

È quindi importante definire tempi e modalità chiare per la promozione di incentivi duraturi a livello nazionale ed europeo, evitando proroghe e cambiamenti regolatori continui.

Il mercato stesso potrebbe premiare gli edifici che rispettano i requisiti di sostenibilità energetica, penalizzando quelli che non sono efficienti.

Questa sfida potrebbe essere affrontata coinvolgendo i cittadini e migliorando il Paese, ma solo con una strategia chiara e definitiva.

È quindi fondamentale applicare tutte le forze necessarie per riqualificare il proprio immobile per evitare che entri nel libro nero delle case non vendibili dal 2030.

Cosa ne pensi di questa presa di posizione dell’Unione Europa?

(Dobbiamo ringraziare gli “uomini di Davos”, compreso Zelensky! N.D.R)

 

 

 

2023 – Il mondo nella morsa del

terrore meteorologico globale.

Dudewebolg.wordpress.com – capricornus – dude – (24 marzo 2023) – ci dice:

Attacco frontale all'uomo e alla biosfera da parte di un "cambiamento climatico" che non esiste.

La guerra meteorologica come chiave per il Grande Reset.

Lentamente, anche l'ultima persona dovrebbe capire che il mondo, la politica, l'economia, la società e la sua salute, l'approvvigionamento energetico, l'approvvigionamento alimentare, il sistema bancario o monetario e, naturalmente, "il tempo" stanno sfuggendo completamente di mano.

E nella migliore delle ipotesi, che questa non è una coincidenza.

La "tempesta" in cui si trova attualmente (e da tempo) la civiltà sta soffiando attraverso ogni piccola crepa della nostra esistenza, lasciando danni sempre più visibili e irreversibili.

Non è solo sul piano materiale che i fari e i pilastri della nostra società, la vecchia normalità e la vecchia stabilità stanno cadendo.

 Come un uragano onni-pervadente, si precipita attraverso di noi, la nostra esistenza materiale, i nostri sentimenti, le sensazioni e la psiche di coloro che non sanno, vogliono sapere o non possono sapere cosa o chi è responsabile di questa "tempesta" e cosa dovrebbe seguirla quando sarà finita.

Di cosa si tratta.

Alcuni assoceranno la parola tempesta a ciò che altri associano affettivamente alla parola d'ordine ideologica "cambiamento climatico".

 Numerose nuove pubblicazioni ora mostrano chiaramente che il "cambiamento climatico" alias riscaldamento globale propagato dalle Nazioni Unite, dall'OMS, dall'IPCC, dall'OMM, dall'UE, da molte altre organizzazioni, istituzioni e dalla maggior parte dei governi non esiste affatto.

 L'intera discussione sulla CO² è una farsa completa e probabilmente il più grande, più vasto e più costosa sciocchezza umana nella storia della civiltà.

Insieme alla menzogna pandemica, sta ora emergendo una miscela sinistra, che crea una sovrapressione dissociativa nelle menti della popolazione ignorante, che ad un certo punto, ma probabilmente presto, sarà violentemente scaricata nel caos distopico di una società che è diventata disorientata.

Ogni singolo aspetto di questa gigantesca e onnicomprensiva menzogna si rivela a un esame più attento come fraseggio propagandistico e come un attacco malevolo alla formazione dell'opinione pubblica delle società al fine di provocare alla fine il caos globale, che nel senso del WEF di Klaus Schwab culminerà nel Grande Reset, con tutte le sue oscure conseguenze.

Per la rottura del già instabile "ordine" globale è ora necessario intensificare le circostanze, che è meglio fare sullo sfondo, son.

"Fuori dalle nuvole", con grande sforzo e grande forza si riversò sulle popolazioni malate vaccinate, spaventate, traumatizzate e manipolate dei paesi.

 Il tempo delle armi è il mezzo di scelta per i misantropi per raggiungere questo obiettivo.

Gli strumenti necessari per questo non sono solo adatti per inondare intere regioni, prosciugarle, coprirle di tempeste e temporali, ma anche per far precipitare il clima naturale globale nel caos.

Come in cielo, così in terra.

Anche la litosfera può essere manipolata e fessurata come un guscio di noce con l'attrezzatura tecnica dei misantropi.

I terremoti e una forte rinascita del vulcanismo sono ovviamente associati all'arsenale dei terroristi del mondo.

In relazione al terremoto in Turchia del 6 febbraio di quest'anno, i media turchi e rumeni riferiscono di eventi, fenomeni e contesti cospicui che hanno preceduto o seguito il terremoto e devono essere interpretati come un chiaro sospetto.

L'ordine meteorologico naturale è capovolto.

L'Australia riporta una delle estati più fredde della sua storia documentata, mentre il continente nordamericano, simile all'anno scorso, si allontana da un'intrusione di aria fredda all'altra, e con ogni settimana di freddo innaturale, un accorciamento della stagione di crescita, rendendo più inevitabile la carenza di raccolto di grano e, infine, l'approvvigionamento alimentare nel 2023.

Nel frattempo, lo stato insulare del Madagascar e gli stati dell'Africa sudorientale del Malawi e del Mozambico sono impegnati a riparare i danni causati dal ciclone "Freddy", che ha imperversato sopra e vicino all'Oceano Indiano meridionale per oltre un mese intero e ha causato danni non quantificabili, con oltre 500 morti, a partire dal 21.03.

Il numero delle vittime è destinato ad aumentare considerevolmente.

 Freddy è stato di gran lunga il ciclone più longevo mai registrato e dovrebbe essere un'indicazione di una nuova qualità di tempeste in futuro.

L'Antartide ha registrato le temperature estive più basse mai registrate a gennaio, gli Emirati sono ancora una volta ubriachi dopo le forti piogge di febbraio e marzo o, in alternativa, invitano a combattimenti a palle di neve, il Cile perde buona parte delle sue foreste per una conflagrazione e siccità, mentre in Argentina e Brasile numerose persone seppelliscono le loro tombe tra le macerie delle acque impetuose e le frane dopo forti piogge estreme.

Per trovare.

Dopo un inizio d'anno estremamente freddo, la Cina sta vivendo un'ondata di caldo a marzo - a oltre 30 ° C nel nord del paese - mentre da gennaio a marzo in India, Afghanistan, Pakistan, Giordania e Corea del Sud temperature molto al di sotto della media allentano le articolazioni delle società e destabilizzano ulteriormente questi paesi.

La California, che ha alle spalle anni di scarsità d'acqua, siccità e incendi di foreste e insediamenti apparentemente inestinguibili, è stata alternativamente immersa in profondità nell'acqua e inondata di masse di neve per diverse settimane, mentre nell'Europa occidentale tutti i fiumi ondeggiano con la bassa marea e la maggior parte dei serbatoi di acqua potabile europei minaccia di prosciugarsi.

 

Sud America, Australia e Nuova Zelanda riportano nevicate estive e temperature significativamente al di sotto della media nei primi mesi del 2023. Sydney, ad esempio, ha vissuto il suo periodo più lungo di temperature sotto il segno di 30 ° C in piena estate australiana.

Il tempo come arma.

La manipolazione meteorologica globale, ribattezzata senza tante cerimonie "cambiamento climatico" da meteorologi addestrati, comprati "specialisti" e media di merda in uniforme, ha catapultato gli abitanti della terra in una sintesi, una vita manipolata in un habitat tecnicamente controllato.

Nulla di tutto ciò è più reale, ovviamente.

Questa sintesi simula una "crisi climatica", che è simulata da frequenze e influenze elettromagnetiche in tempo reale, ma non ha nulla a che fare con il "sistema Terra" autoregolante.

L'umanità può uscire da questa prigione totalitaria solo attraverso la consapevolezza di ciò che sta accadendo / viene fatto con essa, la resistenza coerente, il boicottaggio di tutti gli attori coinvolti e la punizione rigorosa delle macchinazioni criminali.

 All'esterno, non c'è nessuno che ci salverà.

Ognuno può farlo da solo.

Così, la guerra mondiale ibrida della quinta generazione è arrivata al livello più basso, cioè quello di ogni individuo, anche di quelli che pochi mesi fa pensavano ancora che con la sospensione delle misure disumane di P(l)andemie, sarebbe tornata la calma e la vecchia normalità.

Tutt'altro.

I nostri nemici sanno esattamente cosa – e quello – sappiamo (quasi tutto). In cambio della verità attualmente esplosiva, stanno contrastando la nostra sottomissione e la distruzione della nostra stabilità di civiltà e del nostro spazio vitale con tutti i mezzi a loro disposizione.

Anche le viti ideologiche vengono rafforzate in modo massiccio.

Solo ieri, il "Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici" ha scaricato un rinnovato avvertimento e richiesta di un drastico cambiamento nel comportamento umano nell'etere, che probabilmente sarà assorbito nella sua interezza da una grande maggioranza della popolazione mondiale degenerata e interiorizzato come la "Nuova Verità".

Perché "questo è quello che hanno detto gli specialisti".

La veemenza dell'inganno sta aumentando. Come recentemente con la "pandemia", così ora con il "clima".

L'ultima "Generazione Z", completamente stupida e degenerata, in futuro, nella conseguenza finale, forse e si spera completamente racchiusa nel cemento, farà saltare in aria i reattori nucleari o si porrà fine alle moderne capsule della morte del WEF gasando.

 Questa generazione – ideologicamente liberata da ogni residuo buon senso – non si tirerebbe indietro nella sua paura imposta e stupidità anche dal compostare i loro parenti "per salvare il clima".

Questa illusione ideologica era già la forza trainante della "Rivoluzione culturale" cinese, che non era altro che una sanguinosa "rivoluzione" che distrusse la sua stessa cultura.

Grazie a Mao.

 A quel tempo, la gioventù altrettanto folle della Cina, in uniforme delle Guardie Rosse, liquidò tra 2 e 60 milioni (il numero differisce notevolmente nelle fonti) compatrioti con un'istruzione superiore alla media.

 Qualcosa di simile è possibile anche con noi (ora di nuovo).

La storia lo ha già dimostrato. Ci sono sorprendenti somiglianze con i giovani di oggi a livello di stato mentale.

 

La guerra meteorologica globale sul “Nuovo Ordine Mondiale” è in pieno svolgimento.

I dati meteorologici globali del passato mostrano in modo impressionante che il nostro "clima", al ritmo di installazione e implementazione delle tecnologie di manipolazione meteorologica, sta sfuggendo di mano e le condizioni meteorologiche caotiche sono diventate la nuova normalità a livello globale.

La deflessione dei venti ad alta quota, la corrente a getto, negli ultimi decenni ha reso possibili interventi completamente nuovi e di più vasta portata nei modelli meteorologici globali.

 I nostri ostili "dei del tempo" sono riusciti negli ultimi anni a "disaccoppiare" il tempo vicino al suolo dai venti ad alta quota.

Questo potrebbe anche essere il motivo per cui il termine "zona del vento occidentale" si applica solo sporadicamente all'Europa centrale.

I venti ad alta quota sono ora spesso in palese contraddizione con il movimento dell'aria a livello del suolo.

Il carico d'acqua nelle "nuvole" (per lo più generate artificialmente) non viene più trasportato nella direzione del vento prevalente ad alta quota, ma è diretto da onde scalari e influenza elettromagnetica nella direzione di marcia.

 Dove la guerra ibrida vuole fare danni.

Quest'anno, la rotta per l'Europa è impostata per la siccità, perché politicamente si sta già propagando ciò che sarà in gioco nel prossimo futuro: l'acqua.

La rabbia distruttiva della sinistra verde ha già spinto i vostri esecutori in politica a sviluppare una "strategia idrica" per la Germania, un tempo ricca di acqua, al fine di rendere questo paese il primo - e probabilmente unico - "paese di spugna" al mondo.

Fino a che punto possono spingersi i politici con poca istruzione con questa società infantile fino a quando i suoi occhi non si aprono finalmente?

Ma prima che la terra dei poeti e dei pensatori anneghi, probabilmente sarà prima prosciugata per "salvare" i suoi abitanti attraverso la "strategia dell'acqua" adottata o, per adempiere al patto migratorio delle Nazioni Unite, semplicemente stanarli fuori dal paese.

Il nuovo personale specializzato multietnico lo ricostituirà.

Deve essere lì e pagato per qualcosa.

Una siccità forzata tecnocratica, anche in una fase più lunga, non esclude forti piogge durante lo stesso periodo.

 Aumentano persino la penetrazione totalitaria, militare e politicamente desiderata e il potere distruttivo delle disumane misure di manipolazione meteorologica.

Il NAO positivo, North Atlantic Oscillation, "responsabile" del clima mitteleuropeo della Vecchia Normalità, si è sempre più ribaltato nel cosiddetto NAO negativo per diversi anni, con conseguente frequente cambiamento climatico da nord a sud e viceversa per l'Europa.

Ciò è stato ottenuto riscaldando alcune aree della ionosfera, in modo che vi si formino "lenti termiche" su larga scala, che guidano il getto sottostante in direzioni diverse.

Le traiettorie dei getti subtropicali e polari sono ora così serpeggianti che si uniscono ripetutamente per formare un'unica banda di forti venti (vedi "Snowmageddon" 03/2023 in California).

Polar_Vortex_2.

Le conseguenze sono frequenti sbalzi di temperatura durante la debole deriva occidentale e, nella loro scia, tutti i fenomeni ad essa associati: caldo, freddo, tempeste, precipitazioni estreme e siccità, trombe d'aria (a causa di frequenti venti di taglio), derechoes, periodi di vegetazione abbreviati (ad esempio a causa di gelate tardive) e conseguenti cattivi raccolti, inondazioni (vedi Valle Aurina), emergenza idrica (a causa di caldo o siccità), elevati danni economici ed ecologici dovuti a estremi Eventi meteorologici, strozzature nell'approvvigionamento alimentare ed energetico (a causa di frequenti ondate di freddo o condizioni meteorologiche di aria calda "tecnicamente fisse") e sovraccarico delle società e del loro sistema sanitario da parte di malattie (cambiamenti di temperatura troppo frequenti e innaturalmente rapidi, indebolimento da campi elettromagnetici, surriscaldamento, ipotermia, malnutrizione, privazione della luce solare da SRM).

L'osservazione a lungo termine del corso delle aree di alta e bassa pressione e dei venti mostra che sia i venti ad alta quota che i venti vicini alla superficie sono diventati "indipendenti" e non funzionano più secondo schemi riconoscibili e calcolabili. In una certa misura, sono "caotici" da un'influenza innaturale: di conseguenza, si verificano miscele di masse d'aria che non entrerebbero in contatto tra loro naturalmente.

Nel 2022, le masse d'aria polari provenienti dall'Artico hanno raggiunto l'equatore e oltre l'emisfero meridionale attraverso la corrente a getto fortemente serpeggiante, causando un'omogeneizzazione delle temperature a diverse latitudini.

In parole povere, questo significa raffreddamento.

 Anche la previsione di un evento di là Nina nel 2023 suggerisce questo.

Record di basse temperature sono stati segnalati da ogni angolo del globo negli ultimi 12 mesi. Una tendenza globale.

Ora non sorprende più che il riscaldamento sia stato reso più difficile e più costoso. Perché i nostri governi hanno informazioni che noi non abbiamo, e vogliono solo il nostro meglio.

Ricordiamo la "pandemia" che non esisteva – e le iniezioni di geni che ci proteggono "senza effetti collaterali".

Questo è tutto ciò che devi dire.

Questo stato di cose di una mescolanza globale di masse d'aria di diverse latitudini potrebbe portare a un nuovo fenomeno di tempeste che stabilirà nuovi standard sia nelle loro dimensioni, la loro forza, il loro potere distruttivo e in termini di longevità.

Il ciclone "Freddy" è stata la tempesta tropicale più longeva da quando il tempo ha registrato una durata dal 4 febbraio al 15 marzo 2023.

Da alcuni anni, c'è il termine “Ekstrom” per questo fenomeno, che può anche essere tradotto come "tempesta primordiale".

Presumibilmente, i creatori di questo nome nell'IPCC ne sanno più della maggior parte della società.

 Nomen es omen.

Ogni "situazione meteorologica" può ora essere controllata o rafforzata e può essere tecnicamente influenzata nella sua durata e veemenza in modo tale che i nostri nemici possano causare il maggior danno possibile o dispiegare il loro effetto desiderato al 99%.

L'uragano Sandy (2012), il tifone Mangkhut (2018) o il ciclone Freddy (2023) sono fenomeni il cui potere distruttivo innaturale non è dovuto a un maggiore contenuto di CO² dell'atmosfera o a un aumento della temperatura superficiale della Terra, ma all'apporto tecnologico di energia da parte di HAARP, NEXRAD, centinaia di radar, ionizzazione artificiale e altre sorgenti elettromagnetiche in un'atmosfera conduttiva (aerosol causati da scie chimiche e altri aspetti del Manipolazione del tempo).

Riscaldatori ionosferici.

Questo non è un giuramento o una teoria del complotto ma visibile a tutti.

 Chi ha occhi, veda.

Il documento di strategia militare "Possedere il tempo nel 2025" è quindi già in piena attuazione almeno due anni prima della prevista acquisizione.

Tutti i fatti e i brevetti sono ormai noti, pubblici, visibili a tutti e alla popolazione, i politici e i media parlano ancora di una "teoria".

Il corso degli eventi e la maggiore frequenza di eventi che minacciano l'esistenza assicureranno che sempre più persone avranno la spinta a chiedersi se queste teorie siano davvero basate solo su paure ridicole di una minoranza folle, o se la "teoria" non spieghi in modo conclusivo la realtà.

Al Gore e Greta Thunberg stanno rapidamente perdendo credibilità mentre la menzogna sul riscaldamento globale indotto dalla CO² diventa sempre più evidente.

Proprio come i nostri ciarlatani mediatici e le cazzate intelligenti dei servizi meteorologici, gli sciocchi e gli illuministi pubblici come H. Lesch o le istituzioni, i media e i politici condannati per aver mentito.

Presto tutti questi parassiti e abbagliatori della civiltà saranno spazzati via dal palcoscenico con grande forza dallo tsunami della verità e dovranno affrontare le loro responsabilità.

Fino ad allora, le persone dovranno sopportare molto e dovranno anche affrontare gli eventi minacciosi della guerra meteorologica.

 Idealmente, dovremmo attraversare questo processo consapevolmente, sapendo che il mondo non sta finendo, ma che il maltempo fa parte della guerra mondiale ibrida.

Chi lo conosce ha sicuramente un vantaggio.

Siamo in un processo epocale che non accadrà una seconda volta nell'esistenza dell'umanità.

 Le difficoltà, le sfide personali e le imposizioni, con allo stesso tempo un'alta densità di eventi, costituiscono il collo di bottiglia di questo sviluppo, attraverso il quale possiamo raggiungere la completa libertà.

Ora siamo sfidati a resistere a questa pressione nella vera umanità e, rinunciando all'ego, volendo e non volendo, a non resistere il più possibile al flusso delle nostre vite per padroneggiare queste sfide veramente sovrumane.

La verità prevarrà. Dio sia con noi.

 (Capricornus, DWB, dudeweblog.wordpress.com/)

 

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