La scienza politica contro il globalismo transumanista.

 

La scienza politica contro il globalismo transumanista.

 

 

Pfizer ha segretamente finanziato

i governi per l'obbligo dei vaccini.

Vocidallastrada.org – Alba Kan – (30 aprile 2023) – ci dice:

 

Il gigante farmaceutico Pfizer finanziava segretamente gruppi di pressione che spingevano i governi a introdurre obblighi di vaccino e passaporti draconiani, secondo un nuovo rapporto bomba.

Il rapporto, redatto dal giornalista investigativo Lee Fang, rivela che Pfizer ha finanziato in segreto diversi gruppi che sostenevano l'obbligatorietà dei vaccini e dei passaporti.

Il vaccino COVID-19 di Pfizer è uno dei più utilizzati al mondo.

In base ai mandati vaccinali, le persone di tutto il mondo sono costrette a fare il vaccino o rischiano di perdere il lavoro.

Nell'agosto del 2021, la presidente della “Chicago Urban League”, Karen Freeman-Wilson, in un'intervista televisiva, ha sostenuto che i vaccini obbligatori non danneggerebbero in modo sproporzionato la comunità nera.

 

"Il fattore salute e sicurezza supera di gran lunga la preoccupazione di escludere le persone o di creare una barriera", ha dichiarato Freeman-Wilson.

All'inizio dello stesso anno, la “Chicago Urban League” aveva ricevuto 100.000 dollari dalla Pfizer.

Il denaro sarebbe stato destinato a un progetto per promuovere la "sicurezza e l'efficacia dei vaccini".

Parte di questa "promozione" consisteva nell'esercitare pressioni sui governi per introdurre obblighi tirannici sui vaccini.

L'organizzazione non ha elencato Pfizer come donatore o partner sul suo sito web.

Freeman-Wilson non ha menzionato il finanziamento nemmeno durante l'intervista.

La sovvenzione della “Chicago Urban League” è uno dei tanti gruppi premiati da Pfizer per promuovere e incoraggiare l'obbligo dei vaccini.

Il gigante farmaceutico ha concesso sovvenzioni a organizzazioni per la salute pubblica, gruppi per i diritti civili, gruppi di consumatori, medici e medici.

La maggior parte di questi gruppi non ha rivelato i finanziamenti ricevuti da Pfizer.

La mancanza di trasparenza sulle sovvenzioni ha permesso a Pfizer di finanziare segretamente gli sforzi per costringere il pubblico a utilizzare i propri prodotti.

Nell'agosto 2021, il gruppo di vigilanza aziendale “National Consumers League” ha annunciato il sostegno a "mandati governativi e dei datori di lavoro" che richiedono la vaccinazione Covid.

 

L'annuncio è arrivato più o meno nello stesso periodo in cui l'organizzazione ha ricevuto una sovvenzione di 75.000 dollari da Pfizer per "sforzi di politica vaccinale".

L'organizzazione per la salute pubblica” Immunization Partnership”, con sede a Houston, ha esercitato pubblicamente pressioni contro le proposte di legge introdotte in Texas volte a vietare i passaporti vaccinali e i mandati vaccinali.

L'organizzazione non ha rivelato che Pfizer le aveva dato 35.000 dollari all'inizio dello stesso anno per "attività di advocacy legislativa".

 

 

 

Uno studio rileva i fattori alla base

dell'accettazione della sorveglianza

biometrica da parte di una società.

Vocidallastrada.org – Alba Kan – (29 aprile 2023) – ci dice: 

 

Vi state chiedendo se i vostri vicini saranno favorevoli all'uso da parte del governo della sorveglianza del riconoscimento facciale?

Un nuovo studio condotto su quattro delle maggiori economie mondiali ha individuato i fattori che influenzano l'accettazione da parte del pubblico dello spionaggio domestico algoritmico.

Secondo i ricercatori universitari svizzeri e tedeschi, un fattore particolarmente importante è il grado di sacralità della privacy. Altri fattori influenzano l'atteggiamento, tra cui le minacce terroristiche e l'affinità della cultura con la tecnologia.

La paura di un attacco terroristico, ad esempio, è un fattore più importante negli Stati Uniti che in altre nazioni.

Ma nelle quattro nazioni prese in esame, la privacy è stata l'elemento comune alla base dell'approvazione o del rifiuto della sorveglianza biometrica da parte del governo.

I quattro Paesi studiati attraverso un sondaggio online sono stati Cina, Regno Unito, Stati Uniti e Germania.

 Il rapporto include interviste complete ad alcuni intervistati in Cina e Germania.

È stato finanziato dal “Consiglio europeo della ricerca”, un'organizzazione pubblica che sostiene la ricerca nell'Unione europea, e dalla Fondazione nazionale svizzera per la scienza.

I ricercatori, della “Freie Universität di Berlino” e dell'”Università di San Gallo”, in Svizzera, si sono detti sorpresi di vedere che gli intervistati in Cina danno tanta importanza alla privacy personale.

Da diverse generazioni i leader autocratici cinesi dicono ai loro cittadini che condividono tutto, quasi come un imperativo genetico, con il Partito Comunista.

I soggetti dello studio hanno espresso impotenza o rassegnazione, secondo il rapporto.

 Si aspettano che i loro dati biometrici e altri dati personali vengano raccolti e utilizzati dalle aziende (vengono citati “Alibaba” e il suo co-fondatore “Jack Ma”) e dal governo.

Uno degli intervistati citati dai ricercatori avrebbe detto: "Le informazioni sono già trapelate prima dell'arrivo della (tecnologia di riconoscimento facciale), e sta ancora accadendo".

Le risposte tedesche hanno affrontato il “tema della privacy” da una serie di punti di vista, in particolare quello storico.

Tutti sono cresciuti all'ombra del “governo paranoico di Adolf Hitler” e quelli dell'ex Germania dell'Est dopo la guerra hanno ricevuto una seconda dose di “dittatura della sorveglianza”.

Ciononostante, chi ha parlato con i ricercatori ha accettato di dare al governo centrale l'autorità esclusiva (escludendo i governi locali e il settore privato) sul riconoscimento facciale.

 In alcune risposte si può sentire la rassegnazione.

Secondo il rapporto, un residente tedesco non teme la sorveglianza biometrica.

"Il governo tedesco sa comunque tutto di me", ha detto l'intervistato. "Sono completamente trasparente".

Il fatto che il team di ricerca non abbia approfondito gli atteggiamenti degli Stati Uniti potrebbe essere un riflesso dei sentimenti disparati e contrastanti sull'uso del software di riconoscimento facciale da parte del governo (o dell'industria).

(activistpost.com/2023/04/study-finds-factors-behind-a-societys-acceptance-of-biometric-surveillance.html)

 

 

 

 

Il culto dell'apocalisse climatica.

Vocidallastrada.org – (29 aprile 2023) – Alba Kan – Michael Crowley – ci dicono:

I sostenitori dei Verdi non "seguono la scienza", ma promuovono una” fantasia biblica”.

I tempi della fine sono tornati ancora una volta.

L'ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), pubblicato questa settimana, ha suscitato una reazione tipicamente apocalittica nei media e non solo.

 "È la nostra ultima possibilità di limitare il riscaldamento globale prima che i danni del cambiamento climatico diventino irreversibili", recitava un titolo.

"Agite ora o è troppo tardi", è stata la valutazione misurata del “Guardian”.

Avrebbe potuto dire: "Pentitevi peccatori, la fine è vicina".

Questa sterzata verso una retorica quasi religiosa non è un caso isolato.

La copertura del cambiamento climatico e l'attivismo mainstream sono ora dominati dall'immaginazione apocalittica. In effetti, la convinzione che l'umanità stia affrontando una possibile estinzione nel prossimo secolo o anche prima è al centro della propaganda di “Extinction Rebellion” (XR) e del suo spin-off, Just Stop Oil.

 Durante le interviste e, sempre più spesso, nelle apparizioni in tribunale, gli attivisti si presentano come angosciati e irritati dalla compiacenza dell'opinione pubblica.

Il tempo sta per scadere, dicono freneticamente.

La natura apocalittica di gran parte dell'”ambientalismo contemporaneo” non è un semplice vezzo retorico.

 Sembra strutturare il pensiero e le prospettive degli attivisti.

 Per capire perché “il pensiero apocalittico” sembra risuonare così fortemente tra gli ambientalisti più accaniti, vale la pena di guardare alle origini antiche, anzi bibliche, di questo pensiero - in cui sono state forgiate per la prima volta fantasie di vendetta e la promessa di un mondo redento.

L'apocalisse quindi...

Oggi si tende a intendere l'apocalisse come un evento violento e definitivo, come il riscaldamento globale catastrofico.

 Ma non è sempre stato così.

In origine, apocalisse significava una rivelazione, una profezia di cose o eventi sconosciuti che sarebbero apparsi a qualcuno in sogno, in visione o tramite gli angeli.

La credenza in una rivelazione, in un giorno di giudizio e in un successivo regno di Dio, è precedente a Cristo e si trova nella letteratura persiana e greco-romana, oltre che in quella ebraica e cristiana.

 Questa trinità terminale - rivelazione, giorno del giudizio e successivo regno di Dio - si diceva rispondesse ai peccati dell'umanità.

Nell'ultimo libro del Nuovo Testamento, l'Apocalisse, sottotitolato "L'Apocalisse di San Giovanni il Divino", l'apocalisse appare a un profeta.

Egli prevede la vendetta di Dio su un mondo peccatore e morente.

 L'ira di Dio culmina nell'Armageddon, una battaglia finale tra il bene e il male.

È riccamente simbolica, naturalmente.

 Ma ci sono anche tracce del mondo letterale.

 La parola Armageddon, ad esempio, si ritiene derivi dall'antica città di Megiddo, un vecchio campo di battaglia nella pianura settentrionale di Israele.

Questo non è un aspetto secondario, ma fa parte del contesto politico che definisce l'Apocalisse.

Dal 730 a.C. circa, gli israeliti hanno vissuto secoli di occupazione da parte di siriani, persiani, greci e romani.

E hanno anche combattuto per secoli.

In effetti, Gesù avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita nel teatro di una delle più feroci rivolte di guerriglia della storia.

 Ed è nel contesto di questa lotta onnipotente che fiorì l'immaginazione apocalittica.

Il culto del messia vendicativo", ha scritto lo studioso del Nuovo Testamento Bart Ehrman, "era radicato nella lotta pratica contro il colonialismo romano".

Secoli prima di Cristo, gli israeliti iniziarono a sperare e a credere che un messia sarebbe venuto a distruggere i colonizzatori.

Cristo era solo uno di una serie di messia, e non era sempre favorevole a porgere l'altra guancia - nel Vangelo di Luca, Cristo dice: "Chi non ha spada, venda la sua veste per comprarne una".

Infatti, Flavio Giuseppe, storico romano-ebraico del I secolo e leader militare, affermava che Gesù era uno dei cinque capi ribelli ebrei vissuti tra il 40 a.C. e il 73 d.C.

Egli fu coinvolto nella prima guerra giudaico-romana (66-73 d.C.), che si concluse con la distruzione di Gerusalemme e, secondo Giuseppe, con l'uccisione di un milione di ebrei e la riduzione in schiavitù di quasi 100.000 altri.

La sconfitta dei Giudei coincise con il completamento dei primi Vangeli, a partire da Marco.

 Secondo l'antropologo Marvin Harris, la vittoria romana spinse i primi cristiani a negare che il loro culto fosse nato dalla "fede ebraica in un messia che avrebbe rovesciato l'Impero romano".

Così Gesù fu riconcepito come un pacifista e gli scritti di Paolo, convertito da romano a cristiano, contribuirono a oscurare le origini messianiche ebraiche del movimento di Gesù.

Ma queste origini messianiche persistono chiaramente nell'Apocalisse.

L'ultimo libro del Nuovo Testamento può essere letto come una fantasia di vendetta, come una vendetta fittizia per la catastrofica sconfitta subita dagli israeliti per mano dei Romani.

 Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo", si legge in Apocalisse 6:9,

 "vidi sotto l'altare le anime di coloro che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano reso. E gridavano a gran voce: "Fino a quando, o Signore, santo e verace, vendicherai il nostro sangue e giudicherai gli abitanti della terra?".

Con la diffusione del cristianesimo, si diffuse anche la fantasia dell'apocalisse, che entrò nell'Islam nel Corano e negli Hadith.

 Il grande pensatore cristiano Sant'Agostino (354-430) sviluppò il tema apocalittico, calcolando che la fine del mondo sarebbe avvenuta circa 300 anni dopo la sua vita.

In seguito, vescovi, monaci, mistici e un papa fecero altre previsioni.

Nel Medioevo, la Seconda Venuta era già in ritardo di mille anni, così alcune fazioni cristiane decisero di cercare di realizzarla.

Questo fu in parte l'impulso alla violenza sistematica delle Crociate.

Il rinverdimento dell'apocalisse.

L'apocalittica può essersi sviluppata parallelamente alla religione e al cristianesimo in particolare.

 Ma è persistito come modo di pensare tra alcuni settori della società, anche quando l'influenza del cristianesimo è andata scemando.

 In effetti, man mano che le società sono diventate più secolari, anche il pensiero apocalittico è diventato più secolare.

Lo vediamo oggi, soprattutto, nel caso dell'ambientalismo.

Perché è lì che le proiezioni e le previsioni apocalittiche sono ormai di casa. L'ecologismo condivide con il suo precursore biblico l'ossessione per i giorni del giudizio, la vendetta sui malvagi e il sogno di un mondo redento.

Ma c'è una differenza vitale tra l'apocalisse biblica e la sua iterazione verde.

Coloro che saranno giudicati oggi non sono una parte dell'umanità peccatrice.

No, sono tutta l'umanità.

E il mondo redento sognato dagli attivisti del clima non è il regno di Dio promesso dalle precedenti narrazioni apocalittiche.

 È invece un regno della natura, che si oppone nettamente all'umanità.

 In breve, i tempi finali verdi equivalgono a un'apocalisse molto anti-umana.

In prima linea nella corsa agli armamenti delle profezie catastrofiche c'è “Extinction Rebellion”.

Ogni pagina del suo sito web elenca le dimensioni della crisi climatica e il terribile impatto che lo sviluppo umano avrebbe sulla vita sulla Terra.

L'estinzione a cui si riferisce il titolo del movimento non comprende solo la fauna selvatica, ma anche l'umanità stessa.

 Gli attivisti sostengono che la nostra estinzione è solo a una generazione di distanza.

Si tratta di un credo letteralmente senza speranza.

XR e i suoi apocalittici non sembrano interessati al cambiamento climatico come sfida pratica, come qualcosa che può essere affrontato con lo sviluppo tecnologico e materiale, come i problemi ambientali sono stati mitigati in passato.

 Al contrario, vedono il cambiamento climatico come una forma di punizione necessaria.

Come afferma il cofondatore di XR, Roger Hallam, in un post sul blog, i membri di XR devono

 "capire che la redenzione arriva solo attraverso la sofferenza e che l'unica vita onorevole consiste nell'affrontare la sofferenza con un atto di fede nel fatto che ci sarà un altro lato da cui uscire, in uno stato di grazia".

Come dimostrano queste parole, XR è effettivamente un culto apocalittico.

Ecco perché la propaganda di XR ha più di un tocco di Apocalisse.

Un video di XR del 2021 è intitolato "Consigli ai giovani che affrontano l'annientamento".

Un blogpost di Hallam inizia con "In questi tempi finali...".

 Un altro esclama:

"Solo quando ammetteremo la totale indigenza delle nostre anime in questo momento di totale annientamento, inizieremo un viaggio di cui potremo essere orgogliosi, indipendentemente dal risultato".

Queste non sono le parole di un attivista politico.

Sono le parole di un sedicente profeta.

 

I manifestanti della “Extinction Rebellion” hanno organizzato un "die in" davanti agli uffici di Glasgow della società di gestione patrimoniale Mercer nel 2021.

Le proteste dell'Extinction Rebellion si svolgono davanti agli uffici di Glasgow della società di gestione patrimoniale Mercer nel 2021.

Il cambiamento climatico rappresenta una sfida per l'umanità.

Ma l'apocalittica verde non aiuta nessuno.

Ispira il panico in coloro che vi aderiscono, soprattutto nei giovani.

 Per loro il compito di svegliarci tutti, di farci vedere quello che vedono loro, di rivelare l'imminente Armageddon.

 Per loro, questa giusta missione ha la meglio su tutto il resto.

 E culmina in azioni sconsiderate e impulsive, come salire sui piloni della M25 per bloccare il traffico.

 Dopotutto, bisogna farci capire l'errore che abbiamo commesso. E se non lo facciamo, meritiamo la punizione che sicuramente arriverà.

L'incitamento quasi religioso di Hallam è implacabile.

Dal punto di vista di Hallam, non c'è altra scelta che pentirsi, cioè cercare di far cadere il governo e fermare la vita moderna.

Questa era la strategia apocalittica del suo partito politico, ormai defunto, “Burning Pink”.

Tutto ciò che è meno di questo è virtuosismo e postura", ha scritto in un post sul blog del 2021, in cui ha anche denunciato le "élite riformiste" per la loro "complicità... nell'omicidio di massa".

L'attivismo zelante e irragionevole che questo tipo di pensiero promuove è già abbastanza negativo.

 Ma il secondo effetto di questo “apocalittismo ambientalista” è probabilmente ancora più dannoso.

Considerare la storia umana e le conquiste dell'umanità come effettivamente peccaminose, abominevoli e decadute non può che demoralizzare le persone. Contribuisce a un più ampio pessimismo della società che compromette qualsiasi prospettiva di cambiamento sociale positivo.

Lo si può vedere nel modo in cui i politici tradizionali, nel tentativo di rendere più brillanti le loro credenziali ecologiche, ora criticano la Rivoluzione industriale.

 Alla COP26 di Glasgow nel 2021, l'allora primo ministro Boris Johnson dichiarò che gli innovatori britannici durante la Rivoluzione industriale erano i primi responsabili del peccato climatico e che Glasgow era la fonte della crisi climatica.

È stato qui, a Glasgow, 250 anni fa, che James Watt ha ideato una macchina alimentata a vapore, prodotta dalla combustione del carbone", ha detto Johnson.

E sì, amici miei, vi abbiamo portato proprio nel luogo in cui il dispositivo dell'apocalisse ha iniziato a funzionare".

 È così che ha scelto di descrivere un'innovazione (il motore a vapore) che ha trasformato in meglio la vita di milioni di persone, come fonte della nostra prossima rovina.

Non c'è da stupirsi se alcuni eco-radicali sostengono che la Gran Bretagna dovrebbe pagare un risarcimento per la Rivoluzione industriale, anche se si è trattato di un gigantesco balzo in avanti non solo per i britannici, ma per l'umanità di tutto il mondo.

Sia l'ala radicale che quella d'élite della politica verde aderiscono alla narrazione apocalittica che richiede una rottura assoluta con il passato - perché considerato così peccaminoso.

 

Data questa denigrazione delle conquiste dell'umanità, non sorprende che gli attivisti di “Just Stop Oil” siano felici di attaccare le opere d'arte canoniche, dagli artisti del Rinascimento come Vermeer ai grandi del modernismo come van Gogh.

Per questi eco-zealots, tutto ciò che l'uomo ha realizzato è privo di valore, sotto la luce implacabile del prossimo giorno del giudizio.

Come ai tempi della Bibbia, sembra che l'apocalisse verde stia giocando ancora una volta il ruolo di una fantasia di vendetta.

Ma non è più la fantasia di un popolo oppresso che vuole fare del male ai suoi oppressori.

È la fantasia di vendetta di una minoranza di attivisti (l’élite ricca globalista) che vuole fare del male all'umanità - per non essere d'accordo con loro, per non essersi svegliata dal proprio peccato, per non essersi pentita.

In sintesi, l'apocalittica verde è una narrazione profondamente anti-umana.

Considerando le conquiste dell'umanità come peccaminose, ci priva di molte delle nostre fonti di forza e di speranza.

Ecco perché bisogna resistere.

Dovremmo guardare intorno a noi, e sopra le nostre spalle, all'enorme ingegnosità e intraprendenza che gli esseri umani hanno dimostrato in passato, e continuano a dimostrare oggi.

Stiamo facendo progressi in tutti i settori della conoscenza umana, dall'energia alla medicina, ai trasporti e ai viaggi spaziali.

 La natura non è mai stata così minacciosa come oggi.

Tutto questo dovrebbe mettere in discussione l'apocalittica verde di oggi e il clima di pessimismo che ha alimentato.

E dovrebbe ricordarci che il futuro non è previsto e che le notizie sulla nostra imminente fine sono, come sempre, molto esagerate.

(Michael Crowley) - (spiked-online.com/2023/03/26/the-cult-of-the-climate-apocalypse/).

 

 

 

 

Walewska ha ingannato

il Congresso degli Stati Uniti

sull'efficacia del vaccino.

Vocidallastrada.org – Alba Kan – (28 aprile 2023) – ci dice:

 

La direttrice del CDC testimonia in modo fuorviante al Congresso.

Walewska ha ingannato il Congresso sull'efficacia del vaccino contro la trasmissione virale e sulla revisione “Cochrane delle maschere facciali”.

Questa settimana, la direttrice dei CDC Rochelle Walewska ha testimoniato di fronte alla “Commissione per gli stanziamenti della Camera”, responsabile della supervisione dei finanziamenti di vari programmi federali relativi a lavoro, salute, istruzione e altre agenzie correlate.

Ma sono stati sollevati seri dubbi sulla veridicità della testimonianza di Walewska.

Il deputato “Andrew Clyde” (R-Ga) ha chiesto a Walewska se la sua dichiarazione pubblica del marzo 2021 alla MSNBC, in cui affermava inequivocabilmente che "le persone vaccinate non portano il virus, non si ammalano", fosse accurata.

"In quel momento era [accurata]" Walewska ha risposto con sicurezza.

Poi ha spiegato:

"C'è stata un'evoluzione della scienza e un'evoluzione del virus" e che "tutti i dati all'epoca suggerivano che le persone vaccinate, anche se si ammalavano, non potevano trasmettere il virus".

Tuttavia, all'epoca non esistevano prove di questo tipo e ciò ha suscitato le critiche degli scienziati che hanno affermato che non c'erano dati sufficienti per affermare che le persone vaccinate fossero completamente protette o che non potessero trasmettere il virus ad altri.

Uno di questi critici era “Jay Bhattacharya”, professore di politica sanitaria alla “Stanford University School of Medicine”.

"All'epoca, Walewska non sapeva se fosse vero. È stato un uso irresponsabile di un pulpito prepotente come direttore dei CDC per dire qualcosa che all'epoca non sapeva con certezza essere vero", ha detto Bhattacharya.

"Sfortunatamente, le persone hanno usato queste informazioni per discriminare gli individui non vaccinati e sicuramente sono state usate come combustibile per politiche molto distruttive come l'obbligo dei vaccini", ha aggiunto.

In particolare, solo pochi giorni dopo che Walewska ha rilasciato questa dichiarazione alla “MSNBC”, un portavoce della sua stessa agenzia ha dovuto ritrattare i commenti dicendo:

"La dottoressa Walewska ha parlato in modo ampio in questa intervista", aggiungendo che era possibile che persone completamente vaccinate potessero contrarre la COVID-19.

 

Walewska non ha ricevuto il promemoria.

Walewska avrebbe dovuto sapere che quando i vaccini a mRNA sono stati autorizzati per la prima volta nel 2020, la FDA ha elencato "lacune" critiche nella base di conoscenze.

 Una di queste era l'efficacia sconosciuta del vaccino contro la trasmissione virale.

Inoltre, negli studi pivotali originali di Pfizer e Moderna, ci sono state rispettivamente 8 e 11 persone che hanno sviluppato COVID-19 sintomatica nel gruppo del vaccino, dimostrando che i vaccini non hanno mai avuto un'efficacia assoluta, come Walewska aveva sostenuto.

Alcuni mesi dopo, la valutazione dell'FDA rimase invariata.

 In una revisione clinica, l'FDA scrisse:

 "Le incertezze rimanenti riguardo ai benefici clinici del “BNT162b2” in individui di 16 anni e più, includono il suo livello di protezione contro l'infezione asintomatica e la trasmissione del SARS-CoV-2, anche per la variante delta".

Ancora oggi, l'FDA non ha dubbi sul fatto che l'efficacia contro la trasmissione non è provata.

 Sul sito web della FDA si legge: "Anche se si spera che sia così, la comunità scientifica non sa ancora se “Comirnaty” ridurrà tale trasmissione".

Walewska dice che il riassunto della “Cochrane” è stato "ritrattato".

Un'altra sorprendente falsità di Walewska è stata la sua risposta alla domanda del deputato “Clyde” sulla revisione “Cochrane” che ha rilevato che indossare maschere facciali nella comunità "probabilmente fa poca o nessuna differenza" nel prevenire la trasmissione virale.

 

Walewska ha dichiarato con entusiasmo:

 "Penso che sia notevole che il caporedattore della “Cochrane” abbia detto che il riassunto di quella revisione era... ha ritrattato il riassunto di quella revisione e ha detto che era impreciso".

Tuttavia, il riassunto della revisione non è stato ritrattato, né gli autori della revisione hanno modificato il linguaggio del riassunto.

Le dichiarazioni fuorvianti dell'editorialista del New York Times “Zeynep Tufekci” hanno probabilmente portato a ripetere questa falsità (di cui parlo in un articolo precedente).

In risposta ai commenti di Walewska, “Tom Jefferso”n, autore principale dello “studio Cochrane”, ha dichiarato:

"Walewska si sbaglia di grosso. Non c'è stata alcuna ritrattazione".

"Vale la pena ribadire che siamo i detentori dei diritti d'autore della revisione, quindi decidiamo noi cosa inserire o meno nella revisione e non cambieremo la nostra revisione sulla base di ciò che vogliono i media o di ciò che dice Walewska", ha osservato” Jefferson”.

Anche” Bhattacharya” è rimasto stupito dai commenti di Walewska.

"È irresponsabile da parte sua affermare che la revisione Cochrane [sintesi] è stata ritrattata quando non è così.

Questo danneggia la sua credibilità e il processo scientifico, che richiede ai funzionari pubblici di essere onesti sui risultati scientifici", ha detto.

Walewska ha mentito al Congresso o è poco informata?

I testimoni di queste audizioni sono tenuti a fornire informazioni veritiere e accurate alla commissione e possono essere soggetti a sanzioni legali se forniscono informazioni false o fanno consapevolmente dichiarazioni false.

Ma Walewska sarà ritenuta responsabile di aver ingannato il Congresso?

È improbabile. (maryannedemasi.substack.com/p/cdc-director-gives-misleading-testimony)

L'Agenda 2030 e il Nuovo Ordine Mondiale.

Vocidallastrada.org – (25 aprile 2023) - Mons. Manuel Sánchez Monge -Alkba Kan – ci dicono:

 

È un sistema globalista - che non ha nulla a che vedere con la globalizzazione - che mira a un governo mondiale non eletto e non democratico.

Il filosofo “Higinio Marín”, professore di antropologia filosofica all'”Università CEU Cardenal Herrera”, ha messo in luce la vera natura di un'agenda promossa dalle élite globaliste occidentali che ha un marcato carattere statalista e relativista.

Gli” Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” ("sostenibile" è ormai una parola magica che viene usata per tutto) sono per la maggior parte lodevoli e accettabili da tutti:

 protezione della natura, sradicamento della povertà e della fame nel mondo, acqua a disposizione di tutti, ecc.

Tutti sono formulati in un linguaggio sufficientemente ambiguo da prestarsi alle più diverse interpretazioni.

 Ma dietro l'”Agenda 2030” si nasconde un tentativo di cambiare la civiltà, un nuovo ordine mondiale che cambierà le convinzioni degli individui.

 Si tratta di un sistema globalista - che non ha nulla a che vedere con la globalizzazione - volto a istituire un governo mondiale non eletto e non democratico.

Il documento contiene brillanti generalità per far credere che se tutto il potere viene dato alle “Nazioni Unite” e all'”Agenda 2030”, tutto andrà bene.

 Ma no, l'Agenda 2030 è una trappola.

Vede la famiglia come un ambiente che favorisce la discriminazione e la disuguaglianza.

Nell'Agenda 2030, la famiglia e la religione sono presentate come elementi di conflitto.

 La religione e la famiglia sono problemi, non soluzioni.

Ad esempio, avere figli, la responsabilità coniugale o la generosità nel matrimonio non fanno parte di questo nuovo senso comune.

Non accettano nemmeno [i promotori degli SDGs] che l'educazione appartenga ai genitori.

Ci sono poi questioni che sono chiaramente inaccettabili dal punto di vista della dottrina cattolica.

Prendiamo l'esempio della salute sessuale e riproduttiva.

Vengono incoraggiati l'aborto e l'uso massiccio di contraccettivi.

 C'è un altro aspetto molto grave: la cosiddetta uguaglianza di genere.

 L'Agenda 2030 utilizza la terminologia dell'ideologia di genere e della correttezza politica laicista e statalista contemporanea.

 L'intenzione è quella di stabilire un nuovo ordine mondiale che escluda molte istituzioni, soprattutto quelle con un fondamento cristiano.

È lo Stato a determinare lo stile di vita, generando così un relativismo che fa della tolleranza il valore morale per eccellenza.

Dobbiamo essere tolleranti anche nei confronti del male?

Questi [gli SDG] sono assassini della libertà e generano relativismo.

Partono dal presupposto che tutto può e deve essere scelto;

persino il genere è una questione di sentimenti.

Ci sono istituzioni cristiane che accettano l'Agenda 2030. Sostengono di farlo per non essere escluse dal dibattito pubblico o per evitare l'auto-marginalizzazione.

Vogliono ottenere aiuti che verrebbero loro negati se non ne tenessero conto.

Ma l'essere chiamati cristiani comporta delle esigenze che non possono essere eluse.

Le nostre società oggi sono polarizzate al di là del ritorno.

 Esistono due versioni dell'Occidente sempre più antagoniste.

Stiamo arrivando a un punto in cui le diverse visioni del mondo hanno così poco in comune che riusciamo a malapena a parlare un linguaggio comune.

Se alziamo un po' gli occhi, possiamo anche vedere che stiamo vivendo una rinascita.

 C'è una rinascita delle famiglie cristiane, come possiamo vedere in alcune località della Francia e della Spagna.

L'immagine di una coppia sposata con tre o più figli offre una visione gioiosa e amorevole della vita.

È qui che si trova il rinnovamento.

Il matrimonio cristiano di giovani che vivono con generosità è la forma contemporanea più direttamente visibile della gioia di vivere cristiana.

 La gioia è il segno sociale del possesso di qualcosa di buono.

E quei genitori che escono in strada con più figli di quanto il moderno buon senso imporrebbe hanno un immenso potere di trasformazione.

(Mons. Manuel Sánchez Monge)

 

La disumanità dell'agenda verde.

Vocidallastrada.org – Alba Kas - Joel Kotkin – (27 aprile 2023) – ci dicono:

 

Il regime di "sostenibilità" sta impoverendo il mondo.

L'uomo è la misura di tutte le cose", scriveva il filosofo greco Protagora oltre 2.500 anni fa.

 Purtroppo, oggi le nostre élite straricche tendono a non vederla così.

Negli ultimi anni, l'abusata parola "sostenibilità" ha favorito una narrazione in cui i bisogni e le aspirazioni umane sono passati in secondo piano rispetto all'”austerità verde” di “Net Zero” e della "decrescita".

 Le classi dirigenti globalista di un Occidente in via di estinzione sono determinate a salvare il pianeta immiserendo i loro concittadini.

Si prevede che il loro programma costerà al mondo 6.000 miliardi di dollari all'anno per i prossimi 30 anni.

 Nel frattempo, potranno raccogliere massicci sussidi verdi e vivere come potentati rinascimentali.

In “Enemies of Progress”, l'autore “Austin Williams” suggerisce che "il mantra della sostenibilità" parte dal presupposto che l'umanità sia "il più grande problema del pianeta", piuttosto che "creatrice di un futuro migliore".

In effetti, molti “scienziati del clima” e “attivisti verdi” considerano una priorità fondamentale la presenza di meno persone sul pianeta.

 Il loro programma richiede non solo meno persone e meno famiglie, ma anche una riduzione dei consumi tra le masse.

 Si aspettano che viviamo in unità abitative sempre più piccole, che abbiamo meno mobilità e che sopportiamo un riscaldamento e un'aria condizionata più costosi.

Queste priorità si riflettono in una burocrazia normativa che, se non pretende di essere giustificata da Dio, agisce come mano destra di Gaia e della “scienza santificata”.

La domanda che dobbiamo porci è: sostenibilità per chi?

Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti “Janet Yellen” ha recentemente suggerito che il suo dipartimento vede il cambiamento climatico come "la più grande opportunità economica del nostro tempo".

Per essere sicuri, c'è molto oro nel verde per gli stessi investitori di Wall Street, gli oligarchi della tecnologia e gli ereditieri che finanziano le campagne degli attivisti per il clima.

 Controllano sempre di più anche i media.

“I Rockefeller”, eredi della fortuna della “Standard Oil”, e altri “verdi ultra ricchi” finanziano attualmente giornalisti sul clima presso organi come l'”Associated Press” e la “National Public Radio”.

Con il nuovo regime di sostenibilità, gli ultra-ricchi ci guadagnano, ma il resto di noi non molto.

 L'esempio più eclatante è la diffusione forzata dei veicoli elettrici (EV), che ha già contribuito a rendere Elon Musk, CEO di Tesla, il secondo uomo più ricco del mondo.

 Sebbene si stiano apportando miglioramenti ai veicoli a basse emissioni, i consumatori vengono essenzialmente costretti ad adottare una tecnologia che presenta evidenti problemi tecnici, rimane molto più costosa del motore a combustione interna e dipende principalmente da una rete elettrica già sull'orlo del blackout.

Gli attivisti verdi, a quanto pare, non si aspettano che i veicoli elettrici sostituiscano le auto degli hoi polloi.

No, la gente comune sarà costretta a usare i trasporti pubblici, a camminare o ad andare in bicicletta per spostarsi.

Il passaggio alle auto elettriche non è certo una vittoria per le classi lavoratrici e medie occidentali.

Ma è un'enorme manna per la Cina, che gode di un enorme vantaggio nella produzione di batterie e di elementi di terre rare, necessari per la produzione di veicoli elettrici, e che figurano in primo piano anche nelle turbine eoliche e nei pannelli solari.

La cinese “BYD”, sostenuta da “Warren Buffett”, è diventata il primo produttore di veicoli elettrici al mondo, con grandi ambizioni di esportazione.

Nel frattempo, le aziende americane di “EV” lottano con problemi di produzione e di catena di approvvigionamento, in parte a causa della resistenza verde all'estrazione nazionale di minerali di terre rare.

Persino Tesla si aspetta che gran parte della sua crescita futura provenga dalle sue fabbriche cinesi.

La costruzione di automobili con componenti prevalentemente cinesi avrà conseguenze per i lavoratori del settore auto in tutto l'Occidente.

Un tempo la Germania era un gigante della produzione automobilistica, ma si prevede che perderà circa 400.000 posti di lavoro entro il 2030.

Secondo “McKinsey”, la forza lavoro manifatturiera degli Stati Uniti potrebbe subire una riduzione fino al 30%.

 Dopotutto, quando i componenti chiave vengono prodotti altrove, i lavoratori statunitensi ed europei hanno bisogno di molta meno manodopera.

 Non sorprende che alcuni politici europei, preoccupati di un contraccolpo popolare, si siano mossi per rallentare l'avanzata dei veicoli elettrici.

Questa dinamica si ritrova in tutta l'agenda della sostenibilità.

L'impennata dei costi energetici in Occidente ha aiutato la Cina a espandere la sua quota di mercato nelle esportazioni di prodotti manifatturieri fino a raggiungere circa il livello di Stati Uniti, Germania e Giappone messi insieme.

L'industria manifatturiera americana è scesa di recente al punto più basso dai tempi della pandemia.

 La crociata dell'Occidente contro le emissioni di anidride carbonica rende probabile lo spostamento di posti di lavoro, "verdi" o meno, in Cina, che già emette più gas serra del resto del mondo ad alto reddito.

Nel frattempo, la dirigenza cinese sta cercando di adattarsi ai cambiamenti climatici, invece di minare la crescita economica inseguendo obiettivi di zero emissioni poco plausibili.

Ci sono chiare implicazioni di classe in questo caso.

I regolatori della California hanno recentemente ammesso che le severe leggi sul clima dello Stato aiutano i ricchi, ma danneggiano i poveri.

Queste leggi hanno anche un impatto sproporzionato sui cittadini di minoranza etnica, creando quello che l'avvocato “Jennifer Hernande”z ha definito il "Jim Crow verde".

Mentre la crescita tecnologica e industriale sempre più sofisticata della Cina viene finanziata con gioia dai “venture capitalist statunitensi” e da WALL Street, il tenore di vita della classe media occidentale è in declino.

L'Europa ha vissuto un decennio di stagnazione, mentre l'aspettativa di vita degli americani è recentemente diminuita per la prima volta in tempo di pace.

“Eric Heymann” della Deutsche Bank suggerisce che l'unico modo per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050 è quello di bloccare tutta la crescita futura, il che potrebbe avere effetti catastrofici sul tenore di vita della classe operaia e della classe media.

Invece della mobilità verso l'alto che molti si aspettano, gran parte della forza lavoro dell'Occidente si trova ora ad affrontare la prospettiva di vivere sul lastrico o di lavorare con salari bassi.

Oggi quasi la metà dei lavoratori americani percepisce un salario basso e il futuro si prospetta peggiore.

Quasi due terzi di tutti i nuovi posti di lavoro degli ultimi mesi sono stati creati nel settore dei servizi a bassa retribuzione.

Questo vale anche per la Gran Bretagna.

Negli ultimi decenni, molti lavori che un tempo potevano sostenere intere famiglie sono scomparsi.

Secondo un'analisi del Regno Unito, il lavoro autonomo e il lavoro dei giganti non forniscono il sostentamento per uno stile di vita confortevole.

I tassi di povertà e di scarsità di cibo sono già in aumento.

 Di conseguenza, la maggior parte dei genitori negli Stati Uniti e altrove dubita che i loro figli faranno meglio della loro generazione, mentre la fiducia nelle nostre istituzioni è ai minimi storici.

I favolisti di posti come il New York Times si sono convinti che il cambiamento climatico sia la più grande minaccia alla prosperità.

 Ma molte persone comuni sono molto più preoccupate degli effetti immediati della politica climatica che della prospettiva di un pianeta surriscaldato a medio o lungo termine.

 Questa opposizione all'”agenda Net Zero” è stata espressa per la prima volta dal movimento dei “gilet jaunes” in Francia nel 2018, le cui proteste settimanali sono state inizialmente scatenate dalle tasse verdi.

 Negli ultimi anni sono seguite le proteste degli agricoltori olandesi e di altri Paesi europei, arrabbiati per le restrizioni sui fertilizzanti che ridurranno le loro rese.

 La reazione ha scatenato l'ascesa del populismo in molti Paesi, in particolare in Italia, Svezia e Francia.

Anche nell'ultrademocratica Berlino, un referendum su obiettivi più severi in materia di emissioni non è riuscito a conquistare un numero sufficiente di elettori.

Si tratta di una guerra di classe oscurata dalla retorica verde.

Mette in contrapposizione le élite della finanza, della tecnologia e del mondo no-profit con un gruppo più numeroso, ma meno connesso, di cittadini comuni.

Molte di queste persone si guadagnano da vivere producendo cibo e beni di prima necessità, o trasportando queste cose.

Gli operai delle fabbriche, i camionisti e gli agricoltori, tutti soggetti a massicci interventi normativi in materia di ambiente, vedono la sostenibilità in modo molto diverso dalle élite aziendali urbane e dai loro dipendenti "woke".

 Come hanno detto senza mezzi termini i manifestanti francesi dei Gilets jaunes: "Le élite si preoccupano della fine del mondo. Noi ci preoccupiamo della fine del mese".

Questo scollamento esiste anche negli Stati Uniti, secondo l'analista democratico di lunga data “Ruby Teixeira”.

 I tentativi di eliminare i combustibili fossili possono entusiasmare i cittadini di San Francisco, ma sono considerati molto diversamente a Bakersfield, il centro dell'industria petrolifera californiana, e in Texas, dove potrebbero andare persi fino a un milione di posti di lavoro generalmente ben retribuiti.

Complessivamente, secondo un rapporto della Camera di Commercio, un divieto totale a livello nazionale del fracking, ampiamente sostenuto dai verdi, costerebbe 14 milioni di posti di lavoro - molto più degli otto milioni di posti di lavoro persi nella Grande Recessione del 2007-2009.

Non sorprende quindi che i colletti blu non siano così entusiasti dell'agenda verde. Secondo un nuovo sondaggio di Monmouth, solo l'1% considera il clima come la sua principale preoccupazione.

 Un nuovo sondaggio Gallup mostra che solo il 2% degli intervistati della classe operaia afferma di possedere attualmente un veicolo elettrico e solo il 9% dichiara di "prendere seriamente in considerazione" l'acquisto di un veicolo elettrico.

Queste preoccupazioni occidentali sono nulla rispetto all'impatto che l'agenda della sostenibilità potrebbe avere sui Paesi in via di sviluppo.

 Nei Paesi in via di sviluppo vivono circa 3,5 miliardi di persone che non hanno un accesso affidabile all'elettricità.

Sono molto più vulnerabili di noi agli alti prezzi dell'energia e dei generi alimentari.

Per luoghi come l'Africa subsahariana, gli ammonimenti verdi contro le nuove tecnologie agricole, i combustibili fossili e l'energia nucleare minano ogni speranza di creare nuova ricchezza e posti di lavoro, di cui c'è disperato bisogno.

Non c'è da stupirsi che questi Paesi ignorino sempre più l'Occidente e guardino invece alla Cina, che sta aiutando i Paesi in via di sviluppo a costruire nuovi impianti a combustibili fossili, oltre a impianti idroelettrici e nucleari.

Tutto questo è un anatema per molti verdi occidentali.

A peggiorare le cose, l'UE sta già prendendo in considerazione la possibilità di imporre tasse sul carbonio alle importazioni, che potrebbero tagliare fuori i Paesi in via di sviluppo da ciò che resta dei mercati globali.

Ancora più critico potrebbe essere l'impatto del mantra della sostenibilità sulla produzione alimentare, in particolare per l'Africa subsahariana, che secondo le proiezioni delle Nazioni Unite ospiterà la maggior parte della crescita demografica mondiale nei prossimi tre decenni.

 Questi Paesi hanno bisogno di maggiore produzione alimentare, sia interna che proveniente da Paesi ricchi come Stati Uniti, Paesi Bassi, Canada, Australia e Francia.

 E sono ben consapevoli di ciò che è successo quando lo Sri Lanka ha adottato l'agenda della sostenibilità.

Questo ha portato al crollo del settore agricolo dello Sri Lanka e, infine, al violento rovesciamento del governo.

Dobbiamo ripensare l'agenda della sostenibilità.

La tutela dell'ambiente non può andare a scapito dell'occupazione e della crescita.

Dovremmo anche aiutare i Paesi in via di sviluppo a raggiungere un futuro più prospero.

Ciò significa finanziare tecnologie praticabili - gas, nucleare, idroelettrico - in grado di fornire l'energia affidabile che è fondamentale per lo sviluppo economico. Non serve a nulla proporre un programma che impoverisca i poveri.

Se non si risponde alle preoccupazioni dei cittadini riguardo all'agenda verde, quasi certamente essi cercheranno di sconvolgere i piani meglio congegnati delle nostre élite presumibilmente illuminate.

Alla fine, come diceva Protagora, gli esseri umani sono ancora la "misura" ultima di ciò che accade nel mondo - che piaccia o meno ai conoscitori.

(Joel Kotkin è editorialista di “Spiked”)

 

 

 

 

 

Lo scetticismo climatico è

 in aumento in tutto il mondo.

 

Vocidallastrada.org – (26 aprile 2023) – Alba Kal – Chris Morrison – ci dicono:

(Daily Sceptic)

Lo scetticismo nei confronti dei cambiamenti climatici causati dall'uomo continua ad aumentare in tutto il mondo.

 Un recente sondaggio condotto da un gruppo dell'Università di Chicago ha rilevato che la convinzione che l'uomo sia la causa di tutti o della maggior parte dei cambiamenti climatici è crollata in America al 49% dal livello del 60% registrato solo cinque anni fa.

Cali simili sono stati registrati anche altrove, con un recente “sondaggio IPSOS” che ha riguardato due terzi della popolazione mondiale e che ha rivelato che quasi quattro persone su dieci credono che il cambiamento climatico sia dovuto principalmente a cause naturali.

Forse il dato più sorprendente emerso dal sondaggio dell'”Energy Policy Institute dell'Università di Chicago” (EPIC) è che il 70% degli americani non è disposto a spendere più di 2,50 dollari a settimana per combattere il cambiamento climatico.

Quasi quattro americani su 10 hanno dichiarato di non essere disposti a pagare un paio di centesimi.

Nonostante decenni di incessante agitazione ecologista, progettata per costringere le popolazioni a vivere in una società collettivista ordinata a Rete Zero, sembra che la stragrande maggioranza degli americani non sia disposta a pagare nemmeno gli spiccioli che ha in tasca per fermare il cambiamento climatico.

Sondaggi come “EPIC” e “IPSOS” evidenziano il difetto fondamentale della scienza "consolidata" che circonda l'ipotesi che gli esseri umani che bruciano combustibili fossili stiano causando il collasso del clima.

 L'ipotesi non è provata:

non c'è un solo documento scientifico che ne fornisca una prova definitiva.

Le cause naturali e la proposta che l'anidride carbonica diventi "satura" oltre certi livelli atmosferici sono spiegazioni più convincenti per le osservazioni scientifiche.

Si sta diffondendo il timore che la scienza climatica tradizionale sia pesantemente corrotta da dati errati, modelli pseudoscientifici e da una vera e propria selezione e corruzione politica.

È interessante notare che il recente calo complessivo del sostegno al cambiamento climatico causato dall'uomo negli Stati Uniti è dovuto ai Democratici e agli Indipendenti.

I livelli di scetticismo rimangono elevati tra i repubblicani, ma si sono registrati aumenti drammatici tra i democratici di sinistra.

Ciononostante, i democratici sono risultati più propensi dei repubblicani a farsi influenzare dalle "prove" di ciò che viene definito clima "estremo" (71% contro 30% tra democratici e repubblicani).

Questa notizia porterà un po' di conforto ai propagandisti verdi, dato che la recente mancanza di un riscaldamento globale evidente ha portato a un massiccio aumento delle attribuzioni pseudoscientifiche di singoli eventi meteorologici al cambiamento climatico generale.

 Le osservazioni personali influenzano il 55% dei democratici, rispetto al 20% dei repubblicani, mentre gli appelli a un'autorità superiore sono più efficaci a sinistra che a destra.

 La copertura giornalistica è più alta per i democratici (47% contro il 20%), mentre gli scienziati, che per la maggior parte condividono l'agenda "stabilita", ottengono il 73% contro il 32% dei repubblicani più scettici.

L' “EPIC” ha inoltre rilevato che lo scetticismo è in aumento tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, con un calo del 17% nel numero di coloro che ritengono che l'uomo abbia un ruolo predominante nel cambiamento del clima.

 Il calo è stato altrettanto significativo per coloro che hanno conseguito una laurea o un diploma di scuola superiore (11%).

 Di notevole interesse è stato il calo del 17% rispetto ad appena il 9% di coloro che hanno più di 60 anni.

 Ciò preoccupa gli allarmisti, dal momento che i giovani impressionabili sono pesantemente bersagliati da “agitprop verdi” fin dalla più tenera età.

L'indagine” IPSOS” ha rilevato che i livelli di scetticismo climatico sono simili in tutte le categorie di età.

Come nel caso dell’“EPIC”, è emerso che l'orientamento politico è decisivo.

Nei sette Paesi in cui è stato richiesto un contributo politico, il 28% dei sostenitori della sinistra si è rivelato scettico sul clima, rispetto al 50% della destra.

È sorprendente che lo scetticismo climatico stia aumentando in tutto il mondo?

Come si è detto, la scienza del clima antropogenico (di competenza esclusiva dell’Uomo) poggia su una base di prove traballanti, che nessuna quantità di cancellazioni di dibattiti, modellizzazioni, attribuzioni inventate e manipolazioni di dati può nascondere.

 Per quasi 50 anni, le lodevoli preoccupazioni ambientali sono state dirottate per promuovere un'agenda politica collettivista e di controllo.

Ma decenni di facili atteggiamenti virtuosi stanno per finire e la dura realtà del” Net Zero” comincia a diventare evidente.

Le affermazioni secondo cui la rivoluzione verde sarà in gran parte indolore sono viste per l'assurdità che sono dalla valutazione realistica di “Net Zero” pubblicizzata dal progetto collaborativo “FIRES”, finanziato dal governo britannico.

Secondo il rapporto “FIRES”, redatto da alcuni accademici britannici,” Net Zero” significa solo il 60% degli attuali livelli di cottura, riscaldamento ed energia entro il 2050.

In meno di 30 anni non ci saranno più carne di manzo e di agnello e tutti i voli e le spedizioni dovranno essere interrotti.

L'uso delle strade sarà limitato al 60% dei livelli attuali.

Non ci sarà più cemento e l'unico acciaio disponibile sarà quello riciclato.

“Norman Fenton”, professore di gestione delle informazioni sul rischio presso l’“Università Queen Mary” di Londra, recentemente ritiratosi, ha osservato che queste conclusioni sono coerenti con l' “Agenda 21 dell'ONU/WEF”, con l'agenda ONU "World at 2050" e con il Great Reset del WEF.

Quest'ultimo, ha osservato “Fenton”, prevede il "Build Back Better", in cui "non si possiederà nulla e si sarà felici", e si mangeranno insetti al posto della carne.

Un altro accademico di alto livello, il fisico nucleare” Wallace Manheimer”, ha recentemente avvertito che “Net Zero” porterà alla fine della civiltà moderna.

La nuova infrastruttura verde fallirà, costerà trilioni, distruggerà ampie porzioni di ambiente e sarà del tutto inutile.

“Manheimer” ha osservato che prima che i combustibili fossili si diffondessero, l'energia era fornita da uomini e animali.

 Poiché si produceva così poca energia, "la civiltà era una sottile patina su una vasta montagna di squallore e miseria umana, una patina mantenuta da istituzioni come la schiavitù, il colonialismo e la tirannia".

(Ma è mai possibile che non esista il “reato di distruzione umana" che comporti- a causa della condanna di un Tribunale penale- la condanna all’ergastolo? N.D.R)

(Chris Morrison è il redattore ambientale del “Daily Sceptic”.)

 

 

 

 

 

Jeremy Grantham - La "bolla di tutto"

sta scoppiando, l'S&P 500 potrebbe

crollare del 50% e la recessione sembra certa.

Vocidallastrada.org – (24 aprile 2023) – Jeremy Grantham – Alba Kan – ci dicono:

 

Il cofondatore di “GMO” ha previsto un ampio declino del mercato e una dura recessione.

Grantham ha sconsigliato di detenere azioni statunitensi per il momento e ha criticato la “Fed” per aver gonfiato le bolle degli asset.

L'S&P 500 potrebbe crollare fino al 50% a causa del crollo della "bolla del tutto", ha dichiarato Jeremy Grantham all'economista “David Rosenberg” durante un recente “webcast” di “Rosenberg Research”.

I prezzi di azioni, obbligazioni, case, opere d'arte e altri beni sono saliti a livelli inebrianti durante la pandemia, aprendo la strada a un crollo storico e a una dolorosa recessione, ha affermato lo storico dei mercati e cofondatore di “GMO”.

Grantham ha rimproverato alla Federal Reserve di aver gonfiato più volte le bolle degli asset e ha messo in guardia gli investitori dal detenere azioni statunitensi nel breve periodo.

 Inoltre, non è sorpreso di vedere crepe nel sistema, come il drammatico crollo della” Silicon Valley Bank” questo mese.

 

Ecco le 12 migliori citazioni di Grantham tratte dall'intervista, leggermente rielaborate per motivi di lunghezza e chiarezza:

1. "Questo è dannatamente grande. È più grande di quello del 2000, perché include immobili e obbligazioni, mentre quello non lo era.

L'economia ha avuto una leggera recessione.

Non ha avuto problemi con il settore immobiliare.

Non ha avuto problemi di riduzione del debito.

Eppure, il Nasdaq è sceso dell'82%, Amazon del 92% e lo S&P del 50%.

Attenzione, questa non è una battuta d'arresto delicata come quella del 2000".

2. "È già abbastanza grave aver fatto il mercato azionario nel 2000. Questa volta, abbiamo fatto un'analisi del mercato azionario, con in più il mercato immobiliare e il mercato obbligazionario".

3. "Il problema di questa bolla è che è una bolla su tutto.

Abbiamo portato l'importante e pericoloso mercato immobiliare a prezzi record. Abbiamo portato il mercato obbligazionario a livelli mai visti nella storia dell'uomo, con i tassi più bassi mai registrati.

 Le belle arti e ogni altro bene sono salite alle stelle e le azioni, in particolare negli Stati Uniti, hanno raggiunto o sfiorato i massimi storici".

4. "Il quadro generale è che abbiamo una piccola manciata di queste super bolle.

Ognuna di esse è seguita da una recessione. Se si sbaglia davvero qualcosa, come nel 1929, segue una depressione.

Se si fa confusione con il sistema finanziario, si verificano i terribili eventi del Grande Crollo Finanziario".

5. "In genere è difficile che il mercato scenda tra il 1° ottobre e la fine di aprile, cioè tra sei settimane.

È come il cimitero dei venditori allo scoperto.

A quel punto tutte le scommesse sono annullate e si torna al tritacarne".

(“Grantham” ha spiegato che i presidenti degli Stati Uniti tendono a stimolare l'economia verso la metà del loro mandato, per creare un contesto forte al momento delle elezioni successive).

6. "Potremmo accontentarci di qualcosa come 3.000 sull'S&P, se tutto va bene.

Se i fattori aggiuntivi dovessero essere molto forti, allora il mercato si avvicinerà a 2.000.

È molto probabile che l'economia sia un po' più debole e che i margini di profitto siano più bassi.

La storia è abbastanza chiara: le bolle ci sono, sono sempre scoppiate, e questa sta per scoppiare".

7. "Le sollecitazioni si accumulano come un'enorme pressione dietro la diga e non si riesce a capire quale mattone finirà per primo nella diga. Sono sorpreso che sia stata la “Silicon Valley Bank,” ma non sono sorpreso che ci sia stato qualcosa di sorprendente come “la Silicon Valley Bank”.

Sarei stato sorpreso se non si fosse rotto nulla".

8. "Quando si svaluta il valore percepito di molti trilioni di dollari - e alla fine saranno più di 10 trilioni di dollari - e ci sono diverse classi di attività che contribuiscono, tutte hanno delle conseguenze.

 E non ci si deve sorprendere se una parte del sistema creditizio si trova sotto stress".

 (Grantham stava descrivendo le conseguenze di un crollo massiccio dei prezzi degli asset).

9. "Nel 2000, tutti erano costosi.

Questa volta sono gli Stati Uniti a essere cari e il resto del mondo non è particolarmente caro.

Non possedete azioni statunitensi a breve termine.

Se proprio dovete possedere titoli azionari statunitensi, per carità, giocate sul lungo periodo e occupatevi di risorse e cambiamenti climatici, e state alla larga da tutto il resto".

10. "Non credo che il mercato orso finirà prima del prossimo anno.

E i fondamentali potrebbero trascinarsi per un bel po'.

Ma dopo aprile, probabilmente inizieremo a vedere pressioni sui margini di profitto, sulla crescita del PIL e sul mercato del lavoro".

11. "Spero che sia ormai noto che la Fed non ha mai azzeccato nulla dai tempi di Paul Volcker.

Ha semplicemente creato un ambiente favorevole a una serie concatenata di super bolle che si rompono con effetti oltraggiosamente conseguenti e dolorosi".

12. "Condizioni economiche e margini di profitto quasi perfetti.

 Fiducia degli investitori in piena esplosione, dove la gente compra azioni perché stanno salendo, dimenticandosi dei fondamentali.

La leva finanziaria è aumentata molto e la gente ha iniziato a imbrogliare e a eludere più del normale, perché può farlo.

Gli schemi Ponzi hanno messo radici qua e là".

(Grantham stava parlando di come si formano le più grandi bolle di asset).

(markets.businessinsider.com/ 24 aprile 2024)

 

 

 

Bill Gates investe milioni di euro

in un gruppo che sostiene che

i bambini sono "esseri sessuali."

Vocidellastrada.org – Alba Kan – (24 aprile 2023) – ci dice:

 

Il cofondatore di Microsoft, Bill Gates, ha investito decine di milioni di dollari in un'organizzazione non governativa (ONG) radicale che spinge affinché i bambini piccoli siano considerati "esseri sessuali".

Da non confondere con l'”organizzazione pro-aborto”, l'“International Planned Parenthood Federation” (IPPF) che è un gruppo che promuove la sessualizzazione dei bambini fin dalla più tenera età.

L'IPPF sostiene che i bambini sono "nati sessuali" e fa pressione affinché ai bambini sotto i 10 anni venga insegnato il "lavoro sessuale commerciale".

L'ONG esercita un'influenza significativa sull'educazione sessuale globale e comprende 120 organizzazioni indipendenti in oltre 146 Paesi.

L'organizzazione, compresa la sua rete europea, ha ricevuto oltre 80 milioni di dollari da Gates.

Tra gli altri donatori significativi figura l'”Organizzazione Mondiale della Sanità” (OMS).

Nel 2017, l'ONG ha pubblicato un kit di strumenti che mostra uno spaccato di come viene insegnata l'educazione sessuale ai bambini di tutto il mondo.

Lo scioccante “toolkit “è stato segnalato per la prima volta da “Nicole Solas” dell'”Independent Women's Forum”.

"L'attività sessuale può far parte di diversi tipi di relazioni, tra cui la frequentazione, il matrimonio o il lavoro sessuale a scopo di lucro", afferma l'IPPF a proposito di ciò che dovrebbe essere insegnato ai bambini sotto i 10 anni.

Il toolkit dice che ai bambini sotto i 10 anni si dovrebbe anche dire: "Crescendo, potresti iniziare a interessarti a persone con identità di genere diverse".

L'IPPF ha suggerito in più occasioni che i bambini "nascono sessuali".

Ai bambini sotto i 10 anni si dovrebbe insegnare che "la sessualità è una parte di te dal momento in cui nasci".

 

"La tua sessualità si sviluppa e cambia nel corso della vita".

"La positività sessuale riconosce che gli esseri umani, compresi gli adolescenti e i giovani, sono esseri sessuali autonomi", aggiunge l'ONG.

 

Secondo l'ONG, gli educatori sessuali dovrebbero avere una "comprensione dei giovani come esseri sessuali".

"Tutte le persone sono esseri sessuali con diritti sessuali, indipendentemente dalla loro età", afferma l'ONG.

L'IPPF continua dichiarando che "i diritti sessuali includono... il diritto di dire sì o no al sesso; il diritto di esprimere la sessualità, compreso il diritto di cercare il piacere; il diritto di godere dell'autonomia corporea...".

Nonostante l'IPPF definisca un bambino come minore di 18 anni, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, il toolkit esclude di pesare l'età approssimativa della capacità di un bambino di acconsentire con un adulto.

Il documento afferma: "Le associazioni membri sono incoraggiate a utilizzare le prove esistenti per valutare i migliori parametri di età per il loro contesto locale".

Il programma di studi afferma che i bambini sotto i 10 anni dovrebbero essere consapevoli della regola generale secondo cui "Nessuno può toccarti se tu non lo vuoi".

"Durante l'infanzia, i bambini dovrebbero imparare le convenzioni sociali di base sulla privacy, la nudità e il rispetto per gli altri nelle relazioni, in modo da poter identificare le situazioni in cui il loro diritto alla sicurezza viene violato".

Gates ha donato all'organizzazione anni prima e anni dopo la pubblicazione del rapporto del 2017 sui bambini piccoli come "esseri sessuali".

L'”organizzazione IPPF” è stata originariamente creata da Margaret Sanger, fondatrice del gruppo eugenetico e favorevole all'aborto per il controllo della popolazione, “Planned Parenthood”, negli anni Cinquanta.

Attualmente, l'IPPF sembra funzionare in modo indipendente dall'organizzazione Planned Parenthood con sede negli Stati Uniti.

Tuttavia, continua a collaborare con la” Planned Parenthood Federation of America” per sostenere occasionalmente alcune questioni.

L'organizzazione no-profit statunitense per la difesa dell'aborto è elencata tra i membri associati dell'”IPPF”.

Tra gli altri membri associati figurano la “Reproductive Health Uganda”, la “Vietnam Family Planning Association”, la” Syrian Family Planning Association”, la “SECS - Contraception And Sexual Education Society”, Romania, “Sex & Samfund” – “The Danish Family Planning Association” e la” Palestinian Family Planning And Protection Association. “

(slaynews.com/news/bill-gates-plows-millions-group-claiming-kids-sexual-beings/)

(L’ergastolo quale pena per il traviamento della gioventù è un po' poco per Bill Gates! N.D.R.)

 

 

 

 

La fine del sistema mondiale.

Vocidallastrada.org – (23 aprile 2023) – Alba Kan – ci dice:

 

Nell'ottobre 1990 ho tenuto una conferenza alla Columbia University.

Uno dei presenti mi chiese sarcasticamente: "Non crede che la campana stia suonando per il comunismo?".

Gli dissi che John Donne aveva una poesia in cui c'è questo verso, che Hemingway usò come epigrafe:

"Non chiedere mai per chi suona la campana. La campana sta suonando per te!".

Intendo dire che la distruzione del sistema sovietico è l'inizio della fine del vostro sistema, tra 10-15 anni.

 Il pubblico rideva... Ma nel 2008 la crisi è arrivata davvero.

 La crisi che era stata prevista in Occidente all'inizio degli anni '80.

E ora ci si chiede: per chi suona la campana?

Sta chiamando il sistema mondiale esistente.

 E se la Russia rimane mentalmente, economicamente, socialmente in una forma così lassista come parte di questo mondo, allora la campana suonerà anche per lei.

Un'altra cosa è che se la Russia non facesse parte di questo mondo, ma fosse, per esempio, un sistema socialista a sé stante, tutto sarebbe diverso.

 Come previsto dalle previsioni americane dei primi anni '80.

All'inizio degli anni '80, Reagan ordinò a tre gruppi di economisti le previsioni per i successivi 15 anni.

 Essi giunsero a conclusioni assolutamente identiche e poi sommarono il risultato complessivo.

Le previsioni erano le seguenti:

 prima della crisi "a due gobbe" - 1987-1992/93.

La produzione nel segmento capitalista cala del 20-25%, in quello socialista del 10-12%.

Il risultato politico di tutta questa vicenda per l'Occidente è l'arrivo al potere dei comunisti in Italia e in Francia, da soli o in un'alleanza di forze di sinistra.

Nel Regno Unito, la sinistra laburista sta tornando in auge.

 E negli Stati Uniti, nessuno torna da nessuna parte, ma ci sono rivolte di negri in tutte le principali città.

Per il sistema sovietico c'era una previsione a parte: ha superato la crisi molto più facilmente.

Ma è andata come è andata. I

l capitalismo non è stato costruito, ma noi soffriamo delle sue ulcere, siate sani.

Le persone che hanno costruito il capitalismo criminale nel migliore dei casi soffrono delle piaghe del capitalismo globale.

A quanto pare, quel periodo della storia dell'umanità, caratterizzato da una rapida crescita, sta finendo per sempre.

Mi riferisco alla svolta tecnica che, condizionatamente, è andata dalla metà del XVIII secolo agli anni '80 del XX secolo.

Va detto che dopo la rivoluzione neolitica, la crescita economica, nell'antichità, nel Medioevo, nelle società asiatiche, era dello 0,2% all'anno.

Era un asintoto.

 E all'improvviso c'è stata una brusca scossa! Ma questa svolta sta davvero per finire.

Questo non significa che domani tutti passeranno a un'economia preindustriale.

Ma nel senso che c'è davvero un limite.

In linea di principio, non è una novità per chi un tempo, negli anni '60, seguiva le conferenze di “Byurakan”, qui in Armenia, dedicate alla ricerca di civiltà extraterrestri.

 Si discuteva molto se fossimo soli nell'universo.

 E fondamentalmente i punti di vista di “Stanislav Lem” e del nostro astronomo “Shklovsky” si scontrarono.

 Lem diceva: "Siamo soli".

 “Shklovsky” diceva: "Al diavolo noi nell'universo".

Ma “Kardashev”, che ha creato una propria tipologia di civiltà extraterrestri, ha trovato una terza soluzione.

 Egli disse che "siamo soli nel senso che la fase tecnica di qualsiasi civiltà non può durare più di un certo tempo".

 Il suo schema ipotetico è molto importante per noi oggi, per le prospettive di sviluppo della civiltà terrestre e del sistema post-capitalista.

Come ha detto lo stesso” Kardashev”, il nostro sistema moderno - capitalismo/socialismo insieme - utilizza solo lo 0,16 del potenziale energetico del pianeta.

 E non ci sono praticamente prospettive di utilizzare qualcosa di più.

Questo non significa che lo sviluppo si fermi qui.

O non significa che dobbiamo attuare la versione del Club di Roma e di Schwab.

Perché Schwab, in realtà, ad eccezione del “capitalismo degli stakeholder”, non ha proposto nulla di nuovo rispetto ai truffatori del Club di Roma.

Vi ricordo che il Club di Roma è stato fondato nel 1968. Formalmente fu creato da tre persone:

“Alexander King” (Gran Bretagna), “Aurelio Peccei”, che rappresentava il Vaticano e le élite della Germania meridionale e dell'Italia settentrionale, e “Germain Gvishiani”.

Era il genero di” Kosygin “e il figlio dell'unico vice di Beria, che non fu fucilato, ma gli furono solo tolte le spalline e gli ordini.

Il “Club di Roma” fu uno dei mezzi di penetrazione della nomenklatura sovietica quando, nella seconda metà degli anni '60, abbandonò de facto la svolta della costruzione reale del comunismo, de facto (nell'ideologia, ovviamente, nessuno lo disse), nel sistema capitalista.

 Esistevano due modalità organizzative di integrazione.

Questa è la struttura "Rete", è anche la "Ditta" di Pitovranov.

E la seconda è il “Club di Roma”.

Già nel 68-69 il Club di Roma iniziò a preparare il primo rapporto "I limiti della crescita" sul modello del "Mondo unico" di Forrester.

 E già allora era chiaro che tipo di modello fosse: ridurre i consumi, ridurre la popolazione del pianeta.

La cosa più interessante è che nello stesso periodo in Unione Sovietica si sviluppava un sistema alternativo.

Nel 1965, presso l'”Istituto Pedagogico Statale di Mosca Lenin”, fu creato un laboratorio per l'analisi dello sviluppo dei sistemi ("Laboratorio di sviluppo dei sistemi di gestione", abbreviato in "LASUR").

Era guidato da una persona assolutamente fantastica.

È poco conosciuto, ma credo che un giorno la Russia farà un resoconto della seconda metà del XX secolo con il nome di questa persona:

Pobisk Kuznetsov.

Hanno sviluppato un proprio modello di sviluppo del sistema mondiale.

Se in "I limiti della crescita" c'erano cinque variabili e il capitale, qui le variabili sono 30.

La persona che ha visto entrambe le versioni ha detto che "LaSURs" è stato scritto da un “dottore in scienze molto potente”, mentre "The Limits to Growth" è stato scritto da un eccellente studente.

Secondo il modello LaSURs, il sistema si sta muovendo verso un regime asintotico, ma può nutrire fino a 30 miliardi di persone.

Poi sono successe alcune cose molto interessanti.

 I leader del LaSURs sono accusati di sprecare denaro.

Pobiska Kuznetsov viene espulso dal partito e imprigionato nell'Istituto Serbsky.

 I suoi amici lo tirano fuori, poi viene reintegrato nel partito.

Si rivolge persino ad Andropov e prevede la crisi del sistema capitalistico alla fine del XX secolo.

Ma il sistema si è rotto.

 Ciò avvenne per una semplice ragione:

poiché la nomenklatura sovietica puntava ad entrare nel mondo occidentale attraverso il Club di Roma, tutte le alternative dovevano essere eliminate.

 Inoltre, c'era ancora una lotta all'interno dei vari gruppi della nomenklatura sovietica.

Cosa è molto importante per noi?

Questo significa che i problemi di cui parla “Schwab” sono i problemi del sistema capitalistico.

Inoltre, la transizione dall'esponente all'asintoto è pianificata in modo tale che i proprietari del sistema capitalistico confluiscano senza problemi nei proprietari di un altro sistema.

 Ma per questo è necessario ridurre significativamente la popolazione del pianeta.

Inoltre, se prima si parlava di due miliardi, ora si parla di mezzo miliardo.

C'è una primatologa, Jane Goodall, che è coinvolta nelle strutture globaliste.

La Goodall ha recentemente affermato che: "La popolazione del pianeta dovrebbe essere la stessa di 500 anni fa".

Allora erano 491 milioni.

Spesso sento dire: "Beh, cosa può fare una persona semplice in una situazione del genere?".

Il fatto è che nelle situazioni di transizione, quando il vecchio sistema si rompe e il nuovo non ha ancora preso forma, la necessità e il caso quasi si equivalgono.

E quando, in una situazione di equilibrio, una farfalla siede su una bilancia, la supera.

E allora si verifica un processo inerziale.

Ed è proprio in questi periodi che stiamo sperimentando che molto spesso lo sviluppo degli eventi dipende dalla scelta individuale di ciascuno.

 E per decidere, è necessario avere conoscenza.

Pertanto, mi permetto di aggiungere la frase finale del mio libro "Le campane della storia":

"Solo la conoscenza razionale soggettiva e libera della società insegnerà alle persone a non avere paura del suono delle campane della storia.

 Insegnerà a vivere senza speranze di ricompensa, perché essere uomini è la ricompensa più grande.

A vivere senza illusioni, perché la vita è la migliore delle illusioni.

 A vivere senza idealizzare il passato, senza lamentarsi del presente e senza avere paura del futuro.

Insegnare il coraggio di essere e il coraggio di conoscere.

Conoscere ed essere un uomo, un uomo libero dal disfattismo...".

Tutto dipende dalla persona, soprattutto quando i mondi sociali crollano e le campane della Storia suonano.

(zavtra.ru/blogs/konetc_mirovoj_sistemi)

 

 

 

Il nuovo ordine biopolitico

 e transumanista.

Ariannaeditrice.it - Diego Fusaro – (29/11/2020) – ci dice:

 

Se, seguendo Aristotile, l’uomo è, per sua natura, uno zoon politikòn, fatto per la vita comunitaria, e, ancora, uno zoon logon echon, portatore di ragione e di dialogo, la nuova società forgiata dalle èlites liberiste del capitalismo terapeutico si pone, eo ipso, come una guerra contro la natura umana in nome di un nuovo ordine biopolitico e transumanista;

un ordine che polverizza l’essenza dell’uomo, lo istupidisce e lo fa regredire ad atomo telematico e senza nessi sociali, in cui la razionalità riflessiva è annullata sotto i colpi dell’emotività e del terrore indotto e amministrato dal potere stesso.

 Sicché la stessa lotta di classe tra Servo e Signore, al tempo del Leviatano sanitario, si riconfigura anche come una lotta tra “umanesimo” del polo dominato e transumanesimo del blocco dominante:

la resistenza degli oppressi contro gli oppressori diviene, allora, anche inaggirabilmente una lotta tesa a difendere la natura umana, la sua dignità e il suo splendore contro la sua cancellazione, teoricamente propugnata e concretamente attuata dal ceto egemonico e dal suo blocco intellettuale di completamento.

Il transumanesimo è, per dirla con Lenin, la “fase suprema del capitalismo”, il naturale approdo biopolitico della “open society del globalismo mercatista”.

Ecco la fotografia di fine anno del 2020:

 miliardari cosmopoliti della shut-in economy, del commercio digitale e della speculazione finanziaria lucrano anche più di prima.

 E intanto la popolazione dei ceti medi e delle classi lavoratrici sta a languire, rinserrata in casa, terrorizzata dal circo mediatico e dal clero giornalistico all’idea di contrarre il virus, di finire col tubo in bocca e impossibilitata spesso a lavorare e sempre a esercitare qualsivoglia forma di protesta per rivendicare i propri diritti calpestati in nome della lotta alla diffusione del virus.

Altra foto:

il patriziato globalista dominante rifiuta ormai di condividere i medesimi spazi e finanche la medesima aria con la plebe subalterna, reietta e contagiosa.

 Se ne ebbero già, in anteprima, alcune immagini nell’estate del 2020, allorché sui rotocalchi patinati apparvero foto che raffiguravano sontuose feste nelle ville del patriziato cosmopolita, in cui il solo a indossare la mascherina era, puntualmente, il cameriere.

 I convitati, per parte loro, si godevano il lusso dei giardini e delle serate baldanzose, protetti dalle mura di cinta che li separavano dall’inferno delle plebi appestate.

A colpi di lockdown e di distanziamento sociale, vogliono sterminare i ceti medi e i lavoratori, in un vero e proprio genocidio organizzato.

Perché, come diceva Sanguineti, "i padroni ci odiano e non lo nascondono".

 

 

 

Il lavoro.

Ariannaeditrice.it - Andrea Zhok – (30/04/2023) – ci dice:

 

Nelle ultime discussioni è riemerso abbastanza spesso un ritornello critico intorno al tema del lavoro.

L'argomento suona più o meno così:

 "Mica si deve sgobbare per fare soldi, anzi lavorare non è un modello di vita, non è un esempio virtuoso, di più il lavoro è qualcosa di cui bisogna liberarsi."

 E questa cosa è persino presentata come un recupero delle "autentiche istanze della sinistra" (e, in effetti, forse è davvero così).

Ora, siccome questo punto è solo apparentemente banale, due parole di precisazione vanno spese.

Mi trattengo dall'avviare una discussione retrospettiva sull'annoso problema di cosa vada inteso come "lavoro", sulla differenza tra lavoro alienato e disalienato, lavoro produttivo e improduttivo, ecc.

Sono tutte interessantissime discussioni svoltesi negli ultimi due secoli (dagli scritti genesi di Hegel, agli scritti giovanili di Marx, alle rielaborazioni di Gramsci, fino alle obiezioni dei postmoderni.), che però richiederebbero un saggio autonomo.

Venendo alle cose di base, è innanzitutto del tutto chiaro che esistono lavori con caratteristiche molto diverse, con condizioni di sfruttamento molto diverse, condizioni di usura diverse, orari diversi, stimoli diversi, ecc. ecc.

Dunque generalizzazioni come "nel lavoro l'essere umano si realizza" o al contrario "nel lavoro l'essere umano si aliena" possono semplicemente essere vere talora e false talaltra.

Sappiamo, perché ci è stato spiegato dal barbuto pubblicista di Treviri un secolo e mezzo fa, che nel contesto capitalistico la tendenza generale - in assenza di resistenza - è verso una compressione tendenziale delle condizioni di lavoro: aumento degli oneri e riduzione dei compensi.

E', incidentalmente, quello che sta succedendo a tutti noi da anni.

Fare resistenza a questa tendenza è doveroso a meno che uno non brami la schiavitù, e chi non mette in piedi un'adeguata resistenza, banalmente, verrà spremuto e buttato.

Questo è l'ABC.

Fare resistenza a questa tendenza però NON è fare resistenza al lavoro, ma allo sfruttamento del lavoro.

Confondere questi due piani è un errore grave.

Si possono immaginare modi di lavorare migliori (molto, molto migliori, invero), si possono immaginare pressioni e vincoli lavorativi minori, si possono immaginare orari lavorativi ridotti, ecc.

Ma c'è un inderogabile punto di fondo che rende il lavoro un'attività di valore morale:

finché le cose di cui ci nutriamo, le cose che vestiamo, le case che abitiamo, gli oggetti che utilizziamo, ecc. saranno prodotti con l'apporto di lavoro umano, in qualunque società, presente, passata o futura, dare il proprio contributo lavorativo sarà semplicemente un primario dovere morale.

L'odierna ampia divisione del lavoro fa spazio per forme di lavoro estremamente diverse, che richiamano capacità, investimenti, forme di fatica difficilmente commensurabili.

Ma sono tutti contributi al prodotto sociale.

E prodotto sociale del lavoro c'è sempre stato da che esiste la specie umana e continuerà ad esserci per il prevedibile futuro.

Chi pensa di sottrarsi a tale contributo non compie un atto emancipativo, bensì un atto parassitario.

Sappiamo bene che spesso siamo messi tutti nelle condizioni di esercitare il nostro lavoro male, in modo inefficiente, frustrante, ed è perfettamente comprensibile che qualcuno sotto queste condizioni non percepisca più di dare un effettivo contributo e tenda a ritrarsi dal lavoro.

Può capitare e capita.

Questa però è una disfunzione sociale che non toglie niente al cuore della questione: contribuire con il proprio lavoro al prodotto sociale è un dovere primario e non farlo è parassitismo, è vivere alle spalle degli altri.

Mi rendo conto che ribadire una cosa del genere suonerà banale e ridondante per molti, e me ne scuso.

Tuttavia in un'epoca in cui le nuove generazioni occidentali vengono su avendo come modelli figli di papà, ereditiere, gente che vende la propria immagine al miglior offerente (youtuber, tiktoker, influencer), e in cui il rapporto tra livello degli introiti e livello del contributo lavorativo è integralmente saltato, forse ricordare queste banalità può avere uno scopo.

 

 

 

Il capitalismo moralista.

Ariannaeditrice.it - Roberto Pecchioli – (30/04/2023) – ci dice:

(EreticaMente)

 

Ogni sistema ideologico, ogni visione del mondo esprime una sua moralità.

Non importa quali siano i presupposti e le idee di cui si sostenta: conta la sussistenza e la pervasività di un orizzonte morale.

Poco interessa che la morale sia opposta a quella a cui eravamo abituati da secoli e sia, nei fatti, un’ipocrisia:

è il destino di tutti i sistemi etici privi di uno sfondo spirituale.

 Forte di questa convinzione, il filosofo spagnolo “Miguel Angel Quintana Paz”, docente dell’Università di Salamanca, ha elaborato un’interessante teoria.

Il presente è per Quintana l’epoca del “capitalismo moralista”.

Un merito di Quintana è di ribaltare un concetto che da oltre due secoli egemonizza il pensiero occidentale, ovvero che il movente universale dell’azione umana sia il denaro, la ricchezza.

Un principio condiviso dal marxismo e dal liberalismo, la giustificazione del pensiero strumentale che restringe la complessità dell’agire umano.

C’è qualcosa che attrae con una forza assai maggiore: il potere, il dominio.

Spesso la ricchezza è solo il mezzo per ottenere ciò che davvero eccita, il potere, il controllo e il dominio su altri esseri umani, oltreché sulle cose e la natura.

Chi possiede tutti i mezzi – economici, finanziari, tecnologici, culturali – non ha bisogno di più denaro.

Ce l’ha già: la cupola finanziaria crea dal nulla il denaro e finge di prestarlo agli Stati e ai popoli.

 L’inganno usuraio universale del debito, la cornucopia che soffoca le masse.

 Le oligarchie hanno superato da tempo la fase dell’arricchimento e mettono in pratica un’intuizione di “Friedrich Von Hajek”:

chi possiede tutti i mezzi determina tutti i fini.

 Indica qual è il bene e il male, il giusto e lo sbagliato.

Regolati i conti con la ricchezza – fintanto che i popoli non scopriranno l’inganno e grideranno che il re di denari è nudo – la cupola ha deciso di inseguire qualcos’altro: il potere.

 Sulle nostre menti, sui nostri costumi, sulla nostra morale. Era l’ultima frontiera che restava da superare a un capitalismo che non smette di penetrare in tutti gli ambiti della vita.

Implicitamente, “Quintana” esorta a riprendere una lezione marxiana, l’esistenza e la forza della “struttura”.

Ogni grande mutamento di costume e di opinione egemone ha sempre la radice primaria nella “struttura”, ossia nella sfera dominante e nella gestione del potere.

“Se manca la consapevolezza di questa radice strutturale, se manca la comprensione di come vada collocato il problema che si sta trattando rispetto ai meccanismi di distribuzione dell’economia e del potere (spesso coincidenti), si finisce per perdere di vista l’unica sfera dove si possono muovere le leve causalmente decisive”, scrive il filosofo “Andrea Zhok”. 

Non vi è dubbio che la struttura, oggi più che mai, è l’alleanza sistemica tra finanza, multinazionali e tecnologia, all’ombra dei poteri riservati radicati nel centro dell’Occidente.

 In termini marxiani, la nuova moralità – ossia il senso comune dell’epoca – è un elemento centrale della sovrastruttura.

Posta la questione in questi termini, il pensiero di “Quintana” si dipana attraverso una serie di osservazioni che spiegano la nuova categoria di “capitalismo moralista”.

Siamo in una fase del capitalismo in cui è difficile rintracciare categorie economiche e politiche del secolo scorso per il solido connubio tra burocrazie statali e transnazionali e grandi corporazioni, che oltrepassano concetti come la concorrenza e il profitto a breve termine.

In questa fase dominata dal “capitalismo clientelare” (crony capitalism), le aziende promuovono un’agenda ideologica con la quale decostruiscono e reinventano il consumatore/cittadino, utilizzando una serie infinita di regolamenti e coercizioni imposte dai governi, guardiani della loro ingegneria sociale e giuridica.

 Un capitalismo che utilizza slogan moralizzanti, sostenuti, pubblicizzati dalla categoria delle “vittime” senza alcuna attinenza con i prodotti, poiché ciò che offre il capitalismo moralistico non è l’esperienza del prodotto ma l’esperienza della virtù e la guarigione dalla colpa.

La forza del capitalismo, compresa da Marx e da Schumpeter (“la distruzione creatrice”) è di essere uno straordinario Zelig che si trasforma continuamente, cooptando e modificando nel profondo idee e principi opposti.

“Quintana” muove da una serie di esempi concreti di moralismo ( e ipocrisia) neo capitalista; 

tempo fa è stata diffusa una pubblicità in cui l’azienda di rasoi Gillette accusava il suo pubblico di riferimento di avere una “mascolinità tossica”.

Il filosofo si chiede quale fosse il senso di un’attitudine offensiva nei confronti dei clienti, tanto più per il calo di profitti subito dopo la campagna pubblicitaria.

 A queste perdite, il manager “Gary Coombe” rispose che non gli dispiaceva perdere soldi perché l’azione moralizzatrice aveva prevalso;

 il calo dei profitti era un prezzo che valeva la pena pagare. 

Strana giustificazione, da parte di chi lavora(va) esclusivamente per il profitto.

 Di recente, una campagna pubblicitaria della birra Budweiser è stata affidata a un bizzarro testimonial, “Dylan Mulvaney”, un “influencer in transizione di genere” che celebra online i “progressi” della sua nuova condizione. 

Contemporaneamente,” Mulvaney” è stato ingaggiato per una campagna della “Nike” relativa a una linea di reggiseni.

 Altre polemiche e nuovo fallimento commerciale.

 In America si è diffusa l’espressione “get woke, go broke”, sostieni la “cultura della cancellazione” e fallirai. 

Eppure la dirigenza di Budweiser non torna indietro:

vuole cambiare l’immagine “obsoleta” del marchio per diventare “più inclusiva”, tanto da non interessarsi di perdere la vecchia base di clienti.

Emerge un sostanziale spostamento del focus aziendale, apparentemente lontano dalla concorrenza e dal profitto.

Viene sacrificano un obiettivo a breve termine (vendere rasoi e lattine di birra) in cambio di uno di lungo termine (la categorizzazione morale dell’impresa).

Sotto il profilo economico, questa strategia può essere sostenuta solo da grandi corporazioni allineate a un’agenda politica, in grado di resistere a un temporaneo crollo dei profitti senza cambiare linea, garantendosi in cambio un vantaggio nei confronti di concorrenti che non vogliono o non possono pagare il costo dell’adesione all’agenda woke.

Più in alto, supercolossi come Black Rock diffondono la medesima agenda ed è sufficiente una lettera ai clienti per spostare flussi di capitali da un settore a un altro o per giustificare attività non in linea con l’interesse economico immediato degli azionisti.

 Nel caso di Black Rock, un intervento favorevole a investimenti “green” ha prodotto la crisi del modello energetico bastato sui combustibili fossili.

Anche in questo caso, in base a motivazioni neo moralistiche.

Ogni società ha il proprio senso di moralità e le élite neocapitaliste non fanno eccezione.

Il progressismo – fatto percepire come rivoluzionario e anti sistema – è la base egemonica che plasma la morale dall’inizio del secolo corrente.

Cambiano le idee, uguale è l’imperialismo colonialista.

 Impone sempre criteri “morali”, per quanto opposti a quelli del passato. Egualitarismo d’accatto (i padroni restano tali e sempre più potenti), relativismo morale, individualismo basato sull’autopercezione, desideri, emotività, malthusianesimo denatalista, allarmismo climatico e molti altri “ismi”.

  La demonizzazione della normatività di ieri impone una nuova normatività; è un cambiamento fondamentale nel modo in cui calcoliamo il valore di un prodotto.

 Le icone scelte come immagini del marchio sono incoerenti in un mercato competitivo, ma efficaci in un ambiente soffocante di correttezza politica, cultura della cancellazione, riconfigurazione di valori.

Le grandi corporazioni promuovono un’agenda morale gonfia di ipocrisia:

 un prodotto non si acquista più per la sua strumentalità, ma per il fatto che con esso ci poniamo dalla parte del bene.

Ecco perché in questa aspirazione rieducativa c’è qualcosa di orwelliano, di totalitario. 

Si è compiuta l’intuizione di “Philippe Muray”:

 il progressismo occidentale – nato nelle officine post Sessantotto e presto cooptato dallo Zelig capitalista – ha la pretesa di incarnare la guerra contro il Male, reinventando la moralità.

La crescente ossessione delle classi più potenti del sistema economico di imporre la propria morale capovolta rispetto ai secoli passati, è un’evidente minaccia alla libertà.

“Quintana” cita due autori che hanno analizzato le trasformazioni del capitalismo, Luc Boltanski” e” Ève Chiapello”.

 La penultima mutazione risale agli anni Settanta del secolo XX:

un capitalismo in cui si svolgevano lavori monotoni – nella catena di montaggio, in ufficio, in mansioni simili per tutta la vita – ma in cambio si aveva un lavoro che spesso durava per sempre.

 Lo spirito nuovo venne dall’accoglimento nel capitalismo di gran parte delle istanze del Sessantotto.

I protagonisti di quella stagione pensavano di essere rivoluzionari anticapitalisti, ma finirono per fornire all’avversario le armi culturali più potenti.

 Vietato vietare: nessuno slogan è più gradito agli “spiriti animali “neoliberisti.

Il nuovo capitalismo, messo in soffitta il fordismo, aveva bisogno di lavoratori capaci di adattarsi alle continue metamorfosi dell’economia, flessibili, che non dessero nulla per scontato, nemmeno il loro lavoro: costantemente disposti a innovare, perché solo così credevano di realizzarsi.

 L’altra faccia è la precarietà, la costante incertezza del futuro, la conseguente fragilità delle relazioni familiari e personali.

 L’ultimo abito di “Zelig” è moralistico: il sistema non si limita più a promuovere valori come la mobilità, l’innovazione e il cambiamento, ma impone un’intera agenda “morale”.

Esemplare è il caso di “James Damore”, il funzionario di “Google” licenziato per aver espresso in un questionario, dopo un seminario sulle differenze di genere, opinioni morali non coincidenti con l’ideologia aziendale.

 Un’ ulteriore minaccia del capitalismo moralistico:

 le aziende possono indagare sul nostro modo di pensare, licenziare o discriminare se non concordiamo con le idee dei proprietari. 

Nel caso di “Gillette” e “Budweiser”, si è verificata una rottura rispetto al tradizionale modo di pensare delle imprese:

 hanno preferito perdere clienti nell’immediato in cambio di una predicazione morale “progressista”.

Questo rompe con l’idea per cui le aziende sono interessate esclusivamente a generare profitto per gli azionisti, non a indottrinare su presunte verità morali.

Un ulteriore esempio è il destino di una legge (assai discutibile) dello stato americano della Carolina del Nord, che vietava l’uso dei bagni femminili ai transessuali.

 La legge è stata abrogata non per le pressioni dell’opinione pubblica, ma per la rivolta “morale” di decine di grandi corporazioni, che hanno ritirato i loro investimenti e attivato boicottaggi economici.

 La pressione del “capitalismo moralista” ha cambiato la legge, infliggendo un duro colpo alla sovranità democratica e al potere legislativo.

  Il mondo dell’impresa, santuario indiscusso del capitalismo, sta imponendo una precisa ideologia “morale”, coincidente con il progressismo libertario della sinistra postmoderna.

Naturalmente, le aziende non hanno un punto di vista morale.

 Chi ce l’ha sono i soggetti che le dirigono, i loro reparti creativi, pubblicitari, di marketing.

Chi sta cercando di introdurre l’ideologia ovunque non sono le aziende.

 Non è il rasoio Gillette o la birra ad avere un’ideologia o un intento morale, ma una classe sociale privilegiata di imprenditori, dirigenti, creativi di alto rango, pubblicitari e intellettuali, i ceti globalisti con master all’estero, residenti nei quartieri ricchi metropolitani.

 Un gruppo umano minoritario tende a imporre un punto di vista “morale” alla società intera in nome di un impero del bene autoreferenziale e indimostrato.

Non è tollerabile l’imposizione pseudo “morale” unita all’enorme potere di pressione di una classe sociale privilegiata.

In ordine di tempo, l’ultimo frutto del capitalismo moralista è la vicenda di “Tucker Carlson”, la stella della rete televisiva Fox.

Il giornalista, di orientamento conservatore, critico con il mainstream americano sia sui temi geopolitici che su quelli etico-morali, è stato licenziato.

 Il contraccolpo in Borsa è stato duro, con forti perdite per Fox.

Intanto un avversario dell’agenda “morale” è stato cacciato.  Tutto ciò dimostra che la vecchia tesi liberale secondo cui nel capitalismo conta il merito è una bugia gigantesca:

Carlson faceva guadagnare Fox, come i buoni rasoi arricchiscono Gillette.

 Dunque, le leggi del mercato – ultima religione rimasta all’Occidente – sono derogate dagli stessi che le impongono in nome di una visione del mondo tesa a cambiare nel profondo i popoli-sudditi.

 La nostra libertà è minacciata da nuovi pericoli provenienti dalle oligarchie dirigenti.

Contro di loro possiamo solo ricorrere a una vecchia risorsa: lottare per la libertà.

Dobbiamo smettere di prestar loro fede e prendere atto che le classi dominanti sono nostre nemiche.

 Sta terminando la stagione del liberalismo classico, del parlamentarismo che, già ai suoi albori, “Donoso Cortés “chiamava la “discussione eterna”.

 Vince un capitalismo non solo moralista, ma “cinese” nel senso di violento, autoritario sino al totalitarismo.

 Nel caso di “Damore”, il colosso “Google”, dopo aver costretto i dipendenti a seguire corsi ideologicamente orientati, ne ha sondato le convinzioni e ha cacciato chi – confidando nella libertà – ha espresso opinioni non in linea con i codici aziendali.

 In Carolina del Nord, contro una legge sono scesi in campo dirigenti di Apple, United Airlines, Bank of America e Goldman Sachs, firmatari di una lettera che ne esigeva l’abrogazione.

“ PayPal” e “CoStar Group” hanno annullato i loro piani operativi in ​​​​quello stato; la  lega del basket ha annullato le partite, il mondo dello spettacolo ha cancellato lo stato dai luoghi in cui effettuare riprese o ambientare film.

La rivista Forbes ha stimato che la legge sia costata al Nord Carolina seicento milioni in sette mesi.

Ha funzionato una strategia che l’uomo d’affari “Tim Gill” ha chiamato “punire i cattivi”.

 Questo mostra un ulteriore aspetto del capitalismo moralistico.

I suoi dirigenti non solo accettano di perdere soldi per predicare la loro moralità; non si limitano a licenziare persone le cui opinioni etiche non corrispondono alle loro.

Si tratta di un capitalismo in cui se la democrazia approva una legge che non piace alla sensibilità “morale” delle grandi corporazioni, queste hanno il potere e la concreta volontà di cancellarla.

È questo il mondo in cui vogliamo vivere?

Un sistema in cui i dirigenti aziendali decidono a quale moralità dobbiamo aderire, dove possono licenziarci o cambiare le leggi se si allontanano dalla loro retta via? Non lasciamoci ingannare dalle parole:

capitalismo moralista, sì; ma non certo morale.

 

 

 

 

La bellezza e la fame.

Ariannaeditrice.it - Livio Cadè – (30/04/2023) – ci dice:

(EreticaMente)

 

La bellezza, come l’amore o il sogno, è secondo alcuni un’illusione.

 Uno di quei beni superflui, senza finalità pratiche, certo non indispensabili per vivere, a differenza dell’acqua e del cibo, e forse nemmeno necessari, come una lavatrice o una bicicletta.

 Quindi, fondamentalmente inutili.

 Salvo poi rendersi conto che non possiamo farne a meno.

Non potrebbe infatti esserci vita più insensata e opprimente di quella vissuta senza amore e bellezza, o totalmente priva di sogni.

Che la bellezza non sia un fantasma ma una sostanza concreta si arguisce dal fatto che ne abbiamo fame.

Questo significa che ci nutre.

La fame indica infatti un bisogno del nostro organismo.

Si dirà che è una fame metaforica, di cibi simbolici.

D’accordo, ma la nostra coscienza se ne alimenta.

E qual è il fondamento d’ogni realtà se non il nostro apparato sensorio e mentale? Dunque, se siamo fatti di coscienza, il cibo che ne crea e plasma i tessuti non può certo essere irreale.

Reale è infatti ciò di cui siamo composti e di cui abbiamo fame, quello che, assimilando, rendiamo parte di noi.

 Il nostro essere è come una cavità, un vuoto che partecipa alla vita attraverso processi trofici e digestivi che gli danno forma e ne regolano le funzioni.

 «Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni» dice Prospero.

Ma potremmo dire: della sostanza dell’amore o della bellezza. Perché di queste cose ci nutriamo.

Ciò che unisce l’arte, l’amare e il sognare è quindi la capacità di creare fenomeni di coscienza e alimentarli.

L’essere si rivela tanto nella dualità di soggetto pensante e oggetto pensato quanto nello scambio di energia del mangiare e dell’essere mangiato.

“Mangio dunque sono”. Tutto è cibo.

 Quando qualche sostanza è carente in me, avverto lo stimolo della fame.

A volte leggero, a volte imperioso e cruciale.

 Devo allora ingerire certi elementi atti a ristabilire nelle cellule una stabile energia.

È un’arte dell’equilibrio vitale, giusto mezzo tra eccessi e difetti, rinuncia e appagamento, intemperanze occasionali e salutari astensioni.

Noi si tratta solo di fornire il giusto apporto di grassi, zuccheri ecc., ma anche di assimilare sensazioni, pensieri, sentimenti.

Il provar fame e il saziarsi riguarda fenomeni di impoverimento e rigenerazione tanto del corpo quanto dell’anima.

 Un bel libro, un bel viaggio, una bella canzone, un bel volto, servono a soddisfare una fame di bellezza.

Se ne sentiamo la necessità è perché la fisiologia dello spirito richiede alcune specifiche sostanze per rivitalizzare le sue cellule, i suoi organi denutriti e sofferenti.

Ogni cibo ha un tipico profumo, un gusto particolare, ma oltre a ciò contiene in sé invisibili valori nutritivi.

Così ogni bellezza ha non solo un’apparenza piacevole ma una ricchezza di significato.

Il Bello è superfluo solo nel senso che supera, eccede la dimensione dell’utile.

Non potremmo dire se no che “la bellezza salverà il mondo”.

Affidarsi a una salvezza estetica è sicuramente irrazionale se pensiamo che il mondo dipenda dall’economia del denaro e non da quella dello spirito.

Ma diventa possibile se crediamo che “l’uomo non vive di solo pane”.

È questa una verità che è inutile spiegare.

Del resto, la fame non dipende dal cervello, e nemmeno dallo stomaco, ma dall’essere nella sua totalità.

 Un bambino non sa nulla del latte e tuttavia cerca il seno della madre.

Così, non serve dimostrare la bellezza a parole.

Alcuni liquidano il problema equiparando il bello al piacevole.

Ma è una concezione superficiale.

Ci sono infatti bellezze che feriscono, creano malinconici turbamenti, vertigini.

Non esiste nulla al mondo che sia libero dal dolore, e una bellezza che ne fosse priva sarebbe senza vita.

Forse non esiste nulla che possa placare i nostri più profondi bisogni.

Perciò immaginiamo un aldilà, dove la nostra fame è finalmente soddisfatta.

“Tutto è dolore in questo mondo: essere separati da ciò che si ama, essere uniti a ciò che non si ama”.

 Tipico leit motiv buddhista, da cui si desume non vi sia salvezza tranne lo sfuggire a una ruota frustrante di creazioni e distruzioni.

Lo dice anche Cristo: «chi beve di questa acqua avrà ancora sete».

Non si tratta di salvare il mondo, dunque, ma di superarlo.

Tuttavia è impossibile cancellare nell’uomo l’amore per la bellezza, anche se effimera e incostante.

Una rosa non è meno bella perché sfiorisce.

 La caducità del bello non ci salva radicalmente dal dolore, ma ci concede un momentaneo riposo.

Rappresenta una salvezza relativa su cui poggiamo per tendere verso una Bellezza assoluta, in cui la fame definitivamente si estingue.

 Ma come può la bellezza curare la nostra sofferenza?

Parlare del dolore è sempre un’operazione astratta.

 Perché filosofare è porre una distanza tra noi e l’esperienza.

Collocare il dolore in uno spazio teoretico, sublimarlo, farne oggetto di riflessione ecc. è possibile solo in sua assenza.

 Il capire rimanda infatti al guardare, ovvero alla relazione tra lo sguardo e un oggetto.

Quando teorizziamo noi osserviamo da lontano, e più siamo teorici più ci separiamo dalla realtà.

La radice théa, che indica il guardare, è la stessa da cui nasce ‘teatro’, è qualcosa che ci fa spettatori.

Ma più il dolore aumenta più si riduce la distanza necessaria all’occhio per vedere, fino ad azzerarsi, a chiudere lo sguardo su sé stesso.

Resta allora solo l’atto del soffrire, senza alcuna rappresentazione.

Il dolore fa tutt’uno con noi, comprime in un solo coagulo anima e corpo.

Quando questo accade, la bellezza si ritira.

 Perché essa chiede distinzione, ordine e linguaggio, mentre il dolore ci immerge nell’informe, nel suono inarticolato.

Il potere del Bello di consolarci resta sommerso, ammutolito, finché l’alta marea del dolore non si abbassa.

Ciò che la bellezza può lenire è quindi solo il ricordo del male sofferto.

Può ammorbidire la crosta di memorie dolorose sedimentate sul fondo di noi stessi.

 Per questo il tempo ha un effetto catartico.

Creando una lontananza tra noi e la nostra pena ci permette di guardarla con distacco.

 Potremmo allora trovarla persino sublime, come una tragedia greca, o il Laocoonte che si contorce nelle spire del serpente.

Perché “Dio risplende anche nel dolore”.

Ma come spiegare il piacere provato di fronte a un’opera d’arte, o l’intimo diletto che ci dà un fiore, un canto d’usignolo?

Si è detto che la bellezza risponde a un’esigenza interiore, a un trofismo dello spirito.

Questa necessità consiste nell’uscire, anche per poco, dalla dimensione claustrofobica della nostra autocoscienza.

 Il Bello ci aiuta a dimenticare i nostri limiti e difetti, a ricordare una perfezione che è già dentro di noi.

Ci sottrae momentaneamente alla morsa dell’io empirico, alle sue paure e dai suoi bisogni, alla sua ricerca dell’utile.

L’esperienza estetica coincide con un meravigliarsi e un aprirsi del cuore.

Dissolve la dura membrana dell’ego, quasi vi stimolasse un afflusso di succhi gastrici.

 Lo sguardo si abbandona allo stupore senza preoccupazioni o interessi personali. Cade il velo di opacità che copre gli oggetti, si sciolgono i nodi di una mente contratta e irrigidita nelle sue operazioni mondane.

E a misura che una chimica spirituale provoca tale ‘lisi’, si produce in noi una liberazione e una beatitudine.

Siamo trasportati in una trascendenza, eccedenza superflua rispetto ai nostri calcoli morali e razionali, rischiarante la vita di un inutile splendore.

La bellezza è ciò che ci affranca dal dolore del limite, una sorta di finestra sull’infinito.

Ci ristabilisce nell’ordine e nell’armonia del creato, ovvero riflette quest’armonia dentro di noi.

L’incanto di un cielo stellato ne è l’espressione più emblematica.

Ma può essere un lavoro ben fatto, un sorriso di bimbo.

È qualcosa che esclude il senso del ‘mio’, perché il contemplare non è possedere ma partecipare.

Per questo desideriamo trasmetterne ad altri l’esperienza.

Uno dei caratteri essenziali dell’amico è che vede il bello dove lo vediamo noi.

La condivisione del piacere eccita una dilatazione dell’essere, un’amplificazione della coscienza.

E viceversa, chi non aderisce alla nostra visione estetica, provoca in noi un penoso disagio.

Considerazioni inattuali, si potrebbe dire.

 Da un lato per il discredito di cui soffrono oggi i temi metafisici, dall’altro per una diffusa inettitudine ad apprezzare l’inutile.

Tutto per noi deve avere uno scopo.

Diceva Nietzsche: «abbiamo l’arte per non morire di verità» ma io direi piuttosto per non soccombere all’utilità.

La bellezza è fine a sé stessa, quindi è libera.

Questo la rende invisa alla politica e all’economia.

Non ha causa, e questo la rende incomprensibile alla scienza.

Dobbiamo perciò adeguarla ai nuovi bisogni.

Dopo la morte degli Dei e il declino di ogni filocalia spirituale, è la tecnologia a prometterci la salvezza.

La questione si sposta così dall’estetica alla tecnica, l’artista cede il posto all’ingegnere.

Avocando a sé ogni potere incantatorio e salvifico, il progresso ha prodotto nell’arte una profonda crisi di identità, portandola a vergognarsi dei suoi tratti metafisici, inadatti a competere con la forza di numeri, dati, bilanci.

Se la scienza incarna ‘la verità’ e la tecnologia ‘l’utilità’, l’arte non può sentirsi che falsa e inservibile.

Oppure tentare di farsi anch’essa razionale, dimostrativa, funzionale.

Questa crisi è riconoscibile nel rapido disgregarsi dei suoi linguaggi, nel teorizzare un’arte concettuale, i cui contenuti pedagogici, didascalici, sociologici, dovrebbero giustificare la sgradevolezza delle sue forme.

 Si separa così la bellezza dalle sue inconsce radici, dal suo elemento dionisiaco e irrazionale, a favore di un moralismo estetico, ostile a ogni godimento che non sia puramente cerebrale.

È un’arte di cose nate morte, in cui non si sente battere il cuore dell’artista.

Del resto, «più il mondo è terrificante più l’arte diventa astratta» diceva Klee.

Nel suo lavoro “Al di là del principio del piacere” Freud descrive un bambino di 18 mesi che, quando la mamma è assente si trastulla lanciando lontano un rocchetto di cui tiene in mano il filo, facendolo scomparire per poi ritirarlo a sé.

Ci si chiederà cosa c’entri questo con la bellezza.

Ora, secondo Freud, questo gioco rappresenterebbe il tentativo di superare la frustrazione dell’abbandono.

Il rocchetto diviene simbolicamente la madre che, tirando il filo, ritorna e calma la solitudine del bimbo.

Tuttavia, questo espediente sarebbe inefficace se il bimbo non sapesse illudersi. Questa illusione è anche l’essenza dell’arte, del suo potere di consolarci con presenze simboliche.

 È un gioco di prestigio che implica una scissura nella coscienza, tra l’io-mago, che conosce il trucco, e l’io-spettatore che si lascia ingannare.

È stupefacente, ad esempio, come la musica possa offrirci una mimesi dell’animo umano, rappresentarne tutti gli stati – gioia, riso, dolore, paura, ira, eroismo ecc.

Rappresentandoli in forma simbolicamente evocativa, pone una rassicurante distanza tra noi e i movimenti tellurici o gli sperdimenti dell’anima.

Possiamo calarci in estasi erotiche, in impeti guerrieri, restando immobili, come quando sogniamo.

Anche le scene più terribili possono essere esteticamente godute, come quando ammiriamo da lontano la bellezza di una tromba marina o di un’eruzione vulcanica.

La musica, in fondo, è un’evoluzione incredibilmente raffinata di quel gioco fatto di distacchi-ritorni della madre, alternanza di appagamento e frustrazione, fame e sazietà.

Il movimento del rocchetto si trasforma nel rapporto armonico tra toni tensivi e distensivi, accordi dissonanti e consonanti.

 Ci mostra come la bellezza dipenda dall’interazione e dall’equilibrio di forze contrapposte.

 La vita con le sue contraddizioni è calata in un ordine ideale di simmetrie e geometrie, in un procedere di tesi e antitesi volto a sempre nuove riconciliazioni dell’essere.

Talvolta la distensione armonica viene differita con esasperante ritardo, passando da dissonanze a nuove dissonanze, senza trovare soluzione.

 Accade nella Morte di Isotta:

la fame erotica, eccitazione inappagabile, si consuma solo nella statica consonanza degli ultimi accordi.

Estinzione del desiderio, Nirvana, unica sazietà possibile.

Se questa contrazione si fa costante e insolubile, diviene elemento unico e radicale del discorso, si produce infine un rifiuto della dialettica armonica.

Così, nella dodecafonia non è più possibile alcun risolversi psicologico.

La dissonanza non prepara un appagamento.

Tutto è dissonanza, tensione senza rilascio, frammentazione della linea melodica, algida combinazione seriale.

L’ascoltatore perde i suoi riferimenti sintattici perché gli vien tolto il familiare linguaggio della tonalità e delle sue funzioni naturali.

È lo stesso disorientamento che ci coglie di fronte alla sovversione di un ordine sessuale e affettivo, alla soppressione di una ritualità sociale.

 E paradossalmente, il procedere intellettualistico del discorso sembra farci cadere nel caos, la sua preordinata razionalità induce un pessimismo senza sbocchi.

Perciò, istintivamente, rifiutiamo a quest’arte l’epiteto di ‘bella’.

Perché è puramente problematica, non ci nutre, delude una nostra aspettativa fisiologica.

 È repulsiva per coerenza con sé stessa, perché nel suo ipertrofico illuminismo rifiuta d’essere cibo, consolazione.

È specchio di un mondo stretto negli spasimi del suo “spirito di geometria”, che non riconosce più le ragioni del cuore.

Le sue irriducibili dissonanze ci chiudono in un labirinto senza uscita, in cui possiamo solo girare su noi stessi.

È proprio quest’arte senza trascendenza – e quindi senza speranza – a mostrarci la disperazione della nostra società, l’impotenza della razionalità e della tecnica a salvare l’uomo.

Perciò assistiamo a un rapido disfacimento del bello.

Il Brutto cola ovunque come una scoria melmosa, sulle nostre città, sulla cultura, la politica, la medicina, l’informazione.

 La bellezza si è ridotta a messaggio commerciale, utile a promuovere un prodotto, o si è fatta distrazione superficiale, rumore di sottofondo che cerca non di confortare ma di coprire il dolore.

 Le drammaturgie dei media ci offrono insignificanti catarsi, nei diversivi della Rete troviamo le nuove illusorie sublimazioni del dolore.

La crisi della bellezza è anche crisi del dialogo tra noi e gli altri, o con noi stessi. Perché il senso della Bello ha bisogno di lente e laboriose masticazioni, e forse niente gli nuoce quanto l’accelerazione e la bulimia dei nostri processi di comunicazione, questo inghiottire compulsivo e frettoloso.

 Che invece d’esser nutrimento provoca un vomito inarrestabile di immagini e messaggi, faccine ammiccanti, automatici “mi piace”, finti stupori e meraviglianti banalità.

Inganniamo la nostra fame con simulazioni di realtà, con gli artifici di una società sterile, che non crea più nulla perché si crede capace di creare tutto, anche l’uomo.

Piani, progetti, non sappiamo far altro!

Ma la bellezza non può essere oggetto di un disegno razionale e di una modulistica.

Né può uscire da una tecnica, come Venere dalle acque.

Non è il frutto dei nostri programmi ma un dono che matura nell’attesa.

 È un mistero, e viene a noi liberamente, cibo benedetto che rigenera le cellule, riordina i tessuti, alimenta la vita.

Dunque, la bellezza salverà il mondo?

Ma come lo può salvare?

Il presente non sa creare bellezza.

A sfamarci resta solo la bellezza di un mondo sempre più lontano, cornucopia riempita dal genio dei secoli passati.

Resta quella natura che ancora sfugge all’azione soffocante del progresso.

La grazia di ciò che ancora spontaneamente nasce e cresce, nutrito da oscure virtù. E se infine nel mondo non rimarrà una briciola di bellezza, ci salverà l’autotrofismo.

Per cibarci dovremo attingere a una bellezza interna, fare di noi stessi un’opera d’arte.

 

 

 

A New York Lavrov spariglia il mazzo.

  Ariannaeditrice.it - Pepe Escobar – (30/04/2023)

(Come Don Chisciotte)

 

Immaginate un vero gentiluomo, il più importante diplomatico di questi tempi difficili, in totale padronanza dei fatti e dotato di un delizioso senso dell’umorismo, che si lancia in una pericolosa passeggiata sul lato selvaggio, per citare l’iconico “Lou Reed” , e ne esce indenne.

In effetti, il momento newyorkese del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov – come i suoi due interventi davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 24 e il 25 aprile – ha rappresentato l’equivalente diplomatico di far crollare una casa.

 Almeno le parti della casa abitate dal Sud globale – o dalla “Maggioranza globale”.

Il 24 aprile, durante la 9308esima riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con all’ordine del giorno “Mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, multilateralismo efficace attraverso la protezione dei principi della Carta delle Nazioni Unite”, è stato particolarmente rilevante.

Lavrov ha sottolineato il simbolismo della riunione che si svolge nella “Giornata internazionale del multilateralismo e della diplomazia per la pace”, ritenuta molto significativa da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2018.

Nel suo preambolo, Lavrov ha osservato come

“tra due settimane celebreremo il 78° anniversario della Vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. La sconfitta della Germania nazista, alla quale il mio Paese ha dato un contributo decisivo con il sostegno degli Alleati, ha posto le basi per l’ordine internazionale del dopoguerra. La Carta delle Nazioni Unite ne è diventata la base giuridica e la nostra stessa organizzazione, incarnando un vero multilateralismo, ha acquisito un ruolo centrale e di coordinamento nella politica mondiale “.

Beh, non proprio.

E questo ci porta alla vera e propria passeggiata sul lato selvaggio di Lavrov, che ha evidenziato come il multilateralismo sia stato calpestato.

 Ben oltre i torrenti di denigrazione dei soliti sospetti e il loro tentativo di sottoporlo a una doccia gelata a New York, o addirittura di confinarlo nel congelatore geopolitico, Lavrov ha prevalso.

Facciamo una passeggiata con lui nell’attuale terra desolata.

Signor Lavrov, lei è la star dello spettacolo.

 O la nostra strada o l’autostrada:

Quella “dell’ordine basato sulle regole”:

Il sistema ONU-centrico sta attraversando una profonda crisi. La causa principale è stata il desiderio di alcuni membri della nostra organizzazione di sostituire il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite con una sorta di “ordine basato sulle regole”.

 Nessuno ha visto queste “regole”, non sono state oggetto di negoziati internazionali trasparenti.

 Sono inventate e utilizzate per contrastare i processi naturali di formazione di nuovi centri di sviluppo indipendenti, che sono una manifestazione oggettiva del multilateralismo.

Si cerca di contenerli con misure unilaterali illegittime, tra cui l’interruzione dell’accesso alle moderne tecnologie e ai servizi finanziari, l’estromissione dalle catene di approvvigionamento, la confisca delle proprietà, la distruzione delle infrastrutture critiche dei concorrenti e la manipolazione di norme e procedure universalmente concordate.

 Il risultato è la frammentazione del commercio mondiale, il collasso dei meccanismi di mercato, la paralisi dell’OMC e la definitiva, già senza maschera, trasformazione del FMI in uno strumento per raggiungere gli obiettivi degli Stati Uniti e dei suoi alleati, compresi quelli militari “.

 

Distruggere la globalizzazione:

 

“Nel disperato tentativo di affermare il proprio dominio punendo i disobbedienti, gli Stati Uniti hanno continuato a distruggere la globalizzazione, che per molti anni è stata esaltata come il bene più alto di tutta l’umanità, al servizio del sistema multilaterale dell’economia mondiale.

Washington e il resto dell’Occidente, che si è sottomesso ad essa, usano le loro ‘regole’ ogni volta che è necessario per giustificare passi illegittimi contro coloro che costruiscono le proprie politiche in conformità con il diritto internazionale e rifiutano di seguire gli interessi egoistici del ‘miliardo d’oro’.

 I dissidenti vengono messi nella lista nera secondo il principio: ‘Chi non è con noi è contro di noi’.

Per i nostri colleghi occidentali è stato a lungo ‘scomodo’ negoziare in formati universali, come l’ONU.

Per giustificare ideologicamente la politica di indebolimento del multilateralismo, è stato introdotto il tema dell’unità delle ‘democrazie’ in opposizione alle ‘autocrazie”.

Oltre ai ‘vertici per la democrazia’, la cui composizione è determinata dall’autoproclamato egemone, si stanno creando altri ‘club delle élite’, aggirando le Nazioni Unite”.

Giardino contro Giungla:

“Chiamiamo le cose con il loro nome:

 nessuno ha permesso alla minoranza occidentale di parlare a nome di tutta l’umanità.

È necessario comportarsi con decenza e rispettare tutti i membri della comunità internazionale.

Imponendo un ‘ordine basato su regole’, i suoi autori rifiutano con arroganza un principio chiave della Carta delle Nazioni Unite: l’uguaglianza sovrana degli Stati.

La quintessenza del ‘complesso di esclusività’ è stata la dichiarazione ‘orgogliosa’ del capo della diplomazia dell’UE, Josep Borrell, secondo cui ‘l’Europa è il giardino dell’Eden e il resto del mondo è una giungla’.

 Citerò anche la dichiarazione congiunta NATO-UE del 10 gennaio di quest’anno, in cui si afferma che ‘l’Occidente unito’ utilizzerà tutti gli strumenti economici, finanziari, politici e – faccio particolare attenzione – militari a disposizione della NATO e dell’UE per garantire gli interessi del ‘nostro miliardo’.

 

La ‘linea di difesa’ della NATO:

 

“Al vertice dello scorso anno a Madrid, la NATO, che ha sempre convinto tutti della sua ‘pacificità’ e della natura esclusivamente difensiva dei suoi programmi militari, ha dichiarato la ‘responsabilità globale’, la ‘indivisibilità della sicurezza’ nella regione euro-atlantica e nella cosiddetta regione indo-pacifica.

In altre parole, ora la ‘linea di difesa’ della NATO (come Alleanza difensiva) si sta spostando sulle sponde occidentali dell’Oceano Pacifico.

Gli approcci di blocco che minano il multilateralismo centrato sull’”ASEAN” si manifestano nella creazione dell’alleanza militare “AUKUS”, in cui vengono spinti Tokyo, Seul e alcuni Paesi dell’”ASEAN”.

Sotto gli auspici degli Stati Uniti, si stanno creando meccanismi per intervenire nelle questioni di sicurezza marittima con l’obiettivo di garantire gli interessi unilaterali dell’Occidente nel Mar Cinese Meridionale.

 Josep Borrell, che ho già citato oggi, ha promesso ieri di inviare forze navali dell’UE nella regione.

Non si nasconde che l’obiettivo delle ‘strategie indo-pacifiche’ è contenere la “RPC” e isolare la” Russia”.

 È così che i nostri colleghi occidentali intendono il ‘multilateralismo efficace’ nella regione Asia-Pacifico”.

 

Promuovere la democrazia:

Dalla seconda guerra mondiale, ci sono state decine di avventure militari criminali da parte di Washington – senza alcun tentativo di ottenere una legittimità multilaterale.

Perché, se ci sono ‘regole’ sconosciute a tutti?

La vergognosa invasione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2003 è stata condotta in violazione della Carta delle Nazioni Unite, così come l’aggressione alla Libia nel 2011.

Una grave violazione della Carta delle Nazioni Unite è stata l’interferenza degli Stati Uniti negli affari degli Stati post-sovietici.

Sono state organizzate ‘rivoluzioni colorate’ in Georgia e Kirghizistan, un sanguinoso colpo di Stato a Kiev nel febbraio 2014 e tentativi di prendere il potere con la forza in Bielorussia nel 2020.

 Gli anglosassoni, che guidano con sicurezza l’intero Occidente, non solo giustificano tutte queste avventure criminali, ma sbandierano anche la loro linea di ‘promozione della democrazia’.

Ma ancora una volta, secondo le proprie ‘regole’:

Kosovo – riconoscere l’indipendenza senza alcun referendum;

 Crimea – non riconoscere (anche se c’è stato un referendum);

non toccare le Falkland/Malvinas, perché lì c’è stato un referendum (come ha detto recentemente il ministro degli Esteri britannico John Cleverly).

È divertente”.

 

La geopolitica della ‘questione ucraina’:

“Oggi tutti capiscono, anche se non tutti ne parlano ad alta voce; non si tratta affatto dell’Ucraina, ma di come si costruiranno ulteriormente le relazioni internazionali: attraverso la formazione di un consenso stabile basato su un equilibrio di interessi – o attraverso la promozione aggressiva ed esplosiva dell’egemonia.

 È impossibile considerare la ‘questione ucraina’ separatamente dal contesto geopolitico.

Il multilateralismo presuppone il rispetto della Carta delle Nazioni Unite in tutta l’interconnessione dei suoi principi, come già detto.

La Russia ha spiegato chiaramente i compiti che persegue nell’ambito di un’operazione militare speciale:

eliminare le minacce alla propria sicurezza create dai membri della NATO direttamente ai nostri confini e proteggere le persone che sono state private dei loro diritti proclamati dalle convenzioni multilaterali, per proteggerle dalle minacce dirette di sterminio e di espulsione dai territori in cui i loro antenati hanno vissuto per secoli dichiarate pubblicamente dal regime di Kiev.

Abbiamo detto onestamente per cosa e per chi stiamo combattendo”.

 

Il Sud globale reagisce:

 

“Il vero multilateralismo nella fase attuale richiede che l’ONU si adatti alle tendenze oggettive nella formazione di un’architettura multipolare delle relazioni internazionali.

La riforma del Consiglio di Sicurezza deve essere accelerata aumentando la rappresentanza dei Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. L’attuale scandalosa sovra-rappresentazione dell’Occidente in questo principale organo delle Nazioni Unite mina il multilateralismo.

Su iniziativa del Venezuela, è stato creato il “Gruppo di Amici in Difesa della Carta delle Nazioni Unite”.

Chiediamo a tutti gli Stati che rispettano la Carta di aderirvi.

 È inoltre importante sfruttare il potenziale costruttivo dei “BRICS” e della” SCO”.

 L’UEEA, la CSI e la CSTO sono pronte a contribuire.

Siamo favorevoli a utilizzare l’iniziativa delle posizioni delle associazioni regionali dei Paesi del Sud globale.

 Anche il Gruppo dei Venti può svolgere un ruolo utile per mantenere il multilateralismo se i partecipanti occidentali smettono di distrarre i loro colleghi dalle questioni di attualità all’ordine del giorno, nella speranza di mettere in sordina il tema della loro responsabilità nell’accumulo di fenomeni di crisi nell’economia mondiale”.

 Chi sta infrangendo la legge?

Dopo questo conciso tour de force, sarebbe immensamente illuminante seguire ciò che Lavrov ha detto al mondo dal febbraio 2022, con un dettaglio coerente e straziante: i violatori seriali del diritto internazionale, nella storia contemporanea, sono stati l’Egemone e il suo misero gruppo di vassalli. Non la Russia.

 

Quindi Mosca aveva il pieno diritto di lanciare l’”SMO”, non avendo alternative.

E l’operazione sarà portata alla sua logica conclusione, come previsto dal nuovo concetto di politica estera russa pubblicato il 31 marzo. Qualsiasi cosa possa essere scatenata dal Collettivo Occidentale sarà semplicemente ignorata dalla Russia, che considera l’intera combinazione come un’azione al di fuori delle norme del diritto internazionale stabilite dalla Carta delle Nazioni Unite.

(Pepe Escobar è un analista geopolitico e autore indipendente)

 (strategic-culture.org/news/2023/04/27/mr-lavrov-new-york-shuffle)

 

 

 

 

Unrestricted warfare:

dall’iperguerra alla guerra illimitata.

 Ariannaeditrice.it - Matteo Parigi – (30/04/2023) – ci dice:

(ideeazione)

Nel febbraio del 1999 usciva per una casa editrice dell’esercito cinese un’opera dal titolo «Guerra senza limiti (超限)» destinata a segnare il corso del pensiero militare sino ai nostri giorni, oltreché suscettibile di influenzare il corso delle guerre future.

 Più precisamente, l‘opera scaturisce dalle riflessioni di “Qiao Liang (乔良) e “Wang Xiangsui” (王湘穗), due colonnelli dell’esercito cinese, operanti rispettivamente presso il dipartimento politico dell’aeronautica e presso il distretto militare aeronautico di Guangzhou.

 

Essi partono dalla constatazione che l’arte della guerra, soprattutto a partire dalla Guerra del Golfo, ha subito una rivoluzione.

Si manifesta, si combatte, deve essere pensata secondo logiche e modalità profondamente differenti da come l’abbiamo conosciuta fino ad ora.

Accanto alla guerra convenzionale tra uomini in carne ed ossa che si fronteggiano puntandosi a vicenda un fucile, vi sono forme più subdole, trasversali, più silenziose e allo stesso tempo più letali, che possono annientare il nemico in un battito di ciglia o al contrario conquistarlo intero e intatto in ossequio all’arte della guerra di Sun Tzu.

Ma la morale non finisce in questa constatazione, bensì nella consapevolezza finale che l’essere umano, per quanto si forzi di costruire la pace, non si dimostra in grado di terminare la guerra.

 Essa può essere addomesticata in alcuni suoi aspetti, ma è comunque destinata a rinascere in altre forme.

Scopo del presente studio è appunto quello di individuare questi molteplici sensi – come direbbe Aristotele – della guerra odierna, partendo dalle riflessioni e le teorie dei colonnelli “Qiao e “Wang”.

 

Dalla hyperwar all’unrestricted warfare.

Durante le operazioni “Desert Storm e “Desert Shield” nella Guerra del Golfo (1991) l’Iraq subì una disfatta senza precedenti.

 Le forze militari di Saddam Hussein capitolarono nell’arco di poche settimane, soverchiate dalla netta superiorità tecnologica occidentale, talmente avanzata da rendere possibile per gli americani la tattica “zero kills” (zero morti in casa).

 Fu una vera rivoluzione nella storia militare.

L’ex generale della marina statunitense “John Allen” coniò il termine “hyperwar” per descrivere il conflitto combattuto attraverso le nuove armi a guida autonoma:

missili Tomahawk guidati da intelligenze artificiali, satelliti spia a raggi infrarossi, missili Hellfire a guida laser, caccia Stealth F-117°, cacciabombardieri F-15E, F-111, F-16, aerei radar J-STAR;

nel deserto marciavano in contemporanea carri armati M-1A1, coadiuvati dal sistema radar computerizzato Q-37, dotati di un raggio d’azione doppio rispetto a quelli iracheni.

Le forze americane ed alleate poterono agire letteralmente indisturbati, telecontrollando le proprie armi da comode sale di controllo, senza dover sacrificare “our boys”.

A tutto ciò vanno poi aggiunti i rinforzi alleati del Patto Atlantico e dell’ONU;

le pressioni delle istituzioni internazionali, insieme alle contromisure degli stati, i quali non si sono posti troppe riserve nell’attuare embarghi a danno dei civili;

 una mobilitazione mediatica che ha visto le agenzie di stampa nell’unanime impegno di creare una narrativa a danno del regime di Saddam Hussein.

La velocità d’esecuzione, la potenza delle tecnologie impiegate, la vasta mobilitazione internazionale e la letalità delle contromisure economiche hanno posto all’attenzione dei cinesi e delle altre potenze la seguente domanda: come difendersi ed allo stesso tempo portare avanti una guerra contro un nemico militarmente ed economicamente così potente?

Ivi risiede il concetto di Guerra illimitata (unrestricted warfare): la guerra non va più intesa unicamente nel suo significato classico, ossia un conflitto armato tra governi nazionali, nel corso del quale almeno 1000 persone siano uccise.

Nel suo senso più ampio la guerra si può – e di fatto si svolge – su innumerevoli campi di battaglia, del tutto insospettabili ed apparentemente lontani dalla semantica dei conflitti.

 Esperti economici, finanzieri e banchieri hanno oggi la capacità di provocare crisi economiche a danno di intere regioni globali;

un hacker informatico potrebbe causare il blackout della rete elettrica o mandare in tilt le infrastrutture vitali di un paese;

un comune cittadino può diffondere su internet materiale diffamatorio o mettere pressione per influenzare un determinato individuo;

 i gruppi terroristici sono diventati l’incubo degli stati sovrani, eppure lo squilibrio di forze e risorse tra le parti è incommensurabile.

La questione coinvolge anche le stesse istituzioni adibite a risolvere i conflitti:

organizzazioni internazionali quali l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale, le ONG.

 Nessuno sfugge alle crudeli “conseguenze della pace” come direbbe Keynes.

“Qiao” e “Wang” hanno individuato ben 24 metodi operativi classificati in tre macroinsiemi; la costante in ciascun elemento è “guerra”.

 

 

Inoltre, ciò che accomuna i differenti ambiti bellici sono i seguenti «princìpi essenziali» comuni, l’essenza stessa di una guerra senza limiti:

 

    Onnidirezionali: osservazione, pianificazione e intervento a 360°.

    Sincronia: conduzione di azioni in spazi diversi nello stesso arco temporale.

    Obiettivi limitati: definizione dell’azione entro un raggio accettabile per i mezzi disponibili

    Mezzi illimitati: tendenza ad un impiego illimitato di mezzi e criteri, ma ristretto al raggiungimento dello scopo.

    Asimmetria: contorni dell’equilibrio

    Consumo minimo: utilizzo della minor quantità possibile di risorse.

    Coordinamento multidimensionale: scelta ed assegnazione di tutte le forze che possono essere mobilitate.

    Controllo e correzione dell’intero processo.

 

Le guerre di oggi prevedono la combinazione di due o più metodi operativi.

La scelta il più delle volte è dettata dalle circostanze, ma di fatto rimane a discrezione delle strategie, della fantasia tattica dei guerrieri.

Ad ogni modo, la vera abilità sta nella capacità di sapersi spingere al di là dei limiti imposti dalle convenzioni militari. Muta il concetto stesso di campo di battaglia:

 esso è di per sé ovunque, in qualsiasi ambito.

 Non vi sono delle leggi fisse o delle combinazioni sempre perfette; la vittoria dipende dalle singole circostanze, nonché infiniti altri fattori.

Gli autori, dopo aver passato in rassegna i successi storici di alcuni tra i maggiori strateghi militari classici sono giunti alla conclusione che in generale vince chi ha saputo ottenere la giusta combinazione.

La guerra asimmetrica tra gli Stati Uniti e Bin Laden, per citare alcuni esempi, ha visto la guerra di terrorismo nazionale combinarsi con quelle di intelligence, finanziaria, normativa e di network.

La guerra in corso tra l’Ucraina, coadiuvata dall’intero occidente atlantico e la Russia, presenta la stessa identica essenza di guerra illimitata:

 abbiamo infatti visto l’intervento economico da parte dell’Unione Europea a sostegno degli ucraini + sanzioni finanziarie da parte delle istituzioni finanziarie mondiali + sanzioni politiche targate ONU + sentenze giudiziarie ad opera del Tribunale Penale Internazionale contro Putin, insieme ad una gigantesca guerra di propaganda mediatica da ambo i lati e innumerevoli altri metodi operativi tra i già citati (deterrenza atomica, elettronica, psicologica, diplomatica ecc.).

 ONU, Tribunale Penale Internazionale, Meccanismo finanziario “SWIFT”, Unione Europea:

seguendo la dottrina dell’”unrestricted warfare” sono tutte parti in causa di guerre combattute attraverso armi non convenzionali, ma ugualmente letali.

 Ogni veto politico, ogni hackeraggio, ogni università straniera, ogni dazio pagato dal nemico è un proiettile sparato.

Non a caso i colonnelli cinesi definiscono soldati sia “Shoko Asahara”, terrorista giapponese, che “George Soros”, squalo della finanza mondiale.

 

Il terrorismo e la guerra asimmetrica.

Il terrorista rappresenta per antonomasia il combattente di una guerra asimmetrica: un conflitto tra avversari sulla carta nettamente impari.

Tuttavia, un gruppo terroristico, a differenza di uno Stato sovrano, non ha di per sé scrupoli ad infrangere regole internazionali (anzi, spesso è lo scopo del terrorismo), non si sentono vincolati al rispetto di regole in trincea;

pertanto, sono più propensi ad attuare misure non ortodosse, in particolare l’uccisione di civili.

Il terrorismo utilizza la carta del diritto come un’arma contro lo stato o l’organizzazione nemica.

 Al-Baghdadi se ne frega delle convenzioni a tutela dei beni culturali quando decide di deturpare Ninive e Palmira.

Anzi, l’ISIS utilizza la carta dell’illegalità per lanciare un messaggio al mondo, o comunque a più orecchie possibili.

Per lo stato è impensabile combattere con le stesse armi, qui non funziona la tattica dello spegnere il fuoco col fuoco.

 Inoltre, uno stato detiene un enorme arsenale rispetto a dei ribelli terroristi, ma proprio per tale motivo i terroristi si vedono bene dal fronteggiare direttamente il nemico statuale;

pertanto, l’ingente monopolio della forza diventa inutile, se non addirittura controproducente.

Servono altri metodi operativi, quali i mezzi d’intelligence, la guerra psicologica, finanziaria… Impossibile ricorrere ai metodi operativi di carattere strettamente militare.

La setta religiosa Aum Shinrikyo dal 1994 al 1995 terrorizzò il Giappone mediante attentati presso stazioni e metropolitane, disperdendo gas sarin e acido cianidrico tra i civili, mietendo complessivamente decine di vittime.

La loro strategia era esattamente quella di scegliere vittime e luoghi pubblici in modo da confondere le inferenze della polizia.

 A differenza di “Al-Baghdadi”, il leader giapponese “Shoko Asahara” non proveniva dall’esercito, non aveva un ruolo militare.

Le sue azioni provengono dal pensiero di un intellettuale, che non desta il minimo sospetto sulle capacità letali che ha poi dimostrato.

 Contro un pericolo di tale natura, il lavoro delle forze dell’ordine è delicatissimo, in proporzione al grado di importanza che viene data alla democrazia e ai diritti civili.

Il mantenimento di una società democratica pone infatti ulteriori responsabilità alle istituzioni pubbliche.

Al contrario, sarebbe sicuramente più facile per un regime profondamente autoritario intervenire con misure repressive.

 Il terrorismo utilizza metodi limitati per condurre una guerra illimitata. Il problema dello Stato è esattamente l’opposto.

 

I soldati della finanza.

Le potenzialità distruttive di una crisi commerciale o finanziaria dovrebbero essere note più o meno a chiunque sia vivo da almeno vent’anni.

 Non a caso il grande classico sull’arte della guerra di “Sun Tzu” viene insegnato e fatto leggere in molte scuole di “corporate finance management.

Pochi funzionari di banche o squali della finanza sono in grado di destabilizzare intere regioni del globo.

Uno dei più noti ed importanti, tuttora in azione, è l’ungherese ashkenazita George Soros.

Nell’estate del 1992, ad un anno dalla futura stipula del trattato di Maastricht, venne stabilito sulla scia del rapporto Delors che gli stati membri dell’allora Comunità Europea dovessero adattarsi alla banda stretta delle oscillazioni (precisamente al livello del 2,5% rispetto alla parità).

La notizia fu di per sé un invito a nozze per gli speculatori finanziari ad approfittare dell’imminente svalutazione monetaria che sarebbe avvenuta per forza di cose nei paesi europei membri del sistema.

Soros non si fece scappare l’occasione e speculò sia sulla sterlina inglese che sulla lira italiana, tanto da ottenerci un guadagno plurimiliardario e dall’altro lato causando una crisi drammatica nei rispettivi paesi, tanto che nel settembre dello stesso anno uscirono dal Sistema Monetario Europeo.

A Londra quella speculazione viene tutt’oggi ricordata come il “mercoledì nero”, mentre in Italia quell’estate – non a caso – altri samurai dell’economia come Mario Draghi, Ciampi ed Andreatta stavano pianificando il futuro smembramento del patrimonio pubblico italiano.

I grandi detentori di capitali, le agenzie di rating, burocrati e banchieri possiedono nelle loro mani armi infinitamente più pericolose per le sorti di intere nazioni rispetto ad un carro armato Leopard.

 Nel mondo globalizzato odierno un presentimento (sentiment) di crisi economica in una regione, presso una banca o un settore può instaurare una fuga di capitali in grado di mettere in ginocchio un governo.

L’apertura alla mobilitazione dei capitali, infatti, può sia attirare investimenti utili dall’estero sia farli scomparire immediatamente con tutte le conseguenze disastrose che ne derivano.

Grossi agenti finanziari come “Soros” utilizzano volontariamente grossi capitali per mettere in crisi Stati o governi ostili ai propri interessi, ed allo stesso tempo influenzarne altri.

Sempre “Soros” negli anni Novanta fu tra i responsabili, insieme ai funzionari del “Fondo Monetario Internazionale”, della forte crisi economica che mise k.o. le c.d. tigri asiatiche.

 Paesi come Corea del Sud, Malesia, Thailandia, Indonesia erano all’epoca le economie più promettenti.

Tuttavia, l’FMI si intromise nella gestione delle rispettive politiche, persuadendo i governi a adottare le proprie raccomandazioni economiche sulla scia del c.d. “Washington Consensus”, soprattutto in ambito di liberalizzazione del mercato, ristrutturazione aziendale e rivalutazione monetaria.

Paesi come la Corea del sud e la Malesia di “Mahathir”, meno propensi ad accogliere le politiche delle agenzie straniere occidentali, riuscirono a non capitombolare del tutto e continuare a crescere nel lungo periodo; Indonesia e Thailandia invece non resistettero all’infiltrazione dell’FMI guidato da “Camdessus” e subirono una crisi devastante:

nel 1998 l’Indonesia è rimasta con il 75% delle aziende in sofferenza, una caduta del PIL del 13,1% ed una conseguente guerra civile;

la Thailandia ha visto scendere la propria produzione del 10,8% insieme al 50% dei prestiti bancari insolventi.

Numeri del genere sono solitamente causati da bombardamenti ripetuti e guerre armate di logoramento.

Dal 2008 abbiamo vissuto anche in occidente il crack dell’economia globale, iniziato da una crisi immobiliare negli Stati Uniti.

 Anche lì, azioni di funzionari in giacca firmata e cravatta, presso agenzie di rating hanno fatto il bello e cattivo tempo della salute finanziaria globale.

 I burocrati di “Moody’s S&P”, “Mackinsey” hanno poi utilizzato le armi delle valutazioni obbligazionarie per sovvertire governi democraticamente eletti e ricattare stati sovrani.

Lo abbiamo visto in Italia durante l’ultimo governo Berlusconi, cacciato in fretta e furia affinché cedesse il posto al governo delle riforme neoliberiste di Mario Monti (il governo di Berlusconi è risultato vittima di un attacco combinatorio fortemente finanziario + mediatico).

 Così come la Grecia di Tzipras, passato nel giro di un anno dai programmi per uscire dall’UE al default economico che ha fatto a pezzi il paese, provocando carestie e morti.

A conferma che i mercati finanziari sono la più grande minaccia alla pace] va ricordato che l’ex cancelliere tedesco Hellmuth Kohl utilizzò il marco tedesco per abbattere il muro di Berlino.

“Soros” finanzia tuttora ONG, agenzie di stampa, think tank politicamente attivi;

la sua “Open Society Foundation” ha finanziato gruppi di rivoltosi ed esperti politologi per sovvertire regimi a lui ostili.

 Ci sono i suoi capitali dietro alle proteste di piazza Maidan, da cui è iniziata la lunga guerra tra Kiev e russi nel Donbass.

 Oggi le sue finanze continuano foraggiare le truppe asimmetriche dei vari “Azov”,” Pravy Sektor” e “Svoboda” mandando al macello centinaia di migliaia di giovani ucraini.

 

E la guerra commerciale?

Anch’essa risponde alle fredde, crude logiche belliche universali. Tuttavia, una differenza importante risiede nei soggetti coinvolti: solitamente una guerra commerciale riguarda due stati o regioni economiche (come l’Unione Europea o gli stati del NAFTA);

 il conflitto si svolge al livello della c.d. alta politica, ossia al rango della politica estera tra enti politici statuali.

Si adottano dazi, sanzioni economiche, sussidi per l’esportazione al fine di danneggiare l’hostis sul campo di battaglia economico.

 Ma è già stato visto che i danni si ripercuotono sulla vita stessa dei singoli cittadini, tanto che un dazio sulle importazioni di un certo bene, come quelle sui prodotti cinesi adottati dal governo americano di Trump, possono interrompere la fonte di guadagno di molte aziende cinesi che vivono di export e magari solo di quello con gli Stati Uniti.

Così, si mandano comuni lavoratori di un paese sul lastrico.

I signori della guerra non portano uniformi e baionette, bensì manuali di diritto internazionale e commerciale.

Cyberwarfare e guerra psicologica.

Sopra è stato appena accennato alle due forme “classiche” metodi operativi per guerre illimitate – il terrorismo e la finanza – utilizzate per conseguire gli obiettivi in una guerra asimmetrica.

Ma nel mondo iper moderno riguardano soltanto una piccola fetta dei campi ove i conflitti si instaurano.

Non soltanto squali della finanza come Soros o leader carismatici alla guida di gruppi terroristici.

Anche un ragazzo dotato d’inventiva e un notebook tra le mani sono tranquillamente in grado di inserirsi nei sistemi informatici di un ufficio pubblico e mettere in pericolo l’apparato informativo pubblico.

 Come già anticipato il c.d. cyber warfare ha la massima priorità nell’arte del muovere battaglia.

Le modeste risorse necessarie e, al contrario, l’entità estrema dei danni che un attacco hacker può causare, rende la domanda di questi nuovi soldati informatici in aumento esponenziale.

 Nel 2007 l’Estonia subì un forte cyber attack, il quale causò un temporaneo collasso del paese, mise k.o. i servizi essenziali, bloccò le transizioni bancarie.

Nel 2010 un attacco virus denominato “Stutnex” mandò in tilt la centrale nucleare iraniana di Natanz.

Entrambe le situazioni presentano un minimo comune denominatore: minimo investimento (mezzi informatici comuni) massima resa (compromissione di infrastrutture vitali; ampiezza nazionale).

Negli ultimissimi anni inoltre vanno aggiunte “le guerre psicologiche” attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di massa.

Siamo ad un punto ormai nel quale ciascuno di noi, se dotato di uno smartphone, è già di per sé, consapevole o no, volente o nolente, un potenziale soldato.

 Più precisamente, lo smartphone che teniamo in mano è un’arma capace di infiltrarsi panopticamente nelle vite di tutti.

Il nemico oggi, che sia un’azienda in cerca di dati o il collega di lavoro rivale, ci entra dentro casa.

Una famiglia preoccupata per l’accessibilità dei propri figli alle influenze del mondo esterno non può più contare sula sicurezza delle mura domestiche.

Al contrario, i proprietari dei mezzi di diffusione simbolica ci colpiscono nella psiche dalla mattina alla sera.

Attraverso i mezzi di comunicazione smart siamo perennemente attaccati dai segnali provenienti da pubblicità, siti di (dis)informazione, annunci, video di propaganda, musica commerciale ecc.

Il tutto correlato per necessità causale al controllo orwelliano delle nostre vite.

Big Data è la nuova posta in gioco e i mezzi tecnologici impiegati hanno una pervasività talmente capillare da far impallidire i regimi totalitari del Novecento.

Un’altra caratteristica degna di nota di questa nuova guerra asimmetrica è la sproporzione mastodontica tra gli attori in campo:

 da una parte colossi plurimiliardari che danno filo da torcere agli stati sovrani,

dall’altra comuni cittadini spesso del tutto inconsapevoli di essere oggetti, per non dire vittime, di questo biopotere.

 Jeff Bezos, Bill Gates, Marck Zuckerberg, Elon Musk ecc. rientrano a pieno diritto tra le file dei soldati sul campo di una guerra psicologica per il “controllo dei cuori e delle menti”, come veniva descritta la dottrina del contenimento alle origini della guerra fredda.

Tutti noi siamo in quanto individui:

Combattenti inferiori di una guerra verticale asimmetrica, contro “poteri pubblici o corporativi”.

 

Combattenti di pari grado in una guerra illimitata orizzontale; ciascun individuo in quanto singolo contro l’altro/i singolo/i

Un altro dettaglio, già anticipato, caratteristico delle guerre illimitate riguarda il venire meno della distinzione tra militare e civile.

I confini tra tecnologia o mentalità militare e civile risultano rarefatti.

Zhang Yiming”, il fondatore di “Tik Tok”, si muove tra il mercato civile e l’utilizzo dei dati ottenuti da parte del governo per scopi di intelligence],

così come dal caso “Cambridge Analytica” emerse che Facebook utilizzava i dati per finalità politiche.

Tra l’altro è emerso che la piattaforma di marchio cinese offre servizi personalizzati completamente diversi in patria rispetto al resto del mondo.

Un utente di “Tik Tok” a Los Angeles si ritroverà inizialmente inondato di contenuti spazzatura, senza niente di culturalmente utile;

 solitamente sono contenuti di puro intrattenimento artistico-popolare o di comicità demenziale.

 Al contrario, l’algoritmo offre ai cittadini cinesi contenuti più virtuosi, spesso di carattere motivazionale e patriottico, a valorizzare situazioni o personaggi che compiono azioni pubblicamente meritorie.

Il messaggio è chiaro:

la Cina cerca di attuare una guerra psicologica contro gli americani indebolendoli moralmente.

Gli avversari utilizzano le stesse piattaforme allo stesso identico scopo.

E va ricordato che le vittime e i carnefici non hanno divise o ak-47 in mano, ma – nella misura in cui sono i singoli individui i” content creator” – siamo tutti noi direttamente impegnati in trincea.

Conclusione.

Esistono infiniti modi di combinare i metodi operativi con i quali condurre le guerre odierne.

Non sono da meno le armi biologiche:

che cos’è stato il” covid-19” se non una bomba patogena, che sia stata rilasciata o che sia sfuggita di mano?

 Anche le direttive di organismi quali l’”OMS “vanno a destabilizzare il funzionamento delle macchine statali e di conseguenza delle nostre vite.

(L’OMS è di fatto di proprietà delle grandi multinazionali farmaceutiche 

che lo comandano tramite la corruzione sfrenata! N.D.R.)

 Se poi aggiungiamo il fatto che l’80% dei finanziamenti che l’”Oms” riceve provengono non dà stati, ma da aziende farmaceutiche private, gran parte di proprietà di Bill Gates, il dado è tratto.

I fatti recenti dell”’Azovstal” di “Mariuopol” hanno portato alla luce i bio laboratori ucraini nei quali venivano sperimentate armi biologiche di distruzione di massa.

 Per non parlare dell’ecologismo, di fatto una guerra climatica, con gli attivisti delle “ONG di Soros “impegnati a fare “moral persuasion” su governi e società civile affinché cambino politiche energetiche i primi e mentalità la seconda.

Anche qui, sarebbe da aprire un capitolo a parte sul rapporto tra scienza e guerra.

Per il momento è stato accennato alle modalità “classiche” – terrorismo, finanza, informatica – per condurre una guerra illimitata.

Parafrasando “Carl von Clausewit”z, non è la guerra ad essere la prosecuzione della politica, bensì il contrario: la politica è uno dei modi per proseguire la guerra con altri mezzi.

 Nonostante a costruzione di “istituzioni internazionali di pace” in seguito alla Seconda guerra mondiale, siamo ben lontani dal pensiero di una fine della storia che avrebbe realizzato un mondo senza conflitti.

L’atto ostile, il sasso lanciato, lo sguardo di sfida, il mobbing sul lavoro, la ricerca di consenso e il mantenimento dei propri interessi, fino alla difesa della propria nazione e la guerra ideologica mondiale per instaurare un “consensus”.

Sono tutti elementi connaturati alla natura umana, per lo meno dell’uomo moderno.

 L’animus dominandi come lo chiamava “Hans Morgenthau” conferma che i latini avevano ragione quando affermavano “si vis pacem para bellum”.

 

«La guerra è sempre il terreno della morte e della vita […] Anche se un giorno tutte le armi dovessero diventare completamente umane, una guerra meno cruenta in cui si possa evitare lo spargimento di sangue resterebbe pur sempre una guerra.

Forse se ne potrebbe modificare il processo efferato, ma non vi è modo di cambiarne l’essenza, che è un’essenza di coercizione, e dunque non è neanche possibile modificarne l’esito crudele».

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