La scienza politica contro il globalismo transumanista.
La
scienza politica contro il globalismo transumanista.
Pfizer
ha segretamente finanziato
i
governi per l'obbligo dei vaccini.
Vocidallastrada.org
– Alba Kan – (30 aprile 2023) – ci dice:
Il
gigante farmaceutico Pfizer finanziava segretamente gruppi di pressione che
spingevano i governi a introdurre obblighi di vaccino e passaporti draconiani,
secondo un nuovo rapporto bomba.
Il
rapporto, redatto dal giornalista investigativo Lee Fang, rivela che Pfizer ha
finanziato in segreto diversi gruppi che sostenevano l'obbligatorietà dei
vaccini e dei passaporti.
Il
vaccino COVID-19 di Pfizer è uno dei più utilizzati al mondo.
In
base ai mandati vaccinali, le persone di tutto il mondo sono costrette a fare
il vaccino o rischiano di perdere il lavoro.
Nell'agosto
del 2021, la presidente della “Chicago Urban League”, Karen Freeman-Wilson, in
un'intervista televisiva, ha sostenuto che i vaccini obbligatori non
danneggerebbero in modo sproporzionato la comunità nera.
"Il
fattore salute e sicurezza supera di gran lunga la preoccupazione di escludere
le persone o di creare una barriera", ha dichiarato Freeman-Wilson.
All'inizio
dello stesso anno, la “Chicago Urban League” aveva ricevuto 100.000 dollari
dalla Pfizer.
Il
denaro sarebbe stato destinato a un progetto per promuovere la "sicurezza
e l'efficacia dei vaccini".
Parte
di questa "promozione" consisteva nell'esercitare pressioni sui
governi per introdurre obblighi tirannici sui vaccini.
L'organizzazione
non ha elencato Pfizer come donatore o partner sul suo sito web.
Freeman-Wilson
non ha menzionato il finanziamento nemmeno durante l'intervista.
La
sovvenzione della “Chicago Urban League” è uno dei tanti gruppi premiati da
Pfizer per promuovere e incoraggiare l'obbligo dei vaccini.
Il
gigante farmaceutico ha concesso sovvenzioni a organizzazioni per la salute
pubblica, gruppi per i diritti civili, gruppi di consumatori, medici e medici.
La
maggior parte di questi gruppi non ha rivelato i finanziamenti ricevuti da
Pfizer.
La
mancanza di trasparenza sulle sovvenzioni ha permesso a Pfizer di finanziare
segretamente gli sforzi per costringere il pubblico a utilizzare i propri
prodotti.
Nell'agosto
2021, il gruppo di vigilanza aziendale “National Consumers League” ha
annunciato il sostegno a "mandati governativi e dei datori di lavoro"
che richiedono la vaccinazione Covid.
L'annuncio
è arrivato più o meno nello stesso periodo in cui l'organizzazione ha ricevuto
una sovvenzione di 75.000 dollari da Pfizer per "sforzi di politica
vaccinale".
L'organizzazione
per la salute pubblica” Immunization Partnership”, con sede a Houston, ha esercitato
pubblicamente pressioni contro le proposte di legge introdotte in Texas volte a
vietare i passaporti vaccinali e i mandati vaccinali.
L'organizzazione
non ha rivelato che Pfizer le aveva dato 35.000 dollari all'inizio dello stesso
anno per "attività
di advocacy legislativa".
Uno
studio rileva i fattori alla base
dell'accettazione
della sorveglianza
biometrica
da parte di una società.
Vocidallastrada.org
– Alba Kan – (29 aprile 2023) – ci dice:
Vi
state chiedendo se i vostri vicini saranno favorevoli all'uso da parte del governo
della sorveglianza del riconoscimento facciale?
Un
nuovo studio condotto su quattro delle maggiori economie mondiali ha
individuato i fattori che influenzano l'accettazione da parte del pubblico
dello spionaggio domestico algoritmico.
Secondo
i ricercatori universitari svizzeri e tedeschi, un fattore particolarmente
importante è il grado di sacralità della privacy. Altri fattori influenzano
l'atteggiamento, tra cui le minacce terroristiche e l'affinità della cultura
con la tecnologia.
La
paura di un attacco terroristico, ad esempio, è un fattore più importante negli
Stati Uniti che in altre nazioni.
Ma
nelle quattro nazioni prese in esame, la privacy è stata l'elemento comune alla
base dell'approvazione o del rifiuto della sorveglianza biometrica da parte del
governo.
I
quattro Paesi studiati attraverso un sondaggio online sono stati Cina, Regno
Unito, Stati Uniti e Germania.
Il rapporto include interviste complete ad
alcuni intervistati in Cina e Germania.
È
stato finanziato dal “Consiglio europeo della ricerca”, un'organizzazione pubblica che
sostiene la ricerca nell'Unione europea, e dalla Fondazione nazionale svizzera
per la scienza.
I
ricercatori, della “Freie Universität di Berlino” e dell'”Università di San
Gallo”, in Svizzera, si sono detti sorpresi di vedere che gli intervistati in
Cina danno tanta importanza alla privacy personale.
Da
diverse generazioni i leader autocratici cinesi dicono ai loro cittadini che
condividono tutto, quasi come un imperativo genetico, con il Partito Comunista.
I
soggetti dello studio hanno espresso impotenza o rassegnazione, secondo il
rapporto.
Si aspettano che i loro dati biometrici e
altri dati personali vengano raccolti e utilizzati dalle aziende (vengono
citati “Alibaba” e il suo co-fondatore “Jack Ma”) e dal governo.
Uno
degli intervistati citati dai ricercatori avrebbe detto: "Le informazioni sono già
trapelate prima dell'arrivo della (tecnologia di riconoscimento facciale), e
sta ancora accadendo".
Le
risposte tedesche hanno affrontato il “tema della privacy” da una serie di
punti di vista, in particolare quello storico.
Tutti
sono cresciuti all'ombra del “governo paranoico di Adolf Hitler” e quelli dell'ex Germania dell'Est
dopo la guerra hanno ricevuto una seconda dose di “dittatura della sorveglianza”.
Ciononostante,
chi ha parlato con i ricercatori ha accettato di dare al governo centrale
l'autorità esclusiva (escludendo i governi locali e il settore privato) sul
riconoscimento facciale.
In alcune risposte si può sentire la
rassegnazione.
Secondo
il rapporto, un residente tedesco non teme la sorveglianza biometrica.
"Il
governo tedesco sa comunque tutto di me", ha detto l'intervistato.
"Sono completamente trasparente".
Il
fatto che il team di ricerca non abbia approfondito gli atteggiamenti degli
Stati Uniti potrebbe essere un riflesso dei sentimenti disparati e contrastanti
sull'uso del software di riconoscimento facciale da parte del governo (o
dell'industria).
(activistpost.com/2023/04/study-finds-factors-behind-a-societys-acceptance-of-biometric-surveillance.html)
Il
culto dell'apocalisse climatica.
Vocidallastrada.org
– (29 aprile 2023) – Alba Kan – Michael Crowley – ci dicono:
I
sostenitori dei Verdi non "seguono la scienza", ma promuovono una”
fantasia biblica”.
I
tempi della fine sono tornati ancora una volta.
L'ultimo
rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC),
pubblicato questa settimana, ha suscitato una reazione tipicamente apocalittica
nei media e non solo.
"È la nostra ultima possibilità di
limitare il riscaldamento globale prima che i danni del cambiamento climatico
diventino irreversibili", recitava un titolo.
"Agite
ora o è troppo tardi", è stata la valutazione misurata del “Guardian”.
Avrebbe
potuto dire: "Pentitevi peccatori, la fine è vicina".
Questa
sterzata verso una retorica quasi religiosa non è un caso isolato.
La
copertura del cambiamento climatico e l'attivismo mainstream sono ora dominati
dall'immaginazione apocalittica. In effetti, la convinzione che l'umanità stia affrontando una
possibile estinzione nel prossimo secolo o anche prima è al centro della
propaganda di “Extinction Rebellion” (XR) e del suo spin-off, Just Stop Oil.
Durante le interviste e, sempre più spesso,
nelle apparizioni in tribunale, gli attivisti si presentano come angosciati e
irritati dalla compiacenza dell'opinione pubblica.
Il
tempo sta per scadere, dicono freneticamente.
La
natura apocalittica di gran parte dell'”ambientalismo contemporaneo” non è un
semplice vezzo retorico.
Sembra strutturare il pensiero e le
prospettive degli attivisti.
Per capire perché “il pensiero apocalittico” sembra risuonare così fortemente
tra gli ambientalisti più accaniti, vale la pena di guardare alle origini
antiche, anzi bibliche, di questo pensiero - in cui sono state forgiate per la
prima volta fantasie di vendetta e la promessa di un mondo redento.
L'apocalisse
quindi...
Oggi
si tende a intendere l'apocalisse come un evento violento e definitivo, come il riscaldamento globale catastrofico.
Ma non è sempre stato così.
In
origine, apocalisse significava una rivelazione, una profezia di cose o eventi
sconosciuti che sarebbero apparsi a qualcuno in sogno, in visione o tramite gli
angeli.
La
credenza in una rivelazione, in un giorno di giudizio e in un successivo regno
di Dio, è precedente a Cristo e si trova nella letteratura persiana e
greco-romana, oltre che in quella ebraica e cristiana.
Questa trinità terminale - rivelazione, giorno
del giudizio e successivo regno di Dio - si diceva rispondesse ai peccati dell'umanità.
Nell'ultimo
libro del Nuovo Testamento, l'Apocalisse, sottotitolato "L'Apocalisse di
San Giovanni il Divino", l'apocalisse appare a un profeta.
Egli
prevede la vendetta di Dio su un mondo peccatore e morente.
L'ira di Dio culmina nell'Armageddon, una
battaglia finale tra il bene e il male.
È
riccamente simbolica, naturalmente.
Ma ci sono anche tracce del mondo letterale.
La parola Armageddon, ad esempio, si ritiene
derivi dall'antica città di Megiddo, un vecchio campo di battaglia nella pianura
settentrionale di Israele.
Questo
non è un aspetto secondario, ma fa parte del contesto politico che definisce
l'Apocalisse.
Dal
730 a.C. circa, gli israeliti hanno vissuto secoli di occupazione da parte di
siriani, persiani, greci e romani.
E
hanno anche combattuto per secoli.
In
effetti, Gesù avrebbe trascorso la maggior parte della sua vita nel teatro di
una delle più feroci rivolte di guerriglia della storia.
Ed è nel contesto di questa lotta onnipotente
che fiorì l'immaginazione apocalittica.
Il
culto del messia vendicativo", ha scritto lo studioso del Nuovo Testamento Bart
Ehrman, "era
radicato nella lotta pratica contro il colonialismo romano".
Secoli
prima di Cristo, gli israeliti iniziarono a sperare e a credere che un messia
sarebbe venuto a distruggere i colonizzatori.
Cristo
era solo uno di una serie di messia, e non era sempre favorevole a porgere
l'altra guancia - nel Vangelo di Luca, Cristo dice: "Chi non ha spada, venda la sua
veste per comprarne una".
Infatti,
Flavio Giuseppe, storico romano-ebraico del I secolo e leader militare,
affermava che Gesù era uno dei cinque capi ribelli ebrei vissuti tra il 40 a.C.
e il 73 d.C.
Egli
fu coinvolto nella prima guerra giudaico-romana (66-73 d.C.), che si concluse
con la distruzione di Gerusalemme e, secondo Giuseppe, con l'uccisione di un
milione di ebrei e la riduzione in schiavitù di quasi 100.000 altri.
La
sconfitta dei Giudei coincise con il completamento dei primi Vangeli, a partire
da Marco.
Secondo l'antropologo Marvin Harris, la vittoria
romana spinse i primi cristiani a negare che il loro culto fosse nato dalla "fede ebraica in un messia che
avrebbe rovesciato l'Impero romano".
Così
Gesù fu riconcepito come un pacifista e gli scritti di Paolo, convertito da
romano a cristiano, contribuirono a oscurare le origini messianiche ebraiche
del movimento di Gesù.
Ma
queste origini messianiche persistono chiaramente nell'Apocalisse.
L'ultimo
libro del Nuovo Testamento può essere letto come una fantasia di vendetta, come
una vendetta fittizia per la catastrofica sconfitta subita dagli israeliti per
mano dei Romani.
Quando l'Agnello aprì il quinto sigillo", si
legge in Apocalisse 6:9,
"vidi sotto l'altare le anime di coloro
che erano stati uccisi per la parola di Dio e per la testimonianza che avevano
reso. E gridavano a gran voce: "Fino a quando, o Signore, santo e verace,
vendicherai il nostro sangue e giudicherai gli abitanti della terra?".
Con la
diffusione del cristianesimo, si diffuse anche la fantasia dell'apocalisse, che
entrò nell'Islam nel Corano e negli Hadith.
Il grande pensatore cristiano Sant'Agostino
(354-430) sviluppò il tema apocalittico, calcolando che la fine del mondo
sarebbe avvenuta circa 300 anni dopo la sua vita.
In
seguito, vescovi, monaci, mistici e un papa fecero altre previsioni.
Nel
Medioevo, la Seconda Venuta era già in ritardo di mille anni, così alcune
fazioni cristiane decisero di cercare di realizzarla.
Questo
fu in parte l'impulso alla violenza sistematica delle Crociate.
Il
rinverdimento dell'apocalisse.
L'apocalittica
può essersi sviluppata parallelamente alla religione e al cristianesimo in
particolare.
Ma è persistito come modo di pensare tra
alcuni settori della società, anche quando l'influenza del cristianesimo è
andata scemando.
In effetti, man mano che le società sono
diventate più secolari, anche il pensiero apocalittico è diventato più
secolare.
Lo
vediamo oggi, soprattutto, nel caso dell'ambientalismo.
Perché
è lì che le proiezioni e le previsioni apocalittiche sono ormai di casa. L'ecologismo condivide con il suo
precursore biblico l'ossessione per i giorni del giudizio, la vendetta sui
malvagi e il sogno di un mondo redento.
Ma c'è
una differenza vitale tra l'apocalisse biblica e la sua iterazione verde.
Coloro
che saranno giudicati oggi non sono una parte dell'umanità peccatrice.
No,
sono tutta l'umanità.
E il
mondo redento sognato dagli attivisti del clima non è il regno di Dio promesso
dalle precedenti narrazioni apocalittiche.
È invece un regno della natura, che si oppone
nettamente all'umanità.
In breve, i tempi finali verdi equivalgono a
un'apocalisse molto anti-umana.
In
prima linea nella corsa agli armamenti delle profezie catastrofiche c'è “Extinction
Rebellion”.
Ogni
pagina del suo sito web elenca le dimensioni della crisi climatica e il
terribile impatto che lo sviluppo umano avrebbe sulla vita sulla Terra.
L'estinzione
a cui si riferisce il titolo del movimento non comprende solo la fauna
selvatica, ma anche l'umanità stessa.
Gli attivisti sostengono che la nostra
estinzione è solo a una generazione di distanza.
Si
tratta di un credo letteralmente senza speranza.
XR e i
suoi apocalittici non sembrano interessati al cambiamento climatico come sfida
pratica, come qualcosa che può essere affrontato con lo sviluppo tecnologico e
materiale, come i problemi ambientali sono stati mitigati in passato.
Al contrario, vedono il cambiamento climatico
come una forma di punizione necessaria.
Come
afferma il cofondatore di XR, Roger Hallam, in un post sul blog, i membri di XR
devono
"capire che la redenzione arriva solo attraverso
la sofferenza e che l'unica vita onorevole consiste nell'affrontare la
sofferenza con un atto di fede nel fatto che ci sarà un altro lato da cui
uscire, in uno stato di grazia".
Come
dimostrano queste parole, XR è effettivamente un culto apocalittico.
Ecco
perché la propaganda di XR ha più di un tocco di Apocalisse.
Un
video di XR del 2021 è intitolato "Consigli ai giovani che affrontano
l'annientamento".
Un
blogpost di Hallam inizia con "In questi tempi finali...".
Un altro esclama:
"Solo
quando ammetteremo la totale indigenza delle nostre anime in questo momento di
totale annientamento, inizieremo un viaggio di cui potremo essere orgogliosi,
indipendentemente dal risultato".
Queste
non sono le parole di un attivista politico.
Sono
le parole di un sedicente profeta.
I
manifestanti della “Extinction Rebellion” hanno organizzato un "die
in" davanti agli uffici di Glasgow della società di gestione patrimoniale
Mercer nel 2021.
Le
proteste dell'Extinction Rebellion si svolgono davanti agli uffici di Glasgow
della società di gestione patrimoniale Mercer nel 2021.
Il
cambiamento climatico rappresenta una sfida per l'umanità.
Ma
l'apocalittica verde non aiuta nessuno.
Ispira
il panico in coloro che vi aderiscono, soprattutto nei giovani.
Per loro il compito di svegliarci tutti, di
farci vedere quello che vedono loro, di rivelare l'imminente Armageddon.
Per loro, questa giusta missione ha la meglio
su tutto il resto.
E culmina in azioni sconsiderate e impulsive,
come salire sui piloni della M25 per bloccare il traffico.
Dopotutto, bisogna farci capire l'errore che
abbiamo commesso. E se non lo facciamo, meritiamo la punizione che sicuramente
arriverà.
L'incitamento
quasi religioso di Hallam è implacabile.
Dal
punto di vista di Hallam, non c'è altra scelta che pentirsi, cioè cercare di
far cadere il governo e fermare la vita moderna.
Questa
era la strategia apocalittica del suo partito politico, ormai defunto, “Burning
Pink”.
Tutto
ciò che è meno di questo è virtuosismo e postura", ha scritto in un post
sul blog del 2021, in cui ha anche denunciato le "élite riformiste"
per la loro "complicità... nell'omicidio di massa".
L'attivismo
zelante e irragionevole che questo tipo di pensiero promuove è già abbastanza
negativo.
Ma il secondo effetto di questo “apocalittismo ambientalista” è probabilmente ancora più dannoso.
Considerare
la storia umana e le conquiste dell'umanità come effettivamente peccaminose,
abominevoli e decadute non può che demoralizzare le persone. Contribuisce a un
più ampio pessimismo della società che compromette qualsiasi prospettiva di
cambiamento sociale positivo.
Lo si
può vedere nel modo in cui i politici tradizionali, nel tentativo di rendere
più brillanti le loro credenziali ecologiche, ora criticano la Rivoluzione
industriale.
Alla COP26 di Glasgow nel 2021, l'allora primo
ministro Boris Johnson dichiarò che gli innovatori britannici durante la
Rivoluzione industriale erano i primi responsabili del peccato climatico e che Glasgow era la fonte della
crisi climatica.
È
stato qui, a Glasgow, 250 anni fa, che James Watt ha ideato una macchina
alimentata a vapore, prodotta dalla combustione del carbone", ha detto
Johnson.
E sì,
amici miei, vi abbiamo portato proprio nel luogo in cui il dispositivo
dell'apocalisse ha iniziato a funzionare".
È così che ha scelto di descrivere
un'innovazione (il motore a vapore) che ha trasformato in meglio la vita di
milioni di persone, come fonte della nostra prossima rovina.
Non
c'è da stupirsi se alcuni eco-radicali sostengono che la Gran Bretagna dovrebbe
pagare un risarcimento per la Rivoluzione industriale, anche se si è trattato
di un gigantesco balzo in avanti non solo per i britannici, ma per l'umanità di
tutto il mondo.
Sia
l'ala radicale che quella d'élite della politica verde aderiscono alla narrazione
apocalittica che richiede una rottura assoluta con il passato - perché considerato così peccaminoso.
Data
questa denigrazione delle conquiste dell'umanità, non sorprende che gli
attivisti di “Just Stop Oil” siano felici di attaccare le opere d'arte canoniche, dagli
artisti del Rinascimento come Vermeer ai grandi del modernismo come van Gogh.
Per
questi eco-zealots, tutto ciò che l'uomo ha realizzato
è privo di valore, sotto la luce implacabile del prossimo giorno del giudizio.
Come
ai tempi della Bibbia, sembra che l'apocalisse verde stia giocando ancora una
volta il ruolo di una fantasia di vendetta.
Ma non
è più la fantasia di un popolo oppresso che vuole fare del male ai suoi
oppressori.
È la
fantasia di vendetta di una minoranza di attivisti (l’élite ricca globalista) che
vuole fare del male all'umanità - per non essere d'accordo con loro, per non
essersi svegliata dal proprio peccato, per non essersi pentita.
In
sintesi, l'apocalittica verde è una narrazione profondamente anti-umana.
Considerando
le conquiste dell'umanità come peccaminose, ci priva di molte delle nostre
fonti di forza e di speranza.
Ecco
perché bisogna resistere.
Dovremmo
guardare intorno a noi, e sopra le nostre spalle, all'enorme ingegnosità e
intraprendenza che gli esseri umani hanno dimostrato in passato, e continuano a
dimostrare oggi.
Stiamo
facendo progressi in tutti i settori della conoscenza umana, dall'energia alla
medicina, ai trasporti e ai viaggi spaziali.
La natura non è mai stata così minacciosa come
oggi.
Tutto
questo dovrebbe mettere in discussione l'apocalittica verde di oggi e il clima di pessimismo che ha
alimentato.
E
dovrebbe ricordarci che il futuro non è previsto e che le notizie sulla nostra
imminente fine sono, come sempre, molto esagerate.
(Michael
Crowley) - (spiked-online.com/2023/03/26/the-cult-of-the-climate-apocalypse/).
Walewska
ha ingannato
il
Congresso degli Stati Uniti
sull'efficacia
del vaccino.
Vocidallastrada.org
– Alba Kan – (28 aprile 2023) – ci dice:
La
direttrice del CDC testimonia in modo fuorviante al Congresso.
Walewska
ha ingannato il Congresso sull'efficacia del vaccino contro la trasmissione
virale e sulla revisione “Cochrane delle maschere facciali”.
Questa
settimana, la
direttrice dei CDC Rochelle Walewska ha testimoniato di fronte alla “Commissione per gli stanziamenti
della Camera”, responsabile della supervisione dei finanziamenti di vari
programmi federali relativi a lavoro, salute, istruzione e altre agenzie
correlate.
Ma
sono stati sollevati seri dubbi sulla veridicità della testimonianza di Walewska.
Il
deputato “Andrew Clyde” (R-Ga) ha chiesto a Walewska se la sua dichiarazione
pubblica del marzo 2021 alla MSNBC, in cui affermava inequivocabilmente che
"le
persone vaccinate non portano il virus, non si ammalano", fosse accurata.
"In
quel momento era [accurata]" Walewska ha risposto con sicurezza.
Poi ha
spiegato:
"C'è
stata un'evoluzione della scienza e un'evoluzione del virus" e che
"tutti i dati all'epoca suggerivano che le persone vaccinate, anche se si
ammalavano, non potevano trasmettere il virus".
Tuttavia,
all'epoca non esistevano prove di questo tipo e ciò ha suscitato le critiche
degli scienziati che hanno affermato che non c'erano dati sufficienti per affermare
che le persone vaccinate fossero completamente protette o che non potessero
trasmettere il virus ad altri.
Uno di
questi critici era “Jay Bhattacharya”, professore di politica sanitaria alla
“Stanford University School of Medicine”.
"All'epoca,
Walewska non sapeva se fosse vero. È stato un uso irresponsabile di un pulpito
prepotente come direttore dei CDC per dire qualcosa che all'epoca non sapeva
con certezza essere vero", ha detto Bhattacharya.
"Sfortunatamente,
le persone hanno usato queste informazioni per discriminare gli individui non
vaccinati e sicuramente sono state usate come combustibile per politiche molto
distruttive come l'obbligo dei vaccini", ha aggiunto.
In
particolare, solo pochi giorni dopo che Walewska ha rilasciato questa dichiarazione
alla “MSNBC”, un portavoce della sua stessa agenzia ha dovuto ritrattare i
commenti dicendo:
"La
dottoressa Walewska ha parlato in modo ampio in questa intervista",
aggiungendo che era possibile che persone completamente vaccinate potessero
contrarre la COVID-19.
Walewska
non ha ricevuto il promemoria.
Walewska
avrebbe dovuto sapere che quando i vaccini a mRNA sono stati autorizzati per la
prima volta nel 2020, la FDA ha elencato "lacune" critiche nella base
di conoscenze.
Una di queste era l'efficacia sconosciuta del
vaccino contro la trasmissione virale.
Inoltre,
negli studi pivotali originali di Pfizer e Moderna, ci sono state
rispettivamente 8 e 11 persone che hanno sviluppato COVID-19 sintomatica nel
gruppo del vaccino, dimostrando che i vaccini non hanno mai avuto un'efficacia
assoluta, come Walewska aveva sostenuto.
Alcuni
mesi dopo, la valutazione dell'FDA rimase invariata.
In una revisione clinica, l'FDA scrisse:
"Le incertezze rimanenti riguardo ai
benefici clinici del “BNT162b2” in individui di 16 anni e più, includono il suo
livello di protezione contro l'infezione asintomatica e la trasmissione del
SARS-CoV-2, anche per la variante delta".
Ancora
oggi, l'FDA non ha dubbi sul fatto che l'efficacia contro la trasmissione non è
provata.
Sul sito web della FDA si legge: "Anche se si spera che sia così,
la comunità scientifica non sa ancora se “Comirnaty” ridurrà tale
trasmissione".
Walewska
dice che il riassunto della “Cochrane” è stato "ritrattato".
Un'altra
sorprendente falsità di Walewska è stata la sua risposta alla domanda del
deputato “Clyde” sulla revisione “Cochrane” che ha rilevato che indossare
maschere facciali nella comunità "probabilmente fa poca o nessuna differenza" nel prevenire la trasmissione
virale.
Walewska
ha dichiarato con entusiasmo:
"Penso che sia notevole che il
caporedattore della “Cochrane” abbia detto che il riassunto di quella revisione
era... ha ritrattato il riassunto di quella revisione e ha detto che era
impreciso".
Tuttavia,
il riassunto della revisione non è stato ritrattato, né gli autori della
revisione hanno modificato il linguaggio del riassunto.
Le
dichiarazioni fuorvianti dell'editorialista del New York Times “Zeynep Tufekci”
hanno probabilmente portato a ripetere questa falsità (di cui parlo in un articolo
precedente).
In
risposta ai commenti di Walewska, “Tom Jefferso”n, autore principale dello “studio
Cochrane”, ha dichiarato:
"Walewska
si sbaglia di grosso. Non c'è stata alcuna ritrattazione".
"Vale
la pena ribadire che siamo i detentori dei diritti d'autore della revisione,
quindi decidiamo noi cosa inserire o meno nella revisione e non cambieremo la
nostra revisione sulla base di ciò che vogliono i media o di ciò che dice Walewska", ha osservato” Jefferson”.
Anche”
Bhattacharya” è rimasto stupito dai commenti di Walewska.
"È
irresponsabile da parte sua affermare che la revisione Cochrane [sintesi] è stata ritrattata quando
non è così.
Questo
danneggia la sua credibilità e il processo scientifico, che richiede ai
funzionari pubblici di essere onesti sui risultati scientifici", ha detto.
Walewska
ha mentito al Congresso o è poco informata?
I
testimoni di queste audizioni sono tenuti a fornire informazioni veritiere e
accurate alla commissione e possono essere soggetti a sanzioni legali se
forniscono informazioni false o fanno consapevolmente dichiarazioni false.
Ma Walewska
sarà ritenuta responsabile di aver ingannato il Congresso?
È
improbabile. (maryannedemasi.substack.com/p/cdc-director-gives-misleading-testimony)
L'Agenda
2030 e il Nuovo Ordine Mondiale.
Vocidallastrada.org
– (25 aprile 2023) - Mons. Manuel Sánchez Monge -Alkba Kan – ci dicono:
È un
sistema globalista - che non ha nulla a che vedere con la globalizzazione - che
mira a un governo mondiale non eletto e non democratico.
Il
filosofo “Higinio Marín”, professore di antropologia filosofica all'”Università
CEU Cardenal Herrera”, ha messo in luce la vera natura di un'agenda promossa dalle élite globaliste
occidentali che ha un marcato carattere statalista e relativista.
Gli”
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” ("sostenibile" è ormai una parola magica
che viene usata per tutto) sono per la maggior parte lodevoli e accettabili da
tutti:
protezione della natura, sradicamento della povertà e
della fame nel mondo, acqua a disposizione di tutti, ecc.
Tutti
sono formulati in un linguaggio sufficientemente ambiguo da prestarsi alle più
diverse interpretazioni.
Ma dietro l'”Agenda 2030” si nasconde un tentativo di
cambiare la civiltà, un nuovo ordine mondiale che cambierà le convinzioni degli
individui.
Si tratta di un sistema globalista - che non
ha nulla a che vedere con la globalizzazione - volto a istituire un governo
mondiale non eletto e non democratico.
Il
documento contiene brillanti generalità per far credere che se tutto il potere
viene dato alle “Nazioni Unite” e all'”Agenda 2030”, tutto andrà bene.
Ma no, l'Agenda 2030 è una trappola.
Vede
la famiglia come un ambiente che favorisce la discriminazione e la
disuguaglianza.
Nell'Agenda
2030, la famiglia e la religione sono presentate come elementi di conflitto.
La religione e la famiglia sono problemi, non
soluzioni.
Ad
esempio, avere figli, la responsabilità coniugale o la generosità nel
matrimonio non fanno parte di questo nuovo senso comune.
Non
accettano nemmeno [i promotori degli SDGs] che l'educazione appartenga ai
genitori.
Ci
sono poi questioni che sono chiaramente inaccettabili dal punto di vista della
dottrina cattolica.
Prendiamo
l'esempio della salute sessuale e riproduttiva.
Vengono
incoraggiati l'aborto e l'uso massiccio di contraccettivi.
C'è un altro aspetto molto grave: la cosiddetta uguaglianza di genere.
L'Agenda 2030 utilizza la terminologia dell'ideologia
di genere e della correttezza politica laicista e statalista contemporanea.
L'intenzione è quella di stabilire un nuovo
ordine mondiale che escluda molte istituzioni, soprattutto quelle con un
fondamento cristiano.
È lo
Stato a determinare lo stile di vita, generando così un relativismo che fa
della tolleranza il valore morale per eccellenza.
Dobbiamo
essere tolleranti anche nei confronti del male?
Questi
[gli SDG] sono assassini della libertà e generano relativismo.
Partono
dal presupposto che tutto può e deve essere scelto;
persino
il genere è una questione di sentimenti.
Ci
sono istituzioni cristiane che accettano l'Agenda 2030. Sostengono di farlo per non essere
escluse dal dibattito pubblico o per evitare l'auto-marginalizzazione.
Vogliono
ottenere aiuti che verrebbero loro negati se non ne tenessero conto.
Ma
l'essere chiamati cristiani comporta delle esigenze che non possono essere
eluse.
Le
nostre società oggi sono polarizzate al di là del ritorno.
Esistono due versioni dell'Occidente sempre
più antagoniste.
Stiamo
arrivando a un punto in cui le diverse visioni del mondo hanno così poco in
comune che riusciamo a malapena a parlare un linguaggio comune.
Se
alziamo un po' gli occhi, possiamo anche vedere che stiamo vivendo una
rinascita.
C'è una rinascita delle famiglie cristiane,
come possiamo vedere in alcune località della Francia e della Spagna.
L'immagine
di una coppia sposata con tre o più figli offre una visione gioiosa e amorevole
della vita.
È qui
che si trova il rinnovamento.
Il
matrimonio cristiano di giovani che vivono con generosità è la forma
contemporanea più direttamente visibile della gioia di vivere cristiana.
La gioia è il segno sociale del possesso di
qualcosa di buono.
E quei
genitori che escono in strada con più figli di quanto il moderno buon senso
imporrebbe hanno un immenso potere di trasformazione.
(Mons.
Manuel Sánchez Monge)
La
disumanità dell'agenda
verde.
Vocidallastrada.org
– Alba Kas - Joel Kotkin – (27 aprile 2023) – ci dicono:
Il
regime di "sostenibilità" sta impoverendo il mondo.
L'uomo
è la misura di tutte le cose", scriveva il filosofo greco Protagora oltre
2.500 anni fa.
Purtroppo, oggi le nostre élite straricche tendono a
non vederla così.
Negli ultimi
anni, l'abusata parola "sostenibilità" ha favorito una narrazione in
cui i bisogni e le aspirazioni umane sono passati in secondo piano rispetto
all'”austerità verde” di “Net Zero” e della "decrescita".
Le classi dirigenti globalista di un Occidente
in via di estinzione sono determinate a salvare il pianeta immiserendo i loro
concittadini.
Si
prevede che il loro programma costerà al mondo 6.000 miliardi di dollari
all'anno per i prossimi 30 anni.
Nel frattempo, potranno raccogliere massicci
sussidi verdi e vivere come potentati rinascimentali.
In “Enemies
of Progress”, l'autore “Austin Williams” suggerisce che "il mantra della
sostenibilità" parte dal presupposto che l'umanità sia "il più grande
problema del pianeta", piuttosto che "creatrice di un futuro
migliore".
In
effetti, molti “scienziati del clima” e “attivisti verdi” considerano una
priorità fondamentale la presenza di meno persone sul pianeta.
Il loro programma richiede non solo meno persone
e meno famiglie, ma anche una riduzione dei consumi tra le masse.
Si aspettano che viviamo in unità abitative
sempre più piccole, che abbiamo meno mobilità e che sopportiamo un
riscaldamento e un'aria condizionata più costosi.
Queste
priorità si riflettono in una burocrazia normativa che, se non pretende di
essere giustificata da Dio, agisce come mano destra di Gaia e della “scienza
santificata”.
La
domanda che dobbiamo porci è: sostenibilità per chi?
Il
segretario al Tesoro degli Stati Uniti “Janet Yellen” ha recentemente suggerito
che il suo dipartimento vede il
cambiamento climatico come "la più grande opportunità economica del nostro
tempo".
Per
essere sicuri, c'è molto oro nel verde per gli stessi investitori di Wall Street,
gli oligarchi della tecnologia e gli ereditieri che finanziano le campagne
degli attivisti per il clima.
Controllano sempre di più anche i media.
“I
Rockefeller”, eredi della fortuna della “Standard Oil”, e altri “verdi ultra
ricchi” finanziano attualmente giornalisti sul clima presso organi come l'”Associated
Press” e la “National Public Radio”.
Con il
nuovo regime di sostenibilità, gli ultra-ricchi ci guadagnano, ma il resto di
noi non molto.
L'esempio più eclatante è la diffusione
forzata dei veicoli elettrici (EV), che ha già contribuito a rendere Elon Musk,
CEO di Tesla, il secondo uomo più ricco del mondo.
Sebbene si stiano apportando miglioramenti ai
veicoli a basse emissioni, i consumatori vengono essenzialmente costretti ad adottare
una tecnologia che presenta evidenti problemi tecnici, rimane molto più costosa
del motore a combustione interna e dipende principalmente da una rete elettrica
già sull'orlo del blackout.
Gli
attivisti verdi, a quanto pare, non si aspettano che i veicoli elettrici
sostituiscano le auto degli hoi polloi.
No, la
gente comune sarà costretta a usare i trasporti pubblici, a camminare o ad
andare in bicicletta per spostarsi.
Il
passaggio alle auto elettriche non è certo una vittoria per le classi lavoratrici
e medie occidentali.
Ma è
un'enorme manna per la Cina, che gode di un enorme vantaggio nella produzione
di batterie e di elementi di terre rare, necessari per la produzione di veicoli
elettrici, e che figurano in primo piano anche nelle turbine eoliche e nei
pannelli solari.
La
cinese “BYD”, sostenuta da “Warren Buffett”, è diventata il primo produttore di
veicoli elettrici al mondo, con grandi ambizioni di esportazione.
Nel
frattempo, le aziende americane di “EV” lottano con problemi di produzione e di
catena di approvvigionamento, in parte a causa della resistenza verde
all'estrazione nazionale di minerali di terre rare.
Persino
Tesla si aspetta che gran parte della sua crescita futura provenga dalle sue
fabbriche cinesi.
La
costruzione di automobili con componenti prevalentemente cinesi avrà
conseguenze per i lavoratori del settore auto in tutto l'Occidente.
Un
tempo la Germania era un gigante della produzione automobilistica, ma si
prevede che perderà circa 400.000 posti di lavoro entro il 2030.
Secondo
“McKinsey”, la forza lavoro manifatturiera degli Stati Uniti potrebbe subire
una riduzione fino al 30%.
Dopotutto, quando i componenti chiave vengono
prodotti altrove, i lavoratori statunitensi ed europei hanno bisogno di molta
meno manodopera.
Non sorprende che alcuni politici europei,
preoccupati di un contraccolpo popolare, si siano mossi per rallentare
l'avanzata dei veicoli elettrici.
Questa
dinamica si ritrova in tutta l'agenda della sostenibilità.
L'impennata
dei costi energetici in Occidente ha aiutato la Cina a espandere la sua quota
di mercato nelle esportazioni di prodotti manifatturieri fino a raggiungere
circa il livello di Stati Uniti, Germania e Giappone messi insieme.
L'industria
manifatturiera americana è scesa di recente al punto più basso dai tempi della
pandemia.
La crociata dell'Occidente contro le emissioni
di anidride carbonica rende probabile lo spostamento di posti di lavoro,
"verdi" o meno, in Cina, che già emette più gas serra del resto del
mondo ad alto reddito.
Nel
frattempo, la dirigenza cinese sta cercando di adattarsi ai cambiamenti
climatici, invece di minare la crescita economica inseguendo obiettivi di zero
emissioni poco plausibili.
Ci
sono chiare implicazioni di classe in questo caso.
I
regolatori della California hanno recentemente ammesso che le severe leggi sul
clima dello Stato aiutano i ricchi, ma danneggiano i poveri.
Queste
leggi hanno anche un impatto sproporzionato sui cittadini di minoranza etnica,
creando quello che l'avvocato “Jennifer Hernande”z ha definito il "Jim
Crow verde".
Mentre
la crescita tecnologica e industriale sempre più sofisticata della Cina viene finanziata
con gioia dai “venture capitalist statunitensi” e da WALL Street, il tenore di
vita della classe media occidentale è in declino.
L'Europa
ha vissuto un decennio di stagnazione, mentre l'aspettativa di vita degli
americani è recentemente diminuita per la prima volta in tempo di pace.
“Eric
Heymann” della Deutsche Bank suggerisce che l'unico modo per raggiungere le
emissioni nette zero entro il 2050 è quello di bloccare tutta la crescita
futura, il che potrebbe avere effetti catastrofici sul tenore di vita della
classe operaia e della classe media.
Invece
della mobilità verso l'alto che molti si aspettano, gran parte della forza
lavoro dell'Occidente si trova ora ad affrontare la prospettiva di vivere sul
lastrico o di lavorare con salari bassi.
Oggi
quasi la metà dei lavoratori americani percepisce un salario basso e il futuro
si prospetta peggiore.
Quasi
due terzi di tutti i nuovi posti di lavoro degli ultimi mesi sono stati creati
nel settore dei servizi a bassa retribuzione.
Questo
vale anche per la Gran Bretagna.
Negli
ultimi decenni, molti lavori che un tempo potevano sostenere intere famiglie
sono scomparsi.
Secondo
un'analisi del Regno Unito, il lavoro autonomo e il lavoro dei giganti non
forniscono il sostentamento per uno stile di vita confortevole.
I
tassi di povertà e di scarsità di cibo sono già in aumento.
Di conseguenza, la maggior parte dei genitori
negli Stati Uniti e altrove dubita che i loro figli faranno meglio della loro
generazione, mentre la fiducia nelle nostre istituzioni è ai minimi storici.
I
favolisti di posti come il New York Times si sono convinti che il cambiamento
climatico sia la più grande minaccia alla prosperità.
Ma molte persone comuni sono molto più preoccupate
degli effetti immediati della politica climatica che della prospettiva di un
pianeta surriscaldato a medio o lungo termine.
Questa opposizione all'”agenda Net Zero” è
stata espressa per la prima volta dal movimento dei “gilet jaunes” in Francia
nel 2018, le cui proteste settimanali sono state inizialmente scatenate dalle
tasse verdi.
Negli ultimi anni sono seguite le proteste
degli agricoltori olandesi e di altri Paesi europei, arrabbiati per le
restrizioni sui fertilizzanti che ridurranno le loro rese.
La reazione ha scatenato l'ascesa del
populismo in molti Paesi, in particolare in Italia, Svezia e Francia.
Anche
nell'ultrademocratica Berlino, un referendum su obiettivi più severi in materia
di emissioni non è riuscito a conquistare un numero sufficiente di elettori.
Si
tratta di una guerra di classe oscurata dalla retorica verde.
Mette
in contrapposizione le élite della finanza, della tecnologia e del mondo
no-profit con un gruppo più numeroso, ma meno connesso, di cittadini comuni.
Molte
di queste persone si guadagnano da vivere producendo cibo e beni di prima
necessità, o trasportando queste cose.
Gli
operai delle fabbriche, i camionisti e gli agricoltori, tutti soggetti a
massicci interventi normativi in materia di ambiente, vedono la sostenibilità in modo molto
diverso dalle élite aziendali urbane e dai loro dipendenti "woke".
Come hanno detto senza mezzi termini i
manifestanti francesi dei Gilets jaunes: "Le élite si preoccupano della
fine del mondo. Noi ci preoccupiamo della fine del mese".
Questo
scollamento esiste anche negli Stati Uniti, secondo l'analista democratico di
lunga data “Ruby Teixeira”.
I tentativi di eliminare i combustibili fossili
possono entusiasmare i cittadini di San Francisco, ma sono considerati molto
diversamente a Bakersfield, il centro dell'industria petrolifera californiana,
e in Texas, dove potrebbero andare persi fino a un milione di posti di lavoro
generalmente ben retribuiti.
Complessivamente,
secondo un rapporto della Camera di Commercio, un divieto totale a livello
nazionale del fracking, ampiamente sostenuto dai verdi, costerebbe 14 milioni
di posti di lavoro - molto più degli otto milioni di posti di lavoro persi
nella Grande Recessione del 2007-2009.
Non
sorprende quindi che i colletti blu non siano così entusiasti dell'agenda
verde. Secondo un nuovo sondaggio di Monmouth, solo l'1% considera il clima
come la sua principale preoccupazione.
Un nuovo sondaggio Gallup mostra che solo il
2% degli intervistati della classe operaia afferma di possedere attualmente un
veicolo elettrico e solo il 9% dichiara di "prendere seriamente in
considerazione" l'acquisto di un veicolo elettrico.
Queste
preoccupazioni occidentali sono nulla rispetto all'impatto che l'agenda della
sostenibilità potrebbe avere sui Paesi in via di sviluppo.
Nei Paesi in via di sviluppo vivono circa 3,5
miliardi di persone che non hanno un accesso affidabile all'elettricità.
Sono
molto più vulnerabili di noi agli alti prezzi dell'energia e dei generi
alimentari.
Per
luoghi come l'Africa subsahariana, gli ammonimenti verdi contro le nuove
tecnologie agricole, i combustibili fossili e l'energia nucleare minano ogni
speranza di creare nuova ricchezza e posti di lavoro, di cui c'è disperato
bisogno.
Non
c'è da stupirsi che questi Paesi ignorino sempre più l'Occidente e guardino
invece alla Cina, che sta aiutando i Paesi in via di sviluppo a costruire nuovi
impianti a combustibili fossili, oltre a impianti idroelettrici e nucleari.
Tutto
questo è un anatema per molti verdi occidentali.
A
peggiorare le cose, l'UE sta già prendendo in considerazione la possibilità di
imporre tasse sul carbonio alle importazioni, che potrebbero tagliare fuori i
Paesi in via di sviluppo da ciò che resta dei mercati globali.
Ancora
più critico potrebbe essere l'impatto del mantra della sostenibilità sulla
produzione alimentare, in particolare per l'Africa subsahariana, che secondo le
proiezioni delle Nazioni Unite ospiterà la maggior parte della crescita
demografica mondiale nei prossimi tre decenni.
Questi Paesi hanno bisogno di maggiore produzione
alimentare, sia interna che proveniente da Paesi ricchi come Stati Uniti, Paesi
Bassi, Canada, Australia e Francia.
E sono ben consapevoli di ciò che è successo
quando lo Sri Lanka ha adottato l'agenda della sostenibilità.
Questo
ha portato al crollo del settore agricolo dello Sri Lanka e, infine, al
violento rovesciamento del governo.
Dobbiamo
ripensare l'agenda della sostenibilità.
La
tutela dell'ambiente non può andare a scapito dell'occupazione e della
crescita.
Dovremmo
anche aiutare i Paesi in via di sviluppo a raggiungere un futuro più prospero.
Ciò
significa finanziare tecnologie praticabili - gas, nucleare, idroelettrico - in
grado di fornire l'energia affidabile che è fondamentale per lo sviluppo
economico. Non serve a nulla proporre un programma che impoverisca i poveri.
Se non
si risponde alle preoccupazioni dei cittadini riguardo all'agenda verde, quasi
certamente essi
cercheranno di sconvolgere i piani meglio congegnati delle nostre élite
presumibilmente illuminate.
Alla
fine, come diceva Protagora, gli esseri umani sono ancora la "misura"
ultima di ciò che accade nel mondo - che piaccia o meno ai conoscitori.
(Joel
Kotkin è editorialista di “Spiked”)
Lo scetticismo
climatico è
in aumento in tutto il mondo.
Vocidallastrada.org
– (26 aprile 2023) – Alba Kal – Chris Morrison – ci dicono:
(Daily Sceptic)
Lo
scetticismo nei confronti dei cambiamenti climatici causati dall'uomo continua
ad aumentare in tutto il mondo.
Un recente sondaggio condotto da un gruppo
dell'Università di Chicago ha rilevato che la convinzione che l'uomo sia la
causa di tutti o della maggior parte dei cambiamenti climatici è crollata in
America al 49% dal livello del 60% registrato solo cinque anni fa.
Cali
simili sono stati registrati anche altrove, con un recente “sondaggio IPSOS”
che ha riguardato due terzi della popolazione mondiale e che ha rivelato che quasi quattro
persone su dieci credono che il cambiamento climatico sia dovuto principalmente
a cause naturali.
Forse
il dato più sorprendente emerso dal sondaggio dell'”Energy Policy Institute
dell'Università di Chicago” (EPIC) è che il 70% degli americani non è disposto
a spendere più di 2,50 dollari a settimana per combattere il cambiamento
climatico.
Quasi
quattro americani su 10 hanno dichiarato di non essere disposti a pagare un
paio di centesimi.
Nonostante
decenni di incessante agitazione ecologista, progettata per costringere le
popolazioni a vivere in una società collettivista ordinata a Rete Zero, sembra
che la stragrande maggioranza degli americani non sia disposta a pagare nemmeno
gli spiccioli che ha in tasca per fermare il cambiamento climatico.
Sondaggi
come “EPIC” e “IPSOS” evidenziano il difetto fondamentale della scienza
"consolidata" che circonda l'ipotesi che gli esseri umani che
bruciano combustibili fossili stiano causando il collasso del clima.
L'ipotesi non è provata:
non
c'è un solo documento scientifico che ne fornisca una prova definitiva.
Le
cause naturali e la proposta che l'anidride carbonica diventi
"satura" oltre certi livelli atmosferici sono spiegazioni più
convincenti per le osservazioni scientifiche.
Si sta
diffondendo il timore che la scienza climatica tradizionale sia pesantemente
corrotta da dati errati, modelli pseudoscientifici e da una vera e propria
selezione e corruzione politica.
È
interessante notare che il recente calo complessivo del sostegno al cambiamento
climatico causato dall'uomo negli Stati Uniti è dovuto ai Democratici e agli
Indipendenti.
I
livelli di scetticismo rimangono elevati tra i repubblicani, ma si sono registrati aumenti
drammatici tra i democratici di sinistra.
Ciononostante,
i democratici sono risultati più propensi dei repubblicani a farsi influenzare
dalle "prove" di ciò che viene definito clima "estremo" (71% contro 30% tra democratici e
repubblicani).
Questa
notizia porterà un po' di conforto ai propagandisti verdi, dato che la recente mancanza di un
riscaldamento globale evidente ha portato a un massiccio aumento delle attribuzioni pseudoscientifiche di
singoli eventi meteorologici al cambiamento climatico generale.
Le osservazioni personali influenzano il 55% dei
democratici, rispetto al 20% dei repubblicani, mentre gli appelli a un'autorità
superiore sono più efficaci a sinistra che a destra.
La copertura giornalistica è più alta per i
democratici (47% contro il 20%), mentre gli scienziati, che per la maggior
parte condividono l'agenda "stabilita", ottengono il 73% contro il
32% dei repubblicani più scettici.
L' “EPIC”
ha inoltre rilevato che lo scetticismo è in aumento tra i giovani di età
compresa tra i 18 e i 29 anni, con un calo del 17% nel numero di coloro che
ritengono che l'uomo abbia un ruolo predominante nel cambiamento del clima.
Il calo è stato altrettanto significativo per coloro che hanno conseguito una
laurea o un diploma di scuola superiore (11%).
Di notevole interesse è stato il calo del 17% rispetto
ad appena il 9% di coloro che hanno più di 60 anni.
Ciò preoccupa gli allarmisti, dal momento che
i giovani impressionabili sono pesantemente bersagliati da “agitprop verdi” fin
dalla più tenera età.
L'indagine”
IPSOS” ha rilevato che i livelli di scetticismo climatico sono simili in tutte
le categorie di età.
Come
nel caso dell’“EPIC”, è emerso che l'orientamento politico è decisivo.
Nei
sette Paesi in cui è stato richiesto un contributo politico, il 28% dei
sostenitori della sinistra si è rivelato scettico sul clima, rispetto al 50%
della destra.
È
sorprendente che lo scetticismo climatico stia aumentando in tutto il mondo?
Come
si è detto, la scienza del clima antropogenico (di competenza esclusiva dell’Uomo) poggia su una base di prove
traballanti, che nessuna quantità di cancellazioni di dibattiti,
modellizzazioni, attribuzioni inventate e manipolazioni di dati può nascondere.
Per quasi 50 anni, le lodevoli preoccupazioni
ambientali sono state dirottate per promuovere un'agenda politica collettivista e di
controllo.
Ma
decenni di facili atteggiamenti virtuosi stanno per finire e la dura realtà del” Net Zero”
comincia a diventare evidente.
Le
affermazioni secondo cui la rivoluzione verde sarà in gran parte indolore sono viste
per l'assurdità che sono dalla valutazione realistica di “Net Zero” pubblicizzata dal
progetto collaborativo “FIRES”, finanziato dal governo britannico.
Secondo
il rapporto “FIRES”, redatto da alcuni accademici britannici,” Net Zero”
significa solo il 60% degli attuali livelli di cottura, riscaldamento ed
energia entro il 2050.
In
meno di 30 anni non ci saranno più carne di manzo e di agnello e tutti i voli e
le spedizioni dovranno essere interrotti.
L'uso
delle strade sarà limitato al 60% dei livelli attuali.
Non ci
sarà più cemento e l'unico acciaio disponibile sarà quello riciclato.
“Norman
Fenton”, professore di gestione delle informazioni sul rischio presso l’“Università
Queen Mary” di Londra, recentemente ritiratosi, ha osservato che queste
conclusioni sono coerenti con l' “Agenda 21 dell'ONU/WEF”, con l'agenda ONU
"World at 2050" e con il Great Reset del WEF.
Quest'ultimo,
ha osservato “Fenton”, prevede il "Build Back Better", in cui
"non si possiederà nulla e si sarà felici", e si mangeranno insetti al posto
della carne.
Un
altro accademico di alto livello, il fisico nucleare” Wallace Manheimer”, ha
recentemente avvertito che “Net Zero” porterà alla fine della civiltà moderna.
La
nuova infrastruttura verde fallirà, costerà trilioni, distruggerà ampie
porzioni di ambiente e sarà del tutto inutile.
“Manheimer”
ha osservato che prima che i combustibili fossili si diffondessero, l'energia
era fornita da uomini e animali.
Poiché si produceva così poca energia, "la civiltà era una sottile patina su
una vasta montagna di squallore e miseria umana, una patina mantenuta da
istituzioni come la schiavitù, il colonialismo e la tirannia".
(Ma è
mai possibile che non esista il “reato di distruzione umana" che comporti-
a causa della condanna di un Tribunale penale- la condanna all’ergastolo?
N.D.R)
(Chris
Morrison è il redattore ambientale del “Daily Sceptic”.)
Jeremy
Grantham - La
"bolla di tutto"
sta
scoppiando,
l'S&P 500 potrebbe
crollare
del 50% e la recessione sembra certa.
Vocidallastrada.org
– (24 aprile 2023) – Jeremy Grantham – Alba Kan – ci dicono:
Il
cofondatore di “GMO” ha previsto un ampio declino del mercato e una dura
recessione.
Grantham
ha sconsigliato di detenere azioni statunitensi per il momento e ha criticato
la “Fed” per aver gonfiato le bolle degli asset.
L'S&P
500 potrebbe crollare fino al 50% a causa del crollo della "bolla del
tutto", ha dichiarato Jeremy Grantham all'economista “David Rosenberg”
durante un recente “webcast” di “Rosenberg Research”.
I
prezzi di azioni, obbligazioni, case, opere d'arte e altri beni sono saliti a
livelli inebrianti durante la pandemia, aprendo la strada a un crollo storico e
a una dolorosa recessione, ha affermato lo storico dei mercati e cofondatore di
“GMO”.
Grantham
ha rimproverato alla Federal Reserve di aver gonfiato più volte le bolle degli
asset e ha messo in guardia gli investitori dal detenere azioni statunitensi
nel breve periodo.
Inoltre, non è sorpreso di vedere crepe nel
sistema, come il drammatico crollo della” Silicon Valley Bank” questo mese.
Ecco
le 12 migliori citazioni di Grantham tratte dall'intervista, leggermente
rielaborate per motivi di lunghezza e chiarezza:
1.
"Questo è dannatamente grande. È più grande di quello del 2000, perché include
immobili e obbligazioni, mentre quello non lo era.
L'economia
ha avuto una leggera recessione.
Non ha
avuto problemi con il settore immobiliare.
Non ha
avuto problemi di riduzione del debito.
Eppure,
il Nasdaq è sceso dell'82%, Amazon del 92% e lo S&P del 50%.
Attenzione,
questa non è una battuta d'arresto delicata come quella del 2000".
2.
"È già abbastanza grave aver fatto il mercato azionario nel 2000. Questa volta, abbiamo fatto
un'analisi del mercato azionario, con in più il mercato immobiliare e il
mercato obbligazionario".
3.
"Il problema di questa bolla è che è una bolla su tutto.
Abbiamo
portato l'importante e pericoloso mercato immobiliare a prezzi record. Abbiamo
portato il mercato obbligazionario a livelli mai visti nella storia dell'uomo,
con i tassi più bassi mai registrati.
Le belle arti e ogni altro bene sono salite
alle stelle e le azioni, in particolare negli Stati Uniti, hanno raggiunto o
sfiorato i massimi storici".
4.
"Il quadro generale è che abbiamo una piccola manciata di queste super
bolle.
Ognuna
di esse è seguita da una recessione. Se si sbaglia davvero qualcosa, come nel
1929, segue una depressione.
Se si
fa confusione con il sistema finanziario, si verificano i terribili eventi del
Grande Crollo Finanziario".
5.
"In genere è difficile che il mercato scenda tra il 1° ottobre e la fine
di aprile, cioè tra sei settimane.
È come
il cimitero dei venditori allo scoperto.
A quel
punto tutte le scommesse sono annullate e si torna al tritacarne".
(“Grantham”
ha spiegato che i presidenti degli Stati Uniti tendono a stimolare l'economia
verso la metà del loro mandato, per creare un contesto forte al momento delle
elezioni successive).
6.
"Potremmo accontentarci di qualcosa come 3.000 sull'S&P, se tutto va
bene.
Se i
fattori aggiuntivi dovessero essere molto forti, allora il mercato si
avvicinerà a 2.000.
È
molto probabile che l'economia sia un po' più debole e che i margini di
profitto siano più bassi.
La
storia è abbastanza chiara: le bolle ci sono, sono sempre scoppiate, e questa
sta per scoppiare".
7.
"Le sollecitazioni si accumulano come un'enorme pressione dietro la diga e
non si riesce a capire quale mattone finirà per primo nella diga. Sono sorpreso che sia stata la “Silicon
Valley Bank,” ma non sono sorpreso che ci sia stato qualcosa di sorprendente
come “la Silicon Valley Bank”.
Sarei
stato sorpreso se non si fosse rotto nulla".
8.
"Quando si svaluta il valore percepito di molti trilioni di dollari - e
alla fine saranno più di 10 trilioni di dollari - e ci sono diverse classi di
attività che contribuiscono, tutte hanno delle conseguenze.
E non ci si deve sorprendere se una parte del
sistema creditizio si trova sotto stress".
(Grantham stava descrivendo le conseguenze di
un crollo massiccio dei prezzi degli asset).
9.
"Nel 2000, tutti erano costosi.
Questa
volta sono gli Stati Uniti a essere cari e il resto del mondo non è
particolarmente caro.
Non
possedete azioni statunitensi a breve termine.
Se
proprio dovete possedere titoli azionari statunitensi, per carità, giocate sul
lungo periodo e occupatevi di risorse e cambiamenti climatici, e state alla
larga da tutto il resto".
10.
"Non credo che il mercato orso finirà prima del prossimo anno.
E i fondamentali potrebbero trascinarsi
per un bel po'.
Ma
dopo aprile, probabilmente inizieremo a vedere pressioni sui margini di
profitto, sulla crescita del PIL e sul mercato del lavoro".
11.
"Spero che sia ormai noto che la Fed non ha mai azzeccato nulla dai tempi
di Paul Volcker.
Ha
semplicemente creato un ambiente favorevole a una serie concatenata di super bolle
che si rompono con effetti oltraggiosamente conseguenti e dolorosi".
12.
"Condizioni economiche e margini di profitto quasi perfetti.
Fiducia degli investitori in piena esplosione, dove la
gente compra azioni perché stanno salendo, dimenticandosi dei fondamentali.
La
leva finanziaria è aumentata molto e la gente ha iniziato a imbrogliare e a
eludere più del normale, perché può farlo.
Gli
schemi Ponzi hanno messo radici qua e là".
(Grantham stava parlando di come si
formano le più grandi bolle di asset).
(markets.businessinsider.com/ 24
aprile 2024)
Bill
Gates investe milioni di euro
in un
gruppo che sostiene che
i
bambini sono "esseri sessuali."
Vocidellastrada.org
– Alba Kan – (24 aprile 2023) – ci dice:
Il
cofondatore di Microsoft, Bill Gates, ha investito decine di milioni di dollari
in un'organizzazione non governativa (ONG) radicale che spinge affinché i
bambini piccoli siano considerati "esseri sessuali".
Da non
confondere con l'”organizzazione pro-aborto”, l'“International Planned Parenthood Federation”
(IPPF) che è un gruppo che promuove la
sessualizzazione dei bambini fin dalla più tenera età.
L'IPPF
sostiene
che i bambini sono "nati sessuali" e fa pressione affinché ai bambini
sotto i 10 anni venga insegnato il "lavoro sessuale commerciale".
L'ONG esercita un'influenza significativa
sull'educazione sessuale globale e comprende 120 organizzazioni indipendenti in
oltre 146 Paesi.
L'organizzazione,
compresa la sua rete europea, ha ricevuto oltre 80 milioni di dollari da Gates.
Tra
gli altri donatori significativi figura l'”Organizzazione Mondiale della
Sanità” (OMS).
Nel
2017, l'ONG ha pubblicato un kit di strumenti che mostra uno spaccato di come
viene insegnata l'educazione sessuale ai bambini di tutto il mondo.
Lo
scioccante “toolkit “è stato segnalato per la prima volta da “Nicole Solas” dell'”Independent Women's Forum”.
"L'attività
sessuale può far parte di diversi tipi di relazioni, tra cui la frequentazione,
il matrimonio o il lavoro sessuale a scopo di lucro", afferma l'IPPF a proposito di ciò che dovrebbe
essere insegnato ai bambini sotto i 10 anni.
Il
toolkit dice
che ai bambini sotto i 10 anni si dovrebbe anche dire: "Crescendo, potresti iniziare a
interessarti a persone con identità di genere diverse".
L'IPPF
ha
suggerito in più occasioni che i bambini "nascono sessuali".
Ai
bambini sotto i 10 anni si dovrebbe insegnare che "la sessualità è una
parte di te dal momento in cui nasci".
"La tua sessualità si sviluppa e
cambia nel corso della vita".
"La
positività sessuale riconosce che gli esseri umani, compresi gli adolescenti e
i giovani, sono esseri sessuali autonomi", aggiunge l'ONG.
Secondo
l'ONG, gli educatori sessuali dovrebbero avere una "comprensione dei
giovani come esseri sessuali".
"Tutte
le persone sono esseri sessuali con diritti sessuali, indipendentemente dalla
loro età", afferma l'ONG.
L'IPPF
continua
dichiarando che "i diritti sessuali includono... il diritto di dire sì o no al
sesso; il diritto di esprimere la sessualità, compreso il diritto di cercare il
piacere; il diritto di godere dell'autonomia corporea...".
Nonostante
l'IPPF
definisca un bambino come minore di 18 anni, secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sui
diritti del fanciullo, il toolkit esclude di pesare l'età approssimativa della
capacità di un bambino di acconsentire con un adulto.
Il
documento afferma: "Le associazioni membri sono incoraggiate a utilizzare
le prove esistenti per valutare i migliori parametri di età per il loro
contesto locale".
Il
programma di studi afferma che i bambini sotto i 10 anni dovrebbero essere
consapevoli della regola generale secondo cui "Nessuno può toccarti se tu non
lo vuoi".
"Durante
l'infanzia, i bambini dovrebbero imparare le convenzioni sociali di base sulla
privacy, la nudità e il rispetto per gli altri nelle relazioni, in modo da
poter identificare le situazioni in cui il loro diritto alla sicurezza viene
violato".
Gates
ha donato all'organizzazione anni prima e anni dopo la pubblicazione del
rapporto del 2017 sui bambini piccoli come "esseri sessuali".
L'”organizzazione
IPPF” è
stata originariamente creata da Margaret Sanger, fondatrice del gruppo eugenetico e
favorevole all'aborto per il controllo della popolazione, “Planned Parenthood”, negli anni Cinquanta.
Attualmente, l'IPPF sembra funzionare in modo
indipendente dall'organizzazione Planned Parenthood con sede negli Stati Uniti.
Tuttavia,
continua a collaborare con la” Planned Parenthood Federation of America” per sostenere occasionalmente alcune
questioni.
L'organizzazione
no-profit statunitense per la difesa dell'aborto è elencata tra i membri associati dell'”IPPF”.
Tra
gli altri membri associati figurano la “Reproductive Health Uganda”, la “Vietnam
Family Planning Association”, la” Syrian Family Planning Association”, la “SECS
- Contraception And Sexual Education Society”, Romania, “Sex & Samfund” – “The
Danish Family Planning Association” e la” Palestinian Family Planning And
Protection Association. “
(slaynews.com/news/bill-gates-plows-millions-group-claiming-kids-sexual-beings/)
(L’ergastolo
quale pena per il traviamento della gioventù è un po' poco per Bill Gates!
N.D.R.)
La
fine del sistema mondiale.
Vocidallastrada.org
– (23 aprile 2023) – Alba Kan – ci dice:
Nell'ottobre
1990 ho tenuto una conferenza alla Columbia University.
Uno
dei presenti mi chiese sarcasticamente: "Non crede che la campana stia
suonando per il comunismo?".
Gli
dissi che John Donne aveva una poesia in cui c'è questo verso, che Hemingway usò
come epigrafe:
"Non
chiedere mai per chi suona la campana. La campana sta suonando per te!".
Intendo
dire che la distruzione del sistema sovietico è l'inizio della fine del vostro
sistema, tra 10-15 anni.
Il pubblico rideva... Ma nel 2008 la crisi è
arrivata davvero.
La crisi che era stata prevista in Occidente
all'inizio degli anni '80.
E ora
ci si chiede: per chi suona la campana?
Sta
chiamando il sistema mondiale esistente.
E se la Russia rimane mentalmente,
economicamente, socialmente in una forma così lassista come parte di questo
mondo, allora la campana suonerà anche per lei.
Un'altra
cosa è che se la Russia non facesse parte di questo mondo, ma fosse, per
esempio, un sistema socialista a sé stante, tutto sarebbe diverso.
Come previsto dalle previsioni americane dei
primi anni '80.
All'inizio
degli anni '80, Reagan ordinò a tre gruppi di economisti le previsioni per i
successivi 15 anni.
Essi giunsero a conclusioni assolutamente
identiche e poi sommarono il risultato complessivo.
Le
previsioni erano le seguenti:
prima della crisi "a due gobbe" -
1987-1992/93.
La
produzione nel segmento capitalista cala del 20-25%, in quello socialista del
10-12%.
Il
risultato politico di tutta questa vicenda per l'Occidente è l'arrivo al potere
dei comunisti in Italia e in Francia, da soli o in un'alleanza di forze di
sinistra.
Nel
Regno Unito, la sinistra laburista sta tornando in auge.
E negli Stati Uniti, nessuno torna da nessuna
parte, ma ci sono rivolte di negri in tutte le principali città.
Per il
sistema sovietico c'era una previsione a parte: ha superato la crisi molto più
facilmente.
Ma è
andata come è andata. I
l
capitalismo non è stato costruito, ma noi soffriamo delle sue ulcere, siate
sani.
Le
persone che hanno costruito il capitalismo criminale nel migliore dei casi
soffrono delle piaghe del capitalismo globale.
A
quanto pare, quel periodo della storia dell'umanità, caratterizzato da una
rapida crescita, sta finendo per sempre.
Mi
riferisco alla svolta tecnica che, condizionatamente, è andata dalla metà del
XVIII secolo agli anni '80 del XX secolo.
Va
detto che dopo la rivoluzione neolitica, la crescita economica, nell'antichità,
nel Medioevo, nelle società asiatiche, era dello 0,2% all'anno.
Era un
asintoto.
E all'improvviso c'è stata una brusca scossa!
Ma questa svolta sta davvero per finire.
Questo
non significa che domani tutti passeranno a un'economia preindustriale.
Ma nel
senso che c'è davvero un limite.
In
linea di principio, non è una novità per chi un tempo, negli anni '60, seguiva
le conferenze di “Byurakan”, qui in Armenia, dedicate alla ricerca di civiltà
extraterrestri.
Si discuteva molto se fossimo soli
nell'universo.
E fondamentalmente i punti di vista di “Stanislav
Lem” e del nostro astronomo “Shklovsky” si scontrarono.
Lem diceva: "Siamo soli".
“Shklovsky” diceva: "Al diavolo noi
nell'universo".
Ma “Kardashev”,
che ha creato una propria tipologia di civiltà extraterrestri, ha trovato una
terza soluzione.
Egli disse che "siamo soli nel senso che
la fase tecnica di qualsiasi civiltà non può durare più di un certo
tempo".
Il suo schema ipotetico è molto importante per
noi oggi, per le prospettive di sviluppo della civiltà terrestre e del sistema
post-capitalista.
Come
ha detto lo stesso” Kardashev”, il nostro sistema moderno -
capitalismo/socialismo insieme - utilizza solo lo 0,16 del potenziale
energetico del pianeta.
E non ci sono praticamente prospettive di utilizzare
qualcosa di più.
Questo
non significa che lo sviluppo si fermi qui.
O non
significa che dobbiamo attuare la versione del Club di Roma e di Schwab.
Perché
Schwab, in realtà, ad eccezione del “capitalismo degli stakeholder”, non ha
proposto nulla
di nuovo rispetto ai truffatori del Club di Roma.
Vi
ricordo che il Club di Roma è stato fondato nel 1968. Formalmente fu creato da tre persone:
“Alexander
King” (Gran Bretagna), “Aurelio Peccei”, che rappresentava il Vaticano e le
élite della Germania meridionale e dell'Italia settentrionale, e “Germain
Gvishiani”.
Era il
genero di” Kosygin “e il figlio dell'unico vice di Beria, che non fu fucilato,
ma gli furono solo tolte le spalline e gli ordini.
Il “Club
di Roma” fu uno dei mezzi di penetrazione della nomenklatura sovietica quando,
nella seconda metà degli anni '60, abbandonò de facto la svolta della
costruzione reale del comunismo, de facto (nell'ideologia, ovviamente, nessuno
lo disse), nel sistema capitalista.
Esistevano due modalità organizzative di
integrazione.
Questa
è la struttura "Rete", è anche la "Ditta" di Pitovranov.
E la
seconda è il “Club di Roma”.
Già
nel 68-69 il Club di Roma iniziò a preparare il primo rapporto "I limiti
della crescita" sul modello del "Mondo unico" di Forrester.
E già allora era chiaro che tipo di modello fosse: ridurre i consumi, ridurre la
popolazione del pianeta.
La
cosa più interessante è che nello stesso periodo in Unione Sovietica si
sviluppava un sistema alternativo.
Nel
1965, presso l'”Istituto Pedagogico Statale di Mosca Lenin”, fu creato un laboratorio per
l'analisi dello sviluppo dei sistemi ("Laboratorio di sviluppo dei sistemi
di gestione", abbreviato in "LASUR").
Era
guidato da una persona assolutamente fantastica.
È poco
conosciuto, ma credo che un giorno la Russia farà un resoconto della seconda
metà del XX secolo con il nome di questa persona:
Pobisk
Kuznetsov.
Hanno
sviluppato un proprio modello di sviluppo del sistema mondiale.
Se in
"I limiti della crescita" c'erano cinque variabili e il capitale, qui
le variabili sono 30.
La
persona che ha visto entrambe le versioni ha detto che "LaSURs" è stato scritto da un “dottore in scienze molto potente”, mentre "The Limits to Growth" è stato scritto da un eccellente studente.
Secondo
il modello LaSURs, il sistema si sta muovendo verso un regime asintotico, ma
può nutrire fino a 30 miliardi di persone.
Poi
sono successe alcune cose molto interessanti.
I leader del LaSURs sono accusati di sprecare
denaro.
Pobiska
Kuznetsov viene espulso dal partito e imprigionato nell'Istituto Serbsky.
I suoi amici lo tirano fuori, poi viene
reintegrato nel partito.
Si
rivolge persino ad Andropov e prevede la crisi del sistema capitalistico alla
fine del XX secolo.
Ma il
sistema si è rotto.
Ciò avvenne per una semplice ragione:
poiché
la nomenklatura sovietica puntava ad entrare nel mondo occidentale attraverso
il Club di Roma, tutte le alternative dovevano essere eliminate.
Inoltre, c'era ancora una lotta all'interno
dei vari gruppi della nomenklatura sovietica.
Cosa è
molto importante per noi?
Questo
significa che i problemi di cui parla “Schwab” sono i problemi del sistema
capitalistico.
Inoltre,
la transizione dall'esponente all'asintoto è pianificata in modo tale che i proprietari del sistema
capitalistico confluiscano senza problemi nei proprietari di un altro sistema.
Ma per questo è necessario ridurre
significativamente la popolazione del pianeta.
Inoltre,
se prima si parlava di due miliardi, ora si parla di mezzo miliardo.
C'è
una primatologa, Jane Goodall, che è coinvolta nelle strutture globaliste.
La
Goodall ha recentemente affermato che: "La popolazione del pianeta
dovrebbe essere la stessa di 500 anni fa".
Allora
erano 491 milioni.
Spesso
sento dire: "Beh, cosa può fare una persona semplice in una situazione del
genere?".
Il
fatto è che nelle situazioni di transizione, quando il vecchio sistema si rompe
e il nuovo non ha ancora preso forma, la necessità e il caso quasi si
equivalgono.
E
quando, in una situazione di equilibrio, una farfalla siede su una bilancia, la
supera.
E
allora si verifica un processo inerziale.
Ed è
proprio in questi periodi che stiamo sperimentando che molto spesso lo sviluppo
degli eventi dipende dalla scelta individuale di ciascuno.
E per decidere, è necessario avere conoscenza.
Pertanto,
mi permetto di aggiungere la frase finale del mio libro "Le campane della storia":
"Solo la conoscenza razionale
soggettiva e libera della società insegnerà alle persone a non avere paura del
suono delle campane della storia.
Insegnerà a vivere senza speranze di
ricompensa, perché essere uomini è la ricompensa più grande.
A
vivere senza illusioni, perché la vita è la migliore delle illusioni.
A vivere senza idealizzare il passato, senza
lamentarsi del presente e senza avere paura del futuro.
Insegnare
il coraggio di essere e il coraggio di conoscere.
Conoscere
ed essere un uomo, un uomo libero dal disfattismo...".
Tutto
dipende dalla persona, soprattutto quando i mondi sociali crollano e le campane
della Storia suonano.
(zavtra.ru/blogs/konetc_mirovoj_sistemi)
Il
nuovo ordine biopolitico
e transumanista.
Ariannaeditrice.it
- Diego Fusaro – (29/11/2020) – ci dice:
Se,
seguendo Aristotile, l’uomo è, per sua natura, uno zoon politikòn, fatto per la vita comunitaria, e,
ancora, uno zoon logon echon, portatore di ragione e di dialogo, la nuova società
forgiata dalle èlites liberiste del capitalismo terapeutico si pone, eo ipso, come una guerra contro la natura
umana in nome di un nuovo ordine biopolitico e transumanista;
un
ordine che polverizza l’essenza dell’uomo, lo istupidisce e lo fa regredire ad
atomo telematico e senza nessi sociali, in cui la razionalità riflessiva è
annullata sotto i colpi dell’emotività e del terrore indotto e amministrato dal
potere stesso.
Sicché la stessa lotta di classe tra Servo e
Signore, al tempo del Leviatano sanitario, si riconfigura anche come una lotta tra “umanesimo” del polo
dominato e transumanesimo del blocco dominante:
la
resistenza degli oppressi contro gli oppressori diviene, allora, anche
inaggirabilmente una lotta tesa a difendere la natura umana, la sua dignità e il suo
splendore contro la sua cancellazione, teoricamente propugnata e
concretamente attuata dal ceto egemonico e dal suo blocco intellettuale di
completamento.
Il
transumanesimo è, per dirla con Lenin, la “fase suprema del capitalismo”, il naturale approdo biopolitico
della “open society del globalismo mercatista”.
Ecco
la fotografia di fine anno del 2020:
miliardari cosmopoliti della shut-in economy, del
commercio digitale e della speculazione finanziaria lucrano anche più di prima.
E intanto la popolazione dei ceti medi e delle
classi lavoratrici sta a languire, rinserrata in casa, terrorizzata dal circo
mediatico e dal clero giornalistico all’idea di contrarre il virus, di finire
col tubo in bocca e impossibilitata spesso a lavorare e sempre a esercitare
qualsivoglia forma di protesta per rivendicare i propri diritti calpestati in
nome della lotta alla diffusione del virus.
Altra
foto:
il
patriziato globalista dominante rifiuta ormai di condividere i medesimi spazi e
finanche la medesima aria con la plebe subalterna, reietta e contagiosa.
Se ne ebbero già, in anteprima, alcune
immagini nell’estate del 2020, allorché sui rotocalchi patinati apparvero foto
che raffiguravano sontuose feste nelle ville del patriziato cosmopolita, in cui
il solo a indossare la mascherina era, puntualmente, il cameriere.
I convitati, per parte loro, si godevano il
lusso dei giardini e delle serate baldanzose, protetti dalle mura di cinta che
li separavano dall’inferno delle plebi appestate.
A
colpi di lockdown e di distanziamento sociale, vogliono sterminare i ceti medi
e i lavoratori, in un vero e proprio genocidio organizzato.
Perché,
come diceva Sanguineti, "i padroni ci odiano e non lo nascondono".
Il
lavoro.
Ariannaeditrice.it
- Andrea Zhok – (30/04/2023) – ci dice:
Nelle
ultime discussioni è riemerso abbastanza spesso un ritornello critico intorno
al tema del lavoro.
L'argomento
suona più o meno così:
"Mica si deve sgobbare per fare soldi,
anzi lavorare non è un modello di vita, non è un esempio virtuoso, di più il
lavoro è qualcosa di cui bisogna liberarsi."
E questa cosa è persino presentata come un
recupero delle "autentiche istanze della sinistra" (e, in effetti,
forse è davvero così).
Ora,
siccome questo punto è solo apparentemente banale, due parole di precisazione
vanno spese.
Mi
trattengo dall'avviare una discussione retrospettiva sull'annoso problema di
cosa vada inteso come "lavoro", sulla differenza tra lavoro alienato
e disalienato, lavoro produttivo e improduttivo, ecc.
Sono
tutte interessantissime discussioni svoltesi negli ultimi due secoli (dagli
scritti genesi di Hegel, agli scritti giovanili di Marx, alle rielaborazioni di
Gramsci, fino alle obiezioni dei postmoderni.), che però richiederebbero un
saggio autonomo.
Venendo
alle cose di base, è innanzitutto del tutto chiaro che esistono lavori con
caratteristiche molto diverse, con condizioni di sfruttamento molto diverse,
condizioni di usura diverse, orari diversi, stimoli diversi, ecc. ecc.
Dunque
generalizzazioni come "nel lavoro l'essere umano si realizza" o al contrario
"nel lavoro l'essere umano si aliena" possono semplicemente essere
vere talora e false talaltra.
Sappiamo,
perché ci è stato spiegato dal barbuto pubblicista di Treviri un secolo e mezzo
fa, che nel contesto capitalistico la tendenza generale - in assenza di
resistenza - è verso una compressione tendenziale delle condizioni di lavoro:
aumento degli oneri e riduzione dei compensi.
E',
incidentalmente, quello che sta succedendo a tutti noi da anni.
Fare
resistenza a questa tendenza è doveroso a meno che uno non brami la schiavitù, e chi non mette in piedi un'adeguata
resistenza, banalmente, verrà spremuto e buttato.
Questo
è l'ABC.
Fare
resistenza a questa tendenza però NON è fare resistenza al lavoro, ma allo
sfruttamento del lavoro.
Confondere
questi due piani è un errore grave.
Si possono
immaginare modi di lavorare migliori (molto, molto migliori, invero), si
possono immaginare pressioni e vincoli lavorativi minori, si possono immaginare
orari lavorativi ridotti, ecc.
Ma c'è
un inderogabile punto di fondo che rende il lavoro un'attività di valore
morale:
finché
le cose di cui ci nutriamo, le cose che vestiamo, le case che abitiamo, gli
oggetti che utilizziamo, ecc. saranno prodotti con l'apporto di lavoro umano,
in qualunque società, presente, passata o futura, dare il proprio contributo
lavorativo sarà semplicemente un primario dovere morale.
L'odierna
ampia divisione del lavoro fa spazio per forme di lavoro estremamente diverse,
che richiamano capacità, investimenti, forme di fatica difficilmente
commensurabili.
Ma
sono tutti contributi al prodotto sociale.
E
prodotto sociale del lavoro c'è sempre stato da che esiste la specie umana e
continuerà ad esserci per il prevedibile futuro.
Chi
pensa di sottrarsi a tale contributo non compie un atto emancipativo, bensì un
atto parassitario.
Sappiamo
bene che spesso siamo messi tutti nelle condizioni di esercitare il nostro
lavoro male, in modo inefficiente, frustrante, ed è perfettamente comprensibile
che qualcuno sotto queste condizioni non percepisca più di dare un effettivo
contributo e tenda a ritrarsi dal lavoro.
Può
capitare e capita.
Questa
però è una disfunzione sociale che non toglie niente al cuore della questione: contribuire con il proprio lavoro al
prodotto sociale è un dovere primario e non farlo è parassitismo, è vivere alle
spalle degli altri.
Mi
rendo conto che ribadire una cosa del genere suonerà banale e ridondante per
molti, e me ne scuso.
Tuttavia
in un'epoca in cui le nuove generazioni occidentali vengono su avendo come
modelli figli di papà, ereditiere, gente che vende la propria immagine al
miglior offerente (youtuber, tiktoker, influencer), e in cui il rapporto tra livello degli
introiti e livello del contributo lavorativo è integralmente saltato, forse ricordare queste banalità può
avere uno scopo.
Il
capitalismo moralista.
Ariannaeditrice.it
- Roberto Pecchioli – (30/04/2023) – ci dice:
(EreticaMente)
Ogni
sistema ideologico, ogni visione del mondo esprime una sua moralità.
Non
importa quali siano i presupposti e le idee di cui si sostenta: conta la
sussistenza e la pervasività di un orizzonte morale.
Poco
interessa che la morale sia opposta a quella a cui eravamo abituati da secoli e
sia, nei fatti, un’ipocrisia:
è il
destino di tutti i sistemi etici privi di uno sfondo spirituale.
Forte di questa convinzione, il filosofo
spagnolo “Miguel Angel Quintana Paz”, docente dell’Università di Salamanca, ha
elaborato un’interessante teoria.
Il
presente è per Quintana l’epoca del “capitalismo moralista”.
Un
merito di Quintana è di ribaltare un concetto che da oltre due secoli
egemonizza il pensiero occidentale, ovvero che il movente universale
dell’azione umana sia il denaro, la ricchezza.
Un
principio condiviso dal marxismo e dal liberalismo, la giustificazione del
pensiero strumentale che restringe la complessità dell’agire umano.
C’è
qualcosa che attrae con una forza assai maggiore: il potere, il dominio.
Spesso
la ricchezza è solo il mezzo per ottenere ciò che davvero eccita, il potere, il
controllo e il dominio su altri esseri umani, oltreché sulle cose e la natura.
Chi
possiede tutti i mezzi – economici, finanziari, tecnologici, culturali – non ha
bisogno di più denaro.
Ce
l’ha già: la cupola finanziaria crea dal nulla il denaro e finge di prestarlo
agli Stati e ai popoli.
L’inganno usuraio universale del debito, la cornucopia
che soffoca le masse.
Le oligarchie hanno superato da tempo la fase
dell’arricchimento e mettono in pratica un’intuizione di “Friedrich Von Hajek”:
chi
possiede tutti i mezzi determina tutti i fini.
Indica qual è il bene e il male, il giusto e
lo sbagliato.
Regolati
i conti con la ricchezza – fintanto che i popoli non scopriranno l’inganno e
grideranno che il re di denari è nudo – la cupola ha deciso di inseguire
qualcos’altro: il potere.
Sulle nostre menti, sui nostri costumi, sulla nostra
morale. Era l’ultima frontiera che restava da superare a un capitalismo che non
smette di penetrare in tutti gli ambiti della vita.
Implicitamente,
“Quintana” esorta a riprendere una lezione marxiana, l’esistenza e la forza
della “struttura”.
Ogni
grande mutamento di costume e di opinione egemone ha sempre la radice primaria
nella “struttura”, ossia nella sfera dominante e nella gestione del potere.
“Se
manca la consapevolezza di questa radice strutturale, se manca la comprensione
di come vada collocato il problema che si sta trattando rispetto ai meccanismi
di distribuzione dell’economia e del potere (spesso coincidenti), si finisce
per perdere di vista l’unica sfera dove si possono muovere le leve causalmente
decisive”, scrive il filosofo “Andrea Zhok”.
Non vi
è dubbio che la struttura, oggi più che mai, è l’alleanza sistemica tra
finanza, multinazionali e tecnologia, all’ombra dei poteri riservati radicati
nel centro dell’Occidente.
In termini marxiani, la nuova moralità – ossia il senso
comune dell’epoca – è un elemento centrale della sovrastruttura.
Posta
la questione in questi termini, il pensiero di “Quintana” si dipana attraverso
una serie di osservazioni che spiegano la nuova categoria di “capitalismo moralista”.
Siamo
in una fase del capitalismo in cui è difficile rintracciare categorie
economiche e politiche del secolo scorso per il solido connubio tra burocrazie
statali e transnazionali e grandi corporazioni, che oltrepassano concetti come
la concorrenza e il profitto a breve termine.
In
questa fase dominata dal “capitalismo clientelare” (crony capitalism), le aziende
promuovono un’agenda ideologica con la quale decostruiscono e reinventano il
consumatore/cittadino, utilizzando una serie infinita di regolamenti e coercizioni
imposte dai governi, guardiani della loro ingegneria sociale e giuridica.
Un capitalismo che utilizza slogan
moralizzanti, sostenuti, pubblicizzati dalla categoria delle “vittime” senza
alcuna attinenza con i prodotti, poiché ciò che offre il capitalismo
moralistico non è l’esperienza del prodotto ma l’esperienza della virtù e la
guarigione dalla colpa.
La
forza del capitalismo, compresa da Marx e da Schumpeter (“la distruzione creatrice”) è di essere uno straordinario
Zelig che si trasforma continuamente, cooptando e modificando nel profondo idee
e principi opposti.
“Quintana”
muove da una serie di esempi concreti di moralismo ( e ipocrisia) neo
capitalista;
tempo
fa è stata diffusa una pubblicità in cui l’azienda di rasoi Gillette accusava
il suo pubblico di riferimento di avere una “mascolinità tossica”.
Il
filosofo si chiede quale fosse il senso di un’attitudine offensiva nei
confronti dei clienti, tanto più per il calo di profitti subito dopo la
campagna pubblicitaria.
A queste perdite, il manager “Gary Coombe” rispose
che non gli dispiaceva perdere soldi perché l’azione moralizzatrice aveva
prevalso;
il calo dei profitti era un prezzo che valeva
la pena pagare.
Strana
giustificazione, da parte di chi lavora(va) esclusivamente per il profitto.
Di recente, una campagna pubblicitaria della birra
Budweiser è stata affidata a un bizzarro testimonial, “Dylan Mulvaney”, un “influencer in transizione di genere” che celebra online i “progressi”
della sua nuova condizione.
Contemporaneamente,”
Mulvaney” è stato ingaggiato per una campagna della “Nike” relativa a una linea
di reggiseni.
Altre polemiche e nuovo fallimento
commerciale.
In America si è diffusa l’espressione “get
woke, go broke”, sostieni la “cultura della cancellazione” e fallirai.
Eppure
la dirigenza di Budweiser non torna indietro:
vuole
cambiare l’immagine “obsoleta” del marchio per diventare “più inclusiva”, tanto
da non interessarsi di perdere la vecchia base di clienti.
Emerge
un sostanziale spostamento del focus aziendale, apparentemente lontano dalla
concorrenza e dal profitto.
Viene
sacrificano un obiettivo a breve termine (vendere rasoi e lattine di birra) in
cambio di uno di lungo termine (la categorizzazione morale dell’impresa).
Sotto
il profilo economico, questa strategia può essere sostenuta solo da grandi
corporazioni allineate a un’agenda politica, in grado di resistere a un
temporaneo crollo dei profitti senza cambiare linea, garantendosi in cambio un vantaggio
nei confronti di concorrenti che non vogliono o non possono pagare il costo dell’adesione all’agenda woke.
Più in
alto, supercolossi come Black Rock diffondono la medesima agenda ed è
sufficiente una lettera ai clienti per spostare flussi di capitali da un
settore a un altro o per giustificare attività non in linea con l’interesse
economico immediato degli azionisti.
Nel caso di Black Rock, un intervento
favorevole a investimenti “green” ha prodotto la crisi del modello energetico
bastato sui combustibili fossili.
Anche
in questo caso, in base a motivazioni neo moralistiche.
Ogni
società ha il proprio senso di moralità e le élite neocapitaliste non fanno
eccezione.
Il
progressismo – fatto percepire come rivoluzionario e anti sistema – è la base
egemonica che plasma la morale dall’inizio del secolo corrente.
Cambiano
le idee, uguale è l’imperialismo colonialista.
Impone sempre criteri “morali”, per quanto
opposti a quelli del passato. Egualitarismo d’accatto (i padroni restano tali e
sempre più potenti), relativismo morale, individualismo basato
sull’autopercezione, desideri, emotività, malthusianesimo denatalista,
allarmismo climatico e molti altri “ismi”.
La demonizzazione della normatività di ieri
impone una nuova normatività; è un cambiamento fondamentale nel modo in cui
calcoliamo il valore di un prodotto.
Le icone scelte come immagini del marchio sono
incoerenti in un mercato competitivo, ma efficaci in un ambiente soffocante di
correttezza politica, cultura della cancellazione, riconfigurazione di valori.
Le
grandi corporazioni promuovono un’agenda morale gonfia di ipocrisia:
un prodotto non si acquista più per la sua
strumentalità, ma per il fatto che con esso ci poniamo dalla parte del bene.
Ecco
perché in questa aspirazione rieducativa c’è qualcosa di orwelliano, di
totalitario.
Si è
compiuta l’intuizione di “Philippe Muray”:
il progressismo occidentale – nato nelle officine post
Sessantotto e presto cooptato dallo Zelig capitalista – ha la pretesa di
incarnare la guerra contro il Male, reinventando la moralità.
La
crescente ossessione delle classi più potenti del sistema economico di imporre
la propria morale capovolta rispetto ai secoli passati, è un’evidente minaccia
alla libertà.
“Quintana”
cita due autori che hanno analizzato le trasformazioni del capitalismo, Luc
Boltanski” e” Ève Chiapello”.
La penultima mutazione risale agli anni
Settanta del secolo XX:
un
capitalismo in cui si svolgevano lavori monotoni – nella catena di montaggio,
in ufficio, in mansioni simili per tutta la vita – ma in cambio si aveva un
lavoro che spesso durava per sempre.
Lo spirito nuovo venne dall’accoglimento nel
capitalismo di gran parte delle istanze del Sessantotto.
I
protagonisti di quella stagione pensavano di essere rivoluzionari
anticapitalisti, ma finirono per fornire all’avversario le armi culturali più
potenti.
Vietato vietare: nessuno slogan è più gradito agli
“spiriti animali “neoliberisti.
Il nuovo
capitalismo, messo in soffitta il fordismo, aveva bisogno di lavoratori capaci
di adattarsi alle continue metamorfosi dell’economia, flessibili, che non
dessero nulla per scontato, nemmeno il loro lavoro: costantemente disposti a
innovare, perché solo così credevano di realizzarsi.
L’altra faccia è la precarietà, la costante
incertezza del futuro, la conseguente fragilità delle relazioni familiari e
personali.
L’ultimo abito di “Zelig” è moralistico: il
sistema non si limita più a promuovere valori come la mobilità, l’innovazione e
il cambiamento, ma impone un’intera agenda “morale”.
Esemplare
è il caso di “James Damore”, il funzionario di “Google” licenziato per aver
espresso in un questionario, dopo un seminario sulle differenze di genere,
opinioni morali non coincidenti con l’ideologia aziendale.
Un’ ulteriore minaccia del capitalismo
moralistico:
le aziende possono indagare sul nostro modo di
pensare, licenziare o discriminare se non concordiamo con le idee dei
proprietari.
Nel
caso di “Gillette” e “Budweiser”, si è verificata una rottura rispetto al
tradizionale modo di pensare delle imprese:
hanno preferito perdere clienti nell’immediato
in cambio di una predicazione morale “progressista”.
Questo
rompe con l’idea per cui le aziende sono interessate esclusivamente a generare
profitto per gli azionisti, non a indottrinare su presunte verità morali.
Un
ulteriore esempio è il destino di una legge (assai discutibile) dello stato
americano della Carolina del Nord, che vietava l’uso dei bagni femminili ai
transessuali.
La legge è stata abrogata non per le pressioni
dell’opinione pubblica, ma per la rivolta “morale” di decine di grandi
corporazioni, che hanno ritirato i loro investimenti e attivato boicottaggi
economici.
La pressione del “capitalismo moralista” ha
cambiato la legge, infliggendo un duro colpo alla sovranità democratica e al
potere legislativo.
Il mondo dell’impresa, santuario indiscusso
del capitalismo, sta imponendo una precisa ideologia “morale”, coincidente con
il progressismo libertario della sinistra postmoderna.
Naturalmente,
le aziende non hanno un punto di vista morale.
Chi ce l’ha sono i soggetti che le dirigono, i
loro reparti creativi, pubblicitari, di marketing.
Chi
sta cercando di introdurre l’ideologia ovunque non sono le aziende.
Non è il rasoio Gillette o la birra ad avere
un’ideologia o un intento morale, ma una classe sociale privilegiata di
imprenditori, dirigenti, creativi di alto rango, pubblicitari e intellettuali,
i ceti globalisti con master all’estero, residenti nei quartieri ricchi
metropolitani.
Un gruppo umano minoritario tende a imporre un punto
di vista “morale” alla società intera in nome di un impero del bene
autoreferenziale e indimostrato.
Non è
tollerabile l’imposizione pseudo “morale” unita all’enorme potere di pressione
di una classe sociale privilegiata.
In
ordine di tempo, l’ultimo frutto del capitalismo moralista è la vicenda di “Tucker
Carlson”, la stella della rete televisiva Fox.
Il
giornalista, di orientamento conservatore, critico con il mainstream americano
sia sui temi geopolitici che su quelli etico-morali, è stato licenziato.
Il contraccolpo in Borsa è stato duro, con
forti perdite per Fox.
Intanto
un avversario dell’agenda “morale” è stato cacciato.
Tutto
ciò dimostra che la vecchia tesi liberale secondo cui nel capitalismo conta il
merito è una bugia gigantesca:
Carlson
faceva guadagnare Fox, come i buoni rasoi arricchiscono Gillette.
Dunque, le leggi del mercato – ultima
religione rimasta all’Occidente – sono derogate dagli stessi che le impongono
in nome di una visione del mondo tesa a cambiare nel profondo i popoli-sudditi.
La nostra libertà è minacciata da nuovi
pericoli provenienti dalle oligarchie dirigenti.
Contro
di loro possiamo solo ricorrere a una vecchia risorsa: lottare per la libertà.
Dobbiamo
smettere di prestar loro fede e prendere atto che le classi dominanti sono
nostre nemiche.
Sta terminando la stagione del liberalismo
classico, del parlamentarismo che, già ai suoi albori, “Donoso Cortés “chiamava
la “discussione eterna”.
Vince un capitalismo non solo moralista, ma
“cinese” nel senso di violento, autoritario sino al totalitarismo.
Nel caso di “Damore”, il colosso “Google”,
dopo aver costretto i dipendenti a seguire corsi ideologicamente orientati, ne
ha sondato le convinzioni e ha cacciato chi – confidando nella libertà – ha
espresso opinioni non in linea con i codici aziendali.
In Carolina del Nord, contro una legge sono scesi in
campo dirigenti di Apple, United Airlines, Bank of America e Goldman Sachs,
firmatari di una lettera che ne esigeva l’abrogazione.
“
PayPal” e “CoStar Group” hanno annullato i loro piani operativi in quello
stato; la lega del basket ha annullato
le partite, il mondo dello spettacolo ha cancellato lo stato dai luoghi in cui
effettuare riprese o ambientare film.
La
rivista Forbes ha stimato che la legge sia costata al Nord Carolina seicento
milioni in sette mesi.
Ha
funzionato una strategia che l’uomo d’affari “Tim Gill” ha chiamato “punire i
cattivi”.
Questo mostra un ulteriore aspetto del
capitalismo moralistico.
I suoi
dirigenti non solo accettano di perdere soldi per predicare la loro moralità;
non si limitano a licenziare persone le cui opinioni etiche non corrispondono
alle loro.
Si
tratta di un capitalismo in cui se la democrazia approva una legge che non piace
alla sensibilità “morale” delle grandi corporazioni, queste hanno il potere e
la concreta volontà di cancellarla.
È
questo il mondo in cui vogliamo vivere?
Un
sistema in cui i dirigenti aziendali decidono a quale moralità dobbiamo
aderire, dove possono licenziarci o cambiare le leggi se si allontanano dalla
loro retta via? Non lasciamoci ingannare dalle parole:
capitalismo
moralista, sì; ma non certo morale.
La
bellezza e la fame.
Ariannaeditrice.it
- Livio Cadè – (30/04/2023) – ci dice:
(EreticaMente)
La
bellezza, come l’amore o il sogno, è secondo alcuni un’illusione.
Uno di quei beni superflui, senza finalità
pratiche, certo non indispensabili per vivere, a differenza dell’acqua e del
cibo, e forse nemmeno necessari, come una lavatrice o una bicicletta.
Quindi, fondamentalmente inutili.
Salvo poi rendersi conto che non possiamo
farne a meno.
Non
potrebbe infatti esserci vita più insensata e opprimente di quella vissuta
senza amore e bellezza, o totalmente priva di sogni.
Che la
bellezza non sia un fantasma ma una sostanza concreta si arguisce dal fatto che
ne abbiamo fame.
Questo
significa che ci nutre.
La
fame indica infatti un bisogno del nostro organismo.
Si
dirà che è una fame metaforica, di cibi simbolici.
D’accordo,
ma la nostra coscienza se ne alimenta.
E qual
è il fondamento d’ogni realtà se non il nostro apparato sensorio e mentale?
Dunque, se siamo fatti di coscienza, il cibo che ne crea e plasma i tessuti non
può certo essere irreale.
Reale
è infatti ciò di cui siamo composti e di cui abbiamo fame, quello che,
assimilando, rendiamo parte di noi.
Il nostro essere è come una cavità, un vuoto
che partecipa alla vita attraverso processi trofici e digestivi che gli danno
forma e ne regolano le funzioni.
«Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni» dice Prospero.
Ma
potremmo dire: della sostanza dell’amore o della bellezza. Perché di queste
cose ci nutriamo.
Ciò
che unisce l’arte, l’amare e il sognare è quindi la capacità di creare fenomeni
di coscienza e alimentarli.
L’essere
si rivela tanto nella dualità di soggetto pensante e oggetto pensato quanto
nello scambio di energia del mangiare e dell’essere mangiato.
“Mangio
dunque sono”. Tutto è cibo.
Quando qualche sostanza è carente in me,
avverto lo stimolo della fame.
A
volte leggero, a volte imperioso e cruciale.
Devo allora ingerire certi elementi atti a
ristabilire nelle cellule una stabile energia.
È
un’arte dell’equilibrio vitale, giusto mezzo tra eccessi e difetti, rinuncia e
appagamento, intemperanze occasionali e salutari astensioni.
Noi si
tratta solo di fornire il giusto apporto di grassi, zuccheri ecc., ma anche di
assimilare sensazioni, pensieri, sentimenti.
Il
provar fame e il saziarsi riguarda fenomeni di impoverimento e rigenerazione
tanto del corpo quanto dell’anima.
Un bel libro, un bel viaggio, una bella
canzone, un bel volto, servono a soddisfare una fame di bellezza.
Se ne
sentiamo la necessità è perché la fisiologia dello spirito richiede alcune
specifiche sostanze per rivitalizzare le sue cellule, i suoi organi denutriti e
sofferenti.
Ogni
cibo ha un tipico profumo, un gusto particolare, ma oltre a ciò contiene in sé
invisibili valori nutritivi.
Così
ogni bellezza ha non solo un’apparenza piacevole ma una ricchezza di significato.
Il
Bello è superfluo solo nel senso che supera, eccede la dimensione dell’utile.
Non
potremmo dire se no che “la bellezza salverà il mondo”.
Affidarsi
a una salvezza estetica è sicuramente irrazionale se pensiamo che il mondo
dipenda dall’economia del denaro e non da quella dello spirito.
Ma
diventa possibile se crediamo che “l’uomo non vive di solo pane”.
È
questa una verità che è inutile spiegare.
Del
resto, la fame non dipende dal cervello, e nemmeno dallo stomaco, ma
dall’essere nella sua totalità.
Un bambino non sa nulla del latte e tuttavia
cerca il seno della madre.
Così,
non serve dimostrare la bellezza a parole.
Alcuni
liquidano il problema equiparando il bello al piacevole.
Ma è
una concezione superficiale.
Ci
sono infatti bellezze che feriscono, creano malinconici turbamenti, vertigini.
Non
esiste nulla al mondo che sia libero dal dolore, e una bellezza che ne fosse
priva sarebbe senza vita.
Forse
non esiste nulla che possa placare i nostri più profondi bisogni.
Perciò
immaginiamo un aldilà, dove la nostra fame è finalmente soddisfatta.
“Tutto
è dolore in questo mondo: essere separati da ciò che si ama, essere uniti a ciò
che non si ama”.
Tipico leit motiv buddhista, da cui si desume
non vi sia salvezza tranne lo sfuggire a una ruota frustrante di creazioni e
distruzioni.
Lo
dice anche Cristo: «chi beve di questa acqua avrà ancora sete».
Non si
tratta di salvare il mondo, dunque, ma di superarlo.
Tuttavia
è impossibile cancellare nell’uomo l’amore per la bellezza, anche se effimera e
incostante.
Una
rosa non è meno bella perché sfiorisce.
La caducità del bello non ci salva
radicalmente dal dolore, ma ci concede un momentaneo riposo.
Rappresenta
una salvezza relativa su cui poggiamo per tendere verso una Bellezza assoluta,
in cui la fame definitivamente si estingue.
Ma come può la bellezza curare la nostra
sofferenza?
Parlare
del dolore è sempre un’operazione astratta.
Perché filosofare è porre una distanza tra noi
e l’esperienza.
Collocare
il dolore in uno spazio teoretico, sublimarlo, farne oggetto di riflessione
ecc. è possibile solo in sua assenza.
Il capire rimanda infatti al guardare, ovvero
alla relazione tra lo sguardo e un oggetto.
Quando
teorizziamo noi osserviamo da lontano, e più siamo teorici più ci separiamo
dalla realtà.
La
radice théa, che indica il guardare, è la stessa da cui nasce ‘teatro’, è
qualcosa che ci fa spettatori.
Ma più
il dolore aumenta più si riduce la distanza necessaria all’occhio per vedere,
fino ad azzerarsi, a chiudere lo sguardo su sé stesso.
Resta
allora solo l’atto del soffrire, senza alcuna rappresentazione.
Il
dolore fa tutt’uno con noi, comprime in un solo coagulo anima e corpo.
Quando
questo accade, la bellezza si ritira.
Perché essa chiede distinzione, ordine e
linguaggio, mentre il dolore ci immerge nell’informe, nel suono inarticolato.
Il
potere del Bello di consolarci resta sommerso, ammutolito, finché l’alta marea
del dolore non si abbassa.
Ciò
che la bellezza può lenire è quindi solo il ricordo del male sofferto.
Può
ammorbidire la crosta di memorie dolorose sedimentate sul fondo di noi stessi.
Per questo il tempo ha un effetto catartico.
Creando
una lontananza tra noi e la nostra pena ci permette di guardarla con distacco.
Potremmo allora trovarla persino sublime, come
una tragedia greca, o il Laocoonte che si contorce nelle spire del serpente.
Perché
“Dio risplende anche nel dolore”.
Ma
come spiegare il piacere provato di fronte a un’opera d’arte, o l’intimo
diletto che ci dà un fiore, un canto d’usignolo?
Si è
detto che la bellezza risponde a un’esigenza interiore, a un trofismo dello
spirito.
Questa
necessità consiste nell’uscire, anche per poco, dalla dimensione claustrofobica
della nostra autocoscienza.
Il Bello ci aiuta a dimenticare i nostri
limiti e difetti, a ricordare una perfezione che è già dentro di noi.
Ci
sottrae momentaneamente alla morsa dell’io empirico, alle sue paure e dai suoi
bisogni, alla sua ricerca dell’utile.
L’esperienza
estetica coincide con un meravigliarsi e un aprirsi del cuore.
Dissolve
la dura membrana dell’ego, quasi vi stimolasse un afflusso di succhi gastrici.
Lo sguardo si abbandona allo stupore senza
preoccupazioni o interessi personali. Cade il velo di opacità che copre gli
oggetti, si sciolgono i nodi di una mente contratta e irrigidita nelle sue
operazioni mondane.
E a
misura che una chimica spirituale provoca tale ‘lisi’, si produce in noi una
liberazione e una beatitudine.
Siamo
trasportati in una trascendenza, eccedenza superflua rispetto ai nostri calcoli
morali e razionali, rischiarante la vita di un inutile splendore.
La
bellezza è ciò che ci affranca dal dolore del limite, una sorta di finestra
sull’infinito.
Ci
ristabilisce nell’ordine e nell’armonia del creato, ovvero riflette
quest’armonia dentro di noi.
L’incanto
di un cielo stellato ne è l’espressione più emblematica.
Ma può
essere un lavoro ben fatto, un sorriso di bimbo.
È
qualcosa che esclude il senso del ‘mio’, perché il contemplare non è possedere
ma partecipare.
Per
questo desideriamo trasmetterne ad altri l’esperienza.
Uno
dei caratteri essenziali dell’amico è che vede il bello dove lo vediamo noi.
La
condivisione del piacere eccita una dilatazione dell’essere, un’amplificazione
della coscienza.
E
viceversa, chi non aderisce alla nostra visione estetica, provoca in noi un
penoso disagio.
Considerazioni
inattuali, si potrebbe dire.
Da un lato per il discredito di cui soffrono
oggi i temi metafisici, dall’altro per una diffusa inettitudine ad apprezzare
l’inutile.
Tutto
per noi deve avere uno scopo.
Diceva
Nietzsche: «abbiamo l’arte per non morire di verità» ma io direi piuttosto per
non soccombere all’utilità.
La
bellezza è fine a sé stessa, quindi è libera.
Questo
la rende invisa alla politica e all’economia.
Non ha
causa, e questo la rende incomprensibile alla scienza.
Dobbiamo
perciò adeguarla ai nuovi bisogni.
Dopo
la morte degli Dei e il declino di ogni filocalia spirituale, è la tecnologia a
prometterci la salvezza.
La
questione si sposta così dall’estetica alla tecnica, l’artista cede il posto
all’ingegnere.
Avocando
a sé ogni potere incantatorio e salvifico, il progresso ha prodotto nell’arte
una profonda crisi di identità, portandola a vergognarsi dei suoi tratti
metafisici, inadatti a competere con la forza di numeri, dati, bilanci.
Se la
scienza incarna ‘la verità’ e la tecnologia ‘l’utilità’, l’arte non può
sentirsi che falsa e inservibile.
Oppure
tentare di farsi anch’essa razionale, dimostrativa, funzionale.
Questa
crisi è riconoscibile nel rapido disgregarsi dei suoi linguaggi, nel teorizzare
un’arte concettuale, i cui contenuti pedagogici, didascalici, sociologici,
dovrebbero giustificare la sgradevolezza delle sue forme.
Si separa così la bellezza dalle sue inconsce
radici, dal suo elemento dionisiaco e irrazionale, a favore di un moralismo
estetico, ostile a ogni godimento che non sia puramente cerebrale.
È
un’arte di cose nate morte, in cui non si sente battere il cuore dell’artista.
Del
resto, «più il mondo è terrificante più l’arte diventa astratta» diceva Klee.
Nel
suo lavoro “Al di là del principio del piacere” Freud descrive un bambino di 18
mesi che, quando la mamma è assente si trastulla lanciando lontano un rocchetto
di cui tiene in mano il filo, facendolo scomparire per poi ritirarlo a sé.
Ci si
chiederà cosa c’entri questo con la bellezza.
Ora,
secondo Freud, questo gioco rappresenterebbe il tentativo di superare la
frustrazione dell’abbandono.
Il
rocchetto diviene simbolicamente la madre che, tirando il filo, ritorna e calma
la solitudine del bimbo.
Tuttavia,
questo espediente sarebbe inefficace se il bimbo non sapesse illudersi. Questa
illusione è anche l’essenza dell’arte, del suo potere di consolarci con
presenze simboliche.
È un gioco di prestigio che implica una
scissura nella coscienza, tra l’io-mago, che conosce il trucco, e l’io-spettatore
che si lascia ingannare.
È
stupefacente, ad esempio, come la musica possa offrirci una mimesi dell’animo
umano, rappresentarne tutti gli stati – gioia, riso, dolore, paura, ira,
eroismo ecc.
Rappresentandoli
in forma simbolicamente evocativa, pone una rassicurante distanza tra noi e i
movimenti tellurici o gli sperdimenti dell’anima.
Possiamo
calarci in estasi erotiche, in impeti guerrieri, restando immobili, come quando
sogniamo.
Anche
le scene più terribili possono essere esteticamente godute, come quando
ammiriamo da lontano la bellezza di una tromba marina o di un’eruzione
vulcanica.
La
musica, in fondo, è un’evoluzione incredibilmente raffinata di quel gioco fatto
di distacchi-ritorni della madre, alternanza di appagamento e frustrazione,
fame e sazietà.
Il
movimento del rocchetto si trasforma nel rapporto armonico tra toni tensivi e
distensivi, accordi dissonanti e consonanti.
Ci mostra come la bellezza dipenda
dall’interazione e dall’equilibrio di forze contrapposte.
La vita con le sue contraddizioni è calata in
un ordine ideale di simmetrie e geometrie, in un procedere di tesi e antitesi
volto a sempre nuove riconciliazioni dell’essere.
Talvolta
la distensione armonica viene differita con esasperante ritardo, passando da
dissonanze a nuove dissonanze, senza trovare soluzione.
Accade nella Morte di Isotta:
la
fame erotica, eccitazione inappagabile, si consuma solo nella statica
consonanza degli ultimi accordi.
Estinzione
del desiderio, Nirvana, unica sazietà possibile.
Se
questa contrazione si fa costante e insolubile, diviene elemento unico e
radicale del discorso, si produce infine un rifiuto della dialettica armonica.
Così,
nella dodecafonia non è più possibile alcun risolversi psicologico.
La
dissonanza non prepara un appagamento.
Tutto
è dissonanza, tensione senza rilascio, frammentazione della linea melodica,
algida combinazione seriale.
L’ascoltatore
perde i suoi riferimenti sintattici perché gli vien tolto il familiare
linguaggio della tonalità e delle sue funzioni naturali.
È lo
stesso disorientamento che ci coglie di fronte alla sovversione di un ordine
sessuale e affettivo, alla soppressione di una ritualità sociale.
E paradossalmente, il procedere
intellettualistico del discorso sembra farci cadere nel caos, la sua
preordinata razionalità induce un pessimismo senza sbocchi.
Perciò,
istintivamente, rifiutiamo a quest’arte l’epiteto di ‘bella’.
Perché
è puramente problematica, non ci nutre, delude una nostra aspettativa
fisiologica.
È repulsiva per coerenza con sé stessa, perché
nel suo ipertrofico illuminismo rifiuta d’essere cibo, consolazione.
È
specchio di un mondo stretto negli spasimi del suo “spirito di geometria”, che
non riconosce più le ragioni del cuore.
Le sue
irriducibili dissonanze ci chiudono in un labirinto senza uscita, in cui
possiamo solo girare su noi stessi.
È
proprio quest’arte senza trascendenza – e quindi senza speranza – a mostrarci
la disperazione della nostra società, l’impotenza della razionalità e della
tecnica a salvare l’uomo.
Perciò
assistiamo a un rapido disfacimento del bello.
Il
Brutto cola ovunque come una scoria melmosa, sulle nostre città, sulla cultura,
la politica, la medicina, l’informazione.
La bellezza si è ridotta a messaggio
commerciale, utile a promuovere un prodotto, o si è fatta distrazione
superficiale, rumore di sottofondo che cerca non di confortare ma di coprire il
dolore.
Le drammaturgie dei media ci offrono
insignificanti catarsi, nei diversivi della Rete troviamo le nuove illusorie
sublimazioni del dolore.
La
crisi della bellezza è anche crisi del dialogo tra noi e gli altri, o con noi
stessi. Perché il senso della Bello ha bisogno di lente e laboriose
masticazioni, e forse niente gli nuoce quanto l’accelerazione e la bulimia dei
nostri processi di comunicazione, questo inghiottire compulsivo e frettoloso.
Che invece d’esser nutrimento provoca un
vomito inarrestabile di immagini e messaggi, faccine ammiccanti, automatici “mi
piace”, finti stupori e meraviglianti banalità.
Inganniamo
la nostra fame con simulazioni di realtà, con gli artifici di una società
sterile, che non crea più nulla perché si crede capace di creare tutto, anche
l’uomo.
Piani,
progetti, non sappiamo far altro!
Ma la
bellezza non può essere oggetto di un disegno razionale e di una modulistica.
Né può
uscire da una tecnica, come Venere dalle acque.
Non è
il frutto dei nostri programmi ma un dono che matura nell’attesa.
È un mistero, e viene a noi liberamente, cibo
benedetto che rigenera le cellule, riordina i tessuti, alimenta la vita.
Dunque,
la bellezza salverà il mondo?
Ma
come lo può salvare?
Il
presente non sa creare bellezza.
A
sfamarci resta solo la bellezza di un mondo sempre più lontano, cornucopia
riempita dal genio dei secoli passati.
Resta
quella natura che ancora sfugge all’azione soffocante del progresso.
La
grazia di ciò che ancora spontaneamente nasce e cresce, nutrito da oscure virtù.
E se infine nel mondo non rimarrà una briciola di bellezza, ci salverà
l’autotrofismo.
Per
cibarci dovremo attingere a una bellezza interna, fare di noi stessi un’opera d’arte.
A New
York Lavrov spariglia il mazzo.
Ariannaeditrice.it - Pepe Escobar – (30/04/2023)
(Come
Don Chisciotte)
Immaginate
un vero gentiluomo, il più importante diplomatico di questi tempi difficili, in
totale padronanza dei fatti e dotato di un delizioso senso dell’umorismo, che
si lancia in una pericolosa passeggiata sul lato selvaggio, per citare
l’iconico “Lou Reed” , e ne esce indenne.
In
effetti, il momento newyorkese del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov – come i
suoi due interventi davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 24
e il 25 aprile – ha rappresentato l’equivalente diplomatico di far crollare una
casa.
Almeno le parti della casa abitate dal Sud
globale – o dalla “Maggioranza globale”.
Il 24
aprile, durante la 9308esima riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite con all’ordine del giorno “Mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale, multilateralismo efficace attraverso la protezione dei principi
della Carta delle Nazioni Unite”, è stato particolarmente rilevante.
Lavrov
ha sottolineato il simbolismo della riunione che si svolge nella “Giornata internazionale del
multilateralismo e della diplomazia per la pace”, ritenuta molto significativa da una
risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2018.
Nel
suo preambolo, Lavrov ha osservato come
“tra
due settimane celebreremo il 78° anniversario della Vittoria nella Seconda
Guerra Mondiale. La sconfitta della Germania nazista, alla quale il mio Paese
ha dato un contributo decisivo con il sostegno degli Alleati, ha posto le basi
per l’ordine internazionale del dopoguerra. La Carta delle Nazioni Unite ne è
diventata la base giuridica e la nostra stessa organizzazione, incarnando un
vero multilateralismo, ha acquisito un ruolo centrale e di coordinamento nella
politica mondiale “.
Beh,
non proprio.
E
questo ci porta alla vera e propria passeggiata sul lato selvaggio di Lavrov,
che ha evidenziato come il multilateralismo sia stato calpestato.
Ben oltre i torrenti di denigrazione dei
soliti sospetti e il loro tentativo di sottoporlo a una doccia gelata a New
York, o addirittura di confinarlo nel congelatore geopolitico, Lavrov ha
prevalso.
Facciamo
una passeggiata con lui nell’attuale terra desolata.
Signor
Lavrov, lei è la star dello spettacolo.
O la nostra strada o l’autostrada:
Quella
“dell’ordine basato sulle regole”:
“Il sistema ONU-centrico sta
attraversando una profonda crisi. La causa principale è stata il desiderio di alcuni
membri della nostra organizzazione di sostituire il diritto internazionale e la
Carta delle Nazioni Unite con una sorta di “ordine basato sulle regole”.
Nessuno ha visto queste “regole”, non sono
state oggetto di negoziati internazionali trasparenti.
Sono inventate e utilizzate per contrastare i processi
naturali di formazione di nuovi centri di sviluppo indipendenti, che sono una
manifestazione oggettiva del multilateralismo.
Si
cerca di contenerli con misure unilaterali illegittime, tra cui l’interruzione dell’accesso
alle moderne tecnologie e ai servizi finanziari, l’estromissione dalle catene
di approvvigionamento, la confisca delle proprietà, la distruzione delle infrastrutture
critiche dei concorrenti e la manipolazione di norme e procedure universalmente
concordate.
Il risultato è la frammentazione del commercio
mondiale, il collasso dei meccanismi di mercato, la paralisi dell’OMC e la definitiva,
già senza maschera, trasformazione del FMI in uno strumento per raggiungere gli
obiettivi degli Stati Uniti e dei suoi alleati, compresi quelli militari “.
Distruggere
la globalizzazione:
“Nel
disperato tentativo di affermare il proprio dominio punendo i disobbedienti, gli Stati Uniti hanno continuato a
distruggere la globalizzazione, che per molti anni è stata esaltata come il bene più alto
di tutta l’umanità, al servizio del sistema multilaterale dell’economia mondiale.
Washington
e il resto dell’Occidente, che si è sottomesso ad essa, usano le loro ‘regole’
ogni volta che è necessario per giustificare passi illegittimi contro coloro che
costruiscono le proprie politiche in conformità con il diritto internazionale e
rifiutano di seguire gli interessi egoistici del ‘miliardo d’oro’.
I dissidenti vengono messi nella lista nera
secondo il principio: ‘Chi non è con noi è contro di noi’.
Per i
nostri colleghi occidentali è stato a lungo ‘scomodo’ negoziare in formati
universali, come l’ONU.
Per
giustificare ideologicamente la politica di indebolimento del multilateralismo,
è stato introdotto il tema dell’unità delle ‘democrazie’ in opposizione alle
‘autocrazie”.
Oltre
ai ‘vertici per la democrazia’, la cui composizione è determinata
dall’autoproclamato egemone, si stanno creando altri ‘club delle élite’,
aggirando le Nazioni Unite”.
Giardino
contro Giungla:
“Chiamiamo
le cose con il loro nome:
nessuno ha permesso alla minoranza occidentale
di parlare a nome di tutta l’umanità.
È
necessario comportarsi con decenza e rispettare tutti i membri della comunità
internazionale.
Imponendo
un ‘ordine basato su regole’, i suoi autori rifiutano con arroganza un principio chiave
della Carta delle Nazioni Unite: l’uguaglianza sovrana degli Stati.
La
quintessenza del ‘complesso di esclusività’ è stata la dichiarazione
‘orgogliosa’ del capo della diplomazia dell’UE, Josep Borrell, secondo cui ‘l’Europa è il giardino dell’Eden e
il resto del mondo è una giungla’.
Citerò anche la dichiarazione congiunta NATO-UE del 10
gennaio di quest’anno, in cui si afferma che ‘l’Occidente unito’ utilizzerà tutti
gli strumenti economici, finanziari, politici e – faccio particolare attenzione
– militari a disposizione della NATO e dell’UE per garantire gli interessi del
‘nostro miliardo’.
La
‘linea di difesa’ della NATO:
“Al
vertice dello scorso anno a Madrid, la NATO, che ha sempre convinto tutti della
sua ‘pacificità’ e della natura esclusivamente difensiva dei suoi programmi
militari, ha
dichiarato la ‘responsabilità globale’, la ‘indivisibilità della sicurezza’
nella regione euro-atlantica e nella cosiddetta regione indo-pacifica.
In
altre parole, ora la ‘linea di difesa’ della NATO (come Alleanza difensiva) si sta spostando sulle sponde
occidentali dell’Oceano Pacifico.
Gli
approcci di blocco che minano il multilateralismo centrato sull’”ASEAN” si
manifestano nella creazione dell’alleanza militare “AUKUS”, in cui vengono
spinti Tokyo, Seul e alcuni Paesi dell’”ASEAN”.
Sotto
gli auspici degli Stati Uniti, si stanno creando meccanismi per intervenire
nelle questioni di sicurezza marittima con l’obiettivo di garantire gli
interessi unilaterali dell’Occidente nel Mar Cinese Meridionale.
Josep Borrell, che ho già citato oggi, ha
promesso ieri di inviare forze navali dell’UE nella regione.
Non si
nasconde che l’obiettivo delle ‘strategie indo-pacifiche’ è contenere la “RPC” e isolare la”
Russia”.
È così che i nostri colleghi occidentali intendono il ‘multilateralismo efficace’ nella regione Asia-Pacifico”.
Promuovere
la democrazia:
“Dalla seconda guerra mondiale, ci
sono state decine di avventure militari criminali da parte di Washington –
senza alcun tentativo di ottenere una legittimità multilaterale.
Perché,
se ci sono ‘regole’ sconosciute a tutti?
La
vergognosa invasione dell’Iraq da parte della coalizione guidata dagli Stati
Uniti nel 2003 è stata condotta in violazione della Carta delle Nazioni Unite,
così come l’aggressione alla Libia nel 2011.
Una
grave violazione della Carta delle Nazioni Unite è stata l’interferenza degli Stati
Uniti negli affari degli Stati post-sovietici.
Sono
state organizzate ‘rivoluzioni colorate’ in Georgia e Kirghizistan, un
sanguinoso colpo di Stato a Kiev nel febbraio 2014 e tentativi di prendere il
potere con la forza in Bielorussia nel 2020.
Gli anglosassoni, che guidano con sicurezza
l’intero Occidente, non solo giustificano tutte queste avventure criminali, ma
sbandierano anche la loro linea di ‘promozione della democrazia’.
Ma
ancora una volta, secondo le proprie ‘regole’:
Kosovo – riconoscere l’indipendenza senza
alcun referendum;
Crimea – non riconoscere (anche se c’è stato
un referendum);
non
toccare le Falkland/Malvinas, perché lì c’è stato un referendum (come ha detto
recentemente il ministro degli Esteri britannico John Cleverly).
È
divertente”.
La
geopolitica della ‘questione ucraina’:
“Oggi
tutti capiscono, anche se non tutti ne parlano ad alta voce; non si tratta
affatto dell’Ucraina, ma di come si costruiranno ulteriormente le relazioni
internazionali: attraverso la formazione di un consenso stabile basato su un
equilibrio di interessi – o attraverso la promozione aggressiva ed esplosiva
dell’egemonia.
È impossibile considerare la ‘questione
ucraina’ separatamente dal contesto geopolitico.
Il
multilateralismo presuppone il rispetto della Carta delle Nazioni Unite in
tutta l’interconnessione dei suoi principi, come già detto.
La
Russia ha spiegato chiaramente i compiti che persegue nell’ambito di
un’operazione militare speciale:
eliminare
le minacce alla propria sicurezza create dai membri della NATO direttamente ai
nostri confini e proteggere le persone che sono state private dei loro diritti proclamati
dalle convenzioni multilaterali, per proteggerle dalle minacce dirette di sterminio e di
espulsione dai territori in cui i loro antenati hanno vissuto per secoli
dichiarate pubblicamente dal regime di Kiev.
Abbiamo
detto onestamente per cosa e per chi stiamo combattendo”.
Il Sud
globale reagisce:
“Il
vero multilateralismo nella fase attuale richiede che l’ONU si adatti alle
tendenze oggettive nella formazione di un’architettura multipolare delle
relazioni internazionali.
La
riforma del Consiglio di Sicurezza deve essere accelerata aumentando la
rappresentanza dei Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. L’attuale scandalosa
sovra-rappresentazione dell’Occidente in questo principale organo delle Nazioni
Unite mina il multilateralismo.
Su iniziativa
del Venezuela, è stato creato il “Gruppo di Amici in Difesa della Carta delle Nazioni
Unite”.
Chiediamo
a tutti gli Stati che rispettano la Carta di aderirvi.
È inoltre importante sfruttare il potenziale
costruttivo dei “BRICS” e della” SCO”.
L’UEEA, la CSI e la CSTO sono pronte a
contribuire.
Siamo
favorevoli a utilizzare l’iniziativa delle posizioni delle associazioni
regionali dei Paesi del Sud globale.
Anche il Gruppo dei Venti può svolgere un ruolo utile per
mantenere il multilateralismo se i partecipanti occidentali smettono di
distrarre i loro colleghi dalle questioni di attualità all’ordine del giorno, nella speranza di mettere in sordina
il tema della loro responsabilità nell’accumulo di fenomeni di crisi
nell’economia mondiale”.
Chi sta infrangendo la legge?
Dopo
questo conciso tour de force, sarebbe immensamente illuminante seguire ciò che
Lavrov ha detto al mondo dal febbraio 2022, con un dettaglio coerente e
straziante: i violatori seriali del diritto internazionale, nella storia
contemporanea, sono stati l’Egemone e il suo misero gruppo di vassalli. Non la
Russia.
Quindi
Mosca aveva il pieno diritto di lanciare l’”SMO”, non avendo alternative.
E
l’operazione sarà portata alla sua logica conclusione, come previsto dal nuovo
concetto di politica estera russa pubblicato il 31 marzo. Qualsiasi cosa possa essere scatenata
dal Collettivo Occidentale sarà semplicemente ignorata dalla Russia, che
considera l’intera combinazione come un’azione al di fuori delle norme del
diritto internazionale stabilite dalla Carta delle Nazioni Unite.
(Pepe
Escobar è un analista geopolitico e autore indipendente)
(strategic-culture.org/news/2023/04/27/mr-lavrov-new-york-shuffle)
Unrestricted
warfare:
dall’iperguerra
alla guerra illimitata.
Ariannaeditrice.it - Matteo Parigi – (30/04/2023)
– ci dice:
(ideeazione)
Nel
febbraio del 1999 usciva per una casa editrice dell’esercito cinese un’opera
dal titolo «Guerra senza limiti (超限战)» destinata a segnare il corso del pensiero militare sino ai
nostri giorni, oltreché suscettibile di influenzare il corso delle guerre
future.
Più precisamente, l‘opera scaturisce dalle
riflessioni di “Qiao Liang (乔良) e “Wang Xiangsui” (王湘穗), due colonnelli dell’esercito
cinese, operanti rispettivamente presso il dipartimento politico
dell’aeronautica e presso il distretto militare aeronautico di Guangzhou.
Essi
partono dalla constatazione che l’arte della guerra, soprattutto a partire
dalla Guerra del Golfo, ha subito una rivoluzione.
Si
manifesta, si combatte, deve essere pensata secondo logiche e modalità
profondamente differenti da come l’abbiamo conosciuta fino ad ora.
Accanto
alla guerra convenzionale tra uomini in carne ed ossa che si fronteggiano
puntandosi a vicenda un fucile, vi sono forme più subdole, trasversali, più
silenziose e allo stesso tempo più letali, che possono annientare il nemico in
un battito di ciglia o al contrario conquistarlo intero e intatto in ossequio
all’arte della guerra di Sun Tzu.
Ma la
morale non finisce in questa constatazione, bensì nella consapevolezza finale
che l’essere umano, per quanto si forzi di costruire la pace, non si dimostra
in grado di terminare la guerra.
Essa può essere addomesticata in alcuni suoi
aspetti, ma è comunque destinata a rinascere in altre forme.
Scopo
del presente studio è appunto quello di individuare questi molteplici sensi –
come direbbe Aristotele – della guerra odierna, partendo dalle riflessioni e le
teorie dei colonnelli “Qiao e “Wang”.
Dalla
hyperwar all’unrestricted warfare.
Durante
le operazioni “Desert Storm e “Desert Shield” nella Guerra del Golfo (1991) l’Iraq subì una disfatta senza
precedenti.
Le forze militari di Saddam Hussein
capitolarono nell’arco di poche settimane, soverchiate dalla netta superiorità
tecnologica occidentale, talmente avanzata da rendere possibile per gli
americani la tattica “zero kills” (zero morti in casa).
Fu una vera rivoluzione nella storia militare.
L’ex
generale della marina statunitense “John Allen” coniò il termine “hyperwar” per descrivere il conflitto
combattuto attraverso le nuove armi a guida autonoma:
missili
Tomahawk guidati da intelligenze artificiali, satelliti spia a raggi
infrarossi, missili Hellfire a guida laser, caccia Stealth F-117°,
cacciabombardieri F-15E, F-111, F-16, aerei radar J-STAR;
nel
deserto marciavano in contemporanea carri armati M-1A1, coadiuvati dal sistema
radar computerizzato Q-37, dotati di un raggio d’azione doppio rispetto a
quelli iracheni.
Le
forze americane ed alleate poterono agire letteralmente indisturbati, telecontrollando
le proprie armi da comode sale di controllo, senza dover sacrificare “our
boys”.
A
tutto ciò vanno poi aggiunti i rinforzi alleati del Patto Atlantico e dell’ONU;
le
pressioni delle istituzioni internazionali, insieme alle contromisure degli stati,
i quali non si sono posti troppe riserve nell’attuare embarghi a danno dei
civili;
una mobilitazione mediatica che ha visto le
agenzie di stampa nell’unanime impegno di creare una narrativa a danno del
regime di Saddam Hussein.
La
velocità d’esecuzione, la potenza delle tecnologie impiegate, la vasta
mobilitazione internazionale e la letalità delle contromisure economiche hanno
posto all’attenzione dei cinesi e delle altre potenze la seguente domanda: come
difendersi ed allo stesso tempo portare avanti una guerra contro un nemico
militarmente ed economicamente così potente?
Ivi
risiede il concetto di Guerra illimitata (unrestricted warfare): la guerra non
va più intesa unicamente nel suo significato classico, ossia un conflitto armato
tra governi nazionali, nel corso del quale almeno 1000 persone siano uccise.
Nel
suo senso più ampio la guerra si può – e di fatto si svolge – su innumerevoli
campi di battaglia, del tutto insospettabili ed apparentemente lontani dalla
semantica dei conflitti.
Esperti economici, finanzieri e banchieri
hanno oggi la capacità di provocare crisi economiche a danno di intere regioni
globali;
un
hacker informatico potrebbe causare il blackout della rete elettrica o mandare
in tilt le infrastrutture vitali di un paese;
un
comune cittadino può diffondere su internet materiale diffamatorio o mettere
pressione per influenzare un determinato individuo;
i gruppi terroristici sono diventati l’incubo
degli stati sovrani, eppure lo squilibrio di forze e risorse tra le parti è
incommensurabile.
La
questione coinvolge anche le stesse istituzioni adibite a risolvere i
conflitti:
organizzazioni
internazionali quali l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale, le
ONG.
Nessuno sfugge alle crudeli “conseguenze della
pace” come direbbe Keynes.
“Qiao”
e “Wang” hanno individuato ben 24 metodi operativi classificati in tre
macroinsiemi; la costante in ciascun elemento è “guerra”.
Inoltre,
ciò che accomuna i differenti ambiti bellici sono i seguenti «princìpi essenziali»
comuni, l’essenza stessa di una guerra senza limiti:
Onnidirezionali: osservazione,
pianificazione e intervento a 360°.
Sincronia: conduzione di azioni in spazi
diversi nello stesso arco temporale.
Obiettivi limitati: definizione dell’azione
entro un raggio accettabile per i mezzi disponibili
Mezzi illimitati: tendenza ad un impiego
illimitato di mezzi e criteri, ma ristretto al raggiungimento dello scopo.
Asimmetria: contorni dell’equilibrio
Consumo minimo: utilizzo della minor
quantità possibile di risorse.
Coordinamento multidimensionale: scelta ed
assegnazione di tutte le forze che possono essere mobilitate.
Controllo e correzione dell’intero processo.
Le
guerre di oggi prevedono la combinazione di due o più metodi operativi.
La
scelta il più delle volte è dettata dalle circostanze, ma di fatto rimane a
discrezione delle strategie, della fantasia tattica dei guerrieri.
Ad
ogni modo, la vera abilità sta nella capacità di sapersi spingere al di là dei
limiti imposti dalle convenzioni militari. Muta il concetto stesso di campo di
battaglia:
esso è di per sé ovunque, in qualsiasi ambito.
Non vi sono delle leggi fisse o delle
combinazioni sempre perfette; la vittoria dipende dalle singole circostanze,
nonché infiniti altri fattori.
Gli
autori, dopo aver passato in rassegna i successi storici di alcuni tra i
maggiori strateghi militari classici sono giunti alla conclusione che in
generale vince chi ha saputo ottenere la giusta combinazione.
La
guerra asimmetrica tra gli Stati Uniti e Bin Laden, per citare alcuni esempi,
ha visto la guerra di terrorismo nazionale combinarsi con quelle di
intelligence, finanziaria, normativa e di network.
La
guerra in corso tra l’Ucraina, coadiuvata dall’intero occidente atlantico e la
Russia, presenta la stessa identica essenza di guerra illimitata:
abbiamo infatti visto l’intervento economico
da parte dell’Unione Europea a sostegno degli ucraini + sanzioni finanziarie da
parte delle istituzioni finanziarie mondiali + sanzioni politiche targate ONU +
sentenze giudiziarie ad opera del Tribunale Penale Internazionale contro Putin,
insieme ad una gigantesca guerra di propaganda mediatica da ambo i lati e
innumerevoli altri metodi operativi tra i già citati (deterrenza atomica,
elettronica, psicologica, diplomatica ecc.).
ONU, Tribunale Penale Internazionale,
Meccanismo finanziario “SWIFT”, Unione Europea:
seguendo
la dottrina dell’”unrestricted warfare” sono tutte parti in causa di guerre
combattute attraverso armi non convenzionali, ma ugualmente letali.
Ogni veto politico, ogni hackeraggio, ogni
università straniera, ogni dazio pagato dal nemico è un proiettile sparato.
Non a
caso i colonnelli cinesi definiscono soldati sia “Shoko Asahara”, terrorista
giapponese, che “George Soros”, squalo della finanza mondiale.
Il
terrorismo e la guerra asimmetrica.
Il
terrorista rappresenta per antonomasia il combattente di una guerra
asimmetrica: un conflitto tra avversari sulla carta nettamente impari.
Tuttavia,
un gruppo terroristico, a differenza di uno Stato sovrano, non ha di per sé
scrupoli ad infrangere regole internazionali (anzi, spesso è lo scopo del
terrorismo), non si sentono vincolati al rispetto di regole in trincea;
pertanto,
sono più propensi ad attuare misure non ortodosse, in particolare l’uccisione
di civili.
Il
terrorismo utilizza la carta del diritto come un’arma contro lo stato o
l’organizzazione nemica.
Al-Baghdadi se ne frega delle convenzioni a
tutela dei beni culturali quando decide di deturpare Ninive e Palmira.
Anzi,
l’ISIS utilizza la carta dell’illegalità per lanciare un messaggio al mondo, o
comunque a più orecchie possibili.
Per lo
stato è impensabile combattere con le stesse armi, qui non funziona la tattica
dello spegnere il fuoco col fuoco.
Inoltre, uno stato detiene un enorme arsenale
rispetto a dei ribelli terroristi, ma proprio per tale motivo i terroristi si
vedono bene dal fronteggiare direttamente il nemico statuale;
pertanto,
l’ingente monopolio della forza diventa inutile, se non addirittura
controproducente.
Servono
altri metodi operativi, quali i mezzi d’intelligence, la guerra psicologica,
finanziaria…
Impossibile ricorrere ai metodi operativi di carattere strettamente militare.
La
setta religiosa Aum Shinrikyo dal 1994 al 1995 terrorizzò il Giappone mediante
attentati presso stazioni e metropolitane, disperdendo gas sarin e acido
cianidrico tra i civili, mietendo complessivamente decine di vittime.
La
loro strategia era esattamente quella di scegliere vittime e luoghi pubblici in
modo da confondere le inferenze della polizia.
A differenza di “Al-Baghdadi”, il leader
giapponese “Shoko Asahara” non proveniva dall’esercito, non aveva un ruolo
militare.
Le sue
azioni provengono dal pensiero di un intellettuale, che non desta il minimo
sospetto sulle capacità letali che ha poi dimostrato.
Contro un pericolo di tale natura, il lavoro
delle forze dell’ordine è delicatissimo, in proporzione al grado di importanza
che viene data alla democrazia e ai diritti civili.
Il
mantenimento di una società democratica pone infatti ulteriori responsabilità
alle istituzioni pubbliche.
Al
contrario, sarebbe sicuramente più facile per un regime profondamente
autoritario intervenire con misure repressive.
Il terrorismo utilizza metodi limitati per
condurre una guerra illimitata. Il problema dello Stato è esattamente l’opposto.
I
soldati della finanza.
Le
potenzialità distruttive di una crisi commerciale o finanziaria dovrebbero
essere note più o meno a chiunque sia vivo da almeno vent’anni.
Non a caso il grande classico sull’arte della
guerra di “Sun Tzu” viene insegnato e fatto leggere in molte scuole di “corporate
finance management.
Pochi
funzionari di banche o squali della finanza sono in grado di destabilizzare
intere regioni del globo.
Uno
dei più noti ed importanti, tuttora in azione, è l’ungherese ashkenazita George
Soros.
Nell’estate
del 1992, ad un anno dalla futura stipula del trattato di Maastricht, venne
stabilito sulla scia del rapporto Delors che gli stati membri dell’allora
Comunità Europea dovessero adattarsi alla banda stretta delle oscillazioni
(precisamente al livello del 2,5% rispetto alla parità).
La
notizia fu di per sé un invito a nozze per gli speculatori finanziari ad
approfittare dell’imminente svalutazione monetaria che sarebbe avvenuta per
forza di cose nei paesi europei membri del sistema.
Soros non si fece scappare l’occasione e
speculò sia sulla sterlina inglese che sulla lira italiana, tanto da ottenerci
un guadagno plurimiliardario e dall’altro lato causando una crisi drammatica
nei rispettivi paesi, tanto che nel settembre dello stesso anno uscirono dal
Sistema Monetario Europeo.
A
Londra quella speculazione viene tutt’oggi ricordata come il “mercoledì nero”, mentre in Italia quell’estate – non a
caso – altri samurai dell’economia come Mario Draghi, Ciampi ed Andreatta
stavano pianificando il futuro smembramento del patrimonio pubblico italiano.
I
grandi detentori di capitali, le agenzie di rating, burocrati e banchieri
possiedono nelle loro mani armi infinitamente più pericolose per le sorti di
intere nazioni rispetto ad un carro armato Leopard.
Nel mondo globalizzato odierno un
presentimento (sentiment) di crisi economica in una regione, presso una banca o
un settore può instaurare una fuga di capitali in grado di mettere in ginocchio
un governo.
L’apertura
alla mobilitazione dei capitali, infatti, può sia attirare investimenti utili
dall’estero sia farli scomparire immediatamente con tutte le conseguenze
disastrose che ne derivano.
Grossi
agenti finanziari come “Soros” utilizzano volontariamente grossi capitali per
mettere in crisi Stati o governi ostili ai propri interessi, ed allo stesso
tempo influenzarne altri.
Sempre
“Soros” negli anni Novanta fu tra i responsabili, insieme ai funzionari del “Fondo
Monetario Internazionale”, della forte crisi economica che mise k.o. le c.d.
tigri asiatiche.
Paesi come Corea del Sud, Malesia, Thailandia,
Indonesia erano all’epoca le economie più promettenti.
Tuttavia,
l’FMI si intromise nella gestione delle rispettive politiche, persuadendo i
governi a adottare le proprie raccomandazioni economiche sulla scia del c.d. “Washington
Consensus”, soprattutto in ambito di liberalizzazione del mercato,
ristrutturazione aziendale e rivalutazione monetaria.
Paesi
come la Corea del sud e la Malesia di “Mahathir”, meno propensi ad accogliere
le politiche delle agenzie straniere occidentali, riuscirono a non
capitombolare del tutto e continuare a crescere nel lungo periodo; Indonesia e
Thailandia invece non resistettero all’infiltrazione dell’FMI guidato da “Camdessus”
e subirono una crisi devastante:
nel
1998 l’Indonesia è rimasta con il 75% delle aziende in sofferenza, una caduta
del PIL del 13,1% ed una conseguente guerra civile;
la
Thailandia ha visto scendere la propria produzione del 10,8% insieme al 50% dei
prestiti bancari insolventi.
Numeri
del genere sono solitamente causati da bombardamenti ripetuti e guerre armate
di logoramento.
Dal
2008 abbiamo vissuto anche in occidente il crack dell’economia globale,
iniziato da una crisi immobiliare negli Stati Uniti.
Anche lì, azioni di funzionari in giacca
firmata e cravatta, presso agenzie di rating hanno fatto il bello e cattivo
tempo della salute finanziaria globale.
I burocrati di “Moody’s S&P”, “Mackinsey”
hanno poi utilizzato le armi delle valutazioni obbligazionarie per sovvertire
governi democraticamente eletti e ricattare stati sovrani.
Lo
abbiamo visto in Italia durante l’ultimo governo Berlusconi, cacciato in fretta
e furia affinché cedesse il posto al governo delle riforme neoliberiste di
Mario Monti
(il governo di Berlusconi è risultato vittima di un attacco combinatorio
fortemente finanziario + mediatico).
Così come la Grecia di Tzipras, passato nel
giro di un anno dai programmi per uscire dall’UE al default economico che ha
fatto a pezzi il paese, provocando carestie e morti.
A
conferma che i mercati finanziari sono la più grande minaccia alla pace] va
ricordato che l’ex cancelliere tedesco Hellmuth Kohl utilizzò il marco tedesco
per abbattere il muro di Berlino.
“Soros”
finanzia tuttora ONG, agenzie di stampa, think tank politicamente attivi;
la sua
“Open Society Foundation” ha finanziato gruppi di rivoltosi ed esperti
politologi per sovvertire regimi a lui ostili.
Ci sono i suoi capitali dietro alle proteste di piazza
Maidan, da cui è iniziata la lunga guerra tra Kiev e russi nel Donbass.
Oggi le sue finanze continuano foraggiare le truppe
asimmetriche dei vari “Azov”,” Pravy Sektor” e “Svoboda” mandando al macello
centinaia di migliaia di giovani ucraini.
E la
guerra commerciale?
Anch’essa
risponde alle fredde, crude logiche belliche universali. Tuttavia, una
differenza importante risiede nei soggetti coinvolti: solitamente una guerra
commerciale riguarda due stati o regioni economiche (come l’Unione Europea o
gli stati del NAFTA);
il conflitto si svolge al livello della c.d.
alta politica, ossia al rango della politica estera tra enti politici statuali.
Si
adottano dazi, sanzioni economiche, sussidi per l’esportazione al fine di
danneggiare l’hostis sul campo di battaglia economico.
Ma è già stato visto che i danni si
ripercuotono sulla vita stessa dei singoli cittadini, tanto che un dazio sulle
importazioni di un certo bene, come quelle sui prodotti cinesi adottati dal governo
americano di Trump, possono interrompere la fonte di guadagno di molte aziende
cinesi che vivono di export e magari solo di quello con gli Stati Uniti.
Così,
si mandano comuni lavoratori di un paese sul lastrico.
I
signori della guerra non portano uniformi e baionette, bensì manuali di diritto
internazionale e commerciale.
Cyberwarfare
e guerra psicologica.
Sopra
è stato appena accennato alle due forme “classiche” metodi operativi per guerre
illimitate – il terrorismo e la finanza – utilizzate per conseguire gli
obiettivi in una guerra asimmetrica.
Ma nel
mondo iper moderno riguardano soltanto una piccola fetta dei campi ove i
conflitti si instaurano.
Non
soltanto squali della finanza come Soros o leader carismatici alla guida di
gruppi terroristici.
Anche
un ragazzo dotato d’inventiva e un notebook tra le mani sono tranquillamente in
grado di inserirsi nei sistemi informatici di un ufficio pubblico e mettere in
pericolo l’apparato informativo pubblico.
Come già anticipato il c.d. cyber warfare ha
la massima priorità nell’arte del muovere battaglia.
Le
modeste risorse necessarie e, al contrario, l’entità estrema dei danni che un
attacco hacker può causare, rende la domanda di questi nuovi soldati informatici
in aumento esponenziale.
Nel 2007 l’Estonia subì un forte cyber attack,
il quale causò un temporaneo collasso del paese, mise k.o. i servizi
essenziali, bloccò le transizioni bancarie.
Nel
2010 un attacco virus denominato “Stutnex” mandò in tilt la centrale nucleare
iraniana di Natanz.
Entrambe
le situazioni presentano un minimo comune denominatore: minimo investimento
(mezzi informatici comuni) massima resa (compromissione di infrastrutture
vitali; ampiezza nazionale).
Negli
ultimissimi anni inoltre vanno aggiunte “le guerre psicologiche” attraverso i
nuovi mezzi di comunicazione di massa.
Siamo
ad un punto ormai nel quale ciascuno di noi, se dotato di uno smartphone, è già
di per sé, consapevole o no, volente o nolente, un potenziale soldato.
Più precisamente, lo smartphone che teniamo in mano è
un’arma capace di infiltrarsi panopticamente nelle vite di tutti.
Il
nemico oggi, che sia un’azienda in cerca di dati o il collega di lavoro rivale,
ci entra dentro casa.
Una
famiglia preoccupata per l’accessibilità dei propri figli alle influenze del
mondo esterno non può più contare sula sicurezza delle mura domestiche.
Al
contrario, i proprietari dei mezzi di diffusione simbolica ci colpiscono nella
psiche dalla mattina alla sera.
Attraverso
i mezzi di comunicazione smart siamo perennemente attaccati dai segnali
provenienti da pubblicità, siti di (dis)informazione, annunci, video di
propaganda, musica commerciale ecc.
Il
tutto correlato per necessità causale al controllo orwelliano delle nostre
vite.
Big
Data è la nuova posta in gioco e i mezzi tecnologici impiegati hanno una
pervasività talmente capillare da far impallidire i regimi totalitari del
Novecento.
Un’altra
caratteristica degna di nota di questa nuova guerra asimmetrica è la
sproporzione mastodontica tra gli attori in campo:
da una parte colossi plurimiliardari che danno
filo da torcere agli stati sovrani,
dall’altra
comuni cittadini spesso del tutto inconsapevoli di essere oggetti, per non dire
vittime, di questo biopotere.
Jeff Bezos, Bill Gates, Marck Zuckerberg, Elon
Musk ecc. rientrano a pieno diritto tra le file dei soldati sul campo di una
guerra psicologica per il “controllo dei cuori e delle menti”, come veniva descritta la dottrina
del contenimento alle origini della guerra fredda.
Tutti
noi siamo in quanto individui:
– Combattenti inferiori di una guerra
verticale asimmetrica, contro “poteri pubblici o corporativi”.
– Combattenti di pari grado in una
guerra illimitata orizzontale; ciascun individuo in quanto singolo contro
l’altro/i singolo/i
Un
altro dettaglio, già anticipato, caratteristico delle guerre illimitate
riguarda il venire meno della distinzione tra militare e civile.
I
confini tra tecnologia o mentalità militare e civile risultano rarefatti.
“Zhang Yiming”, il fondatore di “Tik
Tok”, si muove tra il mercato civile e l’utilizzo dei dati ottenuti da parte
del governo per scopi di intelligence],
così
come dal caso “Cambridge Analytica” emerse che Facebook utilizzava i dati per finalità
politiche.
Tra
l’altro è emerso che la piattaforma di marchio cinese offre servizi
personalizzati completamente diversi in patria rispetto al resto del mondo.
Un
utente di “Tik Tok” a Los Angeles si ritroverà inizialmente inondato di
contenuti spazzatura, senza niente di culturalmente utile;
solitamente sono contenuti di puro intrattenimento
artistico-popolare o di comicità demenziale.
Al contrario, l’algoritmo offre ai cittadini cinesi
contenuti più virtuosi, spesso di carattere motivazionale e patriottico, a
valorizzare situazioni o personaggi che compiono azioni pubblicamente meritorie.
Il
messaggio è chiaro:
la
Cina cerca di attuare una guerra psicologica contro gli americani indebolendoli
moralmente.
Gli
avversari utilizzano le stesse piattaforme allo stesso identico scopo.
E va
ricordato che le vittime e i carnefici non hanno divise o ak-47 in mano, ma –
nella misura in cui sono i singoli individui i” content creator” – siamo tutti
noi direttamente impegnati in trincea.
Conclusione.
Esistono
infiniti modi di combinare i metodi operativi con i quali condurre le guerre
odierne.
Non
sono da meno le armi biologiche:
che
cos’è stato il” covid-19” se non una bomba patogena, che sia stata rilasciata o
che sia sfuggita di mano?
Anche le direttive di organismi quali l’”OMS “vanno
a destabilizzare il funzionamento delle macchine statali e di conseguenza delle
nostre vite.
(L’OMS
è di fatto di proprietà delle grandi multinazionali farmaceutiche
che lo
comandano tramite la corruzione sfrenata! N.D.R.)
Se poi aggiungiamo il fatto che l’80% dei
finanziamenti che l’”Oms” riceve provengono non dà stati, ma da aziende
farmaceutiche private, gran parte di proprietà di Bill Gates, il dado è tratto.
I
fatti recenti dell”’Azovstal” di “Mariuopol” hanno portato alla luce i bio laboratori
ucraini nei quali venivano sperimentate armi biologiche di distruzione di
massa.
Per non parlare dell’ecologismo, di fatto una guerra climatica, con gli attivisti delle “ONG di
Soros “impegnati a fare “moral persuasion” su governi e società civile affinché
cambino politiche energetiche i primi e mentalità la seconda.
Anche
qui, sarebbe da aprire un capitolo a parte sul rapporto tra scienza e guerra.
Per il
momento è stato accennato alle modalità “classiche” – terrorismo, finanza,
informatica – per condurre una guerra illimitata.
Parafrasando
“Carl von Clausewit”z, non è la guerra ad essere la prosecuzione della
politica, bensì il contrario: la politica è uno dei modi per proseguire la guerra con altri
mezzi.
Nonostante a costruzione di “istituzioni internazionali di pace” in seguito alla Seconda guerra
mondiale, siamo ben lontani dal pensiero di una fine della storia che avrebbe
realizzato un mondo senza conflitti.
L’atto
ostile, il sasso lanciato, lo sguardo di sfida, il mobbing sul lavoro, la
ricerca di consenso e il mantenimento dei propri interessi, fino alla difesa
della propria nazione e la guerra ideologica mondiale per instaurare un “consensus”.
Sono
tutti elementi connaturati alla natura umana, per lo meno dell’uomo moderno.
L’animus dominandi come lo chiamava “Hans Morgenthau” conferma che i
latini avevano ragione quando affermavano “si vis pacem para bellum”.
«La
guerra è sempre il terreno della morte e della vita […] Anche se un giorno tutte le armi
dovessero diventare completamente umane, una guerra meno cruenta in cui si
possa evitare lo spargimento di sangue resterebbe pur sempre una guerra.
Forse
se ne potrebbe modificare il processo efferato, ma non vi è modo di cambiarne
l’essenza, che è un’essenza di coercizione, e dunque non è neanche possibile
modificarne l’esito crudele».
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