L’ideologia gender è pericolosa come lo è stato lo stalinismo e l’hitlerismo.
L’ideologia
gender è pericolosa come lo è stato lo stalinismo e l’hitlerismo.
La
teoria gender dilaga in Europa
e la Chiesa di Papa Francesco
è allarmata: «È la biologia a
determinare
il sesso, non la cultura».
Ilmessaggero.it
– (8-5-2023) - Franca Giansoldati – ci dice:
Città
del Vaticano - L'ideologia gender che si sta velocemente diffondendo ed è
portata avanti con una certa enfasi da Bruxelles - come ha denunciato anche
Papa Francesco durante il suo ultimo viaggio in Ungheria - per la Chiesa è
qualcosa di allarmante, sbagliato e da correggere.
A riprendere il filo del delicatissimo
discorso è stato il cardinale svedese “Anders Arborelius”, punto di riferimento
a livello europeo di una Chiesa decisa a fare argine.
Poco
tempo fa “Arborelius” ha promosso anche un importante documento che è stato
firmato dalle conferenze episcopali scandinave.
Il
porporato ora ha fatto presente che è la natura, la biologia a determinare i
sessi degli individui, e non tanto la cultura. «Fondamentalmente, l'essere umano
rimane sempre un essere umano, uomo o donna che sia. Dio ci ha voluti così» ha dichiarato in un'intervista al
settimanale cattolico “Die Tagespost”.
«Anche se l'uomo e la donna scelgono un genere
diverso, rimangono così come sono» aggiungendo che «ci sono ideologie con le
quali - per la Chiesa - è assai difficile entrare in dialogo».
“
Arborelius “aggiunge che è facile parlare di opinioni diverse a livello
personale, ad esempio in famiglia o sul posto di lavoro, ma poi se «il problema
più grande» si tende a passarci sopra.
«Ma non è questo il modo di andare avanti. Dobbiamo
superare la tendenza alla polarizzazione».
Lascia
“Sturgeon”, fatale per la premier scozzese l'errore della legge sul cambio di
sesso facile per i ragazzi.
Un
impegno che da tempo trova in prima linea il cardinale di Utrecht, “Wilhelm
Jacobus Eijk” che insiste perché la Chiesa cattolica prenda coscienza che la
teoria del gender non rappresenta «solo un problema sociale, un sovvertimento
del ruolo biologico di uomo e donna» ma
una minaccia per l’evangelizzazione, perché mette in discussione proprio
quei concetti di paternità e procreazione che sono quelli alla base
«dell’annuncio di Dio in tre persone, il Dio Padre, Cristo come figlio del Dio
Padre, fattosi uomo, e Maria come la sposa dello Spirito Santo».
Sessualità,
pressing dei cardinali per un'enciclica sulla teoria del gender ma il Papa
riceve il gesuita che difende il popolo LGBTQ+.
Ad
analizzare negativamente la teoria del gender, secondo la quale il sesso non è
determinato biologicamente, ma un fatto culturale (fino a immaginare la
somministrazione di farmaci ai bambini in età prepuberale perché se ne rallenti
la crescita fino a quando non hanno deciso del loro sesso) c'è anche il
cardinale “Gerhard Mueller”, teologo e già prefetto della Congregazione della
fede.
«Questa
ideologia è tanto pericolosa come lo stalinismo e l'hitlerismo è totalmente
contro la natura umana».
«Tutta
l'umanità esiste dal rapporto tra un uomo e una donna, nella famiglia, nel
matrimonio.
C'è
una grande potenzialità nel rapporto tra uomo e donna - ha proseguito il
cardinale - come cristiani siamo totalmente convinti che Dio ha creato uomo e
donna e per questo dobbiamo invitare i giovani a trovare ognuno la sua
identità, un ragazzo deve diventare un uomo adulto, una ragazza deve identificarsi
con il proprio genere, creato e voluto da Dio, come donna e come possibile
madre».
«La teoria del gender danneggia le
donne»:
Marty erede di “Roland Barthes “mette in
guardia l'Occidente.
La
Polizia Brasiliana Perquisisce la Villa
di
Jair Bolsonaro e Arresta l’Aiutante.
Conoscenzealconfine.it
– (9 Maggio 2023) - Luca La bella – ci dice:
La
polizia federale ha perquisito la villa dell’ex presidente brasiliano Jair
Bolsonaro e ha arrestato uno dei suoi più stretti collaboratori nell’ambito di
un’indagine su presunti tentativi criminali di falsificare i registri delle
vaccinazioni Covid-19 per recarsi negli Stati Uniti.
Il
tenente colonnello “Mauro Cid Barbosa”, descritto dalla stampa brasiliana come
il “braccio destro” di Bolsonaro, è stato una delle sei persone arrestate
mercoledì mattina mentre la polizia ha fatto irruzione in diversi indirizzi
della capitale, Brasilia e Rio de Janeiro.
Anche
due guardie di sicurezza di Bolsonaro sono state arrestate.
L’ex presidente avrebbe dovuto essere
interrogato nei giorni scorsi.
Il
cellulare di Bolsonaro è stato sequestrato nella sua residenza a Brasilia ed è
stato obbligato a consegnare la password dopo aver inizialmente opposto resistenza.
Secondo
quanto riferito, la polizia federale ritiene che una serie di registri
ufficiali di vaccinazione Covid siano stati falsificati nel database del
ministero della salute brasiliano al fine di produrre certificati di
vaccinazione fasulli che consentirebbero viaggi internazionali, anche negli
Stati Uniti.
Ovviamente
un po’ come è successo in Italia, con una schiera di politici, giornalisti e
persone dello spettacolo, che hanno falsificato il “certificato nazista vaccinale”, in questi casi però, affermando di
essere stati punturati per non perdere i privilegi del loro status.
I
documenti presumibilmente falsificati includono quelli di Bolsonaro, sua figlia
di 12 anni, Laura, e Mauro Cid Barbosa e la sua famiglia.
Secondo
quanto riferito, dettagli falsi sono stati inseriti nel database del ministero
della salute tra novembre 2021 e dicembre dello scorso anno, che è stato
l’ultimo mese al potere di Bolsonaro dopo aver perso le elezioni presidenziali
di ottobre, truccate a favore del suo rivale di sinistra e stipendiato da Soros, “Luiz
Inácio Lula da Silva”.
Bolsonaro
è stato condannato a livello internazionale per la sua gestione “sconsiderata e
antiscientifica” dell’epidemia di Covid in Brasile, che ha causato più di
700.000 vittime, rivelano le maggiori testate di regime come scrive anche il
“the Guardian” autore di questo articolo di parte.
Il
politico di “estrema destra” ha ripetutamente minato gli sforzi di contenimento
e vaccinazione contro una malattia che ha liquidato come una “piccola
influenza”, rifiutando di vendere la folle versione della psico pandemia nazista in
stile Grande Reset.
Bolsonaro
ha ripetutamente affermato di aver rifiutato lui stesso di essere vaccinato,
sebbene si fosse rifiutato di rendere pubblici i suoi registri di vaccinazione
a sostegno di tale affermazione.
La
scorsa settimana Lula, entrato in carica a gennaio, ha affermato che Bolsonaro
dovrebbe essere portato davanti a un tribunale per le sue azioni durante quel
“massacro”. Da che pulpito parte la predica…
Gli
oppositori politici di Bolsonaro hanno espresso euforia mercoledì mattina alla
diffusione della notizia dell’operazione.
“Il
Brasile era governato da un gruppo di gangster in stile hollywoodiano”, ha
twittato il deputato di sinistra, Guilherme Boulos.
Bolsonaro
sta affrontando una serie di indagini su sospetti crimini e trasgressioni e non
gode più dell’immunità dall’accusa, avendo lasciato il potere alla fine dello
scorso anno.
Si
prevede che il populista 68enne sarà privato dei suoi diritti politici nelle
prossime settimane.
“Buongiorno e buon mercoledì”, ha
twittato Lula, mentre gli investigatori della polizia continuavano le loro
ricerche nella villa di Bolsonaro.
Parlando fuori dalla sua villa, Bolsonaro ha
detto ai giornalisti di essersi sentito “sorpreso” dalla visita della polizia e
ha negato il coinvolgimento in qualsiasi “adulterazione”.
“Non sono stato vaccinato. Punto e
basta”, ha detto l’ex presidente, che ha compiuto tre viaggi negli Stati Uniti
durante il periodo sotto inchiesta da parte della polizia.
“Non
ho nient’altro da dire”, ha aggiunto Bolsonaro.
Socio
di lunga data dell’ex presidente del Brasile, “Cid “è stato aiutante di campo
di Bolsonaro durante i suoi tumultuosi quattro anni di amministrazione ed è
stato, in modo controverso, messo a capo di un battaglione dell’esercito
specializzato vicino a Brasilia, alla fine della presidenza di Bolsonaro
2019-2023.
L’ordine
di Lula per la rimozione del Cid ha scatenato una grave crisi, dopo che i
sostenitori accaniti di Bolsonaro hanno saccheggiato il palazzo presidenziale,
il congresso e la corte suprema l’8 gennaio di quest’anno.
Secondo
quanto riferito, il capo dell’esercito brasiliano, il generale “Júlio Cesar de
Arruda”, si rifiutò di eseguire l’ordine del nuovo presidente e fu lui stesso
licenziato.
Un
altro degli arrestati era “Max Guilherme Machado de Moura”, un ex agente di
polizia delle forze speciali considerato anche uno dei più stretti e leali
aiutanti di Bolsonaro.
In un
comunicato, la polizia federale ha dichiarato di indagare su possibili reati
tra cui la violazione delle norme di sanità pubblica, volte a prevenire
l’introduzione o la diffusione di una malattia contagiosa, l’associazione per
delinquere e la corruzione di minori e tutto questo in pieno stile SS.
La loro
indagine è stata intitolata “Venire”, in riferimento alla massima latina “venire
contra factum proprium”:
“Nessuno
può mettersi in contraddizione con la propria condotta precedente”, o contro il Ministero della Propaganda Nazista, portata avanti da un sistema che
ogni giorno, perde pezzi, sotto il peso della Verità emergente.
(Luca
La bella) (databaseitalia.it/index.php/2023/05/03/la-polizia-brasiliana-perquisisce-la-villa-di-jair-bolsonaro-e-arresta-laiutante/)
L’utero
in affitto manda in tilt la sinistra:
Schlein
è senza parole e le femministe
senza
risposte.
Secoloditalia.it
– (13 Apr. 2023) - Francesca De Ambra – ci dice:
E ora
come la mettiamo?
Già,
come la mettiamo con le oltre 200 femministe che, nero su bianco, hanno
implorato Elly Schlein di non lasciare a Giorgia Meloni la battaglia contro
l’utero in affitto?
Proprio così: per il fior fiore delle associazioni
della sinistra (Arcilesbica, Udi, Emily, la Libreria delle Donne di Milano, la
Casa delle Donne di Pesaro) l’indifferenza del Pd sul tema equivarrebbe ad una
sorta di abdicazione identitaria in favore della destra.
In effetti, dietro queste sigle ci sono
decenni di lotte e di parole d’ordine contro lo sfruttamento del corpo
femminile.
«L‘utero è mio e lo gestisco io», ritmavano le
femministe nei cortei dei ’70, unendo le estremità dei pollici e degli indici.
Oltre
200 femministe contestano le scelte del Pd.
Un
modo per rivendicare il diritto esclusivo delle donne a decidere del proprio
corpo.
E a
chi pressava perché non comprimessero l’istinto alla maternità, rispondevano
«non siamo lavatrici».
Dove
il riferimento all’elettrodomestico rinviava direttamente alla catena di
montaggio e, da lì, a un corpo femminile doppiamente violentato:
dalla
cultura patriarcale e dal modello capitalistico.
Ora
siamo invece al più classico dei “contrordine compagni! “.
Infatti, partorire per altri dietro compenso è
per la sinistra attuale un diritto da conquistare con le unghie e con i denti.
Anche
se dietro questa pratica si annida il più odioso degli sfruttamenti (quello ai
danni di una persona che possiede solo il proprio corpo) e la più insidiosa
delle finalità: quella eugenetica.
La
femminista Terragni stronca la Schlein:
"Con
lei torna in voga l'utero in affitto. Per noi è un'avversaria".
Il
disagio dei cattolici.
Scegliere
il colore della pelle o degli occhi del nascituro come si sceglie quello di un
parato o di una mattonella, è esercizio che trasuda razzismo più di cento
cortei organizzati dai suprematisti bianchi del Ku Klux Kan.
Ma a
ricordarlo è solo la destra.
Non
stupisce perciò se nel Pd a soffrire non sono solo le femministe d’antan, ma
anche i cattolici e quella parte più attenta ai bisogni sociali che ai diritti
civili.
Ma tant’è: alla nuova sinistra, quella tendenza
Schlein per intenderci, piace essere alla moda e spacciare per vitalità
politica qualsiasi inchino all’aria che tira, per altro spesso inquinata proprio
da quel capitalismo un tempo avversato.
Purtroppo
per Elly, è vero il contrario:
«Solo
i pesci morti seguono la corrente».
Rileggere
la storia Comunismo e fascismo,
due
facce della stessa medaglia totalitaria.
Ma il
Pci fu un’eccezione.
Redazioneitalia.it
– Alberto De Bernardi – (20-5-2022) – ci dice:
Secondo
lo storico Alberto De Bernardi, bisogna condannarli allo stesso modo, perché
costituiscono i due lati della tara che ha insanguinato l’Europa per gran parte
del XX secolo.
Ma il
Partito Comunista Italiano è stato, con tutti i suoi limiti, un caso
particolare nella storia del comunismo.
La
pubblicazione della risoluzione della UE “Sull’importanza della memoria per
l’avvenire dell’Europa” ha aperto in Italia un dibattito molto acceso che a
distanza di diverse settimane non si è ancora spento, facendo dell’Italia un
caso unico in Europa.
Come
molti storici, anche io ritengo sempre scivoloso ogni tentativo delle
istituzioni politiche di definire una interpretazione condivisa del passato su
cui costruire la memoria pubblica, perché si presta a omissioni e a
superficialità, che gli storici hanno in più occasioni messo in evidenza:
la
memoria di eventi traumatici è difficilmente ricomponibile, quando vittime e
carnefici sono ancora presenti e attivi nella sfera pubblica e soprattutto
quando rimanda alla lunga guerra tra comunismo, fascismo e democrazia che ha
insanguinato il secolo appena terminato;
la
storia, invece, può essere condivisa perché costruita su un approccio
scientifico, anche se la stessa ricerca storica non è sempre esente da torsioni
ideologiche e da punti di vista segnati da appartenenze politiche.
La memoria
infatti mira all’identità, la storia alla verità.
In
ogni caso l’elemento saliente e sorprendente della discussione apertasi del
nostro paese è che fin dalle prime battute essa ha perso di vista il documento
sia dal punto di vista dei suoi contenuti, che delle sue finalità, per
concentrarsi su due questioni, che con quel documento hanno ben poco a che
fare, ma che invece attengono alla irrisolta e ingombrante “questione
comunista” nella cultura politica della sinistra italiana, nonostante siano
passati trent’anni dalla caduta del muro di Berlino e dello scioglimento del
partito comunista italiano.
Il
patto Ribbentrop-Molotov e le proposte della Risoluzione.
La
prima questione su cui si sono appuntate le critiche di storici e intellettuali,
ma soprattutto dell’associazionismo antifascista con in testa l’Anpi, riguarda
l’affermazione per altro poco fondata, che nel documento si attribuisca al patto
Ribbentrop-Molotov lo scoppio della Seconda mondiale.
Sul
punto infatti il parlamento invita a fare 4 considerazioni:
1-
considerando che ottanta anni fa, il 23 agosto 1939, l’Unione Sovietica
comunista e la Germania nazista firmarono il trattato di non aggressione, noto
come patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa
e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e
raggruppandoli in sfere di interesse, il che ha spianato la strada allo scoppio
della Seconda guerra mondiale;
2-
considerando che, come diretta conseguenza del patto Molotov-Ribbentrop, seguito
dal “trattato di amicizia e di frontiera” nazi-sovietico del 28 settembre 1939,
la Repubblica polacca fu invasa prima da Hitler e due settimane dopo da Stalin,
eventi che privarono il paese della sua indipendenza e furono una tragedia
senza precedenti per il popolo polacco;
che il
30 novembre 1939 l’Unione Sovietica comunista iniziò una guerra aggressiva
contro la Finlandia e nel giugno 1940 occupò e annesse parti della Romania,
territori che non furono mai restituiti, e annesse le Repubbliche indipendenti
di Lituania, Lettonia ed Estonia;
3-
considerando che, dopo la sconfitta del regime nazista e la fine della Seconda
guerra mondiale, alcuni paesi europei sono riusciti a procedere alla
ricostruzione e a intraprendere un processo di riconciliazione, mentre per
mezzo secolo altri paesi europei sono rimasti assoggettati a dittature, alcuni
dei quali direttamente occupati dall’Unione sovietica o soggetti alla sua
influenza, e hanno continuato a essere privati della libertà, della sovranità,
della dignità, dei diritti umani e dello sviluppo socioeconomico;
4-
considerando che, sebbene i crimini del regime nazista siano stati giudicati e
puniti attraverso i processi di Norimberga, vi è ancora un’urgente necessità di
sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie
in relazione ai crimini dello stalinismo e di altre dittature.
Il
Parlamento europeo dunque non si cimenta in una discussione sulle cause della
Seconda guerra mondiale, ma invita alla luce di queste considerazioni assai
fondate, a condannare le conseguenze di quel patto che ha costretto i paesi
dell’Europa dell’Est, a subire per cinquant’anni una dittatura spietata,
condannandoli a perdere la libertà, che invece costituisce il fondamento delle
democrazie dell’Europa occidentale;
invita
inoltre a fare un bilancio storico e morale di questo periodo, aprendo
inchieste giudiziarie nei confronti di eventuali aguzzini, analoghe a quelle
che hanno riguardato i crimini del nazismo e del fascismo.
L’antifascismo
costituì lo strumento ideologico attraverso il quale l’Urss cerco di
legittimare la politica di potenza nell’Europa orientale e baltica.
Il
“patto scellerato” e l’Urss.
Certamente,
come ha messo in luce la ricerca storica, quel patto fu anche la conseguenza
della volontà delle nazioni democratiche europee di non coinvolgere l’Urss
nella lotta contro la minaccia nazista, convinte come erano che il comunismo
fosse un nemico peggiore del fascismo.
Questa
concezione fu alla base dell’appeasement con il fascismo perseguita dalle
democrazie europee per cercare di circoscrivere l’espansionismo di Hitler e
Mussolini e evitare un nuovo conflitto mondiale:
come
ricordò Churchill si trattò di una valutazione sbagliata per cui Francia e Gran
Bretagna oltre a non riuscire a evitare la guerra, persero anche “l’onore”.
Ma le
ragioni del “patto scellerato” stanno solo in parte in quell’errore. Infatti
l’accordo tra Mosca e Berlino aveva ben più solide implicazioni strategiche,
che andavano ben oltre lo sforzo sovietico di impedire l’attacco militare
nazista all’Urss, e che riguardavano i progetti «imperiali» di Stalin, volti da
un lato a fare dell’Urss una grande potenza mondiale.
In
quest’ottica l’espansione dei propri confini nazionali in direzione dell’Europa
orientale, come misero in luce la spartizione della Polonia e la guerra contro
la Finlandia, costituiva una chiave di volta fondamentale.
Quindi
il suggerimento del parlamento europeo di ritornare a riflettere su quel patto
è di grande rilievo perché obbliga a riconsiderare il ruolo dell’Urss nella
seconda guerra mondiale, all’interno del quale l’imperialismo costituisce una
linea guida che rimane anche dopo Stalingrado e l’alleanza “antifascista” con
gli Stati Uniti e i suoi alleati:
se
siamo europei dobbiamo prendere atto della necessità non rinviabile di leggere
la storia del continente nella sua interezza: non solo da Roma o Parigi, ma
anche da Varsavia o da Vilnius.
Da
quelle capitali l’esaltazione dell’Urss come patria dell’antifascismo e della
lotta al nazismo appare del tutto priva di senso, perché l’antifascismo
costituì lo strumento ideologico attraverso il quale l’Urss cerco di
legittimare la politica di potenza nell’Europa orientale e baltica.
Ma
questo dato di fatto mina anche la narrazione dominante nell’Europa occidentale
sul ruolo dell’Urss nella lotta contro il fascismo, perché essa non era
condotta in nome di una tavola di valori democratici, condivisa seppur
ambiguamente anche dai partiti comunisti impegnati nelle resistenze dell’Europa
occidentale, ma con lo scopo prioritario di affermare il progetto imperiale
dell’Urss.
Lo
Stalinismo e l’antifascismo.
Al di là
dei miti posteriori, non vanno dimenticare le conseguenze che il “patto” ebbe
sull’antifascismo di allora.
L’Urss,
infatti, non era semplicemente uno stato tra altri stati;
era la «patria del socialismo», cioè lo stato
guida di un movimento rivoluzionario internazionale.
Ogni
suo atto, dunque, doveva necessariamente trovare posto all’interno di un
tragitto strategico definito, come se costituisse la tessera di un mosaico che
il partito era in grado di comporre perfettamente perché ne conosceva il
disegno finale.
Il
patto con il nazismo, con il nemico principale del movimento operaio mondiale,
andava dunque inserito in un dispositivo politico e ideologico capace di
trasformare questa scelta, espressione della più cinica «ragion di stato», in
una lungimirante operazione che doveva aprire una nuova fase dello scontro tra
borghesia e classe operaia a livello mondiale.
Per
realizzare questo obbiettivo e mobilitare intorno ad esso il movimento
comunista europeo fu rilanciata la vecchia discriminante
capitalismo/anticapitalismo, in sostituzione di quella tra fascismo e
antifascismo scelta nell’VIII congresso dell’Internazionale comunista.
Questo
cambio di orizzonte politico ebbe come conseguenza la crisi irreversibile
dell’antifascismo stesso, come si era venuto configurando dal 1934, basato
sull’unità d’azione tra comunisti, socialisti e forze democratiche.
Quando Molotov dalla tribuna del Soviet supremo
sostenne, a giustificazione del trattato appena sottoscritto, che «era insensato e addirittura
criminale spacciare questa guerra come una lotta per la distruzione
dell’hitlerismo sotto la falsa bandiera di una battaglia per la democrazia», decretò la morte dell’antifascismo.
L’antifascismo venne dunque sacrificato per la
politica di potenza dell’Urss, altro che “patria dell’antifascismo”:
il dramma dei comunisti nell’Europa
occidentale, stretti tra la fedeltà a Mosca e l’impegno nella lotta
antifascista, insieme ai partiti democratici e socialisti, ne è la più chiara
conferma.
Quindi
a chi professa una presunta lesa maestà dell’antifascismo nel mancato
riconoscimento del ruolo dell’Urss nella lotta contro in nazismo, non solo non
ha letto il testo della risoluzione, che non tratta dell’argomento, ma dimostra
una conoscenza del passato parziale e ideologicamente orientata.
Proprio l’esito della guerra nei paesi
dell’Europa dell’Est dimostra l’estraneità del comunismo ai valori
dell’antifascismo e la strumentalità con cui l’Urss aderì alla “guerra
antifascista” dopo Stalingrado e soprattutto utilizzò, come accennato in precedenza,
l’antifascismo come elemento fondante della sua ideologia totalitaria.
Questa
duplicità di destini dell’antifascismo nelle due Europe divise dalla cortina di
ferro – a
Occidente fondamento ideale della rinascita democratica; a Oriente componente
retorica dell’ideologia di stato delle repubbliche popolari – è la questione di fondo che il
documento del parlamento europeo vuole proporre alla discussione dell’intera
comunità e su cui gli intellettuali dovrebbero dare il loro contributo, invece
che sventolare fruste bandiere.
Tra il
mai più dell’Europa occidentale e quello dell’Europa orientale vi è una
differenza sostanziale:
il
primo riguarda il fascismo, il secondo il comunismo;
una
divergenza insopprimibile che si può superare solo riconoscendola, senza
evocare il complotto anticomunista e antifascista dei paesi di Visegrad.
Equiparare
fascismo e comunismo?
Ma se
nel dibattito italiano si è frainteso il senso della risoluzione per quel che
riguarda il patto Ribbentrop-Molotov, il travisamento è ancor più grave a proposito della presunta
equiparazione tra fascismo e nazismo che costituisce, nonostante non vi sia
traccia nel documento, la chiave di lettura critica più diffusa tra gli
intellettuali italiani di sinistra.
Il 13
novembre l’Anpi e la Cgil di Modena hanno organizzato una conferenza di Luciano Canfora, l’ultimo studioso dichiaratamente
comunista vivente in Italia, per rispondere all’interrogativo:
“Nazifascismo
e comunismo sono uguali? L’Europa alla prova di revisionismo storico”.
Basta
leggere il documento per capire che il parlamento europeo ha invitato a fare
un’altra operazione culturale, ben lontana da una insulsa equiparazione:
condannare allo stesso modo il fascismo e il
comunismo, non
perché siano uguali, ma perché costituiscono i due lati della stessa medaglia
totalitaria, che ha insanguinato l’Europa per gran parte del XX secolo.
Il
nodo della questione riguarda dunque l’appartenenza o meno del comunismo al
campo del totalitarismo, cioè a un insieme di regimi che, differenziati dal
punto di vista delle finalità ideali che contrassegnano le loro ideologie,
hanno messo in pratica forme di governo basate sulla negazione radicale della
democrazia e del pluralismo, in nome di uno statalismo assoluto e di una
integrazione inestricabile tra stato e partito, che ha tolto ogni autonomia ai
cittadini, trasformati in sudditi di una macchina di controllo sociale senza
scampo il cui esito estremo è stato il gulag e il lager.
Il
totalitarismo è la negazione dell’uomo; non è una ideologia, ma un crimine,
estendendo anche al comunismo il giudizio che Sandro Pertini espresse a
proposito del fascismo.
Se di
questa macchina totalitaria l’Europa occidentale ha conosciuto il volto
fascista, quella orientale a conosciuto quello comunista, o entrambi.
E dunque la risoluzione del parlamento
comunitario “ricorda che i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di
massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di
vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità, e
rammenta l’orrendo crimine dell’Olocausto perpetrato dal regime nazista;
condanna con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro
l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime
nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari”.
Come
ha ricordato recentemente lo storico “Antonio Brusa “(“Novecento.org”, 2019) a
proposito del “nunca mas” con cui la Commissione nazionale sui crimini della
Giunta militare argentina ha intitolato il suo rapporto finale, tra il mai più
dell’Europa occidentale e quello dell’Europa orientale vi è una differenza
sostanziale:
il
primo riguarda il fascismo, il secondo il comunismo;
una
divergenza insopprimibile che si può superare solo riconoscendola, senza
evocare il complotto anticomunista e antifascista dei paesi di Visegrad.
Un
riconoscimento che però implica di andare più a fondo di una semplice
constatazione di un dato di fatto, mettendo a fuoco sia gli esiti della mancata
condanna del comunismo nelle culture politiche della sinistra europea, sia i
rigurgiti nazionalisti che riemergono nei paesi dell’Est, come conseguenza
della mancata condanna del fascismo che pure aveva costituito una presenza
significativa in quegli stati tra le due guerre.
Quindi
il documento, mentre condanna “il revisionismo storico e la glorificazione dei
collaborazionisti dei nazisti che hanno corso in certi paesi dell’Unione”,
invoca la necessità che si diffonda nell’Europa una memoria potremmo dire
“antitotalitaria” che condanni entrambi i regimi che hanno negato i valori
fondanti su sui è stata edificata la nuova Europa comunitaria.
Su di essa deve poggiare “una cultura della
memoria condivisa, che respinga i crimini dei regimi fascisti e stalinisti e di
altri regimi totalitari e autoritari del passato come modalità per promuovere
la resilienza alle moderne minacce alla democrazia, in particolare tra le
generazioni più giovani”.
Siamo
in presenza di un uso del termine revisionismo ben diverso da quello evocato
dall’iniziativa modenese, che rimanda a stantie polemiche anti defeliciane, e
alla difesa di una vulgata ideologica che non ha ormai nessun effettivo
fondamento storico:
la
storia dell’Urss e dei regimi comunisti non appartiene al lungo processo della
liberazione dell’uomo dalle ingiustizie sociali e dall’oppressione, ma al suo
esatto contrario, nonostante la loro ideologia fosse fondata sull’emancipazione
del lavoro e sulla creazione di un ideale società egualitaria.
Che il
comunismo abbia significato per milioni di uomini una speranza di riscatto e
abbia guidato movimenti di liberazione in tutto il mondo, non può tradursi nel
negare che tutte le volte che quella speranza si è consolidata in sistemi
politici concreti abbia prodotto regimi totalitari.
Il
comunismo e la cultura storica italiana.
Perché
dunque in Italia si è verificato questo travisamento, che non posso pensare sia
dipeso dal fatto che gli storici non abbiano letto il testo che hanno
commentato, fidandosi della lettura ideologica “filocomunista” dell’Anpi?
Le
ragioni sono sostanzialmente due.
La
prima riguarda
l’incapacità degli storici di estrazione marxista, che provengono da una più o
meno lunga militanza nel Pci e/o nei movimenti di sinistra, di leggere il comunismo non per
quello che aveva rappresentato nella loro giovinezza, ma per quello che
effettivamente fu, quando fu messo alla prova effettiva della storia.
Che il
comunismo abbia significato per milioni di uomini una speranza di riscatto e
abbia guidato movimenti di liberazione in tutto il mondo, non può tradursi nel
negare che tutte le volte che quella speranza si è consolidata in sistemi
politici concreti, da Mosca a Cuba, da Pechino a Belgrado abbia prodotto regimi
totalitari, che hanno raggiunto punte di violenza e di distruzione degli esseri
umani del tutto simili a quelle dei fascismi:
il
socialismo reale con quelle speranze non ebbe nulla a che fare, né si tratto di “eccessi”
e di deviazioni da un piano ideale positivo.
Il
leninismo infatti
già nella sua costruzione originaria professava l’idea di una “dittatura” non
già del proletariato, bensì del partito unico, della Ceca, antagonistica allo
stato di diritto e alla democrazia.
Per
accogliere questo piano di discussione e riflessione noi abbiamo a disposizione
la categoria del totalitarismo, che consente di mettere in evidenza i punti di
contatto, le omogeneità, oltre le differenze, che rendono possibile in sede
scientifica la comparazione – che non è omologazione, equiparazione ed altre
amenità – dei due regimi.
Ma
purtroppo la lezione della Arendt sul totalitarismo, pur vecchia di
settant’anni, non è passata interamente nella storiografia e men che meno nel
discorso pubblico e nel dibattito culturale, che spesso maneggiano questa
concettualizzazione delle scienze sociali statunitensi con sospetto, come se
fosse un vecchio arnese della guerra fredda e un “arma impropria” contro il
comunismo.
Invece
che una chiave di lettura in grado di aprire prospettive di indagine originali
e pregnanti.
Queste
prese di posizione segnalano dunque il peso di retaggi ideologici ancora
pesantemente presenti nelle griglie concettuali con cui molta intellighenzia di
sinistra guarda al passato, a tal punto da impedirle di interpretare un testo
per quello che effettivamente dice o di coglierne lo straordinario significato
in rapporto alla creazione di una cultura democratica europea.
Il Pci
fu un’eccezione?
La
seconda ragione riguarda il comunismo italiano, la cui partecipazione alla resistenza e
alla costruzione della democrazia italiana, non solo lo avrebbe messo al riparo
dall’appartenere al campo del totalitarismo sovietico, ma lo avrebbe
trasformato del tutto inopinatamente nel punto di vista da cui leggere tutta la
storia del comunismo.
Anche
questa chiave di lettura non è pienamente condivisibile e presenta molte
contraddizioni.
Il Pci
infatti è appartenuto all’orbita bolscevica e staliniana fino alla morte di Togliatti
e la partecipazione alla stesura della costituzione non sana il fatto che, per
lo meno fino alla segreteria di Berlinguer, nel suo orizzonte strategico, tra i
suoi “fini”, vi fosse la “democrazia popolare”, cioè proprio il sistema di quei
regimi dittatoriali dell’Europa dell’Est.
Per fortuna l’appartenenza al mondo occidentale e i
vincoli della guerra fredda hanno impedito al Pci di realizzare ciò che
prometteva ai suoi militanti e di diventare un effettivo costruttore della
democrazia italiana:
ma
questa circostanza è una conseguenza storica che dipese dal contesto e dalla
lungimiranza dei suoi dirigenti, ma non affondava le sue radici nella cultura
politica di quel partito;
e che
tra l’altro contribuì a definire la sua ambiguità” storica, che tanto ha pesato
sull’evoluzione della democrazia italiana.
Il
Pci, dunque, è stato, con tutti i suoi limiti, un’eccezione nella storia del
comunismo mondiale, non l’osservatorio da cui leggerne la storia, che resta
invece interamente riassunta nell’esperienza del “socialismo reale”.
È con
questa vicenda con cui qui la memoria dell’Europa deve fare i conti, con la
stessa serietà e con la stessa fermezza introdotte nei confronti del fascismo,
non con i problemi identitari di intellettuali ex comunisti, che sovrappongono
la loro autobiografia di intellettuali militanti alle lezioni, spesso
durissime, della storia.
Purtroppo
è del tutto evidente che tra alcuni storici italiani e in alcune associazioni
antifasciste non ci sia la stessa fermezza, anzi si annidi una concezione
benevola del comunismo, che colloca lo stalinismo tra gli eccessi e gli errori
di una storia fulgida di lotte per la libertà e la pace, e soprattutto al di
fuori della storia tragica del totalitarismo.
Mi
viene da dire che per fortuna che c’è il parlamento europea che vigila sulla
memoria del continente, meglio di come non facciano gli intellettuali italiani.
(Alberto
De Bernardi)
(Linkiesta.it)
Colpo
di Stato negli USA: il Nuovo
Ordine
Mondiale non
vuole lasciare
andare
l’America.
Trump
pronto alla controffensiva.
Chiesaepostconcilio.blogspot.com – (7 novembre
2020) – Cesare Sacchetti – ci dice:
Chi
prende per oro colato la narrazione dei media di regime o non ha dimestichezza
con le dinamiche degli scacchieri internazionali potrebbe anche supporre che si
tratti di fantapolitica.
Ma è comunque innegabile che i brogli dem
feriscono la democrazia.
Stava
tutto procedendo apparentemente senza alcun intralcio. Il conteggio delle
schede nel cuore della notte elettorale americana del 3 novembre sembrava
procedere senza particolari difficoltà.
Ad un
tratto, qualcosa di imprevedibile è accaduto. In cinque diversi stati chiave
che da sempre sono decisivi per assegnare la presidenza degli Stati Uniti, gli
scrutatori smettono di contare.
Tutti
quanti, allo stesso identico momento. Non si è mai visto in una elezione
americana. In quel momento, Trump aveva guadagnato già 213 grandi elettori
contro i 225 di Biden.
Trump
era in vantaggio in tutti e cinque gli stati chiave.
Se il
conteggio fosse andato avanti senza intralci, il presidente in carica avrebbe
superato agevolmente la quota necessaria di 270 voti per restare alla Casa
Bianca.
Invece
è arrivato il segnale. Tutti hanno smesso di contare.
Occorreva
sabotare la probabile vittoria di Trump. È stato in quel momento che si è messa
in moto quella che probabilmente può essere definita la più grande macchina di
frode elettorale mai vista negli USA.
Joe
Biden, il candidato democratico campione di gaffe, se l’era lasciato scappare
prima delle elezioni americane.
Aveva
confessato che il suo partito e il deep state avevano allestito “la più grossa
organizzazione di frode elettorale” mai vista nella storia d’America.
Non
appena il conteggio si è interrotto e sono iniziati ad arrivare nel cuore della
notte i famigerati voti postali, non è stato difficile capire che quanto detto
da Joe Biden stava iniziando ad avverarsi.
In
Wisconsin, sono arrivati ad urne chiuse 169mila voti postali e tutti sono andati
a Joe Biden. Il 100%. Biden dunque sembra essere il primo candidato della
storia che è stato in grado di non lasciare agli avversari nemmeno un voto.
In
Michigan, altro stato chiave, sono arrivati a notte fonda altri 200mila voti
postali che sono andati tutti anch’essi a Joe Biden. A quanto pare, tutti
quelli che votano per posta sono “stranamente” tutti elettori di Biden. Il
sospetto di frode elettorale è iniziato a diventare sempre più concreto.
Trump
si è presentato davanti alle telecamere e ha iniziato a denunciare quanto stava
accadendo. Non si era mai visto che il conteggio fosse sospeso
contemporaneamente e che fossero conteggiati voti che invece non avrebbero
dovuti essere nemmeno presi in considerazione perché giunti a tempo scaduto.
La
portata della frode elettorale sembra avere dimensioni ancora più grandi di
quelle già riscontrate.
Sono
state mostrate le prove di come abbiano votato per posta persone morte nel 1984
e che oggi, se fossero in vita, avrebbero 120 anni.
La
macchina della frode elettorale che vuole mettere a tutti i costi Joe Biden
nella Casa Bianca è stata in grado di far votare i morti per il suo candidato.
Gli
stessi esponenti del partito lo avevano annunciato.
Nancy
Pelosi, già nota per aver avviato il tentativo illegale di impeachment contro
Trump rovinosamente naufragato al Senato, aveva detto chiaramente che indipendentemente
dal conteggio dei voti, Biden il 20 gennaio avrebbe giurato come prossimo
presidente degli Stati Uniti.
Il
deep state dunque aveva già preso la sua decisione.
Trump,
in un modo o nell’altro, doveva lasciare la Casa Bianca.
Gli
annunci e i piani del sistema erano stati condivisi già nei mesi passati. Il
think-tank “Transition Integrity Project”, del quale fanno parte massimi esponenti
dell’establishment come John Podesta, già consigliere di Hillary Clinton, aveva elaborato uno scenario che prevedeva
l’intervento delle forze armate qualora Trump si fosse rifiutato di lasciare la
Casa Bianca in caso di sconfitta.
La
sconfitta nella loro idea sarebbe stata il risultato di una elezione truccata.
Il
deep state ovviamente
già sapeva che Trump non avrebbe accettato la frode e si sarebbe opposto e qui,
secondo i piani dei falchi di Washington, dovrebbero entrare in gioco gli
elementi militari del Pentagono al soldo del deep state per rimuovere il
comandante in capo con la forza.
Il
tentativo di golpe in atto dunque era stato ampiamente preparato e i media
mainstream ne fanno parte pienamente. Sono loro infatti che stanno
completamente censurando le notizie e i fatti che riguardano i brogli avvenuti
in America, e sono sempre loro che stanno facendo passare il falso messaggio di
un Joe Biden che si avvicina alla Casa Bianca senza la minima ombra di
irregolarità.
I
media ormai hanno assunto la funzione di agenti della sovversione impegnati
platealmente nel tentativo di rovesciare un capo di Stato.
I
social si sono uniti nel piano quando in questo stesso momento stanno
censurando apertamente i tweet del presidente degli Stati Uniti.
È una
manovra a tenaglia. Tutte le derivazioni del sistema stanno attaccando in
branco Donald Trump per costringerlo a firmare la resa e a lasciare la Casa
Bianca.
Trump
comunque non era impreparato a questa eventualità. Sapeva che la palude del deep state
avrebbe cercato di rimuoverlo con la forza. Sapeva che tutte le istituzioni
asservite da tempo al mondialismo avrebbero dato vita al più grande tentativo
di sovversione mai visto in America e nel mondo.
Il
presidente ha preso le sue dovute contromisure. Nelle schede elettorali sembra
siano stati inseriti degli isotopi non radioattivi per distinguerle dalle
schede fasulle che sono in circolazione.
Fonti
molto vicine all’amministrazione Trump hanno fatto sapere allo stesso tempo che
le prove di questo complotto sono semplicemente enormi e che il presidente
risolverà la questione nel giro di 1-2 settimane davanti alle corti competenti.
Trump
non si lascerà rubare l’elezione. Il comandante in capo sapeva già in anticipo
che avrebbero tentato questa enorme frode, e ha lasciato che il deep state
andasse avanti.
Ora
avrà l’occasione di dimostrare al mondo intero quanto è corrotto il sistema e
potrà dare un altro colpo mortale agli eversori presenti nei palazzi del
potere. Trump, più semplicemente, ha dato abbastanza corda al deep state perché
potesse impiccarsi con le sue mani.
Il
Nuovo Ordine Mondiale non vuole perdere l’America.
Questo
è comunque il disperato e, probabilmente ultimo, colpo di coda di un sistema
profondamente marcio e infetto.
Il
mondialismo ha scatenato tutta la sua furia e ha dato il segnale ai suoi agenti
infiltrati praticamente in ogni istituzione nazionale per rovesciare l’esito
del voto.
Il
mondialismo sta giocando questa ultima carta per cercare di riprendersi
disperatamente il controllo dell’America.
Non
era previsto, nei loro piani, che la Casa Bianca finisse in mano ad un uomo che ha interrotto il duopolio
dei presidenti repubblicani e democratici scelti tra le stanze del gruppo
Bilderberg o tra i boschi della California nel raduno del Bohemian Grove, dal quale sono usciti almeno
quattro presidenti come Nixon, Reagan, Clinton e Bush.
L’America
è stata per decenni saldamente nelle mani del “Nuovo Ordine Mondiale”.
È
stato questa rete di potere bancario, finanziario, industriale e militare a
decidere il percorso di questa nazione.
Prima
ancora che la seconda guerra mondiale volgesse al termine, la massoneria aveva
già stabilito da tempo che l’America avrebbe avuto la missione di condurre il
mondo verso il Nuovo Ordine Mondiale.
Manly
P. Hall, uno dei massoni più influenti al mondo, scrisse nel 1944 un libro
intitolato “Il destino segreto dell’America”, nel quale spiegava perfettamente
quali erano le intenzioni delle élite massoniche per l’America. Il destino segreto di questa nazione
era quello di farsi guida del disegno mondialista.
La
superpotenza economica e militare di questo Paese è stata utilizzata come arma
di disciplina nei confronti delle altre nazioni che non hanno voluto obbedire
agli ordini di Washington.
Il
deep state è stato il braccio armato operativo che ha avuto il compito di
rovesciare i governi e invadere militarmente i Paesi che si rifiutavano di
servire gli interessi della cabala globalista.
L’interventismo
americano è stato una diretta conseguenza della volontà mondialista.
Occorreva
un gigante militare ed economico che fosse in grado di schiacciare tutti coloro
che si fossero messi sulla strada del Nuovo Ordine Mondiale. Il potere massonico scelse l’America.
Chiunque
si sia messo sulla strada del Nuovo Ordine Mondiale ha pagato un caro prezzo.
Salvador
Allende, il presidente del Cile, fu rovesciato in un colpo di Stato nel 1973
orchestrato dalla CIA e supervisionato da Henry Kissinger, allora segretario di
Stato nell’amministrazione Nixon, per via della sua intenzione di
nazionalizzare le riserve di rame.
Aldo
Moro, presidente della Democrazia Cristiana e già ministro degli Esteri, fu
rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978 dopo aver ricevuto minacce di
morte proprio dallo stesso Kissinger che lo considerava un intralcio verso i
piani del potere mondialista per l’Italia stabiliti dal club di Roma.
Il
club di Roma, altro potentissimo organo del globalismo fondato da Rockefeller,
decretò infatti già negli anni’70 che l’Italia avrebbe dovuto essere
deindustrializzata e denatalizzata per favorire la definitiva ascesa del Nuovo
Ordine Mondiale, verso il quale l’esistenza della culla del cristianesimo
mondiale e dell’Antica Roma, rappresenta un maggiore ostacolo.
La
storia degli Stati Uniti non è stata altro pertanto che quella di una nazione
caduta nelle mani di una camarilla di politici corrotti asserviti ai desiderata
di questo disegno. Gli USA, in altre parole sono stati, loro malgrado, il
sicario del mondialismo.
La
presidenza Trump ha segnato il divorzio dell’America dal globalismo
Il
settimanale britannico l’Economist, partecipato dai Rothschild, la famiglia più
potente tra quelle mondialiste, e dagli Elkann, lo scrisse chiaramente qualche
tempo fa. La presenza di Trump alla Casa Bianca mette a rischio il
proseguimento del Nuovo Ordine Mondiale.
Donald
Trump stesso ne spiegò le ragioni in un consesso dell’ONU, la struttura
deputata nell’idea globalista a diventare la base del futuro governo mondiale.
Trump
in quell’occasione disse che la missione di una nazione era quella di difendere
la propria sovranità, non di rinunciarvi per accondiscendere ad un interesse
sovranazionale. Soprattutto, il presidente americano disse in quel contesto che
occorreva guardarsi dalle insidie della governance globale quanto da quelle di
altre forme di coercizione.
È un
discorso che ha delle analogie straordinarie con quella di un’altra orazione
tenuta proprio da Salvador Allende nel 1972 sempre davanti alle Nazioni Unite.
Il presidente del Cile disse in quell’occasione che un nuovo nemico stava
nascendo tra la comunità internazionale.
Un
nemico che non aveva le sembianze di una potenza nazionale, ma piuttosto quelle
di una cabala occulta composta da potere bancario, industriale e militare.
È
questo club privato che minaccia la vita e la prosperità delle nazioni e che
vuole schiavizzare l’umanità intera.
Questo
sistema composto dalle grandi famiglie di banchieri internazionali, su tutti i
Rothschild e i Rockefeller, e da tutti i gruppi di pressione da loro finanziati,
come l’Aspen Institute o il Consiglio delle Relazioni Estere, è la più grave
minaccia che incombe sul mondo e sui popoli di tutti le nazioni.
L’ideologia
che ispira queste grandi famiglie e questi gruppi è profondamente anticristiana
e si richiama apertamente all’esoterismo satanico.
Questa
epoca storica che si sta vivendo è una nella quale stanno emergendo alla luce
del giorno le pratiche del satanismo.
La
abominevole pratica della pedofilia, un tempo bandita, inizia ad essere
sdoganata apertamente.
Ovunque
pullulano i richiami al satanismo e si vedono delle riviste che tessono gli
elogi della Chiesa di Satana, fondata da Anton LaVey, occultista molto vicino
al mondo di Hollywood.
Ora
questo sistema è pronto a tutto pur di arrivare al suo obbiettivo e ha
annunciato apertamente qual è il proposito finale.
Il
Grande Reset non sarà possibile senza l’America.
Il
mondialismo vuole arrivare al Grande Reset dei debiti privati che non è altro
che la maniera definitiva per spogliare l’umanità di tutti i suoi beni e
giungere così alla fine della proprietà privata.
Coloro
che si opporranno saranno deportati nei campi di concentramento sanitari fino a
quando non accetteranno le condizioni economiche impostegli e la
somministrazione del vaccino obbligatorio.
L’ultimo
passaggio del Nuovo Ordine Mondiale è quello che porta alla schiavitù totale.
Questa
ideologia non ammette dissenso. Non c’è libero arbitrio in questo mondo, ma solo automi privati delle loro
facoltà intellettive capaci solo di eseguire degli ordini, anche i più brutali
e insensati.
Per
poter arrivare però alla realizzazione di questo disegno autoritario globale,
occorre riprendersi la Casa Bianca.
Il
Grande Reset non potrà manifestarsi se la superpotenza americana lascerà definitivamente
il mondialismo e userà tutta la sua forza per impedire che il mondo cada nelle
mani del totalitarismo più oppressivo e criminale della storia dell’umanità.
È per
questo che negli Stati Uniti c’è un colpo di Stato in atto.
È la mossa eversiva della disperazione che
questa società occulta sta tentando per forzare disperatamente la mano.
L’operazione
coronavirus ha aperto quella finestra di opportunità che il sistema stava
cercando da tempo.
David
Rockefeller alle Nazioni Unite nel 1994 disse che era necessario una sorta di
evento catalizzatore per costringere le nazioni ad accettare il Nuovo Ordine
Mondiale.
Quella
crisi è arrivata. L’operazione terroristica del Covid si può definire l’11
settembre del mondo.
Il
tempo però sta stringendo.
Klaus
Schwab, uno degli esponenti più influenti di Davos, altro gruppo in prima fila
del mondialismo, ha parlato di una “stretta finestra di opportunità” messa a
disposizione dalla falsa emergenza sanitaria.
Quella
finestra potrebbe richiudersi molto in fretta se Trump resta alla Casa Bianca.
Le
forze occulte dunque si sono scatenate nel tentativo di rovesciare il
presidente in carica.
Ora in
questo momento occorre restare con i nervi saldi. Monsignor Viganò, nella sua
ultima lettera [qui], ha esortato chiaramente a non lasciarsi prendere dallo
sconforto. Era prevedibile che l’altra parte desse vita a qualcosa del genere.
Questa
cabala incarna il male assoluto e ordisce qualsiasi inganno pur di arrivare ai
propri scopi. La battaglia tra i figli della luce e quelli delle tenebre è
giunta dunque al momento decisivo.
Adesso
occorre resistere più che mai. Lo scontro contro le forze occulte si
intensificherà ancora di più nei prossimi giorni.
Il
Nuovo Ordine Mondiale può ancora essere fermato.
La
partita non è ancora chiusa.
(Cesare
Sacchetti).
Zitelmann:
povertà e ambiente
si
curano col capitalismo
non
con l’ecologismo.
Radiomaria.it
– La nuova bussola – Rainer Zitelmann – (09 -05 – 2023) – ci dice:
Non
esiste più una classe media. I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre
più poveri.
Noi
siamo responsabili dell’inquinamento del pianeta e del riscaldamento globale,
ma a pagare sono i paesi poveri.
Esportiamo
altrove il nostro inquinamento.
Dopo
il Covid serve un Great Reset.
Ma queste affermazioni sono vere? No, sono
puramente ideologiche.
A questi miti risponde, colpo su colpo, lo storico e sociologio Rainer
Zitelmann, che
abbiamo intervistato in occasione del suo provocatorio” Elogio del capitalismo”.
Che
smonta anche il mito del "modello cinese" (che non esiste).
Esportiamo altrove il nostro inquinamento.
Serve un Great Reset per il nostro sistema e ripartire da zero con un altro
modello.
Quante volte abbiamo sentito esporre questi concetti
con la certezza di un dogma?
Rainer Zitelmann, storico e sociologo tedesco,
diventato celebre anche per aver scritto la prima biografia economica del “nazionalsocialismo” (in cui dimostrava tutte le sue
affinità con l’altro socialismo, quello internazionale), si è imbarcato nella difficile
impresa di smontare tutti i miti negativi del sistema economico capitalista che
caratterizza sia il mondo industrializzato che quello in via di sviluppo.
Il suo
libro si intitola “Elogio del capitalismo”, dieci miti da sfatare (edito da
Istituto Bruno Leoni).
E già
detto così, in una cultura come quella italiana, parrebbe una mera
provocazione.
Invece
Zitelmann non scherza affatto.
Quando
lo incontriamo, ci mostra dati, mappe e grafici, con pacatezza smonta le tesi
più trite e ritrite di no-global, ecologisti e anche non pochi conservatori
odierni.
Secondo
un recente sondaggio del “Pew Research Center”, per la maggior parte degli
americani (soprattutto repubblicani) si sta peggio oggi che 50 anni fa.
È
vero? O è un errore di percezione?
È
incredibile vedere come la percezione sia così lontana dalla realtà.
Sotto
tutti i punti di vista si sta decisamente meglio oggi rispetto a 50 anni fa,
l’americano medio è decisamente più ricco e benestante rispetto a quello di
mezzo secolo fa.
Nello
studio “The
Myth of American Inequality”, composto esclusivamente da statistiche ufficiali, viene
mostrato come la differenza fra il ceto medio e i poveri sia sempre meno
accentuata.
Ma non
perché le cose vadano peggio.
Tutt’altro:
perché è aumentata la spesa sociale per i poveri.
Chi
appartiene alla classe media si sente istintivamente più povero, perché non
percepisce più una grande differenza rispetto ai ceti più poveri.
E la
maggior parte della gente ragiona e percepisce la propria condizione solo
facendo paragoni.
Il secondo errore di percezione è dato dalla
nostalgia.
Molti
sono veramente convinti che nel passato le cose andassero meglio e la vita
fosse più felice.
E
questo è un classico di tutte le epoche, anche durante la prima
industrializzazione si mitizzava la vita agricola, dimenticando l’inferno di
continue carestie.
Ma la gente ha semplicemente dimenticato
quanto fosse tutto più difficile cinquant’anni fa.
Infine
c’è anche la difficoltà di capire cosa sia realmente la classe media.
Quasi sempre la gente tende ad identificarsi come
“classe media”, non povera e non ricca.
Queste
dinamiche sono vere negli Stati Uniti, ma sono valide anche per la maggior
parte delle nazioni industrializzate con un grande “welfare state”.
Nel
mondo, si dice, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. È
vero?
No,
non è vero.
Se
prendiamo come parametro la povertà estrema (chi guadagna meno di 1,9 dollari
al giorno, ndr), questa riguardava il 42% della popolazione mondiale nel 1981
ed oggi meno del 10%.
In
Cina, l’88% della popolazione viveva in povertà assoluta nel 1981, oggi è l’1%.
A
Pechino abitano più miliardari che a New York.
È vero che i ricchi sono diventati più ricchi,
ma ci sono sempre meno poveri nel mondo.
È
aumentata la distanza fra ricchi e poveri? Sì, ma perché prima c’era più
uguaglianza nella povertà, oggi è aumentato il numero di ricchi.
La ragione è sempre la crescita economica. E
nemmeno il Covid ha invertito questa tendenza.
Molto
spesso però si sente l’argomento dei “ricchi più ricchi e poveri più poveri”
perché la gente tende a credere che il capitalismo sia un gioco a somma zero:
se c’è qualcuno che si arricchisce, vorrà dire che lo sta facendo a spese di
qualcun altro.
Ma è
un concetto economico errato.
Il
mercato non è un gioco a somma zero.
Come dimostra il puro e semplice fatto che il
numero dei miliardari è enormemente aumentato negli ultimi 40 anni, mentre la
povertà diminuiva.
Se il mercato fosse un gioco a somma zero,
questa tendenza non si sarebbe mai realizzata.
Anche
negli organismi internazionali è passato il concetto della “giustizia
climatica”:
il mondo industrializzato è responsabile per
il cambiamento climatico e il prezzo viene pagato dai Paesi più poveri.
Dovremmo
risarcirli?
Secondo
questo schematismo, i ricchi sono i più cattivi perché inquinano di più, poi ci
sono i poveri che inquinano meno e chi non possiede nulla è ancora meglio
perché emette ancora meno CO2.
Ma i
preferiti sono i morti, che non ne emettono affatto.
Una
volta parlai con una donna inglese che si era fatta sterilizzare per motivi
climatici:
gli uomini più rispettosi dell’ambiente sono
quelli che non nascono neppure.
Io
credo che tutto ciò non sia razionale, ma solo il prodotto di una nuova
ideologia millenarista.
Ma se
pensiamo ai problemi, reali, dell’ambiente, vediamo che la scena cambia completamente.
Se
incrociamo l’Indice di Libertà Economica con l’Indice di Protezione Ambientale,
vediamo che i Paesi in cui è garantita una maggior libertà economica, che poi
sono anche quelli più ricchi, sono maggiormente rispettosi dell’ambiente.
Al
calare della libertà economica, peggiora anche la tutela dell’ambiente.
E i
peggiori, dal punto di vista ambientale, sono proprio i Paesi con un’economia
pianificata dallo Stato.
L’Urss,
storicamente, ha lasciato un disastro ambientale senza precedenti.
Se confrontiamo le emissioni di CO2 pro-capite
della Germania Ovest e della Germania Est, in cinquant’anni vediamo che la
Germania Est comunista batte di gran lunga quella occidentale capitalista,
quanto ad emissioni pro-capite.
Nel
1989, la Repubblica Democratica Tedesca (comunista) emetteva il triplo della
CO2 per ogni punto di Pil rispetto alla Repubblica Federale Tedesca.
Se
vogliamo risolvere i problemi ambientali, dobbiamo lasciare libero il mercato.
Gli
ambientalisti, al contrario, vogliono abolire il capitalismo e sono tutti, chi
più chi meno, favorevoli ad un’economia pianificata.
Cosa
vogliono, realmente, gli ambientalisti?
In
tutti i libri di maggior successo che propongono un programma ambientalista,
come quello di “Naomi Klein” o quello più recente di “Greta Thunberg”, leggiamo
che:
viaggiare in auto deve essere proibito, volare
deve essere proibito, ciascuno deve mangiare meno e sicuramente non proteine e
grassi, dovremmo smettere di costruire case e ridurre il riscaldamento in
quelle già costruite.
Greta Thunberg respinge ogni soluzione:
non
vuole nemmeno le auto elettriche, è contraria alle centrali nucleari… suggerisce
solo due cose: la gente deve cedere al panico e il capitalismo deve essere
abolito.
In generale, gli ambientalisti chiedono
un’economia pianificata.
Ma è una follia, l’economia pianificata, come
mostra la storia, non ha mai risolto alcun problema, men che meno quello
dell’ambiente.
È
assurdo pensare, poi, che si possa ridurre l’emissione di CO2 o esaurire le
risorse naturali, se si produce di più.
L’economia moderna, post-industriale, sempre più
immateriale, ci mostra come possiamo avere sempre di più con sempre meno
materiali.
Pensiamo solo a quanti dispositivi vengono
sostituiti da un semplice smartphone nel palmo della nostra mano:
telefono,
radio, registratore, lettore di Cd, sveglia, mappe, navigatore satellitare,
calcolatrice, bussola, torcia, intere librerie… è anche difficile elencare
tutto.
Se noi
andiamo a vedere come si sono evolute le economie moderne, vediamo che
l’aumento del Pil non coincide affatto con quello della CO2.
Dopo
un certo livello di sviluppo, le due linee si sdoppiano, quella della CO2 tende
a non crescere più, per lo meno non alla stessa velocità della crescita
economica.
Dopo
il Covid, diversi economisti e Klaus Schwab (fondatore del Forum di Davos)
hanno affermato che occorre un Grande Reset e ripartire da zero, con un altro
sistema.
Cose
ne pensa?
Come
tutti i grandi progetti, ne penso tutto il male possibile.
Penso
che ogni progetto disegnato a tavolino, dagli intellettuali, per cercare di
cambiare e rimodellare la società sia destinato a fallire.
Prima ancora che si inizi a scrivere un libro su come
deve funzionare la società del futuro, quel progetto già smette di funzionare.
Il
capitalismo, come insegnava l’economista Hayek, non è prodotto da un progetto,
ma è un ordine spontaneo.
Gli
intellettuali, questo, non lo hanno mai capito.
Non lo
ha capito Lenin, né Thomas Piketty (economista neo-marxista, ndr) e neppure
Klaus Schwab.
Gli
intellettuali non hanno mai apprezzato qualcosa che sfugge alla loro
pianificazione.
Eppure
il capitalismo ha successo perché sa rinnovarsi continuamente, senza che
nessuno lo ordini.
Visti
i tassi di crescita che lo caratterizzano, il modello cinese supererà quello
del capitalismo occidentale?
Non è
mai esistito un “modello cinese.”
È un mito occidentale a cui, purtroppo, inizia
a credere anche la classe dirigente cinese.
La
crescita cinese, però, è avvenuta nonostante lo Stato (e il suo presunto
modello superiore) e non grazie alle idee di Deng o dei suoi successori fino a
Xi.
Finora
l’economia è cresciuta solo perché il Partito Comunista ha allentato i
controlli, ha permesso di produrre e vendere, senza punire.
Ma
parlare di un “modello cinese” superiore al capitalismo è un abbaglio.
Come spiega bene, con una metafora, il mio
amico economista “Weiying Zhang”:
“Immaginatevi una persona senza un
braccio che corre velocissima.
Se arrivate alla conclusione che la sua
velocità derivi dalla mancanza del braccio, allora potreste consigliare
l’amputazione a chi vuol correre più forte.
Il
risultato sarebbe, però, disastroso”.
Per “Klaus
Schwab” (Forum di Davos) la
proprietà
privata e mangiare carne
sono
«cose insostenibili».
Un'agenda
folle,
che
l'Ue sta già realizzando.
Italiaoggi.it - Tino Oldani – (24-1-2023) – ci
dice:
La
direttiva finale, che Klaus Schwab ha postato in inglese sul web a conclusione
dell'ultimo “World economic forum” (Wef), mette i brividi:
«Mentre
l'umanità si dirige ulteriormente verso un futuro post-carbonio, il popolo deve
accettare che mangiare carne e la proprietà privata sono cose semplicemente
insostenibili».
Come
dire: preparatevi al cibo green, a mangiare larve di insetti e farine di
grilli, poiché gli allevamenti di bovini inquinano il mondo e saranno
fortemente ridotti.
Di
più: dimenticate anche la proprietà privata, smettetela di comprare case,
poiché anche queste inquinano e provocano costi da eliminare.
Può
sembrare folle, ma è solo una piccola parte dell'agenda del Grand Reset
mondiale post-Covid che Schwab e il Forum di Davos con Harari predicano da
tempo.
Un'agenda che spaventa la gente comune, ma
vanta potenti sostenitori nella finanza speculativa globale, nonché solerti
esecutori perfino negli euroburocrati di Bruxelles.
Alcuni
osservatori si sono chiesti come mai di questi temi che riguardano il futuro
del mondo si occupi il “Forum di Davos” e non l'”Onu”.
Una
domanda opportuna, sollecitata da un attacco di Elon Mark, a memoria d'uomo il
primo di un multimiliardario contro Schwab:
«Il Wef è un governo mondiale non eletto, che il
popolo non vuole e non ha mai chiesto».
Ineccepibile.
Il
Forum di Davos è certamente un meeting di alto livello, organizzato ogni anno
da un'azienda familiare svizzera, di cui è titolare la famiglia di Schwab (vedi
ItaliaOggi del 18 gennaio), finanziata dalle numerose multinazionali che
partecipano ai suoi convegni.
Dunque, un'organizzazione privata.
L'Onu,
invece, è un'organizzazione intergovernativa
con un mandato globale per promuovere la pace, la sicurezza internazionale, lo
sviluppo sostenibile, i diritti umani e la cooperazione internazionale.
Diversamente dal Wef, le sue decisioni sono soggette alla
votazione dell'assemblea Onu, dove sono rappresentati 193 paesi.
Dunque,
un organismo democratico mondiale, che in teoria dovrebbe avere più voce in
capitolo quando si parla di futuro del mondo.
Ma in
pratica non è così, grazie al ruolo sempre più dominante della grande finanza
speculativa.
«Quest'anno si è registrato a Davos la più
alta partecipazione di imprese, con oltre 1.500 leader provenienti da 700 organizzazioni.
C'erano più di 100 miliardari, affaristi sauditi e degli Emirati arabi. Ma “Davos” è stato un ambiente tossico
per i capi delle grandi democrazie.
Un
luogo da evitare», si legge su “ilsussidiario.net”, che ha sottolineato
l'assenza di numerosi leader politici mondiali.
«Quest'anno a Davos abbiamo capito che la
politica non è più in grado di gestire l'economia globalizzata.
Abbiamo capito che l'economia è in mano a un
ristretto gruppo di privati e della finanza internazionale».
Per la
verità, i segnali di una politica succube all'agenda Schwab sono già evidenti.
«A Bruxelles la pressione delle multinazionali
della nutrizione è fortissima», dice “Ettore Prandini”, presidente della
Coldiretti, contrariato dal fatto che la “Commissione Ue” di Ursula von der
Leyen ha concesso all'Irlanda di mettere sul vino le etichette che lo
equiparano al fumo come cancerogeno.
«Daranno
via libera anche alla carne, al pesce e al latte sintetici.
Perché
a Bruxelles comandano i lobbisti delle multinazionali», sostiene in un'intervista a “La
Verità”.
«Pensiamo al “Nutriscore”, l'etichetta a semaforo, che
non è affatto un pericolo scampato.
Le
multinazionali che la sostengono insistono perché gli “energy drink,” le
patatine fritte, gli” alimenti Frankestein” prendano il posto dei cibi sani,
agricoli, dell'olio extravergine di oliva.
E la Commissione Ue le ascolta con
attenzione».
“Prandini”
non esita ad attaccare i leader Ue, con nomi e cognomi. Invita la presidente “Ursula
von der Leyen” a «rendere omaggio a Bill Gates», come ha fatto con “Big Pharma”
per i vaccini:
«Bill Gates è il primo produttore e sponsor
della carne sintetica ed è anche il maggiore finanziatore privato dell'”Oms”,
l'Organizzazione mondiale della sanità, che dovrebbe essere un organismo terzo.
Invece dall'”Om”s arrivano allarmi sulla carne
rossa (che per fortuna sono stati rintuzzati) e inviti ai “novel food”, che
sono solo prodotti della chimica.
Risultato:
la
Commissione Ue ha dato via libera alla finta carne e agli insetti importati dal
Vietnam».
“Prandini”
ne ha anche per “Frans Timmermans,” vice di von der Leyen, con la delega per la
“transizione verde”:
«In
Olanda vuole azzerare la zootecnia per fare posto ai bioreattori, che il suo
paese ospita insieme alla Danimarca, dove si producono le bistecche sintetiche.
Con la
scusa dell'ambiente, ci dicono che dobbiamo mangiare gli insetti, quando i
reattori che producono la finta carne, il finto latte e il finto pesce usano
enormi quantità d'acqua e hanno emissioni record.
La
verità è che si vuole togliere dal mercato l'eccellenza agroalimentare, quella
italiana in particolare.
Con una sola finalità: omologare il gusto per
consentire alle multinazionali di guadagnare indisturbati».
Quanto
all'agenda Schwab sulla insostenibilità della proprietà, all'insegna del motto «non possiederete nulla e sarete
felici»,
ovviamente rivolto al popolo bue, non certo ai miliardari che lo foraggiano, le
norme Ue sulla casa green, con l'obbligo di ristrutturare entro il 2030 quelle
che disperdono energia, siamo solo al primo passo.
Che
sia “una pretesa folle dell'Ue” lo ha spiegato bene “Marino Longoni “su
ItaliaOggi:
in 3
anni con il superbonus sono state ristrutturate in Italia 350 mila abitazioni;
farlo
per 20-25 milioni di abitazioni in 5-6 anni sarebbe impossibile anche per
Mandrake.
Ma l'agenda
Schwab tira dritto con la stessa arroganza cieca.
Speriamo che faccia la stessa fine.
(Klaus Schwab ha creato una fabbrica con 20 mila operai
in Sud Africa che produce
Solo bombe atomiche
tattiche -illecite.
Suo padre era uno “scienziato
tecnico” che lavorava alla costruzione della bomba atomica tedesca. Ora Schwab si è inventato un “sistema industriale folle”
che è stato adottato dall’unione Europea per distruggere l’umanità. N.D.R.)
IL CAPITALISMO DEGLI
STAKEHOLDER.
Un modello economico
che mette
al centro il
progresso, le persone e il pianeta.
Hoepli.it – Editore
Franco Angeli - SCHWAB
KLAUS; VANHAM PETER – (10-04-2023) – ci dice:
Problemi importanti
continuano ad affliggere l'economia mondiale.
La disparità di reddito è aumentata
costantemente negli ultimi decenni, mentre la crescita della produttività e dei
salari ha subito un rallentamento e i Paesi rimangono gravati da alti livelli
di debito.
Il potere di mercato delle più grandi aziende
del mondo ha raggiunto livelli senza precedenti, sollevando interrogativi sulla
diffusione dell'innovazione e sui guadagni in termini di produttività.
Infine, lo sfruttamento delle risorse naturali sta danneggiando
l'ambiente, generando effetti negativi reali su miliardi di persone.
Mentre infuria il
dibattito sulle cause di questi problemi, “Klaus Schwab”, fondatore del “World
Economic Forum”, sostiene in modo persuasivo che i sistemi attuali non riescono
a dare risposte ai molti problemi che dobbiamo affrontare.
Con il suo collaboratore “Peter Vanham”,
dimostra che per risolvere queste sfide è necessaria una risposta ampia, che
coinvolga governi, imprese e singoli cittadini.
Una risposta orientata a creare un'economia
globale più inclusiva, sostenibile e resiliente.
Nel libro, “Schwab e
Vanham” discutono la necessità di un nuovo contratto sociale che porti a una
responsabilità condivisa tra più soggetti.
Per raggiungere
questo obiettivo individuano alcune politiche che aziende e governi, ONG e
società civile, Paesi emergenti ed economie consolidate possono mettere in
pratica concretamente, suggerendo
come un approccio basato sulla centralità degli stakeholder (ossia tutte le
parti coinvolte nelle scelte fatte da imprese e governi), anziché sul dogma
della priorità degli shareholder (ossia gli azionisti) potrebbe consentire di
ottenere risultati migliori in termini di distribuzione della ricchezza e
produttività, di ricadute
economiche e sociali delle nuove tecnologie e di lotta ai cambiamenti
climatici.
LA GRANDE “COSPIRAZIONE
CRIMINALE”
DELLE ZERO EMISSIONI
DI CARBONIO.
Comedonchisciotte.org
- F. William Engdahl - journal-neo.org – (08 Febbraio 2021) – ci dice:
Il “Forum Economico
Mondiale globalista di Davos”
sta proclamando la
necessità di raggiungere l’obiettivo mondiale delle “Zero Emissioni di Carbonio” entro il 2050.
Questo, per la
maggior parte della gente, sembra un lontano futuro ed è perciò ampiamente ignorato.
Eppure, le
trasformazioni in corso in Germania e negli Stati Uniti, oltre a quelle in
innumerevoli altri Paesi, stanno preparando il terreno per la creazione di
quello, che negli anni ’70, era stato chiamato il “Nuovo Ordine Economico Internazionale”.
In realtà si tratta un progetto per un “corporativismo totalitario tecnocratico globale” che promette un’enorme disoccupazione, una
deindustrializzazione generalizzata e un collasso economico pilotato.
Analizziamo alcuni retroscena.
Il” World Economic
Forum (WEF) di Klaus Schwab” sta attualmente promuovendo il suo tema preferito,
quello del Grande Reset
dell’economia mondiale.
La chiave di tutto è capire cosa intendono i globalisti per “zero
emissioni di carbonio” entro il 2050.
L’UE è in testa alla
corsa, con un audace progetto per diventare il primo continente al mondo “a
zero emissioni” entro il 2050, riducendo le proprie emissioni di CO2 di almeno
il 55% entro il 2030.
In un suo post
dell’agosto 2020, l’”autoproclamato
zar globale dei vaccini Bill Gates” aveva scritto a proposito della prossima crisi del clima:
“Per quanto questa
pandemia sia terribile, il cambiamento climatico potrebbe essere peggiore…
Quest’anno, il calo relativamente piccolo delle emissioni di carbonio rende
chiara una cosa: non possiamo arrivare a zero emissioni semplicemente, o anche
soprattutto, volando e guidando di meno.”
Avendo il monopolio
virtuale dei media mainstream e dei social, “la lobby del riscaldamento globale” è stata in grado di far credere a gran parte del
mondo che la cosa migliore per l’umanità è la completa eliminazione degli
idrocarburi, compreso il petrolio, il gas naturale, il carbone e persino
l’elettricità nucleare “senza emissioni di carbonio,” entro il 2050, perché, in
questo modo, si eviterebbe un aumento di 1,5 o 2 gradi centigradi della
temperatura media mondiale.
C’è solo un problema.
Questa è la
copertura per un secondo fine di natura criminale.
Le origini del
“riscaldamento globale. “
Molti hanno
dimenticato la tesi scientifica originale che giustificherebbe un cambiamento così radicale delle nostre fonti di
energia.
Non è il
“cambiamento climatico.”
Il clima terrestre
cambia costantemente, in base alle variazioni delle eruzioni solari o ai cicli
delle macchie solari.
Verso la fine del
millennio scorso, quando il precedente ciclo di riscaldamento generato
dall’attività solare non era più tanto evidente, Al Gore e gli altri, con un
gioco di prestigio linguistico, avevano spostato la narrativa dal
“riscaldamento globale” al “cambiamento climatico.”
Ora, l’isteria
mediatica è diventata talmente assurda che ogni evento meteorologico anomalo
viene trattato come una “crisi climatica.”
Ogni uragano o tempesta invernale viene
assurto a prova che gli dei del clima stanno punendo noi peccatori emettitori
di CO2.
Ma, aspettate.
L’intera ragione per la transizione verso
fonti di energia alternative, come il solare o l’eolico, e l’abbandono delle
fonti di energia derivanti dal carbonio si basa sulla loro affermazione che “la CO2 è un gas ad effetto serra” che, in qualche modo, salirebbe nell’atmosfera dove
formerebbe una coperta che, presumibilmente, impedirebbe il raffreddamento
della Terra, dando origine al riscaldamento globale.
Le emissioni di gas ad effetto serra, secondo
l’”Agenzia Americana per la Protezione dell’Ambiente,” provengono
principalmente dalla CO2.
Da qui l’importanza
dell'”impronta del carbonio.”
Quello che non viene
quasi mai detto è che la CO2 proveniente dagli scarichi delle auto, dalle
centrali a carbone o da altre fonti artificiali non può salire nell’atmosfera.
L’anidride carbonica
non è carbonio o fuliggine.
È un gas invisibile
e inodore essenziale per la fotosintesi delle piante e per tutte le forme di
vita sulla terra, noi compresi.
La CO2 ha un peso
molecolare di poco più di 44 mentre l’aria (principalmente ossigeno e azoto) ha
un peso molecolare di solo 29.
Il peso specifico della CO2 è circa 1,5 volte
più grande di quello dell’aria. Questo fa capire che la CO2 dei gas di scarico
dei veicoli o delle centrali termoelettriche difficilmente salirà
nell’atmosfera, a 20.000 m. o più al di sopra del livello del mare, per dare
origine al temuto effetto serra.
Maurice Strong.
Per capire meglio
l’azione criminale che oggi coinvolge a Gates, Schwab e i sostenitori di una
presunta economia mondiale “sostenibile,” dobbiamo tornare al 1968, quando
David Rockefeller e soci avevano creato un movimento basato sull’idea che il
consumo di risorse da parte dell’umanità e la crescita della popolazione
fossero il principale problema mondiale.
Rockefeller, la cui
ricchezza era basata sul petrolio, aveva creato il neo-malthusiano Club di Roma
nella sua villa di Bellagio, in Italia.
Nel 1972, il suo
primo progetto era stato quello di finanziare uno studio spazzatura al MIT,
chiamato “Limits to Growth”
[I limiti della crescita].
Nei primi atti ’70,
un organizzatore chiave dell’agenda “crescita zero” di Rockefeller era stato un
suo amico di lunga data, un petroliere canadese di nome Maurice Strong, anche lui membro del Club di Roma. Nel
1971 Strong era stato nominato Sottosegretario alle Nazioni Unite e Segretario
Generale della Conferenza di Stoccolma del giugno 1972 per la Giornata della
Terra. Era anche un fiduciario della Fondazione Rockefeller.
Maurice Strong era
stato anche uno dei principali propagandisti della scientificamente infondata
teoria secondo cui le emissioni prodotte dall’uomo, dai veicoli, dalle centrali
a carbone e dall’agricoltura avrebbero causato un drammatico e accelerato
aumento della temperatura globale che avrebbe minacciato la stessa civiltà, il
cosiddetto riscaldamento globale.
Strong aveva anche inventato il termine
elastico “sviluppo sostenibile.”
Come presidente
della Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite del 1972 per la Giornata
della Terra, Strong aveva patrocinato la riduzione della popolazione e
l’abbassamento degli standard di vita in tutto il mondo per “salvare l’ambiente.”
Alcuni anni dopo, lo
stesso Strong aveva dichiarato:
“Non è l’unica
speranza per il pianeta che le civiltà industrializzate crollino? Non è nostra
responsabilità far sì che ciò avvenga? “.
Questa è l’agenda
conosciuta oggi come Grande Reset o Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Strong aveva
continuato creando il Comitato Intergovernativo delle Nazioni Unite Sui
Cambiamenti Climatici (IPCC), un organismo politico che sostiene l’affermazione indimostrata che le emissioni
di CO2 prodotte dall’uomo starebbero per far precipitare il mondo in una
catastrofe ecologica irreversibile.
Il co-fondatore del
Club di Roma, il dottor 2Alexander King”, alcuni anni dopo, nel suo libro” La
prima rivoluzione globale”, aveva ammeso che la loro agenda ambientalista era
solo una frode.
Aveva affermato che:
Nella ricerca di un
nuovo nemico che ci unisse, ci era venuta l’idea che l’inquinamento, la
minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la carestia e simili
avrebbero fatto al caso nostro…
Tutti questi pericoli nascono dall’intervento
umano ed è solo attraverso un cambio di atteggiamenti e di comportamenti che
possono essere superati.
Il vero nemico, quindi, è l’umanità stessa.
King aveva ammesso
che la “minaccia del riscaldamento globale” era solo uno stratagemma per giustificare
un attacco all'”umanità stessa.”
Questo viene ora
presentato come il Grande Reset e il trucco delle Zero Emissioni di carbonio.
Il disastro delle
energie alternative.
Nel 2011, agendo su
consiglio di “Joachim Schnellnhuber”, del “Potsdam Institute for Climate Impact
Research” (PIK), “Angela Merkel e il governo tedesco “avevano imposto il
divieto totale sull’elettricità dal nucleare entro il 2022, come parte di una
strategia governativa del 2001 chiamata “Energiewende”, o “Svolta Energetica”,
che avrebbe dovuto fare affidamento sul solare, sull’eolico e su altre “energie
rinnovabili.” L’obiettivo era di rendere la Germania la prima nazione
industriale “carbon free.”
Questa strategia è
stata una catastrofe economica.
Se un tempo la Germania
poteva vantare una delle reti di generazione elettrica più stabili, a basso
costo e affidabili del mondo industriale, oggi è diventata il Paese con la
produzione di energia elettrica più costosa del pianeta.
Secondo
l’associazione tedesca dell’industria energetica “BDEW”, la Germania si troverà
ad affrontare una carenza di elettricità al più tardi nel 2023, quando l’ultima
centrale nucleare avrà cessato di funzionare.
Allo stesso tempo il
carbone, la più grande fonte di energia elettrica, viene gradualmente eliminato
per raggiungere il traguardo delle zero emissioni.
Le industrie
tradizionali ad alta intensità energetica come quella dell’acciaio, le
vetrerie, la chimica di base, la produzione di carta e cemento, stanno
affrontando l’impennata dei costi, con conseguenti chiusure e delocalizzazioni
e la perdita di milioni di posti di lavoro qualificati.
L’inefficiente energia eolica e solare, oggi costa da 7 a 9 volte di
più del gas.
La Germania ha poco
sole rispetto ai paesi tropicali, quindi il vento è visto come la principale
fonte di energia verde.
C’è bisogno di enormi quantità di cemento e di
alluminio per costruire parchi solari o eolici.
Queste materie prime
hanno bisogno di energia a basso costo, gas, carbone o nucleare, per essere
prodotte.
Se questa viene gradualmente eliminata, il
costo diventa proibitivo, anche senza l’aggiunta di “tasse sul carbonio.”
La Germania ha già
circa 30.000 turbine eoliche, più di qualsiasi altro Paese dell’UE.
Le gigantesche
turbine eoliche hanno seri problemi di rumorosità e generano infrasuoni
pericolosi per la salute dei residenti nelle vicinanze delle enormi strutture,
possono essere danneggiate da condizioni meteo avverse e sono un’insidia per
gli uccelli.
Entro il 2025 si
stima che il 25% delle turbine eoliche tedesche
attualmente in uso
dovrà essere sostituito e lo smaltimento dei materiali di scarto è un problema
colossale.
Le compagnie vengono citate in giudizio, man
mano che i cittadini si rendono conto della loro inefficienza. Per raggiungere
gli obiettivi entro il 2030 la Deutsche Bank ha recentemente ammesso che lo
stato dovrà creare una “dittatura ecologica.”
Allo stesso tempo,
il programma tedesco per porre fine all’autotrazione a benzina o diesel entro
il 2035 a favore dei veicoli elettrici è sulla buona strada per distruggere la
più grande e redditizia industria tedesca, quella dell’automobile, e per
eliminare milioni di posti di lavoro.
I veicoli alimentati da batterie agli ioni di
litio, quando vengono conteggiati gli effetti dell’estrazione del litio e della
produzione di tutta la componentistica, hanno una “impronta del carbonio”
totale peggiore delle auto diesel.
E la disponibilità di energia elettrica per
una Germania del 2050 a zero emissioni di carbonio dovrebbe essere molto più
alta di quella fruibile oggi, poiché milioni di auto in ricarica avranno
bisogno di una rete con una potenza affidabile.
Ora, la Germania e l’UE stanno iniziando ad
imporre nuove “tasse sul carbonio,” presumibilmente per finanziare la
transizione a zero emissioni.
Le tasse non faranno
altro che rendere l’elettricità e l’energia ancora più costose, assicurando un
più rapido collasso dell’industria tedesca.
De popolamento.
Secondo i
sostenitori dell’agenda Zero Emissioni, questo è proprio ciò che desiderano:
la
deindustrializzazione delle economie più avanzate, una strategia pianificata da
decenni, come aveva predetto “Maurice Strong”, per portare al collasso le
civiltà industrializzate.
Trasformare
l’attuale economia industriale mondiale in una distopia dove ci si riscalda con
la legna, dove si produce energia con le pale eoliche e dove i blackout sono la
norma, come ora in California, è una parte essenziale del Grande Reset secondo
l‘Agenda 2030:
UN Global Compact
for Sustainability.
Il consigliere della
Merkel per il clima, “Joachim Schnellnhuber,” un ateo, nel 2015 aveva
patrocinato la radicale agenda verde di Papa Francesco, l’Enciclica Laudato
Si’, come incaricato di Papa Francesco alla Pontificia Accademia delle Scienze.
E, in sede di
Comunità Europea, aveva parlato a favore di questa agenda verde.
In un’intervista del
2015, “Schnellnhuber” aveva dichiarato che la “scienza” aveva stabilito che il
massimo della popolazione umana “sostenibile” [da parte del pianeta] era di
circa sei miliardi di persone in meno di quella attuale:
“In un modo molto
cinico, è un trionfo per la scienza perché, finalmente, abbiamo stabilito una
cosa, cioè la stima per la capacità di carico del pianeta, in pratica meno di
un miliardo di persone.”
Per fare una cosa
del genere il mondo industrializzato deve essere smantellato.
Christiana Figueres,
collaboratrice del “World Economic Forum Agenda” ed ex segretaria esecutiva
della “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici,” aveva
rivelato il vero obiettivo dell’agenda climatica dell’ONU in una conferenza
stampa a Bruxelles nel febbraio 2015, quando aveva dichiarato:
“Questa è la prima
volta nella storia dell’umanità che ci poniamo il compito di cambiare
intenzionalmente il modello di sviluppo economico in uso dalla Rivoluzione
Industriale.”
Le osservazioni
della Figueres del 2015 sono state riprese oggi dal presidente francese Macron
all’Agenda di Davos del Forum Economico Mondiale del gennaio 2021, quando ha
affermato che “nelle
circostanze attuali, il modello capitalista e l’economia aperta non sono più
fattibili.”
Macron, un ex
banchiere di Rothschild, ha sostenuto che “l’unico modo per uscire da questa
epidemia è quello di creare un’economia che sia maggiormente focalizzata
sull’eliminazione del divario tra ricchi e poveri.”
Merkel, Macron,
Gates, Schwab e soci lo faranno portando gli standard di vita della Germania e
dell’OCSE ai livelli dell’Etiopia o del Sudan.
Questa è la loro
distopia a zero emissioni.
Limitare severamente
i viaggi aerei, gli spostamenti in auto, la mobilità delle persone, chiudere le
industrie “inquinanti,” il tutto per ridurre la “CO2”.
È sorprendente come la pandemia del
coronavirus abbia opportunamente messo in scena il Grande Reset e l’Agenda 2030
Zero Emissioni delle Nazioni Unite.
(F. William Engdahl -
journal-neo.org)
(journal-neo.org/2021/02/05/the-great-zero-carbon-criminal-conspiracy/)
LA FINE DI UN’EPOCA.
Comedonchisciotte.org
- Redazione CDC – (07 Maggio 2023) - Greg Godels, zzs-blg – ci dice:
Come mai il Fondo
Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione Mondiale del Commercio (World
Trade Organization – WTO) e la Banca Mondiale, tre delle istituzioni economiche
internazionali più prestigiose, prevedono un futuro nero per l’economia
globale?
La Banca Mondiale,
con toni lugubri, «mette in guardia sulla possibilità di un’imminente “decennio
perduto” per la crescita economica».
Nel gennaio di
quest’anno, la Banca Mondiale ha ridotto le sue previsioni di crescita per il
2023 all’1,7%, rispetto alla sua proiezione del 3% del giugno 2022.
Per collocare questa
percentuale in prospettiva, va ricordato che durante l’era della” globalizzazione
rampante”, prima del crollo del 2007-2009, la crescita a livello mondiale era
in media del 3,5% annuo.
Dopo la crisi il
livello medio della crescita si è attestato sul 2,8%.
E dopo soli tre mesi
dalla sua proiezione di gennaio, la Banca Mondiale prevede un intero decennio
di aspettative di crescita ridotte.
Come riferisce il “Wall
Street Journal”: «Nel
prossimo decennio occorrerà uno sforzo immane in termini di politiche collettive
per riportare la crescita ai livelli medi precedenti».
Analogamente, il
“WTO” prevede che il volume del commercio mondiale aumenterà soltanto dell’1,7%
quest’anno, rispetto alla crescita media del 2,8% registrata dopo il 2008.
Facendo eco all’allarme
lanciato in aprile dalla Banca Mondiale, il “FMI” ha annunciato le sue peggiori
previsioni di crescita a medio termine dal 1990.
In altre parole,
tutte e tre le principali organizzazioni internazionali hanno diffuso
previsioni negative, per non dire catastrofiche, riguardo all’economia globale.
È evidente che la
nave del capitalismo, già scossa da una pandemia globale, dall’inflazione
rampante, da una guerra in Europa e dai fallimenti bancari, sta imbarcando
acqua.
Non vi sono motivi
per prevedere che affondi – ma di certo è scattato l’allarme.
I guru, i
responsabili politici e i docenti di economia ci avevano assicurato che l’orgia
di aumenti di prezzi che stava sgretolando il bilancio delle famiglie era
soltanto un fenomeno temporaneo, provocato dai danni causati alle catene di
rifornimento prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina.
Sono trascorsi più
di due anni da quando ci è stata fatta questa promessa.
Da allora, le
spiegazioni hanno lasciato il posto alle preghiere.
Gli interventi adottati
– l’ennesima mistura velenosa di aumenti dei tassi di interesse servita dalla
Banca Centrale – si sono rivelati meno efficaci del previsto contro
l’inflazione.
I tassi di interesse insolitamente bassi che
hanno caratterizzato lo scorso decennio incoraggiano i consumatori a utilizzare
liberamente il credito quando le loro entrate sono sotto pressione, come
avviene per effetto dell’inflazione galoppante.
Con l’aumentare dei tassi di interesse, i
consumatori tardano a rendersi conto dell’appesantirsi dei loro debiti
provocato dalla necessità di pagare interessi più alti, il che non fa che
deteriorare ulteriormente il loro tenore di vita già minacciato.
Il ricorso al credito annacqua l’effetto
«calmante» dell’aumento dei tassi di interesse sulla domanda dei consumatori.
Gli ottimisti di
professione dei media hanno festeggiato dinanzi alle cifre dell’indice dei
prezzi al consumo di marzo, che hanno evidenziato una riduzione degli aumenti
pari al 5% dei livelli dell’anno scorso (l’obiettivo della Federal Reserve è il
2%).
Il calo è indubbiamente significativo, ma i
media dimenticano di essere stati proprio loro a ripeterci incessantemente che
la Federal Reserve, nel prendere le sue decisioni, fa riferimento al tasso di
base (core rate) e non al tasso generale.
E questo tasso – che
rappresenta il vero indice dei prezzi al consumo – in realtà ha segnato un
aumento in marzo: i suoi componenti, cioè i beni e i servizi essenziali, sono
aumentati di prezzo rispetto a febbraio. Con buona pace della forza della fede.
Perciò, con ogni
probabilità la “Federal Reserve” aumenterà ulteriormente i tassi di interesse
in maggio, accrescendo ulteriormente il costo dei nuovi debiti contratti.
E perché mai
l’inflazione dovrebbe attenuarsi, quando i consumatori continuano a correre
verso l’”Armageddon” tollerando l’aumento dei prezzi?
Proctor & Gamble, uno dei maggiori monopoli economici mondiali dei
beni di consumo (che controlla Tide, Charmin, Gillette, Crest e via dicendo) ha
aumentato i prezzi del 10%, limitando le perdite di volume di vendita e
realizzando maggiori profitti in termini monetari.
Proctor & Gamble
non ha alcun incentivo a
bloccare o a rallentare l’aumento dei prezzi, finché le sue entrate (e i suoi
profitti) continuano ad aumentare.
E perché mai dovrebbe farlo? Dopotutto, è in
affari per fare soldi.
Per quanto semplice
possa apparire, è questa la chiave dell’«enigma» dell’inflazione:
«La sola spiegazione di tutto questo in
relazione a ciò che abbiamo rilevato riguardo ad alcuni indici di prezzo degli
alimentari è che si stanno ampliando i margini di profitto», ha dichiarato”
Claus Vistesen”, economista di “Pantheon Macroeconomics” citato dal “Wall
Street Journal”.
Proprio così – stanno gonfiando i prezzi.
Non si tratta
affatto di una «spirale salari-prezzi», come amano ripetere i cortigiani delle
multinazionali.
Si tratta invece, come confessa “Fabio Panetta”,
membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, di un
«comportamento opportunistico» legato a una «spirale profitti-prezzi».
Gli economisti
liberali e socialdemocratici criticano la strategia della Federal Reserve che
mira a ridurre i consumi allo scopo di scoraggiare gli aumenti di prezzi, ma
non hanno alcuna alternativa da offrire.
Sono ben contenti di
lasciare la gestione dell’economia capitalista ai capitalisti, anche se poi ne
criticano le soluzioni.
Anche i fautori
della “Teoria Monetaria Moderna”, un tempo tanto chiacchieroni, mantengono uno
strano silenzio.
Durante la pandemia
aveva acquisito popolarità l’idea di mantenere grossi deficit destinati a
stimolare l’economia, senza timore di favorire l’inflazione.
I guru di sinistra pensavano di aver scovato
un sistema indolore per finanziare le riforme sociali senza attingere ai
capitali accumulati dai mega-ricchi – una sorta di pozione magica della
politica.
Ma il decollo della
spirale inflazionistica ha messo a tacere questo dibattito.
Se tre istituzioni
capitaliste così importanti prevedono incertezza e instabilità economica, la
ragione è che stiamo uscendo da una fase specifica della ristrutturazione
capitalista.
Tra le caratteristiche
e le novità più importanti dell’epoca che ci stiamo lasciando alle spalle,
incarnata dal popolare termine «globalizzazione», vi sono «la crescente
mobilità dei capitali, l’apertura di nuove aree di penetrazione del capitale,
una rivoluzione nell’ambito degli strumenti finanziari, la disponibilità di
nuove enormi riserve di manodopera specializzata a basso costo, tecniche di
spedizione moderne ed efficienti, l’eliminazione degli ostacoli al commercio e
la semplificazione delle normative, l’apertura allo sviluppo privato di settori
precedentemente pubblici e l’adozione di accordi commerciali che sanciscono i
suddetti mutamenti».
Questa era ha ridato
vita al capitalismo, provocando l’aumento dei profitti, l’iper-accumulazione e
investimenti speculativi enormemente aumentati.
Ben poca di questa nuova ricchezza è stata
condivisa con le masse, il che ha determinato diseguaglianze senza precedenti
in termini di entrate e benessere.
Il grande crollo
economico del 2007-2009 ha esaurito la vitalità dell’epoca della
globalizzazione – l’internazionalismo capitalista – protrattasi per oltre due
decenni.
Enormi quote di
capitale iper-accumulato si sono rivolte verso speculazioni sempre più
azzardate – un processo che ha finito per crollare sotto il peso della sua stessa
arroganza.
Invece di arrendersi
all’inevitabile – cioè alla «distruzione creativa» che fa regolarmente seguito
a un crollo, il processo naturale di eliminazione degli «asset» tossici che il
crollo lascia dietro di sé – i grandi stregoni delle centrali finanziarie di
New York, Londra, Parigi, Zurigo eccetera hanno tentato di isolare, proteggere
e tenere in piedi le macerie del disastro, «gonfiando» un’economia spompata
attraverso una sorta di «restaurazione creativa».
L’espressione
«distruzione creativa», resa popolare dall’economista “Joseph Schumpeter”, fa
riferimento ai rottami che un crollo economico si lascia dietro – i «valori»
fittizi e sgonfiati associati ai fallimenti di banche e imprese, ai beni e ai
servizi fallimentari a prezzi gonfiati, ai posti di lavoro perduti, ai cattivi
investimenti, ai titoli crollati eccetera.
Secondo Schumpeter e i suoi seguaci, questa
distruzione era essenziale per la riorganizzazione dell’economia, per un nuovo
inizio che facesse piazza pulita delle scorie prodotte dal crollo.
Storicamente, il
prezzo delle crisi è sempre stato pagato principalmente dai poveri e dai
lavoratori, ma anche i ricchi, i potenti e le multinazionali accusano il colpo.
Più grave è la crisi, meno le élite sono in
grado di scaricarne le conseguenze sulle spalle dei meno potenti e dei più
vulnerabili.
E più grave è la
crisi, maggiori sono le resistenze politiche alle ricette di sempre.
Dopo il 2007-2009,
tuttavia, le istituzioni dei lavoratori erano estremamente deboli, i sistemi
partitici tradizionali non davano voce alle vittime della crisi e i
responsabili politici confidavano nella propria capacità di evitare o
procrastinare la fase di distruzione creativa.
Ritenevano di avere
in mano strumenti finanziari in grado di stabilizzare e resuscitare l’economia
mondiale senza passare attraverso una fase di arretramento con i relativi
rovesci economici.
Le banche centrali
hanno speso miliardi per acquistare gli «asset» senza valore e chiuderli in
cassaforte in attesa che il loro valore risalisse, consentendo di reimmetterli
sui mercati.
E hanno inaugurato un decennio senza
precedenti caratterizzato dal denaro a buon mercato (cioè da tassi di interesse
bassissimi), allo scopo di permettere a imprese malaticce, non redditizie e
marginali di rimanere in vita e competere per un giorno di più.
La disciplina del mercato – fatta di vincitori
e di perdenti – ha lasciato il posto all’intervento statale finalizzato a
mantenere tutti in gioco.
Tutto ciò non è
servito che a rimandare l’inevitabile. Oggi ogni tentativo di schivare la distruzione
creativa sta fallendo; le istituzioni globali sono consapevoli di questo
fallimento, e lo ammettono nelle loro fosche previsioni.
Che cosa farà
seguito al “crollo della globalizzazione” può essere soltanto oggetto di
ipotesi.
Ciò che è evidente è
che stiamo entrando in un periodo di crescente incertezza e conflitto.
L’ascesa dei populismi di destra ha stimolato una marcata
insoddisfazione nei riguardi delle soluzioni tradizionali, favorendo il
nazionalismo e il protezionismo.
Numerosi governi europei (Ungheria, Polonia, Italia, Paesi baltici
eccetera) e asiatici (India, Turchia, Taiwan, Giappone eccetera) hanno sterzato
nettamente a destra, abbracciando militarizzazione, settarismo,
anti-liberalismo e nazionalismo.
Gli USA e i loro alleati non sono più i
campioni del libero mercato e ricorrono a dazi, sanzioni e altri provvedimenti
aggressivi e unilaterali.
Le alleanze e le
regole del gioco instauratesi negli anni Novanta e nel primo decennio del nuovo
secolo si stanno sgretolando.
La leadership mondiale è contesa, il che implica rischi di guerra.
L’illusione della globalizzazione in cui
«vincono tutti» sta lasciando posto alla voracità dell’«arraffare tutto ciò che
si può».
A memoria d’uomo,
non si ricorda un altro periodo in cui gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano
potuto impossessarsi impunemente delle risorse finanziarie di un altro Paese
quale il Venezuela o la Russia.
Tutti i segnali
parlano non di ordine mondiale, ma di disordine mondiale, segnato da alleanze
effimere e incostanti tra vecchi alleati e vecchi nemici.
La Turchia può attaccare gli aerei russi in Siria e contemporaneamente
vendere alla Russia droni da utilizzare contro l’Ucraina.
L’Arabia Saudita può
aiutare i fondamentalisti a uccidere i russi in Siria e contemporaneamente
promuovere un accordo petrolifero globale con la Russia.
La Russia può vendere armi sia alla Repubblica
Popolare Cinese sia all’India, approfittando delle tensioni in aumento tra i
due Paesi.
Gli Stati Uniti possono distruggere impunemente
oleodotti che permettevano alla Germania di ottenere energia a buon mercato
dalla Russia, mentre gli Emirati Arabi Uniti rivendono alla Germania petrolio
russo ufficialmente soggetto a sanzioni.
E via discorrendo.
L’unico principio
alla base delle relazioni internazionali è sempre più l’assenza di qualunque
principio.
È più che
comprensibile, quindi, che le menti eccelse – e tendenzialmente iper-ottimiste
– che lavorano per la Banca Mondiale, il FMI e il WTO prevedano un futuro cupo
per il capitalismo globale.
Tutti noi siamo avvertiti.
(Greg Godels, zzs-blg)
(zzs-blg.blogspot.com/2023/04/the-end-of-era.html)
Lo scetticismo
climatico è
in aumento in tutto
il mondo.
Strada361.rssing.com
– Redazione – Chris
Morrison - (April 25, 2023) – ci dice:
L'incidente del virus dell'influenza aviaria creato in laboratorio
dimostra la scarsa sorveglianza della ricerca sul "guadagno di
funzioni."
Lo scetticismo nei
confronti dei cambiamenti climatici causati dall'uomo continua ad aumentare in tutto
il mondo.
Un recente sondaggio
condotto da un gruppo dell'Università di Chicago ha rilevato che la convinzione
che l'uomo sia la causa di tutti o della maggior parte dei cambiamenti
climatici è crollata in America al 49% dal livello del 60% registrato solo
cinque anni fa.
Cali simili sono stati registrati anche altrove, con un recente
sondaggio IPSOS che ha riguardato due terzi della popolazione mondiale e che ha
rivelato che quasi quattro persone su dieci credono che il cambiamento
climatico sia dovuto principalmente a cause naturali.
Forse il dato più
sorprendente emerso dal sondaggio dell'”Energy Policy Institute dell'Università
di Chicago” (EPIC) è che il 70% degli americani non è disposto a spendere più
di 2,50 dollari a settimana per combattere il cambiamento climatico.
Quasi quattro
americani su 10 hanno dichiarato di non essere disposti a pagare un paio di
centesimi.
Nonostante decenni
di incessante agitazione ecologista, progettata per costringere le popolazioni
a vivere in una società collettivista ordinata a Rete Zero, sembra che la
stragrande maggioranza degli americani non sia disposta a pagare nemmeno gli
spiccioli che ha in tasca per fermare il cambiamento climatico.
Sondaggi come EPIC e
IPSOS evidenziano il difetto fondamentale della scienza "consolidata"
che circonda l'ipotesi che gli esseri umani che bruciano combustibili fossili
stiano causando il collasso del clima.
L'ipotesi non è
provata:
non c'è un solo
documento scientifico che ne fornisca una prova definitiva.
Le cause naturali e la proposta che l'anidride carbonica diventi
"satura" oltre certi livelli atmosferici sono spiegazioni più
convincenti per le osservazioni scientifiche.
Si sta diffondendo il timore che la scienza climatica tradizionale sia pesantemente
corrotta da dati errati, modelli pseudoscientifici e da una vera e propria
selezione politica.
È interessante
notare che il recente calo complessivo del sostegno al cambiamento climatico
causato dall'uomo negli Stati Uniti è dovuto ai Democratici e agli
Indipendenti.
I livelli di
scetticismo rimangono elevati tra i repubblicani, ma si sono registrati aumenti
drammatici tra i democratici di sinistra.
Ciononostante, i
democratici sono risultati più propensi dei repubblicani a farsi influenzare
dalle "prove" di ciò che viene definito clima "estremo"
(71% contro 30% tra democratici e repubblicani).
Questa notizia
porterà un po' di conforto ai propagandisti verdi, dato che la recente mancanza
di un riscaldamento globale evidente ha portato a un massiccio aumento delle
attribuzioni pseudoscientifiche di singoli eventi meteorologici al cambiamento
climatico generale.
Le osservazioni personali influenzano il 55%
dei democratici, rispetto al 20% dei repubblicani, mentre gli appelli a un'autorità
superiore sono più efficaci a sinistra che a destra.
La copertura giornalistica è più alta per i
democratici (47% contro il 20%), mentre gli scienziati, che per la maggior
parte condividono l'agenda "stabilita", ottengono il 73% contro il
32% dei repubblicani più scettici.
L'EPIC ha inoltre
rilevato che lo scetticismo è in aumento tra i giovani di età compresa tra i 18
e i 29 anni, con un calo del 17% nel numero di coloro che ritengono che l'uomo
abbia un ruolo predominante nel cambiamento del clima.
Il calo è stato altrettanto significativo per
coloro che hanno conseguito una laurea o un diploma di scuola superiore (11%).
Di notevole
interesse è stato il calo del 17% rispetto ad appena il 9% di coloro che hanno
più di 60 anni.
Ciò preoccupa gli
allarmisti, dal momento che i giovani impressionabili sono pesantemente
bersagliati da agitprop verdi fin dalla più tenera età.
L'indagine IPSOS ha
rilevato che i livelli di scetticismo climatico sono simili in tutte le
categorie di età.
Come nel caso dell'EPIC, è emerso che
l'orientamento politico è decisivo. Nei sette Paesi in cui è stato richiesto un contributo
politico, il 28% dei sostenitori della sinistra si è rivelato scettico sul
clima, rispetto al 50% della destra.
È sorprendente che
lo scetticismo climatico stia aumentando in tutto il mondo?
Come si è detto, la
scienza del clima antropogenico poggia su una base di prove traballanti, che
nessuna quantità di cancellazioni di dibattiti, modellizzazioni, attribuzioni
inventate e manipolazioni di dati può nascondere.
Per quasi 50 anni,
le lodevoli preoccupazioni ambientali sono state dirottate per promuovere
un'agenda politica collettivista e di controllo. Ma decenni di facili
atteggiamenti virtuosi stanno per finire e la dura realtà del Net Zero comincia
a diventare evidente.
Le affermazioni
secondo cui la rivoluzione verde sarà in gran parte indolore sono viste per l'assurdità che sono dalla valutazione realistica di Net Zero pubblicizzata
dal progetto collaborativo FIRES, finanziato dal governo britannico.
Secondo il rapporto
FIRES, redatto da alcuni accademici britannici, Net Zero significa solo il 60%
degli attuali livelli di cottura, riscaldamento ed energia entro il 2050.
In meno di 30 anni non ci saranno più carne di
manzo e di agnello e tutti i voli e le spedizioni dovranno essere interrotti.
L'uso delle strade
sarà limitato al 60% dei livelli attuali.
Non ci sarà più
cemento e l'unico acciaio disponibile sarà quello riciclato. Norman Fenton,
professore di gestione delle informazioni sul rischio presso l'Università Queen
Mary di Londra, recentemente ritiratosi, ha osservato che queste conclusioni
sono coerenti con l'Agenda 21 dell'ONU/WEF, con l'agenda ONU "World at
2050" e con il Great Reset del WEF.
Quest'ultimo, ha
osservato Fenton, prevede il "Build Back Better", in cui "non si
possiederà nulla e si sarà felici", e si mangeranno insetti al posto della
carne.
Un altro accademico
di alto livello, il fisico nucleare “Wallace Manheimer”, ha recentemente
avvertito che “Net Zero” porterà alla fine della civiltà moderna.
La nuova
infrastruttura verde fallirà, costerà trilioni, distruggerà ampie porzioni di
ambiente e sarà del tutto inutile.
“Manheimer” ha
osservato che prima che i combustibili fossili si diffondessero, l'energia era
fornita da uomini e animali.
Poiché si produceva
così poca energia, "la
civiltà era una sottile patina su una vasta montagna di squallore e miseria
umana, una patina mantenuta da istituzioni come la schiavitù, il colonialismo e
la tirannia".
(“Chris Morrison” è
il redattore ambientale del “Daily Sceptic”.)
La tutela
dell’ambiente
entra in
Costituzione: e ora?
Legance.it –
(21-2-2022) – Redazione – Avvocati Associati – ci dicono:
Considerazioni
introduttive.
L’8 febbraio 2022
sono state approvate le modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione, che
introducono la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli animali tra i
principi fondamentali della Carta costituzionale.
Per la prima volta
dal 1948 viene apportata una modifica a uno degli articoli della Costituzione,
contenenti i c.d. “Principi Fondamentali” dell’ordinamento costituzionale
(articoli 1-12).
Con la modifica
dell’articolo 9, la legge costituzionale introduce tra i principi fondamentali
la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche
nell’interesse delle future generazioni. Stabilisce, altresì, che la legge
dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.
La riforma è
intervenuta anche sul secondo comma dell’articolo 41.
La nuova
formulazione dispone che l’attività economica privata è libera, e non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o “in modo da recare danno alla
salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
L’articolo prevede inoltre che la legge
determini i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata “a fini sociali e
ambientali”.
Ad oggi l’art. 9
Cost. tutela quindi non solo più il paesaggio, ma anche l’ambiente, la
biodiversità e gli ecosistemi;
per altro verso, l’iniziativa economica
privata non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente.
Volendo calare nella
pratica l’introduzione di questi nuovi principi, con riferimento alla
realizzazione di nuove opere, ad esempio, potremmo lecitamente concludere che
la valutazione sull’opportunità (e legittimità) di una nuova costruzione non
muove più unicamente dall’esigenza di tutelare il paesaggio giacché, a fianco
ad esso, compaiono altri beni parimenti tutelati in via immediata quali
l’ambiente, la biodiversità e l’ecosistema.
Il che si traduce in un serio bilanciamento di
interessi da operare a livello amministrativo – centrale o locale – per
determinare, caso per caso, se l’opera realizzanda porti più vantaggi
all’ambiente, biodiversità ed ecosistemi nell’interesse delle future
generazioni di quanto nocumento possa causare al paesaggio.
2. Ambiente e
Costituzione: è davvero una novità?
Nella sua
formulazione originaria, la Costituzione non conteneva disposizioni
espressamente finalizzate a proteggere l’ambiente, la biodiversità e gli
ecosistemi.
Gli unici riferimenti ai concetti di “ambiente” ed “ecosistemi” sono
stati introdotti a seguito della riforma del titolo V della Costituzione in
relazione al riparto di competenze tra Stato e Regioni.
Ciononostante, la
dottrina, prima, e la giurisprudenza – segnatamente quella costituzionale –
hanno cercato di attribuire un fondamento costituzionale alle politiche di
tutela ambientale tramite il ricorso ad altre disposizioni.
La Corte
Costituzionale ha preso le mosse dapprima dallo stesso articolo 9 della
Costituzione, che al secondo comma individua tra i compiti assegnati alla
Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della
Nazione.
Con l’emersione delle tematiche ambientali, la
nozione di “paesaggio” è stata interpretata estensivamente dalla Corte,
passando da un concetto che “ha di mira unicamente i valori paesistici”,
estranei alla “natura in quanto tale, e quindi la fauna e la stessa flora” (C.
Cost. 106/76) ad un concetto di paesaggio fortemente slegato dalla sua
dimensione meramente estetica.
A partire dagli anni
’80, dunque, il paesaggio viene a coincidere con la “forma del territorio e
dell’ambiente”, includendo anche la tutela ambientale.
L’interpretazione
che faceva perno sull’articolo 9 e sulla nozione di paesaggio non permetteva
però di offrire una copertura costituzionale a circostanze che, pur non
concernendo la “forma del Paese”, avevano un impatto sull’ambiente (si pensi ad
esempio alle emissioni di anidride carbonica e gas nell’atmosfera, o
all’utilizzo di diserbanti agricoli).
La giurisprudenza è andata dunque alla ricerca
di fondamenti costituzionali ulteriori, basandosi in particolare sull’articolo
32 della Costituzione e, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n.
210/1987, il diritto alla salute è stato inteso come diritto ad un ambiente
salubre.
Infine, la Corte ha
accolto la tesi per cui i doveri di solidarietà economica, politica e sociale
imposti dall’articolo 2 della Costituzione includerebbero anche i doveri di
solidarietà ambientale, dando copertura costituzionale a tutti quei casi che
fuoriuscivano dall’ambito di applicazione degli articoli 9 e 32 della
Costituzione.
3. La tutela
dell’ambiente negli altri ordinamenti.
La modifica della
Costituzione italiana si inserisce nel contesto evolutivo del diritto già
affermato in vicini Paesi europei, che riconoscono espressamente nei loro testi
costituzionali la tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile.
La Costituzione
spagnola, ad esempio, all’articolo 45 sancisce il diritto di tutti di fruire di
un ambiente adeguato allo sviluppo della persona e al contempo il dovere di
conservarlo.
Prevede inoltre
l’obbligo per i poteri pubblici di assicurare un utilizzo razionale delle
risorse naturali, rimandando alla legge dello Stato la determinazione di
sanzioni nel caso di violazione di tali obblighi.
In maniera analoga,
la Costituzione greca, all’articolo 24, precisa che la protezione dell’ambiente
naturale e culturale costituisce un dovere dello Stato e che questo è tenuto a
prendere misure speciali preventive o repressive per la sua conservazione.
Riferimenti
all’ambiente sono inclusi anche nella Carta fondamentale portoghese, che all’articolo
66 riconosce a tutti il diritto ad un ambiente di vita umano, sano ed
ecologicamente equilibrato, imponendo ai cittadini il dovere di difenderlo.
Lo stesso articolo prevede inoltre una serie
di compiti specifici per lo Stato per assicurare il diritto all’ambiente, nel
quadro di uno sviluppo sostenibile, quali la prevenzione e il controllo
dell’inquinamento, la promozione del territorio e la valorizzazione del
paesaggio, la promozione dello sfruttamento razionale delle risorse naturali.
Altre Costituzioni
fanno riferimento invece al concetto di “sviluppo sostenibile”.
La Costituzione
francese rappresenta invece un esempio a sé, dal momento che con legge
costituzionale del 1° marzo 2005 è stato introdotto, nel preambolo del testo
costituzionale, un riferimento esplicito alla “Chart de l’environnement del
2004”, che diviene ora parametro per le valutazioni del “Conseil
constitutionnel”.
4. Il nuovo articolo
9
La nuova
formulazione dell’articolo 9 pone sin da ora alcuni dubbi interpretativi.
Anzitutto, alcuni
dubbi sono stati sollevati in merito all’utilizzo del termine “future
generazioni.
La riforma
costituzionale infatti inserisce all’art. 9 Cost.
il concetto di una responsabilità
intergenerazionale, ma non è chiaro come questa espressione si relazioni con il
concetto di “sviluppo sostenibile”, che non è stato invece introdotto nel testo
della riforma.
È dubbio inoltre a
cosa si riferisca il legislatore quando utilizza la locuzione “anche”.
Difatti la locuzione, data la sua genericità,
potrebbe apparire riferibile tanto alle generazioni attuali, quanto
all’ambiente nel suo complesso.
Si potrebbe
ritenere, ad esempio, che la tutela dell’interesse delle future generazioni
imponga, a parità di opera da realizzare, di preferire una tecnologia
innovativa che riduca al minimo il consumo di risorse naturali (si pensi a una
centrale di produzione di idrogeno verde in luogo della centrale elettrica classica).
Inoltre, si
configura un dubbio su chi sia legittimato ad agire a tutela dell’ambiente dopo
la riforma del testo costituzionale.
In particolare, ad oggi, sulla base del
combinato disposto degli articoli 13 e 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349, solo
le associazioni ambientaliste, “individuate con decreto del ministro dell’Ambiente sulla base delle
finalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo
statuto”, possono
intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di
giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.
Alla luce del nuovo inserimento tra i principi fondamentali della
Costituzione della necessità per la Repubblica di tutelare l’ambiente, anche
nell’interesse delle “future generazioni”, potrebbe sostenersi che le
limitazioni legislative sulla legittimazione ad agire a tutela di un bene
costituzionalmente protetto siano da rivedere.
Riguardo
all’introduzione del concetto di “biodiversità” al terzo comma dell’articolo 9,
si ricorda che in mancanza di un esplicito riferimento alla “biodiversità” nel
testo della Costituzione, la giurisprudenza la riconduceva nell’alveo della
tutela dell’ambiente.
Sennonché, la
recente riforma costituzionale ha introdotto il concetto di “biodiversità”,
affiancandolo alle nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”, già posti in
relazione tra di loro all’articolo 117 Cost.
Ci si chiede dunque se i tre termini siano
espressione di un unico bene giuridicamente tutelato o se possano restare
indipendenti tra di loro.
Sulla relazione tra
le nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”, la Corte Costituzione ha già
affermato che “anche se i due termini esprimono valori molto vicini, la loro
duplice utilizzazione, nella citata disposizione costituzionale, non si risolve
in un’endiadi, in quanto col primo termine si vuole, soprattutto, far
riferimento a ciò che riguarda l’habitat degli esseri umani, mentre con il
secondo a ciò che riguarda la conservazione della natura come valore in sé”
(sentenza n. 12/2009).
Analoghe riflessioni
possono valere in relazione al termine “biodiversità” che, secondo la
definizione della Convenzione di Rio sulla diversità biologica, deve essere
intesa come la variabilità di tutti gli organismi viventi inclusi negli
ecosistemi acquatici, terrestri e marini e nei complessi ecologici di cui essi
sono parte.
La biodiversità,
come concetto che “include la diversità nell’ambito delle specie, e tra le
specie degli ecosistemi”, si presenta dunque come un concetto differente –
seppur connesso – dalle nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”.
5. Le conseguenze
della riforma sul riparto di competenze tra Stato e Regioni
In materia di
riparto di competenze tra Stato e Regioni, l’articolo 117, comma 2, lettera s),
attribuisce alla competenza esclusiva statale “la tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali”, mentre, ai sensi del comma 3 del
medesimo articolo, la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e
promozione e organizzazione di attività culturali” viene inclusa tra le materie
di legislazione concorrente.
Di conseguenza, dopo
la riforma non è escluso che la tutela della biodiversità – non ricompresa né
all’interno delle materie a legislazione esclusiva, né nelle materie di
legislazione concorrente – possa ricadere nell’ambito di applicazione del
quarto comma dell’articolo 117, che prevede una competenza residuale delle
Regioni in relazione alle materie non espressamente riservate alla legislazione
dello Stato.
In questo caso le Regioni sarebbero competenti
per l’adozione di una serie di misure a tutela della biodiversità che,
considerando le strette interrelazioni con la materia “ambiente”, potrebbero di
fatto comportare un’erosione delle competenze riservate alla legislazione
esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma.
Un’interpretazione
di questo genere si discosterebbe tuttavia
dall’orientamento
prevalente della Corte Costituzionale che, prima della riforma degli articoli 9
e 41 della Costituzione, ha più volte dichiarato l’illegittimità di alcune
disposizioni delle leggi regionali in materia di biodiversità, affermando che
la materia “ambiente” rientra nella competenza esclusiva dello Stato.
L’analisi
sull’evoluzione nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di
biodiversità non può prescindere da un riferimento alla tutela degli animali,
che viene introdotta per la prima volta nel testo costituzionale dal terzo
comma dell’articolo 9.
Una previsione
costituzionale che introduce un riferimento esplicito alla dimensione
faunistica caratterizza al tempo stesso un parametro utile per ricostruire una
tutela degli animali a livello costituzionale e un limite alla competenza
legislativa regionale.
Difatti, da un lato,
la riforma dell’articolo 9 è idonea a porre fine alle difficoltà interpretative
della Corte, che ha dovuto ricorrere ora al riparto di competenze ai sensi
dell’articolo 117 Cost. (in particolare alla materia “ricerca scientifica”),
ora al rispetto degli obblighi internazionali (ad esempio l’articolo 13 TFUE o
la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia), ai fini
di assicurare una tutela agli animali.
Sotto un diverso
profilo però l’articolo 9 introduce una riserva di legge statale per quanto
riguarda la disciplina dei modi e le forme di tutela degli animali che deve
necessariamente essere coordinata con le altre disposizioni in materia di
riparto di competenze.
6. L’articolo 41.
La riforma è
intervenuta sul secondo comma dell’articolo 41 Cost., aggiungendo due ulteriori
vincoli alla libertà di iniziativa economica privata, che non può svolgersi in
contrasto – oltre che con l’utilità sociale, la sicurezza, la liberà e la
dignità umana – con la salute e l’ambiente.
La novella costituzionale ha inoltre riformato
il terzo comma dell’articolo 9 che, prevedendo che l’attività economica
pubblica e privata “possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e
ambientali”, suggerisce l’idea che la legislazione dello Stato debba tener
conto anche delle esigenze ecologiche.
Le modifiche
dell’articolo 41 riprendono i principi sul bilanciamento tra i vari interessi
costituzionali già affermati dalla Corte Costituzionale nelle varie
interpretazioni del dettato costituzionale.
In particolare la Corte, nel cd. “caso ILVA”
ha ricordato che la tutela della libera iniziativa economica deve essere
comunque bilanciata con il diritto alla salute (da cui deriva il diritto
all’ambiente salubre) e al lavoro.
La cristallizzazione
degli indirizzi giurisprudenziali della Consulta rafforza dunque il peso
dell’ambiente e della salute nel bilanciamento con altri interessi
costituzionalmente rilevanti.
Quando la tutela
dell’ambiente
prevale sulla
libertà di impresa.
Computaecompara.it –
(20 Febbraio 2022) – Redazione – ci dice:
Parere negativo del
Consiglio di Stato sul ricorso degli imprenditori delle cave di marmo di
Carrara: nessuna violazione
della libertà di impresa quando è a rischio l’ambiente.
Un radicato
cambiamento di sensibilità nella tutela dell’ambiente, legittima Regioni e
Comuni a porre limiti alla libertà di impresa per tutelare i valori superiori
del paesaggio.
Così il Consiglio di
Stato ha reso parere negativo al “Ministero per la Transizione Ecologica” sul
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, presentato dalle imprese
del marmo di Carrara, contro
il Piano Cave della Regione Toscana.
Le norme contestate dagli imprenditori
prevedevano l’inserimento di quantitativi minimi di blocchi per stabilire la
resa delle cave e consentirne l’escavazione.
Al di sotto di tali
volumi commercializzabili, il Piano prevede infatti la chiusura della cava.
Per i ricorrenti, si
sarebbe trattato di una inaccettabile limitazione della libertà di iniziativa
economica, priva di fondamento legislativo, tale da inibire il mantenimento di
cave anche con rese minime, ma economicamente produttive.
Tutela dell’ambiente
e libertà di impresa:
il parere del
Consiglio di Stato.
Non sono d’accordo i
Giudici di Palazzo Spada, che hanno confutato le preoccupazioni dei ricorrenti
con una serie di ragioni:
le Regioni,
nell’ambito delle loro competenze legislative, possono introdurre condizioni e
limiti alla proprietà privata ed all’iniziativa economica (ciò avviene ad
esempio in ambito urbanistico con le limitazioni allo” jus aedificandi”, e nel
settore del commercio);
il Piano regionale
cave è parte attuativa della pianificazione paesaggistico territoriale, fonte
di rango sovraordinato e nel cui ambito devono essere interpretate le
disposizioni del Piano;
gli art. 41 e 42
della Costituzione impongono un bilanciamento tra libertà economica e limiti di
utilità sociale o di pari rango costituzionale, come appunto i beni dell’ambiente
e del paesaggio.
Proprio in
attuazione di tali norme costituzionali, la Regione ha il “potere-dovere” di
introdurre misure di tutela del paesaggio e dell’ambiente che limitino la
libera iniziativa economica e la proprietà privata;
la Corte Costituzionale
ha affermato che sebbene la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema sia di
competenza esclusiva dello Stato, ciò non significa che le Regioni non abbiano
propria autonomia nell’esercizio delle proprie attribuzioni legislative, di
prevedere norme di tutela più rigorose;
la copertura
costituzionale e normativa delle misure restrittive della libertà economica a
tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, è garantita dagli artt. 9 e 32
della Costituzione, nonché dall’art. 3 comma 2 del Codice dei Beni Culturali
(“L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso
provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al
patrimonio culturale”) e dall’art. 145 comma 4, riferito alle previsioni dei
piani paesaggistici (I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non
sono oggetto di indennizzo”).
Limitazioni come
strumento di “sostenibilità”
Ma il parere del
Consiglio di Stato non si limita a ribadire la supremazia della tutela
ambientale, in contrapposizione con l’iniziativa imprenditoriale;
piuttosto apre la
strada ad un modo di fare impresa che guarda alla “sostenibilità” e all’uso
attento delle risorse nell’ottica di un migliore utilizzo economico.
Affermano i giudici
di Palazzo Spada che” non deve essere sottovalutato che le misure del Piano
Regionale Cave, oggetto di lite, perseguano anche finalità di valorizzazione
dell’attività estrattiva, orientandone lo svolgimento in modo da favorire la
valorizzazione dei materiali da estrazione ed essendo dunque finalizzate
prioritariamente alla gestione sostenibile della risorsa”.
Confermando la
legittimità del Piano della Regione Toscana il Consiglio di Stato segna dunque
la strada ad un nuovo approccio al rapporto tra tutela dell’ambiente e libertà
di impresa, non più considerati in contrasto tra loro, ma conciliati verso un
modello economico all’insegna della “sostenibilità”.
Bill Gates ha troppa
influenza sull'”OMS”?
swissinfo.ch –
(11-5-2021) – Julia Crawford – ci dice:
La Fondazione Bill e
Melinda Gates è il secondo più grande finanziatore
dell'Organizzazione
Mondiale della Sanità.
Alcuni temono che
questo dia al magnate della Microsoft troppo potere di influenza
sull'organizzazione.
La prossima
assemblea dell'OMS a Ginevra, che inizierà il 24 maggio, dovrà affrontare il
tema delle riforme interne, soprattutto dopo gli avvenimenti legati alla
pandemia di Covid-19.
Tra le questioni
principali, vi sono il modo in cui l’OMS è finanziata e il ruolo del settore
privato, in particolare della Fondazione Bill e Melinda Gates, che ora è il
secondo finanziatore più importante.
Anche se è gestita
dagli Stati membri che la sostengono attraverso fondi pubblici,
l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dell'ONU si affida anche a
donatori privati.
Uno di questi è la Fondazione Gates, di gran lunga il più grande
contribuente privato dell'OMS, che concorre a circa il 10% del suo budget.
Solo il governo
degli Stati Uniti paga di più.
Se gli Stati Uniti si fossero ritirati, come
minacciato dalla precedente amministrazione Trump, l'organizzazione si sarebbe
trovata in una situazione senza precedenti con la Fondazione Gates come primo
donatore.
Bisognerebbe
limitare i finanziamenti privati alle organizzazioni internazionali come l'OMS?
Gli organismi come
l'”Organizzazione Mondiale della Sanità” sono sempre più dipendenti dai
finanziamenti privati e ciò solleva alcune preoccupazioni.
"Senza le sue
risorse, molti obiettivi di salute globale, come l’eradicazione della poliomielite,
sarebbero messi a rischio", dice “Lawrence Gostin”, direttore di facoltà dell’“O'Neill Institute for
National and Global Health Law” alla “Georgetown University” negli Stati Uniti.
Malgrado veda di
buon occhio la "generosità e le buone intenzioni" delle
organizzazioni filantropiche come la” Fondazione Gates, “Gostin “– che dirige
anche il “Centro di collaborazione dell'OMS sul diritto sanitario nazionale e
globale” – è preoccupato per
l'eccessiva dipendenza dai fondi privati.
"La maggior
parte dei soldi che Gates garantisce all'OMS è legata a programmi specifici
della fondazione.
Ciò significa che l'OMS non può stabilire
indipendentemente le priorità relative alla salute globale ed è in balia del
privato.
A differenza degli
Stati, la Fondazione Gates ha poco controllo democratico".
Troppa influenza?
“Chris Elias”, Presidente della divisione sviluppo globale della
“Gates Foundation”, ammette che nel corso degli anni sono stati spesso
sollevati "dubbi e critiche relativi alla nostra influenza all'interno
dell’OMS".
"Ma", ha dichiarato durante un recente” webinar” (Geneva
Graduate Institute's Global Health Centre), "penso che sia importante
capire che l'OMS ha un programma globale di lavoro che è deciso dai suoi Stati
membri.
Abbiamo strategie
che sono sviluppate e verificate dal nostro consiglio di amministrazione e
sosteniamo quelle aree del programma globale di lavoro che sono in linea con
queste stesse nostre strategie.
Questo ci ha portato
a essere il secondo più grande finanziatore dell'OMS".
Questo significa che
"alcune attività dell'OMS sono meglio sostenute di altre perché non abbiamo
un piano per ogni aspetto relativo alla salute globale.
Questa è una
debolezza che l'organo di governo dell'”OMS” deve affrontare".
"The Bill Chill."
Chiaramente molte
delle priorità si sovrappongono, come l'eradicazione della poliomielite e
l'immunizzazione in generale.
Tuttavia, rimane la preoccupazione che questi
obiettivi più misurabili stiano portando a sottofinanziare altre attività, come
il rafforzamento dei sistemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo.
"Questa è una
preoccupazione comprovata", dice “Linsey McGoey”, Professoressa di
sociologia all'Università dell’Essex nel Regno Unito che ha scritto un libro ("No Such Thing as a Free Gift: The Gates
Foundation and the Price of Philanthropy") su Gates e la salute pubblica globale.
McGoey pensa che
Gates punti ideologicamente a ottenere risultati misurabili in tempi brevi, per
dimostrare che la "filantropia miliardaria" sta funzionando.
"Penso che Bill
Gates abbia un interesse personale nel vedere risultati rapidi, perché questo
lo aiuta a sostenere la propria reputazione", dice McGoey.
Alcuni funzionari
della sanità pubblica non sono d'accordo con le priorità di Gates, ma c'è
riluttanza a criticarlo per paura di perdere il suo sostegno.
Questa autocensura è
diventata così diffusa da essere soprannominata "Bill Chill", secondo il “New York Times”.
Il ruolo
pionieristico della Fondazione Gates nel promuovere "l'equità sanitaria
globale" è ampiamente riconosciuto.
Inoltre, è stata
un’organizzazione chiave nella risposta alla Covid-19.
È stata determinante, per esempio, nella
creazione di “COVAX”, un programma vaccinale che mira a garantire che nessun Paese sia lasciato fuori nella corsa
all'immunità contro la Covid-19.
La fondazione finanzia anche Gavi (l'Alleanza
dei vaccini) e la” Coalition for Epidemic Preparedness Innovations” (CEPI), che
Gates ha contribuito a fondare.
Queste associazioni co- dirigono il programma
COVAX insieme all'OMS.
Secondo il New York
Times, l'OMS voleva assumere un ruolo guida nel programma COVAX, ma è stata
frenata dalla Fondazione Gates.
"Questo è
quello che ho sentito", dice Gostin.
"Se fosse vero,
sarebbe scoraggiante perché l'OMS dovrebbe avere la leadership globale".
Tuttavia, secondo
Gostin è anche "importante riconoscere che le fondazioni come Gates non
dispensano solo denaro, ma anche creatività e innovazione. Nel complesso, la
fondazione è una forza positiva".
Difendere i brevetti.
“McGoey” non è necessariamente d'accordo e cita tra i punti
critici la difesa dei brevetti da parte dei Gates e le attuali resistenze
contro la rinuncia ai brevetti sui vaccini Covid-19.
Al momento, l'”Organizzazione
Mondiale del Commercio” sta valutando una proposta, portata dal Sudafrica e
dall'India, per rinunciare ai brevetti sui vaccini Covid-19.
Ciò potrebbe aiutare
ad aumentare la produzione globale di vaccini e la loro distribuzione ai Paesi
più poveri.
All’”OMS” è stata sottoposta anche una
proposta meno radicale, ma sulla stessa linea.
Le imprese, insieme ad alcuni Paesi tra cui la
Svizzera e gli Stati Uniti, stanno opponendo resistenza.
"Ovviamente, “Tedros”, il capo dell'”OMS”,
si è espresso a favore di una rinuncia ai brevetti", dice “McGoey”.
"Ma non è
riuscito a far cambiare idea al signor Gates su questo.
E Gates a chi sta
prestando ascolto?
Non certo al capo dell'”OMS “o del” WTO”.
E noi come comunità globale non vogliamo fare
affidamento sulla sua autorità, dato il suo interesse a difendere un sistema di
brevetti su cui è stata costruita la sua fortuna".
“McGoey” pensa che
la strategia di “Gates” non sia tanto motivata dal denaro quanto dalla sua
convinzione che le leggi del mercato funzionino meglio e che “ci debbano essere
strette relazioni tra le case farmaceutiche, le aziende a scopo di lucro e i
diversi fornitori di servizi sanitari”.
"Ideologicamente,
è convinto che gli imprenditori siano più abili quando si tratta di ottenere
risultati", dice.
"Spesso la
comunità imprenditoriale ottiene risultati, ma questi hanno effetti negativi
sull’accessibilità dei farmaci, sui prezzi e sull'incentivo a mettere a
repentaglio la salute delle persone, se questo comporta un profitto.
Quindi, come ho
sostenuto molte volte, il signor Gates non si rende conto che c'è un conflitto
tra il profitto privato e la salute pubblica, ed è determinato ad agire come se
questo conflitto non esistesse".
“McGoey” sostiene
che questo era già evidente con i farmaci antiretrovirali contro l'AIDS, ma la
Covid-19 ha contribuito a renderlo palese.
"Questo
conflitto diventa chiaro se si osserva il modo in cui le aziende farmaceutiche,
che hanno i diritti esclusivi per produrre i vaccini, si rifiutano di concedere
deroghe ai brevetti.
Se non ci fosse un conflitto tra il profitto
privato e la salute globale, le aziende allenterebbero semplicemente le deroghe
o le permetterebbero. E non lo stanno facendo".
Fragilità
finanziaria.
Ma perché l'OMS è
così dipendente dai finanziamenti di Gates?
"Non ha altra scelta che fare affidamento su Gates e su altri
finanziamenti.
I contributi
obbligatori degli Stati non sono aumentati negli anni e sono del tutto
insufficienti rispetto al mandato globale dell'OMS", dice “Gostin”.
L'organizzazione
riconosce il problema e riferisce che sta cercando di fare qualcosa al
riguardo.
"In termini di risorse, la più grande
sfida affrontata dall'OMS è la mancanza di una fonte sufficiente di
finanziamento sostenibile", ha dichiarato per iscritto.
"Questo rende l'OMS eccessivamente
dipendente dai suoi maggiori finanziatori - di qualsiasi genere - e il fatto
che la gran parte delle donazioni non siano incondizionate ostacola la capacità
dell'organizzazione di adempiere al suo mandato.
Riconoscendo questa
sfida sistemica, gli Stati membri dell'OMS hanno istituito un gruppo di lavoro
per esaminare queste questioni vitali e presentare delle raccomandazioni al
consiglio esecutivo all'inizio del 2022."
"Il fatto che
l'Organizzazione Mondiale della Sanità sia sostenuta per circa il 23% dai suoi
Stati membri e riceva quindi tre quarti del suo sostegno dai contributi
volontari è un'enorme vulnerabilità", ha detto “Elias” della “Gates
Foundation” durante il “webinar” del Graduate Institute.
"Partecipo
all'Assemblea Mondiale della Sanità quasi tutti gli anni e ogni volta gli Stati
membri affidano all'OMS un mandato sempre più ampio e impegnativo, eppure il
loro budget non è aumentato negli ultimi 20 anni.
Non è così che
dovremmo gestire la colonna portante della salute globale.
Idealmente, gli
Stati membri dovrebbero finanziare l'OMS cosicché questa non abbia bisogno
delle risorse della Fondazione Bill e Melinda Gates".
Mentre l'OMS si
prepara a riunirsi per la sua assemblea annuale, “Gostin” dice che vorrebbe
vedere due cose:
un grande aumento
dei contributi statali obbligatori all'OMS;
e una pressione internazionale sulle
fondazioni private affinché facciano più donazioni non vincolati, "invece di esigere dall’OMS di svolgere compiti
nell’interesse dei leader delle fondazioni".
“McGoey” dice che gli Stati membri hanno i fondi e
devono farsi avanti:
"Hanno fondi
disponibili che potrebbero essere spesi.
In tal modo i futuri
bilanci nazionali saranno effettivamente ridotti, ma gli Stati non dovranno
spendere così tanto per affrontare le conseguenze di lungo periodo della
pandemia di coronavirus.
Altre pandemie arriveranno.
È perciò
nell'interesse delle nazioni aumentare le loro sovvenzioni all’”OMS”, un attore
importante, davvero prezioso, non perfetto, ma certamente essenziale oggi.
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