L’ideologia gender è pericolosa come lo è stato lo stalinismo e l’hitlerismo.

 

L’ideologia gender è pericolosa come lo è stato lo stalinismo e l’hitlerismo.

 

 

La teoria gender dilaga in Europa

 e la Chiesa di Papa Francesco

 è allarmata: «È la biologia a

determinare il sesso, non la cultura».

Ilmessaggero.it – (8-5-2023) - Franca Giansoldati – ci dice:

 

Città del Vaticano - L'ideologia gender che si sta velocemente diffondendo ed è portata avanti con una certa enfasi da Bruxelles - come ha denunciato anche Papa Francesco durante il suo ultimo viaggio in Ungheria - per la Chiesa è qualcosa di allarmante, sbagliato e da correggere.

 A riprendere il filo del delicatissimo discorso è stato il cardinale svedese “Anders Arborelius”, punto di riferimento a livello europeo di una Chiesa decisa a fare argine.

Poco tempo fa “Arborelius” ha promosso anche un importante documento che è stato firmato dalle conferenze episcopali scandinave.

Il porporato ora ha fatto presente che è la natura, la biologia a determinare i sessi degli individui, e non tanto la cultura. «Fondamentalmente, l'essere umano rimane sempre un essere umano, uomo o donna che sia. Dio ci ha voluti così» ha dichiarato in un'intervista al settimanale cattolico “Die Tagespost”.

 «Anche se l'uomo e la donna scelgono un genere diverso, rimangono così come sono» aggiungendo che «ci sono ideologie con le quali - per la Chiesa - è assai difficile entrare in dialogo».

“ Arborelius “aggiunge che è facile parlare di opinioni diverse a livello personale, ad esempio in famiglia o sul posto di lavoro, ma poi se «il problema più grande» si tende a passarci sopra.

 «Ma non è questo il modo di andare avanti. Dobbiamo superare la tendenza alla polarizzazione».

Lascia “Sturgeon”, fatale per la premier scozzese l'errore della legge sul cambio di sesso facile per i ragazzi.

Un impegno che da tempo trova in prima linea il cardinale di Utrecht, “Wilhelm Jacobus Eijk” che insiste perché la Chiesa cattolica prenda coscienza che la teoria del gender non rappresenta «solo un problema sociale, un sovvertimento del ruolo biologico di uomo e donna» ma  una minaccia per l’evangelizzazione, perché mette in discussione proprio quei concetti di paternità e procreazione che sono quelli alla base «dell’annuncio di Dio in tre persone, il Dio Padre, Cristo come figlio del Dio Padre, fattosi uomo, e Maria come la sposa dello Spirito Santo».

 

Sessualità, pressing dei cardinali per un'enciclica sulla teoria del gender ma il Papa riceve il gesuita che difende il popolo LGBTQ+.

Ad analizzare negativamente la teoria del gender, secondo la quale il sesso non è determinato biologicamente, ma un fatto culturale (fino a immaginare la somministrazione di farmaci ai bambini in età prepuberale perché se ne rallenti la crescita fino a quando non hanno deciso del loro sesso) c'è anche il cardinale “Gerhard Mueller”, teologo e già prefetto della Congregazione della fede.

«Questa ideologia è tanto pericolosa come lo stalinismo e l'hitlerismo è totalmente contro la natura umana».

«Tutta l'umanità esiste dal rapporto tra un uomo e una donna, nella famiglia, nel matrimonio.

C'è una grande potenzialità nel rapporto tra uomo e donna - ha proseguito il cardinale - come cristiani siamo totalmente convinti che Dio ha creato uomo e donna e per questo dobbiamo invitare i giovani a trovare ognuno la sua identità, un ragazzo deve diventare un uomo adulto, una ragazza deve identificarsi con il proprio genere, creato e voluto da Dio, come donna e come possibile madre».

«La teoria del gender danneggia le donne»:

 Marty erede di “Roland Barthes “mette in guardia l'Occidente.

 

 

 

 

 

La Polizia Brasiliana Perquisisce la Villa

di Jair Bolsonaro e Arresta l’Aiutante.

Conoscenzealconfine.it – (9 Maggio 2023) - Luca La bella – ci dice:

 

La polizia federale ha perquisito la villa dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro e ha arrestato uno dei suoi più stretti collaboratori nell’ambito di un’indagine su presunti tentativi criminali di falsificare i registri delle vaccinazioni Covid-19 per recarsi negli Stati Uniti.

Il tenente colonnello “Mauro Cid Barbosa”, descritto dalla stampa brasiliana come il “braccio destro” di Bolsonaro, è stato una delle sei persone arrestate mercoledì mattina mentre la polizia ha fatto irruzione in diversi indirizzi della capitale, Brasilia e Rio de Janeiro.

Anche due guardie di sicurezza di Bolsonaro sono state arrestate.

 L’ex presidente avrebbe dovuto essere interrogato nei giorni scorsi.

Il cellulare di Bolsonaro è stato sequestrato nella sua residenza a Brasilia ed è stato obbligato a consegnare la password dopo aver inizialmente opposto resistenza.

Secondo quanto riferito, la polizia federale ritiene che una serie di registri ufficiali di vaccinazione Covid siano stati falsificati nel database del ministero della salute brasiliano al fine di produrre certificati di vaccinazione fasulli che consentirebbero viaggi internazionali, anche negli Stati Uniti.

Ovviamente un po’ come è successo in Italia, con una schiera di politici, giornalisti e persone dello spettacolo, che hanno falsificato il “certificato nazista vaccinale”, in questi casi però, affermando di essere stati punturati per non perdere i privilegi del loro status.

I documenti presumibilmente falsificati includono quelli di Bolsonaro, sua figlia di 12 anni, Laura, e Mauro Cid Barbosa e la sua famiglia.

Secondo quanto riferito, dettagli falsi sono stati inseriti nel database del ministero della salute tra novembre 2021 e dicembre dello scorso anno, che è stato l’ultimo mese al potere di Bolsonaro dopo aver perso le elezioni presidenziali di ottobre, truccate a favore del suo rivale di sinistra e stipendiato da Soros, “Luiz Inácio Lula da Silva”.

Bolsonaro è stato condannato a livello internazionale per la sua gestione “sconsiderata e antiscientifica” dell’epidemia di Covid in Brasile, che ha causato più di 700.000 vittime, rivelano le maggiori testate di regime come scrive anche il “the Guardian” autore di questo articolo di parte.

Il politico di “estrema destra” ha ripetutamente minato gli sforzi di contenimento e vaccinazione contro una malattia che ha liquidato come una “piccola influenza”, rifiutando di vendere la folle versione della psico pandemia nazista in stile Grande Reset.

Bolsonaro ha ripetutamente affermato di aver rifiutato lui stesso di essere vaccinato, sebbene si fosse rifiutato di rendere pubblici i suoi registri di vaccinazione a sostegno di tale affermazione.

La scorsa settimana Lula, entrato in carica a gennaio, ha affermato che Bolsonaro dovrebbe essere portato davanti a un tribunale per le sue azioni durante quel “massacro”. Da che pulpito parte la predica

Gli oppositori politici di Bolsonaro hanno espresso euforia mercoledì mattina alla diffusione della notizia dell’operazione.

“Il Brasile era governato da un gruppo di gangster in stile hollywoodiano”, ha twittato il deputato di sinistra, Guilherme Boulos.

Bolsonaro sta affrontando una serie di indagini su sospetti crimini e trasgressioni e non gode più dell’immunità dall’accusa, avendo lasciato il potere alla fine dello scorso anno.

Si prevede che il populista 68enne sarà privato dei suoi diritti politici nelle prossime settimane.

Buongiorno e buon mercoledì”, ha twittato Lula, mentre gli investigatori della polizia continuavano le loro ricerche nella villa di Bolsonaro.

 Parlando fuori dalla sua villa, Bolsonaro ha detto ai giornalisti di essersi sentito “sorpreso” dalla visita della polizia e ha negato il coinvolgimento in qualsiasi “adulterazione”.

Non sono stato vaccinato. Punto e basta”, ha detto l’ex presidente, che ha compiuto tre viaggi negli Stati Uniti durante il periodo sotto inchiesta da parte della polizia.

“Non ho nient’altro da dire”, ha aggiunto Bolsonaro.

Socio di lunga data dell’ex presidente del Brasile, “Cid “è stato aiutante di campo di Bolsonaro durante i suoi tumultuosi quattro anni di amministrazione ed è stato, in modo controverso, messo a capo di un battaglione dell’esercito specializzato vicino a Brasilia, alla fine della presidenza di Bolsonaro 2019-2023.

L’ordine di Lula per la rimozione del Cid ha scatenato una grave crisi, dopo che i sostenitori accaniti di Bolsonaro hanno saccheggiato il palazzo presidenziale, il congresso e la corte suprema l’8 gennaio di quest’anno.

Secondo quanto riferito, il capo dell’esercito brasiliano, il generale “Júlio Cesar de Arruda”, si rifiutò di eseguire l’ordine del nuovo presidente e fu lui stesso licenziato.

Un altro degli arrestati era “Max Guilherme Machado de Moura”, un ex agente di polizia delle forze speciali considerato anche uno dei più stretti e leali aiutanti di Bolsonaro.

In un comunicato, la polizia federale ha dichiarato di indagare su possibili reati tra cui la violazione delle norme di sanità pubblica, volte a prevenire l’introduzione o la diffusione di una malattia contagiosa, l’associazione per delinquere e la corruzione di minori e tutto questo in pieno stile SS.

La loro indagine è stata intitolata “Venire”, in riferimento alla massima latina “venire contra factum proprium”:

“Nessuno può mettersi in contraddizione con la propria condotta precedente”, o contro il Ministero della Propaganda Nazista, portata avanti da un sistema che ogni giorno, perde pezzi, sotto il peso della Verità emergente.

(Luca La bella) (databaseitalia.it/index.php/2023/05/03/la-polizia-brasiliana-perquisisce-la-villa-di-jair-bolsonaro-e-arresta-laiutante/)

 

L’utero in affitto manda in tilt la sinistra:

Schlein è senza parole e le femministe

senza risposte.

Secoloditalia.it – (13 Apr. 2023) - Francesca De Ambra – ci dice:

 

E ora come la mettiamo?

Già, come la mettiamo con le oltre 200 femministe che, nero su bianco, hanno implorato Elly Schlein di non lasciare a Giorgia Meloni la battaglia contro l’utero in affitto?

 Proprio così: per il fior fiore delle associazioni della sinistra (Arcilesbica, Udi, Emily, la Libreria delle Donne di Milano, la Casa delle Donne di Pesaro) l’indifferenza del Pd sul tema equivarrebbe ad una sorta di abdicazione identitaria in favore della destra.

 In effetti, dietro queste sigle ci sono decenni di lotte e di parole d’ordine contro lo sfruttamento del corpo femminile.

 «L‘utero è mio e lo gestisco io», ritmavano le femministe nei cortei dei ’70, unendo le estremità dei pollici e degli indici.

Oltre 200 femministe contestano le scelte del Pd.

Un modo per rivendicare il diritto esclusivo delle donne a decidere del proprio corpo.

E a chi pressava perché non comprimessero l’istinto alla maternità, rispondevano «non siamo lavatrici».

Dove il riferimento all’elettrodomestico rinviava direttamente alla catena di montaggio e, da lì, a un corpo femminile doppiamente violentato:

dalla cultura patriarcale e dal modello capitalistico.

Ora siamo invece al più classico dei “contrordine compagni! “.

 Infatti, partorire per altri dietro compenso è per la sinistra attuale un diritto da conquistare con le unghie e con i denti.

Anche se dietro questa pratica si annida il più odioso degli sfruttamenti (quello ai danni di una persona che possiede solo il proprio corpo) e la più insidiosa delle finalità: quella eugenetica.

La femminista Terragni stronca la Schlein:

"Con lei torna in voga l'utero in affitto. Per noi è un'avversaria".

Il disagio dei cattolici.

Scegliere il colore della pelle o degli occhi del nascituro come si sceglie quello di un parato o di una mattonella, è esercizio che trasuda razzismo più di cento cortei organizzati dai suprematisti bianchi del Ku Klux Kan.

Ma a ricordarlo è solo la destra.

Non stupisce perciò se nel Pd a soffrire non sono solo le femministe d’antan, ma anche i cattolici e quella parte più attenta ai bisogni sociali che ai diritti civili.

 Ma tant’è: alla nuova sinistra, quella tendenza Schlein per intenderci, piace essere alla moda e spacciare per vitalità politica qualsiasi inchino all’aria che tira, per altro spesso inquinata proprio da quel capitalismo un tempo avversato.

Purtroppo per Elly, è vero il contrario:

«Solo i pesci morti seguono la corrente».

 

 

 

Rileggere la storia Comunismo e fascismo,

due facce della stessa medaglia totalitaria.

Ma il Pci fu un’eccezione.

Redazioneitalia.it – Alberto De Bernardi – (20-5-2022) – ci dice:

 

Secondo lo storico Alberto De Bernardi, bisogna condannarli allo stesso modo, perché costituiscono i due lati della tara che ha insanguinato l’Europa per gran parte del XX secolo.

Ma il Partito Comunista Italiano è stato, con tutti i suoi limiti, un caso particolare nella storia del comunismo.

La pubblicazione della risoluzione della UE “Sull’importanza della memoria per l’avvenire dell’Europa” ha aperto in Italia un dibattito molto acceso che a distanza di diverse settimane non si è ancora spento, facendo dell’Italia un caso unico in Europa.

Come molti storici, anche io ritengo sempre scivoloso ogni tentativo delle istituzioni politiche di definire una interpretazione condivisa del passato su cui costruire la memoria pubblica, perché si presta a omissioni e a superficialità, che gli storici hanno in più occasioni messo in evidenza:

la memoria di eventi traumatici è difficilmente ricomponibile, quando vittime e carnefici sono ancora presenti e attivi nella sfera pubblica e soprattutto quando rimanda alla lunga guerra tra comunismo, fascismo e democrazia che ha insanguinato il secolo appena terminato;

la storia, invece, può essere condivisa perché costruita su un approccio scientifico, anche se la stessa ricerca storica non è sempre esente da torsioni ideologiche e da punti di vista segnati da appartenenze politiche.

La memoria infatti mira all’identità, la storia alla verità.

In ogni caso l’elemento saliente e sorprendente della discussione apertasi del nostro paese è che fin dalle prime battute essa ha perso di vista il documento sia dal punto di vista dei suoi contenuti, che delle sue finalità, per concentrarsi su due questioni, che con quel documento hanno ben poco a che fare, ma che invece attengono alla irrisolta e ingombrante “questione comunista” nella cultura politica della sinistra italiana, nonostante siano passati trent’anni dalla caduta del muro di Berlino e dello scioglimento del partito comunista italiano.

 

 

 

Il patto Ribbentrop-Molotov e le proposte della Risoluzione.

La prima questione su cui si sono appuntate le critiche di storici e intellettuali, ma soprattutto dell’associazionismo antifascista con in testa l’Anpi, riguarda l’affermazione per altro poco fondata, che nel documento si attribuisca al patto Ribbentrop-Molotov lo scoppio della Seconda mondiale.

Sul punto infatti il parlamento invita a fare 4 considerazioni:

1- considerando che ottanta anni fa, il 23 agosto 1939, l’Unione Sovietica comunista e la Germania nazista firmarono il trattato di non aggressione, noto come patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, il che ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale;

2- considerando che, come diretta conseguenza del patto Molotov-Ribbentrop, seguito dal “trattato di amicizia e di frontiera” nazi-sovietico del 28 settembre 1939, la Repubblica polacca fu invasa prima da Hitler e due settimane dopo da Stalin, eventi che privarono il paese della sua indipendenza e furono una tragedia senza precedenti per il popolo polacco;

che il 30 novembre 1939 l’Unione Sovietica comunista iniziò una guerra aggressiva contro la Finlandia e nel giugno 1940 occupò e annesse parti della Romania, territori che non furono mai restituiti, e annesse le Repubbliche indipendenti di Lituania, Lettonia ed Estonia;

3- considerando che, dopo la sconfitta del regime nazista e la fine della Seconda guerra mondiale, alcuni paesi europei sono riusciti a procedere alla ricostruzione e a intraprendere un processo di riconciliazione, mentre per mezzo secolo altri paesi europei sono rimasti assoggettati a dittature, alcuni dei quali direttamente occupati dall’Unione sovietica o soggetti alla sua influenza, e hanno continuato a essere privati della libertà, della sovranità, della dignità, dei diritti umani e dello sviluppo socioeconomico;

4- considerando che, sebbene i crimini del regime nazista siano stati giudicati e puniti attraverso i processi di Norimberga, vi è ancora un’urgente necessità di sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie in relazione ai crimini dello stalinismo e di altre dittature.

Il Parlamento europeo dunque non si cimenta in una discussione sulle cause della Seconda guerra mondiale, ma invita alla luce di queste considerazioni assai fondate, a condannare le conseguenze di quel patto che ha costretto i paesi dell’Europa dell’Est, a subire per cinquant’anni una dittatura spietata, condannandoli a perdere la libertà, che invece costituisce il fondamento delle democrazie dell’Europa occidentale;

invita inoltre a fare un bilancio storico e morale di questo periodo, aprendo inchieste giudiziarie nei confronti di eventuali aguzzini, analoghe a quelle che hanno riguardato i crimini del nazismo e del fascismo.

L’antifascismo costituì lo strumento ideologico attraverso il quale l’Urss cerco di legittimare la politica di potenza nell’Europa orientale e baltica.

Il “patto scellerato” e l’Urss.

Certamente, come ha messo in luce la ricerca storica, quel patto fu anche la conseguenza della volontà delle nazioni democratiche europee di non coinvolgere l’Urss nella lotta contro la minaccia nazista, convinte come erano che il comunismo fosse un nemico peggiore del fascismo.

Questa concezione fu alla base dell’appeasement con il fascismo perseguita dalle democrazie europee per cercare di circoscrivere l’espansionismo di Hitler e Mussolini e evitare un nuovo conflitto mondiale:

come ricordò Churchill si trattò di una valutazione sbagliata per cui Francia e Gran Bretagna oltre a non riuscire a evitare la guerra, persero anche “l’onore”.

Ma le ragioni del “patto scellerato” stanno solo in parte in quell’errore. Infatti l’accordo tra Mosca e Berlino aveva ben più solide implicazioni strategiche, che andavano ben oltre lo sforzo sovietico di impedire l’attacco militare nazista all’Urss, e che riguardavano i progetti «imperiali» di Stalin, volti da un lato a fare dell’Urss una grande potenza mondiale.

In quest’ottica l’espansione dei propri confini nazionali in direzione dell’Europa orientale, come misero in luce la spartizione della Polonia e la guerra contro la Finlandia, costituiva una chiave di volta fondamentale.

Quindi il suggerimento del parlamento europeo di ritornare a riflettere su quel patto è di grande rilievo perché obbliga a riconsiderare il ruolo dell’Urss nella seconda guerra mondiale, all’interno del quale l’imperialismo costituisce una linea guida che rimane anche dopo Stalingrado e l’alleanza “antifascista” con gli Stati Uniti e i suoi alleati:

se siamo europei dobbiamo prendere atto della necessità non rinviabile di leggere la storia del continente nella sua interezza: non solo da Roma o Parigi, ma anche da Varsavia o da Vilnius.

Da quelle capitali l’esaltazione dell’Urss come patria dell’antifascismo e della lotta al nazismo appare del tutto priva di senso, perché l’antifascismo costituì lo strumento ideologico attraverso il quale l’Urss cerco di legittimare la politica di potenza nell’Europa orientale e baltica.

Ma questo dato di fatto mina anche la narrazione dominante nell’Europa occidentale sul ruolo dell’Urss nella lotta contro il fascismo, perché essa non era condotta in nome di una tavola di valori democratici, condivisa seppur ambiguamente anche dai partiti comunisti impegnati nelle resistenze dell’Europa occidentale, ma con lo scopo prioritario di affermare il progetto imperiale dell’Urss.

Lo Stalinismo e l’antifascismo.

 

Al di là dei miti posteriori, non vanno dimenticare le conseguenze che il “patto” ebbe sull’antifascismo di allora.

L’Urss, infatti, non era semplicemente uno stato tra altri stati;

 era la «patria del socialismo», cioè lo stato guida di un movimento rivoluzionario internazionale.

Ogni suo atto, dunque, doveva necessariamente trovare posto all’interno di un tragitto strategico definito, come se costituisse la tessera di un mosaico che il partito era in grado di comporre perfettamente perché ne conosceva il disegno finale.

Il patto con il nazismo, con il nemico principale del movimento operaio mondiale, andava dunque inserito in un dispositivo politico e ideologico capace di trasformare questa scelta, espressione della più cinica «ragion di stato», in una lungimirante operazione che doveva aprire una nuova fase dello scontro tra borghesia e classe operaia a livello mondiale.

Per realizzare questo obbiettivo e mobilitare intorno ad esso il movimento comunista europeo fu rilanciata la vecchia discriminante capitalismo/anticapitalismo, in sostituzione di quella tra fascismo e antifascismo scelta nell’VIII congresso dell’Internazionale comunista.

Questo cambio di orizzonte politico ebbe come conseguenza la crisi irreversibile dell’antifascismo stesso, come si era venuto configurando dal 1934, basato sull’unità d’azione tra comunisti, socialisti e forze democratiche.

 Quando Molotov dalla tribuna del Soviet supremo sostenne, a giustificazione del trattato appena sottoscritto, che «era insensato e addirittura criminale spacciare questa guerra come una lotta per la distruzione dell’hitlerismo sotto la falsa bandiera di una battaglia per la democrazia», decretò la morte dell’antifascismo.

 L’antifascismo venne dunque sacrificato per la politica di potenza dell’Urss, altro che “patria dell’antifascismo”:

 il dramma dei comunisti nell’Europa occidentale, stretti tra la fedeltà a Mosca e l’impegno nella lotta antifascista, insieme ai partiti democratici e socialisti, ne è la più chiara conferma.

Quindi a chi professa una presunta lesa maestà dell’antifascismo nel mancato riconoscimento del ruolo dell’Urss nella lotta contro in nazismo, non solo non ha letto il testo della risoluzione, che non tratta dell’argomento, ma dimostra una conoscenza del passato parziale e ideologicamente orientata.

 Proprio l’esito della guerra nei paesi dell’Europa dell’Est dimostra l’estraneità del comunismo ai valori dell’antifascismo e la strumentalità con cui l’Urss aderì alla “guerra antifascista” dopo Stalingrado e soprattutto utilizzò, come accennato in precedenza, l’antifascismo come elemento fondante della sua ideologia totalitaria.

 

Questa duplicità di destini dell’antifascismo nelle due Europe divise dalla cortina di ferro – a Occidente fondamento ideale della rinascita democratica; a Oriente componente retorica dell’ideologia di stato delle repubbliche popolari – è la questione di fondo che il documento del parlamento europeo vuole proporre alla discussione dell’intera comunità e su cui gli intellettuali dovrebbero dare il loro contributo, invece che sventolare fruste bandiere.

Tra il mai più dell’Europa occidentale e quello dell’Europa orientale vi è una differenza sostanziale:

il primo riguarda il fascismo, il secondo il comunismo;

una divergenza insopprimibile che si può superare solo riconoscendola, senza evocare il complotto anticomunista e antifascista dei paesi di Visegrad.

 

Equiparare fascismo e comunismo?

Ma se nel dibattito italiano si è frainteso il senso della risoluzione per quel che riguarda il patto Ribbentrop-Molotov, il travisamento è ancor più grave a proposito della presunta equiparazione tra fascismo e nazismo che costituisce, nonostante non vi sia traccia nel documento, la chiave di lettura critica più diffusa tra gli intellettuali italiani di sinistra.

Il 13 novembre l’Anpi e la Cgil di Modena hanno organizzato una conferenza di Luciano Canfora, l’ultimo studioso dichiaratamente comunista vivente in Italia, per rispondere all’interrogativo:

“Nazifascismo e comunismo sono uguali? L’Europa alla prova di revisionismo storico”.

Basta leggere il documento per capire che il parlamento europeo ha invitato a fare un’altra operazione culturale, ben lontana da una insulsa equiparazione:

 condannare allo stesso modo il fascismo e il comunismo, non perché siano uguali, ma perché costituiscono i due lati della stessa medaglia totalitaria, che ha insanguinato l’Europa per gran parte del XX secolo.

Il nodo della questione riguarda dunque l’appartenenza o meno del comunismo al campo del totalitarismo, cioè a un insieme di regimi che, differenziati dal punto di vista delle finalità ideali che contrassegnano le loro ideologie, hanno messo in pratica forme di governo basate sulla negazione radicale della democrazia e del pluralismo, in nome di uno statalismo assoluto e di una integrazione inestricabile tra stato e partito, che ha tolto ogni autonomia ai cittadini, trasformati in sudditi di una macchina di controllo sociale senza scampo il cui esito estremo è stato il gulag e il lager.

Il totalitarismo è la negazione dell’uomo; non è una ideologia, ma un crimine, estendendo anche al comunismo il giudizio che Sandro Pertini espresse a proposito del fascismo.

Se di questa macchina totalitaria l’Europa occidentale ha conosciuto il volto fascista, quella orientale a conosciuto quello comunista, o entrambi.

 E dunque la risoluzione del parlamento comunitario “ricorda che i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità, e rammenta l’orrendo crimine dell’Olocausto perpetrato dal regime nazista; condanna con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari”.

Come ha ricordato recentemente lo storico “Antonio Brusa “(“Novecento.org”, 2019) a proposito del “nunca mas” con cui la Commissione nazionale sui crimini della Giunta militare argentina ha intitolato il suo rapporto finale, tra il mai più dell’Europa occidentale e quello dell’Europa orientale vi è una differenza sostanziale:

il primo riguarda il fascismo, il secondo il comunismo;

una divergenza insopprimibile che si può superare solo riconoscendola, senza evocare il complotto anticomunista e antifascista dei paesi di Visegrad.

 

Un riconoscimento che però implica di andare più a fondo di una semplice constatazione di un dato di fatto, mettendo a fuoco sia gli esiti della mancata condanna del comunismo nelle culture politiche della sinistra europea, sia i rigurgiti nazionalisti che riemergono nei paesi dell’Est, come conseguenza della mancata condanna del fascismo che pure aveva costituito una presenza significativa in quegli stati tra le due guerre.

Quindi il documento, mentre condanna “il revisionismo storico e la glorificazione dei collaborazionisti dei nazisti che hanno corso in certi paesi dell’Unione”, invoca la necessità che si diffonda nell’Europa una memoria potremmo dire “antitotalitaria” che condanni entrambi i regimi che hanno negato i valori fondanti su sui è stata edificata la nuova Europa comunitaria.

 Su di essa deve poggiare “una cultura della memoria condivisa, che respinga i crimini dei regimi fascisti e stalinisti e di altri regimi totalitari e autoritari del passato come modalità per promuovere la resilienza alle moderne minacce alla democrazia, in particolare tra le generazioni più giovani”.

Siamo in presenza di un uso del termine revisionismo ben diverso da quello evocato dall’iniziativa modenese, che rimanda a stantie polemiche anti defeliciane, e alla difesa di una vulgata ideologica che non ha ormai nessun effettivo fondamento storico:

la storia dell’Urss e dei regimi comunisti non appartiene al lungo processo della liberazione dell’uomo dalle ingiustizie sociali e dall’oppressione, ma al suo esatto contrario, nonostante la loro ideologia fosse fondata sull’emancipazione del lavoro e sulla creazione di un ideale società egualitaria.

Che il comunismo abbia significato per milioni di uomini una speranza di riscatto e abbia guidato movimenti di liberazione in tutto il mondo, non può tradursi nel negare che tutte le volte che quella speranza si è consolidata in sistemi politici concreti abbia prodotto regimi totalitari.

Il comunismo e la cultura storica italiana.

Perché dunque in Italia si è verificato questo travisamento, che non posso pensare sia dipeso dal fatto che gli storici non abbiano letto il testo che hanno commentato, fidandosi della lettura ideologica “filocomunista” dell’Anpi?

Le ragioni sono sostanzialmente due.

La prima riguarda l’incapacità degli storici di estrazione marxista, che provengono da una più o meno lunga militanza nel Pci e/o nei movimenti di sinistra, di leggere il comunismo non per quello che aveva rappresentato nella loro giovinezza, ma per quello che effettivamente fu, quando fu messo alla prova effettiva della storia.

Che il comunismo abbia significato per milioni di uomini una speranza di riscatto e abbia guidato movimenti di liberazione in tutto il mondo, non può tradursi nel negare che tutte le volte che quella speranza si è consolidata in sistemi politici concreti, da Mosca a Cuba, da Pechino a Belgrado abbia prodotto regimi totalitari, che hanno raggiunto punte di violenza e di distruzione degli esseri umani del tutto simili a quelle dei fascismi:

il socialismo reale con quelle speranze non ebbe nulla a che fare, né si tratto di “eccessi” e di deviazioni da un piano ideale positivo.

Il leninismo infatti già nella sua costruzione originaria professava l’idea di una “dittatura” non già del proletariato, bensì del partito unico, della Ceca, antagonistica allo stato di diritto e alla democrazia.

Per accogliere questo piano di discussione e riflessione noi abbiamo a disposizione la categoria del totalitarismo, che consente di mettere in evidenza i punti di contatto, le omogeneità, oltre le differenze, che rendono possibile in sede scientifica la comparazione – che non è omologazione, equiparazione ed altre amenità – dei due regimi.

Ma purtroppo la lezione della Arendt sul totalitarismo, pur vecchia di settant’anni, non è passata interamente nella storiografia e men che meno nel discorso pubblico e nel dibattito culturale, che spesso maneggiano questa concettualizzazione delle scienze sociali statunitensi con sospetto, come se fosse un vecchio arnese della guerra fredda e un “arma impropria” contro il comunismo.

Invece che una chiave di lettura in grado di aprire prospettive di indagine originali e pregnanti.

Queste prese di posizione segnalano dunque il peso di retaggi ideologici ancora pesantemente presenti nelle griglie concettuali con cui molta intellighenzia di sinistra guarda al passato, a tal punto da impedirle di interpretare un testo per quello che effettivamente dice o di coglierne lo straordinario significato in rapporto alla creazione di una cultura democratica europea.

Il Pci fu un’eccezione?

La seconda ragione riguarda il comunismo italiano, la cui partecipazione alla resistenza e alla costruzione della democrazia italiana, non solo lo avrebbe messo al riparo dall’appartenere al campo del totalitarismo sovietico, ma lo avrebbe trasformato del tutto inopinatamente nel punto di vista da cui leggere tutta la storia del comunismo.

Anche questa chiave di lettura non è pienamente condivisibile e presenta molte contraddizioni.

Il Pci infatti è appartenuto all’orbita bolscevica e staliniana fino alla morte di Togliatti e la partecipazione alla stesura della costituzione non sana il fatto che, per lo meno fino alla segreteria di Berlinguer, nel suo orizzonte strategico, tra i suoi “fini”, vi fosse la “democrazia popolare”, cioè proprio il sistema di quei regimi dittatoriali dell’Europa dell’Est.

 Per fortuna l’appartenenza al mondo occidentale e i vincoli della guerra fredda hanno impedito al Pci di realizzare ciò che prometteva ai suoi militanti e di diventare un effettivo costruttore della democrazia italiana:

ma questa circostanza è una conseguenza storica che dipese dal contesto e dalla lungimiranza dei suoi dirigenti, ma non affondava le sue radici nella cultura politica di quel partito;

e che tra l’altro contribuì a definire la sua ambiguità” storica, che tanto ha pesato sull’evoluzione della democrazia italiana.

Il Pci, dunque, è stato, con tutti i suoi limiti, un’eccezione nella storia del comunismo mondiale, non l’osservatorio da cui leggerne la storia, che resta invece interamente riassunta nell’esperienza del “socialismo reale”.

È con questa vicenda con cui qui la memoria dell’Europa deve fare i conti, con la stessa serietà e con la stessa fermezza introdotte nei confronti del fascismo, non con i problemi identitari di intellettuali ex comunisti, che sovrappongono la loro autobiografia di intellettuali militanti alle lezioni, spesso durissime, della storia.

Purtroppo è del tutto evidente che tra alcuni storici italiani e in alcune associazioni antifasciste non ci sia la stessa fermezza, anzi si annidi una concezione benevola del comunismo, che colloca lo stalinismo tra gli eccessi e gli errori di una storia fulgida di lotte per la libertà e la pace, e soprattutto al di fuori della storia tragica del totalitarismo.

Mi viene da dire che per fortuna che c’è il parlamento europea che vigila sulla memoria del continente, meglio di come non facciano gli intellettuali italiani.

(Alberto De Bernardi)

(Linkiesta.it)

 

 

 

Colpo di Stato negli USA: il Nuovo

Ordine Mondiale non vuole lasciare

andare l’America.

Trump pronto alla controffensiva.

 Chiesaepostconcilio.blogspot.com – (7 novembre 2020) – Cesare Sacchetti – ci dice:

 

Chi prende per oro colato la narrazione dei media di regime o non ha dimestichezza con le dinamiche degli scacchieri internazionali potrebbe anche supporre che si tratti di fantapolitica.

 Ma è comunque innegabile che i brogli dem feriscono la democrazia.

Stava tutto procedendo apparentemente senza alcun intralcio. Il conteggio delle schede nel cuore della notte elettorale americana del 3 novembre sembrava procedere senza particolari difficoltà.

Ad un tratto, qualcosa di imprevedibile è accaduto. In cinque diversi stati chiave che da sempre sono decisivi per assegnare la presidenza degli Stati Uniti, gli scrutatori smettono di contare.

Tutti quanti, allo stesso identico momento. Non si è mai visto in una elezione americana. In quel momento, Trump aveva guadagnato già 213 grandi elettori contro i 225 di Biden.

Trump era in vantaggio in tutti e cinque gli stati chiave.

Se il conteggio fosse andato avanti senza intralci, il presidente in carica avrebbe superato agevolmente la quota necessaria di 270 voti per restare alla Casa Bianca.

Invece è arrivato il segnale. Tutti hanno smesso di contare.

Occorreva sabotare la probabile vittoria di Trump. È stato in quel momento che si è messa in moto quella che probabilmente può essere definita la più grande macchina di frode elettorale mai vista negli USA.

Joe Biden, il candidato democratico campione di gaffe, se l’era lasciato scappare prima delle elezioni americane.

Aveva confessato che il suo partito e il deep state avevano allestito “la più grossa organizzazione di frode elettorale” mai vista nella storia d’America.

Non appena il conteggio si è interrotto e sono iniziati ad arrivare nel cuore della notte i famigerati voti postali, non è stato difficile capire che quanto detto da Joe Biden stava iniziando ad avverarsi.

In Wisconsin, sono arrivati ad urne chiuse 169mila voti postali e tutti sono andati a Joe Biden. Il 100%. Biden dunque sembra essere il primo candidato della storia che è stato in grado di non lasciare agli avversari nemmeno un voto.

In Michigan, altro stato chiave, sono arrivati a notte fonda altri 200mila voti postali che sono andati tutti anch’essi a Joe Biden. A quanto pare, tutti quelli che votano per posta sono “stranamente” tutti elettori di Biden. Il sospetto di frode elettorale è iniziato a diventare sempre più concreto.

Trump si è presentato davanti alle telecamere e ha iniziato a denunciare quanto stava accadendo. Non si era mai visto che il conteggio fosse sospeso contemporaneamente e che fossero conteggiati voti che invece non avrebbero dovuti essere nemmeno presi in considerazione perché giunti a tempo scaduto.

 

La portata della frode elettorale sembra avere dimensioni ancora più grandi di quelle già riscontrate.

Sono state mostrate le prove di come abbiano votato per posta persone morte nel 1984 e che oggi, se fossero in vita, avrebbero 120 anni.

La macchina della frode elettorale che vuole mettere a tutti i costi Joe Biden nella Casa Bianca è stata in grado di far votare i morti per il suo candidato.

Gli stessi esponenti del partito lo avevano annunciato.

Nancy Pelosi, già nota per aver avviato il tentativo illegale di impeachment contro Trump rovinosamente naufragato al Senato, aveva detto chiaramente che indipendentemente dal conteggio dei voti, Biden il 20 gennaio avrebbe giurato come prossimo presidente degli Stati Uniti.

Il deep state dunque aveva già preso la sua decisione.

Trump, in un modo o nell’altro, doveva lasciare la Casa Bianca.

Gli annunci e i piani del sistema erano stati condivisi già nei mesi passati. Il think-tank “Transition Integrity Project”, del quale fanno parte massimi esponenti dell’establishment come John Podesta, già consigliere di Hillary Clinton, aveva elaborato uno scenario che prevedeva l’intervento delle forze armate qualora Trump si fosse rifiutato di lasciare la Casa Bianca in caso di sconfitta.

La sconfitta nella loro idea sarebbe stata il risultato di una elezione truccata.

Il deep state ovviamente già sapeva che Trump non avrebbe accettato la frode e si sarebbe opposto e qui, secondo i piani dei falchi di Washington, dovrebbero entrare in gioco gli elementi militari del Pentagono al soldo del deep state per rimuovere il comandante in capo con la forza.

Il tentativo di golpe in atto dunque era stato ampiamente preparato e i media mainstream ne fanno parte pienamente. Sono loro infatti che stanno completamente censurando le notizie e i fatti che riguardano i brogli avvenuti in America, e sono sempre loro che stanno facendo passare il falso messaggio di un Joe Biden che si avvicina alla Casa Bianca senza la minima ombra di irregolarità.

I media ormai hanno assunto la funzione di agenti della sovversione impegnati platealmente nel tentativo di rovesciare un capo di Stato.

I social si sono uniti nel piano quando in questo stesso momento stanno censurando apertamente i tweet del presidente degli Stati Uniti.

È una manovra a tenaglia. Tutte le derivazioni del sistema stanno attaccando in branco Donald Trump per costringerlo a firmare la resa e a lasciare la Casa Bianca.

Trump comunque non era impreparato a questa eventualità. Sapeva che la palude del deep state avrebbe cercato di rimuoverlo con la forza. Sapeva che tutte le istituzioni asservite da tempo al mondialismo avrebbero dato vita al più grande tentativo di sovversione mai visto in America e nel mondo.

Il presidente ha preso le sue dovute contromisure. Nelle schede elettorali sembra siano stati inseriti degli isotopi non radioattivi per distinguerle dalle schede fasulle che sono in circolazione.

Fonti molto vicine all’amministrazione Trump hanno fatto sapere allo stesso tempo che le prove di questo complotto sono semplicemente enormi e che il presidente risolverà la questione nel giro di 1-2 settimane davanti alle corti competenti.

Trump non si lascerà rubare l’elezione. Il comandante in capo sapeva già in anticipo che avrebbero tentato questa enorme frode, e ha lasciato che il deep state andasse avanti.

Ora avrà l’occasione di dimostrare al mondo intero quanto è corrotto il sistema e potrà dare un altro colpo mortale agli eversori presenti nei palazzi del potere. Trump, più semplicemente, ha dato abbastanza corda al deep state perché potesse impiccarsi con le sue mani.

Il Nuovo Ordine Mondiale non vuole perdere l’America.

Questo è comunque il disperato e, probabilmente ultimo, colpo di coda di un sistema profondamente marcio e infetto.

Il mondialismo ha scatenato tutta la sua furia e ha dato il segnale ai suoi agenti infiltrati praticamente in ogni istituzione nazionale per rovesciare l’esito del voto.

Il mondialismo sta giocando questa ultima carta per cercare di riprendersi disperatamente il controllo dell’America.

Non era previsto, nei loro piani, che la Casa Bianca finisse in  mano ad un uomo che ha interrotto il duopolio dei presidenti repubblicani e democratici scelti tra le stanze del gruppo Bilderberg o tra i boschi della California nel raduno del Bohemian Grove, dal quale sono usciti almeno quattro presidenti come Nixon, Reagan, Clinton e Bush.

L’America è stata per decenni saldamente nelle mani del “Nuovo Ordine Mondiale”.

È stato questa rete di potere bancario, finanziario, industriale e militare a decidere il percorso di questa nazione.

 

Prima ancora che la seconda guerra mondiale volgesse al termine, la massoneria aveva già stabilito da tempo che l’America avrebbe avuto la missione di condurre il mondo verso il Nuovo Ordine Mondiale.

Manly P. Hall, uno dei massoni più influenti al mondo, scrisse nel 1944 un libro intitolato “Il destino segreto dell’America”, nel quale spiegava perfettamente quali erano le intenzioni delle élite massoniche per l’America. Il destino segreto di questa nazione era quello di farsi guida del disegno mondialista.

La superpotenza economica e militare di questo Paese è stata utilizzata come arma di disciplina nei confronti delle altre nazioni che non hanno voluto obbedire agli ordini di Washington.

Il deep state è stato il braccio armato operativo che ha avuto il compito di rovesciare i governi e invadere militarmente i Paesi che si rifiutavano di servire gli interessi della cabala globalista.

L’interventismo americano è stato una diretta conseguenza della volontà mondialista.

Occorreva un gigante militare ed economico che fosse in grado di schiacciare tutti coloro che si fossero messi sulla strada del Nuovo Ordine Mondiale. Il potere massonico scelse l’America.

Chiunque si sia messo sulla strada del Nuovo Ordine Mondiale ha pagato un caro prezzo.

Salvador Allende, il presidente del Cile, fu rovesciato in un colpo di Stato nel 1973 orchestrato dalla CIA e supervisionato da Henry Kissinger, allora segretario di Stato nell’amministrazione Nixon, per via della sua intenzione di nazionalizzare le riserve di rame.

Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e già ministro degli Esteri, fu rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978 dopo aver ricevuto minacce di morte proprio dallo stesso Kissinger che lo considerava un intralcio verso i piani del potere mondialista per l’Italia stabiliti dal club di Roma.

Il club di Roma, altro potentissimo organo del globalismo fondato da Rockefeller, decretò infatti già negli anni’70 che l’Italia avrebbe dovuto essere deindustrializzata e denatalizzata per favorire la definitiva ascesa del Nuovo Ordine Mondiale, verso il quale l’esistenza della culla del cristianesimo mondiale e dell’Antica Roma, rappresenta un maggiore ostacolo.

La storia degli Stati Uniti non è stata altro pertanto che quella di una nazione caduta nelle mani di una camarilla di politici corrotti asserviti ai desiderata di questo disegno. Gli USA, in altre parole sono stati, loro malgrado, il sicario del mondialismo.

La presidenza Trump ha segnato il divorzio dell’America dal globalismo

Il settimanale britannico l’Economist, partecipato dai Rothschild, la famiglia più potente tra quelle mondialiste, e dagli Elkann, lo scrisse chiaramente qualche tempo fa. La presenza di Trump alla Casa Bianca mette a rischio il proseguimento del Nuovo Ordine Mondiale.

Donald Trump stesso ne spiegò le ragioni in un consesso dell’ONU, la struttura deputata nell’idea globalista a diventare la base del futuro governo mondiale.

Trump in quell’occasione disse che la missione di una nazione era quella di difendere la propria sovranità, non di rinunciarvi per accondiscendere ad un interesse sovranazionale. Soprattutto, il presidente americano disse in quel contesto che occorreva guardarsi dalle insidie della governance globale quanto da quelle di altre forme di coercizione.

È un discorso che ha delle analogie straordinarie con quella di un’altra orazione tenuta proprio da Salvador Allende nel 1972 sempre davanti alle Nazioni Unite. Il presidente del Cile disse in quell’occasione che un nuovo nemico stava nascendo tra la comunità internazionale.

Un nemico che non aveva le sembianze di una potenza nazionale, ma piuttosto quelle di una cabala occulta composta da potere bancario, industriale e militare.

È questo club privato che minaccia la vita e la prosperità delle nazioni e che vuole schiavizzare l’umanità intera.

Questo sistema composto dalle grandi famiglie di banchieri internazionali, su tutti i Rothschild e i Rockefeller, e da tutti i gruppi di pressione da loro finanziati, come l’Aspen Institute o il Consiglio delle Relazioni Estere, è la più grave minaccia che incombe sul mondo e sui popoli di tutti le nazioni.

L’ideologia che ispira queste grandi famiglie e questi gruppi è profondamente anticristiana e si richiama apertamente all’esoterismo satanico.

Questa epoca storica che si sta vivendo è una nella quale stanno emergendo alla luce del giorno le pratiche del satanismo.

La abominevole pratica della pedofilia, un tempo bandita, inizia ad essere sdoganata apertamente.

Ovunque pullulano i richiami al satanismo e si vedono delle riviste che tessono gli elogi della Chiesa di Satana, fondata da Anton LaVey, occultista molto vicino al mondo di Hollywood.

Ora questo sistema è pronto a tutto pur di arrivare al suo obbiettivo e ha annunciato apertamente qual è il proposito finale.

Il Grande Reset non sarà possibile senza l’America.

Il mondialismo vuole arrivare al Grande Reset dei debiti privati che non è altro che la maniera definitiva per spogliare l’umanità di tutti i suoi beni e giungere così alla fine della proprietà privata.

Coloro che si opporranno saranno deportati nei campi di concentramento sanitari fino a quando non accetteranno le condizioni economiche impostegli e la somministrazione del vaccino obbligatorio.

L’ultimo passaggio del Nuovo Ordine Mondiale è quello che porta alla schiavitù totale.

Questa ideologia non ammette dissenso. Non c’è libero arbitrio in questo mondo, ma solo automi privati delle loro facoltà intellettive capaci solo di eseguire degli ordini, anche i più brutali e insensati.

Per poter arrivare però alla realizzazione di questo disegno autoritario globale, occorre riprendersi la Casa Bianca.

Il Grande Reset non potrà manifestarsi se la superpotenza americana lascerà definitivamente il mondialismo e userà tutta la sua forza per impedire che il mondo cada nelle mani del totalitarismo più oppressivo e criminale della storia dell’umanità.

È per questo che negli Stati Uniti c’è un colpo di Stato in atto.

 È la mossa eversiva della disperazione che questa società occulta sta tentando per forzare disperatamente la mano.

L’operazione coronavirus ha aperto quella finestra di opportunità che il sistema stava cercando da tempo.

David Rockefeller alle Nazioni Unite nel 1994 disse che era necessario una sorta di evento catalizzatore per costringere le nazioni ad accettare il Nuovo Ordine Mondiale.

Quella crisi è arrivata. L’operazione terroristica del Covid si può definire l’11 settembre del mondo.

 

Il tempo però sta stringendo.

Klaus Schwab, uno degli esponenti più influenti di Davos, altro gruppo in prima fila del mondialismo, ha parlato di una “stretta finestra di opportunità” messa a disposizione dalla falsa emergenza sanitaria.

Quella finestra potrebbe richiudersi molto in fretta se Trump resta alla Casa Bianca.

Le forze occulte dunque si sono scatenate nel tentativo di rovesciare il presidente in carica.

Ora in questo momento occorre restare con i nervi saldi. Monsignor Viganò, nella sua ultima lettera [qui], ha esortato chiaramente a non lasciarsi prendere dallo sconforto. Era prevedibile che l’altra parte desse vita a qualcosa del genere.

Questa cabala incarna il male assoluto e ordisce qualsiasi inganno pur di arrivare ai propri scopi. La battaglia tra i figli della luce e quelli delle tenebre è giunta dunque al momento decisivo.

Adesso occorre resistere più che mai. Lo scontro contro le forze occulte si intensificherà ancora di più nei prossimi giorni.

Il Nuovo Ordine Mondiale può ancora essere fermato.

La partita non è ancora chiusa.

(Cesare Sacchetti).

 

 

 

 

 

Zitelmann: povertà e ambiente

si curano col capitalismo

non con l’ecologismo.

Radiomaria.it – La nuova bussola – Rainer Zitelmann – (09 -05 – 2023) – ci dice:

 

Non esiste più una classe media. I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Noi siamo responsabili dell’inquinamento del pianeta e del riscaldamento globale, ma a pagare sono i paesi poveri.

Esportiamo altrove il nostro inquinamento.

Dopo il Covid serve un Great Reset.

 Ma queste affermazioni sono vere? No, sono puramente ideologiche.

 A questi miti risponde, colpo su colpo, lo storico e sociologio Rainer Zitelmann, che abbiamo intervistato in occasione del suo provocatorio” Elogio del capitalismo”.

Che smonta anche il mito del "modello cinese" (che non esiste).

 Esportiamo altrove il nostro inquinamento. Serve un Great Reset per il nostro sistema e ripartire da zero con un altro modello.

 Quante volte abbiamo sentito esporre questi concetti con la certezza di un dogma?

 Rainer Zitelmann, storico e sociologo tedesco, diventato celebre anche per aver scritto la prima biografia economica del “nazionalsocialismo” (in cui dimostrava tutte le sue affinità con l’altro socialismo, quello internazionale), si è imbarcato nella difficile impresa di smontare tutti i miti negativi del sistema economico capitalista che caratterizza sia il mondo industrializzato che quello in via di sviluppo.

Il suo libro si intitola “Elogio del capitalismo”, dieci miti da sfatare (edito da Istituto Bruno Leoni).

E già detto così, in una cultura come quella italiana, parrebbe una mera provocazione.

Invece Zitelmann non scherza affatto.

Quando lo incontriamo, ci mostra dati, mappe e grafici, con pacatezza smonta le tesi più trite e ritrite di no-global, ecologisti e anche non pochi conservatori odierni.

 

Secondo un recente sondaggio del “Pew Research Center”, per la maggior parte degli americani (soprattutto repubblicani) si sta peggio oggi che 50 anni fa.

È vero? O è un errore di percezione?

È incredibile vedere come la percezione sia così lontana dalla realtà.

Sotto tutti i punti di vista si sta decisamente meglio oggi rispetto a 50 anni fa, l’americano medio è decisamente più ricco e benestante rispetto a quello di mezzo secolo fa.

Nello studio “The Myth of American Inequality”, composto esclusivamente da statistiche ufficiali, viene mostrato come la differenza fra il ceto medio e i poveri sia sempre meno accentuata.

Ma non perché le cose vadano peggio.

Tutt’altro: perché è aumentata la spesa sociale per i poveri.

Chi appartiene alla classe media si sente istintivamente più povero, perché non percepisce più una grande differenza rispetto ai ceti più poveri.

E la maggior parte della gente ragiona e percepisce la propria condizione solo facendo paragoni.

 Il secondo errore di percezione è dato dalla nostalgia.

Molti sono veramente convinti che nel passato le cose andassero meglio e la vita fosse più felice.

E questo è un classico di tutte le epoche, anche durante la prima industrializzazione si mitizzava la vita agricola, dimenticando l’inferno di continue carestie.

 Ma la gente ha semplicemente dimenticato quanto fosse tutto più difficile cinquant’anni fa.

Infine c’è anche la difficoltà di capire cosa sia realmente la classe media.

 Quasi sempre la gente tende ad identificarsi come “classe media”, non povera e non ricca.

Queste dinamiche sono vere negli Stati Uniti, ma sono valide anche per la maggior parte delle nazioni industrializzate con un grande “welfare state”.

Nel mondo, si dice, i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. È vero?

No, non è vero.

Se prendiamo come parametro la povertà estrema (chi guadagna meno di 1,9 dollari al giorno, ndr), questa riguardava il 42% della popolazione mondiale nel 1981 ed oggi meno del 10%.

In Cina, l’88% della popolazione viveva in povertà assoluta nel 1981, oggi è l’1%.

A Pechino abitano più miliardari che a New York.

 È vero che i ricchi sono diventati più ricchi, ma ci sono sempre meno poveri nel mondo.

È aumentata la distanza fra ricchi e poveri? Sì, ma perché prima c’era più uguaglianza nella povertà, oggi è aumentato il numero di ricchi.

 La ragione è sempre la crescita economica. E nemmeno il Covid ha invertito questa tendenza.

Molto spesso però si sente l’argomento dei “ricchi più ricchi e poveri più poveri” perché la gente tende a credere che il capitalismo sia un gioco a somma zero: se c’è qualcuno che si arricchisce, vorrà dire che lo sta facendo a spese di qualcun altro.

Ma è un concetto economico errato.

Il mercato non è un gioco a somma zero.

 Come dimostra il puro e semplice fatto che il numero dei miliardari è enormemente aumentato negli ultimi 40 anni, mentre la povertà diminuiva.

 Se il mercato fosse un gioco a somma zero, questa tendenza non si sarebbe mai realizzata.

Anche negli organismi internazionali è passato il concetto della “giustizia climatica”:

 il mondo industrializzato è responsabile per il cambiamento climatico e il prezzo viene pagato dai Paesi più poveri.

Dovremmo risarcirli?

Secondo questo schematismo, i ricchi sono i più cattivi perché inquinano di più, poi ci sono i poveri che inquinano meno e chi non possiede nulla è ancora meglio perché emette ancora meno CO2.

Ma i preferiti sono i morti, che non ne emettono affatto.

Una volta parlai con una donna inglese che si era fatta sterilizzare per motivi climatici:

 gli uomini più rispettosi dell’ambiente sono quelli che non nascono neppure.

Io credo che tutto ciò non sia razionale, ma solo il prodotto di una nuova ideologia millenarista.

Ma se pensiamo ai problemi, reali, dell’ambiente, vediamo che la scena cambia completamente.

Se incrociamo l’Indice di Libertà Economica con l’Indice di Protezione Ambientale, vediamo che i Paesi in cui è garantita una maggior libertà economica, che poi sono anche quelli più ricchi, sono maggiormente rispettosi dell’ambiente.

Al calare della libertà economica, peggiora anche la tutela dell’ambiente.

E i peggiori, dal punto di vista ambientale, sono proprio i Paesi con un’economia pianificata dallo Stato.

L’Urss, storicamente, ha lasciato un disastro ambientale senza precedenti.

 Se confrontiamo le emissioni di CO2 pro-capite della Germania Ovest e della Germania Est, in cinquant’anni vediamo che la Germania Est comunista batte di gran lunga quella occidentale capitalista, quanto ad emissioni pro-capite.

Nel 1989, la Repubblica Democratica Tedesca (comunista) emetteva il triplo della CO2 per ogni punto di Pil rispetto alla Repubblica Federale Tedesca.

Se vogliamo risolvere i problemi ambientali, dobbiamo lasciare libero il mercato.

Gli ambientalisti, al contrario, vogliono abolire il capitalismo e sono tutti, chi più chi meno, favorevoli ad un’economia pianificata.

Cosa vogliono, realmente, gli ambientalisti?

In tutti i libri di maggior successo che propongono un programma ambientalista, come quello di “Naomi Klein” o quello più recente di “Greta Thunberg”, leggiamo che:

 viaggiare in auto deve essere proibito, volare deve essere proibito, ciascuno deve mangiare meno e sicuramente non proteine e grassi, dovremmo smettere di costruire case e ridurre il riscaldamento in quelle già costruite.

 Greta Thunberg respinge ogni soluzione:

non vuole nemmeno le auto elettriche, è contraria alle centrali nucleari… suggerisce solo due cose: la gente deve cedere al panico e il capitalismo deve essere abolito.

 In generale, gli ambientalisti chiedono un’economia pianificata.

 Ma è una follia, l’economia pianificata, come mostra la storia, non ha mai risolto alcun problema, men che meno quello dell’ambiente.

È assurdo pensare, poi, che si possa ridurre l’emissione di CO2 o esaurire le risorse naturali, se si produce di più.

 L’economia moderna, post-industriale, sempre più immateriale, ci mostra come possiamo avere sempre di più con sempre meno materiali.

 Pensiamo solo a quanti dispositivi vengono sostituiti da un semplice smartphone nel palmo della nostra mano:

telefono, radio, registratore, lettore di Cd, sveglia, mappe, navigatore satellitare, calcolatrice, bussola, torcia, intere librerie… è anche difficile elencare tutto.

Se noi andiamo a vedere come si sono evolute le economie moderne, vediamo che l’aumento del Pil non coincide affatto con quello della CO2.

Dopo un certo livello di sviluppo, le due linee si sdoppiano, quella della CO2 tende a non crescere più, per lo meno non alla stessa velocità della crescita economica.

 

Dopo il Covid, diversi economisti e Klaus Schwab (fondatore del Forum di Davos) hanno affermato che occorre un Grande Reset e ripartire da zero, con un altro sistema.

Cose ne pensa?

Come tutti i grandi progetti, ne penso tutto il male possibile.

Penso che ogni progetto disegnato a tavolino, dagli intellettuali, per cercare di cambiare e rimodellare la società sia destinato a fallire.

 Prima ancora che si inizi a scrivere un libro su come deve funzionare la società del futuro, quel progetto già smette di funzionare.

Il capitalismo, come insegnava l’economista Hayek, non è prodotto da un progetto, ma è un ordine spontaneo.

Gli intellettuali, questo, non lo hanno mai capito.

Non lo ha capito Lenin, né Thomas Piketty (economista neo-marxista, ndr) e neppure Klaus Schwab.

Gli intellettuali non hanno mai apprezzato qualcosa che sfugge alla loro pianificazione.

Eppure il capitalismo ha successo perché sa rinnovarsi continuamente, senza che nessuno lo ordini.

Visti i tassi di crescita che lo caratterizzano, il modello cinese supererà quello del capitalismo occidentale?

Non è mai esistito un “modello cinese.”

 È un mito occidentale a cui, purtroppo, inizia a credere anche la classe dirigente cinese.

La crescita cinese, però, è avvenuta nonostante lo Stato (e il suo presunto modello superiore) e non grazie alle idee di Deng o dei suoi successori fino a Xi.

Finora l’economia è cresciuta solo perché il Partito Comunista ha allentato i controlli, ha permesso di produrre e vendere, senza punire.

Ma parlare di un “modello cinese” superiore al capitalismo è un abbaglio.

 Come spiega bene, con una metafora, il mio amico economista “Weiying Zhang”:

Immaginatevi una persona senza un braccio che corre velocissima.

 Se arrivate alla conclusione che la sua velocità derivi dalla mancanza del braccio, allora potreste consigliare l’amputazione a chi vuol correre più forte.

Il risultato sarebbe, però, disastroso”.

 

 

 

Per “Klaus Schwab” (Forum di Davos) la

proprietà privata e mangiare carne

sono «cose insostenibili».

Un'agenda folle,

che l'Ue sta già realizzando.

 Italiaoggi.it - Tino Oldani – (24-1-2023) – ci dice:

 

La direttiva finale, che Klaus Schwab ha postato in inglese sul web a conclusione dell'ultimo “World economic forum” (Wef), mette i brividi:

«Mentre l'umanità si dirige ulteriormente verso un futuro post-carbonio, il popolo deve accettare che mangiare carne e la proprietà privata sono cose semplicemente insostenibili».

Come dire: preparatevi al cibo green, a mangiare larve di insetti e farine di grilli, poiché gli allevamenti di bovini inquinano il mondo e saranno fortemente ridotti.

Di più: dimenticate anche la proprietà privata, smettetela di comprare case, poiché anche queste inquinano e provocano costi da eliminare.

Può sembrare folle, ma è solo una piccola parte dell'agenda del Grand Reset mondiale post-Covid che Schwab e il Forum di Davos con Harari predicano da tempo.

 Un'agenda che spaventa la gente comune, ma vanta potenti sostenitori nella finanza speculativa globale, nonché solerti esecutori perfino negli euroburocrati di Bruxelles.

 

Alcuni osservatori si sono chiesti come mai di questi temi che riguardano il futuro del mondo si occupi il “Forum di Davos” e non l'”Onu”.

Una domanda opportuna, sollecitata da un attacco di Elon Mark, a memoria d'uomo il primo di un multimiliardario contro Schwab:

 «Il Wef è un governo mondiale non eletto, che il popolo non vuole e non ha mai chiesto».

 Ineccepibile.

Il Forum di Davos è certamente un meeting di alto livello, organizzato ogni anno da un'azienda familiare svizzera, di cui è titolare la famiglia di Schwab (vedi ItaliaOggi del 18 gennaio), finanziata dalle numerose multinazionali che partecipano ai suoi convegni.

 Dunque, un'organizzazione privata.

L'Onu, invece, è un'organizzazione intergovernativa con un mandato globale per promuovere la pace, la sicurezza internazionale, lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e la cooperazione internazionale.

 Diversamente dal Wef, le sue decisioni sono soggette alla votazione dell'assemblea Onu, dove sono rappresentati 193 paesi.

Dunque, un organismo democratico mondiale, che in teoria dovrebbe avere più voce in capitolo quando si parla di futuro del mondo.

Ma in pratica non è così, grazie al ruolo sempre più dominante della grande finanza speculativa.

 «Quest'anno si è registrato a Davos la più alta partecipazione di imprese, con oltre 1.500 leader provenienti da 700 organizzazioni. C'erano più di 100 miliardari, affaristi sauditi e degli Emirati arabi. Ma “Davos” è stato un ambiente tossico per i capi delle grandi democrazie.

Un luogo da evitare», si legge su “ilsussidiario.net”, che ha sottolineato l'assenza di numerosi leader politici mondiali.

 «Quest'anno a Davos abbiamo capito che la politica non è più in grado di gestire l'economia globalizzata.

 Abbiamo capito che l'economia è in mano a un ristretto gruppo di privati e della finanza internazionale».

Per la verità, i segnali di una politica succube all'agenda Schwab sono già evidenti.

 «A Bruxelles la pressione delle multinazionali della nutrizione è fortissima», dice “Ettore Prandini”, presidente della Coldiretti, contrariato dal fatto che la “Commissione Ue” di Ursula von der Leyen ha concesso all'Irlanda di mettere sul vino le etichette che lo equiparano al fumo come cancerogeno.

«Daranno via libera anche alla carne, al pesce e al latte sintetici.

Perché a Bruxelles comandano i lobbisti delle multinazionali», sostiene in un'intervista a “La Verità”.

 «Pensiamo al “Nutriscore”, l'etichetta a semaforo, che non è affatto un pericolo scampato.

Le multinazionali che la sostengono insistono perché gli “energy drink,” le patatine fritte, gli” alimenti Frankestein” prendano il posto dei cibi sani, agricoli, dell'olio extravergine di oliva.

 E la Commissione Ue le ascolta con attenzione».

“Prandini” non esita ad attaccare i leader Ue, con nomi e cognomi. Invita la presidente “Ursula von der Leyen” a «rendere omaggio a Bill Gates», come ha fatto con “Big Pharma” per i vaccini:

 «Bill Gates è il primo produttore e sponsor della carne sintetica ed è anche il maggiore finanziatore privato dell'”Oms”, l'Organizzazione mondiale della sanità, che dovrebbe essere un organismo terzo.

 Invece dall'”Om”s arrivano allarmi sulla carne rossa (che per fortuna sono stati rintuzzati) e inviti ai “novel food”, che sono solo prodotti della chimica.

Risultato: la Commissione Ue ha dato via libera alla finta carne e agli insetti importati dal Vietnam».

 

“Prandini” ne ha anche per “Frans Timmermans,” vice di von der Leyen, con la delega per la “transizione verde”:

«In Olanda vuole azzerare la zootecnia per fare posto ai bioreattori, che il suo paese ospita insieme alla Danimarca, dove si producono le bistecche sintetiche.

Con la scusa dell'ambiente, ci dicono che dobbiamo mangiare gli insetti, quando i reattori che producono la finta carne, il finto latte e il finto pesce usano enormi quantità d'acqua e hanno emissioni record.

La verità è che si vuole togliere dal mercato l'eccellenza agroalimentare, quella italiana in particolare.

 Con una sola finalità: omologare il gusto per consentire alle multinazionali di guadagnare indisturbati».

Quanto all'agenda Schwab sulla insostenibilità della proprietà, all'insegna del motto «non possiederete nulla e sarete felici», ovviamente rivolto al popolo bue, non certo ai miliardari che lo foraggiano, le norme Ue sulla casa green, con l'obbligo di ristrutturare entro il 2030 quelle che disperdono energia, siamo solo al primo passo.

Che sia “una pretesa folle dell'Ue” lo ha spiegato bene “Marino Longoni “su ItaliaOggi:

in 3 anni con il superbonus sono state ristrutturate in Italia 350 mila abitazioni;

farlo per 20-25 milioni di abitazioni in 5-6 anni sarebbe impossibile anche per Mandrake.

Ma l'agenda Schwab tira dritto con la stessa arroganza cieca.

 Speriamo che faccia la stessa fine.

(Klaus Schwab ha creato una fabbrica con 20 mila operai in Sud Africa che produce

Solo bombe atomiche tattiche -illecite.

Suo padre era uno “scienziato tecnico” che lavorava alla costruzione della bomba atomica tedesca. Ora Schwab si è inventato un “sistema industriale folle” che è stato adottato dall’unione Europea per distruggere l’umanità. N.D.R.)

 

 

IL CAPITALISMO DEGLI STAKEHOLDER.

Un modello economico che mette

al centro il progresso, le persone e il pianeta.

 

Hoepli.it – Editore Franco Angeli - SCHWAB KLAUS; VANHAM PETER – (10-04-2023) – ci dice:

 

 

Problemi importanti continuano ad affliggere l'economia mondiale.

 La disparità di reddito è aumentata costantemente negli ultimi decenni, mentre la crescita della produttività e dei salari ha subito un rallentamento e i Paesi rimangono gravati da alti livelli di debito.

 

 Il potere di mercato delle più grandi aziende del mondo ha raggiunto livelli senza precedenti, sollevando interrogativi sulla diffusione dell'innovazione e sui guadagni in termini di produttività.

 

 Infine, lo sfruttamento delle risorse naturali sta danneggiando l'ambiente, generando effetti negativi reali su miliardi di persone.

 

Mentre infuria il dibattito sulle cause di questi problemi, “Klaus Schwab”, fondatore del “World Economic Forum”, sostiene in modo persuasivo che i sistemi attuali non riescono a dare risposte ai molti problemi che dobbiamo affrontare.

 

 Con il suo collaboratore “Peter Vanham”, dimostra che per risolvere queste sfide è necessaria una risposta ampia, che coinvolga governi, imprese e singoli cittadini.

 

 Una risposta orientata a creare un'economia globale più inclusiva, sostenibile e resiliente.

Nel libro, “Schwab e Vanham” discutono la necessità di un nuovo contratto sociale che porti a una responsabilità condivisa tra più soggetti.

 

Per raggiungere questo obiettivo individuano alcune politiche che aziende e governi, ONG e società civile, Paesi emergenti ed economie consolidate possono mettere in pratica concretamente, suggerendo come un approccio basato sulla centralità degli stakeholder (ossia tutte le parti coinvolte nelle scelte fatte da imprese e governi), anziché sul dogma della priorità degli shareholder (ossia gli azionisti) potrebbe consentire di ottenere risultati migliori in termini di distribuzione della ricchezza e produttività, di ricadute economiche e sociali delle nuove tecnologie e di lotta ai cambiamenti climatici.

 

 

 

LA GRANDE “COSPIRAZIONE CRIMINALE”

DELLE ZERO EMISSIONI DI CARBONIO.

 

Comedonchisciotte.org - F. William Engdahl - journal-neo.org – (08 Febbraio 2021) – ci dice: 

 

 

Il “Forum Economico Mondiale globalista di Davossta proclamando la necessità di raggiungere l’obiettivo mondiale delle “Zero Emissioni di Carbonio” entro il 2050.

 

Questo, per la maggior parte della gente, sembra un lontano futuro ed è perciò ampiamente ignorato.

Eppure, le trasformazioni in corso in Germania e negli Stati Uniti, oltre a quelle in innumerevoli altri Paesi, stanno preparando il terreno per la creazione di quello, che negli anni ’70, era stato chiamato il “Nuovo Ordine Economico Internazionale”.

 

 In realtà si tratta un progetto per un “corporativismo totalitario tecnocratico globale” che promette un’enorme disoccupazione, una deindustrializzazione generalizzata e un collasso economico pilotato.

 Analizziamo alcuni retroscena.

 

Il” World Economic Forum (WEF) di Klaus Schwab” sta attualmente promuovendo il suo tema preferito, quello del Grande Reset dell’economia mondiale.

 La chiave di tutto è capire cosa intendono i globalisti per “zero emissioni di carbonio” entro il 2050.

 

L’UE è in testa alla corsa, con un audace progetto per diventare il primo continente al mondo “a zero emissioni” entro il 2050, riducendo le proprie emissioni di CO2 di almeno il 55% entro il 2030.

 

In un suo post dell’agosto 2020, l’”autoproclamato zar globale dei vaccini Bill Gates” aveva scritto a proposito della prossima crisi del clima:

“Per quanto questa pandemia sia terribile, il cambiamento climatico potrebbe essere peggiore… Quest’anno, il calo relativamente piccolo delle emissioni di carbonio rende chiara una cosa: non possiamo arrivare a zero emissioni semplicemente, o anche soprattutto, volando e guidando di meno.”

 

Avendo il monopolio virtuale dei media mainstream e dei social, “la lobby del riscaldamento globale” è stata in grado di far credere a gran parte del mondo che la cosa migliore per l’umanità è la completa eliminazione degli idrocarburi, compreso il petrolio, il gas naturale, il carbone e persino l’elettricità nucleare “senza emissioni di carbonio,” entro il 2050, perché, in questo modo, si eviterebbe un aumento di 1,5 o 2 gradi centigradi della temperatura media mondiale.

 C’è solo un problema.

Questa è la copertura per un secondo fine di natura criminale.

 

Le origini del “riscaldamento globale. “

 

 

 

Molti hanno dimenticato la tesi scientifica originale che giustificherebbe un cambiamento così radicale delle nostre fonti di energia.

Non è il “cambiamento climatico.”

Il clima terrestre cambia costantemente, in base alle variazioni delle eruzioni solari o ai cicli delle macchie solari.

Verso la fine del millennio scorso, quando il precedente ciclo di riscaldamento generato dall’attività solare non era più tanto evidente, Al Gore e gli altri, con un gioco di prestigio linguistico, avevano spostato la narrativa dal “riscaldamento globale” al “cambiamento climatico.”

 

Ora, l’isteria mediatica è diventata talmente assurda che ogni evento meteorologico anomalo viene trattato come una “crisi climatica.”

 Ogni uragano o tempesta invernale viene assurto a prova che gli dei del clima stanno punendo noi peccatori emettitori di CO2.

 

Ma, aspettate.

 L’intera ragione per la transizione verso fonti di energia alternative, come il solare o l’eolico, e l’abbandono delle fonti di energia derivanti dal carbonio si basa sulla loro affermazione che “la CO2 è un gas ad effetto serra” che, in qualche modo, salirebbe nell’atmosfera dove formerebbe una coperta che, presumibilmente, impedirebbe il raffreddamento della Terra, dando origine al riscaldamento globale.

 

 Le emissioni di gas ad effetto serra, secondo l’”Agenzia Americana per la Protezione dell’Ambiente,” provengono principalmente dalla CO2.

Da qui l’importanza dell'”impronta del carbonio.”

 

Quello che non viene quasi mai detto è che la CO2 proveniente dagli scarichi delle auto, dalle centrali a carbone o da altre fonti artificiali non può salire nell’atmosfera.

L’anidride carbonica non è carbonio o fuliggine.

È un gas invisibile e inodore essenziale per la fotosintesi delle piante e per tutte le forme di vita sulla terra, noi compresi.

La CO2 ha un peso molecolare di poco più di 44 mentre l’aria (principalmente ossigeno e azoto) ha un peso molecolare di solo 29.

 

 Il peso specifico della CO2 è circa 1,5 volte più grande di quello dell’aria. Questo fa capire che la CO2 dei gas di scarico dei veicoli o delle centrali termoelettriche difficilmente salirà nell’atmosfera, a 20.000 m. o più al di sopra del livello del mare, per dare origine al temuto effetto serra.

 

Maurice Strong.

 

Per capire meglio l’azione criminale che oggi coinvolge a Gates, Schwab e i sostenitori di una presunta economia mondiale “sostenibile,” dobbiamo tornare al 1968, quando David Rockefeller e soci avevano creato un movimento basato sull’idea che il consumo di risorse da parte dell’umanità e la crescita della popolazione fossero il principale problema mondiale.

Rockefeller, la cui ricchezza era basata sul petrolio, aveva creato il neo-malthusiano Club di Roma nella sua villa di Bellagio, in Italia.

Nel 1972, il suo primo progetto era stato quello di finanziare uno studio spazzatura al MIT, chiamato “Limits to Growth” [I limiti della crescita].

 

Nei primi atti ’70, un organizzatore chiave dell’agenda “crescita zero” di Rockefeller era stato un suo amico di lunga data, un petroliere canadese di nome Maurice Strong, anche lui membro del Club di Roma. Nel 1971 Strong era stato nominato Sottosegretario alle Nazioni Unite e Segretario Generale della Conferenza di Stoccolma del giugno 1972 per la Giornata della Terra. Era anche un fiduciario della Fondazione Rockefeller.

 

Maurice Strong era stato anche uno dei principali propagandisti della scientificamente infondata teoria secondo cui le emissioni prodotte dall’uomo, dai veicoli, dalle centrali a carbone e dall’agricoltura avrebbero causato un drammatico e accelerato aumento della temperatura globale che avrebbe minacciato la stessa civiltà, il cosiddetto riscaldamento globale.

 Strong aveva anche inventato il termine elastico “sviluppo sostenibile.”

 

Come presidente della Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite del 1972 per la Giornata della Terra, Strong aveva patrocinato la riduzione della popolazione e l’abbassamento degli standard di vita in tutto il mondo per “salvare l’ambiente.”

Alcuni anni dopo, lo stesso Strong aveva dichiarato:

 

“Non è l’unica speranza per il pianeta che le civiltà industrializzate crollino? Non è nostra responsabilità far sì che ciò avvenga? “.

 

Questa è l’agenda conosciuta oggi come Grande Reset o Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

 

Strong aveva continuato creando il Comitato Intergovernativo delle Nazioni Unite Sui Cambiamenti Climatici (IPCC), un organismo politico che sostiene l’affermazione indimostrata che le emissioni di CO2 prodotte dall’uomo starebbero per far precipitare il mondo in una catastrofe ecologica irreversibile.

 

Il co-fondatore del Club di Roma, il dottor 2Alexander King”, alcuni anni dopo, nel suo libro” La prima rivoluzione globale”, aveva ammeso che la loro agenda ambientalista era solo una frode.

Aveva affermato che:

 

Nella ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, ci era venuta l’idea che l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la carestia e simili avrebbero fatto al caso nostro…

 Tutti questi pericoli nascono dall’intervento umano ed è solo attraverso un cambio di atteggiamenti e di comportamenti che possono essere superati.

 Il vero nemico, quindi, è l’umanità stessa.

 

King aveva ammesso che la “minaccia del riscaldamento globale” era solo uno stratagemma per giustificare un attacco all'”umanità stessa.”

Questo viene ora presentato come il Grande Reset e il trucco delle Zero Emissioni di carbonio.

 

Il disastro delle energie alternative.

 

Nel 2011, agendo su consiglio di “Joachim Schnellnhuber”, del “Potsdam Institute for Climate Impact Research” (PIK), “Angela Merkel e il governo tedesco “avevano imposto il divieto totale sull’elettricità dal nucleare entro il 2022, come parte di una strategia governativa del 2001 chiamata “Energiewende”, o “Svolta Energetica”, che avrebbe dovuto fare affidamento sul solare, sull’eolico e su altre “energie rinnovabili.” L’obiettivo era di rendere la Germania la prima nazione industriale “carbon free.”

 

Questa strategia è stata una catastrofe economica.

Se un tempo la Germania poteva vantare una delle reti di generazione elettrica più stabili, a basso costo e affidabili del mondo industriale, oggi è diventata il Paese con la produzione di energia elettrica più costosa del pianeta.

 

Secondo l’associazione tedesca dell’industria energetica “BDEW”, la Germania si troverà ad affrontare una carenza di elettricità al più tardi nel 2023, quando l’ultima centrale nucleare avrà cessato di funzionare.

 

Allo stesso tempo il carbone, la più grande fonte di energia elettrica, viene gradualmente eliminato per raggiungere il traguardo delle zero emissioni.

 

Le industrie tradizionali ad alta intensità energetica come quella dell’acciaio, le vetrerie, la chimica di base, la produzione di carta e cemento, stanno affrontando l’impennata dei costi, con conseguenti chiusure e delocalizzazioni e la perdita di milioni di posti di lavoro qualificati.

 

 L’inefficiente energia eolica e solare, oggi costa da 7 a 9 volte di più del gas.

 

La Germania ha poco sole rispetto ai paesi tropicali, quindi il vento è visto come la principale fonte di energia verde.

 C’è bisogno di enormi quantità di cemento e di alluminio per costruire parchi solari o eolici.

 

Queste materie prime hanno bisogno di energia a basso costo, gas, carbone o nucleare, per essere prodotte.

 Se questa viene gradualmente eliminata, il costo diventa proibitivo, anche senza l’aggiunta di “tasse sul carbonio.”

 

La Germania ha già circa 30.000 turbine eoliche, più di qualsiasi altro Paese dell’UE.

Le gigantesche turbine eoliche hanno seri problemi di rumorosità e generano infrasuoni pericolosi per la salute dei residenti nelle vicinanze delle enormi strutture, possono essere danneggiate da condizioni meteo avverse e sono un’insidia per gli uccelli.

 

Entro il 2025 si stima che il 25% delle turbine eoliche tedesche

attualmente in uso dovrà essere sostituito e lo smaltimento dei materiali di scarto è un problema colossale.

 

 Le compagnie vengono citate in giudizio, man mano che i cittadini si rendono conto della loro inefficienza. Per raggiungere gli obiettivi entro il 2030 la Deutsche Bank ha recentemente ammesso che lo stato dovrà creare una “dittatura ecologica.”

 

Allo stesso tempo, il programma tedesco per porre fine all’autotrazione a benzina o diesel entro il 2035 a favore dei veicoli elettrici è sulla buona strada per distruggere la più grande e redditizia industria tedesca, quella dell’automobile, e per eliminare milioni di posti di lavoro.

 

 I veicoli alimentati da batterie agli ioni di litio, quando vengono conteggiati gli effetti dell’estrazione del litio e della produzione di tutta la componentistica, hanno una “impronta del carbonio” totale peggiore delle auto diesel.

 

 E la disponibilità di energia elettrica per una Germania del 2050 a zero emissioni di carbonio dovrebbe essere molto più alta di quella fruibile oggi, poiché milioni di auto in ricarica avranno bisogno di una rete con una potenza affidabile.

 

 Ora, la Germania e l’UE stanno iniziando ad imporre nuove “tasse sul carbonio,” presumibilmente per finanziare la transizione a zero emissioni.

 

Le tasse non faranno altro che rendere l’elettricità e l’energia ancora più costose, assicurando un più rapido collasso dell’industria tedesca.

 

De popolamento.

 

Secondo i sostenitori dell’agenda Zero Emissioni, questo è proprio ciò che desiderano:

la deindustrializzazione delle economie più avanzate, una strategia pianificata da decenni, come aveva predetto “Maurice Strong”, per portare al collasso le civiltà industrializzate.

 

Trasformare l’attuale economia industriale mondiale in una distopia dove ci si riscalda con la legna, dove si produce energia con le pale eoliche e dove i blackout sono la norma, come ora in California, è una parte essenziale del Grande Reset secondo l‘Agenda 2030:

UN Global Compact for Sustainability.

 

Il consigliere della Merkel per il clima, “Joachim Schnellnhuber,” un ateo, nel 2015 aveva patrocinato la radicale agenda verde di Papa Francesco, l’Enciclica Laudato Si’, come incaricato di Papa Francesco alla Pontificia Accademia delle Scienze.

 

E, in sede di Comunità Europea, aveva parlato a favore di questa agenda verde.

In un’intervista del 2015, “Schnellnhuber” aveva dichiarato che la “scienza” aveva stabilito che il massimo della popolazione umana “sostenibile” [da parte del pianeta] era di circa sei miliardi di persone in meno di quella attuale:

 

“In un modo molto cinico, è un trionfo per la scienza perché, finalmente, abbiamo stabilito una cosa, cioè la stima per la capacità di carico del pianeta, in pratica meno di un miliardo di persone.”

 

Per fare una cosa del genere il mondo industrializzato deve essere smantellato.

Christiana Figueres, collaboratrice del “World Economic Forum Agenda” ed ex segretaria esecutiva della “Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici,” aveva rivelato il vero obiettivo dell’agenda climatica dell’ONU in una conferenza stampa a Bruxelles nel febbraio 2015, quando aveva dichiarato:

 

 Questa è la prima volta nella storia dell’umanità che ci poniamo il compito di cambiare intenzionalmente il modello di sviluppo economico in uso dalla Rivoluzione Industriale.”

 

Le osservazioni della Figueres del 2015 sono state riprese oggi dal presidente francese Macron all’Agenda di Davos del Forum Economico Mondiale del gennaio 2021, quando ha affermato che “nelle circostanze attuali, il modello capitalista e l’economia aperta non sono più fattibili.”

 

Macron, un ex banchiere di Rothschild, ha sostenuto che “l’unico modo per uscire da questa epidemia è quello di creare un’economia che sia maggiormente focalizzata sull’eliminazione del divario tra ricchi e poveri.”

 

Merkel, Macron, Gates, Schwab e soci lo faranno portando gli standard di vita della Germania e dell’OCSE ai livelli dell’Etiopia o del Sudan.

 

Questa è la loro distopia a zero emissioni.

 

Limitare severamente i viaggi aerei, gli spostamenti in auto, la mobilità delle persone, chiudere le industrie “inquinanti,” il tutto per ridurre la “CO2”.

 È sorprendente come la pandemia del coronavirus abbia opportunamente messo in scena il Grande Reset e l’Agenda 2030 Zero Emissioni delle Nazioni Unite.

 

(F. William Engdahl - journal-neo.org)

 

(journal-neo.org/2021/02/05/the-great-zero-carbon-criminal-conspiracy/)

 

 

 

 

 

 

 

LA FINE DI UN’EPOCA.

 

Comedonchisciotte.org - Redazione CDC – (07 Maggio 2023) - Greg Godels, zzs-blg – ci dice:

 

 

Come mai il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization – WTO) e la Banca Mondiale, tre delle istituzioni economiche internazionali più prestigiose, prevedono un futuro nero per l’economia globale?

 

La Banca Mondiale, con toni lugubri, «mette in guardia sulla possibilità di un’imminente “decennio perduto” per la crescita economica».

 

Nel gennaio di quest’anno, la Banca Mondiale ha ridotto le sue previsioni di crescita per il 2023 all’1,7%, rispetto alla sua proiezione del 3% del giugno 2022.

Per collocare questa percentuale in prospettiva, va ricordato che durante l’era della” globalizzazione rampante”, prima del crollo del 2007-2009, la crescita a livello mondiale era in media del 3,5% annuo.

 

Dopo la crisi il livello medio della crescita si è attestato sul 2,8%.

E dopo soli tre mesi dalla sua proiezione di gennaio, la Banca Mondiale prevede un intero decennio di aspettative di crescita ridotte.

 

Come riferisce il “Wall Street Journal”: «Nel prossimo decennio occorrerà uno sforzo immane in termini di politiche collettive per riportare la crescita ai livelli medi precedenti».

 

Analogamente, il “WTO” prevede che il volume del commercio mondiale aumenterà soltanto dell’1,7% quest’anno, rispetto alla crescita media del 2,8% registrata dopo il 2008.

 

Facendo eco all’allarme lanciato in aprile dalla Banca Mondiale, il “FMI” ha annunciato le sue peggiori previsioni di crescita a medio termine dal 1990.

 

In altre parole, tutte e tre le principali organizzazioni internazionali hanno diffuso previsioni negative, per non dire catastrofiche, riguardo all’economia globale.

 

È evidente che la nave del capitalismo, già scossa da una pandemia globale, dall’inflazione rampante, da una guerra in Europa e dai fallimenti bancari, sta imbarcando acqua.

Non vi sono motivi per prevedere che affondi – ma di certo è scattato l’allarme.

 

I guru, i responsabili politici e i docenti di economia ci avevano assicurato che l’orgia di aumenti di prezzi che stava sgretolando il bilancio delle famiglie era soltanto un fenomeno temporaneo, provocato dai danni causati alle catene di rifornimento prima dalla pandemia e poi dalla guerra in Ucraina.

Sono trascorsi più di due anni da quando ci è stata fatta questa promessa.

 

Da allora, le spiegazioni hanno lasciato il posto alle preghiere.

Gli interventi adottati – l’ennesima mistura velenosa di aumenti dei tassi di interesse servita dalla Banca Centrale – si sono rivelati meno efficaci del previsto contro l’inflazione.

 

 I tassi di interesse insolitamente bassi che hanno caratterizzato lo scorso decennio incoraggiano i consumatori a utilizzare liberamente il credito quando le loro entrate sono sotto pressione, come avviene per effetto dell’inflazione galoppante.

 

 Con l’aumentare dei tassi di interesse, i consumatori tardano a rendersi conto dell’appesantirsi dei loro debiti provocato dalla necessità di pagare interessi più alti, il che non fa che deteriorare ulteriormente il loro tenore di vita già minacciato.

 Il ricorso al credito annacqua l’effetto «calmante» dell’aumento dei tassi di interesse sulla domanda dei consumatori.

 

Gli ottimisti di professione dei media hanno festeggiato dinanzi alle cifre dell’indice dei prezzi al consumo di marzo, che hanno evidenziato una riduzione degli aumenti pari al 5% dei livelli dell’anno scorso (l’obiettivo della Federal Reserve è il 2%).

 Il calo è indubbiamente significativo, ma i media dimenticano di essere stati proprio loro a ripeterci incessantemente che la Federal Reserve, nel prendere le sue decisioni, fa riferimento al tasso di base (core rate) e non al tasso generale.

 

E questo tasso – che rappresenta il vero indice dei prezzi al consumo – in realtà ha segnato un aumento in marzo: i suoi componenti, cioè i beni e i servizi essenziali, sono aumentati di prezzo rispetto a febbraio. Con buona pace della forza della fede.

 

Perciò, con ogni probabilità la “Federal Reserve” aumenterà ulteriormente i tassi di interesse in maggio, accrescendo ulteriormente il costo dei nuovi debiti contratti.

 

E perché mai l’inflazione dovrebbe attenuarsi, quando i consumatori continuano a correre verso l’”Armageddon” tollerando l’aumento dei prezzi?

 

Proctor & Gamble, uno dei maggiori monopoli economici mondiali dei beni di consumo (che controlla Tide, Charmin, Gillette, Crest e via dicendo) ha aumentato i prezzi del 10%, limitando le perdite di volume di vendita e realizzando maggiori profitti in termini monetari.

 

Proctor & Gamble non ha alcun incentivo a bloccare o a rallentare l’aumento dei prezzi, finché le sue entrate (e i suoi profitti) continuano ad aumentare.

 E perché mai dovrebbe farlo? Dopotutto, è in affari per fare soldi.

 

Per quanto semplice possa apparire, è questa la chiave dell’«enigma» dell’inflazione:

 «La sola spiegazione di tutto questo in relazione a ciò che abbiamo rilevato riguardo ad alcuni indici di prezzo degli alimentari è che si stanno ampliando i margini di profitto», ha dichiarato” Claus Vistesen”, economista di “Pantheon Macroeconomics” citato dal “Wall Street Journal”.

 Proprio così – stanno gonfiando i prezzi.

 

Non si tratta affatto di una «spirale salari-prezzi», come amano ripetere i cortigiani delle multinazionali.

 Si tratta invece, come confessa “Fabio Panetta”, membro del comitato esecutivo della Banca Centrale Europea, di un «comportamento opportunistico» legato a una «spirale profitti-prezzi».

 

Gli economisti liberali e socialdemocratici criticano la strategia della Federal Reserve che mira a ridurre i consumi allo scopo di scoraggiare gli aumenti di prezzi, ma non hanno alcuna alternativa da offrire.

Sono ben contenti di lasciare la gestione dell’economia capitalista ai capitalisti, anche se poi ne criticano le soluzioni.

 

Anche i fautori della “Teoria Monetaria Moderna”, un tempo tanto chiacchieroni, mantengono uno strano silenzio.

Durante la pandemia aveva acquisito popolarità l’idea di mantenere grossi deficit destinati a stimolare l’economia, senza timore di favorire l’inflazione.

 

 I guru di sinistra pensavano di aver scovato un sistema indolore per finanziare le riforme sociali senza attingere ai capitali accumulati dai mega-ricchi – una sorta di pozione magica della politica.

Ma il decollo della spirale inflazionistica ha messo a tacere questo dibattito.

 

Se tre istituzioni capitaliste così importanti prevedono incertezza e instabilità economica, la ragione è che stiamo uscendo da una fase specifica della ristrutturazione capitalista.

 

Tra le caratteristiche e le novità più importanti dell’epoca che ci stiamo lasciando alle spalle, incarnata dal popolare termine «globalizzazione», vi sono «la crescente mobilità dei capitali, l’apertura di nuove aree di penetrazione del capitale, una rivoluzione nell’ambito degli strumenti finanziari, la disponibilità di nuove enormi riserve di manodopera specializzata a basso costo, tecniche di spedizione moderne ed efficienti, l’eliminazione degli ostacoli al commercio e la semplificazione delle normative, l’apertura allo sviluppo privato di settori precedentemente pubblici e l’adozione di accordi commerciali che sanciscono i suddetti mutamenti».

 

Questa era ha ridato vita al capitalismo, provocando l’aumento dei profitti, l’iper-accumulazione e investimenti speculativi enormemente aumentati.

 Ben poca di questa nuova ricchezza è stata condivisa con le masse, il che ha determinato diseguaglianze senza precedenti in termini di entrate e benessere.

 

Il grande crollo economico del 2007-2009 ha esaurito la vitalità dell’epoca della globalizzazione – l’internazionalismo capitalista – protrattasi per oltre due decenni.

 

Enormi quote di capitale iper-accumulato si sono rivolte verso speculazioni sempre più azzardate – un processo che ha finito per crollare sotto il peso della sua stessa arroganza.

 

Invece di arrendersi all’inevitabile – cioè alla «distruzione creativa» che fa regolarmente seguito a un crollo, il processo naturale di eliminazione degli «asset» tossici che il crollo lascia dietro di sé – i grandi stregoni delle centrali finanziarie di New York, Londra, Parigi, Zurigo eccetera hanno tentato di isolare, proteggere e tenere in piedi le macerie del disastro, «gonfiando» un’economia spompata attraverso una sorta di «restaurazione creativa».

 

L’espressione «distruzione creativa», resa popolare dall’economista “Joseph Schumpeter”, fa riferimento ai rottami che un crollo economico si lascia dietro – i «valori» fittizi e sgonfiati associati ai fallimenti di banche e imprese, ai beni e ai servizi fallimentari a prezzi gonfiati, ai posti di lavoro perduti, ai cattivi investimenti, ai titoli crollati eccetera.

 Secondo Schumpeter e i suoi seguaci, questa distruzione era essenziale per la riorganizzazione dell’economia, per un nuovo inizio che facesse piazza pulita delle scorie prodotte dal crollo.

 

Storicamente, il prezzo delle crisi è sempre stato pagato principalmente dai poveri e dai lavoratori, ma anche i ricchi, i potenti e le multinazionali accusano il colpo.

 Più grave è la crisi, meno le élite sono in grado di scaricarne le conseguenze sulle spalle dei meno potenti e dei più vulnerabili.

E più grave è la crisi, maggiori sono le resistenze politiche alle ricette di sempre.

 

Dopo il 2007-2009, tuttavia, le istituzioni dei lavoratori erano estremamente deboli, i sistemi partitici tradizionali non davano voce alle vittime della crisi e i responsabili politici confidavano nella propria capacità di evitare o procrastinare la fase di distruzione creativa.

 

Ritenevano di avere in mano strumenti finanziari in grado di stabilizzare e resuscitare l’economia mondiale senza passare attraverso una fase di arretramento con i relativi rovesci economici.

 

Le banche centrali hanno speso miliardi per acquistare gli «asset» senza valore e chiuderli in cassaforte in attesa che il loro valore risalisse, consentendo di reimmetterli sui mercati.

 

 E hanno inaugurato un decennio senza precedenti caratterizzato dal denaro a buon mercato (cioè da tassi di interesse bassissimi), allo scopo di permettere a imprese malaticce, non redditizie e marginali di rimanere in vita e competere per un giorno di più.

 

 La disciplina del mercato – fatta di vincitori e di perdenti – ha lasciato il posto all’intervento statale finalizzato a mantenere tutti in gioco.

 

Tutto ciò non è servito che a rimandare l’inevitabile. Oggi ogni tentativo di schivare la distruzione creativa sta fallendo; le istituzioni globali sono consapevoli di questo fallimento, e lo ammettono nelle loro fosche previsioni.

 

Che cosa farà seguito al “crollo della globalizzazione” può essere soltanto oggetto di ipotesi.

 

Ciò che è evidente è che stiamo entrando in un periodo di crescente incertezza e conflitto.

 

 L’ascesa dei populismi di destra ha stimolato una marcata insoddisfazione nei riguardi delle soluzioni tradizionali, favorendo il nazionalismo e il protezionismo.

 

 Numerosi governi europei (Ungheria, Polonia, Italia, Paesi baltici eccetera) e asiatici (India, Turchia, Taiwan, Giappone eccetera) hanno sterzato nettamente a destra, abbracciando militarizzazione, settarismo, anti-liberalismo e nazionalismo.

 

 Gli USA e i loro alleati non sono più i campioni del libero mercato e ricorrono a dazi, sanzioni e altri provvedimenti aggressivi e unilaterali.

 

Le alleanze e le regole del gioco instauratesi negli anni Novanta e nel primo decennio del nuovo secolo si stanno sgretolando. La leadership mondiale è contesa, il che implica rischi di guerra.

 L’illusione della globalizzazione in cui «vincono tutti» sta lasciando posto alla voracità dell’«arraffare tutto ciò che si può».

 

A memoria d’uomo, non si ricorda un altro periodo in cui gli Stati Uniti e i loro alleati abbiano potuto impossessarsi impunemente delle risorse finanziarie di un altro Paese quale il Venezuela o la Russia.

 

Tutti i segnali parlano non di ordine mondiale, ma di disordine mondiale, segnato da alleanze effimere e incostanti tra vecchi alleati e vecchi nemici.

 La Turchia può attaccare gli aerei russi in Siria e contemporaneamente vendere alla Russia droni da utilizzare contro l’Ucraina.

L’Arabia Saudita può aiutare i fondamentalisti a uccidere i russi in Siria e contemporaneamente promuovere un accordo petrolifero globale con la Russia.

 La Russia può vendere armi sia alla Repubblica Popolare Cinese sia all’India, approfittando delle tensioni in aumento tra i due Paesi.

 Gli Stati Uniti possono distruggere impunemente oleodotti che permettevano alla Germania di ottenere energia a buon mercato dalla Russia, mentre gli Emirati Arabi Uniti rivendono alla Germania petrolio russo ufficialmente soggetto a sanzioni.

 E via discorrendo.

L’unico principio alla base delle relazioni internazionali è sempre più l’assenza di qualunque principio.

 

È più che comprensibile, quindi, che le menti eccelse – e tendenzialmente iper-ottimiste – che lavorano per la Banca Mondiale, il FMI e il WTO prevedano un futuro cupo per il capitalismo globale.

 Tutti noi siamo avvertiti.

(Greg Godels, zzs-blg)

(zzs-blg.blogspot.com/2023/04/the-end-of-era.html)

 

 

 

Lo scetticismo climatico è

in aumento in tutto il mondo.

 

Strada361.rssing.com – Redazione – Chris Morrison - (April 25, 2023) – ci dice:

 

  L'incidente del virus dell'influenza aviaria creato in laboratorio dimostra la scarsa sorveglianza della ricerca sul "guadagno di funzioni."

 

Lo scetticismo nei confronti dei cambiamenti climatici causati dall'uomo continua ad aumentare in tutto il mondo.

Un recente sondaggio condotto da un gruppo dell'Università di Chicago ha rilevato che la convinzione che l'uomo sia la causa di tutti o della maggior parte dei cambiamenti climatici è crollata in America al 49% dal livello del 60% registrato solo cinque anni fa.

 

 Cali simili sono stati registrati anche altrove, con un recente sondaggio IPSOS che ha riguardato due terzi della popolazione mondiale e che ha rivelato che quasi quattro persone su dieci credono che il cambiamento climatico sia dovuto principalmente a cause naturali.

 

Forse il dato più sorprendente emerso dal sondaggio dell'”Energy Policy Institute dell'Università di Chicago” (EPIC) è che il 70% degli americani non è disposto a spendere più di 2,50 dollari a settimana per combattere il cambiamento climatico.

 

Quasi quattro americani su 10 hanno dichiarato di non essere disposti a pagare un paio di centesimi.

Nonostante decenni di incessante agitazione ecologista, progettata per costringere le popolazioni a vivere in una società collettivista ordinata a Rete Zero, sembra che la stragrande maggioranza degli americani non sia disposta a pagare nemmeno gli spiccioli che ha in tasca per fermare il cambiamento climatico.

 

Sondaggi come EPIC e IPSOS evidenziano il difetto fondamentale della scienza "consolidata" che circonda l'ipotesi che gli esseri umani che bruciano combustibili fossili stiano causando il collasso del clima.

 

L'ipotesi non è provata:

non c'è un solo documento scientifico che ne fornisca una prova definitiva.

 Le cause naturali e la proposta che l'anidride carbonica diventi "satura" oltre certi livelli atmosferici sono spiegazioni più convincenti per le osservazioni scientifiche.

 Si sta diffondendo il timore che la scienza climatica tradizionale sia pesantemente corrotta da dati errati, modelli pseudoscientifici e da una vera e propria selezione politica.

 

È interessante notare che il recente calo complessivo del sostegno al cambiamento climatico causato dall'uomo negli Stati Uniti è dovuto ai Democratici e agli Indipendenti.

 

I livelli di scetticismo rimangono elevati tra i repubblicani, ma si sono registrati aumenti drammatici tra i democratici di sinistra.

 

Ciononostante, i democratici sono risultati più propensi dei repubblicani a farsi influenzare dalle "prove" di ciò che viene definito clima "estremo" (71% contro 30% tra democratici e repubblicani).

 

Questa notizia porterà un po' di conforto ai propagandisti verdi, dato che la recente mancanza di un riscaldamento globale evidente ha portato a un massiccio aumento delle attribuzioni pseudoscientifiche di singoli eventi meteorologici al cambiamento climatico generale.

 

 Le osservazioni personali influenzano il 55% dei democratici, rispetto al 20% dei repubblicani, mentre gli appelli a un'autorità superiore sono più efficaci a sinistra che a destra.

 

 La copertura giornalistica è più alta per i democratici (47% contro il 20%), mentre gli scienziati, che per la maggior parte condividono l'agenda "stabilita", ottengono il 73% contro il 32% dei repubblicani più scettici.

 

L'EPIC ha inoltre rilevato che lo scetticismo è in aumento tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, con un calo del 17% nel numero di coloro che ritengono che l'uomo abbia un ruolo predominante nel cambiamento del clima.

 

 Il calo è stato altrettanto significativo per coloro che hanno conseguito una laurea o un diploma di scuola superiore (11%).

Di notevole interesse è stato il calo del 17% rispetto ad appena il 9% di coloro che hanno più di 60 anni.

Ciò preoccupa gli allarmisti, dal momento che i giovani impressionabili sono pesantemente bersagliati da agitprop verdi fin dalla più tenera età.

 

L'indagine IPSOS ha rilevato che i livelli di scetticismo climatico sono simili in tutte le categorie di età.

 Come nel caso dell'EPIC, è emerso che l'orientamento politico è decisivo. Nei sette Paesi in cui è stato richiesto un contributo politico, il 28% dei sostenitori della sinistra si è rivelato scettico sul clima, rispetto al 50% della destra.

 

È sorprendente che lo scetticismo climatico stia aumentando in tutto il mondo?

Come si è detto, la scienza del clima antropogenico poggia su una base di prove traballanti, che nessuna quantità di cancellazioni di dibattiti, modellizzazioni, attribuzioni inventate e manipolazioni di dati può nascondere.

 

Per quasi 50 anni, le lodevoli preoccupazioni ambientali sono state dirottate per promuovere un'agenda politica collettivista e di controllo. Ma decenni di facili atteggiamenti virtuosi stanno per finire e la dura realtà del Net Zero comincia a diventare evidente.

 

Le affermazioni secondo cui la rivoluzione verde sarà in gran parte indolore sono viste per l'assurdità che sono dalla valutazione realistica di Net Zero pubblicizzata dal progetto collaborativo FIRES, finanziato dal governo britannico.

 

Secondo il rapporto FIRES, redatto da alcuni accademici britannici, Net Zero significa solo il 60% degli attuali livelli di cottura, riscaldamento ed energia entro il 2050.

 

 In meno di 30 anni non ci saranno più carne di manzo e di agnello e tutti i voli e le spedizioni dovranno essere interrotti.

 

L'uso delle strade sarà limitato al 60% dei livelli attuali.

 

Non ci sarà più cemento e l'unico acciaio disponibile sarà quello riciclato. Norman Fenton, professore di gestione delle informazioni sul rischio presso l'Università Queen Mary di Londra, recentemente ritiratosi, ha osservato che queste conclusioni sono coerenti con l'Agenda 21 dell'ONU/WEF, con l'agenda ONU "World at 2050" e con il Great Reset del WEF.

 

Quest'ultimo, ha osservato Fenton, prevede il "Build Back Better", in cui "non si possiederà nulla e si sarà felici", e si mangeranno insetti al posto della carne.

 

Un altro accademico di alto livello, il fisico nucleare “Wallace Manheimer”, ha recentemente avvertito che “Net Zero” porterà alla fine della civiltà moderna.

 

La nuova infrastruttura verde fallirà, costerà trilioni, distruggerà ampie porzioni di ambiente e sarà del tutto inutile.

“Manheimer” ha osservato che prima che i combustibili fossili si diffondessero, l'energia era fornita da uomini e animali.

Poiché si produceva così poca energia, "la civiltà era una sottile patina su una vasta montagna di squallore e miseria umana, una patina mantenuta da istituzioni come la schiavitù, il colonialismo e la tirannia".

(“Chris Morrison” è il redattore ambientale del “Daily Sceptic”.)

 

 

 

 

 

 

 

La tutela dell’ambiente

entra in Costituzione: e ora?

 

Legance.it – (21-2-2022) – Redazione – Avvocati Associati – ci dicono:

 

Considerazioni introduttive.

 

L’8 febbraio 2022 sono state approvate le modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione, che introducono la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli animali tra i principi fondamentali della Carta costituzionale.

 

Per la prima volta dal 1948 viene apportata una modifica a uno degli articoli della Costituzione, contenenti i c.d. “Principi Fondamentali” dell’ordinamento costituzionale (articoli 1-12).

 

Con la modifica dell’articolo 9, la legge costituzionale introduce tra i principi fondamentali la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Stabilisce, altresì, che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

 

La riforma è intervenuta anche sul secondo comma dell’articolo 41.

La nuova formulazione dispone che l’attività economica privata è libera, e non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o “in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

 

 L’articolo prevede inoltre che la legge determini i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata “a fini sociali e ambientali”.

 

Ad oggi l’art. 9 Cost. tutela quindi non solo più il paesaggio, ma anche l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi;

 per altro verso, l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con la salute e l’ambiente.

 

Volendo calare nella pratica l’introduzione di questi nuovi principi, con riferimento alla realizzazione di nuove opere, ad esempio, potremmo lecitamente concludere che la valutazione sull’opportunità (e legittimità) di una nuova costruzione non muove più unicamente dall’esigenza di tutelare il paesaggio giacché, a fianco ad esso, compaiono altri beni parimenti tutelati in via immediata quali l’ambiente, la biodiversità e l’ecosistema.

 

 Il che si traduce in un serio bilanciamento di interessi da operare a livello amministrativo – centrale o locale – per determinare, caso per caso, se l’opera realizzanda porti più vantaggi all’ambiente, biodiversità ed ecosistemi nell’interesse delle future generazioni di quanto nocumento possa causare al paesaggio.

 

2. Ambiente e Costituzione: è davvero una novità?

 

Nella sua formulazione originaria, la Costituzione non conteneva disposizioni espressamente finalizzate a proteggere l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi.

 Gli unici riferimenti ai concetti di “ambiente” ed “ecosistemi” sono stati introdotti a seguito della riforma del titolo V della Costituzione in relazione al riparto di competenze tra Stato e Regioni.

 

Ciononostante, la dottrina, prima, e la giurisprudenza – segnatamente quella costituzionale – hanno cercato di attribuire un fondamento costituzionale alle politiche di tutela ambientale tramite il ricorso ad altre disposizioni.

 

La Corte Costituzionale ha preso le mosse dapprima dallo stesso articolo 9 della Costituzione, che al secondo comma individua tra i compiti assegnati alla Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.

 

 Con l’emersione delle tematiche ambientali, la nozione di “paesaggio” è stata interpretata estensivamente dalla Corte, passando da un concetto che “ha di mira unicamente i valori paesistici”, estranei alla “natura in quanto tale, e quindi la fauna e la stessa flora” (C. Cost. 106/76) ad un concetto di paesaggio fortemente slegato dalla sua dimensione meramente estetica.

 

A partire dagli anni ’80, dunque, il paesaggio viene a coincidere con la “forma del territorio e dell’ambiente”, includendo anche la tutela ambientale.

 

L’interpretazione che faceva perno sull’articolo 9 e sulla nozione di paesaggio non permetteva però di offrire una copertura costituzionale a circostanze che, pur non concernendo la “forma del Paese”, avevano un impatto sull’ambiente (si pensi ad esempio alle emissioni di anidride carbonica e gas nell’atmosfera, o all’utilizzo di diserbanti agricoli).

 

 La giurisprudenza è andata dunque alla ricerca di fondamenti costituzionali ulteriori, basandosi in particolare sull’articolo 32 della Costituzione e, a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 210/1987, il diritto alla salute è stato inteso come diritto ad un ambiente salubre.

 

Infine, la Corte ha accolto la tesi per cui i doveri di solidarietà economica, politica e sociale imposti dall’articolo 2 della Costituzione includerebbero anche i doveri di solidarietà ambientale, dando copertura costituzionale a tutti quei casi che fuoriuscivano dall’ambito di applicazione degli articoli 9 e 32 della Costituzione.

 

3. La tutela dell’ambiente negli altri ordinamenti.

 

La modifica della Costituzione italiana si inserisce nel contesto evolutivo del diritto già affermato in vicini Paesi europei, che riconoscono espressamente nei loro testi costituzionali la tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile.

 

La Costituzione spagnola, ad esempio, all’articolo 45 sancisce il diritto di tutti di fruire di un ambiente adeguato allo sviluppo della persona e al contempo il dovere di conservarlo.

 

Prevede inoltre l’obbligo per i poteri pubblici di assicurare un utilizzo razionale delle risorse naturali, rimandando alla legge dello Stato la determinazione di sanzioni nel caso di violazione di tali obblighi.

 

In maniera analoga, la Costituzione greca, all’articolo 24, precisa che la protezione dell’ambiente naturale e culturale costituisce un dovere dello Stato e che questo è tenuto a prendere misure speciali preventive o repressive per la sua conservazione.

 

Riferimenti all’ambiente sono inclusi anche nella Carta fondamentale portoghese, che all’articolo 66 riconosce a tutti il diritto ad un ambiente di vita umano, sano ed ecologicamente equilibrato, imponendo ai cittadini il dovere di difenderlo.

 

 Lo stesso articolo prevede inoltre una serie di compiti specifici per lo Stato per assicurare il diritto all’ambiente, nel quadro di uno sviluppo sostenibile, quali la prevenzione e il controllo dell’inquinamento, la promozione del territorio e la valorizzazione del paesaggio, la promozione dello sfruttamento razionale delle risorse naturali.

 

Altre Costituzioni fanno riferimento invece al concetto di “sviluppo sostenibile”.

 

La Costituzione francese rappresenta invece un esempio a sé, dal momento che con legge costituzionale del 1° marzo 2005 è stato introdotto, nel preambolo del testo costituzionale, un riferimento esplicito alla “Chart de l’environnement del 2004”, che diviene ora parametro per le valutazioni del “Conseil constitutionnel”.

 

4. Il nuovo articolo 9

 

La nuova formulazione dell’articolo 9 pone sin da ora alcuni dubbi interpretativi.

 

Anzitutto, alcuni dubbi sono stati sollevati in merito all’utilizzo del termine “future generazioni.

La riforma costituzionale infatti inserisce all’art. 9 Cost.

 

 il concetto di una responsabilità intergenerazionale, ma non è chiaro come questa espressione si relazioni con il concetto di “sviluppo sostenibile”, che non è stato invece introdotto nel testo della riforma.

 

È dubbio inoltre a cosa si riferisca il legislatore quando utilizza la locuzione “anche”.

 

 Difatti la locuzione, data la sua genericità, potrebbe apparire riferibile tanto alle generazioni attuali, quanto all’ambiente nel suo complesso.

Si potrebbe ritenere, ad esempio, che la tutela dell’interesse delle future generazioni imponga, a parità di opera da realizzare, di preferire una tecnologia innovativa che riduca al minimo il consumo di risorse naturali (si pensi a una centrale di produzione di idrogeno verde in luogo della centrale elettrica classica).

 

Inoltre, si configura un dubbio su chi sia legittimato ad agire a tutela dell’ambiente dopo la riforma del testo costituzionale.

 

 In particolare, ad oggi, sulla base del combinato disposto degli articoli 13 e 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349, solo le associazioni ambientaliste, “individuate con decreto del ministro dell’Ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell’ordinamento interno democratico previsti dallo statuto”, possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.

 

 Alla luce del nuovo inserimento tra i principi fondamentali della Costituzione della necessità per la Repubblica di tutelare l’ambiente, anche nell’interesse delle “future generazioni”, potrebbe sostenersi che le limitazioni legislative sulla legittimazione ad agire a tutela di un bene costituzionalmente protetto siano da rivedere.

 

Riguardo all’introduzione del concetto di “biodiversità” al terzo comma dell’articolo 9, si ricorda che in mancanza di un esplicito riferimento alla “biodiversità” nel testo della Costituzione, la giurisprudenza la riconduceva nell’alveo della tutela dell’ambiente.

 

Sennonché, la recente riforma costituzionale ha introdotto il concetto di “biodiversità”, affiancandolo alle nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”, già posti in relazione tra di loro all’articolo 117 Cost.

 

 Ci si chiede dunque se i tre termini siano espressione di un unico bene giuridicamente tutelato o se possano restare indipendenti tra di loro.

 

Sulla relazione tra le nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”, la Corte Costituzione ha già affermato che “anche se i due termini esprimono valori molto vicini, la loro duplice utilizzazione, nella citata disposizione costituzionale, non si risolve in un’endiadi, in quanto col primo termine si vuole, soprattutto, far riferimento a ciò che riguarda l’habitat degli esseri umani, mentre con il secondo a ciò che riguarda la conservazione della natura come valore in sé” (sentenza n. 12/2009).

 

Analoghe riflessioni possono valere in relazione al termine “biodiversità” che, secondo la definizione della Convenzione di Rio sulla diversità biologica, deve essere intesa come la variabilità di tutti gli organismi viventi inclusi negli ecosistemi acquatici, terrestri e marini e nei complessi ecologici di cui essi sono parte.

 

La biodiversità, come concetto che “include la diversità nell’ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi”, si presenta dunque come un concetto differente – seppur connesso – dalle nozioni di “ambiente” ed “ecosistemi”.

 

5. Le conseguenze della riforma sul riparto di competenze tra Stato e Regioni

 

In materia di riparto di competenze tra Stato e Regioni, l’articolo 117, comma 2, lettera s), attribuisce alla competenza esclusiva statale “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, mentre, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali” viene inclusa tra le materie di legislazione concorrente.

 

Di conseguenza, dopo la riforma non è escluso che la tutela della biodiversità – non ricompresa né all’interno delle materie a legislazione esclusiva, né nelle materie di legislazione concorrente – possa ricadere nell’ambito di applicazione del quarto comma dell’articolo 117, che prevede una competenza residuale delle Regioni in relazione alle materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato.

 

 In questo caso le Regioni sarebbero competenti per l’adozione di una serie di misure a tutela della biodiversità che, considerando le strette interrelazioni con la materia “ambiente”, potrebbero di fatto comportare un’erosione delle competenze riservate alla legislazione esclusiva statale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma.

 

Un’interpretazione di questo genere si discosterebbe tuttavia

dall’orientamento prevalente della Corte Costituzionale che, prima della riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione, ha più volte dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni delle leggi regionali in materia di biodiversità, affermando che la materia “ambiente” rientra nella competenza esclusiva dello Stato.

 

L’analisi sull’evoluzione nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di biodiversità non può prescindere da un riferimento alla tutela degli animali, che viene introdotta per la prima volta nel testo costituzionale dal terzo comma dell’articolo 9.

 

Una previsione costituzionale che introduce un riferimento esplicito alla dimensione faunistica caratterizza al tempo stesso un parametro utile per ricostruire una tutela degli animali a livello costituzionale e un limite alla competenza legislativa regionale.

 

Difatti, da un lato, la riforma dell’articolo 9 è idonea a porre fine alle difficoltà interpretative della Corte, che ha dovuto ricorrere ora al riparto di competenze ai sensi dell’articolo 117 Cost. (in particolare alla materia “ricerca scientifica”), ora al rispetto degli obblighi internazionali (ad esempio l’articolo 13 TFUE o la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia), ai fini di assicurare una tutela agli animali.

 

Sotto un diverso profilo però l’articolo 9 introduce una riserva di legge statale per quanto riguarda la disciplina dei modi e le forme di tutela degli animali che deve necessariamente essere coordinata con le altre disposizioni in materia di riparto di competenze.

 

6. L’articolo 41.

 

La riforma è intervenuta sul secondo comma dell’articolo 41 Cost., aggiungendo due ulteriori vincoli alla libertà di iniziativa economica privata, che non può svolgersi in contrasto – oltre che con l’utilità sociale, la sicurezza, la liberà e la dignità umana – con la salute e l’ambiente.

 

 La novella costituzionale ha inoltre riformato il terzo comma dell’articolo 9 che, prevedendo che l’attività economica pubblica e privata “possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”, suggerisce l’idea che la legislazione dello Stato debba tener conto anche delle esigenze ecologiche.

 

Le modifiche dell’articolo 41 riprendono i principi sul bilanciamento tra i vari interessi costituzionali già affermati dalla Corte Costituzionale nelle varie interpretazioni del dettato costituzionale.

 

 In particolare la Corte, nel cd. “caso ILVA” ha ricordato che la tutela della libera iniziativa economica deve essere comunque bilanciata con il diritto alla salute (da cui deriva il diritto all’ambiente salubre) e al lavoro.

 

La cristallizzazione degli indirizzi giurisprudenziali della Consulta rafforza dunque il peso dell’ambiente e della salute nel bilanciamento con altri interessi costituzionalmente rilevanti.

 

 

 

 

Quando la tutela dell’ambiente

prevale sulla libertà di impresa.

 

 

Computaecompara.it – (20 Febbraio 2022) – Redazione – ci dice:

 

Parere negativo del Consiglio di Stato sul ricorso degli imprenditori delle cave di marmo di Carrara: nessuna violazione della libertà di impresa quando è a rischio l’ambiente.

Un radicato cambiamento di sensibilità nella tutela dell’ambiente, legittima Regioni e Comuni a porre limiti alla libertà di impresa per tutelare i valori superiori del paesaggio.

 

Così il Consiglio di Stato ha reso parere negativo al “Ministero per la Transizione Ecologica” sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, presentato dalle imprese del marmo di Carrara, contro il Piano Cave della Regione Toscana.

 

 Le norme contestate dagli imprenditori prevedevano l’inserimento di quantitativi minimi di blocchi per stabilire la resa delle cave e consentirne l’escavazione.

Al di sotto di tali volumi commercializzabili, il Piano prevede infatti la chiusura della cava.

 

Per i ricorrenti, si sarebbe trattato di una inaccettabile limitazione della libertà di iniziativa economica, priva di fondamento legislativo, tale da inibire il mantenimento di cave anche con rese minime, ma economicamente produttive.

 

Tutela dell’ambiente e libertà di impresa:

il parere del Consiglio di Stato.

 

Non sono d’accordo i Giudici di Palazzo Spada, che hanno confutato le preoccupazioni dei ricorrenti con una serie di ragioni:

 

le Regioni, nell’ambito delle loro competenze legislative, possono introdurre condizioni e limiti alla proprietà privata ed all’iniziativa economica (ciò avviene ad esempio in ambito urbanistico con le limitazioni allo” jus aedificandi”, e nel settore del commercio);

 

il Piano regionale cave è parte attuativa della pianificazione paesaggistico territoriale, fonte di rango sovraordinato e nel cui ambito devono essere interpretate le disposizioni del Piano;

 

gli art. 41 e 42 della Costituzione impongono un bilanciamento tra libertà economica e limiti di utilità sociale o di pari rango costituzionale, come appunto i beni dell’ambiente e del paesaggio.

 

Proprio in attuazione di tali norme costituzionali, la Regione ha il “potere-dovere” di introdurre misure di tutela del paesaggio e dell’ambiente che limitino la libera iniziativa economica e la proprietà privata;

 

la Corte Costituzionale ha affermato che sebbene la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema sia di competenza esclusiva dello Stato, ciò non significa che le Regioni non abbiano propria autonomia nell’esercizio delle proprie attribuzioni legislative, di prevedere norme di tutela più rigorose;

 

la copertura costituzionale e normativa delle misure restrittive della libertà economica a tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, è garantita dagli artt. 9 e 32 della Costituzione, nonché dall’art. 3 comma 2 del Codice dei Beni Culturali (“L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale”) e dall’art. 145 comma 4, riferito alle previsioni dei piani paesaggistici (I limiti alla proprietà derivanti da tali previsioni non sono oggetto di indennizzo”).

 

Limitazioni come strumento di “sostenibilità”

 

Ma il parere del Consiglio di Stato non si limita a ribadire la supremazia della tutela ambientale, in contrapposizione con l’iniziativa imprenditoriale;

piuttosto apre la strada ad un modo di fare impresa che guarda alla “sostenibilità” e all’uso attento delle risorse nell’ottica di un migliore utilizzo economico.

 

Affermano i giudici di Palazzo Spada che” non deve essere sottovalutato che le misure del Piano Regionale Cave, oggetto di lite, perseguano anche finalità di valorizzazione dell’attività estrattiva, orientandone lo svolgimento in modo da favorire la valorizzazione dei materiali da estrazione ed essendo dunque finalizzate prioritariamente alla gestione sostenibile della risorsa”.

 

Confermando la legittimità del Piano della Regione Toscana il Consiglio di Stato segna dunque la strada ad un nuovo approccio al rapporto tra tutela dell’ambiente e libertà di impresa, non più considerati in contrasto tra loro, ma conciliati verso un modello economico all’insegna della “sostenibilità”.

 

 

 

 

Bill Gates ha troppa

influenza sull'”OMS”?

 

swissinfo.ch – (11-5-2021) – Julia Crawford – ci dice:

 

La Fondazione Bill e Melinda Gates è il secondo più grande finanziatore

dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

Alcuni temono che questo dia al magnate della Microsoft troppo potere di influenza sull'organizzazione.

 

La prossima assemblea dell'OMS a Ginevra, che inizierà il 24 maggio, dovrà affrontare il tema delle riforme interne, soprattutto dopo gli avvenimenti legati alla pandemia di Covid-19.

 

Tra le questioni principali, vi sono il modo in cui l’OMS è finanziata e il ruolo del settore privato, in particolare della Fondazione Bill e Melinda Gates, che ora è il secondo finanziatore più importante.

 

Anche se è gestita dagli Stati membri che la sostengono attraverso fondi pubblici, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dell'ONU si affida anche a donatori privati.

 

 Uno di questi è la Fondazione Gates, di gran lunga il più grande contribuente privato dell'OMS, che concorre a circa il 10% del suo budget.

Solo il governo degli Stati Uniti paga di più.

 Se gli Stati Uniti si fossero ritirati, come minacciato dalla precedente amministrazione Trump, l'organizzazione si sarebbe trovata in una situazione senza precedenti con la Fondazione Gates come primo donatore.

 

Bisognerebbe limitare i finanziamenti privati alle organizzazioni internazionali come l'OMS?

 

Gli organismi come l'”Organizzazione Mondiale della Sanità” sono sempre più dipendenti dai finanziamenti privati e ciò solleva alcune preoccupazioni.

 

"Senza le sue risorse, molti obiettivi di salute globale, come l’eradicazione della poliomielite, sarebbero messi a rischio", dice “Lawrence Gostin”, direttore di facoltà dell’“O'Neill Institute for National and Global Health Law” alla “Georgetown University” negli Stati Uniti.

 

Malgrado veda di buon occhio la "generosità e le buone intenzioni" delle organizzazioni filantropiche come la” Fondazione Gates, “Gostin “– che dirige anche il “Centro di collaborazione dell'OMS sul diritto sanitario nazionale e globale” – è preoccupato per l'eccessiva dipendenza dai fondi privati.

 

"La maggior parte dei soldi che Gates garantisce all'OMS è legata a programmi specifici della fondazione.

 Ciò significa che l'OMS non può stabilire indipendentemente le priorità relative alla salute globale ed è in balia del privato.

A differenza degli Stati, la Fondazione Gates ha poco controllo democratico".

 

Troppa influenza?

 

“Chris Elias”, Presidente della divisione sviluppo globale della “Gates Foundation”, ammette che nel corso degli anni sono stati spesso sollevati "dubbi e critiche relativi alla nostra influenza all'interno dell’OMS".

 

 "Ma", ha dichiarato durante un recente” webinar” (Geneva Graduate Institute's Global Health Centre), "penso che sia importante capire che l'OMS ha un programma globale di lavoro che è deciso dai suoi Stati membri.

Abbiamo strategie che sono sviluppate e verificate dal nostro consiglio di amministrazione e sosteniamo quelle aree del programma globale di lavoro che sono in linea con queste stesse nostre strategie.

Questo ci ha portato a essere il secondo più grande finanziatore dell'OMS".

 

Questo significa che "alcune attività dell'OMS sono meglio sostenute di altre perché non abbiamo un piano per ogni aspetto relativo alla salute globale.

Questa è una debolezza che l'organo di governo dell'”OMS” deve affrontare".

 

"The Bill Chill."

Chiaramente molte delle priorità si sovrappongono, come l'eradicazione della poliomielite e l'immunizzazione in generale.

 

 Tuttavia, rimane la preoccupazione che questi obiettivi più misurabili stiano portando a sottofinanziare altre attività, come il rafforzamento dei sistemi sanitari nei Paesi in via di sviluppo.

 

"Questa è una preoccupazione comprovata", dice “Linsey McGoey”, Professoressa di sociologia all'Università dell’Essex nel Regno Unito che ha scritto un libro ("No Such Thing as a Free Gift: The Gates Foundation and the Price of Philanthropy") su Gates e la salute pubblica globale.

 

McGoey pensa che Gates punti ideologicamente a ottenere risultati misurabili in tempi brevi, per dimostrare che la "filantropia miliardaria" sta funzionando.

"Penso che Bill Gates abbia un interesse personale nel vedere risultati rapidi, perché questo lo aiuta a sostenere la propria reputazione", dice McGoey.

 

Alcuni funzionari della sanità pubblica non sono d'accordo con le priorità di Gates, ma c'è riluttanza a criticarlo per paura di perdere il suo sostegno.

Questa autocensura è diventata così diffusa da essere soprannominata "Bill Chill", secondo il “New York Times”.

 

Il ruolo pionieristico della Fondazione Gates nel promuovere "l'equità sanitaria globale" è ampiamente riconosciuto.

Inoltre, è stata un’organizzazione chiave nella risposta alla Covid-19.

 

 È stata determinante, per esempio, nella creazione di “COVAX”, un programma vaccinale che mira a garantire che nessun Paese sia lasciato fuori nella corsa all'immunità contro la Covid-19.

 

 La fondazione finanzia anche Gavi (l'Alleanza dei vaccini) e la” Coalition for Epidemic Preparedness Innovations” (CEPI), che Gates ha contribuito a fondare.

 Queste associazioni co- dirigono il programma COVAX insieme all'OMS.

 

Secondo il New York Times, l'OMS voleva assumere un ruolo guida nel programma COVAX, ma è stata frenata dalla Fondazione Gates.

 

"Questo è quello che ho sentito", dice Gostin.

"Se fosse vero, sarebbe scoraggiante perché l'OMS dovrebbe avere la leadership globale".

 

Tuttavia, secondo Gostin è anche "importante riconoscere che le fondazioni come Gates non dispensano solo denaro, ma anche creatività e innovazione. Nel complesso, la fondazione è una forza positiva".

 

Difendere i brevetti.

 

“McGoey” non è necessariamente d'accordo e cita tra i punti critici la difesa dei brevetti da parte dei Gates e le attuali resistenze contro la rinuncia ai brevetti sui vaccini Covid-19.

 

Al momento, l'”Organizzazione Mondiale del Commercio” sta valutando una proposta, portata dal Sudafrica e dall'India, per rinunciare ai brevetti sui vaccini Covid-19.

 

Ciò potrebbe aiutare ad aumentare la produzione globale di vaccini e la loro distribuzione ai Paesi più poveri.

 All’”OMS” è stata sottoposta anche una proposta meno radicale, ma sulla stessa linea.

 Le imprese, insieme ad alcuni Paesi tra cui la Svizzera e gli Stati Uniti, stanno opponendo resistenza.

 

 "Ovviamente, “Tedros”, il capo dell'”OMS”, si è espresso a favore di una rinuncia ai brevetti", dice “McGoey”.

"Ma non è riuscito a far cambiare idea al signor Gates su questo.

 

E Gates a chi sta prestando ascolto?

 Non certo al capo dell'”OMS “o del” WTO”.

 E noi come comunità globale non vogliamo fare affidamento sulla sua autorità, dato il suo interesse a difendere un sistema di brevetti su cui è stata costruita la sua fortuna".

 

“McGoey” pensa che la strategia di “Gates” non sia tanto motivata dal denaro quanto dalla sua convinzione che le leggi del mercato funzionino meglio e che “ci debbano essere strette relazioni tra le case farmaceutiche, le aziende a scopo di lucro e i diversi fornitori di servizi sanitari”.

 

"Ideologicamente, è convinto che gli imprenditori siano più abili quando si tratta di ottenere risultati", dice.

 

"Spesso la comunità imprenditoriale ottiene risultati, ma questi hanno effetti negativi sull’accessibilità dei farmaci, sui prezzi e sull'incentivo a mettere a repentaglio la salute delle persone, se questo comporta un profitto.

Quindi, come ho sostenuto molte volte, il signor Gates non si rende conto che c'è un conflitto tra il profitto privato e la salute pubblica, ed è determinato ad agire come se questo conflitto non esistesse".

 

“McGoey” sostiene che questo era già evidente con i farmaci antiretrovirali contro l'AIDS, ma la Covid-19 ha contribuito a renderlo palese.

 

"Questo conflitto diventa chiaro se si osserva il modo in cui le aziende farmaceutiche, che hanno i diritti esclusivi per produrre i vaccini, si rifiutano di concedere deroghe ai brevetti.

 Se non ci fosse un conflitto tra il profitto privato e la salute globale, le aziende allenterebbero semplicemente le deroghe o le permetterebbero. E non lo stanno facendo".

 

Fragilità finanziaria.

Ma perché l'OMS è così dipendente dai finanziamenti di Gates?

 

 "Non ha altra scelta che fare affidamento su Gates e su altri finanziamenti.

I contributi obbligatori degli Stati non sono aumentati negli anni e sono del tutto insufficienti rispetto al mandato globale dell'OMS", dice “Gostin”.

 

L'organizzazione riconosce il problema e riferisce che sta cercando di fare qualcosa al riguardo.

 

 "In termini di risorse, la più grande sfida affrontata dall'OMS è la mancanza di una fonte sufficiente di finanziamento sostenibile", ha dichiarato per iscritto.

 

 "Questo rende l'OMS eccessivamente dipendente dai suoi maggiori finanziatori - di qualsiasi genere - e il fatto che la gran parte delle donazioni non siano incondizionate ostacola la capacità dell'organizzazione di adempiere al suo mandato.

 

Riconoscendo questa sfida sistemica, gli Stati membri dell'OMS hanno istituito un gruppo di lavoro per esaminare queste questioni vitali e presentare delle raccomandazioni al consiglio esecutivo all'inizio del 2022."

 

"Il fatto che l'Organizzazione Mondiale della Sanità sia sostenuta per circa il 23% dai suoi Stati membri e riceva quindi tre quarti del suo sostegno dai contributi volontari è un'enorme vulnerabilità", ha detto “Elias” della “Gates Foundation” durante il “webinar” del Graduate Institute.

"Partecipo all'Assemblea Mondiale della Sanità quasi tutti gli anni e ogni volta gli Stati membri affidano all'OMS un mandato sempre più ampio e impegnativo, eppure il loro budget non è aumentato negli ultimi 20 anni.

 

Non è così che dovremmo gestire la colonna portante della salute globale.

Idealmente, gli Stati membri dovrebbero finanziare l'OMS cosicché questa non abbia bisogno delle risorse della Fondazione Bill e Melinda Gates".

 

Mentre l'OMS si prepara a riunirsi per la sua assemblea annuale, “Gostin” dice che vorrebbe vedere due cose:

un grande aumento dei contributi statali obbligatori all'OMS;

 e una pressione internazionale sulle fondazioni private affinché facciano più donazioni non vincolati, "invece di esigere dall’OMS di svolgere compiti nell’interesse dei leader delle fondazioni".

 

McGoey” dice che gli Stati membri hanno i fondi e devono farsi avanti:

 

"Hanno fondi disponibili che potrebbero essere spesi.

In tal modo i futuri bilanci nazionali saranno effettivamente ridotti, ma gli Stati non dovranno spendere così tanto per affrontare le conseguenze di lungo periodo della pandemia di coronavirus.

 

 Altre pandemie arriveranno.

È perciò nell'interesse delle nazioni aumentare le loro sovvenzioni all’”OMS”, un attore importante, davvero prezioso, non perfetto, ma certamente essenziale oggi.

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