Non possiamo accettare che chi ha abbracciato i dogmi del globalismo ci voglia imporre una fine da schiavi.
Non possiamo accettare che chi ha abbracciato i dogmi del globalismo ci
voglia
imporre una fine da schiavi.
La
sfida elettrica del 2035.
Gognablog.scerpa-gate.com
– Redazione – (27 Aprile 2023) – ci dice:
Cosa
succederà dopo la decisione del Parlamento Europeo di vietare la vendita di
auto con motori endotermici a partire dal 2035?
Quali
sono le prospettive dell’elettrificazione nel nostro Paese e nel vecchio
continente?
Sono
solo alcuni degli interrogativi a cui abbiamo provato a dare una risposta in
una sorta di vademecum, che vi proponiamo, sulla mobilità di un futuro che
sembra sempre più prossimo.
È
difficile comprendere come stia cambiando l’industria dell’automobile e quali
siano le prospettive di lungo termine che finiranno per interessare gli
automobilisti, ma anche interi sistemi industriali, dopo la decisione del
Parlamento Europeo di vietare la vendita di veicoli con motori endotermici a
partire dal 2035.
Abbiamo provato a fare chiarezza su ciò che
sta accadendo attraverso dieci domande:
una
sorta di vademecum sulla mobilità attuale e quella che vivremo nel futuro
prossimo.
Ecco
quindi un “botta e risposta” sullo scenario che si va configurando.
1)
Cosa ha stabilito l’Unione Europea per il 2035?
A
partire dal 1° gennaio di quell’anno, i grandi costruttori di auto non potranno
più vendere veicoli che producono emissioni di anidride carbonica allo scarico,
come i veicoli a benzina, diesel ed ibridi.
Quindi,
allo stato attuale delle cose, potranno essere commercializzate e immatricolate
solo le automobili elettriche.
Attenzione, però:
l’Eurocamera riconosce la natura inquinante di
benzina e diesel di origine fossile ma non quella del motore a combustione in
sé.
Ciò lascia virtualmente la porta aperta alla
produzione e immatricolazione di auto a combustione interna purché alimentate
da idrogeno verde (che assicura le agognate emissioni zero di CO2 allo scarico)
o carburanti sintetici climaticamente neutri (di cui si parla più avanti), a
patto che le emissioni allo scarico siano per l’appunto pari a zero.
Ciò
detto, le auto termiche e ibride potranno circolare dopo il 2035?
La risposta è affermativa:
ad
oggi non è stato istituito alcun tipo di bando alla circolazione stradale di
questo genere di vetture (immatricolate prima del 2035).
Non sarà quindi proibito guidarle o comprare
auto usate a benzina o a gasolio. Oltretutto i piccoli costruttori di
automobili – quelli che ne fabbricano meno di 1000 all’anno – potranno
continuare a fabbricarle.
2) Da
qui al 2035 come è articolato il programma “green” della UE?
Entro
il 2030, uno dei target è ridurre del 55%, rispetto ai valori del 2021, le
emissioni di CO2 generate dalle automobili e andare verso l’azzeramento
completo nel 2035.
Tuttavia,
è prevista una tappa intermedia nel 2025:
in quell’anno la Commissione Europea dovrà
presentare una metodologia per valutare e comunicare i dati sulle emissioni di
anidride carbonica generate durante l’intero ciclo di vita delle autovetture
(cioè prendendo in considerazione pure l’impatto climatico generato dalla
produzione e dallo smaltimento e non solo di emissioni di CO2 allo scarico)
vendute sul mercato dell’UE.
Entro
dicembre 2026, poi, Bruxelles dovrà monitorare il divario tra i valori limite
di emissione e i dati reali sul consumo di carburante ed energia, trovando una
quadra fra i target ambientali, sociali e industriali.
Sempre
dal 2025, infine, la Commissione dovrà pubblicare, con cadenza biennale, una
relazione per valutare i progressi compiuti verso la mobilità a zero emissioni.
3)
Cosa è l’“Euro 7” e perché c’è tanta polemica su questo standard di
omologazione?
Come
noto, sin dall’avvento delle automobili con marmitta catalitica, le vetture
sono state progressivamente categorizzate in classi inquinanti (Euro 1, Euro 2,
ecc.) in base al loro impatto ambientale, tenendo conto non solo delle emissioni
di anidride carbonica generate allo scarico ma anche di quelle di altre
sostanze prodotte durante il loro utilizzo, come gli ossidi di azoto e il
particolato.
Nel corso degli anni l’efficientamento dei
motori, la loro elettrificazione (auto ibride) e il perfezionamento dei sistemi
di post trattamento dei gas di scarico, ha consentito ai veicoli tradizionali
di diventare sempre più puliti.
Attualmente,
lo standard per l’immatricolazione di auto di nuova fabbricazione è l’Euro 6 d.
Oggi,
però, fanno discutere gli standard Euro 7 (in vigore dal 2025) come ulteriore
step evolutivo dei motori termici e ibridi prima dell’arrivo del 2035.
I
costruttori denunciano infatti alle Istituzioni che gli investimenti per
adeguare le produzioni all’Euro 7 rischiano di rendere il costo delle auto
ancora più elevato e distrarre fondi destinati all’elettrificazione.
Per
giunta a fronte di vantaggi ambientali, quelli che porterebbe l’Euro 7, assai
limitati rispetto all’attuale Euro 6 d.
In altri termini, per i costruttori non si
possono sommare agli investimenti in corso per garantire la totale
elettrificazione a quelli necessari a rispettare l’Euro 7, pronto a entrare in
vigore da luglio 2025.
Ecco
perché molte aziende del settore chiedono una moratoria sull’Euro 7 al fine di
concentrarsi sulla elettrificazione totale dei veicoli.
Introdurre l’Euro 7, a detta dei costruttori,
significa chiedere alle case automobilistiche di realizzare motori che avranno
una vita utile assai breve prima di essere resi fuorilegge dalle decisioni
prese per il 2035.
4)
Perché alcune multinazionali europee invitano a un approccio più equilibrato
sull’elettrificazione?
Perché
in ballo c’è un asset strategico europeo, quello dell’automotiva, che rischia
contraccolpi negativi.
Un
concetto (nuovamente) esplicitato sulle colonne del Sole 24 Ore anche da Luca
de Meo, numero uno del Gruppo Renault (colosso impegnato in un piano di
elettrificazione su larga scala) e numero uno dell’Acea (l’associazione
continentale dei costruttori), che è tornato a chiedere all’Europa un approccio
strategico improntato alla neutralità tecnologica nonché una politica
industriale che salvaguardi gli interessi europei.
“Ci
muoviamo in un contesto di regolamenti sempre più severo”.
Oltre
allo stop alla produzione di auto a motore endotermico dal 2035, “ci stanno
pure chiedendo di fare un Euro 7 che tecnicamente è infattibile”.
De Meo
fa riferimento al fatto che “per come è scritta la norma oggi, tutti i motori a
combustione interna andranno fuori dal mercato dal 2025”.
Ma ciò
apre la strada a due rischi. I
l
primo è rappresentato dalle aziende “cinesi, che hanno più controllo di noi
sulla catena del valore (sono i maggiori produttori di batterie e controllano
la catena del litio necessario per costruirle), e possono utilizzare
l’elettrico per conquistare quote”.
Il
secondo è “l’asimmetria a livello di competizione tra le ‘placche’ America,
Europa e Cina che le autorità devono correggere.
Non
voglio parlare di protezionismo.
Si
tratta di non essere naïf e di fare rispettare un principio di reciprocità”.
“Le
regolamentazioni devono rispettare il principio della neutralità tecnologica.
Noi produttori di auto intendiamo dire la
verità.
E la
verità è che dobbiamo guardare all’intero ciclo, “cradle to grave” (dalla culla
alla tomba, ndr), e non al “tank to wheel” (dal serbatoio alla ruota, ndr).
Così,
se il nemico è la CO2, ci si apre ad alternative
. Che
possono essere il motore a combustione con dei mix di carburanti meno
impattanti come gli “e-fuel “o il “biodiesel”.
Ma nella normativa europea non è previsto”.
E se le previsioni dell’Europa in merito alla mobilità
elettrica fossero sbagliate?
“Per
adesso abbiamo sentito commissari dirci che se qualcosa non funzionerà si potrà
correggere la rotta nel 2026 o 2027.
Piccolo particolare: i costruttori hanno già
impegnato qualcosa come 250 miliardi di euro di investimenti.
Non possono dirci “abbiamo scherzato”.
C’è
invece chi ha preso una posizione più netta e opposta.
Come
la Responsabile Sostenibilità di Polestar, brand sotto il controllo dei cinesi
di “Gruppo Geely”, “Fredricka Klaren”:
“Non
possiamo continuare a utilizzare combustibili fossili”.
La
manager ritiene che l’unica strada perseguibile sia quella della tecnologia
elettrica a batteria:
“La
nostra strategia climatica si basa sull’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate
Change).
In” Polestar” vogliamo essere neutrali dal
punto di vista climatico entro il 2040 e dimezzare le emissioni entro il 2030.
Non è
solo quel che possiamo fare ma, soprattutto, è ciò che gli scienziati del clima
ci dicono di fare.
Abbiamo
solo sette anni prima di raggiungere 1,5 gradi di riscaldamento globale.
Qualsiasi cosa dopo il 2030, non ci interessa”.
5)
Perché si parla di “rischi sociali” dell’elettrificazione?
Un
quesito che ha più di una risposta.
Dal
lato del consumatore, il problema in prospettiva è quello del costo delle auto
elettriche, fino al 50% più elevato rispetto a quello delle equivalenti
termiche:
per alcuni costruttori si rischia di
trasformare la mobilità privata in un lusso per pochi, specie se il prezzo
delle batterie – che rappresentano la voce di spesa più ingente nella
fabbricazione di un veicolo elettrico – non scenderà drasticamente.
Dal
lato occupazionale, invece, la questione è che fabbricare auto elettriche
richiede investimenti ingenti e una forza lavoro minore rispetto alla
produzione di auto tradizionali.
Un mix
di fattori da cui consegue che la transizione potrebbe costare il posto di
lavoro a decine di migliaia di persone.
Prospettive
che atterriscono il comparto automotive nostrano, che vale un indotto da oltre
700 aziende (il 33,3% di 2.202 presenti sul territorio nazionale) per un
fatturato di circa 17 miliardi l’anno.
Realtà che danno lavoro a quasi 60 mila
persone.
Mentre in Europa questa industria pesa per 13
milioni di posti di lavoro, che equivale al 17% della popolazione attiva, l’8%
del Pil, 80 miliardi nella bilancia commerciale continentale, 400 miliardi di
tasse legate alla mobilità.
Per “Adolfo
De Stefani Cosentino”, presidente di Federauto, l’associazione di
rappresentanza dei concessionari automobilistici, la situazione è critica:
“Pur condividendo l’obiettivo di azzerare le
emissioni dei veicoli, restiamo convinti che l’arco temporale previsto, e
dunque un’interruzione così brusca della produzione e commercializzazione di
veicoli a combustione interna, metterà a rischio non solo la competitività
delle imprese italiane ed europee in un settore strategico dell’economia, ma
soprattutto decine migliaia di posti di lavoro in tutta Europa, a vantaggio dei
competitor internazionali, principalmente cinesi, i quali hanno anche la
leadership tecnologica sulle batterie che alimentano i veicoli elettrici.
È
evidente che l’abbandono del diesel e benzina in un così breve lasso di tempo
non andrà a vantaggio né dell’industria, né delle imprese dell’indotto
distributivo e di assistenza post-vendita dei veicoli, né dei consumatori
italiani ed europei che già stanno sopportando un aumento dei prezzi
consistente”.
Tuttavia,
secondo uno studio sull’impatto economico del passaggio dal termico
all’elettrico realizzato da “Motus-E” e “CAMI” (il Center for Automotive and
Mobility Innovation del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari
Venezia) le cose starebbero diversamente:
“Considerando
le nuove sotto filiere della mobilità elettrica i posti di lavoro del settore
auto possono aumentare del 6% entro il 2030.
Un incremento subordinato alla lungimiranza
della politica industriale dell’immediato futuro, a cui sommare altri 7.000
nuovi occupati solo nel segmento infrastrutture ed energia al servizio della
eMobility”.
Per “Massimo
Nordio”, presidente di “Motus-E”, è necessario “puntare subito sulle tecnologie
in espansione, perdere tempo vorrebbe dire indebolire ulteriormente il settore
e cedere ad altri Paesi la nostra leadership nella componentistica”.
“La filiera italiana dell’auto ha il potenziale
per rimanere protagonista nell’industria.
Ciò a
patto che gli investimenti in nuove competenze e l’azione di riposizionamento
siano rapidi, mirati e sostenuti da opportune azioni di policy”, sostiene”
Francesco Zirpoli”, Direttore scientifico di “CAMI”: “Ci sono le condizioni affinché
l’innovazione tecnologica porti benefici non solo di natura ambientale, ma
anche economica e sociale”.
6)
Cosa sono i carburanti sintetici? Possono essere un’alternativa per la
decarbonizzazione?
I carburanti
sintetici, anche chiamati “e-fuel”, sono benzina e diesel carbon neutral, cioè
a impatto di carbonio sull’ambiente prossimo allo zero:
quindi,
con la
loro combustione non viene immessa nell’atmosfera anidride carbonica aggiuntiva
rispetto a quella già esistente.
Per
sintetizzarli si parte dall’”idrogeno verde”, ricavato dall’acqua tramite
elettrolizzatori alimentati a energia rinnovabile (eolico, fotovoltaico, ecc.).
Più
nel dettaglio, gli elettrolizzatori sintetizzano idrogeno verde tramite l’elettrolisi
dell’acqua, processo con cui si separa l’ossigeno dall’idrogeno mediante
l’utilizzo di corrente elettrica.
Per
produrre carburanti green, il suddetto idrogeno viene successivamente combinato
con l’anidride carbonica catturata nell’atmosfera – la CO2 in questione può
provenire pure dalle lavorazioni industriali di acciaio, cemento, fertilizzanti
nonché raffinerie – per produrre metanolo da convertire in benzina, gasolio o
cherosene (usato in campo aeronautico).
Questi
carburanti quindi, utilizzati nei motori endotermici, rilasciano nell’ambiente
la stessa quantità di anidride carbonica adoperata per sintetizzarli.
Un bilancio che li rende climaticamente
neutri.
Ulteriori
benefici?
Rispetto ai carburanti di origine fossile
vengono rilasciate nell’ambiente quantità di ossidi di zolfo e biossido di
azoto trascurabili.
La benzina “carbon neutral” che sta producendo
la Porsche (insieme a Enel Chile, Chilean power company AME, la compagnia di
Stato cilena Enap National Oil Company e Siemens Energy) ha già un prezzo
inferiore ai 2 dollari al litro.
Per “Michael
Steiner,” responsabile Ricerca e Sviluppo del costruttore, “il potenziale degli
e-fuel è enorme.
Attualmente ci sono più di 1,3 miliardi di
veicoli con motori a combustione interna in tutto il mondo.
Molti di questi rimarranno sulle strade per i
decenni a venire e gli” e-fuel” offrono ai loro proprietari un’alternativa
quasi a emissioni zero”.
7) Le
batterie esauste delle auto elettriche possono essere riciclate?
Dopo
che hanno completato il loro primo ciclo vitale “a bordo” di un’auto elettrica
(e conservano ancora una capacità utilizzabile residua attorno al 70%), le
batterie possono essere recuperate per espletare funzioni di seconda vita:
possono
diventare serbatoi di energia per diverse applicazioni (batterie domestiche,
accumulatori per reti elettriche, ecc.).
Inoltre, è tecnicamente possibile riestrarre
la quasi totalità dei materiali preziosi (litio, cobalto, nichel, manganese)
che le compongono.
Quindi
le batterie sono altamente riciclabili, si stima per oltre il 90%.
C’è nondimeno da considerare che il processo
richiede una cospicua quantità di energia elettrica:
da
qui, la necessità che quest’ultima sia “green” al fine di emettere meno
anidride carbonica possibile durante le operazioni di recupero delle batterie
esauste.
8)
Quanto conta l’autonomia? La batteria piccola è più eco-friendly?
Attualmente
l’autonomia delle auto elettriche è limitata: con le tecnologie attualmente a
disposizione l’unica maniera per ovviare al problema è far crescere la taglia
della batteria.
Ne consegue che si impiegano batterie sempre
più grandi, che hanno un impatto ambientale più critico rispetto agli
accumulatori di taglia più piccola.
Lo
conferma una recente analisi del “Transport Research Laboratory” (TRL), che
evidenza come soltanto il 50% degli utenti prenderebbe in considerazione
l’acquisto di un veicolo a batteria con autonomia di 320 km.
Mentre tale percentuale passa al 90% se
l’autonomia salisse a 480 km.
Il
ricorso a batterie agli ioni di litio più grandi, però, oltre a far lievitare
il costo del veicolo, comporta emissioni di CO2 globalmente superiori,
derivanti dalla fabbricazione stessa dell’auto (l’assemblaggio di un’auto
elettrica comporta mediamente emissioni di CO2 superiori del 75-100% rispetto a
un veicolo termico: differenza da attribuirsi proprio alla fabbricazione della
batteria), dal maggior dispendio energetico per l’estrazione degli elementi
necessari a produrre la batteria, finanche al suo riciclo.
Sembra
che alcuni costruttori, peraltro, abbiano già messo a fuoco il problema,
iniziando ad adottare batterie più compatte.
Come la Mazda, che per la sua elettrica MX-30
usa un accumulatore da 35,5 kWh, che offre un’autonomia dichiarata di (appena)
200 km.
“Non crediamo che una batteria molto grande,
che significa un veicolo grande e pesante, sia la giusta direzione per il
futuro”, sosteneva recentemente “Joachim Kunz”, responsabile europeo della
ricerca e sviluppo di Mazda:
“La
produzione di batterie comporta emissioni di CO2 molto elevate dall’estrazione
e dalla produzione del materiale.
Un fardello che è molto più piccolo se la
batteria è più piccola.
Inoltre durante l’uso il consumo di energia è
inferiore grazie al peso ridotto dell’automobile”.
Anche
perché, mediamente, gli automobilisti percorrono chilometraggi giornalieri che
oscillano fra 22 e 72 km.
Dello
stesso avviso è pure “Thomas Ingenlath”, amministratore delegato di “Polestar”
– come detto azienda del “Gruppo Geely”, di cui fa parte anche Volvo –, che in
tempi recenti sosteneva che l’autonomia di un modello elettrico debba essere di
circa 480 km affinché il veicolo sia realmente competitivo ma, al contempo,
l’industria “non può impegnarsi in una corsa
all’autonomia, perché ciò significherebbe andare in una direzione irresponsabile.
Se
parliamo di rendere un’auto più efficiente, io sono d’accordo ma se stiamo solo
aggiungendo sempre più chilowattora solo per migliorare commercialmente la
gamma, questo non ci aiuta certo ad avvicinarci alla sostenibilità delle auto”.
9)
Come sta rispondendo il mercato italiano all’auto elettrica?
Secondo
l’analisi qualitativa” BEV” – Italy Progress Index, realizzata da “Quintegia”,
il 2022 è stato un anno difficile per le auto elettriche in Italia, con un
immatricolato in calo del 26,6% rispetto al 2021 (con 49.500 BEV immatricolate
nel 2022).
Gli ultimi tre mesi dell’anno hanno segnato un
leggero recupero, ma comunque non sufficiente:
“Da
luglio a settembre si sono contate poco meno di 11.000 immatricolazioni di
vetture elettriche, per arrivare invece a oltre 13.000 nel trimestre
conclusivo.
Il mese di dicembre con 4500 immatricolazioni “BEV”
non è stato così impattante come negli anni precedenti ma in linea con gli
altri mesi del 2022”.
Tra
gli stati dell’Unione Europea il nostro Paese si piazza al 18esimo posto su 26
per quota di mercato delle “BEV” con 3,7%, contro il 12,1% della media dell’Unione
Europea.
“Direzione opposta per la situazione delle
infrastrutture di ricarica pubblica in cui l’Italia risulta a buon punto e con
un ritmo di crescita molto alto.
Nel
2022 infatti sono state installate oltre 6.000 infrastrutture, quasi la metà di
tutte quelle già presenti sul territorio a fine dicembre 2021”.
Per quanto riguarda il parco circolante, nel
nostro Paese il numero di vetture nel 2022 ha superato le 167.000 unità “BEV”,
che in termini percentuali vuol dire +41,5% rispetto al 2021.
10)
Quali sono le prospettive di lungo termine per le auto termiche, ibride ed
elettriche?
Secondo
un’elaborazione dell’”Osservatorio Autopromotec”, sulla base di studi del “Bloomberg
New Energy Finance”, “Goldman Sachs” e del “Gruppo Wood Mackenzie”, tra
vent’anni i due terzi delle auto in circolazione nel mondo saranno ancora
alimentati da motori a combustione interna, mentre il restante sarà
rappresentato da veicoli elettrici.
Per la
precisione, il 67% del parco circolante mondiale sarà formato da veicoli a
benzina, diesel e ibridi (full o mild), il 28% da elettriche pure e ibride
plug-in, mentre il restante 5% sarà formato da alimentazioni alternative come
l’idrogeno (ma anche il metano e il GPL).
Anche se la mobilità elettrica subirà
un’accelerazione a partire dal 2035, anno in cui nell’Unione Europea non
potranno più essere commercializzati veicoli con motori endotermici, a livello
mondiale questi ultimi continueranno a risultare i più diffusi.
Tuttavia,
per quanto riguarda le vendite, i veicoli 100% elettrici saranno i più
richiesti entro il 2050.
In particolare la loro quota di mercato
arriverà al 56%, contro il 18% delle motorizzazioni tradizionali, il 16% degli
ibridi non alla spina il 5% di plug-in, ed il 5% di altre motorizzazioni tra
cui l’idrogeno.
Inferno.
Gognablogsherpa-gate.com
– Lorenzo Merlo - (25 Aprile 2023) – ci dice:
C’è
uno spettro di realtà che ci convince della sua supremazia e oggettività.
Ma non è che il riflesso effimero di una fonte
artificiale di luce cosparsa sul mondo.
Se la
politica del mercato non ha più le doti per dedicarsi agli uomini, gli uomini
possono ora liberarsi dal conosciuto e dare il meglio e il segreto di sé.
Le
critiche alla politica svenduta ai mercanti, il suo ruolo di portavoce e
zerbino che, in un mondo democratico, basterebbero alla rivoluzione, non solo
non cambiano nulla, ma dimostrano, se ce ne fosse ulteriore bisogno, la portata
dell’onda che ha già investito e stravolto la relazione analogica che ogni uomo
aveva con il mondo.
Ciò
implica la negazione dell’ordine naturale.
È un’analisi che non tutti hanno il tempo di
elaborare.
Un
tempo lucifericamente ridotto dall’imposizione della dimensione digitale.
L’onda
avanza, travolge tutto, tranne i pochi surfisti che la stanno cavalcando e
l’hanno pazientemente messa in moto, sospinta, alimentata.
La politica, analogicamente intesa, è svanita,
disciolta nell’individualismo di chi doveva pretenderla e di chi doveva
praticarla.
Reliquia senza valore e corpo delle macerie
che coprono la terra.
Quella
massa di energia che sta sopraffacendo il mondo umanistico ha una matrice
razionalista.
La
stessa che ci ha fatto credere che la scienza fosse la verità, che tutto ciò
che essa non definiva, catalogava, misurava non solo fosse contorno, ma
soprattutto fosse risibile, non avesse la dignità per essere ascoltato, per
fare a pieno titolo parte delle politiche, dei pensieri e dei valori
indispensabili per realizzare e condurre una vita a misura d’uomo, l’unica
capace di spargere benessere.
Una
matrice cartesiana, che ha ridotto la vita a due dimensioni e che ci ha fatto
credere ad un progresso lineare, infinito in cui trovavamo la dimostrazione
vivente della sua inequivocabile attendibilità.
Quella
che senza clangore – come si sarebbe immaginato – ha imposto alla politica le
soluzioni tecniche; ha tolto l’etica e ha messo la scienza, ha eliminato la
natura e impiantato il diritto.
Ha
abbandonato la generazione in estinzione e si sta prendendo cura dei piccoli,
affinché a breve siano buoni esecutori di logiche che crederanno le sole
possibili. Non è chiaro a molti che la natura divisoria della scienza, il suo
gene oggettificante e definente non è che l’astuta espressione del male.
Scambiata dagli uomini come verità, si afferma
in noi e noi seguitiamo a propugnarla.
Ma la
matrice razionalista è un’egregora che ci tiene lontani dalla verità della
vita. Che ci impone la logica della forma e della quantità.
Che ci
fa correre ad erigere qualunque torre di babele si ritiene possa soddisfare
desideri e autostima, che ci rende ciechi su quanto siamo noi stessi a produrci
dolore e malattia.
Un
humus mentale dal quale possiamo emanciparci per poter, al contrario,
realizzare serenità e salute.
L’onda
razionalista non risparmia nulla.
La
foga digitalizzante che porta in sé travolge tutto, prioritariamente i
pensieri.
La sua idolatria, insieme a quella nei
confronti della tecnologia, è una conversione richiesta al fine di eludere la
tassa esiziale emessa dal potere.
La sua velocità è tale che nulla è concesso oltre
all’apparenza e al consumo. Ogni approfondimento lascia il tempo che trova,
come in una lotta senza pari.
Non
concede neppure aggregazioni tra pari posizioni critiche, ognuna delle quali è
presa in un modo misto di angoscia, depressione, rabbia, indignazione, stupore,
incredulità, idee violente, attesa, speranza che l’onda sia solo un sogno, un
incubo e che in quanto tale, nonostante l’incontenibile emozione con la quale
ci scuote fino in fondo, fino all’ultimo mattone di identità e sicurezza, alla
fine passerà.
Come
se alla fine ci svegliassimo, ricordandolo con terrore per poi dimenticarlo ed
esorcizzarlo.
Per
poi, ritornati in noi, con nuova consapevolezza e relativo potere che prima non
sapevamo di avere, scoprire quali siano i valori effimeri, quali gli essenziali
e, nel frastuono assordante dell’onda progressista, distinguere chiaramente le
sirene che ci avevano sottratto a noi stessi.
Ma il
vero sogno, più segreto e nascosto, è un altro.
La sua
apparente veridicità sta in una sola parola: identificazione.
Qualunque
oggetto d’attenzione con il quale ci identifichiamo da un lato comporta la
nostra massima partecipazione alla sua difesa e dall’altro, proprio per questo,
rende di fatto l’oggetto superiore agli altri.
È quello che accade con l’io. È a causa di
questo sogno che il termine risvegliato acquisisce senso.
Finché
ci identifichiamo con il nome, la professione, il ruolo, i sentimenti che ci
attraversano, non possiamo fare altro che muoverci nel buio di quanto crediamo
in sostituzione di quanto siamo.
Attribuendoci il bene, non possiamo che perpetrare il
male.
Esso
attraversa le persone come la tensione un cavo di rame, ma colpevolizzarle e,
di conseguenza, autoreferenzialmente assolverci è l’arguto gioco luciferino.
I cristiani
lo chiamano inferno.
Viganò
- “La
dottrina globalista
è essenzialmente satanica.
Nostro
dovere è schierarci e combattere”
Aldomariavalli.it
– (29 agosto 2022) - monsignor Carlo Maria Viganò – ci dice:
La
visione “teologica” del “Great Reset”.
Quando
l’essere umano agisce, per prima cosa ha uno scopo.
La sua
azione, ciò che compie rappresenta un mezzo ordinato a un fine, che può essere
moralmente buono o cattivo.
L’azione
è atto della volontà, e nasce dal pensiero, che è atto dell’intelletto.
Quel che facciamo, insomma, è determinato da
chi siamo (l’insieme
delle nostre facoltà: memoria, intelligenza e volontà):
la scolastica riassume perfettamente questo concetto
in tre parole: “agere
sequitur esse”.
Nessuno
agisce senza scopo, e anche quanto avviene sotto i nostri occhi da ormai più di
due anni è la conseguenza di un insieme di cause concomitanti che presuppongono
un pensiero iniziale, un principio informatore, per così dire.
E quando ci accorgiamo che le ragioni che ci
vengono date per giustificare le azioni intraprese non hanno alcuna
ragionevolezza, significa che queste ragioni sono dei pretesti, dei falsi
motivi che servono a nascondere una verità inconfessabile.
Questo,
in realtà, è il modo di procedere del Maligno.
Quando
ci tenta, mente per farci credere di essere nostro amico, preoccupato di noi,
del nostro bene.
Proprio
come un imbonitore da fiera, il demonio ci propone i suoi ritrovati miracolosi,
i suoi elisir di felicità e ricchezza, alla modica somma della nostra anima
immortale.
Ma
questo, ovviamente, lo tace, e come un truffatore scrive in piccolo le clausole
del contratto.
Tutto
è menzogna, quando si tratta di Satana.
False le premesse:
il tuo
Dio ti opprime con precetti gravosi.
False le promesse: puoi decidere tu, e
ottenere ciò che desideri.
E
tutto è menzogna quando i “servi di Satana” (l’élite globalista) si organizzano per instaurare la “distopia
del Nuovo Ordine Mondiale”.
Ora,
siccome non possiamo pretendere che tutti i cospiratori del “Great Reset” ci
dicano a chiare lettere qual è il loro scopo finale – visto che si tratta di qualcosa di
inconfessabile e di criminale – possiamo comunque ricostruire la” mens” delle loro azioni
conoscendo i principi ispiratori del loro agire e suffragandoli con le loro
stesse parole.
E
siamo anche in grado di capire che le ragioni addotte sono solo dei pretesti.
Anzi proprio i pretesti, per come vengono presentati,
dimostrano il dolo e la premeditazione, dal momento che se il loro progetto
fosse onesto e buono non avrebbero bisogno di dissimularlo con scuse illogiche
e incoerenti.
Ma
cos’è, questo Great Reset?
È l’imposizione forzata di una “quarta rivoluzione industriale”
che conduca l’attuale sistema economico e sociale all’implosione e consenta, tramite l’impoverimento
generale e una drastica riduzione della popolazione, l’accentramento del potere nelle
mani di un’élite di aspiranti all’immortalità e al dominio sul mondo.
Costoro vorrebbero ridurci ad una massa amorfa
di clienti/schiavi confinati in cubicoli e perpetuamente connessi alla rete.
Tramite
il “Great Reset” costoro vogliono cancellare la società cristiana occidentale
per instaurare una” sinarchia liberal-comunista” sul modello della dittatura cinese, in cui tutta la popolazione sia
controllata e manovrabile a piacimento.
In una società ispirata anche solo in parte ai valori
del cattolicesimo, i
gruppi di potere finanziario e l’élite del NWO non avrebbero spazio, ma questo non deve far pensare ad
alcuni che la loro opposizione alla società cristiana abbia una motivazione essenzialmente
economica e di potere.
In realtà, ciò che scatena quell’odio è che
possa esistere, fosse anche nel più remoto angolo del pianeta, un’alternativa
possibile alla distopia globalista, un mondo in cui il datore di lavoro può
pagare onestamente i propri dipendenti, in cui lo Stato chieda tasse
ragionevoli ai cittadini, in cui le opere di carità svolgono gratuitamente e
senza speculazioni quei servizi che oggi sono subappaltati ai privati per
lucro, in cui sia rispettata l’innocenza dei bambini e non si ammetta la propaganda Lgbtq+.
Un
mondo in cui il Regno sociale di Cristo si mostri non solo come possibile, ma
come la migliore forma di società, amministrata per il bene comune e la gloria
di Dio.
La
semplice esistenza di un termine di paragone è una sconfessione bruciante
dell’inganno globalista, ne mostra il fallimento e l’orrore.
Le menzogne sulla necessità dei lockdown sono
sconfessate dall’evidenza che dove non lo si è adottato i casi di malattia
grave sono stati meno che dove si sono imposte chiusure e coprifuoco.
Le
menzogne sull’efficacia del siero genico sono sbugiardate dai casi di
reinfezione di plurivaccinati, dagli effetti avversi gravi, dalle morti
improvvise.
Le menzogne sul popolo sovrano e sui diritti
inviolabili della persona sono state smentite da regole assurde, norme
incostituzionali, leggi discriminatorie nel silenzio della magistratura.
E, ad
essere onesti, anche il termine di paragone costituito dalla Messa di sempre
rende impossibile preferire la sua contraffazione montiniana:
motivo per cui la chiesa bergogliana vuole
impedirne la celebrazione e tenerne lontani i fedeli.
Anche per imporci questo orrore si è fatto ricorso
all’inganno, raccontando ai fedeli che la Messa antica era incomprensibile, e
che occorreva tradurla e semplificarla per farne meglio apprezzare il
significato ai fedeli.
Ma era
una menzogna, e se ci avessero spiegato che il loro scopo era esattamente lo
stesso che si erano prefisso gli eresiarchi protestanti – ossia distruggere il
cuore della Chiesa Cattolica – saremmo andati a prenderli con i forconi.
Il
mondo globalista, dunque, non tollera confronti.
Pretende quell’esclusività che denuncia con
orrore appena non è lui a rivendicarla. Si straccia le vesti sul potere
temporale della Chiesa – con la complicità di chierici eretici e fornicatori –
per poi esigere obbedienza assoluta e irrazionale ai dogmi che proclama da Davos
(Klaus
Schwab) o
da Bruxelles (UE).
Celebra
la libertà di espressione e di stampa che generosamente finanzia, ma non tollera né il dissenso né la
verità, che
cerca di rendere semplicemente inaccessibile, invisibile.
Ancora:
il
mondo globalista non ha un passato da mostrarci a conferma della grandezza
delle proprie idee, della propria filosofia, della propria fede.
Viceversa,
vive della falsificazione della Storia, della cancellazione del passato, della
sua rimozione dalle nuove generazioni.
In
modo che non ci sia nessuno che, dinanzi alla cattedrale di Chartres, sia in
grado di riconoscere le immagini di Cristo e dei Santi.
In modo che nessuno sappia che nella “Sainte
Chapelle” era custodita l’ampolla del Crisma portato da un Angelo per
consacrare i Re di Francia.
In
modo che non ne possa conoscere le gesta, non trovi la loro tomba, non
comprenda i tesori di arte e letteratura che hanno reso grandi le nazioni
cattoliche.
La “cancellazione
della cultura” è rivelatrice della radicale inconsistenza ontologica del
globalismo dinanzi allo splendore della Cristianità.
Il
mondo globalista non ha un futuro.
O
meglio: il
futuro che intende riservarci è quanto di più tetro e terrificante possa
concepire la mente umana.
Il
futuro che ci prospetta, quindi, è falso e irrealizzabile.
«Non ho una casa, non possiedo nulla e sono
felice», cercano di convincerci Schwab e i promotori dell’”Agenda 2030”.
Ma il
loro scopo non è di renderci felici – cosa che puntualmente non avverrà,
ovviamente – ma di confiscarci la casa e i beni, mettendoceli a disposizione a
pagamento.
Quando
ci parlano di pacifismo e di disarmo, non è perché vogliono la pace, ma perché
essendo noi disarmati e senza ideali ci lasceremo invadere e dominare senza
reagire.
Nell’imporci
l’accoglienza e la “inclusività” – adottando un lessico da iniziati – non vogliono farci realmente
accogliere e integrare persone di altre culture e religioni, ma creare le
premesse del disordine sociale e della conseguente cancellazione delle nostre
tradizioni e della nostra Fede.
Quando
ci parlano di “resilienza” non ci dicono che ci proteggeranno dagli eventi
avversi, ma che dobbiamo rassegnarci ad assorbirli senza protestare.
Quando ci accusano di estremismo o di integralismo, è
solo perché sanno che fedeli e cittadini con nobili e santi ideali possono
resistere, organizzare un’opposizione, diffondere il dissenso.
E
quando ci impongono l’inoculazione di massa con un siero genico privo di
efficacia ma pieno di effetti avversi gravi e letali, non lo fanno per la
nostra salute, ma per modificare il nostro Dna e renderci malati cronici, con
un sistema immunitario definitivamente compromesso e una speranza di vita
inferiore alla media dei sani.
E per
inserire nei nostri organi – come abbiamo appreso dalla “denuncia recentemente
depositata dall’avvocato Carlo Alberto Brusa” – delle “nanostrutture auto assemblanti
al grafene”, in grado di renderci geo localizzabili, militari inclusi.
Non
aspettatevi mai la verità dai fautori del “Great Reset”.
Perché dove non c’è Cristo, non può esservi la
Verità, e sappiamo quanto essi provino odio per Nostro Signore.
Un
odio che non riescono a celare, che ostentano negli spettacoli di inaugurazione degli
eventi europei (pensiamo all’inaugurazione del traforo del San Gottardo, ai
Giochi Olimpici di Londra e, recentemente, all’inaugurazione dei Giochi del
Commonwealth a Birmingham), nelle “raccomandazioni” di non festeggiare il Natale e di non
usare nomi cristiani per i nostri figli.
Il loro odio emerge livido quando teorizzano l’aborto
come un “diritto umano”, nascondendone l’atrocità dietro l’ipocrita espressione
“salute riproduttiva”: perché è la vita che odiano, in cui vedono l’immagine e
la somiglianza di quel Dio che hanno perduto per sempre.
Questa
immagine e somiglianza, in realtà, è molto più profonda di quanto non si creda.
Essa consiste nella dimensione trinitaria
dell’uomo, con le sue facoltà che rimandano alle Tre Divine Persone:
la memoria (il Padre), l’intelligenza (il
Figlio), la volontà (lo Spirito Santo).
E come
nella Santissima Trinità lo Spirito è l’Amore che procede dal Padre e dal
Figlio, così nell’uomo la volontà è la facoltà che origina dalla memoria delle
cose passate e dalla comprensione di quelle presenti.
Non è un caso se, nel capovolgimento infernale del
mondo contemporaneo, l’uomo si trovi privato dei propri ricordi, della propria
storia e delle proprie tradizioni (pensiamo alla “cancel culture” e alle richieste di
“perdono” per azioni del nostro passato falsate o travisate), incapace di esprimere un giudizio
critico (pensiamo alla dissonanza cognitiva generata
dalla psico-pandemia) e di ordinare la propria volontà subordinandola
all’intelletto (pensiamo
alla incapacità di reagire dinanzi al male imposto o al bene di cui siamo
privati).
La
società moderna, con la sua” favola della democrazia”, ci ha insegnato a pensare che
possiamo anche essere cattolici, magari anche tradizionalisti, a patto di non mettere in discussione
che pari diritto vada riconosciuto a chiunque altro.
Bisogna rispettare le idee altrui, ci dicono.
Ma nel
mondo metafisico, nell’eternità di Dio, questa battaglia tra Bene e Male non
ha nulla di laico né di ecumenico:
è reale, come reali sono gli eserciti
schierati, quello della “Civitas Dei “e quello della” civitas diaboli”.
Gli Angeli del paradiso e gli spiriti apostatici
dell’inferno non sanno che farsene dei buonismi conciliari:
combattono una battaglia in cui strappare
all’avversario quante più anime possibile.
I
Santi che intercedono per noi non hanno letto “Fratelli tutti”, e la bilancia di San Michele non è
tarata sulla morale della situazione di qualche gesuita eretico o sui
contorsionismi pastorali del sentiero sinodale.
Smettiamola
di essere” politicamente corretti”, sempre presi dal timore che le nostre
convinzioni possano oltraggiare le sensibili coscienze di chi non esita a fare
a pezzi una creatura indifesa nel ventre materno o a soffocare nel sonno
l’anziano e il malato.
Siamo
stati troppo spesso silenziosi dinanzi a cose che non dovrebbero essere nemmeno
menzionate, dalla normalizzazione dei vizi alle più degradanti trasgressioni.
Eppure
come Cattolici dovremmo sapere che Dio è vivo e vero a dispetto degli atei, e
che Cristo ha i titoli di sovranità su di noi in quanto nostro Creatore e
Redentore a dispetto dei liberali (Liberal USA!).
Se non
siamo persuasi di queste realtà, non possiamo comprendere nemmeno l’azione del
nemico, che di questa realtà è perfettamente consapevole.
Se non siamo persuasi di queste realtà, non
daremo alcun esempio credibile a chi dalle nostre parole e dalle nostre azioni
potrebbe essere reso docile alla Grazia, aprendo gli occhi.
È
difficile credere a chi per primo non ama ciò che professa, così com’è
difficile prestare fede ai modernisti, che con il loro comportamento privo di
carità sconfessano tutti i loro verbosi vaniloqui.
E a chi ci chiede di mangiare cavallette e
scarafaggi per salvare il pianeta, mentre non rinuncia ai pregiatissimi tagli
di manzo di Kobe, o di rinunciare all’auto diesel, mentre per spostarsi usa il
jet privato.
Dobbiamo
ritrovare quella dimensione di realismo e di oggettività, di consapevolezza del
combattimento spirituale, che passo dopo passo ci hanno portato a perdere, o di
cui ci hanno insegnato a vergognarci.
Siamo “milites
Christi”, chiamati a combattere un nemico che vorrebbe colpirci alle spalle o
farci disertare vilmente, perché sa che quando ci combatte in campo aperto,
dietro di noi trova la Vergine Immacolata, “terribilis ut castrorum acies
ordinata.”
Quella Madre che il Nemico odia in tutte le
madri della terra, quella Sposa dell’Agnello che vilipende nell’attaccare la
santità del Matrimonio e delle virtù domestiche, quella “Donna che umilia” sfigurando la femminilità o facendone
l’oscena parodia.
La
dottrina globalista è essenzialmente satanica, perché è la diretta e più
coerente applicazione sociale e globale della ribellione di Satana.
Vi
troviamo quella “hybris”, quella sfida al Cielo che la civiltà classica –
ancora pagana ma già preordinata all’avvento del messaggio di Cristo nella
pienezza dei tempi – aveva saggiamente stigmatizzato e che ci riporta alla
ribellione di Lucifero.
La “hybris”,
l’orgoglio folle di chi si crede come Dio e Gli usurpa gli attributi divini,
porta oggi la scienza a rinnegare la propria vocazione al servizio del bene per
trasformarla in serva del Nuovo Ordine, per compiere con il progresso
tecnologico ciò che in passato era impensabile:
cancellare
la separazione tra l’uomo e la macchina, tra la sua mente e l’intelligenza
artificiale.
Non ci
deve quindi stupire se il “transumanesimo” è uno dei punti irrinunciabili dell’”Agenda
2030”.
Dietro questo folle progetto di porre mano
al Creato e osare addirittura manomettere il santuario della coscienza in cui
solo Dio scende con la Grazia, dietro questo disegno di violare l’essere umano
per “renderlo più efficiente” vi è, ancora una volta, un errore dottrinale, una menzogna opposta alla Verità di
Dio.
Creare
un essere immortale – come vorrebbero alcuni – è la riproposizione tecnologica
di un delirio infernale, alla base del quale c’è la presunzione di poter
cancellare le conseguenze sull’uomo del Peccato Originale, riportandolo allo stato di
perfezione in cui si trovava prima di cedere alla tentazione del Serpente.
Dove il peccato di Adamo ha portato la morte e la
malattia, l’inganno del transumanesimo promette l’immortalità e la salute;
dove
ha portato l’indebolimento dell’intelletto e l’inclinazione al male della
volontà, la frode dell’uomo-macchina promette l’accesso alla conoscenza e la
possibilità di essere legge a sé stessi.
Dove ha condotto alla fatica del lavoro, alla guerra e
alle pestilenze, la “distopia globalista” promette il reddito universale, la
pace e la prevenzione di tutte le malattie.
Ma la
morte, la malattia, l’indebolimento dell’intelletto e l’inclinazione al male
della volontà, la fatica del lavoro, la guerra e le pestilenze sono la giusta
pena per l’infinita offesa che l’umanità intera, nei suoi Progenitori, ha
arrecato alla Maestà di Dio disobbedendo a Lui.
Chi si illude che non vi siano conseguenze a quella
disobbedienza, è perché non vuole né accettare di essere figlio dell’ira, né
riconoscere l’opera della Redenzione di Gesù Cristo, venuto in terra” propter
nos homines et propter nostram salutem” e morto sulla Croce per riscattarci dal
giogo di Satana.
Qui
sta la vera prospettiva teologica, dalla quale considerare la crisi della
società e della Chiesa.
Il
delirio del transumanesimo non mira a rendere più veloce la corsa dell’atleta o
più acuta la mira del soldato, ma a corrompere l’uomo nel corpo, dopo averlo
colpito nell’anima.
Satana
non si rassegna alla sconfitta, tanto più tremenda quanto maggiormente in essa
è apparsa l’obbedienza di Nostro Signore nei confronti del Padre Eterno, in
opposizione all’orgoglio del “Non serviam” luciferino.
E se Dio, attraverso i sentieri della Grazia,
riesce a toccare le anime e ricondurle a Sé restituendole alla vita eterna,
Satana si accanisce oggi anche sui corpi, per contaminare l’opera del Creatore
e sfigurare la creatura.
Infatti, la sua opera devastatrice si estende anche
agli animali e alle piante, con risultati abominevoli che mai potranno
competere con la magnificenza di Dio.
Questa
è l’agenda del conflitto tra Bene e Male, che dalla creazione di Adamo
comprende anche gli esseri umani, che scelgono comunque uno schieramento, anche
quando scelgono di non scegliere.
Perché la neutralità è già un’alleanza con chi
merita la sconfitta.
Sappiamo
quanto sia potente il nemico del Nuovo Ordine Mondiale, e quale sia la sua
organizzazione.
Conosciamo anche ciò che lo muove, e quel che
vuole ottenere.
Ma
proprio per questo sappiamo che le sue vittorie sono solo apparenti e destinate
al fallimento;
e che
il nostro dovere, in questa guerra già vinta da Cristo sulla Croce, è di
schierarci e di combattere, anzitutto aprendo gli occhi sulle menzogne che ci
propina l’informazione mainstream.
Comprendere
che vi possono essere persone cattive, votate al male, che deliberatamente
scelgono di schierarsi con Lucifero contro Dio è il primo passo da compiere per
chi vuole opporre resistenza al golpe bianco in atto.
Queste
persone costituiscono, in un qualche modo, il “corpo mistico” di Satana, e come
tali agiscono per propagare il male nel mondo e cancellare il nome di Cristo:
esattamente come il Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, agisce nella
Comunione dei Santi per propagare la Grazia.
Di
nuovo, civitas diaboli e Civitas Dei.
Se
pensiamo che l’emergenza pandemica sia stata gestita da incompetenti e non da
cinici sterminatori, siamo completamente fuori strada.
Così
come siamo fuori strada se crediamo che i nostri governanti non siano asserviti
a questa élite di criminali, usurai ed eversori, dopo aver fatto carriera
grazie a loro.
Vi fu
un’epoca in cui era normale che in un regno cristiano i sudditi vivessero nel
rispetto dei Comandamenti, che vi fossero proibiti l’aborto, il divorzio, la
sodomia, l’usura.
Quel
mondo, grazie all’opera lenta e paziente dei cospiratori, è stato sostituito da
questo, che ancora non è completamente loro, in cui regnano poteri che non
traggono la propria legittimazione né da Dio, né dal popolo.
E questi poteri impediscono tutto ciò che
prima era incoraggiato e premiato, e incoraggiano quel che era proibito e
punito.
Se
nella Civitas Dei regna Cristo, chi regna nella civitas diaboli, se non
l’Anticristo?
Così,
se nella bene ordinata repubblica il vero, il bene e il bello sono espressione
teologica, per così dire, delle perfezioni di Dio;
nella
repubblica globalista il falso, il male e il brutto ne saranno la più
inequivocabile manifestazione.
Al
punto da dover diventare norma generale, legge dello Stato, precetto morale cui
conformarsi.
Anche
in questo caso, se ci fate caso, si ripropone un altro inganno:
quello secondo cui la tirannide dei sovrani e
del clero, giustificata dalla superstizione papista, sarebbe stata definitivamente
cancellata dalla società rivoluzionaria, per sostituirvi il governo del popolo
sotto gli auspici della dea Ragione.
Oggi vediamo quanto siano ben più tirannici il
“Leviatano globalista” e il “sinedrio bergogliano”, accomunati dall’aver
rinnegato e tradito il proprio ruolo di governanti dello Stato e pastori della
Chiesa.
Cari
amici, il vostro compito – come quello che in tante altre nazioni stanno
compiendo molte persone di buona volontà – è un compito sacro e importantissimo.
È il compito di ricostruire, di restaurare, di
edificare.
Esattamente l’opposto di quanto sanno fare i seguaci
della civitas diaboli, capaci solo di distruggere, di demolire, di accumulare
macerie.
E per ricostruire, occorre ripartire dalle
fondamenta, che sono le basi dell’edificio sociale, ponendo Cristo come pietra
angolare, come chiave di volta.
Ricordatevi
che questa generazione perversa e corrotta non ha futuro:
essa è
vittima della propria cecità, della propria sterilità, della propria incapacità
di generare.
Perché
dare la vita è opera divina, e questo vale tanto per la vita del corpo quanto
per quella dell’anima;
mentre
il demonio
è solo capace di dare la morte, e con essa la sorda disperazione dell’anima strappata al
suo fine ultimo e supremo che è Dio.
Il
Nuovo Ordine Mondiale non prevarrà, siatene certi.
Non prevarrà la sua furia devastatrice che
vorrebbe ridurre la popolazione mondiale a mezzo miliardo di esseri umani.
Non
prevarrà il suo odio per la vita nascente e per quella che va spegnendosi.
Non
prevarrà il suo piano di tirannide, perché è proprio nella privazione del Bene
che ci accorgiamo di ciò che ci è stato sottratto e troviamo la determinazione
e la forza di combattere e resistere.
Non prevarrà nemmeno l’apostasia che affligge la
Gerarchia cattolica, resasi serva del mondo:
i
seminatori di discordia e di errori che infestano le nostre chiese si
estingueranno inesorabilmente, lasciando vuote quelle cattedrali e quelle
chiese, deserti quei conventi e quei seminari che hanno occupato settant’anni
fa con la falsa promessa della primavera conciliare.
Perché dietro tutto ciò c’è sempre la frode e
il dolo del Mentitore.
Cari
amici,
Sono
molto felice per l’opportunità che mi è stata offerta di partecipare a questa
edizione della vostra Università d’Estate.
È per
me un grande onore poter porgere i miei più cordiali saluti ai militanti di
Civitas, a cominciare dal vostro Presidente Alain Escada, dal Segretario
Generale Léon-Pierre Durin, dal vostro caro Cappellano, Padre Joseph e i
Cappuccini della Resistenza.
Nel
suo combattimento per la restaurazione del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù
Cristo e contro l’oligarchia massonica e la setta di Davos, Civitas si trova –
come Davide contro Golia – al centro della lotta dell’Alleanza Anti-Globalista
che ho lanciato sotto i migliori auspici.
Non
posso che rallegrarmi di sapere che anche Svizzera, Belgio, Italia, Canada,
Spagna hanno ora fondato, sull’esempio della Francia, delle sedi sul loro
territorio; credo sia altamente auspicabile che la stessa iniziativa si
diffonda ovunque.
È tempo che i Cattolici di tutto il mondo si
uniscano in un fronte unito contro la tirannia globalista.
La
casa costruita sulla Roccia è la Chiesa cattolica e la Civiltà cristiana.
È anche la Francia battezzata a Reims da san
Remigio, fondata sull’alleanza di Trono e Altare nel giorno dell’Incoronazione
di Clodoveo, Re dei Franchi.
Non ci
può essere rimedio ai mali del nostro tempo se non nel Regno Sociale di Nostro
Signore Gesù Cristo, in una società riconciliata con Dio che Lo onori e che
professi pubblicamente la Fede Cattolica ricevuta dagli Apostoli e fedelmente
trasmessa dalla Santa Chiesa nel corso dei secoli.
Questa
è la vera controrivoluzione.
Cari
amici, tenete nel cuore e nella mente l’esempio dei Martiri per preservare la
Cristianità e promuovere il Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo;
di questi Martiri che hanno fecondato con il
loro sangue il futuro della Chiesa, della società e dei popoli!
Non
può esserci società giusta e prospera se non là dove regna Cristo Re e Principe
della Pace.
Perché
la pace di Cristo può esistere solo nel Regno di Cristo: Pax Christi in regno Christi.
(…)
La
situazione attuale, tanto a livello delle varie Nazioni quanto sulla scena
internazionale, è molto complessa, oscura e difficile da decifrare.
Sappiamo solo che dobbiamo prepararci
interiormente agli eventi che ci aspettano e implorare il Cielo per un
intervento di Dio.
Solo
una cosa è certa: è impossibile risolvere con mezzi umani la crisi civile ed
ecclesiale in cui stiamo sprofondando.
L’uomo deve prima inginocchiarsi davanti al suo Dio e
al suo Re, Nostro Signore Gesù Cristo.
Nazioni
e Popoli devono riconoscere la sua Signoria, e la Chiesa per prima deve restituire
al Re la Corona che gli usurpatori gli hanno tolto.
Rimettiamo dunque Cristo al centro dei nostri
cuori e al centro di tutto, Lui che è l’Alfa e l’Omega.
Cerchiamo prima il Regno e la sua giustizia, e
anche il resto ci sarà dato in sovrappiù.
LA
RELIGIONE DI STATO.
Ilnuovoargentario.it
– Redazione – (18-2-2023) – ci dice:
Alcune
osservazioni sul “culto globalista”.
“Inoltre obbligò
tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi,
a farsi mettere un
marchio sulla mano destra o sulla fronte.
Nessuno poteva
comprare o vendere se non portava il marchio,
cioè il nome della bestia o il numero che
corrisponde al suo nome.”
(Ap 13, 16-17)
In un interessante intervento su “Fox News” dal titolo
“La chiesa
dell’ambientalismo “, il giornalista “Tucker Carlson” ha messo in evidenza una
contraddizione che a molti può essere sfuggita ma che ritengo estremamente
rivelatrice.
“Carlson
ricorda” che la Costituzione Americana vieta la religione di Stato, ma da
qualche tempo “i governi Dem” hanno imposto al popolo americano il “culto
globalista”, con la sua “agenda green”, i suoi “dogmi woke”, le sue condanne
con la “cancel culture”, i suoi sacerdoti dell’”OMS”, i “profeti del WEF”.
Una
religione a tutti gli effetti, totalizzante non solo per la vita dei singoli che la
praticano, ma anche nella vita nella della Nazione che pubblicamente la
confessa, vi adegua le leggi e le sentenze, vi ispira l’istruzione e ogni
azione di governo.
In
nome della religione globalista i suoi adepti pretendono che tutti i cittadini si
comportino conformemente alla morale del “Nuovo Ordine Mondiale”, accettando
acriticamente – e con atteggiamento di devota sottomissione all’autorità
religiosa –
la
dottrina definita ex cathedra dal sinedrio di Davos.
Ai
cittadini non è richiesta condivisione delle motivazioni che giustificano le
politiche sanitarie, economiche o sociali imposte dai governi, ma un assenso
cieco e irrazionale, che va ben oltre la fede.
Per
questo non è ammesso contestare la psico pandemia, criticare la gestione della
campagna vaccinale, argomentare l’infondatezza degli allarmi sul clima, opporre
l’evidenza della provocazione della NATO alla Federazione Russa con la crisi
ucraina, chiedere indagini sul laptop di Hunter Biden o sulla frode elettorale
che ha impedito al Presidente Trump di rimanere alla Casa Bianca, o rifiutarsi di veder corrompere i
bambini con le oscenità LGBTQ.
Dopo
tre anni di follie incomprensibili a una mente razionale ma ampiamente
giustificabili in un’ottica di cieco fideismo, la proposta formulata da una
clinica americana di chiedere ai pazienti di rinunciare a parte dell’anestesia
per ridurre la propria traccia di anidride carbonica e “salvare il
Pianeta” non andrebbe dunque letta come
un grottesco pretesto per ridurre le spese ospedaliere a danno dei pazienti, ma
come un atto religioso, come una penitenza da accettare di buon grado, come un
atto eticamente meritorio.
L’indole
penitenziale è indispensabile in questa operazione di conversione forzata delle
masse, perché essa controbilancia l’assurdità dell’azione con il premio di un
bene promesso:
indossando
la mascherina (che non serve a nulla) il fedele-cittadino ha compiuto il
proprio gesto di sottomissione, si è “offerto” alla divinità (lo Stato? la collettività?);
una
sottomissione confermata con l’atto altrettanto pubblico della vaccinazione,
che ha rappresentato una sorta di “battesimo” nella fede globalista, la
iniziazione al culto.
I gran
sacerdoti di questa religione giungono a teorizzare il sacrificio umano con
l’aborto e l’eutanasia:
un sacrificio richiesto dal bene comune, per
non sovrappopolare il pianeta, per non gravare sulla Sanità pubblica, per non
essere di peso alla previdenza sociale.
Anche
le mutilazioni cui si sottopongono quanti professano la dottrina gender e la
privazione delle facoltà riproduttive indotte dall’”omo sessualismo” non sono
altro che forme di sacrificio e di immolazione di sé, del proprio corpo, della
propria salute, fino alla vita stessa (assumendo ad esempio una terapia
genica sperimentale dimostrata pericolosa e spesso mortale).
L’adesione
al globalismo non è facoltativa:
esso è religione di Stato, e lo Stato
“tollera” i non praticanti nella misura in cui la loro presenza non impedisce
alla società di esercitare questo culto.
Anzi,
nella sua presunzione di essere legittimato da principi “etici” a imporre ai
cittadini ciò che rappresenta un “bene” superiore incontestabile, lo Stato
obbliga anche i dissenzienti a compiere gli atti basilari della “morale
globalista”, punendoli se non si conformano ai suoi precetti.
Mangiare
insetti e non carne, iniettarsi farmaci invece di praticare una vita sana;
usare l’elettricità al posto della benzina;
rinunciare
alla proprietà privata, alla libertà di movimento; subire controlli e
limitazioni dei diritti fondamentali;
accettare
le peggiori deviazioni morali e sessuali in nome della libertà;
rinunciare
alla famiglia per vivere isolati, senza ereditare nulla dal passato e senza
trasmettere nulla ai posteri;
cancellare la propria identità in nome del “politically
correct”; rinnegare la Fede cristiana per abbracciare la superstizione woke;
condizionare
il proprio lavoro e la propria sussistenza al rispetto di regole assurde sono
tutti elementi destinati a diventare parte della vita quotidiana del singolo,
una vita impostata su un modello ideologico che, a ben vedere, nessuno vuole e
nessuno ha chiesto e che giustifica la propria esistenza solo con lo spauracchio
di un’apocalisse ecologica indimostrata e indimostrabile.
Ciò
viola non solo la tanto decantata libertà di religione su cui questa società si
fonda, ma vuole condurci per gradi, inesorabilmente, a rendere questo culto
come esclusivo, come l’unico ammesso.
La
“chiesa dell’ambientalismo” si definisce inclusiva ma non tollera il dissenso e
non accetta di confrontarsi dialetticamente con chi ne mette in discussione i
dettami.
Chi non accetta l’”anti vangelo di Davos” è ipso facto
eretico e va pertanto punito, scomunicato, separato dal corpo sociale,
considerato nemico pubblico;
va
rieducato a forza, sia con un martellamento incessante dei media, sia tramite
l’imposizione di uno stigma sociale e di vere e proprie forme estorsive del
consenso, ad iniziare da quello “informato” per sottoporsi contro la propria
volontà all’obbligo vaccinale e continuando nella follia delle cosiddette
“città di 15 minuti”, peraltro dettagliatamente anticipate nei punti
programmatici dell’Agenda 2030 (che sono in definitiva canoni dogmatici al contrario).
Il
problema di questo inquietante fenomeno di superstizione di massa è che questa
religione di Stato non è stata imposta de facto solo negli Stati Uniti
d’America, ma si è diffusa in tutte le Nazioni del mondo occidentale, i cui
leader sono stati convertiti al verbo globalista dal grande apostolo del “Great
Reset”, Klaus Schwab, autoproclamatosi “papa” e pertanto investito di un’autorità
infallibile e incontestabile.
E come
nell’Annuario Pontificio possiamo leggere l’elenco dei Cardinali, dei Vescovi e
dei Prelati della Curia Romana e delle Diocesi diffuse nel mondo, così sul sito
del “World Economic Forum” troviamo la lista dei “prelati” del globalismo, da
Justin Trudeau a Emmanuel Macron, scoprendo che appartengono a questa “chiesa”
non solo i Presidenti e i Primi Ministri di molti Stati, ma anche numerosi
funzionari, capi di enti internazionali e delle maggiori multinazionali, dei
media.
A
costoro vanno aggiunti anche i “predicatori” e i “missionari” che operano per
la diffusione della fede globalista: attori, cantanti, influencer, sportivi,
intellettuali, medici, insegnanti.
Una
rete potentissima, organizzatissima, diffusa capillarmente non solo ai vertici
delle istituzioni, ma anche nelle università e nei tribunali, nelle aziende e
negli ospedali, negli organismi periferici e nei municipi locali, nelle
associazioni culturali e sportive, sicché risulta impossibile sfuggire
all’indottrinamento anche in una scuola primaria di provincia o in una piccola
comunità rurale.
Sconcerta
– me ne darete atto – che nel numero dei convertiti alla religione universale
si possano contare anche esponenti delle religioni mondiali, e tra costoro
addirittura “Jorge Mario Bergoglio” – che pure i Cattolici considerano capo
della Chiesa di Roma – con tutto il codazzo di ecclesiastici a lui fedeli.
L’apostasia
della Gerarchia cattolica è giunta a rendere culto all’idolo della Pachamama,
la “madre Terra”, personificazione demoniaca del globalismo “amazzonico”,
ecumenico, inclusivo e sostenibile.
Ma non
fu proprio John Podestà a caldeggiare l’avvento di una “primavera della Chiesa”
che ne sostituisse la dottrina con” un vago sentimentalismo ambientalista”,
trovando pronta esecuzione ai suoi auspici nell’azione coordinata che portò
alle dimissioni di Benedetto XVI e all’elezione di Bergoglio?
Ciò a
cui assistiamo non è altro che l’applicazione all’inverso del procedimento che
ha condotto alla diffusione del Cristianesimo nell’Impero Romano e poi in tutto
il mondo, una sorta di rivincita della barbarie e del paganesimo sulla Fede di
Cristo.
Quanto
cercò di fare Giuliano l’Apostata nel quarto secolo, ossia di ripristinare il
culto degli dei pagani, oggi viene perseguito con zelo da nuovi apostati, tutti
accomunati da un “sacro furore” che li rende tanto pericolosi quanto più sono convinti
di poter riuscire nei loro intenti in ragione dei mezzi sterminati di cui
dispongono.
In
realtà questa religione non è altro che una declinazione moderna del “culto di
Lucifero”:
la
recente performance satanica ai “Grammy Awards” sponsorizzata da” Pfizer” è
solo l’ultima conferma di un’adesione a un mondo infernale che sinora era stata
taciuta perché considerata ancora inconfessabile.
Non è
un mistero che gli ideologi del pensiero globalista sono tutti indistintamente
anticristiani e anticlericali, significativamente ostili alla Morale cristiana,
ostentatamente avversi alla civiltà e alla cultura che il Vangelo ha plasmato
in duemila anni di Storia.
Non
solo:
l’odio inestinguibile verso la vita e verso
tutto ciò che è opera del Creatore – dall’uomo alla natura – rivela il
tentativo (quasi
riuscito, ancorché delirante) di manomettere l’ordine del Creato, di modificare piante e
animali, di mutare lo stesso DNA umano tramite interventi di bioingegneria, di
privare l’uomo della sua individualità e del suo libero arbitrio rendendolo
controllabile e addirittura manovrabile tramite il transumanesimo.
In
fondo a tutto questo, vi è l’odio di Dio e l’invidia per la sorte
soprannaturale che Egli ha riservato agli uomini redimendoli dal peccato con il
Sacrificio della Croce del Suo Figlio.
Questo
odio satanico si esprime nella determinazione a rendere impossibile ai Cristiani di
praticare la propria religione, di vederne rispettati i principi, di poter
portare il proprio contributo nella società e, in definitiva, nella volontà di
indurli a compiere il male, o quantomeno di far sì che essi non possano
compiere il bene, né tantomeno diffonderlo;
e se
lo compiono, di stravolgerne le motivazioni originali (amore di Dio e del prossimo) pervertendole con” pietose finalità
filantropiche o ambientaliste”.
Tutti
i precetti della religione globalista sono una versione contraffatta dei Dieci
Comandamenti, una loro grottesca inversione, un osceno capovolgimento.
In pratica, costoro usano gli stessi mezzi che
la Chiesa ha usato per l’evangelizzazione, però con lo scopo di dannare le
anime e sottometterle non alla Legge di Dio, ma alla tirannide del demonio,
sotto il controllo inquisitoriale dell’anti chiesa di Satana.
In quest’ottica si inserisce anche la segnalazione dei
gruppi di fedeli Cattolici tradizionali da parte dei servizi segreti americani,
confermando che l’inimicizia tra la stirpe della Donna e quella del serpente
(Gen 3, 15) è una realtà teologica in cui credono anzitutto i nemici di Dio, e che uno dei segni della fine dei
tempi è proprio l’abolizione del Santo Sacrificio e la presenza
dell’abominazione della desolazione nel tempio (Dn 9, 27).
I
tentativi di sopprimere o limitare la Messa tradizionale accomunano “deep
church” e “deep state”, rivelando la matrice essenzialmente luciferina di
entrambe:
perché entrambe sanno benissimo quali siano le
Grazie infinite che si riversano sulla Chiesa e sul mondo con quella Messa, e
le vogliono impedire perché non intralcino i loro piani.
Ce lo
dimostrano essi stessi: la nostra battaglia non è soltanto contro creature di carne
e sangue (Ef
6, 12).
L’osservazione
di Tucker Carlson evidenzia l’inganno a cui siamo quotidianamente sottoposti
dai nostri governanti:
l’imposizione teorica della laicità dello Stato è
servita a eliminare la presenza del vero Dio dalle istituzioni, mentre
l’imposizione pratica della religione globalista serve per introdurre Satana
nelle istituzioni, con lo scopo di instaurare quel distopico Nuovo Ordine
Mondiale in cui l’Anticristo pretenderà di essere adorato come un dio, nel suo
folle delirio di sostituirsi a Nostro Signore.
I “moniti
del Libro dell’Apocalisse” prendono sempre maggior concretezza, quanto più
prosegue il
piano di sottoporre tutti gli uomini ad un controllo che impedisca qualsiasi
possibilità di disobbedienza e di resistenza:
solo ora comprendiamo cosa significhi non
poter comprare né vendere senza il “green pass”, che altro non è se la versione
tecnologica del marchio con il numero della Bestia (Ap 13, 17).
Ma se
non tutti sono ancora pronti a riconoscere l’errore di aver abbandonato Cristo
in nome di una libertà corrotta e ingannevole che nascondeva inconfessabili
intenti, ritengo che oggi molti siano pronti – psicologicamente ancor prima che
razionalmente – a
prendere atto del colpo di stato con il quale una lobby di pericolosi fanatici sta
riuscendo a prendere il potere negli Stati Uniti e nel mondo, determinata a compiere qualsiasi
gesto, anche il più sconsiderato, pur di mantenerlo.
Per
uno scherzo della Provvidenza, la laicità dello Stato – che di per sé offende
Dio in quanto Gli nega il culto pubblico cui Egli ha sovrano diritto – potrebbe
essere l’argomento con cui porre fine al progetto eversivo del “Great Reset”.
Se gli
Americani – e con loro i popoli di tutto il mondo – sapranno ribellarsi a
questa conversione forzata, pretendendo che i rappresentanti dei cittadini
rispondano del proprio operato ai titolari della sovranità nazionale e non ai
capi del sinedrio globalista, sarà forse possibile porre un freno a questa
corsa verso l’abisso.
Ma per farlo occorre la consapevolezza che questa sarà
solo una prima fase nel processo di liberazione da questa lobby infernale, al
quale dovrà seguire la riappropriazione di quei principi morali propri al
Cristianesimo che costituiscono le basi della civiltà occidentale e la più
efficace difesa contro la barbarie del neopaganesimo.
Da
troppo tempo i cittadini e i fedeli subiscono passivamente le decisioni dei
loro leader politici e religiosi, dinanzi all’evidenza del loro tradimento.
Il rispetto dell’Autorità si basa sul
riconoscimento di un fatto “teologico”, ossia della Signoria di Gesù Cristo sui
singoli, sulle Nazioni e sulla Chiesa.
Se coloro che rivestono l’autorità nello Stato
e nella Chiesa agiscono contro i cittadini e contro i fedeli, il loro potere è
usurpato, e la loro autorità nulla.
Non
dimentichiamo che i governanti non sono i proprietari dello Stato e i padroni dei cittadini, esattamente come il Papa e i
Vescovi non sono i proprietari della Chiesa e i padroni dei fedeli.
Se
essi non vogliono essere per noi come padri; se non vogliono il nostro bene e
anzi fanno di tutto per corromperci nel corpo e nello spirito, è ora di
scacciarli dai posti che ricoprono e di chiamarli a rispondere del loro
tradimento, dei loro crimini, delle loro scandalose menzogne.
(Carlo
Maria Viganò, Arcivescovo)
Riconoscere
l’ecologismo
di
estrema destra.
Eastjournal.net
– (27 ottobre 2022) – Lorenzo Marinone – ci dice:
Che
cos’è l’ecologismo di estrema destra?
Qual è
il suo perimetro ideologico?
Come
fa a penetrare in modo così sottile ed efficace il discorso pubblico?
Una
discussione con “Balša Lubarda” dell’”università di Berkeley”, a partire da
un’oscena analogia usata dal capo della diplomazia “Ue” “Borrell”.
“Sì,
l’Europa è un giardino. Abbiamo costruito un giardino. Funziona tutto”.
Ma c’è qualcosa che minaccia questo paradiso
in Terra:
“La
maggior parte del resto del mondo è una giungla, e la giungla potrebbe invadere
il giardino”.
Quindi “i giardinieri devono andare nella giungla”
perché pur con tutta la libertà politica, la prosperità economica e la coesione
sociale del nostro sistema, noi europei “non possiamo pretendere di
sopravvivere come un’eccezione”.
Non
sono parole di un governatore dell’India britannica, non le ha vergate la penna
di Kipling in un romanzo di sapore vittoriano.
Non è
nemmeno un passaggio un po’ delirante del manifesto di qualche suprematista
bianco convinto del complotto della Grande Sostituzione.
Potrebbe
essere tutte e tre queste cose.
Invece
è il messaggio che l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep
Borrell, ha consegnato agli aspiranti diplomatici al “Collegio d’Europa” di
Bruges il 13 ottobre (del 2022).
Un
intero discorso sulle priorità della diplomazia europea incentrato su
un’analogia forzata ma non inedita.
In cui
il sapore coloniale pervade una retorica che ha molti, significativi punti di
contatto con quella dell’estrema destra contemporanea.
Soprattutto per l’uso della sfera semantica
dell’ambiente e dei concetti che la strutturano.
Per
leggere tra le righe del discorso di Borrell e capire come mai una narrativa di
estrema destra appaia candidamente nell’intervento di uno dei maggiori
funzionari Ue, abbiamo raggiunto “Balša Lubarda, “Fulbright Visiting Scholar”
all’”università di Berkeley” ed esperto di ecologismo di estrema destra.
Ti ha
stupito che Borrell abbia usato il binomio giardino-giungla nel suo discorso?
In
realtà vi riecheggia qualcosa che è stato a lungo presente non solo nel
discorso dell’”Ue” in quanto tale, ma che è davvero parte del modo
convenzionale in cui le persone che occupano una posizione di potere commentano
e discutono ciò che accade nel mondo esterno.
Una
cosa che mi ha particolarmente colpito è stata l’eco di ‘Modernità e Olocausto’
di “Zygmunt Bauman,” in cui Bauman sosteneva sostanzialmente che la società
moderna è un giardino, e il ruolo del giardiniere è quello del governante che
pianifica e commette un genocidio.
Perché il giardino è bello e dev’essere
curato.
Ma il giardino ha anche le sue erbacce.
Quindi,
se si vuole aver cura del giardino bisogna sradicare le erbacce.
E
quali sono le erbacce nella società moderna?
Possono
essere patologie sociali, criminalità, o altro, ma anche povertà e gruppi
particolari di persone.
Sono
certo che Borrell non aveva queste intenzioni. Ma è proprio questo il punto: l’ecologia di estrema destra non è
solo un affare di estrema destra, non è più solo il modo in cui l’estrema
destra parla di ambiente.
Ci
puoi spiegare qual è il posto del concetto di ambiente nell’ideologia di
estrema destra?
Il
legame tra l’estrema destra e l’ambiente è vecchio come entrambi. Anche se
l’estrema destra in quanto tale esiste dai primi due decenni del XX secolo,
potremmo dire che questo eterno nazionalismo risale almeno al XIX secolo.
Lì
troviamo le radici di questo pensiero di estrema destra.
Questo
è un punto molto importante perché dimostra che l’estrema destra non cerca di
usare l’ambiente solo per scopi strategici.
Certo,
molto ha a che fare con la strategia politica, con la lotta contro la sinistra
e i Verdi.
Ma il legame ideologico risale al XIX secolo.
Pensiamo
a “Ernst Haeckel”, per esempio, e in particolare al “movimento völkisch tedesco”.
Haeckel
stesso propugnava una filosofia vitalista che collegava la cura dell’ambiente
naturale con la preoccupazione per la purezza.
Ed è proprio a questo che il discorso di
Borrell si riferiva in qualche modo: al bisogno di purezza.
L’Europa deve mantenere la sua purezza, c’è
l’idea di un giardino in qualche modo puro. E la giungla, ovviamente, non è
pura.
Perché
quello di Borrell non è un semplice scivolone o una svista, a tuo parere?
Il
discorso di Borrell fa leva su due elementi costitutivi dell’ecologismo di
estrema destra, organicismo e naturalismo.
L’organicismo
è uno degli elementi costitutivi dell’ecologismo di estrema destra come
ideologia.
È
l’idea che l’ambiente naturale e il mondo sociale siano parte di un unico
organismo.
Qualcosa
che è presente anche nel discorso politico dei Verdi, sotto forma di “dobbiamo
prenderci cura del sistema in quanto tale”.
Ad
esempio, se lasciamo che la deforestazione avvenga, questo avrà un effetto
sull’ecosistema più ampio, sostengono. Questa interconnessione con il discorso
dei Verdi è ovviamente presente.
Ma il
problema è che nel discorso di Borrell è implicita anche l’idea di naturalismo.
Il naturalismo – così come è stato attualizzato dall’ecologismo di estrema
destra – è l’idea che se vogliamo capire la società dobbiamo tornare alla
natura.
Dobbiamo
usare le leggi naturali per governare la società.
La
società dovrebbe essere governata in modo naturale, qualunque cosa ciò
comporti.
E
quando si usano metafore come quella del giardino, si rafforzano queste cornici
concettuali.
Con
quali conseguenze?
Questa
idea di natura è così facile da estendere e da interpretare in tanti modi
diversi che molto spesso offre spazio a idee fondamentalmente problematiche ed
escludenti.
Per
citare un esempio dalla mia ricerca, che si ricollega molto a quanto detto da
Borrell, è l’idea di estrema destra che gli immigrati inquinino l’ambiente.
Perché?
Perché non hanno le radici nel territorio. Non
sono legati all’ambiente. Sono nomadi.
Quindi, non essendo nati qui, non avendo
questo fondamentale attaccamento etnico alla terra, non se ne prenderanno cura
più di tanto.
Per questo motivo, per ragioni puramente
pragmatiche e per la salute dell’ecosistema, dovremmo impedire agli immigrati
di entrare.
Altrimenti
c’è l’invasione, altro concetto cruciale con cui l’estrema destra alimenta il
tema della sostituzione etnica.
L’invasione
è un esempio lampante di quanto siano radicate queste idee. L’ecologismo di
estrema destra si basa sull’idea di invasione.
C’è sempre qualcuno che invade.
Gli eco fascisti – la parte più estrema dello
spettro dell’ecologismo di estrema destra – pensano che siano gli esseri umani
a invadere lo spazio della natura e che per questo motivo debbano essere
eliminati da quello spazio, se necessario con la forza.
Questo
si può declinare come il contenimento della sovrappopolazione o l’uccisione di
persone in nome di obiettivi ambientali.
Ma può
anche avere un’espressione più blanda, come abbiamo visto nel caso degli
immigrati.
I parlamentari di estrema destra nei paesi Ue
accetterebbero l’affermazione che gli immigrati stanno invadendo lo spazio
ambientale europeo.
Uno
strumento versatile, questo tipo di pensiero ecologista.
L’ecologismo
di estrema destra è un ampio strumento ideologico che parla molto al
mainstream, qualunque sia il mainstream: che si parli di politica verde, di
ecologisti e di ecologisti di sinistra, di ecologia sociale, di
bioregionalismo, di ecologia profonda.
Ora,
il suo fulcro è l’organicismo.
Secondo
il punto di vista organicista, se una parte della nazione, diciamo la madre, i
giovani o altro, non viene curata adeguatamente (o andiamo dall’altra parte
dello spettro della modernità: se questo accade alla natura, al mare, ai
fiumi), l’intero sistema finirà per decadere.
Questa
era la sociologia mainstream del XIX secolo, anche se oggi può sembrare un
concetto marginale.
Il
lavoro di “Herbert Spencer” lo dimostra.
In
concreto, come fanno questi concetti di ambiente, ecologia a entrare nel
discorso pubblico?
Porto
un esempio di quanto sia facile per l’estrema destra diventare mainstream su
questi temi.
L’estrema destra ungherese ha lanciato una
campagna a livello nazionale in cui promuove una guerra ai “superfood”,
attraverso una serie di comunicazioni visive sulla propria pagina Facebook.
La
loro proposta è di sostituire o non importare questi superalimenti.
Se non
possiamo porre fine alle importazioni a causa degli accordi di libero scambio,
sostengono, dovremmo coltivare i nostri superalimenti nel nostro giardino.
Ora,
se si elimina l’estrema destra da questa storia, è un’idea che potrebbe essere
espressa da un’organizzazione ambientalista.
Qualsiasi
organizzazione ambientalista.
In
effetti, l’estrema destra ungherese stava riportando dei contenuti.
Non si
trattava solo della loro campagna, ma anche di contenuti di un’altra
organizzazione ambientalista che non aveva nulla a che fare con l’estrema
destra. Questi punti di contatto sono ciò che è effettivamente problematico.
Un
altro esempio: l’idea del ritorno alla terra.
I partiti di estrema destra e i Verdi
condividono la stessa posizione a favore dell’agricoltura su piccola scala, ma
per ragioni completamente diverse.
Per i Verdi si tratta di promuovere l’agricoltura
biologica e la permacultura.
Le
aziende agricole su piccola scala sono molto meglio per il suolo e
l’ecosistema, non sono come un tipo di agricoltura costosa, ecc.
Mentre
l’estrema destra utilizza lo stesso tipo di argomentazioni per suscitare la
nostalgia dei bei tempi andati, quando le nostre madri e le nostre nonne
preparavano il cibo in casa.
Vivere del proprio lavoro, l’idea dell’autarchia,
inclusa l’autosufficienza energetica, è un’idea rilanciata sempre più spesso,
soprattutto durante la guerra in Ucraina.
Sono
tutte idee che fanno parte del mainstream.
Ma l’estrema destra le inquadra in un modo
molto particolare, collegando a queste idee il sentimento etno nazionalista,
cioè il sangue e il suolo.
Queste
letture dell’ambiente e dell’ecologia possono penetrare nel discorso
mainstream.
Ma quanto sono davvero presenti? E che impatto
hanno?
Penso
che l’influenza effettiva dell’estrema destra sia relativamente bassa in
termini di politiche e di offerte in campo ambientale.
Non
dobbiamo ingigantire la cosa.
Non
dobbiamo temere che l’estrema destra si appropri in qualche modo del tema
ambientale e diventi la forza verde dominante in un sistema politico.
Il
problema, però, è che queste idee possono esistere indipendentemente
dall’estrema destra.
L’ecologismo
di estrema destra è un insieme di idee che esistono indipendentemente
dall’estrema destra.
Sì, si
chiama ecologismo di estrema destra perché dovrebbe essere collegato ad essa.
Prendiamo
ad esempio l’idea delle restrizioni ambientali, l’idea per cui dovremmo mettere
dei confini all’ambiente ed è la nostra comunità che dovrebbe prendersi cura di
questa terra. Questa
idea di eco-comunitarismo e di eco-localismo può essere piuttosto problematica,
perché se si estende questa logica al di là delle comunità indigene, allora è
per sua natura escludente.
Quando
parliamo di queste cose, dobbiamo pensare a cosa stiamo escludendo. Per tornare
al discorso di “Borrell”, che cosa stiamo escludendo con i nostri messaggi? Chi
è che il nostro discorso lascia fuori dai confini dell’accettabile o del
desiderato?
Fin
qui i temi legati all’ecologia.
Cosa accade, invece, con un tema come la “crisi
climatica” e il “climate change” di origine antropica, che l’estrema destra ha
tradizionalmente negato?
Una
tendenza recente riguardo all’estrema destra e al cambiamento climatico è che
negli ultimi due decenni è passata dal negazionismo – il cambiamento climatico
non sta accadendo, è una bufala, ecc. – a una forma più blanda di scetticismo o
addirittura di accettazione.
Perché
questo è importante?
Perché
nei prossimi anni sarà sempre più difficile distinguere la comunicazione
ambientale dell’estrema destra da quella degli altri movimenti e partiti.
Questo
fa parte del processo mainstreaming dell’estrema destra che è in corso.
Alluvione
Emilia Romagna:
Ennesimo
Disastro Doloso!
Conoscenzealconfine.it
– (24 Maggio 2023) – Redazione – ci dice:
La
chiusura della diga di Ridracoli serviva a spacciare la folle versione della “nuova
emergenza climatica”.
Lo “Stato
Profondo rosso sangue del PD”, in pieno accordo con “le direttive criminali
europee”, doveva
portare avanti la nuova narrativa del cambiamento climatico e della siccità, chiudendo la diga di Ridracoli che
era già piena a marzo, ma mai aperta per spacciare la loro folle versione della
nuova emergenza.
La
Cabala sarà pure diabolica, ma la cricca rossa fatta di sindaci, pubblica
amministrazione, funzionari di Regione e provincia, protezione civile e altri
agenti del male, come fecero con la finta pandemia attraverso i medici
vaccinatori, oggi si è attivata con questa ennesima manipolazione.
Continuo
ancora a chiedermi come abbiano potuto così tanti cittadini dargli il loro
consenso e il loro voto per decenni, ma soprattutto anche in questi ultimi anni.
È
stato l’ennesimo “omicidio di Stato” di cui l’Italia ha purtroppo il triste
primato.
Chissà
se il popolo dell’Emilia Romagna finalmente si sveglierà dopo questo disastro
doloso e capirà che queste persone, come disse qualcuno, sono lì solo per garantire e
aumentare il loro potere e il loro status economico.
(t.me/databaseitalia)
Alle
radici dell’ideologia ambientalista.
Ambientalismi.it
– (3 Ottobre 2020) -Domenico Palermo – ci dice:
Il
testo della mia relazione dal titolo “I precursori dell’ambientalismo fra
contestazione romantica e ricerca ideologica di un nuovo ordine”, tenuta venerdì 2 ottobre al “III
Forum Internazionale del Gran Sasso”, nella sessione n. 16 “La comprensione critica della
natura, funzione e senso del diritto per una società più giusta”.
L’argomento
può essere approfondito sul mio lavoro “I precursori dell’ambientalismo.
Storia e cultura del Movimento Giovanile Tedesco”.
Il
Novecento e le riflessioni sulla natura.
I
movimenti ambientalisti hanno portato all’attenzione pubblica mondiale le
problematiche scaturite dall’inquinamento industriale ed il conseguente
sfruttamento delle risorse naturali.
Si è
sviluppata a partire dai paesi occidentali, per diffondersi successivamente nel
resto del mondo, una consapevolezza della fragilità della natura rispetto
all’incedere della tecnologia e si è acceso il bisogno, soprattutto nelle
giovani generazioni, di provare a cambiare la società attraverso il rifiuto
delle istituzioni borghesi e la proposta di un nuovo ordine politico e sociale.
Ma la
fusione della tecnoscienza, del romanticismo e del nichilismo, ha permesso di
eludere ideologicamente la sfida che si erano posti in origine questi
movimenti: creare un rinnovato rapporto fra l’uomo e la natura.
Di
fronte a una cristallizzazione del dibattito ambientale, trasformatosi da un
possibile fecondo contributo culturale in uno sterile e complesso ragionamento
tecnico, è necessario dimostrare perché una visione ideologica non può condurci
alla custodia della nostra casa comune, la Terra.
Il
Movimento Giovanile Tedesco.
Ripercorreremo
brevemente, quindi, la storia di un movimento nato più di 120 anni fa, il
“Movimento Giovanile Tedesco”, da cui è possibile comprendere gli errori commessi
dai movimenti ambientalisti.
Analizzare la loro storia e la loro cultura
può rendere più chiaro come è stata costruita l’”ideologia ambientalista” e
come essa ha potuto conquistare la contemporaneità, senza mai condurre fuori
dalla crisi.
La
contestazione romantica del “Movimento Giovanile Tedesco”
Nel
1896 un semplice gruppo escursionistico di giovani di una classe di stenografia
diede origine ad un movimento con migliaia di aderenti in tutti i paesi di
lingua tedesca:
i
“Wandervögel”, che, nel primo decennio del XX secolo, riuscirono a diffondersi
in tutta la Germania ed anche fuori dai confini, attraverso una proposta di
vita semplice a contatto con la natura, senza alcun controllo da parte dei
genitori.
La
diffusione sul territorio nazionale avvenne attraverso il loro girovagare
festanti, cantando e ballando, nelle piazze dei paesi, invitando altri giovani
a partecipare alle loro attività.
La fotografia e, successivamente, le prime
videoriprese, furono lo strumento che rese questi giovani all’avanguardia nel
modo di comunicare il loro rifiuto dell’inquinamento industriale e della città.
Il
culmine di questo primo periodo fu l”’incontro sul monte Meissner” (che si erge
nella zona a sud-est di Kassel) nell’ottobre del 1913, dove i diversi gruppi di
Wandervögel provenienti da ogni parte della Germania si incontrarono per
festeggiare in maniera alternativa il centenario della battaglia delle nazioni
di Lipsia (16-19 ottobre 1813).
Erano
presenti sia ragazzi che ragazze, oltre ad un nutrito gruppo di adulti, alcuni
invitati a rivolgere un loro contributo ai giovani.
In questo grande incontro, che anticipò eventi
successivi come Woodstock, emerse un nuovo spirito che cominciava ad informare
il Movimento:
la sostituzione dei miti borghesi del successo
personale, della corsa al profitto ed al benessere materiale individuale con la
realizzazione di un “ritorno alla natura”.
La
ricerca di un nuovo ordine ideologico.
Ma la
realtà gli si presentò davanti nelle trincee, dove la loro idea di cambiare la Germania
grazie al coinvolgimento dei commilitoni durante la Grande Guerra, incontrò
l’indifferenza dei contadini e degli operai, che erano interessati a
sopravvivere e non a difendere la natura dallo sfruttamento della società
borghese.
Questa
esperienza negativa segnò tutta la storia del secondo periodo, quello “bündisch”.
Questi
giovani si ritrovarono soli e maturarono l’idea, una volta tornati sconfitti in
patria, che fosse giunta l’ora di trasformare l’ideale romantico in azione
politica in grado di costruire una nuova rivoluzione, quella conservatrice, che
iniziarono a combattere con i “Freikorps” e continuarono con il “rifiuto della
Repubblica di Weimar”.
Nacquero
quindi all’interno del Movimento nuovi gruppi naturalistici alternativi, alcuni
di ispirazione pagana con legami con esperienze esoteriche, come l’antroposofia
steineriana e la sua agricoltura biodinamica, e nuovi gruppi giovanili di
ispirazione cristiana.
Tra i gruppi religiosi, da menzionare per la
sua originalità, il cattolico “Quickborn”, guidato spiritualmente negli anni
Venti da “Romano Guardini”.
Il Movimento terminò la sua esperienza negli anni
Trenta ad opera del Nazionalsocialismo.
La
letteratura del “Movimento Giovanile Tedesco”.
Dopo
questa breve introduzione storica, sono importanti i riferimenti culturali del
Movimento, per capire perché l’ambientalismo è ideologico.
Tutti
affondano le proprie radici, consciamente o inconsciamente, nella letteratura
romantica, ricca di riferimenti ad eroi erranti, in cui il vagabondare è parte
della vita stessa dell’essere umano, che caratterizza le opere più lette e
discusse da questi giovani come il “Werther” di Goethe, l’“Iperione” di Hölderlin ed
il “Perdigiorno” di Eichendorff.
La
natura assume in questi autori la funzione di consolatrice dell’uomo moderno
che non si adatta ad una realtà progressista che ha stravolto i vecchi legami
sociali, sostituendoli con un produttivismo industriale esasperante.
Goethe,
Holderlin e Eichendorff rappresentano la base ideale su cui crebbe la cultura
all’interno del Movimento, modellata dalla lettura di Nietzsche, con il suo “Così
parlò Zarathustra”, e delle opere di “Hermann Hesse” con i suoi “Hermann
Lauscher”, “Peter Camenzind”, “Knulp”, “Demian”.
Zarathustra
divenne il profeta di questi giovani, perché fu il fustigatore della
società borghese e cristiana, ritenuta responsabile della sottomissione della
natura agli interessi umani.
L’oltre-uomo,
infatti, disprezzava la morale borghese e le sue strutture, come le metropoli,
ritenute luoghi di miseria, animate da una vita artificiale utile solamente per
il profitto dei mercanti.
“Hesse”
rappresentò con i suoi personaggi, quasi tutti vagabondi per amore della natura,
i sentimenti di questi ribelli erranti in una società che non li voleva
accettare.
“Hesse”
con le sue opere costruì nell’immaginario giovanile un nuovo rapporto mistico
con la natura, in grado di aprire ad una nuova religiosità naturale, tracciando
una nuova via per discernere il bene dal male, ribaltando i precetti della fede
cristiana, ritenuti parte della morale borghese.
Questa sua capacità di comunicare con i
giovani, ha trasformato” Hesse” nel ponte culturale fra il “Movimento Giovanile
Tedesco” ed i “movimenti giovanili statunitensi” degli anni” Sessanta” e “Settanta”
americani.
La
filosofia del Movimento Giovanile Tedesco.
Per
questo motivo, il Movimento Giovanile è da considerarsi, per la sua matrice
culturale, il frutto della filosofia romantica e del nichilismo.
A dimostrazione di questa affermazione, va
letto ed interpretato l’invito a parlare all’incontro del 1913 sul monte
Meissner del filosofo “Ludwig Klages”, l’ultimo romantico di Heidelberg, il
quale, impossibilitato a partecipare, inviò loro il suo saggio “L’uomo e la
terra”, con
il quale affrontò le tematiche fondamentali e pratiche di quella che oggi viene
definita la filosofia della “crisi ecologica”.
Le sue idee ambientaliste, originali e anticipatrici per
l’epoca, sono
state dimenticate dalla ricostruzione storica delle filosofie ambientali, ma
non dai verdi tedeschi, che ritengono il suo lavoro uno dei testi fondamentali
del loro partito.
Questi
giovani si formarono, oltre che con” Klages”, anche con le idee di “Oswald
Spengler”, “Rudolf Steiner” e “Romano Guardini”.
Spengler,
che non ebbe mai legami con il Movimento, riuscì con il suo Il Tramonto
dell’Occidente, edito nei primi anni del dopoguerra, a dare una sua visione
organicistica della storia, fortemente critica nei confronti della tecnologia,
e fornì a questi giovani gli strumenti per criticare la fede nel progresso e
nello sviluppo lineare ed infinito dei popoli, rendendoli consapevoli che il
rapporto centro-periferia era alla base della distruzione del legame dell’uomo
con la natura.
A questa visione nichilista, si affianca il pensiero antroposofico di Steiner, il quale proponeva di costruire una
società diversa, fondandola su un modo di vivere e produrre alternativo ed
esoterico, attraverso
l’agricoltura biodinamica, una pratica che anticipò l’agricoltura biologica.
Nello
stesso periodo, a queste visioni polari, si affianca il pensiero del teologo e
filosofo “Romano Guardini”, il quale nel suo lavoro “Lettere dal lago di Como”,
affrontò il tema del limite nella tecnica, limite considerato ormai un
traguardo da oltrepassare continuamente ai danni di tutta la terra e dei suoi
abitanti.
Guardini
comprese che la modernità non poteva essere rifiutata in quanto in atto, ma
doveva essere cambiata dal di dentro attraverso un atteggiamento che egli
definì “per opposti”.
In questo percorso di chiarificazione,
Guardini iniziò a ricomporre il rapporto fra uomo e creato al fine di contrastare
la deriva dello sviluppo senza limiti.
I
movimenti ambientalisti nel secondo dopoguerra.
I
legami culturali tracciati, lasciano trasparire un divenire ideologico che,
affondando le proprie radici nel romanticismo, è fortemente permeato dal
pensiero nietzschiano.
La
figura affascinante dell’oltre-uomo, conquistò questi giovani, come le sue
nefaste profezie sulla civiltà occidentale.
Ma la sua complessa costruzione arrivò a
questi giovani già elaborata e semplificata nelle opere di “Hermann Hesse”
La
fine della seconda guerra mondiale sembrava aver cancellato il pensiero di
Nietzsche dall’orizzonte culturale occidentale, considerato a fondamento del
totalitarismo del Terzo Reich.
Ma la ricostruzione in Europa ed il benessere
diffuso negli Stati Uniti, lasciarono rifiorire nei due continenti dei nuovi
movimenti giovanili in grado di ridare linfa vitale al pensiero romantico della
“idea di natura come un tutto sacro e intagibile”, riproponendo il confronto
polare fra neoromanticismo e nichilismo.
Il
pensiero romantico, però, era ormai solo un pallido riflesso di quello che
animava i giovani degli inizi del Novecento e la sintesi ebbe come esito che il
pessimismo e la ricerca di una conoscenza non più sottoposta alla morale e alla
religione, sfociassero nell’accettazione della vita in quanto tale.
In questo contesto, “Hermann Hesse” ebbe una
seconda vita letteraria negli Stati Uniti, ci fu una ripresa delle pratiche di
vita naturalistiche e crebbe l’influenza culturale, sugli animi sensibili alle
questioni ambientali, del pensiero antroposofico di Steiner.
Quello
che aleggiava su tutto il secolo precedente e che continua ad aleggiare nel
periodo attuale è lo spettro del pensiero di Nietzsche.
“Romano
Guardini” aveva ben compreso quale fosse la forza prorompente e seducente del
pensiero dell’intellettuale tedesco e la sua esperienza con il “Quickborn”
rappresenta proprio la possibile via per il presente:
nella tensione fra un romantico ritorno al
passato e la costruzione dell’uomo nuovo, in grado di creare un nuovo rapporto
con l’ambiente per mezzo di una fiducia fideistica nel progresso tecnologico,
c’è la ricerca della verità che passa attraverso la responsabilità dell’essere
umano e della necessità di promuovere lo sviluppo integrale dell’umanità.
Il “movimento
ambientalista”, però, è ancora lacerato al suo interno fra posizioni
filosofiche anti-antropocentriche e posizioni antropocentriche fondate sulla
tecnoscienza.
Questa
lacerazione dettata dall’urgenza di scongiurare una prossima catastrofe
ecologica, unita alla paura, toglie qualsiasi spazio all’idealità ed alla
speranza, chiudendo tutti nella sindrome” TINA”, “There Is No Alternative”.
Conclusioni.
Al
termine di questo breve intervento, emerge chiaramente che l’approccio attuale
di tutti i movimenti ambientalisti, per quanto animati da buona volontà, non
possa condurre ad alcuna soluzione.
La
complessità dei problemi ambientali richiede un coinvolgimento di un’umanità
responsabile che sia il centro della discussione e che si assuma l’onere di
affrontare i problemi attraverso l’uso responsabile della tecnica.
Bisognerà
ripartire dall’essere umano, seguendo la strada aperta da Romano Guardini, e da
un immaginario umano da liberare dalla crescita ad ogni costo per aprirsi alla
sobrietà e allo sviluppo umano integrale.
Soprattutto
bisognerà affrontare una polarità: quella sfruttatori e sfruttati, che produce
una mentalità del rifiuto, umano e materiale, che è la radice malata da cui si
genera il male sotto forma di guerre, povertà, inquinamento, sfruttamento delle
risorse naturali.
L'ecologismo,
una religione occidentale.
Ilfoglio.it
- GIULIO MEOTTI – (09 SET. 2019) – ci dice:
Non
solo Greta. Ci sono santoni, diavoli ed eretici, giorni sacri e tabù
alimentari, torve profezie e un’idea di salvezza. L’ambientalismo ora ha tutto
per funzionare come la fede del Terzo millennio.
“L’ambientalismo
è la religione degli atei urbanizzati”, ha detto lo scrittore Michael Crichton.
“Il
cibo biologico è la sua comunione.”
La
preoccupazione e la cura dell’ambiente sono ormai universali (almeno in
occidente):
ci
hanno messo in casa una infinita varietà di cestini per riciclare, siamo
invitati a non abusare dell’aria condizionata (abbassate però quei trenta gradi
negli edifici pubblici d’inverno), facciamo del nostro meglio, e qualche sfida
che sembrava insormontabile l’abbiamo già vinta.
Il buco dell’ozono, l’angoscia del decennio
precedente, si sta restringendo.
Dal
1990, c’è stata una riduzione del 90 per cento delle emissioni automobilistiche
(e una riduzione del 99 per cento dal 1960), anche se l’auto rimane il nemico
pubblico numero uno.
Intanto,
un miliardo di persone è uscito dalla povertà assoluta, l’aspettativa di vita è
aumentata, la guerra è più rara, molte malattie gravi sono state sradicate, il
cibo è abbondante, la Nasa ci dice che la terra è più verde oggi di vent’anni
fa, la popolazione mondiale si stabilizzerà a metà del secolo per poi scendere,
e considerando la mortalità infantile, il reddito medio mondiale e la
disponibilità di risorse, lo stato di salute dell’umanità e del mondo non è mai
stato migliore, e persino in via di costante miglioramento.
Eppure,
una nuova religione del pessimismo si profila all’orizzonte e macina fedeli.
In
Islanda, alla presenza del primo ministro, hanno appena celebrato il funerale
di un ghiacciaio.
Era il
15 settembre 2003 quando lo scrittore “Michael Crichton” tenne un discorso al
Commonwealth Club di San Francisco.
Titolo: “L’ambientalismo è una religione”.
“Oggi, una delle religioni più potenti
del mondo occidentale è l’ambientalismo
È la religione degli atei urbanizzati.
C’è un Eden iniziale, un paradiso, uno stato
di grazia e unità con la natura, c’è la caduta dalla grazia in uno stato di
inquinamento risultato dell’aver mangiato dall’albero della conoscenza e c’è un
giorno del giudizio che verrà per tutti noi.
Siamo
tutti peccatori di energia, destinati a morire, a meno che non cerchiamo la
salvezza, che ora si chiama ‘sostenibilità’.
La sostenibilità è la salvezza nella chiesa
dell’ambiente.
Proprio come il cibo biologico è la sua
comunione”.
Crichton
voleva parodiare la trasformazione dell’ecologismo in una chiesa.
Come
il suo gran sacerdote “David Brower”, il fondatore dei “Friends of the Earth”,
che ha scritto:
“I sei
giorni della Genesi sono un’immagine per rappresentare ciò che è accaduto in
quattro miliardi di anni.
Il
nostro pianeta è nato lunedì. Da martedì a mercoledì, fino a mezzogiorno, si è
formata la terra.
La
vita inizia mercoledì e si sviluppa in tutta la sua bellezza per i successivi
quattro giorni.
Domenica
alle quattro del pomeriggio compaiono i rettili.
Alle
nove di sera, le sequoie spuntano dal terreno.
Un
quarantesimo di secondo prima di mezzanotte inizia la rivoluzione industriale.
Adesso è mezzanotte e siamo circondati da persone che credono che quello che
hanno fatto possa continuare indefinitamente”.
Il
Nobel “Ivan Giaver” paragona l’ecologismo a una “chiesa”.
Per” Bruckner”, sorge sulle “macerie di un mondo
miscredente.”
Sei
giorni, sei gradi alla dannazione.
Un
grado in più: gran parte delle barriere coralline e dei ghiacciai scomparsi.
Due gradi: l’arcipelago di Tuvalu, nell’oceano Pacifico,
completamente sommerso.
Tre
gradi: la
foresta amazzonica distrutta da incendi e siccità.
Quattro gradi: il livello degli oceani si innalza
al punto di distruggere paesi come il Bangladesh e sommergere città come
Venezia.
Cinque gradi: milioni di persone costrette a
lasciare le aree in cui vivono, scatenando possibili conflitti per il controllo
delle ultime risorse presenti sul pianeta.
Con
sei gradi in più, quasi tutte le forme di vita (compresa quella umana)
scompaiono.
Benvenuti
in un mondo più caldo di sei gradi.
E per prefigurarlo si coniano nuovi termini
ricolmi di panico, come “insectopocalypse”.
“Michael
Crichton” fece quella denuncia quando ancora un “certo estremismo ecologista”
doveva sfoderare tutto il proprio millenarismo e sembrava ancora soltanto
un’industria di gruppi di interesse, lobbisti, periti e burocrati.
Adesso
il clima è una fede insindacabile.
Le
multinazionali e i governi dei paesi ricchi da una parte, dall’altra i popoli del sud e le ong
che li difendono, i nuovi missionari.
Nei
giorni scorsi, in Islanda, gli ecologisti hanno celebrato un funerale a un
ghiacciaio.
Una
vera e propria cerimonia paganeggiante nel terreno arido ma un tempo coperto
dal ghiaccio dell’Okjökull.
C’erano anche il primo ministro islandese,
Katrín Jakobsdóttir”, e l’ex commissario delle Nazioni Unite per i diritti
umani, “Mary Robinson”.
È
stata apposta una targa che reca la scritta “Una lettera al futuro”.
Pochi
giorni prima, alla Cattedrale anglicana di Liverpool (la più grande
d’Inghilterra) è arrivato un “modello di Gaia”, installato al centro della navata
principale.
“Ivar
Giaever”, vincitore del premio Nobel per la Fisica, teme che questa ortodossia
sui cambiamenti climatici sia diventata una “nuova religione”:
“Non
se ne può discutere, è una verità incontrovertibile, è una chiesa”.
Greta
Thunberg,
la giovanissima santona di questa religione, è appena arrivata a New York,
“uno dei tanti eventi recenti che illustrano
quanto rapidamente l’ambientalismo moderno stia degenerando in un culto
millenaristico”, scrive “Niall Ferguson” sul “Times”.
Questi accusatori gnostici del progresso stanno
scagliando i loro esorcismi verdi.
“L’ambiente
è la nuova religione laica che s’innalza, almeno in Europa, sulle macerie di un
mondo miscredente, una religione che a sua volta andrebbe sottoposta a critica,
per stanare questa malattia infantile che la corrode e la scredita: il
catastrofismo”,
spiega
“Pascal Bruckner”.
Per il
marxismo, il nemico era il borghese. Per il Terzo mondo, era l’occidente. Per l’ecologismo è l’uomo: un nuovo
peccato originale.
L’atteggiamento
allarmista degli ambientalisti assomiglia molto a quello delle sette
millenariste che aspettavano la fine del mondo o la seconda venuta del Messia.
Alcune di esse erano convinte che Cristo
sarebbe tornato esattamente il 22 ottobre 1844; e quando gli eventi
estremamente improbabili da loro profetizzati non si verificavano,
semplicemente ne spostavano in avanti la data.
Intanto, l’ecologismo è diventato il nuovo
“marcatore” delle società europee.
Ne parla al “Figaro” di questa settimana “Jérôme
Fourquet” dell’istituto” Ifop” e massimo studioso di opinione pubblica francese.
“Greta Thunberg è una figura profetica, una
sorta di ibrido tra Giovanna d’Arco e Bernadette Soubirous (quella delle
visioni di Lourdes, ndr)”, dice Fourquet.
“Come loro, è una novizia, nata dal popolo,
che niente aveva destinato a questo, ma che all’improvviso ha ricevuto una
rivelazione che ora deve annunciare ai potenti di questo mondo e all’opinione
pubblica”.
L’ecologismo in Francia ha già scalzato il
cattolicesimo come segno della società. “Stiamo assistendo alla nascita di
una nuova matrice, laica e non più religiosa, attorno all’ecologia.
L’ecologismo funziona sociologicamente e
culturalmente come in passato la matrice cattolica.
Esistono
somiglianze sorprendenti nei termini e nei riferimenti utilizzati.
Stiamo
parlando anche di ‘santuari’ della biodiversità.
C’è
un’ecologia ricorrente di annunci apocalittici: questo è l’effetto delle
immagini terrificanti dei roghi in Amazzonia”.
E
sull’Amazzonia a ottobre si tiene il sinodo in Vaticano.
Non
mancheranno flirt con il panteismo ecologista.
Da qui
una visione binaria del mondo, che oppone il Bene al Male: da un lato le
multinazionali e i governi dei paesi ricchi, dall’altro i popoli del sud,
nonché le ong che li difendono, i nuovi missionari del nostro tempo.
Per
ripristinare la creazione, l’occidente deve essere svezzato!
“Africa,
contribuisci al nostro sviluppo mentale”, scrive sul “Monde” “Hervé Kempf”.
“Africa,
aiuta l’Europa a intraprendere una nuova storia. L’Africa può insegnare
all’occidente ad abituarsi alla frugalità”.
Spiega
“Harald Welzer”, autore di ““Climate Wars: Why People Will Be Killed in the
21st Century” (uno dei tanti manifesti green che incitano all’isteria),
che “il modello capitalista si
autodistruggerà” e “l’èra del consumo finirà” grazie ai numerosi flagelli
climatici che si abbattono su di noi.
Si odono echi cristiano-dolciniani.
I
verdi con la loro mistica della decrescita si vedono come i vettori ideologici
di una nuova austerity, dettata non più dai mercati finanziari ma dalla salute
del pianeta.
Sul “Nouveau Magazine Littéraire” di luglio,
il filosofo “Fabrice Flipo” si chiede se l’ecologismo non sia diventato una
“nuova religione” che invita l’occidente a una nuova astinenza.
Ci
viene chiesto di fare tante cose per pentirci.
Per il
marxismo, il nemico era il borghese. Per il Terzo mondo era l’occidente, il
grande predatore della storia.
Per l’ecologismo religioso è l’uomo il grande
colpevole, l’equivalente del peccato originale.
L’ambientalismo
radicale non vuole, come il marxismo, promettere il paradiso in terra o, come
il cristianesimo, prepararci al paradiso dopo la morte.
Si
limita a denunciare l’inferno delle nostre società, ad abbracciarne la
regressione volontaria, a idolatrare la privazione, ad affondare nella
religione del terrore, a sospettare che tutta l’innovazione tecnologica sia
oscurantismo puro e semplice.
“Il
consumismo è la più grande arma di distruzione di massa pensata dal genere
umano”
(Mathis Wackernagel).
Ci
viene chiesto di smettere di fare figli, di farne al massimo uno, guai se sono
due. Un deputato francese, “Yves Cochet”, ha proposto, insieme a uno “sciopero
della pancia”, di penalizzare le coppie che mettono al mondo un terzo figlio,
perché un bebè, in termini di inquinamento, equivale a 620 voli andata-ritorno
Parigi-New York.
La religione green è post-umana e anti-specista, il peccato commesso da chi fa una
distinzione morale tra persone e altri animali, sottintendendo che questa
abitudine discriminatoria è simile al razzismo e al sessismo (il termine ha
attecchito grazie a “Peter Singer”).
Ha
spiegato il sociologo francese 2Jean-Pierre Le Goff 2che “questa eco-ideologia rafforza la
visione nera e penitenziale della storia occidentale, che è responsabile di
tutti i mali ecologici”.
In
contrapposizione a questa visione nera c’è “l’utopia di un’umanità riconciliata
con sé stessa e naturalizzata:
la salvaguardia del pianeta diventa il nuovo
principio unificante di un mondo fraterno e pacificato che ignorerebbe i
confini, le differenze tra nazioni e civiltà, metterebbe fine alle
contraddizioni e ai conflitti”.
Una religione che ha anche i propri catechismi
da mandare a memoria.
Dopo l’adorazione della dea ragione, quella
della dea madre.
“L’ecologia
presenta le caratteristiche di una nuova ‘religione laica’ che si pone come una
spiegazione globale del mondo e che detiene le chiavi della storia umana e
della salvezza” spiega ancora” Le Goff”.
“In una forma più morbida e igienizzata,
partecipa a nuove forme di spiritualità che si sono diffuse in società
democratiche decristianizzate e in crisi di identità”.
L’appello
ecologista è ormai quasi sempre accompagnato da un riferimento a un “divino”
naturale che, rimpiazzando l’eredità ebraica e cristiana, ravviva un “paganesimo
rivisitato alla luce dell’ecologia”.
Questo cocktail religioso si è diffuso senza
problemi nelle società occidentali in un contesto di deculturazione storica.
“L’ambientalismo
offre un resoconto alternativo della religione” spiega “John Kay”, uno dei
maggiori economisti inglesi.
“All’ambientalismo all’inizio mancava un mito
persuasivo dell’Apocalisse.
La litania del degrado ambientale ha dovuto
affrontare il fatto evidente che molti aspetti dell’ambiente stavano
costantemente migliorando, come l’aria, più pulita, i fiumi, le spiagge.
La
scoperta del riscaldamento globale ha colmato una lacuna”. “Kay” sostiene che gli “evangelisti
green” non sono interessati a soluzioni pragmatiche al cambiamento climatico.
Sono contrari a tutto, al carbone, al gas
naturale, al gas di scisto, all’etanolo, alle dighe, ai camion, al Tgv, alla
macchina, all’aereo.
“I
mulini a vento e andare in bicicletta al lavoro sono insignificanti come
conseguenze pratiche, ma ogni ideologia ha bisogno di rituali che dimostrino
l’impegno dei seguaci”.
L’ecologismo
sta edificando un vero e proprio culto:
ha i propri giorni santi (la Giornata della Terra), i
propri tabù alimentari (veganesimo e campagne per ridurre il consumo di carne
di mucca, come in Germania), i propri templi (le università occidentali) e un
proprio proselitismo (gli scettici sono trattati da eretici e peccatori
malvagi).
Per
dirla con il canadese “Mark Steyn”, “l’ambientalismo non ha bisogno del
sostegno della chiesa anglicana perché è esso stesso una chiesa”.
Si
rivisita anche la cristiana “tentazione” nell’idea green di “negawatt”, che
consiste nel non usare energia diminuendo così la nostra razione giornaliera di
watt (Amory Lovins).
Gli
ambientalisti hanno trasformato la scienza in una verità evangelica, che può
essere usata per correggere il comportamento peccaminoso dell’uomo.
La
presunta onnipotenza dell’uomo trascritta nel termine stesso di “Antropocene”
risponderebbe alla feroce resistenza del pianeta-martire che si vendica.
Una”
doxa” con cui spiegare ormai tutto, dalla guerra in Darfur alla caduta
dell’Impero romano.
Ognuno ha la propria data fissata per
la fine del mondo, che chiamano “Envirogeddon” (l’Armageddon ecologica), in un
“domani” infinitamente aggiornabile.
Alluvione? Cambiamento climatico. Siccità?
Cambiamento
climatico. Niente neve? Cambiamento climatico. Troppa neve? Cambiamento
climatico.
Uragani? Cambiamento climatico. Mancanza di
uragani? Cambiamento climatico. Cos’è questa, se non una religione?
Nel
Medioevo i cataclismi naturali venivano interpretati come una punizione di Dio;
oggi sono
imputati all’orgoglio dell’uomo.
E
quando finirà il mondo?
Per il francese “Jean-Pierre Le Goff”, “è una nuova ‘religione laica’ che
detiene le chiavi della storia umana e della salvezza”
Nel
1967 uscì un libro di notevole successo, “Famine 1975”, che per quell’anno annunciava la fame di massa nel
mondo.
“La
maggior parte delle persone che moriranno nel più grande cataclisma della
storia dell’uomo sono già nate”, scrisse Paul Ehrlich (il guru della”
population bomb”) in un saggio del 1969 intitolato “Eco-Catastrofe!”.
“Ehrlich” predisse per il 1980 “l’estinzione
di tutti i cetacei” e la trasformazione dell’Inghilterra in una landa sterile.
“Peter
Gunter”, professore della “North Texas State University”, annunciò nel 1970:
“Entro
il 1975 inizieranno le carestie in India; si diffonderanno nel 1990 per
includere Pakistan, Cina e Africa. Entro il 2000, o presumibilmente prima,
l’America del Sud e quella Centrale saranno in carestia…”.
“Harrison
Brown”, uno scienziato della “National Academy of Sciences”, pubblicò un
grafico su “Scientific American” che esaminava le riserve di metallo e stimava
che l’umanità sarebbe finita completamente a corto di rame dopo il 2000.
Piombo,
zinco, oro e argento sarebbero spariti prima del 1990.
Nel
1982, il funzionario delle Nazioni Unite “Mostafa Tolba”, direttore esecutivo
del “Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente”, avvertì: “All’inizio del secolo,
una catastrofe ambientale causerà la devastazione”.
Nel 1989, “Noel Brown”, direttore dell’ufficio
di New York del “Programma ambientale delle Nazioni Unite”, profetizzò:
“Entro
il 2000 intere nazioni potrebbero essere spazzate via dalla faccia della terra
dall’innalzamento del livello del mare”.
Il
raffreddamento globale una volta era una preoccupazione per molti ecologisti,
come il professore dell’Università della California “Kenneth Watt”, che avvertì che le tendenze attuali
avrebbero reso il mondo “undici gradi più freddo nel 2000…”.
Nel
2006, mentre promuoveva il film “An Inconvenient Truth”, “Al Gore” disse che all’umanità
mancavano soltanto dieci anni prima di raggiungere il punto di non ritorno,
suggerendolo con scene di inondazioni di Manhattan e della Florida.
È arrivato il 2016 e abbiamo tirato un sospiro
di sollievo.
Ora la
deputata dem americana Alexandria Ocasio-Cortez, quella del “New Green Deal”,
ci avverte:
“Il
mondo finirà tra dodici anni se non affronteremo i cambiamenti climatici”.
Nel
2031 ci penserà qualcun altro a fissare la nuova data per la fine del mondo.
È
diventato una religione che ha soppiantato il cristianesimo” (“James Lovelock”, l’ideatore
dell’ipotesi di Gaia).
Nel
frattempo, chi osa criticare Greta, la “ragazza che vuole salvare il mondo”?
I green agitano cartelli con scritto “Gli
scienziati hanno parlato”, come un tempo si faceva con “Questa è la parola del
Signore”.
È stato “James Lovelock”, lo scienziato inglese
divenuto noto per la “teoria di Gaia”, a spiegare che l’ambientalismo è mutato,
da pragmatico e razionalistico si è fatto messianico e religioso.
La sua storia inizia nel 1965, quando venne
invitato ai “Jet Propulsion Laboratories” di Pasadena a condurre ricerca
spaziale, in particolare studi sulla possibilità di vita sul pianeta Marte.
“Lovelock”
propose un metodo nuovo per scoprire se su un pianeta c’è vita o no: osservare
l’evoluzione nella composizione chimica della sua atmosfera.
“Lovelock”
ebbe l’ispirazione di considerare il pianeta come un essere vivente.
Secondo alcuni critici si trattava già di mera
teleologia dai risvolti mistici e filosofici.
“Lovelock
“dice oggi dell’ambientalismo:
È
diventato una religione, una religione che ha soppiantato il cristianesimo”.
Lovelock è un appassionato di energia
nucleare, il che lo ha reso impopolare fra i verdi.
“Sono uno scienziato e un inventore ed è
assurdo rifiutare l’energia nucleare. Tutto proviene dal lato religioso. Si
sentono in colpa per aver lanciato bombe atomiche. E questo dono dato agli
esseri umani – una fonte di energia sicura ed economica – viene orribilmente
maltrattato.
Stiamo ancora manifestando i sensi di colpa a
riguardo”.
È
stato scritto un libro, “Dark Green Religion”, a firma di “Bron Taylor”,
professore di religione e natura all’Università della Florida, su pratiche molto diffuse per
entrare “in comunione con la natura”.
Lo scrittore verde” Mark Lynas” ha ammonito
che Poseidone, il dio del mare, “è irritato da semplici mortali come noi. Lo
abbiamo svegliato da un sonno millenario e questa volta la sua ira non
conoscerà limiti”.
Altri
ambientalisti parlano della “vendetta di Gaia” e di parti dell’umanità spazzate
via da inondazioni e uragani (mancano soltanto gli sciami di locuste).
È un
mix di ecologismo, psicoterapia e buddismo meditativo.
Meglio
se condito con del “pauperismo di religiosa memoria”, perché nella propaganda
ambientalista lo scopo è trasformare il consumismo in una patologia spaventosa, “la più grande arma di distruzione di
massa pensata dal genere umano” (scrive l’ambientalista svizzero Mathis
Wackernagel in “Il nostro pianeta si sta esaurendo”).
Proliferano
gruppi di verdi apocalittici, come gli ambientalisti più radicali del Regno
Unito,
“Extinction Rebellion”, battezzati addirittura dall’ex arcivescovo di Canterbury,
Rowan Williams, che si veste da druido.
C’è chi considera spacciata metà della terra e
vorrebbe proteggere l’altra metà facendone un parco naturale, riedizione
dell’arca di Noè.
È
“Half Earth” del fondatore della sociobiologia, il guru di Harvard “Edward
Wilson”.
Ha una proposta su come fermare l’estinzione
della biosfera: mettere da parte la metà del pianeta e farne un parco naturale
senza esseri umani.
“Dopo
tutto, è la diffusione dell’umanità che ha accelerato i tassi di estinzione”,
si legge nel libro.
Il clima
diventa lo strumento della nostra stessa espiazione.
Un ambientalista negli anni Settanta,” Edward Abbey”,
propose che la natura selvaggia dovesse essere riservata a un numero
relativamente piccolo di persone, solo i soggetti fisicamente in forma e attenti
all’ambiente.
“The
world without us”, il mondo senza di noi esseri umani, scrive “Alan Weisman” nel suo romanzo di successo su un
pianeta che si è liberato di quel virus che è l’umanità.
Lo scrittore inglese “Paul Kingsnorth” ha
scritto “Uncivilization”, libro di culto fra gli ecologisti.
Siamo
entrati nella fase dell’“ecocidio”, il futuro consiste nella
“decivilizzazione”. Non si perora più l’uso della tecnologia o delle risorse
come al Sierra Club.
Siamo
allo stadio finale dell’ambientalismo, atarassia e attesa della fine, come gli
gnostici catari sul Montségur.
Non
esistono più santuari, siamo circondati.
È il
nuovo oppio dei popoli occidentali. Dio non è morto.
È
soltanto diventato verde.
“Crisi
climatica”: ideologia
ambientalista
o negazionista?
Greenreport.it
- Federico Maria Pulselli – (20 luglio 2022) – ci dice:
Avere
a cuore, preservare e, soprattutto, studiare l’ambiente è una questione di
sopravvivenza.
(Il
99% della scienza specializzata concorda sulla stessa idea).
Il 16
ottobre 2019, alla Camera, il deputato “Alessandro Giglio Vigna” disse: “[…]
Ora,
Signor Presidente, ci propinate questa nuova ideologia del “global warming”;
allora non è certo questo il momento di discutere sulla fondatezza o no di questa
teoria, ma è questo il momento per dirvi che se voi e i vostri amici in Europa
proverete a giustificare con questa nuova ideologia un aumento di tasse, magari
alle nostre piccole imprese, facendo quindi un favore ai grandi gruppi europei,
ebbene, Signor Presidente, sappiate che i cittadini non ve lo permetteranno […]” [letteralmente trascritto grazie
all’archivio di Radio Radicale].
Il 20
luglio 2022, Il Foglio, nella sezione “/scienza/” (almeno così sembra
dall’indirizzo web dell’articolo), pubblica un titolo di “Giuliano Ferrara” che
recita “A
luglio fa caldo da secoli: facciamocene una ragione invece di sacrificarci
all’ideologia”.
In
questi anni, sulle questioni scientifiche ne abbiamo sentite e viste di tutti i
colori e non credo interessi ad alcuno dei lettori di Green report:
a) l’ennesimo racconto sul funzionamento
dell’effetto serra,
b) quali sono le conseguenze dell’aumento di
concentrazione di gas serra in atmosfera a causa dell’attività umana,
c) che differenza c’è tra clima e meteo,
d) la
raccomandazione di guardarsi dalle fake news.
Tuttavia
c’è una domanda che non riesco a trattenere.
Perché chi cerca di sminuire o diffondere
scetticismo su questioni ambientali e, soprattutto, sull’effetto serra
antropogenico e i conseguenti cambiamenti climatici, ricorre spesso alla parola
ideologia?
Consulto
velocemente la voce “ideologia” proposta dal vocabolario Treccani, dal momento
che è di facile accesso, e noto che, a parte un accenno iniziale, si tratta di
qualcosa che non ha nulla a che fare con la scienza e con la realtà dei fatti.
Riporto ad esempio che “nel pensiero marxista […],
l’insieme delle credenze religiose, filosofiche, politiche e morali che in ogni
singola fase storica sono proprie di una determinata classe sociale,
informandone il comportamento”. E ancora: “l’ideologia, lungi dal costituire
scienza, ha la funzione di esprimere e giustificare interessi particolari”.
Addirittura
si legge:
“In
senso spregiativo, soprattutto nella polemica politica, complesso di idee
astratte, senza riscontro nella realtà, o mistificatorie e propagandistiche,
cui viene opposta una visione obiettiva e pragmatica della realtà politica,
economica e sociale”.
Come
riportato da Green report, nel 2021, la rivista scientifica internazionale “Environmental
research letters” ha pubblicato un lavoro che presentava una review di oltre
88.000 articoli scientifici sul “climate change”, riscontrando come soltanto in
28 di essi venisse manifestato scetticismo riguardo all’influenza dell’attività
umana sulle dinamiche climatiche;
di
conseguenza, stando a quei dati, si può dire che oltre il 99% della scienza
specializzata concorda – con argomentazioni solide – sulla stessa idea.
Dunque,
non c’è spazio per ideologie, per opinioni e tantomeno per il contraddittorio.
Altrimenti
sarebbe come dire oggi che non usare più l’amianto sui nostri tetti e, anzi,
rimuoverlo per mettere in sicurezza le persone è un’operazione costosissima
dettata da un’ideologia, visto che tempo fa l’amianto si usava persino nei
filtri delle sigarette.
Cosa
c’entra, dunque, la parola ideologia riferita a chi afferma che oggi esistono
problemi seri nel rapporto uomo-natura?
È la comunicazione ambientale a non essere
abbastanza efficace e, per questo, finisce sempre per essere trattata come un
disturbo da liquidare nel più breve tempo possibile e con modi spiccioli?
Oppure
è semplicemente una questione di malafede in chi accusa?
Il
vocabolario Treccani, ad un certo punto della stessa pagina, definisce
ideologia come “ogni dottrina non scientifica che proceda con la sola
documentazione intellettuale e senza soverchie esigenze di puntuali riscontri
materiali, sostenuta per lo più da atteggiamenti emotivi e fideistici, e tale
da riuscire veicolo di persuasione e propaganda”.
Paradossalmente,
quest’ultima definizione potrebbe essere riferita ai pensieri dell’onorevole e
al titolo del giornalista.
In
generale, date le informazioni scientifiche in nostro possesso a livello
globale, potremmo più appropriatamente attribuire la connotazione di ideologia
(e la conseguente propaganda) al “negazionismo del global warming” piuttosto che alla sua affermazione.
Parallelamente, avere a cuore, preservare e,
soprattutto, studiare l’ambiente – come spero decideranno di fare sempre più
giovani da ora in avanti – non è una questione di ideologia ma di
sopravvivenza.
L'ecologismo
"umano"
è
frutto del progresso.
Ilgiornale.it – (29 Settembre 2019) - Riccardo
Cascioli – ci dice:
Oggi
pretendiamo di cambiare il clima, per delirio di onnipotenza.
Ma è
lo sviluppo a tutelare la natura.
I
fedeli cattolici di Calci, nella diocesi di Pisa, nei giorni scorsi sono
rimasti certamente sorpresi di venire a sapere che oggi sono soppresse le messe
delle 10.15 e delle 11.30 perché tutti possano partecipare all'iniziativa di “Legambiente”
«Puliamo il mondo».
Secondo
il parroco, andare a comando dell'”associazione ambientalista” a pulire fossi e
strade è una bella cosa «in linea con il Vangelo».
Sospendere
le messe per giocare agli ambientalisti:
per
quanto possa sembrare strano, non è l'iniziativa di un parroco improvvisamente
impazzito;
è
invece la logica conseguenza di una Chiesa che, ormai da tempo, ha sposato l’ideologia
ecologista moderna”.
Non a caso nell'enciclica «verde» per
eccellenza, la Laudato si' (2015), papa Francesco liquida con appena una frase
l'esperienza storica che meglio ha realizzato la visione cattolica
dell'ambiente, anzi del Creato, ovvero il monachesimo benedettino.
Sono stati praticamente ignorati oltre 1500
anni in cui i monasteri hanno fatto rifiorire la natura e l'hanno migliorata,
creando anche delle opere di cui godiamo tuttora i frutti.
Chiunque
abbia visitato un antico monastero, normalmente collocato in altura, non avrà
potuto fare a meno di notare la bellezza del posto in cui si trova.
Qualcuno
avrà anche pensato al buon gusto e alla furbizia dei monaci, che hanno saputo
scegliersi delle belle località.
È
giusto invece riflettere che questi posti paesaggisticamente incantevoli, non
erano affatto così quando i monaci vi sono arrivati.
Al contrario, erano posti selvaggi e
inospitali e, soprattutto nell'Alto Medioevo ai monaci si deve la
valorizzazione del lavoro e la bonifica dell'ambiente che ha permesso di ricostruire
letteralmente l'Europa, quando tutto sembrava destinato alla distruzione e
all'abbandono.
«Dobbiamo ai monaci scrive “Thomas E. Woods”
nel libro” Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale”
(Cantagalli, 2007) la ricostruzione agraria di gran parte dell'Europa.
Ovunque andassero, i benedettini trasformarono terra
desolata in terra coltivata.
Intraprendevano la coltivazione del bestiame e
della terra, lavoravano con le proprie mani, prosciugavano paludi e abbattevano
foreste».
E
ancora: «Ovunque andassero i monaci portavano raccolti, industrie o metodi di
produzione che nessuno aveva mai visto prima. Introducevano qui l'allevamento
del bestiame e dei cavalli, lì la fabbricazione della birra, o l'apicoltura, o
la frutticoltura».
Anche
in Italia abbiamo innumerevoli testimonianze di luoghi diventati ospitali e
rigogliosi, buoni per l'uomo, grazie alla presenza dei monasteri benedettini.
Ma
tutto questo non era frutto di “un progetto ambientale” o di un'analisi sulle “condizioni
degli ecosistemi”.
La
radice di questo strepitoso successo l'ha descritta molto bene papa Benedetto
XVI nel suo famoso discorso al “Collège des Bernardins” a Parigi il 12
settembre 2008, parlando proprio del «segreto» dei benedettini:
«Il loro obiettivo era: “quaerere Deum”,
cercare Dio.
Nella confusione dei tempi in cui niente
sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e
permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio».
Il
resto la cultura, le università, il canto e anche l'ambiente sono tutte
conseguenze.
Una
grande lezione di storia, la cui ignoranza ha gravi conseguenze, anche in
economia.
Basti
pensare all'esaltazione che oggi si fa delle popolazioni primitive, considerate
loro un esempio di equilibrio tra uomo e natura, che noi avremmo perso con lo
sviluppo.
Si
tratta di un mito che non ha riscontro nella realtà, perché proprio la totale
dipendenza dalle risorse messe a disposizione dalla natura fa sì che tali
risorse siano molto scarse e precarie e porta gli uomini a sfruttare l'ambiente
per poter ricavare le risorse necessarie per sopravvivere.
Parliamo
di società dove non ci sono quelli che oggi paiono a noi standard
irrinunciabili, come l'istruzione scolastica, la prevenzione e cura delle
malattie, abitazioni sufficienti e pulite, acqua corrente potabile,
elettricità.
Società
fortemente autoritarie, patriarcali e gerontocratiche dove i diritti dipendono
dallo status della famiglia, dal sesso e dall'anzianità.
Società
dove il lavoro viene disprezzato e la scarsezza di risorse disponibili fa sì
che le guerre di conquista e a scopo di razzia siano un fattore strutturale.
Alla
base di tutto c'è un gravissimo errore sul concetto di risorsa:
secondo
l'”ecologismo
dominante,”
che si è
inventato non a caso la misura dell'impronta ecologica e il concetto di
sviluppo sostenibile, le risorse sono determinate dalla natura.
Se la natura ci dà 100 in un anno, 100 è quello che ci
dobbiamo far bastare:
vale a
dire che la popolazione non può crescere oltre certi limiti, e limitati devono
essere anche i consumi.
L'esempio classico è quello della torta: se ci
sono 12 fette al giorno e la razione media giornaliera è di una fetta, va da sé
che non potranno esserci più di 12 persone (altrimenti qualcuno morirà di fame)
e quelle 12 persone non potranno mangiare più di una fetta a testa.
Questo
ragionamento è quello che sta alla base non solo dell'esaltazione del mito
delle popolazioni primitive ma anche delle politiche ambientali globali che dalla Conferenza Onu di Rio de
Janeiro del 1992 si fondano proprio su questi due pilastri: controllo delle nascite nei Paesi
poveri e freno alla crescita dei Paesi ricchi (che consumano troppo).
Proprio
l'esempio dei benedettini ci dimostra invece che le cose stanno ben
diversamente: la risorsa principale è infatti l'uomo, capace con la sua
creatività di usare e trasformare gli elementi che si trovano in natura per
migliorare la natura stessa e le proprie condizioni di vita.
Ma
questa osservazione elementare è suffragata da tutta la storia umana: le
risorse sono sempre andate aumentando e diversificandosi tanto che, sebbene
nell'ultimo secolo la popolazione mondiale sia più che quadruplicata, le
risorse sono molto più abbondanti oggi che cento anni fa.
Così come sono migliorate le condizioni di
vita, anche nei Paesi più poveri, al punto che oggi non si verificano
praticamente più le gravi carestie che fino agli anni '70 dello scorso secolo
falcidiavano intere popolazioni.
Le uniche eccezioni sono le carestie provocate
da scelte politiche, come si è verificato non molti anni fa nella comunista
Corea del Nord.
Questo
miglioramento è stato possibile grazie allo sviluppo, e contrariamente a quanto
ci viene fatto credere - sono proprio i Paesi sviluppati quelli che
maggiormente rispettano l'ambiente.
Il che è perfettamente ragionevole se consideriamo che
la ricerca, lo sviluppo e l'applicazione di nuove tecnologie permette di
ridurre fortemente inquinamento e impatto ambientale.
La conferma ci viene dall'”Organizzazione
mondiale della sanità” che ha pubblicato nel 2018 la più completa inchiesta
sull'inquinamento atmosferico che sia mai stata compiuta, da cui risulta che il
90% delle morti correlate all'inquinamento atmosferico avviene nei Paesi in via
di sviluppo, soprattutto Africa e Asia.
Per
cucinare e per scaldarsi infatti, ben tre miliardi di persone nel mondo usano
legname, carbone e letame sprigionando gas altamente inquinanti, soprattutto
nelle abitazioni.
D'altra parte nei nostri Paesi lo sviluppo e
la disponibilità di nuove tecnologie e nuove risorse fa sì che l'inquinamento
si possa diminuire drasticamente.
Un solo esempio: un'auto di media cilindrata
costruita negli anni '70 del XX secolo, inquinava quanto più di cento auto
dello stesso segmento costruite oggi.
Ciò ci
dice che se davvero ci sta a cuore l'ambiente, lo sviluppo va favorito, e
accelerato anche per i Paesi più poveri:
prima
si compie la transizione dal sottosviluppo e prima si supereranno tanti
problemi ambientali.
Anche
qui un solo esempio: nei Paesi sviluppati la superficie forestale è in continuo
aumento.
Motivo?
Primo
perché un'agricoltura più sviluppata, quindi più produttiva, richiede meno
terreni per produrre di più;
e poi
perché laddove gli alberi vengono tagliati vengono anche ripiantati, proprio
perché anche le foreste e i boschi sono una risorsa.
Al contrario, nei Paesi poveri lo abbiamo
visto in questo periodo per l'Amazzonia e il Sud Est asiatico - le foreste
vengono incendiate per far spazio a un'agricoltura spesso primitiva e poco
produttiva;
e i
governi, deboli e corrotti, non sono in grado o non hanno alcun interesse a
rimpiazzare gli alberi che vengono bruciati o tagliati, quando non partecipano
essi stessi al traffico illegale di legname.
Ma qui
arriva il problema, che è essenzialmente politico.
Si è
ormai affermata, anche nell'opinione pubblica, una propaganda che parla di «stato di allarme climatico», pianeta che ha pochi anni a
disposizione prima di una catastrofe irreversibile, umanità ormai sull'orlo del
precipizio.
Il
tutto è funzionale a spingere per politiche di emergenza che passino anche
sopra le volontà dei singoli Stati.
Il problema è che a una diagnosi così infausta
si intende rispondere con terapie d'urto che non potranno che causare davvero
gravi conseguenze.
Ci si
muove infatti secondo lo schema già citato per fermare l'uomo, il «cancro del
pianeta», il colpevole di tutte le catastrofi presenti e future.
Proprio
quell'uomo che invece, come abbiamo visto, è la vera risorsa in grado di
trovare soluzioni ai problemi che si presentano, come è sempre accaduto nella
storia.
Siamo
oggi davanti a pressioni fortissime per scelte politiche che impediscano
all'uomo di trovare soluzioni per migliorare la vita di tutti.
Ad
esempio il pretesto dei cambiamenti climatici antropici (cioè causati
dall'uomo) sta spingendo a politiche per l'eliminazione dell'uso dei combustibili
fossili con investimenti miliardari sulle energie rinnovabili.
Il problema è che allo stato attuale e per il
futuro prevedibile, le fonti rinnovabili, enormemente più costose e meno
efficienti delle altre fonti energetiche, non potranno mai sostituire i
combustibili fossili.
Per cui su questa strada stiamo preparando un
prossimo futuro dove verrà a mancare o a costare molto più cara l'energia,
elemento fondamentale per consentire lo sviluppo e il miglioramento delle
condizioni della popolazione.
Allo
stesso modo se continuerà la demonizzazione dell'agricoltura intensiva a favore
del biologico e, addirittura, del biodinamico (che è più magia che scienza),
avrà come effetto una minore produttività dei terreni che, a sua volta, farà
aumentare i prezzi dei prodotti agricoli (con conseguenze disastrose per le
popolazioni più povere) e strapperà terreni a boschi e foreste.
Per
millenni l'uomo si è sempre difeso dall'imprevedibilità del clima e dalla
durezza della natura, adattandosi e investendo sulla protezione (anche le case sono una forma di
protezione dagli eventi climatici).
Oggi
invece per la prima volta l'uomo, anziché adattarsi, si è messo in testa di
cambiare il clima, buttando cifre enormi di denaro su politiche a questo
destinate, e che si riveleranno disastrose.
È un delirio di onnipotenza dell'uomo, tipico
di una società che ha eliminato Dio, e crede di poter determinare tutto.
Un altro buon motivo per tornare a guardare
all'esperienza dei monaci benedettini che invece avevano «l'obiettivo di
cercare Dio».
Quaerere Deum.
Il
capitale sostituisce la sinistra con il
liberal-ambientalismo?
Ruralpini.it
- Michele Corti - (13.07.2019) – ci dice:
Vi sono segnali importanti circa la volontà dei
circoli capitalistici “euro mondialisti” di puntare sul “liberal-ambientalismo”
quale nuovo strumento di plagio di massa, utile per avere a disposizione nuovi
maggiordomi politici.
Lo
smaccato "fenomeno Greta", il "pompaggio" mediatico
elettorale pro verdi, il prossimo sinodo sull'Amazzonia, la candidatura di Sala
(l'"ambientalista" della piastra Expo) indicano in modo univoco
questa direzione di marcia.
Del
resto la crisi verticale della sinistra in Francia, Italia, Germania non può
non porre il problema di un cambio di cavallo.
Dopo
aver reso ottimi servizi al capitalismo per decenni, aiutandolo a vincere la
lotta di classe e a imporre l'attuale spietata forma di capitalismo senza
limiti, la sinistra ha perso la capacità di creare e mantenere il consenso
degli strati popolari; è un cavallo bolso che è meglio sostituire.
Il
nuovo soggetto politico liberal-ambientalista è funzionale e pienamente
coerente con la forma post moderna di capitalismo assoluto:
una
bioeconomia e una biopolitica che non esclude alcun aspetto delle vite umane e
della natura dalla mercificazione e dallo sfruttamento.
La
sinistra fingeva di difendere i diritti dei lavoratori mentre questi erano
smantellati.
Il
nuovo soggetto politico liberal-ambientalista allo stesso modo deve fingere di
promuovere libertà e diritti illimitati e di tutelare l'ambiente nascondendo,
in un gioco di illusioni e di spregiudicato uso della neo-lingua, la realtà
dell'affermazione di nuove forme di servaggio e di schiavitù e della
distruzione senza sosta, in nome del profitto, di ecosistemi cruciali per il
pianeta attuata con la copertura delle foglie di fico delle compensazioni di
CO2 e di analoghi giochi di prestigio, nonché delle politiche di "rinaturalizzazione"
in Europa (che oltre a nascondere la deforestazione in altri continenti ,
mirano all'eliminazione del popolamento umano delle aree rurali , in vista
dell'obiettivo della concentrazione di plebi sempre più amorfe, sradicate e
subalterne nelle aree urbane onde esercitare politiche di controllo panottico e
feroci strategie malthusiane e eugeniste, da sempre chiodo fisso
dell'ambientalismo.
Ciò
che il neo-potere liberal-ambientalista dovrà far digerire alle plebi
sradicate, senza identità, memoria e storia, è ancora più indigesto delle
"ricette" ultraliberiste della fase storica recente.
Nonostante l'umanità stia per smettere di
crescere e che l'agricoltura sarebbe in grado di sfamare tutti, il neo-potere
liberal-ambientalista deve convincere della necessità di "superare"
l'agricoltura (per non parlare dell'allevamento animale).
Metà
delle superfici emerse del pianeta dovranno diventare "area
protetta", non per tutelarle - come la narrazione del biopotere
liberal-ambientale-capitalista suggerisce - ma per sfruttarle in modo spietato
con la mani libere, una volta eliminata, in nome della rimozione del
"disturbo antropico", la presenza di popolazioni indigene,
tradizionali, rurali.
All'agricoltura
e all'allevamento, che hanno la colpa di perpetuare sia pure in forme diverse
dal passato, la relazione tra l'uomo e la terra, di riprodurre radicamento,
forme di economia in grado di sottrarsi dalle filiere agroindustriali mondiali,
saranno sostituite le industrie del cibo dove la materia prima non è più
fornita dall'agricoltura e dall'allevamento ma è essa stessa industriale.
In queste fabbriche si produrranno alghe, insetti,
carne artificiale, il meraviglioso cibo delle prossime generazioni che i media
stanno già convincendoci a dover mangiare (e al quale ci sta abituando il cibo
senz'anima e senza gusto della tanta agroindustria attuale).
Le
antiche superfici agricole e pastorali, utilizzate per produrre cibo sin dal
neolitico, torneranno alla "wilderness" per la gioia dell'ideologia
conservazionista, naturalista, anti umanista.
Dove
serie interminabili di generazioni hanno prodotto cibo in grado di garantire la
vita (e la sua perpetuazione) oggi il “sistema liberal-ambientale-capitalista”
vuole vedere nuovi boschi "naturali" mentre in Asia, in Sudamerica
disbosca foreste primarie per creare piantagioni (soja, palma).
E questi boschi devono essere regolarmente
popolati da orsi, lupi, linci, sciacalli. Sì, serve proprio che l'ideologia
liberal-ambientalista trionfi per mettere ulteriormente in riga le moltitudini.
Queste
ultime devono credere in modo fideistico e acritico ai dogmi
"scientifici" sulle devastanti conseguenze della crescita demografica
e del riscaldamento globale.
Premessa
per poter far subire politiche fiscali "verdi" che rendano i ricchi
ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri, per es. finanziando con
sovratasse le auto a benzina e gasolio di chi vive in montagna e nelle aree
interne per finanziare gli incentivi all'acquisto da parte dei ricconi di
costose e (nel ciclo di vita) inquinanti Tesla.
Premessa per far accettare politiche demografiche
suicide e la definitiva demolizione dell'istituzione famigliare.
La
sinistra, per decenni, ha puntellato efficacemente il capitalismo, inducendo
ampi strati popolari ad accettare come una necessità, quasi fossero una
catastrofe naturale ineludibile, le politiche liberiste e di austerity.
In nome di un falso solidarismo che nulla ha
a che fare con quello cristiano o proletario, la sinistra ha sostenuto con
forza la politica di porte aperte all'immigrazione extracomunitaria che, in un
contesto deflattivo e unitamente ai processi di delocalizzazione e
all'abbattimento dei dazi, hanno fortemente contribuito alla creazione di un
esercito industriale di riserva riducendo ulteriormente il potere contrattuale
dei lavoratori, già indebolito dalla demolizione del sistema di diritti
collettivi e sindacali.
Quel
sistema non era stato un grazioso regalo di padroni illuminati.
Contro
un capitale chiuso a ogni concessione, la sinistra dovette impegnarsi sul serio
nella lotta di classe.
Venne
poi il tempo delle "conquiste sociali", delle "garanzie",
dei contratti collettivi di lavoro, dei rapporti a tempo indeterminato.
Il capitale, organizzato ancora largamente su
base nazionale, finì per accettare una politica di pieno impiego, di 40 ore
settimanali e di alti salari, che consentiva agli operai di comprarsi le merci
che producevano (e al capitale di godere di una domanda interna in espansione).
Lo stato, da parte sua, attraverso le politiche
keynesiane di investimenti pubblici, sosteneva la domanda e la piena
occupazione sosteneva l'erogazione di servizi sociali che garantiva, insieme
agli alti salari e alle tutele sindacali, la pace sociale.
Il
periodo d'oro di questo "compromesso sociale", fiorì nei
"gloriosi" venticinque anni, tra il 1950 e il 1975.
Va precisato che il prezzo di questa pace
sociale consistette nell'accettazione, da parte della sinistra, della logica di
meri miglioramenti economici all'interno di un quadro di definitiva
accettazione dell'assetto capitalista e della rinuncia alla lotta di classe.
Nel
mentre venivano celebrati i trionfi dei modelli socialdemocratici, del
capitalismo renano, si creavano le premesse per la rivincita del capitale.
Dietro
la facciata della forza della sinistra politica e sindacale si nascondevano già
quei fattori di indebolimento della coscienza collettiva che, nella fase
storica successiva, sull'onda di radicali cambiamenti geopolitici,
socio-culturali e tecnologici, avrebbero sbriciolato il potere contrattuale del
declinante proletariato di fabbrica, quello delle identità solide, del posto
fisso, dell'impiego a vita in un'azienda.
Quello
della fabbrica fordista, della catena di montaggio e della produzione di massa
standardizzata, della condivisione della identica condizione salariale e di
lavoro, ma anche di vita (fuori dei cancelli degli opifici nei luoghi di
aggregazione popolari).
La condizione di lavoro, per quanto dura, era
condivisa con innumerevoli altri lavoratori, con i quali era facile intendersi,
organizzarsi, lottare.
I
compagni di lavoro condividevano non solo le stesse esperienze ma anche gli
stessi valori, le stesse aspettative, l'etica del lavoro, l'orgoglio di classe.
Consapevole
del potere del capitalismo, la classe operaia, pur dominata, non ne subiva la
subalternità, non ne subiva l'influenza ideologica, non si beveva le sue
narrazioni.
Gradualmente, però, tutto ciò venne meno.
Con
l'aumento del "tempo libero", dei salari e dei consumi si sono
fortemente differenziati gli interessi, le sensibilità, i valori e ha prevalso
la ricerca dell'interesse individuale e dell'aumento di reddito, sotto forma di
secondo lavoro, straordinario, avanzamento individuale di carriera.
Diventava
sempre più importante guadagnare di più per poter consumare di più come
condizione di affermazione individuale.
La contrattazione collettiva perdeva terreno.
Occorre
approfondire l'analisi sociale della
transizione all'individualismo e alla crisi della militanza politica e sindacale
degli anni '80.
Percentuale
di reddito del 10% più ricco della popolazione (Stati Uniti).
Tutto
non è stato più lo stesso dopo l'avvio delle politiche liberiste alla fine
degli anni '70 e, soprattutto, dopo il 1989, quando il capitalismo e il sistema
politico liberale sono rimasti senza alternative e il mondo si è trovato
unificato all'interno dell'unico capitalismo globale, di una società di mercato
(prima era solo un'economia di mercato) allargata a tutto il pianeta.
Da allora la perdita di sovranità degli stati
e di diritti sociali sono procedute parallelamente, la forza contrattuale dei
lavoratori è stata spezzata dalla delocalizzazione, dall'aumento della
disoccupazione legato alle politiche deflazioniste, dalla diffusione del
precariato che pone il lavoratore in condizioni di forte concorrenzialità con
chi è nella stessa condizione al fine di ottenere (spesso implorare) un rinnovo
del proprio contratto, sino a forme di nuovo servaggio e sottomissione
personali.
Le
politiche liberiste e rigoriste non hanno colpito e destrutturato solo il
lavoro ma anche i ceti sociali più deboli, i territori più fragili che hanno
subito le politiche di "aziendalizzazione" della sanità e di altri
servizi, con la chiusura di scuole, uffici postali, punti nascita (che continua
sino ad oggi).
Il
ridimensionamento dei servizi sociali e sanitari (sempre più affidati al
mercato, ovvero alle assicurazioni integrative della pensione e sanitarie) è
stato invocato e attuato in nome di "sprechi", che pure esistevano ed
esistono, ma
si è reso necessario a causa di un colossale trasferimento di ricchezza verso
la cupola finanziaria mondiale che si è avvantaggiata della deregulation, mentre il debito pubblico è
cresciuto ancora, nonostante i tagli, gli irrazionali blocchi della spesa
pubblica che paralizzano le amministrazioni locali (anche quando non hanno
problemi di bilancio).
Parallelamente
alla compressione dei salari, il top management ha sganciato le proprie
retribuzioni da quelle dell'insieme dei dipendenti delle grande aziende mentre
alla speculazione finanziaria si sono aperte nuove immense possibilità di
guadagno grazie alla deregulation e alle nuove tecnologie della comunicazione.
Ampie
praterie verdi (verde dollaro) si sono aperte per nuove forme di sfruttamento.
Solo che l'intermediazione di meccanismi
anonimi e la subalternità ideologica impediscono agli sfruttati di rendersene
conto e di individuare i loro sfruttatori.
Con
chi prendersela? Con le grandi banche d'affari internazionali, le società di
rating, il Fondo mondiale internazionale, la Banca mondiale, le multinazionali
di Internet, le multinazionali "tradizionali", la Bce?
Una
cosa è certa: il trasferimento di sovranità a organismi internazionali ha
enormemente aumentato il potere della finanza internazionale.
La
fine della fabbrica (letteralmente dissolta nello spazio sociale) e la
frantumazione delle modalità contrattuali (outsourcing, partite iva, cococo,
lavoro a contratto, a progetto, part-time, interinale, a termine, suddiviso, a
chiamata) hanno spezzato ogni resistenza alla vittoriosa lotta di classe di
restaurazione di un (di nuovo) ferreo dominio degli sfruttatori su una plebe
disgregata, facilmente manipolabile, conquistata dall'ideologia
liberal-liberista della competizione individuale, della microimprenditorialità,
delle supposte pari opportunità per tutti.
Una
circostanza che emerge con evidenza plastica nella tragedia sociale e culturale
dei precari che affollano (costosi) corsi che promettono miracolose ricette per
far soldi (trading ecc.) e si identificano nelle saghe delle start-up della
radio di Confindustria.
Alla
perdita dei diritti sociali si è offerta, come compensazione, la prospettiva
oppiacea della "conquista" di sempre più numerosi diritti individuali
che consentirebbero ai singoli di poter esprimere liberamente le proprie
inclinazioni, di perseguire desideri e soddisfare bisogni (spesso accortamente
indotti dal sistema consumistico).
Sbarrata
la strada all'emancipazione sociale delle masse, si trasferisce la tensione
emancipativa verso la "sfida a competere" (persa in partenza per la
stragrande maggioranza) o, fuori dall'ambito economico, verso altre forme di
"liberazione", funzionali, oltre che al consumo, alla demolizione di
quanto resta della famiglia e delle altre istituzioni che si frappongono alla
definitiva dissoluzione della società in un amorfo insieme di individui.
Tutti facilmente manipolabili in forza nel
loro isolamento e dell'incapacità di coalizzarsi, dell'assoluta mancanza di
ancoraggi, di sponde, di visioni e discorsi non omologati al pensiero unico
liberal-capitalista.
La
sinistra ha contribuito efficacemente a promuovere il passaggio dalle lotte per
i diritti collettivi alle campagne per i diritti individuali.
Bastava scopiazzare gli Stati Uniti.
Emblematiche
di queste campagne sono quelle che vedono oggi protagoniste le cosidette
"minoranze" “LGTB”, già cresciute con successive addizioni a”
LGBTQIAPK” che si decifra in Lesbica, Gay, Transessuale, Bisessuale, Queer (che
non sa bene cos'è), Intersessuale, Asessuale, Pansessuale/Poligamo, Kink
(sadomaso e simili).
A ben guardare questo campionario di
"orientamenti sessuali" rappresenta la graduale legittimazione di
ogni perversione (attendiamoci di veder aggregati alle "minoranze" i
pedofili stupratori di bimbi mentre, per gli zooerasti, lo sdoganamento appare
più in salita scontrandosi con l'animalismo che assegna più tutele e diritti
all'animale che ai bambini).
La
sinistra, con questa rivoluzione copernicana (dal sociale all'individuale), è
tornata alle origini settecentesche, ovvero a collocarsi sul terreno del
liberalismo "progressista", libertino, utilitarista, individualista
che la caratterizzava prima che da essa, prima che dal ceppo liberale si
staccasse il movimento socialista che, per quasi tutto il XIX si mantenne
indipendente dalla sinistra borghese e che anzi non si considerava di sinistra
tout court.
Per un periodo piuttosto lungo le forze
socialiste restarono infatti estranee e contrapposte alla sinistra (radicali,
repubblicani).
Un primo riavvicinamento, giustificato dalla
necessità di riunire le forze contro la "reazione clericale", si ebbe
in Francia e in Italia negli ultimi anni dell'Ottocento. Fu una sciagura.
Da
allora socialismo e sinistra finirono per identificarsi tanto più in forza
dell'esigenza di esorcizzare i casi di Mussolini e delle tendenze socialiste
del primo movimento hitleriano.
Anche i partiti comunisti, che pure
rivendicavano la loro differenza contro i "social traditori", che
avevano abbandonato la lotta di classe per il riformismo e l'accordo con la
borghesia, continuarono a identificarsi con la sinistra (nonostante le tante
affinità tra esperienze totalitarie fasciste e comuniste).
Il rifarsi della sinistra all'illuminismo e
alla rivoluzione francese, per "nobilitarsi" e rendersi accetta a
strati non proletari, l'ha indotta - dopo il crollo del socialismo reale - a
gettare con l'acqua sporca anche il bambino e a rifarsi una verginità
reclamando il ritorno alle origini liberali.
Ben presto la sinistra non solo si è riscoperta
liberale sul piano politico, ma anche liberista (economia) e libertina
(costume).
La
politica dei diritti individuali, la dissoluzione delle appartenenze collettive e di
ogni forma di identità solida (sino alla liquefazione della stessa identità di
genere, modulabile a piacere e ridefinibile), hanno "liberato" gli
individui dai vincoli della morale tradizionale, dall'esigenza di lealtà nei
confronti delle aggregazioni sociali di appartenenza (famiglia, gruppi professionali,
vicinato, comunità locale, nazione).
L'individuo
è tendenzialmente libero di soddisfare i propri desideri e bisogni; eliminato
ogni quadro di riferimento etico, scardinato il "patriarcalismo",
demolito ogni principio educativo improntato a trasmettere alle nuove
generazioni il senso del limite, della rinuncia.
Trionfa
il permissivismo, il femminile.
Il
solo limite al piacere è dato, eccolo il traguardo della libertà liberale,
dalla capienza del portafoglio, anche a costo di fare degli altri - smentendo
ogni buonismo - dei puri strumenti, degli oggetti della soddisfazione del
proprio piacere e dei propri desideri (vedi l'utero in affitto).
All'esaltazione della libera ricerca del
proprio piacere da parte di chi possiede molto denaro corrisponde la
degradazione dell'altro a forme di nuova schiavitù e servitù della gleba.
L'amoralità
libertina del marchese di Sade trova una sua dimensione di massa non tanto
nell'emularne gli eccessi ma nel quotidiano, banale, rapporto
utilitaristico. Con la caduta di ogni limite morale,
tutto diventa merce, il corpo umano, parti di esso, la natura (vedi i crediti di carbonio, i titoli
di biodiversità, i pagamenti per i servizi ecologici e gli strumenti finanziari
derivati).
Il
quadro apparentemente seducente e ammaliatore dell'emancipazione dell'individuo
e del fiorire di diritti di ogni tipo, si scontra con una realtà di progressiva
concentrazione della ricchezza in poche mani.
Nella
liquefazione della società e nella precarizzazione delle relazioni sociali,
nell'isolamento dell'individuo dagli altri individui alienati e sfruttati.
Così, a rafforzarsi oltre ogni limite, con la
"collaborazione" degli sfruttati, che un tempo bisognava disciplinare
e reprimere con costosi apparati coercitivi, è stato il capitale.
L'esasperata
politica dei diritti individuali frammenta la società in un puzzle di minoranze
ed è causa di ulteriore disgregazione dal momento che la moltiplicazione dei
diritti porta inevitabilmente a conflitti di prevalenza tra essi (e vince
sempre il criterio di chi è più ricco).
L'impoverimento
del ceto medio, la generale precarizzazione, la coazione a lavorare per
compensi miserabili, e anche gratis (pur di poter mettere qualcosa nel c.v.),
l'impossibilità di programmare l'esistenza, di farsi una famiglia, una casa,
l'instabilità residenziale, affettiva, residenziale, presentate dagli apparati
ideologici del capitalismo neoliberale quali "opportunità" di una vita
smart e interessante, sono altrettanti aspetti di una nuova miseria,
conseguenze della vittoriosa lotta di classe dell’élite transnazionale.
Ora lo sfruttamento non si realizza più solo
dentro le mura della fabbrica e degli uffici, ma in forma integrale, in ogni
aspetto della vita, a seguito della caduta di ogni distinzione tra i tempi e
gli spazi del lavoro e quelli dedicati ad altre attività, tra il momento della
produzione e quello del consumo (al consumatore vengono trasferite incombenze
che un tempo erano svolte da salariati).
Agevolano la diffusione del rapporto di
sfruttamento, anche al di fuori di ogni forma di dipendenza formale, le enormi
disparità tra piccoli produttori e grande distribuzione organizzata.
Il
contadino, l'agricoltore indipendente vincolato da mercati tutto tranne che
fluidi e concorrenziali sia attraverso gli acquisti di input dall'industria,
sia attraverso la vendita è di fatto un operaio delocalizzato, fatto che
diventa palese nelle soccide e nei contratti di coltivazione.
Agevolano
forme di sfruttamento nascosto e ubiquitario la colonizzazione, da parte del
mercato e del modello aziendale, di tutte le istituzioni sociali (sanitarie,
assistenziali, educative).
Non
c'è più la classe operaia ma gli sfruttati sono ancora di più, in forme tali da
non averne coscienza.
La
sinistra "del costume scostumato", alla quale il capitalismo ha
volentieri spalancato le porte dei media e degli apparati di produzione del
consenso, ha svolto un ruolo decisivo, dal 68 in avanti, per abbattere ogni
barriera che limitasse l'estensione del mercato ad ogni aspetto della vita
sociale e ogni vincolo che tenesse unite tra loro le persone sulla base di
interessi, origini, appartenenze, valori condivisi.
La demolizione della sovranità nazionale, dei
confini, sempre in nome della "libertà di movimento" (di uomini,
merci e capitali), sapientemente mescolata con retorici e impropri richiami
all'universalismo e ai vecchi solidarismi, ha dato il colpo di grazia alle
conquiste storiche del movimento dei lavoratori ma anche allargato l'area dello
sfruttamento a quelle categorie che si ritenevano "indipendenti"
(artigiani, contadini, commercianti, professionisti).
Queste
figure indipendenti o accettano di entrare in relazione subalterna con le
grandi organizzazioni economiche o devono cessare l'attività.
Non è facile resistere alla concorrenza sleale
di multinazionali, sempre più potenti e capaci di stabilire quanto e dove
pagare di tasse, sempre più in grado di controllare l'informazione e la
distribuzione delle merci e ogni aspetto della vita delle persone, in grado di
battere moneta quando agli stati non è più concesso farlo.
Esse sono anche in grado di imporre nuovi
modelli di organizzazione e sfruttamento del lavoro che reintroducono persino
le catene degli schiavi, in forma di microchip sotto pelle, per il controllo
panoptico del lavoratore.
Ma
nessuno o quasi si scandalizza.
Il fascino della tecnologia che viene dalla
California fa digerire anche il ritorno alla schiavitù e la volatilizzazione di
interi settori commerciali barattati con posti di lavoro poco qualificati e a
grande intensità di sfruttamento.
Alle
multinazionali, alle agenzie internazionali (FMI, Banca mondiale), alle grosse
Ong (simbiotiche alle multinazionali) è stato trasferito, ponendolo al di fuori
del controllo politico democratico, gran parte del potere che un tempo era in
capo agli stati nazionali.
Contro i poteri transnazionali non si può scioperare,
non serve fare leggi locali. Quelli che
erano gli strumenti localizzati del potere di pressione dei lavoratori (e dei
cittadini) sono spuntati in un contesto globalizzato.
Se il
quadro è così fosco ci si può e si deve chiedere come abbia potuto la sinistra
ingannare così a lungo i lavoratori, così a lungo da consentire al capitalismo
di vincere su tutti i fronti?
Innanzitutto
attraverso il controllo degli apparati di creazione del consenso che il sistema
capitalistico ha pensato conveniente affidarle.
La
svolta liberal-liberista, attuata con la sinistra al governo in forme ancor più
feroci della destra (vedi Tony Blair), è stata presentata dai media mainstream
(quindi di sinistra, progressisti) come inevitabile, come un fatto naturale.
Tony
Blair con Lord Levy.
Levy,
esponente sionista, creato baronetto per meriti di business acquisiti
nell'industria discografica, era il principale finanziatore del partito
laburista.
Fu arrestato
perché vendeva onorificenze.
Ha
giocato però anche l'effetto di riconoscenza, di identificazione e di fiducia
inossidabile (almeno per un po' di tempo) verso forze politiche storiche che
erano riuscite a strappare importanti conquiste, quindi un fattore inerziale e
...anagrafico.
Gli
anziani che hanno trascorso la maggior parte della vita nella società solida,
dove l'operaio lavorava tutta la vita alle officine Fiat di Mirafiori e
risiedeva tutta la vita nel medesimo quartiere dormitorio della cintura
torinese, era iscritto alla Fiom e votava PCI.
Una condizione stabile e consequenziale che
non ammetteva smagliature.
Un
fideismo duro a morire induceva a credere - con qualche dubbio - che il PD,
erede del PCI, non avrebbe mai tradito la classe operaia.
Ci
sono voluti i colpi d'ariete inferti dalla sinistra al governo allo statuto dei
lavoratori, la "riforma delle pensioni", l'accondiscendenza alle
politiche di austerity della UE a trazione tedesca, le ondate immigratorie
clandestine, (in presenza di elevata disoccupazione e di ripresa
dell'emigrazione giovanile dall'Italia), la Fornero.
Il PD,
oltre che per gli aspetti economici si è alienato le simpatie popolari per
l'altezzosa politica da sinistra al caviale, palese nell'opposizione alle
misure "securitarie", fortemente invocate dai ceti più deboli,
maggiormente esposti alle conseguenze della criminalità diffusa (legata
all'immigrazione, alle bande straniere e ai campi rom).
Finalmente, la combinazione di fattori
economici, sociali e culturali (possiamo anche dire antropologici) ha
contribuito ad aprire gli occhi a chi, da generazioni, votava a sinistra.
Con conseguenze di vero terremoto politico
dove era consolidato il sistema di potere "rosso" (Umbria, Emilia).
Gli
esiti della macelleria sociale, l'esempio della Grecia con il caso vergognoso
dei bambini morti di austerity, quelli censurati dal vice- direttore del
Corriere-Pravda, hanno reso sempre più difficile per i circoli dominanti, i nuovi signori feudali di Davos, continuare a mascherare la realtà
della sconfitta dei lavoratori, dello smantellamento dei diritti sociali.
Mentre
il capitalismo neoliberale impone agli stati leggi a favore del diritto al
matrimonio gay, all'utero in affitto, in Grecia per recuperare i suoi crediti
ha condannato a morte vecchi e bambini negando il diritto alla salute e alla
vita. Come
si fa a credere alle campagne buoniste delle Ong degli sfruttatori?
Oggi è
divenuta pura illusione pensare di convincere i lavoratori a subire le
politiche imposte dall’élite continuando a utilizzare come persuasori i partiti
di sinistra.
Percepiti
dai ceti popolari come traditori, come maggiordomi dell’élite, i politici di
sinistra raccolgono il consenso degli stessi privilegiati, dei chierici ben
pagati al suo servizio, dei frustrati piccolo-borghesi che pensano di elevarsi
socialmente, di darsi un tono e di ottenere qualche briciola che cade dalla
tavola imbandita dell’élite, esibendo idee di sinistra.
Tutti fenomeni in esaurimento.
La
sinistra non è smart e nella società di mercato che essa ha sposato con
entusiasmo, specie se ti identifichi nei suoi valori, questo è esiziale.
Sul
piano economico e sociale, malgrado tutte le strategie di persuasione (la
globalizzazione è inevitabile, non resta che affrontare la competizione, vanno
eliminati gli sprechi dello stato sociale, bisogna recuperare efficienza)
diventa problematico far ingoiare ai popoli nuovi rospi, a fronte dell'evidenza
dei folli guadagni dei padroni della new economy di internet e degli
speculatori alla Soros e della crescita della povertà anche in quelli che erano
i paesi con i più alti redditi.
Perdenti
e vincitori della globalizzazione sono entrambi facilmente identificabili e
ogni nuovo appello a stringere i denti e ad affrontare, accettando i sacrifici
del caso, la competizione internazionale rischia di suscitare opposizione.
Meglio cambiare musica, meglio chiedere sacrifici in nome del... clima.
Via i
tromboni dem, largo alle treccine.
La
vecchia sinistra aveva già provato a riciclarsi in questo senso. Chi non
ricorda quel trombone di “Al Gore” che, con le sue profezie strampalate e la
scarsa credibilità del politico di lungo corso, è stato messo in soffitta.
Sostituito dalla voce del falso candore di
Greta, fenomeno costruito accuratamente in laboratorio ma, per un po', di
sicura presa.
La
fiaba della piccola ecologista con le treccine che (vorrebbero farti credere)
scuote i cuori dei potenti di Davos, dello zio Juncker, ha folgorato gli
adolescenti (in buona fede) e molti adulti (in perfetta cattiva fede) pronti,
questi ultimi, a sfruttare il fenomeno mediatico virale che, guarda caso, è
stato programmato con tempismo sospetto per influenzare le elezioni del
parlamento europeo gonfiando le liste verdi.
Greta
alla commissione europea.
Venerazione
e applausi per l'icona vivente anche se dice che non fanno nulla di nulla per
evitare la catastrofe planetaria.
Greta
ha numerosi manager, a cominciare dagli astuti genitori, passando per “Ingmar
Rentzhog”, esperto di marketing e comunicazione, che creato la società "We don't have time" e incassa
milioni con l'immagine di Greta.
In Germania la manager dello sciopero scolastico
gretino è “Luisa Neubauer”.
Di
professione "giovane" di bella presenza e idee ambientaliste.
Ovvero
rappresentante e ambasciatrice giovanile di molte campagne e organizzazioni.
Una
vera professionista che, poverina, è "costretta" a molti voli
intercontinentali che le macchiano la fedina ecologica.
La
"piccola Greta" in tenuta d'ordinanza, con la sua manager tedesca: la
ormai navigata ventitreenne Luisa Neubauer, "ambasciatrice" di “One”,
ong sostenuta da Soros, Gates e compagnia brutta.
La “Neubaumer”,
a differenza di Greta che, da copione (l'angioletto non fa apparentemente
politica partitica, ma vedremo che non è così), è membro del partito verde che
non esita a contestare in quanto troppo morbido in materia di azzeramento delle
emissioni di CO2.
Il suo ruolo più prestigioso è quello di
ambasciatrice giovanile di “One campaing”, uno dei due bracci operativi
(l'altro è “One action”) della Ong One”.
One è
devota alla causa della lotta alla "povertà estrema" congiunta con
quella al "sessismo" e alla discriminazione di genere.
Attraverso
la lotta alla povertà queste “Ong” veicolano l'ideologia liberale di genere,
impongono il controllo delle nascite (anche con l'aborto, ma da quest'ultima
pratica si è dissociata “Melinda Gates” molto impegnata con il marito a ridurre
la popolazione africana).
Interessante notare come le “Ong” come” One”
considerino la percentuale di addetti all'agricoltura come uno dei peggiori
indici di povertà.
Essi, nel loro filantropismo, con i loro
"aiuti", cercano infatti di sostituire alla "misera"
agricoltura di sussistenza, quella commerciale, che, se fa alzare il PIL, sia
pure artificiosamente, riduce la sovranità alimentare e crea spazio e profitti
per i filantropi, tra i quali ci sono le multinazionali del commercio agricolo
che sostengono le “Ong”.
Ovviamente il passaggio all'agricoltura
commerciale se, a qualcuno, consente di ottenere un reddito restando a vivere
nel villaggio, per molti (molte braccia con la transizione all'agricoltura
"moderna" sono "liberate") è la premessa allo sradicamento,
all'inurbamento e all'emigrazione (ovvero creazione di esercito industriale di
riserva per i filantropi).
Come da copione come tutte le “Ong”
espressione dei circoli capitalisti mondialisti, anche “One” è sostenuta da due
colonne: lo
star system e i "filantropi" (le loro multinazionali, le loro
fondazioni).
Note
star supportano la campagna di “One”.
Il
numeroso basso clero del sistema di creazione del consenso al sistema
dell'aristocrazia finanziaria hanno
gridato alla “fake news” quando i mezzi di controinformazione hanno messo in
evidenza il nesso tra “Luisa Neubaumer” e la “Open society foundation” e, per
proprietà transitiva, hanno osato proporre il "blasfemo" accostamento
tra il santino vivente (la Greta) e Soros, il personaggio che, per quanto i
pennivendoli si sforzino di presentare come "filantropo", per gli
italiani è lo speculatore spietato, il criminale finanziario, che ha sottratto
al nostro paese 48 miliardi di dollari speculando al ribasso contro la lira con
vendite allo scoperto che gli procurarono guadagni di un miliardo di dollari in
un solo giorno.
A
dimostrazione che in Italia le cose non vanno affatto per il verso giusto, il
suddetto arci criminale viene in Italia a pontificare al festival dell'economia.
I
fatti dicono che nel consiglio di amministrazione di “On”e siede tale “Halperin”
(foto sotto dal sito di One), un rappresentante della “Open society foundation
di Soros” e che la “Open Society Foundations “e l'”Open Society Policy Center”
sono tra gli sponsor di “One”.
Così
come ben note multinazionali (Google, Coca-cola, Cargill, Bloomberg), Bill e
Melinda Gates e altri noti personaggi del capitalismo globale.
Che la
“Neubamer” presti la sua immagine giovanile a una delle tante “Ong” sostenute
da Soros ha poca importanza.
Quello che conta è che l'ambientalismo alla Greta, e
alla Neubauer, rappresenta un salto di qualità in una direzione ben precisa.
Il capitalismo ha bisogno di qualcosa di nuovo
e di diverso per controllare politicamente l'Europa. (e gli altri paesi di quello che
era l'Occidente).
Le
grandi” Ong ambiental-conservazioniste”
(le bingos: WWF, IC, TNC, WCS) sono fortemente collegate al mondo
accademico e alle multinazionali (attraverso le sponsorizzazioni e la
partecipazione incrociata nei consigli di amministrazione del top management).
Esse
operano attraverso azioni di lobbying largamente invisibili ma spesso gestiscono
direttamente, con budget importanti, le aree protette del mondo e grandi
progetti, tanto da sostituirsi, almeno in Africa, ai deboli governi locali
nelle loro funzioni.
In occidente lavorano come consulenti delle
imprese promettendo di incrementare i loro affari grazie a opportune
verniciature verdi.
La green economy è largamente un gioco di
prestigio e di pizzi pagati agli ambientalisti, ma tutto ciò crea profitto ed è
cosa buona e giusta (per la green economy).
Le campagne rivolte al pubblico sono, per i
bingos, solo una punta di un iceberg delle loro attività.
I messaggi emotivi rivolti al pubblico dalle
Ong non hanno la finalità di promuovere attivazione politica, ma servono solo a
raccogliere fondi e a costruire un'immagine positiva delle stesse, un’immagine
inossidabile a ogni scandalo, che consente loro di intraprendere iniziative
spregiudicate, sino alla violazione dei diritti umani e alla spudorata vendita
di indulgenze ecologiche a favore di gruppi economici autori di devastazioni
ambientali.
Chiuse
nelle loro torri d'avorio, impegnate a lavorare a gomito a gomito con il
management delle multinazionali, con gli alti papaveri della burocrazia degli
stati e degli organismi internazionali, le “Ong” non si prestano certo a
interpretare o suscitare forme di attivismo "di base", di militanza
politica (o pseudo tale).
Se al
WWF si devono attribuire dei volti iconici, l'immaginario collettivo continua a
richiamare quelli di “Filippo d'Edimburgo”, “Bernardo d'Olanda” (scandalo
Lockeed e ex nazista), i padri fondatori.
La
gente deve identificare il “WWF” con il Panda, non con dei personaggi in carne ed
ossa (tolti i suddetti grandi vecchi che, di certo, non suscitano molto
entusiasmo, men che meno nei giovani).
E allora ... Greta.
Greta:
l'irresistibile fenomeno costruito nei laboratori della manipolazione delle
masse.
A cosa
serva Greta, nel contesto della "svolta" politica ambientalista, non
è difficile capirlo.
Il
"movimento" suscitato da Greta è, in tutta evidenza, nato in provetta
e geneticamente modificato, dello spontaneo movimento sociale ha ben poco se
non il genuino e ingenuo entusiasmo dei giovanissimi adepti.
Ma
dubitiamo fortemente che dagli scioperi scolastici nasca un movimento stabile sostenuto
da reale militanza volontaria.
Portando in piazza i marmocchi, e anche
qualche grandicello, il gretismo ha dato la possibilità ai media
dell'aristocrazia finanziaria di rilanciare il fenomeno, gonfiandolo
artificialmente a dismisura.
I media possono parlare di un'opinione pubblica
gretina e sentirsi legittimati a farsene portavoce.
In
realtà si tratta di un ventriloquio.
A cosa
serve Greta? Facciamo un esempio concreto.
Il pappagallino, il 4 maggio , con il suo iPhone d'ordinanza, ha
cinguettato che bisogna smetterla di parlare di cambiamento climatico .
Al suo
posto il “politically correct gretino” vorrebbe imporre "collasso
climatico". Non contenta suggerisce, bontà sua, possibili variazioni:
"crisi climatica", "emergenza climatica", "collasso
ecologico", "crisi ecologica" e "emergenza ecologica".
Non
sfugge a nessuno che non si tratta di sfumature lessicali ma di adozione del
dogma del prossimo, imminente, devastante collasso climatico.
Poco
importa se sia farina del sacco di Greta o dei suoi suggeritori.
Se
fosse davvero così, se un collasso irreversibile degli ecosistemi terrestri con
rischio di estinzione della specie umana fosse alle porte, dovremmo tutti
smetterla di pensare ad altro e concentrarci su questo problema, sempre che
fossimo ancora in tempo a farlo (il rischio è che un terrorismo di questo tipo
può indurre la gente all'apatia, "se le cose sono messe così male non sarà
certo con l'impegno mio e neppure di tanti altri che si invertirà la sorte).
Se, però, la situazione non fosse così apocalittica è
evidente che sotto c'è l'interesse a terrorizzare le persone per distoglierle
da altri problemi (sociali).
Fatto
sta che, dopo pochi giorni dal cinguettio del pappagallino, il “Guardian”, voce
della “sinistra politically correct british” (ma anche internazionale),
raccomanda caldamente ai propri collaboratori una nuova "disciplina
lessicale."
Viene
bandito l'uso del sintagma "riscaldamento climatico", troppo morbido, in favore di emergenza/crisi/collasso climatico.
Al
posto di global
warming si
deve usare global
heating (in
italiano si traduce sempre "riscaldamento", ma nell'originale la
differenza è marcata perché warming può essere solo un intiepidimento).
La
raccomandazione che suona più sinistra (anche nel senso di preoccupante oltre
che di leftist) è la sostituzione di "scettico climatico" con "negazionista della scienza
climatica".
Siamo
alla caccia alle streghe. Ovvero attendiamoci che, dopo le leggi sul negazionismo per
antonomasia (quello che riguarda all'olocausto di 6 milioni di ebrei, non certo le
foibe e altri massacri che, per impar condicio, possono essere tranquillamente
negati) vengano
proposte leggi tese a punire il negazionismo climatico.
Delle
belle armi per chiudere la bocca al dissenso politico e sociale.
Una
guida alla denigrazione a priori del” negazionismo climatico”.
Le
distopie alla Orwell di 1984 si stanno evidentemente concretizzando.
Ma Greta, poverina, cosa c'entra?
Beh,
basta ricordare il suo cinguettio e considerare che la “Viner”, la direttrice
del “Guardian”, giustifica la sua "guida" con l'autorità del
segretario dell'Onu, del papa, della Ue, di alcuni scienziati di punta in
materia climatica ma, soprattutto, appellandosi all'autorità di Greta.
Intorno
al suo personaggio, creato in laboratorio, è stata costruita una leggenda di
saggezza e autorevolezza.
Lei è perfetta nel recitare la parte:
Non
siete abbastanza maturi per dire le cose come stanno, lasciate perfino questo
fardello a noi bambini.
Misto di voce dell'innocenza, oracolo arcano
di una saggezza perduta.
Ora
non basta che far dire al pappagallo quello che si vuole e il gioco è fatto.
Il
trucco è semplice:
richiamandosi
a Greta e ai ragazzi che, in maggioranza, senza neanche sapere il perché,
marinano la scuola "per il clima, la stretta sul dibattito sul cambiamento
climatico (e le relative implicazioni sociali ed economiche), l'intolleranza
contro gli scettici, sono legittimati dal basso, dalle giovani generazioni che
reclamano un futuro negato dall'egoismo dei "vecchi".
Trucchi
sempre più complessi.
Una
volta bastava "l'ha detto il partito".
Era da
tempo che non si vedevano certi episodi di intolleranza contro chi osa
esprimere il dissenso nei confronti del pensiero unico (in questo caso
climatico).
Segnali
pericolosi, perché questa intolleranza è istigata dall'alto, dai mezzi di
comunicazione, dalle istituzioni, dal sistema che, in teoria, il gretismo
dovrebbe contestare.
Poi, però, va a Davos con tutti gli onori.
E,
quel che è grave, perché segna un abissale abbassamento della soglia di
discernimento critico di molte persone, gli adepti continuano a credere.
Emblematico
il caso della ragazzina svedese che non voleva scioperare per il clima e che è
stata bullizzata dai compagni e dall'insegnante.
Alla madre, la preside ha avuto la
spudoratezza di dire che era sua figlia ad avere torto e che doveva comportarsi
come gli altri per una cosa "positiva".
Ma non erano brutti i balilla e le giovani
italiane?
Così
la ragazzina si è rifiutata di tornare in quella scuola.
Anche a casa nostra, i commentatori politically correct
pro Greta,
hanno usato ogni insulto contro i "vecchi retrogradi senza futuro" che osano sostenere che di
fenomeno teleguidato si tratta.
Era
dal 68 che non si vedeva instillato nei giovani, dai "grandi vecchi"
e burattinai vari, un sentimento di disprezzo e di odio contro i
"vecchi" che "rubano il futuro" (chi oggi ha una certa età
ricorda di aver sbeffeggiato i "matusa").
Si vede che la gerontofobia è meritoria, disprezzare e
insultare gli anziani non lede alcun diritto (in generale vale anche per i
diritti l'adagio orwelliano adattato: ci sono diritti più diritti degli
altri).
Era
dal 68 che non si vedevano anche certi isterismi adolescenziali elevati a
"coscienza ecologica".
Segno
che Greta funziona.
Del
resto se ti convincono che tra pochi decenni vi sarà una catastrofe e che,
sepolti i vecchiacci, sarai tu ad andare arrosto, morire di sete e di fame,
come minimo odierai tutti i vecchiacci che con il loro criminale negazionismo
impediscono di fare qualcosa sino a che si è in tempo.
Indurre
queste angosce, questo odio negli adolescenti non è plagio, non è un crimine?
Con
tanta autorevolezza acquisita dal gretismo, con il "movimento" giovanile
messo in piedi in suo nome dalla sera alla mattina come seguendo un pifferaio
magico, non è difficile pensare che si cerchi di trarne dividendi politici.
Che
servisse tirare fuori dal cilindro un coniglio per contrastare, sui social e
nelle piazze, l'ondata populista e sovranista poteva essere facilmente
previsto, che tutto quello che sa di sinistra (compreso il verdismo politico)
non faccia più presa sui giovani (e sulla buona parte degli adulti) è un dato
di fatto.
Come abbiamo visto le” organizzazioni ambientaliste
storiche” sono diventate “business” e non si abbassano ad andare in piazza.
Ai
legambientini si richiede di mettersi cappellino e ramazza, e questo è l'
"attivismo" richiesto ai simpatizzanti, che non contano nulla.
I veri
attivisti non sono molti perché non vogliono spartire con troppo la torta dei
business.
Con la crisi dell'ondata ambientalista degli
anni '70-'80 cresciuta sull'onda del movimento antinucleare e con la
progressiva istituzionalizzazione e orientamento al business delle “Ong” era
cresciuto un movimento ambientalista “grass root”, di base, spontaneo, in
opposizione contro scempi ambientali, i parchi fotovoltaici, discariche,
inceneritori, pale eoliche, centrali a biomasse.
I primi a combatterlo sono stati gli
ambientalisti istituzionali che sono capaci di dichiarare
"sostenibili" non solo le centrali a biomasse che bruciano legna ma
gli stessi inceneritori (in quanto co-interessati ai business). Per sapere di
più.
Oltre
a riempire le piazze e dimostrare che l'attivismo non ha solo marca populista e
sovranista, il movimento gretino è servito, con perfetto tempismo a confermare
l'annunciato (nel senso di desiderato dai media e dai sondaggisti) boom dei
verdi in alcuni paesi.
In effetti la grancassa mediatica su Greta è
stata martellante e abilmente subliminale.
Ma non è certo che i partiti verdi, al di là
di un utile argine momentaneo da contrapporre all'avanzata sovranismo
rispondano, così come sono, all'esigenza del capitale di avere forze di governo
affidabili.
Un altro aspetto che non può consentire al capitale di
considerare i verdi quale cavallo da sostituire alla sinistra consiste in quel
tanto di anticapitalismo residuale che li caratterizza.
Che
brava, invece, quella cara bambina che colpevolizza intere nazioni, intere
generazioni e non pronuncia quelle orribili parolacce: lotta di classe,
sfruttamento, capitalismo.
Greta,
inoltre, è ancora più cara e giudiziosa in quanto assume in modo acritico i
dogmi della scienza.
Una delle sue affermazioni tipiche è: i politici devono
ascoltare gli scienziati.
Ancora
un po' li sostituiscono che facciamo prima.
Opzione
che viene confermata da un'altra frase simbolo della svedesina quando dice che
preferisce concentrarsi su cosa deve essere fatto anziché su cosa sia
politicamente meglio fare.
Gli
ebeti che l'hanno applaudita (anche al parlamento italiano) sono stati
ipnotizzati dallo sguardo freddo della bambina con” sindrome di Asperger” o
ritengono che la politica, la democrazia, loro stessi siano del tutto inutili
come proclama Greta esprimendo idee totalmente reazionarie.
I veri
“movimenti ambientalisti di base”, al contrario di Greta che è una marionetta
telecomandata dall'alto, hanno messo in discussione la neutralità della scienza, ne hanno invocato la
democratizzazione perché come essa si pone è tutto fuorché neutrale e spudoratamente organica al meccanismo
capitalista globalista.
Questo va affermato perché essa sistematicamente
sottovaluta il rischio quando il profitto è in pericolo e lo sopravvaluta
quando c'è in vista, adottando misure di prevenzione dello stesso di ricavare
alta remuneratività dai nuovi investimenti.
“La
scienza”, attraverso meccanismi del tutto non casuali, tutela il capitale più
della salute.
La nocività dei pesticidi è ammessa solo dopo
che le statistiche accumulano una ecatombe di morti di cancro mentre si poteva
presupporre da studi in vitro la tossicità di una data molecola e si sarebbe
potuto applicare il principio di precauzione?
Cosa
c'è di scientifico nei valori massimi tollerabili di veleni (frutto di trattativa
politica ma poi avallati a posteriori da qualche test scientifico? Perché la
pericolosità degli inceneritori, ancorché accertata anche da indagini
ministeriali, è poi sottovalutata anche in sede scientifica?
Perché solo per il” riscaldamento climatico”,
e non per l'avvelenamento della terra e dei mari e la cancerogenicità dell'aria
si delineano scenari sin troppo allarmisti (che poi, in parte si rivelano
esagerati) mentre per le altre emergenze ecologiche la scienza capitalista usa
il criterio opposto della sordina?
È pensare male ritenere che attraverso la r”iduzione
della CO2” si finanzierà facendo pagare lacrime e sangue ai lavoratori e
contribuenti la ristrutturazione di comparti industriali maturi a basso
profitto per promuovere nuovi settori ad alta redditività drogata dai sussidi
pubblici?
Quanto
fa comodo Greta!
All'establishment
capitalista serve, eccome, un progetto politico di distrazione di massa, basato
sull'ossessione per l'imminente catastrofe climatica ma serve anche che esso,
in modo più convinto dei verdi (che almeno in Germania hanno più che venature
sovraniste), agiti l'altro corno della politica e dell'ideologia neoliberale:
i diritti civili, intesi come libertà senza
limiti di perseguire il proprio piacere egoistico, come disintegrazione della
famiglia e della morale.
Nella sfera dei “diritti civil”i e
dell'allargamento delle ristrette prospettive localiste (così viene liquidata
ogni istanza di radicamento) serve alla bisogna chi esalti e favorisca, in nome della
"libertà di movimento", il nomadismo apolide nella sua versione dei
ricchi (pago le tasse dove voglio) e dei poveri (nuovi schiavi in perenne
movimento per alimentare l'esercito industriale di riserva).
(Greta
mostra al mondo il suo disappunto per una manifestazione del movimento di
estrema destra Nordiska motståndsrörelsen. Che brava bambina.)
Se, in
tema di clima, si sta sviluppando una caccia alle streghe contro i dissidenti,
sull'altro fronte (quello dei "diritti delle minoranze"), la
repressione della libertà di espressione (diritto obsoleto a quanto pare in
mezzo a tanti nuovi di pacca) è stata già ampiamente compromessa dalle leggi
contro l'omofobia e il razzismo e dall'imposizione dell'ideologia gender che
criminalizza l'identità maschile e il "patriarcalismo".
A colpi
di “gay pride” viene veicolata dai media mainstream l'idea che ogni perversione
e ogni orientamento sessuale siano equivalenti (moralmente indifferenti) e che
di spregevole e anormale c'è solo l'attaccamento alla famiglia e alla morale
tradizionale.
I “Gay
pride” sono così diventati come le processioni di un tempo:
le
manifestazioni pubbliche di una nuova religione che gode di ogni benedizione:
la
realtà è stata invertita e questa è la nuova normalità che, pride dopo pride,
anche i retrogradi finiscono per accettare se non altro per assuefazione.
Il
solo proferire parole come “tradizione, identità, patria” è diventato
riprovevole e forse domani sarà reato.
È
fantapolitica individuare nella fusione di questi due "filoni"
(l'ambientalismo totalitario giustificato dalla "catastrofe
climatica" e il totalitarismo dei "diritti delle minoranze") la
chiave del progetto prossimo venturo del capitale?
La “demonizzazione del sovranismo” oggi avviene anche
per il potenziale pericolo, che esso rappresenta, di suscitare l'orripilante
omofobia e il non meno spregevole e abominevole "negazionismo
climatico".
Ciò la
dice lunga, così come l'orientamento politico della candida Greta che, il primo
maggio, ha partecipato a Ludvika a una contro manifestazione antifascista per
difendere la parità dei diritti umani e la democrazia, contro il nazismo come
ella stessa ha precisato sui social.
Proprio una brava bambina.
Se
nella fase storica tra la caduta del muro e oggi, il capitalismo neoliberale ha
largamente liquidato gli stati nazionali, i partiti, i sindacati, le
associazioni realmente no profit, sostituiti dalla società dello spettacolo
(che ti indottrina e al tempo stesso ti fa pagare), dalle agenzie
internazionali, dalle fondazioni, dalle Ong, tutte articolazioni dirette delle grandi
banche, dei mega fondi (alla Black Rock), delle multinazionali, nella nuova
fase che si apre - a meno di una energica reazione popolare - la prospettiva è
quella di uno svuotamento ancor più spinto della democrazia e della libertà di
espressione, anticamera di una società in cui la finzione dell'eguaglianza e
dei diritti di cittadinanza cadrà definitivamente e sarà sancita, anche sul
piano giuridico, la condizione di servaggio della plebe, di divisione tra
l'aristocrazia finanziaria (gli spartiati) e gli altri, gli iloti.
Ecco
creato Sala: un bauscia (ma dalle idee chiare) che si candida a leader del partito
liberal-ambientalista.
Non
sappiamo se in altri paesi il “liberal-ambientalismo” (con il quale si è già
cimentato Macron, con esiti catastrofici) avanzerà per mutazione dall'intero
dei verdi (aiutata da provvidenziali manine) o attraverso nuove forze politiche.
Sappiamo
che in Italia non esiste un movimento politico verde e che quindi il problema
non si pone.
Se il progetto ha da farsi esso deve partire
con un cavallo nuovo.
I
verdi italiani hanno sempre vivacchiato come costola della sinistra e non hanno
minimamente fruito del viatico Greta.
Troppa
distanza tra un movimento, almeno in apparenza, fresco e spontaneo e un
verdismo all'italiana nato per riciclare i troppi capi e capetti dei gruppi
dell'estrema sinistra post-sessantottesca (approfondire).
Unico
personaggio che si staccava da questo prototipo e al qual va riconosciuta una
statura morale e politica è stato “Alexander Langer”.
Se invece pensiamo ai Rutelli... In Italia, a fiutare l'aria che tira ci sono
astuti personaggi che sanno bene che il PD ha ripreso un po' di fiato solo per
il crollo dei grillini ma che all'appuntamento con le regionali in Emilia-Romagna
rischia di arrivare al capolinea.
Nella
Milano di Sala che vuole essere a tutti i costi “gay-friendly”, una stazione della metro è
"intitolata" al "movimento" LGBT.
Uno
che ha ambizioni di leader politico per nulla nascoste è Sala, personaggio di
provata spregiudicatezza, capace di passare da city-manager delle giunte di
destra a esponente della sinistra rampante del denaro, ma attenta (a differenza
di Renzi e altri personaggi di pari modesto spessore) a mettere in relazione “il
liberismo economico” con il “liberal-libertarismo dei diritti individuali
spinti” e con lo pseudo solidarismo immigrazionista.
Come sovra
mercato, Sala ha da qualche tempo (dopo i tracolli del PD) adottato
l'eccentrico vezzo di parlare di "giustizia sociale" (cosa che,
almeno, Calenda e Renzi ci risparmiano).
Che i
temi di Sala siano connessi nei fatti è ovvio in quanto il capitale ha
interesse nella tratta dei nuovi schiavi e nel dissolvere ogni residuo di
aggregazione sociale (in modo che ogni relazione umana sia mediata solo dal
mercato).
La novità di Sala è questo voler tenere
insieme programmaticamente e ideologicamente liberismo economico e liberalismo
dei "diritti", così da creare un consenso "centrista" che
vada al di là dell'ambito piuttosto ristretto dei ricchi e dei funzionari e lustrascarpe
dell'élite che oggi votano PD.
L'entusiasmo di Sala per i “gay pride” è
secondo solo a quello per le Olimpiadi e si capisce allora il perché.
Il
nostro è un ardente sostenitore dei diritti (ma cosa vogliono ancora?) della
"comunità" LGBT ecc., così come della “Milano multirazziale,” ma
senza perdere di vista il pragmatismo e l'approvazione dei circoli che contano
(Curia e Corriere in primis), tanto da vedere con soddisfazione il trasferimento
all'europarlamento dell'ingombrante pasdaran Majorino.
Quello
che mancava a Sala, per accreditarsi come campione di un liberal-ambientalismo
rampante, era una patente ambientalista.
Non
dovrebbe essere facile dimenticare la piastra di oltre un milione di mq (dove
pascolavano le pecore prima di Expo) e le superfici (10 volte tanto) di aree
agricole e naturali cancellate dalle opere dell'Expo (raccordi, autostrade).
Il tutto in un Nord Milano che ha i record
mondiali di impermeabilizzazione del suolo (e quando piove si vede...).
Ma il nostro ha un pelo sullo stomaco da Guiness dei
primati e, approfittando del rimpasto a seguito della dipartita di Majorino, si
è preso le deleghe per la "transizione ambientale".
Bisogna ammettere che Sala ha anche coraggio oltre che
pelo sullo stomaco perché, quella che ha provocato il subbuglio in Francia, è
stata proprio la sbandierata politica di "transizione".
A
seguito di questa "svolta", però, il biglietto del tram, tanto per
incentivare il trasporto pubblico, è salito da 1,5 a 2,0 €.
Si notai
che mentre Sala ha iniziato (non lascia niente al caso) a partecipare al “G50”
(il summit delle 50 città proclamatesi più ambientaliste) dove conciona di
"mobilità sostenibile", è lo stesso Sala, furbone, per paura di
perdere voti dalle categorie più retrive e attaccate al trasporto privato, si
oppone al progetto di scoperchiamento dei navigli che porterebbe grandi
vantaggi turistici e di qualità della vita imponendo una vera rivoluzione della
mobilità che porrebbe Milano all'avanguardia e ne farebbe un esempio nel mondo.
L'astuto spiega che i navigli costano troppo e
imporrebbero sacrifici sul fronte dei servizi sociali dove rischierebbero di
essere penalizzati i beniamini della sinistra: rom e immigrati poco integrati.
Sala
di ambiente parla solo da pochi mesi, ma già si presenta come un ambientalista
convinto e si candida a “capo partito liberal-ambientalista”.
Dopo l'emergere del "fenomeno Greta"
il nostro - ma guarda che combinazione - ha intensificato i riferimenti
all'ambiente dichiarando che non solo l'ambiente è importante ma che è la
battaglia per l'ambiente è "profondamente politica".
È da queste ultime paroline bisogna partire
per decifrare il progetto di Sala.
Le questioni ambientali sono
"profondamente politiche" da quando è nato l’ambientalismo, un secolo
e mezzo fa negli Usa.
Sala,
che ha ancora poco studiato l'ambientalismo, parla di creare un
"ambientalismo 2.0".
Dovrebbe prendere ripetizioni da Carlo
Monguzzi, classe 1951, sessantottino e poi politico di lunghissimo corso
(provvisto di vitalizio parlamentare e di lussuosa buona uscita del consiglio
regionale) che, in consiglio comunale a Milano - avanti i giovani - rappresenta
il movimento dei gretini.
Il
sindaco, che si propone come alfiere del nuovo partito, quantomeno a livello
italiano (è decisamente abile e scaltro ma anche bauscia), non sa che di
ambientalismi si è perso il conto.
Grosso
modo siamo all'ambientalismo 4.0, quello che ha già - almeno nelle sue
componenti più istituzionali - ampiamente interiorizzato il discorso
neoliberale e che da anni sostiene che l'ambiente si salva consumando certi
prodotti (di solito quelli delle multinazionali certificate dal WWF) invece che
altri, finanziando la green economy invece che le politiche sociali.
Questo
ambientalismo è perfettamente alleato al capitalismo rampante nel legittimare il “land grabbing”,
l'espulsione dalle proprie terre di intere tribù, gli abusi e gli omicidi, con
la scusa della salvaguardia di specie a rischio di estinzione.
Esso
in partnership con le società estrattive opera in questo modo per mettere le
mani su legname prezioso, metalli rari, diamanti ecc.
Ne
abbiamo parlato ampiamente.
Sala,
evidentemente ha in testa un ambientalismo che da movimento ambiguo di
opposizione o da macchina da soldi (restando quindi sostanzialmente sul terreno
economico e non incidendo sulle convinzioni delle masse) si ponga come asse portante della
gestione del potere politico e del consenso di massa al servizio
dell'aristocrazia finanziaria globale.
Su
questo ha la vista lunga; ha infatti capito perfettamente che a livello europeo
la sinistra è al capolinea, per decenni ha fatto gli interessi dei padroni,
approfittando del fatto che si era accreditata con una storia di ben altro segno
e tradendo la fiducia dei ceti popolari.
Ora
non può più funzionare.
Sala e
Monguzzi: i giovani gretini (cosa non si fa per riciclarsi).
Ora la
sinistra è votata solo nelle grandi città con percentuali da "partito di
raccolta" in centro storico a Milano e ai Parioli a Roma.
Troppo poco e troppo imbarazzante se si vogliono avere
i voti della sprezzata plebe per governare (poi, quando non ci sarà più il
suffragio universale sarà un altro discorso).
La prevedibile prossima perdita dell'Emilia-Romagna
che, più ancora che la Toscana era il vero fulcro del "potere rosso",
segnerà l'inizio dell'implosione del PD.
Sala
ha capito che l'occasione è irripetibile sa che, a differenza dei competitor
che si azzuffano per dividersi le spoglie del PD (i vari Calenda e Renzi) ha
dietro di sé un modello Milano che può rendere credibile la sua candidatura.
Sa che
deve tenere insieme affarismo liberista e l'oppio libertario-libertino dei
"diritti" a pro del popolo atomizzato, precario ma, a Milano,
"fighetto".
Entrambe
queste tensioni sono di natura egoistica, utilitaristica, fanno leva sulla fame
di soldi e di piacere.
Ed
ecco che il tutto deve essere santificato, purificato, sublimato.
Altro che il “green washing” con il quale si
impegnano con zelo le “Ong ambientaliste”.
Serve
ben altro, qualcosa di "parareligioso" ma che non porti acqua al
mulino dell'onda nera tradizionalista.
Ecco
allora, a compensazione dello spietato utilitarismo egoistico che caratterizza
le spinte liberal- libertario- libertine, va messa in gioco per la suprema
moralità della causa, la salvezza del pianeta, un tema che - insieme ai
migranti - piace
molto anche alla neo-chiesa bergogliana sempre meno scandalizzata da eutanasie,
uteri in affitto, diritti sodomiti.
Il
ruolo politico di Bergoglio: verso una neo-chiesa o una “neo-religione
ambientale-sincretica”?
Il
movimento gretino fornisce utili elementi con la sua focalizzazione sulla santa
causa del clima.
Ma non
sufficienti.
Per santificare la causa serve trasfondere
l'antico carisma della vecchia religione (demolito dalla modernità e dalla
secolarizzazione liberale) nella nuova botte del credo eco climatico.
Un affare per entrambi i contraenti,
considerato che, da quando la chiesa cattolica ha deciso (Concilio Vaticano II)
di adeguarsi al mondo governato dal capitalismo liberale e devoto solo alla
massimizzazione dell'utile e del piacere individuale, oltre che al culto della
tecnoscienza, non fa che regredire (se non fosse per l'Africa in espansione
demografica) e a perdere di credibilità.
Messa
alle strette con gli scandali pedofili e omosessuali e in crisi di vocazioni la
chiesa di Bergoglio è una barca alla deriva alla quale il timoniere, si impegna
con scrupolo a infliggere picconate che aprono nuove falle di disorientamento.
Così
anche Bergoglio ha iniziato un aggiornamento ambientalista della chiesa.
Manca
solo poco più di una decade per raggiungere questa barriera [ 1,5°C di aumento
della temperatura] del riscaldamento globale.
Lo ha detto Greta? No, El papa
.
Bergoglio non si vergogna di umiliare il suo ruolo (lecca le scarpe
letteralmente ai leader islamici.) e quindi non si pone problemi a fare il
ripetitore di Greta.
El
papa, come Macron, come Sala, invoca la "transizione energetica radicale", che andrebbe probabilmente
sostituita a comandamenti obsoleti (specie il VI e il IX, messi molto in
discussione, se non abrogati, da” Amoris laetitia”).
El
papa ha già manifestato ampiamente la sua intenzione di dedicare il pontificato
all'ambiente sin dall'”enciclica Laudato Sì”.
Essa è stata letta come un assist all'ambientalismo.
In
realtà essa riprende le posizioni dei pontefici precedenti ispirandosi
all'ecologia integrale” (non c'è ristabilimento dell'equilibrio ecologico senza
giustizia sociale) anche se, rispetto ai predecessori, entra maggiormente nel
merito dei fenomeni dell'inquinamento e del riscaldamento climatico, forse in
modo inopportuno, tanto da lasciare l'impressione di legittimare in qualche passaggio
le posizioni catastrofiste.
La dottrina però è riaffermata nell'adesione
dichiarata ad un antropocentrismo responsabile.
Solo in alcuni punti l'enciclica può dare
l'impressione di distaccarsene.
Così
quando cita il documento dei vescovi tedeschi del 1980 (Futuro della creazione
e futuro dell'umanità) facendo proprio un passaggio pericoloso che puzza eresia
e che assegna alla natura non umana una priorità del suo valore per sé rispetto
all'utilità per l'uomo (nella “Laudato Sì” si legge: si potrebbe parlare della
priorità dell’essere rispetto all’essere utile).
Non è
necessario essere teologi per capire che “antropocentrismo cristiano”, al
massimo, dovrebbe assegnare pari valore all'essere per sé e all'essere per
l'utilità dell'uomo.
Altrimenti si scivola in un biocentrismo non
dichiarato, incompatibile con la fede cristiana e la dottrina della
creazione.
Affermare
che gli esseri viventi e gli elementi della creazione abbiano valore in sé e
non solo sotto il profilo utilitaristico per l'uomo è giusto ma ben diverso dal
sostenere che il valore in sé assume priorità rispetto all'esigenza umana.
Custodire e coltivare è il compito assegnato
da Dio all'uomo nei confronti della natura.
Custodire = rispettare l'essere in sé della
creazione, coltivare = utilizzare saggiamente della creazione senza
compromettere la finalità di custodia.
Il
custodire non può essere prioritario sul coltivare che deve comunque trovare un
limite quando la custodia rischia di essere compromessa.
Uno dei difetti dell'enciclica, che possono
far parlare di "appiattimento all'ambientalismo" è l'assenza di una
critica chiara alle pratiche messe in atto dall'ambientalismo in materia di
esproprio di terre, controllo forzato delle nascite, parchizzazione della
natura per scopi egoistici (approfondire).
L'ambientalismo non è solo buono e bello e non
dirlo, oggi, è grave.
Anche
se certe politiche delle “Ong ambientaliste” sono state più feroci in Africa
che in America Latina, il teologo della liberazione” Leonardo Boff,” ghost
writer o comunque ispiratore della” Laudato Sì”, in qualità di esponente dei
movimenti ecologisti e dei popoli nativi ne è perfettamente al corrente.
L'enciclica,
semmai, critica (blandamente) l'animalismo.
Si avverte a volte l’ossessione di negare alla
persona umana qualsiasi preminenza, e si porta avanti una lotta per le altre
specie che non mettiamo in atto per difendere la pari dignità tra gli esseri
umani.
El papa e Boff conoscono bene le posizioni eugeniste
dell'animalismo e sanno bene che della giustizia sociale agli animalisti non
importa nulla.
Sanno
che l'animalismo è il miglior cavallo di troia che esista sulla piazza al fine
di demolire l'etica e la morale cristiane e che il suo veleno rischia di
contaminare tutto il movimento ambientalista (approfondimento).
Eppure, El papa, che tuona un giorno sì e
l'altro anche contro chi si oppone all'invasione Afro islamica, di fronte a
questo pericolo mortale, capace di predisporre all'accettazione
dell'infanticidio e dell'eugenetica, tace (non ha fatto neppure nulla contro
l'introduzione in Italia del quasi matrimonio omo e della quasi
eutanasia).
Meglio
avrebbe fatto l'enciclica a sottolineare come l'animale viene trasformato in un
totem divinizzato e a mettere in guardia da un animalismo che assegnando agli
umani invalidi, sub-normali, un valore inferiore all'animale sano, apre la
porta a un futuro di orrori.
Nulla
si dice El papa delle relazioni tra ambientale-animalismo e i culti neopagani
come” la
wicca”.
Perché tanta timidezza?
Ovvio, per non compromettere i rapporti delle
religioni con il potente movimento ambientalista, con l'aristocrazia
finanziaria globale.
A
pensare bene si direbbe: "per non compromettere gli sforzi unitari per il
bene dell'umanità e degli ecosistemi", a pensare male per venire incontro al
programma di neo-religione sincretica di “Filippo di Edimburgo” (leggi massoneria).
A
voler guardare, anche l'attacco al sistema economico capitalista, nella “
Laudato Sì” è molto soft, anzi non c'è.
E qui si scopre il gioco di Bergoglio e dei gesuiti,
finissimo invero, come da lunga tradizione dell'ordine: farsi fama di comunisti
per sostenere meglio il capitalismo più spietato. A "destra" molti
bacchettoni ci cascano (e el jesuita se la ride della grossa).
Forse
perché il furbastro invita i "movimenti sociali" e preferisce i
"centri sociali" ai devoti cattolici.
L'enciclica
non morde gli sfruttatori responsabili dell'ecocidio e della crescente
concentrazione della ricchezza, in barba, anzi, proprio a causa del ruolo di
marxista-ecologista del su consigliere Boff.
Si parla di "interessi particolari",
mai di sfruttamento.
Si
adotta la neo-lingua del politically correct ("gli esclusi").
Non
pochi pensano che, in ottobre, in occasione del sinodo sull'Amazzonia si
possano produrre "strappi" più gravi rispetto alla “Laudato Sì” che,
comunque, tranne qualche sbavatura, e una sostanziale timidezza
nell'individuare le cause della sofferenza ecologica e sociale, rappresenta un
buon documento, molto migliore della quotidiana, spesso sconcertante, pastorale
bergogliana.
Il
timore è che il rispetto e la valorizzazione della cultura e della spiritualità
dei popoli indigeni rappresenti un cavallo di troia per introdurre forme di
accettazione del neo-paganesimo che ispira i movimenti anima-ambientalisti
occidentali e di posizioni panteiste e biocentriche.
La
voce che il sinodo sia ispirato da Filippo d'Edimburgo è inquietante ma non
strampalata.
L'anziano
esponente della massoneria e del WWF, infatti, nel 1986 (era in carica quale
presidente del Panda) costituì nuova Ong:
l'”Alliance of Religions and Conservation”
(ARC), costituitasi a seguito di un incontro ad Assisi dei leader di cinque
delle principali fedi cui seguì, nel 1995, il coinvolgimento di ulteriori
quattro religioni.
La ARC
opera con il sostegno della Banca mondiale. Immagine emblematica: il WWF, cinica ed efficiente macchina
da soldi capitalista, si assimila, in posizione egemonica, alle religioni
storiche dell'umanità. Ci si chiede
perché tanta condiscendenza da parte delle religioni.
Conclusioni.
Iniziative
più o meno recenti, ma coerenti tra loro, indicano, che è tutt'altro che
fantapolitica la prospettiva di un “nuovo ambientalismo come strumento di imposizione”, attraverso armi di distrazione di
massa, sofisticate truffe ideologiche, repressione del dissenso, di una condizione di dominio
capitalistico ancora più dura (emblematica l'imposizione del neo-cibo a base di
insetti e di tessuti animali e vegetali prodotti in laboratorio).
C'è ben di più delle spacconate di Beppe Sala,
del gran lavorio dietro le quinte necessario per "lanciare" il
fenomeno Greta, delle posizioni ambigue di El papa.
Questi
sviluppi possono implicare pericoli molto gravi per le realtà rurali per le
quali, il “progetto del neo-liberal-ambientalismo”, prevede niente meno che una drastica cancellazione sulla base
dell'esigenza ecologica (motivata dal collasso climatico e ecosistemico) del "ritorno alla natura" di territori che hanno visto
millenni di storia di utilizzazione umana.
Cancellare storia, memoria, identità è nel
programma del nuovo potere totalitario che si profila dietro l'angolo, sempre
che una resistenza consapevole, e da subito, si opponga al disegno delle élite.
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