Globalismo mondiale unilaterale.
Globalismo
mondiale unilaterale.
Dietro l’ecologismo e il globalismo
si
nasconde il “Nuovo Ordine Mondiale”?
Informazionecattolica.it
– (16/01/2021) - Emanuela Maccarrone – ci dice:
PRENDERSI
CURA DEL CREATO È UN DOVERE DELL’UMANITA’ COME DEVOZIONE A DIO E PER IL PROPRIO
BENE, MA FINO A CHE PUNTO È GIUSTO PARLARE DI “GREEN ECONOMY” O DI “ECOLOGISMO”
E “GLOBALISMO”?
IN
REALTA’QUESTI TERMINI APRONO LA STRADA A NUOVE FORME DI REGIMI TOTALITARI.
Il
creato è uno dei doni che Dio ha elargito all’uomo.
Attraverso
la sua contemplazione, l’uomo può constatare l’immagine di Dio e godere della
sua opera d’arte.
La
natura ci parla di Dio, ricordandoci in continuazione la sua volontà, ovvero
nei piani di Dio l’uomo domina la terra, ma ne è anche il custode.
Per
questo è dovere dell’umanità prendersi cura del creato sia come devozione a Dio
sia per il suo stesso bene.
È
necessario che l’uomo si impegni in tal senso, purché l’attenzione alla natura
non diventi un’ideologia che si oppone a Dio e all’umanità.
Oggi
si parla spesso di “ecologismo” e di “globalismo” o di “green economy”.
Questi
termini danno l’illusione di un impegno attivo dell’uomo nella custodia del
creato, in realtà non è proprio così.
Il “XII
Rapporto dell’Osservatorio Internazionale sulla Dottrina Sociale della Chiesa “è
di un altro parere.
“Il
nostro dodicesimo Rapporto parla dell’”ambientalismo” e del “globalismo”
considerandole due pericolose ideologie oggi molti diffuse.
La
Chiesa stessa sembra esserne ampiamente contagiata.
Per l’ambientalismo
basta ricordare il sinodo dell’Amazzonia e per il “globalismo” il nuovo
concetto di “fratellanza” indicato nell’enciclica “Fratelli tutti.”
Tra le due ideologie c’è un legame molto
stretto:
per
proteggere l’ambiente (ambientalismo) bisogna operare insieme (globalismo)
tramite un governo politico centrale”, ha affermato il direttore
dell’Osservatorio, il professor Stefano Fontana.
Secondo
il “Rapporto” dietro la diffusione di quei termini, apparentemente innocui, si
celano delle ambiguità pericolose.
“Le crisi ambientali sono costruite a tavolino – il
Rapporto dimostra che il riscaldamento globale antropico è una grossa balla – e
poi per fronteggiarle si potenziano i poteri globali (con i quali si fanno molte altre
cose, specialmente contrarie all’ecologia umana)”.
In
altre parole, si vorrebbe una ‘religione ambientalista’ che risulta essere sia un’ideologia
quanto un’utopia.
“La
categoria dell’utopia è molto penetrata nel linguaggio ecclesiastico di oggi:
sognare, aprire processi, non aver paura del nuovo, non farsi rubare la
speranza, creare un nuovo ordine mondiale, una nuova economia e così via.
L’enciclica
“Fratelli tutti” è caratterizzata da un approccio di questo tipo”, affermano dall’Osservatorio.
In
particolare, il direttore avverte sulla pericolosità dell’utopia molto diffusa
nella Chiesa cattolica poiché “ci parla di una Chiesa che non si fonda più
sulla tradizione”.
Ma il”
globalismo” e l’”ecologismo” sono anche un’ideologia politica perché “sono il
modo per realizzare oggi la rivoluzione e per essere attuate hanno bisogno di
un forte potere centrale, ossia di nuove forme totalitarie”.
Lo
stesso “Green Deal”, il programma d’intervento ecologista europeo, è “privo di
scientificità, molto ideologico e molto dirigista”.
In
sostanza, secondo quanto emerge dal “Rapporto”, dietro il falso impegno
dell’uomo nel salvaguardare il creato si “conducono trasformazioni economiche e
sociali gestite dall’alto”.
Nuovamente
si denuncia una minaccia che sembri minare il benessere dell’umanità.
Michael
Rubin: “Diamo a Zelensky
Atomiche
da Usare come vuole
Contro
la Russia”
Conoscenzealconfine.it
- (21 Giugno 2023) - Maurizio Blondet – ci dice:
La
controffensiva è fallita? Come scongiurare la vittoria di Putin?
L’esperto
militare Michael Rubin ha una ideona e la propone a Biden:
dare
all’Ucraina armi nucleari tattiche da usare “liberamente”, senza controllo da
parte di Washington.
Washington
pretenderebbe di non avere alcun controllo e quindi alcuna responsabilità.
Il
punto è che questo Rubin è uno dei capi dell’”American Enterprise Institute” –
i più vecchi lettori se ne ricorderanno – la potente centrale dell’estremismo
guerrafondaio ebraico-americano – dei Wolfowitz, dei Kristol, dei Kagan, di
Michael Leeden – che vent’anni fa ebbero sugli Stati Uniti il potere, con la
scusa di vendicare l’assalto alle Twin Towers dell’11 Settembre (false flag da
loro stessi concepito), di lanciare gli Stati Uniti nelle guerre senza fine
contro Irak, Afganistan, Siria, ovvero tutti i nemici potenziali di Israele.
Per
lunghi anni l’”American Enterprise” ha governato l’America dietro Bush jr.
La
proposta di Rubin ha dunque concreta possibilità di essere accolta.
Tanto
più che – strana coincidenza? – ordini di proposte estreme simili già vengono
ventilate in Europa stessa, da settori insospettabili.
Questa
signora tutta arcobaleno?
È la “Presidente della Commissione Difesa del
Bundestag”, il parlamento germanico.
Si
chiama Marie-Agnes Strack-Zimmermann, ed ha appena proposto che agli ucraini
non si diano solo gli F16, ma si concedano anche gli aeroporti tedeschi da cui
farli decollare per andare a bombardare la Russia.
Con
questa motivazione: a differenza degli aeroporti ucraini, infatti, i russi non
possono radere al suolo gli aeroporti su suolo germanico…
Questa
immagine ci dice che non si potrà contare troppo sulla sanità mentale dei suoi
dirigenti, per scongiurare il passaggio del conflitto all’atomica su iniziativa
USA.
Almeno uno stato membro della NATO ha permesso
all’esercito ucraino di utilizzare le armi ricevute per attaccare il territorio
russo, scrive il Bild.
Il paese non viene nominato, ma potrebbe
essere la Polonia.
Qui
sotto riporto quel che ha scritto Michael Rubin sul sito dell’American
Enterprise, onde ne “gustiate” il livello di capziosità:
Biden
può Scoraggiare un Attacco Nucleare russo contro l’Ucraina?
Sì, se
dà all’Ucraina delle Atomiche Tattiche.
“La
paura di uno scambio nucleare ha a lungo condizionato il pensiero della Casa
Bianca sull’Ucraina.
Quando
le truppe russe invasero l’Ucraina sedici mesi fa, il consigliere per la
sicurezza nazionale “Jake Sullivan “si offrì di evacuare “Volodymyr Zelensky”.
Il
presidente ucraino rifiutò l’offerta.
“Ho
bisogno di munizioni, non di un passaggio”, ha risposto.
Anche
se le forze ucraine hanno sfidato le stime dei servizi segreti statunitensi,
prima bloccando e poi respingendo l’esercito russo, il timore di come il
presidente russo Vladimir Putin avrebbe potuto reagire ha portato Washington a
limitare l’assistenza che avrebbe potuto consentire all’Ucraina di accelerare
il suo contrattacco e salvare decine di migliaia di vite.
L’amministrazione
Biden ha modificato gli armamenti per impedirne l’uso a lungo raggio, nel
timore che l’Ucraina potesse colpire siti di importanza logistica o militare in
Russia.
La
stessa logica ha governato il rifiuto iniziale dell’amministrazione Biden alle
richieste ucraine di HIMARS, carri armati Abrams e F-16.
Solo
le pressioni politiche e diplomatiche hanno convinto Biden a invertire la
rotta.
Mentre
le forze ucraine respingevano l’invasione iniziale della Russia e umiliavano
l’esercito russo nei cieli e sul campo di battaglia (ha, ha ha… possiede un certo senso
dell’umorismo questo personaggio – nota di conoscenzealconfine), i timori di Washington su come la
Russia avrebbe potuto reagire aumentavano.
Se Putin perde o viene umiliato, secondo la
logica, potrebbe reagire con armi nucleari tattiche.
Alcuni,
come l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger, hanno esortato al compromesso,
anche a costo di permettere a Putin di mantenere la Crimea e altri territori
ucraini.
Il problema di questi consigli è che
premierebbero l’aggressione e che, comunque, Putin ha rifiutato il diritto
stesso dell’Ucraina di esistere.
La
guerra è ora al punto di svolta.
Innanzitutto, l’Ucraina ha distrutto la strada
rialzata che collega la Crimea occupata dai russi alla Russia vera e propria.
Le
fughe di notizie dei servizi segreti suggeriscono che l’Ucraina potrebbe essere
dietro l’attacco al gasdotto Nord Stream-2.
I ribelli russi anti-Putin hanno poi fatto
irruzione dall’Ucraina nella città russa di Belgorod e le forze speciali
ucraine sono probabilmente responsabili dello sfacciato attacco con i droni al
Cremlino.
Putin
è disperato ed erratico.
La distruzione della diga di Kakhovka è un
avvertimento che Putin non rispetta alcuna linea guida.
Con la
controffensiva ucraina in corso, la minaccia che la Russia possa usare armi
nucleari tattiche è sempre più probabile.
Sarebbe
ingiusto incolpare Kiev.
Non
c’è equivalenza morale.
La
Russia ha invaso l’Ucraina, non il contrario.
Finché
l’Ucraina era sul punto di vincere, Putin sarebbe arrivato a questo punto di
ritorsione nucleare.
Autodistruggersi
e consegnare alla Russia una vittoria sarebbe immorale e poco saggio.
Per Putin, la paura dell’avversario crea
dipendenza come la cocaina.
Se
dovesse percepire che la paura della Casa Bianca potrebbe portare al trionfo,
farebbe un’altra sniffata… (infatti come tutti sanno è Putin il cocainomane… – nota di
conoscenzealconfine):
le sue provocazioni aumenterebbero, non solo
contro l’Ucraina, ma anche contro la Moldavia e gli Stati baltici.
Per
Biden, la questione è ora duplice: come dissuadere la Russia dall’uso di armi
nucleari tattiche e come rispondere nel caso in cui le usasse.
La
stessa strategia risponde a entrambe.
Se
l’uso di armi nucleari cambia lo slancio della guerra, porta un Occidente
timoroso a imporre una divisione o addirittura consegna a Putin una vittoria
completa, le conseguenze a lungo termine per la sicurezza internazionale
sarebbero terribili.
Confermare qualsiasi guadagno dall’uso di armi
nucleari tattiche distruggerebbe irrimediabilmente lo stigma di otto decenni
che circonda l’uso delle armi nucleari.
La
Russia potrebbe essere tentata di usare nuovamente tali armi.
Così
come decine di potenze di secondo livello cercherebbero di acquisire armi
nucleari tattiche da usare contro i loro rivali.
L’instabilità
internazionale aumenterebbe a livelli mai visti dal periodo precedente la
Seconda Guerra Mondiale.
Come
Biden può impedire alla Russia di usare le armi nucleari in Ucraina?
Biden
dovrebbe invece dire chiaramente alla Russia che qualsiasi uso di armi nucleari
di qualsiasi dimensione contro l’Ucraina comporterà la fornitura da parte degli
Stati Uniti dello stesso tipo di armi nucleari all’Ucraina, senza alcun
controllo su dove e come l’Ucraina potrebbe usarle.
La mafia della non proliferazione potrebbe ululare di indignazione, ma
l’Occidente deve orientare la sua politica nucleare verso la realtà, non verso
il velleitarismo o la vuota facciata di un regime di trattati che gli Stati
revisionisti non rispettano più.
Proprio
come durante la Guerra Fredda, il modo migliore per scoraggiare l’uso delle
armi nucleari è dimostrare la volontà di usarle.
Nel
Memorandum di Budapest del 1994, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno garantito
la sovranità dell’Ucraina in cambio della rinuncia alle armi nucleari.
Vent’anni
dopo, quando le forze russe hanno marciato in Crimea, il Presidente Obama ha
dimostrato che gli impegni degli Stati Uniti erano vuoti e le nostre parole
prive di significato.
È
giunto il momento di invertire il danno.
Il fatto è semplice: gli Stati Uniti
mantengono le armi nucleari perché sono un deterrente efficace contro altri
Stati nucleari.
L’Ucraina
dovrebbe avere lo stesso diritto. “
(Michael
Rubin – Membro senior, AEI)
(Questa
è ovviamente l’analisi delirante e totalmente fuorviante di un demente in crisi
di astinenza da psicofarmaci… poveri noi! Nota di conoscenzealconfine)
(Maurizio Blondet)
(maurizioblondet.it/diamo-a-z-atomiche-da-usare-come-vuole-contro-la-russia/)
GLOBALISMO
e GLOBALIZZAZIONE:
cosa
si può fare, linee di azione percorribili.
Fondazionefeltrinelli.it
– Francesco Della Porta – (3 dicembre 2020) – ci dice:
È
opportuno chiarire cosa si intende per globalismo e globalizzazione.
Globalismo è l’opinione che gli esseri umani
dovrebbero agire di concerto su scala mondiale per gestire i beni comuni e le
risorse naturali finite o fragili.
Sostenere tale opinione implica la condivisione di
alcuni valori quali: solidarietà, giustizia distributiva (anche
transgenerazionale), imparzialità e trasparenza.
Globalizzazione
è la
vicenda storica per cui una porzione significativa di esseri umani è unita
attraverso un’infrastruttura logistica e di comunicazione (un network) che
collega punti diversi del pianeta, in misura sufficientemente frequente e densa
per cui Ie loro attività economiche, sociali, culturali e possibilmente
politiche diventano interdipendenti.
I
populisti sono negazionisti sui problemi che richiedono una soluzione globale: clima,
demografia, migrazione e risorse naturali.
I populisti alimentano il consenso monopolizzando l’attenzione
dell’audience, diventandone la sola fonte di informazione.
Ammettere l’esistenza di problemi a carattere
sovranazionale significherebbe aprire la loro audience a fonti di influenza non
controllabili.
Mantenere
il controllo politico interno è per loro più importante che cercare una
soluzione ai problemi globali.
Ciononostante, dietro le quinte, i populisti
sono saldamente connessi tra loro a livello globale.
Al
contrario, i
democratici mantengono valori globalisti, ma non hanno aggiornato la loro visione
all’entità dei cambiamenti in atto, assai più profondi di quanto si ritenesse
quando quei valori furono concordati.
I
democratici devono valutare la reale portata degli eventi (ambientali, demografici,
economici, politici), aggiornare la loro visione e ricalibrare i loro valori
facendo proprie alcune delle idee e posizioni globaliste sopra esposte, o
accogliendone altre dai loro elettori.
Devono
inoltre cogliere le interdipendenze tra problemi che richiedono una soluzione
globale, come sommariamente esposto nell’omonima tabella.
Devono quindi scegliere quali tra quei nodi di
problemi intendono privilegiare.
Infine,
e soprattutto, devono costruire l’organizzazione internazionale che consenta
loro di affrontare a livello globale i problemi che non sono risolvibili
altrimenti, e promuovere un movimento di opinione e di solidarietà
internazionale che confidi nella possibilità della loro soluzione.
Per
comprendere la portata di questo programma occorre valutare le reali
conseguenze della globalizzazione sull’impianto culturale delle società
occidentali mature.
A
questo scopo è opportuno fare un passo indietro.
Negli
ultimi cinquecento anni il punto di vista dell’Occidente ha contribuito a
formare il resto del mondo e la sua autoconsapevolezza.
Ambiente, materie prime ed esseri umani nel
resto del mondo erano risorse che gli occidentali si sentivano in diritto di
sfruttare, dato che nessun altro lo stava facendo.
Agli occidentali pareva irrazionale, sprecato
e quasi immorale lasciare inutilizzata tale grazia di Dio.
Allo
stesso modo, l’uomo-eroe occidentale scalava “Ayers Rock” (o Uluru) e
conquistava le cime Himalayane, sacre dimore di divinità e antenati da tempo
immemorabile.
Oggi
siamo a un punto di svolta, perché dopo mezzo millennio il potere
dell’Occidente è per la prima volta culturalmente e materialmente indebolito.
Dal primo shock petrolifero del 1974 altri
hanno cominciato a profittare, come l’Occidente, di quella grazia di Dio.
Non
solo: l’Occidente non può più rivendicare l’egemonia della propria visione del
mondo, perché altre visioni hanno ormai acquisito altrettanto o (numericamente)
ancora maggior peso:
più gli asiatici studiano le reciproche
culture, più si riconoscono in una nuova identità pan-asiatica. (Parag Khanna, The future is Asian,
2019)
Secondo
“Richard Tarnas”, la moderna autoconsapevolezza occidentale è nata cinque
secoli fa con la pubblicazione di “De revolutionibus Orbium ceaelstium”, dove “Copernico”
dimostrò che la terra non è al centro dell’universo.
La
rivoluzione copernicana si estende ben oltre l’astronomia:
riconosce
che la percezione del mondo reale è determinata dalla posizione del soggetto;
libera l’uomo dalla cosmologia antropocentrica
antica e medievale, sposta l’essere umano da una posizione di assoluta
centralità a una posizione indefinita e periferica, in un universo vasto e
anonimo.
La
rivoluzione copernicana sancisce la separazione tra realtà e percezione,
affermando che la posizione dell’individuo osservatore condiziona la sua
percezione della realtà.
Oggi
una seconda rivoluzione copernicana è in atto.
Dopo mezzo millennio di egemonia l’Occidente
si accorge di non essere più al centro dell’umano universo.
La sua visione occidentale del mondo smette di
essere l’unica opzione possibile o la più rilevante.
La cultura occidentale sta riconoscendo la
propria perdita di centralità, e dunque anche la propria visione del mondo è
divenuta relativa, indefinita e periferica, in un universo vasto e anonimo.
Non
solo l’uomo occidentale realizza di non essere al centro dell’universo umano,
ma anche che ciò che vede potrebbe non essere particolarmente rappresentativo
della realtà là fuori (o là dentro).
Acquisire
consapevolezza di un tale cambio di prospettiva – da parte di ambedue le
culture – costituisce il passo fondamentale verso la costruzione di una nuova visione
globalista.
Non è
questo il luogo per investigare quali ne saranno i principi e gli assiomi:
ciò è
un compito che i democratici occidentali si devono porre come programma. Ma
alcune tappe si possono indicare.
Negare
l’esistenza o l’origine antropogenica dei problemi che richiedono una soluzione
globale (clima, demografia, migrazioni, risorse naturali) è un modo per non
vedere o negare la perdita di centralità della visione occidentale.
I
populisti cavalcano l’emozione di questa minacciata perdita di identità.
All’opposto,
acquisire un punto di vista globalista significa convenire sulla relatività
della propria visione, ma allo tesso tempo adottare un punto di vista più alto.
Il “nuovo globalismo democratico” deve essere
un’alternativa preferibile a quella perdita di identità, un progetto alla cui
costruzione gli elettori occidentali possano partecipare, facendolo proprio e
avendo fiducia nella capacità della sua leadership di raggiungere soluzioni.
Occorre
infondere la consapevolezza che i tempi di realizzazione non sono brevi, che è
necessaria una visione comune di Oriente e Occidente, e che le priorità
dovranno essere concertate e verificate periodicamente.
Tuttavia
da tali limiti si possono ricavare i valori di riferimento:
tempi
lunghi richiedono il coinvolgimento di più generazioni;
visione comune implica solidarietà globale;
concertazione
delle priorità significa applicare un procedimento deliberativo alla difesa del
bene comune.
Infine,
definire con precisione la “nuova cultura globalista” è liberatorio, perché consente di essere critici nei
confronti degli effetti perversi della globalizzazione, senza il timore di apparire
retrogradi.
Le
condizioni economiche per la pace.
Econopoly.ilsole24ore.com – (17 Febbraio 2023)
– Econopoly – Redazione – ci dice:
(Pubblichiamo
la versione italiana di un appello promosso dagli economisti “Emiliano
Brancaccio” e “Robert Skidelsky” e apparso sul “Financial Times” del 17
febbraio 2023.)
È
trascorso un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e nulla sembra
indicare che i venti di guerra si stiano affievolendo.
Perché
la guerra continua?
Perché
le tensioni militari aumentano a livello globale?
Noi
respingiamo la tesi di uno “scontro di civiltà”.
Piuttosto,
occorre riconoscere che le contraddizioni del sistema economico globale
deregolamentato hanno reso le tensioni geopolitiche estremamente più acute.
Uno
dei principali guasti dell’attuale sistema mondiale risiede nello squilibrio delle relazioni economiche
ereditato dall’era della globalizzazione deregolata.
Ci
riferiamo alle posizioni nette internazionali, in cui gli Stati Uniti, il Regno
Unito e vari altri Paesi occidentali hanno accumulato ingenti debiti verso
l’estero, mentre la Cina, altri Paesi orientali, e in parte anche la Russia,
sono in una posizione di credito verso l’estero.
Un’implicazione
di questo squilibrio è la tendenza a esportare capitale orientale verso
l’Occidente, non più soltanto sotto forma di prestiti ma anche di acquisizioni:
una centralizzazione del capitale in mani orientali.
Pace.
Per
contrastare questa tendenza, da diversi anni gli Stati Uniti e i loro
principali alleati hanno abbandonato il loro precedente entusiasmo per il globalismo deregolato e hanno adottato una politica di
“friend shoring”:
una chiusura protezionista sempre più
accentuata nei confronti delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia
e gran parte dell’Oriente non allineato.
Anche
l’Unione Europea si è unita a questa svolta protezionista guidata dagli
americani.
Se la storia
insegna qualcosa, queste forme scoordinate di protezionismo esacerbano le
tensioni internazionali e creano condizioni favorevoli a nuovi scontri
militari.
Il conflitto in Ucraina e le crescenti
tensioni in Estremo e Medio Oriente possono essere pienamente compresi solo
alla luce di queste gravi contraddizioni economiche.
Per
avviare un realistico processo di pacificazione, è oggi dunque necessaria una
nuova iniziativa di politica economica internazionale.
Occorre
un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti, che si ispiri al
progetto di Keynes di una “international clearing union”.
Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe
partire da una duplice rinuncia.
gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero
abbandonare il protezionismo unilaterale del “friend shoring”, mentre la Cina e
gli altri creditori dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio.
Siamo
consapevoli di evocare una soluzione di “capitalismo illuminato” che venne
delineata solo dopo lo scoppio di due guerre mondiali e sotto il pungolo
dell’alternativa sovietica.
Ma è proprio questo l’urgente compito del
nostro tempo:
occorre verificare se sia possibile creare le
condizioni economiche per la pacificazione mondiale, prima che le tensioni
militari raggiungano un punto di non ritorno.(Firme: …)
Le
regole degli Stati Uniti
per la
“globalizzazione selettiva.”
Transform-italia.it
- (17/05/2023) - Alessandro Scassellati – ci dice:
Nell’ambito
della competizione con la Cina, l’amministrazione Biden sta cambiando
l’approccio statunitense all’economia mondiale.
La regolazione neoliberista post-1990 va
abbandonata in favore di una “globalizzazione selettiva” regolata sulla base degli interessi
della “sicurezza nazionale” e di “una politica estera per la classe media”
capace di “integrare
più profondamente politica interna e politica estera”.
Di recente, due figure centrali
dell’amministrazione – Janet Yellen e Jake Sullivan – hanno illustrato le nuove regole che gli Stati Uniti
vogliono imporre al resto del mondo, provando a definire il legame tra
politica economica internazionale e sicurezza nazionale statunitense.
In questo articolo, analizziamo i principali contenuti
e implicazioni delle loro proposte.
Dall’iper-globalizzazione
alla “globalizzazione selettiva.”
È
ormai sempre più evidente che il futuro dell’economia mondiale – e
probabilmente anche della vita umana sul pianeta – dipende dal modo in cui sarà
gestita la competizione sino-americana nei prossimi anni, ossia se si riuscirà
ad evitare una drammatica escalation e uno scontro frontale economico, politico
e militare tra Stati Uniti e Cina.
In molti vedono il rapporto tra Stati Uniti e Cina
attraverso la cornice di un conflitto tra grandi potenze:
una competizione bilaterale a somma zero in
cui uno deve cadere affinché l’altro possa crescere.
Ma,
per molti altri, il mondo è abbastanza grande per entrambi e Cina e Stati Uniti
possono e devono trovare un modo per vivere insieme e condividere la prosperità
globale, evitando che la competizione diventi qualcosa di simile a un conflitto
aperto e “caldo”.
In
questo quadro, è importante notare che negli ultimi due anni l’approccio
dell’amministrazione Biden all’economia mondiale è profondamente mutato.
Ora
ritiene che il modello di globalizzazione neoliberista post-1990 (la cosiddetta
iper-globalizzazione) – per decenni esaltato dai governanti statunitensi come
il bene più alto di tutta l’umanità – debba essere abbandonato perché è
diventato disfunzionale per gli interessi economici e politici degli Stati
Uniti.
La
globalizzazione neoliberista post-1990 ha dato la priorità al libero scambio e
al libero mercato, portando alla libera circolazione dei capitali, al crollo
delle barriere tariffarie e alla crescita del commercio internazionale di beni
e servizi nell’economia globale.
Ma ora l’amministrazione Biden è giunta alla
conclusione che l’enfasi sui flussi derivanti dal libero mercato rispetto a
questioni come la sicurezza nazionale, il cambiamento climatico, la sicurezza
economica della classe media e la crescita delle disuguaglianze sociali
interne, abbia minato le basi socio-economiche della prosperità e delle
democrazie occidentali (su questi temi si veda il mio libro “Suprematismo bianco.
Alle radici di economia, cultura e ideologia della società occidentale”,
DeriveApprodi, Roma 2023).
Pertanto, una sempre maggiore interdipendenza
globale senza condizioni non è più considerata auspicabile.
Il “globalismo
neoliberale” viene sostituito dal “nazionalismo economico e dalla geopolitica”.
Il
nuovo modello di “globalizzazione selettiva” promosso dagli Stati Uniti si basa
su una frammentazione dell’economia-mondo in blocchi geopolitici e geoeconomici
in via di «disaccoppiamento» – un blocco euro-atlantico con i suoi satelliti in Asia
orientale e Oceania e un blocco euro-asiatico in formazione – che esprimono diversi modelli di
sviluppo capitalistico e di rapporti strutturali tra sistema tecnologico e
finanziario e sistema sociale e politico, e sono in forte competizione tra loro
per la supremazia economica (integrazione e controllo di risorse strategiche, supply
chains e mercati), politico-militare (sfere di influenza) e culturale (egemonia
ideologica e soft power).
La
nuova narrativa dell’amministrazione Biden (come già era avvenuto con quella di
Trump, fautrice di una politica America First!) si posiziona sul nazionalismo
economico o su una variante di quello che una volta a sinistra si definiva come
“socialimperialismo”, ed è condivisa in modo bipartisan sia da Democratici sia
da Repubblicani, per cui è ormai possibile parlare di un” nuovo Washington
Consensus” in formazione.
In
questo modo, gli Stati Uniti abbandonano consapevolmente e unilateralmente i
precedenti precetti (fino a ieri tanto invocati e celebrati, al punto da
scatenare guerre per imporli) del cosiddetto “ordine internazionale basato sulle
regole” (“regole” che per i cinesi non sono
quelle della Carta delle Nazioni Unite, che prevedono l’uguaglianza degli Stati
e il rispetto della sovranità, dell’indipendenza, dell’integrità territoriale e
della non interferenza negli affari interni di altri Stati, ma “regole
occidentali” che tracciano linee ideologiche e “regole di una piccola cricca”
che mettono gli Stati Uniti al primo posto insieme con i loro alleati del G7), per definirne di nuovi (sempre in
modo unilaterale), più rispondenti ad una strategia di rilancio della posizione
egemonica statunitense nei confronti sia dei propri alleati occidentali sia della
Cina, individuata come il principale avversario, e dei paesi del Sud del mondo
(sulle proposte cinesi per un nuovo ordine mondiale multipolare e multilaterale
post-occidentale, si veda il nostro articolo qui, sul non allineamento dei
paesi del Sud del mondo alle posizioni degli Stati Uniti, si veda il nostro articolo).
Un
cambiamento di approccio all’economia mondiale che era già percepibile da anni
non solo nel deterioramento dei rapporti commerciali con la Cina (Trump aveva
iniziato ad imporre dazi di importazione sulle merci cinesi nel 2018), ma anche
con i partner dell’Unione Europea (con le controversie sui sussidi di Boeing e
Airbus o i dazi sull’acciaio europeo).
Una
vicenda rivelatrice del nuovo orientamento revisionista statunitense è quella
relativa al funzionamento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), un organismo multilaterale della
globalizzazione neoliberista post-1990 fortemente voluto dalle amministrazioni
USA, ma ormai paralizzato da anni per
l’opposizione statunitense alla nomina di nuovi giudici dell’”Appellate Body”,
l’organo giudicante che ha il compito di emettere sentenze sulle controversie
commerciali tra Stati dovute a protezionismo, sussidi pubblici alle imprese e
altri comportamenti di mercato scorretti rispetto agli accordi commerciali
sottoscritti.
Le amministrazioni Trump e Biden hanno
volutamente boicottato il funzionamento dell’OMC, ossia dell’organizzazione che
dovrebbe garantire il buon funzionamento delle regole del libero mercato
nell’ambito dell’economia mondiale, in modo da evitare di essere colti in fallo
per l’uso ripetutamente esagerato del concetto di sicurezza nazionale, per l’abuso del controllo di
esportazioni/importazioni e l’adozione di misure discriminatorie nei confronti
di società straniere (soprattutto cinesi) che hanno violato e violano i
principi dell’economia di mercato e della concorrenza leale.
La
narrazione dell’amministrazione Biden è ora cambiata.
Per
garantire gli “interessi della classe media” – ossia di quella classe che lo
storico newdealista americano “Arthur Schlesinger Jr”. aveva definito nel 1949 il «centro vitale» del sistema
politico democratico di massa e che nella cultura politica statunitense include
anche un ampio segmento delle classi lavoratrici – bisogna puntare su un protezionismo
selettivo e su politiche industriali – come l’”Inflation Reduction Ac”t e il “CHIPS
and Science Act” – che devono avere l’obiettivo di favorire il re-shoring di
attività produttive industriali da parte di “global corporations statunitensi”
e gli investimenti diretti esteri di imprese di paesi considerati alleati.
Si premiano con soldi pubblici gli
imprenditori che riportano le proprie catene del valore nel paese, mentre di
fatto viene punita l’efficienza dell’esternalizzazione dei costi, e sul fronte
ambientale questi programmi sembrano essere concepiti quasi esclusivamente come
sussidi per rendere più “verdi” le istituzioni e le merci esistenti, piuttosto
che riconvertire l’economia sulla base della sostenibilità.
Più in
generale, si cerca di adottare una propria versione delle politiche economiche
pubbliche “sviluppiste” utilizzate dalla tanto deprecata Repubblica Popolare
Cinese per promuovere e pianificare il proprio sviluppo economico industriale e
sostenere la crescita dei propri “campioni nazionali”.
Molto dipenderà
da professionalità, competenze e poteri nel campo della pianificazione presenti
nelle amministrazioni pubbliche a livello federale, statale e locale, molte
delle quali ne sono state svuotate negli ultimi decenni, con il rischio
concreto che le tecno-burocrazie esistenti siano molto deboli e quindi vengano
semplicemente “catturate” dalle corporations più forti e più connesse con la
politica.
Il
nuovo modello di “globalizzazione selettiva” promosso dagli Stati Uniti auspica anche una
riorganizzazione delle catene globali di approvvigionamento e valore in una
logica di “near-shoring” e “friend-shoring” in paesi considerati fedeli alleati
o comunque controllabili (come Canada, Messico, Giappone, Sud Corea, Taiwan e
Unione Europea, ma anche India, Angola, Indonesia e Brasile).
L’amministrazione
Biden ritiene che pratiche economiche sleali della Cina abbiano intaccato la
resilienza delle proprie catene di approvvigionamento critiche.
Per questo, oltre al “re-shoring”, gli Stati
Uniti stanno anche perseguendo una strategia di “friend-shoring” che mira a
mitigare le vulnerabilità che possono portare a interruzioni delle forniture
attraverso la creazione di ridondanze nelle loro “supply chains critiche” con i
partner commerciali su cui possono contare.
Al
centro del nuovo modello c’è il rilancio dell’egemonia sia economica sia
politica degli Stati Uniti (definita come interesse della sicurezza nazionale)
e per questo un focus fondamentale delle politiche industriali prevede l’espansione del “military-industrial
complex”, che viene sostenuto finanziariamente (attraverso il budget militare e il
sostegno a nuovi programmi di ricerca e sviluppo in tecnologie considerate
critiche con un ruolo chiave della “Defense Advanced Research Projects Agency”)
e protetto,
prevedendo dazi e controlli sull’export (soprattutto verso la Cina) di nuove tecnologie considerate
strategiche, ossia di tutte quelle potenzialmente “dual use”, che possono avere
un uso sia civile sia militare.
Una
evoluzione molto preoccupante dato che gli Stati Uniti e i loro alleati sono
ora impegnati non solo nella fornitura di armi all’Ucraina in guerra, ma anche
nella più grande espansione del riarmo militare, misurata in termini di puro
potere distruttivo e portata globale, che il mondo abbia mai visto.
Nelle
ultime settimane, mentre l’amministrazione Biden sta cercando di trovare un
difficile compromesso con i Repubblicani che controllano la Camera dei
Rappresentanti sull’innalzamento del tetto del debito pubblico (che ha superato
la soglia dei 31,4 trilioni di dollari) ed evitare una dichiarazione di default
già all’inizio di giugno che destabilizzerebbe gravemente il sistema
finanziario globale, distruggendo il credito politico-istituzionale-finanziario
degli Stati Uniti e assestando un duro colpo alla loro posizione di leadership
nell’economia globale, sono stati fatti degli sforzi apprezzabili per
articolare una narrazione coerente sulle regole della “globalizzazione
selettiva” da parte di due figure chiave dell’amministrazione statunitense.
Janet
Yellen, la
Segretaria del Tesoro, e Jake Sullivan, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale hanno
cercato di illustrare queste nuove regole, definendo il legame tra politica
economica internazionale e sicurezza nazionale degli Stati Uniti nel contesto
del rapporto complesso e competitivo tra USA e Cina.
Di
seguito, proviamo ad analizzare i principali contenuti delle loro proposte e le
loro possibili implicazioni.
Le
regole delle relazioni economiche tra Stati Uniti e Cina secondo” Janet Yellen”.
Il 20
aprile Janet Yellen ha tenuto un discorso di alto profilo alla “John Hopkins
University” di Washington in cui ha provato a definire modalità e limiti delle
relazioni economiche tra Stati Uniti e Cina, al fine di evitare di innescare
una escalation.
“La
crescita economica della Cina non deve essere incompatibile con la leadership
economica degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti rimangono l’economia più
dinamica e prospera del mondo.
Non
abbiamo motivo di temere una sana competizione economica con alcun paese”.
Secondo
Yellen, negli ultimi anni, la Cina ha deciso “di allontanarsi dalle riforme del
mercato verso un approccio più guidato dallo Stato” e questo ha colpito negativamente i
suoi vicini e paesi in tutto il mondo.
Questa
decisione è avvenuta mentre “la Cina sta assumendo un atteggiamento più conflittuale nei
confronti degli Stati Uniti e dei nostri alleati e partner, non solo
nell’Indo-Pacifico, ma anche in Europa e in altre regioni”.
Secondo
Yellen, oggi “siamo in un momento critico” e il progresso su questioni critiche
– la guerra in Europa, la ripresa post-pandemica, la questione del debito dei
paesi poveri, l’ondata inflazionistica, il riscaldamento globale – richiede un
impegno costruttivo tra le due maggiori economie del mondo, “eppure la nostra
relazione è chiaramente in un momento di tensione”.
“Gli
Stati Uniti procedono con fiducia nella loro forza economica a lungo termine.
Rimaniamo l’economia più grande e dinamica del mondo.
Rimaniamo
inoltre fermi nella nostra convinzione di difendere i nostri valori e la
sicurezza nazionale.
In
tale contesto, cerchiamo un rapporto economico costruttivo ed equo con la Cina.
Entrambi
i paesi devono essere in grado di discutere francamente questioni difficili.
E
dovremmo lavorare insieme, quando possibile, per il bene dei nostri paesi e del
mondo”.
Secondo
Yellen, l’approccio economico alla Cina degli Stati Uniti deve avere tre
obiettivi principali:
garantire
gli interessi di sicurezza nazionale statunitensi e quelli dei loro alleati e
partner e proteggere i diritti umani.
“Queste sono aree in cui non
scenderemo a compromessi”.
Per
questo “comunicheremo chiaramente alla RPC le nostre preoccupazioni circa il
suo comportamento” e “non esiteremo a difendere i nostri interessi vitali”.
Anche
se le azioni statunitensi possono avere un impatto economico, “sono motivate
esclusivamente dalle nostre preoccupazioni riguardo alla nostra sicurezza e ai
nostri valori”.
Ad esempio, “la salvaguardia di determinate
tecnologie dall’apparato militare e di sicurezza della RPC è di vitale
interesse nazionale”.
Per
raggiungere questo obiettivo saranno utilizzati in modo “mirato”, “chiaramente definito“e
“limitato” diversi strumenti:
i controlli sulle esportazioni; la messa in
una lista nera delle entità che forniscono supporto all’Esercito popolare di
liberazione;
le sanzioni contro le minacce legate alla
sicurezza informatica e alla “fusione civile-militare” della Cina tesa a
modernizzare le forze armate e trasformare il PLA in un esercito di livello
mondiale (Yellen ha fatto anche un esplicito riferimento ad eventuali forniture
militari cinesi alla Russia);
la proibizione di investimenti esteri negli
Stati Uniti per i rischi per la sicurezza nazionale;
un programma per limitare alcuni investimenti
in uscita dagli Stati Uniti in specifiche tecnologie sensibili con
significative implicazioni per la sicurezza nazionale.
In ogni caso, l’obiettivo statunitense “non è
utilizzare questi strumenti per ottenere un vantaggio economico competitivo”,
quanto proteggere “la sicurezza nazionale nella sfera economica”, oltre che i
diritti umani, per cui ha assicurato che rimarranno “ristretti e mirati “;
gli
Stati Uniti cercano “un sano rapporto economico con la Cina”, che promuova
crescita economica e modernizzazione tecnologica in entrambi i paesi.
“Una
Cina in crescita che rispetta le regole internazionali fa bene agli Stati Uniti
e al mondo”.
“Gli
Stati Uniti si faranno valere quando sono in gioco i loro interessi vitali”, ma
non cercheranno di “separare” (decouple) la loro economia da quella cinese.
“Una
completa separazione delle nostre economie sarebbe disastrosa per entrambi i
paesi” e “destabilizzante per il resto del mondo”.
“Gli Stati Uniti non cercano una competizione
in cui il vincitore prende tutto”.
Entrambi
i paesi possono beneficiare di una sana interdipendenza e concorrenza nella
sfera economica.
Ma una
sana concorrenza economica, di cui entrambe le parti traggono vantaggio, “è
sostenibile solo se tale concorrenza è leale”, ossia se la Cina consente “ai
mercati di svolgere un “ruolo decisivo” nell’allocazione delle risorse”.
Una
Cina in crescita che rispetta le regole può essere vantaggiosa per gli Stati
Uniti perché “può significare una crescente domanda di prodotti e servizi e
industrie statunitensi più dinamiche”.
Per
questo gli Stati Uniti continueranno a collaborare con i loro alleati “per
rispondere alle pratiche economiche sleali della Cina”.
E
continueranno a fare investimenti critici a casa (con un’agenda economica che
Yellen definisce “moderna politica economica dal lato dell’offerta”) per
espandere la capacità produttiva dell’economia americana, mentre si impegnano
con il mondo “per far avanzare la nostra visione di un ordine economico globale
aperto, equo e basato su regole”;
gli
Stati Uniti cercano la cooperazione sulle sfide urgenti globali.
Dall’incontro
dello scorso anno tra i presidenti Biden e Xi, entrambi i paesi hanno concordato di migliorare la
comunicazione sulla macroeconomia e la cooperazione su questioni come il clima
e l’eccesso di debito, “ma occorre fare di più” per affrontare questi problemi
insieme.
“La
questione del debito globale non è una questione bilaterale tra Cina e Stati
Uniti.
Si
tratta di esercitare una leadership globale responsabile.
Lo
status della Cina come il più grande creditore bilaterale ufficiale del mondo
le impone la stessa serie ineluttabile di responsabilità di altri creditori
bilaterali ufficiali quando il debito non può essere completamente rimborsato”.
Per
quanto riguarda il cambiamento climatico, Yellen ha sottolineato che la storia
mostra cosa possono fare insieme i due paesi:
“i
momenti di cooperazione climatica tra Stati Uniti e Cina hanno reso possibili
passi avanti globali, compreso l’accordo di Parigi”.
I
cinque pilastri della “globalizzazione selettiva” secondo Jake Sullivan.
Il 27
aprile, il Consigliere per la sicurezza nazionale “Jake Sullivan” ha delineato
in un discorso alla “Brookings Institution” i cinque pilastri della nuova
ambiziosa agenda economica internazionale dell’amministrazione Biden, che ha
definito “una politica estera per la classe media” capace di “integrare più
profondamente politica interna e politica estera”.
Secondo
Sullivan, agli Stati Uniti occorre quello che potremmo definire come un nuovo “globalismo selettivo”, una globalizzazione adattata alle
sfide del XXI secolo e capace di delineare un diverso paradigma nella politica
estera ed economica di Washington.
«Il progetto del 2020 e 2030 è diverso rispetto a
quello del 1990» ha affermato Sullivan, e il momento è giunto per «costruire un
ordine economico globale più equo e duraturo, a beneficio nostro e dei
cittadini di tutto il mondo».
I 5
pilastri di questo “globalismo selettivo” sono i seguenti:
una
“strategia industriale americana moderna” che mira a catalizzare attraverso il
ritorno a politiche industriali pubbliche gli investimenti privati in settori
ritenuti critici per la prosperità e la sicurezza degli Stati Uniti.
I
riferimenti sono la legge bipartisan sulle infrastrutture, l’”Inflation
Reduction Act” e il “CHIPS and Science Act” che, oltre a sussidi per le
imprese, prevedono misure protezionistiche e impegni per favorire la
sindacalizzazione dei lavoratori, la creazione di servizi di welfare aziendale
e alti salari (questa è la parte “socialimperialista”), anche se i sindacalisti
in Arizona, dove è prevista la costruzione di impianti di fabbricazione di
semiconduttori abilitati dai crediti d’imposta previsti dal “CHIPS Act”,
affermano di essere stati respinti e di aver ricevuto critiche da parte dei
gestori degli impianti fin dall’inizio.
La deregolamentazione, i tagli alle tasse, la
privatizzazione rispetto all’azione pubblica, la propensione a trattare il
lavoro come costo e non come risorsa, e la liberalizzazione del commercio fine
a sé stessa vanno abbandonati o drasticamente ripensati al fine di recuperare
la sovranità economica perduta a causa di un’integrazione globale che ha reso
gli USA dipendenti da beni prodotti altrove ovvero da catene di produzione
transnazionali, facilmente destabilizzabili e che aumentano il potere di
condizionalità di altri, la Cina su tutti.
Secondo “Sullivan”, gli effetti delle
politiche neoliberiste seguite negli ultimi decenni hanno dimostrato che fosse
falso il presupposto “che i mercati allocano sempre il capitale in modo
produttivo ed efficiente, indipendentemente da ciò che facevano i nostri concorrenti,
indipendentemente da quanto crescessero le nostre sfide condivise e da quanti
guardrail abbattessimo. […] in nome di un’efficienza di mercato iper semplificata,
intere catene di approvvigionamento di beni strategici, insieme alle industrie
e ai posti di lavoro che li producevano, si sono spostati all’estero”;
gli
Stati Uniti vogliono rafforzare la loro base industriale, ma non puntano
all’autarchia;
l’obiettivo è assicurare “la resilienza e la
sicurezza nelle nostre catene di approvvigionamento”.
Per questo vogliono puntare sulla
collaborazione con altre democrazie sviluppate e paesi in via di sviluppo in
modo da garantire che gli alleati degli Stati Uniti adottino politiche simili
per migliorare “capacità, resilienza e inclusività” e “per garantire che le
catene di approvvigionamento del futuro siano resilienti, sicure e riflettano i
nostri valori, anche in materia di lavoro”.
Vogliono
lanciare un programma di partenariato per diversificare le catene di
approvvigionamento già da quest’anno e così ridurre la dipendenza dalla Cina,
oltre che dalla Russia.
“Vogliamo che si uniscano a noi. In effetti,
abbiamo bisogno che si uniscano a noi”.
“In
definitiva, il nostro obiettivo è una base tecno-industriale forte, resiliente
e all’avanguardia in cui gli Stati Uniti e i loro partner affini [come Unione
Europea, Canada, Giappone, Corea del Sud, India, Taiwan, ma anche Indonesia,
Brasile, Angola], con sede nelle economie emergenti, possano investire e su cui
fare affidamento insieme”.
Questo,
secondo Sullivan, “significa fornire spazio ai partner di tutto il mondo per
ripristinare i patti tra i governi e i loro elettori e lavoratori”;
gli
Stati Uniti si allontaneranno dai tradizionali accordi commerciali incentrati
sull’accesso al mercato (abbassamento delle tariffe doganali) e abbracceranno
“nuove partnership economiche internazionali” che affrontano sfide globali come
il cambiamento climatico, la sicurezza digitale, la creazione di posti di lavoro
e il contrasto alla corsa al ribasso della tassazione delle società “che fa
male alla classe media e ai lavoratori”.
Solo
di recente gli Stati Uniti hanno cominciato a creare l’”Indo-Pacific Economic
Framework”, l’”Africa Initiative”, l’”Americas Partnership for Economic
Prosperity” e la “Partnership for Global Infrastructure and Investment “(PGII),
tutte però con risorse economiche dedicate piuttosto modeste rispetto alle
ambiziose dichiarazioni.
Provano a creare “nuove partnership economiche
internazionali” alternative a quelle messe in piedi negli ultimi decenni dalla
Cina: BRICS e BRICS+, Shanghai Cooperation Organization (SCO), Regional
Comprehensive Economic Partnership (RCEP) e, soprattutto, Belt and Road
Initiative (BRI) che nell’ultimo decennio ha elargito circa 1 trilione di
dollari in prestiti e altri fondi per progetti di sviluppo in 150 paesi in
tutto il Sud del mondo, rendendo la Cina il più grande creditore ufficiale;
gli
Stati Uniti promettono che cercheranno di “mobilitare trilioni di dollari di
investimenti nelle economie emergenti con soluzioni che quei paesi stanno
modellando da soli, ma con capitali abilitati da un diverso tipo di diplomazia
statunitense”.
L’obiettivo
è anche quello di fornire aiuti ai paesi che si trovano a dover affrontare
difficoltà debitorie.
Sullivan
sostiene che per portare avanti questi obiettivi gli Stati Uniti sono impegnati
nel promuovere una riforma dei modelli operativi della Banca Mondiale (a capo
della quale gli USA hanno appena nominato l’indo-americano Ajay Banga) e delle
banche per lo sviluppo regionale;
la
“protezione delle nostre tecnologie fondamentali“, a cominciare da
semiconduttori e, intelligenza artificiale per “mantenere il maggior vantaggio
possibile” e difendere “la sicurezza nazionale”, con blocchi dell’export e
degli investimenti produttivi da parte di aziende americane all’estero e di
aziende straniere in America.
Queste misure “protettive”, secondo Sullivan,
“si concentrano su una ristretta fetta di tecnologia e su un piccolo numero di
paesi intenti a sfidarci militarmente”.
Sullivan
ha paragonato questa politica a “un piccolo cortile e un’alta recinzione “,
sostenendo che le misure dell’amministrazione prevedono “restrizioni
accuratamente personalizzate” motivate da preoccupazioni di sicurezza nazionale
e mirate solo a “una fetta ristretta” di tecnologie avanzate.
Sullivan
ha anche parlato di diversificazione e di riduzione del rischio (derisking,
termine utilizzato anche da Ursula von der Leyen per cercare di “ricalibrare”
la politica dell’Unione Europea verso la Cina) e non di “decoupling” in
relazione alla necessità di ridurre la dipendenza statunitense dalle “supply
chains” cinesi e bloccare il trasferimento tecnologico per non consentirne
l’adeguamento ai nuovi requisiti dell’accumulazione.
È
soprattutto quest’ultimo pilastro, che lascerebbe agli Stati Uniti una totale
discrezionalità unilaterale nel decidere quale sia la “fetta ristretta” di
tecnologia (tutta quella dual use?, per cui la “fetta” non sarebbe poi così
tanto ristretta) e quali paesi siano “intenti a sfidarci militarmente” su cui
imporre restrizioni e controlli sull’export e su investimenti interni ed
esterni (per cui, in pratica, il confine tra “derisking” e “decoupling”
potrebbe diventare assai labile, al punto che l’ex premier britannico,” Liz
Truss”, ha auspicato la costituzione di una “NATO economica” per sfidare la
Cina), che potrebbe rallentare lo sviluppo tecnologico della Cina – che infatti
parla di un “blocco tecnologico“, dal momento che gli USA hanno tagliato alcuni
dei loro legami tecnologici con la Cina imponendo divieti di esportazione di
microchip alle aziende cinesi con il pretesto della sicurezza nazionale – e
quindi avere il maggiore impatto negativo sul futuro dell’economia globale.
Sebbene
ciascuno di questi pilastri presenti delle sfide, alcuni sono particolarmente
controversi, perché altri paesi – a cominciare da quelli dell’Unione Europea –
considerano alcune politiche, come il blocco delle esportazioni/importazioni e
degli investimenti in Cina come delle minacce ai loro settori industriali o
come i requisiti “Buy American” imposti dall’amministrazione Biden come
protezionistiche, ossia in violazione delle regole del commercio internazionale
(su questo
si veda il nostro articolo ).
Il 10
e 11 maggio, Sullivan ha tenuto colloqui con “Wang Yi”, direttore dell’Ufficio
della “Commissione Affari Esteri del Comitato Centrale del Partito Comunista
Cinese”, a Vienna.
I due hanno tenuto più round di discussioni
per più di 10 ore su questioni importanti, tra cui le relazioni Cina-USA, la
questione di Taiwan, la situazione in Asia-Pacifico e la crisi ucraina.
I colloqui sono stati franchi, approfonditi,
sostanziali e costruttivi.
È
interessante notare che il tono e la formulazione del “briefing” della Casa
Bianca sono stati simili a quelli della parte cinese, indicando che la
valutazione ufficiale del significato dei colloqui da parte di entrambe le
parti è relativamente vicina, dando ulteriore forza ai segnali positivi dei
colloqui.
Anche secondo la stampa nazionalista cinese,
l’incontro ha aperto una finestra per rimuovere gli ostacoli e allentare le
tensioni tra i due paesi in mezzo a una situazione di stallo diplomatico dopo
l’incidente del pallone meteorologico e l’incontro del presidente della Camera”
Kevin McCarthy” con la presidente regionale di Taiwan “Tsai Ing-wen” a Los
Angeles ad aprile che avevano creato un clima da nuova Guerra Fredda.
“Globalizzazione
selettiva” vs. “globalizzazione intelligente.”
La
relazione complessiva Cina-USA non può essere semplicemente definita dalla
“concorrenza” come non è preordinata e non è destinata ad essere per forza
conflittuale se le scelte di chi governa queste due grandi potenze terranno
presente che si può competere e si può cooperare, e che anche quando si compete
si può riconoscere che si ha un interesse condiviso per la pace e la prosperità
globale.
La
nostra speranza è che nei prossimi anni prevalgano dialogo costruttivo e
relazioni politiche ed economiche responsabili tra Stati Uniti e Cina.
È
nell’interesse dei popoli di questi due grandi paesi, ma anche dei popoli di tutto
il mondo.
Le
nuove regole proposte da “Yellen” e “Sullivan “per un modello di
“globalizzazione selettiva” hanno l’obiettivo di definire il legame tra
politica economica internazionale e sicurezza nazionale degli Stati Uniti (che
per entrambi deve contemplare anche il buon funzionamento del sistema
democratico) nel contesto del complesso competitivo rapporto tra USA e Cina.
Yellen e Sullivan riprendono molte delle
considerazioni espresse dall’economista “Dani Rodrik” nel suo libro “La
globalizzazione intelligente” (Laterza, Roma-Bari 2015).
Rodrik ha sostenuto che oggi l’umanità è alle
prese con un «trilemma della globalizzazione», secondo il quale la democrazia,
la sovranità nazionale (la sicurezza nazionale che Sullivan vuole proteggere) e
l’integrazione economica globale sono reciprocamente incompatibili tra loro:
si
possono combinare due di questi tre elementi, ma non è possibile disporre di
tutti e tre contemporaneamente e per intero.
Se si
vuole una maggiore globalizzazione, si deve rinunciare alla democrazia o alla
sovranità nazionale.
Se si
vuole difendere ed estendere la democrazia, si deve scegliere fra lo
Stato-nazione e l’integrazione economica internazionale.
Se si
vuole conservare la sovranità dello Stato-nazione si deve scegliere fra
potenziare la democrazia e potenziare la globalizzazione.
Fino
alla fine degli anni ’60, il compromesso di “Bretton Woods” permetteva di conciliare la politica
democratica e lo Stato nazionale pur in un regime di progressiva
internazionalizzazione dei mercati, poiché essi erano soggetti a regolamentazione e la
loro apertura non inficiava in modo determinante le leve del potere sovrano e
democraticamente eletto dei governi nazionali.
Oggi,
nell’era della “globalizzazione neoliberista” dispiegata, secondo Rodrik,
pensare di poter avere contemporaneamente tutte e tre le cose ci lascia in una
instabile terra di nessuno.
La globalizzazione neoliberista, infatti, è
per sua stessa natura «disruptive», e in quanto tale crea vincitori e vinti.
Ogni tipo di società, ma in particolare quelle di tipo
democratico, può tollerare questo processo di «distruzione creativa» solo se in
grado di garantire benefici condivisi.
La
democrazia e la determinazione nazionale, pertanto, devono prevalere
sull’iper-globalizzazione.
Le
democrazie hanno il diritto di proteggere i loro sistemi sociali, e quando
questo diritto entra in conflitto con le esigenze dell’economia globale, è
quest’ultima che deve cedere, per diventare «intelligente», meno estrema, e
avanzare verso un sistema politico che si articoli in una forma di governance
globale.
Restituire
potere alle democrazie nazionali garantirebbe basi più solide per l’economia
mondiale, e qui starebbe il paradosso estremo della globalizzazione.
Secondo
Rodrik, occorre sviluppare uno strato sottile di regole internazionali che
consentano l’esercizio di una governance globale e, allo stesso tempo, lascino
ampio spazio di manovra ai governi nazionali.
Questa
sarebbe una globalizzazione migliore, più «intelligente», un sistema che può
risolvere i mali della globalizzazione senza intaccarne i grandi benefici
economici.
Il
problema con cui il mondo attuale deve confrontarsi e produrre una risposta
adeguata, dunque, consiste nel trovare un modo in cui la tendenza verso la
creazione di una economia globale possa essere riconciliata con una stabilità e
coesione nelle società nazionali, oltre che con la preservazione della natura.
I
chiarimenti offerti da “Yellen” e “Sullivan” indicano che l’amministrazione
Biden comprende i rischi di imporre restrizioni al commercio e agli
investimenti eccessivamente ampie in nome della sicurezza nazionale.
Tali misure danneggerebbero l’economia globale
e probabilmente si ritorcerebbero contro provocando la rappresaglia della Cina.
Un “ordine
globale stabile” dovrebbe essere basato su norme e pratiche che riconoscono il
diritto di ogni paese a proteggere i propri interessi nazionali.
Richiede
anche che vengano condivise delle regole per garantire che la difesa di questi
interessi sia ben calibrata e non danneggi altri paesi.
Raggiungere questo obiettivo può essere
impegnativo, ma non impossibile.
Quando
i governi perseguono obiettivi di sicurezza nazionale attraverso politiche
unilaterali che influiscono negativamente su altri paesi, i responsabili
politici dovrebbero articolare chiaramente i propri obiettivi, mantenere linee
di comunicazione aperte e proporre rimedi strettamente mirati destinati a
mitigare gli effetti negativi di tali politiche.
Le politiche non dovrebbero essere perseguite
con il preciso scopo di punire l’altra parte o indebolirla a lungo termine, e
il mancato raggiungimento di un compromesso accettabile in un’area non dovrebbe
diventare un pretesto per ritorsioni in un dominio non correlato.
Tali limiti autoimposti potrebbero aiutare a
prevenire l’escalation e persino suscitare un’accettazione riluttante
dall’altra parte (su questi temi hanno riflettuto con un “approccio realista” “Dani
Rodrik” e “Stephen M. Walt”).
Le
recenti dichiarazioni di Yellen e Sullivan suggeriscono che le politiche
economiche estere dell’amministrazione Biden cercheranno di allinearsi a questi
principi.
Ma alcune domande importanti rimangono senza
risposta.
Ad
esempio, i controlli sulle esportazioni di microchip avanzati erano e sono ben
calibrati o si sono spinti troppo oltre nel sabotare la capacità tecnologica
cinese senza creare un sufficiente beneficio per la sicurezza nazionale degli
Stati Uniti?
E,
dato che le restrizioni si stanno estendendo ad altri settori critici, come
l’intelligenza artificiale, il 5G e la fusione nucleare, possiamo ancora
descriverle come rivolte solo a una “fetta ristretta” di tecnologia?
Riusciranno Yellen e Sullivan a mantenere la
barra sull’allineamento ai principi da loro enunciati nel corso della lunga
campagna per le elezioni presidenziali del 2024, ossia nel momento in cui
presumibilmente si intensificherà la competizione tra Democratici e
Repubblicani per dimostrare agli elettori americani chi è più “duro” nei
confronti della Cina?
Soprattutto,
non è chiaro se le cosiddette preoccupazioni di sicurezza nazionale citate da
Yellen e Sullivan siano autentiche o semplicemente un pretesto per un’azione
unilaterale contro la Cina.
Gli
Stati Uniti sono pronti ad accettare un “ordine mondiale multipolare” in cui la
Cina abbia il potere di plasmare il processo decisionale regionale e globale?
O l’amministrazione è ancora impegnata a
mantenere il primato degli Stati Uniti, come suggerisce la strategia per la
sicurezza nazionale di Biden resa pubblica nell’ottobre 2022?
Le
azioni parlano più delle parole e riveleranno presto le risposte a queste
domande.
Ma le
narrazioni di Yellen e Sullivan forniscono una qualche rassicurazione a coloro
che credono che gli Stati Uniti possano affrontare le loro legittime
preoccupazioni di sicurezza nazionale senza minare l’economia globale.
(Alessandro
Scassellati)
Nel
tempo della seconda
guerra
freddo-calda.
Sbilanciamoci.info - Antonio Cantaro - (4
Settembre 2022) – ci dice:
Mondo,
primo piano.
Naviganti
senza bussola, gli improbabili eredi della sinistra italiana hanno prima
divorziato dal pacifismo politico e giuridico e poi sposato un inquietante
fondamentalismo etico-democratico.
Un
estratto dal laboratorio politico fuoricollana.it.
La
prima guerra fredda aveva prodotto, a suo modo, un ordine mondiale.
La
seconda si presenta sotto il segno dell’incertezza, come momento
particolarmente intenso del disordine che caratterizza il declino del
globalismo e dell’ordine internazionale neoliberali.
Oggi a
differenza del passato il mondo non è propriamente diviso in due.
Molti
Stati, lungi dall’essere marginali, sono lontani dai due contendenti della
prima guerra fredda ma sono più importanti dei “non allineati” del passato.
E questo vale per giganti come Cina e India,
ma anche per interi continenti come l’Africa e parti del Medio Oriente.
Niente di paragonabile ai monoliti granitici
dei due blocchi del passato. Indebolendo la Cina e rafforzando l’alleanza
occidentale, gli Usa vogliono mostrare al mondo che la loro egemonia non è in
declino.
E qui si apre la possibilità tragica di un
conflitto aperto tra una potenza discendente e una potenza ascendente.
Nel concetto strategico statunitense il
baricentro del confronto egemonico è, infatti, ormai da tempo, l’Indo-Pacifico
e non più l’Atlantico.
La lotta contro la Russia è un fronte
importante, ma tutt’altro che l’unico.
Il
convitato di pietra di ciò che accaduto dal 24 febbraio 2022 continua ad essere
la Cina.
È la seconda guerra fredda. “Freddo-calda”.
E
Taiwan potrebbe diventarne uno dei simboli (…).
C’era
una volta in Italia.
Se il
pacifismo politico piange, il pacifismo giuridico non ride (…). L’inequivoco
“ripudio” della guerra contenuto nell’art. 11 della nostra Carta fondamentale (un prius che orienta la postura
internazionale e il profilo identitario dell’Italia) e il principio pacifista codificato
nell’ordinamento internazionale (l’impegno degli Stati a regolare i loro conflitti
mediante negoziati e accordi) sono sempre più frequentemente sottoposti a “interpretazioni”
che ne relativizzano il valore al fine di subordinarli alle logiche di potenza.
Un
capovolgimento delle finalità perseguite dal pacifismo giuridico.
Da
tempo le operazioni di intervento armato vengono rappresentate e qualificate
come prassi ordinaria di risoluzione delle controversie internazionali.
Le
ragioni della messa all’angolo del “pacifismo giuridico” sono analoghe a quelle
del “pacifismo politico”.
La normatività dei principi costituzionali si
fonda sulla diffusa convinzione sociale che essi costituiscano un
indispensabile tassello di un programma etico-politico fondamentale, di un
progetto di umanizzazione e civilizzazione che va da ogni generazione inverato
nella prassi.
Ma è proprio la ‘giustezza’ di questa convinzione
ad essere diventata problematica.
Sostituita
da un nuovo senso comune che giustifica il ricorso alla guerra con
“considerazioni storiche” sul mutato contesto e con “argomentazioni di
principio”, con verità morali globali.
Presunto
realismo versus presunto utopismo pacifista.
Un orientamento diffuso tra “eredi” di quella
sinistra che aveva a lungo interloquito con le ragioni universalistiche i
media, presente anche in parte della cultura giuridico-filosofica e
propagandato con stucchevole enfasi dagli dei del pacifismo (…).
Durante
la guerra in corso questo capovolgimento di senso intorno al significato della
guerra ha raggiunto il suo apice.
Da parte russa, da parte ucraina, da parte
occidentale.
A
vacillare è il presupposto che l’unica posizione moralmente seria non potesse
essere che quella politica, altamente politica, per cui le guerre, se si vuole
essere fedeli al dovere giuridico-costituzionale di perseguire la giustizia tra
le Nazioni, vanno ripudiate e fermate il più presto possibile (…).
L’origine
autentica della guerra, lo scontro tra potenze antagoniste, è stata occultata a
vantaggio di una rappresentazione di essa come esito di un irriducibile
conflitto tra il Male e il Bene.
Nel
lessico di Putin, tra “nazificazione” e “denazificazione”, tra purezza dei
valori sacri della tradizione e valori degenerati di un Occidente corrotto.
Nel
lessico ucraino-occidentale tra democrazie e autocrazie, tra liberalismo e
regimi illiberali.
Entrambi i lessici, fautori di una morale
globale senza politica, fautori dell’esistenza di un unico “dentro” che dipinge
i nemici come criminali.
E come
complici coloro che provano a ragionare sulle origini della guerra.
In un
profluvio di rappresentazioni denigratorie e caricaturali sul pacifismo, sempre
e in ogni caso dipinto come cinico.
Pacifismo
da portafoglio, quello di coloro che osano avanzare riserve sulla
ragionevolezza ed efficacia dell’’invio di armi all’Ucraina.
Pacifismo
a senso unico, quello dell’antiamericanismo per principio che non sottolinea
mai abbastanza il ruolo bellicoso della Russia in Afghanistan, Siria, Cecenia,
Georgia, Crimea e adesso Ucraina.
Pacifismo dell’indifferenza e della viltà,
quello di coloro che dimenticano che le vittime vanno sempre e comunque
soccorse.
Pacifismo
senza memoria, quello di coloro che hanno rimosso le guerre di resistenza al
nazifascismo e di liberazione nazionale “senza mai piegarsi alla brutale legge
del più forte”.
Rappresentazioni in larga misura caricaturali
alle quali è tuttavia sbagliato rispondere con rappresentazioni caricaturali di
segno opposto.
È necessario invece interrogarsi sulla natura
divisiva, ancora oggi, dell’evento guerra.
L’operazione militare speciale di Putin e la
resistenza Ucraina hanno prodotto lacerazioni profonde persino nei rapporti con
persone con le quali abbiamo sempre pensato di condividere un inscalfibile
sentire comune, una comunanza di giudizio, di sentimenti.
Uno
smarrimento sul quale il pacifismo deve interrogarsi, se vuol essere
all’altezza dei tempi (…).
Prima
e seconda guerra fredda, analogie e differenze.
Lo
scarto tra la mistica della guerra e il desiderio di pace non va rimosso, ma
messo a tema.
È necessario adoperarsi in tutti i modi per
accorciare questo scarto, per far sì che non diventi un abisso incolmabile.
Capire
le ragioni di entrambi questi due opposti sentimenti.
Questa è la prima e fondamentale bussola che
abbiamo smarrito e ritrovarla è tutt’altro che facile.
Ma non
impossibile.
Nei
primi decenni del secondo dopoguerra, il conflitto tra guerra e pace è stato
dialettizzato e messo in forma dal pacifismo (da quello italiano, ma non solo).
Ciò è stato possibile anche grazie ad una postura
bellicista dei due principali protagonisti della guerra fredda che avevano nel
loro Dna anche le ragioni della pace e della giustizia delle nazioni.
Una storia dimenticata, quanto mai istruttiva.
Lo
scorso 17 maggio, nel “Gran Anfiteatro della Sorbona” si è svolto un “colloquium”
sulla guerra in Ucraina.
Una delle cose più interessanti l’ha detta
nell’incipit del suo intervento “Georges-Henri Soutou”, storico delle relazioni
internazionali: “
Questo
non è un ritorno alla guerra fredda.
E
aggiungo: ahimè!”.
Non ha
detto altro, ma avrebbe potuto aggiungere: “ahimè per l’Europa!”.
La mia
deduzione è lo sviluppo della sua principale affermazione:
“Non
siamo assistendo ad un semplice ritorno alla guerra fredda”.
Siamo
di fronte ad una seconda guerra fredda, come poche settimane dopo l’avrebbe
definita “Carlo Galli”.
Una
seconda guerra fredda che condivide tratti di rilevante analogia con la prima,
ma anche cruciali differenze che stanno pesantemente penalizzando il Vecchio
continente.
La
prima analogia è che anche la guerra in atto si presenta come uno scontro tra
blocco eurasiatico e blocco atlantico, uno scontro dipinto con tinte fortemente
fondamentalistiche.
Il
sano mondo slavo-ortodosso contro il decadente occidente, democrazia liberale contro
autocrazia.
Ma con una differenza cruciale.
La prima guerra fredda si svolge ancora
nell’era delle grandi ideologie universaliste aperte con le rivoluzioni
americana e francese del 18° secolo.
Il
liberalismo e il comunismo erano fratelli nemici.
Nemici,
ma con certi legami storici e filosofici.
Le ideologie erano allora una garanzia di
prudenza.
Dato
che la vittoria del comunismo era scientificamente provata e dunque
inevitabile, si poteva essere pazienti perché, in ogni caso, alla fine il comunismo
avrebbe prevalso.
Annota
Henri Soutou: Stalin era davvero iper cauto.
Krusciov
viene licenziato per il suo avventurismo nella crisi cubana del 1962.
Putin viceversa è un uomo di fretta, decide da
solo.
I
leader sovietici decidevano collettivamente e associavano i partiti fratelli
delle democrazie popolari.
L’intervento
in Ungheria nel ‘56 è oggetto di acceso dibattito all’interno del Politburo,
come quello in Cecoslovacchia nel ’68, in Afghanistan nel ’79, in Polonia nel
1980.
Geopolitica,
economia politica, ideologia politica avevano ciascuna – annota “Carlo Galli” –
una doppia dimensione.
Fu il
confronto imperturbabile, bloccato ma in un certo senso equilibrato di due
universalismi progressisti, che vedevano ciascuno nel proprio nemico un concorrente
nell’impresa umanistica di razionalizzare il mondo, di costruire giustizia,
pace e prosperità.
La prima guerra fredda è stata certo
combattuta in un clima di angoscia (la minaccia nucleare) e talvolta d’isteria
(l’anticomunismo occidentale era forte, l’anticapitalismo era terroristico in
altre parti del mondo), ma anche di fiducia nelle risorse di sviluppo sociale
che ciascuno dei due mondi si attribuiva.
Putin
è molto più imprevedibile.
Un
indecifrabile nazionalismo e uno strumentale anti leninismo hanno preso il
posto della coerenza ideologica del comunismo.
Mentre
noi occidentali nel frattempo abbiamo perso, anche a livello di intelligence,
ogni capacità di decifrazione e di decodificazione di quale sia la razionalità
che guida oggi la politica russa.
La
seconda analogia è che anche la seconda guerra fredda vorrebbe essere un
intreccio di ideologia e realismo.
Stalin
non separava ideologia e geopolitica.
Lo
stesso facevano gli Stati Uniti e sono i loro interessi concreti, strategici ed
economici, che li portano dal 1945 a reagire fermamente ma con prudenza contro
Mosca.
Con prudenza ancora sino all’inizio dagli anni
novanta.
Prudenza che viene progressivamente meno
quando Washington comincia a pensare che è nel suo interesse una separazione completa
tra Russia e Ucraina.
È in
questo quadro che si capisce la Georgia nel 2008, la Crimea nel 2014.
E che
si coglie un’altra cruciale differenza della seconda guerra fredda rispetto
alla prima.
Oggi,
e non solo a Washington, alcuni pensano che dovremmo andare fino in fondo e
sradicare il tumore:
cacciare
i russi dal Donbass, dalla Crimea, il regime russo.
In
questi mesi autorevoli esperti di geopolitica si sono guadagnati un meritato
successo con un volume dal titolo “La Russia cambia il mondo”.
Questo
successo sarebbe stato ancor più meritato se fosse stato accompagnato da un
sottotitolo che recitava che anche il mondo atlantico/occidentale ha
contribuito a cambiare la Russia.
E che l’Unione ci ha messo del suo in tempi
recenti per un eccesso di furore e sciagurato revisionismo.
Basti
pensare alla risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 che
equipara nazismo e comunismo e riscrive la storia della seconda guerra
mondiale.
Una
risoluzione che rovescia quelle precedenti dello stesso Parlamento che aveva
sino ad allora riconosciuto il contributo decisivo dato dall’URSS alla
sconfitta del nazifascismo.
L’Unione
forse sopravvivrà. E l’Europa?
Alla
luce della postura bellicista con cui le attuali classi dirigenti europee
stanno affrontando la guerra in Ucraina non si è tuttavia trattato solo di un
grave errore di giudizio storico-politico, ma dell’annuncio di una correzione
del paradigma con cui anche l’Unione aveva a lungo tematizzato la questione
della pace e della guerra.
L’ordine di Maastricht è infatti giunto a
maturazione nell’epoca del dopo guerra fredda (il progetto era, in verità, in
cantiere sin dai tempi dello Sme, 1978) e grazie al dopo guerra fredda.
Grazie ad un contesto che rendeva plausibile
declinare, in primis da parte della Germania, la ‘filosofia’ ordoliberalista
della competizione economica come una ‘continuazione’ della politica di potenza
con altri mezzi.
Con
mezzi non bellicisti, pacifici, cooperativi anche nei confronti dell’ex Unione
sovietica, le cui forniture ai paesi del Vecchio Continente di gas e petrolio
hanno costituito sino a ieri il concreto simbolo di un’apertura di credito
anche geopolitico e non solo economico. Com’era chiaro alla – non a caso
dimenticata e sempre più stigmatizzata – Angela Merkel (…).
Questa
relativa autonomia dell’Unione europea è diventata sempre più problematica.
Nei
trent’anni dell’ordine di Maastricht sono maturati nel mondo processi che hanno
minato alcuni dei presupposti a fondamento della postura pacifista dell’Unione.
Processi
di rimilitarizzazione dei rapporti tra gli stati che sono progressivamente
diventati anche processi di rimilitarizzazione dei rapporti tra le principali
potenze. Una seconda bipolarizzazione del sistema internazionale all’insegna
della retorica dello scontro tra democrazie ed autocrazie che ha un suo chiaro
antecedente nella guerra globale al terrore.
Questa
bipolarizzazione ideologica lungamente perseguita nei primi due decenni del XXI
secolo dalla potenza statunitense spiazza la vocazione dell’Europa quale
potenza civile e con essa la sua deontologia multilaterale nelle relazioni
internazionali, la sua flessibilità diplomatica quale strumento privilegiato
per la risoluzione dei conflitti.
Con
l’oggettiva, tutt’altro che innocente, conseguenza di intrappolare il Vecchio
continente in una competizione regionale con la Russia e in una globale con la
Cina, rendendo ulteriormente problematiche le sue deboli velleità di una
autonomia politica e strategica.
La seconda guerra fredda sta mettendo la
parola fine all’illusione che l’annunciato “nuovo ordine internazionale
liberale” del dopo prima guerra fredda ne avrebbe ulteriormente alimentato i
margini.
L’attuale
guerra in Ucraina è l’apice di una seconda guerra freddo/calda che vuol mettere
fuorigioco il progetto di un’occidente europeo alleato ma distinto
dall’occidente atlantico.
In
nome di un altro progetto, un progetto di marca statunitense.
Guerra
ucraina e disordine internazionale.
I
segnali rivolti alla Russia sono parte integrante di questo progetto.
All’inizio
sono stati segnali contraddittori.
Da un lato non è mancata nel primo decennio
del dopo guerra fredda la suggestione di coinvolgerla in un’architettura comune
di sicurezza europea al fine di evitare lo spettro di una “Russia weimeriana”.
Ma
dall’altro lato i successivi allargamenti a est della Nato, la guerra
unilaterale della Nato alla Serbia nel 1999, la ripetuta allusione al possibile
ingresso dell’Ucraina nella Nato, hanno spinto sempre di più la Russia ai
margini di quell’architettura.
Ci
abbiamo messo del nostro nel cambiare la Russia.
Dopo
l’adattamento del primo decennio del dopoguerra fredda, culminato nel concetto
strategico del 1999, la Nato ha arrancato per trovare un posto
nell’architettura della guerra globale al terrore e ha condiviso con gli Usa il
clamoroso fallimento in Afghanistan.
Il rilancio dell’alleanza in funzione
antirussa è il sigillo finale del tentativo americano, oggi irresponsabilmente
condiviso dalle attuali classi dirigenti dell’Unione europea, di riportare
indietro le lancette della storia a prima dell’89.
Una
seconda rimilitarizzazione e bipolarizzazione del mondo, che intende riportare
al punto di partenza le relazioni tra Occidente e Russia e improntare alla
stessa logica quelle con la Cina.
Questo c’è scritto nero su bianco nelle
risoluzioni del Consiglio Nato di Madrid del giugno 2022.
La
retorica unionista si sforza di rappresentare l’attuale rimilitarizzazione del
mondo come l’occasione per un inedito e storico protagonismo dell’Europa come
potenza geopolitica.
Ma la nuova era glaciale, l’assoluta
incomunicabilità nelle relazioni internazionali, fa oggi molto più male
all’Europa di quanto accaduto nella prima guerra fredda.
È la NATO dal punto di vista organizzativo e
istituzionale che sta tornando in vita, con gli Usa al timone.
La
declamata autonomia strategica europea dei mesi precedenti la guerra in Ucraina
è un pio desiderio se i Paesi dell’Ue non preservano un potere di valutazione
autonoma e si acconciano a diventare i subappaltatori dell’industria della
difesa americana.
Il
conflitto tra oriente e occidente sembra riaffermarsi come un destino, con toni
ancora più duri di quelli del passato.
Ma le somiglianze sono, ha osservato “Carlo
Galli”, più superficiali che sostanziali.
A
medio e lungo termine, ma anche a breve dal punto di vista strettamente
economico, gli interessi degli Stati Uniti non coincidono più come nella prima
guerra fredda con quelli europei.
L’invasione
dell’Ucraina ha fornito agli anglosassoni un’occasione d’oro per indebolire la
Russia con una guerra di logoramento e accerchiamento e tentare di
estrometterla dal grande gioco delle potenze mondiali, in cui vorrebbe
reintegrarsi.
Ha
inoltre consentito agli Stati Uniti di esercitare un controllo più stretto
sull’Europa a basso costo politico.
Ma l’Europa a medio e lungo termine avrebbe
bisogno di un rapporto costruttivo con la Russia per non essere squilibrata sulla
dimensione atlantica e proiettata sul Nord-Est sul piano militare.
E
razionalmente dovrebbe essere nell’interesse russo continuare ad essere, come
in epoca zarista e sovietica, una potenza europea.
Bruciare
i ponti non è nell’interesse né dell’Europa né della Russia.
E di
questo Putin porta grandemente la responsabilità storico-politica.
Il
ritorno del rischio nucleare.
È
tempo di fare un primo bilancio.
La
NATO ha interesse ad estendere la sua azione al sistema di alleanze americane
in estremo oriente.
Il che
naturalmente finirà presto o tardi per sconcertare i paesi europei, per i quali
il compito di presidiare in armi il confine orientale è più che abbastanza.
L’”amico americano” potrebbe, insomma, aver
sbagliato a lungo termine i suoi calcoli con l’Europa, come tante volte è
avvenuto in tante altre parti del mondo negli ultimi decenni.
Oggi,
ancor più di ieri, l’universo è un pluriverso sempre meno disponibile a
piegarsi alla logica della bipolarizzazione a guida statunitense, a subire i
suoi diktat.
La
tentazione di fronte a questo rifiuto di passare dalle minacce più o meno
velate ai fatti, dalla minaccia dell’uso dell’arma nucleare al suo uso
effettivo, potrebbe diventare una tragica e “realistica” opzione per un
occidente sempre più apertamente contestato dai grandi paesi non occidentali
nella sua pretesa di parlare a nome dell’intera comunità internazionale, di
dettare la soglia di accesso alla piena appartenenza e i criteri di normalità
politica, economica e culturale validi per tutti.
Per questa ragione il rischio di una catastrofe
nucleare globale potrebbe presto tornare di drammatica attualità.
E se
vogliamo farci trovare pronti, è necessario che il movimento pacifista ritrovi
quegli interlocutori nelle istituzioni politiche e nella società civile che in
passato hanno rappresentato una sponda per le sue mobilitazioni.
È
nell’interesse dell’intera umanità disporre di un movimento pacifista
consapevole della complessità della posta in gioco, dei suoi tempi, dei
pericoli a breve e medio breve termine (il rischio nucleare tattico) e di
quelli a medio e lungo termine (la catastrofe nucleare globale) (…).
Il
tempo stringe sia per Zelensky
che
per la NATO. L'operazione
Tritacarne"
deve iniziare.
Trategc-culture.org
- Martin Jay – (20 giugno 2023) – ci dice:
Pochi
esperti occidentali si chiedono "se sta andando bene, allora perché la
richiesta immediata di adesione alla NATO? Dov'è la crisi?"
Può la
NATO aspettarsi di sopravvivere alla sua politica di escalation dogmatica cieca
a lungo termine o affrontare un periodo di declino, persino di scadenza? Sembra
inverosimile?
Non
quando si esamina la cronologia degli ultimi due anni e si osserva la direzione
in cui si sta dirigendo questo conglomerato di macchine da guerra sotto la
guida di Washington.
A
Vilnius ci si aspetta che crediamo che, nonostante l'offensiva estiva stia
andando bene per l'esercito ucraino – che è una menzogna perpetuata dai media
occidentali – che all'Ucraina dovrebbe essere data la piena adesione alla NATO.
L'isteria che può essere vista negli occhi di
Zelensky che lo chiede è appetibile.
Ma
pochi, se non nessuno, esperti occidentali si chiedono "se sta andando
bene, allora perché la richiesta immediata di adesione alla NATO?
Dov'è la crisi?".
La
vera ragione per cui Zelensky chiede questo, così come i paesi dell'Europa
orientale che parlano di mettere i propri soldati sul terreno, semplicemente,
equivale alla stessa conclusione.
La
guerra non sta andando affatto bene per l'esercito ucraino che, anche secondo
la stima più gentile e prudente, ha perso almeno 150.000 uomini.
I generali statunitensi in pensione che sono
in contatto con gli osservatori militari sul terreno hanno stimato questa cifra
fino a 250.000 poiché l'operazione mediatica ucraina a Kiev ovviamente non
fornisce alcun dato serio sull'argomento.
Il
problema di Zelensky è duplice.
Ha
annunciato al mondo che sta per iniziare un'offensiva estiva, che non è
iniziata così male – ha scavato un buco nella Linea Maginot che la Russia ha
aperto completa di mine – e ha preso alcuni villaggi.
Buona
dispensa video per i giornalisti del call center in Ucraina che prendono ordini
dall'ufficio stampa di Kiev che controlla dove possono andare e cosa possono
riferire.
Ma il dettaglio minore di ciò che non stanno
riportando è la vera storia.
L'esercito
ucraino è così a corto di personale, con risorse insufficienti e i suoi uomini
così tristemente sotto addestrati che la velocità e la velocità del suo
equipaggiamento militare in perdita sono spaventose.
Le
brigate stanno andando in battaglia in veicoli corazzati con il supporto
dell'artiglieria e vengono spazzate via a una velocità notevole.
In un
solo giorno, secondo un rapporto, 16 veicoli blindati Bradley sono stati
colpiti e bruciati, o semplicemente abbandonati dalle forze ucraine.
Per i
funzionari del Pentagono che rimuginano sui loro rapporti di intelligence,
questo dovrebbe essere preoccupante dato che questa perdita rappresenta un
quarto di tutti i Bradley dati agli ucraini.
È
questa rapidità delle perdite materiali che preoccupa Zelensky e le élite
occidentali.
Guardano i dati e quando vedono minuscole
vittorie simboliche, come i villaggi recentemente presi, non festeggiano.
Guardano
semplicemente le perdite e fanno i conti.
Per
quanto tempo ancora potrà esistere l'esercito ucraino?
Zelensky sa fin troppo bene che ha bisogno di
almeno 2-300.000 uomini in più e dei carri armati, mezzi corazzati per andare
con loro per avere un impatto.
Lui,
insieme ai capi della NATO, sa anche che se ti siedi lontano dalle linee
nemiche e non fai nulla, ogni giorno che passa, la tua credibilità diminuisce,
specialmente se hai appena annunciato al mondo che stai per iniziare una
massiccia offensiva.
Questo
è stato davvero il prossimo vertice della NATO.
Come
inviare a Zelensky molto, molto più kit, ma anche gli uomini per andare con
esso. Non ci sono davvero troppe opzioni.
O
l'invio di truppe dai paesi dell'Europa orientale che non saranno protetti
dall'articolo 5 della NATO, poiché dovrà essere chiaramente dichiarato che si
recheranno lì non sotto un mandato della NATO.
Buona fortuna aspettandosi che l'esercito russo
rispetti tali assurdità.
In alternativa, si guarda alla possibilità di
creare gruppi di mercenari composti da soldati in pensione provenienti da paesi
della NATO.
I
media occidentali ci stanno deludendo all'ingrosso quando non riescono a
riferire su rapporti non confermati di piani di Washington per supervisionare
un programma che consente a un appaltatore privato della difesa di reclutare
piloti dell'aeronautica statunitense in pensione per volare in Ucraina.
Questa è l'ultima idea del cervello dei
capelli che è destinata a intensificare ulteriormente la guerra e spingere la
NATO più in profondità nel buco che ha scavato – e continua a scavare – sé
stessa.
Quando
un nuovo capo della NATO subentrerà in ottobre, quasi certamente sarà “Ben
Wallace” del Regno Unito che ha mostrato una notevole sarcastica nei confronti
di Biden e del racket della guerra (l'unica qualifica che è importante per il
lavoro), potrebbe
trovare la credibilità e la posizione della NATO ai minimi storici mentre la
posta in gioco della guerra è ancora più alta.
Il
problema che la NATO e Zelensky hanno può essere riassunto in una parola.
Ore.
Non
hanno tempo dalla loro parte perché la macchina da guerra in Ucraina, su cui
nessun cittadino di nessun paese occidentale è stato consultato, sarà portata a
un nuovo livello, il che farà sembrare i 130 miliardi di dollari che gli Stati
Uniti hanno messo finora come mangime per polli.
La
NATO si sta muovendo ad un nuovo livello e sta preparando il mondo occidentale
attraverso un lavoro mediatico molto ben congegnato, per una nuova guerra con
una posta in gioco più alta e maggiori vittime.
Sfortunatamente,
a causa del numero molto basso di uomini e attrezzature, l'unica via da seguire
è con l'hardware NATO esistente che gli stati membri hanno, piuttosto che con
l'equipaggiamento in eccesso che può donare.
Le
scorte sono ora al minimo per la maggior parte dei principali componenti
utilizzati nella guerra, così pericolosamente basse che molti paesi della NATO
non hanno più l'equipaggiamento per inviarlo e non lo hanno nemmeno pronto
sulla linea di produzione.
Quindi,
piuttosto che parlare grandiosamente di una "offensiva estiva", ciò
che abbiamo invece è una pausa estiva.
E questo potrebbe rimanere così per almeno
6-12 mesi prima che anche l'alimentazione a goccia delle attrezzature possa
ricominciare.
Non
fatevi ingannare dai discorsi sugli F16.
Se i
membri europei della NATO devono donarli, stiamo osservando numeri molto, molto
bassi, forse un paio delle cellule obsolete del Belgio di soli 20;
forse
uno della più moderna flotta olandese di 40.
Ma l'addestramento, che ci viene detto
potrebbe durare solo tre mesi, è, in realtà, più vicino a nove se entrambe le
discipline aria-aria e aria-terra sono raggruppate.
Zelensky
e le élite occidentali che affermano di sostenerlo sanno che il tempo sta per
scadere.
Per
loro una soluzione è rapida.
E
l'unica veloce è come trovare presto 100.000 soldati per il tritacarne ucraino.
Aspettatevi
un "attacco" a una centrale nucleare all'interno dell'Ucraina giorni
prima del vertice della NATO con, naturalmente, la Russia accusata dai media
occidentali con articoli che citano Zelensky stesso come il principale,
imparziale esperto.
Siamo
ora il punto in cui gli attacchi sotto falsa bandiera sono l'unica strategia
rimasta o spingere le sue 12 brigate di vecchi (circa 50.000 soldati di
riserva) verso la trappola che la Russia ha preparato per loro.
Una
cosa è sfondare i campi minati posti lungo la linea del fronte; tutt'altra cosa
è ritirarsi attraverso la stessa pista.
Guerra,
valuta digitale e
spopolamento:
disastro
in
divenire?
Globalresearch.ca
– (21 giugno 2023) - Peter Koenig – ci dice:
"Nessuna
quantità di armi o munizioni che gli Stati Uniti e i loro alleati forniscono
all'Ucraina sarà sufficiente a meno che Kiev non vinca", ha detto il
ministro degli Esteri ucraino Dmitry Kuleba lunedì [19 giugno 2023], durante
un'intervista alla televisione ucraina.
"Quando
vinceremo, dirò 'c'erano abbastanza armi'.
Ma
fino ad allora, nulla sarà sufficiente, per quanto mandino, perché se non c'è
vittoria, significa che non è stato abbastanza", ha detto Kuleba.
La
squadra di Zelensky sta preparando il terreno per la "guerra eterna",
poiché l'Occidente sembra essere impegnato a fare tutto ciò che Zelensky dice e
vuole.
Zelensky
si è elevato a Maestro del mondo occidentale.
Centinaia
di miliardi di soldi delle tasse del popolo occidentale vanno in armi e
"sostegno al bilancio" al paese più corrotto del pianeta per
combattere una guerra che è impossibile da vincere – tutto con il pretesto di
indebolire la Russia e, infine, di ottenere un cambio di regime, di rubare e
dominare le risorse della Russia, le ricchezze della Russia – e di avvicinarsi
di un passo a un “One World Oder”.
Non
accadrà.
Immaginate,
cosa potrebbero fare le nazioni occidentali per il loro popolo sempre più
impoverito mentre loro, i governi occidentali, stanno distruggendo, come
suicidi, economie occidentali?
Fa
parte dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e/o del Grande Reset.
Stanno
seguendo religiosamente il progetto di questi piani disastrosi e li stanno
realizzando.
La
distruzione sfrenata delle economie occidentali ne fa parte.
E alla gente viene miseramente mentita al
riguardo.
I
governi occidentali per anni, per decenni non hanno rappresentato le persone
che li hanno "eletti" o, più precisamente, che credono di averli
eletti, perché, sì, loro il popolo, pagano per i salari indegni del loro
governo e lo stile di vita di alto livello.
Il
mondo ha raggiunto una situazione insostenibile.
Totalmente
insostenibile e questo nell'era degli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”
(SDG), cioè l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, appunto l'agenda che mira a
"resettare" il mondo, in una frazione della popolazione attuale,
convertendo i sopravvissuti in transumani manipolabili mentalmente attraverso
il mortale 5G a onde ultra-corte e presto arriverà il 6G, e con l'Intelligenza
Artificiale (AI) diretta a distanza, facendoli sentire felici, poiché tutti i
loro beni sono stati rubati, eliminati, spariti – dalla” valuta digitale
programmabile della Banca Centrale” (CBDC).
E la
tirannia passa a meccanismi di controllo totale attraverso certificati digitali di
tutto, dalla vaccinazione forzata, a un ID basato su codice QR completamente caricato
che include tutti i dati personali, dalla salute, alle abitudini alimentari,
all'impronta di carbonio, ai precedenti penali, agli atteggiamenti personali,
alla volontà di conformità - e soprattutto al comportamento di un individuo nei
confronti del "cambiamento climatico" - che può arrivare fino a città
di 15 minuti.
O
niente auto per i poveri, la gente normale, niente voli per i beni comuni, niente che si possa dire che violi il
record climatico così incredibilmente falsificato.
Un
moderno "lockdown" per sempre non appena saremo in carcere digitale.
Questo può accadere prima di quanto pensiamo, se Noi, il Popolo, lasciamo che
accada.
E, con quello che sappiamo oggi, è
letteralmente irreversibile.
Una
volta che siamo lì, siamo cotti.
Quindi, evitiamo di "essere costretti ad
andare lì".
Sembra
che la maggior parte delle persone non l'abbia ancora capito.
Non vedono l'ora di una vita interamente
digitalizzata con denaro appositamente digitalizzato.
Così
facile.
Niente
contanti. Scorri una carta, bingo.
Sì,
bingo – e sei ammanettato e non te ne accorgi nemmeno.
Siamo
a questo punto di rottura, dove tutto si riunisce e potrebbe sfociare in
un'immensa esplosione – o implosione, dove le cose e gli eventi prendono il
sopravvento, senza l'intelligenza artificiale e senza la possibilità di
interferenze umane, la possibilità di fermare un annientamento mondiale.
Guardiamo
il panorama e uniamo i puntini:
Nell'ultima
settimana o giù di lì, e in corso, c'è (ancora da confermare) una mobilitazione
militare in corso negli Stati Uniti e in Canada.
Nessuna spiegazione ufficiale.
Sabato
17 giugno, Antony Blinken, segretario di Stato americano, ha incontrato a porte
chiuse il leader cinese Xi Jinping.
Nonostante la loro dichiarazione predefinita
di "discussioni costruttive", il loro linguaggio del corpo, quando
incontrano la stampa dopo la loro conferenza individuale, racconta una storia
diversa.
Una
questione chiave della loro discussione potrebbe essere stata Taiwan.
L'Occidente vuole dominare Taiwan per ragioni strategiche e tecnologiche.
Questo
non accadrà.
La più
grande manovra aerea della NATO intorno alla Russia è in corso da oltre una
settimana e dovrebbe concludersi il 23 giugno.
Lo
farà?
O
potrebbe trasformarsi in una guerra calda? Una domanda legittima con tutti gli
eventi convergenti che sembrano spingere verso un climax politicamente
ingestibile.
Il debito
occidentale, esacerbato dai miliardi di miliardi di miliardi di soldi gettati
in un buco oscuro dell'Ucraina, è sul punto di collassare le economie
occidentali.
Il
sistema bancario occidentale è sull'orlo della bancarotta – bancarotta causata dall'uomo
– perché si adatta bene al piano di sradicamento del debito nazionale e
all'introduzione della CBDC che controlla tutto.
La
Commissione Europea (CE) non eletta e la corrotta Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) gestita da Rockefeller-Gates Pharma, hanno appena annunciato
l'adozione di un certificato e di un ID vaxx completamente digitalizzati – che
sarebbero la base per ogni cittadino di muoversi liberamente, o non così
liberamente, a seconda di quanto bene i suoi certificati ID con codice QR e
vaxx sono tenuti aggiornati, secondo le regole obbligatorie.
Ricorda,
con l'inizio del decennio 2020, siamo entrati in un'era di illegalità, non più
leggi internazionali, ma élite fatte "ordini basati su regole".
Non ci saranno più giudici, i cui verdetti si
basano sul diritto internazionale. Sono vietati, non ammessi o addirittura
minacciati.
Sui
pericoli della CBDC e del codice QR onnipresente, vedi questo.
La
spinta universale verso le valute digitali delle banche centrali, emana molto
probabilmente dalla “Banca dei regolamenti internazionali “(BRI), la Banca
centrale di tutte le banche centrali, che controlla almeno il 90% delle banche
centrali di tutto il mondo, e la stessa BRI, controllata dalla famiglia
Rothschild.
Come
vediamo, tutto è nelle migliori intenzioni private, perfettamente allineato con
il “Federal Reserve Act del 1913” istituito in modo fraudolento – che ha
permesso agli Stati Uniti di creare un'egemonia del dollaro USA in tutto il
mondo;
in
primo luogo con il dollaro che sostituiva l'oro come asset di riserva chiave,
in secondo luogo, poiché tutti gli idrocarburi dovevano essere scambiati
dall'OPEC in dollari USA, un'imposizione di Washington;
in
terzo luogo, tutto il commercio internazionale, indipendentemente dai paesi, doveva
essere effettuato fino a poco tempo fa in dollari USA.
La
maggior parte di questo sta vacillando e si trova ora a un punto di rottura.
L'India
potrebbe essere un precursore monetario per l'Occidente.
E se
il governo indiano del 2016 – un progetto imposto dall'USAID – spazzasse via
bruscamente le banconote più importanti della nazione, le banconote da 500 e
1.000 rupie, che rappresentano l'87% del totale del contante in circolazione,
fosse solo un processo per ciò che potrebbe accadere in Occidente?
Una
mossa simile sta avvenendo ora con la “Reserve Bank of India” (RBI, equivalente
alla Banca centrale indiana), annunciando nel maggio 2023 che la RBI ritirerà
le banconote da 2.000 rupie dalla circolazione come parte della "politica
delle banconote pulite", un pretesto per ridurre il contante e convertire
gradualmente l'India in un paese valutario interamente digitalizzato.
Durante
l'abolizione da parte dell'India nel 2016 di oltre l'80% di tutto il contante,
decine di migliaia se non centinaia di migliaia di persone, soprattutto nelle
campagne, senza accesso alle banche e al contante, improvvisamente non avevano
soldi, non potevano comprare cibo; molti morirono.
Cosa
succede se, a nome dell'Ucraina, sempre a nome dell'Ucraina, la NATO fa una
mossa sbagliata prima o dopo il 23 giugno, portando a un contrattacco provocato
dalla Russia, possibilmente nucleare – portando a una terza guerra mondiale
calda, causando "carenza" di tutto, specialmente cibo ed energia?
Allo
stesso tempo, la CE e forse anche la FED degli Stati Uniti potrebbero fermare o
ridurre al minimo il denaro contante e introdurre e imporre CBDC programmabili
alla popolazione occidentale.
Il contante potrebbe essere sparito, ma il
sistema commerciale non si è ancora adattato alla nuova valuta digitale.
Il cibo scarseggia, e il poco che c'è, non può
essere comprato, a causa della mancanza di denaro, lo stesso con l'energia.
Una
tremenda carestia può derivare, oltre alla guerra, con interruzioni delle
comunicazioni e dei trasporti, a causa della mancanza di energia.
Inoltre,
l'hacking e gli attacchi informatici possono diventare all'ordine del giorno: i
test sono già avvenuti e stanno accadendo mentre queste righe verranno stampate
Le persone possono morire come mosche. In
tutto l'Occidente.
Questo
è un quadro desolante – dobbiamo evitarlo. E possiamo: svegliarsi e pensare
positivo.
Il “Great
Reset del WEF”, il “certificato vaxx digitalizzato dell'OMS” e l'Agenda 2030
delle Nazioni Unite potrebbero sorridere soddisfatti, avendo raggiunto il loro
obiettivo molto prima della data obiettivo del 2030.
Questa è davvero la loro intenzione, poiché
devono abbattere le masse di persone che si risvegliano.
Questo
scenario orribile non si verificherà.
Perché
noi, il Popolo, non lo permetteremo.
Se
siamo svegli, possiamo proiettare il nostro futuro, plasmandolo spiritualmente
– nelle nostre menti, ignorando le macchinazioni diaboliche.
Non è mai troppo tardi, preparando le nostre
fonti di cibo, fonti di energia e la nostra civiltà.
È una
sfida, ma la mente e lo spirito umano possono dominarla. E LO FAREMO.
Lontano
dalla tirannia.
Tuttavia,
prima dobbiamo vedere e riconoscere la spada della tirannia che aleggia sopra
le nostre teste.
(Peter
Koenig è un analista geopolitico ed ex economista senior presso la Banca
Mondiale e l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dove ha lavorato per
oltre 30 anni in tutto il mondo.)
Il
grande reset è quasi
arrivato:
sei pronto?
Globalresearch.ca
– (21 giugno 2023) - Brandon Smith – ci dice:
(Birch
Gold Group)
Voglio
che immaginiate, per un momento, un mondo futuro in cui tutto ciò che ora
sappiamo sul funzionamento e sulla sopravvivenza all'interno dell'economia è
completamente capovolto.
Questo
mondo è diventato completamente digitale, il che significa che le persone
vivono all'interno di una società senza contanti in cui le interazioni
monetarie fisiche sono abbandonate o proibite, sostituite dalle CBDC.
Tutte le transazioni sono tracciate e tracciate,
nulla è più privato a meno che tu non stia operando come un criminale
all'interno di un mercato nero.
Inoltre,
il governo sopprime apertamente e micro gestisce tutte le forme di produzione.
Le piccole imprese sono un ricordo del passato
e solo un gruppo selezionato di grandi aziende che lavorano direttamente con il
governo sono autorizzati a operare.
Non è
solo che il contante è fuorilegge e che tutti devono fare affidamento su un
libro mastro digitale, ma che il governo possiede i percorsi e le reti di dati
che usiamo per trasferire fondi – l'impianto idraulico del sistema finanziario
globale stesso.
Proprio come la rete dati SWIFT, i globalisti
hanno la possibilità di bloccare account individuali o aziendali.
Negare
completamente ai proprietari l'accesso ai propri fondi.
Nel
frattempo, i sistemi di monitoraggio basati sull'intelligenza artificiale
setacciano miliardi di transazioni ogni minuto, alla ricerca di
"anomalie". L'algoritmo è progettato per identificare chiunque voglia
rimanere anonimo.
Internet
esiste ancora, ma è un guscio di se stesso.
La popolazione lo utilizza regolarmente per
completare i compiti assegnati e per accedere a database di ricerca approvati.
I
fornitori di dati sono severamente censurati.
Le criptovalute non sono un'alternativa alle
CBDC perché qualsiasi tentativo di acquistarle o venderle fa scattare
immediatamente bandiere rosse per il cane da guardia dell'IA.
Solo i
siti web approvati dal governo sono autorizzati a esistere, con regole estese
che limitano ciò che possono fare e ciò che possono dire.
I chatbot AI forniscono al pubblico la maggior
parte dei loro dati e i globalisti controllano i parametri dei “chatbot”.
Le
persone sono sempre e solo esposte alle informazioni che le élite vogliono che
ascoltino.
Tutti
i dati contrari vengono eliminati.
Non è tanto vietato; piuttosto, viene
semplicemente omesso dal registro fino a quando le persone che lo ricordano non
se ne sono andate.
Un'anteprima
del nuovo mondo coraggioso.
Potrebbe
sembrare fantascienza, ma ogni elemento di questa tecnologia esiste già ed è
attualmente in fase di test presso la “Banca dei regolamenti internazionali”
(BRI) e il “Fondo monetario internazionale” (FMI).
Non
molto tempo fa, durante il panico della pandemia di Covid, organizzazioni come
il “World Economic Forum” (WEF) hanno iniziato a promuovere ampiamente un
concetto chiamato” Great Reset”.
Un
nuovo paradigma economico, una rivoluzione in cui l'intelligenza artificiale
gestisce tutto, l'umanità è relegata a un numero limitato di posti di lavoro
"vitali" emessi dal governo e un nuovo tipo di socialismo
(social-comunismo) tecnologico governa le nostre vite.
Un
documentario scioccante e rivelatore: "State of Control".
La
proprietà privata verrebbe messa da parte.
I cittadini vivrebbero giorno per giorno
all'interno di una "economia condivisa" in cui nessuno possiede nulla
perché tutto è preso in prestito dal sistema collettivo su base giornaliera.
Non
c'è alcuna opportunità per la maggior parte di acquisire ricchezza o di
conservarla.
Non c'è alcuna disposizione per prepararsi a
bisogni o crisi future.
Lo stato pianifica per te, cittadino!
Gli
esseri umani cessano essenzialmente di diventare partecipanti attivi nella
propria vita.
Invece, sono gestiti in massa da signori
tecnocratici (plutocrati)che vivono lontano in alte torri.
"Non
possiedi nulla" significa "Possederemo tutto."
Il
Grande Reset, o la "Quarta Rivoluzione Industriale" come a volte la chiamano, sarebbe l'inizio di una nuova terrificante
era del feudalesimo.
È un ritorno al modello oligarca e contadino, un
ritorno alla schiavitù.
Alla
persona media sarebbe permesso di lavorare solo come mezzo per sopravvivere,
mai di accumulare ricchezza per il futuro.
Il
trampolino di lancio principale per questo incubo distopico sarebbe un sistema
globale di valuta digitale.
Senza una società senza contanti, i globalisti
non avrebbero il potere di far rispettare gli altri elementi del loro Reset.
Ma
quando e come implementeranno questa mostruosità, e perché qualcuno dovrebbe
abbracciarla?
I
globalisti (l’élite ultra ricca) tendono ad operare in fasi di incrementalismo,
ma a volte sfruttano eventi di crisi drammatici per spaventare la popolazione e
costringerla a conformarsi a politiche che altrimenti avrebbero richiesto
decenni. "Non
lasciare mai che una crisi vada sprecata."
Lo
abbiamo visto chiaramente con la pandemia; la maggior parte dei concetti di
Reset sono stati apertamente ammessi durante questo periodo, forse perché i
globalisti pensavano di averlo nella borsa e non c'era nulla che qualcuno
potesse fare per fermarli.
Ciò ha
incluso un ampio discorso di sistemi “cashless” per prevenire la diffusione del Covid
sui dollari fisici.
Sai,
allo stesso modo in cui il denaro carico di germi diffuse la peste nera in
tutta Europa nel 1400.
O
sporchi biglietti verdi hanno passato l'influenza spagnola da acquirente a cassiere
nel 1918 ... Naturalmente, l'unico modo per porre fine a quelle piaghe era
bruciare tutti i soldi, giusto?
Sciocchezza.
La finestra del Covid si è chiusa, la crisi è stata sprecata.
Oggi,
dobbiamo chiederci, quando ci riproveranno?
Fortunatamente,
ci hanno effettivamente detto ...
La
maggior parte delle organizzazioni globaliste ultra ricche menziona
costantemente l'anno 2030 come linea temporale per completare i numerosi
progetti che hanno in atto.
Non
solo il "Great Reset" e numerosi obiettivi climatici e di tassazione
del carbonio.
Il WEF lo definisce un contratto sociale per
trasformare il nostro mondo entro il 2030.
Le Nazioni Unite la chiamano semplicemente
Agenda 2030.
Non è
affatto inquietante, vero?
Questo
ci dice che vogliono che la loro griglia di controllo sia in atto entro sette
anni o meno.
Ciò sarebbe impossibile senza una crisi ossea
di proporzioni epiche.
Prima, però, avrebbero dovuto introdurre
alcuni degli elementi del loro piano generale in anticipo, come una corsa di
prova.
In
questo modo, quando si verifica un disastro, il pubblico sarà consapevole delle
"soluzioni" che le élite hanno già preparato pensando alla crisi.
Questo
processo è in corso proprio ora.
Nel
caso delle valute digitali, la crittografia ha già ricevuto un'ampia
esposizione nei media popolari.
La maggior parte delle persone non possiede
criptovalute e la maggior parte di coloro che non le usano quotidianamente, ma
tutti ne hanno sentito parlare.
Le
CBDC saranno vendute come criptovaluta "più sicura e stabile", il
bitcoin dello Zio Sam.
In
questo momento, l'Australia è il banco di prova per introdurre CBDC a una
popolazione nazionale.
I loro programmi pilota termineranno
quest'estate e le transazioni internazionali sono state completate utilizzando
la valuta "eAUD" appena inventata.
Ora,
ovviamente non hanno ancora rivelato un programma per introdurre l'eAUD sui
mercati dei cambi o anche ai cittadini australiani.
Il
punto è che il sistema esiste e può essere copiato e incollato da qualsiasi
altra nazione.
È
davvero così semplice.
Anche
il globalista più illuso sa che alcune nazioni, inclusa l'America, non
accetteranno mai una società senza contanti senza un completo collasso sia
della loro valuta che della loro economia.
Semplicemente non accadrà altrimenti.
Dubito
che molti americani si metterebbero in fila per accettare una valuta così
disumanizzante e schiavizzante anche dopo un collasso economico totale.
In
altre parole, solo una crisi a spettro completo attraverso gli Stati Uniti e il
mondo occidentale potrebbe portare a una volontaria accettazione delle CDBC.
Qualche
anno di "ricostruzione", qualche dozzina di milioni di senzatetto e
affamati nei campi profughi servirebbero probabilmente come la crisi
necessaria.
Le
"soluzioni" globaliste senza contanti seguirebbero.
Se
prendiamo la data globalista del 2030 come pietra miliare, possiamo aspettarci
un'altra crisi ancora più oppressiva, pervasiva e distruttiva delle nostre
libertà rispetto alla pandemia di Covid – nei prossimi 3-4 anni.
Affinché
le élite ottengano ciò che vogliono, hanno bisogno di una crisi di 1-2 anni e
di una "ricostruzione" di 1-2 anni e sono certo che di un periodo di
"rieducazione".
Dopo
questo, il cambiamento sarebbe irreversibile.
Più a
lungo i globalisti aspettano, più persone vengono istruite sulla loro agenda e
meno probabilità avrà successo.
Prendete
provvedimenti ora per isolare voi stessi e la vostra famiglia dalla fine del
gioco dei socialisti-comunisti.
Assicurati
di avere riserve di ricchezza non rintracciabili, non gonfiabili e totalmente
anonime (beni
di prima necessità come cibo e acqua per la sopravvivenza, beni di scambio per
il commercio e oro e argento fisici per tutto il resto).
Quando dipendi da loro per le tue necessità, ti hanno
proprio dove ti vogliono.
(Brandon
Smith è un analista economico e geopolitico alternativo dal 2006 ed è il
fondatore di Alt-Market.com.)
Incubo
distopico:
dieci cose incredibili
che
accadranno presto se non fermiamo
la marcia della tirannia e la schiavitù dell'umanità.
Globalresearch.ca
– (21 giugno 2023) - Mike Adams – ci dice:
(NaturalNews.com)
La
marcia della tirannia è su di noi.
Lo vedi ogni giorno nei blocchi Covid, nella
propaganda sui vaccini, nella censura sponsorizzata dal governo e nelle
restrizioni bancarie / finanziarie su ciò che ti è permesso fare con i tuoi
soldi.
La
verità scioccante, tuttavia, è che andrà molto, molto peggio se non fermiamo la
marcia della tirannia che sta accelerando intorno a noi.
Nell'analisi
di oggi, descrivo in dettaglio dieci cose incredibili che sicuramente
accadranno se non fermiamo la marcia della tirannia e non ci riprendiamo la
nostra privacy, la nostra dignità e il nostro futuro.
L'umanità
ora si trova di fronte a una scelta critica:
o
scegliamo la via della schiavitù totale sotto una dittatura autoritaria e
tecno-fascista corporativista, o scegliamo invece di abbracciare la finanza
decentralizzata, la libertà di parola, la razionalità e lo stato di diritto.
Ecco
la mia lista di dieci cose incredibili che accadranno se non fermiamo la
tirannia, con i risultati più lievi in cima alla lista e i risultati più da
incubo vicino alla fine di questa lista.
Dieci
risultati da incubo se non respingiamo la tirannia.
1) Tutte le criptovalute, l'oro e
l'argento saranno fuorilegge. Tutte le transazioni finanziarie dovranno passare
attraverso sistemi di controllo centralizzati gestiti dal regime, comprese le
CBDC.
Ti
verrà richiesto di partecipare a una CBDC per pagare le tasse, acquistare cibo
e ricevere un UBI (reddito di base universale).
Tutti
i tuoi acquisti saranno monitorati e limitati, se necessario, per modellare il
tuo comportamento.
(I parlamentari
austriaci lasciano l'aula mentre Zelensky pronuncia il suo discorso).
2) La tua capacità di acquistare cibo
(e carne in particolare) sarà severamente limitata in base al tuo punteggio di
conformità culturale e climatica.
Sarai
limitato a un limite calorico di acquisti di generi alimentari consentiti e
tutti i prodotti alimentari ritenuti non conformi alla propaganda climatica
(cioè formaggio, carne e latte) saranno limitati.
3) Ti verrà richiesto di conformarti
alle richieste narrative del regime, e se il regime cambia la sua posizione su
qualcosa, ti verrà richiesto di aggiornare retroattivamente tutti i tuoi
precedenti articoli, video, post sui social media e podcast per conformarti
alla nuova narrativa, o affrontare sanzioni e censura.
4) Ti sarà
proibito coltivare cibo, semi di risparmio o allevare polli da cortile senza
ricevere il permesso (e la licenza) dal governo, che ti richiederà di
utilizzare semi geneticamente modificati e la vaccinazione ripetuta dei tuoi
animali da fattoria. (E non è consentito il latte crudo.)
5) Ti sarà completamente vietato
l'acquisto di armi da fuoco, munizioni, coltelli, giubbotti balistici o altri
oggetti di autodifesa, lasciandoti alla mercé dello stato senza legge che sta
de-finanziando la polizia e rilasciando criminali violenti per le strade.
6) Lo stato rapirà i tuoi figli dal
punto di vista medico e li mutilerà per ottenere "transizioni di
genere" e se cerchi di interferire, sarai accusato di crimini criminali e
abusi sui minori.
Questo sta per diventare legge in California.
7) Ti
verrà richiesto di installare una rete di videocamere e microfoni monitorata
dal governo nella tua casa per assicurarti di non dire nulla che possa andare
contro i "fatti" spinti dal regime.
I
sistemi di intelligenza artificiale monitoreranno il tuo discorso e le tue
attività, quindi ti segnaleranno alle autorità governative se ti allontani dal
grado di obbedienza richiesto.
8) Ti sarà vietato acquistare un veicolo
a benzina o diesel, ma allo stesso tempo, il tuo consumo di elettricità
domestica sarà strettamente limitato in base al tuo punteggio di conformità
climatica e culturale.
In altre parole, se mai desideri caricare la
tua auto e guidare da qualche parte, dovrai essere completamente obbediente
alla narrativa del regime, o non avrai mai abbastanza kilowattora disponibili
per caricare il tuo EV.
Solo
coloro che ripetono a pappagallo le ridicole bugie del regime – cioè "un uomo può diventare una donna" – saranno autorizzati a usare
i mezzi di trasporto.
9) Molto probabilmente sarai sostituito
da sistemi di intelligenza artificiale o robot di automazione che assumeranno
il tuo attuale lavoro.
Quando
sarai spostato dal lavoro, verrai inserito in un sistema UBI per ricevere
pagamenti digitali automatici, ma la tua capacità di accedere ai tuoi
"benefici" UBI ti richiederà di rimanere pienamente aggiornato su
tutti i requisiti di vaccino, indipendentemente da quanti sono richiesti (e
indipendentemente dalla loro sicurezza).
In
effetti, per ricevere un UBI ed essere in grado di permettersi abbastanza cibo
per evitare di morire di fame, dovrai accettare di sottoporti al suicidio
medico sponsorizzato dallo stato attraverso infiniti vaccini.
Per vivere, in altre parole, dovrai arrenderti
per essere lentamente ucciso dallo stato.
10) I benefici extra UBI saranno
assegnati alle persone che volontariamente consentono ai "fact
checker" e ai "forze dell'ordine di pubblica sicurezza" di avere
accesso illimitato e in tempo reale ai microfoni e alle telecamere sui loro dispositivi
mobili.
Ciò
trasformerà i cittadini comuni in macchine spia ambulanti che spazzeranno via
tutto l'audio e il video circostanti dal loro ambiente immediato.
Le velocità di comunicazione 5G sono
necessarie per raggiungere questo obiettivo, e quando "abbigliamento
intelligente" diventerà una realtà, microfoni e telecamere saranno
incorporati in camicie, giacche, cappelli e altre forme di abbigliamento,
trasmettendo audio e video in tempo reale ai controllori governativi che
utilizzeranno l'analisi “AI” per generare trascrizioni che possono essere
ricercate per parole chiave per "violazioni del discorso" che
comporteranno severe sanzioni.
Ciò
significa che puoi essere spiato da chiunque, ovunque, in qualsiasi momento,
incluso semplicemente camminare lungo un marciapiede o chiacchierare in un
ristorante.
La portata del regime sarà illimitata.
Questa tecnologia era già stata testata
durante il Covid, tracciando i movimenti individuali e costringendo le persone
a blocchi se i loro dati di geolocalizzazione telefonica mostravano che
entravano nelle immediate vicinanze di chiunque in seguito fosse risultato
positivo al Covid.
(NaturalNews.com)
La
cospirazione del "Grande Zero
Carbonio"
e il "Grande Reset" del WEF.
Globalresearch.ca
– (21 giugno 2023) - F. William Engdahl – ci dice:
Il
globalista “Davos World Economic Forum “proclama la necessità di raggiungere
l'obiettivo mondiale di "net zero carbon" entro il 2050.
Questo
per la maggior parte suona lontano nel futuro e quindi ampiamente ignorato.
Eppure
le trasformazioni in corso dalla Germania agli Stati Uniti, a innumerevoli
altre economie, stanno preparando il terreno per la creazione di quello che nel
1970 è stato chiamato il “Nuovo Ordine Economico Internazionale”.
In
realtà è un progetto per “un corporativismo totalitario tecnocratico globale”,
che promette enorme disoccupazione, deindustrializzazione e collasso economico
fin dalla progettazione.
Considera
alcuni retroscena.
Klaus
Schwab.
Il
World Economic Forum (WEF) sta attualmente promuovendo il suo tema preferito,
il Grande Reset dell'economia mondiale.
La chiave di tutto è capire cosa intendono i
globalisti per Net Zero Carbon entro il 2050.
L'UE è
in testa alla gara, con un piano audace per diventare il primo continente
"carbon neutral" del mondo entro il 2050 e ridurre le sue emissioni
di CO2 di almeno il 55% entro il 2030.
In un
post di agosto 2020 sul suo blog, l'”autoproclamato zar globale dei vaccini”
Bill Gates ha scritto sulla prossima crisi climatica:
"Per quanto terribile sia questa
pandemia, il cambiamento climatico potrebbe essere peggiore ... Il calo
relativamente piccolo delle emissioni di quest'anno rende chiara una cosa: non possiamo arrivare a zero
emissioni semplicemente – o anche principalmente – volando e guidando
meno".
Con un
monopolio virtuale sui media mainstream e sui social media, la “lobby del
riscaldamento globale” è stata in grado di indurre gran parte del mondo a
supporre che il meglio per l'umanità sia eliminare gli idrocarburi tra cui
petrolio, gas naturale, carbone e persino l'elettricità nucleare "carbon
free" entro il 2050, che speriamo possa evitare un aumento da 1,5 a 2
gradi centigradi della temperatura media mondiale.
C'è
solo un problema con questo.
È la
copertura per un diabolico secondo piano.
Origini
del "riscaldamento globale."
Molti
hanno dimenticato la tesi scientifica originale avanzata per giustificare un
cambiamento radicale nelle nostre fonti energetiche.
Non era "cambiamento climatico".
Il
clima terrestre è in continua evoluzione, correlato ai cambiamenti
nell'emissione di brillamenti solari o cicli di macchie solari che influenzano
il clima terrestre.
Intorno
al volgere del millennio, quando il precedente ciclo di riscaldamento guidato
dal sole non era più evidente, Al Gore e altri hanno spostato la narrazione in
un gioco di prestigio linguistico a "Cambiamento climatico", dal riscaldamento
globale.
Ora la narrativa della paura è diventata così
assurda che ogni strano evento meteorologico viene trattato come "crisi
climatica".
Ogni uragano o tempesta invernale è
rivendicato come prova che gli “Dei del Clima” stanno punendo gli esseri umani
peccaminosi che emettono CO2.
Ma
aspetta.
L'intera ragione della transizione verso fonti
energetiche alternative come il solare o l'eolico, e l'abbandono delle fonti di
energia del carbonio, è la loro affermazione che la CO2 è un gas serra che in qualche modo arriva fino
all'atmosfera dove forma una coperta che presumibilmente riscalda la Terra
sottostante - Global Warming.
Le
emissioni di gas serra secondo l'Agenzia per la protezione ambientale degli
Stati Uniti provengono principalmente dalla CO2.
Da qui l'attenzione alle "impronte di
carbonio".
Ciò
che non viene quasi mai detto è che la” CO2” non può librarsi nell'atmosfera
dagli scarichi delle automobili o dalle centrali a carbone o da altre origini
artificiali.
L'anidride carbonica non è carbonio o
fuliggine.
È un
gas invisibile e inodore essenziale per la fotosintesi delle piante e tutte le
forme di vita sulla terra, compresi noi.
“La
CO2 ha un peso molecolare di poco superiore a 44 mentre l'aria (principalmente
ossigeno e azoto) ha un peso molecolare di soli 29”.
Il
peso specifico della CO2 è circa 1,5 volte maggiore dell'aria. Ciò suggerirebbe
che i gas di scarico di CO2 provenienti da veicoli o centrali elettriche non
salgono nell'atmosfera a circa 12 miglia o più sopra la Terra per formare il
temuto effetto serra.
Maurizio
Forte.
Per
apprezzare quale “azione criminale” si sta svolgendo oggi intorno a Gates, Schwab e ai
sostenitori di una presunta economia mondiale "sostenibile", dobbiamo
tornare al 1968, quando David Rockefeller e amici crearono un movimento attorno
all'idea che il consumo umano e la crescita della popolazione fossero il
principale problema mondiale.
Rockefeller,
la cui ricchezza era basata sul petrolio, creò il neo-malthusiano Club di Roma
nella villa Rockefeller di Bellagio, in Italia.
Il
loro primo progetto fu quello di finanziare uno studio spazzatura al MIT chiamato
“Limits to Growth” nel 1972.
Un
organizzatore chiave dell'agenda di "crescita zero" di Rockefeller
nei primi anni 1970 era il suo amico di lunga data, un petroliere canadese di
nome” Maurice Strong”, anche lui membro del Club di Roma.
Nel 1971 Strong (pur essendo un criminale) fu nominato Sottosegretario delle
Nazioni Unite e Segretario Generale della conferenza della Giornata della Terra
di Stoccolma del giugno 1972. Fu anche amministratore fiduciario della
Fondazione Rockefeller.
Maurice
Strong è stato uno dei primi propagatori chiave della teoria scientificamente
infondata secondo
cui le emissioni prodotte dall'uomo dai veicoli di trasporto, dalle centrali a
carbone e dall'agricoltura hanno causato un drammatico e accelerato aumento
della temperatura globale che minaccia la civiltà, il cosiddetto riscaldamento
globale.
Ha
inventato il termine elastico "sviluppo sostenibile".
Come
presidente della “Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite per la Giornata
della Terra del 1972”, Strong ha promosso “la riduzione della popolazione e
l'abbassamento degli standard di vita in tutto il mondo” per "salvare
l'ambiente".
Alcuni
anni dopo lo stesso Strong dichiarò:
"L'unica speranza per il pianeta non è
che le civiltà industrializzate collassano? Non è nostra responsabilità
realizzarlo?"
Questa
è l'agenda oggi conosciuta come Great Reset o Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Strong (noto criminale del clima) ha continuato a
creare il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
(IPCC), un organismo politico che avanza l'affermazione non provata “ e quindi falsa” che le emissioni di CO2 prodotte
dall'uomo stavano per far precipitare il nostro mondo in una catastrofe
ecologica irreversibile.
Il
co-fondatore del Club di Roma, il dottor “Alexander King”, ammise la frode criminale
essenziale della” loro agenda ambientale” alcuni anni dopo nel suo libro, “The First Global Revolution”.
Egli
ha dichiarato:
Alla
ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, ci è venuta l'idea che
l'inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d'acqua, la
carestia e simili sarebbero stati all'altezza ...
Tutti
questi pericoli sono causati dall'intervento umano ed è solo attraverso
atteggiamenti e comportamenti modificati che possono essere superati.
Il vero nemico, quindi, è l'umanità stessa.
King
ha ammesso che la "minaccia del riscaldamento globale" era
semplicemente uno stratagemma per giustificare un attacco all'"umanità
stessa".
Questo è ora in fase di implementazione come il “Grande
Reset” e lo stratagemma “Net Zero Carbon” proposto da autentici “criminali”.
Disastro
energetico alternativo.
Nel
2011, agendo su consiglio di “Joachim Schnellnhuber”, dell'Istituto di Potsdam
per la ricerca sull'impatto climatico (PIK), Angela Merkel e il governo tedesco
hanno imposto un divieto totale dell'elettricità nucleare entro il 2022, come
parte di una strategia governativa del 2001 chiamata” Energiewende” o” Energy
Turn”, per fare affidamento su solare ed eolico e altre
"rinnovabili".
L'obiettivo
era quello di rendere la Germania la prima nazione industriale ad essere
"carbon neutral".
La
strategia è stata una” catastrofe economica”.
Passando
dall'avere una delle reti di generazione elettrica a basso costo e affidabili
del mondo industriale, oggi la Germania è diventata il generatore elettrico più
costoso del mondo.
Secondo l'associazione tedesca dell'industria
energetica BDEW, al più tardi entro il 2023, quando chiuderà l'ultima centrale
nucleare, la Germania dovrà affrontare carenze di elettricità.
Allo
stesso tempo, il carbone, la più grande fonte di energia elettrica, viene
gradualmente eliminato per raggiungere” Net Zero Carbon”.
Le industrie tradizionali ad alta intensità
energetica come l'acciaio, la produzione di vetro, i prodotti chimici di base,
la produzione di carta e cemento, stanno affrontando costi crescenti e chiusure
o delocalizzazione e perdita di milioni di posti di lavoro qualificati.
L'energia inefficiente dell'eolico e del
solare, oggi costa da 7 a 9 volte di più del gas.
(I
criminali hanno ottenuto con l’inganno e la frode il governo del mondo intero.
N.d.R.)
La
Germania ha poco sole rispetto ai paesi tropicali, quindi il vento è visto come
la principale fonte di energia verde.
C'è un
enorme input di cemento e alluminio necessari per produrre parchi solari o
eolici.
Ciò
richiede energia a basso costo – gas, carbone o nucleare – per produrre.
Man
mano che questo viene gradualmente eliminato, il costo diventa proibitivo,
anche senza aggiunte "tasse sul carbonio".
La
Germania ha già circa 30.000 turbine eoliche, più che altrove nell'UE.
Le
gigantesche turbine eoliche hanno seri problemi di rumore o rischi per la
salute degli infrasuoni per i residenti nelle vicinanze delle enormi strutture
e danni alle intemperie e agli uccelli.
Entro
il 2025 si stima che il 25% dei mulini a vento tedeschi esistenti dovrà essere
sostituito e lo smaltimento dei rifiuti è un problema colossale.
Le
aziende vengono citate in giudizio mentre i cittadini si rendono conto di
quanto siano disastrosi.
Per raggiungere gli obiettivi entro il 2030,
Deutsche Bank ha recentemente ammesso che lo stato dovrà creare una
"dittatura ecologica".
Allo
stesso tempo, la spinta tedesca per porre fine al trasporto di benzina o diesel
entro il 2035 a favore dei veicoli elettrici è sulla buona strada per
distruggere l'industria più grande e redditizia della Germania, il settore
automobilistico, e abbattere milioni di posti di lavoro.
I veicoli alimentati a batteria agli ioni di
litio hanno una "impronta di carbonio" totale quando sono inclusi gli
effetti dell'estrazione del litio e della produzione di tutte le parti, che è
peggiore delle auto diesel.
E la
quantità di elettricità aggiuntiva necessaria per una Germania a zero emissioni
di carbonio entro il 2050 sarebbe molto più di oggi, poiché milioni di
caricabatterie avranno bisogno di elettricità di rete con energia affidabile.
Ora la
Germania e l'UE iniziano a imporre nuove "tasse sul carbonio",
presumibilmente per finanziare la transizione verso zero emissioni di carbonio.
Le
tasse renderanno solo l'energia elettrica e l'energia ancora più costose,
assicurando il collasso più rapido dell'industria tedesca.
Spopolamento.
Secondo
coloro che avanzano l'”agenda Zero Carbon”, è proprio quello che desiderano:
la “deindustrializzazione
delle economie più avanzate”, una strategia decennale calcolata come diceva “Maurice
Strong” (il
primo criminale), per provocare il “collasso delle civiltà industrializzate”.
Trasformare
l'attuale economia industriale mondiale in una distopia che brucia legna e gira
a vento dove i blackout diventano la norma come ora in California, è una parte
essenziale di una “trasformazione del Grande Reset nell'ambito dell'Agenda 2030”:
il Global Compact delle Nazioni Unite per la
sostenibilità.
Il
consigliere per il clima della Merkel, “Joachim Schnellnhuber”, nel 2015
ha presentato l'agenda verde radicale di Papa Francesco, la lettera enciclica, Laudato Si', come incaricato di Francesco alla
Pontificia Accademia delle Scienze.
E ha consigliato l'UE sulla sua agenda verde.
In
un'intervista del 2015, “Schnellnhube”r ha dichiarato che la
"scienza" ha ora determinato che la massima capacità di carico di una
popolazione umana "sostenibile" era di circa sei miliardi di persone
in meno:
"In
un modo molto cinico, è un trionfo per la scienza perché finalmente abbiamo
stabilizzato qualcosa – vale a dire le stime per la capacità di carico del
pianeta, vale a dire al di sotto di 1 miliardo di persone".
(Ha
parlato il secondo criminale della scienza climatica moderna! N.d.R.)
Per
fare questo il mondo industrializzato deve essere smantellato.
“Christiana
Figueres”, collaboratrice dell'agenda del “World Economic Forum” ed ex
segretario esecutivo della “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici,” ha rivelato il vero obiettivo dell'agenda climatica
delle Nazioni Unite in una conferenza stampa di Bruxelles del febbraio 2015 in
cui ha dichiarato:
"Questa
è la prima volta nella storia umana che ci stiamo ponendo il compito di
cambiare intenzionalmente il modello di sviluppo economico che ha regnato dalla
rivoluzione industriale".
Le
osservazioni di Figueres del 2015 sono riprese oggi dal presidente francese
Macron alla "Agenda di Davos" del “World Economic Forum” del gennaio
2021, dove ha affermato che "nelle circostanze attuali, il modello capitalista e
l'economia aperta non sono più fattibili".
Macron,
un ex banchiere Rothschild, ha affermato che "l'unico modo per uscire da
questa epidemia è creare un'economia più focalizzata sull'eliminazione del
divario tra ricchi e poveri".
“Merkel,
Macron, Gates, Schwab e amici “lo faranno portando gli standard di vita in
Germania e nell'OCSE ai livelli dell'Etiopia o del Sudan. (Ma un nuovo processo di Norimberga
per condannare i nuovi criminali climatici non sarebbe necessario a questo punto
giunti?
N.d.R.)
Questa
è la “loro distopia” a zero emissioni di carbonio.
Limitare
severamente i viaggi aerei, i viaggi in auto, il movimento delle persone, la
chiusura dell'industria "inquinante", tutto per ridurre la CO2.
Inquietante quanto convenientemente la
pandemia di coronavirus ponga le basi per il “Great Reset” e l'”Agenda 2030 Net
Zero Carbon” delle Nazioni Unite.
(F.
William Engdahl è consulente strategico e docente).
LA
GRANDE SOSTITUZIONE,
STILE
EUROPA OCCIDENTALE.
Comedonchisciotte.org - Redazione CDC -Augustin
Goland, American Renaissance - 21 Giugno 2023 – ci dice:
Anche
se le nazioni europee si impegnassero seriamente nella lotta contro
l’immigrazione clandestina, cosa che la maggior parte di esse non ha ancora
fatto, ciò non sarebbe sufficiente a fermare la Grande Sostituzione.
L’esperimento
di ingegneria sociale continuerebbe, anche se forse a un ritmo leggermente più
lento e con una percentuale minore di criminali e terroristi islamici che si
dirigono verso il Vecchio Continente.
Nel
corso degli anni, l’immigrazione di massa dell’Europa occidentale, iniziata
seriamente negli anni ’70, si è autoalimentata ed è diventata esponenziale.
Questo in parte perché l’élite al potere si è abituata e non è disposta a
chiudere i cancelli, a prescindere dalle conseguenze, e in parte perché il
diritto al ricongiungimento familiare degli immigrati e dei rifugiati è
diventato la norma sotto l’egida della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Un altro fattore importante è che gli
immigrati di origine africana e mediorientale hanno più figli rispetto alle
persone di origine europea.
La
“Grande Sostituzione” è un termine inventato dallo scrittore francese “Renaud
Camus”, per il quale si è guadagnato l’etichetta di teorico della cospirazione
di estrema destra.
A parte gli appellativi, il termine descrive
semplicemente ciò che sta accadendo ora nella parte occidentale del Vecchio
Continente, con tassi di natalità autoctona molto bassi da un lato e una
popolazione di origine straniera in rapido aumento con tassi di natalità più
elevati dall’altro.
Alcuni
preferiscono il termine “colonizzazione inversa”.
Un
altro francese, “Bernard Lugan”, storico e africanista, ha scritto un libro su
questo argomento, pubblicato l’anno scorso con il titolo “How France has Become
the Colony of its Colonies”.
I
lettori di American Renaissance potrebbero essere più concentrati sulla
questione razziale, ma una preoccupazione maggiore per la maggior parte degli
europei occidentali è l’ascesa dell’Islam, legata a questa colonizzazione
inversa.
È preoccupante anche il semplice fatto che i
nativi europei si sentono sempre meno a casa nei loro Paesi, a causa della
crescente presenza di culture, costumi e lingue straniere.
Una
grande maggioranza di europei vuole meno immigrati, ma i loro governi nazionali
e i rappresentanti dell’Unione Europea non sembrano preoccuparsi, anche se a
volte dicono il contrario.
Un
esempio è il Regno Unito post-Brexit, dove il governo conservatore ha favorito
un aumento senza precedenti dell’immigrazione legale extraeuropea.
In
effetti, i cittadini extraeuropei hanno più che sostituito i cittadini dei
Paesi dell’Unione Europea che hanno lasciato il Regno Unito o hanno smesso di
arrivare quando i britannici hanno lasciato l’Unione Europea.
Una
delle argomentazioni a sostegno della Brexit era che la Gran Bretagna sarebbe
stata in grado di riprendere il controllo dei suoi confini, ma riprendere il
controllo dei suoi confini non fermerà l’immigrazione se il suo governo non
vuole farlo.
L’immigrazione
netto nel Regno Unito (il numero di persone che sono venute a vivere nel Regno
Unito meno il numero di persone che se ne sono andate) ha raggiunto 606.000 per
il 2022, con un aumento del 24% rispetto ai 488.000 registrati l’anno
precedente e un record assoluto.
Gli
arrivi extra UE comprendono: 361.000 studenti e le loro famiglie; 235.000
persone arrivate per motivi di lavoro; 172.000 persone provenienti da programmi
umanitari (tra cui 114.000 ucraini e 52.000 abitanti di Hong Kong); e 76.000
persone che richiedono asilo. Il 25% dei visti rilasciati nel 2022 è andato a
cittadini indiani, che in quell’anno hanno beneficiato di un aumento del 73%
dei visti per studenti e del 130% dei visti per lavoro.
Nel
2022, la migrazione netta dell’UE è stata di meno 51.000, il che significa che
51.000 cittadini di Paesi dell’UE hanno lasciato il Regno Unito in più rispetto
a quelli che vi sono venuti a vivere (per almeno un anno).
Inoltre, in quell’anno, 4.000 cittadini
britannici hanno lasciato il Regno Unito, mentre 662.000 cittadini
extracomunitari sono venuti a soggiornare.
Nel
2010, quando l’immigrazione netta si attestava a 252.000 persone – una gran parte
della quale era dovuta all’immigrazione da altri Paesi dell’Unione Europea – i
conservatori promisero di ridurre l’immigrazione netta a “decine di migliaia”.
Oggi quella promessa è in gran parte dimenticata.
Nel
2019, il partito ha promesso di nuovo, questa volta di ridurre l’immigrazione
netta dai 226.000 prevalenti in quel momento.
Ma poi è arrivato l’enorme picco nel 2022.
Per il
2023, il Primo Ministro “Rishi Sunak”, un induista praticante e figlio di
indiani punjabi immigrati dall’Africa orientale negli anni ’60, non ha voluto
impegnarsi in una vera e propria riduzione, affermando solo di voler “abbassare
un po’ i numeri”.
Per questo è stato duramente criticato dai
membri del suo stesso partito.
Il
rilascio di visti di lavoro nel Regno Unito si basa su punti e i nuovi criteri
rilasciati nel 2020, subito dopo la Brexit, hanno contribuito all’aumento
dell’immigrazione per motivi di lavoro da paesi extraeuropei.
Gli
immigrati con un visto di lavoro e un visto per studenti possono anche portare
con sé persone a carico (marito, moglie, partner civile o non sposato, ed
eventuali figli di età inferiore ai 18 anni).
Nel
2022 sono stati consegnati oltre 135.000 visti per queste persone a carico.
Inoltre, gli ex studenti possono rimanere e lavorare nel Regno Unito con un
visto per laureati per due o tre anni.
“Voglio
dire, se la “migrazione netta” negli ultimi anni è stata di circa 300.000
persone all’anno, questo equivale a cinque collegi elettorali di nuove persone
ogni anno”, ha detto il deputato conservatore Adam Holloway a Nigel Farage su
GB News nel maggio 2023.
“In
dieci anni, si tratta di quasi 50 circoscrizioni parlamentari in termini di
cittadini. So che almeno un gruppo di noi chiederà di incontrare il Ministro
degli Interni la prossima settimana, perché non si tratta solo delle
prospettive elettorali del Partito Tory, che sono sconvolte da questa
situazione.
Ma si
tratta della forma e dello stato di salute del nostro Paese in futuro”.
Il
Ministro degli Interni “Suella Braverman” è figlia di genitori indiani
immigrati nel Regno Unito negli anni ’60, dalle Mauritius e dal Kenya.
Tuttavia,
è lei che ha fatto pressione su altri membri del Governo britannico per
rilanciare l’impegno del 2010 di ridurre la “”migrazione netta a decine di
migliaia ogni anno.
Nel
frattempo, i suoi colleghi britannici bianchi del governo si sono ostinatamente
rifiutati di farlo, sia per mantenere gli impegni con le aziende che desiderano
una manodopera abbondante e a basso costo, sia per carovita.
“Ben
Harris-Quinney”, presidente del Bow Group, il più antico think tank
conservatore del Regno Unito, ha dichiarato a “Breitbart News” nel maggio 2023:
“Il
Partito Conservatore ha infranto la promessa di 13 anni fa di ridurre
l’immigrazione a decine di migliaia di persone, perché teme le multinazionali
più dei suoi elettori traditi.
Le multinazionali amano l’immigrazione di
massa perché vogliono manodopera a basso costo, facile da sfruttare, e prezzi
delle proprieta’ immobiliari gonfiati in modo innaturale”.
Come
conseguenza dell’immigrazione sostenuta, in gran parte legale, i britannici
bianchi costituivano poco meno dell’80% della popolazione nel 2019, rispetto a
poco meno del 90% nel 2001.
Peggio ancora, le nascite di bianchi
britannici sono diminuite dal 65% di tutti i nati vivi nel 2014 al 61% nel
2019.
Tra il
2011 e il 2021, la percentuale di residenti in Inghilterra e Galles nati al di
fuori del Regno Unito è aumentata dal 13,4% della popolazione totale al 16,8%.
Nel
2021, quasi il 29 percento delle nascite vive sarà da donne nate al di fuori
del Regno Unito, e il tasso medio di fertilità per queste donne sarà di 2,03
per donna, rispetto a 1,54 per le donne nate nel Regno Unito.
In un
sondaggio di “YouGov “pubblicato a dicembre dello scorso anno, il 57 percento
degli intervistati ha dichiarato che il livello di immigrazione in Gran
Bretagna negli ultimi dieci anni è stato troppo alto, il 20 percento ha
affermato che è stato più o meno giusto e solo il 7 percento ha ritenuto che
sia stato troppo basso.
Il 72% ha dichiarato di disapprovare il modo
in cui il Governo sta attualmente gestendo la questione dell’immigrazione.
Francia.
Anche
in Francia, l’immigrazione ha toccato nuovi record.
Il
Presidente francese, Emmanuel Macron, è famoso per aver detto che non esiste
una cultura francese, ma soltanto delle culture in Francia.
Ed è
proprio questa la sensazione che si prova visitando il Paese, soprattutto, ma
non solo, le sue città più grandi, come Parigi.
Il
Presidente Macron è visto da molti francesi come una versione europea del
Premier canadese Justin Trudeau, noto per le sue politiche di apertura delle
frontiere.
Solo
di recente il signor Macron ha cercato di apparire disposto a limitare
l’immigrazione di fronte al crescente malcontento e all’instabilità popolare.
I
fatti però dicono il contrario, ed è un dato di fatto che il governo francese,
che governa 68 milioni di persone, ha consegnato 320.000 permessi di soggiorno
per la prima volta agli stranieri nel 2022.
Si tratta del 17% in più rispetto all’anno
precedente e quasi il doppio rispetto a 15 anni prima.
Di
questi oltre 320.000 permessi di soggiorno per la prima volta, 108.340 sono
stati assegnati a studenti;
90.385
sono andati a familiari di residenti legali;
52.570
sono stati assegnati a immigrati economici;
40.490 sono stati rilasciati per motivi
umanitari;
e
28.545 sono stati assegnati per altri motivi. Inoltre, sono stati rilasciati
255.118 visti per lavoro a breve termine.
Questi
numeri non si ridurranno presto se una legge proposta dal governo di Macron lo
scorso anno verrà finalmente votata.
Tale
legge prevede, tra l’altro, la legalizzazione degli immigrati clandestini che
lavorano in settori che necessitano di lavoratori, come l’industria turistica.
Inoltre,
il governo francese ha fatto marcia indietro sulla minaccia di negare i visti a
diversi Paesi africani che avevano impedito il ritorno dei loro cittadini
espulsi dalla Francia.
Durante una visita in Algeria nel dicembre
2022, il Ministro degli Interni francese “Gérald Darmanin” ha annunciato “il ritorno delle normali relazioni
consolari”
per quanto riguarda la concessione dei visti.
Solo nel caso degli algerini, ciò significava
che sarebbero stati rilasciati tra i 300.000 e i 400.000 visti all’anno.
Peggio ancora, la decisione è stata presa
nonostante la mancanza di progressi nell’incoraggiare questi Paesi a riprendere
i loro cittadini espulsi.
Nel
2022, le autorità francesi hanno emesso più di 130.000 ordini di espulsione, ma
meno del 10% è stato eseguito.
Si tratta di un problema che si protrae da
molti anni, poiché molti Paesi africani e musulmani in particolare hanno
bloccato la maggior parte dei rimpatri dei loro cittadini.
In
base ai dati ufficiali del Governo del 2021, attualmente in Francia risiedono 7
milioni di immigrati, tra cui 2,5 milioni che hanno ottenuto la cittadinanza
francese.
Di
questi sette milioni, il 47,5% è nato in Africa e il 13,6% in Asia.
I
Paesi di nascita più comuni per gli immigrati sono Algeria (12,7 percento),
Marocco (12 percento), Portogallo (8,6 percento), Tunisia (4,5 percento),
Italia (4,1 percento), Turchia (3,6 percento) e Spagna (3,5 percento).
Ma se
prendiamo in considerazione i figli e i nipoti degli immigrati, il numero di
persone di origine straniera in Francia è di 19 milioni, ovvero il 28 percento
della popolazione totale del Paese.
Tra la popolazione di età compresa tra 0 e 4
anni, la percentuale sale a quasi il 42%.
E se
escludiamo gli immigrati di origine europea e la loro prole, scopriamo che
quasi il 30% dei membri più giovani della popolazione francese non è di origine
europea.
Queste
cifre ufficiali non si basano sulle statistiche di etnia, che non sono
consentite in Francia, ma sui Paesi di origine degli immigrati.
Le fonti di altri dati sulla popolazione
includono cifre non ufficiali come il numero di test per la malattia delle
cellule Falciformi condotti dagli ospedali francesi sui neonati.
Tradizionalmente,
questi test sono stati eseguiti sui neonati i cui genitori sono di origine
africana o mediorientale.
(Vengono testati anche quelli i cui genitori
provengono dai Caraibi francesi, anche se potrebbero essere cittadini francesi
e non immigrati).
I dati
mostrano che il 20 percento dei neonati nel 2001 è stato sottoposto a test,
mentre nel 2016, quasi il 40 percento è stato sottoposto a test – una
percentuale quasi raddoppiata.
A causa dell’uso di questi dati da parte
dell'”estrema destra”, il Governo francese ha ora ordinato agli ospedali di
effettuare i test su tutti i neonati, anche se la malattia genetica non
colpisce i bianchi.
Oltre
all’aumento dell’immigrazione, di cui l’immigrazione legale rappresenta la
parte più consistente, il cambiamento demografico in Francia è causato anche
dai diversi tassi di fertilità.
Mentre
il tasso di fertilità complessivo in Francia è ora di circa 1,7 figli per
donna, è molto più alto tra le donne immigrate: 3,5 figli per le donne
provenienti dal Nord Africa, 3,1 per le donne provenienti dalla Turchia e 2,9
per le donne provenienti dall’Africa subsahariana.
Più
apertamente che nel Regno Unito, la colonizzazione in corso della Francia da
parte di immigrati provenienti soprattutto dalle sue ex colonie ha lanciato
l’allarme sul progressivo declassamento del Paese allo status di terzo mondo.
Lo stesso Presidente Macron ha coniato la
parola “decivilizzazione” per descrivere l’evoluzione del suo Paese che si sta
verificando sotto il suo mandato.
Ci
sono stati anche avvertimenti di un crescente rischio di guerra civile da parte
di alti funzionari, tra cui il predecessore del Presidente Macron, François
Hollande, così come dal primo ministro degli Interni di Macron, “Gérard Collomb”.
Non
c’è da stupirsi che due terzi dei francesi considerino la “Grande Sostituzione”
reale e non solo una teoria della cospirazione, e tre quarti pensano che ci
siano troppi immigrati nel loro Paese.
A
proposito delle lamentele del Presidente Macron sulla ‘decivilizzazione’ della
Francia, il suo connazionale del XVII secolo Jacques-Bénigne Bossuet, un
vescovo che fu predicatore di corte del Re Luigi XIV e un oratore rinomato,
aveva un famoso detto per le persone come lui:
“Dio ride degli uomini che deplorano gli
effetti dei quali custodiscono le cause”.
Germania.
Anche
la Germania ha imboccato la strada della sostituzione della popolazione, e
negli ultimi tempi sta accelerando in questa direzione.
Nel
2022, su una popolazione totale di circa 84 milioni, 15,3 milioni di persone in
Germania erano nate all’estero. Altri 4,9 milioni erano figli di due immigrati
e altri 3,9 milioni avevano un genitore immigrato.
“Si
tratta di un aumento del 6,3% rispetto alla cifra del 2021”, ha osservato
Deutsche Welle ad aprile.
L’autore di DW ha inoltre scritto:
“Gli
alti livelli medi di migrazione degli ultimi anni erano evidenti anche nelle
statistiche.
Poco
più di 6 milioni di persone sono emigrate in Germania nell’ultimo decennio
registrato, tra il 2013 e il 2022”.
Va
detto che di questi sei milioni, 1,1 milioni erano rifugiati ucraini, arrivati
nel 2022 dopo l’invasione russa del loro Paese.
E
anche con quei tanti rifugiati ucraini, la migrazione netta in Germania nel
2022 è stata “solo” di circa 329.000 immigrati, poco più della metà di quella
del Regno Unito (606.000).
Complessivamente,
tra i sei milioni di persone, solo poco più di un quarto erano richiedenti
asilo – per lo più immigrati illegali.
Un
altro quarto era costituito da persone in cerca di opportunità di lavoro, un
altro quarto ancora da familiari ammessi per il ricongiungimento familiare e
solo poco più dell’8% da studenti.
Il
governo di coalizione tedesco, guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz, vuole
aprire i cancelli per risolvere la presunta mancanza di manodopera qualificata
nel Paese.
Una nuova legge in fase di elaborazione, che amplierà
l’attuale Legge sull’Immigrazione qualificata, è destinata ad aumentare
l’immigrazione di manodopera qualificata da paesi extra UE di circa 60.000
persone all’anno.
Proprio
come ha fatto il Regno Unito e come sta progettando di fare la Francia, la
nuova legge tedesca abbasserà la soglia salariale per i contratti di lavoro che
consentono agli stranieri di venire a lavorare nel Paese.
Il governo tedesco intende anche promuovere
attivamente il mercato del lavoro tedesco nel mondo.
Il
Cancelliere Olaf Scholz parla alla conferenza stampa che segue il vertice tra i
Paesi federali nella Cancelleria.
In
occasione del vertice sui rifugiati presso la Cancelleria, i governi federali e
statali hanno rinviato una decisione fondamentale sull’aumento permanente dei
fondi federali per il finanziamento dell’alloggio, dell’assistenza e
dell’integrazione di coloro che cercano protezione.
Oltre
a questo, la nuova legge abbrevierebbe il periodo di residenza richiesto per la
cittadinanza da otto a cinque anni e addirittura a tre anni per coloro che
parlano bene il tedesco e possono vantare risultati professionali o accademici.
Ciò
significa che circa due milioni di immigrati sarebbero in grado di richiedere
immediatamente la cittadinanza, molti dei quali sono siriani e altri
mediorientali e africani arrivati durante la grande crisi migratoria del
2015-2016.
Il
signor Scholz non sembra preoccuparsi né della minaccia del terrorismo islamico
né della criminalità domestica, comprese le aggressioni sessuali e gli stupri.
In
effetti, ai cittadini tedeschi viene impedito legalmente di conoscere il legame
tra crimine e razza, perché, come la Francia, la Germania non consente la
raccolta di dati sull’etnia o sulla razza.
Va
notato di sfuggita che la prospettiva che i molestatori sessuali stranieri e i
potenziali jihadisti entrino liberamente nel Regno Unito da Paesi come la Germania
è stato un argomento chiave a favore dell’uscita dall’Unione Europea durante la
preparazione del referendum sulla Brexit del 2016.
Giustamente,
ma l’uscita dall’UE non sarà di grande aiuto al Regno Unito se manterrà le
frontiere aperte a afghani, pakistani e altri cittadini di Paesi musulmani.
Da qui
il rimprovero spesso rivolto ai Tories in Gran Bretagna, secondo cui la loro
politica di immigrazione è un tradimento della Brexit.
C’è un
altro aspetto della politica di immigrazione “scelta”, attualmente promossa dai
leader europei come alternativa all’immigrazione illegale non scelta.
Questa politica priva le società più povere e
meno sviluppate dei loro figli migliori, mantenendole in povertà e aumentando
il divario con l’Europa.
Questa politica incita anche le persone non
qualificate di quei Paesi a tentare la fortuna con mezzi illegali.
Un
esempio eclatante è il modo in cui l’Occidente sta reclutando attivamente i
medici dell’Africa e dell’Asia, che sono incoraggiati a immigrare legalmente,
aumentando così l’effetto di attrazione sui loro pazienti non qualificati.
Questo
tipo di bracconaggio umano è immorale e miope.
Tutte
queste tendenze indicano una cosa:
l’importanza della “re-migrazione”.
L’immigrazione extraeuropea deve essere
fermata, certo, e i tassi di natalità autoctona devono aumentare, ma in
definitiva, per risolvere i problemi demografici dell’Europa, bisogna tornare
indietro.
(Augustin
Goland, American Renaissance)
(amren.com/features/2023/06/the-great-replacement-western-european-style/)
L'UOMO
HA DAVVERO UN FUTURO
NEL
PASSAGGIO DALLA STORIA ALLA IPERSTORIA.
Nuovogiornalenazionale.com - Paolo Raffone – (10
Gennaio 2023) ci dice:
L’uomo ha davvero un futuro nel passaggio dalla storia
all’iper storia?
Un
tempo di profondo cambiamento era annunciato dal fondatore del” Forum Mondiale
per l’Economia” (WEF) nel 1971, anno in cui il presidente Nixon formalizzò la
non convertibilità del dollaro in oro.
Da allora il WEF divenne il palcoscenico
dell’economia neoliberale e del globalismo, ma dal 2003 il suo fondatore, “Klaus
Schwab”, sentì l’esigenza di annunciare una nuova narrativa globalista che con
“l’opportunità fornita dal Covid” è maturata nel progetto di “Grande Ripristino”
(Great Reset, 2020) dell’economia mondiale.
“Naomi Klein” la definì un “Grande frullato di cospirazione” , “Ben Sixsmith”, un collaboratore
di “The Spectator”, scrisse che il “Grand Reset “era un insieme di "cattive idee... adottato a
livello internazionale da alcune delle persone più ricche e potenti del
mondo" , e lo specialista di etica delle tecnologie, “Steven Umbrello”, disse
che era "una sostanziale (se non completa) revisione
socio-politico-economica" che proponendo un "falso dilemma imbiancava un futuro
apparentemente ottimista post-Grand Reset con parole d'ordine come equità e
sostenibilità anche se mettevano funzionalmente a repentaglio quegli ammirevoli
obiettivi" .
Quella
data, il 2003, segnò il passaggio dalla storia all’iperstoria che si manifestò
con la prima guerra “digitale” dell’umanità e la distruzione del patrimonio
della biblioteca di Ur in Iraq.
Non era tutto.
In
pochi anni, l’infosfera sostituiva l’antroposfera:
nel
2004, Google si quotò in borsa e fu fondata Facebook;
nel 2007, Microsoft consolidava la propria
posizione monopolistica di mercato aggiungendo l’inizio di quella che sarà la
fusione culturale tra spazio umano e digitale attraverso linee di prodotti
semanticamente denominati (Tastiera naturalmente ergonomica; IntelliMouse;
LifeCam).
Infine,
l’economia e la finanza del mondo analogico (la storia) si infransero tra il
2006 e il 2008, nella più grave crisi da quella del 1929, acuendo il sentimento
popolare di insoddisfazione con la condizione alla quale erano sottoposti gli
esseri umani.
Si
moltiplicavano visioni e sentimenti apocalittici che denunciavano un grave
stress sociale.
Le
decisioni della politica e delle istituzioni di “salvare” prioritariamente (in
pratica soltanto) il sistema finanziario e bancario convinsero la maggioranza
della popolazione che le loro società avevano raggiunto il punto di non ritorno
della propria crisi.
Una
distorsione culturale durante la quale emersero vari movimenti.
I Cristiani di destra (Christian Right) e
l’Evangelismo politico riproponevano una rivitalizzazione in chiave
anti-scientifica e anti-tecnologica.
I
tecno-utopisti e i transumanisti proponevano di scegliere tra entropia ed
estropia (pensiero razionale; società aperta; ottimismo pratico) usando
l’innovazione tecnologica come tentativo totalizzante per re immaginare il
futuro della specie.
Infine,
vari filosofi libertari invitavano i membri della società a compiere sforzi
deliberati, coscienti e organizzati per costruire una cultura più soddisfacente
che nel 2010 portò alla nascita del movimento” Black Lives Matter” e
successivamente alle “varie anime del wokismo”.
Questo
saggio indaga nella complessità del passaggio dalla storia all’iperstoria,
affrontando questioni tecnologiche, filosofiche, etiche e sociali in relazione
all’infosfera e all’intelligenza non biologica, al postumanesimo, al
transumanesimo e al wokismo, concludendo sugli effetti politici e geopolitici
di questa rivoluzione in corso.
Per
situare il significato del passaggio dalla storia all’iperstoria iniziato nel
2003, si consiglia la lettura dei diversi lavori pubblicati da “Luciano Floridi
“sulla quarta rivoluzione (l’infosfera), sulla relazione uomo-tecnologia, e
sull’etica dell’intelligenza artificiale.
Scrive
“Floridi” :
“La
rivoluzione copernicana ci ha spostato dal centro dell'universo.
La rivoluzione darwiniana ci ha spostato dal
centro del regno biologico.
E la rivoluzione freudiana ci ha spostato dal
centro della nostra vita mentale.
Oggi l'informatica e le tecnologie digitali
dell’informazione (ICT) stanno provocando una “quarta rivoluzione”, cambiando
radicalmente ancora una volta la nostra concezione di chi siamo e la nostra
"eccezionale centralità".
Non
siamo al centro dell'infosfera.
Non
siamo entità autonome, ma piuttosto agenti informativi interconnessi, che
condividono con altri agenti biologici e artefatti intelligenti un ambiente
globale fatto in ultima analisi di informazioni.
L'evoluzione
umana può essere visualizzata come un razzo a tre stadi:
nella preistoria, non ci sono ICT; nella
storia ci sono le ICT, registrano e trasmettono dati, ma le società umane
dipendono principalmente da altri tipi di tecnologie riguardanti le risorse
primarie e l'energia;
nell'iperstoria ci sono le ICT, registrano,
trasmettono e, soprattutto, elaborano dati, sempre più autonomamente, e le
società umane diventano vitalmente dipendenti da esse e dall'informazione come
risorsa fondamentale.
Il valore aggiunto passa dall'essere legato
alle ICT all'essere dipendente dalle ICT. Non possiamo più staccare il nostro
mondo dalle ICT senza spegnerlo.
Se
tutto ciò è anche solo approssimativamente corretto, l'emergere dalla sua epoca
storica rappresenta uno dei passi più significativi mai compiuti dall'umanità.
Certamente apre un vasto orizzonte di opportunità, sfide e difficoltà, tutte
essenzialmente guidate dalle capacità di registrazione, trasmissione ed
elaborazione delle ICT.
Dalla biochimica sintetica alle neuroscienze, dall'”Internet
of Things “alle esplorazioni planetarie senza equipaggio, dalle tecnologie
verdi ai nuovi trattamenti medici, dai social media ai giochi digitali, dalle
applicazioni agricole a quelle finanziarie, dagli sviluppi economici
all'industria energetica, le nostre attività di scoperta, invenzione,
progettazione, controllo, istruzione, lavoro, socializzazione, intrattenimento,
cura, sicurezza, affari, e così via sarebbero non solo irrealizzabili ma
impensabili in un contesto puramente meccanico, e in quello storico.
Tutte quelle opportunità, sfide e difficoltà
sono oggi diventate di natura iperstorica.
Ne
consegue che stiamo assistendo alla definizione di uno scenario macroscopico in
cui l'iperstoria, e la ri-ontologizzazione dell'infosfera in cui viviamo,
stanno rapidamente staccando le generazioni future dalle nostre”.
Questo
cambiamento di ambiente è avvenuto in un tempo estremamente breve, poco più di
trent’anni, mentre gli esseri umani sono abituati a pensarsi nei tempi lunghi
della storia, quasi sempre della durata di vari secoli.
I
parametri che davano certezze e sicurezze agli esseri umani sono venuti meno
simultaneamente all’espandersi dell’ultima globalizzazione (1989-2008), che è
anche stata la prima che non vede al centro i popoli europei e l’Europa al centro
del mondo.
I principi razionali dell’Umanesimo, del Positivismo e
dell’Illuminismo sembrano improvvisamente inadatti e all’evidenza inefficaci
nei confronti di una dislocazione esponenziale che coinvolge (travolge?)
elementi pregnanti delle nostre società.
La cifra di quest’epoca è stata la veloce
affermazione e moltiplicazione di nuovi soggetti-attori del potere sempre meno
fisico e sempre più informazionale, di nuove soggettività umane autonome ed
indipendenti da fattori ancestrali, biologici e legali, e di nuove forme
organizzative che fluidificano la topologia della politica.
È in
questo ambiente che qui trattiamo di fenomeni ideologici - wokismo e transumanesimo – che plasmano le circostanze in cui
gli esseri umani si formano ogni conoscenza, ogni percezione ed esperienza nel
mondo sensibile nel quale sono resi labili i confini “tra materia inorganica e
organica, tra reale e virtuale, tra identità stabili ed eventi in continua
relazione tra loro”.
Un
nuovo mondo sensibile nel quale all’umano resta ancora la capacità di plasmare
le circostanze, ma non è più al centro e non è più il solo soggetto.
Viviamo
all’inizio di “uno dei passi più significativi mai compiuti dall'umanità” che
pone una sfida ontologica all’umanità e implica dubbi e preoccupazioni.
Nella
seconda decade del terzo millennio, varie commissioni etiche hanno adottato
linee guida, misure regolamentari e legislative, perché un approccio umanistico
sia al centro dei processi culturali e scientifici in atto nel rispetto dei
principi di giustizia, equità, e solidarietà.
Una
rincorsa, ad esempio del Vaticano, dell’Onu e dell’Unione europea, perché il
progetto (design), le regole di funzionamento e utilizzazione (governance), e i
motivi della convivenza e coesione sociale non siano decise unilateralmente ma
siano il risultato voluto e condiviso da tutti i soggetti-attori che abitano
l’ambiente umano e non umano.
Dubbi e preoccupazioni che sono molto più
sfumati negli Stati Uniti, dove sono prevalenti il mercato capitalistico e le
libertà individuali, e in Cina, dove è solo lo Stato a decidere.
Dopo
quelle della Guerra Fredda – l’assiomatica liberaldemocrazia che combinava
mercato/individualismo liberale con democrazia occidentale – due nuove ideologie
americane - wokismo e transumanesimo - in modo sinergico si stanno inabissando in Europa, grazie alla spinta dei novelli
tecno-miliardari-filantropi, alla funzionale neutralità dei tecno burocrati
dell’Unione europea, e alla complicità dei novelli Marrani della sinistra
socialdemocratica e riformista, la nuova sinistra nata negli anni Ottanta con
la conversione al mercato, al neoliberalismo e al globalismo.
Tecno burocrati
e nuova sinistra (social-comunista) che propugnano il “vademecum del benessere
wokista” che, come scrive “Giorgio Agamben” , è una “cultura della cancellazione”, anti-antropocentrica per lesi tabù gender e green, che alla cultura dell’eguaglianza,
conquista collettiva e ragione dello Stato moderno, preferisce quella del desiderio
individuale, indifferente ed equivalente, nascosto dentro l’indefinibile
termine di inclusività.
“Luca
Ricolfi” scrive che oggi è obbligatorio – pena censura ed esclusione - essere
ecosostenibile, inclusivo, “politicamente corretto”, solidale, e ovviamente
democratico e progressista (tutte falsità per avere più voti), e perciò si deve essere
fanaticamente (ma falsamente) contro le autocrazie, i conservatorismi, le identità
nazionali e la storia.
Con
una neolingua, che è un’anti-lingua, stiamo vivendo una mutazione di cui si
nasconde il lato oscuro.
Un
successo travolgente del “wokismo e del transumanesimo” che è reso possibile
dalle Quattro decadi di neoliberalismo che hanno convinto quasi tutti, come
scriveva” Frederic Jameson” già nel 1991, che “è più facile immaginare
l’inarrestabile deterioramento della Terra e della natura invece che agire
collettivamente per educare il capitalismo”.
Ad
esempio, oggi, la “cultura wokista e transumanista” pretende che l’individuo
modifichi i propri comportamenti per contribuire agli “obiettivi green” mentre
era già chiaro che senza un’azione collettiva dello Stato, concetto azzerato
dal “neoliberismo” e dal “sopra nazionalismo”, lo sforzo e i costi sostenuti
dall’individuo poco riducono quel 71% di emissioni di CO2 prodotto da solo 100
aziende nel mondo.
La
cifra della globalizzazione non è il pur evidente fenomeno commerciale di un
mercato globale, ma la strutturale economia politica del capitalismo
biogenetico che, esacerbando le ineguaglianze, decostruisce la supremazia della
specie (post-antropocentrismo) collocando la soggettività umanista in un nuovo
ambiente dominato dalla convergenza tra scienze, tecnologie e finanza.
Un’avanguardia
culturale epifanica guidata da “profeti del futuro” che, in chiave” oligarchica-capitalista”,
impongono la smania modernista contro la decadenza e il nichilismo.
Come nella Belle Époque, oggi riappaiono
obiettivi di ricombinazione ludica, di visione totalizzante della redenzione, e
di rivitalizzazione.
È in quest’ambiente capitalista e
post-antropocentrico che provoca il decentramento dell’umano che wokismo e
transumanesimo propugnano un anti umanesimo che non necessariamente coincide
con l’approccio filosofico postumano che resta pur sempre umanista.
L”’ideologia
del wokismo” propugna concetti anti-umanisti, destrutturanti della soggettività
umanista europea, proponendo di abbandonare i “costrutti” di realtà e
soggettività di derivazione umanista e illuminista.
Le
radici del pensiero anti-umanista traslato nel “wokismo”, non a caso durante la
globalizzazione, soprattutto nei movimenti americani che lo anima
estremizzandolo, si trovavano in Europa.
L’anti
umanesimo era comune ai fascismi e ai comunismi europei già prima del Ventesimo
secolo:
i
primi (reazionari e poi fascisti) propugnavano una spietata cesura dei principi
illuministi di rispetto per l’autonomia della ragione e della morale;
e, i secondi, viste travolte le utopie
settecentesche di realizzazione del potenziale umano nel massacro dei comunardi
di Parigi, hanno adottato l’”umanesimo proletario” del marxismo e del
leninismo.
I fascismi europei e il nazismo del Ventesimo
secolo furono, più dei predecessori, causa di enormi danni alla storia della
teoria critica continentale europea che emigrò (fu espulsa?) massicciamente
verso gli Stati Uniti, e parzialmente in Francia.
La
Guerra Fredda sgretolò e dicotomizzò l’Europa fino al 1989, provocando
ulteriori trasferimenti di movimenti giovanili e sociali verso gli Stati Uniti,
il Regno Unito e parzialmente verso la Francia.
Negli
Stati Uniti, scrive “Edward Said”, fu “la repulsione della guerra in Vietnam
che fece esplodere lo sviluppo di quelle idee anti umaniste” arrivate con i
profughi intellettuali europei.
In Francia, alla “scuola strutturalista” si oppose una
generazione post-strutturalista che, emigrata negli Stati Uniti negli anni
Sessanta e Settanta, contribuì ad una revisione radicale dei principi umanisti,
rifiutando l’individualismo (liberale), perché non è una componente innata
della natura umana, e dando luogo al “decostruttivismo”, cioè” al rifiuto del
concetto universalistico di soggettività umana” come costrutto storico perché
non poteva che essere contingente e variabile rispetto ai valori e ai luoghi.
Il
transumanesimo è un movimento complesso, plurale, ideologicamente e
politicamente profondamente diviso.
Il gruppo egemonico è composto dai capitalisti
ricchi, libertari, e sostenitori del libro mercato che dalla Silicon Valley
sostengono una sola missione:
“la moltiplicazione delle specie (umane e non
umane) e la massimizzazione dei profitti”.
Tuttavia,
il movimento transumanista americano si ispira a basi filosofiche post umaniste
seguendone tre filoni prevalenti.
Il
primo viene dalla filosofia morale e sfocia in una forma reattiva di postumano che
propone un’etica neo-umanista per ricontestualizzare la globalizzazione attorno
a sentimenti di interconnessione, valori morali quali la compassione e il rispetto
degli altri, e la necessaria soggettività umana che in poco si discosta
dall’individualismo e dalle identità fisse dei concetti umanisti (ad esempio,
Marta Nussbaum, Amartya Sen, e altri).
Il secondo filone è il pensiero analitico
postumano, che ha influenzato il transumanesimo prevalente negli Stati Uniti e
in Europa.
È
fortemente caratterizzato dal settore americano degli “science and technologies
studies”.
Lungi dall’essere coeso, si caratterizza
attorno a varie scuole di pensiero:
a) La pan umanità – il mondo tecnologicamente mediato – costituita da un’intricata rete
d’interconnessioni e di interdipendenze di umano e non umano fondate su un
senso comune di vulnerabilità e paura della catastrofe imminente, una
prossimità globale che non sempre genera tolleranza e convivenza pacifica ;
b) La
soggettività biopolitica, e le nuove forme di bio-società e bio-cittadinanza, difende
una visione del soggetto come processo relazionale, rimettendo l’individuo al
centro del dibattito, in un quadro neokantiano di responsabilità morale ma
senza elaborare un approccio postumano (Nikolas Rose e altri);
c) Il tecno-normativismo – “le tecnologie contribuiscono
attivamente al modo in cui gli umani sviluppano un’etica” - forte dei successi
tecnologici e della ricchezza che li accompagna parte dal riconoscimento
dell’intimo e produttivo collegamento tra i soggetti umani e gli artefatti
tecnologici, e dalla impossibilità di tenerli separati, ma evita la questione
della soggettività (Peter Paul Verbeek e altri).
Infine,
il terzo filone è il post umanesimo critico che mette al centro del
dibattito la questione della soggettività – le nuove forme di soggettività –
che necessitano della reintegrazione di campi discorsivi, attualmente
segregati, in
una teoria postumana che comprenda sia la complessità scientifica e tecnologica
e le sue conseguenze per la soggettività politica, sia l’economia politica e le
forme di governance (Rosi Braidotti, Luciano Floridi e altri).
È da
queste basi che le attuali ideologie wokismo e transumanesimo si sono
sviluppate negli Stati Uniti e si stanno inabissando in Europa.
La
problematicità, e la pericolosità, del wokismo e del transumanesimo non risiede
nei loro contenuti ma nell’effetto totalizzante a cui conduce la convergenza
tra cultura e scienza.
Sfruttando il momento propizio creatosi
durante l’ultimo ciclo di globalizzazione (1989-2008) - esaltazione del
modernismo; indebolimento strutturale degli Stati e dei sistemi sociali e
democratici – i tecno-miliardari-filantropi (Silicon Valley; Davos) si sono
appropriati con rapidità dei contenuti culturali e scientifici provvedendo alla
loro distribuzione in una logica puramente capitalistica.
Forti
del connubio scienza-tecnologia-cultura, un manipolo di soggetti e le loro
compagnie hanno imposto la produzione e la riproduzione dell’ineguaglianza
attraverso una tecno-normatività che agisce indisturbata e proponendo uno splitting
assoluto:
il futuro iper storico sarà tutto buono o tutto
cattivo.
Una
distopia creata volontariamente per finalità edonistico-utilitariste che,
agendo psicanaliticamente sulle ben note reazioni degli esseri umani
confrontati con l’ansietà e l’ambivalenza, ha generato una polarizzazione –
utopico o catastrofico – che determina il nostro futuro. Le conseguenze sociali, politiche,
economiche e geopolitiche – più reali che digitali - sono un tema costante
delle nostre cronache.
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