La religione globalista e il nuovo marxismo.
La
religione globalista e il nuovo marxismo.
La
religione cristiana dice
giustamente
"ama il prossimo tuo".
Twitter.com
- Diego Fusaro – (4 aprile 2023) – ci dice:
(@DiegoFusaro)
La religione cristiana dice giustamente “ama il prossimo tuo”
ossia
ama chi ti è più vicino.
La
religione globalista dice invece "ama l'estraneo", cioè chi ti è più
lontano, che è poi un altro modo per dire "disinteressati di chi ti è
vicino".
Amare
l'umanità significa amare chi ci è più vicino.
Amare
l'estraneo è solo un alibi per essere indifferenti a coloro i quali sono
intorno a noi.
I
Rockefeller gestiscono
la
Sanità Mondiale.
Conoscenzealconfine.it
– (9 Giugno 2023) – Redazione – ci dice:
Grazie
a varie iniziative nel corso degli anni, all’inizio del 1900, John D.
Rockefeller ottenne il controllo della sanità negli Stati Uniti.
Questo
era all’inizio della storia americana e, all’epoca, le medicine erboristiche e
naturali come gli oli essenziali, l’aromaterapia e altri erano molto popolari,
il che ostacolava i piani di Rockefeller.
È qui
che Rockefeller è passato dall’essere famoso per il suo lavoro nel settore
petrolifero ad avventurarsi nell’industria medica attraverso l’acquisto di
un’azienda farmaceutica tedesca.
Una
volta che si fu avventurato nel settore medico, aprì le porte per continuare
con il suo piano non solo per monopolizzare il settore petrolifero, ma anche
per capitalizzare la medicina.
Attualmente
la sua famiglia detiene il monopolio della medicina mondiale, tutte le case
farmaceutiche sono di loro proprietà.
I
Rockefeller gestiscono la sanità mondiale.
“Bill
Gates è solo un servile cameriere dei suoi padroni.”
(t.me/giulamaschera0)
Ecologismo
come religione,
il
nuovo culto mondialista.
Lanuovabq.it
– (08-02-2021) – Tommaso Scandroglio – intervista a Guido Vignelli – ci dicono:
Da non
confondere con il vecchio ambientalismo (di stampo conservatore), l'ecologismo,
nato dal fallimento del progressismo, propone una svolta antropologica in cui
l'uomo si auto-annienta a favore del pianeta.
Ora sta cogliendo l'opportunità della pandemia
per imporre il suo "Great Reset".
Intervista
a Guido Vignelli, autore di “Da Dio al bio”.
L'ecologismo come religione del Nuovo Ordine
Mondiale.
Ecco
la personalità che non poteva mancare: Klaus Schwab, fautore del “Great
Reset”
Fino a
ieri la” cultura progressista” lottava per i lavoratori e i poveri.
Ora
nella categoria degli oppressi ci sono finiti gli immigrati, i gay, le piante,
gli animali e pure i ghiacciai.
Per gli aperturisti di tutti i porti d’Italia
i nemici da combattere sono i populisti/nazionalisti, per i gay sono gli etero
fissisti e gli etero fissati e per gli ambientalisti il nemico pubblico e
privato numero uno è l’uomo.
Ma
dato che felci e paguri non possono né marciare, né imbracciare armi o
ricorrere al Tribunale internazionale dell’Aia, ecco che alcuni illuminati, a volte dotati anche di treccine,
prendono le loro difese affinché l’uomo si sottometta ai panda e ai ghiacciai.
Questa
involuzione artificiale della dignità umana, voluta per sostituirla con una
dignità ferina, se non vegetale o minerale, e questa evoluzione dell’ideologia
green sono ben descritte nel saggio “Da Dio al bio”.
L'ecologismo come religione del Nuovo Ordine
Mondiale (Maniero
del Mirto, pp. 210) scritto dal saggista dott.Guido Vignelli.
Dottore,
che differenza c’è tra il vecchio ambientalismo e il nuovo ecologismo?
Il
vecchio ambientalismo era una difesa della natura e delle attività umane
primarie (agricoltura, allevamento, pesca, artigianato) dalla invadenza della
vita urbanizzazione e della industrializzazione, difesa che a lungo è stata
fatta da ambienti conservatori e reazionari, derisi e ostacolati da quelli
progressisti.
Ma quando le moderne promesse di pace, sicurezza e
ricchezza si sono rivelate deludenti, molti movimenti rivoluzionari hanno
rovesciato la loro prospettiva progressista in quella regressista, passando dal
marxismo all’ecologismo, dall’antropo-centrismo al “cosmo-centrismo”.
Avendo fallito nel tentativo di costruire una
nuova civiltà, oggi quei movimenti ripiegano nel “decostruire” la residua
civiltà cristiana al fine di sostituirla con un’anti-civiltà tribale, come il “prof. Plinio Corrêa de
Oliveira “aveva denunciato fin dal 1977.
La rivoluzione antropologica in corso sta tentando di
abbattere l’ultima disuguaglianza rimasta nella gerarchia del creato:
la signoria dell’uomo sugli altri esseri
viventi.
L’ecologismo
radicale non mira tanto a salvare la natura dall’uomo, quanto ad asservire
l’uomo alla natura, a degradare l’umanità al livello istintuale, selvatico,
animalesco.
In questo modo, si vuole ricuperare le origini
gnostiche (ossia irrazionali) della Rivoluzione anticristiana, presentandosi
come fautori di una pseudo-religione dedita al culto della Natura.
C’è un
nesso tra l’ecologismo, il “Great Reset” e l’epidemia oggi dilagante?
La
rivoluzione ecologica fu occultamente prevista fin dall’inizio del XX secolo
dalla setta para-massonica nota come” Sinarchia”, poi fu apertamente
programmata da convegni dell’ONU e dell’Unesco;
poi è
stata progettata da influenti circoli culturali, politici ed economici
“globalisti”, per bocca di personalità come Edgar Morin, Michel Serres, Jacques
Attali, George Soros, Klaus Schwab.
Oggi quella rivoluzione è ufficialmente
imposta sotto la forma del Great Reset (“grande azzeramento”) promosso dal
World Economic Forum di Davos di Klaus Schwab.
Le
recenti vicende confermano l’abilità dei capi rivoluzionari nell’approfittarsi delle vantaggiose
occasioni offerte da avvenimenti devastanti (crisi economiche, carestie,
guerre, epidemie) che suscitano paure e reclamano interventi totalitari.
Ad
esempio, Klaus Schwab ha ammesso che la crisi sanitaria prodotta dal virus cinese
costituisce “una decisiva occasione per sistemare le cose” (intervista ad
Euronews, 19-11-2020).
L’imminente crollo economico, e ancor più
psicologico, prodotto sia dall’epidemia che dalle inutili e assurde restrizioni
imposte dai governi alla società, permetteranno forse al globalismo di ridurre
alla impotenza quella classe media e quegli ambienti conservatori capaci di
opporsi alla “svolta ecologica”.
Può
illustrarci i possibili sviluppi dell’attuale crisi previsti alla fine del suo
libro?
Siamo
a un bivio decisivo tra due possibili sviluppi:
o la
setta ecologista riuscirà a sottomettere completamente quel che resta della
libera società civile, prima che questa possa reagire alla offensiva
globalista;
oppure
la società civile riuscirà a sconfiggere questa offensiva, prima che la setta
ecologista possa ridurla alla miseria e al silenzio.
Le
recenti reazioni popolari alla offensiva ecologista espresse dalla classe media
conservatrice e produttiva fanno sperare che la società civile non sia disposta
ad arrendersi senza combattere.
E’
credibile l’ecologia
in salsa cattolica oggi propostaci?
Sull’onda
della nuova “teologia della liberazione” latino-americana, oggi la Gerarchia ecclesiastica tenta
di adattarsi alla moda culturale inventandosi una “ecologia integrale”, ossia
un'ideologia capace di conciliare primitivismo e pauperismo col mantenimento
delle “conquiste sociali” della civiltà del benessere.
Gli
stessi documenti di papa Francesco (Laudato si’ e Fratelli tutti) oscillano
ambiguamente tra il “rosso” della prospettiva socialista e il “verde” di quella
ecologista;
ma
questa posizione equilibrista non convince nella teoria e non funziona nella
pratica.
In
realtà, la sicurezza sociale e la protezione sindacale finora garantite ai
lavoratori furono preparate proprio da quella civiltà cristiana (o cristianità)
oggi rifiutata dalla Gerarchia ecclesiastica come “integrista”.
La soluzione sta nell’opporsi all'”idolatria
ecologista” riaffermando la teologia della Creazione e il “concetto di ordine
naturale” creato, al fine di “ricuperare la prospettiva del vero ambientalismo”,
inteso come restaurazione sia della decaduta natura secondo il progetto divino,
sia della sovvertita società umana secondo il diritto cristiano e la dottrina
sociale della Chiesa.
I
richiami di Bergoglio, le idee di Küng.
Se la Chiesa si riscopre “comunista”
Reset.it
- Riccardo Cristiano – (12 Aprile 2021) – ci dice:
Sicuramente
si tratta soltanto di una coincidenza visto che dal punto di vista teologico e
culturale “Jorge Mario Bergoglio” e “Hans Küng” sono stati molto diversi.
Ma in
queste ore emerge un fatto:
la
scomparsa del grande teologo svizzero coincide con l’apertura di una nuova
pagina nel rinnovamento del discorso cristiano, non solo cattolico, da parte
del vescovo di Roma.
Hans
Küng è stato un grande intellettuale nord-europeo, Bergoglio è un grande intellettuale
latino-americano:
la
teologia del primo e quella del secondo però hanno nelle loro evidenti
differenze un punto d’incontro:
l’importanza
dello spirito evangelico piuttosto che di quello del Medio Evo.
La
nuova fase bergogliana, apertasi nel nome della fratellanza già nel giorno
della sua elezione, quando disse nel suo primo discorso pubblico quale vescovo
di Roma “Preghiamo
sempre per noi, l’uno per l’altro, preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia
una grande fratellanza”,
è
culminata nel “Documento sulla fratellanza umana” firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio
2019 e poi nell’enciclica “Fratelli tutti” dell’anno successivo. Ora, sotto la pressione della
pandemia, giunge alla riscoperta di quella che potremmo definire “visione comunitaria monoteista”.
Allora
ricostruiamo brevemente questo cammino di Bergoglio partendo dal “Documento sulla fratellanza”.
Firmato
addirittura insieme alla massima autorità teologica dell’Islam sunnita, e oggi
chiaramente condiviso dalla suprema autorità sciita, il Documento sulla
fratellanza firmato ad Abu Dhabi afferma:
“La libertà è un diritto di ogni persona:
ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione.
Il
pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di
lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri
umani.
Questa
Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e
alla libertà di essere diversi.
Per
questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa
religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che
gli altri non accettano”.
Siamo
dunque nel solco della più grande novità del “Concilio Vaticano II”, quella che
chiuse l’epoca del gelo con ebraismo e islam riconoscendo in tutte le grandi
tradizioni religiose semi di verità.
Nell’enciclica
questa certezza è per tutti, quando vi si afferma che “siamo tutti della stessa carne”.
Dunque
il discorso globalista e ideologicamente para-illuminista di un mondo
massificato, uniformato, senza rispetto per differenze tra popoli, culture e
religioni, viene respinto nel nome della fratellanza tra diversi, voluti così
dal sapiente disegno divino.
Per
Bergoglio “il
tutto è superiore alla parte”
. E
siccome il mondo è fatto da polarità in tensione
“anche
tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna
prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità
quotidiana.
Al
tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa
camminare con i piedi per terra.
Le due
cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi:
l’uno,
che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, passeggeri
mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo,
che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati;
l’altro, che diventino un museo folkloristico
di “eremiti” localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci
di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che
Dio diffonde fuori dai loro confini”.
Questa
grande visione della fratellanza ora arriva al nodo della visione comunitaria
sotto la pressione di questa terribile congiuntura pandemica.
E
Francesco appare determinato a togliere ai marxisti l’egemonia sul “comunismo”.
È questa sfida, il recupero della visione
comunitaria al pensiero religioso, che ci porterà ad Hans Küng.
La
visione comunitaria appartiene al pensiero religioso da tempi lontanissimi e se
guardiamo alla stessa celebrazione cristiana non possiamo non chiederci perché
la comunione si chiami così.
Si
legge alla voce “comunione” sul sito della Treccani:
“È’ il
Sacramento centrale del cristianesimo, definito come prolungamento
dell’incarnazione del Verbo, in quanto da un lato commemora e rinnova il
sacrificio di Gesù Cristo, e, dall’altro, attua la comunione dei fedeli con il
Redentore per cui è chiamato comunione”.
Mai
nella storia di questi duemila anni di storia il sacramento centrale del
cristianesimo è stato chiamato “individualizzazione” o “privatizzazione” del
rapporto con il Redentore.
Il
dato comunitario o se si vuole comunista è centrale anche nell’ebraismo.
Un
esempio:
nel
libro dell’Ecclesiaste (4,1) il saggio Salomone afferma:
“mi
sono poi messo a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il
sole” e in Isaia (5,8) i termini sono più fermi:
“guai
a quelli che aggiungono casa a casa, che uniscono campo a campo, finché non
rimanga più spazio, e voi restiate soli ad abitare in mezzo al paese”.
Voci
singole?
Sempre nell’Enciclopedia Treccani al riguardo
dell’ebraismo e del famoso giubileo che nell’ebraismo origina il giubileo viene
spiegato così:
“Presso gli Ebrei antichi, festività che
ricorreva ogni cinquantesimo anno, santificata con il riposo della terra (per
cui erano vietati semina e raccolto), con la restituzione della terra al
primitivo proprietario, quando un ricco se ne fosse impossessato, e con la
liberazione degli schiavi”.
Nell’islam
poi abbiamo una scelta molto chiara:
la
comunità dei credenti sostituisce il vecchio ordine tribale creando una vera e
proprio mega tribù che tutte le elimina, con un unico capo, il successore del
Profeta Maometto, e un consiglio degli anziani.
L’islam
inoltre introduce nei suoi cinque pilastri la zakat, impropriamente detta
“elemosina”, ma letteralmente “purificazione dall’avidità”.
Ecco
dunque che eucarestia, giubileo e zakat indicano un “comunismo” che tante altre citazioni di padri
della Chiesa, di profeti biblici e brani coranici potrebbero spiegare più
compiutamente.
Questo
ci porta a una visione comunitaria non marxista, che Ernest Nolte ha chiamato
con altri il pensiero dell’eterna sinistra.
Sembra
proprio quello che ha detto Francesco nel giorno della festa della Divina
Misericordia:
“Dopo
la sua risurrezione, Gesù opera la risurrezione dei discepoli che,
misericordiati, sono diventati misericordiosi.
Lo vediamo nella prima Lettura.
Gli
Atti degli Apostoli raccontano che ‘nessuno considerava sua proprietà quello
che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune’.
Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro.
Ed è
tanto più sorprendente se pensiamo che quegli stessi discepoli poco prima
avevano litigato su premi e onori, su chi fosse il più grande tra di loro. Ora
condividono tutto, hanno un cuore solo e un’anima sola”.
Certo,
il Regno di Dio è oggi, mentre vivo, mentre mi comporto così e non cosà,
ma il Regno di Dio non sarà
compiutamente realizzato da noi.
Ma,
ripete Bergoglio, i cristiani sono chiamati a operare nella storia e questo
modello di vita, di comunanza, di solidarietà, esiste: è il cristianesimo.
Quanto
detto da Francesco nel suo recente messaggio a “Fondo Monetario Internazionale”
e” Banca Mondiale” ci conferma questo elemento oggettivo, come l’”enciclica
Centesimus annus” ci dice che questa visione era la visione di Giovanni Paolo
II e un grande storico del cristianesimo, il professor Massimo Borghesi, ha
detto che puntava a “una teologia della liberazione senza marxismo”.
Proprio
come Francesco, che non essendo polacco ma latino-americano potè capire,
sebbene non condividere, gli anni di una teologia che non condivise soprattutto
perché, come spiega benissimo un suo inedito recentemente pubblicato da “La
Civiltà Cattolica”, nessuna interpretazione della realtà può essere definitiva,
a cominciare da quella marxista.
Scriveva
Bergoglio negli anni Ottanta cercando di spiegarsi ai cristiani marxisti: “ Ogni realtà ha, in sé, il suo modo di
svelarsi, che nasce dalle potenzialità stesse che le sono insite.
Si
svela in consonanza con ciò che è”.
È
stato dunque il comunismo marxista, con il materialismo storico, a pretendere
un’interpretazione scientifica della realtà che ha diviso i due pensieri, quasi
che i marxisti avessero imposto uno scisma come a dire che i veri sacerdoti
erano loro.
Questo
scisma ha spinto il cristianesimo “ufficiale” a presentarsi o pensarsi
“borghese”.
Ora questo non è più possibile.
Il cristianesimo è religione universale, non
continentale, non è solo per l’Occidente.
Ecco
perché Francesco ha scritto a “Fmi” e Banca mondiale” che “la nozione di
ripresa non può accontentarsi di un ritorno a un modello diseguale e
insostenibile di vita economica e sociale, dove una minuscola minoranza della
popolazione mondiale possiede la metà della sua ricchezza”.
Ecco
perché nella stessa lettera ha parlato di un debito di cui non si parla mai, il debito ecologico, contratto dai ricchi estrattori nei
confronti dei Paesi di estrazione selvaggia.
Dunque
la pandemia ci obbliga a scegliere, ora: vogliamo uscire dalla crisi pandemica
migliori o peggiori?
Se vogliamo uscirne migliori per Francesco “occorre escogitare forme nuove e
creative di partecipazione sociale, politica ed economica, sensibili alla voce
dei poveri e impegnate a includerli nella costruzione del nostro futuro
comune”.
La
sfida di Francesco è dunque quella di parlare alla cultura originaria e
originante i grandi monoteismi (credo anche i pensieri religiosi orientali ma non ho
elementi di conoscenza sufficienti per argomentarlo) per farci uscire dal doppio secolo
delle ideologie, Ottocento e Novecento, che hanno visto sfaldarsi il pensiero
dell’ “eterna sinistra”:
un pensiero che non era mai stato violento, lo è
diventato solo in “Babeuf”, vero padre di una lotta di classe violenta,
incompatibile con il principio bergogliano “il tutto è superiore alla parte”.
E Hans
Küng?
Lui
credeva in un ravvicinamento teologico che potesse favorire quell’Etica
mondiale alla quale ha dedicato anni di vita.
Per questo fine, difficilissimo, ha subito
offese, insulti, attacchi terribili.
Ma la
sua idea merita di essere ricordata perché aiuta a capire un metodo, una
visione:
quella
dell’”esclusivismo definizionista”.
Proprio
come i marxisti hanno creduto di poter definire il comunismo come una loro
“teoria scientifica”, definita e realizzabile in terra da loro e solo da loro,
definendo “eretico o traditore chiunque avesse l’ardire di pensare a qualche
variante”, così
i custodi di ogni ortodossia non hanno potuto sopportare Hans Küng, il
cattolico “universale”.
Per
Hans Küng non si capisce fuori dal linguaggio e dalla cultura semita l’idea che
Gesù fosse “il Figlio di Dio”.
Questa verità per lui indiscutibile va
inserita però in quella lingua, in quella cultura.
Se non si vuole diventare padroni della verità
si dovrà
riconoscere, afferma Hans Küng, che
“a
prescindere dai concetti ellenistici con cui i concili ellenistici hanno
definito la questione, nel Nuovo Testamento si intende senza dubbio non una
discendenza, ma l’insediamento in una posizione di diritto e di potere in senso
ebraico veterotestamentario. Non una filiazione divina di carattere fisico,
come nei miti ellenistici e ancor oggi viene spesso inteso e respinto a ragione
da ebrei e musulmani, ma una elezione e un conferimento di potere a Gesù da
parte di Dio, interamente nel senso della Bibbia ebraica, nella quale alle
volte anche tutto il popolo di Israele può essere chiamato “Figlio di Dio”. Se
anche oggi la filiazione divina venisse affermata nella sua accezione
originaria, sarebbero meno fondamentali le obiezioni che le si possono muovere
dal punto di vista del monoteismo ebraico e islamico. Per gli ebrei, i
musulmani, ma anche per i cristiani, l’espressione “Dio fatto uomo” è
fuorviante. Per essere corretti si dovrebbe parlare con Paolo dell’“invio del
Figlio di Dio” o con Giovanni di “incarnazione” del “Verbo di Dio”. Gesù è la
“Parola”, la “Volontà”, “Immagine”, il “Figlio” di Dio in forma umana.”
Se si
pensa che il “Corano “definisce Gesù ora verbo ora parola di Dio, se si pensa
che i “cristiani semiti” dei primi secoli erano quasi tutti” monofisiti”, cioè
credevano Gesù Figlio di Dio nel senso che indica Hans Küng, si capirà che la
sua tesi può non essere condivisa ma non può essere irrisa.
Hans
Küng sapeva benissimo che “i monofisiti”, cioè coloro che non credevano nella
duplice natura di Gesù, sono stati perseguitati dai cristiani bizantini emersi
dai grandi Concili ellenistici.
Ma a
noi il suo coraggio può risultare fondamentale non per stabilire che abbia
ragione lui, ma per riabilitare la libertà di ricerca e di altre ricerche.
Come
il marxismo non ha l’esclusiva del comunismo, così le religioni possono essere meno
dogmatiche e riconoscere il valore positivo di tutto ciò che con loro cerca di
affratellarci.
Il cammino verso l’incontro auspicato da Hans
Küng è più arduo rispetto alla fratellanza dei diversi di Francesco, ma certo
il suo sforzo ha aiutato a creare le condizioni perché tanti capissero
l’importanza del capirsi “fratelli”.
È
evidente però che arrivare alla pace tra le religioni oggi è importante per
tutti gli uomini, e che nella pulsione comunitaria, o comunista, dei monoteisti, c’è la liberazione di un anelito,
di un sentimento, di una natura, cioè di una tendenzialità senza di cui sarà difficile uscire migliori dalla
crisi pandemica e ambientale.
Fatta
la religione globale,
ora
occorre fare i globalisti.
Radioromalibera.org
– Aldo Maria Valli – (6 maggio 2020) – ci dice:
La
Trave e la Pagliuzza.
Alla
fine della preghiera del Regina Caeli di domenica scorsa Bergoglio, davanti
alla piazza San Pietro deserta, ha annunciato che, avendo “accolto la proposta
dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana”, il prossimo 14 maggio “i credenti
di tutte le religioni” si uniranno “in una giornata di preghiera e digiuno e
opere di carità, per implorare Dio di aiutare l’umanità a superare la pandemia
di coronavirus”.
Ed ha aggiunto: “Ricordatevi: il 14 maggio,
tutti i credenti insieme, credenti di diverse tradizioni, per pregare,
digiunare e fare opere di carità”.
Ci
troviamo di nuovo di fronte a un’iniziativa ispirata al sincretismo che nasce
dalla “Dichiarazione di Abu Dhabi” del febbraio 2019, sottoscritta dal papa e
dal grande imam “Ahmed Al-Tayyeb”.
Documento,
occorre ricordarlo, dai contenuti oggettivamente eretici, dal momento che vi si
legge che Dio vuole la diversità fra le religioni.
Quella
dichiarazione, da cui è nato l’alto comitato al quale fa riferimento Bergoglio,
è diventata la piattaforma della “nuova religione globale” che professa l’”umanitarismo
di tipo massonico”.
Presentata
come “fede
abramitica”,
la nuova religione eleva a concetto supremo la “Fratellanza” e ovviamente
toglie di mezzo ogni peculiarità cristiana e cattolica.
Nato
nell’agosto 2019, l’”Alto Comitato per la Fratellanza Umana” è composto da
leader di diverse religioni e ha lo scopo di promuovere questa “nuova religione
globale”.
Un
mese dopo è stata presentata la “Abrahamic Faith House”, la “Casa della fede
abramitica”, sede della nuova religione.
È un “complesso multi-religioso” in
costruzione su un’isola, a pochi minuti dal centro di “Abu Dhabi”, comprendente
una moschea, una sinagoga e una chiesa che sorgeranno su fondamenta comuni.
Ogni
religione ha bisogno di un suo centro di riferimento, e la “nuova religione globale” avrà dunque questo complesso nel
quale tutto il design è ispirato all’uniformità:” niente più differenze, ma solo
appiattimento e omologazione”.
Nel
dicembre dell’anno scorso il Vaticano ha chiesto alle Nazioni Unite, diventate
partner privilegiato sotto il pontificato di Bergoglio, di dichiarare il 4
febbraio “Giornata Mondiale della Fraternità Umana” per celebrare la data
dell’anniversario della firma della “Dichiarazione di Abu Dhabi”.
Ogni
religione, oltre che di un centro di riferimento, ha bisogno di una sua festa,
e ora la nuova religione globale ha anche una festa.
Per il
maggio di quest’anno era stato programmato dal Vaticano un incontro a Roma, la “Global
Education Alliance”, ma la pandemia lo ha fatto rinviare a ottobre.
Sarà
una grande celebrazione della “nuova religione globale”, del “nuovo umanesimo”
e della “fratellanza globale”.
Nel
suo messaggio in vista dell’incontro, il papa dice che l’iniziativa “ravviverà l’impegno per e con le
giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta e
inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua
comprensione”.
Come
si può vedere, siamo di fronte a un tipico esempio di l”angue de bois”, lingua di legno.
Potremmo definirlo, alla buona, “menare il can per l’aia”:
parole
seducenti per le orecchie dei moderni, ma che non dicono nulla, perché nulla
devono dire.
Perché devono solo produrre suoni gradevoli
per il pensiero dominante, che in questo modo viene rafforzato.
Colpisce il fatto che tali parole starebbero
benissimo sulla bocca dei capi dell’Onu o delle logge massoniche.
Non
c’è neppure bisogno di cambiare una virgola.
È il
linguaggio globalista standard.
Da
notare che il papa usa le stesse espressioni, come “patto di educazione
globale”, che appartengono al repertorio, per esempio, di “Hillary Clinton”,
che del globalismo è una fiera sostenitrice e rappresentante.
Non
per nulla, d’altra parte, nel gennaio 2019 una loggia massonica spagnola, in un
messaggio di ammirazione per Bergoglio, scriveva:
“Tutti i massoni del mondo si uniscono alla
richiesta del papa per la fraternità tra persone di diverse religioni” diceva
un anno fa un messaggio di una loggia massonica spagnola.
Non è
neppure il caso di aggiungere che in tutti questi documenti e in tutte queste
iniziative globaliste il nome di Gesù Cristo non compare mai.
Perché non deve comparire.
Se
l’obiettivo è arrivare a una “nuova religione mondiale”, che ingloba tutto,
Gesù diviene un ostacolo, e dunque va tolto di mezzo.
Colpisce
anche il fatto che, nel dare appuntamento per il 14 maggio, Bergoglio si sia
rivolto ai “credenti di diverse tradizioni”.
Ormai
perfino la parola religione è di troppo.
Meglio ridurre il tutto a tradizione, cioè a
qualcosa di semplicemente umano e terreno, eliminando ogni riferimento alla
trascendenza.
Nel
prossimo novembre il Vaticano sponsorizzerà ad Assisi l’evento denominato “Economia
di Francesco”.
Era
stato programmato per marzo, ma è stato anch’esso rinviato a causa della
pandemia.
L’economia
di Francesco, qualunque cosa significhi questa espressione, dovrà servire come
base per la nuova dottrina sociale ed economica mondiale, le cui linee si trovano
in “Evangelii gaudium” e nella “Laudato si’:
un “un modello economico nuovo”, come si dice
nella presentazione dell’evento di Assisi, ma nel quale di nuovo sembra esserci
ben poco visto che appare in tutto e per tutto una nuova edizione del vecchio egualitarismo
di matrice marxista, con una spruzzata di ecologismo.
La
nuova religione globale ha poi un suo dogma, che è il Dialogo.
Poiché la Fratellanza è l’idolo, il Dialogo è
ciò che lo deve nutrire e tenere in vita. E poi c’è l’altro dogma, l’Ecologia.
Visto
che non abbiamo più un dio ma la Madre Terra, l’impegno ecologico è ciò che
deve accomunare tutti.
Nel
messaggio per il lancio del patto educativo Bergoglio raccomanda il “coraggio
di investire le migliori energie con creatività e responsabilità.
L’azione
propositiva e fiduciosa apre l’educazione a una progettualità di lunga durata,
che non si arena nella staticità delle condizioni”.
Che
vuol dire? Nulla. Ma suona tanto bene.
Insomma,
la nuova religione ha un suo centro, ha una sua festa, ha una sua lingua, ha la
sua dottrina sociale, ha i suoi dogmi.
Ora si tratta di trovare i fedeli, di formarli
passo dopo passo.
E
vediamo che nulla viene lasciato al caso.
“Fatta
l’Italia, bisogna fare gli italiani” dice la frase attribuita a Massimo D’Azeglio.
Parafrasandola,
potremmo dire così: “Fatta la religione globale, bisogna fare i globalisti”.
E tutto dimostra che l’operazione sta andando
avanti speditamente.
“La
tirannia dell’emergenza” patologia
del potere nel nostro tempo.
Barbadillo.it
– (7-6-2023) – Redazione – Andrea Venanzoni – ci dice:
Andrea
Venanzoni analizza in chiave teorica, ma anche pratica, le tre grandi emergenze
- terroristica, pandemica e ambientale - che in maniera prepotente si sono
abbattute nel corso degli ultimi anni sulla nostra società
La
tirannia dell’emergenza di Andrea Venanzoni.
In
questo saggio che esce oggi in tutte le librerie, intitolato “La tirannia
dell’emergenza£, Andrea Venanzoni analizza in chiave teorica, ma anche pratica,
le tre grandi emergenze – terroristica, pandemica e ambientale – che in maniera prepotente si sono abbattute
nel corso degli ultimi anni sulla nostra società.
Da questa indagine affiorano, e sono messi
bene in luce dall’autore, i dispositivi attraverso cui il potere consolida se
stesso facendo leva sul presunto contrasto a un’emergenza continua.
L’emergenza
oggi è uno spettro che si aggira per l’Occidente, è ormai diventata
interminabile, scardina le garanzie poste a tutela delle libertà facendo
regredire spesso i cittadini al livello di veri e propri sudditi, ridotti in
soggezione psicologica di fronte al rischio inaccettabile della morte.
Nella
narrazione ecologista radicale e catastrofista, sempre più anti-umana, l’uomo, rappresentato come virus in carne e
ossa, è ormai il nemico numero uno, un parassita nocivo negativamente
intento a sfruttare e a distruggere mari, cieli e foreste.
L’emergenza,
scrive Venanzoni, “nella sua essenza più pura e autoritaria, è esattamente
questo: promessa di redenzione, di salvazione e di guarigione. A discapito
dell’essere umano e della sua libertà.”
In un
mondo come quello odierno “delle emergenze rese stabili”, lo Stato si fa
garante dell’illusione
di salvezza.
La morte non è più accettabile, non è più un
fatto privato ma sociale, e solo il monopolio statale può brandire lo spettro
della morte come minaccia contro chiunque dissenta o si ribelli.
Così,
sostiene l’autore, “il governo totalizzante della burocrazia e la tentazione
tecnocratica operano come anticamera privilegiata di una dittatura burocratica
tout court.”
L’emergenza
ha tradotto in permanenza e stabilizzazione l’applicazione di strumenti del
tutto transitori, diventando una sorta di collettivo stress post-traumatico,
religione civile di una nazione e di una intera civiltà in crisi.
L’intreccio
ininterrotto di controlli, verifiche, strumenti di contrasto preventivo
adottati durante il terrorismo, le pandemie e l’esplodere della criminalità
organizzata produrrà paradossalmente, per reazione, un surplus di emergenze, in
un circuito vizioso senza fine ma pericolosamente invisibile per le coscienze
dei cittadini.
(Andrea
Venanzoni - Roma, 1976 -, dottore di ricerca in Diritto pubblico)
“La
tirannia dell’emergenza”, di Andrea Venanzoni, “Liberi libri 2023”.
Per
un’economia armonica.
Futuranetwork.eu
- Francesco Cicione – (2 marzo 2021) – ci dice:
Il
localismo differenziato come soluzione per affrontare i costi della
globalizzazione.
Essere comunità è forse la sfida più difficile
che ci attende oggi.
In un
precedente contributo allo sviluppo di questo utilissimo ed interessante ciclo
di riflessioni promosso dagli amici “Bacci Costa” e “Valentino Bobbio” di “NeXt
– Nuova Economia per Tutti”, Paolo Cacciari ci ricorda, molto opportunamente e con
efficace capacità di sintesi, come il capitalismo sia fondato su due pilastri
(impresa privata e Stato) in liberto mercato.
Due
pilastri che, nel corso dei secoli, combinandosi progressivamente e talvolta
evolutivamente secondo forme, modalità e paesi diversi, hanno determinato un sistema macroeconomico egemone che, tuttavia, negli ultimi decenni
sta sempre più manifestando fragilità e debolezze strutturali insuperabili.
È
giusto premettere che mi avventuro nel solco di questa riflessione con
l’approssimazione e la semplicità che mi deriva dal non essere né economista,
né storico, né scienziato sociale:
porto
in dote, dunque, semplicemente qualche idea frutto di elaborazioni personali e
pertanto inevitabilmente e necessariamente criticabili da chi ha scienza e competenza
consolidata in materia.
A ben
vedere però, mi sembra quasi banale evidenziare che i segni dei limiti e delle
debolezze della dottrina capitalistica, non possono e non debbono essere
considerati una acquisizione recente.
Essi,
probabilmente, hanno, infatti, a che fare con la natura stessa del capitalismo.
A tal
proposito, abbiamo già scritto, di recente, con Luca De Biase:
“Fernand
Braudel, lo storico francese che ha guidato la scuola delle Annales alla metà
del secolo scorso, riconosceva una distanza incommensurabile tra la dimensione
del capitalismo e quella del mercato.
Da
storico, vedeva il mercato nella sua manifestazione concreta, ripetuta in mille
modi diversi attraverso il pianeta:
il mercato era prima di tutto la piazza del
mercato.
Visto
così, studiando i comportamenti dei produttori e dei venditori che vanno al
mercato a cercare compratori, osservando i gesti dei compratori che contrattano
e confrontano le offerte, il mercato appare per quello che è:
un
insieme di consuetudini, una struttura di luoghi di incontro, una quantità di
regole pratiche che garantiscono la concorrenza e favoriscono una leale
competizione economica, in relazione a un sistema produttivo e sociale nel
quale nessuno può approfittare più di tanto delle sue risorse e nel quale la
redistribuzione della ricchezza è tendenzialmente collegata alla generazione di
valore che ciascuno produce e che chiunque facilmente riconosce.
Nella
dimensione del capitalismo la realtà è totalmente diversa.
Braudel
ricostruisce i primi passi del capitalismo nelle borse veneziane e nelle
speculazioni valutarie genovesi, nel controllo delle grandi vie del commercio
globale affidato dalle potenze imperialiste alle compagnie destinate a
sfruttare le colonie e molto altro ancora.
Nel capitalismo non c’è il mercato:
ci sono alcuni finanzieri, grandi mercanti,
enormi proprietari terrieri, mega industriali, che hanno risorse straordinarie,
che riescono a costruire alleanze con i poteri politici, che accumulano un
potere economico tale da riuscire a mettersi al riparo dalla concorrenza.
Il capitalismo si finge concorrenziale ma è per
vocazione monopolistico.
Ed è
stato il capitalismo a governare negli ultimi quarant’anni, non certo il
mercato.”
(tratto da “Innovazione Armonica”. Un senso di
futuro, Francesco Cicione e Luca De Biase, Rubbettino 2021)
Ne
deriva che associare il concetto di capitalismo a questo tipo di libero
mercato, rischia di assumere le sembianze di una ingenua semplificazione,
poiché tale mercato è, forse, per il capitalismo solo un sofisticato paravento
da strumentalizzare e piegare ai propri scopi.
“La competizione è peccato” amava
affermare John Davison Rockfeller, denunciando una visione del capitalismo (di cui lui è esponente di vertice nella
storia contemporanea) più prossima al feudalesimo che non ad una moderna concezione
dell’economia al servizio del progresso, per quanto arricchita e contemperata
da propositi (formalmente) illuminati.
In
questo scenario, lo Stato, depositario delle funzioni regolatorie, si è rivelato, in
molte circostanze, inadeguato ed impreparato, sterilizzato e compromesso nella
sua efficacia da visioni politiche e sociali fortemente ideologizzate e
radicali (o
in senso neoliberista o in senso statalista), imprigionate nel pregiudizio
asfittico delle camicie di nesso di riferimento e pertanto insufficienti o
inadeguate a promuovere forme di società giuste e sostenibili.
Tutto
ciò, per alcuni (molti) versi potenziato e per altri (pochi) mitigato nei suoi
effetti dalla globalizzazione della governance mondiale, dalla
finanziarizzazione dell’economia e dalla digitalizzazione dei modelli
relazionali e produttivi, ha determinato una grave polarizzazione della
struttura sociale, generando forme di distribuzione della ricchezza
pericolosamente ingiuste e squilibrate che hanno condotto il 2% della
popolazione mondiale a detenere il 50% della ricchezza.
Oggi
in molti, e tra questi l’economista “Raghuram Rajan”, ci ricordano che in un
periodo storico in cui il mercato (e dunque il primato dell’interesse privato)
sembra avere irrimediabilmente vinto sullo Stato (quindi sul primato
dell’interesse pubblico), bisogna ripartire dal terzo pilastro, ovvero dalle
comunità (il primato del bene comune e della comunione nel bene).
È
nella comunità che dobbiamo riscoprire la capacità di custodire i processi e le
dimensioni relazionali e partecipative, la soggettività territoriale e sociale,
la creazione di valore condiviso, il consolidamento del senso di un cammino
comune, come antidoto alla crescente espropriazione di sovranità che si sta
consumando nei confronti degli stati nazionali:
ovvero il localismo differenziato come soluzione per
affrontare i costi della globalizzazione, preservandone i benefici.
Essere comunità è, forse, la sfida più difficile che
ci attende poiché esige capacità di perdonare se stessi e gli altri, capacità
di riscoprire l’altro come dono verso se stessi e me stesso come dono verso
l’altro.
Essere
comunità è la sfida più difficile, perché significa ristabilire un patto di
fiducia tra le persone, tra le istituzioni e tra di esse; significa far
rivivere la necessaria comunione dei talenti;
significa
riaffermare il primato della dolcezza della correzione fraterna sulla violenza
della pena ad ogni costo;
significa
riscoprire il gusto raffinato del dialogo e dell’amore rispetto al sapore forte
delle antinomie, della contrapposizione e della rabbia;
significa riscoprirsi veri fratelli;
significa
riscoprire le regole di una giustizia sociale, economica, civile e penale ricca
di misericordia e non di prepotenza;
significa
avere desiderio di riabbracciarci e di pacificarci;
significa
unirci in uno sforzo comune di ricostruzione;
significa
rinunciare alle nostre convinzioni ideologiche e culturali inscalfibili e
consolidate;
significa affermare di voler essere futuro
tutti insieme.
Ci
troviamo, quindi ed evidentemente, alla fine di una fase storica segnata da
semplificazioni, populismi ed ingiustizie (molto probabilmente vi è una forte
correlazione con i mali del capitalismo), mentre una nuova non è ancora del
tutto iniziata.
L’avvento
di una nuova e diffusa sensibilità su questi temi, sui problemi che li
caratterizzano e sulle soluzioni possibili, sta, infatti, progressivamente
facendo crescere un vasto movimento interessato a promuovere la cultura della
sostenibilità, della finanza d’impatto, dell’impresa etica e della nuova
economia.
I Ceo
delle principali società quotate nella Borsa di New York sono arrivati a
firmare insieme un manifesto nel quale affermano:
“Siamo
decisi a liberare l’umanità dalla tirannia della povertà e vogliamo guarire e
rendere sicuro il nostro pianeta per le generazioni presenti e future. Siamo
determinati a fare i passi coraggiosi e trasformativi che sono urgenti e
necessari per mettere il mondo su un percorso più sostenibile e duraturo.
Mentre iniziamo questo cammino comune, promettiamo che nessuno sarà escluso”.
Il
framework delle policy globali si sta riorientando in maniera radicale:
si pensi ai programmi “Agenda 2030” ed Addis
Abeba dell’Onu, il” New green deal” e “Next generation Eu “della Commissione
europea, sino alle accorate encicliche “Laudato Si'” e “Fratelli tutti “di Papa
Francesco.
Si
tratta di un percorso ambizioso, necessario ed utile che, tuttavia, interpella
la nostra coscienza morale individuale e collettiva con interrogativi
fondamentali ed essenziali, se si vuole evitare il rischio di produrre banale
storytelling.
Proviamo
a tratteggiarne alcuni in maniera sintetica, confidando che farlo, possa
risultare utile ad arricchire la nostra riflessione iniziale.
Prima
questione.
Esiste un modello economico migliore dell’altro? Ogni modello economico è
definibile e giudicabile con precisione? Se sì, secondo quali criteri e
parametri? Difficile, almeno per me, rispondere con esattezza.
Spesso
il giudizio rischia di essere ingannevole, gravato da retaggi e sovrastrutture
che deformano, finanche in maniera inconsapevole, la prospettiva.
Può
essere utile, invece, un approccio “possibilista” di impronta “umanistica”. Ovvero: quale che sia il modello, si cerca di
orientarlo al bene più grande, ponendo la persona (e solo la persona) al
centro.
Per
uno strano paradosso, ne deriva che proprio i modelli peggiori hanno bisogno di
essere umanizzati.
Tale
approccio implica un esercizio profondo della responsabilità.
Seconda
questione.
Cosa significa essere sostenibili?
Azzardo
una risposta: significa essere veri, veri ontologicamente, veri antropologicamente,
veri storicamente e cosmologicamente, significa ricomporre la frattura tra
verità dell’essere e verità del fine.
Oggi si crea per consumare e ciò ha generato
la società del consumo.
Ma il
vero fine è la necessità ed il bisogno essenziale.
Consumare in maniera responsabile significa recuperare
il vero fine, recuperare la perfetta sintesi tra essere e fine, significa
recuperare un rapporto armonico tra uomo e creato, tra uomini e uomini,
attingendo a quella sapienza primigenia che in maniera sorprendente ha
caratterizzato tutte le più antiche culture della storia.
Terza
questione.
Come si persegue (e si realizza) la centralità dell’uomo in un modello
economico?
Giova
citare quanto sostiene “Nicola Rotundo”:
“L’odierna
bizzarra visione antropocentrica sta facendo di un uomo autonomo ed al contempo
despota, la “misura” di tutte le cose.
La più
grande fragilità oggi non è nell’economia, nell’ecologia, nella politica, nella
medicina, nella scienza.
Certamente anche in questi ambiti le fragilità
sono grandi.
Ma ciò che maggiormente è in crisi, oggi, è
l’uomo che governa tutti questi ambiti ed è in crisi per carenza di sapienza.
Un
uomo non sapiente è un uomo “non uomo”.
Ed è questo oggi il male più radicale, il
punto più debole, la ragione più profonda delle molteplici crisi sociali,
finanziarie, ecologiche, politiche che stanno investendo l’umanità.
Se è falso l’uomo che fa economia, falso sarà il
sistema economico da lui teorizzato e praticato.
Se è
falso l’uomo che pensa l’economia, mai l’economia sarà o potrà essere
sostenibile perché mai sarà pensata e realizzata a servizio dell’uomo e di
tutti gli uomini, ma soprattutto a misura dell’uomo e di tutti gli uomini.
La
vera economia è quella che è pensata a servizio di tutto l’uomo (anima
compresa) ed a servizio di tutti gli uomini.
Sono
economie non sostenibili e come tali sempre andranno in crisi, quei sistemi
economici che non rispettano questi due principi.
Anche
un solo uomo escluso dai benefici di un sistema economico denuncia una carenza
del sistema economico sul piano etico.” (L’Uomo al Centro. Per una Ecologia
Integrata, a cura di Nicola Rotundo, Rubbettino 2021).
Quarta
questione.
È solo una questione di equa distribuzione
della ricchezza o anche di equa produzione di valore economico diffuso?
Il Pil
mondiale, rappresentato secondo le regole del diagramma di Voronoi, è stimato
in 87,8 migliaia di miliardi di dollari.
Attualmente la popolazione mondiale è di 7,8
miliardi di persone e quella attiva dal punto di vista lavorativo è di circa
cinque miliardi.
Questo vuol dire che mediamente ogni individuo
attivo produce ogni anno ricchezza per 17.918 dollari.
Tuttavia,
poiché sappiamo che il 50% della ricchezza mondiale (che non è il Pil ma
comunque è un indicatore significativo) è concentrato nel 2% della popolazione
mondiale, dobbiamo dedurne che il 98% della popolazione mondiale attiva (ovvero
98 milioni di persone) producono 43,9 mila miliardi di ricchezza (ovvero circa
447.959 a testa) mentre, i restanti 4,9 miliardi di persona producono i
restanti 43,9 mila miliardi (ovvero circa 9.142 a testa).
Se non vi sono bug nel ragionamento, mi
domando:
il tema è solo quello delle diseguaglianze
(tanto e giustamente approfondito) oppure vi è (anche) un tema di produttività
(e responsabilità) dei singoli e di modello di sviluppo?
Queste
premesse portano ad alcune conclusioni sommarie che, traslando il concetto di
innovazione armonica che siamo impegnati a promuovere come “Entopan”, potremmo
riassumer in una idea: l’economia armonica.
Come
l’innovazione armonica anche l’economia armonica può e deve essere “nobile e
gentile”.
Come
l’innovazione armonica anche l’economia armonica può e deve essere etica (senza macchia, tersa, inoffensiva,
amante del bene, benefica, libera, incontaminata, autentica);
intelligente (sottile, acuta, amica dell’Uomo,
stabile, sicura, utile, nuova); generativa (performante, emanazione della
potenza creativa, nel contempo unica e molteplice); pervasiva (penetrante, mobile, agile,
multidisciplinare); sostenibile (circolare, riflesso dell’equilibrio perenne).
Come
l’innovazione armonica anche l’economia armonica può e deve credere nell’economia che
“dopo aver
interrogato la ragione è disponibile ad aprirsi ad una luce più grande,
ispirata da un approccio sapienziale costantemente rivolto a perseguire
l’incontro tra immanenza e trascendenza, tra finitudine e infinitudine, tra
presente ed eternità, tra ricerca scientifica e ricerca morale, nella costante
valutazione delle implicazioni etiche di ogni intervento, accettando di
confrontarsi con il concetto di “limite” e, più ancora, disponibile ad assumere
il concetto di “limite” come centrale nello sviluppo di una coerente, efficace
e sana teoria e pratica economica, poiché l’economia “si è”, non la “si fa”.
Noi
tutti siamo chiamati a promuovere una economia armonica, nel tempo, nello
spazio, nelle relazioni ad ogni livello.
L’economia
è uno scambio mirabile: si produce una cosa per avere un’altra cosa.
È il
seme che muore che produce molto frutto: ancora una volta mirabile scambio.
Nella
vera economia si consuma la vita per rimanere in vita, si offre il sudore del
proprio lavoro per guadagnare il pane quotidiano.
Ogni
diritto è un dovere maturato. E non il contrario.
È una
economia che esige la purificazione dal vizio, dai tanti vizi che producono
sprechi ed ingiustizie.
I piccoli vizi generano sempre gravi squilibri
macroeconomici.
È
certamente questa vera economia etica dai frutti eterni e universali, poiché il
frutto prodotto è sempre infinitamente ed eternamente più alto del dono
offerto.
Oggi,
invece e purtroppo, molte economie sono per la morte: si mortifica o finanche si uccide
l’uomo solo per sete di guadagno disonesto.
Quando
per un profitto maggiore si conduce un uomo alla perdita della dignità ed alla
morte non si produce vera economia.
Il Vangelo ci fornisce, forse, uno degli
esempi più esemplari in tal senso:
il
ricco cattivo, detto un tempo ricco epulone, che usò i beni solo per se stesso
e non vide Lazzaro, il povero coperto di piaghe e affamato, seduto dinanzi alla
sua porta.
Lazzaro
invece che visse la sua economia di povertà e di miseria secondo onesta e
verità ed ebbe in cambio la sua eternità di gloria: il guadagno è altissimo.
Ma
oggi chi crede in questa economia di vera comunione, vera condivisione e vera
eternità?
Non credendo
né nell’eternità come frutto di un presente armonico ed autentico, l’economia
umana tende a definire le proprie regole con l’obiettivo di massimizzare il
momento attuale e l’utilità di pochi.
Questo
difetto di “trascendenza”, reca, a mio avviso, conseguenze gravi anche in chi
si impegna nella promozione di forme orientate a creare un mondo più giusto,
poiché è manchevole di una verità piena ed audace.
È
necessario, dal mio punto di vista, uno sforzo collettivo di ripensamento dei
fondamentali più autentici:
senza una riflessione libera ed aperta su di
essi il rischio di restare intrappolati nel perimetro limitato di formule,
teorie e propagande, sterili ed infruttuose, è altissimo.
Non si
sprechi la lezione della storia, dunque: si abbia il coraggio di un cambiamento
ontologico.
L’emergenza
da Covid-19 ci offre (e ci impone) una grande possibilità (e necessità) di
cambiamento.
Oltre
il capitalismo, oltre ogni modello economico, per l’affermazione di un
paradigma generativo, coesivo, sostenibile, inclusivo ed armonico.
Per
l’Uomo e per l’Umanità, nell’autenticità.
(Francesco
Cicione, founder e presidente di Entopan)
OMS: è in Vigore il “Trattato Pandemico”
Stile
Nazi, all’Insaputa di Tutti…
Conoscenzealconfine.it
– (11 Giugno 2023) - Paolo Spiga -ci dice:
Pochi
lo sanno, ma da circa un mese e mezzo è entrato praticamente in vigore il
“Trattato Pandemico” elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Con
esso gli Stati aderenti all’OMS (sono ben 193) vengono privati di tutta una
serie di libertà e si auto costringono ad accettare obblighi e diktat dall’alto
(dall’OMS) senza poter fiatare, in caso di nuove pandemie.
Possibile
mai che un tale follia sia passata così, in modo ‘segreto’, senza che nessun
Parlamento ne abbia potuto discutere?
È possibile che nessun Parlamento si sia
opposto, o comunque, non abbia chiesto almeno di affrontare pubblicamente una
questione di tale impatto e di tanta rilevanza?
Secondo
la nuova “Legge OMS”, se entro sei mesi (a partire dal 14 aprile, la data di
‘emanazione’ dell’editto, in perfetto stile antica Roma o antico Egitto) le
nazioni membre dell’OMS non faranno pervenire il loro no, si sottoporranno
automaticamente e volontariamente al ‘Trattato’ che più incredibile non si può.
Eccone
i punti-base, tutti da ‘gustare’:
Punto
1. Vengono
ampliate le definizioni di ‘pandemia’ e di ‘emergenza sanitaria’:
è
bastato introdurre una paroletta magica, ossia ‘potenziale’ invece di ‘effettivo’ per conferire tutta una serie di
nuovi poteri e competenze all’OMS;
Punto
2. Si passa da ‘istruzioni vincolanti’ e
‘istruzioni obbligatorie’: una bella differenza!
Punto
3. Viene potenziata la capacità del
“Direttore Generale dell’OMS “(attualmente la carica è ricoperta da Tedros Adhanom
Ghebreyesus) di dichiarare ‘autonomamente’ le emergenze sanitarie: un vero Monarca nel
campo della salute a livello internazionale;
Punto
4. Viene
stabilito un processo di ‘sorveglianza’ di tutti gli Stati membri che sarà
regolarmente verificato dall’OMS attraverso appositi meccanismi di revisione
nazionale;
Punto
5. Viene consentito all’OMS di condividere i dati sanitari nazionali ‘senza
consenso’ (avete
letto bene);
Punto
6. Viene
conferito all’OMS il controllo su determinate ‘risorse nazionali’. Può
succedere di tutto…
Punto
7. Ogni Paese deve garantisce il
sostegno all’Oms per la promozione delle attività di censura, per impedire la
diffusione di approcci e preoccupazione alternative/dissidenti:
parole
testuali che fanno venire i brividi perché istituzionalizzano la censura, il
divieto di ogni dissenso e impongono “il Pensiero Unico” nel delicatissimo
campo della salute di tutto il mondo;
Punto
8. Più potere all’OMS per la chiusura
delle frontiere, le restrizioni dei viaggi, i blocchi (quindi i lockdown); e
anche per quanto riguarda esami medici e farmaci (evidentemente ben compresi i
vaccini).
Un
quasi decalogo in puro stile nazi:
mancano
solo la previsione di nuovi lager (ma a quanto pare proprio in Germania e soprattutto in
Australia erano state già previste apposite aree dove sistemare gli infetti
delle nuove pandemie), e un mega appalto per forni crematori e la
somministrazione regolare di olio di ricino.
Ma non
è mai troppo tardi.
Un
paio di giorni fa, per chiarire meglio le idee ai popoli ormai ridotti a masse
di sudditi senza diritti e senza parola, è intervenuto pubblicamente il
co-presidente dell’OMS, il medico saudita Abdullah Assiri, evidentemente non
ancora soddisfatto per quanto è stato già fatto.
Ecco
le sue minacciose parole:
“Il mondo ha bisogno di altri mandati legali,
come il “Trattato sulle pandemie”, per affrontare una particolare pandemia
qualora dovesse verificarsi; e lo farà”.
Ed ha aggiunto:
“La
definizione delle priorità delle misure che possono limitare le libertà
individuali, l’ordine, la condivisione delle informazioni, delle conoscenze,
delle risorse e, soprattutto, la fornitura di risorse per la risposta alla
pandemia sono necessarie durante una pandemia”.
Capito?
Teniamo
sempre presente un dato di basilare importanza.
L‘OMS
è nata nel 1948 come un’organizzazione totalmente pubblica finanziati con i
soldi pubblici degli Stati aderenti.
Man
mano, con il passar degli anni, il quadro è cambiato, fino all’odierno, totale
ribaltamento.
Mentre
fino a vent’anni fa i finanziamenti-donazioni erano per l’80 per cento pubblici
e solo il restante 20 per cento proveniva dai privati, oggi quel rapporto si è
capovolto (80 ai privati, solo 20 ai pubblici):
il
timone di comando, quindi, è passato in mani private, come case farmaceutiche,
fondi speculativi, assicurazioni, banche e singoli miliardari, come è il caso
di “Bill Gates”.
Il
fondatore di ‘Microsoft’, da alcuni anni ormai tuffatosi a capofitto nelle nuove
sfide della sua vita (vaccini & cambiamenti climatici), è oggi al secondo
posto nella hit mondiale dei finanziatori-donatori, alle spalle degli Stati
Uniti;
e ben prima di potenze del calibro di Francia,
Germania e Regno Unito.
Il “neo
Direttore scientifico”, nominato a gennaio 2023,” Jeremy Farrar”, è un suo
grande amico;
come
lo è di “Anthony Fauci”, con il quale ha fin dal primo momento condiviso la
teoria dell’”origine naturale del Covid,” oggi ormai smentita perfino dall’”FBI
“che ha accertato la sua origine artificiale, in laboratorio.
E
sapete qual è stata la prima decisione di “Farrar”, proprio a inizio anno?
Quella
di annullare la seconda missione “OMS” a Wuhan, proprio per accertare in modo
definitivo l’origine del virus.
Lo ha
fatto per evitare, in tutta evidenza, che saltasse fuori la “connection
Fauci-Wuhan”, e quindi gli ingenti finanziamenti americani per le
pericolosissime (e per questo vietate negli Usa) ricerche sul ‘gain of
function’.
E noi
tutti, ormai, ‘ci siamo’ costretti ad obbedire ai diktat di una simile
organizzazione di fuorilegge…
Davvero
ai confini della realtà.
(Paolo
Spiga)
(lavocedellevoci.it/2023/06/02/oms-e-in-vigore-il-trattato-pandemico-stile-nazi-allinsaputa-di-tutti/)
“Renato
Cristin” spiega
la
grande macchina globalista.
Museodelcomunismo.it
– Redazione – (20-1-2023) – ci dice:
Con il
saggio “I padroni del caos” (Liberi libri) il docente universitario triestino
indaga con una rigorosa metodologia filosofica tutte le facce della
decostruzione della civiltà europea e occidentale.
E propone un paradigma liberalconservatore.
Avevamo
incontrato “Renato Cristin” nella nostra recensione all’edizione italiana de “L’antirazzismo
come terrore letterario” (Liberi libri, Macerata, 2016, pp. XL-44, ) di “Richard
Millet”.
In
quel caso ne aveva curato la pubblicazione. Non solo.
La sua
Prefazione al testo del noto pensatore francese (A partire da “Richard Millet”,
colpevole di scrivere) consisteva in un ampio, prezioso contributo personale.
Stavolta
siamo lieti di segnalare – e non recensire, vedremo subito perché – la sua
nuova fatica:
“I
padroni del caos “(Liberilibri, Macerata, 2017, pp. 456).
Una
Premessa e otto capitoli (alcuni dei quali sono rielaborazioni di un saggio
precedente) coi quali l’autore decifra, tassello per tassello, il meccanismo
politico-economico-culturale globalista che ci sta sovrastando e cambiando.
E mica
tanto lentamente.
Una
grande macchina mondiale, spietata e feroce.
Un
libro talmente ricco e complesso che, come abbiamo appena scritto, è
impossibile da recensire sinteticamente a beneficio del lettore.
Ogni
pagina offre spunti per un’intera analisi.
Allora,
l’intero volume va letto. Con attenzione. Con pazienza. Per intero.
Il (relativo) impegno sarà ripagato dalla
soddisfazione di aver colto molto, se non tutto, dell’inatteso sviluppo del
globalizzato mondo contemporaneo, proiettato verso la «sostituzione culturale
(e progressivamente anche etnica)» dell’Europa e della sua cultura.
Il
caos nel quale stiamo già vivendo – ma, via via che il meccanismo andrà avanti,
sarà sempre peggio – ha degli ingranaggi complessi, che, tuttavia, ben oliati,
lavorano con estrema efficienza.
Con una sintesi davvero abbozzata e lacunosa,
possiamo dire che i padroni del caos sono:
l’Unione
europea con la sua tecno burocrazia incontrollata al servizio del capitalismo
liberista finanziario;
il “sessantotto-pensiero” con la conseguente totalitaria
ideologia unica del “politicamente corretto”;
la colpevolizzazione della storia e della
civiltà europee; l’imposizione
dell’immigrazionismo;
la scelta ideologicamente pauperistica
e immigrazionista della Chiesa cattolica;
la
lenta pervasività di un islam fondamentalista, retrivo e intollerante (e non se ne scorgono altre
tipologie).
Come
si vede, si
tratta di un mostro le cui facce possono anche apparire contraddittorie, ma che,
nel suo insieme, funziona benissimo.
Ogni elemento dell’orrendo coacervo ha un
ruolo.
E il
tutto tende a un fine cui ci si approssima con velocità crescente:
la
decostruzione-distruzione della civiltà europea per come si è formata, nel corso di
più di duemila anni, tra contraddizioni, arretramenti, sofferenze immani,
nefandi orrori e soprattutto splendori, grazie ai successivi contributi di
Grecia, Roma, cristianesimo, umanesimo e rinascimento, illuminismo,
romanticismo, scientismo, ecc.
Un’identità
che già oggi facciamo fatica a riconoscere.
I primi sei capitoli de” I padroni del caos”, con le conclusioni di ciascuno di
essi che rimandano ai contenuti di quello successivo, analizzano con
sottigliezza e con una sorprendente ricchezza di riferimenti e di acute
riflessioni la realtà che, impostaci, stiamo vivendo.
Gli
ultimi due formulano proposte per opporsi al nuovo totalitarismo.
Di
tutta questa ricchezza di contenuti possiamo solo provare a ricavare una
sintesi davvero minima.
Nel capitolo 1 (Geopolitica del pensiero:
l’europeismo contro l’identità europea) l’autore evidenzia il ruolo
centrale dell’Unione europea nella decostruzione del Vecchio Continente.
Essa
si è tradotta e declinata in incontrollabili super caste burocratiche e
finanziarie, tirannide monetaria, mostruosa proliferazione legislativa e
sostituzione dei secolari governi nazionali con un’astratta quanto autocratica
governance disprezzo per le popolazioni (e le loro peculiarità nazionali e
regionali), che qualcuno definisce già nativi, come i pellerossa destinati all’estinzione.
E il
Sessantotto col suo variegato apparato ideologico, ha perso o ha vinto?
O non
è forse uno degli altri elementi del caos?
Cristin
individua, infatti, una divisione dei compiti nel nuovo ordine globale:
«Ai
vecchi creatori della rivoluzione permanente il controllo delle idee, ai nuovi
gestori degli apparati statali e comunitari il controllo dell’economia, e a
entrambi il controllo della società e dell’opinione pubblica».
A
scapito del popolo, aggiungiamo noi.
Così,
il secondo capitolo (Il pensiero dell’altro: neo sadismo e imposizione del caos) prova con chiarezza come il pensiero
distruttivo di pensatori come “Michel Foucault” abbia infine prevalso,
diventando “conformistica ideologia di massa”.
Alla base di tutti gli intellettuali-politici
sessantottini sta la volontà distruttiva del vecchio ordine, in ogni sua
declinazione (autorità, stato, religione, famiglia, padre, sessualità, arte,
ecc.).
Però,
solo ai fini di un nuovo totalitarismo.
Insomma, ribellarsi alla tradizione ed essere
libertari è un obbligo, ma non verso il nuovo ordine, che è in realtà disordine
e caos.
Allora
subentra la repressione.
Il
simbolo più pregnante colto da “Cristin” per rappresentare tale paradosso è il castello del marchese De Sade, tanto amato dai rivoluzionari in
quanto rappresentante dell’estrema liberazione «dalle costrizioni e dalle
convenzioni»,
oltre che della sessualità.
In realtà, proprio come sta avvenendo oggi in
nome del libertarismo, l’universo sadiano raggiunge l’estremo della prigione
totalitaria, dell’arbitrio, del disprezzo dell’umano, del nihilismo.
Come nella realtà odierna, in “Sade” la
totale, maniacale, organizzazione della vita in funzione del soddisfacimento di
ogni desiderio individuale corrisponde al massimo di controllo collettivo,
meccanizzazione e riduzione della persona a oggetto da usare.
Un incubo.
«La
violenza risiede nell’umano, […] nessun sistema ne è immune, [anzi] quello
occidentale ne ha forse il minor tasso o almeno il livello più controllato».
Tale lapalissiana
realtà rammentata da “Cristin” si scontra con le illusorie e un po’ infantili
speranze, circonfuse di “alone magico”, secondo le quali l’altro è buono,
migliore, apportatore di liberazione, catarsi e redenzione.
Insomma, la salvezza esiste, è facile, è vicina, ma
altrove.
Sicché idiofobia e oikofobia comportano un
odio di sé e un’acritica xenofilia.
Da qui l’autocolpevolizzazione e la conseguente
necessità dell’espiazione.
Tale
corrente di pensiero, che nasce col mito del buon selvaggio di “Jean-Jacques
Rousseau “e il relativismo culturale di “Michel de Montaign”e, ma si sviluppa
soprattutto col Sessantotto, è l’argomento centrale del capitolo 3 del saggio
di Cristin (Il complesso d’Europa: oikofobia e xenofilia).
Di
fronte a qualunque orrore commesso da altre civiltà, ci sarà sempre qualcuno
che esclamerà il fatidico “anche noi”.
In effetti, lo spirito critico (anche verso se stessi
e la propria cultura) è una delle peculiarità della nostra civiltà.
Peccato che appartenga appunto solo a essa.
Non
troverete mai un comune islamico, cinese, indiano, non solo che ammetterà, ma
neanche che studierà, le proprie colpe storiche.
Il
quarto capitolo tratta Multiculturalismo e terzomondismo: la teoria della sostituzione.
Non si tratta di complottismo. Già nel 2001 la “Direzione
popolazione del Dipartimento affari sociali ed economici dell’Onu” parla
chiaramente di «immigrazione sostitutiva» ai fini di far fronte al calo
demografico europeo.
Per fare accettare l’immigrazione di massa,
ovvero ciò che “Renaud Camus” ha definito la «grande sostituzione», è stato
dispiegato un vasto apparato culturale e massmediatico.
L’ideologia
di base è quella multiculturale e terzomondista:
“tutte
le culture e tutte le religioni sono uguali”, “i migranti sono una risorsa”;
“l’immigrazione è necessaria”, “i paesi poveri sono tali a causa del
colonialismo europeo”, “è giusto rimediare agli errori del passato”…
Chi,
timidamente ma realisticamente, fa notare che la convivenza in piccoli
territori di masse di popolazioni di cultura diversa rappresenti un problema è
accusato subito di razzismo, xenofobia, intolleranza, ignoranza, chiusura,
egoismo.
Peccato
che tali peculiarità appartengano piuttosto agli altri.
Si pensi alle cruente divisioni e guerre tra
tribù, clan, famiglie, in buona parte dell’Africa e dell’Asia, o all’islam che
taglia corto sugli aderenti alle altre religioni, definendoli tutti «infedeli».
Tra
questi ultimi vi sono i cristiani.
Tuttavia,
la Chiesa cattolica, soprattutto sotto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio (capitolo 5, Pauperismo e comunismo:
la teologia della sovversione e della rinuncia), sembra disinteressarsi del tutto
della difesa dell’identità europea, della quale si era infine fatto interprete
il predecessore di “Francesco I” (vedi Benedetto XVI, il papa che difendeva l’Europa).
L’attuale
pontificato appare influenzato dalla sudamericana “teologia della liberazione”,
una sorta di commistione di terzomondismo e marxismo.
I
ripetuti messaggi di “Francesco I”, con l’esaltazione della povertà e del
povero come nobili categorie a se stanti, sembrano prospettare non un
innalzamento delle classi misere della popolazione mondiale, ma “una generale
pauperizzazione del pianeta”.
Afferma
“Cristin” che per Bergoglio «la povertà non va superata ma conseguita» in quanto condizione del «raggiungimento di uno stadio
superiore della vita spirituale e sociale».
Una
categoria sociale viene trasformata in categoria dello spirito.
Pertanto, occorre «terzo mondializzare
l’Europa».
E
quale strumento migliore dell’immigrazione indiscriminata, infatti benedetta
dal dogmatismo dell’accoglienza?
Purtroppo (si fa per dire), l’uomo europeo è
abituato alla libertà e al benessere; inoltre, è poco solidale, etnocentrico,
sfrutta le risorse altrui, non rispetta l’ambiente…
Ormai è talmente corrotto che «non è
sufficiente indicargli la via, perché la sua identità si è formata su basi
solide e nel lungo periodo, e quindi diventa necessario sostituirlo».
L’autocolpevolizzazione
diventa autoannullamento nel caso del rapporto Europa-musulmani trattato nel
sesto capitolo (L’islam: l’«altro» più inquietante).
Non occorre essere delle aquile per
comprendere che la cultura europea e quella islamica sono totalmente
incompatibili:
«Finché i musulmani restano prima di tutto, e in molti
casi soltanto musulmani, nessuna integrazione è possibile».
In
nome della “sharia”, agli islamici residenti in Europa (presso i quali è spesso presente la
miscela psico culturale più pericolosa: vittimismo, volontà di riscatto,
odio) è
consentito trasgredire le leggi dei singoli stati presso i quali vivono.
Di
più; in nome dello psico reato dell’islamofobia, non è neanche possibile fare
osservazioni su alcun aspetto della loro vita sociale e religiosa.
Si
sono così già create delle vere e proprie enclave.
È ormai l’indigeno europeo che deve integrarsi
e non l’immigrato.
Tolleranza
verso chi è intollerante; repressione verso chi è culturalmente tollerante.
Un
«razzismo anti-bianco», secondo la definizione di “Gilles-William Goldnadel”.
Fin
qui la definizione dei fattori di disordine.
Tuttavia,
come abbiamo poc’anzi scritto, negli ultimi due capitoli (Il pensiero identitario: il nuovo
reazionarismo e Idiologia: la rigenerazione dell’identità) il lettore del saggio di “Cristin”
si troverà di fronte anche le sue proposte per evitare che il caos prevalga.
Come?
In
primis, con la «riaffermazione dell’identità» e con la «rigenerazione della
tradizione».
Innanzi tutto, occorre aprire gli occhi, ritornare a
guardarsi intorno con semplicità, liberandosi dagli inganni ideologici:
vedere
la realtà e smascherare così ciò che sta avvenendo, il «totalitarismo angelico»
(definizione
di “Richard Millet”) e la sottostante-sovrastante retorica buonista e manicheista.
Sapere
ciò che siamo: antitotalitari e democratici, liberali e conservatori, liberisti ma
antiglobalisti, antinazifascisti e anticomunisti, filoisraeliani e
filostatunitensi, alternativi al terzomondismo e all’islamismo.
Occorre
recuperare e imporre principi e valori euro identitari anti sessantottini quali
«autorità
come autorevolezza, disciplina come esercizio dello spirito, tradizione come connessione storica
interna di una civiltà, famiglia come nucleo formativo originario, ordine come condizione essenziale
dell’esistenza sociale, identità come perno a cui fare riferimento per la
comprensione del mondo».
Di
particolare importanza è la battaglia per le lingue nazionali e per un
linguaggio raziocinante e chiaro, per una scuola che davvero insegni, contro
l’ignoranza, la tecnicizzazione del mondo, la virtualizzazione della realtà, la
dittatura della Rete, il postumano.
E neppure secondaria è la difesa della
proprietà (anche
intellettuale, il diritto d’autore), nel suo potenziale di miglioramento
del benessere individuale e collettivo, in contrapposizione al pauperismo, alla
annullante condivisione del web, che è anche «dis-propriazione».
È
necessario chiarire anche ciò che non siamo e che il nuovo totalitarismo ci
attribuisce con significato insultante: alle pp. 341-345 del suo libro “Cristin”
formula un lungo elenco, che riecheggia quello di “Eugenio Montale” in “Non
chiederci la parola”, e ad esso rimandiamo.
È pure indispensabile «sottolineare le differenze non tra
colori di pelle ma tra visioni del mondo, tra opzioni di vita sociale, tra
diverse concezioni dell’uomo (compresa, s’intende, anche la donna) e della sua
opera sulla terra».
Allora
apparirà chiaro che l’odio dello straniero non è tanto verso, ma “da parte di”.
Insomma,
la proposta di “Cristin” è un reazionarismo temperato euro identitario secondo un
paradigma liberalconservatore.
Una
proposta illuminata, tollerante, nobile, generosa, aderente ai tempi che
viviamo.
In
conclusione, possiamo affermare che “I padroni del caos “è un saggio di
rigorosa impostazione fenomenologica husserliana, con un oggetto unico
osservato nei suoi molteplici aspetti secondo varie prospettive.
Ricordiamo,
infatti, che “Renato Cristin” (docente di Ermeneutica filosofica all’Università
di Trieste, nonché già direttore dell’Istituto italiano di cultura di Berlino e
direttore scientifico della Fondazione Liberal) ha curato l’edizione italiana
di opere di “Edmund Husserl”, oltre ad alcune di” Martin Heidegger” e”
Hans-Georg Gadamer”.
La
lettura di questo suo nuovo libro costituisce un appassionante viaggio
intellettuale e spirituale, alla fine del quale i vari frammenti di luce, che
magari avevamo già intuito, prendono forma in una luminosa e sapiente
costellazione rivelatrice.
Il saggio ha persino un valore estetico, che
scaturisce dallo stile, dalle argomentazioni, dalla ricchezza culturale dei
contenuti.
E ci insegna che, allorquando il presunto “progressismo”
conduce a un regresso civile, culturale, sociale, politico, economico, è il reazionarismo a divenire
progressista e rivoluzionario.
(Rino
Tripodi)
Dai
soviet al “globalismo” neo capitalista.
Il
suicidio della sinistra.
Destra.it - Gennaro Malgieri – (22 Agosto
2020) – ci dice:
La
fine della sinistra in Italia ed in Europa ha avuto inizio con il tramonto del
sovietismo, la caduta del comunismo e la demolizione del Muro di Berlino.
Da
circa trent’anni essa è andata consumandosi in tentativi, a volte velleitari,
altre volte patetici, di rimettersi in sesto e riconquistare quelle masse di
elettori che anno dopo anno andava perdendo.
Ha mutato ragione sociale, stilemi politici e
propagandistici, ha sostanzialmente rinnegato la propria ideologia senza
sostituirla con nulla che in qualche modo potesse assomigliarle, ma legandosi
mani e piedi ad un liberismo e ad un libertarismo che ne hanno segnato il
tramonto irreversibile.
Era il
mondo dei diseredati che rappresentava ed è diventata, quasi senza accorge e,
integrandosi nel sistema a puro fine di potere, trasformandosi in
“parlamentarista” e “Governativa”, una “congregazione laicista radical chic
“nella quale si sono trovati più capitalisti che operai, o comunque epigoni del
“Quarto Stato”.
Il suo
modus operandi è progressivamente scivolato nelle secche di un conformismo
privo di progettualità alternativo quando è stata all’opposizione e stanco
trasformismo benpensante, quando è stata al governo, naturalmente piegato sulle
comode ambizioni di una borghesia senz’anima per la quale la destra non era
abbastanza à la page, e perciò ha dato “ricovero” a tutti gli orfani del
comunismo, del socialismo, dell’azionismo e del radicalismo ateo, relativista e
materialista.
La sinistra,
sostanzialmente, è morta quando ha rinunciato ad essere sé stessa.
Per
quanto censurabile ideologicamente e incongrua sotto il profilo della prassi
politica, rappresentava un bacino elettorale di tutto rispetto tanto da far
temere, almeno in Italia, il peggio, sia nell’immediato dopoguerra che negli
anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, egemonizzata dal più forte, coeso,
esteso e dinamico Partito comunista d’Occidente.
Attorno
ad esso la sinistra, variegata e contraddittoria, litigiosa, di governo e di
alternativa al sistema, riusciva comunque ad avere un senso politico.
I
partiti che la rappresentavano erano i satelliti attorno al “pianeta rosso” per
eccellenza che anche quando giravano all’incontrario non si staccavano
dall’orbita rotante.
Finito
il comunismo la sinistra ha vissuto di espedienti politici ingenui e comunque
non qualificabili, in termini socio-culturali, legati o derivati dalla sua
tradizione storica.
L’esperienza
dell’Ulivo, guidata da Romano Prodi, e la nascita stessa del Partito dei
Democratici di sinistra, hanno segnato il tramonto dell’identità della sinistra
italiana in una mescolanza politica la cui sostanza è stato il “catto-comunismo”,
impastato ad altre aggregazioni minori, i cosiddetti “cespugli”, che solo per
comodità elettorale si ritrovavano insieme a soggetti che nulla avevano a che
fare gli uni con gli altri, tenuti insieme da un ridicolo antifascismo d’antan e dalla
conversione alla globalizzazione liberista della quale gli epigoni del Pci sono
stati e sono i più strenui e tenaci sostenitori anche a fronte delle vere e
proprie catastrofi economiche e sociali che la cosiddetta interdipendenza
mondialista ha provocato.
Così,
all’internazionalismo social-comunista si è sostituito il globalismo
neo-capitalista la cui risorsa è nell’indifferentismo morale e culturale che supporta
ogni forma di egualitarismo e offre sostegno ai movimenti che praticano aborto, eutanasia,
omosessualità, ideologia gender, unioni di fatto, esperimenti genetici ai
limiti, se non ben oltre, della ragionevolezza come la fecondazione eterologa e
perfino la robotizzazione quale estremo traguardo della modernità.
La
sinistra ha abbandonato il suo mondo, dunque, fatto di diseredati, bisognosi,
marginali, piccoli borghesi, salariati dell’industria e braccianti o, per
restare all’oggi, schiavi del computer e dei call center per dedicarsi
all’evoluzione sociale di modelli di vita estranei alla cultura nella quale per
oltre un secolo ha affondato le sue radici ed ha legittimato la sua non trascurabile
presenza sullo scenario politico italiano ed europeo.
Il
relativismo che la sinistra coltiva, sostanzialmente è la ragione su.
E si
fonda della condanna che riceve dal suo elettorato.
Infatti, le comunità di riferimento l’hanno da
tempo abbandonata proprio perché, al di là delle deficienze politiche
nell’interpretare i movimenti sociali e culturali contemporanei, ha perduto la
sintonia con i ceti ed i blocchi sociali nei quali s’identificava.
Immaginare
oggi una vecchia sezione comunista o socialista nella quale si discuta di
tematiche come quelle citate invece che di nuove povertà, di bisogni primari,
di diritti umani e di diritti dei popoli, dell’autodeterminazione e delle
fallaci ricette del capitalismo, del rampantismo di una partitocrazia che è
solo potere, è fantascienza.
Venuto
meno Marx, uno dopo l’altro sono stati dimenticati tutti i “padroni del
pensiero” ai quali la sinistra si è riferita.
Tranne
uno: l’egualitarismo radicale che di conseguenza nega anche i valori religiosi,
il merito individuale, la capacità delle comunità di conservare tradizioni, usi
e costumi.
La
sinistra si è impiccata per disperazione.
Constatato
il fallimento della “società aperta” della quale essa stessa si è sentita parte
integrante, ha cercato, senza riuscirci, di reinventare un nuovo “welfare state”,
le cui
conseguenze sono state l’inimicizia dichiarata dei ceti medi che pur avevano
simpatie per la sinistra e i più poveri, magari impiegati dello Stato,
pensionati, “esclusi” da quella che una volta veniva definita “società
affluente”.
La
globalizzazione, scambiata
come la modernizzazione dell’internazionalismo teorizzato nel “Manifesto del
partito comunista di Marx ed Engels”, è stato il veleno che ha giorno dopo
giorno ha ucciso la sinistra, ovunque.
Qualcuno
in Occidente ha tentato di imitare il modello cinese, quello dell’economia
socialista di mercato, un ossimoro bell’e buono, ma non ha capito che soltanto
in un sistema totalitario, dove i mezzi di produzione sono ferreamente
posseduti dall’apparato statale e la loro gestione delegata ad oligarchi legati
al partito unico, le cui ricchezze sono immense e non sempre quantificabili, il
modello inventato da Deng Xiaoping e portato alle estreme conseguenza da Xi
Jinping, è possibile praticarlo.
Esempio
lampante:
i
proprietari delle società calcistiche che investono, per conto del governo
comunista, ingenti risorse nel l’acquistare campioni di tutto il mondo, in via
collaterale ad altre redditizie attività i cui ricavi vengono investiti nelle
attività sportive a maggior gloria del Partito comunista cinese, sono i
beneficiari di questa rivoluzione economico-politica della quale beneficia una
parte minoritaria della popolazione che vive benissimo, mentre il resto se non
deve proprio cavarsela con la classica scodella di riso di una volta, poco ci
manca.
Il pauperismo cinese è figlio della globalizzazione della
quale Pechino muove i fili, profittando di un sistema rigido e pervasivo che
non ammette il dissenso.
Il
comunismo che si fa turbo-capitalismo, che diventa colonialista
appropriandosi, attraverso un’espansione tecnologica illimitata, di aree del
Pianeta enormi e dunque acquisendo in blocco governi in particolare africani ed
asiatici, per attuare i suoi scopi, è quanto di più imperialista si sia mai
visto.
Non
risulta che la sinistra europea abbia mai censurato la Cina, né il suo sistema
economico-sociale, né tantomeno la politica repressiva che attua
spregiudicatamente in casa e fuori dai confini.
Né che si sia opposta al demenziale (per
l’Italia) “progetto di Via della Seta”, stipulato con il governo Conte: una
strada per penetrare nel cuore dell’Europa e tenere in scacco, al momento
opportuno, l’Italia.
Si
pensi, poi, al Tibet, allo sterminio degli Uiguri, alla limitazione della
libertà ad Hong Kong, alle continue minacce a Taiwan, alle ingenti forniture di
armi ai governi amici, soprattutto nell’Africa sud-orientale, per combattere le
contestazioni e si avrà un quadro piuttosto completo di come viene usato il
capitalismo da una potenza comunista: sembra paradossale, ma non lo è.
La
sinistra è insolente in Italia quando si fa paladina di un’Unione europea i cui
presupposti sociali contraddicono in radice la sua ispirazione storica.
E dell’Europa si fa scudo soltanto
polemicamente nei confronti dei cosiddetti euroscettici, non perché creda sul
serio all’integrazione continentale sostenuta con vigore da forze laiciste,
liberal-democratiche, massoniche che con la sinistra spartiscono soltanto
l’insana passione per la “diversità”, per la scristianizzazione del Continente,
per la morte delle identità europee sul patibolo della modernità.
Quando
tutto questo, cioè a dire il crepuscolo della sinistra, è incominciato?
Dopo il 9 novembre 1989.
All’annuncio
del responsabile delle pubbliche relazioni della “Sed”, il partito comunista della
Germania Orientale, “Günther Schrabowski”, che rendeva noto che i cittadini
della DDR potevano liberamente recarsi nella Germania federale, e
sostanzialmente cessava così di esistere la frontiera più lugubre ed inumana
del mondo, “Achille Occhetto”, allora segretario del Pci, non perse tempo ed il
12 di novembre agli ex-partigiani della Bolognina, la sezione più gloriosa
della città capofila del comunismo italiano, Bologna, disse che dai fatti nuovi
dell’Est, “dobbiamo
trarre l’incitamento a non continuare su vecchie strade, ma ad inventarne di nuove
per unificare le forze del progresso.
Dal momento che la fantasia politica di questo
fine ‘89 sta galoppando, nei fatti è necessario andare avanti con lo stesso
coraggio che fu dimostrato nella resistenza”.
Una
menzogna colossale dalla quale prese origine il declino del comunismo italiano
e della sinistra.
Non
era una vittoria che si celebrava, ma una sconfitta.
Occhetto
avrebbe dovuto dire la verità.
Ma la
verità nell’etica comunista non è mai stata contemplata.
Tranne in una occasione, quando Lenin diede il
nome alla testata ufficiale del Partito:
Pravda,
che vuol dire appunto Verità, dalle cui colonne produrre propaganda bugiarda.
Davanti
alla prospettiva di avviare la “fase costituente” prospettata da Occhetto, che
significava l’azzeramento del vecchio Pci, i segni della “dissoluzione” si
fecero evidenti.
Il 20
novembre, al Comitato centrale del Partito, il segretario disse: “L’esigenza di una riorganizzazione
complessiva della sinistra scaturisce dalle modificazioni del mondo che mutano
i termini entro i quali si è sviluppata la politica su scala mondiale;
dalla
crisi delle vecchie idee della sinistra dinanzi al manifestarsi di nuove
contraddizioni che introducono nuovi soggetti, nuove idealità e obiettivi di
trasformazione;
dalla esigenza
in Italia, di dar vita ad un nuovo sistema politico che muova nella direzione
dell’alternativa.
In pochi anni tutto può essere messo in
discussione, e la nostra iniziativa può cambiare profondamente il panorama
politico italiano….
Al
nostro congresso abbiamo colto i segni della fine di un’epoca.
L’epoca
dei blocchi, della guerra fredda, dei sistemi contrapposti.
E
abbiamo individuato nel processo democratico, di progressiva democratizzazione
delle nostre società, dei diversi assetti sociali, dei rapporti tra i popoli e
gli Stati l’unica via che può consentirci di affrontare la situazione presente,
e di
avvicinarci a quell’idea di governo mondiale che sempre più sembra divenire
oggi l’unico possibile ideale storico concreto”.
Le
parole di Occhetto segnarono il de profundis del comunismo.
Non indicò prospettive.
Non si
azzardò ad inerpicarsi sulle vette ideologiche da cui guardare più vasti
orizzonti.
Si
limitò comunque a sottolineare una cosa molto importante: la necessità di un governo mondiale.
Nell’idea
del governo mondiale la sinistra si scavò dapprima una tana, poi la tomba.
Sotterraneamente
scoprì che quel mondo non era il suo mondo, tuttavia vi si adattò e fece
dell’internazionalismo comunista il “passe partout” per penetrare nel mondo dei
balocchi liberal-democratico e liberista.
Svendeva un patrimonio culturale e politico
all’ideologia mondialista, senza neppure iscriversi al” Bildberg Club” o alla “Trilaterale”.
L’economista
“Alan Friedman”, definì Occhetto come il leader politico italiano più vicino
allo spirito del neo-capitalismo del quale sembrava aver accettato l’ineluttabilità
del dominio e le lusinghe connesse.
Dalla
“discontinuità” vagheggiata da Occhetto e condivisa dal gruppo dirigente del
Pci – poi Pds, quindi Ds, infine Pd – ricavò sconfitte elettorali e discredito
pubblico.
Il grande patrimonio si assottigliò nelle
elezioni del 1992, mentre nel 1994 subì una disfatta che la sua “gioiosa
macchina da guerra” non avrebbe mai più dimenticato.
Solo nel 1996, un non comunista, Romano Prodi,
accettando di capeggiare la coalizione formata da ex-comunisti ed ex-democristiani,
al culmine del disfacimento del sistema della Prima Repubblica, riuscì a
vincere le elezioni.
Ma
durò poco. Furono
proprio i post- comunisti a disarcionarlo dichiarando così la fine della
sinistra di governo, in una sorta di orgia del potere dalla quale uscirono
vincitori prima Massimo D’Alema e poi Giuliano Amato. Una faida di sinistra in
piena regola.
Da
allora la prospettiva del vuoto si è impossessata della “sinistra diffusa”
italiana.
E cerca occasioni. Che naturalmente non trova.
E nell’impossibilità di creare una nuova identità si
allea con populisti di quart’ordine come il “Movimento Cinque Stelle”,
avventizi raccolti qua e là, gruppetti ondivaghi “riserve” per le “mitiche”
primarie, un’altra invenzione che ha rivelato negli anni il vuoto della
sinistra.
La
sinistra vive un gramo presente, avrebbe detto uno dei suoi guru che le giovani
generazioni neppure conoscono,” György Lukàcs”.
Tutti
coloro che vi militano, in qualche modo, considerano il socialismo una sorta di
“cane morto”, per dirla ancora con il filosofo ungherese.
Essa,
la sinistra italiana ed europea, non è più niente.
Non è
neppure ecologista, tanto che i movimenti che si rifanno alla tutela
dell’ambiente non si riconoscono, dopo una lunga stagione di convivenza, in
essa.
Una
sinistra che non ricominci a pensare a che cosa è stata e che cosa dovrebbe
essere, che non rimetta al centro la sua antica anima, non può esistere.
Al
massimo può aspirare ad un ruolo ancillare del capitalismo, strepitando ogni
tanto per qualche cosiddetto “diritto civile” di cui né il vecchio proletariato
(se esiste ancora), né i ceti medi arrabbiati sembra che siano sensibili quando
manca il lavoro, i salari diminuiscono, le certezze sociali sono state abrogate
e la vita diventa molto più insopportabile per chi ha poco o niente e deve
elemosinare redditi o pensioni di cittadinanza che non risolveranno nessun
problema continuando a depredare le risorse pubbliche.
La
sinistra è morta.
Ma
continuiamo a chiamare così quei residui che siedono da quella parte
dell’emiciclo delle assemblee parlamentare.
Nella società italiana non la riconosce più
nessuno.
Al
punto che nei quartieri benestanti delle grandi città votano per essa, nelle
grandi aree periferiche per la destra o il centrodestra.
Un’inversione di tendenza che spiega perché la
sinistra è finita tra i rottami della storia.
Capitolo
17: Le radici comuniste
della
globalizzazione.
Epochtimes.it
– (10 DICEMBRE 2019) – Redazione – ci dice:
Lo
Spettro del Comunismo non è scomparso con la disintegrazione del Partito
comunista nell'Europa dell'Est.
“The
Epoch Times”
sta pubblicando la traduzione del libro “Come lo Spettro del Comunismo
controlla il nostro mondo”, dagli autori del libro “Nove commentari sul Partito
comunista.”
A
partire dal Rinascimento, la storia umana è entrata in un periodo di grandi
cambiamenti.
La rivoluzione industriale, iniziata alla fine
del XVIII secolo, ha portato a un aumento notevole della produttività, la
situazione di ogni Paese ha subito enormi cambiamenti e la struttura
dell’ordine globale ha attraversato trasformazioni radicali.
Allo
stesso tempo, anche le strutture sociali, il pensiero e le tradizioni religiose
sono cambiate in modo drammatico.
È
stato allora che le fedi tradizionali sono andate in declino, la morale umana
ha cominciato a deteriorarsi, le società sono scivolate nel caos e si sono
persi gli standard universalmente condivisi per giudicare i comportamenti.
Queste sono le condizioni storiche che hanno
messo le basi per la nascita del Comunismo.
Dopo
la rivoluzione bolscevica in Russia nel 1917, l’Internazionale Comunista,
conosciuta come la Terza Internazionale, ha tentato di esportare la rivoluzione
nel mondo.
Il
Partito Comunista degli Stati Uniti è stato fondato nel 1919, mentre il Partito
Comunista Cinese (PCC) nel 1921.
Alla
fine degli anni Venti e all’inizio degli anni Trenta, una depressione economica
globale ha dato un’ulteriore spinta agli ideologi comunisti:
le idee politiche ed economiche nel mondo
hanno iniziato a spostarsi a Sinistra, l’Unione Sovietica ha raggiunto una
certa stabilità e il PCC ha colto l’opportunità per svilupparsi.
Oltre
dieci anni più tardi, nel 1949, il PCC ha preso il potere con la forza in Cina,
portando alla ribalta il Comunismo violento.
L’Unione Sovietica e il PCC governavano allora
decine di Paesi e un terzo della popolazione mondiale:
il confronto con il mondo occidentale era
iniziato e la guerra fredda che ne è seguita è durata mezzo secolo.
La
violenza del Comunismo minaccia in modo evidente tutta l’umanità, ma la maggior
parte delle persone nel mondo libero occidentale sottovaluta la minaccia
rappresentata dagli elementi non violenti del Comunismo, che si sviluppano in
modo silenzioso all’interno delle loro società.
Oltre alle infiltrazioni dell’Unione
Sovietica, ogni sorta di ideologie e movimenti paracomunisti — tra cui la società fabiana e i
socialdemocratici — si sono inseriti, in Occidente, all’interno dei governi,
del mondo degli affari, dell’educazione e della cultura.
Il
movimento di controcultura diffusosi in Occidente durante gli anni ’60, così
come la Rivoluzione culturale cinese, sono entrambi conseguenza degli elementi
comunisti in azione.
Dopo gli anni ’70, le giovani generazioni di
contestatori in Occidente hanno lanciato la ‘lunga marcia attraverso le
istituzioni’, un tentativo di erodere la cultura tradizionale dall’interno, così da
conquistare la leadership sociale e culturale.
Dopo
poco più di un decennio hanno raggiunto un successo spaventoso.
In
seguito alla caduta del muro di Berlino e alla disintegrazione dell’Unione
Sovietica, alcune persone hanno festeggiato la fine di quella fase storica e
dell’ideologia comunista, mentre altri erano preoccupati per lo scontro di
civiltà.
Tuttavia,
in pochi si sono resi conto che il Comunismo stava assumendo nuove forme e
sembianze, nel tentativo di controllare il mondo.
La sua
nuova bandiera sventolante è diventata quella della globalizzazione.
Con la
rivoluzione industriale e lo sviluppo della scienza e della tecnologia, i
movimenti delle persone e i cambiamenti nell’economia, nella politica, nella
scienza, nella tecnologia e nella cultura, sono diventati molto più frequenti.
Le moderne telecomunicazioni, i trasporti, i computer
e le reti digitali hanno ridotto le distanze geografiche e annullato i confini
che erano rimasti in piedi per migliaia di anni.
Il mondo sembra essere diventato piccolo e le
interazioni e gli scambi tra i Paesi sono a livelli senza precedenti.
Il mondo è diventato sempre più unito.
Il
rafforzamento della collaborazione globale è una conseguenza naturale degli
sviluppi tecnologici, dell’espansione della produzione e delle migrazioni.
Questo tipo di globalizzazione è il risultato di un
processo storico naturale.
Esiste
però un altro tipo di globalizzazione:
è il frutto di ideologie comuniste che hanno fatto
deviare il naturale processo storico della globalizzazione, per danneggiare
l’umanità.
Questa seconda forma di globalizzazione è
l’oggetto di questo capitolo.
L’essenza
della globalizzazione di stampo comunista si trova nella rapida e ampia
diffusione di tutti i peggiori aspetti dei regimi comunisti e non comunisti.
I mezzi utilizzati comprendono operazioni
politiche, economiche, finanziarie e culturali su larga scala, che cancellano
rapidamente i confini tra nazioni e popoli: l’obiettivo è quello di distruggere
la fede, la morale e le culture tradizionali, elementi dai quali l’umanità
dipende per la sopravvivenza e per la propria redenzione.
Tutte
queste misure mirano a distruggere l’umanità.
In
questo libro viene sottolineato come il Comunismo non sia solo una teoria, ma
uno spettro malvagio.
È
qualcosa di vivo, e il suo scopo finale è distruggere l’umanità.
Lo
spettro non si attiene ad una sola ideologia politica, bensì, quando le condizioni
lo permettono, tende a utilizzare anche teorie politiche ed economiche che
appaiono essere contrarie alla normale ideologia comunista.
Dagli anni ’90 in poi, la globalizzazione ha
affermato di promuovere la democrazia, l’economia di mercato e il libero
scambio; è stata quindi contestata da diversi gruppi di Sinistra.
Tuttavia,
questi gruppi di Sinistra non si rendono conto che lo spettro comunista sta
operando a un livello superiore.
La
globalizzazione economica, la politica globale, l’Agenda 21 e varie convenzioni
ambientali e internazionali sono tutti diventati strumenti per controllare e
distruggere l’umanità.
La
globalizzazione, nota anche come globalismo, manipolata dallo spettro comunista
ha fatto
progressi sorprendenti in diversi settori, utilizzando una varietà di mezzi in
tutto il mondo.
Questo
capitolo discute gli aspetti economici, politici e culturali di questa forma di
globalizzazione.
I tre
aspetti della globalizzazione appena enunciati si sono fusi nell’ideologia
secolare del globalismo.
Questa ideologia si presenta in modi diversi
in tempi diversi e talvolta utilizza contenuti contraddittori.
Nella
pratica, però, le sue caratteristiche sono molto simili al Comunismo.
Fondato sull’ateismo e sul materialismo, il globalismo
promette una splendida utopia, un regno dei Cieli sulla terra, ricco,
egalitario e libero dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalla
discriminazione: un regno gestito da un benevolo governo globale.
Questa”
ideologia global-comunista esclude la cultura tradizionale di qualsiasi gruppo
etnico, basata sulla fede in Dio e sull’insegnamento della virtù.
Negli ultimi anni è divenuto sempre più
evidente come questa ideologia si basi sulla ‘correttezza politica’, sulla
‘giustizia sociale’, sulla ‘neutralità dei valori’ e sull’’egalitarismo
assoluto’ della Sinistra.
Questa
è la globalizzazione dell’ideologia.
Ogni
Paese ha la propria cultura, anche se, tradizionalmente, ognuna di esse era
basata su valori universali.
La sovranità
nazionale e le tradizioni culturali di ogni gruppo etnico svolgono un ruolo
importante nel patrimonio nazionale e nell’autodeterminazione e offrono
protezione a tutti i gruppi etnici dall’infiltrazione di forze esterne,
compreso il Comunismo.
Una
volta formato un supergoverno globale, il Comunismo raggiungerà facilmente il
suo obiettivo di eliminare la proprietà privata, le nazioni, le etnie e la
cultura tradizionale di ogni nazione.
La
globalizzazione e il globalismo stanno svolgendo un ruolo distruttivo:
stanno
minando le tradizioni e l’etica umana e stanno portando alla diffusione delle
ideologie del Comunismo e della Sinistra.
Rivelare le radici comuniste della
globalizzazione e le somiglianze tra globalismo e Comunismo è un compito
spinoso ma estremamente importante e urgente.
1.
Globalizzazione e Comunismo.
Marx
non usò il concetto di globalizzazione nei suoi scritti, bensì quello di “ìstoria
universale”, dalle connotazioni molto simili.
Nel
Manifesto del Partito Comunista, Marx sostiene che l’espansione globale del
Capitalismo avrebbe inevitabilmente prodotto un gran numero di proletari,
portando poi a una rivoluzione proletaria in tutto il globo, che avrebbe
rovesciato il Capitalismo e realizzato il “paradiso” del Comunismo.
Marx scrisse: «Il proletariato può dunque
esistere soltanto sul piano della storia universale, così come il Comunismo,
che è la sua azione, non può affatto esistere se non come esistenza “storica
universale”».
Il senso è che la realizzazione del Comunismo
dipende dall’azione congiunta del proletariato in tutto il mondo:
la rivoluzione comunista deve essere un
movimento globale.
Lenin
in seguito modificò la dottrina di Marx, proponendo che la rivoluzione potesse
essere iniziata dall’anello debole del Capitalismo (la Russia), ma nonostante
questo i comunisti non rinunciarono mai all’obiettivo di una rivoluzione
mondiale.
Già nel 1919, i comunisti sovietici fondarono
l’”Internazionale comunista a Mosca” con filiali sparse in più di sessanta
Paesi.
Lenin disse allora che l’obiettivo dell’”Internazionale
Comunista” era quello di fondare la” Repubblica sovietica mondiale”.
Il
pensatore americano “G. Edward Griffin” riassume i cinque obiettivi della
rivoluzione globale comunista proposta da Stalin nel suo libro “Marxismo ed
etnie”:
Confondere,
disorganizzare e distruggere le forze del Capitalismo in tutto il mondo.
Riunire
tutte le nazioni in un unico sistema mondiale di economia.
Forzare
i Paesi avanzati a versare aiuti finanziari prolungati a beneficio dei Paesi
sottosviluppati.
Dividere
il mondo in gruppi regionali come fase di transizione al governo mondiale
totale.
Le
popolazioni abbandoneranno più facilmente la loro lealtà nazionale per una vaga
lealtà regionale di quanto non lo faranno per un’autorità mondiale.
Più
tardi, le realtà regionali [come la NATO, SEATO e l’Organizzazione degli Stati
americani, ndr] potranno creare un’unica dittatura mondiale del proletariato.
“William
Z. Foster”, ex presidente del “Partito Comunista Americano”, ha scritto:
«Un mondo
comunista sarà un mondo unificato e organizzato.
Il sistema economico sarà una grande
organizzazione, basata sul principio di pianificazione che sta nascendo in URSS.
Il governo sovietico americano sarà una
sezione importante in questo governo mondiale».
Da
Marx, Lenin, Stalin e Foster alla ‘comunità dal futuro condiviso’ proposta dal “Partito Comunista
Cinese”, si può notare chiaramente come il Comunismo non sia soddisfatto del
potere che esercita in alcuni singoli Paesi: l’ideologia del Comunismo, dal suo
inizio alla sua fine, include l’ambizione di conquistare tutta l’umanità.
La
rivoluzione mondiale proletaria predetta da Marx non ha avuto luogo.
Quello che riteneva essere “un Capitalismo disperato e morente”, si è invece rivelato trionfante, prospero
e fiorente.
Rimasto
vivo solo in Cina e in pochi altri Paesi, dopo il crollo del Comunismo
sovietico e in Europa orientale, il Comunismo sembrava andare incontro alla sua
fine.
In apparenza “il mondo libero” aveva vinto.
Eppure,
mentre l’Occidente si illudeva che il Comunismo sarebbe stato cestinato nella
discarica della storia, la tendenza al Socialismo (la fase primaria del
Comunismo) rimaneva fiorente.
Il
fantasma comunista non era e non è morto.
Si
nasconde dietro varie dottrine e movimenti mentre corrode ogni angolo del mondo
libero e vi si infiltra.
Si tratta forse di un caso? Certo che no.
La globalizzazione appare come un processo
formatosi naturalmente, ma il ruolo del Comunismo sta diventando sempre più
evidente nella sua evoluzione.
Il Comunismo è infatti una delle” ideologie guida
della globalizzazione”.
Dopo
la Seconda guerra mondiale, le forze di Sinistra dei Paesi europei hanno
continuato a crescere.
L’Internazionale
socialista, che ha sostenuto il Socialismo democratico, comprendeva partiti
politici di oltre cento Paesi.
Questi
partiti erano al potere in vari Paesi, e si sono perfino diffusi in gran parte
dell’Europa.
Quello
che ne è seguito, ovvero un alto livello di sussidi pubblici, tasse elevate e
nazionalizzazioni, ha interessato l’Europa nel suo complesso.
La
globalizzazione ha svuotato l’industria americana, ridotto la classe media,
portato alla stagnazione i redditi, polarizzato ricchezza e povertà, indotto
spaccature sociali.
Tutto
ciò ha fortemente promosso “la crescita della Sinistra e del Socialismo” negli Stati Uniti, spostando
bruscamente le tendenze politiche globali dell’ultimo decennio o giù di lì.
Le forze di Sinistra in tutto il mondo
sostengono che la globalizzazione abbia causato disuguaglianza di reddito e
polarizzazione tra ricchi e poveri.
In parallelo a queste tesi, il sentimento
anti-globalizzazione è cresciuto rapidamente, diventando una nuova forza che
intende resistere al Capitalismo e che chiede il Socialismo.
Dopo
la Guerra fredda, gli ideali comunisti si sono infiltrati all’interno della
globalizzazione economica.
L’obiettivo era di smantellare le economie
nazionali e rendere instabile la sovranità economica di ogni Paese.
Lo scopo ultimo era arricchire il Partito
comunista cinese, sfruttando l’avidità umana e le potenze finanziarie
occidentali, che hanno spostato in Cina la propria ricchezza accumulata nel
corso di diverse centinaia di anni.
Il PCC ha poi utilizzato questa ricchezza per
incatenare moralmente altri Paesi e trascinarli verso il basso.
Come
capo delle forze comuniste nel mondo di oggi, il PCC rafforza costantemente la
sua crescita economica;
allo
stesso tempo dispensa aiuti ai partiti di Sinistra e comunisti di tutto il
mondo per mantenerli in forze.
Il PCC usa il suo dominio totalitario per
destabilizzare le regole del commercio mondiale e usa la ricchezza che ha
ottenuto dal Capitalismo globale per rafforzare il Socialismo.
La
forza economica del PCC ha anche stimolato le sue ambizioni politiche e
militari di esportazione del modello comunista in tutto il mondo.
Da una
prospettiva globale, sia “la Sinistra anti-globalizzazione che il PCC”, che ha
beneficiato della globalizzazione, sono cresciuti in nome della globalizzazione
stessa.
Infatti,
lo statu quo del mondo di oggi è molto vicino all’obiettivo che Stalin aveva
proposto in passato.
2. La
globalizzazione economica.
La
globalizzazione economica si riferisce all’integrazione del capitale, della
produzione e del commercio a livello globale: ha avuto inizio negli anni ’40 e
’50, si è sviluppata negli anni ’70 e ’80, e si è affermata come prassi negli
anni ’90.
In
questo processo, le organizzazioni internazionali e le aziende multinazionali
sono state le forze trainanti che hanno condotto, con le loro pressioni,
all’allentamento delle regolamentazioni e dei controlli, per consentire il
libero flusso di capitali.
In
superficie, la globalizzazione economica è stata promossa dai Paesi occidentali
allo scopo di diffondere il Capitalismo in tutto il mondo.
In
realtà, la globalizzazione è poi diventata un veicolo per diffondere il
Comunismo.
In particolare, ha portato i Paesi occidentali
a fornire sostegno finanziario al regime cinese, determinando una dipendenza
reciproca tra l’economia di mercato capitalista e l’economia totalitaria
socialista del PCC.
In cambio di benefici economici, l’Occidente
ha sacrificato la propria coscienza e i valori universali, mentre il regime
comunista ha espanso il proprio potere sugli altri Paesi attraverso la
coercizione economica, portando a una situazione in cui il Comunismo sembrava
destinato a conquistare il dominio globale.
a.) La
globalizzazione genera economie di stampo comunista.
La
globalizzazione ha trasformato l’economia globale in un’unica grande entità
economica.
Tramite questo processo abbiamo oggi
organizzazioni internazionali, trattati internazionali e regolamenti
internazionali.
In apparenza sembra che si tratti
dell’espansione del Capitalismo e del libero mercato.
La
realtà è che è stato formato un” sistema di controllo economico unificato”, in
grado di emettere ordini che determinano il destino delle aziende di molti
Paesi.
Questo
equivale a formare un sistema economico totalitario centralizzato: qualcosa di
altamente in linea con l’obiettivo di Stalin di unire tutti i Paesi per formare
un unico sistema economico.
In
seguito alla costituzione di questo ordine finanziario internazionale, si è
venuta a creare una situazione in cui gli aiuti economici dai Paesi sviluppati
ai Paesi in via di sviluppo diventano una realtà costante per un lungo periodo.
Questo
era esattamente il terzo obiettivo di Stalin.
Per
quanto riguarda il sostegno finanziario, le organizzazioni finanziarie
internazionali di solito attuano interventi macroeconomici all’interno
dell’economia del Paese che riceve assistenza.
Il metodo utilizzato è dittatoriale:
non
solo viene imposto forzatamente, ma tende a ignorare anche le condizioni
sociali, culturali e storiche del Paese beneficiario.
Il
risultato è una restrizione delle libertà e un controllo più centralizzato.
Lo studioso americano “James Bovard” ha scritto che la
“Banca Mondiale “«ha fortemente promosso la nazionalizzazione delle economie
del Terzo Mondo e ha intensificato il controllo politico e burocratico sulla
vita dei più poveri tra i poveri».
D’altra
parte, la globalizzazione economica ha creato un’economia globale omogenea, portando
a maggiori conformità nelle tendenze dei consumatori, assieme a meccanismi
unificati di produzione e consumo.
Le piccole imprese, in particolare i negozi
tradizionali di arti e mestieri, hanno sempre meno spazio per riuscire a
sopravvivere.
Molte
piccole imprese, assieme a quelle associate a gruppi etnici locali, sono state
semplicemente spazzate via.
Sempre
più persone hanno perso l’ambiente adatto e quindi la possibilità di impegnarsi
liberamente nel commercio all’interno dei propri confini nazionali.
I
Paesi in via di sviluppo diventano parte di una catena di produzione globale,
cosa che indebolisce la sovranità economica delle singole nazioni e in alcuni
casi porta al fallimento dello Stato.
Alcuni
Paesi sono gravati dal debito e dalla necessità di ripagare i prestiti, il che
mina le fondamenta di una libera economia capitalistica.
b.) La
globalizzazione promuove il Comunismo nei Paesi in via di sviluppo.
All’inizio
degli anni 2000, la Giamaica ha aperto i suoi mercati, iniziando a importare
grandi quantità di latte vaccino a basso costo.
Il
latte è diventato quindi un bene a buon mercato, con la conseguenza di mandare
in bancarotta gli allevatori locali, incapaci di sopravvivere alla marea di
importazioni a basso costo.
Il Messico aveva numerosi impianti di
produzione industriale leggera, ma dopo l’ingresso della Cina nell’”Organizzazione
Mondiale del Commercio” (OMC) la maggior parte di quei posti di lavoro sono
scomparsi, trasferiti proprio in Cina.
Il Messico ha accusato il colpo in quanto non
aveva capacità produttive di alto livello.
L’Africa è ricca di minerali, ma con l’arrivo
degli investimenti stranieri, i minerali africani sono stati estratti ed
esportati all’estero, con un guadagno economico molto basso per i residenti
locali.
Gli
investimenti esteri portano inoltre alla corruzione che influenza i governi.
La
globalizzazione dovrebbe portare la democrazia in quei Paesi, ma in realtà ha
consegnato il potere a dittature corrotte.
In
molti luoghi, la povertà è aumentata.
Secondo quanto affermava la “Banca Mondiale” nel 2015, «oltre la metà di chi vive in
condizione di povertà estrema si trova nell’Africa subsahariana».
Inoltre,
«il numero
dei poveri presenti nella regione è aumentato di 9 milioni, con 413 milioni di
persone che nel 2015 vivevano con meno di 1,90 dollari al giorno…».
Durante
la recente crisi economica asiatica, la Thailandia ha aperto il suo debole
sistema finanziario agli investimenti internazionali:
il risultato è stato una prosperità
temporanea.
Tuttavia,
una volta che gli investimenti stranieri sono spariti, l’economia tailandese si
è bloccata, influenzando negativamente i Paesi vicini.
Con lo
sviluppo delle tecnologie di comunicazione e dei trasporti, la Terra è diventata un unico
villaggio.
La
globalizzazione prometteva di portare prosperità finanziaria e valori
democratici all’interno di questo villaggio globale;
tuttavia, come ha dichiarato il professor” Dani
Rodrik” della “John F. Kennedy School of Government “di Harvard, c’è un
“trilemma” presente nella globalizzazione:
«Non
possiamo contemporaneamente perseguire la democrazia, la determinazione
nazionale e la globalizzazione economica».
Si
tratta di una lacuna nascosta della globalizzazione, qualcosa che il Comunismo
ha sfruttato.
I
benefici e le opportunità offerte dalla globalizzazione sono limitati a un
numero ristretto di persone.
La globalizzazione ha artificialmente
aggravato le disuguaglianze e non è in grado di risolvere i problemi a lungo
termine causati dalla povertà.
La
globalizzazione ha eroso la sovranità nazionale, esacerbato le turbolenze
regionali e generato conflitti tra “oppressore” e “oppresso”.
Le
nozioni di oppressione, sfruttamento, disuguaglianza e povertà sono infatti
armi che la Sinistra usa per combattere il Capitalismo, poiché il concetto
della resistenza degli oppressi nei confronti dell’oppressore è tipico del
Comunismo.
L’ideologia comunista dell’egualitarismo e
l’ethos della lotta si sono quindi diffusi in tutto il mondo insieme alla
globalizzazione.
c.) La
globalizzazione porta alla polarizzazione della ricchezza, favorendo così la
presenza dell’ideologia comunista.
Il
gigantesco deflusso di industrie e posti di lavoro ha portato la classe operaia
e la classe media dei Paesi occidentali a diventare vittime della
globalizzazione.
Prendiamo
l’America, come esempio:
con l’enorme fuga di capitali e tecnologia
verso la Cina, sono andati persi numerosi posti di lavoro nel settore
manifatturiero, con conseguente perdita di industrie e aumento del tasso di
disoccupazione.
Dal
2000 al 2011, circa 5 milioni e 700 mila lavoratori del settore manifatturiero
hanno perso il loro posto di lavoro e circa 65 mila fabbriche hanno chiuso i
battenti.
Il divario tra ricchi e poveri è in costante
aumento negli Stati Uniti e, negli ultimi trent’anni, la crescita del salario
medio (corretto in base all’inflazione) ha subito un rallentamento, portando
all’emergere dei cosiddetti ‘lavoratori poveri’:
coloro che lavorano o cercano lavoro per
ventisette settimane all’anno, ma il cui reddito è inferiore al livello
ufficiale di povertà.
Nel 2016 circa 7 milioni e 600 mila americani
sono stati annoverati tra i lavoratori poveri.
La
polarizzazione tra ricchi e poveri è il terreno in cui il Comunismo può
germogliare.
I problemi economici non si limitano al solo
ambito economico, ma continuano ad espandersi.
La
richiesta di ‘giustizia sociale’ e di una soluzione all’ingiusta distribuzione
del reddito è proprio il fattore che porta all’arrivo di un’ondata di ideologia
socialista. Nel frattempo, anche la domanda di assistenza sociale aumenta, cosa
che crea a sua volta famiglie più povere e, in ultima istanza, forma un circolo
vizioso.
A
partire dal 2000, il raggio di azione della politica degli Stati Uniti si è
sempre più aperto all’influenza di Sinistra.
Durante
le elezioni del 2016, la richiesta di Socialismo era in crescita, così come la
polarizzazione politica.
In larga misura, l’impatto della
globalizzazione è da considerarsi alla base di questi cambiamenti.
Da un
punto di vista storico, maggiore è il disagio in cui si trovano le società
democratiche occidentali, più forte il Comunismo si presenta sul palcoscenico
mondiale.
d.)
L’opposizione alla globalizzazione promuove l’ideologia comunista.
Con
l’avanzata della globalizzazione sono arrivate anche le campagne
anti-globalizzazione, segnate dalle violente proteste avvenute il 30 novembre
1999 a Seattle, contro la Conferenza ministeriale dell’OMC.
In seguito, tre grandi conferenze
internazionali tenutesi nel 2001 (il vertice delle Americhe in Québec, Canada;
il vertice dell’Unione Europea a Göteborg, Svezia; e il vertice del G8 a Genova),
hanno visto esplodere manifestazioni violente.
Nel 2002 a Firenze si è tenuta una
manifestazione anti-globalizzazione su larga scala senza precedenti, con circa
un milione di partecipanti.
Le
campagne anti-globalizzazione in tutto il mondo attirano partecipanti
provenienti da diversi contesti.
La stragrande maggioranza di loro è di
Sinistra e oppositori del Capitalismo, come i sindacati, le organizzazioni
ambientaliste (anch’esse infiltrate da elementi comunisti), le vittime della
globalizzazione e il ceto sociale degli svantaggiati.
Il risultato è che il pubblico, contando sia i
sostenitori che gli oppositori della globalizzazione, collabora
inavvertitamente ai fini del Comunismo.
e.) Il
Capitalismo occidentale ha rafforzato il Partito Comunista Cinese.
Nel
valutare i successi o i fallimenti della globalizzazione, gli studiosi citano
spesso la Cina come esempio di successo.
La
Cina sembrava aver tratto grandi benefici dalla globalizzazione e si è imposta
rapidamente come seconda economia mondiale.
Molti
prevedevano che la Cina avrebbe infine preso il posto degli Stati Uniti.
A
differenza del modello messicano della manodopera a bassissimo costo, il PCC
cerca di mettere le mani sulla tecnologia più avanzata dall’Occidente, per poi
superare i concorrenti.
In
cambio della vendita sul mercato cinese, il PCC richiede alle imprese dei Paesi
sviluppati di creare joint venture, che poi utilizza per ottenere informazioni
sulle tecnologie più importanti.
Il PCC ha adottato numerosi metodi a tal fine,
dai trasferimenti di tecnologia a veri e propri furti, avvenuti mediante
operazioni di pirateria informatica.
Una volta conseguite queste tecnologie
avanzate, il PCC ha bombardato il mercato mondiale con prodotti a basso prezzo.
Inoltre, grazie a sconti e sovvenzioni
all’esportazione, il PCC ha sconfitto i concorrenti proponendo di fatto prezzi
inferiori a quelli di mercato e portando a uno sconvolgimento dei mercati
liberi.
In
più, a differenza di altri Paesi non sviluppati che hanno aperto i loro mercati
interni, il PCC ha creato molteplici barriere commerciali.
Dopo
l’adesione all’OMC, il PCC ha approfittato sia delle regole
dell’organizzazione, sia del processo della globalizzazione, per attuare un
dumping sui prodotti all’estero.
Calpestando le regole dell’OMC, il regime ha
portato a casa notevoli vantaggi economici.
Il Partito, del resto, non ha aperto i propri settori
chiave — tra i quali telecomunicazioni, banche e energia — il che, a sua volta,
ha permesso alla Cina di trarre vantaggio dall’economia globale, pur rinnegando
gli impegni presi.
I
profitti economici hanno portato il mondo occidentale a farsi comprare dalla
Cina e, come conseguenza, a non vedere e non sentire tutto quello che ruota
attorno alle violazioni dei diritti umani.
Infatti, mentre il PCC continua a violare i
diritti umani, la comunità internazionale continua ad accordare generosi
trattamenti di favore al regime.
Nel
bel mezzo della globalizzazione, il PCC è un’entità potente; aggiungendo poi la bancarotta
morale in cui si trova la società cinese, l’economia di mercato e le regole del
commercio in Occidente hanno ricevuto un colpo tremendo.
Il PCC ha demolito le regole e ha raccolto
tutti i frutti della globalizzazione.
In un certo senso, la globalizzazione è stata
come una trasfusione di sangue fresco per il PCC, che ha permesso a uno Stato
comunista in via di estinzione di tornare in vita.
Dietro
la manipolazione della globalizzazione c’è lo scopo nascosto di sostenere il
PCC attraverso la riallocazione della ricchezza. Nel frattempo, il PCC è stato
in grado di accumulare profitti in modo illecito, mentre compie tuttora le
peggiori violazioni dei diritti umani.
La
globalizzazione è stata un processo che ha portato non solo al salvataggio del
PCC, ma anche alla legittimazione del regime comunista cinese.
Mentre il Partito ha messo su nuovi “muscoli”
socialisti grazie alle “sostanze nutritive” capitaliste, l’Occidente è caduto
in relativo declino, cosa che ha incrementato la convinzione del PCC nel
perseguire il Totalitarismo comunista e le sue ambizioni globali.
L’ascesa
della Cina ha infatti entusiasmato molti socialisti e membri della Sinistra in
tutto il mondo.
Con la
crescita della sua economia, il PCC ha intensificato gli sforzi per infiltrarsi
nelle organizzazioni economiche globali, tra cui l’OMC, il FMI, la Banca
Mondiale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale e
altre ancora.
Quando
i funzionari del Partito ottengono una posizione importante all’interno di
queste organizzazioni, possono sostenere le strategie del PCC e a difenderne le
politiche.
Il PCC
si avvale di organizzazioni economiche internazionali per portare avanti i
propri interessi economici e il proprio modello corporativista di matrice
fascista.
Se le sue ambizioni non verranno fermate, non
c’è dubbio che il regime porterà disastri alla politica e all’economia globale.
Quanto
sopra sono solo alcuni esempi di come la globalizzazione economica sia stata
usata per promuovere e diffondere il Comunismo.
Con i
progressi nelle telecomunicazioni e nei trasporti, le attività economiche si
estendono ora oltre i confini nazionali.
Questo
può anche essere considerato un processo naturale, ma in questo caso si è
trasformato in un’opportunità per il PCC di incamminarsi sul sentiero del
dominio globale.
È
giunto il momento per la comunità internazionale di fare attenzione a ciò che
sta accadendo e di liberare la globalizzazione dagli elementi comunisti.
In questo modo, la sovranità dei singoli Stati
e il benessere di ciascun popolo avranno la possibilità di divenire realtà.
3.) La
globalizzazione politica.
A
livello politico, la globalizzazione si manifesta con l’aumento della
cooperazione tra i Paesi, l’emergere di organizzazioni internazionali, la
creazione di programmi politici e di trattati internazionali, la restrizione
della sovranità nazionale e un graduale trasferimento di potere dagli Stati
sovrani alle organizzazioni internazionali.
A seguito della creazione delle istituzioni
internazionali e di norme e regolamenti che trascendono i confini nazionali,
queste istituzioni hanno iniziato a violare la vita politica, culturale e
sociale dei singoli Paesi.
Il potere politico inizia infatti a concentrarsi in
un’istituzione internazionale simile a un governo globale, che erode la
sovranità nazionale, indebolisce le credenze tradizionali e le basi morali di
società fino ad allora distinte e mina la cultura tradizionale, sovvertendo le
regole di condotta convenzionali a livello internazionale.
Tutto
questo fa parte del graduale avanzamento del programma comunista.
Durante
questo processo, il Comunismo promuove e usa le organizzazioni internazionali
per rafforzare gli elementi comunisti, diffondendo al contempo la propria
filosofia di lotta e le sue idee distorte in merito ai diritti umani e alle
libertà;
sostiene
così le idee socialiste su scala globale, ridistribuisce la ricchezza e cerca
di costruire un governo globale che porti l’umanità sulla via del
Totalitarismo.
a.)
L’ONU ha ampliato il potere politico del Comunismo.
L’Organizzazione
delle Nazioni Unite, istituita dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è la
più grande organizzazione internazionale al mondo, inizialmente creata per
rafforzare la cooperazione e il coordinamento tra i Paesi.
Come entità sovranazionale, le Nazioni Unite sono in
armonia con l’obiettivo del Comunismo di eliminare i singoli Stati e sono state
utilizzate per aumentare il potere del Comunismo.
Fin
dagli inizi, le Nazioni Unite sono diventate uno strumento utilizzato dal
Comunismo sovietico:
un
palcoscenico del Partito Comunista su cui auto promuoversi e promuovere l’idea
comunista di un governo mondiale.
In
occasione dell’istituzione dell’ONU venne redatto lo Statuto (o Carta) delle
Nazioni Unite.
L’allora Unione Sovietica era uno dei Paesi
promotori e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza:
svolgeva
un ruolo di primo piano.
“Alger Hiss”, redattore della Carta e
segretario generale della” Conferenza della Carta delle Nazioni Unite”, nonché
funzionario del “Dipartimento di Stato americano” e importante” consigliere di
Roosevelt”, fu in seguito accusato di essere una spia sovietica e infine
condannato per falsa testimonianza nel contesto delle accuse a lui rivolte.
I punti di debolezza presenti nella Carta e
nelle convenzioni delle Nazioni Unite costituiscono elementi vantaggiosi per i
regimi comunisti e probabilmente hanno molto a che fare con l’operato di “Hiss”.
A capo
di molte importanti agenzie delle Nazioni Unite vi sono comunisti o
simpatizzanti del Comunismo.
Molti
segretari generali delle Nazioni Unite sono stati socialisti e marxisti.
“Trygve
Lie”, il primo segretario generale, era un socialista norvegese, fortemente
sostenuto dall’Unione Sovietica.
Il suo compito più importante è stato quello
di far entrare il Partito Comunista Cinese nelle Nazioni Unite.
Il suo successore, “Dag Hammarskjöld”, era un
socialista favorevole a una rivoluzione comunista globale; si è adoperato
spesso per adulare “Zhou Enlai”, funzionario di alto livello del PCC.
Il
terzo segretario generale,” U Thant, proveniva dal Myanmar (ex Birmania):
era un
marxista che credeva che gli ideali di Lenin fossero coerenti con la Carta
delle Nazioni Unite.
Il
sesto segretario generale, “Boutros Boutros-Ghali”, era al tempo vicepresidente
dell’Internazionale Socialista.
Non è
quindi difficile capire perché i leader dei regimi comunisti ricevano
regolarmente trattamenti di cortesia dalle Nazioni Unite.
Molte
convenzioni delle Nazioni Unite sono di fatto diventate strumenti per
promuovere, direttamente o indirettamente, le idee comuniste ed espandere il
potere comunista.
La più
alta missione delle Nazioni Unite è quella di mantenere la pace e la sicurezza
nel mondo.
Le forze di pace delle Nazioni Unite sono
sotto la responsabilità del Dipartimento per gli Affari Politici.
Quattordici persone hanno diretto il
dipartimento dal 1946 al 1992 e di queste tredici erano cittadini sovietici.
Il
regime comunista sovietico ha continuato a cercare di espandere il potere
comunista, senza avere alcun interesse reale nel contribuire alla pace nel
mondo.
Pertanto,
anche se il dipartimento ha utilizzato slogan come «salvaguardare la pace nel
mondo», l’obiettivo centrale era la promozione degli interessi del Comunismo.
Semplicemente,
sostenere un’organizzazione filosocialista si conformava ai suoi obiettivi.
A quel
tempo, degli agenti comunisti si erano infiltrati negli Stati Uniti.
Il
direttore dell’”FBI”” J. Edgar Hoove” dichiarò nel 1963 che i diplomatici
comunisti assegnati alle Nazioni Unite «rappresentano la spina dorsale delle
operazioni di intelligence russa in questo Paese».
Dopo
il crollo dell’ex regime comunista sovietico, la sua ‘eredità’ aleggiava ancora
nelle Nazioni Unite:
«Gli occidentali che lavoravano alle Nazioni
Unite […] si sono trovati circondati da quella che molti hanno definito una
mafia comunista».
Il PCC
utilizza le Nazioni Unite come strumento di propaganda.
Ognuno
dei cinque Stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza ha un
sottosegretario generale delle Nazioni Unite.
Sebbene
il sottosegretario generale delle Nazioni Unite non possa più rappresentare gli
interessi di un singolo Paese, il segretario generale, nel momento in cui
rappresenta gli interessi sociali ed economici del PCC, sostiene di fatto
l’ideologia del PCC.
I più
alti funzionari delle Nazioni Unite, compreso il segretario generale stesso,
hanno promosso infatti l’”iniziativa One Belt, One Road” [chiamata anche Nuova
Via della Seta, NdT] del PCC presentandola come uno strumento per affrontare la
povertà nei Paesi in via di sviluppo.
Il
progetto “One Belt, One Road è considerato da molti Paesi come un’arma che mira
ad espandere l’egemonia del PCC e ha lasciato molti Paesi in una profonda crisi
del debito.
Ad esempio lo “Sri Lanka” ha dovuto prestare
un importante porto al PCC per novantanove anni, allo scopo di saldare il
proprio debito.
Per lo
stesso motivo, il Pakistan ha dovuto chiedere aiuto al Fondo Monetario
Internazionale.
Questa
“Nuova Via della Seta” porta al controllo, da parte del PCC, delle realtà
politiche e dell’economia dei Paesi che vi partecipano, oltre ad entrare in
conflitto con i diritti umani e la democrazia;
per
questo motivo molti Paesi stanno schiacciando il freno.
Nonostante
questo, a causa dell’influenza politica del PCC, gli alti funzionari delle
Nazioni Unite hanno promosso attivamente il progetto.
b.)
L’ideologia comunista ha sovvertito gli ideali dell’ONU sui diritti umani.
Uno
degli obiettivi delle Nazioni Unite è quello di promuovere le libertà e i
diritti umani, riconosciuti come universali.
Il
PCC, insieme ad altri regimi corrotti, nega l’universalità dei diritti umani.
Al
contrario, sostiene che i diritti umani siano “affari interni”, in modo tale da
poter nascondere la sua storia, costellata di persecuzioni e abusi.
Arriva
persino a elogiare sé stesso per aver garantito il diritto alla sussistenza al
popolo cinese.
Il PCC
ha usato la piattaforma delle Nazioni Unite per attaccare i valori democratici
dell’Occidente, facendo leva sulle alleanze con i Paesi in via di sviluppo,
così da sovvertire gli sforzi delle nazioni libere nel promuovere i valori
universali.
A causa
della manipolazione attuata dai fattori comunisti, l’ONU non solo ha fatto poco
per migliorare i diritti umani, ma spesso è stato usato dai regimi comunisti
per mascherare gli scarsi risultati in questo campo.
Molti
ricercatori hanno documentato come l’ONU abbia tradito i propri ideali. Nate
all’ombra dell’Olocausto, le Nazioni Unite non fanno nulla di fronte ai
genocidi.
Lo
scopo originario delle Nazioni Unite era quello di opporsi agli aggressori e
proteggere i diritti umani.
Per agire in tal senso, l’esercizio del
giudizio morale doveva essere una premessa necessaria; eppure le Nazioni Unite
attuali rifiutano di esprimere giudizi morali.
“Dore
Gold,” ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite e autore di “Tower of
Babble”: “How the United Nations Has Fueled Global Chaos”, [La Torre di Babele:
come le Nazioni unite hanno fomentato il disordine globale] ha affermato:
«L’ONU
non è una entità benigna che opera a livello mondiale, bensì qualcosa di
inefficace.
Ha
effettivamente accelerato e diffuso il caos nel mondo».
“Gold”
ha fornito numerose prove, tra cui la «neutralità dei valori» dell’ONU,
l’immoralità dell’«equivalenza morale» e del «relativismo morale», la
corruzione, i Paesi con scarsi risultati in materia di diritti umani ma che
svolgono ruoli principali nella Commissione per i diritti umani, i Paesi non
democratici che hanno la maggioranza dei voti e i regimi comunisti che
esercitano il controllo.
Secondo
“Gold”, le Nazioni Unite sono un «abietto fallimento» e sono «dominate da forze
anti-occidentali, dittature, Stati che sponsorizzano il terrorismo, e dai
peggiori nemici dell’America, […]tradendo così i nobili ideali dei fondatori
dell’ONU».
La”
Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite “ha adottato la politica
del voto a maggioranza.
Tuttavia, i Paesi che non hanno una buona
reputazione in materia di diritti umani possono diventare Stati membri e
persino sovrintendere al Consiglio per i Diritti Umani, rendendo quindi inutile
le sue analisi.
Il PCC
ha poi di fatto comprato molti Paesi in via di sviluppo, facendo sì che le
critiche verso lo stato dei diritti umani in Cina — portate avanti dagli Stati
Uniti attraverso le Nazioni Unite — venissero ripetutamente accantonate.
La tirannia democratica intrinseca alle Nazioni Unite
ha permesso che le votazioni siano oggi uno strumento usato dalle forze
comuniste per opporsi alle nazioni libere su molte questioni.
Questo
ha portato gli Stati Uniti a ritirarsi più volte dal Consiglio dei Diritti
Umani. L’Occidente
vuole promuovere la libertà e i diritti umani, ma è stato ripetutamente
bloccato dai Paesi comunisti.
Il “Consiglio
per i Diritti Umani” è andato fuori strada, guidato da regimi corrotti, mentre
le cosiddette convenzioni internazionali, sebbene adottate, non hanno fatto
nulla per vincolare i Paesi totalitari.
Questi Paesi si limitano a ripetere degli slogan, ma
non attuano le politiche necessarie.
Non è
quindi difficile capire come la “Carta delle Nazioni Unite” sia molto simile
alla” Costituzione sovietica” e in diretta opposizione alla “Costituzione degli
Stati Uniti”.
Il suo scopo non è quello di proteggere i
diritti delle persone, ma di servire i bisogni dei governanti.
Ad esempio, alcune disposizioni della “Costituzione
sovietica” includevano, subito dopo aver elencato i diritti dei cittadini,
espressioni come «nell’ambito del campo di applicazione della legge».
In
apparenza, la Costituzione sovietica portò ai cittadini alcuni diritti, ma in
realtà, in seguito sono state stipulate molte leggi specifiche «nell’ambito del
campo di applicazione della legge».
Tutto
questo ha permesso al governo sovietico di privare arbitrariamente i cittadini
dei loro diritti, secondo le interpretazioni che rientravano «nell’ambito del
campo di applicazione della legge».
Questo
è anche il modo in cui la “Carta delle Nazioni Unite” e vari contratti e
convenzioni definiscono i diritti delle persone.
Per
esempio, nel” Patto internazionale sui diritti civili e politici”,
dichiarazioni come «ognuno ne ha diritto» sono allegate a disposizioni come «i
suddetti diritti non saranno soggetti ad alcuna restrizione, eccetto quelle
previste dalla legge».
Questa
non è solo una scelta di arbitraria o casuale, ma una porta di servizio creata
e lasciata aperta di proposito dal Comunismo.
Il
problema si ha nel momento in cui, quando i politici lo ritengono necessario,
ogni diritto presente nella “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”
può essere legalmente sospeso. «Non c’è una
scusa migliore per un dittatore», afferma “Edward Griffin”.
«La
maggior parte delle guerre e dei crimini a livello nazionale sono commessi in
nome di una di queste [disposizioni, NdT]».
È difficile per i Paesi liberi privare arbitrariamente
i cittadini delle loro libertà, ma i regimi comunisti possono approfittare
apertamente delle scappatoie presenti nella “Dichiarazione dei diritti umani”.
c.) La
globalizzazione promuove le idee politiche comuniste.
Il
Comunismo, attraverso i suoi agenti, crea ripetutamente problemi a livello
globale;
allo
stesso tempo, però, sostiene che la soluzione sia da ricercare in una maggiore
collaborazione internazionale e nelle strutture di potere:
il
fine è quello di stabilire un governo mondiale.
Di
conseguenza, vari Paesi si ritrovano sempre più vincolati da un numero
crescente di trattati internazionali.
A
questo consegue che la loro sovranità nazionale viene indebolita.
Molti
gruppi sostengono strutture di potere internazionali di questo tipo e, sebbene
tali gruppi non siano necessariamente comunisti, le loro rivendicazioni sono
coerenti con gli obiettivi comunisti di eliminare le singole nazioni e
stabilire un governo mondiale.
Durante
la “Giornata della Terra” nel 1970, una personalità del mondo delle
comunicazioni disse:
«L’umanità ha bisogno di un ordine mondiale.
La nazione pienamente sovrana è incapace di affrontare l’avvelenamento
dell’ambiente. […] La gestione del pianeta, che si tratti della necessità di
prevenire le guerre o prevenire i danni alle condizioni di vita, richiede un
governo mondiale».
Nel “Secondo manifesto umanista” del 1973 si
può leggere:
«Abbiamo raggiunto un punto di svolta nella storia
dell’umanità; la migliore opzione è quella di superare i limiti della sovranità
nazionale e di procedere verso la costruzione di una comunità mondiale […] Così
guardiamo allo sviluppo di un sistema di diritto mondiale e di un ordine
mondiale, basato su un” governo federale transnazionale”».
In
effetti, l’istituzione del “Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente”
avvenne dopo che, nel 1972, un’associazione che sosteneva una confederazione
globale richiese lo sviluppo di soluzioni ambientali globali e l’istituzione di
un’agenzia globale per la protezione dell’ambiente.
Il suo primo direttore fu Maurice Strong, un canadese
con forti tendenze socialiste.
Al “Vertice
della Terra delle Nazioni Unite”, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992 (noto
anche come “Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo”), 178
governi hanno votato a favore dell’adozione dell’Agenda 21.
Il progetto, presentato in un testo di
ottocento pagine, includeva contenuti sull’ambiente, i diritti delle donne,
l’assistenza medica e così via.
Un
influente ricercatore presso un istituto di ricerca ambientale e successivamente
funzionario del “Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente”, aveva in
quell’occasione commentato:
«La
sovranità nazionale, cioè il potere di un Paese di controllare gli eventi
all’interno del suo territorio, ha perso molto del suo significato nel mondo di
oggi, dove i confini vengono regolarmente violati dall’inquinamento, dal
commercio internazionale, dai flussi finanziari e dai rifugiati. […]
Le nazioni stanno in effetti cedendo parti
della loro sovranità alla comunità internazionale e cominciando a creare un
nuovo sistema di governance ambientale internazionale come mezzo per risolvere
problemi altrimenti ingestibili».
Superficialmente
le motivazioni dietro un governo mondiale sembrano nobili, ma il vero scopo è la promozione del
Comunismo per dominare il mondo.
Nel
sedicesimo capitolo abbiamo descritto in dettaglio come il Comunismo utilizzi
anche la pretesa di proteggere l’ambiente per portare avanti i suoi obiettivi.
Durante
il mandato di “Boutros-Ghali” come segretario generale delle Nazioni Unite nel
periodo 1992-1996, sono stati compiuti rapidi passi nella marcia delle Nazioni
Unite verso un governo mondiale.
“Boutros-Ghali”
ha preteso la formazione di un esercito permanente delle Nazioni Unite e invocato
anche il diritto di riscuotere tasse.
A
causa dell’opposizione degli Stati Uniti, “Ghali” non è stato in grado di
servire un secondo mandato.
Altrimenti,
la situazione che si sarebbe creata nelle Nazioni Unite sarebbe stata difficile
da prevedere.
Sebbene i regimi comunisti rifiutino sempre di
interferire negli affari interni di altri Paesi, essi partecipano attivamente a
varie organizzazioni internazionali, sostengono l’espansione delle funzioni
delle Nazioni Unite e promuovono il concetto di governance globale.
Nel
2005, il segretario generale delle “Nazioni Unite” “Kofi Annan” ha affermato: «Nell’era dell’interdipendenza, la
cittadinanza globale è un pilastro cruciale del progresso».
“Robert
Chandler”, un intellettuale strategico che ha lavorato per l’aviazione
americana, la Casa Bianca e vari dipartimenti governativi degli Usa, ritiene
che il cosiddetto progresso proposto da Annan distruggerebbe la sovranità
nazionale e aprirebbe la strada a una società civile globale senza frontiere.
Il
programma dell’ONU ‘Per una cultura di pace’ è in realtà organizzato e guidato da
appartenenti all’ultra Sinistra, che “Chandler” ritiene siano intenzionati a distruggere la
sovranità nazionale e a creare un governo mondiale totalitario senza frontiere.
Il
libro “The Naked Communist” [Il comunista nudo] venne pubblicato nel 1958 con
l’intento di denunciare il Comunismo.
Il
testo elenca i quarantacinque obiettivi dei comunisti, tra i quali:
«Promuovere le Nazioni Unite come unica
speranza per l’umanità.
Se il loro statuto dovesse essere riscritto,
esigere che venga costituito un governo mondiale che possieda proprie forze
armate indipendenti».
Molti
si rendono conto che l’istituzione di un governo mondiale non può essere raggiunta a breve termine;
è per
questo che comunisti e globalisti usano varie argomentazioni per sostenere
l’esigenza di creare istituzioni internazionali in vari campi, poi promuovono
l’unità di queste istituzioni e continuano a sostenere la dipendenza dalle
Nazioni Unite, con lo scopo ultimo di istituire un governo mondiale.
Sostenere
un governo mondiale, gonfiando deliberatamente il ruolo delle Nazioni Unite e
presentandole come una panacea per tutti i problemi attuali, è parte di un
tentativo di giocare a fare Dio, pianificando il futuro dell’umanità attraverso
la manipolazione del potere.
Si
tratta in effetti dell’”utopia comunista”: una religione che le persone
stabiliscono per sé stesse e il cui risultato è devastante.
d.)
L’idea di un governo mondiale conduce al Totalitarismo.
Non
c’è niente di sbagliato nell’immaginare un mondo o un futuro migliore, ma
cercare di stabilire un governo mondiale per risolvere tutti i problemi
dell’umanità significa correre dietro a un’utopia dell’età moderna:
il
pericolo è di cadere nel Totalitarismo.
Un
problema inevitabile, per un governo mondiale che intenda affrontare veramente
i problemi globali, è come attuare effettivamente le proprie politiche, siano
esse militari, economiche o di altro tipo.
Per
far passare le sue politiche su scala globale, un governo di questo tipo non
prenderebbe sicuramente la forma di una democrazia libera come quella degli
Stati Uniti, ma sarebbe invece un grande governo totalitario come l’ex Unione
Sovietica o il regime comunista cinese.
Per
attirare i vari Paesi ad aderirvi, un governo mondiale dovrebbe offrire
allettanti benefici, promettere di portare il benessere e avere un progetto
utopistico globale per l’umanità.
La proposta sarebbe simile a quella del Comunismo, che
si presenta come la panacea dei mali di ogni Paese.
Per
realizzare gli ideali utopici di un così vasto numero di Paesi e risolvere
complesse questioni globali, che si tratti di proteggere l’ambiente o di
fornire sicurezza e benessere su scala globale, un tale governo mondiale
cercherebbe inevitabilmente di centralizzare il potere.
Questa
centralizzazione incrementerebbe il potere del governo fino a un livello
ineguagliabile, così che il suo controllo sulla società raggiungerebbe un
livello senza precedenti.
In
questa fase, un tale governo mondiale non si preoccuperebbe di raggiungere il
consenso tra i Paesi membri o di rispettare gli impegni presi nei loro
confronti, ma si concentrerebbe unicamente sull’attuazione delle sue politiche.
Nel
mondo di oggi, esistono grandi differenze tra i Paesi.
Molti
non hanno né una fede ortodossa né le basilari libertà, per non parlare del
rispetto dei diritti umani o del mantenimento di elevati standard morali.
Se i
Paesi si riunissero per formare un governo mondiale, un tale governo
adotterebbe gli standard più bassi presenti, eliminando qualsiasi requisito
relativo alla fede e alle credenze, alla morale e ai diritti umani.
In altre parole, i Paesi si sentirebbero liberi di
gestire queste tematiche utilizzando il concetto di cosiddetta neutralità nella
religione, nella morale e nei diritti umani.
Un
governo mondiale promuoverebbe inevitabilmente una sola cultura principale,
così da unificare il mondo.
Tuttavia,
il problema è che ogni Paese ha le proprie tradizioni culturali e credenze
religiose.
La
maggior parte degli esperti, degli studiosi e dei governi che sostengono
attivamente la creazione di un governo mondiale sono atei o hanno opinioni
progressiste in merito alle credenze religiose.
Appare chiaro che un governo mondiale avrebbe
l’ateismo come valore fondamentale:
sarebbe
una conseguenza inevitabile, dato che il Comunismo è la forza dietro di esso.
Per
mantenere il suo dominio, il governo mondiale dovrebbe attuare con la forza un
processo di rieducazione ideologica, ricorrendo a mezzi coercitivi.
Al
fine di prevenire la frammentazione o i movimenti indipendentisti dei Paesi
membri, un governo mondiale rafforzerebbe notevolmente le sue forze militari e
la polizia, così come il controllo sulla libertà di parola e di espressione.
Il
governo di un Paese il cui popolo non abbia né fede e né cultura condivise
potrà fare affidamento solo su un potere autoritario, cioè sul dominio
totalitario, per rimanere al potere.
Il risultato sarà una riduzione delle libertà
individuali.
Un
governo mondiale sarebbe inevitabilmente un governo totalitario, in quanto
utilizzerebbe il proprio potere autoritario per sostenersi.
In
conclusione, il cammino verso un governo mondiale è il cammino verso un Totalitarismo
comunista sotto un’altra veste:
il risultato non sarebbe diverso dai regimi
comunisti di oggi, nei modi in cui schiavizzano e abusano dei loro popoli.
L’unica differenza sarebbe che invece di
essere confinato in un solo Paese, questo Totalitarismo si estenderebbe al
mondo intero, pur essendo controllato da un unico governo, cosa che renderebbe
ancora più facile la corruzione e la distruzione dell’umanità.
Nel
processo di mantenimento del suo dominio, questo gigantesco governo
utilizzerebbe progressivamente tutti i metodi malvagi usati dai regimi
comunisti.
Il cammino verso l’autoritarismo sarebbe anche un
processo di distruzione delle culture tradizionali e dei valori morali
dell’umanità, che è precisamente quello che il Comunismo mira a realizzare.
4.) La
globalizzazione culturale: un mezzo per corrompere l’umanità.
Gli
scambi culturali e i flussi di capitali si espandono in tutto il mondo;
allo
stesso tempo, anche le varie forme culturali deviate che il Comunismo ha
stabilito in quasi cento anni — nell’arte moderna, nella letteratura, nel
cinema e nella televisione, negli stili di vita, nell’utilitarismo, nel
materialismo e nel consumismo — vengono trasmesse a livello globale.
Durante
questo processo, le tradizioni culturali dei vari gruppi etnici vengono private
delle loro forme esterne e separate dal loro significato originale, dando luogo
a culture mutate e devianti, che raggiungono l’obiettivo di corrompere
rapidamente i valori morali delle persone, ovunque si diffondano.
Nel
mondo, gli Stati Uniti sono il Paese leader a livello politico, economico e
militare.
Questa leadership porta con sé la cultura
americana, che è prontamente accettata e adottata da altri Paesi e regioni.
Dopo la Rivoluzione Industriale, con il declino della
fede religiosa e l’aumento del materialismo causato dal progresso tecnologico,
la gente ha naturalmente tracciato un legame diretto tra la prosperità
materiale e la forza di una civiltà.
Approfittando
di questa tendenza, il Comunismo ha concentrato le sue risorse nel distruggere
gli Stati Uniti con mezzi non violenti.
Dopo
aver influenzato (e corrotto) l’unità familiare, la politica, l’economia, il
diritto, le arti, i media e la cultura popolare in tutti gli aspetti della vita
quotidiana negli Stati Uniti, e dopo aver distrutto i valori morali
tradizionali, il Comunismo ha utilizzato la “globalizzazione culturale” per
esportare la cultura risultante da questa corruzione.
Promossa come la cultura avanzata dagli Stati
Uniti, si è diffusa in tutto il mondo.
In un
batter d’occhio, il movimento “Occupy Wall Street” di New York è apparso sugli
schermi televisivi dei remoti villaggi in India.
Attraverso
i film di Hollywood, gli abitanti dei villaggi conservatori di confine nello
Yunnan in Cina hanno potuto vedere madri single, relazioni extraconiugali e la
liberazione sessuale come se fossero tutti aspetti ‘normali’ della vita.
L’ideologia
alla base del programma di studi” Common Core”, creato da esponenti del
marxismo culturale, si riflette nei libri di testo delle scuole di Taiwan.
L’Africa,
considerata la regione più arretrata del mondo, si è rivelata la più colpita
dall’epidemia di Aids.
Dall’Ecuador
in Sud America, alla Malesia nel Sud-Est asiatico e alle Fiji nel Pacifico, il
rock-and-roll è diventato estremamente popolare.
“Willi
Münzenberg”, attivista comunista tedesco e uno dei fondatori della “Scuola di
Francoforte”, ha affermato:
«Dobbiamo
organizzare gli intellettuali e usarli per far sì che la civiltà occidentale
diventi ripugnante.
Solo
allora, dopo che avranno corrotto tutti i suoi valori e reso impossibile
viverci, potremmo imporre la dittatura del proletariato».
Dal
punto di vista della Sinistra, «far sì che la civiltà occidentale diventi ripugnante»
è il cammino verso il Comunismo.
Per il
Comunismo, che ne è la forza motrice, l’obiettivo è corrompere la cultura
tradizionale che Dio ha lasciato all’uomo e fare sì che l’uomo abbandoni il
divino: tutto allo scopo di distruggere l’umanità.
Se si
paragonano la cultura deviata dell’Occidente e la cultura partitica dei regimi
totalitari comunisti alla spazzatura, allora la globalizzazione culturale è
simile a una tormenta che diffonde la spazzatura su tutto il mondo, travolgendo
senza pietà i valori tradizionali tramandati all’umanità.
Qui ci
siamo concentrati sulla spiegazione dell’influenza che la cultura deviata
dell’Occidente ha sul mondo.
Nel
prossimo capitolo analizzeremo come invece la cultura comunista si sia diffusa
in tutto il globo.
a.) La globalizzazione culturale
distrugge le tradizioni.
La
cultura di ogni etnia presente del mondo ha caratteristiche uniche e porta con
sé profonde influenze derivanti da eventi storici remoti.
Nonostante
le differenze tra le culture etniche, tutte mostrano gli stessi valori
universali nelle loro tradizioni, conferiti dal Cielo.
Dopo
la Rivoluzione industriale, lo sviluppo tecnologico si è fatto portatore di una
serie di comodità.
A causa dell’influenza del progressismo, gli
aspetti tradizionali sono stati considerati generalmente arretrati.
Al
giorno d’oggi, qualsiasi cosa viene valutata in base a quanto sia moderno,
nuovo, parte del ‘progresso’ o in base al suo valore commerciale.
I
cosiddetti valori comuni, formatisi dallo scambio culturale nel processo di
globalizzazione, non appartengono a una particolare tradizione: sono valori
moderni.
Gli elementi e i principi adottati nella
globalizzazione si discostano dalle tradizioni:
includono
solo gli elementi più grossolani del patrimonio culturale esistente, così come
gli aspetti che possono essere commercializzati.
Le idee relative al ‘destino comune
dell’umanità’ e al ‘nostro futuro comune’ sono il risultato di tali valori
deviati.
Il
Comunismo promuove valori che appaiono nobili, ma in realtà mirano a far sì che
l’umanità abbandoni i valori tradizionali, sostituendoli con valori moderni
omogenei e deviati.
Tra le
cose più basse che si manifestano a livello globale, durante la globalizzazione
culturale, vi è la cultura del consumismo.
Spinti da interessi economici, i prodotti
culturali vengono progettati e commercializzati incentrandosi completamente sul
richiamare i bassi istinti dei consumatori.
L’obiettivo
è quello di controllare l’umanità seducendo, assecondando e soddisfacendo i
desideri superficiali delle persone.
Una
cultura globale improntata al consumismo si rivolge ai desideri dell’umanità e
viene usata per corrompere la tradizione in molteplici modi.
In
primo luogo, per attirare il massimo numero di consumatori, i prodotti
culturali non devono poter offendere nessun gruppo etnico, dalla produzione
alla distribuzione.
Di conseguenza, le caratteristiche e i
significati unici di una certa cultura etnica verranno rimossi da tali prodotti.
In
altre parole, la tradizione viene eliminata attraverso la de culturalizzazione,
o la standardizzazione.
Le
popolazioni che hanno un più basso livello di istruzione, assieme a un minor
potere di consumo, sono quelle più suscettibili a un modello di consumo
semplificato, poiché il costo di fabbricazione di tali prodotti è inferiore.
A
causa della globalizzazione, queste popolazioni rimangono limitate a una
cultura commerciale, dai costi di produzione più bassi.
In
secondo luogo, la globalizzazione del settore mediatico ha portato alla
creazione di monopoli.
Il
risultato è che gli elementi comunisti possono facilmente utilizzare le idee
degenerate dei produttori, per pubblicizzare l’aspetto culturale superficiale
dei prodotti e introdurre l’ideologia marxista durante la promozione:
l’ibridazione
delle culture attraverso la globalizzazione diventa un altro canale di
promozione dell’ideologia comunista.
In
terzo luogo, una cultura globale rende il consumismo la tendenza dominante
della società.
Gli
spot pubblicitari, i film, i programmi televisivi e i social media bombardano
costantemente i consumatori con l’idea di non stare vivendo in modo reale se
non consumano, se non possiedono determinati prodotti o non si svagano in un
certo modo.
Il Comunismo usa mezzi e diversivi per
spingere le persone a perseguire l’obiettivo di soddisfare i propri desideri.
A causa di questo, le persone si allontanano
sempre più dal piano spirituale e, prima che possano rendersene conto, si sono
distaccate dalle credenze nel divino e nei valori tradizionali.
Il
Comunismo diffonde rapidamente la sua ideologia degradante sullo sfondo della
globalizzazione.
Fa
leva anche sull’effetto gregge: tramite la frequente esposizione a social
media, spot pubblicitari, spettacoli televisivi, film e notizie, la gente è
bombardata da varie ideologie antitradizionali e innaturali.
Questo
crea l’illusione che tali ideologie degenerate siano accettate a livello
globale.
Si diventa gradualmente insensibili ai danni
che queste ideologie recano alle tradizioni.
I comportamenti distorti sono considerati alla
moda e la gente viene anche spinta ad andarne orgogliosa.
L’abuso
di sostanze, l’omosessualità, il rock-and-roll, l’arte astratta, e molto altro
ancora, sono fenomeni che si sono diffusi in questo modo.
L’arte
moderna è degenerata e viola tutte le definizioni tradizionali di estetica.
Alcune
persone sono state in grado di comprendere questo aspetto fin da subito. Quello
che succede è che le opere d’arte moderne vengono costantemente esposte nelle
città più importanti e vendute a prezzi elevati e i mezzi di comunicazione
pubblicano spesso pezzi su queste strane e tetre opere.
Il risultato è che buona parte della gente
inizia credere di non essere in grado di comprendere le mode e che il proprio
gusto artistico debba essere aggiornato.
Le persone cominciano a negare il senso della
bellezza e a favorire forme di espressione degenerate.
Il
Comunismo è in grado di utilizzare l’effetto gregge a causa del fatto che molte
persone non hanno una forte volontà.
Una volta che l’umanità si discosta dalle
tradizioni impartite dal Cielo, tutto diventa relativo e può cambiare nel
tempo.
La situazione è quindi adatta ad essere
sfruttata.
b. I
Paesi occidentali sviluppati esportano una cultura contraria alla tradizione.
I
Paesi occidentali sviluppati svolgono un ruolo decisivo nelle questioni
economiche e militari a livello globale.
Di
conseguenza, la cultura occidentale ha potuto diffondersi rapidamente nei Paesi
in via di sviluppo, in quanto è stata considerata la corrente principale della
civiltà moderna e la direzione da seguire per lo sviluppo futuro.
Sfruttando questa tendenza, è stato possibile
diffondere in tutto il mondo la cultura moderna deviata presente negli Stati
Uniti e in altri Paesi occidentali.
La conseguenza è un danno enorme alle
tradizioni di altri gruppi etnici.
La
musica rock and roll, le droghe e la liberazione sessuale sono state mascherate
e proposte come parte della cultura occidentale e si sono rapidamente diffuse.
Come
sottolineato in questo libro, lo spettro comunista è alla base dello sviluppo
di queste culture degenerate, che non hanno nulla a che fare con i valori
tradizionali, derivanti dalla fede spirituale.
Attualmente,
nel mondo si stanno diffondendo ogni sorta di culture degenerate, che vengono
fatte passare come parte della cultura occidentale.
Hollywood,
in particolare, è diventato uno dei principali corrieri in grado di diffondere
le varie ideologie che derivano dal marxismo culturale.
Le
caratteristiche speciali dell’industria cinematografica permettono di far
accettare inconsciamente, agli spettatori, i valori proposti nei film.
Inoltre,
a causa della loro forza economica, i Paesi occidentali attirano un gran numero
di studenti stranieri.
In questo libro abbiamo discusso di come il
marxismo culturale abbia preso il controllo dell’educazione occidentale, il che
espone allo stesso tempo gli studenti stranieri a varie ideologie di Sinistra.
Una volta rientrati nei loro Paesi, gli
studenti diffonderanno queste ideologie.
Nei
loro Paesi, queste ideologie degenerate sono considerate attraenti, a causa del
fatto che i Paesi occidentali sono tecnologicamente più avanzati ed
economicamente più sviluppati.
Così, queste ideologie incontrano scarsa
resistenza mentre si diffondono e distruggono le culture tradizionali locali.
Ad
esempio, il primo Paese asiatico ad aver riconosciuto il matrimonio omosessuale
ha delle tradizioni molto profonde.
La globalizzazione è la causa di questo
cambiamento:
dopo aver studiato in Occidente, un gran
numero di studenti ha accettato il matrimonio omosessuale, facendo poi
pressione per un cambiamento nel proprio Paese.
Per la
maggior parte, i politici progressisti che incoraggiano la legalizzazione del
matrimonio omosessuale hanno sviluppato la loro visione progressista durante i
loro studi all’estero.
c.) Le multinazionali diffondono una
cultura degenerata.
Durante
la globalizzazione, il rispetto reciproco e la tolleranza nei confronti di
diverse culture nazionali sono diventati un fenomeno di massa.
Il Comunismo ne ha approfittato per ampliare
arbitrariamente il concetto di tolleranza, rendendo di fatto la neutralità dei
valori un ‘consenso globale’ sostenendo così delle ideologie degenerate.
In
particolare, l’omosessualità e la liberazione sessuale si sono sviluppate
rapidamente attraverso la globalizzazione, corrodendo seriamente i valori
morali della società tradizionale.
Nel
2016, una multinazionale di negozi al dettaglio ha annunciato che gli
spogliatoi e i bagni dei negozi sarebbero stati «friendly to transgender people» [Attenti ai bisogni delle persone
transgender, NdT].
Nel
pratico, significa che qualsiasi uomo sarebbe potuto entrare nei bagni o negli spogliatoi
delle donne a suo piacimento se avesse sostenuto di sentirsi una donna.
L’”American Family Association” ha invitato i
consumatori a boicottare l’azienda, a causa dei danni che la politica della
multinazionale avrebbe potuto causare a donne e bambini.
Per
esempio, nel 2018 un uomo è entrato nel bagno delle donne in uno dei negozi e
si è denudato davanti a una ragazzina.
Da una
parte, i consumatori che si rifanno a valori tradizionali si schierano mettendo
in atto una resistenza;
dall’altra,
i giornalisti hanno scoperto che sono centinaia le multinazionali che hanno
ottenuto punteggio pieno nell’Indice di uguaglianza aziendale (che misura i
comportamenti aziendali nei confronti della comunità LGBT).
I
giornalisti hanno scoperto che i prodotti e servizi di queste aziende
racchiudono tutti gli aspetti della vita quotidiana, cosa che rende
irrealistico un qualsiasi tipo di boicottaggio.
Le
multinazionali in questione rappresentano quasi tutte le principali compagnie
aeree, case automobilistiche, catene di fast-food, caffetterie, tutti i
principali grandi magazzini, banche, aziende di produzione cinematografica,
aziende di telefonia mobile e computer e così via.
Questi
valori sono diventati onnipresenti e mainstream mediante la globalizzazione e
passando per la cultura aziendale di ciascuna multinazionale.
d.) L’”ONU”
diffonde valori distorti.
Nel
1990 l’”Organizzazione Mondiale della Sanità “ha annunciato che l’omosessualità
non doveva più essere considerata una malattia mentale, con la conseguenza di
spronare fortemente il movimento omosessuale in tutto il mondo.
Con la
globalizzazione, l’AIDS si è diffuso in tutto il mondo.
Il gruppo più a rischio di contrarre l’AIDS
sono gli omosessuali, che a tutt’oggi continuano a essere oggetto di interesse
e di discussioni in ambito pubblico;
e l’espansione del movimento omosessuale è
stata promossa dal Comunismo.
Quando
gli operatori sanitari incoraggiano i malati di AIDS omosessuali a non
vergognarsi e a cercare cure mediche, di fatto promuovono, allo stesso tempo,
il riconoscimento morale della condotta omosessuale.
In Africa, Asia e America Latina, i
finanziamenti della comunità internazionale per combattere l’AIDS hanno avuto
l’effetto di promuovere il movimento omosessuale.
Il
Sudafrica è stato il primo Paese a presentare una nuova convenzione al
Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che richiedeva di utilizzare
il riconoscimento dell’orientamento sessuale e dell’”identità di genere” come
indicatori del livello dei diritti umani in un Paese.
La
convenzione è stata poi adottata ed è divenuta la prima risoluzione delle
Nazioni Unite che riguardasse direttamente l’orientamento sessuale e l’identità
di genere.
La
realtà è che quel documento normalizza quelle che un tempo erano considerate
mentalità degenerate, attribuendo loro la stessa importanza dei diritti umani
naturali.
L’articolo
13 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia afferma: «Il
fanciullo ha diritto alla libertà di espressione.
Questo
diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare
informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto
forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del
fanciullo».
Alcuni
ricercatori si sono chiesti:
se i genitori non permettono ai loro figli di
indossare magliette con simboli satanici, si tratta di una violazione dei
diritti dei bambini?
I
bambini hanno il diritto di scegliere il modo in cui desiderano parlare con i
loro genitori?
I
bambini possono non essere in grado di valutare le cose. Quando commettono atti
violenti o infrangono norme etiche, i genitori possono disciplinare i loro
figli? Queste preoccupazioni non sono ingiustificate.
Nel
2018 la Provincia dell’Ontario, in Canada, ha approvato una legge per la quale
i genitori non dovrebbero contraddire il desiderio del bambino di esprimere il
proprio genere (in altre parole, per la legge i bambini possono scegliere da
soli il loro genere, quindi i maschi possono dire di essere femmine e
viceversa).
I
genitori che non accettano l’identità di genere scelta dai loro figli possono
essere ritenuti colpevoli di maltrattamenti sui minori: lo Stato può quindi
togliere ai genitori la custodia dei loro figli.
Il
Comunismo usa quindi la globalizzazione per alterare e distruggere la cultura
tradizionale e i valori morali in modo totale.
Ciò include servirsi dei Paesi sviluppati,
delle imprese multinazionali e delle istituzioni internazionali.
Le
persone sono immerse nelle comodità superficiali presenti nel villaggio
globale, ma non sono consapevoli del fatto che i loro modelli di pensiero e le
loro coscienze stanno rapidamente cambiando.
In pochi decenni, queste ideologie,
completamente nuove, hanno inghiottito molte parti del mondo, come se
provenissero da uno tsunami.
Ovunque
queste ideologie fanno breccia, la cultura cambia, le civiltà svaniscono: anche
i Paesi più antichi e più chiusi non hanno modo di sfuggirne.
La
cultura tradizionale è la radice dell’esistenza umana, un’importante garanzia
per gli esseri umani di mantenere degli standard morali.
È la
chiave che gli esseri umani possono usare per essere salvati dal Creatore.
Nel processo della globalizzazione, questi
elementi sono stati modificati o addirittura distrutti dalle predisposizioni
dello spettro comunista.
La civiltà umana affronta una crisi senza
precedenti.
Conclusione.
Da
millenni, nazioni e Paesi diversi tra loro sono coesistiti.
Sebbene
si trovino in regioni differenti, abbiano forme sociali e sistemi politici
differenti, usino lingue differenti, presentino qualità culturali e
psicologiche differenti, tutti condividono valori universali comuni.
Questi
valori universali sono il nucleo della cultura tradizionale di ogni gruppo
etnico.
In un
breve periodo, poco più di cento anni dopo l’emergere del Comunismo sulla scena
mondiale, l’umanità si è trovata ad essere in grave pericolo, poiché le culture
tradizionali sono state indebolite, danneggiate e distrutte su larga scala.
Dopo
la Rivoluzione d’Ottobre, i comunisti hanno preso il potere in Russia e in
Cina, le grandi potenze dell’Est, uccidendo le élite culturali tradizionali di
quei Paesi e distruggendo la cultura tradizionale con la violenza.
Dopo
la Seconda guerra mondiale, i Paesi comunisti si sono infiltrati nelle Nazioni
Unite e in altre organizzazioni internazionali per controllarle, abusando
inoltre delle procedure democratiche per far sì che la maggioranza potesse
conquistare la minoranza;
hanno
inoltre impiegato il loro denaro allo scopo di persuadere i Paesi più piccoli,
nel tentativo di usare l’ONU per spingere il mondo intero verso la corruzione.
In
tutto il mondo, specialmente dopo la fine della Guerra Fredda, il Comunismo ha
usato gli scambi e la cooperazione politica, economica e culturale a livello
internazionale per espandere e controllare la globalizzazione, promuovendo i
valori degenerati in tutto il mondo.
I valori e le tradizioni universali sono stati
distrutti e vengono distrutti sistematicamente.
Al
giorno d’oggi lo spettro del Comunismo domina il mondo intero.
I
gruppi politici ed economici transnazionali di oggi hanno enormi risorse e la
loro influenza è arrivata a essere presente in ogni aspetto della società
umana.
Da importanti questioni come l’ambiente,
l’economia, il commercio, gli affari militari, la diplomazia, la scienza e la
tecnologia, l’istruzione, l’energia, la guerra e l’immigrazione, fino alle
questioni più piccole come il divertimento, la moda e lo stile di vita, tutti
questi campi sono sempre più manipolati dai globalisti.
Una
volta formato un governo globale, diventerà facile trasformare o distruggere
tutta l’umanità con un solo comando.
Usando
la globalizzazione, assieme ad altri mezzi, lo spettro comunista ha rovinato la
società umana in poche centinaia di anni:
sia l’Oriente che l’Occidente rischiano di
essere distrutti.
Solo
ritornando alla tradizione, gli esseri umani potranno reintrodurre i valori
universali e le culture tradizionali nelle proprie nazioni sovrane e durante
gli scambi internazionali.
Tutto
questo permetterà all’umanità, sotto la protezione e la grazia di Dio, di
allontanare lo spettro comunista e di andare verso un futuro luminoso.
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