La religione globalista e il nuovo marxismo.

La religione globalista e il nuovo marxismo.

 

La religione cristiana dice

giustamente "ama il prossimo tuo".

Twitter.com - Diego Fusaro – (4 aprile 2023) – ci dice:

(@DiegoFusaro)

 

 La religione cristiana dice giustamente “ama il prossimo tuo”

ossia ama chi ti è più vicino.

La religione globalista dice invece "ama l'estraneo", cioè chi ti è più lontano, che è poi un altro modo per dire "disinteressati di chi ti è vicino".

Amare l'umanità significa amare chi ci è più vicino.

Amare l'estraneo è solo un alibi per essere indifferenti a coloro i quali sono intorno a noi.

        

 

 

I Rockefeller gestiscono

la Sanità Mondiale.

Conoscenzealconfine.it – (9 Giugno 2023) – Redazione – ci dice:

 

Grazie a varie iniziative nel corso degli anni, all’inizio del 1900, John D. Rockefeller ottenne il controllo della sanità negli Stati Uniti.

Questo era all’inizio della storia americana e, all’epoca, le medicine erboristiche e naturali come gli oli essenziali, l’aromaterapia e altri erano molto popolari, il che ostacolava i piani di Rockefeller.

È qui che Rockefeller è passato dall’essere famoso per il suo lavoro nel settore petrolifero ad avventurarsi nell’industria medica attraverso l’acquisto di un’azienda farmaceutica tedesca.

Una volta che si fu avventurato nel settore medico, aprì le porte per continuare con il suo piano non solo per monopolizzare il settore petrolifero, ma anche per capitalizzare la medicina.

Attualmente la sua famiglia detiene il monopolio della medicina mondiale, tutte le case farmaceutiche sono di loro proprietà.

I Rockefeller gestiscono la sanità mondiale.

“Bill Gates è solo un servile cameriere dei suoi padroni.”

(t.me/giulamaschera0)

Ecologismo come religione,

il nuovo culto mondialista.

Lanuovabq.it – (08-02-2021) – Tommaso Scandroglio – intervista a Guido Vignelli – ci dicono:

 

Da non confondere con il vecchio ambientalismo (di stampo conservatore), l'ecologismo, nato dal fallimento del progressismo, propone una svolta antropologica in cui l'uomo si auto-annienta a favore del pianeta.

 Ora sta cogliendo l'opportunità della pandemia per imporre il suo "Great Reset".

Intervista a Guido Vignelli, autore di “Da Dio al bio”.

 L'ecologismo come religione del Nuovo Ordine Mondiale.

Ecco la personalità che non poteva mancare: Klaus Schwab, fautore del “Great Reset”

Fino a ieri la” cultura progressista” lottava per i lavoratori e i poveri.

Ora nella categoria degli oppressi ci sono finiti gli immigrati, i gay, le piante, gli animali e pure i ghiacciai.

 Per gli aperturisti di tutti i porti d’Italia i nemici da combattere sono i populisti/nazionalisti, per i gay sono gli etero fissisti e gli etero fissati e per gli ambientalisti il nemico pubblico e privato numero uno è l’uomo.

Ma dato che felci e paguri non possono né marciare, né imbracciare armi o ricorrere al Tribunale internazionale dell’Aia, ecco che alcuni illuminati, a volte dotati anche di treccine, prendono le loro difese affinché l’uomo si sottometta ai panda e ai ghiacciai.

Questa involuzione artificiale della dignità umana, voluta per sostituirla con una dignità ferina, se non vegetale o minerale, e questa evoluzione dell’ideologia green sono ben descritte nel saggio “Da Dio al bio”.

 L'ecologismo come religione del Nuovo Ordine Mondiale (Maniero del Mirto, pp. 210) scritto dal saggista dott.Guido Vignelli.

 

Dottore, che differenza c’è tra il vecchio ambientalismo e il nuovo ecologismo?

Il vecchio ambientalismo era una difesa della natura e delle attività umane primarie (agricoltura, allevamento, pesca, artigianato) dalla invadenza della vita urbanizzazione e della industrializzazione, difesa che a lungo è stata fatta da ambienti conservatori e reazionari, derisi e ostacolati da quelli progressisti.

 Ma quando le moderne promesse di pace, sicurezza e ricchezza si sono rivelate deludenti, molti movimenti rivoluzionari hanno rovesciato la loro prospettiva progressista in quella regressista, passando dal marxismo all’ecologismo, dall’antropo-centrismo al “cosmo-centrismo”.

 Avendo fallito nel tentativo di costruire una nuova civiltà, oggi quei movimenti ripiegano nel “decostruire” la residua civiltà cristiana al fine di sostituirla con un’anti-civiltà tribale, come il “prof. Plinio Corrêa de Oliveira “aveva denunciato fin dal 1977.

 La rivoluzione antropologica in corso sta tentando di abbattere l’ultima disuguaglianza rimasta nella gerarchia del creato:

 la signoria dell’uomo sugli altri esseri viventi.

L’ecologismo radicale non mira tanto a salvare la natura dall’uomo, quanto ad asservire l’uomo alla natura, a degradare l’umanità al livello istintuale, selvatico, animalesco.

 In questo modo, si vuole ricuperare le origini gnostiche (ossia irrazionali) della Rivoluzione anticristiana, presentandosi come fautori di una pseudo-religione dedita al culto della Natura.

 

C’è un nesso tra l’ecologismo, il “Great Reset” e l’epidemia oggi dilagante?

La rivoluzione ecologica fu occultamente prevista fin dall’inizio del XX secolo dalla setta para-massonica nota come” Sinarchia”, poi fu apertamente programmata da convegni dell’ONU e dell’Unesco;

poi è stata progettata da influenti circoli culturali, politici ed economici “globalisti”, per bocca di personalità come Edgar Morin, Michel Serres, Jacques Attali, George Soros, Klaus Schwab.

 Oggi quella rivoluzione è ufficialmente imposta sotto la forma del Great Reset (“grande azzeramento”) promosso dal World Economic Forum di Davos di Klaus Schwab.

Le recenti vicende confermano l’abilità dei capi rivoluzionari nell’approfittarsi delle vantaggiose occasioni offerte da avvenimenti devastanti (crisi economiche, carestie, guerre, epidemie) che suscitano paure e reclamano interventi totalitari.

Ad esempio, Klaus Schwab ha ammesso che la crisi sanitaria prodotta dal virus cinese costituisce “una decisiva occasione per sistemare le cose” (intervista ad Euronews, 19-11-2020).

 L’imminente crollo economico, e ancor più psicologico, prodotto sia dall’epidemia che dalle inutili e assurde restrizioni imposte dai governi alla società, permetteranno forse al globalismo di ridurre alla impotenza quella classe media e quegli ambienti conservatori capaci di opporsi alla “svolta ecologica”.  

Può illustrarci i possibili sviluppi dell’attuale crisi previsti alla fine del suo libro?

Siamo a un bivio decisivo tra due possibili sviluppi:

o la setta ecologista riuscirà a sottomettere completamente quel che resta della libera società civile, prima che questa possa reagire alla offensiva globalista;

oppure la società civile riuscirà a sconfiggere questa offensiva, prima che la setta ecologista possa ridurla alla miseria e al silenzio.

Le recenti reazioni popolari alla offensiva ecologista espresse dalla classe media conservatrice e produttiva fanno sperare che la società civile non sia disposta ad arrendersi senza combattere.  

 

E’ credibile l’ecologia in salsa cattolica oggi propostaci?

Sull’onda della nuova “teologia della liberazione” latino-americana, oggi la Gerarchia ecclesiastica tenta di adattarsi alla moda culturale inventandosi una “ecologia integrale”, ossia un'ideologia capace di conciliare primitivismo e pauperismo col mantenimento delle “conquiste sociali” della civiltà del benessere.

Gli stessi documenti di papa Francesco (Laudato si’ e Fratelli tutti) oscillano ambiguamente tra il “rosso” della prospettiva socialista e il “verde” di quella ecologista;

ma questa posizione equilibrista non convince nella teoria e non funziona nella pratica.

In realtà, la sicurezza sociale e la protezione sindacale finora garantite ai lavoratori furono preparate proprio da quella civiltà cristiana (o cristianità) oggi rifiutata dalla Gerarchia ecclesiastica come “integrista”.

 La soluzione sta nell’opporsi all'”idolatria ecologista” riaffermando la teologia della Creazione e il “concetto di ordine naturale” creato, al fine di “ricuperare la prospettiva del vero ambientalismo”, inteso come restaurazione sia della decaduta natura secondo il progetto divino, sia della sovvertita società umana secondo il diritto cristiano e la dottrina sociale della Chiesa.

I richiami di Bergoglio, le idee di Küng.

Se la Chiesa si riscopre “comunista

Reset.it - Riccardo Cristiano – (12 Aprile 2021) – ci dice:

 

Sicuramente si tratta soltanto di una coincidenza visto che dal punto di vista teologico e culturale “Jorge Mario Bergoglio” e “Hans Küng” sono stati molto diversi.

Ma in queste ore emerge un fatto:

la scomparsa del grande teologo svizzero coincide con l’apertura di una nuova pagina nel rinnovamento del discorso cristiano, non solo cattolico, da parte del vescovo di Roma.

Hans Küng è stato un grande intellettuale nord-europeo, Bergoglio è un grande intellettuale latino-americano:

la teologia del primo e quella del secondo però hanno nelle loro evidenti differenze un punto d’incontro:

l’importanza dello spirito evangelico piuttosto che di quello del Medio Evo.

La nuova fase bergogliana, apertasi nel nome della fratellanza già nel giorno della sua elezione, quando disse nel suo primo discorso pubblico quale vescovo di Roma “Preghiamo sempre per noi, l’uno per l’altro, preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”,

è culminata nel “Documento sulla fratellanza umana” firmato ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019 e poi nell’enciclica “Fratelli tutti” dell’anno successivo. Ora, sotto la pressione della pandemia, giunge alla riscoperta di quella che potremmo definire “visione comunitaria monoteista”.

 

Allora ricostruiamo brevemente questo cammino di Bergoglio partendo dal “Documento sulla fratellanza”.

Firmato addirittura insieme alla massima autorità teologica dell’Islam sunnita, e oggi chiaramente condiviso dalla suprema autorità sciita, il Documento sulla fratellanza firmato ad Abu Dhabi afferma:

 “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione.

Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani.

Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi.

Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”.

Siamo dunque nel solco della più grande novità del “Concilio Vaticano II”, quella che chiuse l’epoca del gelo con ebraismo e islam riconoscendo in tutte le grandi tradizioni religiose semi di verità.

Nell’enciclica questa certezza è per tutti, quando vi si afferma che “siamo tutti della stessa carne”.

Dunque il discorso globalista e ideologicamente para-illuminista di un mondo massificato, uniformato, senza rispetto per differenze tra popoli, culture e religioni, viene respinto nel nome della fratellanza tra diversi, voluti così dal sapiente disegno divino.

Per Bergoglio “il tutto è superiore alla parte

. E siccome il mondo è fatto da polarità in tensione

“anche tra la globalizzazione e la localizzazione si produce una tensione. Bisogna prestare attenzione alla dimensione globale per non cadere in una meschinità quotidiana.

Al tempo stesso, non è opportuno perdere di vista ciò che è locale, che ci fa camminare con i piedi per terra.

Le due cose unite impediscono di cadere in uno di questi due estremi:

l’uno, che i cittadini vivano in un universalismo astratto e globalizzante, passeggeri mimetizzati del vagone di coda, che ammirano i fuochi artificiali del mondo, che è di altri, con la bocca aperta e applausi programmati;

 l’altro, che diventino un museo folkloristico di “eremiti” localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini”.

Questa grande visione della fratellanza ora arriva al nodo della visione comunitaria sotto la pressione di questa terribile congiuntura pandemica.

E Francesco appare determinato a togliere ai marxisti l’egemonia sul “comunismo”.

 È questa sfida, il recupero della visione comunitaria al pensiero religioso, che ci porterà ad Hans Küng.

La visione comunitaria appartiene al pensiero religioso da tempi lontanissimi e se guardiamo alla stessa celebrazione cristiana non possiamo non chiederci perché la comunione si chiami così.

Si legge alla voce “comunione” sul sito della Treccani:

“È’ il Sacramento centrale del cristianesimo, definito come prolungamento dell’incarnazione del Verbo, in quanto da un lato commemora e rinnova il sacrificio di Gesù Cristo, e, dall’altro, attua la comunione dei fedeli con il Redentore per cui è chiamato comunione”.

Mai nella storia di questi duemila anni di storia il sacramento centrale del cristianesimo è stato chiamato “individualizzazione” o “privatizzazione” del rapporto con il Redentore.

Il dato comunitario o se si vuole comunista è centrale anche nell’ebraismo.

Un esempio:

nel libro dell’Ecclesiaste (4,1) il saggio Salomone afferma:

“mi sono poi messo a considerare tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole” e in Isaia (5,8) i termini sono più fermi:

“guai a quelli che aggiungono casa a casa, che uniscono campo a campo, finché non rimanga più spazio, e voi restiate soli ad abitare in mezzo al paese”.

Voci singole?

 Sempre nell’Enciclopedia Treccani al riguardo dell’ebraismo e del famoso giubileo che nell’ebraismo origina il giubileo viene spiegato così:

 “Presso gli Ebrei antichi, festività che ricorreva ogni cinquantesimo anno, santificata con il riposo della terra (per cui erano vietati semina e raccolto), con la restituzione della terra al primitivo proprietario, quando un ricco se ne fosse impossessato, e con la liberazione degli schiavi”.

Nell’islam poi abbiamo una scelta molto chiara:

la comunità dei credenti sostituisce il vecchio ordine tribale creando una vera e proprio mega tribù che tutte le elimina, con un unico capo, il successore del Profeta Maometto, e un consiglio degli anziani.

L’islam inoltre introduce nei suoi cinque pilastri la zakat, impropriamente detta “elemosina”, ma letteralmente “purificazione dall’avidità”.

Ecco dunque che eucarestia, giubileo e zakat indicano un “comunismo” che tante altre citazioni di padri della Chiesa, di profeti biblici e brani coranici potrebbero spiegare più compiutamente.

Questo ci porta a una visione comunitaria non marxista, che Ernest Nolte ha chiamato con altri il pensiero dell’eterna sinistra.

Sembra proprio quello che ha detto Francesco nel giorno della festa della Divina Misericordia:

“Dopo la sua risurrezione, Gesù opera la risurrezione dei discepoli che, misericordiati, sono diventati misericordiosi.

 Lo vediamo nella prima Lettura.

Gli Atti degli Apostoli raccontano che ‘nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune’.

 Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro.

Ed è tanto più sorprendente se pensiamo che quegli stessi discepoli poco prima avevano litigato su premi e onori, su chi fosse il più grande tra di loro. Ora condividono tutto, hanno un cuore solo e un’anima sola”.

Certo, il Regno di Dio è oggi, mentre vivo, mentre mi comporto così e non cosà, ma  il Regno di Dio non sarà compiutamente realizzato da noi.

Ma, ripete Bergoglio, i cristiani sono chiamati a operare nella storia e questo modello di vita, di comunanza, di solidarietà, esiste: è il cristianesimo.

Quanto detto da Francesco nel suo recente messaggio a “Fondo Monetario Internazionale” e” Banca Mondiale” ci conferma questo elemento oggettivo, come l’”enciclica Centesimus annus” ci dice che questa visione era la visione di Giovanni Paolo II e un grande storico del cristianesimo, il professor Massimo Borghesi, ha detto che puntava a “una teologia della liberazione senza marxismo”.

Proprio come Francesco, che non essendo polacco ma latino-americano potè capire, sebbene non condividere, gli anni di una teologia che non condivise soprattutto perché, come spiega benissimo un suo inedito recentemente pubblicato da “La Civiltà Cattolica”, nessuna interpretazione della realtà può essere definitiva, a cominciare da quella marxista.

Scriveva Bergoglio negli anni Ottanta cercando di spiegarsi ai cristiani marxisti:  “ Ogni realtà ha, in sé, il suo modo di svelarsi, che nasce dalle potenzialità stesse che le sono insite.

Si svela in consonanza con ciò che è”.

È stato dunque il comunismo marxista, con il materialismo storico, a pretendere un’interpretazione scientifica della realtà che ha diviso i due pensieri, quasi che i marxisti avessero imposto uno scisma come a dire che i veri sacerdoti erano loro.

Questo scisma ha spinto il cristianesimo “ufficiale” a presentarsi o pensarsi “borghese”.

 Ora questo non è più possibile.

 Il cristianesimo è religione universale, non continentale, non è solo per l’Occidente.

Ecco perché Francesco ha scritto a “Fmi” e Banca mondiale” che “la nozione di ripresa non può accontentarsi di un ritorno a un modello diseguale e insostenibile di vita economica e sociale, dove una minuscola minoranza della popolazione mondiale possiede la metà della sua ricchezza”.

Ecco perché nella stessa lettera ha parlato di un debito di cui non si parla mai, il debito ecologico, contratto dai ricchi estrattori nei confronti dei Paesi di estrazione selvaggia.

Dunque la pandemia ci obbliga a scegliere, ora: vogliamo uscire dalla crisi pandemica migliori o peggiori?

 Se vogliamo uscirne migliori per Francesco “occorre escogitare forme nuove e creative di partecipazione sociale, politica ed economica, sensibili alla voce dei poveri e impegnate a includerli nella costruzione del nostro futuro comune”.

La sfida di Francesco è dunque quella di parlare alla cultura originaria e originante i grandi monoteismi (credo anche i pensieri religiosi orientali ma non ho elementi di conoscenza sufficienti per argomentarlo) per farci uscire dal doppio secolo delle ideologie, Ottocento e Novecento, che hanno visto sfaldarsi il pensiero dell’ “eterna sinistra”:

 un pensiero che non era mai stato violento, lo è diventato solo in “Babeuf”, vero padre di una lotta di classe violenta, incompatibile con il principio bergogliano “il tutto è superiore alla parte”.

E Hans Küng?

Lui credeva in un ravvicinamento teologico che potesse favorire quell’Etica mondiale alla quale ha dedicato anni di vita.

 Per questo fine, difficilissimo, ha subito offese, insulti, attacchi terribili.

Ma la sua idea merita di essere ricordata perché aiuta a capire un metodo, una visione:

quella dell’”esclusivismo definizionista”.

Proprio come i marxisti hanno creduto di poter definire il comunismo come una loro “teoria scientifica”, definita e realizzabile in terra da loro e solo da loro, definendo “eretico o traditore chiunque avesse l’ardire di pensare a qualche variante”, così i custodi di ogni ortodossia non hanno potuto sopportare Hans Küng, il cattolico “universale”.

Per Hans Küng non si capisce fuori dal linguaggio e dalla cultura semita l’idea che Gesù fosse “il Figlio di Dio”.

 Questa verità per lui indiscutibile va inserita però in quella lingua, in quella cultura.

 Se non si vuole diventare padroni della verità si dovrà riconoscere, afferma Hans Küng, che

“a prescindere dai concetti ellenistici con cui i concili ellenistici hanno definito la questione, nel Nuovo Testamento si intende senza dubbio non una discendenza, ma l’insediamento in una posizione di diritto e di potere in senso ebraico veterotestamentario. Non una filiazione divina di carattere fisico, come nei miti ellenistici e ancor oggi viene spesso inteso e respinto a ragione da ebrei e musulmani, ma una elezione e un conferimento di potere a Gesù da parte di Dio, interamente nel senso della Bibbia ebraica, nella quale alle volte anche tutto il popolo di Israele può essere chiamato “Figlio di Dio”. Se anche oggi la filiazione divina venisse affermata nella sua accezione originaria, sarebbero meno fondamentali le obiezioni che le si possono muovere dal punto di vista del monoteismo ebraico e islamico. Per gli ebrei, i musulmani, ma anche per i cristiani, l’espressione “Dio fatto uomo” è fuorviante. Per essere corretti si dovrebbe parlare con Paolo dell’“invio del Figlio di Dio” o con Giovanni di “incarnazione” del “Verbo di Dio”. Gesù è la “Parola”, la “Volontà”, “Immagine”, il “Figlio” di Dio in forma umana.”

Se si pensa che il “Corano “definisce Gesù ora verbo ora parola di Dio, se si pensa che i “cristiani semiti” dei primi secoli erano quasi tutti” monofisiti”, cioè credevano Gesù Figlio di Dio nel senso che indica Hans Küng, si capirà che la sua tesi può non essere condivisa ma non può essere irrisa.

Hans Küng sapeva benissimo che “i monofisiti”, cioè coloro che non credevano nella duplice natura di Gesù, sono stati perseguitati dai cristiani bizantini emersi dai grandi Concili ellenistici.

Ma a noi il suo coraggio può risultare fondamentale non per stabilire che abbia ragione lui, ma per riabilitare la libertà di ricerca e di altre ricerche.

Come il marxismo non ha l’esclusiva del comunismo, così le religioni possono essere meno dogmatiche e riconoscere il valore positivo di tutto ciò che con loro cerca di affratellarci.

 Il cammino verso l’incontro auspicato da Hans Küng è più arduo rispetto alla fratellanza dei diversi di Francesco, ma certo il suo sforzo ha aiutato a creare le condizioni perché tanti capissero l’importanza del capirsi “fratelli”.

È evidente però che arrivare alla pace tra le religioni oggi è importante per tutti gli uomini, e che nella pulsione comunitaria, o comunista, dei monoteisti, c’è la liberazione di un anelito, di un sentimento, di una natura, cioè di una tendenzialità senza di cui sarà difficile uscire migliori dalla crisi pandemica e ambientale.

 

 

Fatta la religione globale,

ora occorre fare i globalisti.

Radioromalibera.org – Aldo Maria Valli – (6 maggio 2020) – ci dice:

La Trave e la Pagliuzza.

Alla fine della preghiera del Regina Caeli di domenica scorsa Bergoglio, davanti alla piazza San Pietro deserta, ha annunciato che, avendo “accolto la proposta dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana”, il prossimo 14 maggio “i credenti di tutte le religioni” si uniranno “in una giornata di preghiera e digiuno e opere di carità, per implorare Dio di aiutare l’umanità a superare la pandemia di coronavirus”.

 Ed ha aggiunto: “Ricordatevi: il 14 maggio, tutti i credenti insieme, credenti di diverse tradizioni, per pregare, digiunare e fare opere di carità”.

Ci troviamo di nuovo di fronte a un’iniziativa ispirata al sincretismo che nasce dalla “Dichiarazione di Abu Dhabi” del febbraio 2019, sottoscritta dal papa e dal grande imam “Ahmed Al-Tayyeb”.

Documento, occorre ricordarlo, dai contenuti oggettivamente eretici, dal momento che vi si legge che Dio vuole la diversità fra le religioni.

Quella dichiarazione, da cui è nato l’alto comitato al quale fa riferimento Bergoglio, è diventata la piattaforma della “nuova religione globale” che professa l’”umanitarismo di tipo massonico”.

Presentata come “fede abramitica”, la nuova religione eleva a concetto supremo la “Fratellanza” e ovviamente toglie di mezzo ogni peculiarità cristiana e cattolica.

Nato nell’agosto 2019, l’”Alto Comitato per la Fratellanza Umana” è composto da leader di diverse religioni e ha lo scopo di promuovere questa “nuova religione globale”.

Un mese dopo è stata presentata la “Abrahamic Faith House”, la “Casa della fede abramitica”, sede della nuova religione.

 È un “complesso multi-religioso” in costruzione su un’isola, a pochi minuti dal centro di “Abu Dhabi”, comprendente una moschea, una sinagoga e una chiesa che sorgeranno su fondamenta comuni.

Ogni religione ha bisogno di un suo centro di riferimento, e la “nuova religione globale” avrà dunque questo complesso nel quale tutto il design è ispirato all’uniformità:” niente più differenze, ma solo appiattimento e omologazione”.

Nel dicembre dell’anno scorso il Vaticano ha chiesto alle Nazioni Unite, diventate partner privilegiato sotto il pontificato di Bergoglio, di dichiarare il 4 febbraio “Giornata Mondiale della Fraternità Umana” per celebrare la data dell’anniversario della firma della “Dichiarazione di Abu Dhabi”.

Ogni religione, oltre che di un centro di riferimento, ha bisogno di una sua festa, e ora la nuova religione globale ha anche una festa.

Per il maggio di quest’anno era stato programmato dal Vaticano un incontro a Roma, la “Global Education Alliance”, ma la pandemia lo ha fatto rinviare a ottobre.

Sarà una grande celebrazione della “nuova religione globale”, del “nuovo umanesimo” e della “fratellanza globale”.

Nel suo messaggio in vista dell’incontro, il papa dice che l’iniziativa “ravviverà l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta e inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione”.

Come si può vedere, siamo di fronte a un tipico esempio di l”angue de bois”, lingua di legno.

 Potremmo definirlo, alla buona, “menare il can per l’aia”:

parole seducenti per le orecchie dei moderni, ma che non dicono nulla, perché nulla devono dire.

 Perché devono solo produrre suoni gradevoli per il pensiero dominante, che in questo modo viene rafforzato.

 Colpisce il fatto che tali parole starebbero benissimo sulla bocca dei capi dell’Onu o delle logge massoniche.

Non c’è neppure bisogno di cambiare una virgola.

È il linguaggio globalista standard.

Da notare che il papa usa le stesse espressioni, come “patto di educazione globale”, che appartengono al repertorio, per esempio, di “Hillary Clinton”, che del globalismo è una fiera sostenitrice e rappresentante.

Non per nulla, d’altra parte, nel gennaio 2019 una loggia massonica spagnola, in un messaggio di ammirazione per Bergoglio, scriveva:

 “Tutti i massoni del mondo si uniscono alla richiesta del papa per la fraternità tra persone di diverse religioni” diceva un anno fa un messaggio di una loggia massonica spagnola.

Non è neppure il caso di aggiungere che in tutti questi documenti e in tutte queste iniziative globaliste il nome di Gesù Cristo non compare mai.

 Perché non deve comparire.

Se l’obiettivo è arrivare a una “nuova religione mondiale”, che ingloba tutto, Gesù diviene un ostacolo, e dunque va tolto di mezzo.

Colpisce anche il fatto che, nel dare appuntamento per il 14 maggio, Bergoglio si sia rivolto ai “credenti di diverse tradizioni”.

Ormai perfino la parola religione è di troppo.

 Meglio ridurre il tutto a tradizione, cioè a qualcosa di semplicemente umano e terreno, eliminando ogni riferimento alla trascendenza.

Nel prossimo novembre il Vaticano sponsorizzerà ad Assisi l’evento denominato “Economia di Francesco”.

Era stato programmato per marzo, ma è stato anch’esso rinviato a causa della pandemia.

L’economia di Francesco, qualunque cosa significhi questa espressione, dovrà servire come base per la nuova dottrina sociale ed economica mondiale, le cui linee si trovano in “Evangelii gaudium” e nella “Laudato si’:

 un “un modello economico nuovo”, come si dice nella presentazione dell’evento di Assisi, ma nel quale di nuovo sembra esserci ben poco visto che appare in tutto e per tutto una nuova edizione del vecchio egualitarismo di matrice marxista, con una spruzzata di ecologismo.

La nuova religione globale ha poi un suo dogma, che è il Dialogo.

 Poiché la Fratellanza è l’idolo, il Dialogo è ciò che lo deve nutrire e tenere in vita. E poi c’è l’altro dogma, l’Ecologia.

Visto che non abbiamo più un dio ma la Madre Terra, l’impegno ecologico è ciò che deve accomunare tutti.

Nel messaggio per il lancio del patto educativo Bergoglio raccomanda il “coraggio di investire le migliori energie con creatività e responsabilità.

L’azione propositiva e fiduciosa apre l’educazione a una progettualità di lunga durata, che non si arena nella staticità delle condizioni”.

Che vuol dire? Nulla. Ma suona tanto bene.

Insomma, la nuova religione ha un suo centro, ha una sua festa, ha una sua lingua, ha la sua dottrina sociale, ha i suoi dogmi.

 Ora si tratta di trovare i fedeli, di formarli passo dopo passo.

E vediamo che nulla viene lasciato al caso.

“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” dice la frase attribuita a Massimo D’Azeglio.

Parafrasandola, potremmo dire così: “Fatta la religione globale, bisogna fare i globalisti”.

 E tutto dimostra che l’operazione sta andando avanti speditamente.

 

 

 

“La tirannia dell’emergenza” patologia

 del potere nel nostro tempo.

Barbadillo.it – (7-6-2023) – Redazione – Andrea Venanzoni – ci dice:

 

Andrea Venanzoni analizza in chiave teorica, ma anche pratica, le tre grandi emergenze - terroristica, pandemica e ambientale - che in maniera prepotente si sono abbattute nel corso degli ultimi anni sulla nostra società

La tirannia dell’emergenza di Andrea Venanzoni.

In questo saggio che esce oggi in tutte le librerie, intitolato “La tirannia dell’emergenza£, Andrea Venanzoni analizza in chiave teorica, ma anche pratica, le tre grandi emergenze – terroristica, pandemica e ambientale che in maniera prepotente si sono abbattute nel corso degli ultimi anni sulla nostra società.

 Da questa indagine affiorano, e sono messi bene in luce dall’autore, i dispositivi attraverso cui il potere consolida se stesso facendo leva sul presunto contrasto a un’emergenza continua.

L’emergenza oggi è uno spettro che si aggira per l’Occidente, è ormai diventata interminabile, scardina le garanzie poste a tutela delle libertà facendo regredire spesso i cittadini al livello di veri e propri sudditi, ridotti in soggezione psicologica di fronte al rischio inaccettabile della morte.

Nella narrazione ecologista radicale e catastrofista, sempre più anti-umana, l’uomo, rappresentato come virus in carne e ossa, è ormai il nemico numero uno, un parassita nocivo negativamente intento a sfruttare e a distruggere mari, cieli e foreste.

L’emergenza, scrive Venanzoni, “nella sua essenza più pura e autoritaria, è esattamente questo: promessa di redenzione, di salvazione e di guarigione. A discapito dell’essere umano e della sua libertà.”

In un mondo come quello odierno “delle emergenze rese stabili”, lo Stato si fa garante dell’illusione di salvezza.

 La morte non è più accettabile, non è più un fatto privato ma sociale, e solo il monopolio statale può brandire lo spettro della morte come minaccia contro chiunque dissenta o si ribelli.

Così, sostiene l’autore, “il governo totalizzante della burocrazia e la tentazione tecnocratica operano come anticamera privilegiata di una dittatura burocratica tout court.”

L’emergenza ha tradotto in permanenza e stabilizzazione l’applicazione di strumenti del tutto transitori, diventando una sorta di collettivo stress post-traumatico, religione civile di una nazione e di una intera civiltà in crisi.

L’intreccio ininterrotto di controlli, verifiche, strumenti di contrasto preventivo adottati durante il terrorismo, le pandemie e l’esplodere della criminalità organizzata produrrà paradossalmente, per reazione, un surplus di emergenze, in un circuito vizioso senza fine ma pericolosamente invisibile per le coscienze dei cittadini.

(Andrea Venanzoni - Roma, 1976 -, dottore di ricerca in Diritto pubblico)

“La tirannia dell’emergenza”, di Andrea Venanzoni, “Liberi libri 2023”.

 

 

 

Per un’economia armonica.

Futuranetwork.eu - Francesco Cicione – (2 marzo 2021) – ci dice:

 

Il localismo differenziato come soluzione per affrontare i costi della globalizzazione.

 Essere comunità è forse la sfida più difficile che ci attende oggi.

In un precedente contributo allo sviluppo di questo utilissimo ed interessante ciclo di riflessioni promosso dagli amici “Bacci Costa” e “Valentino Bobbio” di “NeXt – Nuova Economia per Tutti”, Paolo Cacciari ci ricorda, molto opportunamente e con efficace capacità di sintesi, come il capitalismo sia fondato su due pilastri (impresa privata e Stato) in liberto mercato.

Due pilastri che, nel corso dei secoli, combinandosi progressivamente e talvolta evolutivamente secondo forme, modalità e paesi diversi, hanno determinato un sistema macroeconomico egemone che, tuttavia, negli ultimi decenni sta sempre più manifestando fragilità e debolezze strutturali insuperabili.

È giusto premettere che mi avventuro nel solco di questa riflessione con l’approssimazione e la semplicità che mi deriva dal non essere né economista, né storico, né scienziato sociale:

porto in dote, dunque, semplicemente qualche idea frutto di elaborazioni personali e pertanto inevitabilmente e necessariamente criticabili da chi ha scienza e competenza consolidata in materia.

A ben vedere però, mi sembra quasi banale evidenziare che i segni dei limiti e delle debolezze della dottrina capitalistica, non possono e non debbono essere considerati una acquisizione recente.

Essi, probabilmente, hanno, infatti, a che fare con la natura stessa del capitalismo.

A tal proposito, abbiamo già scritto, di recente, con Luca De Biase:

“Fernand Braudel, lo storico francese che ha guidato la scuola delle Annales alla metà del secolo scorso, riconosceva una distanza incommensurabile tra la dimensione del capitalismo e quella del mercato.

Da storico, vedeva il mercato nella sua manifestazione concreta, ripetuta in mille modi diversi attraverso il pianeta:

 il mercato era prima di tutto la piazza del mercato.

Visto così, studiando i comportamenti dei produttori e dei venditori che vanno al mercato a cercare compratori, osservando i gesti dei compratori che contrattano e confrontano le offerte, il mercato appare per quello che è:

un insieme di consuetudini, una struttura di luoghi di incontro, una quantità di regole pratiche che garantiscono la concorrenza e favoriscono una leale competizione economica, in relazione a un sistema produttivo e sociale nel quale nessuno può approfittare più di tanto delle sue risorse e nel quale la redistribuzione della ricchezza è tendenzialmente collegata alla generazione di valore che ciascuno produce e che chiunque facilmente riconosce.

Nella dimensione del capitalismo la realtà è totalmente diversa.

Braudel ricostruisce i primi passi del capitalismo nelle borse veneziane e nelle speculazioni valutarie genovesi, nel controllo delle grandi vie del commercio globale affidato dalle potenze imperialiste alle compagnie destinate a sfruttare le colonie e molto altro ancora.

 Nel capitalismo non c’è il mercato:

 ci sono alcuni finanzieri, grandi mercanti, enormi proprietari terrieri, mega industriali, che hanno risorse straordinarie, che riescono a costruire alleanze con i poteri politici, che accumulano un potere economico tale da riuscire a mettersi al riparo dalla concorrenza.

 Il capitalismo si finge concorrenziale ma è per vocazione monopolistico.

Ed è stato il capitalismo a governare negli ultimi quarant’anni, non certo il mercato.”

 (tratto da “Innovazione Armonica”. Un senso di futuro, Francesco Cicione e Luca De Biase, Rubbettino 2021)

 

Ne deriva che associare il concetto di capitalismo a questo tipo di libero mercato, rischia di assumere le sembianze di una ingenua semplificazione, poiché tale mercato è, forse, per il capitalismo solo un sofisticato paravento da strumentalizzare e piegare ai propri scopi.

La competizione è peccato” amava affermare John Davison Rockfeller, denunciando una visione del capitalismo (di cui lui è esponente di vertice nella storia contemporanea) più prossima al feudalesimo che non ad una moderna concezione dell’economia al servizio del progresso, per quanto arricchita e contemperata da propositi (formalmente) illuminati.

In questo scenario, lo Stato, depositario delle funzioni regolatorie, si è rivelato, in molte circostanze, inadeguato ed impreparato, sterilizzato e compromesso nella sua efficacia da visioni politiche e sociali fortemente ideologizzate e radicali (o in senso neoliberista o in senso statalista), imprigionate nel pregiudizio asfittico delle camicie di nesso di riferimento e pertanto insufficienti o inadeguate a promuovere forme di società giuste e sostenibili.

Tutto ciò, per alcuni (molti) versi potenziato e per altri (pochi) mitigato nei suoi effetti dalla globalizzazione della governance mondiale, dalla finanziarizzazione dell’economia e dalla digitalizzazione dei modelli relazionali e produttivi, ha determinato una grave polarizzazione della struttura sociale, generando forme di distribuzione della ricchezza pericolosamente ingiuste e squilibrate che hanno condotto il 2% della popolazione mondiale a detenere il 50% della ricchezza.

Oggi in molti, e tra questi l’economista “Raghuram Rajan”, ci ricordano che in un periodo storico in cui il mercato (e dunque il primato dell’interesse privato) sembra avere irrimediabilmente vinto sullo Stato (quindi sul primato dell’interesse pubblico), bisogna ripartire dal terzo pilastro, ovvero dalle comunità (il primato del bene comune e della comunione nel bene).

È nella comunità che dobbiamo riscoprire la capacità di custodire i processi e le dimensioni relazionali e partecipative, la soggettività territoriale e sociale, la creazione di valore condiviso, il consolidamento del senso di un cammino comune, come antidoto alla crescente espropriazione di sovranità che si sta consumando nei confronti degli stati nazionali:

 ovvero il localismo differenziato come soluzione per affrontare i costi della globalizzazione, preservandone i benefici.

 Essere comunità è, forse, la sfida più difficile che ci attende poiché esige capacità di perdonare se stessi e gli altri, capacità di riscoprire l’altro come dono verso se stessi e me stesso come dono verso l’altro.

Essere comunità è la sfida più difficile, perché significa ristabilire un patto di fiducia tra le persone, tra le istituzioni e tra di esse; significa far rivivere la necessaria comunione dei talenti;

significa riaffermare il primato della dolcezza della correzione fraterna sulla violenza della pena ad ogni costo;

significa riscoprire il gusto raffinato del dialogo e dell’amore rispetto al sapore forte delle antinomie, della contrapposizione e della rabbia;

 significa riscoprirsi veri fratelli;

significa riscoprire le regole di una giustizia sociale, economica, civile e penale ricca di misericordia e non di prepotenza;

significa avere desiderio di riabbracciarci e di pacificarci;

significa unirci in uno sforzo comune di ricostruzione;

significa rinunciare alle nostre convinzioni ideologiche e culturali inscalfibili e consolidate;

 significa affermare di voler essere futuro tutti insieme.

 

Ci troviamo, quindi ed evidentemente, alla fine di una fase storica segnata da semplificazioni, populismi ed ingiustizie (molto probabilmente vi è una forte correlazione con i mali del capitalismo), mentre una nuova non è ancora del tutto iniziata.

L’avvento di una nuova e diffusa sensibilità su questi temi, sui problemi che li caratterizzano e sulle soluzioni possibili, sta, infatti, progressivamente facendo crescere un vasto movimento interessato a promuovere la cultura della sostenibilità, della finanza d’impatto, dell’impresa etica e della nuova economia.

I Ceo delle principali società quotate nella Borsa di New York sono arrivati a firmare insieme un manifesto nel quale affermano:

“Siamo decisi a liberare l’umanità dalla tirannia della povertà e vogliamo guarire e rendere sicuro il nostro pianeta per le generazioni presenti e future. Siamo determinati a fare i passi coraggiosi e trasformativi che sono urgenti e necessari per mettere il mondo su un percorso più sostenibile e duraturo. Mentre iniziamo questo cammino comune, promettiamo che nessuno sarà escluso”.

Il framework delle policy globali si sta riorientando in maniera radicale:

 si pensi ai programmi “Agenda 2030” ed Addis Abeba dell’Onu, il” New green deal” e “Next generation Eu “della Commissione europea, sino alle accorate encicliche “Laudato Si'” e “Fratelli tutti “di Papa Francesco.

Si tratta di un percorso ambizioso, necessario ed utile che, tuttavia, interpella la nostra coscienza morale individuale e collettiva con interrogativi fondamentali ed essenziali, se si vuole evitare il rischio di produrre banale storytelling.

Proviamo a tratteggiarne alcuni in maniera sintetica, confidando che farlo, possa risultare utile ad arricchire la nostra riflessione iniziale.

Prima questione. Esiste un modello economico migliore dell’altro? Ogni modello economico è definibile e giudicabile con precisione? Se sì, secondo quali criteri e parametri? Difficile, almeno per me, rispondere con esattezza.

Spesso il giudizio rischia di essere ingannevole, gravato da retaggi e sovrastrutture che deformano, finanche in maniera inconsapevole, la prospettiva.

Può essere utile, invece, un approccio “possibilista” di impronta “umanistica”. Ovvero: quale che sia il modello, si cerca di orientarlo al bene più grande, ponendo la persona (e solo la persona) al centro.

Per uno strano paradosso, ne deriva che proprio i modelli peggiori hanno bisogno di essere umanizzati.

Tale approccio implica un esercizio profondo della responsabilità.

 

Seconda questione. Cosa significa essere sostenibili?

Azzardo una risposta: significa essere veri, veri ontologicamente, veri antropologicamente, veri storicamente e cosmologicamente, significa ricomporre la frattura tra verità dell’essere e verità del fine.

 Oggi si crea per consumare e ciò ha generato la società del consumo.

Ma il vero fine è la necessità ed il bisogno essenziale.

 Consumare in maniera responsabile significa recuperare il vero fine, recuperare la perfetta sintesi tra essere e fine, significa recuperare un rapporto armonico tra uomo e creato, tra uomini e uomini, attingendo a quella sapienza primigenia che in maniera sorprendente ha caratterizzato tutte le più antiche culture della storia.

Terza questione. Come si persegue (e si realizza) la centralità dell’uomo in un modello economico?

Giova citare quanto sostiene “Nicola Rotundo”:

“L’odierna bizzarra visione antropocentrica sta facendo di un uomo autonomo ed al contempo despota, la “misura” di tutte le cose.

La più grande fragilità oggi non è nell’economia, nell’ecologia, nella politica, nella medicina, nella scienza.

 Certamente anche in questi ambiti le fragilità sono grandi.

 Ma ciò che maggiormente è in crisi, oggi, è l’uomo che governa tutti questi ambiti ed è in crisi per carenza di sapienza.

Un uomo non sapiente è un uomo “non uomo”.

 Ed è questo oggi il male più radicale, il punto più debole, la ragione più profonda delle molteplici crisi sociali, finanziarie, ecologiche, politiche che stanno investendo l’umanità.

 Se è falso l’uomo che fa economia, falso sarà il sistema economico da lui teorizzato e praticato.

Se è falso l’uomo che pensa l’economia, mai l’economia sarà o potrà essere sostenibile perché mai sarà pensata e realizzata a servizio dell’uomo e di tutti gli uomini, ma soprattutto a misura dell’uomo e di tutti gli uomini.

La vera economia è quella che è pensata a servizio di tutto l’uomo (anima compresa) ed a servizio di tutti gli uomini.

Sono economie non sostenibili e come tali sempre andranno in crisi, quei sistemi economici che non rispettano questi due principi.

Anche un solo uomo escluso dai benefici di un sistema economico denuncia una carenza del sistema economico sul piano etico.” (L’Uomo al Centro. Per una Ecologia Integrata, a cura di Nicola Rotundo, Rubbettino 2021).

Quarta questione.

 È solo una questione di equa distribuzione della ricchezza o anche di equa produzione di valore economico diffuso?

Il Pil mondiale, rappresentato secondo le regole del diagramma di Voronoi, è stimato in 87,8 migliaia di miliardi di dollari.

 Attualmente la popolazione mondiale è di 7,8 miliardi di persone e quella attiva dal punto di vista lavorativo è di circa cinque miliardi.

 Questo vuol dire che mediamente ogni individuo attivo produce ogni anno ricchezza per 17.918 dollari.

Tuttavia, poiché sappiamo che il 50% della ricchezza mondiale (che non è il Pil ma comunque è un indicatore significativo) è concentrato nel 2% della popolazione mondiale, dobbiamo dedurne che il 98% della popolazione mondiale attiva (ovvero 98 milioni di persone) producono 43,9 mila miliardi di ricchezza (ovvero circa 447.959 a testa) mentre, i restanti 4,9 miliardi di persona producono i restanti 43,9 mila miliardi (ovvero circa 9.142 a testa).

 Se non vi sono bug nel ragionamento, mi domando:

 il tema è solo quello delle diseguaglianze (tanto e giustamente approfondito) oppure vi è (anche) un tema di produttività (e responsabilità) dei singoli e di modello di sviluppo?

Queste premesse portano ad alcune conclusioni sommarie che, traslando il concetto di innovazione armonica che siamo impegnati a promuovere come “Entopan”, potremmo riassumer in una idea: l’economia armonica.

 

Come l’innovazione armonica anche l’economia armonica può e deve essere “nobile e gentile”.

Come l’innovazione armonica anche l’economia armonica può e deve essere etica (senza macchia, tersa, inoffensiva, amante del bene, benefica, libera, incontaminata, autentica);

 intelligente (sottile, acuta, amica dell’Uomo, stabile, sicura, utile, nuova); generativa (performante, emanazione della potenza creativa, nel contempo unica e molteplice); pervasiva (penetrante, mobile, agile, multidisciplinare); sostenibile (circolare, riflesso dell’equilibrio perenne).

 

Come l’innovazione armonica anche l’economia armonica può e deve credere nell’economia che “dopo aver interrogato la ragione è disponibile ad aprirsi ad una luce più grande, ispirata da un approccio sapienziale costantemente rivolto a perseguire l’incontro tra immanenza e trascendenza, tra finitudine e infinitudine, tra presente ed eternità, tra ricerca scientifica e ricerca morale, nella costante valutazione delle implicazioni etiche di ogni intervento, accettando di confrontarsi con il concetto di “limite” e, più ancora, disponibile ad assumere il concetto di “limite” come centrale nello sviluppo di una coerente, efficace e sana teoria e pratica economica, poiché l’economia “si è”, non la “si fa”.

 

Noi tutti siamo chiamati a promuovere una economia armonica, nel tempo, nello spazio, nelle relazioni ad ogni livello.

L’economia è uno scambio mirabile: si produce una cosa per avere un’altra cosa.

È il seme che muore che produce molto frutto: ancora una volta mirabile scambio.

Nella vera economia si consuma la vita per rimanere in vita, si offre il sudore del proprio lavoro per guadagnare il pane quotidiano.

Ogni diritto è un dovere maturato. E non il contrario.

È una economia che esige la purificazione dal vizio, dai tanti vizi che producono sprechi ed ingiustizie.

 I piccoli vizi generano sempre gravi squilibri macroeconomici.

È certamente questa vera economia etica dai frutti eterni e universali, poiché il frutto prodotto è sempre infinitamente ed eternamente più alto del dono offerto.

Oggi, invece e purtroppo, molte economie sono per la morte: si mortifica o finanche si uccide l’uomo solo per sete di guadagno disonesto.

Quando per un profitto maggiore si conduce un uomo alla perdita della dignità ed alla morte non si produce vera economia.

 Il Vangelo ci fornisce, forse, uno degli esempi più esemplari in tal senso:

il ricco cattivo, detto un tempo ricco epulone, che usò i beni solo per se stesso e non vide Lazzaro, il povero coperto di piaghe e affamato, seduto dinanzi alla sua porta.

Lazzaro invece che visse la sua economia di povertà e di miseria secondo onesta e verità ed ebbe in cambio la sua eternità di gloria: il guadagno è altissimo.

Ma oggi chi crede in questa economia di vera comunione, vera condivisione e vera eternità?

Non credendo né nell’eternità come frutto di un presente armonico ed autentico, l’economia umana tende a definire le proprie regole con l’obiettivo di massimizzare il momento attuale e l’utilità di pochi.

Questo difetto di “trascendenza”, reca, a mio avviso, conseguenze gravi anche in chi si impegna nella promozione di forme orientate a creare un mondo più giusto, poiché è manchevole di una verità piena ed audace.

È necessario, dal mio punto di vista, uno sforzo collettivo di ripensamento dei fondamentali più autentici:

 senza una riflessione libera ed aperta su di essi il rischio di restare intrappolati nel perimetro limitato di formule, teorie e propagande, sterili ed infruttuose, è altissimo.

Non si sprechi la lezione della storia, dunque: si abbia il coraggio di un cambiamento ontologico.

L’emergenza da Covid-19 ci offre (e ci impone) una grande possibilità (e necessità) di cambiamento.

Oltre il capitalismo, oltre ogni modello economico, per l’affermazione di un paradigma generativo, coesivo, sostenibile, inclusivo ed armonico.

Per l’Uomo e per l’Umanità, nell’autenticità.

(Francesco Cicione, founder e presidente di Entopan)

 

 

 

OMS: è in Vigore il “Trattato Pandemico”

Stile Nazi, all’Insaputa di Tutti…

 

Conoscenzealconfine.it – (11 Giugno 2023) - Paolo Spiga -ci dice:

 

Pochi lo sanno, ma da circa un mese e mezzo è entrato praticamente in vigore il “Trattato Pandemico” elaborato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

 

Con esso gli Stati aderenti all’OMS (sono ben 193) vengono privati di tutta una serie di libertà e si auto costringono ad accettare obblighi e diktat dall’alto (dall’OMS) senza poter fiatare, in caso di nuove pandemie.

Possibile mai che un tale follia sia passata così, in modo ‘segreto’, senza che nessun Parlamento ne abbia potuto discutere?

 È possibile che nessun Parlamento si sia opposto, o comunque, non abbia chiesto almeno di affrontare pubblicamente una questione di tale impatto e di tanta rilevanza?

Secondo la nuova “Legge OMS”, se entro sei mesi (a partire dal 14 aprile, la data di ‘emanazione’ dell’editto, in perfetto stile antica Roma o antico Egitto) le nazioni membre dell’OMS non faranno pervenire il loro no, si sottoporranno automaticamente e volontariamente al ‘Trattato’ che più incredibile non si può.

Eccone i punti-base, tutti da ‘gustare’:

Punto 1. Vengono ampliate le definizioni di ‘pandemia’ e di ‘emergenza sanitaria’:

è bastato introdurre una paroletta magica, ossia ‘potenziale’ invece di ‘effettivo’ per conferire tutta una serie di nuovi poteri e competenze all’OMS;

Punto 2. Si passa da ‘istruzioni vincolanti’ e ‘istruzioni obbligatorie’: una bella differenza!

Punto 3. Viene potenziata la capacità del “Direttore Generale dell’OMS “(attualmente la carica è ricoperta da Tedros Adhanom Ghebreyesus) di dichiarare ‘autonomamente’ le emergenze sanitarie: un vero Monarca nel campo della salute a livello internazionale;

Punto 4. Viene stabilito un processo di ‘sorveglianza’ di tutti gli Stati membri che sarà regolarmente verificato dall’OMS attraverso appositi meccanismi di revisione nazionale;

Punto 5. Viene consentito all’OMS di condividere i dati sanitari nazionali ‘senza consenso’ (avete letto bene);

 

Punto 6. Viene conferito all’OMS il controllo su determinate ‘risorse nazionali’. Può succedere di tutto…

Punto 7. Ogni Paese deve garantisce il sostegno all’Oms per la promozione delle attività di censura, per impedire la diffusione di approcci e preoccupazione alternative/dissidenti:

parole testuali che fanno venire i brividi perché istituzionalizzano la censura, il divieto di ogni dissenso e impongono “il Pensiero Unico” nel delicatissimo campo della salute di tutto il mondo;

Punto 8. Più potere all’OMS per la chiusura delle frontiere, le restrizioni dei viaggi, i blocchi (quindi i lockdown); e anche per quanto riguarda esami medici e farmaci (evidentemente ben compresi i vaccini).

Un quasi decalogo in puro stile nazi:

mancano solo la previsione di nuovi lager (ma a quanto pare proprio in Germania e soprattutto in Australia erano state già previste apposite aree dove sistemare gli infetti delle nuove pandemie), e un mega appalto per forni crematori e la somministrazione regolare di olio di ricino.

Ma non è mai troppo tardi.

Un paio di giorni fa, per chiarire meglio le idee ai popoli ormai ridotti a masse di sudditi senza diritti e senza parola, è intervenuto pubblicamente il co-presidente dell’OMS, il medico saudita Abdullah Assiri, evidentemente non ancora soddisfatto per quanto è stato già fatto.

Ecco le sue minacciose parole:

 “Il mondo ha bisogno di altri mandati legali, come il “Trattato sulle pandemie”, per affrontare una particolare pandemia qualora dovesse verificarsi; e lo farà”.

 Ed ha aggiunto:

“La definizione delle priorità delle misure che possono limitare le libertà individuali, l’ordine, la condivisione delle informazioni, delle conoscenze, delle risorse e, soprattutto, la fornitura di risorse per la risposta alla pandemia sono necessarie durante una pandemia”.

Capito?

Teniamo sempre presente un dato di basilare importanza.

L‘OMS è nata nel 1948 come un’organizzazione totalmente pubblica finanziati con i soldi pubblici degli Stati aderenti.

Man mano, con il passar degli anni, il quadro è cambiato, fino all’odierno, totale ribaltamento.

Mentre fino a vent’anni fa i finanziamenti-donazioni erano per l’80 per cento pubblici e solo il restante 20 per cento proveniva dai privati, oggi quel rapporto si è capovolto (80 ai privati, solo 20 ai pubblici):

il timone di comando, quindi, è passato in mani private, come case farmaceutiche, fondi speculativi, assicurazioni, banche e singoli miliardari, come è il caso di “Bill Gates”.

Il fondatore di ‘Microsoft’, da alcuni anni ormai tuffatosi a capofitto nelle nuove sfide della sua vita (vaccini & cambiamenti climatici), è oggi al secondo posto nella hit mondiale dei finanziatori-donatori, alle spalle degli Stati Uniti;

 e ben prima di potenze del calibro di Francia, Germania e Regno Unito.

Il “neo Direttore scientifico”, nominato a gennaio 2023,” Jeremy Farrar”, è un suo grande amico;

come lo è di “Anthony Fauci”, con il quale ha fin dal primo momento condiviso la teoria dell’”origine naturale del Covid,” oggi ormai smentita perfino dall’”FBI “che ha accertato la sua origine artificiale, in laboratorio.

E sapete qual è stata la prima decisione di “Farrar”, proprio a inizio anno?

Quella di annullare la seconda missione “OMS” a Wuhan, proprio per accertare in modo definitivo l’origine del virus.

Lo ha fatto per evitare, in tutta evidenza, che saltasse fuori la “connection Fauci-Wuhan”, e quindi gli ingenti finanziamenti americani per le pericolosissime (e per questo vietate negli Usa) ricerche sul ‘gain of function’.

E noi tutti, ormai, ‘ci siamo’ costretti ad obbedire ai diktat di una simile organizzazione di fuorilegge…

Davvero ai confini della realtà.

(Paolo Spiga)

(lavocedellevoci.it/2023/06/02/oms-e-in-vigore-il-trattato-pandemico-stile-nazi-allinsaputa-di-tutti/)

 

 

 

“Renato Cristin” spiega

la grande macchina globalista.

 

Museodelcomunismo.it – Redazione – (20-1-2023) – ci dice:

 

Con il saggio “I padroni del caos” (Liberi libri) il docente universitario triestino indaga con una rigorosa metodologia filosofica tutte le facce della decostruzione della civiltà europea e occidentale.

 E propone un paradigma liberalconservatore.

Avevamo incontrato “Renato Cristin” nella nostra recensione all’edizione italiana de “L’antirazzismo come terrore letterario” (Liberi libri, Macerata, 2016, pp. XL-44, ) di “Richard Millet”.

In quel caso ne aveva curato la pubblicazione. Non solo.

La sua Prefazione al testo del noto pensatore francese (A partire da “Richard Millet”, colpevole di scrivere) consisteva in un ampio, prezioso contributo personale.

Stavolta siamo lieti di segnalare – e non recensire, vedremo subito perché – la sua nuova fatica:

“I padroni del caos “(Liberilibri, Macerata, 2017, pp. 456).

Una Premessa e otto capitoli (alcuni dei quali sono rielaborazioni di un saggio precedente) coi quali l’autore decifra, tassello per tassello, il meccanismo politico-economico-culturale globalista che ci sta sovrastando e cambiando.

E mica tanto lentamente.

Una grande macchina mondiale, spietata e feroce.

Un libro talmente ricco e complesso che, come abbiamo appena scritto, è impossibile da recensire sinteticamente a beneficio del lettore.

Ogni pagina offre spunti per un’intera analisi.

Allora, l’intero volume va letto. Con attenzione. Con pazienza. Per intero.

 Il (relativo) impegno sarà ripagato dalla soddisfazione di aver colto molto, se non tutto, dell’inatteso sviluppo del globalizzato mondo contemporaneo, proiettato verso la «sostituzione culturale (e progressivamente anche etnica)» dell’Europa e della sua cultura.

Il caos nel quale stiamo già vivendo – ma, via via che il meccanismo andrà avanti, sarà sempre peggio – ha degli ingranaggi complessi, che, tuttavia, ben oliati, lavorano con estrema efficienza.

 Con una sintesi davvero abbozzata e lacunosa, possiamo dire che i padroni del caos sono:

l’Unione europea con la sua tecno burocrazia incontrollata al servizio del capitalismo liberista finanziario;

 il “sessantotto-pensiero” con la conseguente totalitaria ideologia unica del “politicamente corretto”;

 la colpevolizzazione della storia e della civiltà europee; l’imposizione dell’immigrazionismo;

la scelta ideologicamente pauperistica e immigrazionista della Chiesa cattolica;

la lenta pervasività di un islam fondamentalista, retrivo e intollerante (e non se ne scorgono altre tipologie).

 

Come si vede, si tratta di un mostro le cui facce possono anche apparire contraddittorie, ma che, nel suo insieme, funziona benissimo.

 Ogni elemento dell’orrendo coacervo ha un ruolo.

E il tutto tende a un fine cui ci si approssima con velocità crescente:

la decostruzione-distruzione della civiltà europea per come si è formata, nel corso di più di duemila anni, tra contraddizioni, arretramenti, sofferenze immani, nefandi orrori e soprattutto splendori, grazie ai successivi contributi di Grecia, Roma, cristianesimo, umanesimo e rinascimento, illuminismo, romanticismo, scientismo, ecc.

Un’identità che già oggi facciamo fatica a riconoscere.

 I primi sei capitoli de” I padroni del caos”, con le conclusioni di ciascuno di essi che rimandano ai contenuti di quello successivo, analizzano con sottigliezza e con una sorprendente ricchezza di riferimenti e di acute riflessioni la realtà che, impostaci, stiamo vivendo.

Gli ultimi due formulano proposte per opporsi al nuovo totalitarismo.

Di tutta questa ricchezza di contenuti possiamo solo provare a ricavare una sintesi davvero minima.

 Nel capitolo 1 (Geopolitica del pensiero: l’europeismo contro l’identità europea) l’autore evidenzia il ruolo centrale dell’Unione europea nella decostruzione del Vecchio Continente.

Essa si è tradotta e declinata in incontrollabili super caste burocratiche e finanziarie, tirannide monetaria, mostruosa proliferazione legislativa e sostituzione dei secolari governi nazionali con un’astratta quanto autocratica governance disprezzo per le popolazioni (e le loro peculiarità nazionali e regionali), che qualcuno definisce già nativi, come i pellerossa destinati all’estinzione.

E il Sessantotto col suo variegato apparato ideologico, ha perso o ha vinto?

O non è forse uno degli altri elementi del caos?

Cristin individua, infatti, una divisione dei compiti nel nuovo ordine globale:

«Ai vecchi creatori della rivoluzione permanente il controllo delle idee, ai nuovi gestori degli apparati statali e comunitari il controllo dell’economia, e a entrambi il controllo della società e dell’opinione pubblica».

A scapito del popolo, aggiungiamo noi.

Così, il secondo capitolo (Il pensiero dell’altro: neo sadismo e imposizione del caos) prova con chiarezza come il pensiero distruttivo di pensatori come “Michel Foucault” abbia infine prevalso, diventando “conformistica ideologia di massa”.

 Alla base di tutti gli intellettuali-politici sessantottini sta la volontà distruttiva del vecchio ordine, in ogni sua declinazione (autorità, stato, religione, famiglia, padre, sessualità, arte, ecc.).

Però, solo ai fini di un nuovo totalitarismo.

 Insomma, ribellarsi alla tradizione ed essere libertari è un obbligo, ma non verso il nuovo ordine, che è in realtà disordine e caos.

Allora subentra la repressione.

Il simbolo più pregnante colto da “Cristin” per rappresentare tale paradosso è il castello del marchese De Sade, tanto amato dai rivoluzionari in quanto rappresentante dell’estrema liberazione «dalle costrizioni e dalle convenzioni», oltre che della sessualità.

 In realtà, proprio come sta avvenendo oggi in nome del libertarismo, l’universo sadiano raggiunge l’estremo della prigione totalitaria, dell’arbitrio, del disprezzo dell’umano, del nihilismo.

 Come nella realtà odierna, in “Sade” la totale, maniacale, organizzazione della vita in funzione del soddisfacimento di ogni desiderio individuale corrisponde al massimo di controllo collettivo, meccanizzazione e riduzione della persona a oggetto da usare.

 Un incubo.

«La violenza risiede nell’umano, […] nessun sistema ne è immune, [anzi] quello occidentale ne ha forse il minor tasso o almeno il livello più controllato».

Tale lapalissiana realtà rammentata da “Cristin” si scontra con le illusorie e un po’ infantili speranze, circonfuse di “alone magico”, secondo le quali l’altro è buono, migliore, apportatore di liberazione, catarsi e redenzione.

 Insomma, la salvezza esiste, è facile, è vicina, ma altrove.

 Sicché idiofobia e oikofobia comportano un odio di sé e un’acritica xenofilia.

 Da qui l’autocolpevolizzazione e la conseguente necessità dell’espiazione.

Tale corrente di pensiero, che nasce col mito del buon selvaggio di “Jean-Jacques Rousseau “e il relativismo culturale di “Michel de Montaign”e, ma si sviluppa soprattutto col Sessantotto, è l’argomento centrale del capitolo 3 del saggio di Cristin (Il complesso d’Europa: oikofobia e xenofilia).

 

Di fronte a qualunque orrore commesso da altre civiltà, ci sarà sempre qualcuno che esclamerà il fatidico “anche noi”.

 In effetti, lo spirito critico (anche verso se stessi e la propria cultura) è una delle peculiarità della nostra civiltà.

 Peccato che appartenga appunto solo a essa.

Non troverete mai un comune islamico, cinese, indiano, non solo che ammetterà, ma neanche che studierà, le proprie colpe storiche.

Il quarto capitolo tratta Multiculturalismo e terzomondismo: la teoria della sostituzione.

 Non si tratta di complottismo. Già nel 2001 la “Direzione popolazione del Dipartimento affari sociali ed economici dell’Onu” parla chiaramente di «immigrazione sostitutiva» ai fini di far fronte al calo demografico europeo.

 Per fare accettare l’immigrazione di massa, ovvero ciò che “Renaud Camus” ha definito la «grande sostituzione», è stato dispiegato un vasto apparato culturale e massmediatico.

L’ideologia di base è quella multiculturale e terzomondista:

“tutte le culture e tutte le religioni sono uguali”, “i migranti sono una risorsa”; “l’immigrazione è necessaria”, “i paesi poveri sono tali a causa del colonialismo europeo”, “è giusto rimediare agli errori del passato”…

Chi, timidamente ma realisticamente, fa notare che la convivenza in piccoli territori di masse di popolazioni di cultura diversa rappresenti un problema è accusato subito di razzismo, xenofobia, intolleranza, ignoranza, chiusura, egoismo.

Peccato che tali peculiarità appartengano piuttosto agli altri.

 Si pensi alle cruente divisioni e guerre tra tribù, clan, famiglie, in buona parte dell’Africa e dell’Asia, o all’islam che taglia corto sugli aderenti alle altre religioni, definendoli tutti «infedeli».

Tra questi ultimi vi sono i cristiani.

Tuttavia, la Chiesa cattolica, soprattutto sotto il pontificato di Jorge Mario Bergoglio (capitolo 5, Pauperismo e comunismo: la teologia della sovversione e della rinuncia), sembra disinteressarsi del tutto della difesa dell’identità europea, della quale si era infine fatto interprete il predecessore di “Francesco I” (vedi Benedetto XVI, il papa che difendeva l’Europa).

L’attuale pontificato appare influenzato dalla sudamericana “teologia della liberazione”, una sorta di commistione di terzomondismo e marxismo.

I ripetuti messaggi di “Francesco I”, con l’esaltazione della povertà e del povero come nobili categorie a se stanti, sembrano prospettare non un innalzamento delle classi misere della popolazione mondiale, ma “una generale pauperizzazione del pianeta”.

Afferma “Cristin” che per Bergoglio «la povertà non va superata ma conseguita» in quanto condizione del «raggiungimento di uno stadio superiore della vita spirituale e sociale».

Una categoria sociale viene trasformata in categoria dello spirito.

 Pertanto, occorre «terzo mondializzare l’Europa».

E quale strumento migliore dell’immigrazione indiscriminata, infatti benedetta dal dogmatismo dell’accoglienza?

 Purtroppo (si fa per dire), l’uomo europeo è abituato alla libertà e al benessere; inoltre, è poco solidale, etnocentrico, sfrutta le risorse altrui, non rispetta l’ambiente…

 Ormai è talmente corrotto che «non è sufficiente indicargli la via, perché la sua identità si è formata su basi solide e nel lungo periodo, e quindi diventa necessario sostituirlo».

L’autocolpevolizzazione diventa autoannullamento nel caso del rapporto Europa-musulmani trattato nel sesto capitolo (L’islam: l’«altro» più inquietante).

 Non occorre essere delle aquile per comprendere che la cultura europea e quella islamica sono totalmente incompatibili:

 «Finché i musulmani restano prima di tutto, e in molti casi soltanto musulmani, nessuna integrazione è possibile».

In nome della “sharia”, agli islamici residenti in Europa (presso i quali è spesso presente la miscela psico culturale più pericolosa: vittimismo, volontà di riscatto, odio) è consentito trasgredire le leggi dei singoli stati presso i quali vivono.

Di più; in nome dello psico reato dell’islamofobia, non è neanche possibile fare osservazioni su alcun aspetto della loro vita sociale e religiosa.

Si sono così già create delle vere e proprie enclave.

 È ormai l’indigeno europeo che deve integrarsi e non l’immigrato.

Tolleranza verso chi è intollerante; repressione verso chi è culturalmente tollerante.

Un «razzismo anti-bianco», secondo la definizione di “Gilles-William Goldnadel”.

Fin qui la definizione dei fattori di disordine.

Tuttavia, come abbiamo poc’anzi scritto, negli ultimi due capitoli (Il pensiero identitario: il nuovo reazionarismo e Idiologia: la rigenerazione dell’identità) il lettore del saggio di “Cristin” si troverà di fronte anche le sue proposte per evitare che il caos prevalga.

Come?

In primis, con la «riaffermazione dell’identità» e con la «rigenerazione della tradizione».

 Innanzi tutto, occorre aprire gli occhi, ritornare a guardarsi intorno con semplicità, liberandosi dagli inganni ideologici:

vedere la realtà e smascherare così ciò che sta avvenendo, il «totalitarismo angelico» (definizione di “Richard Millet”) e la sottostante-sovrastante retorica buonista e manicheista.

Sapere ciò che siamo: antitotalitari e democratici, liberali e conservatori, liberisti ma antiglobalisti, antinazifascisti e anticomunisti, filoisraeliani e filostatunitensi, alternativi al terzomondismo e all’islamismo.

Occorre recuperare e imporre principi e valori euro identitari anti sessantottini quali «autorità come autorevolezza, disciplina come esercizio dello spirito, tradizione come connessione storica interna di una civiltà, famiglia come nucleo formativo originario, ordine come condizione essenziale dell’esistenza sociale, identità come perno a cui fare riferimento per la comprensione del mondo».

Di particolare importanza è la battaglia per le lingue nazionali e per un linguaggio raziocinante e chiaro, per una scuola che davvero insegni, contro l’ignoranza, la tecnicizzazione del mondo, la virtualizzazione della realtà, la dittatura della Rete, il postumano.

 E neppure secondaria è la difesa della proprietà (anche intellettuale, il diritto d’autore), nel suo potenziale di miglioramento del benessere individuale e collettivo, in contrapposizione al pauperismo, alla annullante condivisione del web, che è anche «dis-propriazione».

È necessario chiarire anche ciò che non siamo e che il nuovo totalitarismo ci attribuisce con significato insultante: alle pp. 341-345 del suo libro “Cristin” formula un lungo elenco, che riecheggia quello di “Eugenio Montale” in “Non chiederci la parola”, e ad esso rimandiamo.

 È pure indispensabile «sottolineare le differenze non tra colori di pelle ma tra visioni del mondo, tra opzioni di vita sociale, tra diverse concezioni dell’uomo (compresa, s’intende, anche la donna) e della sua opera sulla terra».

Allora apparirà chiaro che l’odio dello straniero non è tanto verso, ma “da parte di”.

Insomma, la proposta di “Cristin” è un reazionarismo temperato euro identitario secondo un paradigma liberalconservatore.

Una proposta illuminata, tollerante, nobile, generosa, aderente ai tempi che viviamo.

In conclusione, possiamo affermare che “I padroni del caos “è un saggio di rigorosa impostazione fenomenologica husserliana, con un oggetto unico osservato nei suoi molteplici aspetti secondo varie prospettive.

Ricordiamo, infatti, che “Renato Cristin” (docente di Ermeneutica filosofica all’Università di Trieste, nonché già direttore dell’Istituto italiano di cultura di Berlino e direttore scientifico della Fondazione Liberal) ha curato l’edizione italiana di opere di “Edmund Husserl”, oltre ad alcune di” Martin Heidegger” e” Hans-Georg Gadamer”.

La lettura di questo suo nuovo libro costituisce un appassionante viaggio intellettuale e spirituale, alla fine del quale i vari frammenti di luce, che magari avevamo già intuito, prendono forma in una luminosa e sapiente costellazione rivelatrice.

 Il saggio ha persino un valore estetico, che scaturisce dallo stile, dalle argomentazioni, dalla ricchezza culturale dei contenuti.

 E ci insegna che, allorquando il presunto “progressismo” conduce a un regresso civile, culturale, sociale, politico, economico, è il reazionarismo a divenire progressista e rivoluzionario.

(Rino Tripodi)

 

 

 

 

Dai soviet al “globalismo” neo capitalista.

Il suicidio della sinistra.

  Destra.it - Gennaro Malgieri – (22 Agosto 2020) – ci dice:

 

La fine della sinistra in Italia ed in Europa ha avuto inizio con il tramonto del sovietismo, la caduta del comunismo e la demolizione del Muro di Berlino.

Da circa trent’anni essa è andata consumandosi in tentativi, a volte velleitari, altre volte patetici, di rimettersi in sesto e riconquistare quelle masse di elettori che anno dopo anno andava perdendo.

 Ha mutato ragione sociale, stilemi politici e propagandistici, ha sostanzialmente rinnegato la propria ideologia senza sostituirla con nulla che in qualche modo potesse assomigliarle, ma legandosi mani e piedi ad un liberismo e ad un libertarismo che ne hanno segnato il tramonto irreversibile.

Era il mondo dei diseredati che rappresentava ed è diventata, quasi senza accorge e, integrandosi nel sistema a puro fine di potere, trasformandosi in “parlamentarista” e “Governativa”, una “congregazione laicista radical chic “nella quale si sono trovati più capitalisti che operai, o comunque epigoni del “Quarto Stato”.

Il suo modus operandi è progressivamente scivolato nelle secche di un conformismo privo di progettualità alternativo quando è stata all’opposizione e stanco trasformismo benpensante, quando è stata al governo, naturalmente piegato sulle comode ambizioni di una borghesia senz’anima per la quale la destra non era abbastanza à la page, e perciò ha dato “ricovero” a tutti gli orfani del comunismo, del socialismo, dell’azionismo e del radicalismo ateo, relativista e materialista.

La sinistra, sostanzialmente, è morta quando ha rinunciato ad essere sé stessa.

Per quanto censurabile ideologicamente e incongrua sotto il profilo della prassi politica, rappresentava un bacino elettorale di tutto rispetto tanto da far temere, almeno in Italia, il peggio, sia nell’immediato dopoguerra che negli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, egemonizzata dal più forte, coeso, esteso e dinamico Partito comunista d’Occidente.

Attorno ad esso la sinistra, variegata e contraddittoria, litigiosa, di governo e di alternativa al sistema, riusciva comunque ad avere un senso politico.

I partiti che la rappresentavano erano i satelliti attorno al “pianeta rosso” per eccellenza che anche quando giravano all’incontrario non si staccavano dall’orbita rotante.

Finito il comunismo la sinistra ha vissuto di espedienti politici ingenui e comunque non qualificabili, in termini socio-culturali, legati o derivati dalla sua tradizione storica.

L’esperienza dell’Ulivo, guidata da Romano Prodi, e la nascita stessa del Partito dei Democratici di sinistra, hanno segnato il tramonto dell’identità della sinistra italiana in una mescolanza politica la cui sostanza è stato il “catto-comunismo”, impastato ad altre aggregazioni minori, i cosiddetti “cespugli”, che solo per comodità elettorale si ritrovavano insieme a soggetti che nulla avevano a che fare gli uni con gli altri, tenuti insieme da un ridicolo antifascismo d’antan e dalla conversione alla globalizzazione liberista della quale gli epigoni del Pci sono stati e sono i più strenui e tenaci sostenitori anche a fronte delle vere e proprie catastrofi economiche e sociali che la cosiddetta interdipendenza mondialista ha provocato.

Così, all’internazionalismo social-comunista si è sostituito il globalismo neo-capitalista la cui risorsa è nell’indifferentismo morale e culturale che supporta ogni forma di egualitarismo e offre sostegno ai movimenti che praticano aborto, eutanasia, omosessualità, ideologia gender, unioni di fatto, esperimenti genetici ai limiti, se non ben oltre, della ragionevolezza come la fecondazione eterologa e perfino la robotizzazione quale estremo traguardo della modernità.

La sinistra ha abbandonato il suo mondo, dunque, fatto di diseredati, bisognosi, marginali, piccoli borghesi, salariati dell’industria e braccianti o, per restare all’oggi, schiavi del computer e dei call center per dedicarsi all’evoluzione sociale di modelli di vita estranei alla cultura nella quale per oltre un secolo ha affondato le sue radici ed ha legittimato la sua non trascurabile presenza sullo scenario politico italiano ed europeo.

Il relativismo che la sinistra coltiva, sostanzialmente è la ragione su.

E si fonda della condanna che riceve dal suo elettorato.

 Infatti, le comunità di riferimento l’hanno da tempo abbandonata proprio perché, al di là delle deficienze politiche nell’interpretare i movimenti sociali e culturali contemporanei, ha perduto la sintonia con i ceti ed i blocchi sociali nei quali s’identificava.

Immaginare oggi una vecchia sezione comunista o socialista nella quale si discuta di tematiche come quelle citate invece che di nuove povertà, di bisogni primari, di diritti umani e di diritti dei popoli, dell’autodeterminazione e delle fallaci ricette del capitalismo, del rampantismo di una partitocrazia che è solo potere, è fantascienza.

Venuto meno Marx, uno dopo l’altro sono stati dimenticati tutti i “padroni del pensiero” ai quali la sinistra si è riferita.

Tranne uno: l’egualitarismo radicale che di conseguenza nega anche i valori religiosi, il merito individuale, la capacità delle comunità di conservare tradizioni, usi e costumi.

La sinistra si è impiccata per disperazione.

Constatato il fallimento della “società aperta” della quale essa stessa si è sentita parte integrante, ha cercato, senza riuscirci, di reinventare un nuovo “welfare state”, le cui conseguenze sono state l’inimicizia dichiarata dei ceti medi che pur avevano simpatie per la sinistra e i più poveri, magari impiegati dello Stato, pensionati, “esclusi” da quella che una volta veniva definita “società affluente”.

La globalizzazione, scambiata come la modernizzazione dell’internazionalismo teorizzato nel “Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels”, è stato il veleno che ha giorno dopo giorno ha ucciso la sinistra, ovunque.

Qualcuno in Occidente ha tentato di imitare il modello cinese, quello dell’economia socialista di mercato, un ossimoro bell’e buono, ma non ha capito che soltanto in un sistema totalitario, dove i mezzi di produzione sono ferreamente posseduti dall’apparato statale e la loro gestione delegata ad oligarchi legati al partito unico, le cui ricchezze sono immense e non sempre quantificabili, il modello inventato da Deng Xiaoping e portato alle estreme conseguenza da Xi Jinping, è possibile praticarlo.

Esempio lampante:

i proprietari delle società calcistiche che investono, per conto del governo comunista, ingenti risorse nel l’acquistare campioni di tutto il mondo, in via collaterale ad altre redditizie attività i cui ricavi vengono investiti nelle attività sportive a maggior gloria del Partito comunista cinese, sono i beneficiari di questa rivoluzione economico-politica della quale beneficia una parte minoritaria della popolazione che vive benissimo, mentre il resto se non deve proprio cavarsela con la classica scodella di riso di una volta, poco ci manca.

 Il pauperismo cinese è figlio della globalizzazione della quale Pechino muove i fili, profittando di un sistema rigido e pervasivo che non ammette il dissenso.

Il comunismo che si fa turbo-capitalismo, che diventa colonialista appropriandosi, attraverso un’espansione tecnologica illimitata, di aree del Pianeta enormi e dunque acquisendo in blocco governi in particolare africani ed asiatici, per attuare i suoi scopi, è quanto di più imperialista si sia mai visto.

Non risulta che la sinistra europea abbia mai censurato la Cina, né il suo sistema economico-sociale, né tantomeno la politica repressiva che attua spregiudicatamente in casa e fuori dai confini.

 Né che si sia opposta al demenziale (per l’Italia) “progetto di Via della Seta”, stipulato con il governo Conte: una strada per penetrare nel cuore dell’Europa e tenere in scacco, al momento opportuno, l’Italia.

Si pensi, poi, al Tibet, allo sterminio degli Uiguri, alla limitazione della libertà ad Hong Kong, alle continue minacce a Taiwan, alle ingenti forniture di armi ai governi amici, soprattutto nell’Africa sud-orientale, per combattere le contestazioni e si avrà un quadro piuttosto completo di come viene usato il capitalismo da una potenza comunista: sembra paradossale, ma non lo è.

La sinistra è insolente in Italia quando si fa paladina di un’Unione europea i cui presupposti sociali contraddicono in radice la sua ispirazione storica.

 E dell’Europa si fa scudo soltanto polemicamente nei confronti dei cosiddetti euroscettici, non perché creda sul serio all’integrazione continentale sostenuta con vigore da forze laiciste, liberal-democratiche, massoniche che con la sinistra spartiscono soltanto l’insana passione per la “diversità”, per la scristianizzazione del Continente, per la morte delle identità europee sul patibolo della modernità.

Quando tutto questo, cioè a dire il crepuscolo della sinistra, è incominciato?

 Dopo il 9 novembre 1989.

All’annuncio del responsabile delle pubbliche relazioni della “Sed”, il partito comunista della Germania Orientale, “Günther Schrabowski”, che rendeva noto che i cittadini della DDR potevano liberamente recarsi nella Germania federale, e sostanzialmente cessava così di esistere la frontiera più lugubre ed inumana del mondo, “Achille Occhetto”, allora segretario del Pci, non perse tempo ed il 12 di novembre agli ex-partigiani della Bolognina, la sezione più gloriosa della città capofila del comunismo italiano, Bologna, disse che dai fatti nuovi dell’Est, “dobbiamo trarre l’incitamento a non continuare su vecchie strade, ma ad inventarne di nuove per unificare le forze del progresso.

 Dal momento che la fantasia politica di questo fine ‘89 sta galoppando, nei fatti è necessario andare avanti con lo stesso coraggio che fu dimostrato nella resistenza”.

Una menzogna colossale dalla quale prese origine il declino del comunismo italiano e della sinistra.

Non era una vittoria che si celebrava, ma una sconfitta.

Occhetto avrebbe dovuto dire la verità.

Ma la verità nell’etica comunista non è mai stata contemplata.

 Tranne in una occasione, quando Lenin diede il nome alla testata ufficiale del Partito:

Pravda, che vuol dire appunto Verità, dalle cui colonne produrre propaganda bugiarda.

Davanti alla prospettiva di avviare la “fase costituente” prospettata da Occhetto, che significava l’azzeramento del vecchio Pci, i segni della “dissoluzione” si fecero evidenti.

Il 20 novembre, al Comitato centrale del Partito, il segretario disse: “L’esigenza di una riorganizzazione complessiva della sinistra scaturisce dalle modificazioni del mondo che mutano i termini entro i quali si è sviluppata la politica su scala mondiale;

dalla crisi delle vecchie idee della sinistra dinanzi al manifestarsi di nuove contraddizioni che introducono nuovi soggetti, nuove idealità e obiettivi di trasformazione;

dalla esigenza in Italia, di dar vita ad un nuovo sistema politico che muova nella direzione dell’alternativa.

 In pochi anni tutto può essere messo in discussione, e la nostra iniziativa può cambiare profondamente il panorama politico italiano….

Al nostro congresso abbiamo colto i segni della fine di un’epoca.

L’epoca dei blocchi, della guerra fredda, dei sistemi contrapposti.

E abbiamo individuato nel processo democratico, di progressiva democratizzazione delle nostre società, dei diversi assetti sociali, dei rapporti tra i popoli e gli Stati l’unica via che può consentirci di affrontare la situazione presente, e di avvicinarci a quell’idea di governo mondiale che sempre più sembra divenire oggi l’unico possibile ideale storico concreto”.

 

Le parole di Occhetto segnarono il de profundis del comunismo.

 Non indicò prospettive.

Non si azzardò ad inerpicarsi sulle vette ideologiche da cui guardare più vasti orizzonti.

Si limitò comunque a sottolineare una cosa molto importante: la necessità di un governo mondiale.

Nell’idea del governo mondiale la sinistra si scavò dapprima una tana, poi la tomba.

Sotterraneamente scoprì che quel mondo non era il suo mondo, tuttavia vi si adattò e fece dell’internazionalismo comunista il “passe partout” per penetrare nel mondo dei balocchi liberal-democratico e liberista.

 Svendeva un patrimonio culturale e politico all’ideologia mondialista, senza neppure iscriversi al” Bildberg Club” o alla “Trilaterale”.

L’economista “Alan Friedman”, definì Occhetto come il leader politico italiano più vicino allo spirito del neo-capitalismo del quale sembrava aver accettato l’ineluttabilità del dominio e le lusinghe connesse.

Dalla “discontinuità” vagheggiata da Occhetto e condivisa dal gruppo dirigente del Pci – poi Pds, quindi Ds, infine Pd – ricavò sconfitte elettorali e discredito pubblico.

 Il grande patrimonio si assottigliò nelle elezioni del 1992, mentre nel 1994 subì una disfatta che la sua “gioiosa macchina da guerra” non avrebbe mai più dimenticato.

 Solo nel 1996, un non comunista, Romano Prodi, accettando di capeggiare la coalizione formata da ex-comunisti ed ex-democristiani, al culmine del disfacimento del sistema della Prima Repubblica, riuscì a vincere le elezioni.

Ma durò poco. Furono proprio i post- comunisti a disarcionarlo dichiarando così la fine della sinistra di governo, in una sorta di orgia del potere dalla quale uscirono vincitori prima Massimo D’Alema e poi Giuliano Amato. Una faida di sinistra in piena regola.

Da allora la prospettiva del vuoto si è impossessata della “sinistra diffusa” italiana.

 E cerca occasioni. Che naturalmente non trova.

 E nell’impossibilità di creare una nuova identità si allea con populisti di quart’ordine come il “Movimento Cinque Stelle”, avventizi raccolti qua e là, gruppetti ondivaghi “riserve” per le “mitiche” primarie, un’altra invenzione che ha rivelato negli anni il vuoto della sinistra.

La sinistra vive un gramo presente, avrebbe detto uno dei suoi guru che le giovani generazioni neppure conoscono,” György Lukàcs”.

Tutti coloro che vi militano, in qualche modo, considerano il socialismo una sorta di “cane morto”, per dirla ancora con il filosofo ungherese.

Essa, la sinistra italiana ed europea, non è più niente.

Non è neppure ecologista, tanto che i movimenti che si rifanno alla tutela dell’ambiente non si riconoscono, dopo una lunga stagione di convivenza, in essa.

Una sinistra che non ricominci a pensare a che cosa è stata e che cosa dovrebbe essere, che non rimetta al centro la sua antica anima, non può esistere.

Al massimo può aspirare ad un ruolo ancillare del capitalismo, strepitando ogni tanto per qualche cosiddetto “diritto civile” di cui né il vecchio proletariato (se esiste ancora), né i ceti medi arrabbiati sembra che siano sensibili quando manca il lavoro, i salari diminuiscono, le certezze sociali sono state abrogate e la vita diventa molto più insopportabile per chi ha poco o niente e deve elemosinare redditi o pensioni di cittadinanza che non risolveranno nessun problema continuando a depredare le risorse pubbliche.

La sinistra è morta.

Ma continuiamo a chiamare così quei residui che siedono da quella parte dell’emiciclo delle assemblee parlamentare.

 Nella società italiana non la riconosce più nessuno.

Al punto che nei quartieri benestanti delle grandi città votano per essa, nelle grandi aree periferiche per la destra o il centrodestra.

 Un’inversione di tendenza che spiega perché la sinistra è finita tra i rottami della storia.

 

 

 

Capitolo 17: Le radici comuniste

della globalizzazione.

 

Epochtimes.it – (10 DICEMBRE 2019) – Redazione – ci dice:

 

Lo Spettro del Comunismo non è scomparso con la disintegrazione del Partito comunista nell'Europa dell'Est.

“The Epoch Times” sta pubblicando la traduzione del libro “Come lo Spettro del Comunismo controlla il nostro mondo”, dagli autori del libro “Nove commentari sul Partito comunista.”

 

A partire dal Rinascimento, la storia umana è entrata in un periodo di grandi cambiamenti.

 La rivoluzione industriale, iniziata alla fine del XVIII secolo, ha portato a un aumento notevole della produttività, la situazione di ogni Paese ha subito enormi cambiamenti e la struttura dell’ordine globale ha attraversato trasformazioni radicali.

Allo stesso tempo, anche le strutture sociali, il pensiero e le tradizioni religiose sono cambiate in modo drammatico.

È stato allora che le fedi tradizionali sono andate in declino, la morale umana ha cominciato a deteriorarsi, le società sono scivolate nel caos e si sono persi gli standard universalmente condivisi per giudicare i comportamenti.

 Queste sono le condizioni storiche che hanno messo le basi per la nascita del Comunismo.

Dopo la rivoluzione bolscevica in Russia nel 1917, l’Internazionale Comunista, conosciuta come la Terza Internazionale, ha tentato di esportare la rivoluzione nel mondo.

Il Partito Comunista degli Stati Uniti è stato fondato nel 1919, mentre il Partito Comunista Cinese (PCC) nel 1921.

Alla fine degli anni Venti e all’inizio degli anni Trenta, una depressione economica globale ha dato un’ulteriore spinta agli ideologi comunisti:

 le idee politiche ed economiche nel mondo hanno iniziato a spostarsi a Sinistra, l’Unione Sovietica ha raggiunto una certa stabilità e il PCC ha colto l’opportunità per svilupparsi.

Oltre dieci anni più tardi, nel 1949, il PCC ha preso il potere con la forza in Cina, portando alla ribalta il Comunismo violento.

 L’Unione Sovietica e il PCC governavano allora decine di Paesi e un terzo della popolazione mondiale:

 il confronto con il mondo occidentale era iniziato e la guerra fredda che ne è seguita è durata mezzo secolo.

La violenza del Comunismo minaccia in modo evidente tutta l’umanità, ma la maggior parte delle persone nel mondo libero occidentale sottovaluta la minaccia rappresentata dagli elementi non violenti del Comunismo, che si sviluppano in modo silenzioso all’interno delle loro società.

 Oltre alle infiltrazioni dell’Unione Sovietica, ogni sorta di ideologie e movimenti paracomunisti — tra cui la società fabiana e i socialdemocratici — si sono inseriti, in Occidente, all’interno dei governi, del mondo degli affari, dell’educazione e della cultura.

 

Il movimento di controcultura diffusosi in Occidente durante gli anni ’60, così come la Rivoluzione culturale cinese, sono entrambi conseguenza degli elementi comunisti in azione.

 Dopo gli anni ’70, le giovani generazioni di contestatori in Occidente hanno lanciato la ‘lunga marcia attraverso le istituzioni’, un tentativo di erodere la cultura tradizionale dall’interno, così da conquistare la leadership sociale e culturale.

Dopo poco più di un decennio hanno raggiunto un successo spaventoso.

In seguito alla caduta del muro di Berlino e alla disintegrazione dell’Unione Sovietica, alcune persone hanno festeggiato la fine di quella fase storica e dell’ideologia comunista, mentre altri erano preoccupati per lo scontro di civiltà.

Tuttavia, in pochi si sono resi conto che il Comunismo stava assumendo nuove forme e sembianze, nel tentativo di controllare il mondo.

La sua nuova bandiera sventolante è diventata quella della globalizzazione.

Con la rivoluzione industriale e lo sviluppo della scienza e della tecnologia, i movimenti delle persone e i cambiamenti nell’economia, nella politica, nella scienza, nella tecnologia e nella cultura, sono diventati molto più frequenti.

 Le moderne telecomunicazioni, i trasporti, i computer e le reti digitali hanno ridotto le distanze geografiche e annullato i confini che erano rimasti in piedi per migliaia di anni.

 Il mondo sembra essere diventato piccolo e le interazioni e gli scambi tra i Paesi sono a livelli senza precedenti.

 Il mondo è diventato sempre più unito.

Il rafforzamento della collaborazione globale è una conseguenza naturale degli sviluppi tecnologici, dell’espansione della produzione e delle migrazioni.

 Questo tipo di globalizzazione è il risultato di un processo storico naturale.

Esiste però un altro tipo di globalizzazione:

 è il frutto di ideologie comuniste che hanno fatto deviare il naturale processo storico della globalizzazione, per danneggiare l’umanità.

 Questa seconda forma di globalizzazione è l’oggetto di questo capitolo.

L’essenza della globalizzazione di stampo comunista si trova nella rapida e ampia diffusione di tutti i peggiori aspetti dei regimi comunisti e non comunisti.

 I mezzi utilizzati comprendono operazioni politiche, economiche, finanziarie e culturali su larga scala, che cancellano rapidamente i confini tra nazioni e popoli: l’obiettivo è quello di distruggere la fede, la morale e le culture tradizionali, elementi dai quali l’umanità dipende per la sopravvivenza e per la propria redenzione.

Tutte queste misure mirano a distruggere l’umanità.

In questo libro viene sottolineato come il Comunismo non sia solo una teoria, ma uno spettro malvagio.

È qualcosa di vivo, e il suo scopo finale è distruggere l’umanità.

Lo spettro non si attiene ad una sola ideologia politica, bensì, quando le condizioni lo permettono, tende a utilizzare anche teorie politiche ed economiche che appaiono essere contrarie alla normale ideologia comunista.

 Dagli anni ’90 in poi, la globalizzazione ha affermato di promuovere la democrazia, l’economia di mercato e il libero scambio; è stata quindi contestata da diversi gruppi di Sinistra.

Tuttavia, questi gruppi di Sinistra non si rendono conto che lo spettro comunista sta operando a un livello superiore.

La globalizzazione economica, la politica globale, l’Agenda 21 e varie convenzioni ambientali e internazionali sono tutti diventati strumenti per controllare e distruggere l’umanità.

La globalizzazione, nota anche come globalismo, manipolata dallo spettro comunista ha fatto progressi sorprendenti in diversi settori, utilizzando una varietà di mezzi in tutto il mondo.

Questo capitolo discute gli aspetti economici, politici e culturali di questa forma di globalizzazione.

I tre aspetti della globalizzazione appena enunciati si sono fusi nell’ideologia secolare del globalismo.

 Questa ideologia si presenta in modi diversi in tempi diversi e talvolta utilizza contenuti contraddittori.

Nella pratica, però, le sue caratteristiche sono molto simili al Comunismo.

 Fondato sull’ateismo e sul materialismo, il globalismo promette una splendida utopia, un regno dei Cieli sulla terra, ricco, egalitario e libero dallo sfruttamento, dall’oppressione e dalla discriminazione: un regno gestito da un benevolo governo globale.

Questa” ideologia global-comunista esclude la cultura tradizionale di qualsiasi gruppo etnico, basata sulla fede in Dio e sull’insegnamento della virtù.

 Negli ultimi anni è divenuto sempre più evidente come questa ideologia si basi sulla ‘correttezza politica’, sulla ‘giustizia sociale’, sulla ‘neutralità dei valori’ e sull’’egalitarismo assoluto’ della Sinistra.

Questa è la globalizzazione dell’ideologia.

Ogni Paese ha la propria cultura, anche se, tradizionalmente, ognuna di esse era basata su valori universali.

La sovranità nazionale e le tradizioni culturali di ogni gruppo etnico svolgono un ruolo importante nel patrimonio nazionale e nell’autodeterminazione e offrono protezione a tutti i gruppi etnici dall’infiltrazione di forze esterne, compreso il Comunismo.

Una volta formato un supergoverno globale, il Comunismo raggiungerà facilmente il suo obiettivo di eliminare la proprietà privata, le nazioni, le etnie e la cultura tradizionale di ogni nazione.

La globalizzazione e il globalismo stanno svolgendo un ruolo distruttivo:

stanno minando le tradizioni e l’etica umana e stanno portando alla diffusione delle ideologie del Comunismo e della Sinistra.

 Rivelare le radici comuniste della globalizzazione e le somiglianze tra globalismo e Comunismo è un compito spinoso ma estremamente importante e urgente.

1. Globalizzazione e Comunismo.

Marx non usò il concetto di globalizzazione nei suoi scritti, bensì quello di “ìstoria universale”, dalle connotazioni molto simili.

Nel Manifesto del Partito Comunista, Marx sostiene che l’espansione globale del Capitalismo avrebbe inevitabilmente prodotto un gran numero di proletari, portando poi a una rivoluzione proletaria in tutto il globo, che avrebbe rovesciato il Capitalismo e realizzato il “paradiso” del Comunismo.

 Marx scrisse: «Il proletariato può dunque esistere soltanto sul piano della storia universale, così come il Comunismo, che è la sua azione, non può affatto esistere se non come esistenza “storica universale”».

 Il senso è che la realizzazione del Comunismo dipende dall’azione congiunta del proletariato in tutto il mondo:

 la rivoluzione comunista deve essere un movimento globale.

Lenin in seguito modificò la dottrina di Marx, proponendo che la rivoluzione potesse essere iniziata dall’anello debole del Capitalismo (la Russia), ma nonostante questo i comunisti non rinunciarono mai all’obiettivo di una rivoluzione mondiale.

 Già nel 1919, i comunisti sovietici fondarono l’”Internazionale comunista a Mosca” con filiali sparse in più di sessanta Paesi.

 Lenin disse allora che l’obiettivo dell’”Internazionale Comunista” era quello di fondare la” Repubblica sovietica mondiale”.

 

Il pensatore americano “G. Edward Griffin” riassume i cinque obiettivi della rivoluzione globale comunista proposta da Stalin nel suo libro “Marxismo ed etnie”:

Confondere, disorganizzare e distruggere le forze del Capitalismo in tutto il mondo.

Riunire tutte le nazioni in un unico sistema mondiale di economia.

Forzare i Paesi avanzati a versare aiuti finanziari prolungati a beneficio dei Paesi sottosviluppati.

Dividere il mondo in gruppi regionali come fase di transizione al governo mondiale totale.

Le popolazioni abbandoneranno più facilmente la loro lealtà nazionale per una vaga lealtà regionale di quanto non lo faranno per un’autorità mondiale.

Più tardi, le realtà regionali [come la NATO, SEATO e l’Organizzazione degli Stati americani, ndr] potranno creare un’unica dittatura mondiale del proletariato.

“William Z. Foster”, ex presidente del “Partito Comunista Americano”, ha scritto:

«Un mondo comunista sarà un mondo unificato e organizzato.

 Il sistema economico sarà una grande organizzazione, basata sul principio di pianificazione che sta nascendo in URSS.

 Il governo sovietico americano sarà una sezione importante in questo governo mondiale».

 

Da Marx, Lenin, Stalin e Foster alla ‘comunità dal futuro condiviso’ proposta dal “Partito Comunista Cinese”, si può notare chiaramente come il Comunismo non sia soddisfatto del potere che esercita in alcuni singoli Paesi: l’ideologia del Comunismo, dal suo inizio alla sua fine, include l’ambizione di conquistare tutta l’umanità.

La rivoluzione mondiale proletaria predetta da Marx non ha avuto luogo.

 Quello che riteneva essere “un Capitalismo disperato e morente”, si è invece rivelato trionfante, prospero e fiorente.

Rimasto vivo solo in Cina e in pochi altri Paesi, dopo il crollo del Comunismo sovietico e in Europa orientale, il Comunismo sembrava andare incontro alla sua fine.

 In apparenza “il mondo libero” aveva vinto.

Eppure, mentre l’Occidente si illudeva che il Comunismo sarebbe stato cestinato nella discarica della storia, la tendenza al Socialismo (la fase primaria del Comunismo) rimaneva fiorente.

Il fantasma comunista non era e non è morto.

Si nasconde dietro varie dottrine e movimenti mentre corrode ogni angolo del mondo libero e vi si infiltra.

 Si tratta forse di un caso? Certo che no.

 La globalizzazione appare come un processo formatosi naturalmente, ma il ruolo del Comunismo sta diventando sempre più evidente nella sua evoluzione.

 Il Comunismo è infatti una delle” ideologie guida della globalizzazione”.

Dopo la Seconda guerra mondiale, le forze di Sinistra dei Paesi europei hanno continuato a crescere.

L’Internazionale socialista, che ha sostenuto il Socialismo democratico, comprendeva partiti politici di oltre cento Paesi.

Questi partiti erano al potere in vari Paesi, e si sono perfino diffusi in gran parte dell’Europa.

Quello che ne è seguito, ovvero un alto livello di sussidi pubblici, tasse elevate e nazionalizzazioni, ha interessato l’Europa nel suo complesso.

La globalizzazione ha svuotato l’industria americana, ridotto la classe media, portato alla stagnazione i redditi, polarizzato ricchezza e povertà, indotto spaccature sociali.

Tutto ciò ha fortemente promosso “la crescita della Sinistra e del Socialismo” negli Stati Uniti, spostando bruscamente le tendenze politiche globali dell’ultimo decennio o giù di lì.

 Le forze di Sinistra in tutto il mondo sostengono che la globalizzazione abbia causato disuguaglianza di reddito e polarizzazione tra ricchi e poveri.

 In parallelo a queste tesi, il sentimento anti-globalizzazione è cresciuto rapidamente, diventando una nuova forza che intende resistere al Capitalismo e che chiede il Socialismo.

Dopo la Guerra fredda, gli ideali comunisti si sono infiltrati all’interno della globalizzazione economica.

 L’obiettivo era di smantellare le economie nazionali e rendere instabile la sovranità economica di ogni Paese.

 Lo scopo ultimo era arricchire il Partito comunista cinese, sfruttando l’avidità umana e le potenze finanziarie occidentali, che hanno spostato in Cina la propria ricchezza accumulata nel corso di diverse centinaia di anni.

 Il PCC ha poi utilizzato questa ricchezza per incatenare moralmente altri Paesi e trascinarli verso il basso.

Come capo delle forze comuniste nel mondo di oggi, il PCC rafforza costantemente la sua crescita economica;

allo stesso tempo dispensa aiuti ai partiti di Sinistra e comunisti di tutto il mondo per mantenerli in forze.

 Il PCC usa il suo dominio totalitario per destabilizzare le regole del commercio mondiale e usa la ricchezza che ha ottenuto dal Capitalismo globale per rafforzare il Socialismo.

La forza economica del PCC ha anche stimolato le sue ambizioni politiche e militari di esportazione del modello comunista in tutto il mondo.

Da una prospettiva globale, sia “la Sinistra anti-globalizzazione che il PCC”, che ha beneficiato della globalizzazione, sono cresciuti in nome della globalizzazione stessa.

Infatti, lo statu quo del mondo di oggi è molto vicino all’obiettivo che Stalin aveva proposto in passato.

 

2. La globalizzazione economica.

La globalizzazione economica si riferisce all’integrazione del capitale, della produzione e del commercio a livello globale: ha avuto inizio negli anni ’40 e ’50, si è sviluppata negli anni ’70 e ’80, e si è affermata come prassi negli anni ’90.

In questo processo, le organizzazioni internazionali e le aziende multinazionali sono state le forze trainanti che hanno condotto, con le loro pressioni, all’allentamento delle regolamentazioni e dei controlli, per consentire il libero flusso di capitali.

In superficie, la globalizzazione economica è stata promossa dai Paesi occidentali allo scopo di diffondere il Capitalismo in tutto il mondo.

In realtà, la globalizzazione è poi diventata un veicolo per diffondere il Comunismo.

 In particolare, ha portato i Paesi occidentali a fornire sostegno finanziario al regime cinese, determinando una dipendenza reciproca tra l’economia di mercato capitalista e l’economia totalitaria socialista del PCC.

 In cambio di benefici economici, l’Occidente ha sacrificato la propria coscienza e i valori universali, mentre il regime comunista ha espanso il proprio potere sugli altri Paesi attraverso la coercizione economica, portando a una situazione in cui il Comunismo sembrava destinato a conquistare il dominio globale.

a.) La globalizzazione genera economie di stampo comunista.

La globalizzazione ha trasformato l’economia globale in un’unica grande entità economica.

 Tramite questo processo abbiamo oggi organizzazioni internazionali, trattati internazionali e regolamenti internazionali.

 In apparenza sembra che si tratti dell’espansione del Capitalismo e del libero mercato.

La realtà è che è stato formato un” sistema di controllo economico unificato”, in grado di emettere ordini che determinano il destino delle aziende di molti Paesi.

Questo equivale a formare un sistema economico totalitario centralizzato: qualcosa di altamente in linea con l’obiettivo di Stalin di unire tutti i Paesi per formare un unico sistema economico.

In seguito alla costituzione di questo ordine finanziario internazionale, si è venuta a creare una situazione in cui gli aiuti economici dai Paesi sviluppati ai Paesi in via di sviluppo diventano una realtà costante per un lungo periodo.

Questo era esattamente il terzo obiettivo di Stalin.

Per quanto riguarda il sostegno finanziario, le organizzazioni finanziarie internazionali di solito attuano interventi macroeconomici all’interno dell’economia del Paese che riceve assistenza.

 Il metodo utilizzato è dittatoriale:

non solo viene imposto forzatamente, ma tende a ignorare anche le condizioni sociali, culturali e storiche del Paese beneficiario.

Il risultato è una restrizione delle libertà e un controllo più centralizzato.

 Lo studioso americano “James Bovard” ha scritto che la “Banca Mondiale “«ha fortemente promosso la nazionalizzazione delle economie del Terzo Mondo e ha intensificato il controllo politico e burocratico sulla vita dei più poveri tra i poveri».

D’altra parte, la globalizzazione economica ha creato un’economia globale omogenea, portando a maggiori conformità nelle tendenze dei consumatori, assieme a meccanismi unificati di produzione e consumo.

 Le piccole imprese, in particolare i negozi tradizionali di arti e mestieri, hanno sempre meno spazio per riuscire a sopravvivere.

Molte piccole imprese, assieme a quelle associate a gruppi etnici locali, sono state semplicemente spazzate via.

Sempre più persone hanno perso l’ambiente adatto e quindi la possibilità di impegnarsi liberamente nel commercio all’interno dei propri confini nazionali.

I Paesi in via di sviluppo diventano parte di una catena di produzione globale, cosa che indebolisce la sovranità economica delle singole nazioni e in alcuni casi porta al fallimento dello Stato.

Alcuni Paesi sono gravati dal debito e dalla necessità di ripagare i prestiti, il che mina le fondamenta di una libera economia capitalistica.

 

 

b.) La globalizzazione promuove il Comunismo nei Paesi in via di sviluppo.

All’inizio degli anni 2000, la Giamaica ha aperto i suoi mercati, iniziando a importare grandi quantità di latte vaccino a basso costo.

Il latte è diventato quindi un bene a buon mercato, con la conseguenza di mandare in bancarotta gli allevatori locali, incapaci di sopravvivere alla marea di importazioni a basso costo.

 Il Messico aveva numerosi impianti di produzione industriale leggera, ma dopo l’ingresso della Cina nell’”Organizzazione Mondiale del Commercio” (OMC) la maggior parte di quei posti di lavoro sono scomparsi, trasferiti proprio in Cina.

 Il Messico ha accusato il colpo in quanto non aveva capacità produttive di alto livello.

 L’Africa è ricca di minerali, ma con l’arrivo degli investimenti stranieri, i minerali africani sono stati estratti ed esportati all’estero, con un guadagno economico molto basso per i residenti locali.

Gli investimenti esteri portano inoltre alla corruzione che influenza i governi.

La globalizzazione dovrebbe portare la democrazia in quei Paesi, ma in realtà ha consegnato il potere a dittature corrotte.

In molti luoghi, la povertà è aumentata.

 Secondo quanto affermava la  “Banca Mondiale” nel 2015, «oltre la metà di chi vive in condizione di povertà estrema si trova nell’Africa subsahariana».

Inoltre, «il numero dei poveri presenti nella regione è aumentato di 9 milioni, con 413 milioni di persone che nel 2015 vivevano con meno di 1,90 dollari al giorno…».

Durante la recente crisi economica asiatica, la Thailandia ha aperto il suo debole sistema finanziario agli investimenti internazionali:

 il risultato è stato una prosperità temporanea.

Tuttavia, una volta che gli investimenti stranieri sono spariti, l’economia tailandese si è bloccata, influenzando negativamente i Paesi vicini.

Con lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione e dei trasporti, la Terra è diventata un unico villaggio.

La globalizzazione prometteva di portare prosperità finanziaria e valori democratici all’interno di questo villaggio globale;

 tuttavia, come ha dichiarato il professor” Dani Rodrik” della “John F. Kennedy School of Government “di Harvard, c’è un “trilemma” presente nella globalizzazione:

«Non possiamo contemporaneamente perseguire la democrazia, la determinazione nazionale e la globalizzazione economica».

Si tratta di una lacuna nascosta della globalizzazione, qualcosa che il Comunismo ha sfruttato.

I benefici e le opportunità offerte dalla globalizzazione sono limitati a un numero ristretto di persone.

 La globalizzazione ha artificialmente aggravato le disuguaglianze e non è in grado di risolvere i problemi a lungo termine causati dalla povertà.

La globalizzazione ha eroso la sovranità nazionale, esacerbato le turbolenze regionali e generato conflitti tra “oppressore” e “oppresso”.

Le nozioni di oppressione, sfruttamento, disuguaglianza e povertà sono infatti armi che la Sinistra usa per combattere il Capitalismo, poiché il concetto della resistenza degli oppressi nei confronti dell’oppressore è tipico del Comunismo.

 L’ideologia comunista dell’egualitarismo e l’ethos della lotta si sono quindi diffusi in tutto il mondo insieme alla globalizzazione.

 

c.) La globalizzazione porta alla polarizzazione della ricchezza, favorendo così la presenza dell’ideologia comunista.

Il gigantesco deflusso di industrie e posti di lavoro ha portato la classe operaia e la classe media dei Paesi occidentali a diventare vittime della globalizzazione.

Prendiamo l’America, come esempio:

 con l’enorme fuga di capitali e tecnologia verso la Cina, sono andati persi numerosi posti di lavoro nel settore manifatturiero, con conseguente perdita di industrie e aumento del tasso di disoccupazione.

Dal 2000 al 2011, circa 5 milioni e 700 mila lavoratori del settore manifatturiero hanno perso il loro posto di lavoro e circa 65 mila fabbriche hanno chiuso i battenti.

 Il divario tra ricchi e poveri è in costante aumento negli Stati Uniti e, negli ultimi trent’anni, la crescita del salario medio (corretto in base all’inflazione) ha subito un rallentamento, portando all’emergere dei cosiddetti ‘lavoratori poveri’:

 coloro che lavorano o cercano lavoro per ventisette settimane all’anno, ma il cui reddito è inferiore al livello ufficiale di povertà.

 Nel 2016 circa 7 milioni e 600 mila americani sono stati annoverati tra i lavoratori poveri.

 

La polarizzazione tra ricchi e poveri è il terreno in cui il Comunismo può germogliare.

 I problemi economici non si limitano al solo ambito economico, ma continuano ad espandersi.

La richiesta di ‘giustizia sociale’ e di una soluzione all’ingiusta distribuzione del reddito è proprio il fattore che porta all’arrivo di un’ondata di ideologia socialista. Nel frattempo, anche la domanda di assistenza sociale aumenta, cosa che crea a sua volta famiglie più povere e, in ultima istanza, forma un circolo vizioso.

A partire dal 2000, il raggio di azione della politica degli Stati Uniti si è sempre più aperto all’influenza di Sinistra.

Durante le elezioni del 2016, la richiesta di Socialismo era in crescita, così come la polarizzazione politica.

 In larga misura, l’impatto della globalizzazione è da considerarsi alla base di questi cambiamenti.

Da un punto di vista storico, maggiore è il disagio in cui si trovano le società democratiche occidentali, più forte il Comunismo si presenta sul palcoscenico mondiale.

 

d.) L’opposizione alla globalizzazione promuove l’ideologia comunista.

Con l’avanzata della globalizzazione sono arrivate anche le campagne anti-globalizzazione, segnate dalle violente proteste avvenute il 30 novembre 1999 a Seattle, contro la Conferenza ministeriale dell’OMC.

 In seguito, tre grandi conferenze internazionali tenutesi nel 2001 (il vertice delle Americhe in Québec, Canada; il vertice dell’Unione Europea a Göteborg, Svezia; e il vertice del G8 a Genova), hanno visto esplodere manifestazioni violente.

 Nel 2002 a Firenze si è tenuta una manifestazione anti-globalizzazione su larga scala senza precedenti, con circa un milione di partecipanti.

Le campagne anti-globalizzazione in tutto il mondo attirano partecipanti provenienti da diversi contesti.

 La stragrande maggioranza di loro è di Sinistra e oppositori del Capitalismo, come i sindacati, le organizzazioni ambientaliste (anch’esse infiltrate da elementi comunisti), le vittime della globalizzazione e il ceto sociale degli svantaggiati.

 Il risultato è che il pubblico, contando sia i sostenitori che gli oppositori della globalizzazione, collabora inavvertitamente ai fini del Comunismo.

 

e.) Il Capitalismo occidentale ha rafforzato il Partito Comunista Cinese.

 

Nel valutare i successi o i fallimenti della globalizzazione, gli studiosi citano spesso la Cina come esempio di successo.

La Cina sembrava aver tratto grandi benefici dalla globalizzazione e si è imposta rapidamente come seconda economia mondiale.

Molti prevedevano che la Cina avrebbe infine preso il posto degli Stati Uniti.

A differenza del modello messicano della manodopera a bassissimo costo, il PCC cerca di mettere le mani sulla tecnologia più avanzata dall’Occidente, per poi superare i concorrenti.

In cambio della vendita sul mercato cinese, il PCC richiede alle imprese dei Paesi sviluppati di creare joint venture, che poi utilizza per ottenere informazioni sulle tecnologie più importanti.

 Il PCC ha adottato numerosi metodi a tal fine, dai trasferimenti di tecnologia a veri e propri furti, avvenuti mediante operazioni di pirateria informatica.

 Una volta conseguite queste tecnologie avanzate, il PCC ha bombardato il mercato mondiale con prodotti a basso prezzo.

 Inoltre, grazie a sconti e sovvenzioni all’esportazione, il PCC ha sconfitto i concorrenti proponendo di fatto prezzi inferiori a quelli di mercato e portando a uno sconvolgimento dei mercati liberi.

In più, a differenza di altri Paesi non sviluppati che hanno aperto i loro mercati interni, il PCC ha creato molteplici barriere commerciali.

Dopo l’adesione all’OMC, il PCC ha approfittato sia delle regole dell’organizzazione, sia del processo della globalizzazione, per attuare un dumping sui prodotti all’estero.

 Calpestando le regole dell’OMC, il regime ha portato a casa notevoli vantaggi economici.

 Il Partito, del resto, non ha aperto i propri settori chiave — tra i quali telecomunicazioni, banche e energia — il che, a sua volta, ha permesso alla Cina di trarre vantaggio dall’economia globale, pur rinnegando gli impegni presi.

I profitti economici hanno portato il mondo occidentale a farsi comprare dalla Cina e, come conseguenza, a non vedere e non sentire tutto quello che ruota attorno alle violazioni dei diritti umani.

 Infatti, mentre il PCC continua a violare i diritti umani, la comunità internazionale continua ad accordare generosi trattamenti di favore al regime.

Nel bel mezzo della globalizzazione, il PCC è un’entità potente; aggiungendo poi la bancarotta morale in cui si trova la società cinese, l’economia di mercato e le regole del commercio in Occidente hanno ricevuto un colpo tremendo.

 Il PCC ha demolito le regole e ha raccolto tutti i frutti della globalizzazione.

 In un certo senso, la globalizzazione è stata come una trasfusione di sangue fresco per il PCC, che ha permesso a uno Stato comunista in via di estinzione di tornare in vita.

Dietro la manipolazione della globalizzazione c’è lo scopo nascosto di sostenere il PCC attraverso la riallocazione della ricchezza. Nel frattempo, il PCC è stato in grado di accumulare profitti in modo illecito, mentre compie tuttora le peggiori violazioni dei diritti umani.

La globalizzazione è stata un processo che ha portato non solo al salvataggio del PCC, ma anche alla legittimazione del regime comunista cinese.

 Mentre il Partito ha messo su nuovi “muscoli” socialisti grazie alle “sostanze nutritive” capitaliste, l’Occidente è caduto in relativo declino, cosa che ha incrementato la convinzione del PCC nel perseguire il Totalitarismo comunista e le sue ambizioni globali.

L’ascesa della Cina ha infatti entusiasmato molti socialisti e membri della Sinistra in tutto il mondo.

Con la crescita della sua economia, il PCC ha intensificato gli sforzi per infiltrarsi nelle organizzazioni economiche globali, tra cui l’OMC, il FMI, la Banca Mondiale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale e altre ancora.

Quando i funzionari del Partito ottengono una posizione importante all’interno di queste organizzazioni, possono sostenere le strategie del PCC e a difenderne le politiche.

Il PCC si avvale di organizzazioni economiche internazionali per portare avanti i propri interessi economici e il proprio modello corporativista di matrice fascista.

 Se le sue ambizioni non verranno fermate, non c’è dubbio che il regime porterà disastri alla politica e all’economia globale.

Quanto sopra sono solo alcuni esempi di come la globalizzazione economica sia stata usata per promuovere e diffondere il Comunismo.

Con i progressi nelle telecomunicazioni e nei trasporti, le attività economiche si estendono ora oltre i confini nazionali.

Questo può anche essere considerato un processo naturale, ma in questo caso si è trasformato in un’opportunità per il PCC di incamminarsi sul sentiero del dominio globale.

È giunto il momento per la comunità internazionale di fare attenzione a ciò che sta accadendo e di liberare la globalizzazione dagli elementi comunisti.

 In questo modo, la sovranità dei singoli Stati e il benessere di ciascun popolo avranno la possibilità di divenire realtà.

 

3.) La globalizzazione politica.

A livello politico, la globalizzazione si manifesta con l’aumento della cooperazione tra i Paesi, l’emergere di organizzazioni internazionali, la creazione di programmi politici e di trattati internazionali, la restrizione della sovranità nazionale e un graduale trasferimento di potere dagli Stati sovrani alle organizzazioni internazionali.

 A seguito della creazione delle istituzioni internazionali e di norme e regolamenti che trascendono i confini nazionali, queste istituzioni hanno iniziato a violare la vita politica, culturale e sociale dei singoli Paesi.

 Il potere politico inizia infatti a concentrarsi in un’istituzione internazionale simile a un governo globale, che erode la sovranità nazionale, indebolisce le credenze tradizionali e le basi morali di società fino ad allora distinte e mina la cultura tradizionale, sovvertendo le regole di condotta convenzionali a livello internazionale.

Tutto questo fa parte del graduale avanzamento del programma comunista.

Durante questo processo, il Comunismo promuove e usa le organizzazioni internazionali per rafforzare gli elementi comunisti, diffondendo al contempo la propria filosofia di lotta e le sue idee distorte in merito ai diritti umani e alle libertà;

sostiene così le idee socialiste su scala globale, ridistribuisce la ricchezza e cerca di costruire un governo globale che porti l’umanità sulla via del Totalitarismo.

a.) L’ONU ha ampliato il potere politico del Comunismo.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite, istituita dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è la più grande organizzazione internazionale al mondo, inizialmente creata per rafforzare la cooperazione e il coordinamento tra i Paesi.

 Come entità sovranazionale, le Nazioni Unite sono in armonia con l’obiettivo del Comunismo di eliminare i singoli Stati e sono state utilizzate per aumentare il potere del Comunismo.

Fin dagli inizi, le Nazioni Unite sono diventate uno strumento utilizzato dal Comunismo sovietico: 

un palcoscenico del Partito Comunista su cui auto promuoversi e promuovere l’idea comunista di un governo mondiale.

 

In occasione dell’istituzione dell’ONU venne redatto lo Statuto (o Carta) delle Nazioni Unite.

 L’allora Unione Sovietica era uno dei Paesi promotori e un membro permanente del Consiglio di Sicurezza: 

svolgeva un ruolo di primo piano.

Alger Hiss”, redattore della Carta e segretario generale della” Conferenza della Carta delle Nazioni Unite”, nonché funzionario del “Dipartimento di Stato americano” e importante” consigliere di Roosevelt”, fu in seguito accusato di essere una spia sovietica e infine condannato per falsa testimonianza nel contesto delle accuse a lui rivolte.

 I punti di debolezza presenti nella Carta e nelle convenzioni delle Nazioni Unite costituiscono elementi vantaggiosi per i regimi comunisti e probabilmente hanno molto a che fare con l’operato di “Hiss”.

A capo di molte importanti agenzie delle Nazioni Unite vi sono comunisti o simpatizzanti del Comunismo.

Molti segretari generali delle Nazioni Unite sono stati socialisti e marxisti.

“Trygve Lie”, il primo segretario generale, era un socialista norvegese, fortemente sostenuto dall’Unione Sovietica.

 Il suo compito più importante è stato quello di far entrare il Partito Comunista Cinese nelle Nazioni Unite.

 Il suo successore, “Dag Hammarskjöld”, era un socialista favorevole a una rivoluzione comunista globale; si è adoperato spesso per adulare “Zhou Enlai”, funzionario di alto livello del PCC.

Il terzo segretario generale,” U Thant, proveniva dal Myanmar (ex Birmania):

era un marxista che credeva che gli ideali di Lenin fossero coerenti con la Carta delle Nazioni Unite.

Il sesto segretario generale, “Boutros Boutros-Ghali”, era al tempo vicepresidente dell’Internazionale Socialista.

Non è quindi difficile capire perché i leader dei regimi comunisti ricevano regolarmente trattamenti di cortesia dalle Nazioni Unite.

Molte convenzioni delle Nazioni Unite sono di fatto diventate strumenti per promuovere, direttamente o indirettamente, le idee comuniste ed espandere il potere comunista.

La più alta missione delle Nazioni Unite è quella di mantenere la pace e la sicurezza nel mondo.

 Le forze di pace delle Nazioni Unite sono sotto la responsabilità del Dipartimento per gli Affari Politici.

 Quattordici persone hanno diretto il dipartimento dal 1946 al 1992 e di queste tredici erano cittadini sovietici.

Il regime comunista sovietico ha continuato a cercare di espandere il potere comunista, senza avere alcun interesse reale nel contribuire alla pace nel mondo.

Pertanto, anche se il dipartimento ha utilizzato slogan come «salvaguardare la pace nel mondo», l’obiettivo centrale era la promozione degli interessi del Comunismo.

Semplicemente, sostenere un’organizzazione filosocialista si conformava ai suoi obiettivi.

A quel tempo, degli agenti comunisti si erano infiltrati negli Stati Uniti.

Il direttore dell’”FBI”” J. Edgar Hoove” dichiarò nel 1963 che i diplomatici comunisti assegnati alle Nazioni Unite «rappresentano la spina dorsale delle operazioni di intelligence russa in questo Paese».

Dopo il crollo dell’ex regime comunista sovietico, la sua ‘eredità’ aleggiava ancora nelle Nazioni Unite:

 «Gli occidentali che lavoravano alle Nazioni Unite […] si sono trovati circondati da quella che molti hanno definito una mafia comunista».

Il PCC utilizza le Nazioni Unite come strumento di propaganda.

Ognuno dei cinque Stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza ha un sottosegretario generale delle Nazioni Unite.

Sebbene il sottosegretario generale delle Nazioni Unite non possa più rappresentare gli interessi di un singolo Paese, il segretario generale, nel momento in cui rappresenta gli interessi sociali ed economici del PCC, sostiene di fatto l’ideologia del PCC.

I più alti funzionari delle Nazioni Unite, compreso il segretario generale stesso, hanno promosso infatti l’”iniziativa One Belt, One Road” [chiamata anche Nuova Via della Seta, NdT] del PCC presentandola come uno strumento per affrontare la povertà nei Paesi in via di sviluppo.

 

Il progetto “One Belt, One Road è considerato da molti Paesi come un’arma che mira ad espandere l’egemonia del PCC e ha lasciato molti Paesi in una profonda crisi del debito.

 Ad esempio lo “Sri Lanka” ha dovuto prestare un importante porto al PCC per novantanove anni, allo scopo di saldare il proprio debito.

Per lo stesso motivo, il Pakistan ha dovuto chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale.

Questa “Nuova Via della Seta” porta al controllo, da parte del PCC, delle realtà politiche e dell’economia dei Paesi che vi partecipano, oltre ad entrare in conflitto con i diritti umani e la democrazia;

per questo motivo molti Paesi stanno schiacciando il freno.

Nonostante questo, a causa dell’influenza politica del PCC, gli alti funzionari delle Nazioni Unite hanno promosso attivamente il progetto.

 

b.) L’ideologia comunista ha sovvertito gli ideali dell’ONU sui diritti umani.

 

Uno degli obiettivi delle Nazioni Unite è quello di promuovere le libertà e i diritti umani, riconosciuti come universali.

Il PCC, insieme ad altri regimi corrotti, nega l’universalità dei diritti umani.

Al contrario, sostiene che i diritti umani siano “affari interni”, in modo tale da poter nascondere la sua storia, costellata di persecuzioni e abusi.

Arriva persino a elogiare sé stesso per aver garantito il diritto alla sussistenza al popolo cinese.

Il PCC ha usato la piattaforma delle Nazioni Unite per attaccare i valori democratici dell’Occidente, facendo leva sulle alleanze con i Paesi in via di sviluppo, così da sovvertire gli sforzi delle nazioni libere nel promuovere i valori universali.

A causa della manipolazione attuata dai fattori comunisti, l’ONU non solo ha fatto poco per migliorare i diritti umani, ma spesso è stato usato dai regimi comunisti per mascherare gli scarsi risultati in questo campo.

Molti ricercatori hanno documentato come l’ONU abbia tradito i propri ideali. Nate all’ombra dell’Olocausto, le Nazioni Unite non fanno nulla di fronte ai genocidi.

Lo scopo originario delle Nazioni Unite era quello di opporsi agli aggressori e proteggere i diritti umani.

 Per agire in tal senso, l’esercizio del giudizio morale doveva essere una premessa necessaria; eppure le Nazioni Unite attuali rifiutano di esprimere giudizi morali.

“Dore Gold,” ex ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite e autore di “Tower of Babble”: “How the United Nations Has Fueled Global Chaos”, [La Torre di Babele: come le Nazioni unite hanno fomentato il disordine globale] ha affermato:

«L’ONU non è una entità benigna che opera a livello mondiale, bensì qualcosa di inefficace.

Ha effettivamente accelerato e diffuso il caos nel mondo».

“Gold” ha fornito numerose prove, tra cui la «neutralità dei valori» dell’ONU, l’immoralità dell’«equivalenza morale» e del «relativismo morale», la corruzione, i Paesi con scarsi risultati in materia di diritti umani ma che svolgono ruoli principali nella Commissione per i diritti umani, i Paesi non democratici che hanno la maggioranza dei voti e i regimi comunisti che esercitano il controllo.

Secondo “Gold”, le Nazioni Unite sono un «abietto fallimento» e sono «dominate da forze anti-occidentali, dittature, Stati che sponsorizzano il terrorismo, e dai peggiori nemici dell’America, […]tradendo così i nobili ideali dei fondatori dell’ONU».

La” Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite “ha adottato la politica del voto a maggioranza.

 Tuttavia, i Paesi che non hanno una buona reputazione in materia di diritti umani possono diventare Stati membri e persino sovrintendere al Consiglio per i Diritti Umani, rendendo quindi inutile le sue analisi.

Il PCC ha poi di fatto comprato molti Paesi in via di sviluppo, facendo sì che le critiche verso lo stato dei diritti umani in Cina — portate avanti dagli Stati Uniti attraverso le Nazioni Unite — venissero ripetutamente accantonate.

 La tirannia democratica intrinseca alle Nazioni Unite ha permesso che le votazioni siano oggi uno strumento usato dalle forze comuniste per opporsi alle nazioni libere su molte questioni.

Questo ha portato gli Stati Uniti a ritirarsi più volte dal Consiglio dei Diritti Umani. L’Occidente vuole promuovere la libertà e i diritti umani, ma è stato ripetutamente bloccato dai Paesi comunisti.

Il “Consiglio per i Diritti Umani” è andato fuori strada, guidato da regimi corrotti, mentre le cosiddette convenzioni internazionali, sebbene adottate, non hanno fatto nulla per vincolare i Paesi totalitari.

 Questi Paesi si limitano a ripetere degli slogan, ma non attuano le politiche necessarie.

Non è quindi difficile capire come la “Carta delle Nazioni Unite” sia molto simile alla” Costituzione sovietica” e in diretta opposizione alla “Costituzione degli Stati Uniti”.

 Il suo scopo non è quello di proteggere i diritti delle persone, ma di servire i bisogni dei governanti.

 Ad esempio, alcune disposizioni della “Costituzione sovietica” includevano, subito dopo aver elencato i diritti dei cittadini, espressioni come «nell’ambito del campo di applicazione della legge».

In apparenza, la Costituzione sovietica portò ai cittadini alcuni diritti, ma in realtà, in seguito sono state stipulate molte leggi specifiche «nell’ambito del campo di applicazione della legge».

Tutto questo ha permesso al governo sovietico di privare arbitrariamente i cittadini dei loro diritti, secondo le interpretazioni che rientravano «nell’ambito del campo di applicazione della legge».

Questo è anche il modo in cui la “Carta delle Nazioni Unite” e vari contratti e convenzioni definiscono i diritti delle persone.

Per esempio, nel” Patto internazionale sui diritti civili e politici”, dichiarazioni come «ognuno ne ha diritto» sono allegate a disposizioni come «i suddetti diritti non saranno soggetti ad alcuna restrizione, eccetto quelle previste dalla legge».

Questa non è solo una scelta di arbitraria o casuale, ma una porta di servizio creata e lasciata aperta di proposito dal Comunismo.

Il problema si ha nel momento in cui, quando i politici lo ritengono necessario, ogni diritto presente nella “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani”

 può essere legalmente sospeso. «Non c’è una scusa migliore per un dittatore», afferma “Edward Griffin”.

«La maggior parte delle guerre e dei crimini a livello nazionale sono commessi in nome di una di queste [disposizioni, NdT]».

 È difficile per i Paesi liberi privare arbitrariamente i cittadini delle loro libertà, ma i regimi comunisti possono approfittare apertamente delle scappatoie presenti nella “Dichiarazione dei diritti umani”.

c.) La globalizzazione promuove le idee politiche comuniste.

Il Comunismo, attraverso i suoi agenti, crea ripetutamente problemi a livello globale;

allo stesso tempo, però, sostiene che la soluzione sia da ricercare in una maggiore collaborazione internazionale e nelle strutture di potere:

il fine è quello di stabilire un governo mondiale.

Di conseguenza, vari Paesi si ritrovano sempre più vincolati da un numero crescente di trattati internazionali.

A questo consegue che la loro sovranità nazionale viene indebolita.

Molti gruppi sostengono strutture di potere internazionali di questo tipo e, sebbene tali gruppi non siano necessariamente comunisti, le loro rivendicazioni sono coerenti con gli obiettivi comunisti di eliminare le singole nazioni e stabilire un governo mondiale.

Durante la “Giornata della Terra” nel 1970, una personalità del mondo delle comunicazioni disse:

 «L’umanità ha bisogno di un ordine mondiale. La nazione pienamente sovrana è incapace di affrontare l’avvelenamento dell’ambiente. […] La gestione del pianeta, che si tratti della necessità di prevenire le guerre o prevenire i danni alle condizioni di vita, richiede un governo mondiale».

 Nel “Secondo manifesto umanista” del 1973 si può leggere:

 «Abbiamo raggiunto un punto di svolta nella storia dell’umanità; la migliore opzione è quella di superare i limiti della sovranità nazionale e di procedere verso la costruzione di una comunità mondiale […] Così guardiamo allo sviluppo di un sistema di diritto mondiale e di un ordine mondiale, basato su un” governo federale transnazionale”».

In effetti, l’istituzione del “Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente” avvenne dopo che, nel 1972, un’associazione che sosteneva una confederazione globale richiese lo sviluppo di soluzioni ambientali globali e l’istituzione di un’agenzia globale per la protezione dell’ambiente.

 Il suo primo direttore fu Maurice Strong, un canadese con forti tendenze socialiste.

Al “Vertice della Terra delle Nazioni Unite”, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992 (noto anche come “Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo”), 178 governi hanno votato a favore dell’adozione dell’Agenda 21.

 Il progetto, presentato in un testo di ottocento pagine, includeva contenuti sull’ambiente, i diritti delle donne, l’assistenza medica e così via.

Un influente ricercatore presso un istituto di ricerca ambientale e successivamente funzionario del “Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente”, aveva in quell’occasione commentato:

«La sovranità nazionale, cioè il potere di un Paese di controllare gli eventi all’interno del suo territorio, ha perso molto del suo significato nel mondo di oggi, dove i confini vengono regolarmente violati dall’inquinamento, dal commercio internazionale, dai flussi finanziari e dai rifugiati. […]

 Le nazioni stanno in effetti cedendo parti della loro sovranità alla comunità internazionale e cominciando a creare un nuovo sistema di governance ambientale internazionale come mezzo per risolvere problemi altrimenti ingestibili».

Superficialmente le motivazioni dietro un governo mondiale sembrano nobili, ma il vero scopo è la promozione del Comunismo per dominare il mondo.

Nel sedicesimo capitolo abbiamo descritto in dettaglio come il Comunismo utilizzi anche la pretesa di proteggere l’ambiente per portare avanti i suoi obiettivi.

Durante il mandato di “Boutros-Ghali” come segretario generale delle Nazioni Unite nel periodo 1992-1996, sono stati compiuti rapidi passi nella marcia delle Nazioni Unite verso un governo mondiale.

“Boutros-Ghali” ha preteso la formazione di un esercito permanente delle Nazioni Unite e invocato anche il diritto di riscuotere tasse.

A causa dell’opposizione degli Stati Uniti, “Ghali” non è stato in grado di servire un secondo mandato.

Altrimenti, la situazione che si sarebbe creata nelle Nazioni Unite sarebbe stata difficile da prevedere.

 Sebbene i regimi comunisti rifiutino sempre di interferire negli affari interni di altri Paesi, essi partecipano attivamente a varie organizzazioni internazionali, sostengono l’espansione delle funzioni delle Nazioni Unite e promuovono il concetto di governance globale.

Nel 2005, il segretario generale delle “Nazioni Unite” “Kofi Annan” ha affermato: «Nell’era dell’interdipendenza, la cittadinanza globale è un pilastro cruciale del progresso».

“Robert Chandler”, un intellettuale strategico che ha lavorato per l’aviazione americana, la Casa Bianca e vari dipartimenti governativi degli Usa, ritiene che il cosiddetto progresso proposto da Annan distruggerebbe la sovranità nazionale e aprirebbe la strada a una società civile globale senza frontiere.

Il programma dell’ONU ‘Per una cultura di pace’ è in realtà organizzato e guidato da appartenenti all’ultra Sinistra, che “Chandler” ritiene siano intenzionati a distruggere la sovranità nazionale e a creare un governo mondiale totalitario senza frontiere.

 

Il libro “The Naked Communist” [Il comunista nudo] venne pubblicato nel 1958 con l’intento di denunciare il Comunismo.

Il testo elenca i quarantacinque obiettivi dei comunisti, tra i quali:

 «Promuovere le Nazioni Unite come unica speranza per l’umanità.

 Se il loro statuto dovesse essere riscritto, esigere che venga costituito un governo mondiale che possieda proprie forze armate indipendenti».

Molti si rendono conto che l’istituzione di un governo mondiale non può essere raggiunta a breve termine;

è per questo che comunisti e globalisti usano varie argomentazioni per sostenere l’esigenza di creare istituzioni internazionali in vari campi, poi promuovono l’unità di queste istituzioni e continuano a sostenere la dipendenza dalle Nazioni Unite, con lo scopo ultimo di istituire un governo mondiale.

Sostenere un governo mondiale, gonfiando deliberatamente il ruolo delle Nazioni Unite e presentandole come una panacea per tutti i problemi attuali, è parte di un tentativo di giocare a fare Dio, pianificando il futuro dell’umanità attraverso la manipolazione del potere.

Si tratta in effetti dell’”utopia comunista”: una religione che le persone stabiliscono per sé stesse e il cui risultato è devastante.

d.) L’idea di un governo mondiale conduce al Totalitarismo.

Non c’è niente di sbagliato nell’immaginare un mondo o un futuro migliore, ma cercare di stabilire un governo mondiale per risolvere tutti i problemi dell’umanità significa correre dietro a un’utopia dell’età moderna:

il pericolo è di cadere nel Totalitarismo.

 

Un problema inevitabile, per un governo mondiale che intenda affrontare veramente i problemi globali, è come attuare effettivamente le proprie politiche, siano esse militari, economiche o di altro tipo.

Per far passare le sue politiche su scala globale, un governo di questo tipo non prenderebbe sicuramente la forma di una democrazia libera come quella degli Stati Uniti, ma sarebbe invece un grande governo totalitario come l’ex Unione Sovietica o il regime comunista cinese.

Per attirare i vari Paesi ad aderirvi, un governo mondiale dovrebbe offrire allettanti benefici, promettere di portare il benessere e avere un progetto utopistico globale per l’umanità.

 La proposta sarebbe simile a quella del Comunismo, che si presenta come la panacea dei mali di ogni Paese.

Per realizzare gli ideali utopici di un così vasto numero di Paesi e risolvere complesse questioni globali, che si tratti di proteggere l’ambiente o di fornire sicurezza e benessere su scala globale, un tale governo mondiale cercherebbe inevitabilmente di centralizzare il potere.

Questa centralizzazione incrementerebbe il potere del governo fino a un livello ineguagliabile, così che il suo controllo sulla società raggiungerebbe un livello senza precedenti.

In questa fase, un tale governo mondiale non si preoccuperebbe di raggiungere il consenso tra i Paesi membri o di rispettare gli impegni presi nei loro confronti, ma si concentrerebbe unicamente sull’attuazione delle sue politiche.

Nel mondo di oggi, esistono grandi differenze tra i Paesi.

Molti non hanno né una fede ortodossa né le basilari libertà, per non parlare del rispetto dei diritti umani o del mantenimento di elevati standard morali.

Se i Paesi si riunissero per formare un governo mondiale, un tale governo adotterebbe gli standard più bassi presenti, eliminando qualsiasi requisito relativo alla fede e alle credenze, alla morale e ai diritti umani.

 In altre parole, i Paesi si sentirebbero liberi di gestire queste tematiche utilizzando il concetto di cosiddetta neutralità nella religione, nella morale e nei diritti umani.

Un governo mondiale promuoverebbe inevitabilmente una sola cultura principale, così da unificare il mondo.

Tuttavia, il problema è che ogni Paese ha le proprie tradizioni culturali e credenze religiose.

La maggior parte degli esperti, degli studiosi e dei governi che sostengono attivamente la creazione di un governo mondiale sono atei o hanno opinioni progressiste in merito alle credenze religiose.

 Appare chiaro che un governo mondiale avrebbe l’ateismo come valore fondamentale:

sarebbe una conseguenza inevitabile, dato che il Comunismo è la forza dietro di esso.

Per mantenere il suo dominio, il governo mondiale dovrebbe attuare con la forza un processo di rieducazione ideologica, ricorrendo a mezzi coercitivi.

Al fine di prevenire la frammentazione o i movimenti indipendentisti dei Paesi membri, un governo mondiale rafforzerebbe notevolmente le sue forze militari e la polizia, così come il controllo sulla libertà di parola e di espressione.

Il governo di un Paese il cui popolo non abbia né fede e né cultura condivise potrà fare affidamento solo su un potere autoritario, cioè sul dominio totalitario, per rimanere al potere.

 Il risultato sarà una riduzione delle libertà individuali.

Un governo mondiale sarebbe inevitabilmente un governo totalitario, in quanto utilizzerebbe il proprio potere autoritario per sostenersi.

In conclusione, il cammino verso un governo mondiale è il cammino verso un Totalitarismo comunista sotto un’altra veste:

 il risultato non sarebbe diverso dai regimi comunisti di oggi, nei modi in cui schiavizzano e abusano dei loro popoli.

 L’unica differenza sarebbe che invece di essere confinato in un solo Paese, questo Totalitarismo si estenderebbe al mondo intero, pur essendo controllato da un unico governo, cosa che renderebbe ancora più facile la corruzione e la distruzione dell’umanità.

Nel processo di mantenimento del suo dominio, questo gigantesco governo utilizzerebbe progressivamente tutti i metodi malvagi usati dai regimi comunisti.

 Il cammino verso l’autoritarismo sarebbe anche un processo di distruzione delle culture tradizionali e dei valori morali dell’umanità, che è precisamente quello che il Comunismo mira a realizzare.

4.) La globalizzazione culturale: un mezzo per corrompere l’umanità.

Gli scambi culturali e i flussi di capitali si espandono in tutto il mondo;

allo stesso tempo, anche le varie forme culturali deviate che il Comunismo ha stabilito in quasi cento anni — nell’arte moderna, nella letteratura, nel cinema e nella televisione, negli stili di vita, nell’utilitarismo, nel materialismo e nel consumismo — vengono trasmesse a livello globale.

Durante questo processo, le tradizioni culturali dei vari gruppi etnici vengono private delle loro forme esterne e separate dal loro significato originale, dando luogo a culture mutate e devianti, che raggiungono l’obiettivo di corrompere rapidamente i valori morali delle persone, ovunque si diffondano.

Nel mondo, gli Stati Uniti sono il Paese leader a livello politico, economico e militare.

 Questa leadership porta con sé la cultura americana, che è prontamente accettata e adottata da altri Paesi e regioni.

 Dopo la Rivoluzione Industriale, con il declino della fede religiosa e l’aumento del materialismo causato dal progresso tecnologico, la gente ha naturalmente tracciato un legame diretto tra la prosperità materiale e la forza di una civiltà.

Approfittando di questa tendenza, il Comunismo ha concentrato le sue risorse nel distruggere gli Stati Uniti con mezzi non violenti.

Dopo aver influenzato (e corrotto) l’unità familiare, la politica, l’economia, il diritto, le arti, i media e la cultura popolare in tutti gli aspetti della vita quotidiana negli Stati Uniti, e dopo aver distrutto i valori morali tradizionali, il Comunismo ha utilizzato la “globalizzazione culturale” per esportare la cultura risultante da questa corruzione.

 Promossa come la cultura avanzata dagli Stati Uniti, si è diffusa in tutto il mondo.

In un batter d’occhio, il movimento “Occupy Wall Street” di New York è apparso sugli schermi televisivi dei remoti villaggi in India.

Attraverso i film di Hollywood, gli abitanti dei villaggi conservatori di confine nello Yunnan in Cina hanno potuto vedere madri single, relazioni extraconiugali e la liberazione sessuale come se fossero tutti aspetti ‘normali’ della vita.

L’ideologia alla base del programma di studi” Common Core”, creato da esponenti del marxismo culturale, si riflette nei libri di testo delle scuole di Taiwan.

L’Africa, considerata la regione più arretrata del mondo, si è rivelata la più colpita dall’epidemia di Aids.

Dall’Ecuador in Sud America, alla Malesia nel Sud-Est asiatico e alle Fiji nel Pacifico, il rock-and-roll è diventato estremamente popolare.

“Willi Münzenberg”, attivista comunista tedesco e uno dei fondatori della “Scuola di Francoforte”, ha affermato:

«Dobbiamo organizzare gli intellettuali e usarli per far sì che la civiltà occidentale diventi ripugnante.

Solo allora, dopo che avranno corrotto tutti i suoi valori e reso impossibile viverci, potremmo imporre la dittatura del proletariato».

Dal punto di vista della Sinistra, «far sì che la civiltà occidentale diventi ripugnante» è il cammino verso il Comunismo.

Per il Comunismo, che ne è la forza motrice, l’obiettivo è corrompere la cultura tradizionale che Dio ha lasciato all’uomo e fare sì che l’uomo abbandoni il divino: tutto allo scopo di distruggere l’umanità.

Se si paragonano la cultura deviata dell’Occidente e la cultura partitica dei regimi totalitari comunisti alla spazzatura, allora la globalizzazione culturale è simile a una tormenta che diffonde la spazzatura su tutto il mondo, travolgendo senza pietà i valori tradizionali tramandati all’umanità.

Qui ci siamo concentrati sulla spiegazione dell’influenza che la cultura deviata dell’Occidente ha sul mondo.

Nel prossimo capitolo analizzeremo come invece la cultura comunista si sia diffusa in tutto il globo.

 

a.) La globalizzazione culturale distrugge le tradizioni.

La cultura di ogni etnia presente del mondo ha caratteristiche uniche e porta con sé profonde influenze derivanti da eventi storici remoti.

Nonostante le differenze tra le culture etniche, tutte mostrano gli stessi valori universali nelle loro tradizioni, conferiti dal Cielo.

Dopo la Rivoluzione industriale, lo sviluppo tecnologico si è fatto portatore di una serie di comodità.

 A causa dell’influenza del progressismo, gli aspetti tradizionali sono stati considerati generalmente arretrati.

Al giorno d’oggi, qualsiasi cosa viene valutata in base a quanto sia moderno, nuovo, parte del ‘progresso’ o in base al suo valore commerciale.

I cosiddetti valori comuni, formatisi dallo scambio culturale nel processo di globalizzazione, non appartengono a una particolare tradizione: sono valori moderni.

 Gli elementi e i principi adottati nella globalizzazione si discostano dalle tradizioni:

includono solo gli elementi più grossolani del patrimonio culturale esistente, così come gli aspetti che possono essere commercializzati.

 Le idee relative al ‘destino comune dell’umanità’ e al ‘nostro futuro comune’ sono il risultato di tali valori deviati.

Il Comunismo promuove valori che appaiono nobili, ma in realtà mirano a far sì che l’umanità abbandoni i valori tradizionali, sostituendoli con valori moderni omogenei e deviati.

Tra le cose più basse che si manifestano a livello globale, durante la globalizzazione culturale, vi è la cultura del consumismo.

 Spinti da interessi economici, i prodotti culturali vengono progettati e commercializzati incentrandosi completamente sul richiamare i bassi istinti dei consumatori.

L’obiettivo è quello di controllare l’umanità seducendo, assecondando e soddisfacendo i desideri superficiali delle persone.

Una cultura globale improntata al consumismo si rivolge ai desideri dell’umanità e viene usata per corrompere la tradizione in molteplici modi.

In primo luogo, per attirare il massimo numero di consumatori, i prodotti culturali non devono poter offendere nessun gruppo etnico, dalla produzione alla distribuzione.

 Di conseguenza, le caratteristiche e i significati unici di una certa cultura etnica verranno rimossi da tali prodotti.

In altre parole, la tradizione viene eliminata attraverso la de culturalizzazione, o la standardizzazione.

Le popolazioni che hanno un più basso livello di istruzione, assieme a un minor potere di consumo, sono quelle più suscettibili a un modello di consumo semplificato, poiché il costo di fabbricazione di tali prodotti è inferiore.

A causa della globalizzazione, queste popolazioni rimangono limitate a una cultura commerciale, dai costi di produzione più bassi.

In secondo luogo, la globalizzazione del settore mediatico ha portato alla creazione di monopoli.

Il risultato è che gli elementi comunisti possono facilmente utilizzare le idee degenerate dei produttori, per pubblicizzare l’aspetto culturale superficiale dei prodotti e introdurre l’ideologia marxista durante la promozione:

l’ibridazione delle culture attraverso la globalizzazione diventa un altro canale di promozione dell’ideologia comunista.

In terzo luogo, una cultura globale rende il consumismo la tendenza dominante della società.

Gli spot pubblicitari, i film, i programmi televisivi e i social media bombardano costantemente i consumatori con l’idea di non stare vivendo in modo reale se non consumano, se non possiedono determinati prodotti o non si svagano in un certo modo.

 Il Comunismo usa mezzi e diversivi per spingere le persone a perseguire l’obiettivo di soddisfare i propri desideri.

 A causa di questo, le persone si allontanano sempre più dal piano spirituale e, prima che possano rendersene conto, si sono distaccate dalle credenze nel divino e nei valori tradizionali.

Il Comunismo diffonde rapidamente la sua ideologia degradante sullo sfondo della globalizzazione.

Fa leva anche sull’effetto gregge: tramite la frequente esposizione a social media, spot pubblicitari, spettacoli televisivi, film e notizie, la gente è bombardata da varie ideologie antitradizionali e innaturali.

Questo crea l’illusione che tali ideologie degenerate siano accettate a livello globale.

 Si diventa gradualmente insensibili ai danni che queste ideologie recano alle tradizioni.

 I comportamenti distorti sono considerati alla moda e la gente viene anche spinta ad andarne orgogliosa.

L’abuso di sostanze, l’omosessualità, il rock-and-roll, l’arte astratta, e molto altro ancora, sono fenomeni che si sono diffusi in questo modo.

L’arte moderna è degenerata e viola tutte le definizioni tradizionali di estetica.

Alcune persone sono state in grado di comprendere questo aspetto fin da subito. Quello che succede è che le opere d’arte moderne vengono costantemente esposte nelle città più importanti e vendute a prezzi elevati e i mezzi di comunicazione pubblicano spesso pezzi su queste strane e tetre opere.

 Il risultato è che buona parte della gente inizia credere di non essere in grado di comprendere le mode e che il proprio gusto artistico debba essere aggiornato.

 Le persone cominciano a negare il senso della bellezza e a favorire forme di espressione degenerate.

Il Comunismo è in grado di utilizzare l’effetto gregge a causa del fatto che molte persone non hanno una forte volontà.

 Una volta che l’umanità si discosta dalle tradizioni impartite dal Cielo, tutto diventa relativo e può cambiare nel tempo.

 La situazione è quindi adatta ad essere sfruttata.

b. I Paesi occidentali sviluppati esportano una cultura contraria alla tradizione.

I Paesi occidentali sviluppati svolgono un ruolo decisivo nelle questioni economiche e militari a livello globale.

Di conseguenza, la cultura occidentale ha potuto diffondersi rapidamente nei Paesi in via di sviluppo, in quanto è stata considerata la corrente principale della civiltà moderna e la direzione da seguire per lo sviluppo futuro.

 Sfruttando questa tendenza, è stato possibile diffondere in tutto il mondo la cultura moderna deviata presente negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali.

 La conseguenza è un danno enorme alle tradizioni di altri gruppi etnici.

La musica rock and roll, le droghe e la liberazione sessuale sono state mascherate e proposte come parte della cultura occidentale e si sono rapidamente diffuse.

Come sottolineato in questo libro, lo spettro comunista è alla base dello sviluppo di queste culture degenerate, che non hanno nulla a che fare con i valori tradizionali, derivanti dalla fede spirituale.

Attualmente, nel mondo si stanno diffondendo ogni sorta di culture degenerate, che vengono fatte passare come parte della cultura occidentale.

Hollywood, in particolare, è diventato uno dei principali corrieri in grado di diffondere le varie ideologie che derivano dal marxismo culturale.

Le caratteristiche speciali dell’industria cinematografica permettono di far accettare inconsciamente, agli spettatori, i valori proposti nei film.

Inoltre, a causa della loro forza economica, i Paesi occidentali attirano un gran numero di studenti stranieri.

 In questo libro abbiamo discusso di come il marxismo culturale abbia preso il controllo dell’educazione occidentale, il che espone allo stesso tempo gli studenti stranieri a varie ideologie di Sinistra.

 Una volta rientrati nei loro Paesi, gli studenti diffonderanno queste ideologie.

Nei loro Paesi, queste ideologie degenerate sono considerate attraenti, a causa del fatto che i Paesi occidentali sono tecnologicamente più avanzati ed economicamente più sviluppati.

 Così, queste ideologie incontrano scarsa resistenza mentre si diffondono e distruggono le culture tradizionali locali.

Ad esempio, il primo Paese asiatico ad aver riconosciuto il matrimonio omosessuale ha delle tradizioni molto profonde.

 La globalizzazione è la causa di questo cambiamento:

 dopo aver studiato in Occidente, un gran numero di studenti ha accettato il matrimonio omosessuale, facendo poi pressione per un cambiamento nel proprio Paese.

Per la maggior parte, i politici progressisti che incoraggiano la legalizzazione del matrimonio omosessuale hanno sviluppato la loro visione progressista durante i loro studi all’estero.

c.) Le multinazionali diffondono una cultura degenerata.

Durante la globalizzazione, il rispetto reciproco e la tolleranza nei confronti di diverse culture nazionali sono diventati un fenomeno di massa.

 Il Comunismo ne ha approfittato per ampliare arbitrariamente il concetto di tolleranza, rendendo di fatto la neutralità dei valori un ‘consenso globale’ sostenendo così delle ideologie degenerate.

In particolare, l’omosessualità e la liberazione sessuale si sono sviluppate rapidamente attraverso la globalizzazione, corrodendo seriamente i valori morali della società tradizionale.

Nel 2016, una multinazionale di negozi al dettaglio ha annunciato che gli spogliatoi e i bagni dei negozi sarebbero stati «friendly to transgender people» [Attenti ai bisogni delle persone transgender, NdT].

Nel pratico, significa che qualsiasi uomo sarebbe potuto entrare nei bagni o negli spogliatoi delle donne a suo piacimento se avesse sostenuto di sentirsi una donna.

 L’”American Family Association” ha invitato i consumatori a boicottare l’azienda, a causa dei danni che la politica della multinazionale avrebbe potuto causare a donne e bambini.

Per esempio, nel 2018 un uomo è entrato nel bagno delle donne in uno dei negozi e si è denudato davanti a una ragazzina.

 

Da una parte, i consumatori che si rifanno a valori tradizionali si schierano mettendo in atto una resistenza;

dall’altra, i giornalisti hanno scoperto che sono centinaia le multinazionali che hanno ottenuto punteggio pieno nell’Indice di uguaglianza aziendale (che misura i comportamenti aziendali nei confronti della comunità LGBT).

I giornalisti hanno scoperto che i prodotti e servizi di queste aziende racchiudono tutti gli aspetti della vita quotidiana, cosa che rende irrealistico un qualsiasi tipo di boicottaggio.

Le multinazionali in questione rappresentano quasi tutte le principali compagnie aeree, case automobilistiche, catene di fast-food, caffetterie, tutti i principali grandi magazzini, banche, aziende di produzione cinematografica, aziende di telefonia mobile e computer e così via.

Questi valori sono diventati onnipresenti e mainstream mediante la globalizzazione e passando per la cultura aziendale di ciascuna multinazionale.

d.) L’”ONU” diffonde valori distorti.

Nel 1990 l’”Organizzazione Mondiale della Sanità “ha annunciato che l’omosessualità non doveva più essere considerata una malattia mentale, con la conseguenza di spronare fortemente il movimento omosessuale in tutto il mondo.

Con la globalizzazione, l’AIDS si è diffuso in tutto il mondo.

 Il gruppo più a rischio di contrarre l’AIDS sono gli omosessuali, che a tutt’oggi continuano a essere oggetto di interesse e di discussioni in ambito pubblico;

 e l’espansione del movimento omosessuale è stata promossa dal Comunismo.

Quando gli operatori sanitari incoraggiano i malati di AIDS omosessuali a non vergognarsi e a cercare cure mediche, di fatto promuovono, allo stesso tempo, il riconoscimento morale della condotta omosessuale.

 In Africa, Asia e America Latina, i finanziamenti della comunità internazionale per combattere l’AIDS hanno avuto l’effetto di promuovere il movimento omosessuale.

Il Sudafrica è stato il primo Paese a presentare una nuova convenzione al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che richiedeva di utilizzare il riconoscimento dell’orientamento sessuale e dell’”identità di genere” come indicatori del livello dei diritti umani in un Paese.

La convenzione è stata poi adottata ed è divenuta la prima risoluzione delle Nazioni Unite che riguardasse direttamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere.

La realtà è che quel documento normalizza quelle che un tempo erano considerate mentalità degenerate, attribuendo loro la stessa importanza dei diritti umani naturali.

L’articolo 13 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia afferma: «Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione.

Questo diritto comprende la libertà di ricercare, di ricevere e di divulgare informazioni e idee di ogni specie, indipendentemente dalle frontiere, sotto forma orale, scritta, stampata o artistica, o con ogni altro mezzo a scelta del fanciullo».

Alcuni ricercatori si sono chiesti:

 se i genitori non permettono ai loro figli di indossare magliette con simboli satanici, si tratta di una violazione dei diritti dei bambini?

I bambini hanno il diritto di scegliere il modo in cui desiderano parlare con i loro genitori?

I bambini possono non essere in grado di valutare le cose. Quando commettono atti violenti o infrangono norme etiche, i genitori possono disciplinare i loro figli? Queste preoccupazioni non sono ingiustificate.

Nel 2018 la Provincia dell’Ontario, in Canada, ha approvato una legge per la quale i genitori non dovrebbero contraddire il desiderio del bambino di esprimere il proprio genere (in altre parole, per la legge i bambini possono scegliere da soli il loro genere, quindi i maschi possono dire di essere femmine e viceversa).

I genitori che non accettano l’identità di genere scelta dai loro figli possono essere ritenuti colpevoli di maltrattamenti sui minori: lo Stato può quindi togliere ai genitori la custodia dei loro figli.

Il Comunismo usa quindi la globalizzazione per alterare e distruggere la cultura tradizionale e i valori morali in modo totale.

 Ciò include servirsi dei Paesi sviluppati, delle imprese multinazionali e delle istituzioni internazionali.

Le persone sono immerse nelle comodità superficiali presenti nel villaggio globale, ma non sono consapevoli del fatto che i loro modelli di pensiero e le loro coscienze stanno rapidamente cambiando.

 In pochi decenni, queste ideologie, completamente nuove, hanno inghiottito molte parti del mondo, come se provenissero da uno tsunami.

Ovunque queste ideologie fanno breccia, la cultura cambia, le civiltà svaniscono: anche i Paesi più antichi e più chiusi non hanno modo di sfuggirne.

La cultura tradizionale è la radice dell’esistenza umana, un’importante garanzia per gli esseri umani di mantenere degli standard morali.

È la chiave che gli esseri umani possono usare per essere salvati dal Creatore.

 Nel processo della globalizzazione, questi elementi sono stati modificati o addirittura distrutti dalle predisposizioni dello spettro comunista.

 La civiltà umana affronta una crisi senza precedenti.

Conclusione.

Da millenni, nazioni e Paesi diversi tra loro sono coesistiti.

Sebbene si trovino in regioni differenti, abbiano forme sociali e sistemi politici differenti, usino lingue differenti, presentino qualità culturali e psicologiche differenti, tutti condividono valori universali comuni.

Questi valori universali sono il nucleo della cultura tradizionale di ogni gruppo etnico.

In un breve periodo, poco più di cento anni dopo l’emergere del Comunismo sulla scena mondiale, l’umanità si è trovata ad essere in grave pericolo, poiché le culture tradizionali sono state indebolite, danneggiate e distrutte su larga scala.

Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i comunisti hanno preso il potere in Russia e in Cina, le grandi potenze dell’Est, uccidendo le élite culturali tradizionali di quei Paesi e distruggendo la cultura tradizionale con la violenza.

Dopo la Seconda guerra mondiale, i Paesi comunisti si sono infiltrati nelle Nazioni Unite e in altre organizzazioni internazionali per controllarle, abusando inoltre delle procedure democratiche per far sì che la maggioranza potesse conquistare la minoranza;

hanno inoltre impiegato il loro denaro allo scopo di persuadere i Paesi più piccoli, nel tentativo di usare l’ONU per spingere il mondo intero verso la corruzione.

In tutto il mondo, specialmente dopo la fine della Guerra Fredda, il Comunismo ha usato gli scambi e la cooperazione politica, economica e culturale a livello internazionale per espandere e controllare la globalizzazione, promuovendo i valori degenerati in tutto il mondo.

 I valori e le tradizioni universali sono stati distrutti e vengono distrutti sistematicamente.

Al giorno d’oggi lo spettro del Comunismo domina il mondo intero.

I gruppi politici ed economici transnazionali di oggi hanno enormi risorse e la loro influenza è arrivata a essere presente in ogni aspetto della società umana.

 Da importanti questioni come l’ambiente, l’economia, il commercio, gli affari militari, la diplomazia, la scienza e la tecnologia, l’istruzione, l’energia, la guerra e l’immigrazione, fino alle questioni più piccole come il divertimento, la moda e lo stile di vita, tutti questi campi sono sempre più manipolati dai globalisti.

Una volta formato un governo globale, diventerà facile trasformare o distruggere tutta l’umanità con un solo comando.

Usando la globalizzazione, assieme ad altri mezzi, lo spettro comunista ha rovinato la società umana in poche centinaia di anni:

 sia l’Oriente che l’Occidente rischiano di essere distrutti.

Solo ritornando alla tradizione, gli esseri umani potranno reintrodurre i valori universali e le culture tradizionali nelle proprie nazioni sovrane e durante gli scambi internazionali.

Tutto questo permetterà all’umanità, sotto la protezione e la grazia di Dio, di allontanare lo spettro comunista e di andare verso un futuro luminoso.

 

  

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