La religione climatica e la dignità dell’uomo.

 

La religione climatica e la dignità dell’uomo.

 

 

Ungheria, il Premier Orbán

ammette: “Gli Stati Uniti

Non Vogliono Fermare la Guerra”

Conoscenzealconfine.it – (16 Luglio 2023) -  Giulio Chinappi – ci dice:

 

Più che unire il blocco occidentale, il vertice NATO di Vilnius sembra aver messo ulteriormente in evidenza la spaccatura interna all’Alleanza Atlantica, come dimostrano le parole del capo del governo ungherese, che continua a smarcarsi dalla linea dettata da Washington.

Il vertice NATO di Vilnius, in Lituania, ha rappresentato una sciagura sotto numerosi punti di vista, come evidenziato da importanti esperti internazionali, tra i quali l’ex ambasciatore italiano “Alberto Bradanini”.

Tuttavia, ha anche evidenziato ancora una volta la spaccatura esistente all’interno della stessa “Alleanza Atlantica” su questioni importanti, come l’adesione della Svezia, l’adesione dell’Ucraina, la fornitura di armi a Kiev e l’atteggiamento da tenere nei confronti della Russia.

Tra coloro che da tempo stanno cercando di smarcarsi dai dettami di Washington figura certamente il primo ministro ungherese Viktor Orbán.

Il governo di Budapest ha infatti sottolineato sin dall’inizio del conflitto che non avrebbe aderito alle sanzioni antirusse, almeno per quanto riguarda le forniture di gas, ritenute fondamentali per la sopravvivenza stessa del Paese magiaro.

 Orbán e altri esponenti del suo governo, come il ministro degli Esteri “Péter Szijjártó”, hanno inoltre rilasciato numerose dichiarazioni critiche nei confronti dell’atteggiamento tenuto dalla NATO in relazione alla crisi ucraina.

Proprio mentre aveva luogo il vertice di Vilnius, il capo dell’esecutivo ungherese ha ancora una volta manifestato il proprio dissenso nei confronti delle politiche belliciste di Washington, volte unicamente a prolungare il conflitto anziché tentare di sedarlo.

Intervistato da “Kossuth Rádió”, Orbán ha sottolineato che gli Stati Uniti non hanno nessuna intenzione di porre fine alla guerra:

“Se gli statunitensi lo volessero, la pace arriverebbe con l’alba di domani”, ha sottolineato il primo ministro.

 “Ma perché non lo vogliono?

Questa domanda è rimasta senza risposta al vertice della NATO”, ha continuato Orbán, il quale ha anche aggiunto che “l’Ucraina ha perso la sua sovranità molto tempo fa” e che i paesi occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti, controllano la situazione nel Paese.

Orbán ha anche espresso la sua decisa contrarietà ad un eventuale ingresso dell’Ucraina nella NATO, affermando che una mossa di questo tipo non farebbe altro che estendere il conflitto, portando il mondo sull’orlo della terza guerra mondiale.

 “Se avessimo accettato l’Ucraina nella NATO, ciò avrebbe significato una guerra mondiale immediata”, ha detto il premier magiaro nella sua intervista radiofonica.

Il capo del governo ungherese ha anche criticato l’opinione pubblica occidentale, che non sembra opporsi a sufficienza alla continuazione della guerra, mentre gli ucraini continuano a mostrare un atteggiamento aggressivo nei confronti della Russia, il che non facilita il raggiungimento di un accordo.

Il rifiuto da parte di Budapest di un eventuale ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica, è stato ribadito anche dal ministro degli Esteri, il già citato “Péter Szijjártó”

Secondo il capo della diplomazia ungherese, il vertice di Vilnius della NATO ha prodotto solo risultati modesti e di piccolo calibro per l’Ucraina, con Kiev che non è riuscita a ottenere alcun calendario per l’adesione al blocco:

“La grande domanda prima del vertice NATO era ciò che l’Ucraina avrebbe ottenuto.

Rispetto alle aspettative, sostenute principalmente dagli stessi ucraini, i risultati pratici effettivi sono stati estremamente modesti”, ha detto “Szijjártó”, che ha partecipato in prima persona al vertice di Vilnius, alla televisione nazionale ungherese.

Il ministro ha inoltre osservato che l’Ucraina non ha ricevuto né un invito né un calendario per l’adesione all’alleanza.

“Solo la commissione Ucraina-Nato è stata promossa a livello di consiglio”, ha sottolineato il massimo diplomatico ungherese, aggiungendo che nella situazione attuale “questa era l’unica decisione giusta”.

 “È abbastanza chiaro che un Paese in stato di guerra non può essere accettato nella NATO perché, secondo le stesse regole dell’alleanza, ciò comporterebbe il trascinamento dell’intero blocco in questa guerra.

Quindi, penso che, in questo momento, la NATO abbia preso una decisione responsabile riuscendo ad evitare un’escalation dell’azione militare”, ha spiegato.

“Szijjártó” ha osservato che l’Ucraina inizierà ora a redigere quello che è noto come il programma nazionale annuale per l’interazione con la NATO, che dovrebbe riflettere riforme sia di natura militare che politica.

“La NATO non è solo un’alleanza difensiva, ma anche una comunità basata sui valori.

Pertanto, ad esempio, l’Ucraina dovrebbe assumersi l’obbligo di rispettare e proteggere i diritti delle minoranze”, ha affermato, sottolineando che l’Ungheria presterà particolare attenzione a questo problema data la preoccupazione di Budapest per il trattamento degli ungheresi etnici che vivono nella regione della Transcarpazia, nell’Ucraina occidentale.

Secondo lui, una decisione sulla conformità dell’Ucraina ai criteri di adesione al blocco verrà presa in seguito, tenendo conto delle effettive prestazioni del Paese.

Tuttavia, va sottolineato come l’Ungheria si sia mostrata aperta all’adesione della Svezia alla NATO, probabilmente con l’intenzione di non dispiacere troppo ai padroni di Washington, che non vedono di buon occhio l’atteggiamento del governo Orbán.

 Lo stesso ministro “Szijjártó” ha affermato che il governo magiaro sostiene l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica, aggiungendo che l’unico ostacolo è rappresentato dalla posizione della Turchia.

“Le ultime dichiarazioni indicano chiaramente che il processo di ratifica in Turchia non sarà completato domani.

Quindi, la nostra precedente promessa che non saremo gli ultimi a farlo ovviamente è ancora valida”, ha affermato il diplomatico, aggiungendo che il parlamento ungherese sosterrà le votazioni sulla questione in autunno, come il parlamento turco, visto che la sessione primaverile del parlamento ungherese è già terminata e il parlamento si riunirà di nuovo il 25 settembre.

(Giulio Chinappi)

(giuliochinappi.wordpress.com/2023/07/16/ungheria-il-premier-orban-ammette-gli-stati-uniti-non-vogliono-fermare-la-guerra)

 

 

 

La Chiesa cattolica e il cambiamento

climatico: perché i cattolici si

preoccupano del cambiamento climatico.

Laudatosimovement.org - Anna Carolina Gutiérrez – (Ott 22, 2021) – ci dice: 

 

Papa Francesco, la Chiesa cattolica, e i cattolici di tutto il mondo agiscono ogni giorno contro il cambiamento climatico.

 Il Santo Padre ha fatto strada soprattutto durante il suo pontificato.

Nel 2015 ha scritto l’enciclica Laudato Sì, che ha aiutato 1,2 miliardi di cattolici nel mondo a capire meglio che “tutto è connesso” e a collocare millenni di dottrina cattolica nel contesto dell’attuale crisi ecologica.

Eppure, molto prima di papa Francesco e della Laudato si, i cattolici pregavano e agivano contro la crisi climatica e incoraggiavano altri a unirsi a loro, mentre si impegnavano nel prendersi cura del creato di Dio.

I cattolici sono da tempo preoccupati per la crisi climatica perché il problema tocca molte questioni che sono al centro di ciò che significa essere cattolici e vivere la nostra fede da cattolici.

Cos’è la crisi climatica?

L’attuale crisi climatica si riflette nel forte aumento della temperatura del pianeta dovuto, in gran parte, all’emissione di gas serra (GHG) che produciamo dalla Rivoluzione Industriale.

Un rapporto del 2013 del “Gruppo Intergovernativo di Esperti del Cambiamento Climatico” (IPCC) ha affermato che “l’aumento dell’uso di combustibili fossili e delle emissioni, in particolare di anidride carbonica fossile, ha fatto sì che gli ultimi decenni siano stati i più caldi sulla superficie terrestre dal 1850.”

Tale riscaldamento ha effetti devastanti su molti livelli, tra cui la produzione alimentare, gli eventi meteorologici estremi, la scarsità d’acqua e l’innalzamento del livello del mare.

Gli scienziati (pagati da chi? N.d.R.) affermano che un pianeta più caldo potrebbe produrre disastri naturali più forti e devastanti, del tipo a cui stiamo già assistendo oggi:

 inondazioni storiche, uragani più forti, siccità più lunghe, incendi boschivi più pericolosi, che portano a morti e sfollamenti e colpiscono in modo schiacciante i più vulnerabili.

Nell’intera Enciclica, papa Francesco sottolinea che la crisi climatica è una questione morale alla quale tutti i cattolici sono chiamati ad agire.

“Di fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta:“ …

”Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera».

Questi effetti peggioreranno – con un impatto maggiore sui paesi in via di sviluppo – se non adottiamo misure per evitare che la temperatura aumenti di oltre 1,5 gradi Celsius.

Perché i cattolici sono preoccupati per il cambiamento climatico?

Le Scritture ci rimandano in Matteo 7,12. La legge per eccellenza della carità: “ Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro“.

Anche la domanda che Dio rivolge a Caino è imperativa per i nostri tempi “Dov’è tuo fratello?” (Gen. 4-9).

I cattolici sono preoccupati per il cambiamento climatico perché i suoi effetti colpiscono tutti gli esseri viventi, molto più seriamente i più vulnerabili.

(Ma solo Gates pensa di poter far diminuire il riscaldamento terrestre solo cercando di oscurare il sole”! N.d.R.)

La chiamata è ad agire ed entrare in comunione di Spirito per il benessere dei nostri fratelli in tutti gli angoli del pianeta.

È anche necessario contribuire alla conservazione della casa comune facendo la nostra parte.

Benché, come esseri umani siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, ciò non ci rende superiori al resto della creazione, anzi ce ne rende responsabili, poiché siamo dotati di intelligenza per guidare tutte le cose al bene e dare, così, gloria a Dio.

La visione della natura come oggetto di profitto è errata, in quanto ci impedisce di sentirci parte di essa, in questo modo ci siamo permessi di varcare i suoi limiti in nome del progresso o di interessi privati, che ha generato ogni tipo di squilibrio con le conseguenze che già possiamo vedere nella società e sul pianeta.

“Questo induce alla convinzione che, essendo creati dallo stesso Padre, noi  tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile” (LS 89).

Come cattolici, siamo chiamati dalla fede a prenderci cura del creato, poiché esso è un riflesso della grandezza e della potenza di Dio, una potenza che si rinnova costantemente.

«Nella Bibbia, il Dio che libera e salva è lo stesso Dio che ha creato l’universo, e questi due modi di agire divini sono intimamente e indissolubilmente legati» (LS 73).

“La creazione è il fondamento di “tutti i disegni salvifici di Dio”, “l’inizio della storia della Salvezza” (DCG 51) che culmina in Cristo”.

Fin dall’inizio c’è stato un piano di salvezza per l’umanità.

 Allo stesso modo, attraverso le Scritture, vediamo che Dio si è incaricato di farci conoscere l’immensa dignità di ciascuna delle sue creature.

“Cinque passeri non si vendono per due soldi? Eppure non uno di essi è dimenticato davanti a Dio” (Lc 12,6).  Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre» (Mt 6,26).

Qual è il ruolo della Chiesa cattolica in tutto questo e con il cambiamento climatico?

La Chiesa è stata una parte fondamentale nello sviluppo del pensiero per l’umanità.

 In esso troviamo ripetutamente riflessioni che evocano amore e compassione per la nostra casa comune.

Da sant’Agostino (354-430), che ci diceva: “La cura del creato è contemplazione di Dio”

Oppure san Bonaventura (1217-1274): «Tutta la creazione può considerarsi come un bel canto che proclama la bellezza del Creatore, all’interno del quale ogni creatura ne canta una parte diversa con voce diafana ed energica».

O Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179): “La Terra sostiene l’umanità. Non deve essere danneggiata; non deve essere distrutta.”

Forse il più grande esempio di contemplazione lo abbiamo in san Francesco d’Assisi, che scelse uno stile di vita nella povertà e nella semplicità e, per sua scelta, si immerse nello splendore della natura, che si riflette mirabilmente nel Cantico delle Creature:

«Laudato sii, o mio Signore, per tutte le creature, specialmente per messer Frate Sole, il quale porta il giorno che ci illumina».

(Il sole riscalda con i suoi raggi la terra. E nessun uomo lo può impedire! N.d.R.)

Per questo lo chiamiamo “il patrono dell’ecologia”.

A proposito di questo santo virtuoso, l’attuale successore di Pietro ci dice nella sua enciclica Laudato Si:

 “In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili  la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore” (LS 10).

Nella ricerca di questa coerenza fondamentale, alcuni dei messaggi che i Papi ci hanno lasciato nei loro interventi e documenti, invitano noi cattolici a un cambio di paradigma e a prenderci veramente cura della crisi climatica e del creato di Dio.

San Giovanni Paolo II dalla Giornata Mondiale della Pace del 1990 si rivolgeva a noi a così: “I cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore sono parte della loro fede“. Per questo è un bene per l’umanità e per il mondo che i credenti riconoscano meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre convinzioni.

 

Da parte sua Benedetto XVI, nella nella lettera enciclica Caritas Caritas in Veritate ci dice: “La libertà umana può dare il suo intelligente contributo all’evoluzione positiva, ma può anche aggiungere nuovi mali, nuove cause di sofferenza e vere sconfitte. Per questo l’azione della Chiesa non solo cerca di richiamare il dovere di prendersi cura della natura, ma al tempo stesso «deve soprattutto proteggere l’uomo dalla distruzione di se stesso».”

 

Inoltre, nella sua omelia inaugurale, Benedetto XVI ha chiarito quanto importante debba essere per tutti i cattolici la cura del creato e la conversione ecologica.

 

Disse: “I deserti esteriori del mondo crescono, perché i deserti interiori sono diventati così vasti. Pertanto, i tesori della terra non servono più a costruire il giardino di Dio in cui tutti vi abitino, ma sono stati fatti per servire i poteri di sfruttamento e distruzione”.

L’impegno del Papa.

Papa Francesco ha dato voce allo Spirito Santo attraverso l’enciclica Laudato si’ per salvaguardare la vita e la dignità di tutte le creature in un ambiente dominato dall’individualismo, dall’accidia e dalla siccità spirituale.

Attraverso questo documento accessibile, prossimo e pratico, il Papa propone una serie di domande e ci offre uno sguardo basato sulle Scritture, sui documenti della Chiesa cattolica e sulle sue esperienze ecumeniche.

 

Il nostro leader della Chiesa cattolica è impegnato nelle radici profonde dei mali che ci affliggono come umanità, specialmente i più vulnerabili.

Ecco perché ha un interesse speciale che il mondo intero si mobiliti per rallentare il cambiamento climatico. Innanzitutto, Papa Francesco chiama tutti noi a una conversione ecologica, un processo di riconoscimento del nostro contributo alla crisi sociale ed ecologica e ad agire in modi che alimentino la comunione: guarire e rinnovare la nostra casa comune.

L’enciclica Laudato Si è un progetto serio con un appello al cambiamento per raddrizzare una volta per tutte le strade che permettano di recuperare i danni già arrecati alla terra e ai più fragili, e preservarli per le generazioni future, le cui voci gridano già dal Presente.

Inoltre: Cos’è una conversione ecologica?

Il Papa invita tutti i cristiani a rendersi conto dell’importanza di prendersi cura del creato di Dio per la fede.

«Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS 217).

Io cosa posso fare?

Tutto questo è un invito, non solo alla riflessione, ma a prendere misure, ognuno nei nostri contesti, per fare un uso responsabile della nostra libertà nel prenderci cura della terra, delle generazioni più vulnerabili e di quelle future.

Cercando sempre di prendersi cura del pianeta, il Movimento Laudato Si’, guidato dallo Spirito Santo, sostiene le diverse iniziative che nascono dal locale e ne promuove molte altre a livello mondiale. Puoi:

Essere un Animatore Laudato Si.

 Gli animatori della Laudato Si sono leader locali che si impegnano a far entrare l’enciclica nelle loro vite, ispirando e incoraggiando gli altri a darle vita nelle proprie comunità.

Diventa un volontario. Ci sono diversi modi per essere volontario nel Movimento: per il programma Animatori, nell’area amministrativa, nel settore comunitario, nell’interpretariato e nella traduzione, ecc..

Una conversione ecologica come quella proposta da Papa Francesco è possibile se viviamo la fede in Cristo Salvatore, che muore e risorge per i nostri peccati, e fa di noi uomini e donne nuovi che vedono la realtà in modo più ampio, come eredi di un bellissimo lavoro irripetibile, al quale non possiamo permetterci di rinunciare.

 

 

 

Il cambiamento climatico:

le cause, gli effetti, i rimedi.

Enelgreenpower.com – Redazione – (20-1-2022) – ci dice:

 

Perché il cambiamento climatico ci preoccupa tanto?

Cosa l’ha provocato e quali rischi corriamo?

 Le cause dell’effetto serra creato dalle attività dell’uomo e gli impegni presi per invertire la tendenza.

 La spinta all’elettrificazione.

La vita sulla Terra esiste grazie alla combinazione di tre fattori:

la giusta distanza dal Sole, la composizione chimica dell’atmosfera e la presenza del ciclo dell’acqua.

L’atmosfera, in particolare, assicura al nostro pianeta un clima adatto alla vita grazie al cosiddetto effetto serra naturale.

Quando i raggi solari raggiungono la superficie terrestre, vengono solo in parte assorbiti, mentre in parte vengono riflessi verso l’esterno;

 in assenza di atmosfera si disperderebbero nello spazio, ma vengono invece in buona parte trattenuti e quindi reindirizzati verso la Terra da alcuni gas presenti nell’atmosfera (i gas a effetto serra, appunto, fra cui principalmente l’anidride carbonica e il metano, ma anche il vapore acqueo e altri ancora).

Il risultato è un’ulteriore quantità di calore che si somma a quella proveniente dai raggi solari assorbiti direttamente.

 Un’aggiunta significativa: senza l’effetto serra naturale la temperatura media sulla Terra sarebbe di -18 gradi centigradi anziché di circa +15.

Le cause del cambiamento climatico.

Se è un fenomeno così vantaggioso perché oggi siamo così preoccupati?

 Cosa vuole dire che è in corso il surriscaldamento del pianeta?

E cosa si intende per cambiamento climatico?

Cambiamenti climatici ci sono sempre stati, nella storia del Pianeta.

Ma il riscaldamento climatico a cui assistiamo da circa 150 anni è anomalo perché innescato dall’uomo e dalle sue attività.

Si chiama effetto serra antropico e si aggiunge all’effetto serra naturale.

Con la rivoluzione industriale l’uomo ha improvvisamente rovesciato in atmosfera milioni di tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra portando la quantità di CO2 presente in atmosfera al doppio rispetto ai minimi degli ultimi 700 mila anni (410-415 parti per milione rispetto a 200-180 parti per milione).

(Questa affermazione è totalmente falsa, in quanto la CO2 è più pesante 4 volte dell’aria atmosferica e quindi ricade sempre sulla terra e sul mare. N.D.R)

Lo si può osservare anche day-by-day grazie alle rilevazioni degli osservatori, come quello attivo al Mauna Loa, nell’arcipelago delle Hawaii.

Da circa 15 anni i dati prodotti da migliaia di scienziati in tutto il mondo, analizzati e sistematizzati dall’”Intergovernmental Panel on Climate Change” (IPCC), concordano nel dichiarare che il “global warming” deriva dall’effetto serra antropico, cioè innescato dalle attività dell’uomo.

 (La scienza non si può sistematizzare in quanto nessuno può negare che la CO2 è quattro volte più pesante dell’atmosfera! N.D.R).

In realtà le basi scientifiche del collegamento tra i livelli di anidride carbonica e la temperatura erano state stabilite già nel XIX secolo, grazie al lavoro del Premio Nobel “Svante Arrhenius”, confermato dallo scienziato statunitense “David Keeling” negli anni Sessanta.

Le conseguenze del cambiamento climatico.

Rispetto ai livelli preindustriali la temperatura media del Pianeta è aumentata di 0,98 °centigradi e la tendenza osservata dal 2000 a oggi fa prevedere che, in mancanza di interventi, potrebbe arrivare a +1,5 °C tra il 2030 e il 2050.

 L'impatto del riscaldamento globale è già evidente:

il ghiaccio marino artico è diminuito in media del 12,85% per decennio, mentre i registri delle maree costiere mostrano un aumento medio di 3,3 millimetri del livello del mare all'anno dal 1870.

Il decennio 2009-2019 è stato il più caldo mai registrato e il 2020 è stato il secondo anno più caldo di sempre, appena al di sotto del massimo stabilito nel 2016.

Le “stagioni degli incendi” sono diventate più lunghe e intense, come in Australia nel 2019, dal 1990 a oggi ogni anno sono aumentati gli eventi meteorologici estremi, come i cicloni e le alluvioni, che colpiscono anche in periodi dell’anno atipici rispetto al passato e sono sempre più devastanti.

Fenomeni come El Niño sono diventati più irregolari e hanno causato pericolose siccità in aree già minacciate dall'aridità cronica, come l'Africa orientale, mentre la Corrente del Golfo sta rallentando e potrebbe cambiare rotta.

Le specie vegetali e animali si spostano in modo imprevedibile da un ecosistema all’altro, creando danni incalcolabili alla biodiversità in tutto il mondo.

Definire tutto questo con il termine “climate change” è corretto ma non rende abbastanza l’idea.

 Dobbiamo iniziare a parlare di “crisi climatica” perché il clima è sempre cambiato, ma non così in fretta e non con delle infrastrutture rigide e complesse come sono le città e il sistema produttivo ai quali i Paesi più industrializzati sono abituati.

0,98° -L'aumento della temperatura nel 2019 rispetto ai livelli preindustriali.

1,5°- L’aumento della temperatura entro il 2030 - 2050 senza interventi.

97%- Percentuale degli scienziati che attribuisce il riscaldamento globale alle attività umane.

Le soluzioni al cambiamento climatico.

Le attività umane influenzano sempre di più il clima e la temperatura della Terra bruciando combustibili fossili e abbattendo le foreste pluviali.

Questo aggiunge enormi quantità di gas serra a quelli presenti naturalmente nell'atmosfera, aumentando l'effetto serra e il riscaldamento globale.

A provocare più danni è soprattutto il consumo di carbone, petrolio e gas, che rappresentano la maggior parte delle emissioni di gas serra.

 Nel 2019, secondo il “Global Energy Perspective 2019” di McKinsey le fonti fossili erano responsabili dell’83% delle emissioni totali di CO2 e la sola produzione di elettricità attraverso il carbone incideva per il 36%, anche se nel 2020 - per effetto della pandemia dal Covid-19 - le emissioni sono poi scese drasticamente (fonte World Energy Outlook 2020).

 È stato stimato che l'attuale tendenza delle emissioni di CO2 dovute alla combustione del carbone è responsabile di circa un terzo dell'aumento di 1 grado centigrado delle temperature medie annuali al di sopra dei livelli preindustriali, rendendola la principale fonte di emissioni nella storia umana.

In assoluto il petrolio è la seconda fonte di emissioni, avendo prodotto nel 2019 12,54 miliardi di tonnellate di CO2 (l’86% del totale del carbone di 14,550 miliardi di tonnellate).

Anche l’abbattimento delle foreste provoca danni consistenti:

gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo l’anidride carbonica dall'atmosfera, quindi se vengono abbattuti l'effetto benefico si perde e il carbonio immagazzinato negli alberi viene rilasciato nell'atmosfera, accentuando all'effetto serra.

Infine, l’aumento degli allevamenti intensivi di bestiame e l’uso di fertilizzanti contenenti azoto contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas a effetto serra.

Gli accordi internazionali.

Cosa fare per rimediare?

Nel dicembre del 2015, alla Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) è stato firmato l’atteso Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che fornisce un quadro credibile per raggiungere la decarbonizzazione, con obiettivi a lungo termine per affrontare il cambiamento climatico e una struttura flessibile basata sui contributi dei singoli governi.

 I governi firmatari si sono impegnati a limitare l'aumento della temperatura al di sotto di 2° centigradi rispetto ai livelli preindustriali con sforzi per rimanere entro 1,5°, per raggiungere il picco delle emissioni il prima possibile e raggiungere la “carbon neutrality” nella seconda metà del secolo.

 Nonostante il successo della COP21, molte sono le questioni lasciate aperte dall'accordo.

 Nel 2018 la COP24 di Katowice ha poi approvato le regole di attuazione dell'Accordo di Parigi (il cosiddetto "Paris Rulebook").

Nel 2021, la Cop26 di Glasgow ha poi ribadito l’impegno a raggiungere entro il 2050 la cosiddetta “Carbon Neutrality” a livello globale.

La strada da percorrere per la decarbonizzazione è chiara e si chiama transizione energetica:

il passaggio da un mix energetico incentrato sui combustibili fossili a uno a basse o a zero emissioni di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili.

Le tecnologie per la decarbonizzazione ci sono, sono efficienti e vanno scelte a tutti i livelli.

 E un grande contributo alla decarbonizzazione arriva dall’elettrificazione dei consumi finali.

 Si tratta di rimpiazzare in tutti i settori - dalle abitazioni ai trasporti, compresi quelli a lunga percorrenza, fino all’industria pesante - le tecnologie basate sui combustibili fossili con quelle che utilizzano l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili in tutti i settori, ottenendo non solo l’abbattimento delle emissioni a effetto serra, ma anche dell’inquinamento atmosferico, in particolare nelle città.

La scienza offre dati certi, proiezioni di scenari futuri studiati attentamente.

 Il cambiamento del clima non aspetta e non si ferma.

Serve un cambiamento culturale forte, un vero e proprio mutamento di paradigma per tradurre in realtà ciò su cui tutti ormai sono d’accordo.

(È incredibile che si possa pensare ad una “volatizzazione della CO2” quando questa pesa 4 volte di più dell’atmosfera che respiriamo! N.D.R.)

 

26 fatti che raccontano la realtà

del cambiamento climatico

...e quattro che danno speranza.

Nationalgeographit.it - JONATHAN MANNING & SIMON INGRAM – (21-10-2021) ci dicono:

 

Comprendere le tante sfide che il nostro mondo si trova davanti durante la COP26 non è semplice.

È difficile vedere la crisi idrica quando ci sono Paesi afflitti dalle inondazioni. È difficile percepire la scomparsa del ghiaccio artico quando i telegiornali parlano di eventi climatici estremi e inverni sempre più rigidi.

GLI EFFETTI DELLA DEFORESTAZIONE.

Ma è proprio questa instabilità del clima, causata dal lento riscaldamento del nostro mondo, che sta perpetrando questi estremi.

Le sue conseguenze possono devastare economie, infrastrutture e compromettere la stabilità politica:

 una situazione che nel 2011 il Segretario delle Nazioni Unite” Ban Ki-Moon” descrisse come una “miscela diabolica”.

Nello stesso discorso “Ban” definì il cambiamento climatico la “questione determinante del nostro tempo”.

E ne sono la riprova i fatti che ormai tocchiamo con mano.

Nonostante la “COP” sia un evento annuale, la “COP26” è la prima edizione che segue” lo scoppio della pandemia di COVID-19”.

Quest’anno è ospitata dal Regno Unito, in particolare presso lo “Scottish Events Campus” (SEC) di “Glasgow” dal 31 ottobre al 12 novembre.

La conferenza vede una partnership con l’Italia, dove diversi eventi, come il “Youth4Climate” e la” PreCOP26”, si sono tenuti all’inizio di ottobre.

I gas serra sono al livello di 4,5 milioni di anni fa.

C’erano ancora i mastodonti e i mammut lanosi sulla Terra l’ultima volta che la concentrazione di biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera ha raggiunto i livelli odierni, a 417 parti per milione, secondo il” National Oceanic and Atmospheric Administration” (Amministrazione nazionale per l’oceano e l’atmosfera).

Gli scienziati affermano che i livelli di CO2, che in quanto gas serra intrappola il calore e produce riscaldamento globale, sono oggi comparabili a quelli dell’epoca del “Pliocene”, che risale a 4,1-4,5 milioni di anni fa, quando il livello del mare era di circa 24 metri superiore rispetto a oggi e la temperatura media era di quasi 4 °C più calda.

La Terra ha visto 20.000 anni di cambiamenti accadere in 170 anni.

Dal 1850, le attività umane hanno fatto impennare le concentrazioni di CO2 del 48%.

Prima del 1850, ci erano voluti 20.000 anni perché la Terra raggiungesse questi livelli in modo naturale, dall’ultimo massimo glaciale, quando il massiccio ghiacciaio “Laurentide” copriva un terzo dell’America settentrionale, da nord fino all’altezza di New York City.

Luglio 2021 è stato il mese più caldo mai registrato.

Il primo posto è il posto peggiore in questa classifica, in cui luglio 2021 si è assicurato il titolo di mese più caldo mai registrato da quando sono iniziati i rilevamenti, 142 anni fa, secondo il “National Oceanic and Atmospheric Administration” (Amministrazione nazionale per l’oceano e l’atmosfera).

In tutto il mondo la temperatura della superficie sia terrestre che oceanica è stata di 0,93 °C superiore alla media del XX secolo di 15,8 °C.

Il candido ghiaccio marino si scioglie creando piscine di acqua celeste al largo dell’Isola di Baffin a Nunavut, in Canada.

Tra il 1979 e il 2018, la proporzione del ghiaccio marino di cinque anni o più di età nell’Artide si è ridotta dal 30% al 2%.

 Piantare alberi non basta.

Si tratta di un’attività nobile e rigenerativa, sicuramente, ma affidarsi a questo per assorbire abbastanza emissioni di carbonio da raggiungere le “zero emissioni nette” entro il 2050 richiederebbe 1,6 miliardi di ettari di nuove foreste.

Significa cinque volte la superficie dell’India, ovvero più di tutti i terreni agricoli del mondo, afferma Oxfam.

Acqua alta a Venezia: una minaccia per il territorio e la popolazione.

Celebre come “la città dei canali”, Venezia deve affrontare l’innalzamento globale del livello dei mari.

Una minaccia per la sua stessa sopravvivenza che, analizzata nel documentario di National Geographic “Venezia: il futuro del pianeta”,

 potrebbe portare a un aumento del livello del bacino del Mediterraneo di un metro e mezzo entro la fine di questo secolo.

In un’intervista esclusiva pubblicata su “National Geographic.it”, “Francesca Santoro” (Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO) e “Nassos Vafeidis” (Docente in rischi costieri a capo del Gruppo di ricerca Coastal Risks and Sea Level Rise (CRSLR) e autore del paper su Nature) hanno analizzato l’impatto dell’aumento del livello del mare su Venezia e sui siti Patrimonio Mondiale dell’umanità:

"Venezia non è certo la prima città. Ma è sicuramente uno degli esempi più iconici di questa situazione”.

L'estinzione dei bombi: i danni per la specie e per l’agricoltura.

"I bombi, tra i più importanti impollinatori, sono in pericolo.

Pelosi e vivaci, questi insetti eccellono nello spargere il polline che fertilizza molti tipi di flora selvatica, e anche le maggiori coltivazioni agricole come quelle di pomodori, mirtilli e zucca”, scrive” Douglas Main” in un articolo pubblicato su “National Geographic” lo scorso anno.

Le cause sono molteplici e spaziano dall’uso degli insetticidi al caos climatico che porta molte specie a spostarsi altrove o morire.

Una perdita che potrebbe avere conseguenze terribili per gli ecosistemi e per l’agricoltura.

La primavera arriva prima.

La natura cerca di stare al passo con le primavere precoci e i tardi autunni portati dalle temperature in crescita.

La data della “prima foglia” per la quercia peduncolata è arrivata 10 giorni prima nel 2020 rispetto alla media del periodo 2000–09, secondo la “rivista scientifica International Journal of Climatology”.

Il Lago Poopó, secco e incrostato di sale.

 La scarsa irrigazione dei terreni, la deforestazione e l’evaporazione possono portare alla desertificazione.

 La parte di Terra che sta diventando arida aumenta ogni anno.

L’Antartide perde un Everest di ghiaccio ogni anno.

L’Antartide sta perdendo 151 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, un peso corrispondente all’incirca alla roccia che forma il Monte Everest, secondo il “satellite della NASA Grace-FO”.

Le case di 200 milioni di persone saranno sotto il livello del mare tra 70 anni.

200 milioni di persone del mondo vivranno sotto il livello del mare entro la fine del secolo se i livelli continuano a salire, secondo la rivista “Nature Communications”. Il livello del mare è aumentato di 178 mm dal 1900 e continua a salire di 3,4 mm all’anno.

Ha raggiunto un livello record nel 2020 per il nono anno consecutivo:

circa 91,3 mm più alto della media del 1993, data in cui iniziarono i rilevamenti con altimetri satellitari.

 Il livello del mare aumenta perché il calore (Co2) stoccato nell’oceano fa espandere l’acqua, mentre lo scioglimento delle calotte glaciali e dei ghiacciai si aggiunge al volume d’acqua.

Cina, Bangladesh e India sono particolarmente vulnerabili all’innalzamento del livello del mare, alle tempeste costiere e alle inondazioni, così come Paesi Bassi e parte del Regno Unito.

I deserti si stanno estendendo.

Secondo l’ONU ogni anno vengono persi a causa di desertificazione, degrado del suolo e siccità oltre 12 milioni di ettari di terreno, una superficie equivalente a tutti i terreni arabili della Germania.

(Sotto il deserto del Sahara vi è “un oceano di acqua dolce”, ma nessuno si interessa a questa scoperta! N.d.R.)

Gli incendi diventano più frequenti e minacciosi.

Dall’Australia alla California alla Grecia, gli incendi divampano più a lungo e su aree più estese che mai, dichiarano le Nazioni Unite (ONU), che calcolano che le fiamme abbiano devastato circa 12 milioni di ettari di terra dal 2018 al 2020.

Un milione di specie a rischio.

Un numero agghiacciante di altri abitanti del pianeta, incluso il 40% di tutti gli anfibi conosciuti (circa 3.200 specie) è in pericolo a causa dell’impatto dell’uomo, secondo l’ONU.

Cambiamento climatico, inquinamento, deforestazione, pesca eccessiva, sviluppo e specie invasive stanno mettendo a rischio la biodiversità.

La produzione di materie plastiche accelera.

Si prevede che la produzione e l’uso di materie plastiche raddoppieranno nei prossimi 20 anni, e quadruplicheranno intorno al 2050, avverte la “Fondazione Heinrich Böll”, e ogni fase del ciclo di vita della plastica – dall’estrazione e raffinazione del petrolio al processo produttivo fino allo smaltimento e all’incenerimento – prevede il rilascio nell’atmosfera di gas a effetto serra come CO2 e metano.

Ogni anno 17 milioni di barili di petrolio vengono usati per fare plastica e 13 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, secondo i calcoli dell’ONU.

(I bruciatori dei rifiuti, tra cui la plastica, non interessano ai ricchi globalisti, eppure si potrebbe realizzare la produzione di energia da queste centrali! N.D.R.)

75 milioni di bambini soffrono di insicurezza alimentare.

Almeno 155 milioni di persone sono state esposte a grave insicurezza alimentare nel 2020 a causa di condizioni climatiche estreme, conflitti e crisi economiche, dichiara il “Programma alimentare mondiale”.

Tra queste ci sono oltre 75 milioni di bambini con meno di cinque anni con sintomi di crescita stentata.

 “Gli eventi climatici estremi continueranno ad acuire le condizioni di grave insicurezza alimentare nelle economie fragili”, afferma il “Programma alimentare mondiale”.

I decessi causati dalle ondate di calore aumentano – e di molto.

Le temperature estreme si stanno dimostrando sempre più fatali:

la rivista “The Lancet” riporta che negli ultimi 20 anni c’è stato un aumento del 53,7% dei casi di mortalità causati dal calore tra gli ultrasessantacinquenni.

 A livello globale questo ha causato la morte prematura di 296.000 persone nel solo 2018.

Il concetto di punto di non ritorno fa paura.

Quello che molti non capiscono del livello di riscaldamento attuale del pianeta è che se oltrepasseremo una determinata soglia, la fisica prenderà il sopravvento.

(Già adesso “scienziati della fisica” sono al soldo della ricca élite globalista. N.D.R.)

Questo vale quanto meno per le calotte glaciali, che una volta raggiunta una certa velocità di scioglimento poi non potranno più sostenere la propria massa.

Questo valore è chiamato bilancio di massa superficiale e superare il punto critico significa che la calotta glaciale non riesce più a sostenere la propria massa colossale sulla base della quantità rifornita dalle precipitazioni, e inizia un declino inarrestabile e sempre più veloce che l’uomo non ha il potere di arrestare.

 Con forti azioni mitigative – limitando l’aumento delle temperature globali idealmente entro 1,5 °C, ovvero il livello concordato dalle nazioni firmatarie dell’Accordo di Parigi – le calotte glaciali continuerebbero a perdere massa, ma non supererebbero questo punto critico di non ritorno.

 In assenza di tali misure, in uno scenario di emissioni elevate, gli scienziati non sanno quando il punto critico verrebbe superato.

Ma sulla base dei valori dell’ultimo secolo, le prospettive non sono buone.

Il colore del ghiaccio è importante.

Non basta che l’inverno sia freddo per ripristinare i livelli del ghiaccio.

 Il ghiaccio bianco – quello che ha più anni ed è di più lunga durata – riflette la luce del sole, respingendo anche parte del calore.

Il sottile ghiaccio scuro stagionale invece non ha la stessa efficacia nel respingere il calore.

 Ecco perché la riduzione del ghiaccio marino artico è particolarmente allarmante. Secondo il “Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico” tra il 1979 e il 2018 il volume del ghiaccio marino di “età” di cinque anni o più è diminuito dal 30% al 2%.

Un uragano si abbatte sulla costa della Florida.

Gli scienziati ritengono che a causa del cambiamento climatico gli uragani stiano diventando più intensi e che si muovano più lentamente, aumentando il loro impatto sugli insediamenti umani.

Il cambiamento climatico sta causando eventi climatici estremi.

Studi condotti tra il 2015 e il 2020 hanno mostrato l’“impronta” del cambiamento climatico in 76 eventi tra cui alluvioni, eventi siccitosi, tempeste e anomalie di temperatura, nonché il drammatico aumento del rischio di incendi in 114 Paesi.

Malattie pericolose si stanno diffondendo.

(E questo rende felici i vari Gates e Big Pharma:” aumentano i loro affari assassini!” N.D.R)

Il cambiamento climatico sta accelerando la diffusione di malattie infettive come la dengue e la malaria, creando in più regioni condizioni in cui le infezioni possono prosperare.

 Nel 2018 la dengue si è espansa del 15% rispetto ai valori degli anni ’50 del 1900, secondo quanto medici esperti hanno dichiarato sulla rivista “The Lancet.”

Il riscaldamento impatta su tutto il pianeta.

Nessun luogo della Terra viene risparmiato dall’impatto del cambiamento climatico.

Nel 2020, temperature record sono state registrate in Bielorussia, Belgio, Estonia, Finlandia, Francia, Kazakistan, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Spagna, Svezia, Svizzera e Ucraina, nonché in Giappone, Messico, Russia, Seychelles;

mentre la città di Blenheim in Nuova Zelanda ha registrato un periodo di siccità della durata record di 64 giorni, secondo i “National Centres for Environmental Information” (Centri nazionali per le informazioni ambientali, NdT).

In Antartide ci sono state temperature da maniche corte nel 2020.

 Nell’Artide si sudava.

La vigilia del giorno di mezza estate del 2020 ha visto la temperatura più calda mai registrata nel circolo polare artico: 38 °C a Verchojansk, in Russia.

Un riscaldamento simile è evidente al polo opposto della Terra, dove la base scientifica “Esperanza in Antartide” ha registrato 18,3 °C il 6 febbraio 2020:

la temperatura più alta mai rilevata sul continente.

I dati sull’erosione costiera sono sconcertanti.

Dallo scioglimento del permafrost che causa il crollo delle scogliere in Alaska all’innalzamento del livello del mare al ridotto flusso di sedimenti nel Mississippi che provoca l’incredibile perdita di un’area pari a un campo da calcio ogni ora della costa della Louisiana, la combinazione di riscaldamento del clima, tempeste estreme, aumento del livello del mare e attività umane ci sta letteralmente togliendo il terreno da sotto i piedi. 

I più ricchi non sono molto ecologici.

Tra il 1990 e il 2015, l’1% più ricco del mondo è stato responsabile di oltre il doppio delle emissioni di carbonio del più povero 50% dell’umanità, calcola l’Oxfam.

L’impronta di carbonio media stimata dell’1% più ricco del mondo potrebbe essere fino a 175 volte maggiore di quella di alcuni del più povero 10%.

La Grande barriera corallina ha subito un’apocalisse.

Si stima che la Grande barriera corallina australiana abbia perso metà dei suoi coralli dagli anni ’90, a causa del notevole aumento delle temperature oceaniche che ne ha determinato lo “scolorimento”, rendendoli non attraenti per gli organismi che li colonizzano.

Basta un picco di 1–2 °C in più nella temperatura dell’acqua per avere un effetto devastante, afferma l’”Unione internazionale per la conservazione della natura”. Le barriere ricoprono meno dello 0,1% del fondo oceanico, ma ospitano oltre un quarto di tutte le specie di pesci marini.

(Un mare di rifiuti non bruciati navigano sulla superfice delle acque marine.

E i pesci si nutrono della plastica galleggiante. E muoiono! N.D.R.)

Un terzo dei più preziosi habitat sono in pericolo.

Gli ecosistemi vulnerabili sono in pericolo a causa del cambiamento climatico, e l’”Unione internazionale per la conservazione della natura” avverte che 83 dei 252 siti naturali dichiarati patrimonio dell’umanità sono a rischio, inclusa l’area di conservazione del “Pantanal in Brasile” e le aree protette della “Regione floristica del Capo” in Sudafrica.

I veicoli elettrici hanno un costo nascosto.

Le macchine elettriche possono emettere zero emissioni dal tubo di scappamento, ma comportano comunque una considerevole impronta di carbonio per via del loro processo produttivo. I

l SUV elettrico di un produttore deve arrivare a percorrere un totale di chilometri compreso tra 47.000 e 146.000 – a seconda che venga ricaricato con energia eolica o con un mix di “energie globali” che include l’elettricità generata dai carburanti fossili – prima che le sue emissioni di gas serra siano inferiori a quelle dei modelli a benzina.

Camminare, andare in bicicletta e usare i mezzi di trasporto pubblici sono opzioni di mobilità più ecologiche.

Megattere con i loro cuccioli si vedono  al largo di Vava'u, nel Regno di Tonga.

 Le rinnovabili sono in ascesa.

Nonostante l’aumento della domanda di carbone e gas, le rinnovabili puntano a fornire oltre la metà della maggiore domanda di elettricità nel 2021.

La generazione di fonti rinnovabili nel 2021 mira a un’espansione di oltre l’8% – la più grande crescita annuale mai registrata.

 Anche il prezzo dell’energia che generano sta scendendo: la produzione di energia da fonti rinnovabili costa molto meno delle alternative a carburante fossile, e il costo della messa in servizio di nuovi impianti solari, eolici onshore e offshore è diminuito rispettivamente del 16%, 13% e 9% nel 2020.

Alcune specie si stanno ripopolando.

Per lungo tempo simbolo dell’estinzione causata dall’uomo, le balene – inclusa la balenottera azzurra e la megattera – hanno visto un ripopolamento, con numeri record rilevati in zone in cui da molto tempo erano in numero molto esiguo.

 Con l’aumento di zone oceaniche a gestione sostenibile e la crescita delle aree marine protette c’è la speranza che il nostro rapporto con il “sistema di supporto vitale” della Terra possa diventare meno conflittuale e più di simbiosi. 

La tecnologia ci offre risposte.

L’ingegno mostrato dai finalisti della prima edizione del premio “Earthshot Prize” è la prova che quando si applica – che sia per profitto o per filantropia – l’uomo ha la capacità di compensare alcuni dei danni che la nostra specie ha causato.

 Che sia attraverso la creazione di ceppi di coralli resistenti, il trattamento delle acque reflue o l’eliminazione della necessità di bruciare tonnellate di carbone al giorno con un semplice oggetto quotidiano munito di pannello solare, l’uomo può essere bravo a proteggere l’ambiente quanto lo è a minacciarlo.

Il mondo si sta svegliando.

Un sondaggio del 2020 del “Boston Consultancy Group” ha rilevato che dei 3.000 partecipanti di otto Paesi, il 70% si è detto più consapevole ora rispetto a prima del COVID-19 “che l’attività umana minaccia il clima e che quel degrado dell’ambiente a sua volta minaccia l’uomo”. 

Il crescente attivismo dei giovani nei confronti del clima – ritenuto essere tra i più grandi movimenti globali di sempre – dimostra una crescente consapevolezza della minaccia al futuro.

Questo, insieme al crollo delle emissioni dovuto ai lockdown e alla relativa scioccante presa di coscienza di quello che è l’impatto delle nostre attività, a parte l’evento della malattia in sé per sé, significa che sempre più persone potrebbero essere ispirate a fare di più.

 

 

Le cause dei cambiamenti climatici.

Climate.ec.europa.eu – Redazione – (3-10 -2022) – ci dice:

L'uso di combustibili fossili, l'abbattimento delle foreste e l'allevamento del bestiame hanno un impatto sempre più forte sul clima e sulla temperatura del pianeta.

Queste attività aggiungono enormi quantità di gas serra a quelle naturalmente presenti nell’atmosfera, alimentando l’effetto serra e il riscaldamento globale.

Riscaldamento globale.

Il periodo 2011-2020 è stato il decennio più caldo mai registrato, con una temperatura media globale di 1,1ºC al di sopra dei livelli preindustriali nel 2019.

 Il riscaldamento globale indotto dalle attività umane è attualmente in aumento a un ritmo di 0,2ºC per decennio.

Un aumento di 2ºC rispetto alla temperatura dell'epoca preindustriale è associato a gravi impatti negativi sull'ambiente naturale e sulla salute e il benessere umani, compreso un rischio molto più elevato di cambiamenti pericolosi e potenzialmente catastrofici nell'ambiente globale.

Per questo motivo “la comunità internazionale “(ossia l’élite globalista sciamanica N.d.R.) ha riconosciuto la necessità di mantenere il riscaldamento ben al di sotto dei 2ºC e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC.

Gas serra.

La causa principale dei cambiamenti climatici è l'effetto serra.

Alcuni gas presenti nell’atmosfera terrestre (i gas serra sono tutti pesanti più di quattro volte dell’aria atmosferica. N.D.R.) agiscono un po’ come il vetro di una serra:

catturano il calore del sole impedendogli di ritornare nello spazio e provocando il riscaldamento globale.

 

Molti di questi gas sono presenti in natura, ma le attività umane fanno aumentare le concentrazioni di alcuni di essi nell’atmosfera, in particolare:

l'anidride carbonica (CO2);

il metano;

l'ossido di azoto;

i gas fluorurati.

La CO2 prodotta dalle attività umane è il principale fattore del riscaldamento globale.

Nel 2020 la concentrazione nell'atmosfera superava del 48% il livello preindustriale (prima del 1750).

Altri gas a effetto serra vengono emessi dalle attività umane in quantità inferiori.

Il metano è un gas con un effetto serra più potente della CO2, ma ha una vita atmosferica più breve.

 L'ossido di azoto, come la CO2, è un gas a effetto serra longevo che si accumula nell'atmosfera per decenni e anche secoli.

Gli inquinanti diversi dai gas a effetto serra, compresi gli aerosol come la fuliggine, hanno effetti diversi in termini di riscaldamento e raffreddamento e sono associati anche ad altri problemi quali la scarsa qualità dell'aria.

Si stima che le cause naturali, come i cambiamenti della radiazione solare o dell'attività vulcanica, abbiano contribuito al riscaldamento totale in misura minore di 0,1ºC tra il 1890 e il 2010.

Cause dell’aumento delle emissioni.

La combustione di carbone, petrolio e gas produce anidride carbonica e ossido di azoto.

L'abbattimento delle foreste (deforestazione).

Gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo CO2 dall'atmosfera.

Abbattendoli, quest'azione viene a mancare e la CO2 immagazzinata negli alberi viene rilasciata nell'atmosfera, alimentando in tal modo l'effetto serra.

Lo sviluppo dell’allevamento di bestiame. I bovini e gli ovini producono grandi quantità di metano durante il processo di digestione.

I fertilizzanti azotati producono emissioni di ossido di azoto.

I gas fluorurati sono emessi da apparecchiature e prodotti che utilizzano tali gas. Queste emissioni causano un potente effetto serra, fino a 23 000 volte più forte dei quello provocato dalla CO2.

Contrastare i cambiamenti climatici.

Poiché ogni tonnellata di CO2 emessa contribuisce al riscaldamento globale, tutte le riduzioni di emissioni contribuiscono a rallentarlo.

Per arrestarlo completamente, occorre raggiungere l'azzeramento delle emissioni nette di CO2 in tutto il mondo.

 Inoltre, anche la riduzione delle emissioni di altri gas a effetto serra, come il metano, può avere un forte effetto sul rallentamento del riscaldamento globale, soprattutto a breve termine.

Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono estremamente gravi e incidono su molti aspetti della nostra vita.

 Sia la lotta ai cambiamenti climatici che l'adattamento a un mondo che si riscalda sono priorità assolute per l'UE.

L'azione per il clima è un'esigenza immediata.

 Scopri cosa sta facendo l'UE per combattere la crisi climatica.

(L’élite globalista sciamanica, ormai prossima a raggiungere il dominio globale del mondo,

si è inventata” la lotta al cambiamento climatico da parte dell’uomo” (e non del sole come è nella realtà) e con questo solo fatto ha determinato un danno economico, per la sola Italia, pari al suo debito pubblico! N.D.R.).

 

 

 

 

CAMBIAMENTI CLIMATICI.

 Wwf.it – Redazione – (10-12-2022) – ci dice:

 

Cosa fa il WWF.

Cosa puoi fare tu.

Ormai da decenni la comunità scientifica, anche avvalendosi di modelli matematici sempre più accurati, ha descritto come il clima del Pianeta stia cambiando in modo preoccupante e come le responsabilità di questi cambiamenti sia delle attività umane, a cominciare dall’uso massiccio dei combustibili fossili.

Oggi siamo di fronte a fenomeni climatici sempre più estremi, frequenti e devastanti.

 Molte specie stanno tentando di reagire al cambiamento: alcuni uccelli migratori stanno cambiando periodi di arrivo e di partenza anno dopo anno, le fioriture stanno anticipando, le specie montane si spingono, finché possono, in alta quota. Ma tutto questo ha un prezzo.

Ormai nessuno ha più dubbi sul fatto che siano in atto importanti mutazioni nel clima del Pianeta e sulla nostra responsabilità.

1.5°C.

limite massimo al riscaldamento del Pianeta per contenere i danni più devastanti provocati da un innalzamento delle temperature.

55%.

Obiettivo minimo dell’UE di riduzione netta di gas serra entro il 2030, per non superare la soglia di 1,5°C.

12.85%

è il tasso del calo del ghiaccio artico per decennio.

OVERVIEW.

L’estate del 2022 è stata la più calda della storia in Europa. Il mese di luglio ha fatto registrare 2,26 gradi centigradi in più rispetto alla media italiana dal 1800, anno da cui si registrano i dati.

Le misurazioni strumentali, la frequenza e la violenza di eventi climatici che stiamo osservando, i cambiamenti nei comportamenti, nelle abitudini migratorie e riproduttive di molte specie animali e vegetali lasciano poco spazio a interpretazioni: la crisi climatica è ormai un dato di fatto.

La comunità scientifica è ormai unanime nell’indicare le attività umane quali responsabili della crisi climatica, in particolare a causa dell’aumento dei gas serra immessi nell’atmosfera.

 La concentrazione di gas serra nell’atmosfera ha raggiunto livelli record:

l’anidride carbonica è aumentata di quasi il 150% rispetto ai livelli preindustriali, il metano del 262% e il protossido di azoto del 123% rispetto ai livelli preindustriali (public.wmo.int/en/our-mandate/climate/wmo-statement-state-of-global-climate).

La concentrazione della CO2 in atmosfera viene misurata dal “Mauna Loa Center del NOAA americano”:

nel maggio 2022 la media era stata di 420,99 parti per milione, una concentrazione che non si registra da almeno 650 mila anni, ma probabilmente da molto prima.

La concentrazione di CO2 provoca l’innalzamento globale della temperatura che a sua volta rende sempre più frequenti fenomeni di inondazioni, siccità, dissesto idrogeologico, diffusione di malattie, crisi dei sistemi agricoli, crisi idrica e estinzione di specie animali e vegetali. Non possiamo più attendere, dobbiamo invertire la rotta.

COSA FA IL WWF.

Per combattere il cambiamento climatico e assicurare un futuro al Pianeta e alle persone bisogna raggiungere una nuova impostazione dell’economia, sostenibile, equa e non fondata sul carbonio di origine fossile entro il 2050, in grado di resistere a quel livello di cambiamento climatico che non siamo più in grado di evitare.

Per questo siamo impegnati per raggiungere un nuovo accordo globale a livello internazionale, efficace, giusto e legalmente vincolante.

 Proponiamo ai governi nazionali la promozione di strategie e percorsi con obiettivi e tappe precise per arrivare all’azzeramento delle emissioni prima della metà del secolo, costruendo una “transizione all’economia del futuro”.

(L’economia del futuro sarà tutta nelle mani predatrici dell’élite globalista mondiale! N.d.R.)

Promuoviamo l’efficienza energetica per ridurre le emissioni di CO2 e la conversione della produzione energetica verso le fonti energetiche rinnovabili, come l’energia solare ed eolica.

Proponiamo lo sviluppo di strategie di adattamento al cambiamento climatico per salvaguardare le persone e gli ecosistemi a rischio.

 

COSA PUOI FARE TU.

(Ma nessun uomo o élite globale può impedire al sole di aumentare

le sue irradiazioni sul nostro pianeta! N.d.R.)

Ognuno di noi si deve sentire coinvolto nella lotta al cambiamento climatico.

 Il risparmio dell’energia è uno dei primi passi, non basta infatti che i governi e le nazioni attuino programmi di riconversione della produzione energetica, abbandonando progressivamente i combustibili fossili verso le fonti energetiche rinnovabili.

 Puntare sull’efficienza e il risparmio energetico è fondamentale e su questi punti il ruolo di ognuno di noi è cruciale.

Sostieni le nostre battaglie per la difesa del clima, quelle in piazza e quelle istituzionali, se riusciremo a far sentire la nostra voce, insieme ce la possiamo fare.

(Per voi, globalisti sciamani, è prossimo il giudizio del Tribunale di Norimberga2! N.d.R.)

 

 

 

 

 

Firmiamo la moratoria chiesta dall’ ONU.

 Telecor.net - Roberto Nuzzo – (13 Luglio 2023) ci dice:

 

Sai che quello che vedi in cielo e che chiami scie chimiche, in realtà, è un progetto di GEOINGEGNERIA, partito da molto lontano, e che ha come scopo il controllo dei fenomeni meteorologici nell’intento di combattere i cambiamenti climatici?

 

Purtroppo questi esperimenti di natura militare e civile possono avere conseguenze gravissime sulla salute umana e distruggere le biodiversità.

Anche L’ONU, già nel 2010, durante una conferenza in Giappone, aveva sancito una convenzione sulla tutela della diversità biologica ed aveva chiesto a tutti i governi mondiali una moratoria, ovviamente ignorata e disattesa.

 Gli stessi principi sono stati riaffermati nel 2016 in Messico, Stato che ha già preso provvedimenti lo scorso gennaio.

Ora quella MORATORIA sono i cittadini italiani a chiederla.

Sai che è partita una raccolta firme promossa dal consigliere comunale di Sciacca, Maurizio Blo, il quale lo scorso aprile ha istituito” il Comitato Nazionale Moratoria Geoingegneria”.

Anche tu puoi contribuire.

 

MORATORIA-GEOINGEGNERIA-MODULO-RACCOLTA-FIRME.

Questa raccolta firme (firme vere, non click), che si svolge ai sensi dell’art. 50 della Costituzione:

NON richiede autenticazione.

Si può effettuare un ogni luogo (lavoro, mare, vacanza).

Può aderire chiunque (+ 18).

Può partecipare anche chi risiede all’estero.

Invia anche una lettera al tuo sindaco, per sensibilizzarlo e responsabilizzarlo su questo argomento.

Unisciti a noi, la classe globalista padrona del mondo, nella più grande richiesta popolare di moratoria contro la GEOINGEGNERIA, (che disturba i nostri affari planetari esclusivi. N.D.R).

 

Ormai è chiaro, la NATO non

vuole morire per l'Ucraina.

Msn.com-Esquire Italia- Paolo Mossetti – (17-7-2023) – ci dice:

Bisogna capire Volodymyr Zelensky.

 Non ci aveva mai creduto davvero, a un ingresso dell’Ucraina nella Nato in tempi brevi.

 Lo si capiva dai numerosi messaggi lanciati su Twitter in questi mesi.

 E anche dalle sue esternazioni pubbliche, nelle prime settimane di guerra, quando sembrava disposto a mettere sul tavolo la neutralità dell’Ucraina in cambio di un accordo con la Russia.

 Ma, vuoi perché doveva rivendersi questo proposito presso il pubblico di casa, vuoi perché alcuni membri dell’Alleanza atlantica hanno spalancato le porta all’Ucraina, lui ci aveva provato davvero, a convincere il segretario Stoltenberg a impegnarsi in una tempistica specifica per l'adesione dell'Ucraina.

 Tuttavia, è abbastanza chiaro che la Nato non vuole scendere in campo direttamente e morire per Kiev, né ora né mai.

Il comunicato della Nato dopo il vertice di Vilnius, terminato mercoledì, si può leggere come:

 «L'Ucraina entrerà nella Nato quando sarà il momento».

Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Francia hanno ribadito di voler perseguire una politica di supporto militare ancora più sostanziale e di lunga durata, senza precedenti, nei confronti dell'Ucraina.

Questo approccio è stato descritto da qualcuno come l'«opzione Israele», in cui l'Ucraina si trasformerebbe in uno Stato fortemente armato e con un forte nazionalismo di massa, in grado di affrontare la Russia da sola, senza però una formale alleanza con l’Occidente.

Non è nulla ma è un po’ poco, per chi contava in un impegno sempre più esponenziale dell’Occidente contro Putin, e magari una sua umiliazione a breve.

Ora il rischio per Kiev, per il fronte pro-Kiev, è quello di lasciare che l’insoddisfazione si trasformi in una rabbia cieca e sorda, impedendo di capire perché si è arrivati a questo punto e cosa occorre fare per superare l’impasse.

Anche Zelensky, in fondo, lo sa.

 Cosa significa l'appartenenza alla Nato, se non un impegno a combattere per difendere gli altri membri?

 Significa, per l’appunto, stare bene attenti ai criteri di espansione, per evitare di fare brutte figure.

Come quella in Georgia, nell’estate olimpica del 2008, quando il Paese caucasico si era sentito con le spalle abbastanza coperte per provare a riprendersi l’Ossezia del Sud dai separatisti filorussi, salvo poi ritrovarsi con Mosca che invadeva l’Ossezia con tutta la sua forza, e la Nato rimaneva a guardare.

L’annuncio, qualche mese prima, da parte dell’amministrazione di George W. Bush (con il sostegno entusiasta di Gran Bretagna e Polonia) di un piano d’azione immediato per fare entrare nella Nato la Georgia e l’Ucraina, prima del vertice di Bucarest si può definire come una mossa terribilmente stupida:

 e non solo per i ripetuti avvertimenti da parte di diplomatici ed esperti che indicavano la probabilità di una reazione russa, ma per la mancanza di un qualunque piano credibile per affrontare questa opzione.

A distanza di quindici anni da allora, ecco che l’alleanza si ritrova in una situazione simile in Ucraina:

 nessuno può sapere quanto avrebbe stuzzicato l’imperialismo russo un totale disinteresse dell’Occidente per il Paese est-europeo.

 Sappiamo però che, quando ogni ipotesi di mediazione diplomatica è fallita, sia l'amministrazione Biden che tutti i principali governi della Nato si sono rifiutati di entrare deliberatamente in guerra con la Russia, né ora né in futuro.

La maggioranza dei cittadini della Nato rifiuta questa strada, e la rifiuta sempre più nonostante la montante evidenza degli eccidi e dei crimini di guerra degli invasori, tra i quali la tortura di migliaia di cittadini, lo stupro su minori, senza contare la repressione interna che ha azzerato qualsiasi voce pacifista.

 Gli europei sono solidali con gli ucraini, ma col passare del tempo si stancano di una narrazione pubblica che tende a essere troppo manichea, e soprattutto non offre orizzonti di speranza.

È difficile capire, per l’opinione pubblica, come possa essere stata tradito uno dei grandi non detti del post-Guerra Fredda:

 l’espansione della Nato era un affare di diplomatici e militari, e in un mondo unipolare non avrebbe comportato sacrifici o pericoli per i cittadini comuni.

 Così la sconfitta del mostro sovietico era stata implicitamente venduta ai parlamenti e alle opinioni pubbliche occidentali.

Il disastro diplomatico occidentale con l’Ucraina corrisponde alla tragedia dell’Ucraina, Stato-cuscinetto tra imperi, con al suo interno confini sociali, economici e culturali rimasti immutati dal crollo dell’Urss.

A una Russia che riusciva a persuadere con la forza o con il messaggio nostalgico solo una parte di Ucraina, quella più nostalgica, protezionista e sovietica, l’Europa e la Nato hanno risposto proponendosi come magnete per un’altra Ucraina che si sentiva più vicina ai Paesi baltici e alla Polonia che alla Bielorussia.

L’incapacità, o l’impossibilità, di coinvolgere in una piattaforma di sviluppo comune Mosca, da parte delle cancellerie occidentali, ha antagonizzato e spaventato la Russia e ha rafforzato i nazionalisti radicali in Ucraina, senza offrire alcuna protezione all'Ucraina stessa.

Quel che è peggio, il tentativo di far aderire l’Ucraina alla Nato e a una serie di precetti austeritari di Bruxelles trovava contrari anche una fetta importante degli ucraini, soprattutto quelli dei territori oggi occupati, che come dimostrano i sondaggi precedenti del 2014 si erano opposti a queste ipotesi perché esse avrebbero trasformato la Russia in un nemico mortale, li avrebbe esposti alle ritorsioni dei «cugini», e sconvolto l’economia farraginosa e statalista nella quale erano abituati a vivere, seppur tra miseria e corruzione.

Eccoci dunque al frustrante stallo di Vilnius, con una Ucraina rinviata dal club Nato per un tempo indefinito, e sempre più radicalizzata dalle brutalità compiute dai russe, sempre più indisposta a premiare l’azzardo criminale di Putin con concessioni territoriali.

 L’impegno ferreo per una futura adesione alla Nato da una parte rende molto più difficile una soluzione diplomatica alla guerra.

Al tempo stesso, la perdurante esclusione della Russia da qualsiasi ripensamento dell’architettura di sicurezza europea - esclusione che si è fatta autoesclusione praticamente definitiva, a questo punto, con il riorientamento dell’economia russa verso la Cina, rende sempre più flebili gli incentivi russi a negoziare.

Gli intellettuali occidentali che hanno tifato per una disumanizzazione del nemico russo e promesso, come Beppe Severgnini, «tranquilli, vinciamo noi», hanno reso un pessimo servizio agli ucraini e ai lettori.

Ma cosa vorrebbe dire sconfitta, per il fronte anti-Putin?

La perdita della Crimea e di un Donbass ormai già epurato di qualsiasi filo-ucraino, con un trattato di neutralità ucraino e forti garanzie di sicurezza per l’Ucraina, e l’eliminazione degli elementi più nazistoidi e antirussi nelle forze armate ucraine sarebbe davvero il peggiore dei mondi possibili?

Gli ucraini, che non sono nati ieri e il vicino lo conoscono bene, hanno ragione a ricordare che la storia del nazismo istituzionalizzato ucraino, del bilinguismo negato e di una possibile aggressione Nato alla Russia sono scuse usate dal Cremlino per giustificare un imperialismo straccione, interessi economici particolaristici e una crisi identitaria nazionale.

 Ma anche gli ucraini si contraddicono, quando dicono che l'Ucraina combatte per l'Europa perché se Putin vince potrebbe attaccare la Nato altrove, e al tempo stesso che l’Ucraina deve entrare nella Nato senza paure, perché Putin non oserebbe attaccare la Nato.

Pur sapendo che le posizioni ormai si sono irrigidite e avvelenate, e che l’invasione da parte della Russia non potrà mai essere perdonata dall’Ucraina e dal resto dell’Europa per molti anni a venire, le persone ragionevoli devono ammettere che anche le politiche occidentali sono state disastrose, e che l’opinione pubblica occidentale non ricorda anche solo la parvenza di una proposta di convivenza tra superpotenze.

Eppure, soprattutto dopo Vilnius, dovrebbe essere ovvio che non può esistere un’Europa al sicuro dai suoi demoni nel lungo termine in Europa senza il coinvolgimento della Russia, e senza il ripudio del lascito catastrofico dei neocon USA.

Peggio di un’Ucraina mutilata dei suoi territori più riottosi e costretta a diventare la nuova Israele, impegnata in una ricostruzione piena di rancore, c’è solo un Occidente che se la dà a gambe dopo averla illusa ancora.

 

 

 

 

 

Virus cinese, inarrestabile contagio

da imbecillità per complottisti.

Remocontro.it - Rem – (3 Febbraio 2020) – ci dice:

 

Italiani in Cina di ritorno, tragedia a rischio farsa.

Coronavirus: oltre 14.300 i contagi totali in Cina, 304 i morti.

 Wenzhou si isola, chiuse tutte le strade.

Restrizioni ai movimenti dei residenti per frenare il contagio.

Un uomo è morto ieri nelle Filippine a causa coronavirus, primo decesso fuori dalla Cina.

È atteso per stamattina il volo di rimpatrio degli italiani in Cina.

A bordo 56 italiani (dieci hanno scelto di restare).

Gli italiani atterreranno all’aeroporto militare di Pratica di mare intorno alle 10 e da lì saranno accompagnati alla Cecchignola, ospedale militare di Roma, per due settimane di ‘quarantena’.

Guarigioni.

Sono già 443 in tutto il mondo le persone dimesse dopo avere contratto il coronavirus.

La maggior parte delle guarigioni è stata finora registrata in Cina, epicentro dell’epidemia, ma alcuni casi sono segnalati anche in Thailandia (5), Australia (2), Giappone e Vietnam (1 ciascuno).

 Psicosi.

«Di sicuro, sul coronavirus si stanno addensando sempre più preoccupazioni e paure.

 In un certo senso, è fisiologico: ogni epidemia genera un’ondata di paura, a maggior ragione in un’epoca interconnessa come la nostra», annota Leonardo Bianchi sul Manifesto.

«Se mettiamo insieme un’emergenza sanitaria globale, del giornalismo scadente, la tuttologia che impera sui social e un pizzico di razzismo il risultato è la bomba di disinformazione a cui stiamo assistendo sul corona virus», ma Leonardo Bianchi è troppo buono.

Complottisti.

«Se da un lato le autorità sanitarie nazionali stanno facendo di tutto per tranquillizzare le popolazioni, dall’altro lato c’è chi approfitta di questo clima di incertezza per diffondere notizie false, video decontestualizzati (come quello dei cittadini cinesi che «cadono a terra colpiti dal morbo») e teorie del complotto – vuoi per fini di lucro e scopi politici, o per incrementare il traffico, o ancora per la convinzione che non ci vogliono dire come stanno veramente le cose».

Fiction e horror.

«Il meccanismo è molto simile a quanto già visto con Ebola nel 2014: basta mescolare brandelli di verità con la finzione, attingere dal vasto immaginario dei “disaster movie” o del “survival horror” (pensiamo a film come 28 giorni dopo, o videogiochi come Resident Evil) e seminare caos e sospetti».

Social-menzogne.

«I social network sono i luoghi in cui certe teorie nascono e si propagano, ma è solo grazie ai media tradizionali – in primis la televisione – che riescono ad assumere una rilevanza di massa e diventare oggetto di discussione nella quotidianità».

Gli allarmismi frottola.

 Il 25 gennaio il direttore di TGCom24 Paolo Liguori ha rivelato di aver appreso da «una fonte attendibilissima» che «tutto nasce dal laboratorio di Wuhan, in cui si conducono esperimenti militari coperti dal più grande segreto».

Il coronavirus sarebbe dunque un’«arma batteriologica» sfuggita al controllo dei cinesi.

Peccato che la «fonte affidabilissima» di Liguori non sia né una ‘fonte’, né tanto meno sia attendibile.

 «Si tratta in realtà di un articolo della screditatissima testata americana “Washington Times “– da non confondere con il noto “Washington Post” – in cui si dà per assodata l’origine ‘militare’ del virus sulla base di pure congetture».

Vergogna per Liguori e per Mediaset che ancora se lo permette.

‘Laboratorio virus’ e l’on. 5 dubbi.

La leggenda del «laboratorio segreto» è stata smentita più volte, ma ciò non ne ha impedito del tutto la diffusione. Anzi.

Il 29 gennaio, l’europarlamentare del M5S Fabio Massimo Castaldo ha comunicato su Facebook che presenterà un’interrogazione parlamentare «per conoscere a fondo la realtà dei fatti» sul laboratorio di Wuhan (che esiste sul serio, ma non conduce esperimenti da film degli anni ’80).

Anche La7 inciampa.

Giovedì 30 gennaio, a ‘Coffee Break’ su La7, il cospirazionismo sulle origini del virus cambia colpevole. «Il fondatore del partito «sovranista» Vox Italia, Diego Fusaro, ha detto che il coronavirus ha “un’intelligente strategia filo-atlantista perché emerge proprio nel momento di massima criticità del rapporto tra USA e Cina e va a scompaginare il mondo cinese mettendolo in ginocchio».

Non esistono prove, e di certezze nemmeno l’ombra; ma poco importa:

«siamo nel tempo delle guerre batteriologiche e delle armi chimiche di distruzione di massa – chiosa Fusaro – quindi non trascurerei questa pista».

 Forse un po’ più di prudenza nell’invito degli ospiti aiuterebbe la qualità del giornalismo.

Poi ‘la perfida Albione’.

Un’altra teoria del complotto sostiene che il coronavirus è stato creato da un istituto di ricerca inglese – il “Pirbright Institute” – che produce vaccini.

Vaccino pronto dal 2015 e l’epidemia di coronavirus per l’affare del secolo qualche migliaia di morti dopo.

«Questa tesi è circolata inizialmente negli ambienti antivaccinisti statunitensi ed è arrivata in Italia su Facebook, Twitter e YouTube».

Peccato che il “Pirbright Institute” accusato di essere peggio di “Mengele”, si occupa di malattie infettive che colpiscono il bestiame.

65 milioni di morti dopo.

«E non è finita qui, perché in uno spin-off della teoria del «coronavirus brevettato» – sempre provenienti da complottisti americani di estrema destra – il supercattivo diventa Bill Gates:

 il fondatore di Microsoft non solo ha finanziato il “Pirbright Institute” attraverso la sua “Gates Foundation”;

ha addirittura «previsto» l’epidemia di coronavirus, aggiungendo che ucciderà 65 milioni di persone.

Trama assassina dell’«élite globalista» che vuole obbligare la popolazione a vaccinarsi, «e contemporaneamente intende sterminarla per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici».

 

Balle a ‘catena di Sant’Antonio’.

Alternativo ai grandi complotti planetari, le catene di Sant’Antonio su WhatsApp che lanciano scemenza in libertà e allarmi di ogni tipo.

 Una invita a «non andare nei negozi cinesi perché molti commercianti cinesi […] hanno continui contatti con la catena di distribuzione nei loro ingrossi in Cina». Un’altra –sempre il meticoloso Leonardo Bianchi- avverte di stare a larga dai ristoranti cinesi in Italia, dove si mangia la «zuppa di pipistrello».

Razzismo e caccia all’untore.

Bufale e teorie del complotto assurde ma non innocue.

 «Negli ultimi giorni si sono infatti verificate aggressioni fisiche e verbali, e sono tornati prepotentemente di moda antichi stereotipi razzisti sul cibo, sull’igiene e sulla predisposizione ‘malvagia’ dei cinesi».

Un recentissimo caso di sino-fobia su un Frecciarossa.

Peggio, due fratelli in provincia di Rovigo lasciati fuori da scuola perché i genitori dei compagni «non vogliono bambini cinesi».

 

 

 

 

Intervista di mons. Viganò a “Rossyia TV”.

La Guerra, gli Usa, le Chiese.

  Stilumcuriae.com – (Mag. 15, 2023) -  Marco Tosatti – Arkady Mamontov – ci dice:                                     



Cari amici e nemici di “Stilum Curiae”, riceviamo e ben volentieri pubblichiamo questa intervista di mons. Carlo Maria Viganò.

 Buona lettura e diffusione.

 

INTERVISTA di Arkady Mamontov.

 a Mons. Carlo Maria Viganò, Arcivescovo già Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America, per “Rossyia 24 TV.”

Secondo lei, chi e cosa ha provocato il conflitto religioso in Ucraina?

Mons. Viganò:

Permettetemi innanzitutto di ringraziare Arkady Mamontov, il Dottor Dmitry Toropov e la Redazione di Rossiya, per avermi invitato con questa intervista. Rivolgo il mio saluto a voi tutti e ai vostri telespettatori.

Sappiamo, da un’analisi degli eventi, che la crisi ucraina è stata pianificata da anni, sin da prima dell’Euromaidan.

A questa operazione di “regime change” non era ovviamente estraneo il” deep state “americano, per il tramite del Dipartimento di Stato e della CIA.

Chi si è mosso con questa disinvoltura nell’interferire nelle questioni interne di uno Stato sovrano considerava la questione religiosa come strumentale alla destabilizzazione interna dell’Ucraina, e per ottenerla si è mosso, con largo anticipo, anche su questo fronte.

Come ottenere dunque un conflitto religioso?

Semplice: facendo sì che la “Chiesa Ortodossa Ucraina” si separasse canonicamente dalla “Chiesa Russa” e fosse considerata autocefala.

Sappiamo che nel 2018 il Dipartimento di Stato americano ha stanziato 25 milioni di dollari al Patriarca di Costantinopoli quale incentivo per il riconoscimento dell’autocefalia della Chiesa Ucraina in scisma dalla Chiesa Russa, che Bartolomeo concesse a Gennaio 2019.

All’epoca il Segretario di Stato americano “Mike Pompeo” – con un’ingerenza nelle questioni interne alla Chiesa Ortodossa – espresse il sostegno degli Stati Uniti alla Chiesa Ucraina.

Il Patriarcato di Costantinopoli aveva il diritto di concedere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina non riconosciuta, nonostante esistesse una Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca in Ucraina, che si occupava pastoralmente della stragrande maggioranza dei cittadini ortodossi di questo Paese?

Mons. Viganò:

 La questione, a mio parere, non è se il Patriarcato avesse diritto di concedere l’autocefalia, ma perché lo abbia fatto.

Se posso fare un parallelo con la Chiesa Cattolica, mi pare che un’operazione analoga sia stata condotta da Jorge Mario Bergoglio nei riguardi delle Diocesi tedesche, in occasione del recente Sinodo sulla Sinodalità.

Egli ha creato le premesse di uno scisma consentendo alle Diocesi un’autonomia in materia dottrinale e morale che esse non hanno e non possono avere, e i Vescovi di quelle Diocesi hanno approvato la benedizione delle unioni omosessuali, il conferimento di ruoli ministeriali alle donne, la legittimazione dell’ideologia LGBTQ e del gender.

E adesso che alcuni rari Vescovi insorgono contro queste deviazioni, la Santa Sede tace, perché era esattamente questo ciò che si prefiggeva.

 Stiamo assistendo a un piano eversivo, compiuto da colui che Cristo ha costituito Capo della Chiesa per confermare i fratelli nella Fede, e non per diffondere l’eresia e il vizio.

 Ne ha il diritto? No.

 Hanno questo diritto i Vescovi tedeschi? No.

Perché l’autorità del Papa e dei Vescovi è vincolata alla Verità insegnata da Cristo, ed è nulla non appena se ne discosta.

 Ritengo che il Patriarca di Costantinopoli abbia agito nello stesso modo, con i medesimi scopi e ispirato dai medesimi poteri.

 

 Non è un segreto che tutte le decisioni a Kiev vengano prese dopo consultazioni con gli Stati Uniti.

Oggi stiamo assistendo a come i monaci vengono espulsi dal “Kiev Pechersk Lavra” – non pensa che ciò violi i principi dei diritti e delle libertà religiose che gli Stati stessi difendono?

Mons. Viganò:

La persecuzione da parte del governo di Kiev dei monaci, del Clero e anche dei fedeli legati al Patriarcato di Mosca, dimostra che l’operazione è di natura politica.

D’altra parte, come lei stesso riconosce, le decisioni di Kiev sono prese sempre su indicazione del deep state americano.

 Se la questione fosse stata esclusivamente religiosa, lo Stato avrebbe dovuto tenersene fuori, come dovrebbe accadere negli Stati che si dicono “laici” e considerano Stato e Chiesa indipendenti e sovrani.

Se il governo di Kiev considera la Chiesa Russa in Ucraina come un’emanazione del governo russo, con questo rivela parallelamente la convinzione che la Chiesa Ortodossa Ucraina sia a sua volta una Chiesa di Stato asservita al governo, e che per questo essa possa svolgere un ruolo di controllo dei fedeli ucraini.

 E questo è ciò che ha fatto Pechino con l’Accordo segreto con la Santa Sede, che nomina a capo delle Diocesi Vescovi filogovernativi e comunisti, continuando impunemente la persecuzione contro i fedeli della Chiesa Cattolica Romana.

Vengono avviati procedimenti penali contro i sacerdoti in Ucraina, alcuni di loro vengono privati della cittadinanza ucraina, le parrocchie vengono prese dagli scismatici: a cosa ci porterà tutto questo?

Mons. Viganò:

Questi fenomeni sono sempre avvenuti, nel corso della Storia:

quando il potere civile si sente “minacciato” dal potere ecclesiastico – penso ad esempio a quanto avvenuto durante la Rivoluzione Francese e di nuovo nel 1848 in Francia e in Italia, o nella Russia comunista di Stalin, o in Messico alla fine degli anni Venti, o in Spagna negli anni Trenta – la persecuzione del Clero è uno dei primi modi con cui l’autorità civile cerca di reprimere il dissenso.

D’altra parte i Cristiani sono sempre stati perseguitati dai regimi totalitari, perché il Vangelo è considerato pericoloso per chi vuole sostituire la legge di Dio con la legge degli uomini.

Potrebbe nominare gli scismi della Chiesa che sono avvenuti nella storia del mondo e a cosa hanno portato?

Mons. Viganò:

Citerei il caso emblematico dello scisma anglicano, che nasce non tanto da una questione teologica, ma dalla volontà di Enrico VIII di sottrarsi all’autorità spirituale del Romano Pontefice e divorziare dalla sua legittima consorte Caterina d’Aragona.

Con questo atto di sopraffazione del potere temporale sul potere spirituale il sovrano inglese si dichiarava “capo supremo in terra della Chiesa d’Inghilterra”, col vantaggio di appropriarsi dei beni e delle entrate sino ad allora spettanti alla Santa Sede e di controllare le nomine dei Vescovi.

 Una simile operazione era avvenuta pochi anni prima in Germania, dove i Principi tedeschi appoggiarono l’eretico Martin Lutero non tanto perché condividessero i suoi errori dottrinali, ma perché vedevano in essi un pretesto per incamerare i beni della Chiesa.

 Sia per la pseudo riforma protestante, sia per lo scisma anglicano, l’autorità civile si costituiva un contraltare ecclesiastico all’autorità del Papa e dei Vescovi, così da indebolirne il potere e rafforzare il proprio.

Le autorità secolari hanno il diritto di interferire negli affari della Chiesa?

Mons. Viganò:

Rispondo con le parole di Cristo:

 Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (Mt 22, 21).

 Questo precetto ci insegna che l’autorità civile e quella religiosa hanno due campi di azione ben distinti e separati:

da un lato il buon governo dello Stato per la concordia dei cittadini e dall’altra il governo dei fedeli per la loro santificazione.

 Sono due finalità distinte, una temporale e una spirituale;

 ma entrambe le autorità devono avere comunque Cristo come modello:

Cristo Re per i governi civili, e Cristo Pontefice per la Chiesa.

La Rivoluzione tanto quella del Liberalismo massonico quanto quella del Comunismo ateo

ha sovvertito quest’ordine sociale, ed è per questo che da due secoli – e prima ancora nella Germania divisa dall’eresia protestante – le autorità secolari hanno interferito nelle questioni della Chiesa.

Ciò è dovuto all’aver fatto derivare il potere temporale dal popolo, sottraendolo a Cristo:

da una parte, deificando l’individuo (come vuole l’ideologia liberale) e dall’altra deificando la collettività (come vuole l’ideologia comunista).

Oggi assistiamo all’alleanza tra questi due errori – che sono teologici, oltre che filosofici e politici – nella divinizzazione dell’élite sinarchica del Nuovo Ordine Mondiale, che unisce il relativismo liberale e il liberismo economico al collettivismo socialista - comunista.

E questa alleanza infernale – che in Occidente sta distruggendo il tessuto sociale e religioso delle Nazioni – è necessariamente anticristiana e anticristica, perché nega la Signoria di Cristo sui singoli e sulle società.

È satanica, come evidenziato recentemente dal Presidente Vladimir Putin.

Le agenzie di intelligence statunitensi cercano di controllare le organizzazioni religiose?

Mons. Viganò:

 Non conosco quale sia il coinvolgimento dell’Amministrazione Biden e dei servizi segreti nelle vicende religiose ucraine.

Sappiamo invece, dalle mail di “John Podestà” pubblicate negli scorsi anni, che il deep state americano ha avuto un ruolo determinante nel provocare una “rivoluzione colorata” in seno alla Chiesa Cattolica, giungendo ad auspicare un cambiamento della dottrina e della morale, da ottenersi tramite la sostituzione di Papa Benedetto XVI con un Papa progressista.

Ricorderete che, alla vigilia dell’abdicazione di Papa Ratzinger la lobby finanziaria globale aveva bloccato le transazioni bancarie del Vaticano, e che immediatamente dopo il 11 Febbraio 2013, il sistema SWIFT fu riattivato.

 L’azione del “deep state” fu aiutata dalla “deep church”, che come ammise il defunto Cardinale “Godfried Danneels”, allora Arcivescovo di Malines-Bruxelles, organizzò tramite la cosiddetta “Mafia di San Gallo” l’elezione di Bergoglio. Il quale, a differenza di Benedetto XVI, è totalmente allineato all’ideologia globalista.

Non parlerei quindi di un’azione degli Stati Uniti, ma di quella parte corrotta e eversiva – che viene detta per brevità “deep state” – che ha preso il potere in America e in quasi tutte le Nazioni aderenti alla NATO, all’Unione Europea, all”’OMS”, al “World Economic Forum” di Klaus Schwab.

 E questo stesso argomento, a mio parere, vale anche per l’Ucraina, il cui corrotto regime – appoggiato da movimenti estremisti di chiaro stampo neonazista – si è asservito all’élite globalista per interessi personali, mentre il popolo ucraino viene mandato al macello in prima linea in una guerra che si sarebbe potuta evitare semplicemente facendo rispettare gli accordi di Minsk.

Cosa ha guidato il “Patriarca Bartolomeo” di Costantinopoli nel concedere l’autocefalia alla nuova Chiesa in Ucraina?

Abbiamo la sensazione che stesse seguendo gli ordini del Dipartimento di Stato USA o della CIA...

Mons. Viganò:

Il Patriarca di Costantinopoli “Bartolomeo” è ben noto per essere totalmente asservito al disegno dell’ONU e dell’élite globalista:

non è un caso che sia in ottime relazioni con “Jorge Mario Bergoglio”.

Sappiamo bene che la sede di Costantinopoli è da tempo nelle mani della Massoneria:

erano insigniti del 33° grado del Rito Massonico Antico Scozzese e Accettato tanto il Patriarca” Atenagora” quanto il suo predecessore” Meletios Metaxakis”, e in ambienti massonici si è più volte ventilato che anche “Giovanni XXIII”, quand’era Nunzio apostolico a Istanbul, sia stato affiliato a una Loggia.

 Non mi stupisce quindi che “Bartolomeo”, obbedendo agli ordini del “deep state” – che controlla il “Dipartimento di Stato americano e la CIA” – possa aver riconosciuto l’”autocefalia della Chiesa Ortodossa Ucraina” non per ragioni canoniche, ma politiche;

 esattamente per lo stesso motivo per cui “Paolo VI”, nel 1964, soppresse in chiave ecumenica il “Patriarcato Latino di Costantinopoli”, eretto nel 1205.

Ricordo che il 3 Novembre 2009 l’allora Presidente americano “Barack Obama” incontrò il “Patriarca Bartolomeo I”, per parlare di «salvaguardia dell’ambiente» e per promuovere la riapertura della” scuola teologica ecumenica di Halki”, in Turchia, dopo i falliti tentativi negli anni Novanta da parte di “Madeleine Albright” e “Bill Clinton”.

 Se ho ben compreso le dinamiche interne all’Ortodossia, la Chiesa Russa costituisce per così dire la parte “tradizionalista” della compagine Ortodossa, mentre quella di Costantinopoli è “progressista”, infiltrata dalla Massoneria, manovrata dal “deep state” e favorevole al dialogo interreligioso e perfino all’”ideologia ambientalista”:

sembra di vedere la versione “fanariota” del Vaticano di “Bergoglio”.

Faccio notare che il” movimento ecumenico” – volto a preparare l’avvento della “Religione dell’Umanità “auspicata dalla “Massoneria” – iniziò nell’ “Ottocento con i Protestanti” e come tale fu severamente condannato dai “Romani Pontefici” fino al “Concilio Vaticano II”, per poi allargarsi negli anni” Sessanta del Novecento “alla Chiesa Cattolica e alla Chiesa Ortodossa, avvalendosi di massoni infiltrati ai vertici delle rispettive Gerarchie.

E quando parliamo della” Massoneria”, parliamo di élite globalista e di Nuovo Ordine Mondiale.

Qual è la sua posizione nei confronti dell’operazione militare speciale?

Mons. Viganò:

Credo che ciascuno di noi sia in grado di comprendere quanto è avvenuto in Ucraina negli ultimi anni, semplicemente sulla base dei fatti.

 È un fatto che la NATO si era impegnata a non espandersi a Est;

è un fatto che la rivoluzione di “Euromaidan” è stata condotta con il supporto del “deep state” americano, in particolare di “Victoria Nuland “e di altri suoi complici; è un fatto che il “Protocollo di Minsk” non è stato rispettato, e abbiamo sentito leader di spicco come l’ex-Cancelliera” Angela Merkel” o l’ex-Presidente francese “François Hollande” ammettere che lo scopo di quell’accordo era di dar tempo all’Ucraina di armarsi;

 è un fatto che alla vigilia dell’operazione militare speciale la “Federazione Russa” aveva chiesto di rispettare l’”indipendenza del Lugansk e del Donetsk”, assieme all’autonomia del “Donbass”.

Se il Presidente Vladimir Putin ha deciso di difendere i russofoni dalle ripetute e continue aggressioni del governo di Kiev, questo non è certo avvenuto all’improvviso.

Al contrario, mi pare evidente che fosse esattamente questo che la NATO voleva ottenere, dopo oltre un decennio di provocazioni.

Chi, secondo lei, ha provocato la guerra in Ucraina?

Mons. Viganò:

 La guerra in Ucraina è stata pianificata sin dalla “rivoluzione colorata” del 2014, alla quale non fu estraneo nemmeno il sedicente filantropo” George Soros”, assieme all’ “intera cabala globalista”.

 Chi ha voluto la guerra doveva da un lato sostituirsi alla Federazione Russa nella fornitura di energia alla maggior parte dei Paesi europei per poi subentrarvi con una operazione di scandalosa speculazione:

 il costo del gas, oggi fornito dagli Stati Uniti, è enormemente superiore a quello a cui era venduto prima del Febbraio 2022.

Ma questo era strumentale a due obiettivi paralleli.

Il primo era impedire un’alleanza tra le Nazioni europee e la Federazione Russa, balcanizzandola e cercando di isolarla tramite operazioni di “regime change” e tramite “primavere colorate”, come avvenuto in Ucraina e come si è provato a fare in Georgia.

Questo primo obiettivo è fallito, com’è fallito il tentativo di far cadere il Presidente Putin.

Al contrario, stiamo assistendo alla “costituzione di un mondo multipolare”, ad esempio con i “BRICS”, in cui la de dollarizzazione sta mettendo nell’angolo gli Stati Uniti.

Ma questo processo non dovrebbe a mio parere far pagare al popolo americano le colpe di un governo eversore asservito all’élite globalista.

Il secondo obiettivo doveva essere la distruzione del tessuto economico dell’Europa – non solo in chiave anti-russa – per consentire che le sanzioni si ritorcessero anzitutto contro i Paesi dell’Unione Europea, indebolendoli e costringendoli forzatamente alla cosiddetta “transizione green”, basata sulla “frode del cambiamento climatico”.

Ma per giungere a questo, dopo le prove generali con la” farsa pandemica dei due anni precedenti”, occorreva che alla Casa Bianca vi fosse un fantoccio del” deep state”, ed era quindi necessario estromettere il “Presidente Donald Trump con la frode elettorale”.

Tra l’altro Joe Biden, essendo ricattabile per via degli scandali suoi e di suo figlio, aveva tutto l’interesse di nascondere il proprio coinvolgimento nei bio laboratori ucraini e forse anche negli orrori del traffico di minori per alimentare la lobby internazionale dei pedofili, della predazione di organi e il lucroso mercato delle maternità surrogate.

Ciò è stato possibile grazie ad un vero e proprio “colpo di stato globale”, condotto con la cooperazione di molti governi, i cui leader sono significativamente emissari del “World Economic Forum” di Klaus Schwab e di altri enti privati sovranazionali, tutti gestiti da una ben identificabile cupola di eversori privi di legittimazione popolare, con l’appoggio di gruppi finanziari altrettanto identificabili.

I popoli occidentali – salvo rarissime eccezioni – sono ostaggio di governanti venduti all’élite globalista, che ha come scopo l’instaurazione di una sinarchia totalitaria che prelude all’instaurazione del regno dell’Anticristo.

Da questo comprendiamo anche l’odio verso Dio, verso la religione, la famiglia, la vita.

In precedenza ha prestato servizio negli Stati Uniti. Qual è la sua impressione su questo paese?

Mons. Viganò:

L’America è una Nazione relativamente giovane, se la confrontiamo con i millenni di storia di altre Nazioni.

Questo implica due considerazioni, una positiva e una negativa.

 Quella positiva è che vi è una certa ingenuità nella coscienza del popolo, che è e rimane essenzialmente ancorato a “valori” – non li chiamerei “principi” – tradizionali: la Famiglia, la Patria, la Religione.

 Quella negativa è che l’assenza di una solida eredità spirituale e culturale è spesso colmata da un pensiero non identitario, e spesso incline a lasciarsi contaminare dall’ideologia liberale e massonica che domina le classi dirigenti e in particolar modo la “sinistra Dem, comunista”.

Inoltre, vi è una sorta di persuasione che l’America sia in qualche modo lo “sceriffo del mondo”, e questo si scontra con la legittima sovranità delle altre Nazioni.

L’attuale crisi economica e politica provocata dal colpo di stato del “deep state” potrà aiutare gli Americani a prendere coscienza della necessità di una profonda riforma interna.

 Questa riforma sarà certamente possibile se il Presidente Donald Trump verrà rieletto e potrà liberare questa grande Nazione facendola entrare nell’alleanza multipolare dei popoli.

Ancora una volta è l’autorità che deve tornare ad essere un servizio alla comunità per il bene comune, e non uno strumento di accentramento di un potere eversivo che nessuno ha eletto e nessuno vuole.

Qual è il più rilevante principio etico degli Stati Uniti?

Mons. Viganò:

Questa è una domanda semplice e complessa allo stesso tempo.

 Direi che il principio etico degli Stati Uniti risente fortemente della mentalità protestante, che si è instaurata in America nell’Ottocento grazie appunto, come dicevo, allo strapotere della Massoneria.

I Cattolici americani – e immagino anche gli Ortodossi – si sono abituati a convivere con questa idea, che si traduce in un primato dell’azione e del successo imprenditoriale rispetto al pensiero filosofico e alla cultura “non monetizzabile”.

Nella mentalità protestante, il successo economico è un segno di predestinazione, e come tale finisce per legittimare – come ha effettivamente fatto – anche la vessazione dei deboli, considerati “perdenti”, “looser”, e come tali non predestinati da Dio alla salvezza.

Non è un caso che la ricchezza sia concentrata nelle mani dei “WASP” – “White, Anglo-Saxon, Protestant” – e che molti immigrati, ad esempio Irlandesi o Italiani, abbiano avuto sempre un ruolo marginale.

 Questa tendenza conobbe un’inversione di rotta negli anni Cinquanta, quando sotto il” glorioso Pontificato di Pio XII il Cattolicesimo americano” conobbe un significativo risveglio e le conversioni alla Chiesa di Roma aumentarono enormemente.

Purtroppo questa parentesi si chiuse con il “Concilio Vaticano II”, che rappresentò in qualche modo una protestantizzazione almeno parziale dei Cattolici, e diede luogo a quell’alleanza nefasta tra “deep state americano” e “deep church”, tra i cui esponenti possiamo contare personaggi politici come Joe Biden, Nancy Pelosi, John Kerry e personaggi ecclesiastici come l’”ex Cardinale McCarrick”, i cui “eredi” sono tuttora ben radicati nelle istituzioni ecclesiastiche.

Va riconosciuto che l’”apostasia della chiesa bergogliana” ha aperto gli occhi a molti fedeli:

 stiamo assistendo, in America, al risveglio di molti Cattolici che si riconoscono nella “Fede tradizionale”, significativamente nel momento in cui essi sono fatti oggetto di una persecuzione congiunta della “deep church” e del “deep state”, al punto che l’FBI li tiene sotto controllo considerandoli “domestic terrorists”.

 La situazione della “Chiesa Russa in Ucraina” è per certi versi speculare – ma molto più grave – a quella che ho appena descritto.

E cosa spinge i politici americani a scatenare le guerre nel mondo – Siria, Libia, Iraq, Jugoslavia, Ucraina...?

 

 Mons. Viganò:

Come ho detto, si tratta di personaggi politici appartenenti al “deep state”, infiltrati in tutte le istituzioni dello Stato e nei media.

Il loro potere è enorme, come enormi sono i loro mezzi economici, perché finanziati da gruppi di investimento potentissimi come “BlackRock” e “Vanguard”, nelle mani di un numero ristretto di “famiglie askenazite” – come “askenazita” è lo stesso Zelenskyj.

Il loro obiettivo è il potere, visto che il denaro lo creano e lo possiedono già.

Un potere che deve diventare globale, come vediamo accadere oggi, e che per realizzarsi nel “Nuovo Ordine Mondiale”, richiede necessariamente la distruzione del Cristianesimo, anche di quello protestante.

Vi è inoltre un’alleanza tra potere ideologico e potere economico, ossia tra chi vuole dominare il mondo per instaurare la “tirannide sinarchica” e chi ha come scopo il mero profitto.

Per questa ragione le guerre promosse dagli Stati Uniti e dalla NATO nel corso del Novecento e di questo secolo sono state progettate in vista del governo unico mondiale e della cancellazione delle sovranità nazionali, ma sostenute da chi in quei conflitti vedeva e vede enormi opportunità per arricchirsi e per indebolire gli altri Stati.

Le denunce di parlamentari ucraini sulla corruzione del governo di Kiev e sull’arricchimento personale dei suoi membri – che continuano a ricevere somme esorbitanti dal traffico di armamenti e da altre attività illecite – dimostrano che coloro che ricoprono ruoli di potere nelle nazioni occidentali si trovano in gravissimo conflitto di interessi anziché tutelare i cittadini.

 

 

Gli Stati Uniti sono un Impero del Bene?

Mons. Viganò:

Non credo vi siano Nazioni che possano oggi rivendicare questo titolo, e certamente non gli Stati Uniti, finché rimangono ostaggio degli eversori del “deep state”, dell’”ideologia woke”, della “teoria LGBTQ” e di tutte le aberrazioni che conosciamo.

Certo, ogni Nazione – essendo composta da persone che possono essere buone e orientate al bene – può essere usata dalla Provvidenza di Dio per i Suoi piani.

Anche l’Impero Romano, che pure perseguitò i Cristiani, creò con le sue conquiste le premesse per la diffusione del Vangelo nel mondo.

 Ma questo compito non è appannaggio esclusivo di una Nazione.

 La Federazione Russa, ad esempio, si sta ponendo in questo momento come un argine al “Great Reset”, quantomeno nell’opporsi alla perversione dei costumi e alla corruzione dei popoli portata avanti dall’ideologia globalista.

A mio parere sarebbe auspicabile che questa comune opposizione al “Nuovo Ordine Mondiale” fosse affrontata non accentrando il potere e riducendo i propri alleati a vassalli o a colonie, come fa la NATO, bensì riscoprendo l’importanza delle sovranità nazionali, della comune eredità cristiana, del comune patrimonio di cultura e civiltà che in duemila anni è stato promosso e reso fecondo dalla Fede in Gesù Cristo.

Se i popoli riconoscono Gesù Cristo come loro Re; se le leggi delle Nazioni sono conformi ai Comandamenti di Dio e alla Legge naturale inscritta nel cuore di ogni uomo, esse non hanno bisogno di sopraffarsi, né di affermare il proprio potere sulle altre.

L’ordine cristiano, a prescindere dal sistema di governo che i cittadini si scelgono, è l’unico che tuteli il bene comune di tutti i popoli, recando loro la luce del vero Dio.

D’altra parte, la pretesa “laicità dello Stato” si è dimostrata essere una frode, con cui si emargina il Cristianesimo dalla società per sostituirlo con” la religione globalista dell’ecologismo”, della “cancel culture”, della “sostituzione etnica”, della “dittatura sanitaria”.

Credo sia questo l’approccio “multipolare” a cui si richiama spesso il Presidente Putin:

rispettare l’identità e le libertà dei popoli, uniti dalla comune eredità cristiana.

Sembra che nessuno cerchi più di evitare il peccato.

 Il peccato sta diventando parte della norma nel mondo di oggi?

 Potrebbe fare degli esempi?

Mons. Viganò:

 Evitare il peccato implica riconoscere una norma morale trascendente, e di conseguenza un divino Legislatore.

Significa, in sostanza, condurre la vita privata e pubblica nell’ambito dell’ordine soprannaturale che Dio ha stabilito.

 Da due secoli ormai gli Stati hanno rifiutato di riconoscere pubblicamente la Signoria di Cristo sulle società.

L’Occidente cristiano si è dovuto confrontare con un processo di secolarizzazione che ha coinvolto – e visto anzi come protagonista – quella” deep church” che si è infiltrata sino ai vertici della Chiesa Cattolica, e che con il “Concilio Vaticano II” ha sostanzialmente cancellato la dottrina della Regalità Sociale di Nostro Signore, riducendo la pratica della Fede ad una questione privata, come già accaduto quattro secoli prima con l’eresia protestante.

Questa secolarizzazione ha avuto come esito il venir meno dell’ordine sociale che consentiva ai singoli fedeli e cittadini di vivere secondo i Comandamenti, e ha quindi favorito il dilagare dell’immoralità, del peccato, della corruzione.

Perché dove lo Stato non tutela la Morale pubblica, ed anzi promuove tutto ciò che è contrario alla Legge di Dio e di natura, è estremamente difficile rimanere fedeli alla pratica religiosa.

E questa è l’ulteriore dimostrazione che la laicizzazione della società non aveva come scopo il garantire libertà alle religioni non cristiane, ma di scardinare l’ordine sociale e cancellare ogni retaggio cristiano non solo dalle leggi, ma anche dalla vita quotidiana.

Qualsiasi scissione nella chiesa porta le persone ad allontanarsi da Dio.

L’”agenda LGBT” e la legittimazione di tutto ciò che in precedenza era considerato un peccato hanno un effetto dannoso.

Mons. Viganò:

Non vi è dubbio che le divisioni sono opera del diavolo, principe della rivoluzione e del caos.

 La Santa Chiesa, come sappiamo e crediamo, è una, ossia unica, come unica è l’Arca che Cristo ha posto in terra per la salvezza degli uomini.

 Se il corpo ecclesiale patisce le ferite della divisione e dello scisma, ciò avviene perché il Nemico del genere umano – Satana – vuole trascinare con sé quante più anime possibile nella dannazione eterna.

Separarsi dalla Santa Chiesa significa abbandonare la famiglia soprannaturale nella quale siamo stati concepiti alla Grazia, credendo di poterci difendere con mezzi umani dall’assalto furioso del Nemico.

Significa credere di poter rinunciare alla verità dell’eterno Padre incarnata nel divin Figlio e vivificata dallo Spirito Santo.

Ma questo è un grave peccato di orgoglio che ci rende ancora più deboli nel resistere al male.

In Germania c’era uno slogan: la Germania soprattutto.

In Ucraina, l’Ucraina è al di sopra di tutto.

Non pensa che ci siano molte somiglianze?

Perché l’Occidente sostiene i nazionalisti ucraini?

Mons. Viganò:

“Deutschland über alles” era una frase patriottica dell’inno dell’”Impero Absburgico”, che poi il “Nazionalsocialismo” ha fatto propria in chiave ultranazionalista, conformemente a quell’eredità protestante cui accennavo poc’anzi che pone lo Stato al di sopra di tutto.

 Ma mentre l’”Impero Austroungarico”, pur essendo cattolico, riconosceva libertà ai popoli e alle culture che lo componevano – secondo i principi cristiani di buon governo – il totalitarismo nazista mirava a creare le basi ideologiche che legittimassero una supremazia etnica – quella della razza ariana – al di sopra dei popoli.

Questa visione, dopo decenni di deplorazione degli eccessi del Nazismo, è oggi tornata in auge in una chiave ancor più distruttiva, perché attribuisce una superiorità morale alla “religione globalista”, all’”ideologia woke”, alla “cancel culture”, facendo sì che tutto ciò che non è conforme ai precetti di questo “pensiero totalitario” sia considerato eretico, e che quanti non si adeguano ad esso siano indegni di far parte del consorzio civile.

Non c’è da stupirsi se” i principali teorizzatori di questa ideologia” siano legati culturalmente e in certi casi addirittura da rapporti di parentela con gli ideologi del Nazismo.

A titolo di esempio, “Adolf Heusinger”, capo dell’”Operationsabteilung dal 1940 “che aiutò Hitler nella pianificazione delle invasioni di Polonia, Norvegia, Danimarca e Francia,” dal 1961 al 1964 fu presidente del Comitato della NATO a Washington”.

E quel che maggiormente sconcerta è che questa riproposizione di “principi neonazisti” sia sostenuta e finanziata dal “mondo askenazita”, di cui sono esponenti molti leader politici e personaggi di spicco del globalismo, con l’apporto di movimenti neocon filosionisti, presenti soprattutto negli Stati Uniti e legati al “deep state” americano.

 

 Cosa dovrebbero prendere in considerazione i politici quando prendono decisioni nel nostro tempo? Su cosa dovrebbero basare le loro decisioni?

 

 Mons. Viganò:

Il ruolo dei politici, ieri come oggi, è di impegnarsi per il buon governo e per la difesa dei propri concittadini dal colpo di stato globalista.

A ciò sono chiamati indistintamente tutti i politici di tutte le Nazioni, ma in particolare di quelle che si trovano ostaggio dell’élite eversiva del Nuovo Ordine Mondiale. Essi dovrebbero chiedersi: Cosa dirò a Cristo, quando mi troverò dinanzi a Lui per essere giudicato?

Occorre – lo ripeto da tempo – che si costituisca un’”Alleanza Antiglobalista” che unisca tutti i popoli, con i loro leader, in un’azione di opposizione e resistenza all’instaurazione del “Nuovo Ordine Mondial”e, al “Great Reset”, all’”Agenda 2030”, ai suoi punti programmatici.

 Questa Alleanza dovrebbe avere come scopo la denuncia del colpo di stato globale e dei suoi artefici, la riappropriazione delle sovranità nazionali (ivi compresa la sovranità monetaria) e il boicottaggio sistematico di tutto ciò che erode le libertà individuali imponendo modelli e stili di vita distruttivi.

È indispensabile porre un freno alla “follia del gender”, alla “corruzione dei bambini”, alla “dissoluzione della famiglia”, alla “cancellazione della civiltà cristiana”, alla” schiavizzazione degli individui. “

Occorre parimenti che chi governa lo Stato non sia ricattato dalle” lobby finanziarie” o da “gruppi di potere più o meno occulti”, punendo con leggi severe i “conflitti di interesse” che rendono possibile il tradimento dei popoli.

Questa Alleanza sarebbe a mio parere un’ottima premessa per il ristabilimento della pace nelle Nazioni, oggi dilaniate dai “conflitti causati dall’élite globalista”, e potrebbe unire in questa battaglia di verità e di libertà anche “i leader politici di Paesi i cui governi si dichiarano oggi nemici della Federazione Russa e dei suoi alleati”.

Perché l’umanità, nel corso della sua storia plurimillenaria, non ha imparato a vivere senza guerre?

Mons. Viganò:

L’umanità potrebbe e vorrebbe vivere senza guerre:

il crollo del consenso popolare per i leader guerrafondai della NATO e le centinaia di manifestazioni contro la guerra in Ucraina (tra le altre) che si tengono in molti Stati europei ne sono la prova.

 Ma finché la guerra verrà considerata come uno strumento non per ripristinare la giustizia o difendersi da un attacco (poiché in questo caso sarebbe legittima) ma per imporre un modello distopico di società tirannica in vista del “Nuovo Ordine Mondiale” ai danni dei cittadini, nessuno di noi potrà sottrarvisi e ne saremo tutti vittime.

Ripeto:

 l’eliminazione dell’élite eversiva globalista è imprescindibile in vista di una pacifica convivenza tra i popoli.

L’ha detto anche il Presidente Donald Trump recentemente, e mi pare che una tale dichiarazione lo renda un interlocutore previlegiato del Presidente Putin per aprire un tavolo di pace che abbia come scopo principale l’estromissione degli emissari del “deep state” e del World Economic Forum  di Klaus Schwab dai governi nazionali e dalle organizzazioni sovranazionali, che del “deep state “sono una pericolosa emanazione.

Il nostro programma sarà visto sia in Russia che in Ucraina, quindi cosa vorrebbe dire in conclusione?

Mons. Viganò:

Come Vescovo e Successore degli Apostoli, mi rivolgo ai Russi e agli Ucraini nel nome di Gesù Cristo Re e della Tutta Santa Madre di Dio, Aiuto dei Cristiani.

Pregate con fede, in questo periodo benedetto in cui celebriamo i Santi Misteri della Passione, Morte e Resurrezione del Salvatore, per implorare la pace;

una pace che non può che venire da Cristo, Principe della Pace.

Siate consapevoli che la minaccia che incombe sul mondo viene dall’abbandono dei Comandamenti di Dio, dalla ribellione alla Legge eterna voluta dal Signore per il nostro bene e per la nostra salvezza eterna.

Il Signore ha detto: Senza di me non potete fare nulla (Gv 15, 5).

Pregate con fiducia, cari fratelli in Cristo:

 pregate la Regina della Pace, perché interceda presso il trono di Dio e implori per tutti noi la pace vera, pax Christi in regno Christi, la pace di Cristo nel regno di Cristo.

 Pregate perché lo “Spirito Santo Paraclito” susciti sentimenti di verità e di giustizia nei governanti di tutte le Nazioni, portandoli ad un sussulto di dignità e di lealtà verso i loro concittadini, inducendoli a liberarsi dalla soggezione a poteri che nessuno vuole, che nessuno ha eletto, e che hanno come unico scopo cancellare Cristo dal mondo e dannare le anime che Egli ha redento col proprio Sangue.

Pregate perché il Signore susciti tra di voi leader onesti e coraggiosi che abbiano a cuore il bene comune, e non gli interessi dei cospiratori.

Ma soprattutto, cari Amici, iniziate da voi stessi:

fate che il Signore regni anzitutto nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nelle vostre comunità.

 Rimanete nella Grazia di Dio, perché nessuno potrà mai togliervi l’amicizia con il Signore, che è l’unico sommo Bene e che, in tutte le avversità, non vi farà mai mancare il Suo santo aiuto.

Gesù Cristo ha detto: Sarete miei amici, se farete quello che vi comando (Gv 15, 14).

Ecco: nell’obbedienza al Vangelo è custodito il segreto perché la pace regni nei vostri cuori e nella società.

 Il Signore vi benedica tutti.

 

 

QUANDO L’INTELLETTUALE RINUNCIA

 ALLA RAGIONE. A PROPOSITO

DI FLORES E DI “MICROMEGA”.

Lab-ips.org – (10 aprile 2022) – Blog di Angelo D’Orsi – ci dice: 

(Umanità futura: tra pandemie, guerre e catastrofi ambientali…)

 

Il 4 aprile 2022 l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ha diffuso il seguente comunicato:

“L’ANPI condanna fermamente il massacro di Bucha, in attesa di una commissione d’inchiesta internazionale guidata dall’ONU e formata da rappresentanti di Paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili.

Questa terribile vicenda conferma l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra e al furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”.

“Questo comunicato è osceno, e infanga i valori della Resistenza”, è l’incipit del commento di “Paolo Flores d’Arcais,” direttore di “MicroMega”, mentre a me è parso un comunicato di buon senso, e di civile rigore.

In un editoriale sul sito della rivista, invece di sostenere la linea della ricerca della verità, Flores la dà per assodata, e chiede, dopo una profluvie di insulti ai dirigenti ANPI e di volgarità contro i russi, reclama una Norimberga per processarli (e poi? pena di morte?):

un editoriale di una rozzezza e di una violenza che può fare invidia ai fogli più osceni del bellicismo italiota.

E meno male che Flores si è sempre presentato come il campione del razionalismo neoilluministico!

Ma che cosa chiedeva “Romain Rolland” nel 1914 quando si scatenò nel mondo della cultura, in tutta Europa, la canea bellicistica?

Chiedeva agli intellettuali di stare “al di sopra della mischia”, non al di fuori, ma al di sopra, cercando di non cedere alle passioni nazionali, e di non perdere il lume della ragione critica.

E che cosa invocava Antonio Gramsci, negli anni di quella stessa guerra?

 La necessità della verità: ad ogni costo.

Flores non ha dubbi, e “l’eccidio” di Timisorara, e la provetta del falso antrace di “Colin Powel”, e le fosse comuni qua e là attribuite ai nemici di turno di USA-NATO, non gli hanno insegnato nulla, a quanto pare.

 Lui la verità ce l’ha in tasca.

Lui rappresenta la razionalità laica.

 E incarna la Verità e forse il Verbo.

Aveva ragione il compianto padre Ernesto Balducci quando nel 1991 denunciava le “disavventure della cultura laica”: anche allora c’era stata la levata di scudi dei guerrafondai che incitavano a combattere il nuovo “feroce Saladino”, come veniva presentato Saddam Hussein.

Allora il papa (Karol Woytila) si schierò clamorosamente, convintamente, contro la guerra (“Fermatevi, in nome di Dio!”, forse qualcuno lo ricorderà), contro l’aggressione USA-NATO all’Iraq.

E nessuno gli diede retta, come oggi nessuno dà retta a papa Francesco, a cominciare dai nostri governanti pronti a farsi il segno della croce, a genuflettersi e a cospergersi di acquasanta, e parlare di “valori”, alludendo a quelli incarnati da Gesù Cristo.

Allora, Flores e “MicroMega” furono in prima fila contro il papa e per la guerra.

Un editoriale di quell’epoca, firmato da Flores, mentre gli occidentali bombardavano un popolo, recitava: “Pacifismo, papismo, fondamentalismo: la santa alleanza contro la modernità”.

La modernità, invero, era proprio l’Iraq, un Paese progredito, il più “moderno” tra i Paesi arabi, che oggi, dopo le due aggressioni di Bush padre (1991) e di Bush figlio, del 2003, è un Paese a pezzi e dove la vita umana non vale più nulla.

Lo stesso dicasi per Afghanistan, Siria, Libia…

 

Ovunque l’Occidente (USA-NATO-UE) abbia deciso di “esportare la democrazia” ha portato l’inferno.

E in tutti quei casi la propaganda è stata decisiva per giustificare interventi militari ingiustificabili.

Quelle distruzioni, quei morti, ricadono anche sulla testa di intellettuali che hanno incitato, hanno approvato, hanno sostenuto.

Stupisce che un libero pensatore, un ammiratore di Voltaire, perda in modo così plateale proprio il lume della ragione e si scateni contro l’ANPI, rifiutando precisamente l’esercizio della ragione.

 E si lasci andare a frasi inaccettabili, ricorrendo a termini di una pesantezza sconcertante.

 Paolo, ma che ti è accaduto?

Il tuo odio per Putin ha accecato la ragione?

Che cosa chiede l’ANPI?

 Quello che ogni persona di buon senso, in particolare chi fa professione di intellettuale, dovrebbe avere.

Chiede di evitare di cadere una volta ancora nelle trappole della propaganda, chiede una commissione indipendente di inchiesta, come la stessa ONU, ridestatasi dal letargo, ha proposto, e come la Federazione Russa ha richiesto a sua volta. (Non del Tribunale dell’Aja, la cui attendibilità è del tutto dubbia).

 E allora?

Era il caso di scatenarsi così platealmente contro l’ANPI?

Aggiungo che già il titolo è assurdo e offensivo (Le Fosse Ardeatine!) e la richiesta di un nuovo Processo di Norimberga per i russi colpevoli!

Dunque di nuovo il ricorso alla facile analogia storica che assimila Putin a Hitler, i russi non ai tedeschi, bensì ai nazisti.

 E tutto quello che stanno facendo e hanno fatto per un quindicennio gli ucraini, contro le popolazioni del Donbass, non dovrebbe essere preso in considerazione?

 E le torture e le violenze, stupri compresi, praticati ora, non nel 2014, dall’esercito ucraino e non solo dal Battaglione Azov, torture e violenze documentate, non vanno tenute in nessun conto?

 Ma come si può smarrire in tal modo il senso critico?

Persino l’impaginazione con una foto del presidente ANPI, Gianfranco Pagliarulo, un po’ buffa, vorrebbe essere uno sberleffo volgare.

 E come non sottolineare che Flores nella sua violenta e sgangherata requisitoria si lasci andare a espressioni di un razzismo insopportabile?

 Ecco un esempio della sua prosa, degna di Giampaolo Pansa quando denigrava i partigiani:

“Le “truppe ‘asiatiche’ di Putin”, i russi “macellai”, massacratori, violentatori, i quali “costretti a ripiegare perché respinti dalla resistenza eroica delle inferiori armi ucraine, sfogano sui civili inermi la loro bestiale frustrazione di “liberatori” mancati, la loro mostruosa rabbia di “trionfatori” sconfitti:

 trucidare vecchi, violentare donne prima di sterminarle, e l’orrore vieta di dire il destino di alcuni bambini”.

In calce pubblico l’intero articolo.

E dico a Flores:

Caro Paolo, certo, su “MicroMega” hai ospitato anche voci dissenzienti, ma questo tuo Editoriale per quanto mi riguarda è talmente orrendo, che mi sento obbligato a rompere ogni rapporto con la rivista, dopo 18 anni di collaborazione strettissima. 

Se questo è l’antifascismo, e non quello dell’ANPI, io sto con l’ANPI (o con la sua parte maggioritaria, che difende i valori della pace);

se la tua è manifestazione di esercizio critico della ragione, io me ne dissocio.

E ti dico che tu hai voltato le spalle a quella cultura del dubbio critico che mi ha insegnato il mio Maestro Bobbio.

#IOSTOCONLANPI

 

Ecco il testo dell’Editoriale di Flores d’Arcais, che fornisco anche come documento per gli storici del futuro.

Appurare cosa davvero è avvenuto?

Non bastano le testimonianze di ogni genere, che si confermano e rafforzano a vicenda?

I racconti dei sopravvissuti, che hanno visto coi loro occhi la mattanza, la documentazione sconvolgente dei fotografi e dei giornalisti sul campo, le riprese aeree dei giorni precedenti che inchiodano i macellai di Putin?

Questa frase del vergognoso comunicato dell’ANPI non rappresenta un esercizio di dubbio critico ma una sciagurata volontà di spacciare per incerto ciò che è orrendamente lapalissiano: la barbarie delle truppe di Putin, la “normalità” che per esse costituisce abbandonarsi ai crimini di guerra.

I 410 cadaveri di civili trucidati fin qui recuperati sono le Fosse ardeatine dell’Ucraina.

Il sangue innocente che esige per Putin e i suoi boia un processo di Norimberga.

Perché è avvenuto? Veramente i dirigenti dell’ANPI non capiscono? Sono davvero così imbecilli, o preferiscono invece avvolgere nella nebbia di un interrogativo insensato l’evidenza del comportamento delle truppe “asiatiche” di Putin?

Gli scherani macellai del suo disegno zarista, quando non riescono a sfondare, e sono anzi costretti a ripiegare perché respinti dalla resistenza eroica delle inferiori armi ucraine, sfogano sui civili inermi la loro bestiale frustrazione di “liberatori” mancati, la loro mostruosa rabbia di “trionfatori” sconfitti: trucidare vecchi, violentare donne prima di sterminarle, e l’orrore vieta di dire il destino di alcuni bambini.

Chi sono i responsabili? E per caso Gesù Cristo non sarà morto di freddo, ponzipilati dell’ANPI?

Veramente si rimane sbigottiti, e stomacati oltre ogni possibile aggettivo, da un tale baratro di ipocrisia.

 Il responsabile nel senso del mandante si chiama Vladimir Putin, lo sa chiunque abbia occhi per vedere e orecchi per intendere, e lo sanno anche i sassi.

Ma si conosce anche l’esecutore, il tenente colonnello Omurbekov Azarbek Asanbekovich, comandante dell’unità di fucilieri motorizzati 51460 della 64a brigata.

Di fronte al disgusto che le ignobili parole del comunicato dell’ANPI hanno provocato anche in parte del campo “pacifista”, il presidente dell’associazione, “Gianfranco Pagliarulo”, ha dettato all’Ansa una precisazione che entra di diritto nella serie “peggio el tacon del buso”.

Detta Pagliarulo:

“Sappiamo benissimo chi è l’aggressore, l’abbiamo sempre denunciato e condannato, anzi siamo stati probabilmente tra i primi a condannare l’invasione”.

Però nel comunicato si “condanna fermamente il massacro”, come fosse ancora anonimo, e ci si chiede di “appurare cosa è avvenuto”, e il perché, e i responsabili, che è un po’ il contrario di far credere di aver fin dall’inizio indicato in Putin e nel suo esercito i massacratori di civili di Bucha.

E infatti, anche nella “precisazione”, Pagliarulo dice che “sappiamo benissimo chi è l’aggressore” nel senso dell’inizio della guerra, ma non può dire “sappiamo benissimo e l’abbiamo detto, chi erano i responsabili della carneficina di civili a Bucha”.

Naturalmente una commissione d’inchiesta del Tribunale internazionale dell’Aja non solo è necessaria, ma è già iniziata, perché si tratterà di individuare le responsabilità individuali dei vari ufficiali e soldati, ma non quelle di Putin e del suo tenente colonnello, più che acclarate.

E quest’ultimo, comandante dell’unità dei massacratori, mai potrà opporre la giustificazione sempre avanzata dai criminali nazisti: obbedivo agli ordini.

 I tribunali internazionali sui crimini di guerra di tali “giustificazioni”, almeno per i comandanti e gli alti ufficiali, hanno fatto da tempo giustizia.

Il carattere disgustosamente ponzio pilatesco della posizione dell’ANPI è del resto confermata dalla frase finale del comunicato, che il presidente “Pagliarulo” non ha nemmeno provato a correggere:

“Questa terribile vicenda conferma l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra e al furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”.

 La mattanza di civili ucraini da parte delle truppe di Putin diventa una sfocata, indeterminata e anonima “terribile vicenda”.

“L’orrore” diventa quello di una ancor più nebbiosa e indecifrabile “guerra”, non di una “invasione imperialistica mostruosa” (rubo la frase a un pacifista doc come Tomaso Montanari – cfr. il dibattito di MicroMega), e il vero nemico è “il furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”, di modo che la mostruosa invasione imperialistica, e l’eroica resistenza di un popolo abissalmente inferiore per numero e per armi, diventano equivalenti incarnazioni di uno stesso “furore bellicistico”.

Robbaccia (con due b).

Robbaccia inqualificabile di piccoli mediocri politici, forse politicanti, che con la Resistenza hanno poco a che fare, e con i valori della Resistenza nulla.

 

 

 

I nuovi ambientalisti.

Repubblica.it – (21 giugno 2023) - Benedetta Barone, Luca Cirese, Giacomo Talignani- ci dicono:

 Vernice lavabile contro le opere d'arte, blocchi stradali, blitz in alto mare.

 Gli attivisti del clima tornano in piazza (e non solo) per richiamare l'attenzione sulla gravità della situazione globale.

In cerca di nuove forme di protesta pacifica.

Speranza a secco per le nuove generazioni:

 è questo il grido di allarme di diversi militanti ambientalisti sparsi in tutta Europa.

Dai blocchi di strade e aeroporti ai colpi nei musei, fino lanci di vernice contro chi viene considerato responsabile della crisi climatica, sempre più frequenti e radicali le azioni che i militanti di gruppi - come l'inglese Just Stop Oil e un'Ultima Generazione radicata in più paesi europei - hanno messo in scena negli ultimi mesi per richiamare a un'azione urgente verso un'emergenza, quella ambientale, contro cui denunciano non si stia facendo abbastanza.

 Proseguendo così una strada tracciata da “Greta Thunberg” e dal “Fridays for Future”, che, superata la pandemia, continua ancora a manifestare e, come oggi, a scendere di nuovo in piazza con il loro “sciopero globale per il clima”.

 

La protesta delle attiviste di “Ultima Generazione” incollate a “La Tempesta di Giorgione”, a Venezia.

Numerose sono state le azioni portate avanti in Italia da Ultima Generazione:

 il primo atto clamoroso scelse Venezia, quando, il 4 settembre dello scorso anno alle Gallerie dell'Accademia due giovani attiviste si incollarono alla “Tempesta di Giorgione” srotolando uno striscione per chiedere la fine dell'era fossile.

Azione riuscita e a breve replicata ancora più in grande, il 4 novembre, con il lancio di una zuppa di verdura contro Il “seminatore di Van Gogh”, esposto a Roma e sempre protetto da un vetro.

E infine, il salto di qualità, con l'imbrattamento con litri di vernice lavabile della facciata della sede del Parlamento a Palazzo Madama il 2 gennaio scorso.

Una modalità di azione, quella dell'imbrattamento con spruzzi di colore arancione che gli attivisti hanno preso in prestito da “Just Stop Oil” e che - a seguito l'azione eclatante di inizio anno al Parlamento italiano - si è già diffusa altrove, sbarcando anche Oltralpe con più di un'azione analoga in Francia, sempre ad opera di “Dernière Rénovation”.

(Roma, blitz degli ambientalisti a Palazzo Bonaparte: imbrattato un quadro di Van Gogh.)

Beatrice Costantino e la “Primavera del Botticelli”.

Beatrice Costantino ha poco più di vent'anni.

Ha studiato per diventare veterinaria, si è laureata nel 2018.

 Nel 2021 ha contribuito ad avviare il movimento ambientalista Ultima Generazione.

Lo scorso 22 luglio si è incollata, insieme a un paio di compagni, al dipinto” La Primavera del Botticelli”.

Uno striscione estratto da uno zaino e deposto ai loro piedi recava la scritta "No gas no carbone".

 E la mattina del 12 febbraio ha partecipato all'azione di fronte al palazzo del Consiglio regionale della Toscana, in cui la facciata principale è stata imbrattata di vernice gialla e rossa.

(Firenze, gli attivisti di 'Ultima Generazione' si incollano alla Primavera di Botticelli)

"La nostra richiesta al governo è che interrompa tutti i sussidi pubblici ai combustibili fossili", spiega.

 Secondo l'ultimo report di Legambiente nel 2021 l'Italia ha speso 41,8 miliardi di euro in attività, opere e progetti connessi direttamente e indirettamente a questo tipo di fonti:

7,2 miliardi in più rispetto al 2020 e di cui 12 riservati specificatamente al settore energetico, somma destinata ad aumentare ancora.

Quando perfino l'”Agenzia internazionale dell'energia” ha ammesso che questo tipo di investimenti andrebbe quantomeno ridotto, se non azzerato.

Le reazioni ai blitz ambientalisti.

 Dall'autunno, gli interventi di disobbedienza civile si susseguono tra musei, blocchi stradali e attacchi alle sedi nevralgiche del potere.

 La corrente promossa da “Fridays for future” nel 2019 con gli scioperi e i cortei sembra essersi esaurita.

La resistenza è diventata attiva.

In Europa e in Italia, la reazione dell'opinione pubblica è stata piuttosto uniforme: diniego, scandalo, condanne più o meno energiche.

 Il ministro della Giustizia tedesco “Marco Bushmann” ha dichiarato che imporrà sanzioni più severe a chi viene coinvolto nei blitz all'interno dei musei.

Alla testata nazionale “Bild am Sonntag” ha ammesso che una società diversificata prevede senz'altro la dimostrazione effettiva delle proprie esigenze, ma lanciare cibo contro le opere d'arte non ha nulla a che vedere con questo.

 E ha aggiunto che se rallentare il traffico dovesse ostacolare il percorso delle ambulanze verso gli ospedali prenderà in considerazione la responsabilità penale per lesioni colpose.

 Il senatore leghista Claudio Borghi li ha definiti a più riprese "criminali" e ha accennato alla proposta di legge per l'arresto immediato.

Verrebbe spontaneo domandarsi se agli occhi delle autorità esistono forme di attivismo più nobili di altre e quali dovrebbero essere le modalità appropriate per diffondere un messaggio efficace, secco, disperato.

Come sottolinea “Beatrice”, infatti, hanno sempre utilizzato vernice lavabile, ben consapevoli di colpire il vetro posto a protezione del dipinto e di non recare alcun danno all'opera.

 Specifica anche che qualsiasi tentativo di rappresaglia da parte loro assumerà sempre matrici non violente.

 La questione è controversa per due ragioni: innanzitutto, perché questa battaglia non contiene aspetti transitori o soggettivi.

 È democratica e universale.

La partecipazione dovrebbe risultare unanime proprio perché, come ricorda Beatrice, nessuno di noi ha intenzione di vivere in povertà, né affrontare guerre, migrazioni e fame nei prossimi vent'anni.

A rigor di logica, tutti dovremmo insistere affinché le logiche governative prendano decisioni al più presto.

 In secondo luogo, perché qualsiasi gruppo militante del passato si è inserito in seno al dibattito pubblico attraverso l'uso della forza.

(Senato imbrattato dagli attivisti di "Ultima Generazione", intervengono Digos e Carabinieri)

Quando a protestare erano le suffragette.

 Basti pensare alle suffragette.

 All'inizio del secolo scorso, nel Regno Unito, avevano impostato una vera e propria guerriglia urbana:

coloro che orbitavano intorno a “Emmeline Pankhurst,” fondatrice dell'associazione “Women's Social and Political Union”, spaccavano finestre, appiccavano incendi, aggredivano funzionari pubblici.

“Beatrice” non sa che la celebre attivista” Mary Richardson” si introdusse alla “National Gallery di Londra” e squarciò con un pugnale” la tela di Venere Rokeby di Diego Velázquez”.

Nel 1909 Marion Wallace Dunlop macchiò indelebilmente un estratto della “Bill of rights” affisso ai muri della “Camera dei comuni inglese”.

 Altro che zuppa di pomodoro.

(Emmeline Pankhurst, fondatrice dell'associazione Women's Social and Political Union)

Eppure, oggi vengono ricordate come eroine anche dalle frange più reazionarie della popolazione.

Certo, hanno ottenuto ciò per cui lottavano.

 Ma non è forse vero che hanno vinto anche grazie all'esercizio di una pressione senza scrupoli?

Rimproveriamo a questi ragazzi di compiere mero vandalismo o di puntare a un esibizionismo performativo, quando per ora sono ben lungi dal produrre crepe selvagge all'interno del tessuto sociale.

 Si limitano a sollevare attenzione mediatica rispetto alla grande catastrofe del nostro tempo.

"Il consenso va costruito.

Ciò che una popolazione considera accettabile o inaccettabile, giustificabile oppure giusto, varia di mese in mese anche rispetto a ciò che accade in altre zone del mondo", spiega Beatrice.

"Nel Regno Unito, dove le campagne di “Extinction Rebellion” e “Just Stop Oil” sono state piuttosto incisive, la percentuale di britannici a sostegno della resistenza civile nei confronti del cambiamento climatico è salita enormemente.

Un sondaggio del Guardian dello scorso ottobre attesta che il 66% dei cittadini risponde favorevolmente alla strategia della resistenza per costringere i governi ad agire".

I testimoni e i passanti casuali hanno reagito al lancio della vernice sul “Dito di Cattelan” del 15 gennaio da parte di due esponenti di “Ultima Generazione “gridando "Siete una vergogna".

Il quotidiano Libero li ha definiti "eco-imbecilli coccolati dalla sinistra".

(Gail Bradbrook (XR) e la disobbedienza civile per il Pianeta: "Una ribellione necessaria")

Le azioni radicali di Ultima Generazione e XR.

 "Con le nostre azioni chiediamo che non si riattivino le centrali a carbone, che in Mare Adriatico non inizino trivellazioni dannose tanto per il turismo quanto per il paesaggio, e che infine si realizzino 20 GW di fonti rinnovabili, tra eolico e solare, entro la fine di quest'anno":

 a spiegare le ragioni delle proteste è “Michele Giuli”, che di “Ultima Generazione” è uno dei portavoce.

E rilancia: "La campagna che ora abbiamo lanciato è “Non paghiamo il fossile”: vogliamo coalizzare movimenti e altre realtà che si oppongono alle decine di miliardi di finanziamento che l'Italia paga per estrarre e utilizzare i combustibili fossili".

Ventisette anni, laureato in filosofia, e con un passato da ricercatore e insegnante di italiano per stranieri, oggi vive in montagna, mantenendosi grazie a una comunità agricola che ha realizzato con altre persone in Piemonte.

 "Ho iniziato la mia esperienza di attivista dentro “Extinction Rebellion” (XR), ma dopo un po' non mi ha soddisfatto più".

Il motivo? "La mancanza di risultati e la delusione per uno spazio e un gruppo che da innovativo era diventato lineare e gradualista".

 Nello stesso periodo in cui il movimento ambientalista ragiona a livello globale di nuovo forme e metodi di lotta all'altezza della loro sfida - dalle occupazioni alla disobbedienza civile fino forme ancora più radical come i sabotaggi e danni alle infrastrutture, quelle sintetizzate dal libro “Come far saltare un oleodotto dell'attivista svedese “Andreas Malm” (Ponte alla Grazie, 2022) - la sezione inglese Extinction Rebellion - movimento nato proprio nel Regno Unito nel 2019, quando riuscì quasi a paralizzare Londra durante la settimana Santa - ha scelto infine di cambiare rotta, con l'obiettivo di superare le forme di protesta che portino ai disagi delle persone:

scelta che avviene anche in un contesto di rafforzamento delle misure repressive di cui vengono dotate le forze dell'ordine che operano Regno Unito.

E oggi, dopo l'allontanamento da “Extinction Rebellion” che cosa fate?

 "Abbiamo smesso di mentire a noi stessi, con le nostre azioni compiamo qualcosa di liberatorio e sorridiamo, come “Greta Thunber”g quando è stata arrestata in Germania:

e se le persone possono essere contrarie ai nostri metodi, sta aumentando sensibilmente il favore in merito alle richieste che portiamo avanti".

E in futuro cosa volete fare?

"Lavoriamo per un movimento di massa nonviolento che, grazie un patto inter-generazionale, possa allargare il fronte giovanile del “Fridays for Future"”.

Lo scienziato agli attivisti che bloccano il Gra: "Questa non è la soluzione, venite a lavorare con me".

A far scoppiare la scintilla della mobilitazione è stato un libro, racconta in conclusione: il suo titolo è” Qualcosa, là fuori” (Guanda, 2016) fortunato caso di “climate fiction italiana” in cui l'autore “Bruno Arpaia” ha voluto raccontare gli effetti del riscaldamento globale sulla nostra penisola ed è stato premiato sfiorando le dieci ristampe dall'uscita.

 Una lettura che, mese dopo mese, ha seminato, fino a portare alla consapevolezza della crisi climatica, e all'angoscia per il caldo insolito di questo inverno che sta diventando una nuova normalità.

Uno sguardo senza futuro?

 "Meglio farla finita con la speranza - ha spiegato in conclusione - è qualcosa che oggi non ci aiuta ad agire".

Ma sono davvero scenari tali da angosciarsi fino a perdere la speranza, da farci venire quella che gli psicologi hanno definito eco-ansia?

 Ne è convinto il noto scienziato e divulgatore “Telmo Pievani”, professore ordinario di Biologia a Padova:

 "La situazione è piuttosto semplice e la comunità scientifica è molto irritata dalla sordità e miopia della politica al riguardo - è il quadro che tratteggia per Green&Blue - anche negli ultimi tre anni, nonostante la frenata indotta dalla pandemia, le emissioni globali di gas serra sono aumentate, anziché diminuire come previsto dagli Accordi di Parigi in poi".

Come sarebbe il mondo con tre gradi in più.

Quale futuro per il Pianeta?

 Che futuro si profila dunque?

"Che stiamo andando nella direzione esattamente opposta rispetto a quella auspicabile, passando velocemente dai 1,1 gradi di riscaldamento globale attuali fino almeno ai 1,5 gradi, momento in cui potrebbero scattare le accelerazioni del processo dovute agli effetti di retroazione positiva che alimenteranno ulteriormente l'aumento delle temperature", la sua proiezione.

Che cosa è dunque necessario fare?

"Dobbiamo smetterla di stupirci e di invocare l'emergenza:

 questa è la normalità dei prossimi anni, non una calamità improvvisa e imprevedibile e dobbiamo adattarci e presto, perché altrimenti pagheremo un prezzo molto alto in termini di instabilità globale e di effetti del cambiamento climatico, come fenomeni atmosferici estremi, innalzamento dei mari e desertificazione che colpiranno in particolare l'Italia, che è tra i Paesi più vulnerabili al riscaldamento climatico in tutta Europa".

Ecoansia: i più colpiti sono giovani e donne.

 Scenari da ecoansia, dunque?

"Quelli in preda alla maggiore eco-ansia, ancora prima dei giovani, sono gli scienziati, proprio perché conoscono i dati", ci spiega lo scienziato padovano e conclude, richiamando all'ascolto delle proteste dei più giovani:

 "Se l'eco-ansia va senz'altro limitata perché non è costruttiva e tende a paralizzare, quando i giovani si lasciano andare a proteste eclatanti e non condivisibili, prima di metterci a strillare e di farne una questione solo di ordine pubblico, potremmo almeno provare a chiederci cosa stanno cercando di dirci: anche considerando che si tratta di un'evoluzione del movimento ambientalista dovuta alla crescente sensazione di non essere ascoltati e di non essere influenti".

 

L'INTERVISTA.

Perché uno scienziato arriva a digiunare per la crisi climatica.

di Luca Fraioli

05 Ottobre 2022.

E se il termine è nuovo (e la Treccani l'ha inserito solo nel 2022), si tratta di un fenomeno pare destinato ad allargarsi per quanto riguarda "un'emozione pervasiva e persistente di preoccupazione che le basi ecologiche del nostro Pianeta stiano venendo meno a causa del cambiamento climatico":

è la definizione di eco-ansia, che dà lo psichiatra Matteo Innocenti: autore di varie pubblicazioni scientifiche e del libro “Ecoansia”.

 I cambiamenti climatici tra attivismo e paura (Erikson editore, 2022), per l'Università di Firenze sia sta occupando di mappare la situazione in Italia.

"È un fenomeno che è iniziato in parallelo alle prime mobilitazioni del “Fridays for Future” che hanno mostrato consapevolezza del problema e che è destinato ad aumentare in maniera esponenziale con il peggioramento degli effetti del cambiamento climatico".

Possibile tracciare un quadro nel nostro Paese?

"Non trattandosi di una malattia, è difficile quantificarne la presenza sul territorio: nella mia esperienza clinica colpisce i giovani, e in particolare le donne, e ha un decorso stagionale, acuendosi di fronte alle ondate di calore e alla siccità, contro cui consiglio riconnessione con la natura e grandi e piccole azioni a favore dell'ambiente".

Stando alla ricerca globale pubblicata dello” Stanford Medicine Centre for Innovation in Global Health “sulla rivista “Lancet Planetary Health”, su un campione di 10mila giovani tra i 16 e i 25 anni originari di dieci Paesi, se circa la metà degli intervistati manifesta sintomi di eco-ansia, ben il 60% ritiene i propri governi responsabili della situazione oltre la metà ritiene che la specie sia destinata a soccombere.

Imbrattare le opere d'arte aiuta la causa degli ambientalisti?

Il dibattito sulle azioni di protesta.

 Scenari catastrofici per azioni radicali portate avanti dai gruppi che fanno parte della rete di” resistenza civile A22”, oggi diventate tema di dibattito e scontro anche all'interno dei gruppi ambientalisti storici o fra i giovani che hanno dato vita all'”onda verde globale” di “Fridays For Future”.

Perplessità sull'efficacia di queste proteste - di cui viene valorizzata però la capacità di allargare la partecipazione - da parte di “Greenpeace, uno dei movimenti verdi più votati all'azione e realtà che già dagli anni Novanta, iniziò con blitz e iniziative per fare pressione sulle autorità e ottenere risposte al problema del riscaldamento globale.

Greenpeace: "No alle azioni boomerang."

 "A differenza delle nostre azioni, sempre rigorosamente non violente, ci sembra che le iniziative come lanci di vernice o blocchi del traffico non colpiscano l'obiettivo - spiega Ivan Novelli, presidente di Greenpeace Italia - perché spesso, alcuni gesti come quello sui quadri, alla fine si sono trasformati in boomerang, attirando attenzione ma con un ritorno di opinione negativo, forse perché non si concentravano sul messaggio:

 è per questo abbiamo invitato “Ultima Generazione”, pubblicamente e non, a ragionare sull'effetto delle loro azioni".

 

(Greenpeace occupa una piattaforma Shell nell'Atlantico).

"Oggi infatti serve puntare, basandoci sulla scienza, a chi produce il danno, per esempio a livello di emissioni, ma senza coinvolgere soggetti terzi, come un cittadino in auto sul raccordo anulare - conclude Novelli - e dunque, se nessuna realtà politica oggi ha la chiave o il metodo universale per comprendere come poter far immediatamente cambiare rotta, resta fondamentale che tutti i movimenti individuino in maniera unitaria contro chi si sta combattendo in quella che è una battaglia difficile e lunga contro potenze economiche molto importanti".

Sulla necessità di rendere più radicali le azioni per il clima - visto il costante aumento dei gas serra e la lentezza nelle politiche per ridurle - si interroga da tempo “Fridays For Future”, movimento lanciato a seguito dello sciopero per il clima portato avanti da Greta Thunberg dl 2018 e realtà che mantiene molti contatti con questi nuovi gruppi ambientalisti.

“Fridays for Future”, Agnese Casadei: "3 marzo: il cambiamento nasce dalle piazze".

“Fridays for Future” contro i “big dell'Oil & Gas.

Non mancano però dubbi:

"Se la parola chiave dei movimenti per il clima è partecipazione, ovvero coinvolgere più persone possibili per arrivare a un reale cambiamento, non siamo sicuri che azioni come il lancio di vernice o dei blocchi stradali siano la strada giusta in questa direzione", spiega il torinese “Giorgio Brizio”, uno degli attivisti più noti di “Fridays for Futur”e fra gli organizzatori del meeting europeo del gruppo ambientalista nella città piemontese, tenutosi la scorsa estate.

 

E pone ancora un problema di comunicazione e identificazione dell'obiettivo:

"Chi sono coloro che finanziano il collasso climatico?

 Le industrie dei combustibili fossili, quelle del “fast fashion”, tutti i governi e le banche che elargiscono denaro per operazioni che non frenano il riscaldamento, ma lo aumentano:

lanciare una zuppa o una vernice aiuta a ricordare chi sono gli avversari?

Crediamo di no".

E dunque, in conclusione: "Se dobbiamo aumentare la radicalità allora quella che ci sembra la strada giusta da percorrere con azioni anche forti è quella contro i combustili fossili grazie a iniziative contro i big dell'Oil & Gas".

“RepIdee 2022” l'appello di “Diletta Bellotti” per il clima:

"Stiamo precipitando dal cavalcavia, tiriamo il freno a mano."

Legambiente: "Unire le forze per trovare soluzioni."

Anche per una associazione ambientalista fortemente radicata sul territorio e abituata a dialogare con le istituzioni, come “Legambiente”, nelle iniziative di “Ultima Generazione” si trova certamente un aspetto positivo, quello di sollevare il problema della crisi climatica: intento che però non sempre per via del metodo riesce ad essere compreso.

"Crediamo sia più che condivisibile la volontà di questi ragazzi di mostrare la loro ecoansia, cioè l'ansia di non vedere mettere in campo azioni concrete e veloci per contrastare la crisi climatica", spiega “Stefano Ciafani”, presidente della storica associazione ambientalista.

 "Riteniamo però - prosegue - che le azioni eclatanti, come quelle dei quadri imbrattati o dei blocchi stradali, abbiano avuto come risultato far parlare dell'azione stessa, più che parlare di crisi climatica, rischiando di allontanare i cittadini dal motivo che spinge a questi gesti estremi: motivo per cui noi non le abbiamo mai intraprese".

Anziché azioni radicali, Legambiente preferirebbe unire le forze per centrare davvero la transizione energetica:

"E se invece ci concentrassimo, tutti insieme, su manifestare positivamente a favore delle nuove opere rinnovabili che cambieranno l'Italia?",

 si domanda il suo presidente, denunciando però al contempo come decisamente ingiustificabili le azioni di repressione e le misure interdittive contro gli attivisti italiani che sono stati oggetto di fermi e processi a seguito delle loro azioni.

Una realtà nuova, quella di” Ultima Generazione”, che, come si vede, è già al centro del dibattitto pubblico:

è una radicalizzazione del movimento ambientalista nato dopo Greta?

La pensa così “Federico Tomasello”, ricercatore all'”Università del pensiero politico” a Messina e curatore del libro collettaneo “Violenza e politica”.

 “Dopo il Novecento” pubblicato (il Mulino, 2020):

 "Tutto lo spettro sociale è stato caratterizzato negli ultimi anni da fenomeni di radicalizzazione politica, dal terrorismo islamico alla destra sovranista fino alle frange dei no-vax", spiega il politologo.

"È in questo contesto e di fronte a una mancanza di dialettica politica - prosegue il ragionamento - che si inserisce anche quella degli ambientalisti, che passano dal corteo all'azione diretta per inseguire la trasformazione della comunicazione di massa".

 

Ma c'è dunque un rischio di derive violente? "Impossibile fare previsioni:

se la fantascienza ha da tempo immaginato un terrorismo di matrice animalista e ambientalista, da sempre sussiste la possibilità che alcune frange dei movimenti di massa scelgano di passare alla violenza".

Alla lunga però si tratterà di un fuoco fatuo, di una fiamma destinata a spegnersi velocemente?

 “Nient’affatto, perché di fronte agli effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico, il movimento ambientalista non potrà che accrescersi – conclude il ricercatore – se volessimo tracciare una situazione analoga, è quella che caratterizzò le origini del movimento operaio, che iniziò a definirsi a partire dal 1830 per poi restare protagonista della scena politica nei secoli a venire “.

(Per spiegare l’effetto serra causato dalla produzione di CO2 da parte dell’uomo, è sufficiente la constatazione scientifica che la CO2 è quattro volte più pesante dell’aria atmosferica.

 Com’ è dunque possibile solo immaginare che un gas CO2, 4 volte più pesante, usi l’atmosfera per andare verso l’alto, sempre più in alto in modo da creare così una cupola di Co2, ossia creare l’effetto serra.

 Mi ricresce dire che è con questa BUFALA che l’élite globalista progressista, vicina ad arraffare tutte le ricchezze della terra, pensa di averci infinocchiato a dovere. Ma si è sbagliata di grosso! N.D.R)

 

 

 

Ecologia e pedagogia.

Gliasinirivista.org - Goffredo Fofi – (6 Marzo 2020) – ci dice:

I due campi su cui dovrebbe mettersi alla prova una generazione di giovani intellettuali e artisti– oggi così frastornati fiacchi inconcludenti, e infine vili e complici, tra la piaga del narcisismo e le ambigue facilità di internet, della propria stessa alienazione – sono a parere di molti quelli dell’ecologia e della pedagogia.

La difesa dell’ambiente, delle stesse possibilità di sopravvivenza della vita sulla terra; e l’ingresso nella vita attiva delle nuove generazioni, dei nuovi nati.

 Molti anni fa misi ad apertura di un mio inutile scritto la dedica “Ai nostri morti” e lo conclusi con quella “Ai nuovi nati”.

Oggi, complice l’età, mi capita fin troppo spesso di pensare ai miei morti, noti e comuni, colti e analfabeti, e, diciamo così, di intrattenermi con loro ripensando quel che sono stati, quel che hanno detto e fatto, e a quanto mi hanno dato con le loro parole e ancor più con il loro esempio, e questa compagnia è molto gratificante;

 mentre mi capita di pensare con angoscia al futuro dei bambini che conosco o incrocio nelle vie della città al seguito dei loro genitori o dei bambini di cui leggo sui giornali, quelli che muoiono nei barconi che affondano o vengono fatti affondare o, in tanti paesi, di fame e di guerra.

 Ma forse quelli che mettono addosso un’ansia maggiore sono proprio i bambini privilegiati, i figli del benessere e della pace, consegnati ad adulti trasandati e ottusi, genitori o educatori che non sembrano davvero preoccupati del loro futuro e, se lo fanno, quelli che non sono afflitti dal bisogno e da altre pesantissime insicurezze lo fanno in termini materiali e di status.

Ma se i genitori “non sono all’altezza” del tempo in cui vivono, non lo è neanche la maggioranza degli insegnanti, anche se è tra loro, più che tra i genitori, che incontro chi si dà pena per loro, chi più se ne preoccupa.

In altre epoche storiche, per esempio al tempo delle dittature come delle democrazie nate dalla Grande Guerra, fu lo Stato ad assumersi, consigliato da pedagogisti che fidavano più nell’educazione pubblica che in quella privata, la responsabilità della formazione dei “nuovi arrivati”.

 Nel bene e nel male, va da sé, e mentre resisteva una pedagogia confessionale, teoricamente bene impostata ma troppo essenziale e ristretta.

Credo oggi, scandalizzando forse qualcuno, che si debba puntare sulla scuola piuttosto che sulla famiglia – anche se questo non esclude affatto il dovere e il bisogno di occuparsi della famiglia.

 E credo che gli insegnanti abbiano in genere più possibilità (più sapienza; meno egoismo e meno chiusure) nell’affrontare i problemi della trasmissione di un sistema di valori e di conoscenze da una generazione all’altra.

 Ma la scuola langue, nonostante gli sforzi dei singoli, ed è piena di insegnanti infingardi ma soprattutto di insegnanti sfiduciati anche quando ostinati e coscienti dei loro enormi, pesanti doveri, ed è diretta in alto loco da politici mediocri e senza visione, gretti, spesso anche imbecilli.

 È da dentro la scuola che un modo serio di lavorare con i “nuovi” può e deve anzitutto ripartire, e la pedagogia non è dunque meno importante dell’ecologia, nei nostri compiti presenti e futuri, nelle lotte che è nostro dovere proporre e affrontare.

 

 

L’inquinamento verbale ai tempi

della comunicazione globale.

Earthgardeners.it - Fabrizio Piredda – (Gennaio 6, 2021) – ci dice:

 

Quando, molti anni fa, collaborai con il professor “Attilio Marcolli “all’organizzazione dei primi corsi di “Design dell’Ambiente” presso l’IED di Cagliari, scoprii che le mie conoscenze di “visual design” potevano contribuire alla formazione di giovani e creativi “environmental designer”:

gli insegnamenti di equilibrio, essenzialità, pulizia formale, semplicità, corretta gerarchia delle informazioni mi avrebbero permesso non solo di formare gli allievi alle regole del” basic design”, ma mi avrebbero condotto, otto anni dopo, a percorrere un decennio immerso mani, piedi e testa nel web design ed accompagnato fino ad oggi, a fare comunicazione nell’era in cui la comunicazione è, definitivamente e irreversibilmente, globale.

La possibilità di scambiare, condividere, commentare informazioni, notizie, conoscenze non ha mai subìto una capillarizzazione e un’accelerazione come nell’ultimo quarto di secolo, con immensi benefici sotto ogni punto di vista ed altrettanto immensi inconvenienti, da principio minimi ma ben presto aumentati in proporzione alla diffusione e alla diversificazione di mezzi comunicativi:

 abbiamo iniziato con il teletext e gli sms, oggi leggiamo e scriviamo su pc, telefoni, tablet in tempo reale e senza soluzione di continuità.

La conseguenza di questa iper proliferazione comunicativa è la più classica delle armi a doppio taglio.

 Infatti, da una parte ha ridato, per citare il musicista “Frankie Hi-Nrg”, ‘potere alla parola’, in particolare a quella scritta, ponendola di nuovo al centro della comunicazione, specificamente quella visiva che nel terzo millennio, come agli albori della grafica commerciale, fa perno sul ‘disegno della parola’ (che è poi l’essenza del logotipo).

 Dall’altra, ha ‘democraticamente’ offerto a milioni di persone la possibilità di scrivere e rendere pubblico il proprio pensiero – o di approvare, criticare, biasimare, commentare, condividere un pensiero altrui – su qualsiasi argomento dello scibile umano, prescindendo sia dalle capacità espressive, sia dall’effettiva competenza.

Insomma, se buonsenso vorrebbe che, per mettere nero su bianco un concetto potenzialmente accessibile a milioni di persone, chi scrive lo avesse ben chiaro e possedesse gli strumenti grammaticali, ortografici, sintattici minimi per poterlo fare con semplicità e decoro, la triste realtà è che tutti-scrivono-tutto-sempre-e-ovunque e no, non è una bella realtà.

Non in un Paese in cui un terzo abbondante della popolazione è affetto da analfabetismo funzionale, per tacere delle altre forme di analfabetismo non patologiche ma non meno dannose.

Il risultato è un’inarrestabile, euforica, isterica ed autolesionistica corsa a chi scrive peggio, un contributo irrefrenabile a una forma di inquinamento verbale al quale non si riesce a porre argine e che, oramai, è tracimato dalla bolgia dei social network per invadere la scrittura creativa, persuasiva, giornalistica.

La liberazione/liberalizzazione della parola, in sé straordinaria, è diventata il pretesto per l’uso del linguaggio più volgare in ogni contesto, dell’insulto reciproco come fil rouge di interminabili dibattiti su temi che meriterebbero altre (e alte) parole come scienza, arte, letteratura, società, sostituendosi alla dialettica e alla capacità ma, prima ancora, alla volontà di argomentare, puntualizzare, controbattere rispettando sia il merito delle discussioni che l’interlocutore.

 Per buona pace dell’agone dialettico ma anche delle pacate e amabili discussioni tra persone civili.

Uno degli aspetti più devastanti dell’inquinamento verbale è proprio la violenza, l’aggressività, lo sfogo di chi abbatte parole come clave su un politico, un personaggio famoso, un tifoso ‘nemico’ o contro chi rappresenti una forma di diversità culturale, linguistica, sessuale, religiosa.

Un punto di non ritorno che si autoalimenta, dove l’odio ne chiama altro, la violenza si rinnova e aumenta, il livello dello scontro si alza, quello della buona comunicazione si annulla e chi scrive peggio raccoglie più consensi e si ritiene, per questo, legittimato a perseverare.

Ma non è il peggio in assoluto, visto il modo in cui, negli ultimi tempi, anche alle nostre latitudini l’uso dissennato delle “fake news” ha devastato e minato alla base le fondamenta dell’informazione, destituendola di valore e autorevolezza senza che – e questo è uno degli aspetti più gravi – nessuno faccia davvero qualcosa per preservarne il valore.

Tanti amano ricordare le parole pronunciate nel 2015 a Torino dal professor “Umberto Eco” sugli utenti dei social media:

“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività.

Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.

È l’invasione degli imbecilli “.

L’impressione è che tanti in questi anni si siano riempiti la bocca del pensiero del professore senza coglierne l’essenza, solo per potersi fregiare dell’uso del termine ‘imbecilli’ con la griffe di un autore famoso.

 Chi ha ben capito e, con l’intelligenza e la bella scrittura che lo contraddistingue, ha replicato, anzi, rilanciato in forma di sfida culturale ambiziosa quanto avvincente, è “Gianluca Nicoletti”, che su” La Stampa” da una parte descrive in modo onesto come

“finalmente possiamo misurarci con il più realistico tasso d’imbecillità di cui da sempre è intrisa l’umanità.

Era sin troppo facile per ogni intellettuale, o fabbricatore di pensiero, misurarsi unicamente con il simposio dei suoi affini”; dall’altra sostiene il ruolo, la responsabilità salvifica di chi fa cultura e informazione, senza nascondere quanto sia difficile rispetto anche solo a pochi decenni fa:

 “Oggi la verità va difesa in ogni anfratto, farlo costa fatica, gratifica molto meno, ma soprattutto richiede capacità di combattimento all’arma bianca:

non si produce pensiero nella cultura digitale se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille della forza”.

Convivere col ‘nemico’ senza farsi travolgere o, peggio, coinvolgere.

 Ecco l’idea sfidante di “Nicoletti”, la ‘missione’ che, senza impugnare il “Sacro Vessillo della Buona Comunicazione” ha fatto sua e porta avanti con encomiabile coerenza nella sua attività di giornalista, scrittore, divulgatore.

Proprio noi, comunicatori per mestiere e, spesso, per vocazione, avremmo dovuto capire e fare qualcosa per arginare questa deriva destinata a lasciare solo ‘smog’ verbale e macerie:

 nel migliore dei casi non l’abbiamo fermata, nel peggiore l’abbiamo agevolata e perfino cavalcata, senza valutarne gli effetti su un lungo termine che è già qui, presente, e ci chiede il conto di ponti comunicativi distrutti, recinti culturali divelti, pareti etiche diroccate.

Quello della comunicazione verbale è un ambiente da bonificare, risanare, pulire e, dove ancora possibile, preservare anche se le voci di chi si batte per farlo paiono soffocate dall’inarrestabile avanzare dell’inquinamento verbale.

 È ancora possibile fare tanto con poco, tornare a cercare l’equilibrio, l’essenzialità, la pulizia, la semplicità e la capacità di rendere semplice, immediato, accessibile, corretto ciò che oggi appare fumoso, sporco, disordinato, sgrammaticato.

Per citare l’amico “Nicola Montisci” che, da genuino e capace comunicatore, per professione e per talento, con raro dono della sintesi dispensa spesso e volentieri pillole di buonsenso ai suoi follower:

“dovremmo essere più equilibrati nelle nostre uscite comunicative”.

(Fabrizio Piredda è grafico e art director freelance, specializzato in UX e Product Design).

La grande scoperta dell’anno

è stata l’ecologia.

Luciano Passoni.

 

Luogoe.com – (febbraio 26, 2020) – Luciano Passoni – ci dice:

 

Circa un anno fa la “casa editrice NERO” ha pubblicato una raccolta di tre saggi scritti dal collettivo “Comitato Invisibile” tra il 2007 e il 2017.

Si tratta di tre riflessioni sulla situazione di crisi non solo politica del mondo occidentale, intitolate rispettivamente “L’insurrezione che viene” (2007), “Ai nostri amici” (2014) e “Adesso” (2017).

“Luogo_e” si è soffermato sul primo dei tre testi, da cui sono tratte le parti in corsivo, fatta eccezione per quelle accompagnate da diverse indicazioni.

 In particolare è stata preziosa la lettura del capitolo “Sesto cerchio”.

 L’ambiente è una sfida industriale, che ha contribuito a chiarificare i presupposti alla base della mostra” Devo riferire qualcosa che ho visto” (14 febbraio – 11 aprile 2020).

Questa lettura ha innescato alcune riflessioni che vengono qui proposte ai nostri lettori come strumento di dibattito.

È dunque necessario precisare che il presente scritto non vuole essere né una recensione dell’intero libro, né una sintesi del pensiero del “Comitato Invisibile”.

 Si propone, anzi, come suggerimento di lettura, per conoscere una voce fuori dal coro sui temi che si intrecciano con le questioni ambientali.

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“Anche le migliori torte sono amare

per gli esclusi dalla festa.”

Anonimo delle periferie.

La grande scoperta dell’anno è stata l’ecologia.

Questa affermazione è già vecchia di tredici anni, oggi solo gli imbecilli non nutrono preoccupazione per le sorti del nostro pianeta.

Oggi tutti hanno ben chiari gli effetti prodotti sull’ambiente e sull’uomo da insensate pratiche economiche e sociali, soggette alle regole del profitto.

Ma a pochi sono altrettanto chiare le cause di questo progressivo impoverimento dell’ambiente e della vita umana.

L’ambiente è quello che rimane all’uomo dopo che ha perso tutto il resto.

È il modello di “sviluppo” che deve essere messo in discussione, assieme allo stesso concetto di sviluppo.

 E questo vorrebbe dire individuare le dinamiche e gli attori che perseverano in tali pratiche perverse.

Gli annunci vocali computerizzati, i tram dal ronzio avveniristico, le luci bluastre dei lampioni a forma di fiammiferi giganti, i passanti agghindati da manichini mancati, il silente roteare delle videocamere, lo scintillante tintinnio degli ingressi in metropolitana, delle casse al supermercato, dei cartellini da timbrare in ufficio, l’atmosfera elettronica dei cyber cafè, l’orgia di schermi al plasma, di linee ad alta velocità e di latex:

mai paesaggio poté fare tanto a meno delle anime che lo attraversano, mai luogo fu così automatico, mai contesto fu più indifferente nel suo esigere altrettanta indifferenza in cambio della sopravvivenza.

 Pratiche che agiscono in maniera diversa in ogni angolo del globo e che prevedono ovunque un sostanziale impoverimento delle risorse e della vita materiale delle persone degli strati più poveri del pianeta, assieme agli strati sociali più deboli del “ricco” mondo occidentale.

È legittimo supporre che le soluzioni ai problemi con i quali dobbiamo fare i conti debbano essere trovate dagli stessi soggetti che li hanno provocati.

[…] i nostri padri furono impiegati nella distruzione di questo mondo, e adesso vorrebbero far lavorare noi alla sua ricostruzione – per giunta guadagnandoci.

L’ambiente è, di fatto, il problema globale per eccellenza e ci stanno inducendo a credere che un problema globale è un problema al quale solo coloro che sono organizzati a livello globale possono fornire risposte.

 Ci stanno facendo credere che siano solo loro che possono avere soluzioni, che solo nelle loro mani è la salvezza del pianeta e che l’ambiente sarà il perno della loro economia politica.

Le forme personali di autodifesa sul terreno della produzione e del consumo rimangono palliative rispetto ai guasti.

Consumare meno, rispettare l’ambiente, correggere dove e come si può i guasti macroscopici dei sistemi energetici:

 queste restano le forme che l’impotenza si dà per non soccombere senza resistenza.

Nessuna soluzione tecnica riuscirà mai a dare soluzione al problema ambientale, come nessun MO.S.E. riuscirà a trattenere le maree.

Nessuna soluzione tecnica o specifica riuscirà mai senza una buona dose di immaginazione.

E la certezza della possibilità che “un altro mondo è possibile”, anzi necessario, è testimoniata dalle continue forme di opposizione alle politiche nazionali diffuse a macchia di leopardo in ogni angolo del pianeta, da parte di piccoli gruppi o di grandi masse.

Ciò che ovunque ci viene presentato come catastrofe ecologica è sempre stato, in primo luogo, la manifestazione di un rapporto col mondo disastroso.

Contrapposizioni che, se anche partono da obiettivi particolari, si rivestono delle forme del rifiuto delle logiche di potere e di comando che difendono i privilegi di pochi, penalizzando i molti.

Per lo più sono episodi che hanno la forma della ribellione, che difficilmente riescono ad ottenere vittorie se non parziali e di breve durata;

perché le logiche coordinate sul terreno della politica, dell’economia e del controllo non possono tollerare forme radicali di contrapposizione.

Forme sofisticate di controllo e di repressione, coordinate campagne di disinformazione e di manipolazione, stanno facendo credere che chi oggi si oppone mette in pericolo “il migliore dei mondi possibili”.

 Certo il più adatto a garantire la ricchezza di pochi, la felicità di pochi, la sopravvivenza di molti, la miseria di molti.

In mezzo ci sta tutta una quantità di individui arruolati alla difesa dei privilegi in cambio della compartecipazione agli utili.

Fino al sopraggiungere, però, della nuova crisi, della messa in pericolo dei margini di profitto, perché allora anch’essi saranno abbandonati alle soglie delle sabbie mobili della povertà.

Dopo aver progressivamente minato le tutele delle conquiste sociali dei decenni precedenti, si fa oggi un gran parlare di “reddito garantito” a tutela dei ceti più poveri, come parziale attenuazione degli effetti collaterali indesiderati delle politiche espansive.

 Nessuna politica assistenziale sconfiggerà mai la povertà, la sconfitta della povertà sarà possibile solo ribaltando i processi di produzione e socializzando le ricchezze.

Il concetto di “ecologia” oggi è declinato solo nella logica della produzione e non nel significato di rispetto – dell’uomo, degli animali e dell’ambiente tutto.

 L’ecologia diventa ora, quindi, la nuova morale del Capitale che ci ammonisce che se vogliamo salvare il nostro modello di civiltà “ciascuno di noi dovrà impegnarsi a cambiare i propri comportamenti”.

 E quindi: consumare poco per poter consumare ancora.

Produrre “bio” per poter produrre ancora.

Auto reprimersi per poter reprimere ancora.

Ecco come, atteggiandosi a rottura epocale, la logica di un mondo aspira a sopravvivere a sé stessa.

Ma così facendo non si curano le malattie, si medicano le ferite.

E, in una situazione di perenne convalescenza, diventa assurdo sperare in una vita migliore, fatta di meno lavoro e più alti livelli di cultura, che sappiano favorire migliori rapporti sociali, creatività e solidarietà;

 una vita più ricca di relazioni e di conoscenze, meno competitiva e più aperta agli altri.

L’esercito dei convalescenti viene medicalizzato perché continui ad essere attivo sul terreno del consumo, in cui la cultura dei gadget sempre più tecnologici promette la massima connessione e produce il più alto isolamento e un’umanità sottovuoto.

Attenzione, quindi:

 l’ecologia è un problema sentito generalmente, seppur in modi differenti, nelle società del capitalismo avanzato, e su di essa il Capitale sta scommettendo per una sua nuova, ennesima riscossa.

Lungi dal temere le crisi, il Capitale cerca ormai di produrle sperimentalmente [….]

 Il rimedio non serve a porre fine alla crisi.

Al contrario la crisi viene aperta con l’obiettivo di introdurre il rimedio […]

 La realtà è che non stiamo vivendo una crisi del capitalismo, ma – al contrario – il trionfo del capitalismo di crisi.

(Comitato Invisibile, Ai nostri amici, 2014).

 

 

 

 

 

Riflessioni per un’ecologia

linguistica (e politica).

Olivier Durand.

Theserendipityperiodical.it – Claudio Oreste Menafra – (Maggio 25, 2023) – Olivier Durand – ci dice:

Sono scrittore in lingua italiana:

 quanto devo litigare con i consulenti editoriali ‒ anzi gli “editor” ‒ che senza nemmeno consultarmi mi correggono nebulizzatore in spray, tassì in taxi, o mi bocciano le parole che vanno oltre le cinquecento del lettore medio (che chiamo “mèdiocre”).

 Quello che pratico io lo chiamo ecologia linguistica, nel senso che la lingua ‒ e i dialetti ‒, per come la vedo, fanno parte dell’ambiente e pertanto hanno diritto allo stesso rispetto che tributiamo a mari, fiumi, foreste e paesaggi in generale.

Insomma, sono assolutamente convinto – e milito per questo – che la lingua italiana sia fin troppo corrosa dal dilagante itanglese degli ultimi anni, una moda sconsiderata che non ha alcun senso se non quello di svilire una certa identità linguistica e culturale.

Quello che potrei definire un vero e proprio ‘morbus anglicus’.

Non pretendo “leggi”, né tantomeno “sanzioni” per chi preferisca esprimersi in itanglese.

Siamo in democrazia e ognuno deve essere libero di parlare come meglio ritiene.

 Il linguaggio rientra nei fenomeni di moda: vanno, vengono, spariscono, ritornano, e soprattutto cambiano con il tempo.

Ma esistono mode ridicole (come di recente il dilagante car* tutt*).

 La mia non è altro che una militanza che suggerisco ai tanti che la pensano come me.

 Infatti so bene di non essere l’unico, ma ci percepiamo come una minoranza indesiderata che fa meglio a tacere in quanto tacciata di macchiettista.

Il “ketchup” sui maccheroni.

Trovo stomachevoli:

devolution - “decentramento istituzionale”,

new town- “piano di ricostruzione edile provvisoria”,

ticket- “tassa sulle prestazioni sanitarie”,

austerity- “austerità”,

spending review- “tagli sulla spesa pubblica”,

JOBS act- (acronimo di “Jumpstart Our Business Startups Act”) “riforma del diritto del lavoro” ‒ spesso scritto: Job’s act“, atto di [un misterioso] Giobbe” ‒, per non parlare di un:

recovery fund- “fondo di recuperi” di cui molti non capiscono neppure il significato.

Eh, ma troppo lungo, in italiano!

Allora viva la neologia e gli scorciamenti: decentramento, neo città, sani tassa, austerità, tagli, e visto che “DPCM” non ci spaventa perché non “RDL”?

No, non si tratta di una “battaglia di retroguardia”, ma di un atteggiamento didattico condito da un indispensabile pizzico di autoironia.

Mi dispiace, ma quest’ itanglofilia strisciante e ormai proliferante è una sindrome, preoccupante, di depauperamento di una cultura italiana sempre più mèdiocre, e i tanti che difendono l’itanglese come necessario, inevitabile, ormai irrinunciabile mi fanno soltanto cagare.

E ai tanti che mi riferiscono di aver tradotto un testo inglese di cento parole con centocinquanta italiane, mi rincresce, ma questo è il primo sintomo di chi non sa tradurre.

La traduzione è un mestiere, che occorre imparare.

 

Gli argomenti degli itanglofili: sfatiamo i falsi miti.

Quante volte sento dire che, eh sì, l’inglese è più “stringato” dell’italiano, ricorre a meno parole per dire le stesse cose…

 Che lingua agile e sciolta…!

Facciamo un esempio. Salgo su un qualsiasi aeromobile di Alitalia, e mi siedo al posto assegnatomi.

Sullo schienale della poltrona di fronte a me leggo la seguente scritta bilingue:

“Life jacket under seat”.

Il giubbotto salvagente si trova sotto la propria poltrona.

 

Ebbe’, sì… quattro parole inglesi contro nove italiane… bisogna riconoscere… in effetti…

Qui ci vuole un excursus storico e linguistico.

 In base a direttive rivolte alla lotta contro l’analfabetismo, sin dagli inizi del Novecento gli Stati Uniti hanno deciso di ricorrere il meno possibile a segnali, preferendo loro ingiunzioni scritte.

Laddove in Italia abbiamo un cartello circolare azzurro con una freccia bianca rivolta verso destra, in America troviamo la scritta “turn right”.

Ora, turn right si legge e assimila in fretta.

 Ma un’indicazione più articolata, come “Attenzione al pericolo di smottamenti improvvisi”, “tenersi rigorosamente sulla destra e moderare la velocità”, può rivelarsi controproducente, in quanto l’automobilista intento a decriptare tutto con attenzione si distrae dalla guida e fa largamente in tempo a finire contro un palo o in fondo al burrone.

Questo ha portato gli americani a “limare” quanto più possibile le segnalazioni, stradali o altre.

Life jacket under seat, letteralmente “salvagente sotto sedile”, non è inglese né letterario né colloquiale, che direbbero piuttosto” the life jacket is under your seat”, sette parole: sempre meno di nove… In Italia non siamo abituati a queste potature sintattiche.

Bisogna spiegarci tutto.

 Del salvagente viene precisato che si tratta di un giubbotto salvagente, affinché qualcuno magari non immagini una ciambella con la papera.

 Si trova, nel senso che occorre cercarlo.

 Sotto la propria poltrona, altrimenti l’italiano lo va a prendere d’istinto sotto il sedile che ha davanti a sé.

È così che, alcuni anni fa, apparve sulle portiere posteriori dei tassì italiani, in corrispondenza della maniglia, la scritta bilingue:

Chiudere piano.

Close soft.

All’attenzione di quei clienti zelanti che sbattono la portiera come se dovessero schiaffeggiare un ippopotamo.

 Ora, a parte il fatto che “close soft” in inglese significherebbe “chiudere con dolcezza”, o “delicatezza”, premura tutto sommato eccessiva nei confronti di una carrozzeria d’acciaio temprato, sulle portiere dei tassì britannici leggo:

Please, do not bang the door.

Con tanto di please, di virgola e di “do no”t anziché “don’t”: questa volta, due a sei per l’italiano.

Gli studenti che non sanno il francese (lasciamo stare il tedesco) non soltanto non lo sanno ma sono ben determinati a non saperlo mai.

 Ora, in Russia, Cina, Giappone, Corea non accettano l’inglese come esperanto (chiamiamolo a questo punto esperanglo):

 o ti impari russo, cinese, giapponese, coreano o te ne torni a casa.

 In Francia, poi, provate a ordinare in inglese in un negozio o ristorante, udirete le male parole.

Appartengo alla comunità di italiani di origine straniera:

tra di noi parliamo in varie lingue, anche italiano, va da sé, e assistiamo al proliferare dell’itanglofilia tra incomprensione e sonore sghignazzate, perché il fenomeno è caricaturale e a momenti avvilente.

La “sostituzione etnica.”

In questi ultimi tempi si fa un gran parlare di una paventata “sostituzione etnica”, che al dire di alcuni nostri eminenti politici riguarderà l’Italia nei pochissimi decenni a venire.

Secondo la logica ‒ populistica ‒ dell’uno più uno fa due, a forza di accogliere migranti africani e vicino/mediorientali, tra vent’anni in Italia saremo tutti marroncini, musulmani (anzi “islamici”) e parleremo tutti arabo.

Ha senso vederla in questo modo?

Detto tra noi, in Africa e Vicino e Medio Oriente, vengono parlate numerose lingue che nulla hanno a che vedere con l’arabo:

berbero, somalo, yoruba, igbo, bambara, wolof, persiano, curdo, urdu, pashto e tant’altro.

Per capirsi tra di loro avranno pur bisogno di una lingua comune, come ad esempio quella di Dante, a portata di tutti, che scuola e mezzi di massa (ma anche narrativa e canzonette) italiani continueranno a veicolare come hanno sempre fatto.

Sono padre di un ragazzo, oggi trentunenne, nato in Marocco da genitori sconosciuti, che da anni porta il mio cognome.

 Sono un ebreo vicino all’ateismo puro e duro, idem la mia ex moglie nata cattolica:

nostro figlio è cresciuto privo di religione, è perfettamente bilingue con italiano e francese, parla benissimo inglese e tedesco, e ha studiato in Italia.

 Una mia figliastra acquisita polacca ha sposato un marocchino e hanno un bambino che sta crescendo in tre lingue:

hanno tutti e tre cittadinanze e passaporti italiani.

 

Abbiamo sostituito qualcuno o qualcosa?

In quanto mezzo francese posso assicurare che la Francia è da decenni piena di neri e mulatti di ogni sfumatura, musulmani ma anche induisti e buddhisti, che si rivelano pienamente integrati da un punto di vista culturale e linguistico, si esprimono in un francese da parlanti natii e vanno fierissimi del proprio passaporto francese.

 Certo, questo non esclude ricorrenti rigurgiti di razzismo dichiarato conditi di “sporco negro/ebreo/cinese/islamico” eccetera.

Gli imbecilli rimangono la percentuale predominante del genere umano, a questo possiamo soltanto rassegnarci.

Questo i nostri eminenti politici lo sanno benissimo, e lo sfruttano spudoratamente per ottenere consensi.

Redimere gli imbecilli è, non impossibile, ma molto difficile, reclutarli invece è facilissimo:

vogliamo far parte dell’”esercito di Franceschiello degli imbecilli”, o imporci di riflettere?

Ora anche il Regno Unito e la Germania ‒ per non parlare degli Stati Uniti! ‒ straripano di negroidi/islamoidi orgogliosi delle proprie cittadinanze acquisite.

 E vorrei soltanto ricordare che il tanto atteso vaccino anti-covid è stato scoperto dai due turco-tedeschi “Uğur Şahin” e “Özlem Türeci” (leggi uùr shahìn e özlèm türegì).

Chi vive, cresce, magari è nato, in Italia, diventa italiano, che lo Stato lo ammetta o meno, anche se a casa parla arabo, turco, persiano o francese, e anche se si riconosce in una religione diversa da quelle cristiana o ebraica.

 Si chiama ius soli“ diritto del suolo”, ius culturae “diritto della cultura” o addirittura” ius scholae” “diritto della scuola!

 Ho tanti studenti arabi, o semiarabi, che “si sentono” italiani quanto arabi, anche se musulmani di scrupolosa osservanza.

Se sono nati o cresciuti in Italia, non è colpa loro!

Multiculturalismo di facciata.

Più in generale si fanno grandi discorsi sul “multiculturalismo” senza in realtà capirne il significato.

 Nel senso che io, aperto e democratico, ti concedo, a te straniero, di restare in Italia, ci salutiamo con cortesia la mattina e la sera, e non ci diamo fastidio a vicenda.

Questo non è multiculturalismo, è ghettizzazione!

Qualche giorno fa, in televisione, hanno fatto vedere un filmato su “Tor Pignattara”, come per dire “guardate che fatiscenza”!

A me è sembrato di vedere un quartiere londinese, e neanche di quelli degradati…

Molti ignorano a quanto pare che:

 

1. La legge Mancino del 25 giugno 1993, n. 205 sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, alla violenza, la discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.

2. L’art. 403 del Codice Penale sancisce che «Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da 1000€ a 5000€».

Insomma ce lo vogliamo ficcare in testa che, in Italia, il razzismo è reato?

In Israele si fa un gran parlare di un futuro doppio stato: israeliano e palestinese.

 Nella vagheggiata ‒ quanto disarmante ‒ illusione che tra i due nuovi stati si instaurino progressivamente confederazione, moneta unica e cordiali relazioni diplomatiche.

Per quanto mi riguarda, sono per lo stato binazionale, che abbia due nomi, Israele e Palestina, due lingue ufficiali, ebraico e arabo, e parità di diritti e di doveri.

 Ma uno stato binazionale, argomentano i fautori del doppio stato, diventerebbe unicamente arabo nel giro di due decenni:

gli ebrei si sforzano di sfornare tra quattro o cinque figli ‒ per patriottismo ma anche per l’elevatissima mortalità, non infantile ma adulta, dovuta a guerre e attentati quotidiani ‒, mente gli arabi ne scodellano in media da otto a dodici.

Sono ormai diversi anni, però, che gli arabi nati e cresciuti in Israele si dichiarano “arabi israeliani”, consentendo in tal modo agli ebrei progressisti di dirsi “ebrei israeliani”.

Questi arabi israeliani sono perfetti bilingui arabo-ebraico, e ben due di loro, “Anton Shammas” (n. 1950) e “Sayed Kashua” (n. 1975) sono diventati scrittori in lingua ebraica.

 Devo forse ricordare il franco-marocchino “Tahar Ben Jelloun” (nato in Marocco nel 1944), scrittore in lingua francese tra i più tradotti nel mondo?

Alieni anglosassoni.

Chi è che, a questo punto, sostituisce davvero l’italianità di questo Paese?

Alieni anglosassoni che invadono l’Italia?

Quanti anglicizzano a più non posso?

O rimbecilliti di purissima etnia italica?

Quei tanti che temono di vedersi sostituire etnicamente, ebbene sono soltanto insicuri nel profondo della propria italianità.

Se “essere italiano” è aver paura di vedere il proprio vicino di casa senegalese o pakistano acquisire la sua stessa cittadinanza, ma essere fiero di dire step, trend, team, voucher, gate per “passo, tendenza, squadra, tagliando, imbarco” significa aver perso ogni consapevolezza di appartenere a un popolo da sempre generoso e aperto allo straniero.

E che non mi piace più.

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