La religione climatica e la dignità dell’uomo.
La
religione climatica e la dignità dell’uomo.
Ungheria,
il Premier Orbán
ammette:
“Gli Stati Uniti
Non
Vogliono Fermare la Guerra”
Conoscenzealconfine.it
– (16 Luglio 2023) - Giulio Chinappi –
ci dice:
Più
che unire il blocco occidentale, il vertice NATO di Vilnius sembra aver messo
ulteriormente in evidenza la spaccatura interna all’Alleanza Atlantica, come
dimostrano le parole del capo del governo ungherese, che continua a smarcarsi
dalla linea dettata da Washington.
Il
vertice NATO di Vilnius, in Lituania, ha rappresentato una sciagura sotto
numerosi punti di vista, come evidenziato da importanti esperti internazionali,
tra i quali l’ex ambasciatore italiano “Alberto Bradanini”.
Tuttavia,
ha anche evidenziato ancora una volta la spaccatura esistente all’interno della
stessa “Alleanza Atlantica” su questioni importanti, come l’adesione della
Svezia, l’adesione dell’Ucraina, la fornitura di armi a Kiev e l’atteggiamento
da tenere nei confronti della Russia.
Tra
coloro che da tempo stanno cercando di smarcarsi dai dettami di Washington
figura certamente il primo ministro ungherese Viktor Orbán.
Il
governo di Budapest ha infatti sottolineato sin dall’inizio del conflitto che
non avrebbe aderito alle sanzioni antirusse, almeno per quanto riguarda le
forniture di gas, ritenute fondamentali per la sopravvivenza stessa del Paese
magiaro.
Orbán e altri esponenti del suo governo, come
il ministro degli Esteri “Péter Szijjártó”, hanno inoltre rilasciato numerose
dichiarazioni critiche nei confronti dell’atteggiamento tenuto dalla NATO in
relazione alla crisi ucraina.
Proprio
mentre aveva luogo il vertice di Vilnius, il capo dell’esecutivo ungherese ha
ancora una volta manifestato il proprio dissenso nei confronti delle politiche
belliciste di Washington, volte unicamente a prolungare il conflitto anziché
tentare di sedarlo.
Intervistato
da “Kossuth Rádió”, Orbán ha sottolineato che gli Stati Uniti non hanno nessuna
intenzione di porre fine alla guerra:
“Se
gli statunitensi lo volessero, la pace arriverebbe con l’alba di domani”, ha
sottolineato il primo ministro.
“Ma perché non lo vogliono?
Questa
domanda è rimasta senza risposta al vertice della NATO”, ha continuato Orbán,
il quale ha anche aggiunto che “l’Ucraina ha perso la sua sovranità molto tempo
fa” e che i paesi occidentali, in primo luogo gli Stati Uniti, controllano la
situazione nel Paese.
Orbán
ha anche espresso la sua decisa contrarietà ad un eventuale ingresso
dell’Ucraina nella NATO, affermando che una mossa di questo tipo non farebbe
altro che estendere il conflitto, portando il mondo sull’orlo della terza
guerra mondiale.
“Se avessimo accettato l’Ucraina nella NATO,
ciò avrebbe significato una guerra mondiale immediata”, ha detto il premier
magiaro nella sua intervista radiofonica.
Il
capo del governo ungherese ha anche criticato l’opinione pubblica occidentale,
che non sembra opporsi a sufficienza alla continuazione della guerra, mentre
gli ucraini continuano a mostrare un atteggiamento aggressivo nei confronti
della Russia, il che non facilita il raggiungimento di un accordo.
Il
rifiuto da parte di Budapest di un eventuale ingresso di Kiev nell’Alleanza
Atlantica, è stato ribadito anche dal ministro degli Esteri, il già citato “Péter
Szijjártó”
Secondo
il capo della diplomazia ungherese, il vertice di Vilnius della NATO ha
prodotto solo risultati modesti e di piccolo calibro per l’Ucraina, con Kiev
che non è riuscita a ottenere alcun calendario per l’adesione al blocco:
“La
grande domanda prima del vertice NATO era ciò che l’Ucraina avrebbe ottenuto.
Rispetto
alle aspettative, sostenute principalmente dagli stessi ucraini, i risultati
pratici effettivi sono stati estremamente modesti”, ha detto “Szijjártó”, che
ha partecipato in prima persona al vertice di Vilnius, alla televisione
nazionale ungherese.
Il
ministro ha inoltre osservato che l’Ucraina non ha ricevuto né un invito né un
calendario per l’adesione all’alleanza.
“Solo
la commissione Ucraina-Nato è stata promossa a livello di consiglio”, ha
sottolineato il massimo diplomatico ungherese, aggiungendo che nella situazione
attuale “questa era l’unica decisione giusta”.
“È abbastanza chiaro che un Paese in stato di
guerra non può essere accettato nella NATO perché, secondo le stesse regole
dell’alleanza, ciò comporterebbe il trascinamento dell’intero blocco in questa
guerra.
Quindi,
penso che, in questo momento, la NATO abbia preso una decisione responsabile
riuscendo ad evitare un’escalation dell’azione militare”, ha spiegato.
“Szijjártó”
ha osservato che l’Ucraina inizierà ora a redigere quello che è noto come il
programma nazionale annuale per l’interazione con la NATO, che dovrebbe
riflettere riforme sia di natura militare che politica.
“La
NATO non è solo un’alleanza difensiva, ma anche una comunità basata sui valori.
Pertanto,
ad esempio, l’Ucraina dovrebbe assumersi l’obbligo di rispettare e proteggere i
diritti delle minoranze”, ha affermato, sottolineando che l’Ungheria presterà particolare
attenzione a questo problema data la preoccupazione di Budapest per il
trattamento degli ungheresi etnici che vivono nella regione della
Transcarpazia, nell’Ucraina occidentale.
Secondo
lui, una decisione sulla conformità dell’Ucraina ai criteri di adesione al
blocco verrà presa in seguito, tenendo conto delle effettive prestazioni del
Paese.
Tuttavia,
va sottolineato come l’Ungheria si sia mostrata aperta all’adesione della
Svezia alla NATO, probabilmente con l’intenzione di non dispiacere troppo ai
padroni di Washington, che non vedono di buon occhio l’atteggiamento del
governo Orbán.
Lo stesso ministro “Szijjártó” ha affermato
che il governo magiaro sostiene l’ingresso di Stoccolma nell’Alleanza
Atlantica, aggiungendo che l’unico ostacolo è rappresentato dalla posizione
della Turchia.
“Le
ultime dichiarazioni indicano chiaramente che il processo di ratifica in
Turchia non sarà completato domani.
Quindi,
la nostra precedente promessa che non saremo gli ultimi a farlo ovviamente è
ancora valida”, ha affermato il diplomatico, aggiungendo che il parlamento
ungherese sosterrà le votazioni sulla questione in autunno, come il parlamento
turco, visto che la sessione primaverile del parlamento ungherese è già
terminata e il parlamento si riunirà di nuovo il 25 settembre.
(Giulio
Chinappi)
(giuliochinappi.wordpress.com/2023/07/16/ungheria-il-premier-orban-ammette-gli-stati-uniti-non-vogliono-fermare-la-guerra)
La
Chiesa cattolica e il cambiamento
climatico:
perché i cattolici si
preoccupano
del cambiamento climatico.
Laudatosimovement.org
- Anna Carolina Gutiérrez – (Ott 22, 2021) – ci dice:
Papa
Francesco, la Chiesa cattolica, e i cattolici di tutto il mondo agiscono ogni
giorno contro il cambiamento climatico.
Il Santo Padre ha fatto strada soprattutto
durante il suo pontificato.
Nel
2015 ha scritto l’enciclica Laudato Sì, che ha aiutato 1,2 miliardi di
cattolici nel mondo a capire meglio che “tutto è connesso” e a collocare
millenni di dottrina cattolica nel contesto dell’attuale crisi ecologica.
Eppure,
molto prima di papa Francesco e della Laudato si, i cattolici pregavano e
agivano contro la crisi climatica e incoraggiavano altri a unirsi a loro,
mentre si impegnavano nel prendersi cura del creato di Dio.
I
cattolici sono da tempo preoccupati per la crisi climatica perché il problema
tocca molte questioni che sono al centro di ciò che significa essere cattolici
e vivere la nostra fede da cattolici.
Cos’è
la crisi climatica?
L’attuale
crisi climatica si riflette nel forte aumento della temperatura del pianeta
dovuto, in gran parte, all’emissione di gas serra (GHG) che produciamo dalla
Rivoluzione Industriale.
Un
rapporto del 2013 del “Gruppo Intergovernativo di Esperti del Cambiamento
Climatico” (IPCC) ha affermato che “l’aumento dell’uso di combustibili fossili e delle
emissioni, in particolare di anidride carbonica fossile, ha fatto sì che gli
ultimi decenni siano stati i più caldi sulla superficie terrestre dal 1850.”
Tale
riscaldamento ha effetti devastanti su molti livelli, tra cui la produzione
alimentare, gli eventi meteorologici estremi, la scarsità d’acqua e
l’innalzamento del livello del mare.
Gli
scienziati (pagati da chi? N.d.R.) affermano che un pianeta più caldo potrebbe produrre
disastri naturali più forti e devastanti, del tipo a cui stiamo già assistendo
oggi:
inondazioni storiche, uragani più forti,
siccità più lunghe, incendi boschivi più pericolosi, che portano a morti e
sfollamenti e colpiscono in modo schiacciante i più vulnerabili.
Nell’intera
Enciclica, papa Francesco sottolinea che la crisi climatica è una questione
morale alla quale tutti i cattolici sono chiamati ad agire.
“Di
fatto, il deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in
modo speciale i più deboli del pianeta:“ …
”Tanto
l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica
dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li
subisce la gente più povera».
Questi
effetti peggioreranno – con un impatto maggiore sui paesi in via di sviluppo –
se non adottiamo misure per evitare che la temperatura aumenti di oltre 1,5
gradi Celsius.
Perché
i cattolici sono preoccupati per il cambiamento climatico?
Le
Scritture ci rimandano in Matteo 7,12. La legge per eccellenza della carità: “
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro“.
Anche
la domanda che Dio rivolge a Caino è imperativa per i nostri tempi “Dov’è tuo
fratello?” (Gen. 4-9).
I
cattolici sono preoccupati per il cambiamento climatico perché i suoi effetti
colpiscono tutti gli esseri viventi, molto più seriamente i più vulnerabili.
(Ma
solo Gates pensa di poter far diminuire il riscaldamento terrestre solo
cercando di oscurare il sole”! N.d.R.)
La
chiamata è ad agire ed entrare in comunione di Spirito per il benessere dei
nostri fratelli in tutti gli angoli del pianeta.
È
anche necessario contribuire alla conservazione della casa comune facendo la
nostra parte.
Benché,
come esseri umani siamo fatti ad immagine e somiglianza di Dio, ciò non ci
rende superiori al resto della creazione, anzi ce ne rende responsabili, poiché
siamo dotati di intelligenza per guidare tutte le cose al bene e dare, così,
gloria a Dio.
La
visione della natura come oggetto di profitto è errata, in quanto ci impedisce
di sentirci parte di essa, in questo modo ci siamo permessi di varcare i suoi
limiti in nome del progresso o di interessi privati, che ha generato ogni tipo
di squilibrio con le conseguenze che già possiamo vedere nella società e sul
pianeta.
“Questo
induce alla convinzione che, essendo creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da
legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione
sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile” (LS 89).
Come
cattolici, siamo chiamati dalla fede a prenderci cura del creato, poiché esso è
un riflesso della grandezza e della potenza di Dio, una potenza che si rinnova
costantemente.
«Nella
Bibbia, il Dio che libera e salva è lo stesso Dio che ha creato l’universo, e
questi due modi di agire divini sono intimamente e indissolubilmente legati»
(LS 73).
“La
creazione è il fondamento di “tutti i disegni salvifici di Dio”, “l’inizio
della storia della Salvezza” (DCG 51) che culmina in Cristo”.
Fin
dall’inizio c’è stato un piano di salvezza per l’umanità.
Allo stesso modo, attraverso le Scritture,
vediamo che Dio si è incaricato di farci conoscere l’immensa dignità di
ciascuna delle sue creature.
“Cinque
passeri non si vendono per due soldi? Eppure non uno di essi è dimenticato
davanti a Dio” (Lc 12,6). Guardate gli
uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il
Padre vostro celeste li nutre» (Mt 6,26).
Qual è
il ruolo della Chiesa cattolica in tutto questo e con il cambiamento climatico?
La
Chiesa è stata una parte fondamentale nello sviluppo del pensiero per
l’umanità.
In esso troviamo ripetutamente riflessioni che
evocano amore e compassione per la nostra casa comune.
Da
sant’Agostino (354-430), che ci diceva: “La cura del creato è contemplazione di
Dio”
Oppure
san Bonaventura (1217-1274): «Tutta la creazione può considerarsi come un bel
canto che proclama la bellezza del Creatore, all’interno del quale ogni
creatura ne canta una parte diversa con voce diafana ed energica».
O
Santa Ildegarda di Bingen (1098-1179): “La Terra sostiene l’umanità. Non
deve essere danneggiata; non deve essere distrutta.”
Forse
il più grande esempio di contemplazione lo abbiamo in san Francesco d’Assisi,
che scelse uno stile di vita nella povertà e nella semplicità e, per sua
scelta, si immerse nello splendore della natura, che si riflette mirabilmente
nel Cantico delle Creature:
«Laudato
sii, o mio Signore, per tutte le creature, specialmente per messer Frate Sole,
il quale porta il giorno che ci illumina».
(Il
sole riscalda con i suoi raggi la terra. E nessun uomo lo può impedire! N.d.R.)
Per
questo lo chiamiamo “il patrono dell’ecologia”.
A
proposito di questo santo virtuoso, l’attuale successore di Pietro ci dice
nella sua enciclica Laudato Si:
“In lui si riscontra fino a che punto sono
inseparabili la preoccupazione per la
natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace
interiore” (LS 10).
Nella
ricerca di questa coerenza fondamentale, alcuni dei messaggi che i Papi ci hanno
lasciato nei loro interventi e documenti, invitano noi cattolici a un cambio di
paradigma e a prenderci veramente cura della crisi climatica e del creato di
Dio.
San
Giovanni Paolo II dalla Giornata Mondiale della Pace del 1990 si rivolgeva a
noi a così: “I cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti
all’interno del creato, i loro doveri nei confronti della natura e del Creatore
sono parte della loro fede“. Per questo è un bene per l’umanità e per il mondo
che i credenti riconoscano meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle
nostre convinzioni.
Da
parte sua Benedetto XVI, nella nella lettera enciclica Caritas Caritas in
Veritate ci dice: “La libertà umana può dare il suo intelligente contributo
all’evoluzione positiva, ma può anche aggiungere nuovi mali, nuove cause di
sofferenza e vere sconfitte. Per questo l’azione della Chiesa non solo cerca di
richiamare il dovere di prendersi cura della natura, ma al tempo stesso «deve
soprattutto proteggere l’uomo dalla distruzione di se stesso».”
Inoltre,
nella sua omelia inaugurale, Benedetto XVI ha chiarito quanto importante debba
essere per tutti i cattolici la cura del creato e la conversione ecologica.
Disse:
“I deserti esteriori del mondo crescono, perché i deserti interiori sono diventati
così vasti. Pertanto, i tesori della terra non servono più a costruire il
giardino di Dio in cui tutti vi abitino, ma sono stati fatti per servire i
poteri di sfruttamento e distruzione”.
L’impegno
del Papa.
Papa
Francesco ha dato voce allo Spirito Santo attraverso l’enciclica Laudato si’
per salvaguardare la vita e la dignità di tutte le creature in un ambiente
dominato dall’individualismo, dall’accidia e dalla siccità spirituale.
Attraverso
questo documento accessibile, prossimo e pratico, il Papa propone una serie di
domande e ci offre uno sguardo basato sulle Scritture, sui documenti della
Chiesa cattolica e sulle sue esperienze ecumeniche.
Il
nostro leader della Chiesa cattolica è impegnato nelle radici profonde dei mali
che ci affliggono come umanità, specialmente i più vulnerabili.
Ecco
perché ha un interesse speciale che il mondo intero si mobiliti per rallentare
il cambiamento climatico. Innanzitutto, Papa Francesco chiama tutti noi a una
conversione ecologica, un processo di riconoscimento del nostro contributo alla
crisi sociale ed ecologica e ad agire in modi che alimentino la comunione:
guarire e rinnovare la nostra casa comune.
L’enciclica
Laudato Si è un progetto serio con un appello al cambiamento per raddrizzare
una volta per tutte le strade che permettano di recuperare i danni già arrecati
alla terra e ai più fragili, e preservarli per le generazioni future, le cui
voci gridano già dal Presente.
Inoltre: Cos’è una conversione
ecologica?
Il
Papa invita tutti i cristiani a rendersi conto dell’importanza di prendersi
cura del creato di Dio per la fede.
«Vivere
la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di
un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un
aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS 217).
Io
cosa posso fare?
Tutto
questo è un invito, non solo alla riflessione, ma a prendere misure, ognuno nei
nostri contesti, per fare un uso responsabile della nostra libertà nel
prenderci cura della terra, delle generazioni più vulnerabili e di quelle
future.
Cercando
sempre di prendersi cura del pianeta, il Movimento Laudato Si’, guidato dallo
Spirito Santo, sostiene le diverse iniziative che nascono dal locale e ne
promuove molte altre a livello mondiale. Puoi:
Essere
un Animatore Laudato Si.
Gli animatori della Laudato Si sono leader
locali che si impegnano a far entrare l’enciclica nelle loro vite, ispirando e
incoraggiando gli altri a darle vita nelle proprie comunità.
Diventa
un volontario. Ci sono diversi modi per essere volontario nel Movimento: per il
programma Animatori, nell’area amministrativa, nel settore comunitario,
nell’interpretariato e nella traduzione, ecc..
Una
conversione ecologica come quella proposta da Papa Francesco è possibile se
viviamo la fede in Cristo Salvatore, che muore e risorge per i nostri peccati,
e fa di noi uomini e donne nuovi che vedono la realtà in modo più ampio, come
eredi di un bellissimo lavoro irripetibile, al quale non possiamo permetterci
di rinunciare.
Il
cambiamento climatico:
le
cause, gli effetti, i rimedi.
Enelgreenpower.com
– Redazione – (20-1-2022) – ci dice:
Perché
il cambiamento climatico ci preoccupa tanto?
Cosa
l’ha provocato e quali rischi corriamo?
Le cause dell’effetto serra creato dalle
attività dell’uomo e gli impegni presi per invertire la tendenza.
La spinta all’elettrificazione.
La
vita sulla Terra esiste grazie alla combinazione di tre fattori:
la
giusta distanza dal Sole, la composizione chimica dell’atmosfera e la presenza
del ciclo dell’acqua.
L’atmosfera,
in particolare, assicura al nostro pianeta un clima adatto alla vita grazie al
cosiddetto effetto serra naturale.
Quando
i raggi solari raggiungono la superficie terrestre, vengono solo in parte
assorbiti, mentre in parte vengono riflessi verso l’esterno;
in assenza di atmosfera si disperderebbero
nello spazio, ma vengono invece in buona parte trattenuti e quindi reindirizzati verso la Terra
da alcuni gas presenti nell’atmosfera (i gas a effetto serra, appunto, fra
cui principalmente l’anidride carbonica e il metano, ma anche il vapore acqueo
e altri ancora).
Il
risultato è un’ulteriore quantità di calore che si somma a quella proveniente dai
raggi solari assorbiti direttamente.
Un’aggiunta significativa: senza l’effetto
serra naturale la temperatura media sulla Terra sarebbe di -18 gradi centigradi
anziché di circa +15.
Le
cause del cambiamento climatico.
Se è
un fenomeno così vantaggioso perché oggi siamo così preoccupati?
Cosa vuole dire che è in corso il
surriscaldamento del pianeta?
E cosa
si intende per cambiamento climatico?
Cambiamenti
climatici ci sono sempre stati, nella storia del Pianeta.
Ma il
riscaldamento climatico a cui assistiamo da circa 150 anni è anomalo perché
innescato dall’uomo e dalle sue attività.
Si
chiama effetto serra antropico e si aggiunge all’effetto serra naturale.
Con la
rivoluzione industriale l’uomo ha improvvisamente rovesciato in atmosfera
milioni di tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra portando la
quantità di CO2 presente in atmosfera al doppio rispetto ai minimi degli ultimi
700 mila anni (410-415 parti per milione rispetto a 200-180 parti per milione).
(Questa affermazione è totalmente
falsa, in quanto la CO2 è più pesante 4 volte dell’aria atmosferica e quindi
ricade sempre sulla terra e sul mare. N.D.R)
Lo si
può osservare anche day-by-day grazie alle rilevazioni degli osservatori, come
quello attivo al Mauna Loa, nell’arcipelago delle Hawaii.
Da
circa 15 anni i dati prodotti da migliaia di scienziati in tutto il mondo,
analizzati e sistematizzati dall’”Intergovernmental Panel on Climate Change” (IPCC),
concordano nel dichiarare che il “global warming” deriva dall’effetto serra
antropico, cioè innescato dalle attività dell’uomo.
(La scienza non si può sistematizzare in
quanto nessuno può negare che la CO2 è quattro volte più pesante
dell’atmosfera! N.D.R).
In
realtà le basi scientifiche del collegamento tra i livelli di anidride
carbonica e la temperatura erano state stabilite già nel XIX secolo, grazie al
lavoro del Premio Nobel “Svante Arrhenius”, confermato dallo scienziato
statunitense “David Keeling” negli anni Sessanta.
Le
conseguenze del cambiamento climatico.
Rispetto
ai livelli preindustriali la temperatura media del Pianeta è aumentata di 0,98
°centigradi e la tendenza osservata dal 2000 a oggi fa prevedere che, in
mancanza di interventi, potrebbe arrivare a +1,5 °C tra il 2030 e il 2050.
L'impatto del riscaldamento globale è già
evidente:
il
ghiaccio marino artico è diminuito in media del 12,85% per decennio, mentre i
registri delle maree costiere mostrano un aumento medio di 3,3 millimetri del
livello del mare all'anno dal 1870.
Il decennio
2009-2019 è stato il più caldo mai registrato e il 2020 è stato il secondo anno
più caldo di sempre, appena al di sotto del massimo stabilito nel 2016.
Le
“stagioni degli incendi” sono diventate più lunghe e intense, come in Australia
nel 2019, dal 1990 a oggi ogni anno sono aumentati gli eventi meteorologici
estremi, come i cicloni e le alluvioni, che colpiscono anche in periodi
dell’anno atipici rispetto al passato e sono sempre più devastanti.
Fenomeni
come El Niño sono diventati più irregolari e hanno causato pericolose siccità
in aree già minacciate dall'aridità cronica, come l'Africa orientale, mentre la
Corrente del Golfo sta rallentando e potrebbe cambiare rotta.
Le
specie vegetali e animali si spostano in modo imprevedibile da un ecosistema
all’altro, creando danni incalcolabili alla biodiversità in tutto il mondo.
Definire
tutto questo con il termine “climate change” è corretto ma non rende abbastanza l’idea.
Dobbiamo iniziare a parlare di “crisi
climatica” perché il clima è sempre cambiato, ma non così in fretta e non con
delle infrastrutture rigide e complesse come sono le città e il sistema
produttivo ai quali i Paesi più industrializzati sono abituati.
0,98°
-L'aumento della temperatura nel 2019 rispetto ai livelli preindustriali.
1,5°- L’aumento
della temperatura entro il 2030 - 2050 senza interventi.
97%- Percentuale
degli scienziati che attribuisce il riscaldamento globale alle attività umane.
Le
soluzioni al cambiamento climatico.
Le
attività umane influenzano sempre di più il clima e la temperatura della Terra
bruciando combustibili fossili e abbattendo le foreste pluviali.
Questo
aggiunge enormi quantità di gas serra a quelli presenti naturalmente
nell'atmosfera, aumentando l'effetto serra e il riscaldamento globale.
A
provocare più danni è soprattutto il consumo di carbone, petrolio e gas, che
rappresentano la maggior parte delle emissioni di gas serra.
Nel 2019, secondo il “Global Energy
Perspective 2019” di McKinsey le fonti fossili erano responsabili dell’83%
delle emissioni totali di CO2 e la sola produzione di elettricità attraverso il
carbone incideva per il 36%, anche se nel 2020 - per effetto della pandemia dal
Covid-19 - le emissioni sono poi scese drasticamente (fonte World Energy
Outlook 2020).
È stato stimato che l'attuale tendenza delle
emissioni di CO2 dovute alla combustione del carbone è responsabile di circa un
terzo dell'aumento di 1 grado centigrado delle temperature medie annuali al di
sopra dei livelli preindustriali, rendendola la principale fonte di emissioni
nella storia umana.
In
assoluto il petrolio è la seconda fonte di emissioni, avendo prodotto nel 2019
12,54 miliardi di tonnellate di CO2 (l’86% del totale del carbone di 14,550
miliardi di tonnellate).
Anche
l’abbattimento delle foreste provoca danni consistenti:
gli
alberi aiutano a regolare il clima assorbendo l’anidride carbonica
dall'atmosfera, quindi se vengono abbattuti l'effetto benefico si perde e il
carbonio immagazzinato negli alberi viene rilasciato nell'atmosfera,
accentuando all'effetto serra.
Infine,
l’aumento degli allevamenti intensivi di bestiame e l’uso di fertilizzanti
contenenti azoto contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas a effetto
serra.
Gli
accordi internazionali.
Cosa
fare per rimediare?
Nel
dicembre del 2015, alla Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione quadro
delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) è stato firmato l’atteso
Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che fornisce un quadro credibile
per raggiungere la decarbonizzazione, con obiettivi a lungo termine per
affrontare il cambiamento climatico e una struttura flessibile basata sui
contributi dei singoli governi.
I governi firmatari si sono impegnati a
limitare l'aumento della temperatura al di sotto di 2° centigradi rispetto ai
livelli preindustriali con sforzi per rimanere entro 1,5°, per raggiungere il
picco delle emissioni il prima possibile e raggiungere la “carbon neutrality”
nella seconda metà del secolo.
Nonostante il successo della COP21, molte sono
le questioni lasciate aperte dall'accordo.
Nel 2018 la COP24 di Katowice ha poi approvato
le regole di attuazione dell'Accordo di Parigi (il cosiddetto "Paris
Rulebook").
Nel
2021, la Cop26 di Glasgow ha poi ribadito l’impegno a raggiungere entro il 2050
la cosiddetta “Carbon Neutrality” a livello globale.
La
strada da percorrere per la decarbonizzazione è chiara e si chiama transizione
energetica:
il
passaggio da un mix energetico incentrato sui combustibili fossili a uno a
basse o a zero emissioni di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili.
Le
tecnologie per la decarbonizzazione ci sono, sono efficienti e vanno scelte a
tutti i livelli.
E un grande contributo alla decarbonizzazione
arriva dall’elettrificazione dei consumi finali.
Si tratta di rimpiazzare in tutti i settori - dalle
abitazioni ai trasporti, compresi quelli a lunga percorrenza, fino
all’industria pesante - le tecnologie basate sui combustibili fossili con
quelle che utilizzano l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili in tutti i
settori, ottenendo non solo l’abbattimento delle emissioni a effetto serra, ma
anche dell’inquinamento atmosferico, in particolare nelle città.
La
scienza offre dati certi, proiezioni di scenari futuri studiati attentamente.
Il cambiamento del clima non aspetta e non si
ferma.
Serve
un cambiamento culturale forte, un vero e proprio mutamento di paradigma per
tradurre in realtà ciò su cui tutti ormai sono d’accordo.
(È
incredibile che si possa pensare ad una “volatizzazione della CO2” quando
questa pesa 4 volte di più dell’atmosfera che respiriamo! N.D.R.)
26
fatti che raccontano la realtà
del
cambiamento climatico
...e
quattro che danno speranza.
Nationalgeographit.it
- JONATHAN MANNING & SIMON INGRAM – (21-10-2021) ci dicono:
Comprendere
le tante sfide che il nostro mondo si trova davanti durante la COP26 non è
semplice.
È
difficile vedere la crisi idrica quando ci sono Paesi afflitti dalle
inondazioni. È difficile percepire la scomparsa del ghiaccio artico quando i
telegiornali parlano di eventi climatici estremi e inverni sempre più rigidi.
GLI
EFFETTI DELLA DEFORESTAZIONE.
Ma è
proprio questa instabilità del clima, causata dal lento riscaldamento del
nostro mondo, che sta perpetrando questi estremi.
Le sue
conseguenze possono devastare economie, infrastrutture e compromettere la
stabilità politica:
una situazione che nel 2011 il Segretario
delle Nazioni Unite” Ban Ki-Moon” descrisse come una “miscela diabolica”.
Nello
stesso discorso “Ban” definì il cambiamento climatico la “questione
determinante del nostro tempo”.
E ne
sono la riprova i fatti che ormai tocchiamo con mano.
Nonostante
la “COP” sia un evento annuale, la “COP26” è la prima edizione che segue” lo
scoppio della pandemia di COVID-19”.
Quest’anno
è ospitata dal Regno Unito, in particolare presso lo “Scottish Events Campus”
(SEC) di “Glasgow” dal 31 ottobre al 12 novembre.
La
conferenza vede una partnership con l’Italia, dove diversi eventi, come il “Youth4Climate”
e la” PreCOP26”, si sono tenuti all’inizio di ottobre.
I gas
serra sono al livello di 4,5 milioni di anni fa.
C’erano
ancora i mastodonti e i mammut lanosi sulla Terra l’ultima volta che la
concentrazione di biossido di carbonio (CO2) nell’atmosfera ha raggiunto i
livelli odierni, a 417 parti per milione, secondo il” National Oceanic and
Atmospheric Administration” (Amministrazione nazionale per l’oceano e
l’atmosfera).
Gli
scienziati affermano che i livelli di CO2, che in quanto gas serra intrappola
il calore e produce riscaldamento globale, sono oggi comparabili a quelli
dell’epoca del “Pliocene”, che risale a 4,1-4,5 milioni di anni fa, quando il
livello del mare era di circa 24 metri superiore rispetto a oggi e la
temperatura media era di quasi 4 °C più calda.
La
Terra ha visto 20.000 anni di cambiamenti accadere in 170 anni.
Dal
1850, le attività umane hanno fatto impennare le concentrazioni di CO2 del 48%.
Prima
del 1850, ci erano voluti 20.000 anni perché la Terra raggiungesse questi
livelli in modo naturale, dall’ultimo massimo glaciale, quando il massiccio
ghiacciaio “Laurentide” copriva un terzo dell’America settentrionale, da nord
fino all’altezza di New York City.
Luglio
2021 è stato il mese più caldo mai registrato.
Il
primo posto è il posto peggiore in questa classifica, in cui luglio 2021 si è
assicurato il titolo di mese più caldo mai registrato da quando sono iniziati i
rilevamenti, 142 anni fa, secondo il “National Oceanic and Atmospheric
Administration” (Amministrazione nazionale per l’oceano e l’atmosfera).
In
tutto il mondo la temperatura della superficie sia terrestre che oceanica è
stata di 0,93 °C superiore alla media del XX secolo di 15,8 °C.
Il
candido ghiaccio marino si scioglie creando piscine di acqua celeste al largo
dell’Isola di Baffin a Nunavut, in Canada.
Tra il
1979 e il 2018, la proporzione del ghiaccio marino di cinque anni o più di età
nell’Artide si è ridotta dal 30% al 2%.
Piantare alberi non basta.
Si
tratta di un’attività nobile e rigenerativa, sicuramente, ma affidarsi a questo
per assorbire abbastanza emissioni di carbonio da raggiungere le “zero
emissioni nette” entro il 2050 richiederebbe 1,6 miliardi di ettari di nuove
foreste.
Significa
cinque volte la superficie dell’India, ovvero più di tutti i terreni agricoli
del mondo, afferma Oxfam.
Acqua
alta a Venezia: una minaccia per il territorio e la popolazione.
Celebre
come “la città dei canali”, Venezia deve affrontare l’innalzamento globale del
livello dei mari.
Una
minaccia per la sua stessa sopravvivenza che, analizzata nel documentario di
National Geographic “Venezia: il futuro del pianeta”,
potrebbe portare a un aumento del livello del
bacino del Mediterraneo di un metro e mezzo entro la fine di questo secolo.
In
un’intervista esclusiva pubblicata su “National Geographic.it”, “Francesca
Santoro” (Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO) e “Nassos
Vafeidis” (Docente in rischi costieri a capo del Gruppo di ricerca Coastal
Risks and Sea Level Rise (CRSLR) e autore del paper su Nature) hanno analizzato
l’impatto dell’aumento del livello del mare su Venezia e sui siti Patrimonio
Mondiale dell’umanità:
"Venezia
non è certo la prima città. Ma è sicuramente uno degli esempi più iconici di
questa situazione”.
L'estinzione
dei bombi: i danni per la specie e per l’agricoltura.
"I
bombi, tra i più importanti impollinatori, sono in pericolo.
Pelosi
e vivaci, questi insetti eccellono nello spargere il polline che fertilizza
molti tipi di flora selvatica, e anche le maggiori coltivazioni agricole come
quelle di pomodori, mirtilli e zucca”, scrive” Douglas Main” in un articolo
pubblicato su “National Geographic” lo scorso anno.
Le
cause sono molteplici e spaziano dall’uso degli insetticidi al caos climatico
che porta molte specie a spostarsi altrove o morire.
Una
perdita che potrebbe avere conseguenze terribili per gli ecosistemi e per
l’agricoltura.
La
primavera arriva prima.
La
natura cerca di stare al passo con le primavere precoci e i tardi autunni
portati dalle temperature in crescita.
La
data della “prima foglia” per la quercia peduncolata è arrivata 10 giorni prima
nel 2020 rispetto alla media del periodo 2000–09, secondo la “rivista
scientifica International Journal of Climatology”.
Il
Lago Poopó, secco e incrostato di sale.
La scarsa irrigazione dei terreni, la
deforestazione e l’evaporazione possono portare alla desertificazione.
La parte di Terra che sta diventando arida
aumenta ogni anno.
L’Antartide
perde un Everest di ghiaccio ogni anno.
L’Antartide
sta perdendo 151 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, un peso
corrispondente all’incirca alla roccia che forma il Monte Everest, secondo il “satellite
della NASA Grace-FO”.
Le
case di 200 milioni di persone saranno sotto il livello del mare tra 70 anni.
200
milioni di persone del mondo vivranno sotto il livello del mare entro la fine
del secolo se i livelli continuano a salire, secondo la rivista “Nature
Communications”. Il livello del mare è aumentato di 178 mm dal 1900 e continua
a salire di 3,4 mm all’anno.
Ha
raggiunto un livello record nel 2020 per il nono anno consecutivo:
circa
91,3 mm più alto della media del 1993, data in cui iniziarono i rilevamenti con
altimetri satellitari.
Il livello del mare aumenta perché il calore
(Co2) stoccato nell’oceano fa espandere l’acqua, mentre lo scioglimento delle
calotte glaciali e dei ghiacciai si aggiunge al volume d’acqua.
Cina,
Bangladesh e India sono particolarmente vulnerabili all’innalzamento del
livello del mare, alle tempeste costiere e alle inondazioni, così come Paesi
Bassi e parte del Regno Unito.
I
deserti si stanno estendendo.
Secondo
l’ONU ogni anno vengono persi a causa di desertificazione, degrado del suolo e
siccità oltre 12 milioni di ettari di terreno, una superficie equivalente a
tutti i terreni arabili della Germania.
(Sotto
il deserto del Sahara vi è “un oceano di acqua dolce”, ma nessuno si interessa
a questa scoperta! N.d.R.)
Gli
incendi diventano più frequenti e minacciosi.
Dall’Australia
alla California alla Grecia, gli incendi divampano più a lungo e su aree più
estese che mai, dichiarano le Nazioni Unite (ONU), che calcolano che le fiamme
abbiano devastato circa 12 milioni di ettari di terra dal 2018 al 2020.
Un
milione di specie a rischio.
Un
numero agghiacciante di altri abitanti del pianeta, incluso il 40% di tutti gli
anfibi conosciuti (circa 3.200 specie) è in pericolo a causa dell’impatto
dell’uomo, secondo l’ONU.
Cambiamento
climatico, inquinamento, deforestazione, pesca eccessiva, sviluppo e specie
invasive stanno mettendo a rischio la biodiversità.
La
produzione di materie plastiche accelera.
Si
prevede che la produzione e l’uso di materie plastiche raddoppieranno nei
prossimi 20 anni, e quadruplicheranno intorno al 2050, avverte la “Fondazione
Heinrich Böll”, e ogni fase del ciclo di vita della plastica – dall’estrazione
e raffinazione del petrolio al processo produttivo fino allo smaltimento e
all’incenerimento – prevede il rilascio nell’atmosfera di gas a effetto serra
come CO2 e metano.
Ogni
anno 17 milioni di barili di petrolio vengono usati per fare plastica e 13
milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, secondo i calcoli
dell’ONU.
(I
bruciatori dei rifiuti, tra cui la plastica, non interessano ai ricchi
globalisti, eppure si potrebbe realizzare la produzione di energia da queste
centrali! N.D.R.)
75
milioni di bambini soffrono di insicurezza alimentare.
Almeno
155 milioni di persone sono state esposte a grave insicurezza alimentare nel
2020 a causa di condizioni climatiche estreme, conflitti e crisi economiche,
dichiara il “Programma alimentare mondiale”.
Tra
queste ci sono oltre 75 milioni di bambini con meno di cinque anni con sintomi
di crescita stentata.
“Gli eventi climatici estremi continueranno ad
acuire le condizioni di grave insicurezza alimentare nelle economie fragili”,
afferma il “Programma alimentare mondiale”.
I
decessi causati dalle ondate di calore aumentano – e di molto.
Le
temperature estreme si stanno dimostrando sempre più fatali:
la
rivista “The Lancet” riporta che negli ultimi 20 anni c’è stato un aumento del
53,7% dei casi di mortalità causati dal calore tra gli ultrasessantacinquenni.
A livello globale questo ha causato la morte
prematura di 296.000 persone nel solo 2018.
Il
concetto di punto di non ritorno fa paura.
Quello
che molti non capiscono del livello di riscaldamento attuale del pianeta è che
se oltrepasseremo una determinata soglia, la fisica prenderà il sopravvento.
(Già
adesso “scienziati della fisica” sono al soldo della ricca élite globalista. N.D.R.)
Questo
vale quanto meno per le calotte glaciali, che una volta raggiunta una certa
velocità di scioglimento poi non potranno più sostenere la propria massa.
Questo
valore è chiamato bilancio di massa superficiale e superare il punto critico
significa che la calotta glaciale non riesce più a sostenere la propria massa
colossale sulla base della quantità rifornita dalle precipitazioni, e inizia un
declino inarrestabile e sempre più veloce che l’uomo non ha il potere di
arrestare.
Con forti azioni mitigative – limitando l’aumento
delle temperature globali idealmente entro 1,5 °C, ovvero il livello concordato
dalle nazioni firmatarie dell’Accordo di Parigi – le calotte glaciali
continuerebbero a perdere massa, ma non supererebbero questo punto critico di
non ritorno.
In assenza di tali misure, in uno scenario di
emissioni elevate, gli scienziati non sanno quando il punto critico verrebbe
superato.
Ma
sulla base dei valori dell’ultimo secolo, le prospettive non sono buone.
Il
colore del ghiaccio è importante.
Non
basta che l’inverno sia freddo per ripristinare i livelli del ghiaccio.
Il ghiaccio bianco – quello che ha più anni ed
è di più lunga durata – riflette la luce del sole, respingendo anche parte del
calore.
Il
sottile ghiaccio scuro stagionale invece non ha la stessa efficacia nel
respingere il calore.
Ecco perché la riduzione del ghiaccio marino
artico è particolarmente allarmante. Secondo il “Gruppo intergovernativo sul
cambiamento climatico” tra il 1979 e il 2018 il volume del ghiaccio marino di
“età” di cinque anni o più è diminuito dal 30% al 2%.
Un
uragano si abbatte sulla costa della Florida.
Gli
scienziati ritengono che a causa del cambiamento climatico gli uragani stiano
diventando più intensi e che si muovano più lentamente, aumentando il loro
impatto sugli insediamenti umani.
Il
cambiamento climatico sta causando eventi climatici estremi.
Studi
condotti tra il 2015 e il 2020 hanno mostrato l’“impronta” del cambiamento
climatico in 76 eventi tra cui alluvioni, eventi siccitosi, tempeste e anomalie
di temperatura, nonché il drammatico aumento del rischio di incendi in 114
Paesi.
Malattie
pericolose si stanno diffondendo.
(E
questo rende felici i vari Gates e Big Pharma:” aumentano i loro affari
assassini!” N.D.R)
Il
cambiamento climatico sta accelerando la diffusione di malattie infettive come
la dengue e la malaria, creando in più regioni condizioni in cui le infezioni
possono prosperare.
Nel 2018 la dengue si è espansa del 15%
rispetto ai valori degli anni ’50 del 1900, secondo quanto medici esperti hanno
dichiarato sulla rivista “The Lancet.”
Il
riscaldamento impatta su tutto il pianeta.
Nessun
luogo della Terra viene risparmiato dall’impatto del cambiamento climatico.
Nel
2020, temperature record sono state registrate in Bielorussia, Belgio, Estonia,
Finlandia, Francia, Kazakistan, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia,
Polonia, Spagna, Svezia, Svizzera e Ucraina, nonché in Giappone, Messico,
Russia, Seychelles;
mentre
la città di Blenheim in Nuova Zelanda ha registrato un periodo di siccità della
durata record di 64 giorni, secondo i “National Centres for Environmental
Information” (Centri nazionali per le informazioni ambientali, NdT).
In
Antartide ci sono state temperature da maniche corte nel 2020.
Nell’Artide si sudava.
La
vigilia del giorno di mezza estate del 2020 ha visto la temperatura più calda
mai registrata nel circolo polare artico: 38 °C a Verchojansk, in Russia.
Un
riscaldamento simile è evidente al polo opposto della Terra, dove la base
scientifica “Esperanza in Antartide” ha registrato 18,3 °C il 6 febbraio 2020:
la
temperatura più alta mai rilevata sul continente.
I dati
sull’erosione costiera sono sconcertanti.
Dallo
scioglimento del permafrost che causa il crollo delle scogliere in Alaska
all’innalzamento del livello del mare al ridotto flusso di sedimenti nel
Mississippi che provoca l’incredibile perdita di un’area pari a un campo da
calcio ogni ora della costa della Louisiana, la combinazione di riscaldamento
del clima, tempeste estreme, aumento del livello del mare e attività umane ci
sta letteralmente togliendo il terreno da sotto i piedi.
I più
ricchi non sono molto ecologici.
Tra il
1990 e il 2015, l’1% più ricco del mondo è stato responsabile di oltre il
doppio delle emissioni di carbonio del più povero 50% dell’umanità, calcola
l’Oxfam.
L’impronta
di carbonio media stimata dell’1% più ricco del mondo potrebbe essere fino a 175
volte maggiore di quella di alcuni del più povero 10%.
La
Grande barriera corallina ha subito un’apocalisse.
Si
stima che la Grande barriera corallina australiana abbia perso metà dei suoi
coralli dagli anni ’90, a causa del notevole aumento delle temperature
oceaniche che ne ha determinato lo “scolorimento”, rendendoli non attraenti per
gli organismi che li colonizzano.
Basta
un picco di 1–2 °C in più nella temperatura dell’acqua per avere un effetto
devastante, afferma l’”Unione internazionale per la conservazione della natura”.
Le barriere ricoprono meno dello 0,1% del fondo oceanico, ma ospitano oltre un
quarto di tutte le specie di pesci marini.
(Un
mare di rifiuti non bruciati navigano sulla superfice delle acque marine.
E i
pesci si nutrono della plastica galleggiante. E muoiono! N.D.R.)
Un
terzo dei più preziosi habitat sono in pericolo.
Gli
ecosistemi vulnerabili sono in pericolo a causa del cambiamento climatico, e l’”Unione
internazionale per la conservazione della natura” avverte che 83 dei 252 siti
naturali dichiarati patrimonio dell’umanità sono a rischio, inclusa l’area di
conservazione del “Pantanal in Brasile” e le aree protette della “Regione
floristica del Capo” in Sudafrica.
I
veicoli elettrici hanno un costo nascosto.
Le
macchine elettriche possono emettere zero emissioni dal tubo di scappamento, ma
comportano comunque una considerevole impronta di carbonio per via del loro
processo produttivo. I
l SUV
elettrico di un produttore deve arrivare a percorrere un totale di chilometri
compreso tra 47.000 e 146.000 – a seconda che venga ricaricato con energia
eolica o con un mix di “energie globali” che include l’elettricità generata dai
carburanti fossili – prima che le sue emissioni di gas serra siano inferiori a
quelle dei modelli a benzina.
Camminare,
andare in bicicletta e usare i mezzi di trasporto pubblici sono opzioni di
mobilità più ecologiche.
Megattere
con i loro cuccioli si vedono al largo
di Vava'u, nel Regno di Tonga.
Le rinnovabili sono in ascesa.
Nonostante
l’aumento della domanda di carbone e gas, le rinnovabili puntano a fornire
oltre la metà della maggiore domanda di elettricità nel 2021.
La
generazione di fonti rinnovabili nel 2021 mira a un’espansione di oltre l’8% –
la più grande crescita annuale mai registrata.
Anche il prezzo dell’energia che generano sta
scendendo: la produzione di energia da fonti rinnovabili costa molto meno delle
alternative a carburante fossile, e il costo della messa in servizio di nuovi
impianti solari, eolici onshore e offshore è diminuito rispettivamente del 16%,
13% e 9% nel 2020.
Alcune
specie si stanno ripopolando.
Per
lungo tempo simbolo dell’estinzione causata dall’uomo, le balene – inclusa la
balenottera azzurra e la megattera – hanno visto un ripopolamento, con numeri
record rilevati in zone in cui da molto tempo erano in numero molto esiguo.
Con l’aumento di zone oceaniche a gestione
sostenibile e la crescita delle aree marine protette c’è la speranza che il
nostro rapporto con il “sistema di supporto vitale” della Terra possa diventare
meno conflittuale e più di simbiosi.
La
tecnologia ci offre risposte.
L’ingegno
mostrato dai finalisti della prima edizione del premio “Earthshot Prize” è la
prova che quando si applica – che sia per profitto o per filantropia – l’uomo
ha la capacità di compensare alcuni dei danni che la nostra specie ha causato.
Che sia attraverso la creazione di ceppi di
coralli resistenti, il trattamento delle acque reflue o l’eliminazione della
necessità di bruciare tonnellate di carbone al giorno con un semplice oggetto
quotidiano munito di pannello solare, l’uomo può essere bravo a proteggere
l’ambiente quanto lo è a minacciarlo.
Il
mondo si sta svegliando.
Un
sondaggio del 2020 del “Boston Consultancy Group” ha rilevato che dei 3.000
partecipanti di otto Paesi, il 70% si è detto più consapevole ora rispetto a
prima del COVID-19 “che l’attività umana minaccia il clima e che quel degrado
dell’ambiente a sua volta minaccia l’uomo”.
Il
crescente attivismo dei giovani nei confronti del clima – ritenuto essere tra i
più grandi movimenti globali di sempre – dimostra una crescente consapevolezza
della minaccia al futuro.
Questo,
insieme al crollo delle emissioni dovuto ai lockdown e alla relativa scioccante
presa di coscienza di quello che è l’impatto delle nostre attività, a parte
l’evento della malattia in sé per sé, significa che sempre più persone
potrebbero essere ispirate a fare di più.
Le
cause dei cambiamenti climatici.
Climate.ec.europa.eu
– Redazione – (3-10 -2022) – ci dice:
L'uso
di combustibili fossili, l'abbattimento delle foreste e l'allevamento del
bestiame hanno un impatto sempre più forte sul clima e sulla temperatura del
pianeta.
Queste
attività aggiungono enormi quantità di gas serra a quelle naturalmente presenti
nell’atmosfera, alimentando l’effetto serra e il riscaldamento globale.
Riscaldamento
globale.
Il
periodo 2011-2020 è stato il decennio più caldo mai registrato, con una
temperatura media globale di 1,1ºC al di sopra dei livelli preindustriali nel
2019.
Il riscaldamento globale indotto dalle
attività umane è attualmente in aumento a un ritmo di 0,2ºC per decennio.
Un
aumento di 2ºC rispetto alla temperatura dell'epoca preindustriale è associato
a gravi impatti negativi sull'ambiente naturale e sulla salute e il benessere
umani, compreso un rischio molto più elevato di cambiamenti pericolosi e
potenzialmente catastrofici nell'ambiente globale.
Per
questo motivo “la comunità internazionale “(ossia l’élite globalista sciamanica
N.d.R.) ha riconosciuto la necessità di
mantenere il riscaldamento ben al di sotto dei 2ºC e di proseguire gli sforzi
per limitarlo a 1,5ºC.
Gas
serra.
La
causa principale dei cambiamenti climatici è l'effetto serra.
Alcuni
gas presenti nell’atmosfera terrestre (i gas serra sono tutti pesanti più di
quattro volte dell’aria atmosferica. N.D.R.) agiscono un po’ come il vetro di
una serra:
catturano
il calore del sole impedendogli di ritornare nello spazio e provocando il
riscaldamento globale.
Molti
di questi gas sono presenti in natura, ma le attività umane fanno aumentare le
concentrazioni di alcuni di essi nell’atmosfera, in particolare:
l'anidride
carbonica (CO2);
il
metano;
l'ossido
di azoto;
i gas
fluorurati.
La CO2
prodotta dalle attività umane è il principale fattore del riscaldamento
globale.
Nel
2020 la concentrazione nell'atmosfera superava del 48% il livello
preindustriale (prima del 1750).
Altri
gas a effetto serra vengono emessi dalle attività umane in quantità inferiori.
Il
metano è un gas con un effetto serra più potente della CO2, ma ha una vita
atmosferica più breve.
L'ossido di azoto, come la CO2, è un gas a
effetto serra longevo che si accumula nell'atmosfera per decenni e anche
secoli.
Gli
inquinanti diversi dai gas a effetto serra, compresi gli aerosol come la
fuliggine, hanno effetti diversi in termini di riscaldamento e raffreddamento e
sono associati anche ad altri problemi quali la scarsa qualità dell'aria.
Si
stima che le cause naturali, come i cambiamenti della radiazione solare o
dell'attività vulcanica, abbiano contribuito al riscaldamento totale in misura
minore di 0,1ºC tra il 1890 e il 2010.
Cause
dell’aumento delle emissioni.
La combustione
di carbone, petrolio e gas produce anidride carbonica e ossido di azoto.
L'abbattimento
delle foreste (deforestazione).
Gli
alberi aiutano a regolare il clima assorbendo CO2 dall'atmosfera.
Abbattendoli,
quest'azione viene a mancare e la CO2 immagazzinata negli alberi viene
rilasciata nell'atmosfera, alimentando in tal modo l'effetto serra.
Lo
sviluppo dell’allevamento di bestiame. I bovini e gli ovini producono grandi
quantità di metano durante il processo di digestione.
I
fertilizzanti azotati producono emissioni di ossido di azoto.
I gas
fluorurati sono emessi da apparecchiature e prodotti che utilizzano tali gas.
Queste emissioni causano un potente effetto serra, fino a 23 000 volte più
forte dei quello provocato dalla CO2.
Contrastare
i cambiamenti climatici.
Poiché
ogni tonnellata di CO2 emessa contribuisce al riscaldamento globale, tutte le
riduzioni di emissioni contribuiscono a rallentarlo.
Per
arrestarlo completamente, occorre raggiungere l'azzeramento delle emissioni
nette di CO2 in tutto il mondo.
Inoltre, anche la riduzione delle emissioni di
altri gas a effetto serra, come il metano, può avere un forte effetto sul
rallentamento del riscaldamento globale, soprattutto a breve termine.
Le
conseguenze dei cambiamenti climatici sono estremamente gravi e incidono su
molti aspetti della nostra vita.
Sia la lotta ai cambiamenti climatici che
l'adattamento a un mondo che si riscalda sono priorità assolute per l'UE.
L'azione
per il clima è un'esigenza immediata.
Scopri cosa sta facendo l'UE per combattere la
crisi climatica.
(L’élite
globalista sciamanica, ormai prossima a raggiungere il dominio globale del
mondo,
si è
inventata” la lotta al cambiamento climatico da parte dell’uomo” (e non del
sole come è nella realtà) e con questo solo fatto ha determinato un danno
economico, per la sola Italia, pari al suo debito pubblico! N.D.R.).
CAMBIAMENTI
CLIMATICI.
Wwf.it – Redazione – (10-12-2022) – ci dice:
Cosa
fa il WWF.
Cosa puoi
fare tu.
Ormai
da decenni la comunità scientifica, anche avvalendosi di modelli matematici
sempre più accurati, ha descritto come il clima del Pianeta stia cambiando in
modo preoccupante e come le responsabilità di questi cambiamenti sia delle
attività umane, a cominciare dall’uso massiccio dei combustibili fossili.
Oggi
siamo di fronte a fenomeni climatici sempre più estremi, frequenti e
devastanti.
Molte specie stanno tentando di reagire al
cambiamento: alcuni uccelli migratori stanno cambiando periodi di arrivo e di
partenza anno dopo anno, le fioriture stanno anticipando, le specie montane si
spingono, finché possono, in alta quota. Ma tutto questo ha un prezzo.
Ormai
nessuno ha più dubbi sul fatto che siano in atto importanti mutazioni nel clima
del Pianeta e sulla nostra responsabilità.
1.5°C.
limite
massimo al riscaldamento del Pianeta per contenere i danni più devastanti
provocati da un innalzamento delle temperature.
55%.
Obiettivo
minimo dell’UE di riduzione netta di gas serra entro il 2030, per non superare
la soglia di 1,5°C.
12.85%
è il
tasso del calo del ghiaccio artico per decennio.
OVERVIEW.
L’estate
del 2022 è stata la più calda della storia in Europa. Il mese di luglio ha
fatto registrare 2,26 gradi centigradi in più rispetto alla media italiana dal
1800, anno da cui si registrano i dati.
Le
misurazioni strumentali, la frequenza e la violenza di eventi climatici che
stiamo osservando, i cambiamenti nei comportamenti, nelle abitudini migratorie
e riproduttive di molte specie animali e vegetali lasciano poco spazio a
interpretazioni: la crisi climatica è ormai un dato di fatto.
La
comunità scientifica è ormai unanime nell’indicare le attività umane quali
responsabili della crisi climatica, in particolare a causa dell’aumento dei gas
serra immessi nell’atmosfera.
La concentrazione di gas serra nell’atmosfera
ha raggiunto livelli record:
l’anidride
carbonica è aumentata di quasi il 150% rispetto ai livelli preindustriali, il
metano del 262% e il protossido di azoto del 123% rispetto ai livelli
preindustriali (public.wmo.int/en/our-mandate/climate/wmo-statement-state-of-global-climate).
La
concentrazione della CO2 in atmosfera viene misurata dal “Mauna Loa Center del
NOAA americano”:
nel
maggio 2022 la media era stata di 420,99 parti per milione, una concentrazione
che non si registra da almeno 650 mila anni, ma probabilmente da molto prima.
La
concentrazione di CO2 provoca l’innalzamento globale della temperatura che a
sua volta rende sempre più frequenti fenomeni di inondazioni, siccità, dissesto
idrogeologico, diffusione di malattie, crisi dei sistemi agricoli, crisi idrica
e estinzione di specie animali e vegetali. Non possiamo più attendere, dobbiamo
invertire la rotta.
COSA
FA IL WWF.
Per
combattere il cambiamento climatico e assicurare un futuro al Pianeta e alle
persone bisogna raggiungere una nuova impostazione dell’economia, sostenibile,
equa e non fondata sul carbonio di origine fossile entro il 2050, in grado di
resistere a quel livello di cambiamento climatico che non siamo più in grado di
evitare.
Per
questo siamo impegnati per raggiungere un nuovo accordo globale a livello
internazionale, efficace, giusto e legalmente vincolante.
Proponiamo ai governi nazionali la promozione
di strategie e percorsi con obiettivi e tappe precise per arrivare
all’azzeramento delle emissioni prima della metà del secolo, costruendo una “transizione
all’economia del futuro”.
(L’economia
del futuro sarà tutta nelle mani predatrici dell’élite globalista mondiale!
N.d.R.)
Promuoviamo
l’efficienza energetica per ridurre le emissioni di CO2 e la conversione della
produzione energetica verso le fonti energetiche rinnovabili, come l’energia
solare ed eolica.
Proponiamo
lo sviluppo di strategie di adattamento al cambiamento climatico per
salvaguardare le persone e gli ecosistemi a rischio.
COSA
PUOI FARE TU.
(Ma
nessun uomo o élite globale può impedire al sole di aumentare
le sue
irradiazioni sul nostro pianeta! N.d.R.)
Ognuno
di noi si deve sentire coinvolto nella lotta al cambiamento climatico.
Il risparmio dell’energia è uno dei primi
passi, non basta infatti che i governi e le nazioni attuino programmi di
riconversione della produzione energetica, abbandonando progressivamente i
combustibili fossili verso le fonti energetiche rinnovabili.
Puntare sull’efficienza e il risparmio
energetico è fondamentale e su questi punti il ruolo di ognuno di noi è
cruciale.
Sostieni
le nostre battaglie per la difesa del clima, quelle in piazza e quelle
istituzionali, se riusciremo a far sentire la nostra voce, insieme ce la
possiamo fare.
(Per
voi, globalisti sciamani, è prossimo il giudizio del Tribunale di Norimberga2!
N.d.R.)
Firmiamo
la moratoria chiesta dall’ ONU.
Telecor.net - Roberto Nuzzo – (13 Luglio 2023) ci
dice:
Sai
che quello che vedi in cielo e che chiami scie chimiche, in realtà, è un
progetto di GEOINGEGNERIA, partito da molto lontano, e che ha come scopo il controllo dei fenomeni
meteorologici nell’intento di combattere i cambiamenti climatici?
Purtroppo
questi esperimenti di natura militare e civile possono avere conseguenze
gravissime sulla salute umana e distruggere le biodiversità.
Anche
L’ONU, già nel 2010, durante una conferenza in Giappone, aveva sancito una
convenzione sulla tutela della diversità biologica ed aveva chiesto a tutti i
governi mondiali una moratoria, ovviamente ignorata e disattesa.
Gli stessi principi sono stati riaffermati nel
2016 in Messico, Stato che ha già preso provvedimenti lo scorso gennaio.
Ora
quella MORATORIA sono i cittadini italiani a chiederla.
Sai
che è partita una raccolta firme promossa dal consigliere comunale di Sciacca,
Maurizio Blo, il quale lo scorso aprile ha istituito” il Comitato Nazionale
Moratoria Geoingegneria”.
Anche
tu puoi contribuire.
MORATORIA-GEOINGEGNERIA-MODULO-RACCOLTA-FIRME.
Questa
raccolta firme (firme vere, non click), che si svolge ai sensi dell’art. 50
della Costituzione:
NON
richiede autenticazione.
Si può
effettuare un ogni luogo (lavoro, mare, vacanza).
Può aderire
chiunque (+ 18).
Può
partecipare anche chi risiede all’estero.
Invia
anche una lettera al tuo sindaco, per sensibilizzarlo e responsabilizzarlo su
questo argomento.
Unisciti
a noi, la classe globalista padrona del mondo, nella più grande richiesta popolare
di moratoria contro la GEOINGEGNERIA, (che disturba i nostri affari
planetari esclusivi. N.D.R).
Ormai
è chiaro, la NATO non
vuole
morire per l'Ucraina.
Msn.com-Esquire Italia- Paolo
Mossetti – (17-7-2023) – ci dice:
Bisogna
capire Volodymyr Zelensky.
Non ci aveva mai creduto davvero, a un ingresso
dell’Ucraina nella Nato in tempi brevi.
Lo si capiva dai numerosi messaggi lanciati su
Twitter in questi mesi.
E anche dalle sue esternazioni pubbliche,
nelle prime settimane di guerra, quando sembrava disposto a mettere sul tavolo
la neutralità dell’Ucraina in cambio di un accordo con la Russia.
Ma, vuoi perché doveva rivendersi questo
proposito presso il pubblico di casa, vuoi perché alcuni membri dell’Alleanza
atlantica hanno spalancato le porta all’Ucraina, lui ci aveva provato davvero,
a convincere il segretario Stoltenberg a impegnarsi in una tempistica specifica
per l'adesione dell'Ucraina.
Tuttavia, è abbastanza chiaro che la Nato non
vuole scendere in campo direttamente e morire per Kiev, né ora né mai.
Il
comunicato della Nato dopo il vertice di Vilnius, terminato mercoledì, si può
leggere come:
«L'Ucraina entrerà nella Nato quando sarà il
momento».
Stati
Uniti, Inghilterra, Germania e Francia hanno ribadito di voler perseguire una
politica di supporto militare ancora più sostanziale e di lunga durata, senza
precedenti, nei confronti dell'Ucraina.
Questo
approccio è stato descritto da qualcuno come l'«opzione Israele», in cui
l'Ucraina si trasformerebbe in uno Stato fortemente armato e con un forte
nazionalismo di massa, in grado di affrontare la Russia da sola, senza però una
formale alleanza con l’Occidente.
Non è
nulla ma è un po’ poco, per chi contava in un impegno sempre più esponenziale
dell’Occidente contro Putin, e magari una sua umiliazione a breve.
Ora il
rischio per Kiev, per il fronte pro-Kiev, è quello di lasciare che
l’insoddisfazione si trasformi in una rabbia cieca e sorda, impedendo di capire
perché si è arrivati a questo punto e cosa occorre fare per superare l’impasse.
Anche
Zelensky, in fondo, lo sa.
Cosa significa l'appartenenza alla Nato, se
non un impegno a combattere per difendere gli altri membri?
Significa, per l’appunto, stare bene attenti
ai criteri di espansione, per evitare di fare brutte figure.
Come
quella in Georgia, nell’estate olimpica del 2008, quando il Paese caucasico si
era sentito con le spalle abbastanza coperte per provare a riprendersi
l’Ossezia del Sud dai separatisti filorussi, salvo poi ritrovarsi con Mosca che
invadeva l’Ossezia con tutta la sua forza, e la Nato rimaneva a guardare.
L’annuncio,
qualche mese prima, da parte dell’amministrazione di George W. Bush (con il
sostegno entusiasta di Gran Bretagna e Polonia) di un piano d’azione immediato
per fare entrare nella Nato la Georgia e l’Ucraina, prima del vertice di
Bucarest si può definire come una mossa terribilmente stupida:
e non solo per i ripetuti avvertimenti da
parte di diplomatici ed esperti che indicavano la probabilità di una reazione
russa, ma per la mancanza di un qualunque piano credibile per affrontare questa
opzione.
A
distanza di quindici anni da allora, ecco che l’alleanza si ritrova in una
situazione simile in Ucraina:
nessuno può sapere quanto avrebbe stuzzicato
l’imperialismo russo un totale disinteresse dell’Occidente per il Paese
est-europeo.
Sappiamo però che, quando ogni ipotesi di mediazione
diplomatica è fallita, sia l'amministrazione Biden che tutti i principali
governi della Nato si sono rifiutati di entrare deliberatamente in guerra con
la Russia, né ora né in futuro.
La
maggioranza dei cittadini della Nato rifiuta questa strada, e la rifiuta sempre
più nonostante la montante evidenza degli eccidi e dei crimini di guerra degli
invasori, tra i quali la tortura di migliaia di cittadini, lo stupro su minori,
senza contare la repressione interna che ha azzerato qualsiasi voce pacifista.
Gli europei sono solidali con gli ucraini, ma
col passare del tempo si stancano di una narrazione pubblica che tende a essere
troppo manichea, e soprattutto non offre orizzonti di speranza.
È
difficile capire, per l’opinione pubblica, come possa essere stata tradito uno
dei grandi non detti del post-Guerra Fredda:
l’espansione della Nato era un affare di
diplomatici e militari, e in un mondo unipolare non avrebbe comportato
sacrifici o pericoli per i cittadini comuni.
Così la sconfitta del mostro sovietico era
stata implicitamente venduta ai parlamenti e alle opinioni pubbliche
occidentali.
Il
disastro diplomatico occidentale con l’Ucraina corrisponde alla tragedia
dell’Ucraina, Stato-cuscinetto tra imperi, con al suo interno confini sociali,
economici e culturali rimasti immutati dal crollo dell’Urss.
A una
Russia che riusciva a persuadere con la forza o con il messaggio nostalgico
solo una parte di Ucraina, quella più nostalgica, protezionista e sovietica,
l’Europa e la Nato hanno risposto proponendosi come magnete per un’altra
Ucraina che si sentiva più vicina ai Paesi baltici e alla Polonia che alla
Bielorussia.
L’incapacità,
o l’impossibilità, di coinvolgere in una piattaforma di sviluppo comune Mosca,
da parte delle cancellerie occidentali, ha antagonizzato e spaventato la Russia
e ha rafforzato i nazionalisti radicali in Ucraina, senza offrire alcuna
protezione all'Ucraina stessa.
Quel
che è peggio, il tentativo di far aderire l’Ucraina alla Nato e a una serie di
precetti austeritari di Bruxelles trovava contrari anche una fetta importante
degli ucraini, soprattutto quelli dei territori oggi occupati, che come
dimostrano i sondaggi precedenti del 2014 si erano opposti a queste ipotesi
perché esse avrebbero trasformato la Russia in un nemico mortale, li avrebbe
esposti alle ritorsioni dei «cugini», e sconvolto l’economia farraginosa e
statalista nella quale erano abituati a vivere, seppur tra miseria e
corruzione.
Eccoci
dunque al frustrante stallo di Vilnius, con una Ucraina rinviata dal club Nato
per un tempo indefinito, e sempre più radicalizzata dalle brutalità compiute
dai russe, sempre più indisposta a premiare l’azzardo criminale di Putin con
concessioni territoriali.
L’impegno ferreo per una futura adesione alla
Nato da una parte rende molto più difficile una soluzione diplomatica alla
guerra.
Al
tempo stesso, la perdurante esclusione della Russia da qualsiasi ripensamento
dell’architettura di sicurezza europea - esclusione che si è fatta
autoesclusione praticamente definitiva, a questo punto, con il riorientamento
dell’economia russa verso la Cina, rende sempre più flebili gli incentivi russi
a negoziare.
Gli
intellettuali occidentali che hanno tifato per una disumanizzazione del nemico
russo e promesso, come Beppe Severgnini, «tranquilli, vinciamo noi», hanno reso
un pessimo servizio agli ucraini e ai lettori.
Ma
cosa vorrebbe dire sconfitta, per il fronte anti-Putin?
La
perdita della Crimea e di un Donbass ormai già epurato di qualsiasi
filo-ucraino, con un trattato di neutralità ucraino e forti garanzie di
sicurezza per l’Ucraina, e l’eliminazione degli elementi più nazistoidi e
antirussi nelle forze armate ucraine sarebbe davvero il peggiore dei mondi
possibili?
Gli
ucraini, che non sono nati ieri e il vicino lo conoscono bene, hanno ragione a
ricordare che la storia del nazismo istituzionalizzato ucraino, del bilinguismo
negato e di una possibile aggressione Nato alla Russia sono scuse usate dal
Cremlino per giustificare un imperialismo straccione, interessi economici
particolaristici e una crisi identitaria nazionale.
Ma anche gli ucraini si contraddicono, quando
dicono che l'Ucraina combatte per l'Europa perché se Putin vince potrebbe
attaccare la Nato altrove, e al tempo stesso che l’Ucraina deve entrare nella
Nato senza paure, perché Putin non oserebbe attaccare la Nato.
Pur
sapendo che le posizioni ormai si sono irrigidite e avvelenate, e che
l’invasione da parte della Russia non potrà mai essere perdonata dall’Ucraina e
dal resto dell’Europa per molti anni a venire, le persone ragionevoli devono
ammettere che anche le politiche occidentali sono state disastrose, e che
l’opinione pubblica occidentale non ricorda anche solo la parvenza di una
proposta di convivenza tra superpotenze.
Eppure,
soprattutto dopo Vilnius, dovrebbe essere ovvio che non può esistere un’Europa
al sicuro dai suoi demoni nel lungo termine in Europa senza il coinvolgimento
della Russia, e senza il ripudio del lascito catastrofico dei neocon USA.
Peggio
di un’Ucraina mutilata dei suoi territori più riottosi e costretta a diventare
la nuova Israele, impegnata in una ricostruzione piena di rancore, c’è solo un
Occidente che se la dà a gambe dopo averla illusa ancora.
Virus
cinese, inarrestabile contagio
da
imbecillità per complottisti.
Remocontro.it
- Rem – (3 Febbraio 2020) – ci dice:
Italiani
in Cina di ritorno, tragedia a rischio farsa.
Coronavirus:
oltre 14.300 i contagi totali in Cina, 304 i morti.
Wenzhou si isola, chiuse tutte le strade.
Restrizioni
ai movimenti dei residenti per frenare il contagio.
Un
uomo è morto ieri nelle Filippine a causa coronavirus, primo decesso fuori
dalla Cina.
È
atteso per stamattina il volo di rimpatrio degli italiani in Cina.
A
bordo 56 italiani (dieci hanno scelto di restare).
Gli
italiani atterreranno all’aeroporto militare di Pratica di mare intorno alle 10
e da lì saranno accompagnati alla Cecchignola, ospedale militare di Roma, per
due settimane di ‘quarantena’.
Guarigioni.
Sono
già 443 in tutto il mondo le persone dimesse dopo avere contratto il
coronavirus.
La
maggior parte delle guarigioni è stata finora registrata in Cina, epicentro
dell’epidemia, ma alcuni casi sono segnalati anche in Thailandia (5), Australia
(2), Giappone e Vietnam (1 ciascuno).
Psicosi.
«Di
sicuro, sul coronavirus si stanno addensando sempre più preoccupazioni e paure.
In un certo senso, è fisiologico: ogni
epidemia genera un’ondata di paura, a maggior ragione in un’epoca interconnessa
come la nostra», annota Leonardo Bianchi sul Manifesto.
«Se
mettiamo insieme un’emergenza sanitaria globale, del giornalismo scadente, la
tuttologia che impera sui social e un pizzico di razzismo il risultato è la
bomba di disinformazione a cui stiamo assistendo sul corona virus», ma Leonardo
Bianchi è troppo buono.
Complottisti.
«Se da
un lato le autorità sanitarie nazionali stanno facendo di tutto per
tranquillizzare le popolazioni, dall’altro lato c’è chi approfitta di questo
clima di incertezza per diffondere notizie false, video decontestualizzati
(come quello dei cittadini cinesi che «cadono a terra colpiti dal morbo») e teorie
del complotto – vuoi per fini di lucro e scopi politici, o per incrementare il
traffico, o ancora per la convinzione che non ci vogliono dire come stanno
veramente le cose».
Fiction
e horror.
«Il
meccanismo è molto simile a quanto già visto con Ebola nel 2014: basta
mescolare brandelli di verità con la finzione, attingere dal vasto immaginario
dei “disaster movie” o del “survival horror” (pensiamo a film come 28 giorni
dopo, o videogiochi come Resident Evil) e seminare caos e sospetti».
Social-menzogne.
«I
social network sono i luoghi in cui certe teorie nascono e si propagano, ma è
solo grazie ai media tradizionali – in primis la televisione – che riescono ad
assumere una rilevanza di massa e diventare oggetto di discussione nella
quotidianità».
Gli
allarmismi frottola.
Il 25 gennaio il direttore di TGCom24 Paolo
Liguori ha rivelato di aver appreso da «una fonte attendibilissima» che «tutto
nasce dal laboratorio di Wuhan, in cui si conducono esperimenti militari
coperti dal più grande segreto».
Il
coronavirus sarebbe dunque un’«arma batteriologica» sfuggita al controllo dei
cinesi.
Peccato
che la «fonte affidabilissima» di Liguori non sia né una ‘fonte’, né tanto meno
sia attendibile.
«Si tratta in realtà di un articolo della
screditatissima testata americana “Washington Times “– da non confondere con il
noto “Washington Post” – in cui si dà per assodata l’origine ‘militare’ del
virus sulla base di pure congetture».
Vergogna
per Liguori e per Mediaset che ancora se lo permette.
‘Laboratorio
virus’ e l’on. 5 dubbi.
La
leggenda del «laboratorio segreto» è stata smentita più volte, ma ciò non ne ha
impedito del tutto la diffusione. Anzi.
Il 29
gennaio, l’europarlamentare del M5S Fabio Massimo Castaldo ha comunicato su
Facebook che presenterà un’interrogazione parlamentare «per conoscere a fondo
la realtà dei fatti» sul laboratorio di Wuhan (che esiste sul serio, ma non conduce
esperimenti da film degli anni ’80).
Anche
La7 inciampa.
Giovedì
30 gennaio, a ‘Coffee Break’ su La7, il cospirazionismo sulle origini del virus
cambia colpevole. «Il fondatore del partito «sovranista» Vox Italia, Diego
Fusaro, ha detto che il coronavirus ha “un’intelligente strategia
filo-atlantista perché emerge proprio nel momento di massima criticità del
rapporto tra USA e Cina e va a scompaginare il mondo cinese mettendolo in
ginocchio».
Non
esistono prove, e di certezze nemmeno l’ombra; ma poco importa:
«siamo
nel tempo delle guerre batteriologiche e delle armi chimiche di distruzione di
massa – chiosa Fusaro – quindi non trascurerei questa pista».
Forse un po’ più di prudenza nell’invito degli
ospiti aiuterebbe la qualità del giornalismo.
Poi
‘la perfida Albione’.
Un’altra
teoria del complotto sostiene che il coronavirus è stato creato da un istituto
di ricerca inglese – il “Pirbright Institute” – che produce vaccini.
Vaccino
pronto dal 2015 e l’epidemia di coronavirus per l’affare del secolo qualche
migliaia di morti dopo.
«Questa
tesi è circolata inizialmente negli ambienti antivaccinisti statunitensi ed è
arrivata in Italia su Facebook, Twitter e YouTube».
Peccato
che il “Pirbright Institute” accusato di essere peggio di “Mengele”, si occupa
di malattie infettive che colpiscono il bestiame.
65 milioni
di morti dopo.
«E non
è finita qui, perché in uno spin-off della teoria del «coronavirus brevettato»
– sempre provenienti da complottisti americani di estrema destra – il
supercattivo diventa Bill Gates:
il fondatore di Microsoft non solo ha finanziato
il “Pirbright Institute” attraverso la sua “Gates Foundation”;
ha
addirittura «previsto» l’epidemia di coronavirus, aggiungendo che ucciderà 65
milioni di persone.
Trama
assassina dell’«élite globalista» che vuole obbligare la popolazione a
vaccinarsi, «e contemporaneamente intende sterminarla per salvare il pianeta dai
cambiamenti climatici».
Balle
a ‘catena di Sant’Antonio’.
Alternativo
ai grandi complotti planetari, le catene di Sant’Antonio su WhatsApp che
lanciano scemenza in libertà e allarmi di ogni tipo.
Una invita a «non andare nei negozi cinesi
perché molti commercianti cinesi […] hanno continui contatti con la catena di
distribuzione nei loro ingrossi in Cina». Un’altra –sempre il meticoloso
Leonardo Bianchi- avverte di stare a larga dai ristoranti cinesi in Italia,
dove si mangia la «zuppa di pipistrello».
Razzismo
e caccia all’untore.
Bufale
e teorie del complotto assurde ma non innocue.
«Negli ultimi giorni si sono infatti
verificate aggressioni fisiche e verbali, e sono tornati prepotentemente di moda
antichi stereotipi razzisti sul cibo, sull’igiene e sulla predisposizione
‘malvagia’ dei cinesi».
Un
recentissimo caso di sino-fobia su un Frecciarossa.
Peggio,
due fratelli in provincia di Rovigo lasciati fuori da scuola perché i genitori
dei compagni «non vogliono bambini cinesi».
Intervista
di mons. Viganò a “Rossyia TV”.
La
Guerra, gli Usa, le Chiese.
Stilumcuriae.com – (Mag. 15, 2023) - Marco Tosatti – Arkady Mamontov – ci
dice:
Cari
amici e nemici di “Stilum Curiae”, riceviamo e ben volentieri pubblichiamo
questa intervista di mons. Carlo Maria Viganò.
Buona lettura e diffusione.
INTERVISTA
di Arkady Mamontov.
a Mons. Carlo Maria Viganò, Arcivescovo già
Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America, per “Rossyia 24 TV.”
Secondo
lei, chi e cosa ha provocato il conflitto religioso in Ucraina?
Mons.
Viganò:
Permettetemi
innanzitutto di ringraziare Arkady Mamontov, il Dottor Dmitry Toropov e la
Redazione di Rossiya, per avermi invitato con questa intervista. Rivolgo il mio
saluto a voi tutti e ai vostri telespettatori.
Sappiamo,
da un’analisi degli eventi, che la crisi ucraina è stata pianificata da anni,
sin da prima dell’Euromaidan.
A
questa operazione di “regime change” non era ovviamente estraneo il” deep state
“americano, per il tramite del Dipartimento di Stato e della CIA.
Chi si
è mosso con questa disinvoltura nell’interferire nelle questioni interne di uno
Stato sovrano considerava la questione religiosa come strumentale alla
destabilizzazione interna dell’Ucraina, e per ottenerla si è mosso, con largo
anticipo, anche su questo fronte.
Come
ottenere dunque un conflitto religioso?
Semplice:
facendo sì
che la “Chiesa Ortodossa Ucraina” si separasse canonicamente dalla “Chiesa
Russa” e fosse considerata autocefala.
Sappiamo
che nel 2018 il Dipartimento di Stato americano ha stanziato 25 milioni di
dollari al Patriarca di Costantinopoli quale incentivo per il riconoscimento
dell’autocefalia della Chiesa Ucraina in scisma dalla Chiesa Russa, che
Bartolomeo concesse a Gennaio 2019.
All’epoca
il Segretario di Stato americano “Mike Pompeo” – con un’ingerenza nelle
questioni interne alla Chiesa Ortodossa – espresse il sostegno degli Stati
Uniti alla Chiesa Ucraina.
Il
Patriarcato di Costantinopoli aveva il diritto di concedere l’autocefalia alla
Chiesa ortodossa ucraina non riconosciuta, nonostante esistesse una Chiesa
ortodossa del Patriarcato di Mosca in Ucraina, che si occupava pastoralmente
della stragrande maggioranza dei cittadini ortodossi di questo Paese?
Mons.
Viganò:
La questione, a mio parere, non è se il
Patriarcato avesse diritto di concedere l’autocefalia, ma perché lo abbia
fatto.
Se
posso fare un parallelo con la Chiesa Cattolica, mi pare che un’operazione
analoga sia stata condotta da Jorge Mario Bergoglio nei riguardi delle Diocesi
tedesche, in occasione del recente Sinodo sulla Sinodalità.
Egli
ha creato le premesse di uno scisma consentendo alle Diocesi un’autonomia in
materia dottrinale e morale che esse non hanno e non possono avere, e i Vescovi
di quelle Diocesi hanno approvato la benedizione delle unioni omosessuali, il
conferimento di ruoli ministeriali alle donne, la legittimazione dell’ideologia
LGBTQ e del gender.
E
adesso che alcuni rari Vescovi insorgono contro queste deviazioni, la Santa
Sede tace, perché era esattamente questo ciò che si prefiggeva.
Stiamo assistendo a un piano eversivo,
compiuto da colui che Cristo ha costituito Capo della Chiesa per confermare i
fratelli nella Fede, e non per diffondere l’eresia e il vizio.
Ne ha il diritto? No.
Hanno questo diritto i Vescovi tedeschi? No.
Perché
l’autorità del Papa e dei Vescovi è vincolata alla Verità insegnata da Cristo,
ed è nulla non appena se ne discosta.
Ritengo che il Patriarca di Costantinopoli
abbia agito nello stesso modo, con i medesimi scopi e ispirato dai medesimi
poteri.
Non è un segreto che tutte le decisioni a Kiev
vengano prese dopo consultazioni con gli Stati Uniti.
Oggi
stiamo assistendo a come i monaci vengono espulsi dal “Kiev Pechersk Lavra” –
non pensa che ciò violi i principi dei diritti e delle libertà religiose che gli
Stati stessi difendono?
Mons.
Viganò:
La
persecuzione da parte del governo di Kiev dei monaci, del Clero e anche dei
fedeli legati al Patriarcato di Mosca, dimostra che l’operazione è di natura
politica.
D’altra
parte, come lei stesso riconosce, le decisioni di Kiev sono prese sempre su
indicazione del deep state americano.
Se la questione fosse stata esclusivamente
religiosa, lo Stato avrebbe dovuto tenersene fuori, come dovrebbe accadere
negli Stati che si dicono “laici” e considerano Stato e Chiesa indipendenti e
sovrani.
Se il
governo di Kiev considera la Chiesa Russa in Ucraina come un’emanazione del
governo russo, con questo rivela parallelamente la convinzione che la Chiesa
Ortodossa Ucraina sia a sua volta una Chiesa di Stato asservita al governo, e
che per questo essa possa svolgere un ruolo di controllo dei fedeli ucraini.
E questo è ciò che ha fatto Pechino con
l’Accordo segreto con la Santa Sede, che nomina a capo delle Diocesi Vescovi
filogovernativi e comunisti, continuando impunemente la persecuzione contro i
fedeli della Chiesa Cattolica Romana.
Vengono
avviati procedimenti penali contro i sacerdoti in Ucraina, alcuni di loro
vengono privati della cittadinanza ucraina, le parrocchie vengono prese dagli
scismatici: a cosa ci porterà tutto questo?
Mons.
Viganò:
Questi
fenomeni sono sempre avvenuti, nel corso della Storia:
quando
il potere civile si sente “minacciato” dal potere ecclesiastico – penso ad
esempio a quanto avvenuto durante la Rivoluzione Francese e di nuovo nel 1848
in Francia e in Italia, o nella Russia comunista di Stalin, o in Messico alla
fine degli anni Venti, o in Spagna negli anni Trenta – la persecuzione del Clero è uno dei
primi modi con cui l’autorità civile cerca di reprimere il dissenso.
D’altra
parte i Cristiani sono sempre stati perseguitati dai regimi totalitari, perché
il Vangelo è considerato pericoloso per chi vuole sostituire la legge di Dio
con la legge degli uomini.
Potrebbe
nominare gli scismi della Chiesa che sono avvenuti nella storia del mondo e a
cosa hanno portato?
Mons.
Viganò:
Citerei
il caso emblematico dello scisma anglicano, che nasce non tanto da una
questione teologica, ma dalla volontà di Enrico VIII di sottrarsi all’autorità
spirituale del Romano Pontefice e divorziare dalla sua legittima consorte
Caterina d’Aragona.
Con
questo atto di sopraffazione del potere temporale sul potere spirituale il
sovrano inglese si dichiarava “capo supremo in terra della Chiesa
d’Inghilterra”, col vantaggio di appropriarsi dei beni e delle entrate sino ad
allora spettanti alla Santa Sede e di controllare le nomine dei Vescovi.
Una simile operazione era avvenuta pochi anni
prima in Germania, dove i Principi tedeschi appoggiarono l’eretico Martin
Lutero non tanto perché condividessero i suoi errori dottrinali, ma perché
vedevano in essi un pretesto per incamerare i beni della Chiesa.
Sia per la pseudo riforma protestante, sia per lo
scisma anglicano, l’autorità civile si costituiva un contraltare ecclesiastico
all’autorità del Papa e dei Vescovi, così da indebolirne il potere e rafforzare
il proprio.
Le
autorità secolari hanno il diritto di interferire negli affari della Chiesa?
Mons.
Viganò:
Rispondo
con le parole di Cristo:
Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio
quel che è di Dio (Mt 22, 21).
Questo precetto ci insegna che l’autorità
civile e quella religiosa hanno due campi di azione ben distinti e separati:
da un
lato il buon governo dello Stato per la concordia dei cittadini e dall’altra il
governo dei fedeli per la loro santificazione.
Sono due finalità distinte, una temporale e una
spirituale;
ma entrambe le autorità devono avere comunque
Cristo come modello:
Cristo
Re per i governi civili, e Cristo Pontefice per la Chiesa.
La
Rivoluzione – tanto
quella del Liberalismo massonico quanto quella del Comunismo ateo –
ha
sovvertito quest’ordine sociale, ed è per questo che da due secoli – e prima
ancora nella Germania divisa dall’eresia protestante – le autorità secolari
hanno interferito nelle questioni della Chiesa.
Ciò è
dovuto all’aver fatto derivare il potere temporale dal popolo, sottraendolo a
Cristo:
da una
parte, deificando l’individuo (come vuole l’ideologia liberale) e dall’altra
deificando la collettività (come vuole l’ideologia comunista).
Oggi
assistiamo all’alleanza tra questi due errori – che sono teologici, oltre che
filosofici e politici – nella divinizzazione dell’élite sinarchica del Nuovo
Ordine Mondiale, che unisce il relativismo liberale e il liberismo economico al
collettivismo socialista - comunista.
E
questa alleanza infernale – che in Occidente sta distruggendo il tessuto
sociale e religioso delle Nazioni – è necessariamente anticristiana e
anticristica, perché nega la Signoria di Cristo sui singoli e sulle società.
È
satanica, come evidenziato recentemente dal Presidente Vladimir Putin.
Le
agenzie di intelligence statunitensi cercano di controllare le organizzazioni
religiose?
Mons.
Viganò:
Non conosco quale sia il coinvolgimento
dell’Amministrazione Biden e dei servizi segreti nelle vicende religiose
ucraine.
Sappiamo
invece, dalle mail di “John Podestà” pubblicate negli scorsi anni, che il deep
state americano ha avuto un ruolo determinante nel provocare una “rivoluzione
colorata” in seno alla Chiesa Cattolica, giungendo ad auspicare un cambiamento
della dottrina e della morale, da ottenersi tramite la sostituzione di Papa
Benedetto XVI con un Papa progressista.
Ricorderete
che, alla vigilia dell’abdicazione di Papa Ratzinger la lobby finanziaria
globale aveva bloccato le transazioni bancarie del Vaticano, e che
immediatamente dopo il 11 Febbraio 2013, il sistema SWIFT fu riattivato.
L’azione del “deep state” fu aiutata dalla “deep
church”, che come ammise il defunto Cardinale “Godfried Danneels”, allora
Arcivescovo di Malines-Bruxelles, organizzò tramite la cosiddetta “Mafia di San
Gallo” l’elezione di Bergoglio. Il quale, a differenza di Benedetto XVI, è
totalmente allineato all’ideologia globalista.
Non
parlerei quindi di un’azione degli Stati Uniti, ma di quella parte corrotta e
eversiva – che viene detta per brevità “deep state” – che ha preso il potere in
America e in quasi tutte le Nazioni aderenti alla NATO, all’Unione Europea, all”’OMS”,
al “World Economic Forum” di Klaus Schwab.
E questo stesso argomento, a mio parere, vale anche
per l’Ucraina, il cui corrotto regime – appoggiato da movimenti estremisti di
chiaro stampo neonazista – si è asservito all’élite globalista per interessi
personali, mentre il popolo ucraino viene mandato al macello in prima linea in
una guerra che si sarebbe potuta evitare semplicemente facendo rispettare gli
accordi di Minsk.
Cosa
ha guidato il “Patriarca Bartolomeo” di Costantinopoli nel concedere
l’autocefalia alla nuova Chiesa in Ucraina?
Abbiamo
la sensazione che stesse seguendo gli ordini del Dipartimento di Stato USA o
della CIA...
Mons.
Viganò:
Il
Patriarca di Costantinopoli “Bartolomeo” è ben noto per essere totalmente
asservito al disegno dell’ONU e dell’élite globalista:
non è
un caso che sia in ottime relazioni con “Jorge Mario Bergoglio”.
Sappiamo
bene che la sede di Costantinopoli è da tempo nelle mani della Massoneria:
erano
insigniti del 33° grado del Rito Massonico Antico Scozzese e Accettato tanto il
Patriarca” Atenagora” quanto il suo predecessore” Meletios Metaxakis”, e in
ambienti massonici si è più volte ventilato che anche “Giovanni XXIII”,
quand’era Nunzio apostolico a Istanbul, sia stato affiliato a una Loggia.
Non mi stupisce quindi che “Bartolomeo”,
obbedendo agli ordini del “deep state” – che controlla il “Dipartimento di
Stato americano e la CIA” – possa aver riconosciuto l’”autocefalia della Chiesa
Ortodossa Ucraina” non per ragioni canoniche, ma politiche;
esattamente per lo stesso motivo per cui “Paolo
VI”, nel 1964, soppresse in chiave ecumenica il “Patriarcato Latino di
Costantinopoli”, eretto nel 1205.
Ricordo
che il 3 Novembre 2009 l’allora Presidente americano “Barack Obama” incontrò il
“Patriarca Bartolomeo I”, per parlare di «salvaguardia dell’ambiente» e per promuovere
la riapertura della” scuola teologica ecumenica di Halki”, in Turchia, dopo i
falliti tentativi negli anni Novanta da parte di “Madeleine Albright” e “Bill
Clinton”.
Se ho ben compreso le dinamiche interne
all’Ortodossia, la Chiesa Russa costituisce per così dire la parte
“tradizionalista” della compagine Ortodossa, mentre quella di Costantinopoli è
“progressista”, infiltrata dalla Massoneria, manovrata dal “deep state” e
favorevole al dialogo interreligioso e perfino all’”ideologia ambientalista”:
sembra
di vedere la versione “fanariota” del Vaticano di “Bergoglio”.
Faccio
notare che il” movimento ecumenico” – volto a preparare l’avvento della “Religione
dell’Umanità “auspicata dalla “Massoneria” – iniziò nell’ “Ottocento con i
Protestanti” e come tale fu severamente condannato dai “Romani Pontefici” fino
al “Concilio Vaticano II”, per poi allargarsi negli anni” Sessanta del
Novecento “alla Chiesa Cattolica e alla Chiesa Ortodossa, avvalendosi di
massoni infiltrati ai vertici delle rispettive Gerarchie.
E
quando parliamo della” Massoneria”, parliamo di élite globalista e di Nuovo
Ordine Mondiale.
Qual è
la sua posizione nei confronti dell’operazione militare speciale?
Mons.
Viganò:
Credo
che ciascuno di noi sia in grado di comprendere quanto è avvenuto in Ucraina
negli ultimi anni, semplicemente sulla base dei fatti.
È un fatto che la NATO si era impegnata a non
espandersi a Est;
è un
fatto che la rivoluzione di “Euromaidan” è stata condotta con il supporto del “deep
state” americano, in particolare di “Victoria Nuland “e di altri suoi complici;
è un fatto che il “Protocollo di Minsk” non è stato rispettato, e abbiamo
sentito leader di spicco come l’ex-Cancelliera” Angela Merkel” o
l’ex-Presidente francese “François Hollande” ammettere che lo scopo di
quell’accordo era di dar tempo all’Ucraina di armarsi;
è un fatto che alla vigilia dell’operazione
militare speciale la “Federazione Russa” aveva chiesto di rispettare l’”indipendenza
del Lugansk e del Donetsk”, assieme all’autonomia del “Donbass”.
Se il
Presidente Vladimir Putin ha deciso di difendere i russofoni dalle ripetute e
continue aggressioni del governo di Kiev, questo non è certo avvenuto
all’improvviso.
Al
contrario, mi pare evidente che fosse esattamente questo che la NATO voleva
ottenere, dopo oltre un decennio di provocazioni.
Chi,
secondo lei, ha provocato la guerra in Ucraina?
Mons.
Viganò:
La guerra in Ucraina è stata pianificata sin
dalla “rivoluzione colorata” del 2014, alla quale non fu estraneo nemmeno il
sedicente filantropo” George Soros”, assieme all’ “intera cabala globalista”.
Chi ha voluto la guerra doveva da un lato
sostituirsi alla Federazione Russa nella fornitura di energia alla maggior
parte dei Paesi europei per poi subentrarvi con una operazione di scandalosa
speculazione:
il costo del gas, oggi fornito dagli Stati
Uniti, è enormemente superiore a quello a cui era venduto prima del Febbraio
2022.
Ma
questo era strumentale a due obiettivi paralleli.
Il primo
era impedire un’alleanza tra le Nazioni europee e la Federazione Russa,
balcanizzandola e cercando di isolarla tramite operazioni di “regime change” e
tramite “primavere colorate”, come avvenuto in Ucraina e come si è provato a
fare in Georgia.
Questo
primo obiettivo è fallito, com’è fallito il tentativo di far cadere il
Presidente Putin.
Al
contrario, stiamo assistendo alla “costituzione di un mondo multipolare”, ad
esempio con i “BRICS”, in cui la de dollarizzazione sta mettendo nell’angolo
gli Stati Uniti.
Ma
questo processo non dovrebbe a mio parere far pagare al popolo americano le
colpe di un governo eversore asservito all’élite globalista.
Il
secondo obiettivo doveva essere la distruzione del tessuto economico
dell’Europa – non solo in chiave anti-russa – per consentire che le sanzioni si
ritorcessero anzitutto contro i Paesi dell’Unione Europea, indebolendoli e
costringendoli forzatamente alla cosiddetta “transizione green”, basata sulla “frode
del cambiamento climatico”.
Ma per
giungere a questo, dopo le prove generali con la” farsa pandemica dei due anni
precedenti”, occorreva che alla Casa Bianca vi fosse un fantoccio del” deep
state”, ed era quindi necessario estromettere il “Presidente Donald Trump con
la frode elettorale”.
Tra
l’altro Joe Biden, essendo ricattabile per via degli scandali suoi e di suo
figlio, aveva tutto l’interesse di nascondere il proprio coinvolgimento nei bio
laboratori ucraini e forse anche negli orrori del traffico di minori per
alimentare la lobby internazionale dei pedofili, della predazione di organi e
il lucroso mercato delle maternità surrogate.
Ciò è
stato possibile grazie ad un vero e proprio “colpo di stato globale”, condotto
con la cooperazione di molti governi, i cui leader sono significativamente
emissari del “World Economic Forum” di Klaus Schwab e di altri enti privati
sovranazionali, tutti gestiti da una ben identificabile cupola di eversori
privi di legittimazione popolare, con l’appoggio di gruppi finanziari
altrettanto identificabili.
I
popoli occidentali – salvo rarissime eccezioni – sono ostaggio di governanti
venduti all’élite globalista, che ha come scopo l’instaurazione di una
sinarchia totalitaria che prelude all’instaurazione del regno dell’Anticristo.
Da
questo comprendiamo anche l’odio verso Dio, verso la religione, la famiglia, la
vita.
In
precedenza ha prestato servizio negli Stati Uniti. Qual è la sua impressione su
questo paese?
Mons.
Viganò:
L’America
è una Nazione relativamente giovane, se la confrontiamo con i millenni di
storia di altre Nazioni.
Questo
implica due considerazioni, una positiva e una negativa.
Quella positiva è che vi è una certa ingenuità nella
coscienza del popolo, che è e rimane essenzialmente ancorato a “valori” – non
li chiamerei “principi” – tradizionali: la Famiglia, la Patria, la Religione.
Quella negativa è che l’assenza di una solida eredità
spirituale e culturale è spesso colmata da un pensiero non identitario, e
spesso incline a lasciarsi contaminare dall’ideologia liberale e massonica che
domina le classi dirigenti e in particolar modo la “sinistra Dem, comunista”.
Inoltre,
vi è una sorta di persuasione che l’America sia in qualche modo lo “sceriffo
del mondo”, e questo si scontra con la legittima sovranità delle altre Nazioni.
L’attuale
crisi economica e politica provocata dal colpo di stato del “deep state” potrà
aiutare gli Americani a prendere coscienza della necessità di una profonda
riforma interna.
Questa riforma sarà certamente possibile se il
Presidente Donald Trump verrà rieletto e potrà liberare questa grande Nazione
facendola entrare nell’alleanza multipolare dei popoli.
Ancora
una volta è l’autorità che deve tornare ad essere un servizio alla comunità per
il bene comune, e non uno strumento di accentramento di un potere eversivo che
nessuno ha eletto e nessuno vuole.
Qual è
il più rilevante principio etico degli Stati Uniti?
Mons.
Viganò:
Questa
è una domanda semplice e complessa allo stesso tempo.
Direi che il principio etico degli Stati Uniti
risente fortemente della mentalità protestante, che si è instaurata in America
nell’Ottocento grazie appunto, come dicevo, allo strapotere della Massoneria.
I
Cattolici americani – e immagino anche gli Ortodossi – si sono abituati a
convivere con questa idea, che si traduce in un primato dell’azione e del
successo imprenditoriale rispetto al pensiero filosofico e alla cultura “non
monetizzabile”.
Nella
mentalità protestante, il successo economico è un segno di predestinazione, e
come tale finisce per legittimare – come ha effettivamente fatto – anche la
vessazione dei deboli, considerati “perdenti”, “looser”, e come tali non
predestinati da Dio alla salvezza.
Non è
un caso che la ricchezza sia concentrata nelle mani dei “WASP” – “White,
Anglo-Saxon, Protestant” – e che molti immigrati, ad esempio Irlandesi o
Italiani, abbiano avuto sempre un ruolo marginale.
Questa tendenza conobbe un’inversione di rotta
negli anni Cinquanta, quando sotto il” glorioso Pontificato di Pio XII il
Cattolicesimo americano” conobbe un significativo risveglio e le conversioni
alla Chiesa di Roma aumentarono enormemente.
Purtroppo
questa parentesi si chiuse con il “Concilio Vaticano II”, che rappresentò in
qualche modo una protestantizzazione almeno parziale dei Cattolici, e diede
luogo a quell’alleanza nefasta tra “deep state americano” e “deep church”, tra
i cui esponenti possiamo contare personaggi politici come Joe Biden, Nancy
Pelosi, John Kerry e personaggi ecclesiastici come l’”ex Cardinale McCarrick”,
i cui “eredi” sono tuttora ben radicati nelle istituzioni ecclesiastiche.
Va
riconosciuto che l’”apostasia della chiesa bergogliana” ha aperto gli occhi a
molti fedeli:
stiamo assistendo, in America, al risveglio di
molti Cattolici che si riconoscono nella “Fede tradizionale”,
significativamente nel momento in cui essi sono fatti oggetto di una
persecuzione congiunta della “deep church” e del “deep state”, al punto che
l’FBI li tiene sotto controllo considerandoli “domestic terrorists”.
La situazione della “Chiesa Russa in Ucraina”
è per certi versi speculare – ma molto più grave – a quella che ho appena
descritto.
E cosa
spinge i politici americani a scatenare le guerre nel mondo – Siria, Libia,
Iraq, Jugoslavia, Ucraina...?
Mons. Viganò:
Come
ho detto, si tratta di personaggi politici appartenenti al “deep state”,
infiltrati in tutte le istituzioni dello Stato e nei media.
Il
loro potere è enorme, come enormi sono i loro mezzi economici, perché
finanziati da gruppi di investimento potentissimi come “BlackRock” e “Vanguard”,
nelle mani di un numero ristretto di “famiglie askenazite” – come “askenazita”
è lo stesso Zelenskyj.
Il
loro obiettivo è il potere, visto che il denaro lo creano e lo possiedono già.
Un
potere che deve diventare globale, come vediamo accadere oggi, e che per
realizzarsi nel “Nuovo Ordine Mondiale”, richiede necessariamente la
distruzione del Cristianesimo, anche di quello protestante.
Vi è
inoltre un’alleanza tra potere ideologico e potere economico, ossia tra chi
vuole dominare il mondo per instaurare la “tirannide sinarchica” e chi ha come
scopo il mero profitto.
Per
questa ragione le guerre promosse dagli Stati Uniti e dalla NATO nel corso del
Novecento e di questo secolo sono state progettate in vista del governo unico
mondiale e della cancellazione delle sovranità nazionali, ma sostenute da chi
in quei conflitti vedeva e vede enormi opportunità per arricchirsi e per
indebolire gli altri Stati.
Le
denunce di parlamentari ucraini sulla corruzione del governo di Kiev e
sull’arricchimento personale dei suoi membri – che continuano a ricevere somme
esorbitanti dal traffico di armamenti e da altre attività illecite – dimostrano
che coloro che ricoprono ruoli di potere nelle nazioni occidentali si trovano
in gravissimo conflitto di interessi anziché tutelare i cittadini.
Gli
Stati Uniti sono un Impero del Bene?
Mons.
Viganò:
Non
credo vi siano Nazioni che possano oggi rivendicare questo titolo, e certamente
non gli Stati Uniti, finché rimangono ostaggio degli eversori del “deep state”,
dell’”ideologia woke”, della “teoria LGBTQ” e di tutte le aberrazioni che
conosciamo.
Certo,
ogni Nazione – essendo composta da persone che possono essere buone e orientate
al bene – può essere usata dalla Provvidenza di Dio per i Suoi piani.
Anche
l’Impero Romano, che pure perseguitò i Cristiani, creò con le sue conquiste le
premesse per la diffusione del Vangelo nel mondo.
Ma questo compito non è appannaggio esclusivo
di una Nazione.
La Federazione Russa, ad esempio, si sta
ponendo in questo momento come un argine al “Great Reset”, quantomeno
nell’opporsi alla perversione dei costumi e alla corruzione dei popoli portata
avanti dall’ideologia globalista.
A mio
parere sarebbe auspicabile che questa comune opposizione al “Nuovo Ordine
Mondiale” fosse affrontata non accentrando il potere e riducendo i propri alleati a
vassalli o a colonie, come fa la NATO, bensì riscoprendo l’importanza
delle sovranità nazionali, della comune eredità cristiana, del comune
patrimonio di cultura e civiltà che in duemila anni è stato promosso e reso
fecondo dalla Fede in Gesù Cristo.
Se i
popoli riconoscono Gesù Cristo come loro Re; se le leggi delle Nazioni sono
conformi ai Comandamenti di Dio e alla Legge naturale inscritta nel cuore di
ogni uomo, esse non hanno bisogno di sopraffarsi, né di affermare il proprio
potere sulle altre.
L’ordine
cristiano, a prescindere dal sistema di governo che i cittadini si scelgono, è
l’unico che tuteli il bene comune di tutti i popoli, recando loro la luce del
vero Dio.
D’altra
parte, la pretesa “laicità dello Stato” si è dimostrata essere una frode, con
cui si emargina il Cristianesimo dalla società per sostituirlo con” la
religione globalista dell’ecologismo”, della “cancel culture”, della “sostituzione
etnica”, della “dittatura sanitaria”.
Credo
sia questo l’approccio “multipolare” a cui si richiama spesso il Presidente
Putin:
rispettare
l’identità e le libertà dei popoli, uniti dalla comune eredità cristiana.
Sembra
che nessuno cerchi più di evitare il peccato.
Il peccato sta diventando parte della norma
nel mondo di oggi?
Potrebbe fare degli esempi?
Mons.
Viganò:
Evitare il peccato implica riconoscere una norma
morale trascendente, e di conseguenza un divino Legislatore.
Significa,
in sostanza, condurre la vita privata e pubblica nell’ambito dell’ordine
soprannaturale che Dio ha stabilito.
Da due secoli ormai gli Stati hanno rifiutato
di riconoscere pubblicamente la Signoria di Cristo sulle società.
L’Occidente
cristiano si è dovuto confrontare con un processo di secolarizzazione che ha
coinvolto – e visto anzi come protagonista – quella” deep church” che si è
infiltrata sino ai vertici della Chiesa Cattolica, e che con il “Concilio
Vaticano II” ha sostanzialmente cancellato la dottrina della Regalità Sociale
di Nostro Signore, riducendo la pratica della Fede ad una questione privata,
come già accaduto quattro secoli prima con l’eresia protestante.
Questa
secolarizzazione ha avuto come esito il venir meno dell’ordine sociale che
consentiva ai singoli fedeli e cittadini di vivere secondo i Comandamenti, e ha
quindi favorito il dilagare dell’immoralità, del peccato, della corruzione.
Perché
dove lo Stato non tutela la Morale pubblica, ed anzi promuove tutto ciò che è
contrario alla Legge di Dio e di natura, è estremamente difficile rimanere
fedeli alla pratica religiosa.
E
questa è l’ulteriore dimostrazione che la laicizzazione della società non aveva
come scopo il garantire libertà alle religioni non cristiane, ma di scardinare
l’ordine sociale e cancellare ogni retaggio cristiano non solo dalle leggi, ma
anche dalla vita quotidiana.
Qualsiasi
scissione nella chiesa porta le persone ad allontanarsi da Dio.
L’”agenda
LGBT” e la legittimazione di tutto ciò che in precedenza era considerato un
peccato hanno un effetto dannoso.
Mons.
Viganò:
Non vi
è dubbio che le divisioni sono opera del diavolo, principe della rivoluzione e
del caos.
La Santa Chiesa, come sappiamo e crediamo, è
una, ossia unica, come unica è l’Arca che Cristo ha posto in terra per la
salvezza degli uomini.
Se il corpo ecclesiale patisce le ferite della
divisione e dello scisma, ciò avviene perché il Nemico del genere umano –
Satana – vuole trascinare con sé quante più anime possibile nella dannazione
eterna.
Separarsi
dalla Santa Chiesa significa abbandonare la famiglia soprannaturale nella quale
siamo stati concepiti alla Grazia, credendo di poterci difendere con mezzi
umani dall’assalto furioso del Nemico.
Significa
credere di poter rinunciare alla verità dell’eterno Padre incarnata nel divin
Figlio e vivificata dallo Spirito Santo.
Ma
questo è un grave peccato di orgoglio che ci rende ancora più deboli nel
resistere al male.
In
Germania c’era uno slogan: la Germania soprattutto.
In Ucraina,
l’Ucraina è al di sopra di tutto.
Non
pensa che ci siano molte somiglianze?
Perché
l’Occidente sostiene i nazionalisti ucraini?
Mons.
Viganò:
“Deutschland
über alles” era una frase patriottica dell’inno dell’”Impero Absburgico”, che
poi il “Nazionalsocialismo” ha fatto propria in chiave ultranazionalista,
conformemente a quell’eredità protestante cui accennavo poc’anzi che pone lo
Stato al di sopra di tutto.
Ma mentre l’”Impero Austroungarico”, pur
essendo cattolico, riconosceva libertà ai popoli e alle culture che lo
componevano – secondo i principi cristiani di buon governo – il totalitarismo nazista mirava a
creare le basi ideologiche che legittimassero una supremazia etnica – quella
della razza ariana – al di sopra dei popoli.
Questa
visione, dopo decenni di deplorazione degli eccessi del Nazismo, è oggi tornata
in auge in una chiave ancor più distruttiva, perché attribuisce una superiorità
morale alla “religione globalista”, all’”ideologia woke”, alla “cancel culture”,
facendo sì che tutto ciò che non è conforme ai precetti di questo “pensiero
totalitario” sia considerato eretico, e che quanti non si adeguano ad esso
siano indegni di far parte del consorzio civile.
Non
c’è da stupirsi se” i principali teorizzatori di questa ideologia” siano legati
culturalmente e in certi casi addirittura da rapporti di parentela con gli
ideologi del Nazismo.
A
titolo di esempio, “Adolf Heusinger”, capo dell’”Operationsabteilung dal 1940 “che
aiutò Hitler nella pianificazione delle invasioni di Polonia, Norvegia,
Danimarca e Francia,” dal 1961 al 1964 fu presidente del Comitato della NATO a
Washington”.
E quel
che maggiormente sconcerta è che questa riproposizione di “principi neonazisti”
sia sostenuta e finanziata dal “mondo askenazita”, di cui sono esponenti molti
leader politici e personaggi di spicco del globalismo, con l’apporto di
movimenti neocon filosionisti, presenti soprattutto negli Stati Uniti e legati
al “deep state” americano.
Cosa dovrebbero prendere in considerazione i
politici quando prendono decisioni nel nostro tempo? Su cosa dovrebbero basare
le loro decisioni?
Mons. Viganò:
Il
ruolo dei politici, ieri come oggi, è di impegnarsi per il buon governo e per
la difesa dei propri concittadini dal colpo di stato globalista.
A ciò
sono chiamati indistintamente tutti i politici di tutte le Nazioni, ma in
particolare di quelle che si trovano ostaggio dell’élite eversiva del Nuovo
Ordine Mondiale. Essi dovrebbero chiedersi: Cosa dirò a Cristo, quando mi
troverò dinanzi a Lui per essere giudicato?
Occorre
– lo ripeto da tempo – che si costituisca un’”Alleanza Antiglobalista” che
unisca tutti i popoli, con i loro leader, in un’azione di opposizione e
resistenza all’instaurazione del “Nuovo Ordine Mondial”e, al “Great Reset”,
all’”Agenda 2030”, ai suoi punti programmatici.
Questa Alleanza dovrebbe avere come scopo la
denuncia del colpo di stato globale e dei suoi artefici, la riappropriazione
delle sovranità nazionali (ivi compresa la sovranità monetaria) e il
boicottaggio sistematico di tutto ciò che erode le libertà individuali
imponendo modelli e stili di vita distruttivi.
È
indispensabile porre un freno alla “follia del gender”, alla “corruzione dei
bambini”, alla “dissoluzione della famiglia”, alla “cancellazione della civiltà
cristiana”, alla” schiavizzazione degli individui. “
Occorre
parimenti che chi governa lo Stato non sia ricattato dalle” lobby finanziarie”
o da “gruppi di potere più o meno occulti”, punendo con leggi severe i “conflitti
di interesse” che rendono possibile il tradimento dei popoli.
Questa
Alleanza sarebbe a mio parere un’ottima premessa per il ristabilimento della
pace nelle Nazioni, oggi dilaniate dai “conflitti causati dall’élite globalista”,
e potrebbe unire in questa battaglia di verità e di libertà anche “i leader
politici di Paesi i cui governi si dichiarano oggi nemici della Federazione
Russa e dei suoi alleati”.
Perché
l’umanità, nel corso della sua storia plurimillenaria, non ha imparato a vivere
senza guerre?
Mons.
Viganò:
L’umanità
potrebbe e vorrebbe vivere senza guerre:
il
crollo del consenso popolare per i leader guerrafondai della NATO e le
centinaia di manifestazioni contro la guerra in Ucraina (tra le altre) che si
tengono in molti Stati europei ne sono la prova.
Ma finché la guerra verrà considerata come uno strumento
non per ripristinare la giustizia o difendersi da un attacco (poiché in questo
caso sarebbe legittima) ma per imporre un modello distopico di società
tirannica in vista del “Nuovo Ordine Mondiale” ai danni dei cittadini, nessuno
di noi potrà sottrarvisi e ne saremo tutti vittime.
Ripeto:
l’eliminazione dell’élite eversiva globalista
è imprescindibile in vista di una pacifica convivenza tra i popoli.
L’ha
detto anche il Presidente Donald Trump recentemente, e mi pare che una tale
dichiarazione lo renda un interlocutore previlegiato del Presidente Putin per
aprire un tavolo di pace che abbia come scopo principale l’estromissione degli
emissari del “deep state” e del World Economic Forum di Klaus Schwab dai governi nazionali e dalle
organizzazioni sovranazionali, che del “deep state “sono una pericolosa
emanazione.
Il
nostro programma sarà visto sia in Russia che in Ucraina, quindi cosa vorrebbe
dire in conclusione?
Mons.
Viganò:
Come
Vescovo e Successore degli Apostoli, mi rivolgo ai Russi e agli Ucraini nel nome
di Gesù Cristo Re e della Tutta Santa Madre di Dio, Aiuto dei Cristiani.
Pregate
con fede, in questo periodo benedetto in cui celebriamo i Santi Misteri della
Passione, Morte e Resurrezione del Salvatore, per implorare la pace;
una
pace che non può che venire da Cristo, Principe della Pace.
Siate
consapevoli che la minaccia che incombe sul mondo viene dall’abbandono dei
Comandamenti di Dio, dalla ribellione alla Legge eterna voluta dal Signore per
il nostro bene e per la nostra salvezza eterna.
Il Signore
ha detto: Senza di me non potete fare nulla (Gv 15, 5).
Pregate
con fiducia, cari fratelli in Cristo:
pregate la Regina della Pace, perché interceda presso
il trono di Dio e implori per tutti noi la pace vera, pax Christi in regno
Christi, la pace di Cristo nel regno di Cristo.
Pregate perché lo “Spirito Santo Paraclito”
susciti sentimenti di verità e di giustizia nei governanti di tutte le Nazioni,
portandoli ad un sussulto di dignità e di lealtà verso i loro concittadini,
inducendoli a liberarsi dalla soggezione a poteri che nessuno vuole, che
nessuno ha eletto, e che hanno come unico scopo cancellare Cristo dal mondo e
dannare le anime che Egli ha redento col proprio Sangue.
Pregate
perché il Signore susciti tra di voi leader onesti e coraggiosi che abbiano a
cuore il bene comune, e non gli interessi dei cospiratori.
Ma
soprattutto, cari Amici, iniziate da voi stessi:
fate
che il Signore regni anzitutto nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nelle
vostre comunità.
Rimanete nella Grazia di Dio, perché nessuno
potrà mai togliervi l’amicizia con il Signore, che è l’unico sommo Bene e che,
in tutte le avversità, non vi farà mai mancare il Suo santo aiuto.
Gesù
Cristo ha detto: Sarete miei amici, se farete quello che vi comando (Gv 15,
14).
Ecco:
nell’obbedienza al Vangelo è custodito il segreto perché la pace regni nei
vostri cuori e nella società.
Il Signore vi benedica tutti.
QUANDO
L’INTELLETTUALE RINUNCIA
ALLA RAGIONE. A PROPOSITO
DI
FLORES E DI “MICROMEGA”.
Lab-ips.org
– (10 aprile 2022) – Blog di Angelo D’Orsi – ci dice:
(Umanità futura: tra pandemie, guerre
e catastrofi ambientali…)
Il 4
aprile 2022 l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ha diffuso il
seguente comunicato:
“L’ANPI
condanna fermamente il massacro di Bucha, in attesa di una commissione
d’inchiesta internazionale guidata dall’ONU e formata da rappresentanti di
Paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi
sono i responsabili.
Questa
terribile vicenda conferma l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra e al
furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”.
“Questo
comunicato è osceno, e infanga i valori della Resistenza”, è l’incipit del commento di “Paolo
Flores d’Arcais,” direttore di “MicroMega”, mentre a me è parso un comunicato
di buon senso, e di civile rigore.
In un
editoriale sul sito della rivista, invece di sostenere la linea della ricerca
della verità, Flores la dà per assodata, e chiede, dopo una profluvie di insulti
ai dirigenti ANPI e di volgarità contro i russi, reclama una Norimberga per
processarli (e poi? pena di morte?):
un
editoriale di una rozzezza e di una violenza che può fare invidia ai fogli più
osceni del bellicismo italiota.
E meno
male che Flores si è sempre presentato come il campione del razionalismo
neoilluministico!
Ma che
cosa chiedeva “Romain Rolland” nel 1914 quando si scatenò nel mondo della
cultura, in tutta Europa, la canea bellicistica?
Chiedeva
agli intellettuali di stare “al di sopra della mischia”, non al di fuori, ma al
di sopra, cercando di non cedere alle passioni nazionali, e di non perdere il
lume della ragione critica.
E che
cosa invocava Antonio Gramsci, negli anni di quella stessa guerra?
La necessità della verità: ad ogni costo.
Flores
non ha dubbi, e “l’eccidio” di Timisorara, e la provetta del falso antrace di “Colin
Powel”, e le fosse comuni qua e là attribuite ai nemici di turno di USA-NATO,
non gli hanno insegnato nulla, a quanto pare.
Lui la verità ce l’ha in tasca.
Lui
rappresenta la razionalità laica.
E incarna la Verità e forse il Verbo.
Aveva
ragione il compianto padre Ernesto Balducci quando nel 1991 denunciava le
“disavventure della cultura laica”: anche allora c’era stata la levata di scudi
dei guerrafondai che incitavano a combattere il nuovo “feroce Saladino”, come
veniva presentato Saddam Hussein.
Allora
il papa (Karol Woytila) si schierò clamorosamente, convintamente, contro la
guerra (“Fermatevi, in nome di Dio!”, forse qualcuno lo ricorderà), contro
l’aggressione USA-NATO all’Iraq.
E
nessuno gli diede retta, come oggi nessuno dà retta a papa Francesco, a
cominciare dai nostri governanti pronti a farsi il segno della croce, a
genuflettersi e a cospergersi di acquasanta, e parlare di “valori”, alludendo a
quelli incarnati da Gesù Cristo.
Allora,
Flores e “MicroMega” furono in prima fila contro il papa e per la guerra.
Un
editoriale di quell’epoca, firmato da Flores, mentre gli occidentali
bombardavano un popolo, recitava: “Pacifismo, papismo, fondamentalismo: la santa
alleanza contro la modernità”.
La
modernità, invero, era proprio l’Iraq, un Paese progredito, il più “moderno”
tra i Paesi arabi, che oggi, dopo le due aggressioni di Bush padre (1991) e di
Bush figlio, del 2003, è un Paese a pezzi e dove la vita umana non vale più
nulla.
Lo
stesso dicasi per Afghanistan, Siria, Libia…
Ovunque
l’Occidente (USA-NATO-UE) abbia deciso di “esportare la democrazia” ha portato
l’inferno.
E in
tutti quei casi la propaganda è stata decisiva per giustificare interventi
militari ingiustificabili.
Quelle
distruzioni, quei morti, ricadono anche sulla testa di intellettuali che hanno
incitato, hanno approvato, hanno sostenuto.
Stupisce
che un libero pensatore, un ammiratore di Voltaire, perda in modo così plateale
proprio il lume della ragione e si scateni contro l’ANPI, rifiutando
precisamente l’esercizio della ragione.
E si lasci andare a frasi inaccettabili,
ricorrendo a termini di una pesantezza sconcertante.
Paolo, ma che ti è accaduto?
Il tuo
odio per Putin ha accecato la ragione?
Che
cosa chiede l’ANPI?
Quello che ogni persona di buon senso, in
particolare chi fa professione di intellettuale, dovrebbe avere.
Chiede
di evitare di cadere una volta ancora nelle trappole della propaganda, chiede
una commissione indipendente di inchiesta, come la stessa ONU, ridestatasi dal
letargo, ha proposto, e come la Federazione Russa ha richiesto a sua volta.
(Non del Tribunale dell’Aja, la cui attendibilità è del tutto dubbia).
E allora?
Era il
caso di scatenarsi così platealmente contro l’ANPI?
Aggiungo
che già il titolo è assurdo e offensivo (Le Fosse Ardeatine!) e la richiesta di un nuovo Processo
di Norimberga per i russi colpevoli!
Dunque
di nuovo il ricorso alla facile analogia storica che assimila Putin a Hitler, i
russi non ai tedeschi, bensì ai nazisti.
E tutto quello che stanno facendo e hanno
fatto per un quindicennio gli ucraini, contro le popolazioni del Donbass, non
dovrebbe essere preso in considerazione?
E le torture e le violenze, stupri compresi,
praticati ora, non nel 2014, dall’esercito ucraino e non solo dal Battaglione
Azov, torture e violenze documentate, non vanno tenute in nessun conto?
Ma come si può smarrire in tal modo il senso
critico?
Persino
l’impaginazione con una foto del presidente ANPI, Gianfranco Pagliarulo, un po’
buffa, vorrebbe essere uno sberleffo volgare.
E come non sottolineare che Flores nella sua
violenta e sgangherata requisitoria si lasci andare a espressioni di un
razzismo insopportabile?
Ecco un esempio della sua prosa, degna di
Giampaolo Pansa quando denigrava i partigiani:
“Le
“truppe ‘asiatiche’ di Putin”, i russi “macellai”, massacratori, violentatori,
i quali “costretti a ripiegare perché respinti dalla resistenza eroica delle
inferiori armi ucraine, sfogano sui civili inermi la loro bestiale frustrazione
di “liberatori” mancati, la loro mostruosa rabbia di “trionfatori” sconfitti:
trucidare vecchi, violentare donne prima di
sterminarle, e l’orrore vieta di dire il destino di alcuni bambini”.
In
calce pubblico l’intero articolo.
E dico
a Flores:
Caro
Paolo, certo, su “MicroMega” hai ospitato anche voci dissenzienti, ma questo
tuo Editoriale per quanto mi riguarda è talmente orrendo, che mi sento
obbligato a rompere ogni rapporto con la rivista, dopo 18 anni di
collaborazione strettissima.
Se
questo è l’antifascismo, e non quello dell’ANPI, io sto con l’ANPI (o con la
sua parte maggioritaria, che difende i valori della pace);
se la
tua è manifestazione di esercizio critico della ragione, io me ne dissocio.
E ti
dico che tu hai voltato le spalle a quella cultura del dubbio critico che mi ha
insegnato il mio Maestro Bobbio.
#IOSTOCONLANPI
Ecco
il testo dell’Editoriale di Flores d’Arcais, che fornisco anche come documento
per gli storici del futuro.
Appurare
cosa davvero è avvenuto?
Non
bastano le testimonianze di ogni genere, che si confermano e rafforzano a
vicenda?
I
racconti dei sopravvissuti, che hanno visto coi loro occhi la mattanza, la
documentazione sconvolgente dei fotografi e dei giornalisti sul campo, le
riprese aeree dei giorni precedenti che inchiodano i macellai di Putin?
Questa
frase del vergognoso comunicato dell’ANPI non rappresenta un esercizio di
dubbio critico ma una sciagurata volontà di spacciare per incerto ciò che è
orrendamente lapalissiano: la barbarie delle truppe di Putin, la “normalità” che per
esse costituisce abbandonarsi ai crimini di guerra.
I 410
cadaveri di civili trucidati fin qui recuperati sono le Fosse ardeatine
dell’Ucraina.
Il
sangue innocente che esige per Putin e i suoi boia un processo di Norimberga.
Perché
è avvenuto? Veramente i dirigenti dell’ANPI non capiscono? Sono davvero così
imbecilli, o preferiscono invece avvolgere nella nebbia di un interrogativo
insensato l’evidenza del comportamento delle truppe “asiatiche” di Putin?
Gli
scherani macellai del suo disegno zarista, quando non riescono a sfondare, e
sono anzi costretti a ripiegare perché respinti dalla resistenza eroica delle
inferiori armi ucraine, sfogano sui civili inermi la loro bestiale frustrazione
di “liberatori” mancati, la loro mostruosa rabbia di “trionfatori” sconfitti:
trucidare vecchi, violentare donne prima di sterminarle, e l’orrore vieta di
dire il destino di alcuni bambini.
Chi
sono i responsabili? E per caso Gesù Cristo non sarà morto di freddo,
ponzipilati dell’ANPI?
Veramente
si rimane sbigottiti, e stomacati oltre ogni possibile aggettivo, da un tale
baratro di ipocrisia.
Il responsabile nel senso del mandante si
chiama Vladimir Putin, lo sa chiunque abbia occhi per vedere e orecchi per
intendere, e lo sanno anche i sassi.
Ma si
conosce anche l’esecutore, il tenente colonnello Omurbekov Azarbek
Asanbekovich, comandante dell’unità di fucilieri motorizzati 51460 della 64a
brigata.
Di
fronte al disgusto che le ignobili parole del comunicato dell’ANPI hanno
provocato anche in parte del campo “pacifista”, il presidente
dell’associazione, “Gianfranco Pagliarulo”, ha dettato all’Ansa una
precisazione che entra di diritto nella serie “peggio el tacon del buso”.
Detta
Pagliarulo:
“Sappiamo
benissimo chi è l’aggressore, l’abbiamo sempre denunciato e condannato, anzi
siamo stati probabilmente tra i primi a condannare l’invasione”.
Però
nel comunicato si “condanna fermamente il massacro”, come fosse ancora anonimo,
e ci si chiede di “appurare cosa è avvenuto”, e il perché, e i responsabili,
che è un po’ il contrario di far credere di aver fin dall’inizio indicato in
Putin e nel suo esercito i massacratori di civili di Bucha.
E
infatti, anche nella “precisazione”, Pagliarulo dice che “sappiamo benissimo
chi è l’aggressore” nel senso dell’inizio della guerra, ma non può dire
“sappiamo benissimo e l’abbiamo detto, chi erano i responsabili della
carneficina di civili a Bucha”.
Naturalmente
una commissione d’inchiesta del Tribunale internazionale dell’Aja non solo è
necessaria, ma è già iniziata, perché si tratterà di individuare le
responsabilità individuali dei vari ufficiali e soldati, ma non quelle di Putin
e del suo tenente colonnello, più che acclarate.
E
quest’ultimo, comandante dell’unità dei massacratori, mai potrà opporre la
giustificazione sempre avanzata dai criminali nazisti: obbedivo agli ordini.
I tribunali internazionali sui crimini di
guerra di tali “giustificazioni”, almeno per i comandanti e gli alti ufficiali,
hanno fatto da tempo giustizia.
Il
carattere disgustosamente ponzio pilatesco della posizione dell’ANPI è del
resto confermata dalla frase finale del comunicato, che il presidente “Pagliarulo”
non ha nemmeno provato a correggere:
“Questa
terribile vicenda conferma l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra e al
furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”.
La mattanza di civili ucraini da parte delle
truppe di Putin diventa una sfocata, indeterminata e anonima “terribile
vicenda”.
“L’orrore”
diventa quello di una ancor più nebbiosa e indecifrabile “guerra”, non di una
“invasione imperialistica mostruosa” (rubo la frase a un pacifista doc come
Tomaso Montanari – cfr. il dibattito di MicroMega), e il vero nemico è “il
furore bellicistico che cresce ogni giorno di più”, di modo che la mostruosa
invasione imperialistica, e l’eroica resistenza di un popolo abissalmente
inferiore per numero e per armi, diventano equivalenti incarnazioni di uno
stesso “furore bellicistico”.
Robbaccia
(con due b).
Robbaccia
inqualificabile di piccoli mediocri politici, forse politicanti, che con la
Resistenza hanno poco a che fare, e con i valori della Resistenza nulla.
I
nuovi ambientalisti.
Repubblica.it
– (21 giugno 2023) - Benedetta Barone, Luca Cirese, Giacomo Talignani- ci
dicono:
Vernice lavabile contro le opere d'arte, blocchi
stradali, blitz in alto mare.
Gli attivisti del clima tornano in piazza (e
non solo) per richiamare l'attenzione sulla gravità della situazione globale.
In
cerca di nuove forme di protesta pacifica.
Speranza
a secco per le nuove generazioni:
è questo il grido di allarme di diversi militanti
ambientalisti sparsi in tutta Europa.
Dai
blocchi di strade e aeroporti ai colpi nei musei, fino lanci di vernice contro
chi viene considerato responsabile della crisi climatica, sempre più frequenti
e radicali le azioni che i militanti di gruppi - come l'inglese Just Stop Oil e
un'Ultima Generazione radicata in più paesi europei - hanno messo in scena
negli ultimi mesi per richiamare a un'azione urgente verso un'emergenza, quella
ambientale, contro cui denunciano non si stia facendo abbastanza.
Proseguendo così una strada tracciata da
“Greta Thunberg” e dal “Fridays for Future”, che, superata la pandemia,
continua ancora a manifestare e, come oggi, a scendere di nuovo in piazza con
il loro “sciopero
globale per il clima”.
La
protesta delle attiviste di “Ultima Generazione” incollate a “La Tempesta di
Giorgione”, a Venezia.
Numerose
sono state le azioni portate avanti in Italia da Ultima Generazione:
il primo atto clamoroso scelse Venezia,
quando, il 4 settembre dello scorso anno alle Gallerie dell'Accademia due
giovani attiviste si incollarono alla “Tempesta di Giorgione” srotolando uno
striscione per chiedere la fine dell'era fossile.
Azione
riuscita e a breve replicata ancora più in grande, il 4 novembre, con il lancio
di una zuppa di verdura contro Il “seminatore di Van Gogh”, esposto a Roma e
sempre protetto da un vetro.
E
infine, il salto di qualità, con l'imbrattamento con litri di vernice lavabile
della facciata della sede del Parlamento a Palazzo Madama il 2 gennaio scorso.
Una
modalità di azione, quella dell'imbrattamento con spruzzi di colore arancione
che gli attivisti hanno preso in prestito da “Just Stop Oil” e che - a seguito
l'azione eclatante di inizio anno al Parlamento italiano - si è già diffusa
altrove, sbarcando anche Oltralpe con più di un'azione analoga in Francia,
sempre ad opera di “Dernière Rénovation”.
(Roma,
blitz degli ambientalisti a Palazzo Bonaparte: imbrattato un quadro di Van
Gogh.)
Beatrice
Costantino e la “Primavera del Botticelli”.
Beatrice
Costantino ha poco più di vent'anni.
Ha
studiato per diventare veterinaria, si è laureata nel 2018.
Nel 2021 ha contribuito ad avviare il
movimento ambientalista Ultima Generazione.
Lo
scorso 22 luglio si è incollata, insieme a un paio di compagni, al dipinto” La
Primavera del Botticelli”.
Uno
striscione estratto da uno zaino e deposto ai loro piedi recava la scritta
"No gas no carbone".
E la mattina del 12 febbraio ha partecipato all'azione
di fronte al palazzo del Consiglio regionale della Toscana, in cui la facciata
principale è stata imbrattata di vernice gialla e rossa.
(Firenze,
gli attivisti di 'Ultima Generazione' si incollano alla Primavera di Botticelli)
"La
nostra richiesta al governo è che interrompa tutti i sussidi pubblici ai
combustibili fossili", spiega.
Secondo l'ultimo report di Legambiente nel
2021 l'Italia ha speso 41,8 miliardi di euro in attività, opere e progetti
connessi direttamente e indirettamente a questo tipo di fonti:
7,2
miliardi in più rispetto al 2020 e di cui 12 riservati specificatamente al
settore energetico, somma destinata ad aumentare ancora.
Quando
perfino l'”Agenzia internazionale dell'energia” ha ammesso che questo tipo di
investimenti andrebbe quantomeno ridotto, se non azzerato.
Le
reazioni ai blitz ambientalisti.
Dall'autunno, gli interventi di disobbedienza civile
si susseguono tra musei, blocchi stradali e attacchi alle sedi nevralgiche del
potere.
La corrente promossa da “Fridays for future”
nel 2019 con gli scioperi e i cortei sembra essersi esaurita.
La
resistenza è diventata attiva.
In
Europa e in Italia, la reazione dell'opinione pubblica è stata piuttosto
uniforme: diniego, scandalo, condanne più o meno energiche.
Il ministro della Giustizia tedesco “Marco Bushmann”
ha dichiarato che imporrà sanzioni più severe a chi viene coinvolto nei blitz
all'interno dei musei.
Alla
testata nazionale “Bild am Sonntag” ha ammesso che una società diversificata
prevede senz'altro la dimostrazione effettiva delle proprie esigenze, ma
lanciare cibo contro le opere d'arte non ha nulla a che vedere con questo.
E ha aggiunto che se rallentare il traffico
dovesse ostacolare il percorso delle ambulanze verso gli ospedali prenderà in
considerazione la responsabilità penale per lesioni colpose.
Il senatore leghista Claudio Borghi li ha
definiti a più riprese "criminali" e ha accennato alla proposta di
legge per l'arresto immediato.
Verrebbe
spontaneo domandarsi se agli occhi delle autorità esistono forme di attivismo
più nobili di altre e quali dovrebbero essere le modalità appropriate per
diffondere un messaggio efficace, secco, disperato.
Come
sottolinea “Beatrice”, infatti, hanno sempre utilizzato vernice lavabile, ben
consapevoli di colpire il vetro posto a protezione del dipinto e di non recare
alcun danno all'opera.
Specifica anche che qualsiasi tentativo di
rappresaglia da parte loro assumerà sempre matrici non violente.
La questione è controversa per due ragioni:
innanzitutto, perché questa battaglia non contiene aspetti transitori o
soggettivi.
È democratica e universale.
La
partecipazione dovrebbe risultare unanime proprio perché, come ricorda
Beatrice, nessuno di noi ha intenzione di vivere in povertà, né affrontare
guerre, migrazioni e fame nei prossimi vent'anni.
A
rigor di logica, tutti dovremmo insistere affinché le logiche governative
prendano decisioni al più presto.
In secondo luogo, perché qualsiasi gruppo militante
del passato si è inserito in seno al dibattito pubblico attraverso l'uso della
forza.
(Senato
imbrattato dagli attivisti di "Ultima Generazione", intervengono
Digos e Carabinieri)
Quando
a protestare erano le suffragette.
Basti pensare alle suffragette.
All'inizio del secolo scorso, nel Regno Unito,
avevano impostato una vera e propria guerriglia urbana:
coloro
che orbitavano intorno a “Emmeline Pankhurst,” fondatrice dell'associazione “Women's
Social and Political Union”, spaccavano finestre, appiccavano incendi,
aggredivano funzionari pubblici.
“Beatrice”
non sa che la celebre attivista” Mary Richardson” si introdusse alla “National
Gallery di Londra” e squarciò con un pugnale” la tela di Venere Rokeby di Diego
Velázquez”.
Nel
1909 Marion Wallace Dunlop macchiò indelebilmente un estratto della “Bill of
rights” affisso ai muri della “Camera dei comuni inglese”.
Altro che zuppa di pomodoro.
(Emmeline
Pankhurst, fondatrice dell'associazione Women's Social and Political Union)
Eppure,
oggi vengono ricordate come eroine anche dalle frange più reazionarie della
popolazione.
Certo,
hanno ottenuto ciò per cui lottavano.
Ma non è forse vero che hanno vinto anche
grazie all'esercizio di una pressione senza scrupoli?
Rimproveriamo
a questi ragazzi di compiere mero vandalismo o di puntare a un esibizionismo
performativo, quando per ora sono ben lungi dal produrre crepe selvagge
all'interno del tessuto sociale.
Si limitano a sollevare attenzione mediatica
rispetto alla grande catastrofe del nostro tempo.
"Il
consenso va costruito.
Ciò
che una popolazione considera accettabile o inaccettabile, giustificabile
oppure giusto, varia di mese in mese anche rispetto a ciò che accade in altre
zone del mondo", spiega Beatrice.
"Nel
Regno Unito, dove le campagne di “Extinction Rebellion” e “Just Stop Oil” sono
state piuttosto incisive, la percentuale di britannici a sostegno della resistenza
civile nei confronti del cambiamento climatico è salita enormemente.
Un
sondaggio del Guardian dello scorso ottobre attesta che il 66% dei cittadini
risponde favorevolmente alla strategia della resistenza per costringere i
governi ad agire".
I
testimoni e i passanti casuali hanno reagito al lancio della vernice sul “Dito
di Cattelan” del 15 gennaio da parte di due esponenti di “Ultima Generazione “gridando
"Siete una vergogna".
Il
quotidiano Libero li ha definiti "eco-imbecilli coccolati dalla
sinistra".
(Gail
Bradbrook (XR) e la disobbedienza civile per il Pianeta: "Una ribellione
necessaria")
Le
azioni radicali di Ultima Generazione e XR.
"Con le nostre azioni chiediamo che non si
riattivino le centrali a carbone, che in Mare Adriatico non inizino
trivellazioni dannose tanto per il turismo quanto per il paesaggio, e che
infine si realizzino 20 GW di fonti rinnovabili, tra eolico e solare, entro la
fine di quest'anno":
a spiegare le ragioni delle proteste è “Michele
Giuli”, che di “Ultima Generazione” è uno dei portavoce.
E
rilancia: "La campagna che ora abbiamo lanciato è “Non paghiamo il fossile”:
vogliamo coalizzare movimenti e altre realtà che si oppongono alle decine di
miliardi di finanziamento che l'Italia paga per estrarre e utilizzare i
combustibili fossili".
Ventisette
anni, laureato in filosofia, e con un passato da ricercatore e insegnante di
italiano per stranieri, oggi vive in montagna, mantenendosi grazie a una
comunità agricola che ha realizzato con altre persone in Piemonte.
"Ho iniziato la mia esperienza di
attivista dentro “Extinction Rebellion” (XR), ma dopo un po' non mi ha
soddisfatto più".
Il
motivo? "La mancanza di risultati e la delusione per uno spazio e un
gruppo che da innovativo era diventato lineare e gradualista".
Nello stesso periodo in cui il movimento ambientalista
ragiona a livello globale di nuovo forme e metodi di lotta all'altezza della
loro sfida - dalle occupazioni alla disobbedienza civile fino forme ancora più
radical come i sabotaggi e danni alle infrastrutture, quelle sintetizzate dal
libro “Come far saltare un oleodotto dell'attivista svedese “Andreas Malm”
(Ponte alla Grazie, 2022) - la sezione inglese Extinction Rebellion - movimento
nato proprio nel Regno Unito nel 2019, quando riuscì quasi a paralizzare Londra
durante la settimana Santa - ha scelto infine di cambiare rotta, con
l'obiettivo di superare le forme di protesta che portino ai disagi delle
persone:
scelta
che avviene anche in un contesto di rafforzamento delle misure repressive di
cui vengono dotate le forze dell'ordine che operano Regno Unito.
E
oggi, dopo l'allontanamento da “Extinction Rebellion” che cosa fate?
"Abbiamo smesso di mentire a noi stessi,
con le nostre azioni compiamo qualcosa di liberatorio e sorridiamo, come “Greta
Thunber”g quando è stata arrestata in Germania:
e se
le persone possono essere contrarie ai nostri metodi, sta aumentando
sensibilmente il favore in merito alle richieste che portiamo avanti".
E in
futuro cosa volete fare?
"Lavoriamo
per un movimento di massa nonviolento che, grazie un patto inter-generazionale,
possa allargare il fronte giovanile del “Fridays for Future"”.
Lo
scienziato agli attivisti che bloccano il Gra: "Questa non è la soluzione,
venite a lavorare con me".
A far
scoppiare la scintilla della mobilitazione è stato un libro, racconta in
conclusione: il suo titolo è” Qualcosa, là fuori” (Guanda, 2016) fortunato caso
di “climate fiction italiana” in cui l'autore “Bruno Arpaia” ha voluto
raccontare gli
effetti del riscaldamento globale sulla nostra penisola ed è stato premiato sfiorando le
dieci ristampe dall'uscita.
Una lettura che, mese dopo mese, ha seminato, fino a portare alla consapevolezza
della crisi climatica, e all'angoscia per il caldo insolito di questo inverno che
sta diventando una nuova normalità.
Uno
sguardo senza futuro?
"Meglio farla finita con la speranza - ha
spiegato in conclusione - è qualcosa che oggi non ci aiuta ad agire".
Ma
sono davvero scenari tali da angosciarsi fino a perdere la speranza, da farci
venire quella che gli psicologi hanno definito eco-ansia?
Ne è convinto il noto scienziato e divulgatore
“Telmo Pievani”, professore ordinario di Biologia a Padova:
"La situazione è piuttosto semplice e la comunità
scientifica è molto irritata dalla sordità e miopia della politica al riguardo
- è il quadro che tratteggia per Green&Blue - anche negli ultimi tre anni,
nonostante la frenata indotta dalla pandemia, le emissioni globali di gas serra
sono aumentate, anziché diminuire come previsto dagli Accordi di Parigi in poi".
Come
sarebbe il mondo con tre gradi in più.
Quale
futuro per il Pianeta?
Che futuro si profila dunque?
"Che stiamo andando nella direzione
esattamente opposta rispetto a quella auspicabile, passando velocemente dai 1,1
gradi di riscaldamento globale attuali fino almeno ai 1,5 gradi, momento in cui
potrebbero scattare le accelerazioni del processo dovute agli effetti di
retroazione positiva che alimenteranno ulteriormente l'aumento delle
temperature", la sua proiezione.
Che
cosa è dunque necessario fare?
"Dobbiamo smetterla di stupirci e di
invocare l'emergenza:
questa è la normalità dei prossimi anni, non
una calamità improvvisa e imprevedibile e dobbiamo adattarci e presto, perché
altrimenti pagheremo un prezzo molto alto in termini di instabilità globale e
di effetti del cambiamento climatico, come fenomeni atmosferici estremi,
innalzamento dei mari e desertificazione che colpiranno in particolare
l'Italia, che è tra i Paesi più vulnerabili al riscaldamento climatico in tutta
Europa".
Ecoansia:
i più colpiti sono giovani e donne.
Scenari da ecoansia, dunque?
"Quelli
in preda alla maggiore eco-ansia, ancora prima dei giovani, sono gli
scienziati, proprio perché conoscono i dati", ci spiega lo scienziato
padovano e conclude, richiamando all'ascolto delle proteste dei più giovani:
"Se l'eco-ansia va senz'altro limitata
perché non è costruttiva e tende a paralizzare, quando i giovani si lasciano
andare a proteste eclatanti e non condivisibili, prima di metterci a strillare
e di farne una questione solo di ordine pubblico, potremmo almeno provare a
chiederci cosa stanno cercando di dirci: anche considerando che si tratta di
un'evoluzione del movimento ambientalista dovuta alla crescente sensazione di
non essere ascoltati e di non essere influenti".
L'INTERVISTA.
Perché
uno scienziato arriva a digiunare per la crisi climatica.
di
Luca Fraioli
05
Ottobre 2022.
E se
il termine è nuovo (e la Treccani l'ha inserito solo nel 2022), si tratta di un
fenomeno pare destinato ad allargarsi per quanto riguarda "un'emozione
pervasiva e persistente di preoccupazione che le basi ecologiche del nostro
Pianeta stiano venendo meno a causa del cambiamento climatico":
è la
definizione di eco-ansia, che dà lo psichiatra Matteo Innocenti: autore di
varie pubblicazioni scientifiche e del libro “Ecoansia”.
I cambiamenti climatici tra attivismo e paura (Erikson
editore, 2022), per l'Università di Firenze sia sta occupando di mappare la
situazione in Italia.
"È
un fenomeno che è iniziato in parallelo alle prime mobilitazioni del “Fridays
for Future” che hanno mostrato consapevolezza del problema e che è destinato ad
aumentare in maniera esponenziale con il peggioramento degli effetti del
cambiamento climatico".
Possibile
tracciare un quadro nel nostro Paese?
"Non
trattandosi di una malattia, è difficile quantificarne la presenza sul
territorio: nella mia esperienza clinica colpisce i giovani, e in particolare
le donne, e ha un decorso stagionale, acuendosi di fronte alle ondate di calore
e alla siccità, contro cui consiglio riconnessione con la natura e grandi e
piccole azioni a favore dell'ambiente".
Stando
alla ricerca globale pubblicata dello” Stanford Medicine Centre for Innovation
in Global Health “sulla rivista “Lancet Planetary Health”, su un campione di
10mila giovani tra i 16 e i 25 anni originari di dieci Paesi, se circa la metà
degli intervistati manifesta sintomi di eco-ansia, ben il 60% ritiene i propri
governi responsabili della situazione oltre la metà ritiene che la specie sia
destinata a soccombere.
Imbrattare
le opere d'arte aiuta la causa degli ambientalisti?
Il dibattito
sulle azioni di protesta.
Scenari catastrofici per azioni radicali portate
avanti dai gruppi che fanno parte della rete di” resistenza civile A22”, oggi
diventate tema di dibattito e scontro anche all'interno dei gruppi
ambientalisti storici o fra i giovani che hanno dato vita all'”onda verde
globale” di “Fridays For Future”.
Perplessità
sull'efficacia di queste proteste - di cui viene valorizzata però la capacità
di allargare la partecipazione - da parte di “Greenpeace, uno dei movimenti
verdi più votati all'azione e realtà che già dagli anni Novanta, iniziò con
blitz e iniziative per fare pressione sulle autorità e ottenere risposte al
problema del riscaldamento globale.
Greenpeace:
"No alle azioni boomerang."
"A differenza delle nostre azioni, sempre
rigorosamente non violente, ci sembra che le iniziative come lanci di vernice o
blocchi del traffico non colpiscano l'obiettivo - spiega Ivan Novelli,
presidente di Greenpeace Italia - perché spesso, alcuni gesti come quello sui
quadri, alla fine si sono trasformati in boomerang, attirando attenzione ma con
un ritorno di opinione negativo, forse perché non si concentravano sul
messaggio:
è per questo abbiamo invitato “Ultima Generazione”,
pubblicamente e non, a ragionare sull'effetto delle loro azioni".
(Greenpeace
occupa una piattaforma Shell nell'Atlantico).
"Oggi
infatti serve puntare, basandoci sulla scienza, a chi produce il danno, per esempio
a livello di emissioni, ma senza coinvolgere soggetti terzi, come un cittadino
in auto sul raccordo anulare - conclude Novelli - e dunque, se nessuna realtà
politica oggi ha la chiave o il metodo universale per comprendere come poter
far immediatamente cambiare rotta, resta fondamentale che tutti i movimenti
individuino in maniera unitaria contro chi si sta combattendo in quella che è
una battaglia difficile e lunga contro potenze economiche molto
importanti".
Sulla
necessità di rendere più radicali le azioni per il clima - visto il costante aumento dei gas
serra e la lentezza nelle politiche per ridurle - si interroga da tempo “Fridays For
Future”, movimento lanciato a seguito dello sciopero per il clima portato avanti da Greta
Thunberg dl 2018 e realtà che mantiene molti contatti con questi nuovi gruppi
ambientalisti.
“Fridays
for Future”, Agnese Casadei: "3 marzo: il cambiamento nasce dalle
piazze".
“Fridays
for Future” contro i “big dell'Oil & Gas.
Non
mancano però dubbi:
"Se
la parola chiave dei movimenti per il clima è partecipazione, ovvero
coinvolgere più persone possibili per arrivare a un reale cambiamento, non
siamo sicuri che azioni come il lancio di vernice o dei blocchi stradali siano
la strada giusta in questa direzione", spiega il torinese “Giorgio Brizio”,
uno degli attivisti più noti di “Fridays for Futur”e fra gli organizzatori del
meeting europeo del gruppo ambientalista nella città piemontese, tenutosi la
scorsa estate.
E pone
ancora un problema di comunicazione e identificazione dell'obiettivo:
"Chi
sono coloro che finanziano il collasso climatico?
Le industrie dei combustibili fossili, quelle
del “fast fashion”, tutti i governi e le banche che elargiscono denaro per
operazioni che non frenano il riscaldamento, ma lo aumentano:
lanciare
una zuppa o una vernice aiuta a ricordare chi sono gli avversari?
Crediamo
di no".
E
dunque, in conclusione: "Se dobbiamo aumentare la radicalità allora quella che ci
sembra la strada giusta da percorrere con azioni anche forti è quella contro i
combustili fossili grazie a iniziative contro i big dell'Oil & Gas".
“RepIdee
2022” l'appello di “Diletta Bellotti” per il clima:
"Stiamo precipitando dal cavalcavia,
tiriamo il freno a mano."
Legambiente:
"Unire le forze per trovare soluzioni."
Anche
per una associazione ambientalista fortemente radicata sul territorio e
abituata a dialogare con le istituzioni, come “Legambiente”, nelle iniziative
di “Ultima Generazione” si trova certamente un aspetto positivo, quello di sollevare il problema della
crisi climatica: intento che però non sempre per via del metodo riesce ad essere
compreso.
"Crediamo sia più che condivisibile la
volontà di questi ragazzi di mostrare la loro ecoansia, cioè l'ansia di non
vedere mettere in campo azioni concrete e veloci per contrastare la crisi
climatica",
spiega “Stefano Ciafani”, presidente della storica associazione ambientalista.
"Riteniamo però - prosegue - che le
azioni eclatanti, come quelle dei quadri imbrattati o dei blocchi stradali,
abbiano avuto come risultato far parlare dell'azione stessa, più che parlare di crisi climatica, rischiando di allontanare i
cittadini dal motivo che spinge a questi gesti estremi: motivo per cui noi non
le abbiamo mai intraprese".
Anziché
azioni radicali, Legambiente preferirebbe unire le forze per centrare davvero
la transizione energetica:
"E
se invece ci concentrassimo, tutti insieme, su manifestare positivamente a
favore delle nuove opere rinnovabili che cambieranno l'Italia?",
si domanda il suo presidente, denunciando però al
contempo come decisamente ingiustificabili le azioni di repressione e le misure
interdittive contro gli attivisti italiani che sono stati oggetto di fermi e
processi a seguito delle loro azioni.
Una
realtà nuova, quella di” Ultima Generazione”, che, come si vede, è già al
centro del dibattitto pubblico:
è una
radicalizzazione del movimento ambientalista nato dopo Greta?
La
pensa così “Federico Tomasello”, ricercatore all'”Università del pensiero
politico” a Messina e curatore del libro collettaneo “Violenza e politica”.
“Dopo il Novecento” pubblicato (il Mulino,
2020):
"Tutto lo spettro sociale è stato caratterizzato
negli ultimi anni da fenomeni di radicalizzazione politica, dal terrorismo
islamico alla destra sovranista fino alle frange dei no-vax", spiega il
politologo.
"È
in questo contesto e di fronte a una mancanza di dialettica politica - prosegue
il ragionamento - che si inserisce anche quella degli ambientalisti, che passano
dal corteo all'azione diretta per inseguire la trasformazione della
comunicazione di massa".
Ma c'è
dunque un rischio di derive violente? "Impossibile fare previsioni:
se la
fantascienza ha da tempo immaginato un terrorismo di matrice animalista e
ambientalista, da sempre sussiste la possibilità che alcune frange dei
movimenti di massa scelgano di passare alla violenza".
Alla
lunga però si tratterà di un fuoco fatuo, di una fiamma destinata a spegnersi
velocemente?
“Nient’affatto, perché di fronte agli effetti
sempre più evidenti del cambiamento climatico, il movimento ambientalista non
potrà che accrescersi – conclude il ricercatore – se volessimo tracciare una
situazione analoga, è quella che caratterizzò le origini del movimento operaio,
che iniziò a definirsi a partire dal 1830 per poi restare protagonista della
scena politica nei secoli a venire “.
(Per spiegare l’effetto serra causato
dalla produzione di CO2 da parte dell’uomo, è sufficiente la constatazione
scientifica che la CO2 è quattro volte più pesante dell’aria atmosferica.
Com’ è dunque possibile solo immaginare che un
gas CO2, 4 volte più pesante, usi l’atmosfera per andare verso l’alto, sempre
più in alto in modo da creare così una cupola di Co2, ossia creare l’effetto
serra.
Mi ricresce dire che è con questa BUFALA che
l’élite globalista progressista, vicina ad arraffare tutte le ricchezze della
terra, pensa di averci infinocchiato a dovere. Ma si è sbagliata di grosso!
N.D.R)
Ecologia
e pedagogia.
Gliasinirivista.org
- Goffredo Fofi – (6 Marzo 2020) – ci dice:
I due
campi su cui dovrebbe mettersi alla prova una generazione di giovani
intellettuali e artisti– oggi così frastornati fiacchi inconcludenti, e infine
vili e complici, tra la piaga del narcisismo e le ambigue facilità di internet,
della propria stessa alienazione – sono a parere di molti quelli dell’ecologia
e della pedagogia.
La
difesa dell’ambiente, delle stesse possibilità di sopravvivenza della vita
sulla terra; e l’ingresso nella vita attiva delle nuove generazioni, dei nuovi
nati.
Molti anni fa misi ad apertura di un mio
inutile scritto la dedica “Ai nostri morti” e lo conclusi con quella “Ai nuovi
nati”.
Oggi,
complice l’età, mi capita fin troppo spesso di pensare ai miei morti, noti e
comuni, colti e analfabeti, e, diciamo così, di intrattenermi con loro
ripensando quel che sono stati, quel che hanno detto e fatto, e a quanto mi
hanno dato con le loro parole e ancor più con il loro esempio, e questa
compagnia è molto gratificante;
mentre mi capita di pensare con angoscia al
futuro dei bambini che conosco o incrocio nelle vie della città al seguito dei
loro genitori o dei bambini di cui leggo sui giornali, quelli che muoiono nei
barconi che affondano o vengono fatti affondare o, in tanti paesi, di fame e di
guerra.
Ma forse quelli che mettono addosso un’ansia
maggiore sono proprio i bambini privilegiati, i figli del benessere e della
pace, consegnati ad adulti trasandati e ottusi, genitori o educatori che non
sembrano davvero preoccupati del loro futuro e, se lo fanno, quelli che non
sono afflitti dal bisogno e da altre pesantissime insicurezze lo fanno in
termini materiali e di status.
Ma se
i genitori “non sono all’altezza” del tempo in cui vivono, non lo è neanche la
maggioranza degli insegnanti, anche se è tra loro, più che tra i genitori, che
incontro chi si dà pena per loro, chi più se ne preoccupa.
In
altre epoche storiche, per esempio al tempo delle dittature come delle
democrazie nate dalla Grande Guerra, fu lo Stato ad assumersi, consigliato da
pedagogisti che fidavano più nell’educazione pubblica che in quella privata, la
responsabilità della formazione dei “nuovi arrivati”.
Nel bene e nel male, va da sé, e mentre
resisteva una pedagogia confessionale, teoricamente bene impostata ma troppo
essenziale e ristretta.
Credo
oggi, scandalizzando forse qualcuno, che si debba puntare sulla scuola
piuttosto che sulla famiglia – anche se questo non esclude affatto il dovere e
il bisogno di occuparsi della famiglia.
E credo che gli insegnanti abbiano in genere
più possibilità (più sapienza; meno egoismo e meno chiusure) nell’affrontare i
problemi della trasmissione di un sistema di valori e di conoscenze da una
generazione all’altra.
Ma la scuola langue, nonostante gli sforzi dei
singoli, ed è piena di insegnanti infingardi ma soprattutto di insegnanti
sfiduciati anche quando ostinati e coscienti dei loro enormi, pesanti doveri,
ed è diretta in alto loco da politici mediocri e senza visione, gretti, spesso
anche imbecilli.
È da dentro la scuola che un modo serio di
lavorare con i “nuovi” può e deve anzitutto ripartire, e la pedagogia non è
dunque meno importante dell’ecologia, nei nostri compiti presenti e futuri,
nelle lotte che è nostro dovere proporre e affrontare.
L’inquinamento
verbale ai tempi
della
comunicazione globale.
Earthgardeners.it
- Fabrizio Piredda – (Gennaio 6, 2021) – ci dice:
Quando,
molti anni fa, collaborai con il professor “Attilio Marcolli
“all’organizzazione dei primi corsi di “Design dell’Ambiente” presso l’IED di
Cagliari, scoprii che le mie conoscenze di “visual design” potevano contribuire
alla formazione di giovani e creativi “environmental designer”:
gli
insegnamenti di equilibrio, essenzialità, pulizia formale, semplicità, corretta
gerarchia delle informazioni mi avrebbero permesso non solo di formare gli
allievi alle regole del” basic design”, ma mi avrebbero condotto, otto anni
dopo, a percorrere un decennio immerso mani, piedi e testa nel web design ed
accompagnato fino ad oggi, a fare comunicazione nell’era in cui la
comunicazione è, definitivamente e irreversibilmente, globale.
La
possibilità di scambiare, condividere, commentare informazioni, notizie,
conoscenze non ha mai subìto una capillarizzazione e un’accelerazione come
nell’ultimo quarto di secolo, con immensi benefici sotto ogni punto di vista ed
altrettanto immensi inconvenienti, da principio minimi ma ben presto aumentati
in proporzione alla diffusione e alla diversificazione di mezzi comunicativi:
abbiamo iniziato con il teletext e gli sms,
oggi leggiamo e scriviamo su pc, telefoni, tablet in tempo reale e senza
soluzione di continuità.
La
conseguenza di questa iper proliferazione comunicativa è la più classica delle
armi a doppio taglio.
Infatti, da una parte ha ridato, per citare il
musicista “Frankie Hi-Nrg”, ‘potere alla parola’, in particolare a quella
scritta, ponendola di nuovo al centro della comunicazione, specificamente
quella visiva che nel terzo millennio, come agli albori della grafica
commerciale, fa perno sul ‘disegno della parola’ (che è poi l’essenza del
logotipo).
Dall’altra, ha ‘democraticamente’ offerto a
milioni di persone la possibilità di scrivere e rendere pubblico il proprio
pensiero – o di approvare, criticare, biasimare, commentare, condividere un
pensiero altrui – su qualsiasi argomento dello scibile umano, prescindendo sia
dalle capacità espressive, sia dall’effettiva competenza.
Insomma,
se buonsenso vorrebbe che, per mettere nero su bianco un concetto potenzialmente
accessibile a milioni di persone, chi scrive lo avesse ben chiaro e possedesse
gli strumenti grammaticali, ortografici, sintattici minimi per poterlo fare con
semplicità e decoro, la triste realtà è che
tutti-scrivono-tutto-sempre-e-ovunque e no, non è una bella realtà.
Non in
un Paese in cui un terzo abbondante della popolazione è affetto da
analfabetismo funzionale, per tacere delle altre forme di analfabetismo non
patologiche ma non meno dannose.
Il
risultato è un’inarrestabile, euforica, isterica ed autolesionistica corsa a
chi scrive peggio, un contributo irrefrenabile a una forma di inquinamento
verbale al quale non si riesce a porre argine e che, oramai, è tracimato dalla
bolgia dei social network per invadere la scrittura creativa, persuasiva,
giornalistica.
La
liberazione/liberalizzazione della parola, in sé straordinaria, è diventata il
pretesto per l’uso del linguaggio più volgare in ogni contesto, dell’insulto
reciproco come fil rouge di interminabili dibattiti su temi che meriterebbero
altre (e alte) parole come scienza, arte, letteratura, società, sostituendosi
alla dialettica e alla capacità ma, prima ancora, alla volontà di argomentare,
puntualizzare, controbattere rispettando sia il merito delle discussioni che
l’interlocutore.
Per buona pace dell’agone dialettico ma anche
delle pacate e amabili discussioni tra persone civili.
Uno
degli aspetti più devastanti dell’inquinamento verbale è proprio la violenza,
l’aggressività, lo sfogo di chi abbatte parole come clave su un politico, un personaggio
famoso, un tifoso ‘nemico’ o contro chi rappresenti una forma di diversità
culturale, linguistica, sessuale, religiosa.
Un
punto di non ritorno che si autoalimenta, dove l’odio ne chiama altro, la
violenza si rinnova e aumenta, il livello dello scontro si alza, quello della
buona comunicazione si annulla e chi scrive peggio raccoglie più consensi e si
ritiene, per questo, legittimato a perseverare.
Ma non
è il peggio in assoluto, visto il modo in cui, negli ultimi tempi, anche alle
nostre latitudini l’uso dissennato delle “fake news” ha devastato e minato alla
base le fondamenta dell’informazione, destituendola di valore e autorevolezza
senza che – e questo è uno degli aspetti più gravi – nessuno faccia davvero
qualcosa per preservarne il valore.
Tanti
amano ricordare le parole pronunciate nel 2015 a Torino dal professor “Umberto
Eco” sugli utenti dei social media:
“I
social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano
solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività.
Venivano
subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un
Premio Nobel.
È
l’invasione degli imbecilli “.
L’impressione
è che tanti in questi anni si siano riempiti la bocca del pensiero del
professore senza coglierne l’essenza, solo per potersi fregiare dell’uso del
termine ‘imbecilli’ con la griffe di un autore famoso.
Chi ha ben capito e, con l’intelligenza e la
bella scrittura che lo contraddistingue, ha replicato, anzi, rilanciato in
forma di sfida culturale ambiziosa quanto avvincente, è “Gianluca Nicoletti”,
che su” La Stampa” da una parte descrive in modo onesto come
“finalmente
possiamo misurarci con il più realistico tasso d’imbecillità di cui da sempre è
intrisa l’umanità.
Era
sin troppo facile per ogni intellettuale, o fabbricatore di pensiero, misurarsi
unicamente con il simposio dei suoi affini”; dall’altra sostiene il ruolo, la
responsabilità salvifica di chi fa cultura e informazione, senza nascondere
quanto sia difficile rispetto anche solo a pochi decenni fa:
“Oggi la verità va difesa in ogni anfratto,
farlo costa fatica, gratifica molto meno, ma soprattutto richiede capacità di
combattimento all’arma bianca:
non si
produce pensiero nella cultura digitale se non si accetta di stare gomito a
gomito con il lato imbecille della forza”.
Convivere
col ‘nemico’ senza farsi travolgere o, peggio, coinvolgere.
Ecco l’idea sfidante di “Nicoletti”, la
‘missione’ che, senza impugnare il “Sacro Vessillo della Buona Comunicazione”
ha fatto sua e porta avanti con encomiabile coerenza nella sua attività di
giornalista, scrittore, divulgatore.
Proprio
noi, comunicatori per mestiere e, spesso, per vocazione, avremmo dovuto capire
e fare qualcosa per arginare questa deriva destinata a lasciare solo ‘smog’
verbale e macerie:
nel migliore dei casi non l’abbiamo fermata,
nel peggiore l’abbiamo agevolata e perfino cavalcata, senza valutarne gli
effetti su un lungo termine che è già qui, presente, e ci chiede il conto di
ponti comunicativi distrutti, recinti culturali divelti, pareti etiche
diroccate.
Quello
della comunicazione verbale è un ambiente da bonificare, risanare, pulire e,
dove ancora possibile, preservare anche se le voci di chi si batte per farlo
paiono soffocate dall’inarrestabile avanzare dell’inquinamento verbale.
È ancora possibile fare tanto con poco,
tornare a cercare l’equilibrio, l’essenzialità, la pulizia, la semplicità e la
capacità di rendere semplice, immediato, accessibile, corretto ciò che oggi
appare fumoso, sporco, disordinato, sgrammaticato.
Per
citare l’amico “Nicola Montisci” che, da genuino e capace comunicatore, per
professione e per talento, con raro dono della sintesi dispensa spesso e
volentieri pillole di buonsenso ai suoi follower:
“dovremmo
essere più equilibrati nelle nostre uscite comunicative”.
(Fabrizio Piredda è grafico e art
director freelance, specializzato in UX e Product Design).
La
grande scoperta dell’anno
è
stata l’ecologia.
Luciano
Passoni.
Luogoe.com
– (febbraio 26, 2020) – Luciano Passoni – ci dice:
Circa
un anno fa la “casa editrice NERO” ha pubblicato una raccolta di tre saggi
scritti dal collettivo “Comitato Invisibile” tra il 2007 e il 2017.
Si
tratta di tre riflessioni sulla situazione di crisi non solo politica del mondo
occidentale, intitolate rispettivamente “L’insurrezione che viene” (2007), “Ai
nostri amici” (2014) e “Adesso” (2017).
“Luogo_e”
si è soffermato sul primo dei tre testi, da cui sono tratte le parti in
corsivo, fatta eccezione per quelle accompagnate da diverse indicazioni.
In particolare è stata preziosa la lettura del
capitolo “Sesto cerchio”.
L’ambiente è una sfida industriale, che ha
contribuito a chiarificare i presupposti alla base della mostra” Devo riferire
qualcosa che ho visto” (14 febbraio – 11 aprile 2020).
Questa
lettura ha innescato alcune riflessioni che vengono qui proposte ai nostri
lettori come strumento di dibattito.
È
dunque necessario precisare che il presente scritto non vuole essere né una
recensione dell’intero libro, né una sintesi del pensiero del “Comitato
Invisibile”.
Si propone, anzi, come suggerimento di
lettura, per conoscere una voce fuori dal coro sui temi che si intrecciano con
le questioni ambientali.
_e
“Anche
le migliori torte sono amare
per
gli esclusi dalla festa.”
Anonimo
delle periferie.
La
grande scoperta dell’anno è stata l’ecologia.
Questa
affermazione è già vecchia di tredici anni, oggi solo gli imbecilli non nutrono
preoccupazione per le sorti del nostro pianeta.
Oggi
tutti hanno ben chiari gli effetti prodotti sull’ambiente e sull’uomo da
insensate pratiche economiche e sociali, soggette alle regole del profitto.
Ma a
pochi sono altrettanto chiare le cause di questo progressivo impoverimento
dell’ambiente e della vita umana.
L’ambiente
è quello che rimane all’uomo dopo che ha perso tutto il resto.
È il
modello di “sviluppo” che deve essere messo in discussione, assieme allo stesso
concetto di sviluppo.
E questo vorrebbe dire individuare le
dinamiche e gli attori che perseverano in tali pratiche perverse.
Gli
annunci vocali computerizzati, i tram dal ronzio avveniristico, le luci
bluastre dei lampioni a forma di fiammiferi giganti, i passanti agghindati da
manichini mancati, il silente roteare delle videocamere, lo scintillante
tintinnio degli ingressi in metropolitana, delle casse al supermercato, dei
cartellini da timbrare in ufficio, l’atmosfera elettronica dei cyber cafè,
l’orgia di schermi al plasma, di linee ad alta velocità e di latex:
mai
paesaggio poté fare tanto a meno delle anime che lo attraversano, mai luogo fu
così automatico, mai contesto fu più indifferente nel suo esigere altrettanta
indifferenza in cambio della sopravvivenza.
Pratiche che agiscono in maniera diversa in
ogni angolo del globo e che prevedono ovunque un sostanziale impoverimento
delle risorse e della vita materiale delle persone degli strati più poveri del
pianeta, assieme agli strati sociali più deboli del “ricco” mondo occidentale.
È
legittimo supporre che le soluzioni ai problemi con i quali dobbiamo fare i
conti debbano essere trovate dagli stessi soggetti che li hanno provocati.
[…] i
nostri padri furono impiegati nella distruzione di questo mondo, e adesso
vorrebbero far lavorare noi alla sua ricostruzione – per giunta guadagnandoci.
L’ambiente
è, di fatto, il problema globale per eccellenza e ci stanno inducendo a credere
che un problema globale è un problema al quale solo coloro che sono organizzati
a livello globale possono fornire risposte.
Ci stanno facendo credere che siano solo loro che
possono avere soluzioni, che solo nelle loro mani è la salvezza del pianeta e
che l’ambiente sarà il perno della loro economia politica.
Le
forme personali di autodifesa sul terreno della produzione e del consumo
rimangono palliative rispetto ai guasti.
Consumare
meno, rispettare l’ambiente, correggere dove e come si può i guasti
macroscopici dei sistemi energetici:
queste restano le forme che l’impotenza si dà
per non soccombere senza resistenza.
Nessuna
soluzione tecnica riuscirà mai a dare soluzione al problema ambientale, come
nessun MO.S.E. riuscirà a trattenere le maree.
Nessuna
soluzione tecnica o specifica riuscirà mai senza una buona dose di
immaginazione.
E la
certezza della possibilità che “un altro mondo è possibile”, anzi necessario, è
testimoniata dalle continue forme di opposizione alle politiche nazionali
diffuse a macchia di leopardo in ogni angolo del pianeta, da parte di piccoli
gruppi o di grandi masse.
Ciò
che ovunque ci viene presentato come catastrofe ecologica è sempre stato, in
primo luogo, la manifestazione di un rapporto col mondo disastroso.
Contrapposizioni
che, se anche partono da obiettivi particolari, si rivestono delle forme del
rifiuto delle logiche di potere e di comando che difendono i privilegi di
pochi, penalizzando i molti.
Per lo
più sono episodi che hanno la forma della ribellione, che difficilmente
riescono ad ottenere vittorie se non parziali e di breve durata;
perché
le logiche coordinate sul terreno della politica, dell’economia e del controllo
non possono tollerare forme radicali di contrapposizione.
Forme
sofisticate di controllo e di repressione, coordinate campagne di
disinformazione e di manipolazione, stanno facendo credere che chi oggi si
oppone mette in pericolo “il migliore dei mondi possibili”.
Certo il più adatto a garantire la ricchezza
di pochi, la felicità di pochi, la sopravvivenza di molti, la miseria di molti.
In
mezzo ci sta tutta una quantità di individui arruolati alla difesa dei
privilegi in cambio della compartecipazione agli utili.
Fino
al sopraggiungere, però, della nuova crisi, della messa in pericolo dei margini
di profitto, perché allora anch’essi saranno abbandonati alle soglie delle
sabbie mobili della povertà.
Dopo
aver progressivamente minato le tutele delle conquiste sociali dei decenni
precedenti, si fa oggi un gran parlare di “reddito garantito” a tutela dei ceti
più poveri, come parziale attenuazione degli effetti collaterali indesiderati
delle politiche espansive.
Nessuna politica assistenziale sconfiggerà mai la
povertà,
la sconfitta della povertà sarà possibile solo ribaltando i processi di
produzione e socializzando le ricchezze.
Il
concetto di “ecologia” oggi è declinato solo nella logica della produzione e
non nel significato di rispetto – dell’uomo, degli animali e dell’ambiente
tutto.
L’ecologia diventa ora, quindi, la nuova morale del
Capitale che ci ammonisce che se vogliamo salvare il nostro modello di civiltà
“ciascuno di noi dovrà impegnarsi a cambiare i propri comportamenti”.
E quindi: consumare poco per poter consumare
ancora.
Produrre
“bio” per poter produrre ancora.
Auto reprimersi
per poter reprimere ancora.
Ecco
come, atteggiandosi a rottura epocale, la logica di un mondo aspira a
sopravvivere a sé stessa.
Ma
così facendo non si curano le malattie, si medicano le ferite.
E, in
una situazione di perenne convalescenza, diventa assurdo sperare in una vita
migliore, fatta di meno lavoro e più alti livelli di cultura, che sappiano
favorire migliori rapporti sociali, creatività e solidarietà;
una vita più ricca di relazioni e di
conoscenze, meno competitiva e più aperta agli altri.
L’esercito
dei convalescenti viene medicalizzato perché continui ad essere attivo sul
terreno del consumo, in cui la cultura dei gadget sempre più tecnologici
promette la massima connessione e produce il più alto isolamento e un’umanità
sottovuoto.
Attenzione,
quindi:
l’ecologia è un problema sentito generalmente,
seppur in modi differenti, nelle società del capitalismo avanzato, e su di essa
il Capitale sta scommettendo per una sua nuova, ennesima riscossa.
Lungi
dal temere le crisi, il Capitale cerca ormai di produrle sperimentalmente [….]
Il rimedio non serve a porre fine alla crisi.
Al
contrario la crisi viene aperta con l’obiettivo di introdurre il rimedio […]
La realtà è che non stiamo vivendo una crisi
del capitalismo, ma – al contrario – il trionfo del capitalismo di crisi.
(Comitato
Invisibile, Ai nostri amici, 2014).
Riflessioni
per un’ecologia
linguistica
(e politica).
Olivier
Durand.
Theserendipityperiodical.it
– Claudio Oreste Menafra – (Maggio 25, 2023) – Olivier Durand – ci dice:
Sono
scrittore in lingua italiana:
quanto devo litigare con i consulenti
editoriali ‒ anzi gli “editor” ‒ che senza nemmeno consultarmi mi correggono
nebulizzatore in spray, tassì in taxi, o mi bocciano le parole che vanno oltre
le cinquecento del lettore medio (che chiamo “mèdiocre”).
Quello che pratico io lo chiamo ecologia linguistica,
nel senso che la lingua ‒ e i dialetti ‒, per come la vedo, fanno parte
dell’ambiente e pertanto hanno diritto allo stesso rispetto che tributiamo a
mari, fiumi, foreste e paesaggi in generale.
Insomma,
sono assolutamente convinto – e milito per questo – che la lingua italiana sia
fin troppo corrosa dal dilagante itanglese degli ultimi anni, una moda
sconsiderata che non ha alcun senso se non quello di svilire una certa identità
linguistica e culturale.
Quello
che potrei definire un vero e proprio ‘morbus anglicus’.
Non
pretendo “leggi”, né tantomeno “sanzioni” per chi preferisca esprimersi in
itanglese.
Siamo
in democrazia e ognuno deve essere libero di parlare come meglio ritiene.
Il linguaggio rientra nei fenomeni di moda: vanno,
vengono, spariscono, ritornano, e soprattutto cambiano con il tempo.
Ma
esistono mode ridicole (come di recente il dilagante car* tutt*).
La mia non è altro che una militanza che
suggerisco ai tanti che la pensano come me.
Infatti so bene di non essere l’unico, ma ci
percepiamo come una minoranza indesiderata che fa meglio a tacere in quanto
tacciata di macchiettista.
Il “ketchup”
sui
maccheroni.
Trovo
stomachevoli:
devolution - “decentramento istituzionale”,
new town- “piano di ricostruzione edile
provvisoria”,
ticket-
“tassa
sulle prestazioni sanitarie”,
austerity- “austerità”,
spending
review-
“tagli sulla spesa pubblica”,
JOBS
act- (acronimo
di “Jumpstart Our Business Startups Act”) “riforma del diritto del lavoro” ‒
spesso scritto: Job’s act“, atto di [un misterioso] Giobbe” ‒, per non parlare
di un:
recovery
fund- “fondo
di recuperi” di cui molti non capiscono neppure il significato.
Eh, ma
troppo lungo, in italiano!
Allora
viva la neologia e gli scorciamenti: decentramento, neo città, sani tassa, austerità,
tagli, e visto che “DPCM” non ci spaventa perché non “RDL”?
No,
non si tratta di una “battaglia di retroguardia”, ma di un atteggiamento
didattico condito da un indispensabile pizzico di autoironia.
Mi
dispiace, ma quest’ itanglofilia strisciante e ormai proliferante è una
sindrome, preoccupante, di depauperamento di una cultura italiana sempre più
mèdiocre, e i tanti che difendono l’itanglese come necessario, inevitabile,
ormai irrinunciabile mi fanno soltanto cagare.
E ai
tanti che mi riferiscono di aver tradotto un testo inglese di cento parole con
centocinquanta italiane, mi rincresce, ma questo è il primo sintomo di chi non
sa tradurre.
La
traduzione è un mestiere, che occorre imparare.
Gli
argomenti degli itanglofili: sfatiamo i falsi miti.
Quante
volte sento dire che, eh sì, l’inglese è più “stringato” dell’italiano, ricorre
a meno parole per dire le stesse cose…
Che lingua agile e sciolta…!
Facciamo
un esempio. Salgo su un qualsiasi aeromobile di Alitalia, e mi siedo al posto
assegnatomi.
Sullo
schienale della poltrona di fronte a me leggo la seguente scritta bilingue:
“Life
jacket under seat”.
Il
giubbotto salvagente si trova sotto la propria poltrona.
Ebbe’,
sì… quattro parole inglesi contro nove italiane… bisogna riconoscere… in
effetti…
Qui ci
vuole un excursus storico e linguistico.
In base a direttive rivolte alla lotta contro
l’analfabetismo, sin dagli inizi del Novecento gli Stati Uniti hanno deciso di
ricorrere il meno possibile a segnali, preferendo loro ingiunzioni scritte.
Laddove
in Italia abbiamo un cartello circolare azzurro con una freccia bianca rivolta
verso destra, in America troviamo la scritta “turn right”.
Ora,
turn right si legge e assimila in fretta.
Ma un’indicazione più articolata, come “Attenzione al
pericolo di smottamenti improvvisi”, “tenersi rigorosamente sulla destra e
moderare la velocità”, può rivelarsi controproducente, in quanto l’automobilista
intento a decriptare tutto con attenzione si distrae dalla guida e fa
largamente in tempo a finire contro un palo o in fondo al burrone.
Questo
ha portato gli americani a “limare” quanto più possibile le segnalazioni,
stradali o altre.
Life
jacket under seat, letteralmente “salvagente sotto sedile”, non è inglese né
letterario né colloquiale, che direbbero piuttosto” the life jacket is under your seat”, sette parole: sempre meno di nove… In
Italia non siamo abituati a queste potature sintattiche.
Bisogna
spiegarci tutto.
Del salvagente viene precisato che si tratta
di un giubbotto salvagente, affinché qualcuno magari non immagini una ciambella
con la papera.
Si trova, nel senso che occorre cercarlo.
Sotto la propria poltrona, altrimenti
l’italiano lo va a prendere d’istinto sotto il sedile che ha davanti a sé.
È così
che, alcuni anni fa, apparve sulle portiere posteriori dei tassì italiani, in
corrispondenza della maniglia, la scritta bilingue:
Chiudere
piano.
Close
soft.
All’attenzione
di quei clienti zelanti che sbattono la portiera come se dovessero
schiaffeggiare un ippopotamo.
Ora, a parte il fatto che “close soft” in
inglese significherebbe “chiudere con dolcezza”, o “delicatezza”, premura tutto
sommato eccessiva nei confronti di una carrozzeria d’acciaio temprato, sulle portiere dei tassì britannici
leggo:
Please,
do not bang the door.
Con
tanto di please, di virgola e di “do no”t anziché “don’t”: questa volta, due a
sei per l’italiano.
Gli
studenti che non sanno il francese (lasciamo stare il tedesco) non soltanto non
lo sanno ma sono ben determinati a non saperlo mai.
Ora, in Russia, Cina, Giappone, Corea non
accettano l’inglese come esperanto (chiamiamolo a questo punto esperanglo):
o ti impari russo, cinese, giapponese, coreano
o te ne torni a casa.
In Francia, poi, provate a ordinare in inglese in un
negozio o ristorante, udirete le male parole.
Appartengo
alla comunità di italiani di origine straniera:
tra di
noi parliamo in varie lingue, anche italiano, va da sé, e assistiamo al
proliferare dell’itanglofilia tra incomprensione e sonore sghignazzate, perché
il fenomeno è caricaturale e a momenti avvilente.
La
“sostituzione etnica.”
In
questi ultimi tempi si fa un gran parlare di una paventata “sostituzione etnica”, che al dire di alcuni nostri eminenti
politici riguarderà l’Italia nei pochissimi decenni a venire.
Secondo
la logica ‒ populistica ‒ dell’uno più uno fa due, a forza di accogliere
migranti africani e vicino/mediorientali, tra vent’anni in Italia saremo tutti
marroncini, musulmani (anzi “islamici”) e parleremo tutti arabo.
Ha
senso vederla in questo modo?
Detto
tra noi, in Africa e Vicino e Medio Oriente, vengono parlate numerose lingue
che nulla hanno a che vedere con l’arabo:
berbero,
somalo, yoruba, igbo, bambara, wolof, persiano, curdo, urdu, pashto e
tant’altro.
Per
capirsi tra di loro avranno pur bisogno di una lingua comune, come ad esempio
quella di Dante, a portata di tutti, che scuola e mezzi di massa (ma anche
narrativa e canzonette) italiani continueranno a veicolare come hanno sempre
fatto.
Sono
padre di un ragazzo, oggi trentunenne, nato in Marocco da genitori sconosciuti,
che da anni porta il mio cognome.
Sono un ebreo vicino all’ateismo puro e duro,
idem la mia ex moglie nata cattolica:
nostro
figlio è cresciuto privo di religione, è perfettamente bilingue con italiano e
francese, parla benissimo inglese e tedesco, e ha studiato in Italia.
Una mia figliastra acquisita polacca ha
sposato un marocchino e hanno un bambino che sta crescendo in tre lingue:
hanno
tutti e tre cittadinanze e passaporti italiani.
Abbiamo
sostituito qualcuno o qualcosa?
In
quanto mezzo francese posso assicurare che la Francia è da decenni piena di
neri e mulatti di ogni sfumatura, musulmani ma anche induisti e buddhisti, che
si rivelano pienamente integrati da un punto di vista culturale e linguistico,
si esprimono in un francese da parlanti natii e vanno fierissimi del proprio
passaporto francese.
Certo, questo non esclude ricorrenti rigurgiti
di razzismo dichiarato conditi di “sporco negro/ebreo/cinese/islamico”
eccetera.
Gli
imbecilli rimangono la percentuale predominante del genere umano, a questo
possiamo soltanto rassegnarci.
Questo
i nostri eminenti politici lo sanno benissimo, e lo sfruttano spudoratamente
per ottenere consensi.
Redimere
gli imbecilli è, non impossibile, ma molto difficile, reclutarli invece è facilissimo:
vogliamo
far parte dell’”esercito di Franceschiello degli imbecilli”, o imporci di
riflettere?
Ora
anche il Regno Unito e la Germania ‒ per non parlare degli Stati Uniti! ‒
straripano di negroidi/islamoidi orgogliosi delle proprie cittadinanze
acquisite.
E vorrei soltanto ricordare che il tanto
atteso vaccino anti-covid è stato scoperto dai due turco-tedeschi “Uğur Şahin”
e “Özlem Türeci” (leggi uùr shahìn e özlèm türegì).
Chi
vive, cresce, magari è nato, in Italia, diventa italiano, che lo Stato lo
ammetta o meno, anche se a casa parla arabo, turco, persiano o francese, e
anche se si riconosce in una religione diversa da quelle cristiana o ebraica.
Si chiama ius soli“ diritto del suolo”, ius
culturae “diritto della cultura” o addirittura” ius scholae” “diritto della
scuola!
Ho tanti studenti arabi, o semiarabi, che “si
sentono” italiani quanto arabi, anche se musulmani di scrupolosa osservanza.
Se
sono nati o cresciuti in Italia, non è colpa loro!
Multiculturalismo
di facciata.
Più in
generale si fanno grandi discorsi sul “multiculturalismo” senza in realtà
capirne il significato.
Nel senso che io, aperto e democratico, ti
concedo, a te straniero, di restare in Italia, ci salutiamo con cortesia la
mattina e la sera, e non ci diamo fastidio a vicenda.
Questo
non è multiculturalismo, è ghettizzazione!
Qualche
giorno fa, in televisione, hanno fatto vedere un filmato su “Tor Pignattara”,
come per dire “guardate che fatiscenza”!
A me è
sembrato di vedere un quartiere londinese, e neanche di quelli degradati…
Molti
ignorano a quanto pare che:
1. La legge Mancino del 25 giugno
1993, n. 205 sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo
l’incitamento all’odio, alla violenza, la discriminazione per motivi razziali,
etnici, religiosi o nazionali.
2. L’art. 403 del Codice Penale sancisce
che «Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante
vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da 1000€ a 5000€».
Insomma
ce lo vogliamo ficcare in testa che, in Italia, il razzismo è reato?
In
Israele si fa un gran parlare di un futuro doppio stato: israeliano e
palestinese.
Nella vagheggiata ‒ quanto disarmante ‒
illusione che tra i due nuovi stati si instaurino progressivamente
confederazione, moneta unica e cordiali relazioni diplomatiche.
Per
quanto mi riguarda, sono per lo stato binazionale, che abbia due nomi, Israele
e Palestina, due lingue ufficiali, ebraico e arabo, e parità di diritti e di
doveri.
Ma uno stato binazionale, argomentano i
fautori del doppio stato, diventerebbe unicamente arabo nel giro di due decenni:
gli
ebrei si sforzano di sfornare tra quattro o cinque figli ‒ per patriottismo ma
anche per l’elevatissima mortalità, non infantile ma adulta, dovuta a guerre e
attentati quotidiani ‒, mente gli arabi ne scodellano in media da otto a
dodici.
Sono ormai
diversi anni, però, che gli arabi nati e cresciuti in Israele si dichiarano “arabi israeliani”, consentendo in tal modo agli ebrei
progressisti di dirsi “ebrei israeliani”.
Questi
arabi israeliani sono perfetti bilingui arabo-ebraico, e ben due di loro, “Anton
Shammas” (n. 1950) e “Sayed Kashua” (n. 1975) sono diventati scrittori in
lingua ebraica.
Devo forse ricordare il franco-marocchino “Tahar Ben
Jelloun” (nato in Marocco nel 1944), scrittore in lingua francese tra i più
tradotti nel mondo?
Alieni
anglosassoni.
Chi è
che, a questo punto, sostituisce davvero l’italianità di questo Paese?
Alieni
anglosassoni che invadono l’Italia?
Quanti
anglicizzano a più non posso?
O
rimbecilliti di purissima etnia italica?
Quei
tanti che temono di vedersi sostituire etnicamente, ebbene sono soltanto
insicuri nel profondo della propria italianità.
Se
“essere italiano” è aver paura di vedere il proprio vicino di casa senegalese o
pakistano acquisire la sua stessa cittadinanza, ma essere fiero di dire step, trend,
team, voucher, gate per “passo, tendenza, squadra, tagliando, imbarco” significa aver perso ogni
consapevolezza di appartenere a un popolo da sempre generoso e aperto allo
straniero.
E che
non mi piace più.
Commenti
Posta un commento