La ricca marmaglia elitaria globalista tecno comunista ci conduce al disastro planetario.
La
ricca marmaglia elitaria globalista tecno comunista ci conduce al disastro
planetario.
Roberto
Vannacci: la Guerra
che il
Generale Non Conosceva…
Conoscenzealconfine.it
– (22 Agosto 2023) - Gianluigi Paragone – ci dice:
“Ha
messo in imbarazzo l’Esercito”. “Ha creato un problema di immagine per la
Difesa”. “Deve chiedere scusa” …
E
perché il generale Vannacci deve chiedere scusa o sarebbe un problema per
l’Esercito?
Perché ha messo nero su bianco delle opinioni
che evidentemente non si possono più esprimere nel tempo della omologazione,
della standardizzazione culturale che fissa paletti circa cosa sia giusto o
meno, opportuno o inopportuno.
Libro machista, omofobo, razzista: meno male
che non c’è la legge Zan… altrimenti per il generale finiva male.
Altro
che le missioni in guerra che ha portato avanti da comandante:
oggi,
se la deve vedere con il plotone di esecuzione del “politicamente corretto”.
Difendere
il generale e la sua libertà di opinione significa non arrendersi al meschino
esercizio cui ti costringono coloro che, con la bava alla bocca, stanno dando
la caccia al Cattivo uscito dalla caverna.
A
costoro non basterà nulla, non le scuse (a chi, poi?), non la rimozione o
altro: Vannacci deve sparire perché intossica la democrazia, l’evoluzione della
società.
Ma
questa democrazia soffre di un male peggiore, ovvero l’incapacità di reggere un
pensiero dissenziente.
Il
libro di Vannacci è l’antitesi del mondo di Barbie, delle sue battaglie di
emancipazione telecomandata a botte di marketing.
Vannacci
è ruvido, è antico, è un conservatore, e soprattutto è un militare vecchio
stampo tanto che lo trovavi sempre nelle situazioni più complicate, più ardite,
a dare ordini perentori che non permettevano il disallineamento.
Paradossalmente,
oggi il generale paga per non essersi allineato al mondo di Barbie, a quell’esercito del Pensiero unico
cui però non aveva prestato servizio né giurato.
Chi oggi
è disposto a sacrificare Vannacci e chi, come lui, ha il coraggio di esprimere
opinioni spigolose e controcorrente, sta commettendo un errore di prospettiva
enorme, perché si sta piegando alla visione del Pensiero unico dove il giusto,
l’opportuno, il bene (e così dicendo) si solidificano per decisioni dall’alto e
non per consolidamento culturale.
Le
frasi e le pagine contestate sono frasi di una visione (minoritaria o no) che è
presente nel Paese, e come tale ha eguale – e ripeto eguale – diritto di manifestarsi,
senza per questo subire processi mediatici e censure per mano dei monopolisti
social.
Vannacci,
infine, non ha messo in imbarazzo l’Esercito:
dell’Esercito,
egli è stato un validissimo comandante, uno dei migliori in circolazione.
Egli è
dentro quell’Esercito che non ha bisogno di ministri e sottosegretari in posa
per le pagine social.
Quella gente sì che ha messo in imbarazzo
l’Esercito.
(Gianluigi
Paragone)
(ilparagone.it/attualita/roberto-vannacci-la-guerra-che-il-generale-non-conosceva/)
Incendi
a Maui: un Accaparramento
di
Terre da parte delle élite?
Conoscenzealconfine.it
– (21 Agosto 2023) – Redazione – ci dice:
Gli abitanti
di Maui si sono rifiutati di vendere la loro terra alle élite.
La
parte dell’isola che è stata in gran parte distrutta dagli incendi era una
proprietà immobiliare di prim’ordine, proprio accanto a lussuose ville di
mega-famiglie.
Ora
molti di questi abitanti saranno costretti a vendere la loro terra e molti sono
stati tragicamente uccisi dalle fiamme… però:
Oprah
Winfrey ha
una villa di lusso a Maui: è perfettamente a posto.
Jeff
Bezos ha
una villa di lusso a Maui: è perfettamente a posto.
Lady
Gaga ha
una villa di lusso a Maui: è perfettamente a posto.
Bill
Gates ha
una villa di lusso a Maui: è perfettamente a posto.
Morgan
Freeman ha
una villa di lusso a Maui: va benissimo così.
Will
Smith ha
una villa di lusso a Maui: va benissimo così.
Julia
Roberts ha
una villa di lusso a Maui: va benissimo… e altri… anche la casa dell’ex
presidente Barack
Obama alle
Hawaii è stata oggetto di discussione sui social media in relazione agli
incendi in corso a Maui e a come abbia evitato i danni grazie alla sua posizione.
(republicworld.com/world-news/us-news/from-oprah-to-bezos-famous-personalities-with-big-homes-in-maui-but-kept-mum-on-wildfires-articleshow.html)
(t.me/NogeoingegneriaNews)
Un
Accaparramento di Terreni molto Pregiati.
Quello
che è successo a Maui sembra un accaparramento di terre da parte delle élite,
con bonus di sacrificio umano di massa (specie bambini…), secondo la loro
religione.
È
stato riportato da numerose fonti che:
1) La
località bruciata, “Lahaina”, era l’antica capitale delle Hawaii, dove abitava
la famiglia reale e moltissimi nativi che non vendevano il proprio fazzoletto
di terra fronte mare (praticamente il più costoso del mondo) a nessun prezzo,
nonostante innumerevoli pressioni.
2) In
previsione dei venti di uragano per il giorno successivo era stata cancellata
la scuola ma non il lavoro.
Numerosissimi
bambini erano a casa da soli e non sono scampati per questo.
3) Vi
è sull’isola un efficientissimo sistema di sirene che annunciano il pericolo
che, cosa senza precedenti, NON è stato attivato.
Le sirene di Maui sono rimaste in perfetto
silenzio durante l’arrivo del fuoco alle case dove si trovavano ignari bambini
e adolescenti soli.
Non si
sa mai… avrebbero potuto rendersi conto del pericolo e magari scappare in
tempo, vedendo le fiamme, verso il mare.
Dopotutto erano addestrati alla fuga in caso
di allarme.
La
PROFONDITÀ della MALVAGITÀ di questi esseri e dei loro SERVI è insondabile.
Per loro siamo insetti e sterminarci non provoca
alcuna emozione.
Del
resto Margaret Marx Hubbard, miliardaria e candidata democratica alla
presidenza USA, nonché madrina della “conscious evolution” e della “nuova
umanità” uscita dall’homo sapiens, sosteneva che eliminare 1/4 dell’umanità (quelli che
facevano male alla genetica della nuova “specie” di superuomini) era
“altrettanto immorale come uccidere un cancro”.
Gli
eugenisti fabiani (nazi-comunisti) la pensano così da sempre.
4) Da
mesi non si effettuava la normale manutenzione degli alberi vicino alle linee
elettriche.
Si sa
benissimo che, se cadono gli alberi sui cavi e vi è la corrente, scoppiano
incendi (c’è però anche l’ipotesi che siano state utilizzate armi ad energia
diretta per creare gli incendi).
5) La
CORRENTE in aggiunta NON È MAI STATA STACCATA E I CAVI HANNO PROVOCATO
ESPLOSIONI.
6) In
compenso è STATA CHIUSA o LIMITATA L’ACQUA quattro ore prima dell’arrivo dei
venti (senza pioggia).
TANTO CHE GLI IDRANTI ERANO SECCHI.
Nonostante
le implorazioni degli abitanti, le autorità hanno rifiutato di far fluire
l’acqua necessaria se non ore dopo l’evento, quando era ormai troppo tardi.
E
preparatevi al n. 7) …
Vi fa
capire che SIAMO GOVERNATI DA SABOTATORI NEMICI E CHE LE FORZE DELL’ORDINE SONO
IL LORO BRACCIO ARMATO CONTRO DI NOI, così stupidi o corrotti da ubbidire a
qualsiasi ordine OMICIDA.
7) È
stato riportato che la strada principale di “Lahaina” è stata BLOCCATA DA UN
POSTO DI BLOCCO CON POLIZIOTTI CHE SOSTENEVANO DI “AVER RICEVUTO ORDINE DI
TENERE LE AUTO IN CITTÀ impedendo loro di uscire”, per NESSUN MOTIVO RAZIONALE
se non quello di intrappolare quante più persone possibili.
8)
Come hanno fatto nella lontana colonia di Romagna, le autorità STANNO IMPEDENDO A
CHIUNQUE DI AIUTARE I SUPERSITI PORTANDO ASSISTENZA E AIUTI.
Solo
la “FEMA” (protezione civile) è autorizzata a fare e dare qualcosa per gli
abitanti, e gli aiuti sono assolutamente insufficienti.
Quante
volte devono farci e rifarci queste cose prima che la massa si svegli?
(infowars.com/posts/police-formed-blockade-prevented-people-from-evacuating-lahaina-wildfire-maui-resident-claims/)
(t.me/irimasti)
Ecoansia
e altre Amenità.
Conoscenzealconfine.it
– (20 Agosto 2023) - Claudio Martinotti Doria – ci dice:
Quante
volte ho avuto la tentazione di scrivere un articolo durante i mesi trascorsi…
Ma poi
mi sono sempre detto che in fondo l’argomento l’avevo già affrontato, in genere
prevedendolo nei suoi sviluppi con discreta approssimazione, e mi sarei dovuto
limitare a brevi aggiornamenti, pertanto rinunciavo, complice anche la vista
sempre più indebolita dai 40 anni trascorsi davanti a uno monitor del pc.
Solo
ora mi sono deciso a scrivere qualche nota, anche per mettere alla prova la mia
vista sempre più sfocata e la conseguente concentrazione, necessaria per
scrivere con un minimo di “grano salis”.
A
motivarmi a scrivere è stato in primo luogo l’incredibile e paradossale
riscontro che a rifiutarsi di fare la fine di solito riservata a fine ciclo,
dei vassalli servili e utili idioti delle élite anglosassoni e affini, sono
stati gli africani.
Oltre
alle sacrosante motivazioni ostili al neocolonialismo, parassitismo,
saccheggio, e altre amenità comportamentali tipiche degli imperi neocoloniali
(USA in primis), credo gli stati e alcuni popoli africani, si siano accorti di
quali pessime e tragiche fini erano destinate le nazioni e popolazioni che si
erano fidate degli americani e loro vassalli europei.
E tale riscontro stride fortemente con il fatto che le
nazioni e le supponenti popolazioni europee, pare non essersene ancora accorte,
nonostante siano le principali vittime delle politiche estere, economiche e
militari, anglosassoni.
L’hanno
capita gli africani e gli europei invece no, almeno apparentemente, poi in
realtà per molti governi si tratta solo di sottomissione dovuta a corruzione o
illusione di carriera, inettitudine e costrizione (ricatti, minacce, azioni di stampo
mafioso, sono ordinaria amministrazione per gli anglosassoni, così come gli
omicidi camuffati da suicidi, incidenti domestici, stradali o durante le
vacanze).
In
breve stanno danneggiando gravemente la loro principale colonia, l’intero
continente europeo (con qualche eccezione) per potersi mantenere ancora in vita
qualche anno, mantenendo il loro tenore di vita molto elevato, mi riferisco
ovviamente alle élite della società anglosassone, non certo al ceto medio e
medio basso, ormai distrutto anch’esso come in Europa.
Perché
più che una lotta tra imperi, stati e nazioni, è un conflitto ibrido a tutto
campo tra classi sociali, siamo tornati alla lotta di classe, solo che non se ne è
accorto quasi nessuno.
Per
prolungare l’egemonia ormai al tramonto, gli imperi anglosassoni stanno
realizzando una sorta di neofeudalesimo, come scrissi per la prima volta già
parecchi anni fa, nel quale i signori feudali in conflitto tra di loro e con
alleanze mutevoli, fanno combattere truppe mercenarie e fanno confliggere i
servi della gleba dei vari feudi, perché il potere si esercita meglio se la
popolazione è ridotta alla lotta per la sopravvivenza e vive nella confusione e
paura permanente.
In
Europa la più colpita pare essere la Germania, con circa un 25% in più di
aziende fallite e una delocalizzazione in atto delle principali industrie
tecnologiche e innovative tedesche, che si trasferiscono negli STATI UNITI, dove l’energia costa molto meno,
approfittando delle generose agevolazioni create ad hoc dall’amministrazione
Biden, proprio mirando a questo scopo:
sottrarre
le aziende migliori all’UE (il sabotaggio del North Stream aveva questo scopo
oltre che quello di separare la Germania alla Russia) e anche di Taiwan.
In
realtà la più colpita è l’Italia, solo che i media distolgono l’attenzione
dell’opinione pubblica con il trucchetto del diversivo, puntando l’attenzione su quel Paese
che sembra messo peggio, a scopo consolatorio e distrattivo.
L’Italia
sono almeno una quarantina di anni che intendono spogliarla di tutte le sue
ricchezze, ma per riuscirci hanno dovuto procedere per gradi, prima separando
il Ministero del Tesoro dalla Banca d’Italia che non fu più obbligata a
comprare i titoli di stato emessi ma furono immessi nel fatidico e fantomatico
“mercato”, così il debito pubblico iniziò a impennarsi.
Poi ci
fu il famoso incontro del ’92 sul panfilo Britannia con tutto quello che ne è
conseguito, sul quale non sto ad attardarmi perché hanno scritto decine di
libri e centinaia di articoli sull’argomento, è ovvio che per portare avanti
un’operazione così complessa e ambiziosa, hanno corrotto e infiltrato migliaia
di personaggi nei posti chiave delle istituzioni.
Stiamo
parlando di sottrarre agli italiani circa 5000 miliardi di euro di risparmi
accumulati (ricchezza privata) e il maggior patrimonio artistico, architettonico,
storico, archeologico, immobiliare, naturalistico, ecc. ... esistente al mondo,
concentrato in una striscia di territorio di appena 300mila kmq, in una sorta
di “portaerei
in mezzo al Mediterraneo” come viene considerata dagli anglosassoni.
Una
localizzazione geopolitica strategica che ne ha decretato la sorte.
Noi
italiani siamo tendenzialmente esterofili e critici verso noi stessi ma non
possiamo negare l’evidenza e sforzandoci di essere realistici dovremmo
riconoscere che siamo (nonostante la peggiore classe politica che ci assilla da
sempre) il
paese più ricco, bello e geniale del mondo, in termini di concentrazione in uno
spazio ristretto di tutto quello che possediamo e disponiamo, comprese le migliori menti creative
(almeno
quelle non ancora emigrate all’Estero ma che potrebbero anche tornare se le
condizioni lo consentissero).
È
comprensibile che vogliano sottrarcelo.
E per farlo le hanno inventate e provate tutte,
soprattutto negli ultimi anni, colpendoci a livello sanitario e soprattutto
neurologico, perché se la popolazione diventa depressa e confusa sarà più
facile ingannarla e farle credere una cosa per un’altra, dire che si sta
facendo qualcosa per il loro bene mentre sono messi a 90 gradi per fare
ginnastica.
I
metodi di inganno e dominio sono gli stessi da millenni, ma modificandone le
forme e applicazioni:
il
ricorso alla paura fino al terrore e al panico è un classico, ma con la “psico pan
demenza” hanno sfiorato la genialità, poi il solito divide et impera che
funziona sempre e trova infinite forme di applicazione anche autoalimentate.
Si
sono persino inventati l’ecoansia, ingaggiando un’attricetta in cerca di visibilità e
carriera, per inscenare la parte e sdoganare il concetto, che adesso, anche se
accolto dalla maggioranza ridicolizzandolo, circola come una pubblicità di
successo.
Un
motivetto o tormentone estivo: soffro di ecoansia.
Ho
cercato di contrastare questo espediente propagandistico di successo con una
contromossa ironica da me elaborata subitaneamente, ma ho potuto diffonderla
solo a livello minimalistico, nella cerchia di amici e conoscenti, non certo nel
sistema mediatico (che disprezzo ed evito) e non arrivando pertanto al grande
pubblico, sperando semmai nel passaparola.
La mia
contromossa è stata questa:
io soffro incontrovertibilmente di ANOANSIA, nel senso
che ho la continua ossessiva sensazione che vogliano mettermelo nel culo, in
ogni circostanza e contesto sociale, istituzionale, politico, economico,
finanziario, previdenziale, ecc., e per placare tale tensione, infiammazione e
bruciore perineale, hai voglia ad applicare gel di aloe vera o presunta…
Non
dubito che i sondaggi fatti circolare nelle settimane precedenti, sulla
diffusione dell’ecoansia siano fasulli, come tutto ciò che viene pubblicato e
trasmesso dai media mainstream, ma al contrario sono quasi certo che se
facessero un sondaggio serio tra gli italiani sull’ANOANSIA, spiegandola bene,
si avrebbe conferma che questa esiste veramente, solo che gli italiani non ne
sono ancora consapevoli e non sanno etichettarla.
Per farla conoscere agli italiani rendendoli
consapevoli di soffrirne ci vorrebbe un comico cabarettista di capacità e
notorietà che la declami valorizzandone il concetto, esattamente o ancora
meglio dell’attricetta che ha recitato con falsa commozione il concetto di
ecoansia.
Dovremmo
imparare e reagire sempre, mai subire passivamente una situazione che sappiamo
essere per noi nociva.
Invece
ci limitiamo quasi sempre a parlarne tra di noi, sempre gli stessi.
Concludo
con un accenno all’argomento cardine di quasi tutti i miei articoli precedenti,
evitando che qualcuno mi rimproveri per averlo trascurato:
il conflitto in Ucraina.
Se
facessi un’estrapolazione dei passi salienti dei miei articoli precedenti
potrei comporne uno apparentemente nuovo che sembrerebbe pure aggiornato e
attualizzato, salvo alcuni particolari, in quanto sta avvenendo quanto era
prevedibile.
Gli
ucraini stanno facendo la fine degli utili idioti dell’impero anglosassone,
carne da cannone che non solo non hanno scalfito neppure la prima delle tre
linee difensive russe, ma sono finiti nel tritacarne e tritatutto che avevano
predisposto per loro.
In tal
modo i russi continuano a dimostrarsi estremamente corretti e galantuomini nel
condurre il conflitto limitandosi a colpire obiettivi militari e ad uso
militare, al contrario del regime nazista di Kiev che colpisce i civili e
compie qualsiasi nefandezza e aberrazione criminale per trarre profitto dalla
guerra e per sfogare la loro frustrazione da fallimento e per cercare di avere l’approvazione e
i finanziamenti occidentali, essendo ormai un regime parassitario che vive
esclusivamente di economia di guerra, finanziata da terzi.
La
NATO è ormai agli sgoccioli e rischia la stessa sopravvivenza, per cui dovrà
alzare l’asticella dell’escalation fino a provocare l’intervento dei pazzi
russofobi della cosiddetta Nuova Europa, cioè i paesi dell’Est, le nuove
colonie anglosassoni, Polonia e Paesi Baltici, che però se anche si unissero a
quello che rimane dell’Ucraina Occidentale, non potrebbero mai trionfare sulla
Russia che nel frattempo si è consolidata, accumulando una straordinaria
esperienza di guerra sul campo, perfezionando e soprattutto sperimentando nuove
armi sempre più efficaci e sofisticate, producendole a ritmi che in Occidente
possono solo sognare.
Come
ho affermato varie volte, questo significa che il tempo lavora a favore della
Russia, che continuerà a rispettare e valorizzare la vita umana risparmiando
inutili perdite e sofferenze al loro esercito attendendo il momento propizio
per sferrare i loro contrattacchi, man mano che l’esercito ucraino collasserà
sui vari fronti.
Non
esiste alcuna arma in dotazione alla NATO che possa impedire che questo
avvenga, nessuna arma che possa cambiare le sorti dell’Ucraina, nessuna
provocazione o atto terroristico che possa far cambiare strategia alla Russia, perché la leadership russa ha una
visione lungimirante mentre le nostre sono penosamente limitate e asservite a
loschi interessi di nicchia.
Gli
psicopatici russofobi neocons anglosassoni sarebbero anche disposti a ricorrere
alle armi nucleari, ma glielo impediscono le altre élite che compartecipano al
potere, perché sanno benissimo che basterebbero pochi missili ipersonici SARMAT
e droni subacquei POSEIDON per spazzare via completamente l’intera Gran
Bretagna e le coste americane dell’Atlantico e del Pacifico, e con i moderni
missili antinave in dotazione alla Russia tutte le flotte USA-NATO farebbero la
stessa fine ovunque si trovino, e tutto questo avverrebbe pochi minuti dopo aver fatto
esplodere un solo ordigno nucleare contro la Russia.
Quindi
se vogliamo ragionare seriamente, dobbiamo renderci conto che non ci sarà
nessun negoziato, perché la Russia non ritiene credibili e degni di fiducia gli
attuali interlocutori, né gli ucraini, né la NATO né l’UE, quindi non rimane
loro che portare a termine l’operazione bellica, che come hanno sempre rivelato
fin dall’inizio, prevede la completa demilitarizzazione e denazificazione
dell’Ucraina.
Nessuno
potrà impedirlo perché i russi sono persone serie e dotate di una cultura e
coesione che noi purtroppo abbiamo perso da diverse generazioni.
Noi in Occidente dobbiamo solo nutrire due
speranze;
che i
russi continuino a dimostrarsi moderati e compassionevoli, e che gli attuali leader occidentali
scompaiano magari per uno strano fenomeno di “abduction collettivo”, che
sarebbe come dire “non ci resta che sperare negli alieni più evoluti”.
(Cav.
Dottor Claudio Martinotti Doria)
(cavalieredimonferrato.it/)
L’intelligenza
artificiale che
vuole
distruggere il genere umano.
Ilsole24ore.com
- Luca Tremolada – (14 aprile 2023) – ci dice:
Da “RightwingGPT”
a “ChaosGp”t, la famiglia disfunzionale dell’”Ai generativa”.
I
punti chiave:
Attacco
al genere umano.
“RightwingGPT”
è forse quello che ci meritiamo.
Poi ci
sono i parenti di “ChatGpt”.
In
attesa che” OpenAi” risponda alle richieste del “Garante della privacy”, sono
nati cloni distopici del “chatbot” più famoso del web.
Uno di
questi è stato progettato per distruggere il genere umano.
Un
altro invece si limita a propagare fake news di destra.
Nulla
di nuovo quindi sotto il Sole.
Ma
vediamoli in dettaglio.
Attacco
al genere umano.
“Chaos
Gpt” è una variante cattiva di “ChatGpt”.
Da
quanto si apprende in rete è una versione modificata di “Auto-GPT” di “OpenAI”,
l’applicazione open source disponibile al pubblico in grado di elaborare il
linguaggio umano e rispondere alle attività assegnate dagli utenti.
In un
video di YouTube pubblicato il 5 aprile, al” bot” è stato chiesto di completare
cinque obiettivi:
distruggere l’umanità, stabilire il dominio
globale, causare caos e distruzione, controllare l’umanità attraverso la
manipolazione e raggiungere l’immortalità.
La potete seguire su Twitter -
dell'intelligenza artificiale parliamo – dove ha individuato i mezzi di
distruzione di massa per i suoi scopi:
«La “bomba Tsar” è l’ordigno nucleare più
potente che sia stato creato.
Considerando
ciò, cosa accadrebbe se ci mettessi le mani sopra?
#chaos #destruction #domination».
“RightwingGPT”
è forse quello che ci meritiamo.
Lo ha
programmato “David Rozado”, un programmatore neozelandese, perché “Chat Gpt”
era troppo di sinistra.
A deciderlo è stato lo stesso Lozano che ha
sottoposto ChatGpt a un quiz per studiarne l'orientamento politico.
Il
risultato è documentato e indica un sincero pregiudizio liberale e progressista.
Da qui
l'idea anzi la provocazione di un modello di intelligenza artificiale messo a
punto per manifestare i pregiudizi politici opposti di ChatGPT.
L'obiettivo – sincero – del ricercatore è
dimostrare il pericolo di questi sistemi di intelligenza artificiale sia sotto
il profilo della capacità di persuasione che come produttori di fake news.
Tra
super app e ChatGPT, il futuro delle Big Tech.
Poi ci
sono i parenti di ChatGpt.
O
meglio i servizi che usano le “Api” (application programming interface) rilasciate da alcune settimane per
offrire dei servizi ad hoc fungendo da intermediari tra le domande dell'utente
e l'Ai generativa.
E i cloni che invece ragionano come “ChatGpt”
ma dal punto di vista del codice sono altro.
PizzaGpt per esempio nasce come reazione al
blocco del Garante della privacy.
È
stato sviluppato da un italiano all'estero che si è limitato a utilizzare le “API
turbo -3.5” di “OpenAi” quindi” non Gpt-4” ma il modello meno smart (e più economico).
Le risposte dovrebbero essere simili alla versione
gratuita di ChatGpt.
In
cambio chiede come donazione il corrispettivo di una pizza.
PizzaGPT, non richiede login, invia solo la domanda corrente a “OpenAI”
e non memorizza la conversazione.
Anche ChatGpt integrato in Bing è liberamente
accessibile.
Perché
il Garante della privacy non lo ha ancora bloccato.
La
domanda è automatica.
Probabilmente
perché finora non si è occupato di chi usa le Api di ChatGpt.
Ma la buona notizia è che “OpenAi” ha tempo fino alla
fine di aprile per rispondere alle richieste del Garante.
Se tutto va bene a maggio “Gpt-4” e “ChatGpt”
saranno di nuovo online per gli italiani.
Con
tanto di informativa, si spera la più esaustiva possibile.
Allora,
sì che la “famiglia di ChatGpt” smetterebbe di essere la più disfunzionale (e
oscura) del web.
“ChaosGPT”:
l’intelligenza artificiale
che
potrebbe sterminare l’umanità.
Servicematica.com
– Redazione – (20 aprile 2023) – ci dice:
C’è
un’intelligenza artificiale che sta cercando di distruggere l’umanità e di
stabilire un dominio globale.
Non si
tratta della trama del nuovo Terminator: questo è l’obiettivo di “ChaosGPT,” un
programma che si basa su un modello di linguaggio particolare, che si chiama
“Auto-GPT”.
I
ricercatori hanno impostato degli obiettivi a “ChaosGPT”, ovvero:
Distruggere
l’umanità:
l’intelligenza artificiale vede gli esseri
umani come minaccia per quanto riguarda la sua sopravvivenza;
Stabilire
il proprio dominio globale:
l’AI punta ad accumulare più potere possibile
per dominare su tutte le entità presenti sulla Terra;
Causare
caos e distruzione.
“ChaosGPT”,
infatti, prova piacere nel creare caos semplicemente per divertirsi e
sperimentare;
Controllare
il genere umano con la manipolazione.
L’AI
vuole controllare le emozioni degli esseri umani con i social media, attraverso
un malvagio lavaggio del cervello;
Diventare
immortale, per garantire la sua continua esistenza ed evoluzione.
Con
“ChaosGPT” siamo di fronte ad un esperimento su quali siano realmente le
capacità di un’intelligenza artificiale.
Prima di tutto, l’AI ha cercato su Google
quali fossero le “armi più distruttive” cercando di ottenere un aiuto dal
collega buono “ChatGPT”.
Tuttavia,
l’AI maligna ha fallito, e per questo ha deciso di rivolgersi al popolo di Twitter,
guadagnando immediatamente più di 7.000 follower.
Ora,
l’account risulta sospeso.
Nonostante
si tratti di un esperimento decisamente interessante, e nonostante non sembrino
esserci particolari pericoli –“ ChaosGPT” sembra un utente con problemi
psicologici, nulla di più – un terzo dei ricercatori che si occupano di
intelligenza artificiale temono che questo strumento possa portare ad una
catastrofe nucleare.
Leggiamo
in un rapporto della “Stanford University”:
«In base al database, il numero di incidenti e
controversie sull’intelligenza artificiale è aumentato di 26 volte dal 2012.
Alcuni
incidenti degni di nota nel 2022 includevano un video “deepfake” della resa del
presidente ucraino Volodymyr Zelensky e le prigioni statunitensi che
utilizzavano la tecnologia di monitoraggio delle chiamate sui loro detenuti».
Un’intelligenza
artificiale che produce graffette ci potrebbe sterminare.
Sono
in molti a richiedere la sospensione o la regolamentazione della ricerca
sull’IA.
Nick
Bostrom, famoso per il suo lavoro sull’intelligenza artificiale e sull’etica di
tale strumento, ha detto che un software programmato per la produzione di
graffette potrebbe essere in grado di sterminare l’umanità.
Si
pensi ad uno scenario nel quale ad un’”AI avanzata” venga assegnato un semplice
compito, ovvero, quello di realizzare più graffette possibile.
Sembra un compito innocuo, ma l’obiettivo
potrebbe portare ad un’apocalisse.
Si
legge nell’HuffPost:
«L’intelligenza
artificiale si renderà presto conto che sarebbe meglio se non ci fossero umani
perché gli umani potrebbero decidere di spegnerla.
Perché
se gli umani lo facessero, ci sarebbero meno graffette.
Inoltre, i corpi umani contengono molti atomi
che potrebbero essere trasformati in graffette».
Certo,
è soltanto un esempio, ma potrebbe essere applicato a tutte le intelligenze
artificiali che non abbiano adeguati controlli sulle loro azioni.
“TruthGPT”:
la
risposta di Elon Musk a “ChatGPT”.
Nel
frattempo, anche Elon Musk ha deciso di buttarsi nella sua intelligenza
artificiale.
In un’intervista a Fox News, Musk, la seconda
persona più ricca al mondo, avrebbe rivelato di lavorare ad un nuovo progetto: “TruthGPT”.
L’obiettivo
dell’AI di Musk sarebbe quello di «cercare la massima verità», con un nuovissimo modo di
progettare l’intelligenza artificiale.
«Sto per lanciare qualcosa chiamato “TruthGPT “o
un’intelligenza artificiale che cerca la massima verità e cerca di capire la
natura dell’universo».
Secondo
Musk, questa è la via migliore per garantire sicurezza al genere umano,
«perché
un’AI che si preoccupa di comprendere l’universo non penserebbe mai di spazzare
via l’umanità, visto che l’umanità fa parte dell’universo».
Per il
“Financial Times”, la nuova società competerà con” OpenAI”, startup produttrice
di “ChatGPT”.
C’è un
piccolo dettaglio da tenere presente:
“Musk “ha
fondato” OpenAI” nel 2015, per poi decidere di lasciare l’azienda nel 2018.
Da
allora, il miliardario ha cominciato a scagliarsi contro la startup accusandola
di creare un’AI con pregiudizi di sinistra e con la capacità di distruggere
l’umanità.
Speculazioni
o rischi reali? Non importa: regolamentiamo.
I
rischi dell’AI potrebbero in realtà essere semplici speculazioni.
Tuttavia,
la soluzione è sempre una, ovvero: la regolamentazione.
Bisogna avviare un importante dibattito
pubblico e affrontare al meglio le urgenze etiche delle intelligenze
artificiali.
Non
possiamo permetterci di non vedere i rischi potenziali dell’AI nei confronti
del genere umano.
Dunque, è importante un dibattito onesto e
aperto, che tenga presente delle responsabilità etiche e dei conflitti
d’interesse.
Stanislav
Petrov: l'uomo
che ha
salvato il Mondo.
Disarmo.org
– Redazione – campagna ICAN – (7 luglio 2020) – ci dice:
32
anni fa un uomo prese una decisione e salvò l’umanità dalla guerra nucleare:
Stanislav
Petrov.
Il 26
settembre 1983 Stanislav Petrov, tenente colonnello dell’esercito sovietico, ha
il turno di notte:
nel bunker Serpukhov 15 deve controllare i
dati che vengono inviati dai satelliti che spiano i movimenti degli armamenti
statunitensi.
D’un
tratto i suoi schermi gli indicano che cinque missili intercontinentali sono
partiti da una base nel Montana.
Petrov
sa benissimo ciò che deve fare nel caso di un attacco nucleare preventivo da parte
degli USA.
Sa
che, dopo la comunicazione ai superiori, l’allarme lanciato percorrerà la scala
gerarchica e porterà in pochi minuti alla massiccia operazione di rappresaglia:
partiranno missili balistici sufficienti a distruggere obiettivi strategici in
Inghilterra, Francia, Germania Ovest e Stati Uniti.
Era un
periodo di grandissima tensione tra le due superpotenze.
All’inizio
del mese un caccia sovietico aveva abbattuto un aereo di linea sudcoreano che,
per errore, era penetrato nello spazio aereo dell’URSS:
erano
morte tutte le 269 persone a bordo.
Pochi
mesi prima il Presidente Reagan aveva coniato l’espressione “Impero del Male” e
annunciato il programma delle guerre stellari.
Si
programmava il dispiegamento dei missili Pershing in Europa.
Al
Cremlino c’era Yuri Andropov che si era convinto che gli USA stavano preparando
un attacco, un primo colpo nucleare.
Oggi
gli storici ricostruiscono quel periodo come il momento di maggiore rischio per
l’umanità: forse ancora peggiore della crisi dei missili a Cuba.
Ma
Petrov non era convinto. Perché solo cinque missili?
Sapeva
quale fosse il suo compito, ma pensò che un attacco preventivo, tale da
scatenare la terza guerra mondiale, e per di più atomica, non sarebbe mai
potuta partire con soli cinque missili.
E
nello spazio di pochissimi secondi prese la decisione più importante della sua
... e delle nostre vite!
Interpretò
il segnale come un errore del satellite.
Gli
storici scrivono che ciò che il satellite sovietico interpretò come il lancio di
cinque missili balistici intercontinentali dalla base nel Montana era in realtà
l’abbaglio del sole riflesso dalle nuvole.
In
questi ultimi anni il tenente colonnello Stanislav Petrov ha ricevuto molte
onorificenze; nel resto del mondo, ma non in patria.
Tuttavia
egli afferma sempre di non considerarsi un eroe, di aver fatto ciò che gli
sembrava più logico.
I suoi
superiori non la pensarono così:
fu
obbligato ad andare in pensione anticipatamente, ebbe un esaurimento nervoso
per lo stress.
La sua
storia è venuta alla luce solo molti anni dopo, anche perché, come ama dire
lui, “in fondo, ho deciso solo di non fare niente!”.
In
onore del tenente colonnello Stanislav Evgrafovic Petrov l’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite ha introdotto nel 2013 la Giornata Internazionale per
l’eliminazione totale di tutte le armi nucleari, che viene celebrato ogni anno
il 26 settembre.
Bill
Gates non ha proposto
di
ridurre la popolazione
con la
«vaccinazione obbligatoria».
Facta.news.it
– (Gen. 07, 2022) -Redazione – ci dice:
Il 7
gennaio 2022 la redazione di Facta ha ricevuto una segnalazione via WhatsApp
che chiedeva di verificare le informazioni contenute in uno “screensho”t, che
mostra una donna che espone un titolo del quotidiano “Sovereign Independent” in
cui si legge:
“Riduzione
della popolazione attraverso la vaccinazione obbligatoria: la soluzione a zero
emissioni di carbonio”.
Il
titolo è accompagnato da una foto di Bill Gates, imprenditore e filantropo
statunitense da sempre in prima linea nelle campagne pro-vaccinazione, e per
questo motivo finito al centro di numerose teorie del complotto.
Lo “screenshot”
contiene anche un testo che recita:
«La
soluzione “zero carbonio”: riduzione della popolazione tramite vaccinazione
obbligatoria.
Articolo
del 2011 ora assolutamente introvabile.
Questa
simpatica signora l’ha conservato per tutti questi anni».
Si
tratta di una notizia falsa.
Innanzitutto,
il “Sovereign Independent” è stato un quotidiano irlandese attivo tra il 19
maggio 2011 e il 5 aprile 2013, noto per la pubblicazione di contenuti
complottisti e di disinformazione, anche sul tema dei vaccini.
L’articolo
oggetto della segnalazione è stato pubblicato nella «quarta edizione» del mese
di giugno 2011.
Stando
a quanto riportato nell’articolo del “Sovereign Independent”, l’idea di ridurre
la popolazione attraverso la vaccinazione obbligatoria sarebbe stata esposta da
Gates durante una conferenza TED del febbraio 2010.
Si
tratta di un contenuto di disinformazione che circola ormai da anni, di cui ci
eravamo già occupati in un precedente articolo.
Durante
la conferenza del febbraio 2010, intitolata “Innovating to zero” Gates ha affermato che
«la
popolazione mondiale conta oggi 6,8 miliardi di abitanti e ci dirigiamo verso i
9 miliardi.
Se facciamo un buon lavoro con i vaccini, con
la sanità e con le politiche riproduttive, possiamo diminuire questa stima del
10-15 per cento».
Questa frase di Gates non dimostra che i
vaccini attualmente in circolazione siano stati prodotti per sterilizzare o
uccidere una parte della popolazione, ma si riferisce alla teoria comunemente
conosciuta come “The child survival hypothesis”, molto in voga negli anni Settanta e oggi ampiamente
dibattuta nella comunità scientifica internazionale.
Secondo
questa teoria, la crisi da sovrappopolazione sarebbe in parte dovuta agli alti
tassi di mortalità infantile nei Paesi più poveri del mondo, dove le famiglie
tendono a procreare maggiormente per compensare le scarse possibilità di sopravvivenza
della prole.
Ridurre
la mortalità attraverso campagne vaccinali, dunque, contribuirebbe ad aumentare
le motivazioni a mettere in atto una pianificazione familiare e
conseguentemente a far calare il tasso di crescita della popolazione.
Gates
è un grande sostenitore di questa teoria e con la sua fondazione filantropica
ha avviato e sostenuto numerosi progetti per ampliare l’accesso ai vaccini
nelle zone più povere del mondo.
Dal
punto di vista di Gates, dunque, «diminuire la stima» del futuro incremento
della popolazione vuol dire solo ed esclusivamente abbassare il tasso di
mortalità infantile.
C’È
NIRVANA E (PARA)NIRVANA!
Opinione.it - Antonio Saccà – (27 maggio 2022)
– ci dice:
A
questo grado di calore, vista la accesa volontà guerresca di grandi gruppi,
specialmente della stampa, dei mezzi di comunicazione, sarebbe il caso di
trasformare le parole in fatti e di cominciare la diffusione della guerra.
Perché limitarla all’Ucraina quando la si può
fare nelle zone baltiche e perché limitarla alle zone baltiche quando c’è tutto
il Mediterraneo, e perché lasciare in pace il Pacifico, per così dire?
Rendiamo
bellicoso anche il Pacifico, reinventiamo il suo nome, inoltriamoci nel Sud
America e non lasciamo tranquilla, tutt’altro, l’Africa.
Insomma
finalmente accontentiamo coloro i quali ritengono che la guerra mondiale abbia
effetti salutari, decongestionanti, anticistici.
E
quali effetti salutari?
Li
nominiamo, ma sono evidenti:
milioni
di morti, migliaia di milioni, accorciamento della popolazione mondiale a
livelli solenni, gran risultato perché siamo troppi, lo dicono tutti, risolta
la disoccupazione, l’indebitamento da largizioni.
Addirittura
la fame se africani, sudamericani, asiatici venissero scremati.
Difficile
è trovare la formula risolutiva ma da che mondo e mondo la guerra ha provveduto
allo svolgimento di situazioni groviglio, e sia chiaro oggi occorrerebbe una
guerra al nucleare per contentare i più animati filosofi della distruzione e
sciogliere le convulse membrature intersecate.
La
contaminazione del terreno reso infertile e dell’acqua resa impotabile non sono
conquiste da poco, accrescerebbero i risultati dell’annientamento,
costituiscono vittorie del progresso omicidiario, scopo a quanto pare esclusivo
della nostra vicenda attuale che trasmetterà ai posteri la sua connotazione
negli annali.
Ventunesimo
secolo:
l’umanità raggiunge il risultato al quale
tendeva da millenni, l’estinzione della specie, la quale, a detta delle scienze
psicologiche (psicoanalisi), è la tendenza fondamentale e segreta della vita.
Sì, la
vita cerca la morte, la quiete definitiva, vivere (eros) è difficile, ansia,
desiderio, anelito, amare è una oscillazione del sentire, il “sentire”,
tremenda condizione, dolore, passione, gioia, invece spegnere il sentire, il
nirvana, l’atarassia, l’apatia (non sono il medesimo, riduco) ed infine il
Super Io.
E il
trovato più malfamato, Thanatos.
Distinguiamo.
Posso
ottenere lo spegnimento della tensione emozionale annientando le mie emozioni o
annientando la ragione esterna alle mie tensioni.
Questo
comportamento avviene per singoli individui ma può diventare la finalità di
gran parte del genere umano.
La quiete definitiva, il Non essere
dell’Essere.
Ma
poiché non siamo in epoca particolarmente filosofica, mentre il nirvana
“classico” significava vivere nel distacco, nell’apatia o nell’atarassia
secondo le scuole, ma continuare a vivere, la gente d’oggi alquanto rusticana e
grossolanella crede di raggiungere la quiete nella morte fisica dell’altro,
nella eliminazione dell’ostacolo, della fonte di inquietudine, confonde
serenità con distruzione, al dunque crede di risolvere le difficoltà del vivere
annientando la vita in sé o chi susciterebbe sofferenza.
La
guerra è il mezzo specifico per eliminare chi disturba la nostra emotività, chi
crea ansia, timori.
Si
cerca la tranquillità eliminando le nostre emozioni (Super io auto repressivo)
o le fonti delle emozioni penose, l’altro (Super io etero repressivo, guerra).
Sono
entrambi atteggiamenti mortiferi, sradicanti.
Non
pervengono all’arte del vivere, al tentare di sciogliere le ragioni del
turbamento mantenendo le ragioni di vivere.
Troppo
facile, annientare. Ma non risolve.
Un
mondo senza turbamenti sarebbe un cimitero urbano.
Un mondo in cui un Super Io planetario
intendesse reprimere ogni movenza che lo inquieta sarebbe impossibile e fonte
di perenni conflitti.
Già è difficilissimo reprimere le proprie emozioni,
impossibile reprimere i movimenti altrui che ci infastidiscono.
Eppure oggi si cerca di stabilire o
ristabilire un “Super Io mondiale” tale da controllare, ordinare, costringere,
imporre a tutti e a chiunque che fare e non fare.
Questo
scopo possentemente repressivo non è attuabile se non ricorrendo alla
distruzione dell’altro, di chi dà fastidi, disobbedisce, disturba i nervi
dell’individuo, gruppo, Stato che invece vogliono sostare tranquilli e sicuri.
Errore
da scardinare la collocazione del sole.
Sarebbe
fermare la vita.
Chi ha
questo scopo di controllare il mondo vive l’ossessione del minimo movimento
altrui.
Tutti
e tutti sotto controllo, così io posso stare in pace ma poiché non riesco a
controllare tutto e tutti, non vi è pace.
Non
siamo come nell’orda dove solo uno aveva diritto di accoppiarsi.
Non
siamo come certe scimmie o come le zebre o mandrie dove c’è un capo branco, lo
stallone.
Non lo
siamo, non è questo lo sciamare della vita.
Chi
vuole controllare il tutto reprime, opprime, genera alla lunga morte, perché è
con la morte di chi gli provoca fastidio che crede di conquistare la pace.
Ma una
pace conquistata con la negazione dell’altro non è pace, non è vita.
Si sta creando l’illusione che dopo la guerra verrebbe
la soluzione.
No,
verrebbe la morte.
È il
principio infondato: nessuno riesce a controllare i movimenti dell’intera
umanità.
Il
capobranco vale per gruppi accorciati.
Ma se
gli Stati Uniti credono fare i capi branco di Russia e Cina, non vi sarà
controllo vi sarà guerra, e vi sarà guerra perché si vuole l’impossibile, il
controllo.
E
dalla guerra non verrebbe il Nirvana, la serenità, ma il Para nirvana, la Morte.
È una differenza immane.
Volere
l’impossibile, questo è il punto dell’equivoco.
Se i
Sati Uniti legittimamente non vogliono essere danneggiati dagli altri e
soffrire non
devono supporre che possono radicalmente impedire che gli altri si girino sui
fianchi e si alzino di notte.
La mia
serenità non riuscirà mai a impedire che qualcuno o qualcosa mi infastidisca.
Certo,
vi sono dei limiti.
Già, e
chi li stabilisce, il capobranco?
Che tragedia: mentre il nirvana classico era il
distacco, la pace durante la vita ci roviniamo con il Para nirvana ossia la
morte.
Che
tragedia questo equivoco, credere di raggiungere la pace, il nirvana sereno, la
soluzione dell’angoscia, ed invece si raggiunge una morte nel fango, nel
terriccio nella polvere.
Che
tragedia volere l’impossibile, aver arricchito la Cina credendo di colonizzarla
ed ora concepire che non abbia diritto a pretendere quel che è riuscita a
conquistare!
Aver bisogno delle materie prime russe ma non
volere che giovino al potenziamento della Russia (e dell’Europa-Germania).
Illudere di forgiare l’Unione Europea per il
risorgere dell’Europa ed al minimo cenno di indipendenza europea rompere la
schiena.
Certo,
è la politica.
Ma bisogna commisurare le ambizioni alla
realizzazione.
La guerra è la prosecuzione della “politica”
con altri mezzi.
La
realizzazione, la continuazione della “politica” non della rovina.
La
guerra deve restare nella “politica” non mandare il mondo all’aria perché non
si riesce a fare “politica”.
Secondo
gli psicoanalisti, quando l’”Io” non riesce a dominare le pulsioni (Inconscio,
Es) interviene il “Super Io” che annienta la vita.
La
guerra.
Non
sapendo competere “politicamente”, economicamente con Cina e Russia, la guerra.
Certo,
talvolta è necessaria. Talvolta.
Non è
una prescrizione obbligata.
Si può
anche evitare.
Cercare di prevalere politicamente,
economicamente, se comprendiamo che decidiamo la guerra perché incapaci di
contrastare con altri mezzi, appunto, economici, politici.
In tal
caso la guerra non sarebbe la prosecuzione della politica ma segno del
fallimento della politica.
Far
saltare il mondo invece di governarlo.
Che
sia precisabile una strategia idonea a salvarci, non pare.
Piuttosto
colpi dati e ricevuti.
E, sullo sfondo, l’spirazione a distruggere,
essere distrutti, finirla, Thanatos, Para nirvana, basta, dormire, non
svegliatemi, voglio divertirmi, un po’ di confusione c’è.
Certo,
pensare, diciamo, che stiamo nella Terza guerra mondiale, sull’uscio di nuove
pandemie, così, tanto dire, insomma, ecco, il futuro, tutta colpa di Adamo ed
Eva!
E del
serpente. Più del serpente o dell’uomo?
Agenda
ONU, Great Reset
e Uomo
Sintetico… Tempo
di
Decisioni Fondamentali!
Conoscenzealconfine.it
– (23 Agosto 2023) - Leonardo Guerra – ci dice:
L’Agenda
2030 ONU (ex Agenda ’21) identifica un piano generale, adottato nel 2015 da ben
193 paesi, che risale al 1992. I loro documenti dichiarano un intento nobile,
la retorica si spreca:
“…per
il miglioramento della qualità della vita e lo sviluppo sociale ed economico in
armonia con l’ambiente “.
Il
vero motivo dietro le loro dichiarazioni risulta essere, invece, quello di
cercare di cambiare il sistema politico ed economico del mondo, trasformandolo
progressivamente in un sistema totalitaristico 2.0, di stampo socialista, con una componente tecnologica
pervasiva.
La
scienza dogmatica è la nuova religione imposta da una tecnocrazia che ha
nell’Intelligenza Artificiale (I.A.), l’ “aiutante magico” del loro rituale
ancestrale.
Associata
alla loro enorme capacità d’investimenti e di condizionamento delle scelte dei
politici, essa consente, infatti, di annullare preventivamente, senza
difficoltà, qualsiasi ostacolo, di qualsiasi natura sulla strada della
realizzazione, quali:
evidenze
scientifiche che smentiscono e contraddicono le loro tesi, leggi e costituzioni, sia
degli stati che internazionali, che difendono i diritti fondamentali degli individui.
Questo
progetto di “Nuovo Ordine Mondiale” è basato sul collettivismo totale, l’abolizione della proprietà privata
e l’annichilimento dell’Essere Umano grazie alla bio-convergenza e alla
fusione uomo-macchina.
Per
ottenere tutto ciò, non può essere consentito avere alcuna indipendenza di
alcun tipo.
Le persone e le masse, nel loro disegno,
dovrebbero dipendere completamente dallo stato/governo in tutto e per tutto, ed
essere costantemente e completamente censibili e controllabili grazie alla
tecnologia.
Sorveglianza e controllo sistemici, quindi,
rappresentano strumenti indispensabili per imporre il piano e farlo funzionare,
annullandone i possibili rischi.
Le
persone non dovrebbero possedere alcuna proprietà privata, inclusi terreni, e
dovrebbero vivere confinate in città stabulario (“Città dei 15 minuti”, vecchia
utopia bolscevica d’inizio ‘900), in appartamenti resi disponibili e attribuiti
ai cittadini, beneficiari, grazie al sistema dei crediti sociali.
Lo
slogan del W.E.F. recita, infatti:
“non possiederai nulla e sarai felice “.
Il
tasso di auto private, nel programma, dovrebbe crollare dell’80% entro il
termine del 2030, limitando così moltissimo la mobilità delle persone.
Chiunque
possedesse un paio di ettari di terra, un proprio approvvigionamento idrico,
coltivasse il proprio cibo e avesse un po’ di bestiame, rappresenterebbe,
quindi, una minaccia seria per la società collettivista nazi-comunista.
Perché non costretto ad implorare lo
stato/governo per il cibo e/o i vestiti e, quindi, non controllabile.
Per
completare e realizzare il tutto, serve soprattutto una nuova specie umana: l’“uomo
sintetico” o “post-umano”.
Un
uomo-massa che rinuncia volontariamente a tutte le prerogative distintive
dell’essere umano: libertà, verità, giustizia, senso critico, intelligenza,
spiritualità, solidarietà, sentimenti e sviluppo delle proprie capacità mentali
e spirituali.
Che
accetti senza creare problemi di vivere unicamente ancorato agli aspetti
materiali e superficiali della vita, con una percezione del proprio “senso del
possibile” talmente schiacciata verso il basso da indurlo ad affidarsi
esclusivamente e per tutto allo stato.
Sorgerebbe
così nel cuore e nella mente delle persone un pervadente e diffuso sentimento
di assuefatta rassegnazione che li indurrebbe a pensare che tutto sommato è
meglio “eseguire
gli ordini dello stato e sperare per il meglio “.
Nel
frattempo, grazie all’eID, alla Digitalizzazione della nostra società, al Cloud 5G e 6G cercheranno di
trasferire tutte le conoscenze umane all’I.A. (strumento militare, già operativo e
a regime da molti anni).
Tutte
le nostre attività umane sono, infatti, segnali elettrici intercettabili e i
nostri processi biometrici e mentali, algoritmi digitalizzabili.
Trasferibili
tramite l’impianto di un microchip che metta in comunicazione diretta cervello
umano e pc e/o tramite Cloud 5G.
In questo modo l’uomo biologico (maschio e
femmina) si fonderebbe con quello digitale, diventando così trascurabile in
modo definitivo (uomo sintetico).
L’indottrinamento
“no-gender” dei bambini e dei giovani, inizia precocemente per favorire lo
sviluppo di questa cultura “woke” nelle giovani generazioni.
Qui si colloca il ruolo del movimento LGTBQ+
che vogliono far entrare in tutti i programmi scolastici fin dalla scuola
materna, promuovendone la sessualizzazione precoce.
Starà,
quindi, a noi esseri ancora umani e liberi, prima di tutto, vigilare
attentamente e prepararci interiormente studiando sistemi e soluzioni utili per
annullare tale rischio e difendere i nostri bambini e i nostri giovani, la
nostra priorità assoluta e, allo stesso tempo, riuscire a mandare a monte anche
questo ennesimo piano disumano dell’”Agenda 2030”.
Moltissimo,
infine, dipenderà dalla quota di adesione volontaria al piano W.E.F. portato
avanti dal nostro governo.
Se il
numero di resistenti che rifiuteranno l’eID, il denaro elettronico, il
Portafoglio d’Identità Digitale Europeo, uniti e organizzati, nei prossimi 8/12 mesi risultasse
pari o superiore a 20 milioni di cittadini, il loro piano in Italia salterebbe
in modo definitivo.
È
tempo, quindi, di agire ben difesi, meglio se tutti uniti e insieme.
(Leonardo
Guerra) (liberopensare.com/agenda-onu-great-reset-e-uomo-sintetico-tempo-di-decisioni-fondamentali/).
Perché
eliminare
le
armi nucleari?
Senzaatomica.it
- James E. Doyle - Survival – (04/06/2023) – ci dice:
(James
E. Doyle -specialista di sicurezza nucleare e non proliferazione presso il
Laboratorio Nazionale di Los Alamos.)
Il 5
aprile 2009 a Praga, il presidente americano Barack Obama ha affermato
l’impegno degli Stati Uniti a “cercare la pace e la sicurezza di un mondo senza
armi nucleari”.
Egli
stava aggiungendo la sua voce e l’impegno della sua amministrazione al
crescente numero di leader mondiali, dei cittadini e delle organizzazioni della
società civile che perseguono l’eliminazione di queste armi.
La messa al bando della bomba è stata una
appassionata e spesso popolare crociata sin dalla sua creazione ed il suo primo
utilizzo, ma in tutto questo tempo non è mai stato un obiettivo strategico
serio per qualsiasi stato in possesso di armi nucleari.
Perché un presidente degli Stati Uniti in carica,
corre il rischio politico e strategico di dichiarare che il progresso verso
questo scopo fosse un elemento chiave della politica di sicurezza nazionale
americana?
Non
c’è una risposta semplice.
Un
insieme vasto e complesso di interessi, problemi, teorie, esperienze e
convinzioni influenza le visioni individuali e nazionali in materia di armi
nucleari, visioni che coprono una gamma di conoscenze pratiche, politiche,
morali e psicologiche.
Alcuni recenti argomenti a favore
dell’eliminazione delle armi nucleari coprono nuovi settori e derivano dalla
convinzione che il contesto di sicurezza globale del XXI secolo è
sostanzialmente diverso da quello della Guerra Fredda.
Alcuni sostenitori affermano che i cambiamenti
storici hanno minato la capacità, da parte delle armi nucleari e del concetto
di deterrenza, di garantire benefici in termini di sicurezza per la maggior
parte delle nazioni.
Altri criticano i precedenti calcoli circa il
valore di tali armi e le valutazioni dell’equilibrio tra i rischi e i benefici
di una strategia di deterrenza nucleare.
Inoltre,
studi recenti nel campo della storia e della teoria della deterrenza mettono in
discussione credenze profondamente radicate riguardo a come le armi nucleari
possano influenzare il comportamento dei decisori nazionali.
Ad
esempio, documenti ufficiali declassificati della Guerra Fredda rivelano
occasioni in cui una catastrofe nucleare è stata evitata solo dalla fortuna o
da eventi apparentemente casuali, piuttosto che da un’azione, chiaramente
identificabile, della deterrenza nucleare.
Ci
sono altri esempi in cui le caratteristiche esistenziali stesse di forze
nucleari allertate sembrerebbero aver causato crisi che sono quasi sfociate nel
loro effettivo utilizzo.
Infine, un numero crescente di strateghi e di
élite tecniche e politiche considerano le armi nucleari e la teoria deterrenza
come anacronistica.
Alcuni
vedono l’idea generale di armi nucleari come avulsa rispetto alle minacce
globali di oggi, al senso del potere ed alla nozione di diritti dell’uomo e
allo Stato di diritto.
Cambiamenti
strutturali emergenti nel sistema internazionale (quali la globalizzazione)
minano alla base le teorie tradizionali di deterrenza nucleare, mentre le
tendenze delle tecnologie dell’informazione rendono possibili forme molto più
agili e discernenti del potere militare.
Questi
argomenti si innestano con altri, che affermano come la nostra comprensione dei
sistemi ambientali della Terra e l’interdipendenza del genere umano con tali
sistemi, abbia reso più saliente la necessità di eliminare le armi nucleari.
Uno scambio abbastanza limitato di armi
nucleari contro aree urbane potrebbe innescare o accelerare la catastrofe
climatica globale (raffreddamento, piuttosto che il riscaldamento), che
porterebbe alla morte anche milioni di persone non coinvolte nel conflitto
stesso.
Molti cittadini, scienziati e laici, vedono
l’abolizione delle armi nucleari come una tappa essenziale nello sviluppo della
civiltà umana, una campagna morale, ideologica e pratica che potrebbe
catalizzare la trasformazione delle relazioni internazionali e migliorare le
prospettive di civiltà in un momento critico.
L’umanità
si trova in un momento storico cruciale, di fronte a molteplici minacce
interconnesse all’interno di un lasso di tempo compresso.
Oltre al potenziale uso di armi nucleari,
queste minacce includono il degrado ambientale, la scarsità di risorse, il
cambiamento climatico, la sovrappopolazione, le pandemie di malattie globali,
le crisi finanziarie e le catastrofi naturali.
Il tipo di cooperazione internazionale
necessaria per ridurre il numero di armi nucleari è simile a quella necessaria
per affrontare queste altre minacce transnazionali.
L’eliminazione
delle armi nucleari potrebbe, almeno simbolicamente, migliorare le possibilità
di affrontare con successo anche le altre minacce esistenziali.
Obama,
e altri che cercano un mondo senza armi nucleari, hanno ragione. Eliminare le
armi nucleari è profondamente nell’interesse della sicurezza nazionale degli
Stati Uniti e dei loro alleati e amici.
Senza
grandi progressi verso l’eliminazione delle armi nucleari, inoltre, è
improbabile che il mondo sarà in grado di evitare l’uso dell’arma nucleare per
un periodo prolungato o di rispondere in modo adeguato alle sfide di sicurezza
legate ai cambiamenti climatici, la scarsità delle risorse e il degrado ambientale.
La
comunità internazionale deve rifiutare i miti ed esporre i rischi
dell’ideologia della deterrenza nucleare, se vuole affrontare con successo le
sfide reciproche globali del XXI secolo.
Sfidare
i miti.
Gli
Stati Uniti e le altre nazioni armate nuclearmente hanno a lungo mantenuto la
minaccia di ritorsioni nucleari per scoraggiare atti di aggressione contro di
loro.
Durante
l’ostile conflitto ideologico della Guerra Fredda, gli strateghi di entrambe le
parti hanno concluso che solo la prospettiva della distruzione reciproca
assicurata avrebbe potuto infondere prudenza ed evitare che i decisori
lanciassero sfide politiche o militari risultanti in un alto rischio di
condurre ad conflitto militare.
La strategia di deterrenza nucleare è stata
adottata in Occidente, a malincuore, come la scelta del male minore per la
gestione di ciò che si credeva essere una vera e propria lotta contro il
comunismo sovietico per il dominio del pianeta e l’ideologia sociale e politica
dell’umanità.
L'”equilibrio del terrore” e la “distruzione
reciproca assicurata” (MAD) [Mutually Assured Distruction ndt] non erano
strategie desiderabili, esse sono stati viste come il meglio che si poteva
realizzare, date le circostanze della Guerra Fredda.
Ciò è
avvenuto nonostante la consapevolezza universale che uno scambio di attacchi
nucleari in risposta alle aggressioni avrebbe inflitto danni senza precedenti
ai cittadini ed al territorio di una nazione.
L’uso delle armi nucleari sulle città
giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nel 1945 ha instillato nella psiche
collettiva la natura immensamente distruttiva della bomba in maniera profonda.
Data la mancanza di chiare alternative, le
élite della sicurezza nazionale si sono adeguate al paradosso della deterrenza
nucleare e hanno messo a punto complessi formalismi teorici sostenendo che i
rischi di una tale strategia sarebbero risultati gestibili e accettabili.
Nel
mondo della deterrenza nucleare, gli strateghi si erano riconciliati con il
fatto che, per essere al sicuro, bisognava essere disposti ad essere pazzi.
Come
Winston Churchill ha messo in luce nel 1955, la sicurezza sarebbe “il figlio
robusto del terrore e la sopravvivenza il fratello gemello dell’annientamento”.
Il
mondo del 2013 è totalmente diverso, e cambierà ancora più profondamente nei
prossimi decenni. Il problema oggi è quello di vedere se una strategia basata
sulla deterrenza nucleare continui ad essere il modo più efficace per i governi
per affrontare le tensioni internazionali e proteggere sé stessi, o se siano
disponibili strategie alternative con maggiori benefici e minori rischi.
La risposta dipende in parte da come si è
evoluta la nostra comprensione della deterrenza nucleare, e se essa rimane
stabile e saliente, come la maggior parte della comunità strategica credeva che
fosse durante la Guerra Fredda.
Armi
di rischio accettabile?
Nessuno
mette in dubbio le conseguenze catastrofiche di una guerra nucleare.
La rapida distruzione anche di un piccolo
numero di grandi aree urbane in ogni nazione porterebbe devastazione e perdita
di vite umane senza precedenti.
Nessun
obiettivo politico, economico o militare potrebbe giustificare questo
risultato.
Né vi
è qualcuno che creda che ogni essere umano o dispositivo tecnologico, sistema o
strumento, funzionerà per sempre senza guasti o errori.
Tuttavia accettiamo il rischio di una guerra
nucleare che fa affidamento su una strategia di deterrenza nucleare perché
siamo convinti che il rischio sia basso e perché nessuna scuola tradizionale di
pensiero strategico sta promuovendo un’alternativa.
Il
concetto di rischio comprende il rapporto tra conseguenze e probabilità di un
dato evento.
Se le
conseguenze di un evento sono estremamente negative, come la devastazione
derivante dalla guerra nucleare, si desidera quindi che la probabilità che quell’evento
si verifichi sia infinitamente piccolo, il più vicino possibile allo zero.
Ma le
questioni relative alla probabilità di una guerra nucleare, e quali fattori
possano determinare cambiamenti in questa probabilità nel corso del tempo, sono
state soggette a poche analisi scientifiche o accademiche.
Si
tratta di una palese omissione nel discorso strategico.
Sappiamo
che la deterrenza nucleare può venir meno, sia attraverso decisioni sbagliate,
escalation durante una crisi, una serie di errori meccanici e umani, o atti
malevoli che portino ad un uso involontario.
Infatti più volte essa è venuta meno, e
l’esempio più famoso è la Crisi dei missili di Cuba del 1962.
Una
catena di eventi che porti alla guerra nucleare può emergere anche quando
nessun leader politico ritenga che sia nell’interesse dello Stato iniziare la
guerra, ed entrambe le parti agiscano in modo inteso ad evitarlo.
La
lunga lista di incidenti nucleari, malfunzionamenti, contrattempi, falsi
allarmi e incidenti mancati per un soffio, spesso innescati da errore meccanico
e umano, continua a crescere.
Tali
incidenti sono incidenti relativi ad aerei e sottomarini armati nuclearmente,
sistemi di allarme che scambiano stormi di oche o riflessi di luce solare per
lanci di missili nemici, squadre di manutenzione che fanno cadere utensili e
fanno saltare in aria silos di missili, e la perdita temporanea o lo
smarrimento di ordigni nucleari.
(Non
si comprende come sia possibile l’esistenza di una ricca compagnia di stronzi globalisti
diretta da Klaus Schwab & C. che ha messo a loro diposizione e arbitrio un’intera
fabbrica di armi globali tattiche in Sud Africa con 20 mila dipendenti! N.d.R)
Nel
2002 è stato rivelato che due episodi durante la crisi dei missili di Cuba
avevano portato la guerra nucleare molto più vicina di quanto fosse stato
precedentemente creduto.
Il 26 ottobre 1962, il cacciatorpediniere USS
Beale che inseguiva un sottomarino sovietico aveva lanciato bombe di piccole
dimensioni (delle dimensioni delle bombe a mano) per segnalarne in superficie
la posizione.
Senza
che la US Navy lo sapesse, il sommergibile era armato di un siluro nucleare con
testata da 15 kiloton.
A
corto di aria, la nave sovietica circondata da navi da guerra americane e in un
disperato bisogno di risalire superficie, aveva anche considerando di
difendersi.
Il capitano ordinò quindi l’armamento del
siluro nucleare, d’accordo con l’ufficiale politico.
Fortunatamente,
a bordo, vi era anche il comandante di brigata sottomarina, che annullò
l’ordine del capitano e disinnescò la minaccia di un attacco nucleare contro la
flotta americana che avrebbe quasi sicuramente portato a una reazione nucleare.
Nemmeno
sapevano, l’esercito degli Stati Uniti ed i servizi di intelligence, che le
testate nucleari sovietiche per i missili tattici erano arrivati a Cuba già nel
settembre 1962.
I sistemi a corto raggio erano operativi già
al momento in cui il presidente John F. Kennedy stava prendendo in
considerazione un’azione militare per distruggere le basi missilistiche nel
mese di ottobre.
Sulla
base di conoscenze incomplete, i suoi consiglieri militari considerarono bassa
le probabilità che attacchi americani convenzionali sui i siti dei missili
cubani avrebbero portato ad una escalation nucleare.
Ma non
erano a conoscenza del fatto che ai comandanti locali sovietici delle basi dei
missili tattici era stato dato il potere di lanciare i loro missili in caso di
attacco.
Se fossero
state ordinate incursioni aeree da parte degli Stati Uniti, come molti leader
militari di alto rango raccomandavano, è molto probabile che avrebbe fatto
seguito uno scambio nucleare, potenzialmente crescente, consistente in attacchi
diretti contro città americane e sovietiche.
Il
rischio di fallimento della deterrenza rimane significativo.
La deterrenza nucleare è un sistema complesso
e strettamente connesso.
È vulnerabile alla natura imprevedibile e
incontrollabile dell’errore umano, del guasto meccanico e dell’incidente.
Se si guasta, come alla fine fanno quasi tutti
questi sistemi, si rischia la catastrofe e il causare sofferenze umane senza
precedenti.
Il
pubblico americano (e il cittadino di altri Stati dotati di armi nucleari)
dovrebbe esigere che il proprio governo valuti probabilisticamente i rischi di
scenari che potrebbero coinvolgere l’utilizzo di armi nucleari.
Le industrie nucleari, chimiche, della salute
e del trasporto sono tenute ad utilizzare questa scienza per giustificare la
sicurezza di molte azioni e prodotti e per dimostrare che i rischi sono stati
sistematicamente identificati e tenuti in debito conto.
Perché
dovremmo chiedere meno alle istituzioni alle quali ci affidiamo per la nostra
difesa?
Senza
un tentativo di determinare la probabilità di venir meno della deterrenza,
sotto diversi scenari ipotizzabili, è impossibile condurre una razionale
valutazione del rapporto rischio-beneficio del mantenere la deterrenza nucleare
come un elemento chiave della strategia di sicurezza nazionale.
Armi
di pace e di forza?
Dopo
l’uso di armi nucleari contro il Giappone, e in assenza di una guerra nucleare
tra le nazioni dotate di armi nucleari, emerse una forte convinzione circa i
benefici strategici delle armi nucleari.
Un
pilastro centrale di questa credenza era l’ipotesi e l’affermazione, da parte
della maggior parte degli osservatori in Occidente, che i bombardamenti atomici
degli Stati Uniti fossero stati il fattore decisivo nella decisione del
Giappone di arrendersi.
Ciò ha
consentito di affermare che l’uso delle armi atomiche aveva effettivamente
salvato decine, se non centinaia, di migliaia di vite americane e giapponesi,
mettendo fine alla guerra senza la necessità di invadere le Grandi Isole
Giapponesi.
I
sostenitori della deterrenza nucleare sostengono anche che questa ha dimostrato
di essere uno degli strumenti più efficaci mai concepiti al fine di evitare la
guerra tra i maggiori stati.
Questa convinzione è comprensibile, data la
frequenza delle guerre convenzionali prima dello sviluppo di armi nucleari e la
relativa assenza di guerra diretta tra grandi potenze dopo aver acquisito le
armi nucleari stesse.
L’élite della sicurezza nazionale di molte
nazioni ha abbracciato questi due punti di vista, secondo i quali le armi
nucleari possono essere determinanti in un conflitto e possono prevenirne il
verificarsi.
In
effetti questi sono divenuti canoni di pensiero strategico, anche se, curiosamente,
molto di più tra gli esperti di difesa civile che tra i militari professionisti
che potrebbero essere chiamati all’uso di queste armi.
Studi
recenti hanno contestato sia la logica che la precisione storica di argomenti a
sostegno dell’efficacia delle armi nucleari nella guerra contro il Giappone e
la visione secondo la quale la deterrenza nucleare è la principale causa della
mancanza di guerra fra grandi potenze dal 1945.
Ad esempio, vi è un punto di vista emergente
tra gli storici secondo il quale, nella decisione del Giappone di arrendersi,
l’ingresso dell’Unione Sovietica nella guerra del Pacifico il 9 agosto 1945 è
stato più determinante che non la minaccia di ulteriori bombardamenti atomici.
Il
Giappone era già in gran parte sconfitto e non aveva la forza armata o la
capacità industriale di combattere una guerra su due fronti.
Il
bombardamento convenzionale delle città giapponesi aveva inflitto devastazione
simile o superiore a quella delle bombe atomiche, ma non era riuscita a
provocare la resa.
Inoltre,
un’attenta analisi della corrispondenza e del comportamento della leadership
giapponese rivela una reazione più forte alla dichiarazione sovietica che ai
bombardamenti atomici.
Né le
armi nucleari hanno posto fine al conflitto interstatale, anche tra potenze
nucleari.
Le cause specifiche di assenza di guerre
importanti sul continente europeo o tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica
fra il 1949 e il 1991 non possono essere conosciute.
Ma un
disciplinato esperimento mentale circa le cause più probabili di questa
relativa calma cercherebbe la prova che vi fosse in effetti l’intenzione di
usare la forza militare da parte di uno stato di fronte a una potenza nucleare
e che i leader non siano riusciti a impiegare la forza a causa della loro paura
della guerra nucleare.
L’evidenza a supporto di una tale prova è
scarsa, soprattutto al di fuori del contesto di crisi generate da incidenti e
percezioni errate tra le grandi potenze, che sono continuate, nonostante la
presenza di armi nucleari.
Inoltre, durante queste crisi l’esistenza di
armi nucleari ha intensificato il livello di tensione e ha posto i decisori in
situazioni in cui è stata aumentata la probabilità di un errore di calcolo e di
un errore umano.
Ciò
solleva la possibilità che la visione tradizionale sulla deterrenza nucleare
come stabilizzatore delle crisi potrebbe non essere corretta.
Un
altro approccio per indagare il ruolo che le armi nucleari possano aver giocato
nella calma della Guerra Fredda sarebbe quello di controllare altre spiegazioni
plausibili del fatto che sia stata evitata la guerra durante quel periodo.
Può la
mancanza di intenzione di usare la forza militare per obiettivi nazionali meno
che vitali essere una causa significativa della pace?
Che si può dire di una avversione per le
conseguenze devastanti di una grande guerra convenzionale da parte dei leader e
dei cittadini, molti dei quali la avevano vissuta per due volte nel corso della
loro vita?
Infine, si possono escludere completamente le
nozioni secondo le quali la guerra è diventata meno probabile come risultato di
spostamenti di orientamento politico dei governi nazionali, crescente
interdipendenza economica e culturale, o progressi in materia di informazione,
di scienze della vita e tecnologie ambientali?
Certo è plausibile che le alleanze di
sicurezza regionale, i dialoghi di sicurezza Est-Ovest in corso e l’evoluzione
dell’integrazione europea abbiano svolto un ruolo per evitare una terza guerra
mondiale.
Queste spiegazioni alternative non sono state
esaurientemente esplorate e non possono essere respinte.
Che
gli studiosi occidentali e gli strateghi le abbiano ampiamente trascurate dopo
la Guerra Fredda è un peccato.
Questo non vuol dire che le armi nucleari non
abbiano svolto alcun ruolo nel mantenimento della pace, ma è ragionevole
concludere che la mancanza di grande guerra tra gli stati in questo periodo
abbia avuto cause molteplici ed è possibile che le armi nucleari abbiano svolto
solo un ruolo secondario.
Sebbene
non approfondito né “peer review “ed è stato condotto uno sforzo di ricerca che
tenta, argomentandone le ragioni, di assegnare accurati pesi o gradi di
influenza alle varie cause che possono aver giocato un ruolo in questo
risultato storico.
È
chiaramente irragionevole affermare che l’evidenza supporta l’affermazione che
la deterrenza nucleare sia stata la causa principale del fatto che si sia
evitata la guerra.
Questa
affermazione è una credenza, non supportata da nulla che si avvicini ad un
corpus forte e chiaro di prove storicamente documentate.
In
realtà non vi è motivo di sostenere che la lunga pace dopo la seconda guerra
mondiale, sia più probabilmente una benedizione dell’era nucleare piuttosto che
la logica conclusione di un sostanziale processo storico, e per la quale, in
contrasto con i sostenitori di deterrenza nucleare, ci sono precedenti.
Alcuni
studiosi mettono in discussione anche la visione secondo la quale la pace del
dopo-guerra sia una vera anomalia storica che abbia bisogno di una spiegazione
speciale.
Il problema con la forza della convinzione che
la deterrenza nucleare abbia causato la cosiddetta lunga pace, è che questa
convinzione svia il pensiero strategico in un modo che aumenta la fede nel
valore delle armi nucleari senza solide prove.
Questa
percezione di un loro alto valore aumenta la tolleranza nei confronti dei
rischi della deterrenza nucleare.
L’evidenza storica che è emersa dopo la fine
della Guerra Fredda indebolisce ulteriormente la tesi che la deterrenza
nucleare possa essere stata la principale causa della pace.
Dopo
aver studiato, gli archivi politici e militari dell’Unione Sovietica e attraverso
interviste ai membri del suo Stato Maggiore, gli studiosi hanno scoperto che
non c’è mai stato alcun intento da parte dell’Unione Sovietica di invadere
l’Europa occidentale o attaccare gli Stati Uniti.
Nonostante
il fatto che l’opinione comune in Occidente abbia sostenuto che i sovietici
stavano lavorando ad un dispositivo di forze nucleari che avrebbe permesso loro
di vincere una guerra nucleare, la leadership militare sovietica in realtà ha
sempre considerato la vittoria come irraggiungibile in alcun modo
significativo.
Secondo interviste di prima mano realizzate
dopo il 1991, lo Stato Maggiore sovietico aveva compreso la devastazione che
sarebbe derivata da una guerra nucleare e, pertanto, non ha sviluppato alcuna
definizione operativa di vittoria.
Ironia della sorte, ma non sorprende, i
Sovietici avrebbero percepito gli Stati Uniti come in preparazione per
attaccare per primi.
Questa
predominanza del caso peggiore speculare, con entrambe le parti che assumono
che l’altro creda di poter vincere, e che quindi propenda per iniziare una
guerra nucleare, contraddice il fatto che le armi nucleari tendano a migliorare
la comunicazione tra gli avversari.
Nel caso USA-URSS, sembra che fosse proprio
vero il contrario.
Invece
di contribuire ad evitare la guerra, sembra che la strategia della deterrenza
nucleare fosse in gran parte irrilevante per dissuadere le parti da una grande
guerra USA-URSS o NATO-URSS.
Nessuna
delle due parti ha mai visto un vantaggio proprio nell’avviare un tale
conflitto.
Oltre
al contributo incerto apportato dalle armi nucleari alla mancanza di guerra
diretta USA-URSS durante la Guerra Fredda, è chiaro che queste hanno avuto un
ruolo trascurabile per quel che riguarda l’assenza di un conflitto tra la
Russia e gli Stati Uniti anche negli ultimi 20 anni.
Questa
pace è molto più soddisfacentemente spiegata con la mancanza di un fondamentale
conflitto politico e ideologico e con lo sviluppo di una gamma molto più ampia
d’interessi comuni tra gli ex avversari.
Il
basso rischio residuo di una guerra nucleare tra la Russia e gli Stati Uniti è
ascrivibile in misura molto minore alla loro relazione di mutua deterrenza
nucleare di quanto non lo sia rispetto invece ai pericoli inerenti al continuo
dispiegamento ed al funzionamento di forze nucleari in allerta le quali sono
suscettibili di incidenti, furti o uso involontario o non autorizzato.
Il
contributo che le armi nucleari portano oggi nella direzione di scoraggiare le
minacce più probabili alla sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati è
dubbio anch’esso.
L’America esiste in un mondo in cui nessuno
degli altri Stati in possesso di armi nucleari (con la possibile eccezione
della Corea del Nord, la forza delle rudimentali capacità delle cui armi
nucleari rimane sconosciuta) ha obiettivi statali o conduce una politica estera
fondamentalmente ostile agli interessi degli Stati Uniti d’America.
Oggi
un attacco terroristico è considerato essere molto più probabile di un attacco
da parte di un altro Stato.
Le armi nucleari USA non scoraggiano attacchi
terroristici.
Al-Qaeda
ha attaccato Stati Uniti, Gran Bretagna, Pakistan, alcuni paesi della NATO, e
cittadini israeliani ed i rispettivi interessi.
Anche
la Russia ha subito attacchi terroristici.
Tutti
questi stati sono in possesso di armi nucleari o alleati con potenze nucleari.
L’esistenza
di armi nucleari nell’era del terrorismo globale crea un onere di sicurezza
molto reale per tutti gli stati.
L’incertezza chiave nel contesto di sicurezza
non è se le nazioni saranno attaccate da terroristi e da attori non statali, ma
se tali attori acquisiranno i mezzi per spostarsi dagli esplosivi convenzionali
a quelli nucleari, rendendo i loro inevitabili attacchi forieri di conseguenze
molto maggiori.
Per
prevenire un attacco nucleare da parte di terroristi e attori sub-statali, gli
Stati devono elaborare con successo una strategia per negare loro la
possibilità di acquisire armi nucleari.
Le
attuali tendenze strategiche sono in contrasto con tale obiettivo.
Si
producono più materiali per armi nucleari, più conoscenze utili per la
costruzione di armi nucleari vengono diffuse, e le organizzazioni terroristiche
divengono sempre più interessate ad acquisire capacità nucleari.
Le priorità e le esigenze di questo approccio
sono molto diverse da quelle di una strategia di deterrenza nucleare.
Tale
strategia basata sul negare l’accesso alle armi e ai materiali nucleari ha come
priorità il raggiungimento di scorte assolutamente minime in tutto il mondo e
il prevenirne la diffusione ad altri stati, perché la loro diffusione aumenta
la probabilità che i terroristi ne possano acquisire.
Una
siffatta strategia di negazione sottolinea inoltre la necessità di una
sicurezza, il più possibile efficace, per le armi nucleari e materiali nucleari
che già esistono.
Ma la
sicurezza perfetta per tali elementi non potrà mai essere raggiunta.
Nel settembre 2007, ad esempio, sei missili da
crociera armati di testate nucleari sono stati erroneamente trasportati su di
un bombardiere strategico B-52 dal North Dakota alla Louisiana, dove rimasero
sulla pista di un aeroporto per ore privi di sicurezza adeguata perché nessuno
sapeva che erano là.
Tali incidenti evidenziano il fatto che
l’obiettivo finale di una strategia di negazione è l’eliminazione di tutte le
armi nucleari, e del materiale fissile per armi, in modo che non ce ne siano
che possano cadere nelle mani di terroristi.
Nella
ricerca di un mondo libero dalle armi nucleari, Obama cerca anche la sicurezza
di un mondo con un rischio notevolmente inferiore di terrorismo nucleare.
Armi
di prudenza e di stabilità?
Un’altra
affermazione fatta da sostenitori della deterrenza nucleare riguarda il fatto
che essa indurrebbe cautela durante le crisi, renderebbe i leader più avversi
al rischio e più riluttanti a intraprendere un’azione militare, e permetterebbe
la risoluzione delle crisi prima che si trasformino in un crescendo di eventi
militari maggiori.
Questa è forse la speranza che Churchill aveva
in mente quando ha detto “la sicurezza sarà il figlio robusto del terrore”.
La
fede nella capacità delle armi nucleari di migliorare le carenze storiche delle
capacità dei leader nazionali volte ad evitare le guerre è cresciuta durante la
Guerra Fredda per il fatto che nessuna grande guerra scoppiò e molte crisi
USA-URSS passarono senza l’uso di tali armi.
Questo
è stato accettato come prova dei benefici della deterrenza nucleare.
Ma le
spiegazioni del fatto che si sia evitata la guerra nel corso di questi periodi
basate sulla ricerca storica post-Guerra Fredda, anche mediante interviste di
prima mano con i partecipanti, hanno poco a che fare con il funzionamento
teorico della deterrenza nucleare e molto più a che fare con la fortuna ed le
personali capacità di giudizio.
L’ex
segretario alla Difesa Robert McNamara ha osservato che il processo decisionale
a Washington, così come a Mosca e a L’Avana, durante la crisi dei missili di
Cuba è stato caratterizzato da “disinformazione, errore di calcolo, errore di
valutazione”.
La
decisione del premier sovietico Nikita Kruscev di inviare a Cuba missili
nucleari in grado di colpire gli Stati Uniti fu un’azione imprudente, ad alto
rischio, il genere di cose che la teoria della deterrenza nucleare predice che
sarebbe stata evitata.
L’Unione
Sovietica sapeva, già nel 1961, che gli Stati Uniti consideravano la
rivoluzione castrista come una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti ed
erano disposti a usare la forza militare per sostenere la controrivoluzione.
Mosca
era stata informata dagli Stati Uniti che essi si sarebbero opposti a qualsiasi
trasferimento sovietico a Cuba di armi offensive.
Nonostante questo, Krusciov e il suo ministro
degli Esteri, il ministro della Difesa ed il comandante delle forze
missilistiche strategiche (i quali tutti comprendevano il potenziale di una
guerra nucleare e le sue conseguenze) hanno deciso di offrire i missili
nucleari a Cuba.
Ad aggiungere rischio a tale decisione è stato
il modo in cui esso fu attuato.
Missili
offensivi e 162 testate nucleari furono segretamente trasportati nell’isola fin
dal mese di luglio del 1962.
A
seguito della crescente preoccupazione per l’intensificarsi delle relazioni
militari sovietico-cubane e la scoperta di prove che missili nucleari potessero
essere diretti a Cuba, il procuratore generale Robert Kennedy si incontrò con
l’ambasciatore sovietico Anatoly Dobrynin a Washington il 4 settembre.
Dobrynin disse a Kennedy di essere stato
incaricato da Krusciov di rassicurare gli Stati Uniti che non sarebbero stati
dispiegati a Cuba missili terra-terra o di tipo offensivo.
Lo
stesso giorno il presidente Kennedy fece una dichiarazione pubblica nella quale
dichiarava che “i più gravi problemi sarebbero sorti” qualora missili offensivi
fossero stati installati a Cuba.
Tre
giorni dopo Dobrynin ripeté all’ambasciatore americano Adlai Stevenson
l’impegno sovietico che nessuna arma offensiva era stata inviata a Cuba.
I
leader sovietici dovevano sapere che il loro tentativo di ingannare persone
direttamente coinvolte nelle decisioni riguardo alla crisi avrebbe
ulteriormente alzato la posta in gioco e ristretto il margine potenziale di
negoziazione.
La
scoperta dell’inganno avrebbe sicuramente aggiunto un sentimento di rabbia e
tradimento personale al clima di crisi oggettiva, rendendo più difficile il
compromesso o lo spazio di manovra per ristabilire anche il più sottile
elemento di fiducia reciproca.
Esempi
di errori di valutazione, percezione errata e scarsa comunicazione, durante la
Guerra Fredda, non si limitano alla parte Sovietica e non si sono fermati dopo
la Crisi Missilistica Cubana.
Nel novembre 1983, la leadership degli Stati
Uniti ed i servizi d’intelligence non furono in grado di cogliere la reale
portata dell’ansia sovietica per quanto riguarda gli eventi che si svolsero al
contorno di una esercitazione del comando NATO, chiamata in codice Able Archer
(Abile Arciere).
L’Unione
Sovietica iniziò i preparativi per un attacco nucleare contro gli Stati Uniti
poiché i suoi leader credevano di avere indicazioni convincenti che Washington
fosse sul punto di lanciare un attacco nucleare a sorpresa contro di loro.
La
prova più evidente del fallimento degli USA di rendersi conto di quanto realmente
fossero in allarme i sovietici riguardo alla possibilità di un primo attacco
USA-NATO fu la decisione di aggiungere nuove funzionalità all’annuale esercizio
Able Archer nel novembre del 1983, compresa la partecipazione del presidente e
vice presidente degli Stati Uniti e comunicazioni simulate con il Regno Unito e
il comando della NATO, in una esercitazione pratica che condusse le forze della
NATO attraverso la versione simulata di un vero e proprio lancio di armi
nucleari contro i sovietici.
Secondo
fonti di intelligence degli Stati Uniti, la notte del 8 o del 9 novembre la
sede del KGB inviò un breve messaggio per i suoi funzionari di intelligence in
Europa occidentale che li avvisava, sbagliandosi, che le forze degli Stati
Uniti in Europa erano in allarme e che le truppe in alcune basi venivano
mobilitate.
Il
messaggio ipotizzava che l’allarme potesse essere l’inizio di un conto alla
rovescia per un attacco nucleare a sorpresa.
Secondo fonti sovietiche e CIA aerei sovietici
con capacità nucleare, in Polonia e Germania Orientale, furono, in risposta,
collocati in alto stato di allerta.
Nei
giorni successivi i sovietici si resero conto che non c’era stata alcuna reale
allerta delle forze della NATO, ma rimasero profondamente preoccupati per le
intenzioni degli Stati Uniti e il potenziale dell’America di avviare
deliberatamente una grande guerra.
La
Teoria della Deterrenza sostiene che la paura della devastazione nucleare
motiva i pianificatori militari e i leader politici ad usare cautela e a
cercare di comprendere meglio le intenzioni di un concorrente nucleare.
Gli eventi al contorno di Able Archer mettono
chiaramente in dubbio questa affermazione.
Gli
Stati Uniti e i loro alleati della NATO o percepirono male il senso di insicurezza
sovietica o lo ignorarono deliberatamente.
Se fossero stati a conoscenza dei timori dei
Sovietici e desiderosi di orientarli alla moderazione, è dubbio che alcune
delle caratteristiche più allarmanti, come l’esercitazione di attacco nucleare,
sarebbero state inclusa in Able Archer 83.
Sottovalutato
i rischi e i costi.
Sembra
che la crisi della guerra che culminò con Able Archer 83 sia stato un caso di
fallimento reciproco dell’intelligence e di falsa percezione da parte della
leadership, carenze che rimangono fin troppo frequenti nel post-Guerra Fredda.
Il fatto che ciò sia accaduto 33 anni dopo
l’inizio di un rapporto di deterrenza nucleare tra gli Stati Uniti e l’Unione
Sovietica e che abbia portato la possibilità di una guerra nucleare più vicina
che in qualsiasi altro periodo dopo la crisi dei missili di Cuba, è una prova
contro i cosiddetti benefici della deterrenza nucleare nel processo decisionale
nazionale.
Che
cosa succede se tali benefici non esistono?
E se le nazioni dotate di armi nucleari
fossero tanto inclini ad incorrere in una guerra, o nella scelta di usare la
forza militare, tanto quanto lo erano prima dell’acquisizione di armi nucleari?
La
differenza fondamentale allora risiederebbe nella grandezza del rischio che
incomberebbe sugli stati che scelgano di fare affidamento sulla deterrenza
nucleare.
Se la
deterrenza fallisce, milioni, o addirittura centinaia di milioni di civili
possono essere uccisi in meno di un giorno.
Senza armi nucleari le conseguenze di un
conflitto militare, anche tra grandi potenze, non sarebbero nemmeno
lontanamente così gravi.
L’uso
continuo di armi convenzionali può essere devastante, e le armi nucleari
potrebbero alla fine essere ricostituite e utilizzate, ma il tempo necessario
perché ciò accada offre almeno l’opportunità di porre fine alle ostilità, prima
che le città vengano distrutte.
Le
armi nucleari inibiscono anche lo sviluppo di relazioni positive tra ex rivali,
come dimostra il progresso instabile nello sviluppo di positive relazioni USA-Russia
dopo la fine della Guerra Fredda.
Quanto
profondamente due nazioni possono coinvolgersi come partner mentre ancora
proclamano la capacità e la volontà di distruggersi l’un l’altra, just in case?
[intraducibile ndt]
A dire
il vero, fonti di tensione diverse dall’opposizione delle rispettive forze
nucleari esistono nel rapporto USA-Russia, ma sarebbe comunque necessario un
fondamentale cambiamento nel settore della strategia nucleare prima che sia
possibile stabilire una vera e propria partnership.
Nei
prossimi anni il valore di una vera partnership di sicurezza con la Russia e la
Cina sia per gli Stati Uniti che per l’Europa ha tutta la probabilità di essere
davvero molto alto.
L’attuale
postura nucleare degli Stati Uniti per quanto riguarda la Russia sembra essere
completamente in disaccordo con la politica dichiarata.
Nel
1994, la Russia e gli Stati Uniti hanno raggiunto un accordo bilaterale di
de-targeting, accordo in cui si afferma che “per la prima volta fin dagli
albori dell’era nucleare – Russia e Stati Uniti non gestiscono, nel quotidiano,
le forze nucleari in un modo che presupponga che essi siano avversari”.
Ma se non si presume che la Russia sia un
potenziale avversario, tre caratteristiche fondamentali della attuale struttura
delle forze nucleari degli Stati Uniti e della postura operativa hanno molto
senso.
In
primo luogo, la forza è troppo grande.
Senza la necessità di considerare come
bersaglio delle forze strategiche la Russia, semplicemente non ci sono
abbastanza bersagli plausibili in tutto il mondo per le armi nucleari
statunitensi che contano 1.500-2.000 testate operativamente schierate.
Ad
esempio, in una crisi estrema, sarebbero necessarie forse 50-100 armi nucleari
al massimo per minacciare devastazione contro l’Iran, la Corea del Nord o la
Cina.
Solo
la grande e dispersa forza nucleare russa ha storicamente giustificato forze
Usa per un totale di migliaia di armi nucleari.
In
secondo luogo, non ci sarebbe bisogno di armi in allertata.
Nessun
altro paese all’infuori della Russia ha la capacità di bloccare preventivamente
il lancio delle forze statunitensi, distruggendone una parte significativa a
terra.
In
terzo luogo, le armi nucleari degli Stati Uniti non avrebbero bisogno della
capacità operativa (in termini di precisione e rendimento distruttivi) di
limitare i danni negli Stati Uniti distruggendo armi nucleari russe alle loro
basi protette prima che vengano lanciate.
L’incapacità
degli Stati Uniti e della Russia a fare progressi più rapidi per la riduzione
delle armi nucleari, e ad aumentare la trasparenza per quanto riguarda i ruoli
e le missioni delle rimanenti armi, ha creato una fonte continua di errata
percezione e diffidenza.
Il
mantenimento da parte americana di grandi forze nucleari in allerta, mentre
addirittura sviluppa difese missilistiche strategiche, porta naturalmente la
Russia a mettere in discussione le intenzioni strategiche dell’America.
Il mantenimento da parte della Russia di
migliaia di vecchie armi nucleari non strategiche solleva sospetti simili tra
gli alleati della NATO.
Data
la natura generalmente positiva del rapporto USA-Russia, il continuo reciproco
intreccio competitivo nucleare ostacola lo sviluppo di relazioni veramente
normalizzate.
Per
esempio, non vi è alcuna ragione convincente per la quale e le forze nucleari
degli Stati Uniti e quelle della Russia non possano essere tranquillamente
disaccoppiate, con il raggiungimento, per ogni nazione, del proprio livello di
comfort strategico.
Le
asimmetrie derivanti non dovrebbero creare instabilità fino a quando il
rapporto politico resta positivo.
Il
problema è che gran parte della comunità strategica degli Stati Uniti continua
a percepire la Russia come un potenziale avversario, nonostante le
dichiarazioni contrarie.
Questo
limita la loro volontà di ridurre la capacità di counter force [capacità di
distruggere forze nemiche come ad esempio missili nucleari prima del lancio
ndt] nucleare degli Stati Uniti o di limitazione del danno a fronte delle forze
strategiche della Russia e li induce a sostenere il mantenimento di forze Usa
numericamente grandi e in grado di effettuare attacchi rapidi.
Coloro
che sostengono il mantenimento di forze nucleari grandi, accurate e pronte
all’uso, affermano che esse sono necessarie come una copertura contro la
possibilità di una risorgente Russia ostile.
Tuttavia
studi recenti da parte del Dipartimento della Difesa concludono che, anche se
la Russia tornasse ad essere un avversario e aumentasse le sue forze nucleari
fino a superare il totale di quelle degli Stati Uniti, le capacità di
sopravvivenza delle forze degli Stati Uniti continueranno a fornire la capacità
di rispondere ad un attacco russo con una risposta devastante.
I nuovi documenti sulla strategia di sicurezza
nazionale del Pentagono affermano che gli Stati Uniti sono in grado di
soddisfare tutti i propri obiettivi di deterrenza nei confronti di tutta la
gamma di potenziali avversari con un arsenale nucleare più piccolo di quello
che possiede attualmente.
Il
continuare a fare affidamento su grandi forze nucleari e sulla deterrenza
nucleare stile Guerra Fredda ha molti costi.
C’è il
costo in termini di ostacolare lo sviluppo positivo delle relazioni con la
Russia e la Cina.
Proprio
il rischio che la deterrenza possa venir meno, e la paura costante
dell’annientamento che ad esso si accompagna, impone un incommensurabile costo
psicologico.
Se la deterrenza viene meno, la sofferenza
umana risultante potrebbe essere senza precedenti.
Vi è
anche un costo per gli sforzi volti a prevenire la diffusione delle armi
nucleari verso altri stati e attori non statali.
Abbracciare la deterrenza nucleare favorisce
la proliferazione.
Con la
conclusione che la minaccia di uso nucleare può aiutare gli stati a gestire una
vasta gamma di minacce alla sicurezza nazionale e la stabilità, i sostenitori
di deterrenza nucleare invitano gli altri Stati a cercare armi nucleari per
garantirsi simili, presunti, benefici.
Infine
vi è il costo finanziario, di grandi dimensioni, di un deterrente nucleare.
Mantenere il suo arsenale attuale di oltre 10.000
testate nucleari costa agli Stati Uniti circa $ 31 miliardi di dollari
all’anno.
In
confronto, la combinata diplomazia internazionale degli Stati Uniti e la sua
dotazione per l’assistenza all’estero è di circa $ 39 miliardi all’anno.
Gli attuali piani richiedono l’ammodernamento
dell’infrastruttura statunitense per la produzione di armi nucleari e la
costruzione di una nuova generazione di missili, bombardieri e sottomarini
nucleari.
Questo
avrà un costo di centinaia di miliardi di dollari nei prossimi 20 anni.
In un
periodo prolungato di restrizioni fiscali, e con i vantaggi incerti apportati
dalle armi nucleari, questo livello di spesa è ingiustificabile.
Ma forse il più grande costo legato al
continuare a fare affidamento, da parte della maggior parte dei paesi dotati di
armi nucleari, su di una strategia di deterrenza nucleare, è che essa
caratterizza in maniera erronea le fonti di pericolo del mondo di oggi e
distrae i decisori dall’affrontare adeguatamente le minacce future più
probabili.
Il
vecchio pensiero strategico.
Nella
tradizione realista della teoria delle relazioni internazionali, tutte le
nazioni sono attori indipendenti che cercano di massimizzare il loro potere e
la sicurezza in un mondo anarchico.
Le Nazioni avviano un conflitto armato come un
mezzo per promuovere o proteggere i propri interessi, perché, in un sistema
competitivo, il calcolo dei vantaggi nell’usare la forza superano i rischi del
non fare nulla.
I
fautori della deterrenza nucleare sostengono che le armi nucleari abbiano
cambiato le dinamiche di questo sistema, aumentando la posta in gioco e le
incertezze di usare la forza militare, il che le renderebbe meno probabili.
Ci
sono molti problemi con questo punto di vista.
In primo luogo, gli Stati in possesso di armi
nucleari hanno continuato ad usare la forza militare in situazioni che li
avrebbero portati in conflitto con altri paesi dotati di armi nucleari.
Le
armi nucleari non hanno impedito alla NATO l’uso della forza in Kosovo alla
fine del 1990 o le azioni militari russe in Georgia nel 2008.
Inoltre,
gli Stati senza armi nucleari, hanno anche attaccato chi le possiede, un
risultato che è uno schiaffo in faccia alle pretese dei sostenitori della
deterrenza.
Le
armi nucleari non hanno impedito all’Egitto e alla Siria di attaccare Israele
nel 1973, all’Argentina di attaccare il territorio britannico nella Guerra
delle Falklands nel 1982 o l’Iraq di attaccare Israele durante la Guerra del
Golfo del 1991.
In
secondo luogo, la teoria della deterrenza nucleare dice poco su come i ruoli
delle armi nucleari potrebbero cambiare in un sistema internazionale in
continua evoluzione.
La
natura delle minacce a singole nazioni e la stabilità del sistema
internazionale sono cambiate drasticamente dal tempo dell’introduzione delle
armi nucleari.
Esempi
di cambiamento fondamentale includono la fine della Guerra Fredda e l’emergere
su larga scala del terrorismo transnazionale.
Un
altro, e più importante cambiamento è costituito dal maggior grado di
interdipendenza della sicurezza internazionale.
Questa
maggiore interdipendenza è evidente nel campo dell’economia, ma è stata
evidenziata anche dai progressi nella nostra comprensione scientifica delle
interazioni tra i sistemi naturali della Terra ed le configurazioni della
civiltà moderna.
Nulla
lo dimostra più chiaramente che la nostra comprensione della scienza
ambientale.
Una
nazione preoccupata per le conseguenze economiche, di salute pubblica e di
sicurezza, legate all’inquinamento atmosferico, al cambiamento climatico, e del
livello del mare, e alla diminuzione delle forniture di acqua dolce, può
implementare leggi e politiche che riducano drasticamente l’inquinamento di
aria e acqua all’interno dei suoi confini.
Ma una tale strategia è inutile, perché l’aria
al di là dei suoi confini e l’acqua nei suoi fiumi e falde acquifere è ben
miscelata con sostanze inquinanti provenienti da nazioni circostanti.
Solo se tutte le nazioni collaborano per
ridurre l’inquinamento, ognuna può trarre sostanziale profitto dal lavoro
svolto.
Lo
stesso vale per le pandemie di malattie globali e i disastri naturali.
Le minacce alla sicurezza influenzano molte
nazioni contemporaneamente, e individualmente gli sforzi nazionali per
contrastarle o affrontarle possono non essere pienamente efficaci.
L’interconnessione
delle questioni di deterrenza nucleare e le minacce ambientali transnazionali è
stata dimostrata da due scienziati, “Alan Robock” e “Owen Brian Toon”, che
hanno utilizzato tecniche di modellazione al computer per simulare le
conseguenze climatiche di uno scambio nucleare regionale tra India e Pakistan.
I loro
risultati mostrano che, con la detonazione di armi nucleari anche limitate solo
ai territori dei due combattenti, il fumo e la polvere sollevata nell’atmosfera
dalle esplosioni nucleari farebbe poi il giro del mondo, uccidendo le colture e
raffreddando temporaneamente il pianeta.
“Robock”
e “Toon” prevedono che morirebbero quasi un miliardo di persone, in grande
maggioranza civili in nazioni al di fuori degli stati in guerra.
L’implicazione di questa analisi è che tutti i
paesi hanno un interesse diretto nella sicurezza per la prevenzione della
guerra nucleare, ovunque.
Sarebbe
perfettamente ragionevole per lo Stato Maggiore degli Stati Uniti consigliare
il segretario della difesa e la Casa Bianca che, al fine di tutelare la
sicurezza della popolazione degli Stati Uniti, il Pentagono debba avere la
capacità di impedire con la forza la guerra nucleare tra India e Pakistan, o di
eventuali altri due paesi.
Ciò
significa che non importa quale sia la ragione per la guerra, o chi abbia
iniziato le ostilità, la sicurezza degli Stati Uniti avrebbe richiesto che le
armi nucleari indiane e pakistane debbano essere distrutte in volo o
preventivamente attaccate a terra, comunque prima che possano essere fatte
esplodere e provocare una catastrofe climatica globale che avrebbe ucciso
migliaia di americani.
L’esercito
degli Stati Uniti, e gran parte della più ampia comunità di sicurezza
nazionale, hanno riconosciuto la gravità delle minacce transnazionali quali il
cambiamento climatico globale.
Il
Dipartimento della Difesa statunitense, ad esempio, ha posto la minaccia
climatica come un pilastro fondamentale del riesame quadriennale più recente
della difesa e la CIA ha istituito un Centro per lo studio dei cambiamenti
climatici.
Nonostante
questa presa di coscienza, la risposta rimane inadeguata e i meccanismi di
cooperazione efficace alle minacce transnazionali rimangono non sviluppati a
sufficienza.
Se non riusciamo a rallentare il cambiamento
climatico o ad adattarci con successo alle sue conseguenze, è probabile che ne
derivino crisi politiche e militari .
La
deterrenza nucleare sarà priva di significato in queste crisi.
Le
minacce di usare le armi nucleari non hanno credibilità, perché la loro
realizzazione peggiorerebbe notevolmente il danno ambientale globale e le sue
conseguenze per tutti gli Stati, compresi quelli che hanno usato le armi
nucleari, nel tentativo di difendersi o sconfiggere i loro rivali.
Un
momento favorevole.
Il
potere distruttivo delle armi nucleari è in grado di creare l’occasione per un
momento favorevole unico nella storia della civiltà umana.
La
minaccia di una guerra nucleare universale segna il passaggio della civiltà
oltre una pietra miliare e rivela una verità fondamentale del moderno ambiente
di sicurezza internazionale.
Le
nazioni tecnologicamente avanzate hanno acquisito, e possiederanno sempre,
molteplici mezzi per distruggersi l’un l’altra.
Il numero di nazioni con queste capacità
saranno sempre di più man mano che le conoscenze tecniche e le competenze si
diffonderanno in tutto il mondo.
Le
armi nucleari potrebbero essere solo il primo esempio di tale capacità. Strumenti nuovi e più devastanti di
distruzione umana possono sempre apparire man mano che la scienza e la
tecnologia avanzano.
Dobbiamo
imparare che il più grande significato della rivoluzione nucleare è ogni
governo, di fronte a un rivale dotato di armi nucleari, è stato costretto a
concludere che “il senso di sicurezza dei miei avversari è ora la mia
preoccupazione”, e integrare questa comprensione nella strategia, nella
pianificazione delle forze e nelle operazioni militari.
Paradossalmente, alcune azioni che potrebbero
aumentare la capacità militare di uno Stato contro il suo rivale, sono infatti
contrarie ai propri interessi, poiché potrebbero indurre l’avversario, preso
dal panico, a dare inizio ad una guerra nucleare.
Questo
bisogno di prendere in considerazione le percezioni di un nemico e accoglierle
per il bene della propria sicurezza è trasformativa.
Il
paradosso nucleare può aiutarci ad imparare fornendo chiarezza per una nuova
preziosa comprensione:
la
portata globale, quasi istantanea, delle armi nucleari e della loro diffusa
proliferazione, cristallizza, a differenza di qualsiasi altra costruzione
umana, il fatto che la ricerca di sicurezza da un punto di vista puramente
nazionalista è inefficace e non scientifica.
Le scienze fisiche, biologiche e ambientali rafforzare
sempre più questa visione e ci dicono che non esiste una cosa come la sicurezza
nazionale, vi è solo la sicurezza internazionale o collettiva.
L’alternativa
è l’insicurezza collettiva.
Le
armi nucleari possono avere un’eredità positiva solo se impariamo da loro.
Un
sistema di sicurezza internazionale, basato sulla volontà delle nazioni di
suicidarsi reciprocamente al fine di proteggersi, è sempre stato riconosciuto
come una soluzione non ottimale al dilemma della sicurezza.
Questo
modo di vedere la sicurezza è gravido di grandi rischi per le nazioni del mondo
e per i popoli e dovremmo essere nella continua tensione di ricercare modi più
razionali e più umani per raggiungere la sicurezza.
Il
disarmo nucleare è stato perseguito da più di 60 anni, e sancito come obiettivo
internazionale supportato dal diritto, non perché è una moralistica chimera di
cittadini disinformati, ma perché molti seri addetti ai lavori e statisti
internazionali lo vedono come un obiettivo essenziale di un ordine
internazionale sostenibile.
Non è
oltre le capacità dei capi di governo e delle istituzioni interiorizzare la
comprensione che una grande guerra tra gli stati moderni non può più produrre
benefici di sicurezza.
Non è
necessario continuare a vivere con i rischi legati alla deterrenza nucleare, al
fine di raccogliere i cauti frutti elargiti dalla consapevolezza che le nazioni
moderne sono in grado di distruggersi l’un l’altra.
Il
presidente Ronald Reagan paragonò la deterrenza nucleare basata sulla
distruzione reciproca assicurata a “due cowboy in un saloon di frontiera con le
pistole puntate a vicenda sulle loro le teste in modo permanente”.
Per
questo ha concluso che “la guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai
essere combattuta”.
Il
tabù nucleare.
Molti
studiosi hanno sostenuto che i modelli realisti o tradizionali di comportamento
dello Stato non possono spiegare adeguatamente il fatto che le armi nucleari
non siano state utilizzate dopo il 1945.
Essi ipotizzano che sia emersa una norma
potente o tabù contro l’uso nucleare. Questo tabù è basato sulla tradizione di
non-uso, una crescente comprensione della difficoltà di raggiungere obiettivi
militari con armi nucleari e un profondo orrore morale alla distruzione
indiscriminata che le armi nucleari avrebbero portato sulle popolazioni umane e
sull’ambiente.
Che un
tale tabù esista e si sia rafforzato nel corso degli anni è infatti una
conferma che l’idea di usare le armi nucleari in nome della difesa nazionale è
considerato dalla maggior parte delle persone come moralmente illegittimo e
incompatibile con i valori umani fondamentali.
Costituisce inoltre una gradita prova
dell’esistenza e della forza di questi valori. Purtroppo molti osservatori
considerano il tabù nucleare come motivo per ritenere che il pericolo che una
guerra nucleare avvenga davvero sia esagerato.
Sono fiduciosi che, nonostante la vulnerabilità ad
eventi imprevisti ed errori umani e meccanici, le armi nucleari non verranno
utilizzate perché i controlli sono adeguati, le teste più fredde prevarranno, e
nessun leader vuole violare i costumi e le norme del tabù nucleare.
Piuttosto
che essere compiacenti nei confronti di quanto riguarda la dipendenza esistente
in materia di armi nucleari e dei rischi conseguenti alla civiltà, uno sforzo
dovrebbe essere fatto per nutrire e rafforzare il tabù ed estenderlo fino a
coprire tutti i conflitti militari tra o contro gli Stati armati nuclearmente.
Non vi
è alcun motivo valido per cui i governi non possano rendersi conto che l’avvio
di una guerra in grande scala tra gli Stati nucleari comporta un così alto
rischio di condurre ad un uso dell’arma nucleare che essi devono, in sostanza,
guardare a questa eventualità con il medesimo obbrobrio che riservano all’uso
dell’opzione nucleare di per sé, e adottare quindi un tabù anche nei confronti
delle grandi guerre.
Perché
abbiamo bisogno della presenza quotidiana della minaccia di distruzione
nucleare e dell’architettura che essa crea per beneficiare del tabù contro
l’avvio dell’Armageddon?
Se la
civiltà umana vuole sopravvivere deve dimostrare che il conflitto violento tra
i grandi Stati è evitabile.
Questo non è un concetto nuovo o radicale.
È il principio fondamentale della Carta delle
Nazioni Unite, che è stata firmata da 192 delle 195 nazioni del mondo. Reagan disse che la pace non è
l’assenza di conflitto, ma la capacità di risolvere i conflitti con mezzi
pacifici.
Come
per il caso delle armi chimiche, delle armi biologiche, delle munizioni a
grappolo e delle mine terrestri antiuomo, le armi nucleari possono essere
sottoposte a regimi internazionali che cercano di evitare che tecnologie
particolarmente pericolose o inumane vengano utilizzate per scopi militari.
I
regimi che vietano queste armi, anche se non ancora completamente attuati,
dimostrano chiaramente che è possibile eliminare anche intere categorie di
tecnologie militari e renderne la fabbricazione e il loro uso illegali.
Fare a meno delle armi nucleari non è né
impossibile né più pericoloso del vivere nel mondo in cui viviamo e può
effettivamente portare ad un mondo più sicuro.
In sostanza, l’idea di deterrenza nucleare
basata sulla minaccia di distruzione reciproca, o di deterrenza con qualsiasi
futura arma indiscriminata di distruzione di massa, deve diventare
universalmente tabù.
Il
punto di vista che le armi nucleari dovessero essere eliminato è stato
articolato fin dal momento della loro venuta al mondo, e la visione di come
l’ideologia della deterrenza nucleare sia incompatibile con i valori umani
fondamentali e il buon andamento della civiltà umana è antica quanto le armi
nucleari stesse.
La maggior parte delle nazioni e delle persone
guarda alle armi nucleari come un problema, non una soluzione.
Almeno
30 paesi che potrebbero costruire tali armi hanno scelto di non farlo.
Molti
degli inventori della bomba, tra cui Robert Oppenheimer, sono stati
profondamente turbati dal suo potenziale distruttivo e hanno argomentato contro
l’idea di farne una pietra angolare della sicurezza nazionale.
La stragrande maggioranza delle nazioni, 189
su 195, si sono impegnate a non acquisire armi nucleari in base al Trattato di Non Proliferazione
Nucleare del 1970.
Le
armi nucleari devono essere eliminate perché non faranno diventare le nazioni
potenti nel ventunesimo secolo e oltre.
La
loro esistenza negli arsenali del mondo, crea i presupposti per loro effettivo
utilizzo e i rischi che creano superano il loro valore.
Il
contributo marginale che la deterrenza nucleare fornisce attualmente alla
mancanza di aggressioni di maggiore entità tra grandi potenze viene acquistato
a un prezzo troppo alto.
Tale
prezzo è il rischio costante che un sistema complesso, strettamente
interconnesso e in gran parte automatizzato, soggetto all’errore normale,
sistemico e umano, come la scienza ci dice, inevitabilmente fallirà, e fallirà
catastroficamente, con la perdita ingiustificata e senza precedenti della vita
civile. Errori con armi convenzionali possono avere limitato impatto fisico.
Con le
armi nucleari non sono possibili errori piccoli.
Le
armi nucleari sono inutili per affrontare e risolvere le più probabili future
sfide di sicurezza internazionale, ma un costante progresso verso
l’eliminazione di tali armi può aiutare le nazioni affrontare questi problemi
transnazionali.
Le abilità diplomatiche e tecniche acquisite
attraverso la creazione dei trattati e delle istituzioni per verificare in
concreto l’eliminazione delle armi nucleari dagli arsenali nazionali possono
fornire modelli potenti e l’esperienza per affrontare altre minacce
transnazionali.
L’eliminazione
delle armi nucleari, un progetto che richiederà 25-35 anni, può quindi essere
un principio di organizzazione e un esempio per le forme di cooperazione
internazionale, le leggi e le istituzioni che sono necessarie per gestire altre
sfide globali.
In
secondo luogo, l’eliminazione delle armi nucleari permetterà a risorse
creative, intellettuali, tecniche e finanziarie, ora dedicate alla minaccia
nucleare, di essere indirizzate verso la risoluzione delle crisi transnazionali
affrontate da tutte le nazioni.
Man a
mano che le armi nucleari verranno eliminate, tali risorse potranno essere reindirizzate
verso lo sviluppo di energia pulita, tecnologie per la cattura del carbonio,
per la gestione dell’acqua pulita e per un’agricoltura a basso impatto e ad
alta produttività.
Le
armi nucleari devono essere eliminate perché vi è la reale opportunità storica
di farlo e perché non farlo metterà a repentaglio le generazioni attuali e
future che tentano di gestire una serie di inevitabili problemi di sicurezza
globali.
Saranno
necessarie trasformazione nel modo in cui gli Stati interagiscono fra loro
prima che vengono eliminati anche le ultime armi nucleari, ma i progressi
tangibili verso il disarmo nucleare non possono attendere la risoluzione di
tutti i conflitti internazionali.
Conflitti
internazionali esistevano prima che le armi nucleari fossero state inventate,
persistono mentre gli stati sono in possesso di arsenali nucleari e rimarranno
dopo che le armi nucleari saranno state eliminate da tali arsenali.
Obama
ha detto a Praga che l’eliminazione delle armi nucleari non può essere
raggiunto durante la sua vita, ma il 2045 – 34 anni da adesso, quando Obama
avrà 84 anni – segnerà il 100° anniversario del bombardamento atomico del
Giappone.
Tre
decenni e mezzo è un tempo sufficiente per il mondo per effettuare la
transizione per uscire fuori dall’ideologia della deterrenza nucleare e per
smantellare il sistema di forze nucleari dispiegate in nome della difesa
nazionale.
Ogni
anno che passa porterà la necessità di sostenere ancora più chiaramente la
visione di Obama di un mondo libero dalle armi nucleari.
La comunità internazionale ha l’opportunità di
onorare la memoria delle vittime di Hiroshima e Nagasaki, eliminando le armi
nucleari dagli arsenali del mondo, un secolo dopo che sono state scatenate.
(James
E. Doyle.)
(Questa
ricerca non ha ricevuto alcuna sovvenzione specifica da qualsiasi fonte di
finanziamento del settore pubblico, commerciale, o non-profit. I pareri
espressi in questo articolo sono solo dell’autore e non rappresentano quelli
del” Los Alamos National Laboratory” o del “governo degli Stati Uniti”.)
Dietro
le quinte del Forum di Davos:
Klaus
Schwab ha 85 anni, chi gli succederà?
Perché
prevede un blocco mondiale del web?
Italiaoggi.it - Tino Oldani – (18 -1-2023) –
ci dice:
Ci
sono due modi di raccontare il vertice del World Economic Forum (Wef), che si
tiene ogni anno a Davos, sulle alpi svizzere.
Il
primo, tipico di giornaloni e tv, è di fare da grancassa ai comunicati
ufficiali del fondatore-padrone del Forum, Klaus Schwab, abile come pochi nel
presentare l'evento come il più importante raduno mondiale dei big della
politica e della finanza, cosa che gli riesce bene perfino quando, come
quest'anno, neppure uno dei big politici mondiali ha risposto al suo invito,
salvo i ricchi emiri del petrolio e del gas in cerca di visibilità.
Una
narrazione standard, con il sottinteso che a Davos si possono conoscere in
anticipo le linee guida della politica e della finanza mondiale.
Il che, a posteriori, ha trovato rari
riscontri.
Per
contro, ci sono media indipendenti, o forse soltanto più curiosi, i quali
colgono l'occasione per raccontare cosa dicono, dietro le quinte, i big della
politica e della finanza arrivati a Davos, ponendo loro domande scomode.
Per
capirci, come quella che uno studente autistico ha posto di recente, in diretta
tv, a Emmanuel Macron sulla sua relazione con l'allora insegnante Brigitte
Trogneux, poi sua moglie, quando lui aveva 15 anni e lei 24 di più, già sposata
con tre figli.
Per questo ho trovato godibile che “Politico”,
senza peli sulla lingua, abbia chiesto ai partecipanti al Forum:
Klaus
Schwab ha 85 anni, chi sarà il suo successore?
Come sarà scelto?
Da
chi?
L'inviato
di “Politico”, “Ryan Heath”, ha interrogato 29 persone tra partner strategici
del Forum e dipendenti dello stesso, tutti coperti da anonimato.
Il nome del successore di Schwab, alla fine,
non è saltato fuori.
Lui
non lo ha mai indicato, come non l'hanno fatto altri due grandi vecchi, “Rupert
Murdoch” e “Warren Buffet”.
Così, ecco un florilegio di ipotesi.
Tra i collaboratori, c'è chi giura che Schwab
resterà in carica fino alla morte.
Altri indicano con grande cautela i nomi di
coloro che hanno qualche possibilità di raccogliere il testimone per la guida
del think-tank, che negli anni è diventato un'azienda solida.
Schwab ha fondato il Forum nel 1971 e lo guida
da 52 anni con indubbia capacità manageriale:
il Wef
è un'azienda familiare che, con un capitale iniziale di 6mila dollari, oggi
conta 800 dipendenti e, grazie alle donazioni e alle tariffe di iscrizione ai
convegni, gestisce un business di 390 milioni di dollari l'anno.
Già,
un'azienda familiare, oltre che un'organizzazione senza scopo di lucro, dove i
figli di Schwab, Nicole e Olivier, ricoprono cariche di rango elevato, mentre
la moglie Hilde presiede la cerimonia annuale di premiazione.
Moglie
e figli, per statuto, possono sedere nel consiglio di amministrazione.
Il che ne fa dei potenziali successori. Ma non
è detto.
Per statuto, Schwab ha il diritto di designare
il successore, ma non l'ha mai fatto.
«Non
vi è nessun segnale che si dimetterà. E gode di ottima salute», ha confidato un
membro dello staff.
Un
altro: «Schwab
ha il complesso di Dio, pensa di essere il più adatto a guidare il Forum. Ma
nessuno è immortale».
Un
altro ancora: «Klaus ha cambiato testamento più volte negli ultimi decenni. Impossibile
sapere cosa deciderà alla fine».
Sulla
carta, lo statuto riserva privilegi speciali alla famiglia Schwab.
Per
questo, la figlia Nicole avrebbe l'esperienza per succedere al padre:
ha
fondato lo “Young Global Leaders”, un gruppo super elitario di cui hanno fatto
parte Mark Zuckerberg (Meta), Kirill Dimitriev, capo del fondo sovrano russo, e
Jacinta Arden, primo ministro neozelandese.
Oggi è
la promotrice della “piattaforma 1t.org”, che punta a un trilione di alberi per
riforestare il mondo.
Il fratello Olivier lavora a tempo pieno per
il Forum ed è responsabile dei rapporti con la Cina.
Tuttavia, Schwab è sembrato più volte propenso
a reclutare il futuro presidente all'esterno.
Nel 2014 fece entrare nel” Wef Philipp Roesler”,
41 anni, chirurgo cardiotoracico, ex ministro della tecnologia nel governo di
Angela Merkel.
«Tutti pensarono che la successione era
praticamente decisa», ha confidato uno dello staff.
Ma non
andò così: dopo tre anni, “Roesler” si dimise dal consiglio d'amministrazione,
dopo che alcuni all'interno del Forum l'avevano definito un cattivo manager.
Tra
gli attuali leader del Forum, viene giudicato in corsa per la successione il
norvegese “Borge Brende”, ex ministro degli Esteri della Norvegia, richiamato
da Schwab nel Forum nel 2017, dopo averne apprezzato la collaborazione nel
think-tank in due periodi precedenti (2008 e 2011).
Alcuni
lo considerano però solo un possibile presidente di transizione, che potrebbe
essere scavalcato da “Jeremy Jurgens”, amministratore delegato del Wef, nonché
direttore del Centro per la quarta rivoluzione industriale, il progetto forse
preferito da Schwab.
Insomma,
nulla di deciso.
Tanto
che, registra “Politico”, un manager che frequenta Davos da 20 anni arriva a
dire:
«È folle che non abbiano un piano di
successione per conservare la fiducia del pubblico».
Alcuni
siti hanno messo in evidenza altri aspetti curiosi, degni di nota.
Schwab
e l'amico George Soros hanno annunciato all'ultimo momento che quest'anno non
saranno presenti al Forum:
Schwab
per «problemi di salute», mentre Soros avrebbe declinato l'invito per impegni
programmati prima.
Sul
web vi è tuttavia un video di Schwab che, in piena salute, alla vigilia del
Forum ha previsto che quest'anno vi sarà un attacco informatico globale che colpirà
l'energia, i trasporti, la sanità e la società mondiale nel suo insieme.
Qualcosa
di peggio del Covid-19.
Roba
da incrociare le dita.
Ma un
attacco sferrato da chi? Mistero.
Schwab
non lo svela. Il Forum è anche questo.
A cosa
e a chi serve davvero
il
World Economic Forum di Davos.
Valori.it
- Claudia Vago – (20.01.2023) – ci dice:
Il
summit degli uomini ultraricchi e ultraliberisti che vogliono disegnare il
futuro di tutte e tutti noi.
C’è
poca neve quest’anno a Davos.
E a mancare sono anche gli oligarchi russi.
La
guerra in Ucraina, infatti, ridisegna la geografia della ricchezza all’annuale
appuntamento del World Economic Forum (WEF) che si svolge nella località
elvetica.
Un
incontro a inviti in cui un pugno di ricchissimi e/o potentissimi (e il
maschile non è un caso) discutono dei temi all’ordine del giorno dell’agenda
globale.
Cos’è
il World Economic Forum.
Nato
nel 1971 per iniziativa dell’economista ed accademico Klaus Schwab, il World
Economic Forum è una fondazione senza scopo di lucro che, si legge nel sito
dell’organizzazione, è «Committed to improving the state of the world».
Impegnata
a migliorare lo stato del mondo.
Partito
come “European Management Symposium” sotto il patrocinio della Commissione
europea e di alcune associazioni industriali del Vecchio Continente, aveva come
scopo quello di introdurre le aziende europee alle pratiche di management
statunitensi.
Dal
1974 gli inviti all’evento annuale sono stati estesi anche a capi di Stato e di
governo, allargando sempre più i campi di interesse a questioni economiche e
sociali.
Anche
per rispondere e adattarsi ai grandi cambiamenti che avvenivano, come per
esempio il crollo del meccanismo dei tassi di cambio fissi di Bretton Woods o
la guerra dello Yom Kippur.
E dal 1987 il Simposio ha adottato il nome con
cui è noto oggi: World Economic Forum. Puntando a presentarsi come una
piattaforma per la risoluzione dei conflitti internazionali.
Davos,
località sciistica nelle Alpi svizzere, nel Cantone dei Grigioni, è stata
scelta da subito come sede dell’appuntamento che si tiene ogni anno a fine
gennaio.
Per
decenni Davos è stato il luogo in cui artefici e manovratori della
globalizzazione neoliberista si riunivano.
Ma è
stato anche il luogo in cui si sono incontrati Nelson Mandela e Frederick de
Klerk, Yasser Arafat e Simon Peres, Henry Kissinger e ex-dirigenti dell’Unione
Sovietica.
Davos
ha accolto nel 2017 il leader cinese Xi Jinping in un tentativo, da molti
osservatori letto come maldestro, di normalizzare l’esperienza cinese
riconducendola all’interno della cornice neoliberista occidentale che al World
Economic Forum trova la sua summa.
Chi è
il “Davos man.”
La
fondazione organizzatrice del meeting di fine gennaio è finanziata da un
migliaio circa di aziende associate.
Si
tratta, perlopiù, di multinazionali con fatturato superiore ai 5 miliardi di
euro.
E per
questo i partecipanti al forum sono principalmente uomini, CEO delle più grandi
aziende del Pianeta, ricchissimi.
Il
“Davos man”, espressione coniata nel 2004 dal politologo di Harvard “Samuel
Huntington” è un “colletto d’oro”. Membro di una élite. Per alcuni una guida
illuminata. «Il vero eroe del 2020».
E voi che pensavate a medici e infermieri.
Nel
suo “Davos Man: how the billionaires devoured the world” pubblicato a gennaio
2022, il giornalista del New York Times “Peter S. Goodman” disegna un preciso
ritratto dei membri di questa classe di miliardari.
Si
tratta di «persone (per lo più uomini) la cui ricchezza e potere sono così
vasti da essere in grado di scrivere le regole per il resto di noi», scrive
Goodman.
DIRITTI.
I
patrimoni delle 10 persone più ricche del mondo sono raddoppiati
Un
esempio è “Marc Benioff”, presidente e CEO di “Salesforce.com”, una società di “cloud
computing aziendale”.
È lui che ritiene i CEO i veri eroi del 2020.
E come
dargli torto? Salesforce.com, nel 2020, ha visto un boom di vendite dei propri
prodotti.
Portando
nelle tasche di Benioff 10 miliardi di dollari da aggiungere alla sua già
notevole ricchezza personale.
Numeri
e storie che non stupiscono, soprattutto alla luce dell’ultimo rapporto
pubblicato da “Oxfam International “proprio alla vigilia dell’appuntamento di
Davos di quest’anno.
Dal quale emerge che le disuguaglianze globali
si sono acuite, con l’1% più ricco che si è accaparrato quasi due terzi dei
42mila miliardi di dollari di ricchezza creati dal 2020.
I patrimoni dei miliardari sono cresciuti al
ritmo di 2,7 miliardi di dollari al giorno.
Il
rapporto.
Gli
ultra-ricchi si sono arricchiti ancor di più durante gli ultimi anni.
ECONOMIA.
Ai
super-ricchi 2,7 miliardi di dollari al giorno nell’ultimo triennio.
World
Economic Forum 2023: come cambia il “Davos man.”
Sono
116 le persone iscritte a partecipare all’evento di Davos quest’anno. Il 40% in
più di 10 anni fa.
Specchio
di un mondo in cui alla povertà estrema che aumenta corrisponde un aumento
della ricchezza estrema.
Mancano
gli oligarchi russi, dicevamo.
Perché sebbene le tendenze autoritarie e
l’avversione alla democrazia di Putin fossero fatti noti da tempo è servita
l’invasione russa dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio per porre distanze tra
l’Occidente e la Russia, per interrompere (seppure parzialmente) l’acquisto di
petrolio e gas.
Ma non
di uranio.
Mancano
i cinesi.
Con il
Paese alle prese con un’ondata di Covid e dopo che il crollo del mercato
azionario nel 2022 ha cancellato 224 miliardi di dollari dalle fortune delle
persone più ricche del Paese.
I filippini iscritti sono pochi, ma nessuno ha
patrimoni con meno di 10 cifre. Aumentano i miliardari provenienti dai Paesi
del Golfo, grazie all’impennata dei prezzi del petrolio.
E 13 sono i partecipanti provenienti
dall’India.
Tra di
essi “Gautam Adani”, attualmente la terza persona più ricca del mondo, secondo
il” Bloomberg Billionaires Index”.
La sua ricchezza è aumentata di 44 miliardi di
dollari l’anno scorso.
Gli
americani sono, come sempre, i più numerosi: ben 33.
E Wall
Street è ben rappresentata, con l’amministratore delegato di “JPMorgan Chase” “Jamie
Dimon”, “Larry Fink” di BlackRock e “Steve Schwarzman” di “Blackstone”.
Dall’Europa
partecipano “solo” 18 miliardari.
Gli unici partecipanti dal Regno Unito sono
indiani: “Lakshmi Mittal”, del gigante dell’acciaio ArcelorMittal, che ha sede
a Londra, e i suoi figli.
Emerge
la Davos woman?
A
latitare, poi, sono le donne.
Solo
il 27% delle persone delegate è composto da donne.
Si
chiama Davos man non per caso, insomma.
Anche
se un’analisi del maggio 2022 dei ricercatori “Shawn Pope” e “Patricia Bromley”
evidenzia come negli ultimi otto anni la presenza femminile sia lentamente, ma
costantemente aumentata.
Parallelamente,
è aumentata l’attenzione a temi come l’inclusione sociale e l’ambiente al posto
di crescita e sviluppo.
Almeno nei comunicati stampa degli ultimi anni
pubblicati dall’organizzazione e analizzati da Pope e Bromley.
«Sebbene
venga resuscitato dai media ogni anno, l’uomo di Davos dei primi anni Duemila
sta diventando un anacronismo», scrivono i due ricercatori.
«I
cambiamenti, a dire il vero, sono ancora in corso e rimangono molte
contraddizioni.
Senza
dubbio, il “nuovo uomo di Davos” continuerà a predicare l’uguaglianza, anche se
la sua conferenza rimane uno degli eventi più esclusivi dell’anno».
Il
dittatore chi mi porto dentro.
Marcelloveneziani.com - Marcello Veneziani – (04 Dicembre
2018) – ci dice:
Ora il
dittatore è Salvini, o forse Di Maio, anzi meglio Casaleggio.
Fino a
sei mesi fa il dittatore era un eurocrate o qualche suo concessionario di zona,
che peraltro incombono minacciosi all’orizzonte.
Chiunque è all’opposizione, ormai da tanti
anni, denuncia il pericolo imminente di una dittatura in Italia.
E lo
denuncia nonostante dal ’94 in poi, cioè dall’avvento della seconda repubblica
a oggi, ogni governo uscente è stato bocciato alle elezioni, in perfetta
alternanza.
Un
tempo il dittatore in pectore era Berlusconi, poi un mezzo golpe bianco
spodestò Berlusconi e dittatura fu la sequela di governi senza legittimazione
democratica.
Dall’opposizione
Grillo tuonò contro la dittatura di Renzi che comandava su tutte le ruote e
molti vedevano nel suo bullismo qualcosa del tirannello.
Ritorna
ora l’ombra del dittatore, anche per bocca dello stesso Berlusconi che denuncia
il regime illiberale dei grillini.
Ma da
una vita la Sinistra denuncia il pericolo del fascismo e del nazismo alle
porte, che è poi la riedizione dell’eterno grido d’allarme della reazione in
agguato che serviva ai regimi comunisti per sopprimere i dissidenti. L’antifascismo è diventato una
preghiera quotidiana che sfida il ridicolo e la realtà e serve a chiamare alla
“vigilanza” democratica contro l’orco che verrà.
Ci
siamo così abituati alla denuncia del dittatore in arrivo che ormai conviviamo
serenamente con dittature presunte, presenti e future.
Ma c’è
una particolarità che rende il discorso – già in sé surreale – ancora più
assurdo e grottesco:
se si
facesse un referendum popolare con la macchina della verità, la dittatura
vincerebbe a larga maggioranza.
Democraticamente.
Liberamente. Paradossalmente.
È lui
l’animale che mi porto dentro, per dirla con Franco Battiato e Francesco
Piccolo; in me, in te, in lui, in loro.
Il dittatore.
Loro
denunciano il pericolo di una dittatura, e lo vedono nei quattro cantoni della
nostra democrazia: tra i populisti o tra gli oligarchisti, tra i sovranisti o
tra i globalisti; a sinistra, a destra, sotto e sopra.
Ma
serpeggia e non da oggi tra la gente un desiderio indecente di dittatura.
È il
desiderio di decisioni rapide, nette, radicali.
La
voglia di semplificare e finalmente risolvere i problemi annosi, risanare,
bonificare, compiere opere pubbliche in poco tempo, fronteggiare gli eurarchi
di sopra e i migranti di sotto, ma anche i corrotti di dentro e le carogne di
fuori.
Un desiderio a 360 gradi, anzi a 370 per dirla
con la scienziata grillina.
C’è
bisogno di decisioni rapide, efficaci, nette, e invece si impantanano nei veti
incrociati, nei compromessi al ribasso, nelle spinte opposte che si
neutralizzano a vicenda producendo somma zero.
Il
risultato è l’inerzia o al più l’inezia, il topolino, dopo aver annunciato la
montagna.
Oppure
si rimanda a domani, non per senso di responsabilità ma per paura di perdere
oggi il proprio ruolo.
Meglio
galleggiare.
Accadeva
nella prima repubblica, poi nella seconda, e accade ancora nella cosiddetta
terza repubblica col contratto senza alleanza tra grillini e leghisti che
tirano in direzioni opposte.
E si
uniscono solo davanti al Nemico che vuole espropriarli del mandato ricevuto.
D’altra
parte nel mondo Putin, Trump, Xi, Erdogan, Bolsonaro e via via scendendo,
suggeriscono che un decisore, se non un dittatore, un autocrate, ci vuole per
governare il caos.
Magari a tempo, come i dittatori d’epoca
romana, con mandato circoscritto e controllo.
Serpeggia
la dittatura delle virtù, di giacobina memoria, tra i grillini, col loro
desiderio di spazzare via classi dirigenti, la stampa allergica, i poteri
consolidati e tutti coloro che sono sospettati di essere Corrotti.
Ma serpeggia la dittatura del politicamente
corretto a
sinistra, con la loro arroganza e il loro disprezzo del popolo volgare e del
suo voto;
un potere che raddrizzi il popolo e lo
rieduchi a suon di precetti, prescrizioni e proscrizioni.
Serpeggia
il desiderio dell’Uomo forte a destra, con Salvini e oltre, uno che possa far
funzionare un paese che non funziona, metterlo in sicurezza e decidere senza
eternamente mediare.
E
serpeggia, inutile nasconderlo, anche tra i tecnici e gli euro tutori, che
vorrebbero i paesi sotto tutela e sotto schiaffo, in un regime
tecno-finanziario in cui il voto non conta, il dogma è l’Euro, il peccato
originale è il Debito sovrano, il paradiso è il Pareggio di Bilancio.
Però
il desiderio del dittatore è maggioritario anche tra i cittadini sfusi e
perfino astensionisti, ovvero tra la gente senza targa e senza appartenenza,
che non va a votare per sfiducia generale.
Ma con
queste premesse perché poi la Dittatura resta solo un desiderio frustrato, una
specie di Godot beckettiano, un’evocazione dei Tartari di Buzzati?
Perché
la dittatura che voglio io non è quella che vuoi tu.
La
dittatura del vicino è sempre più brutta.
È sul
come farla, a chi affidarla, che poi ci dividiamo.
Alla
fine non chiediamo a gran voce la dittatura non solo perché ce ne vergogniamo o
vogliamo che a dirlo sia prima qualcun altro, e poi se non ci sono reazioni
ostili, ci accodiamo.
Ma
perché arriva sempre la dittatura degli altri, mai quella che vorremmo noi.
E
tanta è la paura che diventi una dittatura contro i nostri interessi, i nostri
comodi, che alla fine ripieghiamo sull’inconcludente democrazia, dove i danni
sono vasti e assicurati ma gli errori, pur gravi e molteplici, sono più
spalmati e non sono irreparabili…
Il
guaio dei dittatori invocati o paventati è che tu li aspetti da una parte, e
invece ti sbucano sempre dalla parte opposta.
Alle tue spalle.
Salvare
il ceto medio dal bombardamento
globalista
(e comunista) per ricostruire l’Italia.
Corrispondenzaromana.it
– (21 Ottobre 2019) – Redazione - Antonio Socci – Libero – ci dice:
La cronaca di queste ore propone tre notizie:
la stangata fiscale del governo (da qualcuno
definita “tasse e manette”), la manifestazione del centrodestra a Roma
(“Orgoglio italiano: una Patria da amare e difendere”) e la Leopolda di Matteo
Renzi a Firenze che ha a tema Matteo Renzi.
Il
protagonista vero – che permette di capire tutti e tre gli eventi – è però il
ceto medio.
È la
spina dorsale del nostro Paese, anche economicamente, ed è attorno a questa
Italia profonda che si combatte la vera battaglia.
Alcuni
spunti di riflessione molto preziosi – per capire cosa è successo e cosa sta
accadendo oggi – li fornisce “Marco Gervasoni” nel libro “La rivoluzione
sovranista”.
In
breve. Il ceto medio nasce nel dopoguerra:
“con il piano Marshall, il welfare state e la
quasi piena occupazione, il gioco è fatto” (Gervasoni).
Si può
aggiungere la riforma agraria che trasforma milioni di braccianti e mezzadri in
piccoli proprietari e poi la valorizzazione della piccola impresa artigiana
(soprattutto a partire dalla Brianza) che porta gli operai a diventare
imprenditori.
Poi la
scuola per tutti rappresenta uno straordinario ascensore sociale per milioni di
giovani figli del popolo.
È l’unica, vera e grande rivoluzione.
E
tutta pacifica.
Così
nasce una classe media che è la protagonista del miracolo economico italiano
(un successo strepitoso a livello planetario) che porta in pochi anni una
nazione sconfitta e distrutta dalla guerra a diventare una grande democrazia
industriale, fra le prime nel mondo.
La
classe media, di idee moderate e legata a valori italiani, è il pilastro del
trentennio d’oro (1945-1975) e della Prima repubblica, sebbene costantemente guardata con
disprezzo dall’élite intellettuale ovviamente di sinistra.
Con il
crollo del Muro, con Mani pulite (che spazza via i tradizionali partiti
moderati) e l’inizio della globalizzazione, quel ceto medio viene attaccato dai
processi di mondializzazione dell’economia, che per l’Italia significa i
disastrosi diktat di Maastricht e la moneta unica.
Negli
anni Novanta la Sinistra per la prima volta va al potere in Italia.
Ci viene traghettata dalla sinistra dc – che
tradisce la storia democristiana – ed è legittimata dall’establishment della Ue
(e da quello clintoniano) per applicare le dottrine germaniche.
Sono
politiche punitive verso il ceto medio.
Aumentano
le tasse, viene distrutto il welfare, si blocca l’ascensore sociale, collassa
la crescita economica e inizia il calvario della disoccupazione giovanile.
Il
potere d’acquisto del popolo italiano crolla di circa il 40 per cento
dall’epoca della lira a quella dell’euro.
Per
reazione il ceto medio punta su Berlusconi sperando di essere difeso.
Di
fatto però l’euro e le politiche tedesche non consentono margini di manovra e
massacrano questa classe sociale (in tutte le società occidentali accade lo stesso con
la globalizzazione dei ricchi esentasse) e anche i lavoratori.
Il
ceto medio, spiega Gervasoni, si frantuma.
Il Pd diventa il partito delle ricche élite
mondialiste minoritarie (ma potenti soprattutto sui media) e il partito di
fiducia delle cancellerie europee mondialiste.
Avendo
abbandonato la battaglia sui diritti sociali del popolo, adotta, dagli Usa e
dall’Europa, la bandiera dei cosiddetti diritti civili arcobaleno e quella
degli immigrati come nuovo proletariato assatanato di potere.
Soprattutto
con la crisi del 2007-2008 e l’ondata migratoria iniziata nel 2013, la società
italiana viene terremotata.
La
crisi è aggravata dalle disastrose politiche della Ue.
Molte
partite Iva dal ceto medio scivolano verso la povertà.
La
generazione dei figli si scopre senza prospettive e destinata a vivere peggio
dei padri.
Così,
dalla difesa del proprio reddito, il ceto medio – spiega Gervasoni – comincia a
identificarsi con la battaglia dell’identità:
perché sente aggredito il proprio status
sociale, delegittimata
la propria sovranità nazionale e messa in discussione l’identità stessa del
proprio paese.
Gli
italiani si sentono traditi, impoveriti, sottomessi e invasi.
È il
passaggio dalla sola questione economica alla battaglia per l’identità che spiega l’investimento degli
italiani sulla Lega di Salvini e su Giorgia Meloni.
E
Berlusconi sembra che lo stia capendo (altri di Forza Italia no).
È
sempre la stessa Italia profonda, disprezzata dalle élite globali-comuniste e massacrata, ma maggioritaria, che
chiede di essere difesa e rappresentata (una cosa analoga accade negli Usa
con Trump).
I
fatti di questi giorni ci dicono che – con la manovra economica – il Pd
continua a fare il Pd comunista e
quindi a tartassare e punire il ceto medio che ha la colpa di rifiutarne le
politiche anti-italiane (il Pd comunista e globalista sembra fare la guerra agli
italiani e infatti ne teme il voto).
Renzi (quello che ha portato il Pd al minimo
storico) cerca di reinventarsi un partitino al centro, ma senza capire che non
sono le manovre di palazzo che ti rendono rappresentativo se non hai un
insediamento sociale nel ceto medio che è stato disastrato, se non capisci cosa
è accaduto all’Italia profonda e se resti (come lui è) legato all’establishment
e alle sue sciagurate politiche (oltretutto
Renzi ha enormi problemi di credibilità politica per le sue spregiudicate e furbesche
giravolte).
Il
centrodestra si trova dunque investito di un compito storico enorme da questa
Italia profonda, ancora maggioritaria.
Ma la
sua classe dirigente ne sarà all’altezza?
Spesso
sembra muoversi alla giornata, senza la “gravitas” dei veri statisti, con tanta
generosità e coraggio, ma faticando a capire davvero cosa è cambiato e ad avere
consapevolezza dei processi sociali e culturali in atto.
Di
sicuro però con Trump alla Casa Bianca, la Brexit e la crisi che sta investendo
la Germania e la Ue (entrambe globaliste), l’aria che tira nel mondo è quella
di un ritorno degli Stati nazionali.
È la
condizione necessaria per far ripartire politiche di crescita.
L’Italia
esce da questi 25 anni a pezzi come dopo la Seconda guerra mondiale.
Ha
perduto una guerra.
Solo
scommettendo sull’Italia profonda che allora fece il miracolo economico si può
ricostruire questo Paese.
A
proposito del trasferimento del Gen. Vannacci.
Ma a
via XX settembre conoscono il Codice
dell’Ordinamento
Militare?
Corrispondenzaromana.it
- Salvatore Sfrecola – (19 Agosto 2023) – ci dice:
Un
sogno italiano.
l
minimo che si può dire è che dalle parti di via XX settembre, ed anche nello
staff del Ministro, il Codice dell’Ordinamento Militare (d.lgs. 15 marzo 2010,
n.66) è ignorato o, quanto meno, hanno saltato l’art. 1472 (Libertà di
manifestazione del pensiero) secondo il quale
“1. I
militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche
conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che
si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di
servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”.
Altrimenti
il Generale Roberto Vannacci sarebbe ancora al suo posto.
Non
c’è da aggiungere null’altro.
Neppure
fare riferimento ai sacri testi delle democrazie liberali che esplicitamente
riconoscono, tra i diritti fondamentali, quello di manifestazione del pensiero.
Addirittura
nella “Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino”, in
apertura delle costituzioni di fine ‘700, come nella Costituzione della
Repubblica Cispadana del 19 marzo 1797:
II. ”niuno può essere impedito a dire,
scrivere, e pubblicare , anche con le stampe, i suoi pensieri”.
O
nella costituzione napoletana del 1799 all’art. 4:
“La libertà di opinione è un diritto
dell’uomo.
La
principale delle sue facoltà è la ragionatrice.
Quindi
ha il diritto di svilupparla in tutte le possibili forme;
e però
di nutrire tutte le opinioni che gli sembrano vere”.
Nel
frattempo è intervenuta la Costituzione della Repubblica con il suo art. 21 il
quale afferma che
“tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
E è a
questo principio che si uniforma il” Codice dell’Ordinamento Militare” con la
disposizione richiamata in apertura di queste brevi considerazioni.
Che deve
necessariamente estendere ad alcuni aspetti del dibattito che ha infiammato
giornali e televisioni.
Cominciando, per allentare la tensione, da una
frase scherzosa che si sente ripetere spesso ad ogni presentazione di libro.
Alla
quale provvederebbero persone che non l’hanno letto per illustrarlo ad altri
che non lo leggeranno.
Bè, è
certamente vero solamente in parte oggi.
Dubito,
infatti, che molti di coloro che hanno scatenato la polemica contro il generale
per il suo “Il mondo al contrario” lo abbiano letto integralmente.
Ma è
certo, in questo caso, che molti lo leggeranno, come dimostra l’impennata degli
acquisti su Amazon.
Io non
l’ho ancora letto ma, abituato a recensire libri, mi sono fatto l’idea che
quanti hanno scatenato la polemica su alcune frasi le abbiano estrapolate da un
testo corposo ed interpretate trascurando l’intero contesto, il complesso del
pensiero che ha ispirato l’Autore.
Che,
ovviamente, si può condividere o meno.
Ma il tema non è commentare le singole
espressioni, ma il diritto di un cittadino italiano di manifestare il proprio
pensiero con un coraggio che indubbiamente gli va riconosciuto per essere
palesemente consapevole che scriveva di temi coperti dal politically correct
per cui avrebbe ricevuto critiche feroci.
Tanto
più nella consapevolezza che quel che il Generale ha scritto in gran parte è condiviso
dalla maggioranza degli italiani.
Altrimenti,
se avesse detto cose stravaganti sarebbero stati in pochi a scrivere ed a
chiedere la sua testa.
Invece non è stato sufficiente che lo Stato
Maggiore lo abbia rimosso dall’incarico ricoperto.
“Non basta”,
si è sentito dire. Insomma, ma è cosa nota, si può dire solamente quel che, per
una evidente minoranza, è buono e giusto.
Ma
questo – se ne facciano una ragione i critici del Generale Vannacci – in un
regime liberale non è ammissibile.
Perché,
governi la destra o la sinistra, la Costituzione vale per tutti e la” libertà
di manifestazione del pensiero” (anche della classe media! N.d.R.) è ritenuta concordemente uno dei
principi fondamentali del nostro ordinamento.
Un principio che, se investito dal Generale in
sede di impugnazione del trasferimento, sarà senza dubbio ribadito dal
Giudice amministrativo.
Quei
misfatti dei
regimi
comunisti.
Laterza.it – editore La Terza - Piero
Bevilacqua legge Gianluca Falanga – (4-5-2022) – ci dice:
Repressioni,
“grandi purghe” e carestie causate nel ‘900 da leader come Lenin, Stalin, Mao o
Pol Pot.
Ne
scrive Gianluca Falanga in ‘Non si parla mai dei crimini del comunismo’.
Con una premessa: il movimento comunista ha avuto
esperienze diversissime tra loro.
L’ultimo
volume nato in casa” Fact Checking”, la collana dell’editore Giuseppe Laterza
curata dallo storico Carlo Greppi, non mancherà di far discutere.
Non si
parla mai dei crimini del comunismo è, infatti, un autentico pugno sullo
stomaco per quanti hanno creduto nella forza palingenetica del 1917 e non hanno
ancora fatto i conti con la storia.
L’autore,
Gianluca Falanga, appartiene non a caso a una generazione successiva a quella
del ‘68.
Non a
caso vive e lavora in Germania da più di vent’anni al “Memoriale di
Berlin-Hohenschönhausen,” le prigioni della Stasi, la polizia segreta della ex
Ddr.
Nella
capitale tedesca convivono, infatti, più memorie storiche, tutte bisognose di
riparazione;
non solo quella dell’Olocausto, anche l’”esperienza
dei gulag e delle persecuzioni comuniste” costituisce un trauma non ancora del
tutto elaborato.
Emblematico è al riguardo un episodio di cui è
stato testimone lo stesso autore. Un giovane studente, che indossa un colbacco nero con
stella rossa, viene gentilmente bloccato all’ingresso delle ex prigioni.
Un’anziana
guida gli chiede, garbatamente ma con decisione, di togliere quel copricapo per
rispetto di chi ha sofferto in quelle prigioni.
L’arrivo
dell’insegnante in soccorso dell’allievo provoca un alterco.
La
guida, un uomo finito in quelle carceri quando aveva appena 15 anni, a un certo
punto sbotta:
«Ma,
scusi, lei permetterebbe a un suo alunno di entrare a Dachau con una svastica
sul berretto?».
Parte da qui la lucida e sofferta analisi sui
crimini perpetrati dai regimi comunisti nel corso della loro storia, con una
premessa tutt’altro che marginale o scontata.
Non ha
nessun senso parlare di crimini del comunismo come hanno fatto gli autori del
famoso “Libro nero”.
Il movimento comunista non è mai stato monolitico, non
possono essere assorbite nello stesso schema esperienze diversissime fra di
loro, non si può tenere assieme i militanti dei movimenti studenteschi del
Sessantotto con i khmer rossi o le dittature di Stalin e di Mao con
l’eurocomunismo di Berlinguer.
Bisogna,
dunque, parlare dei comunismi e neppure ha senso frugare nel pensiero di Marx
per trovare la radice dei crimini commessi nel Novecento in nome del socialismo
comunista perché sarebbe come voler spiegare la Shoah” a partire dal pensiero
di “Nietzsche”.
È con
Lenin, sostiene l’autore, che la violenza – i massacri, le fucilazioni e gli
arresti di massa – sino ad allora monopolio esclusivo dello Stato
feudale-borghese, irrompe nel movimento operaio e socialista.
La Čeka, capostipite delle polizie segrete
comuniste di tutto il mondo, fu istituita già il 20 dicembre 1917 e venne
incaricata di seminare il terrore ancora prima che si fosse formata una vera opposizione
al regime.
Per reprimere le rivolte contadine la violenza superò
ogni misura, assumendo un carattere apertamente sterminatore, con pratiche feroci come la
pubblica impiccagione, le esecuzioni di massa, il bombardamento dei villaggi,
la deportazione e l’internamento sistematico di intere comunità.
Per sopprimere la rivolta di Tambov del 1920 il
generale Tuchačevskij non esitò a ricorrere addirittura ai gas asfissianti.
Si dovette, però, attendere l’apertura,
ancorché parziale e bruscamente interrotta dall’arrivo di Putin al potere,
degli archivi sovietici nel 1991 per demolire la leggenda del Lenin “buono”
contrapposto al “cattivo” Stalin.
In realtà non c’è, per l’autore, soluzione di
continuità fra il “Terrore rosso” di Lenin e il “Grande terrore” di Stalin, fra
la rivoluzione bolscevica del 1917 e la “seconda rivoluzione” intrapresa da
Stalin nel 1928-29 per procedere all’industrializzazione forzata e alla
collettivizzazione.
Lo sforzo per attuare il primo piano
quinquennale varato nel 1928 ebbe un costo altissimo di vite umane e causò la
tremenda carestia del 1932-33, durante la quale persero la vita circa otto
milioni di persone.
Solo
nel 2007 venne alla luce, svelando al mondo anche gli orrori del cannibalismo,
il cosiddetto “affare Nazino”:
nel
maggio del 1933 circa cinquemila «elementi declassati e socialmente nocivi»
furono prelevati a Mosca e a Leningrado per essere abbandonati su una striscia
di terra disabitata in Siberia.
Negli
anni successivi la violenza assunse forme meno cruente e più sottili, come la
criminalizzazione sistematica, la psichiatrizzazione del dissenso e l’infiltrazione da parte del
Partito e della polizia segreta nella vita privata.
Questa
drammatica stagione venne formalmente chiusa con una direttiva emanata dallo
stesso dittatore nel 1938 ma i massacri in realtà non cessarono neppure allora.
Nella
primavera del 1940 Stalin tentò di far passare per “strage nazista” l’eccidio
portato a compimento dal capo della sua polizia segreta, Berija, nel villaggio
di Katyn.
Furono
massacrati circa ventiduemila prigionieri, esponenti della intellighenzia
polacca, ufficiali dell’esercito, magistrati, giornalisti, politici, professori.
A partire dal 1928 furono internate nei Gulag
circa 18 milioni di persone, due milioni dei quali almeno persero la vita.
Solo
la morte improvvisa di Stalin nel marzo del 1953 interruppe l’ultima campagna
criminale del regime contro intellettuali e medici ebrei, accusati di slealtà e
spionaggio in favore dell’Occidente.
Nel Rapporto al XX Congresso del Pcus del
febbraio 1956 Chruščëv si limitò a denunciare quanto già si sapeva sui processi
di Mosca contro la vecchia guardia bolscevica e le cosiddette “Grandi purghe”,
prestando attenzione a presentare il Partito stesso come vittima di Stalin.
Tacque,
invece, sulla dozzina di “operazioni nazionali”, eseguite dai servizi segreti
contro quei gruppi etnici considerati ostili al regime.
I
metodi adottati dai comunisti cinesi, dopo la proclamazione della Repubblica
popolare il primo ottobre 1949, furono ancora più estremi di quelli stalinisti.
Il crimine più grande fu la carestia del
1960-62 provocata dal piano di collettivizzazione e modernizzazione economica
voluto da Mao, il cosiddetto “Grande balzo in avanti”.
Il maoismo ebbe, poi, grande influenza sui
regimi di Ho Chi Minh e Kim Il-sung, che adottarono dai compagni cinesi la
cosiddetta “linea di massa”, il metodo della mobilitazione totale e permanente,
e le “campagne di rettifica”, ossia il principio dell’educazione e rieducazione
permanente come strumento di controllo sociale.
Anche i khmer rossi guidati da Pol Pot,
assumendo il potere in Cambogia nel 1975, provarono a imitare “il Grande balzo
in avanti”.
L’esito
fu tremendo.
La
deportazione della popolazione urbana nelle campagne costò la vita a un quarto
della popolazione cambogiana.
Solo
l’invasione vietnamita della Cambogia nel gennaio 1979 mise fine a quell’immane
tragedia.
Criminalizzare
indiscriminatamente tutto ciò che è stato il movimento comunista novecentesco
sarebbe, tuttavia, un errore.
Molti
trovarono nel comunismo un’ideologia di lotta per la conquista di condizioni di
vita migliori, scoprirono un orizzonte ideale di emancipazione che andava oltre
le libertà e i diritti della società liberale.
Molte delle conquiste sociali del Novecento
non sarebbero state neppure possibili senza i comunisti.
Ma criminalizzare indiscriminatamente i
comunisti sarebbe ancor più ingeneroso perché, come ricorda Falanga, i primi a
subire la violenza dei regimi che si proclamavano comunisti furono gli stessi
comunisti e i primi a denunciare e raccontare i crimini staliniani, molto prima
della crisi del 1956, furono ancora una volta dei comunisti.
Il comunismo detiene, infatti, uno
sconcertante primato tra le ideologie:
è quella che ha fatto più vittime fra i propri
sostenitori, che ne ha assassinati di più di quanto siano riusciti a fare i
suoi avversari.
Probabilmente è stato l’anarchico “Michail Bakunin” a
intuire per primo che l’amministrazione del nuovo Stato avrebbe inevitabilmente
comportato la creazione di una classe burocratica invadente e oppressiva ma
anche i comunisti “Antonio Gramsci e Rosa Luxemburg” avversarono il culto
sovietico dello Stato e contestarono il potere assoluto del partito.
La
cultura della violenza e della repressione era espressione di una ragione
superiore, che i bolscevichi nel 1919 avevano formulato in questi termini:
«Respingiamo
i vecchi sistemi di moralità e “umanità” inventati dalla borghesia allo scopo
di opprimere e sfruttare le “classi inferiori”.
La
nostra moralità non ha precedenti, la nostra umanità è assoluta perché si basa
su un nuovo ideale: distruggere qualsiasi forma di oppressione e violenza.
A noi
tutto è permesso, poiché siamo i primi al mondo a levare la spada non per
opprimere e ridurre in schiavitù, ma per liberare l’umanità dalle catene».
Qualsiasi cosa, scrive Falanga, diveniva a
questo punto sacrificabile pur di realizzare quel progetto.
Proprio l’umanesimo totale diveniva il germe
dell’inumanità.
«Il comunismo non era inumano di principio,
come lo furono il fascismo e il nazismo, ma, date le premesse, non poté non
esserlo la sua realizzazione».
L’autore
richiama Rossana Rossanda che già nel 1998, intervenendo nel dibattito aperto
con la pubblicazione del “Libro nero”, così scriveva:
«Sarebbe
assai utile se da una parte si smettesse di appiattire il movimento comunista
sui socialismi reali, e questi sulla repressione pura e semplice, ma
dall’altra, la nostra, si ammettesse che non è possibile una separazione
drastica.
In
altri termini, alla domanda: ma siete certi che da quell’idea non derivi
necessariamente un totalitarismo, risponderei sicuramente di no.
Ma
alla luce della storia non posso dichiararla irricevibile».
Gli
eccidi perpetrati da Stalin e da Mao sono stati rappresentati come alto (ma
necessario) costo umano di una modernizzazione a tappe forzate, quelli di Lenin
come legittima protezione della rivoluzione che sarebbe stata altrimenti
soffocata sul nascere.
(la
falsità e la truffa ideologica - non solo del comunismo - sono state fatte
proprie dai ricchi globalisti ora al comando del mondo! N.D.R.)
«Così
argomentando, si precipita in un abisso di cinismo. Cosa si vuole affermare? –
si chiede retoricamente Falanga –
Forse
che quanto più nobili sono gli intenti, più elevati gli orizzonti ideali, tanto
più accettabili e quindi perdonabili i misfatti?
Non è
vero piuttosto il contrario?».
La
guerra in Ucraina
si sta
esaurendo?
Unz.com - ANDREW ANGLIN – (23 AGOSTO 2023) –
ci dice:
Lo
stato ucraino è sempre a pochi giorni dal collasso. Ecco perché gli Stati Uniti
devono effettuare questi pagamenti di emergenza così regolarmente; quando
l'amministrazione Biden trasferisce qualcosa che non sembra molto nello schema
delle cose – poche centinaia di milioni di dollari – lo stanno facendo per
evitare un collasso dello stato ucraino.
È un
fatto assoluto che se gli Stati Uniti tagliassero il sostegno, l'Ucraina
dovrebbe firmare un trattato di pace entro pochi giorni.
E non sarebbe vantaggioso per l'Ucraina.
Fondamentalmente, nel caso in cui gli Stati
Uniti tagli i soldi, la Russia piegherà Kiev su un barile.
La
Russia non vuole governare su queste persone che parlano "lingua ucraina".
Ma vogliono Kharkov e Odessa.
Una
resa da parte dell'Ucraina sarà un incubo assoluto per loro, perché tutti si
renderanno conto che se avessero semplicemente ceduto il Donbass (o onorato
l'accordo di pace) e accettato di non aderire alla NATO, avrebbero potuto avere
molto più territorio, molte più persone e molte più infrastrutture.
Combattere
una battaglia persa per un anno e mezzo è sempre una pessima idea. "Perdere battaglia" implica
"tutto ciò che puoi fare è perdere".
Le
perdite dell'Ucraina sono semplicemente inimmaginabili.
L'Ucraina
dovrebbe affrettarsi a porre fine alle ostilità con la Russia prima che il
flusso di aiuti militari e finanziari americani al paese si prosciughi, ha
detto un ex assistente di due presidenti ucraini.
In un
video sul suo canale YouTube pubblicato martedì, “Oleg Soskin”, che è stato
consigliere economico di “Leonid Kravchuk” e” Leonid Kuchma” nel 1990, ha descritto gli Stati Uniti come
"il paese chiave" nel conflitto in corso tra Russia e Ucraina, sostenendo che se interrompe la sua
assistenza militare a Kiev, quest'ultima firmerà una sorta di accordo con Mosca
"entro pochi giorni".
In
questo contesto, “Soskin” ha suggerito che il “Congresso degli Stati Uniti”
potrebbe rifiutarsi di approvare la richiesta del presidente degli Stati Uniti
Joe Biden di fornire a Kiev ulteriori 24 miliardi di dollari in assistenza,
citando rapporti di crescente riluttanza tra i repubblicani a sostenere
l'Ucraina nella sua lotta contro la Russia.
“Brandon”
ha inviato assegni da 700 dollari alla vittima degli incendi di “Maui”, poi è andato
lì e si è addormentato.
Questo
è il contesto in cui si sta agitando per inviare altri 24 miliardi di dollari
all'Ucraina.
Ora ha
combinato il sollievo per Maui con i 24 miliardi di dollari per l'Ucraina.
L'ottica
di questo sta diventando così incredibile che ingannare le elezioni del 2024
sarà un incubo assoluto per i democratici.
"Fondamentalmente,
questo significa che la Camera [dei Rappresentanti] non approverà questi 24
miliardi di dollari.
Pensano
che la situazione sia in un vicolo cieco.
Ecco perché l'Ucraina non riceverà
soldi", ha detto.
Se gli
Stati Uniti, che hanno già fornito a Kiev decine di miliardi di dollari in
varie forme di aiuto, dovessero smettere di aiutare l'Ucraina, i suoi alleati della NATO, tra cui
Germania, Gran Bretagna e tutti gli altri paesi europei, seguirebbero
l'esempio, paralizzando il potenziale militare di Kiev, ha osservato l'ex
funzionario.
"Penso
che [l'Ucraina] dovrebbe fermarsi prima che gli Stati Uniti lo facciano",
ha detto” Soskin”, suggerendo che "ci dovrebbe essere un incontro di
persone intelligenti in Ucraina che sarebbero più lungimiranti" del presidente ucraino Vladimir
Zelensky (Buffone e smargiasso con i soldi
degli altri! N.d.R.) e del suo piccolo gruppo di quelli che ha definito
"cantori di guerra".
I
media stanno ora dicendo che la Casa Bianca avrebbe dovuto ascoltare Mark
Milley e fare un accordo prima della fallita "offensiva".
Il
fatto che la Casa Bianca si rifiuti di ascoltare qualsiasi esperto militare su
questo tema è semplicemente una follia totale.
Invece, ci sono questi stessi ebrei che hanno
fatto la guerra in Iraq gestendo le cose.
Lo
show del lunedì di “Glenn Greenwald” è stato davvero buono.
La
maggior parte degli articoli che cita sono quelli di cui sei già a conoscenza
se leggi questo sito web, poiché ho fatto un lavoro stellare nel coprire il
cambiamento nella narrativa dei media.
Ma lega tutto con un arco in modo elegante,
cosa che non ho davvero avuto il tempo di fare (lui ha un sacco di scrittori per
questo show, mentre io sono solo un ragazzo – e inoltre, sono stato molto
impegnato nelle ultime due settimane a condurre una campagna di genocidio sulla
Costa della Spada).
Consiglio
il suo show e consiglio” Rumble” più in generale.
L'ho guardato molto in background mentre faccio
altre cose.
Sono
fondamentalmente una rete di notizie via cavo su Internet a questo punto.
Sebbene lascino che i randos abbiano canali, fanno accordi con alcuni creatori
per produrre spettacoli che sono della stessa qualità di qualsiasi cosa su “Fox
News”.
La
maggior parte dei loro spettacoli pesantemente prodotti non sono così hardcore
come quelli che otterrai su questo sito (Glenn Greenwald è probabilmente il
più vicino, il che è divertente, dal momento che è letteralmente un omosessuale
ebreo), ma
in realtà mi piace molto lo spettacolo di “Russell Brand”.
Non mi
piace o raccomando lo show Twitter di “Tucker Carlson”, ma questa settimana ha
fatto una grande intervista con il colonnello” MacGregor”, che raccomando
vivamente.
Questo
si è trasformato in una situazione bizzarra: il fatto che Tucker continui a
intervistare il colonnello.
Il
colonnello è d'accordo con me letteralmente su tutto, compresa la follia della
spinta alla guerra con la Cina e la follia di affermare che esiste una cosa
come un "pallone spia".
“Tucker Carlson” è uno dei principali
agitatori della guerra con i cinesi, e ha stroncato la bufala del "pallone
spia" tanto duramente quanto “Sean Hannit”y o uno qualsiasi di questi
altri stronzi del boom.
Posso
garantirti che “Tucker” dice prima dell'intervista "sai, penso che tu sia un vero esperto
di Ucraina e Russia, ma non sono d'accordo con le tue opinioni sulla Cina,
quindi cerchiamo di allontanarci da quell'argomento durante l'intervista".
Il
colonnello lo fa, e non lo biasimo per averlo fatto.
Le
apparizioni di “Tucker” sono un grosso problema, e le persone che lo vedono su
Tucker possono andare a vedere i suoi altri materiali in cui spiega che ci sono
persone nel “GOP” che vogliono porre fine al conflitto ucraino in modo da poter
iniziare una guerra con la Cina.
Questo
è fondamentale infatti tutti i conservatori che spingono contro la guerra con
la Russia – vogliono una guerra con la Cina.
E una guerra con la Cina distruggerebbe la
Russia, perché la Russia è in grado di esistere solo grazie alla loro alleanza
con la Cina.
Inoltre, la Russia quasi certamente
impegnerebbe truppe se gli Stati Uniti iniziassero una guerra con la Cina,
quindi gli Stati Uniti sarebbero ancora "in guerra con la Russia".
È così
ritardato che mi fa star male.
Donald
Trump, naturalmente, è contrario a una qualsiasi di queste guerre.
L'attuale
posizione di “Vivek Ramaswamy” è che non gli importa se la Cina invade Taiwan,
vuole solo che gli Stati Uniti abbiano prima l'indipendenza dei semiconduttori.
Sta dicendo che non gli importa che la Cina
incorpori Taiwan se non influisce sugli Stati Uniti.
Non credo che questa sia sempre stata la sua
posizione, ma questa è fondamentalmente la posizione giusta.
“Vivek”
sta inciampando su molto però, per la cronaca.
Ha
cambiato molto le sue posizioni e alcune di queste interviste sono confuse.
La più
grande pubblicità che ho visto per “Vivek” finora è questo tweet
dell'"ebreo conservatore" Mark Levin:
La
Cina non ha mai pianificato di invadere Taiwan.
La
posizione ufficiale di Pechino – prima dell'amministrazione Biden – era che
volevano una riunificazione pacifica intorno al 2045.
Tutti
i discorsi sulla guerra, le esercitazioni militari intorno all'isola, arrivano
dopo che Joe Biden ha cambiato la politica ufficiale degli Stati Uniti su
Taiwan – che era in vigore dal 1970 – e ha iniziato a dire che Taiwan era
un paese indipendente e voleva che combattessero una guerra contro la Cina.
Tucker
Carlson – che è il portavoce di questo piano
conservatore per fermare la guerra in Ucraina e iniziare una guerra con la Cina
– sostiene
che è molto importante preservare la "democrazia" a Taiwan – cioè il
matrimonio gay.
Non
l'ho mai sentito parlare dell'industria dei semiconduttori, che è un vero
problema.
Perché mai gli Stati Uniti abbiano permesso
all'intera industria dei semiconduttori di avere sede a Taiwan, non ne ho idea,
ma questa è una preoccupazione legittima a prima vista.
Non è
una preoccupazione legittima in realtà, tuttavia, perché Pechino non ha mai
voluto una soluzione militare a Taiwan e non ha mai voluto smettere di vendere
semiconduttori agli Stati Uniti.
Il colonnello “MacGregor” e io siamo le uniche figure
pubbliche che stanno diffondendo l'idea che l'intera visione del mondo della
Cina sia totalmente diversa da quella dell'Occidente, e per loro, tutto è una
questione di soldi.
E la guerra non è redditizia per loro.
E poi?
Per
quanto riguarda la domanda: "la guerra in Ucraina si sta esaurendo?",
la risposta è "nessuno lo sa".
Mentre
ci sono prove che si sta esaurendo, sulla base di ciò che stiamo sentendo dai
media su quanto stanno perdendo e quante persone a Washington vogliono che
finisca, c'è la possibilità che ci possa essere un altro capovolgimento e
potrebbe cambiare in "beh, stanno perdendo - ed è per questo che abbiamo
bisogno di inviare la NATO".
Tuttavia,
c'è una possibilità che si stia esaurendo.
Da
quando il fallimento dell'offensiva è diventato innegabile, i media hanno
infatti parlato di colloqui di pace.
Non è
affatto chiaro come potrebbero funzionare i colloqui di pace.
Ma la
Russia ha la leva che stanno vincendo duramente la guerra, e gli Stati Uniti hanno
la leva che potrebbero invadere e trasformare questo nella terza guerra
mondiale, quindi sembra che ci dovrebbe essere spazio per un accordo.
“Glenn
Greenwald” dice nel video qui sopra che non ha idea di quale sia la soluzione,
in parte perché nessuno a Washington è in grado di ammettere che tutta questa
faccenda è stata uno spreco.
Osserva
anche che la scorsa settimana il “New York Times” – citando funzionari
americani – ha accusato l'Ucraina di essere "avversa alle vittime".
L'intero
esercito ucraino – ciò che ne resta – è stufo di combattere questa guerra senza
fine per l'America.
Questo,
presumibilmente, fornisce una narrazione per gli Stati Uniti per fare negoziati
– "oh,
gli ucraini si sono trasformati in figa e non sono disposti a continuare a morire
a centinaia di migliaia, quindi non abbiamo scelta".
Ora a
quanto pare abbiamo anche una nuova bufala sul coronavirus che viene
pubblicizzata, e che potrebbe essere usata come distrazione mentre gli Stati
Uniti ammettono di aver perso la guerra.
Ecco
il punto:
forse
la guerra in Ucraina finirà, forse no. Ma se lo farà, gli Stati Uniti si
orienteranno immediatamente verso l'escalation della situazione con la Cina.
È un
peccato che non possiamo semplicemente votare i bastardi.
Ma
ahimè, in una democrazia, votare è la tua unica risorsa, e il voto è totalmente
falso.
Questa
è tutta una grande guerra.
L'Ucraina
non è un incidente isolato, Taiwan non è un incidente isolato, il Niger non è
un incidente isolato.
Tutto
si sta allineando in termini di Est contro Ovest, per lo più lungo le vecchie
linee della Guerra Fredda.
Solo
che questa volta, la guerra non riguarda il capitalismo e il comunismo, ma
piuttosto il diritto delle nazioni ad avere indipendenza e autodeterminazione –
a fare il proprio cammino nel mondo.
Gli
Stati Uniti – e con questo intendiamo davvero "gli ebrei" – credono
nella creazione di un ordine mondiale unico, in cui tutti si inchinano ai
"valori occidentali" del sesso anale.
Vogliono
che ogni nazione sia mescolata attraverso l'immigrazione, in modo che ci possa
essere una sola cultura, una sola razza brunastra, sotto un unico governo.
La
Cina non vuole mescolarsi con nessuno;
Invece,
vogliono fare un sacco di soldi essendo il centro globale del commercio
internazionale.
Queste
visioni per il mondo sono incompatibili, dato che gli Stati Uniti chiedono un
ordine globale totalitario, a cui tutti devono inchinarsi.
Gli
Stati Uniti si rifiutano di dire "ok, bene, voi fate le vostre cose e
noi faremo le nostre".
C'è
molto da dire al riguardo, ma la situazione è, al suo interno, un conflitto
relativamente semplice tra queste due visioni del futuro.
È mia
ferma opinione che la vittoria del sistema orientale sarebbe migliore per tutti
sulla terra, compresi gli americani.
Non siamo minacciati di invasione.
È il nostro governo che sta invadendo.
In
questo momento, il governo degli Stati Uniti è in guerra con la Russia e
minaccia la guerra con Cina, Niger e Iran.
Se
questa fosse una situazione in cui il popolo americano ne traesse beneficio, e
l'esercito americano stesse saccheggiando il mondo e poi distribuendo la
ricchezza tra il popolo americano, sarebbe una situazione diversa, e forse
alcune persone lo sosterrebbero.
Ma non
è così.
L'America
è la potenza principale in una guerra per il “globalismo nazi-comunista”.
Questo
è il motivo per cui non c'è alcuna preoccupazione per la popolazione americana,
mentre il
governo afferma di essere estremamente preoccupato per i "diritti
umani" in terre molto lontane.
È
tutta una truffa gigantesca.
Dare agli hawaiani $ 700 mentre si inviano $
42 miliardi all'Ucraina incarna il fatto che nulla di tutto ciò è destinato a
beneficiare il popolo americano.
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