Le catastrofi del clima non sono aumentate.
Le
catastrofi del clima non sono aumentate.
Bergoglio
riceve in udienza
privata
il capo dell’OMS G. Tedros.
Conscenzealconfine.it
– (31 luglio 2023) – Redazione – ci dice:
Papa
Francesco ha ricevuto nella mattinata del 24 luglio, in udienza privata in
Vaticano, il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus.
Tedros,
noto anche per le sue posizioni abortiste, ha incontrato Papa Francesco in
udienza privata il 24 luglio, in un incontro che è stato annunciato solo
successivamente nel bollettino quotidiano della Santa Sede.
Al
momento i contenuti dell’incontro sono un mistero, in quanto non sono stati
usciti ulteriori dettagli dal Vaticano nemmeno sulle testate che avevano
chiesto conto dell’incontro agli addetti stampa vaticani.
Tedros,
che guida l’OMS come direttore generale dal 2017, aveva già incontrato Papa
Francesco nel 2018 quando avevano discusso di “modi per garantire che tutte le
persone possano ottenere l’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno, chiunque
siano, ovunque vivano”.
Tedros
aveva elogiato il “sostegno di Papa Francesco al nostro sforzo per estendere il
diritto alla vita e alla salute a tutte le persone”.
Da
allora, Tedros ha dato sostegno pubblico ad alcuni dei messaggi di Papa
Francesco in merito alla risposta al COVID-19, inclusa l’udienza settimanale
del Papa del 19 agosto 2020, in cui ha chiesto che la risposta alla “pandemia” includa
l’attenzione su “ingiustizia sociale e danni ambientali”.
Tedros
ha elogiato il messaggio del Pontefice, in cui il Papa ha anche sottolineato
che solo le industrie che soddisfano criteri specifici dovrebbero essere
assistite per riprendersi dopo le restrizioni legate al COVID-19.
I
criteri premierebbero “quelli che contribuiscono all’inclusione degli esclusi,
alla promozione degli ultimi, al bene comune e alla cura del creato”.
Come
nota” Lifesitenews”, nel 2018 Tedros e Bergoglio hanno parlato di “assistenza sanitaria”, tuttavia la definizione del
termine da parte di Tedros è diversa dalla comprensione cattolica della parola,
dal
momento che sostiene fortemente l’aborto.
In
seguito alla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2022 che ha
annullato la sentenza che ha dato il via all’aborto pubblico in USA (Roe v.
Wade), Tedros ha criticato la decisione dei giudici americani.
“La
restrizione spinge le donne e le ragazze verso aborti non sicuri con
conseguenti complicazioni, persino la morte”, ha dichiarato durante una
conferenza stampa dopo la sentenza della Corte Suprema. Descrivendo
l’inversione di Roe v. Wade come un passo “indietro”, Tedros ha sostenuto che l’aborto
dovrebbe essere inteso come “assistenza sanitaria”, ha riferito l’Associated
Press.
“Anche
l’impatto globale è una preoccupazione”, aveva aggiunto Tedros.
“Si
tratta della vita della madre.
Se l’aborto sicuro è illegale, allora le donne
ricorreranno sicuramente a modi non sicuri per farlo.
E questo significa che potrebbe costare loro
la vita”.
In
precedenza Tedros aveva detto all’agenzia Reuters il giorno del ribaltamento
della famigerata sentenza pro-aborto di essere “molto deluso, perché i diritti delle
donne devono essere tutelati. E mi sarei aspettato che l’America proteggesse
tali diritti”.
Sia
Papa Francesco che Tedros condividono prospettive simili per quanto riguarda le
questioni del COVID-19, visto che il pontefice notoriamente ha sostenuto con
forza la
vaccinazione universale tramite iniezioni di mRNA contaminate dall’aborto, promosse a livello globale dall’OMS
e rese di fatto obbligatorie in Vaticano.
Bergoglio
ha aumentato i legami del Vaticano con l’OMS e l’ONU in un momento in cui
l’OMS, per mezzo del cosiddetto “Trattato pandemico”, potrebbe presto ottenere
il potere di dichiarare emergenze o crisi sanitarie in qualsiasi nazione e a
farlo unilateralmente e contro l’opposizione della nazione oggetto
dell’attenzione dell’organizzazione sanitaria.
In pratica, si tratta di un salto verso la
desovranizzazione ulteriore degli Stati-nazione a favore de enti transnazionali
non-eletti sostenuti da cabale e oligarcati – un vero piccolo “colpo di Stato
globale”.
Tedros,
durante una sessione speciale del 2021 dell’Assemblea Mondiale della Sanità, ha
rivelato il suo desiderio che l’OMS acquisisca il controllo sulle azioni
internazionali.
“Il mondo ha bisogno di un’OMS rafforzata,
autorizzata e finanziata in modo sostenibile, al centro dell’architettura
sanitaria globale”, ha affermato l’etiope.
“La
crescente discrepanza tra le aspettative dell’OMS e le sue risorse è ben nota.
Il COVID-19 deve essere il catalizzatore per porvi rimedio”.
Papa
Francesco ha fatto eco alle argomentazioni di Tedros in numerose occasioni. In
un discorso del 2021 alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale,
Bergoglio ha chiesto una “governance globale” alla luce del COVID-19,
sostenendo con forza i vaccini universali, lamentando del “debito ecologico”
del mondo umano verso la “natura stessa”.
In
quell’occasione Bergoglio ha anche rinnovato il suo frequente appello per un
cambio di paradigma nella politica globale, parlando sempre più esplicitamente
di governo mondiale:
“rimane
urgente bisogno di un piano globale che possa creare nuove o rigenerare le
istituzioni esistenti, in particolare quelle di governance globale, e aiutare a
costruire una nuova rete di relazioni internazionali per promuovere lo sviluppo
umano integrale di tutti i popoli”.
Non
pago, il religioso argentino ha invitato la conferenza sui cambiamenti
climatici COP26 a perseguire con urgenza gli obiettivi dell’accordo sul clima
di Parigi del 2015, che contengono notevoli punti favorevoli alla “salute riproduttiva”, cioè all’aborto.
Come
riportato da “Renovatio 21” il Tedros, direttore generale dell’OMS dal 2017,
è stato membro del Fronte Comunista di Liberazione del Popolo del Tigrè in
Etiopia.
Il
partito è stato dichiarato organizzazione terroristica dal governo etiope nel
2021.
Figure di vertice in Etiopia lo hanno accusato
di aiutare i “ribelli” e perfino, senza mostrare prove, di trafficare armi.
Tedros
è stato in passato criticato per la sudditanza dell’OMS al Partito Comunista
Cinese;
Donald
Trump da presidente tolse i fondi americani all’OMS accusando l’istituzione di
essere troppo filocinese.
A quel punto divenne il maggior contribuente
OMS un privato, Bill Gates, che sommando tutte le sue innumerevoli Fondazioni e
iniziativa arriva a finanziare l’Organizzazione di Tedros per svariate
centinaia di milioni di dollari.
Un
video OMS dell’anno scorso definiva le persone contrarie al vaccino come una
“grande forza omicida”.
Questo
con Tedros, non è il primo incontro semisegreto, senza annunci e senza notizie
sui contenuti della conversazione, di papa Francesco.
Negli
anni scorsi era emerso che Bergoglio aveva incontrato in segreto per ben due
volte il CEO di Pfizer, Albert Bourla.
Il
Vaticano in era pandemica sembrava ben rifornito di vaccino mRNA della
multinazionale farmaceutica americana, il cui inoculo fu imposto da Francesco a
tutto il personale vaticano e pure ai giornalisti e chiunque altro voglia
seguirlo nei viaggi apostolici.
Bergoglio
nelle scorse settimane ha dato udienza anche a Bill Clinton, che in teoria
sarebbe ancora macchiato dallo scandalo del pedofilo Epstein non ancora
risolto, e all’erede ufficiale dell’impero speculativo-filantropico di George
Soros, Alexander.
(renovatio21.com/bergoglio-riceve-in-udienza-privata-il-capo-delloms-tedros/)
È
ancora possibile evitare alcuni
cambiamenti
catastrofici del clima.
Nationalgeographic.it
- ALEJANDRA BORUNDA – (09-10-2021) – ci dice:
I
pericoli climatici potenzialmente irreversibili, dall’aumento del livello del
mare al rallentamento della circolazione oceanica, possono ancora essere
evitati mediante azioni mirate e decise.
Vapore
e fumo denso si disperdono nell’aria sopra una centrale a carbone in Polonia.
È necessario ridurre immediatamente e
drasticamente le emissioni di combustibili fossili per evitare ulteriori
catastrofi climatiche, afferma un esteso rapporto del “Gruppo intergovernativo
sul cambiamento climatico” (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC).
Il
cambiamento climatico, che ha già raggiunto ogni angolo del pianeta, continuerà
a ridisegnare la vita umana per secoli e l’intensità del suo impatto aumenterà
all’aumentare del riscaldamento del pianeta, avvertono gli scienziati.
Quest’anno
la COP26 verrà ospitata dal Regno Unito, in particolare presso lo “Scottish
Events Campus” (SEC) di Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre.
La
conferenza vede una partnership con l’Italia, dove diversi eventi, come il “Youth4Climate”
e la “PreCOP26”, si sono tenuti all’inizio di ottobre.
L’aumento
di 1,1 °C rispetto ai livelli preindustriali nella temperatura globale ha
spinto la Terra verso un cambiamento irreversibile, in parte inevitabile.
Ma azioni decisive per tagliare le emissioni
in modo rapido ed efficace — mantenendo l’aumento globale della temperatura il
più basso possibile — possono ridurre sensibilmente il rischio di oltrepassare
soglie critiche che metterebbero ancora più a rischio il pianeta, secondo
l'imponente relazione del “Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico”
(Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC) pubblicata di recente.
“Per
stabilizzare il clima dobbiamo fermare le emissioni immediatamente, punto”,
afferma “Charles Koven”, uno degli autori del rapporto e climatologo presso il “Lawrence
Berkeley National Laboratory “in California.
Il
rischio di cambiamenti irreversibili è sempre più evidente.
Le
temperature della Terra sono aumentate più o meno costantemente per decenni,
parallelamente all’aumento dei gas a effetto serra.
La regola generale di base è semplice:
più
biossido di carbonio emettiamo, più si alzano le temperature, e questo rapporto
continua ad aumentare, si afferma nella relazione.
Ma gli
scienziati sanno da oltre 30 anni che nel sistema climatico ci sono soglie che,
se superate, potrebbero drasticamente rimodellare il mondo come lo conosciamo,
causando cambiamenti irreversibili su scala temporale umana.
Spingendo
le calotte glaciali di Groenlandia e Antartide oltre determinati punti, ad esempio,
si rischia di innescare un meccanismo che si autoalimenta che proseguirebbe
anche se le emissioni venissero fermate domani.
“Stiamo
giocando alla roulette russa con il clima, e nessuno sa cosa ci sia nel tamburo
della pistola”, scrisse nel 1987 “ Wally Broecker”, pioniere della lotta al
cambiamento climatico.
Da
allora, innumerevoli studi e ricerche hanno dimostrato che molti di questi
esiti potrebbero verificarsi anche a seguito di un cambiamento della
temperatura globale inferiore a quello che si prevedeva, e alcuni potrebbero
essere già in corso.
Anche
se i valori esatti di questi punti soglia non sono chiari, alcuni effetti
potrebbero essere innescati con un riscaldamento di 1,5-2 °C, il limite
individuato in occasione dell’Accordo di Parigi del 2015.
Il
nuovo rapporto afferma che il pianeta potrebbe riscaldarsi di circa 1,4 °C al
di sopra dei livelli preindustriali entro il 2100, se riusciamo a mettere in
atto le misure più ambiziose per ridurre le emissioni, oppure di oltre 4°C se
attuiamo le misure meno ambiziose.
Anche
nel migliore degli scenari, cambiamenti impossibili da invertire potrebbero
verificarsi in ogni parte del mondo: ghiacci perenni, oceani, terraferma e
atmosfera.
Ma i rischi diventano di dimensioni ed entità
ancora maggiori, all’aumentare del riscaldamento.
“Più
spingiamo il clima fuori dallo stato in cui si trova da diverse migliaia di
anni, più sono le probabilità che superiamo soglie critiche producendo
situazioni che non siamo in grado di calcolare e prevedere”, afferma “Bob Kopp”,
uno degli autori del report e climatologo presso la “Rutgers University”.
Alcuni
di questi cambiamenti producono effetti per lo più locali.
La
perdita dei ghiacciai delle montagne locali, ad esempio, può influenzare
profondamente le comunità che dipendono da essi per l’acqua.
Altri,
come lo scioglimento delle principali calotte di ghiaccio, hanno un impatto
globale.
Molti
sono auto rinforzanti:
ad esempio gli incendi si verificano con
maggiore probabilità in condizioni di clima secco e caldo, rese più frequenti
dal cambiamento climatico.
La
combustione degli incendi rilascia carbonio nell’atmosfera, contribuendo al
riscaldamento del pianeta e rendendo quindi più probabili ulteriori incendi: un
andamento che oggi appare fin troppo chiaro.
Quello
che spaventa, afferma “Koven”, è che “ci sono soglie che magari superiamo e non
ce ne rendiamo conto fino a quando non è troppo tardi”.
Questo evidenzia l’importanza di fare tutto il
possibile per tenerci lontani dai valori teorici.
Di
seguito illustriamo alcuni dei cambiamenti potenzialmente irreversibili che
possiamo ancora evitare, se agiamo in modo determinante.
Possiamo
ancora evitare perdite catastrofiche nelle maggiori riserve di ghiaccio della
Terra.
Lo
scioglimento dei ghiacci sia groenlandesi che antartici sta già alimentando un
aumento del livello del mare che è il più rapido degli ultimi 3.000 anni,
minacciando miliardi di persone che abitano nelle zone costiere di tutto il
mondo.
Le emissioni dei gas a effetto serra ci hanno bloccato
in una situazione di aumento continuo che andrà avanti per secoli, ma la
velocità e la gravità di questo “blocco” sono ancora sotto controllo, si dice
nel rapporto.
Si
rileva che il livello del mare potrebbe aumentare di soli 0,5 metri entro il
2100 se le emissioni vengono notevolmente diminuite, oppure di 0,6-0,9 metri se
le emissioni continuano ad aumentare.
Ma
nello scenario peggiore — se vengono passati i punti di non ritorno in
Antartide — questo numero potrebbe arrivare a 1,8 metri.
Le
previsioni più terrificanti entrano in gioco se le calotte glaciali superano
certe soglie critiche, dopo di che la fisica comporterebbe un trend di declino
continuo; ma “siamo in grado di ridurre le probabilità che ciò accada, frenando
le emissioni”, afferma “Baylor Fox-Kemper”, uno degli autori del report e
oceanografo presso l’”Università Brown”.
La
sola regione antartica occidentale contiene ghiaccio sufficiente per aumentare
il livello del mare di circa 3 metri, se dovesse sciogliersi tutto, e la
geologia del luogo rende questa possibilità una grave preoccupazione.
Questa
regione ha la conformazione di una conca:
la
roccia sottostante il massiccio strato di ghiaccio si trova al di sotto del
livello del mare.
Lo strato di ghiaccio stesso impedisce
all’oceano di riversarvisi, avendo la forma di un coperchio convesso che ne
ricopre il bordo.
Ma se tale coperchio si rompe, oppure se viene
spinto leggermente all’interno del bordo, l’acqua dell’oceano potrebbe
infiltrarsi nella conca, facendo sciogliere il ghiaccio da sotto, accelerando
molto probabilmente la sua scomparsa.
Le
prove indicano che questo inevitabile declino potrebbe essere innescato da un riscaldamento
terrestre compreso tra 1,5 e 2 °C sopra ai livelli preindustriali, e alcuni
scienziati ritengono che ci siano segnali del fatto che questo processo sia già
in corso, il che rende l’obiettivo di riduzione delle emissioni ancora più
urgente.
Anche
il ghiaccio del polo nord è esposto a un simile pericolo, essendo già
particolarmente vulnerabile, dato che l’Artide si sta riscaldando con valori
medi doppi rispetto a quelli mondiali, si scrive nel rapporto.
La
calotta della Groenlandia, che farebbe innalzare i livelli globali del mare di
circa 7,3 metri se scomparisse, si sta riducendo a una velocità che non ha
eguali negli ultimi 350 anni ed è sulla buona strada per superare i tassi di
scioglimento degli ultimi 12.000 anni.
In una
sola giornata di estremo calore che si è verificata alla fine di luglio, dalla
sua superficie è scivolata una quantità di acqua sufficiente a ricoprire la
Florida di 5 cm d’acqua.
Uno
dei cicli di retroazione chiave che potrebbero accelerare la sua scomparsa è
questo:
il caldo sole estivo scioglie la neve che si
raccoglie sullo strato di ghiaccio, esponendo il ghiaccio più scuro e denso
sottostante e creando a volte dei bacini di acqua di disgelo.
Il
ghiaccio più scuro e l’acqua assorbono più calore, causando ulteriori scioglimenti,
il che provoca più acqua di disgelo, e così via, in un ciclo distruttivo.
Il problema del restringimento estivo non
potrà che peggiorare con il progressivo rimpicciolirsi dei ghiacciai:
scendendo di altezza, la superficie degli
stessi si avvicina al livello del mare, dove l’aria è notevolmente più calda,
accelerando ulteriormente la recessione.
Anche
le acque oceaniche, riscaldate dal cambiamento climatico, “consumano” lo strato
di ghiaccio ai bordi, causando la rottura di ulteriori grossi pezzi di
ghiaccio. In questo modo altro ghiaccio scende a valle per sostituire quello
che si è staccato, questo determina la rottura di altri pezzi e così via.
È un po’ come una macchina che spara palline
di gomma: appena ne viene sparata una, le altre scorrono verso l’imboccatura di
uscita.
Il
ghiaccio della Groenlandia non sparirà domani.
Gli scienziati stimano che ci vorranno oltre
1.000 anni perché si disintegri completamente, e potenzialmente migliaia di
anni in più, se riusciamo a ridurre rapidamente le emissioni.
Ma una volta che il processo supera certe
soglie, che alcuni ritengono possa accadere a 2,7 °C circa di riscaldamento o
forse anche meno, molto probabilmente la scomparsa di questa riserva di
ghiaccio sarà irreversibile.
Questo significa che il ghiaccio continuerà a
sciogliersi per secoli, anche se le temperature si stabilizzano.
Ciononostante,
“non dovremmo arrenderci” sottolinea “Twila Moon”, scienziata del clima presso
il “National Snow and Ice Data Center” del Colorado.
“Più
emissioni rilasciamo nell’atmosfera, più la riscaldiamo, e questo alla fine
determinerà l’entità del cambiamento”.
Limitando
il riscaldamento a 1,5 °C si ridurrebbe l’aumento del livello del mare alla
metà, in questo secolo, stando alla recente analisi.
Una
corrente oceanica fondamentale potrebbe rallentare.
Anche
i pericolosi cambiamenti che interessano una delle principali correnti
oceaniche che controlla il clima nell’area del bacino atlantico potrebbero
diventare permanenti, se non si pone un freno al cambiamento climatico, sempre
secondo il rapporto.
L’acqua
segue una corrente che la spinge costantemente attraverso gli oceani del mondo,
trasportando calore, carbonio e molto altro in giro per il pianeta. Nell’Oceano
Atlantico, una parte di quel gigantesco e potente nastro trasportatore sposta
il calore verso nord, scorrendo lungo il lato occidentale del bacino.
Quel calore influenza tutto, dal tempo
meteorologico degli Stati Uniti e dell’Europa fino al livello del mare lungo la
East Coast e l’andamento delle precipitazioni in Africa.
Ma il
cambiamento climatico sta già rallentando questa corrente.
La velocità dell’acqua è in parte controllata
dalla sua densità quando giunge presso la Groenlandia, dove generalmente si
raffredda rapidamente e scende nelle profondità marine come una ruota che
rotola giù da una pendenza.
Ma l’acqua che arriva in quel punto di
“sprofondamento” è sempre più calda, e lo scioglimento dei ghiacci groenlandesi
riversa ulteriore acqua — entrambi fenomeni che rendono l’acqua meno densa e
meno diretta verso il basso, cosa che rallenta l’intero nastro trasportatore.
La ricerca indica che il rallentamento è stato
del 15% circa rispetto alla metà del XX secolo, e che la corrente non è mai
stata così lenta negli ultimi 1.000 anni.
Ma è
possibile un collasso ancora maggiore:
in passato il nastro trasportatore ha subito
un forte rallentamento se non addirittura uno stop, che portò a un’improvvisa
condizione di freddo intenso e a un generale rimodellamento del clima e della
distribuzione delle piogge in tutto il bacino atlantico.
Il
nuovo report dell’IPCC conferma che un tale rallentamento, che sconvolgerebbe
il clima terrestre, è più che possibile, seppure improbabile prima del 2100.
Il
proseguire di questo declino, che si protrarrebbe probabilmente per secoli,
potrebbe spostare la distribuzione delle piogge in Europa e Africa verso sud,
indebolire i monsoni che ora attraversano ogni anno l’Africa e l’Asia
tropicali, aggiungere altri 30 cm o più all’innalzamento del livello del mare
lungo la East Coast americana, e altro.
Nessuno
sa esattamente dove si trovi la soglia critica della corrente.
“Tutti
gli elementi per andare nella direzione sbagliata ci sono”, afferma “Paola
Cessi”, oceanografa dello “Scripps Institution of Oceanography” in California.
“E se continuiamo così come stiamo facendo,
sicuramente prima o poi ci arriveremo”.
Ma una
forte azione in tutela del clima potrebbe ancora invertire questo declino,
prevenendo o addirittura evitando gli impatti peggiori.
Il permafrost
potrebbe disintegrarsi-.
L’Artide
conta oltre 23 milioni di km quadrati di permafrost, suolo che rimane congelato
per tutto l’arco dell’anno.
Questo
terreno contiene enormi quantità di materiale organico morto, che è inerte e
quindi sicuro, finché è congelato.
Ma
quando il permafrost si scongela, quel materiale si trasforma in gas serra:
il metano, super potente gas serra, e biossido
di carbonio.
Il
carbonio intrappolato in questi terreni è maggiore di tutto quello presente
nell’atmosfera.
Ma
l’Artide si sta riscaldando più rapidamente del resto del pianeta,
destabilizzando il permafrost e rilasciando lentamente il suo carbonio
nell’atmosfera, contribuendo così a un ulteriore riscaldamento e scioglimento.
Uno
speciale rapporto provvisorio dell’IPCC pubblicato nel 2019 suggeriva che le
interrelazioni potrebbero peggiorare intorno ai 3°C di riscaldamento, ma il
processo continuerà comunque se le temperature aumentano ulteriormente, afferma
“Koven”.
“Ci
aspettiamo che questi processi agiscano come una sorta di reazione positiva,
destabilizzando il sistema climatico e rendendo più difficile raggiungere i
nostri obiettivi per il clima”, aggiunge.
Ma una
drastica riduzione delle emissioni potrebbe rallentare o anche invertire
l’emissione di carbonio da parte dell’ecosistema del permafrost, evitando gli
effetti peggiori.
La
foresta amazzonica potrebbe diventare una savana.
Oggi,
la foresta amazzonica fa qualcosa di straordinario:
produce
la propria acqua.
La
pioggia penetra nella parte orientale della foresta dall’Oceano Atlantico.
Gli alberi la usano e la “espirano”
riemettendola all’esterno, dove si ricondensa formando nuove nuvole, che si
spostano sostenute dal vento che spira verso ovest, formando le piogge lungo il
percorso, e continuando così il ciclo.
Una
singola molecola d’acqua può essere riciclata fino a cinque volte nel percorso
che compie per attraversare la foresta pluviale.
Ma la
deforestazione, il degrado forestale e il cambiamento climatico stesso
interrompono questo processo, afferma “David Lapola”, ricercatore presso l’”Università
di Campina” in Brasile, attivando una transizione dalle piante della foresta
pluviale a piante che preferiscono condizioni climatiche più secche, causando
un cambiamento a lungo termine nell’intero ecosistema.
Le
specie che si sono adattate ai climi secchi trattengono maggiormente l’acqua,
restituendone meno all’aria soprastante, interrompendo di fatto il ciclo della
pioggia e portando a un ulteriore inaridimento.
Le
specie tipiche delle zone aride stanno già prendendo il sopravvento nella zona
sudorientale dell’Amazzonia.
L’Amazzonia
contiene all’incirca da 150 a 200 miliardi di tonnellate di carbonio, circa il
15% del bilancio di carbonio rimanente suggerito dal detto rapporto dell’IPCC
per avere il 50% di possibilità di rimanere al di sotto dei 2°C di
riscaldamento.
Perdere
l’acqua significherebbe perdere la maggior parte di quel carbonio stoccato,
spiega” Lapola”.
Ancora
non è chiaro quale sia esattamente la soglia critica.
Uno
studio suggerisce che la perdita del 40% della foresta o il superamento dei 4
°C di riscaldamento potrebbe causare un cambiamento permanente e irreversibile.
Altri pensano che potrebbe bastare anche meno.
La
dilagante deforestazione (le stime indicano che almeno il 20% della foresta sia
stata abbattuta) e l’inesorabile riscaldamento stanno rendendo le prospettive
decisamente preoccupanti.
“Venti
anni fa avevamo previsto questo scenario, ma pensavamo che si sarebbe
verificato intorno al 2050 o ancora più tardi”, afferma “Lapola”.
Ma
ora, guardando i dati attuali, è chiaro che “al tempo siamo stati troppo
ottimisti”.
E non
è tutto. È ora di agire.
Questi
sono solo alcuni dei cambiamenti irrevocabili che possiamo aspettarci se il
clima del pianeta continua a riscaldarsi, si legge nel rapporto:
cambiamenti sostanziali nei monsoni, aumento
del riscaldamento, dell’acidificazione e del calo di ossigeno degli oceani,
ondate di calore più estreme, ai limiti dell’abitabilità umana.
Il cambiamento climatico non risparmia nessuna zona
del pianeta.
E
siccome ogni lieve incremento nel riscaldamento avrà un impatto molto maggiore
dell’incremento precedente, gli effetti peggiori si possono evitare solo se
agiamo in modo efficace.
Ad
esempio, un’ondata di calore che in passato aveva una frequenza di una volta
ogni 50 anni, oggi ha una probabilità di verificarsi cinque volte maggiore;
a 2°C
di riscaldamento la probabilità sarà 14 volte maggiore;
ma in
un mondo più caldo di 4°C, sarà ben 40 volte maggiore, sempre secondo il
rapporto.
Oggi,
è un imperativo morale evitare questi ulteriori rischi, afferma “Tim Lenton”,
climatologo presso l’”Università di Exeter” che da anni avverte in merito agli
aspetti irreversibili del cambiamento climatico.
“Dobbiamo
agire come se fossimo di fronte a un’emergenza climatica”, afferma “Lenton”.
“La
gente ora si è accorta della realtà e si rende conto che quello che dicono gli
scienziati da tempo non è uno scherzo, ma sono passati 30 anni, ed eccoci qua.
Ora quello
che conta sono solo le azioni”.
Eventi
meteo estremi: aumentano o no?
Centrometeo.com
– (Redazione) – 20-1-2022 – ci dice:
Climatologia.
Andamento
dei decessi per catastrofi legate al clima e non.
Da più
parti arriva il solito mantra sul riscaldamento globale (che noi
complessivamente non neghiamo) e sulle sue eventuali implicazioni climatiche
(dove invece nutriamo molti dubbi e perplessità).
Innanzitutto
abbiamo alcune osservazioni circa il significato e il "senso" del
concetto "cambiamento
climatico"
di cui abbiamo discusso tramite alcune nostre "provocazioni".
Inoltre
non siamo affatto convinti che almeno alcune delle conseguenze che si danno
tanto per scontate siano reali.
Una di queste è l'aumento dei fenomeni
estremi.
Sarà
davvero così?
E poi,
che vuol dire? Aumentano di frequenza?
Di
intensità?
Noi riteniamo che non abbia molta importanza
(relativamente parlando).
Nel senso che occorre sempre e comunque essere
preparati a certi eventi.
Facciamo
un esempio: ammesso (e non concesso) che in una data località la frequenza delle
alluvioni sia diventata, mediamente, da trentennale a ventennale. E quindi?
Un'alluvione
ogni 30 anni va bene, mentre una ogni 20 diventa un problema?
Se
prima i tornado F5 erano, chessò, "x" all'anno tutto ok, ora che
magari sono "y" (con y > x...) è un problema?
È chiaro che certi eventi c'erano pure prima e
anche se fossero aumentati il problema tanto va affrontato ugualmente.
Quindi
si faccia quello che si deve fare, si costruisca come si deve costruire, si
rispetti il territorio... a prescindere!
Ma
sono davvero aumentati i fenomeni estremi?
Secondo alcuni dati e almeno per alcune
tipologie di fenomeni pare proprio di no.
Abbiamo già dimostrato, numeri alla mano, che gli “Uragani
Atlantici” non stanno affatto aumentando né di numero, né di energia, almeno
fino al 2016 (poi si vedrà, ma bisogna aspettare qualche annetto per vedere se
c'è un trend.
Intanto
però il mantra "contrario", sbagliato, c'è da anni...
Cominciamo
dal grafico che ci sembra il più importante di tutti, cioè quello che
rappresenta la stima dei decessi nel mondo per cause legate alle condizioni
meteorologiche (che poi nel tempo e nel loro insieme determinano il clima di un
dato luogo) e anche quelli legati a disastri sempre naturali, ma non
"climatici".
C'è bisogno di commentare?
Certo,
questo grafico, di per sé, non dimostra che gli eventi estremi sono diminuiti,
perché la drastica riduzione dei decessi è in parte sicuramente legata anche a
migliori condizioni strutturali (pur con eccezioni si costruisce meglio, in
generale, anche se questo non parrebbe vero per i disastri non legati al
clima...) e migliori capacità previsionali, di allerta e di consapevolezza.
Però
ci dice sicuramente che nel tempo certi problemi di sicurezza legati al clima
diminuiscono, quindi in questo senso cosa fa il clima viene molto
ridimensionato essendo sempre meno "preoccupante"...
Indennizzi
assicurativi per danni legati alle condizioni meteo.
Va
bene, questo per quanto riguarda le vittime (e non ci sembra poco...).
Ma i danni?
Passando
ora ad un grafico tutto italiano vi mostriamo l'andamento negli degli
indennizzi assicurativi, in percentuale sul capitale assicurato.
Anche
in questo caso il grafico parla da solo.
Certo
si possono dare interpretazioni di vario genere (per esempio che la gente
assicura sempre meno, magari perché c'è la crisi, non ha soldi...), ma
scommettiamo che se il trend fosse stato in salita sarebbe stato utilizzato per
rinforzare il solito "mantra" di cui all'inizio?
Vediamo
i Tornado.
Che a detta del "sentore comune" e dei media
e non solo sembrano essere aumentati ovunque (oppure magari oggi è molto più
facile fotografarli, grazie agli onnipresenti smartphones, e diffonderli grazie
ad internet? Per non parlare degli avvistamenti fasulli e dei fenomeni
scambiati per tornado, ma che tornado non sono...)
Ovviamente
serve un conteggio ufficiale e metodico, non certo "l'impressione"
mediatica, per avere un'idea più precisa.
Bene,
ecco cosa succede nella patria dei tornado, gli Stati Uniti. Nel grafico che segue il conteggio
dei tornado F3 e superiori dal 1954 al 2014. Niente da fare.
Non ci
sembrano affatto aumentati...
Conteggio
dei tornado violenti negli Stati Uniti.
Come
detto abbiamo già approfondito il caso degli Uragani Atlantici, ma per comodità
riportiamo qui alcuni grafici che riguardano quelli giunti sulla terraferma (in
tutto il mondo, non solo quindi atlantici) e l'andamento dell'energia (ACE)
misurata (nord emisfero).
Conteggio
dei cicloni tropicali nel mondo.
ACE
Cicloni Tropicali Nord Emisfero.
Ai
posteri dunque l'ardua sentenza.
Naturalmente esistono altri dati, forse alcuni
dei quali anche in contrasto, ma tenete la mente aperta e diffidate da chi dà
troppo le cose per scontato.
E soprattutto: la scienza non è democratica.
A noi non interessa se "la maggior parte
degli scienziati" pensa o crede di pensare (in buona o in mala fede...)
una certa cosa, sappiamo benissimo che nella scienza non ha ragione la
maggioranza, ma chi dimostra le cose...
No!
Non è vero che «Il 41% degli scienziati
del
clima non crede ai cambiamenti
climatici
catastrofici»
open.online.it – (18 NOVEMBRE 2022) - Antonio
Di Noto – ci dice:
Un
articolo sostiene erroneamente che buona parte della comunità scientifica non
creda agli eventi meteorologici estremi causati dal cambiamento climatico.
Tuttavia,
lo fa citando un sondaggio dall’affidabilità dubbia e travisandone le parole.
Di
cambiamento climatico si sta parlando moltissimo in questi giorni di Cop27,
nell’ambito della quale i leader mondiali si sono riuniti per discutere della
situazione climatica e stanziare fondi per contenere il riscaldamento globale.
Secondo
il 99% degli studi climatologici, il cambiamento climatico esiste, ed è stato
causato dalle attività umane.
Ciononostante, c’è ancora chi cerca di negarne
l’esistenza o sminuirne la gravità. «Il 41% degli scienziati del clima non
crede ai cambiamenti climatici catastrofici, secondo importanti nuovi
sondaggi».
Così
titola un articolo pubblicato sul sito” Attività solare” e condiviso
dall’omonima pagina Facebook.
L’articolo
che lo afferma cita un sondaggio commissionato da un think tank scettico sul
cambiamento climatico (e dei danni del fumo di sigaretta).
I dati
del sondaggio vengono comunque travisati nel titolo dell’articolo.
Il 99%
degli articoli scientifici sottoposti a “peer review “sostengono che il
cambiamento climatico è reale e causato dall’uomo.
Analisi.
Di
seguito possiamo vedere uno “screenshot” del post su Facebook dove viene
condiviso l’articolo.
Nella descrizione si legge:
«Di
Chris Morrison – 11 Novembre 2022.
Per anni i promotori della narrativa spuria
della “scienza stabilizzata” hanno affermato che esiste un consenso del 97-99%
tra gli scienziati sugli esseri umani che causano il cambiamento climatico.
L’affermazione
è priva di significato poiché non affronta le differenze nell’entità del
coinvolgimento umano e quanto si valuta che il riscaldamento sia dannoso. Un……»
Aprendo
l’articolo si scopre che le informazioni, e nello specifico il dato del 41%,
non proviene da uno studio, bensì da un sondaggio commissionato alla “Fairleigh
Dickinson University” dal think tank “Heartland Institute” – noto per lo scetticismo sul
cambiamento climatico, e su un altro fatto accertato:
gli
impatti dannosi del fumo di sigaretta sul corpo umano.
All’interno dello studio troviamo la prima discrepanza
con il titolo dell’articolo.
A rispondere al sondaggio, infatti, non sono «stati
scienziati del clima», bensì, per il 72% meteorologi, come indicato
nell’introduzione del documento.
Esaminando
la natura del campione, si scopre poi che ben il 76% delle persone che hanno
risposto non sono andate oltre la laurea triennale.
Inoltre,
va segnalato che il sondaggio non risulta essere stato pubblicato su nessuna
rivista scientifica, e, quindi, non è stato sottoposto a “peer review”.
Ovvero la sua validità non è stata verificata
da altri scienziati esperti in materia.
La
descrizione del campione del sondaggio.
Infine,
non è chiaro come sia stato calcolato il dato del 41%.
All’interno dei grafici questa percentuale
appare ma per l’opzione contraria a quanto dichiarato nel titolo, così come non vengono presentate
domande sui «cambiamenti climatici catastrofici».
Ad ogni modo, sono gli stessi grafici del
sondaggio, poi riportati nell’articolo di Attività solare a smentire il titolo.
Il
cambiamento climatico è causato dall’uomo?
Il
primo che viene presentato chiede a chi risponde quale percentuale del
cambiamento climatico sia stata causata dagli esseri umani.
Il 54% ritiene che gli esseri umani siano
responsabili di una percentuale di cambiamento climatico che va dal 76 al 100%.
A
questi si somma un 38% che sostiene che ad essere causato dagli esseri umani
siano responsabili per una quota di cambiamento climatico che oscilla tra il 51
e il 75%.
Ciò
significa che, secondo il sondaggio citato, il 92% di chi ha risposto ritiene
che il cambiamento climatico sia opera umana.
Uno
dei grafici presenti nel sondaggio.
L’impatto
sulla vita degli esseri umani.
C’è
poi l’impatto sulle condizioni di vita degli esseri umani.
Il 30%
di chi ha risposto ritiene che il cambiamento climatico causerà lievi danni
alla vita degli esseri umani, mentre il 59% ritiene che verranno apportati
danni significativi.
Per un
totale dell’89%.
Uno
dei grafici presenti nel sondaggio.
Infine,
il 41% delle persone che ha risposto ritiene che la frequenza di eventi
meteorologici avversi sia aumentata significativamente, mentre il 46% ritiene
che sia aumentata lievemente.
Questa
è l’unica domanda dove appare la cifra 41, che però è associata al numero di
presunti «scienziati» che ha rilevato un aumento della frequenza di eventi
climatici catastrofici.
Uno
dei grafici presenti nel sondaggio.
Il 99%
della comunità scientifica considera il cambiamento climatico reale e causato
dall’uomo.
I dati
del sondaggio dell’”Heartland Institute”, pubblicato a ottobre 2022 sono
comunque sottostimati rispetto allo studio – questa volta “peer reviewed” –
pubblicato sulla rivista specializzata “Environmental Research Letters”.
L’indagine,
condotta da “Mark Lynas”, “Benjamin Z. Houlton” e “Simon Perry”, ha analizzato
oltre 88 mila articoli “peer reviewed” sul cambiamento climatico, giungendo alla conclusione che il 99%
di questi attribuisce con sicurezza la responsabilità del fenomeno alle
attività umane.
Conclusioni:
Un
articolo sostiene erroneamente che buona parte della comunità scientifica non
creda agli eventi meteorologici estremi causati dal cambiamento climatico. Tuttavia, lo fa citando un sondaggio
dall’affidabilità dubbia e travisandone le parole.
Questo
articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false
e la disinformazione nelle sue piattaforme social.
Il
cambiamento climatico:
le
cause, gli effetti, i rimedi.
Enelgreenpower.com
– Redazione – (30-6-2022) – ci dice:
Perché
il cambiamento climatico ci preoccupa tanto? Cosa l’ha provocato e quali rischi
corriamo?
Le cause dell’effetto serra creato dalle
attività dell’uomo e gli impegni presi per invertire la tendenza.
La
spinta all’elettrificazione.
La vita sulla Terra esiste grazie alla
combinazione di tre fattori:
la giusta distanza dal Sole, la composizione
chimica dell’atmosfera e la presenza del ciclo dell’acqua.
L’atmosfera,
in particolare, assicura al nostro pianeta un clima adatto alla vita grazie al
cosiddetto” effetto serra naturale”.
Quando
i raggi solari raggiungono la superficie terrestre, vengono solo in parte
assorbiti, mentre in parte vengono riflessi verso l’esterno;
in assenza di atmosfera si disperderebbero
nello spazio, ma vengono invece in buona parte trattenuti e quindi
reindirizzati verso la Terra da alcuni gas presenti nell’atmosfera (i gas a effetto serra, appunto, fra
cui principalmente l’anidride carbonica e il metano, ma anche il vapore acqueo
e altri ancora).
(Ma in cosa la scienza è d’accordo?
Nel fatto che la Co2 -pesando quattro volte più dell’atmosfera -possa viaggiare
nell’atmosfera e creare una cupola che rifrange i raggi del sole creando l’effetto serra non naturale? N.D.R.)
Il
risultato è un’ulteriore quantità di calore che si somma a quella proveniente
dai raggi solari assorbiti direttamente.
Un’aggiunta
significativa: senza l’effetto serra naturale la temperatura media sulla Terra sarebbe
di -18 gradi centigradi anziché di circa +15.
Le
cause del cambiamento climatico.
Se è
un fenomeno così vantaggioso perché oggi siamo così preoccupati?
Cosa
vuole dire che è in corso il surriscaldamento del pianeta?
E cosa
si intende per cambiamento climatico?
Cambiamenti
climatici ci sono sempre stati, nella storia del Pianeta.
Ma il
riscaldamento climatico a cui assistiamo da circa 150 anni è anomalo perché
innescato dall’uomo e dalle sue attività.
Si
chiama “effetto serra antropico” e si aggiunge all’”effetto serra naturale”.
Con la
rivoluzione industriale l’uomo ha improvvisamente rovesciato in atmosfera
milioni di tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra portando la
quantità di CO2 presente in atmosfera al doppio rispetto ai minimi degli ultimi
700 mila anni (410-415 parti per milione rispetto a 200-180 parti per milione).
Lo si
può osservare anche day-by-day grazie alle rilevazioni degli osservatori, come
quello attivo al Mauna Loa, nell’arcipelago delle Hawaii.
Da
circa 15 anni i dati prodotti da migliaia di scienziati in tutto il mondo,
analizzati e sistematizzati dall”’Intergovernmental Panel on Climate Change”
(IPCC), concordano nel dichiarare che il “global warming” deriva dall’effetto
serra antropico, cioè innescato dalle attività dell’uomo.
In
realtà le basi scientifiche del collegamento tra i livelli di anidride
carbonica e la temperatura erano state stabilite già nel XIX secolo, grazie al
lavoro del Premio Nobel “Svante Arrhenius”, confermato dallo scienziato
statunitense “David Keeling” negli anni Sessanta.
(Ma
questi scienziati hanno mai affermato che la CO2 -pur pesando quattro volte più
dell’atmosfera terrestre- possa volare in alto, sempre più in alto per creare
la volta del gas serra? N.D.R.)
Le
conseguenze del cambiamento climatico.
Rispetto
ai livelli preindustriali la temperatura media del Pianeta è aumentata di 0,98
°centigradi e la tendenza osservata dal 2000 a oggi fa prevedere che, in
mancanza di interventi, potrebbe arrivare a +1,5 °C tra il 2030 e il 2050.
L'impatto
del riscaldamento globale è già evidente:
il
ghiaccio marino artico è diminuito in media del 12,85% per decennio, mentre i
registri delle maree costiere mostrano un aumento medio di 3,3 millimetri del
livello del mare all'anno dal 1870.
Il
decennio 2009-2019 è stato il più caldo mai registrato e il 2020 è stato il
secondo anno più caldo di sempre, appena al di sotto del massimo stabilito nel
2016.
Le
“stagioni degli incendi” sono diventate più lunghe e intense, come in Australia
nel 2019, dal 1990 a oggi ogni anno sono aumentati gli eventi meteorologici
estremi, come i cicloni e le alluvioni, che colpiscono anche in periodi
dell’anno atipici rispetto al passato e sono sempre più devastanti.
Fenomeni
come El Niño sono diventati più irregolari e hanno causato pericolose siccità
in aree già minacciate dall'aridità cronica, come l'Africa orientale, mentre la
Corrente del Golfo sta rallentando e potrebbe cambiare rotta.
Le
specie vegetali e animali si spostano in modo imprevedibile da un ecosistema
all’altro, creando danni incalcolabili alla biodiversità in tutto il mondo.
Definire
tutto questo con il termine “climate change” è corretto ma non rende abbastanza
l’idea.
Dobbiamo
iniziare a parlare di crisi climatica perché il clima è sempre cambiato, ma non
così in fretta e non con delle infrastrutture rigide e complesse come sono le
città e il sistema produttivo ai quali i Paesi più industrializzati sono
abituati.
0,98°-L'aumento
della temperatura nel 2019 rispetto ai livelli preindustriali.
1,5°-L’aumento
della temperatura entro il 2030 - 2050 senza interventi.
97%-Percentuale
degli scienziati che attribuisce il riscaldamento globale alle attività umane. (Falso !N.D.R)
Le
soluzioni al cambiamento climatico.
Le
attività umane influenzano sempre di più il clima e la temperatura della Terra
bruciando combustibili fossili e abbattendo le foreste pluviali.
Questo
aggiunge enormi quantità di gas serra a quelli presenti naturalmente
nell'atmosfera, aumentando l'effetto serra e il riscaldamento globale.
A
provocare più danni è soprattutto il consumo di carbone, petrolio e gas, che
rappresentano la maggior parte delle emissioni di gas serra.
Nel
2019, secondo il “Global Energy Perspective 2019” di McKinsey le fonti fossili
erano responsabili dell’83% delle emissioni totali di CO2 e la sola produzione
di elettricità attraverso il carbone incideva per il 36%, anche se nel 2020 -
per effetto della pandemia dal Covid-19 - le emissioni sono poi scese
drasticamente (fonte World Energy Outlook 2020).
È stato stimato che l'attuale tendenza delle
emissioni di CO2 dovute alla combustione del carbone è responsabile di circa un
terzo dell'aumento di 1 grado centigrado delle temperature medie annuali al di
sopra dei livelli preindustriali, rendendola la principale fonte di emissioni
nella storia umana.
In
assoluto il petrolio è la seconda fonte di emissioni, avendo prodotto nel 2019
12,54 miliardi di tonnellate di CO2 (l’86% del totale del carbone di 14,550 miliardi
di tonnellate).
Anche
l’abbattimento delle foreste provoca danni consistenti:
gli alberi aiutano a regolare il clima
assorbendo l’anidride carbonica dall'atmosfera, quindi se vengono abbattuti
l'effetto benefico si perde e il carbonio immagazzinato negli alberi viene rilasciato
nell'atmosfera, accentuando all'effetto serra.
Infine,
l’aumento degli allevamenti intensivi di bestiame e l’uso di fertilizzanti
contenenti azoto contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas a effetto
serra.
Gli
accordi internazionali.
Cosa
fare per rimediare?
Nel
dicembre del 2015, alla Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione quadro
delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) è stato firmato l’atteso
“Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici” che fornisce un quadro credibile
per raggiungere la decarbonizzazione, con obiettivi a lungo termine per
affrontare il cambiamento climatico e una struttura flessibile basata sui
contributi dei singoli governi.
I
governi firmatari si sono impegnati a limitare l'aumento della temperatura al
di sotto di 2° centigradi rispetto ai livelli preindustriali con sforzi per
rimanere entro 1,5°, per raggiungere il picco delle emissioni il prima
possibile e raggiungere la carbon neutrality nella seconda metà del secolo.
Nonostante il successo della COP21, molte sono
le questioni lasciate aperte dall'accordo.
Nel 2018 la COP24 di Katowice ha poi approvato
le regole di attuazione dell'Accordo di Parigi (il cosiddetto "Paris
Rulebook").
Nel 2021, la Cop26 di Glasgow ha poi ribadito
l’impegno a raggiungere entro il 2050 la cosiddetta “Carbon Neutrality” a
livello globale.
La
strada da percorrere per la decarbonizzazione è chiara e si chiama transizione
energetica:
il passaggio da un mix energetico incentrato
sui combustibili fossili a uno a basse o a zero emissioni di carbonio, basato
sulle fonti rinnovabili.
Le
tecnologie per la decarbonizzazione ci sono, sono efficienti e vanno scelte a
tutti i livelli.
E un
grande contributo alla decarbonizzazione arriva dall’elettrificazione dei
consumi finali.
Si
tratta di rimpiazzare in tutti i settori - dalle abitazioni ai trasporti,
compresi quelli a lunga percorrenza, fino all’industria pesante - le tecnologie
basate sui combustibili fossili con quelle che utilizzano l’elettricità
prodotta da fonti rinnovabili in tutti i settori, ottenendo non solo l’abbattimento
delle emissioni a effetto serra, ma anche dell’inquinamento atmosferico, in
particolare nelle città.
La
scienza offre dati certi, proiezioni di scenari futuri studiati attentamente.
Il cambiamento del clima non aspetta e non si
ferma.
Serve
un cambiamento culturale forte, un vero e proprio mutamento di paradigma per
tradurre in realtà ciò su cui tutti ormai sono d’accordo.
(La Co2 non viaggia come un pallone
aerostatico nell’atmosfera, infatti pesa 4 volte di più della stessa atmosfera.
Questo è un dato scientifico inconfutabile! N.D.R.).
“Il riscaldamento globale è
una congettura non dimostrata”.
200 scienziati nel 2019 lo hanno scritto al
governo
Presskit.it
– (6-3-2023) -Redazione – ci dice:
Duecento
scienziati, con una Petizione indirizzata ai Presidenti della Repubblica, del
Senato, della Camera dei Deputati e del Consiglio dei Ministri, già nel 2019
hanno rivolto un caloroso invito ai responsabili politici affinché, posta la
cruciale importanza che hanno i combustibili fossili per l’approvvigionamento
energetico dell’umanità, non si aderisca a politiche di riduzione acritica
della immissione di anidride carbonica in atmosfera, con l’illusoria pretesa di
governare il clima.
Tra i
firmatari numerosi geologi, geofisici e studiosi del clima.
Il
riscaldamento globale antropico, scrivono i firmatari, è una congettura non
dimostrata e dedotta solo da alcuni modelli teorici climatici.
I modelli climatici, però, falliscono nel
riprodurre il clima degli ultimi 1000 anni e hanno fallito le previsioni
avanzate sulla evoluzione climatica degli anni successivi al 2000.
Al contrario, la letteratura scientifica
recente ha messo sempre più in evidenza l’esistenza di una variabilità
climatica naturale legata soprattutto ai grandi cicli millenari, secolari e
pluridecennali dell’attività solare e della circolazione oceanica, che sono
stati responsabili di altri periodi caldi degli ultimi 10.000 anni.
In
ordine al cosiddetto consenso scientifico a favore del contributo antropico,
continuano i firmatari, bisogna essere consapevoli che il metodo scientifico vieta di
addurre il consenso a sostegno della validità scientifica di una congettura.
Inoltre lo stesso preteso consenso non
sussiste, essendovi invece una notevole variabilità di opinioni tra gli
specialisti del settore, climatologi, meteorologi, geologi e geofisici.
Concludono
i firmatari che è scientificamente poco realistico individuare nelle emissioni
umane praticamente l’unica causa del riscaldamento osservato dal secolo passato
ad oggi e, quindi, le previsioni allarmistiche per il prossimo futuro dedotte
da modelli climatici proponenti tale ipotesi non sono credibili.
Pubblichiamo
il testo e l’elenco dei promotori e dei primi firmatari.
Al
Presidente della Repubblica, Al Presidente del Senato, Al Presidente della
Camera dei Deputati, Al Presidente del Consiglio:
PETIZIONE
SUL RISCALDAMENTO GLOBALE ANTROPICO.
I
sottoscritti, cittadini e uomini di scienza, rivolgono un caloroso invito ai
responsabili politici affinché́ siano adottate politiche di protezione
dell’ambiente coerenti con le conoscenze scientifiche.
In
particolare, è urgente combattere l’inquinamento ove esso si presenti.
A tale
proposito è sufficiente ricordare il ritardo con cui viene utilizzato il
patrimonio di conoscenze messe a disposizione dal mondo della ricerca e
destinate alla riduzione delle emissioni antropiche inquinanti diffusamente
presenti nei sistemi ambientali sia continentali che marini.
Bisogna
però essere consapevoli che l’anidride carbonica non è un agente inquinante.
Al
contrario essa è indispensabile per la vita sul nostro pianeta.
Negli
ultimi decenni si è diffusa una tesi secondo la quale il riscaldamento della
superficie terrestre di circa 0.9°C osservato a partire dal 1850 sarebbe
anomalo e causato esclusivamente dalle attività̀ antropiche, in particolare dalle immissioni in
atmosfera di CO2 proveniente dall’utilizzo dei combustibili fossili.
Questa
è la tesi del “riscaldamento globale antropico” promossa dall”’Intergovernmental
Panel on Climate Change” (IPCC) delle Nazione Unite, le cui conseguenze
sarebbero modificazioni ambientali così gravi da paventare enormi danni in un
imminente futuro, a meno che drastiche e costose misure di mitigazione non
vengano immediatamente adottate.
A tale proposito, numerose nazioni del mondo
hanno aderito a programmi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e
sono pressate, anche da una martellante propaganda, ad adottare programmi
sempre più̀ esigenti dalla cui attuazione, che comporta pesanti oneri sulle
economie dei singoli Stati aderenti, dipenderebbe il controllo del clima e, quindi,
la “salvezza” del pianeta.
L’origine
antropica del riscaldamento globale è però una congettura non dimostrata, dedotta solo da alcuni modelli
climatici, cioè complessi programmi al computer, chiamati “General Circulation
Models”.
Al
contrario, la letteratura scientifica ha messo sempre più̀ in evidenza
l’esistenza di una variabilità̀ climatica naturale che i modelli non sono in
grado di riprodurre.
Tale variabilità̀
naturale spiega una parte consistente del riscaldamento globale osservato dal
1850.
La responsabilità̀
antropica del cambiamento climatico osservato nell’ultimo secolo è quindi
ingiustificatamente esagerata e le previsioni catastrofiche non sono
realistiche.
Il
clima è il sistema più̀ complesso presente sul nostro pianeta, per cui occorre
affrontarlo con metodi adeguati e coerenti al suo livello di complessità̀.
Numerose
evidenze mostrano che i modelli di simulazione climatica non riproducono la
variabilità naturale osservata del clima e, in modo particolare, non
ricostruiscono i periodi caldi degli ultimi 10.000 anni.
Questi
si sono ripetuti ogni mille anni circa e includono il ben noto “Periodo Caldo
Medioevale”, il “Periodo Caldo Romano”, ed in genere ampi periodi caldi durante
l’Ottimo dell’Olocene.
Questi periodi del passato sono stati anche più̀
caldi del periodo presente, nonostante la concentrazione di CO2 fosse più
bassa dell’attuale, mentre sono correlati ai cicli millenari dell’attività
solare.
Questi effetti non sono riprodotti dai
modelli.
Va
ricordato che il riscaldamento osservato dal 1900 ad oggi è in realtà
iniziato nel 1700, cioè al minimo della “Piccola Era Glaciale”, il periodo
più freddo degli ultimi 10.000 anni (corrispondente a quel minimo millenario
di attività solare che gli astrofisici chiamano “Minimo Solare di Maunder”).
Da allora a oggi l’attività solare, seguendo
il suo ciclo millenario, è aumentata riscaldando la superficie terrestre.
Inoltre, i modelli falliscono nel riprodurre
le note oscillazioni climatiche di circa 60 anni.
Queste
sono state responsabili, ad esempio, di un periodo di riscaldamento (1850-1880)
seguito da un periodo di raffreddamento (1880-1910), da un riscaldamento
(1910-40), ancora da un raffreddamento (1940-70) e da un nuovo periodo di
riscaldamento (1970-2000) simile a quello osservato 60 anni prima.
Gli
anni successivi (2000-2019) hanno visto non l’aumento previsto dai modelli di
circa 0.2°C per decennio, ma una sostanziale stabilità climatica che è stata
sporadicamente interrotta dalle rapide oscillazioni naturali dell’Oceano
Pacifico equatoriale, conosciute come l’”El Nino Southern Oscillations”, come quella che ha indotto il
riscaldamento momentaneo tra il 2015 e il 2016.
Gli
organi d’informazione affermano anche che gli eventi estremi, come ad esempio
uragani e cicloni, sono aumentati in modo preoccupante.
Viceversa, questi eventi, come molti sistemi
climatici, sono modulati dal suddetto ciclo di 60 anni.
Se ad
esempio si considerano i dati ufficiali dal 1880 riguardo i cicloni atlantici
tropicali abbattutisi sul Nord America, in essi appare una forte oscillazione
di 60 anni, correlata con l’oscillazione termica dell’Oceano Atlantico chiamata
“Atlantic Multidecadal Oscillation”.
I picchi osservati per decade sono tra loro
compatibili negli anni 1880-90, 1940-50 e 1995-2005.
Dal
2005 al 2015 il numero dei cicloni è diminuito seguendo appunto il suddetto
ciclo.
Quindi,
tra il 1880 e il 2015, tra numero di cicloni (che oscilla) e CO2 (che aumenta
monotonicamente), non vi è alcuna correlazione.
Il
sistema climatico non è ancora sufficientemente compreso. Anche se è vero che la CO2 è un gas
serra, secondo lo stesso IPCC la sensibilità climatica ad un suo aumento
nell’atmosfera è ancora estremamente incerta.
Si
stima che un raddoppio della concentrazione di CO2 atmosferica, dai circa 300
ppm preindustriali a 600 ppm, possa innalzare la temperatura media del pianeta
da un minimo di 1°C fino a un massimo di 5°C.
Questa
incertezza è enorme.
In ogni caso, molti studi recenti basati su
dati sperimentali stimano che la sensibilità climatica alla CO2 sia
notevolmente più bassa di quella stimata dai modelli IPCC.
Allora,
è scientificamente non realistico attribuire all’uomo la responsabilità del
riscaldamento osservato dal secolo passato ad oggi.
Le previsioni allarmistiche avanzate,
pertanto, non sono credibili, essendo esse fondate su modelli i cui risultati
sono in contraddizione coi dati sperimentali.
Tutte
le evidenze suggeriscono che questi modelli sovrastimano il contributo
antropico e sottostimano la variabilità climatica naturale, soprattutto quella
indotta dal sole, dalla luna, e dalle oscillazioni oceaniche.
Infine,
gli organi d’informazione diffondono il messaggio secondo cui, in ordine alla
causa antropica dell’attuale cambiamento climatico, vi sarebbe un quasi unanime
consenso tra gli scienziati e che quindi il dibattito scientifico sarebbe
chiuso.
Tuttavia,
innanzitutto bisogna essere consapevoli che il metodo scientifico impone che
siano i fatti, e non il numero di aderenti, che fanno di una congettura una
teoria scientifica consolidata.
Inoltre,
lo stesso preteso consenso è falso.
Infatti,
c’è una notevole variabilità di opinioni tra gli specialisti – climatologi,
meteorologi, geologi, geofisici, astrofisici – molti dei quali riconoscono un
contributo naturale importante al riscaldamento globale osservato dal periodo
preindustriale ed anche dal dopoguerra ad oggi.
Ci
sono state anche petizioni sottoscritte da migliaia di scienziati che hanno
espresso dissenso con la congettura del riscaldamento globale antropico.
Tra
queste si ricordano quella promossa nel 2007 dal fisico “F. Seitz”, già
presidente della “National Academy of Sciences americana” e quella promossa dal
“Non-governmental International Panel on Climate Change” (NIPCC) il cui
rapporto del 2009 conclude che
«La natura, non l’attività dell’Uomo governa
il clima».
In
conclusione, posta la cruciale importanza che hanno i combustibili fossili per
l’approvvigionamento energetico dell’umanità, suggeriamo che non si aderisca a
politiche di riduzione acritica della immissione di anidride carbonica in
atmosfera con l’illusoria pretesa di governare il clima.
Roma, 19
Giugno 2019
COMITATO
PROMOTORE
1.
Uberto Crescenti, Professore Emerito di Geologia Applicata, Università di
Chieti-Pescara, già Magnifico Rettore e Presidente della Società Geologica
Italiana.
2.
Giuliano Panza, Professore di Sismologia, Università di Trieste, Academico dei
Lincei e dell’Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL, vincitore nel
2018 del Premio Internazionale dell’American Geophysical Union.
3.
Alberto Prestininzi, Professore di Geologia Applicata, Università di Roma,
già Scientific Editor in Chief della rivista Internazionale IJEGE e Direttore
del Centro di Ricerca Previsione e Controllo Rischi Geologici.
4.
Franco Prodi, Professore di Fisica dell’Atmosfera, Università di Ferrara.
(e
altri …)
Il
riscaldamento globale è
una
congettura. Lo dice la scienza.
Nicolaporro.it
- Franco Battaglia – (8 Maggio 2019) – ci dice:
Quanto
alla diàtriba global-warming-d’origine-antropica sì,
global-warming-d’origine-antropica no, (nel seguito la chiamerò congettura
AGW), Zichichi ha detto no, e Zichichi è un luminare.
Rubbia
ha detto no, e Rubbia è un premio Nobel.
Rubbia
sarà un premio Nobel, ma non è un climatologo.
Battaglia ha detto no, ma Battaglia non è un
climatologo.
Se per
questo, anche Greta non è climatologa.
Quel
che dice Greta non vale perché è una bambina.
Ha
detto AGW sì il 97% degli scienziati.
Anzi,
dicono AGW sì, tutti gli scienziati, eccetto pochi stravaganti che non sono
climatologi.
Ha
detto AGW sì perfino il Papa.
Valutando tutte le affermazioni dette sopra,
assumendole tutte vere, possiamo tranquillamente concludere che la verità deve
essere AGW sì.
Orbene,
nessuna delle frasi dette sopra è corretta.
Voglio
dire, bisogna essere consapevoli che il metodo scientifico impone che non si
può addurre a conferma della validità scientifica di un’affermazione né il
numero né la qualità di chi la sostiene.
Quando
nella scienza (e qui uso la parola nel senso di metodo scientifico) si avanza
una congettura, essa non può essere promossa a teoria scientifica consolidata
adducendo che tutti gli scienziati, inclusi tutti i premi Nobel, concordino con
quella congettura.
Il
metodo scientifico.
Il
metodo scientifico funziona così:
prendendo
come punto di partenza una qualche osservazione sperimentale, si avanza una
congettura.
Dopo
di che, la si indaga.
Lo si fa non solo per vedere se essa è
confermata da altre osservazioni sperimentali, ma, soprattutto, si cerca per
demolirla (in gergo, si dice che si cerca di falsificarla).
Quanto più la congettura resiste agli attacchi, cioè
ai tentativi di falsificarla, tanto più essa ha gli attributi per diventare
teoria scientifica consolidata.
E,
anche quando la congettura ha resistito a tutti gli attacchi, v’è comunque la
consapevolezza che un giorno, anche lontano, essa possa essere falsificata da
una qualche osservazione sperimentale che fino ad allora non era emersa.
Nel
seguito chiamerò fatti quel che finora ho chiamato osservazioni sperimentali.
Quindi, non il numero o la qualità degli scienziati che condividono una
congettura, ma i fatti sono l’unico (fatemelo ripetere: l’unico) metro di
giudizio in ordine alla attendibilità della congettura stessa e alla sua
capacità di diventare teoria scientifica consolidata.
La
congettura AGW.
Tornando
all’AGW, la congettura nacque, legittimamente, come conseguenza del fatto che
la CO2 è un gas-serra.
E si è
consolidata col fatto che effettivamente il clima è più caldo oggi che non
all’inizio dell’era industriale.
Infine,
si sarebbe vieppiù consolidata grazie a certi modelli matematici i quali,
includendo una moltitudine di parametri che controllano il clima, calcolano un
riscaldamento se il parametro “emissioni antropiche” è incluso tra i parametri,
e non calcolano alcun riscaldamento se questo parametro è invece escluso.
Per dirla tutta, questi stessi modelli
calcolano che se le emissioni antropiche crescono al ritmo con cui sono
cresciute finora, il clima del 2100 sarà di 5 gradi più caldo.
Un
disastro.
Notate
che il risultato dei calcoli dai modelli non l’ho chiamato fatto, perché quei
risultati non sono un’osservazione sperimentale.
Poi,
naturalmente, c’è una moltitudine di gente, inclusi molti studiosi del clima,
che concordano con quanto appena detto, ma abbiamo anche detto che la circostanza
non ha alcun rilievo.
La
congettura davanti ai fatti? Cade miseramente.
Ciò
che invece ha rilievo è vedere se la congettura (ripeto: legittima, quando
nacque) resiste a tentativi di falsificazione.
Io non
sono un climatologo, ma sono chimico-fisico e conosco lo spettro d’assorbimento
in infrarosso della CO2, e mi ha meravigliato apprendere che la CO2, con la sua
piccola finestra d’assorbimento in infrarosso, potesse avere una tale
importanza, tanto più che conosco anche lo spettro d’assorbimento in infrarosso
dell’acqua, la quale consiste poi dell’85% dei gas-serra.
Con
questo sospetto, una persona di scienza vuole vederci un po’ più chiaro.
Orbene,
non appena uno ci va a guardare meglio, l’intera congettura dell’AGW cade
miseramente.
Intanto
la sua plausibilità diminuisce non solo a guardare gli spettri d’assorbimento
in infrarosso di CO2 e H2O, ma anche notando che l’incremento di concentrazione
atmosferica di CO2 dai 300 ppm pre-industriali ai 400 ppm oggi, corrisponde, nel tinello di casa
vostra, all’aumento che otterreste bruciando una candelina da torta di
compleanno:
in buona sostanza, l’incremento antropico di
CO2 ha significato un incremento di gas-serra inferiore al 3%.
LA CO2
NON È LA CAUSA
DEL
RISCALDAMENTO GLOBALE.
Bastabugie.it
– (26 aprile 2019) – Riccardo Cascioli – ci dice:
L'anidride
carbonica (CO2) non è un veleno, non inquina, anzi è un gas indispensabile alla
vita umana e inoltre...
Quando
si parla di distorsione della realtà legata alla propaganda sui cambiamenti
climatici, il caso più clamoroso è quello dell'anidride carbonica (CO2).
Demonizzata
come causa prima del catastrofico riscaldamento globale, ormai considerata
nell'immaginario collettivo un "gas satanico", ogni notizia che
aggiorna il suo costante aumento di concentrazione nell'atmosfera viene vissuta
con angoscia collettiva (oggi è vicina alle 415 parti per milione, ppm, contro le 315
del 1958).
In
realtà l'anidride carbonica è un gas vitale per la nostra sopravvivenza.
Insieme alla luce e all'acqua, la CO2 è il terzo dei
nutrienti fondamentali per le piante e per il processo di fotosintesi.
Vale a
dire che senza anidride carbonica non ci sarebbe vita umana.
Né la
concentrazione attuale può essere vista come un rischio per la salute: nel
rapporto "Climate Change 2001", dell'IPCC, l'organismo Onu che si
occupa di cambiamenti climatici, si trova scritto, tra l'altro che la comparsa
dei vegetali sul pianeta e la loro colonizzazione della Terra, corrisponde a un
periodo in cui la concentrazione della CO2 nell'atmosfera era altissima, oltre
le 6.000 ppm, vale a dire a livelli 15 volte superiori a quelli attuali.
E a
metà degli anni '90 dello scorso secolo, un rapporto che teneva conto di oltre
300 studi su questo argomento (Plant responses to rising levels of Atmosheric Carbon
Dioxide), spiegava che elevando la
concentrazione di CO2 fino a 650 ppm, ben 475 varietà di piante studiate
registravano un incremento nella crescita di oltre il 50%.
L'ANIDRIDE
CARBONICA NON È UN VELENO.
Dove
nasce quindi l'idea che la CO2 sia un veleno?
Semplicemente per il fatto che è uno dei gas
serra, responsabili - secondo la vulgata corrente - del riscaldamento globale.
Ed è anche il principale gas serra su cui le
attività umane incidono direttamente.
Ma a
parte che anche l'effetto serra è fondamentale per la vita dell'uomo (senza i
gas serra non ci potrebbe essere vita sulla Terra dato che la temperatura media
globale sarebbe di -18°C contro gli attuali +15), l'anidride carbonica
rappresenta solo una piccolissima parte di questi gas:
tra l'1 e il 5% (oltre il 90% è rappresentato dal
vapore acqueo).
In più
la CO2 prodotta dall'uomo è a sua volta una piccolissima parte di quanto
prodotto dalla natura.
Già
questo dovrebbe far nascere qualche dubbio sul fatto che l'incremento di CO2
nell'atmosfera sia attribuibile esclusivamente all'uomo.
Che
l'aumento della temperatura globale sia correlata all'incremento di CO2
nell'atmosfera è un'ipotesi scientifica formulata per la prima volta poco più
di cento anni fa dallo scienziato svedese “Svante Arrhenius”.
Ma non ha mai avuto un riscontro certo, anzi
successivi scienziati hanno attribuito alla CO2 un ruolo sia nell'aumento sia
nella diminuzione delle temperature.
Posizioni
che a volte troviamo anche nella stessa persona.
Clamoroso
il caso di “Stephen Schneider”, professore alla “Stanford University”,
consigliere del presidente americano Bill Clinton, uno dei massimi divulgatori
della teoria del riscaldamento globale, che però all'inizio degli anni '70
scriveva saggi e addirittura un libro per spiegare che l'aumento delle
emissioni di anidride carbonica avrebbe congelato il pianeta.
L'ANIDRIDE
CARBONICA NON È INQUINANTE.
In
questa "leggenda nera" sulla CO2 si inserisce poi la sua definizione
come "inquinante", per cui l'aumento di CO2 nell'atmosfera è
raccontato come aumento dell'inquinamento.
Tale
collegamento, peraltro, viene giustificato dal fatto che l'immissione
dell'anidride carbonica nell'aria sarebbe legata all'uso dei combustibili fossili, anche questi diventati "nemico
numero 1" dell'umanità.
Ma la
CO2, come abbiamo visto, non solo non è definibile come inquinante ma non è
neanche possibile stabilire un rapporto causa-effetto tra inquinamento e CO2.
Tanto
è vero che - e sono certo che molti saranno sorpresi - nei paesi
industrializzati l'inquinamento è in drastica riduzione da decenni, al contrario
dei livelli di CO2 che crescono.
Già
nel 2002, nel suo rapporto dedicato alle previsioni ambientali, l'Ocse (Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico) affermava che nei paesi
industrializzati c'era già stata una diminuzione dell'inquinamento atmosferico
pari al 70% in quattro anni.
E recentemente l'”Agenzia Europea per
l'Ambiente” ha presentato un rapporto che conferma quanto già sostenuto
dall'Ocse: tra il 1990 e il 2016, nei paesi dell'Unione Europea si registrano
fortissimi cali nell'inquinamento, che vanno dal 23 al 91% a seconda dei gas
esaminati.
Questo non significa che non ci sia
inquinamento atmosferico ma che, contrariamente a quello che ci viene fatto
credere, non solo non è in crescita ma addirittura in drastico calo.
Quando
si parla di inquinamento atmosferico nei paesi sviluppati, ci si riferisce essenzialmente a sei
elementi, considerati
i più importanti a livello statistico e comparativo:
anidride
solforosa (SO2), ozono (O3), piombo (Pb), ossidi di azoto (NOx), monossidi di
carbonio (CO), polveri sottili (Pm).
Tutti questi agenti inquinanti sono in
diminuzione, e chiunque può fare una semplice verifica andando sui siti delle Agenzie regionali per l'Ambiente
(Arpa).
Dunque,
l'inquinamento diminuisce mentre la concentrazione di CO2 nell'atmosfera
aumenta.
Peraltro, proprio la caccia alle streghe
lanciata contro la CO2 rischia di diventare un boomerang dal punto di vista
ambientale, perché concentrandosi esclusivamente sulla riduzione delle
emissioni di CO2 si tolgono risorse alla ricerca e applicazione di tecnologie
meno inquinanti.
IL
NUOVO PRESIDENTE DELL’ IPCC
JIM
SKEA:” IL MONDO NON FINIRÀ
CON UN
RISCALDAMENTO DI 1,5 GRADI”
Nogeoingegneria.com – (1° AGOSTO 2023) –
Redazione – ci dice:
Stiamo
esagerando con il catastrofismo climatico, dice il nuovo capo dell’Ipcc.
Secondo
il nuovo presidente dell’Ipcc, l’organo dell’Onu sui cambiamenti climatici, non bisogna cedere al
catastrofismo:
il
riscaldamento globale non condannerà la specie umana all’estinzione. Nonostante
le difficoltà, ci sono buone ragioni per essere ottimisti.
Il
nuovo capo dell’Ipcc, un organismo scientifico delle Nazioni Unite che si occupa di valutare i
cambiamenti climatici, pensa che sia sbagliato esagerare con la narrazione
sulle minacce esistenziali rappresentate dal riscaldamento globale:
un
mondo più caldo sarà più pericoloso, ma non sarà la fine per l’umanità.
CHI È “JIM
SKEA” E COSA PENSA.
Il
nuovo presidente dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento
climatico,
è stato eletto il 26 luglio scorso.
Si
tratta di Jim Skea: ha sessantanove anni, è scozzese ed è professore di Energie sostenibili
all’Imperial College di Londra, con quarant’anni di esperienza nella scienza del clima
e una lunga
carriera all’interno dell’Ipcc.
Nel
fine settimana Skea ha rilasciato un paio di interviste ai giornali tedeschi.
Al
settimanale “Der Spiegel,” per esempio, ha spiegato che non dovremmo dare
un’importanza esagerata all’obiettivo internazionale per limitare l’aumento
della temperatura media terrestre entro gli 1,5 °C rispetto all’epoca
pre-industriale.
Se
l’obiettivo non verrà raggiunto verso l’inizio degli anni 2030, come peraltro
sembra probabile, “non dobbiamo disperare e cadere in uno stato di shock”, ha
detto.
NON È
LA FINE DELL’UMANITÀ, DICE SKEA.
Skea
ha elaborato il suo pensiero nel corso di una conversazione con l’agenzia di stampa Deutsche
Presse-Agentur.
“Se si
comunica continuamente il messaggio che siamo tutti destinati all’estinzione,
questa cosa paralizzerà le persone e impedirà loro di prendere le misure
necessarie per affrontare il cambiamento climatico.
Il
mondo non finirà se si riscalderà di più di 1,5 gradi”.
Ma, precisa, “sarà comunque un mondo più
pericoloso”.
(Il pericolo non esiste in quanto la
CO2 è 4 volte più pesante dell’atmosfera e quindi non può volare nel cielo
alto! N.d.R.)
L’umanità
sopravviverà, insomma, ma si ritroverà a esistere all’interno di un contesto
probabilmente più instabile:
il
riscaldamento globale sarà causa di eventi meteorologici estremi che minacciano
di ostacolare l’agricoltura e ridurre la disponibilità di cibo in alcune aree
del mondo, aggravando di conseguenza la competizione per le risorse e
alimentando le migrazioni.
LE
RAGIONI (TECNOLOGICHE) DELL’OTTIMISMO.
Skea
ha detto allo Spiegel che, nonostante la serietà della situazione e le difficoltà
nel contrastarla, ci sono dei buoni motivi per essere ottimisti.
“Ogni misura che prendiamo per mitigare il
cambiamento climatico ci aiuta”;
misure
che stanno diventando “sempre più efficaci dal punto di vista dei costi”.
Da
anni l’Ipcc, attraverso numerosi rapporti, invita a diminuire l’utilizzo di
carbone, petrolio e gas naturale per limitare le emissioni di gas serra e
contenere l’aumento della temperatura della Terra.
Lo
scienziato pensa che la cosa migliore da fare nel breve termine sia aumentare
le installazioni di capacità energetica da fonti rinnovabili come l’eolico e il
solare, in modo da ridurre i consumi di combustibili fossili per la generazione
dell’elettricità e per l’alimentazione di alcuni mezzi di trasporto.
La produzione energetica è il settore responsabile
della maggiore quantità di emissioni a livello globale, stando ai dati
dell’Agenzia internazionale dell’energia.
“Nel
lungo termine”, ha aggiunto Skea, probabilmente non potremo fare a meno di
soluzioni tecnologiche come la cattura della CO2, ossia dell’anidride carbonica
emessa dalle centrali e dalle fabbriche alimentate con combustibili fossili
oppure già presente nell’atmosfera.
Le
tecnologie di cattura sono ancora molto costose e non mature per l’utilizzo
commerciale.
(Ma la
CO2 -essendo 4 volte più pesante dell’aria – spinta dai venti striscia sulla
terra e sul mare e quindi è molto facile da catturare! N.D.R.)
IL
LIMITE DELLE BUONE PRATICHE INDIVIDUALI.
Ricordando
come il compito della scienza non sia dire alle persone come vivere e cosa
mangiare, Skea ha fatto notare ai media tedeschi come “l’astinenza individuale”
da alcune abitudini di consumo particolarmente emissive “è un bene, ma da sola
non porterà il cambiamento nella misura necessaria”.
C’è bisogno di soluzioni su larga scala e di
“infrastrutture completamente nuove”, “se vogliamo vivere in modo più
consapevole”.
Per
esempio, “le persone non andranno in bicicletta se non ci sono piste ciclabili”.
“Ci sono abbastanza soldi nel mondo,
la sfida è farli arrivare nei posti giusti”, in modo che abbiano l’impatto più
ampio possibile, secondo il capo dell’Ipcc.
LA CO2
NON È UN INQUINANTE!
È UN
MATTONCINO DI VITA!
Nogeoingegneria.com
– (25 luglio 2019) – Redazione – ci dice:
Insegnatelo
ai vostri bambini.
La CO2 non è un veleno o inquinante. È un mattoncino di vita!
L’etichetta di inquinante improvvisamente
affibbiata alla CO2 è un cattivo servizio svolto nei confronti di un gas che ha
svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella sostenibilità di tutte le
forme di vita sulla nostra meravigliosa Terra.
Madre
Terra ha sicuramente stabilito che la CO2 non sia un inquinante’.
(Robert Balling)
La CO2
è un gas non tossico.
I
vegetali lo incamerano trasformandolo in biomassa.
Con la
respirazione di esseri umani e animali e a causa di processi tecnici di
combustione, tale gas ritorna nell’atmosfera bassa a contato della terra e del mare.
In qualità di gas serra, assicura alla terra
una temperatura gradevole.
ARTICOLO
DI NOGEOINGEGNERIA (ESTRATTO).
Normalmente
consideriamo inquinanti delle sostanze che contaminano e rendono sporco o
pericoloso l’ambiente.
Il
numero di sostanze inquinanti prodotte dall’uomo ed immesse nell’ambiente è
astronomico.
Le sei
sostanze inquinanti più pericolose al mondo sono secondo la “Green Cross” il cromo esavalente, il piombo, il mercurio,
i radionuclidi, i pesticidi, il cadmio.
Ma da
un po’ di anni si parla praticamente di un inquinante soltanto:
la
anidride carbonica (CO2) rilasciata dall’uomo.
L’anidride
carbonica è un inquinante?
L’anidride
carbonica è un gas naturalmente presente nella bassa atmosfera ed è esistita a
contatto della terra anche prima che l’uomo facesse la sua comparsa. Quindi la sua presenza è dovuta ad
una precisa strategia di Madre Natura.
Le
prime fonti di anidride carbonica, nella storia del pianeta Terra, sono state i
vulcani.
Grazie a questo gas ha potuto svilupparsi la
vita.
La CO2 è una sostanza fondamentale nei
processi vitali delle piante e degli animali.
È
indispensabile per la vita e per la fotosintesi delle piante.
(E le
piante vivono sulla terra e non sull’atmosfera! N.D.R.)
Le
piante assorbono anidride carbonica, processo che avviene di giorno, quando c’è
luce, poiché serve a completare la fotosintesi, in cambio fornisce un gas
fondamentale, senza il quale non potremmo vivere, l’ossigeno.
Come
possiamo allora considerare la CO2 un gas inquinante? È ritenuta uno dei
principali gas serra presenti nella” bassa” atmosfera terrestre.
I gas
serra naturali comprendono anche il vapore acqueo, il metano, l’ossido nitrico
e l’ozono.
“L’
effetto serra” pure è spesso citato come un problema, ma occorre fare
chiarezza.
Il
termine deriva dall’analogia (non pienamente corretta) con quanto avviene nelle
serre di coltivazione poste sulla terra!
Si
tratta, come nel caso della CO2, di un fenomeno naturale ed importante per la
vita sulla terra, che permette di trattenere il calore necessario allo sviluppo delle
forme di vita.
La vita come la conosciamo esiste come conseguenza
dell’effetto serra, dal momento che tale processo regola la temperatura della
terra.
Se
esso non esistesse, la terra intera sarebbe coperta di ghiaccio e inabitabile.
Le
azioni dell’uomo inquinano e minacciano in maniera impressionante questo
involucro protettivo del globo:
dalla combustione delle risorse naturali per
uso e consumo in molti settori, l’immissione di sostanze artificiali non
esistenti in natura utilizzate in diversi processi di produzione, la
massiccia riduzione delle superfici
forestali, l’aggressiva coltivazione del suolo, la cementificazione,
l’avvelenamento di mari e suoli per molti motivi, non per ultimo le guerre, la
trasformazione di risorse in materie tossiche e non degradabili, scorie di ogni
tipo non più biocompatibile, test atomici, traffico aereo, razzi inviati in
alto che agiscono sugli strati superiori dell’atmosfera e altro ancora.
La
lista dei peccati è lunga. Ma di questo si parla in minor misura.
Secondo
le voci che contano è l’aumento della CO2 la causa principale della
compromissione degli equilibri del pianeta:
alterando l’effetto serra, creando il surriscaldamento
globale o “cambiamenti climatici”, con conseguenti probabili catastrofi, se non
si rimedia in tempo.
I cambiamenti
climatici, citati come evento da temere e contenere, sono sempre esistiti e
sempre esisteranno.
L’uomo
con i suoi interventi contribuisce e probabilmente influisce sui cambiamenti
climatici, ma questi sono già di per sé un fatto naturale, è moto vitale.
C’è da
constatare un uso fuorviante della terminologia.
Il dato seguente dovrebbe far riflettere.
Cliccate
con GOOGLE Research : CO2 -Effetto Serra- Cambiamento Clima e vedete che tipo di informazioni vi
offrono, l’impatto visivo delle immagini.
Il messaggio è chiaro.
Da
anni è in atto una riprogrammazione ‘culturale-mentale’ nelle questioni
ambientali con conseguenze importanti in ogni ambito delle nostre vite.
C’è un
‘greenwashing ‘ da una parte e si potrebbe dire un ‘blackwashing’ dall’ altra.
Vien
da pensare che una logica distorta o snaturata sia la forza trainante di questa
epoca.
Per
tornare alla molecola CO2.
Possiamo
osservare che ogni oggetto, gesto, campo deve passare un esame: diventa buono o
cattivo, buono
se è carbon free (un nonsense), cattivo se non lo è.
‘In nome della CO2’ va rivisto tutto, va rottamato (pensate alle
lampadine ad incandescenza sostituite con quelle nocive ma ‘ecologiche’) va
modificato e secondo i luminari di scienza, politica e grandi imprese dei vari
settori (soprattutto hightech) indirizzato verso un mondo CO2-Free, oppure CO2ZERO.
I
mass-media martellano,
l’anidride carbonica è la responsabile di tutti i mali
del pianeta.
Se piove poco è colpa della CO2, se piove
troppo è sempre colpa della CO2, se fa troppo caldo, troppo freddo è colpa
della CO2.
I
disastri ambientali hanno una causa, è colpa dei cambiamenti climatici – quindi
della CO2 (e di tutti noi).
Perché
non si chiama sul banco degli imputati anche il metano, il protossido di azoto
– da non dimenticare i cloro-fluoro-carburanti (CFC) introdotti in abbondanza,
estremamente longevi e con un impatto significativo sul clima – e altri gas
presenti in atmosfera e prodotti delle attività umane che influiscono
sull’effetto serra?
I
concetti della minaccia globale, dovuta all’aumento della CO2, fatti propri
dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea, dai Governi e una bella fetta della
grande industria, sono oggi la colonna portante della cosiddetta green-economy
che abbraccia l’intero sistema economico (industria, tecnologia, agricoltura,
trasporti ecc.).
Queste
convinzioni vengono incessantemente divulgate e non è consigliabile opporsi o
dichiararsi scettici.
(I
ricchi globalisti -padroni del mondo -non vogliono perdere gli insegnamenti
fantasiosi di Klaus Schwab & C. N.D.R.)
La
negazione della veridicità delle tesi intorno al ‘Cambiamento Climatico’ (in senso
di surriscaldamento globale a causa dell’aumento della CO2) viene accostata al
‘negazionismo’ dell’Olocausto.
Il
termine negazionismo, usato in pochi casi, viene applicato in caso di
scetticismo verso le tesi ufficiali, che non sono considerate tesi ma verità.
Da
mattoncino di vita ad agente di morte (tutto per favorire le idee
strampalate dei padroni del mondo! N.D.R.)
Dopo
anni e anni di ‘informazione’, tutti, o quasi tutti, tendono a dimenticarsi i
meriti della CO2 nel “nutrire il pianeta”.
La CO2
invece, con un ruolo così importante nei processi vitali, non sarebbe certo da
demonizzare.
Il
buon senso ci dice che la scienza stessa non è male, casomai è l’uso che se ne
fa che può essere indirizzato verso il bene o il male.
E in
questo ambito cosa si sta facendo?
Ogni
processo vivente per poter continuare ad “esistere” deve trovare un continuo
equilibrio tra due polarità.
Queste sono le caratteristiche della vita su
questo pianeta in ogni circostanza.
E questo bipolarismo lo troviamo nella respirazione
dell’uomo che tutti conosciamo perché tutti respiriamo.
Si basa sull’inspirazione di aria ricca di ossigeno ed
espirazione di anidride carbonica.
La
respirazione è il processo attraverso il quale l’ossigeno è trasportato ai
tessuti del corpo e l’anidride carbonica è allontanata da essi.
La
Terra è un organismo, un essere vivente, che respira.
Ha
però un ciclo respiratorio della durata ben diversa dalle poche manciate di
secondi impiegati dal ritmo respiratorio umano.
Il segno visibile di questo processo
respiratorio sarebbe il crescere e l’appassire – decomporsi della sostanza
vegetale.
Il
germogliare delle piante (inizio di inspirazione) e il ritiro autunnale delle
foglie nella superficie e nel ventre della Terra, come l’aria che inspiriamo e tratteniamo
nel nostro corpo.
La
navicella OCO2 della NASA osserva dallo spazio il modo in cui la Terra
“respira” e vede cosa ne fa dei gas parzialmente o totalmente riassorbiti dagli
oceani e dalle piante.
La
metà dell’ossigeno che respiriamo proviene dai nostri oceani.
E
naturalmente ci sono le piante.
Le
piante per vivere hanno una respirazione complementare a quella dell’uomo,
inspirano CO2 ed espirano ossigeno.
L’uomo non potrebbe vivere senza le piante.
Questo
meraviglioso equilibrio è messo a dura prova a causa dell’accelerazione del
caotico e aggressivo progresso dell’uomo.
La CO2
è davvero una molecola tanto pericolosa per l’uomo, la fauna e la flora?
Non
saranno piuttosto ‘le cure’ escogitate per ‘evitare la CATASTROFE’ la minaccia
vera?
(i
padroni del mondo si arricchiscono se possono creare notizie false da far
“ingoiare “e “rivendere” alla gente comune che crede alle loro strampalate
teorie! N.D.R.)
La
vera “emergenza climatica” è la geo
-ingegneria
che esiste da più di mezzo secolo.
Lacrunadellago.net
– Cesare Sacchetti – (6-7-2022) – ci dice:
Era il
lontano 1967.
Era la
stagione nella quale l’Occidente stava cambiando completamente volto e la
società con tutte le sue istituzioni tradizionali veniva letteralmente travolta
dalla imminente rivoluzione del 1968 i cui padri ideologici possono
considerarsi i filosofi e sociologi della scuola di Francoforte quali Theodor
Adorno, Marcuse e Habermas.
Negli
Stati Uniti infuriavano le proteste per l’intervento degli Stati Uniti nel
Vietnam.
Un
intervento militare che aveva diviso profondamente l’opinione pubblica
americana e che ha lasciato profonde ferite sulla generazione dei giovani
americani nati dopo il dopoguerra.
Il
Vietnam evoca dolore, sangue, fango e morte. Tale termine è diventato comune
nella terminologia odierna per descrivere una situazione dove si rischia di
restare impantanati e subire gravissimi danni.
Alla
Casa Bianca c’era il presidente democratico Lyndon Johnson, l’ex vicepresidente
di John Fitzgerald Kennedy.
Il
nome di Johnson assume un ruolo cruciale nella cospirazione che portò
all’omicidio di Kennedy.
Lyndon
Johnson era uno di quegli uomini che esultò di fronte alla prospettiva che JFK
uscisse di scena.
A distanza di anni, una delle sue amanti,
Madeleine Duncan Brown, rivelò che la vigilia dell’attentato Johnson disse che
da domani, il 22 novembre del 1963 giorno dell’omicidio di Kennedy, “quei figli di puttana dei Kennedy non
mi metteranno più in imbarazzo.”
Johnson
sapeva che quel giorno a Dallas Kennedy sarebbe stato ucciso così come lo
sapevano con ogni probabilità i vertici delle forze armate e la stessa CIA.
A
Dallas, avvenne un colpo di Stato e Lyndon Johnson fu l’uomo designato per
prendere il posto di Kennedy e fare ciò che il suo predecessore si rifiutava di
fare.
Proseguire
sulla strada del conflitto in Vietnam e aumentare l’impegno militare degli
Stati Uniti.
Ed è
nel 1967 che dalle parti del Pentagono si iniziano a studiare delle tattiche di
guerra non convenzionale contro i Vietcong.
La
prima guerra metereologica del Pentagono nel 67.
Lyndon
Johnson autorizzò allora un piano che prevedeva la manipolazione del meteo in
Vietnam per prolungare la stagione dei monsoni nel Paese e inondare così il
sentiero di “Ho Chi Mihn” che veniva utilizzato dai “Viet Cong”.
Il
programma segreto meteorologico costò circa 3 milioni di dollari dell’epoca e
venne attuato dal 1967 al 1972.
Questa
potrebbe essere considerata la data di nascita ufficiale della cosiddetta
geo-ingegneria che come si vede non ha nulla di “complottista” come vuole far
credere la macchina di propaganda mainstream da sempre protesa a raffigurare
come “deliranti” i discorsi su questo argomento.
Se si
scansano le menzogne che si trovano sui media sulla geo-ingegneria, si trova in
realtà una storia ricca e documentata che non viene mai raccontata al grande
pubblico.
Non
viene mai raccontata perché altrimenti di fronte ad alcuni eventi climatici
irrituali che accadono nel mondo probabilmente le masse se correttamente
informate dell’esistenza di tali tecnologie inizierebbero a maturare pensieri
non graditi.
La
geo-ingegneria USA in realtà potrebbe avere una data di nascita persino
anteriore a quella del 1967.
A
parlare dell’argomento fu ancora una volta Lyndon Johnson ma stavolta in veste
di senatore sul finire degli anni 50.
Nel
1957 infatti il senatore democratico affermò in una sezione a camere unite del
Congresso che “dallo spazio si può controllare il meteo della Terra, causare siccità e
inondazioni, cambiare le maree e alzare i livelli del mare, e trasformare i
climi miti in climi rigidi.”
Qualche
lettore potrebbe trasecolare di fronte a queste parole perché sono più o meno
le parole d’ordine che vengono utilizzate dai media oggi per attuare una
strategia comunicativa fondata sul terrorismo climatico.
I
mezzi di comunicazione di massa vogliono infatti associare alcuni eventi
climatici più o meno inconsueti ad una presunta influenza dell’uomo, non però
menzionando il ruolo della geo-ingegneria USA.
Questa
falsa narrazione mette sul banco degli imputati il progresso industriale
considerato soprattutto dagli ideologi del “Grande Reset di Davos” come il
principale colpevole del cosiddetto “riscaldamento globale”.
Ora
scienziati di prima categoria e non i mercenari a noleggio dei vari think tank globalisti hanno più volte
smentito questa assoluta falsa correlazione.
E lo
hanno fatto persino nelle sedi ufficiali come accadde nel 2014 quando lo
scienziato “Carlo Rubbia “fu convocato al Senato per tenere una relazione sul tema del
riscaldamento globale nella quale affermò perentoriamente che il clima della
Terra è sempre mutato nel corso della sua storia ma non certo per un intervento
umano.
Il
fisico ha ricordato in quell’occasione che ai tempi dell’Antica Roma, ad
esempio, la temperatura risultava essere più alta e che la rilevazione delle
temperature negli ultimi 15 anni non raccontava di un aumento della temperatura
ma bensì di una sua diminuzione.
Il
ministro dell’Ambiente dell’allora governo Renzi, Galletti, provò a contestarlo
affermando che le previsioni invece parlavano di aumenti delle temperature e
Rubbia, da uomo di scienza alquanto pragmatico, rispose che era ai fatti che
occorreva guardare e questi parlavano e parlano piuttosto chiaro.
Non
esiste un riscaldamento globale se non nelle isteriche cronache dei media che
hanno appunto il compito di veicolare il concetto che sia in atto una sorta di
“emergenza climatica”.
L’isterismo
climatico degli ultimi anni che ha portato all’ascesa di nevrotici e
squilibrati personaggi come” Greta Thunberg” affonda le sue radici in un
pensiero che è molto più antico e di cui abbiamo avuto occasione di parlare
recentemente.
È il
pensiero del club di Roma fondato dalla famiglia Rockefeller nel 1968.
Il
cosiddetto “ambientalismo” moderno che ha portato all’ascesa di partiti come i
verdi nell’Europa Occidentale non nasce da qualche anima bella di un centro
sociale come qualche ingenuo potrebbe pensare.
Nasce
dagli ambienti più potenti della finanza internazionale che hanno sovvenzionato
lautamente tali partiti pur di far credere che la presenza dell’uomo e della
sua industria erano un qualcosa di disastroso e che era necessario ridurre la
popolazione mondiale per salvare il pianeta.
Torniamo
dunque ancora una volta all’ossessione malthusiana dei piani alti del
mondialismo che considerano l’umanità come un inutile ammasso di corpi indegni
persino di respirare.
A
questo punto però sorge naturale la domanda che riguarda la geo-ingegneria.
Se è pacifico che la narrazione mediatica e
degli pseudo-scienziati ai quali viene dato ogni possibile spazio è falsa, questa nuova branca tecnologica
cosa c’entra con quanto accade ora?
La
risposta è nella storia e nei fini di questa nuova tecnologia.
Quando
Lyndon Johnson davanti al Congresso affermava che era già possibile manipolare il clima
dallo spazio sapeva che la geo-ingegneria era un’arma che poteva essere utilizzata per
raggiungere determinati obbiettivi politici.
Il New
York Times nel 1976 annunciava la guerra del clima.
Ai
tempi della guerra fredda, era già chiaro che le guerre del futuro sarebbero
state combattute con il meteo.
C’è un
articolo del “New York Times” scritto da “Lowell Ponte” nel 1976 e intitolato
“La guerra dei climi” che a leggerlo ora si resta sorpresi per le verità forse
non volute che racconta.
All’epoca
nei media mainstream c’erano delle fessure nelle quali tali concetti potevano
ancora passare mentre oggi la chiusura dei “grandi” quotidiani a qualsiasi
verità, anche la più ovvia, appare ermetica.
In
questo articolo si narra di come il Pentagono da anni stesse conducendo
ufficialmente un progetto di ricerca, ufficialmente “pacifico”, chiamato “Climate Dynamics” che precedentemente invece aveva il
nome di “Progetto
Nilo Blu”.
Il
programma serviva a monitorare i tentativi di manipolazione atmosferica da
parte dell’URSS contro gli Stati Uniti.
A
Washington quindi sapevano perfettamente che la modifica del clima era una
realtà, non una teoria, e che queste modifiche potevano essere utilizzate per
colpire l’avversario.
La
guerra del clima era talmente una realtà già negli anni 70 che gli Stati Uniti
e l’URSS proposero nell’agosto del 1976 una sorta di moratoria sull’uso di tali
tecnologie.
Washington
e Mosca proposero alla conferenza per il disarmo tenutasi a Ginevra di
istituire un trattato o una convenzione che mettesse al bando “l’uso ostile di
tecnologie ambientali”.
Non se
ne fece nulla perché quel trattato non vide mai la luce e gli esperimenti che
già negli anni 70 dovevano essere abbastanza avanzati negli anni successivi
hanno probabilmente raggiunto livelli impressionanti.
Gli
scienziati di “Climate Dynamics” già nel 1975 affermavano che era possibile
manipolare segretamente il clima dallo spazio per infliggere su determinati
Paesi piogge torrenziali oppure prolungati periodi di siccità.
E
questo prima che nel 1993 queste tecnologie raggiunsero livelli ancora più
avanzati attraverso l’inaugurazione dell’impianto HAARP in Alaska.
HAARP
è considerato il più potente trasmettitore di onde elettromagnetiche al mondo.
Nonostante
le varie amministrazioni presidenziali e il dipartimento della Difesa abbiano
negato ogni utilizzo ostile, non sono pochi gli addetti ai lavori che hanno
spiegato come questo impianto sia in grado di modificare il meteo.
Tra
questi c’è “Marc Filterman”, un ex militare francese, che ha affermato che
attraverso potenti frequenze radio sia possibile provocare piogge, siccità o
uragani improvvisi.
Ciò ci
riporta a quanto sta accadendo ai giorni nostri di fronte agli improvvisi
mutamenti climatici che vedono, ad esempio, scorrere fiumi di ghiaccio nel
Nord-Italia o violentissime tempeste abbattersi sulla Croazia in piena estate.
Se già
negli anni 70 tali avanzati sistemi erano nella disponibilità di diversi Paesi
ed erano utilizzati frequentemente non è da escludere affatto che lo siano
utilizzati anche oggi per provocare sporadici e infrequenti eventi climatici
volti a sostenere che ci sia in corso una qualche sorta di “emergenza
climatica”.
L’isteria
climatica e la disperata ricerca di una nuova crisi.
È
innegabile che dietro l’isteria climatica si nasconde la disperata e ansiosa
ricerca da parte delle élite globaliste di costruire quell’evento catalizzatore
che è stato la logica fondante di tutto il disegno del mondialismo.
Se si
volge lo sguardo indietro si nota come senza questo tipo di eventi i passi in
avanti di questa agenda sarebbero stati impossibili.
Il
secolo che stiamo vivendo è a tutti gli effetti il secolo delle crisi, spesso
artificiali.
È ciò
che capitò durante l’11 settembre quando tutti i sistemi di difesa aerei
americani lasciarono volare indisturbati degli aerei che poi si schiantarono
sulle Torri Gemelle e che lasciarono colpire il Pentagono da un oggetto che non era certamente
un Boeing visto che dei pezzi dell’aereo non c’era traccia sulla facciata o sul
prato dell’edificio sede della Difesa americana.
La
stessa logica catartica l’abbiamo vista nel corso della farsa pandemica quando tale
evento di natura mediatica e non certamente sanitaria è stato chiaramente
utilizzato per partorire un’idea di società autoritaria su scala globale.
In
tale idea, il dissenso non sarebbe praticamente esistito se non rinchiuso
dentro qualche campo di concentramento.
Il
problema però con il quale si ritrovano a dover fare i conti i vari” think tank
globali” è quello della impossibilità di ricreare le condizioni che portarono
il mondo a fermarsi tre anni prima.
L’isteria
climatica servirebbe nell’ottica di questi poteri a partorire una nuova crisi
catartica tale da creare la grande crisi della quale parlava David Rockefeller
nel 1995 in un consesso delle Nazioni Unite.
Quella
crisi che avrebbe consentito a costoro di vedersi manifestare il tanto da loro
agognato “Nuovo Ordine Mondiale”.
Alcuni
però non si sono ancora ripresi dallo shock.
Non si
sono ripresi dallo shock che li ha portati a scoprire che i piani non sono
andati come previsto.
L’umanità
non si è incamminata verso l’oscuro dominio di un impero mondiale.
Al
contrario, si sta manifestando il fenomeno inverso.
Tutta
la impalcatura sulla quale si reggeva la struttura del mondialismo in ogni sua
derivazione, da quella economica a quella militare, sta andando in frantumi.
È così
che assistiamo alla inarrestabile crisi del dollaro così come assistiamo alla
sempre più profonda crisi della NATO.
Il
terrorismo climatico è la conseguenza di un sistema in crisi che rifiuta di
accettare la sua scomparsa.
Sono i
signori del mondialismo che in preda ad una incontrollata reazione isterica
provano disperatamente a riportare il corso della storia laddove vorrebbero
loro.
La
sporadica comparsa di eventi climatici innaturali non potrà in nessun modo
invertire il meccanismo che si è messo in moto.
La
storia è come un’onda. Quando essa passa lascia molto poco di quello che c’era
prima. E
sotto l’onda stavolta ci sono coloro che hanno fatto l’errore più grande di
tutti.
Ci
sono coloro che pensavano di essere Dio e che furenti ancora si rifiutano di
accettare il loro inevitabile epilogo.
Occhi
sul Niger…
Occhio
al medio oriente e all’Africa,
soprattutto
al Colpo di Stato nel Niger.
Conoscenzealconfine.it
– (2 Agosto 2023) – Redazione – ci dice:
La
Giunta Militare che ha preso il comando ha vietato l’esportazione di Oro e di
Uranio in Europa, di fatto è una chiarissima presa di posizione contro la
Francia, e una chiara messa al bando della moneta nazista Franco CFA.
È una
notizia di dimensioni colossali.
Significa
un colpo mortale alla Francia, che non potrà più alimentare le sue Centrali
Nucleari.
In
Francia la produzione nazionale di energie elettrica è garantita soprattutto da
18 centrali nucleari, molte delle quali dislocate sul confine Italiano per un
totale di circa 58 reattori di vecchia generazione, che forniscono ben il 76%
dell’energia elettrica nazionale (dati del 2016).
Ora,
la mancanza del combustibile nucleare a basso costo dal Niger, significa per la
Francia un colpo pressoché mortale.
E
Macron ha un solo modo per risolvere la questione: riprendere il controllo del Niger
militarmente.
È
possibile che Macron cerchi in tutti i modi di coinvolgere ONU e NATO, ma sarà
difficile vedere un loro diretto coinvolgimento militare in una impresa del
genere.
Di
fatto è tutto in mano della Francia, e c’è un grossissimo problema che va ad
aggiungersi, poiché in Niger è già presente WAGNER, e sferrare un attacco
militare in Niger significherà attaccare la Russia.
Non ho
idea di come si muoverà il presidente francese, che ormai tutti vorrebbero
prendere a calci.
Una cosa è certa: Con la Germania senza gas e la
Francia senza uranio, il crollo dell’UE si avvicina a grandi passi.
Comunque
vada, l’Africa si avvia a diventare finalmente un continente libero dalla
schiavitù colonialista occidentale.
La
stragrande maggioranza degli stati africani ha già fatto sapere che si metterà
in lista per entrare nei BRICS, e anche se ci sono Lula (Brasile) e Modi
(India) che fanno i difficili sulle regole di ingresso, è probabile che
l’Africa riceverà un trattamento di favore, soprattutto da parte della Russia.
Putin
ha già fatto sapere che il debito in dollari che gli stati africani hanno con
la Russia è stato cancellato, ed inoltre la Russia è disposta a collaborare con
l’Africa sia militarmente, sia economicamente sia tecnologicamente.
Così,
mentre tutti tenevano gli occhi sull’Ucraina, Putin si stava già muovendo
quatto quatto per “prendersi” l’Africa intera…
Putin,
ottimo giocatore di RISIKO!
(t.me/Giovanni832)
(La verità rende liberi).
IL
MITO DELLA COMUNITÀ SCIENTIFICA.
Grandeinganno.it – (25 Ottobre 2022) – Mason Massy
James – ci dice:
Invocare
la cosiddetta comunità scientifica è diventato un mantra moderno molto usato,
non solo in ambito scientifico e giornalistico, ma anche tra la gente comune.
L’idea
alla base è che ci sia questo “organo collegiale che vigila sulla giustezza
delle scoperte scientifiche£ fino ad arrivare a coprire con la sua benefica
influenza anche scelte politiche.
Insomma
un bel tappeto comodo, comodo, sotto cui gettare tutti i dubbi che possono
sorgere su scoperte scientifiche, le loro applicazioni pratiche e derivanti
legiferazioni in merito.
Ma
come funziona questa “comunità scientifica?”
Prima
di tutto il senso della parola comunità è proprio quello più “laico”, ovvero un
insieme di persone.
Le
persone di cui parliamo sono appunto gli scienziati che aderiscono
comunitariamente a dei “valori” quali la sperimentazione e la conoscenza.
Quindi parliamo di una comunità mondiale di
persone distanti anche migliaia di chilometri che lavorano più o meno con gli
stessi metodi e attitudine, e che a loro volta formano comunità più piccole in
base al ramo scientifico di cui si occupano e che a loro volta si ramificano
ancora in base al campo specifico e così via.
Stiamo
parlando quindi non di un congresso o un parlamento, ma di un concetto astratto
esattamente come può essere quello di “nazione” inteso come insieme di
cittadini e quello di “internet” inteso come insieme di navigatori.
I
membri della comunità scientifica, come quelli di tutte le comunità, dialogano
tra loro.
Al di
là di convegni e seminari, la forma più autorevole di comunicazione avviene
attraverso le riviste scientifiche dove vengono pubblicati articoli riguardanti
nuove scoperte.
Più una rivista è autorevole e più le ricerche
pubblicate sono sicure e valide perché attentamente vagliate.
Attraverso queste pubblicazioni, che
contengono anche dettagliate metodologie di analisi, la comunità scientifica
viene a conoscenza di nuove scoperte, come queste siano avvenute e chi le ha
condotte, in modo da usare queste informazioni per ulteriori ricerche.
Un
metodo che sembra molto sicuro.
La
parola “sembra” è d’obbligo perché per considerare questo sistema di cose
sicuro e per vedere la comunità scientifica come portinaia della Verità, è
necessario trascurare una lunga serie di fatti, dettagli e ragionamenti logici.
Partiamo
con la pubblicazione su riviste scientifiche.
Questa
avviene attraverso la cosiddetta” peer review” (revisione paritaria) ovvero la
validazione di un lavoro scientifico da parte di ricercatori che lavorano nello
stesso ambito.
Passata
questa revisione, l’articolo viene pubblicato e diventa letteratura
scientifica.
Questo
processo viene spesso fatto passare come una validazione di una ricerca da
parte della comunità scientifica, convogliando l’autorevolezza di milioni di
addetti ai lavori a ciò che viene pubblicato, però la cosiddetta comunità
scientifica non è per nulla coinvolta nella pubblicazione degli articoli ma
solo chi è interpellato a validarli dall’editore scientifico.
Il
resto della comunità può leggere e, nel caso, confutare quella ricerca, ma di
questa enorme massa di scienziati quanti, effettivamente, leggono nel dettaglio
quella ricerca, vogliono testarla e hanno, allo stesso tempo, capacità e
strumenti per farlo?
Stiamo
parlando di un ago nel pagliaio.
La
maggior parte della letteratura scientifica quindi dipende dalla revisione di
pochi scienziati che si basano su altra letteratura revisionata allo stesso
modo.
Non
c’è nessuna “comunità scientifica” intesa come un insieme di migliaia se non
milioni di scienziati che attivamente ne controlli e garantisca la validità.
La
presunta pluralità di questa immensa comunità che dovrebbe difendere la
validità delle ricerche dall’errore o malafede di pochi è di fatto inesistente.
Come
riportato anche in un precedente articolo, la “rivista scientifica Nature” ha condotto una ricerca statistica
coinvolgendo 1500 scienziati per comprendere quanto i risultati pubblicati
sulle riviste scientifiche siano riproducibili.
“Nature” ha scoperto che gli scienziati
interpellati non hanno ottenuto gli stessi risultati di ricerche altrui nel 70%
dei casi e il 50% di loro non ha ottenuto gli stessi risultati nemmeno cercando
di riprodurre le proprie ricerche.
John
P. A. Ioannidis (medico-scienziato che ha contribuito alla letteratura in medicina,
epidemiologia e salute pubblica, scienza dei dati e ricerca clinica) ha
pubblicato un articolo nel 2005 sul “Public Library of Science” con l’eloquente
titolo “Perché
la maggior parte dei risultati di ricerca pubblicati sono falsi”.
Sempre
nello stesso anno “Ioannidis” ha analizzato 49 dei risultati di ricerca più
apprezzati in medicina negli ultimi 13 anni scoprendo che, in analisi
successive con campioni di analisi più ampi, solo il 44% di quei risultati è stato
replicato, il restante risultava contraddetto o presentava effetti minori.
Nel
2014 ha pubblicato un’altra ricerca che affronta come poter ottenere più
pubblicazioni veritiere.
Nelle premesse si stima che l’85% delle
risorse di ricerca siano sprecate e si mette in luce il rischio di alti
tassi di falsi positivi delle ricerche imputando il problema a una serie di fattori
tra i quali ci sono i pregiudizi, i conflitti di interesse e mancanza di
collaborazione.
Non
c’è da stupirsi che il capo editore della rivista scientifica Lancet (una delle
più autorevoli) abbia dichiarato che:
“…gran
parte della letteratura scientifica, forse la metà, può semplicemente essere
falsa.
Tormentata
da studi effettuati con campioni di piccole dimensioni, risultati infimi,
analisi esplorative non valide e palesi conflitti d’interesse, aggiunti
all’ossessione di seguire tendenze alla moda di dubbia importanza, la scienza
ha preso una svolta verso l’oscurità.”
Considerando
tutto questo e che ogni ramo della scienza è sempre più sottile e dedicato, il cosiddetto dibattito scientifico
su una data ricerca riguarda in realtà un numero limitatissimo di scienziati e
non è impermeabile a tutto un cosmo di realtà che sta attorno a quel dibattito.
Consideriamo
per esempio il segreto industriale e quanto un brevetto, un marchio o un
copyright possano impedire un dibattito aperto su una scoperta scientifica.
Consideriamo
la pressione lobbistica delle case farmaceutiche:
è impensabile credere che la ricerca in questo campo
sia esente da corruzione o altre pratiche illecite soprattutto quando consideriamo
che parliamo di aziende con indotti da capogiro.
La
questione lobbistica di solito viene banalizzata e ridicolizzata affermando che
non esiste nessuno in grado di corrompere TUTTA la comunità scientifica, cioè
ogni singolo scienziato ovunque nel mondo.
Ma
questa obiezione è ridicola.
In tutti i settori dello scibile umano esiste
una compartimentazione delle mansioni e delle responsabilità che permette di
far accadere cose toccando solo i giusti ingranaggi, senza bisogno di avere
sotto controllo tutta la macchina.
Ma
sembra veramente ridicolo in questo momento storico, dopo gli infiniti esempi
offertici in tutti i settori, dalla politica all’economia, dover ancora
analizzare un aspetto talmente banale ed ovvio.
Nessun
settore importante dal punto di vista politico o economico è esente dalla
creazione di potentati più o meno oligarchici che tentano di far prevalere la
loro volontà.
La
Pfizer e la Johnson&Johnson, ad esempio, due colossi del settore
farmaceutico, fatturano rispettivamente 52 e 76 miliardi di dollari all’anno.
In nessun campo imprenditoriale si esclude la
possibilità che grandi aziende facciano cartello, manipolino dati o facciano
pressioni di tipo lobbistico, anzi, la cronaca è piena di esempi ed è noto che
accada.
Quando
però si parla di scienza, improvvisamente un paraocchi viene calato sul volto e
tutto cambia, al punto che ad esempio l’espressione “Big Pharma” è considerata
complottismo da due soldi.
Eppure
ci sono addetti ai lavori come B. Saraceno (Psichiatra, per più di 10 anni
Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Abuso di Sostanze della
Organizzazione Mondiale della Salute) che non solo usano giustamente quel
termine ma lo usano per denunciare, ad esempio, nel suo libro “Sulla povertà
della psichiatria”, che la spesa per il marketing di Big Pharma negli Stati
Uniti dal 1996 al 2005 è cresciuta da 11,4 a 29,9 miliardi di dollari e la
spesa di pubblicità diretta al consumatore, nello stesso periodo, è cresciuta
del 330%.
Riprendendo
le due aziende citate poco sopra, la Johnson&Johnson nel 2013 ha speso 17.5
miliardi di dollari nel marketing contro gli 8.2 in ricerca e sviluppo di nuove
molecole;
la
Pfizer a fronte di 11.4 miliardi di dollari spesi nel marketing ne ha spesi 4.8
di meno per la ricerca.
Pensare
che con cifre di questo calibro in ballo le aziende interessate possano fare
dei responsabili passi indietro quando trovano muri politici, etici o
scientifici è semplicemente imbarazzante.
Le
attività di corruzione e lobbismo sono infinite.
Recentemente
in Grecia “la Novartis” avrebbe pagato tangenti (le carte dell’FBI parlano di
50 milioni) per far aumentare i prezzi dei propri farmaci sul mercato ellenico
e per farli acquistare dal servizio sanitario nazionale per gli ospedali
pubblici.
Uno
scandalo che coinvolge numerosi nomi della politica.
La
casa farmaceutica Glaxo sta collezionando accuse di corruzione in giro per il
mondo, senza tregua.
In
Polonia il manager regionale della Glaxo Smith Kline e 11 dottori sono sotto
indagine per un presunto giro di mazzette versato ai camici bianchi in cambio
della prescrizione del farmaco antiasmatico “Seretide”.
Pfizer
nel 2009 ha patteggiato una multa da 2,3 miliardi di dollari negli USA: aveva
pagato tangenti ai medici per prescrivere quattro farmaci tra i quali
l’antiinfiammatorio “Bextra”, ritirato dal mercato nel 2005 a causa di
incertezze sulla sua sicurezza.
Eppure
anche nel nostro “piccolo” in Italia, per fare qualche esempio, abbiamo visto
la Glaxo pagare una tangente all’allora ministro (e medico) De Lorenzo affinché
un vaccino diventasse obbligatorio, ma si potrebbe anche citare l’orrenda
storia di “Duilio Poggiolini” che negli stessi anni prendeva tangenti dalla
case farmaceutiche per inserire i loro prodotti nei prontuari, lo stesso “Poggiolini
“che è collegato anche con lo scandalo degli emoderivati infetti messi in
commercio, tra le altre, da Bayer e Baxter:
queste compagnie erano al corrente che gli
emoderivati in loro possesso erano infetti ma anziché distruggerli e perdere
quattrini hanno semplicemente continuato a venderli all’estero.
Secondo alcune stime, in Italia i decessi per
infezione da emoderivati sono, al 2009, circa 2.600 mentre sono più di 66 mila
le richieste di indennizzo da parte di pazienti per danni subiti.
Ma, ma
si potrebbe andare avanti per ore.
Ridere
e scherzare sul termine “Big Pharma” davanti a tutto questo più che ingenuo e
idiota è quasi criminale.
Basti
pensare che, senza scomodare atti di puro lobbismo e corruzione, persino il
numero e la qualità delle ricerche seguono naturalmente i soldi:
gli
ambiti di ricerca che possono portare a scoperte interessanti per i mercati
pullulano di ricercatori mentre gli altri ambiti vanno sempre più deserti.
La
ricerca indipendente è semplicemente strozzata, la stragrande maggioranza delle
ricerche è finanziata da aziende private e questo è un grosso problema, sia per
quanto riguarda l’attendibilità dei risultati, sia perché la ricerca è
indirizzata ad ottenere risultati spendibili sul mercato, non socialmente
utili.
Ad esempio la spinta può essere verso ricerche
che portino a nuovi prodotti medici riguardanti patologie che statisticamente
colpiscono pazienti con alto reddito oppure ricerche su temi che possano
distrarre dai potenziali rischi di altri prodotti già in commercio.
Il
CODACONS ha pubblicato la lunghissima lista dei medici italiani e delle
fondazioni, università finanziati dalle case farmaceutiche nel 2015-2017, lista in cui appare sorprendentemente
anche l’”Istituto
Superiore della Sanità”, fatto che l’associazione ritiene “quanto meno inopportuno”
e invita chi di competenza a dare dettagli in merito.
Anche
la dottoressa “Marcia Angell”, ex caporedattrice del “New England Journal of
Medicine”, in un articolo sul” Boston Review” descrive la “sordida storia” di
come i dollari delle multinazionali abbiano corrotto la ricerca e l’istruzione
nei centri medici accademici, incluso il suo attuale posto di lavoro, la “Harvard
Medical School”.
Anche “Arnold
Seymour Relman “(1923-2014), professore di medicina a Harvard e, anche lui, ex
redattore capo dello stesso giornale ha affermato:
“La
professione medica viene comprata dall’industria farmaceutica, non solo in
termini di pratica medica, ma anche in termini di insegnamento e ricerca.
Le istituzioni accademiche stanno diventando
gli agenti pagati dell’industria farmaceutica.
Penso che sia vergognoso”.
Sembra
davvero banale dover argomentare in proposito, ma chi ha frequentato
l’università sa benissimo che persino in quell’ambito, quando ancora non ci
sono soldi né carriere in ballo, esistono pressioni che non permettono di
trattare certi temi per la propria tesi in completa libertà.
Se
questo avviene in un ambiente “protetto” che è addirittura precedente a quello
del lavoro…
Oltre
a questo, laboratori e istituzioni di ricerca hanno forma gerarchica e i
presunti risultati oggettivi a cui dovrebbe arrivare la scienza lasciano il
passo a meccanismi come nepotismo, autoritarismo e catena di montaggio in cui
le ricerche e le intuizioni del singolo, assieme alla loro possibile validità e
scientifica e utilità sociale, contano sempre meno.
Non
dimentichiamoci ad esempio di come siano stati trattati alcuni scienziati e
medici solo per aver suggerito una maggiore farmacovigilanza nel settore vaccini
o perché, sempre nell’ambito dei vaccini, semplicemente hanno rammentato di
tenere presente anche i rischi correlati oltre ai benefici.
Alcuni, solo per queste posizioni
precauzionali, sono stati radiati, cosa che non è successa a medici che hanno
leso volontariamente la salute dei loro pazienti.
Successivamente
la radiazione viene usata come elemento di prova della non-genuinità delle
affermazioni del radiato da parte di tutta la comunità scientifica e
dell’opinione pubblica, un meccanismo molto poco scientifico.
È
evidente che in alcuni ambiti la libertà di dissenso che dovrebbe stare alla
base del cosiddetto “dibattito scientifico” e che dovrebbe garantire la genuinità delle scoperte
scientifiche, semplicemente
sparisce dietro l’ombra colossale del dogmatismo, prezzolato o no che sia.
Quando
si parla di scienza, sia che lo faccia uno scienziato che un non addetto ai
lavori, si ha sempre l’idea di parlare di qualcosa di super partes che non ha a
che fare con la fallibilità umana, col conflitto di interessi, con l’economia,
con l’egemonia, con il capitalismo, con l’utilitarismo, con il produttivismo, ecc.
Questo
è il grande errore:
inglobare in un metodo di indagine (quello
scientifico, considerato puro e sempre tendente alla verità senza pregiudizi)
tutto quello che ha che fare con quel metodo, anche se dipende o genera o
riguarda ambiti molto più complessi e diversificati che non hanno più niente a
che fare direttamente con quel metodo, implicando premesse e conseguenze del
tutto diverse.
È come
se pensassimo che in uno stato fondato sull’ideale della democrazia (intesa
come potere decisionale del popolo), automaticamente tutto quello che uscisse
dal parlamento (qualunque legge, decreto, scelta politica, lavoro pubblico,
ecc.), fosse per forza di cose espressione della volontà popolare.
È
chiaro che questo è di fatto un ragionamento molto ingenuo e non realistico.
Eppure per la scienza funziona così.
È come
se pensassimo che, siccome il sistema giuridico si basa sul concetto de “la
legge è uguale per tutti”, allora conseguentemente la magistratura e tutto il
sistema giuridico siano esenti da corruzione, errori, impedimenti, pressioni di
potere, ecc.
Sarebbe
ridicolo pensare questo.
Ecco
invece molti scienziati e molte persone credono che questa fantomatica
“comunità scientifica” abbia le stesse mirabolanti peculiarità del parlamento e
della magistratura descritte nei ridicoli esempi di poco sopra in cui queste
entità sono esenti da qualsiasi contaminazione per il solo fatto che alla base
ci siano principi corretti.
Scienza,
politica e magistratura non sono affatto diversi:
così
come, ad esempio, dei parlamenti hanno varato leggi razziste, così i tribunali
le hanno applicate e la comunità scientifica dell’epoca ha avvallato
scientificamente quell’idea aberrante e criminale.
La
cosiddetta comunità scientifica è solo un concetto astratto e non è garante di
alcuna verità scientifica.
Mai
questa ha fatto muro contro decisioni dei vari potentati (se non a posteriori e
molto raramente), anzi, di solito la scienza e la sua comunità sono espressione
delle dinamiche economiche, capitaliste, industriali, produttiviste, politiche
e militari;
ne
hanno sempre sostenuto le decisioni e a loro volta ne sono state espressione.
(E
così si manda all’aria l’intero mondo esistente utilizzando notizie
scientifiche totalmente false. Nessuno si oppone: sono stati tutti corrotti! N.D.R.)
(Mason
Massy James)
(ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4204808/)
E se
il “Climate Change”
fosse
un grande inganno?
Milanocittastato.it
– La Fenice – (30/09/2022) – Redazione- ci dice:
Il
grande tema che sta occupando l’agenda della politica internazionale è il
climate change.
Nel
recente passato il “tema ambientale” era quello della lotta al surriscaldamento
globale, la cosiddetta AGW, “Agenda Global Warning”.
Ricordate quando Al Gore nel 2000 diceva che
entro il 2020 non avremmo più visto la neve?
Ma il
surriscaldamento globale, disattese tutte le profezie, invece di trasformare il
pianeta si è trasformato in “Climate Change”.
Si
tratta di una mossa sensata perché ora qualunque variazione climatica, non più
solo quella verso il caldo, può confermare la premessa.
Per
mancanza di riscaldamento hanno ridefinito il movimento con la verità
innegabile che il clima cambia:
qualunque cambiamento del clima, anche quelli
ciclici e continui, in questo modo può essere imputato all’eccesso di anidride
carbonica nell’atmosfera.
Oggetto
della campagna è la riduzione delle emissioni perché i nomi cambiano ma quello
che resta sempre costante è la causa nefasta delle attività umane.
In
particolare l’emissione dei combustibili fossili.
Però
c’è qualcosa che non torna.
Anche
se fosse la CO₂ la causa del cambiamento climatico, bisogna considerare che è di derivazione antropica meno dell’1%
della CO₂ rilasciata in atmosfera.
Anche
se spegnessimo ogni motore endotermico sul pianeta, il 99% della produzione
rimarrebbe invariata.
Il
punto chiave di questa politica è la transizione ecologica.
Questo
martellamento mediatico, anche attraverso una testimonial di facile presa sul
pubblico più suggestionabile, risponde al tentativo di coprire un problema
reale, che è la scarsità di combustibili fossili, trasformandolo in una dimensione
etica, quella di salvare il pianeta.
Senza
dire chiaramente che il salvataggio del pianeta costerebbe centinaia di milioni
di posti di lavoro, una riduzione colossale della ricchezza e il collasso della
globalizzazione come la conosciamo oggi.
La
verità è che il clima sta veramente cambiando ma per dinamiche autonome
rispetto all’attività dell’uomo.
Ma se
si traveste un problema reale con qualcosa di fasullo si rischia di innescare
nuovi problemi senza riuscire a inquadrare il problema di fondo che
consentirebbe invece di apportare le modalità ottimale per intervenire.
Una
storia che stiamo vedendo purtroppo anche in un’altra emergenza.
L’impatto
ecologico della
deriva
bellica globale.
Indipendente.online.it
– (27 LUGLIO 2023) – Simone Valeri – ci dice:
In
fatto di impatto ambientale, i media hanno da sempre puntato il dito
esclusivamente contro la produzione industriale e agricola, il settore dei
trasporti e, in generale, le conseguenze ecologiche del comparto civile
globale.
Di rado ad essere incriminato è stato invece
il settore militare, il quale non è mai stato considerato nemmeno dai
protocolli o dalle conferenze internazionali finalizzati proprio a migliorare
l’impatto del modello socioeconomico capitalista sull’ecosfera.
Questo
significa quindi che le attività militari hanno degli effetti trascurabili?
Ebbene,
tutt’altro.
Il
settore militare ha impatti devastanti sull’ambiente, sia per quanto concerne
l’inquinamento diretto sia per le emissioni in atmosfera.
Fattori
tra l’altro noti da decenni, ma a lungo ignorati.
Basti
pensare che, già nel caso delle primissime politiche internazionali adottate
per contrastare i cambiamenti climatici, molti paesi hanno fatto di tutto
affinché le emissioni militari non venissero conteggiate.
È il
caso, ad esempio, del Protocollo di Kyoto del 1997, il primo accordo
transnazionale per la riduzione delle emissioni climalteranti, dal quale gli
Stati Uniti fecero di tutto per far escludere le attività belliche dai conteggi
nazionali delle emissioni.
Di certo, non sarà un caso che l’esercito USA,
da solo, consuma più combustibili fossili della maggior parte dei Paesi del
mondo.
Che
sia stato tale dato, al tempo ignoto al pubblico, a guidare tale pressione
sulla politica climatica globale?
Ad
ogni modo, l’impatto delle esercitazioni e dei conflitti militari va ben oltre
le emissioni di carbonio.
Dall’inquinamento
alla deforestazione, la deriva bellica globale è costantemente e pesantemente
responsabile di veri e propri ecocidi.
La soluzione?
Secondo
i diretti interessati, qualche tonnellata di biocarburante in più.
La
devastazione ambientale delle forze armate.
Per
comprendere quanto le attività militari possano impattare sull’ambiente,
partiamo dall’attualità.
Da oltre un anno, le immagini della guerra in Ucraina
riempiono le preoccupazioni degli europei.
Un
conflitto raccontato principalmente aggiornando il numero di morti, disquisendo
della tipologia di armi utilizzate e mostrando i danni subiti da infrastrutture
e palazzi.
C’è
tuttavia anche un’altra faccia della medaglia:
per
l’appunto, l’impatto ecologico del conflitto, le cui conseguenze peseranno
sulle future generazioni anche quando la guerra sarà finita.
Elaborando
le informazioni ufficiali, già qualche mese fa è emerso come la guerra alle
porte d’Europa avesse danneggiato circa il 20% delle aree naturali protette
dell’Ucraina e 3 milioni di ettari di foresta.
Altri
450 mila ettari si trovano poi in zone occupate o interessate dai
combattimenti.
Nel
complesso, si hanno incendi, danni agli habitat, inquinamento dell’acqua,
dell’aria e del suolo.
Le
esplosioni, in particolare, rilasciano nell’atmosfera ossidi di zolfo e di
azoto, che possono provocare piogge acide che vanno ad alterare gli equilibri chimici
del suolo.
Inoltre, anche i frammenti metallici delle
granate sono pericolosi per gli ecosistemi:
la ghisa mista ad acciaio è il materiale più
comune per i bossoli delle munizioni e non contiene solo ferro e carbonio, ma
anche zolfo e rame.
Queste sostanze si infiltrano nel terreno e
possono finire nelle acque sotterranee, entrando nelle catene alimentari di
esseri umani e animali.
E se
un conflitto è in un certo senso più scontato che abbia degli effetti negativi
a livello ecologico, non si può dire altrettanto delle esercitazioni militari e
del comparto della difesa.
Ma,
anche in questo caso, non significa che l’impatto ambientale di queste ultime
sia trascurabile. Anzi.
È recente la notizia secondo cui, in Italia,
cinque generali sono stati rinviati a giudizio dal Giudice per le indagini
preliminari di Cagliari con l’accusa di disastro colposo per gli effetti di
anni di esercitazioni militari (NATO e italiane) nel poligono militare di
Teulada.
Al riguardo, la Procura aveva già accertato lo
stato di devastazione della Penisola Delta, una zona di tre chilometri quadrati
dove, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2016, sono stati sparati 860 mila
colpi di addestramento, con 11.875 missili, pari a 556 tonnellate di materiale
bellico.
Ancora
da quantificare è invece l’esatta portata dell’inquinamento del terreno e delle
falde acquifere nell’area interessata dalle esercitazioni, dove sono stati
utilizzati migliaia di missili Milan e, quindi, chili di Torio.
Ad oggi, sebbene sia difficile stabilire un
nesso di causalità, tutto fa pensare che tra le neoplasie oltre la media nella
popolazione residente nei pressi del Poligono e la ‘contaminazione marziale’
una relazione esista eccome.
Se ci
spostiamo Oltreoceano, gli effetti nefasti delle forze armate sull’ambiente
sono poi ancor più evidenti.
Il
Dipartimento della Difesa statunitense, ad esempio, non è lontano dall’essere
uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento nazionale e globale.
Esso
produce più rifiuti pericolosi delle cinque maggiori compagnie chimiche USA
messe assieme:
petrolio,
uranio impoverito, carburante per jet, piombo e pesticidi sono solo alcuni
degli inquinanti rilasciati nell’ambiente dalle esercitazioni militari statunitensi
e non.
Nel
lontano 2014, il “Programma Ambientale del Pentagono” aveva già a che fare con
quasi 40.000 aree contaminate distribuite su oltre 760 mila ettari di terreno
solo negli Stati Uniti.
A
queste ne vanno aggiunte ora molte altre, tra cui quella circostante
l’aeroporto internazionale di Tucson per la quale, nel 2019, sono emerse prove
che sostenevano che l’appaltatore dell’Air Force aveva scaricato, per quasi 30
anni, il solvente industriale” tricloroetilene” nel terreno.
Il
risultato?
Oltre
1.350 residenti nei pressi dell’aerostazione hanno ricevuto una diagnosi di
cancro o di altre patologie legate all’azione negligente del Pentagono.
Includendo poi anche i test nucleari, la
difesa statunitense è anche responsabile del vasto inquinamento radioattivo
dell’Oceano Pacifico.
Caso
emblematico quello delle “Marshall Islands”, isole minori nei pressi delle
quali gli USA hanno sganciato più di 60 armi nucleari tra il 1946 e il 1958 e
dove ancora oggi si assiste ad un’incidenza di tumori particolarmente alta tra
gli abitanti.
L’impatto
militare sul clima.
Guardando
ancora agli Stati Uniti – i quali non a caso hanno il comparto della difesa tra
i più estesi a livello globale – è poi evidente quanto le attività militari
stiano contribuendo anche all’accelerazione del riscaldamento globale.
L’esercito
degli Stati Uniti, come anticipato, consuma da solo più combustibili fossili
della maggior parte dei Paesi del mondo e, di conseguenza, potrebbe essere il
più grande singolo emettitore globale di gas ad effetto serra.
Basti pensare che, dal 2001 a oggi, i militari
USA hanno consumato quasi l’80% della spesa energetica federale.
E,
nell’ultimo biennio, le emissioni militari USA si sono attestate ancora sulle
circa 51 milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica (CO2e)
all’anno, una quantità superiore alle emissioni della maggior parte dei Paesi
del globo.
Nel
2019, ad esempio, un rapporto pubblicato dall’Università di Durham e Lancaster
ha ugualmente affermato che le forze armate statunitensi sono “uno dei maggiori
inquinatori climatici della storia, consumando più combustibili liquidi ed
emettendo più CO2e della maggior parte degli Stati”.
Vale a
dire che se l’esercito statunitense fosse una Nazione, sarebbe il
quarantasettesimo più grande emettitore di gas a effetto serra al mondo.
Ovvero, più di Paesi come la Nuova Zelanda, la
Svezia, la Norvegia, la Finlandia, il Perù, il Marocco e l’Ungheria.
E le
cifre prese in considerazione, va precisato, si riferiscono alle sole emissioni
derivanti dall’uso del carburante.
Nel
complesso, si stima che il comparto militare mondiale generi più del 5% delle
emissioni di gas serra globali.
E le
forze armate italiane?
Guardando
alla sola aviazione, Il Belpaese possiede oltre 500 aerei militari, ognuno dei
quali consuma mediamente tra i 10 e 12 mila litri di combustibile per un’ora di
volo, il che si traduce in una produzione annua di 642 mila tonnellate di
anidride carbonica equivalente.
Ovvero,
cifre paragonabili alle emissioni medie generate da un processo industriale in
un anno.
Va poi menzionato il settore della produzione
di armi, incluso però nel comparto manifatturiero, nel quale l’Italia ama
investire a più non posso.
Per il
2023, la spesa militare italiana è stata di circa 26,5 miliardi di euro, di cui
8,2 miliardi per l’acquisto di nuove armi:
un
aumento del 10% che conferma una tendenza al rialzo consolidata negli ultimi
anni.
Essendo
la produzione di armi uno dei processi più energivori in assoluto, quindi in
grado di rilasciare enormi quantità di gas serra, vien da sé che questo e specie
nello Stivale, sta contribuendo significativamente all’accelerazione del
riscaldamento globale.
La
falsa soluzione del biocarburante.
In
risposta alla crescente attenzione mediatica nei confronti della crisi
ecologica in corso, il mondo marziale ha iniziato a correggere il tiro.
O
meglio, ha iniziato a promettere che la direzione intrapresa sia quella di un
cambio di rotta.
L’Alleanza
atlantica (NATO), ad esempio, sembra abbia dato il via ad una strategia per
ridurre le proprie emissioni con l’obiettivo di azzerarle entro il 2050.
Tuttavia,
la metodologia adottata per il monitoraggio non è mai stata resa nota. Al
riguardo, il segretario della NATO si è limitato a dichiarare che essa
«stabilisce che cosa contare e come, e sarà messa a disposizione di tutti gli
alleati per aiutarli a ridurre le proprie emissioni in ambito militare».
In
sostanza – come ha anche sottolineato” Ellie Kinney” dell’organizzazione “Conflict
and environment observatory” – siamo di fronte all’ennesimo caso di greenwashing:
«Il fatto che tutto avvenga a porte chiuse e che
esperti indipendenti non possano analizzare e studiare la strategia rappresenta
un precedente pericoloso.
La
comunicazione in merito è stata volutamente ambigua – ha aggiunto “Kinney” –
sappiamo solo che l’impegno per raggiungere l’obiettivo zero emissioni si
applica esclusivamente alla NATO intesa come istituzione, ad esempio alle
emissioni dei suoi edifici e a quelle legate alle sue attività quotidiane, ma
non agli apparati militari dei Paesi che aderiscono al ‘Patto atlantico’ e che
sono i primi responsabili della produzione di gas climalteranti.
Inoltre, non sappiamo fino a che punto si
spinge l’impegno della NATO, né come intende raggiungere l’azzeramento”.
Nel
complesso poi, l’unica misura ‘concreta’ su cui il comparto militare si sia mai
veramente esposto è quella relativa alla sostituzione dei combustibili fossili
con biocarburanti.
Ma
anche in questo caso, almeno per due motivi, abbiamo probabilmente a che fare
con una falsa soluzione.
Primo
perché diversi studi hanno già dimostrato l’impatto ambientale collaterale alla
produzione di combustibili vegetali e, secondo, poiché queste misure
interesserebbero sono solo una minima percentuale della quantità di
combustibile consumato ogni anno dalle forze armate.
(Simone
Valeri)
Andy
May: “il riscaldamento globale
dipende
dal sole, ma l’IPCC lo censura.”
Meteoweb.eu
- Valeria Branca – (2 Ago. 2023) – ci dice:
L'esperto
di petrofisica della “Fondazione Clintel”, intervistato dal Professore “Franco
Battaglia”, sottolinea come il riscaldamento globale dipenda dal sole, ma l'IPCC lo abbia censurato
deliberatamente
intervista
del Professor Battaglia al petrofisico Andy May.
In un
articolo del Professore di Chimica fisica e ricercatore Franco Battaglia su “La
Verità” si legge:
“Bisogna
distinguere tra meteo e clima.
Il
meteo attiene a periodi di tempo dell’ordine della settimana e la competenza
principe di riferimento è la fisica dell’atmosfera e degli oceani.
Il clima attiene ai tempi che possono essere
geologici, richiede competenze multidisciplinari e competenza principe è la
geologia.
E Andy May (all’anagrafe John Andrew) è,
appunto, un geologo o più precisamente un petrofisico, con esperienze
professionali condotte in tutti gli angoli del pianeta, dalle Americhe alla
Russia, allo Yemen, al Mare del Nord, all’Indonesia, alla Cina, fino all’Africa
occidentale.
Dal
2016 è in pensione, e da membro della “Fondazione Clintel”, assieme a “Marcel
Crok”, ha censurato la stesura di un rapporto critico al rapporto” AR6”,
l’ultimo dell’IPCC (il Comitato dell’ONU sui cambiamenti climatici)“.
Il
Professore Battaglia nella sua intervista pubblicata su “La Verità” chiede a “John
Andrew”:
“Perdona l’ignoranza, Andy, cosa fa un
petrofisico?”
L’esperto
gli risponde:
“Ho
lavorato come petrofisico per 42 anni, soprattutto nell’industria del petrolio
e del gas.
I petrofisici creano modelli delle proprietà
fisiche delle rocce.
Le
tecniche e l’esperienza che ho con i modelli petrofisici mi aiutano a valutare
i modelli climatici, perché gli algoritmi di modellazione statistica, chimica e
fisica che ho usato per modellare le rocce sono concettualmente simili a quelli
usati per modellare il meteo e il clima“.
Il
Rapporto Clintel sull’analisi AR6 dell’IPCC.
Il
Professore Battaglia chiede ancora all’esperto Andy May:
“Come è nato il “Rapporto Clintel” The frozen views of the IPCC: an
analysis of AR6?”
L’esperto
May risponde:
“Vi
abbiamo lavorato in 13, da sette Paesi diversi; c’è anche un italiano, il
professore “Nicola Scafetta”, che insegna climatologia all’Università Federico
II di Napoli.
Alcuni
del gruppo avevano già esaminato le bozze dell’AR6 e avevano segnalato agli
autori dell’IPCC errori e omissioni.
Quando era diventato ben chiaro che le
segnalazioni, presentate attraverso i canali appropriati, venivano
completamente ignorate, allora abbiamo pensato di scrivere tutte le critiche in
un documento separato, visto che non sembrava avere soddisfazione dall’IPCC“.
Il
Professore Battaglia chiede ancora all’esperto Andy May:
“In
italiano il titolo potrebbe tradursi in “Le idee fisse dell’IPCC sul clima”.
Perché questo titolo?”
L’esperto
di petrofisica risponde:
“Il
primo rapporto dell’IPCC sui cambiamenti climatici, solitamente chiamato “Far”,
fu pubblicato nel 1990.
Era un
ottimo rapporto, appena 400 pagine, un buon compendio dello stato dell’arte
della scienza del clima.
L’IPCC era nato per esplorare la possibile
influenza umana sul clima, e il “Far” concludeva che l’aumento di CO2 potrebbe
sì, influenzare il clima (il condizionale è fondamentale), ma sulla base di
modelli climatici non era in grado di dire se il riscaldamento fino a quel
momento fosse maggiore di quello che si sarebbe verificato naturalmente, cioè
se l’uomo non fosse stato presente sulla Terra.
Senonché
come mostriamo nel nostro capitolo 6, una quantità di ricerche condotte dopo il
1990 dimostra che la prevalenza della variabilità climatica è naturale.
Le oscillazioni naturali delle correnti
oceaniche, scoperte dopo il 1990, sono ben correlate con l’attività solare, il
che suggerisce che è il Sole il principale motore dei cambiamenti climatici.
Orbene, tutte queste ricerche sono state
ignorate dall’IPCC , e di esse non v’è traccia nell’AR6.
Questo
usa le stesse ipotesi e gli stessi metodi di 33 anni fa, ma sorprendentemente,
quasi fosse, appunto, un’idea fissa, conclude che il riscaldamento è dovuto
quasi al 100% all’uomo.”
I
punti di disaccordo tra la “Fondazione Clintel” e l’IPCC.
Il
Professore Battaglia chiede ancora all’esperto Andy May:
“In
cosa Clintel non concorda con l’IPCC?”
L’esperto
di petrofisica risponde al riguardo:
“I punti di disaccordo sono molti. Ho già
detto del sole e della variabilità degli oceani. Un altro punto riguarda i
modelli climatici.
Poiché
sono deboli le prove dirette che sia “la CO2 antropica a controllare il clima”,
l’IPCC si affida a modelli climatici di varia complessità per calcolare
l’impatto della CO2 sulla temperatura media globale.
Alla
fine conclude che al raddoppio della CO2 la temperatura globale aumenta di
almeno 3°C.
Invece noi, utilizzando la stessa ipotesi che
sia la CO2 a controllare il clima, dimostriamo che la sensibilità climatica è
inferiore a 2°C (si veda il nostro capitolo 7).”
Il
Professore Battaglia suggerisce ancora all’esperto May:
“E questo sempre che il clima sia
controllato al 100% dall’attività antropica…”
A tal
proposito, l’esperto May specifica:
“Già. Tutti i modelli prevedono che la media
troposfera equatoriale dovrebbe riscaldarsi molto se fosse la CO2 a guidare il
clima, ma le osservazioni mostrano, in questa ragione, un riscaldamento molto
meno accentuato del previsto.
In
effetti, ogni singolo modello climatico mostra un riscaldamento maggiore di
quello osservato, il che suggerisce che si tratta non solo di modelli
difettosi, ma un difetto nelle ipotesi utilizzate per programmare i modelli.
Inoltre, l’IPCC usa scenari per fare
proiezioni sulla temperatura futura, scenari di emissione e scenari economici,
ma anche gli scenari di emissione sono sbagliati (come mostriamo nel capitolo 9), cosicché una errata sensibilità
climatica e errati scenari di emissione comportano proiezioni economiche
irrealistiche“.
I
disastri meteorologici non stanno peggiorando.
Il
Professore Battaglia si rivolge all’esperto May affermando:
“Infatti, l’IPCC prevede conseguenze
disastrose se continuiamo a usare combustibili fossili“.
L’esperto
May interviene su questo punto, dichiarando:
“Di
questo trattiamo nel capitolo 12 del nostro Rapporto.
Il
fatto è che i disastri meteorologici e climatici non staranno peggiorando, anzi
i costi di questi disastri, i morti, i feriti, e il loro numero stanno in
realtà diminuendo, contrariamente alla previsione dei modelli.
Fondamentalmente
l’”AR6 “non sta facendo alcun servizio alla scienza del clima, ma, di tutta
evidenza, sta spingendo perché si attui un’agenda politica:
la
scelta dei documenti da utilizzare nel rapporto AR6 è parziale e non
rappresentativa.
L’AR6
è un documento pubblicitario per promuovere un prodotto, non un documento
scientifico.”
Il
Professore Battaglia suggerisce una sua riflessione a tal proposito:
“Tra
l’altro è curioso che il cambiamento climatico sia solo in peggio“.
L’esperto
May afferma:
“Questo
è un altro punto interessante.
Oltre
a ribadire e rafforzare le cattive notizie, probabilmente false, contenute nei
rapporti precedenti, l’analisi di Clintel ha anche rilevato che l’IPCC ha
minimizzato o omesso di riportare le buone notizie.
Nel
capitolo 13 esaminiamo la dichiarazione del segretario delle Nazioni Unite Antonio Gueterres:
“Siamo
su un’autostrada verso l’inferno climatico”.
(A
proposito quanto denaro si è beccato Gueterres per propalare le sue false
informazioni? N.D.R.)
Senonché
dai dati disponibili dimostriamo che il rischio di morire a causa del clima e
delle condizioni atmosferiche è diminuito del 99% dal 1920, passando da una
probabilità di morire dell’1,7% nel 1920 ad una probabilità dello 0,018% oggi“.
Le
contraddizioni interne dell’AR6.
Il
Professore Battaglia chiede ancora all’esperto May:
“Oltre
ad errori, vi sono anche contraddizioni interne nell’AR6?”
L’esperto
May risponde: “C’è anche questo.
Per
esempio, il rapporto dell’IPCC afferma che le emissioni antropiche abbiano
contribuito poco alle inondazioni, ma la” Sintesi” per i responsabili politici
afferma il contrario.
Un
altro esempio è che nella “Sintesi” si afferma che il caldo attuale non ha
precedenti negli ultimi 100.000 anni, ma questo non è quello che sta scritto
nel corpo dell’AR6.
Nel
nostro capitolo 11 elenchiamo tutte le contraddizioni interne all’AR6.”
Il
Professore Battaglia chiede infine all’esperto May:
“Hai anche affermato che l’AR6 è il peggiore
di tutti i rapporti dell’IPCC. Perché dici questo?”
L’esperto
May risponde così a questa domanda:
“Dopo
il primo rapporto IPCC, che era di buona qualità, i rapporti successivi sono
diventati sempre più politicizzati e non scientifici.
Già il secondo Rapporto (chiamato Sar) era
stato bollato “il grande inganno sul riscaldamento globale” dall’allora
Presidente dell’Accademia nazionale delle Scienze degli USA “Frederick Seitz”.
E il Quarto Rapporto (AR4) fu nel 2010 oggetto
di indagine del Consiglio inter accademico dell’Onu:
il consiglio addebitava all’IPCC numerosi
errori, pregiudizi e procedure poco trasparenti nella scelta della letteratura
scientifica.
L’AR6
è peggiore dell’AR4 da questo punto di vista.
Non
solo hanno escluso alcuni dei migliori scienziati dal processo dell’IPCC, ma si
sono anche rifiutati di riconoscere anche la sola esistenza del loro lavoro,
ignorandolo in toto senza neanche discuterlo.
Noi
abbiamo scoperto che i lavori esclusi sono solo quelli che contraddicono la
narrazione del cambiamento climatico causato dall’uomo che l’IPCC sta
vendendo“.
Tutti
parlano di cambiamenti climatici.
E sottovalutano il sole.
Ilfoglio.it - UMBERTO MINOPOLI – (26 MAG.
2019) – ci dice:
Il
riscaldamento globale non è solo colpa dell’uomo.
Il
prof. Scafetta ci spiega perché vale la pena osservare l’attività solare
Ma
quali lobby e interessi finanziari, la disputa sul clima è tutta tra scienziati.
Come è cambiata l'energia dal 2000 al 2018?
Non ai ritmi necessari per la transizione
energetica.
Nicola
Scafetta, fisico dell’atmosfera, è uno degli scienziati di cui una certa
vulgata sui cambiamenti climatici postula la non esistenza.
Autore
di oltre 200 pubblicazioni e due libri è uno studioso, tra Stati Uniti e Italia
(è professore associato a Napoli) di sistemi complessi e fisica statistica
applicata alla climatologia.
A differenza di quel che crede chi afferma “l’unanimità della scienza” sui modelli e le ipotesi
previsionali dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) dell’Onu, Scafetta è tra gli studiosi
(migliaia, per la verità) che, in università, centri di ricerca, libri e
riviste scientifiche, discutono i modelli IPCC.
Spesso
opponendo ipotesi, calcoli, conclusioni e modelli che li modificano e
correggono.
Ad
esempio: i modelli IPCC suppongono, nei loro calcoli previsionali, determinate
temperature medie (dell’ultimo secolo in particolare) su cui fondano ipotesi
predittive sul futuro.
Il professor Scafetta, nel 2013, mettendo a
confronto i dati IPCC con quelli delle rilevazioni satellitari e degli studi
sulla ciclicità climatica, è giunto a modelli che correggono,
significativamente, le previsioni IPCC.
La
scienza, tantomeno quella sul clima, non procede per (impossibili) assunzioni
“unanimi”.
Specie
in chiave di futuro e di previsioni.
C’è un
dato accertato, afferma il professore, perché frutto di rilevazioni
scientifiche strumentali:
la
Terra si è riscaldata di circa 0,9 °C dal periodo preindustriale, a partire
cioè dal 1850.
Su
questo non ci piove.
Alcuni modelli, noti come “General Circulation Models”, adottati dall’IPCC, attribuiscono il riscaldamento quasi
esclusivamente all’emissione dei gas serra atmosferici.
Su tali modelli è stata formulata la teoria,
cosiddetta, del “riscaldamento globale antropico”, Anthropogenic Global Warming Teory
(AGWT), la
quale imputa a emissioni in eccesso di CO2, dovute all’uso crescente di
combustibili fossili, la responsabilità del riscaldamento.
È
veramente corretta questa attribuzione?
Fateci caso: la forzante CO2 mal si accorda con le
serie climatiche del passato. Parla il prof. Scafetta, fisico dell’atmosfera.
Il
professor Scafetta ci dice che il problema fisico di questo contributo
antropico è, in realtà, ancora da determinare nella sua effettiva e reale
consistenza.
La disciplina specifica degli studi del
professore riguarda, ad esempio, la relazione tra l’attività del Sole e la
variabilità climatica.
C’è
una stranezza che chiediamo a Scafetta di chiarirci:
come
mai il Sole, il motore del clima, viene nei modelli AGWT trascurato come
possibile forzante del riscaldamento?
In
realtà, precisa il professore, i modelli climatici includono l’attività solare
come uno dei forzanti del sistema climatico ma la minimizzano.
Essi, infatti, considerano solo le variazioni della
luminosità del Sole (la quantità di energia emessa dall’astro ogni secondo).
Invece, il sole può influenzare il clima, e in
modo persino più significativo, attraverso altri forzanti.
Primo
fra tutti: la forza dei suoi campi magnetici (quelli comunemente noti come
cicli delle macchie solari).
Essi
modulano il flusso di raggi cosmici (provenienti anche dallo spazio profondo)
che penetrano l’atmosfera.
E
insieme ad altri possibili forzanti corpuscolari, influiscono, direttamente,
sulla copertura nuvolosa della Terra inducendo cambi climatici.
Si dà
il caso che nessuno sappia, ancora, perfettamente come e quanto abbia inciso
questo fattore magnetico.
Non si
sanno ancora, ad esempio, modellare sufficientemente le nubi (lo faceva notare,
sul Foglio, anche il prof. Franco Prodi).
E inoltre: poco si sa su come sia esattamente
evoluta, negli ultimi secoli, la stessa luminosità solare.
Eppure, i modelli climatici hanno scelto di
minimizzarne, sottostimare l’incidenza nei calcoli. Discutibile.
Soprattutto
perché, insiste Scafetta, tante serie climatiche del passato suggeriscono il
forte contributo solare ai cambiamenti climatici. Perché per la nostra epoca
no?
È,
dunque, ragionevole supporre una possibile sovrastima nei modelli degli effetti
della CO2?
Ovvio,
risponde il professore, che un aumento dei gas serra in atmosfera induca un
riscaldamento.
Ma
non, come si fa credere, in modo semplice e automatico.
La sensibilità climatica a un aumento di CO2 ha
margini di grande incertezza.
Ad
esempio: si
ipotizza, nei modelli AGWT, che un raddoppio di CO2 atmosferica – dai 300 ppm
del 1900 a 600 ppm (oggi siamo a 410 ppm) nelle proiezioni per il futuro a
tassi inalterati – possa indurre un riscaldamento globale tra circa 1 e 5 gradi
centigradi.
Questo
parametro è noto come “sensibilità climatica all’equilibrio”.
Perché
però questo margine di incertezza, questo gap previsionale?
Il
ciclo millenario di attività solare spiega coerentemente il riscaldamento
osservato degli ultimi due secoli.
In
realtà, se escludiamo il contributo solare, osserva Scafetta, i conti rischiano
di non tornare.
E ci
danno proiezioni future di temperature prevedibili assai più basse nel range di
aumento previsto dai modelli.
Tali
da invalidare, aggiungiamo noi, quegli aumenti ipotizzati che inducono a
catastrofismi e cambi irreversibili.
L’imbarazzo
dei modelli, continua Scafetta, emerge da un semplice ragionamento comparativo.
La temperatura media globale, si è detto, è
cresciuta di circa 0,9° C dal 1900 e, simultaneamente, la CO2 è cresciuta da circa 300 ppm a
410 ppm.
Il
sole avrebbe contribuito pochissimo a questo riscaldamento, praticamente, tutto
antropico.
Se
fosse così, però, l’aumento di quasi un grado della temperatura dell’ultimo
secolo (la “sensibilità climatica all’equilibrio”, l’aumento calcolato a ogni
raddoppio della CO2) non potrebbe essere, quantitativamente, attribuito alle
sole forzanti “antropiche”.
La CO2
avrebbe potuto contribuire solo per circa 0,3 °C del riscaldamento (0,9 gradi)
osservato dal 1900.
Dov’è
il resto?
Un’autentica
falla nei modelli climatici “antropici”.
Forte è il sospetto che i valori della
“sensibilità climatica” alla CO2, nei modelli AGWT, siano troppo alti.
E che
altri effetti, quelli solari in primis, siano sottostimati.
Questo
sospetto, del resto, è ampiamente suffragato dallo studio delle serie
climatiche del passato.
Tutti
i cosiddetti ottimi climatici (quello medioevale di 1.000 anni fa, il periodo
romano di 2.000 anni fa, l’Ottimo dell’Olocene tra 9.000 e 6.000 anni fa) si
sono ripetuti all’incirca ogni millennio.
Tutti
sono stati, probabilmente, più caldi del presente ma con un valore della CO2
assai più basso del presente (meno di 300 ppm contro i 410 ppm attuali).
La forzante CO2, insomma, mal si accorda con le serie
climatiche del passato.
Curiosamente,
invece, la forzante climatica solare si accorda, perfettamente.
Insomma, l’AGWT non spiega i periodi caldi
del passato.
Ma non
spiega, correttamente, sottolinea Scafetta neppure il presente.
Pochi
fanno caso alle serie climatiche.
Ad
esempio:
nel
secolo del “riscaldamento”, dal 1850 ad oggi, l’andamento del rapporto tra
curva della CO2 (aumento costante) e curva delle temperature non è stato, ci
informa il professore, “monotonico”.
Ma
frastagliato.
A differenza della CO2, la temperatura ha
registrato serie, periodi e cicli diversi: anni di riscaldamento (1850-1880,
1910-1940, 1970-2000), alternati a periodi di raffreddamento (1880-1910,
1940-1970) e una quasi stabilità dal 2000 ad oggi.
Sì,
avete letto bene:
sono
circa 20 anni che, senza cadute nelle emissioni di CO2, le temperature medie
risultano stabili.
L’avreste
detto?
I
modelli AGWT supponevano, invece, un riscaldamento notevole di circa 0,2° C per
decennio (0,4 gradi nell’ultimo ventennio) che non ci sono stati.
Occorre
cautela, insomma, quando si afferma che la “scienza ha validato i modelli del riscaldamento
antropico”.
In
realtà, molto del riscaldamento osservato dal 1850 richiede, ancora, studio e
chiarimenti.
Del resto, solo dal 1978 che disponiamo delle
stime satellitari della temperatura. Ebbene, molte di tali stime mostrano trend
di riscaldamento più “modesti” di quelli esibiti nei modelli climatici.
Al professor Scafetta chiediamo di chiudere
tornando al Sole.
La
fisica solare, il rapporto tra cicli di attività della stella (11 anni quelli
delle macchie solari, 22 quelli del campo magnetico) e il clima terrestre, è un
filone di ricerca astrofisica agli albori.
Il sistema climatico più sensibile
all’attività solare sembrerebbe quello delle oscillazioni oceaniche, il grande
regolatore del clima terrestre.
Si
tratta, per il rapporto tra clima e Sole, di una fisica complessa:
correlazioni
di oscillazioni, sincronizzazioni e moti planetari di rivoluzione alla scala
dell’intero sistema solare.
Il
dibattito scientifico sul clima ne verrebbe, completamente, rivoltato.
Già
oggi disponiamo, però, suggerisce il professore, di una conoscenza approfondita
dell’attività ciclica del Sole (periodi e sotto periodi di massima e minima
attività) che, applicati alla storia del clima, fornirebbero indizi e
spiegazioni utili, soprattutto, per congetture e previsioni.
Specie per il riscaldamento che ci riguarda,
quello osservato dal 1900.
Noi siamo dentro, spiega il professore, un ciclo
millenario dell’attività del sole, fatto di vari sotto periodi e cicli
determinati di durata, che raggiungerà la conclusione nel 2100.
Come
si è già accennato sovrapponendo ciò che sappiamo dei cicli solari e dei loro
vari andamenti temporali con la storia del clima dell’ultimo millennio,
otteniamo una quasi perfetta aderenza tra cicli del sole e l’alternarsi di
cambi climatici (periodi caldi e freddi) registrati nel millennio.
Il
ciclo millenario di attività solare spiega coerentemente il riscaldamento
osservato degli ultimi due secoli.
Il ciclo si apre con la fine della Piccola Era
Glaciale (1400-1800) con il periodo più freddo (il grande minimo solare di
Maunder, del 17mo secolo), quando pochissime macchie solari sono state
osservate per più di 50 anni.
La
nostra epoca di riscaldamento inizia, di fatto, con la fine dell’ultimo grande
minimo solare, detto di Dalton (1790-1830).
Da
allora l’attività solare è andata generalmente crescendo e questo coincide con
il riscaldamento del clima dal 1850-1900 a oggi.
Cicli
invece più brevi di attività solare e le oscillazioni oceaniche spiegano le
modulazioni decennali del clima che i modelli, come abbiamo visto, non riescono
a riprodurre.
Ad
esempio, un ciclo di 60 anni, tra quelli che distinguono l’attività solare – la
scienza solare calcola cicli di 2.500, 1.200, 250, 100, 60 e 50 anni circa –
coincidente con l’anomalia termica dell’oceano Atlantico, conosciuta come “l’Atlantic
Multidecadal Oscillation”, deve avere contribuito notevolmente al forte
riscaldamento osservato dal 1970 al 2000, un riscaldamento che i modelli
climatici attribuiscono, invece, solo all’uomo.
Insomma,
conclude il professore, capire le oscillazioni climatiche e la loro correlazione con
i cicli solari è fondamentale per interpretare correttamente i cambiamenti
climatici.
Bill
Gates e il progetto di "oscurare"
il
Sole per frenare il riscaldamento
globale:
come funziona il sistema.
Virgilio.it
– (5 luglio 2023) - Marco Vitaloni – ci dice:
Bill
Gates è tra i finanziatori di un progetto di ricerca per frenare il
riscaldamento globale attraverso la riduzione delle radiazioni solari.
“Oscurare”
il sole, rendere la luce solare meno forte in modo da aiutare la Terra nel
ridurre il riscaldamento globale.
Un progetto molto ambizioso, al quale alcuni
scienziati stanno lavorando da oltre dieci anni, e che vede tra i massimi
finanziatori Bill Gates.
L’idea
è finita anche alla Casa Bianca, che ha stilato un rapporto con l’obiettivo di
valutarne benefici e svantaggi.
Vediamo
di cosa si tratta.
Come
funziona il sistema per oscurare il Sole
Il
rapporto della Casa Bianca
Il
progetto finanziato da Bill Gates.
Combattere
i cambiamenti climatici raffreddando la Terra grazie alla modifica delle
radiazioni solari.
Si
tratta di una soluzione di cui si discute da diversi anni, anche perché in
teoria potrebbe portare risultati concreti nel giro di pochi anni.
L’obiettivo
è quello di “oscurare il sole”:
detto
in poche parole, il progetto prevede di alterare la composizione dell’atmosfera
terrestre in maniera da renderla più riflettente, rispedendo indietro parte dei
raggi solari.
Con
una luce solare meno forte si avrebbe una temperatura al suolo più fresca.
(Tre
regioni italiane ad alto rischio ambientale e climatico:
Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna finiscono
nella top ten europea.)
Nel
concreto il sistema funzionerebbe con la creazione di nuvole artificiali nella
stratosfera, il secondo dei cinque strati dell’atmosfera terrestre, che inizia
a 15 chilometri dal suolo.
l’ipotesi
prevede di usare un mix di acqua, gesso e particelle di zolfo da spruzzare in
alta quota con dei palloni aerostatici attraverso una tecnica chiamata
“Stratospheric Aerosol Injection” (Iniezione di aerosol stratosferico).
Il
rapporto della Casa Bianca.
Questo
ambizioso progetto, che vede la partecipazione attiva di Bill Gates, è arrivato
ora alla Casa Bianca.
Secondo
quanto riporta Politico, il 30 giugno scorso l’amministrazione Biden ha stilato
un rapporto con l’obiettivo di valutare vantaggi e svantaggi di questa
operazione.
Bill
Gates e il progetto di "oscurare" il Sole per frenare il
riscaldamento globale: come funziona il sistema.
Bill Gates è tra i finanziatori del progetto
di ricerca sull’aerosol stratosferico.
Si
tratta di una prima valutazione, molto cauta, da parte del governo
statunitense. Nel documento si evidenzia che le pratiche di modifica della radiazione
solare offrono la “possibilità di raffreddare il pianeta in modo significativo
su una scala temporale di pochi anni“.
E che
servirebbe un programma di ricerca sulle “implicazioni scientifiche e sociali”
che consentirebbe “decisioni più informate sui potenziali rischi e benefici”.
A partire dai possibili effetti collaterali
indesiderati prodotti dall’alterazione chimica dell’atmosfera.
Cambiamenti
climatici, "Siamo vicini al punto di non ritorno". Intervista al
colonnello Giuliacci.
Al
momento però “non ci sono piani in corso per istituire un programma di ricerca
completo”.
Politico
sottolinea che di questo progetto si sta discutendo anche nell’Unione Europea.
Il
progetto finanziato da Bill Gates
A
questa possibile soluzione al riscaldamento globale sta lavorando anche Bill
Gates.
Il
fondatore di Microsoft, uno degli uomini più ricchi al mondo, risulta infatti
tra i finanziatori, a partire dal 2017, di un progetto di ricerca coordinato
dall’Università di Harvard.
Nel
2021 si sarebbe dovuto svolgere un primo studio pilota nel New Mexico, un
esperimento noto come “Stratospheric Controlled Perturbation Experiment”
(SCoPEx), ma che è stato poi annullato.
A che
punto siamo
del
cambiamento climatico.
Ilfattoquotidiano.it
– (5 giugno 2023) – Ugo Bardi – ci dice:
Di
ambiente e clima si parla abbastanza poco sui media, a parte momenti
particolari come nel caso delle polemiche che hanno seguito l’alluvione in
Emilia-Romagna.
Tuttavia,
su scale di tempo più lunghe, vediamo che la preoccupazione per il cambiamento
climatico si sta gradualmente diffondendo.
Gli
ultimi dati dell’Eurobarometro (li trovate a questo link) indicano che il 12%
degli europei mettono il cambiamento climatico fra le loro preoccupazioni
principali, con l’Italia esattamente nella media.
Non è
così poco come sembra: 10 anni fa, solo il 6% dei cittadini europei dava questa
risposta, e in Italia il 4%.
Anche
rispetto ai tempi pre-covid (ormai remoti) quest’anno abbiamo guadagnato un
paio di “punti-preoccupazione” in più.
La
reazione alla percezione di un problema grave può essere semplicemente di
negare che esiste, oppure anche di esagerarlo.
È
successo per l’alluvione in Emilia-Romagna, dove per alcuni è ovvio che è stata
colpa dei cambiamenti climatici mentre, per altri, è stata tutta colpa dei
Verdi, o magari delle nutrie.
Più in generale, sembra chiaro che l’aumento
dei preoccupati stia andando in parallelo con quello degli scettici.
Questi
ultimi sono molto attivi nella discussione, sia pure a un livello parecchio
superficiale con varie accuse di complotti dei poteri forti e ragionamenti su
cose tipo le Alpi senza ghiaccio nel Medio Evo, e perché non si considera
l’effetto del sole, e poi oggi sta piovendo, e allora?
Dall’altra parte, peraltro, non è che la
reazione sia molto migliore.
“L’Ipcc dice così, quindi è vero” o, peggio, è
arrivata la proposta di proibire per legge il “negazionismo climatico”.
Ma
invece di lanciarsi a parlare di complotti o invocare censure, non sarebbe il
caso di cercare di capire meglio di cosa stiamo parlando?
La
scienza del clima non l’ha inventata il WEF in combutta con i Rettiliani,
mentre i modelli climatici sono ben altra cosa in confronto alle due curve
disegnate a mano che sono state usate come scusa per chiuderci in casa al tempo
della pandemia.
La scienza del clima ha più di cento anni di
storia di studio di un argomento difficile e complesso ed è oggi uno dei campi
di studio più attivi e più fecondi della scienza moderna.
Ci ha fornito un quadro grandioso e
affascinante del comportamento del clima terrestre su un arco di tempo di
centinaia di milioni di anni e anche di più.
Ci permette di interpretare come la biosfera
abbia potuto sopravvivere per tutto questo tempo e di capire come fasi di
instabilità climatica abbiano portato alle grandi estinzioni di massa.
Quella
dei dinosauri, 66 milioni di anni fa, è stata solo una delle tante e nemmeno la
più grande.
Niente
della scienza del clima è al di là della critica.
Anzi,
senza critica non c’è progresso.
Così,
manteniamo pure un sano scetticismo, evitiamo però le polemiche distruttive che
servono solo a demonizzare, non a costruire.
Se prendiamo questo atteggiamento, vediamo che
il cambiamento climatico non è qualcosa che i modelli prevedono per un futuro
più o meno remoto.
Sta avvenendo qui e ora: lo possiamo vedere e
lo possiamo misurare.
Siamo
arrivati a una concentrazione di CO2 mai vista da milioni di anni, quando le
temperature erano 4-7 gradi più alte di oggi.
E la
temperatura continua ad aumentare.
Quest’anno, lo sviluppo della condizione
chiamata “El Niño” nell’Oceano Pacifico sta già causando temperature
particolarmente alte, e potrebbe portare il 2023 a battere tutti i record
storici.
Il
cambiamento ci sta già facendo dei grossi danni, per esempio rendendo le nostre
città invivibili in estate se non in ambienti condizionati.
Per non parlare del ritorno delle zanzare,
ormai vittoriose ovunque.
Ma i
danni peggiori li sta facendo la tropicalizzazione del clima, con periodi di
siccità prolungati, alternati a periodi di piogge intense.
Che
queste piogge intense abbiano avuto un ruolo nel disastro in Emilia Romagna è
perlomeno probabile, anche se non è stato certamente il solo fattore in gioco.
Aggiungete
la sparizione della neve in montagna che faceva da riserva d’acqua in estate, e
capite quali sono i problemi che la siccità porta all’agricoltura e perché si
parla di desertificazione in corso per il Sud d’Italia, e forse non solo per il
Sud.
Questi
problemi non possono che peggiorare se continuiamo a comportarci come abbiamo
fatto finora, ovvero ignorando l’impatto delle attività umane sull’ecosfera.
Il CO2
emesso dalla combustione dei fossili è probabilmente il fattore principale che
causa il riscaldamento, ma altri, come la deforestazione e la perdita della
biodiversità hanno il loro peso.
Ma
concludiamo con qualche nota di ottimismo.
La
prima è che la transizione globale verso le rinnovabili sta andando alla
grande. Abbiamo passato il livello di 1000 miliardi di dollari all’anno di
investimenti nella transizione;
continuando
così possiamo ragionevolmente sperare di liberarci dai combustibili fossili in
tempi ragionevoli.
In
più, stiamo vedendo un certo “rinverdimento” del pianeta, quasi certamente
causato dall’effetto fertilizzante del CO2 .
Quindi
sembra che la dea Gaia stia cercando di darci una mano a evitare il peggio. Ma
dobbiamo lavorarci sopra, altrimenti la vecchia signora potrebbe decidere che
non ci sopporta più e farci fare la fine dei dinosauri.
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