La corruzione regna sovrana in un mondo globalizzato.

 

La corruzione regna sovrana in un mondo globalizzato.

 

 

Come proteggersi dall’”Organizzazione

Mondiale della Sanità” profondamente

corrotta e invasiva.

Lifesitenews.com -Tessa Lena – (21 settembre 2023) – ci dice:

(Tessa Fights Robots)

(kcube - kaan baytur/Shutterstock)

Ora è il momento di far sentire la nostra opinione e di dire no al “neofeudalesimo”.

 

LA STORIA IN BREVE.

Nel maggio 2022, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato modifiche ai regolamenti sanitari internazionali, ma il tempo per i singoli paesi di voltarsi indietro e respingerli sta per scadere.

Una serie completamente nuova di emendamenti potenzialmente pericolosi è in lavorazione, l’ultima bozza non è disponibile al pubblico, le bozze disponibili sono nefaste.

Il 20 settembre 2023, l’ONU prevede di adottare una

 “Dichiarazione politica della riunione di alto livello dell’”Assemblea generale delle Nazioni Unite” sulla prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia” che promuove la necessità di spendere ulteriori 30 miliardi ogni anno per “la preparazione alle emergenze sanitarie globali”.

Nel maggio 2024 è prevista l’adozione degli oltre 300 nuovi emendamenti e della Convenzione quadro CA+ dell’OMS (precedentemente nota come “Trattato sulla pandemia”).

Adesso è il momento di far sentire la nostra opinione e di dire no al neofeudalesimo.

(Mercola) – L’Organizzazione Mondiale della Sanità intorno al 2023 si comporta come un cattivo globalista.

Sono una scusa per riciclare denaro e sottomettere persone innocenti a vantaggio e a vantaggio dei più grandi oligarchi.

Si glorificano – ma le parole costano poco e potremmo soffrire – ma non siamo lobotomizzati.

Non abbiamo dimenticato cosa ci ha fatto la loro “guida” negli ultimi tre anni. Siamo più malati, abbiamo meno libertà, meno dignità e qualcuno cerca costantemente di ficcarci uno o dieci aghi nelle braccia.

Che delizia.

​​La Dichiarazione politica sulla pandemia delle Nazioni Unite richiede l’accesso globale ai vaccini e documenti sanitari digitali.

Da parte mia, ricordo ancora come solo tre anni fa la voce su questo video dell'OMS fosse sussurrata e fatta circolare come una teoria del complotto impossibile e impensabile.

Oh, come vola il tempo.

Ecco un'ottima introduzione all'argomento della Dott.ssa Meryl Nass del maggio 2023 che ha tenuto all'”International COVID Summit III”:

 

Quattro piste insidiose.

In questo momento, gli sforzi dell’OMS per truffare le persone del mondo e peggiorare le nostre vite si stanno svolgendo su quattro binari diversi, come documentato da “James Roguski” e “Nass” sui rispettivi “Substacks”  e sul  nuovo  sito dedicato ,  “Porta della Libertà” .

Ecco le quattro tracce a cui è importante prestare attenzione in questo momento, secondo “ James Roguski” :

La “Dichiarazione Politica della Riunione ad alto livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite” sulla prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia.

Le modifiche al Regolamento sanitario internazionale adottate nel maggio 2022 dovranno essere respinte entro la fine di novembre di quest’anno.

La nuova serie di modifiche al Regolamento sanitario internazionale su cui si sta attualmente lavorando dovrebbe essere ufficialmente presentata all'esame come bozza nel gennaio 2024 e adottata nel maggio 2024.

La Convenzione quadro CA+ dell’OMS (precedentemente nota come “Trattato sulla pandemia”):

interrompere la trattativa.

(​​L'illuminazione di Trump sui blocchi COVID viene finalmente messa in luce nell'intervista a Megyn Kelly)

 

“James” sottolinea quattro scadenze che si avvicinano rapidamente:

 

20 settembre 2023   Le Nazioni Unite intendono adottare una “Dichiarazione politica della riunione di alto livello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia”.

1 dicembre 2023   Termine ultimo per RIFIUTARE le modifiche al Regolamento sanitario internazionale adottate il 27 maggio 2022.

Metà gennaio 2024:  scadenza per l’inserimento degli oltre 300 emendamenti al Regolamento sanitario internazionale attualmente in fase di negoziazione segreta.

Maggio 2024:  data prevista per l'adozione degli oltre 300 emendamenti e della Convenzione quadro CA+ dell'OMS (nota anche come "Trattato sulla pandemia").

Uscire dall'OMS

Un modo per risolvere tutti i problemi dell’OMS è uscire dall’OMS.

(“James” fornisce informazioni molto dettagliate su cosa puoi fare. Sembra un buon piano!)

Torniamo ora ai quattro percorsi individuali che l’OMS sta perseguendo per dare una patina di rispettabilità al classico schema di arricchimento avvolto in una narrazione sulla “nostra salute”.

 

"Dichiarazione politica" delle Nazioni Unite.

La “Dichiarazione politica della riunione di alto livello dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite” sulla prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia” è una dichiarazione non vincolante delle Nazioni Unite la cui adozione è prevista per settembre 2023.

Sebbene non vincolante, è stata adottata ma per dare slancio ai programmi nefasti adiacenti e fornire un ulteriore modo per sostenere gli sforzi che si svolgono su altri binari.

La dichiarazione, uhm, dichiara l’urgente necessità di spendere 30 miliardi di dollari per la “salute”.

“Salute” è un eufemismo orwelliano che si riferisce a una redditizia infrastruttura di sorveglianza digitale e che spinge più “vaccini” nelle braccia di ogni uomo, donna e bambino (e probabilmente, se riescono a farla franca, anche nei corpi innocenti di ogni paese). Anche a cane e gatto.

PP29 (pagina 5):

“Accolgono con favore il lancio del Fondo pandemico nel novembre 2022, per rafforzare la preparazione, la risposta e la resilienza nazionale alle emergenze sanitarie nei paesi a basso e medio reddito e ricordano che per finanziare un’efficace preparazione alle emergenze sanitarie nazionali, regionali e globali saranno necessari circa 30 miliardi di dollari all'anno, al di fuori degli attuali livelli di aiuto pubblico allo sviluppo”;

OP2 (pagina 6):

“Garantire l’accesso tempestivo, sostenibile ed equo ai prodotti legati alla pandemia, compresi vaccini, strumenti diagnostici e terapeutici, e invitare l’Organizzazione mondiale della sanità a coordinarlo con i partner pertinenti, garantendo la coerenza con le discussioni in corso dell’organismo di negoziazione intergovernativo e del gruppo di lavoro sulla Modifiche al Regolamento sanitario internazionale (2005) a Ginevra;”

OP32 (pagina 11):

Adottare misure per affrontare l'impatto negativo della cattiva informazione e della disinformazione sulle misure di sanità pubblica, nonché sulla salute fisica e mentale delle persone, e per contrastare l'informazione sbagliata e la disinformazione, in particolare sulle piattaforme dei social media, nel contesto della prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia e promuovere la fiducia nei sistemi sanitari e la fiducia nei vaccini, riconoscendo al tempo stesso che l’impegno efficace delle parti interessate richiede l’accesso a informazioni tempestive e accurate;

OP38 (pagina 12):

Chiedere inoltre il miglioramento dell’immunizzazione di routine, della vaccinazione e delle capacità di sensibilizzazione, anche fornendo informazioni basate sull’evidenza per contrastare l’esitazione vaccinale, ed espandere la copertura vaccinale per prevenire epidemie nonché la diffusione e la ricomparsa di malattie trasmissibili, anche per quanto riguarda i vaccini. malattie prevenibili già eliminate nonché per gli sforzi di eradicazione in corso, come per la poliomielite;

OP39 (pagina 12):

Mobilitare le risorse pubbliche nazionali come principale fonte di finanziamento per la preparazione e la risposta alla prevenzione della pandemia, attraverso la leadership politica, in linea con le capacità nazionali, ed espandere la condivisione delle risorse destinate alla sanità, identificare nuove fonti di entrate e migliorare l’efficienza della gestione delle finanze pubbliche;

 

OP44 (pagina 13):

 

Chiedere inoltre la conclusione nel 2024 dei negoziati dell'organismo di negoziazione intergovernativo a Ginevra, di una convenzione, accordo o altro strumento internazionale ambizioso e giuridicamente vincolante sulla prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia, in vista dell'adozione ai sensi dell'articolo 19 della Convenzione Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, o in base ad altre disposizioni della Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che possano essere ritenute appropriate dall’organo di negoziazione intergovernativo, per rafforzare lo spettro di prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia e invitando tutte le altre iniziative a sostenere questo sforzo centrale , e per la conclusione nel 2024 dei negoziati del Gruppo di lavoro sugli emendamenti ai regolamenti sanitari internazionali (2005), per fornire supporto a tutte le misure sanitarie e connesse alla salute necessarie per prevenire, proteggere, controllare e fornire una risposta sanitaria pubblica alla diffusione internazionale delle malattie.

 ​​(Oliver Anthony ha ragione. L’America è in un declino spaventoso)

 

La dichiarazione è già stata analizzata in grande dettaglio (compresi gli elementi di azione) da “James Roguski”.

 

Modifiche ai regolamenti sanitari internazionali.

I regolamenti sanitari internazionali  furono adottati originariamente nel 1969. Come descritto nel documento “La  Porta della Libertà” , i membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità adottarono una serie di principi denominati  “Regolamenti Sanitari Internazionali” (IHR) nel 1969  per guidare la condotta delle nazioni durante le emergenze sanitarie che colpivano più di un paese. paese, in particolare malaria e vaiolo.

 L'RSI è stato  modificato nel 2005 .

 L’OMS  afferma :

Il “Regolamento sanitario internazionale” (2005) (IHR) fornisce un quadro giuridico generale che definisce i diritti e gli obblighi dei paesi nella gestione di eventi ed emergenze di sanità pubblica che possono potenzialmente oltrepassare i confini.

Ci sono due serie di emendamenti IHR  a cui dobbiamo prestare attenzione. Una serie è stata adottata nel maggio 2022 in occasione della settantacinquesima Assemblea mondiale della sanità (pagine 59-62 del PDF).

 La scadenza entro cui gli Stati Uniti dovranno respingerli è il 1° dicembre 2023.

Un'altra serie di emendamenti è stata presentata da 94 paesi intorno a settembre 2022.

 L'ultima bozza disponibile al pubblico è stata pubblicata nel febbraio 2022, siamo tenuti all'oscuro di come sia la vera bozza più recente.

La bozza finale di tali emendamenti dovrà essere formalmente presentata da un comitato interno intorno a gennaio 2024 per essere adottata nel maggio 2024 (o almeno così sperano).

Diamo un'occhiata più in dettaglio alla trama contorta degli emendamenti.

I regolamenti sanitari internazionali sono giuridicamente vincolanti ma, in origine, il linguaggio dei regolamenti non richiedeva troppo.

Gli Stati membri sono ora tenuti a monitorare la loro situazione epidemiologica e a riferire all’OMS eventuali sviluppi significativi.

Se fatto onestamente e senza eccessi, si potrebbe sostenere che è una cosa sensata.

Come ogni cosa nella vita, però, il diavolo è nei dettagli.

Usiamo una metafora.

L’appartenenza all’OMS e l’essere legalmente vincolati al suo regolamento sono come un matrimonio.

Si potrebbe dire che il matrimonio è una buona cosa.

Sì, potrebbe essere, ma cosa succede se il tuo coniuge è violento?

Allora è evidentemente una brutta cosa.

Lo stesso con l’OMS.

È bello avere un organismo internazionale onesto che aiuta in varie questioni di salute pubblica.

Sì, è bello se è davvero quello che sta succedendo.

Ma se invece di essere un'organizzazione onesta, sono una mafia che gestisce infiniti programmi di riciclaggio di denaro per varie persone benestanti e cerca costantemente di infilare aghi nelle braccia delle persone pur sapendo che i prodotti che stanno cercando di iniettare potrebbero causare danni, allora la storia è tutt'altro che bella.

Allora non è affatto bello.

(In merito parla un uomo norvegese detenuto in un reparto psichiatrico per i post su Facebook contro la narrativa sul COVID)

Quindi, abbiamo continuato a canticchiare, e poi, nel gennaio 2022, gli Stati Uniti hanno presentato una serie di nefasti emendamenti a tredici articoli dell'IHR che, dopo alcune manifestazioni di malcontento e rumore sollevate dagli stati africani e da alcuni altri stati membri, hanno finito per "scomparire". E non andare da nessuna parte.

Invece, nel maggio 2022, sono stati adottati emendamenti più innocui (a cinque articoli).

 Gli emendamenti adottati nel maggio 2022 sono stati presentati solo un paio di giorni prima della loro adozione, nonostante l’obbligo di presentarli con almeno quattro mesi di anticipo.

 Ecco come è andato tutto:

“James Roguski”  ha scritto un'eccellente analisi degli emendamenti adottati nel maggio 2022:

Sintesi:

Australia, Bosnia ed Erzegovina, Colombia, Unione Europea e i suoi Stati membri, Giappone, Monaco, Repubblica di Corea, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e Stati Uniti d'America (illegittimamente?) hanno proposto e adottato (senza quorum?) un serie di modifiche a cinque articoli (55, 59, 61, 62, 63) del “Regolamento sanitario internazionale”.

Bisogna capire che 194 delegati non eletti, irresponsabili e in gran parte sconosciuti hanno in qualche modo ottenuto l’insolita autorità di modificare il diritto internazionale semplicemente accettando di farlo.

 Una volta adottati silenziosamente gli emendamenti proposti, non è necessaria alcuna firma da parte di alcun presidente o primo ministro e non è necessaria alcuna approvazione da parte di alcun organo parlamentare, Congresso o Senato.

Un periodo di 18 mesi di inconsapevolezza, ignoranza e silenzio è tutto ciò che serve affinché gli emendamenti entrino in vigore.

Ai sensi dell'articolo 61 dell'IHR, ogni nazione membro ha l'autorità di RIFIUTARE uno o tutti gli emendamenti, ma deve farlo entro la fine di novembre 2023 [la scadenza formale sembra essere il 1°dicembre 2023].

A meno che non siano respinte prima della fine di novembre 2023, le modifiche all’articolo 59 ridurranno il periodo di tempo per il rifiuto da 18 a 10 mesi e il periodo di tempo per l’entrata in vigore sarà ridotto da 24 a 12 mesi.

Le modifiche all'articolo 62 chiariscono i dettagli in base ai quali è possibile formulare riserve su future modifiche.

Dall'adozione degli emendamenti il ​​27 maggio 2022 (durante la 75a Assemblea Mondiale della Sanità), non è stata ottenuta alcuna firma da parte di alcun Presidente o Primo Ministro e non è stata ottenuta alcuna approvazione da parte del Senato, del Congresso o di alcun Parlamento al fine di "ratificare" ' le modifiche al Regolamento sanitario internazionale.

Tale approvazione NON è necessaria.

( ​​L’attore della SNL “Rob Schneider” afferma di essere stato licenziato dal set cinematografico per lo stato di “jab COVID”, ed elogia “Novak Djokovic”.)

 

Secondo” Roguski”, il fatto che emendamenti giuridicamente vincolanti siano stati adottati senza alcuna pubblicità mainstream o supervisione giuridica nazionale è una situazione disastrosa.

Molti di noi sono d'accordo.

Un’altra serie di emendamenti al RSI sarà adottata nel 2024.

Una nuovissima raccolta di emendamenti sarà adottata nel maggio 2024.

Da “ Door to Freedom” :

Nel corso del 2022 sono stati proposti un totale di 307 emendamenti da 94 paesi membri [intorno a settembre 2022].

Le modifiche proposte sono state rese pubbliche per la prima volta a metà dicembre 2022 e ripubblicate il 6 febbraio 2023.

Gli emendamenti proposti consentirebbero al direttore generale dell'OMS di assumere l'autorità di dirigere l'assistenza sanitaria in tutto il mondo ogni volta che dichiarasse un'"emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale".

 Ne ha già dichiarati tre (per Ebola, COVID-19 e vaiolo delle scimmie) durante i suoi sei anni in carica.

Tra le nuove disposizioni contenute negli emendamenti proposti al RSI figurano le seguenti:

 

Passaporti vaccinali.

La garanzia dei diritti umani è stata cancellata, eliminando le parole “nel pieno rispetto della dignità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone”, presenti nell'attuale versione delle RSI.

La possibilità di imporre determinati trattamenti medici e vietarne altri.

Un requisito per la sorveglianza biologica (come i test PCR) da eseguire su esseri umani e animali alla ricerca di agenti patogeni pandemici.

L'obbligo di monitorare i social media e di consentire la trasmissione solo della narrativa dell'OMS sulla salute pubblica.

La capacità di requisire forniture mediche all’interno di un paese per utilizzarle in un altro.

L’obbligo di condividere sequenze genetiche di agenti patogeni, anche se ciò potrebbe comportare la proliferazione di armi biologiche, che è vietata dai trattati esistenti come la Risoluzione 1540 (2004) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la Convenzione sulle armi biologiche (1972).

Inoltre, l’attuale progetto di RSI non include criteri specifici affinché il direttore generale dell’OMS possa dichiarare un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale (PHEIC).

Una dichiarazione potrebbe essere fatta anche senza il consenso delle nazioni coinvolte.

 E non ci sono disposizioni che rendano i funzionari dell’OMS responsabili delle loro azioni.

 

Altrettanto preoccupante è il fatto che una dichiarazione PHEIC può essere rilasciata solo in caso di potenziale emergenza sanitaria pubblica e che i poteri di emergenza possono essere estesi oltre la fine dell’emergenza.

Gli emendamenti proposti all’IHR sollevano la possibilità di una dittatura sanitaria globale, invocata secondo il capriccio della leadership dell’OMS o il capriccio dei principali finanziatori dell’OMS.

 Perché l’OMS dovrebbe assumere questi poteri, quando la sua performance durante il COVID-19 è stata tutt’altro che eccezionale, è una questione importante.

 

Gli emendamenti proposti saranno presi in considerazione per l’adozione alla 77a Assemblea Mondiale della Sanità durante l’ultima settimana di maggio 2024.

Il dottor Nass” ha recentemente  scritto  che “gli emendamenti proposti dall’OMS aumenteranno le pandemie provocate dall’uomo”.

​​(La California approva tranquillamente un disegno di legge che abroga la legge sulla "disinformazione medica" del COVID)

Ed ecco una panoramica delle 307 proposte di emendamento al Regolamento sanitario internazionale attualmente in fase di negoziazione da parte del Gruppo di lavoro per gli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale di “ James Roguski” :

Almeno 94 paesi membri hanno presentato 307 emendamenti al Regolamento sanitario internazionale in 33 dei 66 articoli, insieme a sei nuovi articoli, oltre a proporre emendamenti a sei dei nove allegati e un nuovo allegato. Non bisogna dimenticare che 100 paesi membri non hanno presentato alcuna proposta di emendamento, il che implicherebbe che non ritenessero necessario alcun cambiamento.

Molte delle persone che hanno esaminato gli emendamenti non sono riuscite a concentrarsi sulle proposte originali di ciascuna nazione, quindi sono giunte alla conclusione che “gli emendamenti” sono un insieme unificato di modifiche, invece di rendersi conto che gli emendamenti sono stati presentati da molti paesi diversi. nazioni e che ci sono ancora molti disaccordi su come procedere.

Ognuna delle tante nazioni e gruppi di nazioni sta tentando di piegare l’OMS alla propria volontà per ottenere vantaggi per sé stessa.

Né l’OMS né il direttore generale hanno presentato alcuna proposta di emendamento.

I dettagli contenuti nel “Rapporto finale del Comitato di revisione dei regolamenti sanitari internazionali” sono chiaramente critici nei confronti di molti dei 307 emendamenti proposti dai 94 paesi membri.

Estratti dal rapporto finale dell'IHRRC sono inclusi nel testo seguente.

Il problema è che non sappiamo cosa contenga l'attuale bozza. Se adottati, i nuovi emendamenti hanno il potenziale per erodere formalmente la già traballante sovranità nazionale e consentire alle persone più ricche del mondo di utilizzare legalmente l’OMS come copertura per le loro crudeli truffe finanziarie che giocano con la vita delle persone come se fossero i bei vecchi tempi feudali.

Tutto da capo. Sono anche solo leggermente entusiasta del neofeudalesimo? NO.

 

“Trattato sulla pandemia”

La quarta traccia è la Convenzione quadro CA+ dell’OMS.

Questo percorso (precedentemente noto come “Trattato sulla pandemia”) è stato avviato nel dicembre 2021.

Si tratta della creazione di un nuovo quadro giuridico internazionale che teoricamente coordinerebbe le attività dei diversi Stati membri ma, in pratica, probabilmente coordinerebbe più schemi di riciclaggio di denaro a nostre spese.

“Roguski” scrive su “ Door to Freedom”:

 

In risposta a quella che è essenzialmente una controversia commerciale internazionale, una sessione speciale dell”’Assemblea Mondiale della Sanità” ha deciso il 1° dicembre 2021 di creare un organismo di negoziazione intergovernativo (INB) per avviare un processo per sviluppare un accordo globale storico ai sensi della “Costituzione del Mondo Organizzazione sanitaria” per rafforzare la prevenzione, la preparazione e la risposta alla pandemia.

 

L'articolo 19 della Costituzione dell'OMS conferisce all'”Assemblea Mondiale della Sanità” il potere di adottare convenzioni o accordi su qualsiasi questione di competenza dell'OMS.

L’INB presenterà i suoi risultati all’esame della 77a Assemblea mondiale della sanità nel maggio 2024.

L’unico strumento istituito ai sensi dell’articolo 19 ad oggi è la Convenzione quadro dell’OMS sul controllo del tabacco.

All’inizio di aprile 2022, l’OMS ha ricevuto un totale di 33.884 commenti pubblici. Oltre il 99% dei commenti ha espresso opposizione all’idea di un “Trattato pandemico”.

Nel settembre 2022, l’OMS ha ricevuto diverse centinaia di video inviati.

La maggior parte dei video inviati da privati ​​esprimeva opposizione all'idea di un "Trattato sulla pandemia".

'L'INB ha tenuto 5 riunioni ufficiali e ha pubblicato una bozza di lavoro , una bozza zero concettuale , una bozza zero e un testo dell'ufficio di presidenza .

 Il controverso "testo di compilazione", che si presume includa circa 200 pagine di testo proposto dai paesi membri, non è stato reso disponibile al pubblico.'

(La “Dichiarazione pandemica delle Nazioni Unite” è solo la punta dell’iceberg della tirannia globale e degli sforzi di spopolamento).

Le bozze esistenti riguardano sempre le stesse cose: sorveglianza, infrastrutture, lotta alla “disinformazione” e vaccini.

Stiamo assistendo a una campagna di livello militare su più fronti, molto tragica ed estremamente corrotta per incatenare e soggiogare le persone del mondo in un modo nuovo (oltre al vecchio modo).

La novità è l’uso della tecnologia digitale per etichettarci, per sorvegliarci, per limitare i nostri movimenti e il nostro accesso a cibi e medicinali “vecchi normali” che funzionano mentre ci impongono varie procedure che possono mutilarci. Che si vergognino.

Che si vergognino.

 

Il precedente dell'influenza suina e la pianificazione a lungo termine.

Ho scritto

 delle strategie di pianificazione nel periodo in cui sono uscite per la prima volta le informazioni sul “Trattato sulla pandemia”:

Il fatto è che l’OMS ha già tentato di risolvere un’enorme crisi sanitaria legata alla vendita di vaccini più di dieci anni fa, ma non ha funzionato.

 La parte relativa alla vendita dei vaccini ha funzionato molto bene perché sono riusciti ad attivare gli accordi di acquisto, ma quella volta la parte relativa allo "spaventare il pubblico" è stata un "flop".

Tutto quello che è successo è stato che la pandemia è stata solennemente dichiarata, i paesi partecipanti all’accordo hanno acquistato lotti relativamente grandi di vaccini scadenti (vedi “fiasco della narcolessia”), e poi tutto è svanito.

Ecco un articolo di Forbes del 2010 che dice:

"Fin dall'inizio le azioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sono andate dal dubbio al palesemente incompetente."

Ed ecco il rapporto dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, intitolato "La gestione della pandemia H1N1: necessaria maggiore trasparenza":

 

Il relatore ritiene che alcuni degli esiti della pandemia, come illustrato nella presente relazione, siano stati drammatici:

 distorsione delle priorità dei servizi sanitari pubblici in tutta Europa, spreco di ingenti somme di denaro pubblico, provocazione di paure ingiustificate tra gli europei, creazione di i rischi per la salute derivanti da vaccini e farmaci che potrebbero non essere stati sufficientemente testati prima di essere autorizzati con procedure accelerate, sono tutti esempi di questi risultati.

Dal  “British Medical Journal” :

"L'OMS per anni ha definito le pandemie come epidemie che causano 'un numero enorme di morti e malattie', ma all'inizio di maggio 2009 ha rimosso questa frase – che descrive una misura di gravità – dalla definizione."

I principali scienziati che fornivano consulenza all’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla pianificazione di una pandemia influenzale avevano svolto un lavoro retribuito per aziende farmaceutiche che avrebbero tratto vantaggio dalle linee guida che stavano preparando.

 Questi conflitti di interessi non sono mai stati resi pubblici dall'OMS, e l'OMS ha respinto le indagini sulla sua gestione della pandemia A/H1N1 definendole "teorie del complotto".

"Un'indagine congiunta del “BMJ” e del “Bureau of Investigative Journalism” ha scoperto prove che sollevano interrogativi preoccupanti su come l'OMS ha gestito i conflitti di interessi tra gli scienziati che hanno consigliato la pianificazione della pandemia e sulla trasparenza della scienza alla base dei suoi consigli ai governi."

"Era appropriato che l'OMS si avvalesse della consulenza di esperti che avevano legami finanziari e di ricerca dichiarabili con aziende farmaceutiche che producono antivirali e vaccini antinfluenzali?"

Ed ecco una conferenza del 2019 di “Marc Van Ranst”, commissario belga per l'influenza, alla conferenza delle parti interessate sulla “preparazione alla pandemia influenzale di ESWI/Chatham House”.

Dopo circa 13 minuti, si vanta di come "ha abusato del fatto che i migliori, i migliori club di calcio in Belgio in modo inappropriato e contro tutti gli accordi vaccinati... hanno fatto sì che i loro calciatori fossero persone prioritarie".

 Il pubblico ride.

(Il liceo del Missouri snobba 4 ragazze, nomina il maschio biologico la sua “regina del ritorno a casa”)

E parlando di pianificazione a lungo termine, la “risposta sanitaria” degli Stati Uniti nel 2020 è stata resa possibile in parte grazie ai piani di “preparazione alla pandemia” sviluppati durante Bush, quando nessuno sano di mente prendeva in considerazione la possibilità di tali cose.

Pianificano in anticipo!

 

L’OMS è profondamente corrotta.

Ecco un breve sguardo su quanto sia corrotta l’Organizzazione Mondiale della Sanità:

Invece di mettere la salute pubblica al primo posto, spingendo ad esempio per studi sulla sicurezza dei vaccini, la storia dell’OMS illustra chiaramente la sua fedeltà a Big Pharma e ad altre industrie.

 L’OMS, ad esempio, ha minimizzato gli effetti sulla salute causati dal disastro nucleare di Chernobyl del 1986, affermando che solo 50 decessi furono causati direttamente dall’incidente e “un totale di fino a 4.000 persone potrebbero morire a causa dell’esposizione alle radiazioni” del disastro.

Nel 1959 l’OMS ha firmato un accordo con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), che “promuove l’uso pacifico dell’energia atomica”, rendendola subordinata all’agenzia per quanto riguarda le radiazioni ionizzanti.

Anche la risposta dell’OMS al disastro radioattivo di Fukushima nel 2011 è stata criticata, con prove di un insabbiamento di alto livello.

L’OMS ancora una volta ha minimizzato i rischi, affermando che “i rischi previsti sono bassi e non sono previsti aumenti osservabili dei tassi di cancro al di sopra dei tassi di riferimento”.

L’OMS ha inoltre ricevuto più di 1,6 milioni di dollari dal gigante degli “oppioidi Purdue” dal 1999 al 2010 e ha utilizzato i dati sugli oppioidi supportati dall’industria per incorporarli nelle sue linee guida ufficiali a favore degli oppioidi.

Secondo l’”Alliance of Human Research Protection”, la collaborazione dell’OMS con “Purdue” ha portato a un maggiore utilizzo di oppioidi e a una dipendenza globale.

A causa della sua accettazione del denaro privato, una recensione del “Journal of Integrative Medicine & Therapy “è arrivata al punto di affermare che la corruzione dell'OMS è la "più grande minaccia alla salute pubblica mondiale del nostro tempo", in particolare per quanto riguarda i farmaci dell'OMS, raccomandazioni – compreso il suo “elenco dei farmaci essenziali” – che ritiene sia parziale e non affidabile.

(C'è un bellissimo documentario intitolato "TrustWHO ".)

 

Conclusione.

È davvero vergognoso quello che stanno cercando di fare. Ci stanno intimidendo, cercando di forzare le nostre labbra a muoversi in accordo con le loro metodologie di stupro, stanno cercando di farci dire che lo vogliamo, che li amiamo, che ci sottomettiamo a loro e che accettiamo il loro nuovo, sempre -definizioni mutevoli e capovolte delle nostre parole sacre.

Stanno cercando di uccidere l'anima.

Sono bulli.

Stanno cercando di dotare le loro stazioni di stupro digitale di un linguaggio brillante sull’equità e sui diritti umani.

Stanno trasformando alcune persone in zombi e stanno utilizzando i nuovi zombi come armi contro le persone che rifiutano di essere zombificate.

(​​LifeSite si impegna a fornire rapporti veritieri su questioni ignorate dai media mainstream)

Stanno cercando di trasformare le persone in sagome i cui piedi non toccano terra e le cui teste sono scollegate dal collo, come questa pubblicità del vaccino COVID:

Non lasciare che ti facciano questo. Non lasciare che nessuno ti faccia questo. Non lasciare che nessuno, in nessuna circostanza, ti disconnetta dalla tua anima.

(Tessa Lena, assicurati di controllare la sua biografia, Tessa Fights Robots).

 

 

 

 

Musk critica la “vergognosa

campagna di censura” di Trudeau:

“Cerca di schiacciare la libertà

di parola in Canada”.

Lifesitenews.com – Jean Mondoro - Elon Musk – (2 ottobre 2023) – ci dice:

 

Il miliardario proprietario di “X” ha ripetutamente criticato gli sforzi aggressivi di censura del governo Trudeau, che ha definito "vergognosi".

(Elon Musk ha partecipato al Met Gala 2022 che celebra "In America: An Anthology of Fashion" al Metropolitan Museum of Art il 2 maggio 2022 a New York City).

(LifeSiteNews) — Il sostenitore della libertà di parola e imprenditore Elon Musk ha criticato ancora una volta il primo ministro canadese Justin Trudeau per la sua campagna di censura in corso.

(Domenica, Musk ha pubblicato sulla sua piattaforma di social media “X”, ex Twitter, "Trudeau sta cercando di schiacciare la libertà di parola in Canada", definendolo "vergognoso").

I commenti di Musk erano in risposta a un annuncio del 29 settembre della” Commissione canadese per la radiotelevisione e le telecomunicazioni” (CRTC) che delineava

"il suo piano normativo per modernizzare il quadro di trasmissione del Canada e garantire che i servizi di streaming online diano un contributo significativo ai contenuti canadesi e indigeni".

Nelle sue prime due decisioni dall’apertura dei regolamenti per le “consultazioni pubbliche” a maggio, la “CRTC” ha dichiarato che “i servizi di streaming online devono fornire informazioni sulle loro attività in Canada”, compresa la presentazione di un modulo di registrazione e il rispetto di alcune “condizioni” stabilite dall'agenzia governativa.

L'annuncio è l'ultimo sforzo nella campagna in corso di Trudeau per “limitare la libertà di parola in Canada” e arriva mesi dopo che la famigerata censura di Internet “Bill C-11 e Bill C-18” sono diventati legge del paese. 

 

Mentre la campagna di censura si svolgeva, Musk ha ripetutamente espresso opposizione agli sforzi, citando l’ingiusta restrizione della libertà di parola.

 Nel 2022, ha affermato che la legislazione sulla censura di Internet potrebbe diventare un tentativo di “imbavagliare la voce” dei canadesi.

Nell'estate del 2023, il miliardario è arrivato al punto di suggerire che il governo di Trudeau dovrebbe essere sostituito, se si presentasse un'opportunità elettorale,” con leader che difenderanno il diritto alla libertà di parola dei loro cittadini”.

Musk ha anche promosso la voce del pubblico durante la “Canadian Million Person March “– una protesta nazionale contro l’indottrinamento LGBT nelle scuole – condividendo un video dell’evento che ha raggiunto più di 115 milioni di visualizzazioni su “X”.

 

 

 

 

Lo scopo di erodere la libertà

di parola è il controllo

completo della popolazione.

Lifesitenews.com – Dott. Giuseppe Mercola – (14 settembre 2023) – ci dice:

(Jorm Sangsorn/Shutterstock)

 

L’obiettivo finale dei globalisti è il controllo completo. Per arrivarci, coloro che cercano quel controllo devono creare una stretta mortale totale su tutte le informazioni, perché è così che si controlla meglio una popolazione.

LA STORIA IN BREVE.

Gli Stati Uniti sono stati unici nella loro dedizione alla libertà di parola, ma quel diritto costituzionale è stato lentamente eroso in nome della sicurezza nazionale e della protezione della salute pubblica.

Nel 1950, il senatore “Joseph McCarthy” affermò di avere prove di una rete di spionaggio comunista all'interno del Dipartimento di Stato americano.

 La lezione da quel momento fu il potere distruttivo dell’accusa.

Nel 2017, un’organizzazione chiamata “Hamilton 68” affermò di avere prove che dimostravano che centinaia di “account Twitter” affiliati alla Russia avevano manipolato le elezioni americane per portare Trump alla Casa Bianca.

Si è rivelata una bufala completa, ma i media non hanno mai aggiornato il pubblico con quella verità.

Nel 1948, lo stesso anno in cui la CIA lanciò il “Progetto Mockingbird”, divenne legge lo “US Information and Educational Exchange Act” (noto anche come Smith-Mundt Act), che vietava al governo degli Stati Uniti di spingere la propaganda sulla popolazione statunitense.

 Il presidente Barrack Obama ha abrogato questa legge nel 2013, legalizzando così la propaganda degli americani.

Affinché la propaganda abbia davvero successo, soprattutto a lungo termine, è necessaria anche la censura, e negli Stati Uniti ciò richiede l’indebolimento del diritto alla libertà di parola.

 L’indebolimento della libertà di parola è iniziato alla fine del 2016, quando Obama ha convertito in legge il “Countering Foreign Propaganda and Disinformation Act”, che ha aperto la porta a una guerra informativa offensiva contro il pubblico.

(Mercola) – In un articolo del 28 marzo 2023 intitolato “Una guida per comprendere la bufala del secolo”, “Jacob Siegel”, redattore senior del notiziario pomeridiano della rivista “Tablet , News e The Scroll”, discute l’emergere della “disinformazione industriale” come  complesso”, che è l’argomento del suo prossimo libro.

 

Gli Stati Uniti sono stati unici nella loro dedizione alla libertà di parola, ma quel diritto costituzionale si sta rapidamente erodendo in nome della sicurezza nazionale e della protezione della salute pubblica.

(Il governatore democratico “Dem Usa” del New Mexico dichiara "emergenza sanitaria" per ordinare la sospensione del diritto alle armi).

​​“Siegel” fa risalire i primi giorni della guerra dell'informazione al senatore “Joseph McCarthy”, che nel 1950 affermò di avere prove di una rete di spie comuniste all'interno del Dipartimento di Stato americano.

Inizialmente affermò di avere i nomi di 205 spie comuniste.

Il giorno dopo lo ha rivisto portandolo a 57.

Tuttavia, il punto non è l’incoerenza.

"Il punto era la forza dell'accusa", dice Siegel.

 “Per più di mezzo secolo, il maccartismo è stato un capitolo determinante nella visione del mondo dei liberali americani: un avvertimento sul pericoloso fascino delle liste nere, della caccia alle streghe e dei demagoghi”.

Ritornano le liste nere e la caccia alle streghe.

Nel 2017, i liberali americani avevano apparentemente dimenticato quella lezione, poiché gli esperti dei media mainstream accusavano Donald Trump di essere un candidato della Manciuria installato dalla Russia.

Un’organizzazione chiamata” Hamilton 68” ha affermato di avere prove che dimostrano che centinaia di account Twitter affiliati alla Russia hanno manipolato le elezioni americane per portare Trump alla Casa Bianca.

A quanto pare, nessuna di queste accuse era vera e Hamilton 68 si rivelò una “bufala di alto livello”.

 La maggior parte dei resoconti riguardavano americani impegnati in conversazioni organiche, che Hamilton 68 descrisse arbitrariamente come “trame russe”.

 Il responsabile della sicurezza di Twitter, “Yoel Roth”, ha addirittura ammesso che la società aveva etichettato “persone reali” – ancora una volta, per lo più americani – come “tirapiedi russi senza prove o ricorso”.

Una differenza fondamentale tra gli episodi di “McCarthy” e “Hamilton 68” è che i giornalisti, le agenzie di intelligence statunitensi e i membri del Congresso non hanno ingoiato le accuse di McCarthy senza masticare.

Quando iniziò la caccia alle streghe contro Trump, chiunque mettesse in dubbio le accuse fu attaccato come co-cospiratore.

I media si sono persino rifiutati di riferire le prove che dimostrano che “Hamilton 68 “era una truffa completa.

 Il livello di disinteresse per la verità suggeriva che il liberalismo americano “aveva perso la fiducia nella promessa di libertà e aveva abbracciato un nuovo ideale”, scrive Siegel.

 

Propaganda e censura: due facce della stessa medaglia.

La propaganda è antica quanto l'umanità stessa, ma la sua versione moderna può essere fatta risalire al 1948, quando l'”Ufficio Progetti Speciali della CIA “lanciò l'”Operazione Mockingbird”, una campagna clandestina di infiltrazione nei media della CIA che prevedeva la corruzione di centinaia di giornalisti per pubblicare storie false sul mercato.

(La richiesta della CIA.)

NOI, Canada cattolico.

Il licenziamento delle teorie del complotto e dei teorici della cospirazione come pazzi mentalmente instabili fu una delle tattiche inventate dalla CIA in questo momento.

Il suo intento era (ed è tuttora) quello di emarginare e demoralizzare chiunque metta in dubbio la narrativa inventata.

È abbastanza significativo che l'”operazione Mockingbird” sia stata lanciata lo stesso anno in cui divenne legge l'”US Information and Educational Exchange Act” (noto anche come Smith-Mundt Act), che proibiva al governo degli Stati Uniti di spingere la propaganda sulla popolazione statunitense.

(Le banche cancellano i rivenditori di monete senza spiegazione, evidenziando le preoccupazioni sul dollaro digitale)

Questa legge anti-propaganda è stata abrogata nel 2013 dall’allora presidente Barrack Obama.

 Pertanto, dal luglio 2013, il governo degli Stati Uniti e la CIA sono legalmente autorizzati a fare propaganda ai cittadini statunitensi.

 Oltre alla semplificazione del coordinamento globale delle notizie attraverso le agenzie di stampa, questo è un altro motivo per cui la propaganda è fiorita e cresciuta in modo esponenziale negli ultimi anni.

Ma affinché la propaganda abbia davvero successo, soprattutto a lungo termine, è necessaria anche la censura – un concetto selvaggiamente contrastato negli Stati Uniti fino a poco tempo fa – e” la censura, almeno in America, richiede l’indebolimento del diritto alla libertà di parola”.

Come notato da Siegel, il tentativo di minare la libertà di parola è davvero decollato alla fine del 2016, quando Obama ha convertito in legge il “Countering Foreign Propaganda and Disinformation Act”, che ha aperto la porta a “una guerra informativa offensiva e a tempo indeterminato” contro il pubblico in generale.

Apparentemente da un giorno all’altro, si è detto che la “misinformazione” e la “disinformazione” rappresentassero un’urgente minaccia esistenziale alla sicurezza nazionale, alla libertà, alla democrazia e, più tardi, alla salute pubblica.

Ora ci viene detto che dobbiamo eliminare la disinformazione per preservare la libertà di parola, che è così contorta che nessuna persona costituzionalmente alfabetizzata riesce a capirne il senso.

L’accelerazione dell’eliminazione della libertà di parola.

Abrogando lo “Smith-Mundt Act” e trasformando in legge il “Countering Foreign Propaganda and Disinformation Act”, Obama ha gettato le basi legali per il controllo governativo della libertà di parola negli Stati Uniti.

Da allora è emerso un vasto complesso industriale della disinformazione, che cerca di controllare Internet, e tutte le informazioni in esso contenute.

Come descritto da Siegel, l’infrastruttura di sicurezza nazionale degli Stati Uniti si è ora fusa con le piattaforme dei social media, ed è qui che si combatte la guerra dell’informazione.

Anche la mobilitazione nazionale contro la disinformazione è stata ampliata da un approccio coinvolgente l’intero governo a un approccio coinvolgente l’intera società.

In un documento del 2018, il “Global Engagement Center” (GEC) del “Dipartimento di Stato” chiede di “sfruttare le competenze di tutti i settori governativi, tecnologici e di marketing, del mondo accademico e delle ONG”.

 "È così che la 'guerra contro la disinformazione' creata dal governo è diventata la grande crociata morale del suo tempo", scrive Siegel.

 

​​(Un commentatore sconvolto della MSNBC afferma che Trump "deve morire in prigione" il 6 gennaio).

Naturalmente, anche i media hanno svolto un ruolo significativo nella “risposta dell’intera società” alla disinformazione, ma sono “di gran lunga l’attore più debole nel complesso della contro disinformazione”, osserva Seigel, aggiungendo :

La stampa americana, un tempo custode della democrazia, è stata svuotata al punto da poter essere indossata come una marionetta dalle agenzie di sicurezza statunitensi e dagli agenti del partito.

Sarebbe bello definire una tragedia ciò che è accaduto, ma il pubblico deve imparare qualcosa da una tragedia.

 Come nazione, l’America non solo non ha imparato nulla, ma le è stato deliberatamente impedito di imparare qualcosa mentre è costretta a inseguire le ombre.

Questo non è perché gli americani siano stupidi; è perché ciò che è accaduto non è una tragedia ma qualcosa di più vicino a un crimine.

La disinformazione è sia il nome del crimine sia il mezzo per insabbiarlo; un'arma che funge anche da travestimento.

Il crimine è la stessa guerra dell’informazione, che è stata lanciata con falsi pretesti e che per sua natura distrugge i confini essenziali tra pubblico e privato e tra esterno e interno, da cui dipendono la pace e la democrazia.

Confondendo la politica anti-establishment dei populisti nazionali con gli atti di guerra di nemici stranieri, ha giustificato l’uso di armi da guerra contro i cittadini americani.

Ha trasformato le arene pubbliche in cui si svolge la vita sociale e politica in trappole di sorveglianza e obiettivi per operazioni psicologiche di massa.

Il crimine è la violazione sistematica dei diritti degli americani da parte di funzionari non eletti che controllano segretamente ciò che gli individui possono pensare e dire.

 Ciò che stiamo vedendo ora, nelle rivelazioni che smascherano i meccanismi interni del regime di censura statale-aziendale, è solo la fine dell’inizio.

Gli Stati Uniti sono ancora nelle prime fasi di una mobilitazione di massa che mira a imbrigliare ogni settore della società sotto un unico dominio tecnocratico.

La mobilitazione, iniziata come risposta alla minaccia apparentemente urgente dell’interferenza [elettorale] russa, ora si evolve in un regime di controllo totale dell’informazione che si è arrogato la missione di sradicare pericoli astratti come errore, ingiustizia e danno – un obiettivo degno solo di leader che si credono infallibili o di supercriminali dei fumetti.

“Fase 2” della guerra dell'informazione: “controllo totale”.

La pandemia di COVID ha rappresentato una parte significativa della Fase 1 della guerra dell’informazione, sebbene la guerra alla percezione pubblica sia iniziata anni prima.

Come notato da Siegel, la fase COVID è stata “caratterizzata da dimostrazioni tipicamente umane di incompetenza e intimidazione con la forza bruta”.

La Fase 2 sarà senza dubbio portata avanti dall’intelligenza artificiale, ora accuratamente addestrata a identificare i maggiori fattori scatenanti della paura e del panico, sia su base individuale che sociale.

Possiamo anche aspettarci una censura da parte dell’algoritmo.

 Non sarà più un gioco “colpisci la talpa” con gli umani che taggano i post e ne richiedono la rimozione.

Invece, i messaggi contenenti determinate parole semplicemente non andranno da nessuna parte e non verranno visti.

Le parole chiave dette e scritte verranno automaticamente contrassegnate, cancellate o impedite dalla pubblicazione da parte dell'AI.

Bot basati sull’intelligenza artificiale e “pupazzi da calzino” (account falsi) possono anche essere lanciati su tutte le piattaforme ed essere amplificati algoritmicamente per alterare la percezione di miliardi di persone in tempo reale. Abbiamo visto emergere questa tendenza durante il primo round di COVID, in cui più account pubblicavano lo stesso messaggio “originale”, alla lettera, allo stesso tempo.

(Il dipendente del sito di pornografia ammette i trafficanti di sesso, gli stupratori sfruttano le "scappatoie" nella verifica dell'identità del rapporto.)

 

Come notato da “Siegel”, l’obiettivo finale di tutto questo conflitto di informazioni è il controllo.

Controllo non parziale, ma totale. Su tutto e tutti.

Questo è anche il motivo per cui non vedremo mai un'autorità governativa ammettere di diffondere disinformazione, anche se, tecnicamente, si è resa colpevole di ciò in numerose occasioni negli ultimi tre anni.

Hanno liquidato il portatile di “Hunter Biden” come disinformazione russa, anche se l’intelligence statunitense aveva la prova che esso e il suo contenuto erano reali.

Sostenevano che la teoria della fuga di dati dal laboratorio fosse una cospirazione razzista, anche se, in privato, il consenso scientifico era che il virus provenisse da un laboratorio.

Ci hanno detto che i colpi di COVID avrebbero fermato la trasmissione, anche se in primo luogo non erano mai stati testati.

L'elenco potrebbe continuare.

“La disinformazione, ora e per sempre, è quello che dicono”, scrive Siegel.

“Questo non è un segno che il concetto venga utilizzato in modo improprio o corrotto; è il funzionamento preciso di un sistema totalitario”.

Complici nel crimine.

Siegel non è l'unico a definire un crimine la guerra dell'informazione.

In un altro articolo di “Tablet intitolato” “Partners in Crime”, l’avvocato della “New Civil Liberties Alliance” “Jenin Younes” esamina le prove del caso legale del “Missouri  contro l’amministrazione Biden” che mostrano come il governo e le “Big Tech” abbiano costruito “una campagna di censura dell’intero sistema” in chiara violazione del “il Primo Emendamento”.

I documenti “Meta” interni ottenuti dalla sottocommissione ristretta sull'arma del governo federale della commissione giudiziaria della Camera nel luglio 2023 hanno anche arricchito la storia di come la censura sponsorizzata dallo stato sia diventata la politica ufficiale di così tante società private.

Le prove mostrano che Facebook e altre società di social media non si sono assunte la responsabilità di diventare arbitri della verità.

 Piuttosto, hanno subito pressioni aggressive in tal senso da parte dei funzionari dell’amministrazione Biden e dei funzionari di varie agenzie federali.

 A volte hanno seguito docilmente la direzione data, ma anche nei casi in cui hanno cercato di respingere, alla fine hanno dovuto adeguarsi per paura di ritorsioni da parte del governo.

(Mitt Romney annuncia che non cercherà la rielezione al Senato degli Stati Uniti nel 2024)

"Mentre negli ultimi due anni sono state intentate altre cause legali per presunte violazioni del “Primo Emendamento” basate sul coinvolgimento del governo nella censura dei social media,  Missouri  [ v. Biden ] si è dimostrato di successo unico", scrive “Younes “.

Quando la denuncia è stata presentata nel maggio del 2022, la prova principale a disposizione dei querelanti del Missouri erano le dichiarazioni pubbliche di membri di alto rango dell'amministrazione, tra cui l'ex addetta stampa della Casa Bianca “Jennifer Psaki”, il chirurgo generale “Vivek Murthy “e lo stesso “presidente Biden”.

I querelanti hanno citato dichiarazioni pubbliche di funzionari governativi che dichiaravano sfacciatamente che stavano segnalando post affinché le società di social media potessero censurarli;

criticare apertamente le aziende per la rimozione inadeguata dei contenuti (soprattutto di tutto ciò che mette in dubbio la sicurezza e l'efficacia dei vaccini COVID-19);

accusando i dirigenti tecnologici di "uccidere persone" per non aver censurato adeguatamente la cosiddetta disinformazione;

e minacciando di ritenerli responsabili se si rifiutassero di conformarsi.

Il giudice “Terrence Doughty” ha ordinato la scoperta in una fase iniziale del contenzioso...

Per la prima volta, il pubblico è venuto a conoscenza dell'operazione clandestina di censura dell'amministrazione Biden, iniziata appena tre giorni dopo l'insediamento del presidente Biden...

Nel febbraio del 2021, l'allora direttore dei media digitali della Casa Bianca,” Robert Flaherty”, aveva intensificato le tattiche dell'amministrazione... Ha iniziato a maltrattare le aziende - usando imprecazioni, lanciando accuse e avanzando richieste - nel suo tentativo di convincerle a rimuovere contenuti che secondo lui avrebbero potuto causare persone a rifiutare i vaccini...

In numerose occasioni, “Brian Rice” e altri dipendenti di “Meta” hanno inviato alla Casa Bianca elenchi dettagliati dei cambiamenti politici concordati dopo che i tentativi iniziali di placare l'”ira di Flaherty” si sono rivelati infruttuosi.

Il 4 luglio di quest'anno, il “giudice Doughty” ha accolto la richiesta dei querelanti per un'ingiunzione preliminare nel Missouri, osservando che "il presente caso riguarda probabilmente il più massiccio attacco contro la libertà di parola nella storia degli Stati Uniti" e descrivendo il regime di censura dell'amministrazione come simile a un "Ministero della Verità orwelliano".

 

Fondamentale per l’esito è stata la constatazione della corte secondo cui l’amministrazione Biden e varie agenzie esecutive federali hanno costretto, fatto pressioni e incoraggiato le società di social media a sopprimere il discorso protetto dal Primo Emendamento, convertendo l’azione altrimenti privata in quella dello Stato.

Il principio fondamentale in questione, che vieta al governo di cooptare l’industria privata per aggirare i divieti costituzionali, è noto come “dottrina dell’azione statale”.

Senza di essa, la “Carta dei Diritti “non avrebbe alcun valore.

La polizia potrebbe, ad esempio, assumere una società privata per perquisire la tua casa nonostante manchi una causa plausibile, al fine di aggirare il divieto del Quarto Emendamento contro perquisizioni e sequestri senza mandato.

Oppure il governo potrebbe eludere le garanzie di pari protezione previste dal 14° emendamento finanziando scuole private soggette a segregazione razziale.

Il giudice ha concordato con i querelanti nel caso Missouri v. Biden che... dal momento che il Primo Emendamento proibisce al governo di limitare la libertà di parola, la Costituzione non può essere letta nel senso di consentire al governo di requisire società private per raggiungere i suoi obiettivi di censura basati sui punti di vista.

Prova diretta di coercizione.

Anche se le prove iniziali suggerivano che l’amministrazione Biden fosse la forza trainante della censura sui media, si trattava ancora di prove circostanziali.

 La situazione è cambiata alla fine di luglio 2023, quando la sottocommissione per l’armamento del governo federale ha ottenuto documenti “Meta” interni.

Secondo “Younes”, "Questi documenti fanno il nodo: stabiliscono inequivocabilmente che se non fosse stato per la tattica del braccio forte dell'amministrazione Biden, alcuni punti di vista non sarebbero stati soppressi".

Ad esempio, in un'e-mail del luglio 2021, il capo degli affari globali di “Meta”, Nick Clegg, ha chiesto a “Brian Rice”, responsabile della politica sui contenuti di Facebook, perché avevano rimosso, anziché contrassegnate o retrocesse, le affermazioni secondo cui SARS-CoV-2 era artificiale.

La “Rice” ha risposto: “Perché eravamo sotto pressione da parte dell’amministrazione [Biden] e di altri affinché facessimo di più e faceva parte del pacchetto “di più”.

Ha concluso l'e-mail dicendo: "Non avremmo dovuto farlo".

"Non solo “Rice” ha affermato esplicitamente che le pressioni della Casa Bianca hanno indotto “Meta” a rimuovere i contenuti che avallavano la teoria delle fughe di dati di laboratorio sulle origini del COVID, ma ha anche espresso rimorso per questa decisione", ha scritto Younes.

"Questi nuovi documenti dimostrano anche che la rimozione del 'contenuto scoraggiante per i vaccini' è avvenuta a causa della pressione del governo."

“Clegg”, ad esempio, ha detto ad “Andy Slavitt”, ex consigliere senior della Casa Bianca per la risposta al COVID, che la rimozione di meme umoristici che denigrano il vaccino COVID – come richiesto da Slavitt – “rappresenterebbe una significativa incursione nei tradizionali confini della libera espressione negli Stati Uniti”.

E ha insistito e ha respinto le preoccupazioni di Clegg come immateriali e, alla fine, Clegg ha acconsentito per evitare potenziali ritorsioni.

 

Quid pro quo.

“Younes” continua :

Le tattiche coercitive della Casa Bianca hanno avuto l'effetto desiderato. Sia Clegg che [Meta COO Sheryl] Sandberg hanno sollecitato l'acquiescenza per evitare conseguenze negative.

 Nelle parole di Clegg, "Sheryl desidera che continuiamo a esplorare alcune mosse che possiamo fare per dimostrare che stiamo cercando di essere reattivi al WH".

Ha spiegato che il "corso attuale" dell'azienda... è una ricetta per un'acrimonia prolungata e crescente con il WH mentre il lancio del vaccino continua a balbettare durante l'autunno e l'inverno.

Considerando il problema più grande che dobbiamo friggere con l'Amministrazione – flussi di dati, ecc. – questo non sembra un bel posto in cui stare.'

Quindi, "vista la posta in gioco qui, sarebbe anche una buona idea se potessimo riorganizzarci per fare il punto della situazione nei nostri rapporti con il WH, e anche nei nostri metodi interni".

 Il "flusso di dati" faceva riferimento a una controversia che “Meta” aveva all'epoca con l'Unione Europea sul trasferimento dei dati degli utenti.

 Se la questione dovesse risolversi a favore dell’UE, “Meta” potrebbe dover affrontare multe significative.

Come hanno recentemente spiegato il giornalista di Twitter “Michael Shellenberger” e i suoi coautori analizzando questo scambio, "la serie di eventi suggerisce un quid pro quo".

Facebook si piegherebbe alle richieste di censura della Casa Bianca in cambio del suo aiuto con l'Unione Europea.'

 

Il primo emendamento cerca di impedire la repressione del dissenso.

Come notato da “Younes”, il presidente Joe Biden aveva promesso di mettere la vaccinazione di massa contro il COVID al centro della sua agenda.

 Il problema era che moltissimi americani non si sentivano a proprio agio nel ricevere l’iniezione di una terapia genica sperimentale che non disponeva di dati sulla sicurezza a lungo termine.

Ciò ha rappresentato un ostacolo all’agenda politica di Biden e, invece di riconoscere che la campagna di vaccinazione di massa è stata mal accolta, la Casa Bianca ha semplicemente scelto come capro espiatorio i social media.

(Dobbiamo proteggerci a vicenda e proteggere la verità dalla tirannia globalista).

È stata colpa loro se gli americani non si sono rimboccati le maniche in numero sufficiente.

 Le email interne di “Meta” attestano il fatto che i dipendenti si sentivano usati come capri espiatori ogni volta che la campagna di vaccinazione non andava come sperato.

“Un governo che usa il suo potere per reprimere il dissenso è esattamente ciò che il Primo Emendamento cercava di impedire”, osserva “Younes”.

"La libertà di parola è il pilastro principale di un governo libero: quando questo sostegno viene tolto, la costituzione di una società libera viene dissolta", scrisse in modo famoso” Benjamin Franklin”, uno dei padri fondatori.

 

Il primo presidente degli Stati Uniti, “George Washington”, una volta disse:

“Se si deve impedire agli uomini di esprimere i propri sentimenti su una questione che può comportare le conseguenze più gravi e allarmanti che possano invitare alla considerazione dell’umanità, la ragione non ha alcun valore”, usaci;

 la libertà di parola può essere tolta, e muti e silenziosi possiamo essere condotti, come pecore al macello.'

Speriamo che quando la” Corte d'Appello” del “Quinto Circuito”, e probabilmente la “Corte Suprema”, esamineranno questi casi nei prossimi mesi, interpretino il Primo Emendamento come lo intendevano gli autori della Costituzione.

Altrimenti, il futuro della libertà di parola, e della libertà stessa, è in grave pericolo.

In chiusura, pur riconoscendo la terribile minaccia posta dalla censura sponsorizzata dallo Stato, Younes non segue le briciole di pane come fa Siegel. Younes sembra credere che la rete di censura del governo sia nata per proteggere gli obiettivi politici di Biden, ma è molto più grande di questo.

(L’ospedale del Missouri smette di somministrare ormoni transgender ai bambini dopo l’entrata in vigore della nuova legge).

Come afferma “Siegel”, l’obiettivo finale è il controllo globale.

Per arrivarci, coloro che cercano quel controllo devono creare una stretta mortale totale su tutte le informazioni, perché è così che si controlla meglio una popolazione.

Inoltre, questa stretta mortale è globale.

Non è un fenomeno americano nato perché Biden voleva prendersi una puntura su ogni braccio.

 La censura del COVID è in corso in ogni paese e ogni paese deve indagare sul ruolo, se del caso, svolto dai propri governi nella soppressione della verità.

 

 

 

Controffensiva sul Mar Nero, cosa succede?

La flotta di Putin respinta di 100 miglia

e i bombardamenti all'Isola dei Serpenti.

Cosa sappiamo.

Msn.com – il messaggero - Redazione web – (4 -10-2023) – ci dice:

 

Gli analisti internazionali concordano: anche se gli occhi sono puntati sulla continua offensiva terrestre dell’Ucraina, Kiev «sta combattendo una campagna di grande successo contro il dominio navale russo sul Mar Nero».

E secondo l’intelligence britannica la recente serie di attacchi da parte delle milizie di Volodymyr Zelensky alla Flotta russa in Crimea sta causando crescente preoccupazione a Mosca.

«Il porto di Sebastopoli è stato bersagliato da attacchi, compreso un recente colpo di missile che ha colpito il quartier generale della Flotta.

 Un attacco dell’Ucraina a un cantiere navale di Sebastopoli con missili da crociera Storm Shadow ha colpito una nave e un sottomarino russo.

Mentre alcune difese aeree hanno abbattuto alcuni missili, altri hanno raggiunto il loro obiettivo, causando danni a una nave da sbarco e a un sottomarino», elenca il rapporto degli 007 inglesi.

 E oggi “Natalia Humeniuk”, portavoce delle forze di difesa ucraina del fronte meridionale, rivendica i risultati:

 «Le navi della marina russa non osano andare oltre capo Tarkhankut, sulla costa della Crimea», afferma.

 

(Equilibri mutati.

Putin: "La controffensiva ucraina è un fallimento" -Dailymotion.)

«La linea del fronte in mare è stata respinta indietro di almeno 100 miglia nautiche (185 chilometri) rispetto alla costa ucraina», spiega “Natalia Humeniuk”, ricordando che nei primi giorni dell’invasione la marina russa riusciva ad avvicinarsi alla costa di Odessa alla distanza di un colpo d’artiglieria.

«Attualmente - aggiunge - navi e battelli della flotta del mar Nero della Federazione russa non navigano in direzione delle acque territoriali ucraine.

Qualche volta appaiono vicino alla costa della Crimea, ma non si avvicinano di più. Non osano andare oltre capo Tarkhankut», all’estremità occidentale della Crimea.

I russi cercano tuttavia di mantenere la superiorità nel mar Nero con «aerei tattici», precisa “Humeniuk”, ricordando che da due, tre giorni viene bombardata l’isola dei Serpenti.

 Mosca infatti sta ricorrendo sempre di più alle forze aeree navali per controllare la parte occidentale del Mar Nero:

gran parte delle attività della sua flotta si stanno trasferendo a “Novorossiysk”, in Russia, «a fronte delle minacce contro il suo quartier generale di Sebastopoli, in Crimea».

È questa la valutazione dell’intelligence britannica nel rapporto pubblicato oggi su “X” dal ministero della Difesa di Londra.

«Nelle ultime settimane - si legge - la componente aerea della Flotta russa del Mar Nero ha assunto un ruolo particolarmente importante nelle operazioni», pur dovendo al contempo «affrontare le minacce concorrenti sul fianco meridionale».

Controllo indebolito.

Nelle ultime settimane Kiev ha condotto un’audace campagna di attacchi volti a indebolire le difese russe e ad aumentare la sua libertà di manovra nella parte settentrionale del Mar Nero e nella penisola di Crimea.

 «Di conseguenza, il controllo della Russia sulle acque vicino all’Ucraina è ora più debole che in qualsiasi momento della guerra durata diciannove mesi», è la valutazione di “Michael Horowitz”, esperto di geopolitica e dei conflitti, nonché capo del team di analisti di “Le Beck International” che fornisce consulenza a numerose aziende e Ong che operano in Ucraina in seguito all’invasione russa.

 Per” Horowitz” la pianificazione delle operazioni attualmente in corso sarebbe cominciata già all’inizio dell’anno, quando circa 1.000 marines ucraini arrivarono nel Regno Unito per essere addestrati dai Royal Marines e dai loro omologhi olandesi.

Ad agosto sono rientrati in patria e il mese successivo, utilizzando piccole imbarcazioni, hanno attaccato le piattaforme petrolifere di Boyko.

 E proprio lo Special boat squadron (Sbs) dei Royal Marines è specializzato in tali operazioni.

 L’obiettivo di Kiev erano le apparecchiature radar e i sensori sulle piattaforme che, secondo l’Ucraina, avevano permesso a Mosca di monitorare gran parte del Mar Nero settentrionale.

Installazioni militari.

Subito dopo, segnala “Horowitz”, è cominciata una tempesta di attacchi contro le installazioni militari russe, tra cui navi da guerra, radar, sistemi di difesa aerea, aeroporti e centri di comando e comunicazione.

Un’operazione su larga scala che non si è ancora attenuata e condotta con tutti gli uomini e i mezzi disponibili:

unità delle forze speciali e aerei armati di missili da crociera, droni marittimi e aerei esplosivi per colpire le navi pattuglia.

 «Sebbene la Crimea sia di fondamentale importanza per Vladimir Putin, è più di un semplice trofeo - commenta “Horowitz” - Il porto in acque profonde è fondamentale per il controllo del Mar Nero e il ponte di Kerch verso la Russia è vitale per rifornire gli eserciti del Cremlino che combattono la controffensiva ucraina più a nord.

 Le operazioni ucraine mirano a negare alla Russia il suo ponte terrestre nell’Ucraina meridionale tra il Donbass e la Crimea».

Recentemente le capacità delle forze di Kiev di farcela hanno sollevato uno scetticismo diffuso e forse l’alternativa di ripiegare su un obiettivo meno ambizioso come la conquista di “Tokmak”, che ora si trova 16 chilometri a sud della linea del fronte.

Ma anche se le forze ucraine riuscissero a raggiungere solo questo obiettivo, è l’opinione di “Horowitz,” «un tale successo combinato con attacchi regolari contro punti chiave in Crimea renderebbe estremamente difficile la campagna militare della Russia».

Se il piano della controffensiva è quello di assicurarsi che la presenza russa nell’Ucraina meridionale diventi insostenibile, «allora il triplice sforzo che le forze ucraine stanno portando avanti – uno a terra, gli altri in mare e nei cieli – avrà portato molto più vicini a questo obiettivo e a un altro punto di svolta nella guerra».

 

 

 

 

Le nuove mafie preferiscono la corruzione alla violenza.

Insegnare la legalità

è l'arma che abbiamo.

Rainews.it – Pierluigi Mele – Prof. Vincenzo Musacchio – Intervista – (31-12-2022) – ci dicono:

 

Che cosa sappiamo della mafia?

Quanto conosciamo il nostro territorio?

Quali sono le forze in campo?

Quanto siamo disposti a lottare per un futuro migliore senza mafie?

 Ne parliamo con Vincenzo Musacchio, criminologo e studioso di fenomeni mafiosi.

Si è svolta una Manifestazione contro le mafie di “Libera”.

Professore si sente ormai da anni parlare di “mafia”, di “corruzione”, di “evasione fiscale”, tuttavia, sembrano essere argomenti di cui si parla troppo poco.

Lei cosa pensa?

Parlare di questi argomenti in Italia è stato sempre molto difficile.

Per quanto riguarda le mafie, nel nostro Paese stiamo assistendo a preoccupanti evoluzioni della criminalità organizzata contemporanea:

dall’infiltrazione siamo passati all’integrazione e dal radicamento siamo arrivati alla convivenza.

L’Italia è originariamente una terra di mafia e per questo motivo parlare di quest’argomento non solo dovrebbe essere facile ma anche essere sollecitato da più parti.

Ancora oggi invece chi cerca di affrontare il tema, spesso è accusato di creare allarmismo.

Parlo delle mafie da trent’anni, sovente inascoltato o addirittura vituperato dalle classi politiche che si sono succedute nel tempo.

 Credo sia stata proprio la sottovalutazione e a volte la rimozione del problema che, intrecciandosi con un preoccupante deficit di conoscenze, ha prodotto un terreno favorevole alla crescita della criminalità organizzata moderna.

 Il lavoro da fare dunque è ancora tanto e occorre insistere rompendo innanzitutto l’intollerabile silenzio che avvolge questi temi.

 

Lei spesso parla di “metamorfosi della mafia”, oggi qual è la situazione a livello nazionale?

 

Le inchieste della magistratura e delle forze di polizia disegnano uno scenario di cui bisogna prendere atto, affinché cresca anche la consapevolezza che è arrivato il momento di reagire e di coalizzarsi per fermare nuove recrudescenze della situazione attuale.

Oggi le nuove mafie sono transnazionali, mercatistiche, invisibili e soprattutto prediligono la corruzione alla violenza.

 Inchieste a livello europeo e internazionale hanno fatto un accettabile avanzamento tracciando un modello investigativo con il contributo decisivo di alcuni Stati membri dell’Unione europea.

 Ancora non basta.

 Si ripuliscono tuttora troppo facilmente i proventi illeciti con le forme classiche del riciclaggio, impoverendo e alterando così l’economia sana.

I soldi guadagnati con la droga o con altre attività criminali sono immessi nell’economia legale nel tentativo di riciclarli, di nascondere e far disperdere la loro origine.

 Uno dei problemi essenziali che hanno i mafiosi è proprio quello di trasformare in soldi legali i capitali mafiosi illegalmente accumulati.

Il riciclaggio diventa così l’attività mafiosa più importante così come l’acquisizione di attività commerciali, d’imprese, d’immobili e d’investimenti finanziari.

È un groviglio che sta avvolgendo intere zone e di cui è sempre più difficile accorgersi.

 Si rischia di smarrirsi, di perdere il filo che lega insieme diversi fatti tra loro concatenati.

È importante non perdere di vista quel filo, seguendo sia le vecchie strade, sia i punti di novità della presenza mafiosa in campo economico e finanziario.

L’Europa sta diventando il luogo dove fare affari, coinvolgendo quegli imprenditori che vedono nei clan la chiave per superare le difficoltà della crisi.

 Imprenditori che quando pensano di instaurare una relazione di reciproca convenienza con le mafie si trovano successivamente in un tunnel di solitudine e sofferenza il cui esito è inevitabilmente la dolorosa perdita del controllo della loro impresa, frutto dei sacrifici di una vita.

Negli ultimi anni, le mafie hanno visibilmente quasi archiviato i metodi criminali violenti, e hanno deciso di lavorare “in modo occulto”, mimetizzandosi, stabilendo una sorta di patto di pace, costituendo anche alleanze e collaborazioni, realizzando vere e proprie holding imprenditoriali.

 

Sensibilizzare i giovani su questi temi quanto può influire sulla società futura?

 

Molto, anzi, direi che è decisivo.

 Bisogna parlare ai giovani andando a trovarli nelle scuole, come continuo a fare incessantemente da tanti anni.

È un percorso molto difficile e di lungo periodo perché richiede tempo, pazienza e dedizione:

 i risultati si riscontrano dopo alcuni anni ma posso assicurare che si notano e in alcuni casi sono sorprendenti.

Questo ovviamente si può fare se si è credibili, se si è coerenti e soprattutto se c’è il riscontro da parte dei giovani.

Posso affermare senza timore di smentite che le nuove generazioni, sono attentissime a capire e si accorgono subito se uno recita o meno.

 In ambito universitario, con gli anni, dopo aver seminato, ho potuto riscontrare i frutti del raccolto.

Alcuni miei studenti oggi sono diventati magistrati, molti sono nelle forze di polizia, sono avvocati.

 La gioia più grande è quando mi dicono che ho contribuito al loro cammino di legalità.

Questo mi rende orgoglioso e mi dà la forza di andare avanti e di dire che non ho sprecato tempo nel parlare di mafia ai giovani.

 È questa la strada migliore da percorrere poiché alla fine darà i suoi frutti.

 

Quanto influisce la risposta o “non risposta” delle istituzioni sul fenomeno mafia?

Nella lotta alle mafie lo Stato svolge un ruolo prevalente ma non esclusivo. Corruzione e mafia stanno diventando sempre di più facce della stessa medaglia.

La criminalità organizzata ormai è radicata in tutto il Paese.

 Fino a quando nelle grandi opere pubbliche saranno presenti le mafie, la politica non sarà mai degna del proprio ruolo.

 La responsabilità tuttavia non è solo dei politici.

Le mafie riescono a fare poco se non trovano professionisti che li guidino.

 Hanno bisogno d’imprenditori, commercialisti, notai, avvocati, magistrati, giornalisti che si rendono loro complici affinché la propria forza sia sempre più consolidata.

 I mafiosi per raggiungere il loro obiettivo hanno più bisogno della politica che dei politici.

Ho avuto il piacere di sentire dalla voce di Paolo Borsellino la frase divenuta poi famosa:

 “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.

 Credo che il suo assunto sia valido ancora oggi.

 

Lei cita spesso esempi di coraggio come Falcone, Borsellino, don Peppe Diana ma oggi c’è ancora chi mette a rischio la propria vita in favore della giustizia? Soprattutto lo Stato, come Istituzione, li protegge?

Personalmente credo che la vera lotta alle mafie si sia fermata al maxi processo di Palermo che fu un esempio per tutto il mondo di come si possa sconfiggere la criminalità organizzata.

 I veri servitori dello Stato che si sono sacrificati per combatterla, purtroppo, sono tutti morti perché una parte dello Stato, o meglio dei suoi governanti, non ha voluto la lotta alle mafie, ma ha preferito la connivenza.

 Per un’azione incisiva ed efficace serve un ingrediente che in Italia è raro: la volontà politica.

 Una “ricetta miracolosa” per estirpare il cancro delle mafie ovviamente non esiste.

Esistono però leggi, forse troppe, che devono essere applicate e altrettante che dovrebbero essere create.

Riguardano l’economia, l’evasione fiscale, la corruzione, il settore bancario, quello del lavoro, dell’informazione, tutti contesti in cui la criminalità organizzata regna sovrana.

 Finora le mafie hanno ucciso tutte quelle persone che le hanno combattute con forza e determinazione e che poi lo Stato ha abbandonato.

Diceva bene Giovanni Falcone: “… la mafia uccide i servitori dello Stato, che lo Stato non è riuscito a proteggere…”.

 

Pochi giorni fa dall’Europa è arrivata la notizia del “Qatar gate” che coinvolge proprio le istituzioni dell’Unione europea.

È la prova che corruzione e mafia sono presenti ormai ovunque?

 

Che la criminalità organizzata sia già presente ovunque nel mondo è un dato di fatto.

Magari sarò smentito dalle indagini ma ritengo che nello scandalo emerso in questi giorni, siamo di fronte a modalità operative mafiose.

 È solo un mio pensiero che qui si esaurisce.

Ovviamente sia chiaro che bisogna sempre denunciare e sono sicuro che gli inquirenti arriveranno ai colpevoli, alla matrice della corruzione e al coinvolgimento delle mafie.

Il ruolo dei collaboratori di giustizia sarà importante.

 

La corruzione oggi avviene tramite scambi di favori e complessi passaggi economici e legali che hanno reso le tangenti ancora più̀ invisibili e difficili da dimostrare.

È d’accordo?

 

Sì, sono d’accordo.

 Ci sono ancora persone arrestate con mazzette di contanti in mano.

 I metodi corruttivi si sono perfezionati: consulenze fittizie, fatture false per operazioni inesistenti, disponibilità occulte all’estero, anche di somme notevolissime con cui si fanno scambi di favori che passano attraverso delle operazioni bancarie e finanziarie.

Questo però esisteva anche ai tempi di “Mani pulite” ed è emerso altresì nello scandalo del Qatar.

La storia a volte si ripete.

 

La globalizzazione ha rafforzato il potere delle mafie?

Assolutamente sì.

Io sono preoccupato perché non vi sono argini all’unificazione dei mercati a livello mondiale, alla diffusione delle trasformazioni economiche, alle innovazioni tecnologiche e ai mutamenti geopolitici che hanno spinto verso modelli di produzione e di consumo privi di adeguati controlli e a volte in dispregio del rispetto della persona umana.

Nel frattempo è stato cancellato anche il valore della competenza.

Per saper fare le cose bisogna studiare e fare esperienza nella vita.

Questo mi preoccupa tantissimo, perché se manca la competenza e il merito allora poi non si è capaci di usare strumenti adeguati allo scopo, e questo è un problema enorme.

 

Quali sono oggi le terre più fertili per le mafie?

Ripeto che non esiste parte del mondo dove non vi siano insediamenti mafiosi.

 La crisi economica mondiale certamente ha reso ancora più insidiosa l’espansione criminale.

Chi s’infiltra, lo fa mimetizzandosi puntando alle attività economiche per es. rilevando quote nelle attività commerciali ed entrando in maniera organica nel sistema produttivo.

Le mafie scelgono sempre il terreno più fertile in base alla scarsa legislazione antimafia, alla popolazione “tranquilla”, alla sua classe politica accondiscendente.

Una sua citazione recita “La legalità e l’antimafia partono dal parlarne e si concretano con le azioni”.

 A tal proposito quale risposta concreta potranno dare l’Italia e l’Europa?

 

Onestamente non so che risposta potranno dare l’Italia e l’Europa, so però quello che farò io.

 Ripartono per il decimo anno consecutivo gli incontri della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” finalizzati a promuovere nell’ambito scolastico un programma di attività a favore degli studenti delle scuole di ogni ordine e grado (dalle primarie all’Università).

 Lo scopo resta sempre lo stesso:

 far maturare la consapevolezza del valore della legalità, con particolare riferimento alle mafie, alla corruzione e alla conoscenza dei principi costituzionali. Il progetto denominato “Legalità Bene Comune” anche per l’anno 2023, prevedrà l’organizzazione, a livello nazionale, d’incontri presso le scuole orientati a creare e diffondere il concetto di “legalità” e stimolare nei giovani una maggiore consapevolezza del loro ruolo sociale.

 Abbiamo bisogno di sapere da dove veniamo, e di conoscere quel che è accaduto prima di noi.

Questa è l’antimafia in cui crediamo.

 

Possiamo concludere l’intervista con un messaggio augurale per il nuovo anno?

 

Certamente. Mi piacerebbe che con il nuovo anno il coraggio e la devozione alla legalità di chi, vivi e morti, ha combattuto la mafia non siano dimenticati.

 Facciamo in modo che questi eroi non siano morti invano e che il loro esempio costituisca una rinascita di libertà, di giustizia e di verità.

 Proviamo a sconfiggere le mafie cercando di essere più giusti e più responsabili. Cerchiamo di essere noi genitori gli esempi positivi per i nostri figli.

Questo è il mio messaggio per il nuovo anno.

(Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra).

 

 

 

Il Papa ha deciso: il “cambiamento

climatico” sarà dogma.

Nicolaporro.it - Max Del Papa – (4 Ottobre 2023) – ci dice:

 

Nella “Laudate Deum” di Bergoglio emergono critiche ai “negazionisti” climatici ed elogi per i gretini.

Che il nostro Bergoglio fosse un papa” influencer”, a cavallo fra materialismo socialista e misticismo esoterico, ce n’eravamo accorti presto e non abbiamo mai smesso di pensarlo davanti a saggi di pensiero radicalista quali la Laudato Sì, “enciclica non verde ma sociale” che pareva scritta dagli imbrattamuri di Ultima Generazione”.

Che la sua missione fosse sostituire il vecchio Dio con feticci alla moda, da Greta Thunberg a Luca Casarini, da Carola Rackete agli scafisti, pure non è novità ma una conferma, mesta, avvilente, di ogni giorno che il Padreterno manda sulla terra.

Questo successore di Ratzinger, spedito al Soglio dalle trame di Obama in accordo con l’Islam radicale, che chiese e ottenne un pontefice di proprio gradimento dietro minaccia di passare ai roghi delle chiese da vuote a piene, è, si potrebbe dire con Marx, un pontefice nel senso della storia, perfettamente calato nella cultura del suo tempo che è “cultura woke”, cioè subcultura, “anticultura”.

Adesso abbiamo la conferma tombale, con una di quelle uscite spericolate, a tratte deliranti, da aeroplano che piacciono molto all’ala estrema della sinistra a problematica ma fanno dannare l’ufficio stampa della Santa Sede:

«L’origine umana, “antropica” del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio», con buona pace di «quelli che cercano di «negare o «minimizzare», di «porre in ridicolo chi parla di riscaldamento globale».

Non è un sermone di Mario Tozzi ma la “Laudate Deum”, degno compimento della succitata “Laudato Sì”:

se perseverare è diabolico, qui siamo alla coerenza estrema.

 E lo è, diabolico, perché non è un assunto, almeno per quanto ne stanno riportando i giornali, corrisponde a verità, è tutto un pandemonio di affermazioni suggestive e infondate:

 “Col passare del tempo mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura”.

Col passare del tempo, lo dimostra la Sacra Scienza, l’inquinamento globale si è ridotto e così pure i cosiddetti eventi estremi, le foreste sono cresciute ovunque, l’Occidente ha costantemente abbassato grazie alla tecnologia le sue emissioni tossiche, sono entrati in gioco altri subcontinenti quali Cina, India, oltre all’Africa che si va preparando, i quali bruciano e consumano perché vogliono vivere bene e giustamente ritengono che adesso tocchi a loro, e delle prediche degli ambientalisti ancor più giustamente se ne fottono.

Ma Bergoglio, tetragono:

«Poniamo finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici.

 Ammettiamo finalmente che si tratta di un problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli.

 Per questo si richiede un coinvolgimento di tutti».

 

Non è Il verde Bonelli, è ancora il rosso Bergoglio:

quale irresponsabile presa in giro?

 Il problema “umano e sociale in senso ampio a vari livelli” poi non significa assolutamente niente, è di insostenibile vaghezza scherniana come se fosse un an

tani.

 Il compagno Jorge Maria ce l’ha, vedi un po’, col «paradigma tecnocratico che è alla base dell’attuale processo di degrado ambientale», insomma il dannatissimo capitalismo e chi lo pratica e in tal modo matura un «modo deviato di comprendere la vita» che consiste nel pensare «come se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e dell’economia.

 Se consideriamo che le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e circa sette volte maggiori rispetto alla media dei Paesi più poveri, possiamo affermare che un cambiamento diffuso dello stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale avrebbe un impatto significativo a lungo termine», scrive Bergoglio con argomentazioni alla Chloe, quella che in televisione fa la pazza sperando di finire al Grande Fratello.

Ci manca solo che si metta a piangere dichiarando di non voler fare figli, così poi arriva “Pichetto Fratin” col fazzolettin.

 Fino al climax in cui non si tiene più e fa impallidire l’oscurantismo che faceva fuori Galieo:

«Per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti.

 Nessuno può ignorare (sic) che negli ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni estremi, frequenti periodi di caldo anomalo, siccità e altri lamenti della terra che sono solo alcune espressioni tangibili di una malattia silenziosa (sic!) che colpisce tutti noi.

 È verificabile (sic) che alcuni cambiamenti climatici indotti dall’uomo aumentano significativamente la probabilità di eventi estremi più frequenti e più intensi.

Basta un aumento globale di 0,5 gradi per sconvolgere il clima (bum!), siamo vicini a 1,5, «se si superano i 2 gradi, le calotte glaciali della Groenlandia e di gran parte dell’Antartide si scioglieranno completamente con conseguenze enormi e molto gravi per tutti.

Eppure, «per porre in ridicolo chi parla di riscaldamento globale, si ricorre al fatto che si verificano di frequente anche freddi estremi. Si dimentica che questi e altri sintomi straordinari sono solo espressioni alternative della stessa causa: lo squilibrio globale causato dal riscaldamento del pianeta».

(Il climatologo mancato Bergoglio non è al corrente che la CO2 è un gas più pesante dell’atmosfera e quindi impossibilitato a viaggiare nel cielo alla caccia della “famosa coperta della volta della serra” che riguarda solo i gas più leggeri della nostra atmosfera! N.D.R).

Siamo alla maledizione di stampo gretino, approssimativa, scentrata e, se si deve dire la verità anche davanti a un pontefice, ignorantissima:

siccome il Papa qui non parla ex cathedra, ma ex suggestione, lo diciamo, tanto più che da qui in avanti la sua sparata si allarga a sragionamenti di abissale populismo socialista:

 i ricchi che inquinano più dei poveri, i quali vengono incolpati di fare troppi figli [certo, la soluzione c’è: lasciateli fare, e poi se li prende tutta l’Italia, con l’eccezione della Città del Vaticano: così Sant’Egidio, che con Francesco è una cosa sola, sa cosa fare].

«Ciò che sta accadendo è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle varie conseguenze del cambiamento climatico (sic!): l’innalzamento del livello del mare, la siccità e molti altri fenomeni (sic) che colpiscono il pianeta hanno lasciato parecchia gente alla deriva.

 D’altra parte, la transizione verso forme di energia rinnovabile, ben gestita, così come tutti gli sforzi per adattarsi ai danni del cambiamento climatico, sono in grado di generare innumerevoli posti di lavoro in diversi settori.

 Per questo è necessario che i politici e gli imprenditori se ne occupino subito».

 

 

Come si vede, non c’è margine di precisione, è tutta una invettiva costruita più su pregiudizi che su dati di fatto, invero inesistenti o inconsistenti, sorretti da rari dettagli, che paiono buttati in mezzo tanto per fare scena, per dare credibilità all’anatema continuo, ma egualmente discutibili, anzi contestabili, abbeverandosi il Papa a pozzi avvelenati, notoriamente, quali il rapporto 2023 dell’agenzia statunitense «National Oceanic and Atmospheric Administration» e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico che è un organismo governativo americano di pura propaganda climatista:

ma su queste affermazioni avranno buon gioco gli scienziati veri a sbugiardare questo papa bugiardo.

Il punto è che le cose non stanno affatto così.

Al di là della confusione, della contraddizione per cui l’Africa sarebbe in ritardo, a causa dell’infinito colonialismo occidentale, dunque ancorata a tecnologie antiquate e pertanto altamente inquinanti, eppure, prodigiosamente, per motivi non precisati riesce, nei suoi 54 Stati, ad immettere meno agenti di tutti;

 al di là pure della irresponsabilità con cui si affermano cose del tutto lunari come «Allo stesso tempo, notiamo che negli ultimi cinquant’anni la temperatura è aumentata a una velocità inedita, senza precedenti negli ultimi duemila anni.

In questo periodo la tendenza è stata di un riscaldamento di 0,15 gradi centigradi per decennio, il doppio rispetto agli ultimi 150 anni.

Dal 1850 a oggi la temperatura globale è aumentata di 1,1 gradi centigradi, fenomeno che risulta amplificato nelle aree polari.

A questo ritmo, è possibile (sic!) che tra dieci anni raggiungeremo il limite massimo globale auspicabile di 1,5 gradi centigradi.

 L’aumento non si è verificato soltanto sulla superficie terrestre, ma anche a diversi chilometri di altezza nell’atmosfera, sulla superficie degli oceani e persino a centinaia di metri di profondità.

Questo ha pure aumentato l’acidificazione dei mari e ridotto i loro livelli di ossigeno.

 I ghiacciai si ritirano, la copertura nevosa diminuisce e il livello del mare aumenta costantemente»: qui sarebbe solo da replicare: è possibile un cazzo, caro Greto.

Le cose non stanno così, punto. Sono contemporaneamente più complesse e più lineari.

I riscontri stanno nella scienza autentica, stanno nel sapere serio, rigoroso dei 1500 attorno all’organizzazione Clintel, alcuni dei quali intervistati da Franco Battaglia in un recentissimo libro;

stanno nella situazione africana raccontata da “Federico Rampini” nel nuovo “La speranza africana”, dove le questioni energetiche e quindi climatiche occupano la parte rilevante;

stanno nella geopolitica che ogni giorno smentisce la criminalità, esclusiva dell’homo capitalisticus occidentale;

stanno nella menzogna per cui il pianeta, a livello climatico, non è mai stato così malmesso, quando è vero il contrario.

 Stanno, a un livello più generale, in un modo talmente sensazionalistico, fazioso e scorretto da non essere consentito neanche a un papa.

Il guaio, e grosso guaio, è che anche sul fronte laico (ma esiste un fronte più laico del clero attualmente guidato da Bergoglio?) le cose non vanno né meglio né peggio, sono identiche:

 «L’origine umana, “antropica” del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio» è il medesimo assunto perentorio, ma inconsistente, che esce dalla bocca di Mattarella, il quale ci fa sapere che “Il Capo dello Stato è sconcertato” dalle discussioni ancora in corso quanto a cambiamenti climatici con relative presunte responsabilità:

la stessa cosa che il Colle ebbe a dire a proposito di vaccini, profilassi governativa, lockdown, green pass:

 tutte misure inutili, devastanti e discretamente eversive, roba che ha avuto bisogno di sorreggersi su anni di bugie per funzionare.

Ed è questo approccio imperiale a togliere il sonno:

 le cose stanno come diciamo noi perché lo diciamo noi e non sono ammesse obiezioni, dimostrazioni contrarie, tanto meno il ricorso alla scienza, sempre esaltata ma fin che fa comodo.

Qualcosa di spaventoso, in prospettiva, ma una prospettiva che già ci ghermisce.

 Le cose stanno come diciamo noi e se vi azzardate a contestarle vi mettiamo in manicomio (Pecoraro Scanio), in galera (Bonelli), comunque vi rinchiudiamo, vi amputiamo dal consorzio civile.

Ne usciremo?

Difficile, anche perché la tecnologia autoritaria del controllo ce lo impedisce e ci stritolerà sempre più.

 E, va detto, anche destra, almeno italiana, non si scorgono segnali di reazione, solo di soggezione a questa attitudine maniacale, allucinante, dogmatica ma a livelli post talebani.

Qui un pontefice cattolico punta semplicemente a cancellare il pianeta fingendo di volerlo preservare.

 Se non è satanico questo!

Non ci resta che evocare Daniele Capezzone col suo ultimo saggio, “E basta con ‘sto fascismo”.

Dove lo sbotto del titolo è duplice, va bene sia per sfanculare i fanatici che usano i fantasmi di un regime di cent’anni fa in chiave strategica, sia per inchiodarli alla loro autentica matrice, che è quella di un fascismo schietto, incorreggibile, ribaldo. A prescindere dall’armocromia del doppiopetto o della tonaca.

(Max Del Papa)

 

 

 

Chip, perché sarà un anno difficile

per l’industria: lo scenario globale.

Agendadigitale.eu - Mirella Castigli – (01 Feb. 2023) – ci dice:

(ScenariDigitali.info)

 

Il Presidente degli Stati Uniti Biden sta conducendo la guerra dei chip, limitando fortemente le esportazioni di processori verso la Cina, dopo lo stop alla Russia.

 La posizione sempre più delicata di Taiwan e la rincorsa della Ue.

Gli esperti ci aiutano a capire le molte sfaccettature di un’industria strategica e complessa.

La geopolitica dei chip: l'impatto sulle filiere e le sfide del 2023.

L’industria dei chip è da sempre stata l’emblema e uno dei cardini della globalizzazione.

Ma il mondo pare entrato in una nuova fase di de-globalizzazione e di friend shoring (il re-shoring nei mercati nazionali e dei Paesi alleati) e la geopolitica ha cominciato a innalzare confini dove non c’erano.

Tira linee nette di demarcazione ideologiche per separare.

 

Da un lato le filiere atlantiche legate agli USA.

Dall’altro, la Cina con i vari Paesi satelliti nel Sud-est asiatico, il Medio-Oriente, Eurasia e l’Africa dove Pechino sta spingendo l’adozione delle sue tecnologie.

Sono i Paesi che hanno aderito alla “Belt and Road Initiative” (Bri), la nuova via della Seta, o che si sono affidati agli aiuti finanziari cinesi e che stringono accordi commerciali con Pechino.

 Sono quelli che accettano gli standard cinesi quando costruiscono le loro infrastrutture digitali.

Il decoupling è dunque inevitabile.

I Paesi devono prepararsi alle sfide future, mettendo a punto il loro piano B e cercando nuove strategie nel nuovo mondo post-pandemia.

Facciamo il punto sullo scenario globale di questa industria complessa e strategica.

 

È la geopolitica, bellezza.

La geopolitica, abbiamo detto, è entrata prepotentemente nell’industria dei chip, un mercato già fortemente stressato dal post-pandemia, anche se siamo in fase di ritorno degli stock.

 Ma in realtà “i chip sono sempre stati geopolitici”, commenta “Alessandro Aresu”, autore del libro “Il dominio del XXI secolo” (Feltrinelli, 2022).

 

Fin dall’inizio, la storia dei chip accompagna lo sviluppo militare degli Stati Uniti.

La crescita americana dei chip deriva dal fatto che il mercato non è solo militare, ma diventa il vasto mondo dell’elettronica di consumo.

Politica e mercato, quindi”, sottolinea “Aresu”.

La carenza dei processori ha avuto un significativo impatto sulle filiere industriali, “ma ora la domanda è in calo”, aggiunge “David Burigana”, professore associato di “Storia delle Relazioni Internazionali” all’Università di Padova.

 Inoltre la “chip war”, sferrata dal Presidente Usa Joe Biden contro Russia e Cina, insieme agli incentivi dell’”Inflaction Reduction Act” approvato ad agosto, ha un impatto globale sulle supply chain.

 

Per contenere l’ascesa tecnologica cinese, Washington ha deciso di limitare l’export dei chip in Cina.

 Il risultato sarà un anno complesso per l’industria dei semiconduttori, con implicazioni molteplici e conseguenze a lungo termine, anche in Italia e in Europa, dove lo scopo della normativa sui chip è di ridurre le vulnerabilità della UE e le sue dipendenze da player stranieri.

Le restrizioni americane all’esportazione dei processori.

Nell’ambito del braccio di ferro con Pechino, gli USA hanno istituito le più ampie restrizioni di sempre all’export dei chip.

 L’amministrazione Biden punta a limitare le vendite di processori alla Cina e a porre paletti a chi può lavorare per le aziende cinesi.

Al contempo, il governo statunitense intende agevolare la filiera dell’industria dei processori, introducendo generosi sussidi federali per effettuare il reshoring e riportare la manifattura verso gli USA.

“Anche se la maggioranza alla Camera non è stata così netta lo scorso fine luglio”, spiega “David Burigana”, “l’amministrazione Biden ha stabilito un investimento di oltre 50 miliardi immediati nel settore delle foundry.

In dieci anni l’impegno è di sviluppare 200 miliardi di dollari nel settore della “Science”, quindi non solo la ricerca scientifica applicata ai microchip, ma anche tutte le conseguenze”.

Altri governi in Europa ed Asia, dove hanno sede i maggiori chip maker, hanno introdotto policy simili per mantenere le loro posizioni nell’industria.

I cambiamenti in atto continueranno ad avere effetto nel 2023, ma ad essi si somma un nuovo elemento di incertezza nell’industria che finora ha fatto affidamento a una “supply chain” distribuita e globale.

Finora si sceglieva in libertà con chi fare business.

D’ora in poi, la geopolitica giocherà un ruolo di primo piano nel mercato da 500 miliardi di dollari dei semiconduttori.

 

Lo scenario europeo sullo scacchiere dei chip.

“Non è un caso che lo scorso ottobre si sia svolto alla Farnesina”, continua il professor “David Burigana”, “l’incontro bilaterale fra l’allora ministro del Mise Giorgetti e il ministro francese Bruno Le Maire, per investire in quattro settori: vaccini, spazio, elettronica e idrogeno.

Il rilancio della microelettronica avviene attraverso l’investimento di 5-6 miliardi di euro in STM, un progetto che s’innesta nel quadro del Chips Act europeo”.

Il piano dei sussidi europei dovrebbe permettere di mobilitare 45 miliardi di investimenti pubblici e privati utilizzando la leva del bilancio dell’Ue.

Tuttavia, osserva “David Burigana”, le cifre in gioco in Europa e USA sono di 45 miliardi la UE e 50 miliardi gli USA, “mentre i piani di Taiwan sfondano circa i cento miliardi.

La foundry a Sud di Taiwan, finanziata anche dagli Stati Uniti, ha ricevuto circa 60 miliardi di investimenti per la produzione di massa di chip con tecnologia a 3 nanometri.

La Cina oscilla fra i 6 e gli 8 (il Covid è di 15 nanometri…). Invece l’Unione europea non riesce a scendere sotto i 10 nanometri”.

“Secondo un report della Commissione europea, l’Europa ha una quota nel mercato dei chip pari all’8% (contro il 24% del 2000). L’obiettivo europeo è recuperare market share per tornare al 20% di quote di mercato”.

Nel 2000 l’Europa deteneva un quarto della produzione dei chip, “grazie al coordinamento fra ricerca scientifica ed industria negli anni ’90, nonostante che gli investimenti non fossero elevatissimi”, sottolinea “Burigana”.

Gli Usa scommettono sui chip con il “Chips Act”.

Nel 2022 gli USA hanno varato il “Chips and Science Act”, che mette sul piatto 52 miliardi di dollari per l’industria dei semiconduttori e della ricerca.

 Di questi, 39 miliardi servono a sussidiare la costruzione di fabbriche negli Stati Uniti.

 Dal prossimo febbraio le aziende potranno attingere a questi fondi, i vincitori saranno presto resi noti.

 

Alcuni fondi permetteranno di aiutare le fabbriche di manifattura militare dei chip basate sugli USA.

 Il governo da tempo esprime preoccupazione sui rischi di sicurezza nazionale legati ai chip provenienti dall’estero.

“Probabilmente sempre più aziende torneranno negli USA con l’obiettivo di ricostruire la supply chain di difesa”, ha dichiarato al “MIT Technology Review” “Jason Hsu”, ex legislatore di Taiwan che attualmente è senior fellow presso la “Kennedy School di Harvard” dove svolge ricerca sull’intersezione dei semiconduttori e geopolitica.

 “Hsu” afferma che le applicazioni di difesa sono la maggior ragione per cui il colosso taiwanese “TSMC” ha deciso di investire negli Stati Uniti 40 miliardi di dollari.

Oltretutto, nella produzione dei processori a 5 nanometri e 3 nanometri, le generazioni di chip attualmente più avanzate.

 

Tuttavia il reshoring pone anche diverse problematiche.

Le criticità del reshoring.

Il reshoring della produzione dei processori commerciali non è una passeggiata ed incontra varie problematiche.

La produzione della maggior parte dei chip impiegati nei prodotti consumer e data center, fra le applicazioni commerciali, avviene in Asia.

Spostare questa manifattura negli USA potrebbe spingere in alto i costi, rendendo i processori meno competitivi, nonostante i sussidi governativi.

Nell’aprile scorso, il fondatore di “TSMC” Morris Chang ha spiegato che i costi di produzione dei chip sono più alti del 50% rispetto a Taiwan.

“Il problema è che “Apple”, “Qualcomm” e “Nvidia” acquisteranno I chip prodotti negli USA, e dovranno bilanciare questi costi, poiché il prezzo dei chip sarà ancora meno costoso a Taiwan,” ha messo in guardia “Paul Triolo”, senior vice presidente della “Albright Stone bridge”, società di business strategy, per le aziende che operano in Cina.

Altre criticità sono l’alto costo del lavoro negli USA o la difficoltà a mantenere gli incentivi governativi.

Insomma, servono sussidi importanti per investire a lungo termine nella produzione statunitense.

Gli Stati Uniti non sono i soli impegnati ad attrarre più fabbriche di chip.

Perfino Taiwan ha varato un “subsidy act” a novembre per defiscalizzare il mercato dei chip.

 Giappone e Sud Corea stanno seguendo le stesse politiche.

“Woz Ahmed”, consulente britannico ed ex manager dell’industria dei chip, prevede che nel 2023 sono in arrivo i sussidi dall’Unione europea, anche se la finalizzazione degli accordi è prevista per l’anno prossimo, perché in Europa simili decisioni richiedono il semaforo verde degli stati membri.

L’impatto della geopolitica nell’industria dei chip.

Il 2023 è appena iniziato, ma già sappiamo che la domanda di elettronica da consumo è in stallo, dopo la forte domanda durante la pandemia e nel successivo post-pandemia.

 Oggi lo scenario di mercato e l’aumento dei prezzi hanno portato la consumer electronic a un plateau.

 

Tuttavia, ad eclissare i fondati timori sul ciclo economico e le sfide associate ai chip evoluti (pensiamo al 6G che, secondo Idc, ci traghetterà nell’era della Terabyte economy, dominata dalla robotica mobile personale), potrebbe essere il fattore geopolitico.

Non una novità, in realtà.

“Negli anni ’80”, continua Aresu, “i chip sono geopolitici perché rappresentano un elemento ad alto valore aggiunto della filiera industriale giapponese contro gli Stati Uniti, negli anni della paura del “sorpasso” di Tokyo:

l’aspetto che scatena l’elaborazione degli strumenti di controllo degli investimenti esteri di Washington.

 L’interconnessione fra ragioni di mercato e geopolitiche, dunque, porta all’ascesa di altri attori globali come Taiwan e la Corea del Sud, e alla complessità crescente della filiera, fatta di numerose aziende che si misurano sui principali mercati per dare soluzioni sempre più competitive che accompagnano l’era digitale.

In questo percorso sono presenti anche Paesi europei: in particolare Paesi Bassi, Germania, Italia e Francia, in parte l’Irlanda, l’Austria”.

“I chip sono geopolitici perché il numero dei clienti delle aziende della filiera è globale, mentre il numero dei produttori rilevanti (non solo la manifattura, ma anche il software, la chimica e i materiali, i macchinari, il testing) è relativamente ristretto.

Conta dunque la capacità di collocarsi in termini di forza tecnologica, all’interno di questi segmenti della filiera che sono tanti e molto importanti, e aggredire gli elementi a maggiore valore aggiunto”, spiega il consigliere scientifico della rivista Limes, già consulente e consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Mef, Affari Esteri e Agenzia Spaziale Italiana, capo della segreteria tecnica del Mur.

Chip war fra Usa e Cina: nuove barriere in arrivo.

I controlli che gli USA hanno introdotto nell’ottobre scorso sull’export dei chip e delle tecnologie avanzate verso la Cina rappresentano un’escalation nella guerra dei chip.

Finora Washington ha applicato le barriere alla vendita dei processori a poche specifiche aziende cinesi, ma presto saranno estese a tutte le entità cinesi.

“Il tornante geopolitico dei chip in questo secolo”, continua Aresu, “è quando diventano la prima fonte di importazione dalla Repubblica Popolare cinese.

 La Cina ha avanzato sempre più piani di cosiddetta autosufficienza tecnologica visti come problematici da parte degli Stati Uniti, per due ragioni:

 la crescita cinese delle acquisizioni all’estero (ora meno presente per i controlli sugli investimenti esteri occidentali, ma ancora rilevante, per esempio nel corporate venture capital);

le implicazioni militari, soprattutto per i sistemi autonomi, che varranno soprattutto in futuro”, dunque, “l’aspetto politico e legato alla sicurezza è molto presente, soprattutto mentre diventa più acceso il confronto fra due attori globali come Usa e Cina”.

Inoltre, si aggiungono nuove misure come la restrizione della vendita ai cinesi di altri dispositivi essenziali nell’industria dei chip.

Le policy gettano l’intera filiera nell’incertezza. Ci si domanda quali siano i chip e le tecnologie da considerare “avanzate” e se le restrizioni vadano applicate anche alle aziende cinesi che usano sia chip di vecchia che di nuova generazione.

Il “Dipartimento del Commercio” ha rilasciato le Faq per offrire delucidazioni ai quesiti più pressanti.

Per esempio, ha illustrato che le restrizioni non valgono se i chip di vecchia generazione sono prodotti in un’ala separata della fabbrica.

 Ma non è chiaro se seguirà un enforcement delle regole e in quale direzione.

Alcune aziende cinesi hanno cercato di bypassare i limiti.

 Un vender è giunto perfino a camuffare i suoi chip per farli sembrare meno avanzati.

Ed evitare di incorrere nelle restrizioni.

Poiché il mercato cinese è gigantesco e profittevole, ci saranno aziende non cinesi motivate ad aggirare i paletti. Senza controlli, secondo Ahmed, saranno in tanti a provare a rompere le righe, bypassando i divieti.

Le sfide del 2023 nella geopolitica dei chip.

Quest’anno si attendono nuove regole, ancora più stringenti, anche per i chip che si rivolgono all’industria del “quantum computing” eccetera.

“ Chris Miller”, professore di storia internazionale alla “Tufts University”, pensa che sia giunta l’ora di mettere il programma in pausa.

Meglio focalizzarsi sulle restrizioni odierne, prima di compiere ulteriori passi.

“Non mi aspetto un’estensione dei controlli sull’export dei chip (nell’anno in corso, ndr)”, afferma Miller, autore del libro dal titolo “Chip War: The Fight for the World’s Most Critical Technology”

 

“L’amministrazione Biden ha trascorso la maggior parte dei due anni in ufficio a predisporre queste restrizioni. La speranza è che le limitazioni funzionino senza dover sferrare nuovi giri di vite”.

La risposta cinese.

Il governo cinese ha finora dato una risposta modesta ai controlli americani dell’export.

Si è limitata ad annunci diplomatici e a dispute legali indirizzata al “World Trade Organization” (Wto).

Secondo molti esperti, la Cina non inasprirà la posizione.

Pechino non trae vantaggio dal re-shoring del settore dei chip negli USA.

“Gli americani possiedono sufficiente tecnologia core. Invece la Cina è ai piani bassi della supply chain.

Per definizione, Pechino non ha abbastanza strumenti per fare ritorsioni”, secondo “John Lee”, il direttore dell’”East West Futures Consulting”.

 

Ma il Paese controlla l’80% della raffinazione delle terre rare.

 Sono gli elementi chimici essenziali per realizzare prodotti bellici, come parti di jet da combattimento.

 Ma anche componenti chiave delle batterie e schermi dei dispositivi consumer di uso quotidiano.

Sulle terre rare, bisogna considerare anche l’impatto geopolitico della scoperta svedese di un importante giacimento che aiuterà l’Europa nella transizione ecologica ed energetica.

La Cina potrebbe comunque rispondere al bando dell’export americano, senza infliggere grandi ritorsioni, ma limitandosi a sanzionare una manciata di aziende statunitensi, nell’industria dei chip o no, solo per inviare un messaggio.

L’approccio della terra bruciata sarebbe costoso sia per la Cina che per gli USA, secondo “Miller”.

 L’industria dei processori cinesi non è in grado di sopravvivere senza il supporto della supply chain globale.

Da essa dipende per le macchine di litografia, core chip IP e wafer.

Dunque, alla Cina conviene evitare ritorsioni aggressive. Inquinerebbero l’ecosistema del business: è “probabilmente la strategia più intelligente per la Cina”, dice “Miller”.

Invece è più probabile che Pechino si focalizzi nell’irrobustire la sua produzione nazionale.

 Nel primo trimestre dell’anno, la Cina potrebbe annunciare un pacchetto da un trilione di yuan (pari a 143 miliardi di dollari) a supporto delle aziende domestiche. Offrendo generosi sussidi, ha lavorato e testato metodi con cui ha sostenuto l’industria cinese dei semiconduttori nell’ultimo decennio.

Ma rimane la questione di come allocare i fondi in maniera efficiente e alle aziende giuste, soprattutto dopo che l’anno scorso è stata messa in dubbio l’efficienza del fondo di investimento nei chip, sconquassato da alti livelli di corruzione.

L’utopia dell’autosufficienza tecnologica.

“Se i piani di autosufficienza tecnologica si realizzassero”, mette in guardia Aresu, “la Cina chiuderebbe la filiera, con le sue aziende che forniscono il suo enorme mercato.

Tuttavia, si tratta di una grande illusione per tutti:

nessun Paese riuscirà mai ad avere una filiera completa e onnicomprensiva dei chip.

Allo stesso tempo tutti i Paesi cercano di non essere troppo dipendenti dagli altri. Di fatto, è un gioco (di equilibrio, ndr) fra capacità tecnologica, esigenze di sicurezza e diversificazione del rischio, successo sul mercato.

Un gioco importante per i Paesi che sono già forti nella filiera dei chip, ma anche per i Paesi che acquisiranno un peso maggiore come l’India.

Questa scommessa tecnologica serve perché il settore crea grande valore aggiunto su elettronica di consumo, automotive, industria militare”.

“In questo scenario i Paesi occidentali vogliono ritrovare un ruolo in quella parte dell’industria dei chip che è la grande produzione manifatturiera, per ragioni economiche, sociali, politiche.

 Un ruolo che si era ridimensionato, soprattutto a favore di Taiwan e Corea del Sud”, precisa l’esperto italiano.

I campioni visibili e quelli nascosti.

“L’industria è estremamente complessa”, illustra Alessandro Aresu, “essendo composta da attori più visibili e campioni nascosti.

Gli Stati Uniti hanno potuto sferrare la guerra contro la Cina, con i controlli sulle esportazioni, dal momento che, in alcuni pezzi della filiera dei chip, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti per la loro progettazione e i macchinari, ci sono aziende statunitensi indispensabili.

 Nessuna azienda cinese può fare alcuni chip senza il contributo di queste aziende americane: è impossibile.

 E la cosa più importante da tenere a mente è che la Cina non è riuscita a riprodurre il ruolo di aziende come “Synopsys”, “Nvidia”, Applied Materials”.

 Questo è il potere degli Stati Uniti che bisogna considerare: aziende imprescindibili per la loro capacità di innovazione continua che i concorrenti non riescono ad acciuffare.

Quindi gli Stati Uniti avranno in successo in futuro se sapranno mantenere queste capacità, e affiancarvi altre aziende”.

Taiwan e gli interessi europei.

Ci sono Paesi come Olanda, Giappone, Sud Corea e Taiwan che, seppur mantenendo differenze ideologiche con la Cina, hanno interessi economici a mantenere relazioni commerciali con il gigante asiatico.

Alcuni Paesi ritengono che gli interessi europei non siano sempre sovrapponibili a quelli americani.

“Peter Wennink”, CEO dell’azienda di apparecchiature litografiche “ASML”, ritiene che i controlli sull’export hanno sacrificato il business, mentre per le aziende americane sono superiori i vantaggi.

 Taiwan si trova in una posizione imbarazzante.

Con la Cina condivide prossimità geografica e storici rapporti e intrecci economici.

La taiwanese “Taiwan Semiconductor Manufacturing Company” (TSMC) vende chip alle aziende cinesi e costruisce fabbriche in Cina.

Ad ottobre, gli USA hanno garantito a “TSMC” un anno di esenzione dalle restrizioni sull’export, ma non potrà essere rinnovata quando finirà nel 2023.

Tuttavia i rapporti fra Cina e Taiwan sono tesissimi.

Aleggia perfino la possibilità di un conflitto militare fra Pechino e Taipei, un evento che avrebbe effetti catastrofici sull’economia globale.

Ma una guerra al momento non è all’orizzonte.

L’incertezza regna sovrana, “dopo l’inversione di tendenza in seguito alle elezioni del 2016”, evidenzia “Burigana”.

Aumentano gli investimenti nella manifattura d’oltreoceano, come le due fabbriche di chip che TSMC pianifica di costruire in Arizona.

“Taiwan Semiconductor Manufacturing Company” sta esaminando l’opportunità di realizzare un primo stabilimento in Europa, concentrato sui sistemi hardware per l’auto, oltre a un secondo impianto in Giappone, dopo l’annuncio dell’incremento degli investimenti negli Usa.

“La Cina, fra il 2000 e 2005, arrivò a superare gli Usa, diventando il più importante importatore da Taiwan dopo il Giappone”, spiega “David Burigana”.

“Con il cambio dell’atteggiamento cinese nei confronti di Hong Kong, Taiwan iniziò a considerare l’apertura cinese, dopo l’ingresso nel Wto, come propaganda.

Gli avvenimenti di Hong Kong hanno avuto importanti riflessi sullo spostamento in Occidente dell’asse di interesse di Taiwan”.

Le altre incognite che pesano sull’industria.

Nel mondo post pandemia, la domanda sarà sempre più declinata alla sostenibilità e alla transizione energetica ed ecologica.

Infatti, “un altro aspetto, che acquisirà importanza crescente, riguarda la sostenibilità dell’industria”, evidenzia Aresu: “dunque il consumo energetico e quello idrico.

Anche a Taiwan si pone il tema: sia per il consumo idrico ingente che per la necessità di avere energia stabile (dunque non solo da fotovoltaico o eolico)”.

“Questo aspetto”, sottolinea l’esperto di geopolitica dei chip, “è ancora più sensibile per via degli eventi climatici estremi.

Un altro tema fondamentale riguarda i grandi programmi di ricerca applicata che hanno reso possibile la realizzazione industriale su vasta scala.

 Per esempio, l’azienda olandese” ASML” è cresciuta grazie a enormi investimenti di ricerca su scala industriale e alla loro realizzazione, tra programmi governativi USA, centri di ricerca europei, applicazione industriale.

Infine, c’è l’aspetto degli incentivi pubblici, “presenti in tutto il mondo con varietà diverse”, conclude Aresu, “che rende e renderà ancora più politica l’industria, anche se il successo si peserà sempre sul mercato e non sulle commesse pubbliche.

In sintesi, arrivare a posizioni diverse di un’industria così complessa dipende da molti fattori, e i campioni industriali devono continuamente analizzare l’impatto dei cambiamenti politici e la velocità del cambiamento dei mercati di riferimento, pesare la capacità di ricerca e tentare di governare l’incertezza”.

Conclusioni.

Le sfide geopolitiche si fanno ogni giorno più grandi.

 Intel, che aveva ottenuto aiuti di stato per 6,8 miliardi di euro in Germania, sta ripensando se investire in Europa.

O se approfittare delle sovvenzioni negli Stati Uniti.

Il calo della domanda di semiconduttori, l’inflazione e gli alti prezzi dell’energia hanno fatto lievitare i costi di investimento sulla fab a Magdeburgo.

 Erano stimati da Intel in 17 miliardi di euro. Ora sono saliti a 20 miliardi circa.

 Il governo tedesco potrebbe colmare il divario di finanziamenti.

Però Intel deve decidere se mantenere il piano strategico decennale e gli 80 miliardi di investimenti in Europa.

 Oppure se lasciarsi sedurre dal reshoring di Biden.

In gioco è anche lo stabilimento di packaging di chip a “Vigasio”, in Veneto.

Potrebbe creare cinquemila posti di lavoro tra diretti (1500) e indiretti.

I lavori di costruzione dovrebbero prendere il via tra il 2025 e il 2027.

L’Italia non ha ancora raggiunto un accordo definitivo sull’apertura in Veneto. L’iter è stato complesso a causa della mancanza di coordinamento fra le regioni (Veneto, Piemonte e Sicilia con Catania).

“Il problema è che il coordinamento tedesco è strutturato.

 Anche la Francia ha i consiglieri tecnici del Presidente che coordinano le grandi politiche”, conclude “Burigana”.

 L’Italia, purtroppo no.

Il Chips Act europeo.

La “Commissione per l’Industria e l’Energia” ha adottato la scorsa settimana due progetti di legge:

uno sulla “Legge sui chip” (Chips Act) che mira a rafforzare la capacità tecnologica e l’innovazione nell’ecosistema dei chip dell’UE e un secondo sull’Impresa comune sui chip per aumentare gli investimenti per lo sviluppo di questo tipo di ecosistema europeo.

Nei loro emendamenti alla legge sui chip, i deputati si sono concentrati maggiormente sui semiconduttori di prossima generazione e sui chip quantistici. Verrebbe creata una rete di centri di competenza per affrontare la carenza di competenze e attrarre nuovi talenti nella ricerca, nella progettazione e nella produzione.

La legislazione sosterrebbe anche progetti volti a incrementare la sicurezza dell’approvvigionamento dell’UE attirando investimenti e sviluppando la capacità produttiva.

Misure per rispondere a future carenze.

Verrebbe istituito un meccanismo di risposta alle crisi, con la valutazione da parte della “Commissione dei rischi” per l’approvvigionamento di semiconduttori nell’UE e degli indicatori di allarme rapido negli Stati membri che potrebbero far scattare un’allerta a livello europeo.

 Ciò consentirebbe alla Commissione di attuare misure di emergenza, come dare priorità alle forniture di prodotti particolarmente colpiti o effettuare acquisti comuni per gli Stati membri.

 I deputati sottolineano che la catena di approvvigionamento dei chip dovrebbe essere mappata per identificare eventuali colli di bottiglia.

I deputati sottolineano inoltre l’importanza della cooperazione internazionale con partner come Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Taiwan.

La Commissione dovrebbe istituire un’iniziativa di diplomazia dei chip per affrontare qualsiasi futura interruzione delle catene di fornitura.

La relazione legislativa sulla legge sui chip è stata adottata con 67 voti a favore, uno contrario e quattro astensioni.

 La commissione ha votato anche sul mandato di avviare negoziati interistituzionali con 70 voti favorevoli, uno contrario e un’astensione.

“Iniziativa “Chips per l’Europa.

In una votazione separata, gli eurodeputati hanno adottato con 68 voti a favore, nessuno contrario e quattro astensioni, la proposta di impresa comune Chips, che attua le misure previste dall’iniziativa “Chips for Europe”.

Lo schema mira a sostenere lo sviluppo di capacità su larga scala attraverso investimenti in infrastrutture di ricerca, sviluppo e innovazione accessibili a tutta l’UE.

Consentirebbe inoltre lo sviluppo di tecnologie dei semiconduttori all’avanguardia e di nuova generazione.

I deputati sottolineano che per stimolare l’innovazione saranno necessari fondi freschi e una riallocazione dei fondi di “Horizon Europe”.

 

 

 

 

“Scandalo Pfizer”, il dott. de Vita

perentorio: “Green Pass fondato su falsità.”

 Lntepubblica.it - Recordare Roberto – (17 Ottobre 2022) – ci dice:

Il noto chirurgo ha commentato le dichiarazioni di “Janine Small,” dirigente Pfizer per i mercati emergenti, rilasciate al Parlamento europeo:

“i vaccini non sono mai stati testati sulla loro capacità di limitare la trasmissibilità del virus”.

Continua a far discutere quanto accaduto ieri durante la seduta del Parlamento europeo.

 A commentare la vicenda è anche il dott.” Roy de Vita”, Primario della “Divisione di Chirurgia Plastica” dell’Istituto dei Tumori di Roma Regina Elena.

 Sarebbe stata ieri l’occasione per rivelare il contenuto dei messaggi privati che sono stati scambiati tra Ursula von der Leyen (presidente della Commissione Europea) e Albert Bourla (Ceo di Pfizer), ma quest’ultimo ha scelto di non presentarsi di fronte alle istituzioni europee.

“Il tutto non elimina i dubbi legittimi sulla questione – afferma de Vita – anzi spiegano chiaramente il personaggio che pensa di godere della stessa immunità dei suoi vaccini, visto che si è assentato senza dare alcuna giustificazione”.

Al suo posto si è presentata “Janine Small”, dirigente Pfizer per i mercati emergenti, che in risposta ad un europarlamentare olandese ha affermato:

“prima di essere immessi sul mercato, i vaccini (anti-Covid, ndr) non sono mai stati testati sulla loro capacità di limitare la trasmissibilità del virus”.

Parole che non lasciano spazio a fraintendimenti.

La risposta “è scandalosa”, afferma de Vita.

“Sono sempre rimasto colpito – prosegue – da tutti gli invasati che in tv lanciavano improperi contro chi non era vaccinato perché minava la sicurezza degli altri.

Ma perché questa acredine così violenta.

Se il vaccino è così efficiente, cosa mi importa se qualcuno per sua scelta ha deciso di non vaccinarsi?

 Il problema rimane di quella persona”.

“Ora scopriamo che anche con quattro dosi chi si vaccina può infettarsi, ed anche molto facilmente – continua il medico chirurgo – .

E fa sorridere chi dice ‘sì ma col vaccino ho evitato la forma grave della malattia’, un’affermazione basata su verità scientifiche che non esistono.

Era ragionevole avere dei dubbi, come non era ragionevole avere delle certezze granitiche.

 Abbiamo fatto vaccinare i nostri giovani per tutelare i nonni, esponendoli invece a rischi inutili.

Resta il fatto che hanno inventato il Green Pass sulla base di un mito inesistente e alimentato un odio sociale che non so quando si placherà.

Spero che chi prenderà future decisioni non abbia interessi economici (acquisto di denaro da Pfizer! N.D.R), ma si ponga dei dubbi e su questa base indaghi al meglio senza decretare obblighi e coercizioni ciò che è meglio fare per tutti”, conclude de Vita.

 

 

 

 

Avercene di Boris Johnson.

 Ilfoglio.it - CLAUDIO CERASA – (08 LUG. 2022) – ci dice:

    

Soltanto un pagliaccio?  Solo un bugiardo? Dai vaccini fino all’Ucraina passando per la globalizzazione e i valori occidentali.

BoJo ha fallito, ma i veri buffoni della destra europea sono altri.

Ora che ha miseramente fallito, ora che ha inevitabilmente scelto di fare un passo indietro, ora che il gregge del suo partito, come ieri lo ha chiamato lui, ha finalmente ottenuto il suo scalpo, tutti saranno lì a infierire sul suo essere stato un primo ministro simile a un clown, sul suo essere stato un politico inaffidabile, sul suo essere stato un leader bugiardo.

 E in effetti, se si mettono insieme i puntini, se si ragiona sulla sua disastrosa gestione della Brexit, se si ragiona sul suo approccio disumano sull’immigrazione, se si ragiona sulle menzogne raccontate sui festini a Downing Street durante il lockdown, se si ragiona sullo stato in cui si trova oggi l’economia inglese, con l’inflazione più alta del G7 e con la più bassa previsione di crescita per il prossimo anno fra tutti i paesi del G7, si può capire bene perché ieri giornali come l’Economist abbiano festeggiato per il suo addio al potere.

Nella storia politica di Boris Johnson, almeno nella sua storia recente, c’è però qualcosa che merita di essere isolato, forse persino salvato, ed è qualcosa che non può essere trattato come un elemento marginale nella storia di BoJo.

 Un clown, d’accordo, ma Boris Johnson è stato anche altro e non ci vuole molto a capire perché la sua parabola discendente non abbia nulla a che fare con quella dei Donald Trump, delle Marine Le Pen o dei Matteo Salvini.

 È stato un pagliaccio in molte circostanze, in circostanze importanti, ma non lo è stato in almeno tre circostanze che non si possono dimenticare e che ci portano facilmente a dire che se la destra europea, la nuova destra europea, quella che avanza, quella più attratta dal sovranismo che dal merkelismo, avesse qualcosa di Boris Johnson sarebbe una destra meno estremista.

Trovate voi qualcuno, tra le nuove destre europee, e non solo tra quelle, che durante la pandemia abbia difeso e promosso i vaccini con la stessa forza con cui lo ha fatto Boris Johnson, che i vaccini oltre ad aver fatto di tutto per produrli in Inghilterra ha fatto di tutto per promuoverli tra tutte le fasce d’età del suo paese.

Trovate voi qualcuno, tra le nuove destre europee, e quando parliamo di nuove destre europee parliamo ovviamente anche di quelle italiane, da Giorgia Meloni a Matteo Salvini, che durante la pandemia abbia sfidato a più riprese il corpaccione del suo partito imponendo in diverse occasioni restrizioni alla libertà, come i lockdown e come i green pass, senza spacciarle come prove indelebili di un inevitabile passaggio dalla democrazia parlamentare alla dittatura sanitaria.

Trovate poi qualcuno, tra le destre europee, non solo quelle estremiste ma anche quelle moderate, che abbia difeso in modo così forte i valori non negoziabili dell’occidente, di fronte all’aggressione della Russia in Ucraina, arrivando a essere oggi, il Regno Unito, il secondo paese al mondo per sostegno alla sicurezza in Ucraina (2,53 miliardi di dollari).

 Provate voi a essere un leader di destra fieramente antirusso.

 Provate voi a essere un leader di destra fieramente pro vax.

 E provate voi a essere un leader di destra fieramente a favore della globalizzazione.

Perché sì, è vero, Boris Johnson ha fatto campagna per la Brexit, anche se il giorno prima del risultato della Brexit aveva preparato due articoli, uno a favore e uno contro.

 Perché sì, è vero, Boris Johnson, ancora prima della Brexit, ha fatto di tutto per alimentare l’euroscetticismo del suo paese.

Ma allo stesso tempo, da brexiteer, Johnson ha tentato sempre di dare al Regno Unito una dimensione globale, non protezionista, trasformando il rapporto dell’Inghilterra con i vecchi paesi del Commonwealth in un terreno fertile per costruire accordi di libero scambio.

Verrà descritto, oggi, come un pagliaccio, come un clown, come un bugiardo, ma se si osserva ciò che offre la destra in giro per l’Europa, e non solo in Europa, e se si paragona BoJo con tutto ciò che ha prodotto il trumpismo, non si fa fatica a dire, nonostante tutto, che i veri pagliacci della destra, in Europa, sono altri.  Avercene di Boris Johnson.

Reinventare il valore dei confini

nella post-globalizzazione.

 Affariinternazionali.it - Simone Martuscelli – (7 Novembre 2022) - ci dice:

(confini Economia Premio IAI 2022)

 

In “Ni victimes ni bourreaux”, una serie di saggi raccolti sulla rivista francese Combat nel novembre 1946, Albert Camus introduce così il concetto di “democrazia internazionale”:

“L’unico modo (…) consiste nel mettere la legge internazionale al di sopra dei governi, (…) dunque di disporre di un parlamento, dunque di costituire questo parlamento mediante elezioni mondiali a cui partecipino tutti i popoli”.

Globalizzazione e fine dello stato nazionale.

Al giorno d’oggi il ruolo dei filosofi nell’interpretare il mondo è fortemente messo in discussione, per tacere dei propositi di cambiarlo.

Ma è forse proprio a questa intuizione che è necessario tornare per provare a immaginare nuovi processi democratici per un mondo sempre più interdipendente e connesso, e reinventare il ruolo e il valore dei confini.

Nel 2018 “Rana Dasgupta”, in un articolo pubblicato sul “The Guardian” dal titolo “The demise of the nation state”, sosteneva il fallimento del modello, relativamente recente, dello stato nazione.

Per “Dasgupta”, l’affermazione di questo modello di organizzazione politica seguita alla caduta degli imperi a inizio Novecento, sarebbe stata favorita dalla perfetta corrispondenza, non più replicabile, tra confini politici ed economici:

 la limitata mobilità dei capitali permetteva ai governi di avere un reale margine di manovra, permettendo loro di tenere effettivamente fede alle promesse fatte ai cittadini e favorendo l’esistenza di un contratto sociale equilibrato.

Negli ultimi decenni, tuttavia, la crescente finanziarizzazione dell’economia e la creazione di un mercato unico globale ha sostanzialmente svuotato di senso e di potere l’esistenza degli stati.

Il ritorno del decisionismo statale.

La pandemia di Covid-19, in questo senso, ha rimescolato le carte.

La capacità decisionale degli stati è tornata prepotentemente alla ribalta, sia per quanto riguarda la gestione sanitaria della crisi, sia quella economica.

Uno scossone tale da far parlare anche il Financial Times di “fine della globalizzazione”.

Questo ritorno di sensibilità “dirigiste”, tuttavia, ha fatto fatica a trovare un proprio sbocco politico-istituzionale.

Se da un lato, come detto, il potere degli stati nazione è ormai insufficiente a rispondere in maniera adeguata alle grandi crisi del nostro tempo, dall’altro gli organismi predisposti a questo scopo, su tutti le Nazioni Unite (ultra corrotte. N.D.R), si sono spesso rivelati inadatti, per la loro architettura istituzionale, ad adempiere a queste funzioni.

Tuttavia, l’alternativa non può essere un ritorno agli stati nazionali.

In un articolo del 2014 di “Debora MacKenzie” sul “The New Scientist”, il professore di “European politics and society alla Oxford University “Jan Zielonka”, sosteneva come

“La futura struttura e l’esercizio del potere politico saranno più simili al modello medievale che a quella della Westfalia”, riferendosi al moderno concetto di Stato-nazione.

Il modello Unione europea.

Proprio nel continente dove questa forma di governo ha preso piede, è in atto quello che è il tentativo più avanzato e interessante di superamento di questo modello.

 L’Unione europea, pur tra mille tentativi a vuoto, sembra aver trovato con le crisi di questi anni la capacità di agire come un solo organismo coordinato:

il Green New Deal per contrastare la crisi climatica;

il Recovery Fund come pronta risposta alla pandemia;

le sanzioni alla Russia per reagire all’invasione dell’Ucraina.

L’esperimento europeo sembra aver imboccato la strada giusta verso un’architettura che sia in grado di cedere sovranità alle istituzioni comunitarie sui temi di interesse comune, attribuendo invece ai singoli stati membri le competenze in materie che necessitano di una maggiore vicinanza ai cittadini (come la sicurezza sociale) e rivestendo quindi di un nuovo orizzonte di senso i confini interni all’Unione.

Decisi miglioramenti vanno approntati riguardo alla democratizzazione delle istituzioni.

“Kathryn C. Lavelle” evidenzia, nella prefazione a “The Challenges of Multilateralism”, che “nelle organizzazioni internazionali che promuovono il multilateralismo, le decisioni sono prese attraverso il voto e non tramite conquista di guerra o diplomazia bilaterale”:

questi organismi sono dunque chiamati a dotarsi di sistemi decisionali che permettano loro di legiferare in maniera più efficace.

In questo senso, il superamento del principio di unanimità nelle istituzioni europee resta un obiettivo prioritario da perseguire.

Nonostante i suoi limiti, l’ambizione e l’unicità del progetto europeo lo rendono non solo il modello più innovativo nel panorama politico attuale, ma un esempio da seguire nell’ottica di una riforma degli altri organismi sovranazionali mondiali.

Verso il regionalismo e il decentramento?

In “Global Democracy: For and Against”, “Raffaele Marchetti” sostiene che il fine ultimo di una democrazia globale non debba limitarsi al raggiungimento della pace, ma perseguire un’ideale di giustizia politica attraverso uno schema di partecipazione rappresentativa che coinvolga direttamente i cittadini del mondo.

Quest’idea è approfondita da “Danilo Zolo” in “Cosmopolis.

La prospettiva del governo mondiale”, dove l’autore sostiene che la chiave per ottenere un equilibrio mondiale stabile non può consistere nel riportare la centralizzazione del potere attuale degli stati nazione a livello globale, ma creare una più complessa costruzione.

L’obiettivo, in sostanza, deve essere lo sviluppo di un’architettura che garantisca un buon livello di autonomia locale e regionale ma allo stesso tempo un coordinamento centrale; e soprattutto che rafforzi la sua legittimità democratica davanti ai cittadini.

(Il Premio IAI è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23- bis del DPR 18/1967)

 

 

 

 

Quali sono i confini

della libertà di opinione?

Swissinfo.ch - Katrin Schregenberger – (03 maggio 2021) – ci dice:

 

 A tutti è permesso avere un'opinione. Ma la libertà di espressione non è illimitata: chiunque neghi pubblicamente l'Olocausto e voglia distruggere lo stato democratico è perseguibile.

(Wildpixel / iStock)

Chi guarda con occhio critico alle misure di contenimento della pandemia da coronavirus ritiene che la libertà di opinione sia in pericolo.

 È dunque lecito interrogarsi sulla definizione stessa del termine.

 Abbiamo voluto sentire l’opinione di due esperti.

 

"La libertà di opinione tutela un bisogno fondamentale dell’uomo", afferma “Maya Hertig”, professoressa di “diritto costituzionale svizzero ed europeo” all‘Università di Ginevra.

L’idea della libertà di opinione si basa sul presupposto illuminista secondo cui siamo tutti esseri pensanti e razionali che formano la loro opinione attraverso il dialogo.

"Per la democrazia, la libertà di opinione e anche la libertà di informazione sono fondamentali", prosegue “Hertig”.

 Lo stesso discorso vale per la ricerca: "il progresso è possibile soltanto se l’opinione dominante può essere messa in discussione."

Ecco perché la libertà di opinione è un diritto umano, sancito tra l’altro dall’”articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani” e dall’”articolo 19 del Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici”.

In Svizzera il diritto alla libera espressione è stato inserito nella Costituzione soltanto nel 1999 anche se era riconosciuto come diritto fondamentale non scritto già a partire dal 1959.

L'autrice.

Secondo la costituzionalista “Hertig” la libertà di opinione tutela sia le esternazioni relative a fatti verificabili, sia le opinioni ed emozioni soggettive – ad esempio nel campo dell’espressione artistica – e gli atti simbolici – ad esempio sotto forma di sit-in.

"L’intero processo della comunicazione è protetto, dalla diffusione alla ricezione", prosegue.

In altre parole questo significa che in linea di principio lo Stato non può impedire a nessuno di esprimere la propria opinione.

Libertà, ma non assoluta.

"Il diritto di avere un’opinione non può essere limitato", spiega.

Non è ad esempio illegale avere un atteggiamento razzista.

Ma diffondere dichiarazioni razziste invece lo è.

Infatti, anche la libertà di opinione deve allinearsi alle norme di legge.

"La libertà di esprimere un’opinione non è assoluta", puntualizza “Hertig”.

 Un diritto assoluto non può essere limitato per nessuna ragione, neppure in situazioni straordinarie come la guerra, la crisi o una pandemia.

"I diritti assoluti validi senza alcuna limitazione in realtà sono pochi, ad esempio la proibizione della tortura."

 La tortura non è mai consentita, né in guerra né in pace, e neppure se le informazioni che si spera di estorcere con essa potrebbero salvare molte vite.

La libertà di opinione finisce però dove viola altri interessi protetti, come ad esempio la dignità umana.

Nel caso della negazione dei crimini contro l’umanità, per esempio, come l’olocausto.

Ma anche l’incitazione all’odio contro individui o gruppi di persone è passibile di pena.

"In un certo senso, fa parte della democrazia dare visibilità anche ai contenuti sgradevoli."

(Maya Hertig, professoressa di diritto costituzionale svizzero ed europeo all‘Università di Ginevra)

 

YouTube & Co. possono fissare delle regole.

Durante la crisi pandemica si sono moltiplicati i casi in cui le maggiori piattaforme online come YouTube hanno cancellato i post perché contenevano dichiarazioni false.

Siamo in presenza di una limitazione della libertà di opinione?

 In teoria, sì, ammette “Hertig”.

 Tuttavia: "La libertà di opinione protegge solo dall’intervento dello Stato e non vincola direttamente gli attori privati come YouTube."

In virtù della libertà di opinione si può sporgere denuncia solo contro lo Stato, non contro i privati.

Chi decide sulla libertà di parola?

(Questo contenuto è stato pubblicato il 02 feb. 2021.

 La democrazia contro “Facebook e compagni”: il dibattito negli USA, in Europa e in Svizzera sui limiti da porre alle grandi aziende digitali.)

Anche il divieto di censura è rivolto in primo luogo contro lo Stato.

YouTube e altri canali sono fornitori privati non direttamente vincolati dal divieto costituzionale di censura.

Detto altrimenti, sono liberi di decidere cosa tollerare o meno sulle rispettive piattaforme.

Tuttavia:

"Lo Stato è tenuto ad adottare misure atte a salvaguardare la libertà di opinione contro le limitazioni imposte dai privati", puntualizza “Hertig”.

 Ciò vale anche su Internet, dove alcune piattaforme godono di una certa posizione di monopolio: "YouTube e altri social media sono ormai essenziali affinché i cittadini possano partecipare al dibattito."

 

La protezione della libertà di opinione sul web è tuttavia difficile da garantire poiché spesso le aziende hanno sede all’estero e le regolamentazioni unilaterali di un singolo Paese comportano una frammentazione sul piano legale.

Ecco perché urgono regole unitarie a livello internazionale e più trasparenza, riassume “Hertig”.

 Si può agire anche attraverso iniziative sovra statali.

 I giganti dell’informatica come Facebook e YouTube hanno ad esempio stipulato una convenzione con l‘UE che prevede l’esame entro le 24 ore dei discorsi inneggianti all’odio.

 Inoltre esiste un codice per la gestione della disinformazione, anche se si tratta soltanto di dichiarazioni di intenti da parte delle aziende, vale a dire di autoregolamentazione.

Cancellare le notizie false serve a poco.

La costituzionalista “Hertig” non crede nelle leggi che prescrivono la cancellazione delle notizie false.

Sul piano legale non è fondamentalmente proibito diffondere notizie false.

 In aggiunta è in parte difficile definire cosa sia la “verità”.

 E in alcuni Paesi asiatici la censura di Stato è praticata con il pretesto delle fake news.

"In un certo senso, fa parte della democrazia dare visibilità anche ai contenuti sgradevoli", ricorda.

"Più variegato è il mosaico di opinioni, meglio è per la democrazia", sostiene “Florian Steiger”, esperto di etica medica e direttore dell’Istituto di storia, teoria ed etica della medicina all’”Università di Uhm”.

L’ascolto è un atto necessario nel processo democratico.

Cancellare non rappresenta certo una vera soluzione al problema della disinformazione poiché "l’opinione rimane nelle teste della gente".

"Più variegato è il mosaico di opinioni, meglio è per la democrazia."

(Florian Steiger, esperto di etica medica e direttore dell’Istituto di storia, teoria ed etica della medicina all’Università di Uhm)

Secondo “Steiger, i dialoghi con i cittadini e una comunicazione trasparente sarebbero più adatti.

 "Proprio in una pandemia come quella che stiamo vivendo l‘evidenza scientifica è spesso insufficiente e i governi devono agire con circospezione."

D’altra parte non va fatto mistero della scarsità di conoscenze, anche se per molta gente questo dato di fatto non è facile da sopportare.

Cancellando i messaggi ci si ritrova velocemente su un terreno minato, prosegue Steiger.

"Si può cancellare soltanto ciò che erode lo Stato al suo interno. Ma a questo pensano la polizia e i tribunali."

 Concretamente: se l’essenza della democrazia è minacciata dalla violenza, come nel caso dell’assalto al Campidoglio a Washington, allora si è raggiunto il limite di ciò che è consentito dire.

Chi rivendica la libertà di opinione deve anche accettare la critica.

Fra i critici delle misure di protezione contro il coronavirus alcuni affermano di essere discriminati a causa della loro opinione o di essere bollati come “negazionisti” e denunciano pertanto l’attacco alla libertà di espressione.

 “Maya Hertig” controbatte:

 "Chi esprime un’opinione controversa deve accettare anche la reazione stizzita della controparte. La replica retorica fa parte del gioco. Non esiste il diritto a non essere oggetto di critica."

Chi è scettico nei confronti della pandemia avanza anche un’altra argomentazione: il clima sociale che si respira attualmente non tollera il dissenso.

 Così si può leggere perlomeno sul “portale online Rubikon”, vicino ai complottisti:

"Provate a ‘negare’ la pericolosità della Covid-19 nella vostra cerchia di amici o familiari. Tentate di mettere in discussione il senso e lo scopo della vaccinazione. È probabile che lo sdegno sarà tanto da indurvi, la prossima volta, a tenere la bocca chiusa."

 Nella nostra società pensarla diversamente è bandito, e quindi la libertà di opinione è de facto impossibile.

"Ovviamente la libertà di opinione necessita di un determinato clima sociale", conferma Hertig.

"Se vige un clima che induce all’autocensura è un problema."

Penso anche a violenza e minacce, licenziamenti, ma anche veementi attacchi verbali contro chi la pensa diversamente.

Il fatto di infangare qualcuno con calunnie è un altro problema, secondo Hertig.

Spesso però sono proprio i più aggressivi a sentirsi vittime:

"Spesso la pressione sociale alla 'political correctness' è esagerata e questo porta a un’inversione del ruolo vittima-carnefice:

la vittima è il razzista bianco e non la persona di colore che subisce la violenza verbale."

 

DEMOCRAZIA E GIUSTIZIA.

Cos'è una campagna diffamatoria:

sai riconoscerla e sconfiggerla?

Liberties.eu - Jonathan Day – (marzo 28, 2023) – ci dice:

 

Le campagne diffamatorie sono tentativi di persone potenti di distruggere la credibilità e la reputazione di una persona per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica da qualcosa che non vogliono che si sappia.

Il recupero è difficile, ma possibile.

Sempre più spesso, le persone che si battono per cause come la difesa dei diritti fondamentali, la protezione dell'aria e dell'acqua pulite, i giornalisti che denunciano la corruzione dei governi o le azioni dannose delle aziende, sono bersaglio di attacchi pubblici e personali al loro carattere e al loro lavoro.

 Questi attacchi accuratamente orchestrati, noti come campagne diffamatorie, possono essere usati contro chiunque, ma le vittime sono spesso individui e organizzazioni che lavorano per società più libere, giuste e trasparenti.

Che cos'è una campagna diffamatoria?

Una campagna diffamatoria è un tentativo di danneggiare la reputazione di una persona, di minare la sua credibilità e la fiducia del pubblico nei suoi confronti, di intimidirla o addirittura di mettere a tacere il suo lavoro.

Viene condotta attraverso la diffusione di una propaganda negativa che, nella maggior parte dei casi, evita critiche sostanziali al lavoro effettivo del bersaglio o a qualsiasi interesse pubblico rilevante e attacca invece la vittima personalmente, la diffama apertamente o travisa completamente il suo operato.

Ciò avviene attraverso “attacchi ad hominem” che possono utilizzare immagini distorte o citazioni estrapolate dal contesto.

Oltre allo sforzo di screditare una persona o il suo lavoro, queste campagne servono anche a distogliere l'attenzione.

 Sono quasi sempre avviate (da un governo, da un personaggio pubblico o da un'azienda potente) in parte per distogliere l'attenzione pubblica da qualcosa che stanno facendo o che vogliono tenere segreto.

 Questa è una caratteristica comune, ad esempio, agli attacchi diffamatori lanciati contro giornalisti e attivisti investigativi.

Chi può essere vittima di campagne diffamatorie e perché?

Le campagne di diffamazione possono riguardare individui, organizzazioni o altri gruppi.

 Spesso vengono utilizzate contro politici o altri personaggi pubblici, attivisti e giornalisti.

 Questi ultimi due gruppi, in particolare i difensori dei diritti civili e dell'ambiente, i giornalisti e i media indipendenti sono sempre più spesso bersaglio di campagne diffamatorie, anche nell'UE, soprattutto in seguito alla pandemia di coronavirus e ai tentativi, ormai da anni, di limitare i diritti dei migranti e la protezione umanitaria.

Le campagne diffamatorie sono, quasi per definizione, attacchi asimmetrici. Sebbene in teoria possano essere dirette contro chiunque, di solito sono condotte da individui o entità dotate di risorse (governi populisti sempre più autoritari che controllano i media statali e li usano per i propri interessi) e sono dirette contro individui o organizzazioni che spesso hanno budget molto ridotti.

Le organizzazioni per i diritti umani, gli ambientalisti, il giornalismo investigativo e altri organi di controllo sono spesso vittime di campagne diffamatorie.

Sono bersagli facili per diversi motivi.

 In primo luogo, come già detto, possono disporre di risorse limitate e hanno difficoltà a rispondere efficacemente a una campagna diffamatoria al livello necessario per "sconfiggerla".

 Ma soprattutto vengono attaccati perché il loro lavoro consiste nel monitorare il potere dei governi o delle élite e nel cercare di rendere trasparenti le loro azioni.

Oppure perché il loro lavoro può minacciare i profitti delle grandi aziende (come nel caso delle organizzazioni ambientaliste).

1. Campagna diffamatoria contro le ONG.

Le ONG sono spesso oggetto di campagne diffamatorie.

Nell'Unione europea ne abbiamo visto molti esempi negli ultimi anni.

In particolare, il governo ungherese ha dimostrato una propensione alle campagne diffamatorie che rasenta la dipendenza.

 Da quando è tornato al potere nel 2010, il governo di Viktor Orban ha screditato le ONG in numerose occasioni, definendole "agenti stranieri" e una minaccia per i valori e la sicurezza nazionale.

Perché?

Perché questi gruppi lavorano per proteggere i diritti dei settori della popolazione di cui Orban fa il capro espiatorio: stranieri, minoranze etniche, persone LGBTQI e molti altri.

 

Come altri bersagli di campagne diffamatorie, le ONG lavorano spesso con un budget molto limitato che non consente loro di contrastare adeguatamente l'attacco diffamatorio e di raggiungere, al di là della loro base di sostenitori, coloro che potrebbero credere alle false accuse.

 Sono anche il bersaglio preferito di queste campagne perché possono essere facilmente accomunate.

Se una ONG che lavora per i diritti dei migranti viene diffamata, è molto facile minare la credibilità di altre che lavorano per proteggere gruppi emarginati con la stessa linea di attacco: che promuovono interessi stranieri che danneggiano il Paese.

2. Campagna diffamatoria contro i giornalisti.

I giornalisti sono spesso oggetto di campagne diffamatorie, soprattutto quelli il cui lavoro è veramente indipendente e libero da influenze governative o aziendali.

 Il motivo è che questi giornalisti continuano a svolgere le funzioni fondamentali del giornalismo investigativo:

raccontano le azioni del governo o di altri attori influenti, portando alla luce informazioni che spesso sono contrarie o dannose per la linea d'azione del governo o per i desideri delle aziende.

 Poiché i giornalisti hanno spesso una linea di comunicazione diretta con il pubblico (come molte ONG non hanno) e possono diffondere facilmente i loro messaggi, gli attacchi diffamatori cercano di minare completamente la loro credibilità e, per quanto possibile, di erodere il sostegno non solo dei lettori del giornalista, ma anche del suo editore.

 

3. Campagna diffamatoria per mettere a tacere le ONG/giornalisti.

Come avrete capito, le campagne diffamatorie non mirano solo a danneggiare la reputazione delle vittime, ma spesso anche a metterle a tacere.

Se si viene diffamati, le persone o le altre organizzazioni smettono di lavorare con voi per non disturbare il vostro influente avversario, come il governo.

 Le campagne di diffamazione incoraggiano anche i sostenitori del diffamatore a continuare ad attaccare le vittime, che possono scegliere di autocensurarsi e di tacere.

Ciò è particolarmente vero per i giornalisti, che devono affrontare campagne di diffamazione per aver denunciato la corruzione o altri abusi di potere.

 Abbiamo assistito a numerosi esempi di questo tipo nell'UE (si legga di seguito per scoprire alcuni esempi degni di nota), che spesso proliferano nel bel mezzo di seri dibattiti pubblici o emergenze nazionali, come la pandemia di coronavirus.

Quali sono i segnali di una campagna diffamatoria?

Le campagne diffamatorie sono caratterizzate da una serie di elementi classici, come esagerazioni, inesattezze, distorsioni e vere e proprie bugie.

Uno dei tratti distintivi di una campagna diffamatoria è che il più delle volte evita di parlare di questioni sostanziali:

 le politiche o le idee in discussione, l'effettiva indagine sulla vittima e così via.

 Le campagne diffamatorie consistono invece in calunnie generiche sul lavoro degli attivisti - ad esempio, chiunque lavori nel campo degli aiuti umanitari potrebbe essere etichettato come "trafficante di esseri umani" - o in attacchi personali.

 Il loro obiettivo è minare la credibilità della vittima, erodere la fiducia in essa e, se possibile, metterla a tacere.

Un'altra caratteristica delle campagne diffamatorie sono i messaggi semplici e di facile comprensione.

Le campagne diffamatorie spesso cercano di etichettare le loro vittime con etichette brevi - come "agenti stranieri", "nemici dello Stato" o addirittura "mercenari" - così facili da capire che non sono necessarie ulteriori spiegazioni o giustificazioni.

Inoltre, queste etichette sono spesso accompagnate da immagini che ritraggono la vittima in modo irrealistico o riproducono stereotipi esistenti e ben noti.

Un buon esempio è la campagna diffamatoria del governo Orban contro il filantropo George Soros, in cui è stato raffigurato con un sorriso malevolo, evocando spiacevoli stereotipi antiebraici.

Esempi di campagne diffamatorie nel mondo.

Le campagne diffamatorie non conoscono confini e sono diventate comuni anche nelle società libere e democratiche in cui si apprezzano elezioni corrette, un giornalismo di qualità e un dibattito pubblico informato.

Ralph Nader, attivista e politico americano, è stato vittima di una campagna diffamatoria negli anni Sessanta a causa della sua campagna per migliorare la sicurezza delle automobili.

La General Motors impiegò investigatori privati per intercettare i suoi telefoni e assunse persino delle prostitute per coglierlo in situazioni compromettenti al fine di danneggiare la sua reputazione e screditare il suo lavoro.

Nader ebbe la fortuna di avere i mezzi per contrastare la campagna di diffamazione in tribunale, ottenendo un risarcimento danni contro l'azienda.

A dimostrazione di come anche entità grandi e potenti possano essere soggette a campagne di diffamazione, nel 2011 il governo cinese ha lanciato una campagna di diffamazione contro Apple, con l'accusa di aver sostituito gli iPhone difettosi con altri ricondizionati, anziché ripararli.

Giornali statali e piattaforme online hanno pubblicato articoli giorno dopo giorno definendo Apple "arrogante" e insensibile nei confronti dei clienti cinesi.

Alla fine, l'opinione pubblica non ha creduto alla campagna diffamatoria e si è allontanata.

O forse, semplicemente, amavano troppo i loro iPhone.

Più recentemente, e più vicino a noi, il governo ungherese ha lanciato numerose campagne diffamatorie negli ultimi anni.

 Nel 2018 ha approvato una legge che cercava di paralizzare il lavoro delle ONG che si occupano, anche solo in parte, di questioni legate alla migrazione, rendendo loro difficile ottenere finanziamenti e limitando la portata della loro libertà di operare.

 La legge è stata accompagnata da una campagna diffamatoria a livello nazionale contro questi gruppi, culminata nella pubblicazione su una rivista filogovernativa dei nomi di centinaia di persone - attivisti per i diritti civili, giornalisti e persino accademici - che avevano criticato la legge e il governo Orban in generale.

Anche i giornalisti indipendenti sono stati oggetto di recenti campagne diffamatorie nell'UE.

In Slovenia, il precedente governo ha costantemente diffamato i giornalisti, soprattutto durante la pandemia di coronavirus.

 L'allora primo ministro, “Janez Janša”, ha persino usato il suo account Twitter per accusare i giornalisti di diffondere bugie e fuorviare il pubblico.

All'inizio di quest'anno, in Ungheria, “Átlátszó,” uno degli ultimi media indipendenti rimasti nel Paese, è stato accusato di aver "tradito" la nazione dai media filogovernativi.

 Si sosteneva, senza alcuna prova, che lavorassero per interessi stranieri e costituissero un rischio per la sicurezza nazionale.

Come riprendersi dopo una campagna diffamatoria?

Liberties ha pubblicato una guida su come gli attivisti che lavorano per cause progressiste possono contrastare le campagne diffamatorie.

 In realtà non è molto più complicato che seguire una semplice strategia di messaggistica, purché si tengano presenti alcuni aspetti importanti specifici delle campagne diffamatorie.

Innanzitutto, non ripetete mai le calunnie del vostro avversario. Anche se volete farlo per confutare la calunnia, e per una buona ragione:

la ripetizione cementa le parole più emotive nella mente del pubblico.

 Ad esempio, supponiamo che siate un attivista bersaglio di una campagna diffamatoria in cui il governo vi definisce "agente straniero e traditore della patria".

Se rispondete dicendo:

"Non sono né un agente straniero né un traditore della patria, sto solo difendendo i diritti e le libertà di tutti" in quel Paese, le parole che molti ricorderanno saranno "agente straniero" e "traditore".

Si finisce per fare più male che bene.

In secondo luogo, non è possibile rompere i miti e le contraddizioni dirette.

Il myth-busting spesso implica la ripetizione del messaggio dell'avversario, l'adozione del suo discorso e quindi l'aiuto a lui, non a voi.

In terzo luogo, non fate l'errore di adottare il messaggio del vostro avversario.

Gli psicologi sociali hanno scoperto che il tipo di messaggi utilizzati dagli autoritari sono molto efficaci nel generare sostegno per le restrizioni ai diritti umani e alla protezione dell'ambiente.

 Pertanto, se siete una ONG, è probabile che le risposte basate su messaggi simili a quelli dei vostri avversari funzionino contro di voi.

Ad esempio, se una campagna diffamatoria dipinge la vostra organizzazione come un pericolo per la sicurezza nazionale, una risposta basata sul messaggio che "le ONG sono un bene per la sicurezza pubblica" non è vincente.

Perché?

 Parlare di sicurezza rafforza l'idea che il mondo sia un posto pericoloso, il che fa sì che le persone desiderino la stabilità e vogliano limitare le persone e le pratiche che potrebbero far naufragare la nave, come la libertà di parola e di protesta.

Infine, non utilizzate un linguaggio troppo tecnico.

Per superare le campagne diffamatorie, è utile rivolgersi non solo alla vostra base di sostenitori (che, in ogni caso, è la meno probabile che creda alle calunnie e smetta di sostenervi), ma anche al pubblico in generale, a coloro che potrebbero essere influenzati a credere o a non credere alle calunnie.


 

 Questa parte del pubblico ha bisogno di capire cosa state dicendo, quindi mantenete un linguaggio semplice e accessibile. Il linguaggio della campagna diffamatoria sarà quasi certamente molto semplice e facile da capire. Dovreste rispondere in modo analogo.

Quindi, se questo è ciò che non si deve dire, come si deve rispondere alle campagne diffamatorie?

Una risposta efficace a una campagna diffamatoria è quella che utilizza una strategia chiamata "panino della verità".

Iniziate la vostra risposta sottolineando ciò che sostenete:

le cause che state promuovendo.

In secondo luogo, alludete all'attacco del vostro avversario (ma non ripetetelo) e spiegate perché vi sta attaccando:

smascherare le sue motivazioni malevole aiuta a screditarlo.

Infine, offrite una soluzione e chiedete alle persone di sostenervi.

 

Combinando tutti questi elementi, ecco come potrebbe essere la risposta di un "panino della verità" a una campagna diffamatoria.

Un ipotetico attacco potrebbe essere:

"Gli attivisti diffondono un'ideologia che danneggia i nostri bambini. Dobbiamo fermare questa propaganda.

Una risposta tradizionale comune è la distruzione dei miti:

"Non stiamo diffondendo una propaganda dannosa. Il riconoscimento delle persone LGBTQI non è un'ideologia. È un diritto umano riconosciuto dal diritto internazionale e dalla nostra Costituzione, secondo cui tutti devono essere trattati in modo uguale, indipendentemente dalla loro identità di genere o dal loro orientamento sessuale".

 

Come già detto, questo non è un messaggio vincente.

Ripete la diffamazione e poi usa un gergo e argomenti legalistici che non sono persuasivi per la maggior parte del pubblico.

Invece, una risposta del tipo "panino della verità" potrebbe essere più o meno così:

"Indipendentemente da chi votiamo, la maggior parte di noi concorda sul fatto che i nostri leader dovrebbero governare per tutti noi.

 Ma alcuni politici sono così desiderosi di mantenere il potere che cercano di dividerci in base a chi amiamo.

Si aspettano che siamo troppo impegnati ad accusarci a vicenda per renderci conto dei problemi che hanno causato mentre erano al potere.

Ma sappiamo che, a prescindere da chi amiamo, la maggior parte di noi vuole le stesse cose, come poter mantenere le proprie famiglie e pagare l'affitto.

Quando ci uniamo al di là delle nostre differenze, possiamo chiedere leader che lavorino per tutti noi.

Questo è ciò di cui questo governo ha paura."

Si noti che questa risposta non cerca di confutare direttamente le calunnie.

 Si concentra invece sui valori condivisi e richiama l'attenzione sul governo (o su chiunque sia il vostro avversario) e sul fatto che è lui a frapporsi tra il luogo in cui siamo e quello in cui vogliamo andare.

Dà un'immagine di unità e forza collettiva piuttosto che di divisione.

Inoltre, evitate un linguaggio troppo complicato.

 

Si può sconfiggere una campagna diffamatoria?

Riprendersi da una campagna diffamatoria può sembrare un compito insormontabile.

Tuttavia, se si adottano le giuste misure, è possibile.

 È importante tenere a mente alcuni aspetti specifici per rispondere alle campagne diffamatorie, come ad esempio non ripetere la diffamazione.

Concentratevi sempre su ciò che fate, non su ciò che dicono.

Non smettete mai di portare avanti i vostri valori e ricordate alle persone che condividete la loro visione di un mondo migliore e che avete idee su come realizzarlo.

 Se riuscirete a seguire queste linee guida, sarete sulla buona strada per sconfiggere una campagna diffamatoria.

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