La corruzione regna sovrana in un mondo globalizzato.
La
corruzione regna sovrana in un mondo globalizzato.
Come
proteggersi dall’”Organizzazione
Mondiale
della Sanità” profondamente
corrotta
e invasiva.
Lifesitenews.com
-Tessa Lena – (21 settembre 2023) – ci dice:
(Tessa
Fights Robots)
(kcube
- kaan baytur/Shutterstock)
Ora è
il momento di far sentire la nostra opinione e di dire no al “neofeudalesimo”.
LA
STORIA IN BREVE.
Nel
maggio 2022, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha adottato modifiche ai
regolamenti sanitari internazionali, ma il tempo per i singoli paesi di
voltarsi indietro e respingerli sta per scadere.
Una
serie completamente nuova di emendamenti potenzialmente pericolosi è in lavorazione,
l’ultima bozza non è disponibile al pubblico, le bozze disponibili sono
nefaste.
Il 20
settembre 2023, l’ONU prevede di adottare una
“Dichiarazione politica della riunione di alto livello
dell’”Assemblea generale delle Nazioni Unite” sulla prevenzione, preparazione e
risposta alla pandemia” che promuove la necessità di spendere ulteriori 30
miliardi ogni anno per “la preparazione alle emergenze sanitarie globali”.
Nel
maggio 2024 è prevista l’adozione degli oltre 300 nuovi emendamenti e della Convenzione
quadro CA+ dell’OMS (precedentemente nota come “Trattato sulla pandemia”).
Adesso
è il momento di far sentire la nostra opinione e di dire no al neofeudalesimo.
(Mercola)
– L’Organizzazione
Mondiale della Sanità intorno al 2023 si comporta come un cattivo globalista.
Sono
una scusa per riciclare denaro e sottomettere persone innocenti a vantaggio e a
vantaggio dei più grandi oligarchi.
Si
glorificano – ma le parole costano poco e potremmo soffrire – ma non siamo
lobotomizzati.
Non
abbiamo dimenticato cosa ci ha fatto la loro “guida” negli ultimi tre anni.
Siamo più malati, abbiamo meno libertà, meno dignità e qualcuno cerca
costantemente di ficcarci uno o dieci aghi nelle braccia.
Che
delizia.
La
Dichiarazione politica sulla pandemia delle Nazioni Unite richiede l’accesso
globale ai vaccini e documenti sanitari digitali.
Da
parte mia, ricordo ancora come solo tre anni fa la voce su questo video
dell'OMS fosse sussurrata e fatta circolare come una teoria del complotto
impossibile e impensabile.
Oh,
come vola il tempo.
Ecco
un'ottima introduzione all'argomento della Dott.ssa Meryl Nass del maggio 2023
che ha tenuto all'”International COVID Summit III”:
Quattro
piste insidiose.
In
questo momento, gli sforzi dell’OMS per truffare le persone del mondo e
peggiorare le nostre vite si stanno svolgendo su quattro binari diversi, come
documentato da “James Roguski” e “Nass” sui rispettivi “Substacks” e sul
nuovo sito dedicato , “Porta della Libertà” .
Ecco
le quattro tracce a cui è importante prestare attenzione in questo momento,
secondo “ James Roguski” :
La “Dichiarazione
Politica della Riunione ad alto livello dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite” sulla prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia.
Le
modifiche al Regolamento sanitario internazionale adottate nel maggio 2022
dovranno essere respinte entro la fine di novembre di quest’anno.
La
nuova serie di modifiche al Regolamento sanitario internazionale su cui si sta
attualmente lavorando dovrebbe essere ufficialmente presentata all'esame come
bozza nel gennaio 2024 e adottata nel maggio 2024.
La
Convenzione quadro CA+ dell’OMS (precedentemente nota come “Trattato sulla
pandemia”):
interrompere
la trattativa.
(L'illuminazione
di Trump sui blocchi COVID viene finalmente messa in luce nell'intervista a
Megyn Kelly)
“James”
sottolinea quattro scadenze che si avvicinano rapidamente:
20
settembre 2023 – Le Nazioni Unite intendono adottare
una “Dichiarazione politica della riunione di alto livello dell’Assemblea
generale delle Nazioni Unite sulla prevenzione, preparazione e risposta alla
pandemia”.
1
dicembre 2023 — Termine ultimo per RIFIUTARE le
modifiche al Regolamento sanitario internazionale adottate il 27 maggio 2022.
Metà
gennaio 2024: scadenza per l’inserimento degli
oltre 300 emendamenti al Regolamento sanitario internazionale attualmente in
fase di negoziazione segreta.
Maggio
2024: data prevista per l'adozione degli oltre 300
emendamenti e della Convenzione quadro CA+ dell'OMS (nota anche come
"Trattato sulla pandemia").
Uscire
dall'OMS
Un
modo per risolvere tutti i problemi dell’OMS è uscire dall’OMS.
(“James”
fornisce informazioni molto dettagliate su cosa puoi fare. Sembra un buon
piano!)
Torniamo
ora ai quattro percorsi individuali che l’OMS sta perseguendo per dare una
patina di rispettabilità al classico schema di arricchimento avvolto in una
narrazione sulla “nostra salute”.
"Dichiarazione
politica" delle Nazioni Unite.
La
“Dichiarazione politica della riunione di alto livello dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite” sulla prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia”
è una dichiarazione non vincolante delle Nazioni Unite la cui adozione è
prevista per settembre 2023.
Sebbene
non vincolante, è stata adottata ma per dare slancio ai programmi nefasti
adiacenti e fornire un ulteriore modo per sostenere gli sforzi che si svolgono
su altri binari.
La
dichiarazione, uhm, dichiara l’urgente necessità di spendere 30 miliardi di
dollari per la “salute”.
“Salute”
è un eufemismo orwelliano che si riferisce a una redditizia infrastruttura di
sorveglianza digitale e che spinge più “vaccini” nelle braccia di ogni uomo,
donna e bambino (e probabilmente, se riescono a farla franca, anche nei corpi
innocenti di ogni paese). Anche a cane e gatto.
PP29
(pagina 5):
“Accolgono
con favore il lancio del Fondo pandemico nel novembre 2022, per rafforzare la
preparazione, la risposta e la resilienza nazionale alle emergenze sanitarie
nei paesi a basso e medio reddito e ricordano che per finanziare un’efficace
preparazione alle emergenze sanitarie nazionali, regionali e globali saranno
necessari circa 30 miliardi di dollari all'anno, al di fuori degli attuali
livelli di aiuto pubblico allo sviluppo”;
OP2
(pagina 6):
“Garantire
l’accesso tempestivo, sostenibile ed equo ai prodotti legati alla pandemia,
compresi vaccini, strumenti diagnostici e terapeutici, e invitare
l’Organizzazione mondiale della sanità a coordinarlo con i partner pertinenti,
garantendo la coerenza con le discussioni in corso dell’organismo di
negoziazione intergovernativo e del gruppo di lavoro sulla Modifiche al
Regolamento sanitario internazionale (2005) a Ginevra;”
OP32
(pagina 11):
Adottare
misure per affrontare l'impatto negativo della cattiva informazione e della
disinformazione sulle misure di sanità pubblica, nonché sulla salute fisica e
mentale delle persone, e per contrastare l'informazione sbagliata e la
disinformazione, in particolare sulle piattaforme dei social media, nel
contesto della prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia e promuovere
la fiducia nei sistemi sanitari e la fiducia nei vaccini, riconoscendo al tempo
stesso che l’impegno efficace delle parti interessate richiede l’accesso a
informazioni tempestive e accurate;
OP38
(pagina 12):
Chiedere
inoltre il miglioramento dell’immunizzazione di routine, della vaccinazione e
delle capacità di sensibilizzazione, anche fornendo informazioni basate
sull’evidenza per contrastare l’esitazione vaccinale, ed espandere la copertura
vaccinale per prevenire epidemie nonché la diffusione e la ricomparsa di
malattie trasmissibili, anche per quanto riguarda i vaccini. malattie
prevenibili già eliminate nonché per gli sforzi di eradicazione in corso, come
per la poliomielite;
OP39
(pagina 12):
Mobilitare
le risorse pubbliche nazionali come principale fonte di finanziamento per la
preparazione e la risposta alla prevenzione della pandemia, attraverso la
leadership politica, in linea con le capacità nazionali, ed espandere la
condivisione delle risorse destinate alla sanità, identificare nuove fonti di
entrate e migliorare l’efficienza della gestione delle finanze pubbliche;
OP44
(pagina 13):
Chiedere
inoltre la conclusione nel 2024 dei negoziati dell'organismo di negoziazione
intergovernativo a Ginevra, di una convenzione, accordo o altro strumento
internazionale ambizioso e giuridicamente vincolante sulla prevenzione,
preparazione e risposta alla pandemia, in vista dell'adozione ai sensi
dell'articolo 19 della Convenzione Costituzione dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità, o in base ad altre disposizioni della Costituzione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che possano essere ritenute
appropriate dall’organo di negoziazione intergovernativo, per rafforzare lo
spettro di prevenzione, preparazione e risposta alla pandemia e invitando tutte
le altre iniziative a sostenere questo sforzo centrale , e per la conclusione
nel 2024 dei negoziati del Gruppo di lavoro sugli emendamenti ai regolamenti
sanitari internazionali (2005), per fornire supporto a tutte le misure
sanitarie e connesse alla salute necessarie per prevenire, proteggere,
controllare e fornire una risposta sanitaria pubblica alla diffusione
internazionale delle malattie.
(Oliver Anthony ha ragione. L’America
è in un declino spaventoso)
La
dichiarazione è già stata analizzata in grande dettaglio (compresi gli elementi
di azione) da “James Roguski”.
Modifiche
ai regolamenti sanitari internazionali.
I
regolamenti sanitari internazionali
furono adottati originariamente nel 1969. Come descritto nel documento “La
Porta della Libertà” , i membri
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità adottarono una serie di principi
denominati “Regolamenti Sanitari
Internazionali” (IHR) nel 1969 per
guidare la condotta delle nazioni durante le emergenze sanitarie che colpivano
più di un paese. paese, in particolare malaria e vaiolo.
L'RSI è stato
modificato nel 2005 .
L’OMS
afferma :
Il “Regolamento
sanitario internazionale” (2005) (IHR) fornisce un quadro giuridico generale
che definisce i diritti e gli obblighi dei paesi nella gestione di eventi ed
emergenze di sanità pubblica che possono potenzialmente oltrepassare i confini.
Ci
sono due serie di emendamenti IHR a cui
dobbiamo prestare attenzione. Una serie è stata adottata nel maggio 2022 in
occasione della settantacinquesima Assemblea mondiale della sanità (pagine
59-62 del PDF).
La scadenza entro cui gli Stati Uniti dovranno
respingerli è il 1° dicembre 2023.
Un'altra
serie di emendamenti è stata presentata da 94 paesi intorno a settembre 2022.
L'ultima bozza disponibile al pubblico è stata
pubblicata nel febbraio 2022, siamo tenuti all'oscuro di come sia la vera bozza
più recente.
La
bozza finale di tali emendamenti dovrà essere formalmente presentata da un
comitato interno intorno a gennaio 2024 per essere adottata nel maggio 2024 (o
almeno così sperano).
Diamo
un'occhiata più in dettaglio alla trama contorta degli emendamenti.
I
regolamenti sanitari internazionali sono giuridicamente vincolanti ma, in
origine, il linguaggio dei regolamenti non richiedeva troppo.
Gli
Stati membri sono ora tenuti a monitorare la loro situazione epidemiologica e a
riferire all’OMS eventuali sviluppi significativi.
Se
fatto onestamente e senza eccessi, si potrebbe sostenere che è una cosa
sensata.
Come
ogni cosa nella vita, però, il diavolo è nei dettagli.
Usiamo
una metafora.
L’appartenenza
all’OMS e l’essere legalmente vincolati al suo regolamento sono come un
matrimonio.
Si
potrebbe dire che il matrimonio è una buona cosa.
Sì,
potrebbe essere, ma cosa succede se il tuo coniuge è violento?
Allora
è evidentemente una brutta cosa.
Lo
stesso con l’OMS.
È
bello avere un organismo internazionale onesto che aiuta in varie questioni di
salute pubblica.
Sì, è
bello se è davvero quello che sta succedendo.
Ma se invece
di essere un'organizzazione onesta, sono una mafia che gestisce infiniti
programmi di riciclaggio di denaro per varie persone benestanti e cerca costantemente di infilare
aghi nelle braccia delle persone pur sapendo che i prodotti che stanno cercando
di iniettare potrebbero causare danni, allora la storia è tutt'altro che bella.
Allora
non è affatto bello.
(In
merito parla un uomo norvegese detenuto in un reparto psichiatrico per i post
su Facebook contro la narrativa sul COVID)
Quindi,
abbiamo continuato a canticchiare, e poi, nel gennaio 2022, gli Stati Uniti
hanno presentato una serie di nefasti emendamenti a tredici articoli dell'IHR
che, dopo alcune manifestazioni di malcontento e rumore sollevate dagli stati
africani e da alcuni altri stati membri, hanno finito per
"scomparire". E non andare da nessuna parte.
Invece,
nel maggio 2022, sono stati adottati emendamenti più innocui (a cinque
articoli).
Gli emendamenti adottati nel maggio 2022 sono
stati presentati solo un paio di giorni prima della loro adozione, nonostante
l’obbligo di presentarli con almeno quattro mesi di anticipo.
Ecco come è andato tutto:
“James
Roguski” ha scritto un'eccellente
analisi degli emendamenti adottati nel maggio 2022:
Sintesi:
Australia,
Bosnia ed Erzegovina, Colombia, Unione Europea e i suoi Stati membri, Giappone,
Monaco, Repubblica di Corea, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e
Stati Uniti d'America (illegittimamente?) hanno proposto e adottato (senza
quorum?) un serie di modifiche a cinque articoli (55, 59, 61, 62, 63) del “Regolamento
sanitario internazionale”.
Bisogna
capire che 194 delegati non eletti, irresponsabili e in gran parte sconosciuti
hanno in qualche modo ottenuto l’insolita autorità di modificare il diritto
internazionale semplicemente accettando di farlo.
Una volta adottati silenziosamente gli emendamenti
proposti, non è necessaria alcuna firma da parte di alcun presidente o primo
ministro e non è necessaria alcuna approvazione da parte di alcun organo
parlamentare, Congresso o Senato.
Un
periodo di 18 mesi di inconsapevolezza, ignoranza e silenzio è tutto ciò che
serve affinché gli emendamenti entrino in vigore.
Ai
sensi dell'articolo 61 dell'IHR, ogni nazione membro ha l'autorità di RIFIUTARE
uno o tutti gli emendamenti, ma deve farlo entro la fine di novembre 2023 [la
scadenza formale sembra essere il 1°dicembre 2023].
A meno
che non siano respinte prima della fine di novembre 2023, le modifiche
all’articolo 59 ridurranno il periodo di tempo per il rifiuto da 18 a 10 mesi e
il periodo di tempo per l’entrata in vigore sarà ridotto da 24 a 12 mesi.
Le
modifiche all'articolo 62 chiariscono i dettagli in base ai quali è possibile
formulare riserve su future modifiche.
Dall'adozione
degli emendamenti il 27 maggio 2022 (durante la 75a Assemblea Mondiale della
Sanità), non è stata ottenuta alcuna firma da parte di alcun Presidente o Primo
Ministro e non è stata ottenuta alcuna approvazione da parte del Senato, del
Congresso o di alcun Parlamento al fine di "ratificare" ' le
modifiche al Regolamento sanitario internazionale.
Tale
approvazione NON è necessaria.
(
L’attore della SNL “Rob Schneider” afferma di essere stato licenziato dal set
cinematografico per lo stato di “jab COVID”, ed elogia “Novak Djokovic”.)
Secondo”
Roguski”, il fatto che emendamenti giuridicamente vincolanti siano stati
adottati senza alcuna pubblicità mainstream o supervisione giuridica nazionale
è una situazione disastrosa.
Molti
di noi sono d'accordo.
Un’altra
serie di emendamenti al RSI sarà adottata nel 2024.
Una
nuovissima raccolta di emendamenti sarà adottata nel maggio 2024.
Da “
Door to Freedom” :
Nel
corso del 2022 sono stati proposti un totale di 307 emendamenti da 94 paesi
membri [intorno a settembre 2022].
Le
modifiche proposte sono state rese pubbliche per la prima volta a metà dicembre
2022 e ripubblicate il 6 febbraio 2023.
Gli
emendamenti proposti consentirebbero al direttore generale dell'OMS di assumere
l'autorità di dirigere l'assistenza sanitaria in tutto il mondo ogni volta che
dichiarasse un'"emergenza sanitaria pubblica di interesse
internazionale".
Ne ha già dichiarati tre (per Ebola, COVID-19
e vaiolo delle scimmie) durante i suoi sei anni in carica.
Tra le
nuove disposizioni contenute negli emendamenti proposti al RSI figurano le
seguenti:
Passaporti
vaccinali.
La
garanzia dei diritti umani è stata cancellata, eliminando le parole “nel pieno rispetto della dignità, dei
diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone”, presenti nell'attuale versione
delle RSI.
La possibilità
di imporre determinati trattamenti medici e vietarne altri.
Un
requisito per la sorveglianza biologica (come i test PCR) da eseguire su esseri
umani e animali alla ricerca di agenti patogeni pandemici.
L'obbligo
di monitorare i social media e di consentire la trasmissione solo della
narrativa dell'OMS sulla salute pubblica.
La
capacità di requisire forniture mediche all’interno di un paese per utilizzarle
in un altro.
L’obbligo
di condividere sequenze genetiche di agenti patogeni, anche se ciò potrebbe
comportare la proliferazione di armi biologiche, che è vietata dai trattati
esistenti come la Risoluzione 1540 (2004) del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite e la Convenzione sulle armi biologiche (1972).
Inoltre,
l’attuale progetto di RSI non include criteri specifici affinché il direttore
generale dell’OMS possa dichiarare un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza
internazionale (PHEIC).
Una
dichiarazione potrebbe essere fatta anche senza il consenso delle nazioni
coinvolte.
E non ci sono disposizioni che rendano i funzionari
dell’OMS responsabili delle loro azioni.
Altrettanto
preoccupante è il fatto che una dichiarazione PHEIC può essere rilasciata solo
in caso di potenziale emergenza sanitaria pubblica e che i poteri di emergenza
possono essere estesi oltre la fine dell’emergenza.
Gli
emendamenti proposti all’IHR sollevano la possibilità di una dittatura
sanitaria globale, invocata secondo il capriccio della leadership dell’OMS o il
capriccio dei principali finanziatori dell’OMS.
Perché l’OMS dovrebbe assumere questi poteri,
quando la sua performance durante il COVID-19 è stata tutt’altro che
eccezionale, è una questione importante.
Gli
emendamenti proposti saranno presi in considerazione per l’adozione alla 77a
Assemblea Mondiale della Sanità durante l’ultima settimana di maggio 2024.
Il
dottor Nass” ha recentemente
scritto che “gli emendamenti
proposti dall’OMS aumenteranno le pandemie provocate dall’uomo”.
(La California approva tranquillamente
un disegno di legge che abroga la legge sulla "disinformazione
medica" del COVID)
Ed
ecco una panoramica delle 307 proposte di emendamento al Regolamento sanitario
internazionale attualmente in fase di negoziazione da parte del Gruppo di
lavoro per gli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale di “ James
Roguski” :
Almeno
94 paesi membri hanno presentato 307 emendamenti al Regolamento sanitario
internazionale in 33 dei 66 articoli, insieme a sei nuovi articoli, oltre a
proporre emendamenti a sei dei nove allegati e un nuovo allegato. Non bisogna
dimenticare che 100 paesi membri non hanno presentato alcuna proposta di
emendamento, il che implicherebbe che non ritenessero necessario alcun
cambiamento.
Molte
delle persone che hanno esaminato gli emendamenti non sono riuscite a
concentrarsi sulle proposte originali di ciascuna nazione, quindi sono giunte
alla conclusione che “gli emendamenti” sono un insieme unificato di modifiche,
invece di rendersi conto che gli emendamenti sono stati presentati da molti
paesi diversi. nazioni e che ci sono ancora molti disaccordi su come procedere.
Ognuna
delle tante nazioni e gruppi di nazioni sta tentando di piegare l’OMS alla
propria volontà per ottenere vantaggi per sé stessa.
Né
l’OMS né il direttore generale hanno presentato alcuna proposta di emendamento.
I
dettagli contenuti nel “Rapporto finale del Comitato di revisione dei
regolamenti sanitari internazionali” sono chiaramente critici nei confronti di
molti dei 307 emendamenti proposti dai 94 paesi membri.
Estratti
dal rapporto finale dell'IHRRC sono inclusi nel testo seguente.
Il
problema è che non sappiamo cosa contenga l'attuale bozza. Se adottati, i nuovi
emendamenti hanno il potenziale per erodere formalmente la già traballante
sovranità nazionale e consentire alle persone più ricche del mondo di
utilizzare legalmente l’OMS come copertura per le loro crudeli truffe
finanziarie che giocano con la vita delle persone come se fossero i bei vecchi
tempi feudali.
Tutto
da capo. Sono anche solo leggermente entusiasta del neofeudalesimo? NO.
“Trattato
sulla pandemia”
La
quarta traccia è la Convenzione quadro CA+ dell’OMS.
Questo
percorso (precedentemente noto come “Trattato sulla pandemia”) è stato avviato nel dicembre 2021.
Si
tratta della creazione di un nuovo quadro giuridico internazionale che
teoricamente coordinerebbe le attività dei diversi Stati membri ma, in pratica,
probabilmente coordinerebbe più schemi di riciclaggio di denaro a nostre spese.
“Roguski”
scrive su “ Door to Freedom”:
In
risposta a quella che è essenzialmente una controversia commerciale
internazionale, una sessione speciale dell”’Assemblea Mondiale della Sanità” ha
deciso il 1° dicembre 2021 di creare un organismo di negoziazione
intergovernativo (INB) per avviare un processo per sviluppare un accordo
globale storico ai sensi della “Costituzione del Mondo Organizzazione sanitaria”
per rafforzare la prevenzione, la preparazione e la risposta alla pandemia.
L'articolo
19 della Costituzione dell'OMS conferisce all'”Assemblea Mondiale della Sanità”
il potere di adottare convenzioni o accordi su qualsiasi questione di
competenza dell'OMS.
L’INB
presenterà i suoi risultati all’esame della 77a Assemblea mondiale della sanità
nel maggio 2024.
L’unico
strumento istituito ai sensi dell’articolo 19 ad oggi è la Convenzione quadro
dell’OMS sul controllo del tabacco.
All’inizio
di aprile 2022, l’OMS ha ricevuto un totale di 33.884 commenti pubblici. Oltre
il 99% dei commenti ha espresso opposizione all’idea di un “Trattato
pandemico”.
Nel
settembre 2022, l’OMS ha ricevuto diverse centinaia di video inviati.
La
maggior parte dei video inviati da privati esprimeva opposizione all'idea di
un "Trattato sulla pandemia".
'L'INB
ha tenuto 5 riunioni ufficiali e ha pubblicato una bozza di lavoro , una bozza
zero concettuale , una bozza zero e un testo dell'ufficio di presidenza .
Il controverso "testo di
compilazione", che si presume includa circa 200 pagine di testo proposto
dai paesi membri, non è stato reso disponibile al pubblico.'
(La “Dichiarazione
pandemica delle Nazioni Unite” è solo la punta dell’iceberg della tirannia
globale e degli sforzi di spopolamento).
Le
bozze esistenti riguardano sempre le stesse cose: sorveglianza, infrastrutture,
lotta alla “disinformazione” e vaccini.
Stiamo
assistendo a una campagna di livello militare su più fronti, molto tragica ed
estremamente corrotta per incatenare e soggiogare le persone del mondo in un
modo nuovo (oltre al vecchio modo).
La
novità è l’uso della tecnologia digitale per etichettarci, per sorvegliarci,
per limitare i nostri movimenti e il nostro accesso a cibi e medicinali “vecchi
normali” che funzionano mentre ci impongono varie procedure che possono
mutilarci. Che si vergognino.
Che si
vergognino.
Il
precedente dell'influenza suina e la pianificazione a lungo termine.
Ho
scritto
delle strategie di pianificazione nel periodo
in cui sono uscite per la prima volta le informazioni sul “Trattato sulla
pandemia”:
Il
fatto è che l’OMS ha già tentato di risolvere un’enorme crisi sanitaria legata
alla vendita di vaccini più di dieci anni fa, ma non ha funzionato.
La parte relativa alla vendita dei vaccini ha
funzionato molto bene perché sono riusciti ad attivare gli accordi di acquisto,
ma quella volta la parte relativa allo "spaventare il pubblico" è
stata un "flop".
Tutto
quello che è successo è stato che la pandemia è stata solennemente dichiarata,
i paesi partecipanti all’accordo hanno acquistato lotti relativamente grandi di
vaccini scadenti (vedi “fiasco della narcolessia”), e poi tutto è svanito.
Ecco
un articolo di Forbes del 2010 che dice:
"Fin
dall'inizio le azioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità sono andate dal
dubbio al palesemente incompetente."
Ed
ecco il rapporto dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, intitolato
"La gestione della pandemia H1N1: necessaria maggiore trasparenza":
Il
relatore ritiene che alcuni degli esiti della pandemia, come illustrato nella
presente relazione, siano stati drammatici:
distorsione delle priorità dei servizi
sanitari pubblici in tutta Europa, spreco di ingenti somme di denaro pubblico,
provocazione di paure ingiustificate tra gli europei, creazione di i rischi per
la salute derivanti da vaccini e farmaci che potrebbero non essere stati
sufficientemente testati prima di essere autorizzati con procedure accelerate,
sono tutti esempi di questi risultati.
Dal “British Medical Journal” :
"L'OMS
per anni ha definito le pandemie come epidemie che causano 'un numero enorme di
morti e malattie', ma all'inizio di maggio 2009 ha rimosso questa frase – che
descrive una misura di gravità – dalla definizione."
I
principali scienziati che fornivano consulenza all’Organizzazione Mondiale
della Sanità sulla pianificazione di una pandemia influenzale avevano svolto un
lavoro retribuito per aziende farmaceutiche che avrebbero tratto vantaggio
dalle linee guida che stavano preparando.
Questi conflitti di interessi non sono mai
stati resi pubblici dall'OMS, e l'OMS ha respinto le indagini sulla sua
gestione della pandemia A/H1N1 definendole "teorie del complotto".
"Un'indagine
congiunta del “BMJ” e del “Bureau of Investigative Journalism” ha scoperto
prove che sollevano interrogativi preoccupanti su come l'OMS ha gestito i
conflitti di interessi tra gli scienziati che hanno consigliato la
pianificazione della pandemia e sulla trasparenza della scienza alla base dei
suoi consigli ai governi."
"Era
appropriato che l'OMS si avvalesse della consulenza di esperti che avevano
legami finanziari e di ricerca dichiarabili con aziende farmaceutiche che
producono antivirali e vaccini antinfluenzali?"
Ed
ecco una conferenza del 2019 di “Marc Van Ranst”, commissario belga per
l'influenza, alla conferenza delle parti interessate sulla “preparazione alla
pandemia influenzale di ESWI/Chatham House”.
Dopo
circa 13 minuti, si vanta di come "ha abusato del fatto che i migliori, i
migliori club di calcio in Belgio in modo inappropriato e contro tutti gli
accordi vaccinati... hanno fatto sì che i loro calciatori fossero persone
prioritarie".
Il pubblico ride.
(Il
liceo del Missouri snobba 4 ragazze, nomina il maschio biologico la sua “regina
del ritorno a casa”)
E
parlando di pianificazione a lungo termine, la “risposta sanitaria” degli Stati
Uniti nel 2020 è stata resa possibile in parte grazie ai piani di “preparazione
alla pandemia” sviluppati durante Bush, quando nessuno sano di mente prendeva
in considerazione la possibilità di tali cose.
Pianificano
in anticipo!
L’OMS
è profondamente corrotta.
Ecco
un breve sguardo su quanto sia corrotta l’Organizzazione Mondiale della Sanità:
Invece
di mettere la salute pubblica al primo posto, spingendo ad esempio per studi
sulla sicurezza dei vaccini, la storia dell’OMS illustra chiaramente la sua
fedeltà a Big Pharma e ad altre industrie.
L’OMS, ad esempio, ha minimizzato gli effetti
sulla salute causati dal disastro nucleare di Chernobyl del 1986, affermando
che solo 50 decessi furono causati direttamente dall’incidente e “un totale di
fino a 4.000 persone potrebbero morire a causa dell’esposizione alle
radiazioni” del disastro.
Nel
1959 l’OMS ha firmato un accordo con l’Agenzia internazionale per l’energia
atomica (AIEA), che “promuove l’uso pacifico dell’energia atomica”, rendendola
subordinata all’agenzia per quanto riguarda le radiazioni ionizzanti.
Anche
la risposta dell’OMS al disastro radioattivo di Fukushima nel 2011 è stata
criticata, con prove di un insabbiamento di alto livello.
L’OMS
ancora una volta ha minimizzato i rischi, affermando che “i rischi previsti
sono bassi e non sono previsti aumenti osservabili dei tassi di cancro al di
sopra dei tassi di riferimento”.
L’OMS
ha inoltre ricevuto più di 1,6 milioni di dollari dal gigante degli “oppioidi
Purdue” dal 1999 al 2010 e ha utilizzato i dati sugli oppioidi supportati
dall’industria per incorporarli nelle sue linee guida ufficiali a favore degli
oppioidi.
Secondo
l’”Alliance of Human Research Protection”, la collaborazione dell’OMS con “Purdue”
ha portato a un maggiore utilizzo di oppioidi e a una dipendenza globale.
A
causa della sua accettazione del denaro privato, una recensione del “Journal of
Integrative Medicine & Therapy “è arrivata al punto di affermare che la
corruzione dell'OMS è la "più grande minaccia alla salute pubblica mondiale del
nostro tempo", in particolare per quanto riguarda i farmaci dell'OMS,
raccomandazioni – compreso il suo “elenco dei farmaci essenziali” – che ritiene
sia parziale e non affidabile.
(C'è
un bellissimo documentario intitolato "TrustWHO ".)
Conclusione.
È
davvero vergognoso quello che stanno cercando di fare. Ci stanno intimidendo,
cercando di forzare le nostre labbra a muoversi in accordo con le loro
metodologie di stupro, stanno cercando di farci dire che lo vogliamo, che li
amiamo, che ci sottomettiamo a loro e che accettiamo il loro nuovo, sempre
-definizioni mutevoli e capovolte delle nostre parole sacre.
Stanno
cercando di uccidere l'anima.
Sono
bulli.
Stanno
cercando di dotare le loro stazioni di stupro digitale di un linguaggio
brillante sull’equità e sui diritti umani.
Stanno
trasformando alcune persone in zombi e stanno utilizzando i nuovi zombi come
armi contro le persone che rifiutano di essere zombificate.
(LifeSite
si impegna a fornire rapporti veritieri su questioni ignorate dai media mainstream)
Stanno
cercando di trasformare le persone in sagome i cui piedi non toccano terra e le
cui teste sono scollegate dal collo, come questa pubblicità del vaccino COVID:
Non
lasciare che ti facciano questo. Non lasciare che nessuno ti faccia questo. Non
lasciare che nessuno, in nessuna circostanza, ti disconnetta dalla tua anima.
(Tessa
Lena, assicurati di controllare la sua biografia, Tessa Fights Robots).
Musk
critica la “vergognosa
campagna
di censura” di Trudeau:
“Cerca
di schiacciare la libertà
di
parola in Canada”.
Lifesitenews.com
– Jean Mondoro - Elon Musk – (2 ottobre 2023) – ci dice:
Il
miliardario proprietario di “X” ha ripetutamente criticato gli sforzi
aggressivi di censura del governo Trudeau, che ha definito
"vergognosi".
(Elon
Musk ha partecipato al Met Gala 2022 che celebra "In America: An Anthology
of Fashion" al Metropolitan Museum of Art il 2 maggio 2022 a New York City).
(LifeSiteNews)
— Il
sostenitore della libertà di parola e imprenditore Elon Musk ha criticato
ancora una volta il primo ministro canadese Justin Trudeau per la sua campagna
di censura in corso.
(Domenica,
Musk ha pubblicato sulla sua piattaforma di social media “X”, ex Twitter,
"Trudeau sta cercando di schiacciare la libertà di parola in Canada",
definendolo "vergognoso").
I
commenti di Musk erano in risposta a un annuncio del 29 settembre della”
Commissione canadese per la radiotelevisione e le telecomunicazioni” (CRTC) che
delineava
"il
suo piano normativo per modernizzare il quadro di trasmissione del Canada e
garantire che i servizi di streaming online diano un contributo significativo
ai contenuti canadesi e indigeni".
Nelle
sue prime due decisioni dall’apertura dei regolamenti per le “consultazioni
pubbliche” a maggio, la “CRTC” ha dichiarato che “i servizi di streaming online
devono fornire informazioni sulle loro attività in Canada”, compresa la
presentazione di un modulo di registrazione e il rispetto di alcune
“condizioni” stabilite dall'agenzia governativa.
L'annuncio
è l'ultimo sforzo nella campagna in corso di Trudeau per “limitare la libertà di parola in
Canada” e
arriva mesi dopo che la famigerata censura di Internet “Bill C-11 e Bill C-18”
sono diventati legge del paese.
Mentre
la campagna di censura si svolgeva, Musk ha ripetutamente espresso opposizione
agli sforzi, citando l’ingiusta restrizione della libertà di parola.
Nel 2022, ha affermato che la legislazione
sulla censura di Internet potrebbe diventare un tentativo di “imbavagliare la
voce” dei canadesi.
Nell'estate
del 2023, il miliardario è arrivato al punto di suggerire che il governo di
Trudeau dovrebbe essere sostituito, se si presentasse un'opportunità
elettorale,” con leader che difenderanno il diritto alla libertà di parola dei
loro cittadini”.
Musk
ha anche promosso la voce del pubblico durante la “Canadian Million Person
March “– una
protesta nazionale contro l’indottrinamento LGBT nelle scuole – condividendo un video dell’evento che
ha raggiunto più di 115 milioni di visualizzazioni su “X”.
Lo
scopo di erodere la libertà
di
parola è il controllo
completo
della popolazione.
Lifesitenews.com
– Dott. Giuseppe Mercola – (14 settembre 2023) – ci dice:
(Jorm
Sangsorn/Shutterstock)
L’obiettivo
finale dei globalisti è il controllo completo. Per arrivarci, coloro che cercano
quel controllo devono creare una stretta mortale totale su tutte le
informazioni, perché è così che si controlla meglio una popolazione.
LA
STORIA IN BREVE.
Gli
Stati Uniti sono stati unici nella loro dedizione alla libertà di parola, ma
quel diritto costituzionale è stato lentamente eroso in nome della sicurezza
nazionale e della protezione della salute pubblica.
Nel
1950, il senatore “Joseph McCarthy” affermò di avere prove di una rete di
spionaggio comunista all'interno del Dipartimento di Stato americano.
La lezione da quel momento fu il potere
distruttivo dell’accusa.
Nel
2017, un’organizzazione chiamata “Hamilton 68” affermò di avere prove che
dimostravano che centinaia di “account Twitter” affiliati alla Russia avevano
manipolato le elezioni americane per portare Trump alla Casa Bianca.
Si è
rivelata una bufala completa, ma i media non hanno mai aggiornato il pubblico
con quella verità.
Nel
1948, lo stesso anno in cui la CIA lanciò il “Progetto Mockingbird”, divenne
legge lo “US Information and Educational Exchange Act” (noto anche come
Smith-Mundt Act), che vietava al governo degli Stati Uniti di spingere la
propaganda sulla popolazione statunitense.
Il presidente Barrack Obama ha abrogato questa
legge nel 2013, legalizzando così la propaganda degli americani.
Affinché
la propaganda abbia davvero successo, soprattutto a lungo termine, è necessaria
anche la censura, e negli Stati Uniti ciò richiede l’indebolimento del diritto
alla libertà di parola.
L’indebolimento della libertà di parola è
iniziato alla fine del 2016, quando Obama ha convertito in legge il “Countering
Foreign Propaganda and Disinformation Act”, che ha aperto la porta a una guerra
informativa offensiva contro il pubblico.
(Mercola)
– In un
articolo del 28 marzo 2023 intitolato “Una guida per comprendere la bufala del
secolo”, “Jacob Siegel”, redattore senior del notiziario pomeridiano della
rivista “Tablet , News e The Scroll”, discute l’emergere della “disinformazione
industriale” come complesso”, che è
l’argomento del suo prossimo libro.
Gli
Stati Uniti sono stati unici nella loro dedizione alla libertà di parola, ma
quel diritto costituzionale si sta rapidamente erodendo in nome della sicurezza
nazionale e della protezione della salute pubblica.
(Il
governatore democratico “Dem Usa” del New Mexico dichiara "emergenza
sanitaria" per ordinare la sospensione del diritto alle armi).
“Siegel”
fa risalire i primi giorni della guerra dell'informazione al senatore “Joseph
McCarthy”, che nel 1950 affermò di avere prove di una rete di spie comuniste
all'interno del Dipartimento di Stato americano.
Inizialmente
affermò di avere i nomi di 205 spie comuniste.
Il
giorno dopo lo ha rivisto portandolo a 57.
Tuttavia,
il punto non è l’incoerenza.
"Il
punto era la forza dell'accusa", dice Siegel.
“Per più di mezzo secolo, il maccartismo è
stato un capitolo determinante nella visione del mondo dei liberali americani:
un avvertimento sul pericoloso fascino delle liste nere, della caccia alle
streghe e dei demagoghi”.
Ritornano
le liste nere e la caccia alle streghe.
Nel
2017, i liberali americani avevano apparentemente dimenticato quella lezione,
poiché gli esperti dei media mainstream accusavano Donald Trump di essere un
candidato della Manciuria installato dalla Russia.
Un’organizzazione
chiamata” Hamilton 68” ha affermato di avere prove che dimostrano che centinaia
di account Twitter affiliati alla Russia hanno manipolato le elezioni americane
per portare Trump alla Casa Bianca.
A
quanto pare, nessuna di queste accuse era vera e Hamilton 68 si rivelò una
“bufala di alto livello”.
La maggior parte dei resoconti riguardavano
americani impegnati in conversazioni organiche, che Hamilton 68 descrisse
arbitrariamente come “trame russe”.
Il responsabile della sicurezza di Twitter, “Yoel
Roth”, ha addirittura ammesso che la società aveva etichettato “persone reali”
– ancora una volta, per lo più americani – come “tirapiedi russi senza prove o
ricorso”.
Una
differenza fondamentale tra gli episodi di “McCarthy” e “Hamilton 68” è che i
giornalisti, le agenzie di intelligence statunitensi e i membri del Congresso
non hanno ingoiato le accuse di McCarthy senza masticare.
Quando
iniziò la caccia alle streghe contro Trump, chiunque mettesse in dubbio le
accuse fu attaccato come co-cospiratore.
I
media si sono persino rifiutati di riferire le prove che dimostrano che “Hamilton
68 “era una truffa completa.
Il livello di disinteresse per la verità
suggeriva che il liberalismo americano “aveva perso la fiducia nella promessa
di libertà e aveva abbracciato un nuovo ideale”, scrive Siegel.
Propaganda
e censura: due facce della stessa medaglia.
La
propaganda è antica quanto l'umanità stessa, ma la sua versione moderna può
essere fatta risalire al 1948, quando l'”Ufficio Progetti Speciali della CIA “lanciò
l'”Operazione Mockingbird”, una campagna clandestina di infiltrazione nei media
della CIA che prevedeva la corruzione di centinaia di giornalisti per
pubblicare storie false sul mercato.
(La
richiesta della CIA.)
NOI, Canada
cattolico.
Il
licenziamento delle teorie del complotto e dei teorici della cospirazione come
pazzi mentalmente instabili fu una delle tattiche inventate dalla CIA in questo
momento.
Il suo
intento era (ed è tuttora) quello di emarginare e demoralizzare chiunque metta
in dubbio la narrativa inventata.
È
abbastanza significativo che l'”operazione Mockingbird” sia stata lanciata lo
stesso anno in cui divenne legge l'”US Information and Educational Exchange Act”
(noto anche come Smith-Mundt Act), che proibiva al governo degli Stati Uniti di
spingere la propaganda sulla popolazione statunitense.
(Le
banche cancellano i rivenditori di monete senza spiegazione, evidenziando le
preoccupazioni sul dollaro digitale)
Questa
legge anti-propaganda è stata abrogata nel 2013 dall’allora presidente Barrack
Obama.
Pertanto, dal luglio 2013, il governo degli
Stati Uniti e la CIA sono legalmente autorizzati a fare propaganda ai cittadini
statunitensi.
Oltre alla semplificazione del coordinamento
globale delle notizie attraverso le agenzie di stampa, questo è un altro motivo
per cui la propaganda è fiorita e cresciuta in modo esponenziale negli ultimi
anni.
Ma
affinché la propaganda abbia davvero successo, soprattutto a lungo termine, è
necessaria anche la censura – un concetto selvaggiamente contrastato negli
Stati Uniti fino a poco tempo fa – e” la censura, almeno in America,
richiede l’indebolimento del diritto alla libertà di parola”.
Come
notato da Siegel, il tentativo di minare la libertà di parola è davvero
decollato alla fine del 2016, quando Obama ha convertito in legge il “Countering
Foreign Propaganda and Disinformation Act”, che ha aperto la porta a “una
guerra informativa offensiva e a tempo indeterminato” contro il pubblico in generale.
Apparentemente
da un giorno all’altro, si è detto che la “misinformazione” e la
“disinformazione” rappresentassero un’urgente minaccia esistenziale alla
sicurezza nazionale, alla libertà, alla democrazia e, più tardi, alla salute
pubblica.
Ora ci
viene detto che dobbiamo eliminare la disinformazione per preservare la libertà
di parola, che è così contorta che nessuna persona costituzionalmente
alfabetizzata riesce a capirne il senso.
L’accelerazione
dell’eliminazione della libertà di parola.
Abrogando
lo “Smith-Mundt Act” e trasformando in legge il “Countering Foreign Propaganda
and Disinformation Act”, Obama ha gettato le basi legali per il controllo
governativo della libertà di parola negli Stati Uniti.
Da
allora è emerso un vasto complesso industriale della disinformazione, che cerca
di controllare Internet, e tutte le informazioni in esso contenute.
Come
descritto da Siegel, l’infrastruttura di sicurezza nazionale degli Stati Uniti
si è ora fusa con le piattaforme dei social media, ed è qui che si combatte la
guerra dell’informazione.
Anche
la mobilitazione nazionale contro la disinformazione è stata ampliata da un
approccio coinvolgente l’intero governo a un approccio coinvolgente l’intera
società.
In un
documento del 2018, il “Global Engagement Center” (GEC) del “Dipartimento di
Stato” chiede di “sfruttare le competenze di tutti i settori governativi,
tecnologici e di marketing, del mondo accademico e delle ONG”.
"È così che la 'guerra contro la
disinformazione' creata dal governo è diventata la grande crociata morale del
suo tempo", scrive Siegel.
(Un commentatore sconvolto della MSNBC
afferma che Trump "deve morire in prigione" il 6 gennaio).
Naturalmente,
anche i media hanno svolto un ruolo significativo nella “risposta dell’intera
società” alla disinformazione, ma sono “di gran lunga l’attore più debole nel
complesso della contro disinformazione”, osserva Seigel, aggiungendo :
La
stampa americana, un tempo custode della democrazia, è stata svuotata al punto
da poter essere indossata come una marionetta dalle agenzie di sicurezza
statunitensi e dagli agenti del partito.
Sarebbe
bello definire una tragedia ciò che è accaduto, ma il pubblico deve imparare
qualcosa da una tragedia.
Come nazione, l’America non solo non ha
imparato nulla, ma le è stato deliberatamente impedito di imparare qualcosa
mentre è costretta a inseguire le ombre.
Questo
non è perché gli americani siano stupidi; è perché ciò che è accaduto non è una
tragedia ma qualcosa di più vicino a un crimine.
La
disinformazione è sia il nome del crimine sia il mezzo per insabbiarlo; un'arma
che funge anche da travestimento.
Il
crimine è la stessa guerra dell’informazione, che è stata lanciata con falsi
pretesti e che per sua natura distrugge i confini essenziali tra pubblico e
privato e tra esterno e interno, da cui dipendono la pace e la democrazia.
Confondendo
la politica anti-establishment dei populisti nazionali con gli atti di guerra di
nemici stranieri, ha giustificato l’uso di armi da guerra contro i cittadini
americani.
Ha
trasformato le arene pubbliche in cui si svolge la vita sociale e politica in
trappole di sorveglianza e obiettivi per operazioni psicologiche di massa.
Il
crimine è la violazione sistematica dei diritti degli americani da parte di
funzionari non eletti che controllano segretamente ciò che gli individui
possono pensare e dire.
Ciò che stiamo vedendo ora, nelle rivelazioni
che smascherano i meccanismi interni del regime di censura statale-aziendale, è
solo la fine dell’inizio.
Gli
Stati Uniti sono ancora nelle prime fasi di una mobilitazione di massa che mira
a imbrigliare ogni settore della società sotto un unico dominio tecnocratico.
La
mobilitazione, iniziata come risposta alla minaccia apparentemente urgente
dell’interferenza [elettorale] russa, ora si evolve in un regime di
controllo totale dell’informazione che si è arrogato la missione di sradicare
pericoli astratti come errore, ingiustizia e danno – un obiettivo degno solo di leader
che si credono infallibili o di supercriminali dei fumetti.
“Fase
2” della guerra dell'informazione: “controllo totale”.
La
pandemia di COVID ha rappresentato una parte significativa della Fase 1 della
guerra dell’informazione, sebbene la guerra alla percezione pubblica sia
iniziata anni prima.
Come
notato da Siegel, la fase COVID è stata “caratterizzata da dimostrazioni tipicamente
umane di incompetenza e intimidazione con la forza bruta”.
La
Fase 2 sarà senza dubbio portata avanti dall’intelligenza artificiale, ora
accuratamente addestrata a identificare i maggiori fattori scatenanti della
paura e del panico, sia su base individuale che sociale.
Possiamo
anche aspettarci una censura da parte dell’algoritmo.
Non sarà più un gioco “colpisci la talpa” con
gli umani che taggano i post e ne richiedono la rimozione.
Invece,
i messaggi contenenti determinate parole semplicemente non andranno da nessuna
parte e non verranno visti.
Le
parole chiave dette e scritte verranno automaticamente contrassegnate,
cancellate o impedite dalla pubblicazione da parte dell'AI.
Bot
basati sull’intelligenza artificiale e “pupazzi da calzino” (account falsi)
possono anche essere lanciati su tutte le piattaforme ed essere amplificati
algoritmicamente per alterare la percezione di miliardi di persone in tempo
reale. Abbiamo visto emergere questa tendenza durante il primo round di COVID,
in cui più account pubblicavano lo stesso messaggio “originale”, alla lettera,
allo stesso tempo.
(Il
dipendente del sito di pornografia ammette i trafficanti di sesso, gli
stupratori sfruttano le "scappatoie" nella verifica dell'identità del
rapporto.)
Come
notato da “Siegel”, l’obiettivo finale di tutto questo conflitto di
informazioni è il controllo.
Controllo
non parziale, ma totale. Su tutto e tutti.
Questo
è anche il motivo per cui non vedremo mai un'autorità governativa ammettere di
diffondere disinformazione, anche se, tecnicamente, si è resa colpevole di ciò
in numerose occasioni negli ultimi tre anni.
Hanno
liquidato il portatile di “Hunter Biden” come disinformazione russa, anche se
l’intelligence statunitense aveva la prova che esso e il suo contenuto erano
reali.
Sostenevano
che la teoria della fuga di dati dal laboratorio fosse una cospirazione
razzista, anche se, in privato, il consenso scientifico era che il virus
provenisse da un laboratorio.
Ci
hanno detto che i colpi di COVID avrebbero fermato la trasmissione, anche se in
primo luogo non erano mai stati testati.
L'elenco
potrebbe continuare.
“La
disinformazione, ora e per sempre, è quello che dicono”, scrive Siegel.
“Questo
non è un segno che il concetto venga utilizzato in modo improprio o corrotto; è
il funzionamento preciso di un sistema totalitario”.
Complici
nel crimine.
Siegel
non è l'unico a definire un crimine la guerra dell'informazione.
In un
altro articolo di “Tablet intitolato” “Partners in Crime”, l’avvocato della “New
Civil Liberties Alliance” “Jenin Younes” esamina le prove del caso legale del “Missouri contro l’amministrazione Biden” che mostrano
come il governo e le “Big Tech” abbiano costruito “una campagna di censura
dell’intero sistema” in chiara violazione del “il Primo Emendamento”.
I
documenti “Meta” interni ottenuti dalla sottocommissione ristretta sull'arma
del governo federale della commissione giudiziaria della Camera nel luglio 2023
hanno anche arricchito la storia di come la censura sponsorizzata dallo stato
sia diventata la politica ufficiale di così tante società private.
Le
prove mostrano che Facebook e altre società di social media non si sono assunte
la responsabilità di diventare arbitri della verità.
Piuttosto, hanno subito pressioni aggressive
in tal senso da parte dei funzionari dell’amministrazione Biden e dei
funzionari di varie agenzie federali.
A volte hanno seguito docilmente la direzione
data, ma anche nei casi in cui hanno cercato di respingere, alla fine hanno
dovuto adeguarsi per paura di ritorsioni da parte del governo.
(Mitt
Romney annuncia che non cercherà la rielezione al Senato degli Stati Uniti nel
2024)
"Mentre
negli ultimi due anni sono state intentate altre cause legali per presunte
violazioni del “Primo Emendamento” basate sul coinvolgimento del governo nella
censura dei social media, Missouri [ v. Biden ] si è dimostrato di successo
unico", scrive “Younes “.
Quando
la denuncia è stata presentata nel maggio del 2022, la prova principale a
disposizione dei querelanti del Missouri erano le dichiarazioni pubbliche di
membri di alto rango dell'amministrazione, tra cui l'ex addetta stampa della
Casa Bianca “Jennifer Psaki”, il chirurgo generale “Vivek Murthy “e lo stesso “presidente
Biden”.
I
querelanti hanno citato dichiarazioni pubbliche di funzionari governativi che
dichiaravano sfacciatamente che stavano segnalando post affinché le società di
social media potessero censurarli;
criticare
apertamente le aziende per la rimozione inadeguata dei contenuti (soprattutto
di tutto ciò che mette in dubbio la sicurezza e l'efficacia dei vaccini
COVID-19);
accusando
i dirigenti tecnologici di "uccidere persone" per non aver censurato
adeguatamente la cosiddetta disinformazione;
e
minacciando di ritenerli responsabili se si rifiutassero di conformarsi.
Il
giudice “Terrence Doughty” ha ordinato la scoperta in una fase iniziale del
contenzioso...
Per la
prima volta, il pubblico è venuto a conoscenza dell'operazione clandestina di
censura dell'amministrazione Biden, iniziata appena tre giorni dopo
l'insediamento del presidente Biden...
Nel
febbraio del 2021, l'allora direttore dei media digitali della Casa Bianca,”
Robert Flaherty”, aveva intensificato le tattiche dell'amministrazione... Ha
iniziato a maltrattare le aziende - usando imprecazioni, lanciando accuse e
avanzando richieste - nel suo tentativo di convincerle a rimuovere contenuti
che secondo lui avrebbero potuto causare persone a rifiutare i vaccini...
In
numerose occasioni, “Brian Rice” e altri dipendenti di “Meta” hanno inviato
alla Casa Bianca elenchi dettagliati dei cambiamenti politici concordati dopo
che i tentativi iniziali di placare l'”ira di Flaherty” si sono rivelati
infruttuosi.
Il 4
luglio di quest'anno, il “giudice Doughty” ha accolto la richiesta dei querelanti
per un'ingiunzione preliminare nel Missouri, osservando che "il presente
caso riguarda probabilmente il più massiccio attacco contro la libertà di
parola nella storia degli Stati Uniti" e descrivendo il regime di censura
dell'amministrazione come simile a un "Ministero della Verità
orwelliano".
Fondamentale
per l’esito è stata la constatazione della corte secondo cui l’amministrazione
Biden e varie agenzie esecutive federali hanno costretto, fatto pressioni e
incoraggiato le società di social media a sopprimere il discorso protetto dal
Primo Emendamento, convertendo l’azione altrimenti privata in quella dello
Stato.
Il
principio fondamentale in questione, che vieta al governo di cooptare
l’industria privata per aggirare i divieti costituzionali, è noto come
“dottrina dell’azione statale”.
Senza
di essa, la “Carta dei Diritti “non avrebbe alcun valore.
La
polizia potrebbe, ad esempio, assumere una società privata per perquisire la
tua casa nonostante manchi una causa plausibile, al fine di aggirare il divieto del
Quarto Emendamento contro perquisizioni e sequestri senza mandato.
Oppure
il governo potrebbe eludere le garanzie di pari protezione previste dal 14°
emendamento finanziando scuole private soggette a segregazione razziale.
Il
giudice ha concordato con i querelanti nel caso Missouri v. Biden che... dal
momento che il Primo Emendamento proibisce al governo di limitare la libertà di
parola, la
Costituzione non può essere letta nel senso di consentire al governo di
requisire società private per raggiungere i suoi obiettivi di censura basati
sui punti di vista.
Prova
diretta di coercizione.
Anche
se le prove iniziali suggerivano che l’amministrazione Biden fosse la forza
trainante della censura sui media, si trattava ancora di prove circostanziali.
La situazione è cambiata alla fine di luglio
2023, quando la sottocommissione per l’armamento del governo federale ha
ottenuto documenti “Meta” interni.
Secondo
“Younes”, "Questi documenti fanno il nodo: stabiliscono inequivocabilmente che se
non fosse stato per la tattica del braccio forte dell'amministrazione Biden,
alcuni punti di vista non sarebbero stati soppressi".
Ad
esempio, in un'e-mail del luglio 2021, il capo degli affari globali di “Meta”,
Nick Clegg, ha chiesto a “Brian Rice”, responsabile della politica sui
contenuti di Facebook, perché avevano rimosso, anziché contrassegnate o retrocesse,
le affermazioni secondo cui SARS-CoV-2 era artificiale.
La “Rice”
ha risposto: “Perché eravamo sotto pressione da parte dell’amministrazione
[Biden] e di altri affinché facessimo di più e faceva parte del pacchetto “di
più”.
Ha
concluso l'e-mail dicendo: "Non avremmo dovuto farlo".
"Non
solo “Rice” ha affermato esplicitamente che le pressioni della Casa Bianca
hanno indotto “Meta” a rimuovere i contenuti che avallavano la teoria delle
fughe di dati di laboratorio sulle origini del COVID, ma ha anche espresso
rimorso per questa decisione", ha scritto Younes.
"Questi
nuovi documenti dimostrano anche che la rimozione del 'contenuto scoraggiante
per i vaccini' è avvenuta a causa della pressione del governo."
“Clegg”,
ad esempio, ha detto ad “Andy Slavitt”, ex consigliere senior della Casa Bianca
per la risposta al COVID, che la rimozione di meme umoristici che denigrano il
vaccino COVID – come richiesto da Slavitt – “rappresenterebbe una significativa
incursione nei tradizionali confini della libera espressione negli Stati
Uniti”.
E ha
insistito e ha respinto le preoccupazioni di Clegg come immateriali e, alla
fine, Clegg ha acconsentito per evitare potenziali ritorsioni.
Quid
pro quo.
“Younes”
continua :
Le
tattiche coercitive della Casa Bianca hanno avuto l'effetto desiderato. Sia
Clegg che [Meta COO Sheryl] Sandberg hanno sollecitato l'acquiescenza per
evitare conseguenze negative.
Nelle parole di Clegg, "Sheryl desidera
che continuiamo a esplorare alcune mosse che possiamo fare per dimostrare che
stiamo cercando di essere reattivi al WH".
Ha
spiegato che il "corso attuale" dell'azienda... è una ricetta per
un'acrimonia prolungata e crescente con il WH mentre il lancio del vaccino
continua a balbettare durante l'autunno e l'inverno.
Considerando
il problema più grande che dobbiamo friggere con l'Amministrazione – flussi di
dati, ecc. – questo non sembra un bel posto in cui stare.'
Quindi,
"vista la posta in gioco qui, sarebbe anche una buona idea se potessimo
riorganizzarci per fare il punto della situazione nei nostri rapporti con il
WH, e anche nei nostri metodi interni".
Il "flusso di dati" faceva
riferimento a una controversia che “Meta” aveva all'epoca con l'Unione Europea
sul trasferimento dei dati degli utenti.
Se la questione dovesse risolversi a favore
dell’UE, “Meta” potrebbe dover affrontare multe significative.
Come
hanno recentemente spiegato il giornalista di Twitter “Michael Shellenberger” e
i suoi coautori analizzando questo scambio, "la serie di eventi suggerisce
un quid pro quo".
Facebook
si piegherebbe alle richieste di censura della Casa Bianca in cambio del suo
aiuto con l'Unione Europea.'
Il
primo emendamento cerca di impedire la repressione del dissenso.
Come
notato da “Younes”, il presidente Joe Biden aveva promesso di mettere la
vaccinazione di massa contro il COVID al centro della sua agenda.
Il problema era che moltissimi americani non
si sentivano a proprio agio nel ricevere l’iniezione di una terapia genica
sperimentale che non disponeva di dati sulla sicurezza a lungo termine.
Ciò ha
rappresentato un ostacolo all’agenda politica di Biden e, invece di riconoscere
che la campagna di vaccinazione di massa è stata mal accolta, la Casa Bianca ha
semplicemente scelto come capro espiatorio i social media.
(Dobbiamo
proteggerci a vicenda e proteggere la verità dalla tirannia globalista).
È
stata colpa loro se gli americani non si sono rimboccati le maniche in numero
sufficiente.
Le email interne di “Meta” attestano il fatto
che i dipendenti si sentivano usati come capri espiatori ogni volta che la
campagna di vaccinazione non andava come sperato.
“Un
governo che usa il suo potere per reprimere il dissenso è esattamente ciò che
il Primo Emendamento cercava di impedire”, osserva “Younes”.
"La
libertà di parola è il pilastro principale di un governo libero: quando questo
sostegno viene tolto, la costituzione di una società libera viene dissolta",
scrisse in modo famoso” Benjamin Franklin”, uno dei padri fondatori.
Il
primo presidente degli Stati Uniti, “George Washington”, una volta disse:
“Se si
deve impedire agli uomini di esprimere i propri sentimenti su una questione che
può comportare le conseguenze più gravi e allarmanti che possano invitare alla
considerazione dell’umanità, la ragione non ha alcun valore”, usaci;
la libertà di parola può essere tolta, e muti
e silenziosi possiamo essere condotti, come pecore al macello.'
Speriamo
che quando la” Corte d'Appello” del “Quinto Circuito”, e probabilmente la “Corte
Suprema”, esamineranno questi casi nei prossimi mesi, interpretino il Primo
Emendamento come lo intendevano gli autori della Costituzione.
Altrimenti,
il futuro della libertà di parola, e della libertà stessa, è in grave pericolo.
In
chiusura, pur riconoscendo la terribile minaccia posta dalla censura
sponsorizzata dallo Stato, Younes non segue le briciole di pane come fa Siegel.
Younes sembra credere che la rete di censura del governo sia nata per
proteggere gli obiettivi politici di Biden, ma è molto più grande di questo.
(L’ospedale
del Missouri smette di somministrare ormoni transgender ai bambini dopo
l’entrata in vigore della nuova legge).
Come
afferma “Siegel”, l’obiettivo finale è il controllo globale.
Per
arrivarci, coloro che cercano quel controllo devono creare una stretta mortale
totale su tutte le informazioni, perché è così che si controlla meglio una
popolazione.
Inoltre,
questa stretta mortale è globale.
Non è
un fenomeno americano nato perché Biden voleva prendersi una puntura su ogni
braccio.
La censura del COVID è in corso in ogni paese
e ogni paese deve indagare sul ruolo, se del caso, svolto dai propri governi
nella soppressione della verità.
Controffensiva
sul Mar Nero, cosa succede?
La
flotta di Putin respinta di 100 miglia
e i
bombardamenti all'Isola dei Serpenti.
Cosa
sappiamo.
Msn.com
– il messaggero - Redazione web – (4 -10-2023) – ci dice:
Gli
analisti internazionali concordano: anche se gli occhi sono puntati sulla
continua offensiva terrestre dell’Ucraina, Kiev «sta combattendo una campagna di
grande successo contro il dominio navale russo sul Mar Nero».
E
secondo l’intelligence britannica la recente serie di attacchi da parte delle
milizie di Volodymyr Zelensky alla Flotta russa in Crimea sta causando
crescente preoccupazione a Mosca.
«Il
porto di Sebastopoli è stato bersagliato da attacchi, compreso un recente colpo
di missile che ha colpito il quartier generale della Flotta.
Un attacco dell’Ucraina a un cantiere navale
di Sebastopoli con missili da crociera Storm Shadow ha colpito una nave e un
sottomarino russo.
Mentre
alcune difese aeree hanno abbattuto alcuni missili, altri hanno raggiunto il
loro obiettivo, causando danni a una nave da sbarco e a un sottomarino», elenca
il rapporto degli 007 inglesi.
E oggi “Natalia Humeniuk”, portavoce delle
forze di difesa ucraina del fronte meridionale, rivendica i risultati:
«Le navi della marina russa non osano andare
oltre capo Tarkhankut, sulla costa della Crimea», afferma.
(Equilibri
mutati.
Putin:
"La controffensiva ucraina è un fallimento" -Dailymotion.)
«La
linea del fronte in mare è stata respinta indietro di almeno 100 miglia
nautiche (185 chilometri) rispetto alla costa ucraina», spiega “Natalia
Humeniuk”, ricordando che nei primi giorni dell’invasione la marina russa
riusciva ad avvicinarsi alla costa di Odessa alla distanza di un colpo
d’artiglieria.
«Attualmente
- aggiunge - navi e battelli della flotta del mar Nero della Federazione russa
non navigano in direzione delle acque territoriali ucraine.
Qualche
volta appaiono vicino alla costa della Crimea, ma non si avvicinano di più. Non
osano andare oltre capo Tarkhankut», all’estremità occidentale della Crimea.
I
russi cercano tuttavia di mantenere la superiorità nel mar Nero con «aerei
tattici», precisa “Humeniuk”, ricordando che da due, tre giorni viene
bombardata l’isola dei Serpenti.
Mosca infatti sta ricorrendo sempre di più
alle forze aeree navali per controllare la parte occidentale del Mar Nero:
gran
parte delle attività della sua flotta si stanno trasferendo a “Novorossiysk”,
in Russia,
«a fronte delle minacce contro il suo quartier generale di Sebastopoli, in
Crimea».
È
questa la valutazione dell’intelligence britannica nel rapporto pubblicato oggi
su “X” dal ministero della Difesa di Londra.
«Nelle
ultime settimane - si legge - la componente aerea della Flotta russa del Mar
Nero ha assunto un ruolo particolarmente importante nelle operazioni», pur
dovendo al contempo «affrontare le minacce concorrenti sul fianco meridionale».
Controllo
indebolito.
Nelle
ultime settimane Kiev ha condotto un’audace campagna di attacchi volti a
indebolire le difese russe e ad aumentare la sua libertà di manovra nella parte
settentrionale del Mar Nero e nella penisola di Crimea.
«Di conseguenza, il controllo della Russia
sulle acque vicino all’Ucraina è ora più debole che in qualsiasi momento della
guerra durata diciannove mesi», è la valutazione di “Michael Horowitz”, esperto
di geopolitica e dei conflitti, nonché capo del team di analisti di “Le Beck
International” che fornisce consulenza a numerose aziende e Ong che operano in
Ucraina in seguito all’invasione russa.
Per” Horowitz” la pianificazione delle
operazioni attualmente in corso sarebbe cominciata già all’inizio dell’anno,
quando circa 1.000 marines ucraini arrivarono nel Regno Unito per essere
addestrati dai Royal Marines e dai loro omologhi olandesi.
Ad
agosto sono rientrati in patria e il mese successivo, utilizzando piccole
imbarcazioni, hanno attaccato le piattaforme petrolifere di Boyko.
E proprio lo Special boat squadron (Sbs) dei
Royal Marines è specializzato in tali operazioni.
L’obiettivo di Kiev erano le apparecchiature
radar e i sensori sulle piattaforme che, secondo l’Ucraina, avevano permesso a
Mosca di monitorare gran parte del Mar Nero settentrionale.
Installazioni
militari.
Subito
dopo, segnala “Horowitz”, è cominciata una tempesta di attacchi contro le
installazioni militari russe, tra cui navi da guerra, radar, sistemi di difesa
aerea, aeroporti e centri di comando e comunicazione.
Un’operazione
su larga scala che non si è ancora attenuata e condotta con tutti gli uomini e
i mezzi disponibili:
unità
delle forze speciali e aerei armati di missili da crociera, droni marittimi e
aerei esplosivi per colpire le navi pattuglia.
«Sebbene la Crimea sia di fondamentale
importanza per Vladimir Putin, è più di un semplice trofeo - commenta “Horowitz”
- Il porto in acque profonde è fondamentale per il controllo del Mar Nero e il
ponte di Kerch verso la Russia è vitale per rifornire gli eserciti del Cremlino
che combattono la controffensiva ucraina più a nord.
Le operazioni ucraine mirano a negare alla
Russia il suo ponte terrestre nell’Ucraina meridionale tra il Donbass e la
Crimea».
Recentemente
le capacità delle forze di Kiev di farcela hanno sollevato uno scetticismo
diffuso e forse l’alternativa di ripiegare su un obiettivo meno ambizioso come
la conquista di “Tokmak”, che ora si trova 16 chilometri a sud della linea del
fronte.
Ma
anche se le forze ucraine riuscissero a raggiungere solo questo obiettivo, è
l’opinione di “Horowitz,” «un tale successo combinato con attacchi regolari contro
punti chiave in Crimea renderebbe estremamente difficile la campagna militare
della Russia».
Se il
piano della controffensiva è quello di assicurarsi che la presenza russa
nell’Ucraina meridionale diventi insostenibile, «allora il triplice sforzo che le
forze ucraine stanno portando avanti – uno a terra, gli altri in mare e nei
cieli – avrà portato molto più vicini a questo obiettivo e a un altro punto di
svolta nella guerra».
Le
nuove mafie preferiscono la corruzione alla violenza.
Insegnare
la legalità
è
l'arma che abbiamo.
Rainews.it
– Pierluigi Mele – Prof. Vincenzo Musacchio – Intervista – (31-12-2022) – ci
dicono:
Che
cosa sappiamo della mafia?
Quanto
conosciamo il nostro territorio?
Quali
sono le forze in campo?
Quanto
siamo disposti a lottare per un futuro migliore senza mafie?
Ne parliamo con Vincenzo Musacchio,
criminologo e studioso di fenomeni mafiosi.
Si è
svolta una Manifestazione contro le mafie di “Libera”.
Professore
si sente ormai da anni parlare di “mafia”, di “corruzione”, di “evasione
fiscale”, tuttavia, sembrano essere argomenti di cui si parla troppo poco.
Lei
cosa pensa?
Parlare
di questi argomenti in Italia è stato sempre molto difficile.
Per
quanto riguarda le mafie, nel nostro Paese stiamo assistendo a preoccupanti
evoluzioni della criminalità organizzata contemporanea:
dall’infiltrazione
siamo passati all’integrazione e dal radicamento siamo arrivati alla
convivenza.
L’Italia
è originariamente una terra di mafia e per questo motivo parlare di
quest’argomento non solo dovrebbe essere facile ma anche essere sollecitato da
più parti.
Ancora
oggi invece chi cerca di affrontare il tema, spesso è accusato di creare
allarmismo.
Parlo
delle mafie da trent’anni, sovente inascoltato o addirittura vituperato dalle
classi politiche che si sono succedute nel tempo.
Credo sia stata proprio la sottovalutazione e
a volte la rimozione del problema che, intrecciandosi con un preoccupante
deficit di conoscenze, ha prodotto un terreno favorevole alla crescita della
criminalità organizzata moderna.
Il lavoro da fare dunque è ancora tanto e occorre
insistere rompendo innanzitutto l’intollerabile silenzio che avvolge questi
temi.
Lei
spesso parla di “metamorfosi della mafia”, oggi qual è la situazione a livello
nazionale?
Le
inchieste della magistratura e delle forze di polizia disegnano uno scenario di
cui bisogna prendere atto, affinché cresca anche la consapevolezza che è
arrivato il momento di reagire e di coalizzarsi per fermare nuove recrudescenze
della situazione attuale.
Oggi
le nuove mafie sono transnazionali, mercatistiche, invisibili e soprattutto
prediligono la corruzione alla violenza.
Inchieste a livello europeo e internazionale
hanno fatto un accettabile avanzamento tracciando un modello investigativo con
il contributo decisivo di alcuni Stati membri dell’Unione europea.
Ancora non basta.
Si ripuliscono tuttora troppo facilmente i
proventi illeciti con le forme classiche del riciclaggio, impoverendo e
alterando così l’economia sana.
I
soldi guadagnati con la droga o con altre attività criminali sono immessi
nell’economia legale nel tentativo di riciclarli, di nascondere e far
disperdere la loro origine.
Uno dei problemi essenziali che hanno i
mafiosi è proprio quello di trasformare in soldi legali i capitali mafiosi
illegalmente accumulati.
Il
riciclaggio diventa così l’attività mafiosa più importante così come
l’acquisizione di attività commerciali, d’imprese, d’immobili e d’investimenti
finanziari.
È un
groviglio che sta avvolgendo intere zone e di cui è sempre più difficile
accorgersi.
Si rischia di smarrirsi, di perdere il filo
che lega insieme diversi fatti tra loro concatenati.
È
importante non perdere di vista quel filo, seguendo sia le vecchie strade, sia
i punti di novità della presenza mafiosa in campo economico e finanziario.
L’Europa
sta diventando il luogo dove fare affari, coinvolgendo quegli imprenditori che
vedono nei clan la chiave per superare le difficoltà della crisi.
Imprenditori che quando pensano di instaurare
una relazione di reciproca convenienza con le mafie si trovano successivamente
in un tunnel di solitudine e sofferenza il cui esito è inevitabilmente la
dolorosa perdita del controllo della loro impresa, frutto dei sacrifici di una
vita.
Negli
ultimi anni, le mafie hanno visibilmente quasi archiviato i metodi criminali
violenti, e hanno deciso di lavorare “in modo occulto”, mimetizzandosi,
stabilendo una sorta di patto di pace, costituendo anche alleanze e
collaborazioni, realizzando vere e proprie holding imprenditoriali.
Sensibilizzare
i giovani su questi temi quanto può influire sulla società futura?
Molto,
anzi, direi che è decisivo.
Bisogna parlare ai giovani andando a trovarli
nelle scuole, come continuo a fare incessantemente da tanti anni.
È un
percorso molto difficile e di lungo periodo perché richiede tempo, pazienza e
dedizione:
i risultati si riscontrano dopo alcuni anni ma
posso assicurare che si notano e in alcuni casi sono sorprendenti.
Questo
ovviamente si può fare se si è credibili, se si è coerenti e soprattutto se c’è
il riscontro da parte dei giovani.
Posso
affermare senza timore di smentite che le nuove generazioni, sono attentissime
a capire e si accorgono subito se uno recita o meno.
In ambito universitario, con gli anni, dopo
aver seminato, ho potuto riscontrare i frutti del raccolto.
Alcuni
miei studenti oggi sono diventati magistrati, molti sono nelle forze di
polizia, sono avvocati.
La gioia più grande è quando mi dicono che ho
contribuito al loro cammino di legalità.
Questo
mi rende orgoglioso e mi dà la forza di andare avanti e di dire che non ho
sprecato tempo nel parlare di mafia ai giovani.
È questa la strada migliore da percorrere
poiché alla fine darà i suoi frutti.
Quanto
influisce la risposta o “non risposta” delle istituzioni sul fenomeno mafia?
Nella
lotta alle mafie lo Stato svolge un ruolo prevalente ma non esclusivo. Corruzione e mafia stanno diventando
sempre di più facce della stessa medaglia.
La
criminalità organizzata ormai è radicata in tutto il Paese.
Fino a quando nelle grandi opere pubbliche saranno
presenti le mafie, la politica non sarà mai degna del proprio ruolo.
La responsabilità tuttavia non è solo dei
politici.
Le
mafie riescono a fare poco se non trovano professionisti che li guidino.
Hanno bisogno d’imprenditori, commercialisti,
notai, avvocati, magistrati, giornalisti che si rendono loro complici affinché
la propria forza sia sempre più consolidata.
I mafiosi per raggiungere il loro obiettivo
hanno più bisogno della politica che dei politici.
Ho
avuto il piacere di sentire dalla voce di Paolo Borsellino la frase divenuta
poi famosa:
“Politica e mafia sono due poteri che vivono
sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono
d’accordo”.
Credo che il suo assunto sia valido ancora
oggi.
Lei
cita spesso esempi di coraggio come Falcone, Borsellino, don Peppe Diana ma
oggi c’è ancora chi mette a rischio la propria vita in favore della giustizia?
Soprattutto lo Stato, come Istituzione, li protegge?
Personalmente
credo che la vera lotta alle mafie si sia fermata al maxi processo di Palermo
che fu un esempio per tutto il mondo di come si possa sconfiggere la
criminalità organizzata.
I veri servitori dello Stato che si sono
sacrificati per combatterla, purtroppo, sono tutti morti perché una parte dello
Stato, o meglio dei suoi governanti, non ha voluto la lotta alle mafie, ma ha
preferito la connivenza.
Per un’azione incisiva ed efficace serve un
ingrediente che in Italia è raro: la volontà politica.
Una “ricetta miracolosa” per estirpare il cancro delle
mafie ovviamente non esiste.
Esistono
però leggi, forse troppe, che devono essere applicate e altrettante che
dovrebbero essere create.
Riguardano
l’economia, l’evasione fiscale, la corruzione, il settore bancario, quello del
lavoro, dell’informazione, tutti contesti in cui la criminalità organizzata
regna sovrana.
Finora le mafie hanno ucciso tutte quelle
persone che le hanno combattute con forza e determinazione e che poi lo Stato
ha abbandonato.
Diceva
bene Giovanni Falcone: “… la mafia uccide i servitori dello Stato, che lo Stato
non è riuscito a proteggere…”.
Pochi
giorni fa dall’Europa è arrivata la notizia del “Qatar gate” che coinvolge
proprio le istituzioni dell’Unione europea.
È la
prova che corruzione e mafia sono presenti ormai ovunque?
Che la
criminalità organizzata sia già presente ovunque nel mondo è un dato di fatto.
Magari
sarò smentito dalle indagini ma ritengo che nello scandalo emerso in questi
giorni, siamo di fronte a modalità operative mafiose.
È solo un mio pensiero che qui si esaurisce.
Ovviamente
sia chiaro che bisogna sempre denunciare e sono sicuro che gli inquirenti
arriveranno ai colpevoli, alla matrice della corruzione e al coinvolgimento
delle mafie.
Il
ruolo dei collaboratori di giustizia sarà importante.
La
corruzione oggi avviene tramite scambi di favori e complessi passaggi economici
e legali che hanno reso le tangenti ancora più̀ invisibili e difficili da
dimostrare.
È
d’accordo?
Sì,
sono d’accordo.
Ci sono ancora persone arrestate con mazzette
di contanti in mano.
I metodi corruttivi si sono perfezionati:
consulenze fittizie, fatture false per operazioni inesistenti, disponibilità
occulte all’estero, anche di somme notevolissime con cui si fanno scambi di
favori che passano attraverso delle operazioni bancarie e finanziarie.
Questo
però esisteva anche ai tempi di “Mani pulite” ed è emerso altresì nello
scandalo del Qatar.
La
storia a volte si ripete.
La
globalizzazione ha rafforzato il potere delle mafie?
Assolutamente
sì.
Io
sono preoccupato perché non vi sono argini all’unificazione dei mercati a
livello mondiale, alla diffusione delle trasformazioni economiche, alle
innovazioni tecnologiche e ai mutamenti geopolitici che hanno spinto verso modelli
di produzione e di consumo privi di adeguati controlli e a volte in dispregio
del rispetto della persona umana.
Nel
frattempo è stato cancellato anche il valore della competenza.
Per
saper fare le cose bisogna studiare e fare esperienza nella vita.
Questo
mi preoccupa tantissimo, perché se manca la competenza e il merito allora poi
non si è capaci di usare strumenti adeguati allo scopo, e questo è un problema
enorme.
Quali
sono oggi le terre più fertili per le mafie?
Ripeto
che non esiste parte del mondo dove non vi siano insediamenti mafiosi.
La crisi economica mondiale certamente ha reso
ancora più insidiosa l’espansione criminale.
Chi
s’infiltra, lo fa mimetizzandosi puntando alle attività economiche per es.
rilevando quote nelle attività commerciali ed entrando in maniera organica nel
sistema produttivo.
Le
mafie scelgono sempre il terreno più fertile in base alla scarsa legislazione
antimafia, alla popolazione “tranquilla”, alla sua classe politica
accondiscendente.
Una
sua citazione recita “La legalità e l’antimafia partono dal parlarne e si
concretano con le azioni”.
A tal proposito quale risposta concreta
potranno dare l’Italia e l’Europa?
Onestamente
non so che risposta potranno dare l’Italia e l’Europa, so però quello che farò
io.
Ripartono per il decimo anno consecutivo gli
incontri della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” finalizzati a promuovere
nell’ambito scolastico un programma di attività a favore degli studenti delle
scuole di ogni ordine e grado (dalle primarie all’Università).
Lo scopo resta sempre lo stesso:
far maturare la consapevolezza del valore
della legalità, con particolare riferimento alle mafie, alla corruzione e alla
conoscenza dei principi costituzionali. Il progetto denominato “Legalità Bene
Comune” anche per l’anno 2023, prevedrà l’organizzazione, a livello nazionale,
d’incontri presso le scuole orientati a creare e diffondere il concetto di
“legalità” e stimolare nei giovani una maggiore consapevolezza del loro ruolo
sociale.
Abbiamo bisogno di sapere da dove veniamo, e
di conoscere quel che è accaduto prima di noi.
Questa
è l’antimafia in cui crediamo.
Possiamo
concludere l’intervista con un messaggio augurale per il nuovo anno?
Certamente.
Mi
piacerebbe che con il nuovo anno il coraggio e la devozione alla legalità di
chi, vivi e morti, ha combattuto la mafia non siano dimenticati.
Facciamo in modo che questi eroi non siano morti
invano e che il loro esempio costituisca una rinascita di libertà, di giustizia
e di verità.
Proviamo a sconfiggere le mafie cercando di
essere più giusti e più responsabili. Cerchiamo di essere noi genitori gli
esempi positivi per i nostri figli.
Questo
è il mio messaggio per il nuovo anno.
(Vincenzo
Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on
Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e
membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del
Royal United Services Institute di Londra).
Il
Papa ha deciso: il “cambiamento
climatico”
sarà dogma.
Nicolaporro.it
- Max Del Papa – (4 Ottobre 2023) – ci dice:
Nella
“Laudate Deum” di Bergoglio emergono critiche ai “negazionisti” climatici ed
elogi per i gretini.
Che il
nostro Bergoglio fosse un papa” influencer”, a cavallo fra materialismo
socialista e misticismo esoterico, ce n’eravamo accorti presto e non abbiamo
mai smesso di pensarlo davanti a saggi di pensiero radicalista quali la Laudato
Sì, “enciclica non verde ma sociale” che pareva scritta dagli imbrattamuri di
Ultima Generazione”.
Che la
sua missione fosse sostituire il vecchio Dio con feticci alla moda, da Greta
Thunberg a Luca Casarini, da Carola Rackete agli scafisti, pure non è novità ma
una conferma, mesta, avvilente, di ogni giorno che il Padreterno manda sulla
terra.
Questo
successore di Ratzinger, spedito al Soglio dalle trame di Obama in accordo con
l’Islam radicale, che chiese e ottenne un pontefice di proprio gradimento
dietro minaccia di passare ai roghi delle chiese da vuote a piene, è, si potrebbe
dire con Marx, un pontefice nel senso della storia, perfettamente calato nella
cultura del suo tempo che è “cultura woke”, cioè subcultura, “anticultura”.
Adesso
abbiamo la conferma tombale, con una di quelle uscite spericolate, a tratte
deliranti, da aeroplano che piacciono molto all’ala estrema della sinistra a
problematica ma fanno dannare l’ufficio stampa della Santa Sede:
«L’origine
umana, “antropica” del cambiamento climatico non può più essere messa in
dubbio», con buona pace di «quelli che cercano di «negare o «minimizzare», di
«porre in ridicolo chi parla di riscaldamento globale».
Non è
un sermone di Mario Tozzi ma la “Laudate Deum”, degno compimento della
succitata “Laudato Sì”:
se
perseverare è diabolico, qui siamo alla coerenza estrema.
E lo è, diabolico, perché non è un assunto, almeno per
quanto ne stanno riportando i giornali, corrisponde a verità, è tutto un
pandemonio di affermazioni suggestive e infondate:
“Col passare del tempo mi rendo conto che non
reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse
si sta avvicinando a un punto di rottura”.
Col
passare del tempo, lo dimostra la Sacra Scienza, l’inquinamento globale si è
ridotto e così pure i cosiddetti eventi estremi, le foreste sono cresciute
ovunque, l’Occidente ha costantemente abbassato grazie alla tecnologia le sue
emissioni tossiche, sono entrati in gioco altri subcontinenti quali Cina,
India, oltre all’Africa che si va preparando, i quali bruciano e consumano
perché vogliono vivere bene e giustamente ritengono che adesso tocchi a loro, e
delle prediche degli ambientalisti ancor più giustamente se ne fottono.
Ma
Bergoglio, tetragono:
«Poniamo
finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione
come solo ambientale, “verde”, romantica, spesso ridicolizzata per interessi
economici.
Ammettiamo finalmente che si tratta di un
problema umano e sociale in senso ampio e a vari livelli.
Per questo si richiede un coinvolgimento di
tutti».
Non è
Il verde Bonelli, è ancora il rosso Bergoglio:
quale
irresponsabile presa in giro?
Il problema “umano e sociale in senso ampio a
vari livelli” poi non significa assolutamente niente, è di insostenibile
vaghezza scherniana come se fosse un an
tani.
Il compagno Jorge Maria ce l’ha, vedi un po’, col
«paradigma tecnocratico che è alla base dell’attuale processo di degrado
ambientale», insomma il dannatissimo capitalismo e chi lo pratica e in tal modo matura un «modo deviato
di comprendere la vita» che consiste nel pensare «come se la realtà, il bene e
la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso della tecnologia e
dell’economia.
Se consideriamo che le emissioni pro capite
negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e
circa sette volte maggiori rispetto alla media dei Paesi più poveri, possiamo
affermare che un cambiamento diffuso dello stile di vita irresponsabile legato
al modello occidentale avrebbe un impatto significativo a lungo termine»,
scrive Bergoglio con argomentazioni alla Chloe, quella che in televisione fa la
pazza sperando di finire al Grande Fratello.
Ci
manca solo che si metta a piangere dichiarando di non voler fare figli, così
poi arriva “Pichetto Fratin” col fazzolettin.
Fino al climax in cui non si tiene più e fa
impallidire l’oscurantismo che faceva fuori Galieo:
«Per
quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i
segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti.
Nessuno può ignorare (sic) che negli ultimi
anni abbiamo assistito a fenomeni estremi, frequenti periodi di caldo anomalo,
siccità e altri lamenti della terra che sono solo alcune espressioni tangibili
di una malattia silenziosa (sic!) che colpisce tutti noi.
È verificabile (sic) che alcuni cambiamenti
climatici indotti dall’uomo aumentano significativamente la probabilità di
eventi estremi più frequenti e più intensi.
Basta
un aumento globale di 0,5 gradi per sconvolgere il clima (bum!), siamo vicini a
1,5, «se si superano i 2 gradi, le calotte glaciali della Groenlandia e di gran
parte dell’Antartide si scioglieranno completamente con conseguenze enormi e
molto gravi per tutti.
Eppure,
«per porre in ridicolo chi parla di riscaldamento globale, si ricorre al fatto
che si verificano di frequente anche freddi estremi. Si dimentica che questi e
altri sintomi straordinari sono solo espressioni alternative della stessa
causa: lo squilibrio globale causato dal riscaldamento del pianeta».
(Il
climatologo mancato Bergoglio non è al corrente che la CO2 è un gas più pesante
dell’atmosfera e quindi impossibilitato a viaggiare nel cielo alla caccia della
“famosa coperta della volta della serra” che riguarda solo i gas più leggeri
della nostra atmosfera! N.D.R).
Siamo
alla maledizione di stampo gretino, approssimativa, scentrata e, se si deve
dire la verità anche davanti a un pontefice, ignorantissima:
siccome
il Papa qui non parla ex cathedra, ma ex suggestione, lo diciamo, tanto più che
da qui in avanti la sua sparata si allarga a sragionamenti di abissale
populismo socialista:
i ricchi che inquinano più dei poveri, i quali
vengono incolpati di fare troppi figli [certo, la soluzione c’è: lasciateli
fare, e poi se li prende tutta l’Italia, con l’eccezione della Città del
Vaticano: così Sant’Egidio, che con Francesco è una cosa sola, sa cosa fare].
«Ciò
che sta accadendo è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle
varie conseguenze del cambiamento climatico (sic!): l’innalzamento del livello
del mare, la siccità e molti altri fenomeni (sic) che colpiscono il pianeta
hanno lasciato parecchia gente alla deriva.
D’altra parte, la transizione verso forme di
energia rinnovabile, ben gestita, così come tutti gli sforzi per adattarsi ai
danni del cambiamento climatico, sono in grado di generare innumerevoli posti
di lavoro in diversi settori.
Per questo è necessario che i politici e gli
imprenditori se ne occupino subito».
Come
si vede, non c’è margine di precisione, è tutta una invettiva costruita più su
pregiudizi che su dati di fatto, invero inesistenti o inconsistenti, sorretti
da rari dettagli, che paiono buttati in mezzo tanto per fare scena, per dare
credibilità all’anatema continuo, ma egualmente discutibili, anzi contestabili,
abbeverandosi il Papa a pozzi avvelenati, notoriamente, quali il rapporto 2023 dell’agenzia
statunitense «National Oceanic and Atmospheric Administration» e
l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il Gruppo intergovernativo
sul cambiamento climatico che è un organismo governativo americano di pura
propaganda climatista:
ma su
queste affermazioni avranno buon gioco gli scienziati veri a sbugiardare questo
papa bugiardo.
Il
punto è che le cose non stanno affatto così.
Al di
là della confusione, della contraddizione per cui l’Africa sarebbe in ritardo,
a causa dell’infinito colonialismo occidentale, dunque ancorata a tecnologie
antiquate e pertanto altamente inquinanti, eppure, prodigiosamente, per motivi
non precisati riesce, nei suoi 54 Stati, ad immettere meno agenti di tutti;
al di là pure della irresponsabilità con cui
si affermano cose del tutto lunari come «Allo stesso tempo, notiamo che negli
ultimi cinquant’anni la temperatura è aumentata a una velocità inedita, senza
precedenti negli ultimi duemila anni.
In
questo periodo la tendenza è stata di un riscaldamento di 0,15 gradi centigradi
per decennio, il doppio rispetto agli ultimi 150 anni.
Dal
1850 a oggi la temperatura globale è aumentata di 1,1 gradi centigradi,
fenomeno che risulta amplificato nelle aree polari.
A
questo ritmo, è possibile (sic!) che tra dieci anni raggiungeremo il limite
massimo globale auspicabile di 1,5 gradi centigradi.
L’aumento non si è verificato soltanto sulla
superficie terrestre, ma anche a diversi chilometri di altezza nell’atmosfera,
sulla superficie degli oceani e persino a centinaia di metri di profondità.
Questo
ha pure aumentato l’acidificazione dei mari e ridotto i loro livelli di
ossigeno.
I ghiacciai si ritirano, la copertura nevosa
diminuisce e il livello del mare aumenta costantemente»: qui sarebbe solo da
replicare: è possibile un cazzo, caro Greto.
Le
cose non stanno così, punto. Sono contemporaneamente più complesse e più
lineari.
I
riscontri stanno nella scienza autentica, stanno nel sapere serio, rigoroso dei
1500 attorno all’organizzazione Clintel, alcuni dei quali intervistati da Franco Battaglia in
un recentissimo libro;
stanno
nella situazione africana raccontata da “Federico Rampini” nel nuovo “La
speranza africana”, dove le questioni energetiche e quindi climatiche occupano
la parte rilevante;
stanno
nella geopolitica che ogni giorno smentisce la criminalità, esclusiva dell’homo capitalisticus occidentale;
stanno
nella menzogna per cui il pianeta, a livello climatico, non è mai stato così malmesso,
quando è vero il contrario.
Stanno, a un livello più generale, in un modo talmente
sensazionalistico, fazioso e scorretto da non essere consentito neanche a un
papa.
Il
guaio, e grosso guaio, è che anche sul fronte laico (ma esiste un fronte più
laico del clero attualmente guidato da Bergoglio?) le cose non vanno né meglio
né peggio, sono identiche:
«L’origine umana, “antropica” del cambiamento
climatico non può più essere messa in dubbio» è il medesimo assunto perentorio,
ma inconsistente, che esce dalla bocca di Mattarella, il quale ci fa sapere che
“Il Capo dello Stato è sconcertato” dalle discussioni ancora in corso quanto a
cambiamenti climatici con relative presunte responsabilità:
la
stessa cosa che il Colle ebbe a dire a proposito di vaccini, profilassi
governativa, lockdown, green pass:
tutte misure inutili, devastanti e
discretamente eversive, roba che ha avuto bisogno di sorreggersi su anni di
bugie per funzionare.
Ed è
questo approccio imperiale a togliere il sonno:
le cose stanno come diciamo noi perché lo
diciamo noi e non sono ammesse obiezioni, dimostrazioni contrarie, tanto meno
il ricorso alla scienza, sempre esaltata ma fin che fa comodo.
Qualcosa
di spaventoso, in prospettiva, ma una prospettiva che già ci ghermisce.
Le cose stanno come diciamo noi e se vi azzardate a
contestarle vi mettiamo in manicomio (Pecoraro Scanio), in galera (Bonelli),
comunque vi rinchiudiamo, vi amputiamo dal consorzio civile.
Ne
usciremo?
Difficile,
anche perché la tecnologia autoritaria del controllo ce lo impedisce e ci
stritolerà sempre più.
E, va detto, anche destra, almeno italiana,
non si scorgono segnali di reazione, solo di soggezione a questa attitudine
maniacale, allucinante, dogmatica ma a livelli post talebani.
Qui un
pontefice cattolico punta semplicemente a cancellare il pianeta fingendo di
volerlo preservare.
Se non è satanico questo!
Non ci
resta che evocare Daniele Capezzone col suo ultimo saggio, “E basta con ‘sto
fascismo”.
Dove
lo sbotto del titolo è duplice, va bene sia per sfanculare i fanatici che usano
i fantasmi di un regime di cent’anni fa in chiave strategica, sia per
inchiodarli alla loro autentica matrice, che è quella di un fascismo schietto,
incorreggibile, ribaldo. A prescindere dall’armocromia del doppiopetto o della
tonaca.
(Max
Del Papa)
Chip,
perché sarà un anno difficile
per
l’industria: lo scenario globale.
Agendadigitale.eu
- Mirella Castigli – (01 Feb. 2023) – ci dice:
(ScenariDigitali.info)
Il
Presidente degli Stati Uniti Biden sta conducendo la guerra dei chip, limitando
fortemente le esportazioni di processori verso la Cina, dopo lo stop alla
Russia.
La posizione sempre più delicata di Taiwan e
la rincorsa della Ue.
Gli
esperti ci aiutano a capire le molte sfaccettature di un’industria strategica e
complessa.
La
geopolitica dei chip: l'impatto sulle filiere e le sfide del 2023.
L’industria
dei chip è da sempre stata l’emblema e uno dei cardini della globalizzazione.
Ma il
mondo pare entrato in una nuova fase di de-globalizzazione e di friend shoring
(il re-shoring nei mercati nazionali e dei Paesi alleati) e la geopolitica ha
cominciato a innalzare confini dove non c’erano.
Tira
linee nette di demarcazione ideologiche per separare.
Da un
lato le filiere atlantiche legate agli USA.
Dall’altro,
la Cina con i vari Paesi satelliti nel Sud-est asiatico, il Medio-Oriente,
Eurasia e l’Africa dove Pechino sta spingendo l’adozione delle sue tecnologie.
Sono i
Paesi che hanno aderito alla “Belt and Road Initiative” (Bri), la nuova via
della Seta, o che si sono affidati agli aiuti finanziari cinesi e che stringono
accordi commerciali con Pechino.
Sono quelli che accettano gli standard cinesi
quando costruiscono le loro infrastrutture digitali.
Il
decoupling è dunque inevitabile.
I
Paesi devono prepararsi alle sfide future, mettendo a punto il loro piano B e
cercando nuove strategie nel nuovo mondo post-pandemia.
Facciamo
il punto sullo scenario globale di questa industria complessa e strategica.
È la
geopolitica, bellezza.
La
geopolitica, abbiamo detto, è entrata prepotentemente nell’industria dei chip,
un mercato già fortemente stressato dal post-pandemia, anche se siamo in fase
di ritorno degli stock.
Ma in realtà “i chip sono sempre stati
geopolitici”, commenta “Alessandro Aresu”, autore del libro “Il dominio del XXI
secolo” (Feltrinelli, 2022).
“Fin dall’inizio, la storia dei chip
accompagna lo sviluppo militare degli Stati Uniti.
La
crescita americana dei chip deriva dal fatto che il mercato non è solo
militare, ma diventa il vasto mondo dell’elettronica di consumo.
Politica
e mercato, quindi”, sottolinea “Aresu”.
La
carenza dei processori ha avuto un significativo impatto sulle filiere
industriali, “ma ora la domanda è in calo”, aggiunge “David Burigana”,
professore associato di “Storia delle Relazioni Internazionali” all’Università
di Padova.
Inoltre la “chip war”, sferrata dal Presidente
Usa Joe Biden contro Russia e Cina, insieme agli incentivi dell’”Inflaction
Reduction Act” approvato ad agosto, ha un impatto globale sulle supply chain.
Per
contenere l’ascesa tecnologica cinese, Washington ha deciso di limitare
l’export dei chip in Cina.
Il risultato sarà un anno complesso per
l’industria dei semiconduttori, con implicazioni molteplici e conseguenze a
lungo termine, anche in Italia e in Europa, dove lo scopo della normativa sui
chip è di ridurre le vulnerabilità della UE e le sue dipendenze da player
stranieri.
Le
restrizioni americane all’esportazione dei processori.
Nell’ambito
del braccio di ferro con Pechino, gli USA hanno istituito le più ampie
restrizioni di sempre all’export dei chip.
L’amministrazione Biden punta a limitare le
vendite di processori alla Cina e a porre paletti a chi può lavorare per le
aziende cinesi.
Al
contempo, il governo statunitense intende agevolare la filiera dell’industria
dei processori, introducendo generosi sussidi federali per effettuare il
reshoring e riportare la manifattura verso gli USA.
“Anche
se la maggioranza alla Camera non è stata così netta lo scorso fine luglio”,
spiega “David Burigana”, “l’amministrazione Biden ha stabilito un investimento
di oltre 50 miliardi immediati nel settore delle foundry.
In
dieci anni l’impegno è di sviluppare 200 miliardi di dollari nel settore della “Science”,
quindi non solo la ricerca scientifica applicata ai microchip, ma anche tutte
le conseguenze”.
Altri
governi in Europa ed Asia, dove hanno sede i maggiori chip maker, hanno
introdotto policy simili per mantenere le loro posizioni nell’industria.
I
cambiamenti in atto continueranno ad avere effetto nel 2023, ma ad essi si
somma un nuovo elemento di incertezza nell’industria che finora ha fatto
affidamento a una “supply chain” distribuita e globale.
Finora
si sceglieva in libertà con chi fare business.
D’ora
in poi, la geopolitica giocherà un ruolo di primo piano nel mercato da 500
miliardi di dollari dei semiconduttori.
Lo
scenario europeo sullo scacchiere dei chip.
“Non è
un caso che lo scorso ottobre si sia svolto alla Farnesina”, continua il
professor “David Burigana”, “l’incontro bilaterale fra l’allora ministro del
Mise Giorgetti e il ministro francese Bruno Le Maire, per investire in quattro
settori: vaccini, spazio, elettronica e idrogeno.
Il
rilancio della microelettronica avviene attraverso l’investimento di 5-6
miliardi di euro in STM, un progetto che s’innesta nel quadro del Chips Act
europeo”.
Il
piano dei sussidi europei dovrebbe permettere di mobilitare 45 miliardi di
investimenti pubblici e privati utilizzando la leva del bilancio dell’Ue.
Tuttavia,
osserva “David Burigana”, le cifre in gioco in Europa e USA sono di 45 miliardi
la UE e 50 miliardi gli USA, “mentre i piani di Taiwan sfondano circa i cento
miliardi.
La
foundry a Sud di Taiwan, finanziata anche dagli Stati Uniti, ha ricevuto circa
60 miliardi di investimenti per la produzione di massa di chip con tecnologia a
3 nanometri.
La
Cina oscilla fra i 6 e gli 8 (il Covid è di 15 nanometri…). Invece l’Unione
europea non riesce a scendere sotto i 10 nanometri”.
“Secondo
un report della Commissione europea, l’Europa ha una quota nel mercato dei chip
pari all’8% (contro il 24% del 2000). L’obiettivo europeo è recuperare market
share per tornare al 20% di quote di mercato”.
Nel
2000 l’Europa deteneva un quarto della produzione dei chip, “grazie al
coordinamento fra ricerca scientifica ed industria negli anni ’90, nonostante
che gli investimenti non fossero elevatissimi”, sottolinea “Burigana”.
Gli
Usa scommettono sui chip con il “Chips Act”.
Nel
2022 gli USA hanno varato il “Chips and Science Act”, che mette sul piatto 52
miliardi di dollari per l’industria dei semiconduttori e della ricerca.
Di questi, 39 miliardi servono a sussidiare la
costruzione di fabbriche negli Stati Uniti.
Dal prossimo febbraio le aziende potranno
attingere a questi fondi, i vincitori saranno presto resi noti.
Alcuni
fondi permetteranno di aiutare le fabbriche di manifattura militare dei chip
basate sugli USA.
Il governo da tempo esprime preoccupazione sui
rischi di sicurezza nazionale legati ai chip provenienti dall’estero.
“Probabilmente
sempre più aziende torneranno negli USA con l’obiettivo di ricostruire la
supply chain di difesa”, ha dichiarato al “MIT Technology Review” “Jason Hsu”,
ex legislatore di Taiwan che attualmente è senior fellow presso la “Kennedy
School di Harvard” dove svolge ricerca sull’intersezione dei semiconduttori e
geopolitica.
“Hsu” afferma che le applicazioni di difesa
sono la maggior ragione per cui il colosso taiwanese “TSMC” ha deciso di
investire negli Stati Uniti 40 miliardi di dollari.
Oltretutto,
nella produzione dei processori a 5 nanometri e 3 nanometri, le generazioni di
chip attualmente più avanzate.
Tuttavia
il reshoring pone anche diverse problematiche.
Le
criticità del reshoring.
Il
reshoring della produzione dei processori commerciali non è una passeggiata ed
incontra varie problematiche.
La
produzione della maggior parte dei chip impiegati nei prodotti consumer e data
center, fra le applicazioni commerciali, avviene in Asia.
Spostare
questa manifattura negli USA potrebbe spingere in alto i costi, rendendo i
processori meno competitivi, nonostante i sussidi governativi.
Nell’aprile
scorso, il fondatore di “TSMC” Morris Chang ha spiegato che i costi di
produzione dei chip sono più alti del 50% rispetto a Taiwan.
“Il
problema è che “Apple”, “Qualcomm” e “Nvidia” acquisteranno I chip prodotti
negli USA, e dovranno bilanciare questi costi, poiché il prezzo dei chip sarà
ancora meno costoso a Taiwan,” ha messo in guardia “Paul Triolo”, senior vice
presidente della “Albright Stone bridge”, società di business strategy, per le
aziende che operano in Cina.
Altre
criticità sono l’alto costo del lavoro negli USA o la difficoltà a mantenere
gli incentivi governativi.
Insomma,
servono sussidi importanti per investire a lungo termine nella produzione
statunitense.
Gli
Stati Uniti non sono i soli impegnati ad attrarre più fabbriche di chip.
Perfino
Taiwan ha varato un “subsidy act” a novembre per defiscalizzare il mercato dei
chip.
Giappone e Sud Corea stanno seguendo le stesse
politiche.
“Woz
Ahmed”, consulente britannico ed ex manager dell’industria dei chip, prevede
che nel 2023 sono in arrivo i sussidi dall’Unione europea, anche se la
finalizzazione degli accordi è prevista per l’anno prossimo, perché in Europa
simili decisioni richiedono il semaforo verde degli stati membri.
L’impatto
della geopolitica nell’industria dei chip.
Il
2023 è appena iniziato, ma già sappiamo che la domanda di elettronica da
consumo è in stallo, dopo la forte domanda durante la pandemia e nel successivo
post-pandemia.
Oggi lo scenario di mercato e l’aumento dei
prezzi hanno portato la consumer electronic a un plateau.
Tuttavia,
ad eclissare i fondati timori sul ciclo economico e le sfide associate ai chip
evoluti (pensiamo al 6G che, secondo Idc, ci traghetterà nell’era della
Terabyte economy, dominata dalla robotica mobile personale), potrebbe essere il
fattore geopolitico.
Non
una novità, in realtà.
“Negli
anni ’80”, continua Aresu, “i chip sono geopolitici perché rappresentano un
elemento ad alto valore aggiunto della filiera industriale giapponese contro
gli Stati Uniti, negli anni della paura del “sorpasso” di Tokyo:
l’aspetto
che scatena l’elaborazione degli strumenti di controllo degli investimenti
esteri di Washington.
L’interconnessione fra ragioni di mercato e
geopolitiche, dunque, porta all’ascesa di altri attori globali come Taiwan e la
Corea del Sud, e alla complessità crescente della filiera, fatta di numerose
aziende che si misurano sui principali mercati per dare soluzioni sempre più
competitive che accompagnano l’era digitale.
In
questo percorso sono presenti anche Paesi europei: in particolare Paesi Bassi,
Germania, Italia e Francia, in parte l’Irlanda, l’Austria”.
“I
chip sono geopolitici perché il numero dei clienti delle aziende della filiera
è globale, mentre il numero dei produttori rilevanti (non solo la manifattura,
ma anche il software, la chimica e i materiali, i macchinari, il testing) è
relativamente ristretto.
Conta
dunque la capacità di collocarsi in termini di forza tecnologica, all’interno
di questi segmenti della filiera che sono tanti e molto importanti, e aggredire
gli elementi a maggiore valore aggiunto”, spiega il consigliere scientifico
della rivista Limes, già consulente e consigliere della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Mef, Affari Esteri e Agenzia Spaziale Italiana, capo
della segreteria tecnica del Mur.
Chip
war fra Usa e Cina: nuove barriere in arrivo.
I
controlli che gli USA hanno introdotto nell’ottobre scorso sull’export dei chip
e delle tecnologie avanzate verso la Cina rappresentano un’escalation nella
guerra dei chip.
Finora
Washington ha applicato le barriere alla vendita dei processori a poche
specifiche aziende cinesi, ma presto saranno estese a tutte le entità cinesi.
“Il
tornante geopolitico dei chip in questo secolo”, continua Aresu, “è quando
diventano la prima fonte di importazione dalla Repubblica Popolare cinese.
La Cina ha avanzato sempre più piani di
cosiddetta autosufficienza tecnologica visti come problematici da parte degli
Stati Uniti, per due ragioni:
la crescita cinese delle acquisizioni
all’estero (ora meno presente per i controlli sugli investimenti esteri
occidentali, ma ancora rilevante, per esempio nel corporate venture capital);
le
implicazioni militari, soprattutto per i sistemi autonomi, che varranno
soprattutto in futuro”, dunque, “l’aspetto politico e legato alla sicurezza è
molto presente, soprattutto mentre diventa più acceso il confronto fra due
attori globali come Usa e Cina”.
Inoltre,
si aggiungono nuove misure come la restrizione della vendita ai cinesi di altri
dispositivi essenziali nell’industria dei chip.
Le
policy gettano l’intera filiera nell’incertezza. Ci si domanda quali siano i
chip e le tecnologie da considerare “avanzate” e se le restrizioni vadano
applicate anche alle aziende cinesi che usano sia chip di vecchia che di nuova
generazione.
Il “Dipartimento
del Commercio” ha rilasciato le Faq per offrire delucidazioni ai quesiti più
pressanti.
Per
esempio, ha illustrato che le restrizioni non valgono se i chip di vecchia
generazione sono prodotti in un’ala separata della fabbrica.
Ma non è chiaro se seguirà un enforcement
delle regole e in quale direzione.
Alcune
aziende cinesi hanno cercato di bypassare i limiti.
Un vender è giunto perfino a camuffare i suoi
chip per farli sembrare meno avanzati.
Ed
evitare di incorrere nelle restrizioni.
Poiché
il mercato cinese è gigantesco e profittevole, ci saranno aziende non cinesi
motivate ad aggirare i paletti. Senza controlli, secondo Ahmed, saranno in
tanti a provare a rompere le righe, bypassando i divieti.
Le
sfide del 2023 nella geopolitica dei chip.
Quest’anno
si attendono nuove regole, ancora più stringenti, anche per i chip che si
rivolgono all’industria del “quantum computing” eccetera.
“
Chris Miller”, professore di storia internazionale alla “Tufts University”,
pensa che sia giunta l’ora di mettere il programma in pausa.
Meglio
focalizzarsi sulle restrizioni odierne, prima di compiere ulteriori passi.
“Non
mi aspetto un’estensione dei controlli sull’export dei chip (nell’anno in
corso, ndr)”, afferma Miller, autore del libro dal titolo “Chip War: The Fight for the World’s
Most Critical Technology”
“L’amministrazione
Biden ha trascorso la maggior parte dei due anni in ufficio a predisporre
queste restrizioni. La speranza è che le limitazioni funzionino senza dover
sferrare nuovi giri di vite”.
La
risposta cinese.
Il
governo cinese ha finora dato una risposta modesta ai controlli americani
dell’export.
Si è
limitata ad annunci diplomatici e a dispute legali indirizzata al “World Trade
Organization” (Wto).
Secondo
molti esperti, la Cina non inasprirà la posizione.
Pechino
non trae vantaggio dal re-shoring del settore dei chip negli USA.
“Gli
americani possiedono sufficiente tecnologia core. Invece la Cina è ai piani
bassi della supply chain.
Per
definizione, Pechino non ha abbastanza strumenti per fare ritorsioni”, secondo “John
Lee”, il direttore dell’”East West Futures Consulting”.
Ma il
Paese controlla l’80% della raffinazione delle terre rare.
Sono gli elementi chimici essenziali per
realizzare prodotti bellici, come parti di jet da combattimento.
Ma anche componenti chiave delle batterie e
schermi dei dispositivi consumer di uso quotidiano.
Sulle
terre rare, bisogna considerare anche l’impatto geopolitico della scoperta
svedese di un importante giacimento che aiuterà l’Europa nella transizione
ecologica ed energetica.
La
Cina potrebbe comunque rispondere al bando dell’export americano, senza
infliggere grandi ritorsioni, ma limitandosi a sanzionare una manciata di
aziende statunitensi, nell’industria dei chip o no, solo per inviare un
messaggio.
L’approccio
della terra bruciata sarebbe costoso sia per la Cina che per gli USA, secondo “Miller”.
L’industria dei processori cinesi non è in
grado di sopravvivere senza il supporto della supply chain globale.
Da
essa dipende per le macchine di litografia, core chip IP e wafer.
Dunque,
alla Cina conviene evitare ritorsioni aggressive. Inquinerebbero l’ecosistema
del business: è “probabilmente la strategia più intelligente per la Cina”, dice
“Miller”.
Invece
è più probabile che Pechino si focalizzi nell’irrobustire la sua produzione
nazionale.
Nel primo trimestre dell’anno, la Cina
potrebbe annunciare un pacchetto da un trilione di yuan (pari a 143 miliardi di
dollari) a supporto delle aziende domestiche. Offrendo generosi sussidi, ha
lavorato e testato metodi con cui ha sostenuto l’industria cinese dei
semiconduttori nell’ultimo decennio.
Ma
rimane la questione di come allocare i fondi in maniera efficiente e alle
aziende giuste, soprattutto dopo che l’anno scorso è stata messa in dubbio
l’efficienza del fondo di investimento nei chip, sconquassato da alti livelli di
corruzione.
L’utopia
dell’autosufficienza tecnologica.
“Se i
piani di autosufficienza tecnologica si realizzassero”, mette in guardia Aresu,
“la Cina chiuderebbe la filiera, con le sue aziende che forniscono il suo enorme
mercato.
Tuttavia,
si tratta di una grande illusione per tutti:
nessun
Paese riuscirà mai ad avere una filiera completa e onnicomprensiva dei chip.
Allo
stesso tempo tutti i Paesi cercano di non essere troppo dipendenti dagli altri.
Di fatto, è un gioco (di equilibrio, ndr) fra capacità tecnologica, esigenze di
sicurezza e diversificazione del rischio, successo sul mercato.
Un
gioco importante per i Paesi che sono già forti nella filiera dei chip, ma
anche per i Paesi che acquisiranno un peso maggiore come l’India.
Questa
scommessa tecnologica serve perché il settore crea grande valore aggiunto su
elettronica di consumo, automotive, industria militare”.
“In
questo scenario i Paesi occidentali vogliono ritrovare un ruolo in quella parte
dell’industria dei chip che è la grande produzione manifatturiera, per ragioni
economiche, sociali, politiche.
Un ruolo che si era ridimensionato,
soprattutto a favore di Taiwan e Corea del Sud”, precisa l’esperto italiano.
I
campioni visibili e quelli nascosti.
“L’industria
è estremamente complessa”, illustra Alessandro Aresu, “essendo composta da
attori più visibili e campioni nascosti.
Gli
Stati Uniti hanno potuto sferrare la guerra contro la Cina, con i controlli
sulle esportazioni, dal momento che, in alcuni pezzi della filiera dei chip,
soprattutto per quanto riguarda gli strumenti per la loro progettazione e i
macchinari, ci sono aziende statunitensi indispensabili.
Nessuna azienda cinese può fare alcuni chip
senza il contributo di queste aziende americane: è impossibile.
E la cosa più importante da tenere a mente è
che la Cina non è riuscita a riprodurre il ruolo di aziende come “Synopsys”, “Nvidia”,
Applied Materials”.
Questo è il potere degli Stati Uniti che
bisogna considerare: aziende imprescindibili per la loro capacità di
innovazione continua che i concorrenti non riescono ad acciuffare.
Quindi
gli Stati Uniti avranno in successo in futuro se sapranno mantenere queste
capacità, e affiancarvi altre aziende”.
Taiwan
e gli interessi europei.
Ci
sono Paesi come Olanda, Giappone, Sud Corea e Taiwan che, seppur mantenendo
differenze ideologiche con la Cina, hanno interessi economici a mantenere
relazioni commerciali con il gigante asiatico.
Alcuni
Paesi ritengono che gli interessi europei non siano sempre sovrapponibili a
quelli americani.
“Peter
Wennink”, CEO dell’azienda di apparecchiature litografiche “ASML”, ritiene che
i controlli sull’export hanno sacrificato il business, mentre per le aziende
americane sono superiori i vantaggi.
Taiwan si trova in una posizione imbarazzante.
Con la
Cina condivide prossimità geografica e storici rapporti e intrecci economici.
La
taiwanese “Taiwan Semiconductor Manufacturing Company” (TSMC) vende chip alle
aziende cinesi e costruisce fabbriche in Cina.
Ad
ottobre, gli USA hanno garantito a “TSMC” un anno di esenzione dalle
restrizioni sull’export, ma non potrà essere rinnovata quando finirà nel 2023.
Tuttavia
i rapporti fra Cina e Taiwan sono tesissimi.
Aleggia
perfino la possibilità di un conflitto militare fra Pechino e Taipei, un evento
che avrebbe effetti catastrofici sull’economia globale.
Ma una
guerra al momento non è all’orizzonte.
L’incertezza
regna sovrana, “dopo l’inversione di tendenza in seguito alle elezioni del
2016”, evidenzia “Burigana”.
Aumentano
gli investimenti nella manifattura d’oltreoceano, come le due fabbriche di chip
che TSMC pianifica di costruire in Arizona.
“Taiwan
Semiconductor Manufacturing Company” sta esaminando l’opportunità di realizzare
un primo stabilimento in Europa, concentrato sui sistemi hardware per l’auto,
oltre a un secondo impianto in Giappone, dopo l’annuncio dell’incremento degli
investimenti negli Usa.
“La
Cina, fra il 2000 e 2005, arrivò a superare gli Usa, diventando il più
importante importatore da Taiwan dopo il Giappone”, spiega “David Burigana”.
“Con
il cambio dell’atteggiamento cinese nei confronti di Hong Kong, Taiwan iniziò a
considerare l’apertura cinese, dopo l’ingresso nel Wto, come propaganda.
Gli
avvenimenti di Hong Kong hanno avuto importanti riflessi sullo spostamento in
Occidente dell’asse di interesse di Taiwan”.
Le
altre incognite che pesano sull’industria.
Nel
mondo post pandemia, la domanda sarà sempre più declinata alla sostenibilità e
alla transizione energetica ed ecologica.
Infatti,
“un altro aspetto, che acquisirà importanza crescente, riguarda la
sostenibilità dell’industria”, evidenzia Aresu: “dunque il consumo energetico e
quello idrico.
Anche
a Taiwan si pone il tema: sia per il consumo idrico ingente che per la
necessità di avere energia stabile (dunque non solo da fotovoltaico o eolico)”.
“Questo
aspetto”, sottolinea l’esperto di geopolitica dei chip, “è ancora più sensibile
per via degli eventi climatici estremi.
Un
altro tema fondamentale riguarda i grandi programmi di ricerca applicata che
hanno reso possibile la realizzazione industriale su vasta scala.
Per esempio, l’azienda olandese” ASML” è
cresciuta grazie a enormi investimenti di ricerca su scala industriale e alla
loro realizzazione, tra programmi governativi USA, centri di ricerca europei,
applicazione industriale.
Infine,
c’è l’aspetto degli incentivi pubblici, “presenti in tutto il mondo con varietà
diverse”, conclude Aresu, “che rende e renderà ancora più politica l’industria,
anche se il successo si peserà sempre sul mercato e non sulle commesse
pubbliche.
In
sintesi, arrivare a posizioni diverse di un’industria così complessa dipende da
molti fattori, e i campioni industriali devono continuamente analizzare
l’impatto dei cambiamenti politici e la velocità del cambiamento dei mercati di
riferimento, pesare la capacità di ricerca e tentare di governare
l’incertezza”.
Conclusioni.
Le
sfide geopolitiche si fanno ogni giorno più grandi.
Intel, che aveva ottenuto aiuti di stato per
6,8 miliardi di euro in Germania, sta ripensando se investire in Europa.
O se
approfittare delle sovvenzioni negli Stati Uniti.
Il
calo della domanda di semiconduttori, l’inflazione e gli alti prezzi
dell’energia hanno fatto lievitare i costi di investimento sulla fab a
Magdeburgo.
Erano stimati da Intel in 17 miliardi di euro.
Ora sono saliti a 20 miliardi circa.
Il governo tedesco potrebbe colmare il divario
di finanziamenti.
Però
Intel deve decidere se mantenere il piano strategico decennale e gli 80
miliardi di investimenti in Europa.
Oppure se lasciarsi sedurre dal reshoring di
Biden.
In
gioco è anche lo stabilimento di packaging di chip a “Vigasio”, in Veneto.
Potrebbe
creare cinquemila posti di lavoro tra diretti (1500) e indiretti.
I
lavori di costruzione dovrebbero prendere il via tra il 2025 e il 2027.
L’Italia
non ha ancora raggiunto un accordo definitivo sull’apertura in Veneto. L’iter è
stato complesso a causa della mancanza di coordinamento fra le regioni (Veneto,
Piemonte e Sicilia con Catania).
“Il
problema è che il coordinamento tedesco è strutturato.
Anche la Francia ha i consiglieri tecnici del
Presidente che coordinano le grandi politiche”, conclude “Burigana”.
L’Italia, purtroppo no.
Il
Chips Act europeo.
La “Commissione
per l’Industria e l’Energia” ha adottato la scorsa settimana due progetti di
legge:
uno
sulla “Legge sui chip” (Chips Act) che mira a rafforzare la capacità
tecnologica e l’innovazione nell’ecosistema dei chip dell’UE e un secondo
sull’Impresa comune sui chip per aumentare gli investimenti per lo sviluppo di
questo tipo di ecosistema europeo.
Nei
loro emendamenti alla legge sui chip, i deputati si sono concentrati
maggiormente sui semiconduttori di prossima generazione e sui chip quantistici.
Verrebbe creata una rete di centri di competenza per affrontare la carenza di
competenze e attrarre nuovi talenti nella ricerca, nella progettazione e nella
produzione.
La
legislazione sosterrebbe anche progetti volti a incrementare la sicurezza
dell’approvvigionamento dell’UE attirando investimenti e sviluppando la
capacità produttiva.
Misure
per rispondere a future carenze.
Verrebbe
istituito un meccanismo di risposta alle crisi, con la valutazione da parte
della “Commissione dei rischi” per l’approvvigionamento di semiconduttori
nell’UE e degli indicatori di allarme rapido negli Stati membri che potrebbero
far scattare un’allerta a livello europeo.
Ciò consentirebbe alla Commissione di attuare
misure di emergenza, come dare priorità alle forniture di prodotti
particolarmente colpiti o effettuare acquisti comuni per gli Stati membri.
I deputati sottolineano che la catena di
approvvigionamento dei chip dovrebbe essere mappata per identificare eventuali
colli di bottiglia.
I
deputati sottolineano inoltre l’importanza della cooperazione internazionale
con partner come Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud e Taiwan.
La
Commissione dovrebbe istituire un’iniziativa di diplomazia dei chip per
affrontare qualsiasi futura interruzione delle catene di fornitura.
La
relazione legislativa sulla legge sui chip è stata adottata con 67 voti a
favore, uno contrario e quattro astensioni.
La commissione ha votato anche sul mandato di
avviare negoziati interistituzionali con 70 voti favorevoli, uno contrario e
un’astensione.
“Iniziativa
“Chips per l’Europa.
In una
votazione separata, gli eurodeputati hanno adottato con 68 voti a favore,
nessuno contrario e quattro astensioni, la proposta di impresa comune Chips,
che attua le misure previste dall’iniziativa “Chips for Europe”.
Lo
schema mira a sostenere lo sviluppo di capacità su larga scala attraverso
investimenti in infrastrutture di ricerca, sviluppo e innovazione accessibili a
tutta l’UE.
Consentirebbe
inoltre lo sviluppo di tecnologie dei semiconduttori all’avanguardia e di nuova
generazione.
I
deputati sottolineano che per stimolare l’innovazione saranno necessari fondi
freschi e una riallocazione dei fondi di “Horizon Europe”.
“Scandalo
Pfizer”, il dott. de Vita
perentorio:
“Green Pass fondato su falsità.”
Lntepubblica.it - Recordare Roberto – (17
Ottobre 2022) – ci dice:
Il
noto chirurgo ha commentato le dichiarazioni di “Janine Small,” dirigente
Pfizer per i mercati emergenti, rilasciate al Parlamento europeo:
“i
vaccini non sono mai stati testati sulla loro capacità di limitare la
trasmissibilità del virus”.
Continua
a far discutere quanto accaduto ieri durante la seduta del Parlamento europeo.
A commentare la vicenda è anche il dott.” Roy
de Vita”, Primario della “Divisione di Chirurgia Plastica” dell’Istituto dei
Tumori di Roma Regina Elena.
Sarebbe stata ieri l’occasione per rivelare il
contenuto dei messaggi privati che sono stati scambiati tra Ursula von der
Leyen (presidente della Commissione Europea) e Albert Bourla (Ceo di Pfizer),
ma quest’ultimo ha scelto di non presentarsi di fronte alle istituzioni
europee.
“Il
tutto non elimina i dubbi legittimi sulla questione – afferma de Vita – anzi
spiegano chiaramente il personaggio che pensa di godere della stessa immunità
dei suoi vaccini, visto che si è assentato senza dare alcuna giustificazione”.
Al suo
posto si è presentata “Janine Small”, dirigente Pfizer per i mercati emergenti,
che in risposta ad un europarlamentare olandese ha affermato:
“prima
di essere immessi sul mercato, i vaccini (anti-Covid, ndr) non sono mai stati
testati sulla loro capacità di limitare la trasmissibilità del virus”.
Parole
che non lasciano spazio a fraintendimenti.
La
risposta “è scandalosa”, afferma de Vita.
“Sono
sempre rimasto colpito – prosegue – da tutti gli invasati che in tv lanciavano
improperi contro chi non era vaccinato perché minava la sicurezza degli altri.
Ma
perché questa acredine così violenta.
Se il
vaccino è così efficiente, cosa mi importa se qualcuno per sua scelta ha deciso
di non vaccinarsi?
Il problema rimane di quella persona”.
“Ora
scopriamo che anche con quattro dosi chi si vaccina può infettarsi, ed anche
molto facilmente – continua il medico chirurgo – .
E fa
sorridere chi dice ‘sì ma col vaccino ho evitato la forma grave della
malattia’, un’affermazione basata su verità scientifiche che non esistono.
Era
ragionevole avere dei dubbi, come non era ragionevole avere delle certezze
granitiche.
Abbiamo fatto vaccinare i nostri giovani per
tutelare i nonni, esponendoli invece a rischi inutili.
Resta
il fatto che hanno inventato il Green Pass sulla base di un mito inesistente e
alimentato un odio sociale che non so quando si placherà.
Spero
che chi prenderà future decisioni non abbia interessi economici (acquisto di denaro da Pfizer! N.D.R),
ma si
ponga dei dubbi e su questa base indaghi al meglio senza decretare obblighi e
coercizioni ciò che è meglio fare per tutti”, conclude de Vita.
Avercene
di Boris Johnson.
Ilfoglio.it - CLAUDIO CERASA – (08 LUG. 2022)
– ci dice:
Soltanto
un pagliaccio? Solo un bugiardo? Dai
vaccini fino all’Ucraina passando per la globalizzazione e i valori
occidentali.
BoJo
ha fallito, ma i veri buffoni della destra europea sono altri.
Ora
che ha miseramente fallito, ora che ha inevitabilmente scelto di fare un passo
indietro, ora che il gregge del suo partito, come ieri lo ha chiamato lui, ha
finalmente ottenuto il suo scalpo, tutti saranno lì a infierire sul suo essere
stato un primo ministro simile a un clown, sul suo essere stato un politico
inaffidabile, sul suo essere stato un leader bugiardo.
E in effetti, se si mettono insieme i puntini,
se si ragiona sulla sua disastrosa gestione della Brexit, se si ragiona sul suo
approccio disumano sull’immigrazione, se si ragiona sulle menzogne raccontate
sui festini a Downing Street durante il lockdown, se si ragiona sullo stato in
cui si trova oggi l’economia inglese, con l’inflazione più alta del G7 e con la
più bassa previsione di crescita per il prossimo anno fra tutti i paesi del G7,
si può capire bene perché ieri giornali come l’Economist abbiano festeggiato
per il suo addio al potere.
Nella
storia politica di Boris Johnson, almeno nella sua storia recente, c’è però
qualcosa che merita di essere isolato, forse persino salvato, ed è qualcosa che
non può essere trattato come un elemento marginale nella storia di BoJo.
Un clown, d’accordo, ma Boris Johnson è stato
anche altro e non ci vuole molto a capire perché la sua parabola discendente
non abbia nulla a che fare con quella dei Donald Trump, delle Marine Le Pen o
dei Matteo Salvini.
È stato un pagliaccio in molte circostanze, in
circostanze importanti, ma non lo è stato in almeno tre circostanze che non si
possono dimenticare e che ci portano facilmente a dire che se la destra
europea, la nuova destra europea, quella che avanza, quella più attratta dal
sovranismo che dal merkelismo, avesse qualcosa di Boris Johnson sarebbe una
destra meno estremista.
Trovate
voi qualcuno, tra le nuove destre europee, e non solo tra quelle, che durante
la pandemia abbia difeso e promosso i vaccini con la stessa forza con cui lo ha
fatto Boris Johnson, che i vaccini oltre ad aver fatto di tutto per produrli in
Inghilterra ha fatto di tutto per promuoverli tra tutte le fasce d’età del suo
paese.
Trovate
voi qualcuno, tra le nuove destre europee, e quando parliamo di nuove destre
europee parliamo ovviamente anche di quelle italiane, da Giorgia Meloni a
Matteo Salvini, che durante la pandemia abbia sfidato a più riprese il
corpaccione del suo partito imponendo in diverse occasioni restrizioni alla
libertà, come i lockdown e come i green pass, senza spacciarle come prove
indelebili di un inevitabile passaggio dalla democrazia parlamentare alla
dittatura sanitaria.
Trovate
poi qualcuno, tra le destre europee, non solo quelle estremiste ma anche quelle
moderate, che abbia difeso in modo così forte i valori non negoziabili
dell’occidente, di fronte all’aggressione della Russia in Ucraina, arrivando a
essere oggi, il Regno Unito, il secondo paese al mondo per sostegno alla
sicurezza in Ucraina (2,53 miliardi di dollari).
Provate voi a essere un leader di destra
fieramente antirusso.
Provate voi a essere un leader di destra
fieramente pro vax.
E provate voi a essere un leader di destra
fieramente a favore della globalizzazione.
Perché
sì, è vero, Boris Johnson ha fatto campagna per la Brexit, anche se il giorno
prima del risultato della Brexit aveva preparato due articoli, uno a favore e
uno contro.
Perché sì, è vero, Boris Johnson, ancora prima
della Brexit, ha fatto di tutto per alimentare l’euroscetticismo del suo paese.
Ma
allo stesso tempo, da brexiteer, Johnson ha tentato sempre di dare al Regno
Unito una dimensione globale, non protezionista, trasformando il rapporto
dell’Inghilterra con i vecchi paesi del Commonwealth in un terreno fertile per
costruire accordi di libero scambio.
Verrà descritto,
oggi, come un pagliaccio, come un clown, come un bugiardo, ma se si osserva ciò
che offre la destra in giro per l’Europa, e non solo in Europa, e se si
paragona BoJo con tutto ciò che ha prodotto il trumpismo, non si fa fatica a
dire, nonostante tutto, che i veri pagliacci della destra, in Europa, sono
altri. Avercene di Boris Johnson.
Reinventare
il valore dei confini
nella
post-globalizzazione.
Affariinternazionali.it - Simone Martuscelli –
(7 Novembre 2022) - ci dice:
(confini
Economia Premio IAI 2022)
In “Ni
victimes ni bourreaux”, una serie di saggi raccolti sulla rivista francese
Combat nel novembre 1946, Albert Camus introduce così il concetto di
“democrazia internazionale”:
“L’unico
modo (…) consiste nel mettere la legge internazionale al di sopra dei governi,
(…) dunque di disporre di un parlamento, dunque di costituire questo parlamento
mediante elezioni mondiali a cui partecipino tutti i popoli”.
Globalizzazione
e fine dello stato nazionale.
Al
giorno d’oggi il ruolo dei filosofi nell’interpretare il mondo è fortemente
messo in discussione, per tacere dei propositi di cambiarlo.
Ma è
forse proprio a questa intuizione che è necessario tornare per provare a
immaginare nuovi processi democratici per un mondo sempre più interdipendente e
connesso, e reinventare il ruolo e il valore dei confini.
Nel
2018 “Rana Dasgupta”, in un articolo pubblicato sul “The Guardian” dal titolo
“The demise of the nation state”, sosteneva il fallimento del modello,
relativamente recente, dello stato nazione.
Per
“Dasgupta”, l’affermazione di questo modello di organizzazione politica seguita
alla caduta degli imperi a inizio Novecento, sarebbe stata favorita dalla
perfetta corrispondenza, non più replicabile, tra confini politici ed economici:
la limitata mobilità dei capitali permetteva
ai governi di avere un reale margine di manovra, permettendo loro di tenere
effettivamente fede alle promesse fatte ai cittadini e favorendo l’esistenza di
un contratto sociale equilibrato.
Negli
ultimi decenni, tuttavia, la crescente finanziarizzazione dell’economia e la
creazione di un mercato unico globale ha sostanzialmente svuotato di senso e di
potere l’esistenza degli stati.
Il
ritorno del decisionismo statale.
La
pandemia di Covid-19, in questo senso, ha rimescolato le carte.
La
capacità decisionale degli stati è tornata prepotentemente alla ribalta, sia
per quanto riguarda la gestione sanitaria della crisi, sia quella economica.
Uno
scossone tale da far parlare anche il Financial Times di “fine della
globalizzazione”.
Questo
ritorno di sensibilità “dirigiste”, tuttavia, ha fatto fatica a trovare un
proprio sbocco politico-istituzionale.
Se da
un lato, come detto, il potere degli stati nazione è ormai insufficiente a
rispondere in maniera adeguata alle grandi crisi del nostro tempo, dall’altro
gli organismi predisposti a questo scopo, su tutti le Nazioni Unite (ultra corrotte. N.D.R), si sono spesso rivelati inadatti,
per la loro architettura istituzionale, ad adempiere a queste funzioni.
Tuttavia,
l’alternativa non può essere un ritorno agli stati nazionali.
In un
articolo del 2014 di “Debora MacKenzie” sul “The New Scientist”, il professore
di “European politics and society alla Oxford University “Jan Zielonka”,
sosteneva come
“La
futura struttura e l’esercizio del potere politico saranno più simili al
modello medievale che a quella della Westfalia”, riferendosi al moderno concetto di
Stato-nazione.
Il
modello Unione europea.
Proprio
nel continente dove questa forma di governo ha preso piede, è in atto quello
che è il tentativo più avanzato e interessante di superamento di questo
modello.
L’Unione europea, pur tra mille tentativi a
vuoto, sembra aver trovato con le crisi di questi anni la capacità di agire
come un solo organismo coordinato:
il
Green New Deal per contrastare la crisi climatica;
il
Recovery Fund come pronta risposta alla pandemia;
le
sanzioni alla Russia per reagire all’invasione dell’Ucraina.
L’esperimento
europeo sembra aver imboccato la strada giusta verso un’architettura che sia in
grado di cedere sovranità alle istituzioni comunitarie sui temi di interesse
comune, attribuendo invece ai singoli stati membri le competenze in materie che
necessitano di una maggiore vicinanza ai cittadini (come la sicurezza sociale)
e rivestendo quindi di un nuovo orizzonte di senso i confini interni
all’Unione.
Decisi
miglioramenti vanno approntati riguardo alla democratizzazione delle
istituzioni.
“Kathryn
C. Lavelle” evidenzia, nella prefazione a “The Challenges of Multilateralism”,
che “nelle
organizzazioni internazionali che promuovono il multilateralismo, le decisioni
sono prese attraverso il voto e non tramite conquista di guerra o diplomazia
bilaterale”:
questi
organismi sono dunque chiamati a dotarsi di sistemi decisionali che permettano
loro di legiferare in maniera più efficace.
In
questo senso, il superamento del principio di unanimità nelle istituzioni
europee resta un obiettivo prioritario da perseguire.
Nonostante
i suoi limiti, l’ambizione e l’unicità del progetto europeo lo rendono non solo
il modello più innovativo nel panorama politico attuale, ma un esempio da
seguire nell’ottica di una riforma degli altri organismi sovranazionali
mondiali.
Verso
il regionalismo e il decentramento?
In
“Global Democracy: For and Against”, “Raffaele Marchetti” sostiene che il fine
ultimo di una democrazia globale non debba limitarsi al raggiungimento della
pace, ma perseguire un’ideale di giustizia politica attraverso uno schema di
partecipazione rappresentativa che coinvolga direttamente i cittadini del
mondo.
Quest’idea
è approfondita da “Danilo Zolo” in “Cosmopolis.
La
prospettiva del governo mondiale”, dove l’autore sostiene che la chiave per
ottenere un equilibrio mondiale stabile non può consistere nel riportare la
centralizzazione del potere attuale degli stati nazione a livello globale, ma
creare una più complessa costruzione.
L’obiettivo,
in sostanza, deve essere lo sviluppo di un’architettura che garantisca un buon
livello di autonomia locale e regionale ma allo stesso tempo un coordinamento
centrale; e
soprattutto che rafforzi la sua legittimità democratica davanti ai cittadini.
(Il
Premio IAI è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari
Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23- bis del DPR
18/1967)
Quali
sono i confini
della
libertà di opinione?
Swissinfo.ch
- Katrin Schregenberger – (03 maggio 2021) – ci dice:
A tutti è permesso avere un'opinione. Ma la libertà di
espressione non è illimitata: chiunque neghi pubblicamente l'Olocausto e voglia
distruggere lo stato democratico è perseguibile.
(Wildpixel / iStock)
Chi
guarda con occhio critico alle misure di contenimento della pandemia da
coronavirus ritiene che la libertà di opinione sia in pericolo.
È dunque lecito interrogarsi sulla definizione
stessa del termine.
Abbiamo voluto sentire l’opinione di due
esperti.
"La
libertà di opinione tutela un bisogno fondamentale dell’uomo", afferma “Maya
Hertig”, professoressa di “diritto costituzionale svizzero ed europeo”
all‘Università di Ginevra.
L’idea
della libertà di opinione si basa sul presupposto illuminista secondo cui siamo
tutti esseri pensanti e razionali che formano la loro opinione attraverso il
dialogo.
"Per
la democrazia, la libertà di opinione e anche la libertà di informazione sono
fondamentali", prosegue “Hertig”.
Lo stesso discorso vale per la ricerca:
"il progresso è possibile soltanto se l’opinione dominante può essere
messa in discussione."
Ecco
perché la libertà di opinione è un diritto umano, sancito tra l’altro dall’”articolo
10 della Convenzione europea dei diritti umani” e dall’”articolo 19 del Patto
internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici”.
In
Svizzera il diritto alla libera espressione è stato inserito nella Costituzione
soltanto nel 1999 anche se era riconosciuto come diritto fondamentale non
scritto già a partire dal 1959.
L'autrice.
Secondo
la costituzionalista “Hertig” la libertà di opinione tutela sia le esternazioni
relative a fatti verificabili, sia le opinioni ed emozioni soggettive – ad
esempio nel campo dell’espressione artistica – e gli atti simbolici – ad
esempio sotto forma di sit-in.
"L’intero
processo della comunicazione è protetto, dalla diffusione alla ricezione",
prosegue.
In
altre parole questo significa che in linea di principio lo Stato non può
impedire a nessuno di esprimere la propria opinione.
Libertà,
ma non assoluta.
"Il
diritto di avere un’opinione non può essere limitato", spiega.
Non è
ad esempio illegale avere un atteggiamento razzista.
Ma
diffondere dichiarazioni razziste invece lo è.
Infatti,
anche la libertà di opinione deve allinearsi alle norme di legge.
"La
libertà di esprimere un’opinione non è assoluta", puntualizza “Hertig”.
Un diritto assoluto non può essere limitato
per nessuna ragione, neppure in situazioni straordinarie come la guerra, la
crisi o una pandemia.
"I
diritti assoluti validi senza alcuna limitazione in realtà sono pochi, ad
esempio la proibizione della tortura."
La tortura non è mai consentita, né in guerra
né in pace, e neppure se le informazioni che si spera di estorcere con essa
potrebbero salvare molte vite.
La
libertà di opinione finisce però dove viola altri interessi protetti, come ad
esempio la dignità umana.
Nel
caso della negazione dei crimini contro l’umanità, per esempio, come
l’olocausto.
Ma
anche l’incitazione all’odio contro individui o gruppi di persone è passibile
di pena.
"In
un certo senso, fa parte della democrazia dare visibilità anche ai contenuti
sgradevoli."
(Maya
Hertig, professoressa di diritto costituzionale svizzero ed europeo
all‘Università di Ginevra)
YouTube
& Co. possono fissare delle regole.
Durante
la crisi pandemica si sono moltiplicati i casi in cui le maggiori piattaforme
online come YouTube hanno cancellato i post perché contenevano dichiarazioni
false.
Siamo
in presenza di una limitazione della libertà di opinione?
In teoria, sì, ammette “Hertig”.
Tuttavia: "La libertà di opinione
protegge solo dall’intervento dello Stato e non vincola direttamente gli attori
privati come YouTube."
In
virtù della libertà di opinione si può sporgere denuncia solo contro lo Stato,
non contro i privati.
Chi
decide sulla libertà di parola?
(Questo contenuto è stato pubblicato
il 02 feb. 2021.
La democrazia contro “Facebook e compagni”: il
dibattito negli USA, in Europa e in Svizzera sui limiti da porre alle grandi
aziende digitali.)
Anche
il divieto di censura è rivolto in primo luogo contro lo Stato.
YouTube
e altri canali sono fornitori privati non direttamente vincolati dal divieto
costituzionale di censura.
Detto
altrimenti, sono liberi di decidere cosa tollerare o meno sulle rispettive
piattaforme.
Tuttavia:
"Lo
Stato è tenuto ad adottare misure atte a salvaguardare la libertà di opinione
contro le limitazioni imposte dai privati", puntualizza “Hertig”.
Ciò vale anche su Internet, dove alcune
piattaforme godono di una certa posizione di monopolio: "YouTube e altri
social media sono ormai essenziali affinché i cittadini possano partecipare al
dibattito."
La
protezione della libertà di opinione sul web è tuttavia difficile da garantire
poiché spesso le aziende hanno sede all’estero e le regolamentazioni
unilaterali di un singolo Paese comportano una frammentazione sul piano legale.
Ecco
perché urgono regole unitarie a livello internazionale e più trasparenza,
riassume “Hertig”.
Si può agire anche attraverso iniziative sovra statali.
I giganti dell’informatica come Facebook e YouTube
hanno ad esempio stipulato una convenzione con l‘UE che prevede l’esame entro
le 24 ore dei discorsi inneggianti all’odio.
Inoltre esiste un codice per la gestione della
disinformazione, anche se si tratta soltanto di dichiarazioni di intenti da
parte delle aziende, vale a dire di autoregolamentazione.
Cancellare
le notizie false serve a poco.
La
costituzionalista “Hertig” non crede nelle leggi che prescrivono la
cancellazione delle notizie false.
Sul piano
legale non è fondamentalmente proibito diffondere notizie false.
In aggiunta è in parte difficile definire cosa
sia la “verità”.
E in alcuni Paesi asiatici la censura di Stato
è praticata con il pretesto delle fake news.
"In
un certo senso, fa parte della democrazia dare visibilità anche ai contenuti
sgradevoli", ricorda.
"Più
variegato è il mosaico di opinioni, meglio è per la democrazia", sostiene “Florian
Steiger”, esperto di etica medica e direttore dell’Istituto di storia, teoria
ed etica della medicina all’”Università di Uhm”.
L’ascolto
è un atto necessario nel processo democratico.
Cancellare
non rappresenta certo una vera soluzione al problema della disinformazione
poiché "l’opinione rimane nelle teste della gente".
"Più
variegato è il mosaico di opinioni, meglio è per la democrazia."
(Florian
Steiger, esperto di etica medica e direttore dell’Istituto di storia, teoria ed
etica della medicina all’Università di Uhm)
Secondo
“Steiger, i dialoghi con i cittadini e una comunicazione trasparente sarebbero
più adatti.
"Proprio in una pandemia come quella che
stiamo vivendo l‘evidenza scientifica è spesso insufficiente e i governi devono
agire con circospezione."
D’altra
parte non va fatto mistero della scarsità di conoscenze, anche se per molta
gente questo dato di fatto non è facile da sopportare.
Cancellando
i messaggi ci si ritrova velocemente su un terreno minato, prosegue Steiger.
"Si
può cancellare soltanto ciò che erode lo Stato al suo interno. Ma a questo
pensano la polizia e i tribunali."
Concretamente: se l’essenza della democrazia è
minacciata dalla violenza, come nel caso dell’assalto al Campidoglio a
Washington, allora si è raggiunto il limite di ciò che è consentito dire.
Chi
rivendica la libertà di opinione deve anche accettare la critica.
Fra i
critici delle misure di protezione contro il coronavirus alcuni affermano di
essere discriminati a causa della loro opinione o di essere bollati come
“negazionisti” e denunciano pertanto l’attacco alla libertà di espressione.
“Maya Hertig” controbatte:
"Chi esprime un’opinione controversa deve
accettare anche la reazione stizzita della controparte. La replica retorica fa
parte del gioco. Non esiste il diritto a non essere oggetto di critica."
Chi è
scettico nei confronti della pandemia avanza anche un’altra argomentazione: il
clima sociale che si respira attualmente non tollera il dissenso.
Così si può leggere perlomeno sul “portale
online Rubikon”, vicino ai complottisti:
"Provate
a ‘negare’ la pericolosità della Covid-19 nella vostra cerchia di amici o
familiari. Tentate di mettere in discussione il senso e lo scopo della
vaccinazione. È probabile che lo sdegno sarà tanto da indurvi, la prossima
volta, a tenere la bocca chiusa."
Nella nostra società pensarla diversamente è
bandito, e quindi la libertà di opinione è de facto impossibile.
"Ovviamente
la libertà di opinione necessita di un determinato clima sociale",
conferma Hertig.
"Se
vige un clima che induce all’autocensura è un problema."
Penso
anche a violenza e minacce, licenziamenti, ma anche veementi attacchi verbali
contro chi la pensa diversamente.
Il
fatto di infangare qualcuno con calunnie è un altro problema, secondo Hertig.
Spesso
però sono proprio i più aggressivi a sentirsi vittime:
"Spesso
la pressione sociale alla 'political correctness' è esagerata e questo porta a
un’inversione del ruolo vittima-carnefice:
la
vittima è il razzista bianco e non la persona di colore che subisce la violenza
verbale."
DEMOCRAZIA
E GIUSTIZIA.
Cos'è
una campagna diffamatoria:
sai
riconoscerla e sconfiggerla?
Liberties.eu
- Jonathan Day – (marzo 28, 2023) – ci dice:
Le
campagne diffamatorie sono tentativi di persone potenti di distruggere la
credibilità e la reputazione di una persona per distogliere l'attenzione
dell'opinione pubblica da qualcosa che non vogliono che si sappia.
Il
recupero è difficile, ma possibile.
Sempre
più spesso, le persone che si battono per cause come la difesa dei diritti
fondamentali, la protezione dell'aria e dell'acqua pulite, i giornalisti che
denunciano la corruzione dei governi o le azioni dannose delle aziende, sono
bersaglio di attacchi pubblici e personali al loro carattere e al loro lavoro.
Questi attacchi accuratamente orchestrati, noti come
campagne diffamatorie, possono essere usati contro chiunque, ma le vittime sono
spesso individui e organizzazioni che lavorano per società più libere, giuste e
trasparenti.
Che
cos'è una campagna diffamatoria?
Una
campagna diffamatoria è un tentativo di danneggiare la reputazione di una
persona, di minare la sua credibilità e la fiducia del pubblico nei suoi
confronti, di intimidirla o addirittura di mettere a tacere il suo lavoro.
Viene
condotta attraverso la diffusione di una propaganda negativa che, nella maggior
parte dei casi, evita critiche sostanziali al lavoro effettivo del bersaglio o
a qualsiasi interesse pubblico rilevante e attacca invece la vittima
personalmente, la diffama apertamente o travisa completamente il suo operato.
Ciò
avviene attraverso “attacchi ad hominem” che possono utilizzare immagini
distorte o citazioni estrapolate dal contesto.
Oltre
allo sforzo di screditare una persona o il suo lavoro, queste campagne servono
anche a distogliere l'attenzione.
Sono quasi sempre avviate (da un governo, da
un personaggio pubblico o da un'azienda potente) in parte per distogliere
l'attenzione pubblica da qualcosa che stanno facendo o che vogliono tenere
segreto.
Questa è una caratteristica comune, ad
esempio, agli attacchi diffamatori lanciati contro giornalisti e attivisti
investigativi.
Chi
può essere vittima di campagne diffamatorie e perché?
Le
campagne di diffamazione possono riguardare individui, organizzazioni o altri
gruppi.
Spesso vengono utilizzate contro politici o
altri personaggi pubblici, attivisti e giornalisti.
Questi ultimi due gruppi, in particolare i
difensori dei diritti civili e dell'ambiente, i giornalisti e i media
indipendenti sono sempre più spesso bersaglio di campagne diffamatorie, anche
nell'UE, soprattutto in seguito alla pandemia di coronavirus e ai tentativi,
ormai da anni, di limitare i diritti dei migranti e la protezione umanitaria.
Le
campagne diffamatorie sono, quasi per definizione, attacchi asimmetrici.
Sebbene in teoria possano essere dirette contro chiunque, di solito sono
condotte da individui o entità dotate di risorse (governi populisti sempre più
autoritari che controllano i media statali e li usano per i propri interessi) e
sono dirette contro individui o organizzazioni che spesso hanno budget molto
ridotti.
Le
organizzazioni per i diritti umani, gli ambientalisti, il giornalismo
investigativo e altri organi di controllo sono spesso vittime di campagne
diffamatorie.
Sono
bersagli facili per diversi motivi.
In primo luogo, come già detto, possono
disporre di risorse limitate e hanno difficoltà a rispondere efficacemente a
una campagna diffamatoria al livello necessario per "sconfiggerla".
Ma soprattutto vengono attaccati perché il
loro lavoro consiste nel monitorare il potere dei governi o delle élite e nel
cercare di rendere trasparenti le loro azioni.
Oppure
perché il loro lavoro può minacciare i profitti delle grandi aziende (come nel
caso delle organizzazioni ambientaliste).
1.
Campagna diffamatoria contro le ONG.
Le ONG
sono spesso oggetto di campagne diffamatorie.
Nell'Unione
europea ne abbiamo visto molti esempi negli ultimi anni.
In
particolare, il governo ungherese ha dimostrato una propensione alle campagne
diffamatorie che rasenta la dipendenza.
Da quando è tornato al potere nel 2010, il
governo di Viktor Orban ha screditato le ONG in numerose occasioni, definendole
"agenti stranieri" e una minaccia per i valori e la sicurezza
nazionale.
Perché?
Perché
questi gruppi lavorano per proteggere i diritti dei settori della popolazione
di cui Orban fa il capro espiatorio: stranieri, minoranze etniche, persone
LGBTQI e molti altri.
Come
altri bersagli di campagne diffamatorie, le ONG lavorano spesso con un budget
molto limitato che non consente loro di contrastare adeguatamente l'attacco
diffamatorio e di raggiungere, al di là della loro base di sostenitori, coloro
che potrebbero credere alle false accuse.
Sono anche il bersaglio preferito di queste
campagne perché possono essere facilmente accomunate.
Se una
ONG che lavora per i diritti dei migranti viene diffamata, è molto facile
minare la credibilità di altre che lavorano per proteggere gruppi emarginati
con la stessa linea di attacco: che promuovono interessi stranieri che danneggiano il
Paese.
2.
Campagna diffamatoria contro i giornalisti.
I
giornalisti sono spesso oggetto di campagne diffamatorie, soprattutto quelli il
cui lavoro è veramente indipendente e libero da influenze governative o
aziendali.
Il motivo è che questi giornalisti continuano
a svolgere le funzioni fondamentali del giornalismo investigativo:
raccontano
le azioni del governo o di altri attori influenti, portando alla luce
informazioni che spesso sono contrarie o dannose per la linea d'azione del
governo o per i desideri delle aziende.
Poiché i giornalisti hanno spesso una linea di
comunicazione diretta con il pubblico (come molte ONG non hanno) e possono
diffondere facilmente i loro messaggi, gli attacchi diffamatori cercano di minare
completamente la loro credibilità e, per quanto possibile, di erodere il
sostegno non solo dei lettori del giornalista, ma anche del suo editore.
3.
Campagna diffamatoria per mettere a tacere le ONG/giornalisti.
Come
avrete capito, le campagne diffamatorie non mirano solo a danneggiare la
reputazione delle vittime, ma spesso anche a metterle a tacere.
Se si
viene diffamati, le persone o le altre organizzazioni smettono di lavorare con
voi per non disturbare il vostro influente avversario, come il governo.
Le campagne di diffamazione incoraggiano anche
i sostenitori del diffamatore a continuare ad attaccare le vittime, che possono
scegliere di autocensurarsi e di tacere.
Ciò è
particolarmente vero per i giornalisti, che devono affrontare campagne di
diffamazione per aver denunciato la corruzione o altri abusi di potere.
Abbiamo assistito a numerosi esempi di questo
tipo nell'UE (si legga di seguito per scoprire alcuni esempi degni di nota),
che spesso proliferano nel bel mezzo di seri dibattiti pubblici o emergenze
nazionali, come la pandemia di coronavirus.
Quali
sono i segnali di una campagna diffamatoria?
Le
campagne diffamatorie sono caratterizzate da una serie di elementi classici,
come esagerazioni, inesattezze, distorsioni e vere e proprie bugie.
Uno
dei tratti distintivi di una campagna diffamatoria è che il più delle volte
evita di parlare di questioni sostanziali:
le politiche o le idee in discussione,
l'effettiva indagine sulla vittima e così via.
Le campagne diffamatorie consistono invece in
calunnie generiche sul lavoro degli attivisti - ad esempio, chiunque lavori nel
campo degli aiuti umanitari potrebbe essere etichettato come "trafficante
di esseri umani" - o in attacchi personali.
Il loro obiettivo è minare la credibilità
della vittima, erodere la fiducia in essa e, se possibile, metterla a tacere.
Un'altra
caratteristica delle campagne diffamatorie sono i messaggi semplici e di facile
comprensione.
Le
campagne diffamatorie spesso cercano di etichettare le loro vittime con
etichette brevi - come "agenti stranieri", "nemici dello
Stato" o addirittura "mercenari" - così facili da capire che non
sono necessarie ulteriori spiegazioni o giustificazioni.
Inoltre,
queste etichette sono spesso accompagnate da immagini che ritraggono la vittima
in modo irrealistico o riproducono stereotipi esistenti e ben noti.
Un
buon esempio è la campagna diffamatoria del governo Orban contro il filantropo
George Soros, in cui è stato raffigurato con un sorriso malevolo, evocando
spiacevoli stereotipi antiebraici.
Esempi
di campagne diffamatorie nel mondo.
Le
campagne diffamatorie non conoscono confini e sono diventate comuni anche nelle
società libere e democratiche in cui si apprezzano elezioni corrette, un
giornalismo di qualità e un dibattito pubblico informato.
“Ralph Nader, attivista e politico americano, è
stato vittima di una campagna diffamatoria negli anni Sessanta a causa della
sua campagna per migliorare la sicurezza delle automobili.
La
General Motors impiegò investigatori privati per intercettare i suoi telefoni e assunse
persino delle prostitute per coglierlo in situazioni compromettenti al fine di
danneggiare la sua reputazione e screditare il suo lavoro.
Nader ebbe la fortuna di avere i mezzi per
contrastare la campagna di diffamazione in tribunale, ottenendo un risarcimento
danni contro l'azienda.
A
dimostrazione di come anche entità grandi e potenti possano essere soggette a
campagne di diffamazione, nel 2011 il governo cinese ha lanciato una campagna di
diffamazione contro Apple, con l'accusa di aver sostituito gli iPhone difettosi con
altri ricondizionati, anziché ripararli.
Giornali
statali e piattaforme online hanno pubblicato articoli giorno dopo giorno
definendo Apple "arrogante" e insensibile nei confronti dei clienti
cinesi.
Alla
fine, l'opinione pubblica non ha creduto alla campagna diffamatoria e si è
allontanata.
O
forse, semplicemente, amavano troppo i loro iPhone.
Più
recentemente, e più vicino a noi, il governo ungherese ha lanciato numerose
campagne diffamatorie negli ultimi anni.
Nel 2018 ha approvato una legge che cercava di
paralizzare il lavoro delle ONG che si occupano, anche solo in parte, di
questioni legate alla migrazione, rendendo loro difficile ottenere
finanziamenti e limitando la portata della loro libertà di operare.
La legge è stata accompagnata da una campagna
diffamatoria a livello nazionale contro questi gruppi, culminata nella
pubblicazione su una rivista filogovernativa dei nomi di centinaia di persone -
attivisti per i diritti civili, giornalisti e persino accademici - che avevano
criticato la legge e il governo Orban in generale.
Anche
i giornalisti indipendenti sono stati oggetto di recenti campagne diffamatorie
nell'UE.
In
Slovenia, il precedente governo ha costantemente diffamato i giornalisti,
soprattutto durante la pandemia di coronavirus.
L'allora primo ministro, “Janez Janša”, ha
persino usato il suo account Twitter per accusare i giornalisti di diffondere
bugie e fuorviare il pubblico.
All'inizio
di quest'anno, in Ungheria, “Átlátszó,” uno degli ultimi media indipendenti
rimasti nel Paese, è stato accusato di aver "tradito" la nazione dai
media filogovernativi.
Si sosteneva, senza alcuna prova, che lavorassero per
interessi stranieri e costituissero un rischio per la sicurezza nazionale.
Come
riprendersi dopo una campagna diffamatoria?
Liberties
ha
pubblicato una guida su come gli attivisti che lavorano per cause progressiste
possono contrastare le campagne diffamatorie.
In realtà non è molto più complicato che
seguire una semplice strategia di messaggistica, purché si tengano presenti
alcuni aspetti importanti specifici delle campagne diffamatorie.
Innanzitutto,
non ripetete mai le calunnie del vostro avversario. Anche se volete farlo per confutare
la calunnia, e per una buona ragione:
la
ripetizione cementa le parole più emotive nella mente del pubblico.
Ad esempio, supponiamo che siate un attivista
bersaglio di una campagna diffamatoria in cui il governo vi definisce "agente
straniero e traditore della patria".
Se
rispondete dicendo:
"Non
sono né un agente straniero né un traditore della patria, sto solo difendendo i
diritti e le libertà di tutti" in quel Paese, le parole che molti
ricorderanno saranno "agente straniero" e "traditore".
Si
finisce per fare più male che bene.
In
secondo luogo, non è possibile rompere i miti e le contraddizioni dirette.
Il
myth-busting spesso implica la ripetizione del messaggio dell'avversario,
l'adozione del suo discorso e quindi l'aiuto a lui, non a voi.
In
terzo luogo, non fate l'errore di adottare il messaggio del vostro avversario.
Gli
psicologi sociali hanno scoperto che il tipo di messaggi utilizzati dagli
autoritari sono molto efficaci nel generare sostegno per le restrizioni ai
diritti umani e alla protezione dell'ambiente.
Pertanto, se siete una ONG, è probabile che le
risposte basate su messaggi simili a quelli dei vostri avversari funzionino
contro di voi.
Ad
esempio, se una campagna diffamatoria dipinge la vostra organizzazione come un
pericolo per la sicurezza nazionale, una risposta basata sul messaggio che
"le ONG sono un bene per la sicurezza pubblica" non è vincente.
Perché?
Parlare di sicurezza rafforza l'idea che il
mondo sia un posto pericoloso, il che fa sì che le persone desiderino la
stabilità e vogliano limitare le persone e le pratiche che potrebbero far
naufragare la nave, come la libertà di parola e di protesta.
Infine,
non utilizzate un linguaggio troppo tecnico.
Per
superare le campagne diffamatorie, è utile rivolgersi non solo alla vostra base
di sostenitori (che, in ogni caso, è la meno probabile che creda alle calunnie
e smetta di sostenervi), ma anche al pubblico in generale, a coloro che
potrebbero essere influenzati a credere o a non credere alle calunnie.
Questa parte del pubblico ha bisogno di capire
cosa state dicendo, quindi mantenete un linguaggio semplice e accessibile. Il
linguaggio della campagna diffamatoria sarà quasi certamente molto semplice e
facile da capire. Dovreste rispondere in modo analogo.
Quindi,
se questo è ciò che non si deve dire, come si deve rispondere alle campagne
diffamatorie?
Una
risposta efficace a una campagna diffamatoria è quella che utilizza una
strategia chiamata "panino della verità".
Iniziate
la vostra risposta sottolineando ciò che sostenete:
le
cause che state promuovendo.
In
secondo luogo, alludete all'attacco del vostro avversario (ma non ripetetelo) e
spiegate perché vi sta attaccando:
smascherare
le sue motivazioni malevole aiuta a screditarlo.
Infine,
offrite una soluzione e chiedete alle persone di sostenervi.
Combinando
tutti questi elementi, ecco come potrebbe essere la risposta di un "panino
della verità" a una campagna diffamatoria.
Un
ipotetico attacco potrebbe essere:
"Gli
attivisti diffondono un'ideologia che danneggia i nostri bambini. Dobbiamo
fermare questa propaganda.
Una
risposta tradizionale comune è la distruzione dei miti:
"Non
stiamo diffondendo una propaganda dannosa. Il riconoscimento delle persone
LGBTQI non è un'ideologia. È un diritto umano riconosciuto dal diritto
internazionale e dalla nostra Costituzione, secondo cui tutti devono essere
trattati in modo uguale, indipendentemente dalla loro identità di genere o dal
loro orientamento sessuale".
Come
già detto, questo non è un messaggio vincente.
Ripete
la diffamazione e poi usa un gergo e argomenti legalistici che non sono
persuasivi per la maggior parte del pubblico.
Invece,
una risposta del tipo "panino della verità" potrebbe essere più o
meno così:
"Indipendentemente
da chi votiamo, la maggior parte di noi concorda sul fatto che i nostri leader
dovrebbero governare per tutti noi.
Ma alcuni politici sono così desiderosi di
mantenere il potere che cercano di dividerci in base a chi amiamo.
Si
aspettano che siamo troppo impegnati ad accusarci a vicenda per renderci conto
dei problemi che hanno causato mentre erano al potere.
Ma
sappiamo che, a prescindere da chi amiamo, la maggior parte di noi vuole le
stesse cose, come poter mantenere le proprie famiglie e pagare l'affitto.
Quando
ci uniamo al di là delle nostre differenze, possiamo chiedere leader che
lavorino per tutti noi.
Questo
è ciò di cui questo governo ha paura."
Si
noti che questa risposta non cerca di confutare direttamente le calunnie.
Si concentra invece sui valori condivisi e
richiama l'attenzione sul governo (o su chiunque sia il vostro avversario) e
sul fatto che è lui a frapporsi tra il luogo in cui siamo e quello in cui
vogliamo andare.
Dà
un'immagine di unità e forza collettiva piuttosto che di divisione.
Inoltre,
evitate un linguaggio troppo complicato.
Si può
sconfiggere una campagna diffamatoria?
Riprendersi
da una campagna diffamatoria può sembrare un compito insormontabile.
Tuttavia,
se si adottano le giuste misure, è possibile.
È importante tenere a mente alcuni aspetti
specifici per rispondere alle campagne diffamatorie, come ad esempio non
ripetere la diffamazione.
Concentratevi
sempre su ciò che fate, non su ciò che dicono.
Non
smettete mai di portare avanti i vostri valori e ricordate alle persone che
condividete la loro visione di un mondo migliore e che avete idee su come
realizzarlo.
Se riuscirete a seguire queste linee guida,
sarete sulla buona strada per sconfiggere una campagna diffamatoria.
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