La politica vuole la guerra.
La
politica vuole la guerra.
Rabbi
Weiss: “Anche noi ebrei
siamo
oppressi dallo stesso
nemico,
i sionisti!
Conoscenzealconfine.it
– (15 ottobre 2022) – Davide Zedda – ci dice:
“In
occasione di questi 75 anni di occupazione, vogliamo che il mondo sappia che
ciò che si sta perpetrando, è il controllo del popolo palestinese,
l’oppressione, la sottomissione e altre terribili crudeltà.
Non è
compiuto in nome della nostra religione, non in nome della stella di David, non
in nome del popolo ebraico nel mondo.
Proprio perché siamo ebrei e fedeli della
nostra religione, ci OPPONIAMO FERMAMENTE all’esistenza dello Stato sionista di
Israele.
Lo
definisco Stato sionista, perché è sionista, NON EBRAICO!
L’intero
concetto di derubare questa terra al popolo palestinese è completamente anti
etico e contraddittorio rispetto alla nostra religione, il giudaismo.
GLI
EBREI SI SONO OPPOSTI FIN DAL PRIMO GIORNO ALL’ENTITÀ SIONISTA!
Noi
soffriamo e piangiamo insieme al popolo palestinese.
Vogliamo
che il mondo sappia che siamo vicini e solidali con il popolo palestinese e
preghiamo costantemente Dio, perché ponga fine una volta per tutte
all’occupazione.
IL
SIONISMO NON È UN MOVIMENTO EBRAICO!
È UN
MOVIMENTO POLITICO E MATERIALE CREATO DA ERETICI, CHE CERCANO DI INGLOBARE LA
NOSTRA RELIGIONE, NEL TENTATIVO DI INTIMIDIRE E METTERE A TACERE LE PERSONE CHE
SI OPPONGONO DEFINENDOLE ANTISEMITE!
È UNA
BUGIA!
ANTISEMITA
VUOL DIRE SUPPORTARE LO STATO DI ISRAELE.
Il
sionismo è causa dell’oppressione non soltanto dei palestinesi e dei musulmani
in Palestina MA ANCHE DEGLI EBREI!
Gli
ebrei vengono oppressi e arrestati.
“QUESTO
È SIONISMO E NON EBRAISMO, FANNO PARTE DEGLI ASCHENAZITI!”
(Davide
Zedda)
(t.me/davide_zedda)
Ucraina,
Biden vuole continuare la guerra
ma
l’Europa deve sganciarsi da
questa
scelta suicida.
Ilfattoquotidiano.it
– (13 aprile 2023) – Fabio Marcelli – giurista – ci dice:
Ucraina,
Biden vuole continuare la guerra ma l’Europa deve sganciarsi da questa scelta
suicida.
È
ormai chiaro a chiunque, tranne forse che a Giorgia Meloni e a Carlo Calenda,
che la guerra in Ucraina, questo massacro senza fine e senza senso che dura
ormai da oltre un anno e due mesi, servirà solo al vegliardo ultra ottuagenario
e malfermo Joe Biden per provare a vincere le prossime elezioni presidenziali
statunitensi.
Una strategia disperata per un obiettivo disperato e
di interesse esclusivamente di ristrette élite globaliste statunitensi e
internazionali.
La
carneficina prosegue, gli orrori, dall’una come dall’altra parte, si susseguono
agli orrori, debitamente amplificati dalla stampa di parte per tentare di
mobilitare un’opinione pubblica sempre più diffidente e restia a seguire sulla
strada dell’autodistruzione completa e irreversibile del genere umano, i
sedicenti “decisori responsabili”, in realtà privi di qualsivoglia lucidità e
totalmente irresponsabili, se non agli occhi dei media vassalli e bovini che
continuano ad incensarli, avendo barattato un’inesistente professionalità di
operatori dell’informazione con l’inveterata abitudine a servire sempre e
comunque i potenti qualunque cosa essi dicano e facciano.
Eppure
il governo statunitense, o meglio quella sua fazione (DEM, Conservatrice e sionista)
che ha deciso di tentare il tutto per tutto, come un giocatore suonato di
fronte a una slot machine di Las Vegas, sulla continuazione sine die del
massacro, ha
dichiarato che la guerra durerà ancora a lungo.
Gli fa
eco, dall’altro lato della barricata bellica, il regime di Putin, anche lui
caparbiamente abbarbicato alla continuazione del massacro.
Al gioco di sponda delle stragi e delle atrocità si
accompagna quello della negazione di ogni possibilità di cessate il fuoco e di
trattativa.
Eppure,
nonostante tutto, qualcosa si sta muovendo.
Le
dichiarazioni di “Macron”, poi ritirate e quindi riproposte, sull’autonomia
strategica dell’Europa evocano finalmente una prospettiva differente da quella,
che soddisfa solo i politici italiani su riferiti insieme a Letta junior e a
pochi altri, di fungere da vittime sacrificali di Nato e Stati Uniti.
Perfino
il presidente del Consiglio europeo “Michel “gli fa eco, affermando a sua volta
la necessità per l’Europa di sganciarsi dalle demenziali strategie statunitensi.
Non è
certamente casuale che “Macron” abbia fatto le sue dichiarazioni proprio sul
volo di ritorno da Pechino dove si era recato insieme alla presidente della
Commissione europea “Ursula von Der Leyen”.
La
Cina si dimostra sempre più la protagonista fondamentale della politica
internazionale, non solo in virtù della sua incontenibile crescita economica ma
anche della sua scelta di porre al centro gli interessi fondamentali
dell’umanità a partire da quello alla pace e alla soluzione negoziata dei
conflitti.
Né è
casuale che il primo europeo a porre in termini espliciti la necessità
dell’autonomia europea sia stato “Macron”, che è alle prese in patria con una
vera e propria sollevazione popolare, che parte dal tema delle pensioni, di per
sé di grande importanza, ma che investe tutti i nodi irrisolti dello sviluppo
capitalistico che beneficia solo pochi privilegiati per gettare sempre più
nella miseria la stragrande maggioranza della popolazione.
Beninteso,
per “Macron” la sua presa di posizione in materia di politica estera
costituisce anche un tentativo per sfuggire alla crescente crisi interna, ma
tanto meglio.
Si
conferma che la lotta di classe fa bene da tanti punti di vista, visto che
riesce perfino a risvegliare un’idea di autonomia strategica in governi da
lungo tempo avvezzi ad andare rovinosamente a rimorchio degli eventi e delle
scelte altrui.
Zelensky
dopo i video dei soldati ucraini decapitati: “Non è un episodio, è successo
migliaia di volte. Tutti devono reagire”
A
riprova di questo assunto, nella sonnolenta Italia tutto tace.
Mentre
la crisi economica continua a dilagare e le politiche antipopolari della
draghetta Meloni gettano nella miseria più nera settori crescenti della popolazione,
nell’assordante silenzio dei sindacati ufficiali, compresa la Cgil, il
dibattito della nostra penosa classe politica si limita alla spartizione dei
posti nelle aziende già pubbliche o verte sulle tragicomiche vicende del fu
Terzo Polo, mentre qualche brivido di emozione è regalato solo da qualche
gossip sulle imprese extraconiugali di qualche parvenu della politica.
Destino
davvero infame, il nostro, per essere gli eredi di una civiltà millenaria.
Ma
occorre continuare la mobilitazione contro la guerra, l’invio delle armi
all’Ucraina e l’aumento delle spese militari, e al tempo stesso a difesa della
sanità pubblica devastata da anni e anni di politica bipartisan e delle
condizioni di vita dei settori più poveri e indifesi della popolazione, che ne
costituiscono la maggioranza.
I referendum promossi su questi temi
costituiscono un’occasione da non perdere per reagire al vicolo cieco imboccato
dalla classe politica.
E si tratta di referendum ammissibili, come
spiegato da “Pasquale De Sena” sul Fatto; non ammetterli costituirebbe
un’ennesima tremenda manifestazione della crisi dello Stato di diritto da tempo
in atto nel nostro in Paese.
Le
posizioni dei partiti
sulle
armi all’Ucraina.
Pagellapolitica.it – (12 MAGGIO 2022)
-Redazione – ci dice:
La
maggioranza di governo e le alleanze sono sempre più divise, con il Movimento 5
stelle e la Lega ormai dichiaratamente contrari a nuovi aiuti militari.
A due
mesi e mezzo dall’inizio della guerra in Ucraina, i partiti che sostengono il
governo guidato da Mario Draghi e gli schieramenti in Parlamento sono sempre
più divisi sull’invio di armi italiane all’Ucraina.
Lo
scorso 1° marzo sia la Camera sia il Senato hanno approvato a larga maggioranza
due risoluzioni, per autorizzare fino alla fine dell’anno il Ministero
dell’Interno a inviare strumenti militari che consentano all’Ucraina di
«esercitare il proprio diritto alla legittima difesa» e di «proteggere» la
propria popolazione.
Nelle
ultime settimane questo ampio consenso sembra essersi sempre più assottigliato.
I più
contrari.
Il
presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte e il segretario della Lega
Matteo Salvini sono i due leader di partito che più di tutti stanno sollevando
dubbi sull’invio di armi all’Ucraina.
Ricordiamo
che fino a oggi il Ministero della Difesa ha approvato due decreti per spedire
equipaggiamenti militari all’esercito ucraino:
uno il 2 marzo, l’altro il 27 aprile.
Secondo
fonti stampa, un terzo decreto sarebbe già pronto ed è il dibattito su
quest’ultimo che vede molto vicine le posizioni di Conte e Salvini.
Da
settimane, in più occasioni, il presidente del M5s sta ribadendo che il suo
partito non vuole «sentir parlare di armi sempre più pesanti», ma di «una
svolta per un negoziato».
«Servono soluzioni diplomatiche per mettere
fine al conflitto», ha per esempio dichiarato il 6 maggio Conte.
Il 10
maggio, durante un evento in Parlamento, anche Salvini ha usato parole simili,
dichiarando che sebbene lui sia «personalmente contrario» all’invio di nuove
armi all’Ucraina, riunirebbe comunque il suo partito per prendere una decisione
condivisa.
«Inviare nuove armi in questo contesto
allontanerebbe la pace, non mi sembra assolutamente opportuno», ha dichiarato
il leader della Lega.
In realtà, come abbiamo anticipato, il
Parlamento ha già dato al Ministero della Difesa l’autorizzazione a inviare con
l’approvazione di più decreti armi all’Ucraina, senza necessariamente chiedere
un nuovo voto di Camera e Senato.
Nelle
loro interviste televisive e sui quotidiani, Conte e Salvini hanno anche usato
argomentazioni simili per sostenere la loro contrarietà all’invio di nuovi
armamenti all’esercito ucraino.
Su
tutti, entrambi ripetono che bisogna evitare un’escalation, ossia
un’intensificazione del conflitto, citando due temi di cui ci siamo occupati
anche in nostri fact-checking:
quello
delle testate nucleari in possesso della Russia e quello delle armi
statunitensi che sono finite nelle mani dei talebani dopo la ritirata degli
Stati Uniti dall’Afghanistan nel 2021.
In
diverse occasioni, critico contro l’invio delle armi è stato il segretario di
Sinistra italiana Nicola Fratoianni.
Le
posizioni degli altri partiti.
Per
ora, all’interno della maggioranza di governo, sia il Partito democratico che
Forza Italia stanno prendendo le distanze dalle posizioni espresse da Lega e
M5s.
L’11
maggio, in un’intervista con la Repubblica, la ministra per il Sud Mara
Carfagna (Forza Italia) ha per esempio dichiarato che «se non fornissimo armi a
Kiev, la Russia raderebbe al suolo l’Ucraina e al tavolo della diplomazia non
si parlerebbe di pace ma di capitolazione, di resa senza condizioni».
Lo stesso giorno, in un’intervista con Radio
Radicale, il suo compagno di partito Giorgio Mulè, sottosegretario al Ministero
della Difesa, ha ribadito che non sono necessarie altre votazioni in Parlamento
per autorizzare un nuovo invio di armi all’Ucraina, definendo «stucchevole» la
posizione adottata da Conte.
Critiche
al presidente del M5s sono arrivate anche dal leader di Italia viva Matteo
Renzi.
Nel
centrosinistra, il Partito democratico, di cui fa parte il ministro della
Difesa Lorenzo Guerini, resta favorevole a quanto fatto finora dal governo,
invitando a trovare una posizione condivisa tra i partiti che sostengono
l’esecutivo.
Di recente, il segretario del Pd Enrico Letta
ha dichiarato che l’invio delle armi non deve però essere concepito come uno
«strumento di offesa e di aggressione in territorio russo».
L’8
maggio il deputato del Pd Graziano Delrio, in un’intervista con La Stampa, ha
ribadito:
«Diamo agli ucraini strumenti per difendersi e
non per offendere.
E questa resistenza ha impedito che la
prepotenza e la forza trionfassero sul diritto».
All’opposizione,
Fratelli d’Italia e la sua leader Giorgia Meloni rimangono invece favorevoli
all’invio di armi, in linea con quanto votato in Parlamento.
Il 5 maggio Meloni ha infatti criticato le «giravolte»
del Movimento 5 stelle sul tema e, in altre occasioni, ha ricordato quanto sia
centrale nel programma del suo partito l’aumento delle spese militari italiane.
Perché
Putin vuole la
guerra
contro tutti noi
lucalovisola.ch
– (29.11.2022) – Luca Lovisolo – ci dice:
Perché
Putin vuole la guerra e fin dove vuole arrivare?
L’intervento del presidente russo alla
Conferenza del «Club Valdaj» del 27 ottobre 2022 è durato oltre tre ore e
mezza.
Putin
ha ripetuto molti tormentoni della retorica del Cremlino, ma il suo discorso
permette di riportare alle radici la strategia russa.
Emergono la visione del regime di Mosca per il
futuro dell’Europa e alcune verità scomode.
Il
discorso di Putin è stato riportato e commentato da quasi tutti i media solo
per estratti.
Questa
analisi si basa sulla versione audio completa, senza mediazioni, in lingua
originale.
Per la spiegazione di alcuni termini mi
riferisco all‘opera di Aleksandr Dugin.
In
altre analisi ho citato i seminari di questo politologo russo dedicati alla sua
Quarta teoria politica.
Qui mi
rifaccio a precedenti corsi e conferenze tenuti da Dugin all’Università statale
di Mosca.
Sono
le lezioni nelle quali definisce i principi che sono diventati linee guida
della politica estera russa negli ultimi vent’anni.
In alcuni tratti del suo discorso al Valdaj,
Putin riprende i concetti di Dugin quasi alla lettera.
Questo
elemento è importante, ma nei circoli occidentali troppo spesso non viene
ponderato a sufficienza.
Le attività della Russia in Ucraina sono parte
di una strategia di ampio respiro, costruita in modo solido e convincente, se
guardata dal punto di vista dei russi.
La strategia del Cremlino non si rivolge in
primo luogo all’Ucraina, ma direttamente a noi, in quanto «cosiddetto
Occidente» – come Putin suole definirci, nel migliore dei casi.
Se,
come spesso accade in Occidente, guardiamo alla guerra come atto isolato di un
regime assetato di potere, non vediamo il quadro nel suo insieme.
In
ciò, il fatto che l’approccio geopolitico russo a noi piaccia o meno è del
tutto ininfluente.
Se
vogliamo capire la guerra in Ucraina e le attività del Cremlino nelle relazioni
con i nostri Paesi, dobbiamo immedesimarci nella radice dottrinale della
politica estera della Russia post-sovietica.
Per
questo, la nostra reazione sarà sempre debole e inadeguata.
La
conferenza del Club Valdaj si rivolge ad accademici e politici di professione.
Per
questo motivo, Putin, quest’anno come nei precedenti, ha parlato una lingua che
posiziona con particolare profondità le relazioni estere della Russia.
Le
considerazioni di Putin sono rivolte anche a noi, come bersaglio
dell’aggressiva politica estera di Mosca a partire dai primi anni Duemila.
Nel
fiume di parole del presidente russo si riconoscono anche talune verità
scomode:
non
dovremmo avere paura di affrontarle.
In
questa analisi mi concentro sugli elementi fondamentali della visione del mondo
del Cremlino.
Tralascio
volutamente gli eccessi retorici, le opinioni più note di Putin sulla politica
e sulla Storia nonché i riferimenti a questioni di politica interna.
Il
motto della Conferenza del Valdaj di quest’anno era: «Il mondo post-egemonico –
equità e sicurezza per tutti.»
Dalle
parole di Putin si comprende molto bene come si realizzi questo proposito, dal
punto di vista della Russia.
IL
MONDO DI PUTIN INTORNO AL 24 FEBBRAIO 2022.
Punto
di partenza delle considerazioni di Vladimir Putin è l’idea che il mondo di
oggi agisca secondo regole che nessuno sa chi ha dettato.
Per
«regole» il presidente russo intende il diritto internazionale, i diritti umani
e i principi della società aperta democratica.
Negli
ultimi mesi, afferma Putin, si assiste a un peggioramento delle relazioni
internazionali: la causa sarebbe il comportamento dell’Occidente.
Gli Stati uniti e l’Europa sarebbero all’origine della
guerra in Ucraina, della destabilizzazione dei mercati dovuta alle sanzioni
internazionali contro la Russia e delle provocazioni intorno allo status di
Taiwan.
In
tutto ciò, prosegue Putin, l’Occidente ha commesso ripetuti errori sistemici,
tra i quali la caduta del mercato europeo del gas.
La Russia è testimone di questi eventi, ma è
sempre stata aperta alla cooperazione e ha presentato le sue proposte.
Con
questa affermazione Putin si riferisce alle pretese che la Russia ha introdotto
nel dibattito internazionale a fine 2021.
Interi Stati dell’Europa centrale e
settentrionale avrebbero dovuto dichiararsi neutrali.
Si
sarebbero dovuti ridisegnare i confini delle zone di influenza di Russia e
Stati uniti.
Tuttavia,
dice Putin, alle proposte russe l’Occidente ha sempre risposto negativamente.
L’Occidente
vuole fare della Russia uno strumento per raggiungere i suoi obiettivi, sulla
base di «regole universali» alla cui elaborazione la Russia non ha partecipato,
dice Putin.
Cita lo scrittore Aleksandr Isaevič
Solženicyn, che definisce l’Occidente come «imprigionato nel suo senso di
superiorità.»
L’Occidente
pensa che tutti i Paesi del mondo debbano accettare il suo sistema e
svilupparsi sulla base di esso.
È ciò
che sta accadendo proprio oggi, pensa Putin.
Dalla
«Cancel culture» a Kennedy.
Di
recente l’Occidente pratica addirittura una «cultura della cancellazione» ai
danni della Russia, ritiene Putin.
Le istituzioni culturali occidentali rifiutano
di rappresentare opere d’arte russe. Putin si riferisce all’ondata di
cancellazioni di spettacoli di artisti, compositori e drammaturghi russi in
teatri e sale da concerto di molti Paesi occidentali.
La causa è la ripresa della guerra in Ucraina
nel febbraio 2022 (ma Putin non la cita).
Echeggiando
il celebre discorso di insediamento di John F. Kennedy del novembre 1960, Putin
osserva che il mondo si trova dinanzi a una «nuova frontiera storica» e sta
attraversando il decennio più pericoloso, imprevedibile ma anche più importante
dalla fine della Seconda guerra mondiale.
PERCHÉ
PUTIN VUOLE LA GUERRA: GLI ELEMENTI CHIAVE.
Nel
discorso del Valdaj si odono termini che non sono nuovi, né in bocca a Putin né
nel dibattito pubblico.
In questo contesto, però, formano un insieme
particolarmente rivelatore: universalismo, colonialismo, mondo unipolare, equilibrio
degli interessi e altri.
Mondo
unipolare e universalismo, la critica di Putin.
Unipolare
perché in esso vigono solo la cultura, la volontà e le regole occidentali:
società aperta, democrazia, diritti umani e diritto internazionale.
Dopo
la caduta dell’Unione sovietica, secondo Putin l’Occidente ha instaurato il
mondo unipolare.
Unipolare
perché in esso vigono solo la cultura, la volontà e le regole occidentali:
società aperta, democrazia, diritti umani e diritto internazionale, quest’ultimo
derubricato a prodotto della presunzione occidentale.
Ancor
di più: la cultura e la visione del mondo occidentali hanno pretesa di
universalità.
Esigono perciò di valere per tutta l’umanità,
anche se l’Occidente non ha mai concordato queste regole con il resto del mondo.
I
popoli del mondo aspirano alla libertà, dice Putin.
L’Occidente
liberale dovrebbe esserne contento, eppure no, obietta il presidente:
l’Occidente è convinto della sua infallibilità e, se questo anelito alla
libertà dei popoli non corrisponde al modello occidentale, Stati uniti ed
Europa applicano sanzioni, si immischiano politicamente, organizzano
rivoluzioni colorate e rovesciano i governi.
Putin
si riferisce qui, senza giri di parole, ai movimenti di protesta ucraini Majdan
degli anni 2004 e 2014, noti come «rivoluzioni colorate.»
Il
Cremlino spiega quegli eventi come congiure occidentali contro le presunte
pretese della Russia sull’Ucraina.
Colonialismo
occidentale e globalizzazione.
Secondo
Putin, questo pensiero unico dell’Occidente costituisce un modello di
dominazione dal quale nasce una globalizzazione coloniale, intesa come
strumento di mantenimento del potere.
L’Occidente
rafforza la sua potenza coloniale creando sempre nuove dipendenze. Come esempio
Putin cita la prevalenza dell’Occidente nell’economia, nella farmaceutica e
nella costruzione delle macchine utensili.
Ovunque
l’Occidente apra nuovi mercati, reprimerebbe gli attori locali con una condotta
colonialista.
Putin
si riferisce poi in modo esplicito ancora all’Ucraina e al suo avvicinamento
all’Unione europea.
Il cammino verso l’Europa presuppone un
adeguamento delle norme tecniche ucraine al complesso di norme europee.
La transizione normativa fu davvero uno dei
punti critici, negli anni cruciali 2013 e 2014.
L’argomento
era: se l’Ucraina si sviluppa avvicinandosi all’Europa e allontanandosi dalla
Russia, acquisirà lo strumentario tecnico europeo e abbandonerà quello russo.
Questa prospettiva inquietava i russi e alcuni
imprenditori dell’Ucraina meridionale e orientale, che non volevano perdere il
loro mercati in Russia.
PERCHÉ
PUTIN VUOLE LA GUERRA CONTRO L’OCCIDENTE IN CRISI.
Ora,
dice Putin, il modello neoliberale di sviluppo occidentale è entrato in una
crisi dottrinale.
Il
presidente si rifà ancora alla letteratura russa.
Cita questa volta I Demoni di Fëdor
Michajlovič Dostoevskij: «Dalla libertà illimitata io desumo un dispotismo
illimitato.»
Proprio ciò, aggiunge Putin, hanno ottenuto
gli «oppositori» della Russia – cioè noi.
Perché
Putin vuole la guerra con l'Occidente.
La
crisi dell’Occidente non è cominciata ieri: già nel 20° secolo, i liberali
affermavano che la «cosiddetta» società aperta ha dei nemici (Putin non la
cita, ma si riferisce all’opera centrale di Karl Popper: La società aperta e i
suoi nemici).
Affinché
il modello di sviluppo occidentale non si spezzi, prosegue Putin, l’Occidente
limita la libertà di proporre modelli diversi, li qualifica come propaganda e
come minacce contro la democrazia.
Il
«cosiddetto Occidente» – continua il presidente russo – non è un blocco
indifferenziato, è un conglomerato complesso.
Vi
sono almeno due diversi Occidenti.
Da una
parte, un «Occidente tradizionale» portatore dei valori cristiani (e anche
islamici), di libertà e ricchezza di cultura; questo Occidente ha radici
antiche ed più vicino alla Russia.
L’altro Occidente è «aggressivo e
neo-coloniale» ed è l’arma delle élite neoliberali. Al diktat di questa parte
dell’Occidente la Russia non si piegherà.
L’Occidente,
constata Putin, non è in grado di guidare da solo l’umanità, ma ci prova, nella
sua disperazione.
La maggioranza della popolazione del mondo
rifiuta il modello di sviluppo occidentale, dice il presidente russo: questa
situazione è il presupposto tipico di una rivoluzione.
La pretesa dell’Occidente di universalità del
suo modello può causare catene di conflitti.
Questo contrasto, dice Putin, è fatale per
l’intera umanità e per lo stesso Occidente.
Il
compito storico del nostro tempo è, secondo Putin, appianare questi contrasti.
Putin
mette in chiaro la visione della Russia: la base della civilizzazione umana
sono le società tradizionali dell’Oriente
La
maggioranza della popolazione mondiale abita l’est dell’Eurasia, dove, secondo
l’immagine che Putin ha del mondo, risiedono le civilizzazioni più antiche.
Putin mette in chiaro la visione della Russia:
la
base della civilizzazione umana sono le società tradizionali dell’Oriente,
dell’America latina, dell’Africa e dell’Eurasia.
Putin
afferma che l’Occidente sta perdendo la sua superiorità e diventa minoranza,
sulla scena internazionale.
Noi
occidentali, e in particolare noi europei, nella convinzione di essere migliori
di tutti gli altri, non ci accorgiamo che siamo ormai una periferia discosta,
dei vassalli degli Stati uniti, senza facoltà di parola.
I
diritti dei Paesi europei, secondo Putin, sarebbero «fortemente ridotti» ad
opera degli Stati uniti, «per usare un eufemismo,» sottolinea Putin.
Poiché
l’Occidente è una minoranza – riconosce Putin con tono concessivo – anche i
suoi diritti devono essere rispettati.
La Russia non si immischia nelle questioni
interne occidentali.
Putin fa capire chiaramente con queste parole,
qual è il nostro ruolo nel nuovo ordine mondiale: siamo una minoranza
tollerata.
Su di
noi prevale la maggioranza dei non-occidentali.
Secondo
Putin, la parte aggressiva dell’Occidente sta tentando di dividere la Russia.
Cita
la guerra della Cecenia e i primi anni della sua presidenza, non a caso: nel
mosaico del mondo russo l’Ucraina gioca oggi lo stesso ruolo della Cecenia
all’inizio degli anni Duemila.
La risolutezza di Putin è necessaria oggi come
allora, poiché la Russia si trova, secondo lui, nuovamente alle soglie del
disfacimento.
La
Cecenia è una repubblica confederata, parte della Federazione russa. L’Ucraina,
al contrario, è uno Stato indipendente.
Putin
non vede la differenza, poiché, secondo lui, ambedue sono parte della «grande
Russia storica» alla quale si rivolge in modo esplicito, dopo la ripresa della
guerra in Ucraina.
Putin
riconosce di essere stato plasmato dall’esperienza maturata con la guerra in
Cecenia, nei primi anni del suo mandato.
Questa
affermazione rivela che la guerra in Ucraina, nell’idea di mondo di Putin, si
ricollega alle guerre caucasiche dei primi anni Duemila.
Già
allora, aggiunge Putin, l’economia russa si rivelò più forte di quanto ci si
aspettava.
Lascia
intendere, così, che la Russia non deve temere le sanzioni di oggi.
Per
lui, però, è ancora più importante essere consapevole che «la Russia è un
grande Paese. I russi e le altre etnie del Paese sono spiritualmente disposti a
lottare per affermarsi.»
È
questa certezza, dice Putin, a guidarlo nella situazione di oggi. In questo
senso, la Russia deve valorizzare tutta la sua eredità storica, non può e non
deve rinunciare a nulla.
Putin
fa suo l’archetipo dell’eroe: deve sconfiggere il drago, cioè abbattere
l’Occidente; salvare la fanciulla imprigionata, cioè la Russia; impossessarsi
del tesoro, che è l’eredità storica della Russia, per edificare il regno, cioè
la Russia del futuro, di cui è liberatore e sovrano.
PUTIN
VUOLE LA GUERRA PER IL «MONDO MULTIPOLARE».
Ora,
giudica Putin, il tempo della supremazia non condivisa dell’Occidente è finito.
Il mondo unipolare diventa un ricordo del passato.
L’umanità si trova di fronte a un bivio: o
aggrava ancora i problemi esistenti, o prova a risolverli di comune accordo,
non in modo idealistico, ma lavorando in concreto affinché il mondo diventi un
luogo più stabile e sicuro.
L’ordine
mondiale multipolare sta emergendo davanti ai nostri occhi.
In
questo ordine mondiale di nuovo conio, la Russia afferma il proprio diritto di
esistere – cosa che, del resto, nessuno ha mai messo in discussione – e di
svilupparsi secondo il suo percorso.
Tutto
ciò che sta succedendo in questo momento – la guerra in Ucraina e il nuovo
orientamento della visione di Mosca verso l’esterno – sta portando un grande
beneficio alla Russia, dice Putin: il Paese sta rafforzando la sua sovranità.
Sfugge
così al destino di degenerare in una semi-colonia politica, economica e
tecnologica dell’Occidente.
La
particolarità della Russia, dice Putin, è che la sua posizione di fronte alle
minacce esterne – cioè di fronte all’Occidente – incontra totale consenso nel
resto del mondo e questo consenso può solo crescere.
La
critica alla Russia arriva solo da occidentali e da persone cresciute nella
visione del mondo occidentale, che non capiscono la visione russa.
Qui
Putin riprende un argomento di Dugin e non solo, secondo cui la concezione
della geopolitica si orienta al contesto nel quale viene studiata.
Anche secondo Putin, non vi è una concezione
unica delle relazioni internazionali. Ogni loro rappresentazione sarebbe
radicata relativisticamente nell’immagine di mondo nella quale l’osservatore si
forma.
Alla
domanda su quali regole dovranno governare il nuovo ordine mondiale
multipolare, Putin risponde in un modo che inizialmente sorprende.
Noi
crediamo, dice il presidente, che il nuovo ordine mondiale debba essere fondato
su leggi e norme, libertà ed economia di mercato, sotto l’ombrello delle
Nazioni unite.
Che
non ci si debba rallegrare troppo in fretta di questa affermazione lo mostrano
quelle che la seguono.
Il mondo cambia, aggiunge Putin, le regole devono
essere adattate in conseguenza.
Le
norme esistenti sono state elaborate dall’Occidente e servono solo a indebolire
i suoi concorrenti, afferma Putin.
I
diritti umani possono causare l’indebolimento degli Stati.
Qui
Putin cita il caso della Cina, con un’affermazione tanto pesante quanto
compiaciuta, che cade come un sasso sulle orecchie di chi ascolta:
il
rispetto dei diritti umani in certe regioni della Cina, osserva, sarebbe
impossibile, perché comporterebbe la disgregazione dello Stato.
Putin
si riferisce agli uiguri e alle altre minoranze che Pechino reprime
sistematicamente.
Questo
esempio illustra come pochi altri come Putin intenda il contratto sociale:
Lo
Stato prevale, se il rispetto dei diritti individuali lo mette in pericolo.
Questo
è il perno intorno al quale si capovolge la visione del mondo – anzi, la
visione della persona umana, tra la Russia e l’Occidente.
A
conclusione del suo intervento Putin pone una frase a effetto:
«Dobbiamo
assumerci la nostra responsabilità di fronte al mondo e costruire una sinfonia
delle civilizzazioni.»
Il nuovo mondo sarà un «mondo senza sanzioni»
– in altre parole, un mondo in cui ogni Stato potrà fare e disfare ciò che
vuole.
L’unico
limite alla totale libertà di azione sarà l’equilibrio degli interessi.
Da un
mondo all’apparenza costruttivista e fondato sulle regole, Putin ricade, con
uno spettacolare capitombolo – che si nota solo se si conosce il retroterra
delle sue parole – in un ordine mondiale drasticamente realista.
Regimi autoritari, violazioni dei diritti
umani, oppressione delle minoranze e simili sono parte del gioco, se servono a
mantenere l’equilibrio degli interessi.
Cosa
Putin intenda con questa espressione lo vedremo più avanti.
Dopo
tre ore e mezza complessive tra discorso, domande e risposte, l’intervento di
Putin si conclude.
Si
potrebbe raccontare molto sugli ascoltatori presenti, ma mi limito ad alcune
punte.
Nel
pubblico sedevano prevalentemente, vicino ai russi, rappresentanti di Asia,
Africa e America latina; Stati come il Canada o la Moldova sembravano
rappresentati solo da attivisti filorussi.
Su
questo uditorio Putin esercitava un fascino quasi ipnotico.
Lo si capiva dal linguaggio del corpo dei
partecipanti, dalle risate dopo le battute e le barzellette con le quali Putin
si prendeva gioco dell’Ucraina e dell’Occidente; dai sorrisoni soddisfatti e
dall’interminabile annuire di molte teste, nella sala conferenze strapiena.
Il
numero più bizzarro è stato quello di una partecipante asiatica, che, dopo aver
posto la sua domanda, ha chiesto a Putin di ricevere una sua foto autografata,
perché lo ammira tanto.
La
conferenza del Club Valdaj vuol essere il contrapposto russo alla Conferenza
internazionale di Monaco sulla sicurezza.
A
Monaco, però, non di rado le domande dei partecipanti, sempre piuttosto
competenti, mettono in grossa difficoltà gli oratori.
Gli interventi del pubblico del Valdaj
sembravano servire solo a confermare, rafforzare e incensare le affermazioni di
Putin, in modo così spudorato che a tratti il giro di domande e risposte
sembrava un contorno precotto al discorso del presidente.
PERCHÉ
PUTIN VUOLE LA GUERRA CONTRO LE «REGOLE».
Nel
discorso di Putin al Valdaj compaiono tesi più semplici da confutare; altre che
richiedono un’elaborazione più estesa, perché al primo sguardo sembrano persino
lodevoli principi di umanità. Inoltre, vi sono alcune verità con le quali noi,
in Occidente, dovremmo confrontarci.
Le
regole scritte dall’Occidente: uno dei perché Putin vuole la guerra.
Putin
pensa che il mondo si muova seguendo regole scritte solo dall’Occidente. Non è
vero.
La
Russia partecipa da sempre all’elaborazione del diritto internazionale.
Ha
contribuito a scrivere e ha firmato trattati internazionali.
Quando
l’Unione sovietica si sciolse, la Russia si assunse per sua libera decisione
tutti gli obblighi e i diritti connessi agli accordi internazionali in vigore,
poiché subentrò esplicitamente e di propria volontà nella successione giuridica
della disciolta Unione sovietica.
La
Russia post-sovietica, da parte sua, ha siglato innumerevoli trattati, in molti
di questi riconosce le frontiere e la sovranità dell’Ucraina.
Il
rimprovero secondo cui la Russia dovrebbe attenersi a norme internazionali che
sono state elaborate solo in Occidente, e che ora le verrebbero imposte, è
privo di fondamento e non richiede di essere ulteriormente discusso qui.
Nella
visione di Putin, l’Occidente avrebbe commesso gravi errori sistemici. Cita
l’introduzione di sanzioni contro la Russia, le modificazioni al mercato
dell’energia e le altre, gravi decisioni che la comunità internazionale ha
dovuto assumere in conseguenza della ripresa della guerra in Ucraina.
Putin
ritiene che queste azioni siano errate, poiché non prende in considerazione la
loro causa.
Vede
la guerra in Ucraina come operazione militare di portata interna.
In Ucraina, la Russia, secondo lui, combatte
contro intrusi, «fascisti» (o, ultimamente, «satanisti») che nel 1991 hanno
dichiarato uno Stato indipendente su una parte di territorio russo e da quel
momento lo governano senza averne diritto.
Guerra
d’Ucraina e guerra di Cecenia: la continuità.
Anche
la guerra d’Ucraina è e resta, nella visione del mondo di Putin, una questione
di mantenimento della sovranità.
Per
questo motivo, secondo Putin, la questione ucraina, al resto del mondo, non
deve interessare.
Come
la guerra di Cecenia, anche la guerra d’Ucraina è e resta, nella visione del
mondo di Putin, una questione di mantenimento della sovranità territoriale
russa. Le Nazioni unite e gli altri Stati non devono immischiarsi in questo
affare interno di Mosca.
La non-ingerenza negli affari interni di uno
Stato, però, è un principio del diritto internazionale.
Vi
sono, allora, principi giuridici che Putin accetta, a proprio arbitrio, e non
li squalifica come «imposizione occidentale» – un diritto internazionale à la
carte.
Se si
elimina la guerra in Ucraina come causa delle sanzioni e delle decisioni
conseguenti, davvero non le si capisce più.
La Russia si comporta come un omicida
condannato che continua a insistere di non aver ucciso nessuno.
Crede,
perciò, che essere spedito in carcere sia un errore dei giudici.
COS’E’
IL MONDO MULTIPOLARE PER IL QUALE PUTIN VUOLE LA GUERRA.
Il
mondo unipolare di marca occidentale si vuole liberale, ma non accetta alcuna
alternativa alla democrazia, lamenta Putin, e aggiunge: l’Occidente considera
creature di serie B tutti coloro che rifiutano i suoi principi.
Ora,
dice Putin, il mondo unipolare deve essere sostituito da un mondo multipolare.
Ogni civilizzazione ha una diversa concezione
dell’Uomo e della sua natura. Mentre i valori occidentali mirano all’universalità, i valori
tradizionali delle altre civilizzazioni non sono postulati fissi e
riproducibili, che si adattano a tutti.
Dipendono
dalla tradizione, dalla cultura e dal divenire storico di ogni società.
Dobbiamo tenere conto di ogni punto di vista, di ogni popolo, società, cultura,
visione del mondo e orientamento religioso. Nel mondo multipolare non si può
imporre una «verità unica.»
Queste
affermazioni di Putin contengono un seguito di verità lapalissiane che
abbondano in ogni riga e in ogni angolo, nei discorsi di Putin stesso e di
tutti i politici populisti.
Chi
sente queste parole ha l’impressione che gli si accenda improvvisamente una
luce: così dev’essere un mondo giusto! Putin ha ragione – penserà.
Se
però si ricerca che cosa significa «mondo multipolare» nella dottrina russa
delle relazioni internazionali, se ne trova una definizione che rallegra assai
meno, nella brillante rappresentazione data da Aleksandr Dugin durante una
conferenza tenuta all’Università di Mosca nel 2012.
«La
teoria multipolare è una teoria molto rivoluzionaria ed estrema […] La
multipolarità esclude la mono polarità, perché presuppone che le decisioni […]
vengano prese non in un unico centro, ma in diversi centri.
In conseguenza, il mondo multipolare e quello
unipolare sono antitetici […] Bisogna distruggere il mondo unipolare, e […] se
questo non è disposto a scomparire, bisogna avvicinare la sua fine.
Questa
è una posizione molto dura e aggressiva […] Il mondo multipolare sarà possibile
solo dopo che il mondo unipolare sarà stato liquidato in modo definitivo e
irreversibile.»
Il
mondo multipolare non è un prato fiorito.
Il
mondo multipolare dei russi, perciò, non è quel prato fiorito sul quale le
diverse culture vivono in varietà e felice accordo.
E‘
innanzitutto un grido di guerra contro la democrazia e i diritti umani.
Dugin
ha ragione: sono due mondi opposti l’uno all’altro. Putin, da parte sua,
precisa questo principio esplicitamente, quando, nel suo discorso del Valdaj,
afferma che la democrazia non è l’unico modello di società possibile:
«Al
mondo possono sorgere modelli di società alternativi e più efficaci, voglio
sottolinearlo: più efficaci al giorno d’oggi, più luminosi e attraenti di
quelli che esistono ora. Questi modelli si svilupperanno necessariamente, è
inevitabile.»
Il
presidente non le cita, ma si riferisce senza equivoco alle forme di governo
autoritario in un ampio spettro che va dall’Ungheria alla Cina, passando per la
Russia e altre simili pseudo-democrazie.
Questi
«modelli alternativi si svilupperanno necessariamente, è inevitabile» – dice
Putin con tono monitorio.
Ciò
sarebbe provato, secondo lui, dal fatto che la maggioranza della popolazione
mondiale rifiuta il modello di sviluppo occidentale.
Tutte
le civilizzazioni riconoscono nell’alta dignità e nell’essenza spirituale
dell’Uomo il fondamento più importante della costruzione del nostro futuro,
sentenzia Putin.
Se si
guarda alla Russia, alla Cina e alle altre società autocratiche che dovrebbero
formare il mondo multipolare, si ha fondato motivo di mettere in dubbio questa
affermazione.
Uomini
senza diritti e «civilizzazioni alternative».
Se ne desume,
per converso, che vi sarebbero Uomini, nella visione del mondo russa, che non
possono pretendere le libertà fondamentali e la democrazia, i diritti umani, e
ciò a buona ragione.
Perché
appartengono a «sistemi sociali alternativi» nei quali la persona umana non può
aspirare a veder riconosciuta la sua espressione individuale.
Questo
principio è espresso da Dugin quando afferma che:
«Ogni
pretesa […] relativa al fatto che i valori occidentali sono valori universali,
e in conseguenza che tutti i popoli devono accettare lo Stato nazionale, il
sistema parlamentare della separazione dei poteri, l’ideologia dei diritti
umani, l’economia di mercato, la stampa indipendente – tutte queste pretese
devono essere respinte […] All’Occidente piacciono i diritti umani?
Meraviglioso, che li rispetti. Noi abbiamo altri diritti, un altro Uomo,
un’altra antropologia sociale in altre società.»
«Abbiamo
un altro uomo». Un uomo, dunque, che non deve aspirare ai diritti fondamentali,
alla democrazia e a tutto il discorso «occidentale» sulla centralità della
persona umana. Putin, da parte sua, esprime lo stesso principio quando afferma:
«Se
l’Occidente vuole introdurre l’ideologia gender e organizzare le Gay-Parade, lo
faccia. La Russia non si immischia nelle questioni interne occidentali.»
Con
altre parole, Putin prende la stessa posizione di Dugin: noi siamo altro,
abbiamo altri Uomini.
Il
presidente russo cita consapevolmente la questione omosessuale, perché sa che
questo tema, come la questione delle migrazioni, è un ambito dei diritti
fondamentali molto controverso in Occidente.
Con queste argomentazioni Putin raccoglie
consenso e semina divisione nelle società occidentali.
Se
Putin citasse direttamente i diritti che aggredisce, con la sua visione del
mondo – separazione dei poteri, libertà di espressione e altre libertà fondamentali
– le popolazioni occidentali reagirebbero negativamente (almeno per il momento,
in futuro si vedrà).
Perché
Putin vuole la guerra: mondo multipolare o multilaterale?
È solo
questione di tempo, e anche la versione dura e originale diventa normalità, nel
dibattito pubblico.
L’esempio
più calzante è proprio la guerra in ucraina.
Come
sempre, Putin esprime in forma più eufemistica e politicamente presentabile gli
stessi concetti che Dugin formula in modo estremo e dottrinario.
È solo questione di tempo, e anche la versione
dura e originale diventa normalità, nel dibattito pubblico.
L’esempio
più calzante è proprio la guerra in ucraina.
Nel
2014 Dugin fu punito con l’allontanamento dall’università, per aver aizzato
all’uccisione degli ucraini; oggi, il genocidio contro gli ucraini avviene
tutti i giorni e nessuno viene più punito per questo motivo, anzi: viene
arrestato e malmenato chi leva la sua voce contro la guerra.
Dobbiamo
infine distinguere il mondo multipolare di Dugin e Putin dal mondo multilaterale.
Questi
termini, in Occidente, vengono spesso usati come sinonimi, ma non lo sono. Cosa
significhi per i russi “mondo multipolare” l’ho appena spiegato.
“Mondo
multilaterale” significa, per noi in Occidente, un mondo nel quale le decisioni
vengono prese in un clima di concertazione tra tutti gli Stati.
Per la
dottrina russa, il significato è più ristretto:
il
multilateralismo si esercita, secondo i russi, solo tra gli Stati uniti e i
loro alleati, escludendo tutti gli altri.
Non è
possibile approfondire qui queste diverse concezioni. È importante, però, sapere che mondo
multipolare e mondo multilaterale non sono la stessa cosa.
PERCHÉ
PUTIN VUOLE LA GUERRA: «EQUILIBRIO DEGLI INTERESSI».
La
base del mondo multipolare non sono i diritti umani, perciò, ma l’equilibrio
degli interessi tra i diversi attori.
Attori
del nuovo ordine mondiale non sono più gli Stati nazionali, ma le
civilizzazioni.
Qui
Putin riprende un altro concetto-chiave della dottrina di Aleksandr Dugin,
secondo il quale le protagoniste del mondo multipolare saranno, appunto, le
civilizzazioni – non le classi, come nel marxismo; non lo Stato, come nel
realismo; non
il sistema democratico, come nel liberalismo.
Le
civilizzazioni diventeranno soggetti dotati di personalità e capacità
giuridica, all’interno delle relazioni internazionali e del diritto
internazionale, dice Dugin, seguendo la «teoria dei grandi spazi» formulata dal
giurista tedesco Karl Schmitt.
Cosa
sono le «civilizzazioni» nella visione del mondo russa.
Come
si costruisce una civilizzazione e cosa significa questo concetto, nelle menti
di Dugin e Putin?
Le
civilizzazioni sono i poli del mondo multipolare.
L’Eurasia
è una civilizzazione, dove con Eurasia si intende di fatto lo spazio
post-sovietico e prima russo-imperiale.
Un altro esempio, citato esplicitamente sia da
Putin sia da Dugin, è l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SOC), che
ha aperto una nuova era di relazioni in Oriente, dicono entrambi quasi con le
stesse parole.
L’Unione
europea è una civilizzazione, ma ha un difetto, dice Dugin.
Deve abbandonare la «geopolitica del mare» –
quella di Stati uniti e Regno unito – e aggregarsi alla «geopolitica
continentale,» che caratterizza le relazioni internazionali della Russia.
Il politologo russo lo spiega in modo
esauriente nel suo corso di geopolitica tenuto all’Università di Mosca nel
2012.
L’Europa diventa di fatto un soggetto
subordinato della civilizzazione russa ed eurasiatica.
Così
dev’essere «L’Europa che vogliamo noi russi» – come ho sentito dire con le mie
orecchie a Dugin, durante una conferenza da lui tenuta a Lugano nel giugno
2019.
Le
«civilizzazioni» non sono quindi unità etniche, nel mondo multipolare, ma
costrutti nei quali più popoli sono subordinati a un soggetto più forte, che
detta le regole della rispettiva «civilizzazione:»
La Russia nello spazio post-sovietico e in Europa, la
Cina nel Sud-Est asiatico, e così via.
I motori del mondo multipolare, nella visione del
mondo russa, sono tutti coloro che sul piano economico, politico e militare,
ideologico e culturale, si oppongono agli Stati uniti: Cina, Iran, America
latina e altri, elenca Dugin.
La
Russia è pronta a sostenere queste forze.
La
fondazione del canale televisivo Russia Today in lingua spagnola, nota
curiosamente Dugin nella sua conferenza sul mondo multipolare, è avvenuta
proprio per sostenere i Paesi latinoamericani nello sviluppo della loro
civilizzazione in «senso indipendente» contro gli Stati uniti.
Con
chi e perché Putin non vuole la guerra?
Questa
posizione di Dugin si riflette nell’affermazione di Putin al Valdaj, quando
afferma:
«La
Russia è pronta a cooperare con i Paesi che sono sovrani nelle loro decisioni
fondamentali.
I
Paesi che vogliono avere buone relazioni con la Russia devono mostrare che
difendono i loro interessi.»
La
frase è inequivocabile:
la Russia è aperta verso tutti quegli Stati
che si sottraggono alla cooperazione internazionale con gli Stati uniti e l’Occidente.
Al
posto dell’Unione europea e delle altre istituzioni di stampo occidentale
arrivano l’Unione eurasiatica e il noto e temuto progetto dell’Europa «da
Lisbona a Vladivostok.»
Comandamento
supremo del nuovo ordine mondiale è il mantenimento delle «civilizzazioni,»
costi quel che costi, sotto la guida del più forte.
Se
georgiani, ucraini e altri non si sentono parte della civilizzazione
eurasiatica, devono essere tenuti sotto il suo tetto con la forza.
Agli uiguri e alle altre minoranze della Cina
deve essere negato il diritto all’autodeterminazione, perché in questo caso,
come osserva Putin in modo esplicito – l’abbiamo detto poco sopra – il rispetto
dei diritti umani metterebbe in pericolo lo Stato.
In
questa visione del mondo, entità come gli Stati del Centro Europa, del Caucaso
e dell’Asia centrale non hanno alcuna personalità propria.
Possono
esistere solo in quanto zone di influenza subordinate alla potenza che domina
la rispettiva «civilizzazione.»
Putin
esprime questo principio quando dichiara, nel suo discorso del Valdaj:
«La
sovranità dell’Ucraina può essere garantita solo dalla Russia, perché l’Ucraina
è stata creata dalla Russia.»
Dal
punto di vista storico e giuridico questa affermazione è una sciocchezza, ma
rientra alla perfezione nella dottrina russa del mondo multipolare.
Il
mondo di Putin come «unica opportunità» per noi.
Questo
principio non vale solo per ucraini, georgiani e popoli confinanti.
Il
mondo multipolare è «l’unica opportunità anche per i Paesi europei – cioè per
noi – di esercitare soggettività politica ed economica,» soggiunge Putin.
In questo momento noi europei non siamo
disponibili, ma, afferma Putin:
«Il
pragmatismo trionferà. Prima o poi l’Occidente e i nuovi centri dell’ordine mondiale
multipolare dovranno parlarsi a pari livello, a proposito del loro futuro
comune, per raggiungere un equilibrio degli interessi. Il dialogo tra la Russia
e l’Occidente autentico e tradizionale sarà il più importante contributo
all’ordine mondiale multipolare.»
L‘«Occidente
autentico e tradizionale» è quello i cui valori corrispondono ai postulati dei
partiti filorussi e populisti, sia di destra sia di sinistra.
Il
messaggio è chiaro: la Russia, in combutta con le forze filorusse europee,
plasmerà il nostro continente a sua immagine e somiglianza.
Torniamo
brevemente a Dugin, che dice:
«Dobbiamo
concentrarci sulla fondazione della civilizzazione come attore, come soggetto
delle strutture del mondo multipolare. Questo è l’elemento più importante.»
L’equilibrio degli interessi tra le
civilizzazioni significa, perciò, verso l’interno, che la potenza dominante di
ciascuna civilizzazione consolida il suo potere, con qualunque mezzo.
Afferma Putin:
«Un
cambiamento epocale è un processo doloroso, ma naturale e inevitabile.»
Guerra
e violenza sono messe in conto e vanno sofferte, come passi di una spinta
naturale e insopprimibile.
La
guerra in Ucraina è espressione ed esempio di questo processo di riequilibrio.
Si
noti quanto spesso Putin usa il termine inevitabile: su uno sfondo storicistico
e con un’ebbrezza quasi religiosa, Putin vede l’umanità come una comunità
legata da un unico destino.
Verso
l’esterno, il concetto di equilibrio degli interessi tra le civilizzazioni
assomiglia a ciò che nella dottrina delle relazioni internazionali si definisce
equilibrio di potenza (Balance of power).
Il
mantenimento dell’equilibro di potenza prevale, nei realisti, sul rispetto di
regole e valori.
Così è
anche nel nuovo ordine mondiale di Putin.
PERCHÉ
PUTIN VUOLE LA GUERRA: LE VERITÀ SCOMODE PER NOI.
Sono
verità che possono diventare rapidamente un cappio al collo per noi, se
continuiamo ad accettare la realtà senza reagire.
L’idea
di mondo di Putin contiene molte distorsioni della Storia e della realtà.
A
fianco di queste, però, emergono fatti che dimentichiamo troppo spesso.
Sono
verità che possono diventare rapidamente un cappio al collo per noi, se
continuiamo ad accettare la realtà senza reagire.
L’Occidente
– il mondo della società aperta, dell’economia di mercato e dei diritti umani –
è davvero una minoranza, rispetto al resto del pianeta.
Il “Consiglio
per i diritti umani” delle Nazioni unite è composto a maggioranza schiacciante
da Paesi che non rispettano i diritti umani.
Un’economia di mercato, non senza macchie ma
funzionante, esiste di fatto solo in Occidente, poiché ad altre latitudini
l’economia è diretta o dal crimine organizzato, per mezzo di corruzione e
violenza, o da oligarchi o dallo Stato, o da tutte queste cose messe insieme.
Una
società non priva di difetti ma pur sempre aperta, nella quale i cittadini
possono esprimere i loro talenti, possono contare su una giustizia generalmente
indipendente e possono influire sulla legislazione attraverso una
rappresentanza parlamentare votata liberamente – tutto ciò l’abbiamo, nella
misura massima oggi possibile, solo noi in Occidente.
Il nostro modello di sviluppo presenta molte
lacune, ma tutti gli altri sono peggiori.
In
quanto minoranza del mondo, possiamo conservare il nostro modello di società
solo se manteniamo nel tempo il nostro primato intellettuale.
La
ricerca e lo sviluppo nelle scienze, tecniche e umane, sono la base del nostro
benessere e delle nostre libertà.
Finché
sediamo in prima fila per capacità intellettuali, abbiamo l’opportunità di
trasmettere alle prossime generazioni i valori fondamentali della nostra
società, anche se siamo minoranza.
Putin
vuole la guerra perché il primato dell’Occidente è in bilico.
Vladimir
Putin ritiene che il modello neoliberale di sviluppo dell’Occidente sia entrato
in una crisi dottrinale.
Putin
ha ragione.
Nel
progresso tecnologico manteniamo il primato, ma nelle scienze umane siamo oggi
più deboli che mai.
Le scienze umane sono il presupposto della
capacità di giudizio nelle questioni fondamentali di valore, dove è necessario
saper distinguere il vero dal falso – poiché è possibile, distinguere il vero
dal falso.
Un’ordinata
scienza della politica, come fondamento dello sviluppo della nostra società
sulla base sicura dei valori fondamentali, presuppone un sano e diffuso sapere
umanistico.
La guerra in Ucraina ha denudato senza pudore
la debolezza intellettuale dell’Occidente.
Politici
dei parlamenti d’Europa che sostengono le sanguinose azioni del regime russo;
ministri
e capi di governo che discettano senza risultati per settimane, anzi mesi,
sulle forniture di armi;
docenti
che diffondono letture falsificate della Storia;
televisioni
e giornali di largo ascolto, talvolta persino obbligati al servizio pubblico,
che offrono palcoscenici e milioni di ascoltatori a leader d’opinione nei quali
non si riconosce la minima competenza.
I
perché di Putin sulla guerra e la debolezza culturale dell'Occidente.
Il dibattito
pubblico sulla guerra in Ucraina ha messo in luce quanto in fretta possiamo
diventare davvero la minoranza ammutolita che Putin e i suoi scherani deridono
in noi.
Rinunciando
al nostro primato nelle scienze umane, perdiamo la capacità di prendere
posizioni chiare.
Indecisi
tra vero e falso, per mancanza di capacità di giudizio, abbiamo elevato
l’indifferenza a equità e ne facciamo dibattiti che sconfinano nell’eternamente
insignificante.
Così
noi, gli autoproclamati protagonisti del gran teatro del mondo, diventiamo
burattini di legno su un palcoscenico di provincia, nelle mani di burattinai
spaventosi.
La
«nuova frontiera» di Putin: verso il futuro oppure…
Il
mondo unipolare – dunque il mondo dei valori occidentali, dei nostri valori –
apparterrà presto al passato, ammonisce Putin.
Anche
su questo ci avrà preso, se noi non interveniamo rapidamente contro
l’inaridimento della nostra capacità di pensiero.
Il
mondo, osserva Putin con ragione, è sulla soglia di una nuova frontiera. Noi,
da parte nostra, dovremmo fare in modo che questa frontiera, come disse Kennedy
nel 1960, si apra verso il futuro; nell’idea di mondo di Putin, la nuova
frontiera è un passo indietro verso il passato. Dove vogliamo andare?
Perché
la guerra di Putin.
PERCHÉ
PUTIN VUOLE LA GUERRA CONTRO «L’UNIVERSALISMO».
Infine,
lo spunto forse più importante del discorso di Putin.
Il
presidente russo lo riprende ancora una volta alla lettera dalla dottrina di
Dugin. I valori occidentali – democrazia, diritti umani, diritto internazionale
– hanno pretesa di universalità, ossia pretendono di valere per tutta
l’umanità.
Pertanto,
secondo Putin, sono uno strumento di prevaricazione da parte dell’Occidente sul
resto del mondo.
La
validità universale dei diritti umani non è una pretesa coloniale
dell’Occidente: è un pilastro della civiltà umana – non solo di quella
occidentale.
I
diritti umani sono universali perché:
«Il
riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e
dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della
libertà, della giustizia e della pace nel mondo.»
Così
stabilisce il preambolo della “Dichiarazione universale dei diritti umani”,
promulgata nel 1948 dalle Nazioni unite e firmata anche dalla Russia (allora
come Unione sovietica).
I diritti oggettivi sono stabiliti dalla
legge; i diritti soggettivi nascono dai rapporti giuridici; i diritti umani sono fondati
esclusivamente sul fatto che nasciamo persone umane.
Per
questo motivo, ogni persona umana, non importa dove, gode degli stessi diritti
umani.
Se si
distingue – e in base a cosa, poi? – una persona A, che ha diritto alle libertà
fondamentali, da una persona B, alla quale queste libertà vengono negate, il
concetto di «diritto umano» perde il suo fondamento.
Il
principio dell’universalità dei diritti umani ha una storia antica.
Compare
in modo esplicito nella Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino del
1789, all’articolo 1:
«Gli
uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti.»
Il
germe dei diritti umani emerge ancor più anticamente, nelle prime concessioni
della monarchia inglese, dalla “Magna Charta” al “Bill of Rights”, in uno
spazio di tempo tra il tredicesimo e il diciassettesimo secolo.
Negando
l’universalità dei diritti umani, la Russia mette in discussione un fondamento giuridico
e storico per il quale l’umanità ha lottato a lungo e duramente.
Se
passa la visione russa, la civilizzazione umana torna indietro di secoli.
Putin
vuole la guerra contro l’universalità dei diritti umani
La
negazione dell’universalità dei diritti umani è forse l’elemento più importante
della dottrina delle relazioni internazionali nella Russia post-sovietica.
Se i diritti umani valgono senza distinzione
per tutti gli Uomini, l’intero costrutto della teoria politica di Aleksandr
Dugin crolla.
Con
esso cade la politica estera russa degli ultimi 20 anni, orchestrata da
Vladimir Putin.
Il
motivo dichiarato per il quale la dottrina russa rifiuta la validità dei
diritti umani per tutti è che il mondo multipolare deve tenere conto della
diversità delle culture.
In
realtà, la Russia e gli altri Stati illiberali voglio tenere aperti degli spazi
in cui i governi dittatoriali possano esercitare il loro potere indisturbati,
circondati solo da alleati consenzienti, incapaci di autodeterminazione.
L’Occidente
non è privo di colpe: l’Europa e gli Stati uniti, nella loro lunga storia, hanno
accumulato molti debiti.
Si
possono trovare numerose circostanze nelle quali il modello occidentale è stato
davvero imposto con prevaricazione coloniale.
È
anche vero ciò che afferma Dugin, quando osserva che lo Stato nazionale non è
più adeguato al mondo di oggi e che vi sono popoli che hanno difficoltà ad
applicare i principi della democrazia.
Ciò
premesso, ridurre i diritti umani e il diritto internazionale a uno strumento
di dominio occidentale non è la soluzione del problema.
Il
modello di sviluppo occidentale si impone perché è un modello di successo.
Putin
pensa, l’ho già citato, che la maggioranza dell’umanità respinga il nostro
modello di società.
Certo,
esiste un diffuso antioccidentalismo, nel mondo, in parte motivato, in parte
dovuto a ignoranza e presunzione.
Tuttavia,
le donne iraniane che dimostrano contro l’obbligo del velo; i migranti africani
che sbarcano ogni giorno sulle coste meridionali dell’Europa; gli oligarchi
russi e gli arrampicatori sociali asiatici che vogliono studiare e fare
business in Occidente sono attratti tutti dal nostro modello di sviluppo,
perché gli Uomini aspirano al progresso e alla libera realizzazione della loro
personalità.
La
costante mobilitazione in nome degli interessi dello Stato, di una religione o
di una «civilizzazione» non è una ragione di vita.
Perché
Putin vuole la guerra: una filosofia radicata a fondo.
Indipendentemente
da come finirà la guerra in Ucraina e da quanto tempo Putin resterà avvinghiato
al potere, dovremo confrontarci ancora a lungo con la visione del mondo della
Russia post-sovietica, poiché ha ingranato a fondo nelle teste dei decisori
politici e dell’opinione pubblica, in Russia e in parte anche in Occidente.
Perché
la guerra di Putin in Ucraina.
La
Russia non abbandonerà questa politica, se noi non ce ne difenderemo con
vigore.
Dopo
gli insuccessi militari di Kyiv e Kharkiv, i russi hanno ritirato le loro
truppe anche da Kherson.
E‘ una
ritirata militare, ma non un arretramento ideologico.
È bene
sottolineare un principio che molti politici occidentali sembrano non aver
ancora recepito del tutto:
la
realizzazione della visione del mondo russa presuppone l’eliminazione
dell’Occidente come luogo d’origine della società aperta, poiché la dottrina
russa nega la validità universale dei diritti umani, che sono la base del
modello di sviluppo occidentale.
Per
raggiungere questo scopo, la Russia ritiene giustificato qualunque mezzo:
guerra militare, ingerenza nei processi democratici, ricatto energetico.
La
guerra in Ucraina mostra quanto in fretta, in tutto ciò, vengano superati i
freni inibitori della morale, perché, ricordiamolo:
«La teoria multipolare è molto […] dura e
aggressiva […]. Il mondo multipolare sarà possibile solo dopo che il mondo unipolare
sarà stato liquidato in modo definitivo e irreversibile» – per citare ancora
una volta la conferenza di Dugin.
Perché
Putin vuole la guerra: Ucraina e discorso del Valdaj.
«Il
pragmatismo trionferà. Prima o poi l’Occidente e i nuovi centri dell’ordine
mondiale multipolare dovranno parlarsi a pari livello, a proposito del loro
futuro comune.»
Per
concludere, un cenno allo sviluppo della guerra in Ucraina alla luce del
discorso di Putin al Valdaj.
Nel
suo intervento, il presidente russo ha dichiarato le sue intenzioni con
un’argomentazione passeggera ma pesantissima, che ho già citato poco sopra:
«Il pragmatismo trionferà. Prima o poi
l’Occidente e i nuovi centri dell’ordine mondiale multipolare dovranno parlarsi
a pari livello, a proposito del loro futuro comune.»
Applicato
alla quotidianità concreta della guerra, ciò significa:
Putin
porta all’esasperazione gli ucraini e l’Occidente con attacchi missilistici,
terrorismo e tortura, nella convinzione che l’Ucraina e l’Occidente prima o poi
cederanno, vorranno negoziare e accetteranno la visione del mondo russa per
pragmatismo.
I
cosiddetti «pacifinti» occidentali – i partiti populisti, i leader d’opinione
filorussi, la Chiesa cattolica – che si ergono contro il sostegno e le
forniture di armi all’Ucraina, condividono la stessa convinzione di Putin.
Il
discorso del presidente russo al Valdaj ha portato brillantemente alla luce
come la guerra d’Ucraina sia solo una parte di un’aggressione che è rivolta a
noi occidentali come difensori della modernità.
Se
vogliamo portare in salvo i valori del nostro modello di società oltre la
«nuova frontiera,» dovremmo confrontarci seriamente con la visione del mondo
russa, perché è nociva per noi.
Purtroppo
non lo stiamo facendo. Cinguettiamo sui rami dell’albero, mentre la Russia colpisce
energicamente con l’ascia il tronco della società aperta.
Sulla
guerra in Ucraina circola un detto che gli ucraini hanno elevato a motto della
loro lotta resistenza:
«Se la Russia smette di combattere, non ci
sarà più guerra; se l’Ucraina smette di combattere, non ci sarà più l’Ucraina.»
È una
verità parziale.
La verità completa è che se l’Ucraina e noi
stessi smettiamo di combattere, non ci sarà più né l’Ucraina, né il modello di
sviluppo della modernità.
Il giornalista
Max Blumenthal analizza
la
massiccia influenza di Israele
sulla
politica estera degli Stati Uniti.
Lifesitenews.com
– Max Blumenthal – (14 ottobre 2023) - Frank Wright - ci dice:
Il
giornalista Max Blumenthal avverte che il conflitto in Israele "si sta
trasformando in una guerra calda molto più velocemente della situazione
Russia-Ucraina".
(LifeSiteNews
) – In un
video caricato il 12 ottobre , il giornalista indipendente Max Blumenthal cerca
di informare il suo pubblico sul perché e come il mondo viene portato sull’orlo
di una guerra globale – con il pericoloso potenziale di diventare
nucleare.
“Siamo
trascinati contemporaneamente in tre conflitti potenzialmente catastrofici dal
punto di vista nucleare: con l’Iran, la Russia e la Cina”.
Mentre
Israele minaccia di lanciare un’offensiva di terra a Gaza e le navi da guerra
statunitensi e britanniche si spostano nella regione, Blumenthal sostiene che
le azioni dell’amministrazione Biden stanno deliberatamente infiammando la
situazione verso l’obiettivo a lungo termine della guerra con l’Iran.
Verso
una guerra regionale.
Sebbene
l'aiuto umanitario sia benvenuto, Blumenthal afferma:
“Non è
quello che l'amministrazione Biden sta cercando di fare qui: hanno inviato due
portaerei nella regione. Stanno alzando la temperatura e ci stanno portando su
una traiettoria verso una guerra regionale”.
Inoltre,
afferma che questa guerra è stata un obiettivo politico dell’attuale primo
ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
È,
continua, “…il
tipo di guerra con l’Iran in cui Benjamin Netanyahu ha cercato di coinvolgere
gli Stati Uniti da quando è tornato nell’ufficio di primo ministro”.
Perché
la guerra è arrivata in Israele.
Blumenthal
ha ben chiare le ragioni della guerra in Israele.
"...in
questa situazione la questione è in realtà legata ai luoghi santi di
Gerusalemme, ma anche alla questione dell'occupazione e dell'assedio sotto cui
i palestinesi hanno vissuto ininterrottamente quasi dal 1948", spiega il giornalista.
Dopo
un lungo esame della tormentata storia dello Stato di Israele, Blumenthal
ricorda al suo pubblico perché l’”attacco di Hamas” che ha portato alla
dichiarazione di guerra è stato chiamato “alluvione di Aqsa”.
Dice
che l'”operazione di Hama”s è stata il risultato di una provocazione
deliberata.
“[Si]
è trattato innanzitutto di respingere le incursioni nazionaliste religiose
ebraiche nel complesso di al-Aqsa a Gerusalemme – il terzo luogo più sacro
dell’Islam”.
È un
luogo che non è ancora visto come un luogo normalmente adatto alla preghiera
ebraica.
"...
secondo la legge ebraica ortodossa gli ebrei non sono in realtà autorizzati a
pregare lì se non in circostanze speciali", aggiunge.
Blumenthal
spiega che le incursioni non vengono compiute da comuni ebrei religiosi, ma da
una fazione particolare con un programma specifico.
"Si
tratta di una setta all'interno della società israeliana che non solo è
determinata a invadere quel complesso, ma a sostituirlo con un terzo tempio
ebraico per annunciare la venuta del messia ebraico", continua. “Questo è
visto come un affronto all’intero mondo islamico”.
Insicurezza
nazionale.
In
passato il sito era strettamente sorvegliato, ma con la presenza nel governo
israeliano del partito di “coloni-sionista” “Potere Ebraico” di “Itamar
Ben-Gvir”, le incursioni sono diventate frequenti.
Ben-Gvir, che è il “ministro della Sicurezza nazionale di
Israele”,
ne ha guidati personalmente molti, suscitando indignazione internazionale nel
mondo islamico. Recentemente è stato messo in guardia dal farlo di nuovo dal capo dello “Shin
Bet, il servizio di sicurezza israeliano.
Blumenthal
afferma che in questo momento critico ci sono opportunità politiche per
entrambe le parti.
“Hamas
si sta posizionando come protettore dell’Islam chiamando la sua operazione
al-Aqsa.
Nessun
altro sta proteggendo quel complesso, nessun altro è in grado di farlo, quindi
questa è una commedia politica per loro”.
Interesse
nazionale di chi?
Descrivendo
gli avvenimenti attorno a un luogo così delicato, la cui violazione potrebbe
mobilitare l'intero mondo islamico, definisce la situazione incendiaria.
Secondo lui, si tratta di una guerra che “si sta trasformando in una guerra
calda molto più velocemente della situazione Russia-Ucraina”.
Perché
è così?
Blumenthal
spiega il motivo per cui gli Stati Uniti si stanno muovendo rapidamente verso
una guerra con l’Iran quando “non è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti”
farlo.
“C'è
un “X Factor” – che non c'è in Russia-Ucraina – che è particolarmente
pericoloso in questa situazione”, spiega.
«Tutti
lo riconoscono ma è vietato parlarne.
Verrai
chiamato antisemita, o io verrò chiamato ebreo che odia sé stesso, ma negli
Stati Uniti hai una “lobby israeliana” molto potente”.
Al
contrario, dice, “…non esiste una vera lobby ucraina”.
Continua
spiegando il sorprendente grado di influenza israeliana ai più alti livelli
della politica statunitense, e perché le rimostranze storiche sostenute da
alcuni alti funzionari statunitensi dovrebbero precludere loro l’incarico.
Influenzare
il presidente degli Stati Uniti.
“Esiste
una lobby israeliana che in molti modi può influenzare il Congresso e
influenzare il presidente – sia esso democratico o repubblicano – ad agire
esclusivamente nell’interesse di Israele senza considerare l’interesse
nazionale degli Stati Uniti”, sostiene “Blumenthal”, aggiungendo che “ Non
importa quanto ami Israele – gli Stati Uniti hanno interessi nazionali diversi
[rispetto a Israele] – e non è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti
attaccare l’Iran”.
Ciononostante,
dice Blumenthal, “abbiamo visto Donald Trump cadere sotto l’influenza della lobby
israeliana”.
Blumenthal
descrive come una battuta di Donald Trump sui proprietari terrieri davanti a un
pubblico ebraico lo abbia portato a impegnarsi a uccidere un generale iraniano
e a sostenere Netanyahu.
“[Trump]
ha detto: sono un proprietario – molti di voi lo sono – e ci piace fare affari.
Siamo affaristi. Perché non possiamo fare un accordo tra Israele e i
palestinesi?”
Blumenthal
dice: “Ero
tipo 'questo è quello che ha detto Trump? È molto sensato."
È
stato definito antisemita per aver detto questo. È stato accusato di
stereotipare gli ebrei come proprietari terrieri”.
E se “Jared
Kushner” fosse ebreo -palestinese?
Blumenthal
afferma che ciò ha visto l'ingresso di” Sheldon Adelson” nella campagna di
Trump.
"Uno
degli uomini più ricchi d'America - il proprietario del Las Vegas Sands Casino
- che ha una relazione con il genero di Trump [Jared Kushner]."
Adelson
ha finanziato sia la campagna iniziale di Trump che quella della sua rielezione
in cambio di un accordo a favore delle politiche israeliane.
“Adelson
dice che tutto quello che devi fare è fare una campagna di massima pressione
sull’Iran.
Inizia
a lavorare con Netanyahu. Si conclude con l’uccisione di “Qassam Soleimani”, la
seconda figura militare più potente in Iran… che di fatto porta al ferimento delle
truppe americane”, sostiene Blumenthal.
Parlando
dell'attacco missilistico di ritorsione dell'Iran, dice: “[Loro] furono trasportati alla base
aerea di Ramin quando il missile balistico iraniano colpì. Hanno subito
centinaia di ferite traumatiche alla testa”.
Blumenthal
insiste sul fatto che non solo Trump è stato “manipolato”, ma che si è trattato
di un’estensione degli stretti legami di “Kushner” con Israele.
“Tutto
ciò è dovuto al fatto che Trump è stato manipolato per trascinarlo in un
conflitto per ragioni di politica interna e perché suo genero ha un
appassionato attaccamento a Israele”, sostiene.
Quanto
sono profondi i legami della famiglia Kushner con Israele?
Blumenthal osserva che quando l'attuale primo
ministro israeliano Netanyahu era all'opposizione, alloggiava a casa del padre
di Kushner.
"...
e Jared dovrebbe effettivamente alzarsi dal letto e restare nella stanza dei
suoi genitori e Netanyahu dormirebbe letteralmente nel suo letto."
Blumenthal
dice di Trump: “Immagina se suo genero fosse stato ebreo palestinese?”
Consenso
bipartisan.
Blumenthal
sottolinea che i Clinton e Barack Obama hanno uno “Sheldon Adelson” nel loro
campo.
Il suo nome è “Haim Saban”.
Blumenthal
afferma che “[Saban] è il più grande donatore individuale di Bill Clinton,
Hillary Clinton e Barack Obama” e che è aperto a essere “un individuo con una
sola questione”, essendo quella questione Israele.
Blumenthal
afferma che Saban “ha fatto nominare sua moglie Cheryl ambasciatrice speciale
delle Nazioni Unite da Obama perché gli aveva dato così tanti soldi”.
Cosa
ha chiesto in cambio Saban?
“…
tutto ciò che voleva che Obama facesse era ignorare gli appelli palestinesi [a]
porre fine all’occupazione, e fare tutto ciò che Israele voleva”, sostiene
Blumenthal.
Connessioni
di “stato profondo”, Deep State.
L'esplosiva
analisi di Blumenthal dell'influenza israeliana sul governo americano non si
ferma qui.
Cita
profondi legami statali tra il capo diplomatico degli Stati Uniti e l’agenzia
di intelligence israeliana, il Mossad.
“Tony
Blinken – il Segretario di Stato americano – è in Israele in questo momento per
partecipare alle riunioni del gabinetto di guerra”, dice Blumenthal,
sottolineando che Blinken “è un membro della lobby israeliana – ma dovrebbe
essere il nostro capo diplomatico.
In
questo caso non mette l'America al primo posto. Non ne è capace."
Sottolineando
le nebulose intenzioni del Segretario di Stato americano, Blumenthal prosegue
spiegando gli sorprendenti legami familiari del diplomatico più anziano degli
Stati Uniti.
“Non è
chiaro cosa stia mettendo al primo posto, ma suo nonno in realtà ha avviato un
think tank negli anni ’30 per fare pressione a favore del movimento sionista in
Palestina”.
In
seguito, rivela che il "suocero di
Blinken - che lo ha cresciuto dall'età di nove anni - [era] Samuel Pisar".
Descritto
da Blumenthal come “una figura importante nel mondo ebraico francese”, Pisar
era “molto filo-israeliano ed era una specie di consigliere di [l’ex presidente
francese] Francois Mitterand, ma era anche il consigliere di Robert Maxwell”.
L'ex
barone della stampa britannico “Robert Maxwell” è scomparso in circostanze
inspiegabili.
La
figlia di Maxwell, Ghislaine, era una stretta collaboratrice di Jeffrey Epstein.
Inoltre,
Blumenthal nota che lo stesso “Robert Maxwell” era un “agente del Mossad che
aveva una profonda sepoltura di stato in Israele”.
Qual è
il collegamento con Blinken?
“Samuel Pisar è l'uomo che ha allevato
Tony Blinken e l'ultima telefonata che Robert Maxwell ha fatto prima di cadere
misteriosamente dal suo yacht è stata a Samuel Pisar”, continua Blumenthal.
Blumenthal
si chiede se questa eredità costituisca un capo diplomatico adatto.
“Quindi Tony Blinken dovrebbe
presiedere alla risoluzione di questo conflitto con tutti questi attaccamenti appassionati
e legami familiari?
Ha detto che ha ereditato il suo impegno per
la forza di Israele e penso che quello che vogliamo in un diplomatico è
qualcuno che guardi – bilanci – tutte le parti e cerchi di arrivare a una
soluzione pacifica”.
Invece,
Blumenthal dice: “…ma quello che hai qui è qualcuno che sembra prendere tutto sul
personale”.
Questi
legami personali e le lamentele ereditate, sostiene Blumenthal, mettono in
dubbio l’idoneità di Blinken a qualsiasi ruolo anche nei negoziati con la
Russia.
"[I
Blinken] hanno anche detto 'Ho una famiglia ucraina, ecco perché sostengo
l'Ucraina.'"
“Questo
è l’opposto della diplomazia. È così pericoloso in questo momento. Abbiamo
tutti gli ingredienti per la Terza Guerra Mondiale perché non pensiamo
razionalmente, non guardiamo alla storia e ci rifiutiamo di considerare i
bisogni di entrambe le parti”, afferma Blumenthal.
La sua
schietta valutazione della direzione della politica estera statunitense e della
sua terribile diplomazia si conclude con un avvertimento.
“Stiamo
sentendo queste denunce folli:
'Hamas
è l'Isis.' "Hamas è Al-Qaeda." 'Questo è un altro 11 settembre'”,
dice Blumenthal.
“Ebbene,
dove ci ha portato l’11 settembre? Ci ha portato in Iraq, in Afghanistan – e
non ne siamo mai sfuggiti”.
L’Italia
non vuole la guerra:
“Basta
con l’invio di armi”
Lastampa.it
- ALESSANDRA GHISLERI – (28 Gennaio 2023) – ci dice:
Sondaggio
Euromedia: la maggioranza contro nuovi aiuti militari e intervento Nato.
Il
Festival di Sanremo è sempre stato, per gli italiani, lo spettacolo
nazional-popolare per eccellenza.
È
bastato l’annuncio del possibile – per non dire certo – intervento del
Presidente ucraino Zelensky, per mettere in secondo piano gli altri filoni informativi
della guerra. Il dibattito di questi giorni si è riunito sulle diverse
possibilità di questo importante evento mediatico – e politico – tornando a
scatenare le rispettive fazioni legate al conflitto che per qualche mese si
erano eclissate, complici le proteste dei benzinai e il ritorno del dibattito
nel campo di esistenza delle intercettazioni.
Pacifisti
anni 90, filo-putiniani, intellettuali “reazionari”, atlantisti, governisti,
polemisti... Sono in molti a dibattere sul tema proprio perché la kermesse ha
sempre avuto un’audience veramente importante.
In sostanza, come esprimono i sondaggi realizzati per
“Porta a Porta”, gli italiani in maggioranza sentono il conflitto russo-ucraino
lontano (78,2%) con una percentuale superiore a quella di metà dicembre.
Nei
cluster analizzati solo i giovani tra i 18 e i 25 anni si differenziano nelle
risposte:
il
15,8% sente vicine le ostilità della guerra rispetto all’8,2% del dato
nazionale, mentre il 51,2% le sente prossime e ben il 33% non ha saputo offrire
una valutazione.
Nei
dati si conferma quella tendenza che perdura dai primi mesi delle ostilità in
cui gli italiani continuano a mostrarsi in maggioranza contrari all’invio delle
armi all’Ucraina (52%).
Questo
trend non ha mai presentato una singola inversione.
Si può
dire che solo gli elettori di Pd, FI e Azione con Italia Viva si dichiarano
maggiormente favorevoli.
Così
se il 33,9% degli intervistati ritiene doveroso il sostegno all’Ucraina con
l’invio dei Panzer – Leopard tedeschi, ben il 58% non legge positivamente
questa scelta principalmente perché teme l’inasprirsi della guerra con la
possibilità che la Nato sia costretta ad entrare come parte attiva nel
conflitto.
Naturalmente,
su questa possibilità il 68,5% del campione si dichiara contrario e il giudizio
appare trasversale dal punto di vista dell’elettorato politico.
Questo
pensiero stimola le paure più profonde degli italiani che, pur comprendendo
l’aiuto necessario e dovuto nei confronti di un Paese che è stato violato nei
suoi confini e nei suoi principi, leggono tutto ciò come un’importante crisi
per la sicurezza europea.
Ed è
proprio lo stesso termine dei carrarmati “panzer” che evoca i terribili scenari
legati alla seconda guerra mondiale in territorio europeo.
Il
possibile sfondamento della guerra da fatto locale a fatto europeo spinge il
38,2% dei cittadini ad augurarsi un negoziato di cessate il fuoco con i russi
“alle spalle” degli ucraini per imporlo agli aggrediti.
Il
25,6% è convinto che riducendo il sostegno militare a Kiev si potrebbe riuscire
a convincere Zelensky dell’impossibilità di vincere e quindi giungere ad una
sorta di negoziato.
Infine,
l’8,4% auspica un impegno diretto di tutti gli “alleati” per salvare l’Ucraina
andando direttamente al confronto militare con la Russia, anche a rischio di
perdite importanti per il nostro Paese.
In
queste tre opzioni ben il 41,4% degli elettori del Partito Democratico non si
ritrovano.
Tuttavia
i dati cambiano di poco quando la domanda viene posta in termini previsionali
seguendo le indicazioni di un recente articolo di Lucio Caracciolo su questo
giornale.
Uno su
tre degli elettori (il 32,5%) è convinto che prima o poi si riuscirà a
negoziare con i russi imponendo all’Ucraina una soluzione.
Un
cittadino su quattro (il 24,9%), invece sostiene che piano piano si ridurrà il
sostegno militare a Kiev, mentre il 10,2% pensa che alla fine si entrerà in
maniera attiva nel conflitto.
Ancora una volta il 41,4% dell’elettorato del
Pd non sa indicare una sua visione nel merito.
Questa
situazione rischia di incancrenirsi in un conflitto che si protrarrebbe sine
die sulle macerie di un Paese aggredito e che salverebbe le nostre coscienze
nella libertà della nostra quotidianità.
Nell’elenco
delle paure nulla trova assoluzione. L’ingresso dei carri armati tedeschi e
americani, gli interessi Usa e la strategia di Biden, la debolezza europea,
Putin e Zelensky... Tutto questo mina le nostre abitudini mettendo in luce
tutto il nostro egoismo, senza comprendere che anche noi ne facciamo parte.
E allora il dibattito tende a salvaguardare
quello spazio e quel “luogo sacro” del nazional popolare che è il Festival
della canzone, perché non vedendo e non sentendo i drammi di una guerra ci possiamo
sentire un po’ più liberi...
E sì è
così, perché Sanremo è Sanremo!
Ucraina,
un anno di guerra.
Kiev
vuole entrare in Europa,
intanto
l'ha già cambiata.
Huffingtonpost.it
- Nicoletta Pirozzi - Istituto Affari Internazionali –(21-2-2023) – ci dice:
A un
anno di distanza la Ue si presenta diversa.
A partire da un ribilanciamento interno a
favore dei Paesi baltici e dell’Europa orientale, in prima linea nella risposta
europea all’aggressione.
L’aggressione
russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 ha impattato in maniera travolgente
sull’Unione europea, che proprio in quel periodo cercava di riprendersi dalle
conseguenze economiche e sociali della pandemia da Covid-19.
A un anno di distanza, l’Ue si presenta
diversa.
Innanzitutto
è più grande, o quantomeno si appresta ad esserlo in vista dell’adesione di due
nuovi Stati membri – Ucraina e Moldavia – ai quali ha concesso lo status di
candidati a giugno 2022.
Il
percorso di allargamento si prospetta lungo e non privo di ostacoli, a partire
da importanti riforme che dovranno essere attuate dal governo ucraino in
materia economica e di rispetto dello Stato di diritto.
Ma la
strada è aperta per accogliere i due Paesi – e forse anche la Georgia – nella
casa europea, con importanti conseguenze anche sull’altro fronte
dell’allargamento – quello dei Balcani occidentali – e sulle riforme interne
che l’Unione dovrà mettere in atto per poter funzionare anche con 35 o più
Stati membri.
L’Unione
si è anche dimostrata capace di mobilitare le sue risorse per un’azione di
politica estera più tempestiva ed efficace.
Sono 4,8 milioni i rifugiati ucraini che
beneficiano del meccanismo di protezione temporanea dell’Ue.
Inoltre,
ad oggi l’Unione ha mobilitato 3,6 miliardi di euro per il supporto militare
alle forze armate ucraine e un sostegno complessivo all’Ucraina di 50 miliardi
di euro.
L’Unione
è stata compatta anche nell'imposizione di dure sanzioni alla Russia, e questa
settimana si discuterà a Bruxelles un nuovo pacchetto di misure coercitive, il
decimo.
Abbiamo
assistito anche ad un ribilanciamento interno a favore dei Paesi baltici e
dell’Europa orientale, in prima linea nella risposta europea all’aggressione e
che hanno alzato la voce a Bruxelles per affermare la loro visione sul futuro
dell’Unione.
A livello
politico, questo si traduce in un atteggiamento intransigente di contenimento
delle mire espansionistiche russe, ben lontano dall’approccio cooperativo di
merkeliana memoria, mentre la difesa europea resta inevitabilmente vincolata al
ruolo degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica, nonostante le velleità di
autonomia strategica avanzate dal presidente francese Macron e dalla
Commissione ‘geopolitica’ di Von der Leyen.
Il
rafforzamento del fronte nord-orientale va di pari passo con un indebolimento
di quello mediterraneo, soprattutto dovuto al cambio di governo in Italia e
alle conseguenti difficoltà di coordinamento sui dossier europei con Francia e
Spagna.
Infine,
si registra anche una minore solidità del motore franco-tedesco, fiaccato da
difficoltà di politica interna dei due governi e da una mancata sincronia sia
sulle riforme europee che sulla politica estera.
Se
guardiamo all’opinione pubblica, la congiuntura di poli crisi che l’Europa sta
vivendo ha portato ad emergere fragilità e paure, pur in un clima generalmente
favorevole a continuare gli sforzi di sostegno alla causa ucraina.
Dall'Eurobarometro
si evince che il principale timore dei cittadini europei è l’aumento del costo
della vita (93%), seguito da povertà ed esclusione sociale (82%) e dal
cambiamento climatico e dal potenziale allargamento del conflitto ucraino ad
altri Paesi (entrambi all’81%).
Tre
quarti degli europei approvano la politica dell’Unione a sostegno dell’Ucraina
e misure specifiche come le sanzioni, anche se ci sono notevoli differenze a
livello nazionale – per esempio in Italia la percentuale scende al 62%.
In
questa situazione di generale disorientamento, potrebbe crescere la tentazione
dei governi a ricorrere a risposte nazionali, a volte anche a discapito di un maggiore
coordinamento europeo, sulla scia di quanto è già avvenuto in Germania con le
misure di sostegno a famiglie e imprese per contrastare la crisi energetica (il
cosiddetto ‘bazooka’ di 200 miliardi di euro) oppure in Italia rispetto alla
gestione dei migranti salvati dalle navi delle ONG nel Mediterraneo.
Le
conseguenze di questa tendenza sarebbero nefaste per il progetto europeo e per
la sua proiezione internazionale, perché la conseguenza inevitabile sarebbe la
prevalenza di una logica transazionale a Bruxelles che non porterebbe mai oltre
il minimo comun denominatore tra i diversi interessi nazionali e non fornirebbe
all’Unione la visione e la spinta politica necessarie a navigare questi tempi
incerti.
In
ultima analisi, soltanto se sarà capace di costruire un difficile equilibrio
tra la flessibilità necessaria ad accomodare le differenze nazionali e il
consolidamento di politiche comuni basate su regole condivise l’Unione potrà
garantire la tenuta del patto europeo con i suoi cittadini – ma anche con il
governo e il popolo ucraini per la realizzazione della loro aspirazione
democratica europea.
(Nicoletta
Pirozzi è Responsabile delle relazioni istituzionali e del programma "Ue,
politica e istituzioni").
"Zelensky
vuole la terza guerra mondiale".
Lo
strano intergruppo di M5s, Lega e cani sciolti.
Ilfoglio.it - SIMONE CANETTIERI – (16 MAR.
2022) – ci dice:
Undici
ex grillini in un'interrogazione hanno confuso la Corea del Nord con quella del
Sud.
Da
Lanutti a Comencini fino a Petrocelli: sono sempre di più i parlamentari che
sembrano giustificare l'invasione di Putin
“Appare comunque intollerabile l’operazione militare
intrapresa dalla Russia”.
Un
piccolo inciso e poi l’interrogazione può procedere spedita: potrebbe essere
stata scritta da Sergej Lavrov.
Invece
porta la firma di ben undici senatori, tutti ex M5s (Lannutti, Morra,
Giannuzzi, Lezzi, Angrisani, Crucioli, Granato, Moronese, Abate, Mantero,
Botto). In Parlamento sta nascendo una brigata “Sergej”.
Una
specie di intergruppo abitato da “né né” e con varie sfumature.
L’interrogazione in questione, presentata al
governo lo scorso 2 marzo, ripercorre un po’ tutto l’armamentario della
propaganda filorussa:
la Nato matrigna, le zampe degli Usa, i
nazisti ucraini, il parallelo con Cuba nel 1962 e alla fine anche uno
strafalcione geopolitico niente male:
“L’intero
consesso sportivo mondiale partecipò nel 2018 alle olimpiadi di Pyongyang,
proprio nel periodo in cui la Corea del Nord era stata accusata da tutti gli
organismi internazionali di violare i diritti umani e di voler scatenare una
guerra globale”.
Peccato
che i giochi si svolsero Pyeong Chang in Corea del Sud: non proprio la stessa
cosa.
Ma
questi sono dettagli.
Va
chiamato Elio Lanuti, il saggio del gruppo a cui a volte escono fuori teorie un
po’ complottiste nonché amico personale di Beppe Grillo dal 1994, già in Senato
con l’Italia dei Valori nel 2008, embrione del M5s.
“Sto pregando”.
Per cosa in particolare? “Sono angosciato:
Zelensky spinge per la terza guerra mondiale”.
Sarebbe
l’aggredito. “Ma cosa: sta provocando i russi.
Dice
loro: arrendetevi.
Ma
tace sui campi di addestramento della Nato che ospita da anni”.
Lanuti
putiniano. “Io non sono amico di Putin, ma questo non giustifica la possibile
fine del mondo”.
Sarà
contro le sanzioni. “Servono, ma le paghiamo noi”.
Sarà
contro le armi agli ucraini. “Certo, attizzano il fuoco. Ho la stessa posizione di
Lamberto Dini: Usa e Ue sono responsabili insieme alla Russia”.
Il
Senato dà sempre grandi soddisfazioni, perché qui si respira lo spirito del
“marzo 2018”: il primo abbraccio fra M5s e Lega, il sovranismo,
l’antiamericanismo, il filo putinismo, il fascino per la Cina, l’odio per
l’Europa e per l’euro.
Dopo
tre governi e quattro anni certe passioni sono rimaste.
Il grillino Vito Petrocelli (detto Petrov) è
presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama (non proprio un’assemblea
di condominio):
ha
posizioni così nette sulla Russia che per non votare contro il decreto Ucraina
volerà a Washington per incontrare l’omologo Usa dei democratici.
Nei
giorni scorsi si è già espresso contro la risoluzione del governo (Giuseppe
Conte, leader del M5s, parla di disegno strategico di Putin e non di invasione).
“Se mi
chiama per Vito non so dove sia, quanto a me io penso che l’Italia stia
sbagliando a giocare alla guerra, la facessero gli americani”, Emanuele Dessì,
ex grillino ora nel Partito comunista di Marco Rizzo, lo scorso 24 febbraio,
giorno dell’invasione russa, stava a Mosca.
“Sì,
per un’internazionale di tutti i partiti comunisti: i nostri compagni russi
sono all’opposizione di Putin quindi non ditemi che sono amico del Cremlino”.
E
però? “Io non sono filo nulla”.
Crede
al bombardamento degli ospedali?
“Credo
alla propaganda che c’è sempre stata, e al pensiero unico di voi giornalisti”.
Sono
fatti, quelli: video, immagini.
“Le guerre ci sono sempre state, meglio che
non ce ne siano.
E però
sulla verità potremmo parlare per ore. Comunque in tutta Europa nessuno indossa
più la mascherina al chiuso”.
E che
c’entra? “E’ libertà, anche questa”.
Nella
Lega, dove l’argomento è ancora più scoppiettante per via di Matteo Salvini, si
cerca di parlare d’altro.
E così
Borghi & Bagnai si buttano su varianti del virus e green pass, salvo
incursioni sugli effetti di sanzioni e caro benzina, ma poi alla fine su
Twitter non posso esimersi.
“Altrimenti
è censura come il fascismo”.
Vladimir
Putin per esempio è abbastanza condiviso sui social anche da Guido De Martini,
“senatore no euro e no Europa” del Carroccio, forte della convinzione che “non
esiste, in questa vicenda, un torto e una ragione”.
Sono
le “Brigate Sergej” dunque.
Parlamentari
della Repubblica che fra complottismo, voglia di stupire, ricerca di verità
alternative rischiano di passare per la quinta colonna italiana dell’invasore.
Certo, con diverse gradazioni.
Il
deputato grillino Gabriele Lorenzoni, per esempio, non vuole che Zelensky sia
invitato a collegarsi con la Camera altrimenti l’Italia si schiera e sostiene –
“ho letto i comunicati russi” – che l’ospedale di Mariupol sia stato evacuato
prima del bombardamento.
L’altra
grillina Enrica Segneri se la prende “con i pacifisti di guerra”.
Il
leghista Vito Comencini è ormai in viaggio verso il Donbass.
È
l’intergruppo parlamentare, un sentimento che inizia ad aleggiare. Così come lo
spirito del marzo 2018.
(Simone Canettieri)
Scontro
governo-magistratura, Meloni
tiene
il punto ma non vuole una guerra:
mirano a spaventarci per fermare le riforme.
Corriere.it – (9 luglio 2023) - Monica
Guerzoni – ci dice:
Il
tentativo di mediazione del sottosegretario Mantovano.
Meloni
sarebbe pronta a sostenere la ministra Santanchè anche in caso di rinvio a
giudizio
Tutti
a Palazzo Chigi, a cominciare da Giorgia Meloni, avevano messo in conto una
reazione (anche aspra) dei magistrati.
Ma
quando la botta è arrivata, la presidenza del Consiglio ha lasciato trapelare
la «sorpresa» per le sferzate che il presidente dell’Anm “Santa Lucia” ha
indirizzato alla maggioranza.
L’accusa di voler delegittimare un potere
cruciale dello Stato e la richiesta di rispettare le prerogative costituzionali
mettono in evidente difficoltà l’esecutivo.
Adesso
il dilemma per i meloniani è trovare un equilibrio tra la difesa e l’attacco e
dimostrare che la colpa di uno scontro che rischia di riportare l’Italia
indietro di sei lustri non è di Palazzo Chigi, né di via Arenula, ma di quella
«fascia della magistratura» che faziosamente, e su spinta della sinistra,
avrebbe aperto anzitempo la sfida elettorale per le Europee.
Giorgia
Meloni non vuole andare alla guerra contro i giudici, o almeno non voleva. «È
uno scontro che non conviene a nessuno e non siamo stati noi a cercarlo —
ripete in queste ore a dir poco difficili.
Non
siamo noi che abbiamo alzato per primi i toni».
Ma
qualcosa di «molto grave» è accaduto e la reazione del governo è stata
«obbligata».
La convinzione
al vertice di Fratelli d’Italia e dell’esecutivo è che una parte della
magistratura si sia mossa per stoppare la riforma della giustizia targata
“Carlo Nordio” e abbia usato strumentalmente prima il caso della ministra
“Daniela Santanchè” e poi quello del sottosegretario “Andrea Delmastro”.
Ma
«l’assalto è fallito», è il messaggio che arriva dai piani alti del governo,
perché Meloni «non arretra» e le nuove norme andranno avanti.
Accelerare
verso la separazione delle carriere «non è una ripicca, né una vendetta»,
perché la svolta «è nel programma elettorale del centrodestra».
La
linea (dura) non cambia.
Ora
però il timore di ripiombare nella stagione berlusconiana della guerra
permanente tra il potere e le toghe serpeggia anche a Palazzo Chigi.
Lo ha fatto capire il
sottosegretario-magistrato “Alfredo Mantovano”, quando ha detto che «il
problema dell’interferenza di alcune iniziative giudiziarie sull’attività
politica riguarda tutti, centrodestra e centrosinistra, e in 30 anni ha colpito
tutti i governi».
Un
tentativo di mediare, per convincere le parti a superare le contrapposizioni e
non alimentare un incendio che certo non giova alle istituzioni.
I
partiti di opposizione guardano al Quirinale, ma non è detto che al rientro dal
Paraguay il presidente Mattarella vorrà rendere pubblico il suo stato d’animo
sul braccio di ferro tra governo e magistrati.
Giorgia
Meloni si sente sotto attacco e non fa nulla per nascondere la sindrome del
fortino assediato da un «certo potere costituito», che non vuole arrendersi
alla vittoria della destra.
L’indagine su Santanchè per bancarotta e falso
in bilancio e l’imputazione coatta per Delmastro, accusato di rivelazione di
segreto d’ufficio sul caso dell’anarchico “Cospito”, sono vissuti nell’entourage
della premier come un «avviso per spaventarci».
Il
teorema è in sostanza questo:
«C’è un filone politico che vede in alcune
toghe uno strumento per cambiare gli equilibri di potere senza rispettare il
voto degli italiani e il consenso».
E
questo filone politico, a sentire i meloniani, farebbe capo ad alcuni «pezzi
grossi» del Pd:
«Pensano che non possiamo governare perché
saremmo razzisti, fascisti, omofobi e provano a farci cadere usando singoli
magistrati».
La
prima reazione della leader della destra è stata proteggere i suoi.
Delmastro
«non si tocca» e Santanchè può dormire tranquilla, per qualche tempo ancora.
Per
quanto la posizione della ministra imbarazzi anche molti leghisti, azzurri ed
esponenti di FdI, la premier sarebbe tentata di resistere persino a un
eventuale rinvio a giudizio.
Il
modello è il caso della sottosegretaria “Augusta Montaruli”, nominata al
governo nonostante una condanna in secondo grado e costretta a dimettersi solo
dopo la sentenza di Cassazione.
Quanto a “Ignazio La Russa”, tra i colleghi ci
sono due scuole di pensiero.
C’è chi include la vicenda del figlio nel
presunto assalto dei giudici alla destra e chi invece pensa che la seconda
carica dello Stato avrebbe dovuto «mordersi la lingua» prima di difendere il terzogenito”
Leonardo Apache” accusato di violenza sessuale e alimentare dubbi sull’autrice
della denuncia.
Israele
e Gaza nella guerra estesa,
una
conversazione con Gérard Araud.
Legrandcontinent.eu
– Gerard Araud – (9 ottobre 2023) – Gilles Gressani – ci dice:
(Interviste
Israele, Hamas: la guerra del Sukkot)
GÉRARD
ARAUD — Ambasciatore di Francia in Israele e negli Stati Uniti, rappresentante
permanente della Francia all’ONU, il diplomatico Gérard Araud è una delle
persone più adatte a cogliere le complessità sollevate dall’attacco di Hamas
sabato.
Lo
abbiamo intervistato per chiedergli un’analisi a caldo della guerra del Sukkot.
Da
dove parte per tracciare il «gran contesto» della guerra del Sukkot?
Le
emozioni sono forti ed è difficile fare un passo di lato, ma gli attacchi di
ieri si inseriscono in una lunga serie di episodi.
Dimentichiamo
un po’ troppo in fretta che, per oltre un decennio, abbiamo assistito a questo
tipo di esplosione di violenza intorno a Gaza quasi ogni quattro anni.
C’è
stata la guerra di Gaza del 2008 in risposta agli attacchi di Hamas, con
un’offensiva di terra nel 2009;
l’”Operazione
Protective Edge” lanciata nel luglio 2014 in risposta alla presa in ostaggio e
all’omicidio di tre giovani israeliani in Cisgiordania;
gli
scontri tra Gaza e Israele nel novembre 2018, che sono stati più o meno risolti
da un cessate il fuoco concordato con la mediazione egiziana;
una
grande esplosione di violenza nel maggio 2021;
e ora
gli attacchi del 7 ottobre 2023.
Si è
così stabilita una sorta di regolarità della tragedia: un attacco più o meno
efficace da parte di Hamas; una risposta pesante da parte degli israeliani e
poi, dopo un po’, una mediazione, di solito egiziana, per negoziare un cessate
il fuoco fino alla successiva esplosione.
Da
dove viene questa regolarità?
Gaza
è, passatemi l’espressione, una pentola a pressione – per due motivi.
Prima
di tutto bisogna considerare le condizioni umanitarie di Gaza, dove due milioni
di persone vivono in un’area di trecentosessantacinque chilometri quadrati, in
un contesto difficile, senza possibilità di uscire perché sono soggette a un
doppio blocco: israeliano, ovviamente, ma anche – lo dimentichiamo un po’
troppo spesso – egiziano.
Inoltre,
alla guida di Gaza si è imposta Hamas, un’organizzazione che sostiene la lotta
armata e organizza questi attacchi ogni tre, quattro o cinque anni.
Gaza
è, passatemi l’espressione, una pentola a pressione.
(GÉRARD ARAUD).
Non
vede una differenza qualitativa in questa fase?
La
differenza oggi non è tanto nell’operazione in sé, ma nella sua complessità e
nell’innegabile successo tattico.
Questa
è la fonte dell’incredibile shock psicologico inflitto a Israele.
Stiamo
parlando di almeno seicento morti per una popolazione di nove milioni di
abitanti.
Si tratta di un numero cinque o sei volte
superiore all’11 settembre in termini percentuali.
E le
immagini sono estreme: terroristi di Hamas che vanno liberamente a uccidere per
le strade, con un governo colto di sorpresa e apparentemente impotente.
Il
metodo operativo della «Tempesta Al-Aqsa» sembra anche volto a catturare
ostaggi su larga scala — ci sarebbero quasi 200 ostaggi ora a Gaza.
Questo
è davvero un aspetto essenziale.
Se non si è vissuto in Israele, è difficile
capire l’importanza della presa di ostaggi. Per qualsiasi Paese, sarebbe senza
precedenti, ma in Israele c’è una sorta di dogma assoluto al centro del patto
sociale:
bisogna
fare di tutto per preservare la vita di ogni cittadino.
In
passato, gli israeliani hanno liberato centinaia di prigionieri, non solo per
recuperare un soldato, ma a volte anche per recuperare i resti di un soldato.
Il
fatto che ci siano duecento ostaggi israeliani a Gaza è un evento scioccante e
senza precedenti.
Ma
questa presa di ostaggi non solo renderà il trauma israeliano di questa guerra
ancora più difficile – presenterà all’esercito un dilemma: dovrà decidere se
mettere in pericolo la vita di questi ostaggi, che senza dubbio saranno usati
come scudi umani in tutta la Striscia di Gaza.
Se non
si è vissuto in Israele, è difficile capire l’importanza della presa di ostaggi
(GÉRARD
ARAUD)
La guerra
del Sukkot rappresenta quindi un momento di crisi esistenziale per Israele?
Sì,
assolutamente
Passiamo
al livello regionale. Pensa che ci sia il rischio che la guerra si estenda?
Partiamo
da un’osservazione che può sembrare paradossale.
Israele
ha ottimi rapporti con tutti i suoi vicini arabi.
L’unico
epicentro in cui la guerra potrebbe espandersi attualmente sarebbe il Libano di
Hezbollah.
Per il
momento, tuttavia, la sua posizione è più che altro di evasione.
È vero
che Hezbollah ha rilasciato una dichiarazione di sostegno ieri, subito dopo
l’attacco, e questa mattina ha sparato diversi razzi – ma fondamentalmente,
tutto sembra essere fatto per mostrare agli israeliani che Hezbollah non vuole
essere coinvolto.
Prendiamo
l’esempio dei lanci.
Non si
è preso di mira il territorio israeliano, ma un’area contesa di Har Dov, o
Fattorie di Shebaa, al confine settentrionale di Israele.
Per quanto
riguarda la loro dichiarazione, aveva un’atmosfera da «teatro Kabuki». Si
grida, ma non si va oltre.
Non
pensa che la situazione potrebbe cambiare?
Sì,
certo, potrebbe indubbiamente cambiare nei prossimi giorni.
Se i combattimenti continueranno, se Al
Jazeera riporterà ogni mattina pesanti perdite, ci sarà una pressione più
intensa da parte dell’opinione pubblica, e non solo in Libano.
Ma per
il momento non vedo il rischio che la guerra si estenda al resto della regione.
L’unico
epicentro in cui la guerra potrebbe espandersi attualmente sarebbe il Libano di
Hezbollah.
Per il
momento, tuttavia, la sua posizione è più che altro di evasione.
(GÉRARD ARAUD)
Se
cartografiamo il posizionamento dei Paesi arabi e musulmani, notiamo una sorta
di ambiguità strategica, una neutralità attendista.
Cosa
ne pensa?
I
Paesi arabi sono in estremo imbarazzo.
Da un
lato, le loro leadership hanno ovviamente una forte inimicizia nei confronti di
Hamas, che rappresenta una minaccia perché è un partito popolare e islamista.
Dall’altro lato, sono impegnati in un processo di riavvicinamento con Israele.
La
loro opinione pubblica però è in maggioranza filo-palestinese e attualmente sta
esultando per il clamoroso successo dell’Operazione Tempesta Al-Aqsa.
La
maggior parte di questi regimi sono autoritari, ma devono comunque fare i conti
con le tendenze strutturanti della loro opinione pubblica.
Da qui
questo atteggiamento spesso attendista.
L’Arabia
saudita sembra il Paese che incarna più chiaramente questa ambiguità.
Fondamentalmente,
i sauditi non hanno problemi a lavorare con gli israeliani.
In primo luogo, perché come tutte le monarchie
del Golfo, mostrano nei fatti la massima indifferenza nei confronti della causa
palestinese.
In secondo luogo, perché la base delle
relazioni internazionali è che «il nemico del mio nemico è mio amico».
Il nemico comune di Israele e dell’Arabia
Saudita è l’Iran.
È nata
una storia, da almeno un decennio: se non sono sposati, vanno già a letto
insieme…
Fondamentalmente,
i sauditi non hanno problemi a lavorare con gli israeliani.
(GÉRARD ARAUD)
La
questione religiosa non è ancora delicata?
Il nome scelto da Hamas per l’operazione
(Tempesta Al-Aqsa) si riferisce direttamente alla moschea di Gerusalemme – e ci
sono state diverse ondate di indignazione nel mondo arabo e musulmano per la
presenza dell’estrema destra sotto la protezione delle forze israeliane sulla
spianata delle moschee.
Questo
è un aspetto che rende la relazione tra Israele e l’Arabia Saudita più
difficile rispetto a quella con gli Emirati Arabi Uniti.
La monarchia saudita dichiara di voler
dimostrare la sua legittimità in quanto custode dei luoghi santi.
Tuttavia,
il terzo luogo sacro dell’Islam è Gerusalemme, dove attualmente c’è un governo
israeliano di estrema destra, con persino alcuni elementi radicali che chiedono
la ricostruzione del Tempio.
Per
l’Arabia Saudita, questo rappresenta una sfida delicata e potrebbe quindi
chiedere un prezzo elevato per il suo sostegno o riconoscimento.
È in
questo senso che l’Arabia Saudita sembrava impegnata a negoziare un mega deal
con l’amministrazione Biden, che avrebbe dovuto offrire una soluzione a lungo
termine alla questione palestinese in cambio di tecnologie nucleari e forti
garanzie di sicurezza.
Alcuni
ritengono addirittura che l’operazione di Hamas – che sembra aver avuto il
sostegno dell’Iran – sia stata progettata per rendere impossibile questo
accordo.
Condivide
questa opinione?
Da
diversi mesi, l’amministrazione Biden sta lavorando a un piano per estendere
gli “Accordi di Abramo”, il grande successo diplomatico dell’amministrazione
Trump.
Sebbene
coinvolgano già Israele, Marocco, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti, l’obiettivo è
di estenderli al principale Paese del Golfo, l’Arabia Saudita.
Si
tratterebbe di una rottura storica.
È
quindi comprensibile che Hamas e l’Iran abbiano un profondo interesse a far
deragliare questa iniziativa.
E va
da sé che l’attacco di Hamas pone delle difficoltà probabilmente
insormontabili:
se ci saranno molte vittime civili
palestinesi, i sauditi non potranno procedere con il loro riavvicinamento a
Israele.
(GÉRARD ARAUD)
Si
tratta di un altro scacco in Medio Oriente per l’amministrazione Biden?
Ciò
che è piuttosto sorprendente, a mio avviso, è che gli Stati Uniti si siano
posti in una posizione passiva, insistendo sulla negoziazione di un accordo
formale, quando la relazione tra Arabia Saudita e Israele era nei fatti sulla
buona strada.
Come
spiega tutto questo?
Non ho
una risposta chiara.
Quando
non si ha una risposta sulla politica estera, si dice che la causa è la politica
interna.
E in
effetti l’amministrazione Biden sta entrando in una difficile campagna
elettorale in cui deve dimostrare di avere un bilancio migliore di Trump in
Medio Oriente.
Il “mega
deal” sarebbe stato migliore degli “Accordi di Abramo”.
Ci sarebbe
anche un’altra ipotesi.
Il Medio Oriente è meno vitale per gli Stati
Uniti, che sono più che autosufficienti in termini di energia e non ritengono
più – a ragione – che l’esistenza di Israele sia minacciata da attori
internazionali.
Tuttavia,
il Medio Oriente rimane di importanza strategica nel contesto della grande
rivalità che si sta sviluppando tra Stati Uniti e Cina.
Potrebbero
quindi essere preoccupati di vedere una penetrazione cinese nella regione,
grazie alla sua capacità di stabilire relazioni clientelari senza imporre
condizioni morali.
Il
mega deal con i sauditi potrebbe quindi essere visto come una reazione degli
Stati Uniti all’ascesa della Cina.
(GÉRARD ARAUD)
Come
interpreta la situazione dell’Iran?
È
l’unico Paese ad aver sostenuto l’attacco fin dall’inizio, dichiarando persino
di aver contribuito a organizzarlo…
La
Repubblica Islamica dell’Iran si trova in qualche modo nella posizione del
Direttorio della Prima Repubblica in Francia.
La sfida, a partire dal terzo anno della
Rivoluzione, fu quella di mantenere una base ideologica e di giustificare le
proprie azioni su tale base.
All’epoca,
in Francia, alcuni sacerdoti furono sfortunatamente mandati alla ghigliottina,
o addirittura a quella che era conosciuta come la «ghigliottina secca», cioè a
Cayenne.
Era un
modo per dimostrare che le istituzioni, nei loro sforzi di stabilizzazione,
erano ancora fedeli al loro impegno rivoluzionario.
La Repubblica islamica dell’Iran si trova in
una dinamica simile.
Ha
bisogno di una costante giustificazione ideologica, nominando e svergognando il
Grande Satana (gli Stati Uniti) e il Piccolo Satana (Israele).
Detto
questo, è importante sottolineare che i veri nemici dell’Iran non sono né gli
Stati Uniti né Israele:
sono i
Paesi arabi del Golfo.
E sostenere Hamas significa mettere in
imbarazzo le monarchie arabe del Golfo, che guardano dall’alto in basso un
movimento che pretende di essere sia democratico che islamista.
Sanno
bene cosa pensa l’opinione pubblica araba.
E come
abbiamo detto, c’è anche il desiderio di cercare di far deragliare la
formazione di questa sorta di alleanza israelo-araba in funzione anti-iraniana.
In
definitiva, il gioco dell’Iran è sottile.
Gli iraniani, che finanziano Hamas e che
potrebbero essere stati consultati da Hamas per preparare l’attacco, non devono
essere sottovalutati.
Allo
stesso tempo, dobbiamo prendere in considerazione la capacità decisionale di
Hamas, come quella di Hezbollah, che non sono semplicemente strumenti dei
servizi iraniani.
Hanno
un proprio programma.
Per il
momento, l’Iran si accontenta di una retorica veemente, ma sembra che anch’esso
stia evitando di superare una linea che potrebbe rivelarsi pericolosa.
(GÉRARD ARAUD)
A
questo punto, quali sono i rischi che la conflagrazione si estenda e coinvolga
direttamente la Repubblica Islamica dell’Iran nella guerra del Sukkot?
Finché
Hezbollah non interviene significa che l’Iran non vuole spingere le ostilità
troppo in avanti.
Infatti,
se Hezbollah dovesse intervenire, ci sarebbe un grande rischio che Israele
colpisca direttamente l’Iran.
Si stima che in un simile scenario, date le
migliaia di razzi in possesso di Hezbollah, si potrebbe colpire il terzo
settentrionale di Israele, compresa Haifa – come ho potuto vedere durante il
mio periodo come ambasciatore nel 2006, quando Haifa era sotto bombardamento.
Una
situazione del genere sarebbe difficile da tollerare per Israele, che potrebbe
quindi prevedere un’azione diretta contro l’Iran, con il sostegno implicito dei
Paesi arabi.
Passiamo
alla scala globale.
La mappa delle reazioni alla guerra del Sukkot
mostra un’analogia con la mappa delle reazioni alla guerra in Ucraina.
Da un
lato, vediamo un Occidente molto compatto, che dimostra una solidarietà
inequivocabile con Israele e una chiara condanna di Hamas.
Dall’altro
lato, vediamo che il sostegno esplicito all’attacco rimane in minoranza, con
meno Paesi del previsto anche nel mondo arabo e musulmano pronti a sostenere
Hamas.
Tra i due, come nella guerra in Ucraina,
troviamo i BRICS +, dal Brasile alla Cina, con la notevole eccezione questa
volta dell’India, che sembra adottare una posizione di neutralità strategica.
Come
spiega questo isomorfismo?
Vorrei
iniziare dicendo che condivido l’indignazione per quanto è accaduto nel sud di
Israele.
Allo
stesso tempo, noto l’assoluto silenzio dell’Occidente di fronte all’escalation
di violenza perpetrata dai coloni a spese dei palestinesi.
In qualità di ex ambasciatore francese in
Israele, ho seguito da vicino quanto sta accadendo da diversi mesi nei
territori occupati della Cisgiordania.
Stiamo
assistendo a una chiara impennata della violenza.
Il governo di Netanyahu sta chiudendo un
occhio e sostiene persino i coloni più estremisti.
Questo
solleva un’accusa fondata di doppio standard.
Naturalmente, non lo direi in televisione o
alla radio, perché nell’attuale atmosfera di emozione – un’emozione del tutto
legittima e che condivido – sarei immediatamente accusato di giustificare
l’ingiustificabile.
(GÉRARD ARAUD)
Pensa
che dobbiamo tenere conto di questa accusa per capire la discrepanza tra
l’Occidente e il resto del mondo?
Il
resto del mondo – l’ho sentito in particolare quando ero alle Nazioni Unite –
ci accusa costantemente di avere due pesi e due misure.
L’elenco
degli esempi è lungo:
l’invasione
dell’Iraq, la guerra in Yemen…
Ma al
cuore di questa accusa c’è sempre la questione palestinese, che viene percepita
da molti Paesi della regione e del resto del mondo come una prova della nostra
parzialità.
Quindi,
per questi Paesi, ciò che sta accadendo oggi è tragico, ma ricordano che non
eravamo così commossi quando bambini o adolescenti ricevevano un proiettile in
testa in Cisgiordania.
Come
spiega la posizione indiana?
C’è un
elemento che rafforza la posizione dell’Occidente, per così dire, ed è che
molti Paesi considerano il terrorismo islamico come il loro principale nemico.
L’India
è uno di questi Paesi.
In
questo mondo, ogni Paese difende i propri interessi, il che spiega le
espressioni di solidarietà dell’India nei confronti di Israele.
Che
ruolo sta giocando la Russia in questa sequenza?
Prima
di tutto, è importante sottolineare che le relazioni tra Israele e Russia sono
eccellenti.
Sono
agevolate soprattutto dalla comunità russa in Israele – che conosco bene – con
oltre un milione di russi, tra cui molti oligarchi che viaggiano tra Mosca e
Tel Aviv senza alcun problema.
Israele
mantiene una posizione piuttosto tiepida nei confronti dell’Ucraina, e si
potrebbe persino dire che adotta una certa neutralità.
In
effetti, Israele è meno favorevole all’Ucraina che la Turchia, ad esempio.
Israele
cerca di mantenere relazioni con entrambe le parti.
Quindi
non vedo perché la Russia dovrebbe avere un interesse reale a stare dietro a
questa vicenda.
In
realtà, Israele ha la capacità di danneggiare la Russia, soprattutto grazie
alla sua potente industria delle armi, e potrebbe interrompere le relazioni.
Non
dobbiamo sopravvalutare il potere dei russi.
Navigano in base alle opportunità, come possiamo
vedere in Africa.
In
questa situazione, hanno un’opportunità d’oro che potrebbe avvicinarli al mondo
arabo nel suo complesso. A mio avviso, sfrutteranno questa opportunità a fini
propagandistici.
Potranno
anche criticare l’Occidente in una guerra che distoglie l’attenzione
dall’Ucraina.
Tuttavia,
non credo che la Russia stia giocando un ruolo importante in questa vicenda,
nonostante le speculazioni.
(GÉRARD ARAUD)
C’è un
possibile esito negoziale a questa guerra?
Per
negoziare, sono necessarie due persone sedute intorno al tavolo.
Nessuna
delle due è disposta o in grado di farlo.
Ho
lasciato il mio incarico di ambasciatore francese in Israele quasi vent’anni
fa. Ricordo che ero straordinariamente pessimista sulle prospettive di un esito
negoziale: vedevo la brutalizzazione dell’occupazione, la tossicità della
religione, il crollo della sinistra.
Oggi, ahimè, gli scenari peggiori si sono
avverati.
Il
governo di estrema destra di Israele è impegnato ad annettere la Cisgiordania.
Questo è un dato di fatto.
Eppure
nessuno può credere che, con le immagini delle atrocità commesse da Hamas,
l’opinione pubblica israeliana domani chiederà di fare concessioni ai
palestinesi.
Da
parte israeliana, non c’è nessuno che voglia negoziare.
Oggi, la sinistra è fisicamente scomparsa
dalla Knesset.
Da
parte palestinese, abbiamo un’autorità totalmente screditata con a capo un uomo
di ottantotto anni e un’amministrazione che è diventata praticamente
un’appendice dei servizi israeliani.
(GÉRARD ARAUD)
Onestamente,
se domani ci fossero le elezioni in Cisgiordania, Hamas probabilmente
vincerebbe, non perché gli abitanti della Cisgiordania siano islamisti, ma
perché sono stufi dell’Autorità Palestinese.
Per
quanto riguarda Hamas, personalmente ritengo che abbiamo commesso un errore
strategico, soprattutto noi francesi, rifiutandoci di parlare con loro nel
2006.
Dal
punto di vista geografico e politico, Hamas si è imposto una politica di
rifiuto assoluto di negoziare e di sostegno incondizionato alla violenza
armata, oltre ad essere finanziato e armato dall’Iran.
Quindi
la spirale di violenza non può essere fermata?
Sono
convinto che, nonostante l’emozione attuale e le indagini che si svolgeranno
per definire i responsabili dell’incredibile fallimento dell’intelligence
strategica di Israele, la situazione tornerà sostanzialmente alla normalità.
Gli
Stati Uniti stanno entrando in campagna elettorale e durante questo periodo non
cercheranno di negoziare.
Anche
la comunità internazionale è divisa, a maggior ragione a causa della guerra in
Ucraina e della rivalità tra Stati Uniti e Cina.
Gli
europei, da parte loro, sono impotenti a risolvere il conflitto.
Ahimè, la mia previsione è che dopo questa
esplosione di violenza e di emozioni, torneremo alla situazione precedente.
Lo
status quo, in fin dei conti, sembra comodo per tutte le parti.
I palestinesi perdono, Israele vince, e ogni
tre, quattro o cinque anni assistiamo a crisi simili, spettacolari ma che non
sfidano davvero la pace mondiale, per dirla cinicamente.
La
posizione che riterrei dignitosa per noi europei, quando usciamo da questa
crisi specifica, sarebbe quella di difendere i diritti dei palestinesi in
Cisgiordania.
(GÉRARD ARAUD)
Ancora
una volta, vediamo che l’UE sembra mancare sia di autonomia di analisi che di
visione geopolitica quando si tratta di un’area che la riguarda direttamente:
il Mediterraneo.
Secondo
lei, quale sarebbe la posizione più coerente che potremmo cercare di
articolare?
Vi
sorprenderò, farò un discorso morale.
La
posizione che riterrei dignitosa per noi europei, quando usciamo da questa
crisi specifica, sarebbe quella di difendere i diritti dei palestinesi in
Cisgiordania.
Penso
che ciò che sta accadendo sia assolutamente indegno.
In
Cisgiordania, stiamo assistendo a una situazione di apartheid, in cui due
popolazioni vivono sulla stessa terra, con diritti assolutamente diseguali.
In
nome dei nostri interessi e dei nostri valori, potremmo almeno alzare la voce
su questo tema.
Questo
potrebbe essere un modo per rispondere all’accusa di usare due pesi e due
misure.
Dato
che agli arabi interessa poco la causa palestinese e che gli americani non
stanno prendendo alcuna iniziativa per rilanciare il processo di pace, potremmo
considerare di limitare le esportazioni dalla Cisgiordania israeliana verso
l’Unione Europea.
Arriverà
il momento di alzare la voce per proteggere i diritti dei Palestinesi.
Chi
Sono le Vere “Bestie”?
Conoscenzealconfine.it
– (16 Ottobre 2023) - Massimo Mazzucco – ci dice:
Nell’arco
di 6 giorni Israele ha rovesciato su Gaza oltre 6000 bombe, quasi la stessa
quantità di bombe usate dagli americani in Afghanistan nel corso di un anno.
Sono
già 2650 i morti palestinesi accertati, più del doppio dei morti causati da
Hamas la scorsa settimana.
64.000
sono gli edifici di Gaza gravemente danneggiati, fra cui più di 5.000 quelli
già distrutti interamente.
E sotto quelle macerie ci sono probabilmente
centinaia di cadaveri ancora da scoprire.
La
popolazione è senza acqua corrente, senza elettricità, e le riserve di cibo
stanno per finire.
Il
sistema di depurazione delle acque è stato distrutto, per cui anche se l’acqua
dovesse tornare, non sarebbe comunque potabile.
Non
essendoci elettricità non funzionano i cellulari, ed è quindi impossibile
comunicare una qualunque emergenza.
Anche
i sistemi fognari sono bloccati.
Le
ambulanze faticano a raggiungere i feriti, a causa delle strade bloccate dalle
macerie.
A loro
volta, gli ospedali sono saturi, e i feriti che continuano ad arrivare vengono
curati ormai sul pavimento, con quel poco di medicinali che ancora rimangono.
Nessun
corridoio umanitario è possibile, nessuno può mandare aiuti alla popolazione
palestinese, perché Israele blocca qualunque tipo di aiuto dall’esterno.
E il
mondo resta a guardare.
Laddove, la settimana scorsa, i commentatori e
i politici servi di Israele si strappavano pubblicamente le vesti, denunciando
“con una condanna ferma e irrevocabile l’orrore impronunciabile perpetrato da
Hamas”, oggi gli stessi commentatori e gli stessi politici si limitano ad
emettere timidi inviti ad Israele “a non esagerare troppo con la loro
vendetta”.
Come
se fosse qualcosa di lecito.
Come
se una ritorsione così brutale e inumana, fatta alla luce del sole, contro una
popolazione civile totalmente indifesa e incolpevole, fosse qualcosa di
assolutamente accettabile per tutto l’occidente.
E poi
“le bestie” sarebbero quelle di Hamas.
(Massimo
Mazzucco)
(Al
Jazeera Live Tracker)
(luogocomune.net/29-palestina/6347-chi-sono-le-vere-%E2%80%9Cbestie%E2%80%9D)
Perché
un governo globale è l'obiettivo
finale
dei miliardari globalisti.
"L'obiettivo
è che tu non possieda nulla"
Globalresearch.ca - Dott. Giuseppe Mercola - (07 ottobre 2023) – ci dice:
La
"Direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia" dell'Unione
europea, lo strumento legislativo che detta gli standard di prestazione
energetica per gli edifici all'interno dell'UE, sarà utilizzata per realizzare
un massiccio programma di trasferimento di ricchezza.
Entro
il 2030 l'UE deve ridurre almeno del 55% le emissioni di gas a effetto serra.
Entro il 2050, vogliono che tutti gli edifici (commerciali, pubblici e
residenziali) dell'UE soddisfino gli standard di emissioni zero.
Per raggiungere questo obiettivo, imporranno
una serie di nuovi requisiti energetici di rinnovo ai proprietari di case
Ad
esempio, entro il 2035 gli impianti di riscaldamento che utilizzano
combustibili fossili dovranno essere completamente eliminati.
I proprietari di case saranno tenuti a
installare nuovi sistemi di riscaldamento "verdi", presumibilmente
elettrici, e a pagarli di tasca propria.
Il
costo per questo nuovo fabbisogno energetico è stimato in circa 100.000 euro
per una casa residenziale.
L'obiettivo
è quello di costringere le persone a lasciare le loro case.
Se non
puoi permetterti gli aggiornamenti necessari, sarai costretto a vendere la tua
casa.
Le
società di gestione del risparmio li acquisteranno e li trasformeranno in
affitti.
Il 20
settembre 2023, il presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite
(UNGA) ha approvato una dichiarazione sulla prevenzione delle pandemie, che assegna l'autorità pandemica
all'OMS, senza il voto dell'assemblea plenaria e nonostante le obiezioni di 11
Stati membri.
Le obiezioni avrebbero dovuto impedire
un'adozione consensuale della dichiarazione, ma l'ONU sta aggirando le regole
facendo approvare la dichiarazione dal presidente dell'Assemblea generale delle
Nazioni Unite, piuttosto che dall'Assemblea generale.
“Bjorn
Andreas Bull-Hansen”, un romanziere norvegese di successo, spiega come la "Direttiva sulla
prestazione energetica nell'edilizia" dell'Unione europea – lo strumento
legislativo che detta gli standard di prestazione energetica per gli edifici
all'interno dell'UE – sarà utilizzata per realizzare un massiccio programma di
trasferimento di ricchezza.
Nel
marzo 2023, il Parlamento europeo ha votato per rivedere questa direttiva
nell'ambito di un pacchetto "Fit for 55", che mira a raggiungere una
riduzione minima del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030.
Entro
il 2050, l'UE intende raggiungere un "parco immobiliare a emissioni zero e
completamente decarbonizzato senza CO2".
In
breve, entro il 2050, vogliono che ogni edificio – commerciale, pubblico e
residenziale – nell'UE soddisfi gli standard di emissioni zero.
Per
raggiungere questo obiettivo, imporranno una serie di nuovi requisiti ai
proprietari di case.
Ad
esempio, i sistemi di riscaldamento che utilizzano combustibili fossili devono
essere completamente eliminati entro il 2035, se il Parlamento europeo ottiene
ciò che vuole, e ciò significa che i proprietari di case saranno tenuti a
installare nuovi sistemi di riscaldamento "verdi", presumibilmente
elettrici, e a pagarli di tasca propria. Secondo Bull-Hansen, il costo di
questo nuovo fabbisogno energetico è stimato in circa 100.000 euro per una casa
residenziale.
L'obiettivo
è davvero quello di non possedere nulla.
L'obiettivo,
spiega Bull-Hansen, è quello di costringere le persone a lasciare le loro case.
Se non
puoi permetterti gli aggiornamenti necessari, sarai costretto a vendere la tua
casa e le società di gestione patrimoniale come BlackRock e Vanguard saranno
pronte ad accaparrarti queste proprietà.
E
questo se ti sarà permesso di vendere una casa che non è all'altezza degli
standard; Il governo potrebbe semplicemente ritenerlo invendibile e
sequestrarlo, oppure potresti dover pagare una multa di qualche tipo.
Negli
Stati Uniti, all'inizio del 2021, BlackRock e Vanguard hanno iniziato ad
acquistare seriamente case residenziali all'ingrosso, che poi affittano
piuttosto che rivendere, erodendo così la proprietà della casa della classe
media.
Hanno
anche fatto salire artificialmente i prezzi delle case pagando un prezzo
superiore a quello richiesto, spingendo così la proprietà della casa ancora più
fuori portata.
Naturalmente,
anche il prezzo dell'affitto è salito alle stelle e gli affittuari dovranno
pagare ancora di più dopo questi aggiornamenti energetici.
Quindi,
non solo la proprietà della casa è qualcosa che molti giovani non possono più
raggiungere, molti non possono nemmeno permettersi di affittarla e sono
costretti a vivere con i loro genitori o più coinquilini.
Possiamo
aspettarci che anche il numero di senzatetto salga alle stelle.
Come
osservato da Bull-Hansen, l'eliminazione della proprietà personale fa parte
dell'”agenda Great Reset” del World Economic Forum (WEF), dell'Agenda 2030 e
degli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” delle Nazioni Unite.
Questi sono solo nomi diversi per lo stesso
piano generale.
Il
video del WEF "8 previsioni per il mondo nel 2030",3 in cui hanno
allegramente dichiarato che entro il 2030 "Non possiedi nulla",
spiegava molti degli aspetti di questo piano globale, incluso l'obiettivo di
eliminare i diritti di proprietà personale.
"Tutti i prodotti diventeranno
servizi", spiega il WEF sul suo sito web.
Questo è ciò a cui si riferisce "non
possiedi nulla".
Saranno
finiti i giorni in cui si compra qualcosa una volta e si può usare a tempo
indeterminato perché lo si possiede.
Invece,
il nuovo sistema in cui ci stanno spingendo richiederà di affittare tutto: la
casa, i trasporti, i mobili, le pentole e le padelle e tutto il resto.
Probabilmente hai già notato questo brivido.
Ad
esempio, una volta era possibile acquistare un software, che veniva fornito su
un disco. Potevi installare e reinstallare quel programma su qualsiasi computer
che volevi, perché avevi il CD.
Oggi,
la maggior parte dei programmi software sono abbonamenti basati su cloud e devi
pagare un canone mensile o annuale per tutto il tempo in cui lo utilizzi.
E,
anche se la tariffa può essere bassa, una volta sommata nel corso di una vita
di utilizzo, finirai per pagare molte volte di più di quello che hai fatto
quando sei stato in grado di acquistarlo a titolo definitivo.
La
proprietà abitativa è sempre stata una strategia di creazione di ricchezza.
Come
notato da Bull-Hansen, la proprietà della casa definisce la classe media.
Ancora più importante, è stato un modo per costruire e garantire la ricchezza
generazionale per secoli.
Togliete
la possibilità alle persone di comprare la propria casa, e di fatto eliminerete
la classe media, lasciando solo i molto ricchi e i molto poveri.
"Non
importa se credi che questo sarà un bene per l'ambiente o meno", dice
Bull-Hansen.
"Si
tratta di controllarti. Si tratta di possederti... Questo è un trasferimento di
ricchezza che stiamo esaminando, e non possiamo accettarlo.
La
proprietà è importante.
È un
concetto molto, molto essenziale...
Se si
toglie la proprietà, ciò che rimane è il feudalesimo.
Qualcuno
possiederà le cose di cui hai bisogno, e saranno le cosiddette
"élite"... Quindi dobbiamo puntare i piedi e rifiutarci di
accettarlo".
La disubbidienza è la nostra unica via
d'uscita.
Ok,
allora cosa facciamo al riguardo?
Condivido
l'appello di Bull-Hansen alla disobbedienza pacifica. "DOBBIAMO essere
disubbidienti ora", dice.
L'alternativa
è accettare la servitù della gleba.
E
ancora una volta, l'imminente sistema schiavista non riguarda solo la rimozione
dei diritti umani e l'eliminazione delle libertà di cui abbiamo goduto per
tutta la vita – anche le cose semplici, come avere la libertà di viaggiare dove
si vuole, quando si vuole – ma si tratta anche di spogliarci della nostra
ricchezza ed eliminare la possibilità di costruire ricchezza in futuro.
Non
stanno solo cercando di toglierti la possibilità di possedere una casa e
costruire ricchezza generazionale in questo modo.
Con
una valuta digitale della banca centrale (CBDC), non guadagnerai interessi sul
tuo denaro e le tasse verranno prelevate automaticamente.
Avranno
anche la possibilità di dettare dove e per cosa puoi spendere i tuoi soldi e
mettere date di scadenza sui tuoi fondi in modo che tu non possa mai
risparmiare per un giorno di pioggia.
La
cabala globalista dietro l'intera agenda intende creare una classe di schiavi
permanenti che non ha diritti, libertà e via d'uscita.
Se si
va d'accordo con queste proposte "verdi" – che è ciò che stanno
usando per giustificare questo particolare schema di trasferimento di ricchezza
– allora si sta attivamente scegliendo la povertà e la schiavitù per se stessi,
per i propri figli e per tutti i discendenti successivi, perché smantellare
questo sistema globale di controllo sarà inimmaginabilmente difficile una volta
che sarà in vigore.
Come
farai a ribellarti quando il governo può sequestrare i tuoi conti bancari a
piacimento, chiuderti fuori dai negozi di alimentari, mandarti in un campo di
internamento per il controllo delle infezioni per "proteggere la salute
pubblica" anche se non sei malato, programmare il tuo veicolo elettrico in
modo che funzioni solo all'interno di una specifica area designata e punire
tutti quelli che conosci allo stesso modo?
Semplicemente perché ti conoscono?
Tutto
questo, e molto altro, sarà possibile una volta che la rete di sorveglianza e
controllo digitale gestita dall'intelligenza artificiale sarà completamente
implementata e collegata alla tua identità digitale, a una CBDC programmabile e
al sistema di registro unificato.
Come
notato da Bull-Hansen, ci saranno ramificazioni per la disobbedienza e il
rifiuto di andare avanti con l'agenda "verde" globalista, ma se
accettiamo di pagare il prezzo ora, e rifiutiamo in massa, questa presa di
potere globalista fallirà assolutamente.
Non
possono farlo senza l'obbedienza di massa.
Chi
sta cercando di governare il mondo?
Se
questo argomento è nuovo per voi, vi starete chiedendo chi sono questi
"globalisti" che stanno cercando di effettuare questo colpo di stato
globale.
Non
farò nomi qui, anche se sta diventando più facile di giorno in giorno
identificare le persone che fanno parte del club esaminando le loro
dichiarazioni pubbliche e le loro posizioni, i loro sforzi commerciali e le
loro affiliazioni.
La
ragione di ciò è che la maggior parte non sta nemmeno più cercando di nascondere
il proprio coinvolgimento, e le organizzazioni erette per portare avanti
l'agenda stanno diventando sempre più aperte sui loro obiettivi.
Ad
esempio, il 5 giugno 2023, le Nazioni Unite hanno pubblicato un documento che
esplicita il loro impegno a rendere l'”Organizzazione Mondiale della Sanità
l'organo centrale di governance globale”.
Il
seguente estratto è tratto da pagina 9 della bozza zero del documento "Dichiarazione politica della
riunione di alto livello dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla
prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie" redatto prima
della riunione dell'Assemblea generale del 20 settembre 2023.
Governance
globale.
Il
testo finale di questo documento è stato pubblicato il 1° settembre 2023 e in
quella versione tutte le intestazioni sono state rimosse, ma l'intento generale
di rendere l'OMS un organo di governo de facto per il mondo rimane invariato.
Mentre
il documento si concentra sull'autorità dell'OMS di dettare la prevenzione e la
risposta alle pandemie in tutto il mondo, come ho dettagliato in diversi
articoli precedenti, l'OMS non sarà solo responsabile delle pandemie.
Questa è solo la giustificazione che usano per
mettere un piede nella porta.
Successivamente,
l'OMS si sposterà nell'assistenza sanitaria generale promuovendo l'accettazione
di un sistema sanitario universale.
Ciò
sarà promosso all'insegna del rafforzamento della prevenzione, della
preparazione e della risposta alle pandemie, come indicato a pagina 11
nell'ambito dell'OP33 del progetto zero,7 e all'articolo 22 nel testo finale.
Poi,
attraverso il programma globale “One Health”, che espande la "salute
pubblica" per includere tutto, dall'agricoltura e l'inquinamento ai viaggi
e al cambiamento climatico, l'OMS – o qualche suo indotto – assumerà tutte le
funzioni governative.
Il
testo finale della "Dichiarazione politica" dell'ONU dichiara
addirittura che la salute è un indicatore di "sviluppo sostenibile",
collegando così direttamente l'autorità pandemica dell'OMS agli obiettivi di
sviluppo sostenibile e all'Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Una
salute unica.
Regna
l'illegalità.
A
rendere le cose ancora più terribili per i popoli del mondo è il fatto che i
governi e le organizzazioni globali coinvolte in questa presa di potere si
fanno sempre più beffe di regole, linee guida, leggi e trattati che in
precedenza hanno assicurato almeno una parvenza di democrazia e stato di
diritto.
Uno
degli ultimi esempi di ciò è l'approvazione da parte del presidente
dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) della dichiarazione sulla
prevenzione della pandemia (il documento discusso sopra) senza un voto
dell'Assemblea plenaria e nonostante le obiezioni di 11 Stati membri
(Bielorussia, Bolivia, Cuba, Repubblica Popolare Democratica di Corea, Eritrea,
Repubblica Islamica dell'Iran, Nicaragua, Federazione Russa, Repubblica araba
siriana, Venezuela e Zimbabwe).
Secondo
Francis Boyle, J.D., Ph.D., un esperto di armi biologiche e professore di
diritto internazionale presso l'Università dell'Illinois che ha redatto il “Biological
Weapons Anti-Terrorism Act del 1989,” le obiezioni di 11 nazioni dovrebbero
"impedire che questa dichiarazione venga adottata per consenso e quindi diventi probabilmente parte
del diritto internazionale consuetudinario, che è ciò che intendono coloro che
stanno dietro la dichiarazione".
"Non
sono riusciti a farla approvare dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite
come risoluzione di consenso a causa degli 11 stati che si sono opposti",
ha detto Boyle a The Defender.
"Stanno cercando di girarla e di
travisarla facendo approvare la dichiarazione al presidente dell'Assemblea generale
delle Nazioni Unite, non all'Assemblea generale delle Nazioni Unite".
La
dichiarazione delle Nazioni Unite chiede vaccinazioni universali e altro ancora.
Il
fatto che il presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite stia
creando scappatoie dove non ce ne sono è particolarmente inquietante alla luce
del fatto che la dichiarazione rende permanenti le prese di potere COVID-19 e
chiede la vaccinazione universale, una maggiore sorveglianza, passaporti
vaccinali, censura dei social media e un "approccio integrato One
Health", che ho appena spiegato essere il modo principale con cui l'OMS
finirà per governare tutti gli aspetti della vita umana.
Quindi,
possiamo vedere che anche quando i paesi non sono d'accordo e respingono, la
leadership delle Nazioni Unite semplicemente aggira le regole e segue comunque
il piano dello Stato Profondo, e questo è esattamente il tipo di comportamento
che possiamo aspettarci da un "Governo Unico Mondiale".
Avranno
delle regole per sé stessi, che ignoreranno convenientemente quando gli
conviene, e regole fisse con pene severe per il resto della plebe.
Come
riportato da The Defender, 20 settembre 2023
"I
critici hanno definito la dichiarazione, che cerca di creare un'autorità
pandemica globale con il potere di far rispettare i blocchi, la vaccinazione
universale e la censura della 'disinformazione', 'ipocrisia' e 'squilibrata'.
L'approvazione
è arrivata nell'ambito di una riunione ad alto livello sul “PPPR” [Pandemic Prevention, Preparedness and
Response]
...
In una
dichiarazione, il direttore generale dell'OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha
dichiarato:
"Se
il COVID-19 non ci ha insegnato nient'altro, è che quando la salute è a
rischio, tutto è a rischio".
Ha
collegato il PPPR agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni
Unite, affermando che i leader mondiali dovrebbero "dimostrare di aver
imparato le dolorose lezioni della pandemia".
Scrivendo
per il Brownstone Institute”, il dottor “David Bell,” medico di salute
pubblica, consulente biotecnologico ed ex direttore delle tecnologie sanitarie
globali presso l'”Intellectual Ventures Global Good Fund”, ha affermato che
"l'obiettivo principale" della dichiarazione "è sostenere"
il "trattato sulla pandemia" e gli emendamenti all'IHR attualmente in
fase di negoziazione da parte degli Stati membri dell'OMS.
Bell
ha detto che è in atto una "procedura di silenzio", "il che significa
che gli Stati che non rispondono saranno considerati sostenitori del
testo".
Ha
detto che il testo è "chiaramente contraddittorio, a volte fallace e
spesso del tutto privo di significato" e intende centralizzare il potere
dell'OMS.
Bell
ha detto a “The Defender”:
"La dichiarazione non è stata scritta con
intenzioni serie, ma è essenzialmente vuota retorica che promuove una continua
centralizzazione del controllo che le Nazioni Unite e l'OMS stanno apertamente
cercando, a spese della democrazia, dei diritti umani e dell'uguaglianza".
“Francis
Boyle” ... concordato... "Questa è una stampa a tutto campo per far sì che
l'intera Organizzazione delle Nazioni Unite, le sue agenzie specializzate e le
sue organizzazioni affiliate, sostengano e sostengano la loro proposta di uno
stato di polizia medico e scientifico totalitario mondiale dell'OMS", ha
detto.
Perché
lo Stato Profondo (Deep State) rivela i suoi piani?
Negli
ultimi anni, in particolare negli ultimi tre, la mafia globale dello Stato
Profondo è diventata sempre più aperta sui suoi piani.
Detto
questo, anche decenni fa, il piano per un "Nuovo Ordine Mondiale", un
"Governo Unico Mondiale", era sotto gli occhi di tutti.
Ne
hanno discusso in “white paper” e rapporti pubblicati, ne hanno accennato nei
film e nell'intrattenimento, l'hanno divulgato in esercizi da tavolo.
Perché
rivelano sempre il loro piano? Non sarebbe più sensato tenerlo segreto in modo
che la gente non sappia cosa sta per succedere e quindi non combatta?
A
quanto pare, c'è un metodo per l'apparente follia, e il video qui sopra, "Rivelare il Metodo: il
Simbolismo Esoterico come Controllo Mentale", lo spiega.
In sintesi, l'agenda per un sistema di
governance globale utilizza il controllo mentale di massa per condizionare le
persone alla perdita di potere personale, promuovendo e abituandoci a tre tipi
di perdita:
Perdita
di memoria (amnesia).
Perdita
della volontà o dell'iniziativa (abulia).
Perdita
di interesse per ciò che è vitale per la propria salute e il proprio benessere
(apatia).
Queste
tre condizioni psicologiche sono necessarie affinché la cabala globale possa
attuare con successo un governo globale.
I
metodi di controllo mentale utilizzati dalla cabala per promuovere queste
condizioni includono la sovversione del simbolismo sacro e degli archetipi.
Con
l'uso di simboli occulti ed esoterici, fanno appello agli istinti inferiori
dell'umanità, agli appetiti animaleschi, agli impulsi compulsivi e alle
"pulsioni disarmoniche che sono in conflitto con la natura cosciente
superiore di un individuo".
L'obiettivo è arrestare lo sviluppo spirituale
degli individui e soffocare l'evoluzione dello spirito all'interno della
società.
Mettere
il loro "marchio" su tutto ciò che fanno può anche essere un aspetto
guidato dall'ego della megalomania della cabala.
Proclama
il loro dominio l'uno all'altro e, inconsciamente, alle masse, mentre allo
stesso tempo si fa beffe di coloro che considerano inferiori.
Un
aspetto particolarmente interessante dell'uso del simbolismo da parte della
cabala è che il simbolo in genere significa l'esatto opposto della visione del
consenso mainstream sul suo significato.
Ad
esempio, il simbolo della falce e martello, che si trova sulla bandiera dell'ex
Unione Sovietica, è comunemente pensato per rappresentare gli strumenti della
classe operaia: l'industria e l'agricoltura.
L'idea
è quella di una "utopia della classe operaia".
Il
significato occulto, tuttavia, che precede l'Unione Sovietica, è quello di
Saturno, un demiurgico che usava una falce per recidere l'unità della terra e
del cielo.
Dopo
aver separato la terra dal divino, Saturno divenne l'architetto del mondo materiale.
In
emulazione di Saturno, la cabala è anche assorbita da questioni del mondo
materiale: possederlo, plasmarlo, controllarlo.
Il
martello, nel frattempo, rappresenta l'annientamento della materia,
"l'atto finale di distruzione caotica per inaugurare il loro nuovo
ordine".
È lo strumento che frantuma gli ultimi resti della
volontà divina all'interno dell'umanità "in un processo in cui l'uomo si
evolve e discende ulteriormente in un mondo post-umano".
La
falce e martello, quindi, vista da una prospettiva occulta, denota il dominio
tirannico di una classe elitaria intenta a separare l'umanità dal divino e, in
ultima analisi, a distruggerlo.
Il suo
significato occulto è quello di una distopia divisa, l'opposto di un'utopia
unificata.
La
lotta tra Gaza e Israele è "sotto falsa bandiera"?
Hanno
lasciato che accadesse?
Il
loro obiettivo è "cancellare Gaza dalla carta geografica"?
Globalresearch.ca
- Philip Giraldi e Prof. Michel
Chossudovsky – (15 ottobre 2023) – ci dicono:
Aggiornamento
(14 ottobre 2023).
È un
genocidio, un massacro assoluto.
Stanno
"cancellando Gaza dalla carta geografica"
"[L'esercito
israeliano] ha detto che presto inizierà a lanciare un'offensiva diffusa nel
nord di Gaza – un avvertimento che arriva circa un giorno dopo che Israele ha
ordinato a circa un milione di civili di fuggire dall'area.
Il
territorio sigillato governato da Hamas era in subbuglio sabato a causa
dell'ordine di evacuazione che copriva circa la metà della popolazione di Gaza.
Gaza affronta anche una crescente crisi idrica poiché i palestinesi stavano
lottando per evacuare il nord di Gaza a piedi, in auto e con un carro trainato
da asini.
I
gruppi umanitari hanno detto che gli sfollati non avevano un posto dove andare.
Anche
l'altro modo di lasciare Gaza, in Egitto, sembrava essere sigillato, in mezzo
alla confusione sul fatto che il paese vicino avrebbe permesso a chiunque di
uscire da Gaza.
Un'offensiva
ancora più potente dei precedenti bombardamenti israeliani su Gaza sembrava
imminente.
"Attaccheremo
Gaza City molto presto", ha detto il portavoce militare capo di Israele,
il contrammiraglio Daniel Hagari, in un discorso trasmesso a livello nazionale,
senza fornire un calendario per l'attacco. (AOL.com, 14 ottobre 2023)
Nelle
prime ore di sabato 7 ottobre 2023, Hamas ha lanciato l'"Operazione
Tempesta di Al-Aqsa" guidata dal capo militare di Hamas, Mohammed Deif. Lo
stesso giorno, Netanyahu ha confermato un cosiddetto "stato di prontezza
alla guerra".
Le
operazioni militari sono invariabilmente pianificate con largo anticipo (si
veda la dichiarazione di Netanyahu del gennaio 2023 di seguito). L'"Operazione Tempesta di
Al-Aqsa" è stata un "attacco a sorpresa"?
L'intelligence
statunitense afferma di non essere a conoscenza di un imminente attacco di Hamas.
Bisognerebbe
essere quasi irrimediabilmente ingenui per credere alla linea dei media statali
corporativi secondo cui l'invasione di Hamas è stata un "fallimento
dell'intelligence" israeliana.
Il
Mossad è una delle agenzie di intelligence più potenti, se non la più potente
del pianeta".
Netanyahu
e il suo vasto apparato militare e di intelligence (Mossad e altri) erano a
conoscenza dell'attacco di Hamas che ha provocato innumerevoli morti di
israeliani e palestinesi?
Era
previsto un piano israeliano accuratamente formulato per condurre una guerra
totale contro i palestinesi prima del lancio da parte di Hamas
dell'"Operazione Tempesta di Al-Aqsa"?
Questo
non è stato un fallimento dell'intelligence israeliana, come riportato dai
media. Tutt'altro.
Le
prove e le testimonianze suggeriscono che il governo Netanyahu era a conoscenza
delle azioni di Hamas che hanno provocato centinaia di morti israeliani e
palestinesi.
E
"Hanno lasciato che accadesse":
"Hamas
ha sparato tra i 2 e i 5 mila razzi contro Israele e centinaia di israeliani
sono morti, mentre decine di israeliani sono stati catturati come prigionieri
di guerra. Nella successiva risposta aerea da parte di Israele, centinaia di
palestinesi sono stati uccisi a Gaza". (Stephen Sahiounie)
Dopo
l'operazione d'assalto di Al Aqsa del 7 ottobre, il ministro della difesa
israeliano ha descritto i palestinesi come "animali umani" e ha
promesso di "agire di conseguenza", mentre i caccia scatenavano un
massiccio bombardamento della Striscia di Gaza, dove vivono 2,3 milioni di
palestinesi. (Occhio del Medio Oriente).
Il 9
ottobre 2023 è stato avviato un blocco completo sulla Striscia di Gaza che
consiste nel bloccare e ostacolare l'importazione di cibo, acqua, carburante e
beni di prima necessità a 2,3 milioni di palestinesi.
È un
vero e proprio crimine contro l'umanità. È un genocidio.
Vale
la pena notare che le azioni militari di Netanyahu non stanno prendendo di mira
Hamas, al contrario:
sta
prendendo di mira 2,3 milioni di civili palestinesi innocenti, in palese
violazione dei Quattro Principi Fondamentali del Diritto dei Conflitti Armati
(LOAC):
"...
nel rispetto e nella protezione della popolazione civile e degli obiettivi
civili [scuole, ospedali e aree residenziali], le Parti in conflitto
distingueranno in ogni momento tra la popolazione civile e i combattenti e tra
gli obiettivi civili e gli obiettivi militari e di conseguenza dirigeranno le
loro operazioni solo contro obiettivi militari." [Protocollo addizionale
n. 1, articolo 48]
Ironia
della sorte, secondo Scott Ritter, Hamas ha acquisito armi statunitensi in
Ucraina.
Questo
non è stato un "attacco a sorpresa".
L'attacco
di Hamas è stato un "false flag"?
"Ho
prestato servizio nell'IDF 25 anni fa, nelle forze di intelligence. Non c'è
modo che Israele non sapesse di ciò che stava per accadere”.
Un
gatto che si muove lungo la recinzione sta innescando tutte le forze. Quindi
questo?
Che
fine ha fatto "l'esercito più forte del mondo"?
Come
mai i valichi di frontiera erano spalancati?
C'è qualcosa di molto sbagliato qui, qualcosa di molto
strano, questa catena di eventi è molto insolita e non tipica per il sistema di
difesa israeliano.
A me
questo attacco a sorpresa sembra un'operazione pianificata. Su tutti i fronti.
Se
fossi un teorico della cospirazione, direi che questo sembra il lavoro dello
Stato Profondo.
Sembra
che il popolo di Israele e il popolo della Palestina siano stati venduti,
ancora una volta, ai poteri superiori.
(Dichiarazione
di “Efrat Fenigson”, ex intelligence dell'IDF, 7 ottobre 2023).
Ironia
della sorte, i media (NBC) stanno ora sostenendo che "l'attacco di Hamas
porta i segni distintivi del coinvolgimento iraniano".
Storia:
Il rapporto tra Mossad e Hamas.
Qual è
il rapporto tra Mossad e Hamas? Hamas è una "risorsa
dell'intelligence"? C'è una lunga storia.
Hamas
(Harakat al-Muqawama al-Islamiyya) (Movimento di Resistenza Islamica), è stato
fondato nel 1987 dallo sceicco Ahmed Yassin. È stato sostenuto fin dall'inizio
dall'intelligence israeliana come mezzo per indebolire l'Autorità Palestinese:
"Grazie
al Mossad (l'Istituto israeliano per l'Intelligence e i Compiti Speciali),
Hamas ha potuto rafforzare la sua presenza nei territori occupati. Nel
frattempo, il Movimento di Liberazione Nazionale di Fatah di Arafat e la
sinistra palestinese sono stati sottoposti alla più brutale forma di
repressione e intimidazione.
Non
dimentichiamo che è stato Israele a creare Hamas. Secondo Zeev Sternell,
storico dell'Università Ebraica di Gerusalemme, "Israele pensava che fosse uno
stratagemma intelligente per spingere gli islamisti contro l'Organizzazione per
la Liberazione della Palestina (OLP)". (L'Humanité)
I
legami di Hamas con il Mossad e l'intelligence statunitense sono stati
riconosciuti dal deputato Ron Paul in una dichiarazione al Congresso degli
Stati Uniti: "Hamas è stato fondato da Israele"?
"Sapete
Hamas, se guardate alla storia, scoprirete che Hamas è stato incoraggiato e
fondato da Israele perché voleva che Hamas contrastasse Yasser Arafat... (Rappresentante Ron Paul, 2011)
Ciò
che questa dichiarazione implica è che Hamas è e rimane "una risorsa
dell'intelligence", vale a dire "una risorsa per le agenzie di
intelligence."
Vedi
anche il WSJ (24 gennaio 2009) "Come Israele ha contribuito a far nascere
Hamas".
Invece
di cercare di frenare gli islamisti di Gaza fin dall'inizio, dice Cohen, Israele
per anni li ha tollerati e, in alcuni casi, incoraggiati come contrappeso ai
nazionalisti laici dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e
della sua fazione dominante, Fatah di Yasser Arafat. (WSJ)
La
partnership con Hamas è confermata da Netanyahu
"Il
gatto è fuori dal sacco".
"Chiunque
voglia ostacolare la creazione di uno Stato palestinese deve sostenere il
rafforzamento di Hamas e il trasferimento di denaro ad Hamas", ha detto
Netanyahu a una riunione dei membri della Knesset del suo partito Likud nel
marzo 2019.
"Questo
fa parte della nostra strategia: isolare i palestinesi di Gaza dai palestinesi
della Cisgiordania". (Haaretz, 9 ottobre 2023)
Questa
dichiarazione non suggerisce forse che Netanyahu e il suo apparato militare-di
intelligence sono responsabili dell'uccisione di civili israeliani innocenti?
"Sostegno"
e "denaro" per Hamas.
Il
"trasferimento di denaro ad Hamas" per conto di Netanyahu è
confermato da un rapporto del “Times of Israe”l dell'8 ottobre 2023:
"Hamas
è stato trattato come un partner a scapito dell'Autorità Palestinese per
impedire ad Abbas di muoversi verso la creazione di uno Stato palestinese.
Hamas
è stato promosso da gruppo terroristico a organizzazione con cui Israele ha
condotto negoziati attraverso l'Egitto e a cui è stato permesso di ricevere
valigie contenenti milioni di dollari dal Qatar attraverso i valichi di Gaza.
I
pericoli di un'escalation militare?
Non facciamoci illusioni, questa operazione
"false flag" è una complessa impresa di intelligence militare,
attentamente pianificata nel corso di diversi anni, in collegamento e
coordinamento con l'intelligence statunitense, il Pentagono e la NATO.
A sua
volta, questa azione contro la Palestina sta già portando a un processo di
escalation militare che potenzialmente potrebbe inghiottire gran parte del
Medio Oriente.
Israele
è un membro de facto della NATO (con uno status speciale) dal 2004, che
comporta un coordinamento militare e di intelligence attivo, nonché
consultazioni relative ai territori occupati.
La
cooperazione militare sia con il Pentagono che con la NATO è vista dalle Forze
di Difesa Israeliane (IDF) come un mezzo per "migliorare la capacità di deterrenza
di Israele nei confronti di potenziali nemici che lo minacciano, principalmente
Iran e Siria".
La
premessa della cooperazione militare NATO-Israele è che "Israele è sotto
attacco".
L'accordo
di Israele con l'Alleanza Atlantica "obbliga" la NATO "a venire
in soccorso di Israele" in base alla dottrina della "sicurezza
collettiva" (articolo 5 del trattato di Washington)?
Nei
recenti sviluppi, i dispiegamenti militari statunitensi in Medio Oriente sono
in corso, presumibilmente per evitare un'escalation.
Secondo
il segretario generale della NATO “Jens Stoltenberg”:
C'è
sempre il rischio che nazioni e/o organizzazioni ostili a Israele cerchino di
approfittarne.
E
questo include, ad esempio, organizzazioni come Hezbollah o un paese come
l'Iran.
Quindi
questo è un messaggio ai paesi e alle organizzazioni ostili a Israele che non
dovrebbero cercare di sfruttare la situazione.
E gli Stati Uniti hanno dispiegato, o hanno
dispiegato più forze militari nella regione, non da ultimo per scoraggiare
qualsiasi escalation o prevenire qualsiasi escalation della situazione.
(Conferenza stampa della NATO, Bruxelles, 12 ottobre 2023)
La
"nuova fase" di Netanyahu
"La
lunga guerra" contro la Palestina.
L'obiettivo
dichiarato di Netanyahu, che costituisce una nuova tappa nella guerra di 75
anni (dalla Nakba, 1948) contro il popolo palestinese, non è più basato
sull'"apartheid" o sulla "separazione".
Questa
nuova fase – che è diretta anche contro gli israeliani che vogliono la pace –
consiste nell'"appropriazione totale" e nell'esclusione totale del
popolo palestinese dalla sua patria:
"Queste
sono le linee di base del governo nazionale guidato da me [Netanyahu]: il
popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile su tutte le aree della
Terra di Israele.
Il
governo promuoverà e svilupperà l'insediamento in tutte le parti della Terra di
Israele: in Galilea, nel Negev, nel Golan, in Giudea e in Samaria".
(Netanyahu, gennaio 2023.)
Portiamo
all'attenzione dei nostri lettori l'incisiva analisi del Dr. Philip Giraldi che
indica la probabilità di un "False Flag".
Michel
Chossudovsky, Global Research, 8 ottobre 2023, testo precedente aggiornato il
12 ottobre 2023
Di
seguito l'incisiva analisi del Dott. Filippo Giraldi.
La
lotta tra Gaza e Israele è "sotto falsa bandiera"?
Hanno
lasciato che accadesse?
Il
loro obiettivo è "cancellare Gaza dalla carta geografica"?
di
Dott. Filippo Giraldi -Ottobre 8, 2023.
Sono
l'unico che ha letto di un discorso tenuto da Netanyahu o da qualcuno del suo
gabinetto circa una settimana fa in cui lui/loro di sfuggita si riferivano a
una "situazione di sicurezza in via di sviluppo" che suggerisce
piuttosto (a me) che avrebbero potuto essere a conoscenza degli sviluppi a Gaza
e hanno scelto di lasciarli accadere in modo da poter cancellare Gaza dalla
mappa per rappresaglia e, possibilmente facendo affidamento sull'impegno degli
Stati Uniti di avere il "spalle" di Israele, quindi coinvolgendo
l'Iran e attaccando quel paese.
Non
riesco a trovare un collegamento ad esso, ma ho un ricordo abbastanza forte di
ciò che ho letto perché pensavo che all'epoca sarebbe servito come pretesto per
un altro massacro di palestinesi.
Come
ex ufficiale dei servizi segreti, trovo impossibile credere che Israele non
avesse più informatori all'interno di Gaza e dispositivi elettronici di ascolto
lungo tutto il muro di confine che avrebbero captato i movimenti di gruppi e
veicoli.
In
altre parole, l'intera faccenda potrebbe essere un tessuto di menzogne, come
spesso accade.
E come
sempre accade, Joe Biden si prepara a mandare qualche miliardo di dollari al
povero piccolo Israele per pagare la "difesa" di sé stesso.
(Philip
M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del “Council for the National
Interest”, una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501).
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