La politica vuole la guerra.

 

La politica vuole la guerra.

 

 

Rabbi Weiss: “Anche noi ebrei

siamo oppressi dallo stesso

nemico, i sionisti!

Conoscenzealconfine.it – (15 ottobre 2022) – Davide Zedda – ci dice:

 

“In occasione di questi 75 anni di occupazione, vogliamo che il mondo sappia che ciò che si sta perpetrando, è il controllo del popolo palestinese, l’oppressione, la sottomissione e altre terribili crudeltà.

Non è compiuto in nome della nostra religione, non in nome della stella di David, non in nome del popolo ebraico nel mondo.

 Proprio perché siamo ebrei e fedeli della nostra religione, ci OPPONIAMO FERMAMENTE all’esistenza dello Stato sionista di Israele.

Lo definisco Stato sionista, perché è sionista, NON EBRAICO!

L’intero concetto di derubare questa terra al popolo palestinese è completamente anti etico e contraddittorio rispetto alla nostra religione, il giudaismo.

GLI EBREI SI SONO OPPOSTI FIN DAL PRIMO GIORNO ALL’ENTITÀ SIONISTA!

Noi soffriamo e piangiamo insieme al popolo palestinese.

Vogliamo che il mondo sappia che siamo vicini e solidali con il popolo palestinese e preghiamo costantemente Dio, perché ponga fine una volta per tutte all’occupazione.

IL SIONISMO NON È UN MOVIMENTO EBRAICO!

È UN MOVIMENTO POLITICO E MATERIALE CREATO DA ERETICI, CHE CERCANO DI INGLOBARE LA NOSTRA RELIGIONE, NEL TENTATIVO DI INTIMIDIRE E METTERE A TACERE LE PERSONE CHE SI OPPONGONO DEFINENDOLE ANTISEMITE!

È UNA BUGIA!

ANTISEMITA VUOL DIRE SUPPORTARE LO STATO DI ISRAELE.

Il sionismo è causa dell’oppressione non soltanto dei palestinesi e dei musulmani in Palestina MA ANCHE DEGLI EBREI!

Gli ebrei vengono oppressi e arrestati.

“QUESTO È SIONISMO E NON EBRAISMO, FANNO PARTE DEGLI ASCHENAZITI!”

(Davide Zedda)

(t.me/davide_zedda)

 

 

 

Ucraina, Biden vuole continuare la guerra

ma l’Europa deve sganciarsi da

questa scelta suicida.

Ilfattoquotidiano.it – (13 aprile 2023) – Fabio Marcelli – giurista – ci dice:

Ucraina, Biden vuole continuare la guerra ma l’Europa deve sganciarsi da questa scelta suicida.

È ormai chiaro a chiunque, tranne forse che a Giorgia Meloni e a Carlo Calenda, che la guerra in Ucraina, questo massacro senza fine e senza senso che dura ormai da oltre un anno e due mesi, servirà solo al vegliardo ultra ottuagenario e malfermo Joe Biden per provare a vincere le prossime elezioni presidenziali statunitensi.

 Una strategia disperata per un obiettivo disperato e di interesse esclusivamente di ristrette élite globaliste statunitensi e internazionali.

La carneficina prosegue, gli orrori, dall’una come dall’altra parte, si susseguono agli orrori, debitamente amplificati dalla stampa di parte per tentare di mobilitare un’opinione pubblica sempre più diffidente e restia a seguire sulla strada dell’autodistruzione completa e irreversibile del genere umano, i sedicenti “decisori responsabili”, in realtà privi di qualsivoglia lucidità e totalmente irresponsabili, se non agli occhi dei media vassalli e bovini che continuano ad incensarli, avendo barattato un’inesistente professionalità di operatori dell’informazione con l’inveterata abitudine a servire sempre e comunque i potenti qualunque cosa essi dicano e facciano.

Eppure il governo statunitense, o meglio quella sua fazione (DEM, Conservatrice e sionista) che ha deciso di tentare il tutto per tutto, come un giocatore suonato di fronte a una slot machine di Las Vegas, sulla continuazione sine die del massacro, ha dichiarato che la guerra durerà ancora a lungo.

Gli fa eco, dall’altro lato della barricata bellica, il regime di Putin, anche lui caparbiamente abbarbicato alla continuazione del massacro.

 Al gioco di sponda delle stragi e delle atrocità si accompagna quello della negazione di ogni possibilità di cessate il fuoco e di trattativa.

Eppure, nonostante tutto, qualcosa si sta muovendo.

Le dichiarazioni di “Macron”, poi ritirate e quindi riproposte, sull’autonomia strategica dell’Europa evocano finalmente una prospettiva differente da quella, che soddisfa solo i politici italiani su riferiti insieme a Letta junior e a pochi altri, di fungere da vittime sacrificali di Nato e Stati Uniti.

Perfino il presidente del Consiglio europeo “Michel “gli fa eco, affermando a sua volta la necessità per l’Europa di sganciarsi dalle demenziali strategie statunitensi.

Non è certamente casuale che “Macron” abbia fatto le sue dichiarazioni proprio sul volo di ritorno da Pechino dove si era recato insieme alla presidente della Commissione europea “Ursula von Der Leyen”.

La Cina si dimostra sempre più la protagonista fondamentale della politica internazionale, non solo in virtù della sua incontenibile crescita economica ma anche della sua scelta di porre al centro gli interessi fondamentali dell’umanità a partire da quello alla pace e alla soluzione negoziata dei conflitti.

Né è casuale che il primo europeo a porre in termini espliciti la necessità dell’autonomia europea sia stato “Macron”, che è alle prese in patria con una vera e propria sollevazione popolare, che parte dal tema delle pensioni, di per sé di grande importanza, ma che investe tutti i nodi irrisolti dello sviluppo capitalistico che beneficia solo pochi privilegiati per gettare sempre più nella miseria la stragrande maggioranza della popolazione.

Beninteso, per “Macron” la sua presa di posizione in materia di politica estera costituisce anche un tentativo per sfuggire alla crescente crisi interna, ma tanto meglio.

Si conferma che la lotta di classe fa bene da tanti punti di vista, visto che riesce perfino a risvegliare un’idea di autonomia strategica in governi da lungo tempo avvezzi ad andare rovinosamente a rimorchio degli eventi e delle scelte altrui.

Zelensky dopo i video dei soldati ucraini decapitati: “Non è un episodio, è successo migliaia di volte. Tutti devono reagire

A riprova di questo assunto, nella sonnolenta Italia tutto tace.

Mentre la crisi economica continua a dilagare e le politiche antipopolari della draghetta Meloni gettano nella miseria più nera settori crescenti della popolazione, nell’assordante silenzio dei sindacati ufficiali, compresa la Cgil, il dibattito della nostra penosa classe politica si limita alla spartizione dei posti nelle aziende già pubbliche o verte sulle tragicomiche vicende del fu Terzo Polo, mentre qualche brivido di emozione è regalato solo da qualche gossip sulle imprese extraconiugali di qualche parvenu della politica.

Destino davvero infame, il nostro, per essere gli eredi di una civiltà millenaria.

Ma occorre continuare la mobilitazione contro la guerra, l’invio delle armi all’Ucraina e l’aumento delle spese militari, e al tempo stesso a difesa della sanità pubblica devastata da anni e anni di politica bipartisan e delle condizioni di vita dei settori più poveri e indifesi della popolazione, che ne costituiscono la maggioranza.

 I referendum promossi su questi temi costituiscono un’occasione da non perdere per reagire al vicolo cieco imboccato dalla classe politica.

 E si tratta di referendum ammissibili, come spiegato da “Pasquale De Sena” sul Fatto; non ammetterli costituirebbe un’ennesima tremenda manifestazione della crisi dello Stato di diritto da tempo in atto nel nostro in Paese.

 

 

 

Le posizioni dei partiti

sulle armi all’Ucraina.

 Pagellapolitica.it – (12 MAGGIO 2022) -Redazione – ci dice:

 

La maggioranza di governo e le alleanze sono sempre più divise, con il Movimento 5 stelle e la Lega ormai dichiaratamente contrari a nuovi aiuti militari.

A due mesi e mezzo dall’inizio della guerra in Ucraina, i partiti che sostengono il governo guidato da Mario Draghi e gli schieramenti in Parlamento sono sempre più divisi sull’invio di armi italiane all’Ucraina.

Lo scorso 1° marzo sia la Camera sia il Senato hanno approvato a larga maggioranza due risoluzioni, per autorizzare fino alla fine dell’anno il Ministero dell’Interno a inviare strumenti militari che consentano all’Ucraina di «esercitare il proprio diritto alla legittima difesa» e di «proteggere» la propria popolazione.

Nelle ultime settimane questo ampio consenso sembra essersi sempre più assottigliato.

I più contrari.

Il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte e il segretario della Lega Matteo Salvini sono i due leader di partito che più di tutti stanno sollevando dubbi sull’invio di armi all’Ucraina.

Ricordiamo che fino a oggi il Ministero della Difesa ha approvato due decreti per spedire equipaggiamenti militari all’esercito ucraino:

 uno il 2 marzo, l’altro il 27 aprile.

Secondo fonti stampa, un terzo decreto sarebbe già pronto ed è il dibattito su quest’ultimo che vede molto vicine le posizioni di Conte e Salvini.

Da settimane, in più occasioni, il presidente del M5s sta ribadendo che il suo partito non vuole «sentir parlare di armi sempre più pesanti», ma di «una svolta per un negoziato».

 «Servono soluzioni diplomatiche per mettere fine al conflitto», ha per esempio dichiarato il 6 maggio Conte.

Il 10 maggio, durante un evento in Parlamento, anche Salvini ha usato parole simili, dichiarando che sebbene lui sia «personalmente contrario» all’invio di nuove armi all’Ucraina, riunirebbe comunque il suo partito per prendere una decisione condivisa.

 «Inviare nuove armi in questo contesto allontanerebbe la pace, non mi sembra assolutamente opportuno», ha dichiarato il leader della Lega.

 In realtà, come abbiamo anticipato, il Parlamento ha già dato al Ministero della Difesa l’autorizzazione a inviare con l’approvazione di più decreti armi all’Ucraina, senza necessariamente chiedere un nuovo voto di Camera e Senato.

Nelle loro interviste televisive e sui quotidiani, Conte e Salvini hanno anche usato argomentazioni simili per sostenere la loro contrarietà all’invio di nuovi armamenti all’esercito ucraino.

Su tutti, entrambi ripetono che bisogna evitare un’escalation, ossia un’intensificazione del conflitto, citando due temi di cui ci siamo occupati anche in nostri fact-checking:

quello delle testate nucleari in possesso della Russia e quello delle armi statunitensi che sono finite nelle mani dei talebani dopo la ritirata degli Stati Uniti dall’Afghanistan nel 2021.

In diverse occasioni, critico contro l’invio delle armi è stato il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni.

Le posizioni degli altri partiti.

Per ora, all’interno della maggioranza di governo, sia il Partito democratico che Forza Italia stanno prendendo le distanze dalle posizioni espresse da Lega e M5s.

L’11 maggio, in un’intervista con la Repubblica, la ministra per il Sud Mara Carfagna (Forza Italia) ha per esempio dichiarato che «se non fornissimo armi a Kiev, la Russia raderebbe al suolo l’Ucraina e al tavolo della diplomazia non si parlerebbe di pace ma di capitolazione, di resa senza condizioni».

 Lo stesso giorno, in un’intervista con Radio Radicale, il suo compagno di partito Giorgio Mulè, sottosegretario al Ministero della Difesa, ha ribadito che non sono necessarie altre votazioni in Parlamento per autorizzare un nuovo invio di armi all’Ucraina, definendo «stucchevole» la posizione adottata da Conte.

Critiche al presidente del M5s sono arrivate anche dal leader di Italia viva Matteo Renzi.

Nel centrosinistra, il Partito democratico, di cui fa parte il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, resta favorevole a quanto fatto finora dal governo, invitando a trovare una posizione condivisa tra i partiti che sostengono l’esecutivo.

 Di recente, il segretario del Pd Enrico Letta ha dichiarato che l’invio delle armi non deve però essere concepito come uno «strumento di offesa e di aggressione in territorio russo».

L’8 maggio il deputato del Pd Graziano Delrio, in un’intervista con La Stampa, ha ribadito:

 «Diamo agli ucraini strumenti per difendersi e non per offendere.

 E questa resistenza ha impedito che la prepotenza e la forza trionfassero sul diritto».

All’opposizione, Fratelli d’Italia e la sua leader Giorgia Meloni rimangono invece favorevoli all’invio di armi, in linea con quanto votato in Parlamento.

 Il 5 maggio Meloni ha infatti criticato le «giravolte» del Movimento 5 stelle sul tema e, in altre occasioni, ha ricordato quanto sia centrale nel programma del suo partito l’aumento delle spese militari italiane.

 

 

 

 

Perché Putin vuole la

guerra contro tutti noi

lucalovisola.ch – (29.11.2022) – Luca Lovisolo – ci dice:

 

Perché Putin vuole la guerra e fin dove vuole arrivare?

 L’intervento del presidente russo alla Conferenza del «Club Valdaj» del 27 ottobre 2022 è durato oltre tre ore e mezza.

Putin ha ripetuto molti tormentoni della retorica del Cremlino, ma il suo discorso permette di riportare alle radici la strategia russa.

 Emergono la visione del regime di Mosca per il futuro dell’Europa e alcune verità scomode.

 

Il discorso di Putin è stato riportato e commentato da quasi tutti i media solo per estratti.

Questa analisi si basa sulla versione audio completa, senza mediazioni, in lingua originale.

 Per la spiegazione di alcuni termini mi riferisco all‘opera di Aleksandr Dugin.

In altre analisi ho citato i seminari di questo politologo russo dedicati alla sua Quarta teoria politica.

Qui mi rifaccio a precedenti corsi e conferenze tenuti da Dugin all’Università statale di Mosca.

Sono le lezioni nelle quali definisce i principi che sono diventati linee guida della politica estera russa negli ultimi vent’anni.

 In alcuni tratti del suo discorso al Valdaj, Putin riprende i concetti di Dugin quasi alla lettera.

Questo elemento è importante, ma nei circoli occidentali troppo spesso non viene ponderato a sufficienza.

 Le attività della Russia in Ucraina sono parte di una strategia di ampio respiro, costruita in modo solido e convincente, se guardata dal punto di vista dei russi.

 La strategia del Cremlino non si rivolge in primo luogo all’Ucraina, ma direttamente a noi, in quanto «cosiddetto Occidente» – come Putin suole definirci, nel migliore dei casi.

Se, come spesso accade in Occidente, guardiamo alla guerra come atto isolato di un regime assetato di potere, non vediamo il quadro nel suo insieme.

 

In ciò, il fatto che l’approccio geopolitico russo a noi piaccia o meno è del tutto ininfluente.

Se vogliamo capire la guerra in Ucraina e le attività del Cremlino nelle relazioni con i nostri Paesi, dobbiamo immedesimarci nella radice dottrinale della politica estera della Russia post-sovietica.

Per questo, la nostra reazione sarà sempre debole e inadeguata.

La conferenza del Club Valdaj si rivolge ad accademici e politici di professione.

Per questo motivo, Putin, quest’anno come nei precedenti, ha parlato una lingua che posiziona con particolare profondità le relazioni estere della Russia.

Le considerazioni di Putin sono rivolte anche a noi, come bersaglio dell’aggressiva politica estera di Mosca a partire dai primi anni Duemila.

Nel fiume di parole del presidente russo si riconoscono anche talune verità scomode:

non dovremmo avere paura di affrontarle.

In questa analisi mi concentro sugli elementi fondamentali della visione del mondo del Cremlino.

Tralascio volutamente gli eccessi retorici, le opinioni più note di Putin sulla politica e sulla Storia nonché i riferimenti a questioni di politica interna.

Il motto della Conferenza del Valdaj di quest’anno era: «Il mondo post-egemonico – equità e sicurezza per tutti.»

Dalle parole di Putin si comprende molto bene come si realizzi questo proposito, dal punto di vista della Russia.

 

IL MONDO DI PUTIN INTORNO AL 24 FEBBRAIO 2022.

Punto di partenza delle considerazioni di Vladimir Putin è l’idea che il mondo di oggi agisca secondo regole che nessuno sa chi ha dettato.

Per «regole» il presidente russo intende il diritto internazionale, i diritti umani e i principi della società aperta democratica.

Negli ultimi mesi, afferma Putin, si assiste a un peggioramento delle relazioni internazionali: la causa sarebbe il comportamento dell’Occidente.

 Gli Stati uniti e l’Europa sarebbero all’origine della guerra in Ucraina, della destabilizzazione dei mercati dovuta alle sanzioni internazionali contro la Russia e delle provocazioni intorno allo status di Taiwan.

In tutto ciò, prosegue Putin, l’Occidente ha commesso ripetuti errori sistemici, tra i quali la caduta del mercato europeo del gas.

 La Russia è testimone di questi eventi, ma è sempre stata aperta alla cooperazione e ha presentato le sue proposte.

Con questa affermazione Putin si riferisce alle pretese che la Russia ha introdotto nel dibattito internazionale a fine 2021.

 Interi Stati dell’Europa centrale e settentrionale avrebbero dovuto dichiararsi neutrali.

Si sarebbero dovuti ridisegnare i confini delle zone di influenza di Russia e Stati uniti.

Tuttavia, dice Putin, alle proposte russe l’Occidente ha sempre risposto negativamente.

L’Occidente vuole fare della Russia uno strumento per raggiungere i suoi obiettivi, sulla base di «regole universali» alla cui elaborazione la Russia non ha partecipato, dice Putin.

 Cita lo scrittore Aleksandr Isaevič Solženicyn, che definisce l’Occidente come «imprigionato nel suo senso di superiorità.»

L’Occidente pensa che tutti i Paesi del mondo debbano accettare il suo sistema e svilupparsi sulla base di esso.

È ciò che sta accadendo proprio oggi, pensa Putin.

 

Dalla «Cancel culture» a Kennedy.

Di recente l’Occidente pratica addirittura una «cultura della cancellazione» ai danni della Russia, ritiene Putin.

 Le istituzioni culturali occidentali rifiutano di rappresentare opere d’arte russe. Putin si riferisce all’ondata di cancellazioni di spettacoli di artisti, compositori e drammaturghi russi in teatri e sale da concerto di molti Paesi occidentali.

 La causa è la ripresa della guerra in Ucraina nel febbraio 2022 (ma Putin non la cita).

Echeggiando il celebre discorso di insediamento di John F. Kennedy del novembre 1960, Putin osserva che il mondo si trova dinanzi a una «nuova frontiera storica» e sta attraversando il decennio più pericoloso, imprevedibile ma anche più importante dalla fine della Seconda guerra mondiale.

PERCHÉ PUTIN VUOLE LA GUERRA: GLI ELEMENTI CHIAVE.

Nel discorso del Valdaj si odono termini che non sono nuovi, né in bocca a Putin né nel dibattito pubblico.

 In questo contesto, però, formano un insieme particolarmente rivelatore: universalismo, colonialismo, mondo unipolare, equilibrio degli interessi e altri.

Mondo unipolare e universalismo, la critica di Putin.

Unipolare perché in esso vigono solo la cultura, la volontà e le regole occidentali: società aperta, democrazia, diritti umani e diritto internazionale.

Dopo la caduta dell’Unione sovietica, secondo Putin l’Occidente ha instaurato il mondo unipolare.

Unipolare perché in esso vigono solo la cultura, la volontà e le regole occidentali: società aperta, democrazia, diritti umani e diritto internazionale, quest’ultimo derubricato a prodotto della presunzione occidentale.

Ancor di più: la cultura e la visione del mondo occidentali hanno pretesa di universalità.

 Esigono perciò di valere per tutta l’umanità, anche se l’Occidente non ha mai concordato queste regole con il resto del mondo.

I popoli del mondo aspirano alla libertà, dice Putin.

L’Occidente liberale dovrebbe esserne contento, eppure no, obietta il presidente: l’Occidente è convinto della sua infallibilità e, se questo anelito alla libertà dei popoli non corrisponde al modello occidentale, Stati uniti ed Europa applicano sanzioni, si immischiano politicamente, organizzano rivoluzioni colorate e rovesciano i governi.

Putin si riferisce qui, senza giri di parole, ai movimenti di protesta ucraini Majdan degli anni 2004 e 2014, noti come «rivoluzioni colorate.»

Il Cremlino spiega quegli eventi come congiure occidentali contro le presunte pretese della Russia sull’Ucraina.

Colonialismo occidentale e globalizzazione.

Secondo Putin, questo pensiero unico dell’Occidente costituisce un modello di dominazione dal quale nasce una globalizzazione coloniale, intesa come strumento di mantenimento del potere.

L’Occidente rafforza la sua potenza coloniale creando sempre nuove dipendenze. Come esempio Putin cita la prevalenza dell’Occidente nell’economia, nella farmaceutica e nella costruzione delle macchine utensili.

Ovunque l’Occidente apra nuovi mercati, reprimerebbe gli attori locali con una condotta colonialista.

Putin si riferisce poi in modo esplicito ancora all’Ucraina e al suo avvicinamento all’Unione europea.

 Il cammino verso l’Europa presuppone un adeguamento delle norme tecniche ucraine al complesso di norme europee.

 La transizione normativa fu davvero uno dei punti critici, negli anni cruciali 2013 e 2014.

L’argomento era: se l’Ucraina si sviluppa avvicinandosi all’Europa e allontanandosi dalla Russia, acquisirà lo strumentario tecnico europeo e abbandonerà quello russo.

 Questa prospettiva inquietava i russi e alcuni imprenditori dell’Ucraina meridionale e orientale, che non volevano perdere il loro mercati in Russia.

PERCHÉ PUTIN VUOLE LA GUERRA CONTRO L’OCCIDENTE IN CRISI.

Ora, dice Putin, il modello neoliberale di sviluppo occidentale è entrato in una crisi dottrinale.

Il presidente si rifà ancora alla letteratura russa.

 Cita questa volta I Demoni di Fëdor Michajlovič Dostoevskij: «Dalla libertà illimitata io desumo un dispotismo illimitato.»

 Proprio ciò, aggiunge Putin, hanno ottenuto gli «oppositori» della Russia – cioè noi.

 

Perché Putin vuole la guerra con l'Occidente.

La crisi dell’Occidente non è cominciata ieri: già nel 20° secolo, i liberali affermavano che la «cosiddetta» società aperta ha dei nemici (Putin non la cita, ma si riferisce all’opera centrale di Karl Popper: La società aperta e i suoi nemici).

Affinché il modello di sviluppo occidentale non si spezzi, prosegue Putin, l’Occidente limita la libertà di proporre modelli diversi, li qualifica come propaganda e come minacce contro la democrazia.

Il «cosiddetto Occidente» – continua il presidente russo – non è un blocco indifferenziato, è un conglomerato complesso.

Vi sono almeno due diversi Occidenti.

Da una parte, un «Occidente tradizionale» portatore dei valori cristiani (e anche islamici), di libertà e ricchezza di cultura; questo Occidente ha radici antiche ed più vicino alla Russia.

 L’altro Occidente è «aggressivo e neo-coloniale» ed è l’arma delle élite neoliberali. Al diktat di questa parte dell’Occidente la Russia non si piegherà.

L’Occidente, constata Putin, non è in grado di guidare da solo l’umanità, ma ci prova, nella sua disperazione.

 La maggioranza della popolazione del mondo rifiuta il modello di sviluppo occidentale, dice il presidente russo: questa situazione è il presupposto tipico di una rivoluzione.

 La pretesa dell’Occidente di universalità del suo modello può causare catene di conflitti.

 Questo contrasto, dice Putin, è fatale per l’intera umanità e per lo stesso Occidente.

Il compito storico del nostro tempo è, secondo Putin, appianare questi contrasti.

Putin mette in chiaro la visione della Russia: la base della civilizzazione umana sono le società tradizionali dell’Oriente

La maggioranza della popolazione mondiale abita l’est dell’Eurasia, dove, secondo l’immagine che Putin ha del mondo, risiedono le civilizzazioni più antiche.

 Putin mette in chiaro la visione della Russia:

la base della civilizzazione umana sono le società tradizionali dell’Oriente, dell’America latina, dell’Africa e dell’Eurasia.

Putin afferma che l’Occidente sta perdendo la sua superiorità e diventa minoranza, sulla scena internazionale.

Noi occidentali, e in particolare noi europei, nella convinzione di essere migliori di tutti gli altri, non ci accorgiamo che siamo ormai una periferia discosta, dei vassalli degli Stati uniti, senza facoltà di parola.

I diritti dei Paesi europei, secondo Putin, sarebbero «fortemente ridotti» ad opera degli Stati uniti, «per usare un eufemismo,» sottolinea Putin.

Poiché l’Occidente è una minoranza – riconosce Putin con tono concessivo – anche i suoi diritti devono essere rispettati.

 La Russia non si immischia nelle questioni interne occidentali.

 Putin fa capire chiaramente con queste parole, qual è il nostro ruolo nel nuovo ordine mondiale: siamo una minoranza tollerata.

Su di noi prevale la maggioranza dei non-occidentali.

Secondo Putin, la parte aggressiva dell’Occidente sta tentando di dividere la Russia.

Cita la guerra della Cecenia e i primi anni della sua presidenza, non a caso: nel mosaico del mondo russo l’Ucraina gioca oggi lo stesso ruolo della Cecenia all’inizio degli anni Duemila.

 La risolutezza di Putin è necessaria oggi come allora, poiché la Russia si trova, secondo lui, nuovamente alle soglie del disfacimento.

La Cecenia è una repubblica confederata, parte della Federazione russa. L’Ucraina, al contrario, è uno Stato indipendente.

Putin non vede la differenza, poiché, secondo lui, ambedue sono parte della «grande Russia storica» alla quale si rivolge in modo esplicito, dopo la ripresa della guerra in Ucraina.

Putin riconosce di essere stato plasmato dall’esperienza maturata con la guerra in Cecenia, nei primi anni del suo mandato.

Questa affermazione rivela che la guerra in Ucraina, nell’idea di mondo di Putin, si ricollega alle guerre caucasiche dei primi anni Duemila.

Già allora, aggiunge Putin, l’economia russa si rivelò più forte di quanto ci si aspettava.

Lascia intendere, così, che la Russia non deve temere le sanzioni di oggi.

 

Per lui, però, è ancora più importante essere consapevole che «la Russia è un grande Paese. I russi e le altre etnie del Paese sono spiritualmente disposti a lottare per affermarsi.»

È questa certezza, dice Putin, a guidarlo nella situazione di oggi. In questo senso, la Russia deve valorizzare tutta la sua eredità storica, non può e non deve rinunciare a nulla.

Putin fa suo l’archetipo dell’eroe: deve sconfiggere il drago, cioè abbattere l’Occidente; salvare la fanciulla imprigionata, cioè la Russia; impossessarsi del tesoro, che è l’eredità storica della Russia, per edificare il regno, cioè la Russia del futuro, di cui è liberatore e sovrano.

PUTIN VUOLE LA GUERRA PER IL «MONDO MULTIPOLARE».

Ora, giudica Putin, il tempo della supremazia non condivisa dell’Occidente è finito. Il mondo unipolare diventa un ricordo del passato.

 L’umanità si trova di fronte a un bivio: o aggrava ancora i problemi esistenti, o prova a risolverli di comune accordo, non in modo idealistico, ma lavorando in concreto affinché il mondo diventi un luogo più stabile e sicuro.

L’ordine mondiale multipolare sta emergendo davanti ai nostri occhi.

In questo ordine mondiale di nuovo conio, la Russia afferma il proprio diritto di esistere – cosa che, del resto, nessuno ha mai messo in discussione – e di svilupparsi secondo il suo percorso.

Tutto ciò che sta succedendo in questo momento – la guerra in Ucraina e il nuovo orientamento della visione di Mosca verso l’esterno – sta portando un grande beneficio alla Russia, dice Putin: il Paese sta rafforzando la sua sovranità.

Sfugge così al destino di degenerare in una semi-colonia politica, economica e tecnologica dell’Occidente.

La particolarità della Russia, dice Putin, è che la sua posizione di fronte alle minacce esterne – cioè di fronte all’Occidente – incontra totale consenso nel resto del mondo e questo consenso può solo crescere.

La critica alla Russia arriva solo da occidentali e da persone cresciute nella visione del mondo occidentale, che non capiscono la visione russa.

Qui Putin riprende un argomento di Dugin e non solo, secondo cui la concezione della geopolitica si orienta al contesto nel quale viene studiata.

 Anche secondo Putin, non vi è una concezione unica delle relazioni internazionali. Ogni loro rappresentazione sarebbe radicata relativisticamente nell’immagine di mondo nella quale l’osservatore si forma.

Alla domanda su quali regole dovranno governare il nuovo ordine mondiale multipolare, Putin risponde in un modo che inizialmente sorprende.

Noi crediamo, dice il presidente, che il nuovo ordine mondiale debba essere fondato su leggi e norme, libertà ed economia di mercato, sotto l’ombrello delle Nazioni unite.

Che non ci si debba rallegrare troppo in fretta di questa affermazione lo mostrano quelle che la seguono.

 Il mondo cambia, aggiunge Putin, le regole devono essere adattate in conseguenza.

Le norme esistenti sono state elaborate dall’Occidente e servono solo a indebolire i suoi concorrenti, afferma Putin.

I diritti umani possono causare l’indebolimento degli Stati.

Qui Putin cita il caso della Cina, con un’affermazione tanto pesante quanto compiaciuta, che cade come un sasso sulle orecchie di chi ascolta:

il rispetto dei diritti umani in certe regioni della Cina, osserva, sarebbe impossibile, perché comporterebbe la disgregazione dello Stato.

Putin si riferisce agli uiguri e alle altre minoranze che Pechino reprime sistematicamente.

Questo esempio illustra come pochi altri come Putin intenda il contratto sociale:

Lo Stato prevale, se il rispetto dei diritti individuali lo mette in pericolo.

Questo è il perno intorno al quale si capovolge la visione del mondo – anzi, la visione della persona umana, tra la Russia e l’Occidente.

A conclusione del suo intervento Putin pone una frase a effetto:

«Dobbiamo assumerci la nostra responsabilità di fronte al mondo e costruire una sinfonia delle civilizzazioni.»

 Il nuovo mondo sarà un «mondo senza sanzioni» – in altre parole, un mondo in cui ogni Stato potrà fare e disfare ciò che vuole.

L’unico limite alla totale libertà di azione sarà l’equilibrio degli interessi.

Da un mondo all’apparenza costruttivista e fondato sulle regole, Putin ricade, con uno spettacolare capitombolo – che si nota solo se si conosce il retroterra delle sue parole – in un ordine mondiale drasticamente realista.

 Regimi autoritari, violazioni dei diritti umani, oppressione delle minoranze e simili sono parte del gioco, se servono a mantenere l’equilibrio degli interessi.

Cosa Putin intenda con questa espressione lo vedremo più avanti.

Dopo tre ore e mezza complessive tra discorso, domande e risposte, l’intervento di Putin si conclude.

Si potrebbe raccontare molto sugli ascoltatori presenti, ma mi limito ad alcune punte.

Nel pubblico sedevano prevalentemente, vicino ai russi, rappresentanti di Asia, Africa e America latina; Stati come il Canada o la Moldova sembravano rappresentati solo da attivisti filorussi.

Su questo uditorio Putin esercitava un fascino quasi ipnotico.

 Lo si capiva dal linguaggio del corpo dei partecipanti, dalle risate dopo le battute e le barzellette con le quali Putin si prendeva gioco dell’Ucraina e dell’Occidente; dai sorrisoni soddisfatti e dall’interminabile annuire di molte teste, nella sala conferenze strapiena.

Il numero più bizzarro è stato quello di una partecipante asiatica, che, dopo aver posto la sua domanda, ha chiesto a Putin di ricevere una sua foto autografata, perché lo ammira tanto.

La conferenza del Club Valdaj vuol essere il contrapposto russo alla Conferenza internazionale di Monaco sulla sicurezza.

A Monaco, però, non di rado le domande dei partecipanti, sempre piuttosto competenti, mettono in grossa difficoltà gli oratori.

 Gli interventi del pubblico del Valdaj sembravano servire solo a confermare, rafforzare e incensare le affermazioni di Putin, in modo così spudorato che a tratti il giro di domande e risposte sembrava un contorno precotto al discorso del presidente.

PERCHÉ PUTIN VUOLE LA GUERRA CONTRO LE «REGOLE».

Nel discorso di Putin al Valdaj compaiono tesi più semplici da confutare; altre che richiedono un’elaborazione più estesa, perché al primo sguardo sembrano persino lodevoli principi di umanità. Inoltre, vi sono alcune verità con le quali noi, in Occidente, dovremmo confrontarci.

Le regole scritte dall’Occidente: uno dei perché Putin vuole la guerra.

Putin pensa che il mondo si muova seguendo regole scritte solo dall’Occidente. Non è vero.

La Russia partecipa da sempre all’elaborazione del diritto internazionale.

Ha contribuito a scrivere e ha firmato trattati internazionali.

Quando l’Unione sovietica si sciolse, la Russia si assunse per sua libera decisione tutti gli obblighi e i diritti connessi agli accordi internazionali in vigore, poiché subentrò esplicitamente e di propria volontà nella successione giuridica della disciolta Unione sovietica.

La Russia post-sovietica, da parte sua, ha siglato innumerevoli trattati, in molti di questi riconosce le frontiere e la sovranità dell’Ucraina.

Il rimprovero secondo cui la Russia dovrebbe attenersi a norme internazionali che sono state elaborate solo in Occidente, e che ora le verrebbero imposte, è privo di fondamento e non richiede di essere ulteriormente discusso qui.

Nella visione di Putin, l’Occidente avrebbe commesso gravi errori sistemici. Cita l’introduzione di sanzioni contro la Russia, le modificazioni al mercato dell’energia e le altre, gravi decisioni che la comunità internazionale ha dovuto assumere in conseguenza della ripresa della guerra in Ucraina.

 

Putin ritiene che queste azioni siano errate, poiché non prende in considerazione la loro causa.

Vede la guerra in Ucraina come operazione militare di portata interna.

 In Ucraina, la Russia, secondo lui, combatte contro intrusi, «fascisti» (o, ultimamente, «satanisti») che nel 1991 hanno dichiarato uno Stato indipendente su una parte di territorio russo e da quel momento lo governano senza averne diritto.

Guerra d’Ucraina e guerra di Cecenia: la continuità.

Anche la guerra d’Ucraina è e resta, nella visione del mondo di Putin, una questione di mantenimento della sovranità.

Per questo motivo, secondo Putin, la questione ucraina, al resto del mondo, non deve interessare.

Come la guerra di Cecenia, anche la guerra d’Ucraina è e resta, nella visione del mondo di Putin, una questione di mantenimento della sovranità territoriale russa. Le Nazioni unite e gli altri Stati non devono immischiarsi in questo affare interno di Mosca.

 La non-ingerenza negli affari interni di uno Stato, però, è un principio del diritto internazionale.

Vi sono, allora, principi giuridici che Putin accetta, a proprio arbitrio, e non li squalifica come «imposizione occidentale» – un diritto internazionale à la carte.

Se si elimina la guerra in Ucraina come causa delle sanzioni e delle decisioni conseguenti, davvero non le si capisce più.

 La Russia si comporta come un omicida condannato che continua a insistere di non aver ucciso nessuno.

Crede, perciò, che essere spedito in carcere sia un errore dei giudici.

 

COS’E’ IL MONDO MULTIPOLARE PER IL QUALE PUTIN VUOLE LA GUERRA.

Il mondo unipolare di marca occidentale si vuole liberale, ma non accetta alcuna alternativa alla democrazia, lamenta Putin, e aggiunge: l’Occidente considera creature di serie B tutti coloro che rifiutano i suoi principi.

Ora, dice Putin, il mondo unipolare deve essere sostituito da un mondo multipolare.

 Ogni civilizzazione ha una diversa concezione dell’Uomo e della sua natura. Mentre i valori occidentali mirano all’universalità, i valori tradizionali delle altre civilizzazioni non sono postulati fissi e riproducibili, che si adattano a tutti.

Dipendono dalla tradizione, dalla cultura e dal divenire storico di ogni società. Dobbiamo tenere conto di ogni punto di vista, di ogni popolo, società, cultura, visione del mondo e orientamento religioso. Nel mondo multipolare non si può imporre una «verità unica.»

Queste affermazioni di Putin contengono un seguito di verità lapalissiane che abbondano in ogni riga e in ogni angolo, nei discorsi di Putin stesso e di tutti i politici populisti.

Chi sente queste parole ha l’impressione che gli si accenda improvvisamente una luce: così dev’essere un mondo giusto! Putin ha ragione – penserà.

Se però si ricerca che cosa significa «mondo multipolare» nella dottrina russa delle relazioni internazionali, se ne trova una definizione che rallegra assai meno, nella brillante rappresentazione data da Aleksandr Dugin durante una conferenza tenuta all’Università di Mosca nel 2012.

 

«La teoria multipolare è una teoria molto rivoluzionaria ed estrema […] La multipolarità esclude la mono polarità, perché presuppone che le decisioni […] vengano prese non in un unico centro, ma in diversi centri.

 In conseguenza, il mondo multipolare e quello unipolare sono antitetici […] Bisogna distruggere il mondo unipolare, e […] se questo non è disposto a scomparire, bisogna avvicinare la sua fine.

Questa è una posizione molto dura e aggressiva […] Il mondo multipolare sarà possibile solo dopo che il mondo unipolare sarà stato liquidato in modo definitivo e irreversibile.»

 

Il mondo multipolare non è un prato fiorito.

Il mondo multipolare dei russi, perciò, non è quel prato fiorito sul quale le diverse culture vivono in varietà e felice accordo.

E‘ innanzitutto un grido di guerra contro la democrazia e i diritti umani.

Dugin ha ragione: sono due mondi opposti l’uno all’altro. Putin, da parte sua, precisa questo principio esplicitamente, quando, nel suo discorso del Valdaj, afferma che la democrazia non è l’unico modello di società possibile:

«Al mondo possono sorgere modelli di società alternativi e più efficaci, voglio sottolinearlo: più efficaci al giorno d’oggi, più luminosi e attraenti di quelli che esistono ora. Questi modelli si svilupperanno necessariamente, è inevitabile

Il presidente non le cita, ma si riferisce senza equivoco alle forme di governo autoritario in un ampio spettro che va dall’Ungheria alla Cina, passando per la Russia e altre simili pseudo-democrazie.

Questi «modelli alternativi si svilupperanno necessariamente, è inevitabile» – dice Putin con tono monitorio.

Ciò sarebbe provato, secondo lui, dal fatto che la maggioranza della popolazione mondiale rifiuta il modello di sviluppo occidentale.

Tutte le civilizzazioni riconoscono nell’alta dignità e nell’essenza spirituale dell’Uomo il fondamento più importante della costruzione del nostro futuro, sentenzia Putin.

Se si guarda alla Russia, alla Cina e alle altre società autocratiche che dovrebbero formare il mondo multipolare, si ha fondato motivo di mettere in dubbio questa affermazione.

Uomini senza diritti e «civilizzazioni alternative».

Se ne desume, per converso, che vi sarebbero Uomini, nella visione del mondo russa, che non possono pretendere le libertà fondamentali e la democrazia, i diritti umani, e ciò a buona ragione.

Perché appartengono a «sistemi sociali alternativi» nei quali la persona umana non può aspirare a veder riconosciuta la sua espressione individuale.

Questo principio è espresso da Dugin quando afferma che:

«Ogni pretesa […] relativa al fatto che i valori occidentali sono valori universali, e in conseguenza che tutti i popoli devono accettare lo Stato nazionale, il sistema parlamentare della separazione dei poteri, l’ideologia dei diritti umani, l’economia di mercato, la stampa indipendente – tutte queste pretese devono essere respinte […] All’Occidente piacciono i diritti umani? Meraviglioso, che li rispetti. Noi abbiamo altri diritti, un altro Uomo, un’altra antropologia sociale in altre società.»

 

«Abbiamo un altro uomo». Un uomo, dunque, che non deve aspirare ai diritti fondamentali, alla democrazia e a tutto il discorso «occidentale» sulla centralità della persona umana. Putin, da parte sua, esprime lo stesso principio quando afferma:

«Se l’Occidente vuole introdurre l’ideologia gender e organizzare le Gay-Parade, lo faccia. La Russia non si immischia nelle questioni interne occidentali.»

Con altre parole, Putin prende la stessa posizione di Dugin: noi siamo altro, abbiamo altri Uomini.

Il presidente russo cita consapevolmente la questione omosessuale, perché sa che questo tema, come la questione delle migrazioni, è un ambito dei diritti fondamentali molto controverso in Occidente.

 Con queste argomentazioni Putin raccoglie consenso e semina divisione nelle società occidentali.

Se Putin citasse direttamente i diritti che aggredisce, con la sua visione del mondo – separazione dei poteri, libertà di espressione e altre libertà fondamentali – le popolazioni occidentali reagirebbero negativamente (almeno per il momento, in futuro si vedrà).

Perché Putin vuole la guerra: mondo multipolare o multilaterale?

È solo questione di tempo, e anche la versione dura e originale diventa normalità, nel dibattito pubblico.

L’esempio più calzante è proprio la guerra in ucraina.

Come sempre, Putin esprime in forma più eufemistica e politicamente presentabile gli stessi concetti che Dugin formula in modo estremo e dottrinario.

 È solo questione di tempo, e anche la versione dura e originale diventa normalità, nel dibattito pubblico.

L’esempio più calzante è proprio la guerra in ucraina.

Nel 2014 Dugin fu punito con l’allontanamento dall’università, per aver aizzato all’uccisione degli ucraini; oggi, il genocidio contro gli ucraini avviene tutti i giorni e nessuno viene più punito per questo motivo, anzi: viene arrestato e malmenato chi leva la sua voce contro la guerra.

Dobbiamo infine distinguere il mondo multipolare di Dugin e Putin dal mondo multilaterale.

Questi termini, in Occidente, vengono spesso usati come sinonimi, ma non lo sono. Cosa significhi per i russi “mondo multipolare” l’ho appena spiegato.

“Mondo multilaterale” significa, per noi in Occidente, un mondo nel quale le decisioni vengono prese in un clima di concertazione tra tutti gli Stati.

Per la dottrina russa, il significato è più ristretto:

il multilateralismo si esercita, secondo i russi, solo tra gli Stati uniti e i loro alleati, escludendo tutti gli altri.

Non è possibile approfondire qui queste diverse concezioni. È importante, però, sapere che mondo multipolare e mondo multilaterale non sono la stessa cosa.

 

PERCHÉ PUTIN VUOLE LA GUERRA: «EQUILIBRIO DEGLI INTERESSI».

La base del mondo multipolare non sono i diritti umani, perciò, ma l’equilibrio degli interessi tra i diversi attori.

Attori del nuovo ordine mondiale non sono più gli Stati nazionali, ma le civilizzazioni.

Qui Putin riprende un altro concetto-chiave della dottrina di Aleksandr Dugin, secondo il quale le protagoniste del mondo multipolare saranno, appunto, le civilizzazioni – non le classi, come nel marxismo; non lo Stato, come nel realismo; non il sistema democratico, come nel liberalismo.

Le civilizzazioni diventeranno soggetti dotati di personalità e capacità giuridica, all’interno delle relazioni internazionali e del diritto internazionale, dice Dugin, seguendo la «teoria dei grandi spazi» formulata dal giurista tedesco Karl Schmitt.

 

Cosa sono le «civilizzazioni» nella visione del mondo russa.

Come si costruisce una civilizzazione e cosa significa questo concetto, nelle menti di Dugin e Putin?

Le civilizzazioni sono i poli del mondo multipolare.

L’Eurasia è una civilizzazione, dove con Eurasia si intende di fatto lo spazio post-sovietico e prima russo-imperiale.

 Un altro esempio, citato esplicitamente sia da Putin sia da Dugin, è l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SOC), che ha aperto una nuova era di relazioni in Oriente, dicono entrambi quasi con le stesse parole.

L’Unione europea è una civilizzazione, ma ha un difetto, dice Dugin.

 Deve abbandonare la «geopolitica del mare» – quella di Stati uniti e Regno unito – e aggregarsi alla «geopolitica continentale,» che caratterizza le relazioni internazionali della Russia.

 Il politologo russo lo spiega in modo esauriente nel suo corso di geopolitica tenuto all’Università di Mosca nel 2012.

 L’Europa diventa di fatto un soggetto subordinato della civilizzazione russa ed eurasiatica.

Così dev’essere «L’Europa che vogliamo noi russi» – come ho sentito dire con le mie orecchie a Dugin, durante una conferenza da lui tenuta a Lugano nel giugno 2019.

 

Le «civilizzazioni» non sono quindi unità etniche, nel mondo multipolare, ma costrutti nei quali più popoli sono subordinati a un soggetto più forte, che detta le regole della rispettiva «civilizzazione:»

 La Russia nello spazio post-sovietico e in Europa, la Cina nel Sud-Est asiatico, e così via.

 I motori del mondo multipolare, nella visione del mondo russa, sono tutti coloro che sul piano economico, politico e militare, ideologico e culturale, si oppongono agli Stati uniti: Cina, Iran, America latina e altri, elenca Dugin.

 

La Russia è pronta a sostenere queste forze.

La fondazione del canale televisivo Russia Today in lingua spagnola, nota curiosamente Dugin nella sua conferenza sul mondo multipolare, è avvenuta proprio per sostenere i Paesi latinoamericani nello sviluppo della loro civilizzazione in «senso indipendente» contro gli Stati uniti.

Con chi e perché Putin non vuole la guerra?

Questa posizione di Dugin si riflette nell’affermazione di Putin al Valdaj, quando afferma:

«La Russia è pronta a cooperare con i Paesi che sono sovrani nelle loro decisioni fondamentali.

I Paesi che vogliono avere buone relazioni con la Russia devono mostrare che difendono i loro interessi.»

La frase è inequivocabile:

 la Russia è aperta verso tutti quegli Stati che si sottraggono alla cooperazione internazionale con gli Stati uniti e l’Occidente.

Al posto dell’Unione europea e delle altre istituzioni di stampo occidentale arrivano l’Unione eurasiatica e il noto e temuto progetto dell’Europa «da Lisbona a Vladivostok.»

Comandamento supremo del nuovo ordine mondiale è il mantenimento delle «civilizzazioni,» costi quel che costi, sotto la guida del più forte.

Se georgiani, ucraini e altri non si sentono parte della civilizzazione eurasiatica, devono essere tenuti sotto il suo tetto con la forza.

 Agli uiguri e alle altre minoranze della Cina deve essere negato il diritto all’autodeterminazione, perché in questo caso, come osserva Putin in modo esplicito – l’abbiamo detto poco sopra – il rispetto dei diritti umani metterebbe in pericolo lo Stato.

In questa visione del mondo, entità come gli Stati del Centro Europa, del Caucaso e dell’Asia centrale non hanno alcuna personalità propria.

Possono esistere solo in quanto zone di influenza subordinate alla potenza che domina la rispettiva «civilizzazione.»

Putin esprime questo principio quando dichiara, nel suo discorso del Valdaj:

«La sovranità dell’Ucraina può essere garantita solo dalla Russia, perché l’Ucraina è stata creata dalla Russia.»

Dal punto di vista storico e giuridico questa affermazione è una sciocchezza, ma rientra alla perfezione nella dottrina russa del mondo multipolare.

Il mondo di Putin come «unica opportunità» per noi.

Questo principio non vale solo per ucraini, georgiani e popoli confinanti.

Il mondo multipolare è «l’unica opportunità anche per i Paesi europei – cioè per noi – di esercitare soggettività politica ed economica,» soggiunge Putin.

 In questo momento noi europei non siamo disponibili, ma, afferma Putin:

«Il pragmatismo trionferà. Prima o poi l’Occidente e i nuovi centri dell’ordine mondiale multipolare dovranno parlarsi a pari livello, a proposito del loro futuro comune, per raggiungere un equilibrio degli interessi. Il dialogo tra la Russia e l’Occidente autentico e tradizionale sarà il più importante contributo all’ordine mondiale multipolare.»

L‘«Occidente autentico e tradizionale» è quello i cui valori corrispondono ai postulati dei partiti filorussi e populisti, sia di destra sia di sinistra.

Il messaggio è chiaro: la Russia, in combutta con le forze filorusse europee, plasmerà il nostro continente a sua immagine e somiglianza.

Torniamo brevemente a Dugin, che dice:

«Dobbiamo concentrarci sulla fondazione della civilizzazione come attore, come soggetto delle strutture del mondo multipolare. Questo è l’elemento più importante.»

 L’equilibrio degli interessi tra le civilizzazioni significa, perciò, verso l’interno, che la potenza dominante di ciascuna civilizzazione consolida il suo potere, con qualunque mezzo.

 Afferma Putin:

«Un cambiamento epocale è un processo doloroso, ma naturale e inevitabile.»

Guerra e violenza sono messe in conto e vanno sofferte, come passi di una spinta naturale e insopprimibile.

La guerra in Ucraina è espressione ed esempio di questo processo di riequilibrio.

Si noti quanto spesso Putin usa il termine inevitabile: su uno sfondo storicistico e con un’ebbrezza quasi religiosa, Putin vede l’umanità come una comunità legata da un unico destino.

Verso l’esterno, il concetto di equilibrio degli interessi tra le civilizzazioni assomiglia a ciò che nella dottrina delle relazioni internazionali si definisce equilibrio di potenza (Balance of power).

Il mantenimento dell’equilibro di potenza prevale, nei realisti, sul rispetto di regole e valori.

Così è anche nel nuovo ordine mondiale di Putin.

 

PERCHÉ PUTIN VUOLE LA GUERRA: LE VERITÀ SCOMODE PER NOI.

Sono verità che possono diventare rapidamente un cappio al collo per noi, se continuiamo ad accettare la realtà senza reagire.

L’idea di mondo di Putin contiene molte distorsioni della Storia e della realtà.

A fianco di queste, però, emergono fatti che dimentichiamo troppo spesso.

Sono verità che possono diventare rapidamente un cappio al collo per noi, se continuiamo ad accettare la realtà senza reagire.

L’Occidente – il mondo della società aperta, dell’economia di mercato e dei diritti umani – è davvero una minoranza, rispetto al resto del pianeta.

Il “Consiglio per i diritti umani” delle Nazioni unite è composto a maggioranza schiacciante da Paesi che non rispettano i diritti umani.

 Un’economia di mercato, non senza macchie ma funzionante, esiste di fatto solo in Occidente, poiché ad altre latitudini l’economia è diretta o dal crimine organizzato, per mezzo di corruzione e violenza, o da oligarchi o dallo Stato, o da tutte queste cose messe insieme.

Una società non priva di difetti ma pur sempre aperta, nella quale i cittadini possono esprimere i loro talenti, possono contare su una giustizia generalmente indipendente e possono influire sulla legislazione attraverso una rappresentanza parlamentare votata liberamente – tutto ciò l’abbiamo, nella misura massima oggi possibile, solo noi in Occidente.

 Il nostro modello di sviluppo presenta molte lacune, ma tutti gli altri sono peggiori.

In quanto minoranza del mondo, possiamo conservare il nostro modello di società solo se manteniamo nel tempo il nostro primato intellettuale.

La ricerca e lo sviluppo nelle scienze, tecniche e umane, sono la base del nostro benessere e delle nostre libertà.

Finché sediamo in prima fila per capacità intellettuali, abbiamo l’opportunità di trasmettere alle prossime generazioni i valori fondamentali della nostra società, anche se siamo minoranza.

Putin vuole la guerra perché il primato dell’Occidente è in bilico.

Vladimir Putin ritiene che il modello neoliberale di sviluppo dell’Occidente sia entrato in una crisi dottrinale.

Putin ha ragione.

Nel progresso tecnologico manteniamo il primato, ma nelle scienze umane siamo oggi più deboli che mai.

 Le scienze umane sono il presupposto della capacità di giudizio nelle questioni fondamentali di valore, dove è necessario saper distinguere il vero dal falso – poiché è possibile, distinguere il vero dal falso.

Un’ordinata scienza della politica, come fondamento dello sviluppo della nostra società sulla base sicura dei valori fondamentali, presuppone un sano e diffuso sapere umanistico.

 La guerra in Ucraina ha denudato senza pudore la debolezza intellettuale dell’Occidente.

Politici dei parlamenti d’Europa che sostengono le sanguinose azioni del regime russo;

ministri e capi di governo che discettano senza risultati per settimane, anzi mesi, sulle forniture di armi;

docenti che diffondono letture falsificate della Storia;

televisioni e giornali di largo ascolto, talvolta persino obbligati al servizio pubblico, che offrono palcoscenici e milioni di ascoltatori a leader d’opinione nei quali non si riconosce la minima competenza.

I perché di Putin sulla guerra e la debolezza culturale dell'Occidente.

Il dibattito pubblico sulla guerra in Ucraina ha messo in luce quanto in fretta possiamo diventare davvero la minoranza ammutolita che Putin e i suoi scherani deridono in noi.

Rinunciando al nostro primato nelle scienze umane, perdiamo la capacità di prendere posizioni chiare.

Indecisi tra vero e falso, per mancanza di capacità di giudizio, abbiamo elevato l’indifferenza a equità e ne facciamo dibattiti che sconfinano nell’eternamente insignificante.

Così noi, gli autoproclamati protagonisti del gran teatro del mondo, diventiamo burattini di legno su un palcoscenico di provincia, nelle mani di burattinai spaventosi.

La «nuova frontiera» di Putin: verso il futuro oppure…

Il mondo unipolare – dunque il mondo dei valori occidentali, dei nostri valori – apparterrà presto al passato, ammonisce Putin.

Anche su questo ci avrà preso, se noi non interveniamo rapidamente contro l’inaridimento della nostra capacità di pensiero.

Il mondo, osserva Putin con ragione, è sulla soglia di una nuova frontiera. Noi, da parte nostra, dovremmo fare in modo che questa frontiera, come disse Kennedy nel 1960, si apra verso il futuro; nell’idea di mondo di Putin, la nuova frontiera è un passo indietro verso il passato. Dove vogliamo andare?

Perché la guerra di Putin.

PERCHÉ PUTIN VUOLE LA GUERRA CONTRO «L’UNIVERSALISMO».

Infine, lo spunto forse più importante del discorso di Putin.

Il presidente russo lo riprende ancora una volta alla lettera dalla dottrina di Dugin. I valori occidentali – democrazia, diritti umani, diritto internazionale – hanno pretesa di universalità, ossia pretendono di valere per tutta l’umanità.

Pertanto, secondo Putin, sono uno strumento di prevaricazione da parte dell’Occidente sul resto del mondo.

La validità universale dei diritti umani non è una pretesa coloniale dell’Occidente: è un pilastro della civiltà umana – non solo di quella occidentale.

I diritti umani sono universali perché:

«Il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo

Così stabilisce il preambolo della “Dichiarazione universale dei diritti umani”, promulgata nel 1948 dalle Nazioni unite e firmata anche dalla Russia (allora come Unione sovietica).

 I diritti oggettivi sono stabiliti dalla legge; i diritti soggettivi nascono dai rapporti giuridici; i diritti umani sono fondati esclusivamente sul fatto che nasciamo persone umane.

Per questo motivo, ogni persona umana, non importa dove, gode degli stessi diritti umani.

Se si distingue – e in base a cosa, poi? – una persona A, che ha diritto alle libertà fondamentali, da una persona B, alla quale queste libertà vengono negate, il concetto di «diritto umano» perde il suo fondamento.

Il principio dell’universalità dei diritti umani ha una storia antica.

Compare in modo esplicito nella Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789, all’articolo 1:

«Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti.»

Il germe dei diritti umani emerge ancor più anticamente, nelle prime concessioni della monarchia inglese, dalla “Magna Charta” al “Bill of Rights”, in uno spazio di tempo tra il tredicesimo e il diciassettesimo secolo.

Negando l’universalità dei diritti umani, la Russia mette in discussione un fondamento giuridico e storico per il quale l’umanità ha lottato a lungo e duramente.

Se passa la visione russa, la civilizzazione umana torna indietro di secoli.

Putin vuole la guerra contro l’universalità dei diritti umani

La negazione dell’universalità dei diritti umani è forse l’elemento più importante della dottrina delle relazioni internazionali nella Russia post-sovietica.

 Se i diritti umani valgono senza distinzione per tutti gli Uomini, l’intero costrutto della teoria politica di Aleksandr Dugin crolla.

Con esso cade la politica estera russa degli ultimi 20 anni, orchestrata da Vladimir Putin.

Il motivo dichiarato per il quale la dottrina russa rifiuta la validità dei diritti umani per tutti è che il mondo multipolare deve tenere conto della diversità delle culture.

In realtà, la Russia e gli altri Stati illiberali voglio tenere aperti degli spazi in cui i governi dittatoriali possano esercitare il loro potere indisturbati, circondati solo da alleati consenzienti, incapaci di autodeterminazione.

L’Occidente non è privo di colpe: l’Europa e gli Stati uniti, nella loro lunga storia, hanno accumulato molti debiti.

Si possono trovare numerose circostanze nelle quali il modello occidentale è stato davvero imposto con prevaricazione coloniale.

È anche vero ciò che afferma Dugin, quando osserva che lo Stato nazionale non è più adeguato al mondo di oggi e che vi sono popoli che hanno difficoltà ad applicare i principi della democrazia.

Ciò premesso, ridurre i diritti umani e il diritto internazionale a uno strumento di dominio occidentale non è la soluzione del problema.

Il modello di sviluppo occidentale si impone perché è un modello di successo.

Putin pensa, l’ho già citato, che la maggioranza dell’umanità respinga il nostro modello di società.

Certo, esiste un diffuso antioccidentalismo, nel mondo, in parte motivato, in parte dovuto a ignoranza e presunzione.

Tuttavia, le donne iraniane che dimostrano contro l’obbligo del velo; i migranti africani che sbarcano ogni giorno sulle coste meridionali dell’Europa; gli oligarchi russi e gli arrampicatori sociali asiatici che vogliono studiare e fare business in Occidente sono attratti tutti dal nostro modello di sviluppo, perché gli Uomini aspirano al progresso e alla libera realizzazione della loro personalità.

La costante mobilitazione in nome degli interessi dello Stato, di una religione o di una «civilizzazione» non è una ragione di vita.

Perché Putin vuole la guerra: una filosofia radicata a fondo.

Indipendentemente da come finirà la guerra in Ucraina e da quanto tempo Putin resterà avvinghiato al potere, dovremo confrontarci ancora a lungo con la visione del mondo della Russia post-sovietica, poiché ha ingranato a fondo nelle teste dei decisori politici e dell’opinione pubblica, in Russia e in parte anche in Occidente.

Perché la guerra di Putin in Ucraina.

La Russia non abbandonerà questa politica, se noi non ce ne difenderemo con vigore.

Dopo gli insuccessi militari di Kyiv e Kharkiv, i russi hanno ritirato le loro truppe anche da Kherson.

E‘ una ritirata militare, ma non un arretramento ideologico.

È bene sottolineare un principio che molti politici occidentali sembrano non aver ancora recepito del tutto:

la realizzazione della visione del mondo russa presuppone l’eliminazione dell’Occidente come luogo d’origine della società aperta, poiché la dottrina russa nega la validità universale dei diritti umani, che sono la base del modello di sviluppo occidentale.

Per raggiungere questo scopo, la Russia ritiene giustificato qualunque mezzo: guerra militare, ingerenza nei processi democratici, ricatto energetico.

La guerra in Ucraina mostra quanto in fretta, in tutto ciò, vengano superati i freni inibitori della morale, perché, ricordiamolo:

 «La teoria multipolare è molto […] dura e aggressiva […]. Il mondo multipolare sarà possibile solo dopo che il mondo unipolare sarà stato liquidato in modo definitivo e irreversibile» – per citare ancora una volta la conferenza di Dugin.

Perché Putin vuole la guerra: Ucraina e discorso del Valdaj.

«Il pragmatismo trionferà. Prima o poi l’Occidente e i nuovi centri dell’ordine mondiale multipolare dovranno parlarsi a pari livello, a proposito del loro futuro comune.»

Per concludere, un cenno allo sviluppo della guerra in Ucraina alla luce del discorso di Putin al Valdaj.

Nel suo intervento, il presidente russo ha dichiarato le sue intenzioni con un’argomentazione passeggera ma pesantissima, che ho già citato poco sopra:

 «Il pragmatismo trionferà. Prima o poi l’Occidente e i nuovi centri dell’ordine mondiale multipolare dovranno parlarsi a pari livello, a proposito del loro futuro comune.»

Applicato alla quotidianità concreta della guerra, ciò significa:

Putin porta all’esasperazione gli ucraini e l’Occidente con attacchi missilistici, terrorismo e tortura, nella convinzione che l’Ucraina e l’Occidente prima o poi cederanno, vorranno negoziare e accetteranno la visione del mondo russa per pragmatismo.

I cosiddetti «pacifinti» occidentali – i partiti populisti, i leader d’opinione filorussi, la Chiesa cattolica – che si ergono contro il sostegno e le forniture di armi all’Ucraina, condividono la stessa convinzione di Putin.

Il discorso del presidente russo al Valdaj ha portato brillantemente alla luce come la guerra d’Ucraina sia solo una parte di un’aggressione che è rivolta a noi occidentali come difensori della modernità.

Se vogliamo portare in salvo i valori del nostro modello di società oltre la «nuova frontiera,» dovremmo confrontarci seriamente con la visione del mondo russa, perché è nociva per noi.

Purtroppo non lo stiamo facendo. Cinguettiamo sui rami dell’albero, mentre la Russia colpisce energicamente con l’ascia il tronco della società aperta.

Sulla guerra in Ucraina circola un detto che gli ucraini hanno elevato a motto della loro lotta resistenza:

 «Se la Russia smette di combattere, non ci sarà più guerra; se l’Ucraina smette di combattere, non ci sarà più l’Ucraina.»

È una verità parziale.

 La verità completa è che se l’Ucraina e noi stessi smettiamo di combattere, non ci sarà più né l’Ucraina, né il modello di sviluppo della modernità.

 

 

 

Il giornalista Max Blumenthal analizza

la massiccia influenza di Israele

sulla politica estera degli Stati Uniti.

Lifesitenews.com – Max Blumenthal – (14 ottobre 2023) - Frank Wright - ci dice:

 

Il giornalista Max Blumenthal avverte che il conflitto in Israele "si sta trasformando in una guerra calda molto più velocemente della situazione Russia-Ucraina".

(LifeSiteNews ) – In un video caricato il 12 ottobre , il giornalista indipendente Max Blumenthal cerca di informare il suo pubblico sul perché e come il mondo viene portato sull’orlo di una guerra globale – con il pericoloso potenziale di diventare nucleare. 

“Siamo trascinati contemporaneamente in tre conflitti potenzialmente catastrofici dal punto di vista nucleare: con l’Iran, la Russia e la Cina”.

Mentre Israele minaccia di lanciare un’offensiva di terra a Gaza e le navi da guerra statunitensi e britanniche si spostano nella regione, Blumenthal sostiene che le azioni dell’amministrazione Biden stanno deliberatamente infiammando la situazione verso l’obiettivo a lungo termine della guerra con l’Iran.

Verso una guerra regionale.

Sebbene l'aiuto umanitario sia benvenuto, Blumenthal afferma:

“Non è quello che l'amministrazione Biden sta cercando di fare qui: hanno inviato due portaerei nella regione. Stanno alzando la temperatura e ci stanno portando su una traiettoria verso una guerra regionale”.

Inoltre, afferma che questa guerra è stata un obiettivo politico dell’attuale primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

È, continua, “…il tipo di guerra con l’Iran in cui Benjamin Netanyahu ha cercato di coinvolgere gli Stati Uniti da quando è tornato nell’ufficio di primo ministro”. 

Perché la guerra è arrivata in Israele.

Blumenthal ha ben chiare le ragioni della guerra in Israele.

"...in questa situazione la questione è in realtà legata ai luoghi santi di Gerusalemme, ma anche alla questione dell'occupazione e dell'assedio sotto cui i palestinesi hanno vissuto ininterrottamente quasi dal 1948", spiega il giornalista.

Dopo un lungo esame della tormentata storia dello Stato di Israele, Blumenthal ricorda al suo pubblico perché l’”attacco di Hamas” che ha portato alla dichiarazione di guerra è stato chiamato “alluvione di Aqsa”.

Dice che l'”operazione di Hama”s è stata il risultato di una provocazione deliberata. 

“[Si] è trattato innanzitutto di respingere le incursioni nazionaliste religiose ebraiche nel complesso di al-Aqsa a Gerusalemme – il terzo luogo più sacro dell’Islam”.

È un luogo che non è ancora visto come un luogo normalmente adatto alla preghiera ebraica.

"... secondo la legge ebraica ortodossa gli ebrei non sono in realtà autorizzati a pregare lì se non in circostanze speciali", aggiunge.

Blumenthal spiega che le incursioni non vengono compiute da comuni ebrei religiosi, ma da una fazione particolare con un programma specifico. 

"Si tratta di una setta all'interno della società israeliana che non solo è determinata a invadere quel complesso, ma a sostituirlo con un terzo tempio ebraico per annunciare la venuta del messia ebraico", continua. “Questo è visto come un affronto all’intero mondo islamico”.

Insicurezza nazionale.

In passato il sito era strettamente sorvegliato, ma con la presenza nel governo israeliano del partito di “coloni-sionista” “Potere Ebraico” di “Itamar Ben-Gvir”, le incursioni sono diventate frequenti. 

Ben-Gvir, che è il “ministro della Sicurezza nazionale di Israele”, ne ha guidati personalmente molti, suscitando indignazione internazionale nel mondo islamico. Recentemente è stato messo in guardia dal farlo di nuovo dal capo dello “Shin Bet, il servizio di sicurezza israeliano. 

Blumenthal afferma che in questo momento critico ci sono opportunità politiche per entrambe le parti. 

“Hamas si sta posizionando come protettore dell’Islam chiamando la sua operazione al-Aqsa.

Nessun altro sta proteggendo quel complesso, nessun altro è in grado di farlo, quindi questa è una commedia politica per loro”.

Interesse nazionale di chi?

Descrivendo gli avvenimenti attorno a un luogo così delicato, la cui violazione potrebbe mobilitare l'intero mondo islamico, definisce la situazione incendiaria. Secondo lui, si tratta di una guerra che “si sta trasformando in una guerra calda molto più velocemente della situazione Russia-Ucraina”.

Perché è così?

Blumenthal spiega il motivo per cui gli Stati Uniti si stanno muovendo rapidamente verso una guerra con l’Iran quando “non è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti” farlo.

“C'è un “X Factor” – che non c'è in Russia-Ucraina – che è particolarmente pericoloso in questa situazione”, spiega.

«Tutti lo riconoscono ma è vietato parlarne.

Verrai chiamato antisemita, o io verrò chiamato ebreo che odia sé stesso, ma negli Stati Uniti hai una “lobby israeliana” molto potente”.

Al contrario, dice, “…non esiste una vera lobby ucraina”. 

Continua spiegando il sorprendente grado di influenza israeliana ai più alti livelli della politica statunitense, e perché le rimostranze storiche sostenute da alcuni alti funzionari statunitensi dovrebbero precludere loro l’incarico.

Influenzare il presidente degli Stati Uniti.

“Esiste una lobby israeliana che in molti modi può influenzare il Congresso e influenzare il presidente – sia esso democratico o repubblicano – ad agire esclusivamente nell’interesse di Israele senza considerare l’interesse nazionale degli Stati Uniti”, sostiene “Blumenthal”, aggiungendo che “ Non importa quanto ami Israele – gli Stati Uniti hanno interessi nazionali diversi [rispetto a Israele] – e non è nell’interesse nazionale degli Stati Uniti attaccare l’Iran”.

Ciononostante, dice Blumenthal, “abbiamo visto Donald Trump cadere sotto l’influenza della lobby israeliana”.

Blumenthal descrive come una battuta di Donald Trump sui proprietari terrieri davanti a un pubblico ebraico lo abbia portato a impegnarsi a uccidere un generale iraniano e a sostenere Netanyahu.

“[Trump] ha detto: sono un proprietario – molti di voi lo sono – e ci piace fare affari. Siamo affaristi. Perché non possiamo fare un accordo tra Israele e i palestinesi?”

Blumenthal dice: “Ero tipo 'questo è quello che ha detto Trump? È molto sensato."

È stato definito antisemita per aver detto questo. È stato accusato di stereotipare gli ebrei come proprietari terrieri”.

E se “Jared Kushner” fosse ebreo -palestinese?

Blumenthal afferma che ciò ha visto l'ingresso di” Sheldon Adelson” nella campagna di Trump.

"Uno degli uomini più ricchi d'America - il proprietario del Las Vegas Sands Casino - che ha una relazione con il genero di Trump [Jared Kushner]."

Adelson ha finanziato sia la campagna iniziale di Trump che quella della sua rielezione in cambio di un accordo a favore delle politiche israeliane. 

“Adelson dice che tutto quello che devi fare è fare una campagna di massima pressione sull’Iran.

Inizia a lavorare con Netanyahu. Si conclude con l’uccisione di “Qassam Soleimani”, la seconda figura militare più potente in Iran… che di fatto porta al ferimento delle truppe americane”, sostiene Blumenthal.

Parlando dell'attacco missilistico di ritorsione dell'Iran, dice: “[Loro] furono trasportati alla base aerea di Ramin quando il missile balistico iraniano colpì. Hanno subito centinaia di ferite traumatiche alla testa”. 

Blumenthal insiste sul fatto che non solo Trump è stato “manipolato”, ma che si è trattato di un’estensione degli stretti legami di “Kushner” con Israele.

“Tutto ciò è dovuto al fatto che Trump è stato manipolato per trascinarlo in un conflitto per ragioni di politica interna e perché suo genero ha un appassionato attaccamento a Israele”, sostiene.

Quanto sono profondi i legami della famiglia Kushner con Israele?

 Blumenthal osserva che quando l'attuale primo ministro israeliano Netanyahu era all'opposizione, alloggiava a casa del padre di Kushner.

 

"... e Jared dovrebbe effettivamente alzarsi dal letto e restare nella stanza dei suoi genitori e Netanyahu dormirebbe letteralmente nel suo letto."

Blumenthal dice di Trump: “Immagina se suo genero fosse stato ebreo palestinese?” 

Consenso bipartisan.

Blumenthal sottolinea che i Clinton e Barack Obama hanno uno “Sheldon Adelson” nel loro campo.

 Il suo nome è “Haim Saban”.

Blumenthal afferma che “[Saban] è il più grande donatore individuale di Bill Clinton, Hillary Clinton e Barack Obama” e che è aperto a essere “un individuo con una sola questione”, essendo quella questione Israele. 

Blumenthal afferma che Saban “ha fatto nominare sua moglie Cheryl ambasciatrice speciale delle Nazioni Unite da Obama perché gli aveva dato così tanti soldi”.

Cosa ha chiesto in cambio Saban?

“… tutto ciò che voleva che Obama facesse era ignorare gli appelli palestinesi [a] porre fine all’occupazione, e fare tutto ciò che Israele voleva”, sostiene Blumenthal.

Connessioni di “stato profondo”, Deep State.

L'esplosiva analisi di Blumenthal dell'influenza israeliana sul governo americano non si ferma qui.

Cita profondi legami statali tra il capo diplomatico degli Stati Uniti e l’agenzia di intelligence israeliana, il Mossad.

 

“Tony Blinken – il Segretario di Stato americano – è in Israele in questo momento per partecipare alle riunioni del gabinetto di guerra”, dice Blumenthal, sottolineando che Blinken “è un membro della lobby israeliana – ma dovrebbe essere il nostro capo diplomatico.

In questo caso non mette l'America al primo posto. Non ne è capace." 

Sottolineando le nebulose intenzioni del Segretario di Stato americano, Blumenthal prosegue spiegando gli sorprendenti legami familiari del diplomatico più anziano degli Stati Uniti.

“Non è chiaro cosa stia mettendo al primo posto, ma suo nonno in realtà ha avviato un think tank negli anni ’30 per fare pressione a favore del movimento sionista in Palestina”.

In seguito, rivela che il  "suocero di Blinken - che lo ha cresciuto dall'età di nove anni - [era] Samuel Pisar".

Descritto da Blumenthal come “una figura importante nel mondo ebraico francese”, Pisar era “molto filo-israeliano ed era una specie di consigliere di [l’ex presidente francese] Francois Mitterand, ma era anche il consigliere di Robert Maxwell”.

L'ex barone della stampa britannico “Robert Maxwell” è scomparso in circostanze inspiegabili.

La figlia di Maxwell, Ghislaine, era una stretta collaboratrice di Jeffrey Epstein.

Inoltre, Blumenthal nota che lo stesso “Robert Maxwell” era un “agente del Mossad che aveva una profonda sepoltura di stato in Israele”.

Qual è il collegamento con Blinken? 

 

Samuel Pisar è l'uomo che ha allevato Tony Blinken e l'ultima telefonata che Robert Maxwell ha fatto prima di cadere misteriosamente dal suo yacht è stata a Samuel Pisar”, continua Blumenthal.

Blumenthal si chiede se questa eredità costituisca un capo diplomatico adatto.

Quindi Tony Blinken dovrebbe presiedere alla risoluzione di questo conflitto con tutti questi attaccamenti appassionati e legami familiari?

 Ha detto che ha ereditato il suo impegno per la forza di Israele e penso che quello che vogliamo in un diplomatico è qualcuno che guardi – bilanci – tutte le parti e cerchi di arrivare a una soluzione pacifica”.

Invece, Blumenthal dice: “…ma quello che hai qui è qualcuno che sembra prendere tutto sul personale”. 

Questi legami personali e le lamentele ereditate, sostiene Blumenthal, mettono in dubbio l’idoneità di Blinken a qualsiasi ruolo anche nei negoziati con la Russia.

"[I Blinken] hanno anche detto 'Ho una famiglia ucraina, ecco perché sostengo l'Ucraina.'"

“Questo è l’opposto della diplomazia. È così pericoloso in questo momento. Abbiamo tutti gli ingredienti per la Terza Guerra Mondiale perché non pensiamo razionalmente, non guardiamo alla storia e ci rifiutiamo di considerare i bisogni di entrambe le parti”, afferma Blumenthal. 

La sua schietta valutazione della direzione della politica estera statunitense e della sua terribile diplomazia si conclude con un avvertimento.

“Stiamo sentendo queste denunce folli:

'Hamas è l'Isis.' "Hamas è Al-Qaeda." 'Questo è un altro 11 settembre'”, dice Blumenthal.

“Ebbene, dove ci ha portato l’11 settembre? Ci ha portato in Iraq, in Afghanistan – e non ne siamo mai sfuggiti”.

 

 

 

 

L’Italia non vuole la guerra:

“Basta con l’invio di armi”

Lastampa.it - ALESSANDRA GHISLERI – (28 Gennaio 2023) – ci dice:

 

Sondaggio Euromedia: la maggioranza contro nuovi aiuti militari e intervento Nato.

Il Festival di Sanremo è sempre stato, per gli italiani, lo spettacolo nazional-popolare per eccellenza.

È bastato l’annuncio del possibile – per non dire certo – intervento del Presidente ucraino Zelensky, per mettere in secondo piano gli altri filoni informativi della guerra. Il dibattito di questi giorni si è riunito sulle diverse possibilità di questo importante evento mediatico – e politico – tornando a scatenare le rispettive fazioni legate al conflitto che per qualche mese si erano eclissate, complici le proteste dei benzinai e il ritorno del dibattito nel campo di esistenza delle intercettazioni.

Pacifisti anni 90, filo-putiniani, intellettuali “reazionari”, atlantisti, governisti, polemisti... Sono in molti a dibattere sul tema proprio perché la kermesse ha sempre avuto un’audience veramente importante.

 In sostanza, come esprimono i sondaggi realizzati per “Porta a Porta”, gli italiani in maggioranza sentono il conflitto russo-ucraino lontano (78,2%) con una percentuale superiore a quella di metà dicembre.

Nei cluster analizzati solo i giovani tra i 18 e i 25 anni si differenziano nelle risposte:

il 15,8% sente vicine le ostilità della guerra rispetto all’8,2% del dato nazionale, mentre il 51,2% le sente prossime e ben il 33% non ha saputo offrire una valutazione.

Nei dati si conferma quella tendenza che perdura dai primi mesi delle ostilità in cui gli italiani continuano a mostrarsi in maggioranza contrari all’invio delle armi all’Ucraina (52%).

Questo trend non ha mai presentato una singola inversione.

Si può dire che solo gli elettori di Pd, FI e Azione con Italia Viva si dichiarano maggiormente favorevoli.

Così se il 33,9% degli intervistati ritiene doveroso il sostegno all’Ucraina con l’invio dei Panzer – Leopard tedeschi, ben il 58% non legge positivamente questa scelta principalmente perché teme l’inasprirsi della guerra con la possibilità che la Nato sia costretta ad entrare come parte attiva nel conflitto.

Naturalmente, su questa possibilità il 68,5% del campione si dichiara contrario e il giudizio appare trasversale dal punto di vista dell’elettorato politico.

Questo pensiero stimola le paure più profonde degli italiani che, pur comprendendo l’aiuto necessario e dovuto nei confronti di un Paese che è stato violato nei suoi confini e nei suoi principi, leggono tutto ciò come un’importante crisi per la sicurezza europea.

 

Ed è proprio lo stesso termine dei carrarmati “panzer” che evoca i terribili scenari legati alla seconda guerra mondiale in territorio europeo.

Il possibile sfondamento della guerra da fatto locale a fatto europeo spinge il 38,2% dei cittadini ad augurarsi un negoziato di cessate il fuoco con i russi “alle spalle” degli ucraini per imporlo agli aggrediti.

Il 25,6% è convinto che riducendo il sostegno militare a Kiev si potrebbe riuscire a convincere Zelensky dell’impossibilità di vincere e quindi giungere ad una sorta di negoziato.

Infine, l’8,4% auspica un impegno diretto di tutti gli “alleati” per salvare l’Ucraina andando direttamente al confronto militare con la Russia, anche a rischio di perdite importanti per il nostro Paese.

In queste tre opzioni ben il 41,4% degli elettori del Partito Democratico non si ritrovano.

Tuttavia i dati cambiano di poco quando la domanda viene posta in termini previsionali seguendo le indicazioni di un recente articolo di Lucio Caracciolo su questo giornale.

Uno su tre degli elettori (il 32,5%) è convinto che prima o poi si riuscirà a negoziare con i russi imponendo all’Ucraina una soluzione.

Un cittadino su quattro (il 24,9%), invece sostiene che piano piano si ridurrà il sostegno militare a Kiev, mentre il 10,2% pensa che alla fine si entrerà in maniera attiva nel conflitto.

 Ancora una volta il 41,4% dell’elettorato del Pd non sa indicare una sua visione nel merito.

Questa situazione rischia di incancrenirsi in un conflitto che si protrarrebbe sine die sulle macerie di un Paese aggredito e che salverebbe le nostre coscienze nella libertà della nostra quotidianità.

Nell’elenco delle paure nulla trova assoluzione. L’ingresso dei carri armati tedeschi e americani, gli interessi Usa e la strategia di Biden, la debolezza europea, Putin e Zelensky... Tutto questo mina le nostre abitudini mettendo in luce tutto il nostro egoismo, senza comprendere che anche noi ne facciamo parte.

 E allora il dibattito tende a salvaguardare quello spazio e quel “luogo sacro” del nazional popolare che è il Festival della canzone, perché non vedendo e non sentendo i drammi di una guerra ci possiamo sentire un po’ più liberi...

E sì è così, perché Sanremo è Sanremo!

 

 

 

 

Ucraina, un anno di guerra.

Kiev vuole entrare in Europa,

intanto l'ha già cambiata.

Huffingtonpost.it - Nicoletta Pirozzi - Istituto Affari Internazionali –(21-2-2023) – ci dice:

 

A un anno di distanza la Ue si presenta diversa.

 A partire da un ribilanciamento interno a favore dei Paesi baltici e dell’Europa orientale, in prima linea nella risposta europea all’aggressione.

L’aggressione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 ha impattato in maniera travolgente sull’Unione europea, che proprio in quel periodo cercava di riprendersi dalle conseguenze economiche e sociali della pandemia da Covid-19.

 A un anno di distanza, l’Ue si presenta diversa.

Innanzitutto è più grande, o quantomeno si appresta ad esserlo in vista dell’adesione di due nuovi Stati membri – Ucraina e Moldavia – ai quali ha concesso lo status di candidati a giugno 2022.

Il percorso di allargamento si prospetta lungo e non privo di ostacoli, a partire da importanti riforme che dovranno essere attuate dal governo ucraino in materia economica e di rispetto dello Stato di diritto.

Ma la strada è aperta per accogliere i due Paesi – e forse anche la Georgia – nella casa europea, con importanti conseguenze anche sull’altro fronte dell’allargamento – quello dei Balcani occidentali – e sulle riforme interne che l’Unione dovrà mettere in atto per poter funzionare anche con 35 o più Stati membri.

L’Unione si è anche dimostrata capace di mobilitare le sue risorse per un’azione di politica estera più tempestiva ed efficace.

 Sono 4,8 milioni i rifugiati ucraini che beneficiano del meccanismo di protezione temporanea dell’Ue.

Inoltre, ad oggi l’Unione ha mobilitato 3,6 miliardi di euro per il supporto militare alle forze armate ucraine e un sostegno complessivo all’Ucraina di 50 miliardi di euro.

L’Unione è stata compatta anche nell'imposizione di dure sanzioni alla Russia, e questa settimana si discuterà a Bruxelles un nuovo pacchetto di misure coercitive, il decimo.

Abbiamo assistito anche ad un ribilanciamento interno a favore dei Paesi baltici e dell’Europa orientale, in prima linea nella risposta europea all’aggressione e che hanno alzato la voce a Bruxelles per affermare la loro visione sul futuro dell’Unione.

A livello politico, questo si traduce in un atteggiamento intransigente di contenimento delle mire espansionistiche russe, ben lontano dall’approccio cooperativo di merkeliana memoria, mentre la difesa europea resta inevitabilmente vincolata al ruolo degli Stati Uniti e dell’Alleanza Atlantica, nonostante le velleità di autonomia strategica avanzate dal presidente francese Macron e dalla Commissione ‘geopolitica’ di Von der Leyen.

Il rafforzamento del fronte nord-orientale va di pari passo con un indebolimento di quello mediterraneo, soprattutto dovuto al cambio di governo in Italia e alle conseguenti difficoltà di coordinamento sui dossier europei con Francia e Spagna.

Infine, si registra anche una minore solidità del motore franco-tedesco, fiaccato da difficoltà di politica interna dei due governi e da una mancata sincronia sia sulle riforme europee che sulla politica estera.

Se guardiamo all’opinione pubblica, la congiuntura di poli crisi che l’Europa sta vivendo ha portato ad emergere fragilità e paure, pur in un clima generalmente favorevole a continuare gli sforzi di sostegno alla causa ucraina.

Dall'Eurobarometro si evince che il principale timore dei cittadini europei è l’aumento del costo della vita (93%), seguito da povertà ed esclusione sociale (82%) e dal cambiamento climatico e dal potenziale allargamento del conflitto ucraino ad altri Paesi (entrambi all’81%).

Tre quarti degli europei approvano la politica dell’Unione a sostegno dell’Ucraina e misure specifiche come le sanzioni, anche se ci sono notevoli differenze a livello nazionale – per esempio in Italia la percentuale scende al 62%.

In questa situazione di generale disorientamento, potrebbe crescere la tentazione dei governi a ricorrere a risposte nazionali, a volte anche a discapito di un maggiore coordinamento europeo, sulla scia di quanto è già avvenuto in Germania con le misure di sostegno a famiglie e imprese per contrastare la crisi energetica (il cosiddetto ‘bazooka’ di 200 miliardi di euro) oppure in Italia rispetto alla gestione dei migranti salvati dalle navi delle ONG nel Mediterraneo.

Le conseguenze di questa tendenza sarebbero nefaste per il progetto europeo e per la sua proiezione internazionale, perché la conseguenza inevitabile sarebbe la prevalenza di una logica transazionale a Bruxelles che non porterebbe mai oltre il minimo comun denominatore tra i diversi interessi nazionali e non fornirebbe all’Unione la visione e la spinta politica necessarie a navigare questi tempi incerti.

In ultima analisi, soltanto se sarà capace di costruire un difficile equilibrio tra la flessibilità necessaria ad accomodare le differenze nazionali e il consolidamento di politiche comuni basate su regole condivise l’Unione potrà garantire la tenuta del patto europeo con i suoi cittadini – ma anche con il governo e il popolo ucraini per la realizzazione della loro aspirazione democratica europea.

(Nicoletta Pirozzi è Responsabile delle relazioni istituzionali e del programma "Ue, politica e istituzioni").

 

 

 

"Zelensky vuole la terza guerra mondiale".

Lo strano intergruppo di M5s, Lega e cani sciolti.

 

 Ilfoglio.it - SIMONE CANETTIERI – (16 MAR. 2022) – ci dice:

   

Undici ex grillini in un'interrogazione hanno confuso la Corea del Nord con quella del Sud.

Da Lanutti a Comencini fino a Petrocelli: sono sempre di più i parlamentari che sembrano giustificare l'invasione di Putin

 “Appare comunque intollerabile l’operazione militare intrapresa dalla Russia”.

Un piccolo inciso e poi l’interrogazione può procedere spedita: potrebbe essere stata scritta da Sergej Lavrov.

Invece porta la firma di ben undici senatori, tutti ex M5s (Lannutti, Morra, Giannuzzi, Lezzi, Angrisani, Crucioli, Granato, Moronese, Abate, Mantero, Botto). In Parlamento sta nascendo una brigata “Sergej”.

Una specie di intergruppo abitato da “né né” e con varie sfumature.   

 L’interrogazione in questione, presentata al governo lo scorso 2 marzo, ripercorre un po’ tutto l’armamentario della propaganda filorussa:

 la Nato matrigna, le zampe degli Usa, i nazisti ucraini, il parallelo con Cuba nel 1962 e alla fine anche uno strafalcione geopolitico niente male:

“L’intero consesso sportivo mondiale partecipò nel 2018 alle olimpiadi di Pyongyang, proprio nel periodo in cui la Corea del Nord era stata accusata da tutti gli organismi internazionali di violare i diritti umani e di voler scatenare una guerra globale”.

Peccato che i giochi si svolsero Pyeong Chang in Corea del Sud: non proprio la stessa cosa.

Ma questi sono dettagli.

Va chiamato Elio Lanuti, il saggio del gruppo a cui a volte escono fuori teorie un po’ complottiste nonché amico personale di Beppe Grillo dal 1994, già in Senato con l’Italia dei Valori nel 2008, embrione del M5s.

 “Sto pregando”.

 Per cosa in particolare? “Sono angosciato: Zelensky spinge per la terza guerra mondiale”.

Sarebbe l’aggredito. “Ma cosa: sta provocando i russi.

Dice loro: arrendetevi.

Ma tace sui campi di addestramento della Nato che ospita da anni”.

Lanuti putiniano. “Io non sono amico di Putin, ma questo non giustifica la possibile fine del mondo”.

Sarà contro le sanzioni. “Servono, ma le paghiamo noi”.

Sarà contro le armi agli ucraini. “Certo, attizzano il fuoco. Ho la stessa posizione di Lamberto Dini: Usa e Ue sono responsabili insieme alla Russia”.

Il Senato dà sempre grandi soddisfazioni, perché qui si respira lo spirito del “marzo 2018”: il primo abbraccio fra M5s e Lega, il sovranismo, l’antiamericanismo, il filo putinismo, il fascino per la Cina, l’odio per l’Europa e per l’euro.

Dopo tre governi e quattro anni certe passioni sono rimaste.

 Il grillino Vito Petrocelli (detto Petrov) è presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama (non proprio un’assemblea di condominio):

ha posizioni così nette sulla Russia che per non votare contro il decreto Ucraina volerà a Washington per incontrare l’omologo Usa dei democratici.

Nei giorni scorsi si è già espresso contro la risoluzione del governo (Giuseppe Conte, leader del M5s, parla di disegno strategico di Putin e non di invasione).

“Se mi chiama per Vito non so dove sia, quanto a me io penso che l’Italia stia sbagliando a giocare alla guerra, la facessero gli americani”, Emanuele Dessì, ex grillino ora nel Partito comunista di Marco Rizzo, lo scorso 24 febbraio, giorno dell’invasione russa, stava a Mosca.

“Sì, per un’internazionale di tutti i partiti comunisti: i nostri compagni russi sono all’opposizione di Putin quindi non ditemi che sono amico del Cremlino”.

E però? “Io non sono filo nulla”.

Crede al bombardamento degli ospedali?

“Credo alla propaganda che c’è sempre stata, e al pensiero unico di voi giornalisti”.

Sono fatti, quelli: video, immagini.

 “Le guerre ci sono sempre state, meglio che non ce ne siano.

E però sulla verità potremmo parlare per ore. Comunque in tutta Europa nessuno indossa più la mascherina al chiuso”.

E che c’entra? “E’ libertà, anche questa”.

Nella Lega, dove l’argomento è ancora più scoppiettante per via di Matteo Salvini, si cerca di parlare d’altro.

E così Borghi & Bagnai si buttano su varianti del virus e green pass, salvo incursioni sugli effetti di sanzioni e caro benzina, ma poi alla fine su Twitter non posso esimersi.

“Altrimenti è censura come il fascismo”.

Vladimir Putin per esempio è abbastanza condiviso sui social anche da Guido De Martini, “senatore no euro e no Europa” del Carroccio, forte della convinzione che “non esiste, in questa vicenda, un torto e una ragione”.

Sono le “Brigate Sergej” dunque.

Parlamentari della Repubblica che fra complottismo, voglia di stupire, ricerca di verità alternative rischiano di passare per la quinta colonna italiana dell’invasore. Certo, con diverse gradazioni.

Il deputato grillino Gabriele Lorenzoni, per esempio, non vuole che Zelensky sia invitato a collegarsi con la Camera altrimenti l’Italia si schiera e sostiene – “ho letto i comunicati russi” – che l’ospedale di Mariupol sia stato evacuato prima del bombardamento.

L’altra grillina Enrica Segneri se la prende “con i pacifisti di guerra”.

Il leghista Vito Comencini è ormai in viaggio verso il Donbass.

È l’intergruppo parlamentare, un sentimento che inizia ad aleggiare. Così come lo spirito del marzo 2018.

 (Simone Canettieri)

 

 

 

Scontro governo-magistratura, Meloni

tiene il punto ma non vuole una guerra:

 mirano a spaventarci per fermare le riforme.

 Corriere.it – (9 luglio 2023) - Monica Guerzoni – ci dice:

 

Il tentativo di mediazione del sottosegretario Mantovano.

Meloni sarebbe pronta a sostenere la ministra Santanchè anche in caso di rinvio a giudizio

Tutti a Palazzo Chigi, a cominciare da Giorgia Meloni, avevano messo in conto una reazione (anche aspra) dei magistrati.

Ma quando la botta è arrivata, la presidenza del Consiglio ha lasciato trapelare la «sorpresa» per le sferzate che il presidente dell’Anm “Santa Lucia” ha indirizzato alla maggioranza.

 L’accusa di voler delegittimare un potere cruciale dello Stato e la richiesta di rispettare le prerogative costituzionali mettono in evidente difficoltà l’esecutivo.

Adesso il dilemma per i meloniani è trovare un equilibrio tra la difesa e l’attacco e dimostrare che la colpa di uno scontro che rischia di riportare l’Italia indietro di sei lustri non è di Palazzo Chigi, né di via Arenula, ma di quella «fascia della magistratura» che faziosamente, e su spinta della sinistra, avrebbe aperto anzitempo la sfida elettorale per le Europee.

Giorgia Meloni non vuole andare alla guerra contro i giudici, o almeno non voleva. «È uno scontro che non conviene a nessuno e non siamo stati noi a cercarlo — ripete in queste ore a dir poco difficili.

Non siamo noi che abbiamo alzato per primi i toni».

Ma qualcosa di «molto grave» è accaduto e la reazione del governo è stata «obbligata».

La convinzione al vertice di Fratelli d’Italia e dell’esecutivo è che una parte della magistratura si sia mossa per stoppare la riforma della giustizia targata “Carlo Nordio” e abbia usato strumentalmente prima il caso della ministra “Daniela Santanchè” e poi quello del sottosegretario “Andrea Delmastro”.

Ma «l’assalto è fallito», è il messaggio che arriva dai piani alti del governo, perché Meloni «non arretra» e le nuove norme andranno avanti.

Accelerare verso la separazione delle carriere «non è una ripicca, né una vendetta», perché la svolta «è nel programma elettorale del centrodestra».

La linea (dura) non cambia.

Ora però il timore di ripiombare nella stagione berlusconiana della guerra permanente tra il potere e le toghe serpeggia anche a Palazzo Chigi.

 Lo ha fatto capire il sottosegretario-magistrato “Alfredo Mantovano”, quando ha detto che «il problema dell’interferenza di alcune iniziative giudiziarie sull’attività politica riguarda tutti, centrodestra e centrosinistra, e in 30 anni ha colpito tutti i governi».

Un tentativo di mediare, per convincere le parti a superare le contrapposizioni e non alimentare un incendio che certo non giova alle istituzioni.

I partiti di opposizione guardano al Quirinale, ma non è detto che al rientro dal Paraguay il presidente Mattarella vorrà rendere pubblico il suo stato d’animo sul braccio di ferro tra governo e magistrati.

Giorgia Meloni si sente sotto attacco e non fa nulla per nascondere la sindrome del fortino assediato da un «certo potere costituito», che non vuole arrendersi alla vittoria della destra.

 L’indagine su Santanchè per bancarotta e falso in bilancio e l’imputazione coatta per Delmastro, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio sul caso dell’anarchico “Cospito”, sono vissuti nell’entourage della premier come un «avviso per spaventarci».

Il teorema è in sostanza questo:

 «C’è un filone politico che vede in alcune toghe uno strumento per cambiare gli equilibri di potere senza rispettare il voto degli italiani e il consenso».

E questo filone politico, a sentire i meloniani, farebbe capo ad alcuni «pezzi grossi» del Pd:

 «Pensano che non possiamo governare perché saremmo razzisti, fascisti, omofobi e provano a farci cadere usando singoli magistrati».

La prima reazione della leader della destra è stata proteggere i suoi.

Delmastro «non si tocca» e Santanchè può dormire tranquilla, per qualche tempo ancora.

Per quanto la posizione della ministra imbarazzi anche molti leghisti, azzurri ed esponenti di FdI, la premier sarebbe tentata di resistere persino a un eventuale rinvio a giudizio.

Il modello è il caso della sottosegretaria “Augusta Montaruli”, nominata al governo nonostante una condanna in secondo grado e costretta a dimettersi solo dopo la sentenza di Cassazione.

 Quanto a “Ignazio La Russa”, tra i colleghi ci sono due scuole di pensiero.

 C’è chi include la vicenda del figlio nel presunto assalto dei giudici alla destra e chi invece pensa che la seconda carica dello Stato avrebbe dovuto «mordersi la lingua» prima di difendere il terzogenito” Leonardo Apache” accusato di violenza sessuale e alimentare dubbi sull’autrice della denuncia.

 

 

 

Israele e Gaza nella guerra estesa,

una conversazione con Gérard Araud.

Legrandcontinent.eu – Gerard Araud – (9 ottobre 2023) – Gilles Gressani – ci dice:

(Interviste Israele, Hamas: la guerra del Sukkot)

 

GÉRARD ARAUD — Ambasciatore di Francia in Israele e negli Stati Uniti, rappresentante permanente della Francia all’ONU, il diplomatico Gérard Araud è una delle persone più adatte a cogliere le complessità sollevate dall’attacco di Hamas sabato.

Lo abbiamo intervistato per chiedergli un’analisi a caldo della guerra del Sukkot.

Da dove parte per tracciare il «gran contesto» della guerra del Sukkot?

Le emozioni sono forti ed è difficile fare un passo di lato, ma gli attacchi di ieri si inseriscono in una lunga serie di episodi.

Dimentichiamo un po’ troppo in fretta che, per oltre un decennio, abbiamo assistito a questo tipo di esplosione di violenza intorno a Gaza quasi ogni quattro anni.

C’è stata la guerra di Gaza del 2008 in risposta agli attacchi di Hamas, con un’offensiva di terra nel 2009;

l’”Operazione Protective Edge” lanciata nel luglio 2014 in risposta alla presa in ostaggio e all’omicidio di tre giovani israeliani in Cisgiordania;

gli scontri tra Gaza e Israele nel novembre 2018, che sono stati più o meno risolti da un cessate il fuoco concordato con la mediazione egiziana;

una grande esplosione di violenza nel maggio 2021;

e ora gli attacchi del 7 ottobre 2023.

Si è così stabilita una sorta di regolarità della tragedia: un attacco più o meno efficace da parte di Hamas; una risposta pesante da parte degli israeliani e poi, dopo un po’, una mediazione, di solito egiziana, per negoziare un cessate il fuoco fino alla successiva esplosione.

Da dove viene questa regolarità?

Gaza è, passatemi l’espressione, una pentola a pressione – per due motivi.

Prima di tutto bisogna considerare le condizioni umanitarie di Gaza, dove due milioni di persone vivono in un’area di trecentosessantacinque chilometri quadrati, in un contesto difficile, senza possibilità di uscire perché sono soggette a un doppio blocco: israeliano, ovviamente, ma anche – lo dimentichiamo un po’ troppo spesso – egiziano.

Inoltre, alla guida di Gaza si è imposta Hamas, un’organizzazione che sostiene la lotta armata e organizza questi attacchi ogni tre, quattro o cinque anni.

Gaza è, passatemi l’espressione, una pentola a pressione.

(GÉRARD ARAUD).

Non vede una differenza qualitativa in questa fase?

La differenza oggi non è tanto nell’operazione in sé, ma nella sua complessità e nell’innegabile successo tattico.

Questa è la fonte dell’incredibile shock psicologico inflitto a Israele.

Stiamo parlando di almeno seicento morti per una popolazione di nove milioni di abitanti.

 Si tratta di un numero cinque o sei volte superiore all’11 settembre in termini percentuali.

E le immagini sono estreme: terroristi di Hamas che vanno liberamente a uccidere per le strade, con un governo colto di sorpresa e apparentemente impotente.

Il metodo operativo della «Tempesta Al-Aqsa» sembra anche volto a catturare ostaggi su larga scala — ci sarebbero quasi 200 ostaggi ora a Gaza.

Questo è davvero un aspetto essenziale.

 Se non si è vissuto in Israele, è difficile capire l’importanza della presa di ostaggi. Per qualsiasi Paese, sarebbe senza precedenti, ma in Israele c’è una sorta di dogma assoluto al centro del patto sociale:

bisogna fare di tutto per preservare la vita di ogni cittadino.

In passato, gli israeliani hanno liberato centinaia di prigionieri, non solo per recuperare un soldato, ma a volte anche per recuperare i resti di un soldato.

Il fatto che ci siano duecento ostaggi israeliani a Gaza è un evento scioccante e senza precedenti.

Ma questa presa di ostaggi non solo renderà il trauma israeliano di questa guerra ancora più difficile – presenterà all’esercito un dilemma: dovrà decidere se mettere in pericolo la vita di questi ostaggi, che senza dubbio saranno usati come scudi umani in tutta la Striscia di Gaza.

Se non si è vissuto in Israele, è difficile capire l’importanza della presa di ostaggi

(GÉRARD ARAUD)
La guerra del Sukkot rappresenta quindi un momento di crisi esistenziale per Israele?

Sì, assolutamente

Passiamo al livello regionale. Pensa che ci sia il rischio che la guerra si estenda?

Partiamo da un’osservazione che può sembrare paradossale.

Israele ha ottimi rapporti con tutti i suoi vicini arabi.

L’unico epicentro in cui la guerra potrebbe espandersi attualmente sarebbe il Libano di Hezbollah.

Per il momento, tuttavia, la sua posizione è più che altro di evasione.

È vero che Hezbollah ha rilasciato una dichiarazione di sostegno ieri, subito dopo l’attacco, e questa mattina ha sparato diversi razzi – ma fondamentalmente, tutto sembra essere fatto per mostrare agli israeliani che Hezbollah non vuole essere coinvolto.

Prendiamo l’esempio dei lanci.

Non si è preso di mira il territorio israeliano, ma un’area contesa di Har Dov, o Fattorie di Shebaa, al confine settentrionale di Israele.

Per quanto riguarda la loro dichiarazione, aveva un’atmosfera da «teatro Kabuki». Si grida, ma non si va oltre.

Non pensa che la situazione potrebbe cambiare?

Sì, certo, potrebbe indubbiamente cambiare nei prossimi giorni.

 Se i combattimenti continueranno, se Al Jazeera riporterà ogni mattina pesanti perdite, ci sarà una pressione più intensa da parte dell’opinione pubblica, e non solo in Libano.

Ma per il momento non vedo il rischio che la guerra si estenda al resto della regione.

L’unico epicentro in cui la guerra potrebbe espandersi attualmente sarebbe il Libano di Hezbollah.

Per il momento, tuttavia, la sua posizione è più che altro di evasione.

(GÉRARD ARAUD)

Se cartografiamo il posizionamento dei Paesi arabi e musulmani, notiamo una sorta di ambiguità strategica, una neutralità attendista.

Cosa ne pensa?

I Paesi arabi sono in estremo imbarazzo.

Da un lato, le loro leadership hanno ovviamente una forte inimicizia nei confronti di Hamas, che rappresenta una minaccia perché è un partito popolare e islamista. Dall’altro lato, sono impegnati in un processo di riavvicinamento con Israele.

La loro opinione pubblica però è in maggioranza filo-palestinese e attualmente sta esultando per il clamoroso successo dell’Operazione Tempesta Al-Aqsa.

La maggior parte di questi regimi sono autoritari, ma devono comunque fare i conti con le tendenze strutturanti della loro opinione pubblica.

Da qui questo atteggiamento spesso attendista.

L’Arabia saudita sembra il Paese che incarna più chiaramente questa ambiguità.

Fondamentalmente, i sauditi non hanno problemi a lavorare con gli israeliani.

 In primo luogo, perché come tutte le monarchie del Golfo, mostrano nei fatti la massima indifferenza nei confronti della causa palestinese.

 In secondo luogo, perché la base delle relazioni internazionali è che «il nemico del mio nemico è mio amico».

 Il nemico comune di Israele e dell’Arabia Saudita è l’Iran.

È nata una storia, da almeno un decennio: se non sono sposati, vanno già a letto insieme…

Fondamentalmente, i sauditi non hanno problemi a lavorare con gli israeliani.

 

(GÉRARD ARAUD)

La questione religiosa non è ancora delicata?

 Il nome scelto da Hamas per l’operazione (Tempesta Al-Aqsa) si riferisce direttamente alla moschea di Gerusalemme – e ci sono state diverse ondate di indignazione nel mondo arabo e musulmano per la presenza dell’estrema destra sotto la protezione delle forze israeliane sulla spianata delle moschee.

Questo è un aspetto che rende la relazione tra Israele e l’Arabia Saudita più difficile rispetto a quella con gli Emirati Arabi Uniti.

 La monarchia saudita dichiara di voler dimostrare la sua legittimità in quanto custode dei luoghi santi.

Tuttavia, il terzo luogo sacro dell’Islam è Gerusalemme, dove attualmente c’è un governo israeliano di estrema destra, con persino alcuni elementi radicali che chiedono la ricostruzione del Tempio.

Per l’Arabia Saudita, questo rappresenta una sfida delicata e potrebbe quindi chiedere un prezzo elevato per il suo sostegno o riconoscimento.

È in questo senso che l’Arabia Saudita sembrava impegnata a negoziare un mega deal con l’amministrazione Biden, che avrebbe dovuto offrire una soluzione a lungo termine alla questione palestinese in cambio di tecnologie nucleari e forti garanzie di sicurezza.

Alcuni ritengono addirittura che l’operazione di Hamas – che sembra aver avuto il sostegno dell’Iran – sia stata progettata per rendere impossibile questo accordo.

Condivide questa opinione?

Da diversi mesi, l’amministrazione Biden sta lavorando a un piano per estendere gli “Accordi di Abramo”, il grande successo diplomatico dell’amministrazione Trump.

Sebbene coinvolgano già Israele, Marocco, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti, l’obiettivo è di estenderli al principale Paese del Golfo, l’Arabia Saudita.

Si tratterebbe di una rottura storica.

È quindi comprensibile che Hamas e l’Iran abbiano un profondo interesse a far deragliare questa iniziativa.

E va da sé che l’attacco di Hamas pone delle difficoltà probabilmente insormontabili:

 se ci saranno molte vittime civili palestinesi, i sauditi non potranno procedere con il loro riavvicinamento a Israele.

(GÉRARD ARAUD)

Si tratta di un altro scacco in Medio Oriente per l’amministrazione Biden?

Ciò che è piuttosto sorprendente, a mio avviso, è che gli Stati Uniti si siano posti in una posizione passiva, insistendo sulla negoziazione di un accordo formale, quando la relazione tra Arabia Saudita e Israele era nei fatti sulla buona strada.

Come spiega tutto questo?

Non ho una risposta chiara.

Quando non si ha una risposta sulla politica estera, si dice che la causa è la politica interna.

E in effetti l’amministrazione Biden sta entrando in una difficile campagna elettorale in cui deve dimostrare di avere un bilancio migliore di Trump in Medio Oriente.

Il “mega deal” sarebbe stato migliore degli “Accordi di Abramo”.

 

Ci sarebbe anche un’altra ipotesi.

 Il Medio Oriente è meno vitale per gli Stati Uniti, che sono più che autosufficienti in termini di energia e non ritengono più – a ragione – che l’esistenza di Israele sia minacciata da attori internazionali.

Tuttavia, il Medio Oriente rimane di importanza strategica nel contesto della grande rivalità che si sta sviluppando tra Stati Uniti e Cina.

Potrebbero quindi essere preoccupati di vedere una penetrazione cinese nella regione, grazie alla sua capacità di stabilire relazioni clientelari senza imporre condizioni morali.

Il mega deal con i sauditi potrebbe quindi essere visto come una reazione degli Stati Uniti all’ascesa della Cina.

(GÉRARD ARAUD)

Come interpreta la situazione dell’Iran?

È l’unico Paese ad aver sostenuto l’attacco fin dall’inizio, dichiarando persino di aver contribuito a organizzarlo

La Repubblica Islamica dell’Iran si trova in qualche modo nella posizione del Direttorio della Prima Repubblica in Francia.

 La sfida, a partire dal terzo anno della Rivoluzione, fu quella di mantenere una base ideologica e di giustificare le proprie azioni su tale base.

All’epoca, in Francia, alcuni sacerdoti furono sfortunatamente mandati alla ghigliottina, o addirittura a quella che era conosciuta come la «ghigliottina secca», cioè a Cayenne.

Era un modo per dimostrare che le istituzioni, nei loro sforzi di stabilizzazione, erano ancora fedeli al loro impegno rivoluzionario.

 La Repubblica islamica dell’Iran si trova in una dinamica simile.

Ha bisogno di una costante giustificazione ideologica, nominando e svergognando il Grande Satana (gli Stati Uniti) e il Piccolo Satana (Israele).

Detto questo, è importante sottolineare che i veri nemici dell’Iran non sono né gli Stati Uniti né Israele:

sono i Paesi arabi del Golfo.

 E sostenere Hamas significa mettere in imbarazzo le monarchie arabe del Golfo, che guardano dall’alto in basso un movimento che pretende di essere sia democratico che islamista.

Sanno bene cosa pensa l’opinione pubblica araba.

E come abbiamo detto, c’è anche il desiderio di cercare di far deragliare la formazione di questa sorta di alleanza israelo-araba in funzione anti-iraniana.

In definitiva, il gioco dell’Iran è sottile.

 Gli iraniani, che finanziano Hamas e che potrebbero essere stati consultati da Hamas per preparare l’attacco, non devono essere sottovalutati.

Allo stesso tempo, dobbiamo prendere in considerazione la capacità decisionale di Hamas, come quella di Hezbollah, che non sono semplicemente strumenti dei servizi iraniani.

Hanno un proprio programma.

Per il momento, l’Iran si accontenta di una retorica veemente, ma sembra che anch’esso stia evitando di superare una linea che potrebbe rivelarsi pericolosa.

(GÉRARD ARAUD)

A questo punto, quali sono i rischi che la conflagrazione si estenda e coinvolga direttamente la Repubblica Islamica dell’Iran nella guerra del Sukkot?

Finché Hezbollah non interviene significa che l’Iran non vuole spingere le ostilità troppo in avanti.

Infatti, se Hezbollah dovesse intervenire, ci sarebbe un grande rischio che Israele colpisca direttamente l’Iran.

 Si stima che in un simile scenario, date le migliaia di razzi in possesso di Hezbollah, si potrebbe colpire il terzo settentrionale di Israele, compresa Haifa – come ho potuto vedere durante il mio periodo come ambasciatore nel 2006, quando Haifa era sotto bombardamento.

Una situazione del genere sarebbe difficile da tollerare per Israele, che potrebbe quindi prevedere un’azione diretta contro l’Iran, con il sostegno implicito dei Paesi arabi.

Passiamo alla scala globale.

 La mappa delle reazioni alla guerra del Sukkot mostra un’analogia con la mappa delle reazioni alla guerra in Ucraina.

Da un lato, vediamo un Occidente molto compatto, che dimostra una solidarietà inequivocabile con Israele e una chiara condanna di Hamas.

Dall’altro lato, vediamo che il sostegno esplicito all’attacco rimane in minoranza, con meno Paesi del previsto anche nel mondo arabo e musulmano pronti a sostenere Hamas.

 Tra i due, come nella guerra in Ucraina, troviamo i BRICS +, dal Brasile alla Cina, con la notevole eccezione questa volta dell’India, che sembra adottare una posizione di neutralità strategica.

Come spiega questo isomorfismo?

Vorrei iniziare dicendo che condivido l’indignazione per quanto è accaduto nel sud di Israele.

Allo stesso tempo, noto l’assoluto silenzio dell’Occidente di fronte all’escalation di violenza perpetrata dai coloni a spese dei palestinesi.

 In qualità di ex ambasciatore francese in Israele, ho seguito da vicino quanto sta accadendo da diversi mesi nei territori occupati della Cisgiordania.

Stiamo assistendo a una chiara impennata della violenza.

 Il governo di Netanyahu sta chiudendo un occhio e sostiene persino i coloni più estremisti.

Questo solleva un’accusa fondata di doppio standard.

 Naturalmente, non lo direi in televisione o alla radio, perché nell’attuale atmosfera di emozione – un’emozione del tutto legittima e che condivido – sarei immediatamente accusato di giustificare l’ingiustificabile.

(GÉRARD ARAUD)

Pensa che dobbiamo tenere conto di questa accusa per capire la discrepanza tra l’Occidente e il resto del mondo?

Il resto del mondo – l’ho sentito in particolare quando ero alle Nazioni Unite – ci accusa costantemente di avere due pesi e due misure.

L’elenco degli esempi è lungo:

l’invasione dell’Iraq, la guerra in Yemen…

Ma al cuore di questa accusa c’è sempre la questione palestinese, che viene percepita da molti Paesi della regione e del resto del mondo come una prova della nostra parzialità.

Quindi, per questi Paesi, ciò che sta accadendo oggi è tragico, ma ricordano che non eravamo così commossi quando bambini o adolescenti ricevevano un proiettile in testa in Cisgiordania.

Come spiega la posizione indiana?

C’è un elemento che rafforza la posizione dell’Occidente, per così dire, ed è che molti Paesi considerano il terrorismo islamico come il loro principale nemico.

L’India è uno di questi Paesi.

In questo mondo, ogni Paese difende i propri interessi, il che spiega le espressioni di solidarietà dell’India nei confronti di Israele.

Che ruolo sta giocando la Russia in questa sequenza?

Prima di tutto, è importante sottolineare che le relazioni tra Israele e Russia sono eccellenti.

Sono agevolate soprattutto dalla comunità russa in Israele – che conosco bene – con oltre un milione di russi, tra cui molti oligarchi che viaggiano tra Mosca e Tel Aviv senza alcun problema.

Israele mantiene una posizione piuttosto tiepida nei confronti dell’Ucraina, e si potrebbe persino dire che adotta una certa neutralità.

In effetti, Israele è meno favorevole all’Ucraina che la Turchia, ad esempio.

Israele cerca di mantenere relazioni con entrambe le parti.

Quindi non vedo perché la Russia dovrebbe avere un interesse reale a stare dietro a questa vicenda.

In realtà, Israele ha la capacità di danneggiare la Russia, soprattutto grazie alla sua potente industria delle armi, e potrebbe interrompere le relazioni.

Non dobbiamo sopravvalutare il potere dei russi.

 Navigano in base alle opportunità, come possiamo vedere in Africa.

In questa situazione, hanno un’opportunità d’oro che potrebbe avvicinarli al mondo arabo nel suo complesso. A mio avviso, sfrutteranno questa opportunità a fini propagandistici.

Potranno anche criticare l’Occidente in una guerra che distoglie l’attenzione dall’Ucraina.

Tuttavia, non credo che la Russia stia giocando un ruolo importante in questa vicenda, nonostante le speculazioni.

(GÉRARD ARAUD)

C’è un possibile esito negoziale a questa guerra?

Per negoziare, sono necessarie due persone sedute intorno al tavolo.

Nessuna delle due è disposta o in grado di farlo.

Ho lasciato il mio incarico di ambasciatore francese in Israele quasi vent’anni fa. Ricordo che ero straordinariamente pessimista sulle prospettive di un esito negoziale: vedevo la brutalizzazione dell’occupazione, la tossicità della religione, il crollo della sinistra.

 Oggi, ahimè, gli scenari peggiori si sono avverati.

Il governo di estrema destra di Israele è impegnato ad annettere la Cisgiordania. Questo è un dato di fatto.

Eppure nessuno può credere che, con le immagini delle atrocità commesse da Hamas, l’opinione pubblica israeliana domani chiederà di fare concessioni ai palestinesi.

Da parte israeliana, non c’è nessuno che voglia negoziare.

 Oggi, la sinistra è fisicamente scomparsa dalla Knesset.

Da parte palestinese, abbiamo un’autorità totalmente screditata con a capo un uomo di ottantotto anni e un’amministrazione che è diventata praticamente un’appendice dei servizi israeliani.

(GÉRARD ARAUD)

Onestamente, se domani ci fossero le elezioni in Cisgiordania, Hamas probabilmente vincerebbe, non perché gli abitanti della Cisgiordania siano islamisti, ma perché sono stufi dell’Autorità Palestinese.

Per quanto riguarda Hamas, personalmente ritengo che abbiamo commesso un errore strategico, soprattutto noi francesi, rifiutandoci di parlare con loro nel 2006.

Dal punto di vista geografico e politico, Hamas si è imposto una politica di rifiuto assoluto di negoziare e di sostegno incondizionato alla violenza armata, oltre ad essere finanziato e armato dall’Iran.

Quindi la spirale di violenza non può essere fermata?

Sono convinto che, nonostante l’emozione attuale e le indagini che si svolgeranno per definire i responsabili dell’incredibile fallimento dell’intelligence strategica di Israele, la situazione tornerà sostanzialmente alla normalità.

Gli Stati Uniti stanno entrando in campagna elettorale e durante questo periodo non cercheranno di negoziare.

Anche la comunità internazionale è divisa, a maggior ragione a causa della guerra in Ucraina e della rivalità tra Stati Uniti e Cina.

Gli europei, da parte loro, sono impotenti a risolvere il conflitto.

 Ahimè, la mia previsione è che dopo questa esplosione di violenza e di emozioni, torneremo alla situazione precedente.

Lo status quo, in fin dei conti, sembra comodo per tutte le parti.

 I palestinesi perdono, Israele vince, e ogni tre, quattro o cinque anni assistiamo a crisi simili, spettacolari ma che non sfidano davvero la pace mondiale, per dirla cinicamente.

La posizione che riterrei dignitosa per noi europei, quando usciamo da questa crisi specifica, sarebbe quella di difendere i diritti dei palestinesi in Cisgiordania.

 

(GÉRARD ARAUD)

Ancora una volta, vediamo che l’UE sembra mancare sia di autonomia di analisi che di visione geopolitica quando si tratta di un’area che la riguarda direttamente: il Mediterraneo.

Secondo lei, quale sarebbe la posizione più coerente che potremmo cercare di articolare?

Vi sorprenderò, farò un discorso morale.

La posizione che riterrei dignitosa per noi europei, quando usciamo da questa crisi specifica, sarebbe quella di difendere i diritti dei palestinesi in Cisgiordania.

Penso che ciò che sta accadendo sia assolutamente indegno.

In Cisgiordania, stiamo assistendo a una situazione di apartheid, in cui due popolazioni vivono sulla stessa terra, con diritti assolutamente diseguali.

In nome dei nostri interessi e dei nostri valori, potremmo almeno alzare la voce su questo tema.

Questo potrebbe essere un modo per rispondere all’accusa di usare due pesi e due misure.

Dato che agli arabi interessa poco la causa palestinese e che gli americani non stanno prendendo alcuna iniziativa per rilanciare il processo di pace, potremmo considerare di limitare le esportazioni dalla Cisgiordania israeliana verso l’Unione Europea.

Arriverà il momento di alzare la voce per proteggere i diritti dei Palestinesi.

 

 

Chi Sono le Vere “Bestie”?

Conoscenzealconfine.it – (16 Ottobre 2023) - Massimo Mazzucco – ci dice:

 

Nell’arco di 6 giorni Israele ha rovesciato su Gaza oltre 6000 bombe, quasi la stessa quantità di bombe usate dagli americani in Afghanistan nel corso di un anno.

Sono già 2650 i morti palestinesi accertati, più del doppio dei morti causati da Hamas la scorsa settimana.

64.000 sono gli edifici di Gaza gravemente danneggiati, fra cui più di 5.000 quelli già distrutti interamente.

 E sotto quelle macerie ci sono probabilmente centinaia di cadaveri ancora da scoprire.

La popolazione è senza acqua corrente, senza elettricità, e le riserve di cibo stanno per finire.

Il sistema di depurazione delle acque è stato distrutto, per cui anche se l’acqua dovesse tornare, non sarebbe comunque potabile.

Non essendoci elettricità non funzionano i cellulari, ed è quindi impossibile comunicare una qualunque emergenza.

Anche i sistemi fognari sono bloccati.

Le ambulanze faticano a raggiungere i feriti, a causa delle strade bloccate dalle macerie.

A loro volta, gli ospedali sono saturi, e i feriti che continuano ad arrivare vengono curati ormai sul pavimento, con quel poco di medicinali che ancora rimangono.

Nessun corridoio umanitario è possibile, nessuno può mandare aiuti alla popolazione palestinese, perché Israele blocca qualunque tipo di aiuto dall’esterno.

E il mondo resta a guardare.

 Laddove, la settimana scorsa, i commentatori e i politici servi di Israele si strappavano pubblicamente le vesti, denunciando “con una condanna ferma e irrevocabile l’orrore impronunciabile perpetrato da Hamas”, oggi gli stessi commentatori e gli stessi politici si limitano ad emettere timidi inviti ad Israele “a non esagerare troppo con la loro vendetta”.

Come se fosse qualcosa di lecito.

Come se una ritorsione così brutale e inumana, fatta alla luce del sole, contro una popolazione civile totalmente indifesa e incolpevole, fosse qualcosa di assolutamente accettabile per tutto l’occidente.

E poi “le bestie” sarebbero quelle di Hamas.

(Massimo Mazzucco)

(Al Jazeera Live Tracker)

(luogocomune.net/29-palestina/6347-chi-sono-le-vere-%E2%80%9Cbestie%E2%80%9D)

 

 

 

Perché un governo globale è l'obiettivo

finale dei miliardari globalisti.

"L'obiettivo è che tu non possieda nulla"

 Globalresearch.ca - Dott. Giuseppe Mercola -  (07 ottobre 2023) – ci dice:

 

La "Direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia" dell'Unione europea, lo strumento legislativo che detta gli standard di prestazione energetica per gli edifici all'interno dell'UE, sarà utilizzata per realizzare un massiccio programma di trasferimento di ricchezza.

Entro il 2030 l'UE deve ridurre almeno del 55% le emissioni di gas a effetto serra. Entro il 2050, vogliono che tutti gli edifici (commerciali, pubblici e residenziali) dell'UE soddisfino gli standard di emissioni zero.

 Per raggiungere questo obiettivo, imporranno una serie di nuovi requisiti energetici di rinnovo ai proprietari di case

Ad esempio, entro il 2035 gli impianti di riscaldamento che utilizzano combustibili fossili dovranno essere completamente eliminati.

 I proprietari di case saranno tenuti a installare nuovi sistemi di riscaldamento "verdi", presumibilmente elettrici, e a pagarli di tasca propria.

Il costo per questo nuovo fabbisogno energetico è stimato in circa 100.000 euro per una casa residenziale.

L'obiettivo è quello di costringere le persone a lasciare le loro case.

Se non puoi permetterti gli aggiornamenti necessari, sarai costretto a vendere la tua casa.

Le società di gestione del risparmio li acquisteranno e li trasformeranno in affitti.

Il 20 settembre 2023, il presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA) ha approvato una dichiarazione sulla prevenzione delle pandemie, che assegna l'autorità pandemica all'OMS, senza il voto dell'assemblea plenaria e nonostante le obiezioni di 11 Stati membri.

 Le obiezioni avrebbero dovuto impedire un'adozione consensuale della dichiarazione, ma l'ONU sta aggirando le regole facendo approvare la dichiarazione dal presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, piuttosto che dall'Assemblea generale.

“Bjorn Andreas Bull-Hansen”, un romanziere norvegese di successo, spiega come la "Direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia" dell'Unione europea – lo strumento legislativo che detta gli standard di prestazione energetica per gli edifici all'interno dell'UE – sarà utilizzata per realizzare un massiccio programma di trasferimento di ricchezza.

Nel marzo 2023, il Parlamento europeo ha votato per rivedere questa direttiva nell'ambito di un pacchetto "Fit for 55", che mira a raggiungere una riduzione minima del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030.

Entro il 2050, l'UE intende raggiungere un "parco immobiliare a emissioni zero e completamente decarbonizzato senza CO2".

In breve, entro il 2050, vogliono che ogni edificio – commerciale, pubblico e residenziale – nell'UE soddisfi gli standard di emissioni zero.

Per raggiungere questo obiettivo, imporranno una serie di nuovi requisiti ai proprietari di case.

Ad esempio, i sistemi di riscaldamento che utilizzano combustibili fossili devono essere completamente eliminati entro il 2035, se il Parlamento europeo ottiene ciò che vuole, e ciò significa che i proprietari di case saranno tenuti a installare nuovi sistemi di riscaldamento "verdi", presumibilmente elettrici, e a pagarli di tasca propria. Secondo Bull-Hansen, il costo di questo nuovo fabbisogno energetico è stimato in circa 100.000 euro per una casa residenziale.

L'obiettivo è davvero quello di non possedere nulla.

L'obiettivo, spiega Bull-Hansen, è quello di costringere le persone a lasciare le loro case.

Se non puoi permetterti gli aggiornamenti necessari, sarai costretto a vendere la tua casa e le società di gestione patrimoniale come BlackRock e Vanguard saranno pronte ad accaparrarti queste proprietà.

E questo se ti sarà permesso di vendere una casa che non è all'altezza degli standard; Il governo potrebbe semplicemente ritenerlo invendibile e sequestrarlo, oppure potresti dover pagare una multa di qualche tipo.

Negli Stati Uniti, all'inizio del 2021, BlackRock e Vanguard hanno iniziato ad acquistare seriamente case residenziali all'ingrosso, che poi affittano piuttosto che rivendere, erodendo così la proprietà della casa della classe media.

Hanno anche fatto salire artificialmente i prezzi delle case pagando un prezzo superiore a quello richiesto, spingendo così la proprietà della casa ancora più fuori portata.

Naturalmente, anche il prezzo dell'affitto è salito alle stelle e gli affittuari dovranno pagare ancora di più dopo questi aggiornamenti energetici.

Quindi, non solo la proprietà della casa è qualcosa che molti giovani non possono più raggiungere, molti non possono nemmeno permettersi di affittarla e sono costretti a vivere con i loro genitori o più coinquilini.

Possiamo aspettarci che anche il numero di senzatetto salga alle stelle.

Come osservato da Bull-Hansen, l'eliminazione della proprietà personale fa parte dell'”agenda Great Reset” del World Economic Forum (WEF), dell'Agenda 2030 e degli “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” delle Nazioni Unite.

 Questi sono solo nomi diversi per lo stesso piano generale.

Il video del WEF "8 previsioni per il mondo nel 2030",3 in cui hanno allegramente dichiarato che entro il 2030 "Non possiedi nulla", spiegava molti degli aspetti di questo piano globale, incluso l'obiettivo di eliminare i diritti di proprietà personale.

"Tutti i prodotti diventeranno servizi", spiega il WEF sul suo sito web.

 Questo è ciò a cui si riferisce "non possiedi nulla".

Saranno finiti i giorni in cui si compra qualcosa una volta e si può usare a tempo indeterminato perché lo si possiede.

Invece, il nuovo sistema in cui ci stanno spingendo richiederà di affittare tutto: la casa, i trasporti, i mobili, le pentole e le padelle e tutto il resto. Probabilmente hai già notato questo brivido.

Ad esempio, una volta era possibile acquistare un software, che veniva fornito su un disco. Potevi installare e reinstallare quel programma su qualsiasi computer che volevi, perché avevi il CD.

Oggi, la maggior parte dei programmi software sono abbonamenti basati su cloud e devi pagare un canone mensile o annuale per tutto il tempo in cui lo utilizzi.

E, anche se la tariffa può essere bassa, una volta sommata nel corso di una vita di utilizzo, finirai per pagare molte volte di più di quello che hai fatto quando sei stato in grado di acquistarlo a titolo definitivo.

La proprietà abitativa è sempre stata una strategia di creazione di ricchezza.

Come notato da Bull-Hansen, la proprietà della casa definisce la classe media. Ancora più importante, è stato un modo per costruire e garantire la ricchezza generazionale per secoli.

Togliete la possibilità alle persone di comprare la propria casa, e di fatto eliminerete la classe media, lasciando solo i molto ricchi e i molto poveri.

"Non importa se credi che questo sarà un bene per l'ambiente o meno", dice Bull-Hansen.

"Si tratta di controllarti. Si tratta di possederti... Questo è un trasferimento di ricchezza che stiamo esaminando, e non possiamo accettarlo.

La proprietà è importante.

È un concetto molto, molto essenziale...

Se si toglie la proprietà, ciò che rimane è il feudalesimo.

Qualcuno possiederà le cose di cui hai bisogno, e saranno le cosiddette "élite"... Quindi dobbiamo puntare i piedi e rifiutarci di accettarlo".

La disubbidienza è la nostra unica via d'uscita.

Ok, allora cosa facciamo al riguardo?

Condivido l'appello di Bull-Hansen alla disobbedienza pacifica. "DOBBIAMO essere disubbidienti ora", dice.

L'alternativa è accettare la servitù della gleba.

E ancora una volta, l'imminente sistema schiavista non riguarda solo la rimozione dei diritti umani e l'eliminazione delle libertà di cui abbiamo goduto per tutta la vita – anche le cose semplici, come avere la libertà di viaggiare dove si vuole, quando si vuole – ma si tratta anche di spogliarci della nostra ricchezza ed eliminare la possibilità di costruire ricchezza in futuro.

Non stanno solo cercando di toglierti la possibilità di possedere una casa e costruire ricchezza generazionale in questo modo.

Con una valuta digitale della banca centrale (CBDC), non guadagnerai interessi sul tuo denaro e le tasse verranno prelevate automaticamente.

Avranno anche la possibilità di dettare dove e per cosa puoi spendere i tuoi soldi e mettere date di scadenza sui tuoi fondi in modo che tu non possa mai risparmiare per un giorno di pioggia.

La cabala globalista dietro l'intera agenda intende creare una classe di schiavi permanenti che non ha diritti, libertà e via d'uscita.

Se si va d'accordo con queste proposte "verdi" – che è ciò che stanno usando per giustificare questo particolare schema di trasferimento di ricchezza – allora si sta attivamente scegliendo la povertà e la schiavitù per se stessi, per i propri figli e per tutti i discendenti successivi, perché smantellare questo sistema globale di controllo sarà inimmaginabilmente difficile una volta che sarà in vigore.

Come farai a ribellarti quando il governo può sequestrare i tuoi conti bancari a piacimento, chiuderti fuori dai negozi di alimentari, mandarti in un campo di internamento per il controllo delle infezioni per "proteggere la salute pubblica" anche se non sei malato, programmare il tuo veicolo elettrico in modo che funzioni solo all'interno di una specifica area designata e punire tutti quelli che conosci allo stesso modo?

 Semplicemente perché ti conoscono?

Tutto questo, e molto altro, sarà possibile una volta che la rete di sorveglianza e controllo digitale gestita dall'intelligenza artificiale sarà completamente implementata e collegata alla tua identità digitale, a una CBDC programmabile e al sistema di registro unificato.

Come notato da Bull-Hansen, ci saranno ramificazioni per la disobbedienza e il rifiuto di andare avanti con l'agenda "verde" globalista, ma se accettiamo di pagare il prezzo ora, e rifiutiamo in massa, questa presa di potere globalista fallirà assolutamente.

Non possono farlo senza l'obbedienza di massa.

Chi sta cercando di governare il mondo?

Se questo argomento è nuovo per voi, vi starete chiedendo chi sono questi "globalisti" che stanno cercando di effettuare questo colpo di stato globale.

Non farò nomi qui, anche se sta diventando più facile di giorno in giorno identificare le persone che fanno parte del club esaminando le loro dichiarazioni pubbliche e le loro posizioni, i loro sforzi commerciali e le loro affiliazioni.

La ragione di ciò è che la maggior parte non sta nemmeno più cercando di nascondere il proprio coinvolgimento, e le organizzazioni erette per portare avanti l'agenda stanno diventando sempre più aperte sui loro obiettivi.

Ad esempio, il 5 giugno 2023, le Nazioni Unite hanno pubblicato un documento che esplicita il loro impegno a rendere l'”Organizzazione Mondiale della Sanità l'organo centrale di governance globale”.

Il seguente estratto è tratto da pagina 9 della bozza zero del documento "Dichiarazione politica della riunione di alto livello dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie" redatto prima della riunione dell'Assemblea generale del 20 settembre 2023.

Governance globale.

Il testo finale di questo documento è stato pubblicato il 1° settembre 2023 e in quella versione tutte le intestazioni sono state rimosse, ma l'intento generale di rendere l'OMS un organo di governo de facto per il mondo rimane invariato.

Mentre il documento si concentra sull'autorità dell'OMS di dettare la prevenzione e la risposta alle pandemie in tutto il mondo, come ho dettagliato in diversi articoli precedenti, l'OMS non sarà solo responsabile delle pandemie.

 Questa è solo la giustificazione che usano per mettere un piede nella porta.

Successivamente, l'OMS si sposterà nell'assistenza sanitaria generale promuovendo l'accettazione di un sistema sanitario universale.

Ciò sarà promosso all'insegna del rafforzamento della prevenzione, della preparazione e della risposta alle pandemie, come indicato a pagina 11 nell'ambito dell'OP33 del progetto zero,7 e all'articolo 22 nel testo finale.

Poi, attraverso il programma globale “One Health”, che espande la "salute pubblica" per includere tutto, dall'agricoltura e l'inquinamento ai viaggi e al cambiamento climatico, l'OMS – o qualche suo indotto – assumerà tutte le funzioni governative.

Il testo finale della "Dichiarazione politica" dell'ONU dichiara addirittura che la salute è un indicatore di "sviluppo sostenibile", collegando così direttamente l'autorità pandemica dell'OMS agli obiettivi di sviluppo sostenibile e all'Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Una salute unica.

Regna l'illegalità.

A rendere le cose ancora più terribili per i popoli del mondo è il fatto che i governi e le organizzazioni globali coinvolte in questa presa di potere si fanno sempre più beffe di regole, linee guida, leggi e trattati che in precedenza hanno assicurato almeno una parvenza di democrazia e stato di diritto.

Uno degli ultimi esempi di ciò è l'approvazione da parte del presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) della dichiarazione sulla prevenzione della pandemia (il documento discusso sopra) senza un voto dell'Assemblea plenaria e nonostante le obiezioni di 11 Stati membri (Bielorussia, Bolivia, Cuba, Repubblica Popolare Democratica di Corea, Eritrea, Repubblica Islamica dell'Iran, Nicaragua, Federazione Russa, Repubblica araba siriana, Venezuela e Zimbabwe).

Secondo Francis Boyle, J.D., Ph.D., un esperto di armi biologiche e professore di diritto internazionale presso l'Università dell'Illinois che ha redatto il “Biological Weapons Anti-Terrorism Act del 1989,” le obiezioni di 11 nazioni dovrebbero "impedire che questa dichiarazione venga adottata per consenso e quindi diventi probabilmente parte del diritto internazionale consuetudinario, che è ciò che intendono coloro che stanno dietro la dichiarazione".

"Non sono riusciti a farla approvare dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite come risoluzione di consenso a causa degli 11 stati che si sono opposti", ha detto Boyle a The Defender.

 "Stanno cercando di girarla e di travisarla facendo approvare la dichiarazione al presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, non all'Assemblea generale delle Nazioni Unite".

La dichiarazione delle Nazioni Unite chiede vaccinazioni universali e altro ancora.

Il fatto che il presidente dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite stia creando scappatoie dove non ce ne sono è particolarmente inquietante alla luce del fatto che la dichiarazione rende permanenti le prese di potere COVID-19 e chiede la vaccinazione universale, una maggiore sorveglianza, passaporti vaccinali, censura dei social media e un "approccio integrato One Health", che ho appena spiegato essere il modo principale con cui l'OMS finirà per governare tutti gli aspetti della vita umana.

Quindi, possiamo vedere che anche quando i paesi non sono d'accordo e respingono, la leadership delle Nazioni Unite semplicemente aggira le regole e segue comunque il piano dello Stato Profondo, e questo è esattamente il tipo di comportamento che possiamo aspettarci da un "Governo Unico Mondiale".

Avranno delle regole per sé stessi, che ignoreranno convenientemente quando gli conviene, e regole fisse con pene severe per il resto della plebe.

Come riportato da The Defender, 20 settembre 2023

"I critici hanno definito la dichiarazione, che cerca di creare un'autorità pandemica globale con il potere di far rispettare i blocchi, la vaccinazione universale e la censura della 'disinformazione', 'ipocrisia' e 'squilibrata'.

L'approvazione è arrivata nell'ambito di una riunione ad alto livello sul “PPPR” [Pandemic Prevention, Preparedness and Response] ...

In una dichiarazione, il direttore generale dell'OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato:

"Se il COVID-19 non ci ha insegnato nient'altro, è che quando la salute è a rischio, tutto è a rischio".

Ha collegato il PPPR agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite, affermando che i leader mondiali dovrebbero "dimostrare di aver imparato le dolorose lezioni della pandemia".

Scrivendo per il Brownstone Institute”, il dottor “David Bell,” medico di salute pubblica, consulente biotecnologico ed ex direttore delle tecnologie sanitarie globali presso l'”Intellectual Ventures Global Good Fund”, ha affermato che "l'obiettivo principale" della dichiarazione "è sostenere" il "trattato sulla pandemia" e gli emendamenti all'IHR attualmente in fase di negoziazione da parte degli Stati membri dell'OMS.

Bell ha detto che è in atto una "procedura di silenzio", "il che significa che gli Stati che non rispondono saranno considerati sostenitori del testo".

Ha detto che il testo è "chiaramente contraddittorio, a volte fallace e spesso del tutto privo di significato" e intende centralizzare il potere dell'OMS.

Bell ha detto a “The Defender”:

 "La dichiarazione non è stata scritta con intenzioni serie, ma è essenzialmente vuota retorica che promuove una continua centralizzazione del controllo che le Nazioni Unite e l'OMS stanno apertamente cercando, a spese della democrazia, dei diritti umani e dell'uguaglianza".

“Francis Boyle” ... concordato... "Questa è una stampa a tutto campo per far sì che l'intera Organizzazione delle Nazioni Unite, le sue agenzie specializzate e le sue organizzazioni affiliate, sostengano e sostengano la loro proposta di uno stato di polizia medico e scientifico totalitario mondiale dell'OMS", ha detto.

Perché lo Stato Profondo (Deep State) rivela i suoi piani?

 

Negli ultimi anni, in particolare negli ultimi tre, la mafia globale dello Stato Profondo è diventata sempre più aperta sui suoi piani.

Detto questo, anche decenni fa, il piano per un "Nuovo Ordine Mondiale", un "Governo Unico Mondiale", era sotto gli occhi di tutti.

Ne hanno discusso in “white paper” e rapporti pubblicati, ne hanno accennato nei film e nell'intrattenimento, l'hanno divulgato in esercizi da tavolo.

Perché rivelano sempre il loro piano? Non sarebbe più sensato tenerlo segreto in modo che la gente non sappia cosa sta per succedere e quindi non combatta?

A quanto pare, c'è un metodo per l'apparente follia, e il video qui sopra, "Rivelare il Metodo: il Simbolismo Esoterico come Controllo Mentale", lo spiega.

 In sintesi, l'agenda per un sistema di governance globale utilizza il controllo mentale di massa per condizionare le persone alla perdita di potere personale, promuovendo e abituandoci a tre tipi di perdita:

Perdita di memoria (amnesia).

Perdita della volontà o dell'iniziativa (abulia).

Perdita di interesse per ciò che è vitale per la propria salute e il proprio benessere (apatia).

Queste tre condizioni psicologiche sono necessarie affinché la cabala globale possa attuare con successo un governo globale.

I metodi di controllo mentale utilizzati dalla cabala per promuovere queste condizioni includono la sovversione del simbolismo sacro e degli archetipi.

Con l'uso di simboli occulti ed esoterici, fanno appello agli istinti inferiori dell'umanità, agli appetiti animaleschi, agli impulsi compulsivi e alle "pulsioni disarmoniche che sono in conflitto con la natura cosciente superiore di un individuo".

 L'obiettivo è arrestare lo sviluppo spirituale degli individui e soffocare l'evoluzione dello spirito all'interno della società.

Mettere il loro "marchio" su tutto ciò che fanno può anche essere un aspetto guidato dall'ego della megalomania della cabala.

Proclama il loro dominio l'uno all'altro e, inconsciamente, alle masse, mentre allo stesso tempo si fa beffe di coloro che considerano inferiori.

Un aspetto particolarmente interessante dell'uso del simbolismo da parte della cabala è che il simbolo in genere significa l'esatto opposto della visione del consenso mainstream sul suo significato.

Ad esempio, il simbolo della falce e martello, che si trova sulla bandiera dell'ex Unione Sovietica, è comunemente pensato per rappresentare gli strumenti della classe operaia: l'industria e l'agricoltura.

L'idea è quella di una "utopia della classe operaia".

Il significato occulto, tuttavia, che precede l'Unione Sovietica, è quello di Saturno, un demiurgico che usava una falce per recidere l'unità della terra e del cielo.

Dopo aver separato la terra dal divino, Saturno divenne l'architetto del mondo materiale.

In emulazione di Saturno, la cabala è anche assorbita da questioni del mondo materiale: possederlo, plasmarlo, controllarlo.

Il martello, nel frattempo, rappresenta l'annientamento della materia, "l'atto finale di distruzione caotica per inaugurare il loro nuovo ordine".

 È lo strumento che frantuma gli ultimi resti della volontà divina all'interno dell'umanità "in un processo in cui l'uomo si evolve e discende ulteriormente in un mondo post-umano".

La falce e martello, quindi, vista da una prospettiva occulta, denota il dominio tirannico di una classe elitaria intenta a separare l'umanità dal divino e, in ultima analisi, a distruggerlo.

Il suo significato occulto è quello di una distopia divisa, l'opposto di un'utopia unificata.

 

 

La lotta tra Gaza e Israele è "sotto falsa bandiera"?

Hanno lasciato che accadesse?

Il loro obiettivo è "cancellare Gaza dalla carta geografica"?

Globalresearch.ca - Philip Giraldi e  Prof. Michel Chossudovsky – (15 ottobre 2023) – ci dicono:

 

Aggiornamento (14 ottobre 2023).

È un genocidio, un massacro assoluto.

Stanno "cancellando Gaza dalla carta geografica"

"[L'esercito israeliano] ha detto che presto inizierà a lanciare un'offensiva diffusa nel nord di Gaza – un avvertimento che arriva circa un giorno dopo che Israele ha ordinato a circa un milione di civili di fuggire dall'area.

Il territorio sigillato governato da Hamas era in subbuglio sabato a causa dell'ordine di evacuazione che copriva circa la metà della popolazione di Gaza. Gaza affronta anche una crescente crisi idrica poiché i palestinesi stavano lottando per evacuare il nord di Gaza a piedi, in auto e con un carro trainato da asini.

I gruppi umanitari hanno detto che gli sfollati non avevano un posto dove andare.

Anche l'altro modo di lasciare Gaza, in Egitto, sembrava essere sigillato, in mezzo alla confusione sul fatto che il paese vicino avrebbe permesso a chiunque di uscire da Gaza.

 

Un'offensiva ancora più potente dei precedenti bombardamenti israeliani su Gaza sembrava imminente.

"Attaccheremo Gaza City molto presto", ha detto il portavoce militare capo di Israele, il contrammiraglio Daniel Hagari, in un discorso trasmesso a livello nazionale, senza fornire un calendario per l'attacco. (AOL.com, 14 ottobre 2023)

 

Nelle prime ore di sabato 7 ottobre 2023, Hamas ha lanciato l'"Operazione Tempesta di Al-Aqsa" guidata dal capo militare di Hamas, Mohammed Deif. Lo stesso giorno, Netanyahu ha confermato un cosiddetto "stato di prontezza alla guerra".

Le operazioni militari sono invariabilmente pianificate con largo anticipo (si veda la dichiarazione di Netanyahu del gennaio 2023 di seguito). L'"Operazione Tempesta di Al-Aqsa" è stata un "attacco a sorpresa"?

L'intelligence statunitense afferma di non essere a conoscenza di un imminente attacco di Hamas.

Bisognerebbe essere quasi irrimediabilmente ingenui per credere alla linea dei media statali corporativi secondo cui l'invasione di Hamas è stata un "fallimento dell'intelligence" israeliana.

Il Mossad è una delle agenzie di intelligence più potenti, se non la più potente del pianeta".

Netanyahu e il suo vasto apparato militare e di intelligence (Mossad e altri) erano a conoscenza dell'attacco di Hamas che ha provocato innumerevoli morti di israeliani e palestinesi?

Era previsto un piano israeliano accuratamente formulato per condurre una guerra totale contro i palestinesi prima del lancio da parte di Hamas dell'"Operazione Tempesta di Al-Aqsa"?

Questo non è stato un fallimento dell'intelligence israeliana, come riportato dai media. Tutt'altro.

 

Le prove e le testimonianze suggeriscono che il governo Netanyahu era a conoscenza delle azioni di Hamas che hanno provocato centinaia di morti israeliani e palestinesi.

E "Hanno lasciato che accadesse":

"Hamas ha sparato tra i 2 e i 5 mila razzi contro Israele e centinaia di israeliani sono morti, mentre decine di israeliani sono stati catturati come prigionieri di guerra. Nella successiva risposta aerea da parte di Israele, centinaia di palestinesi sono stati uccisi a Gaza". (Stephen Sahiounie)

Dopo l'operazione d'assalto di Al Aqsa del 7 ottobre, il ministro della difesa israeliano ha descritto i palestinesi come "animali umani" e ha promesso di "agire di conseguenza", mentre i caccia scatenavano un massiccio bombardamento della Striscia di Gaza, dove vivono 2,3 milioni di palestinesi. (Occhio del Medio Oriente).

Il 9 ottobre 2023 è stato avviato un blocco completo sulla Striscia di Gaza che consiste nel bloccare e ostacolare l'importazione di cibo, acqua, carburante e beni di prima necessità a 2,3 milioni di palestinesi.

È un vero e proprio crimine contro l'umanità. È un genocidio.

Vale la pena notare che le azioni militari di Netanyahu non stanno prendendo di mira Hamas, al contrario:

sta prendendo di mira 2,3 milioni di civili palestinesi innocenti, in palese violazione dei Quattro Principi Fondamentali del Diritto dei Conflitti Armati (LOAC):

"... nel rispetto e nella protezione della popolazione civile e degli obiettivi civili [scuole, ospedali e aree residenziali], le Parti in conflitto distingueranno in ogni momento tra la popolazione civile e i combattenti e tra gli obiettivi civili e gli obiettivi militari e di conseguenza dirigeranno le loro operazioni solo contro obiettivi militari." [Protocollo addizionale n. 1, articolo 48]

Ironia della sorte, secondo Scott Ritter, Hamas ha acquisito armi statunitensi in Ucraina.

Questo non è stato un "attacco a sorpresa".

L'attacco di Hamas è stato un "false flag"?

"Ho prestato servizio nell'IDF 25 anni fa, nelle forze di intelligence. Non c'è modo che Israele non sapesse di ciò che stava per accadere”.

Un gatto che si muove lungo la recinzione sta innescando tutte le forze. Quindi questo?

Che fine ha fatto "l'esercito più forte del mondo"?

Come mai i valichi di frontiera erano spalancati?

 C'è qualcosa di molto sbagliato qui, qualcosa di molto strano, questa catena di eventi è molto insolita e non tipica per il sistema di difesa israeliano.

A me questo attacco a sorpresa sembra un'operazione pianificata. Su tutti i fronti.

Se fossi un teorico della cospirazione, direi che questo sembra il lavoro dello Stato Profondo.

Sembra che il popolo di Israele e il popolo della Palestina siano stati venduti, ancora una volta, ai poteri superiori.

(Dichiarazione di “Efrat Fenigson”, ex intelligence dell'IDF, 7 ottobre 2023).

Ironia della sorte, i media (NBC) stanno ora sostenendo che "l'attacco di Hamas porta i segni distintivi del coinvolgimento iraniano".

 

Storia: Il rapporto tra Mossad e Hamas.

Qual è il rapporto tra Mossad e Hamas? Hamas è una "risorsa dell'intelligence"? C'è una lunga storia.

Hamas (Harakat al-Muqawama al-Islamiyya) (Movimento di Resistenza Islamica), è stato fondato nel 1987 dallo sceicco Ahmed Yassin. È stato sostenuto fin dall'inizio dall'intelligence israeliana come mezzo per indebolire l'Autorità Palestinese:

 

"Grazie al Mossad (l'Istituto israeliano per l'Intelligence e i Compiti Speciali), Hamas ha potuto rafforzare la sua presenza nei territori occupati. Nel frattempo, il Movimento di Liberazione Nazionale di Fatah di Arafat e la sinistra palestinese sono stati sottoposti alla più brutale forma di repressione e intimidazione.

Non dimentichiamo che è stato Israele a creare Hamas. Secondo Zeev Sternell, storico dell'Università Ebraica di Gerusalemme, "Israele pensava che fosse uno stratagemma intelligente per spingere gli islamisti contro l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP)". (L'Humanité)

I legami di Hamas con il Mossad e l'intelligence statunitense sono stati riconosciuti dal deputato Ron Paul in una dichiarazione al Congresso degli Stati Uniti: "Hamas è stato fondato da Israele"?

"Sapete Hamas, se guardate alla storia, scoprirete che Hamas è stato incoraggiato e fondato da Israele perché voleva che Hamas contrastasse Yasser Arafat... (Rappresentante Ron Paul, 2011)

Ciò che questa dichiarazione implica è che Hamas è e rimane "una risorsa dell'intelligence", vale a dire "una risorsa per le agenzie di intelligence."

Vedi anche il WSJ (24 gennaio 2009) "Come Israele ha contribuito a far nascere Hamas".

Invece di cercare di frenare gli islamisti di Gaza fin dall'inizio, dice Cohen, Israele per anni li ha tollerati e, in alcuni casi, incoraggiati come contrappeso ai nazionalisti laici dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina e della sua fazione dominante, Fatah di Yasser Arafat. (WSJ)

La partnership con Hamas è confermata da Netanyahu

"Il gatto è fuori dal sacco".

"Chiunque voglia ostacolare la creazione di uno Stato palestinese deve sostenere il rafforzamento di Hamas e il trasferimento di denaro ad Hamas", ha detto Netanyahu a una riunione dei membri della Knesset del suo partito Likud nel marzo 2019.

"Questo fa parte della nostra strategia: isolare i palestinesi di Gaza dai palestinesi della Cisgiordania". (Haaretz, 9 ottobre 2023)

 

Questa dichiarazione non suggerisce forse che Netanyahu e il suo apparato militare-di intelligence sono responsabili dell'uccisione di civili israeliani innocenti?

"Sostegno" e "denaro" per Hamas.

Il "trasferimento di denaro ad Hamas" per conto di Netanyahu è confermato da un rapporto del “Times of Israe”l dell'8 ottobre 2023:

"Hamas è stato trattato come un partner a scapito dell'Autorità Palestinese per impedire ad Abbas di muoversi verso la creazione di uno Stato palestinese.

Hamas è stato promosso da gruppo terroristico a organizzazione con cui Israele ha condotto negoziati attraverso l'Egitto e a cui è stato permesso di ricevere valigie contenenti milioni di dollari dal Qatar attraverso i valichi di Gaza.

I pericoli di un'escalation militare?

 Non facciamoci illusioni, questa operazione "false flag" è una complessa impresa di intelligence militare, attentamente pianificata nel corso di diversi anni, in collegamento e coordinamento con l'intelligence statunitense, il Pentagono e la NATO.

A sua volta, questa azione contro la Palestina sta già portando a un processo di escalation militare che potenzialmente potrebbe inghiottire gran parte del Medio Oriente.

Israele è un membro de facto della NATO (con uno status speciale) dal 2004, che comporta un coordinamento militare e di intelligence attivo, nonché consultazioni relative ai territori occupati.

La cooperazione militare sia con il Pentagono che con la NATO è vista dalle Forze di Difesa Israeliane (IDF) come un mezzo per "migliorare la capacità di deterrenza di Israele nei confronti di potenziali nemici che lo minacciano, principalmente Iran e Siria".

La premessa della cooperazione militare NATO-Israele è che "Israele è sotto attacco".

L'accordo di Israele con l'Alleanza Atlantica "obbliga" la NATO "a venire in soccorso di Israele" in base alla dottrina della "sicurezza collettiva" (articolo 5 del trattato di Washington)?

 

Nei recenti sviluppi, i dispiegamenti militari statunitensi in Medio Oriente sono in corso, presumibilmente per evitare un'escalation.

Secondo il segretario generale della NATO “Jens Stoltenberg”:

C'è sempre il rischio che nazioni e/o organizzazioni ostili a Israele cerchino di approfittarne.

E questo include, ad esempio, organizzazioni come Hezbollah o un paese come l'Iran.

Quindi questo è un messaggio ai paesi e alle organizzazioni ostili a Israele che non dovrebbero cercare di sfruttare la situazione.

 E gli Stati Uniti hanno dispiegato, o hanno dispiegato più forze militari nella regione, non da ultimo per scoraggiare qualsiasi escalation o prevenire qualsiasi escalation della situazione. (Conferenza stampa della NATO, Bruxelles, 12 ottobre 2023)

La "nuova fase" di Netanyahu

"La lunga guerra" contro la Palestina.

L'obiettivo dichiarato di Netanyahu, che costituisce una nuova tappa nella guerra di 75 anni (dalla Nakba, 1948) contro il popolo palestinese, non è più basato sull'"apartheid" o sulla "separazione".

Questa nuova fase – che è diretta anche contro gli israeliani che vogliono la pace – consiste nell'"appropriazione totale" e nell'esclusione totale del popolo palestinese dalla sua patria:

"Queste sono le linee di base del governo nazionale guidato da me [Netanyahu]: il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile su tutte le aree della Terra di Israele.

Il governo promuoverà e svilupperà l'insediamento in tutte le parti della Terra di Israele: in Galilea, nel Negev, nel Golan, in Giudea e in Samaria". (Netanyahu, gennaio 2023.)

Portiamo all'attenzione dei nostri lettori l'incisiva analisi del Dr. Philip Giraldi che indica la probabilità di un "False Flag".

 

Michel Chossudovsky, Global Research, 8 ottobre 2023, testo precedente aggiornato il 12 ottobre 2023

Di seguito l'incisiva analisi del Dott. Filippo Giraldi.

La lotta tra Gaza e Israele è "sotto falsa bandiera"?

Hanno lasciato che accadesse?

Il loro obiettivo è "cancellare Gaza dalla carta geografica"?

di Dott. Filippo Giraldi -Ottobre 8, 2023.

Sono l'unico che ha letto di un discorso tenuto da Netanyahu o da qualcuno del suo gabinetto circa una settimana fa in cui lui/loro di sfuggita si riferivano a una "situazione di sicurezza in via di sviluppo" che suggerisce piuttosto (a me) che avrebbero potuto essere a conoscenza degli sviluppi a Gaza e hanno scelto di lasciarli accadere in modo da poter cancellare Gaza dalla mappa per rappresaglia e, possibilmente facendo affidamento sull'impegno degli Stati Uniti di avere il "spalle" di Israele, quindi coinvolgendo l'Iran e attaccando quel paese.

Non riesco a trovare un collegamento ad esso, ma ho un ricordo abbastanza forte di ciò che ho letto perché pensavo che all'epoca sarebbe servito come pretesto per un altro massacro di palestinesi.

Come ex ufficiale dei servizi segreti, trovo impossibile credere che Israele non avesse più informatori all'interno di Gaza e dispositivi elettronici di ascolto lungo tutto il muro di confine che avrebbero captato i movimenti di gruppi e veicoli.

In altre parole, l'intera faccenda potrebbe essere un tessuto di menzogne, come spesso accade.

E come sempre accade, Joe Biden si prepara a mandare qualche miliardo di dollari al povero piccolo Israele per pagare la "difesa" di sé stesso.

(Philip M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del “Council for the National Interest”, una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501).

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