Cambiamento climatico.
Cambiamento
climatico.
Rivoluzione
Eco-illogica.
Conoscenzealconfine.it
– (30 Ottobre 2023) - Massimiliano Cioffi – ci dice:
In
nome dell’assurda lotta alla “CO2” si preparano tetri scenari per i cittadini.
Nessuno
può negare che ci sia un cambiamento climatico in atto.
C’è,
ed è sotto gli occhi di tutti.
Ma è
la causa di questo cambiamento climatico che fa la differenza, almeno nella sua
gestione e negli impatti che ne derivano.
Alla
luce di diversi studi di scienziati come il prof. Nicola Scafetta, docente di oceanografia e fisica
dell’atmosfera presso l’”Università Federico II di Napoli”, o la prof.ssa Valentina Zharkhova, che insegna alla “Northumbria
University di Newcastle”, appare evidente che il cambiamento climatico sia dovuto a
cause naturali di cui l’uomo può soltanto prendere atto.
Secondo
quanto elaborato separatamente da questi scienziati, infatti, il riscaldamento
climatico sarebbe dovuto ai cicli del Sole e non all’azione umana.
Al
contrario di quanto non risuoni quotidianamente sui media mainstream, solamente
una ridotta quantità di studi (circa il 30% del totale, come riportato da “Franco
Battaglia” su La Verità del 26/05/2023) annovera le attività umane tra le
concause.
Tutti
gli altri studi non certificano affatto la responsabilità antropica, anzi.
Eppure
questa tesi è stata sposata dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che è il principale organismo
internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.
Sotto
la spinta di questo “autorevole” organismo, il mondo occidentale ha deciso che
la principale causa del cambiamento climatico sia l’attività umana, imputando le responsabilità più
gravose alla produzione antropica di CO2.
Partendo
da questo assunto, tutt’altro che dimostrato scientificamente in quanto basato
su teorie e modelli matematici che applicati su dati passati si sono rivelati
fallimentari (vedasi le previsioni catastrofiche mai avverate), la politica ha messo sotto accusa
il genere umano, perseguendone tutte quelle attività che producono CO2 come la
produzione di energia da fonti fossili, l’allevamento intensivo degli animali
da macello e addirittura le abitazioni, ree di consumare troppa energia per il
riscaldamento in inverno e il raffrescamento in estate.
Questa
“credenza” sta producendo iniziative grottesche e piene di controsensi:
la limitazione dell’uso delle auto in grandi
città come Roma e Milano, ma non del trasporto merci su gomma (responsabile
della maggior parte delle emissioni nell’ambito della logistica via terra);
la
chiusura degli allevamenti intensivi che, al di là dei pur condivisibili
aspetti etici, rischia di compromettere la tenuta del già provatissimo settore
primario;
l’obbligo di ristrutturare edifici pubblici e
abitazioni private per minimizzarne il consumo energetico, con tutto ciò che
questo implica in termini d’impatto sulle tasche dei cittadini.
Ovviamente
a spingere sull’acceleratore di questa politica non poteva che esserci l’UE.
La
quale, cavalcando l’Agenda 2030 promossa dall’ONU, pretende che i Paesi membri
abbattano drasticamente le emissioni di CO2 entro, appunto, il 2030.
Si sa:
dove
c’è l’UE c’è l’interesse economico di qualche multinazionale (la vicenda dei
vaccini Covid insegna).
E
infatti proprio nell’imposizione di queste politiche “green” le aziende
automobilistiche vedono l’opportunità per rimpiazzare l’intero parco auto
esistente con nuovi (e costosissimi) veicoli elettrici.
E se
il campo della mobilità è la prima linea, occorre ricordare che non è certo
l’unico ambito interessato da questa deriva:
ad
esempio, favorendo la sostituzione della carne da allevamento con la
“sostenibilissima” ed “ecologica” carne coltivata, si asseconda la
concentrazione della produzione di carne nelle mani di poche multinazionali
oppure, imponendo vincoli sulle normative energetiche degli edifici, si serve
sul piatto d’argento ai grandi fondi d’investimento la possibilità di comprare
per pochi spicci milioni di abitazioni non a norma.
I
costi di questa follia saranno enormi e ricadranno tutti sui cittadini.
E
aldilà dei termini economici, che già di per sé basterebbero, le vere ricadute peseranno
sulle nostre libertà:
libertà di scegliere come muoversi, come alimentarsi,
come curarsi… Insomma, come vivere.
È evidente infatti che l’applicazione di
direttive come quella sulla “casa green” costringerà chi non avrà la
possibilità di ristrutturare a finire in affitto dopo aver venduto sottoprezzo
il proprio appartamento.
Un
ennesimo peggioramento per la vita dei più, costretti a pagare il prezzo di una
transizione eco-illogica (fortuna che la direttiva Ue sulle case green è appena stata
bloccata… almeno per il momento – nota di conoscenze al confine).
La
scienza non è un culto idolatrico che impone dogmi da rispettare in nome di
teorie mai dimostrate.
La
scienza è, o almeno dovrebbe essere, confronto.
Se nel
dibattito si desse il giusto peso a scienziati come “Scafetta” e “Zarkhova”,
che mostrano come i cambiamenti climatici in atto siano naturali e che quindi
l’uomo non possa far altro che adattarvisi, il problema del clima potrebbe
cambiare radicalmente natura:
dalla
colpevolizzazione delle attività antropiche si passerebbe alla ricerca del
miglior modo per adattarsi e sopravvivere al cambiamento.
Invece
di utilizzare enormi risorse per tentare (invano) di ridurre la produzione
globale di CO2, si potrebbe investire sulla messa in sicurezza del territorio
per prevenire il dissesto idrogeologico, sulla manutenzione della rete di
distribuzione dell’acqua (che in Italia si disperde in gran parte) per
fronteggiarne la scarsità, sugli allevamenti non intensivi, che migliorano le
condizioni di vita degli animali e la qualità delle produzioni, sulle
ristrutturazioni delle facciate dei palazzi delle nostre città, così da
renderle più belle anziché farne agglomerati di edifici anonimi inscatolati in
involucri (spesso orrendi) di materiale isolante.
Si
tratterebbe di un programma di investimenti pubblici che offrirebbe lavoro e
ricchezza ai cittadini, nulla a che vedere con i progetti di chi abbraccia
l’Agenda 2030 e propugna, naturalmente a “vantaggio” del prossimo, il mantra
“non avrai nulla e sarai felice”.
Una
chiosa finale un po’ maliziosa:
qualcuno particolarmente curioso potrebbe
chiedersi come mai proprio adesso a Bruxelles e nei circoli “che contano” ci
sia una gran fretta di attuare questa fantomatica agenda entro il 2030.
Ora,
sarà certamente una combinazione ma si dia il caso che i modelli matematici
basati sui cicli solari, quelli studiati da scienziati come “Scafetta” e “Zarkhova”
tanto per capirsi, prevedono che l’innalzamento delle temperature durerà fino
al 2030, dopo di che dovrebbe seguire almeno un decennio di raffreddamento per
tutto il nostro pianeta.
Forse
che la finestra da sfruttare per conseguire certi obiettivi stia davvero
cominciando a chiudersi?
Chissà.
L’unica
cosa certa è la massima che ripeteva spesso e volentieri una vecchia volpe
scomparsa qualche annetto fa:
“A
pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina.”
(Massimiliano
Cioffi)
(proitalia.org/articoli/rivoluzione-eco-illogica)
Il
cambiamento climatico
provoca
guerre in tutto il mondo.
Greenreport.it
– Redazione - (30 Ottobre 2023) – Richard J. Rogers – Moneim Adam – ci dicono:
Modificare
lo “Statuto di Roma” per includere il “reato internazionale di ecocidio”.
Richard
J Rogers direttore esecutivo di Climate Counsel e Moneim Adam direttore del Sudan Human
Rights hanno scritto la lettera aperta
“Analysing Climate Security and Prosecuting Environmental Atrocity Crimes:
Opportunities
for the Prosecutor of the International Criminal Court”, inviata a “Karim Khan”,
Procuratore
capo della Corte penale internazionale (ICC) e sostenuta da Sudanese Lawyers for
Justice, Sudanese Center for Legal Aid, Darfur Bar Association, Darfur Network
for Monitoring and Documentation, Darfur IDPs and Refugees Coordination Body e
Human Rights and Advocacy Network for Democracy.
Roger
e Adam spiegano che «La lettera aperta riguarda due questioni distinte ma
correlate: il
cambiamento climatico come motore del conflitto (“sicurezza climatica”) e i
crimini di atrocità ambientale come conseguenza del conflitto».
La
sicurezza climatica si riferisce ai vari rischi per la sicurezza globale
indotti, direttamente o indirettamente, dai cambiamenti nei modelli climatici.
L’idea generale è che alcuni effetti del cambiamento
climatico potrebbero
esacerbare i rischi esistenti che già mettono in pericolo la sicurezza umana
e/o crearne di nuovi.
Il termine “crimini di atrocità ambientali” è
utilizzato per indicare casi di crimini di guerra o crimini contro l’umanità
commessi mediante, o che danno come risultato, sgombero forzato illegale,
sfruttamento delle risorse o grave degrado o distruzione dell’ambiente naturale.
Secondo
lo Statuto di Roma, in quanto crimini di guerra, possono includere, ad esempio,
casi di bombardamento indiscriminato o di danni eccessivi all’ambiente naturale
e – fino alla guerra di Gaza – Sudan e Ucraina erano i casi attualmente più
pertinenti, ma, in quanto crimini contro l’umanità, possono includere casi in
cui i crimini vengono commessi nel contesto di un danno ambientale di massa.
Come
evidenzia “Katie Surma” su “Inside
Climate News”, «Siccità,
inondazioni e condizioni meteorologiche estreme stanno provocando e
amplificando conflitti violenti in tutto il mondo.
Allo
stesso tempo, la guerra ha devastato gli ecosistemi, messo in pericolo
l’accesso a risorse vitali e lasciato dietro di sé eredità tossiche che fanno
ammalare le popolazioni civili».
Gli
esempi, oltre al Darfur e all’Ucraina non mancano.
Nel
bacino del Lago Ciad, la siccità e le condizioni meteorologiche estreme hanno
fatto aumentare la povertà tra le comunità agricole, favorendo il reclutamento
dei giovani in gruppi armati jihadisti come Boko Haram.
In
Afghanistan, 40 anni di guerra quasi continua – pur con diversi attori e
invasori – hanno distrutto il territorio e scatenato conflitti per i diritti
fondiari, l’acqua e altre risorse naturali, mentre l’inquinamento causato dalle
operazioni militari ha fatto ammalare le popolazioni civili dilaniate dalla
guerra.
La terribile guerra nella più grande prigione
a cielo aperto del mondo, Gaza, viene combattuta da Israele anche usando
l’acqua e l’energia in un’area che è la più colpita al mondo per il
depauperamento delle risorse naturali dovute al cambiamento climatico che ha
innescato anche l’infinita guerra in Siria.
Negli
ultimi anni, la “Procura dell’ICC “ha ricevuto almeno 5 richieste che
invitavano il pubblico ministero a indagare su presunti crimini contro
l’umanità che comportavano danni ambientali, come in Cambogia e Brasile.
Lo
Statuto di Roma non elenca esplicitamente la distruzione ambientale come un
atto di crimini contro l’umanità, ma gli studiosi di diritto sostengono che
l’Ufficio del Procuratore ha l’autorità di perseguire i crimini contro
l’umanità e i crimini di guerra che comportano la distruzione ambientale.
Da quando il tribunale ha iniziato ad operare
nel 2002, né Khan né i suoi due predecessori hanno perseguito alcun crimine
ambientale.
Il “Comitato
Internazionale della Croce Rossa”, l’”Organizzazione per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa”, la “NATO” e una serie di organismi dell’”Onu”,
compreso il “Consiglio di Sicurezza” e l’”United Nations environment programme”
(Unep), hanno lanciato a vari livelli
l’allarme sul fatto che il cambiamento climatico, pur non essendo ancora una
causa di guerra in sé e per sé, sta rendendo più probabile la violenza su larga
scala in tutto il mondo e peggiorando i conflitti esistenti.
Nella
lettera aperta si legge che «Entrambe le questioni sono direttamente rilevanti
per il lavoro della Corte penale internazionale. Un’opportunità per l’ufficio
del Procuratore (“OTP”) in generale, e per la situazione nel Darfur, in Sudan,
in particolare.
Inoltre, con il suo mandato, le sue risorse e
le sue competenze, l’OTP è in una posizione unica per promuovere
(i) una migliore comprensione di come il
cambiamento climatico influisce sui crimini di massa, raccogliendo dati
pertinenti, e
(ii) la prevenzione dei crimini di atrocità
ambientale, perseguendo i più responsabili. Eppure, nonostante le chiare
opportunità, i suoi predecessori all’OTP hanno ampiamente ignorato entrambe le
questioni».
La
lettera aperta ricorda che per quanto riguarda la sicurezza climatica:
«Il cambiamento climatico è ora riconosciuto
come un moltiplicatore di minacce per la pace e la sicurezza internazionali:
aumenta
la probabilità di conflitti violenti e crimini atroci che rientrano nella
giurisdizione della Corte penale internazionale.
In effetti, quasi ogni crisi geopolitica sulla
terra è oggi segnata, in un modo o nell’altro, da conflitti ambientali».
Già
nel 2017, l’ex Segretario generale dell’Onu “Ban Ki-Moon” descrisse la guerra
nel Darfur come «una crisi ecologica, derivante almeno in parte dal cambiamento
climatico»
e per Roger e Adam:
«E’ un
esempio ovvio (ma non eccezionale) di un conflitto causato in parte dal
cambiamento climatico e modifica;
i crimini derivanti da quel conflitto che
includono il genocidio.
Mentre
la terra diventa più calda, il Darfur potrebbe essere un presagio di cose a
venire.
In questo contesto, una maggiore comprensione
dell’interconnessione tra riscaldamento globale, conflitti e crimini di massa
aiuterà i governi e l’Onu a prepararsi alle atrocità e a prevenirle.
Esaminando le questioni relative alla
sicurezza climatica nell’ambito delle sue indagini, l’OTP può contribuire in
modo sostanziale a questo processo e collocare la sua analisi dei crimini nel
contesto adeguato».
Nel
Darfur i combattimenti iniziarono nel 2003, quando le forze governative
sudanesi e le milizie loro alleate si scontrarono con i gruppi ribelli,
spingendo il Consiglio di sicurezza dell’Onu a presentare il suo primo caso
alla Corte penale internazionale.
Dal 2005, il pubblico ministero dell’ICC indaga
su accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità che
comportano uccisioni di massa, sfollamenti forzati, stupri e altri attacchi
diffusi contro i civili.
Dopo
la fine nel 2019 della trentennale dittatura di “Omar al-Bashir”, il Sudan
sembrava avviato verso la democrazia, ma prima ci sono stati un paio di golpe
militari che hanno impedito la transizione e, a metà aprile di quest’anno, è
scoppiata la guerra tra l’esercito e le milizie della Rapid Support Force (RSF)
che erano state sue alleate sia nel Darfur che nei golpe.
In 6
mesi, i combattimenti hanno provocato milioni di sfollati e ucciso circa 9.000
persone.
A
luglio, Khan ha annunciato che il suo ufficio stava indagando su nuove accuse
di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella regione.
Khan
ha detto al “Consiglio di Sicurezza dell’Onu” che «Secondo ogni analisi, non
siamo sull’orlo di una catastrofe umana, ma nel bel mezzo di essa» e ha
assicurato che il suo ufficio stava esaminando le accuse riguardanti saccheggi,
incendi di case e omicidi, compresa la strage di 87 persone a Masalit da parte
delle RSF e dei suoi alleati nel Darfur occidentale.
Anche
se la sanguinosa guerra civile in corso da mesi in Sudan – che impallidisce
rispetto a quanto successo in poche settimane a Gaza e nei kibbutz israeliani
vicini – sia una lotta di potere, i gruppi per i diritti umani della società
civile sudanesi dicono che gli impatti climatici – siccità, desertificazione,
aumento delle temperature e scarsità d’acqua – sono una causa principale e un
amplificatore della violenza.
Per
quanto riguarda i crimini ambientali atroci, la lettera aperta evidenzia che
«Gravi instabilità e conflitti armati spesso comportano crimini atroci che
provocano un grave degrado o distruzione dell’ambiente naturale».
Come
ha già fatto notare lo stesso OTP,
«I
reati commessi mediante, o che comportano, tra l’altro, la distruzione
dell’ambiente, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali o l’esproprio
illegale dei terreni hanno un impatto particolarmente significativo sulle
comunità locali».
La
lettera aperta sottolinea che
«In Sudan, i gruppi armati che cercano di
trarre profitto dall’estrazione illegale dell’oro avvelenano il suolo e le
fonti idriche di intere comunità con mercurio e cianuro;
in
Ucraina le forze russe hanno distrutto la diga di Kakhovka, allagando vaste
aree di terreno fertile.
Sebbene
lo Statuto di Roma fornisca un quadro giuridico per perseguire i crimini
ambientali sia in tempo di pace che nei conflitti armati, l’OTP non ha
perseguito un solo caso in tutta la sua esistenza.
Con l’intensificarsi dei fattori climatici e
il moltiplicarsi dei crimini ambientali atroci, è necessaria un’azione urgente.
Esortiamo l’OTP a iniziare a fare pieno uso
dei suoi poteri ai sensi dello Statuto di Roma per analizzare i fattori
climatici e dare priorità al perseguimento dei crimini di atrocità ambientale
rispetto a tutte le situazioni, compreso il Darfur».
Roger
e Adam e le organizzazioni che li appoggiano raccomandano al Procuratore capo
dell’ICC di prendere le seguenti iniziative:
a.) Nominare un esperto interno di sicurezza
climatica (consulente speciale) per valutare l’impatto del cambiamento
climatico sul carico di lavoro dell’ICC;
b.) rivalutare, rivedere ed espandere le
attuali politiche dell’OTP e i metodi investigativi per includere un approccio
forense basato sulla sicurezza climatica;
c.) in
ciascun caso rilevante, presentare prove che dimostrino come le questioni
legate alla sicurezza climatica siano rilevanti per i crimini perseguiti;
d.)
dare priorità al perseguimento dei crimini di atrocità ambientale, in linea con
la politica dell’OTP del 2016 sulla selezione e la definizione delle priorità
dei casi;
e.)
sostenere pubblicamente la modifica dello Statuto di Roma per includere il
reato internazionale di “ecocidio”.
L’ufficio
di Kahn alla Corte penale internazionale dell’Aia non risponderà alla lettera
aperta, ma in una dichiarazione scritta ha affermato che l’ufficio sta
preparando una nuova politica sui crimini ambientali e che
«Questa politica elaborerà il modo in cui
l’Ufficio utilizzerà la propria giurisdizione per affrontare i danni ambientali
che si verificano nel contesto dei crimini dello Statuto di Roma».
Inoltre,
la dichiarazione dell’”ICC” afferma che
«La nuova politica non si limiterà al danno
ambientale commesso come crimine di guerra, già elencato nello Statuto di Roma,
ma esplorerà anche come altri crimini previsti dallo Statuto di Roma possano
essere commessi attraverso o dando come risultato un danno ambientale».
Gas
serra.
It.wikipedia.org
– (29 luglio 2019) – Enciclopedia Libera – Redazione – ci dice:
(…)
ANIDRIDE
CARBONICA (Co2).
(…) Anidride
carbonica.
Assorbimento
della radiazione solare infrarossa da parte dell'anidride carbonica.
L'anidride
carbonica, la cui molecola ha formula CO2, è responsabile per il 5-20% (la
teoria più accreditata è il 15%) dell'”effetto serra naturale” ed interagisce
con l'atmosfera per cause naturali e antropiche.
I
serbatoi naturali della CO2 sono gli oceani, i sedimenti fossili, la biosfera
terrestre, l'atmosfera.
Gran parte dell'anidride carbonica degli ecosistemi
viene immessa nell'atmosfera.
Un
certo numero di organismi ha la capacità di assimilare la CO2 atmosferica.
Il carbonio, così, grazie alla fotosintesi
delle piante, che combina l'anidride carbonica e l'acqua in presenza
dell'energia solare, entra nei composti organici e quindi nella catena
alimentare, ritornando infine all'atmosfera attraverso la respirazione.
Si
possono individuare delle variazioni annuali della concentrazione di CO2
atmosferica.
Durante l'inverno si verifica un aumento della
concentrazione dovuto al fatto che nelle piante a foglia caduca prevale la
respirazione;
mentre durante l'estate la concentrazione di
CO2 atmosferica diminuisce per l'aumento totale della fotosintesi.
Gli
oceani hanno un ruolo fondamentale nel bilancio del carbonio, costituiscono una
vera e propria riserva di carbonio sotto forma di ione bicarbonato e contengono
quantità enormi di CO2, fino al 79% di quella naturale:
gli oceani possono rilasciare o assorbire CO2
in quanto è solubile in acqua. L'incremento di temperatura dell'acqua
diminuisce la solubilità del biossido di carbonio, pertanto l'aumento della
temperatura degli oceani sposta CO2 dal mare all'atmosfera, mentre una
diminuzione fa avvenire il contrario.
Gli
oceani assorbendo così la CO2 atmosferica mantengono bassa la sua
concentrazione;
se la
concentrazione tendesse ad abbassarsi, gli oceani potrebbero liberare anidride
carbonica svolgendo un ruolo di equilibratori.
Questo
bilancio naturale, in assenza di attività antropica, in prima approssimazione,
è sempre in pareggio.
Esso coinvolge valori di emissioni e
assorbimenti maggiori alle emissioni antropiche.
Tuttavia,
per quanto piccole rispetto al totale, le emissioni antropiche sono sufficienti
a squilibrare l'intero sistema.
L'anidride
carbonica si va così accumulando nell'atmosfera, in quanto i processi di
assorbimento da parte dello strato rimescolato dell'oceano non riescono a
compensare del tutto il flusso entrante di carbonio.
Le emissioni legate all'attività umana sono
dovute all'uso di energia fossile, ossia petrolio, carbone e gas naturale;
e la
restante parte dovuta a fenomeni di deforestazione e cambiamenti d'uso delle
superfici agricole.
Il contributo della deforestazione è peraltro
molto incerto, ed oggi al centro di molti dibattiti:
le
stime indicano valori compresi tra un massimo di 2 ad un minimo di 0,6
GtC/anno.
L'ammontare equivalente di CO2 si ottiene
moltiplicando per 44/12.
Per
quanto concerne la persistenza media in anni della CO2 in atmosfera, l'IPCC
considera un intervallo compreso tra i 50 e i 200 anni che, dipende sostanzialmente dal mezzo di
assorbimento.
(Ma i mezzi di assorbimento della Co2
non possono- alla fine- avere un peso superiore a quello dell’atmosfera.
Infatti la Co2 di per sé ha un peso superiore a quello dell’atmosfera, se poi
il mezzo di assorbimento aggiunge un ulteriore peso non vedo proprio come sia
possibile volare uniti nell’alto del cielo! N.D.R.)
Analizzando
i dati globali sulle emissioni di CO2, risulta evidente che alcuni Paesi hanno
un impatto maggiore rispetto ad altri.
Attualmente,
i Paesi che emettono la maggiore quantità di CO2 sono la Cina, gli Stati Uniti
e l'India, in quest'ordine.
Se si
considera invece la quantità complessiva di CO2 emessa in atmosfera nel corso
della storia, il quadro cambia.
Gli
Stati Uniti sono in testa alla lista, seguiti dalla Cina e dalla Russia.
Infine,
se si esamina l'impatto delle emissioni di CO2 in rapporto alla popolazione,
ossia si valuta la quantità di CO2 prodotta per abitante, le nazioni che
risaltano sono il Qatar, il Bahrein e il Kuwait.
L'IPCC
aggiorna la metodologia
per
gli inventari dei gas serra.
Ipcc.ch
– 18 maggio 2019 – Redazione – ci dice:
INGAGGIARE.
Esistono
molti modi per collaborare con l’IPCC.
SAPERNE
DI PIÙ.
KYOTO,
Giappone, 13 maggio – Il “Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici” (IPCC)
ha pubblicato lunedì un aggiornamento della metodologia utilizzata dai governi
per stimare le emissioni e gli assorbimenti di gas serra.
I
governi sono tenuti a segnalare i propri inventari nazionali di gas serra –
comprendenti stime delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra – alla “Convenzione quadro delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici” (UNFCCC), anche nell’ambito di processi come
il “Protocollo di Kyoto” e l’”Accordo di Parigi”.
La
metodologia aggiornata dell’IPCC migliora questo processo di trasparenza e
rendicontazione garantendo che la metodologia utilizzata per determinare questi
inventari sia basata sulla scienza più recente.
Il
nuovo rapporto, il Perfezionamento del 2019 delle Linee guida IPCC del 2006
sugli inventari nazionali dei gas a effetto serra (2019 Refinement) , è stato
preparato dalla Task Force dell'IPCC sugli inventari nazionali dei gas a
effetto serra (TFI).
Una
sessione plenaria del Gruppo IPCC a Kyoto, in Giappone, ha adottato il capitolo
riassuntivo del rapporto e ha accettato il rapporto principale.
“Il
perfezionamento del 2019 fornisce una base scientifica aggiornata e solida per
supportare la preparazione e il miglioramento continuo degli inventari
nazionali dei gas serra”, ha affermato Kiyoto Tanabe, copresidente della TFI.
Il
Perfezionamento del 2019 fornisce metodologie supplementari per stimare le
fonti che producono emissioni di gas serra e i pozzi che assorbono tali gas.
Affronta inoltre le lacune scientifiche
identificate, le nuove tecnologie e i processi di produzione emersi, o le fonti
e i pozzi che non erano inclusi nelle Linee guida IPCC del 2006.
Fornisce
inoltre valori aggiornati di alcuni fattori di emissione utilizzati per
collegare l'emissione di un gas serra per una particolare fonte alla quantità
di attività che causa l'emissione.
Vengono forniti aggiornamenti laddove gli
autori identificano differenze significative rispetto ai valori delle Linee
guida IPCC del 2006.
Oltre
280 scienziati ed esperti hanno lavorato al perfezionamento del 2019 per
produrre numerose modifiche alle linee guida generali e alle metodologie per
quattro settori:
energia;
processi industriali e utilizzo dei prodotti; agricoltura, silvicoltura e altri
usi del territorio; e rifiuti.
“I
nostri autori hanno esaminato un’ampia gamma di metodologie di inventario e le
hanno aggiornate laddove i progressi scientifici e le nuove conoscenze lo hanno
reso necessario, a seguito della decisione dell’IPCC”, ha affermato Eduardo
Calvo, copresidente della TFI.
Le
Linee Guida IPCC del 2006 continuano a fornire una base metodologica
tecnicamente solida per la misurazione degli inventari nazionali dei gas serra.
Il Perfezionamento del 2019 li aggiorna, li
integra e li elabora laddove gli autori hanno individuato lacune o dati
scientifici non aggiornati. Il perfezionamento del 2019 deve essere utilizzato
insieme alle linee guida IPCC del 2006.
La
riunione degli organi sussidiari dell'UNFCCC nel giugno 2019 fornirà una prima
opportunità ai governi dell'UNFCCC di ricevere e rivedere la metodologia
aggiornata e determinare il percorso migliore verso l'attuazione del
perfezionamento del 2019.
“Il
perfezionamento del 2019 intende fornire una base scientifica aggiornata per
supportare la preparazione degli inventari nazionali dei gas serra.
Vorrei
ringraziare gli autori del Perfezionamento del 2019 per la loro dedizione e il
lavoro diligente nell’aggiornamento di questa metodologia, che fornisce la
trasparenza vitale per gli sforzi internazionali volti ad affrontare i
pericolosi cambiamenti climatici”, ha affermato il presidente dell’IPCC Hoesung Lee.
La 49a
sessione dell'IPCC a Kyoto si è occupata anche di altri temi, tra cui l'esame
di un rapporto del Task Group dell'IPCC sul genere.
(Ufficio
stampa IPCC, e-mail: ipcc-media@wmo.int)
Note per gli editori.
A
proposito dell'IPCC.
Il
Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) è l’organismo delle Nazioni Unite
preposto alla valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici.
È
stato istituito nel 1988 dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UN Environment) e
dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) per fornire ai policy maker
valutazioni scientifiche periodiche riguardanti il cambiamento climatico, le
sue implicazioni e i potenziali rischi futuri, e per proporre strategie di
adattamento e mitigazione. Ha 195 Stati membri.
Le
valutazioni dell’IPCC forniscono ai governi, a tutti i livelli, informazioni
scientifiche che possono utilizzare per sviluppare politiche climatiche.
Le
valutazioni dell’IPCC rappresentano un input chiave nei negoziati
internazionali per affrontare il cambiamento climatico.
I rapporti dell’IPCC vengono redatti e
revisionati in più fasi, garantendo così obiettività e trasparenza.
L’IPCC
valuta le migliaia di articoli scientifici pubblicati ogni anno per informare i
politici sullo stato delle conoscenze sui cambiamenti climatici.
L’IPCC identifica dove c’è accordo nella
comunità scientifica, dove ci sono differenze e dove sono necessarie ulteriori
ricerche.
Non
conduce ricerche proprie.
Per
produrre i suoi rapporti, l’IPCC mobilita centinaia di scienziati.
Questi
scienziati e funzionari provengono da contesti diversi. Solo una dozzina di dipendenti
permanenti lavorano nel segretariato dell'IPCC.
L'IPCC
ha tre gruppi di lavoro:
Gruppo
di lavoro I (le basi scientifiche e fisiche del cambiamento climatico); Gruppo
di Lavoro II (impatti, adattamento e vulnerabilità);
e
Gruppo di Lavoro III (mitigazione del cambiamento climatico).
Dispone
inoltre di una task force sugli inventari nazionali dei gas serra che sviluppa
metodologie per la stima delle emissioni di origine antropica e della rimozione
dei gas serra.
Tutti
questi sono supportati da unità di supporto tecnico che guidano la produzione
dei rapporti di valutazione dell’IPCC e di altri prodotti.
I
rapporti di valutazione dell’IPCC consistono nei contributi di ciascuno dei tre
gruppi di lavoro e in un rapporto di sintesi.
I rapporti speciali intraprendono una
valutazione più breve di specifiche questioni interdisciplinari che di solito
abbracciano più di un gruppo di lavoro.
Metodologie
IPCC
I gas
serra sono gas presenti nell'atmosfera come vapore acqueo, anidride carbonica,
metano e protossido di azoto che possono assorbire la radiazione infrarossa,
intrappolando il calore nell'atmosfera.
Questo effetto serra significa che le
emissioni di gas serra dovute alle attività umane causano il riscaldamento
globale.
Le
valutazioni dell’IPCC hanno rilevato che negli scenari che affrontano il
cambiamento climatico, le emissioni di gas serra diminuiscono drasticamente e i
governi hanno concordato che tali emissioni dovrebbero raggiungere un picco e
diminuire rapidamente.
Questi
accordi richiedono informazioni sulle emissioni nette dei paesi partecipanti:
emissioni meno assorbimenti.
Le
emissioni possono derivare da diverse attività come la combustione di
combustibili per produrre energia, processi industriali, alcune attività
agricole e la deforestazione.
Le
emissioni di gas serra possono anche essere rimosse dall’atmosfera da alberi e
altre piante e mediante tecniche industriali di rimozione dell’anidride
carbonica.
La
Task Force dell'IPCC sugli inventari nazionali dei gas a effetto serra (TFI)
sviluppa e perfeziona una metodologia e un software concordati a livello
internazionale per il calcolo e la rendicontazione delle emissioni e degli
assorbimenti nazionali di gas a effetto serra e incoraggia l'uso di questa
metodologia da parte dei paesi partecipanti all'IPCC e delle parti alla
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).
Le
parti dell'UNFCCC segnalano regolarmente le emissioni e gli assorbimenti di gas
serra all'UNFCCC.
Comunicando informazioni sulle emissioni di
gas serra e sulle azioni per ridurle, questo sistema di trasparenza e
rendicontazione aiuta le parti a comprendere le ambizioni e i progressi
nell’azione per il clima.
Questa
metodologia include la formulazione di fattori di emissione utilizzati per
collegare l'emissione di un gas serra per una particolare fonte alla quantità
di attività che causa l'emissione.
La TFI
ha prodotto diversi rapporti metodologici, a partire da una serie di linee
guida nel 1994.
Queste
sono state sostituite dalle linee guida IPCC riviste del 1996 per gli inventari
nazionali dei gas a effetto serra.
La metodologia attuale è costituita dalle
Linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra.
Questo è stato integrato con i metodi
supplementari rivisti del 2013 e la guida alle buone pratiche derivanti dal
protocollo di Kyoto e il supplemento del 2013 alle linee guida IPCC del 2006
per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra: zone umide.
Un
elenco completo dei rapporti metodologici dell'IPCC è disponibile.
Perfezionamento
del 2019.
Nell'agosto
2014 l'Ufficio di presidenza della TFI (TFB) ha concluso che le linee guida
IPCC del 2006 forniscono una base metodologica tecnicamente solida per gli
inventari nazionali dei gas a effetto serra.
Tuttavia,
per mantenere la loro validità scientifica, potrebbero essere necessari alcuni
perfezionamenti, tenendo conto dei progressi scientifici e tecnici
sufficientemente maturati dal 2006.
A
seguito delle conclusioni della TFB, la TFI ha effettuato una valutazione
tecnica delle linee guida sull’inventario dell’IPCC attraverso un questionario
online e quattro riunioni di esperti nel 2015 e nel 2016.
Questa
valutazione ha mostrato che dal 2006 sono state pubblicate numerose nuove conoscenze scientifiche ed
empiriche, di cui l’IPCC dovrebbe tenere conto, in particolare per quanto
riguarda i dati sullo sviluppo dei fattori di emissione per alcune categorie e
gas.
Nella
sua 43a sessione nell'aprile 2016, il Gruppo ha deciso di aggiornare le proprie
metodologie attraverso un affinamento delle Linee guida IPCC del 2006 al fine
di assistere tutte le parti dell'UNFCCC nella preparazione e nel miglioramento
continuo dei loro inventari nazionali di gas serra garantendo che siano
supportati dalla scienza migliore e più recente disponibile.
Nell'agosto
2016 si è tenuta una riunione esplorativa per la relazione metodologica.
Nella
sua 44a sessione dell'ottobre 2016, il Gruppo di esperti scientifici ha
approvato lo schema del perfezionamento del 2019 delle linee guida IPCC del
2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra, composto da un unico
rapporto metodologico comprendente un capitolo di panoramica e cinque volumi
seguendo il formato dell'IPCC del 2006. Linee guida per gli inventari nazionali
dei gas serra.
Il
perfezionamento del 2019 copre tutti i settori dell’inventario dell’IPCC, ma i
perfezionamenti sono inclusi solo per quelle categorie in cui si ritiene che la
scienza sia sufficientemente avanzata dal 2006 o in cui siano necessarie linee
guida nuove o aggiuntive.
Il
Perfezionamento del 2019 è stato preparato da oltre 280 scienziati ed esperti
provenienti da 47 paesi.
Informazioni
sul sesto ciclo di valutazione.
Nella
sua 41a sessione, nel febbraio 2015, l'IPCC ha deciso di produrre un sesto
rapporto di valutazione (AR6).
Nella sua 42a sessione, nell'ottobre 2015, ha
eletto un nuovo Ufficio di presidenza che supervisionerà il lavoro su questo
rapporto e sui rapporti speciali da produrre nel ciclo di valutazione.
Nella
sua decisione sull’adozione dell’Accordo di Parigi, la Conferenza delle Parti
(COP) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
(UNFCCC) ha invitato l’IPCC a fornire nel 2018 un rapporto speciale sugli
impatti del riscaldamento globale di 1,5°C al di sopra dei livelli
preindustriali e dei relativi percorsi globali di emissione di gas serra.
Nella
sua 43a sessione dell'aprile 2016, l'IPCC ha accettato l'invito dell'UNFCCC e
ha deciso di produrre altri due rapporti speciali, un rapporto metodologico e
l'AR6.
Riscaldamento
globale di 1,5°C, rapporto speciale dell’IPCC sugli impatti del riscaldamento
globale di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali e sui relativi percorsi
globali di emissione di gas serra, nel contesto del rafforzamento della
risposta globale alla minaccia del cambiamento climatico, sostenibilità
sviluppo e sugli sforzi per sradicare la povertà è stato pubblicato l’8 ottobre
2018.
Oltre
al Perfezionamento del 2019, l’IPCC metterà a punto due Rapporti Speciali nel
2019:
Cambiamenti
climatici e territorio, un rapporto speciale dell'IPCC su cambiamenti
climatici, desertificazione, degrado del territorio, gestione sostenibile del
territorio, sicurezza alimentare e flussi di gas serra negli ecosistemi
terrestri nell'agosto 2019.
Rapporto
speciale sull'oceano e la criosfera in un clima che cambia nel settembre 2019.
I
contributi dei tre gruppi di lavoro all'AR6 saranno pubblicati nel 2021 e il
rapporto di sintesi AR6 sarà finalizzato nella prima metà del 2022.
(…)
Da:
l’indiscreto del 07/05/2021 -Philippe Pelletier
-tratto dal suo libro “Clima,
Capitalismo verde e Catastrofismo”.
Geopolitica
del clima:
gli
interessi politici ed economici dietro la crisi climatica.
(…)
La
creazione dell’Ipcc (1988).
In
occasione del g7 del 1988, la creazione dell’Ipcc come «gruppo
intergovernativo», e non come organizzazione di esperti in climatologia, è
sostenuta con forza da due personalità politiche europee: Jacques Delors e,
soprattutto, Margaret Thatcher.
Il
primo ministro britannico dell’epoca vuole prendere due piccioni con una fava:
sbarazzarsi delle miniere di carbone britanniche, con i loro sindacati troppo
radicali, e al contempo promuovere l’industria nucleare nazionale. Grande
opportunista, vede nell’ipotesi del riscaldamento globale – che in seguito
contesterà quando i giacimenti petroliferi del Mare del Nord si riveleranno più
redditizi – un buon mezzo per aumentare la popolarità della propria linea
politica, e tutto per una buona causa: salvare il pianeta.
Nel
settembre 1988, al cospetto della Royal Society, sostiene perciò che «ci viene
annunciato che un riscaldamento di un grado oltrepasserebbe ampiamente la
capacità di adattamento del nostro habitat. Un riscaldamento del genere
potrebbe accelerare la fusione dei ghiacci e aumentare il livello del mare di
parecchi piedi». Il discorso politico catastrofista viene quindi introdotto una decina di
anni prima di Al Gore, e con lo stesso riferimento cripto-religioso al Diluvio…
Il
governo Thatcher avanza immediatamente la richiesta al “Met Office”, l’ufficio
meteorologico britannico, di costituire quello che sarà denominato “Hadley
Centre for Climate Prediction and Research, un istituto che avrà il compito di
elaborare modellizzazioni e valutare le possibili conseguenze dell’emissione
industriale di co2.
Il centro viene aperto il 25 maggio 1990, e sir John
Theodore Houghton (1931-2020), all’epoca direttore generale del Met Office,
diventa presidente del gruppo di lavoro scientifico in seno all’Ipcc.
Ritorneremo
più avanti sulla militanza evangelica di Houghton; per ora basti notare che nel 2000
diventerà membro della “Fondazione Shell”.
Jacques
Delors, da parte sua, rappresenta l’Unione Europea presso il g7, mentre
François Mitterrand partecipa per conto della Francia. Delors è un importante
uomo politico di un paese, come la Francia, fortemente impegnato nel nucleare.
Come abbiamo visto, questo socialdemocratico-cristiano è stato anche membro del
gruppo ecologista Diogène (1970-1973), fondato da Denis de Rougemont.
Gli
scienziati statunitensi abbracciano quasi immediatamente l’idea di base dell’Ipcc,
con il suo discorso predefinito.
Il più
noto fra loro è James Edward Hansen (nato nel 1941), informatico, laureato in
fisica e astronomia, estremamente attivo.
All’epoca
direttore del Goddard Institute for Space Studies, una sezione della nasa
allora in deficit di credito, Hansen è alla ricerca di una nuova causa.
Non è
affatto un climatologo, ma il suo lavoro precedente sull’atmosfera di Venere lo ha
sensibilizzato alla questione grazie a una lunga e complessa polemica
scientifica sulla natura dell’atmosfera venusiana andata avanti per tutti gli
anni Sessanta e Settanta.
Per
contro è un fautore della modellizzazione colui che ha ispirato Stephen
Schneider nella sua diagnosi di un «raffreddamento globale».
Fra
l’altro Hansen è amico di Al Gore, vicepresidente americano dal 1993 al 2001,
il quale lancia al galoppo il cavallo catastrofista e apocalittico, in sintonia
con le sue credenze evangeliche, grazie al libro e al film “Una scomoda verità”.
Per
convincere i leader politici, e quindi i cittadini, della validità delle sue
tesi sul riscaldamento globale, Hansen mette a segno un colpo da maestro: il
giorno in cui presenta le sue teorie davanti al senato americano – il 23 giugno
1988 – fa un caldo soffocante e oltretutto il condizionamento della sala
dell’audizione non funziona adeguatamente.
E
così, dato che Hansen e Gore hanno battuto la gran cassa per annunciare una
seduta eccezionale nel corso della quale ci sarebbero state rivelazioni
scioccanti, i rappresentanti dei media non si sono mossi invano… La via è ormai
imboccata.
Ospite
abituale di convegni scientifici e di trasmissioni televisive, il discorso
catastrofista di Hansen sul riscaldamento globale causato dalle emissioni umane
di Co2 vede un crescendo inarrestabile.
Si
tratta di «salvare l’umanità» pensando ai nostri «nipoti», come recita il
titolo di uno dei suoi libri.
Nel
2007 non esita a paragonare i convogli di carbone ai «treni della morte».
Coerentemente, chiede di «decarbonizzare l’elettricità» e di trovare nuove
fonti di energia, il che lo porta a sostenere l’energia elettronucleare. In una
conferenza al mit dell’aprile 2015 cita la Francia come esempio di una buona
politica in questo settore.
Insomma,
per chi vuol capire la situazione è chiarissima. Dobbiamo anche ricordare che l’ipcc
non è un organismo scientifico anche se mobilita scienziati, che però sono ben
lontani dall’essere climatologi e che spesso si occupano di modelli
informatici.
Piuttosto,
è un organo politico, come indica il suo nome in inglese («Intergovernmental
Panel»), in francese («Groupe Intergouvernemental») o in italiano («Gruppo Intergovernativo»).
In
altre parole, i suoi orientamenti sono soggetti alle forze politiche. Le
implicazioni di questa situazione sono due: scientifiche e geopolitiche.
La
«stretta» dell’Ipcc.
Nonostante
le apparenze, che pure tendono ad attenuarsi, il rigore scientifico non è la
virtù cardinale dell’Ipcc.
A
questo proposito le critiche si moltiplicano, e un certo numero di castronerie
cominciano a essere note: oltre alle già citate approssimazioni di Pachauri,
possiamo citare il funzionamento opaco dell’istituzione, caratterizzato da una
«stretta» sulle qualifiche scientifiche che appare quanto meno azzardata, se
non palesemente manipolatoria.
Uno
degli esempi più noti di questi «malfunzionamenti» è la frode commessa da
Benjamin D. Santer (nato nel 1955) nel secondo rapporto Ipcc del 1995.
Questo climatologo americano, laureato alla
East Anglia University, era stato incaricato dai suoi due superiori gerarchici,
John Houghton, responsabile del Gruppo i, e Bert Bolin, presidente dell’Ipcc,
di curare, come autore principale, il capitolo 8 del rapporto, dedicato al
riscaldamento globale.
Una volta pronta la stesura finale del
capitolo, Santer inserisce nella sintesi posta all’inizio del documento,
l’unica destinata a essere letta da decisori e giornalisti, la seguente frase:
«Le prove suggeriscono che sussiste una
visibile influenza umana sul clima del pianeta».
Poiché
questa frase contraddice quanto hanno scritto gli altri autori del rapporto
tecnico, nel
prosieguo del documento Santer semplicemente rimuove le frasi imbarazzanti.
Uno di
questi autori censurati, Frederick Seitz (1911-2008), fisico, ex presidente
della National Academy of Sciences americana, si accorge dell’abuso e rende
pubblico il suo sdegno:
«Oltre quindici passaggi del capitolo 8 sono stati
cancellati o modificati dopo che gli autori avevano dato la loro approvazione
ai testi da mandare in stampa. Nei miei sessant’anni di carriera nella comunità
scientifica […], non ho mai visto una corruzione così sconvolgente come il
processo che ha portato alla pubblicazione di questo rapporto Ipcc».
Santer ribatte che, essendo la Ipcc un organo
politico, non è soggetto alle procedure in vigore negli organismi scientifici… E Seitz ha buon gioco a concludere
che «se la Ipcc non è in grado di seguire queste procedure di base, sarebbe
meglio che scomparisse».
Un
altro esempio: Paul Reiter, dell’Institut Pasteur, viene invitato dall’Ipcc a
contribuire, in quanto esperto mondiale di malaria, al capitolo dedicato al
potenziale impatto che questa può avere sulla salute umana (Gruppo ii),
capitolo incluso nel secondo rapporto (1995).
Con
sua grande sorpresa scopre che nessun altro esperto di malaria è tra gli autori
che hanno contribuito allo stesso capitolo e che nessuno dei principali autori
presenti ha mai scritto nulla al riguardo… Viceversa, scopre che due di loro
sono dei noti attivisti ambientali.
A
questo punto contesta apertamente anche la semplicità di alcune delle analisi
pubblicate.
In
particolare lo attesta con forza nel 2004 a Mosca, durante una riunione dell’Ipcc
il cui l’obiettivo è quello di far aderire la Russia al Protocollo di Kyoto:
solleva uno scandalo, ma in realtà non ci sono ulteriori conseguenze.
Si
dimette allora dall’Ipcc… A sua volta Nils-Axel Mörner, che ha insegnato geologia alla
Stockholms Universitet per più di trent’anni e che ha inoltre presieduto la
Commission of Sea Level Changes and Coastal Evolution (e quindi conosce tutti
gli specialisti mondiali in materia), scopre con stupore che tra i ventidue
«esperti» che si occupano della questione per il terzo rapporto dell’Ipcc
(2001) solo uno di loro gli risulta noto…
Incuriosita
dalle modalità di reclutamento degli esperti introdotte dall’Ipcc, la
giornalista investigativa canadese “Donna La framboise” ha condotto
un’indagine. E ha rilevato che più della metà dei contributi scientifici vengono
esaminati, prima di essere convalidati, da persone che appartengono alla stessa
organizzazione ambientalista dell’autore, in particolare il wwf, le cui origini
ambigue sono già state ricordate.
In
altre parole, la mano destra serve la mano sinistra, ed entrambe indicano la
stessa direzione visto che il wwf è un forte sostenitore della teoria del
riscaldamento globale.
Donna La
framboise scopre anche che una delle autrici del rapporto del 1995 è una
studentessa di venticinque anni, Sari Kovacs, che prima di quello non aveva mai
pubblicato nulla.
Kovacs
è poi diventata l’autore principale del rapporto del 2001 e ha partecipato alla
stesura di quattro capitoli inclusi in quello del 2007… ovvero tre anni prima
di completare nel 2010 la sua tesi di dottorato!
Ma
tutto questo non sorprende più quando scopriamo che le principali ong
ambientaliste (wwf, Friends of the Earth, Greenpeace…) partecipano alla scelta
degli «esperti indipendenti» che redigono i rapporti Ipcc… E infatti, lo scenario climatico
ancora più allarmista presente nel terzo rapporto dell’Ipcc (2001), che prevede
un riscaldamento di 5,8 °C entro il 2100, una cifra ben memorizzata dai media,
è scritto da un certo Sven Tesle che è ufficialmente il coordinatore
internazionale di Greenpeace e scrive articoli per l’Associazione Europea
dell’Industria Fotovoltaica (epia)…
Dall’Ipcc
(1988) al Protocollo di Kyoto (1997) e alla carbon tax.
Il
prevalere della politica sulla scienza all’interno dell’Ipcc non si traduce
peraltro in un’armonia consensuale fra tutti gli Stati del mondo ma in un perenne rapporto di forza
tra quelli che sono più potenti e che più finanziano.
In
maniera simmetrica, ciò non implica una convergenza di interessi scientifici,
economici e politici appunto perché il rapporto di forza si riproduce in ogni
settore.
Il
Protocollo di Kyoto (adottato nel 1997 e attuato nel 2005) è al tempo stesso
punto fermo e punto critico: mira a ridurre le emissioni di Co2.
Mentre
la Russia alla fine lo ha ratificato (nel 2004), gli Stati Uniti e l’Australia,
che rappresentano circa un quarto di queste emissioni, si rifiutano di farlo.
E il Canada si è ritirato nel 2006.
Oltre
alle misure fiscali e normative, il protocollo stabilisce l’organizzazione di
un mercato per i permessi sulle emissioni di Gas a Effetto Serra (gas) a
livello aziendale o statale, sancito dalla conferenza di Buenos Aires (dicembre
2004). Fondamentalmente, il meccanismo è il seguente:
gli
Stati ricevono diritti di emissione negoziati, che assegnano gratuitamente alle
società interessate che operano nel loro territorio, ma chi non utilizza tutte
le proprie quote può rivenderle al miglior offerente, in modo simile al
funzionamento della borsa.
Come
scrive Pascal Acot, «il nostro futuro climatico è nel cestino dei rifiuti».
Le
aziende che superano le loro quote gas sono costrette a investire in tecnologie
di produzione considerate più pulite oppure ad acquistare i diritti immessi sul
mercato.
L’abbondanza
di questi diritti fa scendere i loro prezzi, e così è più redditizio
acquistarli piuttosto che investire in nuove tecnologie. Ancora una volta il
mercato capitalista è lastricato di buone intenzioni…
Tra le
altre cose, questo sistema significa che gli Stati e le aziende possono
esportare il loro inquinamento, anche se sono previsti «meccanismi di sviluppo
pulito».
Allo
stesso modo in cui il capitale delocalizza le sue fabbriche e la sua forza
lavoro per ottenere un «vantaggio sociale», così cerca altrove nuovi spazi e
nuove popolazioni da intossicare.
Ma è
per il bene del pianeta, no? Ci sono persone che ci credono!
Nicholas
Stern è uno dei principali promotori di questa politica da gioco delle tre
carte: ex
capo economista della Banca Mondiale, Stern aderisce alla teoria del
riscaldamento globale.
Per il
momento, l’attore più potente nella battaglia politico-economica per il clima è
il campo occidentale (Stati Uniti, Unione Europea, Giappone) che cerca di
frenare l’emergere economico di nuove potenze.
Il 20 agosto 2015, anche il Commissario
europeo responsabile dell’«azione per il clima» (sic!), Miguel Arias Cañete, ha
stigmatizzato, nell’ottica della cop21, un certo numero di paesi che «non fanno
abbastanza sforzi» per ridurre i gas serra: come per un caso fortuito cita solo
Cina, India, Turchia, Brasile e Sudafrica…
La
battaglia fra idrocarburi, energia nucleare ed energie rinnovabili richiede
investimenti massicci e costosi; sempre più massicci e sempre più costosi.
Ma il capitale, tranne pochi audaci o
visionari, non ama investire a fondo perduto e senza ottenere profitto.
Il suo
storico copilota, lo Stato, è fortunatamente lì per aiutarlo: soprattutto perché i nuovi partiti
ecologisti stanno spingendo in questa direzione, facendo affidamento su un
elettorato della classe media ora convertito alla causa planetaria, a
condizione che non si mettano in discussione la proprietà privata o il denaro.
Uno
dei principali strumenti dello Stato, oltre alla pletora di regolamenti, norme
e divieti di ogni genere, è la tassazione.
Gli ambientalisti hanno quindi spinto l’idea di una
«tassa sul carbonio», basandosi sull’idea molto diffusa di una «impronta del
carbonio», che però è difficile da calcolare.
Questo tipo di imposta è però ingiusto, come
l’iva, a differenza dell’imposta sul reddito diretta e decrescente. Aumenta
infatti la tassazione delle famiglie, già pesantemente tassate, soprattutto in
tempi di recessione economica, e penalizza gli automobilisti ordinari più dei
grandi inquinatori. I poveri devono quindi pagare come i ricchi, ma in una
società in cui sono scomparse le classi, sostituite dalle «generazioni future»,
tutto ciò non pone alcun problema ideologico o politico.
L’idea
alla base della «carbon tax» è anche quella di ridurre il parco veicoli, senza
che sia garantito con certezza che sarà sostituito da un trasporto pubblico di
pari qualità.
Il lavoratore se la dovrà cavare… Il rilancio
in Francia di questa idea, nell’autunno del 2018, è stato all’origine del forte
movimento di protesta dei «gilet gialli», uno dei cui slogan è stato: «La fine
del mese arriva prima della fine del mondo».
Durante
la campagna presidenziale francese del 1973, il candidato ecologista René
Dumont e, con lui, quasi tutti gli ecologisti, chiesero un notevole aumento del
prezzo della benzina per far retrocedere l’automobile.
Quasi
cinquant’anni più tardi non solo i prezzi della benzina sono aumentati a un
livello che questi ecologisti non osavano immaginare, ma in giro non ci sono
mai state così tante auto, né così tanto petrolio.
Lungi
dal retrocedere, automobili e petrolio sono cresciuti e i profitti delle
multinazionali del petrolio sono aumentati di pari passo.
Il
principio del «chi inquina paga» è quindi completamente fuorviante. Le principali fonti di inquinamento
sono esonerate, mentre l’individuo medio viene fatto sentire in colpa e
riportato alle sue «scelte di consumo», come se la gamma delle sue possibilità
fosse infinita, semplice, e si basasse solo sul suo comportamento libero e
responsabile di “homo economicus” secondo il credo della filosofia liberale.
La
geopolitica del Diluvio insulare.
I
leader dei piccoli Stati insulari si sono resi conto che potevano usare
politicamente la questione dell’innalzamento del livello del mare e del
«cambiamento climatico» per negoziare con le grandi potenze.
Il
loro approccio è comprensibile: provengono da paesi precedentemente colonizzati
– spesso brutalmente, a volte in maniera più insidiosa (evangelizzazione) – e
generalmente poveri.
Ma
questa legittimità di comportamento non dovrebbe mascherare le relazioni di
potere all’interno di quei paesi e nei confronti degli altri paesi, né impedire
una corretta analisi dei fenomeni geofisici ed ecologici. Perché la strategia
dei leader locali è in sostanza ottenere sussidi e un posto sulla scena
mondiale.
Nel
1990, diversi piccoli Stati insulari si sono riuniti in un’associazione: l’Alliance of Small Island States (Oasis), che ha raggiunto i quarantaquattro
membri nel 2018, di cui trentanove membri dell’ONU.
Questi
Stati hanno colto la possibilità di giocare sull’allarmismo, ma al contempo
sulla vittimizzazione e sul senso di colpa, soprattutto nei confronti dei paesi
occidentali considerati responsabili del cambiamento climatico.
Secondo
Jean-Christophe Gay, un geografo specializzato sulle isole dell’oceano
Pacifico, «essi formano un bacino elettorale alle Nazioni Unite o in altri
forum, e contrattano con gli altri paesi mettendo in campo i loro voti e le
loro alleanze».
Tuvalu,
paese entrato a far parte delle Nazioni Unite nel 2000, ha così riconosciuto
l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, due territori
georgiani occupati dall’esercito russo. Nauru, un paese che è diventato membro
delle Nazioni Unite nel 1999, ha fatto lo stesso nel 2009. Dopo Russia,
Nicaragua e Venezuela, è il quarto Stato a stabilire relazioni con questi due
paesi. Prima della visita del suo ministro degli Esteri, il suo governo avrebbe
chiesto alla Russia un aiuto economico di 34 milioni di euro.
Secondo
le autorità russe, Nauru avrebbe ricevuto aiuti internazionali in cambio del
riconoscimento del Kosovo. Nel 2002, secondo quanto riferito, la Repubblica
popolare cinese ha concesso un credito di 89 milioni di euro in cambio
dell’annullamento del riconoscimento di Taiwan. Ma a causa del ritardo
nell’adempimento della promessa, Nauru non si è allineato con Pechino.
Alle
Kiribati, Anote Tong, presidente del paese dal 2003 al 2016, ama spiegare, sia
all’estero che ai suoi concittadini, che l’arcipelago sarà inabitabile entro il
2050. Tra il 1994 e il 2014 gli aiuti allo sviluppo concessi alle Kiribati sono
passati da 20 milioni di dollari a 142 milioni: «Un vero paradosso investire in
un paese che sta per affondare»70. Ma, ancora una volta, un giornalista che
dedica il suo articolo alle Kiribati ignora questo fatto e preferisce invece
citare «la delegazione di Tuvalu a Copenhagen nel 2009 che gridò forte e
chiaro: ‘Dai ascolto alle isole! Dai ascolto alle isole’».
Da
parte loro, i grandi Stati stanno già speculando sulla scomparsa di alcune
isole. Per questo usano una nuova categoria, quella dei «rifugiati climatici». Un termine che è stato inventato non
da climatologi o geografi, ma da politologi e giuristi, e che deriva da un altro concetto
inventato in precedenza, quello di «rifugiato ambientale».
Sulla
scena internazionale, il certificato di nascita simbolico del concetto di
«rifugiato ambientale» è in genere associato alla pubblicazione di numerosi
rapporti nella seconda metà degli anni Ottanta.
Nel
1988 Jodi L. Jacobson, giornalista specializzata in questioni di salute e di
genere, nonché membro del wwf, ha così stimato che «tra i vari problemi ambientali che
causano l’allontanamento delle popolazioni dai loro habitat, nessuno può
competere con i potenziali effetti dell’innalzamento del livello del mare
dovuti ai cambiamenti di origine antropica del clima planetario».
Nel
suo primo rapporto sintetico del 1992, l’Ipcc ha insistito sulla natura
eccezionale e dannosa dei previsti sconvolgimenti migratori:
«Gli effetti più gravi del cambiamento climatico
riguardano indubbiamente la migrazione umana: milioni di persone saranno
costrette a spostarsi, scacciati dall’erosione costiera, dall’inondazione dei
litorali e dalla siccità. Molte delle aree in cui cercheranno rifugio
probabilmente non dispongono di strutture igienico-sanitarie sufficienti per
accoglierli. Le epidemie rischiano dunque di penetrare e insediarsi nei campi
profughi, oltre che di estendersi alle comunità vicine. Inoltre, il
ricollocamento è spesso fonte di tensioni psicologiche e sociali che possono
influire negativamente sulla salute e sul benessere delle popolazioni
sfollate».
I
giuristi si impadroniscono allora della questione per sviluppare la categoria
di «rifugiato climatico», la quale consente di assegnare uno status ai migranti
e, sulla scia di questo, di determinare a chi sarà devoluta la defunta zee
(Zona Economica Esclusiva) degli Stati insulari che scompariranno.
Catalogare
i migranti come «rifugiati climatici» e quindi spiegare le migrazioni con un
fenomeno naturale – anche se si sostiene che siano state provocate o aggravate
dall’azione umana – in realtà è un modo per mascherare le vere cause della
mobilità umana in un gran numero di paesi, specialmente ai tropici.
Queste
cause sono invece ben note: fuggire dalla miseria economica (povertà, mancanza
di reddito), sociale (conservatorismo) o politica (guerre e dittature) e
raggiungere i paesi che rappresentano la situazione opposta, a torto o a
ragione. Infatti, la migrazione dei tuvaluani in Nuova Zelanda, ad esempio, è
fondamentalmente correlata a questo fattore.
Gli
esiliati hanno allora buon gioco a far valere l’idea di «rifugiato climatico»
se questo dà loro qualche vantaggio.
Inoltre,
la devastazione provocata dal recente aumento del traffico di droga in molte
isole del Pacifico sembra più preoccupante dell’«innalzamento delle acque».
Le
isole sentinella del capitalismo verde.
Le
Maldive costituiscono un caso esemplare di strumentalizzazione climatica in cui
la molteplicità dei fenomeni e dei fattori è sommersa, per così dire, dal
catastrofismo che denuncia l’innalzamento del livello delle acque.
In questo caso la politica, e quindi la
geopolitica, gioca un ruolo cruciale. Bisogna risalire alla fine degli anni
Settanta e a Maumoon Abdul Gayoom. Costui è stato presidente dello Stato delle
Maldive dal 1978 al 2008, governando con un pugno sempre più di ferro e un
crescente islamismo. Nel 1987, anno del Rapporto Brundtland, si fa notare alle
Nazioni Unite per un discorso in cui per la prima volta viene evocato il
rischio che l’innalzamento del livello del mare possa far scomparire il suo
paese.
Si
dichiara inoltre «paladino dell’ambiente e della religione che protegge quelle
barriere coralline e i trecentomila musulmani delle Maldive dalla doppia
minaccia del riscaldamento globale e delle orde in bikini».
Il suo
successore, Mohamed Anni Nasheed, ha ripetuto questo discorso fin dalla sua
elezione nel 2009. Nell’ottobre di quell’anno ha persino organizzato un
consiglio dei ministri in fondo al mare, con pinne e boccagli, per
sensibilizzare la comunità internazionale. Secondo il geofisico svedese
Nils-Axel Mörner, Nasheed fa rivivere «opportunisticamente» il «mito»
dell’isola in procinto di essere inghiottita dal mare, recitando persino in un
documentario americano intitolato The Island President (2011). Secondo lo
slogan del film, «per salvare il suo paese, deve salvare il nostro pianeta». «È
un esempio di come un melodramma hollywoodiano [il film di Al Gore] abbia
corrotto la scienza del clima.
Non
bisogna infatti dimenticare che il presidente Mohamed Nasheed ha autorizzato la
costruzione di tanti grandi resort in riva al mare e di undici nuovi aeroporti
i cui impatti sull’ambiente sono inevitabili.
Ciò
non impedisce a «Time Magazine» di descriverlo nel 2009 come uno degli «eroi
dell’ambiente» e un «visionario», mentre «Foreign Policy» lo colloca al
trentasettesimo posto nella lista dei «cento pensatori globali» (sic!) del 2010.
Dal
canto suo Nasheed non demorde:
«Se
gli scienziati non sono in grado di salvare le Maldive, allora non sono in
grado di salvare il mondo». E così si imbarca nell’acquisto di terreni in
diversi paesi (India, Sri Lanka, Australia…) per «costruire le Nuove Maldive»
una volta che quelle attuali saranno sommerse, inghiottite, sprofondate.
Era il 2009.
Da
allora le Maldive sono ancora lì, e le malelingue si chiedono a quale sorte e a
quale speculazione fondiaria siano stati destinati i terreni acquistati.
Nel
2013 Nasheed è sostituito da Abdulla Yameen, un uomo d’affari che ha fatto
fortuna nel turismo. Fratellastro dell’ex presidente Gayoom, condivide le sue
convinzioni islamiste e la scelta di un’alleanza filo-cinese, mentre Nasheed,
arrestato per «terrorismo», riesce a ottenere asilo politico nel Regno Unito
(21 maggio 2016).
Di
fatto, il destino ecologico delle Maldive non è esattamente quello che vogliono
far credere i governanti che si sono succeduti.
Uno
dei loro principali problemi ambientali è l’estrazione di sabbia corallina per
le costruzioni, cresciuta enormemente a partire dagli anni Settanta a causa
dell’urbanizzazione della capitale Malé, della proliferazione di isole
alberghiere e dei cambiamenti socio-economici.
Alcune
comunità locali, in seguito alle migliorate condizioni economiche grazie alla
meccanizzazione della pesca, hanno infatti abbandonato le palme da cocco che
proteggono le coste a favore dell’estrazione della sabbia.
Tutti
questi fattori, scarsamente controllati, possono solo indebolire le spiagge e
il litorale, e quindi gli atolli.
Poi è
facile accusare il cambiamento climatico dell’avanzata delle acque… Ma basta
guardare le foto aeree di Malé per constatare come quest’isola sia diventata
una città tutta costruita sulla sabbia e con la sabbia.
Le alluvioni del 1987 e del 1991 sono state
favorite dal frenetico scavo della barriera corallina che circonda l’isola e
che la proteggeva dalle mareggiate.
Uno
scavo che non ha nulla a che vedere con un affondamento, ma che è dovuto alla
dilagante urbanizzazione della capitale. La demografia di Malé, in un paese
che ha uno dei tassi di natalità più alti al mondo (48% nel 1985, 19,8% nel
2000, 13,7% nel 2017), è infatti cresciuta tumultuosamente a partire dal boom
del turismo internazionale negli anni Settanta.
La
città-isola contava 75.000 abitanti nel 2000 e 134.412 nel 2014, ovvero una
densità di 17.844 abitanti per km² nel 2006, paragonabile a quella di Monaco.
Ora è circondata da dighe di cemento e tetrapodi. Anche prima che lo tsunami
del dicembre 2004 devastasse parte dell’arcipelago delle Maldive, provocando 82
morti e 26 dispersi, il governo giapponese si era già offerto di finanziare un
programma di dighe a seguito delle inondazioni del 1987 e del 1991. Questo
programma è stato finalmente realizzato. Finanziato principalmente dal
Giappone, è costato circa 13 milioni di dollari al km, ovvero 13.000 dollari al
metro. Il colmo è che la costruzione delle dighe che dovrebbero proteggere Malé
dalle onde continua invece a indebolirla poiché bisogna pur trovare da qualche
parte la sabbia per costruirle. Per quanto riguarda l’isola di Thilafushi,
situata a 7 km da Malé, dal 1992 è stata trasformata in un’enorme discarica che
si dice immagazzini 330 tonnellate di rifiuti al giorno. Una discarica di cui
praticamente non si parla e che non c’entra nulla con il clima.
Nonostante
la diversità dei fenomeni individuati alle Maldive, alle Kiribati o a Tuvalu, i
media ci presentano queste isole come le sentinelle a guardia del crollo, come
i «campanelli d’allarme», come i «canarini» delle miniere.
Ben
sapendo che l’origine della povertà nei paesi dell’ex Terzo Mondo è causata o
alimentata dalle grandi potenze in un contesto di eredità coloniale,
post-coloniale o ancora imperialista, e che la maggior parte dei leader di
questi paesi punta il dito contro il clima come principale responsabile di
tutti questi mali, è lecito chiedersi se questa visione non vada oltre una
singola strumentalizzazione.
La cosa appare più che possibile se teniamo
presente che oggi alle orecchie dell’opinione pubblica, ma persino degli
attivisti, per non parlare dei giornalisti, il termine «imperialismo» suona
come una parolaccia ancora più scorretta di «capitalismo».
Questo
è uno degli effetti della «guerra globale mobile» che esternalizza i conflitti
in diverse regioni del mondo, combinando in modo complesso l’intervento di
diversi Stati: Siria, Libia, Afghanistan o Yemen ne sono buoni esempi. Per
quanto riguarda la Francia, ad esempio, il crescente intervento del suo
esercito nei paesi del Sahel, in nome della lotta al terrorismo jihadista,
consente soprattutto di tutelare gli interessi minerari di società come la
Orano (ex Areva), le cui miniere di uranio si trovano nelle cosiddette aree
«instabili»: regione di Kidal e Kona in Mali, regione di Arlit in Niger,
Repubblica Centrafricana e così via.
Questo
uranio viene utilizzato per far funzionare le centrali nucleari, le stesse che,
grazie alle loro basse emissioni di gas serra, combattono il «riscaldamento
globale».
Uno degli ultimi atti del ministro
dell’Ambiente Nicolas Hulot, prima delle sue dimissioni nell’estate del 2018, è
stato quello di prolungare il programma elettronucleare francese fino al 2025,
scadenza poi posticipata dal primo ministro fino al 2035…
La
vita sulla Terra è in pericolo:
fino a
6 miliardi di persone
finiranno
fuori dalle aree vivibili
fanpage.it
– Andrea Centini – (24 ottobre 2023) – ci dice:
Venti
dei 35 parametri legati al cambiamento climatico hanno raggiunto livelli
estremi nel 2023, spingendo la vita sulla Terra verso un pericolosissimo
“territorio inesplorato”.
Secondo
gli autori di un nuovo report sul clima fino a 6 miliardi di persone si
troveranno in regioni della Terra inospitali alla vita.
(Andrea
Centini)
La
crisi climatica in atto è talmente grave che ci ha condotti in un territorio
inesplorato, ricchissimo di insidie.
La
maggior parte dei parametri vitali sulla Terra è infatti andata incontro a un
significativo deterioramento nel 2023, avvicinandoci sempre di più al collasso
degli ecosistemi naturali e allo sgretolamento dei pilastri socioeconomici che
ci hanno permesso di prosperare fino ad oggi (ai danni dell'ambiente, di noi
stessi e delle popolazioni più vulnerabili).
Stiamo
precipitando rapidamente verso un mondo dominato da un caldo insopportabile,
dove cibo e acqua dolce non saranno più risorse disponibili e abbondanti, a
causa di siccità, carestie, fenomeni atmosferici sempre più catastrofici e
perdita della biodiversità.
La
vita sulla Terra è in pericolo e la colpa è solo nostra.
È
questo, in sintesi, ciò che emerge da un nuovo rapporto sul clima, che
evidenzia come il 2023 sia stato una sorta di spartiacque con ciò che c'è stato
prima e ciò che ci attenderà nel prossimo futuro, se non agiremo in modo netto
e incisivo sui combustibili fossili e sulle conseguenti emissioni di CO2
(anidride carbonica), volano della crisi climatica in corso.
(È straordinario che la CO2 è più
pesante dell’atmosfera e quindi non può volare nell’alto dei cieli per
congiungersi con gli altri gas serra più leggeri. Ma è proprio necessario
attribuire solo alla Co2 la colpa della tragedia umana a cui andiamo incontro?
N.D.R.)
A
condurre il nuovo studio è stato un team di ricerca internazionale guidato da
scienziati statunitensi del Dipartimento degli ecosistemi forestali
dell'Università Statale dell'Oregon (OSU) e dell'associazione Terrestrial
Ecosystems Research Associates di Corvallis, che hanno collaborato a stretto
contatto con i colleghi del Potsdam Institute for Climate Impact Research
(Germania), della Scuola di Scienze della Vita e Ambientali dell'Università di
Sydney (Australia), dell'Università Statale di Campinas (Brasile) e di altri
istituti.
I
ricercatori coordinati dai professori William J. Ripple e Christopher Wolf,
hanno analizzato 35 parametri intimamente connessi al cambiamento climatico e
all'impatto che essi hanno sulla tenuta degli equilibri ecologici e sulla
sofferenza delle popolazioni umane.
Per
ben venti di essi è emerso che nel 2023 sono stati registrati valori estremi,
che indicano il rapido avvicinamento del possibile punto di rottura, del
collasso che rischia di inghiottirci nelle “indicibili sofferenze” su cui gli
scienziati (affamati di denaro! N.D.R.) cercano di metterci in guardia da
molti anni.
Fra i parametri monitorati dagli esperti
figurano il tasso di scioglimento dei ghiacciai; le concentrazioni di anidride
carbonica (CO2) in atmosfera; le ondate di calore; il numero di giorni complessivi con
temperatura media globale superiore a 1,5 °C rispetto all'epoca preindustriale
(la soglia oltre la quale le conseguenze della crisi climatica diventano
catastrofiche e irreversibili); l'innalzamento del livello del mare e via
discorrendo.
Come
indicato, 20 su 35 di questi parametri quest'anno hanno toccato livelli record.
Ad
esempio, nel 2023 ci sono stati 38 giorni in cui la "febbre del
pianeta" è stata oltre 1,5 °C rispetto all'epoca preindustriale; fino
all'anno scorso queste giornate “roventi” erano rare.
L'estensione del ghiaccio marino ha raggiunto
nuovi picchi negativi; i ghiacciai si stanno sciogliendo a un ritmo senza
precedenti (entro il 2100 sarà sparita la gran parte di quelli alpini);
gli
incendi catastrofici immettono quantità sempre maggiori di CO2 in atmosfera,
come quelli estivi in Canada responsabili di oltre una 1 gigatonnellata di
anidride carbonica, più di tutta quella rilasciata dai roghi del 2021 nel Paese
nordamericano;
a luglio 2023 la superficie della Terra ha
raggiunto la temperatura più elevata degli ultimi 10.000 anni;
le
temperature degli oceani (in particolar modo l'Atlantico) hanno raggiunto
picchi ma visti prima.
Questi
sono solo alcune delle anomalie legate alla crisi climatica in atto, peggiorata
dal fatto che i sussidi ai combustibili fossili invece di diminuire continuano
ad aumentare (sono raddoppiati tra il 2021 e il 2022, passando da 531 miliardi
di dollari a mille miliardi di dollari).
“Come scienziati, siamo estremamente
preoccupati dall’improvviso aumento della frequenza e della gravità dei
disastri legati al clima.
La
frequenza e la gravità di questi disastri potrebbero superare l’aumento delle
temperature.
Entro
la fine del 21° secolo, dai 3 ai 6 miliardi di persone potrebbero trovarsi al
di fuori delle regioni vivibili della Terra, il che significa che dovranno
affrontare un caldo intenso, una disponibilità di cibo limitata e tassi di
mortalità elevati”, ha dichiarato il “professor Wolf” in un comunicato stampa.
“La
vita sul nostro pianeta è chiaramente sotto assedio”, gli ha fatto eco il “professor
Ripple”.
“Le
tendenze statistiche mostrano modelli profondamente allarmanti di variabili e
disastri legati al clima.
Abbiamo anche riscontrato pochi progressi da
segnalare per quanto riguarda la lotta dell’umanità al cambiamento climatico”,
ha chiosato lo scienziato, autore di un importante report sul clima firmato da
oltre 15.000 scienziati nel 2020.
Per
uscire da questo turbine autodistruttivo, che rischia di far sparire la civiltà
come la conosciamo già entro il 2050, gli autori dello studio sottolineano
l'importanza di far virare l'economia globale;
non deve più essere data la priorità al benessere di
pochi, dei ricchi che hanno goduto dei maggiori benefici del progresso e che sono stati i principali
responsabili delle emissioni di gas climalteranti, ma ai bisogni primari di
tutte le persone.
(Forse
questo è il vero motivo per cui si addossano tutte le colpe sulla povera
CO2, che modestamente si accontenta di esercitare i suoi effetti benevoli sulle
piante della terra e sul mondo sottomarino e non pensa neppure di poter volare
nell’alto dei cieli in quanto è più leggera dell’atmosfera! N.D.R).
Tra le raccomandazioni degli esperti per
salvarci dall'imminente catastrofe vi sono l’eliminazione dei sussidi ai
combustibili fossili, la protezione delle foreste, la necessità di
sottoscrivere trattati internazionali destinati alla non proliferazione dei
combustibili fossili e il passaggio a diete basate su alimenti vegetali.
Il
nuovo report annuale “World Energy Outlook 2023” dell’Agenzia Internazionale
dell’Energia (IEA) ha dimostrato che si stanno facendo sforzi significativi per
la transizione ecologica e che il passaggio alle fonti rinnovabili è
“inarrestabile”, tuttavia è ancora troppo lento per permetterci di non superare
la soglia di 1,5 °C di riscaldamento.
Al
momento siamo infatti proiettati verso un aumento della temperatura media di
2,4 ° C entro la fine del secolo, un valore che avrà conseguenze catastrofiche
sulla tenuta degli ecosistemi da cui dipendiamo e sull'umanità tutta.
È
tempo di agire in modo rapido e deciso, chiosano gli esperti.
I dettagli del nuovo studio “The 2023 state of the climate report:
Entering uncharted territory” sono stati pubblicati sulla rivista “BioScience”.
(Andrea Centini) - fanpage.it/
(fanpage.it/innovazione/scienze/la-vita-sulla-terra-e-in-pericolo-fino-a-6-miliardi-di-persone-finiranno-fuori-dalle-aree-vivibili/)
ARTICOLO
DI GIORNALE.
Rapporto
sullo stato del clima 2023:
entrare
in un territorio inesplorato.
Academic.oup.com
– (24 ottobre 2023) – Redazione – BioScienze
, biad080, doi.org - ci dicono:
(William
J. Ondulazione, Cristoforo Lupo, Jillian W. Gregg, Johan Rockstrom, Thomas M.
Newsome, Legge di Beverly E, Luiz Marques, Timothy M. Lenton, Chi Xu, Saleemul
Huq ...
BioScienze
, biad080, doi.org/10.1093/biosci/biad080).
Rapporto
speciale.
La
vita sul pianeta Terra è sotto assedio. Ora siamo in un territorio inesplorato.
Per diversi decenni, gli scienziati hanno costantemente messo in guardia da un
futuro segnato da condizioni climatiche estreme a causa dell’aumento delle
temperature globali causato dalle attività umane in corso che rilasciano gas
serra dannosi nell’atmosfera.
Purtroppo
il tempo è scaduto.
Stiamo
assistendo alla manifestazione di tali previsioni mentre una serie allarmante e
senza precedenti di record climatici vengono infranti, causando il verificarsi
di scene di sofferenza profondamente angoscianti.
Stiamo
entrando in un ambito sconosciuto per quanto riguarda la nostra crisi
climatica, una situazione a cui nessuno ha mai assistito in prima persona nella
storia dell’umanità.
Nel
presente rapporto, mostriamo una serie diversificata di segnali vitali del
pianeta e dei potenziali fattori che determinano il cambiamento climatico e le
risposte ad esso legate presentate per la prima volta da “Ripple” e “Wolf” e
colleghi (2020), che hanno dichiarato un’emergenza climatica, ora con più di
15.000 scienziati firmatari.
(Una firma non si nega a nessuno…
specie se è ben pagata! N.D.R)
Le tendenze rivelano nuovi record di tutti i
tempi legati al clima e modelli profondamente preoccupanti di disastri legati
al clima.
Allo
stesso tempo, segnaliamo progressi minimi da parte dell’umanità nella lotta al
cambiamento climatico.
Considerati
questi sviluppi angoscianti, il nostro obiettivo è comunicare i fatti climatici
e le raccomandazioni politiche agli scienziati, ai politici e al pubblico.
È
dovere morale di noi scienziati e delle nostre istituzioni avvisare chiaramente
l’umanità di qualsiasi potenziale minaccia esistenziale e mostrare leadership
nell’agire.
Questo rapporto fa parte della nostra serie di
aggiornamenti annuali “concisi e facilmente accessibili” sullo stato della
crisi climatica.
Record
di tutti i tempi relativi al clima.
Nel
2023, abbiamo assistito al superamento di una serie straordinaria di record
legati al clima in tutto il mondo.
Il rapido ritmo del cambiamento ha sorpreso
gli scienziati e causato preoccupazione per i pericoli di condizioni
meteorologiche estreme, rischiosi circuiti di feedback climatici e
l’avvicinarsi di punti critici dannosi prima del previsto (Armstrong McKay et
al. 2022, Ripple et al . 2023 ) .
Quest’anno, ondate di caldo eccezionali hanno
colpito il mondo, portando a temperature elevate record.
Gli
oceani sono stati storicamente caldi, con temperature della superficie del mare
globale e del Nord Atlantico che hanno battuto i record e livelli bassi senza
precedenti di ghiaccio marino attorno all’Antartide .
Inoltre,
da giugno ad agosto di quest’anno è stato il periodo più caldo mai registrato e
all’inizio di luglio abbiamo assistito alla temperatura superficiale media
giornaliera globale più alta mai misurata sulla Terra, forse la temperatura più
calda sulla Terra negli ultimi 100.000 anni. È un segno che stiamo spingendo i
nostri sistemi planetari verso una pericolosa instabilità.
Anomalie
climatiche insolite nel 2023 (la linea rossa, che appare in grassetto nella
stampa).
L’estensione
del ghiaccio marino (a, b), le temperature (c–e) e l’area bruciata in Canada
(f) sono attualmente ben al di fuori dei loro intervalli storici.
Queste
anomalie possono essere dovute sia al cambiamento climatico che ad altri
fattori.
Fonti
e dettagli aggiuntivi su ciascuna variabile sono forniti nel file supplementare
S1.
Ogni linea corrisponde a un anno diverso, con
il grigio più scuro che rappresenta gli anni successivi.
Ci
stiamo avventurando in un territorio climatico inesplorato.
Le
temperature medie giornaliere globali non hanno mai superato 1,5 gradi Celsius
(°C) sopra i livelli preindustriali prima del 2000 e da allora hanno superato
solo occasionalmente tale numero.
Tuttavia, il 2023 ha già visto 38 giorni con
temperature medie globali superiori a 1,5°C entro il 12 settembre – più di
qualsiasi altro anno – e il totale potrebbe continuare ad aumentare.
Ancora più sorprendenti sono gli enormi
margini con cui le condizioni del 2023 stanno superando gli estremi del passato.
Allo stesso
modo, il 7 luglio 2023, il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la sua
estensione relativa giornaliera più bassa dall’avvento dei dati satellitari,
pari a 2,67 milioni di chilometri quadrati al di sotto della media del periodo
1991-2023. Altre variabili ben al di fuori dei loro intervalli storici
includono l’area bruciata dagli incendi in Canada che potrebbe indicare un
punto di svolta verso un nuovo regime di incendi.
Il
riscaldamento globale antropogenico è un fattore chiave di molti di questi
recenti estremi.
Tuttavia,
i processi di guida specifici coinvolti possono essere piuttosto complessi. Ad
esempio, l’aumento delle temperature dell’Oceano Atlantico potrebbe essere
collegato alle precipitazioni del “Sahe”l e alla polvere africana (Wang et al.
2012 ).
Un
altro potenziale contributo è il vapore acqueo (H2O) (un gas serra) iniettato
nella stratosfera da un’eruzione vulcanica sottomarina (Jenkins et al. 2023 ).
Il
recente aumento potrebbe anche essere collegato a un cambiamento normativo che
impone l’uso di combustibili a basso contenuto di zolfo nella navigazione
marittima, perché gli aerosol atmosferici di solfato diffondono direttamente la
luce solare e causano la formazione di nuvole riflettenti.
All’improvviso aumento delle temperature
contribuisce probabilmente anche l’inizio di un evento di El Niño, una parte
naturale del sistema climatico, che potrebbe, a sua volta, essere influenzata
dal cambiamento climatico (Cai et al. 2021 ) .
In ogni caso, man mano che il sistema
climatico della Terra si allontana dalle condizioni associate alla prosperità
umana, tali anomalie potrebbero diventare più frequenti e avere impatti sempre
più catastrofici (Xu et al. 2020, Lenton et al. 2023 ).
Tendenze
recenti dei segni vitali planetari.
Sulla
base dei dati delle serie temporali, 20 dei 35 segni vitali mostrano ora
estremi record.
Come
descriviamo di seguito, questi dati mostrano come il continuo perseguimento del
“business as usual” abbia, ironicamente, portato a una pressione senza
precedenti sul sistema Terra, con il risultato che molte variabili legate al
clima entrano in un territorio inesplorato.
Serie
temporali delle attività umane legate al clima.
I dati
ottenuti dalla pubblicazione di Ripple e colleghi (2021) sono mostrati in rosso
Nel
pannello (f), la perdita di copertura arborea non tiene conto del guadagno di
foresta e include una perdita dovuta a qualsiasi causa.
Per il pannello (h), l'energia idroelettrica e
nucleare sono mostrate.
Energia.
Sembra
che la” ripresa verde” successiva al Covid-19, che molti speravano, non si sia
in gran parte concretizzata (Zhang et al. 2023 ).
Invece,
le emissioni di carbonio (Co2)hanno continuato ad aumentare e i combustibili
fossili rimangono dominanti, con il consumo annuo di carbone che raggiunge il
massimo storico di 161,5 exajoule nel 2022 .
Sebbene
il consumo di energia rinnovabile (solare ed eolica) sia cresciuto del 17% tra
il 2021 e il 2022, rimane circa 15 volte inferiore al consumo di energia da
combustibili fossili .
Uno dei
principali motori delle tendenze economiche ed energetiche è la continua
invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha accelerato la transizione
verso le energie rinnovabili in Europa ma che potrebbe anche indurre alcuni
paesi a passare dal gas fornito dalla Russia al carbone (Tollefson 2022 ) .
Questo
conflitto ha già contribuito a un massiccio aumento del 107% dei sussidi ai
combustibili fossili da parte degli Stati Uniti$ 531 miliardi nel 2021 agli
Usa$
1097
miliardi nel 2022 a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia.
Sebbene
questi sussidi possano proteggere parzialmente i consumatori dagli aumenti dei
prezzi, spesso non sono ben mirati e aiutano a promuovere l’uso energetico
legato ai combustibili fossili e i profitti rispetto alle alternative a basse
emissioni di carbonio (Co2) (Muta ed Erdogan 2023 ) .
Foreste.
Tra il
2021 e il 2022, il tasso globale di perdita di copertura arborea è diminuito
del 9,7% a 22,8 milioni di ettari (ha) all’anno .
Allo
stesso modo, il tasso di perdita della foresta amazzonica brasiliana è
diminuito dell’11,3% a 1,16 milioni di ettari all’anno ed è probabile che si
verifichino ulteriori riduzioni a seguito dell’elezione di un nuovo presidente
del Brasile e di diversi recenti decreti legali (Vilani et al. al.2023 ) .
Tuttavia,
l’umanità non è sulla buona strada per porre fine e invertire la deforestazione
entro il 2030, nonostante gli impegni presi da oltre 100 leader mondiali nel
2021 alla COP26 (UNEP 2022a ).
Inoltre, le foreste sono sempre più minacciate
da potenti cicli di feedback climatico che coinvolgono processi come danni da
insetti, deperimento e incendi (Flores e Staal 2022 , Ripple et al. 2023 ).
Ad
esempio, gli incendi storici da record in Canada, che quest’anno hanno bruciato
16,6 milioni di ettari a partire dal 13 settembre sono stati in parte legati al
cambiamento climatico.
Ciò ha
comportato emissioni di oltre una gigatonnellata di anidride carbonica(Co2)
(Copernicus 2023 ), il che è sostanziale, dato che le emissioni totali di gas
serra del Canada nel 2021 sono state di circa 0,67 gigatonnellate di anidride
carbonica (Co2) “equivalente” (Environment and Climate Change Canada 2023 ).
Non è
chiaro quanto velocemente tali emissioni possano essere riassorbite dal
recupero post-incendio, e c’è il rischio reale che l’aumento della gravità
degli incendi provochi una perdita di carbonio (Co2) irrecuperabile in un
futuro di riscaldamento (Bowman et al. 2021
.
Gas
serra e temperatura medie globali.
Sulla
base delle statistiche aggiornate all’anno 2023, tre importanti gas serra –
anidride carbonica (Co2), metano e protossido di azoto – sono tutti a livelli
record La concentrazione media globale di anidride carbonica (Co2) è ora di
circa 420 parti per milione, che è molto al di sopra del limite planetario
proposto di 350 parti per milione (Rockström et al. 2009 ).
Inoltre, il 2023 è sulla buona strada per
diventare uno degli anni più caldi mai registrati sebbene le emissioni di gas
serra legate ai combustibili fossili siano il principale motore dell’aumento
delle temperature, un calo globale delle emissioni di anidride solforosa è
probabilmente un fattore che contribuisce.
L’anidride solforosa forma solfati
nell’atmosfera, che sono il più potente agente di raffreddamento di origine
antropica, nascondendo parte del riscaldamento dei gas serra.
Oceani
e ghiaccio.
L’acidità
dell’oceano, lo spessore del ghiacciaio e la massa di ghiaccio della
Groenlandia sono scesi tutti ai minimi storici, mentre l’innalzamento del livello
del mare e il contenuto di calore dell’oceano sono saliti a livelli record.
L’aumento del contenuto di calore e il rapido
aumento delle temperature della superficie del mare sono particolarmente
preoccupanti, perché potrebbero avere molti impatti gravi, tra cui la perdita
di vita marina, la morte delle barriere coralline a causa dello sbiancamento e
l’aumento dell’ intensità delle grandi tempeste tropicali (Reid et al. 2009 ).
Vi
sono anche crescenti preoccupazioni che la circolazione di inversione
meridionale dell’Atlantico possa superare un punto di non ritorno e iniziare a
collassare in questo secolo, possibilmente tra il 2025 e il 2095 (Ditlevsen e
Ditlevsen 2023 ), il che altererebbe significativamente i modelli globali di
precipitazioni e temperature con conseguenze potenzialmente dannose per
l’economia, ecosistemi e società, compresi i ridotti pozzi naturali di carbonio(Co2)
(Armstrong McKay et al. 2022 ).
Impatti
climatici e condizioni meteorologiche estreme.
Il
cambiamento climatico sta contribuendo in modo significativo alla sofferenza
umana .
Gli
impatti legati al clima nel 2022 includono un’altra inondazione da un miliardo
di dollari negli Stati Uniti, avvenuta in Kentucky e Missouri tra il 26 e il 28
luglio, e la terza frequenza più alta di giorni estremamente caldi.
Tra il
2021 e il 2022, l’area bruciata dagli incendi a livello globale è diminuita del
28% (da 9,34 milioni di ettari a 6,72 milioni di ettari), ma l’attività degli
incendi negli Stati Uniti è aumentata del 6,3% (da 2,88 milioni di ettari a
3,07 milioni di ettari) nello stesso periodo.
Si
prevede che molti impatti climatici si intensificheranno ulteriormente nei
prossimi anni e potremmo aver già sperimentato bruschi aumenti di alcuni tipi
di condizioni meteorologiche estreme, forse superiori al tasso di aumento della
temperatura. (Calvino 2020 ).
Nel
2023, il cambiamento climatico probabilmente ha contribuito a una serie di
importanti eventi meteorologici estremi e disastri.
Molti
di questi eventi dimostrano come gli estremi climatici stiano minacciando aree
più ampie che normalmente non sono state soggette a tali estremi; ad esempio,
le gravi inondazioni nel nord della Cina, intorno a Pechino, hanno ucciso
almeno 33 persone.
Altri
disastri recenti includono inondazioni improvvise mortali e frane nel nord
dell’India, ondate di caldo da record negli Stati Uniti e una tempesta
mediterranea eccezionalmente intensa che ha ucciso migliaia di persone,
principalmente in Libia.
Poiché
questi impatti continuano ad accelerare, sono urgentemente necessari maggiori
finanziamenti per compensare le perdite e i danni legati al clima nei paesi in
via di sviluppo.
Il
nuovo fondo globale per le perdite e i danni delle Nazioni Unite istituito alla
COP27 è uno sviluppo promettente, ma il suo successo richiederà un forte
sostegno da parte dei paesi ricchi.
(L’ONU
è una eccellente stazione di sosta per i finanziamenti richiesti dai Paesi in
via di sviluppo! N.D.R.)
Recenti
disastri legati al clima dal novembre 2022.
Novembre-dicembre
2022.
Le
ondate di caldo da record in Argentina e Paraguay hanno contribuito a
interruzioni di corrente, incendi e scarsi raccolti. Si stima che questo caldo
estremo sia stato reso 60 volte più probabile a causa del cambiamento
climatico.
Dicembre
2022–marzo 2023.
Le
forti piogge causate dai fiumi atmosferici hanno portato a molteplici
inondazioni negli Stati Uniti occidentali. Ci sono state almeno 22 vittime e si
stima che i danni alla proprietà siano stati negli Stati Uniti$3,5 miliardi.
Il cambiamento climatico potrebbe aumentare la
probabilità di inondazioni così catastrofiche, sebbene il suo effetto su queste
particolari tempeste sia meno chiaro.
Febbraio
2023.
Il
ciclone Gabrielle ha causato piogge estreme a Te Ika-a-Māui (Isola del Nord) in
Nuova Zelanda, Aotearoa, provocando potenzialmente miliardi di dollari di danni
e 225.000 case senza elettricità.
Queste
intense precipitazioni potrebbero essere in parte causate da un clima caldo.
Marzo-maggio
2023
Temperature
record sono state registrate in alcune parti del sud-est asiatico, della Cina e
dell’Asia meridionale.
Il caldo estremo ha causato morti e chiusure
di scuole in India e ha portato più di 100 studenti a necessitare di cure per
la disidratazione nelle Filippine. Probabilmente è stato, almeno in parte, a causa del cambiamento climatico.
Ad esempio, il cambiamento climatico ha
aumentato la probabilità che un simile evento si verifichi in Bangladesh e
India di almeno 30 volte.
Gennaio-luglio
2023.
Gli
intensi incendi in Canada hanno bruciato circa 10 milioni di ettari, sfollando
30.000 persone nel momento del loro apice e peggiorando la qualità dell’aria in
vaste porzioni del Canada e degli Stati Uniti.
Questi
incendi estremi potrebbero essere in parte dovuti al cambiamento climatico, anche se sono probabilmente
coinvolti molti altri fattori.
Maggio
2023.
Si
dice che il ciclone tropicale Mocha abbia ucciso almeno 145 persone in Myanmar
e colpito circa 800.000 persone nella regione. Il cambiamento climatico
potrebbe aver reso tali tempeste più intense.
Maggio-giugno
2023.
La
tempesta tropicale Mawar ha causato inondazioni e interruzioni di corrente in
alcune parti di Guam. Mawar è il ciclone più forte mai registrato nell'emisfero
settentrionale nel mese di maggio. I cambiamenti climatici potrebbero causare
un aumento dell’intensità dei cicloni tropicali (Wu et al. 2022 ).
Giugno
2023.
Il
caldo mortale ha portato a più di una dozzina di morti negli Stati Uniti
meridionali e centro occidentali. Il cambiamento climatico sta portando ad un
aumento della frequenza e della durata di tali ondate di calore.
Luglio
2023.
Fino a
sei persone sono morte nel sud-ovest del Giappone a causa delle forti piogge
che hanno causato inondazioni e smottamenti.
Il
cambiamento climatico probabilmente renderà più gravi gli eventi di
precipitazioni così intense.
Giorni
dopo, inondazioni e frane, che potrebbero essere state in parte legate al
cambiamento climatico, hanno ucciso più di 26 persone e portato all’evacuazione
di migliaia di persone in Corea del Sud.
Luglio
2023.
Le
forti piogge monsoniche hanno causato inondazioni improvvise e frane nel nord
dell’India che hanno ucciso più di 100 persone.
È
probabile che i cambiamenti climatici stiano rendendo i monsoni in questa
regione più variabili, provocando frequenti smottamenti e inondazioni.
Le forti piogge monsoniche hanno danneggiato
anche i raccolti di riso in India, sollevando preoccupazioni sui prezzi
alimentari globali e sulla sicurezza alimentare e spingendo a vietare
l’esportazione delle varietà non basmati.
Giugno-agosto
2023
Il
caldo estremo negli Stati Uniti ha ucciso almeno 147 persone.
In assenza del cambiamento climatico, sarebbe
stato estremamente improbabile che si verificasse il caldo estremo osservato
nel luglio 2023 negli Stati Uniti.
Luglio-agosto
2023.
Pechino,
in Cina, ha vissuto le precipitazioni più intense degli ultimi 140 anni,
provocando gravi inondazioni che hanno colpito quasi 1,29 milioni di persone,
danneggiato 147.000 case e causato almeno 33 morti.
È probabile che le inondazioni intense
diventino più comuni a causa dei cambiamenti climatici.
Agosto
2023.
Alle
Hawaii, negli Stati Uniti, i catastrofici incendi boschivi sull’isola di Maui
hanno ucciso almeno 111 persone, con più di 1.000 probabilmente disperse, al 18
agosto 2023.
Il cambiamento climatico potrebbe aver
diminuito le precipitazioni e aumentato le temperature in questa regione,
contribuendo potenzialmente a questi incendi.
Settembre
2023.
La
tempesta Daniel ha causato inondazioni estreme in Libia e in alcune parti
dell’Europa sudorientale, provocando migliaia di vittime e danni per oltre 2
miliardi di dollari.
Il
cambiamento climatico potrebbe aumentare l’intensità di tali tempeste.
Nota:
elenchiamo
numerosi disastri recenti che potrebbero essere almeno in parte legati al
cambiamento climatico. Questo elenco non intende essere esaustivo.
A causa della natura recente di questi eventi,
le nostre fonti spesso includono articoli di mezzi di informazione.
Per
ciascun evento, generalmente forniamo riferimenti che indicano che la
probabilità o la forza di un tale evento potrebbe essere aumentata a causa del
cambiamento climatico di origine antropica.
Alcuni di questi disastri potrebbero essere,
almeno in parte, dovuti ai cambiamenti legati al clima nelle correnti a getto
(Stendel et al. 2021 , Rousi et al. 2022 ).
Raccomandazioni
di avvertimento degli scienziati.
Motivati
da eventi e tendenze recenti, continuiamo a emettere avvertimenti e
raccomandazioni specifici su argomenti che vanno dalla sicurezza alimentare
alla giustizia climatica.
Gli
sforzi coordinati in ciascuna di queste aree potrebbero aiutare a sostenere
un’agenda più ampia incentrata su una politica climatica olistica ed equa.
Economia.
È
improbabile che la crescita economica, così come viene convenzionalmente
perseguita, ci permetta di raggiungere i nostri obiettivi sociali, climatici e
di biodiversità. La sfida fondamentale risiede nella difficoltà di dissociare
la crescita economica dagli impatti ambientali dannosi.
Sebbene
i progressi tecnologici e i miglioramenti in termini di efficienza possano
contribuire a un certo grado di disaccoppiamento, spesso non riescono a
mitigare l’impronta ecologica complessiva delle attività economiche (Hickel et
al. 2021 ).
Gli
impatti variano notevolmente in base alla ricchezza;
nel
2019, il 10% dei principali emettitori era responsabile del 48% delle emissioni
globali, mentre il 50% più povero era responsabile solo del 12% (Chancel 2022
).
Dobbiamo
quindi trasformare la nostra economia in un sistema che supporti il
soddisfacimento dei bisogni primari di tutte le persone invece del consumo
eccessivo da parte dei ricchi (O'Neill et al. 2018 ).
Argomenti
speciali sull'azione per il clima.
Molti modelli presuppongono che la crescita
del PIL possa essere per lo più disaccoppiata dalle emissioni e da altri
impatti ambientali legati ai consumi (a) e che i metodi di cattura del carbonio
possano essere rapidamente implementati (b).
Se queste ipotesi non sono realistiche e l’uso del carbone e di altri
combustibili fossili non viene immediatamente ridotto (c), allora i circuiti di
retroazione del sistema Terra (d) potrebbero portare a una rapida accelerazione
degli impatti climatici, inclusa la sottoalimentazione (e) e i disastri
climatici, che aumenteranno essere particolarmente grave nei paesi meno ricchi
che hanno avuto poche emissioni storiche (f).
Argomenti
speciali sull'azione per il clima.
Molti
modelli presuppongono che la crescita del PIL possa essere per lo più
disaccoppiata dalle emissioni e da altri impatti ambientali legati ai consumi
(a) e che i metodi di cattura del carbonio possano essere rapidamente
implementati (b). Se queste ipotesi non sono realistiche e l’uso del carbone e
di altri combustibili fossili non viene immediatamente ridotto (c), allora i
circuiti di retroazione del sistema Terra (d) potrebbero portare a una rapida
accelerazione degli impatti climatici, inclusa la sottoalimentazione (e) e i
disastri climatici, che aumenteranno essere particolarmente grave nei paesi
meno ricchi che hanno avuto poche emissioni storiche (f).
Arresto
del riscaldamento.
Gli
elevati tassi di disastri climatici e altri impatti a cui stiamo assistendo
attualmente sono in gran parte una conseguenza delle emissioni di gas serra
storiche e attuali.
Per
mitigare queste emissioni del passato e fermare il riscaldamento globale, gli
sforzi devono essere diretti verso l’eliminazione delle emissioni da
combustibili fossili e il cambiamento dell’uso del suolo e verso l’aumento del
sequestro del carbonio (Co2) con soluzioni climatiche basate sulla natura.
Tuttavia,
è fondamentale esplorare altre possibili strategie per rimuovere in modo
efficiente ulteriore anidride carbonica (Co2), che può contribuire al
raffreddamento planetario a lungo termine.
Le tecnologie a emissioni negative sono in una
fase iniziale di sviluppo, ponendo incertezze riguardo alla loro efficacia,
scalabilità e impatti ambientali e sociali (Anderson e Peters 2016 ).
Pertanto, non dovremmo fare affidamento su
tecniche di rimozione del carbonio (Co2) non comprovate.
Anche se gli sforzi di ricerca dovrebbero
essere accelerati, dipendere fortemente dalle future strategie di rimozione del
carbonio (Co2) su larga scala in questo frangente potrebbe creare una
percezione ingannevole di sicurezza e rinviare le imperative azioni di
mitigazione che sono essenziali per affrontare il cambiamento climatico ora.
Fermare
il consumo di carbone.
Oltre
ai suoi effetti distruttivi sugli ecosistemi e sulla salute globale, il carbone
rappresenta oltre l’80% dell’anidride carbonica (Co2) immessa nell’atmosfera
dal 1870 e circa il 40% delle attuali emissioni di anidride carbonica(Co2)
(Burke e Fishel 2020 ) .
Nel
2022, il consumo globale di carbone è vicino a livelli record. Nel 2021, le
emissioni di anidride carbonica(Co2) legate al carbone sono state maggiori in
Cina (53,1%), seguita da India (12,0%) e Stati Uniti (6,7% ) .
L’utilizzo
del carbone in Cina ha subito una rapida accelerazione negli ultimi decenni, e
il paese ancora oggi produce quasi un terzo di tutte le emissioni di anidride
carbonica (Co2) e metano derivanti dai combustibili fossili.
In risposta a questa situazione, sosteniamo la”
Powering Past Coal Alliance” e raccomandiamo l’adozione del “Trattato
internazionale sull’eliminazione del carbone” per eliminare gradualmente il
carbone e, più in generale, del “Trattato di non proliferazione dei
combustibili fossili” (van Asselt e Newell 2022 ) .
Questi
trattati potrebbero fornire sostegno ai paesi meno ricchi nella transizione dal
carbone e da altri combustibili fossili, compresi finanziamenti per sviluppare
capacità di energia rinnovabile e riqualificare e trasferire i lavoratori
dall’industria dei combustibili fossili.
Anelli
di retroazione.
I
circuiti di feedback climatici influenzano direttamente la relazione tra
emissioni e riscaldamento.
Ad
esempio, il riscaldamento provoca lo scongelamento del permafrost, con
l’emissione di metano e anidride carbonica (Co2) che provocano un ulteriore
riscaldamento.
Pertanto,
il rafforzamento dei circuiti di feedback amplifica gli effetti delle emissioni
di gas serra, portando a un ulteriore riscaldamento.
Pertanto,
comprendere i cicli di feedback e le loro interazioni può informare le
strategie di mitigazione e adattamento climatico.
Nonostante
la loro importanza, la combinazione di molteplici circuiti di feedback
amplificatori non è ben compresa e i potenziali punti di forza di alcuni
circuiti di feedback pericolosi sono ancora altamente incerti (Ripple et al.
2023 ).
A
causa di questa incertezza, chiediamo un rapporto speciale del “Gruppo
intergovernativo sui cambiamenti climatici “(IPCC) che si concentri sui
pericolosi circoli di feedback climatici, sui punti di non ritorno e, solo per
precauzione, sullo scenario possibile ma meno probabile di un cambiamento
climatico fuori controllo o apocalittico.
Sicurezza
alimentare e denutrizione.
Dopo
essere in calo per molti anni, la prevalenza della denutrizione è ora in
aumento.
Nel 2022, circa 735 milioni di persone hanno
dovuto affrontare la fame cronica, un aumento di circa 122 milioni rispetto al
2019 (FAO et al. 2023 ).
Questo aumento, che ha spinto l’umanità ben
lontano dal raggiungimento dell’”obiettivo zero fame entro il 2030”, è dovuto a
molteplici fattori, tra cui gli estremi climatici, le recessioni economiche e i
conflitti armati (FAO et al. 2023 ) .
Il cambiamento climatico ha ridotto l’entità della
crescita della produttività agricola globale (Ortiz-Bobea et al. 2021 ), quindi c’è il pericolo che la fame
aumenti in assenza di un’azione immediata sul clima.
In particolare, potrebbero esserci rischi
futuri seri e sottovalutati di fallimenti sincronizzati del raccolto causati da
una maggiore ondulazione della corrente a getto (Kornhuber et al. 2023 ).
A
causa dei crescenti rischi di gravi perdite simultanee di raccolti in più
regioni del mondo, sono necessari sforzi mirati all’adattamento per migliorare
la resilienza delle colture e la resistenza al caldo, alla siccità e ad altri
fattori di stress climatico (Raza et al. 2019 ) .
Uno
spostamento verso diete a base vegetale, in particolare nei paesi ricchi,
potrebbe migliorare la sicurezza alimentare globale e contribuire a mitigare il
cambiamento climatico (Cassidy et al. 2013 ).
Giustizia.
Gli
impatti del cambiamento climatico sono già catastrofici per molti.
Tuttavia,
questi impatti non si stanno manifestando in modo uniforme in tutto il mondo.
Colpiscono
invece in modo sproporzionato gli individui più poveri del mondo, che,
ironicamente, hanno avuto il ruolo minore nel causare questo problema ( Harlan
et al. 2015 ).
Per
raggiungere la giustizia socioeconomica e il benessere umano universale, è
fondamentale lottare per una convergenza del consumo pro capite di risorse ed
energia in tutto il mondo.
Ciò
implica lavorare verso livelli equilibrati ed equi di consumo di energia e
risorse sia per il nord che per il sud del mondo (Hickel et al. 2021 ).
Conclusioni
Gli
effetti del riscaldamento globale sono progressivamente più gravi e possibilità
come un collasso sociale mondiale sono fattibili e pericolosamente sotto esplorate
(Kemp et al. 2022 ).
Entro la fine di questo secolo, si stima che
da 3 a 6 miliardi di individui – circa da un terzo a metà della popolazione
mondiale – potrebbero trovarsi confinati oltre la regione vivibile, affrontando
un caldo intenso, una disponibilità di cibo limitata e tassi di mortalità
elevati a causa degli effetti del cambiamento climatico (Lenton et al. 2023 ).
I grandi problemi hanno bisogno di grandi
soluzioni.
Pertanto,
dobbiamo spostare la nostra prospettiva sull’emergenza climatica da semplice
questione ambientale isolata a minaccia sistemica ed esistenziale.
Sebbene il riscaldamento globale sia
devastante, rappresenta solo un aspetto della crisi ambientale crescente e
interconnessa che stiamo affrontando (ad esempio, perdita di biodiversità,
scarsità di acqua dolce, pandemie).
Abbiamo
bisogno di politiche che affrontino le questioni di fondo del superamento
ecologico in cui la domanda umana sulle risorse della Terra si traduce in uno
sfruttamento eccessivo del nostro pianeta e in un declino della bio diversità (McBain et al. 2017 ).
Finché
l’umanità continuerà a esercitare una pressione estrema sulla Terra, qualsiasi
tentativo di soluzione esclusivamente climatica non farà altro che
ridistribuire questa pressione.
Per
affrontare lo sfruttamento eccessivo del nostro pianeta, sfidiamo la nozione
prevalente di crescita infinita e consumo eccessivo da parte dei paesi e degli
individui ricchi come insostenibili e ingiusti (Rockström et al. 2023 ).
Sosteniamo
invece la riduzione del consumo eccessivo di risorse; ridurre, riutilizzare e
riciclare i rifiuti in un’economia più circolare; e dare priorità alla
prosperità umana e alla sostenibilità.
Sottolineiamo
la giustizia climatica e l’equa distribuzione dei costi e dei benefici
dell’azione per il clima, in particolare per le comunità vulnerabili (Gupta et
al. 2023 ).
Chiediamo una trasformazione dell’economia
globale per dare priorità al benessere umano e garantire una distribuzione più
equa delle risorse (Hickel et al. 2021 ).
Chiediamo inoltre di stabilizzare e diminuire
gradualmente la popolazione umana con giustizia di genere attraverso la
pianificazione familiare volontaria e sostenendo l’istruzione e i diritti delle
donne e delle ragazze, che riduce i tassi di fertilità e aumenta il tenore di
vita (Bongaarts e O’Neill 2018 ) .
Queste
strategie attente all'ambiente e socialmente eque necessitano di trasformazioni
olistiche e di vasta portata nel lungo termine che potrebbero essere raggiunte
attraverso passi graduali ma significativi nel breve termine (Halpern e Mason
2015 ).
Come
scienziati, ci viene chiesto sempre più spesso di dire al pubblico la verità
sulle crisi che affrontiamo in termini semplici e diretti.
La
verità è che siamo scioccati dalla ferocia degli eventi meteorologici estremi
nel 2023.
Abbiamo paura del territorio inesplorato in
cui siamo ormai entrati.
Le condizioni diventeranno molto dolorose e
potenzialmente ingestibili per vaste regioni del mondo, con il riscaldamento di
2,6°C previsto nel corso del secolo, anche se gli impegni nazionali di
riduzione delle emissioni autoproposti dall’Accordo di Parigi verranno
rispettati (UNEP 2022b ).
Mettiamo
in guardia dal potenziale collasso dei sistemi naturali e socioeconomici in un
mondo in cui dovremo affrontare un caldo insopportabile, frequenti eventi
meteorologici estremi, carenza di cibo e acqua dolce, innalzamento del livello
del mare, malattie sempre più emergenti e aumento dei disordini sociali e dei
conflitti geopolitici.
La massiccia sofferenza dovuta al cambiamento
climatico è già qui, e ora abbiamo superato molti confini sicuri e giusti del
sistema Terra, mettendo in pericolo la stabilità e i sistemi di supporto vitale
(Rockström et al. 2023 ).
Poiché
presto assisteremo al mancato raggiungimento dell’obiettivo ambizioso di 1,5°C
previsto dall’accordo di Parigi, l’importanza di frenare immediatamente l’uso
di combustibili fossili e prevenire ogni ulteriore aumento di 0,1°C del futuro
riscaldamento globale non può essere sopravvalutata.
Invece
di concentrarci solo sulla riduzione delle emissioni di carbonio(Co2) e sul
cambiamento climatico, affrontare il problema di fondo del superamento
ecologico ci darà la possibilità di sopravvivere a queste sfide nel lungo
periodo.
Questo
è il nostro momento per fare una profonda differenza per tutta la vita sulla
Terra, e dobbiamo abbracciarlo con coraggio e determinazione incrollabili per
creare un’eredità di cambiamento che resisterà alla prova del tempo.
(William
J.Ripple ed altri)
Ringraziamo
William H. Calvin, Katherine Graubard, Karen Wolfgang e Holly Jean Buck per
aver fornito utili suggerimenti. Ringraziamo Susan Christie per l'assistenza
con questo progetto. Un finanziamento parziale è stato ricevuto dalla
Fondazione CO2 e da Roger Worthington.
Biografia
dell'autore.
(William
J. Ripple (bill.ripple@oregonstate.edu) è affiliato al Dipartimento di
ecosistemi e società forestali dell'Oregon State University (OSU), a Corvallis,
Oregon, negli Stati Uniti e al Conservation Biology Institute (CBI), in
Corvallis, Oregon, negli Stati Uniti. Christopher Wolf (christopher.wolf@oregonstate.edu) e Jillian
W. Gregg sono affiliati alla Terrestrial Ecosystems Research Associates, a
Corvallis, Oregon, negli Stati Uniti. Johan Rockström è affiliato al Potsdam
Institute for Climate Impact Research, a Potsdam, in Germania. Thomas M.
Newsome è affiliato alla School of Life and Environmental Sciences
dell'Università di Sydney, a Sydney, Nuovo Galles del Sud, Australia. Beverly
E. Law è affiliata al Dipartimento degli ecosistemi forestali e della società
dell'OSU e del CBI. Luiz Marques è affiliato all'Università Statale di
Campinas-Unicamp e al Centro di Ricerca sull'Energia e sui Materiali, a
Campinas, nello stato di San Paolo, in Brasile. Timothy M. Lenton è affiliato
al Global Systems Institute dell'Università di Exeter, a Exeter, in
Inghilterra, nel Regno Unito. Chi Xu è affiliato alla School of Life Sciences
dell'Università di Nanchino, a Nanchino, in Cina. Saleemul Huq è affiliato al
Centro internazionale per il cambiamento climatico e lo sviluppo presso
l'Università Indipendente del Bangladesh, a Dhaka, in Bangladesh. Leon Simons è
affiliato al Club of Rome Netherlands, a 's-Hertogenbosch, nei Paesi Bassi. Sir
David Anthony King è affiliato al Dipartimento di Chimica del Downing College,
presso l'Università di Cambridge, a Cambridge, in Inghilterra, nel Regno Unito.)
IN
PALESTINA L’IRAN E LA RUSSIA
HANNO
TESO UNA TRAPPOLA
ALL’OCCIDENTE.
Comedonchisciotte.org
– (29 ottobre 2023) – Markus - Pepe Escobar - thecradle.co – ci dice:
L'unico
Paese che potrebbe distrarre l'Occidente dall'Ucraina è Israele.
Ma gli
Stati Uniti e i loro alleati cadranno in una trappola esistenziale se pensano
che una vittoria dell'Asia occidentale sarà più facile di una vittoria in
Europa.
Il
partenariato strategico Russia-Iran – con la Cina sullo sfondo – sta preparando
un’elaborata trappola alla Sun Tzu per l’egemone in Asia occidentale.
A
parte Israele, non c’è nessun’altra entità sul pianeta in grado di distogliere
l’attenzione, in un attimo, dalla spettacolare debacle dell’Occidente in
Ucraina.
I
guerrafondai a capo della politica estera statunitense, non esattamente dei
fedelissimi di Bismarck, ritengono che, se il Progetto Ucraina è
irrealizzabile, il “Progetto Soluzione Finale in Palestina” potrebbe invece
essere una pulizia etnica a passo di danza.
Uno
scenario ancora più plausibile, tuttavia, è che Iran-Russia – e il nuovo “asse
del male” Russia-Cina-Iran – abbiano tutto ciò che serve per trascinare
l’Egemone (Usa) in un secondo pantano.
Tutto
sta nell’usare lo scombussolato avanti-indietro del nemico per sbilanciarlo e
disorientarlo fino fargli perdere i sensi.
La
velleità della Casa Bianca di credere che le guerre eterne in Ucraina e in
Israele siano inscritte nella stessa nobile spinta “democratica” e siano
essenziali per gli interessi nazionali degli Stati Uniti, si è già ritorta
contro, anche nell’opinione pubblica americana.
Ciò
non impedisce che le grida e i sussurri lungo la “Beltway” rivelino che i
neoconservatori statunitensi alleati di Israele sono sempre più frenetici nel
voler provocare l’Iran, magari attraverso un proverbiale” false flag” che
scatenerebbe un attacco americano.
Questo
scenario da Armageddon si adatta perfettamente alla psicopatia biblica del
Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
I
vassalli sarebbero costretti a conformarsi docilmente.
I capi di Stato della NATO si sono precipitati
a visitare Israele per dimostrare il loro sostegno incondizionato a Tel Aviv,
tra questi il greco Kyriakos Mitsotakis, l’italiana Giorgia Meloni, il
britannico Rishi Sunak, il tedesco Olaf Scholz, il senile inquilino della Casa
Bianca, e il francese Emmanuel Macron.
Vendicare
il “secolo delle umiliazioni” arabo.
Finora
il movimento di resistenza libanese Hezbollah ha dato prova di straordinaria
moderazione, non abboccando ad alcun amo.
Hezbollah sostiene la resistenza palestinese
nel suo complesso e, fino a qualche anno fa aveva seri problemi con Hamas, con
cui si scontrava in Siria.
Hamas,
per inciso, pur essendo parzialmente finanziato dall’Iran, non è gestito
dall’Iran.
Per quanto Teheran sostenga la causa
palestinese, i gruppi di resistenza palestinesi prendono in autonomia le
proprie decisioni.
La
grande novità è che tutti questi problemi si stanno ora dissolvendo.
Sia
Hamas che la Jihad islamica palestinese (PIJ) questa settimana si sono recati
in Libano per visitare personalmente il Segretario generale di Hezbollah,
Hassan Nasrallah.
Questo
significa unità di intenti, o ciò che l’Asse della Resistenza della regione
chiama “Unità di Fronti”.
Ancora
più sorprendente è stata la visita di Hamas a Mosca questa settimana, accolta
con furia impotente da Israele.
La delegazione di Hamas era guidata da un
membro del Politburo, “Abu Marzouk.”
Il vice ministro degli Esteri iraniano “Ali Bagheri” è
venuto appositamente da Teheran e ha incontrato due dei principali vice del
ministro degli Esteri russo Lavrov, Sergei Ryabkov e Mikhail Galuzin.
Questo
significa che Hamas, Iran e Russia stanno negoziando allo stesso tavolo.
Hamas
ha invitato i milioni di palestinesi della diaspora, così come l’intero mondo
arabo e tutte le terre dell’Islam, a unirsi.
Lentamente ma inesorabilmente, si può
intravedere un modello:
il
mondo arabo – e gran parte dell’Islam – potrebbe essere sul punto di unirsi per
vendicare il suo “secolo delle umiliazioni”, proprio come avevano fatto i
cinesi dopo la Seconda Guerra Mondiale con Mao Zedong e Deng Xiaoping.
Pechino,
attraverso la sua sofisticata diplomazia, lo sta certamente suggerendo agli
attori chiave, e non da ora, ma già dall’inizio di quest’anno, prima che si
realizzasse l’innovativo riavvicinamento Iran-Saudita con la mediazione di
Russia e Cina.
Questo,
di per sé, non impedirà la perpetua ossessione dei neoconservatori statunitensi
di bombardare le infrastrutture critiche dell’Iran.
Valendo
meno di zero quando si tratta di scienza militare, questi neoconservatori
ignorano che la rappresaglia iraniana colpirebbe – con precisione – ogni
singola base statunitense in Iraq e Siria, con il Golfo Persico come punto
interrogativo.
L’impareggiabile
analista militare russo “Andrei Martynov” ha mostrato cosa potrebbe accadere a
quelle costose vasche da bagno americane che galleggiano nel Mediterraneo
orientale in caso di un attacco all’Iran voluto da Israele.
Inoltre,
ci sono almeno 1.000 soldati statunitensi nel nord della Siria che rubano il
petrolio del Paese – e diventerebbe anch’essi un obiettivo immediato.
“Ali
Fadavi”, vice comandante in capo dell’IRGC, è andato subito al sodo: “Abbiamo tecnologie in campo militare
che nessuno conosce, e gli americani le conosceranno quando le useremo”.
Sta
parlando dei missili ipersonici iraniani Fattah – cugini del Khinzal e del
DF-27 – che viaggiano a Mach 15 e sono in grado di raggiungere qualsiasi
obiettivo in Israele in 400 secondi.
A ciò
si aggiunge la sofisticata guerra elettronica russa (EW).
Come
confermato a Mosca sei mesi fa, quando si tratta di interconnessione militare,
gli iraniani avevano detto ai russi che sedevano allo stesso tavolo: “Qualsiasi
cosa vi serva, basta chiedere”.
La cosa è reciproca, perché il nemico è uno
solo.
Tutto
ruota attorno allo Stretto di Hormuz.
Il
cuore della questione in qualsiasi strategia russo-iraniana è lo Stretto di
Hormuz, attraverso il quale transita almeno il 20% del petrolio mondiale (quasi
17 milioni di barili al giorno) e il 18% del gas naturale liquefatto (GNL), che
ammonta ad almeno 3,5 miliardi di piedi cubi al giorno.
L’Iran
è in grado di bloccare lo Stretto di Hormuz in un attimo.
Tanto
per cominciare, sarebbe la giusta punizione per Israele, che mira ad
accaparrarsi, illegalmente, tutte le riserve multimiliardarie di gas naturale
scoperte al largo di Gaza:
questo è, per inciso, uno dei motivi assolutamente
fondamentali per la pulizia etnica della Palestina.
Ma il
vero affare sarà far crollare la struttura di derivati da 618.000 miliardi di
dollari creata da Wall Street, come hanno confermato per anni gli analisti di “Goldman
Sachs” e “JP Morgan”, così come i trader indipendenti del settore energetico
del Golfo Persico.
Quindi,
alla resa dei conti – ben oltre la difesa della Palestina e in uno scenario di
guerra totale – non solo Russia-Iran, ma anche gli attori chiave del mondo
arabo che stanno per diventare membri dei BRICS 11 – come l’Arabia Saudita e
gli Emirati Arabi Uniti – hanno le carte in regola per far crollare in
qualsiasi momento il sistema finanziario statunitense.
Come
sottolinea un alto dirigente del “Deep State Usa” della vecchia scuola, ora in
affari nell’Europa centrale:
“Le
nazioni islamiche hanno il vantaggio economico. Possono far saltare il sistema
finanziario internazionale tagliando il petrolio. Non devono sparare un solo
colpo. Iran e Arabia Saudita si stanno alleando.
Per
risolvere la crisi del 2008 c’erano voluti 29 mila miliardi di dollari, ma
questa, se dovesse accadere, non potrebbe essere risolta nemmeno con 100 mila
miliardi di dollari di strumenti fiat”.
Come
mi hanno ribadito i trader del Golfo Persico, uno scenario possibile è che
l’OPEC inizi a sanzionare l’Europa, prima il Kuwait e poi i vari Paesi OPEC,
mettendo l’embargo a tutte le nazioni che trattano il mondo musulmano come
nemico e carne da macello.
Il
primo ministro iracheno “Mohammed Shia al-Sudani” ha già avvertito che il
petrolio destinato ai mercati occidentali potrebbe essere bloccato a causa di
ciò che Israele sta facendo a Gaza.
Il Ministro degli Esteri iraniano “Hossein
Amir-Abdollahian” ha già chiesto, in via ufficiale, un embargo totale di
petrolio e gas da parte dei Paesi islamici contro le nazioni – essenzialmente i
vassalli della NATO – che sostengono Israele.
Quindi
i Sionisti cristiani negli Stati Uniti, alleati con il neoconservatore
Netanyahu, minacciando di attaccare l’Iran, hanno la possibilità di far
crollare l’intero sistema finanziario mondiale.
La
guerra eterna alla Siria, remixata.
Sotto
l’attuale vulcano, la partnership strategica Russia-Cina è estremamente cauta.
Per il mondo esterno, la loro posizione
ufficiale è rifiutare di schierarsi con la Palestina o con Israele, chiedere un
cessate il fuoco per motivi umanitari, invocare una soluzione a due Stati e il
rispetto del diritto internazionale.
Tutte
le loro iniziative all’ONU sono state debitamente sabotate dall’Egemone Usa.
Allo
stato attuale, Washington ha rifiutato il via libera all’invasione di terra
israeliana a Gaza.
La
ragione principale è la priorità immediata degli Stati Uniti:
guadagnare
tempo per espandere la guerra alla Siria, “accusata” di essere il punto di
transito chiave per le armi iraniane a Hezbollah.
Questo
significa anche riaprire il vecchio fronte di guerra contro la Russia.
A
Mosca non si fanno illusioni.
L’apparato
dell’intelligence sa bene che gli “agenti del Mossad israeliano” hanno fornito
consulenza a Kiev mentre Tel Aviv forniva armi all’Ucraina sotto la pressione degli
Stati Uniti.
Questo
ha fatto infuriare i siloviki e potrebbe aver costituito un errore fatale per
Israele.
I
neoconservatori Usa, da parte loro, non si fermano mai.
Stanno
portando avanti una minaccia parallela:
se
Hezbollah dovesse attaccare Israele con qualcosa di diverso da qualche razzo
qua e là – e questo semplicemente non accadrà – la base aerea russa di “Hmeimim”
a Latakia sarebbe “eliminata” come “avvertimento” all’Iran.
Qui
non siamo neanche al livello di bambini che giocano nella sabbia.
Dopo gli attacchi in serie di Israele agli
aeroporti civili di Damasco e Aleppo, Mosca non ha battuto ciglio prima di
offrire alla Siria l’autorizzazione all’uso del suo aeroporto di Hmeimim –
estesa ai voli cargo del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC)
iraniano, secondo alcune fonti di intelligence russe. Netanyahu non sarà certamente così
suicida da bombardare una base aerea russa dotata di A2/AD (anti-access/area
denial).
Anche
Mosca vede chiaramente a cosa potrebbero servire quelle costose vasche da bagno
americane nel Mediterraneo orientale.
La
risposta è stata rapida:
i Mig-31K pattugliano lo spazio aereo neutrale
sul Mar Nero 24 ore su 24, 7 giorni su 7, equipaggiati con i Khinzal
ipersonici, che impiegherebbero solo sei minuti per visitare il Mediterraneo.
In
mezzo a questa follia neoconservatrice Usa, con il Pentagono che ha schierato
nel Mediterraneo orientale una formidabile serie di armamenti e mezzi “non
rivelati”, gli americani, qualunque sia il loro obiettivo:
Hezbollah, la Siria, l’Iran, la Russia o tutti
gli altri, con la Cina e la Corea del Nord come parte del nuovo “asse del
male”, hanno fatto capire che non saranno semplici spettatori.
La
Marina cinese sta praticamente proteggendo l’Iran a distanza.
Ma
ancora più incisiva è stata la dichiarazione del premier “Li Qiang”,
insolitamente schietta e rara per la diplomazia cinese:
“La Cina continuerà a sostenere
fermamente l’Iran nella salvaguardia della sua sovranità nazionale,
dell’integrità territoriale e della dignità nazionale e si opporrà fermamente a
qualsiasi forza esterna che interferisca negli affari interni dell’Iran”.
Non
dimentichiamoci che la Cina e l’Iran sono legati da un partenariato strategico
globale.
Nel frattempo, il premier russo “Mikhail Mishustin” ha
rafforzato il partenariato strategico Russia-Iran in un incontro con il primo
vicepresidente iraniano “Mohammad Mokhber”.
Ricordatevi
dei mangiatori di riso della Corea.
Le
milizie filo-iraniane dell’”Asse della Resistenza” mantengono un livello di
confronto con Israele attentamente temperato, quasi da guerriglia “mordi e
fuggi”.
Non si
sono ancora impegnati in attacchi di una certa consistenza.
Ma, se
Israele dovesse invadere Gaza, i giochi sarebbero fatti.
È
chiaro che il mondo arabo, con tutte le sue enormi contraddizioni interne, non
tollererebbe un massacro di civili.
Senza
mezzi termini, nell’attuale congiuntura incendiaria, l’Egemone Usa ha trovato
la via di fuga dall’umiliazione del Progetto Ucraina.
Crede,
erroneamente, che la solita vecchia guerra eterna riaccesa in Asia occidentale
possa essere “modulata” a piacimento.
E, se
queste due guerre si trasformassero in “un immenso Albatross politico”, come
accadrà, cos’altro potrebbe esserci di nuovo?
Semplice,
inizieranno una nuova guerra nell'”Indo-Pacifico”.
Niente
di tutto ciò inganna la Russia e l’Iran e il loro gelido monitoraggio
dell’egemone Usa che tentenna ad ogni passo che fa.
È illuminante ricordare ciò che Malcolm X aveva già
previsto nel 1964:
“Alcuni
mangiatori di riso lo hanno cacciato dalla Corea. Sì, lo hanno cacciato dalla
Corea.
Dei
mangiatori di riso con nient’altro che scarpe da ginnastica, un fucile e una
ciotola di riso hanno preso lui e i suoi carri armati, il suo napalm e tutto
quello che avrebbe dovuto avere e lo hanno ributtato al di là dello Yalu.
Perché?
Perché il giorno in cui poteva vincere sul campo è passato”.
(Pepe
Escobar) – (thecradle.co)
(new.thecradle.co/articles/iran-russia-set-a-western-trap-in-palestine)
L’ESCALATION
NON PUÒ ESSERE FERMATA,
LA
CASA BIANCA È IN ALLARME:
IL
RISCHIO DI UN CONFLITTO È SEMPRE PIÙ REALE
Comedonchisciotte.org
– (28 Ottobre 2023) – Markus - Alastair Crooke - strategic-culture.su – ci
dicono:
La
necessità della guerra sta facendosi strada nella coscienza del mondo arabo e
islamico.
Giovedì
scorso, dalle pagine del “New York Times” “Tom Friedman” ha lanciato il suo
terribile avvertimento:
“Credo
che, se ora Israele entrerà [unilateralmente] con la forza a Gaza per
distruggere Hamas, commetterà un grave errore che sarà devastante per gli
interessi israeliani e americani”.
“Potrebbe
innescare una conflagrazione globale e far detonare l’intera struttura di
alleanze filo-americane costruita dagli Stati Uniti… Sto parlando del trattato
di pace di Camp David, degli accordi di pace di Oslo, degli accordi di Abraham
e della possibile normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita.
Tutto potrebbe andare in fumo.
“Purtroppo,
ha detto l’alto funzionario statunitense, i leader militari israeliani sono, in
realtà, ancora più guerrafondai dell’attuale primo ministro.
Sono
rossi di rabbia e determinati a sferrare ad Hamas un colpo che tutte le nazioni
confinanti non dimenticheranno mai”.
Friedman
sta parlando, ovviamente, del sistema di alleanze americano imperniato
sull’idea dell’invincibilità della potenza militare di Israele – il paradigma
della “piccola NATO” che dovrebbe fungere da substrato essenziale per la
diffusione in Asia occidentale dell’”Ordine delle Regole” dettato dall’America.
È
analogo al substrato dell’alleanza NATO, la cui pretesa “invincibilità” ha
sostenuto gli interessi statunitensi in Europa (almeno fino alla guerra in Ucraina).
Un
membro del gabinetto israeliano ha dichiarato al corrispondente israeliano
anziano per la difesa, “Ben Caspit”, che Israele non può permettere che la sua
deterrenza di lunga data venga ora messa in dubbio:
“Questo è il punto più importante: la
nostra deterrenza”, ha detto l’alta fonte del Gabinetto di Guerra.
“La regione deve capire in fretta che chi
danneggia Israele, come ha fatto Hamas, pagherà un prezzo sproporzionato.
Non c’è altro modo per sopravvivere tra i
nostri vicini se non quello di esigere questo prezzo ora, perché molti occhi
sono puntati su di noi e la maggior parte di essi non ha a cuore i nostri
interessi”.
In
altre parole, il “paradigma” israeliano è incentrato sulla manifestazione di
una forza schiacciante e travolgente nei confronti di qualsiasi sfida emergente.
Questa politica nasce dal fatto che gli Stati Uniti
hanno sempre voluto che Israele avesse sia un vantaggio politico (tutte le decisioni strategiche
spettano esclusivamente a Israele, secondo Oslo), sia una superiorità militare su tutti
i suoi vicini.
Nonostante
fosse stata presentata come tale, questa non è mai stata una formula in grado
di arrivare ad un accordo sostenibile e pacifico che permettesse l’esecuzione
della “Risoluzione 181” dell’”Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1947” (la divisione della Palestina
dell’epoca del Mandato in due Stati).
Piuttosto,
Israele sotto il governo Netanyahu si sta avvicinando sempre di più ad una
fondazione escatologica di Israele sulla “Terra di Israele” (biblica) – una
mossa che cancella completamente la Palestina.
Non è
una coincidenza che Netanyahu, durante il suo discorso all’Assemblea Generale
del mese scorso, abbia mostrato una mappa in cui Israele dominava dal fiume al
mare – e la Palestina (anzi, qualsiasi territorio palestinese) era inesistente.
“Tom Friedman”, nelle sue riflessioni
al “NYT”, potrebbe temere che, così come l’insufficiente performance della NATO
in Ucraina ha rotto “il mito della NATO”, allo stesso modo il crollo militare e
dei servizi segreti israeliani del 7 ottobre e ciò che sulla sua scia accadrà a
Gaza “potrebbe far esplodere l’intera struttura dell’alleanza filo-americana”
in Medio Oriente.
La
confluenza di due umiliazioni di questo tipo potrebbe spezzare la spina dorsale
del primato occidentale.
Questo
sembra essere il succo dell’analisi di Friedman. (Probabilmente ha ragione).
Hamas
è riuscito a distruggere il paradigma della deterrenza di Israele: non ha avuto
paura, l’IDF si è dimostrato tutt’altro che invincibile e la popolazione araba
si è mobilitata come mai prima d’ora (confondendo i cinici occidentali che
ridono al solo pensiero che esista una “popolazione araba”).
Ebbene,
siamo a questo punto – e la Casa Bianca è scossa. Gli amministratori delegati
di” Axios”, “VandeHei” e “Mark Allen”, hanno ammonito, mettendo nero su bianco:
“Non
abbiamo mai parlato con così tanti alti funzionari governativi che, in privato,
sono assai preoccupati… [dal fatto che] una confluenza di varie crisi arrivi ad
essere una preoccupazione epica e un pericolo storico.
Non ci
piace sembrare catastrofici.
Vorremmo
però far suonare un allarme realistico, clinico e lucido:
i
funzionari statunitensi ci dicono che, all’interno della Casa Bianca, questa è
stata la settimana più pesante e agghiacciante da quando Joe Biden ha assunto
l’incarico, poco più di 1.000 giorni fa…
L’ex
segretario alla Difesa “Bob Gates “ci dice che l’America sta affrontando il
maggior numero di crisi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, 78 anni fa…
“Nessuna
di queste crisi può essere risolta e cancellata. Tutte e cinque potrebbero
trasformarsi in qualcosa di molto più grande… Ciò che spaventa i funzionari è
il modo in cui tutte e cinque le minacce potrebbero fondersi in una sola”.
Le
cinque crisi sarebbero:
l’allargarsi della guerra dovuto all’ingresso
di Israele a Gaza;
l'”alleanza antiamericana” tra Putin e Xi;
l’Iran
“maligno”;
lo
“scapestrato” “Kim Jon Un” e la
diffusione di video e notizie false.
Tuttavia,
nel pezzo di “Friedman” sul “NYT” manca l’altra faccia della medaglia – perché
il paradigma israeliano ha due facce;
esiste
infatti anche una sfera interna, separata dalla necessità esterna di far pagare
un prezzo sproporzionato agli avversari di Israele.
Il “mito” interno sostiene che lo Stato
israeliano “ha l’appoggio dei suoi cittadini”, ovunque vivano gli Ebrei, in
Israele e nei Territori occupati, negli insediamenti più remoti o nei vicoli
della Città Vecchia di Gerusalemme.
Si tratta di qualcosa di più di un contratto
sociale; piuttosto, è un obbligo spirituale a cui dovrebbero sottostare tutti
gli Ebrei che vivono in Israele.
Questo
“contratto sociale” di sicurezza, tuttavia, è appena crollato.
I
kibbutzim nell’area di Gaza sono stati evacuati;
venti
kibbuz sono stati evacuati dal nord, così come 43 città di confine.
Queste
famiglie sfollate avranno di nuovo fiducia nello Stato?
Torneranno
un giorno negli insediamenti?
La
fiducia è stata spezzata.
Eppure,
non sono stati i missili di “Hizbullah” a spaventare i residenti, ma le
immagini dello scorso 7 ottobre nelle comunità alla periferia di Gaza.
La
recinzione violata in decine di punti, le basi e le postazioni militari invase,
le città occupate dalle forze di Hamas, le uccisioni che ne sono derivate e il
fatto che circa 200 israeliani sono stati rapiti e portati a Gaza non hanno
lasciato nulla all’immaginazione.
Se ci
è riuscito Hamas, cosa fermerà Hezbollah?
Come
nella vecchia filastrocca:
Humpty-Dumpty fece una grossa caduta, ma tutti
i cavalli del re e tutti gli uomini del re non riuscirono a rimettere insieme
Humpty.
È
questo che preoccupa il team della Casa Bianca.
Non credono affatto che un’invasione
israeliana di Gaza possa rimettere insieme “Humpty”.
Temono piuttosto che le cose possano andare
male per l’IDF e che le immagini trasmesse in tutto il Medio Oriente di Israele
che usa una forza schiacciante in un contesto urbano abitato provochino una
rivolta nella sfera islamica.
Nonostante
lo scetticismo occidentale, ci sono segnali che indicano che questa
insurrezione nella sfera araba è diversa e assomiglia molto alla “Rivolta Araba
del 1916” che aveva rovesciato l’Impero Ottomano.
Sta
assumendo un “taglio” distinto, poiché sia le autorità religiose sciite che
quelle sunnite affermano che il dovere dei Musulmani è stare dalla parte dei
palestinesi.
In
altre parole, mentre la politica israeliana diventa palesemente “profetica”,
l’umore islamico diventa a sua volta escatologico.
Il
fatto che la Casa Bianca faccia della disinformazione sui leader arabi
“moderati” per indurli a fare pressioni sui palestinesi “moderati” e
convincerli a formare a Gaza un governo favorevole a Israele, che spiazzi Hamas
e imponga sicurezza e ordine, dimostra quanto l’Occidente sia lontano dalla
realtà.
Ricordiamo
che “Mahmoud Abbas”, il “generale Sisi” e il “re di Giordania” (alcuni dei leader più malleabili
della regione) hanno rifiutato categoricamente di incontrare Biden dopo il suo viaggio
in Israele.
La
rabbia nella regione è reale e minaccia i leader arabi “moderati”, il cui
spazio di manovra è ora limitato.
I
focolai si moltiplicano, così come gli attacchi agli schieramenti statunitensi
nella regione.
Alcuni
a Washington sostengono di percepire la complicità iraniana e sperano di
ampliare la finestra per una guerra con l’Iran.
La
Casa Bianca, in preda al panico, sta reagendo in modo eccessivo, ha inviato
(100) enormi aerei da carico con bombe, missili e difese aeree (THAAD e
Patriot) in Israele, ma anche nel Golfo, in Giordania e a Cipro.
Sono
state dispiegate anche forze speciali e 2.000 Marines.
Oltre a due portaerei e alle relative navi di
scorta.
Gli
Stati Uniti stanno quindi inviando una vera e propria armata in assetto di
guerra.
Questo
non può che aumentare le tensioni e provocare contromosse:
la Russia sta ora schierando sul Mar Nero i
MiG-31 equipaggiati con missili ipersonici Kinzhal (in grado di colpire le portaerei
statunitensi al largo di Cipro) e la Cina avrebbe inviato navi da guerra nell’area.
Cina,
Russia, Iran e gli Stati del Golfo sono impegnati in una frenetica attività
diplomatica per contenere il conflitto, anche nel caso “Hizbullah” dovesse
impegnarsi più a fondo nello scontro.
Per il
momento, ci si concentra sulla liberazione degli ostaggi, creando molto rumore
e confusione (voluta).
Forse
alcuni si aspettano che le speranze di liberazione degli ostaggi possano
ritardare, e infine fermare, la prevista invasione di Gaza.
Tuttavia,
il comando militare israeliano e l’opinione pubblica insistono sulla necessità
di distruggere Hamas (non appena saranno posizionate le navi statunitensi e le
nuove difese aeree).
Sia
come sia (l’invasione), la realtà è che le “Brigate Qassam” di Hamas” hanno
sconvolto i paradigmi interni ed esterni di Israele.
A seconda dell’esito della guerra tra
Gaza/Israele, le Brigate potrebbero ancora provocare un’ulteriore contusione
sul corpo politico [Israele] tale da “innescare una conflagrazione globale e
far esplodere l’intera struttura di alleanze filo-americane costruita dagli
Stati Uniti”
(secondo le parole di “Tom Friedman”).
Se
Israele dovesse entrare a Gaza (e Israele potrebbe decidere di non avere altra scelta
se non quella di lanciare un’operazione di terra, date le dinamiche politiche
interne e la spinta dell’opinione pubblica), è probabile che “Hizbullah” venga
progressivamente attirato ancora di più verso lo scontro, lasciando agli Stati
Uniti l’opzione binaria di vedere Israele sconfitto o scatenare una grande
guerra in cui tutti i punti caldi si fondono “in uno solo”.
In un
certo senso, il conflitto Israele-islamico potrà essere risolto solo in questo
modo cinetico.
Tutti
gli sforzi compiuti dal 1947 in poi hanno solo visto la frattura approfondirsi.
La
necessità della guerra sta facendosi strada nella coscienza del mondo arabo e
islamico.
(Alastair
Crooke - strategic-culture.su)
(strategic-culture.su/news/2023/10/26/escalations-cannot-be-stopped-the-white-house-is-rattled-escalations-might-all-fuse-into-one/)
(Alastair
Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del “Conflicts
Forum di Beirut”, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico
e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence
britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.)
1500
scienziati dicono che "il cambiamento
climatico
non è dovuto alla CO2":
il
movimento per l'ambiente reale è stato dirottato.
Globalresearch.ca
– (28 ottobre 2023) - Mark Keenan – ci dice:
Molte
persone in tutto il mondo sono preoccupate per il cambiamento climatico e
credono che ci sia un'emergenza climatica.
Per
decenni ci è stato detto dalle Nazioni Unite che l'anidride carbonica (CO2) le
emissioni derivanti dall'attività umana sono all'origine di cambiamenti
climatici disastrosi.
Nel
2018, un rapporto dell'”IPCC delle Nazioni Unite” (i cui dirigenti sono profumatamente
pagati dai ricchi globalisti! N.D.R) ha persino avvertito che
"abbiamo 12 anni per salvare la Terra", mandando così in delirio
milioni di persone in tutto il mondo.
Trentacinque
anni fa, il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) e l'OMM
(Organizzazione Meteorologica Mondiale) hanno istituito l'Intergovernmental Panel on Climate
Change (IPCC) per fornire consulenza scientifica sul complesso tema del cambiamento
climatico.
Al
gruppo di esperti è stato chiesto di preparare, sulla base delle informazioni
scientifiche disponibili, una relazione su tutti gli aspetti rilevanti per il
cambiamento climatico e i suoi impatti e di formulare strategie di risposta
realistiche.
Il
primo rapporto di valutazione dell'IPCC è servito come base per negoziare la “Convenzione
quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” (UNFCCC).
I governi di tutto il mondo hanno firmato questa
convenzione (in
seguito a lauti finanziamenti ricevuti a fondo perduto! N.D.R), che ha un impatto significativo
sulla vita delle persone del mondo.
Tuttavia,
molti scienziati contestano la teoria del cambiamento climatico causato
dall'uomo promossa dalle Nazioni Unite (a seguito di un infinito
finanziamento dei globalisti straricchi! N.D.R.), e molte persone in tutto il mondo sono
confuse dall'argomento o non sono a conoscenza dei fatti completi.
Permettetemi
di fornirvi alcune informazioni di cui potreste non essere a conoscenza.
1.
Pochissime persone scavano effettivamente nei dati, semplicemente accettano i
rapporti dell'IPPC delle Nazioni Unite (rapporti redatti da burocrati
affamati di denaro! N.D.R.).
Eppure molti scienziati molto rispettabili e illustri
hanno fatto esattamente questo e hanno scoperto che la teoria del cambiamento
climatico causato dall'uomo promossa dalle Nazioni Unite è gravemente difettosa.
Sapete che 1500 dei principali scienziati e
professionisti del clima del mondo in oltre 30 paesi hanno firmato una
dichiarazione secondo cui non c'è alcuna emergenza climatica e hanno confutato
le affermazioni delle Nazioni Unite in relazione al cambiamento climatico
causato dall'uomo? (Questo fatto “scientifico “ha dato molto fastidio ai
burocrati delle Nazioni Unite! N.D.R.)
2. Ho
firmato anch'io questa dichiarazione. Come posso fare un'affermazione del
genere?
Ho
esperienza sul campo come ex scienziato presso il Dipartimento dell'Energia e
dei Cambiamenti Climatici, Governo del Regno Unito;
e come
ex membro dello staff della Divisione Ambiente delle Nazioni Unite, dove ero
responsabile della manutenzione del Protocollo del Registro delle Emissioni e
dei Trasferimenti di Inquinamento, un Accordo Ambientale Multinazionale, che
prevedeva il monitoraggio degli inquinanti per la terra, l'aria e l'acqua in
tutto il mondo.
L'inquinamento reale esiste, ma il problema non è il
CO2.
La
globalizzazione industriale ha prodotto molte sostanze registrate come
inquinanti, tra cui migliaia di nuovi composti chimici artificiali, tossine,
nanoparticelle e organismi geneticamente modificati (OGM) che violano il
principio scientifico di precauzione.
Un
libro che ho pubblicato di recente fornisce anche ampie prove e testimonianze
di scienziati rinomati che non esiste un'emergenza climatica.
Il
libro intitolato "Trascendere l'inganno del cambiamento climatico verso una
vera sostenibilità" è disponibile su amazon.COM.
3.
Successivamente, menzionerò il sito web dell”'Irish Climate Science Forum”
(ICSF), una risorsa preziosa fondata da Jim O'Brien.
Sono
grato all'ICSF per l'eccellente lavoro svolto nell'evidenziare i difetti
scientifici della narrativa climatica delle Nazioni Unite.
L'ICSF fornisce una serie completa di
conferenze tenute da rinomati scienziati internazionali che forniscono molte
prove, analisi e dati che contraddicono le affermazioni delle Nazioni Unite. Le lezioni sono disponibili.
Il
punto di vista scientifico dell'ICSF coincide con quello della” fondazione
Climate Intelligence” (CLINTEL) che opera nei settori del cambiamento climatico
e della politica climatica.
CLINTEL
è stata fondata nel 2019 dal professore emerito di geofisica “Guus Berkhout” e
dal giornalista scientifico “Marcel Crok”.
Sulla base di questa convinzione comune, 20
scienziati irlandesi e diversi membri dell'ICSF hanno co-firmato la “Dichiarazione
Mondiale sul Clima CLINTEL” "There is No Climate Emergency".
4. La
realtà è che il clima cambia naturalmente e lentamente nel suo ciclo, e
l'attività solare è il fattore dominante nel clima e non la Co2.
Possiamo
concludere che le emissioni di carbonio (Co2) o il metano del bestiame, come le
mucche, non sono i fattori dominanti del cambiamento climatico.
(Solo
il fatto che la “CO2” pesa molto di più dell’atmosfera deve convincere tutti
che non vi è alcuna possibilità che possa volare nell’alto dei cieli per
raggiungere la gabbia dei veri “gas serra”! N.D.R.)
In sostanza, quindi, l'incessante isteria
climatica prodotta dalle Nazioni Unite, dai governi e dai media corporativi in
relazione alle emissioni di carbonio (Co2) e al metano delle mucche non ha
alcuna base scientifica.
Si
prega di notare che non ho alcun interesse commerciale nell'affermare che il
cambiamento climatico non è causato da CO2.
In
verità sono contrario all'inquinamento "reale", e la realtà è che le
emissioni di CO2 componente non è un inquinante.
Purtroppo,
molti ambientalisti disinformati vanno in giro con auto elettriche, la cui
produzione di batterie ha causato grandi quantità di inquinamento
"reale" attraverso l'estrazione industriale e la lavorazione dei
metalli delle terre rare, e il conseguente inquinamento dei sistemi terrestri,
dell'aria e dell'acqua.
Si
noti che l'ONU non si concentra sulle migliaia di inquinanti reali che la
globalizzazione industriale delle multinazionali crea.
5. Le
conclusioni della” fondazione Climate Intelligence” includono quanto segue.
Non
c'è un'emergenza climatica. Pertanto, non c'è motivo di panico e allarme.
Il
riscaldamento è causato da fattori naturali e antropogenici:
l'archivio geologico rivela che il clima della
Terra è variato da quando esiste il pianeta, con fasi naturali fredde e calde.
La
Piccola Era Glaciale si è conclusa nel 1850.
Pertanto,
non sorprende che ora stiamo vivendo un periodo di riscaldamento.
Il
riscaldamento è molto più lento del previsto: il mondo si è riscaldato
significativamente meno di quanto previsto dall'IPCC sulla base del forcing
antropogenico modellato. Il divario tra il mondo reale e il mondo modellato ci
dice che siamo lontani dalla comprensione del cambiamento climatico.
La
politica climatica si basa su modelli inadeguati:
I modelli climatici hanno molti difetti e non
sono lontanamente plausibili come strumenti politici globali.
Fanno esplodere l'effetto dei gas a effetto
serra come il “CO2”.
Inoltre,
ignorano il fatto che l'arricchimento dell'atmosfera -a livello della terra e
del mare- con “CO2” è benefico.
(infatti
i Burocrati delle Nazioni Unite sono pagati per alimentare questa ignoranza
basilare! N.D.R.)
“CO2 “è
il cibo vegetale, la base di tutta la vita sulla Terra:
CO2
non è un inquinante.
È essenziale per tutta la vita sulla Terra.
La
fotosintesi è una benedizione.
Più
CO2 è benefico per la natura, rinverdendo la Terra:
“CO2
In the Air “ha promosso la crescita della biomassa vegetale globale.
È
anche un bene per l'agricoltura, aumentando le rese delle colture in tutto il
mondo.
Il
riscaldamento globale non ha aumentato i disastri naturali:
non ci sono prove statistiche che il
riscaldamento globale stia intensificando uragani, inondazioni, siccità e
disastri naturali simili, o rendendoli più frequenti.
6. Nel
libro di cui sopra faccio riferimento al lavoro pertinente e alle presentazioni
scientifiche di alcuni dei principali scienziati del clima del mondo.
Esaminiamo
alcuni dei lavori e delle testimonianze di “questi scienziati veri”:
"Una
logica profondamente errata, oscurata da una propaganda astuta e implacabile,
ha in realtà permesso a una coalizione di potenti interessi speciali di
convincere quasi tutti nel mondo che la “Co2” proveniente dall'industria umana
era una tossina pericolosa che distrugge le piante.
Sarà
ricordato come la più grande illusione di massa nella storia del mondo: la “Co2”,
la vita delle piante, è stata considerata per un certo periodo un veleno
mortale." – (Professor Richard Lindzen, Professore Emerito di Scienze Atmosferiche
al MIT).
Il
dottor Nils-Axel Mörner è stato presidente del comitato del Gruppo
internazionale di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite.
È
stato un esperto coinvolto nella revisione dei primi documenti dell'IPPC.
Dice
che l'IPPC delle Nazioni Unite sta fuorviando l'umanità sul cambiamento
climatico.
Ha
cercato di avvertire che l'IPPC stava pubblicando menzogne e false informazioni
che sarebbero state inevitabilmente screditate.
In un'intervista, ha dichiarato:
"Questa è la parte più pericolosa e
spaventosa.
Come
un gruppo di lobbisti, come l'IPPC, è stato in grado di ingannare il mondo
intero.
Queste forze organizzate e ingannevoli sono pericolose" e ha espresso
shock "per il fatto che le Nazioni Unite e i governi facciano sfilare i bambini in giro
per il luogo ai vertici delle Nazioni Unite sul clima come oggetti di
propaganda di propaganda".
(Ma l’operato delle Nazioni Unite e
dei Governi contro la “Co2” è criminale e genocida perché ha come scopo
l’annientamento dell’Umanità! N.D.R.)
Quella
che segue è la sua testimonianza come dettagliato.
"L'attività solare è il fattore
dominante nel clima e non la Co2... qualcosa è fondamentalmente malato
nell'ipotesi della colpa Co2 ... È stato lanciato più di 100 anni fa e quasi
immediatamente eccellenti fisici hanno dimostrato che l'ipotesi non funzionava.
Sono
stato il “presidente dell'unico comitato internazionale sui cambiamenti del
livello del mare” e come tale sono stato eletto per essere il revisore esperto
del capitolo sui livelli del mare (IPPC delle Nazioni Unite).
È stato scritto da 38 persone e nessuno era uno
specialista del livello del mare...
Sono
rimasto scioccato dalla bassa qualità, era come un documento studentesco...
L'ho esaminato e ho mostrato loro che era sbagliato e sbagliato e sbagliato...
La
verità scientifica è dalla parte degli scettici... Ho migliaia di scienziati di
alto livello in tutto il mondo che concordano sul fatto che NO, la “CO2” non è
il meccanismo trainante e che tutto è esagerato.
Nel
campo della fisica dall'80 al 90% dei fisici sa che l'ipotesi della Co2 è
sbagliata...
Certo,
i meteorologi ci credono perché è la loro professione, ci vivono... Ho il
sospetto che i promotori dietro le quinte... hanno un secondo fine...
(Ossia quello di arricchirsi in modo
allucinante solo per accontentare la volontà omicida dei padroni del mondo!
N.D.R.)
È un
modo meraviglioso di controllare la tassazione, controllare le persone" – (Dr. Nils-Axel Mörner, ex
presidente del comitato presso l'IPPC delle Nazioni Unite ed ex capo del
dipartimento di paleo fisica e geodinamica di Stoccolma).
Un
altro scienziato del clima con credenziali impeccabili che ha rotto i ranghi è
il dottor” Mototaka Nakamura”.
Afferma:
"I nostri modelli sono prese in giro di Topolino del mondo reale".
Il dottor Nakamura ha conseguito un dottorato
in scienze presso il MIT e per quasi 25 anni si è specializzato in condizioni
meteorologiche anomale e cambiamenti climatici presso prestigiose istituzioni
tra cui il MIT, il Georgia Institute of Technology, la NASA, il Jet Propulsion
Laboratory, il California Institute of Technology, il JAMSTEC e la Duke
University.
Il “dottor Nakamura” spiega perché la base di dati
alla base della scienza del riscaldamento globale è "inaffidabile" e
non può essere considerata affidabile e che:
"Le
temperature medie globali prima del 1980 si basano su dati inaffidabili".
Il
professor “John R. Christy”, direttore delle scienze atmosferiche e della terra
dell'Università dell'Alabama, ha fornito un'analisi dettagliata dei dati
climatici.
Riassumo
qui di seguito i punti principali della sua analisi:
"La
teoria consolidata del riscaldamento globale travisa in modo significativo
l'impatto dei gas serra in eccesso;
Il clima che colpisce di più le persone non
sta diventando più estremo o più pericoloso;
Le
temperature erano più alte negli anni '30 rispetto ad oggi;
Tra il
1895 e il 2015, 14 dei primi 15 anni con i record di calore più alti si sono
verificati prima del 1960;
Le
temperature che stiamo vivendo ora nel 2021 erano le stesse di 120 anni fa...
Il
numero di grandi tornado tra il 1954 e il 1986 è stato in media di 56 all'anno,
ma tra il 1987 e il 2020 la media è stata di soli 34 all'anno;
Tra il 1895 e il 2015 in media non c'è stato
alcun cambiamento nel numero di giorni molto piovosi al mese, e nessun
cambiamento nel numero di giorni molto secchi al mese, e i 20 mesi più secchi
sono stati prima del 1988.
Tra il
1950 e il 2019 la percentuale di superficie colpita dalla siccità non è
aumentata a livello globale: la tendenza è piatta;
l'incidenza
degli incendi in Nord America tra il 1600 e il 2000 è diminuita notevolmente.
Il livello del mare è salito di 12,5 cm per
decennio per 8.000 anni e poi si è stabilizzato, ora è salito solo di 2,5 cm
per decennio...
Preoccuparsi
di un aumento di 30 cm del livello del mare in un decennio è ridicolo, in un
uragano la costa orientale degli Stati Uniti ottiene un aumento di 20 piedi in
6 ore, quindi un aumento di 30 cm sarà facilmente gestibile!"
In una
conferenza dal titolo “La crisi climatica immaginaria, come possiamo cambiare
il messaggio”?
Disponibile
sul sito web dell'”Irish Climate Science Forum”.
“Richard L. Lindzen”, professore
emerito di scienze atmosferiche al MIT, riassume così la battaglia contro
l'isteria climatica:
"Nella
lunga storia della Terra non c'è stata quasi nessuna correlazione tra clima e
CO2...
il
record paleoclimatico mostra inequivocabilmente che la CO2 non è una manopola
di controllo... la narrazione è assurda...
Dà ai
governi il potere di controllare il settore energetico...
Per
circa 33 anni, molti di noi hanno combattuto contro l'isteria climatica...
C'erano persone più importanti che si opponevano, erano purtroppo più anziani e
ormai la maggior parte di loro era morta...
Le
élite globaliste straricche sono sempre alla ricerca di modi per pubblicizzare
la loro virtù e affermare la loro autorità.
Credono
di avere il diritto di considerare la scienza come una fonte di autorità
piuttosto che come un processo, e cercano di appropriarsi della scienza,
opportunamente e scorrettamente semplificata, come base per il loro movimento.
(E non badano a spese per la
propaganda omicida contro la Co2, mentre questa è solo una fonte benefica di
vita sulla terra! N.D.R.).
"La
CO2... non è un inquinante... È il prodotto di tutta la respirazione delle
piante, è essenziale per la vita delle piante e la fotosintesi... Se hai mai
desiderato un punto di leva per controllare tutto, dall'espirazione alla guida,
questo sarebbe un sogno.
Quindi ha una sorta di attrattiva fondamentale
per la mentalità burocratica che domina l’ONU" –
(Prof.
Richard Lindzen, Professore Emerito di Scienze Atmosferiche al MIT)
“Patrick
Moore”, co-fondatore di Greenpeace e presidente di Greenpeace in Canada per
sette anni, afferma:
"L'intera
crisi climatica non è solo una fake news, è una falsa scienza... Certo che il
cambiamento climatico è reale, sta accadendo dall'inizio dei tempi, ma non è
pericoloso e non è causato dall'uomo... Il cambiamento climatico è un fenomeno
perfettamente naturale e questo moderno periodo di riscaldamento è iniziato
circa 300 anni fa, quando la Piccola Era Glaciale ha iniziato a volgere al
termine. Non c'è nulla di cui aver paura e tutto ciò che stanno facendo è
instillare paura.
La
maggior parte degli scienziati che dicono che si tratta di una crisi sono
sovvenzionati dal governo perpetuo globalista occidentale.
Sono
stato uno dei fondatori di Greenpeace... A metà degli anni '80... siamo stati
dirottati dall'estrema sinistra che ha sostanzialmente portato “Greenpeace”
da un'organizzazione basata sulla scienza a un'organizzazione basata sul
sensazionalismo, la disinformazione e la paura... non avete un piano per sfamare 8
miliardi di persone senza combustibili fossili o per portare il cibo nelle
città..." – “Patrick Moore, co-fondatore di Greenpeace”.
Anche
il professor William Happer, dell'Università di Princeton, ex direttore
scientifico del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, è una voce forte
contro il mito del riscaldamento globale causato dall'uomo.
Egli
afferma: "Più CO2 benefici per la Terra".
7.
L'IPCC delle Nazioni Unite (corrotta sino al midollo! N.D.R.) seleziona i dati, utilizza modelli imperfetti e scenari
non lontanamente correlati al mondo reale.
Le
previsioni delle Nazioni Unite sulla crisi climatica non si basano su prove
fisiche, ma su complessi modelli computerizzati.
Bisogna decodificare e analizzare il processo
di modellazione per accertare se i modelli sono validi e accurati o se hanno
difetti evidenti.
La stragrande maggioranza degli scienziati,
degli economisti, dei politici e del pubblico in generale ha semplicemente dato
per scontato che” i modelli del Gruppo intergovernativo di esperti sul
cambiamento climatico” (IPCC) delle Nazioni Unite siano accurati.
Pochissime
persone hanno il tempo o le competenze per analizzare questi modelli, per non
parlare del fatto che li contestano effettivamente.
Ciononostante,
ci sono stati molti scienziati di alto livello e di alto livello che hanno
fatto esattamente questo:
hanno affermato che la narrativa delle Nazioni Unite
era errata e che non c'era alcuna emergenza climatica.
Le
loro voci sono state soffocate da una vasta istituzione politica e mediatica
guidata dal denaro del "sistema omicida” globalizzato.
L'opera di vitale importanza di alcuni di
questi rinomati scienziati è citata nel mio libro di cui sopra.
"I
modelli computerizzati stanno commettendo errori sistematici e drammatici...
sono tutti parametrizzati... fudged... i modelli davvero non funzionano" – (Patrick J. Michaels,
Direttore, Cato Institute Center for the Study of Science)
Il Dr.
Roger Pielke Jr, dell'Università del Colorado, ha condotto una revisione
scientifica dettagliata e un'analisi del rapporto AR6 dell'IPCC delle Nazioni
Unite.
Descrive
che, in relazione alla modellizzazione climatica, l'IPCC ha separato i modelli
dalla plausibilità socio-economica.
Nel creare i modelli, invece di completare prima i
modelli di valutazione integrativa (IAM), l'IPCC ha saltato questo passaggio
essenziale ed è passato direttamente agli scenari di forzatura radiativa e
quindi questi scenari non sono basati su IAM concorrenti.
Questo
ha portato gran parte della modellistica climatica sulla strada sbagliata.
Cito i
seguenti punti dell'analisi del dottor Pielke:
"I
quattro scenari dell'IPCC provenivano da una grande famiglia di modelli, quindi
invece di dividere la modellazione dalle ipotesi socio-economiche, i modelli
avevano già le ipotesi falsificate e inserite, perché dovevano avere quelle
ipotesi per produrre il forzante radiativo richiesto (per produrre un risultato desiderato
dello 'scenario di crisi' climatica).
In
un'altra decisione fatale, i 4 percorsi di concentrazione rappresentativi (RCP)
provenivano da 4 diversi IAM, il che è stato un errore enorme.
Questi modelli sono completamente estranei
l'uno all'altro, ma è stata data l'impressione che siano di un insieme comune,
differendo solo per il loro forzante radiativo, questo è stato un errore
enorme.
Inoltre, nessuno ha la responsabilità di
determinare se questi scenari siano plausibili.
La
comunità climatica ha deciso a quale scenario dare la priorità e ha scelto i
due scenari più implausibili!
Ci
sono migliaia di ipotesi climatiche, ma solo 8-12 di esse sono attualmente
disponibili per la ricerca sul clima.
Il
rapporto dell'IPCC afferma anche che "nessuna probabilità è collegata agli
scenari di questo rapporto".
La
probabilità è considerata bassa, ammettono – Questa è un'ammissione incredibile
da parte dell'IPCC.
Questi
scenari estremamente improbabili dominano la letteratura e il rapporto
dell'IPCC; pertanto, il rapporto dell'IPCC è di parte.
La
linea di fondo è che c'è un'enorme confusione.
Richard
Moss dell'IPCC ha avvertito che l'RCP 8.5 non doveva essere usato come
riferimento per gli altri RCP, ma 5.800 articoli scientifici in tutto il mondo
ne fanno un uso improprio in questo modo.
L'intero
processo è gravemente difettoso... Nulla di simile al mondo reale è
rappresentato dagli scenari dell'IPCC.
La
scienza del clima ha un problema enorme!
L'IPCC
attualmente utilizza l'RCP 8.5 come scenario "business as usual", ma
l'RCP 8.5 è una terra di fantasia selvaggia e non è affatto lontanamente
correlata alla realtà attuale.
La scienza del clima ha una crisi di integrità
scientifica." –
(Dr
Roger Pielke Jr, Università del Colorado)
8. La
finanziarizzazione dell'intera economia mondiale si basa ora su una strategia
di emissioni nette di gas serra "net-zero" che uccide la vita.
Il
piano dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e l'obiettivo dell'accordo di Parigi
di ridurre le emissioni di CO2 emissioni del 7% all'anno fino al 2030 è in
effetti un piano che disabiliterebbe gli attuali meccanismi di risorse
dell'economia industriale per il cibo, l'energia e i beni che consentono la
vita e la sopravvivenza umana.
Questo
viene attuato prima che l'umanità si sia allontanata dall'imperfetta e
inquinante economia industriale transnazionale verso economie locali/regionali
autosufficienti.
Zero emissioni
di carbonio (Co2), in sostanza, significa staccare la spina agli attuali
sistemi di agricoltura industriale, trasporti, produzione di beni, produzione
di elettricità, ecc., e molti milioni di persone che dipendono da questi
sistemi in tutto il mondo potrebbero trovarsi di fronte a una mancanza di
elettricità, cibo, beni, ecc.
Ciò
potrebbe avere conseguenze terribili, in particolare in luoghi e paesi che
attualmente non sono in grado di produrre molto cibo.
(Gli
uomini di Davos, con Klaus Schwab in testa, vogliono eliminare almeno il 90 %
dell’attuale umanità. Questo è un genocidio programmato a tavolino. Tutto l’oro
del mondo non è sufficiente per farli ragionare. Hitler è il loro maestro!
N.D.R.)
Va
notato che per decenni, questi stessi poteri politici, governativi e
corporativi hanno promosso in modo dilagante la globalizzazione economica delle
imprese e la dipendenza dai combustibili fossili.
Allo
stesso tempo, ostacolare attivamente il finanziamento, la creazione o il
sostegno governativo di comunità/regioni locali più autosufficienti e di
cooperative locali.
La maggior parte della popolazione mondiale
divenne così dipendente dal sistema globalizzato dipendente dai combustibili
fossili.
9. I
banchieri centrali stanno interamente finanziando/controllando l'avanzamento
del "progetto" mondiale sul cambiamento climatico.
La
decisione di ridurre drasticamente le emissioni di CO2, uno dei composti più
essenziali per sostenere tutta la vita, non è una coincidenza.
Va notato che sono i “banchieri centrali del
mondo” che sono dietro questa decisione e stanno interamente finanziando e
controllando l'avanzamento del progetto mondiale di lotta al cambiamento
climatico causato dall'uomo.
Questo
progetto comporta un tentativo di decarbonizzare (Zero Co2) le attività
dell'intera popolazione mondiale.
Nel
dicembre 2015, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) ha creato la “Task
Force on Climate-related Financial Disclosure” (TCFD), che rappresenta 118
trilioni di dollari di asset a livello globale.
In sostanza, ciò significa che la
finanziarizzazione dell'intera economia mondiale si basa sul raggiungimento di
obiettivi insensati come "zero emissioni nette di gas serra".
La
TCFD include persone chiave delle mega-banche e delle società di gestione
patrimoniale del mondo, tra cui JP Morgan Chase; Roccia Nera; Banca Barclays;
HSBC; la banca cinese ICBC; Tata Steel, ENI oil, Dow Chemical e altro ancora.
Il
fatto che le più grandi banche e società di gestione patrimoniale del mondo,
tra cui BlackRock, Goldman Sachs, l'ONU, la Banca Mondiale, la Banca
d'Inghilterra e altre banche centrali della BRI, si siano tutte collegate per
promuovere un'economia "verde" vaga e matematicamente insensata, non
è una coincidenza.
C'è
un'altra agenda in gioco che non ha nulla a che fare con l'ambientalismo.
L'economia verde, insieme all'Agenda 2030 delle
Nazioni Unite, è un'agenda di controllo mondiale e svilupperà anche trilioni di
dollari per le mega-banche dietro le quinte.
Quando
le banche, le aziende e le istituzioni più grandi del mondo si allineano per
promuovere un'agenda sul cambiamento climatico che non ha prove, si può vedere
che c'è un'altra grande agenda in corso dietro le quinte.
Questa
agenda cerca di convincere la gente comune del mondo a fare enormi sacrifici
con il pretesto emotivo di "salvare il nostro pianeta".
Mentre
per tutto il tempo le corporazioni e le banche realizzano enormi profitti e le
istituzioni politiche implementano sistemi di controllo tecnocratici in tutto
il mondo sotto la bandiera della lotta e dell'adattamento al cosiddetto
cambiamento climatico causato dall'uomo.
"I
legami tra i più grandi gruppi finanziari del mondo, le banche centrali e le
società globali all'attuale spinta per una strategia climatica radicale per
abbandonare l'economia dei combustibili fossili a favore di una vaga e
inspiegabile economia verde, a quanto pare, non riguarda tanto la genuina
preoccupazione di rendere il nostro pianeta un ambiente pulito e sano in cui
vivere.
Piuttosto è un'agenda, intimamente legata
all'Agenda 2030 dell'ONU per un'economia "sostenibile", e allo
sviluppo letteralmente di trilioni di dollari di nuova ricchezza per le banche
globali e i giganti finanziari che costituiscono i veri poteri forti. " –
(F.
William Engdahl, consulente strategico per il rischio e docente).
Nel
2010, il capo del “Gruppo di Lavoro 3” dell'IPCC delle Nazioni Unite, il dottor
“Otmar Edenhofer”, ha detto a un intervistatore:
"...
Bisogna dire chiaramente che ridistribuiamo de facto la ricchezza mondiale
attraverso la politica climatica.
Bisogna
liberarsi dall'illusione che la politica climatica internazionale sia una
politica ambientale.
Questo
non ha quasi più nulla a che fare con la politica ambientale".
Per
percepire meglio cosa c'è "dietro le quinte" della bufala del clima e
dell'agenda delle Nazioni Unite e del WEF, è utile esaminare anche ciò che è
accaduto nei decenni precedenti.
È
importante percepire le implicazioni della truffa bancaria mondiale del debito
a riserva frazionaria e del sottile sistema di schiavitù del debito che è
esistito per decenni.
Se date un'occhiata al sito web della Banca
Mondiale, vedrete che praticamente ogni nazione della Terra è in debito enorme.
In debito con chi si può chiedere?
La risposta è alle mega-banche private.
Per
molti decenni le cosiddette élite bancarie e corporative hanno avuto il pieno
controllo della fonte di creazione del denaro e della sua allocazione,
attraverso il sistema del debito-denaro, e sono quindi, per difetto, state in
grado di finanziare, e sempre più controllare e manipolare l'intero spettro
mondiale dell'industria, dei media, del governo, dell'istruzione, della
supremazia ideologica e della guerra a loro piacimento. l'agenda e il
beneficio.
Si
dice che Mayer
Amschel Rothschild (banchiere) abbia detto:
"Datemi
il controllo dell'offerta di moneta di una nazione e non mi importa chi fa le
sue leggi".
10. I
banchieri centrali hanno dirottato il vero movimento ambientalista nel 1992
creando la falsa agenda sul cambiamento climatico.
Gli
psicopatici possono utilizzare qualsiasi ideologia e trasformarla dall'interno
in qualcosa che alla fine potrebbe essere completamente diverso dal suo scopo
originale.
Nel
frattempo, i seguaci e i sostenitori originali continuano a perseguire quella
che credono sia l'ideologia originale, ma gradualmente diventano semplici
pedine nell'agenda di un'élite egoista.
Purtroppo,
negli ultimi decenni, questo è esattamente ciò che è accaduto nel movimento
ambientalista.
L'informatore
“George Hunt” ha servito come ospite ufficiale a un incontro ambientale chiave
a Denver, in Colorado, nel 1987, e afferma che David Rockefeller; Barone Edmund De
Rothschild; il Segretario di Stato americano Baker; Maurice Strong, funzionario
delle Nazioni Unite e dipendente dei trust Rockefeller e Rothschild;
l'amministratore dell'EPA William Ruccleshaus; Il Segretario Generale delle
Nazioni Unite a Ginevra MacNeill, insieme a funzionari della Banca Mondiale e
del Fondo Monetario Internazionale erano presenti a questa riunione.
Hunt è
rimasto sorpreso nel vedere tutti questi ricchi banchieri d'élite all'incontro
e si è chiesto cosa stessero facendo lì a un congresso ambientale.
In una
registrazione video, Hunt ha poi fornito importanti prove tratte dai documenti
della Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo (UNCED), Rio
de Janeiro, Brasile, 3-14 giugno 1992.
Questa
conferenza è stata il ben noto S”ummit della Terra delle Nazioni Unite del '92”
ed è stata gestita dall'UNCED.
Secondo
Hunt, attraverso il vertice della Terra, l'ONU stava definendo una rete,
un'agenda, per mettere il potere sulla Terra e sui suoi popoli nelle loro mani.
Il
cartello mondiale del private banking è costituito dalle stesse famiglie di
banchieri ultra-ricchi che sono state determinanti nella creazione della Banca
Mondiale, dell'ONU e di altre istituzioni internazionali, dopo la Seconda
Guerra Mondiale.
Le
loro coorti politiche includevano Stalin (il leader di un brutale regime
comunista in URSS che commise il genocidio di milioni di persone), il primo
ministro britannico Churchill e il presidente degli Stati Uniti Roosevelt.
Hunt
si riferisce a queste famiglie di banchieri e alle loro reti finanziarie e
istituzionali internazionali come:
"Lo
stesso ordine mondiale che ha ingannato i paesi del terzo mondo per prendere in
prestito fondi e accumulare enormi debiti... e creare intenzionalmente guerra e
debito per portare le società sotto il loro controllo. La folla dell'ordine mondiale non è
un bel gruppo di persone..."
– “George
Hunt, Whistleblower parlando del vertice delle Nazioni Unite sulla Terra del 1992”.
Come
conseguenza del “Vertice della Terra delle Nazioni Unite”, l'onesto e genuino
movimento ambientalista che in realtà si preoccupava del reale inquinamento
della terra, dell'aria e dell'acqua, è stato politicamente dirottato da potenti
interessi politici e finanziari con un'agenda diversa.
Maurice
Strong, un funzionario delle Nazioni Unite e un dipendente dei trust
Rockefeller e Rothschild, aveva convocato il primo congresso dell'UNCED a
Stoccolma, in Svezia, nel 1972.
Poi,
20 anni dopo, è stato coordinatore e segretario generale dell'UNCED.
Hunt
ha anche fornito prove video del “Quarto Congresso Mondiale dell'UNCED nel 1987”
di un banchiere d'investimento internazionale, affermando che:
"Suggerisco
quindi che questo non venga venduto attraverso un processo democratico che
richiederebbe troppo tempo e troppi fondi per educare la carne da cannone,
purtroppo, che popola la Terra. Dobbiamo prendere quasi un programma
elitario..."
Così,
i decreti che hanno portato al vertice della Terra delle Nazioni Unite del 1992
sono stati dettati senza dibattito o possibilità di dissenso e avrebbero
sostituito le leggi nazionali.
I
decreti sono stati dettati dal banchiere Edmund de Rothschild, che ha inserito
questi importanti decreti nelle risoluzioni delle Nazioni Unite del '92 senza
dibattito o contestazione.
Hunt
afferma che gli è stata negata l'opportunità di contestare apertamente le
osservazioni di Rothschild dal presidente della riunione.
C'è da
stupirsi che la banca Rothschild di Ginevra sia il nucleo della “Banca Mondiale per la Conservazione” e che l'élite benestante sia
integrata nella banca attraverso l'offerta privata di azioni dei Rothschild?
Le banche assumono il controllo della
conservazione del mondo e decidono e controllano come queste risorse vengono
allocate o utilizzate.
11.
Nonostante l'ingannevole e falsa facciata ambientale che ha adottato, la vasta
entità istituzionale dell'ONU ha pienamente approvato la globalizzazione
industriale distruttiva per l'ambiente negli ultimi 70 anni.
Le
politiche delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, lo sviluppo
sostenibile e l'economia verde negli ultimi 30 anni sono poco più che trucchi
di marketing mondiale che hanno tragicamente fatto il lavaggio del cervello a
due generazioni di giovani che non capiscono cosa sia realmente l'ONU, e chi
sia davvero progettato per servire.
Questo
attuale sistema globalizzato comporta la promozione di credenze e false scienze
che pretendono di essere verità incontestabili, ma sono, in realtà, ideologie
in cui le prove vengono manipolate, distorte e distorte per dimostrare
l'"idea dominante", e quindi promuovere la sua diffusione in tutto il
mondo.
Cominciano
con la conclusione che vogliono e poi strappano e manipolano le scarse prove
che possono per adattarle a quella conclusione.
Il
cambiamento climatico causato dall'uomo a causa delle emissioni antropogeniche
di carbonio (Co2) ne è un esempio importante.
Le
istituzioni, tra cui l'ONU, il World Economic Forum (WEF) e l'Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS), sono organizzazioni non elette e non responsabili
motivate privatamente e controllate dalla fonte della creazione di
debito-moneta, cioè il cartello mondiale delle banche private;
e sono
solo abili strumenti di marketing e meccanismi politici per implementare e
mantenere un sistema mondiale corrotto, con l'astuto pretesto di
"risolvere i problemi del mondo".
Questi
potenti interessi particolari hanno promosso certe "ideologie" per
decenni per promuovere i loro obiettivi corporativi e politici.
La
parola "sostenibile" è stata dirottata decenni fa, ed è ora
ingannevolmente usata per portare avanti le agende degli interessi delle
mega-corporazioni globaliste a cui non importa nulla dell'ambiente.
L'obiettivo è quello di catapultare l'umanità tra le
braccia dell'Agenda 2030 dell'ONU e del piano di "reset" del WEF, che
sono abili piani di marketing interamente progettati dai cosiddetti interessi
delle mega-corporazioni elitarie del gruppo WEF Davos.
12.
Inoltre, le attuali tecnologie per l'energia verde e le energie rinnovabili,
promosse dall'ONU e dal WEF, non rappresentano una soluzione praticabile per
l'approvvigionamento energetico mondiale.
Sebbene queste tecnologie abbiano una
redditività limitata in determinati luoghi e scenari, resta il fatto che
l'energia restituita sull'energia investita è troppo bassa: in sostanza,
l'intero processo è matematicamente difettoso.
Ciò è
dimostrato dal lavoro di scienziati, tra cui il professor “David MacKay”, ex
professore di ingegneria presso l'Università di Cambridge ed ex consulente
scientifico capo presso il Dipartimento dell'energia e dei cambiamenti
climatici del Regno Unito.
Sommario.
In
sintesi, le emissioni di CO2 La riduzione è l'obiettivo principale dell'isteria
del cambiamento climatico promossa dalle Nazioni Unite che è dilagante tra la
popolazione mondiale.
Tuttavia, la proclamata crisi climatica esiste solo
nei modelli computerizzati.
Il culto del "cambiamento climatico
causato dall'uomo" è un'"ideologia" promossa dai media e dalle
Nazioni Unite, che viene utilizzata per un'agenda politica e aziendale più
ampia.
Il cambiamento climatico causato dall'uomo non
si basa sui fatti e ha dirottato le reali preoccupazioni ambientali.
I
banchieri centrali di tutto il mondo stanno finanziando completamente il
"progetto" mondiale sul cambiamento climatico.
Mi
viene in mente l'ovvietà "segui il denaro" e, così facendo, si scopre
rapidamente chi gestisce il mondo aziendale, politico e dei media.
A
causa dell'incessante propaganda sul cambiamento climatico promossa dalle
Nazioni Unite, dai governi e dalle multinazionali, molte persone si trovano,
quindi, in uno stato di confusione indotto dai media e, quindi, assumono
ciecamente il loro ruolo predeterminato nella società sotto questa
"dittatura delle parole" senza nemmeno esserne consapevoli.
Ad
esempio, ora abbiamo milioni di cosiddetti guerrieri del cambiamento climatico
ciechi al fatto che il cambiamento climatico non è in realtà causato dalle
emissioni di carbonio (Co2).
Tutto
questo per spaventare le persone e farle accettare l'autorità totalitaria e le
limitazioni alla loro libertà e al loro benessere personale.
La
sgradevole realtà è che l'accesso delle persone all'energia e alle risorse
viene intenzionalmente ridotto attraverso politiche fasulle sul cambiamento
climatico, alta inflazione, teatri geopolitici in corso e guerre
intenzionalmente istigate.
Non
possiamo capire come creare una società veramente resiliente se non percepiamo
correttamente la società attuale in cui viviamo e come è nata.
Allora,
chi sono gli architetti dell'attuale paradigma?
Il
libro di cui sopra ha lo scopo di aiutare in questo senso.
A meno
che non riconosciamo le falsità dell'attuale paradigma, anche se non è
"politicamente corretto" farlo, allora non saremo in grado di
apportare i corretti aggiustamenti alle nostre attuali comunità e reti
locali/regionali, o di creare una società veramente resiliente e fiorente in
Irlanda.
In
questo spirito di verità, nuove reti stanno emergendo in tutto il mondo.
(Mark
Keenan è un ex scienziato del Dipartimento dell'Energia e dei Cambiamenti
Climatici, Regno Unito; e presso la Divisione Ambiente delle Nazioni Unite; ed
è autore del libro Transcending the Climate Change Deception – Towards Real
Sustainability disponibile su amazon.COM)
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