Cambiamento climatico.

 

Cambiamento climatico.

 

 

Rivoluzione Eco-illogica.

Conoscenzealconfine.it – (30 Ottobre 2023) - Massimiliano Cioffi – ci dice:

 

In nome dell’assurda lotta alla “CO2” si preparano tetri scenari per i cittadini.

Nessuno può negare che ci sia un cambiamento climatico in atto.

C’è, ed è sotto gli occhi di tutti.

Ma è la causa di questo cambiamento climatico che fa la differenza, almeno nella sua gestione e negli impatti che ne derivano.

Alla luce di diversi studi di scienziati come il prof. Nicola Scafetta, docente di oceanografia e fisica dell’atmosfera presso l’”Università Federico II di Napoli”, o la prof.ssa Valentina Zharkhova, che insegna alla “Northumbria University di Newcastle”, appare evidente che il cambiamento climatico sia dovuto a cause naturali di cui l’uomo può soltanto prendere atto.

Secondo quanto elaborato separatamente da questi scienziati, infatti, il riscaldamento climatico sarebbe dovuto ai cicli del Sole e non all’azione umana.

Al contrario di quanto non risuoni quotidianamente sui media mainstream, solamente una ridotta quantità di studi (circa il 30% del totale, come riportato da “Franco Battaglia” su La Verità del 26/05/2023) annovera le attività umane tra le concause.

Tutti gli altri studi non certificano affatto la responsabilità antropica, anzi.

Eppure questa tesi è stata sposata dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici.

Sotto la spinta di questo “autorevole” organismo, il mondo occidentale ha deciso che la principale causa del cambiamento climatico sia l’attività umana, imputando le responsabilità più gravose alla produzione antropica di CO2.

Partendo da questo assunto, tutt’altro che dimostrato scientificamente in quanto basato su teorie e modelli matematici che applicati su dati passati si sono rivelati fallimentari (vedasi le previsioni catastrofiche mai avverate), la politica ha messo sotto accusa il genere umano, perseguendone tutte quelle attività che producono CO2 come la produzione di energia da fonti fossili, l’allevamento intensivo degli animali da macello e addirittura le abitazioni, ree di consumare troppa energia per il riscaldamento in inverno e il raffrescamento in estate.

Questa “credenza” sta producendo iniziative grottesche e piene di controsensi:

 la limitazione dell’uso delle auto in grandi città come Roma e Milano, ma non del trasporto merci su gomma (responsabile della maggior parte delle emissioni nell’ambito della logistica via terra);

la chiusura degli allevamenti intensivi che, al di là dei pur condivisibili aspetti etici, rischia di compromettere la tenuta del già provatissimo settore primario;

 l’obbligo di ristrutturare edifici pubblici e abitazioni private per minimizzarne il consumo energetico, con tutto ciò che questo implica in termini d’impatto sulle tasche dei cittadini.

Ovviamente a spingere sull’acceleratore di questa politica non poteva che esserci l’UE.

La quale, cavalcando l’Agenda 2030 promossa dall’ONU, pretende che i Paesi membri abbattano drasticamente le emissioni di CO2 entro, appunto, il 2030.

 Si sa:

dove c’è l’UE c’è l’interesse economico di qualche multinazionale (la vicenda dei vaccini Covid insegna).

E infatti proprio nell’imposizione di queste politiche “green” le aziende automobilistiche vedono l’opportunità per rimpiazzare l’intero parco auto esistente con nuovi (e costosissimi) veicoli elettrici.

E se il campo della mobilità è la prima linea, occorre ricordare che non è certo l’unico ambito interessato da questa deriva:

ad esempio, favorendo la sostituzione della carne da allevamento con la “sostenibilissima” ed “ecologica” carne coltivata, si asseconda la concentrazione della produzione di carne nelle mani di poche multinazionali oppure, imponendo vincoli sulle normative energetiche degli edifici, si serve sul piatto d’argento ai grandi fondi d’investimento la possibilità di comprare per pochi spicci milioni di abitazioni non a norma.

I costi di questa follia saranno enormi e ricadranno tutti sui cittadini.

E aldilà dei termini economici, che già di per sé basterebbero, le vere ricadute peseranno sulle nostre libertà:

 libertà di scegliere come muoversi, come alimentarsi, come curarsi… Insomma, come vivere.

 È evidente infatti che l’applicazione di direttive come quella sulla “casa green” costringerà chi non avrà la possibilità di ristrutturare a finire in affitto dopo aver venduto sottoprezzo il proprio appartamento.

Un ennesimo peggioramento per la vita dei più, costretti a pagare il prezzo di una transizione eco-illogica (fortuna che la direttiva Ue sulle case green è appena stata bloccata… almeno per il momento – nota di conoscenze al confine).

La scienza non è un culto idolatrico che impone dogmi da rispettare in nome di teorie mai dimostrate.

La scienza è, o almeno dovrebbe essere, confronto.

Se nel dibattito si desse il giusto peso a scienziati come “Scafetta” e “Zarkhova”, che mostrano come i cambiamenti climatici in atto siano naturali e che quindi l’uomo non possa far altro che adattarvisi, il problema del clima potrebbe cambiare radicalmente natura:

dalla colpevolizzazione delle attività antropiche si passerebbe alla ricerca del miglior modo per adattarsi e sopravvivere al cambiamento.

Invece di utilizzare enormi risorse per tentare (invano) di ridurre la produzione globale di CO2, si potrebbe investire sulla messa in sicurezza del territorio per prevenire il dissesto idrogeologico, sulla manutenzione della rete di distribuzione dell’acqua (che in Italia si disperde in gran parte) per fronteggiarne la scarsità, sugli allevamenti non intensivi, che migliorano le condizioni di vita degli animali e la qualità delle produzioni, sulle ristrutturazioni delle facciate dei palazzi delle nostre città, così da renderle più belle anziché farne agglomerati di edifici anonimi inscatolati in involucri (spesso orrendi) di materiale isolante.

Si tratterebbe di un programma di investimenti pubblici che offrirebbe lavoro e ricchezza ai cittadini, nulla a che vedere con i progetti di chi abbraccia l’Agenda 2030 e propugna, naturalmente a “vantaggio” del prossimo, il mantra “non avrai nulla e sarai felice”.

Una chiosa finale un po’ maliziosa:

 qualcuno particolarmente curioso potrebbe chiedersi come mai proprio adesso a Bruxelles e nei circoli “che contano” ci sia una gran fretta di attuare questa fantomatica agenda entro il 2030.

Ora, sarà certamente una combinazione ma si dia il caso che i modelli matematici basati sui cicli solari, quelli studiati da scienziati come “Scafetta” e “Zarkhova” tanto per capirsi, prevedono che l’innalzamento delle temperature durerà fino al 2030, dopo di che dovrebbe seguire almeno un decennio di raffreddamento per tutto il nostro pianeta.

Forse che la finestra da sfruttare per conseguire certi obiettivi stia davvero cominciando a chiudersi?

Chissà.

L’unica cosa certa è la massima che ripeteva spesso e volentieri una vecchia volpe scomparsa qualche annetto fa:

“A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina.”

(Massimiliano Cioffi)

(proitalia.org/articoli/rivoluzione-eco-illogica)

 

 

 

 

Il cambiamento climatico

provoca guerre in tutto il mondo.

Greenreport.it – Redazione - (30 Ottobre 2023) – Richard J. Rogers – Moneim Adam – ci dicono:

 

Modificare lo “Statuto di Roma” per includere il “reato internazionale di ecocidio”.

Richard J Rogers direttore esecutivo di Climate Counsel e  Moneim Adam direttore del Sudan Human Rights  hanno scritto la lettera aperta “Analysing Climate Security and Prosecuting Environmental Atrocity Crimes:

Opportunities for the Prosecutor of the International Criminal Court”, inviata a “Karim Khan”, Procuratore capo della Corte penale internazionale (ICC) e sostenuta da Sudanese Lawyers for Justice, Sudanese Center for Legal Aid, Darfur Bar Association, Darfur Network for Monitoring and Documentation, Darfur IDPs and Refugees Coordination Body e Human Rights and Advocacy Network for Democracy.

 

Roger e Adam spiegano che «La lettera aperta riguarda due questioni distinte ma correlate: il cambiamento climatico come motore del conflitto (“sicurezza climatica”) e i crimini di atrocità ambientale come conseguenza del conflitto».

La sicurezza climatica si riferisce ai vari rischi per la sicurezza globale indotti, direttamente o indirettamente, dai cambiamenti nei modelli climatici.

 L’idea generale è che alcuni effetti del cambiamento climatico potrebbero esacerbare i rischi esistenti che già mettono in pericolo la sicurezza umana e/o crearne di nuovi.

 Il termine “crimini di atrocità ambientali” è utilizzato per indicare casi di crimini di guerra o crimini contro l’umanità commessi mediante, o che danno come risultato, sgombero forzato illegale, sfruttamento delle risorse o grave degrado o distruzione dell’ambiente naturale.

Secondo lo Statuto di Roma, in quanto crimini di guerra, possono includere, ad esempio, casi di bombardamento indiscriminato o di danni eccessivi all’ambiente naturale e – fino alla guerra di Gaza – Sudan e Ucraina erano i casi attualmente più pertinenti, ma, in quanto crimini contro l’umanità, possono includere casi in cui i crimini vengono commessi nel contesto di un danno ambientale di massa.

Come evidenzia “Katie Surma”  su “Inside Climate News”, «Siccità, inondazioni e condizioni meteorologiche estreme stanno provocando e amplificando conflitti violenti in tutto il mondo.

Allo stesso tempo, la guerra ha devastato gli ecosistemi, messo in pericolo l’accesso a risorse vitali e lasciato dietro di sé eredità tossiche che fanno ammalare le popolazioni civili».

Gli esempi, oltre al Darfur e all’Ucraina non mancano.

Nel bacino del Lago Ciad, la siccità e le condizioni meteorologiche estreme hanno fatto aumentare la povertà tra le comunità agricole, favorendo il reclutamento dei giovani in gruppi armati jihadisti come Boko Haram.

In Afghanistan, 40 anni di guerra quasi continua – pur con diversi attori e invasori – hanno distrutto il territorio e scatenato conflitti per i diritti fondiari, l’acqua e altre risorse naturali, mentre l’inquinamento causato dalle operazioni militari ha fatto ammalare le popolazioni civili dilaniate dalla guerra.

 La terribile guerra nella più grande prigione a cielo aperto del mondo, Gaza, viene combattuta da Israele anche usando l’acqua e l’energia in un’area che è la più colpita al mondo per il depauperamento delle risorse naturali dovute al cambiamento climatico che ha innescato anche l’infinita guerra in Siria.

Negli ultimi anni, la “Procura dell’ICC “ha ricevuto almeno 5 richieste che invitavano il pubblico ministero a indagare su presunti crimini contro l’umanità che comportavano danni ambientali, come in Cambogia e Brasile.

Lo Statuto di Roma non elenca esplicitamente la distruzione ambientale come un atto di crimini contro l’umanità, ma gli studiosi di diritto sostengono che l’Ufficio del Procuratore ha l’autorità di perseguire i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra che comportano la distruzione ambientale.

 Da quando il tribunale ha iniziato ad operare nel 2002, né Khan né i suoi due predecessori hanno perseguito alcun crimine ambientale.

Il “Comitato Internazionale della Croce Rossa”, l’”Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa”, la “NATO” e una serie di organismi dell’”Onu”, compreso il “Consiglio di Sicurezza” e l’”United Nations environment programme” (Unep), hanno lanciato a vari livelli l’allarme sul fatto che il cambiamento climatico, pur non essendo ancora una causa di guerra in sé e per sé, sta rendendo più probabile la violenza su larga scala in tutto il mondo e peggiorando i conflitti esistenti.

Nella lettera aperta si legge che «Entrambe le questioni sono direttamente rilevanti per il lavoro della Corte penale internazionale. Un’opportunità per l’ufficio del Procuratore (“OTP”) in generale, e per la situazione nel Darfur, in Sudan, in particolare.

 Inoltre, con il suo mandato, le sue risorse e le sue competenze, l’OTP è in una posizione unica per promuovere

 (i) una migliore comprensione di come il cambiamento climatico influisce sui crimini di massa, raccogliendo dati pertinenti, e

 (ii) la prevenzione dei crimini di atrocità ambientale, perseguendo i più responsabili. Eppure, nonostante le chiare opportunità, i suoi predecessori all’OTP hanno ampiamente ignorato entrambe le questioni».

La lettera aperta ricorda che per quanto riguarda la sicurezza climatica:

 «Il cambiamento climatico è ora riconosciuto come un moltiplicatore di minacce per la pace e la sicurezza internazionali:

aumenta la probabilità di conflitti violenti e crimini atroci che rientrano nella giurisdizione della Corte penale internazionale.

 In effetti, quasi ogni crisi geopolitica sulla terra è oggi segnata, in un modo o nell’altro, da conflitti ambientali».

Già nel 2017, l’ex Segretario generale dell’Onu “Ban Ki-Moon” descrisse la guerra nel Darfur come «una crisi ecologica, derivante almeno in parte dal cambiamento climatico»

 e per Roger e Adam: 

«E’ un esempio ovvio (ma non eccezionale) di un conflitto causato in parte dal cambiamento climatico e modifica;

 i crimini derivanti da quel conflitto che includono il genocidio.

Mentre la terra diventa più calda, il Darfur potrebbe essere un presagio di cose a venire.

 In questo contesto, una maggiore comprensione dell’interconnessione tra riscaldamento globale, conflitti e crimini di massa aiuterà i governi e l’Onu a prepararsi alle atrocità e a prevenirle.

 Esaminando le questioni relative alla sicurezza climatica nell’ambito delle sue indagini, l’OTP può contribuire in modo sostanziale a questo processo e collocare la sua analisi dei crimini nel contesto adeguato».

 

Nel Darfur i combattimenti iniziarono nel 2003, quando le forze governative sudanesi e le milizie loro alleate si scontrarono con i gruppi ribelli, spingendo il Consiglio di sicurezza dell’Onu a presentare il suo primo caso alla Corte penale internazionale.

 Dal 2005, il pubblico ministero dell’ICC indaga su accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità che comportano uccisioni di massa, sfollamenti forzati, stupri e altri attacchi diffusi contro i civili.

Dopo la fine nel 2019 della trentennale dittatura di “Omar al-Bashir”, il Sudan sembrava avviato verso la democrazia, ma prima ci sono stati un paio di golpe militari che hanno impedito la transizione e, a metà aprile di quest’anno, è scoppiata la guerra tra l’esercito e le milizie della Rapid Support Force (RSF) che erano state sue alleate sia nel Darfur che nei golpe.

In 6 mesi, i combattimenti hanno provocato milioni di sfollati e ucciso circa 9.000 persone.

A luglio, Khan ha annunciato che il suo ufficio stava indagando su nuove accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella regione.

Khan ha detto al “Consiglio di Sicurezza dell’Onu” che «Secondo ogni analisi, non siamo sull’orlo di una catastrofe umana, ma nel bel mezzo di essa» e ha assicurato che il suo ufficio stava esaminando le accuse riguardanti saccheggi, incendi di case e omicidi, compresa la strage di 87 persone a Masalit da parte delle RSF e dei suoi alleati nel Darfur occidentale.

Anche se la sanguinosa guerra civile in corso da mesi in Sudan – che impallidisce rispetto a quanto successo in poche settimane a Gaza e nei kibbutz israeliani vicini – sia una lotta di potere, i gruppi per i diritti umani della società civile sudanesi dicono che gli impatti climatici – siccità, desertificazione, aumento delle temperature e scarsità d’acqua – sono una causa principale e un amplificatore della violenza.

 

Per quanto riguarda i crimini ambientali atroci, la lettera aperta evidenzia che «Gravi instabilità e conflitti armati spesso comportano crimini atroci che provocano un grave degrado o distruzione dell’ambiente naturale».

Come ha già fatto notare lo stesso OTP,

«I reati commessi mediante, o che comportano, tra l’altro, la distruzione dell’ambiente, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali o l’esproprio illegale dei terreni hanno un impatto particolarmente significativo sulle comunità locali».

 

La lettera aperta sottolinea che

 «In Sudan, i gruppi armati che cercano di trarre profitto dall’estrazione illegale dell’oro avvelenano il suolo e le fonti idriche di intere comunità con mercurio e cianuro;

in Ucraina le forze russe hanno distrutto la diga di Kakhovka, allagando vaste aree di terreno fertile.

Sebbene lo Statuto di Roma fornisca un quadro giuridico per perseguire i crimini ambientali sia in tempo di pace che nei conflitti armati, l’OTP non ha perseguito un solo caso in tutta la sua esistenza.

 Con l’intensificarsi dei fattori climatici e il moltiplicarsi dei crimini ambientali atroci, è necessaria un’azione urgente.

 Esortiamo l’OTP a iniziare a fare pieno uso dei suoi poteri ai sensi dello Statuto di Roma per analizzare i fattori climatici e dare priorità al perseguimento dei crimini di atrocità ambientale rispetto a tutte le situazioni, compreso il Darfur».

 

Roger e Adam e le organizzazioni che li appoggiano raccomandano al Procuratore capo dell’ICC di prendere le seguenti iniziative:

 a.) Nominare un esperto interno di sicurezza climatica (consulente speciale) per valutare l’impatto del cambiamento climatico sul carico di lavoro dell’ICC;

 b.) rivalutare, rivedere ed espandere le attuali politiche dell’OTP e i metodi investigativi per includere un approccio forense basato sulla sicurezza climatica;

c.) in ciascun caso rilevante, presentare prove che dimostrino come le questioni legate alla sicurezza climatica siano rilevanti per i crimini perseguiti;

d.) dare priorità al perseguimento dei crimini di atrocità ambientale, in linea con la politica dell’OTP del 2016 sulla selezione e la definizione delle priorità dei casi;

e.) sostenere pubblicamente la modifica dello Statuto di Roma per includere il reato internazionale di “ecocidio”.

 

L’ufficio di Kahn alla Corte penale internazionale dell’Aia non risponderà alla lettera aperta, ma in una dichiarazione scritta ha affermato che l’ufficio sta preparando una nuova politica sui crimini ambientali e che

 «Questa politica elaborerà il modo in cui l’Ufficio utilizzerà la propria giurisdizione per affrontare i danni ambientali che si verificano nel contesto dei crimini dello Statuto di Roma».

 

Inoltre, la dichiarazione dell’”ICC” afferma che

 «La nuova politica non si limiterà al danno ambientale commesso come crimine di guerra, già elencato nello Statuto di Roma, ma esplorerà anche come altri crimini previsti dallo Statuto di Roma possano essere commessi attraverso o dando come risultato un danno ambientale».

 

 

Gas serra.

It.wikipedia.org – (29 luglio 2019) – Enciclopedia Libera – Redazione – ci dice:

 

(…)

ANIDRIDE CARBONICA (Co2).

(…) Anidride carbonica.

 

Assorbimento della radiazione solare infrarossa da parte dell'anidride carbonica.

L'anidride carbonica, la cui molecola ha formula CO2, è responsabile per il 5-20% (la teoria più accreditata è il 15%) dell'”effetto serra naturale” ed interagisce con l'atmosfera per cause naturali e antropiche.

I serbatoi naturali della CO2 sono gli oceani, i sedimenti fossili, la biosfera terrestre, l'atmosfera.

 Gran parte dell'anidride carbonica degli ecosistemi viene immessa nell'atmosfera.

Un certo numero di organismi ha la capacità di assimilare la CO2 atmosferica.

 Il carbonio, così, grazie alla fotosintesi delle piante, che combina l'anidride carbonica e l'acqua in presenza dell'energia solare, entra nei composti organici e quindi nella catena alimentare, ritornando infine all'atmosfera attraverso la respirazione.

Si possono individuare delle variazioni annuali della concentrazione di CO2 atmosferica.

 Durante l'inverno si verifica un aumento della concentrazione dovuto al fatto che nelle piante a foglia caduca prevale la respirazione;

 mentre durante l'estate la concentrazione di CO2 atmosferica diminuisce per l'aumento totale della fotosintesi.

Gli oceani hanno un ruolo fondamentale nel bilancio del carbonio, costituiscono una vera e propria riserva di carbonio sotto forma di ione bicarbonato e contengono quantità enormi di CO2, fino al 79% di quella naturale:

 gli oceani possono rilasciare o assorbire CO2 in quanto è solubile in acqua. L'incremento di temperatura dell'acqua diminuisce la solubilità del biossido di carbonio, pertanto l'aumento della temperatura degli oceani sposta CO2 dal mare all'atmosfera, mentre una diminuzione fa avvenire il contrario.

Gli oceani assorbendo così la CO2 atmosferica mantengono bassa la sua concentrazione;

se la concentrazione tendesse ad abbassarsi, gli oceani potrebbero liberare anidride carbonica svolgendo un ruolo di equilibratori.

Questo bilancio naturale, in assenza di attività antropica, in prima approssimazione, è sempre in pareggio.

 Esso coinvolge valori di emissioni e assorbimenti maggiori alle emissioni antropiche.

Tuttavia, per quanto piccole rispetto al totale, le emissioni antropiche sono sufficienti a squilibrare l'intero sistema.

L'anidride carbonica si va così accumulando nell'atmosfera, in quanto i processi di assorbimento da parte dello strato rimescolato dell'oceano non riescono a compensare del tutto il flusso entrante di carbonio.

 Le emissioni legate all'attività umana sono dovute all'uso di energia fossile, ossia petrolio, carbone e gas naturale;

e la restante parte dovuta a fenomeni di deforestazione e cambiamenti d'uso delle superfici agricole.

 Il contributo della deforestazione è peraltro molto incerto, ed oggi al centro di molti dibattiti:

le stime indicano valori compresi tra un massimo di 2 ad un minimo di 0,6 GtC/anno.

 L'ammontare equivalente di CO2 si ottiene moltiplicando per 44/12.

Per quanto concerne la persistenza media in anni della CO2 in atmosfera, l'IPCC considera un intervallo compreso tra i 50 e i 200 anni che, dipende sostanzialmente dal mezzo di assorbimento.

(Ma i mezzi di assorbimento della Co2 non possono- alla fine- avere un peso superiore a quello dell’atmosfera. Infatti la Co2 di per sé ha un peso superiore a quello dell’atmosfera, se poi il mezzo di assorbimento aggiunge un ulteriore peso non vedo proprio come sia possibile volare uniti nell’alto del cielo! N.D.R.)

Analizzando i dati globali sulle emissioni di CO2, risulta evidente che alcuni Paesi hanno un impatto maggiore rispetto ad altri.

Attualmente, i Paesi che emettono la maggiore quantità di CO2 sono la Cina, gli Stati Uniti e l'India, in quest'ordine.

Se si considera invece la quantità complessiva di CO2 emessa in atmosfera nel corso della storia, il quadro cambia.

Gli Stati Uniti sono in testa alla lista, seguiti dalla Cina e dalla Russia.

Infine, se si esamina l'impatto delle emissioni di CO2 in rapporto alla popolazione, ossia si valuta la quantità di CO2 prodotta per abitante, le nazioni che risaltano sono il Qatar, il Bahrein e il Kuwait.

 

 

 

 

L'IPCC aggiorna la metodologia

per gli inventari dei gas serra.

Ipcc.ch – 18 maggio 2019 – Redazione – ci dice:

 

INGAGGIARE.

Esistono molti modi per collaborare con l’IPCC.

 

SAPERNE DI PIÙ.

KYOTO, Giappone, 13 maggio – Il “Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici” (IPCC) ha pubblicato lunedì un aggiornamento della metodologia utilizzata dai governi per stimare le emissioni e gli assorbimenti di gas serra.

I governi sono tenuti a segnalare i propri inventari nazionali di gas serra – comprendenti stime delle emissioni e degli assorbimenti di gas serra – alla “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” (UNFCCC), anche nell’ambito di processi come il “Protocollo di Kyoto” e l’”Accordo di Parigi”.

 

La metodologia aggiornata dell’IPCC migliora questo processo di trasparenza e rendicontazione garantendo che la metodologia utilizzata per determinare questi inventari sia basata sulla scienza più recente.

Il nuovo rapporto, il Perfezionamento del 2019 delle Linee guida IPCC del 2006 sugli inventari nazionali dei gas a effetto serra (2019 Refinement) , è stato preparato dalla Task Force dell'IPCC sugli inventari nazionali dei gas a effetto serra (TFI).

Una sessione plenaria del Gruppo IPCC a Kyoto, in Giappone, ha adottato il capitolo riassuntivo del rapporto e ha accettato il rapporto principale.

“Il perfezionamento del 2019 fornisce una base scientifica aggiornata e solida per supportare la preparazione e il miglioramento continuo degli inventari nazionali dei gas serra”, ha affermato Kiyoto Tanabe, copresidente della TFI.

Il Perfezionamento del 2019 fornisce metodologie supplementari per stimare le fonti che producono emissioni di gas serra e i pozzi che assorbono tali gas.

 Affronta inoltre le lacune scientifiche identificate, le nuove tecnologie e i processi di produzione emersi, o le fonti e i pozzi che non erano inclusi nelle Linee guida IPCC del 2006.

 

Fornisce inoltre valori aggiornati di alcuni fattori di emissione utilizzati per collegare l'emissione di un gas serra per una particolare fonte alla quantità di attività che causa l'emissione.

 Vengono forniti aggiornamenti laddove gli autori identificano differenze significative rispetto ai valori delle Linee guida IPCC del 2006.

Oltre 280 scienziati ed esperti hanno lavorato al perfezionamento del 2019 per produrre numerose modifiche alle linee guida generali e alle metodologie per quattro settori:

energia; processi industriali e utilizzo dei prodotti; agricoltura, silvicoltura e altri usi del territorio; e rifiuti.

“I nostri autori hanno esaminato un’ampia gamma di metodologie di inventario e le hanno aggiornate laddove i progressi scientifici e le nuove conoscenze lo hanno reso necessario, a seguito della decisione dell’IPCC”, ha affermato Eduardo Calvo, copresidente della TFI.

Le Linee Guida IPCC del 2006 continuano a fornire una base metodologica tecnicamente solida per la misurazione degli inventari nazionali dei gas serra.

 Il Perfezionamento del 2019 li aggiorna, li integra e li elabora laddove gli autori hanno individuato lacune o dati scientifici non aggiornati. Il perfezionamento del 2019 deve essere utilizzato insieme alle linee guida IPCC del 2006.

La riunione degli organi sussidiari dell'UNFCCC nel giugno 2019 fornirà una prima opportunità ai governi dell'UNFCCC di ricevere e rivedere la metodologia aggiornata e determinare il percorso migliore verso l'attuazione del perfezionamento del 2019.

“Il perfezionamento del 2019 intende fornire una base scientifica aggiornata per supportare la preparazione degli inventari nazionali dei gas serra.

Vorrei ringraziare gli autori del Perfezionamento del 2019 per la loro dedizione e il lavoro diligente nell’aggiornamento di questa metodologia, che fornisce la trasparenza vitale per gli sforzi internazionali volti ad affrontare i pericolosi cambiamenti climatici”, ha affermato il presidente dell’IPCC Hoesung Lee.

La 49a sessione dell'IPCC a Kyoto si è occupata anche di altri temi, tra cui l'esame di un rapporto del Task Group dell'IPCC sul genere.

(Ufficio stampa IPCC, e-mail: ipcc-media@wmo.int)

 

 Note per gli editori.

A proposito dell'IPCC.

Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) è l’organismo delle Nazioni Unite preposto alla valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici.

È stato istituito nel 1988 dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UN Environment) e dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) per fornire ai policy maker valutazioni scientifiche periodiche riguardanti il ​​cambiamento climatico, le sue implicazioni e i potenziali rischi futuri, e per proporre strategie di adattamento e mitigazione. Ha 195 Stati membri.

Le valutazioni dell’IPCC forniscono ai governi, a tutti i livelli, informazioni scientifiche che possono utilizzare per sviluppare politiche climatiche.

Le valutazioni dell’IPCC rappresentano un input chiave nei negoziati internazionali per affrontare il cambiamento climatico.

 I rapporti dell’IPCC vengono redatti e revisionati in più fasi, garantendo così obiettività e trasparenza.

L’IPCC valuta le migliaia di articoli scientifici pubblicati ogni anno per informare i politici sullo stato delle conoscenze sui cambiamenti climatici.

 L’IPCC identifica dove c’è accordo nella comunità scientifica, dove ci sono differenze e dove sono necessarie ulteriori ricerche.

Non conduce ricerche proprie.

Per produrre i suoi rapporti, l’IPCC mobilita centinaia di scienziati.

Questi scienziati e funzionari provengono da contesti diversi. Solo una dozzina di dipendenti permanenti lavorano nel segretariato dell'IPCC.

 

L'IPCC ha tre gruppi di lavoro:

Gruppo di lavoro I (le basi scientifiche e fisiche del cambiamento climatico); Gruppo di Lavoro II (impatti, adattamento e vulnerabilità);

e Gruppo di Lavoro III (mitigazione del cambiamento climatico).

Dispone inoltre di una task force sugli inventari nazionali dei gas serra che sviluppa metodologie per la stima delle emissioni di origine antropica e della rimozione dei gas serra.

Tutti questi sono supportati da unità di supporto tecnico che guidano la produzione dei rapporti di valutazione dell’IPCC e di altri prodotti.

I rapporti di valutazione dell’IPCC consistono nei contributi di ciascuno dei tre gruppi di lavoro e in un rapporto di sintesi.

 I rapporti speciali intraprendono una valutazione più breve di specifiche questioni interdisciplinari che di solito abbracciano più di un gruppo di lavoro.

Metodologie IPCC

I gas serra sono gas presenti nell'atmosfera come vapore acqueo, anidride carbonica, metano e protossido di azoto che possono assorbire la radiazione infrarossa, intrappolando il calore nell'atmosfera.

 Questo effetto serra significa che le emissioni di gas serra dovute alle attività umane causano il riscaldamento globale.

Le valutazioni dell’IPCC hanno rilevato che negli scenari che affrontano il cambiamento climatico, le emissioni di gas serra diminuiscono drasticamente e i governi hanno concordato che tali emissioni dovrebbero raggiungere un picco e diminuire rapidamente.

Questi accordi richiedono informazioni sulle emissioni nette dei paesi partecipanti: emissioni meno assorbimenti.

Le emissioni possono derivare da diverse attività come la combustione di combustibili per produrre energia, processi industriali, alcune attività agricole e la deforestazione.

Le emissioni di gas serra possono anche essere rimosse dall’atmosfera da alberi e altre piante e mediante tecniche industriali di rimozione dell’anidride carbonica.

La Task Force dell'IPCC sugli inventari nazionali dei gas a effetto serra (TFI) sviluppa e perfeziona una metodologia e un software concordati a livello internazionale per il calcolo e la rendicontazione delle emissioni e degli assorbimenti nazionali di gas a effetto serra e incoraggia l'uso di questa metodologia da parte dei paesi partecipanti all'IPCC e delle parti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC).

Le parti dell'UNFCCC segnalano regolarmente le emissioni e gli assorbimenti di gas serra all'UNFCCC.

 Comunicando informazioni sulle emissioni di gas serra e sulle azioni per ridurle, questo sistema di trasparenza e rendicontazione aiuta le parti a comprendere le ambizioni e i progressi nell’azione per il clima.

Questa metodologia include la formulazione di fattori di emissione utilizzati per collegare l'emissione di un gas serra per una particolare fonte alla quantità di attività che causa l'emissione.

 

La TFI ha prodotto diversi rapporti metodologici, a partire da una serie di linee guida nel 1994.

Queste sono state sostituite dalle linee guida IPCC riviste del 1996 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra.

 La metodologia attuale è costituita dalle Linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra.

 Questo è stato integrato con i metodi supplementari rivisti del 2013 e la guida alle buone pratiche derivanti dal protocollo di Kyoto e il supplemento del 2013 alle linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra: zone umide.

Un elenco completo dei rapporti metodologici dell'IPCC è disponibile.

Perfezionamento del 2019.

Nell'agosto 2014 l'Ufficio di presidenza della TFI (TFB) ha concluso che le linee guida IPCC del 2006 forniscono una base metodologica tecnicamente solida per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra.

Tuttavia, per mantenere la loro validità scientifica, potrebbero essere necessari alcuni perfezionamenti, tenendo conto dei progressi scientifici e tecnici sufficientemente maturati dal 2006.

A seguito delle conclusioni della TFB, la TFI ha effettuato una valutazione tecnica delle linee guida sull’inventario dell’IPCC attraverso un questionario online e quattro riunioni di esperti nel 2015 e nel 2016.

Questa valutazione ha mostrato che dal 2006 sono state pubblicate numerose nuove conoscenze scientifiche ed empiriche, di cui l’IPCC dovrebbe tenere conto, in particolare per quanto riguarda i dati sullo sviluppo dei fattori di emissione per alcune categorie e gas.

Nella sua 43a sessione nell'aprile 2016, il Gruppo ha deciso di aggiornare le proprie metodologie attraverso un affinamento delle Linee guida IPCC del 2006 al fine di assistere tutte le parti dell'UNFCCC nella preparazione e nel miglioramento continuo dei loro inventari nazionali di gas serra garantendo che siano supportati dalla scienza migliore e più recente disponibile.

Nell'agosto 2016 si è tenuta una riunione esplorativa per la relazione metodologica.

Nella sua 44a sessione dell'ottobre 2016, il Gruppo di esperti scientifici ha approvato lo schema del perfezionamento del 2019 delle linee guida IPCC del 2006 per gli inventari nazionali dei gas a effetto serra, composto da un unico rapporto metodologico comprendente un capitolo di panoramica e cinque volumi seguendo il formato dell'IPCC del 2006. Linee guida per gli inventari nazionali dei gas serra.

 

Il perfezionamento del 2019 copre tutti i settori dell’inventario dell’IPCC, ma i perfezionamenti sono inclusi solo per quelle categorie in cui si ritiene che la scienza sia sufficientemente avanzata dal 2006 o in cui siano necessarie linee guida nuove o aggiuntive.

Il Perfezionamento del 2019 è stato preparato da oltre 280 scienziati ed esperti provenienti da 47 paesi.

Informazioni sul sesto ciclo di valutazione.

 

Nella sua 41a sessione, nel febbraio 2015, l'IPCC ha deciso di produrre un sesto rapporto di valutazione (AR6).

 Nella sua 42a sessione, nell'ottobre 2015, ha eletto un nuovo Ufficio di presidenza che supervisionerà il lavoro su questo rapporto e sui rapporti speciali da produrre nel ciclo di valutazione.

Nella sua decisione sull’adozione dell’Accordo di Parigi, la Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) ha invitato l’IPCC a fornire nel 2018 un rapporto speciale sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali e dei relativi percorsi globali di emissione di gas serra.

Nella sua 43a sessione dell'aprile 2016, l'IPCC ha accettato l'invito dell'UNFCCC e ha deciso di produrre altri due rapporti speciali, un rapporto metodologico e l'AR6.

Riscaldamento globale di 1,5°C, rapporto speciale dell’IPCC sugli impatti del riscaldamento globale di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali e sui relativi percorsi globali di emissione di gas serra, nel contesto del rafforzamento della risposta globale alla minaccia del cambiamento climatico, sostenibilità sviluppo e sugli sforzi per sradicare la povertà è stato pubblicato l’8 ottobre 2018.

Oltre al Perfezionamento del 2019, l’IPCC metterà a punto due Rapporti Speciali nel 2019:

Cambiamenti climatici e territorio, un rapporto speciale dell'IPCC su cambiamenti climatici, desertificazione, degrado del territorio, gestione sostenibile del territorio, sicurezza alimentare e flussi di gas serra negli ecosistemi terrestri nell'agosto 2019.

Rapporto speciale sull'oceano e la criosfera in un clima che cambia nel settembre 2019.

I contributi dei tre gruppi di lavoro all'AR6 saranno pubblicati nel 2021 e il rapporto di sintesi AR6 sarà finalizzato nella prima metà del 2022.

(…)

 Da:  l’indiscreto del  07/05/2021 -Philippe Pelletier -tratto dal suo libro  “Clima, Capitalismo verde e Catastrofismo”.

Geopolitica del clima:

gli interessi politici ed economici dietro la crisi climatica.

(…)

La creazione dell’Ipcc (1988).

In occasione del g7 del 1988, la creazione dell’Ipcc come «gruppo intergovernativo», e non come organizzazione di esperti in climatologia, è sostenuta con forza da due personalità politiche europee: Jacques Delors e, soprattutto, Margaret Thatcher.

Il primo ministro britannico dell’epoca vuole prendere due piccioni con una fava: sbarazzarsi delle miniere di carbone britanniche, con i loro sindacati troppo radicali, e al contempo promuovere l’industria nucleare nazionale. Grande opportunista, vede nell’ipotesi del riscaldamento globale – che in seguito contesterà quando i giacimenti petroliferi del Mare del Nord si riveleranno più redditizi – un buon mezzo per aumentare la popolarità della propria linea politica, e tutto per una buona causa: salvare il pianeta.

 

Nel settembre 1988, al cospetto della Royal Society, sostiene perciò che «ci viene annunciato che un riscaldamento di un grado oltrepasserebbe ampiamente la capacità di adattamento del nostro habitat. Un riscaldamento del genere potrebbe accelerare la fusione dei ghiacci e aumentare il livello del mare di parecchi piedi». Il discorso politico catastrofista viene quindi introdotto una decina di anni prima di Al Gore, e con lo stesso riferimento cripto-religioso al Diluvio…

Il governo Thatcher avanza immediatamente la richiesta al “Met Office”, l’ufficio meteorologico britannico, di costituire quello che sarà denominato “Hadley Centre for Climate Prediction and Research, un istituto che avrà il compito di elaborare modellizzazioni e valutare le possibili conseguenze dell’emissione industriale di co2.

 Il centro viene aperto il 25 maggio 1990, e sir John Theodore Houghton (1931-2020), all’epoca direttore generale del Met Office, diventa presidente del gruppo di lavoro scientifico in seno all’Ipcc.

Ritorneremo più avanti sulla militanza evangelica di Houghton; per ora basti notare che nel 2000 diventerà membro della “Fondazione Shell”.

 

Jacques Delors, da parte sua, rappresenta l’Unione Europea presso il g7, mentre François Mitterrand partecipa per conto della Francia. Delors è un importante uomo politico di un paese, come la Francia, fortemente impegnato nel nucleare. Come abbiamo visto, questo socialdemocratico-cristiano è stato anche membro del gruppo ecologista Diogène (1970-1973), fondato da Denis de Rougemont.

 

Gli scienziati statunitensi abbracciano quasi immediatamente l’idea di base dell’Ipcc, con il suo discorso predefinito.

Il più noto fra loro è James Edward Hansen (nato nel 1941), informatico, laureato in fisica e astronomia, estremamente attivo.

All’epoca direttore del Goddard Institute for Space Studies, una sezione della nasa allora in deficit di credito, Hansen è alla ricerca di una nuova causa.

Non è affatto un climatologo, ma il suo lavoro precedente sull’atmosfera di Venere lo ha sensibilizzato alla questione grazie a una lunga e complessa polemica scientifica sulla natura dell’atmosfera venusiana andata avanti per tutti gli anni Sessanta e Settanta.

Per contro è un fautore della modellizzazione colui che ha ispirato Stephen Schneider nella sua diagnosi di un «raffreddamento globale».

 

Fra l’altro Hansen è amico di Al Gore, vicepresidente americano dal 1993 al 2001, il quale lancia al galoppo il cavallo catastrofista e apocalittico, in sintonia con le sue credenze evangeliche, grazie al libro e al film “Una scomoda verità”.

Per convincere i leader politici, e quindi i cittadini, della validità delle sue tesi sul riscaldamento globale, Hansen mette a segno un colpo da maestro: il giorno in cui presenta le sue teorie davanti al senato americano – il 23 giugno 1988 – fa un caldo soffocante e oltretutto il condizionamento della sala dell’audizione non funziona adeguatamente.

E così, dato che Hansen e Gore hanno battuto la gran cassa per annunciare una seduta eccezionale nel corso della quale ci sarebbero state rivelazioni scioccanti, i rappresentanti dei media non si sono mossi invano… La via è ormai imboccata.

Ospite abituale di convegni scientifici e di trasmissioni televisive, il discorso catastrofista di Hansen sul riscaldamento globale causato dalle emissioni umane di Co2 vede un crescendo inarrestabile.

Si tratta di «salvare l’umanità» pensando ai nostri «nipoti», come recita il titolo di uno dei suoi libri.

Nel 2007 non esita a paragonare i convogli di carbone ai «treni della morte». Coerentemente, chiede di «decarbonizzare l’elettricità» e di trovare nuove fonti di energia, il che lo porta a sostenere l’energia elettronucleare. In una conferenza al mit dell’aprile 2015 cita la Francia come esempio di una buona politica in questo settore.

 

Insomma, per chi vuol capire la situazione è chiarissima. Dobbiamo anche ricordare che l’ipcc non è un organismo scientifico anche se mobilita scienziati, che però sono ben lontani dall’essere climatologi e che spesso si occupano di modelli informatici.

Piuttosto, è un organo politico, come indica il suo nome in inglese («Intergovernmental Panel»), in francese («Groupe Intergouvernemental») o in italiano («Gruppo Intergovernativo»).

In altre parole, i suoi orientamenti sono soggetti alle forze politiche. Le implicazioni di questa situazione sono due: scientifiche e geopolitiche.

La «stretta» dell’Ipcc.

Nonostante le apparenze, che pure tendono ad attenuarsi, il rigore scientifico non è la virtù cardinale dell’Ipcc.

A questo proposito le critiche si moltiplicano, e un certo numero di castronerie cominciano a essere note: oltre alle già citate approssimazioni di Pachauri, possiamo citare il funzionamento opaco dell’istituzione, caratterizzato da una «stretta» sulle qualifiche scientifiche che appare quanto meno azzardata, se non palesemente manipolatoria.

Uno degli esempi più noti di questi «malfunzionamenti» è la frode commessa da Benjamin D. Santer (nato nel 1955) nel secondo rapporto Ipcc del 1995.

 Questo climatologo americano, laureato alla East Anglia University, era stato incaricato dai suoi due superiori gerarchici, John Houghton, responsabile del Gruppo i, e Bert Bolin, presidente dell’Ipcc, di curare, come autore principale, il capitolo 8 del rapporto, dedicato al riscaldamento globale.

 Una volta pronta la stesura finale del capitolo, Santer inserisce nella sintesi posta all’inizio del documento, l’unica destinata a essere letta da decisori e giornalisti, la seguente frase:

 «Le prove suggeriscono che sussiste una visibile influenza umana sul clima del pianeta».

Poiché questa frase contraddice quanto hanno scritto gli altri autori del rapporto tecnico, nel prosieguo del documento Santer semplicemente rimuove le frasi imbarazzanti.

Uno di questi autori censurati, Frederick Seitz (1911-2008), fisico, ex presidente della National Academy of Sciences americana, si accorge dell’abuso e rende pubblico il suo sdegno:

 «Oltre quindici passaggi del capitolo 8 sono stati cancellati o modificati dopo che gli autori avevano dato la loro approvazione ai testi da mandare in stampa. Nei miei sessant’anni di carriera nella comunità scientifica […], non ho mai visto una corruzione così sconvolgente come il processo che ha portato alla pubblicazione di questo rapporto Ipcc».

 Santer ribatte che, essendo la Ipcc un organo politico, non è soggetto alle procedure in vigore negli organismi scientifici… E Seitz ha buon gioco a concludere che «se la Ipcc non è in grado di seguire queste procedure di base, sarebbe meglio che scomparisse».

 

Un altro esempio: Paul Reiter, dell’Institut Pasteur, viene invitato dall’Ipcc a contribuire, in quanto esperto mondiale di malaria, al capitolo dedicato al potenziale impatto che questa può avere sulla salute umana (Gruppo ii), capitolo incluso nel secondo rapporto (1995).

Con sua grande sorpresa scopre che nessun altro esperto di malaria è tra gli autori che hanno contribuito allo stesso capitolo e che nessuno dei principali autori presenti ha mai scritto nulla al riguardo… Viceversa, scopre che due di loro sono dei noti attivisti ambientali.

A questo punto contesta apertamente anche la semplicità di alcune delle analisi pubblicate.

In particolare lo attesta con forza nel 2004 a Mosca, durante una riunione dell’Ipcc il cui l’obiettivo è quello di far aderire la Russia al Protocollo di Kyoto: solleva uno scandalo, ma in realtà non ci sono ulteriori conseguenze.

Si dimette allora dall’IpccA sua volta Nils-Axel Mörner, che ha insegnato geologia alla Stockholms Universitet per più di trent’anni e che ha inoltre presieduto la Commission of Sea Level Changes and Coastal Evolution (e quindi conosce tutti gli specialisti mondiali in materia), scopre con stupore che tra i ventidue «esperti» che si occupano della questione per il terzo rapporto dell’Ipcc (2001) solo uno di loro gli risulta noto…

Incuriosita dalle modalità di reclutamento degli esperti introdotte dall’Ipcc, la giornalista investigativa canadese “Donna La framboise” ha condotto un’indagine. E ha rilevato che più della metà dei contributi scientifici vengono esaminati, prima di essere convalidati, da persone che appartengono alla stessa organizzazione ambientalista dell’autore, in particolare il wwf, le cui origini ambigue sono già state ricordate.

In altre parole, la mano destra serve la mano sinistra, ed entrambe indicano la stessa direzione visto che il wwf è un forte sostenitore della teoria del riscaldamento globale.

 

Donna La framboise scopre anche che una delle autrici del rapporto del 1995 è una studentessa di venticinque anni, Sari Kovacs, che prima di quello non aveva mai pubblicato nulla.

Kovacs è poi diventata l’autore principale del rapporto del 2001 e ha partecipato alla stesura di quattro capitoli inclusi in quello del 2007… ovvero tre anni prima di completare nel 2010 la sua tesi di dottorato!

 

Ma tutto questo non sorprende più quando scopriamo che le principali ong ambientaliste (wwf, Friends of the Earth, Greenpeace…) partecipano alla scelta degli «esperti indipendenti» che redigono i rapporti Ipcc… E infatti, lo scenario climatico ancora più allarmista presente nel terzo rapporto dell’Ipcc (2001), che prevede un riscaldamento di 5,8 °C entro il 2100, una cifra ben memorizzata dai media, è scritto da un certo Sven Tesle che è ufficialmente il coordinatore internazionale di Greenpeace e scrive articoli per l’Associazione Europea dell’Industria Fotovoltaica (epia)…

 

Dall’Ipcc (1988) al Protocollo di Kyoto (1997) e alla carbon tax.

Il prevalere della politica sulla scienza all’interno dell’Ipcc non si traduce peraltro in un’armonia consensuale fra tutti gli Stati del mondo ma in un perenne rapporto di forza tra quelli che sono più potenti e che più finanziano.

In maniera simmetrica, ciò non implica una convergenza di interessi scientifici, economici e politici appunto perché il rapporto di forza si riproduce in ogni settore.

 

Il Protocollo di Kyoto (adottato nel 1997 e attuato nel 2005) è al tempo stesso punto fermo e punto critico: mira a ridurre le emissioni di Co2.

Mentre la Russia alla fine lo ha ratificato (nel 2004), gli Stati Uniti e l’Australia, che rappresentano circa un quarto di queste emissioni, si rifiutano di farlo.

 E il Canada si è ritirato nel 2006.

 

Oltre alle misure fiscali e normative, il protocollo stabilisce l’organizzazione di un mercato per i permessi sulle emissioni di Gas a Effetto Serra (gas) a livello aziendale o statale, sancito dalla conferenza di Buenos Aires (dicembre 2004). Fondamentalmente, il meccanismo è il seguente:

gli Stati ricevono diritti di emissione negoziati, che assegnano gratuitamente alle società interessate che operano nel loro territorio, ma chi non utilizza tutte le proprie quote può rivenderle al miglior offerente, in modo simile al funzionamento della borsa.

Come scrive Pascal Acot, «il nostro futuro climatico è nel cestino dei rifiuti».

Le aziende che superano le loro quote gas sono costrette a investire in tecnologie di produzione considerate più pulite oppure ad acquistare i diritti immessi sul mercato.

L’abbondanza di questi diritti fa scendere i loro prezzi, e così è più redditizio acquistarli piuttosto che investire in nuove tecnologie. Ancora una volta il mercato capitalista è lastricato di buone intenzioni…

 

Tra le altre cose, questo sistema significa che gli Stati e le aziende possono esportare il loro inquinamento, anche se sono previsti «meccanismi di sviluppo pulito».

Allo stesso modo in cui il capitale delocalizza le sue fabbriche e la sua forza lavoro per ottenere un «vantaggio sociale», così cerca altrove nuovi spazi e nuove popolazioni da intossicare.

Ma è per il bene del pianeta, no? Ci sono persone che ci credono!

Nicholas Stern è uno dei principali promotori di questa politica da gioco delle tre carte: ex capo economista della Banca Mondiale, Stern aderisce alla teoria del riscaldamento globale.

Per il momento, l’attore più potente nella battaglia politico-economica per il clima è il campo occidentale (Stati Uniti, Unione Europea, Giappone) che cerca di frenare l’emergere economico di nuove potenze.

 Il 20 agosto 2015, anche il Commissario europeo responsabile dell’«azione per il clima» (sic!), Miguel Arias Cañete, ha stigmatizzato, nell’ottica della cop21, un certo numero di paesi che «non fanno abbastanza sforzi» per ridurre i gas serra: come per un caso fortuito cita solo Cina, India, Turchia, Brasile e Sudafrica…

 

La battaglia fra idrocarburi, energia nucleare ed energie rinnovabili richiede investimenti massicci e costosi; sempre più massicci e sempre più costosi.

 Ma il capitale, tranne pochi audaci o visionari, non ama investire a fondo perduto e senza ottenere profitto.

Il suo storico copilota, lo Stato, è fortunatamente lì per aiutarlo: soprattutto perché i nuovi partiti ecologisti stanno spingendo in questa direzione, facendo affidamento su un elettorato della classe media ora convertito alla causa planetaria, a condizione che non si mettano in discussione la proprietà privata o il denaro.

Uno dei principali strumenti dello Stato, oltre alla pletora di regolamenti, norme e divieti di ogni genere, è la tassazione.

 Gli ambientalisti hanno quindi spinto l’idea di una «tassa sul carbonio», basandosi sull’idea molto diffusa di una «impronta del carbonio», che però è difficile da calcolare.

 Questo tipo di imposta è però ingiusto, come l’iva, a differenza dell’imposta sul reddito diretta e decrescente. Aumenta infatti la tassazione delle famiglie, già pesantemente tassate, soprattutto in tempi di recessione economica, e penalizza gli automobilisti ordinari più dei grandi inquinatori. I poveri devono quindi pagare come i ricchi, ma in una società in cui sono scomparse le classi, sostituite dalle «generazioni future», tutto ciò non pone alcun problema ideologico o politico.

L’idea alla base della «carbon tax» è anche quella di ridurre il parco veicoli, senza che sia garantito con certezza che sarà sostituito da un trasporto pubblico di pari qualità.

 Il lavoratore se la dovrà cavare… Il rilancio in Francia di questa idea, nell’autunno del 2018, è stato all’origine del forte movimento di protesta dei «gilet gialli», uno dei cui slogan è stato: «La fine del mese arriva prima della fine del mondo».

Durante la campagna presidenziale francese del 1973, il candidato ecologista René Dumont e, con lui, quasi tutti gli ecologisti, chiesero un notevole aumento del prezzo della benzina per far retrocedere l’automobile.

Quasi cinquant’anni più tardi non solo i prezzi della benzina sono aumentati a un livello che questi ecologisti non osavano immaginare, ma in giro non ci sono mai state così tante auto, né così tanto petrolio.

Lungi dal retrocedere, automobili e petrolio sono cresciuti e i profitti delle multinazionali del petrolio sono aumentati di pari passo.

Il principio del «chi inquina paga» è quindi completamente fuorviante. Le principali fonti di inquinamento sono esonerate, mentre l’individuo medio viene fatto sentire in colpa e riportato alle sue «scelte di consumo», come se la gamma delle sue possibilità fosse infinita, semplice, e si basasse solo sul suo comportamento libero e responsabile di “homo economicus” secondo il credo della filosofia liberale.

 

La geopolitica del Diluvio insulare.

I leader dei piccoli Stati insulari si sono resi conto che potevano usare politicamente la questione dell’innalzamento del livello del mare e del «cambiamento climatico» per negoziare con le grandi potenze.

Il loro approccio è comprensibile: provengono da paesi precedentemente colonizzati – spesso brutalmente, a volte in maniera più insidiosa (evangelizzazione) – e generalmente poveri.

Ma questa legittimità di comportamento non dovrebbe mascherare le relazioni di potere all’interno di quei paesi e nei confronti degli altri paesi, né impedire una corretta analisi dei fenomeni geofisici ed ecologici. Perché la strategia dei leader locali è in sostanza ottenere sussidi e un posto sulla scena mondiale.

 

Nel 1990, diversi piccoli Stati insulari si sono riuniti in un’associazione: l’Alliance of Small Island States (Oasis), che ha raggiunto i quarantaquattro membri nel 2018, di cui trentanove membri dell’ONU.

Questi Stati hanno colto la possibilità di giocare sull’allarmismo, ma al contempo sulla vittimizzazione e sul senso di colpa, soprattutto nei confronti dei paesi occidentali considerati responsabili del cambiamento climatico.

Secondo Jean-Christophe Gay, un geografo specializzato sulle isole dell’oceano Pacifico, «essi formano un bacino elettorale alle Nazioni Unite o in altri forum, e contrattano con gli altri paesi mettendo in campo i loro voti e le loro alleanze».

 

Tuvalu, paese entrato a far parte delle Nazioni Unite nel 2000, ha così riconosciuto l’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, due territori georgiani occupati dall’esercito russo. Nauru, un paese che è diventato membro delle Nazioni Unite nel 1999, ha fatto lo stesso nel 2009. Dopo Russia, Nicaragua e Venezuela, è il quarto Stato a stabilire relazioni con questi due paesi. Prima della visita del suo ministro degli Esteri, il suo governo avrebbe chiesto alla Russia un aiuto economico di 34 milioni di euro.

 

Secondo le autorità russe, Nauru avrebbe ricevuto aiuti internazionali in cambio del riconoscimento del Kosovo. Nel 2002, secondo quanto riferito, la Repubblica popolare cinese ha concesso un credito di 89 milioni di euro in cambio dell’annullamento del riconoscimento di Taiwan. Ma a causa del ritardo nell’adempimento della promessa, Nauru non si è allineato con Pechino.

 

Alle Kiribati, Anote Tong, presidente del paese dal 2003 al 2016, ama spiegare, sia all’estero che ai suoi concittadini, che l’arcipelago sarà inabitabile entro il 2050. Tra il 1994 e il 2014 gli aiuti allo sviluppo concessi alle Kiribati sono passati da 20 milioni di dollari a 142 milioni: «Un vero paradosso investire in un paese che sta per affondare»70. Ma, ancora una volta, un giornalista che dedica il suo articolo alle Kiribati ignora questo fatto e preferisce invece citare «la delegazione di Tuvalu a Copenhagen nel 2009 che gridò forte e chiaro: ‘Dai ascolto alle isole! Dai ascolto alle isole’».

Da parte loro, i grandi Stati stanno già speculando sulla scomparsa di alcune isole. Per questo usano una nuova categoria, quella dei «rifugiati climatici». Un termine che è stato inventato non da climatologi o geografi, ma da politologi e giuristi, e che deriva da un altro concetto inventato in precedenza, quello di «rifugiato ambientale».

Sulla scena internazionale, il certificato di nascita simbolico del concetto di «rifugiato ambientale» è in genere associato alla pubblicazione di numerosi rapporti nella seconda metà degli anni Ottanta.

Nel 1988 Jodi L. Jacobson, giornalista specializzata in questioni di salute e di genere, nonché membro del wwf, ha così stimato che «tra i vari problemi ambientali che causano l’allontanamento delle popolazioni dai loro habitat, nessuno può competere con i potenziali effetti dell’innalzamento del livello del mare dovuti ai cambiamenti di origine antropica del clima planetario».

 

Nel suo primo rapporto sintetico del 1992, l’Ipcc ha insistito sulla natura eccezionale e dannosa dei previsti sconvolgimenti migratori:

 «Gli effetti più gravi del cambiamento climatico riguardano indubbiamente la migrazione umana: milioni di persone saranno costrette a spostarsi, scacciati dall’erosione costiera, dall’inondazione dei litorali e dalla siccità. Molte delle aree in cui cercheranno rifugio probabilmente non dispongono di strutture igienico-sanitarie sufficienti per accoglierli. Le epidemie rischiano dunque di penetrare e insediarsi nei campi profughi, oltre che di estendersi alle comunità vicine. Inoltre, il ricollocamento è spesso fonte di tensioni psicologiche e sociali che possono influire negativamente sulla salute e sul benessere delle popolazioni sfollate».

I giuristi si impadroniscono allora della questione per sviluppare la categoria di «rifugiato climatico», la quale consente di assegnare uno status ai migranti e, sulla scia di questo, di determinare a chi sarà devoluta la defunta zee (Zona Economica Esclusiva) degli Stati insulari che scompariranno.

Catalogare i migranti come «rifugiati climatici» e quindi spiegare le migrazioni con un fenomeno naturale – anche se si sostiene che siano state provocate o aggravate dall’azione umana – in realtà è un modo per mascherare le vere cause della mobilità umana in un gran numero di paesi, specialmente ai tropici.

 

Queste cause sono invece ben note: fuggire dalla miseria economica (povertà, mancanza di reddito), sociale (conservatorismo) o politica (guerre e dittature) e raggiungere i paesi che rappresentano la situazione opposta, a torto o a ragione. Infatti, la migrazione dei tuvaluani in Nuova Zelanda, ad esempio, è fondamentalmente correlata a questo fattore.

Gli esiliati hanno allora buon gioco a far valere l’idea di «rifugiato climatico» se questo dà loro qualche vantaggio.

Inoltre, la devastazione provocata dal recente aumento del traffico di droga in molte isole del Pacifico sembra più preoccupante dell’«innalzamento delle acque».

 

Le isole sentinella del capitalismo verde.

Le Maldive costituiscono un caso esemplare di strumentalizzazione climatica in cui la molteplicità dei fenomeni e dei fattori è sommersa, per così dire, dal catastrofismo che denuncia l’innalzamento del livello delle acque.

 In questo caso la politica, e quindi la geopolitica, gioca un ruolo cruciale. Bisogna risalire alla fine degli anni Settanta e a Maumoon Abdul Gayoom. Costui è stato presidente dello Stato delle Maldive dal 1978 al 2008, governando con un pugno sempre più di ferro e un crescente islamismo. Nel 1987, anno del Rapporto Brundtland, si fa notare alle Nazioni Unite per un discorso in cui per la prima volta viene evocato il rischio che l’innalzamento del livello del mare possa far scomparire il suo paese.

Si dichiara inoltre «paladino dell’ambiente e della religione che protegge quelle barriere coralline e i trecentomila musulmani delle Maldive dalla doppia minaccia del riscaldamento globale e delle orde in bikini».

 

Il suo successore, Mohamed Anni Nasheed, ha ripetuto questo discorso fin dalla sua elezione nel 2009. Nell’ottobre di quell’anno ha persino organizzato un consiglio dei ministri in fondo al mare, con pinne e boccagli, per sensibilizzare la comunità internazionale. Secondo il geofisico svedese Nils-Axel Mörner, Nasheed fa rivivere «opportunisticamente» il «mito» dell’isola in procinto di essere inghiottita dal mare, recitando persino in un documentario americano intitolato The Island President (2011). Secondo lo slogan del film, «per salvare il suo paese, deve salvare il nostro pianeta». «È un esempio di come un melodramma hollywoodiano [il film di Al Gore] abbia corrotto la scienza del clima.

 

Non bisogna infatti dimenticare che il presidente Mohamed Nasheed ha autorizzato la costruzione di tanti grandi resort in riva al mare e di undici nuovi aeroporti i cui impatti sull’ambiente sono inevitabili.

Ciò non impedisce a «Time Magazine» di descriverlo nel 2009 come uno degli «eroi dell’ambiente» e un «visionario», mentre «Foreign Policy» lo colloca al trentasettesimo posto nella lista dei «cento pensatori globali» (sic!) del 2010.

Dal canto suo Nasheed non demorde:

«Se gli scienziati non sono in grado di salvare le Maldive, allora non sono in grado di salvare il mondo». E così si imbarca nell’acquisto di terreni in diversi paesi (India, Sri Lanka, Australia…) per «costruire le Nuove Maldive» una volta che quelle attuali saranno sommerse, inghiottite, sprofondate.

 Era il 2009.

Da allora le Maldive sono ancora lì, e le malelingue si chiedono a quale sorte e a quale speculazione fondiaria siano stati destinati i terreni acquistati.

 

Nel 2013 Nasheed è sostituito da Abdulla Yameen, un uomo d’affari che ha fatto fortuna nel turismo. Fratellastro dell’ex presidente Gayoom, condivide le sue convinzioni islamiste e la scelta di un’alleanza filo-cinese, mentre Nasheed, arrestato per «terrorismo», riesce a ottenere asilo politico nel Regno Unito (21 maggio 2016).

 

Di fatto, il destino ecologico delle Maldive non è esattamente quello che vogliono far credere i governanti che si sono succeduti.

Uno dei loro principali problemi ambientali è l’estrazione di sabbia corallina per le costruzioni, cresciuta enormemente a partire dagli anni Settanta a causa dell’urbanizzazione della capitale Malé, della proliferazione di isole alberghiere e dei cambiamenti socio-economici.

Alcune comunità locali, in seguito alle migliorate condizioni economiche grazie alla meccanizzazione della pesca, hanno infatti abbandonato le palme da cocco che proteggono le coste a favore dell’estrazione della sabbia.

Tutti questi fattori, scarsamente controllati, possono solo indebolire le spiagge e il litorale, e quindi gli atolli.

Poi è facile accusare il cambiamento climatico dell’avanzata delle acque… Ma basta guardare le foto aeree di Malé per constatare come quest’isola sia diventata una città tutta costruita sulla sabbia e con la sabbia.

 Le alluvioni del 1987 e del 1991 sono state favorite dal frenetico scavo della barriera corallina che circonda l’isola e che la proteggeva dalle mareggiate.

Uno scavo che non ha nulla a che vedere con un affondamento, ma che è dovuto alla dilagante urbanizzazione della capitale. La demografia di Malé, in un paese che ha uno dei tassi di natalità più alti al mondo (48% nel 1985, 19,8% nel 2000, 13,7% nel 2017), è infatti cresciuta tumultuosamente a partire dal boom del turismo internazionale negli anni Settanta.

 

La città-isola contava 75.000 abitanti nel 2000 e 134.412 nel 2014, ovvero una densità di 17.844 abitanti per km² nel 2006, paragonabile a quella di Monaco. Ora è circondata da dighe di cemento e tetrapodi. Anche prima che lo tsunami del dicembre 2004 devastasse parte dell’arcipelago delle Maldive, provocando 82 morti e 26 dispersi, il governo giapponese si era già offerto di finanziare un programma di dighe a seguito delle inondazioni del 1987 e del 1991. Questo programma è stato finalmente realizzato. Finanziato principalmente dal Giappone, è costato circa 13 milioni di dollari al km, ovvero 13.000 dollari al metro. Il colmo è che la costruzione delle dighe che dovrebbero proteggere Malé dalle onde continua invece a indebolirla poiché bisogna pur trovare da qualche parte la sabbia per costruirle. Per quanto riguarda l’isola di Thilafushi, situata a 7 km da Malé, dal 1992 è stata trasformata in un’enorme discarica che si dice immagazzini 330 tonnellate di rifiuti al giorno. Una discarica di cui praticamente non si parla e che non c’entra nulla con il clima.

 

Nonostante la diversità dei fenomeni individuati alle Maldive, alle Kiribati o a Tuvalu, i media ci presentano queste isole come le sentinelle a guardia del crollo, come i «campanelli d’allarme», come i «canarini» delle miniere.

Ben sapendo che l’origine della povertà nei paesi dell’ex Terzo Mondo è causata o alimentata dalle grandi potenze in un contesto di eredità coloniale, post-coloniale o ancora imperialista, e che la maggior parte dei leader di questi paesi punta il dito contro il clima come principale responsabile di tutti questi mali, è lecito chiedersi se questa visione non vada oltre una singola strumentalizzazione.

 La cosa appare più che possibile se teniamo presente che oggi alle orecchie dell’opinione pubblica, ma persino degli attivisti, per non parlare dei giornalisti, il termine «imperialismo» suona come una parolaccia ancora più scorretta di «capitalismo».

 

Questo è uno degli effetti della «guerra globale mobile» che esternalizza i conflitti in diverse regioni del mondo, combinando in modo complesso l’intervento di diversi Stati: Siria, Libia, Afghanistan o Yemen ne sono buoni esempi. Per quanto riguarda la Francia, ad esempio, il crescente intervento del suo esercito nei paesi del Sahel, in nome della lotta al terrorismo jihadista, consente soprattutto di tutelare gli interessi minerari di società come la Orano (ex Areva), le cui miniere di uranio si trovano nelle cosiddette aree «instabili»: regione di Kidal e Kona in Mali, regione di Arlit in Niger, Repubblica Centrafricana e così via.

 

Questo uranio viene utilizzato per far funzionare le centrali nucleari, le stesse che, grazie alle loro basse emissioni di gas serra, combattono il «riscaldamento globale».

 Uno degli ultimi atti del ministro dell’Ambiente Nicolas Hulot, prima delle sue dimissioni nell’estate del 2018, è stato quello di prolungare il programma elettronucleare francese fino al 2025, scadenza poi posticipata dal primo ministro fino al 2035…

 

 

 

La vita sulla Terra è in pericolo:

fino a 6 miliardi di persone

finiranno fuori dalle aree vivibili

fanpage.it – Andrea Centini – (24 ottobre 2023) – ci dice:

 

Venti dei 35 parametri legati al cambiamento climatico hanno raggiunto livelli estremi nel 2023, spingendo la vita sulla Terra verso un pericolosissimo “territorio inesplorato”.

Secondo gli autori di un nuovo report sul clima fino a 6 miliardi di persone si troveranno in regioni della Terra inospitali alla vita.

(Andrea Centini)

La crisi climatica in atto è talmente grave che ci ha condotti in un territorio inesplorato, ricchissimo di insidie.

La maggior parte dei parametri vitali sulla Terra è infatti andata incontro a un significativo deterioramento nel 2023, avvicinandoci sempre di più al collasso degli ecosistemi naturali e allo sgretolamento dei pilastri socioeconomici che ci hanno permesso di prosperare fino ad oggi (ai danni dell'ambiente, di noi stessi e delle popolazioni più vulnerabili).

Stiamo precipitando rapidamente verso un mondo dominato da un caldo insopportabile, dove cibo e acqua dolce non saranno più risorse disponibili e abbondanti, a causa di siccità, carestie, fenomeni atmosferici sempre più catastrofici e perdita della biodiversità.

La vita sulla Terra è in pericolo e la colpa è solo nostra.

È questo, in sintesi, ciò che emerge da un nuovo rapporto sul clima, che evidenzia come il 2023 sia stato una sorta di spartiacque con ciò che c'è stato prima e ciò che ci attenderà nel prossimo futuro, se non agiremo in modo netto e incisivo sui combustibili fossili e sulle conseguenti emissioni di CO2 (anidride carbonica), volano della crisi climatica in corso.

(È straordinario che la CO2 è più pesante dell’atmosfera e quindi non può volare nell’alto dei cieli per congiungersi con gli altri gas serra più leggeri. Ma è proprio necessario attribuire solo alla Co2 la colpa della tragedia umana a cui andiamo incontro? N.D.R.)

A condurre il nuovo studio è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati statunitensi del Dipartimento degli ecosistemi forestali dell'Università Statale dell'Oregon (OSU) e dell'associazione Terrestrial Ecosystems Research Associates di Corvallis, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Potsdam Institute for Climate Impact Research (Germania), della Scuola di Scienze della Vita e Ambientali dell'Università di Sydney (Australia), dell'Università Statale di Campinas (Brasile) e di altri istituti.

I ricercatori coordinati dai professori William J. Ripple e Christopher Wolf, hanno analizzato 35 parametri intimamente connessi al cambiamento climatico e all'impatto che essi hanno sulla tenuta degli equilibri ecologici e sulla sofferenza delle popolazioni umane.

Per ben venti di essi è emerso che nel 2023 sono stati registrati valori estremi, che indicano il rapido avvicinamento del possibile punto di rottura, del collasso che rischia di inghiottirci nelle “indicibili sofferenze” su cui gli scienziati (affamati di denaro! N.D.R.) cercano di metterci in guardia da molti anni.

 Fra i parametri monitorati dagli esperti figurano il tasso di scioglimento dei ghiacciai; le concentrazioni di anidride carbonica (CO2) in atmosfera; le ondate di calore; il numero di giorni complessivi con temperatura media globale superiore a 1,5 °C rispetto all'epoca preindustriale (la soglia oltre la quale le conseguenze della crisi climatica diventano catastrofiche e irreversibili); l'innalzamento del livello del mare e via discorrendo.

Come indicato, 20 su 35 di questi parametri quest'anno hanno toccato livelli record.

Ad esempio, nel 2023 ci sono stati 38 giorni in cui la "febbre del pianeta" è stata oltre 1,5 °C rispetto all'epoca preindustriale; fino all'anno scorso queste giornate “roventi” erano rare.

 L'estensione del ghiaccio marino ha raggiunto nuovi picchi negativi; i ghiacciai si stanno sciogliendo a un ritmo senza precedenti (entro il 2100 sarà sparita la gran parte di quelli alpini);

gli incendi catastrofici immettono quantità sempre maggiori di CO2 in atmosfera, come quelli estivi in Canada responsabili di oltre una 1 gigatonnellata di anidride carbonica, più di tutta quella rilasciata dai roghi del 2021 nel Paese nordamericano;

 a luglio 2023 la superficie della Terra ha raggiunto la temperatura più elevata degli ultimi 10.000 anni;

le temperature degli oceani (in particolar modo l'Atlantico) hanno raggiunto picchi ma visti prima.

Questi sono solo alcune delle anomalie legate alla crisi climatica in atto, peggiorata dal fatto che i sussidi ai combustibili fossili invece di diminuire continuano ad aumentare (sono raddoppiati tra il 2021 e il 2022, passando da 531 miliardi di dollari a mille miliardi di dollari).

 

Come scienziati, siamo estremamente preoccupati dall’improvviso aumento della frequenza e della gravità dei disastri legati al clima.

La frequenza e la gravità di questi disastri potrebbero superare l’aumento delle temperature.

Entro la fine del 21° secolo, dai 3 ai 6 miliardi di persone potrebbero trovarsi al di fuori delle regioni vivibili della Terra, il che significa che dovranno affrontare un caldo intenso, una disponibilità di cibo limitata e tassi di mortalità elevati”, ha dichiarato il “professor Wolf” in un comunicato stampa.

“La vita sul nostro pianeta è chiaramente sotto assedio”, gli ha fatto eco il “professor Ripple”.

“Le tendenze statistiche mostrano modelli profondamente allarmanti di variabili e disastri legati al clima.

 Abbiamo anche riscontrato pochi progressi da segnalare per quanto riguarda la lotta dell’umanità al cambiamento climatico”, ha chiosato lo scienziato, autore di un importante report sul clima firmato da oltre 15.000 scienziati nel 2020.

Per uscire da questo turbine autodistruttivo, che rischia di far sparire la civiltà come la conosciamo già entro il 2050, gli autori dello studio sottolineano l'importanza di far virare l'economia globale;

 non deve più essere data la priorità al benessere di pochi, dei ricchi che hanno goduto dei maggiori benefici del progresso e che sono stati i principali responsabili delle emissioni di gas climalteranti, ma ai bisogni primari di tutte le persone.

(Forse  questo è il vero motivo per cui si addossano tutte le colpe sulla povera CO2, che modestamente si accontenta di esercitare i suoi effetti benevoli sulle piante della terra e sul mondo sottomarino e non pensa neppure di poter volare nell’alto dei cieli in quanto è più leggera dell’atmosfera! N.D.R).

 Tra le raccomandazioni degli esperti per salvarci dall'imminente catastrofe vi sono l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili, la protezione delle foreste, la necessità di sottoscrivere trattati internazionali destinati alla non proliferazione dei combustibili fossili e il passaggio a diete basate su alimenti vegetali.

Il nuovo report annuale “World Energy Outlook 2023” dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha dimostrato che si stanno facendo sforzi significativi per la transizione ecologica e che il passaggio alle fonti rinnovabili è “inarrestabile”, tuttavia è ancora troppo lento per permetterci di non superare la soglia di 1,5 °C di riscaldamento.

Al momento siamo infatti proiettati verso un aumento della temperatura media di 2,4 ° C entro la fine del secolo, un valore che avrà conseguenze catastrofiche sulla tenuta degli ecosistemi da cui dipendiamo e sull'umanità tutta.

È tempo di agire in modo rapido e deciso, chiosano gli esperti.

 I dettagli del nuovo studio “The 2023 state of the climate report: Entering uncharted territory” sono stati pubblicati sulla rivista “BioScience”.

(Andrea Centini) - fanpage.it/

(fanpage.it/innovazione/scienze/la-vita-sulla-terra-e-in-pericolo-fino-a-6-miliardi-di-persone-finiranno-fuori-dalle-aree-vivibili/)

 

 

 

 

ARTICOLO DI GIORNALE.

Rapporto sullo stato del clima 2023:

entrare in un territorio inesplorato.

Academic.oup.com (24 ottobre 2023) – Redazione – BioScienze , biad080, doi.org -                               ci dicono:

(William J. Ondulazione, Cristoforo Lupo, Jillian W. Gregg, Johan Rockstrom, Thomas M. Newsome, Legge di Beverly E, Luiz Marques, Timothy M. Lenton, Chi Xu, Saleemul Huq ...

BioScienze , biad080, doi.org/10.1093/biosci/biad080).

 

Rapporto speciale.

La vita sul pianeta Terra è sotto assedio. Ora siamo in un territorio inesplorato. Per diversi decenni, gli scienziati hanno costantemente messo in guardia da un futuro segnato da condizioni climatiche estreme a causa dell’aumento delle temperature globali causato dalle attività umane in corso che rilasciano gas serra dannosi nell’atmosfera.

Purtroppo il tempo è scaduto.

Stiamo assistendo alla manifestazione di tali previsioni mentre una serie allarmante e senza precedenti di record climatici vengono infranti, causando il verificarsi di scene di sofferenza profondamente angoscianti.

Stiamo entrando in un ambito sconosciuto per quanto riguarda la nostra crisi climatica, una situazione a cui nessuno ha mai assistito in prima persona nella storia dell’umanità.

 

Nel presente rapporto, mostriamo una serie diversificata di segnali vitali del pianeta e dei potenziali fattori che determinano il cambiamento climatico e le risposte ad esso legate presentate per la prima volta da “Ripple” e “Wolf” e colleghi (2020), che hanno dichiarato un’emergenza climatica, ora con più di 15.000 scienziati firmatari.

(Una firma non si nega a nessuno… specie se è ben pagata! N.D.R)

 Le tendenze rivelano nuovi record di tutti i tempi legati al clima e modelli profondamente preoccupanti di disastri legati al clima.

Allo stesso tempo, segnaliamo progressi minimi da parte dell’umanità nella lotta al cambiamento climatico.

Considerati questi sviluppi angoscianti, il nostro obiettivo è comunicare i fatti climatici e le raccomandazioni politiche agli scienziati, ai politici e al pubblico.

È dovere morale di noi scienziati e delle nostre istituzioni avvisare chiaramente l’umanità di qualsiasi potenziale minaccia esistenziale e mostrare leadership nell’agire.

 Questo rapporto fa parte della nostra serie di aggiornamenti annuali “concisi e facilmente accessibili” sullo stato della crisi climatica.

Record di tutti i tempi relativi al clima.

Nel 2023, abbiamo assistito al superamento di una serie straordinaria di record legati al clima in tutto il mondo.

 Il rapido ritmo del cambiamento ha sorpreso gli scienziati e causato preoccupazione per i pericoli di condizioni meteorologiche estreme, rischiosi circuiti di feedback climatici e l’avvicinarsi di punti critici dannosi prima del previsto (Armstrong McKay et al. 2022, Ripple et al . 2023 ) .

 Quest’anno, ondate di caldo eccezionali hanno colpito il mondo, portando a temperature elevate record.

Gli oceani sono stati storicamente caldi, con temperature della superficie del mare globale e del Nord Atlantico che hanno battuto i record e livelli bassi senza precedenti di ghiaccio marino attorno all’Antartide .

Inoltre, da giugno ad agosto di quest’anno è stato il periodo più caldo mai registrato e all’inizio di luglio abbiamo assistito alla temperatura superficiale media giornaliera globale più alta mai misurata sulla Terra, forse la temperatura più calda sulla Terra negli ultimi 100.000 anni. È un segno che stiamo spingendo i nostri sistemi planetari verso una pericolosa instabilità.

Anomalie climatiche insolite nel 2023 (la linea rossa, che appare in grassetto nella stampa). 

L’estensione del ghiaccio marino (a, b), le temperature (c–e) e l’area bruciata in Canada (f) sono attualmente ben al di fuori dei loro intervalli storici. 

Queste anomalie possono essere dovute sia al cambiamento climatico che ad altri fattori. 

Fonti e dettagli aggiuntivi su ciascuna variabile sono forniti nel file supplementare S1.

 Ogni linea corrisponde a un anno diverso, con il grigio più scuro che rappresenta gli anni successivi.

Ci stiamo avventurando in un territorio climatico inesplorato.

Le temperature medie giornaliere globali non hanno mai superato 1,5 gradi Celsius (°C) sopra i livelli preindustriali prima del 2000 e da allora hanno superato solo occasionalmente tale numero.

 Tuttavia, il 2023 ha già visto 38 giorni con temperature medie globali superiori a 1,5°C entro il 12 settembre – più di qualsiasi altro anno – e il totale potrebbe continuare ad aumentare.

 Ancora più sorprendenti sono gli enormi margini con cui le condizioni del 2023 stanno superando gli estremi del passato.

Allo stesso modo, il 7 luglio 2023, il ghiaccio marino antartico ha raggiunto la sua estensione relativa giornaliera più bassa dall’avvento dei dati satellitari, pari a 2,67 milioni di chilometri quadrati al di sotto della media del periodo 1991-2023. Altre variabili ben al di fuori dei loro intervalli storici includono l’area bruciata dagli incendi in Canada che potrebbe indicare un punto di svolta verso un nuovo regime di incendi.

 

Il riscaldamento globale antropogenico è un fattore chiave di molti di questi recenti estremi.

Tuttavia, i processi di guida specifici coinvolti possono essere piuttosto complessi. Ad esempio, l’aumento delle temperature dell’Oceano Atlantico potrebbe essere collegato alle precipitazioni del “Sahe”l e alla polvere africana (Wang et al. 2012 ).

Un altro potenziale contributo è il vapore acqueo (H2O) (un gas serra) iniettato nella stratosfera da un’eruzione vulcanica sottomarina (Jenkins et al. 2023 ).

Il recente aumento potrebbe anche essere collegato a un cambiamento normativo che impone l’uso di combustibili a basso contenuto di zolfo nella navigazione marittima, perché gli aerosol atmosferici di solfato diffondono direttamente la luce solare e causano la formazione di nuvole riflettenti.

 All’improvviso aumento delle temperature contribuisce probabilmente anche l’inizio di un evento di El Niño, una parte naturale del sistema climatico, che potrebbe, a sua volta, essere influenzata dal cambiamento climatico (Cai et al. 2021 ) .

 In ogni caso, man mano che il sistema climatico della Terra si allontana dalle condizioni associate alla prosperità umana, tali anomalie potrebbero diventare più frequenti e avere impatti sempre più catastrofici (Xu et al. 2020, Lenton et al. 2023 ).

Tendenze recenti dei segni vitali planetari.

Sulla base dei dati delle serie temporali, 20 dei 35 segni vitali mostrano ora estremi record.

Come descriviamo di seguito, questi dati mostrano come il continuo perseguimento del “business as usual” abbia, ironicamente, portato a una pressione senza precedenti sul sistema Terra, con il risultato che molte variabili legate al clima entrano in un territorio inesplorato.

 

Serie temporali delle attività umane legate al clima. 

I dati ottenuti dalla pubblicazione di Ripple e colleghi (2021) sono mostrati in rosso

Nel pannello (f), la perdita di copertura arborea non tiene conto del guadagno di foresta e include una perdita dovuta a qualsiasi causa.

 Per il pannello (h), l'energia idroelettrica e nucleare sono mostrate.

Energia.

Sembra che la” ripresa verde” successiva al Covid-19, che molti speravano, non si sia in gran parte concretizzata (Zhang et al. 2023 ).

Invece, le emissioni di carbonio (Co2)hanno continuato ad aumentare e i combustibili fossili rimangono dominanti, con il consumo annuo di carbone che raggiunge il massimo storico di 161,5 exajoule nel 2022 .

Sebbene il consumo di energia rinnovabile (solare ed eolica) sia cresciuto del 17% tra il 2021 e il 2022, rimane circa 15 volte inferiore al consumo di energia da combustibili fossili .

Uno dei principali motori delle tendenze economiche ed energetiche è la continua invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha accelerato la transizione verso le energie rinnovabili in Europa ma che potrebbe anche indurre alcuni paesi a passare dal gas fornito dalla Russia al carbone (Tollefson 2022 ) .

Questo conflitto ha già contribuito a un massiccio aumento del 107% dei sussidi ai combustibili fossili da parte degli Stati Uniti$ 531 miliardi nel 2021 agli Usa$

1097 miliardi nel 2022 a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia.

Sebbene questi sussidi possano proteggere parzialmente i consumatori dagli aumenti dei prezzi, spesso non sono ben mirati e aiutano a promuovere l’uso energetico legato ai combustibili fossili e i profitti rispetto alle alternative a basse emissioni di carbonio (Co2) (Muta ed Erdogan 2023 ) .

 

Foreste.

Tra il 2021 e il 2022, il tasso globale di perdita di copertura arborea è diminuito del 9,7% a 22,8 milioni di ettari (ha) all’anno .

Allo stesso modo, il tasso di perdita della foresta amazzonica brasiliana è diminuito dell’11,3% a 1,16 milioni di ettari all’anno ed è probabile che si verifichino ulteriori riduzioni a seguito dell’elezione di un nuovo presidente del Brasile e di diversi recenti decreti legali (Vilani et al. al.2023 ) .

Tuttavia, l’umanità non è sulla buona strada per porre fine e invertire la deforestazione entro il 2030, nonostante gli impegni presi da oltre 100 leader mondiali nel 2021 alla COP26 (UNEP 2022a ).

 Inoltre, le foreste sono sempre più minacciate da potenti cicli di feedback climatico che coinvolgono processi come danni da insetti, deperimento e incendi (Flores e Staal 2022 , Ripple et al. 2023 ).

Ad esempio, gli incendi storici da record in Canada, che quest’anno hanno bruciato 16,6 milioni di ettari a partire dal 13 settembre sono stati in parte legati al cambiamento climatico.

Ciò ha comportato emissioni di oltre una gigatonnellata di anidride carbonica(Co2) (Copernicus 2023 ), il che è sostanziale, dato che le emissioni totali di gas serra del Canada nel 2021 sono state di circa 0,67 gigatonnellate di anidride carbonica (Co2) “equivalente” (Environment and Climate Change Canada 2023 ).

Non è chiaro quanto velocemente tali emissioni possano essere riassorbite dal recupero post-incendio, e c’è il rischio reale che l’aumento della gravità degli incendi provochi una perdita di carbonio (Co2) irrecuperabile in un futuro di riscaldamento (Bowman et al. 2021  .

 

Gas serra e temperatura medie globali.

Sulla base delle statistiche aggiornate all’anno 2023, tre importanti gas serra – anidride carbonica (Co2), metano e protossido di azoto – sono tutti a livelli record La concentrazione media globale di anidride carbonica (Co2) è ora di circa 420 parti per milione, che è molto al di sopra del limite planetario proposto di 350 parti per milione (Rockström et al. 2009 ).

 Inoltre, il 2023 è sulla buona strada per diventare uno degli anni più caldi mai registrati sebbene le emissioni di gas serra legate ai combustibili fossili siano il principale motore dell’aumento delle temperature, un calo globale delle emissioni di anidride solforosa è probabilmente un fattore che contribuisce.

 L’anidride solforosa forma solfati nell’atmosfera, che sono il più potente agente di raffreddamento di origine antropica, nascondendo parte del riscaldamento dei gas serra.

Oceani e ghiaccio.

L’acidità dell’oceano, lo spessore del ghiacciaio e la massa di ghiaccio della Groenlandia sono scesi tutti ai minimi storici, mentre l’innalzamento del livello del mare e il contenuto di calore dell’oceano sono saliti a livelli record.

 L’aumento del contenuto di calore e il rapido aumento delle temperature della superficie del mare sono particolarmente preoccupanti, perché potrebbero avere molti impatti gravi, tra cui la perdita di vita marina, la morte delle barriere coralline a causa dello sbiancamento e l’aumento dell’ intensità delle grandi tempeste tropicali (Reid et al. 2009 ).

Vi sono anche crescenti preoccupazioni che la circolazione di inversione meridionale dell’Atlantico possa superare un punto di non ritorno e iniziare a collassare in questo secolo, possibilmente tra il 2025 e il 2095 (Ditlevsen e Ditlevsen 2023 ), il che altererebbe significativamente i modelli globali di precipitazioni e temperature con conseguenze potenzialmente dannose per l’economia, ecosistemi e società, compresi i ridotti pozzi naturali di carbonio(Co2) (Armstrong McKay et al. 2022 ).

 

Impatti climatici e condizioni meteorologiche estreme.

Il cambiamento climatico sta contribuendo in modo significativo alla sofferenza umana .

Gli impatti legati al clima nel 2022 includono un’altra inondazione da un miliardo di dollari negli Stati Uniti, avvenuta in Kentucky e Missouri tra il 26 e il 28 luglio, e la terza frequenza più alta di giorni estremamente caldi. 

Tra il 2021 e il 2022, l’area bruciata dagli incendi a livello globale è diminuita del 28% (da 9,34 milioni di ettari a 6,72 milioni di ettari), ma l’attività degli incendi negli Stati Uniti è aumentata del 6,3% (da 2,88 milioni di ettari a 3,07 milioni di ettari) nello stesso periodo.

Si prevede che molti impatti climatici si intensificheranno ulteriormente nei prossimi anni e potremmo aver già sperimentato bruschi aumenti di alcuni tipi di condizioni meteorologiche estreme, forse superiori al tasso di aumento della temperatura. (Calvino 2020 ).

Nel 2023, il cambiamento climatico probabilmente ha contribuito a una serie di importanti eventi meteorologici estremi e disastri.

Molti di questi eventi dimostrano come gli estremi climatici stiano minacciando aree più ampie che normalmente non sono state soggette a tali estremi; ad esempio, le gravi inondazioni nel nord della Cina, intorno a Pechino, hanno ucciso almeno 33 persone.

Altri disastri recenti includono inondazioni improvvise mortali e frane nel nord dell’India, ondate di caldo da record negli Stati Uniti e una tempesta mediterranea eccezionalmente intensa che ha ucciso migliaia di persone, principalmente in Libia.

Poiché questi impatti continuano ad accelerare, sono urgentemente necessari maggiori finanziamenti per compensare le perdite e i danni legati al clima nei paesi in via di sviluppo.

Il nuovo fondo globale per le perdite e i danni delle Nazioni Unite istituito alla COP27 è uno sviluppo promettente, ma il suo successo richiederà un forte sostegno da parte dei paesi ricchi.

(L’ONU è una eccellente stazione di sosta per i finanziamenti richiesti dai Paesi in via di sviluppo! N.D.R.)

 

Recenti disastri legati al clima dal novembre 2022.

Novembre-dicembre 2022.         

Le ondate di caldo da record in Argentina e Paraguay hanno contribuito a interruzioni di corrente, incendi e scarsi raccolti. Si stima che questo caldo estremo sia stato reso 60 volte più probabile a causa del cambiamento climatico.

Dicembre 2022–marzo 2023.

Le forti piogge causate dai fiumi atmosferici hanno portato a molteplici inondazioni negli Stati Uniti occidentali. Ci sono state almeno 22 vittime e si stima che i danni alla proprietà siano stati negli Stati Uniti$3,5 miliardi.

 Il cambiamento climatico potrebbe aumentare la probabilità di inondazioni così catastrofiche, sebbene il suo effetto su queste particolari tempeste sia meno chiaro.

Febbraio 2023.         

Il ciclone Gabrielle ha causato piogge estreme a Te Ika-a-Māui (Isola del Nord) in Nuova Zelanda, Aotearoa, provocando potenzialmente miliardi di dollari di danni e 225.000 case senza elettricità.

Queste intense precipitazioni potrebbero essere in parte causate da un clima caldo.

Marzo-maggio 2023       

Temperature record sono state registrate in alcune parti del sud-est asiatico, della Cina e dell’Asia meridionale.

 Il caldo estremo ha causato morti e chiusure di scuole in India e ha portato più di 100 studenti a necessitare di cure per la disidratazione nelle Filippine. Probabilmente è stato, almeno in parte, a causa del cambiamento climatico.

 Ad esempio, il cambiamento climatico ha aumentato la probabilità che un simile evento si verifichi in Bangladesh e India di almeno 30 volte.

Gennaio-luglio 2023.     

Gli intensi incendi in Canada hanno bruciato circa 10 milioni di ettari, sfollando 30.000 persone nel momento del loro apice e peggiorando la qualità dell’aria in vaste porzioni del Canada e degli Stati Uniti.

Questi incendi estremi potrebbero essere in parte dovuti al cambiamento climatico, anche se sono probabilmente coinvolti molti altri fattori.

Maggio 2023.

Si dice che il ciclone tropicale Mocha abbia ucciso almeno 145 persone in Myanmar e colpito circa 800.000 persone nella regione. Il cambiamento climatico potrebbe aver reso tali tempeste più intense.

Maggio-giugno 2023.    

La tempesta tropicale Mawar ha causato inondazioni e interruzioni di corrente in alcune parti di Guam. Mawar è il ciclone più forte mai registrato nell'emisfero settentrionale nel mese di maggio. I cambiamenti climatici potrebbero causare un aumento dell’intensità dei cicloni tropicali (Wu et al. 2022 ).

Giugno 2023.

Il caldo mortale ha portato a più di una dozzina di morti negli Stati Uniti meridionali e centro occidentali. Il cambiamento climatico sta portando ad un aumento della frequenza e della durata di tali ondate di calore.

Luglio 2023.    

Fino a sei persone sono morte nel sud-ovest del Giappone a causa delle forti piogge che hanno causato inondazioni e smottamenti.

Il cambiamento climatico probabilmente renderà più gravi gli eventi di precipitazioni così intense.

Giorni dopo, inondazioni e frane, che potrebbero essere state in parte legate al cambiamento climatico, hanno ucciso più di 26 persone e portato all’evacuazione di migliaia di persone in Corea del Sud.

Luglio 2023.    

Le forti piogge monsoniche hanno causato inondazioni improvvise e frane nel nord dell’India che hanno ucciso più di 100 persone.

È probabile che i cambiamenti climatici stiano rendendo i monsoni in questa regione più variabili, provocando frequenti smottamenti e inondazioni.

 Le forti piogge monsoniche hanno danneggiato anche i raccolti di riso in India, sollevando preoccupazioni sui prezzi alimentari globali e sulla sicurezza alimentare e spingendo a vietare l’esportazione delle varietà non basmati.

Giugno-agosto 2023       

Il caldo estremo negli Stati Uniti ha ucciso almeno 147 persone.

 In assenza del cambiamento climatico, sarebbe stato estremamente improbabile che si verificasse il caldo estremo osservato nel luglio 2023 negli Stati Uniti.

Luglio-agosto 2023.       

Pechino, in Cina, ha vissuto le precipitazioni più intense degli ultimi 140 anni, provocando gravi inondazioni che hanno colpito quasi 1,29 milioni di persone, danneggiato 147.000 case e causato almeno 33 morti.

 È probabile che le inondazioni intense diventino più comuni a causa dei cambiamenti climatici.

Agosto 2023.  

Alle Hawaii, negli Stati Uniti, i catastrofici incendi boschivi sull’isola di Maui hanno ucciso almeno 111 persone, con più di 1.000 probabilmente disperse, al 18 agosto 2023.

 Il cambiamento climatico potrebbe aver diminuito le precipitazioni e aumentato le temperature in questa regione, contribuendo potenzialmente a questi incendi.

Settembre 2023.     

La tempesta Daniel ha causato inondazioni estreme in Libia e in alcune parti dell’Europa sudorientale, provocando migliaia di vittime e danni per oltre 2 miliardi di dollari.

Il cambiamento climatico potrebbe aumentare l’intensità di tali tempeste.

Nota:

elenchiamo numerosi disastri recenti che potrebbero essere almeno in parte legati al cambiamento climatico. Questo elenco non intende essere esaustivo.

 A causa della natura recente di questi eventi, le nostre fonti spesso includono articoli di mezzi di informazione.

Per ciascun evento, generalmente forniamo riferimenti che indicano che la probabilità o la forza di un tale evento potrebbe essere aumentata a causa del cambiamento climatico di origine antropica.

 Alcuni di questi disastri potrebbero essere, almeno in parte, dovuti ai cambiamenti legati al clima nelle correnti a getto (Stendel et al. 2021 , Rousi et al. 2022 ).

Raccomandazioni di avvertimento degli scienziati.

Motivati ​​da eventi e tendenze recenti, continuiamo a emettere avvertimenti e raccomandazioni specifici su argomenti che vanno dalla sicurezza alimentare alla giustizia climatica.

Gli sforzi coordinati in ciascuna di queste aree potrebbero aiutare a sostenere un’agenda più ampia incentrata su una politica climatica olistica ed equa.

Economia.

È improbabile che la crescita economica, così come viene convenzionalmente perseguita, ci permetta di raggiungere i nostri obiettivi sociali, climatici e di biodiversità. La sfida fondamentale risiede nella difficoltà di dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali dannosi.

Sebbene i progressi tecnologici e i miglioramenti in termini di efficienza possano contribuire a un certo grado di disaccoppiamento, spesso non riescono a mitigare l’impronta ecologica complessiva delle attività economiche (Hickel et al. 2021 ).

Gli impatti variano notevolmente in base alla ricchezza;

nel 2019, il 10% dei principali emettitori era responsabile del 48% delle emissioni globali, mentre il 50% più povero era responsabile solo del 12% (Chancel 2022 ).

Dobbiamo quindi trasformare la nostra economia in un sistema che supporti il ​​soddisfacimento dei bisogni primari di tutte le persone invece del consumo eccessivo da parte dei ricchi (O'Neill et al. 2018 ).

Argomenti speciali sull'azione per il clima.

 Molti modelli presuppongono che la crescita del PIL possa essere per lo più disaccoppiata dalle emissioni e da altri impatti ambientali legati ai consumi (a) e che i metodi di cattura del carbonio possano essere rapidamente implementati (b).  Se queste ipotesi non sono realistiche e l’uso del carbone e di altri combustibili fossili non viene immediatamente ridotto (c), allora i circuiti di retroazione del sistema Terra (d) potrebbero portare a una rapida accelerazione degli impatti climatici, inclusa la sottoalimentazione (e) e i disastri climatici, che aumenteranno essere particolarmente grave nei paesi meno ricchi che hanno avuto poche emissioni storiche (f). 

 

Argomenti speciali sull'azione per il clima.

Molti modelli presuppongono che la crescita del PIL possa essere per lo più disaccoppiata dalle emissioni e da altri impatti ambientali legati ai consumi (a) e che i metodi di cattura del carbonio possano essere rapidamente implementati (b). Se queste ipotesi non sono realistiche e l’uso del carbone e di altri combustibili fossili non viene immediatamente ridotto (c), allora i circuiti di retroazione del sistema Terra (d) potrebbero portare a una rapida accelerazione degli impatti climatici, inclusa la sottoalimentazione (e) e i disastri climatici, che aumenteranno essere particolarmente grave nei paesi meno ricchi che hanno avuto poche emissioni storiche (f).

Arresto del riscaldamento.

Gli elevati tassi di disastri climatici e altri impatti a cui stiamo assistendo attualmente sono in gran parte una conseguenza delle emissioni di gas serra storiche e attuali.

Per mitigare queste emissioni del passato e fermare il riscaldamento globale, gli sforzi devono essere diretti verso l’eliminazione delle emissioni da combustibili fossili e il cambiamento dell’uso del suolo e verso l’aumento del sequestro del carbonio (Co2) con soluzioni climatiche basate sulla natura.

Tuttavia, è fondamentale esplorare altre possibili strategie per rimuovere in modo efficiente ulteriore anidride carbonica (Co2), che può contribuire al raffreddamento planetario a lungo termine.

 Le tecnologie a emissioni negative sono in una fase iniziale di sviluppo, ponendo incertezze riguardo alla loro efficacia, scalabilità e impatti ambientali e sociali (Anderson e Peters 2016 ).

 Pertanto, non dovremmo fare affidamento su tecniche di rimozione del carbonio (Co2) non comprovate.

 Anche se gli sforzi di ricerca dovrebbero essere accelerati, dipendere fortemente dalle future strategie di rimozione del carbonio (Co2) su larga scala in questo frangente potrebbe creare una percezione ingannevole di sicurezza e rinviare le imperative azioni di mitigazione che sono essenziali per affrontare il cambiamento climatico ora.

Fermare il consumo di carbone.

Oltre ai suoi effetti distruttivi sugli ecosistemi e sulla salute globale, il carbone rappresenta oltre l’80% dell’anidride carbonica (Co2) immessa nell’atmosfera dal 1870 e circa il 40% delle attuali emissioni di anidride carbonica(Co2) (Burke e Fishel 2020 ) .

Nel 2022, il consumo globale di carbone è vicino a livelli record. Nel 2021, le emissioni di anidride carbonica(Co2) legate al carbone sono state maggiori in Cina (53,1%), seguita da India (12,0%) e Stati Uniti (6,7%  ) .

L’utilizzo del carbone in Cina ha subito una rapida accelerazione negli ultimi decenni, e il paese ancora oggi produce quasi un terzo di tutte le emissioni di anidride carbonica (Co2) e metano derivanti dai combustibili fossili.

 In risposta a questa situazione, sosteniamo la” Powering Past Coal Alliance” e raccomandiamo l’adozione del “Trattato internazionale sull’eliminazione del carbone” per eliminare gradualmente il carbone e, più in generale, del “Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili” (van Asselt e Newell 2022 ) .

Questi trattati potrebbero fornire sostegno ai paesi meno ricchi nella transizione dal carbone e da altri combustibili fossili, compresi finanziamenti per sviluppare capacità di energia rinnovabile e riqualificare e trasferire i lavoratori dall’industria dei combustibili fossili.

Anelli di retroazione.

I circuiti di feedback climatici influenzano direttamente la relazione tra emissioni e riscaldamento.

Ad esempio, il riscaldamento provoca lo scongelamento del permafrost, con l’emissione di metano e anidride carbonica (Co2) che provocano un ulteriore riscaldamento.

Pertanto, il rafforzamento dei circuiti di feedback amplifica gli effetti delle emissioni di gas serra, portando a un ulteriore riscaldamento.

Pertanto, comprendere i cicli di feedback e le loro interazioni può informare le strategie di mitigazione e adattamento climatico.

Nonostante la loro importanza, la combinazione di molteplici circuiti di feedback amplificatori non è ben compresa e i potenziali punti di forza di alcuni circuiti di feedback pericolosi sono ancora altamente incerti (Ripple et al. 2023 ).

A causa di questa incertezza, chiediamo un rapporto speciale del “Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici “(IPCC) che si concentri sui pericolosi circoli di feedback climatici, sui punti di non ritorno e, solo per precauzione, sullo scenario possibile ma meno probabile di un cambiamento climatico fuori controllo o apocalittico.

Sicurezza alimentare e denutrizione.

Dopo essere in calo per molti anni, la prevalenza della denutrizione è ora in aumento.

 Nel 2022, circa 735 milioni di persone hanno dovuto affrontare la fame cronica, un aumento di circa 122 milioni rispetto al 2019 (FAO et al. 2023 ).

 Questo aumento, che ha spinto l’umanità ben lontano dal raggiungimento dell’”obiettivo zero fame entro il 2030”, è dovuto a molteplici fattori, tra cui gli estremi climatici, le recessioni economiche e i conflitti armati (FAO et al. 2023 ) .

 Il cambiamento climatico ha ridotto l’entità della crescita della produttività agricola globale (Ortiz-Bobea et al. 2021 ), quindi c’è il pericolo che la fame aumenti in assenza di un’azione immediata sul clima.

 In particolare, potrebbero esserci rischi futuri seri e sottovalutati di fallimenti sincronizzati del raccolto causati da una maggiore ondulazione della corrente a getto (Kornhuber et al. 2023 ).

A causa dei crescenti rischi di gravi perdite simultanee di raccolti in più regioni del mondo, sono necessari sforzi mirati all’adattamento per migliorare la resilienza delle colture e la resistenza al caldo, alla siccità e ad altri fattori di stress climatico (Raza et al. 2019 ) .

Uno spostamento verso diete a base vegetale, in particolare nei paesi ricchi, potrebbe migliorare la sicurezza alimentare globale e contribuire a mitigare il cambiamento climatico (Cassidy et al. 2013 ).

Giustizia.

Gli impatti del cambiamento climatico sono già catastrofici per molti.

Tuttavia, questi impatti non si stanno manifestando in modo uniforme in tutto il mondo.

Colpiscono invece in modo sproporzionato gli individui più poveri del mondo, che, ironicamente, hanno avuto il ruolo minore nel causare questo problema ( Harlan et al. 2015 ).

Per raggiungere la giustizia socioeconomica e il benessere umano universale, è fondamentale lottare per una convergenza del consumo pro capite di risorse ed energia in tutto il mondo.

Ciò implica lavorare verso livelli equilibrati ed equi di consumo di energia e risorse sia per il nord che per il sud del mondo (Hickel et al. 2021 ).

Conclusioni

Gli effetti del riscaldamento globale sono progressivamente più gravi e possibilità come un collasso sociale mondiale sono fattibili e pericolosamente sotto esplorate (Kemp et al. 2022 ).

 Entro la fine di questo secolo, si stima che da 3 a 6 miliardi di individui – circa da un terzo a metà della popolazione mondiale – potrebbero trovarsi confinati oltre la regione vivibile, affrontando un caldo intenso, una disponibilità di cibo limitata e tassi di mortalità elevati a causa degli effetti del cambiamento climatico (Lenton et al. 2023 ).

 I grandi problemi hanno bisogno di grandi soluzioni.

Pertanto, dobbiamo spostare la nostra prospettiva sull’emergenza climatica da semplice questione ambientale isolata a minaccia sistemica ed esistenziale.

 Sebbene il riscaldamento globale sia devastante, rappresenta solo un aspetto della crisi ambientale crescente e interconnessa che stiamo affrontando (ad esempio, perdita di biodiversità, scarsità di acqua dolce, pandemie).

Abbiamo bisogno di politiche che affrontino le questioni di fondo del superamento ecologico in cui la domanda umana sulle risorse della Terra si traduce in uno sfruttamento eccessivo del nostro pianeta e in un declino della bio diversità  (McBain et al. 2017 ).

Finché l’umanità continuerà a esercitare una pressione estrema sulla Terra, qualsiasi tentativo di soluzione esclusivamente climatica non farà altro che ridistribuire questa pressione.

Per affrontare lo sfruttamento eccessivo del nostro pianeta, sfidiamo la nozione prevalente di crescita infinita e consumo eccessivo da parte dei paesi e degli individui ricchi come insostenibili e ingiusti (Rockström et al. 2023 ).

Sosteniamo invece la riduzione del consumo eccessivo di risorse; ridurre, riutilizzare e riciclare i rifiuti in un’economia più circolare; e dare priorità alla prosperità umana e alla sostenibilità.

Sottolineiamo la giustizia climatica e l’equa distribuzione dei costi e dei benefici dell’azione per il clima, in particolare per le comunità vulnerabili (Gupta et al. 2023 ).

 Chiediamo una trasformazione dell’economia globale per dare priorità al benessere umano e garantire una distribuzione più equa delle risorse (Hickel et al. 2021 ).

 Chiediamo inoltre di stabilizzare e diminuire gradualmente la popolazione umana con giustizia di genere attraverso la pianificazione familiare volontaria e sostenendo l’istruzione e i diritti delle donne e delle ragazze, che riduce i tassi di fertilità e aumenta il tenore di vita (Bongaarts e O’Neill 2018 ) .

Queste strategie attente all'ambiente e socialmente eque necessitano di trasformazioni olistiche e di vasta portata nel lungo termine che potrebbero essere raggiunte attraverso passi graduali ma significativi nel breve termine (Halpern e Mason 2015 ).

Come scienziati, ci viene chiesto sempre più spesso di dire al pubblico la verità sulle crisi che affrontiamo in termini semplici e diretti.

La verità è che siamo scioccati dalla ferocia degli eventi meteorologici estremi nel 2023.

 Abbiamo paura del territorio inesplorato in cui siamo ormai entrati.

 Le condizioni diventeranno molto dolorose e potenzialmente ingestibili per vaste regioni del mondo, con il riscaldamento di 2,6°C previsto nel corso del secolo, anche se gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni autoproposti dall’Accordo di Parigi verranno rispettati (UNEP 2022b ).

Mettiamo in guardia dal potenziale collasso dei sistemi naturali e socioeconomici in un mondo in cui dovremo affrontare un caldo insopportabile, frequenti eventi meteorologici estremi, carenza di cibo e acqua dolce, innalzamento del livello del mare, malattie sempre più emergenti e aumento dei disordini sociali e dei conflitti geopolitici.

 La massiccia sofferenza dovuta al cambiamento climatico è già qui, e ora abbiamo superato molti confini sicuri e giusti del sistema Terra, mettendo in pericolo la stabilità e i sistemi di supporto vitale (Rockström et al. 2023 ).

Poiché presto assisteremo al mancato raggiungimento dell’obiettivo ambizioso di 1,5°C previsto dall’accordo di Parigi, l’importanza di frenare immediatamente l’uso di combustibili fossili e prevenire ogni ulteriore aumento di 0,1°C del futuro riscaldamento globale non può essere sopravvalutata.

Invece di concentrarci solo sulla riduzione delle emissioni di carbonio(Co2) e sul cambiamento climatico, affrontare il problema di fondo del superamento ecologico ci darà la possibilità di sopravvivere a queste sfide nel lungo periodo.

Questo è il nostro momento per fare una profonda differenza per tutta la vita sulla Terra, e dobbiamo abbracciarlo con coraggio e determinazione incrollabili per creare un’eredità di cambiamento che resisterà alla prova del tempo.

(William J.Ripple ed altri)

Ringraziamo William H. Calvin, Katherine Graubard, Karen Wolfgang e Holly Jean Buck per aver fornito utili suggerimenti. Ringraziamo Susan Christie per l'assistenza con questo progetto. Un finanziamento parziale è stato ricevuto dalla Fondazione CO2 e da Roger Worthington.

Biografia dell'autore.

(William J. Ripple (bill.ripple@oregonstate.edu) è affiliato al Dipartimento di ecosistemi e società forestali dell'Oregon State University (OSU), a Corvallis, Oregon, negli Stati Uniti e al Conservation Biology Institute (CBI), in Corvallis, Oregon, negli Stati Uniti. Christopher Wolf               (christopher.wolf@oregonstate.edu) e Jillian W. Gregg sono affiliati alla Terrestrial Ecosystems Research Associates, a Corvallis, Oregon, negli Stati Uniti. Johan Rockström è affiliato al Potsdam Institute for Climate Impact Research, a Potsdam, in Germania. Thomas M. Newsome è affiliato alla School of Life and Environmental Sciences dell'Università di Sydney, a Sydney, Nuovo Galles del Sud, Australia. Beverly E. Law è affiliata al Dipartimento degli ecosistemi forestali e della società dell'OSU e del CBI. Luiz Marques è affiliato all'Università Statale di Campinas-Unicamp e al Centro di Ricerca sull'Energia e sui Materiali, a Campinas, nello stato di San Paolo, in Brasile. Timothy M. Lenton è affiliato al Global Systems Institute dell'Università di Exeter, a Exeter, in Inghilterra, nel Regno Unito. Chi Xu è affiliato alla School of Life Sciences dell'Università di Nanchino, a Nanchino, in Cina. Saleemul Huq è affiliato al Centro internazionale per il cambiamento climatico e lo sviluppo presso l'Università Indipendente del Bangladesh, a Dhaka, in Bangladesh. Leon Simons è affiliato al Club of Rome Netherlands, a 's-Hertogenbosch, nei Paesi Bassi. Sir David Anthony King è affiliato al Dipartimento di Chimica del Downing College, presso l'Università di Cambridge, a Cambridge, in Inghilterra, nel Regno Unito.)

 

 

IN PALESTINA L’IRAN E LA RUSSIA

HANNO TESO UNA TRAPPOLA

ALL’OCCIDENTE.

Comedonchisciotte.org – (29 ottobre 2023) – Markus - Pepe Escobar - thecradle.co – ci dice:

 

L'unico Paese che potrebbe distrarre l'Occidente dall'Ucraina è Israele.

Ma gli Stati Uniti e i loro alleati cadranno in una trappola esistenziale se pensano che una vittoria dell'Asia occidentale sarà più facile di una vittoria in Europa.

Il partenariato strategico Russia-Iran – con la Cina sullo sfondo – sta preparando un’elaborata trappola alla Sun Tzu per l’egemone in Asia occidentale.

A parte Israele, non c’è nessun’altra entità sul pianeta in grado di distogliere l’attenzione, in un attimo, dalla spettacolare debacle dell’Occidente in Ucraina.

I guerrafondai a capo della politica estera statunitense, non esattamente dei fedelissimi di Bismarck, ritengono che, se il Progetto Ucraina è irrealizzabile, il “Progetto Soluzione Finale in Palestina” potrebbe invece essere una pulizia etnica a passo di danza.

Uno scenario ancora più plausibile, tuttavia, è che Iran-Russia – e il nuovo “asse del male” Russia-Cina-Iran – abbiano tutto ciò che serve per trascinare l’Egemone (Usa) in un secondo pantano.

Tutto sta nell’usare lo scombussolato avanti-indietro del nemico per sbilanciarlo e disorientarlo fino fargli perdere i sensi.

La velleità della Casa Bianca di credere che le guerre eterne in Ucraina e in Israele siano inscritte nella stessa nobile spinta “democratica” e siano essenziali per gli interessi nazionali degli Stati Uniti, si è già ritorta contro, anche nell’opinione pubblica americana.

Ciò non impedisce che le grida e i sussurri lungo la “Beltway” rivelino che i neoconservatori statunitensi alleati di Israele sono sempre più frenetici nel voler provocare l’Iran, magari attraverso un proverbiale” false flag” che scatenerebbe un attacco americano.

Questo scenario da Armageddon si adatta perfettamente alla psicopatia biblica del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

I vassalli sarebbero costretti a conformarsi docilmente.

 I capi di Stato della NATO si sono precipitati a visitare Israele per dimostrare il loro sostegno incondizionato a Tel Aviv, tra questi il greco Kyriakos Mitsotakis, l’italiana Giorgia Meloni, il britannico Rishi Sunak, il tedesco Olaf Scholz, il senile inquilino della Casa Bianca, e il francese Emmanuel Macron.

Vendicare il “secolo delle umiliazioni” arabo.

Finora il movimento di resistenza libanese Hezbollah ha dato prova di straordinaria moderazione, non abboccando ad alcun amo.

 Hezbollah sostiene la resistenza palestinese nel suo complesso e, fino a qualche anno fa aveva seri problemi con Hamas, con cui si scontrava in Siria.

Hamas, per inciso, pur essendo parzialmente finanziato dall’Iran, non è gestito dall’Iran.

 Per quanto Teheran sostenga la causa palestinese, i gruppi di resistenza palestinesi prendono in autonomia le proprie decisioni.

La grande novità è che tutti questi problemi si stanno ora dissolvendo.

Sia Hamas che la Jihad islamica palestinese (PIJ) questa settimana si sono recati in Libano per visitare personalmente il Segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah.

Questo significa unità di intenti, o ciò che l’Asse della Resistenza della regione chiama “Unità di Fronti”.

Ancora più sorprendente è stata la visita di Hamas a Mosca questa settimana, accolta con furia impotente da Israele.

 La delegazione di Hamas era guidata da un membro del Politburo, “Abu Marzouk.”

 Il vice ministro degli Esteri iraniano “Ali Bagheri” è venuto appositamente da Teheran e ha incontrato due dei principali vice del ministro degli Esteri russo Lavrov, Sergei Ryabkov e Mikhail Galuzin.

Questo significa che Hamas, Iran e Russia stanno negoziando allo stesso tavolo.

Hamas ha invitato i milioni di palestinesi della diaspora, così come l’intero mondo arabo e tutte le terre dell’Islam, a unirsi.

 Lentamente ma inesorabilmente, si può intravedere un modello:

il mondo arabo – e gran parte dell’Islam – potrebbe essere sul punto di unirsi per vendicare il suo “secolo delle umiliazioni”, proprio come avevano fatto i cinesi dopo la Seconda Guerra Mondiale con Mao Zedong e Deng Xiaoping.

Pechino, attraverso la sua sofisticata diplomazia, lo sta certamente suggerendo agli attori chiave, e non da ora, ma già dall’inizio di quest’anno, prima che si realizzasse l’innovativo riavvicinamento Iran-Saudita con la mediazione di Russia e Cina.

 

Questo, di per sé, non impedirà la perpetua ossessione dei neoconservatori statunitensi di bombardare le infrastrutture critiche dell’Iran.

Valendo meno di zero quando si tratta di scienza militare, questi neoconservatori ignorano che la rappresaglia iraniana colpirebbe – con precisione – ogni singola base statunitense in Iraq e Siria, con il Golfo Persico come punto interrogativo.

L’impareggiabile analista militare russo “Andrei Martynov” ha mostrato cosa potrebbe accadere a quelle costose vasche da bagno americane che galleggiano nel Mediterraneo orientale in caso di un attacco all’Iran voluto da Israele.

Inoltre, ci sono almeno 1.000 soldati statunitensi nel nord della Siria che rubano il petrolio del Paese – e diventerebbe anch’essi un obiettivo immediato.

“Ali Fadavi”, vice comandante in capo dell’IRGC, è andato subito al sodo: “Abbiamo tecnologie in campo militare che nessuno conosce, e gli americani le conosceranno quando le useremo”.

Sta parlando dei missili ipersonici iraniani Fattah – cugini del Khinzal e del DF-27 – che viaggiano a Mach 15 e sono in grado di raggiungere qualsiasi obiettivo in Israele in 400 secondi.

A ciò si aggiunge la sofisticata guerra elettronica russa (EW).

Come confermato a Mosca sei mesi fa, quando si tratta di interconnessione militare, gli iraniani avevano detto ai russi che sedevano allo stesso tavolo: “Qualsiasi cosa vi serva, basta chiedere”.

 La cosa è reciproca, perché il nemico è uno solo.

Tutto ruota attorno allo Stretto di Hormuz.

Il cuore della questione in qualsiasi strategia russo-iraniana è lo Stretto di Hormuz, attraverso il quale transita almeno il 20% del petrolio mondiale (quasi 17 milioni di barili al giorno) e il 18% del gas naturale liquefatto (GNL), che ammonta ad almeno 3,5 miliardi di piedi cubi al giorno.

L’Iran è in grado di bloccare lo Stretto di Hormuz in un attimo.

Tanto per cominciare, sarebbe la giusta punizione per Israele, che mira ad accaparrarsi, illegalmente, tutte le riserve multimiliardarie di gas naturale scoperte al largo di Gaza:

 questo è, per inciso, uno dei motivi assolutamente fondamentali per la pulizia etnica della Palestina.

Ma il vero affare sarà far crollare la struttura di derivati da 618.000 miliardi di dollari creata da Wall Street, come hanno confermato per anni gli analisti di “Goldman Sachs” e “JP Morgan”, così come i trader indipendenti del settore energetico del Golfo Persico.

Quindi, alla resa dei conti – ben oltre la difesa della Palestina e in uno scenario di guerra totale – non solo Russia-Iran, ma anche gli attori chiave del mondo arabo che stanno per diventare membri dei BRICS 11 – come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti – hanno le carte in regola per far crollare in qualsiasi momento il sistema finanziario statunitense.

Come sottolinea un alto dirigente del “Deep State Usa” della vecchia scuola, ora in affari nell’Europa centrale:

“Le nazioni islamiche hanno il vantaggio economico. Possono far saltare il sistema finanziario internazionale tagliando il petrolio. Non devono sparare un solo colpo. Iran e Arabia Saudita si stanno alleando.

Per risolvere la crisi del 2008 c’erano voluti 29 mila miliardi di dollari, ma questa, se dovesse accadere, non potrebbe essere risolta nemmeno con 100 mila miliardi di dollari di strumenti fiat”.

Come mi hanno ribadito i trader del Golfo Persico, uno scenario possibile è che l’OPEC inizi a sanzionare l’Europa, prima il Kuwait e poi i vari Paesi OPEC, mettendo l’embargo a tutte le nazioni che trattano il mondo musulmano come nemico e carne da macello.

Il primo ministro iracheno “Mohammed Shia al-Sudani” ha già avvertito che il petrolio destinato ai mercati occidentali potrebbe essere bloccato a causa di ciò che Israele sta facendo a Gaza.

 Il Ministro degli Esteri iraniano “Hossein Amir-Abdollahian” ha già chiesto, in via ufficiale, un embargo totale di petrolio e gas da parte dei Paesi islamici contro le nazioni – essenzialmente i vassalli della NATO – che sostengono Israele.

Quindi i Sionisti cristiani negli Stati Uniti, alleati con il neoconservatore Netanyahu, minacciando di attaccare l’Iran, hanno la possibilità di far crollare l’intero sistema finanziario mondiale.

La guerra eterna alla Siria, remixata.

Sotto l’attuale vulcano, la partnership strategica Russia-Cina è estremamente cauta.

 Per il mondo esterno, la loro posizione ufficiale è rifiutare di schierarsi con la Palestina o con Israele, chiedere un cessate il fuoco per motivi umanitari, invocare una soluzione a due Stati e il rispetto del diritto internazionale.

Tutte le loro iniziative all’ONU sono state debitamente sabotate dall’Egemone Usa.

 

Allo stato attuale, Washington ha rifiutato il via libera all’invasione di terra israeliana a Gaza.

La ragione principale è la priorità immediata degli Stati Uniti:

guadagnare tempo per espandere la guerra alla Siria, “accusata” di essere il punto di transito chiave per le armi iraniane a Hezbollah.

Questo significa anche riaprire il vecchio fronte di guerra contro la Russia.

A Mosca non si fanno illusioni.

L’apparato dell’intelligence sa bene che gli “agenti del Mossad israeliano” hanno fornito consulenza a Kiev mentre Tel Aviv forniva armi all’Ucraina sotto la pressione degli Stati Uniti.

Questo ha fatto infuriare i siloviki e potrebbe aver costituito un errore fatale per Israele.

I neoconservatori Usa, da parte loro, non si fermano mai.

Stanno portando avanti una minaccia parallela:

se Hezbollah dovesse attaccare Israele con qualcosa di diverso da qualche razzo qua e là – e questo semplicemente non accadrà – la base aerea russa di “Hmeimim” a Latakia sarebbe “eliminata” come “avvertimento” all’Iran.

Qui non siamo neanche al livello di bambini che giocano nella sabbia.

 Dopo gli attacchi in serie di Israele agli aeroporti civili di Damasco e Aleppo, Mosca non ha battuto ciglio prima di offrire alla Siria l’autorizzazione all’uso del suo aeroporto di Hmeimim – estesa ai voli cargo del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) iraniano, secondo alcune fonti di intelligence russe. Netanyahu non sarà certamente così suicida da bombardare una base aerea russa dotata di A2/AD (anti-access/area denial).

Anche Mosca vede chiaramente a cosa potrebbero servire quelle costose vasche da bagno americane nel Mediterraneo orientale.

La risposta è stata rapida:

 i Mig-31K pattugliano lo spazio aereo neutrale sul Mar Nero 24 ore su 24, 7 giorni su 7, equipaggiati con i Khinzal ipersonici, che impiegherebbero solo sei minuti per visitare il Mediterraneo.

In mezzo a questa follia neoconservatrice Usa, con il Pentagono che ha schierato nel Mediterraneo orientale una formidabile serie di armamenti e mezzi “non rivelati”, gli americani, qualunque sia il loro obiettivo:

 Hezbollah, la Siria, l’Iran, la Russia o tutti gli altri, con la Cina e la Corea del Nord come parte del nuovo “asse del male”, hanno fatto capire che non saranno semplici spettatori.

La Marina cinese sta praticamente proteggendo l’Iran a distanza.

Ma ancora più incisiva è stata la dichiarazione del premier “Li Qiang”, insolitamente schietta e rara per la diplomazia cinese:

La Cina continuerà a sostenere fermamente l’Iran nella salvaguardia della sua sovranità nazionale, dell’integrità territoriale e della dignità nazionale e si opporrà fermamente a qualsiasi forza esterna che interferisca negli affari interni dell’Iran”.

Non dimentichiamoci che la Cina e l’Iran sono legati da un partenariato strategico globale.

 Nel frattempo, il premier russo “Mikhail Mishustin” ha rafforzato il partenariato strategico Russia-Iran in un incontro con il primo vicepresidente iraniano “Mohammad Mokhber”.

Ricordatevi dei mangiatori di riso della Corea.

Le milizie filo-iraniane dell’”Asse della Resistenza” mantengono un livello di confronto con Israele attentamente temperato, quasi da guerriglia “mordi e fuggi”.

Non si sono ancora impegnati in attacchi di una certa consistenza.

Ma, se Israele dovesse invadere Gaza, i giochi sarebbero fatti.

È chiaro che il mondo arabo, con tutte le sue enormi contraddizioni interne, non tollererebbe un massacro di civili.

Senza mezzi termini, nell’attuale congiuntura incendiaria, l’Egemone Usa ha trovato la via di fuga dall’umiliazione del Progetto Ucraina.

Crede, erroneamente, che la solita vecchia guerra eterna riaccesa in Asia occidentale possa essere “modulata” a piacimento.

E, se queste due guerre si trasformassero in “un immenso Albatross politico”, come accadrà, cos’altro potrebbe esserci di nuovo?

Semplice, inizieranno una nuova guerra nell'”Indo-Pacifico”.

Niente di tutto ciò inganna la Russia e l’Iran e il loro gelido monitoraggio dell’egemone Usa che tentenna ad ogni passo che fa.

 È illuminante ricordare ciò che Malcolm X aveva già previsto nel 1964:

“Alcuni mangiatori di riso lo hanno cacciato dalla Corea. Sì, lo hanno cacciato dalla Corea.

Dei mangiatori di riso con nient’altro che scarpe da ginnastica, un fucile e una ciotola di riso hanno preso lui e i suoi carri armati, il suo napalm e tutto quello che avrebbe dovuto avere e lo hanno ributtato al di là dello Yalu.

Perché? Perché il giorno in cui poteva vincere sul campo è passato”.

(Pepe Escobar) – (thecradle.co)

(new.thecradle.co/articles/iran-russia-set-a-western-trap-in-palestine)

 

 

 

 

L’ESCALATION NON PUÒ ESSERE FERMATA,

LA CASA BIANCA È IN ALLARME:

IL RISCHIO DI UN CONFLITTO È SEMPRE PIÙ REALE

Comedonchisciotte.org – (28 Ottobre 2023) – Markus - Alastair Crooke - strategic-culture.su – ci dicono:

La necessità della guerra sta facendosi strada nella coscienza del mondo arabo e islamico.

Giovedì scorso, dalle pagine del “New York Times” “Tom Friedman” ha lanciato il suo terribile avvertimento:

“Credo che, se ora Israele entrerà [unilateralmente] con la forza a Gaza per distruggere Hamas, commetterà un grave errore che sarà devastante per gli interessi israeliani e americani”.

“Potrebbe innescare una conflagrazione globale e far detonare l’intera struttura di alleanze filo-americane costruita dagli Stati Uniti… Sto parlando del trattato di pace di Camp David, degli accordi di pace di Oslo, degli accordi di Abraham e della possibile normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita.

 Tutto potrebbe andare in fumo.

“Purtroppo, ha detto l’alto funzionario statunitense, i leader militari israeliani sono, in realtà, ancora più guerrafondai dell’attuale primo ministro.

Sono rossi di rabbia e determinati a sferrare ad Hamas un colpo che tutte le nazioni confinanti non dimenticheranno mai”.

Friedman sta parlando, ovviamente, del sistema di alleanze americano imperniato sull’idea dell’invincibilità della potenza militare di Israele – il paradigma della “piccola NATO” che dovrebbe fungere da substrato essenziale per la diffusione in Asia occidentale dell’”Ordine delle Regole” dettato dall’America.

È analogo al substrato dell’alleanza NATO, la cui pretesa “invincibilità” ha sostenuto gli interessi statunitensi in Europa (almeno fino alla guerra in Ucraina).

Un membro del gabinetto israeliano ha dichiarato al corrispondente israeliano anziano per la difesa, “Ben Caspit”, che Israele non può permettere che la sua deterrenza di lunga data venga ora messa in dubbio:

Questo è il punto più importante: la nostra deterrenza”, ha detto l’alta fonte del Gabinetto di Guerra.

 “La regione deve capire in fretta che chi danneggia Israele, come ha fatto Hamas, pagherà un prezzo sproporzionato.

 Non c’è altro modo per sopravvivere tra i nostri vicini se non quello di esigere questo prezzo ora, perché molti occhi sono puntati su di noi e la maggior parte di essi non ha a cuore i nostri interessi”.

In altre parole, il “paradigma” israeliano è incentrato sulla manifestazione di una forza schiacciante e travolgente nei confronti di qualsiasi sfida emergente.

 Questa politica nasce dal fatto che gli Stati Uniti hanno sempre voluto che Israele avesse sia un vantaggio politico (tutte le decisioni strategiche spettano esclusivamente a Israele, secondo Oslo), sia una superiorità militare su tutti i suoi vicini.

Nonostante fosse stata presentata come tale, questa non è mai stata una formula in grado di arrivare ad un accordo sostenibile e pacifico che permettesse l’esecuzione della “Risoluzione 181” dell’”Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1947” (la divisione della Palestina dell’epoca del Mandato in due Stati).

Piuttosto, Israele sotto il governo Netanyahu si sta avvicinando sempre di più ad una fondazione escatologica di Israele sulla “Terra di Israele” (biblica) – una mossa che cancella completamente la Palestina.

Non è una coincidenza che Netanyahu, durante il suo discorso all’Assemblea Generale del mese scorso, abbia mostrato una mappa in cui Israele dominava dal fiume al mare – e la Palestina (anzi, qualsiasi territorio palestinese) era inesistente.

Tom Friedman”, nelle sue riflessioni al “NYT”, potrebbe temere che, così come l’insufficiente performance della NATO in Ucraina ha rotto “il mito della NATO”, allo stesso modo il crollo militare e dei servizi segreti israeliani del 7 ottobre e ciò che sulla sua scia accadrà a Gaza “potrebbe far esplodere l’intera struttura dell’alleanza filo-americana” in Medio Oriente.

La confluenza di due umiliazioni di questo tipo potrebbe spezzare la spina dorsale del primato occidentale.

Questo sembra essere il succo dell’analisi di Friedman. (Probabilmente ha ragione).

Hamas è riuscito a distruggere il paradigma della deterrenza di Israele: non ha avuto paura, l’IDF si è dimostrato tutt’altro che invincibile e la popolazione araba si è mobilitata come mai prima d’ora (confondendo i cinici occidentali che ridono al solo pensiero che esista una “popolazione araba”).

Ebbene, siamo a questo punto – e la Casa Bianca è scossa. Gli amministratori delegati di” Axios”, “VandeHei” e “Mark Allen”, hanno ammonito, mettendo nero su bianco:

“Non abbiamo mai parlato con così tanti alti funzionari governativi che, in privato, sono assai preoccupati… [dal fatto che] una confluenza di varie crisi arrivi ad essere una preoccupazione epica e un pericolo storico.

Non ci piace sembrare catastrofici.

Vorremmo però far suonare un allarme realistico, clinico e lucido:

i funzionari statunitensi ci dicono che, all’interno della Casa Bianca, questa è stata la settimana più pesante e agghiacciante da quando Joe Biden ha assunto l’incarico, poco più di 1.000 giorni fa…

L’ex segretario alla Difesa “Bob Gates “ci dice che l’America sta affrontando il maggior numero di crisi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, 78 anni fa…

“Nessuna di queste crisi può essere risolta e cancellata. Tutte e cinque potrebbero trasformarsi in qualcosa di molto più grande… Ciò che spaventa i funzionari è il modo in cui tutte e cinque le minacce potrebbero fondersi in una sola”.

Le cinque crisi sarebbero:

 l’allargarsi della guerra dovuto all’ingresso di Israele a Gaza;

 l'”alleanza antiamericana” tra Putin e Xi;

l’Iran “maligno”;

lo “scapestrato” “Kim Jon Un”  e la diffusione di video e notizie false.

Tuttavia, nel pezzo di “Friedman” sul “NYT” manca l’altra faccia della medaglia – perché il paradigma israeliano ha due facce;

esiste infatti anche una sfera interna, separata dalla necessità esterna di far pagare un prezzo sproporzionato agli avversari di Israele.

 Il “mito” interno sostiene che lo Stato israeliano “ha l’appoggio dei suoi cittadini”, ovunque vivano gli Ebrei, in Israele e nei Territori occupati, negli insediamenti più remoti o nei vicoli della Città Vecchia di Gerusalemme.

 Si tratta di qualcosa di più di un contratto sociale; piuttosto, è un obbligo spirituale a cui dovrebbero sottostare tutti gli Ebrei che vivono in Israele.

Questo “contratto sociale” di sicurezza, tuttavia, è appena crollato.

I kibbutzim nell’area di Gaza sono stati evacuati;

venti kibbuz sono stati evacuati dal nord, così come 43 città di confine.

Queste famiglie sfollate avranno di nuovo fiducia nello Stato?

Torneranno un giorno negli insediamenti?

La fiducia è stata spezzata.

Eppure, non sono stati i missili di “Hizbullah” a spaventare i residenti, ma le immagini dello scorso 7 ottobre nelle comunità alla periferia di Gaza.

La recinzione violata in decine di punti, le basi e le postazioni militari invase, le città occupate dalle forze di Hamas, le uccisioni che ne sono derivate e il fatto che circa 200 israeliani sono stati rapiti e portati a Gaza non hanno lasciato nulla all’immaginazione.

Se ci è riuscito Hamas, cosa fermerà Hezbollah?

Come nella vecchia filastrocca:

 Humpty-Dumpty fece una grossa caduta, ma tutti i cavalli del re e tutti gli uomini del re non riuscirono a rimettere insieme Humpty.

È questo che preoccupa il team della Casa Bianca.

 Non credono affatto che un’invasione israeliana di Gaza possa rimettere insieme “Humpty”.

 Temono piuttosto che le cose possano andare male per l’IDF e che le immagini trasmesse in tutto il Medio Oriente di Israele che usa una forza schiacciante in un contesto urbano abitato provochino una rivolta nella sfera islamica.

Nonostante lo scetticismo occidentale, ci sono segnali che indicano che questa insurrezione nella sfera araba è diversa e assomiglia molto alla “Rivolta Araba del 1916” che aveva rovesciato l’Impero Ottomano.

Sta assumendo un “taglio” distinto, poiché sia le autorità religiose sciite che quelle sunnite affermano che il dovere dei Musulmani è stare dalla parte dei palestinesi.

In altre parole, mentre la politica israeliana diventa palesemente “profetica”, l’umore islamico diventa a sua volta escatologico.

Il fatto che la Casa Bianca faccia della disinformazione sui leader arabi “moderati” per indurli a fare pressioni sui palestinesi “moderati” e convincerli a formare a Gaza un governo favorevole a Israele, che spiazzi Hamas e imponga sicurezza e ordine, dimostra quanto l’Occidente sia lontano dalla realtà.

Ricordiamo che “Mahmoud Abbas”, il “generale Sisi” e il “re di Giordania” (alcuni dei leader più malleabili della regione) hanno rifiutato categoricamente di incontrare Biden dopo il suo viaggio in Israele.

La rabbia nella regione è reale e minaccia i leader arabi “moderati”, il cui spazio di manovra è ora limitato.

I focolai si moltiplicano, così come gli attacchi agli schieramenti statunitensi nella regione.

Alcuni a Washington sostengono di percepire la complicità iraniana e sperano di ampliare la finestra per una guerra con l’Iran.

La Casa Bianca, in preda al panico, sta reagendo in modo eccessivo, ha inviato (100) enormi aerei da carico con bombe, missili e difese aeree (THAAD e Patriot) in Israele, ma anche nel Golfo, in Giordania e a Cipro.

Sono state dispiegate anche forze speciali e 2.000 Marines.

 Oltre a due portaerei e alle relative navi di scorta.

Gli Stati Uniti stanno quindi inviando una vera e propria armata in assetto di guerra.

Questo non può che aumentare le tensioni e provocare contromosse:

 la Russia sta ora schierando sul Mar Nero i MiG-31 equipaggiati con missili ipersonici Kinzhal (in grado di colpire le portaerei statunitensi al largo di Cipro) e la Cina avrebbe inviato navi da guerra nell’area.

Cina, Russia, Iran e gli Stati del Golfo sono impegnati in una frenetica attività diplomatica per contenere il conflitto, anche nel caso “Hizbullah” dovesse impegnarsi più a fondo nello scontro.

Per il momento, ci si concentra sulla liberazione degli ostaggi, creando molto rumore e confusione (voluta).

Forse alcuni si aspettano che le speranze di liberazione degli ostaggi possano ritardare, e infine fermare, la prevista invasione di Gaza.

Tuttavia, il comando militare israeliano e l’opinione pubblica insistono sulla necessità di distruggere Hamas (non appena saranno posizionate le navi statunitensi e le nuove difese aeree).

Sia come sia (l’invasione), la realtà è che le “Brigate Qassam” di Hamas” hanno sconvolto i paradigmi interni ed esterni di Israele.

 A seconda dell’esito della guerra tra Gaza/Israele, le Brigate potrebbero ancora provocare un’ulteriore contusione sul corpo politico [Israele] tale da “innescare una conflagrazione globale e far esplodere l’intera struttura di alleanze filo-americane costruita dagli Stati Uniti” (secondo le parole di “Tom Friedman”).

Se Israele dovesse entrare a Gaza (e Israele potrebbe decidere di non avere altra scelta se non quella di lanciare un’operazione di terra, date le dinamiche politiche interne e la spinta dell’opinione pubblica), è probabile che “Hizbullah” venga progressivamente attirato ancora di più verso lo scontro, lasciando agli Stati Uniti l’opzione binaria di vedere Israele sconfitto o scatenare una grande guerra in cui tutti i punti caldi si fondono “in uno solo”.

In un certo senso, il conflitto Israele-islamico potrà essere risolto solo in questo modo cinetico.

Tutti gli sforzi compiuti dal 1947 in poi hanno solo visto la frattura approfondirsi. La necessità della guerra sta facendosi strada nella coscienza del mondo arabo e islamico.

(Alastair Crooke - strategic-culture.su)

(strategic-culture.su/news/2023/10/26/escalations-cannot-be-stopped-the-white-house-is-rattled-escalations-might-all-fuse-into-one/)

(Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del “Conflicts Forum di Beirut”, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.)

 

1500 scienziati dicono che "il cambiamento

climatico non è dovuto alla CO2":

il movimento per l'ambiente reale è stato dirottato.

Globalresearch.ca – (28 ottobre 2023) - Mark Keenan – ci dice:

 

Molte persone in tutto il mondo sono preoccupate per il cambiamento climatico e credono che ci sia un'emergenza climatica.

Per decenni ci è stato detto dalle Nazioni Unite che l'anidride carbonica (CO2) le emissioni derivanti dall'attività umana sono all'origine di cambiamenti climatici disastrosi.

Nel 2018, un rapporto dell'”IPCC delle Nazioni Unite” (i cui dirigenti sono profumatamente pagati dai ricchi globalisti! N.D.R) ha persino avvertito che "abbiamo 12 anni per salvare la Terra", mandando così in delirio milioni di persone in tutto il mondo.

Trentacinque anni fa, il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) e l'OMM (Organizzazione Meteorologica Mondiale) hanno istituito l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) per fornire consulenza scientifica sul complesso tema del cambiamento climatico.

Al gruppo di esperti è stato chiesto di preparare, sulla base delle informazioni scientifiche disponibili, una relazione su tutti gli aspetti rilevanti per il cambiamento climatico e i suoi impatti e di formulare strategie di risposta realistiche.

Il primo rapporto di valutazione dell'IPCC è servito come base per negoziare la “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici” (UNFCCC).

 I governi di tutto il mondo hanno firmato questa convenzione (in seguito a lauti finanziamenti ricevuti a fondo perduto! N.D.R), che ha un impatto significativo sulla vita delle persone del mondo.

Tuttavia, molti scienziati contestano la teoria del cambiamento climatico causato dall'uomo promossa dalle Nazioni Unite (a seguito di un infinito finanziamento dei globalisti straricchi! N.D.R.), e molte persone in tutto il mondo sono confuse dall'argomento o non sono a conoscenza dei fatti completi.

Permettetemi di fornirvi alcune informazioni di cui potreste non essere a conoscenza.

1. Pochissime persone scavano effettivamente nei dati, semplicemente accettano i rapporti dell'IPPC delle Nazioni Unite (rapporti redatti da burocrati affamati di denaro! N.D.R.).

 Eppure molti scienziati molto rispettabili e illustri hanno fatto esattamente questo e hanno scoperto che la teoria del cambiamento climatico causato dall'uomo promossa dalle Nazioni Unite è gravemente difettosa.

 Sapete che 1500 dei principali scienziati e professionisti del clima del mondo in oltre 30 paesi hanno firmato una dichiarazione secondo cui non c'è alcuna emergenza climatica e hanno confutato le affermazioni delle Nazioni Unite in relazione al cambiamento climatico causato dall'uomo? (Questo fatto “scientifico “ha dato molto fastidio ai burocrati delle Nazioni Unite! N.D.R.)

2. Ho firmato anch'io questa dichiarazione. Come posso fare un'affermazione del genere?

Ho esperienza sul campo come ex scienziato presso il Dipartimento dell'Energia e dei Cambiamenti Climatici, Governo del Regno Unito;

e come ex membro dello staff della Divisione Ambiente delle Nazioni Unite, dove ero responsabile della manutenzione del Protocollo del Registro delle Emissioni e dei Trasferimenti di Inquinamento, un Accordo Ambientale Multinazionale, che prevedeva il monitoraggio degli inquinanti per la terra, l'aria e l'acqua in tutto il mondo.

 L'inquinamento reale esiste, ma il problema non è il CO2.

La globalizzazione industriale ha prodotto molte sostanze registrate come inquinanti, tra cui migliaia di nuovi composti chimici artificiali, tossine, nanoparticelle e organismi geneticamente modificati (OGM) che violano il principio scientifico di precauzione.

Un libro che ho pubblicato di recente fornisce anche ampie prove e testimonianze di scienziati rinomati che non esiste un'emergenza climatica.

Il libro intitolato "Trascendere l'inganno del cambiamento climatico verso una vera sostenibilità" è disponibile su amazon.COM.

 

3. Successivamente, menzionerò il sito web dell”'Irish Climate Science Forum” (ICSF), una risorsa preziosa fondata da Jim O'Brien.

Sono grato all'ICSF per l'eccellente lavoro svolto nell'evidenziare i difetti scientifici della narrativa climatica delle Nazioni Unite.

 L'ICSF fornisce una serie completa di conferenze tenute da rinomati scienziati internazionali che forniscono molte prove, analisi e dati che contraddicono le affermazioni delle Nazioni Unite. Le lezioni sono disponibili.

Il punto di vista scientifico dell'ICSF coincide con quello della” fondazione Climate Intelligence” (CLINTEL) che opera nei settori del cambiamento climatico e della politica climatica.

CLINTEL è stata fondata nel 2019 dal professore emerito di geofisica “Guus Berkhout” e dal giornalista scientifico “Marcel Crok”.

 Sulla base di questa convinzione comune, 20 scienziati irlandesi e diversi membri dell'ICSF hanno co-firmato la “Dichiarazione Mondiale sul Clima CLINTEL” "There is No Climate Emergency".

4. La realtà è che il clima cambia naturalmente e lentamente nel suo ciclo, e l'attività solare è il fattore dominante nel clima e non la Co2.

Possiamo concludere che le emissioni di carbonio (Co2) o il metano del bestiame, come le mucche, non sono i fattori dominanti del cambiamento climatico.

(Solo il fatto che la “CO2” pesa molto di più dell’atmosfera deve convincere tutti che non vi è alcuna possibilità che possa volare nell’alto dei cieli per raggiungere la gabbia dei veri “gas serra”! N.D.R.)

 In sostanza, quindi, l'incessante isteria climatica prodotta dalle Nazioni Unite, dai governi e dai media corporativi in relazione alle emissioni di carbonio (Co2) e al metano delle mucche non ha alcuna base scientifica.

Si prega di notare che non ho alcun interesse commerciale nell'affermare che il cambiamento climatico non è causato da CO2.

In verità sono contrario all'inquinamento "reale", e la realtà è che le emissioni di CO2 componente non è un inquinante.

Purtroppo, molti ambientalisti disinformati vanno in giro con auto elettriche, la cui produzione di batterie ha causato grandi quantità di inquinamento "reale" attraverso l'estrazione industriale e la lavorazione dei metalli delle terre rare, e il conseguente inquinamento dei sistemi terrestri, dell'aria e dell'acqua.

Si noti che l'ONU non si concentra sulle migliaia di inquinanti reali che la globalizzazione industriale delle multinazionali crea.

 

5. Le conclusioni della” fondazione Climate Intelligence” includono quanto segue.

Non c'è un'emergenza climatica. Pertanto, non c'è motivo di panico e allarme.

Il riscaldamento è causato da fattori naturali e antropogenici:

 l'archivio geologico rivela che il clima della Terra è variato da quando esiste il pianeta, con fasi naturali fredde e calde.

La Piccola Era Glaciale si è conclusa nel 1850.

Pertanto, non sorprende che ora stiamo vivendo un periodo di riscaldamento.

Il riscaldamento è molto più lento del previsto: il mondo si è riscaldato significativamente meno di quanto previsto dall'IPCC sulla base del forcing antropogenico modellato. Il divario tra il mondo reale e il mondo modellato ci dice che siamo lontani dalla comprensione del cambiamento climatico.

La politica climatica si basa su modelli inadeguati:

 I modelli climatici hanno molti difetti e non sono lontanamente plausibili come strumenti politici globali.

 Fanno esplodere l'effetto dei gas a effetto serra come il “CO2”.

Inoltre, ignorano il fatto che l'arricchimento dell'atmosfera -a livello della terra e del mare- con “CO2” è benefico.

(infatti i Burocrati delle Nazioni Unite sono pagati per alimentare questa ignoranza basilare! N.D.R.)

“CO2 “è il cibo vegetale, la base di tutta la vita sulla Terra:

CO2 non è un inquinante.

 È essenziale per tutta la vita sulla Terra.

La fotosintesi è una benedizione.

Più CO2 è benefico per la natura, rinverdendo la Terra:

“CO2 In the Air “ha promosso la crescita della biomassa vegetale globale.

È anche un bene per l'agricoltura, aumentando le rese delle colture in tutto il mondo.

Il riscaldamento globale non ha aumentato i disastri naturali:

 non ci sono prove statistiche che il riscaldamento globale stia intensificando uragani, inondazioni, siccità e disastri naturali simili, o rendendoli più frequenti.

 

6. Nel libro di cui sopra faccio riferimento al lavoro pertinente e alle presentazioni scientifiche di alcuni dei principali scienziati del clima del mondo.

Esaminiamo alcuni dei lavori e delle testimonianze di “questi scienziati veri”:

"Una logica profondamente errata, oscurata da una propaganda astuta e implacabile, ha in realtà permesso a una coalizione di potenti interessi speciali di convincere quasi tutti nel mondo che la “Co2” proveniente dall'industria umana era una tossina pericolosa che distrugge le piante.

Sarà ricordato come la più grande illusione di massa nella storia del mondo: la “Co2”, la vita delle piante, è stata considerata per un certo periodo un veleno mortale." – (Professor Richard Lindzen, Professore Emerito di Scienze Atmosferiche al MIT).

Il dottor Nils-Axel Mörner è stato presidente del comitato del Gruppo internazionale di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite.

È stato un esperto coinvolto nella revisione dei primi documenti dell'IPPC.

Dice che l'IPPC delle Nazioni Unite sta fuorviando l'umanità sul cambiamento climatico.

Ha cercato di avvertire che l'IPPC stava pubblicando menzogne e false informazioni che sarebbero state inevitabilmente screditate.

 In un'intervista, ha dichiarato:

"Questa è la parte più pericolosa e spaventosa.

Come un gruppo di lobbisti, come l'IPPC, è stato in grado di ingannare il mondo intero. Queste forze organizzate e ingannevoli sono pericolose" e ha espresso shock "per il fatto che le Nazioni Unite e i governi facciano sfilare i bambini in giro per il luogo ai vertici delle Nazioni Unite sul clima come oggetti di propaganda di propaganda".

(Ma l’operato delle Nazioni Unite e dei Governi contro la “Co2” è criminale e genocida perché ha come scopo l’annientamento dell’Umanità! N.D.R.)

Quella che segue è la sua testimonianza come dettagliato.

"L'attività solare è il fattore dominante nel clima e non la Co2... qualcosa è fondamentalmente malato nell'ipotesi della colpa Co2 ... È stato lanciato più di 100 anni fa e quasi immediatamente eccellenti fisici hanno dimostrato che l'ipotesi non funzionava.

Sono stato il “presidente dell'unico comitato internazionale sui cambiamenti del livello del mare” e come tale sono stato eletto per essere il revisore esperto del capitolo sui livelli del mare (IPPC delle Nazioni Unite).

 È stato scritto da 38 persone e nessuno era uno specialista del livello del mare...

Sono rimasto scioccato dalla bassa qualità, era come un documento studentesco... L'ho esaminato e ho mostrato loro che era sbagliato e sbagliato e sbagliato...

La verità scientifica è dalla parte degli scettici... Ho migliaia di scienziati di alto livello in tutto il mondo che concordano sul fatto che NO, la “CO2” non è il meccanismo trainante e che tutto è esagerato.

Nel campo della fisica dall'80 al 90% dei fisici sa che l'ipotesi della Co2 è sbagliata...

Certo, i meteorologi ci credono perché è la loro professione, ci vivono... Ho il sospetto che i promotori dietro le quinte... hanno un secondo fine...

(Ossia quello di arricchirsi in modo allucinante solo per accontentare la volontà omicida dei padroni del mondo! N.D.R.)

È un modo meraviglioso di controllare la tassazione, controllare le persone" – (Dr. Nils-Axel Mörner, ex presidente del comitato presso l'IPPC delle Nazioni Unite ed ex capo del dipartimento di paleo fisica e geodinamica di Stoccolma).

Un altro scienziato del clima con credenziali impeccabili che ha rotto i ranghi è il dottor” Mototaka Nakamura”.

Afferma: "I nostri modelli sono prese in giro di Topolino del mondo reale".

 Il dottor Nakamura ha conseguito un dottorato in scienze presso il MIT e per quasi 25 anni si è specializzato in condizioni meteorologiche anomale e cambiamenti climatici presso prestigiose istituzioni tra cui il MIT, il Georgia Institute of Technology, la NASA, il Jet Propulsion Laboratory, il California Institute of Technology, il JAMSTEC e la Duke University.

 Il “dottor Nakamura” spiega perché la base di dati alla base della scienza del riscaldamento globale è "inaffidabile" e non può essere considerata affidabile e che:

"Le temperature medie globali prima del 1980 si basano su dati inaffidabili".

Il professor “John R. Christy”, direttore delle scienze atmosferiche e della terra dell'Università dell'Alabama, ha fornito un'analisi dettagliata dei dati climatici.

Riassumo qui di seguito i punti principali della sua analisi:

"La teoria consolidata del riscaldamento globale travisa in modo significativo l'impatto dei gas serra in eccesso;

 Il clima che colpisce di più le persone non sta diventando più estremo o più pericoloso;

Le temperature erano più alte negli anni '30 rispetto ad oggi;

Tra il 1895 e il 2015, 14 dei primi 15 anni con i record di calore più alti si sono verificati prima del 1960;

Le temperature che stiamo vivendo ora nel 2021 erano le stesse di 120 anni fa...

Il numero di grandi tornado tra il 1954 e il 1986 è stato in media di 56 all'anno, ma tra il 1987 e il 2020 la media è stata di soli 34 all'anno;

 Tra il 1895 e il 2015 in media non c'è stato alcun cambiamento nel numero di giorni molto piovosi al mese, e nessun cambiamento nel numero di giorni molto secchi al mese, e i 20 mesi più secchi sono stati prima del 1988.

Tra il 1950 e il 2019 la percentuale di superficie colpita dalla siccità non è aumentata a livello globale: la tendenza è piatta;

l'incidenza degli incendi in Nord America tra il 1600 e il 2000 è diminuita notevolmente.

 Il livello del mare è salito di 12,5 cm per decennio per 8.000 anni e poi si è stabilizzato, ora è salito solo di 2,5 cm per decennio...

Preoccuparsi di un aumento di 30 cm del livello del mare in un decennio è ridicolo, in un uragano la costa orientale degli Stati Uniti ottiene un aumento di 20 piedi in 6 ore, quindi un aumento di 30 cm sarà facilmente gestibile!"

In una conferenza dal titolo “La crisi climatica immaginaria, come possiamo cambiare il messaggio”?

Disponibile sul sito web dell'”Irish Climate Science Forum”.

Richard L. Lindzen”, professore emerito di scienze atmosferiche al MIT, riassume così la battaglia contro l'isteria climatica:

 

"Nella lunga storia della Terra non c'è stata quasi nessuna correlazione tra clima e CO2...

il record paleoclimatico mostra inequivocabilmente che la CO2 non è una manopola di controllo... la narrazione è assurda...

Dà ai governi il potere di controllare il settore energetico...

Per circa 33 anni, molti di noi hanno combattuto contro l'isteria climatica... C'erano persone più importanti che si opponevano, erano purtroppo più anziani e ormai la maggior parte di loro era morta...

Le élite globaliste straricche sono sempre alla ricerca di modi per pubblicizzare la loro virtù e affermare la loro autorità.

Credono di avere il diritto di considerare la scienza come una fonte di autorità piuttosto che come un processo, e cercano di appropriarsi della scienza, opportunamente e scorrettamente semplificata, come base per il loro movimento.

(E non badano a spese per la propaganda omicida contro la Co2, mentre questa è solo una fonte benefica di vita sulla terra! N.D.R.).

"La CO2... non è un inquinante... È il prodotto di tutta la respirazione delle piante, è essenziale per la vita delle piante e la fotosintesi... Se hai mai desiderato un punto di leva per controllare tutto, dall'espirazione alla guida, questo sarebbe un sogno.

 Quindi ha una sorta di attrattiva fondamentale per la mentalità burocratica che domina l’ONU"

(Prof. Richard Lindzen, Professore Emerito di Scienze Atmosferiche al MIT)

 

“Patrick Moore”, co-fondatore di Greenpeace e presidente di Greenpeace in Canada per sette anni, afferma:

"L'intera crisi climatica non è solo una fake news, è una falsa scienza... Certo che il cambiamento climatico è reale, sta accadendo dall'inizio dei tempi, ma non è pericoloso e non è causato dall'uomo... Il cambiamento climatico è un fenomeno perfettamente naturale e questo moderno periodo di riscaldamento è iniziato circa 300 anni fa, quando la Piccola Era Glaciale ha iniziato a volgere al termine. Non c'è nulla di cui aver paura e tutto ciò che stanno facendo è instillare paura.

La maggior parte degli scienziati che dicono che si tratta di una crisi sono sovvenzionati dal governo perpetuo globalista occidentale.

Sono stato uno dei fondatori di Greenpeace... A metà degli anni '80... siamo stati dirottati dall'estrema sinistra che ha sostanzialmente portato “Greenpeace” da un'organizzazione basata sulla scienza a un'organizzazione basata sul sensazionalismo, la disinformazione e la paura... non avete un piano per sfamare 8 miliardi di persone senza combustibili fossili o per portare il cibo nelle città..." – “Patrick Moore, co-fondatore di Greenpeace”.

Anche il professor William Happer, dell'Università di Princeton, ex direttore scientifico del Dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti, è una voce forte contro il mito del riscaldamento globale causato dall'uomo.

Egli afferma: "Più CO2 benefici per la Terra".

 

7. L'IPCC delle Nazioni Unite (corrotta sino al midollo! N.D.R.) seleziona i dati, utilizza modelli imperfetti e scenari non lontanamente correlati al mondo reale.

Le previsioni delle Nazioni Unite sulla crisi climatica non si basano su prove fisiche, ma su complessi modelli computerizzati.

 Bisogna decodificare e analizzare il processo di modellazione per accertare se i modelli sono validi e accurati o se hanno difetti evidenti.

 La stragrande maggioranza degli scienziati, degli economisti, dei politici e del pubblico in generale ha semplicemente dato per scontato che” i modelli del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico” (IPCC) delle Nazioni Unite siano accurati.

Pochissime persone hanno il tempo o le competenze per analizzare questi modelli, per non parlare del fatto che li contestano effettivamente.

Ciononostante, ci sono stati molti scienziati di alto livello e di alto livello che hanno fatto esattamente questo:

 hanno affermato che la narrativa delle Nazioni Unite era errata e che non c'era alcuna emergenza climatica.

Le loro voci sono state soffocate da una vasta istituzione politica e mediatica guidata dal denaro del "sistema omicida” globalizzato.

 L'opera di vitale importanza di alcuni di questi rinomati scienziati è citata nel mio libro di cui sopra.

"I modelli computerizzati stanno commettendo errori sistematici e drammatici... sono tutti parametrizzati... fudged... i modelli davvero non funzionano" – (Patrick J. Michaels, Direttore, Cato Institute Center for the Study of Science)

 

Il Dr. Roger Pielke Jr, dell'Università del Colorado, ha condotto una revisione scientifica dettagliata e un'analisi del rapporto AR6 dell'IPCC delle Nazioni Unite.

Descrive che, in relazione alla modellizzazione climatica, l'IPCC ha separato i modelli dalla plausibilità socio-economica.

 Nel creare i modelli, invece di completare prima i modelli di valutazione integrativa (IAM), l'IPCC ha saltato questo passaggio essenziale ed è passato direttamente agli scenari di forzatura radiativa e quindi questi scenari non sono basati su IAM concorrenti.

Questo ha portato gran parte della modellistica climatica sulla strada sbagliata.

Cito i seguenti punti dell'analisi del dottor Pielke:

"I quattro scenari dell'IPCC provenivano da una grande famiglia di modelli, quindi invece di dividere la modellazione dalle ipotesi socio-economiche, i modelli avevano già le ipotesi falsificate e inserite, perché dovevano avere quelle ipotesi per produrre il forzante radiativo richiesto (per produrre un risultato desiderato dello 'scenario di crisi' climatica).

In un'altra decisione fatale, i 4 percorsi di concentrazione rappresentativi (RCP) provenivano da 4 diversi IAM, il che è stato un errore enorme.

 Questi modelli sono completamente estranei l'uno all'altro, ma è stata data l'impressione che siano di un insieme comune, differendo solo per il loro forzante radiativo, questo è stato un errore enorme.

 Inoltre, nessuno ha la responsabilità di determinare se questi scenari siano plausibili.

La comunità climatica ha deciso a quale scenario dare la priorità e ha scelto i due scenari più implausibili!

Ci sono migliaia di ipotesi climatiche, ma solo 8-12 di esse sono attualmente disponibili per la ricerca sul clima.

Il rapporto dell'IPCC afferma anche che "nessuna probabilità è collegata agli scenari di questo rapporto".

La probabilità è considerata bassa, ammettono – Questa è un'ammissione incredibile da parte dell'IPCC.

Questi scenari estremamente improbabili dominano la letteratura e il rapporto dell'IPCC; pertanto, il rapporto dell'IPCC è di parte.

La linea di fondo è che c'è un'enorme confusione.

Richard Moss dell'IPCC ha avvertito che l'RCP 8.5 non doveva essere usato come riferimento per gli altri RCP, ma 5.800 articoli scientifici in tutto il mondo ne fanno un uso improprio in questo modo.

L'intero processo è gravemente difettoso... Nulla di simile al mondo reale è rappresentato dagli scenari dell'IPCC.

La scienza del clima ha un problema enorme!

L'IPCC attualmente utilizza l'RCP 8.5 come scenario "business as usual", ma l'RCP 8.5 è una terra di fantasia selvaggia e non è affatto lontanamente correlata alla realtà attuale.

 La scienza del clima ha una crisi di integrità scientifica." –

(Dr Roger Pielke Jr, Università del Colorado)

 

8. La finanziarizzazione dell'intera economia mondiale si basa ora su una strategia di emissioni nette di gas serra "net-zero" che uccide la vita.

Il piano dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e l'obiettivo dell'accordo di Parigi di ridurre le emissioni di CO2 emissioni del 7% all'anno fino al 2030 è in effetti un piano che disabiliterebbe gli attuali meccanismi di risorse dell'economia industriale per il cibo, l'energia e i beni che consentono la vita e la sopravvivenza umana.

Questo viene attuato prima che l'umanità si sia allontanata dall'imperfetta e inquinante economia industriale transnazionale verso economie locali/regionali autosufficienti.

Zero emissioni di carbonio (Co2), in sostanza, significa staccare la spina agli attuali sistemi di agricoltura industriale, trasporti, produzione di beni, produzione di elettricità, ecc., e molti milioni di persone che dipendono da questi sistemi in tutto il mondo potrebbero trovarsi di fronte a una mancanza di elettricità, cibo, beni, ecc.

Ciò potrebbe avere conseguenze terribili, in particolare in luoghi e paesi che attualmente non sono in grado di produrre molto cibo.

(Gli uomini di Davos, con Klaus Schwab in testa, vogliono eliminare almeno il 90 % dell’attuale umanità. Questo è un genocidio programmato a tavolino. Tutto l’oro del mondo non è sufficiente per farli ragionare. Hitler è il loro maestro! N.D.R.)

Va notato che per decenni, questi stessi poteri politici, governativi e corporativi hanno promosso in modo dilagante la globalizzazione economica delle imprese e la dipendenza dai combustibili fossili.

Allo stesso tempo, ostacolare attivamente il finanziamento, la creazione o il sostegno governativo di comunità/regioni locali più autosufficienti e di cooperative locali.

 La maggior parte della popolazione mondiale divenne così dipendente dal sistema globalizzato dipendente dai combustibili fossili.

9. I banchieri centrali stanno interamente finanziando/controllando l'avanzamento del "progetto" mondiale sul cambiamento climatico.

La decisione di ridurre drasticamente le emissioni di CO2, uno dei composti più essenziali per sostenere tutta la vita, non è una coincidenza.

 Va notato che sono i “banchieri centrali del mondo” che sono dietro questa decisione e stanno interamente finanziando e controllando l'avanzamento del progetto mondiale di lotta al cambiamento climatico causato dall'uomo.

 

Questo progetto comporta un tentativo di decarbonizzare (Zero Co2) le attività dell'intera popolazione mondiale.

Nel dicembre 2015, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) ha creato la “Task Force on Climate-related Financial Disclosure” (TCFD), che rappresenta 118 trilioni di dollari di asset a livello globale.

 In sostanza, ciò significa che la finanziarizzazione dell'intera economia mondiale si basa sul raggiungimento di obiettivi insensati come "zero emissioni nette di gas serra".

La TCFD include persone chiave delle mega-banche e delle società di gestione patrimoniale del mondo, tra cui JP Morgan Chase; Roccia Nera; Banca Barclays; HSBC; la banca cinese ICBC; Tata Steel, ENI oil, Dow Chemical e altro ancora.

Il fatto che le più grandi banche e società di gestione patrimoniale del mondo, tra cui BlackRock, Goldman Sachs, l'ONU, la Banca Mondiale, la Banca d'Inghilterra e altre banche centrali della BRI, si siano tutte collegate per promuovere un'economia "verde" vaga e matematicamente insensata, non è una coincidenza.

C'è un'altra agenda in gioco che non ha nulla a che fare con l'ambientalismo.

 L'economia verde, insieme all'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, è un'agenda di controllo mondiale e svilupperà anche trilioni di dollari per le mega-banche dietro le quinte.

Quando le banche, le aziende e le istituzioni più grandi del mondo si allineano per promuovere un'agenda sul cambiamento climatico che non ha prove, si può vedere che c'è un'altra grande agenda in corso dietro le quinte.

Questa agenda cerca di convincere la gente comune del mondo a fare enormi sacrifici con il pretesto emotivo di "salvare il nostro pianeta".

Mentre per tutto il tempo le corporazioni e le banche realizzano enormi profitti e le istituzioni politiche implementano sistemi di controllo tecnocratici in tutto il mondo sotto la bandiera della lotta e dell'adattamento al cosiddetto cambiamento climatico causato dall'uomo.

"I legami tra i più grandi gruppi finanziari del mondo, le banche centrali e le società globali all'attuale spinta per una strategia climatica radicale per abbandonare l'economia dei combustibili fossili a favore di una vaga e inspiegabile economia verde, a quanto pare, non riguarda tanto la genuina preoccupazione di rendere il nostro pianeta un ambiente pulito e sano in cui vivere.

 Piuttosto è un'agenda, intimamente legata all'Agenda 2030 dell'ONU per un'economia "sostenibile", e allo sviluppo letteralmente di trilioni di dollari di nuova ricchezza per le banche globali e i giganti finanziari che costituiscono i veri poteri forti. " –

(F. William Engdahl, consulente strategico per il rischio e docente).

 

Nel 2010, il capo del “Gruppo di Lavoro 3” dell'IPCC delle Nazioni Unite, il dottor “Otmar Edenhofer”, ha detto a un intervistatore:

"... Bisogna dire chiaramente che ridistribuiamo de facto la ricchezza mondiale attraverso la politica climatica.

Bisogna liberarsi dall'illusione che la politica climatica internazionale sia una politica ambientale.

Questo non ha quasi più nulla a che fare con la politica ambientale".

Per percepire meglio cosa c'è "dietro le quinte" della bufala del clima e dell'agenda delle Nazioni Unite e del WEF, è utile esaminare anche ciò che è accaduto nei decenni precedenti.

È importante percepire le implicazioni della truffa bancaria mondiale del debito a riserva frazionaria e del sottile sistema di schiavitù del debito che è esistito per decenni.

 Se date un'occhiata al sito web della Banca Mondiale, vedrete che praticamente ogni nazione della Terra è in debito enorme.

 In debito con chi si può chiedere?

 La risposta è alle mega-banche private.

Per molti decenni le cosiddette élite bancarie e corporative hanno avuto il pieno controllo della fonte di creazione del denaro e della sua allocazione, attraverso il sistema del debito-denaro, e sono quindi, per difetto, state in grado di finanziare, e sempre più controllare e manipolare l'intero spettro mondiale dell'industria, dei media, del governo, dell'istruzione, della supremazia ideologica e della guerra a loro piacimento. l'agenda e il beneficio.

Si dice che Mayer Amschel Rothschild (banchiere) abbia detto:

"Datemi il controllo dell'offerta di moneta di una nazione e non mi importa chi fa le sue leggi".

10. I banchieri centrali hanno dirottato il vero movimento ambientalista nel 1992 creando la falsa agenda sul cambiamento climatico.

Gli psicopatici possono utilizzare qualsiasi ideologia e trasformarla dall'interno in qualcosa che alla fine potrebbe essere completamente diverso dal suo scopo originale.

Nel frattempo, i seguaci e i sostenitori originali continuano a perseguire quella che credono sia l'ideologia originale, ma gradualmente diventano semplici pedine nell'agenda di un'élite egoista.

Purtroppo, negli ultimi decenni, questo è esattamente ciò che è accaduto nel movimento ambientalista.

L'informatore “George Hunt” ha servito come ospite ufficiale a un incontro ambientale chiave a Denver, in Colorado, nel 1987, e afferma che David Rockefeller; Barone Edmund De Rothschild; il Segretario di Stato americano Baker; Maurice Strong, funzionario delle Nazioni Unite e dipendente dei trust Rockefeller e Rothschild; l'amministratore dell'EPA William Ruccleshaus; Il Segretario Generale delle Nazioni Unite a Ginevra MacNeill, insieme a funzionari della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale erano presenti a questa riunione.

Hunt è rimasto sorpreso nel vedere tutti questi ricchi banchieri d'élite all'incontro e si è chiesto cosa stessero facendo lì a un congresso ambientale.

In una registrazione video, Hunt ha poi fornito importanti prove tratte dai documenti della Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo (UNCED), Rio de Janeiro, Brasile, 3-14 giugno 1992.

Questa conferenza è stata il ben noto S”ummit della Terra delle Nazioni Unite del '92” ed è stata gestita dall'UNCED.

Secondo Hunt, attraverso il vertice della Terra, l'ONU stava definendo una rete, un'agenda, per mettere il potere sulla Terra e sui suoi popoli nelle loro mani.

Il cartello mondiale del private banking è costituito dalle stesse famiglie di banchieri ultra-ricchi che sono state determinanti nella creazione della Banca Mondiale, dell'ONU e di altre istituzioni internazionali, dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Le loro coorti politiche includevano Stalin (il leader di un brutale regime comunista in URSS che commise il genocidio di milioni di persone), il primo ministro britannico Churchill e il presidente degli Stati Uniti Roosevelt.

Hunt si riferisce a queste famiglie di banchieri e alle loro reti finanziarie e istituzionali internazionali come:

"Lo stesso ordine mondiale che ha ingannato i paesi del terzo mondo per prendere in prestito fondi e accumulare enormi debiti... e creare intenzionalmente guerra e debito per portare le società sotto il loro controllo. La folla dell'ordine mondiale non è un bel gruppo di persone..."

– “George Hunt, Whistleblower parlando del vertice delle Nazioni Unite sulla Terra del 1992”.

 

Come conseguenza del “Vertice della Terra delle Nazioni Unite”, l'onesto e genuino movimento ambientalista che in realtà si preoccupava del reale inquinamento della terra, dell'aria e dell'acqua, è stato politicamente dirottato da potenti interessi politici e finanziari con un'agenda diversa.

 

Maurice Strong, un funzionario delle Nazioni Unite e un dipendente dei trust Rockefeller e Rothschild, aveva convocato il primo congresso dell'UNCED a Stoccolma, in Svezia, nel 1972.

Poi, 20 anni dopo, è stato coordinatore e segretario generale dell'UNCED.

Hunt ha anche fornito prove video del “Quarto Congresso Mondiale dell'UNCED nel 1987” di un banchiere d'investimento internazionale, affermando che:

"Suggerisco quindi che questo non venga venduto attraverso un processo democratico che richiederebbe troppo tempo e troppi fondi per educare la carne da cannone, purtroppo, che popola la Terra. Dobbiamo prendere quasi un programma elitario..."

Così, i decreti che hanno portato al vertice della Terra delle Nazioni Unite del 1992 sono stati dettati senza dibattito o possibilità di dissenso e avrebbero sostituito le leggi nazionali.

I decreti sono stati dettati dal banchiere Edmund de Rothschild, che ha inserito questi importanti decreti nelle risoluzioni delle Nazioni Unite del '92 senza dibattito o contestazione.

Hunt afferma che gli è stata negata l'opportunità di contestare apertamente le osservazioni di Rothschild dal presidente della riunione.

C'è da stupirsi che la banca Rothschild di Ginevra sia il nucleo della “Banca Mondiale per la Conservazione” e che l'élite benestante sia integrata nella banca attraverso l'offerta privata di azioni dei Rothschild?

 Le banche assumono il controllo della conservazione del mondo e decidono e controllano come queste risorse vengono allocate o utilizzate.

11. Nonostante l'ingannevole e falsa facciata ambientale che ha adottato, la vasta entità istituzionale dell'ONU ha pienamente approvato la globalizzazione industriale distruttiva per l'ambiente negli ultimi 70 anni.

Le politiche delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile e l'economia verde negli ultimi 30 anni sono poco più che trucchi di marketing mondiale che hanno tragicamente fatto il lavaggio del cervello a due generazioni di giovani che non capiscono cosa sia realmente l'ONU, e chi sia davvero progettato per servire.

Questo attuale sistema globalizzato comporta la promozione di credenze e false scienze che pretendono di essere verità incontestabili, ma sono, in realtà, ideologie in cui le prove vengono manipolate, distorte e distorte per dimostrare l'"idea dominante", e quindi promuovere la sua diffusione in tutto il mondo.

Cominciano con la conclusione che vogliono e poi strappano e manipolano le scarse prove che possono per adattarle a quella conclusione.

Il cambiamento climatico causato dall'uomo a causa delle emissioni antropogeniche di carbonio (Co2) ne è un esempio importante.

Le istituzioni, tra cui l'ONU, il World Economic Forum (WEF) e l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono organizzazioni non elette e non responsabili motivate privatamente e controllate dalla fonte della creazione di debito-moneta, cioè il cartello mondiale delle banche private;

e sono solo abili strumenti di marketing e meccanismi politici per implementare e mantenere un sistema mondiale corrotto, con l'astuto pretesto di "risolvere i problemi del mondo".

Questi potenti interessi particolari hanno promosso certe "ideologie" per decenni per promuovere i loro obiettivi corporativi e politici.

La parola "sostenibile" è stata dirottata decenni fa, ed è ora ingannevolmente usata per portare avanti le agende degli interessi delle mega-corporazioni globaliste a cui non importa nulla dell'ambiente.

 L'obiettivo è quello di catapultare l'umanità tra le braccia dell'Agenda 2030 dell'ONU e del piano di "reset" del WEF, che sono abili piani di marketing interamente progettati dai cosiddetti interessi delle mega-corporazioni elitarie del gruppo WEF Davos.

12. Inoltre, le attuali tecnologie per l'energia verde e le energie rinnovabili, promosse dall'ONU e dal WEF, non rappresentano una soluzione praticabile per l'approvvigionamento energetico mondiale.

 Sebbene queste tecnologie abbiano una redditività limitata in determinati luoghi e scenari, resta il fatto che l'energia restituita sull'energia investita è troppo bassa: in sostanza, l'intero processo è matematicamente difettoso.

Ciò è dimostrato dal lavoro di scienziati, tra cui il professor “David MacKay”, ex professore di ingegneria presso l'Università di Cambridge ed ex consulente scientifico capo presso il Dipartimento dell'energia e dei cambiamenti climatici del Regno Unito.

Sommario.

In sintesi, le emissioni di CO2 La riduzione è l'obiettivo principale dell'isteria del cambiamento climatico promossa dalle Nazioni Unite che è dilagante tra la popolazione mondiale.

 Tuttavia, la proclamata crisi climatica esiste solo nei modelli computerizzati.

 Il culto del "cambiamento climatico causato dall'uomo" è un'"ideologia" promossa dai media e dalle Nazioni Unite, che viene utilizzata per un'agenda politica e aziendale più ampia.

 Il cambiamento climatico causato dall'uomo non si basa sui fatti e ha dirottato le reali preoccupazioni ambientali.

I banchieri centrali di tutto il mondo stanno finanziando completamente il "progetto" mondiale sul cambiamento climatico.

Mi viene in mente l'ovvietà "segui il denaro" e, così facendo, si scopre rapidamente chi gestisce il mondo aziendale, politico e dei media.

A causa dell'incessante propaganda sul cambiamento climatico promossa dalle Nazioni Unite, dai governi e dalle multinazionali, molte persone si trovano, quindi, in uno stato di confusione indotto dai media e, quindi, assumono ciecamente il loro ruolo predeterminato nella società sotto questa "dittatura delle parole" senza nemmeno esserne consapevoli.

Ad esempio, ora abbiamo milioni di cosiddetti guerrieri del cambiamento climatico ciechi al fatto che il cambiamento climatico non è in realtà causato dalle emissioni di carbonio (Co2).

Tutto questo per spaventare le persone e farle accettare l'autorità totalitaria e le limitazioni alla loro libertà e al loro benessere personale.

La sgradevole realtà è che l'accesso delle persone all'energia e alle risorse viene intenzionalmente ridotto attraverso politiche fasulle sul cambiamento climatico, alta inflazione, teatri geopolitici in corso e guerre intenzionalmente istigate.

Non possiamo capire come creare una società veramente resiliente se non percepiamo correttamente la società attuale in cui viviamo e come è nata.

Allora, chi sono gli architetti dell'attuale paradigma?

Il libro di cui sopra ha lo scopo di aiutare in questo senso.

A meno che non riconosciamo le falsità dell'attuale paradigma, anche se non è "politicamente corretto" farlo, allora non saremo in grado di apportare i corretti aggiustamenti alle nostre attuali comunità e reti locali/regionali, o di creare una società veramente resiliente e fiorente in Irlanda.

In questo spirito di verità, nuove reti stanno emergendo in tutto il mondo.

(Mark Keenan è un ex scienziato del Dipartimento dell'Energia e dei Cambiamenti Climatici, Regno Unito; e presso la Divisione Ambiente delle Nazioni Unite; ed è autore del libro Transcending the Climate Change Deception – Towards Real Sustainability disponibile su amazon.COM)

 

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