Le multinazionali nel nuovo mondo globalizzato.
Le
multinazionali nel nuovo mondo globalizzato.
Elettrosmog,
Limiti Innalzati. Una Norma
pericolosa
a Favore delle Multinazionali!
Conoscenzealconfine.it
– (29 Ottobre 2023) - Giuliana Radice – ci dice:
L’Italia
vantava una delle norme più cautelative al mondo per la protezione dei
cittadini dall’elettrosmog.
L’imperfetto
è d’obbligo, perché la maggioranza della “IX Commissione permanente” ha
approvato l’emendamento che consente l’innalzamento dei limiti di esposizione
dei campi elettromagnetici, vale a dire che nel nostro Paese potrà esserci più
inquinamento elettromagnetico.
Una
misura salutata con entusiasmo dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy “Adolfo
Urso”, che l’ha definita “una svolta importante per lo sviluppo del Paese:
migliorerà
la connettività mobile sul territorio garantendo una qualità di servizi
superiore per i cittadini e consentirà alle imprese di diventare più
competitive”.
(A danno
della salute di tutti… – nota di conoscenze al confine).
Abbiamo
sentito in proposito il giornalista “Maurizio Martucci”, portavoce nazionale
dell’”Alleanza
Stop 5G”:
“Si
passa dagli attuali 6 volt/m ai 15 volt/m, che potrebbe far schizzare il valore
a 40 -50 volte l’attuale.
Con
interessi delle multinazionali fino a 4 miliardi di euro”.
Il
provvedimento elettrosmog dunque, come detto tra le righe dallo stesso ministro
delle imprese “Adolfo Urso”, nell’agevolare le imprese garantendone la
competitività, farebbe in realtà un favore alle lobby del 5G, giocando sulla
salute della popolazione.
“Considerando
l’ammortamento notturno, potremmo essere esposti a qualcosa che in Italia si è
verificato con il caso di “Radio Vaticana”, una situazione talmente grave da
generare uno studio epidemiologico che ha rilevato oltre 200 casi di morte per
linfoma, leucemia e altri tumori “.
Più
che mai si delinea un certo scollamento dell’esecutivo rispetto alle richieste
dei cittadini, che ormai da tempo sono consapevoli della pericolosità dei
fattori elettromagnetici che chiamiamo elettrosmog.
“È
particolarmente inquietante se si pensa che sono stati stracciati tutti gli
appelli dei cittadini alla precauzione e alla minimizzazione del rischio.
Voglio
ricordare anche le 65mila firme presentate al governo.
Voglio
ricordare che pochi giorni fa il ministero della Salute ha disconosciuto il
riconoscimento dell’elettro sensibilità.
Si va
contro alle norme per salute dei cittadini e si favoriscono le grandi società
della telecomunicazione “.
Una
decisione che verte su una mera questione di risparmio, risparmio delle
multinazionali delle telecomunicazioni.
Una
certa pressione può tuttavia essere fatta sul Governo, soprattutto considerando
che la misura dovrà affrontare un iter parlamentare di 120 giorni prima di un
DPCM regolamentare che arriverà nel 2024.
“Faccio
un invito a tutte le forze di buonsenso della società civile, di maggioranza e
opposizione, per fare battaglia il più possibile prima che l’inquinamento
elettromagnetico venga innalzato da una soglia già critica.
Abbiamo
tempo 120 giorni per non arrivare al 2024 con un DPCM firmato da Giorgia Meloni
che metterebbe la parola fine alla questione.
(Giuliana
Radice)
(byoblu.com/2023/10/27/elettrosmog-limiti-su-pericoloso-favore-a-lobby/)
La
fiscalità d’impresa nel nuovo
mondo
globalizzato e digitalizzato
sipotra.it - Stefano Micossi – (10 -1 -2017) –
ci dice:
1.) I
sistemi fiscali di fronte all’impresa ‘globale’.
La
globalizzazione ha indotto profondi mutamenti nel modello di business delle
imprese multinazionali: le attività delle imprese sono diventate globali,
digitali e immateriali mentre i sistemi fiscali sono rimasti quelli progettati
un secolo fa.
L’operatività
delle imprese multinazionali è evoluta da un modello “country specific” – nel
quale l’impresa che intendeva penetrare nel mercato di un altro paese non
poteva che stabilirvi una “subsidiary” o una “branch” che replicassero, nel
nuovo territorio di insediamento, tutte le funzioni necessarie a realizzare
l’oggetto dell’attività d’impresa – a un modello di estrema specializzazione e
integrazione di tutte le attività del gruppo, in cui ogni singola entità o struttura è
delegata a gestire solo una parte di un business organizzato nelle sue
componenti a livello globale.
Non
solo. L’avvento della new economy e la digitalizzazione hanno reso possibile la
penetrazione delle imprese nei mercati esteri senza che sia più necessario
insediarvi una struttura o una presenza fisica.
Questo
modello dell’impresa multinazionale come contribuente unitario globale ‘sfida’
i sistemi di tassazione vigenti, che invece continuano – in modo del tutto
anacronistico – a determinare e ripartire i profitti realizzati dall’impresa
multinazionale come se si trattasse di profitti realizzati in diverse
giurisdizioni da imprese distinte.
Ma si
tratta di un modello nato per un’economia prevalentemente materiale (e dunque
più facilmente controllabile) e caratterizzata da scambi internazionali
limitati e sviluppati all’interno di reti di rapporti bilaterali tra Stati, in
un mercato in cui le transazioni “inter company” si confrontavano con
limitazioni stringenti alla circolazione di capitali, merci e persone.
La
rilevazione reddituale di tali transazioni si fondava sul principio
dell’”independent person”: i prezzi di trasferimento tra le consociate venivano
determinati con riferimento al prezzo di mercato che sarebbe stato praticato
tra imprese indipendenti (arm’s length pricing).
Questo
principio appare sempre più inadeguato rispetto al nuovo modello di
integrazione verticale delle funzioni d’impresa, in un contesto in cui le
transazioni inter company spesso superano il 70 per cento delle transazioni
totali dell’impresa. In “ Il testo del Note Studi” riproduce l’intervento
tenuto dall’Autore al Convegno “La fiscalità della quarta rivoluzione
industriale” organizzato dalla Scuola Europea di alti studi tributari
dell’Università di Bologna, il 24 febbraio 2017.
2)
Questi mutamenti - analizzati nel Note e Studi Assonime n. 17/2016, Imprese
multinazionali:
aspetti
societari e fiscali - hanno portato a sviluppare un modello di business
rispetto al quale i tradizionali principi di fiscalità internazionale appaiono
ormai inadeguati.
In effetti,
proprio le regole sui prezzi di trasferimento sono emerse tra i principali
fattori di erosione delle basi imponibili e di creazione di redditi “apolidi”,
che sfuggono a ogni giurisdizione fiscale.
Un
esito al quale si è pervenuti anche per la diffusione delle pratiche di “Aggressive
Tax Planning” da parte delle imprese, spesso assecondate dagli stessi Governi
con i ruling sui prezzi di trasferimento nel contesto di pratiche di
concorrenza fiscale dannosa.
La
realtà è che l’impresa globale produce profitti a livello globale che, con la
digitalizzazione dell’economia, non sono facilmente collegabili ai mercati sui
quali l’impresa è attiva:
In questo mondo anche i ricavi d’impresa
diventano mobili, al pari dei flussi di dividendi, interessi o royalties, con
un impatto significativo sulla fiscalità dei paesi in cui sono realizzati (c.d.
paesi fonte).
Un
rovesciamento di prospettiva rispetto al passato, quando si era convenuto di
non assoggettare i ricavi d’impresa a ritenuta in uscita proprio nel
presupposto che essi non fossero mobili e fossero generati da insediamenti
produttivi stabili sui territori.
2.) La
reazione degli ordinamenti nazionali tra esigenze di coerenza interna e
politiche fiscali incentivanti.
La
sfida portata dall’impresa globale alla capacità impositiva degli Stati
nazionali pone ogni ordinamento di fronte alla scelta tra la difesa della
coerenza del proprio sistema tributario e l’utilizzo della leva fiscale come
incentivo per attrarre investimenti, anche ricorrendo a strumenti di
concorrenza fiscale dannosa.
La
coerenza interna dei sistemi fiscali nazionali – normalmente garantita dal
fatto che, all’interno del singolo sistema, quel che costituisce costo per un
contribuente rappresenta provento imponibile per un altro – è continuamente
minacciata dalle interazioni tra i differenti sistemi societari e fiscali.
Asimmetrie,
lacune e disallineamenti tra giurisdizioni sono sfruttabili dai grandi gruppi
per erodere le basi imponibili dei paesi che – avendo aliquote più elevate o,
comunque, sistemi fiscali coerenti e trasparenti – appaiono meno vantaggiosi.
Le strategie di pianificazione mirano a creare
le condizioni per dedurre costi in questi paesi, a vantaggio di altre
giurisdizioni a bassa imposizione o semplicemente più opache, nelle quali non
si verificano i presupposti.
Questi
disallineamenti, asimmetrie o lacune non sempre sono intenzionalmente creati
dalle singole giurisdizioni:
possono consistere, ad esempio, nel fatto che
uno stesso strumento finanziario è considerato equity da una giurisdizione e
debito (strumento ibrido) da un’altra; che una stessa società è considerata
fiscalmente trasparente in un paese e opaca nell’altro (entità ibrida); che il
trasferimento di un titolo è qualificato come cessione in un paese e prestito
nell’altro (trasferimento ibrido).
L’emersione
delle corrispondenti componenti reddituali positive, o queste non sono tassate.
Allo stesso tempo, si è indebolita la capacità dei Governi di utilizzare la
leva fiscale per attirare flussi reali d’investimento. Per anni, alcuni
ordinamenti hanno fondato le proprie fortune sul riconoscimento di agevolazioni
fiscali piuttosto che sul mantenimento di un sistema tributario coerente.
Già
nel 1998 – anno dell’introduzione del Codice di condotta nell’Unione Europea e
della pubblicazione del primo Rapporto OCSE sulla concorrenza fiscale dannosa –
si era osservato che le misure di agevolazione venivano sempre più spesso
accordate per prassi amministrativa, attraverso” ruling taylor-made” coperti da
assoluta riservatezza, piuttosto che con misure di carattere legislativo. E’
così potuto accadere che modesti investimenti diretti, tassati secondo le
ordinarie aliquote del paese di insediamento, operassero come una sorta di
cavallo di Troia per detassare interi profitti prodotti in aree geografiche ben
più vaste, facendo scendere l’aliquota effettiva di tassazione a livelli
trascurabili.
La
combinazione tra pianificazione fiscale aggressiva da parte delle imprese e
pratiche governative di concorrenza fiscale dannosa ha provocato la progressiva
riduzione, in tutti i paesi, del gettito dell’imposta sui redditi societari,
mentre l’aliquota effettiva d’imposta è scesa in molti casi su valori
trascurabili. Conseguentemente, anche gli spazi per sfruttare la leva degli
incentivi fiscali per attirare investimenti reali si sono fortemente ridotti.
3.) Il
ruolo dell’Europa e quello degli Stati Uniti: le condizioni per la tempesta Perfetta.
All’interno
dell’Unione Europea i fenomeni di “profit shifting” sono stati in parte
favoriti dai principi di libertà dei movimenti di capitale e di stabilimento,
nonché di non discriminazione tra residenti e non residenti.
Per
lungo tempo si è pensato che le libertà comunitarie di circolazione in un
mercato unico tra autonomi paesi nazionali tra loro in competizione non
potessero produrre effetti distorsivi e anzi agissero come fattori di sviluppo:
l’analisi economica dimostra, infatti, che gli investimenti diretti reagiscono
con una certa vischiosità alle aliquote d’imposta e che, in un sistema
competitivo, aliquote differenti si giustificano e trovano corrispondenza nel
differente livello e nella differente qualità dei “locational benefits” offerti
agli investitori.
Tuttavia,
con l’aumento esponenziale della mobilità del capitale finanziario, il complesso
intreccio tra regole di fiscalità non più adeguate ai nuovi modelli di business
e pratiche sempre più diffuse di pianificazione fiscale aggressiva hanno aperto
spazi significativi di sfruttamento delle regole europee del mercato interno –
in particolare la libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali – per
alimentare veri e propri paradisi fiscali all’interno dell’Unione.
Nelle
triangolazioni necessarie a perfezionare gli schemi di pianificazione fiscale
aggressiva, alcuni paesi dell’Unione Europea hanno svolto un ruolo essenziale,
in virtù del network di convenzioni contro le doppie imposizioni che li lega
alla maggior parte dei paesi del mondo (compresi quelli a fiscalità bassa o
prossima allo zero) e della capacità delle imprese di circolare liberamente sul
mercato comune.
Il
fenomeno ha trovato qualche elemento di contrasto nelle deroghe previste dall’articolo
65 TFEU alla libertà di circolazione dei capitali: deroghe tassativamente
indicate, ma in realtà così ampie da far sì che qualsiasi restrizione alla
mobilità dei capitali possa ritenersi giustificata se proporzionata, nella
portata e nei fini, alle specifiche esigenze dell’interesse protetto.
Su
questi temi si è aperta una vasta area di contenzioso tra gli Stati, scandita
dalle sentenze della Corte di Giustizia che cercano di contemperare la tutela dell’integrità
dei sistemi fiscali con le libertà comunitarie di movimento.
I
trattati dell’Unione offrono anche altri importanti anticorpi. Recentemente,
l’Autorità europea di concorrenza ha aperto un nuovo fronte, qualificando come
aiuti di Stato i trattamenti speciali accordati tramite ruling amministrativi
alle imprese non residenti: in attesa del pronunciamento inevitabile della
Corte di Giustizia non possiamo ancora dire se questa impostazione sia giustificata dalle regole del
Trattato.
Ma certo, il problema di arrivare a un
consenso su regole condivise per la tassazione di capitali apolidi protetti dai
ruling di paesi europei è sul tavolo. È una questione suscettibile anche di
condurre a serie controversie con l’amministrazione fiscale statunitense.
Un
ruolo essenziale nei complessi schemi di pianificazione adottati dalle imprese
multinazionali è stato infatti assunto “ab initio”, con particolare riferimento
alle imprese della new economy, proprio dagli Stati Uniti, paese nel quale
risiede la
capogruppo di molte multinazionali dell’economia digitale.
Gli
Stati Uniti hanno da tempo concesso alla ultimate company, attraverso lo
strumento del ruling, la possibilità di trasferire a società del gruppo,
costituite in un paradiso fiscale o in un paese europeo a fiscalità
particolarmente favorevole, i diritti di sfruttamento dell’intangibile al di
fuori del territorio americano – con la prospettiva di tassarle al momento del
rimpatrio, essendo quei profitti rimasti sostanzialmente non tassati nei paesi
in cui erano stati conseguiti.
Tuttavia, l’effetto pratico di questa
strategia è stato il rinvio sine die del rimpatrio dei profitti da parte delle
società statunitensi, con la creazione di una massa apolide di migliaia di
miliardi di profitti alla ricerca permanente di un trattamento fiscale
favorevole da parte di paesi ospiti, a partire dai quali vengono poi effettuati
nuovi investimenti.
In tal
modo, la globalizzazione ha favorito la crescente erosione delle basi
imponibili nazionali tanto dei paesi della fonte quanto del paese di residenza
della capogruppo.
La
reazione dell’OCSE e dell’Unione europea si è focalizzata nella ricerca di
regole di coerenza e trasparenza internazionale e nell’applicazione del
principio di “sostanza” come criterio per differenziare la concorrenza leale
(che cerca di attrarre attività economiche reali) da quella dannosa (che, a
fronte di limitati investimenti reali, concede benefici per attrarre ampie basi
imponibili, distogliendole da altre giurisdizioni).
Si
cerca di tenere fermo, da un lato, il tradizionale principio per cui il
riconoscimento di pretese impositive sul reddito d’impresa presuppone una
presenza fisica (una “subsidiary ” o una stabile organizzazione, materiale o
personale) dell’ente sul territorio nazionale, con una ripartizione del reddito
del gruppo multinazionale effettuata – secondo le regole di “transfer pricing”
– in ragione delle funzioni svolte, dei rischi assunti e degli asset utilizzati
dalla specifica struttura separata.
Dall’altro
lato avanza la consapevolezza che i nuovi modelli di business pongono in
termini
del tutto nuovi sia il tema dei criteri di determinazione dei profitti di
impresa unitariamente generati a livello globale, sia il connesso tema
dell’individuazione della quota di tali profitti che può ritenersi generata in
ciascuna giurisdizione.
Un
approccio globale al problema richiederebbe un’unità di intenti tra Stati che
ad oggi non si intravede, sono nonostante il moltiplicarsi degli strumenti di
coordinamento e di scambio di informazioni.
L’Unione
europea intenderebbe dotarsi di strumenti legislativi vincolanti per tutti i
paesi membri: è quanto si è proposta di fare la Commissione con il restyling
della proposta di direttiva sulla CCCTB (Common Consolidated Corporate Tax
Base).
Nella
CCCTB assume rilievo il profitto unitario del gruppo (determinato con regole
fiscali autonome rispetto al bilancio, essendo esso redatto in base a 28 diverse
discipline di diritto civile).
Principi
condivisi anti avo dance, anti ibridi, contro doppia deduzione etc. e strumenti di coordinamento tra
Amministrazioni finanziarie, scambio di informazioni multilaterale automatico
anche tra paesi non EU (c.d Common Reporting Standard CRS), Country by Country
Reporting da ripartirsi, in una fase successiva, in base a una formula basata
su tre fattori (vendite a destinazione, personale e asset materiali) diversi
rispetto alle regole di transfer pricing.
La
Commissione considera la CCCTB come la soluzione olistica contro l’erosione
delle basi imponibili, in grado di superare gli arbitraggi sui prezzi di
trasferimento (tenuto conto che la ricchezza oggetto di ripartizione è quella
effettiva del gruppo nel suo insieme, per determinare la quale sono ‘azzerate’
tutte le transazioni inter company) e di attribuire il giusto rilievo sia ai
‘mercati’ di vendita di beni e servizi a terzi, sia al luogo in cui lavorano le
persone e si utilizzano gli impianti.
Ma
anche nella nuova versione, il limite principale della base imponibile comune
europea resta il suo perimetro applicativo, limitato al territorio dell’Unione.
Inoltre, la proposta continua a trascurare fattori ormai fondamentali per la
creazione del valore, come gli intangibili, i Big Data, l’apporto gratuito
degli utilizzatori della rete, le piattaforme e i mercati multi-face, i robot
“intelligenti” dell’industria.
4.)
Verso una nuova fiscalità.
Nei
sistemi fiscali attuali, i tradizionali strumenti dell’imposizione personale e
progressiva si rivelano armi spuntate e destinate a produrre effetti opposti a
quelli ideali, posto che ad accollarsi l’intero onere della progressività è
rimasta la parte meno sofisticata della ricchezza, quella rimasta ancorata ai
territori; quella più mobile, spezzato il legame con i territori, ha da tempo
conquistato la tassazione meno onerosa.
La
digitalizzazione è uno sviluppo che non sembra possibile fermare. Ma, poiché la velocità della
digital economy è molto superiore alla capacità di reazione delle legislazioni,
il cuore del problema resta quello di intercettare i redditi delle
multinazionali digitali e di individuare nuove modalità di tassazione per tutti
i redditi che si producono “sopra” i territori, restando senza patria.
Alcuni
di questi fattori sono presenti in una delle proposte dell’Action 1 BEPS
dedicata alla Digital Economy, che tenta di individuare nuovi criteri di
collegamento territoriale del reddito d’impresa, tra i quali la “presenza
economica significativa” (PES) dell’impresa in un determinato territorio:
criterio in cui assumono rilievo in primis i ricavi (ove superiori a una
determinata soglia quantitativa) e una serie di altri fattori (digitali)
indicativi del rapporto qualificato dell’impresa con un determinato territorio,
pur senza una presenza fisica. La PES continua però a non considerare il gruppo
come un contribuente unitario ed esclude la ripartizione del profitto unitario
del gruppo in base a una formula prestabilita (come vorrebbero invece le
organizzazioni non governative).
Un’altra proposta dell’Action 1 consiste, più
semplicemente, in una ritenuta sui flussi di ricavi, ormai pienamente
tracciabili con i sistemi elettronici di pagamento.
Sembrano
maturi i tempi per introdurre nuovi criteri di tassazione del reddito di
impresa, che consentano di colpire i profitti realizzati a livello mondiale
dalle multinazionali digitali con meccanismi più semplici e neutrali di quelli,
tradizionali e superati, rappresentati dalla stabile organizzazione e dalla
libera concorrenza nelle transazioni inter company.
Una
drastica semplificazione potrebbe essere rappresentata dalla ripartizione dei
profitti realizzati a livello mondiale tra le diverse giurisdizioni sulla base
di una formula presuntiva (formula apportionment), diversamente modulabile per
settori di attività, che tenga conto di tutti i fattori che concorrono a creare
la ricchezza.
Tra
questi fattori, un rilievo preminente andrebbe attribuito agli intangibili e
alle
vendite,
premiando dunque, nella ripartizione dei profitti mondiali, i paesi in cui i
beni e i servizi prodotti dalle imprese digitali vengono consumati.
È
interessante notare che questa posizione preminente del mercato di consumo sembra
trovare conferma nell’evoluzione dell’Iva, il cui meccanismo applicativo muove
decisamente in questa direzione: il sistema adottato in Europa con la sesta
direttiva Iva, inizialmente orientato alla realizzazione del principio della
tassazione all’origine, si sta infatti sempre più orientando verso il principio
di destinazione.
Il
principio della tassazione nel paese di origine implica che tali beni siano
colpiti “at factory gate”, laddove essi sono prodotti; i beni e i servizi
destinati all’estero si trasferiscono con il carico dell’imposta nazionale che
essi incorporano nel prezzo. In questo sistema, tutti i beni e i servizi
prodotti in un dato paese sono sottoposti allo stesso trattamento fiscale,
qualunque sia la destinazione, ma in ogni mercato nazionale circolano beni e
servizi che incorporano nel prezzo importi di imposta diversi a seconda del
paese d’origine, con effetti distorsivi tanto più grandi quanto più le aliquote
IVA divergono tra i paesi.
Il
principio della tassazione nel paese di destinazione conduce, al contrario, a
tassare beni e servizi nel mercato in cui vengono consumati, e con le aliquote
proprie di questo mercato. È un sistema che garantisce tassazione uniforme nel
mercato del consumatore – che può dunque acquistare beni e servizi sempre allo
stesso prezzo (o, più correttamente, pagando lo stesso onere fiscale
incorporato nel prezzo) qualunque sia la provenienza dei prodotti – ed è la
prospettiva nella quale, in risposta alle sfide dell’economia globale, si sta
muovendo anche il sistema dell’Iva, come risulta dal “VAT Action Plan “comunicato
il 7 aprile 2016 dalla Commissione europea.
Le
modifiche al sistema dovrebbero contribuire a ridurre notevolmente il “Vat gap”
causato dalle frodi transfrontaliere: nella nuova prospettiva, i fornitori non trarranno
vantaggi significativi dall’essere localizzati in uno Stato membro che applichi
aliquote ridotte e dunque sarà meno probabile che le differenze tra le aliquote
Iva (la cui determinazione è tuttora rivendicata alla sovranità degli Stati)
possano compromettere il funzionamento del mercato unico.
Anche
il sistema Iva pone in questo modo l’accento sul paese di destinazione, finendo
per operare come uno strumento che colpisce i consumi (e, dunque, il reddito
che li sostiene), non dove il reddito è prodotto o guadagnato, ma – in coerenza
con le indicate linee evolutive della fiscalità d’impresa – dove e quando tale
reddito emerge e viene speso.
L'ecologia
umana dell'overshooting:
perché una grande "correzione
demografica"
è inevitabile.
Mdpi.com - William E. Rees – (11 agosto 2023)
– ci dice:
(Ross
Pomery - via RealclearScienza.com)
(Scuola
di Pianificazione Comunitaria e Regionale, Facoltà di Scienze Applicate,
Università della Columbia Britannica, Vancouver, BC V6T 1Z2, Canada.)
(Mondo
2023 pag, 509-527; doi.org/10.3390/world4030032)
(Questo
articolo fa parte del numero speciale “Population Change and Its Impact on the
Environment”, Society and Economy)
L'Homo
sapiens si è evoluto per riprodursi in modo esponenziale, espandersi
geograficamente e consumare tutte le risorse disponibili.
Per la
maggior parte della storia evolutiva dell'umanità, tali tendenze
espansionistiche sono state contrastate da feedback negativi.
Tuttavia,
la rivoluzione scientifica e l'uso dei combustibili fossili hanno ridotto molte
forme di feedback negativo, consentendoci di realizzare il nostro pieno
potenziale di crescita esponenziale.
Questa
capacità naturale viene rafforzata dall'economia neoliberista orientata alla
crescita:
l'educazione
è complementare alla natura.
Problema:
l'impresa
umana è una "struttura dissipativa" e un sottosistema dell'ecosfera:
può crescere e mantenersi solo consumando e
dissipando l'energia e le risorse disponibili estratte dal suo sistema ospite,
l'ecosfera, e scaricando i rifiuti nel suo ospite.
L'aumento della popolazione da uno a otto
miliardi, e l'espansione di >100 volte del GWP reale in soli due secoli su
un pianeta finito, ha quindi spinto la moderna società tecno-industriale in uno
stato di superamento avanzato.
Stiamo consumando e inquinando le basi
biofisiche della nostra stessa esistenza.
Il cambiamento climatico è il sintomo più noto dell'overshooting, ma le "soluzioni"
tradizionali in realtà accelereranno lo sconvolgimento climatico e
peggioreranno l'overshooting. L'umanità sta esibendo le dinamiche caratteristiche di un
ciclo di “boom-bust demografico una tantum”.
L'economia
globale si contrarrà inevitabilmente e l'umanità subirà una grande
"correzione" demografica in questo secolo.
(Parole
chiave: overshooting;
eccezionalità; natura umana; obsolescenza cognitiva; crescita esponenziale;
Stratega 'K'; sovrappopolazione; consumo eccessivo; cambiamenti climatici;
transizione energetica; struttura dissipativa; collasso della civiltà;
Correzione della popolazione)
1.
Introduzione e scopo.
Questo
articolo esamina l'enigma della popolazione umana attraverso la lente
dell'ecologia evolutiva umana e il ruolo dell'energia disponibile.
Le mie
premesse di partenza sono le seguenti:
(1)- La moderna società tecno-industriale
(MTI) è in uno stato di avanzato overshooting ecologico (per un'eccellente introduzione all'overshooting
si veda il classico di William Catton, Overshooting).
Overshooting
significa che anche agli attuali standard materiali medi globali (inadeguati),
la popolazione umana sta consumando anche risorse ricostituibili e
autoproduttrici più velocemente di quanto gli ecosistemi possano rigenerarsi e
sta producendo rifiuti entropici in eccesso rispetto alla capacità di
assimilazione dell'ecosfera.
In
breve, l'umanità ha già superato la capacità di carico umano a lungo termine
della terra.
(2)- L'aumento di otto volte del numero di
esseri umani a causa dei combustibili fossili e l'espansione di >100 volte
del prodotto mondiale lordo reale negli ultimi due secoli sono anomalie; costituiscono anche i fenomeni
ecologici più significativi a livello globale in 250.000 anni di storia
evolutiva umana, con importanti implicazioni per la vita sulla Terra.
(3)- H. sapiens è una specie in
evoluzione, un prodotto della selezione naturale e ancora soggetta alle stesse
leggi e forze naturali che influenzano l'evoluzione di tutti gli organismi
viventi.
(4) -Gli sforzi per affrontare l'anomalia
demografica umana e la conseguente crisi ecologica senza tentare di ignorare i
comportamenti umani innati che sono diventati disadattivi sono tristemente
incompleti e destinati a fallire.
All'interno
di questo quadro, l'obiettivo generale del documento è quello di sostenere che,
sulla sua traiettoria attuale e indipendentemente dalle tanto lodate
transizioni demografiche e dalle cosiddette energie rinnovabili, l'enorme
numero di esseri umani e la scala dell'attività economica stanno minando
l'integrità funzionale dell'ecosfera e compromettendo le funzioni essenziali di
supporto alla vita.
Se non
affrontate, queste tendenze potrebbero far precipitare sia la contrazione
economica globale che una significativa "correzione" della
popolazione umana – cioè il collasso della civiltà – nel corso di questo
secolo.
2.La
natura e l'educazione dell'overshooting.
Sia la
natura che l'educazione contribuiscono alla crisi dell'overshooting, ma la
componente naturale è per lo più ignorata.
In
effetti, la maggior parte degli abitanti della società MTI non si considerano
prodotti dell'evoluzione, cioè della selezione naturale darwiniana.
Molti
si risentono anche solo quando gli viene ricordato che sono animali.
Ironia
della sorte, parte della ragione di tale negazione risiede nello straordinario
successo evolutivo dell'umanità:
siamo la specie dominante e certamente la più
numerosa di grandi mammiferi sulla Terra.
Poiché
gran parte di questo successo è attribuibile all'abbondanza di risorse rese
disponibili dal miglioramento della tecnologia, l'evoluzione culturale riceve
tutto il merito.
Tuttavia, la biologia di base è alla base di
tutte le culture umane, anche la capacità di organizzazione socio-culturale è
essa stessa un tratto evoluto.
Di
particolare rilevanza nel presente contesto sono tre abilità/predisposizioni
innate che gli esseri umani condividono con tutte le altre specie.
A meno
che non siano vincolate da un feedback negativo, le popolazioni di H. sapiens
(1) sono
in grado di crescere in modo esponenziale (geometrico),
(2)
tendono a consumare tutte le risorse disponibili (un tratto altamente
adattativo in assenza di refrigerazione o altre tecniche di conservazione, o di
fronte all'intensa concorrenza delle tribù vicine), e
(3) si
espandono per occupare tutti gli habitat idonei accessibili.
Significativamente,
nel caso degli esseri umani, sia la "disponibilità" (delle risorse)
che l'"idoneità" (dell'habitat) vengono costantemente perfezionate
verso l'alto dalla tecnologia, amplificando così le predisposizioni genetiche sottostanti.
Torneremo
sulla dinamica della popolazione in una sezione successiva.
Si
consideri in primo luogo la domanda insaziabile di risorse e habitat
dell'umanità industriale.
Complice
il miglioramento delle tecnologie di sfruttamento, H. sapiens sta impoverendo i
mari e le foreste, ha diminuito la natura selvaggia, ha distrutto un terzo del
suolo coltivabile e dei paesaggi della Terra, ha estratto i giacimenti più
ricchi di molti minerali minerali e metallici e, in appena un paio di secoli,
ha esaurito la metà di alta qualità delle enormi riserve di energia fossile che
hanno impiegato decine di milioni di anni per accumularsi.
La dipendenza della società dai combustibili
fossili è una delle ragioni per cui il mainstream MTI vede un Oceano Artico
libero dai ghiacci non tanto come una catastrofe climatica, ma come l'apertura
di nuove rotte commerciali e l'esposizione del bacino artico allo sviluppo di
petrolio e gas.
Nel
frattempo, dopo aver esaurito le fonti più ricche di risorse minerarie della
terraferma, alcune industrie/paesi si stanno attrezzando per scavare il fondo
del mare: perlustreremo il fondo del nostro barile terrestre!
Guardando
al futuro, altri ancora, hanno messo gli occhi sulla presunta ricchezza
mineraria degli asteroidi o della luna come le prossime risorse da mettere a
disposizione per lo sfruttamento.
Quest'ultimo
punto allude anche al terzo tratto cruciale notato sopra, l'espansionismo
spaziale dell'umanità.
Riuscite a pensare a specie ecologicamente
comparabili con un areale geografico anche lontanamente grande come quello di
H. sapiens?
Suggerimento:
non ce n'è nessuno – spinti dal nostro naturale imperativo espansionistico, gli
esseri umani hanno colonizzato l'intero pianeta – non c'è un pezzo
significativo di paesaggio abitabile dall'uomo sulla Terra che non abbiamo
rivendicato da tempo come nostro.
Occupiamo
anche alcuni "habitat" che sono fondamentalmente ostili all'esistenza
umana (si pensi alle "stazioni antartiche").
Nel
frattempo, vari imprenditori e sognatori umanisti vorrebbero che colonizzassimo
la Luna o Marte, non solo per il loro potenziale di risorse, ma per assicurarci
contro l'estinzione di H. sapiens nel caso in cui i sistemi di supporto vitale
terrestre fallissero sotto il peso delle richieste umane.
Ci si
potrebbe aspettare che una specie sociale intelligente escogiti scavalcamenti
culturali per tenere a freno le tendenze espansionistiche potenzialmente
pericolose su un pianeta finito.
Piuttosto
sorprendentemente, è vero il contrario.
Una
delle radici più importanti dell'overshooting è la credenza della società MTI
nell'eccezionalismo umano, l'idea che H. sapiens sia fondamentalmente diverso
dalle altre specie.
Gli eccezionalisti postulano che i
comportamenti individuali e sociali umani siano culturalmente piuttosto che
geneticamente determinati;
che
l'ingegno umano può superare la scarsità di risorse;
che
non siamo altrimenti vincolati dalle leggi e dai limiti della natura.
Il
paradigma economico corrispondente, l'economia neoliberista – che attualmente è
alla base dello "sviluppo" globale – presuppone implicitamente che
l'economia e l'"ambiente" siano sistemi separati, in modo che la
prima, spinta dai continui progressi tecnologici, possa crescere
indefinitamente, senza essere vincolata dal secondo.
L'educazione
arrogante rafforza sfacciatamente la natura espansionista.
L'evidenza
è convincente che l'eccezionalismo umano è un costrutto profondamente
imperfetto – una grande illusione culturale – che ha portato le società MTI in
una trappola ecologica potenzialmente fatale.
Mentre
la cultura contribuisce a dimensioni uniche alla traiettoria evolutiva
dell'umanità, ciò non esenta gli esseri umani dagli stessi principi fondamentali
che governano l'evoluzione delle forme di vita non umane.
Il conflitto tra l'illusione di massa e la
realtà biofisica è sempre più evidente nella destabilizzazione dell'ecosfera
indotta dall'eccessiva scala dell'impresa umana. Nessuno dovrebbe essere
sorpreso:
come
l'economista ecologico “Herman Daly” ha costantemente sostenuto, lungi dal
fluttuare in uno splendido isolamento, "l'economia umana è un
sottosistema di crescita completamente contenuto e interamente dipendente
dell'ecosfera non in crescita".
Si
consideri l'implicazione dell'intuizione di “Daly” per la perdita di
biodiversità, uno dei sintomi più urgenti dell'overshooting.
H. sapiens è solo una delle circa 8,7 milioni
di specie di animali e piante e innumerevoli milioni di altre specie di
batteri, funghi e altri microbi.
La
maggior parte di queste forme di vita dipendono da una minuscola frazione di
energia solare "fissata" come biomassa attraverso la fotosintesi da
parte delle piante verdi.
Le
piante richiedono fino alla metà di questa "produzione primaria
lorda" per la loro crescita e riproduzione, quindi solo il resto, la
cosiddetta "produzione primaria netta", è disponibile per altre forme
di vita.
Questo
residuo sostiene tutta la vita animale, compresi gli esseri umani, il che
significa che siamo in competizione con milioni di altre specie per una quota
di un flusso continuo, ma limitato, di biomassa attraverso l'ecosfera.
Gli
esseri umani, ovviamente, hanno un vantaggio tecnologico nella competizione. La
nostra elevata intelligenza, le tecniche di raccolta assistite dalla tecnologia
e la capacità dei combustibili fossili di trasformare interi paesaggi per
soddisfare le esigenze umane, significano che, per secoli, gli esseri umani
hanno aumentato i loro stanziamenti dal flusso globale annuale di energia da
biomassa.
Fowler
e Hobbs si chiedono addirittura se, in termini di variabili ecologiche comuni,
l'H. sapiens contemporaneo sia ancora "ecologicamente normale".
I loro dati mostrano che in termini di consumo
di energia (e quindi di emissioni di anidride carbonica (Co2), consumo di
biomassa e vari altri indicatori ecologicamente significativi, le richieste
umane di ecosistemi di supporto fanno impallidire quelle di specie simili di
ordini di grandezza.
Ad
esempio, il consumo umano di biomassa supera di 100 volte i limiti superiori di
confidenza del 95% per l'ingestione di biomassa da parte di altre 95 specie di
mammiferi non umani;
Come
notato in precedenza, l'areale geografico dell'umanità non ha eguali, superando
di dieci volte il limite superiore del 95% per gli areali di altre 523 specie
di mammiferi.
In conclusione: come altri organismi viventi,
H. sapiens si è evoluto biologicamente per auto-massimizzarsi.
Tuttavia,
in combinazione con la nostra abilità culturale unica, l'essere umano "...
le
capacità di crescita superano di gran lunga quelle di tutte le altre specie,
come è dimostrato dal nostro dominio della biosfera...".
Le
conseguenze per le specie animali non umane sono catastrofiche, per quelle che
dovrebbero essere ovvie ragioni.
Non
solo in genere sfruttiamo eccessivamente le specie "risorsa" mirate,
ma qualsiasi biomassa che la tribù umana prende per i propri scopi è
irreversibilmente indisponibile per gli organismi concorrenti.
La
superiorità dell'umanità nel foraggiamento significa lo "spostamento
competitivo" di altre specie dalle loro fonti di cibo e dai loro habitat.
Mentre
H. sapiens comprende solo lo 0,01% della biomassa terrestre totale,
l'espansione dell'impresa umana ha eliminato l'83% della biomassa animale
selvatica e il 50% della biomassa vegetale naturale.
Da una
frazione dell'1% di 10.000 anni fa, l'umanità ora costituisce il 32%, e il
nostro bestiame domestico un altro 64%, della biomassa di mammiferi molto più
estesa del pianeta;
Tutte
le specie selvatiche messe insieme rappresentano solo il 4%.
Allo stesso modo, il pollame domestico ora
comprende il 70% della biomassa aviaria rimanente della terra e la pesca
commerciale impoverisce gli oceani a spese dei mammiferi marini e degli uccelli
dipendenti dai pesci in rapido declino.
Gli
uccelli marini sono il gruppo di uccelli più minacciato, con un declino della
popolazione del 70% a livello di comunità tra il 1950 e il 2010 .
Anche
le restanti popolazioni di specie di vertebrati monitorate sono diminuite del
~70% nell'ultimo mezzo secolo.
Questi
e altri dati suggeriscono che la nostra specie è diventata, direttamente o
indirettamente, il macro-consumatore dominante in tutti i principali ecosistemi
terrestri e marini accessibili del pianeta.
In
effetti, H. sapiens potrebbe essere il vertebrato carnivoro ed erbivoro di
maggior successo che abbia mai camminato sulla Terra, ma a spese di migliaia di
altre specie.
La
crescita dell'impresa umana (popolazione ed economia) su un pianeta finito è il
più grande fattore che contribuisce al crollo della biodiversità.
La
riduzione della popolazione umana quasi ovunque è necessaria per preservare le
restanti zone di vita non umana sulla Terra.
Naturalmente,
la perdita di biodiversità è solo uno dei principali sintomi dell'overshooting.
L'overshooting
è un meta-problema, la causa del cambiamento climatico (tra cui la
desertificazione, la circolazione oceanica vacillante, ecc.), il degrado del
suolo e del suolo, la deforestazione tropicale, l'acidificazione degli oceani,
il collasso della pesca, l'abbassamento delle falde acquifere, l'incipiente
scarsità di cibo, la contaminazione da plastica e altre sostanze chimiche delle
catene alimentari, il calo del numero di spermatozoi, l'aumento dei tassi di
cancro, le pandemie, l'inquinamento di tutto, ecc.
Praticamente
tutti i cosiddetti problemi ambientali sono co-sintomi dell'overshooting. Noi
esseri umani stiamo esaurendo e contaminando le basi biofisiche della nostra
esistenza.
In
questo processo, l'impresa umana è diventata anche la più significativa delle
forze geologiche contemporanee:
le persone spostano fino a 24 volte più
materiale di tutti i processi geologici naturali messi insieme.
Non
c'è da stupirsi che il peso della roba prodotta dall'uomo ora superi la
biomassa vivente sulla Terra (~1,1 tonnellate di terra) .
Benvenuti nell'Antropocene.
C'è
più di un tocco di ironia in agguato dietro queste realtà biofisiche.
Gli
economisti e i tecno-ottimisti hanno l'allucinazione che l'economia si stia "smaterializzando"
o "disaccoppiando" ulteriormente dal mondo materiale su basi così
semplicistiche che il rapporto tra le emissioni di carbonio (Co2) o l'uso delle
risorse per unità di PIL sta diminuendo.
I dati di cui sopra mettono in luce il fatto
opposto che, in termini di ciò che conta davvero per la natura – la nicchia
ecologica umana in espansione – gli esseri umani stanno effettivamente
diventando una componente integrante sempre più grande e distruttiva
dell'ecosfera.
In
effetti, l'impresa umana sta di fatto inglobando l'ecosfera.
Ciononostante,
il mito bizzarramente insensato del disaccoppiamento persiste.
I
politici si affidano alla tecnologia – efficienza e
"dematerializzazione" – per sostenere che non c'è alcun conflitto
intrinseco tra la continua crescita dell'economia e "l'ambiente".
Parlano
per ingenuità o ignoranza, ma questa affermazione incoraggia il pubblico fin
troppo volenteroso a condividere una delle più tossiche panoplie di illusioni
dell'umanità.
Perché
nessuno ascolta?
Alla
luce delle prove concrete a cascata, sembra giusto chiedersi perché i media
mainstream non riportino l'overshooting, e la maggior parte della gente comune
non ne ha mai sentito parlare.
Gran parte della ragione potrebbe essere la
semplice negazione, ma parte del problema potrebbe risiedere nell'incompetenza
cognitiva.
H.
sapiens si è evoluto in tempi più semplici e più lenti che hanno posto sfide
relativamente limitate al sistema nervoso centrale in evoluzione.
Operiamo
con quelli che sono ancora essenzialmente cervelli paleolitici:
gli esseri umani moderni sono dolorosamente
miopi, tendono a pensare in termini di relazioni immediate di causa-effetto e
rispondono ai problemi in modi semplicistici e riduzionisti (si pensi alla
"smaterializzazione").
Questa
modalità cognitiva era adeguata in epoca pre-agricola.
Tuttavia,
negli ultimi secoli, l'evoluzione culturale (ad esempio, l'emergere di culture
multistrato, istituzioni globali e tecnologie quasi magiche) ha superato la
bioevoluzione.
I
nostri cervelli sono probabilmente inadatti al ritmo del cambiamento e alle
complessità dell'Antropocene creato dall'uomo: ci siamo resi cognitivamente
obsoleti.
Forse
l'esempio più ovvio è la fissazione globale sul cambiamento climatico come
minaccia esistenziale che la civiltà deve affrontare.
I
media possono essere temporaneamente distratti dalla recente pandemia, dalle
carestie regionali, dalla crescente crisi dei rifugiati o dalla guerra
russo-ucraina, ma l'attenzione è ancora concentrata su una questione isolata
alla volta.
Raramente
i media, anche gli analisti seri, e certamente non la maggior parte dei
politici, collegano i puntini per vedere questi problemi come scaturiti da una
radice comune nell'overshooting.
Anche
il termine poli-crisi (molti problemi paralleli correlati) non è del tutto
sufficiente.
I popoli MTI semplicemente non
"capiscono" la complessità; né comprendono i ritardi, le soglie e i
comportamenti imprevedibilmente discontinui dei sistemi complessi sovrapposti
sotto stress da overshooting.
Questo
è di fondamentale importanza se non altro perché, mentre nessun sintomo
importante di overshooting può essere adeguatamente affrontato in modo isolato
dagli altri, affrontare direttamente l'overshooting ridurrebbe tutti i sintomi
importanti contemporaneamente.
3. La
connessione con la popolazione.
"La
mente umana è al servizio del successo evolutivo, non della verità.
Pensare
diversamente significa resuscitare l'errore pre-darwiniano secondo cui gli
esseri umani sono diversi da tutti gli altri animali" (John Gray).
Il che
ci riporta all'enigma della popolazione.
In
termini più semplici, l'overshooting è il risultato di troppe persone che
consumano e inquinano troppo.
La causa fisica immediata è l'eccesso di
produttività economica (cioè il consumo di risorse e la produzione di rifiuti),
ma la produttività stessa è guidata sia dall'aumento dei redditi che dalla
crescita della popolazione.
La
maggior parte delle persone tende a spendere/consumare al limite imposto dai
propri redditi discrezionali (e, dall'introduzione del credito facile, spesso
ben oltre). I paesi e le popolazioni ad alto reddito sono quindi responsabili
di tre quarti del consumo eccessivo di materiali e dell'inquinamento fino ad
oggi.
Anche
nel 2021, "il 10% dei principali emettitori era responsabile di quasi la
metà delle emissioni globali di CO2 legate all'energia.
Emissioni... rispetto a un mero 0,2% per il
10% più povero". Negli ultimi decenni, tuttavia, gli aumenti incrementali
dell'impronta ecologica basata sul consumo (EF) e delle emissioni di carbonio
(Co2) dell'umanità sono stati guidati più dalla crescita della popolazione che
dall'aumento dei redditi/consumi in tutti i quartili di reddito. In effetti, la
crescita della popolazione ha rappresentato ∼80% dell'aumento dell'EF umano totale
al di sopra di quello che sarebbe maturato se le popolazioni fossero rimaste
costanti anche se i redditi sono aumentati.
In
quest'ottica, vale la pena notare che, nel 2023, circa quattro miliardi di
persone (metà della famiglia umana) risiedono in paesi a reddito medio-basso e
a basso reddito, quei paesi con i più alti tassi di crescita demografica e la
cui popolazione deve ancora soddisfare i propri bisogni materiali.
La
combinazione di crescita della popolazione, massiccia domanda latente e aumento
del PIL pro capite – quest'ultimo pienamente giustificato – rappresenta un
enorme aumento potenziale del futuro consumo globale e dell'inquinamento, pone
una doppia sfida all'integrità eco sferica su un pianeta già in overshooting e,
piuttosto tardivamente, sottolinea la necessità di una maggiore equità
nell'accesso alle risorse per i popoli del mondo.
Dovrebbe
anche essere ovvio da questi dati e tendenze che qualsiasi approccio globale
per armonizzare l'impresa umana con l'ecosfera deve includere la pianificazione
della popolazione.
Ciononostante,
fino a poco tempo fa, la questione della popolazione era fuori dai limiti anche
nel mondo accademico, in gran parte per motivi religiosi/culturali/umanistici o
spesso per accuse pretestuose che gli analisti fossero implicitamente razzisti.
Mentre
i costi crescenti delle condizioni meteorologiche estreme, la perdita di
biodiversità, il degrado del suolo e del suolo, gli incendi, le carestie
regionali, la carenza di energia, l'inquinamento, ecc., colpiscono sempre più
persone, gli ovvi benefici di un numero umano più piccolo stanno finalmente
dissolvendo il tabù della popolazione.
Mentre
sta diventando sempre più importante che gli analisti politici e i politici
comprendano appieno cosa sia la "popolazione", non riceveranno un
quadro completo dalla maggior parte dei demografi tradizionali.
Stranamente,
nonostante la loro attenzione alle dinamiche della popolazione, i demografi
fanno poco riferimento agli elementi chiave della biologia della popolazione o
alle influenze ambientali.
La maggior parte delle proiezioni della
popolazione umana si basano su fattori puramente demografici: la popolazione di
base, la distribuzione per età/sesso, la fertilità specifica per età e i tassi
di mortalità e migrazione (ove applicabile), cioè sono condotte in un vuoto
contestuale.
Inoltre,
gli input errati possono distorcere il risultato.
L'analista
della popolazione, “Jane O'Sullivan”, sostiene che i presupposti errati del
modello demografico delle Nazioni Unite e persino quello del consorzio “Earth4All”
collocano le loro proiezioni "saldamente nel regno della favola.
L'ONU prevede che la popolazione umana
raggiungerà il picco di ~10,4 miliardi verso la fine del secolo.
La
proiezione di picco "Too Little Too Late" di Earth4All è di ~8,7
miliardi nei primi anni 2050;
la sua
stima "Giant Leap" raggiunge un massimo di ~8,4 miliardi nei primi
anni 2040.
Anche
con ragionevoli ipotesi demografiche, i risultati del modello saranno validi
solo se tutti i fattori esogeni cruciali per la salute e la sicurezza della
popolazione possono essere mantenuti durante il periodo di proiezione.
Questa
ipotesi è semplicisticamente irrealistica:
la
popolazione si trova in uno stato di sovraccarico avanzato che erode
pericolosamente la capacità di carico umana.
Gli
scienziati del clima, gli ecologisti, gli ambientalisti e persino alcuni demografici
stanno ora lanciando l'allarme sulla crescente pressione demografica,
sostenendo persino che staremmo tutti meglio se fossimo in meno.
Le
radici evolutive della "popolazione-come-problema."
Ogni
cittadino interessato dovrebbe comprendere le basi delle dinamiche della
popolazione umana.
In
primo luogo, come osservato all'inizio, le popolazioni umane, come quelle di
tutte le altre specie, sono in grado di crescere in modo esponenziale (noto
anche come "geometrico") in condizioni ambientali favorevoli.
Una
popolazione che cresce in modo esponenziale a un ritmo fisso avrà un tempo di
raddoppio costante.
Ad
esempio, la popolazione umana ha raggiunto il suo tasso di crescita massimo del
2,2% annuo nei primi anni '60, quando la popolazione globale era di circa 3,2
miliardi;
Se
questo tasso fosse stato sostenuto, la popolazione avrebbe continuato a
raddoppiare ogni 32 anni.
Allo
stato attuale, il tasso medio di fertilità è diminuito, quindi la popolazione è
aumentata "solo" di 2,5 volte in 60 anni.
La
crescita esponenziale è una forma di feedback positivo in cui ogni aumento
della popolazione si aggiunge alla base riproduttiva, proprio come l'interesse
annuale si aggiunge al capitale in un conto bancario.
Tuttavia,
in condizioni naturali, la maggior parte delle specie (compresi gli esseri
umani) raramente realizza il proprio pieno potenziale riproduttivo.
La
crescita del feedback positivo è contrastata da varie forme di feedback
negativo – malattie, scarsità di cibo, concorrenti ostili, ecc. – in modo che
le popolazioni naturali in genere fluttuino intorno a una media a lungo
termine.
I numeri aumentano quando le condizioni sono
favorevoli e diminuiscono quando le condizioni cambiano in peggio, spesso a
causa della popolazione stessa: le malattie si diffondono facilmente e la fame
può essere causata da un'eccessiva densità di popolazione.
I
biologi evoluzionisti riconoscono che specie diverse hanno evoluto strategie
riproduttive diverse.
Gli esseri umani sono archetipi di
"strateghi K": le specie strategiche "K" sono in genere
organismi grandi e longevi, con tassi riproduttivi relativamente bassi, lunghi
periodi di gestazione, cure parentali intensive e bassi tassi di mortalità
infantile.
All'altra estremità dello spettro ci sono gli
strateghi "r", in genere organismi più piccoli e di breve durata con
cicli di vita brevi, fecondità molto elevata ("r"), scarso
investimento parentale e alti tassi di mortalità della progenie.
La
continuità delle specie dipende dalla sopravvivenza di una piccola percentuale
di un numero molto elevato di prole.
Gli
strateghi K sono più frequentemente adattati ad habitat relativamente stabili
dove, a causa degli alti tassi di sopravvivenza, tendono a scontrarsi con la
capacità di carico locale ('K').
La
capacità di carico è la popolazione media massima sostenibile per un
particolare habitat;
quindi
'K' rappresenta l'equilibrio fluttuante stabilito tra il potenziale di crescita
geometrica della specie e vari feedback negativi (ad esempio, scarsità di
cibo/acqua e limitazioni spaziali) che entrano in gioco quando le condizioni si
deteriorano o un numero eccessivo di persone stressa l'habitat.
Queste
dinamiche erano alla base della preoccupazione di Malthus, che il potenziale di
crescita della popolazione avrebbe sempre superato l'offerta di cibo.
Perché
questo è di nuovo significativo oggi?
Come
notato all'inizio, anatomicamente, gli esseri umani moderni esistono da circa
250.000 anni.
Per la
maggior parte di questo periodo, la curva di crescita della popolazione è stata
sostanzialmente piatta.
C'è stato un aumento globale appena
percettibile quando H. sapiens si è diffuso dall'Africa al resto del pianeta
negli ultimi 50 millenni, e un modesto aumento con l'adozione dell'agricoltura
10 millenni fa, ma per la maggior parte, le popolazioni umane ampiamente
disperse hanno storicamente fluttuato vicino alle loro capacità di carico
locali.
Soppressa
dal feedback negativo, ci volle il 99,9% della storia umana perché la
popolazione mondiale raggiungesse il miliardo all'inizio del 1800.
Con la
rivoluzione scientifica e quella industriale, tutto è cambiato.
In
particolare, il miglioramento della salute pubblica ha notevolmente abbassato i
tassi di mortalità e l'aumento dell'uso di tecnologie a combustibili fossili ha
aumentato costantemente la disponibilità di cibo e ha fornito i mezzi di accesso a tutte le
altre risorse necessarie per far crescere l'impresa umana.
In
soli 200 anni (1/1250) Il tempo necessario per raggiungere il primo miliardo,
la popolazione umana è salita a sette miliardi nel 2011 e ha raggiunto gli otto
miliardi solo 11 anni dopo, nel novembre 2022.
Nel
frattempo, la domanda di materiali umani nell'ecosfera è aumentata di oltre due
ordini di grandezza con un aumento di oltre 100 volte del prodotto mondiale
lordo reale (GWP) [47].
Ironia della sorte, solo ~8 su 10.000
generazioni di esseri umani hanno vissuto questo brevissimo periodo notevole
nella storia evolutiva umana, eppure l'odierna società MTI considera questo
scatto di crescita assolutamente anomalo come la norma e sta facendo tutto il
possibile per mantenerlo .
4. Sui
gradienti energetici: H. sapiens come 'struttura dissipativa'.
"...
usiamo il 30 per cento di tutta l'energia, negli Stati Uniti. Non è male;
Quello va bene. Ciò significa che siamo le persone più ricche e forti del mondo
e che abbiamo il più alto tenore di vita al mondo. Ecco perché abbiamo bisogno
di tanta energia, e che sia sempre così" (Presidente degli Stati Uniti Richard
Nixon, novembre 1973).
La
storia della crescita della popolazione umana sottolinea un fattore chiave per
comprendere la crisi ecologica, un fattore che è generalmente ignorato da
economisti e demografi:
la bomba demografica è stata assemblata
durante la rivoluzione industriale ed è esplosa nel 19° secolo con l'uso
crescente di materia organica fossilizzata che ha impiegato centinaia di
milioni di anni per accumularsi.
La creazione di ricchezza e le tecnologie rese
possibili dai combustibili fossili (FF), compresi i fertilizzanti e i
pesticidi, hanno ridotto o eliminato varie forme storicamente importanti di
feedback negativo, consentendo alla popolazione umana mondiale di crescere in
modo esponenziale per la prima volta.
L'esplosione
dell'impresa umana alimentata dai combustibili fossili ha innescato il periodo
più significativo di degrado ecologico globale in 250.000 anni di storia
evolutiva umana.
Comprendere
il ruolo dell'energia aiuta anche a illuminare le prospettive future
dell'umanità.
Seguendo
l'osservazione del matematico “Ludwig Boltzmann” secondo cui la lotta
darwiniana per l'esistenza è essenzialmente una competizione per l'energia
utile disponibile, l'ecologo matematico “Alfred Lotka” propose negli anni '20
che i sistemi di successo (individui, specie ed ecosistemi) erano quelli che
massimizzavano le loro appropriazioni e l'uso efficace dell'energia disponibile
(exergia) dai loro ambienti.
Un po'
più tardi, l'ecologo “Howard Odum “ha perfezionato e formalizzato il concetto
di base come "principio di massima potenza":
in
sostanza, la selezione naturale favorisce i sistemi che si evolvono (si
auto-organizzano) in modi che massimizzano il loro apporto energetico e la loro
produzione di potenza al servizio dell'auto-mantenimento, della crescita e
della riproduzione.
I sistemi che non riescono a massimizzare la
loro potenza utile verrebbero selezionati.
H.
sapiens è probabilmente la dimostrazione archetipica della massima potenza.
Mentre altre specie animali dipendono dall'energia corporea (endo -somatica)
ottenuta dalla biomassa ingerita, gli esseri umani sono in grado di utilizzare
l'energia supplementare fuori dal corpo (eso- somatica) per la crescita e la
riproduzione dei sistemi.
La storia della civiltà traccia una sequenza
di fonti di energia esterne che iniziano con il fuoco, l'acqua corrente e il
vento, evolvendosi attraverso la FF, l'idroelettricità e altre cosiddette
energie rinnovabili moderne, fino all'energia nucleare.
Confrontando
le società, dai cacciatori-raccoglitori agli agricoltori, fino alla cultura
MTI, si nota un modello di utilizzo eso somatico dell'energia, che aumenta
rispettivamente da 20 Gjoule/persona all'anno a 60 Gjoule/persona all'anno a
300 Gjoule/persona all'anno .
Le
culture, le società e le nazioni più ricche, potenti e quindi di successo
(secondo i criteri contemporanei) sono sempre state quelle che massimizzano i
loro stanziamenti e l'uso efficace dell'energia disponibile.
Come notato in precedenza, l'aumento esplosivo
del GWP a partire dal 19° secolo è stato stimolato da FF.
Non è un caso che il PIL delle nazioni moderne rimanga
strettamente correlato al consumo di petrolio e che la metà più povera
dell'umanità rappresenti meno del 20% del consumo globale di energia.
Allo
stato attuale delle cose, il mondo moderno rimane in gran parte dipendente
dall'ineguagliabile densità di energia di FF.
Nonostante l'iperbole che circonda il rapido
sviluppo di fonti energetiche alternative presumibilmente rinnovabili, nel 2021
l'82% dell'energia primaria mondiale è stata fornita da carbone, petrolio e gas
naturale.
Le
energie rinnovabili non idroelettriche, per lo più turbine eoliche e pannelli
solari (i destinatari della maggior parte dei nuovi investimenti), hanno
fornito meno del 7,0%.
In
effetti, i combustibili fossili hanno alimentato l'economia mondiale per 290
dei 365 giorni del 2021 rispetto ai 24 giorni di tutte le rinnovabili non
idroelettriche (eolico, solare, biomassa e geotermico) messe insieme.
La
continua dipendenza dai combustibili fossili è estremamente problematica e non
solo a causa del cambiamento climatico.
Le molte componenti della civiltà MTI, dalle
singole persone e industrie, a intere città e stati nazionali – in realtà
l'intera impresa umana – condividono le caratteristiche di "strutture
dissipative", il termine coniato da “Ilya Prigogine” per descrivere i
processi di auto-organizzazione di non-equilibrio nei sistemi viventi.
Le
strutture dissipative si sviluppano/evolvono in risposta a gradienti di
energia, che successivamente "dissipano" (cioè consumano e degradano)
per autoprodursi e mantenersi.
Infatti,
l'auto-organizzazione in sistemi aperti (sistemi in grado di scambiare energia
e materiali con il loro ambiente) richiede la dissipazione di energia.
L'impresa
umana è un complesso di sottosistemi sovrapposti, altamente strutturati, non
lineari e aperti, ciascuno dei quali funziona in un equilibrio lontano
dall'equilibrio (termodinamico).
L'"equilibrio termodinamico"
descrive lo stato di un sistema in cui non vi è struttura o gradienti e quindi
non vi sono flussi interni di materia o energia.
L'equilibrio
termodinamico può esistere anche tra un sistema e il suo ambiente.
In
entrambi i casi, non possono verificarsi cambiamenti misurabili. Al contrario,
i sistemi di non-equilibrio auto-produttivi – ad esempio, le singole cellule
viventi, il corpo umano, i processi economici – sono in grado di cambiare
dinamicamente, compresi i flussi netti tra i sistemi e i loro ambienti e la
dissipazione permanente di energia e materia. Si dice quindi che tali sistemi
funzionino "lontano dall'equilibrio".
Come
notato, l'impresa umana moderna si è evoluta nella sua forma attuale in gran
parte in risposta al ripido gradiente energetico rappresentato dai combustibili
fossili che ha dissipato, su una curva accelerata, in particolare negli ultimi
due secoli (la metà dei combustibili fossili mai consumati sono stati bruciati
solo negli ultimi 30-35 anni).
Non si
tratta solo di combustibili fossili.
L'industrializzazione
basata sui combustibili fossili ha aumentato il consumo mondiale di molti
minerali e metalli di diversi ordini di grandezza, quindi anche i migliori
giacimenti di molte risorse non rinnovabili finite e non ricostituibili sono
stati in gran parte esauriti e dissipati.
La
scarsità di risorse potrebbe accelerare la discesa della civiltà industriale
dall'overshooting.
La
crescita continua – o anche il funzionamento stazionario – dell'impresa umana
dipende quindi interamente dalla continuità di questo flusso di energia, cioè
dal mantenimento di un gradiente energetico relativamente ripido (e questo
presuppone che siano disponibili anche altre risorse).
Tuttavia,
c'è un problema.
Sta
diventando sempre più evidente che è improbabile che si verifichi una
transizione energetica quantitativamente equivalente dalle FF alle cosiddette
fonti di elettricità verde in un programma favorevole al clima/overshoot.
È vero che negli ultimi anni c'è stata
un'impressionante espansione della produzione di elettricità da parte di
turbine eoliche e installazioni di pannelli solari in alcuni paesi.
Tuttavia,
come notato, FF ha ancora fornito l'82% dell'energia primaria mondiale e
addirittura il 61% dell'energia elettrica mondiale nel 2021.
Le turbine eoliche e gli impianti solari hanno
fornito al mondo il 10% della sua energia elettrica (fino al 12% entro il 2023)
ma, poiché l'elettricità rappresenta solo il ~19% del consumo finale di
energia, l'elettricità eolica e solare rappresenta solo il ~2,3%
dell'approvvigionamento energetico totale dei consumatori, questo dopo diversi
decenni di crescente diffusione.
L'energia
verde rinnovabile ha chiaramente una lunga strada da percorrere: in alcuni
anni, le aggiunte di capacità rinnovabile non tengono nemmeno il passo con la
crescita della domanda totale di energia.
Mentre
eliminiamo gradualmente (o esauriamo) la FF, alcuni analisti suggeriscono che
la comunità mondiale dovrebbe prepararsi per una ripida discesa energetica, un
futuro con forniture energetiche nettamente inferiori – fino al 50% inferiori –
e sempre più inaffidabili.
L'ovvio,
ma spesso taciuto, corollario è che l'indebolimento del nostro gradiente
energetico sarà accompagnato da una massiccia semplificazione della più grande
delle strutture dissipative: l'impresa umana.
Certamente,
ci sarà un corrispondente crollo del GWP;
dovremmo
anche anticipare la scarsità globale di cibo e di tutte le altre risorse
materiali dipendenti da FF necessarie per far funzionare la civiltà moderna, e
non abbiamo ancora tenuto conto delle conseguenze simultanee dell'accelerazione
del riscaldamento globale.
Se la cultura MTI dovesse mantenere il suo
corso attuale, una grande correzione della popolazione sembra inevitabile.
5. La
risposta del mondo all'overshooting.
"L'overshooting
è l'overshooting.
Una
volta che la vostra civiltà comincia a consumare più di quello che naturalmente
viene rigenerato nella sua follia per perseguire una crescita infinita su un
pianeta finito, il collasso è solo una questione di tempo".
La
traiettoria evolutiva dell'umanità e il nostro recente periodo di espansione
industriale hanno ovviamente generato una situazione ecologica davvero unica
per l'umanità:
gli
esseri umani sono intrinsecamente espansionisti e la cultura del MIT è
dipendente dalla crescita, ma la crescita materiale su un pianeta finito deve
prima o poi cessare.
Il segno più incoraggiante del risveglio a
questa contraddizione è che un movimento internazionale pianificato di
"decrescita" sta prendendo piede, in particolare in Europa.
Anche
i membri del Parlamento europeo sono apertamente preoccupati per i rischi
associati al proseguimento della crescita economica.
Tali
preoccupazioni sono stimolate da un numero crescente di analisi scientifiche e
da rapporti popolari che, anche senza menzionare l'overshooting, affrontano la
possibilità che le società MTI stiano affrontando il collasso economico e
demografico.
Il
collasso della società è un argomento complesso e controverso.
Non esiste una definizione coerente.
Tuttavia,
c'è consenso sul fatto che il collasso può essere rapido o richiedere decenni,
ma comporta invariabilmente una significativa perdita di complessità
socio-politica ed economica, compresa la dissoluzione/sostituzione dei governi
formali.
Un
significativo declino della popolazione è possibile anche con i collassi
regionali: c'è una considerevole storia di associazione del collasso con la
sovrappopolazione e la competizione per le scarse risorse.
Coloro
che dubitano che il collasso sia una possibilità reale dovrebbero ricordare che
molte società umane regionali sono implose in passato e che le società MTI sono
ora così strettamente intrecciate che la prossima contrazione potrebbe essere
globale.
In un
mondo razionale, la comunità internazionale agirebbe in modo cooperativo e
deciso in risposta all'evidenza di un overshooting e si organizzerebbe per
eliminarne gli impatti corrosivi.
Purtroppo, non sta accadendo nulla del genere.
La società MTI non riconosce nemmeno l'overshooting.
Al
contrario, la maggior parte dei paesi industrializzati e persino” il movimento
ambientalista mainstream “mantengono i loro punti focali semplicistici sul
cambiamento climatico ed entrambi sembrano determinati a trovare il modo di
mantenere la traiettoria di crescita perpetua.
Alcuni
ambientalisti sollecitano un rapido disinvestimento e l'abbandono di carbone,
petrolio e gas naturale.
Tuttavia,
le mosse aggressive per ridurre l'uso di FF anche del 45% minimo previsto
dall'Accordo di Parigi sul clima entro il 2030, costituirebbero un suicidio
politico (se non sociale) in assenza di alternative energetiche praticabili e
di un piano di ristrutturazione socioeconomica globale sostenuto dal sostegno
pubblico.
Tutto
nel mondo moderno dipende dalla continuità delle forniture energetiche. Così,
rapidi tagli al FF si tradurrebbero in un caos economico: riduzione della
produzione di beni, disoccupazione di massa, catene di approvvigionamento
interrotte, PIL in calo, reddito personale in calo, servizi sociali
sovraccarichi, ecc.
La produzione alimentare crollerebbe; i
trasporti interurbani essenziali a motore marittimo e diesel vacillerebbero;
Ci
sarebbero carestie locali, migrazioni di massa e una carenza di cibo globale,
esacerbata dai continui cambiamenti climatici, dai disordini civili e dal caos
geopolitico.
Anche
se le concentrazioni atmosferiche di gas serra dovessero stabilizzarsi, c'è già
un ulteriore riscaldamento di 0,6 °C "nel tubo" a causa di un
feedback a breve termine come l'inerzia termica degli oceani.
Questo
da solo porterà il mondo oltre il limite di riscaldamento di 1,5 °C e
destabilizzerà ulteriormente il clima.
Tutto
ciò aiuta a spiegare perché la maggior parte dei governi, delle amministrazioni
urbane, delle organizzazioni internazionali, di molti analisti accademici e
persino delle organizzazioni ambientaliste hanno adottato una strategia
alternativa a doppio binario orientata al mantenimento dello status quo come
segue:
Traccia
1:
Piuttosto
che abbandonare le FF, i governi stanno mantenendo le sovvenzioni allo sviluppo
delle FF: infatti, le sovvenzioni nel 2022 sono state il doppio di quelle
dell'anno precedente.
Di
conseguenza, anche l'”Agenzia Internazionale dell'Energia” prevede che la quota
di combustibili fossili nel mix energetico globale rimarrà superiore al 60%,
anche nel 2050.
Questo manterrà a galla il nostro Titanic
industriale fino a quando il Binario 2 non sarà completamente realizzato o fino
a quando i FF economicamente estraibili non saranno esauriti.
Traccia
2 (che
corre parallela alla Traccia 1):
Nel
frattempo, sedotto dalla promessa di energia rinnovabile al 100% a basso costo,
il mondo ha anche acquistato un nuovo costrutto mitico, la cosiddetta
transizione verso le energie rinnovabili (RE).
Sotto bandiere come il "Green New Deal",
l'"economia circolare" e il concetto ossimorico di "crescita verde", le società MTI si stanno
sforzando di elettrificare tutto e guidare gli investimenti nelle cosiddette
fonti di energia verde rinnovabile, in particolare le turbine eoliche, i
pannelli solari e, più recentemente, l'idrogeno (nessuno dei quali è veramente
verde), insieme alle infrastrutture e alle applicazioni corrispondenti (ad
esempio, veicoli elettrici).
Tutte
queste tecnologie "approvate" – comprese le tecnologie di cattura e
stoccaggio del carbonio(Co2) non ancora provate ( e non saranno mai provate) –
comportano massicci investimenti di capitale, una significativa creazione di
posti di lavoro ed eccellenti opportunità di profitto, vale a dire, tutto ciò
che è necessario per mantenere il "business-as-usual-with-alternative" orientato alla crescita.
Probabilmente,
l'approccio tradizionale dell'MTI è progettato per far apparire il capitalismo
industriale come la soluzione, piuttosto che la causa, del problema.
Purtroppo,
la strategia complessiva dell'MTI è cieca all'ecologia, all'energia, ai
materiali e alla tecnologia, il che equivale a "elettrificare il
Titanic", come se questo potesse sciogliere gli iceberg.
Come
già notato, la tanto decantata transizione verso l'energia verde è
probabilmente appena iniziata ed è impantanata nelle controversie.
(Cfr. le confutazioni a Seibert e Rees
disponibili all'indirizzo: doi.org/10.3390/en14154508 -consultato l'8 agosto
2023).
I suoi sostenitori più esuberanti ignorano
importanti questioni tecniche, gli impatti ecologici e sociali e i problemi
derivanti dalla massiccia scala dell'esercizio, cioè ignorano l'overshooting.
In
poche parole, le tecnologie eoliche e solari in realtà non sono rinnovabili
(solo sostituibili);
la loro produzione, dalla testa della miniera
attraverso la fabbricazione fino all'installazione, è essa stessa ad alta
intensità energetica fossile;
Quindi,
la transizione, nel migliore dei casi, genererà almeno un aumento a breve
termine delle emissioni di carbonio (Co2);
non
possono fornire la stessa quantità e qualità di energia delle FF e i loro cicli
di vita, compresi gli aumenti di ordini di grandezza nelle attività di
estrazione e raffinazione di alcuni minerali rari cruciali, comportano un
massiccio degrado ecologico e (finora) un'eclatante ingiustizia sociale.
Diverse
autorità hanno calcolato che semplicemente non ci sono abbastanza giacimenti di
materiale economico o tempo sufficiente per sostituire l'attuale sistema
alimentato a combustibili fossili con tecnologie rinnovabili secondo il
calendario stabilito dalle relazioni del “Gruppo intergovernativo di esperti
sul cambiamento climatico” e anticipato dagli accordi di Parigi e successivi
sul clima.
Vari
scienziati del clima si riferiscono allo "zero netto entro il 2050"
come a un'altra raccolta di (non) soluzioni tecniche "magiche ma
impraticabili" all'enigma climatico
o come "non solo un obiettivo, ma una strategia per la COP-26 per
bloccare molti decenni di uso non necessario di combustibili fossili ben oltre
il 2050 ... [e creando] rischi inaccettabili di un inarrestabile riscaldamento
climatico".
Ricorda,
la traccia 1 radica la dipendenza da FF.
In
effetti, 50 anni dopo la pubblicazione di “Limits to Growth”, diversi
"avvertimenti formali degli scienziati all'umanità", 27 riunioni
della COP delle Nazioni Unite sul clima e diversi accordi sulla riduzione delle
emissioni, l'approccio mainstream non è finora riuscito a fare nulla di
significativo per ridurre l'uso globale di FF e le emissioni associate.
Invece, i tassi di riscaldamento globale
indotto dall'uomo sono al loro più alto livello storico e il mondo può
aspettarsi di raggiungere e superare il riscaldamento globale di 1,5 °C entro i
prossimi 10 anni.
Alla
luce di ciò, “la traccia 1” della strategia MTI è potenzialmente catastrofica.
L'uso
continuato di FF significa che non c'è praticamente alcuna possibilità che il
mondo raggiunga l'obiettivo dell'Accordo di Parigi di ridurre le emissioni di
anidride carbonica del 45% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030 e
praticamente nessuna che il mondo raggiunga le emissioni nette zero entro il
2050.
In effetti, l'ONU riferisce che gli attuali
impegni nazionali aumenteranno effettivamente le emissioni del 10,6% entro il
2030.
Non
solo supereremo il limite medio di riscaldamento globale di 1,5 °C dell'accordo
di Parigi , ma probabilmente supereremo anche il meno rigoroso limite di 2,0 °C
entro il 2050.
In
realtà siamo sulla buona strada per un riscaldamento di 2,4-2,8 gradi entro la
fine del secolo – i gas serra
atmosferici, compresa l'anidride carbonica(Co2) (che è più pesante dell’aria e quindi
non può volare nell’alta atmosfera), sono ancora in aumento. Nel frattempo, il
cambiamento climatico ha già messo ~ 9% delle persone (>600 milioni) al di
fuori della storica nicchia climatica umana sicura e il riscaldamento globale
di 2,7 °C potrebbe spingere circa un terzo dell'umanità al di fuori della nicchia.
Questo
non tiene conto degli effetti di soglia: anche un riscaldamento di 2 °C
potrebbe innescare condizioni irreversibili di "serra terrestre",
ponendo fine alle prospettive per la civiltà globale.
Gli
ecosistemi locali e possibilmente l'ecosfera nel suo complesso sono similmente
inclini a cambiamenti irreversibili improvvisi e imprevedibili che sono
potenzialmente ostili alla vita umana (e non solo), se spinti oltre i punti di
non ritorno sconosciuti.
Anche
nel migliore dei casi, la “Traccia 1” porta il mondo a ondate di calore e
siccità sempre più lunghe, tempeste tropicali più violente, stagioni di incendi
prolungate, desertificazione accelerata e scarsità d'acqua.
Per
molti aspetti, il 2023 si sta rivelando una dimostrazione archetipica da record
di ciò che ci riserverà il futuro.
Molte regioni in diversi continenti stanno
subendo ondate di calore record e siccità o precipitazioni e inondazioni senza
precedenti;
e, al
momento in cui scriviamo, oltre 900 incendi stanno imperversando, la maggior
parte fuori controllo, nelle foreste boreali del Canada e molti altri nelle
foreste della Siberia.
Man mano che alcune parti del pianeta
diventano inabitabili, dovremmo aspettarci un'agricoltura vacillante, scarsità
di cibo e possibilmente carestie prolungate.
L'innalzamento
del livello del mare nel prossimo secolo inonderà molte città costiere;
Con il
collasso delle autostrade nazionali e delle reti di trasporto marittimo, è
probabile che altre città siano tagliate fuori dal cibo, dalle terre,
dall'energia e da altre risorse essenziali.
Alcune grandi aree metropolitane diventeranno
insostenibili e non sopravviveranno al secolo.
Anche
nel 2021, almeno 414 città con un totale di oltre 1,4 miliardi di abitanti sono
state ritenute ad alto o estremo rischio a causa di una combinazione di
inquinamento, diminuzione delle riserve idriche, stress da caldo estremo e
altre vulnerabilità ai soli cambiamenti climatici.
Il che
ci riporta alla vacillante “Track 2” e all'overshooting. Escludendo l'olocausto nucleare
totale, si potrebbe sostenere che l'unica cosa peggiore del fallimento della
cosiddetta transizione verso le energie rinnovabili verdi del “Track 2” sarebbe
il suo successo.
Lo
sviluppo di un'altra fornitura assicurata di energia abbondante e a basso costo
consentirebbe semplicemente l'estensione del "business-as-usual-with-alternative" basato sulla crescita, aumentando
l'esaurimento/dissipazione del mondo naturale e peggiorando l'overshooting.
È
nella natura umana "... intensificare il nostro sfruttamento dei
combustibili fossili, dei metalli e dei minerali non metallici al fine di
perpetuare il nostro paradigma di stile di vita industriale il più a lungo
possibile...
Paradossalmente,
più ci sforziamo vigorosamente di perpetuare il nostro insostenibile stile di
vita industrializzato... più rapidamente e completamente esauriremo le
rimanenti riserve non rinnovabili e rinnovabili della Terra, accelerando ed
esacerbando così il nostro collasso sociale globale" ( corsivo dell'autore).
Ironia
della sorte, quindi, con il successo della missione “Track 2”, l'ecosfera
soccomberebbe nel giro di pochi decenni al degrado, al disordine e alla
dissipazione irreversibili, portando con sé l'impresa umana globale.
Probabilmente,
una contrazione più piccola prima è preferibile a una massiccia dopo.
Non
sarebbe la prima volta.
La
prospettiva del collasso della società, per quanto orribile possa sembrare alle
orecchie
dell'MTI, è perfettamente coerente con la storia e le dinamiche dei sistemi che
caratterizzano l'ascesa e la caduta delle precedenti civiltà umane.
In particolare, molte nazioni MTI stanno
mostrando i rendimenti decrescenti e le patologie socio-politiche –
disuguaglianze eclatanti e crescenti, incompetenza e corruzione del governo e
delle istituzioni, svalutazione della moneta, perdita di fiducia popolare nello
stato, crescenti disordini civili, ecc. – di una società eccessivamente
complessa sull'orlo del collasso così
come i sintomi potenzialmente evitabili – distruzione ecologica, cambiamento
climatico, rottura del commercio e delle relazioni internazionali, e incapacità
o riluttanza ad adattarsi alle mutevoli circostanze – di una società che
apparentemente "sceglie" di fallire.
Più in
generale, gli stadi di sviluppo e decadimento della civiltà catalogati da “Toynbee”
(genesi, crescita, tempo di difficoltà, stato universale e disintegrazione)
sono marcatamente simili alle fasi dei cicli ripetitivi comuni ai sistemi
viventi (inizio e sfruttamento, maturazione e conservazione, irrigidimento e
rilascio (cioè collasso)).
“Gunderson
e Holling” avanzano la teoria della "panarchia" per esplorare tale
cambiamento ciclico come meccanismo di adattamento comune a ecosistemi e
sistemi sociali complessi.
Essi
sostengono che ogni iterazione di un ciclo che si ripete naturalmente (ad
esempio, il regime ciclico degli incendi di alcuni ecosistemi forestali)
fornisce teoricamente opportunità per l'innovazione e l'adattamento evolutivo.
Ci si
costringe a chiedersi perché il moderno H. sapiens non riesca ostinatamente ad
applicare le lezioni dei crolli storici ben studiati per sviluppare la
lungimiranza e le azioni politiche necessarie per scongiurare il prossimo.
Al
contrario, molti analisti rifiutano i precedenti storici come guida per la
politica contemporanea.
Forse
dovrebbero prendere in guardia dal già citato famigerato studio del Club di
Roma/MIT del 1972, Limits to Growth (LTG) , che ha dimostrato che, su un
binario business-as-usual, la società globale avrebbe
affrontato il collasso entro la metà del 21° secolo.
Come
ci si potrebbe aspettare, molti economisti e tecno-ottimisti hanno respinto
categoricamente questa valutazione:
gli
economisti ignorano l'overshooting e addirittura sottovalutano grossolanamente
i danni del cambiamento climatico;
I loro
concetti e modelli sono separati dalla realtà biofisica. Tuttavia, studi
successivi mostrano che il mondo reale si sta comportando con inquietante
fedeltà alla modellizzazione LTG, in particolare i due (su quattro) scenari che
indicano un arresto della crescita nel prossimo decennio o giù di lì, seguito
da successivi cali e collasso.
6.
Riassunto e conclusioni: è davvero molto semplice.
"Senza una biosfera in buone
condizioni, non c'è vita sul pianeta. È molto semplice. Questo è tutto ciò che
devi sapere. Gli economisti vi diranno che possiamo disaccoppiare la crescita
dal consumo materiale, ma questa è una totale assurdità. Se non riesci a
gestire il declino, allora soccombi ad esso e te ne vai" (Vaclav Smil)
H.
sapiens, come tutte le altre specie, è naturalmente predisposto a crescere,
riprodursi ed espandersi in tutti gli habitat accessibili idonei.
La
crescita fisica è naturale, ma è solo una fase iniziale dello sviluppo dei
singoli organismi;
La
crescita su larga scala, compresa la crescita della popolazione, è
caratteristica delle prime fasi dei sistemi viventi complessi, comprese le
società umane.
Tuttavia, sia la crescita materiale che quella
della popolazione in habitat limitati sono in ultima analisi limitate dalla
disponibilità di "input" essenziali, dalla capacità dell'ambiente del
sistema di assimilare output (spesso tossici) o da varie forme di feedback
negativo come elencato in precedenza.
La
crescita cesserà, o per "disegno o per disastro".
Per la
maggior parte della storia evolutiva di H. sapiens, la crescita della
popolazione locale è stata, infatti, limitata da feedback negativi. Tuttavia, il miglioramento della
salute della popolazione (tassi di mortalità più bassi) e l'uso di combustibili
fossili - in particolare dall'inizio del XIX secolo - ha permesso un periodo di
abbondanza di cibo e risorse senza precedenti.
In
natura, qualsiasi popolazione di specie "K" che gode di tali
condizioni favorevoli si espanderà in modo esponenziale.
La
crescita continuerà generalmente fino a quando il consumo eccessivo e il
degrado dell'habitat non porteranno ancora una volta alla scarsità di cibo e
alla fame, o fino a quando le malattie e la predazione non avranno il loro
pedaggio.
La popolazione quindi scende al di sotto della
capacità di carico a lungo termine dell'habitat e il feedback negativo si
attenua.
Alcune
specie mostrano ripetutamente questo ciclo di boom e crollo della popolazione.
L'umanità
è solo una parziale eccezione.
L'abbondanza
generata dai combustibili fossili ha permesso a H. sapiens, per la prima volta,
di sperimentare un ciclo di “boom-bust” della popolazione globale una tantum.
Si
tratta di un ciclo "una tantum" perché è stato reso possibile da
vaste riserve di risorse auto produttrici potenzialmente rinnovabili e di
risorse limitate non rinnovabili, compresi i combustibili fossili, che sono
state notevolmente esaurite.
Non è
possibile ripetersi.
Come
sostiene “Clugston”, scegliendo di industrializzarsi, l'Homo sapiens ha
inconsapevolmente preso un impegno per l'impermanenza.
Abbiamo
adottato uno stile di vita auto-estinto, in cui le risorse limitate che rendono
possibile la nostra esistenza industriale diventerebbero inevitabilmente
insufficienti per farlo.
I
meccanismi fisici sono semplici.
I sistemi viventi, dalle singole cellule
attraverso interi organismi fino alle popolazioni e agli ecosistemi, esistono
in gerarchie nidificate e funzionano come strutture dissipative lontane
dall'equilibrio.
Ogni
livello della gerarchia dipende dal livello successivo sia come fonte di
risorse utili (ne-gentropia) che come pozzo di rifiuti degradati (entropia).
Come ci ricorda Daly l'impresa umana è un
sottosistema interamente dipendente dell'ecosfera;
Si
produce e si mantiene estraendo risorse ne- gentropiche dal suo sistema ospite,
l'ecosfera, e scaricando rifiuti entropici degradati nel suo ospite.
Ne
consegue che la crescente complessità strutturale e funzionale del sottosistema
umano come struttura dissipativa lontana dall'equilibrio (un nodo di ne-gentropia)
può verificarsi solo a spese del disordine accelerato (entropia crescente)
dell'ecosfera non in crescita.
In
effetti, l'umanità è in overshooting: il riscaldamento globale, il crollo della
biodiversità, il degrado del suolo e del suolo, la deforestazione tropicale,
l'acidificazione degli oceani, l'esaurimento dei combustibili fossili e dei
minerali, l'inquinamento di tutto, ecc., sono indicativi del crescente
disordine della biosfera/ecosfera. Siamo a rischio di un crollo caotico delle
funzioni essenziali di supporto vitale.
Poco
di tutto questo si riflette nei dibattiti contemporanei sullo sviluppo o nelle
discussioni sull'enigma della popolazione.
La
risposta della comunità internazionale all'incipiente collasso biosferico è
doppiamente disastrosa.
L'impegno
della cultura MTI per la crescita materiale, compreso l'uso continuato di FF
(Traccia 1), condanna l'umanità agli impatti prevedibilmente pericolosi
dell'accelerazione del cambiamento climatico;
allo stesso tempo, la nostra ricerca di fonti
energetiche alternative (a loro volta dipendenti da FF) al fine di mantenere lo
status quo basato sulla crescita (Traccia 2) avrebbe, se avesse successo,
assicurare il continuo esaurimento e dissipazione sia delle risorse auto produttive
che di quelle non rinnovabili essenziali per l'esistenza della civiltà.
La
visione dominante della popolazione afferma che il tasso di crescita è in
declino, quindi "non c'è da preoccuparsi" o preoccuparsi che il
declino della popolazione sia negativo per l'economia!
Anche
l'affermazione di base è controversa.
“Jane
O'Sullivan” sottolinea che il tasso di declino è diminuito in questo secolo.
Sostiene che i demografi delle Nazioni Unite hanno quindi "costantemente
sottostimato la popolazione globale recente, a causa della loro eccessiva
previsione del declino della fertilità nei paesi ad alta fertilità".
La
popolazione umana continua a crescere di circa 80 milioni all'anno – “O'Sullivan”
sostiene che il numero è più vicino ai 90 milioni – e il suo picco finale è
altamente incerto.
Un
nuovo feedback negativo potrebbe porre fine alla crescita ben prima che la
popolazione raggiunga i 10,4 miliardi previsti dalle Nazioni Unite alla fine
degli anni 2080.
È
fondamentale ricordare che, giusto o sbagliato che sia, le proiezioni
convenzionali ignorano il fatto che l'ecosfera in realtà non sta
"supportando" nemmeno gli attuali otto miliardi di persone.
L'impresa
umana cresce e si mantiene liquidando e inquinando ecosistemi essenziali e beni
materiali.
In
breve, anche gli standard di vita materiali medi sono corrosivamente eccessivi,
eppure, nel 2019, "quasi un quarto della popolazione mondiale... viveva al
di sotto della soglia di povertà di 3,65 dollari al giorno, e quasi la metà, il
47 per cento, viveva al di sotto della soglia di povertà di 6,85 dollari"
e il mondo considera la pura crescita materiale come il mezzo per affrontare
questo problema.
Seguendo
questa strada, l'eco-distruzione aumenterà, aumentando la probabilità di una
semplificazione e contrazione autoindotta dell'impresa umana.
A meno
di un olocausto nucleare, è improbabile che H. sapiens si estingua.
Le nazioni ricche e tecnologicamente avanzate hanno
potenzialmente una maggiore resilienza e possono essere isolate, almeno
temporaneamente, dalle peggiori conseguenze della semplificazione globale.
Detto
questo, i feedback negativi che rimbalzano – caos climatico, scarsità di cibo e
di altre risorse, disordini civili, guerre per le risorse, ecc. – potrebbero
eliminare le prospettive di una civiltà mondiale avanzata.
Nell'eventualità
di una "correzione" della popolazione globale apparentemente
inevitabile, il numero di esseri umani diminuirà al punto in cui i
sopravvissuti potranno ancora una volta sperare di prosperare all'interno della
capacità di carico (molto ridotta) della Terra.
Stime
informate indicano che la capacità di carico a lungo termine va da un minimo di
100 milioni a ben tre miliardi di persone.
È
incerto se gran parte o parte dell'alta tecnologia industriale possa persistere
in assenza di abbondante energia a basso costo e di ricche riserve di risorse,
la maggior parte delle quali saranno state estratte, utilizzate e dissipate.
Può
darsi che il futuro migliore sarà, in effetti, alimentato da energia
rinnovabile, ma sotto forma di muscoli umani, cavalli da tiro, muli e buoi
integrati da ruote idrauliche meccaniche e mulini a vento.
Nel peggiore dei casi, il miliardo (?) di
sopravvissuti dovrà affrontare un ritorno agli stili di vita dell'età della
pietra.
Se
questo dovesse essere il futuro dell'umanità, non sarebbero le sofisticate
città a sopravvivere, ma piuttosto i poveri rurali pre-adattati e le sacche
rimanenti delle popolazioni indigene.
In
conclusione:
qualsiasi
interpretazione ragionevole delle storie precedenti, delle tendenze attuali e
delle dinamiche dei sistemi complessi sosterrebbe che la cultura globale
dell'MTI sta cominciando a sgretolarsi e che il boom della popolazione umana
una tantum è destinato a scoppiare.
Le
innate tendenze espansionistiche di H. sapiens sono diventate disadattive.
Tuttavia,
lungi dal riconoscere e scavalcare le nostre svantaggiose predisposizioni
naturali, le norme culturali contemporanee le rafforzano.
Probabilmente,
in queste circostanze, il collasso diffuso della società non può essere
evitato: il collasso non è un problema da risolvere, ma piuttosto la fase
finale di un ciclo da sopportare.
Il collasso della civiltà globale sarà quasi
certamente accompagnato da una grande "correzione" della popolazione
umana.
Nel migliore dei mondi possibili, l'intera
transizione potrebbe effettivamente essere gestita in modo da prevenire inutili
sofferenze di milioni (miliardi?) di persone, ma questo non sta accadendo – e
non può accadere – in un mondo cieco alla propria situazione.
La
popolazione umana
crollerà
in questo secolo?
Zerohedge.com
- TYLER DURDEN - Ross Pomeroy via RealClearScience.com - (02/NOV/2023) – ci
dicono:
Per il
99,9% dei 250.000 anni di Homo sapiens sul pianeta Terra, la nostra popolazione
è rimasta al di sotto di un miliardo di individui e, per gran parte di quel
tempo, la curva di crescita della nostra specie è stata relativamente piatta.
Dal
1800, tuttavia, la popolazione umana è aumentata esponenzialmente da poco meno
di un miliardo a 8,1 miliardi.
Ora
occupiamo quasi tutte le parti del globo e consumiamo voracemente risorse al di
là di ciò che la Terra può fornire in modo sostenibile a lungo termine.
Come
sostiene l'eminente ecologista “William E. Rees” in un nuovo inquietante
articolo, questa è una ricetta per un disastro imminente.
Cicli
di boom e bust.
Per 40
anni, “Rees” ha insegnato presso l'”Università della British Columbia”,
concentrandosi sulla pianificazione relativa alle tendenze ambientali globali e
allo sviluppo socioeconomico sostenibile.
Il suo
contributo accademico più notevole è il concetto di "impronta
ecologica", la "quantità di risorse ambientali necessarie per
produrre i beni e i servizi che supportano lo stile di vita di un
individuo".
Come
ecologista, “Rees” è ben consapevole del fatto che tutti i tipi di specie
attraversano spesso cicli di “boom e bust”.
Quando
le risorse sono abbondanti e le minacce sono basse, si riproducono e si
moltiplicano.
Ma
quando le risorse si esauriscono, forse a causa del consumo eccessivo o dei
cambiamenti ambientali, le popolazioni delle specie diminuiranno
precipitosamente.
La
proposizione dolorosamente semplice di “Rees” nel suo nuovo articolo è che gli
esseri umani non sono diversi da qualsiasi altra specie.
Pertanto,
siamo tanto vulnerabili ai crolli demografici quanto siamo inclini ai boom.
"L'Homo
sapiens è una specie in evoluzione, un prodotto della selezione naturale e
ancora soggetta alle stesse leggi e forze naturali che influenzano l'evoluzione
di tutti gli organismi viventi", ha scritto.
E non
fatevi ingannare, siamo all'apice di un boom sull'orlo di un crollo, dice. L'aumento del 700% della popolazione
umana, insieme a un'espansione di 100 volte del prodotto del mondo reale, negli
ultimi due secoli sono anomalie sbloccate dall'uso dilagante di combustibili
fossili, dalla deforestazione, dall'estrazione mineraria e dalla distruzione
delle terre coltivabili.
Questo
ci ha spinto in uno stato ecologico di "overshooting", in cui stiamo
consumando più risorse di quelle che possono essere reintegrate e producendo
più rifiuti di quelli che possono essere gestiti dagli ecosistemi.
L'unica
domanda è quando la bolla dell'umanità crollerà. “Rees” fa presagire che
accadrà nelle nostre vite.
"L'economia
globale si contrarrà inevitabilmente e l'umanità subirà una grande 'correzione'
demografica in questo secolo", ha scritto.
Una
"correzione" della popolazione.
Quanto
sarà grave?
“ Rees”
cita stime che suggeriscono che il numero di esseri umani che la Terra può
sostenere a lungo termine è compreso tra 100 milioni e 3 miliardi di persone.
Quindi,
il collasso della popolazione e della civiltà che prevede sarà davvero
piuttosto negativo.
Ha
anche dipinto brevemente un quadro desolante di come potrebbe accadere.
"Man
mano che alcune parti del pianeta diventano inabitabili, dovremmo aspettarci
un'agricoltura vacillante, scarsità di cibo e possibilmente carestie
prolungate. L'innalzamento del livello del mare nel prossimo secolo inonderà
molte città costiere; Con il collasso delle autostrade nazionali e delle reti
di trasporto marittimo, è probabile che altre città siano tagliate fuori dal
cibo, dalle terre, dall'energia e da altre risorse essenziali. Alcune grandi
aree metropolitane diventeranno insostenibili e non sopravviveranno al
secolo".
Dopo
la correzione della popolazione, Rees fa presagire un futuro più primitivo.
"Può
darsi che il futuro migliore sarà, infatti, alimentato da energia rinnovabile,
ma sotto forma di muscoli umani, cavalli da tiro, muli e buoi integrati da
ruote idrauliche meccaniche e mulini a vento".
Un
falso profeta di sventura?
L'opinione
di “Rees” non è il destino, ovviamente.
Se
suona familiare, è perché gran parte di esso è semplicemente una versione
rimaneggiata di ciò che “Paul Ehrlich” scrisse nel 1968 nel suo libro “The
Population Bomb”.
Thomas Malthus fece lo stesso ragionamento nel 1798.
Negli
ultimi 225 anni, la realtà ha dimostrato che si sbagliavano.
Non ci
sono prove convincenti che suggeriscano che le condizioni sulla Terra siano
cambiate così tanto da rendere inevitabile o addirittura probabile un collasso
della popolazione umana.
Infatti,
con l'aumento della produttività e l'avanzare della tecnologia, stiamo creando
più cose ma utilizzando meno risorse.
Inoltre,
i demografi delle Nazioni Unite prevedono che la popolazione umana raggiungerà
il picco a metà degli anni 2080 a circa 10,4 miliardi di persone, dopodiché si
stabilizzerà e diminuirà.
Piuttosto che a causa di un collasso
catastrofico, questo rallentamento naturale sarà il risultato, tra le altre
ragioni, di standard di vita più elevati, di controllo delle nascite e di
prospettive mutevoli sulla sostenibilità.
In
breve, l'ONU, insieme alla maggior parte degli altri scienziati, prevede che
gli esseri umani sceglieranno effettivamente di diminuire di numero piuttosto
che avere la scelta fatta per noi in modo drammatico e mortale.
In
alcuni punti, l'articolo di “Rees” sembra le farneticazioni di un vecchio
ecologista, comprensibilmente arrabbiato per il danno che l'umanità ha fatto al
mondo naturale.
Sparsi
in tutto l'articolo ci sono frecciatine supponenti rivolte a vari obiettivi:
politici miopi, tecno-ottimisti ingenui e scienziati troppo fiduciosi.
Riserva
anche una buona dose di irritazione a coloro che insistono sul fatto che il
cambiamento climatico è il più grande problema che l'umanità deve affrontare,
quando il vero problema siamo noi – o meglio troppi di noi.
Tuttavia,
le argomentazioni di “Rees” non dovrebbero essere ignorate del tutto. L'esperto ecologista si è distinto
per decenni di studio.
Attinge
anche alla storia per notare correttamente che molte grandi civiltà nel corso
della storia umana sono collassate e hanno subito morie, spesso derivanti da un
eccesso ecologico all'interno dei rispettivi habitat.
Crede che, se non stiamo attenti, lo stesso
accadrà di nuovo.
Assicuriamoci
di dimostrargli che si sbaglia.
Lo
Scandalo Pfizer-UE:
Ursula
von der Leyen ha
Guadagnato
760 Milioni di Dollari dai Vaccini?
Conoscenzealconfine.it
- 2 Novembre 2023) - Cesare Sacchetti – ci dice:
Questa
è una storia di quelle che non è stata raccontata dai media mainstream. Non è
stata raccontata fino in fondo perché i suoi risvolti sono troppo ingombranti e
scomodi per i suoi protagonisti.
Il giornalista rumeno, “Adrian Onciu”, ha condotto
un’inchiesta sulla genesi di questa trattativa e il sito sul quale l’ha
pubblicata, “Mediafax”, non ha tardato a farla rimuovere.
Evidentemente
le conclusioni sono troppo scomode per il “presidente della Commissione
europea, Ursula von der Leyen”, per il colosso farmaceutico americano
presieduto da “Albert Bourla”, e per tutti gli altri membri della Commissione
che avrebbero taciuto su quello che appare come un enorme scandalo che vedrebbe
la Von der Leyen invischiata in un macroscopico conflitto di interessi.
L’Inizio
della Farsa Pandemica e della “Cura” dei Vaccini.
La
storia inizia quando la farsa pandemica era in corso verso la fine del 2020.
I lettori probabilmente ricorderanno con poca
nostalgia quell’orrendo periodo.
I
media mainstream alimentavano il terrore di un “terribile” virus che secondo la
loro narrazione stava mietendo molte vittime, quando in realtà già nei
primissimi rapporti dell’ISS, istituto non di certo vicino a chi denunciava la
truffa pandemica, emergeva chiaramente che le persone che morivano realmente
con il Covid, ancora oggi non isolato, erano una piccolissima percentuale che
non superava nemmeno il 2%.
La
narrazione della “farsa pandemica” era stata già scritta ancora prima che
questa iniziasse ufficialmente quando nel gennaio del 2020 si riuniva il” forum
di Davos” che aveva già elaborato la sua idea di società post-pandemica nella
quale ci sarebbe stato il cosiddetto “Grande Reset”.
Il “Grande
Reset” non è altro che la manifestazione di una società totalitaria nella quale
gli ultimi residui spazi di sovranità nelle mani degli Stati nazionali vengono
trasferiti verso le istituzioni transnazionali, espressione della cosiddetta
governance globalista.
In
tale ottica, i vaccini erano stati designati già nel gennaio del 2020 come la
“cura” ad una crisi artificiale che ancora doveva iniziare e i sieri sarebbero
stati il mezzo per entrare nel “Nuovo Ordine Mondiale”, come dichiarò
pubblicamente “Luca Zaia”, governatore del Veneto, ed uno dei vari esecutori di
questo piano.
Verso
la metà del 2020 partono dunque le negoziazioni tra la “Commissione europea e
la Pfizer” per fornire agli italiani e agli europei la “cura” prestabilita da
quei circoli globalisti che sin dai primi istanti hanno tirato le redini di
quella che un ex colonnello russo dei servizi segreti, “Kvachkov,” ha definito
efficacemente come “operazione terroristica del coronavirus”.
In
questa storia entra in scena un personaggio fondamentale verso la fine del 2020
e i primissimi mesi del 2021.
Si
tratta di Heiko Von der Leyen, marito della più nota Ursula.
Heiko Von der Leyen è un medico tedesco di
Hannover.
Il
dottor Von der Leyen ha studiato farmacologia, medicina interna e cardiologia
all’università di Amburgo, e dal 1992 al 1996 ha anche svolto delle ricerche
per conto della famosa università americana di “Stanford”.
Nel
2005 diviene il direttore del centro di test clinici della sua città natale,
Hannover.
Fino
agli anni più recenti, il marito del “presidente della Commissione europea” ha
continuato a svolgere la sua attività prevalentemente per la clinica tedesca.
Nel
dicembre del 2020 poi entra improvvisamente nel consiglio di amministrazione di
una società americana, “Orgenesis”, che sembra essere strettamente legata alla “Pfizer”.
Alcuni
hanno sollevato delle perplessità su questo trasferimento improvviso del “dottor
Von der Leyen” perché fino a quel momento le sue qualifiche e la sua attività
non sembravano fare di lui un ricercatore scientifico di grosso spessore
internazionale.
L’incarico
ricevuto all’”Orgenesis” che ha sede nel “Maryland”, negli Stati Uniti,
potrebbe essere la chiave per comprendere l’intera vicenda legata alla
fornitura dei vaccini.
“Orgenesis”
aveva già sviluppato nel 2020 dei vaccini cellulari per la cura del Covid-19.
Il legame tra “Orgenesis” e la” Pfizer” sembra
essere nel suo azionariato.
Se
infatti consultiamo i principali azionisti delle due società americane troviamo
che entrambe sono “partecipate dagli onnipresenti fondi di investimento di
Vanguard e BlackRock”.
Ci è
capitato già in altre occasioni di parlare di questi due fondi di investimento
che risultano essere degli enormi contenitori delle più grosse multinazionali
del pianeta.
Dentro
di essi c’è praticamente tutto.
C’è la
Coca-Cola, c’è la IBM, c’è la Shell, c’è General Motors, c’è Microsoft e c’è
tutto il cartello farmaceutico noto negli USA come “Big Pharma” rappresentato
da “Pfizer” e “GlaxoSmithKline”, tra gli altri.
Gli
azionisti e i veri proprietari di “Vanguard” e “BlackRock” non sono noti ed è
possibile risalire ai loro nomi solamente attraverso le partecipazioni e gli
investimenti degli azionisti presenti nelle società partecipate.
È “Vanguard”
stessa ad affermare nel suo sito che non c’è un elenco degli azionisti del
fondo, e questo sembra chiaramente mettere in evidenza una volontà alquanto
sospetta di mascherare i veri proprietari di questa società.
Se
però guardiamo come accennavamo poco fa a coloro che hanno messo i propri soldi
nelle altre società partecipate, troviamo i soliti nomi.
Troviamo i nomi dei Rothschild, della famiglia
Rockefeller, di Bill Gates, dei banchieri Morgan e dei colossi della chimica
americana Dupont.
Troviamo
quella struttura di potere oligarchica che ha in mano l’economia del pianeta.
Sono
questi i proprietari della” Pfizer” e sono questi i proprietari di “Orgenesis”,
per la quale “Heiko von der Leyen” ricopriva l’incarico del quale abbiamo detto
in precedenza.
Il
Marito della Von der Leyen ha Ricevuto 760 Milioni di dollari in Commissioni?
Tra la
fine del 2020 e l’inizio del primo trimestre le negoziazioni tra la “Pfizer “e
la “Commissione europea” entrano nel vivo e gli scambi di messaggi telefonici,
poi spariti come vedremo successivamente, tra la” von der Leyen” e “Albert
Bourla” si fanno sempre più fitti.
A
maggio del 2021, c’è la firma del contratto. L’”Unione europea” ha firmato con
il colosso farmaceutico americano un contratto di fornitura che ha previsto
l’acquisto di 1,8 miliardi dosi di vaccino al prezzo di circa 20 dollari a
dose.
Il
risultato dell’affare è un fiume di denaro pari a 36 miliardi di dollari che
escono dalle casse dell’UE e quindi anche dalle casse dello Stato italiano,
terzo contributore netto di Bruxelles, e finiscono in quelle della Pfizer.
Ora
l’aspetto che non è stato considerato dai media italiani ed europei è quello
che riguarda il business delle commissioni.
A tali
livelli, anche una piccola commissione del 2% per chi procura l’affare può
rilevarsi come una cifra enorme pari a svariati centinaia di milioni di euro.
Secondo
quanto riporta “Adrian Onciu”, la “Pfizer” una volta conclusa la vendita dei
vaccini, avrebbe trasferito circa “760 milioni di dollari” dalle sue casse a
quelle della “Orgenesis”, società per la quale appunto lavorava il “dottor von
der Leyen”.
E la
forma attraverso la quale tale ingente somma sarebbe stata trasferita è con un “bonus
di prestazione” elargito direttamente a “Heiko von der Leyen”.
Se il
giornalista rumeno ha ragione, si tratterebbe del più grosso scandalo di
conflitto di interessi e di corruzione mai visto nella storia dell’UE,
istituzione tutt’altro che trasparente per quello che riguarda i finanziamenti
ricevuti dai vari commissari che oltre a guadagnare stipendi da favola ricevono
fondi da vari lobby e istituzioni finanziarie per tutelare meglio gli interessi
di queste.
Bruxelles
è quel posto dove affluisce una immensa quantità di denaro da centri di affari
verso la Commissione europea che non ha cuore certo gli interessi dei vari
cittadini europei, che non eleggono i commissari e di cui spesso ignorano
persino i nomi, ma di coloro che versano i soldi nei vari conti all’estero dei
commissari europei.
È
quanto pare sia accaduto a “Stella Kyrikiades”, commissario UE alla Salute, che
risulta aver preso 4 milioni di dollari dopo la firma del contratto sulla
fornitura dei vaccini firmato con la Pfizer.
Questa
storia però che vedrebbe coinvolto il “presidente della Commissione europea in
un enorme scandalo” ha ricevuto una copertura mediatica pressoché inesistente.
Il
marito della “Von der Leyen” era finito nelle cronache europee per un altro
conflitto di interessi la cui portata appare microscopica di fronte a quello di
cui abbiamo appena scritto.
Il
medico tedesco faceva infatti parte di un progetto di ricerca dell’università
di Padova finanziato dall’UE per lo sviluppo di farmaci fondati sulla
tecnologia a RNA.
I
contributi che avrebbe dovuto ricevere la” Orgenesis” sarebbero stati pari a
200mila euro all’anno.
In
seguito all’emergere di questa notizia, “Heiko Von der Leyen” ha rinunciato al
suo ruolo presso l’università veneta ma nessuna attenzione è stata posta invece
sull’altro grosso scandalo relativo all’”Orgenesis” e nel quale c’è una enorme
montagna di denaro che, secondo “Onciu”, sarebbe finito direttamente alla “famiglia
di Ursula Von der Leye”n come premio per aver firmato il contratto dei vaccini
con la Pfizer.
Viene
quasi da pensare che la storia delle “dimissioni dal progetto UE
dell’Università di Padova” sia stata data in pasto all’opinione pubblica dai
media mainstream per distrarre invece dall’altro enorme scandalo che riguarda le
commissioni ricevute per i vaccini.
È una
storia della quale ancora si può venire a capo ricostruendo il percorso che
queste cifre hanno svolto nonostante il “presidente della Commissione europea”
si sia adoperato per rimuovere le tracce delle negoziazioni con la Pfizer, quando ha cancellato tutti i suoi
messaggi dal suo cellulare.
Una
pratica alla quale la “Von der Leyen non sembra essere nuova”, perché durante
il suo mandato al ministero della Difesa tedesco sembrava avvezza alla stessa
“pratica”, quando cancellava i messaggi di testo con le varie imprese alla
quali l’ex ministro elargiva commesse militari pagate molto profumatamente.
Non è
stata scritta una parola al riguardo di questo caso dai media europei, che come
dicevamo prima si sono concentrati su un piccolo conflitto d’interessi per
nascondere quello enorme che più riguarda da vicino i soldi che gli italiani e
gli altri cittadini europei hanno dato a Bruxelles. Soldi che sono finiti nelle casse
della Pfizer e forse in quelli della famiglia Von der Leyen.
Il
procuratore pubblico europeo, la rumena “Laura Kovesi” alquanto controversa in
patria, ha aperto un’inchiesta l’anno passato sulla fornitura dei vaccini ma
non ha mai minimamente sfiorato questa storia e non ha rivolto nessuna domanda
al presidente della Commissione UE su queste commissioni dorate.
Ad
oggi, nessun giornalista, salvo” Adrian Onciu”, ha mai posto una domanda sulle
commissioni ricevute dal contratto dei vaccini a Ursula Von der Leyen e al suo
consorte.
Lo
facciamo noi, anche se probabilmente non riceveremo risposta ma magari se
questa domanda verrà posta insistentemente da molti italiani ed europei al
presidente della Commissione europea, forse questa sarà costretta a smettere di
non sentire.
A
tutto questo, si deve aggiungere una considerazione finale che riguarda la
sicurezza dei sieri.
Era
stato detto al pubblico europeo che tali vaccini erano sicuri nonostante
fossero sperimentali, ma ora emerge proprio dal contratto della UE firmato con
la Pfizer che la Commissione europea sapeva perfettamente che questi sieri
potevano provocare effetti avversi sconosciuti.
Quando
vediamo le cronache locali riempite di notizie di morti dovute a malori
improvvisi e quando vediamo incidenti come quello del bus di Mestre, il cui
autista era vaccinato, viene da pensare alla correlazione causa, vaccini, ed
effetto, ovvero aumento della mortalità senza precedenti.
E
anche a questa domanda che Ursula Von der Leyen dovrebbe rispondere.
Non
solo c’è da chiarire un potenziale enorme conflitto di interessi ma c’è da
chiarire come l’Unione europea e i vari governi abbiano giocato alla roulette
russa con la vita dei cittadini, spesso costretti obtorto collo ad assumere i
sieri.
Sono
crimini a nostro avviso troppo enormi e ai quali i responsabili, almeno coloro
che hanno eseguito nelle varie classi politiche europee, difficilmente potranno
sfuggire.
(Cesare
Sacchetti - lacrunadellago.net/lo-scandalo-pfizer-ue-ursula-von-der-leyen-ha-guadagnato-760-milioni-di-dollari-dai-vaccini/).
Recensione:
“Contro il nostro
miglior
giudizio”, di Alison Weir.
Unz.com
- RICHARD COOK – (1° NOVEMBRE 2023) – ci dice:
La storia
nascosta di come gli Stati Uniti sono stati usati per creare Israele.
Mentre
la crisi che coinvolge israeliani e palestinesi si approfondisce dopo l'attacco
di Hamas del 7 ottobre, potremmo soffermarci ad esaminare come è stato creato
lo stato di Israele.
Nella
congiuntura attuale, mentre la “Terza Guerra Mondiale” si profila
all'orizzonte, mentre i massacri sono attualmente perpetrati da Israele contro la
popolazione civile di Gaza, con un bilancio di vittime che supera le 9.000
vittime, di cui oltre 4.000 sono bambini, e mentre un'armata occidentale si
sta radunando nel Mediterraneo orientale, è opportuno recensire il libro della
giornalista “Alison Weir”” Against Our Better Judgment”:
La
storia nascosta di come gli Stati Uniti sono stati usati per creare Israele.
Il libro è stato pubblicato nel 2014, è ricco di dettagli spesso di
difficile accesso ed è magistralmente documentato.
“Alison Weir” è anche a capo di un gruppo da lei
fondato: “If Americans Knew”.
Il
libro di Alison Weir è di fondamentale importanza nel considerare i modi per
ottenere una prospettiva più ampia al fine di disinnescare la situazione.
È
anche di grande interesse per quanto riguarda il più ampio conflitto
potenziale, in cui i leader politici degli Stati Uniti stanno di nuovo tirando
fuori la frase "Asse del Male", questa volta per descrivere le
nazioni di Russia, Cina e Iran.
(A
volte la Corea del Nord viene tirata in ballo per buona misura).
E'
l'Iran, naturalmente, che i leader statunitensi stanno identificando come un
presunto sponsor dei gruppi di resistenza in Palestina e dintorni, tra cui
Hamas.
Di
seguito sono riportati quelli che considero i punti principali del libro di
Alison Weir.
I miei commenti editoriali inframmezzati sono
in corsivo. I numeri di pagina sono indicati tra parentesi solo per le
citazioni del libro.
Origine
del sionismo negli Stati Uniti “Against Our Better Judgment: The Hidden History of How
the U.S. Was Used to Create Israel” inizia spiegando che il sostegno al
sionismo, definito come il desiderio di creare uno stato nazionale ebraico da
qualche parte nel mondo, risale nella storia degli Stati Uniti alla fine degli
anni '80 dell'Ottocento, nel periodo in cui il movimento sionista stava
diventando prominente in Europa.
Negli
anni '10 c'erano migliaia di aderenti agli Stati Uniti, anche se molti ebrei si
opponevano al sionismo in quanto non nell'interesse del popolo ebraico e che
sicuramente avrebbe provocato antagonismo nei loro confronti.
Probabilmente
la maggioranza degli ebrei negli Stati Uniti non aveva mai sentito parlare di
sionismo e/o era felice di essersi assimilata nella società americana. In effetti, non c'era nulla che potesse
essere anche solo lontanamente visto come un "problema di
antisemitismo" negli Stati Uniti in quel momento.
Ruolo
del giudice associato della Corte Suprema degli Stati Uniti Louis Brandeis e
creazione dei “Parushim”.
Tuttavia,
alcune persone molto potenti divennero sionisti, tra cui il giudice della Corte
Suprema degli Stati Uniti Louis Brandeis, il cui principale discepolo fu il
futuro giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter.
Brandeis formò un'organizzazione segreta
chiamata “Parushim”, il cui unico scopo era quello di realizzare la creazione
di uno stato ebraico in Palestina.
Questa
organizzazione sionista richiedeva un giuramento che sembrava dare potere di
vita e di morte ai suoi membri giurati.
"Parushim",
scritto anche "Purushim", è la parola ebraica da cui deriva il nome
"Farisei", che significa "separatisti".
Dai farisei venne l'ebraismo rabbinico e
l'idea che "non dovremmo assimilare o acculturare affatto", (prezi.com).
Vorrei far notare che il libro di “Alison Weir”
non mirava a dare un resoconto delle motivazioni più profonde del movimento
sionista, a parte la sua pretesa di essere una reazione
all'"antisemitismo" europeo.
Per un
maggiore approfondimento, consiglierei un'attenta lettura del classico “The
Controversy of Zion” del giornalista britannico” Douglas Reed” (1895-1976).
Il
giudice Louis Brandeis era vicino al banchiere di Wall Street Jacob Schiff.
Brandeis
fu anche strettamente coinvolto nella creazione del Federal Reserve System, così come
Schiff,
anche se il coinvolgimento di Brandeis in questioni politiche fu in gran parte
dietro le quinte.
La
Federal Reserve, aggiungerei, era in gran parte un progetto dell'U.S. Money
Trust e dei Rothschild britannici/europei.
I Rothschild erano anche pesantemente
coinvolti nel sionismo e nella creazione e nel sostegno dello stato sionista.
Il
fatto che il sionismo sia stato sponsorizzato da alcune persone incredibilmente
ricche potrebbe indurci a chiederci fino a che punto le ricompense finanziarie
abbiano giocato un ruolo nella rapida conversione di molti ebrei e non ebrei al
sionismo durante questo periodo.
Per informazioni sulla creazione della Federal
Reserve, vedere il mio libro, “Our Country, Then and Now” (Clarity Press, 2023).
Collaborazione
tra i Parushim e la Gran Bretagna.
Il
Parushim del giudice Louis Brandeis lavorò a stretto contatto con i sionisti in
Gran Bretagna, anche viaggiando avanti e indietro, per persuadere il governo
britannico a designare la Palestina come futura patria ebraica.
Questo
avvenne dopo che i leader sionisti avevano rifiutato luoghi come il Kenya.
Fu
così creato un "contratto" tra la Gran Bretagna e i Parushim in base
al quale se gli inglesi avessero generato quella che sarebbe diventata la”
Dichiarazione Balfour”, i sionisti statunitensi avrebbero cercato di assicurare
l'ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale contro la Germania a
fianco della Gran Bretagna.
Questo
contratto fu rispettato da entrambe le parti, anche se, come negli Stati Uniti,
molti ebrei britannici si opposero al sionismo per ragioni simili:
come
una minaccia all'assimilazione ebraica.
La “Dichiarazione
Balfour” specificava che doveva essere "chiaramente inteso che nulla
deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle
comunità non ebraiche esistenti in Palestina".
A quel
tempo, le comunità non ebraiche costituivano il 92 per cento della popolazione
della Palestina.
Il
sionismo e il fallimento della pace con l'Impero Ottomano.
La
prima guerra mondiale inizia nel 1914.
Nel
1915-1916, l'Impero Ottomano, che era alleato con la Germania ma non in guerra
contro gli Stati Uniti, si offrì di fare una pace separata con gli Stati Uniti.
Gli
ottomani si erano anche offerti di permettere agli ebrei d'Europa di vivere in
pace ovunque nel loro impero.
Gli
Stati Uniti inviarono una delegazione per negoziare questa pace separata, ma
Brandeis informò i sionisti britannici che la delegazione era in arrivo.
I sionisti britannici inviarono quindi il loro
leader, Chaim Weizmann, ad intercettare la delegazione statunitense a
Gibilterra, dove riuscì a convincerla a interrompere i negoziati.
La
ragione era che gli inglesi avrebbero rivendicato la Palestina dopo la guerra
come patria per gli ebrei, quindi volevano assicurarsi che la Palestina sarebbe
stata disponibile per il controllo britannico.
Il
piano britannico era quello di spezzare l'Impero Ottomano, non di lasciarlo
intatto attraverso una pace separata istigata dagli Stati Uniti.
Avvertimenti
contro il progetto sionista.
I diplomatici all'interno del Dipartimento di
Stato degli Stati Uniti, sia a Washington D.C. che in Medio Oriente, erano a
conoscenza e mettevano in guardia contro il progetto sionista, sostenendo che
un milione di palestinesi sarebbero stati sfollati o resi virtualmente
servi/schiavi degli invasori.
Prima
guerra mondiale.
Nel
1917 gli Stati Uniti entrarono in guerra a fianco della Gran Bretagna, in base
all'accordo sionista, e la Germania fu sconfitta, insieme agli ottomani.
La Gran Bretagna firmò anche un accordo
segreto con la Francia in base al quale avrebbe ottenuto il controllo della
Palestina dopo la guerra.
Il
controllo è stato attuato attraverso il veicolo di un mandato britannico
approvato dalla Società delle Nazioni.
Durante
questo periodo, l'antagonismo contro gli ebrei aveva iniziato a crescere
all'interno della società statunitense, in parte in reazione alla percezione
che gli ebrei controllassero le banche e altre istituzioni finanziarie.
Era
apparso anche "I Protocolli dei Savi di Sion".
Pur
affermando di essere un falso della Russia zarista, i Protocolli ricevettero
credito e pubblicità da Henry Ford e altri.
La
Germania era consapevole che i sionisti avevano contribuito alla sconfitta
della Germania nella prima guerra mondiale.
Ciò
contribuì agli atteggiamenti antiebraici dei tedeschi dopo la guerra e fu un
fattore nelle successive politiche antiebraiche naziste.
Durante
la prima guerra mondiale, i “Parushim” diedero all'FBI una lista di americani
che si opponevano al sionismo o alla guerra.
Molte
di queste persone sono state arrestate e mandate in prigione.
In
tutto questo, Brandeis dirigeva le cose da dietro le quinte.
Era probabilmente la persona più potente degli
Stati Uniti, ma le sue attività politiche erano segrete o svolte per procura.
Alla
fine della prima guerra mondiale, il presidente “Woodrow Wilson” inviò una
commissione in Palestina per indagare sulla situazione. Conosciuta come la “Commissione
King-Crane”, il suo rapporto "raccomandava contro la posizione sionista di
un'immigrazione illimitata di ebrei per rendere la Palestina uno stato
distintamente ebraico".
Il rapporto affermava che "i sionisti attendevano con impazienza
una spoliazione praticamente completa degli attuali abitanti non ebrei della
Palestina",
che "sarebbe
stata necessaria la forza armata per raggiungere questo obiettivo" e che "il progetto di rendere la Palestina
distintamente una comunità ebraica doveva essere abbandonato".
Il
rapporto della Commissione King-Crane "è stato soppresso". (pag.25)
Il
sionismo dopo la prima guerra mondiale.
Tra le
due guerre mondiali, un numero crescente di sionisti statunitensi lavorò per
portare avanti il progetto per la creazione di Israele.
In
Germania, i sionisti sostennero l'ascesa dei nazisti, in quanto ciò avrebbe
portato gli ebrei tedeschi a voler emigrare in Palestina.
In
Iraq, dove i leader ebrei non sostenevano il sionismo, gli ebrei iracheni
furono attaccati, persino uccisi, per costringerli a emigrare in Palestina.
Senza
suscitare l'ansia degli ebrei di tutto il mondo di non essere al sicuro nelle
loro terre d'origine, i pianificatori sionisti credevano che non ci sarebbero
stati abbastanza coloni ebrei per creare uno stato sionista e costringere i
palestinesi ad andarsene.
Gli
oppositori del sionismo nel servizio diplomatico degli Stati Uniti sono stati
minacciati di vedere le loro carriere distrutte se non avessero sostenuto le
affermazioni secondo cui gli ebrei in paesi stranieri stavano subendo
discriminazioni e quindi avrebbero dovuto trasferirsi in Palestina.
I sionisti lavorarono per limitare le
opportunità di immigrazione per gli ebrei in altre parti che non fossero la
Palestina, compresi gli Stati Uniti.
I sionisti si opposero alle misure del governo
britannico per limitare il numero di ebrei che potevano entrare in Palestina.
Collaborazione
tra sionisti e nazisti.
Basandosi
sul lavoro dell'autrice “Hannah Arendt”, “Edwin Black” ha scritto “The Transfer Agreement: The Dramatic
Story of the Pact Between the Third Reich and Jewish Palestine”.
Secondo l'autore Tom Segev,
"Arendt
affermò che molti ebrei sarebbero sopravvissuti 'se i loro leader non avessero aiutato i
nazisti a
organizzare la concentrazione degli ebrei nei ghetti, la loro deportazione
verso est e il loro trasporto nei campi di sterminio'". (p.146)
Questo
fu chiamato "Accordo di Haavara".
Il
famoso boicottaggio ebraico degli anni '30 dei prodotti tedeschi potrebbe
essere stato istigato dai sionisti per promuovere il sentimento antiebraico,
portando a un maggiore desiderio tra gli ebrei di emigrare in Palestina.
Altri
sionisti affermarono che gli ebrei perseguitati erano inclini a diventare
comunisti rivoluzionari per lo stesso scopo.
Attività
sioniste tra le due guerre mondiali.
Negli Stati Uniti, durante gli anni '20 e '30, i
leader sionisti smorzarono i discorsi su uno stato ebraico in Palestina e si
concentrarono sulla creazione di nuove istituzioni come imprese altruistiche.
Un
esempio fu l'Università Ebraica, aperta a Gerusalemme nel 1925.
I
leader sionisti si lamentavano del fatto che la maggior parte degli ebrei
statunitensi si considerava prima di tutto come cittadini americani.
Organizzazioni come l'”American Zionist Emergency
Council” e lo “United Jewish Appeal” sono state fondate per generare
finanziamenti e sostegno.
Le
donazioni allo “United Jewish Appeal” nel 1948 furono quattro volte superiori a
quelle della “Croce Rossa Americana”.
La
pubblicità pro-sionista e gli sforzi di lobbying sono stati scatenati in tutti
gli Stati Uniti.
Alcuni
ebrei, come l'”American Council for Judaism”, si opponevano ancora al sionismo
in quanto nemico dei reali interessi ebraici.
L'ACJ si opponeva alla "menzogna razzista
antisemita dei sionisti secondo cui gli ebrei di tutto il mondo erano un corpo
nazionale separato". (pag.152)
L'advocacy
sionista negli Stati Uniti aveva potenti sostenitori politici.
Il
deputato di New York Emanuel Celler disse al presidente Harry Truman: "Ti cacceremo dalla
città", se non avesse sostenuto il programma.
Il senatore Jacob Javits ha detto:
"Combatteremo
fino alla morte e creeremo uno stato ebraico in Palestina se sarà l'ultima cosa
che faremo".
(p.38)
La propaganda sionista includeva il
finanziamento di best-seller pro-sionisti da parte di non-ebrei.
I sionisti, come il ricco avvocato di Wall
Street “Samuel Untermyer”, cominciarono a intromettere le idee
"dispensazionaliste" del "sionismo cristiano" nel discorso
attraverso la sponsorizzazione della "Bibbia di riferimento di Scofield".
(“Untermyer” era anche uno dei principali sostenitori
della Federal Reserve e sostenitore del boicottaggio ebraico mondiale della
Germania).
Oggi,
come tutti sappiamo, il "sionismo cristiano" tra gli
"evangelici" fa parte del sostegno fondamentale della lobby
israeliana.
Importanti ministri evangelici come “Jerry
Falwell” ricevettero grandi donazioni dai sostenitori sionisti.
Un'intera
mitologia "dispensazionalista" che coinvolge il
"Rapimento", ecc., è stata costruita e promossa per giustificare
l'unione politica tra questo gruppo di religiosi americani e le fazioni più
estreme della politica israeliana guidate oggi da figure come il primo ministro
“Benjamin Netanyahu”.
Anche
se Netanyahu ha fatto emergere questa folle mitologia per coprire il genocidio
israeliano a Gaza, l'argomento non è trattato in dettaglio nel libro di “Alison
Weir”, quindi non sarà trattato ulteriormente qui.
Sostegno
protestante al sionismo.
Negli
anni '30, i sionisti statunitensi stavano cercando di organizzare i protestanti
americani in loro sostegno.
Alla
fine della seconda guerra mondiale il “Consiglio Cristiano sulla Palestina” era
cresciuto fino a 3.000 membri e il “Comitato Americano per la Palestina” a
6.500. L'appello
ai protestanti si basava sulla simpatia per i rifugiati, anche se non è stata
fatta alcuna menzione delle centinaia di migliaia di palestinesi che sono
diventati rifugiati a causa della presa del potere da parte dei sionisti.
Durante
la guerra d'indipendenza israeliana del 1947-1949, le chiese e le istituzioni
cristiane in Palestina furono assaltate dai sionisti insieme ai palestinesi.
Gli
inizi del terrorismo e la spartizione della Palestina da parte dell'ONU.
In
Palestina negli anni '30 e '40, i sionisti cercarono di comprare la terra
palestinese, ma pochi abitanti desideravano venderla.
I sionisti cominciarono allora a organizzare
forze terroristiche per scacciarli.
Questi
gruppi terroristici presero di mira anche funzionari del governo britannico,
poiché la Palestina era ancora un mandato britannico. L'autrice “Alison Weir” cita una
dichiarazione di “David ben Gurion”, il primo ministro israeliano, che
suggerisce che questo è stato almeno in parte ciò che ha dato inizio
all'odierno fenomeno mondiale del terrorismo.
All'inizio
della guerra del 1947-1949, gli ebrei costituivano il 30 per cento della
popolazione palestinese, ma possedevano solo il 6-7 per cento della terra.
Nel
1947, la Gran Bretagna consegnò il suo Mandato alla Palestina all'ONU.
Una
risoluzione dell'Assemblea Generale per la spartizione diede ai sionisti il 55%
della terra di Palestina.
Il
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si oppose al piano di spartizione in
quanto contrario alla volontà della popolazione locale e in violazione degli
interessi degli Stati Uniti e dei principi democratici.
I funzionari hanno avvertito che la partizione
"garantirebbe
che il problema palestinese sarebbe permanente e ancora più complicato in
futuro".
I
funzionari dissero che la proposta era per "uno stato razziale
teocratico" che discriminasse "per motivi di religione e razza". (p.45)
Il principale funzionario antisionista del
Dipartimento di Stato, Loy Henderson, fu esiliato dai suoi superiori come
ambasciatore in Nepal.
L'opposizione
del governo degli Stati Uniti al sionismo. Ciononostante, praticamente
l'intero ramo esecutivo degli Stati Uniti era contrario a uno stato ebraico in
Palestina.
Dichiarazioni
e rapporti furono fatti da una commissione del 1946 guidata dall'ambasciatore “Henry F. Grady”, dalla “CIA”, dal “Joint Chiefs of
Staff “e dal sottosegretario di Stato “Dean Acheson”.
Un
rapporto del 1948 del “Joint Chiefs of Staff” affermava che "la strategia sionista cercherà di
coinvolgere [gli Stati Uniti] in una serie di operazioni sempre più ampie e
approfondite volte a garantire il massimo degli obiettivi ebraici". (pag.47)
I
leader ebraici erano ben consapevoli che la spartizione della Palestina da
parte delle Nazioni Unite era temporanea e che nel tempo lo Stato ebraico si
sarebbe espanso fino ad assorbire l'intera regione.
Fu formulato il concetto di "Eretz Israel", in base al quale lo stato sionista avrebbe compreso la Transgiordania, così come parti del
Libano e della Siria.
I sionisti avevano anche iniziato a usare
l'antagonismo degli Stati Uniti verso l'Unione Sovietica come argomento per la
creazione di uno stato ebraico filo-occidentale.
Questo
riportava agli albori del sionismo, quando i leader sionisti caratterizzavano
il loro stato proposto come un baluardo dell'influenza britannica in Medio
Oriente, cioè come un'estensione del colonialismo e della geopolitica
britannica.
Oggi,
i pro-sionisti sostengono che Israele è un avamposto di benevola influenza
"giudaico-cristiana" in Medio Oriente, mentre cercano di suscitare
antagonismo verso il miliardo di musulmani nel mondo in un presunto
"scontro di civiltà".
Tali atteggiamenti sono diventati prominenti
nella politica degli Stati Uniti durante la "guerra al terrore" dell'amministrazione Bush/Cheney che continua ancora oggi attraverso l'etichettatura da parte
degli Stati Uniti di gruppi antisionisti come Hamas e Hezbollah come
organizzazioni "terroristiche".
Questo
nonostante il fatto storico sopra citato che sono stati i sionisti a introdurre
il terrorismo in Medio Oriente.
Il
riconoscimento di Israele da parte degli Stati Uniti e il ruolo del presidente
Truman.
Gli
Stati Uniti sono stati il primo paese a riconoscere Israele come stato
indipendente quando il 14 maggio 1948 il presidente Harry Truman ha rilasciato
una dichiarazione di riconoscimento in seguito alla proclamazione
dell'indipendenza di Israele nella stessa data.
La motivazione principale di Truman era
creduta all'epoca, ed è ancora oggi, la conquista del sostegno ebraico nelle
elezioni presidenziali di quell'anno.
La sua
decisione fu fortemente osteggiata dal Segretario di Stato “George Marshall”,
dal Segretario alla Difesa “James Forrestal”, dalla “CIA” e dal “Consiglio di
Sicurezza Nazionale”, e dall'alto funzionario del Dipartimento di Stato George Kennan.
L'agente
dei servizi segreti “Kermit Roosevelt” scrisse:
"L'attuale
corso della crisi mondiale costringerà sempre più gli americani a rendersi
conto che i loro interessi nazionali e quelli del proposto stato ebraico in
Palestina stanno andando in conflitto".
Contrariamente
alla convinzione che gli interessi petroliferi degli Stati Uniti promuovessero
il progetto sionista, i funzionari sostenevano che la capacità degli Stati
Uniti di accedere alle risorse mediorientali sarebbe stata influenzata
negativamente.
Truman
aveva anche addetti ai lavori filo-sionisti agli alti livelli della sua
amministrazione.
L'autrice
Alison Weir sottolinea che anche la corruzione ha avuto un ruolo:
"Gore Vidal ha scritto:
"A
un certo punto, alla fine degli anni '50, quel pettegolo di livello mondiale e
storico occasionale, “John F. Kennedy”, mi raccontò come, nel 1948, “Harry S.
Truman” fosse stato praticamente abbandonato da tutti quando si candidò alla
presidenza.
Poi un
sionista americano gli ha portato due milioni di dollari in contanti, in una
valigia, a bordo del treno della sua campagna elettorale.
'Ecco
perché il nostro riconoscimento di Israele è stato approvato così in fretta'". (p.167)
L'uomo
d'affari ebreo Abraham Feinberg spiegò la sua raccolta di denaro per Truman in
un'intervista di storia orale pubblicata dalla Truman Library nel 1973.
La “CIA” scoprì anche il traffico illegale di
armi da parte di “Feinberg” ai gruppi sionisti.
Potrei
essere il primo scrittore a sottolineare che l'azione di Truman nell'accettare
tangenti, se scoperta, avrebbe potuto essere vista e trattata come un reato
perseguibile.
Conquista
sionista della Palestina.
Al
momento della proclamazione dell'indipendenza da parte di Israele e
dell'immediato riconoscimento da parte degli Stati Uniti, la risoluzione di
spartizione dell'ONU era stata approvata, con la conseguente guerra tra le
forze sioniste e arabe.
L'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite ha adottato il piano di spartizione con 33 voti
favorevoli, 13 contrari e 10 astensioni, con molte nazioni sottoposte a
un'intensa attività di lobbying e minacce sioniste.
Ad
esempio, "il
finanziere e consigliere presidenziale di lunga data “Bernard Baruch” ha detto
alla Francia che avrebbe perso l'aiuto degli Stati Uniti se avesse votato
contro la partizione". (p.55)
Un
mediatore svedese dell'ONU, il conte” Folke Bernadotte”, fu ucciso da sicari
sionisti.
Fino
ad oggi, non è mai stata dimostrata alcuna autorità legale accettata per l'ONU
nella sua spartizione della Palestina.
In
altre parole, si è trattato probabilmente di un'azione extra-legale in risposta
alle pressioni sioniste.
Anche
se nei due decenni precedenti si erano verificate sporadiche violenze tra ebrei
e arabi palestinesi, i sionisti commisero massacri su larga scala di
palestinesi dopo la risoluzione delle Nazioni Unite per la spartizione.
Alla
fine della guerra d'indipendenza israeliana nel 1948, oltre 750.000 palestinesi
erano stati espulsi dal territorio controllato dai sionisti.
Lo storico israeliano “Tom Segev” ha scritto:
"Israele
è nato dal terrore, dalla guerra e dalla rivoluzione, e la sua creazione ha
richiesto una certa dose di fanatismo e crudeltà". (p.58)
Oggi
questa è chiamata in arabo la "Nakba", la "catastrofe".
Il
massacro più noto ebbe luogo nel villaggio di “Deir Yessin” nell'aprile del
1948, prima che gli eserciti arabi si unissero alla lotta.
Lì,
254 abitanti del villaggio sono stati uccisi a sangue freddo.
I capi delle due milizie presenti a “Deir
Yessin”,
l'Irgun e la Banda Stern, erano Menachem Begin e Yitzhak Shamir, entrambi divenuti in seguito primi
ministri di Israele.
Il 22
luglio 1947 l'Irgun bombardò il “King David Hotel” di Gerusalemme, uccidendo 86
persone.
La “Banda
Stern” sollecitò anche l'aiuto delle potenze dell'Asse durante la Seconda
Guerra Mondiale.
Organizzazioni
del Fronte Sionista negli Stati Uniti Durante gli anni '30 e '40, i sionisti
crearono un certo numero di organizzazioni di facciata per raccogliere fondi
utilizzati per finanziare le attività militanti in Palestina.
Dopo
la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti mantennero un embargo sulle armi
contro Israele e il Medio Oriente.
Il primo tra gli sponsor delle organizzazioni
di facciata che intendevano aggirare l'embargo era l'Irgun.
Un
gruppo, l'Esercito
Ebraico degli Ebrei Apolidi e Palestinesi, sosteneva di essere stato formato
per combattere i nazisti in Europa, ma era invece destinato a combattere gli
inglesi e gli arabi in Palestina.
Questi gruppi sposarono ideologie radicali
come l'idea che "i non ebrei sono l'incarnazione di Satana e che il mondo
è stato creato esclusivamente per gli ebrei".
Un
altro gruppo, capeggiato dal rabbino ortodosso “Baruch Korff”, ordimentò un
complotto per far saltare in aria il ministero degli esteri britannico a
Londra, che fu esposto dal “New York Herald Tribune”.
A
causa dell'influenza politica, le accuse degli Stati Uniti contro Korff sono
state ritirate.
In
seguito "divenne un caro amico e fervente sostenitore del presidente
Richard Nixon, che lo chiamava 'il mio rabbino'".
Il
sostegno di Nixon a Israele si manifestò nel gigantesco ponte aereo di
rifornimenti militari che contribuì a salvare Israele dalla sconfitta nella
guerra dello Yom Kippur del 1973.
Un'altra
importante organizzazione che raccoglieva fondi per l'invio di armi ai sionisti
in Palestina era il “Sonneborn Institute”.
Tra il
1939 e il maggio 1948 fu attiva anche l'”Agenzia Ebraica per Israele,” che oggi
raccolse l'equivalente di 3,5 miliardi di dollari.
Sionismo
e criminalità organizzata.
Tra i
finanziatori dell'indipendenza israeliana c'erano membri del crimine
organizzato, tra cui “Meyer Lansky”, capo della mafia ebraica negli Stati Uniti.
In un
articolo del 19 aprile 2018 su Tablet (tabletmag.com) intitolato "Gangsters for Zion: Yom
Ha'atzmaut: How Jewish mobsters helps Israel get its independence.
Robert
Rockaway scrisse:
"Nel 1945, l'Agenzia Ebraica, il governo israeliano pre-statale
guidato da “David Ben-Gurion”, creò una vasta rete clandestina di acquisto e
contrabbando di armi in tutti gli Stati Uniti.
L'operazione fu posta sotto l'egida dell'Haganah, il precursore clandestino delle Forze di Difesa Israeliane, e coinvolse centinaia di americani
di ogni ceto sociale.
Tra
loro c'erano milionari, studenti rabbinici, commercianti di rottami metallici,
ex soldati, studenti universitari, scaricatori di porto, industriali, chimici,
ingegneri, protestanti e cattolici, oltre che ebrei.
Un
gruppo, che è rimasto anonimo e di cui si è parlato raramente, era composto da
uomini duri, di strada, senza paura e che avevano accesso a denaro contante:
i gangster ebrei".
“Rockaway”, professore emerito all'Università
di Tel Aviv, ha anche scritto che attraverso il loro controllo dei porti statunitensi,
la mafia ebraica ha organizzato la consegna di armi a Israele a bordo di navi
battenti bandiera di Panama.
Reclutamento
di ebrei da trasferire in Palestina.
"I
quadri sionisti si sono infiltrati nei campi profughi che erano stati allestiti
per ospitare i rifugiati sfollati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Questi
infiltrati cercarono segretamente di incanalare le persone in Palestina. Quando
si è scoperto che la maggior parte di loro non voleva andare in Palestina,
hanno lavorato per convincerli, a volte con la forza". (p.74)
Un'altra fonte di reclutamento erano i bambini
ebrei in affido in famiglie cristiane.
I sionisti sostenevano di essere l'unico
rappresentante di tutti gli ebrei del mondo al fine di legittimare gli sforzi
per dirottare i sopravvissuti alla guerra in Israele, non in paesi come gli
Stati Uniti in cui molti preferivano andare.
"Dopo che una campagna di reclutamento
volontario ha fruttato meno dello 0,3 per cento della popolazione di sfollati,
è stata implementata una leva obbligatoria". (p.79)
Ad
alcuni arruolati fu richiesto di combattere in Palestina nella guerra
d'indipendenza sionista.
Nel
frattempo, il gruppo segreto “Sieff” si formò a Washington, D.C., per svolgere
attività di lobbying per il progetto sionista.
Il
gruppo era protetto da individui potenti come il “giudice della Corte Suprema
Felix Frankfurter, il Segretario del Tesoro Henry Morgenthau, Jr.”, e il già
citato finanziere e consigliere presidenziale “Bernard Baruch”.
Destino
dei profughi palestinesi.
Tre
quarti di milione di profughi palestinesi sono fuggiti nelle regioni limitrofe
in un gigantesco disastro umanitario.
Un rapporto del Dipartimento di Stato del 1948
affermava:
"Il
totale soccorso diretto offerto... dal governo israeliano fino ad oggi consiste
in 500 casse di arance".
Il valore delle terre confiscate dai sionisti
ammontava a 5,2 trilioni di dollari di oggi.
Anche i cristiani hanno sofferto perché
"numerosi conventi, ospizi, seminari e chiese sono stati distrutti o
ripuliti dai loro proprietari e custodi cristiani".
Gli
sforzi dei funzionari del governo degli Stati Uniti per trattenere gli aiuti al
governo israeliano a causa della crisi dei rifugiati furono annullati dal
presidente Truman.
Il
sionismo e i media.
Già durante la Prima Guerra Mondiale, i sionisti
esercitavano un controllo quasi completo sulla stampa statunitense.
Ciò
includeva la pubblicazione di articoli pro-sionisti su giornali prestigiosi
come il New York Times.
Nel
1953, lo scrittore “Alfred Lilienthal” scrisse:
"La
conquista della stampa americana da parte del nazionalismo ebraico fu, in
effetti, incredibilmente completa.
Sia le
riviste che i giornali, sia nelle notizie che nelle rubriche editoriali, hanno
dato principalmente il punto di vista sionista degli eventi prima, durante e
dopo la partizione. (p.86)
La coercizione sionista si estendeva al ritiro
della pubblicità, alla cancellazione degli abbonamenti e alla lista nera di
giornalisti e autori, anche quelli che offrivano una semplice traccia di
simpatia verso i palestinesi sfollati. Particolarmente emozionanti nel loro
sostegno al sionismo furono i giornali “The Nation” e “New Republic”.
Un
esempio di come i sionisti potessero distruggere la carriera di uno scrittore
fu l'attacco all'allora famosa giornalista “Dorothy Thompson” dopo che
"aveva iniziato a parlare dei rifugiati palestinesi, aveva narrato un
documentario sulla loro situazione e aveva condannato il terrorismo ebraico. (pag.92)
Sappiamo
tutti che la completa inclinazione della copertura mediatica degli Stati Uniti
verso il sionismo e Israele domina l'informazione a tutti i livelli e
attraverso lo spettro ideologico, dai principali giornali e reti a ciò che
resta del giornalismo di provincia.
Ciò
include i cosiddetti punti vendita "indipendenti" come “Breitbart”.
L'inizio di questo pregiudizio è iniziato,
forse non a caso, durante il periodo precedente la Prima Guerra Mondiale,
quando le redazioni dei giornali statunitensi sono state rilevate da
propagandisti simpatizzanti del “Federal Reserve System” e del “Money Trust”.
Oggi, naturalmente, abbiamo “Internet”, che ha
iniziato a fare breccia nel controllo delle notizie da parte delle corporazioni
dei media pro-establishment e dei censori dello “Stato Profondo” (Deep State).
Tuttavia,
anche i media di Internet devono essere cauti, quindi sono spesso ridotti al
ruolo di "ritrovi limitati", riportando solo storie selezionate che
protestano contro offese israeliane particolarmente eclatanti, ma mai il
"quadro generale".
In
conclusione possiamo dire che, come chiarisce il libro di “Alison Weir”, sono
stati in gran parte i sionisti americani che hanno finanziato e permesso la
violenta conquista della Palestina e che quindi condividono la responsabilità
negli ultimi tre quarti di secolo per le atrocità commesse contro una
popolazione diversificata i cui antenati avevano vissuto in pace e radicati
nella regione per millenni.
Questa popolazione abitava anche la città
santa di Gerusalemme, sacra alle religioni ebraica, cristiana e islamica.
Il
libro chiarisce anche che le persone possono opporsi al sionismo – la creazione
forzata di uno stato nazionale ebraico in Palestina – senza essere anti-ebraici
o "antisemiti".
Naturalmente,
la maggior parte degli indigeni della Palestina sono "semiti" per
etnia e lingua.
Inoltre,
gli oppositori più accaniti del movimento sionista originale in Gran Bretagna,
negli Stati Uniti, e forse in altre nazioni, sono stati, e sono tuttora, gli
ebrei stessi che si erano assimilati con successo nelle culture che li
ospitavano.
Ne
sono un esempio gli “ebrei chassidici” di Brooklyn, New York, e gli “ebrei
iraniani” che si rifiutano di sostenere Israele.
Molti
altri volumi potrebbero o dovrebbero essere scritti sull'autorizzazione degli
Stati Uniti a Israele e al sionismo e sull'interferenza di Israele e del
sionismo negli affari interni degli Stati Uniti.
Includerei
un esame della possibile partecipazione di Israele agli omicidi di JFK/RFK e
agli attacchi dell'11 settembre, l'acquiescenza degli Stati Uniti al programma
di armi nucleari di Israele, i legami di Israele con i neoconservatori che
controllano l'odierna politica estera degli Stati Uniti, e l'odierno
corteggiamento della Terza Guerra Mondiale contro più della metà dei paesi del
mondo, a partire dalla nemesi di Israele, l'Iran.
Gli
Stati Uniti inciamperanno nella Terza Guerra Mondiale a causa della loro
prigionia filo-sionista?
(Diritto
d'autore 2023 di Richard C. Cook. Questo articolo è disponibile per la
pubblicazione e la distribuzione nella sua interezza e con attribuzione secondo
la dottrina del Fair Use. I commenti sono benvenuti e saranno letti
all'monetaryreform@gmail.com.)
(Richard
C. Cook è un analista federale statunitense in pensione che ha lavorato presso
la Commissione per il servizio civile degli Stati Uniti, la FDA, la Casa Bianca
di Carter, la NASA e il Tesoro degli Stati Uniti. Come informatore all'epoca
del disastro del Challenger, ha raccontato la storia dei giunti O-ring
difettosi che hanno distrutto lo Shuttle.
Dopo
aver prestato servizio al Tesoro, ha esposto i disastrosi difetti di un sistema
monetario controllato dalla finanza privata nel suo libro” We Hold These
Truths: The Hope of Monetary Reform”. Come consigliere dell'”American Monetary
Institute” e mentre lavorava con il membro del Congresso “Dennis Kucinich”,
sostenne la sostituzione del “Federal Reserve System” con “una vera e propria
valuta nazionale”.
Il suo
ultimo libro è “Our Country, Then and Now” (Clarity Press, 2023).
"Ogni
impresa umana deve servire la vita, deve cercare di arricchire l'esistenza
sulla terra, per timore che l'uomo diventi schiavo là dove cerca di stabilire
il suo dominio!"
(Bô
Yin Râ (Joseph Anton Schneiderfranken, 1876-1943), traduzione di Posthumus
Projects Amsterdam, 2014.)
“Nakba
2.0” fa rivivere la
guerra
neoconservatrice.
Unz.com
- PEPE ESCOBAR – (30 OTTOBRE 2023) – ci dice:
La
guerra tra Israele e i bambini arabi, che funge anche da guerra tra egemone Usa
e asse della resistenza, sia una sotto-branca della guerra tra NATO e Russia
che tra NATO e Cina, sta andando totalmente fuori controllo.
Ormai
è assodato che con la Cina che mediano la pace in tutta l'Asia occidentale, e
la Russia-Cina che fa di tutto per i BRICS 11, con tanto di facilitazione degli
accordi commerciali energetici al di fuori del dollaro USA, L'Impero colpire
ancora sarebbe del tutto prevedibile:
Diamo
fuoco all'Asia occidentale.
L'obiettivo
immediato degli “psicopatici neoconservatori straussiani” e dei loro silos
attraverso la “Beltway” è quello di andare in Siria, Libano e, infine, Iran.
Questo
è ciò che spiega la presenza nel Mediterraneo centrale e orientale di una
flotta di almeno 73 navi da guerra USA/NATO – che vanno da due gruppi di
portaerei americane a 30+ navi di 14 membri della NATO coinvolti nei giochi di
guerra “Dynamic Marinerin” corso al largo delle coste italiane.
Si
tratta della più grande concentrazione di navi da guerra USA/NATO dagli anni
'70.
Qualsiasi
analista militare con un quoziente intellettivo superiore alla temperatura
ambiente sa che tutte quelle costose vasche da bagno americane in ferro sono
destinate a diventare barriere coralline suboceaniche, soprattutto se visitate
da missili ipersonici.
Naturalmente,
tutto questo potrebbe essere solo il tipico spettacolo americano di
proiezione/deterrenza del potere.
Gli attori principali – Iran e Russia – non
sono impressionati.
Tutto
ciò che serve è uno sguardo alle spalle per vedere ciò che un gruppo di pastori
di capre di montagna armati di finti Kalashnikov hanno fatto alla NATO in
Afghanistan.
Inoltre,
l'egemone Usa avrebbe bisogno di fare affidamento su una seria rete di basi sul
terreno se mai prendesse in considerazione l'idea di lanciare una guerra contro
l'Iran.
Nessun
attore dell'Asia occidentale permetterebbe agli Stati Uniti di utilizzare basi
in Qatar, Kuwait, Iraq o addirittura in Giordania.
Baghdad
è già impegnata, da tempo, a eliminare tutte le basi americane.
Dov'è
la mia nuova Pearl Harbor?
Il
piano B è, tra l'altro, la creazione di un'altra Pearl Harbor (l'ultima è
avvenuta solo poche settimane fa, secondo Tel Aviv).
Dopotutto,
organizzare una così sontuosa dimostrazione di diplomazia delle cannoniere in
un mare interno rivela una scelta appetitosa di anatre facili.
È
inutile aspettarsi che il capo del Pentagono” Lloyd "Raytheon"
Austin” tenga conto della possibile umiliazione cosmica dell'egemone Usa che
vede una delle sue vasche da bagno multimiliardarie affondata da un missile
iraniano.
Se ciò
accadesse, diventerebbero – letteralmente – nucleari.
“Alastair
Crooke” – lo standard analitico di oro, platino e terre rare – ha avvertito che
tutti i punti caldi potrebbero esplodere contemporaneamente, distruggendo l'
intero (corsivo mio) "sistema di alleanze" statunitense.
Il
ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, come al solito, ha colto nel segno,
quando ha affermato che se Gaza venisse distrutta, la catastrofe che ne
deriverebbe durerebbe "decenni, se non secoli".
Ciò
che era iniziato come un lancio di dadi a Gaza si sta ora espandendo a tutta
l'Asia occidentale e successivamente, inevitabilmente, all'Europa, all'Africa e
all'Asia.
Tutti
ricordano il preambolo delle attuali circostanze incendiarie:
la “mossa
di Brzezinski “giocata in Ucraina per tagliare fuori l'Europa dalle risorse
naturali russe.
Questo
si è trasformato nella più grande crisi mondiale dal 1939.
Gli “psicopatici neoconservatori straussiani”
di Washington non hanno idea di come fare marcia indietro. Quindi, così com'è,
c'è meno di zero speranza per una soluzione pacifica per entrambe le guerre
intrecciate.
Come
ho sottolineato in precedenza, i leader dei principali produttori di petrolio –
Russia, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait – possono tagliare quasi la metà
della produzione di petrolio nel mondo in un colpo solo, demolendo intere
economie dell'UE e degli Stati Uniti senza sparare un colpo.
Fonti diplomatiche assicurano che la cosa
viene presa seriamente in considerazione.
Come
mi ha detto una fonte della vecchia scuola dello Stato Profondo (Deep State),
ora in Europa, gli attori seri sono attivamente coinvolti nell'invio di questo
messaggio alla” Beltway "per far sì che gli Stati Uniti ci pensino due
volte prima di scatenare una guerra che non “Quando andranno a Wall Street per
controllare l'esposizione ai derivati”, avranno già avuto il tempo di pensarci
su, dato che i documenti sono stati inviati a gente come” Larry Fink” di
Blackrock e “Michael Bloomberg”.
Parallelamente,
nei circoli dell'intelligence si sta sviluppando una seria discussione sul
"nuovo asse del male" (Russia-Cina-Iran) sulla necessità di
consolidare un polo islamico unificato.
Le
prospettive non sono buone, anche se i poli chiave come Russia e Cina hanno
chiaramente identificato il nemico comune dell'intero Sud del mondo/maggioranza
globale.
La Turchia di Erdogan sta semplicemente
fingendo.
L'Arabia
Saudita non si investirà nella difesa/protezione della Palestina, qualunque
cosa accada.
I
clienti/seguaci americani nell'Asia occidentale sono semplicemente spaventati.
Rimangono
solo l'Iran e l'Asse della Resistenza.
In
caso di dubbio, ricorda “Yahweh”.
Nel
frattempo, la tribù vendicativa e narcisistica dei conquistadores, maestri
dell'inganno politico e dell'esenzione morale, è impegnata a consolidare la sua
Nakba 2.0 – che funge anche da soluzione perfetta per divorare illegalmente
tutto quel gas al largo di Gaza.
La
direttiva sulla deportazione del Ministero dell'Intelligence israeliano che
colpisce 2,3 milioni di palestinesi è abbastanza chiara. È stato ufficialmente
approvato dal Ministero il 13 ottobre.
Si
inizia con l'espulsione di tutti i palestinesi dal nord di Gaza, seguita da una
serie di "operazioni di terra";
lasciare aperte le rotte attraverso il confine
egiziano a Rafah;
e la
creazione di "tendopoli" nel nord del Sinai e in seguito anche di
nuove città per "reinsediare i palestinesi" in Egitto.
Il
consulente in diritto e politica umanitaria” Itay Epshtain” ha osservato:
"Non
sono stato ancora in grado di individuare un punto all'ordine del giorno o una
decisione del governo che approvi la direttiva del Ministero.
Se
fosse effettivamente presentato e approvato, probabilmente non sarebbe di
pubblico dominio".
Lo
confermano comunque diversi estremisti di Tel Aviv nei loro sfoghi.
Per
quanto riguarda la guerra in generale, è già stato scritto. Tanto tempo fa. E
vogliono seguirlo alla lettera, in tandem con i cristiani sionisti americani.
Tutti
ricordano il generale “Wesley Clark” che andò al Pentagono due mesi dopo l'11
settembre e venne a conoscenza del piano neocon/cristiano sionista per colpire
7 paesi in 5 anni per distruggerli:
Si
tratta dell'Iraq, della Libia, del Libano, della Siria, della Somalia, del
Sudan e dell'Iran.
Tutti
sono stati destabilizzati, distrutti o precipitati nel caos.
L'ultimo
della lista è l'Iran.
Ora
torniamo a Deuteronomio 7:1-2,24:
"Yahweh
ha detto a Israele che ha identificato "SETTE NAZIONI PIÙ GRANDI E PIÙ
FORTI DI TE" (maiuscole mie), che "devi mettere sotto la maledizione
della distruzione" e non "mostrare loro alcuna pietà".
In
quanto ai loro re, "cancellerai i loro nomi sotto il cielo".
Ucraina,
Pacifico, Medio Oriente:
quante
guerre può sopportare Washington?
Globalresearch.ca
- Uriel Araujo – (03 novembre 2023) – ci dice:
La
vicepresidente degli Stati Uniti “Kamala Harris” ha dichiarato, in
un'intervista alla CBS, che le truppe americane non saranno inviate a Gaza o in
Israele e che Washington sta semplicemente fornendo a Tel Aviv supporto
diplomatico, attrezzature e qualche consiglio.
Ha
aggiunto che "gli Stati Uniti non stanno dicendo a Israele cosa
fare".
Tuttavia,
è stato riferito che sia lo Stato ebraico che gli Stati Uniti stanno discutendo
di una forza multinazionale per "governare Gaza" se Tel Aviv riuscirà
a spodestare Hamas.
Il
segretario di Stato americano “Antony Blinken” ha dichiarato martedì che
un'Autorità palestinese (Ap) "rivitalizzata" dovrebbe riprendere il
controllo di Gaza in questo scenario, ma una forza di mantenimento della pace
che includa soldati americani potrebbe svolgere un "ruolo ad interim".
Ci
sono almeno due problemi con questo piano:
Israele
ha bombardato non solo Gaza, ma anche la Cisgiordania controllata dall'Autorità
Palestinese, dove Hamas non è presente, e il dispiegamento di truppe
statunitensi in Palestina non farebbe altro che aumentare drammaticamente gli
attriti in Medio Oriente.
Il 31
ottobre, il direttore dell'FBI “Christopher Wray”, durante un'audizione al
Congresso, ha affermato che l'escalation delle tensioni ispirerà la più grande
minaccia terroristica per gli Stati Uniti dall'ascesa del cosiddetto “gruppo
terroristico Stato islamico” (Daesh) un decennio fa.
Le
turbolenze in quella parte del mondo hanno certamente sollevato la questione di
quante guerre gli Stati Uniti possono combattere e quante guerre possono
sostenere.
I
legislatori di Washington che cercano un cessate il fuoco sono sempre più
preoccupati per il pieno sostegno del presidente degli Stati Uniti “Joe Biden”
alla campagna militare israeliana e al blocco del paese.
Non
sono gli unici:
i diplomatici americani starebbero preparando
un "cablogramma di dissenso", in una situazione che alcuni hanno
descritto come un "ammutinamento" in corso all'interno del
Dipartimento di Stato "a tutti i livelli".
In questo contesto, “Jack Lew” è stato
approvato come prossimo inviato americano in Israele, la sua conferma è stata
certamente accelerata dall'attuale crisi.
Essendo
stato nominato a settembre, si credeva che potesse svolgere un ruolo importante
nei colloqui israelo-sauditi mediati dagli Stati Uniti sulla normalizzazione
dei legami tra i due paesi mediorientali – uno scenario che è stato messo nel
congelatore dopo lo scoppio del pantano in corso.
La
missione di “Lew” ora si concentrerà sulla cooperazione con Tel Aviv per
neutralizzare “Hamas” e garantire il rilascio degli ostaggi, mentre subisce
pressioni per criticare occasionalmente alcune azioni israeliane – la campagna
dello Stato ebraico, dopo tutto, viene denunciata a livello globale per i suoi
attacchi indiscriminati a strutture e villaggi civili.
Il
capo delle Nazioni Unite “Antonio Guterres” ha recentemente espresso il suo
sgomento per la catastrofe umanitaria a Gaza, e organizzazioni come “Amnesty
International” hanno descritto le azioni di Israele come crimini di guerra.
Tel
Aviv sta già affrontando una crescente ostilità in “Armenia” a causa del suo
ruolo nella pulizia etnica degli armeni in “Artsakh” (Nagorno-Karabakh) da
parte dell'Azerbaigian sostenuta dalla Turchia, ed è ora accusata di aver condotto un
genocidio da un relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei
diritti umani nei Territori palestinesi, tra gli altri.
Il
Cile e la Colombia hanno richiamato gli ambasciatori in Israele, con la Bolivia
che ha tagliato completamente i ponti, e massicce manifestazioni contro Tel
Aviv si stanno svolgendo in molte capitali del mondo.
Gli
Stati Uniti inviano più armi in Medio Oriente.
L'anno
scorso ho scritto sulla possibilità di una guerra tra Iran e Israele, uno
scenario che ora sembra molto più vicino, portando con sé lo spettro di una
guerra più ampia in Medio Oriente.
È stato ipotizzato che l'”Iran” possa
aver aiutato “Hamas” a pianificare il suo attacco contro lo Stato ebraico il 7
ottobre (l'evento che ha provocato la campagna di rappresaglia di Tel Aviv),
anche se sia i funzionari americani che quelli israeliani hanno dichiarato che
finora non c'è alcuna prova di questo.
In ogni caso, si parla molto di un'escalation della
crisi in corso in Palestina che si estende alla più ampia area del Medio
Oriente.
Il
Pentagono ha confermato lunedì che Washington ha colpito due strutture in Siria
presumibilmente collegate al “Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane”.
Il 31
ottobre, i funzionari della difesa degli Stati Uniti hanno dichiarato che le
basi militari americane sia in Iraq che in Siria sono state attaccate non meno
di 23 volte nelle ultime due settimane da gruppi sostenuti dall'Iran.
“Matthew
Kroenig”, vice presidente dello “Scowcroft Center for Strategy and Security
dell'Atlantic Council”, ha dichiarato che Washington ha bisogno di "un
costrutto di pianificazione a due grandi teatri", possibilmente che copra
anche l'Iran.
Lui e
i suoi colleghi della “Commissione bipartisan sulla postura strategica degli
Stati Uniti” hanno raccomandato proprio questo al Congresso all'inizio di
questo mese.
Kroenig
afferma che gli Stati Uniti devono "scoraggiare e, se necessario,
sconfiggere i principali conflitti nelle tre regioni geostrategiche più
importanti dell'Indo-Pacifico, l'Europa e il Medio Oriente".
La domanda è: quante guerre possono combattere
gli Stati Uniti?
Andrew
A. Michta, direttore della Scowcroft Strategy Initiative (presso l'Atlantic
Council degli Stati Uniti) scrive che Washington, con il suo modello di forza
"tutta volontaria", semplicemente non è pronta per una guerra contro
le grandi potenze, essendo necessaria una "stazione permanente" sia
in Asia che in Europa.
Gli
Stati Uniti, largamente sovraccarichi, hanno spostato i loro interessi
strategici dal Medio Oriente verso l'Europa orientale (più l'Asia centrale) e
l'Indo-Pacifico, anche se la loro supremazia navale sembra volgere al termine.
Tuttavia,
come ho scritto, a giugno, gli Stati Uniti non possono semplicemente
"lasciare" il Medio Oriente, essendo un centro di petrodollari e
petrolio, per non parlare del suo significato culturale.
Questo è il dilemma che un potere sempre
troppo teso si trova ora ad affrontare. Alcuni analisti, come” Kroenig” e “Michta”,
sembrano volere tutto, con i politici americani che parlano di schierare forze
speciali anche nel vicino Messico per una calamità nazionale della droga, anche
se la superpotenza, a corto di reclute, affronta una crisi militare.
L'entusiastico
sostegno di Washington all'attuale amministrazione di Tel Aviv (che sta
affrontando pesanti critiche a livello globale), da un lato, evidenzia
l'ipocrisia della condanna più esplicita degli Stati Uniti e di una campagna
sanzionatoria senza precedenti della campagna militare russa in Ucraina,
iniziata il 24 febbraio 2022.
Nonostante le critiche che si possono fare a
Mosca in questo caso, nemmeno i critici più accesi si sono mai avvicinati a
descriverla come un genocidio di etnia ucraina;
infatti,
il 22 febbraio, due giorni prima dello scontro di oggi, un articolo di “El Pais”
descriveva in dettaglio la catastrofe umanitaria nel Donbass, provocata da
Kiev, non da Mosca.
Il 24
febbraio, la “CNN” ha riferito che le forze ucraine avevano
"distrutto" una vasta parte della regione, con scuole e orfanotrofi
evacuati sotto i bombardamenti ucraini, costringendo molti residenti del
Donbass a cercare rifugio nell'”Oblast di Rostov” (Federazione Russa).
La campagna militare ucraina contro la regione
del Donbass è iniziata nell'aprile 2014, in mezzo a politiche scioviniste
contro le popolazioni russofone.
Questo
(più gli anni di espansione della NATO guidata dagli Stati Uniti e l'ascesa
dell'estrema destra in Ucraina) ha fornito il contesto per il conflitto di
oggi.
Comunque
sia, le speranze americane di una vittoria nella sua guerra di logoramento per procura
in Ucraina sono
ora basse e Israele è ora sotto i riflettori.
Lo
Stato ebraico è sempre più isolato a livello internazionale, tuttavia, e i
costi del pieno sostegno americano continueranno a salire.
(Uriel
Araujo è un ricercatore specializzato in conflitti internazionali ed etnici.)
WORLD
ECONOMIC FORUM.
WEF,
vincono solo le big tech:
così
si alimenta la guerra perpetua.
Agendadigitale.eu
-Lelio Demichelis – (27-5-2022) – ci dice:
(Lelio
Demichelis -Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia-
Università degli Studi dell’Insubria).
Cultura
e Società Digitali.
Le big
tech hanno quasi raddoppiato gli utili tra il 2019-2021; la spesa militare
mondiale è raddoppiata dal 2000 al 2021. Per i super ricchi, la pandemia è
stata uno “dei periodi migliori della storia”, il tutto mentre la guerra
tecno-capitalista è diventata globale e normale.
Un po’ di dati di contesto al WEF di Davos.
Al
World economic forum (Wef) di Davos – uno dei maggiori luoghi di culto di
quella che abbiamo chiamato religione tecno-capitalista – grande è stata
ovviamente la preoccupazione per gli effetti della guerra in Ucraina.
Il “Chief Economist Outlook del Wef”
pubblicato lo scorso 23 maggio attende per il 2022 una minore attività
economica, un’inflazione più elevata, salari reali più bassi e una maggiore
insicurezza alimentare (leggasi, rischio di carestia globale).
Davos
World Economic Forum 2022: Global summit to discuss economy, climate change.
“Siamo
al culmine di un circolo vizioso che potrebbe avere un impatto sulle società
per anni.
La
pandemia e la guerra in Ucraina hanno frammentato l’economia globale e creato
conseguenze di vasta portata che rischiano di spazzare via i guadagni degli
ultimi trent’anni” – secondo “Saadia Zahidi” dello stesso Wef.
“I leader devono affrontare scelte difficili e
compromessi a livello nazionale quando si tratta di debito, inflazione e
investimenti.
Tuttavia,
i leader aziendali e governativi devono anche riconoscere l’assoluta necessità
della cooperazione globale per prevenire la miseria economica e la fame di
milioni di persone in tutto il mondo”.
I
guadagni degli ultimi trent’anni?
Chissà
a cosa si riferiva” Saadia Zahidi” quando parlava dei guadagni degli ultimi
trent’anni…
Che
sono stati anni in realtà di costruzione dell’egemonia della disuguagliante
ideologia neoliberale (le disuguaglianze sono infatti cresciute e sono state
una deliberata scelta politica, appunto neoliberale, come sosteneva il Nobel
per l’Economia “Joseph Stiglitz”);
di
nuove tecnologie che avrebbero dovuto essere liberanti dalla fatica e dalla
miseria donandoci più tempo libero e una vita migliore, in realtà sono sempre
più totalizzanti (tutti connessi, tutti integrati nella rete gestita
massimamente da imprese private) e anch’esse disuguaglianti – oltre che a
crescente sfruttamento del lavoro e di crescente estrazione di plusvalore dalla
vita intera dell’uomo, dall’Industria 4.0/taylorismo digitale al caporalato digitale
delle piattaforme al capitalismo della sorveglianza secondo “Shoshana Zuboff”;
anni,
ancora e soprattutto, di una crisi climatica e ambientale che sta provocando
disastri non solo ambientali ma anche sociali e che è effetto diretto e
conseguente della rivoluzione industriale capitalistica.
In
realtà era del tutto prevedibile – conseguenziale – che quelle politiche
neoliberali e quelle nuove tecnologie avrebbero prodotto il caos sistemico e la
disruption compulsiva di oggi.
In cui
e grazie al quale tuttavia il tecno-capitalismo si muove felicemente (avendolo
appunto prodotto), con la correità degli Stati, e insieme ad essi costituendo
il complesso statale-industriale-finanziario che governa il mondo.
E
infatti non è vero che la globalizzazione è morta o che la guerra ha
frammentato l’economia mondiale, perché essa rinasce – è nella sua essenza
accrescersi incessantemente nella ricerca spasmodica e compulsiva di sempre
nuovi profitti privati – e si trasforma sulla base del rafforzamento di vecchi
e nuovi imperialismi, orientali e occidentali, in una pericolosissima voglia di
guerra che si diffonde tra le cosiddette grandi potenze.
Le
disuguaglianze secondo Oxfam.
A
ricordarci per fortuna cosa è accaduto realmente negli ultimi tre decenni – e a
chi sono andati i guadagni – ci ha pensato come sempre Oxfam.
Secondo
l’ultimo Rapporto, le ricchezze dei miliardari del mondo – gli oligarchi del
tecno-capitalismo, come dovremmo definirli, perché questo sono – sono cresciute
più in due anni di Covid-19 che nei 23 anni precedenti.
Con una immagine ad effetto, Oxfam ricorda
che, di fatto, negli ultimi 2 anni i miliardari che controllano le grandi
imprese nei settori tecnologico, alimentare e energetico hanno visto aumentare
le proprie fortune al ritmo di 1 miliardo ogni 2 giorni, mentre 1 milione di
persone ogni 33 ore rischia di sprofondare in povertà estrema nel 2022.
Di
più: nel 2000 i miliardari possedevano/controllavano il 4,4% del Pil globale,
ora il loro possesso/controllo è salito al 13,9%.
Ma
controllare/possedere tali quote del Pil mondiale significa in realtà
controllare/possedere la vita delle persone.
La
ricchezza di Elon Musk.
E
ancora: dal 2019 la ricchezza di Elon Musk – quello che per alcuni
(neoliberali) è un imprenditorie visionario, un paladino della libertà di
espressione (volendo comprare Twitter, ma forse ci sta ripensando) e un
libertario (e poco importa che dichiari di voler votare per i repubblicani
integralisti e antiabortisti) è cresciuta del 699%.
Di più, secondo Oxfam – confermando la tesi di
“Stiglitz “richiamata sopra – nel Club dei miliardari del mondo sono
contemplati quasi 2.700 soci (ma le stime non sono univoche e i dati potrebbero
essere sbagliati per difetto), aumentati del 27,3% (in cifra: + 573)
dall’arrivo della pandemia.
Sempre
nei due anni di Covid-19, la crescita dei prezzi di energia e beni di prima
necessità, ha invece fatto aumentare i poveri di oltre 260 milioni di individui.
La
pandemia miglior periodo di sempre per le big tech.
Questo
mentre il settore delle nuove tecnologie – Apple, Microsoft, Tesla, Amazon e
Alphabet – ha quasi raddoppiato gli utili tra il 2019 e il 2021, per un totale
di 271 miliardi di dollari.
Amazon
li ha addirittura triplicati.
Ovvero,
per i super ricchi, la pandemia è stata uno “dei periodi migliori della
storia”, come sintetizza il “Rapporto dell’Oxfam”.
Più
che di guadagni secondo il Wef, si tratta dunque in realtà di una perdita secca
e drammatica per tutto il sistema sociale globale.
Ma
nessuno grida allo scandalo, tanto siamo integrati nel sistema che produce
queste disuguaglianze e la crisi climatica;
tanto siamo stati tutti convinti
(dall’ideologia neoliberale e da quella delle nuove tecnologie), che non ci
sono alternative e che nostro compito/dovere di bravi sudditi (come produttori
e consumatori e come generatori di dati) è solo e unicamente quello di
adattarci alle esigenze della rivoluzione industriale e del capitale, come
sintetizzava già nel 1938 uno degli ideologi del neoliberalismo oggi appunto
diventato egemone, cioè l’americano “Walter Lippmann”.
E
questo sono stati appunto gli ultimi trent’anni di neoliberalismo:
la
costruzione paziente ma progressiva del nostro adattamento (senza più avanzare
pretese di cambiamento, senza più conflitti sociali, dimenticando concetti come
equità e giustizia sociale – e oggi anche ambientale – e quello di Progresso)
alle esigenze della rivoluzione industriale (della quarta, ma che in realtà è
uguale alla prima, a parte il digitale che sembra innovativo, ma non ne cambia
l’essenza).
Un
adattamento dell’uomo e della società alle esigenze delle imprese generato
(anche o soprattutto con la complicità delle socialdemocrazie, totalmente
cieche davanti al capitalismo e alla tecnica come razionalità
strumentale/calcolante-industriale) attraverso l’imposizione dei processi di
flessibilizzazione e precarizzazione dei mercati del lavoro e di
liberalizzazione dei movimenti di capitale, della libertà di delocalizzazione
delle imprese arrivando alle piattaforme digitali (la nuova forma della fabbrica)
e alla perdita della privacy (necessaria alla costruzione del Big Data)
arrivando al green-washing e all’illusorio resettaggio del capitalismo
(promosso sempre dal Wef).
Il tecno-capitalismo è così diventato – molto
più del vecchio capitalismo – una forma di vita totalmente omologata e – come
direbbe “Herbert Marcuse” – ancor più unidimensionale, nei modi di vivere e di
pensare e non solo di lavorare e consumare.
Realizzandosi
la piena colonizzazione antropologica dell’uomo (concetto che riprendiamo da
filosofi e sociologi come “Habermas”, “Gorz” e “Bodei”) da parte del capitale e
della tecnica.
Il
complesso militare-industriale.
Non
solo.
Mentre
viene di fatto combattuta da anni – come ha scritto “Papa Bergoglio” – una
terza guerra mondiale a pezzi, con crimini, massacri e distruzioni per lo più
invisibili, la spesa militare mondiale è raddoppiata dal 2000 al 2021 arrivando
a 2.113 miliardi di dollari secondo il “Sipri”, poi cresciuta ancora dopo la
crisi ucraina.
È il
potere specifico del complesso militare-industriale – e ricordiamo che il
termine venne usato per la prima volta dal Presidente americano” Eisenhower”
per allertare il popolo americano sul pericolo implicito negli accordi segreti
fra potere politico, industria bellica e militare del paese – cui oggi si è
potentemente aggiunto il potere tecnologico e finanziario.
E
poiché il mercato punta alla massimizzazione del profitto (di potenza degli
Stati, ma anche e sempre più delle stesse imprese del complesso
militare-industriale e di quello statale-industriale-finanziario), è ovvio che
più guerre ci sono – meglio se nascoste o a bassa intensità mediatica (pensiamo
a quelle, oggi, per il controllo delle materie prime legate al digitale) ma
quando serve anche ad alta intensità mediatica, come per l’Ucraina – maggiore è
ovviamente il profitto privato per il capitale e la potenza degli Stati.
Perché
anche le armi, sempre più spinte dall’evoluzione (sic!) tecnologica, come ogni
altra merce vengono prodotte per essere consumate, cioè usate in qualche
guerra; e non usarle – e non farne crescere il business – per il sistema e per
le imprese belliche è un riprovevole tempo morto che deve essere – secondo la
razionalità strumentale/calcolante del sistema – possibilmente ridotto a zero,
la pace essendo di fatto un intralcio e una limitazione da rimuovere.
E di
nuovo, questi vent’anni sono stati per il sistema tecno-capitalista “uno dei
periodi migliori della sua storia”.
A
questo possiamo aggiungere chi specula – sempre il capitale/capitalismo – anche
sulla fame.
Anche
qui, qualche dato, per aggiungere altre tessere al puzzle.
Alla
più grande borsa dei cereali in Europa, quella di Parigi, nel 2018 circa un
quarto dei contratti alimentari che venivano stipulati erano di natura
speculativa, mentre oggi sono i tre quarti.
Cioè il capitale gioca sui futures, e a farlo
sono soprattutto gli investitori istituzionali come i fondi pensione.
Ovvero,
come ha sostenuto “Olivier De Schutter”, relatore speciale dell’Onu sulla
povertà estrema e i diritti umani, i fondi “scommettono sulla fame e peggiorano
la situazione”.
Ci
sarebbe da inorridire, se fossimo persone dotate di etica e di senso della
giustizia, e invece il sistema prosegue indisturbato a massimizzare i propri
profitti e quelli degli investitori.
E
infatti quando, come nel 2007 – ricordano “Margot Gibbs”, “Thin Lei Win” e “Sipho
Kings” – “si verificò un’altra crisi dei prezzi alimentari, le autorità di
controllo in Europa e negli Usa entrarono in azione.
Ma il settore rispose con una intensa attività
di lobby e azioni legali.
Normative
che già prima non incidevano molto sono state modificate nel 2020 per essere
ancora meno efficaci.
Di
conseguenza, il cibo costa di più e ci sono pochi modi per impedirlo.
Nel
frattempo, pochi fanno profitti mentre molte persone soffrono la fame”. Questo
mentre oggi le riserve globali di cereali sarebbero superiori di un terzo
rispetto a quanto necessario per nutrire tutti.
Conclusioni.
“Immanuel
Kant”, molto tempo fa (1795) ci invitava a costruire la pace perpetua.
Noi
stiamo invece continuando a costruire ogni giorno la guerra perpetua.
Guerra
militare contro i popoli del mondo (e oggi anche – e di nuovo – tra popoli
europei) e guerra tecno-capitalistica – cos’è la concorrenza economica e
tecnologica, cos’è la finanza, cosa sono le multinazionali se non una guerra
civile individuale e industriale diventata globale e normale? – contro l’uomo e
la biosfera.
È
tempo forse di riprendere Kant e di provare a immaginare una pace perpetua con
noi stessi, con gli altri e soprattutto con la biosfera e le future
generazioni.
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