Le multinazionali nel nuovo mondo globalizzato.

 

Le multinazionali nel nuovo mondo globalizzato.

 

 

Elettrosmog, Limiti Innalzati. Una Norma

pericolosa a Favore delle Multinazionali!

Conoscenzealconfine.it – (29 Ottobre 2023) - Giuliana Radice – ci dice:

 

L’Italia vantava una delle norme più cautelative al mondo per la protezione dei cittadini dall’elettrosmog.

L’imperfetto è d’obbligo, perché la maggioranza della “IX Commissione permanente” ha approvato l’emendamento che consente l’innalzamento dei limiti di esposizione dei campi elettromagnetici, vale a dire che nel nostro Paese potrà esserci più inquinamento elettromagnetico.

Una misura salutata con entusiasmo dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy “Adolfo Urso”, che l’ha definita “una svolta importante per lo sviluppo del Paese:

migliorerà la connettività mobile sul territorio garantendo una qualità di servizi superiore per i cittadini e consentirà alle imprese di diventare più competitive”. (A danno della salute di tutti… – nota di conoscenze al confine).

Abbiamo sentito in proposito il giornalista “Maurizio Martucci”, portavoce nazionale dell’”Alleanza Stop 5G”:

“Si passa dagli attuali 6 volt/m ai 15 volt/m, che potrebbe far schizzare il valore a 40 -50 volte l’attuale.

Con interessi delle multinazionali fino a 4 miliardi di euro”.

Il provvedimento elettrosmog dunque, come detto tra le righe dallo stesso ministro delle imprese “Adolfo Urso”, nell’agevolare le imprese garantendone la competitività, farebbe in realtà un favore alle lobby del 5G, giocando sulla salute della popolazione.

“Considerando l’ammortamento notturno, potremmo essere esposti a qualcosa che in Italia si è verificato con il caso di “Radio Vaticana”, una situazione talmente grave da generare uno studio epidemiologico che ha rilevato oltre 200 casi di morte per linfoma, leucemia e altri tumori “.

Più che mai si delinea un certo scollamento dell’esecutivo rispetto alle richieste dei cittadini, che ormai da tempo sono consapevoli della pericolosità dei fattori elettromagnetici che chiamiamo elettrosmog.

“È particolarmente inquietante se si pensa che sono stati stracciati tutti gli appelli dei cittadini alla precauzione e alla minimizzazione del rischio.

Voglio ricordare anche le 65mila firme presentate al governo.

Voglio ricordare che pochi giorni fa il ministero della Salute ha disconosciuto il riconoscimento dell’elettro sensibilità.

Si va contro alle norme per salute dei cittadini e si favoriscono le grandi società della telecomunicazione “.

Una decisione che verte su una mera questione di risparmio, risparmio delle multinazionali delle telecomunicazioni.

Una certa pressione può tuttavia essere fatta sul Governo, soprattutto considerando che la misura dovrà affrontare un iter parlamentare di 120 giorni prima di un DPCM regolamentare che arriverà nel 2024.

“Faccio un invito a tutte le forze di buonsenso della società civile, di maggioranza e opposizione, per fare battaglia il più possibile prima che l’inquinamento elettromagnetico venga innalzato da una soglia già critica.

Abbiamo tempo 120 giorni per non arrivare al 2024 con un DPCM firmato da Giorgia Meloni che metterebbe la parola fine alla questione.

(Giuliana Radice)

(byoblu.com/2023/10/27/elettrosmog-limiti-su-pericoloso-favore-a-lobby/)

 

 

 

 

La fiscalità d’impresa nel nuovo

mondo globalizzato e digitalizzato

 sipotra.it - Stefano Micossi – (10 -1 -2017) – ci dice:

 

1.) I sistemi fiscali di fronte all’impresa ‘globale’.

La globalizzazione ha indotto profondi mutamenti nel modello di business delle imprese multinazionali: le attività delle imprese sono diventate globali, digitali e immateriali mentre i sistemi fiscali sono rimasti quelli progettati un secolo fa.

L’operatività delle imprese multinazionali è evoluta da un modello “country specific” – nel quale l’impresa che intendeva penetrare nel mercato di un altro paese non poteva che stabilirvi una “subsidiary” o una “branch” che replicassero, nel nuovo territorio di insediamento, tutte le funzioni necessarie a realizzare l’oggetto dell’attività d’impresa – a un modello di estrema specializzazione e integrazione di tutte le attività del gruppo, in  cui ogni singola entità o struttura è delegata a gestire solo una parte di un business organizzato nelle sue componenti a livello globale.

Non solo. L’avvento della new economy e la digitalizzazione hanno reso possibile la penetrazione delle imprese nei mercati esteri senza che sia più necessario insediarvi una struttura o una presenza fisica.

Questo modello dell’impresa multinazionale come contribuente unitario globale ‘sfida’ i sistemi di tassazione vigenti, che invece continuano – in modo del tutto anacronistico – a determinare e ripartire i profitti realizzati dall’impresa multinazionale come se si trattasse di profitti realizzati in diverse giurisdizioni da imprese distinte.

Ma si tratta di un modello nato per un’economia prevalentemente materiale (e dunque più facilmente controllabile) e caratterizzata da scambi internazionali limitati e sviluppati all’interno di reti di rapporti bilaterali tra Stati, in un mercato in cui le transazioni “inter company” si confrontavano con limitazioni stringenti alla circolazione di capitali, merci e persone.

La rilevazione reddituale di tali transazioni si fondava sul principio dell’”independent person”: i prezzi di trasferimento tra le consociate venivano determinati con riferimento al prezzo di mercato che sarebbe stato praticato tra imprese indipendenti (arm’s length pricing).

Questo principio appare sempre più inadeguato rispetto al nuovo modello di integrazione verticale delle funzioni d’impresa, in un contesto in cui le transazioni inter company spesso superano il 70 per cento delle transazioni totali dell’impresa. In “ Il testo del Note Studi” riproduce l’intervento tenuto dall’Autore al Convegno “La fiscalità della quarta rivoluzione industriale” organizzato dalla Scuola Europea di alti studi tributari dell’Università di Bologna, il 24 febbraio 2017.

2) Questi mutamenti - analizzati nel Note e Studi Assonime n. 17/2016, Imprese multinazionali:

aspetti societari e fiscali - hanno portato a sviluppare un modello di business rispetto al quale i tradizionali principi di fiscalità internazionale appaiono ormai inadeguati.

In effetti, proprio le regole sui prezzi di trasferimento sono emerse tra i principali fattori di erosione delle basi imponibili e di creazione di redditi “apolidi”, che sfuggono a ogni giurisdizione fiscale.

Un esito al quale si è pervenuti anche per la diffusione delle pratiche di “Aggressive Tax Planning” da parte delle imprese, spesso assecondate dagli stessi Governi con i ruling sui prezzi di trasferimento nel contesto di pratiche di concorrenza fiscale dannosa.

La realtà è che l’impresa globale produce profitti a livello globale che, con la digitalizzazione dell’economia, non sono facilmente collegabili ai mercati sui quali l’impresa è attiva:

 In questo mondo anche i ricavi d’impresa diventano mobili, al pari dei flussi di dividendi, interessi o royalties, con un impatto significativo sulla fiscalità dei paesi in cui sono realizzati (c.d. paesi fonte).

Un rovesciamento di prospettiva rispetto al passato, quando si era convenuto di non assoggettare i ricavi d’impresa a ritenuta in uscita proprio nel presupposto che essi non fossero mobili e fossero generati da insediamenti produttivi stabili sui territori.

2.) La reazione degli ordinamenti nazionali tra esigenze di coerenza interna e politiche fiscali incentivanti.

La sfida portata dall’impresa globale alla capacità impositiva degli Stati nazionali pone ogni ordinamento di fronte alla scelta tra la difesa della coerenza del proprio sistema tributario e l’utilizzo della leva fiscale come incentivo per attrarre investimenti, anche ricorrendo a strumenti di concorrenza fiscale dannosa.

La coerenza interna dei sistemi fiscali nazionali – normalmente garantita dal fatto che, all’interno del singolo sistema, quel che costituisce costo per un contribuente rappresenta provento imponibile per un altro – è continuamente minacciata dalle interazioni tra i differenti sistemi societari e fiscali.

Asimmetrie, lacune e disallineamenti tra giurisdizioni sono sfruttabili dai grandi gruppi per erodere le basi imponibili dei paesi che – avendo aliquote più elevate o, comunque, sistemi fiscali coerenti e trasparenti – appaiono meno vantaggiosi.

 Le strategie di pianificazione mirano a creare le condizioni per dedurre costi in questi paesi, a vantaggio di altre giurisdizioni a bassa imposizione o semplicemente più opache, nelle quali non si verificano i presupposti.

 

Questi disallineamenti, asimmetrie o lacune non sempre sono intenzionalmente creati dalle singole giurisdizioni:

 possono consistere, ad esempio, nel fatto che uno stesso strumento finanziario è considerato equity da una giurisdizione e debito (strumento ibrido) da un’altra; che una stessa società è considerata fiscalmente trasparente in un paese e opaca nell’altro (entità ibrida); che il trasferimento di un titolo è qualificato come cessione in un paese e prestito nell’altro (trasferimento ibrido).

L’emersione delle corrispondenti componenti reddituali positive, o queste non sono tassate. Allo stesso tempo, si è indebolita la capacità dei Governi di utilizzare la leva fiscale per attirare flussi reali d’investimento. Per anni, alcuni ordinamenti hanno fondato le proprie fortune sul riconoscimento di agevolazioni fiscali piuttosto che sul mantenimento di un sistema tributario coerente.

Già nel 1998 – anno dell’introduzione del Codice di condotta nell’Unione Europea e della pubblicazione del primo Rapporto OCSE sulla concorrenza fiscale dannosa – si era osservato che le misure di agevolazione venivano sempre più spesso accordate per prassi amministrativa, attraverso” ruling taylor-made” coperti da assoluta riservatezza, piuttosto che con misure di carattere legislativo. E’ così potuto accadere che modesti investimenti diretti, tassati secondo le ordinarie aliquote del paese di insediamento, operassero come una sorta di cavallo di Troia per detassare interi profitti prodotti in aree geografiche ben più vaste, facendo scendere l’aliquota effettiva di tassazione a livelli trascurabili.

La combinazione tra pianificazione fiscale aggressiva da parte delle imprese e pratiche governative di concorrenza fiscale dannosa ha provocato la progressiva riduzione, in tutti i paesi, del gettito dell’imposta sui redditi societari, mentre l’aliquota effettiva d’imposta è scesa in molti casi su valori trascurabili. Conseguentemente, anche gli spazi per sfruttare la leva degli incentivi fiscali per attirare investimenti reali si sono fortemente ridotti.

3.) Il ruolo dell’Europa e quello degli Stati Uniti: le condizioni per la tempesta Perfetta.

All’interno dell’Unione Europea i fenomeni di “profit shifting” sono stati in parte favoriti dai principi di libertà dei movimenti di capitale e di stabilimento, nonché di non discriminazione tra residenti e non residenti.

Per lungo tempo si è pensato che le libertà comunitarie di circolazione in un mercato unico tra autonomi paesi nazionali tra loro in competizione non potessero produrre effetti distorsivi e anzi agissero come fattori di sviluppo: l’analisi economica dimostra, infatti, che gli investimenti diretti reagiscono con una certa vischiosità alle aliquote d’imposta e che, in un sistema competitivo, aliquote differenti si giustificano e trovano corrispondenza nel differente livello e nella differente qualità dei “locational benefits” offerti agli investitori.

Tuttavia, con l’aumento esponenziale della mobilità del capitale finanziario, il complesso intreccio tra regole di fiscalità non più adeguate ai nuovi modelli di business e pratiche sempre più diffuse di pianificazione fiscale aggressiva hanno aperto spazi significativi di sfruttamento delle regole europee del mercato interno – in particolare la libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali – per alimentare veri e propri paradisi fiscali all’interno dell’Unione.

Nelle triangolazioni necessarie a perfezionare gli schemi di pianificazione fiscale aggressiva, alcuni paesi dell’Unione Europea hanno svolto un ruolo essenziale, in virtù del network di convenzioni contro le doppie imposizioni che li lega alla maggior parte dei paesi del mondo (compresi quelli a fiscalità bassa o prossima allo zero) e della capacità delle imprese di circolare liberamente sul mercato comune.

Il fenomeno ha trovato qualche elemento di contrasto nelle deroghe previste dall’articolo 65 TFEU alla libertà di circolazione dei capitali: deroghe tassativamente indicate, ma in realtà così ampie da far sì che qualsiasi restrizione alla mobilità dei capitali possa ritenersi giustificata se proporzionata, nella portata e nei fini, alle specifiche esigenze dell’interesse protetto.

Su questi temi si è aperta una vasta area di contenzioso tra gli Stati, scandita dalle sentenze della Corte di Giustizia che cercano di contemperare la tutela dell’integrità dei sistemi fiscali con le libertà comunitarie di movimento.

I trattati dell’Unione offrono anche altri importanti anticorpi. Recentemente, l’Autorità europea di concorrenza ha aperto un nuovo fronte, qualificando come aiuti di Stato i trattamenti speciali accordati tramite ruling amministrativi alle imprese non residenti: in attesa del pronunciamento inevitabile della Corte di Giustizia non possiamo ancora dire se questa impostazione sia giustificata dalle regole del Trattato.

 Ma certo, il problema di arrivare a un consenso su regole condivise per la tassazione di capitali apolidi protetti dai ruling di paesi europei è sul tavolo. È una questione suscettibile anche di condurre a serie controversie con l’amministrazione fiscale statunitense.

Un ruolo essenziale nei complessi schemi di pianificazione adottati dalle imprese multinazionali è stato infatti assunto “ab initio”, con particolare riferimento alle imprese della new economy, proprio dagli Stati Uniti, paese nel quale risiede la capogruppo di molte multinazionali dell’economia digitale.

Gli Stati Uniti hanno da tempo concesso alla ultimate company, attraverso lo strumento del ruling, la possibilità di trasferire a società del gruppo, costituite in un paradiso fiscale o in un paese europeo a fiscalità particolarmente favorevole, i diritti di sfruttamento dell’intangibile al di fuori del territorio americano – con la prospettiva di tassarle al momento del rimpatrio, essendo quei profitti rimasti sostanzialmente non tassati nei paesi in cui erano stati conseguiti.

 Tuttavia, l’effetto pratico di questa strategia è stato il rinvio sine die del rimpatrio dei profitti da parte delle società statunitensi, con la creazione di una massa apolide di migliaia di miliardi di profitti alla ricerca permanente di un trattamento fiscale favorevole da parte di paesi ospiti, a partire dai quali vengono poi effettuati nuovi investimenti.

In tal modo, la globalizzazione ha favorito la crescente erosione delle basi imponibili nazionali tanto dei paesi della fonte quanto del paese di residenza della capogruppo.

La reazione dell’OCSE e dell’Unione europea si è focalizzata nella ricerca di regole di coerenza e trasparenza internazionale e nell’applicazione del principio di “sostanza” come criterio per differenziare la concorrenza leale (che cerca di attrarre attività economiche reali) da quella dannosa (che, a fronte di limitati investimenti reali, concede benefici per attrarre ampie basi imponibili, distogliendole da altre giurisdizioni).

Si cerca di tenere fermo, da un lato, il tradizionale principio per cui il riconoscimento di pretese impositive sul reddito d’impresa presuppone una presenza fisica (una “subsidiary ” o una stabile organizzazione, materiale o personale) dell’ente sul territorio nazionale, con una ripartizione del reddito del gruppo multinazionale effettuata – secondo le regole di “transfer pricing” – in ragione delle funzioni svolte, dei rischi assunti e degli asset utilizzati dalla specifica struttura separata.

Dall’altro lato avanza la consapevolezza che i nuovi modelli di business pongono in

termini del tutto nuovi sia il tema dei criteri di determinazione dei profitti di impresa unitariamente generati a livello globale, sia il connesso tema dell’individuazione della quota di tali profitti che può ritenersi generata in ciascuna giurisdizione.

Un approccio globale al problema richiederebbe un’unità di intenti tra Stati che ad oggi non si intravede, sono nonostante il moltiplicarsi degli strumenti di coordinamento e di scambio di informazioni.

L’Unione europea intenderebbe dotarsi di strumenti legislativi vincolanti per tutti i paesi membri: è quanto si è proposta di fare la Commissione con il restyling della proposta di direttiva sulla CCCTB (Common Consolidated Corporate Tax Base).

Nella CCCTB assume rilievo il profitto unitario del gruppo (determinato con regole fiscali autonome rispetto al bilancio, essendo esso redatto in base a 28 diverse discipline di diritto civile).

 

Principi condivisi anti avo dance, anti ibridi, contro doppia deduzione etc. e strumenti di coordinamento tra Amministrazioni finanziarie, scambio di informazioni multilaterale automatico anche tra paesi non EU (c.d Common Reporting Standard CRS), Country by Country Reporting da ripartirsi, in una fase successiva, in base a una formula basata su tre fattori (vendite a destinazione, personale e asset materiali) diversi rispetto alle regole di transfer pricing.

La Commissione considera la CCCTB come la soluzione olistica contro l’erosione delle basi imponibili, in grado di superare gli arbitraggi sui prezzi di trasferimento (tenuto conto che la ricchezza oggetto di ripartizione è quella effettiva del gruppo nel suo insieme, per determinare la quale sono ‘azzerate’ tutte le transazioni inter company) e di attribuire il giusto rilievo sia ai ‘mercati’ di vendita di beni e servizi a terzi, sia al luogo in cui lavorano le persone e si utilizzano gli impianti.

Ma anche nella nuova versione, il limite principale della base imponibile comune europea resta il suo perimetro applicativo, limitato al territorio dell’Unione. Inoltre, la proposta continua a trascurare fattori ormai fondamentali per la creazione del valore, come gli intangibili, i Big Data, l’apporto gratuito degli utilizzatori della rete, le piattaforme e i mercati multi-face, i robot “intelligenti” dell’industria.

4.) Verso una nuova fiscalità.

Nei sistemi fiscali attuali, i tradizionali strumenti dell’imposizione personale e progressiva si rivelano armi spuntate e destinate a produrre effetti opposti a quelli ideali, posto che ad accollarsi l’intero onere della progressività è rimasta la parte meno sofisticata della ricchezza, quella rimasta ancorata ai territori; quella più mobile, spezzato il legame con i territori, ha da tempo conquistato la tassazione meno onerosa.

La digitalizzazione è uno sviluppo che non sembra possibile fermare. Ma, poiché la velocità della digital economy è molto superiore alla capacità di reazione delle legislazioni, il cuore del problema resta quello di intercettare i redditi delle multinazionali digitali e di individuare nuove modalità di tassazione per tutti i redditi che si producono “sopra” i territori, restando senza patria.

 

Alcuni di questi fattori sono presenti in una delle proposte dell’Action 1 BEPS dedicata alla Digital Economy, che tenta di individuare nuovi criteri di collegamento territoriale del reddito d’impresa, tra i quali la “presenza economica significativa” (PES) dell’impresa in un determinato territorio: criterio in cui assumono rilievo in primis i ricavi (ove superiori a una determinata soglia quantitativa) e una serie di altri fattori (digitali) indicativi del rapporto qualificato dell’impresa con un determinato territorio, pur senza una presenza fisica. La PES continua però a non considerare il gruppo come un contribuente unitario ed esclude la ripartizione del profitto unitario del gruppo in base a una formula prestabilita (come vorrebbero invece le organizzazioni non governative).

 Un’altra proposta dell’Action 1 consiste, più semplicemente, in una ritenuta sui flussi di ricavi, ormai pienamente tracciabili con i sistemi elettronici di pagamento.

Sembrano maturi i tempi per introdurre nuovi criteri di tassazione del reddito di impresa, che consentano di colpire i profitti realizzati a livello mondiale dalle multinazionali digitali con meccanismi più semplici e neutrali di quelli, tradizionali e superati, rappresentati dalla stabile organizzazione e dalla libera concorrenza nelle transazioni inter company.

Una drastica semplificazione potrebbe essere rappresentata dalla ripartizione dei profitti realizzati a livello mondiale tra le diverse giurisdizioni sulla base di una formula presuntiva (formula apportionment), diversamente modulabile per settori di attività, che tenga conto di tutti i fattori che concorrono a creare la ricchezza.

Tra questi fattori, un rilievo preminente andrebbe attribuito agli intangibili e alle

vendite, premiando dunque, nella ripartizione dei profitti mondiali, i paesi in cui i beni e i servizi prodotti dalle imprese digitali vengono consumati.

È interessante notare che questa posizione preminente del mercato di consumo sembra trovare conferma nell’evoluzione dell’Iva, il cui meccanismo applicativo muove decisamente in questa direzione: il sistema adottato in Europa con la sesta direttiva Iva, inizialmente orientato alla realizzazione del principio della tassazione all’origine, si sta infatti sempre più orientando verso il principio di destinazione.

Il principio della tassazione nel paese di origine implica che tali beni siano colpiti “at factory gate”, laddove essi sono prodotti; i beni e i servizi destinati all’estero si trasferiscono con il carico dell’imposta nazionale che essi incorporano nel prezzo. In questo sistema, tutti i beni e i servizi prodotti in un dato paese sono sottoposti allo stesso trattamento fiscale, qualunque sia la destinazione, ma in ogni mercato nazionale circolano beni e servizi che incorporano nel prezzo importi di imposta diversi a seconda del paese d’origine, con effetti distorsivi tanto più grandi quanto più le aliquote IVA divergono tra i paesi.

Il principio della tassazione nel paese di destinazione conduce, al contrario, a tassare beni e servizi nel mercato in cui vengono consumati, e con le aliquote proprie di questo mercato. È un sistema che garantisce tassazione uniforme nel mercato del consumatore – che può dunque acquistare beni e servizi sempre allo stesso prezzo (o, più correttamente, pagando lo stesso onere fiscale incorporato nel prezzo) qualunque sia la provenienza dei prodotti – ed è la prospettiva nella quale, in risposta alle sfide dell’economia globale, si sta muovendo anche il sistema dell’Iva, come risulta dal “VAT Action Plan “comunicato il 7 aprile 2016 dalla Commissione europea.

Le modifiche al sistema dovrebbero contribuire a ridurre notevolmente il “Vat gap” causato dalle frodi transfrontaliere: nella nuova prospettiva, i fornitori non trarranno vantaggi significativi dall’essere localizzati in uno Stato membro che applichi aliquote ridotte e dunque sarà meno probabile che le differenze tra le aliquote Iva (la cui determinazione è tuttora rivendicata alla sovranità degli Stati) possano compromettere il funzionamento del mercato unico.

Anche il sistema Iva pone in questo modo l’accento sul paese di destinazione, finendo per operare come uno strumento che colpisce i consumi (e, dunque, il reddito che li sostiene), non dove il reddito è prodotto o guadagnato, ma – in coerenza con le indicate linee evolutive della fiscalità d’impresa – dove e quando tale reddito emerge e viene speso.

 

 

 

L'ecologia umana dell'overshooting:

 perché una grande "correzione

demografica" è inevitabile.

  Mdpi.com - William E. Rees – (11 agosto 2023) – ci dice:

(Ross Pomery - via RealclearScienza.com)

 

(Scuola di Pianificazione Comunitaria e Regionale, Facoltà di Scienze Applicate, Università della Columbia Britannica, Vancouver, BC V6T 1Z2, Canada.)

(Mondo 2023 pag, 509-527; doi.org/10.3390/world4030032)

(Questo articolo fa parte del numero speciale “Population Change and Its Impact on the Environment”, Society and Economy)

L'Homo sapiens si è evoluto per riprodursi in modo esponenziale, espandersi geograficamente e consumare tutte le risorse disponibili.

Per la maggior parte della storia evolutiva dell'umanità, tali tendenze espansionistiche sono state contrastate da feedback negativi.

Tuttavia, la rivoluzione scientifica e l'uso dei combustibili fossili hanno ridotto molte forme di feedback negativo, consentendoci di realizzare il nostro pieno potenziale di crescita esponenziale.

Questa capacità naturale viene rafforzata dall'economia neoliberista orientata alla crescita:

l'educazione è complementare alla natura.

Problema:

l'impresa umana è una "struttura dissipativa" e un sottosistema dell'ecosfera:

 può crescere e mantenersi solo consumando e dissipando l'energia e le risorse disponibili estratte dal suo sistema ospite, l'ecosfera, e scaricando i rifiuti nel suo ospite.

 L'aumento della popolazione da uno a otto miliardi, e l'espansione di >100 volte del GWP reale in soli due secoli su un pianeta finito, ha quindi spinto la moderna società tecno-industriale in uno stato di superamento avanzato.

 Stiamo consumando e inquinando le basi biofisiche della nostra stessa esistenza.

 Il cambiamento climatico è il sintomo più noto dell'overshooting, ma le "soluzioni" tradizionali in realtà accelereranno lo sconvolgimento climatico e peggioreranno l'overshooting. L'umanità sta esibendo le dinamiche caratteristiche di un ciclo di “boom-bust demografico una tantum”.

L'economia globale si contrarrà inevitabilmente e l'umanità subirà una grande "correzione" demografica in questo secolo.

(Parole chiave: overshooting; eccezionalità; natura umana; obsolescenza cognitiva; crescita esponenziale; Stratega 'K'; sovrappopolazione; consumo eccessivo; cambiamenti climatici; transizione energetica; struttura dissipativa; collasso della civiltà; Correzione della popolazione)

1. Introduzione e scopo.

Questo articolo esamina l'enigma della popolazione umana attraverso la lente dell'ecologia evolutiva umana e il ruolo dell'energia disponibile.

Le mie premesse di partenza sono le seguenti:

(1)- La moderna società tecno-industriale (MTI) è in uno stato di avanzato overshooting ecologico (per un'eccellente introduzione all'overshooting si veda il classico di William Catton, Overshooting).

Overshooting significa che anche agli attuali standard materiali medi globali (inadeguati), la popolazione umana sta consumando anche risorse ricostituibili e autoproduttrici più velocemente di quanto gli ecosistemi possano rigenerarsi e sta producendo rifiuti entropici in eccesso rispetto alla capacità di assimilazione dell'ecosfera.

In breve, l'umanità ha già superato la capacità di carico umano a lungo termine della terra.

(2)- L'aumento di otto volte del numero di esseri umani a causa dei combustibili fossili e l'espansione di >100 volte del prodotto mondiale lordo reale negli ultimi due secoli sono anomalie; costituiscono anche i fenomeni ecologici più significativi a livello globale in 250.000 anni di storia evolutiva umana, con importanti implicazioni per la vita sulla Terra.

(3)- H. sapiens è una specie in evoluzione, un prodotto della selezione naturale e ancora soggetta alle stesse leggi e forze naturali che influenzano l'evoluzione di tutti gli organismi viventi.

 (4) -Gli sforzi per affrontare l'anomalia demografica umana e la conseguente crisi ecologica senza tentare di ignorare i comportamenti umani innati che sono diventati disadattivi sono tristemente incompleti e destinati a fallire.

All'interno di questo quadro, l'obiettivo generale del documento è quello di sostenere che, sulla sua traiettoria attuale e indipendentemente dalle tanto lodate transizioni demografiche e dalle cosiddette energie rinnovabili, l'enorme numero di esseri umani e la scala dell'attività economica stanno minando l'integrità funzionale dell'ecosfera e compromettendo le funzioni essenziali di supporto alla vita.

Se non affrontate, queste tendenze potrebbero far precipitare sia la contrazione economica globale che una significativa "correzione" della popolazione umana – cioè il collasso della civiltà – nel corso di questo secolo.

2.La natura e l'educazione dell'overshooting.

Sia la natura che l'educazione contribuiscono alla crisi dell'overshooting, ma la componente naturale è per lo più ignorata.

In effetti, la maggior parte degli abitanti della società MTI non si considerano prodotti dell'evoluzione, cioè della selezione naturale darwiniana.

Molti si risentono anche solo quando gli viene ricordato che sono animali.

Ironia della sorte, parte della ragione di tale negazione risiede nello straordinario successo evolutivo dell'umanità:

 siamo la specie dominante e certamente la più numerosa di grandi mammiferi sulla Terra.

Poiché gran parte di questo successo è attribuibile all'abbondanza di risorse rese disponibili dal miglioramento della tecnologia, l'evoluzione culturale riceve tutto il merito.

 Tuttavia, la biologia di base è alla base di tutte le culture umane, anche la capacità di organizzazione socio-culturale è essa stessa un tratto evoluto.

Di particolare rilevanza nel presente contesto sono tre abilità/predisposizioni innate che gli esseri umani condividono con tutte le altre specie.

A meno che non siano vincolate da un feedback negativo, le popolazioni di H. sapiens

(1) sono in grado di crescere in modo esponenziale (geometrico),

(2) tendono a consumare tutte le risorse disponibili (un tratto altamente adattativo in assenza di refrigerazione o altre tecniche di conservazione, o di fronte all'intensa concorrenza delle tribù vicine), e

(3) si espandono per occupare tutti gli habitat idonei accessibili.

Significativamente, nel caso degli esseri umani, sia la "disponibilità" (delle risorse) che l'"idoneità" (dell'habitat) vengono costantemente perfezionate verso l'alto dalla tecnologia, amplificando così le predisposizioni genetiche sottostanti.

Torneremo sulla dinamica della popolazione in una sezione successiva.

Si consideri in primo luogo la domanda insaziabile di risorse e habitat dell'umanità industriale.

Complice il miglioramento delle tecnologie di sfruttamento, H. sapiens sta impoverendo i mari e le foreste, ha diminuito la natura selvaggia, ha distrutto un terzo del suolo coltivabile e dei paesaggi della Terra, ha estratto i giacimenti più ricchi di molti minerali minerali e metallici e, in appena un paio di secoli, ha esaurito la metà di alta qualità delle enormi riserve di energia fossile che hanno impiegato decine di milioni di anni per accumularsi.

 La dipendenza della società dai combustibili fossili è una delle ragioni per cui il mainstream MTI vede un Oceano Artico libero dai ghiacci non tanto come una catastrofe climatica, ma come l'apertura di nuove rotte commerciali e l'esposizione del bacino artico allo sviluppo di petrolio e gas.

Nel frattempo, dopo aver esaurito le fonti più ricche di risorse minerarie della terraferma, alcune industrie/paesi si stanno attrezzando per scavare il fondo del mare: perlustreremo il fondo del nostro barile terrestre!

Guardando al futuro, altri ancora, hanno messo gli occhi sulla presunta ricchezza mineraria degli asteroidi o della luna come le prossime risorse da mettere a disposizione per lo sfruttamento.

Quest'ultimo punto allude anche al terzo tratto cruciale notato sopra, l'espansionismo spaziale dell'umanità.

 Riuscite a pensare a specie ecologicamente comparabili con un areale geografico anche lontanamente grande come quello di H. sapiens?

Suggerimento: non ce n'è nessuno – spinti dal nostro naturale imperativo espansionistico, gli esseri umani hanno colonizzato l'intero pianeta – non c'è un pezzo significativo di paesaggio abitabile dall'uomo sulla Terra che non abbiamo rivendicato da tempo come nostro.

Occupiamo anche alcuni "habitat" che sono fondamentalmente ostili all'esistenza umana (si pensi alle "stazioni antartiche").

Nel frattempo, vari imprenditori e sognatori umanisti vorrebbero che colonizzassimo la Luna o Marte, non solo per il loro potenziale di risorse, ma per assicurarci contro l'estinzione di H. sapiens nel caso in cui i sistemi di supporto vitale terrestre fallissero sotto il peso delle richieste umane.

Ci si potrebbe aspettare che una specie sociale intelligente escogiti scavalcamenti culturali per tenere a freno le tendenze espansionistiche potenzialmente pericolose su un pianeta finito.

Piuttosto sorprendentemente, è vero il contrario.

Una delle radici più importanti dell'overshooting è la credenza della società MTI nell'eccezionalismo umano, l'idea che H. sapiens sia fondamentalmente diverso dalle altre specie.

 Gli eccezionalisti postulano che i comportamenti individuali e sociali umani siano culturalmente piuttosto che geneticamente determinati;

che l'ingegno umano può superare la scarsità di risorse;

che non siamo altrimenti vincolati dalle leggi e dai limiti della natura.

Il paradigma economico corrispondente, l'economia neoliberista – che attualmente è alla base dello "sviluppo" globale – presuppone implicitamente che l'economia e l'"ambiente" siano sistemi separati, in modo che la prima, spinta dai continui progressi tecnologici, possa crescere indefinitamente, senza essere vincolata dal secondo.

L'educazione arrogante rafforza sfacciatamente la natura espansionista.

L'evidenza è convincente che l'eccezionalismo umano è un costrutto profondamente imperfetto – una grande illusione culturale – che ha portato le società MTI in una trappola ecologica potenzialmente fatale.

Mentre la cultura contribuisce a dimensioni uniche alla traiettoria evolutiva dell'umanità, ciò non esenta gli esseri umani dagli stessi principi fondamentali che governano l'evoluzione delle forme di vita non umane.

 Il conflitto tra l'illusione di massa e la realtà biofisica è sempre più evidente nella destabilizzazione dell'ecosfera indotta dall'eccessiva scala dell'impresa umana. Nessuno dovrebbe essere sorpreso:

come l'economista ecologico “Herman Daly” ha costantemente sostenuto, lungi dal fluttuare in uno splendido isolamento, "l'economia umana è un sottosistema di crescita completamente contenuto e interamente dipendente dell'ecosfera non in crescita".

Si consideri l'implicazione dell'intuizione di “Daly” per la perdita di biodiversità, uno dei sintomi più urgenti dell'overshooting.

 H. sapiens è solo una delle circa 8,7 milioni di specie di animali e piante e innumerevoli milioni di altre specie di batteri, funghi e altri microbi.

La maggior parte di queste forme di vita dipendono da una minuscola frazione di energia solare "fissata" come biomassa attraverso la fotosintesi da parte delle piante verdi.

Le piante richiedono fino alla metà di questa "produzione primaria lorda" per la loro crescita e riproduzione, quindi solo il resto, la cosiddetta "produzione primaria netta", è disponibile per altre forme di vita.

Questo residuo sostiene tutta la vita animale, compresi gli esseri umani, il che significa che siamo in competizione con milioni di altre specie per una quota di un flusso continuo, ma limitato, di biomassa attraverso l'ecosfera.

Gli esseri umani, ovviamente, hanno un vantaggio tecnologico nella competizione. La nostra elevata intelligenza, le tecniche di raccolta assistite dalla tecnologia e la capacità dei combustibili fossili di trasformare interi paesaggi per soddisfare le esigenze umane, significano che, per secoli, gli esseri umani hanno aumentato i loro stanziamenti dal flusso globale annuale di energia da biomassa.

Fowler e Hobbs si chiedono addirittura se, in termini di variabili ecologiche comuni, l'H. sapiens contemporaneo sia ancora "ecologicamente normale".

 I loro dati mostrano che in termini di consumo di energia (e quindi di emissioni di anidride carbonica (Co2), consumo di biomassa e vari altri indicatori ecologicamente significativi, le richieste umane di ecosistemi di supporto fanno impallidire quelle di specie simili di ordini di grandezza.

Ad esempio, il consumo umano di biomassa supera di 100 volte i limiti superiori di confidenza del 95% per l'ingestione di biomassa da parte di altre 95 specie di mammiferi non umani;

Come notato in precedenza, l'areale geografico dell'umanità non ha eguali, superando di dieci volte il limite superiore del 95% per gli areali di altre 523 specie di mammiferi.

 In conclusione: come altri organismi viventi, H. sapiens si è evoluto biologicamente per auto-massimizzarsi.

Tuttavia, in combinazione con la nostra abilità culturale unica, l'essere umano "... le capacità di crescita superano di gran lunga quelle di tutte le altre specie, come è dimostrato dal nostro dominio della biosfera...".

Le conseguenze per le specie animali non umane sono catastrofiche, per quelle che dovrebbero essere ovvie ragioni.

Non solo in genere sfruttiamo eccessivamente le specie "risorsa" mirate, ma qualsiasi biomassa che la tribù umana prende per i propri scopi è irreversibilmente indisponibile per gli organismi concorrenti.

La superiorità dell'umanità nel foraggiamento significa lo "spostamento competitivo" di altre specie dalle loro fonti di cibo e dai loro habitat.

Mentre H. sapiens comprende solo lo 0,01% della biomassa terrestre totale, l'espansione dell'impresa umana ha eliminato l'83% della biomassa animale selvatica e il 50% della biomassa vegetale naturale.

Da una frazione dell'1% di 10.000 anni fa, l'umanità ora costituisce il 32%, e il nostro bestiame domestico un altro 64%, della biomassa di mammiferi molto più estesa del pianeta;

Tutte le specie selvatiche messe insieme rappresentano solo il 4%.

 Allo stesso modo, il pollame domestico ora comprende il 70% della biomassa aviaria rimanente della terra e la pesca commerciale impoverisce gli oceani a spese dei mammiferi marini e degli uccelli dipendenti dai pesci in rapido declino.

Gli uccelli marini sono il gruppo di uccelli più minacciato, con un declino della popolazione del 70% a livello di comunità tra il 1950 e il 2010 .

Anche le restanti popolazioni di specie di vertebrati monitorate sono diminuite del ~70% nell'ultimo mezzo secolo.

Questi e altri dati suggeriscono che la nostra specie è diventata, direttamente o indirettamente, il macro-consumatore dominante in tutti i principali ecosistemi terrestri e marini accessibili del pianeta.

In effetti, H. sapiens potrebbe essere il vertebrato carnivoro ed erbivoro di maggior successo che abbia mai camminato sulla Terra, ma a spese di migliaia di altre specie.

La crescita dell'impresa umana (popolazione ed economia) su un pianeta finito è il più grande fattore che contribuisce al crollo della biodiversità.

La riduzione della popolazione umana quasi ovunque è necessaria per preservare le restanti zone di vita non umana sulla Terra.

Naturalmente, la perdita di biodiversità è solo uno dei principali sintomi dell'overshooting.

L'overshooting è un meta-problema, la causa del cambiamento climatico (tra cui la desertificazione, la circolazione oceanica vacillante, ecc.), il degrado del suolo e del suolo, la deforestazione tropicale, l'acidificazione degli oceani, il collasso della pesca, l'abbassamento delle falde acquifere, l'incipiente scarsità di cibo, la contaminazione da plastica e altre sostanze chimiche delle catene alimentari, il calo del numero di spermatozoi, l'aumento dei tassi di cancro, le pandemie, l'inquinamento di tutto, ecc.

Praticamente tutti i cosiddetti problemi ambientali sono co-sintomi dell'overshooting. Noi esseri umani stiamo esaurendo e contaminando le basi biofisiche della nostra esistenza.

In questo processo, l'impresa umana è diventata anche la più significativa delle forze geologiche contemporanee:

 le persone spostano fino a 24 volte più materiale di tutti i processi geologici naturali messi insieme.

Non c'è da stupirsi che il peso della roba prodotta dall'uomo ora superi la biomassa vivente sulla Terra (~1,1 tonnellate di terra) .

 Benvenuti nell'Antropocene.

C'è più di un tocco di ironia in agguato dietro queste realtà biofisiche.

Gli economisti e i tecno-ottimisti hanno l'allucinazione che l'economia si stia "smaterializzando" o "disaccoppiando" ulteriormente dal mondo materiale su basi così semplicistiche che il rapporto tra le emissioni di carbonio (Co2) o l'uso delle risorse per unità di PIL sta diminuendo.

 I dati di cui sopra mettono in luce il fatto opposto che, in termini di ciò che conta davvero per la natura – la nicchia ecologica umana in espansione – gli esseri umani stanno effettivamente diventando una componente integrante sempre più grande e distruttiva dell'ecosfera.

In effetti, l'impresa umana sta di fatto inglobando l'ecosfera.

Ciononostante, il mito bizzarramente insensato del disaccoppiamento persiste.

I politici si affidano alla tecnologia – efficienza e "dematerializzazione" – per sostenere che non c'è alcun conflitto intrinseco tra la continua crescita dell'economia e "l'ambiente".

Parlano per ingenuità o ignoranza, ma questa affermazione incoraggia il pubblico fin troppo volenteroso a condividere una delle più tossiche panoplie di illusioni dell'umanità.

Perché nessuno ascolta?

Alla luce delle prove concrete a cascata, sembra giusto chiedersi perché i media mainstream non riportino l'overshooting, e la maggior parte della gente comune non ne ha mai sentito parlare.

 Gran parte della ragione potrebbe essere la semplice negazione, ma parte del problema potrebbe risiedere nell'incompetenza cognitiva.

H. sapiens si è evoluto in tempi più semplici e più lenti che hanno posto sfide relativamente limitate al sistema nervoso centrale in evoluzione.

Operiamo con quelli che sono ancora essenzialmente cervelli paleolitici:

 gli esseri umani moderni sono dolorosamente miopi, tendono a pensare in termini di relazioni immediate di causa-effetto e rispondono ai problemi in modi semplicistici e riduzionisti (si pensi alla "smaterializzazione").

Questa modalità cognitiva era adeguata in epoca pre-agricola.

Tuttavia, negli ultimi secoli, l'evoluzione culturale (ad esempio, l'emergere di culture multistrato, istituzioni globali e tecnologie quasi magiche) ha superato la bioevoluzione.

I nostri cervelli sono probabilmente inadatti al ritmo del cambiamento e alle complessità dell'Antropocene creato dall'uomo: ci siamo resi cognitivamente obsoleti.

Forse l'esempio più ovvio è la fissazione globale sul cambiamento climatico come minaccia esistenziale che la civiltà deve affrontare.

I media possono essere temporaneamente distratti dalla recente pandemia, dalle carestie regionali, dalla crescente crisi dei rifugiati o dalla guerra russo-ucraina, ma l'attenzione è ancora concentrata su una questione isolata alla volta.

Raramente i media, anche gli analisti seri, e certamente non la maggior parte dei politici, collegano i puntini per vedere questi problemi come scaturiti da una radice comune nell'overshooting.

Anche il termine poli-crisi (molti problemi paralleli correlati) non è del tutto sufficiente.

 I popoli MTI semplicemente non "capiscono" la complessità; né comprendono i ritardi, le soglie e i comportamenti imprevedibilmente discontinui dei sistemi complessi sovrapposti sotto stress da overshooting.

Questo è di fondamentale importanza se non altro perché, mentre nessun sintomo importante di overshooting può essere adeguatamente affrontato in modo isolato dagli altri, affrontare direttamente l'overshooting ridurrebbe tutti i sintomi importanti contemporaneamente.

 

3. La connessione con la popolazione.

"La mente umana è al servizio del successo evolutivo, non della verità.

Pensare diversamente significa resuscitare l'errore pre-darwiniano secondo cui gli esseri umani sono diversi da tutti gli altri animali" (John Gray).

Il che ci riporta all'enigma della popolazione.

In termini più semplici, l'overshooting è il risultato di troppe persone che consumano e inquinano troppo.

 La causa fisica immediata è l'eccesso di produttività economica (cioè il consumo di risorse e la produzione di rifiuti), ma la produttività stessa è guidata sia dall'aumento dei redditi che dalla crescita della popolazione.

La maggior parte delle persone tende a spendere/consumare al limite imposto dai propri redditi discrezionali (e, dall'introduzione del credito facile, spesso ben oltre). I paesi e le popolazioni ad alto reddito sono quindi responsabili di tre quarti del consumo eccessivo di materiali e dell'inquinamento fino ad oggi.

Anche nel 2021, "il 10% dei principali emettitori era responsabile di quasi la metà delle emissioni globali di CO2 legate all'energia.

 Emissioni... rispetto a un mero 0,2% per il 10% più povero". Negli ultimi decenni, tuttavia, gli aumenti incrementali dell'impronta ecologica basata sul consumo (EF) e delle emissioni di carbonio (Co2) dell'umanità sono stati guidati più dalla crescita della popolazione che dall'aumento dei redditi/consumi in tutti i quartili di reddito. In effetti, la crescita della popolazione ha rappresentato 80% dell'aumento dell'EF umano totale al di sopra di quello che sarebbe maturato se le popolazioni fossero rimaste costanti anche se i redditi sono aumentati.

In quest'ottica, vale la pena notare che, nel 2023, circa quattro miliardi di persone (metà della famiglia umana) risiedono in paesi a reddito medio-basso e a basso reddito, quei paesi con i più alti tassi di crescita demografica e la cui popolazione deve ancora soddisfare i propri bisogni materiali.

La combinazione di crescita della popolazione, massiccia domanda latente e aumento del PIL pro capite – quest'ultimo pienamente giustificato – rappresenta un enorme aumento potenziale del futuro consumo globale e dell'inquinamento, pone una doppia sfida all'integrità eco sferica su un pianeta già in overshooting e, piuttosto tardivamente, sottolinea la necessità di una maggiore equità nell'accesso alle risorse per i popoli del mondo.

Dovrebbe anche essere ovvio da questi dati e tendenze che qualsiasi approccio globale per armonizzare l'impresa umana con l'ecosfera deve includere la pianificazione della popolazione.

Ciononostante, fino a poco tempo fa, la questione della popolazione era fuori dai limiti anche nel mondo accademico, in gran parte per motivi religiosi/culturali/umanistici o spesso per accuse pretestuose che gli analisti fossero implicitamente razzisti.

Mentre i costi crescenti delle condizioni meteorologiche estreme, la perdita di biodiversità, il degrado del suolo e del suolo, gli incendi, le carestie regionali, la carenza di energia, l'inquinamento, ecc., colpiscono sempre più persone, gli ovvi benefici di un numero umano più piccolo stanno finalmente dissolvendo il tabù della popolazione.

Mentre sta diventando sempre più importante che gli analisti politici e i politici comprendano appieno cosa sia la "popolazione", non riceveranno un quadro completo dalla maggior parte dei demografi tradizionali.

Stranamente, nonostante la loro attenzione alle dinamiche della popolazione, i demografi fanno poco riferimento agli elementi chiave della biologia della popolazione o alle influenze ambientali.

 La maggior parte delle proiezioni della popolazione umana si basano su fattori puramente demografici: la popolazione di base, la distribuzione per età/sesso, la fertilità specifica per età e i tassi di mortalità e migrazione (ove applicabile), cioè sono condotte in un vuoto contestuale.

Inoltre, gli input errati possono distorcere il risultato.

L'analista della popolazione, “Jane O'Sullivan”, sostiene che i presupposti errati del modello demografico delle Nazioni Unite e persino quello del consorzio “Earth4All” collocano le loro proiezioni "saldamente nel regno della favola.

 L'ONU prevede che la popolazione umana raggiungerà il picco di ~10,4 miliardi verso la fine del secolo.

La proiezione di picco "Too Little Too Late" di Earth4All è di ~8,7 miliardi nei primi anni 2050;

la sua stima "Giant Leap" raggiunge un massimo di ~8,4 miliardi nei primi anni 2040.

Anche con ragionevoli ipotesi demografiche, i risultati del modello saranno validi solo se tutti i fattori esogeni cruciali per la salute e la sicurezza della popolazione possono essere mantenuti durante il periodo di proiezione.

Questa ipotesi è semplicisticamente irrealistica:

la popolazione si trova in uno stato di sovraccarico avanzato che erode pericolosamente la capacità di carico umana.

Gli scienziati del clima, gli ecologisti, gli ambientalisti e persino alcuni demografici stanno ora lanciando l'allarme sulla crescente pressione demografica, sostenendo persino che staremmo tutti meglio se fossimo in meno.

Le radici evolutive della "popolazione-come-problema."

Ogni cittadino interessato dovrebbe comprendere le basi delle dinamiche della popolazione umana.

In primo luogo, come osservato all'inizio, le popolazioni umane, come quelle di tutte le altre specie, sono in grado di crescere in modo esponenziale (noto anche come "geometrico") in condizioni ambientali favorevoli.

Una popolazione che cresce in modo esponenziale a un ritmo fisso avrà un tempo di raddoppio costante.

Ad esempio, la popolazione umana ha raggiunto il suo tasso di crescita massimo del 2,2% annuo nei primi anni '60, quando la popolazione globale era di circa 3,2 miliardi;

Se questo tasso fosse stato sostenuto, la popolazione avrebbe continuato a raddoppiare ogni 32 anni.

Allo stato attuale, il tasso medio di fertilità è diminuito, quindi la popolazione è aumentata "solo" di 2,5 volte in 60 anni.

La crescita esponenziale è una forma di feedback positivo in cui ogni aumento della popolazione si aggiunge alla base riproduttiva, proprio come l'interesse annuale si aggiunge al capitale in un conto bancario.

Tuttavia, in condizioni naturali, la maggior parte delle specie (compresi gli esseri umani) raramente realizza il proprio pieno potenziale riproduttivo.

La crescita del feedback positivo è contrastata da varie forme di feedback negativo – malattie, scarsità di cibo, concorrenti ostili, ecc. – in modo che le popolazioni naturali in genere fluttuino intorno a una media a lungo termine.

 I numeri aumentano quando le condizioni sono favorevoli e diminuiscono quando le condizioni cambiano in peggio, spesso a causa della popolazione stessa: le malattie si diffondono facilmente e la fame può essere causata da un'eccessiva densità di popolazione.

I biologi evoluzionisti riconoscono che specie diverse hanno evoluto strategie riproduttive diverse.

 Gli esseri umani sono archetipi di "strateghi K": le specie strategiche "K" sono in genere organismi grandi e longevi, con tassi riproduttivi relativamente bassi, lunghi periodi di gestazione, cure parentali intensive e bassi tassi di mortalità infantile.

 All'altra estremità dello spettro ci sono gli strateghi "r", in genere organismi più piccoli e di breve durata con cicli di vita brevi, fecondità molto elevata ("r"), scarso investimento parentale e alti tassi di mortalità della progenie.

La continuità delle specie dipende dalla sopravvivenza di una piccola percentuale di un numero molto elevato di prole.

Gli strateghi K sono più frequentemente adattati ad habitat relativamente stabili dove, a causa degli alti tassi di sopravvivenza, tendono a scontrarsi con la capacità di carico locale ('K'). 

La capacità di carico è la popolazione media massima sostenibile per un particolare habitat;

quindi 'K' rappresenta l'equilibrio fluttuante stabilito tra il potenziale di crescita geometrica della specie e vari feedback negativi (ad esempio, scarsità di cibo/acqua e limitazioni spaziali) che entrano in gioco quando le condizioni si deteriorano o un numero eccessivo di persone stressa l'habitat.

Queste dinamiche erano alla base della preoccupazione di Malthus, che il potenziale di crescita della popolazione avrebbe sempre superato l'offerta di cibo.

Perché questo è di nuovo significativo oggi?

Come notato all'inizio, anatomicamente, gli esseri umani moderni esistono da circa 250.000 anni.

Per la maggior parte di questo periodo, la curva di crescita della popolazione è stata sostanzialmente piatta.

 C'è stato un aumento globale appena percettibile quando H. sapiens si è diffuso dall'Africa al resto del pianeta negli ultimi 50 millenni, e un modesto aumento con l'adozione dell'agricoltura 10 millenni fa, ma per la maggior parte, le popolazioni umane ampiamente disperse hanno storicamente fluttuato vicino alle loro capacità di carico locali.

Soppressa dal feedback negativo, ci volle il 99,9% della storia umana perché la popolazione mondiale raggiungesse il miliardo all'inizio del 1800.

Con la rivoluzione scientifica e quella industriale, tutto è cambiato.

In particolare, il miglioramento della salute pubblica ha notevolmente abbassato i tassi di mortalità e l'aumento dell'uso di tecnologie a combustibili fossili ha aumentato costantemente la disponibilità di cibo  e ha fornito i mezzi di accesso a tutte le altre risorse necessarie per far crescere l'impresa umana.

In soli 200 anni (1/1250) Il tempo necessario per raggiungere il primo miliardo, la popolazione umana è salita a sette miliardi nel 2011 e ha raggiunto gli otto miliardi solo 11 anni dopo, nel novembre 2022.

Nel frattempo, la domanda di materiali umani nell'ecosfera è aumentata di oltre due ordini di grandezza con un aumento di oltre 100 volte del prodotto mondiale lordo reale (GWP) [47].

 Ironia della sorte, solo ~8 su 10.000 generazioni di esseri umani hanno vissuto questo brevissimo periodo notevole nella storia evolutiva umana, eppure l'odierna società MTI considera questo scatto di crescita assolutamente anomalo come la norma e sta facendo tutto il possibile per mantenerlo .

4. Sui gradienti energetici: H. sapiens come 'struttura dissipativa'.

"... usiamo il 30 per cento di tutta l'energia, negli Stati Uniti. Non è male; Quello va bene. Ciò significa che siamo le persone più ricche e forti del mondo e che abbiamo il più alto tenore di vita al mondo. Ecco perché abbiamo bisogno di tanta energia, e che sia sempre così" (Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, novembre 1973).

La storia della crescita della popolazione umana sottolinea un fattore chiave per comprendere la crisi ecologica, un fattore che è generalmente ignorato da economisti e demografi:

 la bomba demografica è stata assemblata durante la rivoluzione industriale ed è esplosa nel 19° secolo con l'uso crescente di materia organica fossilizzata che ha impiegato centinaia di milioni di anni per accumularsi.

 La creazione di ricchezza e le tecnologie rese possibili dai combustibili fossili (FF), compresi i fertilizzanti e i pesticidi, hanno ridotto o eliminato varie forme storicamente importanti di feedback negativo, consentendo alla popolazione umana mondiale di crescere in modo esponenziale per la prima volta.

L'esplosione dell'impresa umana alimentata dai combustibili fossili ha innescato il periodo più significativo di degrado ecologico globale in 250.000 anni di storia evolutiva umana.

Comprendere il ruolo dell'energia aiuta anche a illuminare le prospettive future dell'umanità.

Seguendo l'osservazione del matematico “Ludwig Boltzmann” secondo cui la lotta darwiniana per l'esistenza è essenzialmente una competizione per l'energia utile disponibile, l'ecologo matematico “Alfred Lotka” propose negli anni '20 che i sistemi di successo (individui, specie ed ecosistemi) erano quelli che massimizzavano le loro appropriazioni e l'uso efficace dell'energia disponibile (exergia) dai loro ambienti.

Un po' più tardi, l'ecologo “Howard Odum “ha perfezionato e formalizzato il concetto di base come "principio di massima potenza":

in sostanza, la selezione naturale favorisce i sistemi che si evolvono (si auto-organizzano) in modi che massimizzano il loro apporto energetico e la loro produzione di potenza al servizio dell'auto-mantenimento, della crescita e della riproduzione.

  I sistemi che non riescono a massimizzare la loro potenza utile verrebbero selezionati.

H. sapiens è probabilmente la dimostrazione archetipica della massima potenza. Mentre altre specie animali dipendono dall'energia corporea (endo -somatica) ottenuta dalla biomassa ingerita, gli esseri umani sono in grado di utilizzare l'energia supplementare fuori dal corpo (eso- somatica) per la crescita e la riproduzione dei sistemi.

 La storia della civiltà traccia una sequenza di fonti di energia esterne che iniziano con il fuoco, l'acqua corrente e il vento, evolvendosi attraverso la FF, l'idroelettricità e altre cosiddette energie rinnovabili moderne, fino all'energia nucleare.

Confrontando le società, dai cacciatori-raccoglitori agli agricoltori, fino alla cultura MTI, si nota un modello di utilizzo eso somatico dell'energia, che aumenta rispettivamente da 20 Gjoule/persona all'anno a 60 Gjoule/persona all'anno a 300 Gjoule/persona all'anno .

Le culture, le società e le nazioni più ricche, potenti e quindi di successo (secondo i criteri contemporanei) sono sempre state quelle che massimizzano i loro stanziamenti e l'uso efficace dell'energia disponibile.

 Come notato in precedenza, l'aumento esplosivo del GWP a partire dal 19° secolo è stato stimolato da FF.

 Non è un caso che il PIL delle nazioni moderne rimanga strettamente correlato al consumo di petrolio e che la metà più povera dell'umanità rappresenti meno del 20% del consumo globale di energia.

Allo stato attuale delle cose, il mondo moderno rimane in gran parte dipendente dall'ineguagliabile densità di energia di FF.

 Nonostante l'iperbole che circonda il rapido sviluppo di fonti energetiche alternative presumibilmente rinnovabili, nel 2021 l'82% dell'energia primaria mondiale è stata fornita da carbone, petrolio e gas naturale.

Le energie rinnovabili non idroelettriche, per lo più turbine eoliche e pannelli solari (i destinatari della maggior parte dei nuovi investimenti), hanno fornito meno del 7,0%.

In effetti, i combustibili fossili hanno alimentato l'economia mondiale per 290 dei 365 giorni del 2021 rispetto ai 24 giorni di tutte le rinnovabili non idroelettriche (eolico, solare, biomassa e geotermico) messe insieme.

La continua dipendenza dai combustibili fossili è estremamente problematica e non solo a causa del cambiamento climatico.

 Le molte componenti della civiltà MTI, dalle singole persone e industrie, a intere città e stati nazionali – in realtà l'intera impresa umana – condividono le caratteristiche di "strutture dissipative", il termine coniato da “Ilya Prigogine” per descrivere i processi di auto-organizzazione di non-equilibrio nei sistemi viventi.

Le strutture dissipative si sviluppano/evolvono in risposta a gradienti di energia, che successivamente "dissipano" (cioè consumano e degradano) per autoprodursi e mantenersi.

Infatti, l'auto-organizzazione in sistemi aperti (sistemi in grado di scambiare energia e materiali con il loro ambiente) richiede la dissipazione di energia.

L'impresa umana è un complesso di sottosistemi sovrapposti, altamente strutturati, non lineari e aperti, ciascuno dei quali funziona in un equilibrio lontano dall'equilibrio (termodinamico).

 L'"equilibrio termodinamico" descrive lo stato di un sistema in cui non vi è struttura o gradienti e quindi non vi sono flussi interni di materia o energia.

L'equilibrio termodinamico può esistere anche tra un sistema e il suo ambiente.

In entrambi i casi, non possono verificarsi cambiamenti misurabili. Al contrario, i sistemi di non-equilibrio auto-produttivi – ad esempio, le singole cellule viventi, il corpo umano, i processi economici – sono in grado di cambiare dinamicamente, compresi i flussi netti tra i sistemi e i loro ambienti e la dissipazione permanente di energia e materia. Si dice quindi che tali sistemi funzionino "lontano dall'equilibrio".

Come notato, l'impresa umana moderna si è evoluta nella sua forma attuale in gran parte in risposta al ripido gradiente energetico rappresentato dai combustibili fossili che ha dissipato, su una curva accelerata, in particolare negli ultimi due secoli (la metà dei combustibili fossili mai consumati sono stati bruciati solo negli ultimi 30-35 anni).

Non si tratta solo di combustibili fossili.

L'industrializzazione basata sui combustibili fossili ha aumentato il consumo mondiale di molti minerali e metalli di diversi ordini di grandezza, quindi anche i migliori giacimenti di molte risorse non rinnovabili finite e non ricostituibili sono stati in gran parte esauriti e dissipati.

La scarsità di risorse potrebbe accelerare la discesa della civiltà industriale dall'overshooting.

La crescita continua – o anche il funzionamento stazionario – dell'impresa umana dipende quindi interamente dalla continuità di questo flusso di energia, cioè dal mantenimento di un gradiente energetico relativamente ripido (e questo presuppone che siano disponibili anche altre risorse).

Tuttavia, c'è un problema.

Sta diventando sempre più evidente che è improbabile che si verifichi una transizione energetica quantitativamente equivalente dalle FF alle cosiddette fonti di elettricità verde in un programma favorevole al clima/overshoot.

 È vero che negli ultimi anni c'è stata un'impressionante espansione della produzione di elettricità da parte di turbine eoliche e installazioni di pannelli solari in alcuni paesi.

Tuttavia, come notato, FF ha ancora fornito l'82% dell'energia primaria mondiale e addirittura il 61% dell'energia elettrica mondiale nel 2021.

 Le turbine eoliche e gli impianti solari hanno fornito al mondo il 10% della sua energia elettrica (fino al 12% entro il 2023) ma, poiché l'elettricità rappresenta solo il ~19% del consumo finale di energia, l'elettricità eolica e solare rappresenta solo il ~2,3% dell'approvvigionamento energetico totale dei consumatori, questo dopo diversi decenni di crescente diffusione.

L'energia verde rinnovabile ha chiaramente una lunga strada da percorrere: in alcuni anni, le aggiunte di capacità rinnovabile non tengono nemmeno il passo con la crescita della domanda totale di energia.

Mentre eliminiamo gradualmente (o esauriamo) la FF, alcuni analisti suggeriscono che la comunità mondiale dovrebbe prepararsi per una ripida discesa energetica, un futuro con forniture energetiche nettamente inferiori – fino al 50% inferiori – e sempre più inaffidabili.

L'ovvio, ma spesso taciuto, corollario è che l'indebolimento del nostro gradiente energetico sarà accompagnato da una massiccia semplificazione della più grande delle strutture dissipative: l'impresa umana.

Certamente, ci sarà un corrispondente crollo del GWP;

dovremmo anche anticipare la scarsità globale di cibo e di tutte le altre risorse materiali dipendenti da FF necessarie per far funzionare la civiltà moderna, e non abbiamo ancora tenuto conto delle conseguenze simultanee dell'accelerazione del riscaldamento globale.

 Se la cultura MTI dovesse mantenere il suo corso attuale, una grande correzione della popolazione sembra inevitabile.

5. La risposta del mondo all'overshooting.

"L'overshooting è l'overshooting.

Una volta che la vostra civiltà comincia a consumare più di quello che naturalmente viene rigenerato nella sua follia per perseguire una crescita infinita su un pianeta finito, il collasso è solo una questione di tempo".

La traiettoria evolutiva dell'umanità e il nostro recente periodo di espansione industriale hanno ovviamente generato una situazione ecologica davvero unica per l'umanità:

gli esseri umani sono intrinsecamente espansionisti e la cultura del MIT è dipendente dalla crescita, ma la crescita materiale su un pianeta finito deve prima o poi cessare.

 Il segno più incoraggiante del risveglio a questa contraddizione è che un movimento internazionale pianificato di "decrescita" sta prendendo piede, in particolare in Europa.

Anche i membri del Parlamento europeo sono apertamente preoccupati per i rischi associati al proseguimento della crescita economica.

Tali preoccupazioni sono stimolate da un numero crescente di analisi scientifiche e da rapporti popolari che, anche senza menzionare l'overshooting, affrontano la possibilità che le società MTI stiano affrontando il collasso economico e demografico.

Il collasso della società è un argomento complesso e controverso.

 Non esiste una definizione coerente.

Tuttavia, c'è consenso sul fatto che il collasso può essere rapido o richiedere decenni, ma comporta invariabilmente una significativa perdita di complessità socio-politica ed economica, compresa la dissoluzione/sostituzione dei governi formali.

Un significativo declino della popolazione è possibile anche con i collassi regionali: c'è una considerevole storia di associazione del collasso con la sovrappopolazione e la competizione per le scarse risorse.

Coloro che dubitano che il collasso sia una possibilità reale dovrebbero ricordare che molte società umane regionali sono implose in passato e che le società MTI sono ora così strettamente intrecciate che la prossima contrazione potrebbe essere globale.

In un mondo razionale, la comunità internazionale agirebbe in modo cooperativo e deciso in risposta all'evidenza di un overshooting e si organizzerebbe per eliminarne gli impatti corrosivi.

 Purtroppo, non sta accadendo nulla del genere.

 La società MTI non riconosce nemmeno l'overshooting.

Al contrario, la maggior parte dei paesi industrializzati e persino” il movimento ambientalista mainstream “mantengono i loro punti focali semplicistici sul cambiamento climatico ed entrambi sembrano determinati a trovare il modo di mantenere la traiettoria di crescita perpetua.

Alcuni ambientalisti sollecitano un rapido disinvestimento e l'abbandono di carbone, petrolio e gas naturale.

Tuttavia, le mosse aggressive per ridurre l'uso di FF anche del 45% minimo previsto dall'Accordo di Parigi sul clima entro il 2030, costituirebbero un suicidio politico (se non sociale) in assenza di alternative energetiche praticabili e di un piano di ristrutturazione socioeconomica globale sostenuto dal sostegno pubblico.

Tutto nel mondo moderno dipende dalla continuità delle forniture energetiche. Così, rapidi tagli al FF si tradurrebbero in un caos economico: riduzione della produzione di beni, disoccupazione di massa, catene di approvvigionamento interrotte, PIL in calo, reddito personale in calo, servizi sociali sovraccarichi, ecc.

 La produzione alimentare crollerebbe; i trasporti interurbani essenziali a motore marittimo e diesel vacillerebbero;

Ci sarebbero carestie locali, migrazioni di massa e una carenza di cibo globale, esacerbata dai continui cambiamenti climatici, dai disordini civili e dal caos geopolitico.

Anche se le concentrazioni atmosferiche di gas serra dovessero stabilizzarsi, c'è già un ulteriore riscaldamento di 0,6 °C "nel tubo" a causa di un feedback a breve termine come l'inerzia termica degli oceani.

Questo da solo porterà il mondo oltre il limite di riscaldamento di 1,5 °C e destabilizzerà ulteriormente il clima.

Tutto ciò aiuta a spiegare perché la maggior parte dei governi, delle amministrazioni urbane, delle organizzazioni internazionali, di molti analisti accademici e persino delle organizzazioni ambientaliste hanno adottato una strategia alternativa a doppio binario orientata al mantenimento dello status quo come segue:

Traccia 1:

Piuttosto che abbandonare le FF, i governi stanno mantenendo le sovvenzioni allo sviluppo delle FF: infatti, le sovvenzioni nel 2022 sono state il doppio di quelle dell'anno precedente.

Di conseguenza, anche l'”Agenzia Internazionale dell'Energia” prevede che la quota di combustibili fossili nel mix energetico globale rimarrà superiore al 60%, anche nel 2050.

 Questo manterrà a galla il nostro Titanic industriale fino a quando il Binario 2 non sarà completamente realizzato o fino a quando i FF economicamente estraibili non saranno esauriti.

Traccia 2 (che corre parallela alla Traccia 1):

Nel frattempo, sedotto dalla promessa di energia rinnovabile al 100% a basso costo, il mondo ha anche acquistato un nuovo costrutto mitico, la cosiddetta transizione verso le energie rinnovabili (RE).

 Sotto bandiere come il "Green New Deal", l'"economia circolare" e il concetto ossimorico di "crescita verde", le società MTI si stanno sforzando di elettrificare tutto e guidare gli investimenti nelle cosiddette fonti di energia verde rinnovabile, in particolare le turbine eoliche, i pannelli solari e, più recentemente, l'idrogeno (nessuno dei quali è veramente verde), insieme alle infrastrutture e alle applicazioni corrispondenti (ad esempio, veicoli elettrici).

Tutte queste tecnologie "approvate" – comprese le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio(Co2) non ancora provate ( e non saranno mai provate) – comportano massicci investimenti di capitale, una significativa creazione di posti di lavoro ed eccellenti opportunità di profitto, vale a dire, tutto ciò che è necessario per mantenere il "business-as-usual-with-alternative" orientato alla crescita.

Probabilmente, l'approccio tradizionale dell'MTI è progettato per far apparire il capitalismo industriale come la soluzione, piuttosto che la causa, del problema.

Purtroppo, la strategia complessiva dell'MTI è cieca all'ecologia, all'energia, ai materiali e alla tecnologia, il che equivale a "elettrificare il Titanic", come se questo potesse sciogliere gli iceberg.

Come già notato, la tanto decantata transizione verso l'energia verde è probabilmente appena iniziata ed è impantanata nelle controversie.

(Cfr. le confutazioni a Seibert e Rees disponibili all'indirizzo: doi.org/10.3390/en14154508 -consultato l'8 agosto 2023).

 I suoi sostenitori più esuberanti ignorano importanti questioni tecniche, gli impatti ecologici e sociali e i problemi derivanti dalla massiccia scala dell'esercizio, cioè ignorano l'overshooting.

In poche parole, le tecnologie eoliche e solari in realtà non sono rinnovabili (solo sostituibili);

 la loro produzione, dalla testa della miniera attraverso la fabbricazione fino all'installazione, è essa stessa ad alta intensità energetica fossile;

Quindi, la transizione, nel migliore dei casi, genererà almeno un aumento a breve termine delle emissioni di carbonio (Co2);

non possono fornire la stessa quantità e qualità di energia delle FF e i loro cicli di vita, compresi gli aumenti di ordini di grandezza nelle attività di estrazione e raffinazione di alcuni minerali rari cruciali, comportano un massiccio degrado ecologico e (finora) un'eclatante ingiustizia sociale.

Diverse autorità hanno calcolato che semplicemente non ci sono abbastanza giacimenti di materiale economico o tempo sufficiente per sostituire l'attuale sistema alimentato a combustibili fossili con tecnologie rinnovabili secondo il calendario stabilito dalle relazioni del “Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico” e anticipato dagli accordi di Parigi e successivi sul clima.

Vari scienziati del clima si riferiscono allo "zero netto entro il 2050" come a un'altra raccolta di (non) soluzioni tecniche "magiche ma impraticabili" all'enigma climatico  o come "non solo un obiettivo, ma una strategia per la COP-26 per bloccare molti decenni di uso non necessario di combustibili fossili ben oltre il 2050 ... [e creando] rischi inaccettabili di un inarrestabile riscaldamento climatico".

Ricorda, la traccia 1 radica la dipendenza da FF.

In effetti, 50 anni dopo la pubblicazione di “Limits to Growth”, diversi "avvertimenti formali degli scienziati all'umanità", 27 riunioni della COP delle Nazioni Unite sul clima e diversi accordi sulla riduzione delle emissioni, l'approccio mainstream non è finora riuscito a fare nulla di significativo per ridurre l'uso globale di FF e le emissioni associate.

 Invece, i tassi di riscaldamento globale indotto dall'uomo sono al loro più alto livello storico e il mondo può aspettarsi di raggiungere e superare il riscaldamento globale di 1,5 °C entro i prossimi 10 anni.

Alla luce di ciò, “la traccia 1” della strategia MTI è potenzialmente catastrofica.

L'uso continuato di FF significa che non c'è praticamente alcuna possibilità che il mondo raggiunga l'obiettivo dell'Accordo di Parigi di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 45% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030 e praticamente nessuna che il mondo raggiunga le emissioni nette zero entro il 2050.

 In effetti, l'ONU riferisce che gli attuali impegni nazionali aumenteranno effettivamente le emissioni del 10,6% entro il 2030.

Non solo supereremo il limite medio di riscaldamento globale di 1,5 °C dell'accordo di Parigi , ma probabilmente supereremo anche il meno rigoroso limite di 2,0 °C entro il 2050.

In realtà siamo sulla buona strada per un riscaldamento di 2,4-2,8 gradi entro la fine del secolo  – i gas serra atmosferici, compresa l'anidride carbonica(Co2) (che è più pesante dell’aria e quindi non può volare nell’alta atmosfera), sono ancora in aumento. Nel frattempo, il cambiamento climatico ha già messo ~ 9% delle persone (>600 milioni) al di fuori della storica nicchia climatica umana sicura e il riscaldamento globale di 2,7 °C potrebbe spingere circa un terzo dell'umanità al di fuori della nicchia.

Questo non tiene conto degli effetti di soglia: anche un riscaldamento di 2 °C potrebbe innescare condizioni irreversibili di "serra terrestre", ponendo fine alle prospettive per la civiltà globale.

Gli ecosistemi locali e possibilmente l'ecosfera nel suo complesso sono similmente inclini a cambiamenti irreversibili improvvisi e imprevedibili che sono potenzialmente ostili alla vita umana (e non solo), se spinti oltre i punti di non ritorno sconosciuti.

Anche nel migliore dei casi, la “Traccia 1” porta il mondo a ondate di calore e siccità sempre più lunghe, tempeste tropicali più violente, stagioni di incendi prolungate, desertificazione accelerata e scarsità d'acqua.

Per molti aspetti, il 2023 si sta rivelando una dimostrazione archetipica da record di ciò che ci riserverà il futuro.

 Molte regioni in diversi continenti stanno subendo ondate di calore record e siccità o precipitazioni e inondazioni senza precedenti;

e, al momento in cui scriviamo, oltre 900 incendi stanno imperversando, la maggior parte fuori controllo, nelle foreste boreali del Canada e molti altri nelle foreste della Siberia.

 Man mano che alcune parti del pianeta diventano inabitabili, dovremmo aspettarci un'agricoltura vacillante, scarsità di cibo e possibilmente carestie prolungate.

L'innalzamento del livello del mare nel prossimo secolo inonderà molte città costiere;

Con il collasso delle autostrade nazionali e delle reti di trasporto marittimo, è probabile che altre città siano tagliate fuori dal cibo, dalle terre, dall'energia e da altre risorse essenziali.

 Alcune grandi aree metropolitane diventeranno insostenibili e non sopravviveranno al secolo.

Anche nel 2021, almeno 414 città con un totale di oltre 1,4 miliardi di abitanti sono state ritenute ad alto o estremo rischio a causa di una combinazione di inquinamento, diminuzione delle riserve idriche, stress da caldo estremo e altre vulnerabilità ai soli cambiamenti climatici.

Il che ci riporta alla vacillante “Track 2” e all'overshooting. Escludendo l'olocausto nucleare totale, si potrebbe sostenere che l'unica cosa peggiore del fallimento della cosiddetta transizione verso le energie rinnovabili verdi del “Track 2” sarebbe il suo successo.

Lo sviluppo di un'altra fornitura assicurata di energia abbondante e a basso costo consentirebbe semplicemente l'estensione del "business-as-usual-with-alternative" basato sulla crescita, aumentando l'esaurimento/dissipazione del mondo naturale e peggiorando l'overshooting.

È nella natura umana "... intensificare il nostro sfruttamento dei combustibili fossili, dei metalli e dei minerali non metallici al fine di perpetuare il nostro paradigma di stile di vita industriale il più a lungo possibile...

Paradossalmente, più ci sforziamo vigorosamente di perpetuare il nostro insostenibile stile di vita industrializzato... più rapidamente e completamente esauriremo le rimanenti riserve non rinnovabili e rinnovabili della Terra, accelerando ed esacerbando così il nostro collasso sociale globale" ( corsivo dell'autore).

Ironia della sorte, quindi, con il successo della missione “Track 2”, l'ecosfera soccomberebbe nel giro di pochi decenni al degrado, al disordine e alla dissipazione irreversibili, portando con sé l'impresa umana globale.

Probabilmente, una contrazione più piccola prima è preferibile a una massiccia dopo.

Non sarebbe la prima volta.

La prospettiva del collasso della società, per quanto orribile possa sembrare alle orecchie dell'MTI, è perfettamente coerente con la storia e le dinamiche dei sistemi che caratterizzano l'ascesa e la caduta delle precedenti civiltà umane.

 In particolare, molte nazioni MTI stanno mostrando i rendimenti decrescenti e le patologie socio-politiche – disuguaglianze eclatanti e crescenti, incompetenza e corruzione del governo e delle istituzioni, svalutazione della moneta, perdita di fiducia popolare nello stato, crescenti disordini civili, ecc. – di una società eccessivamente complessa sull'orlo del collasso  così come i sintomi potenzialmente evitabili – distruzione ecologica, cambiamento climatico, rottura del commercio e delle relazioni internazionali, e incapacità o riluttanza ad adattarsi alle mutevoli circostanze – di una società che apparentemente "sceglie" di fallire.

Più in generale, gli stadi di sviluppo e decadimento della civiltà catalogati da “Toynbee” (genesi, crescita, tempo di difficoltà, stato universale e disintegrazione) sono marcatamente simili alle fasi dei cicli ripetitivi comuni ai sistemi viventi (inizio e sfruttamento, maturazione e conservazione, irrigidimento e rilascio (cioè collasso)).

“Gunderson e Holling” avanzano la teoria della "panarchia" per esplorare tale cambiamento ciclico come meccanismo di adattamento comune a ecosistemi e sistemi sociali complessi.

Essi sostengono che ogni iterazione di un ciclo che si ripete naturalmente (ad esempio, il regime ciclico degli incendi di alcuni ecosistemi forestali) fornisce teoricamente opportunità per l'innovazione e l'adattamento evolutivo.

Ci si costringe a chiedersi perché il moderno H. sapiens non riesca ostinatamente ad applicare le lezioni dei crolli storici ben studiati per sviluppare la lungimiranza e le azioni politiche necessarie per scongiurare il prossimo.

Al contrario, molti analisti rifiutano i precedenti storici come guida per la politica contemporanea.

Forse dovrebbero prendere in guardia dal già citato famigerato studio del Club di Roma/MIT del 1972, Limits to Growth (LTG) , che ha dimostrato che, su un binario business-as-usual, la società globale avrebbe affrontato il collasso entro la metà del 21° secolo.

Come ci si potrebbe aspettare, molti economisti e tecno-ottimisti hanno respinto categoricamente questa valutazione:

gli economisti ignorano l'overshooting e addirittura sottovalutano grossolanamente i danni del cambiamento climatico;

I loro concetti e modelli sono separati dalla realtà biofisica. Tuttavia, studi successivi mostrano che il mondo reale si sta comportando con inquietante fedeltà alla modellizzazione LTG, in particolare i due (su quattro) scenari che indicano un arresto della crescita nel prossimo decennio o giù di lì, seguito da successivi cali e collasso.

6. Riassunto e conclusioni: è davvero molto semplice.

"Senza una biosfera in buone condizioni, non c'è vita sul pianeta. È molto semplice. Questo è tutto ciò che devi sapere. Gli economisti vi diranno che possiamo disaccoppiare la crescita dal consumo materiale, ma questa è una totale assurdità. Se non riesci a gestire il declino, allora soccombi ad esso e te ne vai" (Vaclav Smil)

H. sapiens, come tutte le altre specie, è naturalmente predisposto a crescere, riprodursi ed espandersi in tutti gli habitat accessibili idonei.

La crescita fisica è naturale, ma è solo una fase iniziale dello sviluppo dei singoli organismi;

La crescita su larga scala, compresa la crescita della popolazione, è caratteristica delle prime fasi dei sistemi viventi complessi, comprese le società umane.

 Tuttavia, sia la crescita materiale che quella della popolazione in habitat limitati sono in ultima analisi limitate dalla disponibilità di "input" essenziali, dalla capacità dell'ambiente del sistema di assimilare output (spesso tossici) o da varie forme di feedback negativo come elencato in precedenza.

La crescita cesserà, o per "disegno o per disastro".

Per la maggior parte della storia evolutiva di H. sapiens, la crescita della popolazione locale è stata, infatti, limitata da feedback negativi. Tuttavia, il miglioramento della salute della popolazione (tassi di mortalità più bassi) e l'uso di combustibili fossili - in particolare dall'inizio del XIX secolo - ha permesso un periodo di abbondanza di cibo e risorse senza precedenti.

In natura, qualsiasi popolazione di specie "K" che gode di tali condizioni favorevoli si espanderà in modo esponenziale.

La crescita continuerà generalmente fino a quando il consumo eccessivo e il degrado dell'habitat non porteranno ancora una volta alla scarsità di cibo e alla fame, o fino a quando le malattie e la predazione non avranno il loro pedaggio.

 La popolazione quindi scende al di sotto della capacità di carico a lungo termine dell'habitat e il feedback negativo si attenua.

Alcune specie mostrano ripetutamente questo ciclo di boom e crollo della popolazione.

L'umanità è solo una parziale eccezione.

L'abbondanza generata dai combustibili fossili ha permesso a H. sapiens, per la prima volta, di sperimentare un ciclo di “boom-bust” della popolazione globale una tantum.

Si tratta di un ciclo "una tantum" perché è stato reso possibile da vaste riserve di risorse auto produttrici potenzialmente rinnovabili e di risorse limitate non rinnovabili, compresi i combustibili fossili, che sono state notevolmente esaurite.

Non è possibile ripetersi.

Come sostiene “Clugston”, scegliendo di industrializzarsi, l'Homo sapiens ha inconsapevolmente preso un impegno per l'impermanenza.

Abbiamo adottato uno stile di vita auto-estinto, in cui le risorse limitate che rendono possibile la nostra esistenza industriale diventerebbero inevitabilmente insufficienti per farlo.

I meccanismi fisici sono semplici.

 I sistemi viventi, dalle singole cellule attraverso interi organismi fino alle popolazioni e agli ecosistemi, esistono in gerarchie nidificate e funzionano come strutture dissipative lontane dall'equilibrio.

Ogni livello della gerarchia dipende dal livello successivo sia come fonte di risorse utili (ne-gentropia) che come pozzo di rifiuti degradati (entropia).

 Come ci ricorda Daly l'impresa umana è un sottosistema interamente dipendente dell'ecosfera;

Si produce e si mantiene estraendo risorse ne- gentropiche dal suo sistema ospite, l'ecosfera, e scaricando rifiuti entropici degradati nel suo ospite.

Ne consegue che la crescente complessità strutturale e funzionale del sottosistema umano come struttura dissipativa lontana dall'equilibrio (un nodo di ne-gentropia) può verificarsi solo a spese del disordine accelerato (entropia crescente) dell'ecosfera non in crescita.

In effetti, l'umanità è in overshooting: il riscaldamento globale, il crollo della biodiversità, il degrado del suolo e del suolo, la deforestazione tropicale, l'acidificazione degli oceani, l'esaurimento dei combustibili fossili e dei minerali, l'inquinamento di tutto, ecc., sono indicativi del crescente disordine della biosfera/ecosfera. Siamo a rischio di un crollo caotico delle funzioni essenziali di supporto vitale.

Poco di tutto questo si riflette nei dibattiti contemporanei sullo sviluppo o nelle discussioni sull'enigma della popolazione.

La risposta della comunità internazionale all'incipiente collasso biosferico è doppiamente disastrosa.

L'impegno della cultura MTI per la crescita materiale, compreso l'uso continuato di FF (Traccia 1), condanna l'umanità agli impatti prevedibilmente pericolosi dell'accelerazione del cambiamento climatico;

 allo stesso tempo, la nostra ricerca di fonti energetiche alternative (a loro volta dipendenti da FF) al fine di mantenere lo status quo basato sulla crescita (Traccia 2) avrebbe, se avesse successo, assicurare il continuo esaurimento e dissipazione sia delle risorse auto produttive che di quelle non rinnovabili essenziali per l'esistenza della civiltà.

La visione dominante della popolazione afferma che il tasso di crescita è in declino, quindi "non c'è da preoccuparsi" o preoccuparsi che il declino della popolazione sia negativo per l'economia!

Anche l'affermazione di base è controversa.

“Jane O'Sullivan” sottolinea che il tasso di declino è diminuito in questo secolo. Sostiene che i demografi delle Nazioni Unite hanno quindi "costantemente sottostimato la popolazione globale recente, a causa della loro eccessiva previsione del declino della fertilità nei paesi ad alta fertilità".

La popolazione umana continua a crescere di circa 80 milioni all'anno – “O'Sullivan” sostiene che il numero è più vicino ai 90 milioni – e il suo picco finale è altamente incerto.

Un nuovo feedback negativo potrebbe porre fine alla crescita ben prima che la popolazione raggiunga i 10,4 miliardi previsti dalle Nazioni Unite alla fine degli anni 2080.

È fondamentale ricordare che, giusto o sbagliato che sia, le proiezioni convenzionali ignorano il fatto che l'ecosfera in realtà non sta "supportando" nemmeno gli attuali otto miliardi di persone.

L'impresa umana cresce e si mantiene liquidando e inquinando ecosistemi essenziali e beni materiali.

In breve, anche gli standard di vita materiali medi sono corrosivamente eccessivi, eppure, nel 2019, "quasi un quarto della popolazione mondiale... viveva al di sotto della soglia di povertà di 3,65 dollari al giorno, e quasi la metà, il 47 per cento, viveva al di sotto della soglia di povertà di 6,85 dollari" e il mondo considera la pura crescita materiale come il mezzo per affrontare questo problema.

Seguendo questa strada, l'eco-distruzione aumenterà, aumentando la probabilità di una semplificazione e contrazione autoindotta dell'impresa umana.

A meno di un olocausto nucleare, è improbabile che H. sapiens si estingua.

 Le nazioni ricche e tecnologicamente avanzate hanno potenzialmente una maggiore resilienza e possono essere isolate, almeno temporaneamente, dalle peggiori conseguenze della semplificazione globale.

Detto questo, i feedback negativi che rimbalzano – caos climatico, scarsità di cibo e di altre risorse, disordini civili, guerre per le risorse, ecc. – potrebbero eliminare le prospettive di una civiltà mondiale avanzata.

Nell'eventualità di una "correzione" della popolazione globale apparentemente inevitabile, il numero di esseri umani diminuirà al punto in cui i sopravvissuti potranno ancora una volta sperare di prosperare all'interno della capacità di carico (molto ridotta) della Terra.

Stime informate indicano che la capacità di carico a lungo termine va da un minimo di 100 milioni a ben tre miliardi di persone.

È incerto se gran parte o parte dell'alta tecnologia industriale possa persistere in assenza di abbondante energia a basso costo e di ricche riserve di risorse, la maggior parte delle quali saranno state estratte, utilizzate e dissipate.

Può darsi che il futuro migliore sarà, in effetti, alimentato da energia rinnovabile, ma sotto forma di muscoli umani, cavalli da tiro, muli e buoi integrati da ruote idrauliche meccaniche e mulini a vento.

 Nel peggiore dei casi, il miliardo (?) di sopravvissuti dovrà affrontare un ritorno agli stili di vita dell'età della pietra.

Se questo dovesse essere il futuro dell'umanità, non sarebbero le sofisticate città a sopravvivere, ma piuttosto i poveri rurali pre-adattati e le sacche rimanenti delle popolazioni indigene.

In conclusione:

qualsiasi interpretazione ragionevole delle storie precedenti, delle tendenze attuali e delle dinamiche dei sistemi complessi sosterrebbe che la cultura globale dell'MTI sta cominciando a sgretolarsi e che il boom della popolazione umana una tantum è destinato a scoppiare.

Le innate tendenze espansionistiche di H. sapiens sono diventate disadattive.

Tuttavia, lungi dal riconoscere e scavalcare le nostre svantaggiose predisposizioni naturali, le norme culturali contemporanee le rafforzano.

Probabilmente, in queste circostanze, il collasso diffuso della società non può essere evitato: il collasso non è un problema da risolvere, ma piuttosto la fase finale di un ciclo da sopportare.

 Il collasso della civiltà globale sarà quasi certamente accompagnato da una grande "correzione" della popolazione umana.

 Nel migliore dei mondi possibili, l'intera transizione potrebbe effettivamente essere gestita in modo da prevenire inutili sofferenze di milioni (miliardi?) di persone, ma questo non sta accadendo – e non può accadere – in un mondo cieco alla propria situazione.

 

 

 

 

La popolazione umana

crollerà in questo secolo?

Zerohedge.com - TYLER DURDEN - Ross Pomeroy via RealClearScience.com - (02/NOV/2023) – ci dicono:

Per il 99,9% dei 250.000 anni di Homo sapiens sul pianeta Terra, la nostra popolazione è rimasta al di sotto di un miliardo di individui e, per gran parte di quel tempo, la curva di crescita della nostra specie è stata relativamente piatta.

Dal 1800, tuttavia, la popolazione umana è aumentata esponenzialmente da poco meno di un miliardo a 8,1 miliardi.

Ora occupiamo quasi tutte le parti del globo e consumiamo voracemente risorse al di là di ciò che la Terra può fornire in modo sostenibile a lungo termine.

Come sostiene l'eminente ecologista “William E. Rees” in un nuovo inquietante articolo, questa è una ricetta per un disastro imminente.

Cicli di boom e bust.

Per 40 anni, “Rees” ha insegnato presso l'”Università della British Columbia”, concentrandosi sulla pianificazione relativa alle tendenze ambientali globali e allo sviluppo socioeconomico sostenibile.

Il suo contributo accademico più notevole è il concetto di "impronta ecologica", la "quantità di risorse ambientali necessarie per produrre i beni e i servizi che supportano lo stile di vita di un individuo".

Come ecologista, “Rees” è ben consapevole del fatto che tutti i tipi di specie attraversano spesso cicli di “boom e bust”.

Quando le risorse sono abbondanti e le minacce sono basse, si riproducono e si moltiplicano.

Ma quando le risorse si esauriscono, forse a causa del consumo eccessivo o dei cambiamenti ambientali, le popolazioni delle specie diminuiranno precipitosamente.

La proposizione dolorosamente semplice di “Rees” nel suo nuovo articolo è che gli esseri umani non sono diversi da qualsiasi altra specie.

Pertanto, siamo tanto vulnerabili ai crolli demografici quanto siamo inclini ai boom.

"L'Homo sapiens è una specie in evoluzione, un prodotto della selezione naturale e ancora soggetta alle stesse leggi e forze naturali che influenzano l'evoluzione di tutti gli organismi viventi", ha scritto.

E non fatevi ingannare, siamo all'apice di un boom sull'orlo di un crollo, dice. L'aumento del 700% della popolazione umana, insieme a un'espansione di 100 volte del prodotto del mondo reale, negli ultimi due secoli sono anomalie sbloccate dall'uso dilagante di combustibili fossili, dalla deforestazione, dall'estrazione mineraria e dalla distruzione delle terre coltivabili.

Questo ci ha spinto in uno stato ecologico di "overshooting", in cui stiamo consumando più risorse di quelle che possono essere reintegrate e producendo più rifiuti di quelli che possono essere gestiti dagli ecosistemi.

L'unica domanda è quando la bolla dell'umanità crollerà. “Rees” fa presagire che accadrà nelle nostre vite.

"L'economia globale si contrarrà inevitabilmente e l'umanità subirà una grande 'correzione' demografica in questo secolo", ha scritto.

Una "correzione" della popolazione.

Quanto sarà grave?

“ Rees” cita stime che suggeriscono che il numero di esseri umani che la Terra può sostenere a lungo termine è compreso tra 100 milioni e 3 miliardi di persone.

Quindi, il collasso della popolazione e della civiltà che prevede sarà davvero piuttosto negativo.

Ha anche dipinto brevemente un quadro desolante di come potrebbe accadere.

"Man mano che alcune parti del pianeta diventano inabitabili, dovremmo aspettarci un'agricoltura vacillante, scarsità di cibo e possibilmente carestie prolungate. L'innalzamento del livello del mare nel prossimo secolo inonderà molte città costiere; Con il collasso delle autostrade nazionali e delle reti di trasporto marittimo, è probabile che altre città siano tagliate fuori dal cibo, dalle terre, dall'energia e da altre risorse essenziali. Alcune grandi aree metropolitane diventeranno insostenibili e non sopravviveranno al secolo".

Dopo la correzione della popolazione, Rees fa presagire un futuro più primitivo.

"Può darsi che il futuro migliore sarà, infatti, alimentato da energia rinnovabile, ma sotto forma di muscoli umani, cavalli da tiro, muli e buoi integrati da ruote idrauliche meccaniche e mulini a vento".

Un falso profeta di sventura?

L'opinione di “Rees” non è il destino, ovviamente.

Se suona familiare, è perché gran parte di esso è semplicemente una versione rimaneggiata di ciò che “Paul Ehrlich” scrisse nel 1968 nel suo libro “The Population Bomb”.

 Thomas Malthus fece lo stesso ragionamento nel 1798.

Negli ultimi 225 anni, la realtà ha dimostrato che si sbagliavano.

Non ci sono prove convincenti che suggeriscano che le condizioni sulla Terra siano cambiate così tanto da rendere inevitabile o addirittura probabile un collasso della popolazione umana.

Infatti, con l'aumento della produttività e l'avanzare della tecnologia, stiamo creando più cose ma utilizzando meno risorse.

Inoltre, i demografi delle Nazioni Unite prevedono che la popolazione umana raggiungerà il picco a metà degli anni 2080 a circa 10,4 miliardi di persone, dopodiché si stabilizzerà e diminuirà.

 Piuttosto che a causa di un collasso catastrofico, questo rallentamento naturale sarà il risultato, tra le altre ragioni, di standard di vita più elevati, di controllo delle nascite e di prospettive mutevoli sulla sostenibilità.

In breve, l'ONU, insieme alla maggior parte degli altri scienziati, prevede che gli esseri umani sceglieranno effettivamente di diminuire di numero piuttosto che avere la scelta fatta per noi in modo drammatico e mortale.

In alcuni punti, l'articolo di “Rees” sembra le farneticazioni di un vecchio ecologista, comprensibilmente arrabbiato per il danno che l'umanità ha fatto al mondo naturale.

Sparsi in tutto l'articolo ci sono frecciatine supponenti rivolte a vari obiettivi: politici miopi, tecno-ottimisti ingenui e scienziati troppo fiduciosi.

Riserva anche una buona dose di irritazione a coloro che insistono sul fatto che il cambiamento climatico è il più grande problema che l'umanità deve affrontare, quando il vero problema siamo noi – o meglio troppi di noi.

Tuttavia, le argomentazioni di “Rees” non dovrebbero essere ignorate del tutto. L'esperto ecologista si è distinto per decenni di studio.

Attinge anche alla storia per notare correttamente che molte grandi civiltà nel corso della storia umana sono collassate e hanno subito morie, spesso derivanti da un eccesso ecologico all'interno dei rispettivi habitat.

 Crede che, se non stiamo attenti, lo stesso accadrà di nuovo.

Assicuriamoci di dimostrargli che si sbaglia.

 

 

 

Lo Scandalo Pfizer-UE:

Ursula von der Leyen ha

Guadagnato 760 Milioni di Dollari dai Vaccini?

Conoscenzealconfine.it - 2 Novembre 2023) - Cesare Sacchetti – ci dice:

 

Questa è una storia di quelle che non è stata raccontata dai media mainstream. Non è stata raccontata fino in fondo perché i suoi risvolti sono troppo ingombranti e scomodi per i suoi protagonisti.

 Il giornalista rumeno, “Adrian Onciu”, ha condotto un’inchiesta sulla genesi di questa trattativa e il sito sul quale l’ha pubblicata, “Mediafax”, non ha tardato a farla rimuovere.

Evidentemente le conclusioni sono troppo scomode per il “presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen”, per il colosso farmaceutico americano presieduto da “Albert Bourla”, e per tutti gli altri membri della Commissione che avrebbero taciuto su quello che appare come un enorme scandalo che vedrebbe la Von der Leyen invischiata in un macroscopico conflitto di interessi.

L’Inizio della Farsa Pandemica e della “Cura” dei Vaccini.

La storia inizia quando la farsa pandemica era in corso verso la fine del 2020.

 I lettori probabilmente ricorderanno con poca nostalgia quell’orrendo periodo.

I media mainstream alimentavano il terrore di un “terribile” virus che secondo la loro narrazione stava mietendo molte vittime, quando in realtà già nei primissimi rapporti dell’ISS, istituto non di certo vicino a chi denunciava la truffa pandemica, emergeva chiaramente che le persone che morivano realmente con il Covid, ancora oggi non isolato, erano una piccolissima percentuale che non superava nemmeno il 2%.

La narrazione della “farsa pandemica” era stata già scritta ancora prima che questa iniziasse ufficialmente quando nel gennaio del 2020 si riuniva il” forum di Davos” che aveva già elaborato la sua idea di società post-pandemica nella quale ci sarebbe stato il cosiddetto “Grande Reset”.

Il “Grande Reset” non è altro che la manifestazione di una società totalitaria nella quale gli ultimi residui spazi di sovranità nelle mani degli Stati nazionali vengono trasferiti verso le istituzioni transnazionali, espressione della cosiddetta governance globalista.

In tale ottica, i vaccini erano stati designati già nel gennaio del 2020 come la “cura” ad una crisi artificiale che ancora doveva iniziare e i sieri sarebbero stati il mezzo per entrare nel “Nuovo Ordine Mondiale”, come dichiarò pubblicamente “Luca Zaia”, governatore del Veneto, ed uno dei vari esecutori di questo piano.

Verso la metà del 2020 partono dunque le negoziazioni tra la “Commissione europea e la Pfizer” per fornire agli italiani e agli europei la “cura” prestabilita da quei circoli globalisti che sin dai primi istanti hanno tirato le redini di quella che un ex colonnello russo dei servizi segreti, “Kvachkov,” ha definito efficacemente come “operazione terroristica del coronavirus”.

In questa storia entra in scena un personaggio fondamentale verso la fine del 2020 e i primissimi mesi del 2021.

Si tratta di Heiko Von der Leyen, marito della più nota Ursula.

 Heiko Von der Leyen è un medico tedesco di Hannover.

Il dottor Von der Leyen ha studiato farmacologia, medicina interna e cardiologia all’università di Amburgo, e dal 1992 al 1996 ha anche svolto delle ricerche per conto della famosa università americana di “Stanford”.

Nel 2005 diviene il direttore del centro di test clinici della sua città natale, Hannover.

Fino agli anni più recenti, il marito del “presidente della Commissione europea” ha continuato a svolgere la sua attività prevalentemente per la clinica tedesca.

Nel dicembre del 2020 poi entra improvvisamente nel consiglio di amministrazione di una società americana, “Orgenesis”, che sembra essere strettamente legata alla “Pfizer”.

Alcuni hanno sollevato delle perplessità su questo trasferimento improvviso del “dottor Von der Leyen” perché fino a quel momento le sue qualifiche e la sua attività non sembravano fare di lui un ricercatore scientifico di grosso spessore internazionale.

L’incarico ricevuto all’”Orgenesis” che ha sede nel “Maryland”, negli Stati Uniti, potrebbe essere la chiave per comprendere l’intera vicenda legata alla fornitura dei vaccini.

“Orgenesis” aveva già sviluppato nel 2020 dei vaccini cellulari per la cura del Covid-19.

 Il legame tra “Orgenesis” e la” Pfizer” sembra essere nel suo azionariato.

Se infatti consultiamo i principali azionisti delle due società americane troviamo che entrambe sono “partecipate dagli onnipresenti fondi di investimento di Vanguard e BlackRock”.

Ci è capitato già in altre occasioni di parlare di questi due fondi di investimento che risultano essere degli enormi contenitori delle più grosse multinazionali del pianeta.

Dentro di essi c’è praticamente tutto.

C’è la Coca-Cola, c’è la IBM, c’è la Shell, c’è General Motors, c’è Microsoft e c’è tutto il cartello farmaceutico noto negli USA come “Big Pharma” rappresentato da “Pfizer” e “GlaxoSmithKline”, tra gli altri.

Gli azionisti e i veri proprietari di “Vanguard” e “BlackRock” non sono noti ed è possibile risalire ai loro nomi solamente attraverso le partecipazioni e gli investimenti degli azionisti presenti nelle società partecipate.

 

È “Vanguard” stessa ad affermare nel suo sito che non c’è un elenco degli azionisti del fondo, e questo sembra chiaramente mettere in evidenza una volontà alquanto sospetta di mascherare i veri proprietari di questa società.

Se però guardiamo come accennavamo poco fa a coloro che hanno messo i propri soldi nelle altre società partecipate, troviamo i soliti nomi.

 Troviamo i nomi dei Rothschild, della famiglia Rockefeller, di Bill Gates, dei banchieri Morgan e dei colossi della chimica americana Dupont.

Troviamo quella struttura di potere oligarchica che ha in mano l’economia del pianeta.

Sono questi i proprietari della” Pfizer” e sono questi i proprietari di “Orgenesis”, per la quale “Heiko von der Leyen” ricopriva l’incarico del quale abbiamo detto in precedenza.

Il Marito della Von der Leyen ha Ricevuto 760 Milioni di dollari in Commissioni?

Tra la fine del 2020 e l’inizio del primo trimestre le negoziazioni tra la “Pfizer “e la “Commissione europea” entrano nel vivo e gli scambi di messaggi telefonici, poi spariti come vedremo successivamente, tra la” von der Leyen” e “Albert Bourla” si fanno sempre più fitti.

A maggio del 2021, c’è la firma del contratto. L’”Unione europea” ha firmato con il colosso farmaceutico americano un contratto di fornitura che ha previsto l’acquisto di 1,8 miliardi dosi di vaccino al prezzo di circa 20 dollari a dose.

Il risultato dell’affare è un fiume di denaro pari a 36 miliardi di dollari che escono dalle casse dell’UE e quindi anche dalle casse dello Stato italiano, terzo contributore netto di Bruxelles, e finiscono in quelle della Pfizer.

Ora l’aspetto che non è stato considerato dai media italiani ed europei è quello che riguarda il business delle commissioni.

A tali livelli, anche una piccola commissione del 2% per chi procura l’affare può rilevarsi come una cifra enorme pari a svariati centinaia di milioni di euro.

Secondo quanto riporta “Adrian Onciu”, la “Pfizer” una volta conclusa la vendita dei vaccini, avrebbe trasferito circa “760 milioni di dollari” dalle sue casse a quelle della “Orgenesis”, società per la quale appunto lavorava il “dottor von der Leyen”.

E la forma attraverso la quale tale ingente somma sarebbe stata trasferita è con un “bonus di prestazione” elargito direttamente a “Heiko von der Leyen”.

Se il giornalista rumeno ha ragione, si tratterebbe del più grosso scandalo di conflitto di interessi e di corruzione mai visto nella storia dell’UE, istituzione tutt’altro che trasparente per quello che riguarda i finanziamenti ricevuti dai vari commissari che oltre a guadagnare stipendi da favola ricevono fondi da vari lobby e istituzioni finanziarie per tutelare meglio gli interessi di queste.

Bruxelles è quel posto dove affluisce una immensa quantità di denaro da centri di affari verso la Commissione europea che non ha cuore certo gli interessi dei vari cittadini europei, che non eleggono i commissari e di cui spesso ignorano persino i nomi, ma di coloro che versano i soldi nei vari conti all’estero dei commissari europei.

È quanto pare sia accaduto a “Stella Kyrikiades”, commissario UE alla Salute, che risulta aver preso 4 milioni di dollari dopo la firma del contratto sulla fornitura dei vaccini firmato con la Pfizer.

Questa storia però che vedrebbe coinvolto il “presidente della Commissione europea in un enorme scandalo” ha ricevuto una copertura mediatica pressoché inesistente.

Il marito della “Von der Leyen” era finito nelle cronache europee per un altro conflitto di interessi la cui portata appare microscopica di fronte a quello di cui abbiamo appena scritto.

 

Il medico tedesco faceva infatti parte di un progetto di ricerca dell’università di Padova finanziato dall’UE per lo sviluppo di farmaci fondati sulla tecnologia a RNA.

I contributi che avrebbe dovuto ricevere la” Orgenesis” sarebbero stati pari a 200mila euro all’anno.

In seguito all’emergere di questa notizia, “Heiko Von der Leyen” ha rinunciato al suo ruolo presso l’università veneta ma nessuna attenzione è stata posta invece sull’altro grosso scandalo relativo all’”Orgenesis” e nel quale c’è una enorme montagna di denaro che, secondo “Onciu”, sarebbe finito direttamente alla “famiglia di Ursula Von der Leye”n come premio per aver firmato il contratto dei vaccini con la Pfizer.

Viene quasi da pensare che la storia delle “dimissioni dal progetto UE dell’Università di Padova” sia stata data in pasto all’opinione pubblica dai media mainstream per distrarre invece dall’altro enorme scandalo che riguarda le commissioni ricevute per i vaccini.

È una storia della quale ancora si può venire a capo ricostruendo il percorso che queste cifre hanno svolto nonostante il “presidente della Commissione europea” si sia adoperato per rimuovere le tracce delle negoziazioni con la Pfizer, quando ha cancellato tutti i suoi messaggi dal suo cellulare.

Una pratica alla quale la “Von der Leyen non sembra essere nuova”, perché durante il suo mandato al ministero della Difesa tedesco sembrava avvezza alla stessa “pratica”, quando cancellava i messaggi di testo con le varie imprese alla quali l’ex ministro elargiva commesse militari pagate molto profumatamente.

Non è stata scritta una parola al riguardo di questo caso dai media europei, che come dicevamo prima si sono concentrati su un piccolo conflitto d’interessi per nascondere quello enorme che più riguarda da vicino i soldi che gli italiani e gli altri cittadini europei hanno dato a Bruxelles. Soldi che sono finiti nelle casse della Pfizer e forse in quelli della famiglia Von der Leyen.

Il procuratore pubblico europeo, la rumena “Laura Kovesi” alquanto controversa in patria, ha aperto un’inchiesta l’anno passato sulla fornitura dei vaccini ma non ha mai minimamente sfiorato questa storia e non ha rivolto nessuna domanda al presidente della Commissione UE su queste commissioni dorate.

Ad oggi, nessun giornalista, salvo” Adrian Onciu”, ha mai posto una domanda sulle commissioni ricevute dal contratto dei vaccini a Ursula Von der Leyen e al suo consorte.

Lo facciamo noi, anche se probabilmente non riceveremo risposta ma magari se questa domanda verrà posta insistentemente da molti italiani ed europei al presidente della Commissione europea, forse questa sarà costretta a smettere di non sentire.

A tutto questo, si deve aggiungere una considerazione finale che riguarda la sicurezza dei sieri.

Era stato detto al pubblico europeo che tali vaccini erano sicuri nonostante fossero sperimentali, ma ora emerge proprio dal contratto della UE firmato con la Pfizer che la Commissione europea sapeva perfettamente che questi sieri potevano provocare effetti avversi sconosciuti.

Quando vediamo le cronache locali riempite di notizie di morti dovute a malori improvvisi e quando vediamo incidenti come quello del bus di Mestre, il cui autista era vaccinato, viene da pensare alla correlazione causa, vaccini, ed effetto, ovvero aumento della mortalità senza precedenti.

E anche a questa domanda che Ursula Von der Leyen dovrebbe rispondere.

Non solo c’è da chiarire un potenziale enorme conflitto di interessi ma c’è da chiarire come l’Unione europea e i vari governi abbiano giocato alla roulette russa con la vita dei cittadini, spesso costretti obtorto collo ad assumere i sieri.

Sono crimini a nostro avviso troppo enormi e ai quali i responsabili, almeno coloro che hanno eseguito nelle varie classi politiche europee, difficilmente potranno sfuggire.

(Cesare Sacchetti - lacrunadellago.net/lo-scandalo-pfizer-ue-ursula-von-der-leyen-ha-guadagnato-760-milioni-di-dollari-dai-vaccini/).

 

 

 

 

Recensione: “Contro il nostro

miglior giudizio”, di Alison Weir.

Unz.com - RICHARD COOK – (1° NOVEMBRE 2023) – ci dice:

 

La storia nascosta di come gli Stati Uniti sono stati usati per creare Israele.

Mentre la crisi che coinvolge israeliani e palestinesi si approfondisce dopo l'attacco di Hamas del 7 ottobre, potremmo soffermarci ad esaminare come è stato creato lo stato di Israele.

Nella congiuntura attuale, mentre la “Terza Guerra Mondiale” si profila all'orizzonte, mentre i massacri sono attualmente perpetrati da Israele contro la popolazione civile di Gaza, con un bilancio di vittime che supera le 9.000 vittime, di cui oltre 4.000 sono bambini, e mentre un'armata occidentale si sta radunando nel Mediterraneo orientale, è opportuno recensire il libro della giornalista “Alison Weir”” Against Our Better Judgment”:

La storia nascosta di come gli Stati Uniti sono stati usati per creare Israele.

 Il libro è stato pubblicato nel 2014, è ricco di dettagli spesso di difficile accesso ed è magistralmente documentato.

 “Alison Weir” è anche a capo di un gruppo da lei fondato: “If Americans Knew”.

Il libro di Alison Weir è di fondamentale importanza nel considerare i modi per ottenere una prospettiva più ampia al fine di disinnescare la situazione.

È anche di grande interesse per quanto riguarda il più ampio conflitto potenziale, in cui i leader politici degli Stati Uniti stanno di nuovo tirando fuori la frase "Asse del Male", questa volta per descrivere le nazioni di Russia, Cina e Iran.

(A volte la Corea del Nord viene tirata in ballo per buona misura).

E' l'Iran, naturalmente, che i leader statunitensi stanno identificando come un presunto sponsor dei gruppi di resistenza in Palestina e dintorni, tra cui Hamas.

Di seguito sono riportati quelli che considero i punti principali del libro di Alison Weir.

 I miei commenti editoriali inframmezzati sono in corsivo. I numeri di pagina sono indicati tra parentesi solo per le citazioni del libro.

Origine del sionismo negli Stati Uniti “Against Our Better Judgment: The Hidden History of How the U.S. Was Used to Create Israel” inizia spiegando che il sostegno al sionismo, definito come il desiderio di creare uno stato nazionale ebraico da qualche parte nel mondo, risale nella storia degli Stati Uniti alla fine degli anni '80 dell'Ottocento, nel periodo in cui il movimento sionista stava diventando prominente in Europa.

Negli anni '10 c'erano migliaia di aderenti agli Stati Uniti, anche se molti ebrei si opponevano al sionismo in quanto non nell'interesse del popolo ebraico e che sicuramente avrebbe provocato antagonismo nei loro confronti.

Probabilmente la maggioranza degli ebrei negli Stati Uniti non aveva mai sentito parlare di sionismo e/o era felice di essersi assimilata nella società americana. In effetti, non c'era nulla che potesse essere anche solo lontanamente visto come un "problema di antisemitismo" negli Stati Uniti in quel momento.

Ruolo del giudice associato della Corte Suprema degli Stati Uniti Louis Brandeis e creazione dei “Parushim”.

Tuttavia, alcune persone molto potenti divennero sionisti, tra cui il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Louis Brandeis, il cui principale discepolo fu il futuro giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter.

 Brandeis formò un'organizzazione segreta chiamata “Parushim”, il cui unico scopo era quello di realizzare la creazione di uno stato ebraico in Palestina.

Questa organizzazione sionista richiedeva un giuramento che sembrava dare potere di vita e di morte ai suoi membri giurati.

"Parushim", scritto anche "Purushim", è la parola ebraica da cui deriva il nome "Farisei", che significa "separatisti".

 Dai farisei venne l'ebraismo rabbinico e l'idea che "non dovremmo assimilare o acculturare affatto", (prezi.com).

 Vorrei far notare che il libro di “Alison Weir” non mirava a dare un resoconto delle motivazioni più profonde del movimento sionista, a parte la sua pretesa di essere una reazione all'"antisemitismo" europeo.

Per un maggiore approfondimento, consiglierei un'attenta lettura del classico “The Controversy of Zion” del giornalista britannico” Douglas Reed” (1895-1976).

 

Il giudice Louis Brandeis era vicino al banchiere di Wall Street Jacob Schiff.

Brandeis fu anche strettamente coinvolto nella creazione del Federal Reserve System, così come Schiff, anche se il coinvolgimento di Brandeis in questioni politiche fu in gran parte dietro le quinte.

 

La Federal Reserve, aggiungerei, era in gran parte un progetto dell'U.S. Money Trust e dei Rothschild britannici/europei.

 I Rothschild erano anche pesantemente coinvolti nel sionismo e nella creazione e nel sostegno dello stato sionista.

Il fatto che il sionismo sia stato sponsorizzato da alcune persone incredibilmente ricche potrebbe indurci a chiederci fino a che punto le ricompense finanziarie abbiano giocato un ruolo nella rapida conversione di molti ebrei e non ebrei al sionismo durante questo periodo.

 Per informazioni sulla creazione della Federal Reserve, vedere il mio libro, “Our Country, Then and Now” (Clarity Press, 2023).

Collaborazione tra i Parushim e la Gran Bretagna.

Il Parushim del giudice Louis Brandeis lavorò a stretto contatto con i sionisti in Gran Bretagna, anche viaggiando avanti e indietro, per persuadere il governo britannico a designare la Palestina come futura patria ebraica.

Questo avvenne dopo che i leader sionisti avevano rifiutato luoghi come il Kenya.

Fu così creato un "contratto" tra la Gran Bretagna e i Parushim in base al quale se gli inglesi avessero generato quella che sarebbe diventata la” Dichiarazione Balfour”, i sionisti statunitensi avrebbero cercato di assicurare l'ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale contro la Germania a fianco della Gran Bretagna.

Questo contratto fu rispettato da entrambe le parti, anche se, come negli Stati Uniti, molti ebrei britannici si opposero al sionismo per ragioni simili:

come una minaccia all'assimilazione ebraica.

La “Dichiarazione Balfour” specificava che doveva essere "chiaramente inteso che nulla deve essere fatto che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina".

A quel tempo, le comunità non ebraiche costituivano il 92 per cento della popolazione della Palestina.

Il sionismo e il fallimento della pace con l'Impero Ottomano.

La prima guerra mondiale inizia nel 1914.

Nel 1915-1916, l'Impero Ottomano, che era alleato con la Germania ma non in guerra contro gli Stati Uniti, si offrì di fare una pace separata con gli Stati Uniti.

Gli ottomani si erano anche offerti di permettere agli ebrei d'Europa di vivere in pace ovunque nel loro impero.

Gli Stati Uniti inviarono una delegazione per negoziare questa pace separata, ma Brandeis informò i sionisti britannici che la delegazione era in arrivo.

 I sionisti britannici inviarono quindi il loro leader, Chaim Weizmann, ad intercettare la delegazione statunitense a Gibilterra, dove riuscì a convincerla a interrompere i negoziati.

La ragione era che gli inglesi avrebbero rivendicato la Palestina dopo la guerra come patria per gli ebrei, quindi volevano assicurarsi che la Palestina sarebbe stata disponibile per il controllo britannico.

Il piano britannico era quello di spezzare l'Impero Ottomano, non di lasciarlo intatto attraverso una pace separata istigata dagli Stati Uniti.

Avvertimenti contro il progetto sionista.

 I diplomatici all'interno del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, sia a Washington D.C. che in Medio Oriente, erano a conoscenza e mettevano in guardia contro il progetto sionista, sostenendo che un milione di palestinesi sarebbero stati sfollati o resi virtualmente servi/schiavi degli invasori.

Prima guerra mondiale.

Nel 1917 gli Stati Uniti entrarono in guerra a fianco della Gran Bretagna, in base all'accordo sionista, e la Germania fu sconfitta, insieme agli ottomani.

 La Gran Bretagna firmò anche un accordo segreto con la Francia in base al quale avrebbe ottenuto il controllo della Palestina dopo la guerra.

Il controllo è stato attuato attraverso il veicolo di un mandato britannico approvato dalla Società delle Nazioni.

Durante questo periodo, l'antagonismo contro gli ebrei aveva iniziato a crescere all'interno della società statunitense, in parte in reazione alla percezione che gli ebrei controllassero le banche e altre istituzioni finanziarie.

Era apparso anche "I Protocolli dei Savi di Sion".

Pur affermando di essere un falso della Russia zarista, i Protocolli ricevettero credito e pubblicità da Henry Ford e altri.

La Germania era consapevole che i sionisti avevano contribuito alla sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale.

Ciò contribuì agli atteggiamenti antiebraici dei tedeschi dopo la guerra e fu un fattore nelle successive politiche antiebraiche naziste.

Durante la prima guerra mondiale, i “Parushim” diedero all'FBI una lista di americani che si opponevano al sionismo o alla guerra.

Molte di queste persone sono state arrestate e mandate in prigione.

In tutto questo, Brandeis dirigeva le cose da dietro le quinte.

 Era probabilmente la persona più potente degli Stati Uniti, ma le sue attività politiche erano segrete o svolte per procura.

Alla fine della prima guerra mondiale, il presidente “Woodrow Wilson” inviò una commissione in Palestina per indagare sulla situazione. Conosciuta come la “Commissione King-Crane”, il suo rapporto "raccomandava contro la posizione sionista di un'immigrazione illimitata di ebrei per rendere la Palestina uno stato distintamente ebraico".

 Il rapporto affermava che "i sionisti attendevano con impazienza una spoliazione praticamente completa degli attuali abitanti non ebrei della Palestina", che "sarebbe stata necessaria la forza armata per raggiungere questo obiettivo" e che "il progetto di rendere la Palestina distintamente una comunità ebraica doveva essere abbandonato".

Il rapporto della Commissione King-Crane "è stato soppresso". (pag.25)

 

Il sionismo dopo la prima guerra mondiale.

Tra le due guerre mondiali, un numero crescente di sionisti statunitensi lavorò per portare avanti il progetto per la creazione di Israele.

In Germania, i sionisti sostennero l'ascesa dei nazisti, in quanto ciò avrebbe portato gli ebrei tedeschi a voler emigrare in Palestina.

In Iraq, dove i leader ebrei non sostenevano il sionismo, gli ebrei iracheni furono attaccati, persino uccisi, per costringerli a emigrare in Palestina.

Senza suscitare l'ansia degli ebrei di tutto il mondo di non essere al sicuro nelle loro terre d'origine, i pianificatori sionisti credevano che non ci sarebbero stati abbastanza coloni ebrei per creare uno stato sionista e costringere i palestinesi ad andarsene.

Gli oppositori del sionismo nel servizio diplomatico degli Stati Uniti sono stati minacciati di vedere le loro carriere distrutte se non avessero sostenuto le affermazioni secondo cui gli ebrei in paesi stranieri stavano subendo discriminazioni e quindi avrebbero dovuto trasferirsi in Palestina.

 I sionisti lavorarono per limitare le opportunità di immigrazione per gli ebrei in altre parti che non fossero la Palestina, compresi gli Stati Uniti.

 I sionisti si opposero alle misure del governo britannico per limitare il numero di ebrei che potevano entrare in Palestina.

 

Collaborazione tra sionisti e nazisti.

Basandosi sul lavoro dell'autrice “Hannah Arendt”, “Edwin Black” ha scritto “The Transfer Agreement: The Dramatic Story of the Pact Between the Third Reich and Jewish Palestine”.

 Secondo l'autore Tom Segev,

"Arendt affermò che molti ebrei sarebbero sopravvissuti 'se i loro leader non avessero aiutato i nazisti a organizzare la concentrazione degli ebrei nei ghetti, la loro deportazione verso est e il loro trasporto nei campi di sterminio'". (p.146)

Questo fu chiamato "Accordo di Haavara".

Il famoso boicottaggio ebraico degli anni '30 dei prodotti tedeschi potrebbe essere stato istigato dai sionisti per promuovere il sentimento antiebraico, portando a un maggiore desiderio tra gli ebrei di emigrare in Palestina.

Altri sionisti affermarono che gli ebrei perseguitati erano inclini a diventare comunisti rivoluzionari per lo stesso scopo.

Attività sioniste tra le due guerre mondiali.

 Negli Stati Uniti, durante gli anni '20 e '30, i leader sionisti smorzarono i discorsi su uno stato ebraico in Palestina e si concentrarono sulla creazione di nuove istituzioni come imprese altruistiche.

Un esempio fu l'Università Ebraica, aperta a Gerusalemme nel 1925.

I leader sionisti si lamentavano del fatto che la maggior parte degli ebrei statunitensi si considerava prima di tutto come cittadini americani.

 Organizzazioni come l'”American Zionist Emergency Council” e lo “United Jewish Appeal” sono state fondate per generare finanziamenti e sostegno.

Le donazioni allo “United Jewish Appeal” nel 1948 furono quattro volte superiori a quelle della “Croce Rossa Americana”.

La pubblicità pro-sionista e gli sforzi di lobbying sono stati scatenati in tutti gli Stati Uniti.

Alcuni ebrei, come l'”American Council for Judaism”, si opponevano ancora al sionismo in quanto nemico dei reali interessi ebraici.

 L'ACJ si opponeva alla "menzogna razzista antisemita dei sionisti secondo cui gli ebrei di tutto il mondo erano un corpo nazionale separato". (pag.152)

L'advocacy sionista negli Stati Uniti aveva potenti sostenitori politici.

Il deputato di New York Emanuel Celler disse al presidente Harry Truman: "Ti cacceremo dalla città", se non avesse sostenuto il programma.

 Il senatore Jacob Javits ha detto:

"Combatteremo fino alla morte e creeremo uno stato ebraico in Palestina se sarà l'ultima cosa che faremo". (p.38)

 La propaganda sionista includeva il finanziamento di best-seller pro-sionisti da parte di non-ebrei.

 I sionisti, come il ricco avvocato di Wall Street “Samuel Untermyer”, cominciarono a intromettere le idee "dispensazionaliste" del "sionismo cristiano" nel discorso attraverso la sponsorizzazione della "Bibbia di riferimento di Scofield".

 (“Untermyer” era anche uno dei principali sostenitori della Federal Reserve e sostenitore del boicottaggio ebraico mondiale della Germania).

Oggi, come tutti sappiamo, il "sionismo cristiano" tra gli "evangelici" fa parte del sostegno fondamentale della lobby israeliana.

 Importanti ministri evangelici come “Jerry Falwell” ricevettero grandi donazioni dai sostenitori sionisti.

Un'intera mitologia "dispensazionalista" che coinvolge il "Rapimento", ecc., è stata costruita e promossa per giustificare l'unione politica tra questo gruppo di religiosi americani e le fazioni più estreme della politica israeliana guidate oggi da figure come il primo ministro “Benjamin Netanyahu”.

Anche se Netanyahu ha fatto emergere questa folle mitologia per coprire il genocidio israeliano a Gaza, l'argomento non è trattato in dettaglio nel libro di “Alison Weir”, quindi non sarà trattato ulteriormente qui.

Sostegno protestante al sionismo.

Negli anni '30, i sionisti statunitensi stavano cercando di organizzare i protestanti americani in loro sostegno.

Alla fine della seconda guerra mondiale il “Consiglio Cristiano sulla Palestina” era cresciuto fino a 3.000 membri e il “Comitato Americano per la Palestina” a 6.500. L'appello ai protestanti si basava sulla simpatia per i rifugiati, anche se non è stata fatta alcuna menzione delle centinaia di migliaia di palestinesi che sono diventati rifugiati a causa della presa del potere da parte dei sionisti.

Durante la guerra d'indipendenza israeliana del 1947-1949, le chiese e le istituzioni cristiane in Palestina furono assaltate dai sionisti insieme ai palestinesi.

Gli inizi del terrorismo e la spartizione della Palestina da parte dell'ONU.

In Palestina negli anni '30 e '40, i sionisti cercarono di comprare la terra palestinese, ma pochi abitanti desideravano venderla.

 I sionisti cominciarono allora a organizzare forze terroristiche per scacciarli.

Questi gruppi terroristici presero di mira anche funzionari del governo britannico, poiché la Palestina era ancora un mandato britannico. L'autrice “Alison Weir” cita una dichiarazione di “David ben Gurion”, il primo ministro israeliano, che suggerisce che questo è stato almeno in parte ciò che ha dato inizio all'odierno fenomeno mondiale del terrorismo.

All'inizio della guerra del 1947-1949, gli ebrei costituivano il 30 per cento della popolazione palestinese, ma possedevano solo il 6-7 per cento della terra.

Nel 1947, la Gran Bretagna consegnò il suo Mandato alla Palestina all'ONU.

Una risoluzione dell'Assemblea Generale per la spartizione diede ai sionisti il 55% della terra di Palestina.

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si oppose al piano di spartizione in quanto contrario alla volontà della popolazione locale e in violazione degli interessi degli Stati Uniti e dei principi democratici.

 I funzionari hanno avvertito che la partizione "garantirebbe che il problema palestinese sarebbe permanente e ancora più complicato in futuro".

I funzionari dissero che la proposta era per "uno stato razziale teocratico" che discriminasse "per motivi di religione e razza". (p.45)

 Il principale funzionario antisionista del Dipartimento di Stato, Loy Henderson, fu esiliato dai suoi superiori come ambasciatore in Nepal.

L'opposizione del governo degli Stati Uniti al sionismo. Ciononostante, praticamente l'intero ramo esecutivo degli Stati Uniti era contrario a uno stato ebraico in Palestina.

Dichiarazioni e rapporti furono fatti da una commissione del 1946 guidata dall'ambasciatore “Henry F. Grady”, dalla “CIA”, dal “Joint Chiefs of Staff “e dal sottosegretario di Stato “Dean Acheson”.

Un rapporto del 1948 del “Joint Chiefs of Staff” affermava che "la strategia sionista cercherà di coinvolgere [gli Stati Uniti] in una serie di operazioni sempre più ampie e approfondite volte a garantire il massimo degli obiettivi ebraici". (pag.47)

 

I leader ebraici erano ben consapevoli che la spartizione della Palestina da parte delle Nazioni Unite era temporanea e che nel tempo lo Stato ebraico si sarebbe espanso fino ad assorbire l'intera regione.

 Fu formulato il concetto di "Eretz Israel", in base al quale lo stato sionista avrebbe compreso la Transgiordania, così come parti del Libano e della Siria.

 I sionisti avevano anche iniziato a usare l'antagonismo degli Stati Uniti verso l'Unione Sovietica come argomento per la creazione di uno stato ebraico filo-occidentale.

Questo riportava agli albori del sionismo, quando i leader sionisti caratterizzavano il loro stato proposto come un baluardo dell'influenza britannica in Medio Oriente, cioè come un'estensione del colonialismo e della geopolitica britannica.

Oggi, i pro-sionisti sostengono che Israele è un avamposto di benevola influenza "giudaico-cristiana" in Medio Oriente, mentre cercano di suscitare antagonismo verso il miliardo di musulmani nel mondo in un presunto "scontro di civiltà".

 Tali atteggiamenti sono diventati prominenti nella politica degli Stati Uniti durante la "guerra al terrore" dell'amministrazione Bush/Cheney che continua ancora oggi attraverso l'etichettatura da parte degli Stati Uniti di gruppi antisionisti come Hamas e Hezbollah come organizzazioni "terroristiche".

Questo nonostante il fatto storico sopra citato che sono stati i sionisti a introdurre il terrorismo in Medio Oriente.

Il riconoscimento di Israele da parte degli Stati Uniti e il ruolo del presidente Truman.

Gli Stati Uniti sono stati il primo paese a riconoscere Israele come stato indipendente quando il 14 maggio 1948 il presidente Harry Truman ha rilasciato una dichiarazione di riconoscimento in seguito alla proclamazione dell'indipendenza di Israele nella stessa data.

 La motivazione principale di Truman era creduta all'epoca, ed è ancora oggi, la conquista del sostegno ebraico nelle elezioni presidenziali di quell'anno.

La sua decisione fu fortemente osteggiata dal Segretario di Stato “George Marshall”, dal Segretario alla Difesa “James Forrestal”, dalla “CIA” e dal “Consiglio di Sicurezza Nazionale”, e dall'alto funzionario del Dipartimento di Stato George Kennan.

L'agente dei servizi segreti “Kermit Roosevelt” scrisse:

"L'attuale corso della crisi mondiale costringerà sempre più gli americani a rendersi conto che i loro interessi nazionali e quelli del proposto stato ebraico in Palestina stanno andando in conflitto".

Contrariamente alla convinzione che gli interessi petroliferi degli Stati Uniti promuovessero il progetto sionista, i funzionari sostenevano che la capacità degli Stati Uniti di accedere alle risorse mediorientali sarebbe stata influenzata negativamente.

Truman aveva anche addetti ai lavori filo-sionisti agli alti livelli della sua amministrazione.

L'autrice Alison Weir sottolinea che anche la corruzione ha avuto un ruolo:

 "Gore Vidal ha scritto:

"A un certo punto, alla fine degli anni '50, quel pettegolo di livello mondiale e storico occasionale, “John F. Kennedy”, mi raccontò come, nel 1948, “Harry S. Truman” fosse stato praticamente abbandonato da tutti quando si candidò alla presidenza.

Poi un sionista americano gli ha portato due milioni di dollari in contanti, in una valigia, a bordo del treno della sua campagna elettorale.

'Ecco perché il nostro riconoscimento di Israele è stato approvato così in fretta'". (p.167)

L'uomo d'affari ebreo Abraham Feinberg spiegò la sua raccolta di denaro per Truman in un'intervista di storia orale pubblicata dalla Truman Library nel 1973.

 La “CIA” scoprì anche il traffico illegale di armi da parte di “Feinberg” ai gruppi sionisti.

Potrei essere il primo scrittore a sottolineare che l'azione di Truman nell'accettare tangenti, se scoperta, avrebbe potuto essere vista e trattata come un reato perseguibile.

Conquista sionista della Palestina.

Al momento della proclamazione dell'indipendenza da parte di Israele e dell'immediato riconoscimento da parte degli Stati Uniti, la risoluzione di spartizione dell'ONU era stata approvata, con la conseguente guerra tra le forze sioniste e arabe.

L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato il piano di spartizione con 33 voti favorevoli, 13 contrari e 10 astensioni, con molte nazioni sottoposte a un'intensa attività di lobbying e minacce sioniste.

Ad esempio, "il finanziere e consigliere presidenziale di lunga data “Bernard Baruch” ha detto alla Francia che avrebbe perso l'aiuto degli Stati Uniti se avesse votato contro la partizione". (p.55)

Un mediatore svedese dell'ONU, il conte” Folke Bernadotte”, fu ucciso da sicari sionisti.

Fino ad oggi, non è mai stata dimostrata alcuna autorità legale accettata per l'ONU nella sua spartizione della Palestina.

In altre parole, si è trattato probabilmente di un'azione extra-legale in risposta alle pressioni sioniste.

Anche se nei due decenni precedenti si erano verificate sporadiche violenze tra ebrei e arabi palestinesi, i sionisti commisero massacri su larga scala di palestinesi dopo la risoluzione delle Nazioni Unite per la spartizione.

Alla fine della guerra d'indipendenza israeliana nel 1948, oltre 750.000 palestinesi erano stati espulsi dal territorio controllato dai sionisti.

 Lo storico israeliano “Tom Segev” ha scritto:

"Israele è nato dal terrore, dalla guerra e dalla rivoluzione, e la sua creazione ha richiesto una certa dose di fanatismo e crudeltà". (p.58)

Oggi questa è chiamata in arabo la "Nakba", la "catastrofe".

 

Il massacro più noto ebbe luogo nel villaggio di “Deir Yessin” nell'aprile del 1948, prima che gli eserciti arabi si unissero alla lotta.

Lì, 254 abitanti del villaggio sono stati uccisi a sangue freddo.

 I capi delle due milizie presenti a “Deir Yessin”, l'Irgun e la Banda Stern, erano Menachem Begin e Yitzhak Shamir, entrambi divenuti in seguito primi ministri di Israele.

Il 22 luglio 1947 l'Irgun bombardò il “King David Hotel” di Gerusalemme, uccidendo 86 persone.

La “Banda Stern” sollecitò anche l'aiuto delle potenze dell'Asse durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

Organizzazioni del Fronte Sionista negli Stati Uniti Durante gli anni '30 e '40, i sionisti crearono un certo numero di organizzazioni di facciata per raccogliere fondi utilizzati per finanziare le attività militanti in Palestina.

Dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti mantennero un embargo sulle armi contro Israele e il Medio Oriente.

 Il primo tra gli sponsor delle organizzazioni di facciata che intendevano aggirare l'embargo era l'Irgun.

Un gruppo, l'Esercito Ebraico degli Ebrei Apolidi e Palestinesi, sosteneva di essere stato formato per combattere i nazisti in Europa, ma era invece destinato a combattere gli inglesi e gli arabi in Palestina.

 Questi gruppi sposarono ideologie radicali come l'idea che "i non ebrei sono l'incarnazione di Satana e che il mondo è stato creato esclusivamente per gli ebrei".

Un altro gruppo, capeggiato dal rabbino ortodosso “Baruch Korff”, ordimentò un complotto per far saltare in aria il ministero degli esteri britannico a Londra, che fu esposto dal “New York Herald Tribune”.

A causa dell'influenza politica, le accuse degli Stati Uniti contro Korff sono state ritirate.

In seguito "divenne un caro amico e fervente sostenitore del presidente Richard Nixon, che lo chiamava 'il mio rabbino'".

Il sostegno di Nixon a Israele si manifestò nel gigantesco ponte aereo di rifornimenti militari che contribuì a salvare Israele dalla sconfitta nella guerra dello Yom Kippur del 1973.

Un'altra importante organizzazione che raccoglieva fondi per l'invio di armi ai sionisti in Palestina era il “Sonneborn Institute”.

Tra il 1939 e il maggio 1948 fu attiva anche l'”Agenzia Ebraica per Israele,” che oggi raccolse l'equivalente di 3,5 miliardi di dollari.

 

Sionismo e criminalità organizzata.

Tra i finanziatori dell'indipendenza israeliana c'erano membri del crimine organizzato, tra cui “Meyer Lansky”, capo della mafia ebraica negli Stati Uniti.

In un articolo del 19 aprile 2018 su Tablet (tabletmag.com) intitolato "Gangsters for Zion: Yom Ha'atzmaut: How Jewish mobsters helps Israel get its independence.

Robert Rockaway scrisse:

"Nel 1945, l'Agenzia Ebraica, il governo israeliano pre-statale guidato da “David Ben-Gurion”, creò una vasta rete clandestina di acquisto e contrabbando di armi in tutti gli Stati Uniti.

 L'operazione fu posta sotto l'egida dell'Haganah, il precursore clandestino delle Forze di Difesa Israeliane, e coinvolse centinaia di americani di ogni ceto sociale.

Tra loro c'erano milionari, studenti rabbinici, commercianti di rottami metallici, ex soldati, studenti universitari, scaricatori di porto, industriali, chimici, ingegneri, protestanti e cattolici, oltre che ebrei.

Un gruppo, che è rimasto anonimo e di cui si è parlato raramente, era composto da uomini duri, di strada, senza paura e che avevano accesso a denaro contante:

 i gangster ebrei".

“Rockaway”, professore emerito all'Università di Tel Aviv, ha anche scritto che attraverso il loro controllo dei porti statunitensi, la mafia ebraica ha organizzato la consegna di armi a Israele a bordo di navi battenti bandiera di Panama.

Reclutamento di ebrei da trasferire in Palestina.

"I quadri sionisti si sono infiltrati nei campi profughi che erano stati allestiti per ospitare i rifugiati sfollati durante la Seconda Guerra Mondiale.

Questi infiltrati cercarono segretamente di incanalare le persone in Palestina. Quando si è scoperto che la maggior parte di loro non voleva andare in Palestina, hanno lavorato per convincerli, a volte con la forza". (p.74)

 Un'altra fonte di reclutamento erano i bambini ebrei in affido in famiglie cristiane.

 I sionisti sostenevano di essere l'unico rappresentante di tutti gli ebrei del mondo al fine di legittimare gli sforzi per dirottare i sopravvissuti alla guerra in Israele, non in paesi come gli Stati Uniti in cui molti preferivano andare.

 "Dopo che una campagna di reclutamento volontario ha fruttato meno dello 0,3 per cento della popolazione di sfollati, è stata implementata una leva obbligatoria". (p.79)

Ad alcuni arruolati fu richiesto di combattere in Palestina nella guerra d'indipendenza sionista.

Nel frattempo, il gruppo segreto “Sieff” si formò a Washington, D.C., per svolgere attività di lobbying per il progetto sionista.

Il gruppo era protetto da individui potenti come il “giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter, il Segretario del Tesoro Henry Morgenthau, Jr.”, e il già citato finanziere e consigliere presidenziale “Bernard Baruch”.

Destino dei profughi palestinesi.

Tre quarti di milione di profughi palestinesi sono fuggiti nelle regioni limitrofe in un gigantesco disastro umanitario.

 Un rapporto del Dipartimento di Stato del 1948 affermava:

"Il totale soccorso diretto offerto... dal governo israeliano fino ad oggi consiste in 500 casse di arance".

 Il valore delle terre confiscate dai sionisti ammontava a 5,2 trilioni di dollari di oggi.

 Anche i cristiani hanno sofferto perché "numerosi conventi, ospizi, seminari e chiese sono stati distrutti o ripuliti dai loro proprietari e custodi cristiani".

Gli sforzi dei funzionari del governo degli Stati Uniti per trattenere gli aiuti al governo israeliano a causa della crisi dei rifugiati furono annullati dal presidente Truman.

Il sionismo e i media.

 Già durante la Prima Guerra Mondiale, i sionisti esercitavano un controllo quasi completo sulla stampa statunitense.

Ciò includeva la pubblicazione di articoli pro-sionisti su giornali prestigiosi come il New York Times.

Nel 1953, lo scrittore “Alfred Lilienthal” scrisse:

"La conquista della stampa americana da parte del nazionalismo ebraico fu, in effetti, incredibilmente completa.

Sia le riviste che i giornali, sia nelle notizie che nelle rubriche editoriali, hanno dato principalmente il punto di vista sionista degli eventi prima, durante e dopo la partizione. (p.86)

 La coercizione sionista si estendeva al ritiro della pubblicità, alla cancellazione degli abbonamenti e alla lista nera di giornalisti e autori, anche quelli che offrivano una semplice traccia di simpatia verso i palestinesi sfollati. Particolarmente emozionanti nel loro sostegno al sionismo furono i giornali “The Nation” e “New Republic”.

Un esempio di come i sionisti potessero distruggere la carriera di uno scrittore fu l'attacco all'allora famosa giornalista “Dorothy Thompson” dopo che "aveva iniziato a parlare dei rifugiati palestinesi, aveva narrato un documentario sulla loro situazione e aveva condannato il terrorismo ebraico. (pag.92)

 

Sappiamo tutti che la completa inclinazione della copertura mediatica degli Stati Uniti verso il sionismo e Israele domina l'informazione a tutti i livelli e attraverso lo spettro ideologico, dai principali giornali e reti a ciò che resta del giornalismo di provincia.

Ciò include i cosiddetti punti vendita "indipendenti" come “Breitbart”.

 L'inizio di questo pregiudizio è iniziato, forse non a caso, durante il periodo precedente la Prima Guerra Mondiale, quando le redazioni dei giornali statunitensi sono state rilevate da propagandisti simpatizzanti del “Federal Reserve System” e del “Money Trust”.

 Oggi, naturalmente, abbiamo “Internet”, che ha iniziato a fare breccia nel controllo delle notizie da parte delle corporazioni dei media pro-establishment e dei censori dello “Stato Profondo” (Deep State).

Tuttavia, anche i media di Internet devono essere cauti, quindi sono spesso ridotti al ruolo di "ritrovi limitati", riportando solo storie selezionate che protestano contro offese israeliane particolarmente eclatanti, ma mai il "quadro generale".

In conclusione possiamo dire che, come chiarisce il libro di “Alison Weir”, sono stati in gran parte i sionisti americani che hanno finanziato e permesso la violenta conquista della Palestina e che quindi condividono la responsabilità negli ultimi tre quarti di secolo per le atrocità commesse contro una popolazione diversificata i cui antenati avevano vissuto in pace e radicati nella regione per millenni.

 Questa popolazione abitava anche la città santa di Gerusalemme, sacra alle religioni ebraica, cristiana e islamica.

Il libro chiarisce anche che le persone possono opporsi al sionismo – la creazione forzata di uno stato nazionale ebraico in Palestina – senza essere anti-ebraici o "antisemiti".

Naturalmente, la maggior parte degli indigeni della Palestina sono "semiti" per etnia e lingua.

Inoltre, gli oppositori più accaniti del movimento sionista originale in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, e forse in altre nazioni, sono stati, e sono tuttora, gli ebrei stessi che si erano assimilati con successo nelle culture che li ospitavano.

Ne sono un esempio gli “ebrei chassidici” di Brooklyn, New York, e gli “ebrei iraniani” che si rifiutano di sostenere Israele.

Molti altri volumi potrebbero o dovrebbero essere scritti sull'autorizzazione degli Stati Uniti a Israele e al sionismo e sull'interferenza di Israele e del sionismo negli affari interni degli Stati Uniti.

Includerei un esame della possibile partecipazione di Israele agli omicidi di JFK/RFK e agli attacchi dell'11 settembre, l'acquiescenza degli Stati Uniti al programma di armi nucleari di Israele, i legami di Israele con i neoconservatori che controllano l'odierna politica estera degli Stati Uniti, e l'odierno corteggiamento della Terza Guerra Mondiale contro più della metà dei paesi del mondo, a partire dalla nemesi di Israele, l'Iran.

Gli Stati Uniti inciamperanno nella Terza Guerra Mondiale a causa della loro prigionia filo-sionista?

 

(Diritto d'autore 2023 di Richard C. Cook. Questo articolo è disponibile per la pubblicazione e la distribuzione nella sua interezza e con attribuzione secondo la dottrina del Fair Use. I commenti sono benvenuti e saranno letti all'monetaryreform@gmail.com.)

(Richard C. Cook è un analista federale statunitense in pensione che ha lavorato presso la Commissione per il servizio civile degli Stati Uniti, la FDA, la Casa Bianca di Carter, la NASA e il Tesoro degli Stati Uniti. Come informatore all'epoca del disastro del Challenger, ha raccontato la storia dei giunti O-ring difettosi che hanno distrutto lo Shuttle.

Dopo aver prestato servizio al Tesoro, ha esposto i disastrosi difetti di un sistema monetario controllato dalla finanza privata nel suo libro” We Hold These Truths: The Hope of Monetary Reform”. Come consigliere dell'”American Monetary Institute” e mentre lavorava con il membro del Congresso “Dennis Kucinich”, sostenne la sostituzione del “Federal Reserve System” con “una vera e propria valuta nazionale”.

Il suo ultimo libro è “Our Country, Then and Now” (Clarity Press, 2023).

"Ogni impresa umana deve servire la vita, deve cercare di arricchire l'esistenza sulla terra, per timore che l'uomo diventi schiavo là dove cerca di stabilire il suo dominio!"

(Bô Yin Râ (Joseph Anton Schneiderfranken, 1876-1943), traduzione di Posthumus Projects Amsterdam, 2014.)

 

 

 

 

“Nakba 2.0” fa rivivere la

guerra neoconservatrice.

Unz.com - PEPE ESCOBAR – (30 OTTOBRE 2023) – ci dice:

La guerra tra Israele e i bambini arabi, che funge anche da guerra tra egemone Usa e asse della resistenza, sia una sotto-branca della guerra tra NATO e Russia che tra NATO e Cina, sta andando totalmente fuori controllo.

Ormai è assodato che con la Cina che mediano la pace in tutta l'Asia occidentale, e la Russia-Cina che fa di tutto per i BRICS 11, con tanto di facilitazione degli accordi commerciali energetici al di fuori del dollaro USA, L'Impero colpire ancora sarebbe del tutto prevedibile:

Diamo fuoco all'Asia occidentale.

L'obiettivo immediato degli “psicopatici neoconservatori straussiani” e dei loro silos attraverso la “Beltway” è quello di andare in Siria, Libano e, infine, Iran.

Questo è ciò che spiega la presenza nel Mediterraneo centrale e orientale di una flotta di almeno 73 navi da guerra USA/NATO – che vanno da due gruppi di portaerei americane a 30+ navi di 14 membri della NATO coinvolti nei giochi di guerra “Dynamic Marinerin” corso al largo delle coste italiane.

Si tratta della più grande concentrazione di navi da guerra USA/NATO dagli anni '70.

Qualsiasi analista militare con un quoziente intellettivo superiore alla temperatura ambiente sa che tutte quelle costose vasche da bagno americane in ferro sono destinate a diventare barriere coralline suboceaniche, soprattutto se visitate da missili ipersonici.

Naturalmente, tutto questo potrebbe essere solo il tipico spettacolo americano di proiezione/deterrenza del potere.

 Gli attori principali – Iran e Russia – non sono impressionati.

Tutto ciò che serve è uno sguardo alle spalle per vedere ciò che un gruppo di pastori di capre di montagna armati di finti Kalashnikov hanno fatto alla NATO in Afghanistan.

 

Inoltre, l'egemone Usa avrebbe bisogno di fare affidamento su una seria rete di basi sul terreno se mai prendesse in considerazione l'idea di lanciare una guerra contro l'Iran.

Nessun attore dell'Asia occidentale permetterebbe agli Stati Uniti di utilizzare basi in Qatar, Kuwait, Iraq o addirittura in Giordania.

Baghdad è già impegnata, da tempo, a eliminare tutte le basi americane.

Dov'è la mia nuova Pearl Harbor?

Il piano B è, tra l'altro, la creazione di un'altra Pearl Harbor (l'ultima è avvenuta solo poche settimane fa, secondo Tel Aviv).

Dopotutto, organizzare una così sontuosa dimostrazione di diplomazia delle cannoniere in un mare interno rivela una scelta appetitosa di anatre facili.

È inutile aspettarsi che il capo del Pentagono” Lloyd "Raytheon" Austin” tenga conto della possibile umiliazione cosmica dell'egemone Usa che vede una delle sue vasche da bagno multimiliardarie affondata da un missile iraniano.

Se ciò accadesse, diventerebbero – letteralmente – nucleari.

“Alastair Crooke” – lo standard analitico di oro, platino e terre rare – ha avvertito che tutti i punti caldi potrebbero esplodere contemporaneamente, distruggendo l' intero (corsivo mio) "sistema di alleanze" statunitense.

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, come al solito, ha colto nel segno, quando ha affermato che se Gaza venisse distrutta, la catastrofe che ne deriverebbe durerebbe "decenni, se non secoli".

Ciò che era iniziato come un lancio di dadi a Gaza si sta ora espandendo a tutta l'Asia occidentale e successivamente, inevitabilmente, all'Europa, all'Africa e all'Asia.

Tutti ricordano il preambolo delle attuali circostanze incendiarie:

la “mossa di Brzezinski “giocata in Ucraina per tagliare fuori l'Europa dalle risorse naturali russe.

Questo si è trasformato nella più grande crisi mondiale dal 1939.

 Gli “psicopatici neoconservatori straussiani” di Washington non hanno idea di come fare marcia indietro. Quindi, così com'è, c'è meno di zero speranza per una soluzione pacifica per entrambe le guerre intrecciate.

Come ho sottolineato in precedenza, i leader dei principali produttori di petrolio – Russia, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait – possono tagliare quasi la metà della produzione di petrolio nel mondo in un colpo solo, demolendo intere economie dell'UE e degli Stati Uniti senza sparare un colpo.

 Fonti diplomatiche assicurano che la cosa viene presa seriamente in considerazione.

Come mi ha detto una fonte della vecchia scuola dello Stato Profondo (Deep State), ora in Europa, gli attori seri sono attivamente coinvolti nell'invio di questo messaggio alla” Beltway "per far sì che gli Stati Uniti ci pensino due volte prima di scatenare una guerra che non “Quando andranno a Wall Street per controllare l'esposizione ai derivati”, avranno già avuto il tempo di pensarci su, dato che i documenti sono stati inviati a gente come” Larry Fink” di Blackrock e “Michael Bloomberg”.

Parallelamente, nei circoli dell'intelligence si sta sviluppando una seria discussione sul "nuovo asse del male" (Russia-Cina-Iran) sulla necessità di consolidare un polo islamico unificato.

Le prospettive non sono buone, anche se i poli chiave come Russia e Cina hanno chiaramente identificato il nemico comune dell'intero Sud del mondo/maggioranza globale.

 La Turchia di Erdogan sta semplicemente fingendo.

L'Arabia Saudita non si investirà nella difesa/protezione della Palestina, qualunque cosa accada.

I clienti/seguaci americani nell'Asia occidentale sono semplicemente spaventati.

Rimangono solo l'Iran e l'Asse della Resistenza.

In caso di dubbio, ricorda “Yahweh”.

Nel frattempo, la tribù vendicativa e narcisistica dei conquistadores, maestri dell'inganno politico e dell'esenzione morale, è impegnata a consolidare la sua Nakba 2.0 – che funge anche da soluzione perfetta per divorare illegalmente tutto quel gas al largo di Gaza.

La direttiva sulla deportazione del Ministero dell'Intelligence israeliano che colpisce 2,3 milioni di palestinesi è abbastanza chiara. È stato ufficialmente approvato dal Ministero il 13 ottobre.

Si inizia con l'espulsione di tutti i palestinesi dal nord di Gaza, seguita da una serie di "operazioni di terra";

 lasciare aperte le rotte attraverso il confine egiziano a Rafah;

e la creazione di "tendopoli" nel nord del Sinai e in seguito anche di nuove città per "reinsediare i palestinesi" in Egitto.

Il consulente in diritto e politica umanitaria” Itay Epshtain” ha osservato:

"Non sono stato ancora in grado di individuare un punto all'ordine del giorno o una decisione del governo che approvi la direttiva del Ministero.

Se fosse effettivamente presentato e approvato, probabilmente non sarebbe di pubblico dominio".

Lo confermano comunque diversi estremisti di Tel Aviv nei loro sfoghi.

Per quanto riguarda la guerra in generale, è già stato scritto. Tanto tempo fa. E vogliono seguirlo alla lettera, in tandem con i cristiani sionisti americani.

Tutti ricordano il generale “Wesley Clark” che andò al Pentagono due mesi dopo l'11 settembre e venne a conoscenza del piano neocon/cristiano sionista per colpire 7 paesi in 5 anni per distruggerli:

Si tratta dell'Iraq, della Libia, del Libano, della Siria, della Somalia, del Sudan e dell'Iran.

Tutti sono stati destabilizzati, distrutti o precipitati nel caos.

L'ultimo della lista è l'Iran.

Ora torniamo a Deuteronomio 7:1-2,24:

"Yahweh ha detto a Israele che ha identificato "SETTE NAZIONI PIÙ GRANDI E PIÙ FORTI DI TE" (maiuscole mie), che "devi mettere sotto la maledizione della distruzione" e non "mostrare loro alcuna pietà".

In quanto ai loro re, "cancellerai i loro nomi sotto il cielo".

 

 

Ucraina, Pacifico, Medio Oriente:

quante guerre può sopportare Washington?

Globalresearch.ca - Uriel Araujo – (03 novembre 2023) – ci dice:

 

La vicepresidente degli Stati Uniti “Kamala Harris” ha dichiarato, in un'intervista alla CBS, che le truppe americane non saranno inviate a Gaza o in Israele e che Washington sta semplicemente fornendo a Tel Aviv supporto diplomatico, attrezzature e qualche consiglio.

Ha aggiunto che "gli Stati Uniti non stanno dicendo a Israele cosa fare".

Tuttavia, è stato riferito che sia lo Stato ebraico che gli Stati Uniti stanno discutendo di una forza multinazionale per "governare Gaza" se Tel Aviv riuscirà a spodestare Hamas.

Il segretario di Stato americano “Antony Blinken” ha dichiarato martedì che un'Autorità palestinese (Ap) "rivitalizzata" dovrebbe riprendere il controllo di Gaza in questo scenario, ma una forza di mantenimento della pace che includa soldati americani potrebbe svolgere un "ruolo ad interim".

Ci sono almeno due problemi con questo piano:

Israele ha bombardato non solo Gaza, ma anche la Cisgiordania controllata dall'Autorità Palestinese, dove Hamas non è presente, e il dispiegamento di truppe statunitensi in Palestina non farebbe altro che aumentare drammaticamente gli attriti in Medio Oriente.

Il 31 ottobre, il direttore dell'FBI “Christopher Wray”, durante un'audizione al Congresso, ha affermato che l'escalation delle tensioni ispirerà la più grande minaccia terroristica per gli Stati Uniti dall'ascesa del cosiddetto “gruppo terroristico Stato islamico” (Daesh) un decennio fa.

Le turbolenze in quella parte del mondo hanno certamente sollevato la questione di quante guerre gli Stati Uniti possono combattere e quante guerre possono sostenere.

I legislatori di Washington che cercano un cessate il fuoco sono sempre più preoccupati per il pieno sostegno del presidente degli Stati Uniti “Joe Biden” alla campagna militare israeliana e al blocco del paese.

Non sono gli unici:

 i diplomatici americani starebbero preparando un "cablogramma di dissenso", in una situazione che alcuni hanno descritto come un "ammutinamento" in corso all'interno del Dipartimento di Stato "a tutti i livelli".

 In questo contesto, “Jack Lew” è stato approvato come prossimo inviato americano in Israele, la sua conferma è stata certamente accelerata dall'attuale crisi.

Essendo stato nominato a settembre, si credeva che potesse svolgere un ruolo importante nei colloqui israelo-sauditi mediati dagli Stati Uniti sulla normalizzazione dei legami tra i due paesi mediorientali – uno scenario che è stato messo nel congelatore dopo lo scoppio del pantano in corso.

La missione di “Lew” ora si concentrerà sulla cooperazione con Tel Aviv per neutralizzare “Hamas” e garantire il rilascio degli ostaggi, mentre subisce pressioni per criticare occasionalmente alcune azioni israeliane – la campagna dello Stato ebraico, dopo tutto, viene denunciata a livello globale per i suoi attacchi indiscriminati a strutture e villaggi civili.

Il capo delle Nazioni Unite “Antonio Guterres” ha recentemente espresso il suo sgomento per la catastrofe umanitaria a Gaza, e organizzazioni come “Amnesty International” hanno descritto le azioni di Israele come crimini di guerra.

Tel Aviv sta già affrontando una crescente ostilità in “Armenia” a causa del suo ruolo nella pulizia etnica degli armeni in “Artsakh” (Nagorno-Karabakh) da parte dell'Azerbaigian sostenuta dalla Turchia, ed è ora accusata di aver condotto un genocidio da un relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi, tra gli altri.

Il Cile e la Colombia hanno richiamato gli ambasciatori in Israele, con la Bolivia che ha tagliato completamente i ponti, e massicce manifestazioni contro Tel Aviv si stanno svolgendo in molte capitali del mondo.

Gli Stati Uniti inviano più armi in Medio Oriente.

L'anno scorso ho scritto sulla possibilità di una guerra tra Iran e Israele, uno scenario che ora sembra molto più vicino, portando con sé lo spettro di una guerra più ampia in Medio Oriente.

È stato ipotizzato che l'”Iran” possa aver aiutato “Hamas” a pianificare il suo attacco contro lo Stato ebraico il 7 ottobre (l'evento che ha provocato la campagna di rappresaglia di Tel Aviv), anche se sia i funzionari americani che quelli israeliani hanno dichiarato che finora non c'è alcuna prova di questo.

 In ogni caso, si parla molto di un'escalation della crisi in corso in Palestina che si estende alla più ampia area del Medio Oriente.

Il Pentagono ha confermato lunedì che Washington ha colpito due strutture in Siria presumibilmente collegate al “Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane”.

Il 31 ottobre, i funzionari della difesa degli Stati Uniti hanno dichiarato che le basi militari americane sia in Iraq che in Siria sono state attaccate non meno di 23 volte nelle ultime due settimane da gruppi sostenuti dall'Iran.

“Matthew Kroenig”, vice presidente dello “Scowcroft Center for Strategy and Security dell'Atlantic Council”, ha dichiarato che Washington ha bisogno di "un costrutto di pianificazione a due grandi teatri", possibilmente che copra anche l'Iran.

Lui e i suoi colleghi della “Commissione bipartisan sulla postura strategica degli Stati Uniti” hanno raccomandato proprio questo al Congresso all'inizio di questo mese.

Kroenig afferma che gli Stati Uniti devono "scoraggiare e, se necessario, sconfiggere i principali conflitti nelle tre regioni geostrategiche più importanti dell'Indo-Pacifico, l'Europa e il Medio Oriente".

 La domanda è: quante guerre possono combattere gli Stati Uniti?

Andrew A. Michta, direttore della Scowcroft Strategy Initiative (presso l'Atlantic Council degli Stati Uniti) scrive che Washington, con il suo modello di forza "tutta volontaria", semplicemente non è pronta per una guerra contro le grandi potenze, essendo necessaria una "stazione permanente" sia in Asia che in Europa.

Gli Stati Uniti, largamente sovraccarichi, hanno spostato i loro interessi strategici dal Medio Oriente verso l'Europa orientale (più l'Asia centrale) e l'Indo-Pacifico, anche se la loro supremazia navale sembra volgere al termine.

Tuttavia, come ho scritto, a giugno, gli Stati Uniti non possono semplicemente "lasciare" il Medio Oriente, essendo un centro di petrodollari e petrolio, per non parlare del suo significato culturale.

 Questo è il dilemma che un potere sempre troppo teso si trova ora ad affrontare. Alcuni analisti, come” Kroenig” e “Michta”, sembrano volere tutto, con i politici americani che parlano di schierare forze speciali anche nel vicino Messico per una calamità nazionale della droga, anche se la superpotenza, a corto di reclute, affronta una crisi militare.

L'entusiastico sostegno di Washington all'attuale amministrazione di Tel Aviv (che sta affrontando pesanti critiche a livello globale), da un lato, evidenzia l'ipocrisia della condanna più esplicita degli Stati Uniti e di una campagna sanzionatoria senza precedenti della campagna militare russa in Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022.

 Nonostante le critiche che si possono fare a Mosca in questo caso, nemmeno i critici più accesi si sono mai avvicinati a descriverla come un genocidio di etnia ucraina;

infatti, il 22 febbraio, due giorni prima dello scontro di oggi, un articolo di “El Pais” descriveva in dettaglio la catastrofe umanitaria nel Donbass, provocata da Kiev, non da Mosca.

Il 24 febbraio, la “CNN” ha riferito che le forze ucraine avevano "distrutto" una vasta parte della regione, con scuole e orfanotrofi evacuati sotto i bombardamenti ucraini, costringendo molti residenti del Donbass a cercare rifugio nell'”Oblast di Rostov” (Federazione Russa).

 La campagna militare ucraina contro la regione del Donbass è iniziata nell'aprile 2014, in mezzo a politiche scioviniste contro le popolazioni russofone.

Questo (più gli anni di espansione della NATO guidata dagli Stati Uniti e l'ascesa dell'estrema destra in Ucraina) ha fornito il contesto per il conflitto di oggi.

Comunque sia, le speranze americane di una vittoria nella sua guerra di logoramento per procura in Ucraina sono ora basse e Israele è ora sotto i riflettori.

Lo Stato ebraico è sempre più isolato a livello internazionale, tuttavia, e i costi del pieno sostegno americano continueranno a salire.

(Uriel Araujo è un ricercatore specializzato in conflitti internazionali ed etnici.)

 

 

 

 

WORLD ECONOMIC FORUM.

WEF, vincono solo le big tech:

così si alimenta la guerra perpetua.

Agendadigitale.eu -Lelio Demichelis – (27-5-2022) – ci dice:

 

(Lelio Demichelis -Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria).

 

Cultura e Società Digitali.

Le big tech hanno quasi raddoppiato gli utili tra il 2019-2021; la spesa militare mondiale è raddoppiata dal 2000 al 2021. Per i super ricchi, la pandemia è stata uno “dei periodi migliori della storia”, il tutto mentre la guerra tecno-capitalista è diventata globale e normale.

 Un po’ di dati di contesto al WEF di Davos.

Al World economic forum (Wef) di Davos – uno dei maggiori luoghi di culto di quella che abbiamo chiamato religione tecno-capitalista – grande è stata ovviamente la preoccupazione per gli effetti della guerra in Ucraina.

 Il “Chief Economist Outlook del Wef” pubblicato lo scorso 23 maggio attende per il 2022 una minore attività economica, un’inflazione più elevata, salari reali più bassi e una maggiore insicurezza alimentare (leggasi, rischio di carestia globale).

 

Davos World Economic Forum 2022: Global summit to discuss economy, climate change.

“Siamo al culmine di un circolo vizioso che potrebbe avere un impatto sulle società per anni.

La pandemia e la guerra in Ucraina hanno frammentato l’economia globale e creato conseguenze di vasta portata che rischiano di spazzare via i guadagni degli ultimi trent’anni” – secondo “Saadia Zahidi” dello stesso Wef.

 “I leader devono affrontare scelte difficili e compromessi a livello nazionale quando si tratta di debito, inflazione e investimenti.

Tuttavia, i leader aziendali e governativi devono anche riconoscere l’assoluta necessità della cooperazione globale per prevenire la miseria economica e la fame di milioni di persone in tutto il mondo”.

I guadagni degli ultimi trent’anni?

Chissà a cosa si riferiva” Saadia Zahidi” quando parlava dei guadagni degli ultimi trent’anni…

Che sono stati anni in realtà di costruzione dell’egemonia della disuguagliante ideologia neoliberale (le disuguaglianze sono infatti cresciute e sono state una deliberata scelta politica, appunto neoliberale, come sosteneva il Nobel per l’Economia “Joseph Stiglitz”);

di nuove tecnologie che avrebbero dovuto essere liberanti dalla fatica e dalla miseria donandoci più tempo libero e una vita migliore, in realtà sono sempre più totalizzanti (tutti connessi, tutti integrati nella rete gestita massimamente da imprese private) e anch’esse disuguaglianti – oltre che a crescente sfruttamento del lavoro e di crescente estrazione di plusvalore dalla vita intera dell’uomo, dall’Industria 4.0/taylorismo digitale al caporalato digitale delle piattaforme al capitalismo della sorveglianza secondo “Shoshana Zuboff”;

anni, ancora e soprattutto, di una crisi climatica e ambientale che sta provocando disastri non solo ambientali ma anche sociali e che è effetto diretto e conseguente della rivoluzione industriale capitalistica.

In realtà era del tutto prevedibile – conseguenziale – che quelle politiche neoliberali e quelle nuove tecnologie avrebbero prodotto il caos sistemico e la disruption compulsiva di oggi.

In cui e grazie al quale tuttavia il tecno-capitalismo si muove felicemente (avendolo appunto prodotto), con la correità degli Stati, e insieme ad essi costituendo il complesso statale-industriale-finanziario che governa il mondo.

E infatti non è vero che la globalizzazione è morta o che la guerra ha frammentato l’economia mondiale, perché essa rinasce – è nella sua essenza accrescersi incessantemente nella ricerca spasmodica e compulsiva di sempre nuovi profitti privati – e si trasforma sulla base del rafforzamento di vecchi e nuovi imperialismi, orientali e occidentali, in una pericolosissima voglia di guerra che si diffonde tra le cosiddette grandi potenze.

Le disuguaglianze secondo Oxfam.

A ricordarci per fortuna cosa è accaduto realmente negli ultimi tre decenni – e a chi sono andati i guadagni – ci ha pensato come sempre Oxfam.

Secondo l’ultimo Rapporto, le ricchezze dei miliardari del mondo – gli oligarchi del tecno-capitalismo, come dovremmo definirli, perché questo sono – sono cresciute più in due anni di Covid-19 che nei 23 anni precedenti.

 Con una immagine ad effetto, Oxfam ricorda che, di fatto, negli ultimi 2 anni i miliardari che controllano le grandi imprese nei settori tecnologico, alimentare e energetico hanno visto aumentare le proprie fortune al ritmo di 1 miliardo ogni 2 giorni, mentre 1 milione di persone ogni 33 ore rischia di sprofondare in povertà estrema nel 2022.

Di più: nel 2000 i miliardari possedevano/controllavano il 4,4% del Pil globale, ora il loro possesso/controllo è salito al 13,9%.

Ma controllare/possedere tali quote del Pil mondiale significa in realtà controllare/possedere la vita delle persone.

La ricchezza di Elon Musk.

E ancora: dal 2019 la ricchezza di Elon Musk – quello che per alcuni (neoliberali) è un imprenditorie visionario, un paladino della libertà di espressione (volendo comprare Twitter, ma forse ci sta ripensando) e un libertario (e poco importa che dichiari di voler votare per i repubblicani integralisti e antiabortisti) è cresciuta del 699%.

 Di più, secondo Oxfam – confermando la tesi di “Stiglitz “richiamata sopra – nel Club dei miliardari del mondo sono contemplati quasi 2.700 soci (ma le stime non sono univoche e i dati potrebbero essere sbagliati per difetto), aumentati del 27,3% (in cifra: + 573) dall’arrivo della pandemia.

Sempre nei due anni di Covid-19, la crescita dei prezzi di energia e beni di prima necessità, ha invece fatto aumentare i poveri di oltre 260 milioni di individui.

La pandemia miglior periodo di sempre per le big tech.

Questo mentre il settore delle nuove tecnologie – Apple, Microsoft, Tesla, Amazon e Alphabet – ha quasi raddoppiato gli utili tra il 2019 e il 2021, per un totale di 271 miliardi di dollari.

Amazon li ha addirittura triplicati.

Ovvero, per i super ricchi, la pandemia è stata uno “dei periodi migliori della storia”, come sintetizza il “Rapporto dell’Oxfam”.

Più che di guadagni secondo il Wef, si tratta dunque in realtà di una perdita secca e drammatica per tutto il sistema sociale globale.

Ma nessuno grida allo scandalo, tanto siamo integrati nel sistema che produce queste disuguaglianze e la crisi climatica;

 tanto siamo stati tutti convinti (dall’ideologia neoliberale e da quella delle nuove tecnologie), che non ci sono alternative e che nostro compito/dovere di bravi sudditi (come produttori e consumatori e come generatori di dati) è solo e unicamente quello di adattarci alle esigenze della rivoluzione industriale e del capitale, come sintetizzava già nel 1938 uno degli ideologi del neoliberalismo oggi appunto diventato egemone, cioè l’americano “Walter Lippmann”.

E questo sono stati appunto gli ultimi trent’anni di neoliberalismo:

la costruzione paziente ma progressiva del nostro adattamento (senza più avanzare pretese di cambiamento, senza più conflitti sociali, dimenticando concetti come equità e giustizia sociale – e oggi anche ambientale – e quello di Progresso) alle esigenze della rivoluzione industriale (della quarta, ma che in realtà è uguale alla prima, a parte il digitale che sembra innovativo, ma non ne cambia l’essenza).

Un adattamento dell’uomo e della società alle esigenze delle imprese generato (anche o soprattutto con la complicità delle socialdemocrazie, totalmente cieche davanti al capitalismo e alla tecnica come razionalità strumentale/calcolante-industriale) attraverso l’imposizione dei processi di flessibilizzazione e precarizzazione dei mercati del lavoro e di liberalizzazione dei movimenti di capitale, della libertà di delocalizzazione delle imprese arrivando alle piattaforme digitali (la nuova forma della fabbrica) e alla perdita della privacy (necessaria alla costruzione del Big Data) arrivando al green-washing e all’illusorio resettaggio del capitalismo (promosso sempre dal Wef).

 Il tecno-capitalismo è così diventato – molto più del vecchio capitalismo – una forma di vita totalmente omologata e – come direbbe “Herbert Marcuse” – ancor più unidimensionale, nei modi di vivere e di pensare e non solo di lavorare e consumare.

Realizzandosi la piena colonizzazione antropologica dell’uomo (concetto che riprendiamo da filosofi e sociologi come “Habermas”, “Gorz” e “Bodei”) da parte del capitale e della tecnica.

Il complesso militare-industriale.

Non solo.

Mentre viene di fatto combattuta da anni – come ha scritto “Papa Bergoglio” – una terza guerra mondiale a pezzi, con crimini, massacri e distruzioni per lo più invisibili, la spesa militare mondiale è raddoppiata dal 2000 al 2021 arrivando a 2.113 miliardi di dollari secondo il “Sipri”, poi cresciuta ancora dopo la crisi ucraina.

È il potere specifico del complesso militare-industriale – e ricordiamo che il termine venne usato per la prima volta dal Presidente americano” Eisenhower” per allertare il popolo americano sul pericolo implicito negli accordi segreti fra potere politico, industria bellica e militare del paese – cui oggi si è potentemente aggiunto il potere tecnologico e finanziario.

E poiché il mercato punta alla massimizzazione del profitto (di potenza degli Stati, ma anche e sempre più delle stesse imprese del complesso militare-industriale e di quello statale-industriale-finanziario), è ovvio che più guerre ci sono – meglio se nascoste o a bassa intensità mediatica (pensiamo a quelle, oggi, per il controllo delle materie prime legate al digitale) ma quando serve anche ad alta intensità mediatica, come per l’Ucraina – maggiore è ovviamente il profitto privato per il capitale e la potenza degli Stati.

Perché anche le armi, sempre più spinte dall’evoluzione (sic!) tecnologica, come ogni altra merce vengono prodotte per essere consumate, cioè usate in qualche guerra; e non usarle – e non farne crescere il business – per il sistema e per le imprese belliche è un riprovevole tempo morto che deve essere – secondo la razionalità strumentale/calcolante del sistema – possibilmente ridotto a zero, la pace essendo di fatto un intralcio e una limitazione da rimuovere.

E di nuovo, questi vent’anni sono stati per il sistema tecno-capitalista “uno dei periodi migliori della sua storia”.

 

A questo possiamo aggiungere chi specula – sempre il capitale/capitalismo – anche sulla fame.

Anche qui, qualche dato, per aggiungere altre tessere al puzzle.

Alla più grande borsa dei cereali in Europa, quella di Parigi, nel 2018 circa un quarto dei contratti alimentari che venivano stipulati erano di natura speculativa, mentre oggi sono i tre quarti.

 Cioè il capitale gioca sui futures, e a farlo sono soprattutto gli investitori istituzionali come i fondi pensione.

Ovvero, come ha sostenuto “Olivier De Schutter”, relatore speciale dell’Onu sulla povertà estrema e i diritti umani, i fondi “scommettono sulla fame e peggiorano la situazione”.

Ci sarebbe da inorridire, se fossimo persone dotate di etica e di senso della giustizia, e invece il sistema prosegue indisturbato a massimizzare i propri profitti e quelli degli investitori.

E infatti quando, come nel 2007 – ricordano “Margot Gibbs”, “Thin Lei Win” e “Sipho Kings” – “si verificò un’altra crisi dei prezzi alimentari, le autorità di controllo in Europa e negli Usa entrarono in azione.

 Ma il settore rispose con una intensa attività di lobby e azioni legali.

Normative che già prima non incidevano molto sono state modificate nel 2020 per essere ancora meno efficaci.

Di conseguenza, il cibo costa di più e ci sono pochi modi per impedirlo.

Nel frattempo, pochi fanno profitti mentre molte persone soffrono la fame”. Questo mentre oggi le riserve globali di cereali sarebbero superiori di un terzo rispetto a quanto necessario per nutrire tutti.

Conclusioni.

“Immanuel Kant”, molto tempo fa (1795) ci invitava a costruire la pace perpetua.

Noi stiamo invece continuando a costruire ogni giorno la guerra perpetua.

Guerra militare contro i popoli del mondo (e oggi anche – e di nuovo – tra popoli europei) e guerra tecno-capitalistica – cos’è la concorrenza economica e tecnologica, cos’è la finanza, cosa sono le multinazionali se non una guerra civile individuale e industriale diventata globale e normale? – contro l’uomo e la biosfera.

È tempo forse di riprendere Kant e di provare a immaginare una pace perpetua con noi stessi, con gli altri e soprattutto con la biosfera e le future generazioni.

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