Un mondo in guerra per la supremazia.

 

Un mondo in guerra per la supremazia.

 

 

Brics. Speranze e timori

per la pace nel mondo.

 

 Unimondo.org – Laura Tussi – (27 Settembre 2023) ci dice:

 

Brics, 'mattoni' per costruire una casa mondiale comune.

All’ultimo vertice Brics che si è tenuto dal 22 al 24 agosto 2023 in Sudafrica hanno partecipato 44 capi di Stato e governo e sei nuove nazioni sono state ammesse in questa coalizione.

I paesi ammessi sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Argentina, Iran, Etiopia.

E gli Stati hanno partecipato perché interessati ufficialmente a una futura adesione a questa nuova realtà costituita.

Attualmente sono state inserite sei nuovi nazioni e la parola d’ordine in questo consesso è stata de-dollarizzazione.

È chiaro che le potenze all’interno dei Brics, con in testa la Cina, vogliano prendersi nuove fette di mercato cercando di depotenziare il monopolio e economico e commerciale del dollaro.

Una forte moneta unica per spodestare il dollaro.

In parte questo già avviene tramite lo scambio tra monete nazionali dei Brics. L’intenzione futura è creare una forte nuova moneta unica di scambio.

 Un mondo multipolare dove non esiste uno stato regolatore insomma uno sceriffo, ma accordi tra paesi liberi di scegliere la moneta di scambio.

Con la volontà di ridare a materie prime e manufatti la supremazia rispetto alle attività finanziarie, ridisegnare la struttura del mondo valorizzando il lavoro.

Chiaramente una nuova forza economica di tale portata rappresenta una alternativa al “Fondo Monetario Internazionale”, ma che al contrario si pone apparentemente in modo migliore, più equosolidale senza mettere davanti a tutto la propria potenza militare.

Brics e nucleare?

Anche se sappiamo che alcuni di questi paesi Brics detengono comunque l’arma nucleare.

Il “nuovo ordine mondiale” si sta delineando e costituendo.

 Spetta a noi attivisti per la pace e ecopacifisti e antifascisti mobilitarci per esercitare pressioni affinché questo evento non diventi causa scatenante di ulteriori guerre e conflitti armati che a questo punto rappresenterebbero un pericolo estremo per la sopravvivenza ultima dell’intera umanità.

Nel corso dei secoli e dei millenni si sono sempre susseguiti nella storia del genere umano alleanze e imperi che imponevano anche dittature molto cruente e forti.

La follia umana ha sempre stretto coalizioni per militarizzare e muovere guerre, per potenziare monopoli e prepotenti e prevaricatrici estensioni di confini territoriali.

Le potenze di supremazia. Lo spettro del nucleare, comunque.

Tutti noi auspichiamo che con i Brics e gli Stati uniti con la Nato, il loro braccio armato, non avvenga questa volontà suprematista.

 Ad esempio l’impero egizio che aveva come caposaldo della propria economia lo sfruttamento e la schiavitù umana è stato soppiantato da una altrettanta cruenta potenza come quella dell’impero romano che di certo non brillava in democrazia.

I movimenti della pace sono l'ago della bilancia?

Dal basso dei movimenti pacifisti nella nostra storia contemporanea dobbiamo schierarci dalla parte del bene e della pace, in quanto come pacifisti non ammettiamo nessuna forma di totalitarismo e dittatura e di imposizione e sottomissione e sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

La violenza strutturale pervade purtroppo l’umanità intera con minacce emergenti che incombono su di essa come l’attività militare che trova il suo epilogo estremo nella deflagrazione nucleare e conflagrazione atomica.

 Ma poi anche la disuguaglianza sociale globale dove una minoranza dei ricchi detiene il monopolio dei beni comuni dei meno abbienti.

Ucraina e il tragico epilogo della fine di tutto.

Altra minaccia è l’attuale guerra in Ucraina che oltre a prospettare la fine ultima dell’Armageddon nucleare produce una grande percentuale di agenti inquinanti dovuti alle attività militari e guerresche che impattano con l’assetto climatico e contribuiscono alla minaccia incombente dei famigerati cambiamenti e dissesti del clima planetario.

"Questo conflitto attuale in Ucraina sta ulteriormente cambiando gli equilibri e gli assetti globali”.

Con gli Stati Uniti che cercano di essere sempre presenti e egemoni in Europa.

Ma i segnali giunti indicano che i Brics vorrebbero contrapporsi a questo tentativo.

Un’alternativa al monopolio statunitense può essere un’opportunità di sviluppo di ampie aree che attualmente risultano essere molto depresse.

La contrapposizione potrebbe sfociare in una drastica spinta dittatoriale e radicalizzazione dei rapporti tra Nato e Stati Uniti contro i paesi come Cina e Russia e altre nazioni.

Per questo si parla costantemente in materia geopolitica internazionale della necessità non di un duopolio, ma di un mondo multipolare e libero dalle armi e dagli ordigni di distruzione di massa nucleari". (Transform, Organo comunicativo della Sinistra Europea, “Il diritto alla pace per superare il duopolio globale”, di Laura Tussi).

La violenza strutturale ispirandoci al pensiero di “Galtung”.

La violenza è inoltre implacabile sui più deboli del nostro pianeta dalle donne, sfruttate e violentate, ai lavoratori con le cosiddette morti bianche che in realtà sono autentici omicidi ai danni degli operai che cercano di vivere con la loro fatica, con il loro talento e con il loro misero reddito.

Quindi i Brics per molta parte della sinistra potrebbero rappresentare un’alternativa mondiale alla dittatura globale e economica e nucleare degli Stati Uniti e della Nato.

Ma tutti noi non possiamo nascondere il nostro comune scetticismo e timore per quanto si sta determinando e delineando nel nuovo assetto globale dove altri potentati vogliono prendere il sopravvento sull’egemonia del controllo planetario.

(Laura Tussi. Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione.)

 

 

 

 

E già una guerra mondiale.

 Agensir.it – (25 Settembre 2023) - Simonetta Venturin – ci dice:

Ucraina:

chi la guerra l’ha vista nella paura degli occhi dei figli, l’ha sentita nelle sirene e nei missili che suonano e deflagrano sopra la testa, nei vuoti lasciati nel quartiere dagli altri in fuga - e non come noi al telegiornale -, ha detto e scritto che "Questa è già una guerra mondiale".

Si tratta dell’autore ucraino “Andrei Kurkov”:

lo ha scritto in uno dei suoi libri, "Diario di un’invasione", in cui racconta l’incredulità di trovarsi costretti a vivere in guerra e le prime scelte a cui la guerra - che invade vite, strade e mente - obbliga.

Lo ha ribadito a Pordenone, in dialogo con i giornalisti, grazie a “Pordenone legge” di cui è stato l’ospite d’onore dell’inaugurazione ufficiale dell’appena conclusa edizione 2023.

 “L’ho definita tale – ha spiegato alla domanda sul perché avesse scritto quella frase – perché l’Ucraina combatte con le armi della Nato e la Russia con quelle dell’Iran.

Considero mondiale questa guerra, perché l’Ucraina è al confine con l’Unione Europea e l’andamento e soprattutto l’esito di questo conflitto preoccupano l’Europa molto più di altri conflitti, come ad esempio quello in Azerbajan.

La considero mondiale perché so che in Russia i politici fin dall’inizio dell’invasione mettono in parallelo questa guerra con il secondo conflitto mondiale e il ritorno del nazismo.

 I russi raccontano di stati europei, come Polonia e Ungheria, pronti ad appropriarsi di pezzi di Ucraina”.

 Mondiale, dunque, perché divide e schiera il mondo.

Noi, dai nostri salotti davanti alla tv, sogniamo soltanto che la guerra abbia fine, ma lo facciamo più debolmente, pur se eravamo stati sinceramente sconvolti dalle distruzioni totali come a Mariupol, dalle uccisioni di civili come a Bucha, dal rapimento di centinaia di migliaia di bambini.

Se anche sul fronte europeo il tema guerra sembra scivolato dai primi posti della classifica dei temi prioritari, il resto del mondo non sta a guardare, né tantomeno la Russia.

Nei giorni scorsi il leader nordcoreano Kim Jong-un è andato ad incontrare Putin e quando due presidenti, entrambi maestri nel minacciare il mondo intero con lo spettro nucleare, si accordano non c’è da stare tranquilli.

C’è chi legge in questo storico appuntamento la debolezza della Russia spinta dal bisogno di armi.

Ma incontri di tal portata non possono lasciarci tranquilli:

 da un lato per i due interlocutori disposti a tutto per la loro supremazia, dall’altro perché il mondo si va sempre più dividendo in opposte fazioni tra chi è con e chi è contro Putin, ma – rovesciando la medaglia – ha pure rivelato che ci sono un gruppo di paesi che aiutano la Russia nella guerra in Ucraina soprattutto per combattere gli americani.

E dalle opposte fazioni nascono guerre non colombe di pace.

In un mondo che è pure alle prese con catastrofi (il terremoto in Marocco con le sue 2.901 vittime accertate e l’alluvione in Libia che ne fa temere 20mila) il sogno della pace sembra dunque sbiadire.

L’unico su questa terra che incessantemente prova a ordirla con trame di dialogo è papa Francesco che manda per il mondo il cardinale Zuppi.

 Dopo Kiev, Washington e Mosca, la settimana scorsa il cardinale è arrivato a Pechino e – si dice – di un suo possibile ritorno nella capitale russa.

 Sono passi avanti su un cammino di cui non si vede al momento la fine.

 

 

 

 

Chris Miller: "La guerra dei chip

è molto più di una lotta per

 la supremazia tecnologica."

  Repubblica.it - Alessio Jacona – (03 SETTEMBRE 2023) – ci dice:

 

Chris Miller: "La guerra dei chip è molto più di una lotta per la supremazia tecnologica."

All'IFA di Berlino l'autore di “Chip War: The Fight For The World’s Most Critical Technology” parla del controllo della produzione di semiconduttori. E di come dietro ci siano manovre che hanno un peso in campo politico e militare.

«Quando una persona normale pensa ai microchip, di solito ha in mente i semiconduttori che fanno funzionare lo smartphone, il PC oppure i veicoli a guida autonoma.

Ma quando invece sono i ministri della Difesa o i militari che pensano ai semiconduttori, si stanno chiedendo come li utilizzeranno nella guerra del futuro».

Sul palco dell’IFA di Berlino, “Chris Miller “parla velocemente, eppure riesce a scandire ogni singola parola:

da oratore navigato, vuole sfruttare a fondo il tempo a disposizione, ma anche assicurarsi che i presenti capiscano tutto, quale che sia la loro nazionalità.

Del resto, la posta in gioco è alta:

far capire perché esiste, come funziona e cosa comporta quella che lui chiama “guerra dei microchip”, a cui ha dedicato un saggio intitolato “Chip War: The Fight For The World’s Most Critical Technology”.

Il libro economico dell’anno 2022, almeno secondo il “Financial Times”.

La guerra di cui parla “Miller”, che è professore presso “The Fletcher School alla Tufts University di Boston” (Massachusetts), non è solo una semplice competizione tra aziende tecnologiche per il controllo del mercato:

con “Chip War” identifica una lotta senza quartiere in corso tra le nazioni per assicurarsi la disponibilità di chip, microchip e dei materiali semiconduttori che servono per produrli. 

Un conflitto silenzioso, aggravato dalla recente pandemia, che vede in prima linea Stati Uniti, Giappone, Corea, Taiwan e Paesi Bassi (cioè gli unici 5 Paesi che insieme costituiscono la lunghissima filiera per produrre i microchip più avanzati), che sta plasmando e trasformando gli equilibri economici dell'intero pianeta, e dove in gioco c’è il primato politico e militare globale dei prossimi decenni.

«Il mondo intero oggi si erge su fragili fondamenta costituite da migliaia e migliaia di chip di silicio - dice infatti “Miller “.

Quello che vorrei suggerirvi è che l'industria dei semiconduttori è sempre più politicizzata, in quanto la concorrenza tra Paesi ha un impatto sull'intera industria elettronica».

La guerra hi-tech.

Per capire di cosa stiamo parlando e cosa c’è in gioco, servono esempi.

Miller ne sceglie due:

 la guerra (quella vera, in Ucraina) e la gara in corso per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.

 Partiamo dalla prima:

Miller ci ricorda che la produzione di chip negli anni ‘50 e ‘60 è iniziata proprio per realizzare i sistemi di puntamento e navigazione dei missili.

«Oggi diamo per scontato che i militari possano premere un pulsante e far volare un razzo per centinaia di chilometri colpendo un bersaglio con una precisione quasi perfetta – ricorda - ma questo è possibile solo grazie a moltissimi microchip e semiconduttori presenti nei missili stessi, così come nei satelliti che trasmettono dati di puntamento e nei sistemi che li guidano.

E se si guarda ai conflitti geopolitici che oggi scuotono il mondo, si scopre che i semiconduttori svolgono un ruolo centrale in ognuno di essi».

Per sostenere la sua tesi, il professore prende ad esempio la guerra tra Ucraina e Russia, dove la prima ha tenuto testa alla seconda sia perché è riuscita a mantenere sempre in funzione le comunicazioni digitali (in parte grazie anche ai satelliti Starlink di Elon Musk), sia perché poteva contare sui missili anticarro Javellin e sui più avanzati Himars, che hanno una gittata di circa 80 km e arrivano dietro le linee nemiche:

 «In altre parole, la guerra tra Russia e Ucraina fino oggi è stata definita in molti modi dai semiconduttori, chip e microchip presenti nei sistemi militari utilizzati da entrambe le parti», spiega Miller.

 È primato tecnologico dato dall’accesso alla produzione di chip che si trasforma in primato militare:

un monito per tutti i paesi del mondo.

L’altro esempio prende in considerazione la competizione globale in corso per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale:

«Negli ultimi dieci anni, la mole di dati utilizzati per addestrare i sistemi di intelligenza artificiale più all'avanguardia è raddoppiata ogni sei-nove mesi, con un tasso di incremento straordinario.

 Che cosa ha permesso di migliorare maggiormente i sistemi di IA?

 La qualità dei dati? L’abilità degli ingegneri più intelligenti?», si chiede Miller.

La risposta è un’altra:

«Questo progresso lo dobbiamo al fatto che grazie alla “Legge di Moore”, secondo cui i chip raddoppiano le performance ogni due anni, oggi i sistemi di IA hanno accesso a una potenza di calcolo 16 volte superiore a quella di un decennio fa». Insomma, dipende tutto dall’hardware.

 

Il problema, nonché la fonte delle crescenti tensioni geopolitiche alla base della “Chip War”, è che proprio l’hardware inizia a scarseggiare.

Da una parte, perché i chip più avanzati sono difficili da produrre:

serve una macchina chiamata “Litografia ultravioletta estrema” (Euv, Extreme ultraviolet lithography), che viene prodotta solo dall’azienda olandese Asml ed è il macchinario più complesso mai costruito nella storia umana.

Una fucina che richiede centinaia di migliaia di componenti, che impiega uno dei laser più potenti mai impiegati in un dispositivo commerciale e che, al suo interno, «polverizza minuscole sfere di stagno a una temperatura circa 40 volte superiore a quella della superficie del sole».

Dall’altra parte, Stati Uniti, Giappone, Corea, Paesi Bassi e Taiwan, che insieme hanno il monopolio assoluto nella produzione dei microchip più avanzati, hanno compreso il valore strategico di queste tecnologie, e ora stanno limitando l’esportazione sia dei chip, sia degli strumenti e delle competenze per produrli. 

Soprattutto verso la Repubblica Popolare Cinese, che in questo settore è rimasta indietro nonostante i miliardi e miliardi di dollari investiti nell'ultimo decennio.

Il nodo di Taiwan.

Una scelta comprensibile da parte di chi ha interesse a contenere l’espansione della Cina, ma che inevitabilmente surriscalda un altro fronte della “Chip War globale”: Taiwan.

Dove si trova la “Taiwan Semiconductor Manufacturing Company”, o TSMC, che da sola produce circa il 90% dei processori più avanzati al mondo (il restante 10% viene dalla Corea del Sud), inclusi quelli utilizzati per l'addestramento dei sistemi di intelligenza artificiale.

Da sempre oggetto delle rivendicazioni territoriali di Pechino, oggi l’isola fa ovviamente ancora più gola alla Cina, che potrebbe colmare in un soffio il proprio ritardo tecnologico conquistandone il controllo. 

«Immaginate le implicazioni geopolitiche ed economiche a livello globale se l'industria dei chip dovesse trovarsi ad affrontare il blocco dell'isola», sottolinea infatti il professore.

Uno scenario tutt’altro che improbabile, come conferma il fatto che l’industria sta già cercando soluzioni per adattarsi al nuovo, drammatico scenario:

 «La minaccia militare cinese a Taiwan, che aumenta a ogni nuova esercitazione militare, sta spingendo i colossi dell’hi-tech a spostare l'assemblaggio di PC, server e componenti in altri paesi a partire dal Vietnam, che è stato il maggior beneficiario di questo nuovo contesto, all'India, alla Thailandia, al Messico.

L'industria sta mutando rapidamente, e così anche i flussi di investimento», conclude il professor Miller.

 Insomma, la guerra dei chip è solo all’inizio.

 

 

 

 

Guerra, ecco come la Russia ha perso

la supremazia nella disinformazione.

Agendadigitale.eu – Antonino Mallamaci (avvocato) – (17-3-2022) – ci dice:

Nella guerra che sta sconvolgendo l’Ucraina e terrorizzando il globo, la celebre abilità della Russia di manipolazione della realtà non è riuscita a disinnescare la condanna quasi universale dell’invasione.

Cosa è andato storto?

 

“Fake news” guerra.

Una delle fotografie più celebri dell’epoca sovietica raffigura Lenin che, dal palco, arringa la folla.

Ai piedi del podio, si vedono “Trockij”, e “Kamenev”, quest’ultimo altro stretto collaboratore di Lenin.

 La foto circolava ancora nella sua versione originale in occasione del decimo anniversario della Rivoluzione, nel 1927.

Negli anni Trenta, invece, in piena dittatura stalinista, essa venne ritoccata e “Trockij” e “Kamenev” scomparvero:

entrambi, infatti, erano ormai caduti in disgrazia e Stalin li aveva privati di ogni carica all’interno del partito.

“Kamenev” sarebbe stato condannato a morte (dopo un processo farsa) nel 1936, mentre” Trockij” sarebbe stato assassinato nel 1940 in Messico.

Questo celebre esempio di manipolazione della realtà dimostra che quella a fini politici ha in Russia una tradizione ben radicata.

Col tempo, la disinformazione si è adeguata ai mezzi a disposizione, e lo Stato nato dalle ceneri dell’URSS si è guadagnato sul campo una certa fama in questo settore.

Fama meritata?

O amplificata dalla mancanza di un contrasto serio da parte del resto del mondo?

Indice degli argomenti:

L’isolamento internazionale della Russia.

Il fallimento della campagna di disinformazione russa.

La controffensiva Usa.

Disinformazione russa: i precedenti illustri.

Il ruolo delle organizzazioni hacker.

Le proteste in tutta la Russia contro la guerra e la risposta di Mosca.

Conclusioni.

L’isolamento internazionale della Russia.

Nella guerra che in questo periodo sta sconvolgendo l’Ucraina e terrorizzando il globo terrestre e i suoi abitanti per le minacce esplicite, lanciate da Putin, di ricorso alle armi nucleari, questa invidiabile (o esecrabile, dipende dai punti di vista) abilità non è riuscita a disinnescare la condanna quasi universale dell’invasione.

 Anche le aziende tecnologiche hanno voltato le spalle alla Russia, mentre moltissimi militanti digitali hanno agito contro obiettivi russi.

 Tuttavia, gli sforzi Putin per controllare le informazioni all’interno del suo paese e impedire alla sua stessa popolazione di rivoltarglisi contro, potrebbero ancora avere successo.

La disfatta della comunicazione russa, almeno all’estero, è plasticamente dimostrata dall’Assemblea generale dell’ONU, dove 141 paesi hanno votato per condannare l’attacco e un comitato ha approvato in modo schiacciante un’indagine su presunte violazioni dei diritti umani della Russia in Ucraina.

I membri dell’Assemblea hanno votato 141 contro 5 per condannare la “operazione militare speciale” in Ucraina e affermare che nessun guadagno territoriale derivante dall’uso della forza sarà riconosciuto come legale.

La risoluzione, dalla quale si sono astenuti 34 paesi tra cui Cina e India, ha anche espresso “grave preoccupazione” per gli attacchi alle strutture civili e per le vittime civili.

 Le risoluzioni dell’Assemblea generale possono inviare un messaggio sulla posizione dei leader mondiali, ma non hanno forza vincolante.

Ciò a differenza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, composto da 15 membri, 5 dei quali permanenti con diritto di veto.

Tra questi ultimi la Russia, che ha utilizzato quest’arma per bloccare una risoluzione che le avrebbe richiesto il ritiro dall’Ucraina.

 L’isolamento della Russia si è appalesato ancora nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, dove 32 dei 47 membri hanno votato l’avvio di un’indagine sulle violazioni commesse nella guerra in Ucraina e per individuarne i responsabili.

Solo la stessa Russia e l’Eritrea hanno votato contro, mentre 13 paesi si sono astenuti (tra i quali i tradizionali sostenitori di Mosca: Cina, Venezuela e Cuba).

 Il Consiglio di Ginevra ha anche condannato “con la massima fermezza le violazioni dei diritti umani e gli abusi e le violazioni del diritto umanitario internazionale nell’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina”.

La decisione del Consiglio comporta la creazione di una commissione d’inchiesta internazionale indipendente “per indagare su tutte le presunte violazioni e abusi… nel contesto dell’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina”.

 

Il fallimento della campagna di disinformazione russa.

Da ciò, dunque, si evince chiaramente come i messaggi di Mosca non si siano rivelati convincenti di fronte al flusso di immagini e video che mostrano la brutale guerra in Ucraina, come ha affermato “David Kaye”, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione:

“Le immagini che riceviamo dall’Ucraina, i social media, e lo sforzo di comunicazione che Zelenskyy ha intrapreso, sono determinanti nel rendere più facile per i diplomatici isolare la Russia.”

Il fallimento della campagna di disinformazione è in netto contrasto con le passate campagne di guerra ibrida dove erano state abilmente utilizzate tattiche informative per evitare un efficace contrasto globale, ad esempio quando la Russia si è impadronita della Crimea o ha provocato il precipitare della situazione nel Donbass.

 Questa volta le dimensioni dell’operazione e i mesi di preparativi per l’invasione al confine ucraino hanno reso impossibile che si replicasse lo stesso copione.

In effetti, non c’è modo di oscurare il combattimento nella zona grigia quando si sta lanciando un’invasione convenzionale che coinvolge 190.000 soldati.

 

La controffensiva Usa.

Il fallimento è in gran parte dovuto agli sforzi degli Stati Uniti per evidenziare le operazioni sotto falsa bandiera prima che si verificassero, dando il tempo per costruire una risposta forte e unitaria.

 Per anni, i funzionari americani si sono lamentati del fatto che gli Stati Uniti combattevano con un braccio legato dietro la schiena quando si trattava di condurre una guerra dell’informazione.

Gli avversari sono stati liberi di diffondere menzogne ​​e teorie del complotto, mentre il governo degli Stati Uniti generalmente si sentiva obbligato a rivelare la verità nelle sue dichiarazioni pubbliche (anche se spesso ha cercato di nascondere una cattiva condotta).

Per la Russia è stato facile trasmettere propaganda negli Stati Uniti, spesso tramite i social media, come è stato più difficile per le informazioni indipendenti penetrare in spazi mediatici più strettamente controllati in paesi come Cina, Corea del Nord e Russia.

 Con l’escalation della crisi in Ucraina, l’amministrazione americana sembra aver sviluppato una tecnica efficace per condurre la guerra dell’informazione.

 Piuttosto che consentire a Putin e compagnia di diffondere liberamente ridicole teorie del complotto anti-russo che coinvolgono l’Occidente e l’Ucraina, l’amministrazione ha scelto di reagire rilasciando rapporti di intelligence sui tentativi della Russia di creare una giustificazione per l’invasione.

Già il 23 gennaio, il governo britannico e quello degli Stati Uniti hanno diffuso i dettagli di un presunto complotto russo per instaurare un regime filo-Mosca a Kiev, indicando un ex membro filorusso del parlamento ucraino come il burattino preferito da Putin.

Il 3 febbraio, poi, l’amministrazione Biden ha rilasciato informazioni su un piano russo per filmare un falso attacco sul territorio russo o su persone di lingua russa nell’Ucraina orientale per motivare l’attacco. 

Secondo il portavoce del Pentagono, John Kirby, sarebbe stato realizzato “un video di propaganda con cadaveri e attori abbigliati a lutto, immagini di luoghi distrutti, nonché attrezzature militari che sarebbero state fatte apparire come fornite dall’Occidente”.

Gli Stati Uniti hanno anche rilasciato numerosi dettagli sui movimenti delle truppe russe al confine con l’Ucraina, insieme a valutazioni secondo cui era probabile un’invasione russa.

L’amministrazione ha inoltre condiviso informazioni sul dissenso all’interno dell’esercito russo.

Un alto funzionario statunitense, coperto dall’anonimato, ha spiegato la strategia dell’amministrazione al Wall Street Journal:

“Abbiamo visto molte volte nella storia recente [la Russia] condurre operazioni sotto falsa bandiera e usare la confusione per lanciare un’azione militare. Smascherare questi complotti rende molto più difficile per la Russia eseguirli”.

Visti i precedenti, come la famosa “Smoking gun” tirata fuori per giustificare l’intervento in Iraq, I giornalisti sono scettici nei confronti dell’intelligence statunitense, ma sull’utilizzo da parte russa delle cosiddette operazioni sotto falsa bandiera per giustificare l’aggressione non si può certo dubitare.

Disinformazione russa: i precedenti illustri.

Alcuni precedenti sono indicativi e aiutano a fugare i dubbi.

Nel 1939, l’Unione Sovietica bombardò le sue truppe vicino al confine con la Finlandia per poterla invadere.

Nel 1968, gli agenti del KGB in Cecoslovacchia inventarono di sana pianta una storia di minacce contro l’URSS e affermarono di aver trovato un deposito di armi “Made in USA”, tutto per stroncare la Primavera di Praga con i carrarmati.

Sembra pure che nel 1999 agenti dell’intelligence russa abbiano bombardato condomini russi per giustificare l’invasione della Cecenia.

In Georgia (2008) e Ucraina (2014), le operazioni compiute sono state accompagnate da una copiosa disinformazione, compreso l’uso di “omini verdi”, soldati in divisa verde privi di insegne dell’esercito, per mascherare il ruolo delle forze militari russe.

 Il Cremlino ha persino accusato la CIA per l’abbattimento dell’aereo di linea malese nei cieli di Ucraina nel 2014, compiuto invece dai separatisti sostenuti dalla Russia utilizzando un sistema di difesa aerea russa.

In passato, gli Stati Uniti sono stati colti alla sprovvista dalle operazioni di disinformazione russe.

Smascherare i complotti russi in tempo reale sembra essere una risposta efficace, anche se ciò solleva preoccupazioni sull’esporre le “fonti e i metodi” della comunità dell’intelligence statunitense, mentre i giornalisti si chiedono se ci si possa fidare delle affermazioni del governo degli Stati Uniti.

Nondimeno, i rapporti statunitensi gettano sabbia negli ingranaggi della macchina militare russa e costringono quel governo a chiedersi da dove le agenzie di intelligence occidentali stiano ottenendo le loro informazioni, ipotizzando magari la presenza di traditori.

I rapporti neutralizzano anche la propaganda russa e consentono agli Stati Uniti di cercare di controllare la narrativa, piuttosto che cedere a Putin e ai suoi propagandisti:

data la crescente importanza delle operazioni di informazione nella guerra moderna, non è un risultato da poco e ha già dato i suoi frutti con una notevole unità occidentale di fronte alle minacce russe.

D’altra parte, Putin e i suoi hanno dato prova di goffaggine, contrariamente a quanto ci si aspettava, quando hanno tentato di persuadere il pubblico che le forze ucraine stavano commettendo atrocità nella parte occupata dai russi del Donbas.

Secondo Nika Aleksejeva, ricercatrice capo per i Paesi baltici presso il “Digital Forensic Research Lab” del Consiglio atlantico,

“Era più come un teatro, come filmati davvero messi in scena o piuttosto mal montati”.

 Gli esempi includono “video che pretendevano di mostrare ucraini che bombardavano Donetsk (usando ovviamente esplosioni a tempo) e civili feriti (usando un attore amputato che non si era nemmeno preso la briga di rimuovere completamente la sua protesi)”.

La Russia sta ancora spingendo messaggi sui social media tramite reti di “bot”, ma sembra che non abbiano alcuna efficacia, mentre essa sta anche perdendo la capacità di influenzare il pubblico all’estero attraverso i suoi canali di propaganda “Sputnik” e “Russia Today” (che ha chiuso anche negli USA), entrambi vietati nell’Unione Europea.

Il ruolo delle organizzazioni hacker.

Al fallimento dell’operazione di influenza esterna hanno contribuito certamente le azioni degli hacker contro le agenzie e le organizzazioni russe.

Tra questi, gruppi ucraini che attuano sabotaggi digitali contro ferrovie e rete elettrica.

Gli stessi gruppi hanno distrutto o danneggiato molti siti web governativi e bancari russi, a volte sostituendo i contenuti con immagini violente della guerra.

Una “milizia informatica”, organizzata, pare, da uomini della Difesa ucraina, ha messo insieme più di 1.000 volontari ucraini e stranieri.

Quando si è diffusa la notizia, i “Cyber ​​Partisans” bielorussi si sono offerti volontari per attaccare le ferrovie bielorusse, ree di aver trasportato soldati russi.

 I “Cyber ​​Partisans” hanno disabilitato i sistemi di traffico della ferrovia e bloccato il suo sito web di biglietteria, determinando gravissimi disagi limitando la vendita ai soli biglietti cartacei.

Secondo la portavoce dei “Cyber ​​Partisans”, gli ucraini “stanno combattendo non solo per la loro libertà, ma anche per la nostra. Senza un’Ucraina indipendente, la Bielorussia non ha alcuna possibilità”.

Il gruppo formato dalla Difesa ucraina sta inoltre aiutando l’esercito a catturare le unità russe sotto copertura, che invadono città e paesi, utilizzando la tecnologia di localizzazione dei cellulari.

In azione anche il collettivo Anonymous.

 I suoi tantissimi militanti hanno preso di mira la televisione russa e altri siti governativi.

 

Le proteste in tutta la Russia contro la guerra e la risposta di Mosca.

Nel frattempo, si segnalano proteste in tutta la Russia, ma gli sforzi del governo per ridurre il flusso di informazioni all’interno e all’esterno del paese potrebbero privare i dissidenti del carburante vitale.

Il governo ha rallentato l’accesso a Twitter, bloccato Facebook e intensificato i propri sforzi di propaganda, soprattutto in televisione.

 È stata anche varata una legge che prevede una pena di 15 anni per chi diffonde notizie false, che sarebbero quelle diverse dalla narrazione ufficiale che chiama la guerra “Operazione militare speciale”.

Ancora, l’autorità per le comunicazioni russa ha limitato l’accesso al canale televisivo “Dozhd TV” e alla stazione radiofonica “Ekho Moskvy”, accusati di aver diffuso “informazioni deliberatamente false” sull’assalto della Russia all’Ucraina.

Allo stesso tempo, i tempi di trasmissione per i talk show di propaganda dei canali TV di proprietà del Cremlino sono aumentati, come afferma Nika Aleksejeva. Che aggiunge: “è stato diffuso nella tv statale un video falso, che mostrerebbe le atrocità ucraine, probabilmente rivolto al pubblico nazionale, ciò al fine   di generare titoli per i media di proprietà del Cremlino, per creare attenzione nel ciclo delle notizie e convincere il pubblico interno.

Ciò potrebbe peggiorare il divario generazionale nella percezione russa della guerra, perché è più probabile che le persone anziane ottengano le loro informazioni dalla televisione”.

Nika Aleksejeva teme anche che la chiusura delle aziende occidentali possa ridurre, per i dissidenti, capacità di raccogliere informazioni e di reclutamento. Inoltre, la chiusura di Facebook e di altri siti rende più difficile ottenere informazioni dall’estero, spingendo le persone a guardare la televisione di Stato che diffonde disinformazione.

Conclusioni.

Per concludere, è vero che nella vicenda ucraina la disinformazione di stato russa, senz’altro discendente diretta di quella dell’URSS, ha dimostrato che, se adeguatamente contrastata, non è in grado di ripetere i fasti della Brexit o della campagna presidenziale terminata con l’elezione dell’amico Trump.

È anche vero, tuttavia, che in uno Stato sempre più orientato verso la dittatura senza infingimenti, la propaganda e il distorcimento della verità hanno ancora parecchie frecce al proprio arco.

 

 

Gli Stati Uniti hanno iniziato

una guerra economica per

mantenere la supremazia globale.

Contropiano.org - Zhang Yugui (Chinadaily.Com.Cn) – 4 aprile 2022 – ci dice:

 

Tra tante chiacchiere fondate sulle veline del Pentagono (e, giù per li rami, tutte le “istituzioni subordinate”) vale sempre la pena di cogliere punti di vista alternativi. Naturalmente, non ci possono interessare le “dietrologie” (che combattiamo da sempre), né le letture semplicistiche di un problema complesso come una possibile guerra nucleare.

Abbiamo perciò deciso di tradurre questa analisi – di cui c’è un disperato bisogno, tra tanta “emotività” a costo zero – tratta dal “China Daily” (testata cinese alquanto autorevole, praticamente ufficiale) per informare su come altre potenze del mondo vedono gli eventi attuali.

Non si tratta ovviamente di stabilire quale sia il punto di vista sicuramente “giusto” sul piano politico e morale, ma di sapere cosa sta accadendo e come, con quali attori, per quali scopi.

Questa analisi si concentra inevitabilmente sul mondo finanziario a guida Usa.

Perché quello è il motore ancora funzionante – insieme al complesso militare-industriale – di una superpotenza ormai a corto di argomenti e di appeal.

 

Gli Stati Uniti sono l’unica superpotenza al mondo in grado di creare conflitti regionali o di condurre guerre unilateralmente.

Nel conflitto Russia-Ucraina, l’obiettivo esplicito degli Stati Uniti è quello di tagliare il legame economico tra Russia ed Europa, paralizzare il canale di contatto economico estero della Russia, spezzare l’ancora di salvezza finanziaria internazionale della Russia, ottenere profitti in eccesso sul mercato paneuropeo con costi inferiori e guidare il flusso di capitale globale verso gli Stati Uniti.

Ma il suo obiettivo strategico di fondo è quello di approfondire la dipendenza di altri paesi dall’ordine economico e finanziario guidato dagli Stati Uniti e prolungare il ciclo di egemonia del dollaro USA.

Come tutti sappiamo, sebbene siano ancora la più grande economia del mondo, gli Stati Uniti non sono più potenti come una volta.

Nel 1945 rappresentava il 45% dell’economia globale e il 59% delle riserve auree mondiali e, 77 anni dopo, rimane la più grande economia mondiale e il maggiore detentore di riserve auree globali, ma è diventata una superpotenza economica piena di debiti.

Secondo i dati diffusi dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti il ​primo febbraio, il debito nazionale degli Stati Uniti ha superato per la prima volta i 30 trilioni di dollari, raggiungendo un livello record, e il 15 marzo ha raggiunto i 30,3 trilioni di dollari; il che significa che è stato generato un debito aggiuntivo di 300 miliardi di dollari, solo un mese e mezzo.

D’altra parte, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 7,9% su base annua a febbraio, il livello più alto dal 1982.

 Ciò ha portato la Federal Reserve ad avviare un ciclo di rialzi dei tassi di interesse il 16 marzo.

Il piano di salvataggio economico da 1,9 trilioni di dollari e la sua proposta “Build Back Better World” da 2,59 trilioni di dollari, sono entrambi programmi basati sul disavanzo che creeranno aspettative di inflazione significative e oneri del debito.

 Il governo degli Stati Uniti oggi ha bisogno di più soldi che mai.

In questo contesto, l’amministrazione Biden ha completamente ritirato le truppe statunitensi dall’Afghanistan sotto forti pressioni, ponendo formalmente fine alla presenza militare statunitense nel Paese dopo 20 anni.

Oltre al cambiamento strategico, un’importante considerazione economica della mossa è liberarsi del peso della guerra afgana che ha consumato in media 50 miliardi di dollari all’anno.

Chiunque abbia familiarità con gli affari degli Stati Uniti sa che la guerra è un grande affare.

 Infatti, poco dopo il ritiro militare dall’Afghanistan, il 10 novembre gli Stati Uniti hanno firmato una carta aggiornata per la cooperazione strategica USA-Ucraina, approfondendo la cooperazione bilaterale nei settori della politica, della sicurezza, della difesa, dello sviluppo, dell’economia, dell’energia, dell’istruzione e della cultura, e vincolare l’Ucraina al gioco di scacchi strategico geopolitico degli Stati Uniti.

In un recente articolo per “The Economist”, “John Mearsheimer”, professore di scienze politiche all’Università di Chicago, ha sottolineato che la mossa è stata una delle micce che ha innescato la crisi Russia-Ucraina.

Il complesso militare-industriale e i conglomerati finanziari statunitensi devono essere stati molto eccitati quando è iniziata la guerra.

Infatti, sulla scia della crisi, la Germania ha deciso di acquistare jet da combattimento americani e ha annunciato un budget speciale di 100 miliardi di euro in più per accelerare la modernizzazione della sua difesa.

Si prevede che una parte significativa della massiccia spesa andrà a giganteschi appaltatori come Lockheed Martin, Raytheon, General Dynamics, Boeing e Northrop Grumman.

Dopo lo scoppio del conflitto Russia-Ucraina, gli Stati Uniti hanno immediatamente avviato la loro macchina egemonica istituzionalizzata per strangolare gli interessi economici e finanziari della Russia.

In primo luogo si è unito ai principali alleati per imporre sanzioni economiche e finanziarie alla Russia, per paralizzare i suoi legami economici esterni, interrompere l’ancora di salvezza finanziaria internazionale della Russia e aprire la strada a una “rapina legale” a basso costo di beni russi.

Poco dopo il conflitto, gli Stati Uniti e i paesi del G7 hanno escluso alcune banche russe dalla Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali (Swift) e hanno congelato le attività della banca centrale russa e vietato le transazioni con essa.

Sono state inoltre poste restrizioni alla capacità della Russia di condurre transazioni commerciali in valute comuni di valuta estera.

Successivamente, la Russia è stata costretta a chiudere il mercato azionario e le attività all’estero e le società quotate sono state saccheggiate dai baroni finanziari globali.

Ad esempio, “Sberbank”, quotata a Londra, è stata costretta a chiudere una posizione il 2 marzo, con i prezzi delle azioni che sono crollati del 95% a $ 0,045 per azione dal suo picco di $ 21,63, una perdita di $ 110 miliardi di valore di mercato in un solo giorno lasciandola con soli $ 243 milioni.

Allo stesso tempo, un gruppo segreto di istituzioni finanziarie di Wall Street, esenti da sanzioni, ha acquistato quasi il 40 percento della banca con uno sconto di appena 0,02 sul patrimonio netto, con meno di 100 milioni di dollari.

Ciò significa che i magnati finanziari di Wall Street potrebbero guadagnare centinaia di miliardi di dollari se le sanzioni venissero revocate.

In secondo luogo, gli Stati Uniti hanno cercato di tagliare il legame economico tra Russia ed Europa per intensificare la dipendenza economica dell’Europa dagli Stati Uniti.

Da quando le sanzioni sono entrate in vigore, le ricevute di deposito globali delle società russe sono crollate di oltre il 95% prima della sospensione delle negoziazioni e gli investitori globali in società quotate al di fuori della Russia, la maggior parte delle quali istituzioni finanziarie europee, hanno subito enormi perdite.

Il capitale finanziario statunitense e britannico ha successivamente preso parte a una battuta di caccia all’affare.

Le aziende europee che operano in Russia hanno perso più di 100 miliardi di dollari di valore di mercato nell’ultimo mese.

Inoltre, il governo tedesco ha sospeso l’approvazione per il progetto del gasdotto Nord Stream 2 e gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno vietato le importazioni di petrolio russo.

L’incertezza sull’offerta futura ha portato all’impennata dei prezzi del petrolio e del gas nel mercato internazionale, aumentando le sofferenze dei cittadini europei.

Mentre paesi come la Germania e la Francia erano intrappolati tra il tentativo di porre fine alla loro dipendenza dall’energia russa e l’adozione di misure per attutire il colpo dei prezzi elevati dell’energia, gli Stati Uniti hanno lanciato un’azione congiunta “mirata a rafforzare la sicurezza energetica europea e ridurre la dipendenza dell’Europa dal petrolio russo e gas” apparentemente per alleviare le preoccupazioni dell’Europa.

Ma, in realtà, ha colto l’occasione per esportare gas naturale liquefatto americano in Europa a un prezzo elevato.

Secondo Reuters, le spedizioni di gas naturale liquefatto degli esportatori statunitensi in Europa hanno raggiunto livelli record per tre mesi consecutivi, con prezzi in aumento di oltre 10 volte rispetto a un anno fa.

In terzo luogo, gli Stati Uniti hanno continuato a creare tensioni nel mercato finanziario internazionale e a incoraggiare il flusso di capitali internazionali dall’Europa agli Stati Uniti attraverso aumenti dei tassi di interesse.

Dopo il conflitto Russia-Ucraina, gli Stati Uniti hanno lanciato feroci sanzioni finanziarie per congelare le riserve valutarie della banca centrale russa da 300 miliardi di dollari, provocando l’immediato dimezzamento del tasso di cambio del rublo rispetto al dollaro e l’impennata del tasso di inflazione.

La banca centrale russa è stata costretta ad aumentare il tasso di interesse al 20%. Allo stesso tempo, le tre principali agenzie di rating, a seguito di una serie di bruschi downgrade del rating creditizio delle società russe, hanno recentemente cancellato il rating creditizio del debito sovrano russo e di tutte le società in risposta al quarto round di sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia.

Ciò equivale al blocco diretto del canale di finanziamento del governo e delle imprese russe sul mercato finanziario internazionale.

È stato anche in questo momento che gli Stati Uniti hanno avviato il ciclo di aumenti dei tassi di interesse con il pretesto di combattere l’inflazione e hanno rivelato che avrebbero ridotto drasticamente il bilancio della Fed.

In un momento di incertezza sui mercati globali, gli aumenti dei tassi della Fed segnalano chiaramente la fiducia degli Stati Uniti nella dinamica di crescita endogena del proprio sistema economico e inviano un forte messaggio alle altre economie:

 gli Stati Uniti ancora dominano.

Pur promuovendo la stabilità del mercato finanziario statunitense, il flusso accelerato di capitali globali verso gli USA prolungherà ulteriormente il ciclo dell’egemonia del dollaro USA.

(Zhang Yugui - L’autore è preside della School of Economics and Finance della Shanghai International Studies University.)

(chinadaily.com.cn/a/202204/01/WS6246c83da310fd2b29e54bb2.html)

 

 

 

GUERRA E PACE –

Le tre guerre d’Ucraina.

Unponteper.it – (24 June 2022) – Fabio Alberti – ci dice:

Ci sono tre guerre in Ucraina. Occorre imparare a distinguerle se si vuole capire cosa succede e se si vuole cercare di fermarle.

 La prima, la più visibile, quella su cui i giornali e i politici parlano e commentano, è quella della Federazione Russia contro la Repubblica Ucraina.

 O meglio: del Governo russo, che ha ordinato l’invasione, contro le popolazioni ucraine, che si sono svegliate una mattina con i carri armati sotto casa.

La seconda è una guerra interna tra opposti nazionalismi.

 Il nazionalismo ucraino, che sventola le bandiere e vorrebbe un paese monoculturale cominciando con l’abolizione della lingua del 20% della popolazione come lingua ufficiale e il nazionalismo russo, quello di Putin e quello che invece di democrazia e diritti per tutti le minoranze ha chiesto separazione ed imbracciato le armi.

La terza guerra è quella per il dominio del globo.

È quella tra il cosiddetto occidente che dopo il crollo economico e istituzionale dell’Unione Sovietica ha deciso di lavorare per la supremazia invece che per l’inclusione.

 È quella dell’élite oligarchica russa che vorrebbe ripristinare il bipolarismo, il condominio del terrore.

È la guerra mondiale a pezzi di cui le prime due sono una parte.

Solo nella prima di queste tre guerre possiamo stare da una parte.

 È la parte di chi sta sotto.

Di quelli la cui vita è stata travolta, che dormono nelle cantine o sono scappati, di quelli uccisi a freddo sulle strade o da ordigni sganciati da migliaia di chilometri. Ed è anche la parte dei ragazzi russi, mandati a morire con una divisa indosso e la testa riempita di sciocchezze nazionaliste, bruciati nei carri armati, giustiziati a freddo, calati nelle fosse comuni.

Ed è anche la parte dei disertori, di tutte le parti e che da tutte le parti sono incarcerati e sottoposti al linciaggio morale.

Di questa guerra non c’è che un responsabile.

Nessuna delle circostanze che possono essere richiamate per descrivere il processo, può, nemmeno per un instante, essere addotta a giustificazione.

Né l’accerchiamento militare della Nato, né le violenze contro i russofoni in Donbass, né la presenza di nazisti in Ucraina.

Niente di questo può giustificare la scelta di invadere un paese e promuovere un conflitto armato.

Perché di scelta si è trattato.

Esistono sempre delle alternative, e quella della guerra non è tra queste.

 

Per questo i pacifisti non sono “equidistanti”.

 Per questo chiedono come prima cosa che l’esercito russo si ritiri subito, senza condizioni.

Ma nelle altre due guerre non si può essere partigiani.

Non degli opposti nazionalismi, né di uno dei due pretendenti signori del mondo.

È per questo serve una politica di neutralità attiva dell’Italia e dell’Europa.

Non si può parteggiare con chi vorrebbe un paese etnicamente omogenizzato, purificato nella sua ucrainicità, né con chi ha pensato che la discriminazione subita giustifichi imbracciare le armi e magari farsi un proprio stato.

Questa storia degli Stati-Nazione ha fatto fin troppe vittime negli ultimi due secoli, da quando le élite europee hanno scoperto che l’identità è una potente risorsa politica per prendere e mantenere il potere.

In questa guerra di nazionalismi, occorre stare con chi, nella società civile ucraina e russa, con grande coraggio e sfidando il potere e l’attuale senso comune della gente manipolata dal delirio nazionalistico, continua a lottare contro le discriminazioni e per la costruzione di stati multiculturali, non di stati “nazionali”.

 Per quanto mi riguarda l’ultima parola sul tema l’ha detta “Abdullah Ochalan” dal carcere di” Imrali “dichiarando che per le popolazioni curde, nonostante le discriminazioni subite e finanche il tentativo di genocidio, non serve uno “Stato Kurdo”, ma uno stato democratico, anzi una confederazione democratica in cui tutti possano convivere.

Poi c’è la guerra geopolitica, che si nutre del nazionalismo per manipolare le masse.

È la terza guerra mondiale a pezzi, quella iniziata dagli Stati Uniti dopo il crollo dell’economia e delle istituzioni sovietiche.

 L’”Occidente” decise allora di puntare sulla “Supremazia” che quell’evento le consegnava per renderla permanente a livello politico, economico e militare.

Invece di aiutare la Russia a risollevarsi ed includerla nella casa comune europea, come proponeva Gorbaciov, ha deciso di escluderla, di farle la guerra in “Serbia” mentre la “Nato” la circondava militarmente con la politica delle “porte aperte” e l’allargamento ad est.

 

È la guerra che Putin e l’oligarchia russa hanno deciso di combattere sui corpi degli uomini e delle donne e sul territorio ucraini.

Quei carri armati dicono della velleità di ripristino del potere imperiale che fu prima degli zar e poi dell’Urss.

La rivendicazione di un’”area di influenza” rivela la volontà del ritorno all’equilibrio del terrore e al bipolarismo.

 Anche per l’establishment russo dopo l’89 non può esserci un mondo basato sulla cooperazione tra i popoli, ma deve permanere la spartizione ed è così che si è nutrito un nazionalismo esasperato per coprire la progressiva erosione di diritti e democrazia.

In questo scontro tra chi vuole essere il solo padrone del mondo e chi propone un condominio non si può prendere partito.

 Nasce qui la necessità di una nuova politica estera basata sul concetto di neutralità attiva.

Se non ci fossero le altre due guerre, quella nazionalista e quella geopolitica, il ragionamento di chi vede nella fornitura di armamenti all’esercito ucraino un mezzo per abbreviare la guerra e per ridurre le vittime avrebbe forse un senso.

Ma così non è.

Oggi le armi non servono per far finire la guerra, ma per farla durare all’infinito.

Il prolungamento della guerra per fare dell’Ucraina, sulla pelle degli ucraini e delle ucraine, un nuovo Afganistan in cui impantanare la Russia è l’obiettivo dichiarato degli Stati Uniti al cui disegno egemonico la pace non è utile.

Più armi significano più morti e più sofferenze.

Se si trattasse solo di un confronto Russia/Ucraina sarebbe tutto sommato facile farlo finire.

 I termini di un possibile compromesso sono già noti e sono sul tavolo delle trattative da tempo, ma la dimensione internazionale della guerra impedisce di trovare un accordo.

Lo testimonia la rapidità con la quale il segretario generale della Nato ha prontamente smentito Zelensky sulla Crimea e confermato la volontà di allargamento ad est dell’alleanza militare.

 È la Nato che il 29 e 30 giugno si riunirà nuovamente a Madrid per concludere formalmente il processo di trasformazione in strumento militare del dominio globale dell’Occidente adottando il nuovo “concetto strategico” finalizzato al “mantenimento della supremazia”.

Nuovi e più pericolosi conflitti sono all’orizzonte.

(Fabio Alberti.it)

 

 

 

 

Ri-globalizzazione: dalla supremazia

dell’economia a quella della politica.

Lavoce.info - GIANMARCO OTTAVIANO – (16/02/2023) – INTERNAZIONALE – ci dice:

L’economia mondiale sembra riconfigurarsi in gruppi integrati di paesi affini, sotto la sfera di influenza americana o cinese, in competizione per l’egemonia economica, politica e culturale. Per la Unione europea non sarà un percorso semplice.

La globalizzazione dopo la seconda guerra mondiale.

Un nuovo ordine mondiale si prospetta all’orizzonte e la globalizzazione non sarà più la stessa.

Negli ultimi anni, gli sforzi di molti paesi si sono indirizzati verso la creazione di alternative all’economia globale integrata sviluppatasi a partire dalla seconda guerra mondiale.

 Un processo che ha conosciuto un’ulteriore accelerazione in seguito alla guerra in Ucraina e alle conseguenti sanzioni economiche inflitte alla Russia da parte della comunità internazionale.

A partire dalla seconda guerra mondiale, proprio per contrastare alcune delle cause del conflitto – oltre che naturalmente alcune delle sue conseguenze – vi è stato un movimento internazionale, diplomatico e politico, volto a raggiungere un’integrazione dei mercati dei diversi paesi che fosse globale e multilaterale, vale a dire che non lasciasse fuori nessuno.

Lo si è fatto per due ragioni:

in primo luogo, per una ragione di stabilità, nel senso di cercare di evitare che si creassero blocchi contrapposti;

 in secondo luogo, per una ragione di inclusività, nel senso di evitare che i grandi paesi industrializzati si mettessero d’accordo fra loro in modo mirato, secondo i propri interessi, escludendo dagli accordi quelli in via di sviluppo.

Questi ultimi, dopo la seconda guerra mondiale, erano paesi giovani:

in molti casi ex colonie o stati nati fra il primo e il secondo conflitto mondiale dalla dissoluzione dei blocchi imperiali.

Operativamente, lo sforzo ha richiesto la creazione di importanti organizzazioni internazionali, tra cui la “Banca Mondiale”, il “Fondo monetario internazionale” e, successivamente, l’”Organizzazione mondiale del commercio” (Omc).

Tuttavia, già prima della nascita dell’Omc, molteplici round negoziali avevano messo molti paesi attorno a un tavolo con lo scopo di integrare le diverse economie in una maniera che fosse soddisfacente per tutti.

C’erano ovviamente anche stati che preferivano non partecipare.

In particolare, quelli del blocco sovietico, anche per un’incompatibilità di fondo tra il funzionamento dei mercati e l’economia pianificata;

 e la Cina, un gigante dormiente, che all’epoca interessava poco agli altri attori globali e rimaneva a sua volta focalizzato sul proprio sviluppo interno.

Questa era dunque la globalizzazione nata dopo la seconda guerra mondiale, che ha continuato a svilupparsi nella medesima direzione anche quando il blocco sovietico si è dissolto e le economie pianificate sono diventate economie di mercato, entrando man mano nell’”Omc”.

Al contempo, il dormiente gigante cinese si è risvegliato e ha cominciato a seguire una traiettoria di sviluppo basata su un’economia che è capitalistica, ma controllata dal Partito comunista, e di un’attiva partecipazione alle organizzazioni internazionali.

Risale all’inizio del secolo, più precisamente al 2001, il momento di alto valore simbolico in cui la Cina è entrata a far parte dell’”Omc”.

 

La dialettica Usa-Cina.

È da quel momento che le cose hanno cominciato a cambiare.

 Uno dei principi dell’equilibrio multilaterale è quello per cui gli stati non possono agire in modo isolato;

non possono cioè prendere iniziative unilaterali di aumento dei propri dazi, né possono decidere di ridurli solo a vantaggio di alcuni paesi amici.

Vige cioè un principio di non discriminazione, in virtù del quale, se si decide un’iniziativa nei confronti di un paese membro dell’Omc, la stessa deve applicarsi a tutti gli altri paesi membri.

È il principio generale, benché se vi siano eccezioni notevoli, tra cui l’Unione europea con il suo mercato unico.

Nella dialettica odierna fra Stati Uniti e Cina, da un lato si ha un libero mercato in cui gli attori sono abituati a decidere e muoversi in maniera indipendente, dall’altro un mercato regolamentato da un coordinamento centralizzato e un governo che riesce a essere molto più interventista.

Anche da qui nasce il contrasto fra i due paesi.

Da parte statunitense, c’è poi l’idea che la Cina faccia una concorrenza sleale sui mercati globali, riuscendo a impadronirsi, proprio grazie agli scambi commerciali internazionali, di tecnologie sviluppate in Occidente.

La reazione che si è costruita nel tempo a Washington è quella di un protezionismo dapprima latente e poi sempre più evidente, fino a quando Donald Trump ha dichiarato una vera e propria guerra commerciale alla Cina, utilizzando come armi i dazi sulle importazioni.

 Durante il suo mandato, Trump ha accusato Pechino di appropriarsi delle tecnologie in modo scorretto, e ha messo in atto una risposta di tipo punitivo, volta a impedire le esportazioni fino a quando la Cina non avesse modificato il proprio regime di trasferimento tecnologico e iniziato ad acquistare più merci statunitensi.

 Secondo alcuni osservatori, la guerra commerciale di Trump non sarebbe altro che una risposta, magari antiquata e fuori dalle regole, a un “peccato originale” riguardante le condizioni della partecipazione della Cina nell’Omc, ritenute un po’ troppo à la carte.

L’atteggiamento degli Stati Uniti ha finito per interessare anche partner tradizionali, come l’Unione europea o il Canada, colpiti anch’essi dalle rappresaglie commerciali dell’amministrazione americana.

Diventato presidente, Joe Biden ha trovato in eredità una situazione di protezionismo aggressivo e finora non si è adoperato granché per modificarla.

Nel suo manifesto economico al tempo della campagna presidenziale non si parlava di dazi e ancor meno di un qualunque impegno a rimuovere quelli introdotti da Trump.

A distanza di più di tre anni dall’insediamento di Biden alla Casa Bianca, anche se la retorica americana nei confronti dei partner tradizionali si è ammorbidita, non si nota alcuna particolare discontinuità nella sostanza economica dei rapporti commerciali.

 Basti pensare all’impronta apertamente protezionista dell’”Inflation Reduction Act”.

 Emerge l’intento di ricompattare e riattivare le alleanze, in un quadro in cui gli Stati Uniti sentono forte il bisogno dei propri alleati nel confronto con la Cina.

 Allo stesso tempo, di fronte a eventi come l’invasione dell’Ucraina, le dinamiche economico-commerciali sembrano passare sempre più in secondo piano, diventando strumentali rispetto al piano politico.

L’esito più probabile della trasformazione in corso non sarà però la deglobalizzazione tanto temuta (o auspicata) da molti commentatori, quanto una ri-globalizzazione selettiva:

una riconfigurazione dell’economia mondiale per gruppi integrati di paesi affini. Globalizzazione sì, quindi, ma solo tra amici fidati.

Questo porterà inevitabilmente i paesi ad aggregarsi sotto due principali sfere di influenza – americana e cinese – in competizione per l’egemonia economica, politica e culturale.

Non sarà un atterraggio morbido:

molti paesi, anche nell’Unione europea, non vogliono né possono scegliere nettamente uno schieramento, e ciò sarà origine di frizioni e incomprensioni.

 

(Questo articolo riprende le idee del libro “Riglobalizzazione.” Dall’interdipendenza tra paesi a nuove coalizioni economiche, Egea, Milano 2022; e alcuni contenuti di un’intervista rilasciata a Pandora Rivista in occasione di Dialoghi di Pandora Rivista – Festival 2022 “Democrazia in crisi? Efficacia, fragilità, spiragli”.)

 

 

 

NO, NON È UNA GUERRA!

Opinione.it - Maurizio Guaitoli – (23 ottobre 2023) – ci dice:

 

No, non è una guerra!

Un’operazione di polizia internazionale.

 

Perché si continua a parlare di “Due guerre”?

L’una russo-ucraina alle porte dell’Europa e l’altra che dal 7 ottobre 2023, il “Sabato nero”, contrappone Israele ad Hamas?

Qui, nell’attuale scenario caldissimo del Medio Oriente, si sta parlando di “truppe corazzate con la Stella di Davide” contro kalashnikov, cinture esplosive, razzi più o meno rudimentali e tanto, infinito odio per compensare l’imminente sacrificio di molti miliziani palestinesi.

In campo aperto, a “Tsahal” (l’esercito israeliano) sarebbero sufficienti pochi giorni per eliminare definitivamente la resistenza armata di “Hamas” da Gaza.

Quindi:

quella tra Israele e Hamas “non è una guerra!”, non fosse altro che per una questione di pura simmetria, ma semmai un’attività antiguerriglia (tipica del Sud America), in cui un esercito regolare ha la totale supremazia aerea e la usa per colpire le “basi” dei terroristi, in questo caso (e qui sta il dramma!) collocate all’interno di insediamenti urbani densamente popolati.

Viceversa, quando si parla di Ucraina e Russia, loro sì che sono in guerra, con centinaia di migliaia di caduti da una parte e dall’altra, e un numero enorme di mezzi corazzati e armamenti sempre più avanzati che si confrontano direttamente sul campo.

Invece, l’azione militare di Israele è assimilabile in senso lato a quella che fu messa in atto dalla “coalizione internazionale anti-Isis”.

Si trattò allora di un’operazione di polizia finalizzata a liberare una vasta porzione di territorio siro-iracheno, conquistato con la forza delle armi da un gruppo di terroristi islamici, organizzati in un quasi-Stato autoproclamato dal califfo “Abu Bakr al-Baghdadi”, ma mai riconosciuto da nessun Paese al mondo.

 Mentre, al contrario, lo “Stato di Palestina” è oggi riconosciuto da ben nove Paesi Ue.

 In buona sostanza, l’ingresso imminente dell’esercito israeliano a Gaza può essere tranquillamente equiparato a un’operazione unilaterale di “Polizia internazionale” (in linea ideale non dissimile da quella intrapresa da George Bush in Afghanistan, per farla finita con Bin Laden e Al-Qaeda), per tagliare la testa all’Idra terrorista di Hamas.

 In effetti, dal punto di vista del terrorismo internazionale, quale differenza vedete voi con l’Hamas di Gaza, definito internazionalmente come una formazione politico-terrorista di stampo fondamentalista islamico, che ha dato prova nel “Sabato nero “di non avere problemi a impiegare gli stessi criteri e i mezzi genocidari dell’”Isis”, uccidendo migliaia di civili inermi solo perché “ebrei”?

 

Quale differenza esiste in chi vuole il genocidio degli eredi di Abramo e la loro cancellazione fisica dalle mappe geografiche del Medio Oriente, manifestando le “stesse” ambizioni, scopi e intenti vantati all’epoca (pochissimi anni fa!) dallo Stato islamico?

Allora, perché due pesi e due misure?

Chi risiedeva nello pseudo territorio di quello Stato autoproclamato era una popolazione totalmente solidale con i jihadisti, ne rispettava le regole e voleva vivere in quel sistema teocratico.

Esattamente come oggi la popolazione di Gaza vuole la leadership politica di Hamas, avendolo votato nel 2006 (ma, in base ai sondaggi, i palestinesi della odierna Cisgiordania farebbero lo stesso!) e di cui ne ha accettato senza ribellarsi la dittatura successiva.

Hamas, però, al contrario del monolite puramente islamico dell’Isis, è un Giano bifronte, articolato in un’ala militare e in una sua gemella “politica”.

 Insomma, dove si trova la differenza fondamentale tra l’Isis di ieri e l’Hamas di oggi? Semplice e disarmante: “loro”, i jihadisti, hanno dichiarato unilateralmente una Guerra Santa contro il resto del mondo miscredente;

 mentre la guerriglia eterna dell’Olp e di Hamas si colloca saldamente nel retaggio storico-politico e altamente drammatico della “Questione palestinese”.

Ed è questo enorme “enjeux” politico di risonanza mondiale a concentrare milioni di manifestanti pro-Palestina e Hamas nelle principali piazze delle capitali arabe e mediorientali, cosa mai accaduta nemmeno per piccoli numeri all’epoca dell’Isis.

Ora, quella questione eternamente irrisolta interroga a fondo la nostra cattiva coscienza:

 non fummo forse noi occidentali, Inghilterra in testa a tutti (in quanto aveva la responsabilità post-1945 di gestire la fine del suo protettorato in Palestina), a sabotare assieme agli arabi “la risoluzione 181 dell’Onu del 30 novembre 1947”?

Quella cornice giuridica stabiliva la divisione della Palestina in due Stati, uno arabo e l’altro ebraico, prevedendo altresì il controllo dell’Onu su Gerusalemme e la fine del mandato britannico il prima possibile, e comunque non oltre il 1º agosto 1948. La decisione fu accolta con voto favorevole da 33 nazioni, 13 contrari, tra cui gli Stati arabi, e l’astensione di 10 nazioni.

Lo stesso Regno Unito era tra gli astenuti, rifiutandosi apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, ritenendo che si sarebbe rivelato inaccettabile sia per gli ebrei che per gli arabi.

 E, allora, che senso aveva lasciare che uno dei due contendenti storici prevalesse sull’altro con la forza delle armi nel primo conflitto arabo-israeliano del 1948?

 Ora, quali saranno i costi dell’invasione di Gaza per Israele e per il mondo?

L’Egitto non si riprenderà mai la Striscia dalla quale l’esercito israeliano si è ritirato quasi venti anni fa, a seguito dell’insostenibilità logistica e militare della precedente occupazione.

 Ed è sempre vero che in tempo di guerra bisogna saper coniugare i mezzi con le finalità politiche della guerra stessa.

Ma quello che può essere conseguito sul campo di battaglia dipende dagli scopi del nemico e da ciò che quest’ultimo sarà in grado di mettere in gioco.

 Poiché è chiaro che Israele non potrà trattare con Hamas, rimane l’incognita serissima se Tel Aviv sarà in grado di mettere a segno l’eradicazione dei suoi miliziani dalla Palestina.

 Qualora questo obbiettivo non potesse essere raggiunto, allora il ciclo delle violenze non si arresterà.

Come già accaduto agli Usa in Iraq nel 2003 e in Afghanistan nel 2021, la storia insegna che è estremamente problematico combattere in posti dove non si è benvenuti e per di più le condizioni sul terreno sono particolarmente sfavorevoli, per cui la determinazione a restare è spesso insufficiente.

La vera domanda da porre a Israele ed Hamas è molto semplice:

“Che cosa sperate di ottenere da questo conflitto rispetto a quanto non avete ottenuto prima, dopo altre decine di scontri avvenuti in passato?”.

Se l’assalto di Hamas si fosse limitato al sequestro di ostaggi, senza commettere altre atrocità, allora si poteva sperare in una trattativa per lo scambio di prigionieri, come avvenuto in precedenza.

E, invece, adesso?

Fare della Palestina un nuovo protettorato internazionale e reinsediare per la sua gestione un leader delegittimato come “Abū Māzen”?

Tutto dipenderà dall’esito delle operazioni di terra e da attori internazionali come Iran e Hezbollah.

E l’orizzonte in tal senso rimane sul nero stabile, anche per il prevedibile, notevole numero di “vittime collaterali” palestinesi.

 

 

 

Ucraina, la guerra dei droni:

la supremazia di Kiev rischia

di finire (perché Mosca ora

sa come contrastarli).

Ilmessaggero.it – (11 aprile 2023) – Redazione – ci dice:

Le squadre di droni nelle zone di guerra sono fondamentali per cercare di resistere all’attacco russo. Sembra però che Mosca si sia attrezzata per contrastare i modelli più efficaci: quelli realizzati dal produttore cinese DJI che, teoricamente, sarebbero stati banditi nel Paese.

Le squadre di droni nella zona di guerra di “Bakhmut”, in Ucraina, sono fondamentali per cercare di resistere all’attacco russo.

Sembra però che Mosca si sia attrezzata per contrastare i modelli più efficaci: quelli realizzati dal produttore cinese “DJI”, acronimo di “Da-Jiang Innovations”, una società con sede a “Shenzhen” - e con stabilimenti in tutto il mondo - e che è leader globale nella produzione di droni.

L’azienda produce piattaforme di volo, stabilizzatori per telecamere, ma anche sistemi di propulsione e di controllo di volo.

Il rischio ora è che tra pochi mesi i sistemi non siano più efficaci.

Lo raccontano, al “Guardian”, “Yaroslav e “Maksym”, entrambi di “Kharkiv”.

Si sono incontrati all’ingresso di un ufficio di reclutamento all’inizio della guerra. Nessuno dei due aveva esperienze militari, ma sono entrati a fare parte della “63a brigata ucraina”, che ha combattuto a “Mykolaiv” e che è ora stanziata “Bakhmut”.

La guerra dei droni.

Prima dell’alba azionano i droni:

i DJI Mavic 3 e i DJI Matrice 30T.

Si occupano di metterli in azione e sostituire le batterie:

«In inverno la durata della batteria è di circa mezz’ora», ha raccontato “Maksym”.

Ci sono state giornate in cui si sono dovuti difendere da attacchi durati anche sette ore, durante le quali, grazie ai droni, sono riusciti a dare indicazioni ai soldati ucraini per contrastare l’esercito russo.

 «È terrificante e disumanizzante, osservare la violenza dall’alto e sganciare bombe - ha detto al “Guardian” “Yaroslav” –

Quando guardi i film, pensi di dover provare qualcosa quando uccidi le persone.

Ma in guerra non ci sono emozioni, fai solo quello che devi fare».

I droni sono stati fondamentali anche per aiutare i cecchini a correggere la mira. Se necessario, sono stati attrezzati con armi.

E poi ci sono le riprese: durante il conflitto sono stati realizzati tantissimi video di guerra, poi usati come strumenti di propaganda da entrambe le parti.

 In teoria, i droni “DJI” sono stati banditi in Ucraina e Russia dalla società quasi un anno fa:

l’azienda ha affermato di «detestare qualsiasi uso di questi strumenti per causare danni».

In realtà, però, vengono acquistati in gran numero da Europa e da Stati Uniti e spediti al fronte.

Gli operatori, però, sostengono che i velivoli “DJI” stanno gradualmente diventando meno efficaci a causa delle tattiche adottate da Mosca:

ormai a “Bakhmut” una squadra di droni riesce a coprire solo poche centinaia di metri, mentre prima la portata effettiva era superiore di 10 o 20 volte.

 

 

Il disprezzo per la Terra e i suoi abitanti.

  Cispi.it – (23 Maggio 2023)- Cipsi Onlus - Riccardo Petrella – ci dice:

 

Il 22 aprile prossimo l’ONU celebra la Giornata della Terra 2023.

Tutti gli indicatori mostrano l’entità del disprezzo che i più potenti dominanti del mondo, soprattutto quelli “occidentali”, hanno per la Terra e i suoi abitanti (umani e non).

Prendiamo, innanzitutto, il disastro ecologico e sociale di cui i Paesi più ricchi sono i principali responsabili:

 crescente scarsità di acqua buona per l’uso umano, centinaia di fiumi e laghi importanti stanno morendo, avvelenamento degli oceani, deforestazione, degrado/erosione del suolo, perdita di biodiversità, riscaldamento dell’atmosfera…

Inoltre, da anni denunciamo l’accaparramento delle terre da parte delle grandi multinazionali private del capitalismo globale coloniale e predatorio e le sue nefaste conseguenze, come la militarizzazione dei beni comuni naturali e la finanziarizzazione della natura.

E che dire dei quasi 4 miliardi di persone senza copertura sanitaria, dei 2,1 miliardi di persone senza acqua potabile e dei 4,2 miliardi di persone senza accesso regolare e sicuro all’acqua potabile durante l’anno;

del miliardo di bambini, quasi la metà dei bambini del mondo, ad alto rischio climatico.

Entro il 2040, 1 bambino su 4 vivrà in aree ad alta scarsità d’acqua;

dell’1,7 miliardi di persone prive di un riparo di base;

dei 650 milioni di lavoratori nel mondo che vivono in condizioni di estrema povertà (meno di 3,2 dollari al giorno);

dei 3,6 miliardi di persone che costituiscono la metà della popolazione mondiale più povera e hanno la stessa ricchezza dei 12 miliardari più ricchi del mondo!

 

Questa è la Terra data all’Umanità in eredità da parte dei dominanti che osano ancora pretendere di governare il pianeta.

Questo disastro integrato della vita, è vissuto dai dominanti come un fenomeno inevitabile del progresso, altresì legato, dicono, al lato perverso della natura umana.

Che mistificazione!

Non si può dire che gli abitanti della Terra non abbiano lottato contro questa presunta inevitabilità dell’ingiustizia sociale globale negli ultimi 150 anni.

D’altra parte, sono riusciti ad imporre molti cambiamenti a favore   di una società più giusta e rispettosa della vita.

Tuttavia, dalla fine degli anni ’70, sono stati pubblicati innumerevoli rapporti delle Nazioni Unite e di altre istituzioni internazionali che mostrano un intollerabile peggioramento delle disuguaglianze sociali anche all’interno dei cosiddetti Paesi ricchi e l’enorme divario in termini di poteri decisionali tra i gruppi sociali dominanti e ii miliardi di persone escluse con disprezzo e indifferenza dalla partecipazione alle decisioni riguardanti la vita collettiva.

 Si veda, proprio in queste settimane, l’ultima svolta autocratica in Francia in materia di pensioni.

Eppure l’ultimo rapporto dell’IPCC (marzo 2023) ha lasciato una piccola porta aperta alla possibilità di evitare che la temperatura media dell’atmosfera superi gli 1,5 gradi nel 2040.

 Il rapporto afferma che l’estinzione della vita sulla Terra può essere evitata a condizione di cambiare radicalmente il nostro sistema economico di produzione e di consumo.

 A tal fine, negli ultimi 25 anni, centinaia di milioni di cittadini sono scesi in piazza per chiedere un cambiamento.

Ma le classi dirigenti hanno continuato con le loro piccole e superficiali misure di aggiustamento, mitigazione e adattamento senza alcun cambiamento “essenziale”.

Peggio ancora, se ne fregano della volontà dei popoli della Terra, delle loro proteste e delle loro proposte. 

Negli ultimi mesi, ad esempio, gli Stati Uniti hanno lanciato il loro massiccio programma di trivellazione per l’estrazione di petrolio e gas in Alaska e la multinazionale Total sta realizzando il suo mega-progetto in Africa centrale.

Come se nulla fosse…

Le potenze dominanti non parlano più di decarbonizzazione dell’economia mondiale nel 2050;

 la lotta ai pesticidi si è fermata;

 la salvaguardia della biodiversità è affidata a società private quotate in borsa!

Consideriamo ora la guerra globale in corso.

Qui, il disprezzo per la Terra e i suoi abitanti è ancora più esplicito e cinico.

Perché da più di un anno si continua la devastazione dell’Ucraina, che ha già causato la morte di più di 100.000 persone, la fuga di più di 6 milioni di persone dall’Ucraina, la distruzione dei territori e della vita di centinaia di villaggi e piccole città dell’Ucraina orientale, e ha fomentato un odio terribile tra ucraini e russi, tra russi e americani, tra russi ed europei dei Paesi UE/NATO?

 Rimango stupito e preoccupato per l’enorme ondata di russofobia  in Occidente messa in luce dall’invasione militare russa dell’Ucraina.

Eppure, nessun tentativo diplomatico, né le migliaia di manifestazioni pubbliche in Europa (rare negli Stati Uniti) a favore della cessazione delle ostilità e dei negoziati di pace, né gli innumerevoli appelli per la fine della guerra, compresi gli appelli ormai quotidiani di Papa Francesco (l’unico leader mondiale che non ha perso la speranza in una cessazione delle armi) non sono riusciti a cambiare di una virgola la volontà degli Stati Uniti, dei Paesi della NATO/UE, dell’Ucraina e della Russia di continuare la guerra… fino alla vittoria.

 

Per quanto riguarda il fallimento dei tentativi diplomatici, citiamo quanto riportato da” Michel von der Schulenburg”, ex alto funzionario delle Nazioni Unite, nel suo articolo di questo 17 aprile:

 “Tutti gli sforzi di pace intrapresi sono stati silurati dalla NATO, in particolare dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.

Già nella prima settimana di marzo 2022, l’allora primo ministro israeliano “Naftalii Ben-net” aveva cercato di ottenere un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina.

Secondo le sue recenti dichiarazioni, sia la Russia che l’Ucraina avevano interesse a porre rapidamente fine alla guerra.

Secondo Bennet, il cessate il fuoco era “a portata di mano” grazie alle concessioni russe.

Ma non è successo, perché loro (gli Stati Uniti e la Gran Bretagna) hanno bloccato il cessate il fuoco”. (Investigaction.net/fr/charte-des-nations-unies-la-guerre-en-ukraine-et-notre-engagement-pour-la-paix/.

 

La volontà di continuare fino alla vittoria non è il risultato di un’escalation sul terreno. 

Era presente prima dell’inizio della guerra nella strategia statunitense perseguita dopo il 1989 (collasso dell’URSS) di espandere la NATO verso est, compresa l’Ucraina, fino ai confini con la Russia.

  Come è noto, la Russia aveva ripetutamente avvertito che l’adesione dell’Ucraina e della Georgia alla NATO avrebbe minato i suoi interessi fondamentali di sicurezza e che sarebbe stata superata una linea rossa.

 Questi avvertimenti non sono stati ascoltati.

Sono stati ignorati.

L’adesione dell’Ucraina alla NATO è stata sistematicamente perseguita dagli Stati Uniti e dalla NATO.

Inoltre, non hanno esitato, apertamente agli occhi del mondo, a sostenere nel 2014 il rovesciamento con la forza di un presidente legittimamente eletto (secondo l’OSCE), al fine di insediare in Ucraina un governo favorevole all’adesione alla NATO.

La volontà di andare fino in fondo era presente nella mente di Putin quando la Russia ha lanciato l’invasione militare un mese dopo che l’Ucraina aveva bombardato le regioni russofone del Donbass, che avevano dichiarato la loro autonomia regionale pur rimanendo parte dell’Ucraina.

Si può correttamente affermare che la vera ragione principale (non l’unica!) che ha provocato la guerra in Ucraina e la alimenta attualmente era e rimane la volontà degli Stati Uniti, la prima potenza globale del mondo, di mantenere o addirittura rafforzare, a tutti i costi, il proprio dominio e la propria supremazia mondiale.

A tal fine, gli Stati Uniti sono riusciti a sottomettere tutti i Paesi europei al loro obiettivo, e la NATO, nata originalmente come un’alleanza di difesa “regionale” (atlantica) è diventata un’alleanza militare/economica/tecnologica globale al servizio dell’egemonia mondiale degli Stati Uniti.

Mikhail Gorbaciov, l’ultimo presidente dell’URSS, mal visto dai suoi concittadini perché ha cercato di salvare l’URSS trasformandola profondamente, ha capito e anticipato il grande pericolo.

Parlando pubblicamente agli Stati Uniti, Gorbaciov disse:

“Non crediate che il crollo dell’URSS rappresenti una vittoria degli Stati Uniti sull’URSS, né una vittoria del capitalismo sul socialismo. Il sistema non si reggeva più sulle proprie gambe, a causa dei propri mali. L’URSS aveva bisogno di profondi cambiamenti interni”.

Purtroppo, né gli Stati Uniti né i leader russi che succedettero a Gorbaciov, né gli ucraini né gli europei hanno ascoltare l’ammonimento.

Al contrario, hanno creduto alla vittoria degli Stati Uniti e del capitalismo.

Così, gli Stati Uniti, sotto l’ombrello della NATO e con l’appoggio dei Paesi europei (con l’eccezione della Germania e, non inequivocabilmente, della Francia), hanno portato avanti la guerra contro la nuova Russia, ritenendo che, approfittando del suo indebolimento rispetto all’URSS, si sarebbero sbarazzati una volta per tutte della potenza mondiale rivale e avrebbero così potuto affrontare meglio la guerra contro la Cina, che, secondo gli Stati Uniti, era diventata il loro principale nemico nel mantenimento della supremazia mondiale.

La dichiarazione della guerra tecnologica contro la Cina nell’ottobre 2022 lo conferma.

 La posta in gioco è alta, planetaria, di grande importanza per il futuro.

 È l’intelligenza artificiale.

 Per gli Stati Uniti, la loro sicurezza militare dipende dalla sicurezza “basata sull’intelligenza artificiale”.

 Convinti che la loro supremazia in questo campo sarà un bene per la sicurezza mondiale, ritengono che la supremazia di altri Paesi, in particolare della Cina, sarà un disastro per il mondo, il mondo – dicono – della libertà! 

Che disprezzo per gli altri, e che disprezzo per la Terra e i suoi abitanti.

La realtà è che così facendo gli Stati Uniti impongono al mondo un’agenda globale incentrata sulla loro strategia globale per la supremazia mondiale, che chiamano “la guerra unica”, secondo il principio a loro caro “con noi o contro di noi”.

Mentre è possibile affrontare le politiche di sviluppo dell’”IA “su basi più cooperative, comuni e condivise, infatuati fino al midollo dalla cultura capitalista della rivalità e del dominio del mercato, hanno scelto un atto di pirateria della vita sulla Terra che va condannato con forza, senza “ma” o compromessi.

Gli Stati Uniti sembrano disposti a tutto pur di mantenere la loro supremazia.

Lo hanno dimostrato “ad abundantiam”.

Sono l’unico Paese che ha usato la bomba atomica.

 Secondo i dati del “Congressional Research Service statunitense”, gli Stati Uniti hanno condotto 251 interventi militari in altri Paesi dalla fine della Guerra Fredda, al fine di assumere e mantenere il proprio ruolo di leadership.

 È l’unico Paese al mondo ad avere più di 800 basi militari al di fuori del proprio Paese (Cina e Russia ne hanno solo 3 a testa) e si è rifiutato di firmare più di 59 importanti trattati internazionali.

Ciò che è urgente e necessario in questa Giornata della Terra è una grande iniziativa politica per promuovere un mondo cooperativo (al di là del multilateralismo asimmetrico).

 Condivido interamente la proposta di “Michel  von der Schulenburg” per una rapida convocazione di un incontro straordinario per la pace da parte di governi dell’America latina, dell’Asia e dell’Africa.

 L’incontro dovrebbe chiedere formalmente agli Stati Uniti, ai Paesi della NATO, e dell’Unione Europea, all’Ucraina e alla Russia di cessare i combattimenti e di incontrarsi per negoziare la pace. 

L’incontro straordinario dovrebbe essere l’occasione per gettare le basi di un nuovo periodo di cooperazione e di pace per l’umanità e per la Terra.

 

 

 

5 motivi per cui la libertà

di espressione è importante

in una democrazia.

Liberties.eu – (1° aprile 2022) - Eleanor Brooks – ci dice:

Perché è importante la libertà di espressione? Perché è un principio fondamentale in una democrazia? In che modo viene minacciata? Come possiamo proteggerla?

Cos'è la libertà di espressione?

La libertà di espressione è uno dei pilastri fondamentali che sostengono il processo democratico e proteggerla è essenziale se vogliamo vivere in una società giusta e uguale per tutti.

Non farlo indebolisce la democrazia.

Ogni volta che condividi una notizia sui tuoi social media, partecipi a una protesta o scrivi al tuo politico locale su una questione che ti sta a cuore, questa è libertà di espressione in azione.

Non tutti i discorsi sono considerati liberi.

Per esempio, discutere a tavola se mangiare o meno le verdure non è considerata libertà di espressione.

La libertà di espressione esiste quando i cittadini possono esprimere la loro opinione - comprese le opinioni critiche nei confronti del governo - senza temere conseguenze negative, come il carcere o le minacce di violenza.

Nel 2000 la libertà di espressione è stata sancita come un diritto fondamentale nell'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea:

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.

La libertà e il pluralismo dei media devono essere rispettati.”

Tuttavia, la definizione di libertà di espressione non protegge ogni tipo di discorso.

Come tutti i diritti fondamentali, il diritto alla libertà di espressione non è assoluto, il che significa che può essere soggetto a restrizioni, purché abbiano una base legale.

Le restrizioni devono soddisfare due condizioni:

1) sono proporzionate - le restrizioni non sono più forti del necessario per raggiungere il loro scopo

2) sono necessarie e realisticamente soddisfano obiettivi di interesse generale o sono necessarie per proteggere i diritti e le libertà degli altri.

Quindi, qualcuno che si impegna in forme criminali di espressione, come discorsi di odio, contenuto terroristico o pornografia infantile, non può difendersi invocando il suo diritto alla libertà di espressione.

Perché la libertà di espressione è importante in una democrazia?

Perché è un principio fondamentale?

L'obiettivo della democrazia è di avere una società pluralista e tollerante.

 Affinché questo abbia successo, i cittadini dovrebbero essere in grado di parlare liberamente e apertamente di come vorrebbero essere governati e criticare chi è al potere.

Questo scambio di idee e opinioni non avviene solo una tantum nel giorno delle elezioni, ma è una comunicazione bidirezionale continua che ha luogo durante tutto il mandato di un governo.

1. Permette di lottare per la verità.

Per permettere ai cittadini di prendere decisioni significative su come vogliono che la società funzioni, hanno bisogno di accedere a informazioni veritiere e accurate su una vasta gamma di argomenti. Questo può accadere solo quando le persone si sentono sicure di discutere le questioni che riguardano le loro comunità.

Proteggere la libertà di espressione incoraggia le persone a parlare, il che rende più facile affrontare i problemi sistemici dall'interno. Questo dissuade le persone dall'abusare del loro potere, il che aiuta tutti a lungo periodo.

2. Rende tutti più responsabili.

Quando si tratta di elezioni, i cittadini hanno l'opportunità di chiedere conto ai loro politici. Per decidere chi votare, hanno bisogno di capire quanto bene si è comportato un partito politico quando era al potere e se ha mantenuto o meno le sue promesse elettorali.

Riportando le questioni sociali più urgenti della società, i media e le organizzazioni della società civile (OSC) contribuiscono alla percezione pubblica di quanto bene stia facendo il governo. Tuttavia, questo è utile solo se sono liberi di coprire in modo veritiero storie che sono critiche nei confronti dello stato.

3. Permette partecipazione attiva dei cittadini.

Le elezioni e i referendum sono una buona opportunità per i cittadini di plasmare la direzione della società, ma si svolgono solo ogni due anni.

La libertà di espressione rafforza altri diritti fondamentali come la libertà di riunione, che i cittadini usano per influenzare il processo decisionale pubblico assistendo a proteste, manifestazioni o partecipando a campagne.

Questo permette loro di protestare contro una decisione impopolare, come il divieto di aborto in Polonia, o mostrare al governo che vogliono un'azione politica più forte su una questione importante.

Quando i manifestanti in Germania hanno riempito le strade a centinaia di migliaia per protestare contro la guerra in Ucraina, questo ha inviato un forte segnale al governo che la gente sosteneva dure sanzioni contro la Russia.

4. Promuove il giusto trattamento delle minoranze.

In una società democratica, tutti dovrebbero essere trattati in modo uguale e giusto. Tuttavia, i gruppi minoritari che sono sottorappresentati nel governo sono spesso messi da parte, e le loro opinioni vengono trascurate a favore di quelle appartenenti al gruppo sociale dominante.

Facendo campagne e parlando apertamente dei problemi che riguardano le loro comunità, le persone emarginate possono ottenere un ampio sostegno pubblico per la loro causa. Questo aumenta la loro capacità di influenzare l'agenda pubblica e porre fine agli abusi dei diritti umani.

 

5. È essenziale per il cambiamento e l'innovazione.

Tutti vogliamo che la società diventi migliore per tutti, ma perché questo accada la società ha bisogno di incoraggiare e sostenere la libertà di espressione. I governi autoritari che sopprimono le critiche e trattengono le informazioni di interesse pubblico negano ai cittadini il diritto di prendere decisioni informate o di agire su importanti questioni sociali.

Trattenere informazioni vitali fa sì che i problemi si inaspriscano e peggiorino. Questo ostacola il progresso e rende molto più difficile trovare una soluzione quando il problema viene finalmente alla luce.

In Cina, per esempio, un medico che ha cercato di avvertire la comunità medica di un virus mortale - Covid-19 - è stato invitato a "smettere di fare commenti falsi" ed è stato indagato per "diffusione di voci".

 Questo ha avuto l'effetto devastante di ritardare l'introduzione di misure per contenere il Covid-19, che ha provocato una pandemia globale e milioni di morti.

Quali sono le minacce alla libertà di espressione?

1. Governo.

I governi autoritari, il cui obiettivo principale è quello di rimanere al potere, vogliono assicurarsi che qualsiasi copertura mediatica sia favorevole.

 Per controllare la narrazione pubblica, nominano rappresentanti politici alle autorità dei media ed esercitano il controllo finanziario ed editoriale sui principali media.

 Come riportato dalla nostra organizzazione membro nel nostro “2022 Media Freedom Act”, un esempio lampante è l'Ungheria, dove oltre l'80% del mercato dei media è controllato direttamente o indirettamente dal governo ungherese.

2. Legge.

I governi usano riforme legali restrittive, il controllo della folla da parte della polizia o misure eccezionali di emergenza per limitare la libertà di espressione.

In risposta all’emergenza durante la pandemia Covid-19, paesi come Belgio, Bulgaria, Germania, Slovenia e Spagna hanno limitato in modo sproporzionato l'esercizio del diritto di protestare nell'interesse della salute pubblica attraverso la brutalità della polizia e gli arresti degli attivisti.

Altri strumenti legali usati dallo stato per controllare il flusso di informazioni includono la criminalizzazione della diffusione di informazioni false o la negazione dell'accesso alle informazioni.

In Russia, l'invasione dell'Ucraina è definita da Putin come una "operazione militare" e i russi sanno che usare la parola "guerra" li esporrà alla legge sulle "fake news", che comporta una pena detentiva fino a 15 anni. Come risultato, molti russi che si oppongono alla guerra sono messi a tacere, mentre altri non sono a conoscenza della verità di ciò che sta accadendo.

3. Attacchi a giornalisti, OSC e whistleblowers.

I politici e le figure influenti che temono che i giornalisti espongano il loro comportamento corrotto ricorrono a tattiche sporche ed extra-legali per metterli a tacere.

Strategie comuni includono molestie legali attraverso SLAPP (cause legali strategiche) o campagne diffamatorie volte a screditare le OSC critiche.

I whistleblower hanno subito conseguenze personali devastanti per aver fatto luce su attività contrarie all'interesse pubblico, come la corruzione, le attività illegali o le frodi.

Anche i giornalisti e i difensori dei diritti civili sono sempre più esposti a violenze verbali o fisiche, anche da parte della polizia.

4. Online.

I discorsi di odio o il trolling online possono creare un ambiente digitale ostile che scoraggia le donne e le persone emarginate dal partecipare ai dibattiti sociali online.

Tuttavia, gli sforzi ben intenzionati per affrontare questo problema possono inavvertitamente creare gli stessi effetti di silenziamento.

L'Unione europea sta attualmente spingendo attraverso il “Digital Services Act”, volto a rendere internet un luogo più sicuro e a proteggere la libertà di espressione online.

Tuttavia, la soluzione proposta per eliminare la disinformazione potrebbe avere l’effetto opposto.

Nella nostra lettera agli eurodeputati, abbiamo sconsigliato l'uso obbligatorio di filtri di caricamento per rimuovere i contenuti online dannosi, poiché non sono abbastanza sofisticati per distinguere l’umorismo dall’abuso.

 Se usati, potrebbero limitare la libertà di espressione online.

5. Autocensura.

Quando la libertà di espressione è sotto attacco, si manda il messaggio che dire la verità potrebbe mettere in pericolo.

L'ambiguità che esiste intorno a ciò che è accettabile e ciò che non lo è fa sì che le persone agiscano con cautela, quindi iniziano ad autocensurarsi.

Il nostro “2022 Media Freedom Report” ha rivelato che i giornalisti in Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia, Slovenia e Svezia si sono autocensurati a causa di attacchi o molestie online.

Come proteggere la libertà di espressione?

Per proteggere la libertà di espressione, ci dovrebbero essere leggi per proteggere gli individui e le organizzazioni che sono minacciate per aver denunciato la corruzione o il comportamento non etico.

 I giornalisti, i cani da guardia, gli attivisti e i whistleblower dovrebbero ricevere una solida protezione legale che permetta loro di svolgere il proprio lavoro in sicurezza e li protegga dalle ritorsioni di coloro che vogliono metterli a tacere.

Questo è il motivo per cui “Liberties” sta lavorando duramente per fare una campagna a favore di leggi migliori per proteggere la libertà dei media.

 Il Media Freedom Act (MFA) attualmente in fase di elaborazione da parte della Commissione europea potrebbe fare una vera differenza. Abbiamo inviato alla Commissione il nostro Media Freedom Report che ha verificato lo stato della libertà dei media in 15 paesi dell'UE, così come un documento politico che delinea le raccomandazioni che crediamo il MFA dovrebbe affrontare.

Dovrebbe includere misure per aumentare la trasparenza sulla proprietà dei media e sviluppare regole su come rendere più sicuro il lavoro dei giornalisti.

 

 

 

 

Le stupidaggini della

nuova religione “verde.”

Informazionecattolica.it – Pietro Licciardi – (11/11/2021) – ci dice: 

LE BUFALE AMBIENTALISTE NON FANNO SEMPRE BENE ALL’AMBIENTE MA SPESSO E VOLENTIERI UCCIDONO SIA LA NATURA CHE GLI UOMINI…

L’ecologia e il clima sono ormai la fissazione dell’uomo moderno, la sua nuova religione, e guai a metterne in dubbio i dogmi.

Eppure gli ambientalisti di cantonate ne hanno prese, e continuano a prenderne, veramente tante ma non demordono e continuano a pretendere che tutti noi ci si adegui, svuotando il portafogli a causa di sempre nuove e più esose tasse “ecologiche”, cambiando stile di vita e consolidate tradizioni per omaggiare la mitica “Gaia” e “Pachamama”, che ha ormai fatto il suo ingresso anche dentro il recinto vaticano.

Tutto deve diventare “green”, ecosostenibile, rinnovabile e su che cosa lo è o non lo è non si ammettono dubbi.

Ad esempio, le auto elettriche, su cui l’Europa intende puntare sono ormai universalmente ritenute le più amiche dell’ambiente perché producono poco “CO2”.

Invece l’impatto ambientale, della sua batteria e della ricarica, soprattutto dove questa viene fatta usando combustibili fossili come in Germania, non è poi così “amichevole” dal momento che nel 2019 il centro studi tedesco “CEsifo” ha messo a confronto le emissioni di una “Tesla Model 3” con quelle di un Mercedes diesel di ultima generazione arrivando alla conclusione che, mentre la “Tesla” immette nell’ambiente tra 155 e 180 grammi di CO2 per chilometro, il Mercedes ne immette solo 141.

(È incredibile che oggi alcuni scienziati del clima non sappiano che la “CO2” è più pesante dell’atmosfera e pertanto è un gas che non può permettersi i viaggi spaziali ed arrivare alla reggia dei gas serra! La Greta Thunberg non lo sa, ma non è colpa sua se non conosce certe cose! Occorre che venga dimostrata la non corruzione degli scienziati che fingono di non sapere la verità! N.D.R.).

Un altro mito ambientalista è la produzione di energia mediante fonti rinnovabili, sole e vento innanzitutto.

 Ebbene, a parte lo scarso rendimento dei pannelli solari e delle pale eoliche rispetto alle tradizionali centrali energetiche, per i pannelli esiste il non trascurabile problema che per produrre quantità significative di energia hanno bisogno di enormi estensioni di terreno, sul quale ovviamente non si coltiva un bel niente;

mentre per l’eolico – ogni impianto ha una vita al massimo 25 anni – a parte il solito problema dell’impatto paesaggistico, c’è il problema dello smaltimento a fine ciclo produttivo.

 Gli Stati Uniti prevedono di doverne rinnovare circa 8.000 all’anno nei prossimi quattro anni, l’Europa circa 3.800 all’anno e, dopo il 2022, molte di più.

Le pale delle turbine eoliche di media taglia sono lunghe da 20 a 50 metri e superano i 50 metri nel caso di quelle più grandi.

 La turbina MHI Vestas V164 ha tre pale lunghe 80 metri, ciascuna del peso di 33 tonnellate, è alta 220 metri – oltre due terzi della Torre Eiffel – e pesa 5.900 tonnellate – più di 10 Airbus 380 a pieno carico -.

 La off shore Adwen AD-180 pesa 86 tonnellate e le sue pale sono lunghe 88,4 metri.

Il primo problema, per smaltirle, è portarle via.

Vanno tagliate ma sono fatte di materiali che devono resistere alle difficili condizioni ambientali e climatiche in cui operano e il non facile lavoro di segarle va fatto all’aperto, considerate le dimensioni, usando speciali seghe diamantate che liberano una quantità di microfibre di vetro, resine epossidiche derivate dal petrolio e altri materiali inquinanti.

Una volta fatte a pezzi c’è il problema di che farne.

Per il momento vengono quasi sempre portate in discariche create apposta dove sono interrate per evitare che inquinino l’ambiente.

Ma ciò vuol dire accumulare quantità enormi di rifiuti non biodegradabili.

 Alcune pale in Europa vengono bruciate nelle fornaci che producono cemento o nelle centrali elettrice, ma l’energia che se ne ricava è poca e irregolare e bruciare fibre di vetro inquina.

Passando al altro: quanti si ricordano ancora del famigerato “buco nell’ozono”? Ebbene il “buco” non c’è più perché si è scoperto che le sue cause erano del tutto naturali ma intanto è sparito il “Cfc”, il gas che secondo gli ambientalisti era la causa del flagello.

Ma il “Cfc” era essenziale nell’industria del freddo, che ha a sua volta un’enorme importanza per l’umanità soprattutto nel trasporto e nella conservazione dei prodotti alimentari.

Il ricorso al “Cfc” fu un passo avanti rispetto all’uso di altre sostanze pericolose ed infiammabili.

 

L’ultima crociata dei talebani dell’ambiente è contro la plastica. Sono già riusciti a far scomparire le borse che una volta si usavano per la spesa e siccome quelle “ecologiche” che ne hanno preso il posto non sono buone a niente essendo incapaci di reggere il peso, sono state sostituite da borse sempre di plastica però riutilizzabili.

Ma anche quelle dopo un po’ vanno in discarica e se prima ad essere buttata era, quanto?

30 o 60 grammi di plastica?

Adesso se ne getta un etto per volta e se anche si tratta di borsoni in qualche modo “bio” quanto petrolio è stato bruciato per far funzionare i macchinari che l’hanno prodotta?

Insomma, possiamo dire che queste buste (presunte)” eco” sono quella cosa che con la quale o senza la quale si rimane tali e quali.

 

Ci dicono che anche le bottiglie andrebbero sostituite.

 Non le vogliono di Pet ma di Pla;

entrambi polimeri ottenuti dal petrolio il primo e da un processo agricolo il secondo.

Ma siccome l’ignoranza ambientalista ha deciso che l’agricoltura è natura e che tutto ciò che è natura è buono per definizione, allora viva il” Pla” e abbasso il “Pet.”

 Ma non è natura anche il petrolio?

Ah già.

Le bottiglie di plastica devono sparire perché inquinano gli oceani e per convincerci ecco immancabili le immagini di immense isole di rifiuti che galleggiano in mare.

Ma evidentemente le vestali di Gaia e madre terra non sanno che la plastica è riversata in mare dalle piene dei fiumi e dalle inondazione che periodicamente si abbattono qua e là nel mondo, che questa plastica proviene per lo più da quei paesi che dell’ambiente se ne infischiano e dove la raccolta dei rifiuti è quantomeno approssimativa come pure l’educazione civica degli abitanti, che disseminano le aree urbane di discariche a cielo aperto e che se i rifiuti venissero regolarmente e massicciamente bruciati negli inceneritori non finirebbero in mare.

Così finirà che noi faremo a meno del “Pet” e gli oceani continueranno a riempirsi di plastica mentre qualche bambino africano morirà di fame perché sul quel terreno dove prima coltivavano il necessario per riempirgli la ciotola adesso coltivano i polimeri che sostituiscono il “Pet”.

Ma siccome la stupidità ambientalista è grande almeno quanto la loro ignoranza al posto delle bottiglie in “Pet” ecco arrivare il vetro o, secondo l’ultima moda, le borracce in alluminio.

Ma se per produrre 1000 bottiglie in “Pet” occorrono 100 litri di petrolio, per produrre le stesse in vetro di litri di petrolio ne occorrono 250.

Insomma, ad essere ambientalisti virtuosi si dovrebbe preferire il “Pet” al vetro e anche alle borracce.

Altra battaglia sfortunatamente vinta dagli ecologisti è stata quella contro il “DDT”.

 La conseguenza è stata che là dove la malaria non era ancora stata debellata ha ripreso piede e ad oggi l’”Organizzazione mondiale della Sanità” stima un milione di morti all’anno.

Un’altra ecatombe si ebbe all’indomani del devastante maremoto che nel 2005 devastò le coste dei Paesi del Sud Est asiatico a causa del ristagno delle acque in qui climi caldi, paradiso delle zanzare.

Come scrisse allora il “New York Times” la carneficina fu spaventosa ma ogni anno la malaria uccide 20 volte le persone che sono state uccise dallo tsunami:

perché dunque non tornare a spruzzare il vecchio affidabile DDT?

Il DDT era stato messo al bando nel 1972 dalla “Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense” perché potenzialmente cancerogeno eppure all’epoca un giudice esperto della stessa agenzia aveva certificato la sua innocuità:

«Il DDT non è una minaccia cancerogena per l’uomo», aveva scritto, «Il DDT non è una minaccia mutagenica o teratogenica per l’uomo… L’uso del DDT secondo le debite regole non ha un effetto deleterio sui pesci d’acqua dolce, sugli organismi degli estuari, sugli uccelli selvatici o su altra fauna selvatica».

L’elenco delle bufale ambientaliste sarebbe ancora molto lungo e comprende il riciclaggio della carta, la raccolta differenziata, l’elettrosmog… ma vogliamo chiudere sfatando uno dei miti forse più cari agli ecologisti.

Ogni liturgia “verde” che si rispetti prevede che si piantino alberi; rito al quale non si sottraggono personaggi dello spettacolo, industrie – che ogni tanto pubblicizzano i loro prodotti promettendo la piantumazione di nuovi germogli ogni tot prodotti acquistati – e perfino capi di stato.

Ma nel 2019 uno studio guidato dal ricercatore olandese “Richard Fuchs”, dell’”università di Wageningen”, ha ricostruito in che misura il territorio europeo è stato occupato durante il secolo scorso da foreste, coltivazioni, aree abitate e così via.

 Come ha raccontato “Fuchs” al “Washington Post”, «oltre 100 anni fa il legname veniva usato per quasi tutto: come combustibile per il fuoco, per la produzione di metalli, mobili, la costruzione di case.

Per questo intorno al 1900 erano rimaste pochissime foreste in Europa. Soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, diverse nazioni hanno poi cominciato diversi piani di riforestazione che sono ancora oggi in corso».

Nello stesso periodo, si legge ancora, lo spazio dedicato ai terreni agricoli è diminuito a causa dell’innovazione tecnologica, il che ha consentito di produrre la stessa quantità di cibo con meno spazio. Morale:

 oggi l’Europa è un continente ben più verde e coperto di foreste di quanto non fosse un secolo fa.

E non grazie alle ridicole liturgie stile “Wwf” e “Greenpeace” ma a quel progresso tecnologico che i “verdi” vorrebbero annientare per tornare ad un fantomatico stato di natura.

 

 

 

La superstizione delle “rinnovabili

Salvifiche” fa ripiombare

l'Europa nel Medioevo.

Reteresistenzacrinali.it – (8 luglio 2021) – Alberto Cuppini – ci dice:

 

Abstract della rassegna stampa.

Finora la deflagrazione dei costi energetici (e quindi a maggior ragione le sue cause) era stata tenuta sotto silenzio.

Ma le bollette con le brutte notizie arriveranno presto agli utenti italiani.

 Per la smania di essere la prima della classe (e perché influenzata dalla lobby green) l'Europa alza costantemente il livello di riduzione di anidride carbonica (Co2).

 Le utilities non possono fare altro che ribaltare sul mercato finale parte degli aumenti dei costi.

Questo rincaro fa il paio con l'aumento delle materie prime necessarie alla "rivoluzione verde".

Il basso prezzo di mercato del gas naturale degli ultimi anni aveva finora permesso di limitare gli effetti sulle tasche degli italiani dell'esplosione degli incentivi alle rinnovabili elettriche inseriti surrettiziamente in bolletta come "oneri di sistema".

Già ora il caro prezzi e il timore di una inflazione fuori controllo, tale da costringere presto le banche centrali ad alzare i tassi di interessi pur in presenza di livelli di indebitamento potenzialmente esplosivi, comincia a far più paura del cambiamento del clima.

 Intanto si scopre anche che, con l'avvento delle rinnovabili non programmabili, uno dei pilastri più scontati del funzionamento degli stati moderni, la continuità dell'energia elettrica, è in realtà meno solido di quanto fossimo abituati a pensare.

“Sapelli”:

"La follia dirigistica di contrastare l’innalzamento delle temperature non con politiche che emergono dalla contrattazione nel mercato e con il mercato, ma con decisioni tecnocratiche legittimate solo dallo stordimento ecologico, ha appena iniziato a produrre i danni immensi di una transizione non contrattata del tipo di quella che va inverandosi in una Ue sempre più simile all’Urss.

Le politiche energetiche prevalenti affermatasi per contrastare l’aumento delle temperature medie sono guidate da un mix di ignoranza e di sudditanza alle lobbies dell’industria elettrica mondiale".

“Clò”:

"Se si continuerà ad insistere che di petrolio non c’è più bisogno, che le imprese non dovrebbero più investire in ricerche minerarie, come ha fatto “Faith Birol” direttore esecutivo dell'”AIE”, ebbene i prezzi potrebbero schizzare da qui a pochi anni a 150 o 200 dollari al barile.

Pari a 3 e più euro al litro di benzina.

Le salvifiche rinnovabili non potranno farci nulla.

Diversamente dalle fantasie che molti propagano a piene mani da qui a metà secolo – quando nessuno potrà chiederne loro conto – per quelle odierne si potrà farlo, addossando loro la responsabilità di quello che il noto economista petrolifero” Philip Verleger” prospetta come possibile “catastrofe economica”.

“Tabarelli”:

 "I permessi di emissione dell”'ETS” (i permessi a emettere CO2, un'invenzione del protocollo di Kyoto che solo l'Europa ha adottato) sono un elemento fondamentale della transizione energetica e una causa importante dell'aumento dei prezzi.

L'Europa ha deciso che entro il 2030 le emissioni di “CO2” dovranno essere abbattute del 55%.

Un obiettivo semplicemente irraggiungibile.

 È folle pensare che in soli 9 anni riusciremo a passare da un -20%, fatto in 30 anni, a un -55%.

Ogni permesso consente di emettere una tonnellata di “CO2”, che vorrei ricordare non è veleno bensì uno dei mattoni della vita sulla terra.

(La Co2 è un gas molto più pesante dell’atmosfera. Non può raggiungere i gas serra (più leggeri) e raccolti nella “serra dei gas serra” su in alto nei cieli! Perché incolpare la Co2 di tutto il danno possibile all’ambiente terrestre? Ma gli scienziati del clima corrotti non potevano scegliere un altro bersaglio: un altro gas che poteva volare nell’alta atmosfera e poi restarci? Ma è mai possibile che la “Greta” (senza sue credenziali scientifiche) li abbia adescati od intimiditi? N.D.R.)

Cina e Usa non fanno nulla di tutto ciò.

(non sono mica fessi…loro!N.D.R.)

L'Europa sta penalizzando la propria industria a vantaggio di altri Paesi".

(Sarebbe meglio dire che le industrie di altri Paesi -mediante sfacciata corruzione - stanno penalizzando le nostre industrie! N.D.R) 

I programmi europei di transizione energetica, in cui la nuova religione ambientalista si fonde con l'ideologia ordoliberista di matrice tedesca, hanno una forte componente irrazionale che purtroppo sta prevalendo.

Ne è stata un'ennesima dimostrazione l'imprevista sovra-reazione all'operazione mediatica globalizzata "Piccola Greta", in particolare la pazzesca decisione della “Von der Leyen” della "decarbonizzazione integrale" del continente entro il 2050, che, se non altro, ha riportato l'Europa a fare immediatamente i conti con la realtà, con una decina di anni di anticipo rispetto a quanto sarebbe accaduto senza il "bug" Greta.

Due settimane fa il “PUN” (il prezzo di riferimento dell'energia elettrica all'ingrosso in Italia) aveva sfondato quota 100 euro al MWh. La settimana scorsa abbiamo passato quota 110. Oggi sfioriamo quota 120. Ricordo che nel maggio dello scorso anno la media del PUN era stata 21,8 euro al MWh e che nel maggio di quest'anno eravamo già a 69,9. Adesso, con i primi caldi, il PUN è decisamente decollato. Finora la deflagrazione dei costi energetici (e quindi a maggior ragione le sue cause) era stata tenuta sotto silenzio. Ma le bollette con le brutte notizie arriveranno presto agli utenti italiani. Attendiamo rese dei conti (con la realtà) a breve.

Questo aumento fa il paio con l'aumento delle materie prime necessarie alla "rivoluzione verde".

Vedremo che cosa succederà agli sciagurati politici (agli sciagurati e alle sciagurate, per essere rigorosamente p.c.) che un bel giorno si sono alzati da letto ed hanno deciso, tra l'entusiasmo di tutti i media, che l'Europa sarebbe stata il primo continente “climaticamente neutro” entro il 2050.

 Si è trattato della classica previsione auto-avverantesi, ma non nel senso - credo - immaginato dai suoi ideatori (ideatrici).

Il basso prezzo di mercato del gas naturale degli ultimi anni aveva finora permesso di limitare gli effetti sulle tasche degli italiani dell'esplosione degli incentivi alle rinnovabili elettriche inseriti surrettiziamente in bolletta come "oneri di sistema".

Ora è diventato ancor più necessario ridurre tali oneri (i "famigerati oneri di sistema", come ha iniziato, con colpevole ritardo, a chiamarli la Federconsumatori), comprensivi di tutti i costi per tenere in equilibrio il sistema elettrico nazionale, sconvolto dalla scellerata "priorità di dispacciamento" e dagli incentivi abnormi concessi a forme di produzione elettrica non programmabili come l'eolico e il fotovoltaico.

Tutti questi costi, cagionati dall'ossessione per le rinnovabili non programmabili (l'idroelettrico a bacino esistente, non alla moda, viene invece lasciato andare in malora), a cui si devono aggiungere quelli per le reti sempre più estese e complesse destinate a supportarle, sono diventati da qualche anno la componente più cospicua della nostra bolletta elettrica, mentre la parte energia pesava sinora per appena il 32%.

 L'anno scorso abbiamo pagato quasi 12 miliardi di soli incentivi, a loro volta la componente predominante di tali oneri, per ottenere una quota irrisoria di energia elettrica, prodotta soprattutto dal sole e dal vento.

Nel 2016 (l'anno del record, che sarà presto battuto quando, per raggiungere i valori obiettivo di produzione da “Fer” al 2030, sarà necessario aumentare ancora i sussidi), di miliardi in incentivi siamo arrivati a pagarne oltre 14, senza che nessuno, sui media o in Parlamento, alzasse altissime grida di sdegno. 

Leggiamo che cosa sta succedendo ai prezzi dell'elettricità dall'articolo del Sole del 2 luglio di “Sissi Bellomo” "Gas e CO2 al record storico in Europa":

"Nessuna regione al mondo è risparmiata: i rincari - forieri di ulteriori tensioni inflazionistiche - colpiscono in tutta Europa, così come in Asia e Nord America, anche se l'epicentro della crisi sembra essere proprio nel Vecchio continente... E' una spirale di rialzi che continua ad avvitarsi e che deriva soprattutto dalla scarsità dell'offerta... (in Europa non fanno eccezione neppure il nucleare, che in Francia fa le bizze, né le rinnovabili, con scarsa generazione da eolico nelle ultime settimane)... per il gas... preoccupa in particolare la Russia, il nostro principale fornitore,... che oggi sembra aver perso la volontà - o la possibilità - di offrire volumi supplementari."

 

Già ora il caro prezzi e il timore di una inflazione fuori controllo, tale da costringere presto le banche centrali ad alzare i tassi di interessi pur in presenza di livelli di indebitamento potenzialmente esplosivi, comincia a far più paura del cambiamento del clima.

 Ne reca testimonianza la variazione negli argomenti e nei toni usati dagli analisti delle politiche della "transizione energetica": l'equilibratissimo” prof. Clò” ha concluso un suo recente articolo con le parole "catastrofe economica";

il p”rof. Tabarelli”, non certo un cuor di leone, ha usato termini quali "obiettivo irraggiungibile" e "folle".

 Un intellettuale del calibro di “Salvatore Settis” ha ritenuto opportuno intervenire, in prima pagina della “Stampa”, per irridere alla magica trasformazione del "ministero dell'Ambiente" in quello della "Transizione ecologica", "quasi che - come da lui argutamente fatto notare - tale formula sia l'abracadabra che dischiude da solo le porte del paradiso ecologico che tutti desiderano".

Così si esprimeva il “Foglio”, che pure è sempre stato grande sostenitore delle rinnovabili elettriche, nell'articolo del 3 luglio di “Daniele Raineri "Fame di elettricità":

"Il Texas ha chiesto agli abitanti di consumare meno energia elettrica per evitare blackout... E da due giorni anche il sindaco di New York ha chiesto ai cittadini di consumare meno corrente elettrica" ma "molti americani non tollerano le interruzioni di energia e vogliono un generatore." (Ma guarda che strano... Ndr.)

 "Uno dei pilastri più scontati del funzionamento degli stati moderni, la continuità dell'energia elettrica, è meno forte di quanto siamo abituati a pensare."

Al “Foglio” si devono essere improvvisamente accorti che, così come “i pannelli FV” non funzionano di notte e d'inverno, le pale eoliche non girano nell'afa estiva, lasciando chi non ha generatori diesel di riserva a soffocare in casa o in ufficio per il caldo.

Si conferma invece coerente alla sua posizione critica anche in tema di energia verso la burocrazia di Bruxelles, ora a maggior ragione, la Verità, nell'articolo di “Gianclaudio Torlizzi” del 4 luglio dal titolo "La transizione verde comincia a pesare subito sulle bollette", che così sottotitolava:

 

"Per la smania di essere la prima della classe (e perché influenzata dalla lobby green) l'Europa alza costantemente il livello di riduzione di anidride carbonica (Co2).

(Abbiamo già spiegato che la “Co2”, essendo un gas più pesante dell’aria atmosferica, non può minimamente causare un maggior riscaldamento climatico globale! N.D.R.)

Le utilities non possono fare altro che ribaltare sul mercato finale parte degli aumenti dei costi."

e che così proseguiva:

"Tanto che, evidenzia sempre l'authority, se il governo non fosse intervenuto con un provvedimento di urgenza per diminuire la necessità di raccolta degli oneri generali in bolletta del prossimo trimestre, l'aumento della bolletta dell'elettricità sarebbe arrivato al +20%...

 Il comunicato dell”'Arera” è salutato dagli operatori come un “game changer”, perché ha avuto il merito di far luce sulle responsabilità delle politiche climatiche implementate da Bruxelles sull'aumento dei prezzi dei beni energetici...

se di un bene viene continuamente ridotta l'offerta è naturale attendersi come esso salga di valore... se qualcuno pensava che gli investimenti del “Recovery plan” e la “transizione ecologica” fossero un pasto gratis ora comincerà a ricredersi."

Il problema che assillava il mondo almeno dalla guerra del Kippur del 1973, ovvero la carenza di investimenti nel settore energetico, è stato brillantemente risolto dalle tecnocrazie UE proibendo tali investimenti ed affidandosi alle virtù taumaturgiche delle pale eoliche e dei pannelli fotovoltaici, che dovranno essere collocati ovunque.

 E più ce ne saranno, come ogni esperto in scaramanzia sa bene, meglio sarà.

 

Insomma:

 alle due classiche forme di inflazione, quella da eccesso di domanda e quella da potere di mercato, se n'è aggiunta una terza:

quella da contrazione volontaria dell'offerta, che si potrebbe meglio definire come "inflazione da stupidità umana".

(Sostenere che la CO2, pur essendo provato che è più pesante dell’aria, si dovrebbe comportare come se fosse più leggera, è una deduzione perfetta per “la stupidità umana”! N.D.R.) 

Oltre alla natura non programmabile dell'energia prodotta da sole e vento si è anche trascurata - e non è trascuratezza da poco - l'ovvia constatazione che l'inerzia del sistema energetico mondiale, così come è stato costruito (almeno) dalla fine della seconda guerra mondiale, assicurerà, anche in presenza di fonti energetiche davvero alternative agli idrocarburi (ipotesi finora fantascientifica), un ruolo dominante e imprescindibile alle fonti fossili almeno per le prossime due generazioni.

Ma ecco il più duro di tutti nella critica ed il più profondo nell'analisi: “Giulio Sapelli” (che - ricordiamolo - è stato per un pomeriggio il presidente del Consiglio in pectore del governo "giallo-verde" prima dell'ancor oggi misteriosa comparsa di Giuseppe Conte) in un articolo (si noti la scelta dell'immagine di testa e la si confronti con quella di un nostro articolo di argomento analogo), da leggere da cima a fondo sul Sussidiario del 3 luglio, intitolato "Così l’ideologia verde ci aumenta la bolletta e aiuta la Cina":

"La follia dirigistica di contrastare l’innalzamento delle temperature non con politiche che emergono dalla contrattazione nel mercato e con il mercato, ma con decisioni tecnocratiche legittimate solo dallo stordimento ecologico, ha appena iniziato a produrre i danni immensi di una transizione non contrattata del tipo di quella che va inverandosi in una Ue sempre più simile all’Urss... Ma nel mentre questo accade – ed è un segnale di un fenomeno che va giustamente contrastato con giuste politiche ambientali – non ci si rammenta che poche settimane or sono milioni di cittadini texani si son visti privati per decine di ore dell’energia elettrica.

Come questo sia potuto accadere nel cuore dell’industria petrolifera e tastiera mondiale storicamente affermatasi sino a un decennio or sono non se lo è chiesto nessuno, salvo pochi studiosi indipendenti come “Alberto Clò “e “Davide Tabarelli” (e, ci permettiamo di aggiungere senza false modestie, la Rete della Resistenza sui Crinali. N.D.R.).

Il fatto è che le politiche energetiche prevalenti affermatasi per contrastare l’aumento delle temperature medie sono guidate da un mix di ignoranza e di sudditanza alle lobbies dell’industria elettrica mondiale.

 Quest’ultima dispone di una serie di intellettuali organici della disinformazione".

 

Sapelli così concludeva:

"Pare che non vi siano alternative alla politica dei trattati senza democrazie.

Eppure sono pesantissime le conseguenze geopolitiche.

È superfluo ricordare il ruolo che, nell’inveramento delle produzioni citate prima, dirette a sostenere l’industria energetica elettrica non alimentata dai fossili, ha una potenza imperialistica come la Cina, che celebra proprio in questi giorni i suoi deliri ideologici neo maoisti (Cina che si avvale di una generalizzata caduta di autostima di tutto l'Occidente, di cui "la piccola Greta" è un chiaro sintomo. N.D.R).

 È necessario un ritorno alla ragionevolezza e al confronto intellettuale.

 Solo gli intellettuali e i ricercatori indipendenti possono produrre questa svolta sempre più necessaria".

Durissimo anche l'articolo del primo luglio di “Alberto Clò”, che, stante la drammaticità della situazione, ha bruscamente mutato i toni pacati di critica a lui usuali:

"Il ritorno dei prezzi politici", di cui riportiamo poche frasi, invitando a leggerlo tutto con attenzione dal blog della rivista Energia:

"Più si vorranno conseguire le finalità fissate a Parigi, più i prezzi dovranno necessariamente aumentare, al di là dei corsi all’origine delle materie prime.               

Con implicazioni di carattere sociale: la vera barriera alla transizione.

Scrivemmo a suo tempo – spiace citarsi addosso – che la campana dei gilet gialli suonava anche per noi.

Ma nessuno la ascoltò".

"Se si continuerà ad insistere che di petrolio non c’è più bisogno, che le imprese non dovrebbero più investire in ricerche minerarie, come ha fatto “Faith Birol” direttore esecutivo dell'”Agenzia di Parigi”, ebbene i prezzi potrebbero schizzare da qui a pochi anni a 150 o 200 dollari al barile.

Pari a 3 e più euro al litro di benzina.

Le salvifiche rinnovabili non potranno farci nulla.

Diversamente dalle fantasie che molti propagano a piene mani da qui a metà secolo – quando nessuno potrà chiederne loro conto – per quelle odierne si potrà farlo, addossando loro la responsabilità di quello che il noto economista petrolifero” Philip Verleger” prospetta come possibile “catastrofe economica”."

Ripetiamo: "Possibile catastrofe economica".

Proseguiamo la rassegna stampa segnalando l'intervista di “Gilda Ferrari” a “Davide Tabarelli”, presidente di “Nomisma Energia” (che nei giorni precedenti aveva correttamente previsto "una stangata sulle bollette di elettricità e gas dal primo luglio... un aumento del 12% che vola fino al 21% per il gas.

 Sono entrambi record mai visti in passato... (derivanti) dalla concomitanza di scarsità di offerta, di ripresa dei consumi e di politiche ambientali restrittive") sul Secolo XIX del 5 luglio “I permessi sulla CO2 sono sempre più cari. Ecco perché aumenta il costo dell’energia”:

"I permessi di emissione dell'ETS (i permessi a emettere CO2, un'invenzione del protocollo di Kyoto che solo l'Europa ha adottato) sono un elemento fondamentale della transizione energetica e una causa importante dell'aumento dei prezzi.

L'Europa ha deciso che entro il 2030 le emissioni di CO2 dovranno essere abbattute del 55%.

Un obiettivo semplicemente irraggiungibile... le rinnovabili... producono quando c'è sole e vento e non quando ti serve fare una dialisi o accendere la luce di notte.  È folle pensare che in soli 9 anni riusciremo a passare da un -20%, fatto in 30 anni, a un -55%...

Ogni permesso consente di emettere una tonnellata di CO2, che vorrei ricordare non è veleno bensì uno dei mattoni della vita sulla terra... Cina e Usa non fanno nulla di tutto ciò. L'Europa sta penalizzando la propria industria a vantaggio di altri Paesi perché si è posta un obiettivo irraggiungibile".

I più smaliziati pensano che la "neutralità carbonica" per tutto il continente voluta dalla (Von der Leyen” sia finalizzata a favorire, più che la Cina, l'industria tedesca nel suo complesso, in particolare per gli immensi mercati che le si aprirebbero con il passaggio generalizzato all'auto elettrica.

 Per questo, tra molti osservatori, si nutre la sensazione che, in realtà, la transizione ecologica dell'Europa sarà meno incidente di quello che potrebbe sembrare oggi.

Sarebbe augurabile che fosse così, e cioè che il motore principale dello "sviluppo sostenibile" avesse una giustificazione di natura razionale, sebbene bassamente commerciale.

 Ciò a prescindere dalla precedente esperienza negativa subita dagli stessi furbacchioni tedeschi nel settore delle energie rinnovabili, quando, a furia di sussidi e di dumping, i cinesi, più mercantilisti dei mercantilisti tedeschi, hanno fatto fallire gran parte delle imprese occidentali del settore eolico e fotovoltaico ed hanno conquistato la leadership mondiale.

In realtà questa interpretazione minimalista non è vera:

 i programmi europei di transizione energetica, in cui la nuova religione ambientalista si fonde con l'ideologia ordoliberista di matrice tedesca, hanno una forte componente irrazionale che purtroppo sta prevalendo.

Eppure la storia del XX secolo dovrebbe avere insegnato le nefaste conseguenze della testardaggine dei tedeschi quando vogliono imporre a tutti i costi un loro fine insensato.

A proposito di irrazionalità vi riproponiamo, per concludere la rassegna stampa,  questa intervista politicamente scorrettissima (si badi bene: di due anni fa) del “Sussidiario” a “Chris Foster”,

"Caso Greta/ Attenti al cortocircuito di democrazia e CO2", dove si esprimevano alcune argute tesi, tra cui il convincimento, analogo al mio, che Greta, inizialmente strumentalizzata per far mandare giù alle opinioni pubbliche europee il rospo (e i costi, già quelli schiaccianti) dei piani nazionali energia-clima, sia stata "un errore di programmazione del copione ideologico preparato dai soliti noti":

"Stava andando tutto abbastanza bene, secondo il copione deciso dai liberals di Washington, dall’Onu e dalle varie fondazioni e Ong, quando il fattore Greta è esploso.

 Forse un po’ troppo... Tutto ha preso un’accelerazione pazzesca e sta andando troppo in là, ben oltre quello che i dems newyokesi, Wall Street e la Silicon Valley immaginavano...

Grazie a questa ragazzina (ormai ricchissima di sponsorizzazioni interessate! N.D.R), qualcuno è riuscito ad andare molto più in là del copione di ambientalismo “radical chic” amato dai californiani e newyorkesi, ricattando ora gran parte dei governi mondiali (e paradossalmente anche i governi definibili filo-ambientalisti).

 il costo economico di assecondare politiche opportunistiche ed elettorali sarà alto.

 Insomma le politiche ambientali dei prossimi 5-10 anni saranno innanzitutto orientate al consolidamento di un certo potere e solo in secondo luogo orientate ad avere forse un reale impatto sull’ambiente... (In Italia) guarda caso le stesse persone che chiedono” politiche ambientali forti” sono quelle che spingono per il voto ai sedicenni, per lo ius soli e altre idee con simili obiettivi.

Ma è la stessa storia che vediamo in varie forme in tutto l’Occidente.

 È un vasto movimento caratterizzato da un eccezionale coordinamento di notizie, azioni, propaganda e strategia... molti slogan sono fatti per colpire le coscienze più giovani, è evidente.

(In Germania) i figli voteranno Verdi, lui/lei magari Csu.

Ma in fondo questo importa sempre di meno.

Tanto, le regole che contano non vengono scritte nei parlamenti, ma negli uffici degli “azionisti di maggioranza” dei grandi partiti occidentali".

Azionisti di maggioranza a cui però è, forse, sfuggito "il bug" Greta, in prospettiva ben più pericoloso del Coronavirus uscito dal laboratorio di Wuhan.

Come da me intuito ed in parte auspicato, l'imprevista sovra-reazione all'operazione mediatica globalizzata "Piccola Greta", in particolare la pazzesca decisione della Von der Leyen - da tutti acclamata (da tutti gli europei occidentali, per meglio dire) - della "decarbonizzazione integrale" dell'Europa entro il 2050, dettata dal desiderio di sfruttare politicamente l'ondata emotiva seguita alle manifestazioni dei ragazzini che facevano fughino da scuola il venerdì, ha riportato l'Europa a fare immediatamente i conti con la realtà, con una decina di anni di anticipo rispetto a quanto sarebbe accaduto senza l' "errore di programmazione" Greta.

 Evitando così di morire lessata lentamente, senza più forze per reagire, come la proverbiale rana.

 Se son rose fioriranno.

Anche se, in realtà, si tratta di una faccenda tutt'altro che olezzante.

Se continuasse così, cioè senza investimenti in fonti di energia affidabile, presto i nostri problemi di pale e pannelli conficcati da tutte le parti sarebbero finiti.

Peccato che ce ne sarebbero di ben più gravi.

 Adesso però, nell'immediato, bisogna vigilare che l'aumento del prezzo all'ingrosso dell'elettricità non venga trasformato in una scusa per aumentare il prezzo base (attualmente sotto i 70 euro al MWh) delle future “aste Fer”, già anticipate dal ministro “Cingolani” per i prossimi anni.

E questo nonostante la “SEN” e il “PNIEC” ci avessero assicurato che dopo il 2020 le rinnovabili elettriche avrebbero raggiunto la market parity, rendendo inutili ulteriori incentivi.

 

L'amara conclusione.

Il problema è l'Europa (questa Europa) piegata all'ideologia globalista e, allo stesso tempo, i singoli stati che hanno come maggiore preoccupazione quella di spendere il più possibile (evitando di far pagare nuove tasse) per mantenere le proprie clientele e, più in generale, per incrementare l'assistenzialismo che gli elettori reclamano a gran voce, pena il passaggio, al momento del voto, all'opposizione o l'astensione.

Per questo gli stati nazionali (una volta si sarebbero detti "socialdemocratici", ma adesso sono "assistenzialistici" puri e semplici) utilizzano strumentalmente l'"Europa" perché tiene bassi i tassi di interessi sui loro debiti pubblici sempre più mostruosi. Almeno finché ci riuscirà...

Seguendo questa logica, appare evidente come i governi europei e statunitense abbiano usato l’emergenza pandemica come “scusa” per finanziare a debito programmi fantasmagorici di modernizzazione, tra cui la transizione energetica.

È altrettanto evidente che la soluzione, qualunque essa sia, di questi problemi inestricabili (il cambiamento climatico, ammesso che esista, non è così inestricabile) avrà natura traumatica.

 Il Venezuela si avvicina.

Povertà energetica significa in prima battuta rimanere al buio e soffrire il freddo in inverno ed il caldo in estate.

In seconda battuta, significa crisi economica.

La mancata disponibilità di energia a buon mercato provocherà l'accelerazione del processo di deindustrializzazione in corso e l'immiserimento della popolazione, che tornerà a soffrire per la fame, le malattie non curate e tutti gli altri fenomeni, che già stanno ricomparendo nel nostro Paese, sintomatici del pauperismo, sofferenze comuni ai più, in Italia, fino a poco tempo fa, prima delle fauste scelte post-belliche di politica economica.

Non solo in Italia, a dire il vero, ma in tutta Europa, allorché i suoi leader decisero di riscattare, con il lavoro ed il benessere comune e diffuso, l'orribile esempio di aver provocato due guerre mondiali fratricide.

Oggi tutte queste lezioni della storia sono state dimenticate e, grazie all'ignoranza accuratamente coltivata dalle élite, prevale anche nella politica economica la sgangherata ideologia sessantottina, sconfitta politicamente ma trionfante culturalmente, della fantasia al potere, che si sta ulteriormente evolvendo nella sempre più insopportabile gabbia del politicamente corretto, fino a giungere ai recenti deliri della "destroy culture".

Senza più salde radici a cui ancorarsi, tutto sta rapidamente deragliando, cominciando dal fulmineo aumento del costo delle materie prime e dell'energia che impoverirà l'elettorato occidentale.

Se ne vedranno gli effetti già dalle prossime elezioni tedesche e francesi.

 Il professor Clò, che teme la diffusione della jacquerie dei gilet gialli in tutta Europa, non si rende ben conto di quali forze brutali attendano nell'ombra di essere scatenate come reazione all'altrettanto brutale globalizzazione, imposta dall'alto ai popoli europei, di cui la transizione energetica è un corollario ideologico irrinunciabile.

C'è dunque l'obbligo assoluto e prioritario di un ritorno alla serietà ed a politiche razionali.

(Per questo necessario ritorno alla serietà scientifica occorrerà procedere pubblicamente a verificare se è vero o se è una bufala, che la “CO2” è un gas pesante molto di più dell’aria! N.D.R) 

 L'arduo compito di mantenere represse queste poderose forze del male, capaci di far ripiombare l'Europa nelle "Età oscure", non deve certo spettare né a qualche bambina e neppure a qualche mammina (in tedesco: "Mutti").

(Alberto Cuppini)

 

 

La Cina ha la totale capacità

di contrastare l'idiota "agenda verde"

che i pazzi occidentali anti-cinesi stanno spingendo.

  Unz.com - ANDREW ANGLIN – (3 AGOSTO 2023) – ci dice:

 

Penso che tutti noi dobbiamo prenderci un momento e riflettere sul fatto che c'è una sovrapposizione al 100% tra i fanatici anti-Cina e i credenti nella bufala del riscaldamento globale che vogliono usare sostanze chimiche velenose mortali per costruire inutili macchine del destino (e uccelli e balene del genocidio).

La cosa più esilarante di tutto questo conflitto con la Cina è che gli” Stupidi Fat americani” credevano che la Cina sarebbe stata il loro più grande alleato fino al 2013.

Poi si è scoperto che Xi non era un individuo democratico, ma piuttosto stava riportando la Cina alla sua forma tradizionale di governo, che è una monarchia imperiale che supervisiona un impero mercantile.

Nell'ultimo decennio, tutti questi froci hanno detto "oh ragazzo, cosa facciamo adesso?"

In realtà, la Cina farebbe qualsiasi cosa tu la paghi per fare, in termini di produzione di qualsiasi stupida "tecnologia verde" distruttiva per l'ambiente.

La Cina guadagnerà qualsiasi cosa se li paghi.

Ma questo non è abbastanza per l'Occidente, che insiste nell'adottare il suo stupido e satanico sistema di "democrazia", o pagare il prezzo più alto.

“Ernest Scheyder” e “Eric Onstad” – che sono entrambi probabilmente ebrei – scrivono per “Reuters”:

Raffinare le terre rare per la transizione energetica verde è difficile. Basta chiedere a “MP Materials” e “Lynas”.

Le due più grandi aziende di terre rare al mondo al di fuori della Cina stanno affrontando sfide per trasformare la roccia delle loro miniere nei mattoni per i magneti utilizzati nell'economia globale, dall'iPhone di Apple alla Model 3 di Tesla al jet da combattimento F-35 di Lockheed Martin.

La spinta dell'Occidente a sviluppare forniture indipendenti di minerali critici ha assunto maggiore urgenza dopo che Pechino ha imposto controlli sulle esportazioni il mese scorso sui metalli strategici gallio e germanio, sollevando timori globali che la Cina possa bloccare le esportazioni di terre rare o tecnologie di lavorazione.

Le recenti lotte di “MP”, “Lynas” e altre aziende per raffinare le proprie terre rare evidenziano il difficile compito che il resto del mondo deve affrontare per spezzare la morsa della Cina sul gruppo chiave di 17 metalli necessari per la transizione verso l'energia pulita, come hanno dimostrato le interviste con più di una dozzina di consulenti, dirigenti, investitori e analisti del settore.

Le complessità tecniche, le tensioni di partnership e le preoccupazioni per l'inquinamento stanno ostacolando la capacità delle aziende di strappare quote di mercato alla Cina, che secondo l'Agenzia internazionale per l'energia controlla l'87% della capacità globale di raffinazione delle terre rare.

 

Se i progetti continuano a lottare, diverse economie potrebbero non riuscire a raggiungere il loro obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio (Co2) a zero emissioni nette entro il 2050 per ridurre al minimo l'impatto del cambiamento climatico, senza il coinvolgimento di Pechino.

I piani per l'australiana “Lynas” di costruire una raffineria di terre rare negli Stati Uniti con un partner con sede in Texas sono crollati, secondo due fonti che hanno familiarità con la questione.

“ Lynas” ha detto che sta cercando di finire una raffineria di terre rare nell'”Australia occidentale” che ha affrontato ostacoli e sta costruendo il proprio impianto altrove in “Texas”.

L'obiettivo di” MP” di raffinare i propri metalli delle terre rare nel 2020 è stato ostacolato dalla pandemia di COVID-19 e dalle sfide tecniche, spostando il suo obiettivo alla fine del 2023.

Gli aggiornamenti potrebbero arrivare giovedì, quando la società dovrebbe riferire i suoi risultati trimestrali.

Alla fine dello scorso anno, il deputato statunitense ha dichiarato che stava commissionando attrezzature di raffinazione vicino alla sua miniera in California come parte di un intricato processo di calibrazione che finora non ha avuto successo, lasciando l'azienda dipendente dalla Cina per la raffinazione e quindi quasi tutte le sue entrate.

“MP” sta anche costruendo “un impianto magnetico in Texas” per rifornire la “General Motors” che richiederà l'attrezzatura di raffinazione della California per essere operativa.

 

"Quello che è successo in Cina nel corso di molti anni è che hanno investito pesantemente e in modo intelligente nella capacità di lavorazione per convertire il materiale (terre rare) dalla miniera fino al magnete", ha detto “Allan Walton”, professore di metallurgia presso l'”Università di Birmingham”.

 

Non so se sia stato "intelligente" o meno, era solo una normale pratica commerciale.

L'Occidente ha detto ai cinesi che li avrebbero pagati per costruire tutta questa pericolosa e distruttiva tecnologia "verde", quindi hanno detto "ok, bene, andremo avanti e prenderemo le forniture e inizieremo a fare questo prodotto che volete acquistare".

Presumo che molte delle "terre rare" siano preziose anche per la produzione di normale tecnologia di consumo, ma la maggior parte della roba super velenosa proveniente dall'Africa viene letteralmente utilizzata solo per produrre questi inutili e genocidi mulini a vento, lampadine velenose che emettono radiazioni che fanno cose strane (e ancora non comprese) al cervello, schifezze per stupide e inutili auto elettriche, e altre pericolose schifezze "verdi".

L'esperienza di raffinazione della Cina ha permesso al paese di progettare i prezzi delle terre rare in diverse fasi delle catene di lavorazione a suo vantaggio, compresi i prezzi bassi per i prodotti finiti, per inibire la concorrenza estera, hanno detto gli analisti.

La raffinazione delle terre rare "non viene affrontata nemmeno da coloro che stanno sviluppando la capacità dei magneti", ha detto “Ryan Castilloux”, consulente minerario presso “Adamas Intelligence”.

Concentrandosi strategicamente sulle industrie che utilizzano i magneti, costruiti con terre rare raffinate in Cina con margini di profitto volutamente mantenuti bassi, Pechino può dare impulso alla sua industria dei veicoli elettrici in forte espansione, ha aggiunto Castilloux.

 

Il modello cinese è entrato in forte rilievo il mese scorso, quando i prezzi delle terre rare sono scesi al livello più basso in quasi tre anni, in parte a causa dell'aumento dell'offerta cinese.

 La Cina offre anche uno sconto del 13% sulle esportazioni ai produttori di magneti che utilizzano il suo materiale, rafforzando la sua posizione dominante.

Pechino per anni ha permesso l'importazione di rocce leggermente lavorate, note come concentrato di terre rare, per la raffinazione.

 La strategia aiuta a garantire prezzi che incentivano altri paesi a scavare nuove miniere ma non a costruire impianti di lavorazione che possono anche produrre rifiuti radioattivi, hanno detto gli analisti.

L'anno scorso “MP” ha spedito circa 43.000 tonnellate di concentrato in Cina per la raffinazione.

 I documenti normativi mostrano che ha anche venduto rifiuti di fluoruro in Cina, in perdita, lasciati da un precedente proprietario nel suo sito in California, che ha rigorose normative di stoccaggio per il materiale.

Anche il Myanmar, il Vietnam e altri spediscono concentrati in Cina per la raffinazione.

“Lynas” raffina il concentrato in Malesia che produce in Australia, ma le autorità di “Kuala Lumpur “prevedono di bloccare le importazioni l'anno prossimo, citando le preoccupazioni che l'impianto di “Lynas” perda rifiuti radioattivi, un'accusa che “Lynas” contesta.

 L'obiettivo è quello di aprire un impianto di lavorazione sostitutivo in Australia entro la fine dell'anno.

 

Sì, l'intero progetto verde è così distruttivo che persino i paesi del terzo mondo dicono:

"Non possiamo avere questa merda nel nostro paese, è troppo velenosa".

La Cina è un grande paese e si preoccupa molto meno dell'ambiente, quindi lo faranno e poi seppelliranno i rifiuti.

 Inoltre, non stanno usando molto di questa schifezza verde (a parte le batterie della morte che esplodono nelle loro auto elettriche alimentate a carbone, che sono più economiche e migliori di quelle prodotte da Elon “X”), la stanno esportando ai ritardati in Europa e in America (o lo erano) che stanno inquinando i loro paesi.

L'azienda vende da tempo metalli delle terre rare negli Stati Uniti alla società privata “Blue Line” per trasformarla in materiali specializzati.

Nel 2019, la coppia ha accettato di costruire impianti di raffinazione vicino a San Antonio, in Texas, e ha discusso con i funzionari dell'amministrazione Trump i loro piani per essere "l'unico produttore su larga scala di elementi separati (terre rare) al mondo al di fuori della Cina", secondo le e-mail ottenute da “Reuters”.

Ma questo sforzo, finanziato in parte dal Pentagono, da allora è crollato, hanno detto due fonti a Reuters.

 Le ragioni del crollo, che non sono state segnalate in precedenza, non hanno potuto essere immediatamente determinate.

L'intero progetto "verde" deve essere cancellato.

È semplicemente troppo distruttivo per la terra, ed è troppo stupidamente costoso.

 

Se le persone vogliono auto elettriche, possono in qualche modo funzionare su rotaie.

Non so come funzionerebbe, ma i carrelli esistono.

(Non lo so, ma penso che si potrebbero costruire strade con emettitori elettrici sotto di esse, anche se questo potrebbe far venire il cancro a tutti.)

Non sarà mai una buona idea produrre batterie al litio per qualcosa che vada oltre la piccola elettronica di consumo.

Questi mulini a vento non produrranno mai più elettricità di quanta ne consumino nel processo di produzione.

I pannelli solari sono ritardati per qualsiasi scopo diverso dal vivere da soli nel mezzo di un deserto (che è un'azione rara).

L'"agenda verde" distruggerà il mondo. Avvelenerà tutto e renderà il pianeta inabitabile.

Anche se il riscaldamento globale causato dall'uomo fosse reale, a chi importa? Questo non lo fermerà comunque, e se stesse accadendo, perché dovrebbe importare?

 La terra era molto più calda in vari periodi della storia.

Si tratta solo di persone grasse che temono di diventare troppo sudate?

Inizialmente, ci hanno detto che i "combustibili fossili" si sarebbero esauriti. Questa si è rivelata una bufala totale.

È solo una truffa così enorme.

(E poi “la truffa colossale” consiste anche nel dire che la “CO2” può volare nell’atmosfera pur avendo un peso specifico superiore a quello dell’aria, su cui dovrebbe volare per raggiungere la serra dei gas serra! N.D.R)

È difficile da accettare il fatto che la popolazione sia così ritardata da accettare tutto questo, e fare sacrifici personali nella vita reale per una bufala così ovvia.

Almeno con la bufala del covid c'era una minaccia teorica.

Queste persone che si occupano di riscaldamento globale o inventano stupide minacce che sono ovvie bugie – come quando “Al Gore” ha detto che le calotte glaciali si stanno sciogliendo (di nuovo, è davvero una minaccia? andate a chiedere agli olandesi di vivere sotto il livello del mare) – o mantengono tutto molto vago, come "i tornado stanno arrivando..."

(Elvis Dunderhoff ha contribuito a questo articolo).

 

 

 

 

La follia climatica

in trono.

Unz.com - HANS VOGEL – (29 LUGLIO 2023) – ci dice:

 

Tutti i media statali e corporativi dell'UE hanno urlato e gridato contro il caldo in Europa.

 È infernale, dicono. Non sono mai stati così caldi, vogliono farci credere.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite “Guterres” sta dicendo al mondo che "l'Era dell'Ebollizione Globale è arrivata".

Così tiene una lezione un uomo che è stato a lungo associato a noti pedofili e sotto i cui auspici come primo ministro portoghese (1995-2002) si svolgevano gli abusi sessuali sui minori nelle cosiddette case di Casa Pia.

Sulle mappe meteorologiche mostrate dai media, le aree con temperatura superiori ai 35 gradi centigradi sono colorate di rosso sangue.

Solo pochi anni fa, quelle stesse temperature sarebbero state indicate da sfumature di verde, o al massimo di giallo.

 Non si fa menzione della neve che cade sulle Alpi ad altitudini superiori ai 1.800 metri (una rarità in estate).

Né i mezzi di comunicazione hanno fatto menzione della neve caduta a Johannesburg solo poche settimane fa.

Apparentemente, questo è un evento raro anche nell'inverno dell'emisfero australe.

Nel frattempo, recenti ricerche sull'Antartide hanno dimostrato che durante il decennio 2009-2019 la sua calotta glaciale ha avuto una crescita netta di oltre cinquemila chilometri quadrati.

In altre parole, i bollettini meteorologici, un tempo l'unico elemento dei media di cui ci si poteva fidare, sono fuorvianti e mendaci come tutto il resto delle notizie.

 Ci viene detto che il clima sta cambiando ed è tutta colpa nostra.

Quindi dobbiamo fidarci delle autorità e fare esattamente quello che ci viene detto.

Altrimenti, moriremo di una morte orribile!

Pertanto, d'ora in poi, niente più barbecue.

In inverno, dobbiamo indossare un maglione più a casa, perché la temperatura normale dell'ambiente richiederebbe un riscaldamento eccessivo, che contribuisce solo ulteriormente al riscaldamento globale!

Inoltre, dovremo smettere di mangiare carne e iniziare a consumare insetti.

"Lasciate che mangino gli insetti", è ciò che i nostri nobili condottieri nei loro lussuosi palazzi hanno apparentemente deciso.

Solo se passiamo a mangiare grilli e vermi della farina potrebbero essere in grado di impedire al nostro pianeta di diventare ancora più caldo.

I nostri governanti ci assicurano che "la maggior parte degli scienziati" concorda sul fatto che l'attività umana fa sì che il pianeta diventi sempre più caldo.

In un certo senso, questo è un pensiero rassicurante, perché a quanto pare la scienza è quindi democratica.

 Quando "la maggior parte degli scienziati" crede in qualcosa, deve essere vero, perché dopo tutto sono scienziati!

Ma dal momento che sono umani, possono anche sbagliarsi.

Quindi forse il cambiamento climatico antropogenico è un non-problema, dopo tutto!

(E questo è vero in quanto solo un pazzo criminale potrebbe dichiarare che un gas più pesante dell’aria, la Co2, se ne vada libero nell’atmosfera in cerca della “serra dei gas serra! N.D.R)

Non molto tempo fa, i nostri governi ci hanno assicurato che c'era una malattia killer là fuori e l'unica cosa che potevamo fare per essere al sicuro era fare un vaccino anti-covid.

Ora sta diventando sempre più noto che alcuni di quei vaccini stavano facendo più male che bene. Il "vaccino" di Moderna sta causando problemi cardiaci a un destinatario su trentacinque.

 Il vaccino Pfizer, mai adeguatamente testato, ha oltre 1.200 effetti collaterali che vanno da gravi a molto gravi (compresa la morte!).

Siamo stati portati a credere che, una volta vaccinati, non avremmo potuto diffondere la temuta malattia (ma potevamo farlo) e quando siamo stati abbattuti con il covid, ci è stato detto che gli effetti erano "meno gravi".

Le cose saranno certamente andate "molto peggio" se così tanti di noi non avessero fatto quelle iniezioni.

Nella narrativa del riscaldamento globale, i governi stanno ora utilizzando gli stessi argomenti e trucchi che hanno usato per intimidire i cittadini e sottometterli durante la "pandemia".

Tuttavia, come con un coltello da cucina, è necessario affilarlo per continuare a usarlo.

È piuttosto dubbio che i trucchi funzioneranno con la stessa efficacia del “Great Covid Show”.

Anche un mago ha bisogno di adattare i suoi trucchi di tanto in tanto.

 I governi, d'altra parte, sembrano essere diventati così fiduciosi e sicuri di sé che pensano di poter fare qualsiasi cosa.

È una buona cosa che stiano dimenticando la regola numero uno in ogni gara e resa dei conti, che è quella da non sottovalutare mai il proprio avversario.

Nel frattempo in Europa il collasso degli Stati voluto dagli Stati Uniti e dai loro strumenti come il “WEF” sembra procedere secondo i piani.

La Francia è ancora frastornata dagli effetti dell'ondata di violenza che l'ha colpita all'inizio dell'estate.

Nelle città e nei villaggi di tutta la Germania, cittadini arrabbiati e impauriti organizzano manifestazioni di cui i media non parlano;

le località lacustri e le piscine, un tempo tranquille e piacevoli, si sono trasformate in focolai di conflitti interrazziali a causa del comportamento inaccettabile di bande di stranieri a cui non avrebbero mai dovuto essere ammessi nel paese.

Viaggiare sui treni in molti paesi europei è diventato pericoloso per i veri europei nativi, in particolare per le donne.

Molte stazioni ferroviarie, soprattutto nelle città più grandi, sono zone pericolose.

Il 7 luglio, il primo ministro olandese “Mark Rutte”, alleviando il voto di sfiducia in programma in parlamento, ha annunciato il suo completo ritiro dalla politica.

Uno dei suoi partner di coalizione aveva indicato di essere disposto a lasciare il governo.

 Da quel momento in poi è dimissionario e, paradossalmente, in una posizione che gli permette di governare come un dittatore.

Dopotutto, qualcuno deve occuparsi degli affari quotidiani e governare il paese e “Rutte” non può più essere destituito con una votazione.

 Una delle cose che deciderà, senza bisogno dell'approvazione parlamentare, sarà un decreto che permetterà ai bambini da uno a dodici anni di optare per l'eutanasia.

Nuove elezioni sono previste a novembre e dato che di solito ci vuole circa un anno per costruire un nuovo governo di coalizione, “Rutte” si è concesso un prolungamento della carriera di ben oltre un anno.

Abbastanza sorprendentemente, con una mossa senza precedenti, venti dei 150 membri del parlamento hanno annunciato il loro ritiro dalla politica.

 Tra loro ci sono diversi leader di partiti importanti e alcuni politici molto visibili e rumorosi.

 Perché questa ritirata improvvisa e massiccia?

Che cosa sanno che il pubblico votante non sa?

Come in molti altri stati "democratici" dell'Occidente, il dibattito parlamentare è diventato piuttosto privo di significato.

 Con la rigida applicazione della disciplina di partito, una volta che un governo è al potere, non c'è nulla che possa spodestarlo, tanto meno un dibattito in parlamento.

 I ministri del governo che si rifiutano di rispondere alle domande in parlamento, infrangendo leggi e regolamenti, possono semplicemente farlo e non doverne mai affrontare le conseguenze.

Questa è diventata una pratica comune in tutta l'UE.

In altre parole, l'illegalità regna sovrana.

Perché allora i politici dovrebbero rinunciare volontariamente all'accesso alle pentole e ai barili di maiale?

 Sembrerebbe che stiano per verificarsi alcuni profondi cambiamenti sistemici. Dovremmo guardare a Bruxelles?

 Gli apparatcik non eletti dell'Urss in quella città maledetta gestiscono una dittatura centralizzata.

La maggior parte degli europei non ha ancora capito che la sovranità nazionale ha cessato di esistere da tempo in tutti gli Stati membri dell'UE e che i loro parlamenti sono tutti falsi.

L'UE non è altro che il ramo politico della NATO, e la NATO è per gli Stati Uniti ciò che la Lega Attica è stata per Atene:

un meccanismo di controllo imperiale travestito da alleanza volontaria.

Il palcoscenico politico nei Paesi Bassi si sta ora preparando per l'apparizione stellare di “Frans Timmermans”, il corpulento "commissario per l'azione per il clima" dell'UE di origine olandese, il pazzo per il clima in capo.

 Quest'uomo si candiderà per un seggio nel parlamento olandese come leader del nuovo Partito socialdemocratico-verde.

Inutile dire che Timmermans non prenderebbe nemmeno in considerazione questa mossa se non fosse sicuro di vincere e diventare il nuovo Primo Ministro.

Presto anche altri Stati membri dell'UE avranno governi guidati da ex commissari europei.

Se tutto andrà secondo i piani, vorrà dire che la trasformazione dell'UE in una copia della vecchia URSS sarà completata.

Tuttavia, mentre la leadership dell'URSS aveva più o meno a cuore gli interessi dei suoi cittadini (l'istruzione e l'assistenza sanitaria erano gratuite e di buona qualità), l'Unione Sovietica è un inferno distopico, gestito da psicopatici che pensano di essere dei. Hanno intenzionalmente distrutto l'istruzione e la sanità pubblica.

Così come l'URSS è crollata sotto il suo stesso peso, così farà anche l'Urss. Speriamo che ciò avvenga prima piuttosto che dopo.

 

 

 

 

Ursula Vuole Regalare 9 miliardi

all’Egitto purché si Prenda

Quelli di Gaza.

Conoscenzealconfine.it – (20 Novembre 2023) - Maurizio Blondet – ci dice:

 

La “Von Der Pfizer” i miliardi li stampa…

L’ANSA dà pudicamente la notizia così:

L’Unione Europea si offre di sostenere l’Egitto per un importo di 9 miliardi di euro nel contesto della crisi Israele-Hamas.

 Il presidente della “Commissione Ue” “Ursula von der Leyen” era attesa sabato 18 novembre in Egitto in una visita che la porterà anche in Giordania”.

Che lo scopo del patto sia quello:

 “tu Egitto ti prendi i 2,3 milioni di abitanti di Gaza – Israele non riesce a sterminarli tutti, ne restano da espellere – e noi europei ti paghiamo 9 miliardi”.

 

L’offerta della “Von der Pfizer” viene palesemente per rinforzare quella della “Banca Mondiale” di inizio novembre, molto esplicita.

Israele Propone alla “Banca Mondiale” di “Cancellare una Parte del Debito” all’Egitto in Cambio dell’Accoglienza dei Profughi Palestinesi.

“Israele propone di cancellare, attraverso la Banca Mondiale, una porzione significativa del debito dell’Egitto per indurre il governo di Abdel Fattah al-Sisi ad accogliere nel Sinai i palestinesi in fuga da Gaza.

 Lo riporta il sito “Ynet”.  

Il premier egiziano, Sisi sarebbe però contrario e avrebbe invece proposto che Israele trasferisca i palestinesi di Gaza nel “Negev”. Ma il premier israeliano” Benyamin Netanyhau”, secondo “Ynet”, starebbe cercando di convincere leader stranieri a far pressioni sull’Egitto per accettare l’”opzione Sinai”.

“Gideon Rachman”, il commentatore del “Financial Times”, disse:

‘Le mie fonti a Riad dicono che gli egiziani ci potrebbero stare. Sono in bancarotta, mi ha detto una fonte di alto livello: e poi hanno già 100 milioni di persone. Che problema sarebbe un milione in più?’.

(rainews.it/articoli/ultimora/Israele-propone-alla-Banca-Mondiale-di-cancellare-una-parte-del-debito-allEgitto-in-cambio-dellaccoglienza-dei-profughi-palestinesi-df8f1374-13ff-4039-8e3b-879febf135e6.html)

Già allora qualche lettore si stupì:

“Ma gli intoccabili debiti pubblici possono essere tagliati ad libitum di Sion?

 Ma allora la “Banca Mondiale” può cancellare i debiti sovrani? Su ordine di Israele? Dunque Israele ha il potere sui debiti sovrani degli altri stati?”.

Evidentemente Ursula, la “Kapò Kommissione”, è uno dei “leader stranieri” che “Netanyahu” è riuscito a convincere dietro lauto compenso.

Ciò pone una serie di domande:

Von der Leyen ha scoperto la stamperia dei miliardi di euro, di cui la “BCE” ha sempre predicato la scarsità e la necessità per le nazioni indebitate come l’Italia, di prenderli a prestito a tasso d’interesse più alto?

Oppure si tratta di 9 miliardi a debito, a carico del debito UE, che in definitiva saranno messi sul gobbo a noi europei?

Se è così, o in ogni caso, un qualunque parlamento ha votato per approvare questa offerta?

Non si dice i parlamenti nazionali… ma almeno quello europeo, anche se sappiamo che direbbe di sì, essendo notoriamente venduto a tutti gli interessi stranieri?

 Ursula ha deciso di testa sua dopo aver parlato con Bibi: non è questa dittatura della malavita organizzata?

La “democrazia” dovrebbe rispettare certe procedure, anche solo per finta.

Già è accaduto che Ursula abbia comprato 5 miliardi di dosi di siero Pizer, a prezzi esosissimi, non solo senza asta pubblica ma con affettuose e-mail fra lei e Bourla, che ha fatto sparire.

 Ora la cosa si ripete dietro patrocinio degli Usa:

Israele comanda e Ursula subito è in grado di regalare ad Al Sisi 9 miliardi di soldi nostri, per sbolognare a lui i 2 milioni che Bibi non riesce a sterminare.

La UE insomma obbedisce a Israele?

Frattanto, sia messo agli atti che la UE contribuisce a trasformare il genocidio di palestinesi in pulizia etnica.

La mia speranza è che Al Sisi mercanteggi astutamente e con capacità levantina:

con tutti i problemi che mi accollo accettando oltre 2 milioni di palestinesi, i miei costi superano di molto i 9 miliardi.

 Ne voglio 29. Più l’azzeramento del debito.

 Certo, ha di fronte come controparte il “Grande Usuraio Global”;

 ma vale la pensa tentare, generale;

è la prima volta che l’Usuraio getta la maschera e ammette di poter disporre, e al bisogno tagliare, i debiti pubblici altrui.

Perché anche l’”Agnello Vittima della Shoah” sta affrontando i suoi cosi, come spiega questa notizia:

Il corrispondente di “Gaza Now” spiega la terribile situazione a Gaza con il titolo “Una situazione molto dolorosa”:

“Sulla Salah al-Din Road, la strada che collega il nord al sud, sono presenti carri armati israeliani e cancelli elettronici.

 Chiunque abbia la barba è minacciato di morte dalle forze israeliane prima di raggiungere il cancello.

Ogni donna che rifiuta di togliersi il velo è minacciata di morte per mano delle forze israeliane.

Le persone sono costrette a spogliarsi completamente.

Cinquanta metri a nord del ponte Wadi Gaza, ci sono dozzine di corpi sparsi a destra e a sinistra “.

Prosegue il corrispondente di “Gaza Now”:

“Se qualcosa cade a terra e tu provi a raccoglierlo, vuol dire che ti sei condannato a morte; i cecchini israeliani ti uccideranno subito.

 Non solo:

all’inizio era consentito portare con sé una borsa per continuare il viaggio da nord a sud, ma ora non è consentito portare una borsa.

 Le persone arrivano nel centro e nel sud di Gaza a mani vuote, senza cibo, senza bevande e senza niente”.

“Le condizioni sono estremamente, estremamente difficili.

 I bombardamenti sono ovunque.

Per quanto riguarda le aree a nord, est e ovest di Gaza City, i residenti stanno cercando di dimostrare la loro esistenza e si rifiutano di evacuare dal nord al sud.

Alcuni si sono rivolti all’”UNRWA” scuole per i rifugiati palestinesi, che sono considerate un rifugio sicuro per i residenti secondo il diritto internazionale, ma niente di tutto questo protegge nessuno dal terrorismo dell’occupazione, che ha preso di mira scuole, moschee, ospedali, chiese e tutto il resto.

Non c’è posto sicuro a Gaza”.

 

Il corrispondente di “Gaza Now” afferma che:

“i residenti delle zone della città di Al-Zahra, nel centro di Gaza, a nord di Gaza non ricevono alcun aiuto da 43 giorni.

La maggior parte delle persone non riesce a trovare un mezzo di sostentamento, né una pagnotta di pane, né un sorso d’acqua.

Sono completamente tagliati fuori dal mondo, isolati senza elettricità, internet o comunicazioni.

La vita qui è molto dolorosa.

 Forse il mondo continua con le sue dichiarazioni, ma ora deve sapere che siamo di fronte ad un massacro e ad un genocidio davanti agli occhi e alle orecchie di tutti “.

(Maurizio Blondet)

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