Un mondo in guerra per la supremazia.
Un
mondo in guerra per la supremazia.
Brics.
Speranze e timori
per la
pace nel mondo.
Unimondo.org – Laura Tussi – (27 Settembre
2023) ci dice:
Brics,
'mattoni' per costruire una casa mondiale comune.
All’ultimo
vertice Brics che si è tenuto dal 22 al 24 agosto 2023 in Sudafrica hanno
partecipato 44 capi di Stato e governo e sei nuove nazioni sono state ammesse
in questa coalizione.
I
paesi ammessi sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Argentina,
Iran, Etiopia.
E gli
Stati hanno partecipato perché interessati ufficialmente a una futura adesione
a questa nuova realtà costituita.
Attualmente
sono state inserite sei nuovi nazioni e la parola d’ordine in questo consesso è
stata de-dollarizzazione.
È
chiaro che le potenze all’interno dei Brics, con in testa la Cina, vogliano
prendersi nuove fette di mercato cercando di depotenziare il monopolio e
economico e commerciale del dollaro.
Una
forte moneta unica per spodestare il dollaro.
In
parte questo già avviene tramite lo scambio tra monete nazionali dei Brics.
L’intenzione futura è creare una forte nuova moneta unica di scambio.
Un mondo multipolare dove non esiste uno stato
regolatore insomma uno sceriffo, ma accordi tra paesi liberi di scegliere la
moneta di scambio.
Con la
volontà di ridare a materie prime e manufatti la supremazia rispetto alle
attività finanziarie, ridisegnare la struttura del mondo valorizzando il
lavoro.
Chiaramente
una nuova forza economica di tale portata rappresenta una alternativa al “Fondo
Monetario Internazionale”, ma che al contrario si pone apparentemente in modo
migliore, più equosolidale senza mettere davanti a tutto la propria potenza
militare.
Brics
e nucleare?
Anche
se sappiamo che alcuni di questi paesi Brics detengono comunque l’arma
nucleare.
Il
“nuovo ordine mondiale” si sta delineando e costituendo.
Spetta a noi attivisti per la pace e
ecopacifisti e antifascisti mobilitarci per esercitare pressioni affinché
questo evento non diventi causa scatenante di ulteriori guerre e conflitti
armati che a questo punto rappresenterebbero un pericolo estremo per la
sopravvivenza ultima dell’intera umanità.
Nel
corso dei secoli e dei millenni si sono sempre susseguiti nella storia del
genere umano alleanze e imperi che imponevano anche dittature molto cruente e
forti.
La
follia umana ha sempre stretto coalizioni per militarizzare e muovere guerre,
per potenziare monopoli e prepotenti e prevaricatrici estensioni di confini
territoriali.
Le
potenze di supremazia. Lo spettro del nucleare, comunque.
Tutti
noi auspichiamo che con i Brics e gli Stati uniti con la Nato, il loro braccio
armato, non avvenga questa volontà suprematista.
Ad esempio l’impero egizio che aveva come
caposaldo della propria economia lo sfruttamento e la schiavitù umana è stato
soppiantato da una altrettanta cruenta potenza come quella dell’impero romano
che di certo non brillava in democrazia.
I
movimenti della pace sono l'ago della bilancia?
Dal
basso dei movimenti pacifisti nella nostra storia contemporanea dobbiamo
schierarci dalla parte del bene e della pace, in quanto come pacifisti non
ammettiamo nessuna forma di totalitarismo e dittatura e di imposizione e
sottomissione e sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
La
violenza strutturale pervade purtroppo l’umanità intera con minacce emergenti
che incombono su di essa come l’attività militare che trova il suo epilogo
estremo nella deflagrazione nucleare e conflagrazione atomica.
Ma poi anche la disuguaglianza sociale globale
dove una minoranza dei ricchi detiene il monopolio dei beni comuni dei meno
abbienti.
Ucraina
e il tragico epilogo della fine di tutto.
Altra
minaccia è l’attuale guerra in Ucraina che oltre a prospettare la fine ultima
dell’Armageddon nucleare produce una grande percentuale di agenti inquinanti
dovuti alle attività militari e guerresche che impattano con l’assetto
climatico e contribuiscono alla minaccia incombente dei famigerati cambiamenti
e dissesti del clima planetario.
"Questo
conflitto attuale in Ucraina sta ulteriormente cambiando gli equilibri e gli
assetti globali”.
Con
gli Stati Uniti che cercano di essere sempre presenti e egemoni in Europa.
Ma i
segnali giunti indicano che i Brics vorrebbero contrapporsi a questo tentativo.
Un’alternativa
al monopolio statunitense può essere un’opportunità di sviluppo di ampie aree
che attualmente risultano essere molto depresse.
La
contrapposizione potrebbe sfociare in una drastica spinta dittatoriale e
radicalizzazione dei rapporti tra Nato e Stati Uniti contro i paesi come Cina e
Russia e altre nazioni.
Per
questo si parla costantemente in materia geopolitica internazionale della
necessità non di un duopolio, ma di un mondo multipolare e libero dalle armi e
dagli ordigni di distruzione di massa nucleari". (Transform, Organo comunicativo della
Sinistra Europea, “Il diritto alla pace per superare il duopolio globale”, di
Laura Tussi).
La
violenza strutturale ispirandoci al pensiero di “Galtung”.
La
violenza è inoltre implacabile sui più deboli del nostro pianeta dalle donne,
sfruttate e violentate, ai lavoratori con le cosiddette morti bianche che in
realtà sono autentici omicidi ai danni degli operai che cercano di vivere con
la loro fatica, con il loro talento e con il loro misero reddito.
Quindi
i Brics per molta parte della sinistra potrebbero rappresentare un’alternativa
mondiale alla dittatura globale e economica e nucleare degli Stati Uniti e
della Nato.
Ma
tutti noi non possiamo nascondere il nostro comune scetticismo e timore per
quanto si sta determinando e delineando nel nuovo assetto globale dove altri potentati vogliono
prendere il sopravvento sull’egemonia del controllo planetario.
(Laura
Tussi. Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e
interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli
adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e
dell'educazione.)
E già
una guerra mondiale.
Agensir.it – (25 Settembre 2023) - Simonetta
Venturin – ci dice:
Ucraina:
chi la
guerra l’ha vista nella paura degli occhi dei figli, l’ha sentita nelle sirene
e nei missili che suonano e deflagrano sopra la testa, nei vuoti lasciati nel
quartiere dagli altri in fuga - e non come noi al telegiornale -, ha detto e
scritto che "Questa è già una guerra mondiale".
Si
tratta dell’autore ucraino “Andrei Kurkov”:
lo ha
scritto in uno dei suoi libri, "Diario di un’invasione", in cui
racconta l’incredulità di trovarsi costretti a vivere in guerra e le prime
scelte a cui la guerra - che invade vite, strade e mente - obbliga.
Lo ha
ribadito a Pordenone, in dialogo con i giornalisti, grazie a “Pordenone legge”
di cui è stato l’ospite d’onore dell’inaugurazione ufficiale dell’appena
conclusa edizione 2023.
“L’ho definita tale – ha spiegato alla domanda
sul perché avesse scritto quella frase – perché l’Ucraina combatte con le armi
della Nato e la Russia con quelle dell’Iran.
Considero
mondiale questa guerra, perché l’Ucraina è al confine con l’Unione Europea e
l’andamento e soprattutto l’esito di questo conflitto preoccupano l’Europa
molto più di altri conflitti, come ad esempio quello in Azerbajan.
La
considero mondiale perché so che in Russia i politici fin dall’inizio
dell’invasione mettono in parallelo questa guerra con il secondo conflitto
mondiale e il ritorno del nazismo.
I russi raccontano di stati europei, come
Polonia e Ungheria, pronti ad appropriarsi di pezzi di Ucraina”.
Mondiale, dunque, perché divide e schiera il
mondo.
Noi,
dai nostri salotti davanti alla tv, sogniamo soltanto che la guerra abbia fine,
ma lo facciamo più debolmente, pur se eravamo stati sinceramente sconvolti
dalle distruzioni totali come a Mariupol, dalle uccisioni di civili come a Bucha, dal rapimento di centinaia di
migliaia di bambini.
Se
anche sul fronte europeo il tema guerra sembra scivolato dai primi posti della
classifica dei temi prioritari, il resto del mondo non sta a guardare, né
tantomeno la Russia.
Nei
giorni scorsi il leader nordcoreano Kim Jong-un è andato ad incontrare Putin e quando due presidenti, entrambi
maestri nel minacciare il mondo intero con lo spettro nucleare, si accordano
non c’è da stare tranquilli.
C’è
chi legge in questo storico appuntamento la debolezza della Russia spinta dal
bisogno di armi.
Ma
incontri di tal portata non possono lasciarci tranquilli:
da un lato per i due interlocutori disposti a tutto
per la loro supremazia, dall’altro perché il mondo si va sempre più dividendo
in opposte fazioni tra chi è con e chi è contro Putin, ma – rovesciando la
medaglia – ha pure rivelato che ci sono un gruppo di paesi che aiutano la
Russia nella guerra in Ucraina soprattutto per combattere gli americani.
E
dalle opposte fazioni nascono guerre non colombe di pace.
In un
mondo che è pure alle prese con catastrofi (il terremoto in Marocco con le sue
2.901 vittime accertate e l’alluvione in Libia che ne fa temere 20mila) il sogno della pace sembra dunque
sbiadire.
L’unico
su questa terra che incessantemente prova a ordirla con trame di dialogo è papa
Francesco che manda per il mondo il cardinale Zuppi.
Dopo Kiev, Washington e Mosca, la settimana
scorsa il cardinale è arrivato a Pechino e – si dice – di un suo possibile
ritorno nella capitale russa.
Sono passi avanti su un cammino di cui non si
vede al momento la fine.
Chris
Miller: "La guerra dei chip
è
molto più di una lotta per
la supremazia tecnologica."
Repubblica.it - Alessio Jacona – (03
SETTEMBRE 2023) – ci dice:
Chris
Miller: "La guerra dei chip è molto più di una lotta per la supremazia tecnologica."
All'IFA
di Berlino l'autore di “Chip War: The Fight For The World’s Most Critical
Technology” parla del controllo della produzione di semiconduttori. E di come
dietro ci siano manovre che hanno un peso in campo politico e militare.
«Quando
una persona normale pensa ai microchip, di solito ha in mente i semiconduttori
che fanno funzionare lo smartphone, il PC oppure i veicoli a guida autonoma.
Ma
quando invece sono i ministri della Difesa o i militari che pensano ai semiconduttori,
si stanno chiedendo come li utilizzeranno nella guerra del futuro».
Sul
palco dell’IFA di Berlino, “Chris Miller “parla velocemente, eppure riesce a scandire ogni
singola parola:
da
oratore navigato, vuole sfruttare a fondo il tempo a disposizione, ma anche
assicurarsi che i presenti capiscano tutto, quale che sia la loro nazionalità.
Del
resto, la posta in gioco è alta:
far
capire perché esiste, come funziona e cosa comporta quella che lui chiama “guerra dei microchip”, a cui ha dedicato un saggio
intitolato “Chip War: The Fight For The World’s Most Critical Technology”.
Il
libro economico dell’anno 2022, almeno secondo il “Financial Times”.
La
guerra di cui parla “Miller”, che è professore presso “The Fletcher School alla
Tufts University di Boston” (Massachusetts), non è solo una semplice
competizione tra aziende tecnologiche per il controllo del mercato:
con
“Chip War” identifica una lotta senza quartiere in corso tra le nazioni per
assicurarsi la disponibilità di chip, microchip e dei materiali semiconduttori
che servono per produrli.
Un
conflitto silenzioso, aggravato dalla recente pandemia, che vede in prima linea
Stati
Uniti, Giappone, Corea, Taiwan e Paesi Bassi (cioè gli unici 5 Paesi che insieme
costituiscono la lunghissima filiera per produrre i microchip più avanzati), che sta plasmando e trasformando gli
equilibri economici dell'intero pianeta, e dove in gioco c’è il primato
politico e militare globale dei prossimi decenni.
«Il
mondo intero oggi si erge su fragili fondamenta costituite da migliaia e
migliaia di chip di silicio - dice infatti “Miller “.
Quello
che vorrei suggerirvi è che l'industria dei semiconduttori è sempre più
politicizzata, in quanto la concorrenza tra Paesi ha un impatto sull'intera
industria elettronica».
La
guerra hi-tech.
Per
capire di cosa stiamo parlando e cosa c’è in gioco, servono esempi.
Miller
ne sceglie due:
la guerra (quella vera, in Ucraina) e la gara
in corso per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Partiamo dalla prima:
Miller
ci ricorda che la produzione di chip negli anni ‘50 e ‘60 è iniziata proprio
per realizzare i sistemi di puntamento e navigazione dei missili.
«Oggi
diamo per scontato che i militari possano premere un pulsante e far volare un
razzo per centinaia di chilometri colpendo un bersaglio con una precisione
quasi perfetta – ricorda - ma questo è possibile solo grazie a moltissimi
microchip e semiconduttori presenti nei missili stessi, così come nei satelliti
che trasmettono dati di puntamento e nei sistemi che li guidano.
E se
si guarda ai conflitti geopolitici che oggi scuotono il mondo, si scopre che i
semiconduttori svolgono un ruolo centrale in ognuno di essi».
Per
sostenere la sua tesi, il professore prende ad esempio la guerra tra Ucraina e
Russia, dove la prima ha tenuto testa alla seconda sia perché è riuscita a
mantenere sempre in funzione le comunicazioni digitali (in parte grazie anche ai satelliti
Starlink di Elon Musk), sia perché poteva contare sui missili anticarro Javellin e sui più avanzati Himars, che hanno una gittata di circa 80 km
e arrivano dietro le linee nemiche:
«In altre parole, la guerra tra Russia e
Ucraina fino oggi è stata definita in molti modi dai semiconduttori, chip e
microchip presenti nei sistemi militari utilizzati da entrambe le parti»,
spiega Miller.
È primato tecnologico dato dall’accesso alla
produzione di chip che si trasforma in primato militare:
un
monito per tutti i paesi del mondo.
L’altro
esempio prende in considerazione la competizione globale in corso per lo
sviluppo dell’intelligenza artificiale:
«Negli
ultimi dieci anni, la mole di dati utilizzati per addestrare i sistemi di intelligenza
artificiale più all'avanguardia è raddoppiata ogni sei-nove mesi, con un tasso
di incremento straordinario.
Che cosa ha permesso di migliorare
maggiormente i sistemi di IA?
La qualità dei dati? L’abilità degli ingegneri
più intelligenti?», si chiede Miller.
La
risposta è un’altra:
«Questo
progresso lo dobbiamo al fatto che grazie alla “Legge di Moore”, secondo cui i
chip raddoppiano le performance ogni due anni, oggi i sistemi di IA hanno
accesso a una potenza di calcolo 16 volte superiore a quella di un decennio
fa». Insomma, dipende tutto dall’hardware.
Il
problema, nonché la fonte delle crescenti tensioni geopolitiche alla base della
“Chip War”, è che proprio l’hardware inizia a scarseggiare.
Da una
parte, perché i chip più avanzati sono difficili da produrre:
serve
una macchina chiamata “Litografia ultravioletta estrema” (Euv, Extreme ultraviolet
lithography), che viene prodotta solo dall’azienda olandese Asml ed è il macchinario più complesso mai
costruito nella storia umana.
Una
fucina che richiede centinaia di migliaia di componenti, che impiega uno dei
laser più potenti mai impiegati in un dispositivo commerciale e che, al suo
interno, «polverizza minuscole sfere di stagno
a una temperatura circa 40 volte superiore a quella della superficie del sole».
Dall’altra
parte, Stati
Uniti, Giappone, Corea, Paesi Bassi e Taiwan, che insieme hanno il monopolio
assoluto nella produzione dei microchip più avanzati, hanno compreso il valore
strategico di queste tecnologie, e ora stanno limitando l’esportazione sia dei
chip, sia degli strumenti e delle competenze per produrli.
Soprattutto
verso la Repubblica Popolare Cinese, che in questo settore è rimasta indietro
nonostante i miliardi e miliardi di dollari investiti nell'ultimo decennio.
Il
nodo di Taiwan.
Una
scelta comprensibile da parte di chi ha interesse a contenere l’espansione
della Cina, ma che inevitabilmente surriscalda un altro fronte della “Chip War
globale”: Taiwan.
Dove
si trova la “Taiwan Semiconductor Manufacturing Company”, o TSMC, che da sola
produce circa il 90% dei processori più avanzati al mondo (il restante 10%
viene dalla Corea del Sud), inclusi quelli utilizzati per l'addestramento dei
sistemi di intelligenza artificiale.
Da
sempre oggetto delle rivendicazioni territoriali di Pechino, oggi l’isola fa
ovviamente ancora più gola alla Cina, che potrebbe colmare in un soffio il
proprio ritardo tecnologico conquistandone il controllo.
«Immaginate le implicazioni
geopolitiche ed economiche a livello globale se l'industria dei chip dovesse
trovarsi ad affrontare il blocco dell'isola», sottolinea infatti il professore.
Uno
scenario tutt’altro che improbabile, come conferma il fatto che l’industria sta
già cercando soluzioni per adattarsi al nuovo, drammatico scenario:
«La minaccia militare cinese a Taiwan, che aumenta a
ogni nuova esercitazione militare, sta spingendo i colossi dell’hi-tech a
spostare l'assemblaggio di PC, server e componenti in altri paesi a partire dal
Vietnam,
che è stato il maggior beneficiario di questo nuovo contesto, all'India, alla
Thailandia, al Messico.
L'industria
sta mutando rapidamente, e così anche i flussi di investimento», conclude il
professor Miller.
Insomma, la guerra dei chip è solo all’inizio.
Guerra,
ecco come la Russia ha perso
la
supremazia nella disinformazione.
Agendadigitale.eu
– Antonino Mallamaci (avvocato) – (17-3-2022) – ci dice:
Nella
guerra che sta sconvolgendo l’Ucraina e terrorizzando il globo, la celebre
abilità della Russia di manipolazione della realtà non è riuscita a
disinnescare la condanna quasi universale dell’invasione.
Cosa è
andato storto?
“Fake
news” guerra.
Una
delle fotografie più celebri dell’epoca sovietica raffigura Lenin che, dal
palco, arringa la folla.
Ai
piedi del podio, si vedono “Trockij”, e “Kamenev”, quest’ultimo altro stretto
collaboratore di Lenin.
La foto circolava ancora nella sua versione
originale in occasione del decimo anniversario della Rivoluzione, nel 1927.
Negli
anni Trenta, invece, in piena dittatura stalinista, essa venne ritoccata e
“Trockij” e “Kamenev” scomparvero:
entrambi,
infatti, erano ormai caduti in disgrazia e Stalin li aveva privati di ogni
carica all’interno del partito.
“Kamenev”
sarebbe stato condannato a morte (dopo un processo farsa) nel 1936, mentre”
Trockij” sarebbe stato assassinato nel 1940 in Messico.
Questo
celebre esempio di manipolazione della realtà dimostra che quella a fini
politici ha in Russia una tradizione ben radicata.
Col
tempo, la disinformazione si è adeguata ai mezzi a disposizione, e lo Stato
nato dalle ceneri dell’URSS si è guadagnato sul campo una certa fama in questo
settore.
Fama
meritata?
O
amplificata dalla mancanza di un contrasto serio da parte del resto del mondo?
Indice
degli argomenti:
L’isolamento
internazionale della Russia.
Il
fallimento della campagna di disinformazione russa.
La controffensiva
Usa.
Disinformazione
russa: i precedenti illustri.
Il
ruolo delle organizzazioni hacker.
Le
proteste in tutta la Russia contro la guerra e la risposta di Mosca.
Conclusioni.
L’isolamento
internazionale della Russia.
Nella
guerra che in questo periodo sta sconvolgendo l’Ucraina e terrorizzando il
globo terrestre e i suoi abitanti per le minacce esplicite, lanciate da Putin,
di ricorso alle armi nucleari, questa invidiabile (o esecrabile, dipende dai
punti di vista) abilità non è riuscita a disinnescare la condanna quasi
universale dell’invasione.
Anche le aziende tecnologiche hanno voltato le
spalle alla Russia, mentre moltissimi militanti digitali hanno agito contro
obiettivi russi.
Tuttavia, gli sforzi Putin per controllare le
informazioni all’interno del suo paese e impedire alla sua stessa popolazione
di rivoltarglisi contro, potrebbero ancora avere successo.
La
disfatta della comunicazione russa, almeno all’estero, è plasticamente
dimostrata dall’Assemblea generale dell’ONU, dove 141 paesi hanno votato per
condannare l’attacco e un comitato ha approvato in modo schiacciante
un’indagine su presunte violazioni dei diritti umani della Russia in Ucraina.
I
membri dell’Assemblea hanno votato 141 contro 5 per condannare la “operazione
militare speciale” in Ucraina e affermare che nessun guadagno territoriale
derivante dall’uso della forza sarà riconosciuto come legale.
La
risoluzione, dalla quale si sono astenuti 34 paesi tra cui Cina e India, ha
anche espresso “grave preoccupazione” per gli attacchi alle strutture civili e
per le vittime civili.
Le risoluzioni dell’Assemblea generale possono
inviare un messaggio sulla posizione dei leader mondiali, ma non hanno forza
vincolante.
Ciò a
differenza delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, composto da 15 membri,
5 dei quali permanenti con diritto di veto.
Tra
questi ultimi la Russia, che ha utilizzato quest’arma per bloccare una
risoluzione che le avrebbe richiesto il ritiro dall’Ucraina.
L’isolamento della Russia si è appalesato
ancora nel Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, dove 32 dei 47
membri hanno votato l’avvio di un’indagine sulle violazioni commesse nella
guerra in Ucraina e per individuarne i responsabili.
Solo
la stessa Russia e l’Eritrea hanno votato contro, mentre 13 paesi si sono
astenuti (tra i quali i tradizionali sostenitori di Mosca: Cina, Venezuela e
Cuba).
Il Consiglio di Ginevra ha anche condannato
“con la massima fermezza le violazioni dei diritti umani e gli abusi e le
violazioni del diritto umanitario internazionale nell’aggressione della
Federazione Russa contro l’Ucraina”.
La
decisione del Consiglio comporta la creazione di una commissione d’inchiesta
internazionale indipendente “per indagare su tutte le presunte violazioni e
abusi… nel contesto dell’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina”.
Il
fallimento della campagna di disinformazione russa.
Da
ciò, dunque, si evince chiaramente come i messaggi di Mosca non si siano
rivelati convincenti di fronte al flusso di immagini e video che mostrano la
brutale guerra in Ucraina, come ha affermato “David Kaye”, ex relatore speciale
delle Nazioni Unite sulla libertà di espressione:
“Le
immagini che riceviamo dall’Ucraina, i social media, e lo sforzo di
comunicazione che Zelenskyy ha intrapreso, sono determinanti nel rendere più
facile per i diplomatici isolare la Russia.”
Il
fallimento della campagna di disinformazione è in netto contrasto con le
passate campagne di guerra ibrida dove erano state abilmente utilizzate
tattiche informative per evitare un efficace contrasto globale, ad esempio
quando la Russia si è impadronita della Crimea o ha provocato il precipitare della
situazione nel Donbass.
Questa volta le dimensioni dell’operazione e i
mesi di preparativi per l’invasione al confine ucraino hanno reso impossibile
che si replicasse lo stesso copione.
In
effetti, non c’è modo di oscurare il combattimento nella zona grigia quando si
sta lanciando un’invasione convenzionale che coinvolge 190.000 soldati.
La
controffensiva Usa.
Il
fallimento è in gran parte dovuto agli sforzi degli Stati Uniti per evidenziare
le operazioni sotto falsa bandiera prima che si verificassero, dando il tempo
per costruire una risposta forte e unitaria.
Per anni, i funzionari americani si sono
lamentati del fatto che gli Stati Uniti combattevano con un braccio legato
dietro la schiena quando si trattava di condurre una guerra dell’informazione.
Gli
avversari sono stati liberi di diffondere menzogne e teorie del complotto,
mentre il governo degli Stati Uniti generalmente si sentiva obbligato a
rivelare la verità nelle sue dichiarazioni pubbliche (anche se spesso ha cercato di
nascondere una cattiva condotta).
Per la
Russia è stato facile trasmettere propaganda negli Stati Uniti, spesso tramite
i social media, come è stato più difficile per le informazioni indipendenti
penetrare in spazi mediatici più strettamente controllati in paesi come Cina,
Corea del Nord e Russia.
Con l’escalation della crisi in Ucraina,
l’amministrazione americana sembra aver sviluppato una tecnica efficace per
condurre la guerra dell’informazione.
Piuttosto che consentire a Putin e compagnia
di diffondere liberamente ridicole teorie del complotto anti-russo che
coinvolgono l’Occidente e l’Ucraina, l’amministrazione ha scelto di reagire
rilasciando rapporti di intelligence sui tentativi della Russia di creare una
giustificazione per l’invasione.
Già il
23 gennaio, il governo britannico e quello degli Stati Uniti hanno diffuso i
dettagli di un presunto complotto russo per instaurare un regime filo-Mosca a
Kiev, indicando un ex membro filorusso del parlamento ucraino come il burattino
preferito da Putin.
Il 3
febbraio, poi, l’amministrazione Biden ha rilasciato informazioni su un piano
russo per filmare un falso attacco sul territorio russo o su persone di lingua
russa nell’Ucraina orientale per motivare l’attacco.
Secondo
il portavoce del Pentagono, John Kirby, sarebbe stato realizzato “un video di propaganda con cadaveri
e attori abbigliati a lutto, immagini di luoghi distrutti, nonché attrezzature
militari che sarebbero state fatte apparire come fornite dall’Occidente”.
Gli
Stati Uniti hanno anche rilasciato numerosi dettagli sui movimenti delle truppe
russe al confine con l’Ucraina, insieme a valutazioni secondo cui era probabile
un’invasione russa.
L’amministrazione
ha inoltre condiviso informazioni sul dissenso all’interno dell’esercito russo.
Un
alto funzionario statunitense, coperto dall’anonimato, ha spiegato la strategia
dell’amministrazione al Wall Street Journal:
“Abbiamo
visto molte volte nella storia recente [la Russia] condurre operazioni sotto
falsa bandiera e usare la confusione per lanciare un’azione militare.
Smascherare questi complotti rende molto più difficile per la Russia
eseguirli”.
Visti
i precedenti, come la famosa “Smoking gun” tirata fuori per giustificare
l’intervento in Iraq, I giornalisti sono scettici nei confronti
dell’intelligence statunitense, ma sull’utilizzo da parte russa delle
cosiddette operazioni sotto falsa bandiera per giustificare l’aggressione non
si può certo dubitare.
Disinformazione
russa: i precedenti illustri.
Alcuni
precedenti sono indicativi e aiutano a fugare i dubbi.
Nel
1939, l’Unione Sovietica bombardò le sue truppe vicino al confine con la
Finlandia per poterla invadere.
Nel
1968, gli agenti del KGB in Cecoslovacchia inventarono di sana pianta una
storia di minacce contro l’URSS e affermarono di aver trovato un deposito di
armi “Made in USA”, tutto per stroncare la Primavera di Praga con i carrarmati.
Sembra
pure che nel 1999 agenti dell’intelligence russa abbiano bombardato condomini
russi per giustificare l’invasione della Cecenia.
In
Georgia (2008) e Ucraina (2014), le operazioni compiute sono state accompagnate
da una copiosa disinformazione, compreso l’uso di “omini verdi”, soldati in
divisa verde privi di insegne dell’esercito, per mascherare il ruolo delle
forze militari russe.
Il Cremlino ha persino accusato la CIA per
l’abbattimento dell’aereo di linea malese nei cieli di Ucraina nel 2014,
compiuto invece dai separatisti sostenuti dalla Russia utilizzando un sistema
di difesa aerea russa.
In
passato, gli Stati Uniti sono stati colti alla sprovvista dalle operazioni di
disinformazione russe.
Smascherare
i complotti russi in tempo reale sembra essere una risposta efficace, anche se
ciò solleva preoccupazioni sull’esporre le “fonti e i metodi” della comunità
dell’intelligence statunitense, mentre i giornalisti si chiedono se ci si possa
fidare delle affermazioni del governo degli Stati Uniti.
Nondimeno,
i rapporti statunitensi gettano sabbia negli ingranaggi della macchina militare
russa e costringono quel governo a chiedersi da dove le agenzie di intelligence
occidentali stiano ottenendo le loro informazioni, ipotizzando magari la
presenza di traditori.
I
rapporti neutralizzano anche la propaganda russa e consentono agli Stati Uniti
di cercare di controllare la narrativa, piuttosto che cedere a Putin e ai suoi
propagandisti:
data
la crescente importanza delle operazioni di informazione nella guerra moderna,
non è un risultato da poco e ha già dato i suoi frutti con una notevole unità
occidentale di fronte alle minacce russe.
D’altra
parte, Putin e i suoi hanno dato prova di goffaggine, contrariamente a quanto
ci si aspettava, quando hanno tentato di persuadere il pubblico che le forze
ucraine stavano commettendo atrocità nella parte occupata dai russi del Donbas.
Secondo
Nika
Aleksejeva,
ricercatrice capo per i Paesi baltici presso il “Digital Forensic Research Lab”
del Consiglio atlantico,
“Era
più come un teatro, come filmati davvero messi in scena o piuttosto mal
montati”.
Gli esempi includono “video che pretendevano
di mostrare ucraini che bombardavano Donetsk (usando ovviamente esplosioni a
tempo) e civili feriti (usando un attore amputato che non si era nemmeno preso la
briga di rimuovere completamente la sua protesi)”.
La
Russia sta ancora spingendo messaggi sui social media tramite reti di “bot”, ma
sembra che non abbiano alcuna efficacia, mentre essa sta anche perdendo la
capacità di influenzare il pubblico all’estero attraverso i suoi canali di
propaganda “Sputnik” e “Russia Today” (che ha chiuso anche negli USA), entrambi
vietati nell’Unione Europea.
Il
ruolo delle organizzazioni hacker.
Al
fallimento dell’operazione di influenza esterna hanno contribuito certamente le
azioni degli hacker contro le agenzie e le organizzazioni russe.
Tra
questi, gruppi ucraini che attuano sabotaggi digitali contro ferrovie e rete
elettrica.
Gli
stessi gruppi hanno distrutto o danneggiato molti siti web governativi e
bancari russi, a volte sostituendo i contenuti con immagini violente della
guerra.
Una
“milizia informatica”, organizzata, pare, da uomini della Difesa ucraina, ha
messo insieme più di 1.000 volontari ucraini e stranieri.
Quando
si è diffusa la notizia, i “Cyber Partisans” bielorussi si sono offerti
volontari per attaccare le ferrovie bielorusse, ree di aver trasportato soldati
russi.
I “Cyber Partisans” hanno disabilitato i
sistemi di traffico della ferrovia e bloccato il suo sito web di biglietteria,
determinando gravissimi disagi limitando la vendita ai soli biglietti cartacei.
Secondo
la portavoce dei “Cyber Partisans”, gli ucraini “stanno combattendo non solo
per la loro libertà, ma anche per la nostra. Senza un’Ucraina indipendente, la
Bielorussia non ha alcuna possibilità”.
Il
gruppo formato dalla Difesa ucraina sta inoltre aiutando l’esercito a catturare
le unità russe sotto copertura, che invadono città e paesi, utilizzando la
tecnologia di localizzazione dei cellulari.
In
azione anche il collettivo Anonymous.
I suoi tantissimi militanti hanno preso di
mira la televisione russa e altri siti governativi.
Le
proteste in tutta la Russia contro la guerra e la risposta di Mosca.
Nel
frattempo, si segnalano proteste in tutta la Russia, ma gli sforzi del governo
per ridurre il flusso di informazioni all’interno e all’esterno del paese
potrebbero privare i dissidenti del carburante vitale.
Il
governo ha rallentato l’accesso a Twitter, bloccato Facebook e intensificato i
propri sforzi di propaganda, soprattutto in televisione.
È stata anche varata una legge che prevede una
pena di 15 anni per chi diffonde notizie false, che sarebbero quelle diverse
dalla narrazione ufficiale che chiama la guerra “Operazione militare speciale”.
Ancora,
l’autorità per le comunicazioni russa ha limitato l’accesso al canale
televisivo “Dozhd TV” e alla stazione radiofonica “Ekho Moskvy”, accusati di
aver diffuso “informazioni deliberatamente false” sull’assalto della Russia
all’Ucraina.
Allo
stesso tempo, i tempi di trasmissione per i talk show di propaganda dei canali
TV di proprietà del Cremlino sono aumentati, come afferma Nika Aleksejeva. Che aggiunge: “è stato diffuso
nella tv statale un video falso, che mostrerebbe le atrocità ucraine,
probabilmente rivolto al pubblico nazionale, ciò al fine di generare titoli per i media di proprietà
del Cremlino, per creare attenzione nel ciclo delle notizie e convincere il
pubblico interno.
Ciò
potrebbe peggiorare il divario generazionale nella percezione russa della
guerra, perché è più probabile che le persone anziane ottengano le loro
informazioni dalla televisione”.
Nika
Aleksejeva teme
anche che la chiusura delle aziende occidentali possa ridurre, per i
dissidenti, capacità di raccogliere informazioni e di reclutamento. Inoltre, la
chiusura di Facebook e di altri siti rende più difficile ottenere informazioni
dall’estero, spingendo le persone a guardare la televisione di Stato che
diffonde disinformazione.
Conclusioni.
Per
concludere, è vero che nella vicenda ucraina la disinformazione di stato russa,
senz’altro discendente diretta di quella dell’URSS, ha dimostrato che, se
adeguatamente contrastata, non è in grado di ripetere i fasti della Brexit o
della campagna presidenziale terminata con l’elezione dell’amico Trump.
È
anche vero, tuttavia, che in uno Stato sempre più orientato verso la dittatura
senza infingimenti, la propaganda e il distorcimento della verità hanno ancora
parecchie frecce al proprio arco.
Gli
Stati Uniti hanno iniziato
una
guerra economica per
mantenere
la supremazia globale.
Contropiano.org
- Zhang Yugui (Chinadaily.Com.Cn) – 4 aprile 2022 – ci dice:
Tra
tante chiacchiere fondate sulle veline del Pentagono (e, giù per li rami, tutte
le “istituzioni subordinate”) vale sempre la pena di cogliere punti di vista
alternativi. Naturalmente, non ci possono interessare le “dietrologie” (che
combattiamo da sempre), né le letture semplicistiche di un problema complesso
come una possibile guerra nucleare.
Abbiamo
perciò deciso di tradurre questa analisi – di cui c’è un disperato bisogno, tra
tanta “emotività” a costo zero – tratta dal “China Daily” (testata cinese
alquanto autorevole, praticamente ufficiale) per informare su come altre
potenze del mondo vedono gli eventi attuali.
Non si
tratta ovviamente di stabilire quale sia il punto di vista sicuramente “giusto”
sul piano politico e morale, ma di sapere cosa sta accadendo e come, con quali
attori, per quali scopi.
Questa
analisi si concentra inevitabilmente sul mondo finanziario a guida Usa.
Perché
quello è il motore ancora funzionante – insieme al complesso
militare-industriale – di una superpotenza ormai a corto di argomenti e di
appeal.
Gli
Stati Uniti sono l’unica superpotenza al mondo in grado di creare conflitti
regionali o di condurre guerre unilateralmente.
Nel
conflitto Russia-Ucraina, l’obiettivo esplicito degli Stati Uniti è quello di
tagliare il legame economico tra Russia ed Europa, paralizzare il canale di
contatto economico estero della Russia, spezzare l’ancora di salvezza
finanziaria internazionale della Russia, ottenere profitti in eccesso sul
mercato paneuropeo con costi inferiori e guidare il flusso di capitale globale
verso gli Stati Uniti.
Ma il
suo obiettivo strategico di fondo è quello di approfondire la dipendenza di altri paesi
dall’ordine economico e finanziario guidato dagli Stati Uniti e prolungare il
ciclo di egemonia del dollaro USA.
Come
tutti sappiamo, sebbene siano ancora la più grande economia del mondo, gli
Stati Uniti non sono più potenti come una volta.
Nel
1945 rappresentava il 45% dell’economia globale e il 59% delle riserve auree
mondiali e, 77 anni dopo, rimane la più grande economia mondiale e il maggiore
detentore di riserve auree globali, ma è diventata una superpotenza economica
piena di debiti.
Secondo
i dati diffusi dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti il primo
febbraio, il debito nazionale degli Stati Uniti ha superato per la prima volta
i 30 trilioni di dollari, raggiungendo un livello record, e il 15 marzo ha
raggiunto i 30,3 trilioni di dollari; il che significa che è stato generato un
debito aggiuntivo di 300 miliardi di dollari, solo un mese e mezzo.
D’altra
parte, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 7,9% su base annua a
febbraio, il livello più alto dal 1982.
Ciò ha portato la Federal Reserve ad avviare
un ciclo di rialzi dei tassi di interesse il 16 marzo.
Il
piano di salvataggio economico da 1,9 trilioni di dollari e la sua proposta
“Build Back Better World” da 2,59 trilioni di dollari, sono entrambi programmi
basati sul disavanzo che creeranno aspettative di inflazione significative e
oneri del debito.
Il governo degli Stati Uniti oggi ha bisogno
di più soldi che mai.
In
questo contesto, l’amministrazione Biden ha completamente ritirato le truppe
statunitensi dall’Afghanistan sotto forti pressioni, ponendo formalmente fine
alla presenza militare statunitense nel Paese dopo 20 anni.
Oltre
al cambiamento strategico, un’importante considerazione economica della mossa è
liberarsi del peso della guerra afgana che ha consumato in media 50 miliardi di
dollari all’anno.
Chiunque
abbia familiarità con gli affari degli Stati Uniti sa che la guerra è un grande
affare.
Infatti, poco dopo il ritiro militare
dall’Afghanistan, il 10 novembre gli Stati Uniti hanno firmato una carta aggiornata per
la cooperazione strategica USA-Ucraina, approfondendo la cooperazione
bilaterale nei settori della politica, della sicurezza, della difesa, dello
sviluppo, dell’economia, dell’energia, dell’istruzione e della cultura, e
vincolare l’Ucraina al gioco di scacchi strategico geopolitico degli Stati
Uniti.
In un
recente articolo per “The Economist”, “John Mearsheimer”, professore di scienze
politiche all’Università di Chicago, ha sottolineato che la mossa è stata una
delle micce che ha innescato la crisi Russia-Ucraina.
Il
complesso militare-industriale e i conglomerati finanziari statunitensi devono
essere stati molto eccitati quando è iniziata la guerra.
Infatti,
sulla scia della crisi, la Germania ha deciso di acquistare jet da
combattimento americani e ha annunciato un budget speciale di 100 miliardi di
euro in più per accelerare la modernizzazione della sua difesa.
Si
prevede che una parte significativa della massiccia spesa andrà a giganteschi
appaltatori come Lockheed Martin, Raytheon, General Dynamics, Boeing e Northrop
Grumman.
Dopo
lo scoppio del conflitto Russia-Ucraina, gli Stati Uniti hanno immediatamente
avviato la loro macchina egemonica istituzionalizzata per strangolare gli
interessi economici e finanziari della Russia.
In
primo luogo si è unito ai principali alleati per imporre sanzioni economiche e
finanziarie alla Russia, per paralizzare i suoi legami economici esterni,
interrompere l’ancora di salvezza finanziaria internazionale della Russia e
aprire la strada a una “rapina legale” a basso costo di beni russi.
Poco
dopo il conflitto, gli Stati Uniti e i paesi del G7 hanno escluso alcune banche
russe dalla Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali
(Swift) e hanno congelato le attività della banca centrale russa e vietato le
transazioni con essa.
Sono
state inoltre poste restrizioni alla capacità della Russia di condurre
transazioni commerciali in valute comuni di valuta estera.
Successivamente,
la Russia è stata costretta a chiudere il mercato azionario e le attività all’estero e le società
quotate sono state saccheggiate dai baroni finanziari globali.
Ad
esempio, “Sberbank”, quotata a Londra, è stata costretta a chiudere una
posizione il 2 marzo, con i prezzi delle azioni che sono crollati del 95% a $
0,045 per azione dal suo picco di $ 21,63, una perdita di $ 110 miliardi di
valore di mercato in un solo giorno lasciandola con soli $ 243 milioni.
Allo
stesso tempo, un gruppo segreto di istituzioni finanziarie di Wall Street,
esenti da sanzioni, ha acquistato quasi il 40 percento della banca con uno
sconto di appena 0,02 sul patrimonio netto, con meno di 100 milioni di dollari.
Ciò
significa che i magnati finanziari di Wall Street potrebbero guadagnare
centinaia di miliardi di dollari se le sanzioni venissero revocate.
In
secondo luogo, gli Stati Uniti hanno cercato di tagliare il legame economico
tra Russia ed Europa per intensificare la dipendenza economica dell’Europa
dagli Stati Uniti.
Da
quando le sanzioni sono entrate in vigore, le ricevute di deposito globali
delle società russe sono crollate di oltre il 95% prima della sospensione delle
negoziazioni e gli investitori globali in società quotate al di fuori della
Russia, la maggior parte delle quali istituzioni finanziarie europee, hanno
subito enormi perdite.
Il
capitale finanziario statunitense e britannico ha successivamente preso parte a
una battuta di caccia all’affare.
Le
aziende europee che operano in Russia hanno perso più di 100 miliardi di
dollari di valore di mercato nell’ultimo mese.
Inoltre,
il governo tedesco ha sospeso l’approvazione per il progetto del gasdotto Nord
Stream 2 e gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno vietato le importazioni di
petrolio russo.
L’incertezza
sull’offerta futura ha portato all’impennata dei prezzi del petrolio e del gas
nel mercato internazionale, aumentando le sofferenze dei cittadini europei.
Mentre
paesi come la Germania e la Francia erano intrappolati tra il tentativo di
porre fine alla loro dipendenza dall’energia russa e l’adozione di misure per
attutire il colpo dei prezzi elevati dell’energia, gli Stati Uniti hanno
lanciato un’azione congiunta “mirata a rafforzare la sicurezza energetica
europea e ridurre la dipendenza dell’Europa dal petrolio russo e gas”
apparentemente per alleviare le preoccupazioni dell’Europa.
Ma, in
realtà, ha colto l’occasione per esportare gas naturale liquefatto americano in
Europa a un prezzo elevato.
Secondo
Reuters, le spedizioni di gas naturale liquefatto degli esportatori
statunitensi in Europa hanno raggiunto livelli record per tre mesi consecutivi,
con prezzi in aumento di oltre 10 volte rispetto a un anno fa.
In
terzo luogo, gli Stati Uniti hanno continuato a creare tensioni nel mercato
finanziario internazionale e a incoraggiare il flusso di capitali
internazionali dall’Europa agli Stati Uniti attraverso aumenti dei tassi di
interesse.
Dopo
il conflitto Russia-Ucraina, gli Stati Uniti hanno lanciato feroci sanzioni
finanziarie per congelare le riserve valutarie della banca centrale russa da
300 miliardi di dollari, provocando l’immediato dimezzamento del tasso di
cambio del rublo rispetto al dollaro e l’impennata del tasso di inflazione.
La
banca centrale russa è stata costretta ad aumentare il tasso di interesse al
20%. Allo stesso tempo, le tre principali agenzie di rating, a seguito di una
serie di bruschi downgrade del rating creditizio delle società russe, hanno
recentemente cancellato il rating creditizio del debito sovrano russo e di
tutte le società in risposta al quarto round di sanzioni dell’Unione Europea
contro la Russia.
Ciò
equivale al blocco diretto del canale di finanziamento del governo e delle
imprese russe sul mercato finanziario internazionale.
È
stato anche in questo momento che gli Stati Uniti hanno avviato il ciclo di
aumenti dei tassi di interesse con il pretesto di combattere l’inflazione e
hanno rivelato che avrebbero ridotto drasticamente il bilancio della Fed.
In un
momento di incertezza sui mercati globali, gli aumenti dei tassi della Fed
segnalano chiaramente la fiducia degli Stati Uniti nella dinamica di crescita
endogena del proprio sistema economico e inviano un forte messaggio alle altre
economie:
gli Stati Uniti ancora dominano.
Pur
promuovendo la stabilità del mercato finanziario statunitense, il flusso accelerato di capitali
globali verso gli USA prolungherà ulteriormente il ciclo dell’egemonia del
dollaro USA.
(Zhang
Yugui - L’autore è preside della School of Economics and Finance della Shanghai
International Studies University.)
(chinadaily.com.cn/a/202204/01/WS6246c83da310fd2b29e54bb2.html)
GUERRA
E PACE –
Le tre
guerre d’Ucraina.
Unponteper.it
– (24 June 2022) – Fabio Alberti – ci dice:
Ci
sono tre guerre in Ucraina. Occorre imparare a distinguerle se si vuole capire
cosa succede e se si vuole cercare di fermarle.
La prima, la più visibile, quella su cui i giornali e i politici
parlano e commentano, è quella della Federazione Russia contro la Repubblica
Ucraina.
O meglio: del Governo russo, che ha ordinato
l’invasione, contro le popolazioni ucraine, che si sono svegliate una mattina
con i carri armati sotto casa.
La
seconda è
una guerra interna tra opposti nazionalismi.
Il nazionalismo ucraino, che sventola le
bandiere e vorrebbe un paese monoculturale cominciando con l’abolizione della
lingua del 20% della popolazione come lingua ufficiale e il nazionalismo russo,
quello di
Putin e quello che invece di democrazia e diritti per tutti le minoranze ha
chiesto separazione ed imbracciato le armi.
La
terza guerra è quella per il dominio del globo.
È
quella tra il cosiddetto occidente che dopo il crollo economico e istituzionale
dell’Unione Sovietica ha deciso di lavorare per la supremazia invece che per
l’inclusione.
È quella dell’élite oligarchica russa che
vorrebbe ripristinare il bipolarismo, il condominio del terrore.
È la
guerra mondiale a pezzi di cui le prime due sono una parte.
Solo
nella prima di queste tre guerre possiamo stare da una parte.
È la parte di chi sta sotto.
Di
quelli la cui vita è stata travolta, che dormono nelle cantine o sono scappati,
di quelli uccisi a freddo sulle strade o da ordigni sganciati da migliaia di
chilometri. Ed è anche la parte dei ragazzi russi, mandati a morire con una
divisa indosso e la testa riempita di sciocchezze nazionaliste, bruciati nei
carri armati, giustiziati a freddo, calati nelle fosse comuni.
Ed è
anche la parte dei disertori, di tutte le parti e che da tutte le parti sono
incarcerati e sottoposti al linciaggio morale.
Di
questa guerra non c’è che un responsabile.
Nessuna
delle circostanze che possono essere richiamate per descrivere il processo,
può, nemmeno per un instante, essere addotta a giustificazione.
Né
l’accerchiamento militare della Nato, né le violenze contro i russofoni in
Donbass, né la presenza di nazisti in Ucraina.
Niente
di questo può giustificare la scelta di invadere un paese e promuovere un
conflitto armato.
Perché
di scelta si è trattato.
Esistono
sempre delle alternative, e quella della guerra non è tra queste.
Per
questo i pacifisti non sono “equidistanti”.
Per questo chiedono come prima cosa che
l’esercito russo si ritiri subito, senza condizioni.
Ma
nelle altre due guerre non si può essere partigiani.
Non
degli opposti nazionalismi, né di uno dei due pretendenti signori del mondo.
È per
questo serve una politica di neutralità attiva dell’Italia e dell’Europa.
Non si
può parteggiare con chi vorrebbe un paese etnicamente omogenizzato, purificato
nella sua ucrainicità, né con chi ha pensato che la discriminazione subita
giustifichi imbracciare le armi e magari farsi un proprio stato.
Questa
storia degli Stati-Nazione ha fatto fin troppe vittime negli ultimi due secoli,
da quando le élite europee hanno scoperto che l’identità è una potente risorsa
politica per prendere e mantenere il potere.
In
questa guerra di nazionalismi, occorre stare con chi, nella società civile
ucraina e russa, con grande coraggio e sfidando il potere e l’attuale senso
comune della gente manipolata dal delirio nazionalistico, continua a lottare
contro le discriminazioni e per la costruzione di stati multiculturali, non di
stati “nazionali”.
Per quanto mi riguarda l’ultima parola sul
tema l’ha detta “Abdullah Ochalan” dal carcere di” Imrali “dichiarando che per
le popolazioni curde, nonostante le discriminazioni subite e finanche il
tentativo di genocidio, non serve uno “Stato Kurdo”, ma uno stato democratico,
anzi una confederazione democratica in cui tutti possano convivere.
Poi
c’è la guerra geopolitica, che si nutre del nazionalismo per manipolare le
masse.
È la
terza guerra mondiale a pezzi, quella iniziata dagli Stati Uniti dopo il crollo
dell’economia e delle istituzioni sovietiche.
L’”Occidente” decise allora di puntare sulla “Supremazia”
che quell’evento le consegnava per renderla permanente a livello politico,
economico e militare.
Invece
di aiutare la Russia a risollevarsi ed includerla nella casa comune europea,
come proponeva Gorbaciov, ha deciso di escluderla, di farle la guerra in “Serbia”
mentre la “Nato” la circondava militarmente con la politica delle “porte
aperte” e l’allargamento ad est.
È la
guerra che Putin e l’oligarchia russa hanno deciso di combattere sui corpi
degli uomini e delle donne e sul territorio ucraini.
Quei
carri armati dicono della velleità di ripristino del potere imperiale che fu
prima degli zar e poi dell’Urss.
La
rivendicazione di un’”area di influenza” rivela la volontà del ritorno
all’equilibrio del terrore e al bipolarismo.
Anche per l’establishment russo dopo l’89 non
può esserci un mondo basato sulla cooperazione tra i popoli, ma deve permanere
la spartizione ed è così che si è nutrito un nazionalismo esasperato per
coprire la progressiva erosione di diritti e democrazia.
In
questo scontro tra chi vuole essere il solo padrone del mondo e chi propone un
condominio non si può prendere partito.
Nasce qui la necessità di una nuova politica
estera basata sul concetto di neutralità attiva.
Se non
ci fossero le altre due guerre, quella nazionalista e quella geopolitica, il
ragionamento di chi vede nella fornitura di armamenti all’esercito ucraino un
mezzo per abbreviare la guerra e per ridurre le vittime avrebbe forse un senso.
Ma
così non è.
Oggi
le armi non servono per far finire la guerra, ma per farla durare all’infinito.
Il
prolungamento della guerra per fare dell’Ucraina, sulla pelle degli ucraini e
delle ucraine, un nuovo Afganistan in cui impantanare la Russia è l’obiettivo
dichiarato degli Stati Uniti al cui disegno egemonico la pace non è utile.
Più
armi significano più morti e più sofferenze.
Se si
trattasse solo di un confronto Russia/Ucraina sarebbe tutto sommato facile
farlo finire.
I termini di un possibile compromesso sono già
noti e sono sul tavolo delle trattative da tempo, ma la dimensione
internazionale della guerra impedisce di trovare un accordo.
Lo
testimonia la rapidità con la quale il segretario generale della Nato ha
prontamente smentito Zelensky sulla Crimea e confermato la volontà di
allargamento ad est dell’alleanza militare.
È la Nato che il 29 e 30 giugno si riunirà nuovamente
a Madrid per concludere formalmente il processo di trasformazione in strumento
militare del dominio globale dell’Occidente adottando il nuovo “concetto
strategico” finalizzato al “mantenimento della supremazia”.
Nuovi
e più pericolosi conflitti sono all’orizzonte.
(Fabio
Alberti.it)
Ri-globalizzazione:
dalla supremazia
dell’economia
a quella della politica.
Lavoce.info
- GIANMARCO OTTAVIANO – (16/02/2023) – INTERNAZIONALE – ci dice:
L’economia
mondiale sembra riconfigurarsi in gruppi integrati di paesi affini, sotto la
sfera di influenza americana o cinese, in competizione per l’egemonia
economica, politica e culturale. Per la Unione europea non sarà un percorso
semplice.
La
globalizzazione dopo la seconda guerra mondiale.
Un
nuovo ordine mondiale si prospetta all’orizzonte e la globalizzazione non sarà
più la stessa.
Negli
ultimi anni, gli sforzi di molti paesi si sono indirizzati verso la creazione
di alternative all’economia globale integrata sviluppatasi a partire dalla
seconda guerra mondiale.
Un processo che ha conosciuto un’ulteriore
accelerazione in seguito alla guerra in Ucraina e alle conseguenti sanzioni
economiche inflitte alla Russia da parte della comunità internazionale.
A
partire dalla seconda guerra mondiale, proprio per contrastare alcune delle
cause del conflitto – oltre che naturalmente alcune delle sue conseguenze – vi
è stato un movimento internazionale, diplomatico e politico, volto a raggiungere un’integrazione
dei mercati dei diversi paesi che fosse globale e multilaterale, vale a dire che non lasciasse fuori
nessuno.
Lo si
è fatto per due ragioni:
in
primo luogo,
per una ragione di stabilità, nel senso di cercare di evitare che si creassero
blocchi contrapposti;
in secondo luogo, per una ragione di inclusività, nel senso di evitare che i grandi
paesi industrializzati si mettessero d’accordo fra loro in modo mirato, secondo
i propri interessi, escludendo dagli accordi quelli in via di sviluppo.
Questi
ultimi, dopo la seconda guerra mondiale, erano paesi giovani:
in
molti casi ex colonie o stati nati fra il primo e il secondo conflitto mondiale
dalla dissoluzione dei blocchi imperiali.
Operativamente,
lo sforzo ha richiesto la creazione di importanti organizzazioni
internazionali, tra cui la “Banca Mondiale”, il “Fondo monetario
internazionale” e, successivamente, l’”Organizzazione mondiale del commercio”
(Omc).
Tuttavia,
già prima della nascita dell’Omc, molteplici round negoziali avevano messo
molti paesi attorno a un tavolo con lo scopo di integrare le diverse economie
in una maniera che fosse soddisfacente per tutti.
C’erano
ovviamente anche stati che preferivano non partecipare.
In
particolare, quelli del blocco sovietico, anche per un’incompatibilità di fondo
tra il funzionamento dei mercati e l’economia pianificata;
e la Cina, un gigante dormiente, che all’epoca
interessava poco agli altri attori globali e rimaneva a sua volta focalizzato
sul proprio sviluppo interno.
Questa
era dunque la globalizzazione nata dopo la seconda guerra mondiale, che ha continuato
a svilupparsi nella medesima direzione anche quando il blocco sovietico si è
dissolto e le economie pianificate sono diventate economie di mercato, entrando
man mano nell’”Omc”.
Al
contempo, il
dormiente gigante cinese si è risvegliato e ha cominciato a seguire una
traiettoria di sviluppo basata su un’economia che è capitalistica, ma
controllata dal Partito comunista, e di un’attiva partecipazione alle
organizzazioni internazionali.
Risale
all’inizio del secolo, più precisamente al 2001, il momento di alto valore
simbolico in cui la Cina è entrata a far parte dell’”Omc”.
La
dialettica Usa-Cina.
È da
quel momento che le cose hanno cominciato a cambiare.
Uno dei principi dell’equilibrio multilaterale
è quello per cui gli stati non possono agire in modo isolato;
non
possono cioè prendere iniziative unilaterali di aumento dei propri dazi, né
possono decidere di ridurli solo a vantaggio di alcuni paesi amici.
Vige
cioè un principio di non discriminazione, in virtù del quale, se si decide
un’iniziativa nei confronti di un paese membro dell’Omc, la stessa deve
applicarsi a tutti gli altri paesi membri.
È il
principio generale, benché se vi siano eccezioni notevoli, tra cui l’Unione
europea con il suo mercato unico.
Nella
dialettica odierna fra Stati Uniti e Cina, da un lato si ha un libero mercato
in cui gli attori sono abituati a decidere e muoversi in maniera indipendente,
dall’altro un mercato regolamentato da un coordinamento centralizzato e un
governo che riesce a essere molto più interventista.
Anche
da qui nasce il contrasto fra i due paesi.
Da
parte statunitense, c’è poi l’idea che la Cina faccia una concorrenza sleale
sui mercati globali, riuscendo a impadronirsi, proprio grazie agli scambi
commerciali internazionali, di tecnologie sviluppate in Occidente.
La
reazione che si è costruita nel tempo a Washington è quella di un protezionismo
dapprima latente e poi sempre più evidente, fino a quando Donald Trump ha
dichiarato una vera e propria guerra commerciale alla Cina, utilizzando come
armi i dazi sulle importazioni.
Durante il suo mandato, Trump ha accusato Pechino di
appropriarsi delle tecnologie in modo scorretto, e ha messo in atto una
risposta di tipo punitivo, volta a impedire le esportazioni fino a quando la
Cina non avesse modificato il proprio regime di trasferimento tecnologico e
iniziato ad acquistare più merci statunitensi.
Secondo alcuni osservatori, la guerra
commerciale di Trump non sarebbe altro che una risposta, magari antiquata e
fuori dalle regole, a un “peccato originale” riguardante le condizioni della
partecipazione della Cina nell’Omc, ritenute un po’ troppo à la carte.
L’atteggiamento
degli Stati Uniti ha finito per interessare anche partner tradizionali, come
l’Unione europea o il Canada, colpiti anch’essi dalle rappresaglie commerciali
dell’amministrazione americana.
Diventato
presidente, Joe Biden ha trovato in eredità una situazione di protezionismo
aggressivo e finora non si è adoperato granché per modificarla.
Nel
suo manifesto economico al tempo della campagna presidenziale non si parlava di
dazi e ancor meno di un qualunque impegno a rimuovere quelli introdotti da
Trump.
A
distanza di più di tre anni dall’insediamento di Biden alla Casa Bianca, anche
se la retorica americana nei confronti dei partner tradizionali si è
ammorbidita, non si nota alcuna particolare discontinuità nella sostanza
economica dei rapporti commerciali.
Basti pensare all’impronta apertamente
protezionista dell’”Inflation Reduction Act”.
Emerge l’intento di ricompattare e riattivare le
alleanze, in un quadro in cui gli Stati Uniti sentono forte il bisogno dei
propri alleati nel confronto con la Cina.
Allo stesso tempo, di fronte a eventi come
l’invasione dell’Ucraina, le dinamiche economico-commerciali sembrano passare
sempre più in secondo piano, diventando strumentali rispetto al piano politico.
L’esito
più probabile della trasformazione in corso non sarà però la deglobalizzazione
tanto temuta (o auspicata) da molti commentatori, quanto una ri-globalizzazione
selettiva:
una
riconfigurazione dell’economia mondiale per gruppi integrati di paesi affini.
Globalizzazione sì, quindi, ma solo tra amici fidati.
Questo
porterà inevitabilmente i paesi ad aggregarsi sotto due principali sfere di
influenza – americana e cinese – in competizione per l’egemonia economica,
politica e culturale.
Non
sarà un atterraggio morbido:
molti
paesi, anche nell’Unione europea, non vogliono né possono scegliere nettamente
uno schieramento, e ciò sarà origine di frizioni e incomprensioni.
(Questo
articolo riprende le idee del libro “Riglobalizzazione.” Dall’interdipendenza
tra paesi a nuove coalizioni economiche, Egea, Milano 2022; e alcuni contenuti
di un’intervista rilasciata a Pandora Rivista in occasione di Dialoghi di
Pandora Rivista – Festival 2022 “Democrazia in crisi? Efficacia, fragilità, spiragli”.)
NO,
NON È UNA GUERRA!
Opinione.it
- Maurizio Guaitoli – (23 ottobre 2023) – ci dice:
No,
non è una guerra!
Un’operazione
di polizia internazionale.
Perché
si continua a parlare di “Due guerre”?
L’una
russo-ucraina alle porte dell’Europa e l’altra che dal 7 ottobre 2023, il
“Sabato nero”, contrappone Israele ad Hamas?
Qui,
nell’attuale scenario caldissimo del Medio Oriente, si sta parlando di “truppe
corazzate con la Stella di Davide” contro kalashnikov, cinture esplosive, razzi
più o meno rudimentali e tanto, infinito odio per compensare l’imminente
sacrificio di molti miliziani palestinesi.
In
campo aperto, a “Tsahal” (l’esercito israeliano) sarebbero sufficienti pochi
giorni per eliminare definitivamente la resistenza armata di “Hamas” da Gaza.
Quindi:
quella
tra Israele e Hamas “non è una guerra!”, non fosse altro che per una questione
di pura simmetria, ma semmai un’attività antiguerriglia (tipica del Sud
America), in cui un esercito regolare ha la totale supremazia aerea e la usa
per colpire le “basi” dei terroristi, in questo caso (e qui sta il dramma!)
collocate all’interno di insediamenti urbani densamente popolati.
Viceversa,
quando si parla di Ucraina e Russia, loro sì che sono in guerra, con centinaia
di migliaia di caduti da una parte e dall’altra, e un numero enorme di mezzi
corazzati e armamenti sempre più avanzati che si confrontano direttamente sul
campo.
Invece,
l’azione militare di Israele è assimilabile in senso lato a quella che fu messa
in atto dalla “coalizione internazionale anti-Isis”.
Si
trattò allora di un’operazione di polizia finalizzata a liberare una vasta
porzione di territorio siro-iracheno, conquistato con la forza delle armi da un
gruppo di terroristi islamici, organizzati in un quasi-Stato autoproclamato dal
califfo “Abu Bakr al-Baghdadi”, ma mai riconosciuto da nessun Paese al mondo.
Mentre, al contrario, lo “Stato di Palestina”
è oggi riconosciuto da ben nove Paesi Ue.
In buona sostanza, l’ingresso imminente
dell’esercito israeliano a Gaza può essere tranquillamente equiparato a
un’operazione unilaterale di “Polizia internazionale” (in linea ideale non
dissimile da quella intrapresa da George Bush in Afghanistan, per farla finita
con Bin Laden e Al-Qaeda), per tagliare la testa all’Idra terrorista di Hamas.
In effetti, dal punto di vista del terrorismo
internazionale, quale differenza vedete voi con l’Hamas di Gaza, definito
internazionalmente come una formazione politico-terrorista di stampo
fondamentalista islamico, che ha dato prova nel “Sabato nero “di non avere
problemi a impiegare gli stessi criteri e i mezzi genocidari dell’”Isis”,
uccidendo migliaia di civili inermi solo perché “ebrei”?
Quale
differenza esiste in chi vuole il genocidio degli eredi di Abramo e la loro
cancellazione fisica dalle mappe geografiche del Medio Oriente, manifestando le
“stesse” ambizioni, scopi e intenti vantati all’epoca (pochissimi anni fa!)
dallo Stato islamico?
Allora,
perché due pesi e due misure?
Chi
risiedeva nello pseudo territorio di quello Stato autoproclamato era una
popolazione totalmente solidale con i jihadisti, ne rispettava le regole e
voleva vivere in quel sistema teocratico.
Esattamente
come oggi la popolazione di Gaza vuole la leadership politica di Hamas,
avendolo votato nel 2006 (ma, in base ai sondaggi, i palestinesi della odierna
Cisgiordania farebbero lo stesso!) e di cui ne ha accettato senza ribellarsi la
dittatura successiva.
Hamas,
però, al contrario del monolite puramente islamico dell’Isis, è un Giano
bifronte, articolato in un’ala militare e in una sua gemella “politica”.
Insomma, dove si trova la differenza
fondamentale tra l’Isis di ieri e l’Hamas di oggi? Semplice e disarmante:
“loro”, i jihadisti, hanno dichiarato unilateralmente una Guerra Santa contro
il resto del mondo miscredente;
mentre la guerriglia eterna dell’Olp e di
Hamas si colloca saldamente nel retaggio storico-politico e altamente
drammatico della “Questione palestinese”.
Ed è
questo enorme “enjeux” politico di risonanza mondiale a concentrare milioni di
manifestanti pro-Palestina e Hamas nelle principali piazze delle capitali arabe
e mediorientali, cosa mai accaduta nemmeno per piccoli numeri all’epoca
dell’Isis.
Ora,
quella questione eternamente irrisolta interroga a fondo la nostra cattiva
coscienza:
non fummo forse noi occidentali, Inghilterra
in testa a tutti (in quanto aveva la responsabilità post-1945 di gestire la
fine del suo protettorato in Palestina), a sabotare assieme agli arabi “la
risoluzione 181 dell’Onu del 30 novembre 1947”?
Quella
cornice giuridica stabiliva la divisione della Palestina in due Stati, uno
arabo e l’altro ebraico, prevedendo altresì il controllo dell’Onu su
Gerusalemme e la fine del mandato britannico il prima possibile, e comunque non
oltre il 1º agosto 1948. La decisione fu accolta con voto favorevole da 33
nazioni, 13 contrari, tra cui gli Stati arabi, e l’astensione di 10 nazioni.
Lo
stesso Regno Unito era tra gli astenuti, rifiutandosi apertamente di seguire le
raccomandazioni del piano, ritenendo che si sarebbe rivelato inaccettabile sia
per gli ebrei che per gli arabi.
E, allora, che senso aveva lasciare che uno
dei due contendenti storici prevalesse sull’altro con la forza delle armi nel
primo conflitto arabo-israeliano del 1948?
Ora, quali saranno i costi dell’invasione di
Gaza per Israele e per il mondo?
L’Egitto
non si riprenderà mai la Striscia dalla quale l’esercito israeliano si è
ritirato quasi venti anni fa, a seguito dell’insostenibilità logistica e
militare della precedente occupazione.
Ed è sempre vero che in tempo di guerra
bisogna saper coniugare i mezzi con le finalità politiche della guerra stessa.
Ma
quello che può essere conseguito sul campo di battaglia dipende dagli scopi del
nemico e da ciò che quest’ultimo sarà in grado di mettere in gioco.
Poiché è chiaro che Israele non potrà trattare
con Hamas, rimane l’incognita serissima se Tel Aviv sarà in grado di mettere a
segno l’eradicazione dei suoi miliziani dalla Palestina.
Qualora questo obbiettivo non potesse essere
raggiunto, allora il ciclo delle violenze non si arresterà.
Come
già accaduto agli Usa in Iraq nel 2003 e in Afghanistan nel 2021, la storia
insegna che è estremamente problematico combattere in posti dove non si è
benvenuti e per di più le condizioni sul terreno sono particolarmente
sfavorevoli, per cui la determinazione a restare è spesso insufficiente.
La
vera domanda da porre a Israele ed Hamas è molto semplice:
“Che
cosa sperate di ottenere da questo conflitto rispetto a quanto non avete
ottenuto prima, dopo altre decine di scontri avvenuti in passato?”.
Se
l’assalto di Hamas si fosse limitato al sequestro di ostaggi, senza commettere
altre atrocità, allora si poteva sperare in una trattativa per lo scambio di
prigionieri, come avvenuto in precedenza.
E,
invece, adesso?
Fare
della Palestina un nuovo protettorato internazionale e reinsediare per la sua
gestione un leader delegittimato come “Abū Māzen”?
Tutto
dipenderà dall’esito delle operazioni di terra e da attori internazionali come
Iran e Hezbollah.
E
l’orizzonte in tal senso rimane sul nero stabile, anche per il prevedibile,
notevole numero di “vittime collaterali” palestinesi.
Ucraina,
la guerra dei droni:
la
supremazia di Kiev rischia
di
finire (perché Mosca ora
sa
come contrastarli).
Ilmessaggero.it – (11 aprile 2023) –
Redazione – ci dice:
Le
squadre di droni nelle zone di guerra sono fondamentali per cercare di
resistere all’attacco russo. Sembra però che Mosca si sia attrezzata per
contrastare i modelli più efficaci: quelli realizzati dal produttore cinese DJI
che, teoricamente, sarebbero stati banditi nel Paese.
Le
squadre di droni nella zona di guerra di “Bakhmut”, in Ucraina, sono
fondamentali per cercare di resistere all’attacco russo.
Sembra
però che Mosca si sia attrezzata per contrastare i modelli più efficaci: quelli
realizzati dal produttore cinese “DJI”, acronimo di “Da-Jiang Innovations”, una
società con sede a “Shenzhen” - e con stabilimenti in tutto il mondo - e che è
leader globale nella produzione di droni.
L’azienda
produce piattaforme di volo, stabilizzatori per telecamere, ma anche sistemi di
propulsione e di controllo di volo.
Il
rischio ora è che tra pochi mesi i sistemi non siano più efficaci.
Lo
raccontano, al “Guardian”, “Yaroslav e “Maksym”, entrambi di “Kharkiv”.
Si
sono incontrati all’ingresso di un ufficio di reclutamento all’inizio della
guerra. Nessuno dei due aveva esperienze militari, ma sono entrati a fare parte
della “63a brigata ucraina”, che ha combattuto a “Mykolaiv” e che è ora
stanziata “Bakhmut”.
La
guerra dei droni.
Prima
dell’alba azionano i droni:
i DJI
Mavic 3 e i DJI Matrice 30T.
Si
occupano di metterli in azione e sostituire le batterie:
«In
inverno la durata della batteria è di circa mezz’ora», ha raccontato “Maksym”.
Ci
sono state giornate in cui si sono dovuti difendere da attacchi durati anche
sette ore, durante le quali, grazie ai droni, sono riusciti a dare indicazioni
ai soldati ucraini per contrastare l’esercito russo.
«È terrificante e disumanizzante, osservare la
violenza dall’alto e sganciare bombe - ha detto al “Guardian” “Yaroslav” –
Quando
guardi i film, pensi di dover provare qualcosa quando uccidi le persone.
Ma in
guerra non ci sono emozioni, fai solo quello che devi fare».
I
droni sono stati fondamentali anche per aiutare i cecchini a correggere la
mira. Se necessario, sono stati attrezzati con armi.
E poi
ci sono le riprese: durante il conflitto sono stati realizzati tantissimi video
di guerra, poi usati come strumenti di propaganda da entrambe le parti.
In teoria, i droni “DJI” sono stati banditi in Ucraina
e Russia dalla società quasi un anno fa:
l’azienda
ha affermato di «detestare qualsiasi uso di questi strumenti per causare
danni».
In
realtà, però, vengono acquistati in gran numero da Europa e da Stati Uniti e
spediti al fronte.
Gli
operatori, però, sostengono che i velivoli “DJI” stanno gradualmente diventando
meno efficaci a causa delle tattiche adottate da Mosca:
ormai
a “Bakhmut” una squadra di droni riesce a coprire solo poche centinaia di
metri, mentre prima la portata effettiva era superiore di 10 o 20 volte.
Il
disprezzo per la Terra e i suoi abitanti.
Cispi.it – (23 Maggio 2023)- Cipsi Onlus - Riccardo
Petrella – ci dice:
Il 22
aprile prossimo l’ONU celebra la Giornata della Terra 2023.
Tutti
gli indicatori mostrano l’entità del disprezzo che i più potenti dominanti del
mondo, soprattutto quelli “occidentali”, hanno per la Terra e i suoi abitanti
(umani e non).
Prendiamo,
innanzitutto, il disastro ecologico e sociale di cui i Paesi più ricchi sono i
principali responsabili:
crescente scarsità di acqua buona per l’uso
umano, centinaia di fiumi e laghi importanti stanno morendo, avvelenamento
degli oceani, deforestazione, degrado/erosione del suolo, perdita di
biodiversità, riscaldamento dell’atmosfera…
Inoltre,
da anni denunciamo l’accaparramento delle terre da parte delle grandi
multinazionali private del capitalismo globale coloniale e predatorio e le sue nefaste
conseguenze, come la militarizzazione dei beni comuni naturali e la
finanziarizzazione della natura.
E che
dire dei quasi 4 miliardi di persone senza copertura sanitaria, dei 2,1
miliardi di persone senza acqua potabile e dei 4,2 miliardi di persone senza
accesso regolare e sicuro all’acqua potabile durante l’anno;
del
miliardo di bambini, quasi la metà dei bambini del mondo, ad alto rischio
climatico.
Entro
il 2040, 1 bambino su 4 vivrà in aree ad alta scarsità d’acqua;
dell’1,7
miliardi di persone prive di un riparo di base;
dei
650 milioni di lavoratori nel mondo che vivono in condizioni di estrema povertà
(meno di 3,2 dollari al giorno);
dei
3,6 miliardi di persone che costituiscono la metà della popolazione mondiale
più povera e hanno la stessa ricchezza dei 12 miliardari più ricchi del mondo!
Questa
è la Terra data all’Umanità in eredità da parte dei dominanti che osano ancora
pretendere di governare il pianeta.
Questo
disastro integrato della vita, è vissuto dai dominanti come un fenomeno
inevitabile del progresso, altresì legato, dicono, al lato perverso della
natura umana.
Che
mistificazione!
Non si
può dire che gli abitanti della Terra non abbiano lottato contro questa
presunta inevitabilità dell’ingiustizia sociale globale negli ultimi 150 anni.
D’altra
parte, sono riusciti ad imporre molti cambiamenti a favore di una società più giusta e rispettosa della
vita.
Tuttavia,
dalla fine degli anni ’70, sono stati pubblicati innumerevoli rapporti delle
Nazioni Unite e di altre istituzioni internazionali che mostrano un
intollerabile peggioramento delle disuguaglianze sociali anche all’interno dei
cosiddetti Paesi ricchi e l’enorme divario in termini di poteri decisionali tra
i gruppi sociali dominanti e ii miliardi di persone escluse con disprezzo e
indifferenza dalla partecipazione alle decisioni riguardanti la vita
collettiva.
Si veda, proprio in queste settimane, l’ultima
svolta autocratica in Francia in materia di pensioni.
Eppure
l’ultimo rapporto dell’IPCC (marzo 2023) ha lasciato una piccola porta
aperta alla possibilità di evitare che la temperatura media dell’atmosfera
superi gli 1,5 gradi nel 2040.
Il rapporto afferma che l’estinzione della
vita sulla Terra può essere evitata a condizione di cambiare radicalmente il
nostro sistema economico di produzione e di consumo.
A tal fine, negli ultimi 25 anni, centinaia di
milioni di cittadini sono scesi in piazza per chiedere un cambiamento.
Ma le
classi dirigenti hanno continuato con le loro piccole e superficiali misure di
aggiustamento, mitigazione e adattamento senza alcun cambiamento “essenziale”.
Peggio
ancora, se ne fregano della volontà dei popoli della Terra, delle loro proteste
e delle loro proposte.
Negli
ultimi mesi, ad esempio, gli Stati Uniti hanno lanciato il loro massiccio
programma di trivellazione per l’estrazione di petrolio e gas in Alaska e la
multinazionale Total sta realizzando il suo mega-progetto in Africa centrale.
Come
se nulla fosse…
Le
potenze dominanti non parlano più di decarbonizzazione dell’economia mondiale
nel 2050;
la lotta ai pesticidi si è fermata;
la salvaguardia della biodiversità è affidata
a società private quotate in borsa!
Consideriamo
ora la guerra globale in corso.
Qui,
il disprezzo per la Terra e i suoi abitanti è ancora più esplicito e cinico.
Perché
da più di un anno si continua la devastazione dell’Ucraina, che ha già causato
la morte di più di 100.000 persone, la fuga di più di 6 milioni di persone
dall’Ucraina, la distruzione dei territori e della vita di centinaia di
villaggi e piccole città dell’Ucraina orientale, e ha fomentato un odio
terribile tra ucraini e russi, tra russi e americani, tra russi ed europei dei
Paesi UE/NATO?
Rimango stupito e preoccupato per l’enorme
ondata di russofobia in Occidente messa
in luce dall’invasione militare russa dell’Ucraina.
Eppure,
nessun tentativo diplomatico, né le migliaia di manifestazioni pubbliche in
Europa (rare negli Stati Uniti) a favore della cessazione delle ostilità e dei
negoziati di pace, né gli innumerevoli appelli per la fine della guerra,
compresi gli appelli ormai quotidiani di Papa Francesco (l’unico leader
mondiale che non ha perso la speranza in una cessazione delle armi) non sono
riusciti a cambiare di una virgola la volontà degli Stati Uniti, dei Paesi
della NATO/UE, dell’Ucraina e della Russia di continuare la guerra… fino alla
vittoria.
Per
quanto riguarda il fallimento dei tentativi diplomatici, citiamo quanto
riportato da” Michel von der Schulenburg”, ex alto funzionario delle Nazioni
Unite, nel suo articolo di questo 17 aprile:
“Tutti gli sforzi di pace intrapresi sono
stati silurati dalla NATO, in particolare dagli Stati Uniti e dalla Gran
Bretagna.
Già
nella prima settimana di marzo 2022, l’allora primo ministro israeliano
“Naftalii Ben-net” aveva cercato di ottenere un cessate il fuoco tra Russia e
Ucraina.
Secondo
le sue recenti dichiarazioni, sia la Russia che l’Ucraina avevano interesse a
porre rapidamente fine alla guerra.
Secondo
Bennet, il cessate il fuoco era “a portata di mano” grazie alle concessioni
russe.
Ma non
è successo, perché loro (gli Stati Uniti e la Gran Bretagna) hanno bloccato il
cessate il fuoco”. (Investigaction.net/fr/charte-des-nations-unies-la-guerre-en-ukraine-et-notre-engagement-pour-la-paix/.
La
volontà di continuare fino alla vittoria non è il risultato di un’escalation
sul terreno.
Era
presente prima dell’inizio della guerra nella strategia statunitense perseguita
dopo il 1989 (collasso dell’URSS) di espandere la NATO verso est, compresa
l’Ucraina, fino ai confini con la Russia.
Come è noto, la Russia aveva ripetutamente
avvertito che l’adesione dell’Ucraina e della Georgia alla NATO avrebbe minato
i suoi interessi fondamentali di sicurezza e che sarebbe stata superata una
linea rossa.
Questi avvertimenti non sono stati ascoltati.
Sono
stati ignorati.
L’adesione
dell’Ucraina alla NATO è stata sistematicamente perseguita dagli Stati Uniti e
dalla NATO.
Inoltre,
non hanno esitato, apertamente agli occhi del mondo, a sostenere nel 2014 il
rovesciamento con la forza di un presidente legittimamente eletto (secondo
l’OSCE), al fine di insediare in Ucraina un governo favorevole all’adesione
alla NATO.
La
volontà di andare fino in fondo era presente nella mente di Putin quando la
Russia ha lanciato l’invasione militare un mese dopo che l’Ucraina aveva
bombardato le regioni russofone del Donbass, che avevano dichiarato la loro
autonomia regionale pur rimanendo parte dell’Ucraina.
Si può
correttamente affermare che la vera ragione principale (non l’unica!) che ha
provocato la guerra in Ucraina e la alimenta attualmente era e rimane la
volontà degli Stati Uniti, la prima potenza globale del mondo, di mantenere o
addirittura rafforzare, a tutti i costi, il proprio dominio e la propria
supremazia mondiale.
A tal
fine, gli Stati Uniti sono riusciti a sottomettere tutti i Paesi europei al
loro obiettivo, e la NATO, nata originalmente come un’alleanza di difesa
“regionale” (atlantica) è diventata un’alleanza militare/economica/tecnologica
globale al servizio dell’egemonia mondiale degli Stati Uniti.
Mikhail
Gorbaciov, l’ultimo presidente dell’URSS, mal visto dai suoi concittadini
perché ha cercato di salvare l’URSS trasformandola profondamente, ha capito e
anticipato il grande pericolo.
Parlando
pubblicamente agli Stati Uniti, Gorbaciov disse:
“Non
crediate che il crollo dell’URSS rappresenti una vittoria degli Stati Uniti
sull’URSS, né una vittoria del capitalismo sul socialismo. Il sistema non si
reggeva più sulle proprie gambe, a causa dei propri mali. L’URSS aveva bisogno
di profondi cambiamenti interni”.
Purtroppo,
né gli Stati Uniti né i leader russi che succedettero a Gorbaciov, né gli
ucraini né gli europei hanno ascoltare l’ammonimento.
Al contrario,
hanno creduto alla vittoria degli Stati Uniti e del capitalismo.
Così,
gli Stati Uniti, sotto l’ombrello della NATO e con l’appoggio dei Paesi europei
(con l’eccezione della Germania e, non inequivocabilmente, della Francia),
hanno portato avanti la guerra contro la nuova Russia, ritenendo che,
approfittando del suo indebolimento rispetto all’URSS, si sarebbero sbarazzati
una volta per tutte della potenza mondiale rivale e avrebbero così potuto
affrontare meglio la guerra contro la Cina, che, secondo gli Stati Uniti, era
diventata il loro principale nemico nel mantenimento della supremazia mondiale.
La
dichiarazione della guerra tecnologica contro la Cina nell’ottobre 2022 lo
conferma.
La posta in gioco è alta, planetaria, di
grande importanza per il futuro.
È l’intelligenza artificiale.
Per gli Stati Uniti, la loro sicurezza
militare dipende dalla sicurezza “basata sull’intelligenza artificiale”.
Convinti che la loro supremazia in questo
campo sarà un bene per la sicurezza mondiale, ritengono che la supremazia di
altri Paesi, in particolare della Cina, sarà un disastro per il mondo, il mondo
– dicono – della libertà!
Che
disprezzo per gli altri, e che disprezzo per la Terra e i suoi abitanti.
La
realtà è che così facendo gli Stati Uniti impongono al mondo un’agenda globale
incentrata sulla loro strategia globale per la supremazia mondiale, che
chiamano “la guerra unica”, secondo il principio a loro caro “con noi o contro
di noi”.
Mentre
è possibile affrontare le politiche di sviluppo dell’”IA “su basi più
cooperative, comuni e condivise, infatuati fino al midollo dalla cultura
capitalista della rivalità e del dominio del mercato, hanno scelto un atto di
pirateria della vita sulla Terra che va condannato con forza, senza “ma” o
compromessi.
Gli
Stati Uniti sembrano disposti a tutto pur di mantenere la loro supremazia.
Lo
hanno dimostrato “ad abundantiam”.
Sono
l’unico Paese che ha usato la bomba atomica.
Secondo i dati del “Congressional Research
Service statunitense”, gli Stati Uniti hanno condotto 251 interventi militari
in altri Paesi dalla fine della Guerra Fredda, al fine di assumere e mantenere
il proprio ruolo di leadership.
È l’unico Paese al mondo ad avere più di 800
basi militari al di fuori del proprio Paese (Cina e Russia ne hanno solo 3 a
testa) e si è rifiutato di firmare più di 59 importanti trattati
internazionali.
Ciò
che è urgente e necessario in questa Giornata della Terra è una grande
iniziativa politica per promuovere un mondo cooperativo (al di là del
multilateralismo asimmetrico).
Condivido interamente la proposta di “Michel von der Schulenburg” per una rapida
convocazione di un incontro straordinario per la pace da parte di governi
dell’America latina, dell’Asia e dell’Africa.
L’incontro dovrebbe chiedere formalmente agli
Stati Uniti, ai Paesi della NATO, e dell’Unione Europea, all’Ucraina e alla
Russia di cessare i combattimenti e di incontrarsi per negoziare la pace.
L’incontro
straordinario dovrebbe essere l’occasione per gettare le basi di un nuovo
periodo di cooperazione e di pace per l’umanità e per la Terra.
5
motivi per cui la libertà
di
espressione è importante
in una
democrazia.
Liberties.eu
– (1° aprile 2022) - Eleanor Brooks – ci dice:
Perché
è importante la libertà di espressione? Perché è un principio fondamentale in
una democrazia? In che modo viene minacciata? Come possiamo proteggerla?
Cos'è
la libertà di espressione?
La
libertà di espressione è uno dei pilastri fondamentali che sostengono il
processo democratico e proteggerla è essenziale se vogliamo vivere in una
società giusta e uguale per tutti.
Non
farlo indebolisce la democrazia.
Ogni
volta che condividi una notizia sui tuoi social media, partecipi a una protesta
o scrivi al tuo politico locale su una questione che ti sta a cuore, questa è
libertà di espressione in azione.
Non
tutti i discorsi sono considerati liberi.
Per
esempio, discutere a tavola se mangiare o meno le verdure non è considerata
libertà di espressione.
La
libertà di espressione esiste quando i cittadini possono esprimere la loro
opinione - comprese le opinioni critiche nei confronti del governo - senza
temere conseguenze negative, come il carcere o le minacce di violenza.
Nel
2000 la libertà di espressione è stata sancita come un diritto fondamentale
nell'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea:
“Ogni
individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la
libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o
idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e
senza limiti di frontiera.
La
libertà e il pluralismo dei media devono essere rispettati.”
Tuttavia,
la definizione di libertà di espressione non protegge ogni tipo di discorso.
Come
tutti i diritti fondamentali, il diritto alla libertà di espressione non è
assoluto, il che significa che può essere soggetto a restrizioni, purché
abbiano una base legale.
Le
restrizioni devono soddisfare due condizioni:
1)
sono proporzionate - le restrizioni non sono più forti del necessario per
raggiungere il loro scopo
2)
sono necessarie e realisticamente soddisfano obiettivi di interesse generale o
sono necessarie per proteggere i diritti e le libertà degli altri.
Quindi,
qualcuno che si impegna in forme criminali di espressione, come discorsi di
odio, contenuto terroristico o pornografia infantile, non può difendersi
invocando il suo diritto alla libertà di espressione.
Perché
la libertà di espressione è importante in una democrazia?
Perché
è un principio fondamentale?
L'obiettivo
della democrazia è di avere una società pluralista e tollerante.
Affinché questo abbia successo, i cittadini
dovrebbero essere in grado di parlare liberamente e apertamente di come
vorrebbero essere governati e criticare chi è al potere.
Questo
scambio di idee e opinioni non avviene solo una tantum nel giorno delle
elezioni, ma è una comunicazione bidirezionale continua che ha luogo durante
tutto il mandato di un governo.
1.
Permette di lottare per la verità.
Per permettere
ai cittadini di prendere decisioni significative su come vogliono che la
società funzioni, hanno bisogno di accedere a informazioni veritiere e accurate
su una vasta gamma di argomenti. Questo può accadere solo quando le persone si
sentono sicure di discutere le questioni che riguardano le loro comunità.
Proteggere
la libertà di espressione incoraggia le persone a parlare, il che rende più
facile affrontare i problemi sistemici dall'interno. Questo dissuade le persone
dall'abusare del loro potere, il che aiuta tutti a lungo periodo.
2.
Rende tutti più responsabili.
Quando
si tratta di elezioni, i cittadini hanno l'opportunità di chiedere conto ai
loro politici. Per decidere chi votare, hanno bisogno di capire quanto bene si
è comportato un partito politico quando era al potere e se ha mantenuto o meno
le sue promesse elettorali.
Riportando
le questioni sociali più urgenti della società, i media e le organizzazioni
della società civile (OSC) contribuiscono alla percezione pubblica di quanto
bene stia facendo il governo. Tuttavia, questo è utile solo se sono liberi di
coprire in modo veritiero storie che sono critiche nei confronti dello stato.
3.
Permette partecipazione attiva dei cittadini.
Le
elezioni e i referendum sono una buona opportunità per i cittadini di plasmare
la direzione della società, ma si svolgono solo ogni due anni.
La
libertà di espressione rafforza altri diritti fondamentali come la libertà di
riunione, che i cittadini usano per influenzare il processo decisionale
pubblico assistendo a proteste, manifestazioni o partecipando a campagne.
Questo
permette loro di protestare contro una decisione impopolare, come il divieto di
aborto in Polonia, o mostrare al governo che vogliono un'azione politica più
forte su una questione importante.
Quando
i manifestanti in Germania hanno riempito le strade a centinaia di migliaia per
protestare contro la guerra in Ucraina, questo ha inviato un forte segnale al
governo che la gente sosteneva dure sanzioni contro la Russia.
4.
Promuove il giusto trattamento delle minoranze.
In una
società democratica, tutti dovrebbero essere trattati in modo uguale e giusto. Tuttavia, i gruppi minoritari che
sono sottorappresentati nel governo sono spesso messi da parte, e le loro
opinioni vengono trascurate a favore di quelle appartenenti al gruppo sociale
dominante.
Facendo
campagne e parlando apertamente dei problemi che riguardano le loro comunità,
le persone emarginate possono ottenere un ampio sostegno pubblico per la loro
causa. Questo
aumenta la loro capacità di influenzare l'agenda pubblica e porre fine agli
abusi dei diritti umani.
5. È
essenziale per il cambiamento e l'innovazione.
Tutti
vogliamo che la società diventi migliore per tutti, ma perché questo accada la
società ha bisogno di incoraggiare e sostenere la libertà di espressione. I governi autoritari che sopprimono
le critiche e trattengono le informazioni di interesse pubblico negano ai
cittadini il diritto di prendere decisioni informate o di agire su importanti
questioni sociali.
Trattenere
informazioni vitali fa sì che i problemi si inaspriscano e peggiorino. Questo
ostacola il progresso e rende molto più difficile trovare una soluzione quando
il problema viene finalmente alla luce.
In
Cina, per esempio, un medico che ha cercato di avvertire la comunità medica di
un virus mortale - Covid-19 - è stato invitato a "smettere di fare
commenti falsi" ed è stato indagato per "diffusione di voci".
Questo ha avuto l'effetto devastante di
ritardare l'introduzione di misure per contenere il Covid-19, che ha provocato
una pandemia globale e milioni di morti.
Quali
sono le minacce alla libertà di espressione?
1.
Governo.
I
governi autoritari, il cui obiettivo principale è quello di rimanere al potere,
vogliono assicurarsi che qualsiasi copertura mediatica sia favorevole.
Per controllare la narrazione pubblica,
nominano rappresentanti politici alle autorità dei media ed esercitano il
controllo finanziario ed editoriale sui principali media.
Come riportato dalla nostra organizzazione
membro nel nostro “2022 Media Freedom Act”, un esempio lampante è l'Ungheria,
dove oltre l'80% del mercato dei media è controllato direttamente o
indirettamente dal governo ungherese.
2.
Legge.
I
governi usano riforme legali restrittive, il controllo della folla da parte
della polizia o misure eccezionali di emergenza per limitare la libertà di
espressione.
In
risposta all’emergenza durante la pandemia Covid-19, paesi come Belgio,
Bulgaria, Germania, Slovenia e Spagna hanno limitato in modo sproporzionato
l'esercizio del diritto di protestare nell'interesse della salute pubblica
attraverso la brutalità della polizia e gli arresti degli attivisti.
Altri
strumenti legali usati dallo stato per controllare il flusso di informazioni
includono la criminalizzazione della diffusione di informazioni false o la
negazione dell'accesso alle informazioni.
In
Russia, l'invasione dell'Ucraina è definita da Putin come una "operazione
militare" e i russi sanno che usare la parola "guerra" li
esporrà alla legge sulle "fake news", che comporta una pena detentiva
fino a 15 anni. Come risultato, molti russi che si oppongono alla guerra sono
messi a tacere, mentre altri non sono a conoscenza della verità di ciò che sta
accadendo.
3.
Attacchi a giornalisti, OSC e whistleblowers.
I
politici e le figure influenti che temono che i giornalisti espongano il loro
comportamento corrotto ricorrono a tattiche sporche ed extra-legali per
metterli a tacere.
Strategie
comuni includono molestie legali attraverso SLAPP (cause legali strategiche) o
campagne diffamatorie volte a screditare le OSC critiche.
I
whistleblower hanno subito conseguenze personali devastanti per aver fatto luce
su attività contrarie all'interesse pubblico, come la corruzione, le attività
illegali o le frodi.
Anche
i giornalisti e i difensori dei diritti civili sono sempre più esposti a
violenze verbali o fisiche, anche da parte della polizia.
4.
Online.
I
discorsi di odio o il trolling online possono creare un ambiente digitale
ostile che scoraggia le donne e le persone emarginate dal partecipare ai
dibattiti sociali online.
Tuttavia,
gli sforzi ben intenzionati per affrontare questo problema possono
inavvertitamente creare gli stessi effetti di silenziamento.
L'Unione
europea sta attualmente spingendo attraverso il “Digital Services Act”, volto a
rendere internet un luogo più sicuro e a proteggere la libertà di espressione
online.
Tuttavia,
la soluzione proposta per eliminare la disinformazione potrebbe avere l’effetto
opposto.
Nella
nostra lettera agli eurodeputati, abbiamo sconsigliato l'uso obbligatorio di
filtri di caricamento per rimuovere i contenuti online dannosi, poiché non sono
abbastanza sofisticati per distinguere l’umorismo dall’abuso.
Se usati, potrebbero limitare la libertà di
espressione online.
5. Autocensura.
Quando
la libertà di espressione è sotto attacco, si manda il messaggio che dire la
verità potrebbe mettere in pericolo.
L'ambiguità
che esiste intorno a ciò che è accettabile e ciò che non lo è fa sì che le
persone agiscano con cautela, quindi iniziano ad autocensurarsi.
Il
nostro “2022 Media Freedom Report” ha rivelato che i giornalisti in Bulgaria,
Germania, Ungheria, Italia, Slovenia e Svezia si sono autocensurati a causa di
attacchi o molestie online.
Come
proteggere la libertà di espressione?
Per
proteggere la libertà di espressione, ci dovrebbero essere leggi per proteggere
gli individui e le organizzazioni che sono minacciate per aver denunciato la
corruzione o il comportamento non etico.
I giornalisti, i cani da guardia, gli
attivisti e i whistleblower dovrebbero ricevere una solida protezione legale
che permetta loro di svolgere il proprio lavoro in sicurezza e li protegga
dalle ritorsioni di coloro che vogliono metterli a tacere.
Questo
è il motivo per cui “Liberties” sta lavorando duramente per fare una campagna a
favore di leggi migliori per proteggere la libertà dei media.
Il Media Freedom Act (MFA) attualmente in fase di elaborazione
da parte della Commissione europea potrebbe fare una vera differenza. Abbiamo inviato alla Commissione il
nostro Media Freedom Report che ha verificato lo stato della libertà dei media
in 15 paesi dell'UE, così come un documento politico che delinea le
raccomandazioni che crediamo il MFA dovrebbe affrontare.
Dovrebbe
includere misure per aumentare la trasparenza sulla proprietà dei media e
sviluppare regole su come rendere più sicuro il lavoro dei giornalisti.
Le
stupidaggini della
nuova
religione “verde.”
Informazionecattolica.it
– Pietro Licciardi – (11/11/2021) – ci dice:
LE
BUFALE AMBIENTALISTE NON FANNO SEMPRE BENE ALL’AMBIENTE MA SPESSO E VOLENTIERI
UCCIDONO SIA LA NATURA CHE GLI UOMINI…
L’ecologia
e il clima sono ormai la fissazione dell’uomo moderno, la sua nuova religione,
e guai a metterne in dubbio i dogmi.
Eppure
gli ambientalisti di cantonate ne hanno prese, e continuano a prenderne,
veramente tante ma non demordono e continuano a pretendere che tutti noi ci si
adegui, svuotando il portafogli a causa di sempre nuove e più esose tasse
“ecologiche”, cambiando stile di vita e consolidate tradizioni per omaggiare la
mitica “Gaia” e “Pachamama”, che ha ormai fatto il suo ingresso anche dentro il
recinto vaticano.
Tutto
deve diventare “green”, ecosostenibile, rinnovabile e su che cosa lo è o non lo
è non si ammettono dubbi.
Ad
esempio, le auto elettriche, su cui l’Europa intende puntare sono ormai
universalmente ritenute le più amiche dell’ambiente perché producono poco “CO2”.
Invece
l’impatto ambientale, della sua batteria e della ricarica, soprattutto dove
questa viene fatta usando combustibili fossili come in Germania, non è poi così
“amichevole” dal momento che nel 2019 il centro studi tedesco “CEsifo” ha messo
a confronto le emissioni di una “Tesla Model 3” con quelle di un Mercedes
diesel di ultima generazione arrivando alla conclusione che, mentre la “Tesla” immette
nell’ambiente tra 155 e 180 grammi di CO2 per chilometro, il Mercedes ne
immette solo 141.
(È
incredibile che oggi alcuni scienziati del clima non sappiano che la “CO2” è
più pesante dell’atmosfera e pertanto è un gas che non può permettersi i viaggi
spaziali ed arrivare alla reggia dei gas serra! La Greta Thunberg non lo sa, ma
non è colpa sua se non conosce certe cose! Occorre che venga dimostrata la non
corruzione degli scienziati che fingono di non sapere la verità! N.D.R.).
Un
altro mito ambientalista è la produzione di energia mediante fonti rinnovabili,
sole e vento innanzitutto.
Ebbene, a parte lo scarso rendimento dei
pannelli solari e delle pale eoliche rispetto alle tradizionali centrali
energetiche, per i pannelli esiste il non trascurabile problema che per
produrre quantità significative di energia hanno bisogno di enormi estensioni
di terreno, sul quale ovviamente non si coltiva un bel niente;
mentre
per l’eolico – ogni impianto ha una vita al massimo 25 anni – a parte il solito
problema dell’impatto paesaggistico, c’è il problema dello smaltimento a fine
ciclo produttivo.
Gli Stati Uniti prevedono di doverne rinnovare
circa 8.000 all’anno nei prossimi quattro anni, l’Europa circa 3.800 all’anno
e, dopo il 2022, molte di più.
Le
pale delle turbine eoliche di media taglia sono lunghe da 20 a 50 metri e
superano i 50 metri nel caso di quelle più grandi.
La turbina MHI Vestas V164 ha tre pale lunghe
80 metri, ciascuna del peso di 33 tonnellate, è alta 220 metri – oltre due
terzi della Torre Eiffel – e pesa 5.900 tonnellate – più di 10 Airbus 380 a
pieno carico -.
La off shore Adwen AD-180 pesa 86 tonnellate e
le sue pale sono lunghe 88,4 metri.
Il
primo problema, per smaltirle, è portarle via.
Vanno
tagliate ma sono fatte di materiali che devono resistere alle difficili
condizioni ambientali e climatiche in cui operano e il non facile lavoro di
segarle va fatto all’aperto, considerate le dimensioni, usando speciali seghe
diamantate che liberano una quantità di microfibre di vetro, resine epossidiche
derivate dal petrolio e altri materiali inquinanti.
Una
volta fatte a pezzi c’è il problema di che farne.
Per il
momento vengono quasi sempre portate in discariche create apposta dove sono
interrate per evitare che inquinino l’ambiente.
Ma ciò
vuol dire accumulare quantità enormi di rifiuti non biodegradabili.
Alcune pale in Europa vengono bruciate nelle
fornaci che producono cemento o nelle centrali elettrice, ma l’energia che se
ne ricava è poca e irregolare e bruciare fibre di vetro inquina.
Passando
al altro: quanti si ricordano ancora del famigerato “buco nell’ozono”? Ebbene
il “buco” non c’è più perché si è scoperto che le sue cause erano del tutto
naturali ma intanto è sparito il “Cfc”, il gas che secondo gli ambientalisti
era la causa del flagello.
Ma il “Cfc”
era essenziale nell’industria del freddo, che ha a sua volta un’enorme
importanza per l’umanità soprattutto nel trasporto e nella conservazione dei
prodotti alimentari.
Il
ricorso al “Cfc” fu un passo avanti rispetto all’uso di altre sostanze
pericolose ed infiammabili.
L’ultima
crociata dei talebani dell’ambiente è contro la plastica. Sono già riusciti a far scomparire
le borse che una volta si usavano per la spesa e siccome quelle “ecologiche”
che ne hanno preso il posto non sono buone a niente essendo incapaci di reggere
il peso, sono state sostituite da borse sempre di plastica però riutilizzabili.
Ma
anche quelle dopo un po’ vanno in discarica e se prima ad essere buttata era,
quanto?
30 o
60 grammi di plastica?
Adesso
se ne getta un etto per volta e se anche si tratta di borsoni in qualche modo
“bio” quanto petrolio è stato bruciato per far funzionare i macchinari che
l’hanno prodotta?
Insomma,
possiamo dire che queste buste (presunte)” eco” sono quella cosa che con la
quale o senza la quale si rimane tali e quali.
Ci
dicono che anche le bottiglie andrebbero sostituite.
Non le vogliono di Pet ma di Pla;
entrambi
polimeri ottenuti dal petrolio il primo e da un processo agricolo il secondo.
Ma
siccome l’ignoranza ambientalista ha deciso che l’agricoltura è natura e che
tutto ciò che è natura è buono per definizione, allora viva il” Pla” e abbasso
il “Pet.”
Ma non è natura anche il petrolio?
Ah
già.
Le
bottiglie di plastica devono sparire perché inquinano gli oceani e per
convincerci ecco immancabili le immagini di immense isole di rifiuti che
galleggiano in mare.
Ma
evidentemente le vestali di Gaia e madre terra non sanno che la plastica è
riversata in mare dalle piene dei fiumi e dalle inondazione che periodicamente
si abbattono qua e là nel mondo, che questa plastica proviene per lo più da
quei paesi che dell’ambiente se ne infischiano e dove la raccolta dei rifiuti è
quantomeno approssimativa come pure l’educazione civica degli abitanti, che
disseminano le aree urbane di discariche a cielo aperto e che se i rifiuti
venissero regolarmente e massicciamente bruciati negli inceneritori non
finirebbero in mare.
Così
finirà che noi faremo a meno del “Pet” e gli oceani continueranno a riempirsi
di plastica mentre qualche bambino africano morirà di fame perché sul quel
terreno dove prima coltivavano il necessario per riempirgli la ciotola adesso
coltivano i polimeri che sostituiscono il “Pet”.
Ma
siccome la stupidità ambientalista è grande almeno quanto la loro ignoranza al
posto delle bottiglie in “Pet” ecco arrivare il vetro o, secondo l’ultima moda,
le borracce in alluminio.
Ma se
per produrre 1000 bottiglie in “Pet” occorrono 100 litri di petrolio, per
produrre le stesse in vetro di litri di petrolio ne occorrono 250.
Insomma,
ad essere ambientalisti virtuosi si dovrebbe preferire il “Pet” al vetro e
anche alle borracce.
Altra
battaglia sfortunatamente vinta dagli ecologisti è stata quella contro il “DDT”.
La conseguenza è stata che là dove la malaria
non era ancora stata debellata ha ripreso piede e ad oggi l’”Organizzazione
mondiale della Sanità” stima un milione di morti all’anno.
Un’altra
ecatombe si ebbe all’indomani del devastante maremoto che nel 2005 devastò le
coste dei Paesi del Sud Est asiatico a causa del ristagno delle acque in qui
climi caldi, paradiso delle zanzare.
Come
scrisse allora il “New York Times” la carneficina fu spaventosa ma ogni anno la
malaria uccide 20 volte le persone che sono state uccise dallo tsunami:
perché
dunque non tornare a spruzzare il vecchio affidabile DDT?
Il DDT
era stato messo al bando nel 1972 dalla “Agenzia per la Protezione
dell’Ambiente statunitense” perché potenzialmente cancerogeno eppure all’epoca
un giudice esperto della stessa agenzia aveva certificato la sua innocuità:
«Il
DDT non è una minaccia cancerogena per l’uomo», aveva scritto, «Il DDT non è
una minaccia mutagenica o teratogenica per l’uomo… L’uso del DDT secondo le
debite regole non ha un effetto deleterio sui pesci d’acqua dolce, sugli
organismi degli estuari, sugli uccelli selvatici o su altra fauna selvatica».
L’elenco
delle bufale ambientaliste sarebbe ancora molto lungo e comprende il
riciclaggio della carta, la raccolta differenziata, l’elettrosmog… ma vogliamo
chiudere sfatando uno dei miti forse più cari agli ecologisti.
Ogni
liturgia “verde” che si rispetti prevede che si piantino alberi; rito al quale
non si sottraggono personaggi dello spettacolo, industrie – che ogni tanto
pubblicizzano i loro prodotti promettendo la piantumazione di nuovi germogli
ogni tot prodotti acquistati – e perfino capi di stato.
Ma nel
2019 uno studio guidato dal ricercatore olandese “Richard Fuchs”, dell’”università
di Wageningen”, ha ricostruito in che misura il territorio europeo è stato
occupato durante il secolo scorso da foreste, coltivazioni, aree abitate e così
via.
Come ha raccontato “Fuchs” al “Washington Post”,
«oltre 100 anni fa il legname veniva usato per quasi tutto: come combustibile
per il fuoco, per la produzione di metalli, mobili, la costruzione di case.
Per
questo intorno al 1900 erano rimaste pochissime foreste in Europa. Soprattutto
dopo la seconda guerra mondiale, diverse nazioni hanno poi cominciato diversi piani di
riforestazione che sono ancora oggi in corso».
Nello
stesso periodo, si legge ancora, lo spazio dedicato ai terreni agricoli è
diminuito a causa dell’innovazione tecnologica, il che ha consentito di
produrre la stessa quantità di cibo con meno spazio. Morale:
oggi l’Europa è un continente ben più verde e
coperto di foreste di quanto non fosse un secolo fa.
E non
grazie alle ridicole liturgie stile “Wwf” e “Greenpeace” ma a quel progresso
tecnologico che i “verdi” vorrebbero annientare per tornare ad un fantomatico
stato di natura.
La
superstizione delle “rinnovabili
Salvifiche”
fa ripiombare
l'Europa
nel Medioevo.
Reteresistenzacrinali.it
– (8 luglio 2021) – Alberto Cuppini – ci dice:
Abstract
della rassegna stampa.
Finora
la deflagrazione dei costi energetici (e quindi a maggior ragione le sue cause)
era stata tenuta sotto silenzio.
Ma le
bollette con le brutte notizie arriveranno presto agli utenti italiani.
Per la smania di essere la prima della classe
(e perché influenzata dalla lobby green) l'Europa alza costantemente il livello
di riduzione di anidride carbonica (Co2).
Le utilities non possono fare altro che
ribaltare sul mercato finale parte degli aumenti dei costi.
Questo
rincaro fa il paio con l'aumento delle materie prime necessarie alla
"rivoluzione verde".
Il
basso prezzo di mercato del gas naturale degli ultimi anni aveva finora
permesso di limitare gli effetti sulle tasche degli italiani dell'esplosione
degli incentivi alle rinnovabili elettriche inseriti surrettiziamente in
bolletta come "oneri di sistema".
Già
ora il caro prezzi e il timore di una inflazione fuori controllo, tale da
costringere presto le banche centrali ad alzare i tassi di interessi pur in
presenza di livelli di indebitamento potenzialmente esplosivi, comincia a far
più paura del cambiamento del clima.
Intanto si scopre anche che, con l'avvento
delle rinnovabili non programmabili, uno dei pilastri più scontati del
funzionamento degli stati moderni, la continuità dell'energia elettrica, è in
realtà meno solido di quanto fossimo abituati a pensare.
“Sapelli”:
"La
follia dirigistica di contrastare l’innalzamento delle temperature non con
politiche che emergono dalla contrattazione nel mercato e con il mercato, ma
con decisioni tecnocratiche legittimate solo dallo stordimento ecologico, ha
appena iniziato a produrre i danni immensi di una transizione non contrattata
del tipo di quella che va inverandosi in una Ue sempre più simile all’Urss.
Le
politiche energetiche prevalenti affermatasi per contrastare l’aumento delle
temperature medie sono guidate da un mix di ignoranza e di sudditanza alle
lobbies dell’industria elettrica mondiale".
“Clò”:
"Se si continuerà ad insistere che di
petrolio non c’è più bisogno, che le imprese non dovrebbero più investire in
ricerche minerarie, come ha fatto “Faith Birol” direttore esecutivo dell'”AIE”,
ebbene i prezzi potrebbero schizzare da qui a pochi anni a 150 o 200 dollari al
barile.
Pari a
3 e più euro al litro di benzina.
Le
salvifiche rinnovabili non potranno farci nulla.
Diversamente
dalle fantasie che molti propagano a piene mani da qui a metà secolo – quando
nessuno potrà chiederne loro conto – per quelle odierne si potrà farlo,
addossando loro la responsabilità di quello che il noto economista petrolifero”
Philip Verleger” prospetta come possibile “catastrofe economica”.
“Tabarelli”:
"I permessi di emissione dell”'ETS” (i permessi a emettere CO2,
un'invenzione del protocollo di Kyoto che solo l'Europa ha adottato) sono un elemento fondamentale della
transizione energetica e una causa importante dell'aumento dei prezzi.
L'Europa
ha deciso che entro il 2030 le emissioni di “CO2” dovranno essere abbattute del
55%.
Un
obiettivo semplicemente irraggiungibile.
È folle pensare che in soli 9 anni riusciremo
a passare da un -20%, fatto in 30 anni, a un -55%.
Ogni
permesso consente di emettere una tonnellata di “CO2”, che vorrei ricordare non
è veleno bensì uno dei mattoni della vita sulla terra.
(La Co2 è un gas molto più pesante
dell’atmosfera. Non
può raggiungere i gas serra (più leggeri) e raccolti nella “serra dei gas serra”
su in alto nei cieli! Perché incolpare la Co2 di tutto il danno possibile
all’ambiente terrestre? Ma gli scienziati del clima corrotti non potevano
scegliere un altro bersaglio: un altro gas che poteva volare nell’alta
atmosfera e poi restarci? Ma è mai possibile che la “Greta” (senza sue
credenziali scientifiche) li abbia adescati od intimiditi? N.D.R.)
Cina e
Usa non fanno nulla di tutto ciò.
(non sono mica fessi…loro!N.D.R.)
L'Europa
sta penalizzando la propria industria a vantaggio di altri Paesi".
(Sarebbe
meglio dire che le industrie di altri Paesi -mediante sfacciata corruzione -
stanno penalizzando le nostre industrie! N.D.R)
I
programmi europei di transizione energetica, in cui la nuova religione ambientalista si
fonde con l'ideologia ordoliberista di matrice tedesca, hanno una forte componente
irrazionale che purtroppo sta prevalendo.
Ne è
stata un'ennesima dimostrazione l'imprevista sovra-reazione all'operazione
mediatica globalizzata "Piccola Greta", in particolare la pazzesca
decisione della “Von der Leyen” della "decarbonizzazione integrale" del continente entro il 2050,
che, se non altro, ha riportato l'Europa a fare immediatamente i conti con la
realtà, con una decina di anni di anticipo rispetto a quanto sarebbe accaduto
senza il "bug" Greta.
Due
settimane fa il “PUN” (il prezzo di riferimento dell'energia elettrica
all'ingrosso in Italia) aveva sfondato quota 100 euro al MWh. La settimana
scorsa abbiamo passato quota 110. Oggi sfioriamo quota 120. Ricordo che nel
maggio dello scorso anno la media del PUN era stata 21,8 euro al MWh e che nel
maggio di quest'anno eravamo già a 69,9. Adesso, con i primi caldi, il PUN è
decisamente decollato. Finora la deflagrazione dei costi energetici (e quindi a
maggior ragione le sue cause) era stata tenuta sotto silenzio. Ma le bollette
con le brutte notizie arriveranno presto agli utenti italiani. Attendiamo rese
dei conti (con la realtà) a breve.
Questo
aumento fa il paio con l'aumento delle materie prime necessarie alla
"rivoluzione verde".
Vedremo
che cosa succederà agli sciagurati politici (agli sciagurati e alle sciagurate,
per essere rigorosamente p.c.) che un bel giorno si sono alzati da letto ed hanno deciso,
tra l'entusiasmo di tutti i media, che l'Europa sarebbe stata il primo
continente “climaticamente neutro” entro il 2050.
Si è trattato della classica previsione
auto-avverantesi, ma non nel senso - credo - immaginato dai suoi ideatori
(ideatrici).
Il
basso prezzo di mercato del gas naturale degli ultimi anni aveva finora
permesso di limitare gli effetti sulle tasche degli italiani dell'esplosione
degli incentivi alle rinnovabili elettriche inseriti surrettiziamente in
bolletta come "oneri di sistema".
Ora è
diventato ancor più necessario ridurre tali oneri (i "famigerati oneri di
sistema", come ha iniziato, con colpevole ritardo, a chiamarli la
Federconsumatori), comprensivi di tutti i costi per tenere in equilibrio il
sistema elettrico nazionale, sconvolto dalla scellerata "priorità di
dispacciamento" e dagli incentivi abnormi concessi a forme di produzione
elettrica non programmabili come l'eolico e il fotovoltaico.
Tutti
questi costi, cagionati dall'ossessione per le rinnovabili non programmabili
(l'idroelettrico a bacino esistente, non alla moda, viene invece lasciato
andare in malora), a cui si devono aggiungere quelli per le reti sempre più
estese e complesse destinate a supportarle, sono diventati da qualche anno la
componente più cospicua della nostra bolletta elettrica, mentre la parte
energia pesava sinora per appena il 32%.
L'anno scorso abbiamo pagato quasi 12 miliardi
di soli incentivi, a loro volta la componente predominante di tali oneri, per
ottenere una quota irrisoria di energia elettrica, prodotta soprattutto dal
sole e dal vento.
Nel
2016 (l'anno del record, che sarà presto battuto quando, per raggiungere i
valori obiettivo di produzione da “Fer” al 2030, sarà necessario aumentare
ancora i sussidi), di miliardi in incentivi siamo arrivati a pagarne oltre 14,
senza che nessuno, sui media o in Parlamento, alzasse altissime grida di
sdegno.
Leggiamo
che cosa sta succedendo ai prezzi dell'elettricità dall'articolo del Sole del 2
luglio di “Sissi Bellomo” "Gas e CO2 al record storico in Europa":
"Nessuna
regione al mondo è risparmiata: i rincari - forieri di ulteriori tensioni
inflazionistiche - colpiscono in tutta Europa, così come in Asia e Nord
America, anche se l'epicentro della crisi sembra essere proprio nel Vecchio
continente... E' una spirale di rialzi che continua ad avvitarsi e che deriva
soprattutto dalla scarsità dell'offerta... (in Europa non fanno eccezione
neppure il nucleare, che in Francia fa le bizze, né le rinnovabili, con scarsa
generazione da eolico nelle ultime settimane)... per il gas... preoccupa in
particolare la Russia, il nostro principale fornitore,... che oggi sembra aver
perso la volontà - o la possibilità - di offrire volumi supplementari."
Già
ora il caro prezzi e il timore di una inflazione fuori controllo, tale da
costringere presto le banche centrali ad alzare i tassi di interessi pur in
presenza di livelli di indebitamento potenzialmente esplosivi, comincia a far
più paura del cambiamento del clima.
Ne reca testimonianza la variazione negli
argomenti e nei toni usati dagli analisti delle politiche della
"transizione energetica": l'equilibratissimo” prof. Clò” ha
concluso un suo recente articolo con le parole "catastrofe economica";
il p”rof.
Tabarelli”, non certo un cuor di leone, ha usato termini quali "obiettivo
irraggiungibile" e "folle".
Un intellettuale del calibro di “Salvatore Settis” ha
ritenuto opportuno intervenire, in prima pagina della “Stampa”, per irridere alla magica
trasformazione del "ministero dell'Ambiente" in quello della
"Transizione ecologica", "quasi che - come da lui argutamente fatto
notare - tale
formula sia l'abracadabra che dischiude da solo le porte del paradiso ecologico
che tutti desiderano".
Così
si esprimeva il “Foglio”, che pure è sempre stato grande sostenitore delle
rinnovabili elettriche, nell'articolo del 3 luglio di “Daniele Raineri
"Fame di elettricità":
"Il
Texas ha chiesto agli abitanti di consumare meno energia elettrica per evitare
blackout... E da due giorni anche il sindaco di New York ha chiesto ai
cittadini di consumare meno corrente elettrica" ma "molti americani
non tollerano le interruzioni di energia e vogliono un generatore." (Ma guarda che strano... Ndr.)
"Uno dei pilastri più scontati del
funzionamento degli stati moderni, la continuità dell'energia elettrica, è meno
forte di quanto siamo abituati a pensare."
Al “Foglio”
si devono essere improvvisamente accorti che, così come “i pannelli FV” non
funzionano di notte e d'inverno, le pale eoliche non girano nell'afa estiva,
lasciando chi non ha generatori diesel di riserva a soffocare in casa o in
ufficio per il caldo.
Si
conferma invece coerente alla sua posizione critica anche in tema di energia
verso la burocrazia di Bruxelles, ora a maggior ragione, la Verità,
nell'articolo di “Gianclaudio Torlizzi” del 4 luglio dal titolo "La transizione verde comincia a
pesare subito sulle bollette", che così sottotitolava:
"Per
la smania di essere la prima della classe (e perché influenzata dalla lobby
green) l'Europa alza costantemente il livello di riduzione di anidride
carbonica (Co2).
(Abbiamo
già spiegato che la “Co2”, essendo un gas più pesante dell’aria atmosferica,
non può minimamente causare un maggior riscaldamento climatico globale! N.D.R.)
Le
utilities non possono fare altro che ribaltare sul mercato finale parte degli
aumenti dei costi."
e che
così proseguiva:
"Tanto
che, evidenzia sempre l'authority, se il governo non fosse intervenuto con un
provvedimento di urgenza per diminuire la necessità di raccolta degli oneri
generali in bolletta del prossimo trimestre, l'aumento della bolletta
dell'elettricità sarebbe arrivato al +20%...
Il comunicato dell”'Arera” è salutato dagli
operatori come un “game changer”, perché ha avuto il merito di far luce sulle
responsabilità delle politiche climatiche implementate da Bruxelles
sull'aumento dei prezzi dei beni energetici...
se di
un bene viene continuamente ridotta l'offerta è naturale attendersi come esso
salga di valore... se qualcuno pensava che gli investimenti del “Recovery plan”
e la “transizione ecologica” fossero un pasto gratis ora comincerà a
ricredersi."
Il problema
che assillava il mondo almeno dalla guerra del Kippur del 1973, ovvero la
carenza di investimenti nel settore energetico, è stato brillantemente risolto
dalle tecnocrazie UE proibendo tali investimenti ed affidandosi alle virtù
taumaturgiche delle pale eoliche e dei pannelli fotovoltaici, che dovranno
essere collocati ovunque.
E più ce ne saranno, come ogni esperto in
scaramanzia sa bene, meglio sarà.
Insomma:
alle due classiche forme di inflazione, quella
da eccesso di domanda e quella da potere di mercato, se n'è aggiunta una terza:
quella
da contrazione volontaria dell'offerta, che si potrebbe meglio definire come
"inflazione da stupidità umana".
(Sostenere
che la CO2, pur essendo provato che è più pesante dell’aria, si dovrebbe comportare
come se fosse più leggera, è una deduzione perfetta per “la stupidità umana”!
N.D.R.)
Oltre
alla natura non programmabile dell'energia prodotta da sole e vento si è anche
trascurata - e non è trascuratezza da poco - l'ovvia constatazione che
l'inerzia del sistema energetico mondiale, così come è stato costruito (almeno)
dalla fine della seconda guerra mondiale, assicurerà, anche in presenza di
fonti energetiche davvero alternative agli idrocarburi (ipotesi finora
fantascientifica), un ruolo dominante e imprescindibile alle fonti fossili
almeno per le prossime due generazioni.
Ma
ecco il più duro di tutti nella critica ed il più profondo nell'analisi: “Giulio
Sapelli” (che
- ricordiamolo - è stato per un pomeriggio il presidente del Consiglio in
pectore del governo "giallo-verde" prima dell'ancor oggi misteriosa
comparsa di Giuseppe Conte) in un articolo (si noti la scelta dell'immagine di testa e la si
confronti con quella di un nostro articolo di argomento analogo), da leggere da cima a fondo sul
Sussidiario del 3 luglio, intitolato "Così l’ideologia verde ci aumenta la
bolletta e aiuta la Cina":
"La
follia dirigistica di contrastare l’innalzamento delle temperature non con
politiche che emergono dalla contrattazione nel mercato e con il mercato, ma
con decisioni tecnocratiche legittimate solo dallo stordimento ecologico, ha
appena iniziato a produrre i danni immensi di una transizione non contrattata
del tipo di quella che va inverandosi in una Ue sempre più simile all’Urss...
Ma nel mentre questo accade – ed è un segnale di un fenomeno che va giustamente
contrastato con giuste politiche ambientali – non ci si rammenta che poche
settimane or sono milioni di cittadini texani si son visti privati per decine
di ore dell’energia elettrica.
Come
questo sia potuto accadere nel cuore dell’industria petrolifera e tastiera
mondiale storicamente affermatasi sino a un decennio or sono non se lo è
chiesto nessuno, salvo pochi studiosi indipendenti come “Alberto Clò “e “Davide
Tabarelli” (e, ci permettiamo di aggiungere senza false modestie, la Rete della
Resistenza sui Crinali. N.D.R.).
Il
fatto è che le politiche energetiche prevalenti affermatasi per contrastare
l’aumento delle temperature medie sono guidate da un mix di ignoranza e di
sudditanza alle lobbies dell’industria elettrica mondiale.
Quest’ultima dispone di una serie di
intellettuali organici della disinformazione".
Sapelli
così concludeva:
"Pare che non vi siano alternative
alla politica dei trattati senza democrazie.
Eppure
sono pesantissime le conseguenze geopolitiche.
È
superfluo ricordare il ruolo che, nell’inveramento delle produzioni citate
prima, dirette a sostenere l’industria energetica elettrica non alimentata dai
fossili, ha una potenza imperialistica come la Cina, che celebra proprio in
questi giorni i suoi deliri ideologici neo maoisti (Cina che si avvale di una
generalizzata caduta di autostima di tutto l'Occidente, di cui "la piccola
Greta" è un chiaro sintomo. N.D.R).
È necessario un ritorno alla ragionevolezza e
al confronto intellettuale.
Solo gli intellettuali e i ricercatori
indipendenti possono produrre questa svolta sempre più necessaria".
Durissimo
anche l'articolo del primo luglio di “Alberto Clò”, che, stante la drammaticità
della situazione, ha bruscamente mutato i toni pacati di critica a lui usuali:
"Il
ritorno dei prezzi politici", di cui riportiamo poche frasi, invitando a
leggerlo tutto con attenzione dal blog della rivista Energia:
"Più
si vorranno conseguire le finalità fissate a Parigi, più i prezzi dovranno
necessariamente aumentare, al di là dei corsi all’origine delle materie prime.
Con
implicazioni di carattere sociale: la vera barriera alla transizione.
Scrivemmo
a suo tempo – spiace citarsi addosso – che la campana dei gilet gialli
suonava anche per noi.
Ma
nessuno la ascoltò".
"Se
si continuerà ad insistere che di petrolio non c’è più bisogno, che le imprese
non dovrebbero più investire in ricerche minerarie, come ha fatto “Faith Birol”
direttore esecutivo dell'”Agenzia di Parigi”, ebbene i prezzi potrebbero
schizzare da qui a pochi anni a 150 o 200 dollari al barile.
Pari a
3 e più euro al litro di benzina.
Le
salvifiche rinnovabili non potranno farci nulla.
Diversamente
dalle fantasie che molti propagano a piene mani da qui a metà secolo – quando
nessuno potrà chiederne loro conto – per quelle odierne si potrà farlo,
addossando loro la responsabilità di quello che il noto economista petrolifero”
Philip Verleger” prospetta come possibile “catastrofe economica”."
Ripetiamo:
"Possibile
catastrofe economica".
Proseguiamo
la rassegna stampa segnalando l'intervista di “Gilda Ferrari” a “Davide
Tabarelli”, presidente di “Nomisma Energia” (che nei giorni precedenti aveva
correttamente previsto "una stangata sulle bollette di elettricità e gas
dal primo luglio... un aumento del 12% che vola fino al 21% per il gas.
Sono entrambi record mai visti in passato...
(derivanti) dalla concomitanza di scarsità di offerta, di ripresa dei consumi e
di politiche ambientali restrittive") sul Secolo XIX del 5 luglio “I permessi sulla CO2 sono sempre più
cari. Ecco perché aumenta il costo dell’energia”:
"I
permessi di emissione dell'ETS (i permessi a emettere CO2, un'invenzione del
protocollo di Kyoto che solo l'Europa ha adottato) sono un elemento
fondamentale della transizione energetica e una causa importante dell'aumento
dei prezzi.
L'Europa
ha deciso che entro il 2030 le emissioni di CO2 dovranno essere abbattute del
55%.
Un
obiettivo semplicemente irraggiungibile... le rinnovabili... producono quando
c'è sole e vento e non quando ti serve fare una dialisi o accendere la luce di
notte. È folle pensare che in soli 9
anni riusciremo a passare da un -20%, fatto in 30 anni, a un -55%...
Ogni
permesso consente di emettere una tonnellata di CO2, che vorrei ricordare non è
veleno bensì uno dei mattoni della vita sulla terra... Cina e Usa non fanno
nulla di tutto ciò. L'Europa sta penalizzando la propria industria a vantaggio di
altri Paesi perché si è posta un obiettivo irraggiungibile".
I più
smaliziati pensano che la "neutralità carbonica" per tutto il
continente voluta dalla (Von der Leyen” sia finalizzata a favorire, più che la
Cina, l'industria tedesca nel suo complesso, in particolare per gli immensi
mercati che le si aprirebbero con il passaggio generalizzato all'auto
elettrica.
Per questo, tra molti osservatori, si nutre la
sensazione che, in realtà, la transizione ecologica dell'Europa sarà meno
incidente di quello che potrebbe sembrare oggi.
Sarebbe
augurabile che fosse così, e cioè che il motore principale dello "sviluppo
sostenibile" avesse una giustificazione di natura razionale, sebbene
bassamente commerciale.
Ciò a prescindere dalla precedente esperienza
negativa subita dagli stessi furbacchioni tedeschi nel settore delle energie
rinnovabili, quando, a furia di sussidi e di dumping, i cinesi, più
mercantilisti dei mercantilisti tedeschi, hanno fatto fallire gran parte delle
imprese occidentali del settore eolico e fotovoltaico ed hanno conquistato la
leadership mondiale.
In
realtà questa interpretazione minimalista non è vera:
i programmi europei di transizione energetica,
in cui la nuova religione ambientalista si fonde con l'ideologia ordoliberista
di matrice tedesca, hanno una forte componente irrazionale che purtroppo sta
prevalendo.
Eppure
la storia del XX secolo dovrebbe avere insegnato le nefaste conseguenze della
testardaggine dei tedeschi quando vogliono imporre a tutti i costi un loro fine
insensato.
A
proposito di irrazionalità vi riproponiamo, per concludere la rassegna
stampa, questa intervista politicamente
scorrettissima (si badi bene: di due anni fa) del “Sussidiario” a “Chris Foster”,
"Caso
Greta/ Attenti al cortocircuito di democrazia e CO2", dove si esprimevano
alcune argute tesi, tra cui il convincimento, analogo al mio, che Greta,
inizialmente strumentalizzata per far mandare giù alle opinioni pubbliche
europee il rospo (e i costi, già quelli schiaccianti) dei piani nazionali
energia-clima, sia stata "un errore di programmazione del copione
ideologico preparato dai soliti noti":
"Stava
andando tutto abbastanza bene, secondo il copione deciso dai liberals di
Washington, dall’Onu e dalle varie fondazioni e Ong, quando il fattore Greta è
esploso.
Forse un po’ troppo... Tutto ha preso un’accelerazione
pazzesca e sta andando troppo in là, ben oltre quello che i dems newyokesi,
Wall Street e la Silicon Valley immaginavano...
Grazie
a questa ragazzina (ormai ricchissima di sponsorizzazioni interessate! N.D.R), qualcuno è riuscito ad andare molto
più in là del copione di ambientalismo “radical chic” amato dai californiani e
newyorkesi, ricattando ora gran parte dei governi mondiali (e paradossalmente
anche i governi definibili filo-ambientalisti).
il costo economico di assecondare politiche
opportunistiche ed elettorali sarà alto.
Insomma le politiche ambientali dei prossimi 5-10 anni
saranno innanzitutto orientate al consolidamento di un certo potere e solo in
secondo luogo orientate ad avere forse un reale impatto sull’ambiente... (In Italia) guarda caso le stesse persone che
chiedono” politiche ambientali forti” sono quelle che spingono per il voto ai
sedicenni, per lo ius soli e altre idee con simili obiettivi.
Ma è
la stessa storia che vediamo in varie forme in tutto l’Occidente.
È un vasto movimento caratterizzato da un
eccezionale coordinamento di notizie, azioni, propaganda e strategia... molti
slogan sono fatti per colpire le coscienze più giovani, è evidente.
(In
Germania) i figli voteranno Verdi, lui/lei magari Csu.
Ma in
fondo questo importa sempre di meno.
Tanto,
le regole che contano non vengono scritte nei parlamenti, ma negli uffici degli
“azionisti di maggioranza” dei grandi partiti occidentali".
Azionisti
di maggioranza a cui però è, forse, sfuggito "il bug" Greta, in
prospettiva ben più pericoloso del Coronavirus uscito dal laboratorio di Wuhan.
Come
da me intuito ed in parte auspicato, l'imprevista sovra-reazione all'operazione
mediatica globalizzata "Piccola Greta", in particolare la pazzesca decisione della Von der
Leyen - da tutti acclamata (da tutti gli europei occidentali, per meglio dire)
- della "decarbonizzazione integrale" dell'Europa entro il 2050, dettata dal desiderio di sfruttare
politicamente l'ondata emotiva seguita alle manifestazioni dei ragazzini che
facevano fughino da scuola il venerdì, ha riportato l'Europa a fare
immediatamente i conti con la realtà, con una decina di anni di anticipo
rispetto a quanto sarebbe accaduto senza l' "errore di programmazione" Greta.
Evitando così di morire lessata lentamente,
senza più forze per reagire, come la proverbiale rana.
Se son rose fioriranno.
Anche
se, in realtà, si tratta di una faccenda tutt'altro che olezzante.
Se
continuasse così, cioè senza investimenti in fonti di energia affidabile,
presto i nostri problemi di pale e pannelli conficcati da tutte le parti
sarebbero finiti.
Peccato
che ce ne sarebbero di ben più gravi.
Adesso però, nell'immediato, bisogna vigilare che
l'aumento del prezzo all'ingrosso dell'elettricità non venga trasformato in una
scusa per aumentare il prezzo base (attualmente sotto i 70 euro al MWh) delle
future “aste Fer”, già anticipate dal ministro “Cingolani” per i prossimi anni.
E
questo nonostante la “SEN” e il “PNIEC” ci avessero assicurato che dopo il 2020
le rinnovabili elettriche avrebbero raggiunto la market parity, rendendo
inutili ulteriori incentivi.
L'amara
conclusione.
Il
problema è l'Europa (questa Europa) piegata all'ideologia globalista e, allo
stesso tempo, i singoli stati che hanno come maggiore preoccupazione quella di
spendere il più possibile (evitando di far pagare nuove tasse) per mantenere le
proprie clientele e, più in generale, per incrementare l'assistenzialismo che
gli elettori reclamano a gran voce, pena il passaggio, al momento del voto,
all'opposizione o l'astensione.
Per
questo gli stati nazionali (una volta si sarebbero detti "socialdemocratici",
ma adesso sono "assistenzialistici" puri e semplici) utilizzano strumentalmente
l'"Europa" perché tiene bassi i tassi di interessi sui loro debiti
pubblici sempre più mostruosi. Almeno finché ci riuscirà...
Seguendo
questa logica, appare evidente come i governi europei e statunitense abbiano
usato l’emergenza pandemica come “scusa” per finanziare a debito programmi
fantasmagorici di modernizzazione, tra cui la transizione energetica.
È
altrettanto evidente che la soluzione, qualunque essa sia, di questi problemi
inestricabili (il cambiamento climatico, ammesso che esista, non è così inestricabile) avrà natura traumatica.
Il Venezuela si avvicina.
Povertà
energetica significa in prima battuta rimanere al buio e soffrire il freddo in
inverno ed il caldo in estate.
In
seconda battuta, significa crisi economica.
La
mancata disponibilità di energia a buon mercato provocherà l'accelerazione del
processo di deindustrializzazione in corso e l'immiserimento della popolazione,
che tornerà a soffrire per la fame, le malattie non curate e tutti gli altri
fenomeni, che già stanno ricomparendo nel nostro Paese, sintomatici del
pauperismo, sofferenze comuni ai più, in Italia, fino a poco tempo fa, prima
delle fauste scelte post-belliche di politica economica.
Non
solo in Italia, a dire il vero, ma in tutta Europa, allorché i suoi leader
decisero di riscattare, con il lavoro ed il benessere comune e diffuso,
l'orribile esempio di aver provocato due guerre mondiali fratricide.
Oggi
tutte queste lezioni della storia sono state dimenticate e, grazie
all'ignoranza accuratamente coltivata dalle élite, prevale anche nella politica
economica la sgangherata ideologia sessantottina, sconfitta politicamente ma
trionfante culturalmente, della fantasia al potere, che si sta ulteriormente
evolvendo nella sempre più insopportabile gabbia del politicamente corretto,
fino a giungere ai recenti deliri della "destroy culture".
Senza
più salde radici a cui ancorarsi, tutto sta rapidamente deragliando,
cominciando dal fulmineo aumento del costo delle materie prime e dell'energia
che impoverirà l'elettorato occidentale.
Se ne
vedranno gli effetti già dalle prossime elezioni tedesche e francesi.
Il professor Clò, che teme la diffusione della
jacquerie dei gilet gialli in tutta Europa, non si rende ben conto di quali forze
brutali attendano nell'ombra di essere scatenate come reazione all'altrettanto
brutale globalizzazione, imposta dall'alto ai popoli europei, di cui la transizione energetica è un
corollario ideologico irrinunciabile.
C'è
dunque l'obbligo assoluto e prioritario di un ritorno alla serietà ed a
politiche razionali.
(Per questo necessario ritorno alla
serietà scientifica occorrerà procedere pubblicamente a verificare se è vero o
se è una bufala, che la “CO2” è un gas pesante molto di più dell’aria! N.D.R)
L'arduo compito di mantenere represse queste
poderose forze del male, capaci di far ripiombare l'Europa nelle "Età
oscure", non deve certo spettare né a qualche bambina e neppure a qualche
mammina (in tedesco: "Mutti").
(Alberto
Cuppini)
La
Cina ha la
totale capacità
di contrastare l'idiota "agenda verde"
che i
pazzi occidentali anti-cinesi stanno spingendo.
Unz.com - ANDREW ANGLIN – (3 AGOSTO 2023) –
ci dice:
Penso
che tutti noi dobbiamo prenderci un momento e riflettere sul fatto che c'è una
sovrapposizione al 100% tra i fanatici anti-Cina e i credenti nella bufala del
riscaldamento globale che vogliono usare sostanze chimiche velenose mortali per
costruire inutili macchine del destino (e uccelli e balene del genocidio).
La
cosa più esilarante di tutto questo conflitto con la Cina è che gli” Stupidi
Fat americani” credevano che la Cina sarebbe stata il loro più grande alleato
fino al 2013.
Poi si
è scoperto che Xi non era un individuo democratico, ma piuttosto stava
riportando la Cina alla sua forma tradizionale di governo, che è una monarchia
imperiale che supervisiona un impero mercantile.
Nell'ultimo
decennio, tutti questi froci hanno detto "oh ragazzo, cosa facciamo
adesso?"
In
realtà, la Cina farebbe qualsiasi cosa tu la paghi per fare, in termini di
produzione di qualsiasi stupida "tecnologia verde" distruttiva per
l'ambiente.
La
Cina guadagnerà qualsiasi cosa se li paghi.
Ma
questo non è abbastanza per l'Occidente, che insiste nell'adottare il suo
stupido e satanico sistema di "democrazia", o pagare il prezzo più
alto.
“Ernest
Scheyder” e “Eric Onstad” – che sono entrambi probabilmente ebrei – scrivono
per “Reuters”:
Raffinare
le terre rare per la transizione energetica verde è difficile. Basta chiedere a “MP Materials” e “Lynas”.
Le due
più grandi aziende di terre rare al mondo al di fuori della Cina stanno
affrontando sfide per trasformare la roccia delle loro miniere nei mattoni per
i magneti utilizzati nell'economia globale, dall'iPhone di Apple alla Model 3
di Tesla al jet da combattimento F-35 di Lockheed Martin.
La
spinta dell'Occidente a sviluppare forniture indipendenti di minerali critici
ha assunto maggiore urgenza dopo che Pechino ha imposto controlli sulle
esportazioni il mese scorso sui metalli strategici gallio e germanio, sollevando timori globali che la
Cina possa bloccare le esportazioni di terre rare o tecnologie di lavorazione.
Le
recenti lotte di “MP”, “Lynas” e altre aziende per raffinare le proprie terre
rare evidenziano il difficile compito che il resto del mondo deve affrontare
per spezzare la morsa della Cina sul gruppo chiave di 17 metalli necessari per
la transizione verso l'energia pulita, come hanno dimostrato le interviste con
più di una dozzina di consulenti, dirigenti, investitori e analisti del settore.
Le
complessità tecniche, le tensioni di partnership e le preoccupazioni per
l'inquinamento stanno ostacolando la capacità delle aziende di strappare quote
di mercato alla Cina, che secondo l'Agenzia internazionale per l'energia
controlla l'87% della capacità globale di raffinazione delle terre rare.
Se i
progetti continuano a lottare, diverse economie potrebbero non riuscire a
raggiungere il loro obiettivo di ridurre le emissioni di carbonio (Co2) a zero
emissioni nette entro il 2050 per ridurre al minimo l'impatto del cambiamento
climatico, senza il coinvolgimento di Pechino.
I
piani per l'australiana “Lynas” di costruire una raffineria di terre rare negli
Stati Uniti con un partner con sede in Texas sono crollati, secondo due fonti
che hanno familiarità con la questione.
“
Lynas” ha detto che sta cercando di finire una raffineria di terre rare nell'”Australia
occidentale” che ha affrontato ostacoli e sta costruendo il proprio impianto
altrove in “Texas”.
L'obiettivo
di” MP” di raffinare i propri metalli delle terre rare nel 2020 è stato
ostacolato dalla pandemia di COVID-19 e dalle sfide tecniche, spostando il suo
obiettivo alla fine del 2023.
Gli
aggiornamenti potrebbero arrivare giovedì, quando la società dovrebbe riferire
i suoi risultati trimestrali.
Alla
fine dello scorso anno, il deputato statunitense ha dichiarato che stava
commissionando attrezzature di raffinazione vicino alla sua miniera in
California come parte di un intricato processo di calibrazione che finora non
ha avuto successo, lasciando l'azienda dipendente dalla Cina per la
raffinazione e quindi quasi tutte le sue entrate.
“MP”
sta anche costruendo “un impianto magnetico in Texas” per rifornire la “General
Motors” che richiederà l'attrezzatura di raffinazione della California per
essere operativa.
"Quello che è successo in Cina nel
corso di molti anni è che hanno investito pesantemente e in modo intelligente
nella capacità di lavorazione per convertire il materiale (terre rare) dalla
miniera fino al magnete", ha detto “Allan Walton”, professore di metallurgia
presso l'”Università di Birmingham”.
Non so
se sia stato "intelligente" o meno, era solo una normale pratica
commerciale.
L'Occidente
ha detto ai cinesi che li avrebbero pagati per costruire tutta questa
pericolosa e distruttiva tecnologia "verde", quindi hanno detto
"ok, bene, andremo avanti e prenderemo le forniture e inizieremo a fare
questo prodotto che volete acquistare".
Presumo
che molte delle "terre rare" siano preziose anche per la produzione
di normale tecnologia di consumo, ma la maggior parte della roba super velenosa proveniente
dall'Africa viene letteralmente utilizzata solo per produrre questi inutili e
genocidi mulini a vento, lampadine velenose che emettono radiazioni che fanno
cose strane (e ancora non comprese) al cervello, schifezze per stupide e
inutili auto elettriche, e altre pericolose schifezze "verdi".
L'esperienza
di raffinazione della Cina ha permesso al paese di progettare i prezzi delle
terre rare in diverse fasi delle catene di lavorazione a suo vantaggio,
compresi i prezzi bassi per i prodotti finiti, per inibire la concorrenza
estera, hanno detto gli analisti.
La
raffinazione delle terre rare "non viene affrontata nemmeno da coloro che
stanno sviluppando la capacità dei magneti", ha detto “Ryan Castilloux”,
consulente minerario presso “Adamas Intelligence”.
Concentrandosi
strategicamente sulle industrie che utilizzano i magneti, costruiti con terre
rare raffinate in Cina con margini di profitto volutamente mantenuti bassi,
Pechino può dare impulso alla sua industria dei veicoli elettrici in forte
espansione, ha aggiunto Castilloux.
Il
modello cinese è entrato in forte rilievo il mese scorso, quando i prezzi delle
terre rare sono scesi al livello più basso in quasi tre anni, in parte a causa
dell'aumento dell'offerta cinese.
La Cina offre anche uno sconto del 13% sulle
esportazioni ai produttori di magneti che utilizzano il suo materiale,
rafforzando la sua posizione dominante.
Pechino
per anni ha permesso l'importazione di rocce leggermente lavorate, note come
concentrato di terre rare, per la raffinazione.
La strategia aiuta a garantire prezzi che
incentivano altri paesi a scavare nuove miniere ma non a costruire impianti di
lavorazione che possono anche produrre rifiuti radioattivi, hanno detto gli
analisti.
L'anno
scorso “MP” ha spedito circa 43.000 tonnellate di concentrato in Cina per la
raffinazione.
I documenti normativi mostrano che ha anche venduto
rifiuti di fluoruro in Cina, in perdita, lasciati da un precedente proprietario
nel suo sito in California, che ha rigorose normative di stoccaggio per il
materiale.
Anche
il Myanmar, il Vietnam e altri spediscono concentrati in Cina per la
raffinazione.
“Lynas”
raffina il concentrato in Malesia che produce in Australia, ma le autorità di “Kuala
Lumpur “prevedono di bloccare le importazioni l'anno prossimo, citando le
preoccupazioni che l'impianto di “Lynas” perda rifiuti radioattivi, un'accusa
che “Lynas” contesta.
L'obiettivo è quello di aprire un impianto di
lavorazione sostitutivo in Australia entro la fine dell'anno.
Sì, l'intero progetto verde è così
distruttivo che persino i paesi del terzo mondo dicono:
"Non
possiamo avere questa merda nel nostro paese, è troppo velenosa".
La
Cina è un grande paese e si preoccupa molto meno dell'ambiente, quindi lo
faranno e poi seppelliranno i rifiuti.
Inoltre, non stanno usando molto di questa schifezza
verde (a
parte le batterie della morte che esplodono nelle loro auto elettriche
alimentate a carbone, che sono più economiche e migliori di quelle prodotte da
Elon “X”),
la stanno esportando ai ritardati in Europa e in America (o lo erano) che
stanno inquinando i loro paesi.
L'azienda
vende da tempo metalli delle terre rare negli Stati Uniti alla società privata “Blue
Line” per trasformarla in materiali specializzati.
Nel
2019, la coppia ha accettato di costruire impianti di raffinazione vicino a San
Antonio, in Texas, e ha discusso con i funzionari dell'amministrazione Trump i
loro piani per essere "l'unico produttore su larga scala di elementi
separati (terre rare) al mondo al di fuori della Cina", secondo le e-mail
ottenute da “Reuters”.
Ma
questo sforzo, finanziato in parte dal Pentagono, da allora è crollato, hanno
detto due fonti a Reuters.
Le ragioni del crollo, che non sono state
segnalate in precedenza, non hanno potuto essere immediatamente determinate.
L'intero
progetto "verde" deve essere cancellato.
È
semplicemente troppo distruttivo per la terra, ed è troppo stupidamente
costoso.
Se le
persone vogliono auto elettriche, possono in qualche modo funzionare su rotaie.
Non so
come funzionerebbe, ma i carrelli esistono.
(Non
lo so, ma penso che si potrebbero costruire strade con emettitori elettrici
sotto di esse, anche se questo potrebbe far venire il cancro a tutti.)
Non
sarà mai una buona idea produrre batterie al litio per qualcosa che vada oltre
la piccola elettronica di consumo.
Questi
mulini a vento non produrranno mai più elettricità di quanta ne consumino nel
processo di produzione.
I
pannelli solari sono ritardati per qualsiasi scopo diverso dal vivere da soli
nel mezzo di un deserto (che è un'azione rara).
L'"agenda
verde" distruggerà il mondo. Avvelenerà tutto e renderà il pianeta
inabitabile.
Anche
se il riscaldamento globale causato dall'uomo fosse reale, a chi importa?
Questo non lo fermerà comunque, e se stesse accadendo, perché dovrebbe
importare?
La terra era molto più calda in vari periodi
della storia.
Si
tratta solo di persone grasse che temono di diventare troppo sudate?
Inizialmente,
ci hanno detto che i "combustibili fossili" si sarebbero esauriti.
Questa si è rivelata una bufala totale.
È solo
una truffa così enorme.
(E poi
“la truffa colossale” consiste anche nel dire che la “CO2” può volare
nell’atmosfera pur avendo un peso specifico superiore a quello dell’aria, su
cui dovrebbe volare per raggiungere la serra dei gas serra! N.D.R)
È
difficile da accettare il fatto che la popolazione sia così ritardata da
accettare tutto questo, e fare sacrifici personali nella vita reale per una
bufala così ovvia.
Almeno
con la bufala del covid c'era una minaccia teorica.
Queste
persone che si occupano di riscaldamento globale o inventano stupide minacce che sono
ovvie bugie – come quando “Al Gore” ha detto che le calotte glaciali si stanno
sciogliendo (di nuovo, è davvero una minaccia? andate a chiedere agli olandesi
di vivere sotto il livello del mare) – o mantengono tutto molto vago, come "i tornado stanno
arrivando..."
(Elvis
Dunderhoff ha contribuito a questo articolo).
La
follia climatica
in
trono.
Unz.com
- HANS VOGEL – (29 LUGLIO 2023) – ci dice:
Tutti
i media statali e corporativi dell'UE hanno urlato e gridato contro il caldo in
Europa.
È infernale, dicono. Non sono mai stati così
caldi, vogliono farci credere.
Il
Segretario Generale delle Nazioni Unite “Guterres” sta dicendo al mondo che
"l'Era dell'Ebollizione Globale è arrivata".
Così
tiene una lezione un uomo che è stato a lungo associato a noti pedofili e sotto
i cui auspici come primo ministro portoghese (1995-2002) si svolgevano gli
abusi sessuali sui minori nelle cosiddette case di Casa Pia.
Sulle
mappe meteorologiche mostrate dai media, le aree con temperatura superiori ai
35 gradi centigradi sono colorate di rosso sangue.
Solo
pochi anni fa, quelle stesse temperature sarebbero state indicate da sfumature
di verde, o al massimo di giallo.
Non si fa menzione della neve che cade sulle
Alpi ad altitudini superiori ai 1.800 metri (una rarità in estate).
Né i
mezzi di comunicazione hanno fatto menzione della neve caduta a Johannesburg
solo poche settimane fa.
Apparentemente,
questo è un evento raro anche nell'inverno dell'emisfero australe.
Nel
frattempo, recenti ricerche sull'Antartide hanno dimostrato che durante il
decennio 2009-2019 la sua calotta glaciale ha avuto una crescita netta di oltre
cinquemila chilometri quadrati.
In
altre parole, i bollettini meteorologici, un tempo l'unico elemento dei media
di cui ci si poteva fidare, sono fuorvianti e mendaci come tutto il resto delle
notizie.
Ci viene detto che il clima sta cambiando ed è
tutta colpa nostra.
Quindi
dobbiamo fidarci delle autorità e fare esattamente quello che ci viene detto.
Altrimenti,
moriremo di una morte orribile!
Pertanto,
d'ora in poi, niente più barbecue.
In
inverno, dobbiamo indossare un maglione più a casa, perché la temperatura
normale dell'ambiente richiederebbe un riscaldamento eccessivo, che
contribuisce solo ulteriormente al riscaldamento globale!
Inoltre,
dovremo smettere di mangiare carne e iniziare a consumare insetti.
"Lasciate
che mangino gli insetti", è ciò che i nostri nobili condottieri nei loro
lussuosi palazzi hanno apparentemente deciso.
Solo
se passiamo a mangiare grilli e vermi della farina potrebbero essere in grado
di impedire al nostro pianeta di diventare ancora più caldo.
I
nostri governanti ci assicurano che "la maggior parte degli
scienziati" concorda sul fatto che l'attività umana fa sì che il pianeta
diventi sempre più caldo.
In un
certo senso, questo è un pensiero rassicurante, perché a quanto pare la scienza
è quindi democratica.
Quando "la maggior parte degli scienziati"
crede in qualcosa, deve essere vero, perché dopo tutto sono scienziati!
Ma dal
momento che sono umani, possono anche sbagliarsi.
Quindi
forse il cambiamento climatico antropogenico è un non-problema, dopo tutto!
(E
questo è vero in quanto solo un pazzo criminale potrebbe dichiarare che un gas
più pesante dell’aria, la Co2, se ne vada libero nell’atmosfera in cerca della
“serra dei gas serra! N.D.R)
Non
molto tempo fa, i nostri governi ci hanno assicurato che c'era una malattia
killer là fuori e l'unica cosa che potevamo fare per essere al sicuro era fare
un vaccino anti-covid.
Ora
sta diventando sempre più noto che alcuni di quei vaccini stavano facendo più
male che bene. Il "vaccino" di Moderna sta causando problemi cardiaci
a un destinatario su trentacinque.
Il vaccino Pfizer, mai adeguatamente testato,
ha oltre 1.200 effetti collaterali che vanno da gravi a molto gravi (compresa
la morte!).
Siamo
stati portati a credere che, una volta vaccinati, non avremmo potuto diffondere
la temuta malattia (ma potevamo farlo) e quando siamo stati abbattuti con il
covid, ci è stato detto che gli effetti erano "meno gravi".
Le
cose saranno certamente andate "molto peggio" se così tanti di noi
non avessero fatto quelle iniezioni.
Nella
narrativa del riscaldamento globale, i governi stanno ora utilizzando gli
stessi argomenti e trucchi che hanno usato per intimidire i cittadini e
sottometterli durante la "pandemia".
Tuttavia,
come con un coltello da cucina, è necessario affilarlo per continuare a usarlo.
È
piuttosto dubbio che i trucchi funzioneranno con la stessa efficacia del “Great
Covid Show”.
Anche
un mago ha bisogno di adattare i suoi trucchi di tanto in tanto.
I governi, d'altra parte, sembrano essere
diventati così fiduciosi e sicuri di sé che pensano di poter fare qualsiasi
cosa.
È una
buona cosa che stiano dimenticando la regola numero uno in ogni gara e resa dei
conti, che è quella da non sottovalutare mai il proprio avversario.
Nel
frattempo in Europa il collasso degli Stati voluto dagli Stati Uniti e dai loro
strumenti come il “WEF” sembra procedere secondo i piani.
La
Francia è ancora frastornata dagli effetti dell'ondata di violenza che l'ha
colpita all'inizio dell'estate.
Nelle
città e nei villaggi di tutta la Germania, cittadini arrabbiati e impauriti
organizzano manifestazioni di cui i media non parlano;
le
località lacustri e le piscine, un tempo tranquille e piacevoli, si sono
trasformate in focolai di conflitti interrazziali a causa del comportamento
inaccettabile di bande di stranieri a cui non avrebbero mai dovuto essere
ammessi nel paese.
Viaggiare
sui treni in molti paesi europei è diventato pericoloso per i veri europei
nativi, in particolare per le donne.
Molte
stazioni ferroviarie, soprattutto nelle città più grandi, sono zone pericolose.
Il 7
luglio, il primo ministro olandese “Mark Rutte”, alleviando il voto di sfiducia
in programma in parlamento, ha annunciato il suo completo ritiro dalla
politica.
Uno
dei suoi partner di coalizione aveva indicato di essere disposto a lasciare il
governo.
Da quel momento in poi è dimissionario e,
paradossalmente, in una posizione che gli permette di governare come un
dittatore.
Dopotutto,
qualcuno deve occuparsi degli affari quotidiani e governare il paese e “Rutte”
non può più essere destituito con una votazione.
Una delle cose che deciderà, senza bisogno
dell'approvazione parlamentare, sarà un decreto che permetterà ai bambini da
uno a dodici anni di optare per l'eutanasia.
Nuove
elezioni sono previste a novembre e dato che di solito ci vuole circa un anno
per costruire un nuovo governo di coalizione, “Rutte” si è concesso un
prolungamento della carriera di ben oltre un anno.
Abbastanza
sorprendentemente, con una mossa senza precedenti, venti dei 150 membri del
parlamento hanno annunciato il loro ritiro dalla politica.
Tra loro ci sono diversi leader di partiti
importanti e alcuni politici molto visibili e rumorosi.
Perché questa ritirata improvvisa e massiccia?
Che
cosa sanno che il pubblico votante non sa?
Come
in molti altri stati "democratici" dell'Occidente, il dibattito
parlamentare è diventato piuttosto privo di significato.
Con la rigida applicazione della disciplina di
partito, una volta che un governo è al potere, non c'è nulla che possa
spodestarlo, tanto meno un dibattito in parlamento.
I ministri del governo che si rifiutano di
rispondere alle domande in parlamento, infrangendo leggi e regolamenti, possono
semplicemente farlo e non doverne mai affrontare le conseguenze.
Questa
è diventata una pratica comune in tutta l'UE.
In
altre parole, l'illegalità regna sovrana.
Perché
allora i politici dovrebbero rinunciare volontariamente all'accesso alle
pentole e ai barili di maiale?
Sembrerebbe che stiano per verificarsi alcuni
profondi cambiamenti sistemici. Dovremmo guardare a Bruxelles?
Gli apparatcik non eletti dell'Urss in quella città
maledetta gestiscono una dittatura centralizzata.
La
maggior parte degli europei non ha ancora capito che la sovranità nazionale ha
cessato di esistere da tempo in tutti gli Stati membri dell'UE e che i loro
parlamenti sono tutti falsi.
L'UE
non è altro che il ramo politico della NATO, e la NATO è per gli Stati Uniti
ciò che la Lega Attica è stata per Atene:
un
meccanismo di controllo imperiale travestito da alleanza volontaria.
Il
palcoscenico politico nei Paesi Bassi si sta ora preparando per l'apparizione
stellare di “Frans Timmermans”, il corpulento "commissario per l'azione per il clima"
dell'UE di origine olandese, il pazzo per il clima in capo.
Quest'uomo si candiderà per un seggio nel
parlamento olandese come leader del nuovo Partito socialdemocratico-verde.
Inutile
dire che Timmermans non prenderebbe nemmeno in considerazione questa mossa se
non fosse sicuro di vincere e diventare il nuovo Primo Ministro.
Presto
anche altri Stati membri dell'UE avranno governi guidati da ex commissari
europei.
Se
tutto andrà secondo i piani, vorrà dire che la trasformazione dell'UE in una
copia della vecchia URSS sarà completata.
Tuttavia,
mentre la leadership dell'URSS aveva più o meno a cuore gli interessi dei suoi
cittadini (l'istruzione
e l'assistenza sanitaria erano gratuite e di buona qualità), l'Unione Sovietica è un inferno
distopico, gestito da psicopatici che pensano di essere dei. Hanno intenzionalmente distrutto
l'istruzione e la sanità pubblica.
Così
come l'URSS è crollata sotto il suo stesso peso, così farà anche l'Urss.
Speriamo che ciò avvenga prima piuttosto che dopo.
Ursula
Vuole Regalare 9 miliardi
all’Egitto
purché si Prenda
Quelli
di Gaza.
Conoscenzealconfine.it
– (20 Novembre 2023) - Maurizio Blondet – ci dice:
La “Von
Der Pfizer” i miliardi li stampa…
L’ANSA
dà pudicamente la notizia così:
“L’Unione Europea si offre di
sostenere l’Egitto per un importo di 9 miliardi di euro nel contesto della crisi
Israele-Hamas.
Il presidente della “Commissione Ue” “Ursula von der Leyen” era attesa sabato 18 novembre in
Egitto in una visita che la porterà anche in Giordania”.
Che lo
scopo del patto sia quello:
“tu Egitto ti prendi i 2,3 milioni di abitanti
di Gaza – Israele non riesce a sterminarli tutti, ne restano da espellere – e
noi europei ti paghiamo 9 miliardi”.
L’offerta
della “Von der Pfizer” viene palesemente per rinforzare quella della “Banca
Mondiale” di inizio novembre, molto esplicita.
Israele
Propone alla “Banca Mondiale” di “Cancellare una Parte del Debito” all’Egitto
in Cambio dell’Accoglienza dei Profughi Palestinesi.
“Israele
propone di cancellare, attraverso la Banca Mondiale, una porzione significativa
del debito dell’Egitto per indurre il governo di Abdel Fattah al-Sisi ad
accogliere nel Sinai i palestinesi in fuga da Gaza.
Lo riporta il sito “Ynet”.
Il
premier egiziano, Sisi sarebbe però contrario e avrebbe invece proposto che
Israele trasferisca i palestinesi di Gaza nel “Negev”. Ma il premier israeliano” Benyamin
Netanyhau”, secondo “Ynet”, starebbe cercando di convincere leader stranieri a
far pressioni sull’Egitto per accettare l’”opzione Sinai”.
“Gideon
Rachman”, il commentatore del “Financial Times”, disse:
‘Le
mie fonti a Riad dicono che gli egiziani ci potrebbero stare. Sono in
bancarotta, mi ha detto una fonte di alto livello: e poi hanno già 100 milioni
di persone. Che problema sarebbe un milione in più?’.
(rainews.it/articoli/ultimora/Israele-propone-alla-Banca-Mondiale-di-cancellare-una-parte-del-debito-allEgitto-in-cambio-dellaccoglienza-dei-profughi-palestinesi-df8f1374-13ff-4039-8e3b-879febf135e6.html)
Già
allora qualche lettore si stupì:
“Ma
gli intoccabili debiti pubblici possono essere tagliati ad libitum di Sion?
Ma allora la “Banca Mondiale” può cancellare i debiti
sovrani? Su ordine di Israele? Dunque Israele ha il potere sui debiti sovrani
degli altri stati?”.
Evidentemente
Ursula, la “Kapò Kommissione”, è uno dei “leader stranieri” che “Netanyahu” è
riuscito a convincere dietro lauto compenso.
Ciò
pone una serie di domande:
Von
der Leyen ha
scoperto la stamperia dei miliardi di euro, di cui la “BCE” ha sempre predicato
la scarsità e la necessità per le nazioni indebitate come l’Italia, di
prenderli a prestito a tasso d’interesse più alto?
Oppure
si tratta di 9 miliardi a debito, a carico del debito UE, che in definitiva
saranno messi sul gobbo a noi europei?
Se è
così, o in ogni caso, un qualunque parlamento ha votato per approvare questa
offerta?
Non si
dice i parlamenti nazionali… ma almeno quello europeo, anche se sappiamo che
direbbe di sì, essendo notoriamente venduto a tutti gli interessi stranieri?
Ursula ha deciso di testa sua dopo aver parlato con
Bibi: non
è questa dittatura della malavita organizzata?
La
“democrazia” dovrebbe rispettare certe procedure, anche solo per finta.
Già è
accaduto che Ursula abbia comprato 5 miliardi di dosi di siero Pizer, a prezzi
esosissimi, non solo senza asta pubblica ma con affettuose e-mail fra lei e
Bourla, che ha fatto sparire.
Ora la cosa si ripete dietro patrocinio degli
Usa:
Israele
comanda e Ursula subito è in grado di regalare ad Al Sisi 9 miliardi di soldi
nostri,
per sbolognare a lui i 2 milioni che Bibi non riesce a sterminare.
La UE
insomma obbedisce a Israele?
Frattanto,
sia messo agli atti che la UE contribuisce a trasformare il genocidio di
palestinesi in pulizia etnica.
La mia
speranza è che Al Sisi mercanteggi astutamente e con capacità levantina:
con
tutti i problemi che mi accollo accettando oltre 2 milioni di palestinesi, i
miei costi superano di molto i 9 miliardi.
Ne voglio 29. Più l’azzeramento del debito.
Certo, ha di fronte come controparte il “Grande Usuraio Global”;
ma vale la pensa tentare, generale;
è la
prima volta che l’Usuraio getta la maschera e ammette di poter disporre, e al
bisogno tagliare, i debiti pubblici altrui.
Perché
anche l’”Agnello Vittima della Shoah” sta affrontando i suoi cosi, come spiega
questa notizia:
Il
corrispondente di “Gaza Now” spiega la terribile situazione a Gaza con il
titolo “Una situazione molto dolorosa”:
“Sulla
Salah al-Din Road, la strada che collega il nord al sud, sono presenti carri
armati israeliani e cancelli elettronici.
Chiunque abbia la barba è minacciato di morte
dalle forze israeliane prima di raggiungere il cancello.
Ogni
donna che rifiuta di togliersi il velo è minacciata di morte per mano delle
forze israeliane.
Le
persone sono costrette a spogliarsi completamente.
Cinquanta
metri a nord del ponte Wadi Gaza, ci sono dozzine di corpi sparsi a destra e a sinistra
“.
Prosegue
il corrispondente di “Gaza Now”:
“Se
qualcosa cade a terra e tu provi a raccoglierlo, vuol dire che ti sei
condannato a morte; i cecchini israeliani ti uccideranno subito.
Non solo:
all’inizio
era consentito portare con sé una borsa per continuare il viaggio da nord a
sud, ma ora non è consentito portare una borsa.
Le persone arrivano nel centro e nel sud di
Gaza a mani vuote, senza cibo, senza bevande e senza niente”.
“Le
condizioni sono estremamente, estremamente difficili.
I bombardamenti sono ovunque.
Per
quanto riguarda le aree a nord, est e ovest di Gaza City, i residenti stanno
cercando di dimostrare la loro esistenza e si rifiutano di evacuare dal nord al
sud.
Alcuni
si sono rivolti all’”UNRWA” scuole per i rifugiati palestinesi, che sono considerate un rifugio
sicuro per i residenti secondo il diritto internazionale, ma niente di tutto questo protegge
nessuno dal terrorismo dell’occupazione, che ha preso di mira scuole, moschee, ospedali,
chiese e tutto il resto.
Non
c’è posto sicuro a Gaza”.
Il
corrispondente di “Gaza Now” afferma che:
“i
residenti delle zone della città di Al-Zahra, nel centro di Gaza, a nord di
Gaza non ricevono alcun aiuto da 43 giorni.
La
maggior parte delle persone non riesce a trovare un mezzo di sostentamento, né
una pagnotta di pane, né un sorso d’acqua.
Sono
completamente tagliati fuori dal mondo, isolati senza elettricità, internet o
comunicazioni.
La
vita qui è molto dolorosa.
Forse il mondo continua con le sue
dichiarazioni, ma ora deve sapere che siamo di fronte ad un massacro e ad un
genocidio davanti agli occhi e alle orecchie di tutti “.
(Maurizio
Blondet)
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