Se a capo di una nazione vi è un tiranno … è troppo tardi!

Se a capo di una nazione vi è un tiranno … è troppo tardi!

 

 

 

Una repubblica da mantenere.

Cespi.it – (13 settembre 2023) - Francesco Olivieri – ci dice:

Negli Stati Uniti siamo alla vigilia di un nuovo “anno elettorale”, in cui si inizia e si porta a compimento il macchinoso processo che indicherà, nel novembre del 2024, il prossimo governante della nazione.

Storicamente, la macchina elettorale americana favorisce la discesa in campo di candidati vigorosi sprizzanti energia, che vengono proiettati al più alto livello di potere, sia pure con alterni risultati.

Tra questi, uomini nuovi che hanno lasciato una traccia, come JF Kennedy, o magari Obama, oppure che hanno ravvivato la fiamma di dinastie politiche già avviate, come i Bush o i Roosevelt.

Il loro biglietto da visita è sempre stato quello del vigore, dello spirito del “can do”, che proietta un'immagine intonata all'autoritratto dell'America.

Le ansietà e le aspirazioni del momento in cui si trovano a competere, confluendo con l'esibizione della personalità che esprimono, vengono esaltate dalla prepotente retorica che non è mai mancata sulla scena politica statunitense.

 

Sarà così anche nel 2024, un anno in cui i maggiori contendenti sono veterani ottantenni e il paese oscilla tra diverse contrarie visioni del futuro?

Tra cinque mesi si va infatti al primo voto, le primarie dei partiti per la scelta finale dei candidati.

Da parte Democratica, se Biden stesso non decide diversamente, come a volte è accaduto (Johnson) – la “nomination” del suo partito gli appartiene praticamente di diritto.

 Tuttavia i sondaggi dell'elettorato più vasto – anche se non proibitivi – non sono entusiastici.

Anche in America aleggia il dubbio che Biden al termine di una lunga carriera possa essere oggi troppo anziano e affaticato per esprimere in modo convincente l'incessante energia che i votanti cercano nel candidato da mandare a Washington.

Trump non è tanto più giovane, ma è molto più rumoroso e lo fa dimenticare. Donde il quesito:

 avrà Biden ancora abbastanza consenso personale da portare il suo partito oltre l'ostacolo?

Una parte degli elettori del suo partito si dichiara soddisfatta del suo operato; globalmente, il suo indice di popolarità nel paese gira intorno al 40%.
A un anno dal voto, è un valore mediocre ma non preclusivo, sostanzialmente pari a quello di cui gode Trump.

Il solo rivale nel partito è per ora l'ultimo, dirazzato, dei Kennedy, che ha raccolto circa il 20% dei Democratici contro il suo 60%.

 Il bersaglio dei Repubblicani resta perciò Biden;

ma mentre è difficile immaginarlo nei panni del tiranno cripto-comunista che dipingono i suoi avversari, Biden può invece essere vulnerabile in quelli di un uomo logorato dalle responsabilità di un intenso impegno politico durato cinquant'anni, con dodici anni di Casa Bianca, e ora sensibile alle ricadute negative di un figlio discutibile.

Forse troppo per attirare -oltre al voto convinto del suo partito- anche il voto degli indipendenti, necessario per un solido nuovo mandato nei tempi conflittuali che viviamo.

Sulla riva opposta, c'è ora solo Trump.

Poco dopo l'inizio delle primarie, avviare anche il suo processo per il tentativo di interferire con le elezioni del 2020 nello Stato della Georgia: ed è questa solo una in un nugolo di imputazioni, federali e statali.

L'America sta finalmente per affrontare il lascito del suo quadriennio, conclusosi con il molteplice attacco alle istituzioni nel fallito tentativo di perpetuarlo.

La partita non è decisa a priori: Trump ha un ascendente quasi mussoliniano sui suoi seguaci, e per lui è ormai troppo tardi per accettare la sconfitta del 2020 senza deluderli;

può quindi solo rincarare la dose. D'altra parte, il tentativo dei nuovi aspiranti in seno al partito di presentarsi come una alternativa aggiornata ha prodotto imitatori che non possono sostituirsi a lui se non superandolo, inutilmente cercando cioè di essere più trumpisti di Trump (esempio De Santis, il Governatore dalla Florida).

La risposta popolare indica invece che gli americani che vogliono un Trump, vogliono l'originale, non una versione domestica.
Quindi in mancanza di una implosione spontanea di Donald Trump, gli altri conservatori in lista per il 2024 hanno poco spazio, anche quando sono dei politici sperimentati (come per esempio Nikky Haley, già Governatore della Carolina del Sud, o lo stesso De Santis).

 

Intanto Trump, che veleggia nella fascia del 40% dei consensi generici ed è sostenuto da una sua specie di culto, gode pur sempre di un suo appoggio popolare;

e questo sostegno non è intaccato nemmeno dalla rivalità interna tra gli aspiranti alla candidatura presidenziale.

 In conclusione, il partito Repubblicano ha oggi ancora bisogno del potere di attrazione di questa improbabile figura per vincere.

Tuttavia, politica e giustizia camminano su binari diversi.

La giustizia ha un proprio ritmo, lento e deliberato, ma si muove.

Proprio in questi giorni, uno dei primi leader dei gruppi paramilitari impegnati nella rivolta del 6 gennaio 2021 a Washington è stato condannato a una lunga pena di detenzione.

Saranno forse allora i tribunali a decidere le elezioni del prossimo anno?

Le svariate imputazioni che fioccano contro l'ex Presidente coprono una litania di reati che partono dalla sua condotta come uomo d'affari – noto per la disinvoltura con cui maneggiava la sua contabilità – per affrontare poi l'ancora maggiore disinvoltura con cui da Capo dello Stato ha maneggiato non solo i segreti della nazione, ma la nazione stessa, al momento di contare i voti per accogliere il verdetto dei cittadini.

 Non essendoci la possibilità di conciliare truffa elettorale e fedeltà alla democrazia, l'esito parrebbe scontato.

Ma non lo è.

Si è atteso molto a lungo questo giudizio: la giustizia, notoriamente bendata, non può affrettarsi senza un serio rischio di inciampare.

 Ne è risultato un macchinario giuridico complesso, che finisce con l’attivazione dei tribunali proprio sulla soglia di un anno di elezioni. Anche senza essere una forzatura creata per favorire l'accusa, questa circostanza sarà sfruttata della difesa.

 condanna sarebbe fatale non per la pena stessa che ne può ricevere, ma per effetto del poco conosciuto “14mo emendamento della Costituzione americana”, che esclude esplicitamente l'eleggibilità a qualunque incarico federale di chi abbia complottato contro l'Unione.

Un verdetto di quel tenore, che potrebbe essere l'esito del processo con riferimento ai fatti del 6 gennaio, potrebbe sbarrare per sempre la via a Trump.

 Ma potrà davvero essere conclusivo se milioni di cittadini lo interpreteranno come una mossa politica?

Nella realtà, il futuro verdetto dei dodici giurati del tribunale per il fallito putsch del 2021 diventerà finale solo quando sarà avallato dai prevedibili 160 milioni di americani che voteranno nel novembre del 2024.

Quanto accade in questi tempi negli Stati Uniti cancella l'immagine fantastica di un paese che ha trovato la formula di un governo democratico senza fatica.

“Questa sarà una repubblica”, disse Franklin, aggiungendo “…se sapremo conservarla”.

Oggi più che mai, le sue parole sembrano profetiche.

 La repubblica è divisa, non solo dai prevedibili particolarismi che esistono in seno ad ogni grande e vasta nazione, ma dalla sempre più difficile convivenza di due contrarie immagini della sua stessa vocazione nazionale.

Una parte della cittadinanza crede nel governo delle regole concordate tra i cittadini, solidamente osservate, e nella forza che deriva dalla loro unione;

l'altra preferisce invece riferirsi allo spirito di indomito individualismo che ha caratterizzato la storica sfrenata espansione della nazione.

 Per quest'ultima, la legge non basta, se il poliziotto è distratto: tutto ciò che è a portata può essere ambito ed appropriato, se non compare ad impedirlo una maggiore forza contraria.

Al limite, esiste compassione, un dovere morale, ma non solidarietà, un dovere civile.

Tutto ciò ha quasi il sapore di una guerra di religione.

 Quando questa dicotomia diventa contrapposizione ideologica si favorisce una frattura nello spirito della nazione, che sovverte l'idea di unione al suo centro.

 È già accaduto una volta, e la ferita non è ancora completamente cicatrizzata. Non per nulla i padri fondatori degli Stati Uniti avevano adottato nella loro iconografia nazionale l'immagine romana del fascio littorio, che si trova ovunque: anche sulla parete che fa da sfondo alla Camera, nel Congresso, se ne trovano due, muti ed eloquenti, a ricordare agli americani che senza l'unione non c'è la forza.

Con queste premesse, il prossimo anno sarà carico di tensione, e sarà più oneroso il fardello dei suoi governanti.

In Europa, più che in America, ci si è molto concentrati sull'età del Presidente. Secondo chi scrive, che ha ragioni anagrafiche per simpatizzare con Biden, può ritenersi un problema minore:

non inesistente, ma neanche da esagerare, ed ha anche le sue compensazioni.

Un antico proverbio spagnolo dice che “il diavolo la sa lunga perché è vecchio, mica perché è diavolo”. Le schermaglie congressuali di questo biennio tendono a confermarlo. La più recente crisi parlamentare è stata quella del “plafond del deficit”, risolta abilmente da un Biden dai capelli bianchi.

Ma Trump non è un parlamentare, e la massa dei suoi seguaci lo segue proprio perché invidia la sua disponibilità a avviare obiettivi personali senza riguardo alle regole.

Questa filosofia egocentrica, che Trump non ha inventato ma che ha elevato a un palese principio di vita, a sua volta conduce a una nazione transazionale.

 In cambio di un potere quasi autocratico, Trump offre “panem et circenses” (soprattutto circenses) ai suoi elettori, che invidiano la sua impenitente noncuranza per la legge.

 

Non era certo questa la lezione dei padri della patria, né dei loro successori per oltre due secoli, nemmeno nei peggiori momenti di crisi nazionale.

La generazione che ha perpetuato fin qui la visione dei fondatori sta infatti scomparendo.

La vecchiaia di Biden non è solo il problema di Biden, è un problema del paese, non perché il Presidente non sia in grado di fare il suo mestiere, ma perché un suo fallimento potrebbe segnalare una transizione politica più estesa e più profonda, e un passaggio di consegne più radicale.

Occorrerebbe ritrovare un consenso nazionale, che non sembra più implicito ea portata di mano dei politici attuali.

 Inoltre, la vecchiaia è crudelmente imparziale, e colpisce entrambi i campi: i telegiornali stanno ora dibattendo la reale portata di alcune presunte manifestazioni di senilità del Presidente del Senato McConnell, il più autorevole parlamentare Repubblicano della “vecchia scuola”, a lungo un collega di Biden nel suo periodo al Senato.

Questo dovrebbe ricordarci che gli equilibri parlamentari non sono garantiti nei termini elevati che abbiamo conosciuto nel passato, e che hanno consentito anche a maggioranze ristrette di condurre il paese con sicurezza attraverso percorsi difficili e non lineari, come all'epoca di McCarthy, Nixon e per altri versi anche quella dei Bush, con maggioranze ad hoc basate sul buon senso e su una condivisione dei valori.

Questo richiederebbe continuità col passato, e comunanza di ideali.

Trump ha già vinto una volta, e può vincere ancora; e non ha lasciato dubbi su quale campo sia il suo.

Resta da ricordare che un suo secondo mandato sarebbe comunque l'ultimo consentito, e bisogna anche chiedersi allora come userebbe il suo nuovo quadriennio per costruire una protezione a prova di legge.

 

 

 

Gli attentatori del duce

Benito Mussolini.

Storicang.it - Matteo Dalena – (25 agosto 2021) – ci dice:

 

Se nel proprio passato da socialista rivoluzionario Benito Mussolini fu un convinto assertore del tirannicidio, tra il 1925 e il 1926 il primo ministro italiano sfruttò i molteplici attentati contro la sua persona per dare una svolta in senso totalitario al Paese.

FASCISMO.

Durante il ventennio fascista molti italiani avrebbero accolto con soddisfazione l’assassino del duce Benito Mussolini.

Molti altri ne sarebbero rimasti sinceramente affranti, ma solo in pochi – due uomini, una donna e un ragazzo – ebbero l’ardire di tentare l’impossibile: eliminare il duce, fondatore e capo del fascismo.

Un veterano della Prima guerra mondiale e deputato socialista, una lady irlandese il cui petto ardeva di misticismo, un impavido anarchico già noto alla polizia e un ragazzino bolognese di soli sedici anni dal 4 novembre 1925 al 31 ottobre 1926 attentarono alla vita del presidente del consiglio del regno d’Italia Benito Mussolini.

Poi tra il 1931 e il 1932 ci furono i tentativi anch’essi fallimentari degli anarchici Michele Schirru e Angelo Pellegrino Sbardellotto, condannati a morte per fucilazione dal Tribunale Speciale.

I loro nomi e le loro figure si perdono negli anfratti della storia, perché l’atto estremo che provarono a mettere in pratica – l’omicidio politico o, in altri termini, il tirannicidio – per una qualche ragione non andò a buon fine.

Se uno di loro fosse riuscito nell’intento che si era prefissato, il suo nome avrebbe fatto uno scatto di notorietà, al pari di quelli di Sante Caserio, Luigi Lucheni e Gaetano Bresci rispettivamente attentatori del presidente della repubblica francese Sadi Carnot (1894), di Elisabetta di Baviera detta “Sissi” (1898) e del re d’Italia Umberto I (1900).

 

Poche ore dopo l'attentato alla sua vita del 7 aprile 1926, Benito Mussolini, con un cerotto sul naso, tenne un discorso dal balcone di Palazzo Chigi davanti a una folla festante.

Tuttavia molti storici sono concordi nell’affermare che fra il 1925 e il 1926 gli attentati falliti ai danni del duce contribuirono a fomentare l’ala destra del partito nazionale fascista che spingeva verso una svolta in senso totalitario.

Tramite una serie di misure d’emergenza tra cui l’abolizione di tutti i partiti politici eccetto il PNF, la chiusura dei giornali indipendenti, l’istituzione di una nuova polizia politica e di un tribunale rivoluzionario speciale e infine la reintroduzione della pena di morte nel 1926, l’Italia si apprestava a diventare una dittatura.

Gli attentati affrettarono tale deriva.

Se in passato si tendeva a tener segreti oppure a rintuzzare la portata degli attentati alla vita di primi ministri e altre istituzioni, secondo lo storico Denis Mack Smith a quelli del 1925-1926 «fu data larga pubblicità, e ne fu fatto un uso efficacissimo per attirare simpatie e adesioni».

La creazione e il mantenimento del consenso richiedevano astuzia e cinismo e, in tal senso, si diffusero voci sull’utilizzazione di provocatori da parte del duce per sfruttare i vantaggi pubblicitari connessi a un attentato sventato alla sua vita.

 Il duce degli italiani e l’uomo forte del fascismo, non poteva non uscire indenne e la sua figura fortificata.

Eppure nell’estate del 1910 sulla rivista” Lotta di classe” Mussolini, all’epoca segretario della federazione socialista di Forlì, sposava le ragioni di quelli che sarebbero stati i suoi futuri assalitori:

«Non mettiamoci, giudicando questi uomini e gli atti da loro compiuti, sullo stesso piano della mentalità borghese e poliziesca… Riconosciamo invece che anche gli atti individuali hanno il loro valore e qualche volta segnano l’inizio di profonde trasformazioni sociali».

 Pur sostenendo che «le bombe non possono costituire, in tempi normali, un mezzo d’azione socialista» l’infervorato militante era convinto che «quando un governo – repubblicano o imperiale o borbonico – imbavaglia e vi getta fuori dall’umanità, oh! Allora non bisogna imprecare alla violenza, anche se fa qualche vittima innocente».

Il piccolo borghese

«Un gesto simbolico di piccola borghesia disingannata e disperata.

Il piccolo borghese che è stato sinceramente antifascista, tradito in tutte le sue aspettazioni, aspira al gesto come ad una liberazione».

In questi termini Palmiro Togliatti, segretario del partito comunista italiano, avrebbe definito nel 1931 su “Stato Operaio” il proposito di Tito Zaniboni, ex ufficiale pluridecorato della Prima guerra mondiale, appartenente alla massoneria e che aveva fatto carriera nel partito socialista fino all’elezione nel 1921 a deputato per la circoscrizione Udine-Belluno.

Alle prime ore del mattino del 4 novembre 1925 Tito prese una camera nell’albergo Dragoni, di fronte a palazzo Chigi a Roma.

Da una finestra avrebbe potuto senza troppa difficoltà far fuoco con un fucile di precisione verso il balcone dal quale Benito Mussolini si sarebbe affacciato da lì a poche ore.

 Ma mentre l’attentatore era intento a prepararsi un gruppo di investigatori irruppe nella stanza d’albergo e lo arrestò.

Zaniboni fu incarcerato, processato nella primavera del 1927 e condannato a trent’anni di reclusione per alto tradimento.

Con l’armistizio, nel 1943, Zaniboni tornò libero ed ebbe l’incarico di alto commissario per l’epurazione dal fascismo.

 Quanto all’attentato fallito, si profilò l’ipotesi che un provocatore vicino alla polizia avesse incoraggiato e aiutato Zaniboni nel suo proposito allo scopo di dimostrare al duce la propria fedeltà ed efficienza.

 Ma lo storico Mack Smith è andato oltre: «Zaniboni fu certamente incoraggiato da un provocatore, e di nuovo l’occasione fu utilizzata per attaccare immaginari istigatori stranieri. Nel quadro di una campagna antimassonica, un uomo quasi certamente innocente, il generale Capello, fu condannato per complicità […] al solito la cosa fu presa a pretesto per perseguitare alcuni dei principali fogli indipendenti».

Lady Violet.

«Dall’arma nella sua mano scaturì uno scoppio e il dittatore tremò mentre il sangue gli zampillava dal naso.

 La donna puntò la pistola per sparare ancora. Era vicina e da quella distanza era difficile che sbagliasse mira, ma quando premette il grilletto la pallottola non partì. Ormai era troppo tardi per disarmare l’arma e sparare ancora:

la folla isterica si era scagliata contro di lei strappandole vesti e capelli, poi robusti poliziotti l’avevano atterrata brutalmente».

Così lo studioso statunitense Richard Oliver Collin descrive l’attimo in cui il 7 aprile 1926 un’esile signora di mezza età, dall’aspetto fragile e indifeso sparò in volto a Benito Mussolini mentre questi lasciava il Campidoglio, a Roma, acclamato dalla folla al termine di un convegno di chirurgia.

Violet Albina Gibson era la figlia di un nobile angloirlandese, pari d’Inghilterra e frequentatore di Buckingam Palace.

Infatuata di misticismo a sfondo cattolico o, secondo alcuni, «non del tutto in senno» per via di gravi problemi di salute che la costrinsero a vari ricoveri, Violet decise di armarsi contro il primo ministro italiano.

 

Secondo Collin fu colpita oltremodo dagli omicidi di marca fascista di don Giovanni Minzoni (1923) e Giacomo Matteotti (1924) ma in generale dalla politica di forza bruta e dalla violenza che aveva attanagliato il Paese.

Lo studioso afferma che dopo l’attentato, durante un periodo di ricovero nel manicomio di Sant’Onofrio, Violet avrebbe dichiarato che «l’esistenza di Mussolini è contraria al volere di Dio».

Nonostante le ipotesi di un possibile complotto antifascista che avrebbe armato la mano di lady Violet, la donna comparì dinanzi al Tribunale Speciale che decise di assolverla per infermità mentale.

Espulsa dal Paese, fece ritorno scortata in Inghilterra dove per lei si spalancarono le porte della clinica psichiatrica St Andrew's Hospital a Northampton.

 Qui si spense – provando più volte a riottenere la libertà – nel 1956.

Nel 1947 scrisse un’accorata lettera alla principessa e futura regina Elisabetta I: «Nel 1926 sparai a Mussolini e fui rinchiusa in questo ospedale per compiacere a Sua Maestà […] Non dovete temere che io tenti ancora di sparare a qualcuno, poiché sono vecchia e malata e impegnata in attività molto tranquille, soprattutto preghiere».

Ma Elisabetta non avrebbe mai ricevuto la lettera in cui Violet invocava la grazia, probabilmente perché recava una nota di accompagnamento su cui stava scritto che «il mittente è malato di mente».

Gino l'anarchico

Anche in seno al proletariato italiano spuntavano i possibili attentatori del duce. Erano «difensori arditi», «vindici», «giustizieri», convinti assertori della «azione diretta», cioè di una risposta mirata e violenta al fascismo.

Secondo questi «spettri macabri del momento estremo» c’era solo una soluzione alla tirannide fascista:

«Senza despota non c’è dispotismo: se si stronca il tiranno, la tirannide finisce», scrive il giornalista e studioso Giuseppe Fiori.

 Uno degli attentatori era Gino Lucetti, un manovale marmista ventiseienne originario della Garfagnana e di fede anarchica che provò a stroncare la vita di Benito Mussolini.

 

 

L’11 settembre 1926 Lucetti attendeva tra la Nomentana e il piazzale di Porta Pia il passaggio della vettura del duce.

Arrivato dalla Francia pochi mesi prima, era disoccupato e per le sue idee anarchiche era schedato come sovversivo e dunque considerato un potenziale delinquente.

 Sempre secondo il racconto di Fiori, quel giorno «l’auto del duce viene dalla Nomentana… s’avvicina… Lucetti aspetta che sia a portata di lancio… è freddo, con forza scaglia una bomba a mano. Ha mirato giusto. La bomba sbatte contro la parte superiore dello sportello di destra. Ma scoppia solo dopo essere caduta a terra, e la macchina è distante già alcuni metri.

 Mussolini ne esce incolume, le schegge feriscono otto passanti. E la folla si accanisce contro l’attentatore».

Nel 1927 Lucetti venne condannato dal Tribunale Speciale a trent’anni di carcere. Liberato dagli alleati nel 1943 morì durante un bombardamento nazista nei pressi di Ischia.

 

Anteo il ragazzo.

«Se tu vedessi, babbo, che faccia da delinquente ha Mussolini» confidò il sedicenne Anteo Zamboni al padre Mammolo, tipografo bolognese d’idee antifasciste:

 «Sì Anteo, volle attentare a Mussolini. E noi non ne sapemmo nulla, perché egli seppe non farci sospettare, seppe non farci sapere», scrive Mammolo Zamboni, padre di Anteo.

Il 31 ottobre 1926, quarto anniversario della marcia su Roma, Mussolini si trovava a Bologna per una serie d’inaugurazioni e poco prima delle 18 si apprestava a raggiungere, a bordo di un’Alfa Romeo scoperta guidata dal gerarca bolognese Arpinati, la stazione ferroviaria per far ritorno a Roma.

Tra via Rizzoli e via Indipendenza ci fu «uno sparo. Il colpo lacera la sciarpa mauriziana e la giubba di Mussolini, poi buca il polsino della camicia nera del podestà di Bologna.

 Sul marciapiede a destra dell’auto, il subbuglio. Novanta secondi dopo lo sparo, giace con quattordici pugnalate, segni di strangolamento e un colpo di pistola, un ragazzo esile, slanciato, i capelli biondicci. Ha sedici anni, si chiama Anteo Zamboni, tipografo…».

 

Anteo Zamboni cercò di «liberare l’Italia dalla tirannia dell’uomo nefasto».

Il quarto tentativo di uccidere il duce divenne la giustificazione per l’instaurazione di una dittatura fascista.

 Si addensarono persino i sospetti mai provati che alcuni esponenti fascisti avessero progettato di uccidere il duce cercando poi un capro espiatorio.

 Secondo Mack Smith «ragioni di stato indussero dunque Mussolini ad impartire istruzioni alla magistratura perché fossero inflitte pesanti pene detentive a due familiari del ragazzo in quanto complici dell’attentato, benché la polizia non fosse per nulla persuasa della loro colpevolezza».

 Mammolo Zamboni, padre di Anteo, e la zia Virginia Tabarroni, furono condannati dal Tribunale Speciale a trent’anni di prigione per aver condizionato il giovane Anteo.

Ricevettero la grazia nel 1932.

Durante il processo Mammolo sostenne l’innocenza del figlio e l’estraneità sua e della cognata Virginia per convenienza, cioè perché «non si poteva dire allora che la condanna fu conseguenza di un ordine di Mussolini» e dunque un errore giudiziario.

Ma nel secondo dopoguerra il padre addolorato fu libero di scrivere che «egli [Anteo] andò incontro al martirio e alla morte con la ferma volontà di liberare l’Italia dalla tirannia dell’uomo nefasto».

 

 

 

 

 

Conferenza Bomba sui Vaccini:

 “da EMA Fatti Scioccanti”

Conoscenzealconfine.it - (26 Novembre 2023)- Redazione – Rumble. Com – ci dice:

Conferenza del 21 novembre 2023 sui vaccini covid. Marcel de Graaff e altri eurodeputati: “Da EMA fatti scioccanti”.

Rivelazioni esplosive durante la conferenza stampa al Parlamento europeo. L’eurodeputato olandese Marcel de Graaff, l’eurodeputato tedesco Joachim Kuhs, l’attivista Willem Engel e il consulente medico Vibeke Manniche discutono le scioccanti rivelazioni contenute nella lettera dell’Agenzia Europea per i medicinali, l’EMA, del 18 ottobre 2023, lettera in risposta alla richiesta di sospensione delle autorizzazioni di commercializzazione dei vaccini Covid-19 inoltrata dagli stessi M. de Graaff e J. Kuhs.

Dalla lettera dell’EMA emerge che l’uso dei vaccini Covid era stato consentito per l’immunizzazione individuale, non per controllare il contagio e assolutamente non per prevenire o ridurre le infezioni.

Nessuno sotto i 60 anni correva il rischio di gravi complicazioni, quindi, salvo casi particolari, nessuno avrebbe dovuto vaccinarsi.

Le massicce campagne governative a vaccinarsi per proteggere i propri cari non solo non erano autorizzate ma erano completamente insensate.

I palazzetti dello sport pieni sono stati in palese contrasto rispetto all’uso per il quale il vaccino era stato autorizzato dall’EMA.

Anche il metodo di segnalazione degli effetti avversi scelto dalle politiche governative non ha seguito le indicazioni dell’Ema, rendendo inefficace la sorveglianza e impossibile il consenso informato.

Inoltre, qualsiasi innovazione derivata dall’uso di tecniche di ingegneria genetica è da considerarsi alla stregua di un OGM e sottoposta a specifiche normative che non sono state rispettate.

L’mRNA infatti non è umano e fa parte degli OGM.

L’EMA poi era stata informata che alcuni lotti, definiti “blu”, creavano effetti collaterali molto più numerosi e gravi, eppure nessuno è intervenuto… Ha dichiarato M. de Graaff: “I governi dovrebbero essere ritenuti responsabili delle loro bugie e dei loro inganni.”

(rumble.com/v3xl0iz-audio-ita-conferenza-bomba-vaccini-da-ema-fatti-scioccanti-21-nov-2023.html)

(t.me/detoxedinfotelegram)

 

 

 

 

L’umanità tra progresso e regresso.

 Neuroscienze.net - Guido Brunetti – (Marzo 6, 2019) – ci dice:

 

Una nuova età dell’oro, ovvero un nuovo Risorgimento.

L’umanità fin dall’antichità è in cammino in un percorso che procede e regredisce e attraverso un’esistenza di cui non sappiamo come andrà a finire.

I grandi problemi e le grandi sfide dell’umanità.

L’umanità fin dai tempi antichissimi è in cammino e sempre sostenuta dall’evoluzione biologica e dall’evoluzione culturale.

 Un cammino faticoso, arduo e contraddittorio nel passaggio dalla barbarie alla civiltà e al progresso e sempre interrotto da nuovi ostacoli in un feroce ritorno alle pulsioni di aggressività e di “sangue” (Magris).

Un percorso che procede e regredisce, che ricomincia, come afferma “Noah Harari” in “Homo Deus” (Bompiani), con ogni uomo e con un destino incerto, uno scenario insicuro e un’esistenza di cui non sappiamo come andrà a finire.

E per questo, appesantita da minacce, miseria, degrado, conflitti e guerre, ingiustizie, fragilità e precarietà.

 Si tratta di un viaggio difficile e spesso drammatico, tale da sembrare la metafora della salita di Abramo sul monte per sacrificare il figlio Isacco.

La nostra analisi mostra che il futuro non è solo progresso e miglioramento.

È anche insicurezza, ansia e angoscia.

 Eppure, la nostra, come concorda il neuro scienziato americano Damasio, potrebbe essere l’epoca migliore nella storia dell’umanità.

Addirittura, studiosi come Goldin e School scrivono che stiamo vivendo in una “Nuova età dell’oro” (il Saggiatore).

Una fase di profonda evoluzione che richiama quella del Rinascimento, quando si posero le basi per un nuovo modello di progresso fondato sull’essere umano, e sulla diffusione e lo sviluppo della conoscenza.

Negli ultimi cinquant’anni, i progressi della scienza sono stati straordinari.

Le neuroscienze stanno compiendo splendidi sviluppi a vantaggio dell’umanità, offrendoci una “fuga” dal tempo e dalla morte.

È in atto una rivoluzione scientifica destinata a sconvolgere non soltanto i metodi di diagnosi e cura in medicina e psichiatria, ma le nostre millenarie concezioni, a partire dai sistemi filosofici.

Soltanto un secolo fa, la durata media di vita era di 43 anni, mentre oggi è di 79 anni per gli uomini e di 83 per le donne.

La riduzione della mortalità infantile, gli sviluppi delle pratiche igieniche, l’uso della vaccinazione e degli antibiotici, i nuovi farmaci, la modificazione del codice della vita, la capacità di diagnosticare le malattie, la speranza di vita che continua ad aumentare stanno producendo una svolta epocale.

È una svolta che ad un esame approfondito mette in luce nondimeno il dramma della commedia umana, i suoi conflitti, la sua violenza, le sue continue tensioni.

È una condizione che continua ad andare così dalla comparsa dell’uomo.

Se il Signore- dice la Bibbia- ha visto che la creazione era buona, San Paolo invece esprime un parere diverso quando scrive: “Il creato è stato condannato a non avere senso… fino ad ora tutto il creato soffre e geme come una donna che partorisce”.

 Tutto questo, è colpa del peccato originale?

Secondo una vasta e autorevole letteratura che va dai primi filosofi agli autori moderni e contemporanei i due principi fondamentali che scandiscono la nostra esistenza sono il bene e il male.

Che sono in perenne lotta tra loro e corrispondono alle pulsioni originarie teorizzate da Freud:

Eros e Thanatos, amore e odio, egoismo e altruismo, vita e morte, distruzione e autodistruzione.

 La prima e più antica struttura del cervello è costituita dal cervello rettiliano, che da sempre si oppone al neo cervello, che è la parte più nobile del cervello umano.

Questo significa che l’essere umano porta misteriosamente in sé non solo la scintilla del bene, ovvero la fiammella “divina” (Dostoevskij) della propria redenzione, ma anche il dramma del male.

L’uomo nella condizione dolorosa e tragica della vita è sottoposto ad un destino impietoso e crudele, ad una condizione di immobilismo esistenziale, ad un vuoto interiore che sfocia nel nichilismo e nell’indifferenza morale, fattori che evidenziano tutto l’errare e la violenza dell’uomo e tendono spesso a vanificare la sua aspirazione all’assoluto e all’infinito.

Oggi, una delle più rilevanti contraddizioni di questo nuovo Medioevo della società moderna, assalita sempre più da troppi feudatari e parvenus, è l’emergere di società scientificamente e tecnologicamente progredite, ma barbare sul piano umano, etico e spirituale.

“Progredi est regredi”, ogni progresso infatti è anche regresso. Offre nuove, meravigliose possibilità per il bene, ma apre anche “possibilità abissali di male” (Benedetto XVI), in un mondo che appare un paesaggio difficile da decifrare e affrontare, sempre più complesso e convulso, privo di orientamento, di senso, senza guida e prospettive.

La nostra specie “accumula” progresso, ma non benessere spirituale, tranquillità o felicità, secondo la concezione del più grande filosofo romano, Seneca.

 La mancanza di vera cultura, di senso di umanità e di etica oggi appare un elogio, un privilegio, mentre l’arroganza, l’ignoranza e la volgarità sono “una garanzia di successo” (H.Arendt).

L’umanità dunque è in crisi in quanto esposta ad una situazione di “perenne conflittualità” (Vizioli).

Per l’umanità, il pericolo maggiore è l’uomo, il suo istinto autodistruttivo.

Il cervello superiore non è ancora riuscito a dominare la struttura cerebrale governata da una tendenza biologica suicida.

Il declino dell’uomo, quindi.

Questo è il mal sottile che insidia l’essere umano, la caduta delle sue qualità propriamente umane

 E allora ha un rapporto alienato con sé stesso, con gli altri e con le cose.

E cerca nell’aggressività e nella violenza la fine di tutte le sue angosce.

Perché vive in un mondo senz’anima, trascinandosi in una temperie umana e culturale percorsa da elementi disgregativi, da insicurezze e squilibri, e dalla perdita della dimensione metafisica e delle credenze.

Viviamo in una condizione di anestesia psichica e morale, che ha effetti neurologici negativi.

La distruttività dell’uomo è presente sin dai tempi preistorici. Gli scimpanzé, i nostri cugini, non hanno mai “crocifisso” altri scimpanzé (Damasio). Gli antichi invece hanno inventato la crocifissione, crocifiggendo esseri umani.

Viviamo in un’epoca- precisa il neuro scienziato americano Damasio- che mentre glorifica la scienza, traendone vantaggi, sembra “spiritualmente in bancarotta”.

 Si educa l’individuo all’uso di stimoli emotivi negativi con il rischio di un ritorno alla nostra emozionalità animale.

 Fatto che porta al degrado sociale, culturale e morale e al crescente imbarbarimento dell’individuo e della società.

L’immagine che emerge è quella del battello ebbro di Rimbaud, che vaga senza timoniere né timone, mettendo a repentaglio l’equipaggio.

La modernità, la globalizzazione, la distribuzione diseguale della ricchezza, le carenze del sistema educativo, la diversità culturale, la velocità e “l’onnipotenza paralizzante” della comunicazione digitale, la realizzazione di programmi televisivi che veicolano comportamenti diseducativi e violenti, violando “ogni elementare principio di decenza umana” sono poi tutti fattori che rischiano di rendere le nostre società “ingovernabili”.

La nostra è una società post-moderna attraversata, come ha evidenziato il filosofo Bauman, il teorico del “mondo liquido”, da un relativismo etico, da un esasperato individualismo, da un’estetica del consumo, dalla scomparsa delle grandi narrazioni metafisiche e da una ricerca maniacale e ossessiva del piacere e delle pratiche salutistiche.

Una società senza progetti e principi, dove l’intero modello sociale, culturale e morale si è “liquefatto”.

Una società del “rischio” (Beck).

 

Il futuro dell’umanità.

Qual’ è dunque il futuro dell’umanità?

Un futuro post-umano, secondo lo scienziato “Michio Kaku”.

Tra le sfide che l’umanità deve affrontare nei prossimi due secoli c’è anzitutto quella di “avventurarci verso altri mondi, dal momento che il 99,9 per cento della specie si è rivelato “destinato all’estinzione”.

 

Le avversità sono costituite dalle eruzioni vulcaniche gigantesche e dalle 16 mila 294 asteroidi identificate che potrebbero “intercettare” la rotta della Terra.

Marte, allora, diventa, per Kaku, il primo traguardo per formare una colonia stabile entro il XXII secolo.

L’uomo andrà su Marte- aggiunge E. Musk- entro il 2025 è sarà reso un pianeta abitabile.

Proprio in questi giorni, la rivista “Science” ha pubblicato una grande scoperta, l’esistenza di molecole organiche su Marte, fatto che sta ad indicare la probabilità che tre milioni e mezzo di anni fa sul pianeta Rosso ci fossero tracce di vita.

Questa notizia fa seguito all’altra scoperta avvenuta nel 2014 sul rinvenimento nell’atmosfera marziana del metano, un gas considerato una spia fondamentale della vita.

Nella prossima missione su Marte, che avverrà nel 2020, ci sarà un piccolo elicottero autonomo, il primo velivolo che solcherà un altro pianeta.

Un’altra grande sfida è legata inoltre allo sviluppo della genetica con la possibilità di modificare il corpo umano.

L’umanità è arrivata al massimo del processo di trasformazione, fatto che potrebbe “aprire” le porte- precisa un altro scienziato, N. Bostrom, al post-umanesimo attraverso la clonazione delle persone, una realtà ritenuta “inevitabile”, una volta che la tecnica si perfezionerà negli animali.

 Lo sviluppo scientifico poi consentirà di “controllare” anche i processi di invecchiamento, ipotizzando che presto “potremmo superare abbondantemente i 100 anni di vita.

In questa visione, qual è il posto che occupa il nostro Paese?

 Da una ricerca approfondita, emerge un Paese che sembra aver imboccato una strada “priva di ritorno”:

quella della decadenza “senza rimedio”.

“L’Italia non c’è più” ha scritto nel suo recente libro Pansa. “Un paese perduto, senza identità”;

 abitato da esseri umani “con ben poco in comune”.

I sintomi di questa età della decadenza sono molteplici e riguardano in particolare: la famiglia, la scuola, gli adolescenti, che non riconoscono più l’autorità paterna, la politica e i politici, che non sono più rispettati, la crisi economica, sociale e morale, il fenomeno dell’emigrazione, il sesso, che imperversa sui quotidiani, in tivù e nella pubblicità, l’esibizionismo e l’individualismo, la diffusione del bullismo tra i maschi e le ragazze, la violenza sulle donne, la dipendenza dal web, dai social network, da internet e dai cellulari, un fatto che sta impoverendo e corrompendo anche la lingua italiana in un Paese che vede crescere al 70% l’analfabetismo funzionale mentre solo quattro cittadini su dieci leggono un libro l’anno.

Assistiamo infine ad un lento e inesorabile processo di indebolimento delle istituzioni.

Concludendo, i nuovi tempi proiettano nuovi rischi per ora solo intuiti e non ancora esplorati.

Noi, d’accordo con altri autori, riteniamo che la chiave del progresso sia l’educazione, ovvero lo sviluppo sociale, culturale, affettivo e mentale dell’essere umano, in quanto mira a generare individui e ambienti sani e maturi, a creare comportamenti etici, a incoraggiare principi morali, a favorire l’empatia, l’altruismo e la qualità della vita.

 L’educazione- la cultura- è conoscenza e la conoscenza è uno dei principali valori dell’umanità, la quale ci può fornire gli strumenti per inventare “ogni genere di risposta” e di soluzione ai progetti di civilizzazione per organizzare e dirigere il corso della nostra esistenza.

(Guido Brunetti)

(asins=’8864403566,8854516384,8817098205,8845292797,8807889250,8869391639,8833929868′ template=’CopyOf-ProductCarousel’ store=’francioalba-21′ marketplace=’IT’ link_id=’7d852b9f-2c8c-4206-bee9-0410a53d8c94′]

 

 

 

 

 

Progresso o regresso?

Finimondo.org – Redazione – Brulotti – (18 giugno 2014)

 

Pièces et main d'œuvre.

«Resta inteso che ogni progresso scientifico

compiuto nell'ambito di una struttura sociale difettosa

non fa che lavorare contro l'uomo,

contribuendo ad aggravarne la condizione»

André Breton, Le Figaro littéraire, 12 ottobre 1946.

 

«Paragonando lo stato delle conoscenze umane con gli stati precedenti, “Fontenelle” scoprì non proprio l'idea di progresso, che è solo una illusione, ma l'idea di crescita.

Vide abbastanza bene che l'umanità, a forza di vivere, acquisisce esperienza ed anche consistenza. (...) Progresso inizialmente significava solo avanzamento, cammino nello spazio e nel tempo, con ciò che comporta di felice uno stato di costante attività.

Più tardi si diede a questa parola il senso di miglioramento continuo (Turgot), indefinito (Condorcet) e divenne ridicola»

Remy de Gourmont, Sur Fontenelle. Promenades littéraires, Mercure de France, 1906.

 Ormai da decenni, se non da un secolo o due, alcune persone cercano la parola, ce l'hanno «sulla punta della lingua», sfugge loro, lasciandogli una viva e dolorosa frustrazione — senza la parola come dire la cosa?

Coma dare e nominare la ragione dello sgomento, della rivolta, del lutto e per finire dello scoraggiamento e di una indifferenza senza fondo.

Come se si fosse stati amputati di una parte del cervello: amnesia, zona bianca nella materia grigia.

La politica, in ogni caso la politica democratica, comincia con le parole e l'uso delle parole;

essa consiste per una parte preponderante nel nominare le cose e quindi nel nominarle con la parola giusta, con precisione flaubertiana.

Dare un nome a una cosa è formare una idea. Le idee hanno conseguenze che si producono inevitabilmente.

La maggior parte del lavoro di elaborazione della neolingua, in 1984, consiste non nel creare, ma nel sopprimere delle parole, quindi delle idee — cattive idee, idee nocive dal punto di vista del Partito —, quindi ogni velleità d'azione conseguente a quelle parole che formulano cattive idee.

Questa parola l'abbiamo talvolta abbordata, abbiamo provato «rimpianto» (regret), era bello «rimpianto», una approssimazione che formava consonanze, pur appartenendo a un altro ramo etimologico.

Un'altra volta, abbiamo usato «regresso» (régrès), credendo di coniare un neologismo, una declinazione di «regressione» che fa rima con «progresso», termine a termine.

 Ci eravamo quasi. Poco tempo fa siamo caduti su «regresso» (regrès), una buona e vecchia parola francese, «caduta in disuso» come si dice, buona per il dizionario degli obsoleti che è il cimitero delle parole.

E delle idee. E delle loro conseguenze, buone o cattive.

Ovviamente è impossibile credere che il vocabolo «regresso», l'antonimo di «progresso» sia sparito per caso dalla lingua e dalle teste.

Il movimento storico dell'ideologia in un qualsiasi momento del XIX secolo ha deciso che ormai ci sarà solo progresso, e che la parola regresso non avrà un maggiore utilizzo di quanto ne avesse la maggior parte del vocabolario sul cavallo oggi scomparso con l'animale e i suoi molteplici utilizzi che instauravano una familiarità fra lui e l'uomo di una volta.

Così le vittime del Progresso, del suo prezzo e dei suoi danni, non avranno più parole per lamentarsi. Saranno solo degli arretrati e reazionari: il campo del male e dei maledetti votati alla spazzatura della storia. Se pensate che si sfondino delle porte aperte, avete ragione.

 La cosa sorprendente è che occorra ancora sfondarle.

Largo all'Onni Progresso, quindi.

La parola stessa non aveva in origine una connotazione positiva. Indicava semplicemente un avanzamento, una progressione.

Anche i più accaniti progressisti concederanno che l'avanzamento — il progresso — di un male, del caos climatico, di una epidemia, di una carestia o di qualsiasi altro fenomeno negativo non costituisce né un piccolo salto né un grande balzo per l'umanità.

Soprattutto quando si considera da sé, per voce delle sue autorità scientifiche, politiche, religiose e morali, sull'orlo dell'abisso.

 Ciò che ha reso il progresso così positivo e imperativo, è la sua alleanza con il potere, enunciata da Bacone, il filosofo inglese, all'alba del pensiero scientifico e razionalista moderno: «Sapere è potere».

Questa alleanza di cui la borghesia mercantile e industriale è stata l'agente e la principale beneficiaria ha conquistato il mondo.

Il potere sta al sapere come il denaro sta al denaro.

Il potere sta al potere.

Alleanza del microscopio (della provetta, del computer, ecc.) e del Capitale. Contrariamente a quanto pretendono il socialismo scientifico ed i suoi innumerevoli postumi (dalla sinistra del PS alla «sinistra della sinistra»), i senza potere non possono «riappropriarsi» di questo potere.

 Non possono nemmeno impadronirsi dell'apparato scientifico-industriale e farlo funzionare a loro profitto, non più di quanto la Comune (1871) avrebbe potuto far funzionare a proprio profitto l'apparato di Stato borghese.

Doveva distruggerlo.

Ed è la lezione che ne trae anche Marx in “La guerra civile in Francia”.

I senza potere non possono «riappropriarsi» di un modo di produzione che esige al tempo stesso enormi capitali e una gerarchia implacabile.

L'organizzazione scientifica della società esige alla sua testa degli scienziati: non si gestisce questa società né una centrale nucleare in assemblea generale, con democrazia diretta e rotazione dei compiti.

Quelli che sanno decidono, quale che sia la veste del loro potere.

 Contrariamente a quanto immaginava Tocqueville in una celebre pagina sul carattere «provvidenziale» del progresso scientifico e democratico, intrecciati nella sua mente, il progresso scientifico è anzitutto quello del potere sui senza potere.

Certo, una tecnica ai comandi di un drone può sterminare un guerriero virilista, a distanza e senza rischi.

Ma ciò non significa affatto un progresso nell'uguaglianza delle condizioni, quanto un progresso nella disuguaglianza degli armamenti e delle classi sociali.

 È questo avanzamento scientifico che ha eliminato popoli diversi là, classi diverse qua e prolungato l'impresa statale in tutti gli anfratti del paese, della società e degli (in)dividui con l'influenza digitale.

 Ogni progresso della potenza tecnologica si paga con un regresso della condizione umana e dell'emancipazione sociale.

 Ormai è un truismo che le macchine, i robot e l'automazione eliminano l'uomo dalla produzione e dalla riproduzione.

Le macchine eliminano l'uomo dai rapporti umani (sessuali, sociali, familiari). Lo eliminano da sé stesso. A che pro vivere?

 Le macchine lo fanno talmente meglio di lui.

 

Non solo la parola di «Progresso» — connotata a torto in maniera positiva — si è impadronita del monopolio ideologico dell'era tecnologica, ma questa coalizione di collaborazionisti della macchina, scienziati transumanisti, imprenditori high tech, pensatori queer e altri mutanti della French theory si è essa stessa impadronita del monopolio della parola «Progresso» e delle idee associate.

Doppio monopolio quindi, e doppia truffa semantica.

Questi progressisti sul piano tecnologico sono regressisti sul piano sociale e umano.

In lingua comune si definiscono reazionari, partigiani della peggiore regressione sociale e umana.

Questa reazione politica — ma sempre all'avanguardia tecno scientifica — trova la sua espressione nel futurismo italiano (Marinetti), nel comunismo russo (Trotsky soprattutto), nel fascismo e nel nazismo, tutti movimenti di ingegneri di uomini ed anime, miranti a modellare l'uomo nuovo, l'Ubermensch «aumentato» del cyborg, l'uomo bionico, partendo dalla pasta umana, «ibridata» con impianti e interfacce.

Il fascismo, il nazismo ed il comunismo non hanno ceduto che di fronte alla maggiore potenza tecno scientifica degli USA (nucleare, informatica, missilistica, ecc.).

Ma l'essenza del movimento, la volontà di potenza tecno scientifica, si è reincarnata e amplificata attraverso nuovi involucri politici.

 Fin dal 1945 “Norbert Wiener” metteva a punto la cibernetica, la «macchina per governare» e la «fabbrica automatizzata», vale a dire il formicaio tecnologico con le sue rotelle e le sue connessioni, i suoi insetti social-meccanici, ex-umani.

Il suo discepolo “Kevin Warwick” dichiara oggi: «Ci saranno persone impiantate, ibridate che domineranno il mondo. Gli altri, che non lo saranno, non saranno più utili delle nostre attuali mucche guardate a vista». 

Quelli che non lo credono, non credevano al Mein Kampf nel 1933. È questo tecno totalitarismo, questo «fascismo» dei nostri tempi che combattiamo, noi, luddisti e animali politici, e vi chiamiamo per aiutarci.

 Spezziamo la macchina.

 

 

 

Propaganda.

Finimondo.it – Redazione – Brulotti – (3 luglio 2022) -

 

«Quando tutti pensano

alla stessa maniera,

nessuno pensa molto».

(Walter Lippmann)

 Per cominciare, sgombriamo subito il campo da un equivoco che puntualmente si viene a creare.

Cosa si intende per propaganda?

Secondo una definizione risalente ai primi anni 50, più volte ripresa in virtù della sua sostanziale precisione, la propaganda è «una tecnica di pressione sociale che mira alla formazione di gruppi psicologici o sociali a struttura unificata, attraverso l’omogeneità degli stati affettivi e mentali degli individui presi in considerazione».

Occorre perciò tenere bene in mente che la propaganda costituisce una tecnica di omologazione, se si vuole comprendere quanto sia errata e fuorviante la consolidata abitudine di considerarla una sorta di diffusione organizzata di idee.

 Se si limitasse a ciò, ad essere criticabile sarebbe solo la forma che essa può talvolta assumere, ma di per sé sarebbe ritenuta comunque giustificata poiché corrispondente ad un bisogno reale ineludibile.

 Nessuno può infatti negare che ogni pensiero degno di questo nome tende a trovare una propria espressione pratica, e chiunque desideri realizzare un progetto che vada oltre sé stesso non può esimersi dall’affrontare il problema di come comunicare al maggior numero di persone ciò che reputa vero, giusto, utile.

Ma non è di questo che qui si tratta, e pazienza se nel 1793, in piena Rivoluzione francese, venne formata in Alsazia una associazione che prese ufficialmente il nome di “Propaganda”, il cui compito era quello di diffondere le idee rivoluzionarie nelle città e nei villaggi.

Precedente storico che potrà forse spiegare l’origine dell’equivoco, ma non per questo legittimarlo.

Due significati radicalmente contrapposti non possono convivere in uno stesso termine senza provocare un certo confusionismo che, invece di alimentare, ci piacerebbe per quanto possibile provare a dipanare.

Ebbene, è facile capire come la propaganda non abbia nulla a che vedere con l’illuminante viaggio di un’idea, non essendo interessata né alla riflessione, né al dibattito e tanto meno alla consapevolezza.

Essa è sempre stata un’intenzionale manipolazione di elementi psicologici fondamentali dell’essere umano.

 Non si rivolge all’intelligenza, ma agli istinti e agli impulsi, spesso quelli più reconditi.

Stimola tratti primordiali, quali la suggestione e l’imitazione.

 Non cerca di persuadere attraverso argomentazioni, procede martellando comandi e formule.

Il fine di chi la introduce è quello di provocare un atteggiamento, una decisione, senza farli passare attraverso il vaglio del pensiero.

 Preso atto che l’essere umano il più delle volte ha sentimenti potenti come l’amore e l’odio non per ragioni attentamente ponderate, ma in una sorta di sussulto, la propaganda cerca di intervenire proprio su questa forza segreta in grado di suscitare grandi sentimenti.

Ciò significa che per la propaganda è fondamentale escludere il più possibile quanto fa parte della coscienza, della riflessione, della scelta.

 Se nella propaganda si discute, non è certo per la validità degli argomenti, per approfondirne il significato, o con l’auspicio che un ragionamento possa sortire qualche benefico effetto:

la parola nella propaganda ha un carattere intellettuale solo in apparenza, di fatto persegue un obiettivo completamente diverso che è quello di ottenere l’adesione di un inconscio generalmente molto distante dal contenuto dell’argomento trattato.

 La lontana origine etimologica di questa tecnica di grassazione psicologica è di per sé significativa in tal senso.

Il primo apostolato cristiano costituisce già il modello compiuto della campagna propagandistica su scala internazionale.

Fu infatti proprio la Chiesa cattolica ad istituire per prima la propaganda, anticipando di secoli gli Stati, i partiti, i sindacati, le imprese.

Il 22 giugno 1622 papa Gregorio XV rese pubblica la bolla “Inscrutabili divinæ” con cui annunciava la fondazione della “Sacra Congregazione De propaganda fide”, il cui scopo era l’organizzazione dell’attività di proselitismo ecclesiastico.

Mai atto di nascita fu più rivelatore, sui mezzi come sui fini perseguiti. La propaganda è sorta per facilitare l’espansione planetaria di una forma di colonialismo. Ed è questione di fede.

Diffonde un sistema di credenze composto da dogmi, ovvero da convinzioni da non mettere giammai in discussione, allo scopo di conquistare il dominio sul corpo e sulla mente.

Essa mira ad influenzare (quindi a controllare) il comportamento globale degli individui e delle collettività, facendo leva sulle angosce e sulle speranze che si agitano nel loro subconscio.

Si tratta di un progetto di potere che ha riscosso un tale successo da suscitare presto interessi e rivalità anche al di fuori dell’ambito sacrale.

Dopo i sacerdoti, è stata la volta prima dei politici e poi dei mercanti di farsi propagandisti.

Dopo gli infedeli, è toccato prima ai governati e poi ai clienti diventarne preda.

Ed è proprio in campo economico che la propaganda, sotto il nome di pubblicità, ha fatto passi da gigante al punto da diventare a sua volta modello e fonte di ispirazione per molti uomini di Stato.

Ciò non può certo sorprendere. In effetti, una tecnica capace di spingere le masse a compiere atti totalmente irriflessivi può essere utilizzata per qualsiasi fine: pregare un Dio, votare un politico, acquistare una merce...

Da questo punto di vista, anche la nascita della propaganda nella sua forma più moderna è assai istruttiva.

Essa viene fatta risalire al primo massacro mondiale, allorquando il governo degli Stati Uniti si trovò ad affrontare il problema di come mobilitare l’ardore dei soldati e suscitare l’adesione delle masse a favore di una guerra fino a quel momento assai poco popolare (perché mai attraversare un oceano per andare a morire in una trincea straniera?).

 Il 13 aprile 1917, sette giorni dopo aver annunciato l’ingresso del paese nel conflitto mondiale, il presidente Woodrow Wilson — che alcuni mesi prima si era fatto rieleggere vantandosi di aver «tenuto gli USA fuori dalla guerra» — istituì il Comitato sulla Pubblica Informazione.

Compito di questa agenzia governativa era influenzare l’opinione pubblica con ogni mezzo possibile, ingenerando il massimo entusiasmo verso lo sforzo bellico.

La sua guida venne assegnata al giornalista “George Creel”, il quale assunse uno stuolo di collaboratori fra cui coloro che sarebbero stati in seguito ricordati come i padri fondatori delle «pubbliche relazioni».

Per intenderci, pubblicitari del calibro di “Ivy Lee” ed “Edward Bernays”.

Il primo è stato l’inventore del comunicato stampa e nel 1914 ha orchestrato la campagna stampa per difendere il magnate Rockfeller dall’accusa di essere il mandante del massacro di Ludlow;

 il secondo era nipote di Sigmund Freud e si è distinto come abile agente stampa di artisti internazionali, applicando alla psicologia di massa le scoperte psicanalitiche dello zio.

Benché critico dell’operato di Creel, un altro consigliere del presidente Wilson fu “Walter Lippmann”, il celebre giornalista che forse per primo sostenne la necessità delle tecniche di condizionamento dell’opinione pubblica.

Ed è proprio in questa fucina che, a titolo di esempio, venne coniato un ritornello che ancora oggi risuona inesorabilmente nelle orecchie di tutti, ogni qual volta l’esercito degli Stati Uniti si appresta a bombardare:

 lo “zio Sam” entra in guerra non per proprio tornaconto, ma per «portare la democrazia» laddove è assente.

 Vale la pena riassumere.

La propaganda politica moderna è nata in un paese democratico al fine di giustificare un eccidio mondiale;

fra i suoi ostetrici figuravano non pochi agenti pubblicitari; il suo successo è dipeso dalla quantità e dalla varietà dei mezzi tecnici impiegati.

 Ecco perché ritenere che essa sia una prerogativa dei soli regimi dittatoriali, impossibile da rintracciare nelle società civili dove è presente una «libertà di scelta» fra diverse informazioni contrastanti, denota la stessa ingenuità di chi si ritiene libero perché può decidere se acquistare una lattina di Coca Cola o una di Pepsi Cola.

I legami simbiotici che intercorrono fra propaganda politica e pubblicità commerciale, nonché fra dittatura e democrazia, si manifestano talvolta in maniera esplicita quasi imbarazzante.

Nella sua autobiografia, Creel riesce a descrivere la campagna a favore di una guerra che causò una ventina di milioni di morti con queste parole:

 «In tutte le cose, dalla prima all’ultima, senza sosta o cambiamento, è stata una chiara proposta pubblicitaria, una vasta impresa della capacità di vendere, la più grande avventura del mondo nella pubblicità».

Sull’altro versante, il nazista Goebbels non nascose di considerare come suo maestro di propaganda l’agente stampa di Broadway che aveva reso celebre negli Stati Uniti il tenore Enrico Caruso, ovvero quell’”Edward Bernays “che dall’esperienza con il C.P.I. aveva tratto la conclusione che se le tecniche di persuasione di massa funzionavano in tempo di guerra, avrebbero potuto funzionare egregiamente anche in tempo di pace.

Consapevole del fatto che «noi siamo governati, le nostre menti vengono plasmate, i nostri gusti vengono formati, le nostre idee sono quasi totalmente influenzate da uomini di cui non abbiamo mai nemmeno sentito parlare», Bernays fece carriera come consulente sia di grandi multinazionali che di politici, fra cui alcuni inquilini della Casa Bianca.

Nel 1925 “Walter Lippmann” pubblicò una specie di seguito della sua opera più famosa (“L’opinione pubblica”), a cui diede il titolo “Il pubblico fantasma”.

In questo libro demolisce l’illusione democratica secondo cui l’esistenza di un «cittadino sovrano e onni competente», in grado di occuparsi della «cosa pubblica», sarebbe possibile non solo nelle piccole città greche dell’antichità, ma anche nella complessa «Grande Società» contemporanea.

Di fatto il cittadino moderno, preso fra lavoro e divertimento, è null’altro che uno «spettatore sordo seduto nell’ultima fila», motivo per cui è insensato ritenere «che la composizione di ignoranze individuali in masse di persone possa produrre una forza direttrice continua negli affari pubblici».

 Il cosiddetto pubblico può soltanto allinearsi ad un partito politico.

 Seguire e moderarsi sono le due grandi responsabilità politiche del cittadino, il quale deve astenersi dall’interferire nel dibattito con la sua ignoranza e le sue osservazioni banali.

Lippmann non ha dubbi in proposito:

«il pubblico deve essere messo al suo posto, in modo che... ognuno di noi possa vivere libero dallo scalpiccio e dai muggiti di una mandria disorientata».

 L’esercizio della democrazia deve quindi essere affidato a una classe specializzata, ad una élite politica.

Proprio in quello stesso anno, il 1925, dall’altra parte dell’oceano Atlantico vedeva la luce un’opera destinata a diventare tristemente celebre.

 L’autore era un ex-imbianchino austriaco, da pochi anni diventato segretario del “Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori”.

Nel suo “Mein Kampf”, Adolf Hitler spiegava che «Non è lo scopo della Democrazia odierna quello di formare un’assemblea di uomini saggi, ma piuttosto di prenderli da una folla di nullità servili che possano essere facilmente portate verso determinate direzioni, specialmente se l’intelligenza di ognuna di esse è limitata... la forza di un partito politico non consiste nella grande e autonoma intellettualità dei singoli membri, ma in una disciplinata obbedienza prestata dai membri alla direzione intellettuale».

Il futuro dittatore prescriveva con brutale schiettezza ciò che il giornalista liberale constatava con fredda indifferenza.

 

La propaganda non è dunque caratteristica di determinati regimi politici, ma di qualsiasi forma di potere che disponga di strumenti tecnici in grado di influenzare e controllare gli individui, omologandoli in una società massificata.

È l’arma principale di chi vorrebbe persuaderci che la «massa» sia una realtà sociale omogenea, unita in una comunione naturale, laddove non è altro che l’aberrante risultato della propaganda che l’ha raccolta, fabbricata e neutralizzata, distruggendo in ciascuno ogni barlume di coscienza individuale.

Che miri ad ottenere devoti fedeli, obbedienti cittadini o assidui clienti, scopo della propaganda rimane infatti la diffusione del conformismo.

Poiché la sua pressione tende ad orientare in una determinata direzione il comportamento degli individui, uno dei suoi compiti primari consiste nel ridurre al massimo il margine di iniziativa autonoma o la tendenza all’isolamento degli individui presi in considerazione.

Se suggerisce un modello di comportamento ben delineato, se insiste in maniera ossessiva nella sua presentazione, è per tracciare una linea di condotta che non incoraggi alcuna fantasia individuale, al fine di scongiurare ogni possibilità di evasione da schemi collettivi prestabiliti. Da qui la necessità di neutralizzare una possibile solitudine in cui coltivare uno spirito critico in grado di indebolire l’atteggiamento imposto.

 Il metodo più sicuro diventa allora quello di sollecitare a tuffarsi periodicamente nell’atmosfera di gruppo, poiché appena l’individuo entra a far parte di un gruppo solidamente strutturato non può fare a meno di uniformarsi agli ideali generali e di accettare determinati schemi di comportamento. Anche gli spiriti più critici e ribelli perdono mordente, quando si trovano immersi in un’inebriante atmosfera collettiva.

Ma, come si è detto, questa massificazione non sarebbe possibile se non esistessero strumenti tecnici in grado di imporla.

A tale proposito rimangono indimenticabili le parole del ministro nazista per gli armamenti e la produzione bellica, “Albert Speer”, davanti ai giurati di Norimberga:

 « Con l’ausilio di mezzi tecnici, come la radio e l’altoparlante, la volontà di un solo uomo ha potuto dominare ottanta milioni di uomini... Il sistema autoritario, nell’era della tecnica, può permettersi di rinunciare ai quadri direttivi inferiori: li sostituisce, meccanizzandoli, con i mezzi moderni di comunicazione».

E infatti, a partire dagli anni 30, in molte abitazioni dei paesi occidentali dello scorso secolo compare un soprammobile in più: l’apparecchio radiofonico.

Non è molto decorativo, ma cambia tutto.

 Ogni giorno, al desco serale, prende posto un convitato i cui inarrestabili monologhi vengono ascoltati dai presenti con la massima attenzione.

 Annuncia fatti e pronuncia giudizi, senza possibilità di dibattito o discussione. Seguiranno anni terribili di cui il minimo che si possa dire è che hanno propagato su tutto il pianeta e determinato in tutte le popolazioni una varietà di meccanismi psicologici di attesa, di ricettività, di sottomissione, che fanno della propaganda un detergente in grado di rimuovere fin la minima traccia di pensiero autonomo e critico, sostituendo la ragione con l’emotività e oscurando la linea di demarcazione tra il vero e il falso.

Con lo sviluppo di nuove tecnologie, le tattiche utilizzate dagli ingegneri di anime (contraffazione, censura, esagerazione, minimizzazione, distrazione, ridondanza...) si sono moltiplicate come i loro mezzi. Fino agli anni 50 gli strumenti tecnici della propaganda (giornali e radio) erano costruiti per lo più attorno alla sola parola.

Quanto alla propaganda mediante il cinema, non poteva che essere relativamente debole.

 Ciò non solo perché all’inizio non si andava molto oltre la proiezione di cerimonie e sfilate militari, ma anche e soprattutto perché il cinema non permette una costante ripetizione, tipico martellamento della propaganda.

 L’avvento della televisione ha cambiato completamente lo scenario.

Il nuovo elettrodomestico è diventato un’arma fondamentale per dominare l’essere umano.

Come la radio, lo raggiunge quotidianamente in casa, nel suo ambiente, nella sua vita privata, senza chiedergli nessuna decisione o sforzo.

Ma, a differenza della radio, lo ghermisce del tutto, non lasciandogli alcuna possibilità di muoversi o di pensare ad altro, inchiodandolo davanti allo schermo. Ciò perché la televisione possiede la potenza-shock dell’immagine, che è infinitamente superiore rispetto a quella del suono della parola.

Lippmann lo aveva già intuito fin dall’inizio degli anni 20, quando riconosceva senza mezzi termini che l’opinione pubblica è composta da immagini, non da idee: «Le immagini che sono nella mente degli esseri umani, le immagini di sé stessi, degli altri, delle loro esigenze, dei loro intenti e delle loro relazioni, rappresentano le loro opinioni pubbliche. Queste immagini, quando vengono gestite da gruppi di persone o da individui che agiscono in nome di gruppi, costituiscono l’Opinione Pubblica con le iniziali maiuscole».

Per parte sua, Hitler annotava quante «maggiori prospettive possiede l’immagine in tutte le sue forme... Qui, c’è ancor meno bisogno di lavorare con l’intelletto: basta guardare, tutt’al più leggere brevi testi: perciò molti sono più disposti ad accogliere in sé un’esposizione fatta con l’immagine che a leggere un lungo scritto».

Ecco spiegata in breve la sconfinata superiorità propagandistica della televisione rispetto alla radio.

 La seconda è fatta unicamente di parole che evocano immagini da elaborare singolarmente, la prima offre immagini già confezionate per un consumo collettivo.

 La parola va capita e ponderata con la logica, l’immagine no, basta percepirla e memorizzarla.

Ciò rende più facile cogliere quanto sia vertiginoso il cambiamento avvenuto all’inizio del terzo millennio con l’introduzione delle tecnologie digitali.

Già da decenni l’effetto ipnotico della propaganda non si rileva tanto nelle parole d’ordine dei partiti, quanto nei film delle serie televisive, negli spot pubblicitari, nelle colonne sonore dei videoclip, nelle canzonette dei centri commerciali.

 È in questo modo che è stata diffusa capillarmente una sensibilità comune: attraverso immagini che rimbalzano uguali in tutto il mondo è stato promosso un tipo di vita basato sul consumo di merci e sull’obbedienza all’autorità. E in progressione, nel giro di pochi anni, da un lato la televisione stessa si è fatta interattiva — permettendo in qualche modo agli spettatori di prendervi parte, superando così il proprio ruolo di utenti passivi — dall’altro è stata affiancata da nuovi dispositivi tecnici.

Ci riferiamo ovviamente alla comparsa degli smartphone, nel 2007, dispositivi in grado di connettere 24 ore su 24 al fantasmagorico mondo virtuale esseri umani isolati, sradicati, persi nella massa, dai legami sociali indeboliti, particolarmente esposti alla sofferenza psicologica, vulnerabili all’ideologia, manipolabili dall’adulazione e dalla seduzione.

Esseri umani che si prestano alla propaganda, la richiedono, la esigono, perché in essa trovano una certa soddisfazione.

Nella società tecnica essa costituisce infatti un sostegno necessario per affrontare condizioni di vita difficili, il peso del lavoro e l’ansia per il futuro.

E quale migliore e più efficiente sostegno di quello fornito da questi piccoli specchi neri sempre sotto mano, capaci di funzionare al tempo stesso come telefoni, macchine fotografiche, videocamere, registratori, calcolatrici, computer, televisori...?

Nel giro di poco tempo sono diventati indispensabili sia per svolgere il lavoro che per procurare lo svago, ed è ad essi che ci si rivolge per risolvere qualsiasi problema o per superare la noia.

Non si limitano ad accompagnare la vita, la organizzano minuziosamente attraverso algoritmi sempre più sofisticati calcolati dalle grandi compagnie.

Fanno da guida nelle faccende quotidiane, al punto che senza le loro applicazioni si prova un senso di smarrimento, di impotenza… di solitudine persino, considerato che sollecitano di continuo l’attenzione umana con i loro esaspera(n)ti richiami sonori.

Le conseguenze di tutto ciò sono devastanti.

Gli effetti provocati dall’uso degli smartphone sono gli stessi riscontrati nei più accaniti telespettatori (difficoltà di concentrazione, perdita della memoria, riduzione del linguaggio, regressione delle capacità intellettive), accresciuti però in maniera esponenziale.

 Questo perché la televisione resta pur sempre un ingombrante apparecchio domestico, che è possibile guardare solo per una parte più o meno lunga della giornata.

Lo smartphone no, è diventato letteralmente un’appendice del corpo umano.

E nell’apprendere che il risultato della sua consultazione ossessivo-compulsiva è stato battezzato «demenza digitale», non possiamo fare a meno di ricordare ancora una volta le parole di Hitler:

«tutta la propaganda deve essere popolare e deve adattare il proprio livello intellettuale alla capacità ricettiva della persona più limitata fra coloro a cui desidera rivolgersi.

 Quindi il suo livello intellettuale deve essere tanto più basso quanto più numerosa è la massa di persone da raggiungere».

 I mezzi tecnici moderni di cui dispone oggi la propaganda consentono di raggiungere, avviluppare e indirizzare l’essere umano in ogni istante della giornata, dall’alba al tramonto.

Ciò fa sì che il loro compito immediato sia andato ridefinendosi, passando dalla susseguente pressione esteriore (allineamento forzato di chi esce dai ranghi sociali) alla preventiva formattazione interiore (produzione seriale di bisogni e desideri in un essere umano ridotto a meccanismo), realizzando così l’auspicio di Goebbels di «ancorare le cose dello Stato alle larghe masse in modo che l’intera nazione si senta parte di esse».

Oggigiorno l’introduzione del digitale sta portando a termine una vera e propria mutazione antropologica, in grado di far introiettare all’essere umano, attimo per attimo, i modelli di esistenza individuale e collettiva considerati migliori — perché più efficienti, redditizi, «performanti».

E ciò avviene in maniera quasi impercettibile, tanto da dare la sensazione di un nuovo ordine naturale delle cose.

Ma lo scopo essenziale della propaganda resta il medesimo di sempre:

 il dominio assoluto della ragione di Stato e del prezzo di Mercato, ottenuto mediante la neutralizzazione di ogni altro possibile.

 Abbiamo qui raccolto alcuni interventi sulla propaganda, di alcuni suoi critici ma anche di alcuni suoi apologeti.

 Chissà che la lettura di queste pagine, oltre a costituire un buon esercizio per liberare le vie psichiche, non contribuisca a meglio avvistare e scacciare gli sparvieri mentali che da tempo immemore oscurano il cielo.

Cosa tanto più necessaria ed urgente oggi, allorquando ci troviamo nel secondo anno di guerra pandemica, bombardati e soffocati da una campagna planetaria di terrorismo mediatico-virale mai vista, in grado di prostrare un’umanità totalmente in balìa di un’emotività indotta.

Vero e proprio stupro delle masse, per riprendere la nota espressione di Ciacotin, il quale aveva ben colto che «la prima legge della propaganda... è la legge della conservazione dell’individuo.

E per renderla efficace nel comportamento di quest’ultimo, il capo deve usare lo stratagemma seguente:

deve suggerire la paura e fare intravvedere lo scioglimento della situazione pericolosa, la possibilità di raggiungere la sicurezza per mezzo delle azioni che egli suggerisce».

La facilità con cui scienziati e politici sono riusciti ad incrementare in modo inaudito la servitù volontaria, a paralizzare muscoli e cervelli presentando un virus influenzale (più o meno ostico, non è questo il punto) come l’undicesima piaga biblica, a spacciare la rinuncia volontaria ad ogni libertà per una forma di civile rispetto nei confronti degli altri, e dulcis in fundo a scatenare una corsa sfrenata all’irrimediabile inoculazione di intrugli vaccinali sperimentali dagli esiti sconosciuti persino a chi li ha prodotti — non sarebbe mai stata possibile senza una preventiva e consolidata abitudine all’assenza di ogni minima riflessione critica.

Non ci libereremo mai della propaganda finché non cesseremo di credere e non (ri)cominceremo a pensare.

 (PROPAGANDA -detergente del pensiero critico - gratisedizioni.org)

 

 

 

 

Cercare la polveriera.

Finimondo.it – Redazione – intempestivi – (15-10-2021) – ci dice:

 

 

Cercare la polveriera.

«Non vi dice l'esperienza vissuta che dove lo schiavo s'adagia e si rassegna al giogo, non hanno più freno la tracotanza e l'avidità del padrone?»

 Da quanto tempo sta andando avanti?

Ne abbiamo quasi perso memoria, sommersa com'è dalla nausea ed il disgusto.

Hanno provocato, indirettamente o direttamente, una pandemia.

 Ne hanno aggravato la letalità, con misure politico-sanitarie del tutto insensate. Hanno lasciato morire privi dell'affetto dei loro cari chi ne veniva colpito e stremato.

Hanno vietato le autopsie che avrebbero potuto contribuire a chiarire la realtà. Hanno mentito su cause ed effetti di quanto stava accadendo.

Hanno intenzionalmente seminato a piene mani la paura e il terrore allo scopo di paralizzarci.

Ci hanno costretto a stare chiusi in casa.

Ci hanno messo un bavaglio sulla bocca, impedendoci di respirare e di parlare.

Ci hanno proibito di spostarci, di incontrarci, di toccarci.

Hanno ucciso i reietti della società che per primi protestavano.

 Hanno creato e diffuso una vera e propria psicosi di massa, mettendoci gli uni contro gli altri.

Hanno reso disponibili il cuore al sospetto, la lingua alla delazione, il braccio al linciaggio.

 Hanno fatto perdere la fonte di sussistenza a milioni di persone, gettandole nella disperazione.

 Hanno insultato, umiliato, calunniato, talvolta arrestato, chiunque li criticasse. Hanno scatenato una caccia all'untore contro chi non rispettava i loro divieti. Hanno usato come carta da culo quella Costituzione su cui loro hanno giurato, pretendendo però che noi la rispettassimo a comando.

 Hanno eletto a capo del governo un famigerato cravattaro, osannandolo come salvatore supremo.

 Hanno ricattato prima una categoria, poi tutti i lavoratori, affinché facessero da ignare cavie ad un vaccino.

 Hanno cantato la virtù della resilienza che si adatta, denigrando il vizio della resistenza che si oppone.

Hanno aumentato a dismisura il prezzo di materie prime oggi indispensabili alla sopravvivenza.

Hanno permesso che nostalgici del duce assaltassero la sede di un sindacato per poter tacciare di fascismo chiunque manifesti la propria contrarietà alla loro politica.

Ora pretendono che le persone sane che vanno a lavorare dimostrino quotidianamente, e a proprie spese, di essere sane per poter andare a lavorare. Ormai ridotti ad essere liberi solo di obbedire, dobbiamo perfino pagare per farci sfruttare...

Insomma, in meno di due anni hanno calpestato ogni libertà, umiliato ogni intelligenza, stuprato ogni dignità.

 Hanno travestito da emergenza sanitaria la loro urgenza politica di arrivare ad un controllo totale, dei corpi e del territorio.

E lo hanno fatto con premuroso candore, senza incontrare finora grosse difficoltà, sfrontatamente, tra il tremulo consenso della maggioranza e l'educato dissenso della minoranza.

Decenni di pace sociale — infastidita saltuariamente da qualche agitazione cittadina — lo hanno permesso.

A scorrere nel sangue umano, sempre più artificiale, non sono più passioni eccitanti, bensì potenti anestetici inibitori dell'azione.

 E laddove non sono la «responsabilità politica», il «senso civico» o il «rispetto per la legalità» a sedare gli animi, ecco arrivare la «decisione assembleare», le «considerazioni strategiche» o il «rispetto per le dinamiche collettive».

Storditi e ammutoliti, non troviamo più parole.

Non vogliamo nemmeno trovarle, le parole.

 Men che meno qualche nuovo soggetto sociale disposto a ripeterle in coro.

 È altro che andrebbe cercato.

Con ostinazione, con furia, con impazienza, con ferocia.

 

 

 

 

In ostaggio.

Finimondo.it – Redazione  - Intempestivi – (2-9-2017) – ci dice:

 

Mai come in questi giorni la realtà ha preso in ostaggio l'immaginazione.

I nostri desideri e sogni più folli sono sovrastati da una catastrofe invisibile che ci minaccia, ci confina, legandoci mani e piedi al capestro della paura.

Qualcosa di essenziale si gioca oggi attorno alla catastrofe in corso.

 Ignorate le poche Cassandre che da decenni lanciavano i loro avvertimenti, ora siamo passati dall'idea astratta al fatto concreto.

Come dimostra l'odierna emergenza con tutti i suoi divieti, ad essere in ballo non è la mera probabilità di sopravvivere, ma qualcosa di ben più importante: la possibilità di vivere.

 Ciò significa che la catastrofe che oggi ci perseguita non è tanto l'imminente estinzione umana — da evitare, ci viene assicurato sia in alto che in basso, solo con una completa obbedienza agli esperti della riproduzione sociale — quanto l'onnipresente artificialità di un'esistenza la cui pervasività ci impedisce di immaginare la fine del presente.

 

«Catastrofe»: dal greco katastrophé, «capovolgimento», «rovesciamento»; sostantivo del verbo katastrépho, da kata «sotto, giù» e stréphein «rovesciare, girare».

 Sin dall'antichità questo termine ha conservato fra i suoi significati quello di un avvenimento violento che porta con sé la forza di cambiare il corso delle cose, un evento che costituisce al tempo stesso una rottura e un cambiamento di senso, e che di conseguenza può essere sia un inizio che una fine.

Un evento decisivo, insomma, che spezzando la continuità dell'ordine del mondo permette la nascita di tutt'altro.

L'immagine facile ed immediata dell'aratro che spacca e rivolta una zolla di terra seccata ed esausta, rivivificando e preparando il terreno a una nuova semina e ad un nuovo raccolto, rende bene l'aspetto fecondo presente in un termine solitamente associato al solo epilogo drammatico.

Da qui l'ambivalenza di sentimenti umani suscitati in un lontano passato dalla catastrofe, che vanno dal timor panico al fascino estremo.

Al di là e contro ogni paura della morte, per lunghi secoli gli esseri umani hanno percepito l'infinito attraverso la distruzione catastrofica, cercando al suo interno la folgorante rivelazione fisica di ciò che non erano.

 Dal Caos primordiale all'Apocalisse, dal Diluvio universale alla Fine dei tempi, dalla torre di Babele all'anno Mille, numerosi sono stati gli immaginari catastrofici attorno ai quali l'umanità ha cercato di definirsi, nella sua relazione con la vita ed il mondo sensibile, sotto il segno dell'accidente.

 Il sentimento di catastrofe è stato con ogni probabilità la prima intima percezione della dirompenza dell'immaginario, una fessura permanente nella (presunta) uniformità della realtà.

Avvicinarsi ai bordi di questa fessura, seguirne la linea, significava cedere alla tentazione di interrogare il destino, non ostentare la presunzione di rispondervi. Immaginaria o reale, la catastrofe possedeva la forza prodigiosa di emergere in quanto oggettivazione di ciò che eccede la più triste condizione umana.

È solo verso la metà del XVIII secolo, dopo la scoperta dei resti di Pompei nel 1748 ed il grande terremoto di Lisbona del 1755, che la parola catastrofe ha cominciato ad essere usata nel comune linguaggio per definire un disastro improvviso di enormi dimensioni.

 Slittamento di significato facilitato dal fatto che, dopo il 1789 e la presa della Bastiglia, sarà un'altra la parola impiegata per indicare un ribaltamento, una rottura irreversibile dell'ordine pre-esistente in grado di preparare l'avvento di un mondo nuovo.

Nato nel secolo dei Lumi, il concetto di rivoluzione non poteva però che avere un carattere intenzionale, fortemente legato alla ragione, e perciò lo si è legato al compimento di un processo, all'evoluzione di un'idea, al risultato di una scienza.

È questa la profonda differenza che ha con la catastrofe che l'ha preceduta, e che in un certo senso l'accompagna.

Laddove la rivoluzione è un'incarnazione della Storia, la catastrofe è una sua interruzione.

Tanto la prima viene programmata nelle strutture, progettata negli scopi, organizzata nei mezzi, quanto la seconda è inaspettata nei tempi, imprevista nelle forme, inopportuna nelle conseguenze.

Non innalza uomini e donne soddisfacendoli nelle loro aspirazioni e convinzioni, originali o indotte che siano, li fa precipitare al di fuori delle loro misure comuni e delle loro rappresentazioni, fino a ridurli ad elementi insignificanti di un fenomeno senza alcuna legge.

Ancor più della rivoluzione, l'esplosione catastrofica del disordine spazzava via il vecchio mondo, aprendo la strada ad altre possibilità.

Dopo che si è materializzato l'impensabile, gli esseri umani non possono più rimanere gli stessi poiché non hanno visto con i loro occhi crollare solo le case, i monumenti, le chiese o i parlamenti. Anche le fedi, le teorie, le leggi — tutto è finito in macerie.

L'antico fascino della catastrofe nasce da lì, da quell'orizzonte caotico irriducibile ad ogni calcolo, nel momento in cui uno sconvolgimento senza precedenti spezza bruscamente ogni riferimento stabile, ponendo brutalmente la questione del senso della vita le cui infinite ripercussioni richiedono, in risposta, un eccesso d'immaginazione.

La catastrofe è servita all'individuo, nella drammatica scoperta di qualcosa che va al di là della sua identità, per confondersi nuovamente con la natura, il suolo primordiale o la fonte della creazione.

Ma a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, contrassegnata dalla prima esplosione atomica, cosa è accaduto?

Che la prospettiva rivoluzionaria è andata via via spegnendosi, cancellata dai cuori e dalle menti.

 Così al loro interno è rimasta incontrastata una sola forma possibile di sconvolgimento materiale, per di più in possesso di ulteriori formidabili mezzi tecnici per manifestarsi.

Ma la catastrofe odierna ha ben poco in comune con quella degli evi trascorsi.

Non è più la folgore della natura o l'opera di un Dio che pone l'essere umano davanti a sé stesso — è un mero prodotto dell'arroganza scientifica, tecnologica, politica ed economica.

Se mettendo a soqquadro l'ordine stabilito le catastrofi del passato incitavano a guardare in faccia l'impossibile, le catastrofi moderne si limitano a scavare ulteriormente nel possibile.

 Invece di aprire l'orizzonte e condurre lontano, lo chiudono ed inchiodano a quanto di più vicino ci sia.

 L'immaginazione selvaggia lascia il passo al rischio calcolato, per cui non si desidera più vivere un'altra vita, si ambisce a sopravvivere gestendo i danni.

Una dopo l'altra, le catastrofi verificatesi in questi ultimi decenni sfilano davanti ai nostri occhi come se fossero state semplicemente una conseguenza della miopia tecno-scientifica e del cattivo governo, da superare con tecnici e politici più attenti e lungimiranti.

 Le catastrofi del presente e del futuro diventano perciò evitabili, o per lo meno riducibili, solo e soltanto con un controllo sempre maggiore delle attività umane, poste in condizioni di perenne emergenza.

Effetto di questa logica, i disastri «naturali» vengono subito dimenticati e rimossi in un contesto distante, quasi fossero eventi minori, mentre i soli disastri «umani» occupano il centro della scena in una narrazione che ci invita ad accettare l'inaccettabile.

Se ci terrorizzano, è solo perché la nostra sopravvivenza fisica come specie è minacciata.

Ed è questo che andrebbe temuto più di ogni altra cosa, la catastrofe invisibile della sottomissione sostenibile, dell'amministrazione del disastro, quella che incatena e paralizza la nostra smisurata voglia di vivere imponendole distanze e misure di sicurezza.

 

 

 

 

Lo stato nelle vene.

Finimondo.it – Redazione – intempestivi – (2 – 9 - 2017) ci dice:

 

Lo Stato nelle vene.

 

«Se l'individuo non fosse, come è, sopraffatto, se il diritto non nascesse, come in effetti avviene, dalla moltiplicazione dell'unità, come sarebbe possibile costringere le masse a piegare anche solo un poco il capo davanti a questa morale senza fondamento, davanti a questa cosa astratta che esiste per se stessa e grazie alla forza della stupidità? Ecco perché è necessario livellare, formare una società (che parola ridicola!) a furia di colpi assestati con l'aspersorio o col calcio del fucile. L'aspersorio può anche essere laico, questo mi è indifferente, dal momento che è obbligatorio. Obbligatorio! Oggi, tutto è obbligatorio, dall'istruzione al servizio militare: domani lo sarà anche il matrimonio. E non basta: c'è la vaccinazione. La mania dell'uniformità, dell'uguaglianza davanti all'assurdo, spinta fino all'avvelenamento fisico! Del pus inoculato a forza, di cui l'uomo non avrebbe nessun bisogno se la morale non gli imponesse di disprezzare il proprio corpo, della bava infetta iniettata nel sangue a rischio di uccidervi (chi può contare i cadaveri dei bambini assassinati a colpi di ago?) del veleno che vi introducono nelle vene per uccidere i vostri istinti, per intossicare il vostro essere, per fare di voi, per quanto è possibile, una delle tante particelle passive che costituiscono la banalità collettiva e morale…»

Georges Darien.

 

 

Un piccolo passo indietro. Lo scorso maggio la ministra della Salute Lorenzin ha annunciato la sua proposta di legge sull’obbligatorietà dei vaccini.

I mass media hanno dato ampio risalto alla notizia, riportando come in base alla nuova normativa tutti i genitori avrebbero dovuto sottoporre i loro figli (da 0 a 16 anni) a ben 12 vaccinazioni, pena il divieto di frequentare asili nido e scuole, nonché l’applicazione di sanzioni pecuniarie rinnovabili ogni anno fino a 7.500 euro, fino alla paventata perdita della patria potestà.

Fra i vaccini ovviamente era incluso anche quello infame contro l’epatite B, virus trasmesso principalmente per via sessuale, voluto nel 1991 dall’allora ministro De Lorenzo dietro sollecitazione di una tangente di seicento milioni di lire versati dalla multinazionale GlaxoSmithKline.

Ebbene, questa proposta di legge — non indecente, semplicemente a-b-e-r-r-a-n-t-e — ha suscitato più perplessità che rabbia.

Lo stesso è accaduto per la radiazione dall’albo professionale di quei pochi medici che hanno osato criticare pubblicamente l’obbligo dei vaccini.

Davanti a questo plateale ed arrogante attacco alla libertà e alla coscienza individuale da parte dello Stato, la reazione è stata di… un po’ di indignazione e tante discussioni.

Ci sono state alcune manifestazioni contro la proposta di legge, certo, ma nemmeno tanto partecipate.

Ai cortei nazionali di Roma e Milano hanno sfilato poche migliaia di persone, infinitamente meno di quanti si rovesciano per le strade in occasione di qualche scudetto vinto dalla propria «squadra del cuore».

 In generale ha predominato il solito fatalismo: è la dittatura della merda, passerà anche questa.

Eppure fino a non molto tempo fa una legge di tal fatta non sarebbe stata solo improponibile, sarebbe stata impensabile.

 C’era da non credere ai propri occhi nel vedere il modo in cui veniva creato artificialmente il clima di panico ed astio nei confronti dei bambini non vaccinati, messi alla berlina in quanto untori dell’epidemia del morbillo.

Morbillo? Ma stiamo scherzando?

La quasi totalità della popolazione italiana ultraquarantenne ha avuto il morbillo, e non è morta.

Il vaccino contro il morbillo è stato introdotto qui in Italia nel 1984.

Fino ad allora ammalarsi di morbillo da bambini era considerata una cosa del tutto normale, un piccolo fastidio da sbrigare il più in fretta possibile.

Di più, un fastidio necessario perché rendeva immuni per sempre alla malattia. Quando un bambino si ammalava di morbillo, le mamme dei suoi amici mandavano i propri figli a fargli visita allo scopo di farli ammalare a loro volta — meglio togliersi subito il pensiero.

 Le malattie esantematiche sono molto pericolose da adulti, ma per lo più innocue se capitano nel corso dell’infanzia.

 Il bambino sta a casa alcuni giorni da scuola, guarisce, dopo di che non ha più nulla da temere da quella malattia.

Ora, non è affatto difficile capire che l’immunizzazione è mille volte meglio della vaccinazione.

Che la prima è un fenomeno naturale che protegge per sempre dalla malattia e non ha controindicazioni, mentre la seconda è un espediente scientifico che in linea di massima protegge per un lasso di tempo e può causare danni collaterali.

Che vaccinarsi significa diventare dipendenti dall’industria farmaceutica giacché i vaccini, per essere considerati efficaci, hanno bisogno di essere ripetuti nel tempo. Le persone vaccinate, superata una certa soglia di età, non potranno più ammalarsi senza incorrere in grossi rischi e quindi saranno costrette a vaccinarsi periodicamente per tutta la loro vita adulta.

Cosa che farà la gioia dell’industria farmaceutica, la quale non ha interesse né ad uccidere né a guarire i propri clienti, ma a renderli pazienti cronici in fila davanti agli sportelli delle farmacie per acquistare le sue merci fino al loro ultimo respiro.

Questo la ministra Stronzolin, classe 1971, lo sa bene.

Quasi sicuramente anche lei è immune al morbillo, si sarà anche lei ammalata da piccola.

 Lo stesso dicasi per la stragrande maggioranza dei politici, degli esperti, dei commentatori e dei giornalisti che hanno pompato la sua proposta di legge senza battere ciglio, in nome della salute pubblica che deve essere tutelata e garantita dallo Stato.

 Anche qui, c’è da rimanere sbalorditi.

Secondo le statistiche ufficiali, la prima causa di mortalità è il fumo che provoca qui in Italia oltre 200 vittime al giorno.

 Ma poiché i tabacchi sono monopolio di Stato, questi morti non fanno scalpore. Non ce ne vogliano i fumatori, ma come non constatare che ottimo affare sia per lo Stato, incassare 15 miliardi di euro all’anno per la vendita di sigarette e spenderne la metà per la cura del cancro ai polmoni.

 Già, ma in questo caso c’è il libero arbitrio da rispettare!

Lo hanno dimenticato, lor signori? Forse neanche loro ricordano più bene contro chi siano in guerra, se contro l’Eurasia o l’Oceania… ah, già, contro il morbillo!

Quel morbillo che, a detta della ministra Stronzolin, nel 2013 avrebbe fatto strage di bambini in Inghilterra, provocando ben 270 vittime.

Oppure sono in guerra contro la meningite, di cui viene denunciata una epidemia in corso su tutto il territorio nazionale, ma solo a partire dal 2015.

 Nulla di vero, sono pure menzogne.

 Nel 2013 è morto solo un venticinquenne per morbillo in Inghilterra, quanto alla meningite si è registrato un incremento di casi nella sola Toscana (guarda caso, la regione in cui hanno sede le multinazionali che producono i vaccini anti-meningite), pochi mesi dopo l’incarico affidato all’Italia nel corso del “Global Health Security Agenda”, di guidare per i prossimi cinque anni le strategie e le campagne vaccinali nel mondo.

Perfino alcuni esperti dell’Istituto Superiore di Sanità hanno dovuto pubblicamente riconoscere che quella della meningite è «solamente una “epidemia mediatica”, il cui patogeno, che si sta moltiplicando a dismisura, contagiando giornali e lettori, è semplicemente la notizia giornalistica».

Ma la propaganda bellica, è notorio, si nutre di menzogne.

E la guerra in corso, una guerra spietata che si combatte su tutti i campi, quotidianamente, è quella contro la libertà, contro la possibilità di dire, fare, amare, vivere come si vuole, senza dover adattarsi alla norma.

Gli esseri umani, così diversi tra loro per via di quella ormai obsoleta caratteristica che è la singolarità, devono essere trasformati in cittadini omologati nell’obbedienza.

Devono essere vaccinati, schedati, marchiati — a vita.

Nel totalitarismo democratico l’erosione della libertà avviene poco alla volta, non è il risultato immediato di un colpo di Stato militare notturno.

Giorno dopo giorno vengono prese misure che limitano e vietano i movimenti e l’autonomia, misure che partono in sordina — per permettere di renderle sopportabili, in modo di abituarvisi — e poi aumentano, si moltiplicano, si incrociano.

Avete notato come i politici che vogliono far passare proposte di leggi particolarmente liberticide assomiglino ai magistrati accusatori che vogliono ottenere sentenze di condanna?

Entrambi chiedono tanto per ottenere qualcosa.

Così, i cambiamenti subiti dalla proposta di legge originale sui vaccini (prima la riduzione del numero di vaccini obbligatori e delle sanzioni economiche in caso di inadempimento, nonché la conferma dell'inviolabilità della patria potestà, poi la possibilità dell'autocertificazione della richiesta di effettuare le vaccinazioni) sono stati accolti dal pubblico quasi come se si fosse trattato di un passo indietro da parte del potere, laddove in realtà costituiscono un balzo in avanti vertiginoso.

Pensate, all’inizio ci volevano sprangare in testa ma poi per fortuna hanno deciso di spezzarci solo una gamba… Meno male, che sollievo! C’è da essere riconoscente a chi si cura tanto di noi.

Dopo aver incatenato i nostri corpi, dopo aver colonizzato la nostra mente, adesso lo Stato vuole anche scorrere nelle nostre vene.

Guerra alla guerra.

Finimondo.it – Redazione – Papiri – (10 – 7 - 2022) ci dice:

 

Contro la guerra e la mobilitazione militare.

 

Lo Stato russo sta cercando di conquistare l'Ucraina.

Quello stesso Stato che ha contribuito a reprimere il movimento bielorusso verso la libertà e che, appena poche settimane fa, ha schiacciato la rivolta in Kazakistan coi suoi carri armati.

Putin cerca di estendere il suo potere autocratico e di stritolare ogni movimento di ribellione o resistenza, all’interno e all’esterno dei suoi confini.

 Eppure, quando tutti i democratici occidentali cantano in coro la difesa della libertà e della pace, non è che un’ipocrisia orchestrata:

sono gli stessi democratici ad imporre con la forza rapporti coloniali di potere e di sfruttamento attraverso le loro «operazioni di pace», cioè guerre di aggressione a colpi di droni e di bombe o di occupazioni di territori;

gli stessi che riforniscono d’armi i dittatori e i carnefici; gli stessi che sono direttamente o indirettamente responsabili dei massacri di rifugiati e insorti, giurando oggi solo per la pace.

Una pace sacra in Europa, che del resto non esiste come promesso da 70 anni, e che ha sempre significato guerra nei paesi globalizzati del Sud — attraverso guerre per procura, attraverso forniture di armi, attraverso le frontiere e il colonialismo. Se l'Occidente sostiene pienamente l'Ucraina, è perché è un suo alleato.

Siamo disgustati da entrambe le parti di questa guerra:

invece di posizionarci da una parte o dall'altra, ci opponiamo a tutti gli eserciti statali e alle loro guerre — detestiamo non solo i loro massacri, ma anche la loro obbedienza da cadavere, il loro nazionalismo, il fetore da caserma, la disciplina e le gerarchie.

Assumere una posizione contro ogni forma di militarismo e di Stato non significa rifiutare di prendere le armi...

 

 

 

 

GREEN, COLORE E SIMBOLO

DELL’ALIENAZIONE.

Nuovogiornalenazionale.com - Silvano Danesi – (17 Settembre 2023) – ci dice:

 

 Politica.

“Per i risvegliati (εγρηγορóσιν)

c’è un cosmo unico e comune,

ma ciascuno dei dormienti

s’ involge in un mondo proprio”.

 

(Eraclito, Fr. DK 22B89).

 

Un libricino edito da Bollati Boringhieri contiene due scritti di “C.G.Jung”:

“Anima e morte” e “Sul rinascere”.

 Il primo è del 1934 e la sua attenta lettura ci dà le chiavi per comprendere come il green (verde) sia assurto a colore e simbolo dell’alienazione e a costume di vita degli alienati.

 

“Il terreno da cui trae alimento l’anima – scrive Jung – è la vita naturale.

Chi non la segue rimane disseccato e campato in aria”.

Poche righe sopra, “Jung” scrive che “il corpo vivente è un sistema di finalismi che tendono alla propria realizzazione”.

 

Abbiamo qui due affermazioni di estrema importanza. La prima è che la vita va vissuta pienamente in rapporto con la natura e, quindi anche con la corporeità.

La seconda è che il corpo vivente è un sistema di finalismi, la qual cosa implica che il corpo vivente abbia dei fini.

 Quali?

Tra i molteplici fini dei quali è possibile discutere, quello che trovo interessante, in questo periodo che prelude all’Equinozio d’Autunno, punto di enantiotropia, ossia di conversione nell’opposto, è l’inversione successiva alla raggiunta maturità.

“Si riscaldano le cose fredde, le calde si raffreddano; diventano secche le cose umide, le aride si inumidiscono”. (EraclitoFr. DK 2B126).

Vale per gli esseri umani, vale per le civiltà, vale per ogni realtà soggetta alla trasformazione.

Scrive “Jung” che “molti uomini s’inaridiscono con l’età: si volgono indietro, con una segreta paura della morte nel cuore.

Si sottraggono, almeno psicologicamente, al processo vitale, simili alla mitica statua di sale si rivolgono vivacemente ai ricordi della giovinezza, ma perdono ogni vivente contatto col presente.

Nella seconda metà dell’esistenza rimane vivo soltanto chi, con la vita, vuole morire.

 Perché ciò che accade nell’ora segreta del mezzogiorno della vita è l’inversione della parabola, è la nascita della morte”.

Se il Solstizio d’Estate è il punto enantiodromico nel quale la crescita di converte nel declino, l’Equinozio d’Autunno è il punto enantiodromico nel quale si passa dalla luce all’oscurità.

L’Equinozio d’Autunno è la nascita della morte.

Il tema che si presenta alla riflessione è la morte.

Ma chi muore?

 

Prima di procedere occupiamoci del green.

 

“Essere vecchi – scrive Jung – è estremamente impopolare.

 Non ci si rende conto che il «non poter invecchiare» è cosa da deficienti, come lo è il non poter uscire dall’infanzia.

Un uomo di trent’anni che è ancora infantile viene compatito; ma un settantenne giovanile viene considerato «delizioso».

 Eppure sono entrambi perversi, senza stile e psicologicamente deformi.

Un giovane che non lotta e non vince, si lascia sfuggire la parte migliore della giovinezza; un vecchio che si rifiuta di dare ascolto al mistero del torrente che scroscia dalle cime verso le valli, è dissennato, è una mummia spirituale e quindi null’altro che un passato cristallizzato.

Egli se ne sta fuori dalla propria vita e non fa che ripetersi meccanicamente fino alla più stucchevole sazietà.

 Che razza di civiltà può essere quella che ha bisogno di simili fantasmi?”.

Eccoci giunti a fare la conoscenza dei “vecchi ever green”, quelli che si sono cristallizzati in un passato, che non vivono più, non sanno fare i conti con la realtà e pensano che aggiustare l’esteriorità (lifting, chirurgo plastico, vestiti giovanili, atteggiamenti da giovanotto e via discorrendo) possa modificare la realtà.

Gli “ever green” sono solo corpo materiale e sono pertanto preda di chi, come le teorie transumaniste, fanno pensare ad una sorta di eternità materiale e tecnologica.

Sono degli alienati, ossia sono diventati incapaci di considerarsi nella loro intera umanità, che non è solo corpo materiale e che hanno perso anche l’aspetto finalistico della vita e dell’esistenza, che non è solo materiale. Sono alienati consegnati alla disperazione.

“Noi – scrive Jung – attribuiamo uno scopo e un senso al sorgere della vita; e perché non dovremmo fare altrettanto per il suo declino? La nascita dell’uomo è densa di significato, e perché non dovrebbe esserlo la morte?”.

E qui siamo messi di fronte alla questione di chi muore. Muore l’intero essere umano e di lui non resta nulla, se non, in qualche raro caso le sue opere, oppure muore solo una parte dell’essere umano, quella del corpo materiale e rimane un’altra parte che non muore?

Qui è la questione della differenza tra l’ecologia senza l’essere umano, l’ecologia che comprende l’essere umano e l’ecologia dell’essere umano.

L’ecologia senza l’essere umano è quella della cultura green e woke (vocabolo invertito nel suo significato di risveglio perché chi lo afferma come linea ideologica vuole addormentare le masse).

Siamo di fronte ad una casa (òikos) dove l’essere umano è vissuto come un estraneo, possibilmente da eliminare.

Òikos è una parola che deriva dal greco antico e significa casa, famiglia, ma non solo.

L'òikos, per i greci, rappresentava anche un organismo sociale, collettivo e dinamico.

L’ecologia che comprende l’essere umano è quella che accoglie i criteri della natura, non li violenta e fa dell’essere umano un collaboratore.

In questo caso l’òikos, la casa, è una famiglia naturale, dove l’essere umano e gli altri esseri viventi convivono in un equilibrio che tiene contro della struttura della casa stessa e dei suoi criteri costruttivi.

L’ecologia dell’essere umano è la cura della casa dell’essere umano, che è sì il corpo materiale, ma anche altro, ossia il corpo di luce o corpo di gloria che dir si voglia: quello con il quale siamo arrivati e con il quale ce ne andremo lasciando sul terreno la salma.

Salma, dal latino tardo sagma, *sauma, dal greco σάγμα «carico, basto», che richiama anche soma, da cui somaro, portatore di basto, in senso lato rappresenta qualcosa di greve, di pesante e quindi di soggiacente allo spazio tempo, alla gravità.

La casa dell’essere umano è la salma? O questa è solo la sua casa quando è nel campo gravitazionale?

La casa dell’essere umano come corpo di luce non appartiene al campo gravitazionale e non soggiace alle regole della corporeità materiale, ma a quelle della corporeità “luminosa”.

E qui arriviamo ad un altro crocevia essenziale per capire come il green sia divenuto il simbolo dell’alienazione:

le religioni.

 

“Si può dire – afferma “Jung” – (…) che la più parte di quelle religioni sono dei complessi sistemi di preparazione alla morte; in quanto per esse la vita non significa altro – precisamente nel senso della formula paradossale sopra enunciato – che una preparazione al termine estremo, alla morte”.

La questione è stata ben delineata, dal punto di vista religioso cristiano, da un grande intellettuale come “Joseph Ratzinger”, il quale, già salito al Soglio di Pietro come Benedetto XVI, intervenendo al Bundestag, il 22 settembre 2011, ha detto:

“L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente.

Vorrei però affrontare con forza un punto che – mi pare – venga trascurato oggi  come ieri: esiste anche un’ecologia dell’uomo.

Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere.

L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé.

L’uomo non crea sé stesso.

 Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta sé stesso per quello che è, e che non si è creato da sé.

Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana”.

Le religioni, spiega “Jung”, “non sorgono quali frutti di un’elucubrazione cosciente, ma provengono dalla vita naturale dell’anima inconscia, che in qualche modo esprimono adeguatamente.

Ciò spiega la loro diffusione universale e la loro straordinaria efficacia storica sull’umanità”.

 

Dove troviamo l’alienazione green riguardo alle religioni? La troviamo quando anziché occuparsi dell’anima, della morte, della sopravvivenza dell’essere umano alla morte del corpo materiale, si occupano dell’ecologia senza l’essere umano, di una casa che l’essere umano lo sente come un fastidioso occupante.

Quando, cioè, si accostano all’ecologia con gli schemi della green economy, del green deal, degli interessi della finanza.

I simboli religiosi, sostiene “Jung”

, hanno anche un netto carattere di «rivelazione», appunto come prodotti spontanei di un’attività psichica inconscia. Essi sono tutto fuorché «pensati»; sono cresciuti lentamente, come piante, nel corso dei millenni, quali manifestazioni naturali dell’anima dell’umanità”.

L’anima dell’umanità è del tutto dimenticata in una deriva green che guarda solo al corpo materiale, ai corpi materiali, alle dinamiche di quella che impropriamente viene definita come fosse un essere vivente, perché se così fosse, sarebbe la personificazione mitologica della Terra che genera le razze divine.

 La teoria di Gaia, quella a cui si riferiscono gli adepti della nuova religione verde-climatica, è stata proposta nel 1979 dallo scienziato inglese “James Lovelock” e Gaia è altra cosa dalla “Madre Terra “e altro ancora dalla “Grande Madre Cosmica”.

 

Per “Lovelock”Gaia non è un essere vivente, ma un organismo autoregolantesi, al quale si deve rispetto, usando i criteri della natura, cosa che gli adepti della green economy non fanno, in quanto con la mano destra attivano politiche di finta salvaguardia del pianeta e con la mano sinistra lo depredano.

L’appiattirsi delle religioni, come fa quella cattolica apostolica romana con le posizioni di Papa Francesco, sulle posizioni dell’ideologia green ha lo stesso effetto alienante del vecchio che rifiuta di essere tale e si comporta da ever green o del giovane che non cresce mai.

 La religione diventa un fantasma e, per dirla ancora con Jung: “Che razza di civiltà può essere quella che ha bisogno di simili fantasmi?”.

Torniamo a Eraclito. “Si riscaldano le cose fredde, le calde si raffreddano; diventano secche le cose umide, le aride si inumidiscono”. (EraclitoFr. DK 2B126).

Come riscaldare le cose fredde?

Riguardo alla religione, nell’occuparsi delle ragioni per le quali è nata.

 

Veniamo all’Occidente.

 

Nel 1900 la Civiltà occidentale aveva sotto il proprio controllo il 44,3 per cento della popolazione mondiale. Nel 2010 la cifra si è abbassata all’11,5 e nel 2025 sarà del 10,11.

L’Europa ha perso la sua influenza politica, geopolitica ed economica nel mondo e gli Usa sono progressivamente in difficoltà.

 Emergono altre potenze e ora ben i tre quarti del mondo dicono di non volere che l’Occidente domini.

È del tutto evidente, senza andare oltre con i riferimenti (energia, materie prime, ecc.) che il corpo materiale dell’Occidente è assai indebolito e che si sta indebolendo sempre di più con una politica suicida che risponde all’ideologia green.

L’Europa, in particolare, va verso il proprio suicidio verde.

L’Occidente si comporta come quel vecchio ever green e quel giovane che non vuole crescere; è un fantasma e, sempre per citare Jung: “Che razza di civiltà può essere quella che ha bisogno di simili fantasmi?”.

Inoltre l’Occidente, con l”’ideologia del risveglio” (Woke), che nasconde furbescamente l’ideologia del rimbambimento delle masse, sta distruggendo tutto quello che ha a che fare con l’essenza dell’essere umano e con le grandi conquiste della Civiltà occidentale in materia spirituale.

Nichilismo, materialismo, negazione della storia e delle radici, sono un tratto evidente dell’”ideologia woke” che sta portando l’Occidente all’eutanasia verde.

L’Occidente, senza alcuna finalizzazione della vita e della morte, senza che ormai si ponga domande sull’essenza dell’essere umano, lo considera merce al pari delle altre merci, una merce che consuma altre merci e che può essere eliminata quando si dimostra inservibile ai fini del capitale finanziario.

L’alienazione green è la fine dell’Occidente come civiltà, in attesa che l’Occidente finisca anche come realtà.

 

Ridiamo  la parola a Eraclito: “Si riscaldano le cose fredde, le calde si raffreddano; diventano secche le cose umide, le aride si inumidiscono”. (EraclitoFr. DK 2B126).

 

Come riscaldare l’Occidente?

 Tornando a considerarlo nel suo insieme e non solo come lo vuole il capitalismo finanziario orwelliano, ossia un pezzo di mondo che è composto da più popoli, con le proprie radici, la propria storia, la propria arte, il proprio modo di vivere.

 Tutte peculiarità che vanno salvaguardate, inumidite quando sono secche, riscaldate quando si raffreddano, per poi armonizzarle in un’orchestra fatta di molti strumenti.

 

 

 

 

 

Perché la transizione è verde.

Gognablog.sherpa-gate.com – (27 Dicembre 2022)  -Redazione - Lorenzo Merlo – ci dice:

 

Perché la transizione è verde di “L’Urlo della Terra”.

“Sebbene sia piuttosto vero che ogni politica radicale di applicazione delle teorie eugenetiche sarà impossibile per molti anni a venire (ragioni politiche e psicologiche lo impediranno), è importante che l’UNESCO continui a esaminare l’eugenetica con la massima attenzione, informando nel miglior modo possibile l’opinione pubblica sull’argomento e sulle sue possibili implicazioni. In questo modo, quello che oggi è considerato impensabile potrà in futuro almeno cominciare a essere preso in considerazione senza tabù di sorta (Julian Huxley, 1946)”.

Nel programma di re settaggio e di Grande Trasformazione in corso tanti gli aspetti che vengono toccati, sia per trasformarli irrimediabilmente, sia per renderli obsoleti e quindi da destinare nel dimenticatoio della storia.

Esiste però un aspetto che non solo è chiamato a comprendere tutti gli altri, ma ha anche origini più antiche: l’ecologia.

 Su questo tema vi sono questioni ampiamente denunciate e dibattute, a volte anche dagli stessi responsabili dell’ecocidio in atto.

Nel tempo, denunciare il rischio ecologico e poi portare a risolverlo si è rilevato molto remunerativo per tutta l’industria, da quella chimica ed energetica a quella farmaceutica.

Tutti parlano di ecologia, evidentemente a sproposito, per poi adottare strategie commerciali o politiche che rappresentano tutto l’opposto.

L’ecologia è talmente considerata che anche a Davos tra aguzzini della finanza e delle multinazionali gira una giovane ragazza in treccine che li riporta alle loro responsabilità in merito al cambiamento climatico, tanto da far percepire quasi un po’ di bonomia etica, ma è solo un attimo perché uno sguardo attento mostrerebbe subito gli artigli assassini di tutti costoro.

Ormai sembra essere evidente ai più che tutta la ristrutturazione del comparto tecno-industriale si basa su retoriche ambientaliste, tanto che è stato coniato un termine specifico per evidenziare e denunciare questo fenomeno, ovviamente con un inglesismo: “green washing”.

L’industria, nelle sue multiformi vesti, adotta lo stile ecologico per continuare, non solo quello che ha sempre fatto a discapito di terre e corpi, ma per continuare a farlo ancora meglio, soprattutto con la possibilità di un nuovo rivestimento che mimetizza le nefandezze in una cornice di ecosostenibilità.

Il verde sta quindi colorando tutto, anche le terre rare e rarissime che sono la base energetica per le batterie di tutti i nuovi dispositivi che andranno ad arricchire il guardaroba della transizione ecologica.

Da una visione superficiale sembrerebbe di trovarsi di fronte a un qualcosa di positivo, l’ecologia, che ad un certo punto ha subito una degenerazione.

Le ragioni per cui questo cammino ha avuto un’involuzione o delle prassi di tradimento rispetto l’idea originaria sarebbero da ricercare nel solito profitto, nell’avidità senza scrupoli dell’industria.

L’avidità economica sembra dunque essere sempre il motore che tutto muove.

 Noi sosteniamo che certamente il lato economico è importante, ma, ancora una volta, vorremmo sottolineare come questo sia già appagato da molto tempo, considerando che queste élite di potere stanno a capo delle stamperie del denaro con il potere di aprire e chiudere i rubinetti a seconda del progetto in corso.

Quando parliamo di ecologia in questo contesto ci riferiamo a quella promossa dalle compagnie, dagli Stati, portata avanti dalle grandi corporazioni ambientaliste, ONG, fondazioni e dall’associazionismo ascoltato nei grandi forum internazionali.

Questo tipo di ecologia che potremmo definire senza alcun dubbio scientifica ci riporta all’opera di razionalizzazione della natura.

In questo testo vorremmo occuparci di quest’ecologia scientifica che da decenni accompagna il potere nella sua presa della natura, dell’umano e degli altri animali.

Siamo convinti che il vero motore di questa ecologia del potere sia stato sempre quello di trasformare il mondo naturale secondo determinate visioni tanto care a precise élite di scienziati del secolo scorso e dei tempi presenti.

Se questa precisa concezione di ecologia nei suoi grandi programmi ha sempre rappresentato lo sviluppo del dominio nei suoi vari aspetti, non stupisce oggi vedersela puntare contro quale arma di ricatto per la nostra irresponsabilità nei confronti del pianeta, non avendo noi avuto un giusto “stile di vita”, come si chiamava una vecchia campagna del WWF Italia.

Siamo fortemente convinti che questa visione estesa oggi a livello mondiale abbia origini molto lontane.

 A livello teorico deriva da determinate correnti di pensiero ecologista che dettero vita al transumanesimo di cui il clan Huxley era il più rappresentativo. Julian Huxley, che coniò il termine transumanesimo, gettò le basi sulle quali si edificò il pensiero eugenetico e transumanista e a seguire anche il pensiero cibernetico.

Una razionalizzazione, un controllo e gestione, al fine di riprogettare tutto il vivente dirigendo la sua evoluzione.

 Ma la “maggior parte del lavoro” secondo Huxley sarebbe stata fatta sull’umano.

Risaliremo alle origini di questa ecologia scientifica e transumana, alla sua idea di conservazione della natura e ai suoi campioni di natura, tracciando i punti cardine di questo pensiero che nell’organizzazione cosciente e sistematica del mondo – espressa nel testo chiave di Julian Huxley “Ciò che oso pensare del 1931” – rappresenta quel pensiero che vediamo oggi prendere drammaticamente forma in tutte le sue molteplici espressioni in questa transizione verde.

Determinati interventi e programmi che vediamo oggi nella cosiddetta conservazione della “Natura” hanno origini antiche, come quelle principesche che dettero i natali al “Fondo Mondiale Per La Natura” (WWF) dove figurava come primo presidente il principe Bernardo dei Paesi Bassi simpatizzante del Terzo Reich e organizzatore dei primi incontri del Club Bilderberg.

Negli anni ’60 tra i fondatori di questa organizzazione e lobby ambientalista figurava anche Julian Huxley.

Huxley nei suoi scritti, in particolare La biologia e l’ambiente fisico dell’uomo, esprime in maniera molto chiara la necessità di controllare i sistemi naturali, per evitare quello che descrive come caos, disordine e sviluppi che lasciati a sé stessi potrebbero rivelarsi, a suo avviso, nocivi.

 Si rende quindi necessario controllare e stabilire nuovi equilibri che siano convenienti agli scopi dell’essere umano.

Il punto di partenza per tale controllo e gestione dell’intero vivente è proprio la conservazione della natura, che diventerà la politica centrale del WWF e di tutti i vari organismi governativi che verranno dopo.

Per la salvaguardia della natura selvaggia e in particolare degli animali in estinzione Huxley osserva come l’essere umano si è reso responsabile della scomparsa di tante specie e, nel suo significativo libro “Ciò che oso pensare”, scrive: “Dobbiamo sapere dove e quando procreano, quanti piccoli mettono al mondo, e quanto tempo questi impiegano per crescere, quale è la loro mortalità naturale; poi sulla base di tali cognizioni predisporre il nostro sfruttamento in modo che esso incida soltanto la superproduzione”. Il tutto se “vogliamo che le specie selvagge continuino a fornire olio, pellicce, concimi, carni e sport dobbiamo regolare la loro situazione come regoleremmo un affare”.

 In questo elenco sembra proprio che Huxley stia pensando alla propria classe agiata e influente di cui fa parte da generazioni. Più che di un naturalista sembra essere in presenza di un allevatore coscienzioso e lungimirante che prodiga buone cure perché sa che queste permetteranno un mantenimento e una buona produzione nel tempo. Per aumentare le rese di cibo per gli animali da allevamento Huxley scrive:

“se è migliorata la macchina animale per utilizzare l’erba, bisogna in corrispondenza migliorare la macchina vegetale cui è affidato il primo stadio del processo, cioè la elaborazione di materiali greggi della terra e dell’aria. Perciò le ricerche proseguono alacri per scoprire i migliori fertilizzanti dell’erba, ma anche per produrre nuovi tipi vegetali che per efficienza siano superiori all’erba ordinaria quanto una moderna mucca da latte lo è rispetto alla mucca primitiva”.

Viene enunciato con chiarezza come si dovrebbe attuare questa trasformazione ed emerge con forza il legame tra ecologia e genetica:

“L’ecologia qui si congiunge con la genetica… perché essa offre la prospettiva delle trasformazioni più radicali del nostro ambiente. Mucche e montoni, alberi della gomma o barbabietole, rappresentano sotto un certo aspetto altrettante macchine viventi, designate a trasformare materiale greggio in prodotti finiti, valevoli per gli usi dell’uomo”.

Si arriva anche a fare quelle che all’apparenza sembrano semplici speculazioni filosofiche o più probabilmente dei sogni di un’eugenista:

 “Se volessimo, potremmo infliggere ad altri felini ciò che abbiamo inflitto a numerose specie di gatto domestico, cioè la placida amabilità invece della ferocia truculenta, e così ottenere tigri che fossero realmente, e non soltanto nei versi di Belloc, vezzose e miti”.

Tutto può portare ad esiti sorprendenti, ma solo se si “riesca a perfezionare la scienza ecologica che sola può fornirci le cognizioni necessarie”.

Oltre alla conservazione delle singole specie l’interesse si è spostato presto verso l’intero ambiente, tanto che il “WWF” attualmente usa ancora le stesse affermazioni del suo storico fondatore.

 

Secondo Huxley è molto facile mescolare natura e civiltà in modo tale che l’essenza di una è distrutta e quella dell’altra non del tutto realizzata con il risultato finale di un insoddisfacente compromesso.

“Diversi sono l’equilibrio della natura e quello della civiltà: ognuno di essi è mirabile nel suo genere, e di entrambi possiamo progettare la conservazione”. Per far fronte all’insoddisfacente compromesso è necessaria un’organizzazione cosciente.

 

Nella sua idea conservazionista Huxley intendeva che “certe aree dovrebbero essere messe a parte come campioni della natura, nello stesso modo che nei musei conserviamo esemplari interessanti di animali e piante.

 Esse sarebbero dei santuari della natura, ai quali bisognerebbe concedere con parsimonia accesso, e soprattutto a scopo di studio scientifico. In aggiunta a queste categorie principali, si potrebbero stabilire riserve per usi speciali: per la vita degli uccelli, per la conservazione di piante rare o belle, o anche di strani esseri umani, quali i pigmei”.

La necessità di mantenere delle zone non immediatamente ad uso umano hanno portato alla creazione di quei progetti che oggi chiamiamo parchi o oasi naturali, ma è possibile intendere anche particolari zoo o bioparchi.

Cosa intende quindi Huxley con conservazione della natura?

Una sua catalogazione e organizzazione sistematica, al fine di renderla illimitatamente disponibile.

Una parte di essa dovrà conservare le sue proprietà naturali e originarie che potrebbero sempre servire, come quando oggi viene conservato il germoplasma dei semi antichi nella Banca del seme, un’altra parte di essa servirà come bacino di materia prima da sfruttare, ma la parte più grande, o, meglio l’intera natura per come viene concepita, diventerà spazio di controllo, gestione, intervento e modificazione da parte dell’umano.

 Conservare la natura per averla disponibile da modificare in base alle proprie esigenze e da riprogettare in base alla propria idea di evoluzione e progresso.

Una conservazione e una gestione anche degli ambienti selvaggi sotto la mano dell’organizzazione cosciente.

 L’ecologia, intesa come conoscenza dei processi naturali, è fondamentale per raggiungere questi scopi.

 Ben presto Huxley arriva a toccare il punto cardine del suo pensiero: “per preservare la natura noi dobbiamo conoscere il meccanismo che ne assicura l’equilibrio, ci aiuta in ciò la ben sviluppata scienza che è detta ecologia”.

Un’ecologia scientifica che da sempre ha avuto un’ossessione non solo per il controllo, ma per regolare e dirigere il corso della natura, di tutti gli esseri viventi e degli stessi fenomeni, perché è necessario, ricorda ancora il fondatore del WWF, sfruttare la natura in modo “cosciente e sistematico” e stabilire “nuovi equilibri” funzionali ai nostri scopi.

Una riorganizzazione e produzione della natura che necessita di sopprimere tutto ciò che esiste in modo autonomo e spontaneo. Non potrà esistere manifestazione vivente fuori da razionalizzazioni e da previsioni, il principio razionale scientifico-ecologico decreterà nuove norme necessarie per il buon andamento di ogni cosa.

Huxley con dispiacere afferma che l’umano non riuscirà forse mai ad avere un completo controllo dell’ambiente perché non riuscirà a impedire tutti quei fenomeni come terremoti, alluvioni e non riuscirà a cambiare il clima, ma rimane fiducioso nelle future possibilità a cui condurranno gli sviluppi scientifici.

 Nel frattempo, in attesa di giungere a un totale controllo l’umano potrà comunque intervenire nei processi naturali al fine di regolarli e guidarli.

Il controllo totale sarà necessario al fine di irrompere nei processi naturali per stravolgerli e modificarli.

 Ovviamente fin tanto che tutto ciò non sarà ancora possibile la natura continuerà ad essere sfruttata in modo sistematico.

Questo modo di intendere l’ecologia e la conservazione della natura non è stato uguale in ogni parte del mondo anche se il modello proposto da Huxley con il suo WWF ha avuto la meglio, soprattutto nel permeare di scienza qualsiasi visione, anche in ambito sociale.

Dal controllo e gestione dell’ambiente naturale alla scienza del controllo e della gestione delle condotte, alla gestione coordinata e pianificata degli spazi, alla gestione ordinata e ottimale del mondo grazie al potere razionalizzante della tecnica e in particolar modo della cibernetica.

Controllo e pianificazione totali saranno possibili grazie alla scienza.

 Questa natura addomesticata avrà bisogno del controllo efficace operato dalla scienza, “unica vera guida” che potrà portare l’umano al suo possibile “destino evolutivo”.

Senza questo accompagnamento scientifico la società andrebbe incontro ad un “crollo e ad un ristagno”.

L’umano viene posto all’interno di un “gigantesco esperimento evolutivo” che deve essere controllato e guidato dalla scienza ed ora, grazie alle tecno-scienze e alla biologia sintetica anche modificato e riprogettato dal suo interno permettendo così la massima realizzazione delle loro iniziali aspirazioni e dei loro fini.

Tra vetrini, provette e colture di cellule nei loro laboratori, effettuando esperimenti minuziosamente descritti in Ciò che oso pensare, questi scienziati non erano mossi da una morbosa o folle curiosità e non giocavano a diventare dio, ma si stavano dotando delle conoscenze e degli strumenti per loro necessari a intervenire poi sull’intero vivente, umano incluso, al fine di governarne l’evoluzione.

Esperimenti durante lo sviluppo embrionale di alcuni animali cambiando la temperatura, introducendo sostanze tossiche o durante il successivo sviluppo esportandone le ghiandole endocrine per osservare come si sarebbe modificata la crescita di alcuni organi affermando che tutto questo era molto interessante dal punto di vista teorico, ma chiedendosi come applicarlo all’umano.

In quella conservazione della natura Huxley sembra intravedere quindi una possibilità non solo importante, ma irrinunciabile.

Il campo di intervento è la biologia infarcita di eugenismo che andrà a dare corpo al suo “umanesimo scientifico”: “alla vita umana si può applicare il procedimento già applicato con tanto successo alla materia inerte, agli animali, alle piante”.

 

In più di un’occasione – forse non per caso, e forse nemmeno come semplice megalomania di chi sa di far parte di un’élite chiamata a svolgere compiti superiori – Huxley confonde i ritmi di un’evoluzione naturale con un determinismo tecno-scientifico, proprio quello che chiamerà come il nuovo “umanesimo scientifico”.

Leggiamo queste sue parole: “La maggior parte di noi vorrebbe vivere più a lungo, godersi una vita più sana e felice, poter controllare il sesso dei figli quando sono concepiti, e poi modellare il proprio corpo, intelletto e temperamento nel miglior modo possibile, ridurre le sofferenze non necessarie a un minimo; stimolare al massimo le proprie energie senza poi risentirne effetti nocivi. Sarebbe piacevole creare a nostro talento nuove specie animali e di piante, così come si preparano tanti composti chimici, raddoppiare il rendimento di un ettaro di grano o di un gregge, mantenere la bilancia della natura in nostro favore, bandire dal mondo parassiti e i germi delle malattie.

Sin dai tempi di Platone, e anche prima, vi sono stati utopisti che sognarono di controllare il flusso della razza umana, non soltanto nella quantità, ma anche nella qualità, affinché l’umanità potesse fiorire con caratteri nuovi”.

Anche in queste righe quasi recitate in seconda persona, come un qualcosa di collettivo sicuramente condiviso dai più, sta pensando al proprio di programma, a quello del suo clan familiare e a quello di tutta un’élite di cui lui era un ottimo rappresentante.

È molto importante seguire questo filone di pensiero, comprendendo che l’ecologia per questa élite transumanista non era un mero involucro dove nascondere altri intenti e obiettivi, ma era ed è parte dello stesso discorso.

 Fuori dall’ambiente selvatico, che costoro allora – come ancora adesso – percepivano come un qualcosa di simile ad una teca da museo che si può ammirare in un fine settimana o in gita scolastica con il professore di scienze, vi è l’allevamento per gli animali e la coltivazione per i vegetali.

Le persone più capaci sono chiamate ad essere i selezionatori dei più adatti.

Impregnati di Malthusianesimo e di Darwinismo sociale – tutto rimane in famiglia a quanto pare -sono sfociati nei più ampi programmi di eugenetica che nei decenni sono sopravvissuti a tutte le turbolenze, anche a quelle degli orrori dei campi di sterminio, o forse sono sopravvissuti proprio grazie a questi.

 Nel pieno della propaganda nazista durante la “Galton Lecture” del 1936 presso la “Società di Eugenetica” Huxley afferma:

“Gli strati più bassi, presumibilmente meno dotati geneticamente, si riproducono relativamente troppo velocemente.

Per questo motivo è necessario insegnare loro i metodi di controllo delle nascite; non devono avere un accesso facilitato all’assistenza o alle cure ospedaliere, per evitare che la rimozione dell’ultimo riscontro della selezione naturale renda troppo facile la produzione o la sopravvivenza dei bambini;

 una lunga disoccupazione dovrebbe essere un motivo di sterilizzazione”.

 Costoro, che a Norimberga da vincitori avrebbero dettato le regole morali ai vinti nazisti, non erano altro che arrivati alle stesse conclusioni, tanto da far dichiarare a degli imputati in quel processo che si erano ispirati agli Stati Uniti d’America, dove da anni si portavano avanti politiche eugeniste regolamentate da leggi democratiche.

Quella che è evidente, ieri come oggi, è che si vuole arrivare ad un’“umanità scientifica”, usando la definizione di Huxley.

Questa praxis scientifica si vuole universale, ma ovviamente solo un’élite ne conoscerà i più segreti meccanismi.

Huxley mette in guardia dal possibile crearsi di una dittatura, ma ne propone una su base biologica e si sbizzarrisce nel parlare di esperimenti evolutivi dove la vita può raggiungere “nuovi livelli di realizzazioni e di esperienze”.

 Il tipo di società desiderata è bene esposta da “Aldous”, fratello maggiore di “Julian”.

Aldous Huxley era un altro noto eugenista che nel suo romanzo” Il Mondo Nuovo “in realtà non aveva voluto lanciare un allarme, il libro è da interpretare come un manifesto del clan Huxley, da sempre promotori di certe teorie.

Solo realizzando un’“umanità scientifica”, ci ricorda Julian Huxley, l’umano potrà affermare il suo privilegiato diritto: quello di “diventare un primo organismo che eserciti un controllo cosciente sul proprio destino evolutivo”.

Nel loro immaginario il mondo “sarà suddiviso in modo razionale, secondo i bisogni delle messi, delle foreste, dei giardini, dei parchi, della caccia, della conservazione della natura selvaggia; ciò che crescerà in qualsiasi parte della superficie terrestre sarà dovuto ad una precisa idea dell’uomo; molte specie di animali dovranno al controllo umano non soltanto il fatto della loro esistenza e crescita, ma anche le loro caratteristiche e la loro stessa natura”.

Questa idea di conservazione viaggia strettamente in parallelo con quella che era, ed è tuttora, la filantropia:

fondazioni miliardarie con poteri smisurati piene di buone intenzioni, ovviamente quelle che loro ritengono buone intenzioni.

C’è la povertà nel mondo?

 Costoro da sempre si prodigano a controllare e gestire la popolazione nella sua alimentazione, ma soprattutto nella sua riproduzione con precise politiche che hanno sempre condizionato nei paesi del Sud del mondo le decisioni più importanti in ambito sociale e sanitario.

Sono passati decenni da quando questi pensieri vennero non solo elaborati, ma poi concretizzati attraverso strumenti operativi per agire nel reale.

 Lo stesso Huxley, oltre ad aver fondato il “WWF”, fu presidente dell’UNESCO per circa due anni per poi dimissionare in modo non del tutto chiaro.

 In quegli anni si parlava della povertà in Africa e del grave flagello della febbre gialla elogiando coloro che al tempo erano i filantropi per eccellenza essendo i promotori della Rivoluzione Verde: la famiglia Rockfeller.

Significativo che Huxley affermò: “la febbre gialla sta perdendo terreno nella guerra che le ha dichiarato il signor Rockfeller”.

Huxley si interroga sul fatto se tutti questi risultati potessero essere considerati buoni:

“Perché eliminando una malattia, la necessità biologica della resistenza andrebbe a sparire e i meno resistenti sopravvivranno al pari dei più resistenti, e la resistenza della media della popolazione scemerà gradualmente.

E, se molte malattie fossero bandite da un paese, lasciando per il resto le cose al loro andamento, è quasi certo che ne conseguirebbe un abbassamento della vitalità generale, essenza menomata della popolazione dalla sproporzionata sopravvivenza degli individui deboli che le malattie avrebbero spietatamente eliminato.

In altre parole, la popolazione sarebbe più sana per quanto riguarda quelle determinate malattie, ma come razza avrebbe messo i piedi nella pericolosa china della degenerazione”.

Dietro apparentemente tanti dubbi e interrogativi trasuda una ben chiara visione di mondo, che affronta una questione tanto cara a quell’élite di allora come a quelle di oggi: la sovrappopolazione.

I numeri delle bocche da sfamare, ma anche i più adatti a esserlo.

Se Huxley si differenzia da alcuni suoi contemporanei come “Galton”, “Spencer” e “Mendel” – a quest’ultimo gli toccò di smettere di torturare animali per passare ai piselli per non irritare le autorità ecclesiastiche – dichiaratamente razzisti, non lo fa per buonismo o perché la pensasse diversamente.

Semplicemente ritenne più efficace la sua formula dell’ecologia che, a quanto pare, gli aveva permesso di innestare il suo pensiero nel tempo, assicurandogli una durata che gli è sopravvissuta.

Queste visioni ecologiste, almeno quelle del “clan Huxley”, avranno un enorme peso nel consolidare le politiche ambientali nei vari decenni, sicuramente quelle del conservazionismo di Stato e soprattutto del WWF.

Questa organizzazione è stata la più rappresentativa di quella visione di mondo, tanto da spostare, sterilizzare, reprimere e uccidere popoli originari indigeni per preservare specie in estinzione, arrivando a promuovere lo sviluppo di tecnologie invasive pur di far rientrare le proprie cornici di vita selvatica degna o non degna di sopravvivere.

 Una piccolissima percentuale di vita selvatica ingegnerizzata e costantemente monitorata rinchiusa in ristrettissimi parchi per il sollazzo di quella che con il tempo si restringerà in una piccola élite pagante che vorrà sentire da vicino il gusto del selvatico arricchito magari da performance multimediali.

La storia di questi filantropi-naturalisti che hanno portato le loro teorie e i loro sogni transumanisti fino ai nostri tempi è ricca di sorprese.

Non si può considerare una generosità verso i poveri il loro costante impegno per debellare gravi malattie del Sud del mondo come la malaria.

Costoro odiavano i poveri e il loro mondo, tutto ciò che questo poteva rappresentare, considerato come uno spreco e più spesso come una minaccia per la loro sopravvivenza, essendo loro i portatori di privilegi unici, ovviamente su base biologica.

Parlando del flagello della mosca tse-tse e la conseguente diffusione del morbo Huxley sostiene la necessità di intervenire in modo diretto o indiretto non solo sulla mosca, ma su tutto l’ambiente, in modo che gli insetti sgraditi non trovino più le condizioni favorevoli per la loro diffusione.

Prosegue poi ritornando a quel legame tanto caro con la genetica:

“possiamo affrontare il problema secondo un’altra prospettiva, si può modificare l’essenza stessa della Natura, alterando l’equilibrio col mutare delle qualità congenite degli organismi in questione, per esempio, invece di assalire un flagello inserendo il suo nemico o modificando l’ambiente in cui esso opera, possiamo di proposito allevare una specie che resista direttamente ai suoi assalti.

 Così ora si produce grano che è relativamente immune dalla ruggine; gli Olandesi ci hanno dato un esempio suggestivo di ciò che si può compiere applicando a fondo i metodi mendeliani”.

 

Pochi anni dopo tutte queste speculazioni sarebbero diventate la “Rivoluzione Verde”:

il più grande flagello sociale per i popoli del sud del mondo espropriati della loro autonomia e spesso minacciati nella loro stessa sopravvivenza.

 Ma anche la natura avrebbe pagato il suo prezzo con una degradazione ed erosione di cui ancora oggi si contano le conseguenze.

Queste visioni di mondo sono sopravvissute nel tempo e hanno permesso ad altri affini di mettere in pratica i progetti di costoro.

 Dopo la Rivoluzione Verde è arrivata la Rivoluzione biotecnologica, fino a quella del Crispr/Cas9.

In Africa assistiamo a progetti ancora una volta di natura filantropica, ancora una volta per i poveri e ancora una volta per debellare malattie come la malaria.

Qui troviamo all’opera la “Fondazione Gates” che ha finanziato progetti come il “Gene Drive” che consiste nell’immissione in natura di zanzare geneticamente modificate in grado di portare all’estinzione l’intera specie ritenuta nociva.

Ovviamente la zanzara è solo l’inizio perché è evidente che si vuole fare ben altro con queste tecnologie, lo spettro di nocività per questi neo malthusiani è molto ampio.

A questo punto viene da porsi la domanda:

che naturalisti erano questi Huxley passati alla storia proprio come grandi scienziati ed estimatori del bello naturale?

Basta andare ancora un po’ indietro nel tempo al “nonno Thomas H. Huxley” che così si definiva e, riferendosi alle scienze naturali che erano il suo particolare mestiere:

 “ho paura che in me ci sia ben poco del vero naturalista. Non ho mai fatto raccolte, e la sistematica è sempre stata una seccatura per me. Nel mio campo di studio mi interessava quel che vi era di architettonico, e quel che poteva essere studiato da un ingegnere, il riconoscere quella meravigliosa unità di piano in migliaia di diverse costruzioni viventi, e le modifiche di apparati simili a scopi diversi”.

Forse fanno più chiarezza altre sue parole che trasudano distanza verso le categorie più svantaggiate o semplicemente verso gli sfruttati:

“Pensavo allora, come mai questa gente non facesse massa e non cercasse di mangiare bene e saccheggiare secondo il proprio gusto, magari per poche ore finché la polizia non riuscisse a fermarli, e ad impiccarne qualcuno.

 Ma questi poveri rottami non hanno più cuore nemmeno per questo”.

Ci sono stati altri naturalisti che hanno dato un fondamentale contributo per diffondere un senso altro di conservazione della natura con visioni non paragonabili a quelle transumaniste ed eugeniste.

Uno di questi pionieri dell’ecologismo di tipo conservazionista è sicuramente l’americano” John Muir” che ci ha lasciato tra le più belle pagine scritte attorno alla storia naturale dedicata alle montagne Americane come lo Yosemite, allora ancora poco esplorate.

La sua creatura, il “Sierra Club”, presente ancora oggi, fa parte della cloaca dell’ambientalismo governativo, antropocentrico e produttivista, ma in principio era altra cosa.

Il suo fondatore non ha concepito la sua idea di natura selvaggia discutendone nelle sedute della “Royal Society “tra gentiluomini che avevano in odio qualsiasi cosa che non rappresentasse la loro categoria e soprattutto il loro metodo scientifico, abituati a camminare nei lunghi e austeri corridoi del British Museum ad osservare nelle teche gli ultimi saccheggi effettuati nella natura selvaggia.

“Muir “può benissimo essere considerato uno dei fondatori dell’ecologia e nulla in lui, nel suo pensare e soprattutto nel suo agire, può avvicinarlo anche solo di poco a quell’ecologia scientifica fatta di calcoli, razionalizzazioni e pericolosissime manipolazioni.

Quando, in tempi recenti, l’alibi per far accettare l’inaccettabile – travestito da un’aurea pura ed ecologica – irrompe con il suo volere con il dogma tecno-scientifico, personaggi come Muir – instancabili ammiratori e difensori della natura che ben poco avevano di scientifico – ridanno speranza a quelle idee e a quelle lotte che hanno compreso l’importanza di proteggere la natura selvaggia allo stesso modo in cui proteggiamo noi stessi, perché gli squilibri di uno cadranno irrimediabilmente sull’altro, ma non solo, come scrive John Muir descrivendo le distese selvagge dell’Alaska:

“Non ci sarà felicità in questo mondo per chi non è capace di gioire in un posto simile”.

 

 

 

«IL COMPOSTAGGIO UMANO: LA MORTE GREEN»

 Inchiostroumano.it - Roberto Pecchioli – (13 Gennaio 2023) – ci dice:

 

”l’ultima novità ha un nome sconosciuto ai più, inventato in area francofona, “humusation.”

 

IL COMPOSTAGGIO UMANO: LA MORTE GREEN.

 

“Giambattista Vico” costruì la sua “Scienza Nuova” attorno a postulati universali che chiamava “degnità”, condivisi da tutti gli uomini, confermati dalle vicende storiche.

È assai conosciuto il brano seguente.

“Osserviamo tutte le nazioni così barbare come umane, quantunque, per immensi spazi di luoghi e tempi tra loro lontane, divisamente fondate, custodire questi tre umani costumi:

che tutte hanno qualche religione, tutte contraggono matrimoni solenni, tutte seppelliscono i loro morti;

 né tra nazioni, quantunque selvagge e crude, si celebrano azioni umane con più ricercate cerimonie e più consacrate solennità che religioni, matrimoni e sepolture. Ché, per la degnità che idee uniformi, nate tra popoli sconosciuti tra loro, debbon aver un principio comune di vero, dee essere stato dettato a tutte: che da queste tre cose incominciò appo (presso, accanto f.d.b.) tutte l’umanità, e per ciò si debbano santissimamente custodire da tutte perché ‘l mondo non s’infierisca e si rinselvi di nuovo. Perciò abbiamo presi questi tre costumi eterni ed universali per tre primi principi di questa Scienza.”

In questa riflessione a cavallo tra filosofia, antropologia culturale e sociologia (scienze, queste ultime, non ancora nate al tempo di Vico) avvertiamo i rintocchi di una campana a morto per la civiltà di cui siamo i figli estremi.

La religione – travolta dal materialismo, da infinite superstizioni e dal culto della scienza – è sparita dal nostro orizzonte, il matrimonio – con la famiglia suo corollario – è screditato, sfuggito come la peste, ridotto a stipula privata a cui è quasi estranea l’alleanza affettiva tra uomo e donna e il rilievo comunitario della nascita di figli.

 Il contratto, revocabile in ogni momento, è indifferente al sesso dei contraenti e presto al loro numero, in omaggio al poliamore, nome postmoderno della poligamia.

E poiché l’Occidente è attraversato da una sconvolgente pulsione di morte unita a un culto spurio, un singolare pan-ateismo animista nel quale si mescolano in un’infernale pozione il disprezzo di sé, la tensione verso un’indefinita energia cosmica e un naturalismo con tratti scientisti, è scomparso il rispetto per la morte e per il corpo defunto.

Di qui nuove pratiche che saltano a piè pari i riti di sepoltura che gli uomini professano da migliaia di anni; diventano inutili i cimiteri, luoghi del ricordo e della custodia fisica dei resti mortali.

Le ultime barriere violate, prova del carattere antiumano e necrotico della postmodernità, sono idee come quella di un professore svedese che, in nome della salvaguardia ambientale, propone un’umanità saprofita che si ciba dei cadaveri dei congeneri appena defunti.

 

Nel disprezzo radicale per la creatura umana e in nome del culto parareligioso tributato a una natura dal nome mutato in ambiente, l’ultima novità ha un nome sconosciuto ai più, inventato in area francofona, “humusation”, la trasformazione delle salme degli “homines sapientes” (?) in humus, la materia organica che si forma nel suolo (humus è il termine latino per “terra”) a seguito della decomposizione di materia vegetale e animale.

 

Nulla sapevamo della diffusione di questa pratica (e tecnologia), ma la navigazione in rete ci ha sbigottito: sono molte le pagine che propagandano con entusiasmo la riduzione della salma d’uomo a humus.

Gelido conforto “panico” di fronte al nulla, una sorta di abbraccio finale – nella dissoluzione fisica- a una confusa anima mundi.

 O, per cavarsela con una battuta, il romanesco “consolarsi con l’aglietto” di chi è a digiuno, ovvero non crede più ad alcuna trascendenza e nemmeno allo speciale posto nel mondo della scimmia nuda e intelligente.

  In concreto, l’”humusation”, che ci azzardiamo a tradurre “umusazione” in lingua italiana- a sua volta a rischio di estinzione per l’indifferenza e l’esterofilia coloniale di gran parte dei locutori- è un processo controllato di trasformazione dei corpi umani – per l’azione di microrganismi presenti nei primi centimetri di terreno- in un composto sminuzzato che trasforma, in dodici mesi, i resti mortali in humus sano e fertile. Una simil resurrezione senz’anima e senza Sé.

Traiamo dal sito humusation.org la sua appassionata giustificazione, sentimentale e culturale.

“Perché l’umusazione? Perché a differenza della sepoltura e della cremazione, il procedimento crea un ricco humus che può essere utilizzato per rigenerare la terra. Ecologicamente ed economicamente, l’umusazione è la soluzione per permettere ai nostri corpi, alla fine della loro vita, di seguire dolcemente il ciclo completo di trasformazione.

Riduco il mio impatto.

Quando moriamo, generalmente abbiamo solo due opzioni per i nostri corpi: la sepoltura e la cremazione.

 Entrambi però sono molto inquinanti e interrompono irrimediabilmente il circolo virtuoso della vita sulla terra.

 Grazie all’umusazione è possibile rimediare a questi problemi.”

 

In nome di Gaia, cancelliamo la traccia – biologica e culturale- di noi stessi, in attesa di sparire come specie o di essere trasformati in cyber uomini ibridati con la macchina, peraltro inquinante ed energivora.

Non resta che sparire, calare il sipario sull’ animale fastidioso che pretende di attribuire un senso a sé stesso, alla vita, all’ universo.

Un distillato di nichilismo. Il nulla “nulleggia”, scrisse Heidegger, ma anche la logica positivistica alla Carnap o Wittgenstein non se la passa granché bene, se il destino dell’uomo d’occidente è di oltrepassare il materialismo nell’abbraccio – mortuario- non con la Terra, ma con l’humus.

L’uomo occidentale non crede più a sé stesso, a nessuna trascendenza e non intende neppure lasciare traccia di sé- come individuo, civiltà e forse specie.

È cancellata anche la memoria consegnata a chi resta: normale, in una civilizzazione fatiscente che non riconosce padri e non vuole eredi.

 Si accontenta di diventare – con opportuni trattamenti tecnici- humus, come un vegetale qualsiasi o una carcassa animale.

Nessuna orma dietro di sé, nessun nome, individualità o identità: un brandello di carne che affida una precaria eternità alla dissoluzione nei processi rigenerativi dell’ambiente naturale.

 

In quest’ottica, si comprende meglio la portata nichilistica della cultura della cancellazione e diventano meno oscuri i moventi dei mandanti di chi istiga giovani senza istruzione e senza speranza (una terribile miscela di inanità dell’intera esperienza umana: non a caso si chiamano Ultima generazione) a lordare o distruggere opere d’arte.

Niente come l’arte- ossia l’eccellenza degli uomini migliori, la volontà di perdurare e trascendere la quotidianità, conferire senso, significato, grandezza alla creatura umana – rappresenta la distinzione, la diversità costitutiva dell’essere umano rispetto a ogni altra creatura.

Nessun animale dipinge, canta, inventa la musica come arte dei suoni, scolpisce, fa sgorgare poesia dal linguaggio, indaga i perché dei fenomeni naturali.

 Nessun altro che l’uomo attinge il pensiero astratto da cui nasce la matematica, chiave per decifrare i misteri del mondo fisico.

Nessun’altra creatura ha il senso di sé, della propria finitudine e l’inesausta aspirazione all’infinito.

Jorge Luis Borges arrivò a scrivere che “essere immortale è cosa da poco: tranne l’uomo, tutte le creature lo sono, giacché ignorano la morte”.

 Turba il nostro modo di animalizzarci perdendo l’ultimo riguardo di sé, il culto dei defunti e la sepoltura, che la liturgia cristiana chiama pietoso ufficio, dovere di rispetto, devozione religiosa in senso lato (religio: ciò che lega).

 

A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti, scriveva Foscolo. Presto nessuno capirà più il significato del verso dei Sepolcri, parola del passato che sparirà dai vocabolari di domani.

Contemporaneamente, liberato da tutto ciò che “non serve” immediatamente a un’esistenza animale, matrimonio e famiglia, fede trascendente e culto dei morti come eredità, proiezione e continuazione, autostima, l’uomo, con il lessico di Vico, “s’infierisce e si rinselva di nuovo”, cioè torna allo stato selvaggio, ferino, ma con la virtuosa giustificazione green.

Dare la vita dopo la morte rigenerando la terra, recita uno slogan pro-umusazione. Magra consolazione per l’orgogliosa specie sapiens sapiens, ridotta a considerare il proprio corpo defunto rifiuto da smaltire ed a entusiasmarsi per il compostaggio umano come elemento dell’economia circolare che ci riconnette con la natura.

 “La sola pratica funeraria rispettosa al cento per cento dell’ambiente”, proclama la pagina iniziale di amisdelaterre.be.

Amici della terra, nemici dell’uomo.

 

Il solco è tracciato e in sei stati Usa l’umusazione è già legale, con tanto di protocolli e tecnologie dedicate. L’ultimo arrivato è lo Stato di New York, capitale del progressismo globale.

Nessun dubbio che gli interrogativi etici, fragili dubbi in tempo di mercato misura di tutte le cose, verranno travolti dal combinato disposto dell’ideologia neo-ambientale e degli interessi economici che si stanno formando.

 Superati alcuni inconvenienti al processo di umusazione dovuti alla persistenza di alcune parti del corpo, si correrà spediti verso la nuova frontiera postumana.

 

A causa della presenza di elementi umani nell’humus della terra coltivata, diventeremo- indirettamente- un po’ cannibali.

In un film degli anni Settanta, “Soylent Green”, (I sopravvissuti), la sovrappopolazione e la povertà hanno convinto a legalizzare il suicidio assistito in luoghi chiamati significativamente “Templi”, non troppo diversi dai lindi ospedali dell’eutanasia e ora dall’ “humusarium” in cui si pratica la procedura di smaltimento umano, che- evviva- farà di ciascuno un metro cubo e mezzo di ottimo humus.

 Nel film, dai resti umani è ricavata una farina – il Solyent verde- che diventa- all’insaputa della gente- il principale alimento umano.

Giacomo Leopardi, nella sua lirica estrema, La ginestra o il fiore del deserto, così scriveva “son dell’umana gente le magnifiche sorti e progressive. Qui mira e qui ti specchia, secol superbo e sciocco, (…) e volti addietro i passi, del ritornar ti vanti, e procedere il chiami.” 

La differenza è l’”umana” gente, adesso spinta nel progetto totalitario transumano e disumano, mascherato da progresso e liberalizzazione

L’umusazione è presentata da alcuni sostenitori, tra cui il filosofo “Gaspard Koenig”, animatore di “Génération Libre”, organismo teso a “promuovere le libertà, tutte le libertà”, come un elemento di liberazione dell’uomo.

In un testo diffuso attraverso la facoltà di Scienze Politiche della Sorbona, ripreso dalla stampa di lingua francese, Koenig descrive il compostaggio umano come “liberalizzazione della morte”.

 Il ragionamento è semplice e, dal punto di vista del soggettivismo radicale saldato all’ideologia green, non fa una grinza:

 quando una persona muore, dovrebbe poter disporre del suo corpo in modo da nutrire il pianeta.

 Koenig stima – chissà in base a quali calcoli- che dall’arrivo in Europa dell’homo sapiens, cinquantamila anni fa, si siano accumulate oltre tre miliardi di tonnellate di cadaveri, “con grave rischio per la salute e l’ambiente”” e (ça va sans dire) trasmissione di virus attraverso la percolazione dell’acqua dei cimiteri.

 Un argomento assai suggestivo in tempi di Covid, nonostante la possibilità sia assai remota.

Ma tutto fa, per diffondere la “buona“ causa.

“Gaspard Koenig” elogia l’umusazione e ne propugna la legalizzazione in quanto, oltre ai benefici ambientali – “ci consentirebbe una vera scelta di ciò che facciamo del nostro corpo anche nella morte”.

Sottolinea i benefici ecologici di questa tecnica, ma ritiene innanzitutto che non debbano essere posti vincoli o limiti all’ autodeterminazione soggettiva, in vita e dopo.

 “Le società occidentali sono state fondate sul principio della libertà, ma in realtà l’essere umano non ha una libertà totale sul proprio corpo.

Divieto di partorire un figlio per un altro, divieto di prostituzione, divieto di tecniche funebri:

 oggi ci sono proibite una moltitudine di pratiche o scelte, senza che possano recare danno agli altri “.  

Nessuna preoccupazione etica, non diciamo spirituale, nessun interesse per altro che non sia l’assoluta autodeterminazione, tanto da esigere con toni ispirati di conquistare la proprietà di sé, del proprio corpo vivo e del proprio cadavere: “liberalizziamo la morte”.

 Ce la faranno, nell’Occidente che è già morto e non lo sa.

 Che i figli degeneri delle più longeva civiltà apparsa sulla scena del mondo finiscano in compostaggio, una storia intera ridotta a un metro e mezzo di humus pro capite, ha elementi di grottesca comicità.

Per restare in tema, se non fosse l’ultimo atto della nostra tragedia, diremmo: una risata ci seppellirà.

(Roberto PECCHIOLI)

 

Israele “Sterilizza” le Donne Etiopi.

Conoscenzealconfine.it – (27 Novembre 2023) – ci dice:

Alle donne ebree etiopi è stato impedito di avere figli. Israele, “la più grande democrazia del Vicino Oriente”, come viene definita dai Paesi occidentali e dai media embedded, “sterilizza” le donne etiopi.

È quanto affermato dal quotidiano israeliano “Haaretz”, nella sua edizione del 12 dicembre 2012 riferendosi alla situazione degli immigrati etiopi riconosciuti come ebrei da Tel Aviv, i cosiddetti “falascia”.

 

“È difficile da credere ma in Israele nel 2012 le donne etiopi sono state sottoposte con la forza al “Depo-Provera”, un’iniezione contraccettiva” si legge nell’articolo, che prosegue:

 “Questa iniezione non è un contraccettivo comunemente prescritto. (…) Di solito è riservato alle donne che soffrono di disabilità o che sono malate”.

Il giornale israeliano si rifà all’inchiesta pubblicata di recente dal programma “Vacuum documentary” condotto da “Gal Gabay”, e trasmesso sulla “Televisione Educativa israeliana”, in cui si afferma che “il trattamento è imposto su un gran numero di immigrati etiopi”.

 

Secondo il ricercatore “Reuven Sava”, che ha condotto l’indagine, sono innumerevoli le donne che sono state sottoposte, contro la loro volontà, all’iniezione di “Depo-Provera”, un medicinale molto forte che, come si può leggere tranquillamente su internet, viene usato per curare tumori, per la castrazione chimica e nelle terapie iniziali per cambiare sesso.

Il “Depo-Provera”, che ha diverse controindicazioni, tra cui l’osteoporosi e a lungo andare la sterilità, ha una storia inquietante.

Secondo una relazione dell’organizzazione “Sha L’Isha”, l’iniezione contraccettiva è stata sperimentata, tra il 1967 e il 1978, nello Stato della Georgia, negli Stati Uniti, su più di 13mila donne povere, la metà delle quali erano nere.

 La maggior parte di loro, che non erano a conoscenza della sperimentazione, si sono ammalate.

Molte altre sono morte.

Medicinali contraccettivi come il “Depo-Provera” sono stati utilizzati spesso da Washington per ridurre il tasso di natalità dei poveri.

Nel 1960, gli Usa erano preoccupati per l’aumento della popolazione del Puerto Rico.

 Nel 1965 si è riscontrato che il 34% delle donne portoricane tra i 20 e il 49 anni erano state sterilizzate.

Nel caso di Israele, si tratta di politiche “repressive” e “razziste” contro gli immigrati e contro gli “ebrei neri”.

Lo si evince dalla storia: tra il 1980 e il 1990 migliaia di ebrei etiopi hanno trascorso mesi o anni nei campi di transito in Etiopia e in Sudan.

Centinaia di loro sono morti perché “la più grande democrazia del Vicino Oriente” gli ha impedito di entrare nel Paese in quanto “non era il momento giusto”, non c’erano “le condizioni per integrarli” o meglio ancora “non erano sufficientemente ebrei”.

Si è mai sentito parlare di “ebrei neri”?

 

Ancora oggi, gli immigrati “falascià” sono intrappolati nei campi di transito a causa della contorta burocrazia israeliana che cerca di “sfiancarli” prima di farli entrare nel Paese, sistemandoli in centri di integrazione, veri e propri ghetti, dove le donne ricevono le iniezioni di “Depo-Provera” e i bambini vengono mandati in “strutture di educazione speciali”.

Secondo l’indagine condotta da “Vacuum documentary” e ripresa da “Haaretz”, il tutto avviene contro la loro volontà.

Secondo l’”American Jewish Joint Distribution”, le dichiarazioni delle donne etiopi sono “sciocchezze”.

 Ma diverse organizzazioni umanitarie hanno lanciato l’allarme sul razzismo che negli ultimi tempi ha preso piede in Israele.

Ai primi di giugno il parlamento israeliano ha approvato una legge che prevede fino a tre anni di reclusione senza processo per gli immigrati illegali che saranno sorpresi in Israele.

(Codice Genesi).

 

 

 

Pravda americana: Gaza

e la bufala dell'antisemitismo.

Unz.com – Ron Unz – (27 novembre 2023) ci dice:

 

Oltre 14.000 abitanti di Gaza sono morti a causa degli incessanti bombardamenti israeliani delle ultime settimane, due terzi dei quali donne e bambini e quasi nessuno di loro è membro di Hamas.

 Quel totale rappresentale cifre ufficiali dei corpi identificati, e con la maggior parte del sistema sanitario locale distrutto e così tante altre migliaia di dispersi, sepolti sotto le macerie delle decine di migliaia di edifici demoliti, il vero bilancio delle vittime probabilmente supera già i 20.000.

Al contrario, quello a cui stiamo assistendo ora è il deliberato massacro di civili, volto a scacciare i palestinesi che vivono a Gaza e a rendere inabitabile la loro enclave.

 La maggior parte degli ospedali e delle strutture mediche di Gaza sono stati eliminati, e quando i giordani hanno costruito ospedali da campo nel sud di Gaza, anche quelli sono stati bombardati.

Anche scuole, panifici e altre strutture necessarie per la continuazione dell'esistenza umana sono state deliberatamente distrutte, insieme alla maggior parte del patrimonio abitativo, mentre gli israeliani hanno bloccato gli abitanti da qualsiasi accesso a cibo, acqua e carburante.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha pubblicamente identificato i suoi avversari palestinesi nella tribù di “Amalek”, di cui il Dio ebraico aveva comandato lo sterminio fino all'ultimo neonato, e molti altri leader politici del suo paese hanno usato un linguaggio altrettanto genocida, con un ministro del governo che ha suggerito che Israele utilizzi il suo arsenale nucleare illegale per sradicare Gaza e la sua popolazione.

I sondaggi mostrano che più dell'80% degli ebrei israeliani sostiene le misure militari estremamente dure del proprio governo, sperando di vedere tutti i palestinesi uccisi o espulsi.

Si sono accumulate sempre più prove del fatto che la maggioranza, forse addirittura la grande maggioranza, dei civili israeliani uccisi nell'attacco di Hamas sono morti per mano dei militari dal grilletto facile del loro stesso paese , vittime dei proiettili dei carri armati e dei missili Hellfire.

 Quindi il numero effettivo di civili israeliani disarmati uccisi dai combattenti di Hamas potrebbe essere stato compreso tra 100 e 200, suggerendo che il numero dei civili palestinesi è almeno 100 volte maggiore.

 Eppure, nonostante questo rapporto di vittime di 100 a 1, un recente articolo in prima pagina sul New York Times del corrispondente di lunga data” Roger Cohen” ha trattato la tragedia in termini tutt'altro che pari, con una decisa inclinazione a favore degli israeliani.

Negli ultimi anni, la vita pubblica in America e nel resto dell'Occidente è diventata estremamente sensibile alle sfumature della correttezza politica, e molti considerano l'uso improprio dei pronomi moralmente inconcepibile.

 Pertanto, le immagini grafiche diffuse sui social media del massacro pubblico di così tante migliaia di neonati e bambini indifesi hanno prodotto un notevole disagio, con ben oltre la metà dei democratici che sono critici nei confronti di questi sviluppi insieme a una sostanziale minoranza di repubblicani.

 

Nel 2015, l'immagine ampiamente diffusa di un bambino siriano annegato accidentalmente ha portato i governi europei ad aprire i loro confini a milioni di migranti, sia dalla Siria che da ogni altra parte del mondo, per lo più giovani uomini nel pieno della salute.

La Grande Siria ha tradizionalmente compreso la Gaza palestinese, quindi se una singola vittima accidentale della prima ha avuto un impatto politico così enorme, trasformando la nazione in tutta Europa, sicuramente le immagini delle molte migliaia di persone deliberatamente uccise nella seconda devono almeno sollevare alcune preoccupazioni personali.

Anche se, poiché alcuni di questi paesi hanno proibito le espressioni di sentimenti filo-palestinesi, è difficile esserne sicuri.

Molti ebrei europei hanno sostenuto con tutto il cuore lo Stato ebraico anche quando ha commesso questo gigantesco massacro pubblico, e questo ha naturalmente provocato una certa critica popolare.

Profondamente preoccupato da quest'ultima situazione, il “New York Times” la scorsa settimana ha pubblicato un altro importante articolo sulla disperata necessità di combattere tali sentimenti "antisemiti" in Europa, ovviamente uno dei problemi più terribili del mondo.

Qualche giorno fa, avevo chiesto a un mio amico accademico americano come stavano reagendo i suoi colleghi a questa situazione sorprendente e lui mi aveva risposto:

La gente ha troppa paura di trasmettere le proprie opinioni, credo... Ma penso che una buona parte degli accademici si renda conto che c'è qualcosa di mostruoso che sta succedendo.

Questo mi sembra plausibile, e un altro accademico anziano che conosco ha riportato una situazione più o meno simile. La paura si aggira per la terra.

Gli studenti delle nostre università più prestigiose sono stati minacciati di essere inseriti in una lista nera di posti di lavoro permanenti se avessero sostenuto la causa palestinese, e un lungo elenco di miliardari ebrei ha lanciato attacchi simili contro le stesse istituzioni accademiche, qualcosa che non ricordo sia mai accaduto in passato.

Di conseguenza, un articolo di analisi giuridica commissionato è approvato per la pubblicazione sulla prestigiosa “Harvard Law Review” è stato cancellato all'ultimo momento.

Fin dalle sue origini nel terrorista Irgun, il partito al governo israeliano Likud ha sempre sostenuto la creazione di un Grande Israele– "Dal fiume al mare" – proclamando che il territorio deve essere posto sotto il dominio ebraico, con tutti i non ebrei sottomessi, espulsi o ucciso.

Ma negli ultimi decenni, gli antisionisti progressisti hanno cooptato quello stesso slogan ambiguo, usandolo per simboleggiare il loro obiettivo di un paese unificato come la Palestina, uno stato democratico laico che offra pari diritti sia agli ebrei che ai non ebrei, due popolazioni di origine simile e misurare.

Ciò implicherebbe naturalmente la dissoluzione dello Stato ebraico esistente, un anatema assoluto per i sionisti impegnati.

Spinta dalle immagini orribili dei bambini morti a Gaza, questa frase controversa ha presto cominciato a fare tendenza tra gli antisionisti su Twitter insieme al discorso sulla "decolonizzazione" dello stato-colono israeliano.

Appassito sotto gli intensi attacchi sionisti, il proprietario “Elon Musk,” l'uomo più ricco del mondo, dichiarò che questi slogan progressisti piuttosto vaghi e innocui costituivano un incitamento al "genocidio", e il loro utilizzo era motivo di un immediato divieto dalla sua piattaforma.

 Al contrario, non ho sentito che “Musk” abbia bandito nessuno dei politici o attivisti israeliani che chiedono pubblicamente l'annientamento totale di tutti i palestinesi.

 

La famosa attrice di Hollywood “Susan Sarandon” ha trascorso decenni come un'attivista progressista di spicco, coinvolta in una vasta gamma di cause politiche, molte delle quali denunciate come "antiamericane" dai suoi oppositori conservatori, e si è guadagnata l'elogio entusiastico dei suoi colleghi per il suo impegno.

 Eppure, quando recentemente ha mostrato una certa simpatia pubblica per i palestinesi, un popolo indifeso che ora viene massacrato a migliaia e forse presto a decine di migliaia, è stata sommariamente "cancellata" dalla sua agenzia di talenti di lunga data, e altri hanno subito un destino simile.

 Più o meno nello stesso periodo, “Maha Dahkil”, uno dei migliori agenti di talento di Hollywood, fu retrocesso e quasi licenziato per ragioni simili.

Ancor prima che iniziassero gli attuali combattimenti, la rockstar di sinistra Roger Waters dei Pink Floyd, ottantenne, era stata denigrata dai media internazionali per aver sostenuto i diritti dei palestinesi e persino stranamente minacciata con un mandato di arresto tedesco per aver presumibilmente glorificato il nazismo.

L'accusa letale di "antisemitismo" è l'accusa mossa contro tutti questi individui, e la paura di subire un destino simile mantiene sicuramente in silenzio un vasto numero di loro coetanei che la pensano allo stesso modo.

 Nel nostro attuale mondo occidentale, quell'accusa ha lo stesso peso che il "congresso con Lucifero" avrebbe potuto avere nella “Vecchia Salem” dell'era dei processi alle streghe.

Ho scoperto che tale timidezza si estende anche a molti siti web alternativi e blogger liberali di sinistra.

 Anche se gli orribili eventi del conflitto tra Israele e Gaza hanno dominato i titoli dei giornali di tutto il mondo nelle ultime settimane, sono rimasti piuttosto deluso dal fatto che la copertura di tali questioni sia sembrata relativamente sommessa e circospetta.

Il blogger “Moon of Alabama” aveva riportato senza paura tanti fatti controversi sulla guerra in Ucraina e su altre domande importanti, ma pochi giorni fa ha pubblicato un post piuttosto apologetico intitolato"Ci sono alcune cose di cui non posso scrivere",che si apriva con:

 

Ho provato a scrivere di Gaza. Ma sono troppo inorridito, indignato e depresso per creare un pezzo sensato.

Quindi, invece di inventare qualcosa da solo, vi lascio con alcuni link...

Dato che il blogger è un tedesco residente in Germania, se fosse stato troppo schietto nelle sue opinioni avrebbe potuto ragionevolmente temere di bussare alla porta e di finire in prigione.

Anche se il blog di “Naked Capitalism” è stato originariamente lanciato con un forte focus sull'economia, altri argomenti costituiscono regolarmente la maggioranza sostanziale del contenuto totale, e quindi sono rimasto deluso dalla mancanza di una copertura approfondita su Gaza.

Tuttavia, il suo proprietario “Yves Smith” ha finalmente pubblicato un buon post mercoledì scorso, sostenendo che la tregua proposta e lo scambio di prigionieri potrebbero semplicemente rappresentare un ostacolo sulla strada per il successo di Israele nel raggiungere i suoi obiettivi estremi, con le sue frasi conclusive che recitano:

 

Forse alla fine si potrebbe esercitare una pressione internazionale sufficiente sugli Stati Uniti per indurci a togliere finalmente la catena di strozzamento di Israele. Ma a quel punto, sembra molto probabile che Israele avrà accertato i fatti sul campo a Gaza (morti e distruzione dell'ambiente costruito) affinché Israele abbia vinto in modo decisivo nel suo obiettivo di rimuovere permanentemente un numero considerevole di palestinesi da Israele.

Solo molto raramente do un'occhiata ai “thread” di discussione risultanti, ma per qualche motivo l'ho fatto questa volta e ho notato questo scambio tra un commentatore e “Lambert Strether”, uno dei blogger:

 

“cnchal”:

 La catena dello strozzatore corre dall'altra parte. Dal momento che i "globalisti" siedono in cima alla situazione economica, potrebbero provocare un'istantanea depressione mondiale con uno sciopero dei capitali.

 Ora, dove sarebbe Biden se ciò accadesse?

Da quindici a ventimila palestinesi morti finora e un altro milione e novecentottantacinquemila da percorrere, poi la traiettoria è in Cisgiordania per Moar.

La pace nel deserto alla fine sarà raggiunta secondo i termini dei globalisti.

Lambert Strether:

 La sua affermazione è antisemita. Non possiamo permettercelo qui. Non lo stiamo intrattenendo.

 (È anche analiticamente terribile e distruttivo, postulando che la prima lealtà dei capitalisti non è verso il capitale, il che è assurdo a prima vista).

Vattene.

E questo vale per chiunque altro abbia la stessa opinione.

AGGIORNAMENTO E se qualcuno sta pensando di intrufolarsi in questo falso costruito usando un linguaggio artistico, non ci provi nemmeno. I nostri moderatori sono bravi a fare cose del genere, e colpiremo anche te.

Gli ebrei di Israele stanno attualmente commettendo uno dei peggiori massacri pubblici nella storia del mondo, con le azioni del loro governo fortemente applaudite da molte o dalla maggior parte delle élite ebraiche e delle popolazioni d'Europa e d'America, ma prendendo atto di ciò che è ovvio infatti anche usare costrutti eufemistici è considerato peccato mortale.

 In un articolo del 2018 , ho descritto questo tipo di reazione bizzarra ora così diffusa in tutto l'Occidente:

Credo che un fattore sia che, nel corso degli anni e dei decenni, i nostri organi mediatici dominanti di notizie e intrattenimento sono riusciti a condizionare la maggior parte degli americani a soffrire di una sorta di reazione allergica mentale ad argomenti sensibili agli ebrei, che porta a considerare tutti i tipi di questioni assolutamente fuori dai limiti.

E con le potentissime élite ebraiche americane così isolate da quasi ogni controllo pubblico, l'arroganza e il comportamento scorretto degli ebrei rimangono in gran parte incontrollati e possono aumentare completamente senza limiti.

Questo angosciante panorama mediatico esemplifica anche un aforisma molto scaltro ampiamente attribuito erroneamente a Voltaire:

Per sapere chi ti governa, scopri semplicemente chi non ti è consentito criticare.

Come suggeriscono questi esempi, l'accusa di "antisemitismo" è diventata un'arma politica enormemente potente nell'Occidente di oggi, brandita da gruppi ebraici e filo-israeliani come una carta vincente che sembra ancora avere la meglio su tutti gli altri. Quindi la realtà storica di quel concetto è un argomento importante e interessante, che avevo discusso a lungo in un paio di articoli del 2018.

Il primo di questi spiegava come la mia scoperta, vent'anni fa, di un fatto storico cruciale riguardante la vera storia della rivoluzione bolscevica abbia portato a un completo sconvolgimento nella mia comprensione della questione.

Ovviamente, l'intero panorama fu totalmente trasformato dalla rivoluzione bolscevica del 1917, che spazzò via il vecchio ordine dal potere, massacrando gran parte della sua leadership e costringendo il resto a fuggire, inaugurando così l'era del mondo moderno di regimi ideologici e rivoluzionari.

Sono cresciuto durante gli ultimi decenni della lunga Guerra Fredda, quando l'Unione Sovietica era il grande avversario internazionale dell'America, quindi la storia di quella rivoluzione e delle sue conseguenze mi ha sempre affascinato.

Durante l'università e la scuola di specializzazione ho probabilmente letto almeno un centinaio di libri su quell'argomento generale, divorando le brillanti opere di “Solzhenistyn” e” Sholokhov”, i corposi volumi storici di studiosi accademici mainstream come “Adam Ulam” e “Richard Pipes”, così come gli scritti dei principali dissidenti sovietici come “Roy Medvedev”, “Andrei Sakharov e Andrei Amalrik.

Ero affascinato dalla tragica storia di come Stalin superò in astuzia Trotsky e gli altri suoi rivali, portando alle massicce purghe degli anni '1930, mentre la crescente paranoia di Stalin produceva una gigantesca perdita di vite umane.

Non ero così totalmente ingenuo da non riconoscere alcuni dei potenti tabù che circondano la discussione sui bolscevichi, in particolare per quanto riguarda la loro composizione etnica.

Sebbene la maggior parte dei libri non enfatizzasse quasi questo punto, chiunque abbia un occhio attento per una frase o un paragrafo occasionale saprebbe sicuramente che gli ebrei erano enormemente sovra rappresentati tra i massimi rivoluzionari, con tre dei cinque potenziali successori di Lenin:

Trotsky, Zinoviev e Kamenev. – tutti provenienti da quel contesto, insieme a molti, molti altri all'interno della massima leadership comunista.

Ovviamente, questo era assolutamente sproporzionato in un paese con una popolazione ebraica pari a forse il 4%, e sicuramente ha contribuito a spiegare il grande aumento dell'ostilità mondiale nei confronti degli ebrei subito dopo, che a volte ha assunto le forme più squilibrate e irrazionali, come la popolarità dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion e la famigerata pubblicazione di Henry Ford The International Jew.

Ma con gli ebrei russi che avevano molte più probabilità di essere istruiti e urbanizzati e che soffrivano di una feroce oppressione antisemita sotto gli zar, tutto sembrava avere un senso ragionevole.

 

 Poi, forse quattordici o quindici anni fa, ho riscontrato uno squarcio nel mio continuum spazio-temporale personale, tra i primi di molti a venire.

In questo caso particolare, un amico particolarmente di destra del teorico evoluzionista “Gregory Cochran” aveva trascorso lunghe giornate sfogliando le pagine di, un importante forum Internet per l'estrema destra, e dopo essersi imbattuto in una notevole affermazione fattuale, mi ha chiesto la mia opinione.

La mia prima reazione fu che un'idea del genere era del tutto ridicola poiché un fatto così enormemente esplosivo non avrebbe potuto essere ignorato dalle decine di libri che avevo letto sulle origini di quella rivoluzione.

Ma la fonte sembrava estremamente precisa. L' editorialista di nell'edizione del 3 febbraio 1949 del, allora uno dei principali giornali locali, scrisse che "Oggi il nipote di Jacob, John Schiff, stima che il vecchio abbia investito circa 20.000.000 di dollari per il trionfo finale del bolscevismo in Russia".

 

Dopo aver controllato un po' in giro, ho scoperto che numerosi resoconti mainstream descrivevano l'enorme ostilità di “Schiff” verso il regime zarista per il suo maltrattamento degli ebrei, e di questi tempi anche una fonte così istituzionalizzata come la voce di Wikipedia su Jacob Schiff nota che egli giocò un ruolo ruolo importante nel finanziamento della rivoluzione russa del 1905, come rivelato nelle successive memorie di uno dei suoi principali agenti. E se si esegue una ricerca su "rivoluzione bolscevica di Jacob Schiff" emergono numerosi altri riferimenti, che rappresentano un'ampia varietà di posizioni e gradi di credibilità diversi. Un'affermazione molto interessante appare nelle memorie di Henry Wickham Steed , direttore del Times di Londra e uno dei più importanti giornalisti internazionali della sua epoca. Ha menzionato in modo molto pratico che Schiff, Warburg e gli altri importanti banchieri internazionali ebrei erano tra i principali sostenitori degli ebrei bolscevichi, attraverso i quali speravano di ottenere un'opportunità per lo sfruttamento ebraico della Russia, e ha descritto i loro sforzi di lobbying. a nome dei loro alleati bolscevichi alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 dopo la fine della prima guerra mondiale.

 

Anche l'analisi molto recente e altamente scettica contenuta nel libro Trotskijdi Kenneth D. Ackerman del 2016 rileva che i rapporti dell'intelligence militare americana del periodo facevano direttamente quella sorprendente affermazione, indicando Trotsky come il canale per il pesante sostegno finanziario di Schiff e numerosi altri finanzieri ebrei.

 

Ora, bisogna ammetterlo, alcuni dettagli potrebbero facilmente essere diventati un po' confusi nel tempo. Ad esempio, anche se Trotsky divenne rapidamente secondo solo a Lenin nella gerarchia bolscevica, all'inizio del 1917 i due uomini erano ancora aspramente ostili a causa di varie controversie ideologiche, quindi certamente non era considerato un membro di quel partito. E dal momento che tutti oggi riconoscono che Schiff aveva pesantemente finanziato la fallita rivoluzione del 1905 in Russia, sembra perfettamente possibile che la cifra di 20 milioni di dollari menzionata da suo nipote si riferisca al totale investito nel corso degli anni a sostegno di tutti i diversi movimenti e leader rivoluzionari russi, che insieme alla fine culminarono nella creazione della Russia bolscevica. Ma con così tante fonti apparentemente credibili e indipendenti che fanno affermazioni simili, i fatti di base sembrano quasi indiscutibili.

 

Considerate le implicazioni di questa notevole conclusione. Suppongo che la maggior parte del finanziamento delle attività rivoluzionarie di Schiff sia stato speso in voci come stipendi per attivisti e tangenti, e aggiustato per i redditi medi delle famiglie di quell'epoca, 20 milioni di dollari equivarrebbero a 2 miliardi di dollari di denaro attuale . Sicuramente senza un enorme sostegno finanziario, la probabilità di una vittoria bolscevica sarebbe stata molto più bassa, forse quasi impossibile.

 

Quando la gente scherzava con disinvoltura sulla totale follia delle "teorie del complotto antisemita", non c'era esempio migliore dell'idea evidentemente assurda che i banchieri ebrei internazionali fossero creato il movimento comunista mondiale. E tuttavia, secondo ogni criterio ragionevole, questa affermazione essere più o meno vera, ea quanto pare è stata ampiamente conosciuta, almeno in forma approssimativa, per decenni dopo la Rivoluzione Russa sembra, ma non è mai stata menzionata in nessuna delle numerose storie più recenti che hanno plasmato la mia conoscenza di quegli eventi. In effetti, nessuna di queste fonti molto esaurienti aveva mai menzionato il nome di Schiff, anche se era universalmente riconosciuto che aveva finanziato la Rivoluzione del 1905, che è stata spesso discussa in modo estremamente dettagliato in molti di quei libri molto importanti. Quali altri fatti sorprendenti potrebbero nascondersi allo stesso modo?

 

Quando qualcuno si imbatte in nuove rivelazioni straordinarie in un'area della storia in cui la sua conoscenza era rudimentale, essendo poco più che libri di testo introduttivi o corsi di Storia 101, il risultato è uno shock e un imbarazzo. Ma quando la stessa situazione si verifica in un'area in cui aveva letto decine di migliaia di pagine dei principali testi autorevoli, che apparentemente esploravano ogni minimo dettaglio, sicuramente il suo senso della realtà inizia a sgretolarsi.

 

 

Nel 1999, l'Università di Harvard ha pubblicato l'edizione inglese del Libro nero del comunismo, i cui sei coautori hanno dedicato 850 pagine a documentare gli orrori inflitti al mondo da quel sistema defunto, che aveva prodotto un bilancio delle vittime totale stimato in 100 milioni. Non ho mai letto quel libro e ho sentito spesso che il presunto conteggio dei corpi è stato ampiamente contestato. Ma per me il dettaglio più notevole è che quando esamino l'indice di 35 pagine, vedo un'enorme profusione di voci di individui totalmente oscuri i cui nomi sono sicuramente sconosciuti a tutti tranne che agli specialisti più eruditi.

 Ma non c'è voce per Jacob Schiff, il banchiere ebreo di fama mondiale che a quanto pare ha finanziato in primo luogo la creazione dell'intero sistema.

 Nemmeno uno per Olaf Aschberg, il potente banchiere ebreo in Svezia, che giocò un ruolo così importante nel fornire ai bolscevichi un'ancora di salvezza finanziaria durante i primi anni del loro regime minacciato, e fondò persino la prima banca internazionale sovietica.

 

 

 

Quando si scopre uno strappo nel tessuto della realtà, c'è una tendenza naturale a scrutare nervosamente all'interno, chiedendosi quali oggetti misteriosi potrebbero dimorare all'interno. Il libro di Ackerman denunciava l'idea che Schiff avesse finanziato i bolscevichi come "uno dei tropi preferiti della propaganda antiebraica nazista" e poco prima di queste parole aveva pubblicato una denuncia simile del Dearborn Independent di Henry Ford, una pubblicazione che una volta non avrebbe significato quasi nulla per me. Anche se il libro di Ackerman non era ancora stato pubblicato quando ho iniziato a considerare la storia di Schiff una dozzina di anni fa, molti altri scrittori avevano unito questi due argomenti in modo simile, così ho deciso di esplorare la questione.

 

Lo stesso Ford era un individuo molto interessante, e il suo ruolo storico-mondiale ha certamente ricevuto una copertura molto scarsa nei miei libri di storia di base. Anche se le ragioni esatte della sua decisione di aumentare il salario minimo a 5 dollari al giorno nel 1914– il doppio della retribuzione media esistente per i lavoratori dell'industria in America – possono essere contestate, sembra certamente che abbia giocato un ruolo enorme nella creazione della nostra classe media. . Adottò anche una politica altamente paternalistica volta a fornire buoni alloggi aziendali e altre comodità ai suoi lavoratori, un totale allontanamento dal capitalismo del "Barone Ladro" così ampiamente praticato a quel tempo, affermandosi così come un eroe mondiale per i lavoratori dell'industria e i loro lavoratori. sostenitori. In effetti, lo stesso Lenin aveva considerato Ford una figura imponente nel firmamento rivoluzionario mondiale, sorvolando sulle sue opinioni conservatrici e sul suo impegno verso il capitalismo e concentrandosi invece sui suoi notevoli risultati nella produttività dei lavoratori e nel benessere economico. È un dettaglio storico dimenticato che, anche dopo che la notevole ostilità di Ford nei confronti della rivoluzione russa divenne ampiamente nota, i bolscevichi continuarono a descrivere la loro politica di sviluppo industriale come "fordismo". In effetti, non era raro vedere ritratti di Lenin e Ford appesi fianco a fianco nelle fabbriche sovietiche , che rappresentavano i due più grandi santi laici del pantheon bolscevico.

 

 

Per quanto riguarda I lDearborn Independent, Ford aveva apparentemente lanciato il suo giornale su base nazionale non molto tempo dopo la fine della guerra, con l'intenzione di concentrarsi su argomenti controversi, in particolare quelli legati al comportamento scorretto degli ebrei, la cui discussione credeva fosse ignorata o soppressa da quasi tutti. tutti i principali mezzi di informazione. Sapevo che era stato a lungo una delle persone più ricche e stimate d'America, ma rimasi comunque stupito nello scoprire che il suo giornale settimanale, prima quasi sconosciuto a me, aveva raggiunto una tiratura nazionale totale di 900.000 copie nel 1925. , classificandolo come il secondo più grande del paese e di gran lunga il più grande con distribuzione nazionale. Non ho trovato mezzi facili per esaminare il contenuto di un tipico numero, ma a quanto pare gli articoli antiebraici dei primi due anni erano stati raccolti e pubblicati come brevi libri, costituendo insieme i quattro volumi di The International Jew: The World's Foremost Problem A questo punto, , un'opera notoriamente antisemita menzionata occasionalmente nei miei libri di storia. Alla fine la mia curiosità ha avuto la meglio su di me, quindi ho cliccato su alcuni pulsanti su Amazon.com, ho comprato il set e mi sono chiesto cosa avrei scoperto.

 

Sulla base di tutti i miei presupposti, mi aspettavo di leggere qualche massetto con la bava alla bocca, e dubitavo che sarei stato in grado di superare la prima dozzina di pagine prima di perdere interesse e consegnare i volumi a prendere polvere sui miei scaffali. Ma quello che ho incontrato in realtà è stato qualcosa di completamente diverso.

 

Negli ultimi vent'anni, l'enorme crescita del potere dei gruppi ebraici e filo-israeliani in America ha occasionalmente portato gli scrittori a sollevare con cautela alcuni fatti riguardanti l'influenza negativa di quelle organizzazioni e attivisti, sottolineando sempre attentamente che la stragrande maggioranza di Gli ebrei comuni non traggono beneficio da queste politiche e anzi potrebbero esserne danneggiati, anche tralasciando il possibile rischio di provocare eventualmente una reazione antiebraica. Con mia notevole sorpresa, ho scoperto che il materiale nella serie di 300.000 parole di Ford sembrava seguire esattamente lo stesso schema e lo stesso tono.

 

I singoli 80 capitoli dei volumi di Ford trattano generalmente questioni ed eventi particolari, alcuni dei quali erano ben noti a me, ma la maggior parte completamente oscurati dal passare di quasi cento anni. Tuttavia, per quanto ne so, quasi tutte le discussioni sembravano abbastanza plausibili e orientate ai fatti, anche a volte eccessivamente caute nella loro presentazione, e con una possibile eccezione non riesco a ricordare nulla che sembrasse fantasioso o irragionevole. Ad esempio, non c'era alcuna pretesa che Schiff oi suoi colleghi banchieri ebrei avevano finanziato la rivoluzione bolscevica dal momento che quei fatti particolari non erano ancora venuti alla luce, ma solo che era sembrava essere fortemente favorevole al rovesciamento dello zarismo, e aveva lavorato a tal fine per molti anni, motivato da ciò che considerava l'ostilità dell'Impero russo verso i suoi sudditi ebrei. Questo tipo di discussione non è poi così diversa da quella che si potrebbe trovare in una moderna biografia di Schiff o nella sua voce su Wikipedia, anche se molti dei dettagli importanti presentati nei libri di Ford sono scomparsi dalla documentazione storica.

 

Anche se in qualche modo sono riuscito a sfogliare tutti e quattro i volumi diThe International Jew,l'incessante tambureggiare degli intrighi e dei comportamenti scorretti degli ebrei è diventato un po' soporifero dopo un po', soprattutto perché molti degli esempi forniti possono essere stati piuttosto importanti nel 1920 o nel 1921, ma oggi sono stati quasi completamente dimenticati. La maggior parte del contenuto era una raccolta di lamentele piuttosto monotona riguardante le malefatte, gli scandali o la clandestinità ebraica, il tipo di domande banali che normalmente potrebbero apparire sulle pagine di un normale giornale o rivista, per non parlare di uno del tipo muckraking .

 

Tuttavia, non posso criticare la pubblicazione per avere un focus così ristretto. Un tema ricorrente era che, a causa del timore intimidatorio nei confronti degli attivisti e dell'influenza ebraica, praticamente tutti i media regolari americani evitavano la discussione di qualsiasi di queste importanti questioni, e poiché questa nuova pubblicazione aveva lo scopo di riempire quel vuoto, necessariamente forniva una copertura estremamente distorta. verso quel particolare argomento. Gli articoli miravano anche ad espandere gradualmente la finestra del dibattito pubblico e, infine, a indurre altri periodici a discutere del comportamento scorretto degli ebrei. Quando riviste importanti come The Atlantic Monthly e Century Magazine iniziarono a pubblicare tali articoli, questo risultato fu salutato come un grande successo.

 

Un altro obiettivo importante era quello di rendere gli ebrei comuni più consapevoli del comportamento molto problematico di molti leader delle loro comunità. Di tanto in tanto, la pubblicazione riceveva una lettera di elogio da un autoproclamato "orgoglioso ebreo americano" che elogiava la serie e talvolta includeva un assegno per acquistare abbonamenti per altri membri della sua comunità, e questo risultato poteva diventare oggetto di una discussione approfondita.

 

E anche se i dettagli di queste storie individuali differivano considerevolmente da quelli di oggi, il modello di comportamento critico sembrava notevolmente simile. Cambiate alcuni fatti, aggiustate la società per un secolo di progresso, e molte delle storie potrebbero essere esattamente le stesse di cui le persone ben intenzionate a preoccuparsi del futuro del nostro paese stanno tranquillamente discutendo oggi. La cosa più notevole è che c'erano anche un paio di articoli sul rapporto travagliato tra i primi coloni sionisti in Palestina ei palestinesi nativi circostanti, e profonde lamentele sul fatto che, sotto la pressione ebraica, i media spesso riportavano in modo completamente errato o nascondevano alcuni degli oltraggi subiti da quest'ultimo gruppo.

 

Non posso garantire l'accuratezza complessiva del contenuto di questi volumi, ma per lo meno costituirebbero una fonte estremamente preziosa di "materia prima" per ulteriori indagini storiche. Molti degli eventi e degli incidenti che raccontano sembrano essere stati completamente omessi dalle principali pubblicazioni mediatiche di quel tempo, e certamente non sono mai stati inclusi nelle narrazioni storiche successive, dato che anche storie ampiamente conosciute come il grande sostegno finanziario di Schiff ai bolscevichi sono state completamente gettate nel "buco della memoria" di George Orwell.

 

 

Ho trovato queste rivelazioni scioccanti, sia per quanto riguarda il ruolo cruciale di “Jacob Schiff” nella rivoluzione bolscevica, sia per il contenuto piuttosto banale e plausibile della famigerata opera di Ford The International Jew . Ciò mi ha costretto a rivalutare completamente il mio quadro di ipotesi e, nel mio articolo successivo, ho indagato attentamente la realtà storica dell'"antisemitismo".

 

Di recente ho pubblicato un paio di lunghi saggi e, sebbene si concentrassero principalmente su altre domande, il tema dell'antisemitismo era un forte tema secondario. A questo proposito, ho menzionato il mio shock nello scoprire una dozzina o più di anni fa che molti degli elementi più palesemente assurdi della follia antisemita, che avevo sempre respinto senza considerazione, erano probabilmente corretti.

 

Quando si scopre che domande di così grande importanza non solo si sono apparentemente verificate, ma che sono state escluse con successo da quasi tutte le nostre storie e dalla copertura mediatica per la maggior parte degli ultimi cento anni, le implicazioni richiedono un po' di tempo per essere digerito correttamente. Se le "menzogne antisemite" più estreme fossero probabilmente vere, allora sicuramente l'intera nozione di antisemitismo merita un attento riesame.

 

Tutti noi otteniamo la nostra conoscenza del mondo attraverso due canali diversi. Alcune cose le scopriamo dalle nostre esperienze personali e dall'evidenza diretta dei nostri sensi, ma la maggior parte delle informazioni ci arriva attraverso fonti esterne come i libri ei media, e una crisi può svilupparsi quando scopriamo che questi due percorsi sono in forte conflitto.

I media ufficiali della vecchia URSS erano soliti strombazzare all'infinito le enormi conquiste del suo sistema agricolo collettivizzato, ma quando i cittadini si accorsero che non c'era mai carne nei loro negozi, la "Pravda" divenne una parola d'ordine per "Menzogna" " piuttosto che "Verità".

 

Consideriamo ora la nozione di "antisemitismo".

Le ricerche su Google per quella parola e le sue varianti simili rivelano oltre 24 milioni di risultati, e nel corso degli anni ho sicuramente visto quel termine decine di migliaia di volte nei miei libri e giornali, e l'ho sentito riportare all'infinito nei I miei media elettronici e nell'intrattenimento.

Ma ripensandoci, non sono sicuro di poter ricordare un solo caso di vita reale in cui mi sia imbattuto personalmente, né ho sentito parlare di quasi nessun caso del genere dai miei amici o conoscenti.

In effetti, le uniche persone che hanno mai incontrato fare tali affermazioni erano individui che portavano segni inequivocabili di gravi squilibri psicologici.

Quando i quotidiani sono pieni di racconti raccapriccianti di orribili demoni che camminano in mezzo a noi e attaccano la gente ad ogni angolo di strada, ma tu stesso non ne hai mai visto uno, potresti gradualmente diventare sospettoso.

 

Nel corso degli anni alcune delle mie ricerche hanno portato alla luce un netto contrasto tra immagine e realtà.

Alla fine degli anni '1990, i principali media mainstream come il “New York Times” stavano ancora denunciando una delle migliori scuole della Ivy League come Princeton  il presunto antisemitismo della sua politica di ammissione al college, ma alcuni anni fa, quando indagavo attentamente la questione in termini quantitativi per la mia lunga analisi sulla meritocrazia.

Sono rimasto molto sorpreso di giungere a una conclusione diametralmente opposta.

 Secondo le migliori prove disponibili, i gentili bianchi avevano oltre il 90% in meno di probabilità di essere iscritti ad “Harvard” e nelle altre” Ivie” rispetto agli ebrei con risultati accademici simili, una scoperta davvero notevole.

 Se la situazione fosse stata invertita e gli ebrei avrebbero avuto il 90% in meno di probabilità di essere trovati ad “Harvard” di quanto sembrava giustificato dai loro punti nei test, sicuramente questo fatto sarebbe stato citato all'infinito come la prova assoluta dell'orrendo antisemitismo nell'America di oggi.

 

E' anche diventato evidente che una parte considerevole di ciò che passa per "antisemitismo" in questi giorni sembra estendere quel termine al di là di ogni riconoscimento. Poche settimane fa, una sconosciuta socialista democratica di 28 anni di nome Alexandria Ocasio-Cortez ha ottenuto una sorprendente vittoria alle primarie contro un democratico di spicco della Camera a New York City, e naturalmente ha ricevuto una bufera di copertura mediatica come risultato.

Tuttavia, quando è venuto fuori che aveva denunciato il governo israeliano per il suo recente massacro di oltre 140 manifestanti palestinesi disarmati a Gaza, sono apparse presto grida di "antisemiti", e secondo Google ci sono ora oltre 180.000 colpi di questo tipo che combinano il suo nome e quel duro termine accusatorio.

Era ovvio che nel mondo politico di oggi, l'"antisemitismo" era diventato un'accusa esagerata, persino priva di significato. Così ho deciso di esplorare attentamente la sua realtà storica nel passato, soprattutto negli anni precedenti la rivoluzione bolscevica, dato che il coinvolgimento molto pesante degli ebrei nell'evento aveva successivamente prodotto una reazione popolare in altri paesi.

 

 

Nel 1991 la Cambridge University Press pubblicò di Albert Lindemann, noto studioso dei movimenti ideologici europei, e il suo libro si concentrò esattamente su quell'epoca e su quel tipo di incidenti.

Sebbene il testo sia piuttosto breve, meno di 300 pagine, Lindemann ha costruito la sua discussione su un'enorme base di letteratura secondaria, con le sue note a piè di pagina tratte dalle 200 opere incluse nella sua vasta bibliografia.

Per quanto ho potuto vedere, sembra uno studioso molto scrupoloso, in genere fornisce resoconti molteplici, spesso contrastanti, di un dato incidente, e giunge alle sue conclusioni con notevole esitazione.

 

 

Pochi anni dopo, Lindemann ha ampliato la sua analisi dell'antisemitismo storico in una trattazione molto più ampia, “Le lacrime di Esaù”,che è apparso nel 1997 ed è stato quasi il doppio, fornendo studi comparativi del panorama sociale in numerosi altri paesi, tra cui Germania, Gran Bretagna e Italia.

Presi insieme, i due volumi erano di quasi 900 pagine e costituivano una discussione molto approfondita e meticolosamente obiettiva su un fenomeno sociale così ampiamente trattato dai nostri media.

 

L'obiettivo principale di Lindemann e il fulcro del suo primo libro erano tre dei più noti esempi di antisemitismo al mondo prima della Prima Guerra Mondiale, che avevano avuto conseguenze fatali ea lungo termine mentre ricevevano attenzione nei miei libri di testo introduttivi.

 

Questo approccio è certamente dimostrato nel primo dei suoi casi principali, il famigerato affare Dreyfus della Francia del tardo XIX secolo, probabilmente uno dei più famosi incidenti antisemiti della storia. Sebbene concluda che il capitano Alfred Dreyfus era molto probabilmente innocente dell'accusa di spionaggio, nota le prove apparentemente assolutamente forti che inizialmente portarono al suo arresto e alla sua condanna e non trova alcuna indicazione che le sue origini ebraiche abbiano avuto un ruolo nella sua situazione.

 

Tuttavia, egli nota parte del contesto sociale sottostante a questa feroce battaglia politica. Anche se solo un francese su mille era ebreo, solo pochi anni prima un gruppo di ebrei era stato il principale colpevole di diversi enormi scandali finanziari che avevano impoverito un gran numero di piccoli investitori, e i truffatori in seguito erano sfuggiti a qualsiasi punizione per mezzo dell'influenza politica e della corruzione.

Data questa storia, gran parte dell'indignazione degli anti-dreyfusardi probabilmente nacque dai loro timori che una spia militare ebrea proveniente da una famiglia molto ricca poteva essere in grado di camminare libero usando tattiche simili, e le affermazioni pubbliche secondo cui il fratello di Dreyfus stavamo offrendo enormi tangenti per ottenere il suo rilascio certamente rafforzarono questa preoccupazione.

 

La discussione di Lindemann sull'affare Leo Frank del 1913, in cui un ricco ebreo del nord che lavorava ad Atlanta fu accusato di aver aggredito sessualmente e ucciso una giovane ragazza, è ancora più interessante.

 Ancora una volta, nota che, contrariamente alla narrativa tradizionale, non sembra assolutamente alcun indizio che il background ebraico di Frank abbia avuto un ruolo nel suo arresto o condanna. Infatti, al suo processo furono invece i suoi avvocati difensori, ben pagati, che tentarono senza successo di "giocare la carta della razza" con i giurati, tentando brutalmente di deviare i sospetti su un lavoratore nero locale per mezzo di invettive a sfondo razziale.

 

Sebbene Lindemann consideri Frank probabilmente innocente, la mia lettura delle prove che presenta suggerisce la schiacciante probabilità della sua colpevolezza. Nel frattempo, sembra innegabile che lo sfogo della rabbia popolare contro Frank sia stato prodotto dal vasto oceano di denaro ebraico proveniente dall'esterno – almeno 15 milioni di dollari o più in dollari attuali – che è stato impegnato negli sforzi legali per salvare la vita di qualcuno ampiamente considerato un brutale assassino. Vi sono forti indicazioni che siano stati impiegati anche mezzi molto più impropri, tra cui corruzione e spaccio di influenze, tanto che, dopo che Frank fu condannato da una giuria di suoi pari e tredici ricorsi legali separati furono respinti, un governatore con forti legami personali con gli avvocati della difesa e gli interessi ebraici scelsero di risparmiare la vita di Frank pochi mesi prima di lasciare l'incarico. In queste circostanze, il linciaggio che ha impiccato Frank è stato visto dalla comunità come una semplice esecuzione della sua condanna a morte ufficiale con mezzi extragiudiziali.

 

Scoprii anche che le figure di spicco del movimento anti-Frank avevano opinioni molto più sfumate di quanto mi aspettassi.

 Ad esempio, lo scrittore populista “Tom Watsonera stato in precedenza un forte difensore dell'anarchica ebrea “Emma Goldman”, mentre denunciava ferocemente i Rockefeller, i Morgan ei Gould come i "veri distruttori" della democrazia jeffersoniana, quindi la sua indignazione per il fatto che Frank poteva sfuggire alla punizione per omicidio sembrava motivata dall'estrema ricchezza della famiglia di Frank e dei suoi sostenitori piuttosto che da sentimenti antisemiti preesistenti.

 

Dopo alcune ricerche e letture aggiuntive, alla fine ho concluso che le prove della colpevolezza di Frank erano assolutamente schiaccianti e ho persino scoperto che la comprensione tradizionale del caso era in realtà invertita.

Frank e i suoi alleati ebrei avevano disperatamente giocato sui famigerati sentimenti razzisti del Vecchio Sud, tentando di orchestrare il linciaggio di vari uomini neri totalmente innocenti al fine di nascondere la colpevolezza di Frank. Ma la giuria bianca del Sud ha visto il loro piano e Frank è stato condannato all'impiccagione, come ho ricapitolato in un articolo all'inizio di quest'anno.

 

La conclusione inequivocabile dell'analisi di Lindemann è che se gli imputati nei casi “Dreyfus” e “Frank” non fossero stati ebrei, avrebbero subito arresti e condanne identiche, ma in mancanza di una comunità ebraica ricca e politicamente mobilitata che si radunasse intorno a loro, avrebbero ricevuto le loro punizioni, giuste o ingiuste, e furono subito dimenticate.

 Invece, Theodor Herzl, il padre fondatore del sionismo, in seguito affermò che il massiccio antisemitismo rivelato dall'affare Dreyfus era la base del suo risveglio ideologico personale, mentre l'affare Frank portò alla creazione dell'American Anti-Defamation League. Ed entrambi questi casi sono entrati nei nostri libri di storia come tra gli esempi più noti di antisemitismo precedente alla Prima Guerra Mondiale.

 

La discussione di Lindemann sulle relazioni spesso difficili tra la riottosa minoranza ebraica della Russia e la sua enorme maggioranza slava è anch'essa piuttosto interessante, e fornisce numerosi esempi in cui i principali incidenti, che dimostrano l'enorme fascino del feroce antisemitismo, sono stati molto diversi da quanto suggerito dalla leggenda.

 Il famoso pogrom di Kishinev del 1903 fu ovviamente il risultato di una grave tensione etnica in quella città, ma contrariamente alle regolari accuse degli scrittori successivi, non sembra esserci assolutamente alcuna prova di un coinvolgimento di alto livello del governo, e le diffuse affermazioni di 700 morti che inorridirono così tanto il mondo intero furono grossolanamente esagerate, con solo 45 morti nei disordini urbani.

 “Chaim Weizmann”, il futuro presidente di Israele, in seguito promosse la storia che lui stesso e alcune altre coraggiose anime ebraiche avevano personalmente difeso il loro popolo con le rivoltelle in mano anche quando avevano visto i corpi mutilati di 80 vittime ebree.

 Questo racconto era totalmente inventato dal momento che Weizmann si trovava a centinaia di chilometri di distanza quando si verificarono i disordini.

 

Anche se la tendenza a mentire ed esagerare non era certo esclusiva dei partigiani politici dell'ebraismo russo, l'esistenza di una potente rete internazionale di giornalisti ebrei e di media influenzati dagli ebrei assicurava che tali storie di propaganda inventate ricevessero un'enorme diffusione in tutto il mondo, mentre la verità seguiva molto dopo, se non del tutto.

 

Per ragioni correlate, l'indignazione internazionale si è spesso concentrata sul confinamento legale della maggior parte degli ebrei russi nel "Pale of Settlement", suggerendo una sorta di severa reclusione;

ma quell'area era la sede tradizionale della popolazione ebraica e comprendeva un territorio vasto quasi quanto la Francia e la Spagna messe insieme.

Il crescente impoverimento degli ebrei dell'Europa orientale durante quell'epoca veniva spesso considerato una conseguenza della politica governativa ostile, ma la spiegazione ovvia era la straordinaria fecondità ebraica, che superò di gran lunga quella dei loro connazionali slavi, e li portò rapidamente a superare i posti disponibili.

 in qualsiasi delle loro tradizionali occupazioni di "intermediari", una situazione aggravata dalla loro totale riluttanza a dedicarsi all'agricoltura o ad altre attività di produzione primaria.

Le comunità ebraiche espressero orrore per il rischio di perdere i loro figli a causa della leva militare zarista, ma questo era semplicemente l'altra faccia della medaglia della piena cittadinanza russa che era stata loro concessa, e non diverso da quello che dovettero affrontare i loro vicini non ebrei.

 

Certamente gli ebrei russi soffrirono molto a causa delle rivolte diffuse e degli attacchi della folla nella generazione precedente la prima guerra mondiale, e questi a volte ricevettero un sostanziale incoraggiamento da parte del governo, soprattutto in seguito al ruolo molto pesante degli ebrei nella rivoluzione del 1905. Ma dovremmo tenere presente che un cospiratore ebreo era stato implicato nell'uccisione dello zar Alessandro II, e che assassini ebrei avevano anche ucciso diversi importanti ministri russi e numerosi altri funzionari governativi.

Se negli ultimi dieci o due decenni i musulmani americani avessero assassinato il presidente in carica, vari membri di spicco del governo e una serie di altri funzionari eletti e nominati, sicuramente la posizione dei musulmani in questo paese sarebbe diventata molto scomoda.

 

Questi casi sono ampiamente considerati come tre degli esempi più eclatanti di antisemitismo in tutta la storia umana, e separatamente diedero vita al movimento sionista, portarono alla fondazione dell'ADL e ispirarono il fervore rivoluzionario e anti-zarista e finanziamenti che alla fine portarono alla rivoluzione bolscevica.

Tuttavia, se visti alla fredda luce della realtà, non mi era chiaro se qualcuno di essi costituisse effettivamente "antisemitismo" nel senso legittimo del termine, e lo stesso era generalmente vero per il lungo elenco di incidenti molto minori che si sono verificati. riempire il resto delle 900 pagine di Lindemann con un'attenta analisi storica.

Tutto ciò suggerisce che l'"antisemitismo" è sempre stato più un fantasma ideologico utilizzato come arma politica piuttosto che qualsiasi tipo di concetto significativo nel mondo reale, non solo oggi ma anche nel passato storico.

Alcuni studiosi ebrei, restii ad accettare questa possibilità, sembrarono riconoscere immediatamente la potenziale minaccia politica posta dagli studi oggettivi di Lindemann e reagirono di conseguenza, sebbene i loro duri attacchi furono respinti da altri accademici, apparentemente meno ideologicamente guidati:

Ma anche se ho trovato la sua analisi molto utile e interessante, gli attacchi straordinariamente duri che il suo testo ha provocato da parte di alcuni accademici ebrei indignati mi sono sembrati ancora più intriganti.

Non ero il solo a reagire in questo modo.

“ Richard S. Levy” dell'Università dell'Illinois, un noto studioso di antisemitismo, espresse stupore per lo sfogo apparentemente irrazionale di “Wistri”ch”, mentre “Paul Gottfried”, scrivendo in “Chronicles”, suggerì gentilmente che Lindemann” avesse "toccato nervi scoperti".

In effetti, la valutazione di “Gottfrie”d ha giustamente criticato Lindemann per essere stato forse un po' troppo imparziale, a volte presentando numerose analisi contrastanti senza scegliere tra di esse.

Per chi fosse interessato, una buona discussione del libro di “Alan Steinweis”, uno studioso più giovane specializzato nello stesso argomento, è comodamente disponibile online .

 

La notevole ferocia con cui alcuni scrittori ebrei attaccarono il meticoloso tentativo di “Lindemann” di fornire una storia accurata dell'antisemitismo potrebbe avere più significato di un semplice scambio di parole rabbiose in pubblicazioni accademiche a bassa diffusione.

 Se i nostri media mainstream modellano la nostra realtà, i libri accademici e gli articoli che influenzano tendono a definire i contorni di quella copertura mediatica.

 E la capacità di un numero relativamente piccolo di ebrei agitati ed energici di vigilare sui confini accettabili delle narrazioni storiche può avere enormi conseguenze per la nostra società nel suo complesso, dissuadendo gli studiosi dal riportare oggettivamente fatti storici e impedendo agli studenti di scoprirli.

 

Gli ebrei come popolo sono esistiti per migliaia di anni e il loro conflitto, spesso aspro, contro gli altri intorno a loro risale certamente a quel periodo molto lontano, con “Wistrich” che ha pubblicato un libro intitolato” Antisemitismo: l'odio più lungo”.

 La voce di Wikipedia sulla storia dell'antisemitismo è di 18.000 parole, contiene una moltitudine di riferimenti e ben oltre 200 note a piè di pagina.

Come abbiamo visto sopra, le prove storiche dell'esistenza dell'"antisemitismo" in qualsiasi senso significativo sembrano davvero piuttosto scarse, e tale apparente ostilità è stata di solito fabbricata da resoconti pesantemente distorti o è apparsa in risposta diretta a provocazioni ebraiche molto serie.

Con forse 20.000 palestinesi di Gaza che sono stati massacrati dagli ebrei, non dubito che i miserabili sopravvissuti provino attualmente una grande ostilità nei confronti del gruppo responsabile, ma come potremmo aspettarci qualcosa di diverso?

 Otteniamo qualche intuizione in più etichettando questa animosità come "antisemitismo"?

 

Nel frattempo, in netto contrasto, i principi fondamentali del giudaismo tradizionale hanno sempre incluso un'enorme quantità di ostilità intrinseca verso tutti i non ebrei, qualcosa che è stato ampiamente sottolineato per migliaia di anni. Vieni ho discusso nel 2018:

 

Ovviamente al giorno d'oggi il “Talmud” difficilmente viene letto regolarmente tra gli ebrei comuni, e sospetto che, ad eccezione dei fortemente ortodossi e forse della maggior parte dei rabbini, appena una piccola parte sia consapevole dei suoi insegnamenti altamente controversi.

Ma è importante tenere presente che fino a poche generazioni fa, quasi tutti gli ebrei europei erano profondamente ortodossi, e anche oggi direi che la stragrande maggioranza degli ebrei adulti avesse nonni ortodossi.

Modelli culturali e atteggiamenti sociali altamente distintivi possono facilmente penetrare in una popolazione considerevolmente più ampia, soprattutto in quella che rimane ignara dell'origine di tali sentimenti, una condizione che rafforza la loro influenza non riconosciuta.

Una religione basata sul principio "Ama il tuo prossimo" può o meno essere praticabile nella pratica, ma una religione basata sul principio "Odia il tuo prossimo" potrebbe avere effetti a catena culturale a lungo termine che si estendono ben oltre la comunità diretta delle persone profondamente pie.

Se a quasi tutti gli ebrei per mille o duemila anni è stato insegnato a provare un odio ribollente verso tutti i non ebrei e hanno anche sviluppato un'enorme infrastruttura di disonestà culturale per mascherare tale atteggiamento, è difficile credere che una storia così sfortunata abbia avuto assolutamente nessuna conseguenza per il nostro mondo attuale, o per quello di un passato relativamente recente.

 

Nonostante questi fatti, il potere significativo del termine "antisemitismo" ha contribuito a far sì che qualsiasi ostilità manifestata dai gentili nei confronti degli ebrei goda di un profilo enormemente più alto di qualsiasi ostilità reciproca nella direzione opposta, con quest'ultimo privo di qualsiasi nome che dia al concetto un significato solido.

In effetti, nel corso degli anni ho visto occasionalmente alcuni attivisti anti-ebraici tentare di colmare questa lacuna inventando nuovi termini come "anti-goyismo" o "loxismo", ma data la loro mancanza di potere mediatico, nessuno di questi ha preso piede.

 

Anche se nominato o meno, il fenomeno è certamente reale, e di tanto in tanto trapelano frammenti di prova. Nonostante l'attuale rapporto di 100 a 1 tra le vittime civili, la tendenziosa propaganda filo-israeliana ha attualmente alimentato enormi livelli di odio ebraico verso palestinesi, arabi e musulmani, che a volte porta a eclatanti incidenti nel mondo reale. Solo pochi giorni fa, un ex funzionario ebreo del Dipartimento di Stato, una figura di alto livello che era stata responsabile delle relazioni Israele/Palestina nell'amministrazione Obama, è stato ripreso in un video mentre rimproverava un venditore ambulante di carretti alimentari immigrato egiziano a New York City, promettendo utilizzare i suoi potenti legami politici per far torturare e uccidere brutalmente la famiglia del povero.

 

 

Lo straordinario videoclip, insieme alle sue versioni più lunghe, ha ricevuto oltre 10 milioni di impressioni su Twitter e ha suscitato un tale furore da portare all'arresto dell'uomo con l'accusa di "molestie".

Poiché la vittima era musulmana, il comportamento oltraggioso è stato descritto come "islamofobo".

 Ma in circostanze leggermente diverse, sono sicuro che il bersaglio della sua ira avrebbe potuto facilmente essere un tedesco, un anglosassone o qualsiasi altro gruppo gentile, con un comportamento privo di qualsiasi nome identificativo. In effetti, lo stesso colpevole avrebbe aggredito e insultato in modo simile i cittadini di etnia russa all'inizio di quest'anno.

 

Solo poche settimane fa, una figura politica israeliana di spicco intervistata su “KremlinTV”aveva denunciato la Russia per non essere sufficientemente filo-israeliana nell'attuale conflitto e aveva minacciato oltraggiosamente il paese che possiede il più grande arsenale nucleare del mondo:

Infine, nell'esempio più sorprendente di tutti, l'emittente nazionale israeliana ha pubblicato un video di propaganda che mostra dolci bambini israeliani che cantano canzoni che invocano l'annientamento totale di Gaza e di tutti i suoi abitanti.

 Il video è stato infine cancellato dopo che gli israeliani si sono resi conto che altri popoli in tutto il mondo potrebbero avere altri modi di pensare e potrebbero considerarlo inappropriato.

Copia questo sorprendente video musicale rimangono in circolazione e sono state viste molti milioni di volte in tutto il mondo, forse fornendo un'importante visione del pensiero degli ebrei israeliani, e questo episodio significativo è stato discusso su “Grayzon”e.

 

 

Nella sua aspra critica, “Max Blumenthal” ha definito questo video israeliano "nazista", ma penso che quasi certamente si sbagli.

Se un simile progetto di propaganda ufficiale fosse mai stato intrapreso nel Terzo Reich di Adolf Hitler, sicuramente sarebbe diventato il fulcro di ogni documentario americano che cercasse di dimostrare l'indicibile male della Germania nazista.

 In effetti, sospetto che l'idea che il governo tedesco insegni ai bambini tedeschi a cantare canzoni che incitano all'annientamento totale degli ebrei o di qualsiasi altro gruppo sarebbe stata del tutto inimmaginabile in quella società.

Come ho suggerito, quasi scherzosamente, in un articolo del 2018, il nazismo potrebbe ragionevolmente essere caratterizzato come "ebraismo per deboli".

 

Ho spiegato che decenni fa una manciata di scoperte scioccanti mi hanno portato a rivalutare completamente la mia comprensione del mondo e a iniziare a considerare idee che in precedenza avrei respinto. Ho il sospetto che le immagini grafiche provenienti dalla Gaza distrutta e alcuni dei comportamenti sorprendenti dei leader governativi israeliani e dei suoi sostenitori impegnati possano ora avere un effetto simile su centinaia di milioni di individui in tutto il mondo, compresi alcuni nel nostro stesso paese. E questa potrebbe essere la più importante conseguenza a lungo termine degli eventi sanguinosi innescati dall'attacco di Hamas il mese scorso.

 

Dobbiamo distinguere attentamente tra le realtà del mondo e le convinzioni estreme che agitati propagandisti ebrei hanno spesso proiettato sui loro vari avversari, sia passati che presenti. Ho toccato questo tema in molti dei miei articoli dell'inizio di quest'anno, pubblicati prima dello scoppio dell'attuale conflitto Israele/Gaza. 

Commenti

Post popolari in questo blog

Quale futuro per il mondo?

Co2 per produrre alimenti.

Caos e dazi.