Governo globale.

 

Governo globale.

 

 

2024: l'anno in cui il governo

globale prende forma.

Zerohedge.com - TYLER DURDEN – (03/GEN/2024) - Kit Knightly via Off-Guardian.org – ci dice:

 

Il governo globale è la fine del gioco. Lo sappiamo.

Controllo totale di ogni aspetto della vita per ogni singola persona sul pianeta, questo è l'obiettivo.

Questo è stato evidente a chiunque abbia prestato attenzione per anni, se non decenni, e ogni piccola parte di dubbio rimanente è stata rimossa quando il Covid è stato lanciato e i membri dell'establishment hanno iniziato a dirlo apertamente.

Il Covid ha segnato un'accelerazione dell'agenda globalista, una folle corsa verso il traguardo che sembra aver perso slancio prima della vittoria, ma la corsa è ancora in corso.

L'obiettivo non è cambiato, anche se gli anni successivi potrebbero aver visto l'agenda ritirarsi leggermente nell'ombra.

Sappiamo cosa vogliono concettualmente, ma cosa significa in pratica?

Che aspetto ha un potenziale "governo globale"?

Prima di tutto, parliamo di ciò che NON vedremo.

1) – Non si dichiareranno.

No, quasi certamente non ci sarà mai un "governo mondiale" ufficiale, almeno non per molto tempo ancora.

Questa è una lezione che hanno imparato dal Covid: dare un nome e un volto al globalismo non fa altro che fomentare la resistenza collettiva ad esso.

2) – Non aboliranno la nazione.

Potete star certi che Klaus Schwab (o chiunque altro) non apparirà mai in simulcast su tutte le televisioni del mondo annunciando che ora siamo tutti cittadini di “ze vurld” e che gli stati nazionali non esistono più.

In parte perché è probabile che ciò concentri la resistenza (vedi punto 1), ma soprattutto perché il tribalismo e il nazionalismo sono troppo utili a tutti gli aspiranti manipolatori dell'opinione pubblica. E, naturalmente, la continuazione dell'esistenza degli stati nazionali non preclude in alcun modo l'esistenza di un sistema di controllo sovranazionale, non più di quanto l'esistenza del Rhode Island, della Florida o del Texas precluda l'esistenza del governo federale.

 

3) – Non ci sarà mai una dichiarazione esplicita di un cambiamento di sistema.

Non ci verrà detto che siamo uniti sotto un nuovo modello, ma l'illusione della regionalità e della varianza superficiale camufferà la mancanza di una vera scelta in tutto il panorama politico.

Una sottile pelle poli sistemica tesa su uno scheletro mono sistemico.

 

Capitalismo, comunismo, socialismo, democrazia, tirannia, monarchia... Queste parole si diluiranno costantemente di significato, anche più di quanto non abbiano già fatto, ma non saranno mai abbandonate.

 

Ciò che il globalismo ci porterà – suggerisco – è un insieme di stati-nazione in gran parte solo di nome, che operano in modo superficialmente diversi sistemi di governo, tutti costruiti sugli stessi presupposti di base e tutti rispondenti a un'autorità superiore non eletta e non dichiarata.

... E se questo suona familiare, è perché è essenzialmente quello che abbiamo già.

Gli unici aspetti importanti che mancano sono i meccanismi attraverso i quali questo modello grezzo può essere trasformato in una rete fluida, dove tutti gli angoli sono erosi e tutti i veri poteri sovrani diventano del tutto vestigiali.

È qui che entrano in gioco i tre pilastri principali del dominio globale:

Moneta digitale.

Identificazione digitale.

"Azione per il clima."

 

Diamo un'occhiata a ciascuno di essi a turno.

 

1. DENARO DIGITALE.

Oltre il 90% delle nazioni del mondo è attualmente in procinto di introdurre una nuova valuta digitale emessa dalla propria banca centrale.

 “OffG” – e altri – hanno coperto la spinta per una “Central Bank Digital Currencies” (CBDC) per anni, al punto che non abbiamo bisogno di rivangare vecchi punti di discussione qui.

In poche parole, il denaro interamente digitale consente una sorveglianza totale di ogni transazione.

Se la valuta è programmabile, consentirebbe anche il controllo di ogni transazione.

Puoi leggere il nostro ampio catalogo sulle” CBDC “per maggiori dettagli.

Chiaramente le” CBDC” sono un incubo potenzialmente distopico che violerà i diritti di chiunque sia costretto a usarle... ma come fanno a costituire un elemento costitutivo del “governo globale”?

La risposta è "interoperabilità".

 

Mentre le” CBDC” nazionali del mondo saranno teoricamente separate l'una dall'altra, la maggior parte viene codificata per riconoscersi e interagire tra loro.

Sono quasi tutti sviluppati secondo le linee guida prodotte dalla “Banca dei Regolamenti Internazionali” e da altre istituzioni finanziarie globaliste, e sono tutti programmati dalla stessa manciata di giganti della tecnologia.

 

Un rapporto del giugno 2023 per il “World Economic Forum” ha rilevato l'importanza dei "Principi di interoperabilità globale della valuta digitale della banca centrale" e ha concluso:

È fondamentale che le banche centrali diano priorità alle considerazioni sull'interoperabilità nelle prime fasi del processo di progettazione, aderendo a una serie di principi guida.

Per facilitare il coordinamento globale e garantire un'attuazione armoniosa delle” CBDC”, lo sviluppo di un insieme completo di principi e standard diventa imperativo.

Attingendo a precedenti ricerche e sforzi collaborativi, questo insieme di principi può fungere da solida base, guidando le banche centrali a considerare in modo proattivo l'interoperabilità fin dall'inizio delle loro iniziative “CBDC”.

Adottando questi principi, le banche centrali possono lavorare per creare un ecosistema “CBDC “coeso e interconnesso.

 

Commentando il rapporto, il sito web del “World Economic Forum” ha osservato:

Per garantire un'attuazione efficace e promuovere l'interoperabilità, il coordinamento globale diventa fondamentale [...] aderendo ai principi di interoperabilità, le “CBDC” possono progredire armoniosamente, portando a sistemi di pagamento digitali efficienti e interconnessi.

 

Non ci vuole un genio per decodificare "coordinamento globale", "ecosistema coeso", "progresso armonioso" e "sistemi di pagamento interconnessi".

Non c'è alcuna differenza pratica tra 195 valute digitali "interoperabili" e interconnesse e un'unica valuta globale.

In effetti, "interoperabilità" è la parola d'ordine per tutte le strutture di potere globaliste che vanno avanti.

Il che ci porta ordinatamente a...

2. IDENTITÀ DIGITALE.

La spinta globale per le identità digitali obbligatorie è ancora più antica dell'agenda delle valute digitali, risale all'inizio del secolo e alle "carte d'identità nazionali" di Tony Blair.

Per decenni è stata una "soluzione" postulata ad ogni "problema".

Terrorismo? L'identità digitale ti terrà al sicuro.

Immigrazione clandestina? L'identità digitale proteggerà il confine.

 

Pandemico? L'identità digitale terrà traccia di chi è vaccinato e chi no.

L'intelligenza artificiale? L'identità digitale dimostrerà chi è umano.

Povertà? L'identità digitale "promuoverà l'inclusione finanziaria".

 

Chiaramente, proprio come per le “CBDC”, un servizio di identità digitale di vasta portata è una minaccia per i diritti umani.

 E, proprio come con le “CBDC”, se si interconnettono le piattaforme nazionali di identità digitale è possibile costruire un sistema globale.

Ancora una volta, è tutta una questione di "interoperabilità".

Usano lo stesso identico linguaggio.

 

Il” programma Identity4Development” della “Banca Mondiale” afferma:

 

L'interoperabilità è fondamentale per lo sviluppo di ecosistemi di identità efficienti, sostenibili e utili.

I ministri per la digitalizzazione dei paesi nordici e baltici hanno chiesto pubblicamente” ID digitali operativi” "transfrontalieri".

“ONG” come “Open Identity Exchange” (OIX) stanno pubblicando rapporti sulla "necessità di standard di dati per consentire l'interoperabilità degli ID digitali sia nelle federazioni all'interno di un ecosistema “ID”, sia tra gli ecosistemi” ID".

L'elenco dei governi nazionali che introducono ID digitali, "collaborano" con i giganti aziendali per farlo e/o promuovono "l'interoperabilità transfrontaliera" è lungo e si allunga sempre di più.

Nell'ottobre 2023 il “Programma di Sviluppo” delle Nazioni Unite ha pubblicato le sue "linee guida" per la progettazione e l'utilizzo delle identità digitali.

Non c'è alcuna differenza pratica tra 195 piattaforme di identità digitale in rete e un “unico programma di identità globale”.

OK, quindi hanno programmi di valuta e identità globali in atto.

Ora possono controllare e monitorare i movimenti, le transazioni finanziarie, la salute e altro ancora di tutti.

 Questo è il meccanismo di sorveglianza e controllo, il tutto gestito in un modello distribuito progettato per offuscare l'esistenza stessa di un governo globale.

Ma per quanto riguarda la politica?

Come fa questo governo globale a tramandare la politica e la legislazione senza rivelare la sua esistenza?

 

Cambiamento climatico, ecco come.

 

3. "AZIONE PER IL CLIMA."

Il cambiamento climatico è stato in prima linea nell'agenda globalista per anni.

È il cavallo di del tecnocrate antiumano.

 

Già nel 2010, noti "esperti" di cambiamento climatico suggerivano che "gli esseri umani non sono abbastanza evoluti" per combattere il cambiamento climatico e che "potrebbe essere necessario mettere in pausa la democrazia per un po'".

Più di recente, nel 2019,” Bloomberg” ha pubblicato articoli con titoli come "Il cambiamento climatico ucciderà la sovranità nazionale come la conosciamo", e gli accademici ci dicono:

Gli Stati non saranno in grado di risolvere crisi globali come il cambiamento climatico fino a quando non rinunceranno alla loro sovranità.

Per anni il cambiamento climatico è stato venduto come la ragione per cui potremmo essere "costretti" ad abbandonare la democrazia o la sovranità.

Accanto a questo, c'è una prolungata narrazione propagandistica dedicata a trasformare il "cambiamento climatico" da una questione ambientale a una questione di tutto.

A questo punto tutti i governi nazionali concordano sul fatto che il "cambiamento climatico" è un problema urgente che richiede una cooperazione globale per essere risolto.

Ospitano grandi vertici in cui firmano accordi internazionali, vincolando gli stati nazionali a determinate politiche, per il bene del pianeta.

Avendo stabilito questo modello, stanno ora ampliando la portata del "cambiamento climatico".

Trasformare il "cambiamento climatico" nella risposta a ogni domanda:

Ovviamente, il "cambiamento climatico" avrebbe sempre avuto un impatto sull'energia e sui trasporti.

Dopo il Covid, il "cambiamento climatico" è già stato ribattezzato "crisi sanitaria".

Ora ci viene detto che il "cambiamento climatico" sta generando una crisi alimentare.

 

Ci viene detto che il commercio internazionale deve essere attento al clima.

La “Banca Mondiale” ci dice che la riforma dell'istruzione aiuterà “la lotta contro il cambiamento climatico”.

Il FMI ci ha detto che ogni paese del mondo dovrebbe tassare il carbonio e, in un recente episodio incrociato, che le “CBDC” possono essere buone per l'ambiente.

Vedi come funziona?

Agricoltura e alimentazione, salute pubblica, energia e trasporti, commercio, politica fiscale e fiscale, persino istruzione.

Quasi ogni area di governo è ora potenzialmente coperta dall'ombrello del "cambiamento climatico".

Non hanno più bisogno di un unico governo mondiale, hanno solo bisogno di un unico gruppo di "esperti internazionali imparziali sul cambiamento climatico" che lavorino per salvare il pianeta.

Attraverso la lente del "cambiamento climatico", questi esperti avrebbero il potere di dettare – scusate, raccomandare – la politica del governo in quasi ogni area della vita a ogni nazione del pianeta.

Lo vedi già?

 

Questo è un governo globale nel mondo moderno, non centralizzato ma distribuito.

Cloud computing.

 Una mente alveare sovranazionale corporativa-tecnocrate.

Senza un'esistenza o un'autorità ufficiale, e quindi senza responsabilità, e incanalando tutte le loro decisioni politiche attraverso un unico filtro: il cambiamento climatico.

Non ci sarà un'unica valuta globale, ci saranno decine e decine di valute digitali "interoperabili" che creeranno un "ecosistema di pagamento armonioso".

Non ci sarà un unico servizio di identità digitale globale, ci sarà una serie di "reti di identità interconnesse" impegnate nel "libero flusso di dati per promuovere la sicurezza".

Non ci sarà un governo globale, ci saranno gruppi internazionali di "esperti imparziali", nominati dall'”ONU” che fanno "raccomandazioni politiche".

La maggior parte o tutti i paesi del mondo seguiranno la maggior parte o tutte le raccomandazioni, ma chiunque chiami questi gruppi governi globali riceverà un “fact-checking” da “Snopes” o “Politifact” che evidenzia che "i gruppi di esperti delle Nazioni Unite NON costituiscono un governo globale perché non hanno potere legislativo".

Questo, a mio avviso, è il modo in cui il governo globale prenderà forma nel 2024 e oltre.

Compartimentato, assolutamente negabile... ma molto, molto reale.

 

 

 

Governance globale.

It.wikipedia.org – (28 luglio 2023) – Redazione – Creative Commons, wiki media – ci dice:

(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera).

L'idea di un possibile governo globale è una tesi che viene dibattuta in alcuni circoli intellettuali, è basata sull'osservazione che la crescente complessità di un mondo sempre più globalizzato potrebbe aver bisogno nel prossimo futuro di una qualche forma di ordinamento che agisca a livello globale.

 

La governance globale.

Lo stesso argomento in dettaglio:

Forme di Stato e forme di governo.

Data la sostanziale anarchia che regola attualmente i rapporti internazionali, si pone la necessità di una forma concettualmente nuova ed operativamente inedita di regolamentazione su scala mondiale.

 La sempre più fitta interdipendenza internazionale, unita alla persistenza di realtà culturali, politiche e sociali frammentate, potrebbe essere gestita da una governance globale.

Esistono a questo riguardo diverse strutture ideali, proposte dalle diverse scuole di pensiero.

A partire da esse si possono ipotizzare probabili scenari del mondo globale.

“Robert Keohane” pone come primario il problema della legittimazione dei decisori globali, che attualmente non rispondono delle loro azioni, se non alle loro strette istituzioni (governo, popolo specifico).

“James Rosenau” parla di un sistema di regolamentazione che possa prevenire specifici problemi, come evitare le guerre e politiche di riequilibrio globale, come tra l'altro, sostiene anche “Samuel Makinda”.

La costituzione di una governance globale, avrebbe una forma radicalmente diversa da quella della struttura nazionale.

Infatti, se sul nascere di queste ultime organizzazioni, vi erano delle condizioni dove c'era l'interesse nazionale contrapposto a tutti gli altri, in un contesto globale si parlerebbe di un singolo autocontrollo umano.

Negli ultimi anni l'ONU propone questa visione attraverso i vari segretari che si sono succeduti ma, secondo gli studiosi, la presenza reale di uno “Stato egemone” come gli USA, non permette una visione in prospettiva democratica del mondo dalla maggioranza degli uomini.

Le difficoltà di una governance globale.

La natura non solo istituzionale del problema della gestione delle società globalizzate produce una pluralità di posizioni teoriche, spesso contraddittorie:

Alcuni credono che sarà una naturale evoluzione della globalizzazione per cui non c'è bisogno di occuparsene.

Dopo l'11 settembre, quando anche la nazione egemone ha subito un grave attacco, è diminuito il numero degli studiosi che sostengono tale tesi.

La prospettiva realista afferma che, sostanzialmente, le interconnessioni della globalizzazione non hanno cambiato la funzione delle nazioni che resterebbero gli unici attori globali, con tutti i problemi di disuguaglianza che ne conseguono, nell'anarchia internazionale dove i più forti si comportano da egemoni.

Un'ultima prospettiva è rappresentata dalle interpretazioni neomarxiste per le quali la globalizzazione rappresenta il progetto statunitense di dominio globale.

Diverse concezioni di governance.

L'attuale estensione dell'Unione europea.

Quattro sono i modelli di governance globale:

L'internazionalismo liberal democratico che prefigura al centro le nazioni, ma regolate da un potere politico legittimo basato su principi di democrazia rappresentativa.

La democrazia radicale che pone al centro i movimenti globali, dotandoli di potere politico e favorendo una democrazia che vada dal basso verso l'alto.

La democrazia cosmopolita che pone una sovrastruttura globale ai poteri regionali, nazionali e locali.

La democrazia multipolare che giudica utopica quella cosmopolita, pone l'importanza su organi regionali sopranazionali simili all'Unione europea.

Modelli di sovranità.

“David Help” individua tre modelli, ognuno dei quali si associa ad una fase storica avente una sua forma di sovranità.

Il modello classico.

Dopo la pace di Vestfalia, gli stati nazionali sono stati convenzionalmente accettati come organizzazioni sovrane su un dato territorio e popolo.

 In questo modello restano delle lacune per quanto riguarda la regolazione dei rapporti internazionali, che resterebbero in uno scenario anarchico, dove ogni stato persegue il proprio interesse nazionale.

In questa anarchia globale i più forti primeggerebbero sui più deboli.

Il modello internazionale liberale.

Successivo al modello classico, dove si è assistito a come una sempre più forte interdipendenza fra nazioni, ha fatto in modo che si sviluppassero delle convenzioni universali che, di fatto, regolano l'operato dei governi.

“Help” classifica come limiti a tale modello, tre principali fattori:

Queste convenzioni che regolano dei paesi sostanzialmente diversificati economicamente e politicamente, non assicurano un democratico rimodellamento dell'anarchia internazionale.

A parte i successi significativi come la “Dichiarazione universale dei diritti umani”, ci sono anche dei clamorosi insuccessi come il” protocollo di Kyoto”, bocciato dagli USA che così facendo, ne hanno, di fatto, annullato la ragione d'esistere.

Esso non regola opportunamente i processi socioeconomici internazionali.

L'unico obbiettivo che si pone tale modello è limitare l'abuso dei governi nell'esercizio delle loro funzioni a livello globale, ma lascia insoluti i problemi sociali e le disuguaglianze economiche.

Il modello cosmopolitico.

“Help, al riguardo, espone quali sono i criteri su cui si potrebbe basare un futuro modello cosmopolitico di governance globale:

Principio di derivazione illuministica Ogni essere umano è formalmente uguale a un altro.

Principio dell'agire attivo La potenzialità di agire nell'interesse privato e pubblico di tutti i cittadini.

Principio di responsabilità Che pone i governatori responsabili nei confronti dei governati.

Principio del consenso Le decisioni devono essere basate su un democratico consenso.

Il principio della formazione collettiva delle decisioni Adozione di un sistema di maggioranza.

Principi di inclusività ed esclusività I criteri stabiliti per la partecipazione, e il forte decentramento del potere per permettere un potenziale decisionale generale.

Principi della soddisfazione dei bisogni Con una definizione delle priorità globali.

In base a questi principi, si potrebbe dar vita ad un assetto politico mondiale più responsabile, strutturato su più livelli e che con tassazioni e politiche economiche crei la strada per uno sviluppo sostenibile planetario democratico e eguale.

Questa strada non è necessariamente quella che si prenderà, ma è un modello possibile che dovrebbe ispirare le politiche e le società attuali del globo.

La critica realistica al cosmopolitismo.

“Stephen Krasner” è fautore di un'importante critica al cosmopolitismo, che schematizza in 9 punti fondamentali:

 

Lo Stato non sta perdendo la sua sovranità in conseguenza alla globalizzazione, ma è da sempre che rischia di perderla.

La sovranità non è vera nella sua accezione assoluta data l'interdipendenza globale, non solo oggi a causa della globalizzazione, ma è così da sempre.

Non è la pace di Westfalia ad aver fondato lo stato moderno, ma ci sono processi storici successivi che hanno contribuito significativamente a costruirlo.

Neanche l'accettazione di regimi dei diritti umani è una novità della globalizzazione, già in passato molti stati hanno subito richieste di stato egemoni.

Il controllo dello Stato sul suo territorio non è diminuito, grazie alle tecnologie sempre più sofisticate.

È accettata la tesi per cui il potere statale è in una fase di cambiamento delle proprie funzioni.

Anche il fatto che le organizzazioni non governative riescano sempre più a influenzare le decisioni degli stati è accettato.

Vero anche che la sovranità statale blocchi la risoluzione di conflitti.

Infine è vero che esempio determinante per una efficace governance mondiale, è l'Unione europea.

Se da un lato la critica è molto utile e colma bene i vuoti della democrazia cosmopolita, dall'altro lato non convincono alcune tesi come la non imitabilità dell'Unione europea da parte di altre regioni del mondo.

Il modello liberal democratico.

Questo modello propone di instaurare la democrazia liberale oltre i confini nazionali, con un accento specifico sul “problema dell'accountability” (Responsabilità politica), quindi sul come gestire in maniera democratica la responsabilità dei decisori nei confronti di chi subisce le decisioni.

“Keohane” critica i cosmopolitici definendo la loro teoria attraente ma utopica, in quanto il sistema mondo è piuttosto unificato economicamente e continua a farlo sempre di più, ma la società non è unica, ma anzi, è molto sfaccettata e presenta anche casi estremi anti etici ad una governance globale unica.

Presuppone invece, una società che sarebbe parziale invece che globale.

L'accountability.

Motivi chiave per cui è necessaria un'accountability responsabile:

l'autorizzazione ad agire nel nome di un popolo;

rendere conto dell'impiego liquido delle tassazioni;

essere responsabile nei confronti di chiunque è influenzato da una decisione.

Il terzo punto è una delle novità di un sistema inedito che è quello globale, e anche se appare irraggiungibile data l'opposizione dei governi, la richiesta generale di questo punto sarà sempre maggiore.

In primo luogo le grandi organizzazioni internazionali come “ONU”, “WTO” e “FMI” sono chiamate a rispondere del loro operato, che oggi è pressoché unilaterale o quasi.

 Il modello liberal democratico, appare dunque più fattibile, ma meno ambizioso.

Modello poliarchico.

Questo modello, proposto da “Alberto Martinelli”, tende a mettere assieme i fattori principali di tutti i modelli precedenti.

Il mondo è visto come un sistema unico e l'uomo come cittadino con più livelli di cittadinanza, che da quella globale arriva fino a quella locale.

Multipolare con un rafforzamento delle regioni su modello UE che permette un maggiore equilibrio politico nel contesto globale.

“Multilivello” nel senso che gli Stati nazionali restano organizzazioni centrali, ma si sovrappongono istituzioni regionali che non limitano, ma si aggiungono al potere nazionale.

“Multilaterale” con il potenziamento delle organizzazioni non governative in modo che possano democraticamente interagire con i poteri decisionali e influenzarne l'operato.

Il modello cosmopolita, come orizzonte lontano a cui mirare, ma da raggiungere in varie fasi.

Ma perché questo processo possa essere realmente applicato c'è bisogno che si sviluppino dei punti chiave quali:

Stipulare regole che siano coerenti con i valori condivisi dalla maggioranza.

La creazione di una cooperazione continua tra gli attori globali.

Lo sviluppo regionale tipo “UE”.

Rafforzamento politico delle realtà internazionali come “UE”, “ONU”.

Assetti politici della società internazionale.

I Paesi evidenziati in blu vengono definiti "Democrazie Elettorali" nel rapporto di “Freedom House” del 2016.

La mappa riflette le conclusioni dell'inchiesta della “Freedom House del 2010”, relativa allo stato della libertà nel mondo nel 2009.

Michael Walzer espone 7 possibili assetti politici nella governance globale:

 

Stato mondiale unificato – Potenzialmente tirannico.

Impero globale

 Stato egemone, quindi gli USA”, ma si presenta sconsigliabile a causa della persistenza delle disuguaglianze economiche e sociali tra chi è avvantaggiato e chi è nella “periferia”.

Stati uniti del mondo – Garantirebbe l'eguaglianza di diritti e doveri, ma non saprebbe far fronte in maniera adeguata alle disuguaglianze economiche e di potere.

Anarchia mitigata da poteri sopranazionali

Quindi pressoché il modello poliarchico, con maggiore forza ad organizzazioni internazionali e sopranazionali come ONU e UE.

Regime della società civile

Con al centro i movimenti internazionali, che acquistino democraticamente potere politico e che siano garanti del corretto funzionamento del sistema mondo.

Presentano il problema di reagire alle conseguenze e non di prevenirle o di costruire proposte alternative oltre ad essere poco efficaci negli atti decisionali a causa della fondamentale democrazia diretta che viene adottata.

Sistema internazionale di Stati sovrani

Quindi il rafforzamento di organizzazioni come l'ONU, l'FMI e il WTO,

che però lasciando elevato potere di sovranità non permette l'effettivo rispetto di tutti i membri dei principi umani oltre a non diminuire le disuguaglianze.

Anarchia internazionale

 Ha il vantaggio che gli Stati autonomamente sono capaci di difendere eccellentemente gli interessi locali, ma l'interesse nazionale in un quadro anarchico, porterebbe inevitabilmente alla guerra a causa dei contrasti nazionali.

Il quarto appare come il migliore in base al fatto che non intacca la nazionalità pur creando un potere globale, che però non sarà tirannico in base al principio del potere controlla il potere.

 

Gli scenari possibili della politica mondiale.

«È finito il tempo in cui esisteva una relazione “congrua”, simmetrica, tra coloro che prendevano le decisioni per la comunità nazionalmente delimitata e quanti erano interessati dalle conseguenze di tali decisioni; così come è finito il periodo in cui le frontiere potevano essere chiaramente definite e conosciute dalla comunità politica, e la democrazia rappresentativa sembrava offrire una soluzione al “problema dell’accountability” del potere nello Stato-nazione moderno».

(“David Held”: Ridefinire la governance globale: apocalisse subito o riforma)

I vantaggi egemoni degli USA, nel settantennio 1945-2015, furono:

Primato della ricerca.

Primato del potere militare.

Egemonia culturale capace di influenzare il mondo.

Economicamente hanno determinati vantaggi rispetto agli altri Paesi grazie alla loro influenza sulle organizzazioni economiche internazionali, ma d'altra parte il debito pubblico crescente e le economie cinese e indiana intaccano sempre di più il loro ruolo leader.

La politica USA degli ultimi anni, ha prodotto molte resistenze a livello globale:

dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 da parte del fondamentalismo islamico, e con l'allontanamento istituzionale degli storici alleati europei durante l'avvento della guerra in Iraq,

"assistiamo al crollo del modello deregolamentato neoliberista, al suo fallimento storico, ma questo non deve indurci a credere che anche la globalizzazione sia arrivata al capolinea.

 I processi sociali e le strutture che da questi derivano sono costruiti da differenti agenti sociali, ne riflettono le idee, gli orientamenti politici, gli interessi materiali e simbolici.

Anche il periodo della globalizzazione neoliberista e il sistema della massima deregolamentazione e del minimo controllo sono stati attivamente costruiti da alcuni attori.

Il cedimento dell’edificio neoliberista, costruito sulla convinzione che l’interesse personale e privato fosse il modo migliore per sorreggere l’edificio e gestire l’autoregolamentazione degli inquilini, porterà alla costruzione di un altro edificio (...)

 La prova sta nel fatto che alcuni Paesi (...) hanno adottato con attenzione e molto scrupolo il modello suggerito, e come risultato hanno ottenuto un considerevole abbassamento della crescita economica generale rispetto al periodo in cui non adottavano quel modello, che ha portato con sé alti livelli di disuguaglianza sociale e una povertà crescente.

Altri Paesi, invece, che hanno resistito a questo modello per ragioni politiche, per una forte mobilitazione interna o perché sufficientemente forti da poter rifiutare un gioco le cui regole erano stabilite altrove, hanno ottenuto risultati più positivi.

Cina e India, per esempio, sono Paesi che hanno integrato le proprie economie all'interno dell’economia globale con molta prudenza e cautela e che hanno usato politiche decisamente selettive, proteggendo alcuni settori industriali fino al momento in cui non hanno sentito di essere pronte per affrontare la competizione, riuscendo così a trarre profitto dalla globalizzazione senza cadere nella trappola della volatilità e degli shock subìti da altre economie nazionali".

Fattori che favoriscono ed ostacolano la governance globale.

La gestione della governance è caratterizzata da ostacoli e opportunità:

Fattori negativi:

Attori potenti come gli USA non hanno interesse a perdere democraticamente il ruolo di leader globali.

Le organizzazioni internazionali come ONU, WTO e FMI, anche se hanno favorito dei processi di sviluppo, sono allineati con le politiche degli Stati maggiori, soprattutto con gli USA.

Le disuguaglianze nel mondo tendenzialmente non diminuiscono, spesso si aggravano.

Emergono nuove fazioni fondamentaliste che minano il desiderio di un mondo globale.

Nei Paesi democratici si afferma una costante diminuzione della partecipazione, questo comporta minore fiducia nella democrazia, anche intesa come ideologia globale.

Esistono molti Paesi non democratici che per definizione non cercano certo il dialogo democratico internazionale, che minerebbe il loro essere autoritari.

Infine risulta difficile ripetere il processo democratico che è avvenuto negli Stati nazione, a causa della mancanza effettiva di un potere a cui forze sociali si contrappongono e trattano il loro potere politico contro le decisioni indiscriminate.

Fattori positivi:

La crescente consapevolezza di un destino comune da sempre più uomini sulla Terra e quindi un senso crescente di appartenenza a un sistema globale.

Il lento ma costante formarsi di attori internazionali sociali, che favoriscono l'interazione sociale senza intaccare libertà e culture locali.

La nascita di poteri sopranazionali come l'”Unione europea” che porta a un ridimensionamento degli attori globali oltre che un multilateralismo più efficiente nei confronti dei poteri egemoni.

La generale crescita culturale che porta al rispetto delle altre culture e al fertile confronto con esse.

 

 

 

 

 

Gli Uomini Palestinesi non

 sono “Terroristi in Divenire.”

Conoscenzealconfine.it – (2 Gennaio 2024) - Daniele Bianchi – ci dice:

 

Si ignora l’uccisione degli uomini palestinesi.

 La loro umanità viene cancellata e vengono ritratti collettivamente come “pericolosi uomini marroni” e “potenziali terroristi”.

Ciò, a sua volta, ne consente l’uccisione da parte di Israele.

In poco meno di tre mesi, più di 21.000 persone sono state uccise a Gaza, e molte altre corrono il rischio di malattie e morte a causa dei continui bombardamenti indiscriminati, dell’invasione di terra e dell’assedio da parte di Israele.

 C’è stato anche un aumento significativo della violenza dei coloni e del numero di omicidi da parte delle forze israeliane nella “Cisgiordania occupata”.

Nella copertura mediatica e nei resoconti delle organizzazioni per i diritti umani, delle “istituzioni internazionali” e delle “ONG”, soprattutto in Occidente, l’attenzione è stata attirata principalmente sugli attacchi di Israele contro donne e bambini palestinesi.

Gli esempi includono la cifra spesso citata di oltre 8.000 bambini uccisi e le notizie di molti bambini sottoposti ad amputazioni senza anestesia.

Anche i governi alleati di Israele hanno espresso preoccupazione per il numero sempre crescente di donne e bambini palestinesi morti.

 Il presidente francese “Emmanuel Macron”, ad esempio, ha dichiarato:

“Questi bambini, queste donne, questi anziani vengono bombardati e uccisi. Quindi non c’è alcuna ragione per questo e nessuna legittimità”.

Sebbene tali affermazioni denigrino giustamente l’uccisione di donne e bambini in Palestina, ignorano l’uccisione degli uomini.

 

Attraverso questo rifiuto di contare e piangere esplicitamente le loro morti, agli uomini palestinesi viene negato lo status civile.

La loro umanità viene cancellata e vengono ritratti collettivamente come “pericolosi uomini marroni” e “potenziali terroristi”.

Ciò, a sua volta, consente l’uccisione di uomini palestinesi da parte di Israele.

La loro uccisione è consentita proprio perché sono “uomini” palestinesi.

Il loro status di genere e razziale, in particolare la loro designazione generale come “terroristi di Hamas”, eclissa il loro status civile, ritenendoli uccidibili.

La loro uccisione è scusata e giustificata nel contesto                     dell’“antiterrorismo”.

Ad esempio, “Tzipi Hotovely”, l’ambasciatore israeliano nel Regno Unito, ha affermato in un’intervista televisiva a novembre che “oltre il 50%” delle persone uccise da Israele a Gaza in quest’ultima ondata di violenza erano “terroristi”.

Affinché una tale percentuale sia lontanamente accurata, tutti gli uomini morti (e anche i ragazzi più grandi) a Gaza devono essere presunti “terroristi” o almeno “terroristi in divenire”.

La demonizzazione generalizzata degli uomini – sostenuta da narrazioni secondo cui gli uomini di colore, soprattutto arabi, sono intrinsecamente inaffidabili, pericolosi e radicali – non è nuova.

Queste narrazioni, attualmente utilizzate da Israele e dai suoi alleati per giustificare la violenza genocida in Palestina, sono state costantemente utilizzate per giustificare l’uccisione di massa di uomini e ragazzi di colore nel corso degli anni, anche nel contesto della cosiddetta “Guerra al terrorismo globale” e le invasioni illegali dell’Iraq e dell’Afghanistan.

Questa non è una coincidenza.

 Il colonialismo e il genocidio richiedono la cancellazione dell’umanità e della storia delle persone.

Il colonialismo dei coloni israeliani mantiene il dominio attraverso la violenza e legittima questa violenza negando l’esistenza di una nazione palestinese e designando i palestinesi come meno che umani.

Negli ultimi tre mesi Israele ha ucciso, mutilato e fatto morire di fame decine di migliaia di palestinesi.

A Gaza, uomini e donne palestinesi stanno scavando i loro cari sotto gli edifici bombardati e seppellendo i loro bambini a mani nude.

Eppure nulla di tutto ciò è stato riconosciuto per quello che è:

gravi crimini contro i civili.

E le esperienze degli uomini palestinesi vengono completamente ignorate.

 Sono privati ​​di qualsiasi complessità che sottolinei la loro umanità.

Non sono visti come fornai, paramedici, giornalisti, poeti, negozianti, padri, figli e fratelli quali sono, ma bollati in massa come “terroristi”.

Nella vita sono ridotti a bersagli da eliminare.

 Nella morte, nella migliore delle ipotesi, sono considerati “danni collaterali”.

Nel peggiore dei casi, la loro uccisione violenta viene celebrata come una vittoria contro il “terrorismo”.

Naturalmente, come tutti gli esseri umani, gli uomini palestinesi hanno dei sentimenti.

Eppure, le loro paure, il loro dolore, l’ansia, la frustrazione o la vergogna vengono costantemente cancellate da qualsiasi narrativa che li riguardi.

L’unica emozione riconosciuta negli uomini palestinesi è la rabbia.

Eppure questa rabbia non è riconosciuta come una giusta risposta alla violenza e all’oppressione coloniale dei coloni.

 Viene invece vista come una rabbia barbara, irrazionale e pericolosa. Una rabbia che necessita di misure estreme per essere controllata, come gli assedi totali o i bombardamenti a tappeto.

L’occupazione decennale della Palestina da parte di Israele e il suo regime di apartheid significano che nulla di tutto ciò è una novità.

Quest’ultimo capitolo non ha fatto altro che accelerare un processo di disumanizzazione, demonizzazione e distruzione in corso da tempo.

I luoghi comuni sugli uomini palestinesi, la loro violenza intrinseca e la rabbia barbarica hanno due conseguenze principali:

 in primo luogo, rappresentano una minaccia esistenziale per gli uomini e i ragazzi palestinesi nei territori palestinesi occupati e ne consentono la mutilazione e l’omicidio.

 In secondo luogo, poiché contribuiscono a definire metà della popolazione palestinese come pericolosa e inaffidabile, rendono impossibile la fine della violenza.

In futuro, per correggere la rotta saranno necessarie le seguenti misure:

le narrazioni di “radicalizzazione” utilizzate da Israele e dai suoi alleati per giustificare la violenza, come la punizione collettiva, devono essere contrastate.

Qualsiasi accordo per il rilascio dei prigionieri deve includere uomini palestinesi, come le centinaia di persone detenute nella cosiddetta detenzione amministrativa.

Quando verrà concordata un’ulteriore “pausa umanitaria” o, si spera, un cessate il fuoco permanente, gli aiuti dovranno essere forniti per soddisfare i bisogni dei ragazzi e degli uomini insieme a quelli del resto della popolazione.

I coloni illegali dovrebbero essere ritenuti responsabili della violenza che hanno inflitto al popolo palestinese, compresi gli uomini e i ragazzi palestinesi che sono stati uccisi in modo sproporzionato.

 Nel lungo termine, occorre riconoscere il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, gli effetti della militarizzazione sulla società israeliana e gli effetti transgenerazionali del colonialismo dei coloni sulla società palestinese.

Oggi, i palestinesi di Gaza e del resto dei territori occupati vivono orrori inaccettabili.

Gli attuali attacchi di Israele contro Gaza, così come la sua decennale occupazione della Palestina e il regime di apartheid devono finire.

Ai palestinesi – uomini, donne e bambini – deve essere dato lo spazio per piangere ciò che hanno perso, curare le loro ferite e costruire un futuro per sé stessi.

Affinché ciò sia possibile, occorre innanzitutto accettare l’umanità dei palestinesi – di tutti i palestinesi.

Gli uomini e i ragazzi palestinesi, nella vita e nella morte, devono ricevere un riconoscimento significativo.

(Daniele Bianchi).

(oltrelalinea.news/gli-uomini-palestinesi-non-sono-terroristi-in-divenire/)

 

 

 

Ambientalismo e globalismo,

le ideologie più pericolose.

Lanuovabq.it – Stefano  Fontana – (20-11-2020) – ci dice:

 

IL XII RAPPORTO VAN THUAN.

L’ambientalismo è una grande bolla ideologica, il globalismo è un’etica dell’umanità con pochi e generici principi morali per una religione universale senza dogmi e dottrine.

 A questo progetto inquietante sta dando il proprio appoggio anche la Chiesa cattolica.

 Il dodicesimo Rapporto dell’”Osservatorio Cardinale Van Thuan” è dedicato a Ambientalismo e globalismo, le due ideologie più pericolose del momento, che puntano a convergere su un unico piano politico mondiale.

 

Ambientalismo e globalismo, secondo il “dodicesimo Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân” appena uscito per le edizioni Cantagalli (Siena, pp. 256), sono le due ideologie più pericolose del momento, tanto più perché convergono a tenaglia e fanno parte di un unico piano politico mondiale.

Forse mai un Rapporto è stato così tempestivo, uscendo a trattare un vivo argomento di attualità proprio quando la sua realizzazione è in preoccupante fase avanzata.

Tutti vedono, ma non tutti capiscono:

 il Rapporto serve a documentare, informare e mobilitare la resistenza.

L’ambientalismo di oggi è una grande bolla ideologica.

 Incubato da decenni, ora è giunto ad una fase programmaticamente pervasiva.

 L’idea di fondo è che l’ambiente è malato e la causa principale della malattia è l’uomo.

 Perfino il Covid, che con l’ambiente non ha niente a che fare, è stato proposto come sintomo della gravità del male che colpisce il pianeta.

Siamo vicini alla catastrofe:

il messaggio deriva non solo e non tanto da “Greta Thunberg”, davanti alla quale si sono prostrati interi parlamenti e Organismi internazionali, ma dalle agenzie ONU, dai centri di ricerca allineati, dalle grandi fondazioni, dai media del mondo intero e dagli opinions leaders del sistema.

Andremo incontro ad un devastante riscaldamento globale causato dalle nostre emissioni di anidride carbonica, saremo travolti da catastrofi climatiche e dovremo familiarizzare con pandemie ricorrenti.

Le risorse non rinnovabili si esauriscono, urge potenziare quelle rinnovabili e sostenibili e dare vita ad una “green economy” fondata sulla circolarità, la sostenibilità, l’equilibrio con la natura e su relazioni umane sobrie e solidali.

Questo “nuovo ordine ambientalistico” diventa però immediatamente politico.

 Bisogna collaborare tutti insieme, come anche il Covid ci avrebbe insegnato, e superare le barriere delle identità, le chiusure e i muri.

Bisogna arrivare ad una società aperta globale dotata di una governance – quando non anche di un governo – mondiale in grado di far fronte alle minacce altrettanto globali all’ambiente e, di riflesso, alla convivenza solidale tra gli uomini.

Un globalismo politico, però, sarebbe impossibile senza una società globale, omogeneizzata culturalmente in un’etica dell’umanità con pochi e generici principi morali vagamente umanistici e in una religione universale senza dogmi e dottrine definite.

L’etica naturale e la dottrina cattolica vanno semplificate nel dialogo interreligioso universalizzato in vista di una società multi-etnica e multi-religiosa, attuata anche tramite le immigrazioni.

Ecco così collegati tra loro l’ambientalismo e il globalismo in un unico progetto politico universale. Le forze che lo perseguono sono all’opera e la realizzazione è ad uno stadio avanzato.

A questo progetto piuttosto inquietante sta dando il proprio appoggio anche la Chiesa cattolica, decisamente orientata sullo stesso percorso dell’ONU e delle forze economiche, sociali e politiche che hanno il culto dell’ambiente, illudono su soluzioni utopistiche delle disuguaglianze economiche, propongono una fratellanza universale piatta e puntano ad un programma educativo mondiale collettivistico e uniformizzante.

Puntuale arriva allora il “Rapporto”, che prende una ad una questa tesi sinteticamente presentate e le smonta:

 il quadro non tiene, i dati vengono deformati strumentalmente, la realtà viene mistificata.

Il Rapporto è un vero e proprio manuale di controinformazione e di contrasto al nuovo regime che si vorrebbe imporre.

Sette autorevoli saggi e quindici cronache dalle diverse aree del pianeta decostruiscono la favola che ci viene raccontata e ci riportano alla realtà.

 Le cose non stanno come ce le stanno narrando.

“Riccardo Cascioli” spiega che l’enfasi attuale sulla “sostenibilità”, cavallo di battaglia dell’ambientalismo dominante, ha origini eugenetiche in quanto considera l’uomo come il predatore di una natura originariamente equilibrata la cui presenza è da ridurre.

 “Luis Carlos Molon” illustra come il riscaldamento globale non è da nessun punto di vista prodotto dall’uomo, sgonfiando così con dati alla mano una gigantesca balla che è stata fatta penetrare nel sentire collettivo tramite una disinformazione sistematica che non può che essere pianificata.

“Gianfranco Battisti “dimostra che la tesi dell’esaurimento delle risorse petrolifere è assolutamente insostenibile, per un motivo in particolare:

 nessuno conosce i dati in proposito perché le stime sono viziate in partenza dagli interessi delle multinazionali energetiche.

 

“Domenico Aroma” e “Antonio Casciano” denunciano il programma verde dell’Unione Europea che vorrebbe azzerare entro il 2050 i gas serra immessi nell’atmosfera.

Questo programma per i nostri autori avrebbe “poca scienza, molta ideologia, troppo dirigismo normativo”.

 “Don Mauro Gagliardi “ricostruisce correttamente la visione cattolica della creazione e la depura dalle sovrapposizioni ideologiche funzionali al “nuovo ambientalismo”.

“Mario Giaccio” apre una porta che si vuole tenere ermeticamente chiusa, quella delle speculazioni finanziarie sulle quote di emissione tra i Paesi europei:

la “green economy” non ha nessuna verginità da vantare dato che si fonda sulla speculazione finanziaria non meno dell’economia che si vorrebbe combattere.

 Infine” Gaetano Quagliariello”, con un ragionamento schiettamente politico, dice perché e come l’emergenza ecologista sia la via verso un nuovo ordine mondiale e di quale ordine (purtroppo) si tratti.

 

Nello stringente apparato con disinformativi che ci fa vedere ciò che non è e desiderare quanto non ci conviene, la boccata d’aria di questo” XII Rapporto dell’Osservatorio Van Thuân” ci voleva proprio.

 

Il mondo intero vuole il ponte sullo Stretto,

il Governo no: vada all’inferno.

Lacnews.it - Pino Aprile – (21 novembre 2021) – ci dice:

 

 

INFRASTRUTTURE.

Calabria, Sicilia, l'Unione Europea e l'economia mondiale ne hanno bisogno ma trovano opposizione da mezzo secolo.

L'attuale ministro alle infrastrutture “Giovannini”£ è degno erede di chi lo ha preceduto, cioè “Paola De Micheli”, la quale impedì che entrasse fra le opere del Pnrr.

Istruzione per il presepe:

quest'anno, Gesù Bambino non nasce in una grotta al freddo e al gelo, sulle colline di Betlemme, ma sul mare, sotto un ponte, anzi, sotto il “Ponte sullo Stretto di Messina”, a ridosso di un pilone, sulla costa calabra o quella siciliana, scegliete voi.

E chi non fa il presepe con il Ponte, deve andare all'inferno (e figuratevi chi non fa il Ponte!), secondo quanto ci limitiamo a divulgare e giunto dall'alto.

Quanto alto?

 Non possiamo dire di più.

E proviamoci così, con interventi ultraterreni inventati;

mentre mandare qualcuno meritatamente al diavolo ci sta davvero, perché ormai tutti gli altri non si sa più come dirlo che il Ponte s'ha da fare.

Addirittura (lo avrete letto), al recente G20, la riunione dei rappresentanti dei Paesi più potenti del mondo (non solo economicamente), tenutasi a Roma, il “Ponte sullo Stretto di Messina” sarebbe stato indicato come uno degli snodi del progetto di sviluppo planetario post-pandemia (“strategico per le maggiori economie mondiali”, secondo un resoconto pubblicato su “La Sicilia”:

al G20 c'erano Cina, Stati Uniti, India, Germania, Russia, Giappone, Unione Europea, Francia, Australia, Gran Bretagna, Canada, Brasile, Arabia Saudita:

insomma, ce n'erano argomenti di cui parlare, giusto?);

e non fare quel Ponte fra Calabria e Sicilia potrebbe compromettere disegni ben più grandi della Questione meridionale o delle pretese pigliatutto della “locomotiva padana”, ormai ferma da circa vent'anni.

 

E cosa c'entra il Ponte che non si deve fare, con l'economia planetaria?

Possibile che il mondo non sappia quello che è chiarissimo agli strateghi padani e terroni così bravi a spiegare che l'opera non è prioritaria (se è a Sud, non può esserlo: sta scritto nella Costituzione, quella vera; quella finta, nota come “la più bella del mondo”, dice che persino i meridionali hanno diritto ai trasporti, alla salute, allo studio, come tutti gli altri italiani.

Ma è solo un modo di dire, si sa;

infatti, quei diritti ai terroni sono negati e loro non protestano, a parte qualche maleducato e presuntuoso “sudista”);

non è prioritaria, perché, per collegare “la Sicilia alla Calabria” non ha senso spendere tutti quei soldi (un terzo di quanto si è regalato alla Lombardia per il fallimento dell'Expo2015: 18 miliardi, per incassare 400 milioni; più o meno la cifra sprecata sinora per il bidone del Mose di Venezia: la più grande fabbrica di tangenti di sempre);

 in fondo, sono solo cinque milioni di terroni in Sicilia:

unica isola al mondo, oltre i centomila abitanti, a non essere connessa da un ponte, per una distanza così breve, meno di tre chilometri.

 E poi, perché fare il Ponte, “invece di...” o “mentre bisognerebbe fare prima...”?

 

I pigliatutto della “locomotiva” padana (ormai spompata: le regioni del Nord sono in caduta libera da anni, nella classifica delle migliori europee) potrebbero spiegare agli sprovveduti del G20, che il futuro è oltre le Alpi, verso la Baviera, il Reno.

Mentre la Sicilia, la Calabria sono Africa, a che pro collegarle?

Invece le cose stanno esattamente al contrario:

con la globalizzazione, hanno preso il volo Paesi e subcontinenti (vedi Cina, India) che erano persi in fondo alla lista, a distanza ritenuta incolmabile dai primi della classe: Nord America, Europa.

 Era appena ieri, guardate dove stanno adesso.

L'egoismo rende stupidi:

l'errore degli strateghi padani a chilometro zero dal proprio naso, è guardare all'Africa con gli occhi di oggi, anzi: di ieri;

 pensandola irrimediabilmente condannata al sottosviluppo, alla povertà coloniale.

 Quelli del G20, invece, e pure l'Europa, guardano più lontano, al domani (in parte già all'oggi):

l'Africa sarà il continente a più alta crescita;

 la gravità della questione energetica e ambientale impone ai maggiori produttori, dalla Cina agli Stati Uniti, di accorciare tempi e distanze per l'Europa, grande consumatrice, e la fortuna è avere quel continente a un tiro di schioppo;

quindi, gli scali marittimi siciliani in ispecie e meridionali in genere diventano la porta d'ingresso in Europa per quel futuro (significa abbattere i costi di trasporto, di noleggio delle navi, dei container, anche se adesso dalla sponda Sud del Mediterraneo vediamo arrivare solo profughi); ma la cosa ha senso, solo se il Ponte elimina il danno di far impiegare ore, fra attesa, imbarco e sbarco, per l'attraversamento dello Stretto (pochi minuti: tre chilometri).

Ma il Ponte è inutile se non connesso a quei porti con strade e ferrovie ad alta capacità e alta velocità di livello ed efficienza europea (quindi, non “o quello o queste” ma “quello e queste”, se no sono soldi buttati).

L'Africa diventerebbe anche campo per la produzione di energia sostenibile da trasferire con un salto di poche centinaia di chilometri in Europa (pensate alle decine di migliaia di chilometri di gasdotti e oleodotti che solcano il pianeta).

Altro che “locomotiva”: se il Sud diviene il primo porto d'Europa, tutta l'Italia cresce, decolla.

E pure questo è noto a tutti.

Ma l'egoista, come lo stupido, guarda al poco qui e adesso e si perde il tanto nel futuro.

Ci vorrebbero dei politici veri, il cui compito è pensare al dopodomani, diceva Aldo Moro, e imprenditori visionari e affamati del molto, come quelli che il nostro Paese partorì nel dopoguerra, invece di parassiti predatori delle casse dello Stato.

Capito perché tutta questa disponibilità europea a superare le difficoltà per la realizzazione del Ponte sullo Stretto?

 Qual è la scusa: non ci sono i soldi?

A parte che il governo poteva inserire il “Ponte fra i progetti del Pnrr”, magari chiedendo una proroga sui tempi di realizzazione (faccenda su cui, si risolvessero pure i dubbi sulla volontà politica di farlo, c'è un dibattito fra i tecnici: “si può”, “non si può”, farlo in tot anni), la Commissione europea per le politiche regionali ha fatto sapere di esser “disposta a ricevere una proposta per realizzare il Ponte sullo Stretto” e a co-finanziare l'impresa.

La Calabria e la Sicilia il Ponte lo vogliono, ma l'infrastruttura rientra in quelle previste per il “Corridoio Helsinki-Malta”, un progetto europeo (“Ce lo chiede l'Europa”: dal 1976) e quindi, deve essere il governo ad avviare le procedure per il finanziamento europeo.

Ma il governo non vuole.

Certo, non lo dirà esplicitamente, ci prendono in giro con supercazzole e il ministro alle Infrastrutture, “Enrico Giovannini”, è degno erede della ministra dello scorso governo, “Paola De Micheli” che, pur di impedire che il Ponte entrasse fra le opere del “Pnrr”, nominò una commissione che non rispettò i tempi (era stata creata per allungarli) e, di rinvio in rinvio, arrivò con un nulla di fatto alla caduta del governo Conte.

 Ora, “Giovannini” si sta rivelando persino più bravo (ovvero, visto da Sud: peggiore).

Come avrete letto nei giorni scorsi, l'intergruppo di parlamentari favorevoli al Ponte, coordinato dalla senatrice “Silvia Vono”, calabrese, cercherà di far rientrare dalla porta nella legge di Bilancio, la possibilità di realizzare il Ponte in quattro anni, che Giovannini, ha buttato dalla finestra.

Quindi, Calabria e Sicilia lo vogliono, un intergruppo parlamentare pure, l'Unione Europea anche e l'economia mondiale ne ha bisogno.

Contrario solo il governo. Da mezzo secolo.

 Vogliamo provare con il presepe? Se no, siete avvisati: andate all'inferno.

(Sì, ma quante volte ancora insisteremo sul Ponte: fino a che non lo si fa).                                 

(PINO APRILE)

 

 

 

 

Schlein: «Meloni non vuole governare ma comandare».

La replica: diamo più potere agli italiani.

Ilsole24ore.com – (11 novembre 2023) – Redazione – ci dice:

 

La partecipazione di Conte: «Io sono per il campo giusto e non per il campo largo, confermiamo il dialogo col Pd».

Manifestazione Pd, Piazza del Popolo inizia a riempirsi e si balla "Romagna mia".

Elly Schlein riporta il Pd in piazza.

 E dal palco attacca:

sulla riforma costituzionale del governo: «Giorgia Meloni non vuole governare ma comandare, la destra ha sempre sognato di smantellare la Repubblica parlamentare per l’uomo solo al comando, ma la storia di questo Paese ha dato e non è andata bene».

Poco dopo arriva la replica della premier:

«Cara Elly, noi vogliamo semplicemente che siano i cittadini ad avere più potere, dando così maggior forza e stabilità all’Italia.

 Cioè quello che dovrebbe sostenere ogni sincero “democratico”».

 

Nel suo intervento la segretaria del Pd ha rilanciato l’azione del partito: «Siamo noi a dover ricostruire un campo progressista.

Siamo qua per costruire una speranza al Paese, e questa piazza è la nostra risposta.

Da questa piazza parte una fase nuova, non ci lasciamo qui, dovremo continuare a lavorare insieme, giorno per giorno, e non lo facciamo da soli.

 L’alternativa c’è, se la facciamo vivere insieme, continueremo a cercare convergenze con le altre forze di opposizione».

(5 ottobre 2023).

Prima c’era stato l’attacco sul protocollo sui migranti firmato dal governo italiano con l’Albania:

 «Con l’Albania non c’è alcun accordo, perché gli accordi devono passare dal Parlamento e non abbiamo visto nulla.

 Forse perché sanno che viola la Costituzione, è un respingimento verso un Paese terzo.

Meloni fa di tutto pur di non cambiare le regole europee e chiedere a Orban di fare la sua parte».

Circa 50mila le persone presenti, secondo quanto riportano le fonti del partito.

 «Siamo felicissimi, grande grande gioia per questa meravigliosa partecipazione, non potevano neanche aspettarci una partecipazione così forte ha commentato Schlein.

Conte: qui per confermare il dialogo già avviato.

Ci sono anche delegazioni delle opposizioni:

“Giuseppe Conte” con esponenti M5S insieme a “Nicola Fratoianni” e “Angelo Bonelli” di Alleanza Verdi Sinistra.

 Accoglienza calorosa per “Conte”:

 «Io sono per il campo giusto e non per il campo largo. Siamo oggi qui per confermare il dialogo che abbiamo già avviato col Pd e per confermare tutto il nostro dissenso, forte, alle politiche del governo, a partire dalla manovra, che è una sciagura per il paese, nulla di nulla, solo mortificazioni» ha detto Conte, arrivando alla manifestazione. Dietro il palco, la segretaria Schlein e Conte si sono poi intrattenuti alcuni minuti a parlare.

Schlein: "Da qua messaggio chiaro a Governo Meloni, basta!"

Due bandiere della Palestina.

Il servizio addetto alla sicurezza (150 volontari) avrà il compito, tra l’altro, di dare un’occhiata a vessilli e bandiere:

la guerra in Medio Oriente ha posto anche la pace come tema centrale della manifestazione e la richiesta dem è stata quella che ci siano solo bandiere arcobaleno accanto a quelle del Pd.

 Due bandiere della Palestina sventolano comunque:

tenute da alcuni manifestanti con la kefiah, sono riuscite ad entrare in piazza eludendo i controlli.

Schlein: ricominciare a parlare di redistribuzione.

Nel suo intervento (durata circa un’ora) Schlein ha parlato anche di fisco:

 «Strizzano l’occhio a chi evade e danno una sberla agli imprenditori onesti, ai lavoratori dipendenti e autonomi che pagano le tasse.

Le tasse si pagano dove si fanno i profitti.

Dobbiamo ricominciare a parlare di redistribuzione:

 delle ricchezze, del potere, del tempo».

Schlein: Meloni non vuole governare ma comandare.

Quanto alla riforma costituzionale presentata dal governo «è un’arma di distrazione di massa.

 Domani con questa riforma sarebbe una persona a decidere del voto del Parlamento, cambia tutto, smantella la repubblica parlamentare.

 Giù le mani dalle prerogative del Presidente della Repubblica, è una deriva plebiscitaria.

 Giorgia Meloni non vuole governare ma comandare, la destra ha sempre sognato di smantellare la Repubblica parlamentare per l’uomo solo al comando, ma la storia di questo Paese ha dato e non è andata bene».

Schlein: da questa piazza parte fase nuova.

«Siamo noi a dover ricostruire un campo progressista.

Siamo qua per costruire una speranza al Paese, e questa piazza è la nostra risposta.

Da questa piazza parte una fase nuova, non ci lasciamo qui, dovremo continuare a lavorare insieme, giorno per giorno, e non lo facciamo da soli.

L’alternativa c’è, se la facciamo vivere insieme, continueremo a cercare convergenze con le altre forze di opposizione» ha detto la segretaria del Pd.

 

Schlein: dialogo ma senza il Pd non si costruisce alternativa.

«Questa è la piazza dell’orgoglio democratico ritrovato.

Non abbiamo alcuna presunzione di autosufficienza, siamo la prima forza di opposizione, senza il Pd non si può costruire l’alternativa, ma siamo qua per costruire il dialogo sulle questioni concrete.

 Non facciamoci mai dire che l’alternativa non c’è, siamo noi.

Non lasceremo a queste destre smantellare il Paese, l’Italia merita di più».

“Bonaccini”: un appaluso per la scelta di tornare in piazza.

Concetto ripreso dal presidente del Pd Stefano Bonaccini nel suo intervento:

«Un appello: il Pd da solo non basta, lo sappiamo, ma a coloro che, nostri potenziali alleati, si definiscono alternativi a questa destra sia chiaro che senza il Pd non è possibile alcun nuovo centrosinistra che possa vincere la prossima volta».

 Bonaccini ha poi elogiato Schlein:

 «Un grande applauso per la scelta di tornare in piazza, siamo un grande partito, non possiamo stare al chiuso, al caldo, bisogna stare fuori, anche se a volte si rischiano i fischi».

Immigrazione tema di attualità.

L’immigrazione diventa tema di stretta attualità con l’accordo Italia-Albania.

 Oggi, senza citare direttamente il protocollo siglato tra “Giorgia Meloni” e “Edi Rama”, Schlein davanti alla platea del “congresso Pse a Malaga “ha attaccato i modelli extraterritoriali per la gestione dei flussi migratori, come quello con la Libia e come sta cercando di fare Meloni con la Tunisia e con l’Albania.

 Basta con «l’esternalizzazione dei frontiere europee», ha detto Schlein.

 Un tema caldo a Malaga.

Sia perché Rama è “membro osservatore del Pse”, sia per il cortocircuito nel Pd del 9 novembre con la richiesta di espulsione dal” Pse” del premier albanese poi precisata, sia perché la Germania del socialdemocratico “Olaf Scholz” non è così contraria all’esternalizzazione.

 

 

 

Dallo Spid a “It Wallet”:

Cosa Cambierà nel 2024

Conoscenzealconfine.it – (3 Gennaio 2024) - Alessandro Ferro – ci dice:

 

Negli anni della transizione digitale ecco le novità sull’introduzione del portafoglio digitale: cos’è “It Wallet” e quale sarà il destino dello “Spid”.

La parola d’ordine è “identità digitale” con una transizione che giorno dopo giorno si fa sempre più forte e concreta grazie ai potenti mezzi messi a disposizione dalla tecnologia.

 In questo senso ecco che il governo sta pensando al lancio di “It Wallet”, un portafoglio digitale che conterrà tutti i nostri documenti, dalla patente alla carta d’identità o passaporto così come la tessera sanitaria, tutti rigorosamente digitali e consultabili con pochi e semplici clic (e già… non aspettavamo altro… questa sì che è la soluzione a tutti i nostri problemi! – nota di conoscenzealconfine.it)

 

Cosa Accadrà nel 2024.

Non dimentichiamo, però, che milioni di italiani utilizzano quotidianamente lo” Spid” (Sistema Pubblico di Identità Digitale) che ha avuto un’impennata specialmente negli ultimi anni con un rallentamento fisiologico nell’ultimo periodo:

secondo le stime del Politecnico di Milano è usato da 36,4 milioni di persone ma è ancora molto distante dall’obiettivo dei 42,5 milioni “richiesti” entro il 2025.

Anche la “Cie” (Carta d’identità elettronica) conta già quasi 40 milioni di persone ma la crescita non aumenta.

Tra i due sistemi, come detto, ecco “It Wallet” che sarà “totalizzante” nel prossimo futuro.

 

Come Funziona il Wallet.

“A gennaio-febbraio sarà pronto e pubblicizzato il “wallet”.

 Avrà all’interno la carta di identità elettronica ma anche tessera sanitaria digitale, licenza di guida, carta europea della disabilità”, ha dichiarato recentemente “Vincenzo Fortunato”, alla guida del “Comitato interministeriale per la transizione digitale”.

La data del “debutto” è stimata per la prima parte del 2024 (entro i primi sei mesi):

 una volta collaudato, “It Wallet” sarà destinato a ospitare anche la “patente di guida”, “la tessera elettorale” e documenti di vario tipo.

 “Sul progetto” It Wallet” siamo sostanzialmente in linea con il piano iniziale e contiamo di poter consegnare il “walle”t ai cittadini nel prossimo anno“, ha dichiarato “Alessio Butti”, “Sottosegretario alla presidenza del Consiglio” con delega all’”Innovazione tecnologica”.

 

La Fine dello “Spid”?

Ma come farà questo sistema a coesistere con “Spid”:

 saranno “amalgamabili” o l’uno esclude l’altro?

“Butti”, come scrive “il Corriere”, ha anche dichiarato che bisogna “cominciare a spegnere lo “Spid” e a promuovere la “carta d’identità elettronica” come” unica identità digitale, nazionale e gestita dallo Stato”.

In questo caso, però, si tratta di dettagli di non fondamentale importanza (adesso) per i cittadini.

Quel che si sa, è che l’”App IO” potrebbe essere la candidata numero uno per accedere a “It Wallet” accedendo sempre con lo “Spid” (due livelli di sicurezza) o con “Cie” (ben tre livelli con Pin finale).

 Come si può vedere, lo “Spid” potrebbe tranquillamente coesistere ma nulla è stato ancora deciso.

“È stato già ultimato il prototipo concettuale per valutare, in fase “pre -decisionale”, le potenzialità di sviluppo, attraverso la cooperazione tra “Dipartimento per la Trasformazione digitale”, “Pago Pa” e l’”Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato”, ha sottolineato “Butti”.

Nel frattempo, anche l’”Inps” ha promesso di snellire le sue operazioni e rendere servizi sempre più efficienti a cittadini e imprese utilizzando, nel prossimo futuro, i “benefici” derivanti dall’intelligenza artificiale (ovvero: la “prigione” digitale sta alzando le sue sbarre – nota di conoscenzealconfine.it).

(Alessandro Ferro)

(ilgiornale.it/news/cittadini/dallo-spid-it-wallet-ecco-cosa-cambier-nel-2024-2260740.html)

 

 

 

 

«Meloni prova a spezzare alcune catene

che tengono la destra ancorata al populismo»,

una conversazione con “Claudio Cerasa”.

Legrandcontinent.eu – Recensioni – (7 Aprile 2023) - Claudio Cerasa, “Le Catene della destra” – ci dice:

“AUTORE - Il Grand Continent - l'ascesa degli impostori. Inchiesta su un grande imbroglio, Rizzoli, 2022”.

(Claudio Cerasa, Le Catene della destra.

Scienza, guerra, giustizia, giovani, complottismo).

 

A partire dal suo libro “Le Catene della destra”, edito da Rizzoli, il direttore del Foglio analizza i primi passi del governo di centrodestra, e alcune scelte meno estremiste delle aspettative avvenute in questi mesi «come tutti i cambiamenti improvvisi, anche questo lascia qualcosa di irrisolto».

Poi si sofferma sulle sfide più generali che quasi tre anni di pandemia hanno lanciato alla società occidentale, con una critica molto dura all’élite del suo paese:

«C’è stata per troppo tempo una classe dirigente che io amo chiamare “classe digerente”, che invece di dirigere, digeriva tutto quello che capitava e poi lo giustificava»

Claudio Cerasa è tra i principali osservatori e analisti della politica italiana.

 Nel suo “Le Catene della destra” descrive le contraddizioni e i limiti della destra italiana, ormai alle prese con il potere.

In questa conversazione, Cerasa affronta i primi mesi del governo Meloni alla luce dei grandi cambiamenti geopolitici di questa fase storica.

Alla prova dei fatti quanto aveva analizzato nel suo libro “Le Catene della Destra” si sta riscontrando nei primi mesi di Governo Meloni?

CLAUDIO CERASA:

L’elemento interessante dei primi passi del governo Meloni, un governo che dal suo primo giorno di vita ha capito di avere il dovere di rassicurare, di tranquillizzare, di non terrorizzare ha riguardato certamente la volontà di indicare con costanza non ciò che il governo vuole fare ma ciò che non vuole fare.

 Le catene della destra sono facilmente individuabili, sono sempre le stesse e coincidono con tutti gli elementi necessari di cui la destra ha bisogno per passare dalla propaganda alla realtà.

Sono i nodi sui quali il populismo deve decidere se smentire sé stesso o se invece scrivere una nuova storia.

Mi sembra che, su alcuni fronti, il populismo di destra stia facendo i conti con una realtà che impone delle svolte strategiche, molte delle quali sono all’insegna dell’incoerenza (per fortuna).

 E quando il populismo cambia idea, di solito, fa sempre la cosa giusta, mentre quando è coerente con le sue idee, con le sue idee euroscettiche, anti sistema, nazionaliste e protezionistiche, tende a spingere l’Italia verso una direzione pericolosa.

Facciamo alcuni esempi concreti:

sulle politiche legate al “PNRR”, a parole, vi è la volontà di avere grande continuità con il passato, anche se il governo deve ancora dimostrare di essere all’altezza della sfida e i recenti rilievi della “Corte dei Conti” relativi alla lenta attuazione del piano europeo impongono una svolta di pragmatismo che ancora non si vede;

sull’agenda di politica estera, poi, a proposito di incoerenza, “Meloni” ha scelto coraggiosamente di non essere ambigua col putinismo, elemento invece presente nella sua retorica passata, e di sfidare anche i propri alleati sulla linea della fermezza nella difesa dell’Ucraina;

sulle questioni legate all’agenda dell’indipendenza energetica, ancora, vedo zero continuità con il passato delle scelte “Nimby” della destra nazionalista e vedo invece molta continuità con le scelte fatte dal governo Draghi.

Sulle questioni legate all’immigrazione, invece, esiste una frattura interna vera all’interno del governo:

 da una parte vi è la Lega, che sostiene la necessità di utilizzare il pugno duro con i migranti mentre dall’altra vi è Fratelli D’Italia, più orientata a governare l’immigrazione, non a fermarla, e più orientata a cercare risposte europee e più decisa a venire incontro alle esigenze delle imprese italiane, che chiedono da mesi nuovi decreti flussi per regolarizzare migranti e avere così maggiore manodopera a disposizione.

Sulle questioni legate invece alle politiche sul debito, noto una certa discontinuità con il proprio passato, con il passato della destra, perché la destra, in campo economico, si era presentata a lungo come una forza statalista e nazionalista, decisa a utilizzare le leve del debito pubblico per risollevare il paese, mentre vedo che ora l’approccio scelto su alcune grandi partite che riguardano il futuro dell’Italia è diverso dal passato.

 E’ un approccio più di mercato, se vogliamo, e i quattro test su cui misurare questa nuova attitudine sono il futuro di “Ita”, di “Ilva, di “Tim” e della “raffineria di Priolo”.

 

La frattura interna di cui parlava tra Lega e Fratelli d’Italia come esempio di tensione in corso rischia di essere esplosiva, di rompere degli equilibri o per ora in realtà questo governo si sta dimostrando più solido di quanto avremmo potuto immaginare?

Credo che ci siano molte questioni che possono mettere in difficoltà il governo, e l’immigrazione è certamente una di queste.

Qualora ci dovesse essere davvero una svolta europeista da parte del governo, un tentativo cioè di cercare in Europa strumenti utili per risolvere problemi nazionali, si verrebbe certamente a porre un problema di identità all’interno della maggioranza, perché cercare in Europa le soluzioni per governare i flussi migratori significherebbe ammettere che anche su questo terreno non esiste strategia efficace che non passi dalla rimozione immediata e forzata di alcune promesse elencate in campagna elettorale dai campioni del sovranismo.

 Perché non si possono fermare i flussi, come si era detto, e non si possono fermare le partenze, come si era promesso, e non si può bloccare l’immigrazione, come si era sostenuto.

 E non si possono chiudere i porti, come si era predicato.

 E non si possono attuare blocchi navali, come avevano vaneggiato.

Sull’immigrazione, per il governo italiano, occorrerà passare dalla propaganda alla realtà.

 Occorrerà rendersi conto che l’Italia è il primo paese di ingresso nella Ue, ma è solo il quinto paese nella Ue come numero di richiedenti asilo.

Occorrerà capire che scommettere sulla “relocation in Europa” non è semplice se i primi avversari di questa politica sono due amici del cuore di Meloni e Salvini, come Orbán (Ungheria) e Morawiecki (Polonia).

 E occorrerà capire che per costruire nuovi corridoi umanitari non solo teorici, ma pratici, veloci, efficienti, servirà sempre di più considerare l’Europa come un’alleata con cui governare non come un nemico contro cui combattere.

Il “complottismo nazionalista” ti porta a dare delle soluzioni rapide a problemi complessi, il “pragmatismo di governo” ti porta a dare soluzioni complesse a problemi complessi.

Nello scontro tra questi due atteggiamenti qualcosa potrebbe accadere. Su altre questioni ovviamente ci sono tantissime ambiguità, come per esempio sulla politica economica, e non è chiaro cosa il governo farà sulla “flat tax”, né che tipo di futuro avrà il condono fiscale, né in che modo il governo si adopererà per trasformare l’Italia in un paese più attrattivo, né fino a quando il governo intende sfidare i giovani mettendo le poche risorse presenti nel bilancio italiano per riformare al ribasso le pensioni, e alla fine sono convinto che sarà proprio qui che si deciderà il futuro della maggioranza:

 sulla sua capacità, o meno, di far crescere il paese come potrebbe e come meriterebbe.

Sul resto dell’agenda di governo vedremo tensioni?

Ricordiamo, per esempio, che Fratelli d’Italia e Lega hanno avuto un atteggiamento molto ambiguo sulla necessità di tenere la campagna vaccinale, mentre Forza Italia ha sostenuto il contrario.

Sulla sanità, in effetti, si è intravisto un doppio binario.

 Dal punto di vista retorico, si è scelto di porre l’accento sulla continuità con le parole del passato della destra, come è apparso evidente nel discorso di insediamento di Meloni, che non ha mai citato i vaccini né la minaccia dei “no vax”.

Nelle scelte concrete, però, la realtà sembra essere diversa:

 il ministro della Sanità è il rettore dell’università Tor Vergata, che durante la pandemia è stato un sostenitore delle tesi e delle linee programmatiche dei vecchi governi e anche del comitato tecnico-scientifico, e che ha dato una mano sia sul “green pass” sia sull’”obbligo vaccinale”.

Per il resto, sì, certo, vi saranno molte tensioni nel governo, su argomenti ancora più centrali rispetto a quella che è l’”agenda della maggioranza sulla sanità”, ma ciò che sarà interessante capire nei prossimi mesi sarà questo:

 la competizione tra “Salvini” e “Meloni” avverrà su una piattaforma moderata, ovvero sia sul tentativo di intestarsi un’agenda di governo per il paese, o avverrà su una base diversa, all’interno della quale Salvini potrebbe essere tentato dal divenire, nel governo, il custode unico dell’ortodossia sovranista tradita?

Giorgia Meloni ha avuto finora un atteggiamento abbastanza chiaro sull’Ucraina, mostrandosi esplicitamente in linea con Bruxelles e la Nato, come rivendicato anche in campagna elettorale.

Poi però l’alleanza con il “blocco di Visegrad” permane, anche alla luce della recente visita della “Meloni” in Polonia.

Sono due anime che possono coesistere o a un certo punto si dovranno sciogliere dei nodi?

Secondo me sono due anime che possono tranquillamente esistere e resistere nella misura in cui l’euroscetticismo, che ancora esiste nell’agenda della destra, riesca a riconoscere il senso del limite, cioè riesca a utilizzare questa postura per trattare.

 Faccio tre esempi pratici che riguardano i rapporti con la Francia:

il patto di stabilità, gli aiuti di Stato e le politiche sull’immigrazione.

Trovo non scandaloso utilizzare l’euroscetticismo per negoziare, ma non si può non accorgersi che poi bisogna fermarsi un attimo prima, un attimo prima di superare i confini della realtà, un attimo prima di trasformare le battaglie in difesa della nazione in battaglie contro l’interesse nazionale, come capita spesso a chi scommette sull’agenda del nazionalismo.

Viene quasi spontaneo, leggendo da una prospettiva europea il suo libro, notare che c’è un arco radicale, quasi complottista, che permea la destra italiana, e che Fratelli d’Italia ha in parte attirato.

 È una caratteristica che il governo stempererà?

In parte sì, e lo stiamo vedendo.

L’attrazione è dovuta a due ragioni legate a una caratteristica di Meloni e a una caratteristica dell’opinione pubblica italiana.

 Da una parte Meloni rappresenta oggettivamente il cambiamento – l’Italia ormai da molto tempo cerca sempre di cambiare qualcosa, i leader che vincono alle elezioni sono quelli che incarnano meglio il sentimento del cambiamento  – e la premier ha in questo momento la possibilità di mettere insieme sia un’Italia arrabbiata, perché è l’unica ad essere stata all’opposizione non negli ultimi cinque anni ma negli ultimi undici anni, e un’Italia più pratica per così di governo, perché negli ultimi mesi Meloni ha mostrato un senso di responsabilità diverso da quello dei suoi alleati ed è diventata un argine, anche all’interno del suo stesso elettorato, non solo alla sinistra ma anche alla destra estremista.

 Poi, va detto, vi è una caratteristica più italiana delle leadership, che è quella di stritolare i leader, di soffocarli, di innamorarsi tantissimo di qualcuno, di osannarlo, di venerarlo e poi di disinnamorarsi rapidamente e cercare subito un altro amore.

Adesso l’amore è per lei, per Meloni, e paradossalmente il principale nemico della sua leadership oggi non è l’opposizione, non è neppure la caotica maggioranza, ma è tutto ciò che di negativo, di populista, Meloni ha alimentato in questi anni e con cui ora deve fare i conti.

 Il problema di Meloni, per dirla in modo più chiaro, riguarda i pozzi avvelenati dal suo estremismo nel passato.

E una volta che i pozzi sono avvelenati un po’ di quel veleno prima o poi arriverà a destinazione.

Quanto conta la presa del complottismo in questa fase politica?

Questa ha contribuito, almeno in parte, all’ascesa dei movimenti populisti ed estremisti in tutto l’occidente.

 È parte del passato oppure no?

In “Congetture e confutazioni” (Il Mulino, 2009), “Karl Popper” è stato esplicito e le sue parole ci permettono di illuminare quello che è il vero collante trasversale del populismo mondiale: il complottismo.

 «Quando i teorizzatori della cospirazione giungono al potere» scrisse Popper «essa assume il carattere di una teoria descrivente eventi reali».

Il problema degli estremisti non è legato alla loro contiguità diretta con il fascismo ma è legato a qualcosa di più sottile, di più pervasivo:

 la loro contiguità con il lessico usato dai neo complottisti per giustificare ogni rivolta contro il famigerato sistema dominante.

Il punto, dunque, quando si parla di estremismo, non è la prossimità tra il mondo della politica e quello dell’eversione, non è l’infiltrazione dei fasci in un partito, non è la nostalgia per alcuni autoritarismi, ma è la tendenza naturale a trasformare il complottismo in uno strumento di propaganda elettorale.

 Il pensiero unico complottista, trasformando” le verità alternative in un manifesto del pensiero libero”, tende in modo sistematico e naturale a trasformare i propri avversari in nemici della libertà.

 E con grande disinvoltura chi abbraccia questo pensiero tende a presentarsi regolarmente sulla scena pubblica con il profilo di chi lotta per ridare ai cittadini un pizzico della libertà che qualcuno diabolicamente gli ha fatto perdere.

 Alcune volte i nemici della nostra libertà possono essere istituzioni come l’Europa.

Altre volte possono essere strumenti come l’euro.

 Altre volte gli immigrati invasori.

Altre volte le mascherine imposte dalla dittatura sanitaria.

 Altre volte persino i giurati di Sanremo.

Altre volte ancora le regole adottate dai governi per sopravvivere alle emergenze.

Sembra che la campagna elettorale di Meloni sia stata impostata per normalizzare la sua posizione proprio per la ragione che ha descritto poco fa, cioè il fatto che gode di un innamoramento sostanziale.

 E questo sia dal punto di vista geopolitico, con la convergenza sull’asse atlantico ed europeo a difesa dell’Ucraina, sia addirittura su tematiche legate al “non  liberalismo”.

Se confrontiamo alcune sue prese di posizione, per esempio quelle del mese di luglio 2022 da “Vox”, ci rendiamo conto che c’è stata un’evoluzione totale.

Questa secondo lei è tattica oppure indica una vera e propria strategia di governo?

Penso che sia make-up.

Make-up nel senso che una rapida ripassata sul profilo populista, che può essere anche sincera, può indicare una voglia di cambiare o, come scrivo nel libro, di spezzare alcune catene che tengono la destra ancorata al populismo.

 Ma, come tutti i cambiamenti improvvisi, anche questo cambiamento lascia qualcosa di irrisolto.

Perché se una cosa avviene all’improvviso può avvenire anche il suo contrario.

 Quindi oggi Meloni si dice europeista, d’accordo, ma se dovesse esserci una qualche incapacità da parte del suo governo a mantenere gli impegni presi con l’Europa avrà il coraggio e la forza di non alimentare il complottismo con l’Europa?

E insomma:

 fino a quanto Meloni avrà la forza di tagliare i cordoni ombelicali che la tengono legata a un passato che forse non c’è più?

 E fino a quanto Meloni avrà il coraggio di zittire i molti dirigenti del suo partito che invece sono cresciuti eccome a pane e complottismo?

Per quanto riguarda invece i cambiamenti veri, profondi, reali, vi è un tema importante che riguarda l’atlantismo.

Meloni fino a tre anni fa (non vent’anni fa) considerava Putin come uno statista, in funzione di una logica perversa che portava quasi tutti i populisti di destra a considerare Putin un alleato fondamentale nella destabilizzazione delle istituzioni europee.

 Adesso la presidente del Consiglio ha cambiato opinione, e lo ha fatto in modo intelligente quando era all’opposizione, un po’ per convinzione, ovviamente, un po’ perché appartiene a un gruppo parlamentare europeo, ECR, in seno del quale il PiS polacco è un partito importante ed è atlantista, euroscettico ma antirusso, e quindi si è dovuta anche adeguare alla logica dominante del suo gruppo.

 L’evoluzione che abbiamo descritto corrisponde a un’intenzione, anche nobile, che rischia però di scontrarsi con la cultura politica da cui proviene, l’estremismo, e con l’incapacità di emanciparsi dal complottismo di partiti come Fratelli d’Italia e come la Lega, che quella cultura non sono riusciti ad abbandonarla e che il proprio antieuropeismo prima o poi saranno costretti a farlo sfociare da qualche parte.

Effettivamente è abbastanza impressionante come ci sia oggi all’interno del cosiddetto “centro-destra” una vera e propria divergenza di fondo su tutte le tematiche fondamentali dei prossimi mesi.

Come spiega in fondo questa differenziazione tra Salvini e Meloni, non pensa che in un governo diventerà qualcosa di esplosivo, al punto di rendere difficile l’azione di una stessa Meloni premier.

 Domanda vera:

finora è stato esplosivo oppure in realtà il governo è più solido di quello che pensavamo?

E soprattutto: quanto contano le elezioni europee dell’anno prossimo sugli equilibri interni?

Contano moltissimo le elezioni europee.

Saranno l’occasione, per Meloni, di provare a dar vita a un suo nuovo partito, un partito dei conservatori europeo, e saranno l’occasione giusta per capire se la Lega di Matteo Salvini avrà intenzione, come chiede da tempo di fare “Giancarlo Giorgetti”, ministro dell’Economia, e come chiedono da tempo “i governatori della Lega”, da Massimiliano Fedriga ad Attilio Fontana fino  Luca Zaia, di fare un passo più lontano dalla stagione dell’abbraccio con l’Afd tedesca e provare così a fare un passo verso il “Partito popolare europeo”.

Per farlo, però, occorrerà non solo la tattica, ma anche la strategia, e una spinta alla moderazione da parte della Lega potrebbe essere inevitabile anche per provare ad avere, nel prossimo “Parlamento europeo”, un ruolo chiave e non vivere più in uno splendido e inutile isolamento.

Il” Grand Continent” In merito invece all’elezione di “Elly Schlein a segretaria del PD”, secondo lei come cambia il panorama politico, chi potrebbe giovarne, ci sarà una svolta più massimalista nel centrosinistra o invece ci potrebbe essere un impatto positivo rispetto all’astensionismo?

Penso che da un lato ci sarà una disaffezione di una parte dell’elettorato che non si sentirà più rappresentato dalle battaglie del Partito democratico e magari quell’elettorato andrà verso il centro o addirittura verso destra o verso l’astensionismo.

Viceversa c’è un evidente tentativo del Pd di prendersi voti del Movimento 5 stelle o anche di pezzi della sinistra che non erano più rappresentati e questo potrebbe portare a un miglioramento nei sondaggi e a un aumento delle performance elettorali del Pd.

E avere un Pd che toglie voti al M5s, che regala alcuni voti al centro e che lavora per avere un’opposizione larga non è una cattiva notizia per il paese.

 Il problema, anche qui, è che oltre un tema di tattica esiste anche un tema di strategia e quello che vedo è che la capacità vorace con cui la destra di governo è riuscita in pochi mesi a impossessarsi di grandi temi che la sinistra ha scelto incredibilmente di dismettere ha costretto gli osservatori a ragionare attorno a un tema importante:

ma a forza di considerare di destra estrema tutto quello che fa il governo, quante battaglie di sinistra la sinistra sta regalando alla destra?

Penso al garantismo, naturalmente, che è un tema che il Pd ha scelto di archiviare.

Penso al tema della difesa dell’Ucraina, che per il Pd è divenuto negoziabile avendo aperto il suo partito a parlamentari provenienti da un altro partito, “Articolo 1”, che sono contrari all’invio delle armi in Ucraina.

E penso per esempio alle questioni fiscali, considerando che la riforma fiscale targata Meloni coincide perfettamente con la riforma fiscale targata Draghi, in almeno quattro punti diversi.

E lo stesso si potrebbe dire per le politiche di indipendenza energetica, dove la continuità con l’agenda Draghi sembra essere un tema che interessa più la maggioranza che con Draghi ha avuto problemi che il Pd che con Draghi è andato a nozze.

Non potrebbe giovarne il terzo polo?

Certo, in qualche misura sì.

Probabilmente alle europee qualcosa accadrà, e il Terzo Polo potrebbe ottenere risultati più lusinghieri di quelli registrati alle ultime elezioni locali, regionali e comunali.

 Ma il problema del Terzo Polo, e di “Carlo Calenda”, è che in Italia sono le novità che polarizzano il dibattito pubblico.

E in questo momento le novità più interessanti della politica sono Giorgia Meloni ed Elly Schlein.

Le proponiamo questa provocazione, partendo da una frase pronunciata da Nixon in un incontro con Kruscev:

«Se la gente è convinta che ci sia un fiume immaginario da qualche parte, non serve a niente dire che non c’è nessun fiume, si deve costruire un ponte immaginario sul fiume immaginario».

 È una provocazione interessante perché nel suo libro si nota quasi un appello alla razionalità, al dubbio, alla trasformazione del nostro rapporto rispetto alla complessità del mondo contemporaneo.

 Fino a che punto è una strada politicamente percorribile?

In modo pigro, molti osservatori, nei mesi più duri della pandemia, di fronte alle manifestazioni dei” no vax”, quelle più dure, quelle più violente, hanno spesso utilizzato un’equazione facile e superficiale: estremista uguale fascista.

 La verità però è un po’ più complessa.

E per provare a ragionare sulla natura dell’estremismo politico che caratterizza la stagione in cui viviamo, un estremismo con cui la destra in passato ha dimostrato di saper andare a braccetto, più che immergerci nella dicotomia tra fascismo e antifascismo è utile immergerci in una dicotomia più interessante e più globale: complottismo e anti complottismo.

Il pensiero unico complottista, in verità, non è una prerogativa di un singolo schieramento politico, e in nome della sfida al sistema, in nome della sfida alla casta, in nome della sfida ai potenti, in nome della sfida ai poteri forti, tende a diffondersi con disinvoltura lungo tutti gli estremi.

 In Italia, però, negli ultimi anni, gli estremi che hanno scelto di non ripudiare il proprio estremismo complottista si sono trovati più spesso a destra che a sinistra.

 E il meccanismo del perfetto complottista è questo:

 per potersi ergere a grandi difensori della libertà, si deve creare un nemico immaginario contro cui combattere.

 Questi nemici, in passato, sono stati questi:

 la dittatura europea, la dittatura dell’establishment, la dittatura dei poteri forti, la dittatura sanitaria, la dittatura di “Big Pharma”, la dittatura della finanza, e quindi poi Soros, i burocrati europei, i virologi.

Oggi le cose sono cambiate, necessariamente, e l’immagine da fissare oggi, per capire l’Italia del futuro, è quella del vulcano con il magma al suo interno.

 Il populista, quando arriva al governo, può scegliere di tappare un cratere, può scegliere di tapparne un altro, può scegliere di tapparne un altro ancora ma alla fine dei conti da qualche parte quel magma dovrà uscire e sarà interessante capire se nei prossimi mesi le forze della destra italiana saranno in grado di scaricare quel magma che hanno in corpo solo sulle bandierine ideologiche.

La necessità di trovare un nemico esterno è il sostrato fondamentale di questa deriva?

Sì.

Gli estremisti hanno spesso creato, in maniera scientifica, un enorme pericolo immaginario contro il quale combattere.

Prendi un fenomeno complesso.

Spiega quel fenomeno individuando chi ne può trarre giovamento. Trasforma nel motore vero di quel fenomeno chi può aver tratto giovamento da quel fenomeno.

Costruisci delle teorie alternative alle verità consolidate.

 Trasforma i difensori delle verità consolidate in nemici della libertà d’espressione.

Fai della tua versione complottista un manifesto della libertà.

 E trasforma chiunque non sia d’accordo con la tua versione dei fatti in un pericoloso nemico della libertà, e dunque del popolo.

Una volta individuato lo schema, l’azione di gioco, il meccanismo può essere usato per spiegare tutto e per individuare di volta in volta dei nemici del popolo intenzionati a difendere la verità costituita per trasformare tutti noi in sudditi destinati a perdere la nostra libertà.

Creare un pericolo immaginario – pensate alla dittatura sanitaria – ha permesso loro di spacciarsi come difensori della libertà, di libertà in realtà non violate, gli ha permesso spesso di fuggire dalla realtà e gli ha consentito di trasformare la loro difesa farlocca della verità in una difesa di un’altra libertà: quella di essere estremisti.

Il problema è che dovendosi occupare poi di cose reali, hanno mostrato tutti i loro limiti:

 perché di fronte alla pandemia, al covid, alla guerra, al gas, al caro energia, le loro idee del passato hanno mostrato di essere parte dei problemi e non parte delle soluzioni.

Pensate alle battaglie sul “price cap”:

quante volte la destra italiana in Europa ha chiesto ai suoi partner europei di non essere egoisti?

Pensate alle battaglie sugli aiuti di stato:

 quante volte la destra italiana in Europa ha chiesto ai suoi partner europei di non essere egoisti?

Pensate alle battaglie sull’immigrazione:

quante volte la destra italiana in Europa ha chiesto ai suoi partner europei di non essere egoisti?

Nel suo approccio c’è un’insistenza sulla realizzazione discorsiva, dal punto di vista della sociologia potremmo dire che lei lavora molto sul simbolico e sull’immaginario.

Cosa pensa dell’aspetto più infrastrutturale del problema complottismo?

Come dice “Julia Cané”,

«la gente non è diventata stupida ma abbiamo semplicemente smesso di spendere soldi per istruirla».

Si può immaginare un’agenda pubblica di investimenti proprio per combattere il complottismo attraverso la riduzione delle disuguaglianze, oppure secondo lei sono due elementi da mantenere separati?

Secondo me c’entra molto la capacità, soprattutto di noi che ci occupiamo di fare informazione, di essere in grado di non essere neutrali quando c’è una balla.

Perché si possono avere idee diverse sul mondo ma lasciar passare il messaggio che una stupidaggine valga come una verità, che possa essere certificata in qualche modo dai fatti, dai numeri e dalla scienza, ha permesso di alimentare una forma di complottismo anche nelle persone.

Io non penso che chi vota i partiti populisti sia un “minus habens”, una persona che non sa ragionare e che non è istruita.

 Penso solo che sia deleteria, da parte del mondo giornalistico e mediatico ma anche da parte di un paese, l’incapacità di schierarsi, denunciare e smascherare tutto ciò che corrisponde al falso o ciò che è pericoloso.

Questo in Italia è diventato ancora più evidente negli ultimi anni:

 c’è stata per troppo tempo una classe dirigente che io amo chiamare “classe digerente”, che invece di dirigere, digeriva tutto quello che capitava e poi lo giustificava.

Qui sta la differenza tra esercitare una leadership ed esercitare una follower ship:

da una parte c’è un tentativo di guidare i follower, dall’altra parte c’è solo il tentativo di rappresentare ciò che si pensa e ciò che si dice.

Questo è il vero tema e credo che ci sia anche da parte degli elettori una disillusione a volte dal mondo della politica perché si fa fatica ad avere una leadership popolare che sappia spiegarti anche delle cose non sempre popolari da fare, spiegarti ciò che un paese deve fare.

 Quindi il complottismo nasce anche perché si è insinuata in tanti elementi della nostra vita una cultura del sospetto, una cultura del dubbio non liberale, ma una cultura del dubbio a prescindere su qualsiasi cosa, come si direbbe in Italia una cultura dell’”uno vale uno”.

 E quando una classe dirigente o una classe giornalistica sceglie, di fronte a una forma di populismo estremo, di non schierarsi, in realtà ha già scelto da che parte stare.

 

 

 

A Shanghai la strategia anti-Covid

è al limite: un uomo considerato

morto si ritrova all'obitorio

wired.it – Lorenzo Lamberti – Emergenza covid 19 – (4-5-2022) – ci dice:

 

L'ospite di una casa di cura spedito verso la cremazione.

Ma era vivo.

L'episodio inquietante testimonia le condizioni delle strutture ospedaliere della metropoli cinese e la tensione causata dai tentativi di azzerare i contagi da coronavirus.

Taipei.

 Un corpo chiuso dentro un sacco giallo, maneggiato dai dipendenti di una struttura per anziani e da quelli dell'obitorio.

Dove è destinato alla cremazione.

 Ma c'è un "problema": quel corpo non è un cadavere, ma appartiene a un uomo ancora vivo e che è stato chiuso nel sacco per errore.

Succede anche questo a Shanghai, teatro di un distopico lockdown guidato dalla strategia zero Covid voluta dal presidente Xi Jinping.

E teatro anche di diverse proteste per delle restrizioni che appaiono sempre più ingiustificate ai residenti della metropoli cinese.

Il terribile episodio dell'anziano dato per morto e caricato per errore verso l'obitorio è diventato in breve tempo virale e rappresenta un ulteriore segnale di come la situazione sia davvero ai limiti sotto diversi punti di vista, a partire da quella sanitaria.

Un  video mostra due lavoratori dell'obitorio con un sacco per cadaveri giallo fuori dall'ospedale per anziani “Shanghai Xinchangzheng”, distretto di “Putuo”.

Gli uomini, in abiti protettivi, evidentemente sentono qualcosa di strano provenire dal sacco e aprono la borsa di fronte a un dipendente della struttura.

 In quel momento si accorgono che l'anziano dato per morto è ancora vivo.

 Il membro del personale controlla poi i segni di vita e richiude la borsa. Il dipendente dell'ospedale si allontana poi per tornare al centro e parlare con due colleghi in tuta bianca, con l'anziano paziente che viene poi riportato in sedia a rotelle all'interno della struttura.

Con tutte le conseguenze del caso:

fisiche, col rischio di soffocamento, e psicologiche, essendo stato dato per morto da coloro che dovrebbero vigilare sul tuo stato di salute.

 

La persona che ha filmato uno dei video sull'accaduto, aggiunge qualche commento alle immagini:

"La casa di cura è un tale casino. Hanno mandato una persona viva su un carro funebre e hanno detto che era morta. Il personale delle pompe funebri ha detto che il paziente si muoveva ancora... È irresponsabile, davvero irresponsabile".

Alcuni utenti, commentando le immagini, hanno descritto l'accaduto come un "tentato omicidio", sfogando la loro rabbia.

Esiste un laboratorio di analisi di test per Covid-19 a “Baise”, nel sud della Cina “Zero Covid-19”, l'obiettivo che la Cina è disposta a raggiungere a tutti i costi.

La strategia anti-pandemia di Pechino è intrecciata con le ambizioni del presidente Xi Jinping e con la sua dichiarazione di guerra al coronavirus. Ecco perché non può essere abbandonata e perché la propaganda la sostiene.

Esiste il video simbolo del caos Covid a Shanghai.

Le autorità del distretto di “Putuo” hanno confermato la veridicità del video e dell'incidente e hanno riferito di aver avviato un'indagine per capire quanto accaduto.

Tre funzionari sono stati rimossi dall'ufficio degli affari civili del distretto e dall'ufficio dello sviluppo sociale, così come il capo della casa di cura (operativa dal 1983 con all'interno circa cento ospiti) è stato sollevato dall'incarico, hanno fatto sapere le autorità distrettuali.

È stata anche revocata la certificazione di un medico coinvolto nella vicenda, ora sotto inchiesta.

 Non è chiaro se il paziente fosse infetto da Covid, ma le sue condizioni sono state definite "stabili".

Al di là della reazione delle autorità, si tratta di un episodio inquietante che conferma in maniera drammatica i timori sullo stato delle strutture ospedaliere di Shanghai.

 In questi giorni è stato avviato l'allentamento di alcune restrizioni, ma la maggior parte dei circa 24 milioni di abitanti della metropoli si trova ancora in lockdown.

 In queste lunghe settimane molti di loro hanno sperimentato carenza di cibo e di medicinali.

Alcuni sono stati sprangati in casa, con le autorità che hanno costruito delle barriere di fronte a porte di ingresso e strutture residenziali per impedire a chiunque di uscire.

Il lockdown a Shanghai.

Il lockdown distopico di Shanghai inquieta la Cina e il mondo.

Droni e cani robot vengono schierati dalle autorità per monitorare i cittadini e invitarli al rispetto delle regole.

E le consegne di cibo e beni di prima necessità da parte dei colossi digitali non bastano per risolvere una situazione che comporta rischi sociali e politici.

Economisti silenziati sulla “strategia zero Covid”.

Le critiche rivolte alla strategia zero Covid non arrivano solo dai residenti di Shanghai, ma anche da noti economisti cinesi.

Ma il Partito non vuole lasciare spifferi sulla leadership di Xi Jinping e dopo aver censurato il video collettivo "Voices of April", che aveva letteralmente invaso “WeChat” e “Weibo”, si sta muovendo per bloccare anche gli account social degli economisti scettici.

Negli ultimi giorni sono diversi gli economisti cinesi attivi su internet ad essersi visti bloccare gli account “WeChat” e “Weibo” per aver espresso delle perplessità sulla necessità delle restrizioni draconiane e soprattutto paventando rilevanti conseguenze sul piano economico.

 

Tra di loro c'è anche il noto “Hong Hao”, direttore della ricerca della statale “Bank of Communications International Holdings”.

Con oltre tre milioni di follower su “Weibo” e attivo anche su “Twitter”, negli scorsi giorni” Hong” aveva previsto perdite consistenti sul mercato azionario cinese a causa delle restrizioni sulla mobilità e la sospensione delle attività produttive a Shanghai.

Il suo istituto bancario, dopo il congelamento dei suoi account, ha tra l'altro comunicato che “Hong” si è dimesso per "ragioni personali", senza dare ulteriori dettagli.

Ma a essere finito sotto la scure della censura ci sono anche” Fu Peng”, capo economista di “Northeast Securities”, “Dan Bin”, presidente di “Shenzhen Oriental Harbor Investment”, e “Wu Yuefeng”, partner di “Funding Capital”.

 

 

 

Perché in Italia non esiste

un’élite nazionale.

Centrostudimalfatti.eu - Martino Solari – (1° aprile 2023) – ci dice:

 

Alla fine della lettura del saggio di “Vassallo e Vignati”, Fratelli di Giorgia, edizioni il Mulino, rimane il grande interrogativo che non solo è direttamente connesso alla storia del fascismo italiano, del Msi e del neofascismo occidentale in generale e di conseguenza a quella del Comunismo internazionale, ma anche alla nostra storia nazionale italiana;

per quale motivo non solo non abbiamo ancora oggi, a Roma, una élite pedagogica nazionalista integrale, differentemente dalle nazioni più evolute e civili, ma siamo di contro guidati, come italiani, da uno “Stato profondo” le cui tendenze dominanti sono chiaramente globaliste (universaliste astratte) e, come sosteneva un pensatore di certo non filomissino come “Augusto Del Noce”, “cattolico-comuniste”?

Sergio Romano, in un fondamentale  saggio pubblicato nel 2011 in occasione della storica ricorrenza dell’Unità, “Finis Italiae”, ebbe a rilevare che il 1976 sarebbe stata la data di morte dell’ “Ideologia Risorgimentale”, l’anno in cui circa il 75% degli italiani dette il proprio consenso esplicito a “Democrazia cristiana” e “Partito Comunista”, convinti rappresentanti di due Ideologie “Universaliste e transnazionali”, mentre solo il 6,1 % degli italiani era rappresentato dal “Movimento sociale italiano”, l’unica formazione politica che convintamente, e non strumentalmente, si dichiarava depositaria dell’identità risorgimentale mazziniana e dell’identitario nazionale.

Nel 1976 dunque gli italiani risorgimentali sarebbero già stati, in Italia, una minoranza nella minoranza.

Finito il “bipolarismo”, un comunista di radice togliattiana come “Luciano Violante” tentava intelligentemente di ridare vita all’originario impulso risorgimentale con la ammirevole proposta di una concordia nazionale, ma l’esperimento di” Gianfranco Fini” e della “Alleanza Nazionale” finiva per spostare a sinistra le stesse posizioni di coloro che avrebbero dovuto, secondo” Vassallo e Vignati”, rappresentare la “seconda generazione della fiamma”, facendo naufragare ogni proposta concordataria e rafforzando in ogni modo il già influentissimo antifascismo globalista.

In questo senso, se si volesse trovare un punto debole nel saggio pubblicato dalle edizioni il Mulino è proprio nel tentativo di inquadrare il “partito di Giorgia Meloni” all’interno della categoria politologica del “nazionalismo antiglobalista”, in una presunta continuità con “la prima generazione della fiamma”, quella di “Giorgio Almirante”.

 

Msi come avanguardia strategica dell’anticomunismo mondiale.

“Gregorio Sorgonà”, valido e serio ricercatore antifascista, ben ha messo in rilievo nei suoi molteplici studi sul “neofascismo almirantiano”, come non sia possibile comprendere la natura di questo “neofascismo italiano” senza avvalersi degli studi filosofici di” Ernst Nolte” sulla “guerra civile ideologica globale” del secolo passato.

 Il ‘900 sarebbe stato caratterizzato non tanto dallo scontro tra superpotenze geo militari, quanto dal conflitto di faglia ideologico tra i partigiani universalisti del Comunismo e quelli tellurici della Nazione.

Il partigiano, “nazionalfascista” o “universalista Comunista”, sarebbe stato per “Nolte”, come del resto per “Schmitt”, la autentica ultima sentinella della terra.

 Fu “Mussolini”, per “Nolte”, la figura più importante e significativa del Novecento in quanto con la contro insurrezione Anti Bolscevica dell’ottobre ’22 avrebbe saputo dare scacco alla” Rivoluzione mondiale bolscevica” che pareva definitivamente inscritta nello spirito del tempo, salvando così moltissime nazioni del mondo dal contagio del virus espansionista marxista-leninista.

 Lo spirito mussoliniano, per il “Nolte”, fu animato dallo sforzo volitivo di estrema resistenza contro la trascendenza pratica e di lotta culturale contro egemonica rispetto alla trascendenza teorica e ciò avrebbe significato, storicisticamente, la possibilità ideologica dei nazionalismi storici nel non cedere il passo all’universalismo astratto leninista o “dem wilsoniano”.

Questo “processo nazionalista antimperialista e antimarxista mussoliniano” avrebbe finito per aprire il ciclo della lunga guerra civile ideologica novecentesca.

Se il 1945 avrebbe segnato il trionfo della più radicalista e “apocalittica” tra le varie forme di trascendenza, quella che “Nolte” definiva “l’ambivalente messianismo giudaico” nella forma “comunista estremista sovietica” e in quella “socialista occidentale” ( Cfr. Geschichtsdenken im 20. Jahrhundert, Berlino 1991), l’anima delle nazioni e gli spiriti identitari dei nuovi nazionalisti antimperialisti post-1945 si sarebbero velocemente risvegliati anche nel quadro bipolare di Yalta al punto che sia il” maccartismo” che il “nixonismo” che il “reaganismo” negli Stati Uniti avrebbero continuato, con altri mezzi, la stessa lotta fascista contro l’universalismo bolscevico/wilsoniana e contro la trascendenza (Cfr. Sinistra e Destra, Storia e attualità di un’alternativa politica, Roma 1997).

Integrando il fascismo nella logica immanente e anti-trascendente dello spirito nazionale mediterraneo di resistenza all’astratto universalismo dissolvitore, sulla linea di “Garibaldi/Mazzini”, “Corradini”, “Gentile/Rocco”, il “Msi” sapeva quindi leggere correttamente il fenomeno della guerra civile mondiale novecentesca, interpretando lo stesso Neo-Atlantismo teorizzato dal notevole patriota e statista “Giuseppe Pella” nel 1957 non come una subalternità europea-atlantista ma come un nazionalismo mediterraneo strategico tatticamente più affine agli Stati Uniti che all’europeismo anti-italiano.

 L’”Eurodestra almirantiana” nacque esclusivamente, come noto, in antagonismo all’eurocomunismo, Almirante non fu mai un paneuropeista.

Non a caso il “Msi” fu l’unica formazione politica derivante dalla Prima Repubblica che sapeva coraggiosamente battersi contro la ratifica di Maastricht, avendo sempre posto alla base del proprio operare “il programma della pedagogia risorgimentale e neo-risorgimentale custodita dal fascismo”, come sia “G. Volpe” sia “F. Chabod” riconoscevano, per quanto con un differente giudizio di valore e con un diverso metro storiografico.

Non dovrebbe inoltre sfuggire che in piena guerra fredda i maggiori dirigenti nazionali del “Msi”, per quanto Almirante fosse l’unico politico italiano attivo sulla linea della “Lega AntiComunista Mondiale” di Taiwan, riconoscevano in “Mao” il probabile più grande leader strategico del ‘900, vedendo nella rivoluzione maoista una manifestazione del “tradizionale nazionalismo cinese” che sapeva insorgere anzitutto contro l’”universalismo astratto stalinista e leninista”, mentre le “armate del Kuomintang” che si rifugiavano a Taipei mantenevano sino alla fine della guerra civile sinica significative relazioni strategiche con il Cremlino di Stalin.

Dopo la morte di Mao, nel settembre ’76, era addirittura l’esponente della linea più conservatrice e tradizionalistica del “Msi”, “Pino Romualdi”, a fare l’apologia di Mao nel quotidiano missino “Secolo d’Italia”, rappresentandolo tra le righe come il continuatore asiatico della linea mussoliniana della prima metà del secolo.

 Il Piccolo Timoniere di Pechino, un” nazionalista han” anti-materialista e in fondo” nemico strategico del marxismo-leninismo”, nella visione del Msi non avrebbe fatto altro che combattere tutta la vita per ridare alla Cina nazionale il suo naturale e legittimo posto al sole.

“Mao”, non a caso, sostenne in tutti i modi sia il “regime nazionalista argentino peronista” che quello “spagnolo franchista”, sia quello portoghese salazarista che quello cileno del generale Pinochet, contro l’Imperialismo marxista e neostalinista considerato il nemico strategico di Pechino.

Il giorno del golpe cileno,11 settembre 1973, l’ambasciata cinese di Santiago esponeva la bandiera cilena in segno di solidarietà nazionale per la sconfitta politica di quello che lo stesso “Mao” aveva definito “un pericoloso agente dell’Imperialismo sovietico-cubano”:

Salvator Allende.  

 

Fratelli d’Italia ovvero l’assenza della pedagogia nazionale.

Diversamente dalla “prima generazione della fiamma” di radice almirantiana, i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni non paiono affatto porsi come la linea strategica più avanzata dell’attuale nazionalismo mediterraneo anti-globalista;

per quanto la leader romana intenda riferirsi a un tale “modello polacco” come linea esemplare per l’intero occidente, il suo partito non sta affatto fornendo “la linea del nazionalismo civico e politico”, con massicce e legittime dosi di anticomunismo e antiglobalismo, a differenza del partito e del fronte di” Mateus Morawiecki “egemone a Varsavia.

In Polonia, non a caso, comunismo, “pedagogia comunista”, “apologia neo globalista dei massacri bolscevichi e comunisti di milioni e milioni di contadini sterminati” sono rigorosamente vietati su base penale e, al tempo stesso, la “pedagogia nazionale” è devotamente insegnata e studiata a vantaggio delle nuove generazioni.

Negli ultimi mesi, non solo la Giorgia Meloni ma un po’ tutti i maggiori dirigenti del suo partito hanno continuamente fatto riferimento a questa “Polonia nazionalista e anticomunista come baluardo dei più autentici valori occidentali e europei”, di contro i primi mesi di presidenza del consiglio targati Fdi non hanno affatto dato prova di ciò.

Va in effetti sottolineata la storica visita strategica nella “New Dehli” del nazionalista antimperialista “Narendra Modi”; visita che si è effettivamente posta, dopo molti decenni, in notevole e sorprendente continuità con quanto avveniva a Roma negli anni Trenta, con il concetto di “Mare Nostrum mediterraneo” che si dovrebbe proiettare sino all’”Indo-Pacifico”;

come va sottolineata la coraggiosa intelligenza tattica di Meloni nel vedere in Taipei il fronte mondiale più avanzato del nazionalismo integrale, oltre la astratta retorica bidenita e dem su “democrazia e autocrazia”.

Ma in linea generale Fdi non pare aver alcuna consapevolezza che occorrerebbe all’Italia, per non perire definitivamente, un modello forte ideocratico, ben più che neo-istituzionale, di pedagogia neo-risorgimentale che sappia proteggerci strategicamente ed identitariamente dal neo-egemonismo mondiale marxista di Pechino fondato sulla “guerra liminale”, sullo Stato di Sorveglianza totale neo-comunista e dal sub-imperialismo di sinistra radicale, agganciato sempre a Pechino, di Davos e dei franco-tedeschi.

Tutto questo anche in virtù del fatto che gli stessi Stati Uniti, nonostante i forti legami finanziari e politici tra la famiglia “Biden”, “Davos” e” la Cina Marxista-Leninista”, hanno nel febbraio 2023 approvato con un “Congresso schierato in senso bipartisan” la risoluzione che noltianamente rappresenta “Socialismo e Comunismo come l’ ideologia più violenta, oppressiva e totalitaria della storia”.

Questo è dovuto senza meno alla rivoluzione nazionale antimperialista partita negli States nel 2016 – “America First e Maga” –  la quale ha finito lo stesso per espandersi a livello globale arrestando sensibilmente l’universalismo astratto e la globalizzazione di Pechino e dem.

 In definitiva, se gli almirantiani seppero leggere con precisione l’essenza transpolitica e sostanziale del ‘900, questo non sembra almeno per ora potersi dire di Giorgia Meloni e dei suoi “colonnelli”, dato che non paiono avere la visione strategica, civica e pedagogica, di un “Modi” o di un “Trump”, che si sono potuti affermare, pur nel” quadro di democrazie nazionali militari non liberali” quali sono quella indiana e americana, grazie alla presenza di sperimentate élite nazionaliste integrali e concretamente anticomuniste che hanno ben presente la nuova lotta del secolo, segnata, proprio come spiegò “S. Huntington” in tempi non sospetti, dalla nuova linea mondiale del “Clash of Civilizations”.        

 

 

Benvenuti nel Quarto Reich.

Sinistrainrete.info - Alessandro Taddei – (4 luglio 2023) – ci dice:

(Il blog di Daniele Barbieri & Altri)

Alessandro Taddei scava nella memoria: Stato, mafia, Gladio e altre orribili cose vicine a tutte/i noi… che è necessario ricordare (o scoprire).

“Con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia

ma colpisco un po’ a casaccio perché non ho più memoria …”

(Fabrizio De Andrè)

 

Il concetto di «destabilizzazione italiana-Gladio-P2» andrebbe allargato a un periodo ben più ampio di quello degli anni ’70/’80.

I soggetti coinvolti sotto Gladio, nel corso degli anni, passano dal terrorismo politico-eversivo alla mafia, attraverso attentati dinamitardi nelle piazze (Fontana, Loggia), nei treni e nelle stazioni (Italicus, Gioia Tauro, Bologna), nei luoghi della socialità per poi passare ai magistrati più impegnati e ai luoghi storico-artistici simbolo della «bellezza italica».

Dal 1964 ad oggi – generale De Lorenzo docet – assistiamo a un processo continuativo della «strategia della tensione» in cui cambiano non solo i rapporti “cittadino-violenza-paura” ma anche i soggetti che la perpetuano.

I soggetti utilizzati da Gladio e poi P2 cambiano a seconda del momento storico in cui ci si trova ad operare.

Eppure è come se una mano militare invisibile regnasse su tutti indistintamente e allungasse il filo della storia senza mettere mai in discussione questa strategia.

Sappiamo dunque che questa Entità oscura non morirà per una vicissitudine economico-politica o nel momento in cui uno “storico” segnerà la fine di un’epoca.

È soprattutto per questo fenomeno sistemico che l’Italia non sta avendo un’evoluzione, in termini sia economici che culturali.

Su questo Paese grava una sperimentazione di lungo corso che ha radici nel lontano fascismo e che non è affatto morta con la fine dei suoi esponenti principali.

Semplicemente assorbita da un’Entità camaleontica superiore, questa sperimentazione continua cambiando pelle e adattandosi.

 Come un serpente si è insinuata nelle vite delle persone, distruggendone gli affetti, i sogni, i desideri e le aspirazioni future.

 Una strategia della tensione che inizia in Sicilia nel 1947 con “la strage di Portella della Ginestra” a opera di politici, mafiosi ed apparati militari statunitensi contro i lavoratori che festeggiavano la vittoria delle sinistre alle prime libere elezioni.

Il rapporto fra politica italiana, mafia e apparati militari Usa era noto già al tempo dello sbarco alleato nella seconda guerra mondiale per solidificarsi da questo momento, per tutti gli anni a venire e con diversi gradi d’intensità.

Negli anni ’60 e ’70 uno spartiacque:

sinistra extraparlamentare e destra eversiva, la strategia violenta delle bombe e dei sequestri passa attraverso una società in divenire, infarcendo l’ideologia e la politica di una violenza incredibile, inusuale rispetto al resto d’Europa che pure non è un posto calmo.

Dentro questa melma la struttura Gladio si insinua.

 Un “gioco” divisivo in cui esplodono le bombe neofasciste e degli apparati.

Ma prima ci sono le morti degli “scomodi” Enrico Mattei, Aldo Moro e moltissimi giovani di una fazione e dell’altra, fino alle stragi della stazione di Bologna il 2 agosto 1980 e del Rapido 904.

Quest’ultima sembra preannunciare una stagione successiva che abbraccia “i massacri di Capaci”, “via D’Amelio “e “gli attentati dell’estate del 1993”.

A ogni cambio sistemico in cui il governo italiano si trova in difficoltà avvengono tragedie atte a distrarre la popolazione anche attraverso opinionisti di maniera e scandali giornalistici.

Dentro a questo calderone si possono collocare forse anche certe indagini reticenti sul “Mostro di Firenze” e sulla “banda della Uno bianca”, della quale nessuno (neppure a Bologna, così duramente colpita) ha mai voluto sapere “troppo”.

La Storia formale raccontata a blocchi insegna che con la stazione di Bologna termina «la strategia della tensione».

In realtà cambiano solo i partecipanti passando dai passamontagna con la pistola (ricordiamoci dell’assassinio di Giorgiana Masi e di ciò che disse e fece in proposito Francesco Cossiga) ai soggetti mafiosi.

Tutto si veicola nel principale apparato dirigente (e digerente) dello Stato.

La Sicilia è la terra in cui si attuano molte sperimentazioni che verranno poi esportate in “terra ferma”.

Le guerre di mafia osservate dallo Stato terrorizzano la popolazione dell’isola e di fatto paralizzano gli uomini onesti nelle istituzioni statali, i sindacati veri, la magistratura democratica, i giornalisti senza bavaglio e un certo tipo di investigazione.

 Ogni libero pensiero, l’idea di una vera giustizia e persino alcuni preti diventano il bersaglio preferito.

Con una visione più ampia di quella fornita dalla Storia ufficiale oggi possiamo vedere i pezzi distrutti di quella” minima Democrazia” non più in grado di porre resistenza né alla mafia economica e politica né all’inaridimento culturale-sociale del Paese.

 E così settori delle questure, prefetture e dei ministeri sono ‘toccati’ all’interno dalle varie cosche come dimostrato da diverse testimonianze e rapporti investigativi.

La mafia è pronta a “sostituire” l’eversione di neofascisti e servizi segreti degli anni ’70 diventando soggetto e partecipante principale della nuova «strategia della tensione» negli anni ’80 e’90. Compiendo attentati non più solo contro il singolo magistrato o poliziotto (come in Sicilia è sempre avvenuto) “fuori controllo” ma contro gli apparati vecchi e da rottamare perché poco controllabili dai Palazzi – persino il generale “Dalla Chiesa” o i giudici simbolo dell’antimafia “Falcone e Borsellino”.

 

Questa mattanza è necessaria oltre che per destabilizzare anche per approdare a uno Stato-Mafia omogeneo. Operazione che ha uno dei suoi punti più visibili con le bombe “fuori isola”, in siti di rilevanza storico-culturale d’Italia.

 In parte tutto ciò è conseguenza di un vuoto “istituzionale” e di una trasformazione verso un’”Europa economica” che da lì a poco si sarebbe intrecciata agli interessi più oscuri dell’Italia;

in parte è sempre la vecchia strategia che ogni tanto muta la pelle.

Molto del tritolo utilizzato per le stragi (Piazza Fontana, Capaci, Via D’Amelio) è uscito dalla base americana di Camp Derby (Pisa-Livorno), dove da sempre coesistono Gladio e la struttura paramilitare denominata” Stay-behind”, all’ombra della NATO.

Da questo legame oscuro si fa largo anche l’ipotesi che collega l’orrore irrisolto – e illogico – della “Moby Prince” con i suoi 140 passeggeri lasciati volutamente bruciare vivi a poche miglia dal porto di Livorno nel 1991, poco dopo la fine del Pci in Italia e la fine dell’Unione Sovietica (o ex sovietica, come direbbe qualche storico più accorto).

Un finale militare degno di “Gladio” e della sua struttura paramilitare: una lunga guerra sotterranea giocata a suon di stragi, parzialmente anestetizzate in quegli anni dal diffondersi dell’eroina, la più famosa fra le “droghe di guerra”.

 A tal proposito si leggano i documenti desecretati della CIA sull’eroina, come raccontato anche in questa “bottega”.

Dal 1994 in poi come da” programma della loggia massonica P2,” le operazioni militari scemano ed entra in campo una «strategia della tensione» comunicativa.

 Utilizzo di giornalisti e politici tarocchi, ma anche nascita di leghe separatiste sia al Sud che al Nord in un quadro di immagini pubblicitarie così martellanti da rendere invisibile il pensiero critico.

Con l’ovvio contorno dell’utilizzo di capitali dalla provenienza sconosciuta per tentare l’impresa in Europa, ma anche con demonizzazione dell’Arte più libera.

E con il bavaglio ai pochi magistrati o intellettuali che non ci stanno può iniziare la Seconda Repubblica (o magari l’annuncio del Quarto Reich).

Tra il 1996 e il 1999 la destabilizzazione militare e comunicativa diventa globale ma di fatto non cambiano granché le regole del gioco.

 In Italia questa strategia viene portata avanti con l’ausilio di due grossi “partiti” – uno di “centro-sinistra”, uno di “centro-destra” – fabbricati appositamente per dividere su tematiche generiche e/o di zero importanza attraverso un uso linguistico improprio atto ad impoverire il linguaggio, la comunicazione e il senso.

Nel 2001 avvengono i drammatici episodi del G8 a Genova.

Intanto si mira alla prossima “generazione digitale” cercando di allontanare e manipolare il flusso delle informazioni dalle ultime generazioni semi-analogiche X e Y alla Z, arrivando ai bambini “digitalizzati” nati dopo il 2015.

Verso l’”uomo nuovo secondo le previsioni naziste”, poi riadattate dopo l’occupazione Usa del continente europeo.

Fra il 2008 e il 2019 drammatiche crisi economiche indotte dai banchieri facilitano il rovesciare o limitare le democrazie.

Il processo è creare visioni distopiche nelle varie popolazioni utilizzando simboli a loro vicini, sfruttando le debolezze del singolo e della collettività, dal lavoratore precario alla classe media che deve scomparire per lasciare un vuoto incolmabile fra i (pochissimi) super ricchi e i (tantissimi) super poveri.

 Passando per il debole e il frustrato, dai figli delle sottoculture TV sino agli intellettuali da salotto tronfi e ingrassati da un’improvvisa fama derivata dalle “finzioni delle piattaforme social”.

La frustrazione viene alimentata rendendo impossibile la costituzione di gruppi che propongano o “pratichino una democrazia diretta”, mentre si continua a imporre corrotti e/o inutili nei ruoli di responsabilità pubblica e “privata”.

 La rabbia è ridotta a mero dibattito internet e tenuta sott’occhio dalle “camice nere della comunicazione”, che con violenza linguistica sminuiscono, deviano, inglobano e/o ridicolizzano (a seconda dei casi) come successo in Italia con i 5 Stelle.

Con il risultato che la rabbia aumenta, le persone sono sempre più smarrite, ignoranti e disaffezionate all’Arte Politica, insostituibile strumento di democrazia.

Oggi il “progetto eversiv”o continua sotto le forme più creative:

 inseminazione delle nuvole, guerre batteriologiche sotterranee, minaccia nucleare, cancellazione della memoria, riduzione della cultura a intrattenimento permanente, aumento dei sensi di colpa individuali, finti propositi di responsabilità collettiva, distorsione dei simboli ideologici ed affettivi, sostituzione dell’informazione a pura comunicazione monosillabica.

 Nei rapporti con le nuove guerre, come quella tra Russia e Ucraina, nei risvolti dei contenimenti per il Covid e nella sottovalutazione degli impatti ambientali derivati da decenni di cementificazione, ancora una volta la risposta del sistema è quella di aggredire piuttosto che di risolvere le cause che stanno portando tutte/i ad un annichilimento generale.

Da un lato si cerca di disincentivare la ricerca indipendente, ridicolizzandola, dall’altra le versioni ufficiali fornite non sono del tutto praticabili dal singolo né nella propria sfera privata né tantomeno in quella pubblica.

Di nuovo il potere si prende la possibilità di annientare il pensiero critico portandolo al paradosso e di fatto, non trovando alcuna soluzione ai problemi che esso stesso ci propina, si limita a ragionare sulle persone in termini esclusivamente progettuali.

 

Ecco i presupposti per la nascita di un “quarto Reich” in cui ognuno verrà incentivato a essere dittatore di sé stesso.

Il poliziotto nella testa, come ci ha suggerito “Augusto Boal”, seguendo le intuizioni di “Paulo Freire”.

Schiavi perfetti per l’élite tecnocratica e/o teocratica ma sempre economica.

Al popolo non resta che trovare una sua direzione comune, sforzandosi in un costante, sincero e progressivo ampliamento educativo e culturale, che lo porti a studiare e progettare per il proprio ed altrui benessere.

Credendo che solo questo e non la violenza lo aiuterà a trovare la strada per la felicità, liberandolo dalla morsa in cui sta morendo soffocato.

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