Governo globale.
Governo
globale.
2024:
l'anno in cui il governo
globale
prende forma.
Zerohedge.com
- TYLER DURDEN – (03/GEN/2024) - Kit Knightly via Off-Guardian.org – ci dice:
Il
governo globale è la fine del gioco. Lo sappiamo.
Controllo
totale di ogni aspetto della vita per ogni singola persona sul pianeta, questo
è l'obiettivo.
Questo
è stato evidente a chiunque abbia prestato attenzione per anni, se non decenni,
e ogni piccola parte di dubbio rimanente è stata rimossa quando il Covid è
stato lanciato e i membri dell'establishment hanno iniziato a dirlo
apertamente.
Il
Covid ha segnato un'accelerazione dell'agenda globalista, una folle corsa verso
il traguardo che sembra aver perso slancio prima della vittoria, ma la corsa è
ancora in corso.
L'obiettivo
non è cambiato, anche se gli anni successivi potrebbero aver visto l'agenda
ritirarsi leggermente nell'ombra.
Sappiamo
cosa vogliono concettualmente, ma cosa significa in pratica?
Che
aspetto ha un potenziale "governo globale"?
Prima
di tutto, parliamo di ciò che NON vedremo.
1) –
Non si dichiareranno.
No,
quasi certamente non ci sarà mai un "governo mondiale" ufficiale,
almeno non per molto tempo ancora.
Questa
è una lezione che hanno imparato dal Covid: dare un nome e un volto al
globalismo non fa altro che fomentare la resistenza collettiva ad esso.
2) –
Non aboliranno la nazione.
Potete
star certi che Klaus Schwab (o chiunque altro) non apparirà mai in simulcast su
tutte le televisioni del mondo annunciando che ora siamo tutti cittadini di “ze
vurld” e che gli stati nazionali non esistono più.
In
parte perché è probabile che ciò concentri la resistenza (vedi punto 1), ma soprattutto perché il tribalismo e
il nazionalismo sono troppo utili a tutti gli aspiranti manipolatori
dell'opinione pubblica. E, naturalmente, la continuazione dell'esistenza degli
stati nazionali non preclude in alcun modo l'esistenza di un sistema di
controllo sovranazionale, non più di quanto l'esistenza del Rhode Island, della
Florida o del Texas precluda l'esistenza del governo federale.
3) –
Non ci sarà mai una dichiarazione esplicita di un cambiamento di sistema.
Non ci
verrà detto che siamo uniti sotto un nuovo modello, ma l'illusione della
regionalità e della varianza superficiale camufferà la mancanza di una vera
scelta in tutto il panorama politico.
Una
sottile pelle poli sistemica tesa su uno scheletro mono sistemico.
Capitalismo,
comunismo, socialismo, democrazia, tirannia, monarchia... Queste parole si diluiranno
costantemente di significato, anche più di quanto non abbiano già fatto, ma non
saranno mai abbandonate.
Ciò
che il globalismo ci porterà – suggerisco – è un insieme di stati-nazione in gran parte solo di
nome, che operano in modo superficialmente diversi sistemi di governo, tutti
costruiti sugli stessi presupposti di base e tutti rispondenti a un'autorità
superiore non eletta e non dichiarata.
... E
se questo suona familiare, è perché è essenzialmente quello che abbiamo già.
Gli
unici aspetti importanti che mancano sono i meccanismi attraverso i quali
questo modello grezzo può essere trasformato in una rete fluida, dove tutti gli
angoli sono erosi e tutti i veri poteri sovrani diventano del tutto vestigiali.
È qui
che entrano in gioco i tre pilastri principali del dominio globale:
Moneta
digitale.
Identificazione
digitale.
"Azione
per il clima."
Diamo
un'occhiata a ciascuno di essi a turno.
1.
DENARO DIGITALE.
Oltre
il 90% delle nazioni del mondo è attualmente in procinto di introdurre una
nuova valuta digitale emessa dalla propria banca centrale.
“OffG” – e altri – hanno coperto la spinta per una “Central
Bank Digital Currencies” (CBDC) per anni, al punto che non abbiamo bisogno di
rivangare vecchi punti di discussione qui.
In
poche parole, il denaro interamente digitale consente una sorveglianza totale
di ogni transazione.
Se la
valuta è programmabile, consentirebbe anche il controllo di ogni transazione.
Puoi
leggere il nostro ampio catalogo sulle” CBDC “per maggiori dettagli.
Chiaramente
le” CBDC” sono un incubo potenzialmente distopico che violerà i diritti di
chiunque sia costretto a usarle... ma come fanno a costituire un elemento
costitutivo del “governo globale”?
La
risposta è "interoperabilità".
Mentre
le” CBDC” nazionali del mondo saranno teoricamente separate l'una dall'altra,
la maggior parte viene codificata per riconoscersi e interagire tra loro.
Sono
quasi tutti sviluppati secondo le linee guida prodotte dalla “Banca dei
Regolamenti Internazionali” e da altre istituzioni finanziarie globaliste, e sono tutti programmati dalla stessa
manciata di giganti della tecnologia.
Un
rapporto del giugno 2023 per il “World Economic Forum” ha rilevato l'importanza
dei "Principi
di interoperabilità globale della valuta digitale della banca centrale" e ha concluso:
È
fondamentale che le banche centrali diano priorità alle considerazioni
sull'interoperabilità nelle prime fasi del processo di progettazione, aderendo
a una serie di principi guida.
Per
facilitare il coordinamento globale e garantire un'attuazione armoniosa delle”
CBDC”, lo sviluppo di un insieme completo di principi e standard diventa
imperativo.
Attingendo
a precedenti ricerche e sforzi collaborativi, questo insieme di principi può
fungere da solida base, guidando le banche centrali a considerare in modo
proattivo l'interoperabilità fin dall'inizio delle loro iniziative “CBDC”.
Adottando
questi principi, le banche centrali possono lavorare per creare un ecosistema “CBDC
“coeso e interconnesso.
Commentando
il rapporto, il sito web del “World Economic Forum” ha osservato:
Per
garantire un'attuazione efficace e promuovere l'interoperabilità, il
coordinamento globale diventa fondamentale [...] aderendo ai principi di
interoperabilità, le “CBDC” possono progredire armoniosamente, portando a
sistemi di pagamento digitali efficienti e interconnessi.
Non ci
vuole un genio per decodificare "coordinamento globale",
"ecosistema coeso", "progresso armonioso" e "sistemi
di pagamento interconnessi".
Non
c'è alcuna differenza pratica tra 195 valute digitali
"interoperabili" e interconnesse e un'unica valuta globale.
In
effetti, "interoperabilità" è la parola d'ordine per tutte le
strutture di potere globaliste che vanno avanti.
Il che
ci porta ordinatamente a...
2.
IDENTITÀ DIGITALE.
La
spinta globale per le identità digitali obbligatorie è ancora più antica
dell'agenda delle valute digitali, risale all'inizio del secolo e alle
"carte d'identità nazionali" di Tony Blair.
Per
decenni è stata una "soluzione" postulata ad ogni
"problema".
Terrorismo? L'identità digitale ti terrà al
sicuro.
Immigrazione
clandestina? L'identità digitale proteggerà il confine.
Pandemico?
L'identità
digitale terrà traccia di chi è vaccinato e chi no.
L'intelligenza
artificiale? L'identità digitale dimostrerà chi è umano.
Povertà?
L'identità
digitale "promuoverà
l'inclusione finanziaria".
Chiaramente,
proprio come per le “CBDC”, un servizio di identità digitale di vasta portata è
una minaccia per i diritti umani.
E, proprio come con le “CBDC”, se si
interconnettono le piattaforme nazionali di identità digitale è possibile
costruire un sistema globale.
Ancora
una volta, è tutta una questione di "interoperabilità".
Usano
lo stesso identico linguaggio.
Il”
programma Identity4Development” della “Banca Mondiale” afferma:
L'interoperabilità
è fondamentale per lo sviluppo di ecosistemi di identità efficienti,
sostenibili e utili.
I
ministri per la digitalizzazione dei paesi nordici e baltici hanno chiesto
pubblicamente” ID digitali operativi” "transfrontalieri".
“ONG”
come “Open Identity Exchange” (OIX) stanno pubblicando rapporti sulla
"necessità di standard di dati per consentire l'interoperabilità degli ID
digitali sia nelle federazioni all'interno di un ecosistema “ID”, sia tra gli
ecosistemi” ID".
L'elenco
dei governi nazionali che introducono ID digitali, "collaborano" con
i giganti aziendali per farlo e/o promuovono "l'interoperabilità
transfrontaliera" è lungo e si allunga sempre di più.
Nell'ottobre
2023 il “Programma di Sviluppo” delle Nazioni Unite ha pubblicato le sue
"linee guida" per la progettazione e l'utilizzo delle identità
digitali.
Non
c'è alcuna differenza pratica tra 195 piattaforme di identità digitale in rete
e un “unico programma di identità globale”.
OK,
quindi hanno programmi di valuta e identità globali in atto.
Ora
possono controllare e monitorare i movimenti, le transazioni finanziarie, la
salute e altro ancora di tutti.
Questo è il meccanismo di sorveglianza e
controllo, il tutto gestito in un modello distribuito progettato per offuscare
l'esistenza stessa di un governo globale.
Ma per
quanto riguarda la politica?
Come
fa questo governo globale a tramandare la politica e la legislazione senza
rivelare la sua esistenza?
Cambiamento
climatico, ecco come.
3.
"AZIONE PER IL CLIMA."
Il
cambiamento climatico è stato in prima linea nell'agenda globalista per anni.
È il
cavallo di del tecnocrate antiumano.
Già
nel 2010, noti "esperti" di cambiamento climatico suggerivano che
"gli
esseri umani non sono abbastanza evoluti" per combattere il cambiamento
climatico e che "potrebbe essere necessario mettere in pausa la democrazia per un
po'".
Più di
recente, nel 2019,” Bloomberg” ha pubblicato articoli con titoli come "Il cambiamento climatico ucciderà la
sovranità nazionale come la conosciamo", e gli accademici ci dicono:
Gli
Stati non saranno in grado di risolvere crisi globali come il cambiamento
climatico fino a quando non rinunceranno alla loro sovranità.
Per
anni il cambiamento climatico è stato venduto come la ragione per cui potremmo
essere "costretti" ad abbandonare la democrazia o la sovranità.
Accanto
a questo, c'è una prolungata narrazione propagandistica dedicata a trasformare
il "cambiamento climatico" da una questione ambientale a una
questione di tutto.
A
questo punto tutti i governi nazionali concordano sul fatto che il
"cambiamento climatico" è un problema urgente che richiede una
cooperazione globale per essere risolto.
Ospitano
grandi vertici in cui firmano accordi internazionali, vincolando gli stati
nazionali a determinate politiche, per il bene del pianeta.
Avendo
stabilito questo modello, stanno ora ampliando la portata del "cambiamento
climatico".
Trasformare
il "cambiamento climatico" nella risposta a ogni domanda:
Ovviamente,
il "cambiamento climatico" avrebbe sempre avuto un impatto
sull'energia e sui trasporti.
Dopo
il Covid, il "cambiamento climatico" è già stato ribattezzato
"crisi sanitaria".
Ora ci
viene detto che il "cambiamento climatico" sta generando una crisi
alimentare.
Ci viene
detto che il commercio internazionale deve essere attento al clima.
La “Banca
Mondiale” ci dice che la riforma dell'istruzione aiuterà “la lotta contro il
cambiamento climatico”.
Il FMI
ci ha detto che ogni paese del mondo dovrebbe tassare il carbonio e, in un
recente episodio incrociato, che le “CBDC” possono essere buone per l'ambiente.
Vedi
come funziona?
Agricoltura
e alimentazione, salute pubblica, energia e trasporti, commercio, politica
fiscale e fiscale, persino istruzione.
Quasi
ogni area di governo è ora potenzialmente coperta dall'ombrello del
"cambiamento climatico".
Non
hanno più bisogno di un unico governo mondiale, hanno solo bisogno di un unico
gruppo di "esperti
internazionali imparziali sul cambiamento climatico" che lavorino per
salvare il pianeta.
Attraverso
la lente del "cambiamento climatico", questi esperti avrebbero il
potere di dettare – scusate, raccomandare – la politica del governo in quasi
ogni area della vita a ogni nazione del pianeta.
Lo
vedi già?
Questo
è un governo globale nel mondo moderno, non centralizzato ma distribuito.
Cloud
computing.
Una mente alveare sovranazionale corporativa-tecnocrate.
Senza
un'esistenza o un'autorità ufficiale, e quindi senza responsabilità, e
incanalando tutte le loro decisioni politiche attraverso un unico filtro: il cambiamento climatico.
Non ci
sarà un'unica valuta globale, ci saranno decine e decine di valute digitali
"interoperabili" che creeranno un "ecosistema di pagamento
armonioso".
Non ci
sarà un unico servizio di identità digitale globale, ci sarà una serie di
"reti di identità interconnesse" impegnate nel "libero flusso di dati per
promuovere la sicurezza".
Non ci
sarà un governo globale, ci saranno gruppi internazionali di "esperti
imparziali", nominati dall'”ONU” che fanno "raccomandazioni
politiche".
La
maggior parte o tutti i paesi del mondo seguiranno la maggior parte o tutte le
raccomandazioni, ma chiunque chiami questi gruppi governi globali riceverà un “fact-checking”
da “Snopes” o “Politifact” che evidenzia che "i gruppi di esperti delle
Nazioni Unite NON costituiscono un governo globale perché non hanno potere
legislativo".
Questo,
a mio avviso, è il modo in cui il governo globale prenderà forma nel 2024 e
oltre.
Compartimentato,
assolutamente negabile... ma molto, molto reale.
Governance
globale.
It.wikipedia.org
– (28 luglio 2023) – Redazione – Creative Commons, wiki media – ci dice:
(Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera).
L'idea
di un possibile governo globale è una tesi che viene dibattuta in alcuni
circoli intellettuali, è basata sull'osservazione che la crescente complessità
di un mondo sempre più globalizzato potrebbe aver bisogno nel prossimo futuro
di una qualche forma di ordinamento che agisca a livello globale.
La
governance globale.
Lo
stesso argomento in dettaglio:
Forme
di Stato e forme di governo.
Data
la sostanziale anarchia che regola attualmente i rapporti internazionali, si
pone la necessità di una forma concettualmente nuova ed operativamente inedita
di regolamentazione su scala mondiale.
La sempre più fitta interdipendenza
internazionale, unita alla persistenza di realtà culturali, politiche e sociali
frammentate, potrebbe essere gestita da una governance globale.
Esistono
a questo riguardo diverse strutture ideali, proposte dalle diverse scuole di
pensiero.
A
partire da esse si possono ipotizzare probabili scenari del mondo globale.
“Robert
Keohane” pone come primario il problema della legittimazione dei decisori
globali, che attualmente non rispondono delle loro azioni, se non alle loro
strette istituzioni (governo, popolo specifico).
“James
Rosenau” parla
di un sistema di regolamentazione che possa prevenire specifici problemi, come
evitare le guerre e politiche di riequilibrio globale, come tra l'altro,
sostiene anche “Samuel Makinda”.
La
costituzione di una governance globale, avrebbe una forma radicalmente diversa
da quella della struttura nazionale.
Infatti,
se sul nascere di queste ultime organizzazioni, vi erano delle condizioni dove
c'era l'interesse nazionale contrapposto a tutti gli altri, in un contesto globale si parlerebbe
di un singolo autocontrollo umano.
Negli
ultimi anni l'ONU propone questa visione attraverso i vari segretari che si
sono succeduti ma, secondo gli studiosi, la presenza reale di uno “Stato
egemone” come gli USA, non permette una visione in prospettiva democratica del
mondo dalla maggioranza degli uomini.
Le
difficoltà di una governance globale.
La
natura non solo istituzionale del problema della gestione delle società
globalizzate produce una pluralità di posizioni teoriche, spesso
contraddittorie:
Alcuni
credono che sarà una naturale evoluzione della globalizzazione per cui non c'è
bisogno di occuparsene.
Dopo
l'11 settembre, quando anche la nazione egemone ha subito un grave attacco, è
diminuito il numero degli studiosi che sostengono tale tesi.
La
prospettiva realista afferma che, sostanzialmente, le interconnessioni della
globalizzazione non hanno cambiato la funzione delle nazioni che resterebbero
gli unici attori globali, con tutti i problemi di disuguaglianza che ne
conseguono, nell'anarchia internazionale dove i più forti si comportano da
egemoni.
Un'ultima
prospettiva è rappresentata dalle interpretazioni neomarxiste per le quali la
globalizzazione rappresenta il progetto statunitense di dominio globale.
Diverse
concezioni di governance.
L'attuale
estensione dell'Unione europea.
Quattro
sono i modelli di governance globale:
L'internazionalismo
liberal democratico – che prefigura al centro le nazioni, ma regolate da un potere
politico legittimo basato su principi di democrazia rappresentativa.
La
democrazia radicale – che pone al centro i movimenti globali, dotandoli di potere
politico e favorendo una democrazia che vada dal basso verso l'alto.
La
democrazia cosmopolita – che pone una sovrastruttura globale ai poteri regionali,
nazionali e locali.
La
democrazia multipolare – che giudica utopica quella cosmopolita, pone l'importanza su
organi regionali sopranazionali simili all'Unione europea.
Modelli
di sovranità.
“David
Help” individua tre modelli, ognuno dei quali si associa ad una fase storica
avente una sua forma di sovranità.
Il
modello classico.
Dopo la
pace di Vestfalia, gli stati nazionali sono stati convenzionalmente accettati
come organizzazioni sovrane su un dato territorio e popolo.
In questo modello restano delle lacune per
quanto riguarda la regolazione dei rapporti internazionali, che resterebbero in
uno scenario anarchico, dove ogni stato persegue il proprio interesse
nazionale.
In
questa anarchia globale i più forti primeggerebbero sui più deboli.
Il
modello internazionale liberale.
Successivo
al modello classico, dove si è assistito a come una sempre più forte
interdipendenza fra nazioni, ha fatto in modo che si sviluppassero delle
convenzioni universali che, di fatto, regolano l'operato dei governi.
“Help”
classifica come limiti a tale modello, tre principali fattori:
Queste
convenzioni che regolano dei paesi sostanzialmente diversificati economicamente
e politicamente, non assicurano un democratico rimodellamento dell'anarchia
internazionale.
A
parte i successi significativi come la “Dichiarazione universale dei diritti
umani”, ci
sono anche dei clamorosi insuccessi come il” protocollo di Kyoto”, bocciato
dagli USA che così facendo, ne hanno, di fatto, annullato la ragione d'esistere.
Esso
non regola opportunamente i processi socioeconomici internazionali.
L'unico
obbiettivo che si pone tale modello è limitare l'abuso dei governi
nell'esercizio delle loro funzioni a livello globale, ma lascia insoluti i
problemi sociali e le disuguaglianze economiche.
Il
modello cosmopolitico.
“Help,
al riguardo, espone quali sono i criteri su cui si potrebbe basare un futuro
modello cosmopolitico di governance globale:
Principio
di derivazione illuministica – Ogni essere umano è formalmente uguale a un altro.
Principio
dell'agire attivo – La potenzialità di agire nell'interesse privato e pubblico di
tutti i cittadini.
Principio
di responsabilità – Che pone i governatori responsabili nei confronti dei
governati.
Principio
del consenso – Le
decisioni devono essere basate su un democratico consenso.
Il
principio della formazione collettiva delle decisioni – Adozione di un sistema di maggioranza.
Principi
di inclusività ed esclusività – I criteri stabiliti per la partecipazione, e il forte
decentramento del potere per permettere un potenziale decisionale generale.
Principi
della soddisfazione dei bisogni – Con una definizione delle priorità globali.
In
base a questi principi, si potrebbe dar vita ad un assetto politico mondiale
più responsabile, strutturato su più livelli e che con tassazioni e politiche
economiche crei la strada per uno sviluppo sostenibile planetario democratico e
eguale.
Questa
strada non è necessariamente quella che si prenderà, ma è un modello possibile che
dovrebbe ispirare le politiche e le società attuali del globo.
La
critica realistica al cosmopolitismo.
“Stephen
Krasner” è fautore di un'importante critica al cosmopolitismo, che schematizza
in 9 punti fondamentali:
Lo
Stato non sta perdendo la sua sovranità in conseguenza alla globalizzazione, ma
è da sempre che rischia di perderla.
La
sovranità non è vera nella sua accezione assoluta data l'interdipendenza
globale, non solo oggi a causa della globalizzazione, ma è così da sempre.
Non è
la pace di Westfalia ad aver fondato lo stato moderno, ma ci sono processi
storici successivi che hanno contribuito significativamente a costruirlo.
Neanche
l'accettazione di regimi dei diritti umani è una novità della globalizzazione,
già in passato molti stati hanno subito richieste di stato egemoni.
Il
controllo dello Stato sul suo territorio non è diminuito, grazie alle
tecnologie sempre più sofisticate.
È
accettata la tesi per cui il potere statale è in una fase di cambiamento delle
proprie funzioni.
Anche
il fatto che le organizzazioni non governative riescano sempre più a influenzare
le decisioni degli stati è accettato.
Vero
anche che la sovranità statale blocchi la risoluzione di conflitti.
Infine
è vero che esempio determinante per una efficace governance mondiale, è
l'Unione europea.
Se da
un lato la critica è molto utile e colma bene i vuoti della democrazia
cosmopolita, dall'altro lato non convincono alcune tesi come la non imitabilità
dell'Unione europea da parte di altre regioni del mondo.
Il
modello liberal democratico.
Questo
modello propone di instaurare la democrazia liberale oltre i confini nazionali,
con un accento specifico sul “problema dell'accountability” (Responsabilità politica), quindi sul come gestire in maniera
democratica la responsabilità dei decisori nei confronti di chi subisce le
decisioni.
“Keohane”
critica i cosmopolitici definendo la loro teoria attraente ma utopica, in
quanto il sistema mondo è piuttosto unificato economicamente e continua a farlo
sempre di più, ma la società non è unica, ma anzi, è molto sfaccettata e
presenta anche casi estremi anti etici ad una governance globale unica.
Presuppone
invece, una società che sarebbe parziale invece che globale.
L'accountability.
Motivi
chiave per cui è necessaria un'accountability responsabile:
l'autorizzazione
ad agire nel nome di un popolo;
rendere
conto dell'impiego liquido delle tassazioni;
essere
responsabile nei confronti di chiunque è influenzato da una decisione.
Il
terzo punto è una delle novità di un sistema inedito che è quello globale, e anche se
appare irraggiungibile data l'opposizione dei governi, la richiesta generale di
questo punto sarà sempre maggiore.
In
primo luogo le grandi organizzazioni internazionali come “ONU”, “WTO” e “FMI”
sono chiamate a rispondere del loro operato, che oggi è pressoché unilaterale o
quasi.
Il modello liberal democratico, appare dunque più fattibile, ma
meno ambizioso.
Modello
poliarchico.
Questo
modello, proposto da “Alberto Martinelli”, tende a mettere assieme i fattori
principali di tutti i modelli precedenti.
Il
mondo è visto come un sistema unico e l'uomo come cittadino con più
livelli di cittadinanza, che da quella globale arriva fino a quella locale.
Multipolare
con un rafforzamento delle regioni su modello UE che permette un maggiore equilibrio
politico nel contesto globale.
“Multilivello”
nel senso che gli Stati nazionali restano organizzazioni centrali, ma si
sovrappongono istituzioni regionali che non limitano, ma si aggiungono al
potere nazionale.
“Multilaterale”
con il
potenziamento delle organizzazioni non governative in modo che possano
democraticamente interagire con i poteri decisionali e influenzarne l'operato.
Il
modello cosmopolita, come orizzonte lontano a cui mirare, ma da raggiungere in
varie fasi.
Ma
perché questo processo possa essere realmente applicato c'è bisogno che si
sviluppino dei punti chiave quali:
Stipulare
regole che siano coerenti con i valori condivisi dalla maggioranza.
La
creazione di una cooperazione continua tra gli attori globali.
Lo
sviluppo regionale tipo “UE”.
Rafforzamento
politico delle realtà internazionali come “UE”, “ONU”.
Assetti
politici della società internazionale.
I
Paesi evidenziati in blu vengono definiti "Democrazie Elettorali" nel
rapporto di “Freedom House” del 2016.
La
mappa riflette le conclusioni dell'inchiesta della “Freedom House del 2010”,
relativa allo stato della libertà nel mondo nel 2009.
Michael Walzer
espone 7 possibili assetti politici nella governance globale:
Stato
mondiale unificato – Potenzialmente tirannico.
Impero
globale –
“Stato egemone, quindi gli USA”, ma si presenta
sconsigliabile a causa della persistenza delle disuguaglianze economiche e
sociali tra chi è avvantaggiato e chi è nella “periferia”.
Stati
uniti del mondo – Garantirebbe l'eguaglianza di diritti e doveri, ma non
saprebbe far fronte in maniera adeguata alle disuguaglianze economiche e di
potere.
Anarchia
mitigata da poteri sopranazionali –
Quindi
pressoché il modello poliarchico, con maggiore forza ad organizzazioni
internazionali e sopranazionali come ONU e UE.
Regime
della società civile –
Con al
centro i movimenti internazionali, che acquistino democraticamente potere
politico e che siano garanti del corretto funzionamento del sistema mondo.
Presentano
il problema di reagire alle conseguenze e non di prevenirle o di costruire
proposte alternative oltre ad essere poco efficaci negli atti decisionali a causa della fondamentale democrazia
diretta che viene adottata.
Sistema
internazionale di Stati sovrani –
Quindi
il rafforzamento di organizzazioni come l'ONU, l'FMI e il WTO,
che
però lasciando elevato potere di sovranità non permette l'effettivo rispetto di
tutti i membri dei principi umani oltre a non diminuire le disuguaglianze.
Anarchia
internazionale –
Ha il vantaggio che gli Stati autonomamente
sono capaci di difendere eccellentemente gli interessi locali, ma l'interesse
nazionale in un quadro anarchico, porterebbe inevitabilmente alla guerra a
causa dei contrasti nazionali.
Il
quarto appare come il migliore in base al fatto che non intacca la nazionalità pur creando
un potere globale, che però non sarà tirannico in base al principio del potere
controlla il potere.
Gli
scenari possibili della politica mondiale.
«È
finito il tempo in cui esisteva una relazione “congrua”, simmetrica, tra coloro
che prendevano le decisioni per la comunità nazionalmente delimitata e quanti
erano interessati dalle conseguenze di tali decisioni; così come è finito il
periodo in cui le frontiere potevano essere chiaramente definite e conosciute
dalla comunità politica, e la democrazia rappresentativa sembrava offrire una
soluzione al “problema dell’accountability” del potere nello Stato-nazione
moderno».
(“David
Held”: Ridefinire la governance globale: apocalisse subito o riforma)
I
vantaggi egemoni degli USA, nel settantennio 1945-2015, furono:
Primato
della ricerca.
Primato
del potere militare.
Egemonia
culturale capace di influenzare il mondo.
Economicamente
hanno determinati vantaggi rispetto agli altri Paesi grazie alla loro influenza
sulle organizzazioni economiche internazionali, ma d'altra parte il debito
pubblico crescente e le economie cinese e indiana intaccano sempre di più il
loro ruolo leader.
La
politica USA degli ultimi anni, ha prodotto molte resistenze a livello globale:
dopo
gli attentati dell'11 settembre 2001 da parte del fondamentalismo islamico, e
con l'allontanamento istituzionale degli storici alleati europei durante
l'avvento della guerra in Iraq,
"assistiamo
al crollo del modello deregolamentato neoliberista, al suo fallimento storico,
ma questo non deve indurci a credere che anche la globalizzazione sia arrivata
al capolinea.
I processi sociali e le strutture che da
questi derivano sono costruiti da differenti agenti sociali, ne riflettono le
idee, gli orientamenti politici, gli interessi materiali e simbolici.
Anche
il periodo della globalizzazione neoliberista e il sistema della massima
deregolamentazione e del minimo controllo sono stati attivamente costruiti da
alcuni attori.
Il
cedimento dell’edificio neoliberista, costruito sulla convinzione che
l’interesse personale e privato fosse il modo migliore per sorreggere
l’edificio e gestire l’autoregolamentazione degli inquilini, porterà alla
costruzione di un altro edificio (...)
La prova sta nel fatto che alcuni Paesi (...)
hanno adottato con attenzione e molto scrupolo il modello suggerito, e come
risultato hanno ottenuto un considerevole abbassamento della crescita economica
generale rispetto al periodo in cui non adottavano quel modello, che ha portato
con sé alti livelli di disuguaglianza sociale e una povertà crescente.
Altri
Paesi, invece, che hanno resistito a questo modello per ragioni politiche, per
una forte mobilitazione interna o perché sufficientemente forti da poter
rifiutare un gioco le cui regole erano stabilite altrove, hanno ottenuto
risultati più positivi.
Cina e
India, per esempio, sono Paesi che hanno integrato le proprie economie
all'interno dell’economia globale con molta prudenza e cautela e che hanno
usato politiche decisamente selettive, proteggendo alcuni settori industriali
fino al momento in cui non hanno sentito di essere pronte per affrontare la
competizione, riuscendo così a trarre profitto dalla globalizzazione senza
cadere nella trappola della volatilità e degli shock subìti da altre economie
nazionali".
Fattori
che favoriscono ed ostacolano la governance globale.
La
gestione della governance è caratterizzata da ostacoli e opportunità:
Fattori
negativi:
Attori
potenti come gli USA non hanno interesse a perdere democraticamente il ruolo di
leader globali.
Le
organizzazioni internazionali come ONU, WTO e FMI, anche se hanno favorito dei
processi di sviluppo, sono allineati con le politiche degli Stati maggiori,
soprattutto con gli USA.
Le
disuguaglianze nel mondo tendenzialmente non diminuiscono, spesso si aggravano.
Emergono
nuove fazioni fondamentaliste che minano il desiderio di un mondo globale.
Nei
Paesi democratici si afferma una costante diminuzione della partecipazione,
questo comporta minore fiducia nella democrazia, anche intesa come ideologia
globale.
Esistono
molti Paesi non democratici che per definizione non cercano certo il dialogo
democratico internazionale, che minerebbe il loro essere autoritari.
Infine
risulta difficile ripetere il processo democratico che è avvenuto negli Stati
nazione, a causa della mancanza effettiva di un potere a cui forze sociali si
contrappongono e trattano il loro potere politico contro le decisioni
indiscriminate.
Fattori
positivi:
La
crescente consapevolezza di un destino comune da sempre più uomini sulla Terra
e quindi un senso crescente di appartenenza a un sistema globale.
Il
lento ma costante formarsi di attori internazionali sociali, che favoriscono
l'interazione sociale senza intaccare libertà e culture locali.
La
nascita di poteri sopranazionali come l'”Unione europea” che porta a un
ridimensionamento degli attori globali oltre che un multilateralismo più
efficiente nei confronti dei poteri egemoni.
La
generale crescita culturale che porta al rispetto delle altre culture e al
fertile confronto con esse.
Gli
Uomini Palestinesi non
sono “Terroristi in Divenire.”
Conoscenzealconfine.it
– (2 Gennaio 2024) - Daniele Bianchi – ci dice:
Si
ignora l’uccisione degli uomini palestinesi.
La loro umanità viene cancellata e vengono
ritratti collettivamente come “pericolosi uomini marroni” e “potenziali
terroristi”.
Ciò, a
sua volta, ne consente l’uccisione da parte di Israele.
In
poco meno di tre mesi, più di 21.000 persone sono state uccise a Gaza, e molte
altre corrono il rischio di malattie e morte a causa dei continui bombardamenti
indiscriminati, dell’invasione di terra e dell’assedio da parte di Israele.
C’è stato anche un aumento significativo della
violenza dei coloni e del numero di omicidi da parte delle forze israeliane
nella “Cisgiordania occupata”.
Nella
copertura mediatica e nei resoconti delle organizzazioni per i diritti umani,
delle “istituzioni internazionali” e delle “ONG”, soprattutto in Occidente, l’attenzione è stata attirata
principalmente sugli attacchi di Israele contro donne e bambini palestinesi.
Gli
esempi includono la cifra spesso citata di oltre 8.000 bambini uccisi e le
notizie di molti bambini sottoposti ad amputazioni senza anestesia.
Anche
i governi alleati di Israele hanno espresso preoccupazione per il numero sempre
crescente di donne e bambini palestinesi morti.
Il presidente francese “Emmanuel Macron”, ad
esempio, ha dichiarato:
“Questi
bambini, queste donne, questi anziani vengono bombardati e uccisi. Quindi non
c’è alcuna ragione per questo e nessuna legittimità”.
Sebbene
tali affermazioni denigrino giustamente l’uccisione di donne e bambini in
Palestina, ignorano l’uccisione degli uomini.
Attraverso
questo rifiuto di contare e piangere esplicitamente le loro morti, agli uomini
palestinesi viene negato lo status civile.
La
loro umanità viene cancellata e vengono ritratti collettivamente come
“pericolosi uomini marroni” e “potenziali terroristi”.
Ciò, a
sua volta, consente l’uccisione di uomini palestinesi da parte di Israele.
La
loro uccisione è consentita proprio perché sono “uomini” palestinesi.
Il
loro status di genere e razziale, in particolare la loro designazione generale
come “terroristi di Hamas”, eclissa il loro status civile, ritenendoli
uccidibili.
La
loro uccisione è scusata e giustificata nel contesto dell’“antiterrorismo”.
Ad
esempio, “Tzipi Hotovely”, l’ambasciatore israeliano nel Regno Unito, ha
affermato in un’intervista televisiva a novembre che “oltre il 50%” delle
persone uccise da Israele a Gaza in quest’ultima ondata di violenza erano
“terroristi”.
Affinché
una tale percentuale sia lontanamente accurata, tutti gli uomini morti (e anche
i ragazzi più grandi) a Gaza devono essere presunti “terroristi” o almeno
“terroristi in divenire”.
La
demonizzazione generalizzata degli uomini – sostenuta da narrazioni secondo cui
gli uomini di colore, soprattutto arabi, sono intrinsecamente inaffidabili,
pericolosi e radicali – non è nuova.
Queste
narrazioni, attualmente utilizzate da Israele e dai suoi alleati per giustificare la violenza genocida
in Palestina, sono state costantemente utilizzate per giustificare l’uccisione di
massa di uomini e ragazzi di colore nel corso degli anni, anche nel contesto
della cosiddetta “Guerra al terrorismo globale” e le invasioni illegali dell’Iraq e
dell’Afghanistan.
Questa
non è una coincidenza.
Il colonialismo e il genocidio richiedono la
cancellazione dell’umanità e della storia delle persone.
Il
colonialismo dei coloni israeliani mantiene il dominio attraverso la violenza e
legittima questa violenza negando l’esistenza di una nazione palestinese e
designando i palestinesi come meno che umani.
Negli
ultimi tre mesi Israele ha ucciso, mutilato e fatto morire di fame decine di
migliaia di palestinesi.
A
Gaza, uomini e donne palestinesi stanno scavando i loro cari sotto gli edifici bombardati
e seppellendo i loro bambini a mani nude.
Eppure
nulla di tutto ciò è stato riconosciuto per quello che è:
gravi
crimini contro i civili.
E le
esperienze degli uomini palestinesi vengono completamente ignorate.
Sono privati di qualsiasi complessità che
sottolinei la loro umanità.
Non
sono visti come fornai, paramedici, giornalisti, poeti, negozianti, padri,
figli e fratelli quali sono, ma bollati in massa come “terroristi”.
Nella
vita sono ridotti a bersagli da eliminare.
Nella morte, nella migliore delle ipotesi,
sono considerati “danni collaterali”.
Nel
peggiore dei casi, la loro uccisione violenta viene celebrata come una vittoria
contro il “terrorismo”.
Naturalmente,
come tutti gli esseri umani, gli uomini palestinesi hanno dei sentimenti.
Eppure,
le loro paure, il loro dolore, l’ansia, la frustrazione o la vergogna vengono
costantemente cancellate da qualsiasi narrativa che li riguardi.
L’unica
emozione riconosciuta negli uomini palestinesi è la rabbia.
Eppure
questa rabbia non è riconosciuta come una giusta risposta alla violenza e
all’oppressione coloniale dei coloni.
Viene invece vista come una rabbia barbara,
irrazionale e pericolosa. Una rabbia che necessita di misure estreme per essere
controllata, come gli assedi totali o i bombardamenti a tappeto.
L’occupazione
decennale della Palestina da parte di Israele e il suo regime di apartheid
significano che nulla di tutto ciò è una novità.
Quest’ultimo
capitolo non ha fatto altro che accelerare un processo di disumanizzazione,
demonizzazione e distruzione in corso da tempo.
I
luoghi comuni sugli uomini palestinesi, la loro violenza intrinseca e la rabbia
barbarica hanno due conseguenze principali:
in primo luogo, rappresentano una minaccia
esistenziale per gli uomini e i ragazzi palestinesi nei territori palestinesi
occupati e ne consentono la mutilazione e l’omicidio.
In secondo luogo, poiché contribuiscono a definire
metà della popolazione palestinese come pericolosa e inaffidabile, rendono
impossibile la fine della violenza.
In
futuro,
per correggere la rotta saranno necessarie le seguenti misure:
le
narrazioni di “radicalizzazione” utilizzate da Israele e dai suoi alleati per
giustificare la violenza, come la punizione collettiva, devono essere
contrastate.
Qualsiasi
accordo per il rilascio dei prigionieri deve includere uomini palestinesi, come
le centinaia di persone detenute nella cosiddetta detenzione amministrativa.
Quando
verrà concordata un’ulteriore “pausa umanitaria” o, si spera, un cessate il
fuoco permanente, gli aiuti dovranno essere forniti per soddisfare i bisogni
dei ragazzi e degli uomini insieme a quelli del resto della popolazione.
I
coloni illegali dovrebbero essere ritenuti responsabili della violenza che
hanno inflitto al popolo palestinese, compresi gli uomini e i ragazzi
palestinesi che sono stati uccisi in modo sproporzionato.
Nel lungo termine, occorre riconoscere il diritto dei
palestinesi all’autodeterminazione, gli effetti della militarizzazione sulla
società israeliana e gli effetti transgenerazionali del colonialismo dei coloni
sulla società palestinese.
Oggi,
i palestinesi di Gaza e del resto dei territori occupati vivono orrori
inaccettabili.
Gli
attuali attacchi di Israele contro Gaza, così come la sua decennale occupazione
della Palestina e il regime di apartheid devono finire.
Ai
palestinesi – uomini, donne e bambini – deve essere dato lo spazio per piangere
ciò che hanno perso, curare le loro ferite e costruire un futuro per sé stessi.
Affinché
ciò sia possibile, occorre innanzitutto accettare l’umanità dei palestinesi –
di tutti i palestinesi.
Gli
uomini e i ragazzi palestinesi, nella vita e nella morte, devono ricevere un riconoscimento
significativo.
(Daniele
Bianchi).
(oltrelalinea.news/gli-uomini-palestinesi-non-sono-terroristi-in-divenire/)
Ambientalismo
e globalismo,
le
ideologie più pericolose.
Lanuovabq.it
– Stefano Fontana – (20-11-2020) – ci
dice:
IL XII
RAPPORTO VAN THUAN.
L’ambientalismo
è una grande bolla ideologica, il globalismo è un’etica dell’umanità con pochi
e generici principi morali per una religione universale senza dogmi e dottrine.
A questo progetto inquietante sta dando il
proprio appoggio anche la Chiesa cattolica.
Il dodicesimo Rapporto dell’”Osservatorio Cardinale
Van Thuan” è dedicato a Ambientalismo e globalismo, le due ideologie più
pericolose del momento, che puntano a convergere su un unico piano politico
mondiale.
Ambientalismo
e globalismo, secondo il “dodicesimo Rapporto dell’Osservatorio Cardinale Van
Thuân” appena uscito per le edizioni Cantagalli (Siena, pp. 256), sono le due
ideologie più pericolose del momento, tanto più perché convergono a tenaglia e
fanno parte di un unico piano politico mondiale.
Forse
mai un Rapporto è stato così tempestivo, uscendo a trattare un vivo argomento
di attualità proprio quando la sua realizzazione è in preoccupante fase
avanzata.
Tutti
vedono, ma non tutti capiscono:
il Rapporto serve a documentare, informare e
mobilitare la resistenza.
L’ambientalismo
di oggi è una grande bolla ideologica.
Incubato da decenni, ora è giunto ad una fase
programmaticamente pervasiva.
L’idea di fondo è che l’ambiente è malato e la
causa principale della malattia è l’uomo.
Perfino il Covid, che con l’ambiente non ha
niente a che fare, è stato proposto come sintomo della gravità del male che
colpisce il pianeta.
Siamo
vicini alla catastrofe:
il
messaggio deriva non solo e non tanto da “Greta Thunberg”, davanti alla quale
si sono prostrati interi parlamenti e Organismi internazionali, ma dalle
agenzie ONU, dai centri di ricerca allineati, dalle grandi fondazioni, dai
media del mondo intero e dagli opinions leaders del sistema.
Andremo
incontro ad un devastante riscaldamento globale causato dalle nostre emissioni
di anidride carbonica, saremo travolti da catastrofi climatiche e dovremo
familiarizzare con pandemie ricorrenti.
Le
risorse non rinnovabili si esauriscono, urge potenziare quelle rinnovabili e
sostenibili e dare vita ad una “green economy” fondata sulla circolarità, la
sostenibilità, l’equilibrio con la natura e su relazioni umane sobrie e
solidali.
Questo
“nuovo ordine ambientalistico” diventa però immediatamente politico.
Bisogna collaborare tutti insieme, come anche
il Covid ci avrebbe insegnato, e superare le barriere delle identità, le
chiusure e i muri.
Bisogna
arrivare ad una società aperta globale dotata di una governance – quando non
anche di un governo – mondiale in grado di far fronte alle minacce altrettanto
globali all’ambiente e, di riflesso, alla convivenza solidale tra gli uomini.
Un
globalismo politico, però, sarebbe impossibile senza una società globale,
omogeneizzata culturalmente in un’etica dell’umanità con pochi e generici
principi morali vagamente umanistici e in una religione universale senza dogmi
e dottrine definite.
L’etica
naturale e la dottrina cattolica vanno semplificate nel dialogo interreligioso
universalizzato in vista di una società multi-etnica e multi-religiosa, attuata
anche tramite le immigrazioni.
Ecco
così collegati tra loro l’ambientalismo e il globalismo in un unico progetto
politico universale. Le forze che lo perseguono sono all’opera e la realizzazione
è ad uno stadio avanzato.
A
questo progetto piuttosto inquietante sta dando il proprio appoggio anche
la Chiesa cattolica, decisamente orientata sullo stesso percorso dell’ONU e
delle forze economiche, sociali e politiche che hanno il culto dell’ambiente,
illudono su soluzioni utopistiche delle disuguaglianze economiche, propongono
una fratellanza universale piatta e puntano ad un programma educativo mondiale
collettivistico e uniformizzante.
Puntuale
arriva allora il “Rapporto”, che prende una ad una questa tesi sinteticamente
presentate e le smonta:
il quadro non tiene, i dati vengono deformati
strumentalmente, la realtà viene mistificata.
Il
Rapporto è un vero e proprio manuale di controinformazione e di contrasto al
nuovo regime che si vorrebbe imporre.
Sette
autorevoli saggi e quindici cronache dalle diverse aree del pianeta
decostruiscono la favola che ci viene raccontata e ci riportano alla realtà.
Le cose non stanno come ce le stanno narrando.
“Riccardo
Cascioli” spiega che l’enfasi attuale sulla “sostenibilità”, cavallo di
battaglia dell’ambientalismo dominante, ha origini eugenetiche in quanto
considera l’uomo come il predatore di una natura originariamente equilibrata la
cui presenza è da ridurre.
“Luis Carlos Molon” illustra come il
riscaldamento globale non è da nessun punto di vista prodotto dall’uomo,
sgonfiando così con dati alla mano una gigantesca balla che è stata fatta
penetrare nel sentire collettivo tramite una disinformazione sistematica che
non può che essere pianificata.
“Gianfranco
Battisti “dimostra che la tesi dell’esaurimento delle risorse petrolifere è
assolutamente insostenibile, per un motivo in particolare:
nessuno conosce i dati in proposito perché le
stime sono viziate in partenza dagli interessi delle multinazionali
energetiche.
“Domenico
Aroma” e “Antonio Casciano” denunciano il programma verde dell’Unione Europea
che vorrebbe azzerare entro il 2050 i gas serra immessi nell’atmosfera.
Questo
programma per i nostri autori avrebbe “poca scienza, molta ideologia, troppo
dirigismo normativo”.
“Don Mauro Gagliardi “ricostruisce
correttamente la visione cattolica della creazione e la depura dalle
sovrapposizioni ideologiche funzionali al “nuovo ambientalismo”.
“Mario
Giaccio” apre una porta che si vuole tenere ermeticamente chiusa, quella delle
speculazioni finanziarie sulle quote di emissione tra i Paesi europei:
la “green
economy” non ha nessuna verginità da vantare dato che si fonda sulla
speculazione finanziaria non meno dell’economia che si vorrebbe combattere.
Infine” Gaetano Quagliariello”, con un ragionamento
schiettamente politico, dice perché e come l’emergenza ecologista sia la via
verso un nuovo ordine mondiale e di quale ordine (purtroppo) si tratti.
Nello
stringente apparato con disinformativi che ci fa vedere ciò che non è e
desiderare quanto non ci conviene, la boccata d’aria di questo” XII Rapporto
dell’Osservatorio Van Thuân” ci voleva proprio.
Il
mondo intero vuole il ponte sullo Stretto,
il
Governo no: vada all’inferno.
Lacnews.it
- Pino Aprile – (21 novembre 2021) – ci dice:
INFRASTRUTTURE.
Calabria,
Sicilia, l'Unione Europea e l'economia mondiale ne hanno bisogno ma trovano
opposizione da mezzo secolo.
L'attuale
ministro alle infrastrutture “Giovannini”£ è degno erede di chi lo ha
preceduto, cioè “Paola De Micheli”, la quale impedì che entrasse fra le opere
del Pnrr.
Istruzione
per il presepe:
quest'anno,
Gesù Bambino non nasce in una grotta al freddo e al gelo, sulle colline di
Betlemme, ma sul mare, sotto un ponte, anzi, sotto il “Ponte sullo Stretto di
Messina”, a ridosso di un pilone, sulla costa calabra o quella siciliana,
scegliete voi.
E chi
non fa il presepe con il Ponte, deve andare all'inferno (e figuratevi chi non
fa il Ponte!), secondo quanto ci limitiamo a divulgare e giunto dall'alto.
Quanto
alto?
Non possiamo dire di più.
E
proviamoci così, con interventi ultraterreni inventati;
mentre
mandare qualcuno meritatamente al diavolo ci sta davvero, perché ormai tutti
gli altri non si sa più come dirlo che il Ponte s'ha da fare.
Addirittura
(lo avrete letto), al recente G20, la riunione dei rappresentanti dei Paesi più
potenti del mondo (non solo economicamente), tenutasi a Roma, il “Ponte sullo
Stretto di Messina” sarebbe stato indicato come uno degli snodi del progetto di
sviluppo planetario post-pandemia (“strategico per le maggiori economie
mondiali”, secondo un resoconto pubblicato su “La Sicilia”:
al G20
c'erano Cina, Stati Uniti, India, Germania, Russia, Giappone, Unione Europea,
Francia, Australia, Gran Bretagna, Canada, Brasile, Arabia Saudita:
insomma,
ce n'erano argomenti di cui parlare, giusto?);
e non
fare quel Ponte fra Calabria e Sicilia potrebbe compromettere disegni ben più
grandi della Questione meridionale o delle pretese pigliatutto della
“locomotiva padana”, ormai ferma da circa vent'anni.
E cosa
c'entra il Ponte che non si deve fare, con l'economia planetaria?
Possibile
che il mondo non sappia quello che è chiarissimo agli strateghi padani e
terroni così bravi a spiegare che l'opera non è prioritaria (se è a Sud, non
può esserlo: sta scritto nella Costituzione, quella vera; quella finta, nota
come “la più bella del mondo”, dice che persino i meridionali hanno diritto ai
trasporti, alla salute, allo studio, come tutti gli altri italiani.
Ma è
solo un modo di dire, si sa;
infatti,
quei diritti ai terroni sono negati e loro non protestano, a parte qualche
maleducato e presuntuoso “sudista”);
non è
prioritaria, perché, per collegare “la Sicilia alla Calabria” non ha senso
spendere tutti quei soldi (un terzo di quanto si è regalato alla Lombardia per
il fallimento dell'Expo2015: 18 miliardi, per incassare 400 milioni; più o meno
la cifra sprecata sinora per il bidone del Mose di Venezia: la più grande
fabbrica di tangenti di sempre);
in fondo, sono solo cinque milioni di terroni
in Sicilia:
unica
isola al mondo, oltre i centomila abitanti, a non essere connessa da un ponte,
per una distanza così breve, meno di tre chilometri.
E poi, perché fare il Ponte, “invece di...” o
“mentre bisognerebbe fare prima...”?
I
pigliatutto della “locomotiva” padana (ormai spompata: le regioni del Nord sono
in caduta libera da anni, nella classifica delle migliori europee) potrebbero
spiegare agli sprovveduti del G20, che il futuro è oltre le Alpi, verso la
Baviera, il Reno.
Mentre
la Sicilia, la Calabria sono Africa, a che pro collegarle?
Invece
le cose stanno esattamente al contrario:
con la
globalizzazione, hanno preso il volo Paesi e subcontinenti (vedi Cina, India)
che erano persi in fondo alla lista, a distanza ritenuta incolmabile dai primi
della classe: Nord America, Europa.
Era appena ieri, guardate dove stanno adesso.
L'egoismo
rende stupidi:
l'errore
degli strateghi padani a chilometro zero dal proprio naso, è guardare
all'Africa con gli occhi di oggi, anzi: di ieri;
pensandola irrimediabilmente condannata al
sottosviluppo, alla povertà coloniale.
Quelli del G20, invece, e pure l'Europa,
guardano più lontano, al domani (in parte già all'oggi):
l'Africa
sarà il continente a più alta crescita;
la gravità della questione energetica e
ambientale impone ai maggiori produttori, dalla Cina agli Stati Uniti, di
accorciare tempi e distanze per l'Europa, grande consumatrice, e la fortuna è
avere quel continente a un tiro di schioppo;
quindi,
gli scali marittimi siciliani in ispecie e meridionali in genere diventano la
porta d'ingresso in Europa per quel futuro (significa abbattere i costi di
trasporto, di noleggio delle navi, dei container, anche se adesso dalla sponda
Sud del Mediterraneo vediamo arrivare solo profughi); ma la cosa ha senso, solo
se il Ponte elimina il danno di far impiegare ore, fra attesa, imbarco e
sbarco, per l'attraversamento dello Stretto (pochi minuti: tre chilometri).
Ma il
Ponte è inutile se non connesso a quei porti con strade e ferrovie ad alta
capacità e alta velocità di livello ed efficienza europea (quindi, non “o
quello o queste” ma “quello e queste”, se no sono soldi buttati).
L'Africa
diventerebbe anche campo per la produzione di energia sostenibile da trasferire
con un salto di poche centinaia di chilometri in Europa (pensate alle decine di
migliaia di chilometri di gasdotti e oleodotti che solcano il pianeta).
Altro
che “locomotiva”: se il Sud diviene il primo porto d'Europa, tutta l'Italia
cresce, decolla.
E pure
questo è noto a tutti.
Ma
l'egoista, come lo stupido, guarda al poco qui e adesso e si perde il tanto nel
futuro.
Ci
vorrebbero dei politici veri, il cui compito è pensare al dopodomani, diceva
Aldo Moro, e imprenditori visionari e affamati del molto, come quelli che il
nostro Paese partorì nel dopoguerra, invece di parassiti predatori delle casse
dello Stato.
Capito
perché tutta questa disponibilità europea a superare le difficoltà per la
realizzazione del Ponte sullo Stretto?
Qual è la scusa: non ci sono i soldi?
A
parte che il governo poteva inserire il “Ponte fra i progetti del Pnrr”, magari
chiedendo una proroga sui tempi di realizzazione (faccenda su cui, si
risolvessero pure i dubbi sulla volontà politica di farlo, c'è un dibattito fra
i tecnici: “si può”, “non si può”, farlo in tot anni), la Commissione europea
per le politiche regionali ha fatto sapere di esser “disposta a ricevere una
proposta per realizzare il Ponte sullo Stretto” e a co-finanziare l'impresa.
La
Calabria e la Sicilia il Ponte lo vogliono, ma l'infrastruttura rientra in
quelle previste per il “Corridoio Helsinki-Malta”, un progetto europeo (“Ce lo
chiede l'Europa”: dal 1976) e quindi, deve essere il governo ad avviare le
procedure per il finanziamento europeo.
Ma il
governo non vuole.
Certo,
non lo dirà esplicitamente, ci prendono in giro con supercazzole e il ministro
alle Infrastrutture, “Enrico Giovannini”, è degno erede della ministra dello
scorso governo, “Paola De Micheli” che, pur di impedire che il Ponte entrasse
fra le opere del “Pnrr”, nominò una commissione che non rispettò i tempi (era
stata creata per allungarli) e, di rinvio in rinvio, arrivò con un nulla di
fatto alla caduta del governo Conte.
Ora, “Giovannini” si sta rivelando persino più
bravo (ovvero, visto da Sud: peggiore).
Come
avrete letto nei giorni scorsi, l'intergruppo di parlamentari favorevoli al
Ponte, coordinato dalla senatrice “Silvia Vono”, calabrese, cercherà di far
rientrare dalla porta nella legge di Bilancio, la possibilità di realizzare il
Ponte in quattro anni, che Giovannini, ha buttato dalla finestra.
Quindi,
Calabria e Sicilia lo vogliono, un intergruppo parlamentare pure, l'Unione
Europea anche e l'economia mondiale ne ha bisogno.
Contrario
solo il governo. Da mezzo secolo.
Vogliamo provare con il presepe? Se no, siete
avvisati: andate all'inferno.
(Sì,
ma quante volte ancora insisteremo sul Ponte: fino a che non lo si fa).
(PINO
APRILE)
Schlein:
«Meloni non vuole governare ma comandare».
La
replica: diamo più potere agli italiani.
Ilsole24ore.com
– (11 novembre 2023) – Redazione – ci dice:
La
partecipazione di Conte: «Io sono per il campo giusto e non per il campo largo,
confermiamo il dialogo col Pd».
Manifestazione
Pd, Piazza del Popolo inizia a riempirsi e si balla "Romagna mia".
Elly
Schlein riporta il Pd in piazza.
E dal palco attacca:
sulla
riforma costituzionale del governo: «Giorgia Meloni non vuole governare ma
comandare, la destra ha sempre sognato di smantellare la Repubblica
parlamentare per l’uomo solo al comando, ma la storia di questo Paese ha dato e
non è andata bene».
Poco
dopo arriva la replica della premier:
«Cara
Elly, noi vogliamo semplicemente che siano i cittadini ad avere più potere,
dando così maggior forza e stabilità all’Italia.
Cioè quello che dovrebbe sostenere ogni
sincero “democratico”».
Nel
suo intervento la segretaria del Pd ha rilanciato l’azione del partito: «Siamo
noi a dover ricostruire un campo progressista.
Siamo
qua per costruire una speranza al Paese, e questa piazza è la nostra risposta.
Da
questa piazza parte una fase nuova, non ci lasciamo qui, dovremo continuare a
lavorare insieme, giorno per giorno, e non lo facciamo da soli.
L’alternativa c’è, se la facciamo vivere
insieme, continueremo a cercare convergenze con le altre forze di opposizione».
(5
ottobre 2023).
Prima
c’era stato l’attacco sul protocollo sui migranti firmato dal governo italiano
con l’Albania:
«Con l’Albania non c’è alcun accordo, perché
gli accordi devono passare dal Parlamento e non abbiamo visto nulla.
Forse perché sanno che viola la Costituzione,
è un respingimento verso un Paese terzo.
Meloni
fa di tutto pur di non cambiare le regole europee e chiedere a Orban di fare la
sua parte».
Circa
50mila le persone presenti, secondo quanto riportano le fonti del partito.
«Siamo felicissimi, grande grande gioia per
questa meravigliosa partecipazione, non potevano neanche aspettarci una
partecipazione così forte ha commentato Schlein.
Conte:
qui per confermare il dialogo già avviato.
Ci
sono anche delegazioni delle opposizioni:
“Giuseppe
Conte” con esponenti M5S insieme a “Nicola Fratoianni” e “Angelo Bonelli” di
Alleanza Verdi Sinistra.
Accoglienza calorosa per “Conte”:
«Io sono per il campo giusto e non per il
campo largo. Siamo oggi qui per confermare il dialogo che abbiamo già avviato
col Pd e per confermare tutto il nostro dissenso, forte, alle politiche del
governo, a partire dalla manovra, che è una sciagura per il paese, nulla di
nulla, solo mortificazioni» ha detto Conte, arrivando alla manifestazione.
Dietro il palco, la segretaria Schlein e Conte si sono poi intrattenuti alcuni
minuti a parlare.
Schlein:
"Da qua messaggio chiaro a Governo Meloni, basta!"
Due
bandiere della Palestina.
Il
servizio addetto alla sicurezza (150 volontari) avrà il compito, tra l’altro,
di dare un’occhiata a vessilli e bandiere:
la
guerra in Medio Oriente ha posto anche la pace come tema centrale della
manifestazione e la richiesta dem è stata quella che ci siano solo bandiere
arcobaleno accanto a quelle del Pd.
Due bandiere della Palestina sventolano
comunque:
tenute
da alcuni manifestanti con la kefiah, sono riuscite ad entrare in piazza
eludendo i controlli.
Schlein:
ricominciare a parlare di redistribuzione.
Nel
suo intervento (durata circa un’ora) Schlein ha parlato anche di fisco:
«Strizzano l’occhio a chi evade e danno una
sberla agli imprenditori onesti, ai lavoratori dipendenti e autonomi che pagano
le tasse.
Le
tasse si pagano dove si fanno i profitti.
Dobbiamo
ricominciare a parlare di redistribuzione:
delle ricchezze, del potere, del tempo».
Schlein:
Meloni non vuole governare ma comandare.
Quanto
alla riforma costituzionale presentata dal governo «è un’arma di distrazione di
massa.
Domani con questa riforma sarebbe una persona
a decidere del voto del Parlamento, cambia tutto, smantella la repubblica
parlamentare.
Giù le mani dalle prerogative del Presidente
della Repubblica, è una deriva plebiscitaria.
Giorgia Meloni non vuole governare ma
comandare, la destra ha sempre sognato di smantellare la Repubblica
parlamentare per l’uomo solo al comando, ma la storia di questo Paese ha dato e
non è andata bene».
Schlein:
da questa piazza parte fase nuova.
«Siamo
noi a dover ricostruire un campo progressista.
Siamo
qua per costruire una speranza al Paese, e questa piazza è la nostra risposta.
Da
questa piazza parte una fase nuova, non ci lasciamo qui, dovremo continuare a
lavorare insieme, giorno per giorno, e non lo facciamo da soli.
L’alternativa
c’è, se la facciamo vivere insieme, continueremo a cercare convergenze con le
altre forze di opposizione» ha detto la segretaria del Pd.
Schlein:
dialogo ma senza il Pd non si costruisce alternativa.
«Questa
è la piazza dell’orgoglio democratico ritrovato.
Non
abbiamo alcuna presunzione di autosufficienza, siamo la prima forza di opposizione,
senza il Pd non si può costruire l’alternativa, ma siamo qua per costruire il
dialogo sulle questioni concrete.
Non facciamoci mai dire che l’alternativa non
c’è, siamo noi.
Non
lasceremo a queste destre smantellare il Paese, l’Italia merita di più».
“Bonaccini”:
un appaluso per la scelta di tornare in piazza.
Concetto
ripreso dal presidente del Pd Stefano Bonaccini nel suo intervento:
«Un
appello: il Pd da solo non basta, lo sappiamo, ma a coloro che, nostri
potenziali alleati, si definiscono alternativi a questa destra sia chiaro che
senza il Pd non è possibile alcun nuovo centrosinistra che possa vincere la
prossima volta».
Bonaccini ha poi elogiato Schlein:
«Un grande applauso per la scelta di tornare
in piazza, siamo un grande partito, non possiamo stare al chiuso, al caldo,
bisogna stare fuori, anche se a volte si rischiano i fischi».
Immigrazione
tema di attualità.
L’immigrazione
diventa tema di stretta attualità con l’accordo Italia-Albania.
Oggi, senza citare direttamente il protocollo
siglato tra “Giorgia Meloni” e “Edi Rama”, Schlein davanti alla platea del “congresso
Pse a Malaga “ha attaccato i modelli extraterritoriali per la gestione dei
flussi migratori, come quello con la Libia e come sta cercando di fare Meloni
con la Tunisia e con l’Albania.
Basta con «l’esternalizzazione dei frontiere europee»,
ha detto Schlein.
Un tema caldo a Malaga.
Sia perché
Rama è “membro osservatore del Pse”, sia per il cortocircuito nel Pd del 9
novembre con la richiesta di espulsione dal” Pse” del premier albanese poi
precisata, sia perché la Germania del socialdemocratico “Olaf Scholz” non è
così contraria all’esternalizzazione.
Dallo
Spid a “It Wallet”:
Cosa
Cambierà nel 2024
Conoscenzealconfine.it
– (3 Gennaio 2024) - Alessandro Ferro – ci dice:
Negli
anni della transizione digitale ecco le novità sull’introduzione del
portafoglio digitale: cos’è “It Wallet” e quale sarà il destino dello “Spid”.
La
parola d’ordine è “identità digitale” con una transizione che giorno dopo
giorno si fa sempre più forte e concreta grazie ai potenti mezzi messi a
disposizione dalla tecnologia.
In questo senso ecco che il governo sta pensando al
lancio di “It Wallet”, un portafoglio digitale che conterrà tutti i nostri
documenti, dalla patente alla carta d’identità o passaporto così come la
tessera sanitaria, tutti rigorosamente digitali e consultabili con pochi e
semplici clic (e già… non aspettavamo altro… questa sì che è la soluzione a tutti i
nostri problemi! – nota di conoscenzealconfine.it)
Cosa
Accadrà nel 2024.
Non
dimentichiamo, però, che milioni di italiani utilizzano quotidianamente lo”
Spid” (Sistema Pubblico di Identità Digitale) che ha avuto un’impennata
specialmente negli ultimi anni con un rallentamento fisiologico nell’ultimo
periodo:
secondo
le stime del Politecnico di Milano è usato da 36,4 milioni di persone ma è
ancora molto distante dall’obiettivo dei 42,5 milioni “richiesti” entro il
2025.
Anche
la “Cie” (Carta d’identità elettronica) conta già quasi 40 milioni di persone
ma la crescita non aumenta.
Tra i
due sistemi, come detto, ecco “It Wallet” che sarà “totalizzante” nel prossimo
futuro.
Come
Funziona il Wallet.
“A
gennaio-febbraio sarà pronto e pubblicizzato il “wallet”.
Avrà all’interno la carta di identità
elettronica ma anche tessera sanitaria digitale, licenza di guida, carta
europea della disabilità”, ha dichiarato recentemente “Vincenzo Fortunato”,
alla guida del “Comitato interministeriale per la transizione digitale”.
La
data del “debutto” è stimata per la prima parte del 2024 (entro i primi sei
mesi):
una volta collaudato, “It Wallet” sarà
destinato a ospitare anche la “patente di guida”, “la tessera elettorale” e
documenti di vario tipo.
“Sul progetto” It Wallet” siamo
sostanzialmente in linea con il piano iniziale e contiamo di poter consegnare
il “walle”t ai cittadini nel prossimo anno“, ha dichiarato “Alessio Butti”, “Sottosegretario
alla presidenza del Consiglio” con delega all’”Innovazione tecnologica”.
La
Fine dello “Spid”?
Ma
come farà questo sistema a coesistere con “Spid”:
saranno “amalgamabili” o l’uno esclude
l’altro?
“Butti”,
come scrive “il Corriere”, ha anche dichiarato che bisogna “cominciare a
spegnere lo “Spid” e a promuovere la “carta d’identità elettronica” come” unica
identità digitale, nazionale e gestita dallo Stato”.
In
questo caso, però, si tratta di dettagli di non fondamentale importanza
(adesso) per i cittadini.
Quel
che si sa, è che l’”App IO” potrebbe essere la candidata numero uno per
accedere a “It Wallet” accedendo sempre con lo “Spid” (due livelli di
sicurezza) o con “Cie” (ben tre livelli con Pin finale).
Come si può vedere, lo “Spid” potrebbe
tranquillamente coesistere ma nulla è stato ancora deciso.
“È
stato già ultimato il prototipo concettuale per valutare, in fase “pre -decisionale”,
le potenzialità di sviluppo, attraverso la cooperazione tra “Dipartimento per
la Trasformazione digitale”, “Pago Pa” e l’”Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato”, ha sottolineato “Butti”.
Nel
frattempo, anche l’”Inps” ha promesso di snellire le sue operazioni e rendere
servizi sempre più efficienti a cittadini e imprese utilizzando, nel prossimo
futuro, i “benefici” derivanti dall’intelligenza artificiale (ovvero: la “prigione” digitale sta
alzando le sue sbarre – nota di conoscenzealconfine.it).
(Alessandro
Ferro)
(ilgiornale.it/news/cittadini/dallo-spid-it-wallet-ecco-cosa-cambier-nel-2024-2260740.html)
«Meloni prova a spezzare alcune catene
che tengono la destra ancorata al populismo»,
una
conversazione con “Claudio Cerasa”.
Legrandcontinent.eu
– Recensioni – (7 Aprile 2023) - Claudio Cerasa, “Le Catene della destra” – ci
dice:
“AUTORE
- Il Grand Continent - l'ascesa degli impostori. Inchiesta su un grande imbroglio,
Rizzoli, 2022”.
(Claudio
Cerasa, Le Catene della destra.
Scienza,
guerra, giustizia, giovani, complottismo).
A
partire dal suo libro “Le Catene della destra”, edito da Rizzoli, il direttore del Foglio analizza i primi passi del governo di
centrodestra, e alcune scelte meno estremiste delle aspettative avvenute in
questi mesi «come tutti i cambiamenti improvvisi, anche questo lascia qualcosa
di irrisolto».
Poi si
sofferma sulle sfide più generali che quasi tre anni di pandemia hanno lanciato
alla società occidentale, con una critica molto dura all’élite del suo paese:
«C’è
stata per troppo tempo una classe dirigente che io amo chiamare “classe
digerente”, che invece di dirigere, digeriva tutto quello che capitava e poi lo
giustificava»
Claudio
Cerasa è tra i principali osservatori e analisti della politica italiana.
Nel suo “Le Catene della destra” descrive le
contraddizioni e i limiti della destra italiana, ormai alle prese con il
potere.
In
questa conversazione, Cerasa affronta i primi mesi del governo Meloni alla luce
dei grandi cambiamenti geopolitici di questa fase storica.
Alla
prova dei fatti quanto aveva analizzato nel suo libro “Le Catene della Destra”
si sta riscontrando nei primi mesi di Governo Meloni?
CLAUDIO
CERASA:
L’elemento
interessante dei primi passi del governo Meloni, un governo che dal suo primo
giorno di vita ha capito di avere il dovere di rassicurare, di tranquillizzare,
di non terrorizzare ha riguardato certamente la volontà di indicare con
costanza non ciò che il governo vuole fare ma ciò che non vuole fare.
Le catene della destra sono facilmente
individuabili, sono sempre le stesse e coincidono con tutti gli elementi
necessari di cui la destra ha bisogno per passare dalla propaganda alla realtà.
Sono i
nodi sui quali il populismo deve decidere se smentire sé stesso o se invece
scrivere una nuova storia.
Mi
sembra che, su alcuni fronti, il populismo di destra stia facendo i conti con
una realtà che impone delle svolte strategiche, molte delle quali sono
all’insegna dell’incoerenza (per fortuna).
E quando il populismo cambia idea, di solito,
fa sempre la cosa giusta, mentre quando è coerente con le sue idee, con le sue idee
euroscettiche, anti sistema, nazionaliste e protezionistiche, tende a spingere
l’Italia verso una direzione pericolosa.
Facciamo
alcuni esempi concreti:
sulle
politiche legate al “PNRR”, a parole, vi è la volontà di avere grande
continuità con il passato, anche se il governo deve ancora dimostrare di essere
all’altezza della sfida e i recenti rilievi della “Corte dei Conti” relativi
alla lenta attuazione del piano europeo impongono una svolta di pragmatismo che
ancora non si vede;
sull’agenda
di politica estera, poi, a proposito di incoerenza, “Meloni” ha scelto
coraggiosamente di non essere ambigua col putinismo, elemento invece presente
nella sua retorica passata, e di sfidare anche i propri alleati sulla linea
della fermezza nella difesa dell’Ucraina;
sulle
questioni legate all’agenda dell’indipendenza energetica, ancora, vedo zero
continuità con il passato delle scelte “Nimby” della destra nazionalista e vedo
invece molta continuità con le scelte fatte dal governo Draghi.
Sulle
questioni legate all’immigrazione, invece, esiste una frattura interna vera
all’interno del governo:
da una parte vi è la Lega, che sostiene la necessità di
utilizzare il pugno duro con i migranti mentre dall’altra vi è Fratelli
D’Italia, più orientata a governare
l’immigrazione, non a fermarla, e più orientata a cercare risposte europee e
più decisa a venire incontro alle esigenze delle imprese italiane, che chiedono
da mesi nuovi decreti flussi per regolarizzare migranti e avere così maggiore
manodopera a disposizione.
Sulle
questioni legate invece alle politiche sul debito, noto una certa discontinuità con il
proprio passato, con il passato della destra, perché la destra, in campo
economico, si era presentata a lungo come una forza statalista e nazionalista,
decisa a utilizzare le leve del debito pubblico per risollevare il paese,
mentre vedo che ora l’approccio scelto su alcune grandi partite che riguardano
il futuro dell’Italia è diverso dal passato.
E’ un approccio più di mercato, se vogliamo, e
i quattro test su cui misurare questa nuova attitudine sono il futuro di “Ita”,
di “Ilva, di “Tim” e della “raffineria di Priolo”.
La
frattura interna di cui parlava tra Lega e Fratelli d’Italia come esempio di
tensione in corso rischia di essere esplosiva, di rompere degli equilibri o per
ora in realtà questo governo si sta dimostrando più solido di quanto avremmo
potuto immaginare?
Credo
che ci siano molte questioni che possono mettere in difficoltà il governo, e
l’immigrazione è certamente una di queste.
Qualora
ci dovesse essere davvero una svolta europeista da parte del governo, un
tentativo cioè di cercare in Europa strumenti utili per risolvere problemi
nazionali, si verrebbe certamente a porre un problema di identità all’interno
della maggioranza, perché cercare in Europa le soluzioni per governare i flussi
migratori significherebbe ammettere che anche su questo terreno non esiste
strategia efficace che non passi dalla rimozione immediata e forzata di alcune
promesse elencate in campagna elettorale dai campioni del sovranismo.
Perché non si possono fermare i flussi, come
si era detto, e non si possono fermare le partenze, come si era promesso, e non
si può bloccare l’immigrazione, come si era sostenuto.
E non si possono chiudere i porti, come si era
predicato.
E non si possono attuare blocchi navali, come avevano
vaneggiato.
Sull’immigrazione,
per il governo italiano, occorrerà passare dalla propaganda alla realtà.
Occorrerà rendersi conto che l’Italia è il primo paese
di ingresso nella Ue, ma è solo il quinto paese nella Ue come numero di
richiedenti asilo.
Occorrerà
capire che scommettere sulla “relocation in Europa” non è semplice se i primi
avversari di questa politica sono due amici del cuore di Meloni e Salvini, come
Orbán (Ungheria) e Morawiecki (Polonia).
E occorrerà capire che per costruire nuovi
corridoi umanitari non solo teorici, ma pratici, veloci, efficienti, servirà
sempre di più considerare l’Europa come un’alleata con cui governare non come
un nemico contro cui combattere.
Il “complottismo
nazionalista” ti porta a dare delle soluzioni rapide a problemi complessi, il “pragmatismo
di governo” ti porta a dare soluzioni complesse a problemi complessi.
Nello
scontro tra questi due atteggiamenti qualcosa potrebbe accadere. Su altre
questioni ovviamente ci sono tantissime ambiguità, come per esempio sulla
politica economica, e non è chiaro cosa il governo farà sulla “flat tax”, né
che tipo di futuro avrà il condono fiscale, né in che modo il governo si
adopererà per trasformare l’Italia in un paese più attrattivo, né fino a quando
il governo intende sfidare i giovani mettendo le poche risorse presenti nel
bilancio italiano per riformare al ribasso le pensioni, e alla fine sono
convinto che sarà proprio qui che si deciderà il futuro della maggioranza:
sulla sua capacità, o meno, di far crescere il
paese come potrebbe e come meriterebbe.
Sul
resto dell’agenda di governo vedremo tensioni?
Ricordiamo,
per esempio, che Fratelli d’Italia e Lega hanno avuto un atteggiamento molto
ambiguo sulla necessità di tenere la campagna vaccinale, mentre Forza Italia ha
sostenuto il contrario.
Sulla
sanità, in effetti, si è intravisto un doppio binario.
Dal punto di vista retorico, si è scelto di porre l’accento
sulla continuità con le parole del passato della destra, come è apparso
evidente nel discorso di insediamento di Meloni, che non ha mai citato i
vaccini né la minaccia dei “no vax”.
Nelle
scelte concrete, però, la realtà sembra essere diversa:
il ministro della Sanità è il rettore
dell’università Tor Vergata, che durante la pandemia è stato un sostenitore
delle tesi e delle linee programmatiche dei vecchi governi e anche del comitato
tecnico-scientifico, e che ha dato una mano sia sul “green pass” sia sull’”obbligo
vaccinale”.
Per il
resto, sì, certo, vi saranno molte tensioni nel governo, su argomenti ancora
più centrali rispetto a quella che è l’”agenda della maggioranza sulla sanità”,
ma ciò che sarà interessante capire nei prossimi mesi sarà questo:
la competizione tra “Salvini” e “Meloni” avverrà su
una piattaforma moderata, ovvero sia sul tentativo di intestarsi un’agenda di
governo per il paese, o avverrà su una base diversa, all’interno della quale
Salvini potrebbe essere tentato dal divenire, nel governo, il custode unico
dell’ortodossia sovranista tradita?
Giorgia
Meloni ha avuto finora un atteggiamento abbastanza chiaro sull’Ucraina,
mostrandosi esplicitamente in linea con Bruxelles e la Nato, come rivendicato
anche in campagna elettorale.
Poi
però l’alleanza con il “blocco di Visegrad” permane, anche alla luce della
recente visita della “Meloni” in Polonia.
Sono
due anime che possono coesistere o a un certo punto si dovranno sciogliere dei
nodi?
Secondo
me sono due anime che possono tranquillamente esistere e resistere nella misura
in cui l’euroscetticismo, che ancora esiste nell’agenda della destra, riesca a
riconoscere il senso del limite, cioè riesca a utilizzare questa postura per
trattare.
Faccio tre esempi pratici che riguardano i
rapporti con la Francia:
il
patto di stabilità, gli aiuti di Stato e le politiche sull’immigrazione.
Trovo
non scandaloso utilizzare l’euroscetticismo per negoziare, ma non si può non
accorgersi che poi bisogna fermarsi un attimo prima, un attimo prima di
superare i confini della realtà, un attimo prima di trasformare le battaglie in
difesa della nazione in battaglie contro l’interesse nazionale, come capita
spesso a chi scommette sull’agenda del nazionalismo.
Viene
quasi spontaneo, leggendo da una prospettiva europea il suo libro, notare che
c’è un arco radicale, quasi complottista, che permea la destra italiana, e che
Fratelli d’Italia ha in parte attirato.
È una caratteristica che il governo
stempererà?
In
parte sì, e lo stiamo vedendo.
L’attrazione
è dovuta a due ragioni legate a una caratteristica di Meloni e a una
caratteristica dell’opinione pubblica italiana.
Da una parte Meloni rappresenta oggettivamente
il cambiamento – l’Italia ormai da molto tempo cerca sempre di cambiare
qualcosa, i leader che vincono alle elezioni sono quelli che incarnano meglio
il sentimento del cambiamento – e la
premier ha in questo momento la possibilità di mettere insieme sia un’Italia
arrabbiata, perché è l’unica ad essere stata all’opposizione non negli ultimi
cinque anni ma negli ultimi undici anni, e un’Italia più pratica per così di
governo, perché negli ultimi mesi Meloni ha mostrato un senso di responsabilità
diverso da quello dei suoi alleati ed è diventata un argine, anche all’interno
del suo stesso elettorato, non solo alla sinistra ma anche alla destra
estremista.
Poi, va detto, vi è una caratteristica più italiana
delle leadership, che è quella di stritolare i leader, di soffocarli, di
innamorarsi tantissimo di qualcuno, di osannarlo, di venerarlo e poi di
disinnamorarsi rapidamente e cercare subito un altro amore.
Adesso
l’amore è per lei, per Meloni, e paradossalmente il principale nemico della sua
leadership oggi non è l’opposizione, non è neppure la caotica maggioranza, ma è
tutto ciò che di negativo, di populista, Meloni ha alimentato in questi anni e
con cui ora deve fare i conti.
Il problema di Meloni, per dirla in modo più chiaro,
riguarda i pozzi avvelenati dal suo estremismo nel passato.
E una
volta che i pozzi sono avvelenati un po’ di quel veleno prima o poi arriverà a
destinazione.
Quanto
conta la presa del complottismo in questa fase politica?
Questa
ha contribuito, almeno in parte, all’ascesa dei movimenti populisti ed
estremisti in tutto l’occidente.
È parte del passato oppure no?
In “Congetture
e confutazioni” (Il Mulino, 2009), “Karl Popper” è stato esplicito e le sue
parole ci permettono di illuminare quello che è il vero collante trasversale
del populismo mondiale: il complottismo.
«Quando i teorizzatori della cospirazione giungono al
potere» scrisse Popper «essa assume il carattere di una teoria descrivente
eventi reali».
Il
problema degli estremisti non è legato alla loro contiguità diretta con il
fascismo ma è legato a qualcosa di più sottile, di più pervasivo:
la loro contiguità con il lessico usato dai
neo complottisti per giustificare ogni rivolta contro il famigerato sistema
dominante.
Il
punto, dunque, quando si parla di estremismo, non è la prossimità tra il mondo
della politica e quello dell’eversione, non è l’infiltrazione dei fasci in un
partito, non è la nostalgia per alcuni autoritarismi, ma è la tendenza naturale
a trasformare il complottismo in uno strumento di propaganda elettorale.
Il pensiero unico complottista, trasformando” le verità alternative in un
manifesto del pensiero libero”, tende in modo sistematico e naturale a trasformare i
propri avversari in nemici della libertà.
E con grande disinvoltura chi abbraccia questo
pensiero tende a presentarsi regolarmente sulla scena pubblica con il profilo
di chi lotta per ridare ai cittadini un pizzico della libertà che qualcuno
diabolicamente gli ha fatto perdere.
Alcune volte i nemici della nostra libertà
possono essere istituzioni come l’Europa.
Altre
volte possono essere strumenti come l’euro.
Altre volte gli immigrati invasori.
Altre
volte le mascherine imposte dalla dittatura sanitaria.
Altre volte persino i giurati di Sanremo.
Altre
volte ancora le regole adottate dai governi per sopravvivere alle emergenze.
Sembra
che la campagna elettorale di Meloni sia stata impostata per normalizzare la
sua posizione proprio per la ragione che ha descritto poco fa, cioè il fatto
che gode di un innamoramento sostanziale.
E questo sia dal punto di vista geopolitico,
con la convergenza sull’asse atlantico ed europeo a difesa dell’Ucraina, sia
addirittura su tematiche legate al “non liberalismo”.
Se
confrontiamo alcune sue prese di posizione, per esempio quelle del mese di
luglio 2022 da “Vox”, ci rendiamo conto che c’è stata un’evoluzione totale.
Questa
secondo lei è tattica oppure indica una vera e propria strategia di governo?
Penso
che sia make-up.
Make-up
nel senso che una rapida ripassata sul profilo populista, che può essere anche
sincera, può indicare una voglia di cambiare o, come scrivo nel libro, di
spezzare alcune catene che tengono la destra ancorata al populismo.
Ma, come tutti i cambiamenti improvvisi, anche
questo cambiamento lascia qualcosa di irrisolto.
Perché
se una cosa avviene all’improvviso può avvenire anche il suo contrario.
Quindi oggi Meloni si dice europeista,
d’accordo, ma se dovesse esserci una qualche incapacità da parte del suo
governo a mantenere gli impegni presi con l’Europa avrà il coraggio e la forza
di non alimentare il complottismo con l’Europa?
E
insomma:
fino a quanto Meloni avrà la forza di tagliare
i cordoni ombelicali che la tengono legata a un passato che forse non c’è più?
E fino a quanto Meloni avrà il coraggio di
zittire i molti dirigenti del suo partito che invece sono cresciuti eccome a
pane e complottismo?
Per
quanto riguarda invece i cambiamenti veri, profondi, reali, vi è un tema
importante che riguarda l’atlantismo.
Meloni
fino a tre anni fa (non vent’anni fa) considerava Putin come uno statista, in
funzione di una logica perversa che portava quasi tutti i populisti di destra a
considerare Putin un alleato fondamentale nella destabilizzazione delle
istituzioni europee.
Adesso la presidente del Consiglio ha cambiato
opinione, e lo ha fatto in modo intelligente quando era all’opposizione, un po’
per convinzione, ovviamente, un po’ perché appartiene a un gruppo parlamentare
europeo, ECR, in seno del quale il PiS polacco è un partito importante ed è
atlantista, euroscettico ma antirusso, e quindi si è dovuta anche adeguare alla
logica dominante del suo gruppo.
L’evoluzione che abbiamo descritto corrisponde
a un’intenzione, anche nobile, che rischia però di scontrarsi con la cultura
politica da cui proviene, l’estremismo, e con l’incapacità di emanciparsi dal
complottismo di partiti come Fratelli d’Italia e come la Lega, che quella
cultura non sono riusciti ad abbandonarla e che il proprio antieuropeismo prima
o poi saranno costretti a farlo sfociare da qualche parte.
Effettivamente
è abbastanza impressionante come ci sia oggi all’interno del cosiddetto “centro-destra”
una vera e propria divergenza di fondo su tutte le tematiche fondamentali dei
prossimi mesi.
Come
spiega in fondo questa differenziazione tra Salvini e Meloni, non pensa che in
un governo diventerà qualcosa di esplosivo, al punto di rendere difficile
l’azione di una stessa Meloni premier.
Domanda vera:
finora
è stato esplosivo oppure in realtà il governo è più solido di quello che
pensavamo?
E
soprattutto: quanto contano le elezioni europee dell’anno prossimo sugli
equilibri interni?
Contano
moltissimo le elezioni europee.
Saranno
l’occasione, per Meloni, di provare a dar vita a un suo nuovo partito, un
partito dei conservatori europeo, e saranno l’occasione giusta per capire se la
Lega di Matteo Salvini avrà intenzione, come chiede da tempo di fare “Giancarlo
Giorgetti”, ministro dell’Economia, e come chiedono da tempo “i governatori
della Lega”, da Massimiliano Fedriga ad Attilio Fontana fino Luca Zaia, di fare un passo più lontano dalla
stagione dell’abbraccio con l’Afd tedesca e provare così a fare un passo verso
il “Partito popolare europeo”.
Per
farlo, però, occorrerà non solo la tattica, ma anche la strategia, e una spinta
alla moderazione da parte della Lega potrebbe essere inevitabile anche per
provare ad avere, nel prossimo “Parlamento europeo”, un ruolo chiave e non
vivere più in uno splendido e inutile isolamento.
Il”
Grand Continent” In merito invece all’elezione di “Elly Schlein a segretaria
del PD”, secondo lei come cambia il panorama politico, chi potrebbe giovarne,
ci sarà una svolta più massimalista nel centrosinistra o invece ci potrebbe
essere un impatto positivo rispetto all’astensionismo?
Penso
che da un lato ci sarà una disaffezione di una parte dell’elettorato che non si
sentirà più rappresentato dalle battaglie del Partito democratico e magari
quell’elettorato andrà verso il centro o addirittura verso destra o verso
l’astensionismo.
Viceversa
c’è un evidente tentativo del Pd di prendersi voti del Movimento 5 stelle o
anche di pezzi della sinistra che non erano più rappresentati e questo potrebbe
portare a un miglioramento nei sondaggi e a un aumento delle performance
elettorali del Pd.
E
avere un Pd che toglie voti al M5s, che regala alcuni voti al centro e che
lavora per avere un’opposizione larga non è una cattiva notizia per il paese.
Il problema, anche qui, è che oltre un tema di
tattica esiste anche un tema di strategia e quello che vedo è che la capacità
vorace con cui la destra di governo è riuscita in pochi mesi a impossessarsi di
grandi temi che la sinistra ha scelto incredibilmente di dismettere ha
costretto gli osservatori a ragionare attorno a un tema importante:
ma a
forza di considerare di destra estrema tutto quello che fa il governo, quante
battaglie di sinistra la sinistra sta regalando alla destra?
Penso
al garantismo, naturalmente, che è un tema che il Pd ha scelto di archiviare.
Penso
al tema della difesa dell’Ucraina, che per il Pd è divenuto negoziabile avendo
aperto il suo partito a parlamentari provenienti da un altro partito, “Articolo
1”, che sono contrari all’invio delle armi in Ucraina.
E
penso per esempio alle questioni fiscali, considerando che la riforma fiscale
targata Meloni coincide perfettamente con la riforma fiscale targata Draghi, in
almeno quattro punti diversi.
E lo
stesso si potrebbe dire per le politiche di indipendenza energetica, dove la
continuità con l’agenda Draghi sembra essere un tema che interessa più la
maggioranza che con Draghi ha avuto problemi che il Pd che con Draghi è andato
a nozze.
Non
potrebbe giovarne il terzo polo?
Certo,
in qualche misura sì.
Probabilmente
alle europee qualcosa accadrà, e il Terzo Polo potrebbe ottenere risultati più
lusinghieri di quelli registrati alle ultime elezioni locali, regionali e
comunali.
Ma il problema del Terzo Polo, e di “Carlo
Calenda”, è che in Italia sono le novità che polarizzano il dibattito pubblico.
E in
questo momento le novità più interessanti della politica sono Giorgia Meloni ed
Elly Schlein.
Le
proponiamo questa provocazione, partendo da una frase pronunciata da Nixon in
un incontro con Kruscev:
«Se la
gente è convinta che ci sia un fiume immaginario da qualche parte, non serve a
niente dire che non c’è nessun fiume, si deve costruire un ponte immaginario
sul fiume immaginario».
È una provocazione interessante perché nel suo
libro si nota quasi un appello alla razionalità, al dubbio, alla trasformazione
del nostro rapporto rispetto alla complessità del mondo contemporaneo.
Fino a che punto è una strada politicamente
percorribile?
In
modo pigro, molti osservatori, nei mesi più duri della pandemia, di fronte alle
manifestazioni dei” no vax”, quelle più dure, quelle più violente, hanno spesso
utilizzato un’equazione facile e superficiale: estremista uguale fascista.
La verità però è un po’ più complessa.
E per
provare a ragionare sulla natura dell’estremismo politico che caratterizza la
stagione in cui viviamo, un estremismo con cui la destra in passato ha
dimostrato di saper andare a braccetto, più che immergerci nella dicotomia tra
fascismo e antifascismo è utile immergerci in una dicotomia più interessante e
più globale: complottismo e anti complottismo.
Il
pensiero unico complottista, in verità, non è una prerogativa di un singolo
schieramento politico, e in nome della sfida al sistema, in nome della sfida
alla casta, in nome della sfida ai potenti, in nome della sfida ai poteri
forti, tende a diffondersi con disinvoltura lungo tutti gli estremi.
In Italia, però, negli ultimi anni, gli
estremi che hanno scelto di non ripudiare il proprio estremismo complottista si
sono trovati più spesso a destra che a sinistra.
E il meccanismo del perfetto complottista è
questo:
per potersi ergere a grandi difensori della
libertà, si deve creare un nemico immaginario contro cui combattere.
Questi nemici, in passato, sono stati questi:
la dittatura europea, la dittatura
dell’establishment, la dittatura dei poteri forti, la dittatura sanitaria, la
dittatura di “Big Pharma”, la dittatura della finanza, e quindi poi Soros, i
burocrati europei, i virologi.
Oggi
le cose sono cambiate, necessariamente, e l’immagine da fissare oggi, per
capire l’Italia del futuro, è quella del vulcano con il magma al suo interno.
Il populista, quando arriva al governo, può
scegliere di tappare un cratere, può scegliere di tapparne un altro, può
scegliere di tapparne un altro ancora ma alla fine dei conti da qualche parte
quel magma dovrà uscire e sarà interessante capire se nei prossimi mesi le
forze della destra italiana saranno in grado di scaricare quel magma che hanno
in corpo solo sulle bandierine ideologiche.
La
necessità di trovare un nemico esterno è il sostrato fondamentale di questa
deriva?
Sì.
Gli
estremisti hanno spesso creato, in maniera scientifica, un enorme pericolo
immaginario contro il quale combattere.
Prendi
un fenomeno complesso.
Spiega
quel fenomeno individuando chi ne può trarre giovamento. Trasforma nel motore
vero di quel fenomeno chi può aver tratto giovamento da quel fenomeno.
Costruisci
delle teorie alternative alle verità consolidate.
Trasforma i difensori delle verità consolidate in
nemici della libertà d’espressione.
Fai
della tua versione complottista un manifesto della libertà.
E trasforma chiunque non sia d’accordo con la
tua versione dei fatti in un pericoloso nemico della libertà, e dunque del
popolo.
Una
volta individuato lo schema, l’azione di gioco, il meccanismo può essere usato
per spiegare tutto e per individuare di volta in volta dei nemici del popolo
intenzionati a difendere la verità costituita per trasformare tutti noi in
sudditi destinati a perdere la nostra libertà.
Creare
un pericolo immaginario – pensate alla dittatura sanitaria – ha permesso loro
di spacciarsi come difensori della libertà, di libertà in realtà non violate,
gli ha permesso spesso di fuggire dalla realtà e gli ha consentito di
trasformare la loro difesa farlocca della verità in una difesa di un’altra
libertà: quella di essere estremisti.
Il
problema è che dovendosi occupare poi di cose reali, hanno mostrato tutti i
loro limiti:
perché di fronte alla pandemia, al covid, alla
guerra, al gas, al caro energia, le loro idee del passato hanno mostrato di
essere parte dei problemi e non parte delle soluzioni.
Pensate
alle battaglie sul “price cap”:
quante
volte la destra italiana in Europa ha chiesto ai suoi partner europei di non
essere egoisti?
Pensate
alle battaglie sugli aiuti di stato:
quante volte la destra italiana in Europa ha
chiesto ai suoi partner europei di non essere egoisti?
Pensate
alle battaglie sull’immigrazione:
quante
volte la destra italiana in Europa ha chiesto ai suoi partner europei di non
essere egoisti?
Nel
suo approccio c’è un’insistenza sulla realizzazione discorsiva, dal punto di
vista della sociologia potremmo dire che lei lavora molto sul simbolico e
sull’immaginario.
Cosa
pensa dell’aspetto più infrastrutturale del problema complottismo?
Come
dice “Julia Cané”,
«la
gente non è diventata stupida ma abbiamo semplicemente smesso di spendere soldi
per istruirla».
Si può
immaginare un’agenda pubblica di investimenti proprio per combattere il complottismo
attraverso la riduzione delle disuguaglianze, oppure secondo lei sono due
elementi da mantenere separati?
Secondo
me c’entra molto la capacità, soprattutto di noi che ci occupiamo di fare
informazione, di essere in grado di non essere neutrali quando c’è una balla.
Perché
si possono avere idee diverse sul mondo ma lasciar passare il messaggio che una
stupidaggine valga come una verità, che possa essere certificata in qualche modo dai
fatti, dai numeri e dalla scienza, ha permesso di alimentare una forma di
complottismo anche nelle persone.
Io non
penso che chi vota i partiti populisti sia un “minus habens”, una persona che
non sa ragionare e che non è istruita.
Penso solo che sia deleteria, da parte del
mondo giornalistico e mediatico ma anche da parte di un paese, l’incapacità di
schierarsi, denunciare e smascherare tutto ciò che corrisponde al falso o ciò
che è pericoloso.
Questo
in Italia è diventato ancora più evidente negli ultimi anni:
c’è stata per troppo tempo una classe dirigente che io
amo chiamare “classe digerente”, che invece di dirigere, digeriva tutto quello
che capitava e poi lo giustificava.
Qui
sta la differenza tra esercitare una leadership ed esercitare una follower ship:
da una
parte c’è un tentativo di guidare i follower, dall’altra parte c’è solo il
tentativo di rappresentare ciò che si pensa e ciò che si dice.
Questo
è il vero tema e credo che ci sia anche da parte degli elettori una
disillusione a volte dal mondo della politica perché si fa fatica ad avere una
leadership popolare che sappia spiegarti anche delle cose non sempre popolari
da fare, spiegarti ciò che un paese deve fare.
Quindi il complottismo nasce anche perché si è
insinuata in tanti elementi della nostra vita una cultura del sospetto, una
cultura del dubbio non liberale, ma una cultura del dubbio a prescindere su
qualsiasi cosa, come si direbbe in Italia una cultura dell’”uno vale uno”.
E quando una classe dirigente o una classe
giornalistica sceglie, di fronte a una forma di populismo estremo, di non
schierarsi, in realtà ha già scelto da che parte stare.
A
Shanghai la strategia anti-Covid
è al
limite: un uomo considerato
morto
si ritrova all'obitorio
wired.it
– Lorenzo Lamberti – Emergenza covid 19 – (4-5-2022) – ci dice:
L'ospite
di una casa di cura spedito verso la cremazione.
Ma era
vivo.
L'episodio
inquietante testimonia le condizioni delle strutture ospedaliere della
metropoli cinese e la tensione causata dai tentativi di azzerare i contagi da
coronavirus.
Taipei.
Un corpo chiuso dentro un sacco giallo,
maneggiato dai dipendenti di una struttura per anziani e da quelli
dell'obitorio.
Dove è
destinato alla cremazione.
Ma c'è un "problema": quel corpo non
è un cadavere, ma appartiene a un uomo ancora vivo e che è stato chiuso nel
sacco per errore.
Succede
anche questo a Shanghai, teatro di un distopico lockdown guidato dalla
strategia zero Covid voluta dal presidente Xi Jinping.
E
teatro anche di diverse proteste per delle restrizioni che appaiono sempre più
ingiustificate ai residenti della metropoli cinese.
Il
terribile episodio dell'anziano dato per morto e caricato per errore verso
l'obitorio è diventato in breve tempo virale e rappresenta un ulteriore segnale
di come la situazione sia davvero ai limiti sotto diversi punti di vista, a
partire da quella sanitaria.
Un video mostra due lavoratori dell'obitorio con
un sacco per cadaveri giallo fuori dall'ospedale per anziani “Shanghai
Xinchangzheng”, distretto di “Putuo”.
Gli
uomini, in abiti protettivi, evidentemente sentono qualcosa di strano provenire
dal sacco e aprono la borsa di fronte a un dipendente della struttura.
In quel momento si accorgono che l'anziano
dato per morto è ancora vivo.
Il membro del personale controlla poi i segni
di vita e richiude la borsa. Il dipendente dell'ospedale si allontana poi per
tornare al centro e parlare con due colleghi in tuta bianca, con l'anziano
paziente che viene poi riportato in sedia a rotelle all'interno della
struttura.
Con
tutte le conseguenze del caso:
fisiche,
col rischio di soffocamento, e psicologiche, essendo stato dato per morto da
coloro che dovrebbero vigilare sul tuo stato di salute.
La
persona che ha filmato uno dei video sull'accaduto, aggiunge qualche commento
alle immagini:
"La
casa di cura è un tale casino. Hanno mandato una persona viva su un carro
funebre e hanno detto che era morta. Il personale delle pompe funebri ha detto
che il paziente si muoveva ancora... È irresponsabile, davvero
irresponsabile".
Alcuni
utenti, commentando le immagini, hanno descritto l'accaduto come un
"tentato omicidio", sfogando la loro rabbia.
Esiste
un laboratorio di analisi di test per Covid-19 a “Baise”, nel sud della Cina “Zero
Covid-19”, l'obiettivo che la Cina è disposta a raggiungere a tutti i costi.
La
strategia anti-pandemia di Pechino è intrecciata con le ambizioni del
presidente Xi Jinping e con la sua dichiarazione di guerra al coronavirus. Ecco
perché non può essere abbandonata e perché la propaganda la sostiene.
Esiste
il video simbolo del caos Covid a Shanghai.
Le
autorità del distretto di “Putuo” hanno confermato la veridicità del video e
dell'incidente e hanno riferito di aver avviato un'indagine per capire quanto
accaduto.
Tre
funzionari sono stati rimossi dall'ufficio degli affari civili del distretto e
dall'ufficio dello sviluppo sociale, così come il capo della casa di cura
(operativa dal 1983 con all'interno circa cento ospiti) è stato sollevato
dall'incarico, hanno fatto sapere le autorità distrettuali.
È
stata anche revocata la certificazione di un medico coinvolto nella vicenda,
ora sotto inchiesta.
Non è chiaro se il paziente fosse infetto da
Covid, ma le sue condizioni sono state definite "stabili".
Al di
là della reazione delle autorità, si tratta di un episodio inquietante che
conferma in maniera drammatica i timori sullo stato delle strutture ospedaliere
di Shanghai.
In questi giorni è stato avviato l'allentamento di
alcune restrizioni, ma la maggior parte dei circa 24 milioni di abitanti della
metropoli si trova ancora in lockdown.
In queste lunghe settimane molti di loro hanno
sperimentato carenza di cibo e di medicinali.
Alcuni
sono stati sprangati in casa, con le autorità che hanno costruito delle
barriere di fronte a porte di ingresso e strutture residenziali per impedire a
chiunque di uscire.
Il
lockdown a Shanghai.
Il
lockdown distopico di Shanghai inquieta la Cina e il mondo.
Droni
e cani robot vengono schierati dalle autorità per monitorare i cittadini e
invitarli al rispetto delle regole.
E le
consegne di cibo e beni di prima necessità da parte dei colossi digitali non
bastano per risolvere una situazione che comporta rischi sociali e politici.
Economisti
silenziati sulla “strategia zero Covid”.
Le
critiche rivolte alla strategia zero Covid non arrivano solo dai residenti di
Shanghai, ma anche da noti economisti cinesi.
Ma il
Partito non vuole lasciare spifferi sulla leadership di Xi Jinping e dopo aver
censurato il video collettivo "Voices of April", che aveva
letteralmente invaso “WeChat” e “Weibo”, si sta muovendo per bloccare anche gli
account social degli economisti scettici.
Negli
ultimi giorni sono diversi gli economisti cinesi attivi su internet ad essersi
visti bloccare gli account “WeChat” e “Weibo” per aver espresso delle
perplessità sulla necessità delle restrizioni draconiane e soprattutto
paventando rilevanti conseguenze sul piano economico.
Tra di
loro c'è anche il noto “Hong Hao”, direttore della ricerca della statale “Bank
of Communications International Holdings”.
Con
oltre tre milioni di follower su “Weibo” e attivo anche su “Twitter”, negli
scorsi giorni” Hong” aveva previsto perdite consistenti sul mercato azionario
cinese a causa delle restrizioni sulla mobilità e la sospensione delle attività
produttive a Shanghai.
Il suo
istituto bancario, dopo il congelamento dei suoi account, ha tra l'altro
comunicato che “Hong” si è dimesso per "ragioni personali", senza
dare ulteriori dettagli.
Ma a
essere finito sotto la scure della censura ci sono anche” Fu Peng”, capo
economista di “Northeast Securities”, “Dan Bin”, presidente di “Shenzhen
Oriental Harbor Investment”, e “Wu Yuefeng”, partner di “Funding Capital”.
Perché
in Italia non esiste
un’élite
nazionale.
Centrostudimalfatti.eu
- Martino Solari – (1° aprile 2023) – ci dice:
Alla
fine della lettura del saggio di “Vassallo e Vignati”, Fratelli di Giorgia,
edizioni il Mulino, rimane il grande interrogativo che non solo è direttamente
connesso alla storia del fascismo italiano, del Msi e del neofascismo
occidentale in generale e di conseguenza a quella del Comunismo internazionale,
ma anche alla nostra storia nazionale italiana;
per
quale motivo non solo non abbiamo ancora oggi, a Roma, una élite pedagogica
nazionalista integrale, differentemente dalle nazioni più evolute e civili, ma
siamo di contro guidati, come italiani, da uno “Stato profondo” le cui tendenze
dominanti sono chiaramente globaliste (universaliste astratte) e, come
sosteneva un pensatore di certo non filomissino come “Augusto Del Noce”,
“cattolico-comuniste”?
Sergio
Romano, in un fondamentale saggio
pubblicato nel 2011 in occasione della storica ricorrenza dell’Unità, “Finis
Italiae”, ebbe a rilevare che il 1976 sarebbe stata la data di morte dell’
“Ideologia Risorgimentale”, l’anno in cui circa il 75% degli italiani dette il
proprio consenso esplicito a “Democrazia cristiana” e “Partito Comunista”,
convinti rappresentanti di due Ideologie “Universaliste e transnazionali”, mentre solo il 6,1 % degli italiani
era rappresentato dal “Movimento sociale italiano”, l’unica formazione politica
che convintamente, e non strumentalmente, si dichiarava depositaria
dell’identità risorgimentale mazziniana e dell’identitario nazionale.
Nel
1976 dunque gli italiani risorgimentali sarebbero già stati, in Italia, una
minoranza nella minoranza.
Finito
il “bipolarismo”, un comunista di radice togliattiana come “Luciano Violante”
tentava intelligentemente di ridare vita all’originario impulso risorgimentale
con la ammirevole proposta di una concordia nazionale, ma l’esperimento di”
Gianfranco Fini” e della “Alleanza Nazionale” finiva per spostare a sinistra le
stesse posizioni di coloro che avrebbero dovuto, secondo” Vassallo e Vignati”,
rappresentare la “seconda generazione della fiamma”, facendo naufragare ogni
proposta concordataria e rafforzando in ogni modo il già influentissimo
antifascismo globalista.
In
questo senso, se si volesse trovare un punto debole nel saggio pubblicato dalle
edizioni il Mulino è proprio nel tentativo di inquadrare il “partito di Giorgia
Meloni” all’interno della categoria politologica del “nazionalismo
antiglobalista”, in una presunta continuità con “la prima generazione della
fiamma”, quella di “Giorgio Almirante”.
Msi
come avanguardia strategica dell’anticomunismo mondiale.
“Gregorio
Sorgonà”, valido e serio ricercatore antifascista, ben ha messo in rilievo nei
suoi molteplici studi sul “neofascismo almirantiano”, come non sia possibile
comprendere la natura di questo “neofascismo italiano” senza avvalersi degli
studi filosofici di” Ernst Nolte” sulla “guerra civile ideologica globale” del
secolo passato.
Il ‘900 sarebbe stato caratterizzato non tanto dallo
scontro tra superpotenze geo militari, quanto dal conflitto di faglia
ideologico tra i partigiani universalisti del Comunismo e quelli tellurici
della Nazione.
Il
partigiano, “nazionalfascista” o “universalista Comunista”, sarebbe stato per “Nolte”,
come del resto per “Schmitt”, la autentica ultima sentinella della terra.
Fu “Mussolini”, per “Nolte”, la figura più importante
e significativa del Novecento in quanto con la contro insurrezione Anti Bolscevica
dell’ottobre ’22 avrebbe saputo dare scacco alla” Rivoluzione mondiale
bolscevica” che pareva definitivamente inscritta nello spirito del tempo,
salvando così moltissime nazioni del mondo dal contagio del virus espansionista
marxista-leninista.
Lo spirito mussoliniano, per il “Nolte”, fu
animato dallo sforzo volitivo di estrema resistenza contro la trascendenza
pratica e di lotta culturale contro egemonica rispetto alla trascendenza
teorica e ciò avrebbe significato, storicisticamente, la possibilità ideologica
dei nazionalismi storici nel non cedere il passo all’universalismo astratto
leninista o “dem wilsoniano”.
Questo
“processo nazionalista antimperialista e antimarxista mussoliniano” avrebbe
finito per aprire il ciclo della lunga guerra civile ideologica novecentesca.
Se il
1945 avrebbe segnato il trionfo della più radicalista e “apocalittica” tra le
varie forme di trascendenza, quella che “Nolte” definiva “l’ambivalente
messianismo giudaico” nella forma “comunista estremista sovietica” e in quella “socialista
occidentale” ( Cfr. Geschichtsdenken im 20. Jahrhundert, Berlino 1991), l’anima delle nazioni e gli
spiriti identitari dei nuovi nazionalisti antimperialisti post-1945 si
sarebbero velocemente risvegliati anche nel quadro bipolare di Yalta al punto
che sia il” maccartismo” che il “nixonismo” che il “reaganismo” negli Stati
Uniti avrebbero continuato, con altri mezzi, la stessa lotta fascista contro
l’universalismo bolscevico/wilsoniana e contro la trascendenza (Cfr. Sinistra e Destra, Storia e
attualità di un’alternativa politica, Roma 1997).
Integrando
il fascismo nella logica immanente e anti-trascendente dello spirito nazionale
mediterraneo di resistenza all’astratto universalismo dissolvitore, sulla linea
di “Garibaldi/Mazzini”, “Corradini”, “Gentile/Rocco”, il “Msi” sapeva quindi
leggere correttamente il fenomeno della guerra civile mondiale novecentesca,
interpretando lo stesso Neo-Atlantismo teorizzato dal notevole patriota e
statista “Giuseppe Pella” nel 1957 non come una subalternità europea-atlantista
ma come un nazionalismo mediterraneo strategico tatticamente più affine agli
Stati Uniti che all’europeismo anti-italiano.
L’”Eurodestra almirantiana” nacque
esclusivamente, come noto, in antagonismo all’eurocomunismo, Almirante non fu
mai un paneuropeista.
Non a
caso il “Msi” fu l’unica formazione politica derivante dalla Prima Repubblica
che sapeva coraggiosamente battersi contro la ratifica di Maastricht, avendo sempre posto alla base del
proprio operare “il programma della pedagogia risorgimentale e
neo-risorgimentale custodita dal fascismo”, come sia “G. Volpe” sia “F. Chabod”
riconoscevano, per quanto con un differente giudizio di valore e con un diverso
metro storiografico.
Non
dovrebbe inoltre sfuggire che in piena guerra fredda i maggiori dirigenti
nazionali del “Msi”, per quanto Almirante fosse l’unico politico italiano
attivo sulla linea della “Lega AntiComunista Mondiale” di Taiwan, riconoscevano
in “Mao” il probabile più grande leader strategico del ‘900, vedendo nella
rivoluzione maoista una manifestazione del “tradizionale nazionalismo cinese”
che sapeva insorgere anzitutto contro l’”universalismo astratto stalinista e
leninista”, mentre le “armate del Kuomintang” che si rifugiavano a Taipei
mantenevano sino alla fine della guerra civile sinica significative relazioni
strategiche con il Cremlino di Stalin.
Dopo
la morte di Mao, nel settembre ’76, era addirittura l’esponente della linea più
conservatrice e tradizionalistica del “Msi”, “Pino Romualdi”, a fare l’apologia
di Mao nel quotidiano missino “Secolo d’Italia”, rappresentandolo tra le righe come il
continuatore asiatico della linea mussoliniana della prima metà del secolo.
Il Piccolo Timoniere di Pechino, un” nazionalista han”
anti-materialista e in fondo” nemico strategico del marxismo-leninismo”, nella
visione del Msi non avrebbe fatto altro che combattere tutta la vita per ridare
alla Cina nazionale il suo naturale e legittimo posto al sole.
“Mao”,
non a caso, sostenne in tutti i modi sia il “regime nazionalista argentino
peronista” che quello “spagnolo franchista”, sia quello portoghese salazarista
che quello cileno del generale Pinochet, contro l’Imperialismo marxista e neostalinista
considerato il nemico strategico di Pechino.
Il
giorno del golpe cileno,11 settembre 1973, l’ambasciata cinese di Santiago
esponeva la bandiera cilena in segno di solidarietà nazionale per la sconfitta
politica di quello che lo stesso “Mao” aveva definito “un pericoloso agente
dell’Imperialismo sovietico-cubano”:
Salvator
Allende.
Fratelli
d’Italia ovvero l’assenza della pedagogia nazionale.
Diversamente
dalla “prima generazione della fiamma” di radice almirantiana, i Fratelli
d’Italia di Giorgia Meloni non paiono affatto porsi come la linea strategica
più avanzata dell’attuale nazionalismo mediterraneo anti-globalista;
per
quanto la leader romana intenda riferirsi a un tale “modello polacco” come
linea esemplare per l’intero occidente, il suo partito non sta affatto fornendo
“la linea del nazionalismo civico e politico”, con massicce e legittime dosi di
anticomunismo e antiglobalismo, a differenza del partito e del fronte di”
Mateus Morawiecki “egemone a Varsavia.
In
Polonia, non a caso, comunismo, “pedagogia comunista”, “apologia neo globalista
dei massacri bolscevichi e comunisti di milioni e milioni di contadini
sterminati” sono rigorosamente vietati su base penale e, al tempo stesso, la “pedagogia
nazionale” è devotamente insegnata e studiata a vantaggio delle nuove
generazioni.
Negli
ultimi mesi, non solo la Giorgia Meloni ma un po’ tutti i maggiori dirigenti
del suo partito hanno continuamente fatto riferimento a questa “Polonia
nazionalista e anticomunista come baluardo dei più autentici valori occidentali
e europei”, di contro i primi mesi di presidenza del consiglio targati Fdi non
hanno affatto dato prova di ciò.
Va in
effetti sottolineata la storica visita strategica nella “New Dehli” del nazionalista antimperialista “Narendra
Modi”; visita che si è effettivamente posta,
dopo molti decenni, in notevole e sorprendente continuità con quanto avveniva a
Roma negli anni Trenta, con il concetto di “Mare Nostrum mediterraneo” che si
dovrebbe proiettare sino all’”Indo-Pacifico”;
come
va sottolineata la coraggiosa intelligenza tattica di Meloni nel vedere in
Taipei il fronte mondiale più avanzato del nazionalismo integrale, oltre la astratta retorica bidenita e
dem su “democrazia e autocrazia”.
Ma in
linea generale Fdi non pare aver alcuna consapevolezza che occorrerebbe
all’Italia, per non perire definitivamente, un modello forte ideocratico, ben
più che neo-istituzionale, di pedagogia neo-risorgimentale che sappia
proteggerci strategicamente ed identitariamente dal neo-egemonismo mondiale
marxista di Pechino fondato sulla “guerra liminale”, sullo Stato di
Sorveglianza totale neo-comunista e dal sub-imperialismo di sinistra radicale,
agganciato sempre a Pechino, di Davos e dei franco-tedeschi.
Tutto
questo anche in virtù del fatto che gli stessi Stati Uniti, nonostante i forti
legami finanziari e politici tra la famiglia “Biden”, “Davos” e” la Cina
Marxista-Leninista”, hanno nel febbraio 2023 approvato con un “Congresso
schierato in senso bipartisan” la risoluzione che noltianamente rappresenta “Socialismo
e Comunismo come l’ ideologia più violenta, oppressiva e totalitaria della
storia”.
Questo
è dovuto senza meno alla rivoluzione nazionale antimperialista partita negli
States nel 2016 – “America First e Maga” –
la quale ha finito lo stesso per espandersi a livello globale arrestando
sensibilmente l’universalismo astratto e la globalizzazione di Pechino e dem.
In definitiva, se gli almirantiani seppero
leggere con precisione l’essenza transpolitica e sostanziale del ‘900, questo
non sembra almeno per ora potersi dire di Giorgia Meloni e dei suoi
“colonnelli”, dato che non paiono avere la visione strategica, civica e
pedagogica, di un “Modi” o di un “Trump”, che si sono potuti affermare, pur nel”
quadro di democrazie nazionali militari non liberali” quali sono quella indiana
e americana, grazie alla presenza di sperimentate élite nazionaliste integrali
e concretamente anticomuniste che hanno ben presente la nuova lotta del secolo,
segnata, proprio come spiegò “S. Huntington” in tempi non sospetti, dalla nuova
linea mondiale del “Clash of Civilizations”.
Benvenuti
nel Quarto Reich.
Sinistrainrete.info
- Alessandro Taddei – (4 luglio 2023) – ci dice:
(Il
blog di Daniele Barbieri & Altri)
Alessandro
Taddei scava nella memoria: Stato, mafia, Gladio e altre orribili cose vicine a
tutte/i noi… che è necessario ricordare (o scoprire).
“Con un cucchiaio di
vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po’ a
casaccio perché non ho più memoria …”
(Fabrizio De Andrè)
Il
concetto di «destabilizzazione italiana-Gladio-P2» andrebbe allargato a un
periodo ben più ampio di quello degli anni ’70/’80.
I
soggetti coinvolti sotto Gladio, nel corso degli anni, passano dal terrorismo
politico-eversivo alla mafia, attraverso attentati dinamitardi nelle piazze
(Fontana, Loggia), nei treni e nelle stazioni (Italicus, Gioia Tauro, Bologna),
nei luoghi della socialità per poi passare ai magistrati più impegnati e ai
luoghi storico-artistici simbolo della «bellezza italica».
Dal
1964 ad oggi – generale De Lorenzo docet – assistiamo a un processo
continuativo della «strategia della tensione» in cui cambiano non solo i
rapporti “cittadino-violenza-paura” ma anche i soggetti che la perpetuano.
I
soggetti utilizzati da Gladio e poi P2 cambiano a seconda del momento storico
in cui ci si trova ad operare.
Eppure
è come se una mano militare invisibile regnasse su tutti indistintamente e
allungasse il filo della storia senza mettere mai in discussione questa
strategia.
Sappiamo
dunque che questa Entità oscura non morirà per una vicissitudine
economico-politica o nel momento in cui uno “storico” segnerà la fine di
un’epoca.
È
soprattutto per questo fenomeno sistemico che l’Italia non sta avendo
un’evoluzione, in termini sia economici che culturali.
Su
questo Paese grava una sperimentazione di lungo corso che ha radici nel lontano
fascismo e che non è affatto morta con la fine dei suoi esponenti principali.
Semplicemente
assorbita da un’Entità camaleontica superiore, questa sperimentazione continua
cambiando pelle e adattandosi.
Come un serpente si è insinuata nelle vite
delle persone, distruggendone gli affetti, i sogni, i desideri e le aspirazioni
future.
Una strategia della tensione che inizia in
Sicilia nel 1947 con “la strage di Portella della Ginestra” a opera di
politici, mafiosi ed apparati militari statunitensi contro i lavoratori che
festeggiavano la vittoria delle sinistre alle prime libere elezioni.
Il
rapporto fra politica italiana, mafia e apparati militari Usa era noto già al
tempo dello sbarco alleato nella seconda guerra mondiale per solidificarsi da
questo momento, per tutti gli anni a venire e con diversi gradi d’intensità.
Negli
anni ’60 e ’70 uno spartiacque:
sinistra
extraparlamentare e destra eversiva, la strategia violenta delle bombe e dei
sequestri passa attraverso una società in divenire, infarcendo l’ideologia e la
politica di una violenza incredibile, inusuale rispetto al resto d’Europa che
pure non è un posto calmo.
Dentro
questa melma la struttura Gladio si insinua.
Un “gioco” divisivo in cui esplodono le bombe
neofasciste e degli apparati.
Ma
prima ci sono le morti degli “scomodi” Enrico Mattei, Aldo Moro e moltissimi
giovani di una fazione e dell’altra, fino alle stragi della stazione di Bologna
il 2 agosto 1980 e del Rapido 904.
Quest’ultima
sembra preannunciare una stagione successiva che abbraccia “i massacri di
Capaci”, “via D’Amelio “e “gli attentati dell’estate del 1993”.
A ogni
cambio sistemico in cui il governo italiano si trova in difficoltà avvengono
tragedie atte a distrarre la popolazione anche attraverso opinionisti di
maniera e scandali giornalistici.
Dentro
a questo calderone si possono collocare forse anche certe indagini reticenti
sul “Mostro di Firenze” e sulla “banda della Uno bianca”, della quale nessuno
(neppure a Bologna, così duramente colpita) ha mai voluto sapere “troppo”.
La
Storia formale raccontata a blocchi insegna che con la stazione di Bologna
termina «la strategia della tensione».
In
realtà cambiano solo i partecipanti passando dai passamontagna con la pistola (ricordiamoci dell’assassinio di
Giorgiana Masi e di ciò che disse e fece in proposito Francesco Cossiga) ai soggetti mafiosi.
Tutto
si veicola nel principale apparato dirigente (e digerente) dello Stato.
La
Sicilia è la terra in cui si attuano molte sperimentazioni che verranno poi
esportate in “terra ferma”.
Le
guerre di mafia osservate dallo Stato terrorizzano la popolazione dell’isola e
di fatto paralizzano gli uomini onesti nelle istituzioni statali, i sindacati
veri, la magistratura democratica, i giornalisti senza bavaglio e un certo tipo
di investigazione.
Ogni libero pensiero, l’idea di una vera
giustizia e persino alcuni preti diventano il bersaglio preferito.
Con
una visione più ampia di quella fornita dalla Storia ufficiale oggi possiamo
vedere i pezzi distrutti di quella” minima Democrazia” non più in grado di
porre resistenza né alla mafia economica e politica né all’inaridimento
culturale-sociale del Paese.
E così settori delle questure, prefetture e
dei ministeri sono ‘toccati’ all’interno dalle varie cosche come dimostrato da
diverse testimonianze e rapporti investigativi.
La
mafia è pronta a “sostituire” l’eversione di neofascisti e servizi segreti
degli anni ’70 diventando soggetto e partecipante principale della nuova
«strategia della tensione» negli anni ’80 e’90. Compiendo attentati non più solo
contro il singolo magistrato o poliziotto (come in Sicilia è sempre avvenuto)
“fuori controllo” ma contro gli apparati vecchi e da rottamare perché poco
controllabili dai Palazzi – persino il generale “Dalla Chiesa” o i giudici
simbolo dell’antimafia “Falcone e Borsellino”.
Questa
mattanza è necessaria oltre che per destabilizzare anche per approdare a uno
Stato-Mafia omogeneo. Operazione che ha uno dei suoi punti più visibili con le
bombe “fuori isola”, in siti di rilevanza storico-culturale d’Italia.
In parte tutto ciò è conseguenza di un vuoto
“istituzionale” e di una trasformazione verso un’”Europa economica” che da lì a
poco si sarebbe intrecciata agli interessi più oscuri dell’Italia;
in
parte è sempre la vecchia strategia che ogni tanto muta la pelle.
Molto
del tritolo utilizzato per le stragi (Piazza Fontana, Capaci, Via D’Amelio) è
uscito dalla base americana di Camp Derby (Pisa-Livorno), dove da sempre
coesistono Gladio e la struttura paramilitare denominata” Stay-behind”,
all’ombra della NATO.
Da
questo legame oscuro si fa largo anche l’ipotesi che collega l’orrore irrisolto
– e illogico – della “Moby Prince” con i suoi 140 passeggeri lasciati
volutamente bruciare vivi a poche miglia dal porto di Livorno nel 1991, poco
dopo la fine del Pci in Italia e la fine dell’Unione Sovietica (o ex sovietica, come direbbe qualche
storico più accorto).
Un
finale militare degno di “Gladio” e della sua struttura paramilitare: una lunga
guerra sotterranea giocata a suon di stragi, parzialmente anestetizzate in
quegli anni dal diffondersi dell’eroina, la più famosa fra le “droghe di
guerra”.
A tal proposito si leggano i documenti
desecretati della CIA sull’eroina, come raccontato anche in questa “bottega”.
Dal
1994 in poi come da” programma della loggia massonica P2,” le operazioni
militari scemano ed entra in campo una «strategia della tensione» comunicativa.
Utilizzo di giornalisti e politici tarocchi,
ma anche nascita di leghe separatiste sia al Sud che al Nord in un quadro di
immagini pubblicitarie così martellanti da rendere invisibile il pensiero
critico.
Con
l’ovvio contorno dell’utilizzo di capitali dalla provenienza sconosciuta per
tentare l’impresa in Europa, ma anche con demonizzazione dell’Arte più libera.
E con
il bavaglio ai pochi magistrati o intellettuali che non ci stanno può iniziare
la Seconda Repubblica (o magari l’annuncio del Quarto Reich).
Tra il
1996 e il 1999 la destabilizzazione militare e comunicativa diventa globale ma
di fatto non cambiano granché le regole del gioco.
In Italia questa strategia viene portata
avanti con l’ausilio di due grossi “partiti” – uno di “centro-sinistra”, uno di
“centro-destra” – fabbricati appositamente per dividere su tematiche generiche
e/o di zero importanza attraverso un uso linguistico improprio atto ad
impoverire il linguaggio, la comunicazione e il senso.
Nel
2001 avvengono i drammatici episodi del G8 a Genova.
Intanto
si mira alla prossima “generazione digitale” cercando di allontanare e
manipolare il flusso delle informazioni dalle ultime generazioni
semi-analogiche X e Y alla Z, arrivando ai bambini “digitalizzati” nati dopo il
2015.
Verso
l’”uomo nuovo secondo le previsioni naziste”, poi riadattate dopo l’occupazione
Usa del continente europeo.
Fra il
2008 e il 2019 drammatiche crisi economiche indotte dai banchieri facilitano il
rovesciare o limitare le democrazie.
Il
processo è creare visioni distopiche nelle varie popolazioni utilizzando
simboli a loro vicini, sfruttando le debolezze del singolo e della
collettività, dal lavoratore precario alla classe media che deve scomparire per
lasciare un vuoto incolmabile fra i (pochissimi) super ricchi e i (tantissimi)
super poveri.
Passando per il debole e il frustrato, dai
figli delle sottoculture TV sino agli intellettuali da salotto tronfi e
ingrassati da un’improvvisa fama derivata dalle “finzioni delle piattaforme
social”.
La
frustrazione viene alimentata rendendo impossibile la costituzione di gruppi
che propongano o “pratichino una democrazia diretta”, mentre si continua a
imporre corrotti e/o inutili nei ruoli di responsabilità pubblica e “privata”.
La rabbia è ridotta a mero dibattito internet
e tenuta sott’occhio dalle “camice nere della comunicazione”, che con violenza
linguistica sminuiscono, deviano, inglobano e/o ridicolizzano (a seconda dei
casi) come successo in Italia con i 5 Stelle.
Con il
risultato che la rabbia aumenta, le persone sono sempre più smarrite, ignoranti
e disaffezionate all’Arte Politica, insostituibile strumento di democrazia.
Oggi
il “progetto eversiv”o continua sotto le forme più creative:
inseminazione delle nuvole, guerre
batteriologiche sotterranee, minaccia nucleare, cancellazione della memoria,
riduzione della cultura a intrattenimento permanente, aumento dei sensi di
colpa individuali, finti propositi di responsabilità collettiva, distorsione
dei simboli ideologici ed affettivi, sostituzione dell’informazione a pura
comunicazione monosillabica.
Nei rapporti con le nuove guerre, come quella
tra Russia e Ucraina, nei risvolti dei contenimenti per il Covid e nella
sottovalutazione degli impatti ambientali derivati da decenni di
cementificazione, ancora una volta la risposta del sistema è quella di
aggredire piuttosto che di risolvere le cause che stanno portando tutte/i ad un
annichilimento generale.
Da un
lato si cerca di disincentivare la ricerca indipendente, ridicolizzandola,
dall’altra le versioni ufficiali fornite non sono del tutto praticabili dal
singolo né nella propria sfera privata né tantomeno in quella pubblica.
Di
nuovo il
potere si prende la possibilità di annientare il pensiero critico portandolo al
paradosso e
di fatto, non trovando alcuna soluzione ai problemi che esso stesso ci propina,
si limita a ragionare sulle persone in termini esclusivamente progettuali.
Ecco i
presupposti per la nascita di un “quarto Reich” in cui ognuno verrà incentivato
a essere dittatore di sé stesso.
Il
poliziotto nella testa, come ci ha suggerito “Augusto Boal”, seguendo le
intuizioni di “Paulo Freire”.
Schiavi
perfetti per l’élite tecnocratica e/o teocratica ma sempre economica.
Al
popolo non resta che trovare una sua direzione comune, sforzandosi in un
costante, sincero e progressivo ampliamento educativo e culturale, che lo porti
a studiare e progettare per il proprio ed altrui benessere.
Credendo
che solo questo e non la violenza lo aiuterà a trovare la strada per la
felicità, liberandolo dalla morsa in cui sta morendo soffocato.
Commenti
Posta un commento