La difesa della famiglia umana.

 

La difesa della famiglia umana.

 

 

 

Gaza Sotto le Bombe a Natale:

il Vergognoso e Spietato Gesto

con cui Hanno Autorizzato la Strage.

Conoscenzealconfine.it – (29 Dicembre 2023) - Francesco Amodeo – ci dice:

 

Durante la notte di Natale, l’esercito israeliano ha intensificato i suoi bombardamenti su Gaza.

Questo per farvi capire quanto spietata sia questa gente, che io non voglio neanche più chiamare “gente”.

E non voglio fare neanche l’errore di tornare a chiamarli “animali”, perché gli animali non lo meriterebbero.

Da questo momento in poi li chiamerò semplicemente “demoni”.

Demoni come il presidente israeliano, “Isaac Herzog”, che proprio a Natale si è fatto fotografare mentre apponeva la propria firma su delle bombe che di lì a poco avrebbero colpito i civili palestinesi.

Addirittura su una delle bombe ha scritto “io credo in te”, come augurio che quella bomba potesse colpire e uccidere quanti più civili possibili.

 Lo stesso presidente israeliano che in passato dichiarò che parlare di innocenti a Gaza è “retorica”, in quanto a suo dire non esistono innocenti a Gaza, neanche quei bambini che state vedendo finire massacrati sotto i bombardamenti.

Pensate che, a sentire queste parole, un importante direttore d’orchestra e artista israelo-danese di origini ebraiche ha dichiarato:

 “Pensavo che la parola giudeo-nazisti fosse esagerata”.

 Invece si è rendo conto che è il termine più appropriato per descrivere queste persone.

Auguro a tutti buone feste, per quanto buone possano essere le feste in un clima del genere e sapendo quello che sta accadendo ai bambini palestinesi.

(Francesco Amodeo) -(radioradio.it/2023/12/gaza-sotto-le-bombe-a-natale).

(La famiglia è l’ultimo argine di difesa che ci rimane contro l’ideologia arrogante e criminale del globalismo dell’”IA”, ossia schiavismo, malthusianesimo, ideologia Woke e Gender, Arcobaleno, tutto ormai nelle mani avide di denaro e di sangue di chi è al comando della finanza mondiale! N.D.R).     

 

 

 

 

“Trivelle per estrarre il gas

nell'Alto Adriatico? Decidono

gli esperti, ma l'obiettivo è il nucleare.”

  msn.com – il gazzettino – (31 -12 – 2023) - Alda Vanzan – ci dice: 

 

ROVIGO - Trivellazioni nell'Alto Adriatico se così deciderà il tavolo di esperti, ma se anche la risposta fosse positiva l'estrazione del gas sarebbe «un piccolo aspetto di un più vasto piano teso a rendere più sostenibile l'approvvigionamento energetico per le nostre famiglie e imprese».

Perché l'obiettivo è il nucleare.

 Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, “Adolfo Urso”, che ieri a Verona ha tracciato un bilancio del lavoro fatto e anticipato l'agenda 2024.

A partire dalla microelettronica:

se anche venisse meno l'investimento di “Intel” a Vigasio, l'aspettativa è che «diverse multinazionali asiatiche e americane annuncino progetti nel nostro Paese sulla ricerca, sulla tecnologia e anche produttivi».

ENERGIA.

Sulle trivellazioni al largo del Polesine, il presidente del Veneto Luca Zaia è stato netto:

«Finché i nostri accademici dell'Università di Padova e Ca' Foscari di Venezia ci diranno che lì non si deve perforare, per noi lì non si trivella».

Il ministro “Urso” ha evitato lo scontro:

«C'è un tavolo al ministero dell'Ambiente al quale partecipano tecnici e autorità nazionali e regionali, io mi rimetto alle loro decisioni».

Salvo precisare:

 «L'obiettivo dell'autonomia strategica del nostro Paese dobbiamo però assolutamente conseguirlo:

 maggiore produzione e diversificazione degli approvvigionamenti delle fonti energetiche.

Il gas russo non si può più importare e non lo si potrà importare neanche in futuro.

Creeremo le premesse, legislative, scientifiche, tecnologiche e industriali affinché anche il territorio e le famiglie italiane possano avere nei prossimi anni, se lo ritengono, impianti nucleari avanzati».

 Gli impianti nucleari di terza generazione, ha detto “Urso”

, saranno «verosimilmente già disponibili dal 2030, sono impianti industriali e modulabili o, successivamente di quarta generazione, fino ad arrivare nel 2050 alla fusione nucleare.

Noi siamo il paese che ha inventato il nucleare e fortunatamente abbiamo industrie che lavorano da tempo all'estero su questo settore».

 Ma se le comunità locali non fossero d'accordo?

«La scelta se avere una centrale nucleare dipenderà dai territori, come abbiamo fatto con il deposito delle scorie nucleari.

Faccio presente che siamo il solo Paese in Europa a non avere un suo deposito delle scorie nucleare».

 

MICROELETTRONICA.

Quanto al progetto di “Intel”, in Veneto a Vigasio o in Piemonte, il ministro ha detto che la multinazionale

«sta rivedendo i suoi piani internazionali:

 esiste ancora la possibilità che realizzi questo investimento in Italia, è un progetto che riguarda un chip di nuova generazione.

Questo progetto è nei loro programmi, non so però se è ancora nella loro pianificazione finanziaria.

 Quello che posso dire con certezza è che” Intel” ha comunque dei piani in Italia che riguarderanno per esempio la “Fondazione Chips.IT” a Pavia, dove diverse multinazionali hanno deciso di mettere risorse per piani congiunti».

Non solo:

«Il prossimo anno ci saranno anche “diversi insediamenti produttivi sulla microelettronica” per un ammontare ben superiore a quello che era programmato per il Veneto».

 

POLITICA.

E dopo aver ribadito che il «primo evento ministeriale della presidenza italiana del G7 sarà a Verona il 14 marzo» e che a gennaio sarà presentato «un piano di incentivi auto da 1 miliardo per la rottamazione delle vetture inquinanti», “Urso” ha glissato sugli scenari politici.

Il terzo mandato per Zaia?

 L'ipotesi che sia lo stesso “Urso” il candidato governatore del Veneto nel 2025?

 «Io mi occupo del mio ministero».

 

 

 

 

 

La Lettera di Vladimir

Putin al Mondo.

Conoscenzealconfine.it – (28 Dicembre 2023) – (Medea Greer) – ci dice:

 

Qui di seguito la lettera del Presidente Putin al mondo.

“Cari abitanti del nostro bellissimo pianeta Terra, Io, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ho deciso di rivolgermi direttamente a tutti voi, bypassando i diplomatici, i vostri leader e giornalisti.

In Russia esiste il cosiddetto “scambio degli Urali”, dove è vietato mentire, ingannare ed esagerare.

 Pertanto, parlerò molto onestamente in modo che tutti siano convinti della verità delle mie parole.

La Russia è un Paese grande e ricco, il suo valore più importante sono i più di 150 milioni di persone che vivono in un territorio dove la giustizia viene prima di tutto.

Non abbiamo bisogno di nuovi territori.

Abbiamo energia e tutte le altre risorse sono abbondanti.

Dai tempi del “Grandi Tartari” e dei “Grandi Moghul”, i popoli dell’Eurasia settentrionale non si sono sviluppati grazie all’assalto delle Crociate e alla colonizzazione di America, Africa, India o alla dipendenza dalla droga della Cina, ma grazie al loro duro lavoro e al pacifismo.

Chiunque conosca il russo capisce che “russo” è un aggettivo che si riferisce a tutti i popoli del nostro Paese.

Slavi russi, tatari russi, ebrei russi, ecc.

Tutti russi nel cuore, anche se la loro cultura, lingua e stile di vita differiscono.

Onoriamo questa diversità nell’unità.

Il popolo russo è ancora una volta costretto a sacrificare la propria vita per proteggere il mondo dal nazismo e dal fascismo.

Abbiamo scambiato 50 dei nostri prigionieri di guerra con 50 soldati ucraini.

 I soldati ucraini sono stati curati nei nostri ospedali, hanno ricevuto tre pasti completi al giorno e sono tornati a casa.

 Abbiamo ricevuto soldati russi a cui sono stati tagliati le dita e i genitali.

 Nemmeno i nazisti l’hanno fatto nell’ultima guerra.

Presenteremo queste prove in un processo futuro.

 Vergogna a tutti coloro che sostengono questa feccia in questo momento.

I vostri leader negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone, in Australia e altrove si sono schierati con questi subumani che usano civili, donne incinte e bambini come scudi umani in combattimento e vogliono ottenere deliberatamente prigionieri di guerra.

Non riesco ad immaginare come una persona sana di mente possa sostenere questi mostri.

Ed i vostri “Biden”, “Scholz”, “Macron” e altri oscuri “democratici” non solo proteggono i criminali, ma li armano attivamente, forniscono loro denaro che non è sufficiente per abbassare i prezzi nei vostri Paesi.

I prezzi stanno aumentando, il mondo sta crollando, ma non perché i russi stanno ripulendo l’Europa dagli spiriti maligni nazisti, ma perché voi tacete e addirittura sostenete la nuova ondata di nazismo.

Questa volta non andremo a Berlino, ci fermeremo ai nostri confini storici e tutti gli spiriti maligni nazisti a cui i vostri leader aprono la porta vi daranno una nuova vita di “cristallo”, come fecero i nazisti, aggiungendo la circoncisione degli organi riproduttivi a ciò.

Mi appello a tutti coloro che vogliono vivere e lavorare nel mondo, crescere i figli e socializzare con persone di tutto il mondo.

 Aiutate la Russia a combattere il nuovo cancro:

il “Nazismo ucraino”.

Non l’Ucraina, dove vivono persone pacifiche e che lavorano sodo, ma il nazismo, alimentato dalle tasse statunitensi e dai falchi della NATO.

Se i vostri leader sostengono il nazismo, spingeteli oltre il limite e riprendetevi il potere nelle vostre mani.

I nazisti ucraini si fanno scudo dai proiettili usando i civili, ed i vostri governanti hanno anche deciso di trasferire il peso dei prezzi elevati e dei problemi futuri alla popolazione, con il pretesto della terribile Russia.

In Ucraina, proprio come da voi, i nazisti vivono bene alle spalle dei cittadini comuni, e i cittadini comuni devono soffrire: questi sono gli stessi crimini in Ucraina come in Occidente.

Non abbiamo infranto nessuna delle nostre promesse, mentre i vostri leader hanno rubato 300 miliardi di dollari ed euro al popolo russo.

Rubano le proprietà dei cittadini del nostro Paese in tutto il mondo, attaccano deliberatamente i nostri soldati, vietano la lingua russa, attaccano la Chiesa di Dio.

Vedo che nei paesi in cui i leader stanno inasprendo le sanzioni contro la Russia, c’è una crescente consapevolezza di ciò che sta accadendo e si sta diffondendo un’ondata di proteste “.

(Medea Greer)

(amg-news.com/boom-vladimir-putins-letter-to-the-world/

(t.me/sadefenza)

 

 

 

 

 

Cosa si nasconde dietro la difesa

della “famiglia tradizionale”.

 Internazionale.it - (24 giugno 2015) - Lea Melandri, saggista - ci dice:

La piazza piena di San Giovanni, in occasione della manifestazione del 20 giugno in difesa della famiglia tradizionale, non deve trarci in inganno:

il cambiamento è già avvenuto e saranno proprio i figli, per la difesa dei quali padri e madri hanno deciso di manifestare, a viverlo con minori traumi e incertezze.

Dietro le proteste per l’apertura della scuola alle tematiche riguardanti la sessualità e le differenze di genere, non c’è solo il timore di veder crollare quelli che sono stati finora i fondamenti della genitorialità e dei ruoli familiari.

 Ben più profonda, radicata nell’atto fondativo delle civiltà a cui ha dato vita una comunità storica di soli uomini, è l’incertezza di una posizione “virile” perennemente minacciata dallo stesso impianto sociale che dovrebbe sostenerla:

un legame di interessi, amicizie, amori, ideali condivisi tra simili.

L’esclusione delle donne dalla scena pubblica non ha impedito che il “femminile” continuasse ad abitare questo impianto sociale, in quanto allo stesso tempo cemento indispensabile e mina vagante all’interno di una collettività omo sociale.

Le “identità di genere”, considerate destino “naturale” di un sesso e dell’altro, sono state finora il baluardo materiale e ideologico di una cultura maschile preoccupata prima di tutto della stabilità e della durata del suo dominio.

Non c’è da meravigliarsi perciò se la rivoluzione delle coscienze che ha sovvertito, nell’arco di un mezzo secolo, convinzioni e abitudini ancestrali, incontra oggi la reazione agguerrita di chi vede comparire alla luce del sole ansie e fantasmi tenuti faticosamente in ombra, e mai del tutto sconfitti.

Donne single, donne che non vogliono figli e che cercano “qualcosa per sé”, omosessuali e lesbiche, transgender e queer, a dispetto di un’educazione familiare e scolastica che ancora stentano a riconoscere il cambiamento, hanno preso cittadinanza visibile e largo consenso nella grande piazza pubblica.

 La “guerra”, che si poteva temere già negli anni settanta quando sono comparsi i movimenti destinati a ridefinire la politica sulla base di tutto ciò che ha confinato altrove (corpo, sessualità, maternità, divisione sessuale del lavoro, eccetera), è arrivata.

Ma con la guerra è arrivata anche la prevedibile resistenza di una soggettività che si è venuta scoprendo capace di riappropriarsi di una molteplicità di manifestazioni di vita umana.

In un articolo pubblicato nel 1973 sulla rivista “L’erba voglio” e poi nel libro “Il bambino dalle uova d’oro”, “Elvio Fachinelli” scriveva:

 

Ma che cosa c’è alla radice del rifiuto dell’omosessualità maschile (giacché quella femminile propone un discorso, per ora, e per ragioni connesse alla condizione storica della donna molto diverso e meno significativo)?

C’è sostanzialmente, da parte del maschio eterosessuale, la paura di perdere, nel contatto con l’omosessuale, la propria virilità, intesa qui molto profondamente come identità personale.

 Di fronte all’omosessuale, è come se ciascuno sentisse messa in discussione la sua posizione stessa di maschio e ciò che lo differenzia come individuo;

 come se quella posizione si rivelasse improvvisamente precaria, o incerta, più di quanto succede di solito.

 Di qui le reazioni di rifiuto e disprezzo; di qui anche i vari e ben noti comportamenti di iper virilità aggressiva…

La manifestazione che ha richiamato a Roma un numero considerevole di famiglie intere deve giustamente preoccupare, tenuto conto che non a caso l’obiettivo polemico è la scuola, il luogo dove si confronteranno, all’interno di un comune processo formativo, bambini di sesso, condizione sociale e culturale diversa, e dove vige ancora – ma non si sa per quanto – la libertà di insegnamento garantita dalla costituzione.

 Il corpo a scuola è sempre stato presente, ma è rimasto finora il “sottobanco”, il “mare ribollente delle cose non dette” e che non riusciamo a nominare per lunga repressione, pregiudizi, paure inconfessabili da parte degli stessi insegnanti.

Portare l’educazione alle radici dell’umano è oggi l’intento, dichiarato o implicito, del discorso sulle identità del maschile e del femminile, e di conseguenza sui rapporti ambigui di amore, potere e violenza su cui si sono costruiti.

Una materia enorme di esperienza, consegnata finora al chiuso delle case e delle relazioni parentali, esce allo scoperto, il “fuori tema” della cultura e della storia trasmessa finora dalle discipline scolastiche diventa “il tema”.

Espropriata di quello che ha considerato un suo inalienabile appannaggio, la famiglia tradizionale si “arma”, ma è costretta a farlo contro sé stessa, contro i cedimenti che avverte al proprio interno, nei rapporti di coppia, nelle inclinazioni sessuali dei propri figli, nella libertà a cui le donne sono sempre meno disposte a rinunciare.

 Come tutte le guerre, reali o simboliche, farà nascere conflitti, lascerà ferite, ma ci sono acquisizioni della coscienza da cui non si torna indietro.

 

 

LA FAMIGLIA UMANA TRA STORIA, CULTURA, RELIGIONE

“Alessandro Barbero”, intervistato da” Lucia Bellaspiga”.

Francescomacri.wordpress.com – Blog di Francesco Macri – (23-5-2019) – ci dice:

 

È “Famiglie” il tema scelto per la XV edizione di “È Storia”, festival ideato da “Adriano Ossola” in programma a Gorizia da oggi fino a domenica con 280 ospiti coinvolti in 180 appuntamenti.

Due scheletri, un uomo e una donna, rinvenuti abbracciati nella stessa sepoltura, le mani che si stringevano, le teste vicine come in un bacio eterno.

 Era il 2007 e nel Mantovano gli archeologi scoprivano una coppia vissuta nel neolitico.

Era questa la notizia, ciò che turbava e commuoveva:

 molte migliaia di anni prima di Cristo si amava, si era coppia, si era famiglia proprio come accade a un uomo e una donna di oggi.

 Millenni di storia scomparivano davanti a quell’unione che nemmeno la morte aveva interrotto, così la Soprintendenza si adoperò per trasportare i due coniugi senza rompere quel vincolo intatto.

 È solo un esempio, tanti altri potremmo citarne, dalla fede nuziale in oro ancora lucente, fatta incidere dal faraone “Ramsete II” per la sua “Nefertari”, alle raffigurazioni di padre, madre e bambini incise sulle rocce preistoriche della Valcamonica (Brescia) in quelle che possiamo considerare le istantanee più antiche di gruppi familiari…

Ma quanto è antico il concetto di famiglia?

È nato con l’uomo o si è sviluppato con l’evoluzione?

Era simile o del tutto diverso da come lo intendiamo oggi?

“Famiglie” è il titolo della XV edizione del Festival “E’ Storia” di Gorizia, che ripercorre a 360 gradi uno dei temi più attuali e dibattuti.

Tra le voci, quella di “Alessandro Barbero”, docente di Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale, autore di saggi e romanzi storici, volto noto del piccolo schermo.

Professor Barbero, iniziamo dalla definizione: che cosa è una famiglia?

La famiglia è un gruppo umano che ha come fondamento qualcosa di naturale, cioè relazioni sessuali e genitoriali, ma che ogni società di ogni epoca si costruisce anche in chiave culturale.

Per cui non è mai solo una cosa ovvia e naturale, ma anche una sovrastruttura variabile nel corso della storia.

La Bibbia ci parla di Adamo, Eva, Caino e Abele.

 La paleoantropologia retrocede sempre più nel tempo alla scoperta di famiglie antichissime…

Quando nasce la famiglia in seno all’umanità?

Da sempre.

Certe volte sono tentato di approfondire gli usi degli scimpanzé e non scherzo:

non ho idea se pratichino una libertà sessuale o la monogamia, ma certamente la madre partorisce il suo piccolo, lo allatta e se lo tiene.

Questo è già famiglia.

Direi che esistono infatti due piani, uno verticale, appunto la madre con la sua prole, e uno orizzontale, ovvero un uomo e una donna che si uniscono sessualmente, fanno coppia stabile, decidono di rimanere insieme, desiderano riprodursi.

Questo è il modello naturale per gli esseri umani, ma comune a tante specie animali.

 Poi è chiaro che vi sono molte altre combinazioni possibili, ci sono specie in cui il maschio resta accanto alla femmina e si occupa dei figli, altre in cui invece divora la prole, oppure viene allontanato subito dopo l’accoppiamento…

Tornando a noi, all’umanità?

L’uomo è un animale ma è anche molto di più, un “di più” che in una prospettiva di fede è la sua somiglianza con Dio, ma che dal punto di vista scientifico non sappiamo bene definire.

La cosa certa, però, è che in tutte le società umane conosciute le madri, e spesso anche i padri, si prendono cura della prole, ovvero basano la loro vita sulla costruzione della famiglia.

Semmai la vera discriminante è tra le società che prevedono la coppia fissa e quelle basate sulla poligamia, quasi sempre maschile.

Questi sono i due modelli principali che ritroviamo lungo tutte le epoche e le latitudini. In fondo nei millenni cambia molto poco:

la famiglia ristretta, ovvero padre, madre e figli, per un romano, uno spartano o un longobardo era la stessa sperimentata oggi dalla gente.

Da sempre le componenti forti del nostro essere umani sono queste: desidero fortemente quella donna/quell’uomo, voglio avere dei figli con lei/lui e proteggerli con tutte le mie forze.

Queste solo le pulsioni che si riscontrano nelle società umane conosciute.

 In tutte c’è poi una minoranza la cui natura (o scelta culturale) è fare sesso con una persona dello stesso sesso:

per i greci era cosa lecita e pregevole, sempre che avvenisse tra un adulto e un ragazzino, mentre tra due adulti era considerato ridicolo… come vede le cose cambiano, oggi semmai è l’opposto.

Solo da tempi recentissimi, infine, le tecnologie cercano infine di rendere possibile ciò che per natura non lo è, compreso il desiderio di essere genitori tra due uomini o due donne, con enormi complicazioni etiche e casi estremi, ma questi rientrano appunto nella dimensione della costruzione culturale.

 I modelli dominanti e maggioritari continuano a tenere in considerazione che la natura ha un ruolo centrale.

Attenzione, non è sbagliato a priori che la civiltà si sostituisca alla natura e la modifichi, a volte in meglio, a volte in peggio.

È possibile scrivere una storia dell’umanità attraverso la famiglia?

Certamente sì, perché le evoluzioni della famiglia si portano dietro tutto il resto.

Un esempio sono i diritti delle donne:

i romani erano una società patriarcale e maschilista, per cui la moglie era soggetta alla “potestas del marito”, ma quando restava vedova recuperava l’autonomia e anche la sua dote.

 Arrivano i barbari e la donna diventa una persona perennemente minorenne, non c’è un’età in cui può agire liberamente, va sempre tutelata da un maschio, se resta vedova subentrano i figli e se non ne ha la sua tutela passa al re.

Sembrano dettagli, ma incidono terribilmente sulla vita quotidiana e quindi sulla storia dei popoli.

Nel dibattito attuale c’è chi sostiene che la famiglia sia solo un’astrazione moderna, in pratica che non esista.

Quando un argomento storico diventa arma da usare in uno scontro ideologico, non si arretra davanti a nessuna forzatura.

La storia antica è ricca di aneddoti sorprendenti sulla mutevolezza dei legami familiari…

Nell’antico medioevo finché il padre non era morto i figli non avevano alcun diritto, non esisteva la maggiore età. Semmai poteva emanciparli con un atto giuridico e solo allora erano liberi.

 Ergo, erano davvero tristi quando il padre moriva?

Nella terza crociata il Saladino aveva conquistato quasi tutto il regno di Gerusalemme, solo Tiro era ancora difesa dal marchese Corrado di Monferrato.

 Il Saladino in precedenza aveva catturato suo padre e per convincere Corrado ad arrendersi portò il prigioniero sotto le mura minacciando di decapitarlo.

 «Mio padre ha già vissuto abbastanza», rispose Corrado.

Stupefatto dalla volgarità di questo cristiano, il Saladino gli risparmiò la vita e gli diede la libertà.

(“Avvenire” del 23 maggio 2019).

 

 

 

La cura della vita parte

dalla famiglia.

Laityamilylife.va – (28 nov. 2023) – Gambino intervento – ci dice:

 

Il messaggio del Sotto-segretario Gambino all’Incontro nazionale per la pastorale con le famiglie guatemalteche.

“La pastorale della vita è chiamata a valorizzare la dignità di ogni persona in ogni situazione ed età e ad accompagnarla alla pienezza”.

Con queste parole la Prof.ssa Gabriella Gambino, Sotto-Segretario del “Dicastero per i laici, la famiglia e la vita”, si è rivolta nel suo messaggio - incentrato sul tema della “Promozione della difesa della vita attraverso la famiglia”, “cuore di Dio” - ai partecipanti che si sono riuniti dal 17 al 19 novembre scorso in occasione dell’Incontro nazionale per la pastorale delle famiglie promosso dalla “Pastorale familiare della Conferenza Episcopale del Guatemala”.

Il Sotto-Segretario, cogliendo l’occasione per introdurre il concetto di una vera e propria pastorale della vita umana, da sviluppare nelle diocesi e nelle conferenze episcopali, ha spiegato come la prima missione alla quale siamo chiamati sia proprio quella di concentrare le nostre energie nell'annuncio instancabile della buona notizia della vita e del valore della persona umana, così da essere in grado di accompagnare le famiglie, soprattutto quelle che stanno attraversando situazioni difficili o dolorose.

Dal momento che la cura della vita parte dalla famiglia, la pastorale della vita andrebbe integrata nei progetti di pastorale familiare:

“La vita merita sempre amore, relazioni e cure, e questo si impara in famiglia”, ha sottolineato la Prof.ssa Gambino.

Peraltro, è importante che il lavoro della pastorale della vita oggi non sia inteso solo in chiave ‘difensiva’ contro gli attacchi che la vita stessa subisce.

Non bisogna, infatti, trascurare l’aspetto dell'annuncio dei valori antropologici, che stanno a fondamento della vita umana e che nelle nostre società non sono più scontati.

 Non basta accompagnare le esperienze di vita; bisogna ricominciare dalle basi, sviluppare nei giovani “un’intelligenza aperta alle luci della verità e della fede” per poter dare ragione del vero bene della persona.

Le famiglie - ha concluso la “Prof.ssa Gambino” - oggi possono farsi “segno di contraddizione” per generare relazioni positive, per farsi testimoni di una capacità di cura reciproca che umanizzi la società, indebolendo quella “cultura dello scarto”, che in molte situazioni di sofferenza sembra essersi sottilmente trasformata in un equivoco “senso comune”, per risolvere nell’immediato tante scelte difficili affrontate dalle famiglie stesse.

  (GAMBINO – INTERVENTO - 28 novembre 2023)

 

 

 

 

"Non fate figli: altrimenti li esporrete

 agli enormi rischi dell'Intelligenza Artificiale."

It.euronews.com - Sarah Palmer & Edizione italiana: Cristiano Tassinari – (12-06-2023) – ci dice:

 

“Mo Gawdat” ha lanciato l'allarme durante un intervista al podcast "The Diary of a CEO".

L'ex Chief Business Officer di Google X, Mo Gawdat, in un'intervista podcast, ha pronunciato un terrificante avvertimento sui pericoli dell'Intelligenza Artificiale.

Non è il primo esperto a lanciare l'allarme:

 recentemente, lo ha fatto anche un "pezzo grosso" come “Elon Musk”.

“Mo Gawdat”, manager e imprenditore egiziano, esperto di intelligenza artificiale (AI, "Artificial Intelligence" in inglese) ed ex Chief Business Officer di Google X, ha avvertito le persone che non hanno già figli di... non farne, mentre la rapida ascesa dell'Intelligenza Artificiale continua.

"I rischi sono così gravi, infatti, che quando si considerano tutte le altre minacce per l'umanità, dovreste evitare di avere figli, se ancora non siete diventati genitori", ha detto, in maniera clamorosa, “Mo Gawdat” al conduttore” Steven Bartlett”, nel corso del popolare podcast "Diary of a CEO".

Non è la prima volta che i dirigenti del settore tecnologico lanciano un simile avvertimento.

All'inizio di quest'anno, figure chiave tra cui “Elon Musk “e il co-fondatore di “Apple”,” Steve Wozniak”, hanno firmato una lettera aperta, chiedendo agli sviluppatori di sospendere ulteriori innovazioni per almeno sei mesi, in modo che l'industria e gli utenti finali abbiano il tempo di elaborare gli ultimi progressi.

 

Il "Center for AI Safety" ha anche rilasciato una dichiarazione in cui si afferma:

 "Mitigare il rischio di estinzione umana causato dell'Intelligenza Artificiale dovrebbe essere una priorità globale, insieme ad altri rischi su scala sociale, come le pandemie e la guerra nucleare".

Da parte sua, “Sam Altman”, “CEO di OpenAI”, il creatore del popolarissimo “chatbot ChatGPT”, ha messo in guardia dal "rischio esistenziale".

(Inchiesta: quali Paesi stanno cercando di regolamentare l'intelligenza artificiale?

Ue-Google: un patto per l'intelligenza artificiale.

Regole per l'intelligenza artificiale: pronta la proposta del Parlamento europeo.

Stati Uniti, la protesta contro l'Intelligenza Artificiale.

ChatGPT: Necessario regolamentare l'intelligenza artificiale.)

Intelligenza artificiale, “Geoffrey Hinton” è preoccupato ed elenca i principali pericoli

"La più grande sfida che l'umanità abbia mai affrontato."

Parlando dell'argomento “IA”, “Mo Gawdat” è arrivato al punto di confrontare la nostra realtà futura (ma non troppo futura) con famosi film distopici come "Blade Runner", girato nel 1982 e ambientato in una Los Angeles del 2019.

 

"Non c'è mai stata una tempesta così perfetta nella storia dell'umanità", ha detto “Gawdat”.

Parole di fuoco, quelle dell'”ex Chief Business Officer “di “Google X”:

"Economia, geopolitica, riscaldamento globale, cambiamento climatico, l'intera idea di Intelligenza Artificiale:

questa è una tempesta perfetta, la profondità dell'incertezza non è mai stata così intensa.

Se ami veramente i tuoi figli, vorresti davvero esporli a tutti questi rischi?"

 

 

 

 

(Fake news, intelligenza artificiale e altro ancora. Le nuove minacce alla libertà di stampa.

Intelligenza artificiale: “prompt engineer”, il lavoro del futuro.

Discussione sul clima: il chatbot spinge un uomo al suicidio.

L'Intelligenza Artificiale fa paura.

L'intelligenza artificiale e il futuro del lavoro, ecco i lavori in più rapida crescita.

Leggere la mente, un sistema di intelligenza artificiale può tramutare i pensieri in parole.

"Una condanna a vita".

 Come l'intelligenza artificiale alimenta il” deepfake porn”.)

L'intervista arriva dopo che il conduttore del podcast, “Steven Bartlett”, ha nominato” Mo Gawda”t come “Chief AI Officer” presso la sua agenzia di marketing, la "Flight Story".

"L'Intelligenza Artificiale è il culmine del progresso tecnologico ed è mia opinione che sarà senza precedenti nel definire il modo in cui il mondo verrà modellato".

“ Mo Gawdat” ,esperto di Intelligenza Artificiale.

"Ho trascorso la mia carriera affascinato dal ruolo svolto dalla tecnologia e ora la più grande sfida che l'umanità abbia mai affrontato è alle porte", ha detto “Gawdat”.

"La raffinatezza dell'intelligenza digitale è tale che è diventata autonoma ed è qualcosa a cui fare appello, piuttosto che controllarla", ha aggiunto.

"Ed è fondamentale rimanere in sintonia con chi farlo e come farlo, altrimenti rischiamo di essere lasciati indietro".

(Euronews racconta:

Un uomo si è tolto la vita parlando con un “chatbot” di Intelligenza Artificiale.)

 

 

 

Quali sono i principali problemi etici

nello sviluppo dell’intelligenza artificiale?

It.insideover.com – Il Giornale.it - Francesca Rossi – (3 DICEMBRE 2021) – ci dice:

 

L’IA è una scienza ed una tecnologia che viene applicata in più o meno ogni ambito della vita di tutti i giorni.

 La utilizziamo quando strisciamo una carta di credito, quando cerchiamo qualcosa su internet, quando scattiamo una foto con le nostre fotocamere, e quando interagiamo con molte app e piattaforme social.

 Compagnie di ogni dimensione e modello aziendale, da ogni parte del mondo, stanno adottando soluzioni “IA” per ottimizzare le loro operazioni, creare nuovi servizi e modelli di lavoro, ed aiutare i loro professionisti a prendere decisioni migliori e più consapevoli.

Dunque, non c’è dubbio che l’”IA” sia una potente tecnologia che si è già fatta strada positivamente fra i nostri stili di vita e che continuerà a farlo per molti anni a venire.

 Allo stesso tempo, i cambiamenti che apporta alle nostre vite personali e professionali sono molto significativi e rapidi, e questo fa sorgere domande e preoccupazioni sull’impatto dell”’IA” sulla nostra società.

 I sistemi “IA” devono essere progettati per conoscere, e seguire, importanti valori umani cosicché la tecnologia ci possa aiutare a prendere decisioni migliori, più sagge, che siano allo stesso tempo in linea con i valori umani.

Rivediamo alcune delle problematiche etiche dell’”IA”:

Governance dei dati.

L”’IA” necessita di molti dati, quindi i dubbi sulla privacy, l’archiviazione, la condivisione e la governance dei dati sono cruciali per quanto riguarda questa tecnologia.

In alcuni paesi del mondo come l’Europa, ci sono normative specifiche che stabiliscono i diritti fondamentali sulla “questione dati”, ovvero sull’essere umano che rilascia informazioni personali ad un sistema “IA” che può poi utilizzarle per prendere decisioni che riguardano la vita dell’essere umano in questione (vedi per esempio il “regolamento europeo GDPR”).

Correttezza.

Dal momento che si basa su enormi quantità di dati che circondano qualsiasi tipo di attività umana, l”’IA” è in grado di avere intuizioni ed ottenere informazioni sulla base delle quali prendere decisioni circa gli individui, o raccomandare decisioni ad un individuo.

(Anche se questo individuo essendo molto ricco si avvicina molto all’influenza nefasta che può avere un capo gangster! N.D.R)

Tuttavia, dobbiamo essere certi che il sistema d’intelligenza artificiale capisca e segua i valori umani relativi al contesto in cui tali decisioni vengono prese.

 Un valore umano molto importante è quello della correttezza:

non vogliamo che i sistemi “IA” prendano (o raccomandino) decisioni che potrebbero discriminare o perpetuare danni nei confronti di gruppi di persone (per esempio basati su razza, genere, classe o abilità).

 Come facciamo ad essere sicuri che l’”IA possa agire secondo la nozione più appropriata di correttezza (o di ogni altro valore umano) in qualsiasi contesto in cui viene applicata?

Gli strumenti software sono importanti, ma non sono tutto:

anche l’educazione ed il training degli sviluppatori, la diversità del team, la governance e le consultazioni fra le più parti coinvolte sono cruciali per poter individuare e porre rimedio ai limiti dell’intelligenza artificiale.

“Spiegabilità” e fiducia.

Spesso, le tecniche d’intelligenza artificiale che hanno maggior successo, come quelle basate sull’”apprendimento automatico profondo”, non lasciano che i loro utilizzatori possano comprendere in modo chiaro le modalità attraverso cui esse traggono le loro conclusioni dai dati di input.

Questo non aiuta nel percorso di costruzione di un rapporto di fiducia tra umano e macchina, quindi è importante far fronte in modo adeguato alle preoccupazioni riguardanti trasparenza e spiegabilità.

Senza fiducia, un medico non seguirebbe i consigli di un sistema di supporto decisionale che possa aiutarlo a prendere decisioni migliori per i suoi pazienti.

Responsabilità.

L’apprendimento automatico è basato su dati statistici, e per questo ha un margine d’errore, anche se limitato.

Ciò può accadere anche quando nessun programmatore abbia effettivamente commesso un errore nello sviluppo di un sistema” IA”. Dunque, quando si verifica un errore, chi ne è responsabile?

A chi dovremmo chiedere un rimborso o un indennizzo?

(Soprattutto se la “AI” ci vuole tutti morti, ossia “esseri inutili! N.D.R)

Tale questione solleva interrogativi legati alla responsabilità.

Profilazione e manipolazione.

L’intelligenza artificiale interpreta le nostre azioni ed i dati che condividiamo online per creare un nostro “profilo”, una sorta di caratterizzazione astratta di alcuni dei nostri tratti, preferenze e valori, che viene poi utilizzata per personalizzare una serie di servizi (per esempio, per mostrarci post o pubblicità che è più facile siano di nostro gradimento).

Senza appropriati limiti, questo approccio può distorcere il rapporto tra gli individui e coloro che forniscono servizi online, se questi ultimi vengono progettati in modo da rendere le nostre preferenze individuabili in modo più chiaro, e di conseguenza la personalizzazione calcolabile in modo semplice.

Tutto ciò solleva problematiche dal punto di vista dell’azione umana: abbiamo davvero il controllo delle nostre azioni, oppure l’intelligenza artificiale viene utilizzata per darci delle piccole spintarelle fino al punto di manipolarci?

 

L’impatto sulle professioni e la società in generale.

Dal momento che l’”IA” permea il funzionamento del nostro posto di lavoro, non può che avere un impatto sulle professioni (dato che può portare a termine dei compiti cognitivi che solitamente venivano svolti dagli uomini);

tali ripercussioni vanno comprese più a fondo ed affrontate in modo che gli uomini non ne siano svantaggiati.

Come menzionato poco fa, l’intelligenza artificiale è molto pervasiva e le sue applicazioni si espandono molto rapidamente, quindi ogni impatto negativo di questa tecnologia potrebbe essere estremamente nocivo per gli individui e la società.

 Al livello in cui l’”IA” viene ora applicata nei luoghi di lavoro (e al di fuori di essi), fa preoccupare che persone ed istituzioni non abbiano abbastanza tempo per comprendere le reali conseguenze del suo utilizzo ed evitare un possibile impatto negativo.

(Noi, persone normali, saremo controllati tramite la” IA”, ma chi controlla “i controllori”? N.D.R)

Controllo ed allineamento dei valori.

Sebbene l’”IA” abbia tanti impieghi, è comunque molto lontana dal raggiungere forme d’intelligenza simili a quella umana (o anche animale).

Nonostante ciò, il fatto che questa tecnologia sia per lo più sconosciuta al pubblico generico solleva dubbi (solitamente ingiustificati) sull’essere in grado di controllarla e tenerla in linea con i nostri più ampi ed a volte disparati valori sociali nel momento in cui dovesse raggiungere una più alta forma di intelligenza.

(Ma se “i controllori super ricchi malthusiani” possono impunemente ordinare alla “IA” di eliminarci tutti, quali saranno i mezzi per impedire la prossima carneficina dell’umanità? N.D.R.) 

Molte organizzazioni (compagnie, governi, società professionali, iniziative multilaterali) hanno già passato anni al lavoro per identificare le problematiche etiche più rilevanti legate all’intelligenza artificiale, definire principi ed impegni, trarne linee guida e procedure migliori, ed infine renderle operative nei loro settori.

IBM è stata l’azienda leader di questo ambito, con i suoi strumenti, le sue iniziative a livello educativo, il suo modello di governance interno (guidato dal comitato “IBM “AI” Ethics”) e le numerose partnership strette con altre aziende, organizzazioni civiche e responsabili politici.

Un approccio multidisciplinare e multilaterale è l’unico che possa effettivamente guidare uno sviluppo ed un uso responsabile dell’”IA” nella nostra società.

(Ma è così difficile pensare che l”IA” abba come  fine ultimo proprio il genocidio dell’umanità? N.D.R.)

 

 

 

Trump e l’America dimenticata.

Leparoleelecose.it – Alessandro Brizzi e Mauro Piras – (12 novembre 2016) – ci dicono:

 

Nelle analisi sulla vittoria di Donald Trump si possono individuare due diversi approcci.

 Il primo, per così dire «culturalista», si concentra sugli aspetti discorsivi della sua campagna elettorale, individuandone con legittima preoccupazione il sessismo, la xenofobia e il razzismo.

 Il secondo, più attento ai fattori socioeconomici, considera l’evoluzione demografica degli Stati Uniti, la distribuzione territoriale e generazionale del voto e, soprattutto, gli indicatori sul tasso occupazionale, il livello di istruzione e l’andamento delle disuguaglianze.

Le riflessioni post-voto si devono perciò muovere da un piano all’altro, per ovvie esigenze di sintesi, saldando società e politica, bisogni e risposte.

Tuttavia, molto spesso si incorre nel rischio di attribuire, in maniera deterministica, una coscienza politica fissa e «naturale» a interi gruppi sociali.

Il risultato è che all’elettore medio di Trump, «maschio bianco impoverito» e sprovvisto di un titolo del college, vengono arbitrariamente attribuiti connotati, pensieri e addirittura colpe morali.

Tuttavia, per analizzare la vittoria dei repubblicani conviene partire, più che dalla scelta estrema di un fantomatico tipo antropologico, dalla sconfitta dei democratici – e non solo di Hillary Clinton, ma dei vertici del partito.

 La loro strategia elettorale si è infatti delineata chiaramente negli scorsi decenni, ed è apparentemente lungimirante: puntare sulla demografia.

 La macchina del partito, a livello nazionale e locale, doveva ricercare un’alleanza tra gruppi dal crescente peso all’interno della società statunitense, contrassegnati da una precisa identità etnica (i neri e gli ispanici), di genere (le donne) o da uno statuto di minoranza (la comunità Lgbt).

La rappresentazione delle istanze di questi gruppi trovava una risposta nell’”identity politics”, attenta alla conciliazione delle diverse pressioni lobbistiche (nel senso originario del termine) in un programma di espansione dei diritti civili e di tutela delle minoranze.

Si trattava, beninteso, di una strategia elettorale, alla quale affiancare una strategia politica malleabile ma al tempo stesso imperniata, soprattutto a partire dagli anni novanta, sulla fiducia nella globalizzazione voluta dai più ricchi.

 

La candidatura di Hillary Clinton si inseriva in questo processo senza apparenti discontinuità.

È vero che il Partito democratico ha diverse anime, non sempre in accordo tra loro:

si va da quelle liberal alle progressive e infine alle moderate.

 Le primarie del 2008, per esempio, opponevano il progressista Obama alla moderata Clinton.

 Tuttavia, le credenziali che l’ex first lady offriva ai democratici erano più che solide:

un lungo percorso di promozione dei diritti delle donne e una solida esperienza nell’amministrazione.

A queste qualità però ne va aggiunta un’altra, meno spendibile sul piano mediatico ma certamente più convincente per i finanziatori del partito:

 la vicinanza a Wall Street, alle corporations e alle élite urbane.

 In incontri a porte chiuse organizzati da “Goldman Sachs”, la candidata democratica esaltava la libera circolazione dei capitali, scusandosi per le accuse che aveva dovuto rivolgere, «per ragioni tattiche», al mondo finanziario dei ricchi capi gangster.

 All’esterno, intanto, si cuciva l’abito della perfetta democratica, grazie ai consigli degli attentissimi spin doctors:

 erede di Obama e amica della popolazione nera, oppositrice del movimento dei “gun rights”, madrina della “comunità Lgbt” e paladina dell’”Obamacare”.

 

Si trattava dei temi migliori e più nobili da proporre nell’ambito di una campagna elettorale classica.

Il punto, però, è che il 2016 è stato un anno tutto meno che classico. Sarà invece ricordato come l’anno in cui si sono affermati i movimenti, generalmente etichettati come «populisti», cresciuti nella contestazione dell’establishment che ha gestito la crisi economica.

 La Brexit di giugno ha anticipato, pur con tutte le differenze del caso, alcuni degli eventi che si sono verificati nelle elezioni americane: proposta di un aut aut elettorale secco;

divisione tra un blocco dominato dal centro liberista e dalla sinistra liberal e un altro egemonizzato dalla destra xenofoba e protezionista;

schieramento nel primo di capi di Stato e banche d’affari (nonché di stelle del cinema e dello spettacolo!);

 vittoria del secondo, anche (e non solo) grazie ai voti provenienti dalle vecchie aree industriali.

 

Le aree industriali abbandonate dovrebbero essere l’angolo visuale privilegiato per l’analisi della vittoria di Trump come della Brexit.

 Questo non perché esse siano state irrimediabilmente conquistate ai populismi di destra:

 ben lungi dall’esprimersi compattamente, parte della vecchia classe operaia ha deciso di andare a votare e di dare una spinta a uno dei due fronti.

Infatti, per il funzionamento stesso del voto referendario o del collegio elettorale statunitense, bastavano pochi voti di differenza:

 voti che sono giunti dalle Midlands inglesi e dal Midwest americano.

Se analizzato sotto il profilo geo-economico, il risultato nel Midwest e in Pennsylvania è estremamente significativo.

 Bisogna evitare di attribuire a Trump i consensi della working class e della middle class impoverita in maniera indifferenziata, ma solo perché gli indicatori degli exit poll non consentono questa operazione.

È difficile infatti individuare questi gruppi nelle statistiche ordinate per reddito:

se si cerca nella fascia più bassa, per esempio, vi si trova la maggior parte della popolazione nera e dunque un ampio consenso per Clinton.

Eppure, considerando la distribuzione territoriale del voto e confrontandola con la diffusione dell’industria manifatturiera, in particolare tra “Iowa”, “Wisconsin” e “Michigan”, si vede Trump prevalere ovunque, eccetto che nelle grandi città.

Le grandi città sono attraversate da contraddizioni lancinanti ben più dell’America rurale, e sono maggiormente coinvolte da episodi di criminalità – occasionalmente da proteste e riots.

Eppure in queste storicamente prevalgono i democratici.

In questi luoghi dell’«economia della cultura e della conoscenza», essi godono dell’appoggio tanto delle élite urbane e della creative class, quanto delle minoranze più povere e meno tutelate.

Subito al di fuori di queste, c’è un’America periferica che vive quotidianamente nella «grande paura», che si sente insieme minacciata da crogiuoli multiculturali ed esclusa dai centri del potere economico e politico.

 Di quest’America periferica, finora, facevano parte soprattutto le aree rurali, che infatti hanno sempre votato repubblicano; ora si aggiungono anche le zone di industrializzazione diffusa della “Rust Belt”.

Quest’America non si comporterebbe tutta da «campagna francese», se il suo tessuto produttivo non fosse stato distrutto dai trattati di libero scambio e dalla crisi economica.

O almeno se avesse ricevuto una risposta politica alternativa:

 a cose fatte, molti si chiedono se Bernie Sanders avrebbe potuto fare meglio della Clinton.

 Forse, al di là delle ipotesi controfattuali, conviene assumere un dato: l’opzione populistica della sinistra americana è stata deliberatamente sabotata dall’establishment democratico.

 Grazie alle rivelazioni di Wikileaks sappiamo che lo staff elettorale di Hillary Clinton, i vertici del “Democratic National Committee” e un insieme di giornalisti di importanti network (tra cui l’NBC) hanno lavorato in maniera attiva per mettere fuori gioco il candidato socialdemocratico.

Ma non serve immaginare particolari complotti, dato che la maggior parte del processo si è svolta alla luce del sole:

tutti i grandi democratici, dagli “intellettuali liberal” come “Paul Krugman” ai giornalisti del “Washington Post”, hanno lodato l’«incrementalism» della Clinton, opposto al velleitarismo rivoluzionario dei sostenitori di Sanders;

hanno riempito intere pagine di considerazioni sulla vacuità della sua proposta economica;

l’hanno accusato di essere sessista e razzista.

Chi ama richiamare la «post-factual era» a proposito di Trump, dovrebbe rileggere i numerosi articoli – assolutamente liberali – in cui Sanders, militante della prima ora del movimento per i diritti civili, veniva di fatto paragonato a Donald Trump.

E la battaglia è stata ingaggiata dallo stesso fronte che poi si è scagliato su Trump, non dalla repubblicana “Fox”.

A destra invece il «dirottamento», ovvero l’ascesa del candidato anti-establishment, è riuscito.

Forse era prevedibile, per due ordini di ragioni.

La prima è che l’establishment, dal 2008 al 2016, si è identificato principalmente con il Partito democratico.

 È vero che i repubblicani detenevano l’amministrazione di numerosi stati e la maggioranza nelle camere, ma resta il fatto che il vertice della piramide di Washington era democratico.

La seconda è che, anche grazie all’apporto del “Tea Party” negli ultimi anni, la destra repubblicana ha costruito una sua versione dell’”identity politics”, in negativo rispetto a quella democratica.

 Di qui la creazione culturale dell’americano «medio», che non si riconosce nello strepito dei movimenti per i diritti civili e sociali, che a «black lives matter» risponde «all lives matter», che non vede di buon occhio il ribaltamento dei ruoli di genere.

Foraggiare questi modelli culturali, sfruttare e organizzare politicamente le derive xenofobe e sessiste, sdoganare del tutto il richiamo alle armi non sono idee originali di Donald Trump, bensì fanno parte di una strategia che il Partito repubblicano e i suoi organi, come “Fox News”, perseguono consapevolmente da anni.

Una simile strategia non era lungimirante, a differenza di quella democratica, prima che Trump comprendesse come declinarla.

Innanzitutto si è fatto campione del nazionalismo, l’opzione politica per eccellenza dei leader della nuova destra, particolarmente efficace per opporsi ai centri del potere economico, lontani e invisibili.

 Ma la sfida non è rivolta all’Unione Europea, al Fondo monetario internazionale o a Wall Street, alla galassia policentrica degli interessi economici dominanti.

 Si guarda invece ai nuovi avversari – come la Cina, l’oggetto di amore e odio del trumpismo – e all’impetuosa crescita del loro potere economico e geopolitico.

E di conseguenza il nazionalismo di Trump è produttivista e neo mercantilista:

caratteri, questi, che gli hanno consentito di intercettare chi vive in zone che hanno visto sparire la propria vocazione produttiva e, insieme ad essa, ogni segno tangibile del buon funzionamento e della potenza economica degli Stati Uniti d’America.

Il paese promesso da Trump non si preoccupa dunque del problema posto dall’esaurimento delle risorse energetiche o dal riscaldamento globale:

 per produrre quanto la Cina, dovrà consumare quanto la Cina.

Abbattendo il muro del «politicamente corretto» della sinistra DEM, ovvero tutte le regole basilari della politica come professione, Trump si è messo contro tutto e tutti.

Ha così materializzato in un sol colpo tutte le chimere evocate dalla destra nel corso degli ultimi decenni:

dai movimenti dei neri ai professori liberal, dai vecchi politici di Washington ai giornalisti «amici dei Clinton».

Contro le inevitabili denunce della stampa e degli avversari, ha deciso di affidare la maggior parte del suo storytelling alle piattaforme social, dove il criterio di una verità è il suo potere effettivo – il numero delle condivisioni – più che la varietà delle fonti.

In questo modo, Trump è riuscito a creare una rappresentazione efficace che unisse le energie dei nazisti di professione, i soldi e il sostegno dei fautori del protezionismo a bassa pressione fiscale, dei nemici di Obamacare e degli strenui difensori del secondo emendamento (ovvero la National Rifle Association) e i voti di un 25 per cento di «forgotten Americans» – come li ha chiamati nel suo primo discorso.

Ora è da aspettarsi che, per soddisfare le richieste di questa alleanza, proceda in primo luogo a ingraziarsi chi ne è stato il primo artefice: l’establishment repubblicano.

Se così sarà, la destra statunitense potrà in parte riassorbire l’insorgenza populistica, usandola per cementare i cambiamenti della mappa elettorale.

 D’altronde qualcosa di simile è avvenuto nel Regno Unito, dove i conservatori hanno raccolto le spoglie dello Ukip e il mandato del referendum.

Questo però non significa che bisogna attendersi una stabilizzazione della situazione.

Dopotutto, la carica di presidente degli Stati Uniti riserva al singolo uomo una certa capacità di intervento nella storia – anche quando quest’uomo è Donald Trump.

 

 

 

 

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI.

IL DIRITTO DEI DIRITTI.

 Prodocs.org – Redazione – (10-6-2016) – ci dice:

 

Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

 

 L’articolo sancisce la libertà e l’uguaglianza in dignità e diritti come principi fondamentali da riconoscere ad ogni persona, in quanto tale.

Dotata di ragione e di coscienza, la persona contrae l’obbligo di agire verso i suoi simili in spirito di fratellanza perché ne comprende e riconosce la pari dignità e quindi, gli uguali diritti.

In questo modo, ad ogni diritto corrisponde un dovere esplicito e, dalla loro complementarietà scaturiscono i vincoli delle relazioni personali e sociali. In base a ciò, si costruisce il consenso che sarà alla base dell’organizzazione giuridico-politica. Come essere libero, ogni persona è soggetto capace di autodeterminazione e quindi, è sovrana.

Tale sovranità, nell’ambito delle relazioni umane, si presenta come uno spazio di espressione della libertà personale, limitata solo dalle altre libertà personali.

Per costruire poi rapporti stabili a livello di organizzazione sociale, si è giunti a definire ruoli, distribuire compiti, separare funzioni e attribuire poteri che sono stati delegati, nell’arco della storia in modo differenziato in base a precise teorie antropologiche e giuridico-politiche.

“L’uomo è nato libero, e dovunque è in catene… Come è potuto avvenire un cambiamento del genere? Lo ignoro. Cosa può renderlo legittimo? Credo di poter rispondere a questa domanda”.

“Ognuno di noi mette in comune la sua persona ed ogni suo potere sotto la suprema direzione della volontà generale, e noi accogliamo nel nostro seno ogni membro come parte individuale del tutto”.

(J.J. Rousseau, Du Contrat Social, libro I, cap. I, Ed. a cura di M. Halbwachs, Parigi, p. 59 (trad. it., Il Contratto Sociale, in Scritti Politici, a cura di P. Alatri, Torino, 1970).

 

 Nella storia.

Nell’antichità classica, l’autorità politica racchiudeva in sé ogni forma di potere e, nel caso specifico della storia romana, l’”imperator “era anche “sacerdos et dux” disponendo della vita e della morte dei propri sudditi.

Solo con l’avvento del Cristianesimo, tale autorità veniva attribuita a Dio che nell’ordine del suo piano creativo, aveva affidato alla persona la possibilità di esercitare un’autorità, intesa come servizio, nella sfera sia temporale che spirituale; tale autorità veniva riconosciuta quindi al re e al papa.

Si stabiliva così un ordine gerarchico per il raggiungimento del bene comune all’interno dei gruppi umani.

La gestione del potere, benché così ordinato, diede origine successivamente a forme di cesaropapismo e di teocrazia.

Nel Medioevo l’organizzazione del potere era basata sulle due grandi coordinate universalistiche del Papato e dell’Impero.

Ciò avveniva per realizzare nello Stato la massima unità e coesione politica.

La sovranità allora, in quanto potere di comando in ultima istanza, era strettamente connessa alla realtà specifica della politica: la pace e la guerra.

Nell’Età Moderna, con la formazione dei grandi stati territoriali sotto forma di Monarchie assolute, il compito di garantire la pace tra i sudditi del suo regno spettava esclusivamente al sovrano-re, unico centro di potere onni competente ed onnicomprensivo.

Nel XVIII secolo, con l’avvento delle nuove teorie sulla sovranità, si ebbe il capovolgimento totale.

La sovranità, secondo J.J. Rousseau, diventava espressione diretta della volontà dei cittadini quando miravano all’interesse generale e non a quello particolare, e cioè quando avrebbero agito moralmente e non utilitaristicamente.

Il problema era quello di conciliare sovrano e popolo, nell’unità dello Stato che avrebbe eliminato e superato ogni dualismo:

 l’intera comunità diventava un solo corpo, di cui il Re era il capo e gli altri, le membra;

 il re sarebbe diventato ben presto la persona giuridica pubblica per eccellenza, perché detentrice della sovranità.

La tesi giusnaturalistica formulata nel 1600 veniva riaffermata con vigore durante il XVIII secolo, quando per la prima volta nella storia dell’umanità, fu accolta nelle Costituzioni nazionali.

Su questa premessa si fondarono la “Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti” (1776) e la “Dichiarazione Francese dei Diritti dell’uomo” (1789).

Il 4 luglio del 1776 i coloni inglesi, riuniti a Filadelfia, spiegarono al mondo intero i motivi della loro decisione dichiarando che:

 tutti gli uomini sono creati uguali… e che ogniqualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla ed istituire un nuovo governo fondato su tali principi…

Queste colonie sono, e per diritto devono essere, Stati liberi e indipendenti.

Il 26 agosto del 1789, a Parigi, gli stessi principi furono enunciati nella “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”,

nell’art. 1: “Gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti”, e nell’art. 6: ” … (la legge) deve essere uguale per tutti, sia quando protegge sia quando punisce.

Tutti i cittadini, essendo uguali dinanzi ad essa, sono parimenti ammissibili ad ogni dignità, posto o impiego pubblico, secondo la loro capacità e senza altra distinzione, all’infuori di quella della loro abilità e del loro ingegno”.

In quello stesso anno, una donna, “Olympe de Gouges”, scriveva la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina con la quale, insieme ad altre donne, cercò di sviluppare e applicare con coerenza i principi proclamati nella” Dichiarazione dei diritti dell’uomo estendendoli a tutta l’umanità”.

In particolare, alla metà dei XIX secolo si formava lo Stato Italiano a seguito dei noti eventi del Risorgimento, quando gli Stati preesistenti nella penisola italiana diedero vita ad uno Stato unitario di forma monarchico- costituzionale.

Così lo Statuto, emanato nel 1848 da Carlo Alberto per il piccolo Regno di Sardegna, diventava la legge fondamentale dello Stato Italiano.

Esso restò in vigore per circa un secolo, fino a quando, dopo la caduta del fascismo e la conclusione della seconda guerra mondiale, il popolo italiano volle mutare le regole del “patto” e diede vita alla Costituzione repubblicana a suffragio universale – esteso per la prima volta anche alle donne.

La Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio 1948, cent’anni dopo lo Statuto Albertino.

Oggi.

Attualmente, il concetto politico-giuridico di sovranità sta suscitando un dibattito intenso sulla articolazione delle varie forme di sovranità, che possono essere attribuite sia alla persona come soggetto politico, sia al singolo Stato, che ad istituzioni di carattere internazionale.

Il dibattito si esprime a vari livelli:

sul piano teorico, col prevalere delle teorie costituzionalistiche;

sul piano pratico, con la crisi dello Stato moderno, ormai incapace di essere un unico ed autonomo centro di potere, soggetto esclusivo della politica, solo protagonista nel campo internazionale.

Il cambiamento in atto è determinato sia dalla realtà sempre più diversificata e complessa delle stesse società democratiche, sia dal nuovo carattere delle relazioni internazionali favorito da più forti e più strette forme di interdipendenza tra i diversi Stati, sul piano giuridico, economico, politico, ideologico ed etnico.

Lo stabilirsi di una sempre più stretta collaborazione internazionale, ha avviato un confronto tra i poteri tradizionali dei singoli Stati sovrani e le nuove forme istituzionali nascenti a livello internazionale.

 Inoltre, si è iniziato a riflettere sul significato degli stessi poteri tradizionali mettendo in discussione il concetto della sovranità assoluta degli Stati.

Le autorità “sovranazionali” hanno la possibilità di verificare, con appositi organi, il grado di applicazione del diritto “sovranazionale” da parte dei singoli Stati nell’ambito del proprio ordinamento costituzionale.

Contemporaneamente, gli organismi sovranazionali non possono ledere la sovranità dello Stato con disposizioni contrarie alle regole costituzionali dello stesso.

L’ingerenza non è permessa se non in casi dichiaratamente umanitari, la cui definizione lascia ampio spazio di dibattito e di riflessione tuttora in corso.

L’adesione a determinate alleanze o la partecipazione a organismi specifici può, per certi versi, limitare la sovranità di uno Stato a vantaggio di un progetto comune.

Ci sono anche nuove forme di alleanze economica, militare e politica, che sottraggono ai singoli Stati la disponibilità di risorse proprie e/o determinano una sovranità subordinata delle potenze minori nei confronti di quella egemone.

Si sono aperti nuovi spazi, non più controllati dallo Stato sovrano.

Le imprese multinazionali, ad esempio, consentite dal mercato mondiale, hanno un potere di decisione libero da qualsiasi controllo:

 pur non essendo sovrane, pur non avendo una popolazione ed un territorio su cui esercitare i poteri sovrani, non rispondono ad una autorità.

Ancora, i nuovi mezzi di comunicazione di massa hanno consentito la formazione di un’opinione pubblica mondiale, che esercita talvolta la propria pressione affinché uno Stato accetti, anche controvoglia, di negoziare la pace.

La pienezza del potere statuale è ormai in piena crisi. Si è capito che lo Stato non è legittimato ad esercitare alcun potere assoluto nei confronti del cittadino da cui riceve una delega.

 Esso è sovrano dinanzi allo stato stesso che vede limitato il proprio potere in virtù di questa sovranità personale del cittadino che va rispettata comunque sia.

Con ciò però non scompare il potere, ma solo una determinata forma della sua organizzazione, che ha avuto nel concetto politico-giuridico di sovranità, il suo punto di forza.

Un caso specifico è quello della ricerca di poteri sovranazionali che limitano la sovranità di uno Stato per il raggiungimento del bene comune dell’intera Comunità Internazionale.

Conseguentemente c’è oggi, spesso, l’esigenza di procedere, attraverso una lettura dei fenomeni politici attuali, ad una nuova sintesi politico-giuridica che disciplini giuridicamente le nuove forme di potere, i nuovi “paradigmi” che stanno emergendo, quali l’etnia o la regione.

Nella Costituzione Italiana.

La storia non ha interrotto il suo cammino:

 L’art. 2 della Costituzione Italiana sancisce a sua volta il principio fondamentale della dignità della persona umana.

L’art. 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razze, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il Pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

L’affermazione di principio risulta chiara; purtroppo però la difficoltà rimane nella realizzazione di fatto.

( PRO.DO.C.S. 2016)

 

 

 

 

Quali sono i rischi e i vantaggi

dell’intelligenza artificiale?

Europarl.europa.eu – (28 -06 – 2023) – Redazione – ci dice:

  

L’intelligenza artificiale (AI) è sempre più presente nelle nostre vite. Questo può presentare rischi ma anche vantaggi per la sicurezza, le imprese, l’occupazione e la democrazia

La prosperità e la crescita economica dell’Europa sono strettamente legate a come verranno usati i dati e le tecnologie della connessione.

 L’AI può fare una grande differenza nella nostra vita, in positivo o in negativo.

 Nel corso di giugno 2023, il Parlamento europeo ha fissato la propria posizione negoziale sull'”AI” act” (o normativa sull'IA) il primo insieme di regole al mondo sull'intelligenza artificiale.

Vediamo quali sono le opportunità e i rischi delle future applicazioni dell’intelligenza artificiale.

(175 zettabyte Il volume dei dati prodotti nel mondo dovrebbe passare da 33 zettabyte nel 2018 a 175 zettabyte nel 2025. Un zettabyte equivale a mille miliardi di gigabyte)

    

Vantaggi dell’intelligenza artificiale.

I paesi UE sono già forti nell’industria digitale e nelle applicazioni business-to-business.

Con un’infrastruttura di alta qualità e un quadro normativo che protegga la privacy e la libertà di espressione, l’UE potrebbe diventare un leader globale nell’economia dei dati (data economy) e nelle sue applicazioni.

Benefici dell’”IA” per i cittadini.

L’intelligenza artificiale potrebbe significare una migliore assistenza sanitaria, automobili e altri sistemi di trasporto più sicuri e anche prodotti e servizi su misura, più economici e più resistenti.

Può anche facilitare l’accesso all’informazione, all’istruzione e alla formazione.

Con l’epidemia di COVID-19 l’apprendimento a distanza è diventato una necessità.

 L’IA aiuta a rendere il posto di lavoro più sicuro, perché il lavoro più pericoloso può essere demandato ai robot, e offrire nuovi posti di lavoro grazie alla crescita delle industrie dell’intelligenza artificiale.

Benefici dell’intelligenza artificiale per le imprese.

L’intelligenza artificiale può consentire lo sviluppo di una nuova generazione di prodotti e servizi, anche in settori in cui le aziende europee sono già in una posizione di forza come l’economia circolare, l’agricoltura, la sanità, la moda e il turismo.

Può infatti offrire percorsi di vendita più fluidi e ottimizzati, migliorare la manutenzione dei macchinari, aumentare sia la produzione che la qualità, migliorare il servizio al cliente e risparmiare energia.

(11%-37% Aumento stimato della produttività del lavoro grazie all’IA, entro il 2035 (studio del Parlamento europeo).

    

Benefici nei servizi pubblici.

L’IA applicata ai servizi pubblici può ridurre i costi e offrire nuove opzioni nel trasporto pubblico, nell’istruzione, nella gestione dell’energia e dei rifiuti e migliorare la sostenibilità dei prodotti.

Per questo motivo, contribuirebbe a raggiungere gli obiettivi del “Green Deal europeo”

(1.5%-4% riduzione delle emissioni globali di gas serra entro il 2030, attribuibile all’uso dell’IA) (studio del Parlamento europeo)

    

Rafforzare la democrazia.

Le verifiche basate sui dati, la prevenzione della disinformazione e degli attacchi informatici e l’accesso a informazioni di qualità possono contribuire a rafforzare la democrazia.

 Sosterrebbero anche la diversità e l’uguaglianza di opportunità, ad esempio attenuando i pregiudizi in materia di assunzione attraverso l’uso di dati analitici.

Intelligenza artificiale per la sicurezza.

L’intelligenza artificiale potrà essere usata nella prevenzione dei reati e come ausilio nella giustizia penale, perché premetterebbe di elaborare più velocemente grandi volumi di dati, valutare con più accuratezza i rischi di fuga dei detenuti, prevedere e prevenire crimini e attacchi terroristici.

 L’IA viene già usata dalle piatteforme online per individuare e rispondere a pratiche illegali o inappropriate in rete.

In campo militare, l’intelligenza artificiale potrebbe essere usata per la difesa e le strategie di attacco in caso di crimini informatici o per attaccare obiettivi chiave nella lotta informatica.

(Rischi e sfide dell’intelligenza artificiale.

L’uso crescente di sistemi di IA comporta anche dei rischi)

 

Abuso e sottoutilizzo dell’intelligenza artificiale.

Non usare l’intelligenza artificiale in tutto il suo potenziale è un rischio: scarsa attuazione di programmi importanti, come il “Green deal europeo”, perdita del vantaggio competitivo rispetto ad altre regioni del mondo, stagnazione economica e meno opportunità per tutti.

 Il sottoutilizzo ha diverse cause, a partire dalla diffidenza del pubblico e delle imprese, fino a infrastrutture carenti, mancanza di iniziativa imprenditoriale, investimenti bassi, frammentazione dei mercati digitali (siccome l’apprendimento automatico dell’IA dipende dai dati, una frammentazione la rende meno efficiente).

Ma anche l’abuso è un problema.

Ad esempio, non deve essere usate per problemi per cui non è adatta, come per spiegare o risolvere complesse questioni sociali.

Responsabilità civile e intelligenza artificiale: di chi è la colpa?

Una sfida importante è determinare chi sia responsabile per i danni causati da un dispositivo o servizio azionato dall’intelligenza artificiale: in un incidente in cui è coinvolta un’auto a guida autonoma, i danni devono essere ripagati dal proprietario, dal costruttore o dal programmatore?

Se il produttore fosse privo di responsabilità potrebbero non esserci incentivi sufficienti a fornire un prodotto sicuro ed efficiente.

 Il pubblico potrebbe avere meno fiducia nella tecnologia.

 Ma allo stesso tempo delle norme troppo severe potrebbero soffocare i tentativi di innovazione.

Minacce dell’intelligenza artificiale ai diritti fondamentali e alla democrazia.

I risultati prodotti dall’IA dipendono da come viene progettata e da quali dati vengono immessi.

Questo processo può essere influenzato intenzionalmente o meno.

Ad esempio, alcuni aspetti importanti potrebbero non essere programmati nell’algoritmo o potrebbero essere programmati per riflettere e perpetuare delle distorsioni strutturali.

Inoltre, l’uso dei dati e dei numeri per rappresentare una realtà complessa fa sembrare l’IA fattuale, precisa e indipendente anche quando non lo è (il cosiddetto “math-washing”).

Ad esempio, se non programmata correttamente, l’IA potrebbe condurre a decisioni riguardo a un’offerta di lavoro, all’offerta di prestiti e anche nei procedimenti penali, influenzate dall’etnia, dal genere, dall’età.

L’IA può anche minacciare la protezione dei dati e il diritto alla vita privata.

Può essere usata, ad esempio, in dispositivi per il riconoscimento facciale o per la profilazione online.

Inoltre, è capace di mettere insieme le informazioni che acquisisce su una persona senza che questa ne sia a conoscenza.

La minaccia per la democrazia rappresentata dall’intelligenza artificiale passa per l’informazione.

È già stata accusata di creare delle “bolle” in rete, dove i contenuti sono presentati in base ai contenuti con cui l’utente ha interagito in passato, invece di creare un ambiente aperto per un dibattito a più voci, inclusivo e accessibile.

Può anche essere usata per creare immagini, video e audio falsi ma estremamente realistici, noti come “deepfake”, che possono essere usati per truffare, rovinare la reputazione e mettere in dubbio la fiducia nei processi decisionali.

Tutto questo rischia di condurre alla polarizzazione del dibattito pubblico e alla manipolazione delle elezioni.

L’intelligenza artificiale potrebbe anche minacciare la libertà di riunione e di protesta, perché potrebbe permettere di rintracciare e profilare individui legati a determinati gruppi o opinioni.

 

L’effetto dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro.

L’uso dell’intelligenza artificiale potrebbe portare alla scomparsa di molti posti di lavoro.

Anche se ne verranno creati altri e migliori, è cruciale che ci sia l’adeguata formazione affinché i disoccupati possano accedervi e affinché ci sia una forza lavoro qualificata a lungo termine.

(14% dei posti di lavoro nei paesi dell’OCSE sono automatizzabili. Un altro 32% dovrebbe affrontare cambiamenti sostanziali)

(studio del Parlamento europeo).

    

Concorrenza.

L’accumulo di informazioni potrebbe anche portare a una distorsione della concorrenza, in quanto le parti con maggiori informazioni potrebbero ottenere un vantaggio e cercare di eliminare i concorrenti.

I rischi per la sicurezza.

Le applicazioni di intelligenza artificiale che sono a contatto o anche integrate del corpo umano possono esser pericolose se mal progettate, utilizzate in modo improprio o hackerate.

 Un uso non regolamentato dell’intelligenza artificiale negli armamenti potrebbe condurre a una perdita di controllo su armi distruttive.

I problemi per la trasparenza.

Le disuguaglianze nell’accesso alle informazioni potrebbero essere sfruttate a discapito degli utenti.

Ad esempio, sulla base di un comportamento in rete di una persona o di altri dati utilizzati a sua insaputa, un fornitore di servizi può prevedere quanto questa persona sia disposta a pagare per un servizio o una campagna politica può sapere quale messaggio inviarle.

Un altro problema di trasparenza è che potrebbe non essere chiaro per l’utente se sta interagendo con una persona o con un sistema di intelligenza artificiale.

(Per saperne di più sulla strada scelta dagli eurodeputati per dare forma alla legislazione sui dati in modo da promuovere l'innovazione e garantire la sicurezza allo stesso tempo).

 

 

 

 

In guerra con l’intelligenza artificiale:

le nuove mire di Usa e Cina.

Agendadigitale.eu – (30 agosto 2022) – Luigi  Mischitelli – ci dice:

 

Cultura E Società Digitali.

La corsa agli armamenti hi-tech spinta dalla guerra in Ucraina giova agli affari di startup pronte a dispiegare le loro tecnologie sul campo di battaglia.

Cina e Usa spingono in questa direzione.

Ma la nuova corsa dell’intelligenza artificiale in campo militare solleva anche una serie di questioni etiche.

(“Privacy & Data Protection Specialist at IRCCS” Casa Sollievo della Sofferenza)

 

La guerra in Ucraina sta fomentando con ancora più urgenza la corsa agli armamenti hi-tech, basati su sistemi di intelligenza artificiale.

Cina e Usa sono in prima fila e investono a ritmo serrato sulle tecnologie emergenti, sebbene non sempre sia scontato un loro utilizzo concreto sul campo di battaglia.

(Is artificial intelligence the future of warfare? | UpFront)

In questo contesto, chi ha più da guadagnare sono le startup (una fra tutte, la statunitense “Palantir Technologies”), che mirano principalmente a generare profitto, ma allo stesso tempo anche a rinnovare i loro arsenali con le tecnologie più recenti, entrando in concorrenza con i colossi che forniscono i diversi paesi.

Tuttavia, di pari passo con l’avanzamento tecnologico, nell’ultimo lustro sono diventate più urgenti e pressanti anche le preoccupazioni etiche sull’uso dell’intelligenza artificiale in campo militare, mentre la prospettiva di restrizioni e regolamenti che ne disciplinino l’uso sembra più remota che mai (almeno fino a quando il conflitto in Ucraina non cesserà).

 

Indice degli argomenti.

 

AI in campo militare, cosa ci dice il dietrofront di Google sul progetto Maven.

AI sul campo di battaglia: grandi promesse e molti flop.

La corsa agli investimenti procede spedita.

Intelligenza artificiale in campo militare, il difficile passaggio dalla teoria alla pratica.

AI a uso bellico, gli Usa inseguono la Cina.

AI sul campo di battaglia, le preoccupazioni etiche.

Conclusioni.

“AI” in campo militare, cosa ci dice il dietrofront di “Google” sul progetto “Maven”.

Un esempio fra tutti:

nel 2018, in seguito alle proteste e all’indignazione dei suoi dipendenti, “Google” si ritirò dal “Progetto Maven” del Pentagono che mirava a costruire sistemi di riconoscimento delle immagini per migliorare gli attacchi dei droni in zone di guerra.

 L’episodio suscitò un acceso dibattito sui diritti umani e sulla moralità dello sviluppo di un’intelligenza artificiale montata su “armi autonome”. Tuttavia, quattro anni dopo il “boicottaggio” di Maven, la Silicon Valley sembra essersi (ri)avvicinata molto al Dipartimento della Difesa USA.

 E non si tratta solo di grandi aziende, ma anche – come citato – di startup.

Le aziende che investono in campo militare fanno spesso grandi proclami su ciò che la loro tecnologia è in grado di fare.

 Esse affermano, ad esempio, che può essere d’aiuto per qualsiasi cosa, “dal banale al letale”, dallo screening dei curricula all’elaborazione dei dati, fino ad aiutare i soldati a prendere decisioni più rapide sul campo di battaglia.

 Il software di riconoscimento delle immagini, ad esempio, può aiutare a identificare gli obiettivi nemici con precisione.

 I droni “autonomi” possono essere utilizzati per la sorveglianza o gli attacchi su terra, aria o acqua, o per aiutare i soldati a consegnare i rifornimenti in modo più sicuro di quanto sia possibile via terra (o con l’aiuto di mezzi con equipaggio a bordo).

 

“AI” sul campo di battaglia: grandi promesse e molti flop.

Chiaramente, tali tecnologie sono ancora “agli albori” sul campo di battaglia e le forze armate di diversi paesi del mondo stanno attraversando un periodo di sperimentazione (il teatro bellico ucraino figura tra questi).

 Ci sono innumerevoli esempi della tendenza delle aziende produttrici di intelligenza artificiale a fare grandi promesse che poi si rivelano dei flop; le zone di combattimento, peraltro, sono forse tra le aree tecnicamente più difficili in cui impiegare l’Intelligenza Artificiale, perché ci sono pochi “dati di addestramento” (training data) rilevanti.

Ciononostante, molte forze armate di diversi paesi stanno andando avanti su questa strada.

Gli Stati Uniti, ad esempio, stanno collaborando con le start-up per sviluppare veicoli militari autonomi.

 Ed ovviamente, non mancano le critiche.

 Alcuni sostengono che questa spinta verso l’intelligenza artificiale in campo bellico sia in realtà più volta ad arricchire le aziende tecnologiche che a migliorare le operazioni militari sul campo.

 Mentre altri affermano che i sostenitori dell’intelligenza artificiale stanno alimentando la retorica della Guerra Fredda, cercando di creare una narrativa che posiziona le Big Tech come “infrastrutture nazionali critiche”, troppo grandi e importanti per essere smantellate o regolamentate.

La corsa agli investimenti procede spedita.

Dopo che le polemiche su “Maven” (da parte di Google) si sopirono, negli ultimi due anni le voci che invocano un maggiore impiego dell’intelligenza artificiale in campo militare sono diventate sempre più forti.

E la guerra in Ucraina si pone come un vero e proprio “megafono” in tal senso.

Si pensi alla “National Security Commission on Artificial Intelligence” (NSCAI), che fornisce raccomandazioni al Presidente e al Congresso USA in materia di Intelligenza Artificiale, la quale ha invitato (già a partire dal 2021) le forze armate statunitensi a investire almeno otto miliardi di dollari l’anno in queste tecnologie per non rischiare di rimanere indietro rispetto alla Cina.

Secondo un rapporto del “Georgetown Center for Security and Emerging Technologies”, le forze armate cinesi spendono probabilmente più di un miliardo e mezzo di dollari all’anno per l’intelligenza artificiale (e negli Stati Uniti è già in atto una spinta significativa per raggiungere la parità).

E non è solo l’esercito statunitense ad essere convinto della necessità di adeguarsi in tal senso.

Anche alcuni paesi europei, che tendono a essere più cauti nell’adozione di nuove tecnologie, stanno cercando di investire nel settore.

Francia e Regno Unito hanno identificato l’intelligenza artificiale come una tecnologia chiave per la difesa, con la Commissione Europea che ha stanziato un miliardo di dollari per sviluppare nuove tecnologie di difesa comune dell’Unione.

Intelligenza artificiale in campo militare, il difficile passaggio dalla teoria alla pratica.

In ogni caso, creare domanda affinché si implementi l’intelligenza artificiale è una cosa, mentre far sì che le forze armate la adottino è un’altra cosa.

Molti Paesi stanno spingendo la “narrativa” sull’intelligenza artificiale, ma faticano a passare dal concetto all’implementazione a quello dell’effettiva adozione.

Ciò è dovuto, in parte, al fatto che l’industria militare nella maggior parte dei Paesi è ancora dominata da un gruppo di grandi appaltatori che non hanno ancora molta esperienza nel campo dell’intelligenza artificiale.

In pratica, in molti paesi, il monopolio dei grandi – storici – gruppi di fornitori militari esclude l’ingresso delle startup e del loro grande know-how tecnologico.

Inoltre, i contratti militari possono durare decenni, cosa che le startup “non possono permettersi” (avendo solo un anno o poco più per “decollare”).

Il rischio che vadano in bancarotta in attesa di contratti di difesa (che vengano onorati dagli “appaltanti”) è sempre dietro l’angolo.

 Le forze armate di diversi Paesi si trovano in un vicolo cieco:

 andare troppo “di fretta” e rischiare di implementare sistemi pericolosi e difettosi, oppure andare troppo piano e perdere l’occasione di sfruttare i progressi tecnologici presenti e futuri.

“AI” a uso bellico, gli Usa inseguono la Cina.

Gli Stati Uniti vogliono andare più veloci (anche perché la Cina è un formidabile corridore), per cui sarà necessario approntare un cambiamento culturale in seno al Pentagono (evitando il rischio di impelagarsi in inerzie burocratiche).

 E abbiamo già degli esempi:

 a gennaio scorso “ScaleAI”, una startup che fornisce servizi di etichettatura dei dati per l’intelligenza artificiale, si è aggiudicata un contratto da duecentocinquanta milioni di dollari con il Pentagono; mentre a febbraio scorso” Anduril”, una startup che sviluppa sistemi di difesa autonomi (come sofisticati droni subacquei), si è aggiudicata un contratto di difesa da un miliardo di dollari sempre con il Dipartimento della Difesa USA.

“AI” sul campo di battaglia, le preoccupazioni etiche.

Nonostante la “costante marcia” dell’intelligenza artificiale sul campo di battaglia, le preoccupazioni etiche che hanno portato alle proteste per il “Progetto Maven” non sono del tutto scomparse.

Consapevole di dover comunque intervenire in materia, il “Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti” ha emanato delle linee guida per una intelligenza artificiale “responsabile” per gli sviluppatori di tali tecnologie in ambito militare.

Anche la NATO ha una strategia simile per le nazioni che ne fanno parte. Tutte queste linee guida invitano le forze armate a utilizzare l’intelligenza artificiale in modo lecito, responsabile, affidabile e tracciabile, cercando di mitigare i pregiudizi (bias) “incorporati” negli algoritmi.

Uno dei concetti chiave è che l’uomo deve sempre mantenere il controllo di tali sistemi; cosa che, probabilmente, non può essere garantita per gli anni a venire.

Invero, l’obiettivo di un sistema autonomo è quello di consentirgli di prendere una decisione in modo più rapido e accurato di quanto potrebbe fare un essere umano (svincolando quest’ultimo dal sindacare ogni scelta presa dalla macchina).

Tuttavia, i critici sostengono che sono necessarie regole più severe.

Conclusioni.

Esiste una campagna globale chiamata “Stop Killer Robot” che cerca di vietare le armi autonome letali, come gli sciami di droni.

Diversi attivisti e funzionari di alto profilo (come il segretario delle Nazioni Unite “Antonio Guterres”), nonché governi (come quello della Nuova Zelanda) sostengono che le armi autonome sono profondamente immorali, perché danno alle macchine il controllo sulle decisioni di vita e di morte e potrebbero danneggiare in modo sproporzionato le comunità emarginate a causa di pregiudizi algoritmici.

Sciami di migliaia di droni autonomi, ad esempio, potrebbero essenzialmente diventare armi di distruzione di massa.

Limitare queste tecnologie sarà una battaglia in salita, perché l’idea di un divieto globale ha incontrato l’opposizione di Stati Uniti, Francia e Regno Unito (membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU).

 In definitiva, la nuova era dell’intelligenza artificiale impiegata in campo militare solleva una serie di difficili questioni etiche a cui non abbiamo ancora una risposta.

 

 

 

 

 

Verso un nuovo globalismo

Decentralizzato.

It.linkedin.com - Pierluigi Casolari – (5 lug. 2022) – ci dice:

 

(Founder of 5 startups (1Exit) now working as acceleration manager in CDP accelerator FAROS and as startup CEO mentor and coach).

Yuval Noah Harari non ha bisogno di presentazioni.

In questa intervista per il “TED” del 2017 spiega molto bene la contrapposizione sociale di questi anni come contrapposizione tra globalismo e nazionalismo.

Fino al 2016, dice Yuval, ha retto l'idea originaria della globalizzazione. Ovvero che i mercati dovevano essere globali e meno regolamentati possibile.

 Ma nel 2017 sono accadute una serie di cose che hanno messo profondamente in discussione l'idea di globalizzazione.

Negli Stati Uniti è stato eletto Donald Trump - che aveva opinioni fortemente contrarie alla globalizzazione senza frontiere.

 E nel giugno dello stesso anno, l'Inghilterra ha votato per uscire dall'Europa.

In pratica, la globalizzazione non era più l'unica forza dell'occidente.

Stavano nascendo dei nuovi nazionalismi.

 Partiti, movimenti e ideologie che si richiamano alla nazione, alle tradizioni locali e che hanno come nemico giurato proprio la globalizzazione.

I nazionalismi di nuova generazione, secondo Harari, non hanno nulla a che fare con i nazionalismi guerrafondai del novecento.

Ma presentano un profilo populista e negazionista dei principali problemi mondiali.

Tendenzialmente i nazionalismi non credono nel “Climate Change” e non ritengono che ci sia un problema mondiale di materie prime.

Il motivo per cui non credono in queste grandi problematiche è, secondo Harari, perché non hanno risposte efficaci.

 Allo stesso modo non credono nel crollo dei posti di lavori causati dall'automazione e dall'intelligenza artificiale, e fondamentalmente non hanno creduto alla gravità del Covid, perché si tratta in ogni caso di problemi che possono essere affrontati solo a livello mondiale.

È impossibile affrontare il problema ambientale a livello di singola nazione.

È impossibile avere impatto sull'ambiente a livello di singola e specifica area geografica.

Ed è impossibile affrontare il problema della perdita del lavoro e del reddito universale a livello di singoli stati.

È evidente che servono risposte globali.

Ma se non riconosco valore in una sorta di governo mondiale è evidente che farò di tutto per evitare di evidenziare problemi che invece sorgono a livello mondiale, perché ipso facto questi problemi giustificano una governance globale.

Ma questo non significa tuttavia che i nazionalismi non abbiamo valore.

Né che i problemi mondiali possano essere affrontati solo a livello dell'organizzazioni guidate dai paesi occidentali.

Ma c'è un altro tema fondamentale.

Dobbiamo per forza decidere tra nazionalismi e globalismi?

È una scelta obbligata?

In primo luogo non è necessario scegliere tra queste due opzioni.

Come dice Harari noi possiamo operare a più livelli.

Possiamo ritenere che gli stati svolgano un ruolo fondamentale su molteplici aspetti della vita civile, ma che servano risposte globali su specifiche problematiche.

 E dunque i due modelli possono convivere.

Ma soprattutto potremmo non essere allineati a queste specifiche forme di globalismo e di nazionalismo.

Harari mi ha convinto che i problemi più sfidanti del nostro tempo richiedono strategie globali.

Però non credo che la forma che hanno gli attuali globalismi sia idonea per risolvere gli attuali problemi.

 Oggi il globalismo si regge su organizzazioni molto potenti (ONU, OMS) e strategico programmatiche (WEF) che definiscono l'agenda delle priorità internazionali.

 Queste strutture da un lato riflettono la potenza degli stati nazionali (ONU e OMS) oppure, è il caso di WEF, riflettono le élite finanziarie e industriali che hanno guidato il mondo degli ultimi decenni.

 

Su questo punto scatta una riflessione importante.

 Le stesse élite, il cui modello economico finanziario ha portato il mondo sull'orlo di una crisi irreversibile e che nel corso degli ultimi decenni hanno ipso facto governato il mondo secondo logiche predatorie e distruttive, perché dovrebbero essere le principali voci di rinnovamento del mondo?

A che titolo stanno definendo l'agenda dello sviluppo sostenibile?

È evidente dunque che dovremmo provare a costruire un globalismo diverso: tecnologico e decentralizzato.

Che risponde a differenti priorità e differenti ragioni, rispetto a quello elitario del “World Economic Forum” e statalista delle “Nazioni Unite”.

Un globalismo delle persone, guidato dalle persone e per le persone.

 Contro tanto il nazionalismo luddista quanto il globalismo delle élite industriali e finanziarie.

 

 

 

 

 

“Mondo capovolto.”

Corriere.it - SARA GANDOLFI – (20 aprile 2023) – ci dice:

 

Notizie dal sud del pianeta.

La Newsletter del Corriere della Sera. 

 

Questa settimana parliamo del tempo che farà.

Dalle coste dell’Ecuador, probabilmente nella seconda metà dell’anno, partirà un fenomeno naturale che rischia di scatenare una nuova febbre della Terra.

Sta tornando El Niño, fenomeno climatico periodico che si verifica nel Pacifico centrale, in media ogni cinque anni, e consiste in un anomalo riscaldamento delle acque oceaniche.

Agli addetti ai lavori basta il nome per capire che qualcosa di grosso si sta per scatenare, anche se è difficile stabilire dove e con quale intensità.

«Nel sistema climatico, El Niño è il re.

 Quando indossa la sua corona infuocata, l’intero pianeta se ne accorge», avverte su “The Conversation” “Dillon Amaya”, climatologo della statunitense “National Oceanic and Atmospheric Administration”.

Rallenta o addirittura può invertire il flusso umido dei venti alisei che corrono dalle coste del Panama verso l’Indonesia, provocando siccità in Australia e Asia e piogge torrenziali nei Paesi sudamericani che affacciano sul Pacifico.

Ma è in grado di condizionare il clima dell’intero globo.

 

Stavolta l’uomo non è la causa scatenante dell’instabilità climatica. Tutto ebbe inizio quando alcuni pescatori sudamericani raccontarono ad uno scienziato di uno strano riscaldamento delle acque costiere che si verificava ogni tanto intorno a Natale.

 Lo chiamavano El Niño, in onore del Bambin Gesù, che America latina si chiama appunto El Niño.

Quest’anno arriverà prima:

la maggior parte dei modelli di previsione concordano sul fatto che il più grande attore del sistema climatico tornerà entro luglio, dopo quasi quattro anni di assenza.

L’anomalo riscaldamento delle acque del Pacifico — fino a 3-4°C sopra la media nei casi più estremi— rallenta la corrente marina di “Humbold”, ossia il flusso freddo che dalle acque dell’Antartico si muove verso Nord, fino all’Ecuador.

Ed è un problema anche per la fauna ittica, perché la corrente calda, povera di elementi nutritivi, sostituisce la corrente fredda che favorisce invece la risalita del plancton dalle acque profonde dell’Oceano, garantendo grandi quantità di cibo ai pesci.

 «Le temperature oceaniche globali sono già a livelli record, quindi le ondate di calore marine indotte da El Niño potrebbero spingere molte attività di pesca sensibili a un punto di rottura», avverte “Dillon Amaya”.

 

Sulla carta El Niño ha la forza e intensità per poter modificare la circolazione atmosferica planetaria, quindi di influenzare la temperatura e le precipitazioni in tutto il mondo, Europa e Italia compresi.

 «È la più importante variabile climatica, tipicamente porta a massimi di temperatura a livello globale.

Ci aspettiamo fra il 2023 e il 2024 nuovi record», ci ha detto “Carlo Buontempo”, direttore del “Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus” (il programma di osservazione satellitare dell’Unione europea) in occasione dell’uscita oggi del rapporto annuale “The European State of the Climate”.

«A livello europeo, le previsioni sono più incerte, ma il trend è comunque di una temperatura in continuo aumento».

Il Met Office britannico ha prodotto una serie di mappe sugli effetti globali di El Niño come quella qui sopra, che mostra come anche in Europa il fenomeno può provocare una “tendenza ad un aumento delle temperature” (colore giallo).

 

I modelli di previsione più recenti preannunciano che El Niño si svilupperà nei prossimi sei-nove mesi, aumentando il rischio di ondate di calore marino da gennaio a marzo del 2024 per la costa occidentale degli Stati Uniti, l’Oceano Indiano occidentale, il Golfo del Bengala e l’Nord Atlantico tropicale.

 Ma è ancora presto per avere certezze, l’unica cosa sicura è che il Bambino sta nascendo.

A seguire, un approfondimento di “Alessandra Muglia” sulla guerra civile in Sudan e sul burattinaio che ne muove i fili, “Carlo Baroni” sulla «neutralità» strategica del Sudafrica, il “Taccuino Luci & Ombre” di “Guido Olimpio “che ci porta anche in Ecuador, dove è in corso una spietata guerra fra bande, l’intervista di” Virginia Nesi” al fotografo “Eduardo Longoni”, che immortalò la lotta delle “Madri di Plaza de Mayo” contro la dittatura argentina, la “Cleopatra nera di Netflix “che sta facendo infuriare gli egiziani e tante altre notizie.

Buona lettura.

 

 

Sudafrica: il gioco pericoloso dei leader formati nelle scuole dell’Urss.

Il presidente del Sudafrica “Cyril Ramaphosa” ha ricevuto il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov a Pretoria lo scorso 23 gennaio, editorialista.  

CARLO BARONI.

Già schierati dalla parte di Mosca magari ancora no.

Ma neanche decisamente contro la Russia.

La loro è una posizione da non allineati, come ai tempi della Guerra fredda.

Che poi neutrali non si è mai del tutto.

Infatti Sudafrica e Botswana mostrano più di un’attenzione a tenere buoni rapporti con Putin.

Al punto da preoccupare la Casa Bianca.

La classe dirigente che guida il Sudafrica ha un passato di contiguità con quella che era l’Unione Sovietica.

Tutti o quasi i suoi attuali leader si sono formati all’università Lumumba di Mosca.

Affinità politico-ideologiche che oggi sono diventate economiche.

La Russia fornisce energia, grano e fertilizzanti: e armi al Sudafrica. Risorse fondamentali per disinnescare sul nascere crisi sociali dagli esiti imprevedibili.

La leadership del Sudafrica non si è ancora stabilizzata tra presidenti corrotti e qualità della vita in veloce deterioramento.

 Di recente c’è stata un’esercitazione congiunta di forze navali russe e cinesi nelle acque sudafricane.

Subito derubricata a iniziativa di routine da parte dei vertici Città del Capo.

Di certo le forze armate sudafricane hanno mostrato più di una falla e rischiano di diventare dipendenti da Mosca.

Può anche darsi che il Sudafrica giochi di sponda con la diplomazia.

Non lasciandosi preclusa nessuna opzione.

L’apertura a Mosca non significa chiudere la porta all’Occidente ma, magari, spingerlo, a concessioni ed investimenti maggiori.

Il Paese vuole tornare a contare.

 Un ago della bilancia che può decidere la partita delle grandi potenze in tutta l’Africa.

Un gioco pericoloso che potrebbe portare a un nuovo genere di colonizzazione.

Non meno avida di quella da cui il continente è uscito solo alla fine del secolo scorso.

(Il colombiano Petro intercede per Maduro in Usa: via le sanzioni.

Il presidente colombiano Gustavo Petro a Washington.)

(s.g.) Il presidente colombiano “Gustavo Petro”, attualmente in visita ufficiale negli Stati Uniti, intende chiedere oggi al presidente “Joe Biden” di revocare le sanzioni imposte al Venezuela.

 «Quello che stiamo cercando è l’apertura di un canale umanitario, la possibilità per il Venezuela di recuperare la sua economia», ha detto Petro in un’intervista al quotidiano El Colombiano.

 

Il prossimo martedì, 25 aprile, si terrà a Bogotà una conferenza internazionale incentrata sulla situazione politica in Venezuela. Convocata da “Petro”, ufficialmente ha come obbiettivo la promozione del dialogo interno e dei negoziati in corso tra il governo di “Nicolás Maduro” e l’opposizione venezuelana.

 

Alla conferenza sono attesi delegati provenienti dagli Stati Uniti, da diversi Paesi dell’Unione Europea e da altre nazioni dell’America Latina.

 Il ministro degli Esteri” Álvaro Leyva” ha sottolineato che lo scopo dell’incontro è di normalizzare la situazione in Venezuela attraverso un dialogo efficace tra le parti e di assicurare che le elezioni previste per il 2024 in Venezuela abbiano le dovute garanzie e trasparenza.

Il “governo Maduro” ringrazia “Petro” e avverte che «sarà possibile avanzare nel dialogo solo una volta annullate tutte le misure coercitive unilaterali», che sono «contrarie al diritto internazionale».

Su Twitter, la piattaforma preferita di “Petro” per comunicare, il leader dell’opposizione “Juan Guadò” ha però messo in dubbio le buone intenzioni del presidente colombiano:

«Perché non ci siano sanzioni, abbiamo bisogno del 100% di democrazia, il fatto che non ce l’abbiamo è la causa delle sanzioni.

La democrazia si costruisce con azioni concrete, non con le parole».

 

Vladimir Putin, il terzo uomo della guerra in Sudan.

Il comandante delle “Rapid Support Forces” (Rsf) “Mohamed Hamdan Dagolo” ,editorialista.     

ALESSANDRA MUGLIA.

Dopo trent’anni di regime e quattro di transizione militare, la democrazia in Sudan resta più che mai un miraggio.

 Il conflitto in corso tra le forze di sicurezza, giunto ormai al sesto giorno, ha mandato in fumo i piani per l’insediamento di un governo civile e fatto deragliare il progetto di indire elezioni regolari sostenuto dall’Occidente.

 Ma a contendersi il futuro di questo gigante africano non ci sono soltanto i due generali un tempo alleati per rovesciare il dittatore Omar Bashir.

Ci sarebbe anche un terzo personaggio dietro le quinte di questa lotta per il potere in corso tra il leader della giunta militare “Burhan” che guida l’esercito e il suo vice “Dagalo”, l’ex signore della guerra del Darfur ora a capo delle forze paramilitari Rsf:

è Vladimir Putin.

 

Lo zar esercita già la sua influenza su gran parte del “Sahel” attraverso i paramilitari di “Wagner”, dal Burkina Faso al Mali, dal Ciad alla Libia.

Con truppe sul campo e un’aggressiva propaganda digitale, il gruppo guidato da “Prigozhin” è diventato una delle forze più potenti del continente, alleandosi con leader politici e milizie in guerra in cambio di denaro o redditizie concessioni minerarie.

In Sudan “Mosca appoggia i ribelli delle Rsf” con cui condivide lauti affari nell’estrazione dell’oro, attraverso i paramilitari della Wagner, per quanto il suo leader ieri sia tornato a smentire la sua presenza in Sudan.

 Proprio il rifiuto delle Rsf di essere integrate in tempi brevi nell’esercito regolare sudanese in vista della transazione democratica sarebbe stata la miccia all’origine del conflitto.

Un rifiuto che si spiega con il timore di “Dagalo” di perdere potere, soprattutto economico.

 

Nel novembre 2017, il generale ha utilizzato i suoi uomini per prendere il controllo delle miniere d’oro nella regione del Darfur.

Oggi oltre l’82% delle risorse pubbliche nel Paese sono nelle mani di partecipate riconducibili in gran parte alle “Rsf” o a “Dagalo” stesso.

L’ex signore della guerra è stato collegato agli sforzi russi per estrarre enormi quantità di oro dal Sudan:

 è emerso che alcune società minerarie riconducibili alla “Meroe Gold”, una sussidiaria del “gruppo Wagner” sanzionata da Usa e Ue, operano con aziende appartenenti agli asset economici delle “Rsf “come “Aswar Multi Activities”.

 L’oro sudanese ha contribuito così a finanziare l’invasione dell’Ucraina: non stupisce che “Dagalo” fosse a Mosca quando è iniziata l’”operazione speciale”.

 

 

Ecuador assediato dalla guerra fra bande criminali.

Soldati all’esterno della prigione di Guayas  dopo che sei detenuti sono stati trovati impiccati all’interno di un padiglione a Guayaquil, in Ecuador, il 12 aprile 2023, editorialista.      

GUIDO OLIMPIO.

Ecuador è sotto assedio.

 Frequenti e sanguinose le rivolte nelle prigioni con scontri tra detenuti rivali, estensione delle faide nelle strade e nelle città.

 L’11 aprile un commando di sicari legati alla fazione dei “Tiguerones” ha attaccato il porticciolo di “Esmeraldas”.

Nove le vittime.

I killer, come documentato da un video, sono arrivati a bordo di motoscafi, un’incursione quasi da corsari.

Secondo la polizia è un episodio della guerra che oppone questa organizzazione ai “Patones”, network rivale alleatosi con gang locali e i “Chonero”s, ritenuta la più importante realtà criminale.

Come segnale “Insight Crime” non si tratta di demarcazioni nette in quanto alcune delle alleanze sono state smentite.

Ma ciò che più allarma sono le connessioni con i cartelli messicani. “Sinaloa” si appoggia ai “Chonero”s mentre “Jalisco Nueva Generacion” è in affari con i “Tiguerones”.

E c’è spazio anche per i clan albanesi che agiscono con i gangster noti come gli “alligatori”.

Il Paese è punto di transito per la cocaina prodotta in Colombia e Perù, droga destinata al mercato europeo.

Tutto questo trasforma il territorio in arena e innesca poi regolamenti di conti.

La polizia è insufficiente, i porti sono sprovvisti di scanner e i controlli sono “manuali” con l’aiuto di unità cinofile.

Come sempre alla componente “economica” si possono aggiungere dispute più personali tra i boss locali.

Media locali ritengono che il massacro sia stato coordinato da un bandito noto come “Papà”, una rappresaglia all’uccisione di “Ricky Palomino Clavijo”, alias “Lele”, uno dei leader dei “Tiguerones”.

Delitto avvenuto l’11 marzo.

 

 

L’INTERVISTA.

 Il fotografo di Plaza de Mayo: «I governi totalitari hanno delle crepe, bisogna saperci entrare per farle cadere»

Il processo ai militari della giunta argentina nel 1985,  VIRGINIA NESI.

Quando durante la dittatura argentina (1976-1983) il governo de facto avvia quello che i militari chiamano il «Processo di Riorganizzazione Nazionale» contro la sovversione, “Eduardo Longoni” si ritrova con amici desaparecidos e una macchina fotografica in mano per ribellarsi al regime.

All’inizio lavora all’agenzia “Noticias Argentinas”solo per pagarsi l’Università (che lascerà tre anni dopo):

«Volevo diventare uno storico, poi ho smesso di studiare documenti per provare a produrli».

L’obbiettivo diventa la barriera più efficace:

 «Le Madri di Plaza de Mayo mi chiedevano le foto per spedirle e pubblicarle all’estero».

 Quarant’anni dopo la fine della dittatura, il fotografo argentino mette in fila i fotogrammi e parla per immagini.

Descrive due scatti simbolici: «In uno si vede una Madre investita dai cavalli della polizia e rappresenta le barbarie della dittatura.

Nell’altro, gli sguardi dei militari, di chi si macchiava le mani di sangue, e memorizza la paura della società».

 

Lei paura non ne aveva?

«Tutti ne abbiamo avuta, dal 24 marzo 1976 al 10 dicembre 1983. Ma avevo 20 anni e la gioventù ti dà una certa incoscienza mentre lavori. Mi sentivo eterno, pensavo che non mi sarebbe successo niente con la macchina fotografica: menzogna».

Che intende dire?

«Tanti giornalisti sparirono. Ma la paura non mi paralizzava, anzi, mi spingeva a fare di più. La tragedia vera e propria non l’abbiamo saputa fino all’inizio del processo alla giunta militare».

A cosa si riferisce?

«Penso alle testimonianze dei sopravvissuti ai centri clandestini. Il primo giorno del processo (22 aprile 1985 ndr.) ero l’unico fotografo in aula. Ricordo quei momenti come un viaggio all’inferno.

 La gente raccontava come era stata sequestrata e torturata.

La mia foto ai governatori militari sul banco degli imputati è stata l’unica che ho fatto piangendo perché non potevo credere che quegli assassini stessero per essere processati».

Lei ha fotografato anche “Jorge Videla”.

 

«Sì, ma non ci ho mai parlato. Era un assassino, si sentiva un essere superiore, il salvatore del Paese. La foto più importante che ho scattato lo ritrae mentre si arrende davanti alle truppe dell’esercito durante il governo di “Alfonsín”.

Nell’immagine, fondamentale per il processo, ci sono due dei quattro desaparecidos fatti sparire nei primi anni della democrazia».

 

Allora cosa significava scattare?

«Posso dirle che ho fotografato presidenti, scrittori come “Saba”, “García Márquez”,” Fuentes”, calciatori come “Maradona”, eppure le mie foto più significative hanno a che vedere con i diritti umani.

Durante la dittatura, fare foto era diventato il mio modo per denunciare quella situazione, schierarmi, omaggiare i desaparecidos».

 

Molte sue foto non sono state pubblicate.

«Ma ne è sempre valsa la pena: i governi più duri e totalitari hanno delle crepe, bisogna saperci entrare per farle cadere.

A volte sembra che i popoli perdano la memoria e quando succede possono commettere errori.

 In Argentina la dittatura resta una ferita aperta».

 

 

IL TACCUINO “Ombre & Spie”

Il generale Henry Sanabria.

Editorialista, GUIDO OLIMPIO.

Colombia.

 Il generale” Henry Sanabria”, comandante della polizia, ha perso il posto.

 L’alto ufficiale, molto religioso, aveva spiegato in un’intervista di aver combattuto il crimine con le preghiere e l’esorcismo dicendosi «certo dell’esistenza del diavolo».

Il presidente “Gustavo Petro” pare che non abbia gradito.

Avviso ai naviganti.

Il 29 marzo ha attraccato nel porto di “Durban”, Sud Africa, la Yuan Wang 5.

 Le autorità locali l’hanno definita nave per ricerche, in realtà è un’unità cinese in grado di tracciare missili e svolgere compiti di intelligence.

 I rapporti tra Pechino e i sudafricani sono sotto osservazione da parte degli occidentali.

Poco prima dell’invasione in Ucraina hanno svolto esercitazioni con la partecipazione anche dei russi.

Nella guerra civile sudanese ci sono molti attori esterni che seguono fa vicino con i loro servizi di intelligence.

Egiziani al fianco dei governativi del generale “Abdel Fattah Burhan”. “Israele” ha ristabilito i rapporti con” Khartum”.

 Russi, Emirati, sauditi hanno simpatie per le milizie del generale Mohammed Dragalo.

 Grande attenzione da parte dell’Etiopia che ha contesa sulle acque sul Nilo con i sudanesi/egiziani e potrebbe aiutare Dragalo.

Nota: sugli schieramenti girano molte notizie da prendere con cautela.

“Josè Lopez Portillo”, presidente del Messico dal 1976 all’82, sarebbe stato un informatore della “Cia”.

Lo sostengono documenti americani de-secretati relativi a “Lee Oswald”, il presunto assassino di John Kennedy a Dallas.

I contatti con l’agenzia risalirebbero ad un periodo precedente alla sua elezione.

L’uomo politico è deceduto nel 2004.

 

Tutti contro il Partito Colorado (e il suo presidente “corrotto”) in Paraguay.

Campagna elettorale nel quartiere di Santa Ana ad Asuncion, Paraguay.

 

(s.g.) Domenica 30 aprile, il Paraguay eleggerà un presidente per i prossimi cinque anni, 17 governatori, 45 senatori e 80 deputati.

 I principali contendenti sono “Efraín Alegre” (Concertación para un Nuevo Paraguay) e “Santiago Peña”” dell’Asociación Nacional Republicana, conosciuto come Colorado”, il partito conservatore e nazionalista che governa il Paese dal 1947 — sia con esecutivi civili che militari — ad eccezione del periodo in cui governò il progressista “Fernando Lugo”, tra il 2008 e il 2012, poi deposto per impeachment.

 Il “Partito Colorado” sostenne politicamente anche la “dittatura di Alfredo Stroessner”, fra il 1954 e il 1989.

 L’attuale presidente” Abdo Benítez” è figlio dell’ex segretario privato di Stroessner e crebbe all’ombra del dittatore.

 

“Pena” è un ex ministro delle Finanze e la sua campagna si è concentrata sulla lotta all’insicurezza e sulla difesa dei valori tradizionali della famiglia.

 Uscito vincitore da un’aspra battaglia interna al partito, il suo “mentore” politico è l’ex presidente “Horacio Cortes”, attuale presidente del partito e indagato negli Stati Uniti per atti di corruzione.

“Alegre”, presidente del “Partito Liberale Radicale Autentico”, guida invece una coalizione di 14 partiti di opposizione il cui obbiettivo unificante è porre fine al monopolio politico del “Partito Colorado”.

 È la terza volta che si candida alla presidenza.

Chi vincerà, erediterà un Paese con un debito elevato, povertà, corruzione, una forte disuguaglianza sociale, insicurezza e la criminalità del narcotraffico.

Ma l’economia del Paraguay sta crescendo a un buon ritmo e questo fa ben sperare per il futuro.

 

 

L’odissea dei barconi di migranti fuori rotta nell’Atlantico.

La T-shirt appartenuta ad uno dei naufraghi del barcone finito a Tobago.

(Guido Olimpio) Un’inchiesta dell’Associated Press su una pagina tragica.

 È il 28 maggio del 2021, alcuni pescatori scoprono nelle vicinanze della costa di Tobago, Caraibi, un barcone.

All’interno tre teschi, ossa, una dozzina di cadaveri, hanno la pelle scura, sono certamente africani.

Ci vorrà del tempo ma lavorando sui pochi reperti – “sim card” dei telefonini, dettagli degli abiti, successive testimonianze – alla fine emergerà una risposta.

 Le vittime erano dei migranti partiti dal porto di “Nouadhibou”, “Mauritania”, e diretti verso le “Canarie”.

 Solo che il loro viaggio si è trasformato in un dramma, il battello è finito dall’altra parte dell’Atlantico e non hanno avuto alcuna possibilità di sopravvivenza.

I giornalisti dell’”Ap”, dopo due anni, hanno identificato hanno ricostruito le identità di 33 dei 43 che erano a bordo.

Tra loro “Alassane Sow”, 30 anni, originario del “Mali”.

Ha lavorato come guardiano in una cittadina mauritana ed ha guadagnato i 1500 dollari necessari per pagare i trafficanti.

Voleva raggiungere la Francia dove vivono alcuni suoi parenti.

 Invece è morto insieme ai suoi compagni.

L’arrivo di barche fuori rotta non è purtroppo raro.

Dati riferiti al 2021 raccontano che ne sono arrivate una mezza dozzina tra Brasile e Caraibi.

Nessuno sa però quante altre saranno affondate.

 

La Cleopatra nera di Netflix fa infuriare gli egiziani

(Sara Gandolfi)

La serie Netflix «Africa Queens», che ritrae la regina Cleopatra come un’africana nera (qui il trailer ufficiale), ha suscitato aspre polemiche in Egitto, riporta la “Bbc”.

Un avvocato ha già presentato una denuncia accusando la produttrice “Jada Pinkett Smith”, moglie dell’attore “Will Smith”, di voler «cancellare l’identità egiziana».

Un importante archeologo ha insistito sul fatto che Cleopatra fosse «di pelle chiara, non nera».

 L’attrice che la interpreta, “Adele James”, ha risposto piccata ai critici via twitter:

«Se non ti piace il casting, non guardare lo spettacolo».

 

Cleopatra nacque nella città egiziana di Alessandria nel 69 a.C. e divenne l’ultima regina di una dinastia di lingua greca fondata dal generale macedone di Alessandro Magno, Tolomeo.

Successe al padre Tolomeo XII nel 51 a.C. e governò fino alla morte nel 30 a.C.

Successivamente l’Egitto cadde sotto il dominio romano.

L’identità della madre di Cleopatra non è nota e gli storici affermano che è possibile che lei, o qualsiasi altra antenata femminile, fosse un’egiziana indigena o proveniente da altre parti dell’Africa.

«Dato che Cleopatra si definiva come un’egiziana, sembra strano insistere nel dipingerla come interamente europea», afferma “Sally Ann Ashton”, un’esperta intervistata nella serie.

 «Cleopatra regnava in Egitto molto prima dell’insediamento arabo in Nord Africa.

 Se il lato materno della sua famiglia fosse costituito da donne indigene, sarebbero state africane, e questo dovrebbe riflettersi nelle rappresentazioni contemporanee di Cleopatra».

La produttrice” Jada Pinkett Smith” è anche la voce narrante della docu-serie.

«Con questo progetto volevo davvero rappresentare le donne nere», spiega” Pinkett Smith” sul sito di Netflix.

 «Non vediamo o ascoltiamo spesso storie sulle regine nere, e questo è stato davvero importante per me, così come per mia figlia.

 La parte triste è che non abbiamo un facile accesso a queste donne storiche che erano così potenti ed erano la spina dorsale delle nazioni africane».

(Grazie a tutti per la lettura.)

 

 

 

 

 

 

IL PROF. MALOBERTI:

“L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

È UNA BOLLA TECNOLOGICA,

L’ILLUSIONE FINIRÀ PRESTO.”

Comedonchisciotte.org -Jacopo Brogi – (27 Dicembre 2023 ) – ci dice:

 

Secondo lo studioso recentemente premiato con la laurea honoris causa dall'Università di Macao per i suoi risultati nel campo della microelettronica e per l'eccezionale contributo allo sviluppo di nuove e avanzate tecnologie "L'”A”I sta uccidendo il lavoro".

E sul nostro declino:

“L'Occidente deve i suoi successi al lavoro e alle risorse di Cina e India e oggi vive il problema dell'impoverimento di capacità tecnico scientifiche”.

 

IL PROF. MALOBERTI: “L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE È UNA BOLLA TECNOLOGICA, L'ILLUSIONE FINIRA' PRESTO.

MA STA UCCIDENDO IL LAVORO”.

Il Prof. Franco Maloberti, professore emerito del “Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione dell’Università di Pavia”, è uno di quegli italiani d’eccellenza, celebri nel mondo.

 Ovviamente non occupa le trasmissioni televisive di casa nostra o i giornaloni mainstream, perché la sua storia personale e ciò che dice obbliga a guardarsi allo specchio come Paese, sempre più di periferia nella gabbia dell’anglosfera dominata dalle “Corporation”, sfacciatamente in declino nonostante lustrini e paillettes digitali profusi H24.

Sappiamo tutti che è ormai praticamente impossibile pensare ad una società di massa senza computer, smartphone, o senza elettronica in genere.

 Anche il portale web che state attualmente utilizzando per leggere questo articolo, in fondo in fondo, si basa sulla microelettronica.

E quindi non abbiamo alternativa: cerchiamo di capirne di più. Scopriremo che l’Occidente è in crisi anche sul piano tecnologico, cioè dove si sta giocando il destino del mondo.

La tanto sbandierata supremazia angloamericana sta per finire? L’Intelligenza Artificiale davvero soppianterà l’essere umano?

Il Prof. Maloberti ha appena ricevuto, il 2 dicembre scorso, la “laurea honoris causa dall’Università di Macao” in riconoscimento dei considerevoli risultati nel campo della microelettronica e dell’eccezionale contributo allo sviluppo di nuove e avanzate tecnologie.

Prima di lui, tra gli altri, il premio è andato anche al connazionale “Mario Capecchi” Premio Nobel per la medicina;

alla Prof.ssa “Ada Yonath” Nobel per la chimica; al “Prof. J. Stiglitz”, Nobel per l’economia.

 

 

Professore, innanzitutto complimenti per il grande risultato personale e grazie per aver accettato questa intervista.

 Che effetto le fa questa onorificenza e perché Macao?

Ricevere il titolo di “dottore in scienze honoris caus”a è una grande soddisfazione anche perché l’assegnazione non è solo per meriti scientifici che, ritengo, sono buoni ma non eccezionali, ma anche perché l’”Università di Macao”, che occupa una buona posizione nel “ranking THE”, è la sede del ‘mio’ “State Key Lab” un laboratorio di ricerca microelettronica che in una dozzina di anni è diventato uno dei primi al mondo.

 Dicevo ‘mio’ perché ho aiutato il mio amico “Rui Martins,” Vice rettore, nella difficile approvazione del Ministero dell’Educazione cinese per avere l’etichetta “State Key Lab,” “laboratorio statale chiave” per la microelettronica.

Poi, per dodici anni, come “Chair dell’advisory committee”, ho assistito alla travolgente crescita scientifica di quel laboratorio che ha superato ogni università americana ed europea.

In verità, non penso che il mio contributo a quel successo sia rilevante, ma, a quanto pare, l’università e i suoi gestori la pensano diversamente, dato che ora mi onorano con questo titolo.

Ho conosciuto “Rui Martins” una quarantina di anni fa quando era uno studente di dottorato a Lisbona.

Il suo relatore, che incontrai a un meeting, non aveva la possibilità di costruire circuiti integrati.

 Gli offrii una parte dell’area di silicio che mi era stata assegnata, e lui mandò il suo studente a Pavia per un mesetto circa per fare un progetto. “Rui”, dopo il dottorato, è andato a Macao, allora colonia portoghese, ad insegnare nella locale università.

Nel 1997 ero a Hong Kong a un congresso e Rui mi invitò per una breve visita.

 Iniziammo una collaborazione e dopo qualche anno “Rui” sottopose al governo cinese, con un mio piccolo aiuto, la domanda per avere l’etichetta di “laboratorio statale chiave”.

 La domanda fu approvata e il laboratorio fu finanziato con soldi del governo di Macao.

Fu anche istituito un “Academic Committee“, ovvero un comitato di controllo e indirizzo, e io ne diventai il presidente.

 Questo da dodici anni.

 

A parte gli eventi abbastanza casuali che mi hanno portato alla mia avventura in Oriente, debbo dire che da quelle parti sono tenuto in grande considerazione, direi amore.

La mia regola di vita corrisponde al detto “io ti amo tempo presente; tu non mi ami tempo perso” e, appunto a Macao ho trovato quell’amore, in senso scientifico, che non c’è assolutamente in Italia.

Da noi impegnarsi è tempo perso.

 Ma questo è normale, l’Italia è un paese maestro nella “distruzione distruttiva”, ovvero valorizza sempre i peggiori.

Un modo di fare che non è però una esclusiva.

 Forse anche in Spagna. Ricordo infatti quello che mi disse un mio amico dell’”Università Carlo III di Madrid”:

“Se mi daranno una onorificenza, mi guarderò allo specchio per chiedermi: cosa ho fatto di male?”

Gli Usa, ancora la prima superpotenza mondiale, a chi devono la loro supremazia tecnologica tanto sbandierata?

L’assetto USA nel settore della microelettronica è cambiato negli anni. In generale, i giovani americani non vogliono impegnarsi nelle discipline microelettroniche.

Preferiscono attività più remunerative.

Nelle università, normalmente si fermano a livello di master e non fanno il PhD.

Io, negli anni di mia permanenza negli USA, non ho mai avuto PhD americani.

Anche tra i professori, di americani ce ne sono pochi.

Quello che succedeva nel passato è che la chimera americana era un’attrazione per i cervelli capaci di paesi poveri, Cina e India principalmente.

Sono stati quei cervelli che hanno determinato la supremazia tecnologica.

Recentemente decisioni USA non molto brillanti, in particolare le restrizioni ai visti di permanenza, hanno ridotto il flusso di cervelli, e questo ancora prima che la Cina lanciasse le sue iniziative tendenti al richiamo in Patria delle intelligenze più brillanti.

Il cinese “Thousand Talent Plan “del 2008 ha favorito parecchi ritorni, sia di scienziati che di imprenditori.

Tra questi, per inciso, c’è “Feng Ying” un mio studente di PhD di Dallas che lavorava alla Texas Instruments e, nel 2012, è tornato in Cina.

Ha cofondato la “start-up 3Peak” che ora ha quasi mille dipendenti.

La “Thousand Talent Plan” è stata poi estesa a persone con meno di 40 anni ed ha fatto tornare circa 7000 persone in 10 anni.

Cito Feng perché marca la differenza tra la cultura orientale e la nostra.

Quando ha saputo della cerimonia, Feng è venuto da Shanghai a Macao per congratularsi e assistere;

 ha poi invitato a cena me e la mia famiglia nel miglior ristorante di Maca.

Lo ho ringraziato, e lui mi ha risposto con un vecchio proverbio cinese: “Insegnante una volta, padre per sempre.”

 

Il Prof. Maloberti:

“L’intelligenza artificiale è una bolla tecnologica, l’illusione finirà presto”.

Il Prof. Maloberti con “Feng Ying” ed alcuni ricercatori dello “SKL-AMSV”.

Quindi, il mito della tecnologia americana dove il progresso è incessante e infallibile sembra scricchiolare:

eppure i mass media ci inondano quotidianamente di messaggi futuristici e avveniristici tanto che le “Corporation vincenti” ci mostrano un “Metaverso” dove dovremmo presto vivere, mentre consumiamo da “Amazon e Netflix”, vivacchiando a sussidio.

L’anglosfera rischia di rimanere indietro pure come progresso tecnologico?

Sì, l’impoverimento di capacità tecnico scientifiche in Occidente è un problema che avrà, se non lo ha già, un grosso impatto nella produzione di prodotti elettronici avanzati.

Il problema riguarda anche l’Europa?

La problematica riguarda anche, pur in modo minore, l’Europa.

 Le competenze tecnico scientifiche nel settore della microelettronica europea sono di eccellenza analogica.

 La competenza digitale è invece americana che domina il mercato dei microprocessori e dei DSP.

 Le capacità analogiche sono importanti per i sistemi.

Questi interagiscono con il mondo reale che è analogico, e prevedono spesso l’uso di sensori e processori analogici.

Inoltre, servono circuiti per il controllo della potenza che, in molti casi, è per sistemi portatili a livello micro.

Aziende come l’italo-francese STM, Bosh, Siemens, AMS-Osram, per nominare le grandi, hanno ancora una buona dotazione di progettisti, ma il flusso di nuovi cervelli è scarso, anche perché aziende USA vengono in Europa con centri di progettazione e competono nel reclutamento.

In questo modo si riduce ulteriormente le disponibilità.

Gli americani, come noto, hanno disponibili moltissimi di dollari ‘Fiat’ freschi di stampa, e fanno una facile concorrenza.

Cosa pensa dei contrasti tra Occidente e Cina sui chip avanzati?

La battaglia per l’alta tecnologia tra Occidente, ma in particolare gli Stati Uniti, e la Cina è ben nota.

Gli sforzi occidentali per limitare l’avanzata tecnologica cinese sono di vecchia data.

“Lady Huawei”, la figlia del fondatore del gigante delle telecomunicazioni, è rimasta agli arresti per circa tre anni a “Vancouver”.

Huawei è stata la azienda più colpita, con numerosissime accuse di interferenza, molte non verificate, e cause legali, con poche condanne.

 Pratiche industriali scorrette sono certo frequenti, ma questo vale per moltissime aziende, incluse, ovviamente, quelle occidentali.

Lo spionaggio non è una esclusiva di una sola parte, anzi, come noto c’è stato lo spionaggio alle telefonate di capi dei Paesi amici.

Comunque, il feroce contrasto all’avanzata tecnologica cinese, che comprende il divieto alla esportazione in Cina di prodotti e macchinari ad alta tecnologia, è un boomerang.

 

Le sanzioni hanno certamente danneggiato la Cina e frenato la sua crescita, ma ci sono stati anche danni non piccoli alle imprese dell’Occidente.

Molte aziende americane hanno infatti protestato con la loro amministrazione.

 È innegabile che la Cina soffra delle restrizioni ma, come accade a persone forti messe sotto pressione, queste reagiscono e trovano soluzioni alternative.

In questo caso, l’indipendenza tecnologica.

Certamente, nel medio termine le prepotenze occidentali si riveleranno negative per l’Occidente stesso.

Ricordiamo, poi, che la Cina ha anticipato il problema.

Già nel 2015 ha lanciato il progetto Made in China 2025, con una roadmap di 35 anni.

Con la prima fase ha ottenuto una certa sicurezza tecnologica e, per i semiconduttori, ha sviluppato una tecnologia per circuiti integrati (7 nanometri) che è indietro di solo due generazioni, ovvero cinque anni di ritardo, rispetto alla leader mondiale, la taiwanese TSMC.

 

Si deve comunque dire che le tecnologie super-avanzate sono parzialmente importanti: servono solo per quei prodotti che richiedono un’enorme quantità di calcolo.

Per molte applicazioni, incluse quelle militari, le tecnologie ordinarie sono più che sufficienti.

La decadenza dell’Occidente, che investe le sue principali istituzioni educative in primis, è ormai talmente plateale da avere riflessi anche nel settore che, all’apparenza, dovrebbe essere il volto della supremazia e della cultura tecnologica?

In aggiunta alle restrizioni imposte nel commercio di semiconduttori sono stati lanciati due grandi programmi di finanziamento:

 il “Chip and Science Act” americano, e l’iniziativa” Chips for Europe”. Entrambe sono reazioni un po’ isteriche e certamente tardive.

Non si recupera il tempo perduto sbattendo sul tavolo centinaia di miliardi senza un’accurata strategia.

 Anzi le centinaia di miliardi sono controproducenti.

Parte del progetto americano è di incentivi alle industrie di semiconduttori, a patto che non vendano ai cinesi.

Una seconda frazione di quel gigantesco finanziamento va al “NSF” e alla “NASA”, due istituzioni che poco sanno di microelettronica.

 La NASA dovrebbe stabilire un programma per andare dalla luna a Marte (sic!).

Il progetto europeo parte da un regolamento, direi, allucinante:

è il 2023/1781 del 13 settembre 2023.

Il documento sembra essere scritto da un gruppo di analfabeti microelettronici.

Ci sono 82 considerazioni iniziali che sono prevalentemente banalità o peggio.

 Poi ci sono disposizioni generali.

L’articolo 2, quello che fornisce le definizioni, è il più esilarante.

La prima definizione riguarda il ‘semiconduttore’.

Io, che ho insegnato fisica dei semiconduttori per alcuni anni, non ho mai trovato uno studente così asino da definire il semiconduttore “un materiale, compresi i nuovi materiali, elementare o composto, la cui conduttività elettrica può essere modificata. “

Lo sanno anche gli studenti del liceo che semiconduttore significa un materiale con conduttività intermedia tra metallo e isolante!

 Per essere più sofisticati, il semiconduttore ha un “energy gap” nell’intervallo 0.5 – 3 eV (electron volt, ndr).

 

Non contento, il suddetto articolo 2 fornisce una seconda, ancora più esilarante, definizione:

“Un componente costituito da una serie di strati di materiali semiconduttori, isolanti e conduttori definiti secondo uno schema predeterminato e destinati a svolgere funzioni elettroniche o fotoniche ben definite o entrambe “.

 Che roba!

 Anche le altre definizioni sono divertenti, ma non al livello del semiconduttore.

Mi chiedo, allora, come è possibile far decidere come usare 43 miliardi di euro, pubblici e privati, a capre di questa portata?

Se poi guarda lo schema a blocchi del progetto si scopre con ribrezzo che questo privilegia strumenti di progettazione, per la gioia dei monopolisti americani del settore che venderanno tante licenze software, e si appassiona a sviluppi tecnologici avveniristici.

Vorrebbero far diventare realtà i sogni dei tecnologi, senza alcuna considerazione delle reali necessità e delle caratteristiche produttive dell’industria elettronica europea.

Anche la recente iniziativa italiana è di analoga assurdità.

Ma non andiamo oltre…per descrivere questi sprechi e assurdità servirebbe ben più che il tempo di una intervista.

 

Cosa pensa dell’Intelligenza Artificiale, che la propaganda dà ormai come entità superiore rispetto all’intelligenza umana?

 L’essere umano è già inutile?

La mia opinione sulla cosiddetta intelligenza artificiale, detta anche “AI”, è di scarsa considerazione.

Non voglio arrivare all’estremo di chiamarla deficienza artificiale ma, francamente, quello che fa, non è molto intelligente.

 Tradurre un testo è una cosa che un umano istruito fa agevolmente, riconoscere un viso o la differenza tra gatto e cane, lo stesso.

Scrivere qualcosa in automatico è come fare un riassunto di roba esistente.

Guidare un’auto?

Lo fa anche una vecchietta di novant’anni.

Purtroppo, e questo è l’effetto tristemente ovvio per cosa accade per ogni avanzamento tecnologico, l’AI uccide posti di lavoro. 

La vera potenza della AI è il volume di dati esaminati, supposti disponibili, e la velocità di esecuzione.

È questo quello che interessa i governanti.

Avere strumenti di controllo e verifica su un numero grandissimo di cose o persone.

La convenienza per i cittadini comuni è marginale e, in alcuni casi, un impiccio.

Gli algoritmi che vengono impiegati richiedono una mostruosa capacità di calcolo.

 Servono allora tecnologie ultra-spinte con cui realizzare processori di crescente complessità.

 Se si valutasse la posizione dell’”AI” sul diagramma di hype, direi che siamo sul “picco gonfiato di aspettazione”, tra qualche tempo si passerà alla disillusione per raggiungere, direi tra una decina di anni, al plateau di produttività.

Quindi, io penso che l’AI sia una recente bolla tecnologica, come lo sono stati il DNA e l’internet delle cose.

Comunque, come tutti i circuiti elettronici, anche quelli dell’”AI” sono “senz’anima”.

Sono un po’, ma non in modo così categorico, dell’idea di “Federico Faggin”, l’inventore del microprocessore.

All’”AI”, ‘l’anima’ la costruisce il “computer scientist”, quello che scrive gli algoritmi, ed il risultato, direi, è inesistente.

(Jacopo Brogi - 27.12.2023)

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