La difesa della famiglia umana.
La
difesa della famiglia umana.
Gaza
Sotto le Bombe a Natale:
il
Vergognoso e Spietato Gesto
con
cui Hanno Autorizzato la Strage.
Conoscenzealconfine.it
– (29 Dicembre 2023) - Francesco Amodeo – ci dice:
Durante
la notte di Natale, l’esercito israeliano ha intensificato i suoi bombardamenti
su Gaza.
Questo
per farvi capire quanto spietata sia questa gente, che io non voglio neanche
più chiamare “gente”.
E non
voglio fare neanche l’errore di tornare a chiamarli “animali”, perché gli
animali non lo meriterebbero.
Da
questo momento in poi li chiamerò semplicemente “demoni”.
Demoni
come il presidente israeliano, “Isaac Herzog”, che proprio a Natale si è fatto
fotografare mentre apponeva la propria firma su delle bombe che di lì a poco
avrebbero colpito i civili palestinesi.
Addirittura
su una delle bombe ha scritto “io credo in te”, come augurio che quella bomba
potesse colpire e uccidere quanti più civili possibili.
Lo stesso presidente israeliano che in passato
dichiarò che parlare di innocenti a Gaza è “retorica”, in quanto a suo dire non
esistono innocenti a Gaza, neanche quei bambini che state vedendo finire
massacrati sotto i bombardamenti.
Pensate
che, a sentire queste parole, un importante direttore d’orchestra e artista
israelo-danese di origini ebraiche ha dichiarato:
“Pensavo che la parola giudeo-nazisti fosse
esagerata”.
Invece si è rendo conto che è il termine più
appropriato per descrivere queste persone.
Auguro
a tutti buone feste, per quanto buone possano essere le feste in un clima del
genere e sapendo quello che sta accadendo ai bambini palestinesi.
(Francesco
Amodeo) -(radioradio.it/2023/12/gaza-sotto-le-bombe-a-natale).
(La
famiglia è l’ultimo argine di difesa che ci rimane contro l’ideologia arrogante
e criminale del globalismo dell’”IA”, ossia schiavismo, malthusianesimo, ideologia Woke e Gender, Arcobaleno,
tutto ormai nelle mani avide di denaro e di sangue di chi è al comando della
finanza mondiale! N.D.R).
“Trivelle
per estrarre il gas
nell'Alto
Adriatico? Decidono
gli
esperti, ma l'obiettivo è il nucleare.”
msn.com – il gazzettino – (31 -12 – 2023) - Alda
Vanzan – ci dice:
ROVIGO
- Trivellazioni nell'Alto Adriatico se così deciderà il tavolo di esperti, ma
se anche la risposta fosse positiva l'estrazione del gas sarebbe «un piccolo
aspetto di un più vasto piano teso a rendere più sostenibile
l'approvvigionamento energetico per le nostre famiglie e imprese».
Perché
l'obiettivo è il nucleare.
Così il ministro delle Imprese e del Made in
Italy, “Adolfo Urso”, che ieri a Verona ha tracciato un bilancio del lavoro
fatto e anticipato l'agenda 2024.
A
partire dalla microelettronica:
se
anche venisse meno l'investimento di “Intel” a Vigasio, l'aspettativa è che
«diverse multinazionali asiatiche e americane annuncino progetti nel nostro
Paese sulla ricerca, sulla tecnologia e anche produttivi».
ENERGIA.
Sulle
trivellazioni al largo del Polesine, il presidente del Veneto Luca Zaia è stato
netto:
«Finché
i nostri accademici dell'Università di Padova e Ca' Foscari di Venezia ci
diranno che lì non si deve perforare, per noi lì non si trivella».
Il
ministro “Urso” ha evitato lo scontro:
«C'è
un tavolo al ministero dell'Ambiente al quale partecipano tecnici e autorità
nazionali e regionali, io mi rimetto alle loro decisioni».
Salvo
precisare:
«L'obiettivo dell'autonomia strategica del
nostro Paese dobbiamo però assolutamente conseguirlo:
maggiore produzione e diversificazione degli
approvvigionamenti delle fonti energetiche.
Il gas
russo non si può più importare e non lo si potrà importare neanche in futuro.
Creeremo
le premesse, legislative, scientifiche, tecnologiche e industriali affinché
anche il territorio e le famiglie italiane possano avere nei prossimi anni, se
lo ritengono, impianti nucleari avanzati».
Gli impianti nucleari di terza generazione, ha
detto “Urso”
,
saranno «verosimilmente
già disponibili dal 2030, sono impianti industriali e modulabili o,
successivamente di quarta generazione, fino ad arrivare nel 2050 alla fusione
nucleare.
Noi
siamo il paese che ha inventato il nucleare e fortunatamente abbiamo industrie
che lavorano da tempo all'estero su questo settore».
Ma se le comunità locali non fossero
d'accordo?
«La
scelta se avere una centrale nucleare dipenderà dai territori, come abbiamo
fatto con il deposito delle scorie nucleari.
Faccio
presente che siamo il solo Paese in Europa a non avere un suo deposito delle
scorie nucleare».
MICROELETTRONICA.
Quanto
al progetto di “Intel”, in Veneto a Vigasio o in Piemonte, il ministro ha detto
che la multinazionale
«sta
rivedendo i suoi piani internazionali:
esiste ancora la possibilità che realizzi
questo investimento in Italia, è un progetto che riguarda un chip di nuova
generazione.
Questo
progetto è nei loro programmi, non so però se è ancora nella loro
pianificazione finanziaria.
Quello che posso dire con certezza è che”
Intel” ha comunque dei piani in Italia che riguarderanno per esempio la “Fondazione
Chips.IT” a Pavia, dove diverse multinazionali hanno deciso di mettere risorse
per piani congiunti».
Non
solo:
«Il
prossimo anno ci saranno anche “diversi insediamenti produttivi sulla
microelettronica” per un ammontare ben superiore a quello che era programmato
per il Veneto».
POLITICA.
E dopo
aver ribadito che il «primo evento ministeriale della presidenza italiana del
G7 sarà a Verona il 14 marzo» e che a gennaio sarà presentato «un piano di incentivi
auto da 1 miliardo per la rottamazione delle vetture inquinanti», “Urso” ha glissato sugli scenari
politici.
Il
terzo mandato per Zaia?
L'ipotesi che sia lo stesso “Urso” il
candidato governatore del Veneto nel 2025?
«Io mi occupo del mio ministero».
La
Lettera di Vladimir
Putin
al Mondo.
Conoscenzealconfine.it
– (28 Dicembre 2023) – (Medea Greer) – ci dice:
Qui di
seguito la lettera del Presidente Putin al mondo.
“Cari
abitanti del nostro bellissimo pianeta Terra, Io, il presidente della
Federazione Russa, Vladimir Putin, ho deciso di rivolgermi direttamente a tutti
voi, bypassando i diplomatici, i vostri leader e giornalisti.
In
Russia esiste il cosiddetto “scambio degli Urali”, dove è vietato mentire,
ingannare ed esagerare.
Pertanto, parlerò molto onestamente in modo
che tutti siano convinti della verità delle mie parole.
La
Russia è un Paese grande e ricco, il suo valore più importante sono i più di
150 milioni di persone che vivono in un territorio dove la giustizia viene
prima di tutto.
Non
abbiamo bisogno di nuovi territori.
Abbiamo
energia e tutte le altre risorse sono abbondanti.
Dai
tempi del “Grandi Tartari” e dei “Grandi Moghul”, i popoli dell’Eurasia
settentrionale non si sono sviluppati grazie all’assalto delle Crociate e alla
colonizzazione di America, Africa, India o alla dipendenza dalla droga della
Cina, ma
grazie al loro duro lavoro e al pacifismo.
Chiunque
conosca il russo capisce che “russo” è un aggettivo che si riferisce a tutti i
popoli del nostro Paese.
Slavi
russi, tatari russi, ebrei russi, ecc.
Tutti
russi nel cuore, anche se la loro cultura, lingua e stile di vita differiscono.
Onoriamo
questa diversità nell’unità.
Il
popolo russo è ancora una volta costretto a sacrificare la propria vita per
proteggere il mondo dal nazismo e dal fascismo.
Abbiamo
scambiato 50 dei nostri prigionieri di guerra con 50 soldati ucraini.
I soldati ucraini sono stati curati nei nostri
ospedali, hanno ricevuto tre pasti completi al giorno e sono tornati a casa.
Abbiamo ricevuto soldati russi a cui sono
stati tagliati le dita e i genitali.
Nemmeno i nazisti l’hanno fatto nell’ultima
guerra.
Presenteremo
queste prove in un processo futuro.
Vergogna a tutti coloro che sostengono questa
feccia in questo momento.
I
vostri leader negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone, in Australia e altrove
si sono schierati con questi subumani che usano civili, donne incinte e bambini
come scudi umani in combattimento e vogliono ottenere deliberatamente
prigionieri di guerra.
Non
riesco ad immaginare come una persona sana di mente possa sostenere questi
mostri.
Ed i
vostri “Biden”, “Scholz”, “Macron” e altri oscuri “democratici” non solo
proteggono i criminali, ma li armano attivamente, forniscono loro denaro che
non è sufficiente per abbassare i prezzi nei vostri Paesi.
I
prezzi stanno aumentando, il mondo sta crollando, ma non perché i russi stanno
ripulendo l’Europa dagli spiriti maligni nazisti, ma perché voi tacete e
addirittura sostenete la nuova ondata di nazismo.
Questa
volta non andremo a Berlino, ci fermeremo ai nostri confini storici e tutti gli spiriti
maligni nazisti a cui i vostri leader aprono la porta vi daranno una nuova vita
di “cristallo”, come fecero i nazisti, aggiungendo la circoncisione degli organi
riproduttivi a ciò.
Mi
appello a tutti coloro che vogliono vivere e lavorare nel mondo, crescere i
figli e socializzare con persone di tutto il mondo.
Aiutate la Russia a combattere il nuovo
cancro:
il “Nazismo
ucraino”.
Non
l’Ucraina, dove vivono persone pacifiche e che lavorano sodo, ma il nazismo, alimentato dalle tasse
statunitensi e dai falchi della NATO.
Se i
vostri leader sostengono il nazismo, spingeteli oltre il limite e riprendetevi
il potere nelle vostre mani.
I
nazisti ucraini si fanno scudo dai proiettili usando i civili, ed i vostri
governanti hanno anche deciso di trasferire il peso dei prezzi elevati e dei
problemi futuri alla popolazione, con il pretesto della terribile Russia.
In
Ucraina, proprio come da voi, i nazisti vivono bene alle spalle dei cittadini
comuni, e i cittadini comuni devono soffrire: questi sono gli stessi crimini in
Ucraina come in Occidente.
Non
abbiamo infranto nessuna delle nostre promesse, mentre i vostri leader hanno
rubato 300 miliardi di dollari ed euro al popolo russo.
Rubano
le proprietà dei cittadini del nostro Paese in tutto il mondo, attaccano
deliberatamente i nostri soldati, vietano la lingua russa, attaccano la Chiesa
di Dio.
Vedo
che nei paesi in cui i leader stanno inasprendo le sanzioni contro la Russia,
c’è una crescente consapevolezza di ciò che sta accadendo e si sta diffondendo
un’ondata di proteste “.
(Medea
Greer)
(amg-news.com/boom-vladimir-putins-letter-to-the-world/
(t.me/sadefenza)
Cosa
si nasconde dietro la difesa
della “famiglia
tradizionale”.
Internazionale.it - (24 giugno 2015) - Lea
Melandri, saggista - ci dice:
La
piazza piena di San Giovanni, in occasione della manifestazione del 20 giugno
in difesa della famiglia tradizionale, non deve trarci in inganno:
il
cambiamento è già avvenuto e saranno proprio i figli, per la difesa dei quali
padri e madri hanno deciso di manifestare, a viverlo con minori traumi e
incertezze.
Dietro
le proteste per l’apertura della scuola alle tematiche riguardanti la
sessualità e le differenze di genere, non c’è solo il timore di veder crollare
quelli che sono stati finora i fondamenti della genitorialità e dei ruoli
familiari.
Ben più profonda, radicata nell’atto fondativo
delle civiltà a cui ha dato vita una comunità storica di soli uomini, è
l’incertezza di una posizione “virile” perennemente minacciata dallo stesso
impianto sociale che dovrebbe sostenerla:
un
legame di interessi, amicizie, amori, ideali condivisi tra simili.
L’esclusione
delle donne dalla scena pubblica non ha impedito che il “femminile” continuasse
ad abitare questo impianto sociale, in quanto allo stesso tempo cemento
indispensabile e mina vagante all’interno di una collettività omo sociale.
Le
“identità di genere”, considerate destino “naturale” di un sesso e dell’altro,
sono state finora il baluardo materiale e ideologico di una cultura maschile
preoccupata prima di tutto della stabilità e della durata del suo dominio.
Non
c’è da meravigliarsi perciò se la rivoluzione delle coscienze che ha
sovvertito, nell’arco di un mezzo secolo, convinzioni e abitudini ancestrali,
incontra oggi la reazione agguerrita di chi vede comparire alla luce del sole
ansie e fantasmi tenuti faticosamente in ombra, e mai del tutto sconfitti.
Donne
single, donne che non vogliono figli e che cercano “qualcosa per sé”,
omosessuali e lesbiche, transgender e queer, a dispetto di un’educazione
familiare e scolastica che ancora stentano a riconoscere il cambiamento, hanno
preso cittadinanza visibile e largo consenso nella grande piazza pubblica.
La “guerra”, che si poteva temere già negli
anni settanta quando sono comparsi i movimenti destinati a ridefinire la
politica sulla base di tutto ciò che ha confinato altrove (corpo, sessualità,
maternità, divisione sessuale del lavoro, eccetera), è arrivata.
Ma con
la guerra è arrivata anche la prevedibile resistenza di una soggettività che si
è venuta scoprendo capace di riappropriarsi di una molteplicità di
manifestazioni di vita umana.
In un
articolo pubblicato nel 1973 sulla rivista “L’erba voglio” e poi nel libro “Il
bambino dalle uova d’oro”, “Elvio Fachinelli” scriveva:
Ma che
cosa c’è alla radice del rifiuto dell’omosessualità maschile (giacché quella femminile propone un
discorso, per ora, e per ragioni connesse alla condizione storica della donna
molto diverso e meno significativo)?
C’è
sostanzialmente, da parte del maschio eterosessuale, la paura di perdere, nel
contatto con l’omosessuale, la propria virilità, intesa qui molto profondamente
come identità personale.
Di fronte all’omosessuale, è come se ciascuno
sentisse messa in discussione la sua posizione stessa di maschio e ciò che lo
differenzia come individuo;
come se quella posizione si rivelasse
improvvisamente precaria, o incerta, più di quanto succede di solito.
Di qui le reazioni di rifiuto e disprezzo; di
qui anche i vari e ben noti comportamenti di iper virilità aggressiva…
La
manifestazione che ha richiamato a Roma un numero considerevole di famiglie
intere deve giustamente preoccupare, tenuto conto che non a caso l’obiettivo
polemico è la scuola, il luogo dove si confronteranno, all’interno di un comune
processo formativo, bambini di sesso, condizione sociale e culturale diversa, e
dove vige ancora – ma non si sa per quanto – la libertà di insegnamento
garantita dalla costituzione.
Il corpo a scuola è sempre stato presente, ma
è rimasto finora il “sottobanco”, il “mare ribollente delle cose non dette” e
che non riusciamo a nominare per lunga repressione, pregiudizi, paure
inconfessabili da parte degli stessi insegnanti.
Portare
l’educazione alle radici dell’umano è oggi l’intento, dichiarato o implicito,
del discorso sulle identità del maschile e del femminile, e di conseguenza sui
rapporti ambigui di amore, potere e violenza su cui si sono costruiti.
Una
materia enorme di esperienza, consegnata finora al chiuso delle case e delle
relazioni parentali, esce allo scoperto, il “fuori tema” della cultura e della
storia trasmessa finora dalle discipline scolastiche diventa “il tema”.
Espropriata
di quello che ha considerato un suo inalienabile appannaggio, la famiglia
tradizionale si “arma”, ma è costretta a farlo contro sé stessa, contro i
cedimenti che avverte al proprio interno, nei rapporti di coppia, nelle
inclinazioni sessuali dei propri figli, nella libertà a cui le donne sono
sempre meno disposte a rinunciare.
Come tutte le guerre, reali o simboliche, farà nascere
conflitti, lascerà ferite, ma ci sono acquisizioni della coscienza da cui non
si torna indietro.
LA
FAMIGLIA UMANA TRA STORIA, CULTURA, RELIGIONE
“Alessandro
Barbero”, intervistato da” Lucia Bellaspiga”.
Francescomacri.wordpress.com
– Blog di Francesco Macri – (23-5-2019) – ci dice:
È
“Famiglie” il tema scelto per la XV edizione di “È Storia”, festival ideato da “Adriano
Ossola” in programma a Gorizia da oggi fino a domenica con 280 ospiti coinvolti
in 180 appuntamenti.
Due
scheletri, un uomo e una donna, rinvenuti abbracciati nella stessa sepoltura,
le mani che si stringevano, le teste vicine come in un bacio eterno.
Era il 2007 e nel Mantovano gli archeologi
scoprivano una coppia vissuta nel neolitico.
Era
questa la notizia, ciò che turbava e commuoveva:
molte migliaia di anni prima di Cristo si
amava, si era coppia, si era famiglia proprio come accade a un uomo e una donna
di oggi.
Millenni di storia scomparivano davanti a
quell’unione che nemmeno la morte aveva interrotto, così la Soprintendenza si
adoperò per trasportare i due coniugi senza rompere quel vincolo intatto.
È solo un esempio, tanti altri potremmo
citarne, dalla fede nuziale in oro ancora lucente, fatta incidere dal faraone
“Ramsete II” per la sua “Nefertari”, alle raffigurazioni di padre, madre e
bambini incise sulle rocce preistoriche della Valcamonica (Brescia) in quelle
che possiamo considerare le istantanee più antiche di gruppi familiari…
Ma
quanto è antico il concetto di famiglia?
È nato
con l’uomo o si è sviluppato con l’evoluzione?
Era
simile o del tutto diverso da come lo intendiamo oggi?
“Famiglie”
è il titolo della XV edizione del Festival “E’ Storia” di Gorizia, che
ripercorre a 360 gradi uno dei temi più attuali e dibattuti.
Tra le
voci, quella di “Alessandro Barbero”, docente di Storia medievale
all’Università del Piemonte Orientale, autore di saggi e romanzi storici, volto
noto del piccolo schermo.
Professor
Barbero, iniziamo dalla definizione: che cosa è una famiglia?
La
famiglia è un gruppo umano che ha come fondamento qualcosa di naturale, cioè
relazioni sessuali e genitoriali, ma che ogni società di ogni epoca si
costruisce anche in chiave culturale.
Per
cui non è mai solo una cosa ovvia e naturale, ma anche una sovrastruttura
variabile nel corso della storia.
La
Bibbia ci parla di Adamo, Eva, Caino e Abele.
La paleoantropologia retrocede sempre più nel
tempo alla scoperta di famiglie antichissime…
Quando
nasce la famiglia in seno all’umanità?
Da
sempre.
Certe
volte sono tentato di approfondire gli usi degli scimpanzé e non scherzo:
non ho
idea se pratichino una libertà sessuale o la monogamia, ma certamente la madre
partorisce il suo piccolo, lo allatta e se lo tiene.
Questo
è già famiglia.
Direi
che esistono infatti due piani, uno verticale, appunto la madre con la sua
prole, e uno orizzontale, ovvero un uomo e una donna che si uniscono
sessualmente, fanno coppia stabile, decidono di rimanere insieme, desiderano
riprodursi.
Questo
è il modello naturale per gli esseri umani, ma comune a tante specie animali.
Poi è chiaro che vi sono molte altre
combinazioni possibili, ci sono specie in cui il maschio resta accanto alla
femmina e si occupa dei figli, altre in cui invece divora la prole, oppure
viene allontanato subito dopo l’accoppiamento…
Tornando
a noi, all’umanità?
L’uomo
è un animale ma è anche molto di più, un “di più” che in una prospettiva di fede è la sua
somiglianza con Dio, ma che dal punto di vista scientifico non sappiamo bene
definire.
La
cosa certa, però, è che in tutte le società umane conosciute le madri, e spesso
anche i padri, si prendono cura della prole, ovvero basano la loro vita sulla
costruzione della famiglia.
Semmai
la vera discriminante è tra le società che prevedono la coppia fissa e quelle
basate sulla poligamia, quasi sempre maschile.
Questi
sono i due modelli principali che ritroviamo lungo tutte le epoche e le
latitudini. In fondo nei millenni cambia molto poco:
la
famiglia ristretta, ovvero padre, madre e figli, per un romano, uno spartano o
un longobardo era la stessa sperimentata oggi dalla gente.
Da
sempre le componenti forti del nostro essere umani sono queste: desidero
fortemente quella donna/quell’uomo, voglio avere dei figli con lei/lui e
proteggerli con tutte le mie forze.
Queste
solo le pulsioni che si riscontrano nelle società umane conosciute.
In tutte c’è poi una minoranza la cui natura
(o scelta culturale) è fare sesso con una persona dello stesso sesso:
per i
greci era cosa lecita e pregevole, sempre che avvenisse tra un adulto e un
ragazzino, mentre tra due adulti era considerato ridicolo… come vede le cose
cambiano, oggi semmai è l’opposto.
Solo
da tempi recentissimi, infine, le tecnologie cercano infine di rendere
possibile ciò che per natura non lo è, compreso il desiderio di essere genitori
tra due uomini o due donne, con enormi complicazioni etiche e casi estremi, ma
questi rientrano appunto nella dimensione della costruzione culturale.
I modelli dominanti e maggioritari continuano
a tenere in considerazione che la natura ha un ruolo centrale.
Attenzione,
non è sbagliato a priori che la civiltà si sostituisca alla natura e la
modifichi, a volte in meglio, a volte in peggio.
È
possibile scrivere una storia dell’umanità attraverso la famiglia?
Certamente
sì, perché le evoluzioni della famiglia si portano dietro tutto il resto.
Un
esempio sono i diritti delle donne:
i
romani erano una società patriarcale e maschilista, per cui la moglie era
soggetta alla “potestas del marito”, ma quando restava vedova recuperava
l’autonomia e anche la sua dote.
Arrivano i barbari e la donna diventa una persona perennemente
minorenne, non c’è un’età in cui può agire liberamente, va sempre tutelata da
un maschio, se resta vedova subentrano i figli e se non ne ha la sua tutela
passa al re.
Sembrano
dettagli, ma incidono terribilmente sulla vita quotidiana e quindi sulla storia
dei popoli.
Nel
dibattito attuale c’è chi sostiene che la famiglia sia solo un’astrazione
moderna, in pratica che non esista.
Quando
un argomento storico diventa arma da usare in uno scontro ideologico, non si
arretra davanti a nessuna forzatura.
La
storia antica è ricca di aneddoti sorprendenti sulla mutevolezza dei legami
familiari…
Nell’antico
medioevo finché il padre non era morto i figli non avevano alcun diritto, non
esisteva la maggiore età. Semmai poteva emanciparli con un atto giuridico e solo allora
erano liberi.
Ergo, erano davvero tristi quando il padre moriva?
Nella
terza crociata il Saladino aveva conquistato quasi tutto il regno di
Gerusalemme, solo Tiro era ancora difesa dal marchese Corrado di Monferrato.
Il Saladino in precedenza aveva catturato suo padre e
per convincere Corrado ad arrendersi portò il prigioniero sotto le mura
minacciando di decapitarlo.
«Mio padre ha già vissuto abbastanza», rispose
Corrado.
Stupefatto
dalla volgarità di questo cristiano, il Saladino gli risparmiò la vita e gli
diede la libertà.
(“Avvenire”
del 23 maggio 2019).
La
cura della vita parte
dalla
famiglia.
Laityamilylife.va
– (28 nov. 2023) – Gambino intervento – ci dice:
Il
messaggio del Sotto-segretario Gambino all’Incontro nazionale per la pastorale
con le famiglie guatemalteche.
“La
pastorale della vita è chiamata a valorizzare la dignità di ogni persona in
ogni situazione ed età e ad accompagnarla alla pienezza”.
Con
queste parole la Prof.ssa Gabriella Gambino, Sotto-Segretario del “Dicastero
per i laici, la famiglia e la vita”, si è rivolta nel suo messaggio -
incentrato sul tema della “Promozione della difesa della vita attraverso la
famiglia”, “cuore di Dio” - ai partecipanti che si sono riuniti dal 17 al 19
novembre scorso in occasione dell’Incontro nazionale per la pastorale delle
famiglie promosso dalla “Pastorale familiare della Conferenza Episcopale del
Guatemala”.
Il
Sotto-Segretario, cogliendo l’occasione per introdurre il concetto di una vera
e propria pastorale della vita umana, da sviluppare nelle diocesi e nelle
conferenze episcopali, ha spiegato come la prima missione alla quale siamo
chiamati sia proprio quella di concentrare le nostre energie nell'annuncio
instancabile della buona notizia della vita e del valore della persona umana,
così da essere in grado di accompagnare le famiglie, soprattutto quelle che
stanno attraversando situazioni difficili o dolorose.
Dal
momento che la cura della vita parte dalla famiglia, la pastorale della vita
andrebbe integrata nei progetti di pastorale familiare:
“La
vita merita sempre amore, relazioni e cure, e questo si impara in famiglia”, ha
sottolineato la Prof.ssa Gambino.
Peraltro,
è importante che il lavoro della pastorale della vita oggi non sia inteso solo
in chiave ‘difensiva’ contro gli attacchi che la vita stessa subisce.
Non
bisogna, infatti, trascurare l’aspetto dell'annuncio dei valori antropologici,
che stanno a fondamento della vita umana e che nelle nostre società non sono
più scontati.
Non basta accompagnare le esperienze di vita;
bisogna ricominciare dalle basi, sviluppare nei giovani “un’intelligenza aperta
alle luci della verità e della fede” per poter dare ragione del vero bene della
persona.
Le
famiglie - ha concluso la “Prof.ssa Gambino” - oggi possono farsi “segno di
contraddizione” per generare relazioni positive, per farsi testimoni di una
capacità di cura reciproca che umanizzi la società, indebolendo quella “cultura
dello scarto”, che in molte situazioni di sofferenza sembra essersi sottilmente
trasformata in un equivoco “senso comune”, per risolvere nell’immediato tante
scelte difficili affrontate dalle famiglie stesse.
(GAMBINO – INTERVENTO - 28 novembre 2023)
"Non
fate figli: altrimenti li esporrete
agli enormi rischi dell'Intelligenza
Artificiale."
It.euronews.com
- Sarah Palmer & Edizione italiana:
Cristiano Tassinari – (12-06-2023) – ci dice:
“Mo
Gawdat” ha lanciato l'allarme durante un intervista al podcast "The Diary
of a CEO".
L'ex
Chief Business Officer di Google X, Mo Gawdat, in un'intervista podcast, ha
pronunciato un terrificante avvertimento sui pericoli dell'Intelligenza
Artificiale.
Non è
il primo esperto a lanciare l'allarme:
recentemente, lo ha fatto anche un "pezzo
grosso" come “Elon Musk”.
“Mo
Gawdat”, manager e imprenditore egiziano, esperto di intelligenza artificiale
(AI, "Artificial Intelligence" in inglese) ed ex Chief Business Officer di Google X, ha avvertito le persone che non hanno
già figli di... non farne, mentre la rapida ascesa dell'Intelligenza
Artificiale continua.
"I
rischi sono così gravi, infatti, che quando si considerano tutte le altre
minacce per l'umanità, dovreste evitare di avere figli, se ancora non siete
diventati genitori", ha detto, in maniera clamorosa, “Mo Gawdat” al
conduttore” Steven Bartlett”, nel corso del popolare podcast "Diary of a
CEO".
Non è
la prima volta che i dirigenti del settore tecnologico lanciano un simile
avvertimento.
All'inizio
di quest'anno, figure chiave tra cui “Elon Musk “e il co-fondatore di “Apple”,”
Steve Wozniak”, hanno firmato una lettera aperta, chiedendo agli sviluppatori
di sospendere ulteriori innovazioni per almeno sei mesi, in modo che
l'industria e gli utenti finali abbiano il tempo di elaborare gli ultimi
progressi.
Il
"Center for AI Safety" ha anche rilasciato una dichiarazione in cui si
afferma:
"Mitigare il rischio di estinzione umana
causato dell'Intelligenza Artificiale dovrebbe essere una priorità globale,
insieme ad altri rischi su scala sociale, come le pandemie e la guerra
nucleare".
Da
parte sua, “Sam Altman”, “CEO di OpenAI”, il creatore del popolarissimo “chatbot
ChatGPT”, ha messo in guardia dal "rischio esistenziale".
(Inchiesta:
quali
Paesi stanno cercando di regolamentare l'intelligenza artificiale?
Ue-Google:
un patto per l'intelligenza artificiale.
Regole
per l'intelligenza artificiale: pronta la proposta del Parlamento europeo.
Stati
Uniti, la protesta contro l'Intelligenza Artificiale.
ChatGPT:
Necessario regolamentare l'intelligenza artificiale.)
Intelligenza
artificiale, “Geoffrey Hinton” è preoccupato ed elenca i principali pericoli
"La
più grande sfida che l'umanità abbia mai affrontato."
Parlando
dell'argomento “IA”, “Mo Gawdat” è arrivato al punto di confrontare la nostra
realtà futura (ma non troppo futura) con famosi film distopici come "Blade
Runner", girato nel 1982 e ambientato in una Los Angeles del 2019.
"Non
c'è mai stata una tempesta così perfetta nella storia dell'umanità", ha
detto “Gawdat”.
Parole
di fuoco, quelle dell'”ex Chief Business Officer “di “Google X”:
"Economia,
geopolitica, riscaldamento globale, cambiamento climatico, l'intera idea di
Intelligenza Artificiale:
questa
è una tempesta perfetta, la profondità dell'incertezza non è mai stata così
intensa.
Se ami
veramente i tuoi figli, vorresti davvero esporli a tutti questi rischi?"
(Fake
news, intelligenza artificiale e altro ancora. Le nuove minacce alla libertà di
stampa.
Intelligenza
artificiale: “prompt engineer”, il lavoro del futuro.
Discussione
sul clima: il chatbot spinge un uomo al suicidio.
L'Intelligenza
Artificiale fa paura.
L'intelligenza
artificiale e il futuro del lavoro, ecco i lavori in più rapida crescita.
Leggere
la mente, un sistema di intelligenza artificiale può tramutare i pensieri in
parole.
"Una
condanna a vita".
Come l'intelligenza artificiale alimenta il”
deepfake porn”.)
L'intervista
arriva dopo che il conduttore del podcast, “Steven Bartlett”, ha nominato” Mo
Gawda”t come “Chief AI Officer” presso la sua agenzia di marketing, la
"Flight Story".
"L'Intelligenza
Artificiale è il culmine del progresso tecnologico ed è mia opinione che sarà
senza precedenti nel definire il modo in cui il mondo verrà modellato".
“ Mo
Gawdat” ,esperto di Intelligenza Artificiale.
"Ho
trascorso la mia carriera affascinato dal ruolo svolto dalla tecnologia e ora
la più grande sfida che l'umanità abbia mai affrontato è alle porte", ha
detto “Gawdat”.
"La
raffinatezza dell'intelligenza digitale è tale che è diventata autonoma ed è
qualcosa a cui fare appello, piuttosto che controllarla", ha aggiunto.
"Ed
è fondamentale rimanere in sintonia con chi farlo e come farlo, altrimenti
rischiamo di essere lasciati indietro".
(Euronews
racconta:
Un
uomo si è tolto la vita parlando con un “chatbot” di Intelligenza Artificiale.)
Quali
sono i principali problemi etici
nello
sviluppo dell’intelligenza artificiale?
It.insideover.com
– Il Giornale.it - Francesca Rossi – (3 DICEMBRE 2021) – ci dice:
L’IA è
una scienza ed una tecnologia che viene applicata in più o meno ogni ambito
della vita di tutti i giorni.
La utilizziamo quando strisciamo una carta di
credito, quando cerchiamo qualcosa su internet, quando scattiamo una foto con
le nostre fotocamere, e quando interagiamo con molte app e piattaforme social.
Compagnie di ogni dimensione e modello
aziendale, da ogni parte del mondo, stanno adottando soluzioni “IA” per
ottimizzare le loro operazioni, creare nuovi servizi e modelli di lavoro, ed
aiutare i loro professionisti a prendere decisioni migliori e più consapevoli.
Dunque,
non c’è dubbio che l’”IA” sia una potente tecnologia che si è già fatta strada
positivamente fra i nostri stili di vita e che continuerà a farlo per molti
anni a venire.
Allo stesso tempo, i cambiamenti che apporta
alle nostre vite personali e professionali sono molto significativi e rapidi, e
questo fa sorgere domande e preoccupazioni sull’impatto dell”’IA” sulla nostra
società.
I sistemi “IA” devono essere progettati per
conoscere, e seguire, importanti valori umani cosicché la tecnologia ci possa
aiutare a prendere decisioni migliori, più sagge, che siano allo stesso tempo
in linea con i valori umani.
Rivediamo
alcune delle problematiche etiche dell’”IA”:
Governance
dei dati.
L”’IA”
necessita di molti dati, quindi i dubbi sulla privacy, l’archiviazione, la
condivisione e la governance dei dati sono cruciali per quanto riguarda questa
tecnologia.
In
alcuni paesi del mondo come l’Europa, ci sono normative specifiche che
stabiliscono i diritti fondamentali sulla “questione dati”, ovvero sull’essere
umano che rilascia informazioni personali ad un sistema “IA” che può poi
utilizzarle per prendere decisioni che riguardano la vita dell’essere umano in
questione (vedi
per esempio il “regolamento europeo GDPR”).
Correttezza.
Dal
momento che si basa su enormi quantità di dati che circondano qualsiasi tipo di
attività umana, l”’IA” è in grado di avere intuizioni ed ottenere informazioni
sulla base delle quali prendere decisioni circa gli individui, o raccomandare
decisioni ad un individuo.
(Anche
se questo individuo essendo molto ricco si avvicina molto all’influenza nefasta
che può avere un capo gangster! N.D.R)
Tuttavia,
dobbiamo essere certi che il sistema d’intelligenza artificiale capisca e segua
i valori umani relativi al contesto in cui tali decisioni vengono prese.
Un valore umano molto importante è quello
della correttezza:
non
vogliamo che i sistemi “IA” prendano (o raccomandino) decisioni che potrebbero
discriminare o perpetuare danni nei confronti di gruppi di persone (per esempio
basati su razza, genere, classe o abilità).
Come facciamo ad essere sicuri che l’”IA possa
agire secondo la nozione più appropriata di correttezza (o di ogni altro valore
umano) in qualsiasi contesto in cui viene applicata?
Gli
strumenti software sono importanti, ma non sono tutto:
anche
l’educazione ed il training degli sviluppatori, la diversità del team, la
governance e le consultazioni fra le più parti coinvolte sono cruciali per
poter individuare e porre rimedio ai limiti dell’intelligenza artificiale.
“Spiegabilità”
e fiducia.
Spesso,
le tecniche d’intelligenza artificiale che hanno maggior successo, come quelle
basate sull’”apprendimento automatico profondo”, non lasciano che i loro
utilizzatori possano comprendere in modo chiaro le modalità attraverso cui esse
traggono le loro conclusioni dai dati di input.
Questo
non aiuta nel percorso di costruzione di un rapporto di fiducia tra umano e
macchina, quindi è importante far fronte in modo adeguato alle preoccupazioni
riguardanti trasparenza e spiegabilità.
Senza
fiducia, un medico non seguirebbe i consigli di un sistema di supporto
decisionale che possa aiutarlo a prendere decisioni migliori per i suoi pazienti.
Responsabilità.
L’apprendimento
automatico è basato su dati statistici, e per questo ha un margine d’errore,
anche se limitato.
Ciò
può accadere anche quando nessun programmatore abbia effettivamente commesso un
errore nello sviluppo di un sistema” IA”. Dunque, quando si verifica un errore,
chi ne è responsabile?
A chi
dovremmo chiedere un rimborso o un indennizzo?
(Soprattutto
se la “AI” ci vuole tutti morti, ossia “esseri inutili! N.D.R)
Tale
questione solleva interrogativi legati alla responsabilità.
Profilazione
e manipolazione.
L’intelligenza
artificiale interpreta le nostre azioni ed i dati che condividiamo online per
creare un nostro “profilo”, una sorta di caratterizzazione astratta di alcuni
dei nostri tratti, preferenze e valori, che viene poi utilizzata per
personalizzare una serie di servizi (per esempio, per mostrarci post o
pubblicità che è più facile siano di nostro gradimento).
Senza
appropriati limiti, questo approccio può distorcere il rapporto tra gli
individui e coloro che forniscono servizi online, se questi ultimi vengono
progettati in modo da rendere le nostre preferenze individuabili in modo più
chiaro, e di conseguenza la personalizzazione calcolabile in modo semplice.
Tutto
ciò solleva problematiche dal punto di vista dell’azione umana: abbiamo davvero
il controllo delle nostre azioni, oppure l’intelligenza artificiale viene
utilizzata per darci delle piccole spintarelle fino al punto di manipolarci?
L’impatto
sulle professioni e la società in generale.
Dal momento
che l’”IA” permea il funzionamento del nostro posto di lavoro, non può che
avere un impatto sulle professioni (dato che può portare a termine dei compiti
cognitivi che solitamente venivano svolti dagli uomini);
tali
ripercussioni vanno comprese più a fondo ed affrontate in modo che gli uomini
non ne siano svantaggiati.
Come
menzionato poco fa, l’intelligenza artificiale è molto pervasiva e le sue
applicazioni si espandono molto rapidamente, quindi ogni impatto negativo di
questa tecnologia potrebbe essere estremamente nocivo per gli individui e la
società.
Al livello in cui l’”IA” viene ora applicata
nei luoghi di lavoro (e al di fuori di essi), fa preoccupare che persone ed
istituzioni non abbiano abbastanza tempo per comprendere le reali conseguenze
del suo utilizzo ed evitare un possibile impatto negativo.
(Noi,
persone normali, saremo controllati tramite la” IA”, ma chi controlla “i
controllori”? N.D.R)
Controllo
ed allineamento dei valori.
Sebbene
l’”IA” abbia tanti impieghi, è comunque molto lontana dal raggiungere forme
d’intelligenza simili a quella umana (o anche animale).
Nonostante
ciò, il fatto che questa tecnologia sia per lo più sconosciuta al pubblico
generico solleva dubbi (solitamente ingiustificati) sull’essere in grado di
controllarla e tenerla in linea con i nostri più ampi ed a volte disparati
valori sociali nel momento in cui dovesse raggiungere una più alta forma di
intelligenza.
(Ma se
“i controllori super ricchi malthusiani” possono impunemente ordinare alla “IA”
di eliminarci tutti, quali saranno i mezzi per impedire la prossima carneficina
dell’umanità? N.D.R.)
Molte
organizzazioni (compagnie, governi, società professionali, iniziative
multilaterali) hanno già passato anni al lavoro per identificare le
problematiche etiche più rilevanti legate all’intelligenza artificiale,
definire principi ed impegni, trarne linee guida e procedure migliori, ed
infine renderle operative nei loro settori.
IBM è
stata l’azienda leader di questo ambito, con i suoi strumenti, le sue
iniziative a livello educativo, il suo modello di governance interno (guidato
dal comitato “IBM “AI” Ethics”) e le numerose partnership strette con altre
aziende, organizzazioni civiche e responsabili politici.
Un
approccio multidisciplinare e multilaterale è l’unico che possa effettivamente
guidare uno sviluppo ed un uso responsabile dell’”IA” nella nostra società.
(Ma è
così difficile pensare che l”IA” abba come
fine ultimo proprio il genocidio dell’umanità? N.D.R.)
Trump
e l’America dimenticata.
Leparoleelecose.it
– Alessandro Brizzi e Mauro Piras – (12 novembre 2016) – ci dicono:
Nelle
analisi sulla vittoria di Donald Trump si possono individuare due diversi
approcci.
Il primo, per così dire «culturalista», si
concentra sugli aspetti discorsivi della sua campagna elettorale,
individuandone con legittima preoccupazione il sessismo, la xenofobia e il
razzismo.
Il secondo, più attento ai fattori
socioeconomici, considera l’evoluzione demografica degli Stati Uniti, la
distribuzione territoriale e generazionale del voto e, soprattutto, gli
indicatori sul tasso occupazionale, il livello di istruzione e l’andamento
delle disuguaglianze.
Le
riflessioni post-voto si devono perciò muovere da un piano all’altro, per ovvie
esigenze di sintesi, saldando società e politica, bisogni e risposte.
Tuttavia,
molto spesso si incorre nel rischio di attribuire, in maniera deterministica,
una coscienza politica fissa e «naturale» a interi gruppi sociali.
Il
risultato è che all’elettore medio di Trump, «maschio bianco impoverito» e
sprovvisto di un titolo del college, vengono arbitrariamente attribuiti
connotati, pensieri e addirittura colpe morali.
Tuttavia,
per analizzare la vittoria dei repubblicani conviene partire, più che dalla
scelta estrema di un fantomatico tipo antropologico, dalla sconfitta dei
democratici – e non solo di Hillary Clinton, ma dei vertici del partito.
La loro strategia elettorale si è infatti
delineata chiaramente negli scorsi decenni, ed è apparentemente lungimirante:
puntare sulla demografia.
La macchina del partito, a livello nazionale e
locale, doveva ricercare un’alleanza tra gruppi dal crescente peso all’interno
della società statunitense, contrassegnati da una precisa identità etnica (i
neri e gli ispanici), di genere (le donne) o da uno statuto di minoranza (la
comunità Lgbt).
La
rappresentazione delle istanze di questi gruppi trovava una risposta nell’”identity
politics”, attenta alla conciliazione delle diverse pressioni lobbistiche (nel
senso originario del termine) in un programma di espansione dei diritti civili
e di tutela delle minoranze.
Si
trattava, beninteso, di una strategia elettorale, alla quale affiancare una
strategia politica malleabile ma al tempo stesso imperniata, soprattutto a
partire dagli anni novanta, sulla fiducia nella globalizzazione voluta dai più
ricchi.
La
candidatura di Hillary Clinton si inseriva in questo processo senza apparenti
discontinuità.
È vero
che il Partito democratico ha diverse anime, non sempre in accordo tra loro:
si va
da quelle liberal alle progressive e infine alle moderate.
Le primarie del 2008, per esempio, opponevano
il progressista Obama alla moderata Clinton.
Tuttavia, le credenziali che l’ex first lady
offriva ai democratici erano più che solide:
un
lungo percorso di promozione dei diritti delle donne e una solida esperienza
nell’amministrazione.
A
queste qualità però ne va aggiunta un’altra, meno spendibile sul piano
mediatico ma certamente più convincente per i finanziatori del partito:
la vicinanza a Wall Street, alle corporations
e alle élite urbane.
In incontri a porte chiuse organizzati da
“Goldman Sachs”, la candidata democratica esaltava la libera circolazione dei
capitali, scusandosi per le accuse che aveva dovuto rivolgere, «per ragioni
tattiche», al mondo finanziario dei ricchi capi gangster.
All’esterno, intanto, si cuciva l’abito della perfetta
democratica, grazie ai consigli degli attentissimi spin doctors:
erede di Obama e amica della popolazione nera,
oppositrice del movimento dei “gun rights”, madrina della “comunità Lgbt” e
paladina dell’”Obamacare”.
Si
trattava dei temi migliori e più nobili da proporre nell’ambito di una campagna
elettorale classica.
Il
punto, però, è che il 2016 è stato un anno tutto meno che classico. Sarà invece ricordato come l’anno in
cui si sono affermati i movimenti, generalmente etichettati come «populisti»,
cresciuti nella contestazione dell’establishment che ha gestito la crisi
economica.
La Brexit di giugno ha anticipato, pur con
tutte le differenze del caso, alcuni degli eventi che si sono verificati nelle
elezioni americane: proposta di un aut aut elettorale secco;
divisione
tra un blocco dominato dal centro liberista e dalla sinistra liberal e un altro
egemonizzato dalla destra xenofoba e protezionista;
schieramento
nel primo di capi di Stato e banche d’affari (nonché di stelle del cinema e
dello spettacolo!);
vittoria del secondo, anche (e non solo)
grazie ai voti provenienti dalle vecchie aree industriali.
Le
aree industriali abbandonate dovrebbero essere l’angolo visuale privilegiato
per l’analisi della vittoria di Trump come della Brexit.
Questo non perché esse siano state irrimediabilmente
conquistate ai populismi di destra:
ben lungi dall’esprimersi compattamente, parte
della vecchia classe operaia ha deciso di andare a votare e di dare una spinta
a uno dei due fronti.
Infatti,
per il funzionamento stesso del voto referendario o del collegio elettorale
statunitense, bastavano pochi voti di differenza:
voti che sono giunti dalle Midlands inglesi e
dal Midwest americano.
Se
analizzato sotto il profilo geo-economico, il risultato nel Midwest e in
Pennsylvania è estremamente significativo.
Bisogna evitare di attribuire a Trump i
consensi della working class e della middle class impoverita in maniera
indifferenziata, ma solo perché gli indicatori degli exit poll non consentono
questa operazione.
È
difficile infatti individuare questi gruppi nelle statistiche ordinate per
reddito:
se si
cerca nella fascia più bassa, per esempio, vi si trova la maggior parte della
popolazione nera e dunque un ampio consenso per Clinton.
Eppure,
considerando la distribuzione territoriale del voto e confrontandola con la
diffusione dell’industria manifatturiera, in particolare tra “Iowa”, “Wisconsin”
e “Michigan”, si vede Trump prevalere ovunque, eccetto che nelle grandi città.
Le
grandi città sono attraversate da contraddizioni lancinanti ben più
dell’America rurale, e sono maggiormente coinvolte da episodi di criminalità –
occasionalmente da proteste e riots.
Eppure
in queste storicamente prevalgono i democratici.
In
questi luoghi dell’«economia della cultura e della conoscenza», essi godono
dell’appoggio tanto delle élite urbane e della creative class, quanto delle
minoranze più povere e meno tutelate.
Subito
al di fuori di queste, c’è un’America periferica che vive quotidianamente nella
«grande paura», che si sente insieme minacciata da crogiuoli multiculturali ed
esclusa dai centri del potere economico e politico.
Di quest’America periferica, finora, facevano
parte soprattutto le aree rurali, che infatti hanno sempre votato repubblicano;
ora si aggiungono anche le zone di industrializzazione diffusa della “Rust Belt”.
Quest’America
non si comporterebbe tutta da «campagna francese», se il suo tessuto produttivo
non fosse stato distrutto dai trattati di libero scambio e dalla crisi
economica.
O
almeno se avesse ricevuto una risposta politica alternativa:
a cose fatte, molti si chiedono se Bernie
Sanders avrebbe potuto fare meglio della Clinton.
Forse, al di là delle ipotesi controfattuali,
conviene assumere un dato: l’opzione populistica della sinistra americana è stata
deliberatamente sabotata dall’establishment democratico.
Grazie alle rivelazioni di Wikileaks sappiamo che lo
staff elettorale di Hillary Clinton, i vertici del “Democratic National
Committee” e un insieme di giornalisti di importanti network (tra cui l’NBC)
hanno lavorato in maniera attiva per mettere fuori gioco il candidato
socialdemocratico.
Ma non
serve immaginare particolari complotti, dato che la maggior parte del processo
si è svolta alla luce del sole:
tutti
i grandi democratici, dagli “intellettuali liberal” come “Paul Krugman” ai
giornalisti del “Washington Post”, hanno lodato l’«incrementalism» della
Clinton, opposto al velleitarismo rivoluzionario dei sostenitori di Sanders;
hanno
riempito intere pagine di considerazioni sulla vacuità della sua proposta
economica;
l’hanno
accusato di essere sessista e razzista.
Chi
ama richiamare la «post-factual era» a proposito di Trump, dovrebbe rileggere i
numerosi articoli – assolutamente liberali – in cui Sanders, militante della
prima ora del movimento per i diritti civili, veniva di fatto paragonato a
Donald Trump.
E la
battaglia è stata ingaggiata dallo stesso fronte che poi si è scagliato su
Trump, non dalla repubblicana “Fox”.
A
destra invece il «dirottamento», ovvero l’ascesa del candidato
anti-establishment, è riuscito.
Forse
era prevedibile, per due ordini di ragioni.
La
prima è che l’establishment, dal 2008 al 2016, si è identificato principalmente
con il Partito democratico.
È vero che i repubblicani detenevano l’amministrazione
di numerosi stati e la maggioranza nelle camere, ma resta il fatto che il
vertice della piramide di Washington era democratico.
La
seconda è che, anche grazie all’apporto del “Tea Party” negli ultimi anni, la
destra repubblicana ha costruito una sua versione dell’”identity politics”, in
negativo rispetto a quella democratica.
Di qui la creazione culturale dell’americano
«medio», che non si riconosce nello strepito dei movimenti per i diritti civili
e sociali, che a «black lives matter» risponde «all lives matter», che non vede
di buon occhio il ribaltamento dei ruoli di genere.
Foraggiare
questi modelli culturali, sfruttare e organizzare politicamente le derive
xenofobe e sessiste, sdoganare del tutto il richiamo alle armi non sono idee
originali di Donald Trump, bensì fanno parte di una strategia che il Partito
repubblicano e i suoi organi, come “Fox News”, perseguono consapevolmente da
anni.
Una
simile strategia non era lungimirante, a differenza di quella democratica,
prima che Trump comprendesse come declinarla.
Innanzitutto
si è fatto campione del nazionalismo, l’opzione politica per eccellenza dei
leader della nuova destra, particolarmente efficace per opporsi ai centri del
potere economico, lontani e invisibili.
Ma la sfida non è rivolta all’Unione Europea,
al Fondo monetario internazionale o a Wall Street, alla galassia policentrica
degli interessi economici dominanti.
Si guarda invece ai nuovi avversari – come la
Cina, l’oggetto di amore e odio del trumpismo – e all’impetuosa crescita del
loro potere economico e geopolitico.
E di
conseguenza il nazionalismo di Trump è produttivista e neo mercantilista:
caratteri,
questi, che gli hanno consentito di intercettare chi vive in zone che hanno
visto sparire la propria vocazione produttiva e, insieme ad essa, ogni segno
tangibile del buon funzionamento e della potenza economica degli Stati Uniti
d’America.
Il
paese promesso da Trump non si preoccupa dunque del problema posto
dall’esaurimento delle risorse energetiche o dal riscaldamento globale:
per produrre quanto la Cina, dovrà consumare
quanto la Cina.
Abbattendo
il muro del «politicamente corretto» della sinistra DEM, ovvero tutte le regole
basilari della politica come professione, Trump si è messo contro tutto e
tutti.
Ha
così materializzato in un sol colpo tutte le chimere evocate dalla destra nel
corso degli ultimi decenni:
dai
movimenti dei neri ai professori liberal, dai vecchi politici di Washington ai
giornalisti «amici dei Clinton».
Contro
le inevitabili denunce della stampa e degli avversari, ha deciso di affidare la
maggior parte del suo storytelling alle piattaforme social, dove il criterio di
una verità è il suo potere effettivo – il numero delle condivisioni – più che
la varietà delle fonti.
In
questo modo, Trump è riuscito a creare una rappresentazione efficace che unisse
le energie dei nazisti di professione, i soldi e il sostegno dei fautori del
protezionismo a bassa pressione fiscale, dei nemici di Obamacare e degli
strenui difensori del secondo emendamento (ovvero la National Rifle
Association) e i voti di un 25 per cento di «forgotten Americans» – come li ha
chiamati nel suo primo discorso.
Ora è
da aspettarsi che, per soddisfare le richieste di questa alleanza, proceda in
primo luogo a ingraziarsi chi ne è stato il primo artefice: l’establishment
repubblicano.
Se
così sarà, la destra statunitense potrà in parte riassorbire l’insorgenza
populistica, usandola per cementare i cambiamenti della mappa elettorale.
D’altronde qualcosa di simile è avvenuto nel
Regno Unito, dove i conservatori hanno raccolto le spoglie dello Ukip e il
mandato del referendum.
Questo
però non significa che bisogna attendersi una stabilizzazione della situazione.
Dopotutto,
la carica di presidente degli Stati Uniti riserva al singolo uomo una certa
capacità di intervento nella storia – anche quando quest’uomo è Donald Trump.
DICHIARAZIONE
UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI.
IL
DIRITTO DEI DIRITTI.
Prodocs.org – Redazione – (10-6-2016) – ci dice:
Tutti
gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati
di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di
fratellanza.
L’articolo sancisce la libertà e l’uguaglianza
in dignità e diritti come principi fondamentali da riconoscere ad ogni persona,
in quanto tale.
Dotata
di ragione e di coscienza, la persona contrae l’obbligo di agire verso i suoi
simili in spirito di fratellanza perché ne comprende e riconosce la pari
dignità e quindi, gli uguali diritti.
In
questo modo, ad ogni diritto corrisponde un dovere esplicito e, dalla loro
complementarietà scaturiscono i vincoli delle relazioni personali e sociali. In
base a ciò, si costruisce il consenso che sarà alla base dell’organizzazione
giuridico-politica. Come essere libero, ogni persona è soggetto capace di
autodeterminazione e quindi, è sovrana.
Tale
sovranità, nell’ambito delle relazioni umane, si presenta come uno spazio di
espressione della libertà personale, limitata solo dalle altre libertà
personali.
Per
costruire poi rapporti stabili a livello di organizzazione sociale, si è giunti
a definire ruoli, distribuire compiti, separare funzioni e attribuire poteri
che sono stati delegati, nell’arco della storia in modo differenziato in base a
precise teorie antropologiche e giuridico-politiche.
“L’uomo
è nato libero, e dovunque è in catene… Come è potuto avvenire un cambiamento
del genere? Lo ignoro. Cosa può renderlo legittimo? Credo di poter rispondere a
questa domanda”.
“Ognuno
di noi mette in comune la sua persona ed ogni suo potere sotto la suprema
direzione della volontà generale, e noi accogliamo nel nostro seno ogni membro
come parte individuale del tutto”.
(J.J.
Rousseau, Du Contrat Social, libro I, cap. I, Ed. a cura di M. Halbwachs,
Parigi, p. 59 (trad. it., Il Contratto Sociale, in Scritti Politici, a cura di
P. Alatri, Torino, 1970).
Nella storia.
Nell’antichità
classica, l’autorità politica racchiudeva in sé ogni forma di potere e, nel
caso specifico della storia romana, l’”imperator “era anche “sacerdos et dux”
disponendo della vita e della morte dei propri sudditi.
Solo
con l’avvento del Cristianesimo, tale autorità veniva attribuita a Dio che
nell’ordine del suo piano creativo, aveva affidato alla persona la possibilità
di esercitare un’autorità, intesa come servizio, nella sfera sia temporale che
spirituale; tale autorità veniva riconosciuta quindi al re e al papa.
Si
stabiliva così un ordine gerarchico per il raggiungimento del bene comune
all’interno dei gruppi umani.
La
gestione del potere, benché così ordinato, diede origine successivamente a
forme di cesaropapismo e di teocrazia.
Nel
Medioevo l’organizzazione del potere era basata sulle due grandi coordinate
universalistiche del Papato e dell’Impero.
Ciò
avveniva per realizzare nello Stato la massima unità e coesione politica.
La
sovranità allora, in quanto potere di comando in ultima istanza, era
strettamente connessa alla realtà specifica della politica: la pace e la
guerra.
Nell’Età
Moderna, con la formazione dei grandi stati territoriali sotto forma di
Monarchie assolute, il compito di garantire la pace tra i sudditi del suo regno
spettava esclusivamente al sovrano-re, unico centro di potere onni competente
ed onnicomprensivo.
Nel
XVIII secolo, con l’avvento delle nuove teorie sulla sovranità, si ebbe il
capovolgimento totale.
La
sovranità, secondo J.J. Rousseau, diventava espressione diretta della volontà
dei cittadini quando miravano all’interesse generale e non a quello
particolare, e cioè quando avrebbero agito moralmente e non
utilitaristicamente.
Il
problema era quello di conciliare sovrano e popolo, nell’unità dello Stato che
avrebbe eliminato e superato ogni dualismo:
l’intera comunità diventava un solo corpo, di cui il
Re era il capo e gli altri, le membra;
il re sarebbe diventato ben presto la persona
giuridica pubblica per eccellenza, perché detentrice della sovranità.
La
tesi giusnaturalistica formulata nel 1600 veniva riaffermata con vigore durante
il XVIII secolo, quando per la prima volta nella storia dell’umanità, fu
accolta nelle Costituzioni nazionali.
Su
questa premessa si fondarono la “Dichiarazione di Indipendenza degli Stati
Uniti” (1776) e la “Dichiarazione Francese dei Diritti dell’uomo” (1789).
Il 4
luglio del 1776 i coloni inglesi, riuniti a Filadelfia, spiegarono al mondo
intero i motivi della loro decisione dichiarando che:
tutti gli uomini sono creati uguali… e che
ogniqualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il
popolo ha diritto di mutarla o abolirla ed istituire un nuovo governo fondato
su tali principi…
Queste
colonie sono, e per diritto devono essere, Stati liberi e indipendenti.
Il 26
agosto del 1789, a Parigi, gli stessi principi furono enunciati nella “Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino”,
nell’art.
1: “Gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti”, e nell’art. 6: ”
… (la legge) deve essere uguale per tutti, sia quando protegge sia quando
punisce.
Tutti
i cittadini, essendo uguali dinanzi ad essa, sono parimenti ammissibili ad ogni
dignità, posto o impiego pubblico, secondo la loro capacità e senza altra
distinzione, all’infuori di quella della loro abilità e del loro ingegno”.
In
quello stesso anno, una donna, “Olympe de Gouges”, scriveva la Dichiarazione
dei diritti della donna e della cittadina con la quale, insieme ad altre donne,
cercò di sviluppare e applicare con coerenza i principi proclamati nella”
Dichiarazione dei diritti dell’uomo estendendoli a tutta l’umanità”.
In
particolare, alla metà dei XIX secolo si formava lo Stato Italiano a seguito
dei noti eventi del Risorgimento, quando gli Stati preesistenti nella penisola
italiana diedero vita ad uno Stato unitario di forma monarchico- costituzionale.
Così
lo Statuto, emanato nel 1848 da Carlo Alberto per il piccolo Regno di Sardegna,
diventava la legge fondamentale dello Stato Italiano.
Esso
restò in vigore per circa un secolo, fino a quando, dopo la caduta del fascismo
e la conclusione della seconda guerra mondiale, il popolo italiano volle mutare
le regole del “patto” e diede vita alla Costituzione repubblicana a suffragio
universale – esteso per la prima volta anche alle donne.
La
Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio 1948, cent’anni dopo lo Statuto
Albertino.
Oggi.
Attualmente,
il concetto politico-giuridico di sovranità sta suscitando un dibattito intenso
sulla articolazione delle varie forme di sovranità, che possono essere
attribuite sia alla persona come soggetto politico, sia al singolo Stato, che
ad istituzioni di carattere internazionale.
Il
dibattito si esprime a vari livelli:
sul
piano teorico, col prevalere delle teorie costituzionalistiche;
sul
piano pratico, con la crisi dello Stato moderno, ormai incapace di essere un
unico ed autonomo centro di potere, soggetto esclusivo della politica, solo
protagonista nel campo internazionale.
Il
cambiamento in atto è determinato sia dalla realtà sempre più diversificata e
complessa delle stesse società democratiche, sia dal nuovo carattere delle
relazioni internazionali favorito da più forti e più strette forme di
interdipendenza tra i diversi Stati, sul piano giuridico, economico, politico,
ideologico ed etnico.
Lo
stabilirsi di una sempre più stretta collaborazione internazionale, ha avviato
un confronto tra i poteri tradizionali dei singoli Stati sovrani e le nuove
forme istituzionali nascenti a livello internazionale.
Inoltre, si è iniziato a riflettere sul
significato degli stessi poteri tradizionali mettendo in discussione il
concetto della sovranità assoluta degli Stati.
Le
autorità “sovranazionali” hanno la possibilità di verificare, con appositi
organi, il grado di applicazione del diritto “sovranazionale” da parte dei
singoli Stati nell’ambito del proprio ordinamento costituzionale.
Contemporaneamente,
gli organismi sovranazionali non possono ledere la sovranità dello Stato con
disposizioni contrarie alle regole costituzionali dello stesso.
L’ingerenza
non è permessa se non in casi dichiaratamente umanitari, la cui definizione
lascia ampio spazio di dibattito e di riflessione tuttora in corso.
L’adesione
a determinate alleanze o la partecipazione a organismi specifici può, per certi
versi, limitare la sovranità di uno Stato a vantaggio di un progetto comune.
Ci
sono anche nuove forme di alleanze economica, militare e politica, che
sottraggono ai singoli Stati la disponibilità di risorse proprie e/o
determinano una sovranità subordinata delle potenze minori nei confronti di
quella egemone.
Si
sono aperti nuovi spazi, non più controllati dallo Stato sovrano.
Le
imprese multinazionali, ad esempio, consentite dal mercato mondiale, hanno un
potere di decisione libero da qualsiasi controllo:
pur non essendo sovrane, pur non avendo una
popolazione ed un territorio su cui esercitare i poteri sovrani, non rispondono
ad una autorità.
Ancora,
i nuovi mezzi di comunicazione di massa hanno consentito la formazione di
un’opinione pubblica mondiale, che esercita talvolta la propria pressione
affinché uno Stato accetti, anche controvoglia, di negoziare la pace.
La
pienezza del potere statuale è ormai in piena crisi. Si è capito che lo Stato non è
legittimato ad esercitare alcun potere assoluto nei confronti del cittadino da
cui riceve una delega.
Esso è sovrano dinanzi allo stato stesso che
vede limitato il proprio potere in virtù di questa sovranità personale del
cittadino che va rispettata comunque sia.
Con
ciò però non scompare il potere, ma solo una determinata forma della sua
organizzazione, che ha avuto nel concetto politico-giuridico di sovranità, il
suo punto di forza.
Un
caso specifico è quello della ricerca di poteri sovranazionali che limitano la
sovranità di uno Stato per il raggiungimento del bene comune dell’intera
Comunità Internazionale.
Conseguentemente
c’è oggi, spesso, l’esigenza di procedere, attraverso una lettura dei fenomeni
politici attuali, ad una nuova sintesi politico-giuridica che disciplini
giuridicamente le nuove forme di potere, i nuovi “paradigmi” che stanno
emergendo, quali l’etnia o la regione.
Nella
Costituzione Italiana.
La
storia non ha interrotto il suo cammino:
L’art. 2 della Costituzione Italiana sancisce a sua volta il
principio fondamentale della dignità della persona umana.
L’art.
3 recita:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razze, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali.
È
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono
il Pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
L’affermazione
di principio risulta chiara; purtroppo però la difficoltà rimane nella
realizzazione di fatto.
( PRO.DO.C.S. 2016)
Quali
sono i rischi e i vantaggi
dell’intelligenza
artificiale?
Europarl.europa.eu
– (28 -06 – 2023) – Redazione – ci dice:
L’intelligenza
artificiale (AI) è sempre più presente nelle nostre vite. Questo può presentare
rischi ma anche vantaggi per la sicurezza, le imprese, l’occupazione e la
democrazia
La
prosperità e la crescita economica dell’Europa sono strettamente legate a come
verranno usati i dati e le tecnologie della connessione.
L’AI può fare una grande differenza nella
nostra vita, in positivo o in negativo.
Nel corso di giugno 2023, il Parlamento
europeo ha fissato la propria posizione negoziale sull'”AI” act” (o normativa
sull'IA) il primo insieme di regole al mondo sull'intelligenza artificiale.
Vediamo
quali sono le opportunità e i rischi delle future applicazioni
dell’intelligenza artificiale.
(175
zettabyte Il volume dei dati prodotti nel mondo dovrebbe passare da 33
zettabyte nel 2018 a 175 zettabyte nel 2025. Un zettabyte equivale a mille
miliardi di gigabyte)
Vantaggi
dell’intelligenza artificiale.
I
paesi UE sono già forti nell’industria digitale e nelle applicazioni
business-to-business.
Con
un’infrastruttura di alta qualità e un quadro normativo che protegga la privacy
e la libertà di espressione, l’UE potrebbe diventare un leader globale
nell’economia dei dati (data economy) e nelle sue applicazioni.
Benefici
dell’”IA” per i cittadini.
L’intelligenza
artificiale potrebbe significare una migliore assistenza sanitaria, automobili
e altri sistemi di trasporto più sicuri e anche prodotti e servizi su misura,
più economici e più resistenti.
Può
anche facilitare l’accesso all’informazione, all’istruzione e alla formazione.
Con
l’epidemia di COVID-19 l’apprendimento a distanza è diventato una necessità.
L’IA aiuta a rendere il posto di lavoro più
sicuro, perché il lavoro più pericoloso può essere demandato ai robot, e
offrire nuovi posti di lavoro grazie alla crescita delle industrie
dell’intelligenza artificiale.
Benefici
dell’intelligenza artificiale per le imprese.
L’intelligenza
artificiale può consentire lo sviluppo di una nuova generazione di prodotti e
servizi, anche in settori in cui le aziende europee sono già in una posizione
di forza come l’economia circolare, l’agricoltura, la sanità, la moda e il
turismo.
Può
infatti offrire percorsi di vendita più fluidi e ottimizzati, migliorare la
manutenzione dei macchinari, aumentare sia la produzione che la qualità,
migliorare il servizio al cliente e risparmiare energia.
(11%-37% Aumento stimato della
produttività del lavoro grazie all’IA, entro il 2035 (studio del Parlamento
europeo).
Benefici
nei servizi pubblici.
L’IA
applicata ai servizi pubblici può ridurre i costi e offrire nuove opzioni nel
trasporto pubblico, nell’istruzione, nella gestione dell’energia e dei rifiuti
e migliorare la sostenibilità dei prodotti.
Per
questo motivo, contribuirebbe a raggiungere gli obiettivi del “Green Deal
europeo”
(1.5%-4%
riduzione delle emissioni globali di gas serra entro il 2030, attribuibile
all’uso dell’IA) (studio del Parlamento europeo)
Rafforzare
la democrazia.
Le
verifiche basate sui dati, la prevenzione della disinformazione e degli
attacchi informatici e l’accesso a informazioni di qualità possono contribuire
a rafforzare la democrazia.
Sosterrebbero anche la diversità e
l’uguaglianza di opportunità, ad esempio attenuando i pregiudizi in materia di
assunzione attraverso l’uso di dati analitici.
Intelligenza
artificiale per la sicurezza.
L’intelligenza
artificiale potrà essere usata nella prevenzione dei reati e come ausilio nella
giustizia penale, perché premetterebbe di elaborare più velocemente grandi volumi
di dati, valutare con più accuratezza i rischi di fuga dei detenuti, prevedere
e prevenire crimini e attacchi terroristici.
L’IA viene già usata dalle piatteforme online
per individuare e rispondere a pratiche illegali o inappropriate in rete.
In
campo militare, l’intelligenza artificiale potrebbe essere usata per la difesa
e le strategie di attacco in caso di crimini informatici o per attaccare
obiettivi chiave nella lotta informatica.
(Rischi
e sfide dell’intelligenza artificiale.
L’uso crescente
di sistemi di IA comporta anche dei rischi)
Abuso
e sottoutilizzo dell’intelligenza artificiale.
Non
usare l’intelligenza artificiale in tutto il suo potenziale è un rischio:
scarsa attuazione di programmi importanti, come il “Green deal europeo”,
perdita del vantaggio competitivo rispetto ad altre regioni del mondo,
stagnazione economica e meno opportunità per tutti.
Il sottoutilizzo ha diverse cause, a partire
dalla diffidenza del pubblico e delle imprese, fino a infrastrutture carenti,
mancanza di iniziativa imprenditoriale, investimenti bassi, frammentazione dei
mercati digitali (siccome l’apprendimento automatico dell’IA dipende dai dati, una
frammentazione la rende meno efficiente).
Ma
anche l’abuso è un problema.
Ad
esempio, non deve essere usate per problemi per cui non è adatta, come per
spiegare o risolvere complesse questioni sociali.
Responsabilità
civile e intelligenza artificiale: di chi è la colpa?
Una
sfida importante è determinare chi sia responsabile per i danni causati da un
dispositivo o servizio azionato dall’intelligenza artificiale: in un incidente
in cui è coinvolta un’auto a guida autonoma, i danni devono essere ripagati dal
proprietario, dal costruttore o dal programmatore?
Se il
produttore fosse privo di responsabilità potrebbero non esserci incentivi
sufficienti a fornire un prodotto sicuro ed efficiente.
Il pubblico potrebbe avere meno fiducia nella
tecnologia.
Ma allo stesso tempo delle norme troppo severe
potrebbero soffocare i tentativi di innovazione.
Minacce
dell’intelligenza artificiale ai diritti fondamentali e alla democrazia.
I
risultati prodotti dall’IA dipendono da come viene progettata e da quali dati
vengono immessi.
Questo
processo può essere influenzato intenzionalmente o meno.
Ad
esempio, alcuni aspetti importanti potrebbero non essere programmati
nell’algoritmo o potrebbero essere programmati per riflettere e perpetuare
delle distorsioni strutturali.
Inoltre,
l’uso dei dati e dei numeri per rappresentare una realtà complessa fa sembrare
l’IA fattuale, precisa e indipendente anche quando non lo è (il cosiddetto “math-washing”).
Ad
esempio, se non programmata correttamente, l’IA potrebbe condurre a decisioni
riguardo a un’offerta di lavoro, all’offerta di prestiti e anche nei
procedimenti penali, influenzate dall’etnia, dal genere, dall’età.
L’IA
può anche minacciare la protezione dei dati e il diritto alla vita privata.
Può
essere usata, ad esempio, in dispositivi per il riconoscimento facciale o per
la profilazione online.
Inoltre,
è capace di mettere insieme le informazioni che acquisisce su una persona senza
che questa ne sia a conoscenza.
La
minaccia per la democrazia rappresentata dall’intelligenza artificiale passa
per l’informazione.
È già
stata accusata di creare delle “bolle” in rete, dove i contenuti sono
presentati in base ai contenuti con cui l’utente ha interagito in passato,
invece di creare un ambiente aperto per un dibattito a più voci, inclusivo e
accessibile.
Può
anche essere usata per creare immagini, video e audio falsi ma estremamente
realistici, noti come “deepfake”, che possono essere usati per truffare,
rovinare la reputazione e mettere in dubbio la fiducia nei processi
decisionali.
Tutto
questo rischia di condurre alla polarizzazione del dibattito pubblico e alla
manipolazione delle elezioni.
L’intelligenza
artificiale potrebbe anche minacciare la libertà di riunione e di protesta,
perché potrebbe permettere di rintracciare e profilare individui legati a
determinati gruppi o opinioni.
L’effetto
dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro.
L’uso
dell’intelligenza artificiale potrebbe portare alla scomparsa di molti posti di
lavoro.
Anche
se ne verranno creati altri e migliori, è cruciale che ci sia l’adeguata
formazione affinché i disoccupati possano accedervi e affinché ci sia una forza
lavoro qualificata a lungo termine.
(14%
dei posti di lavoro nei paesi dell’OCSE sono automatizzabili. Un altro 32%
dovrebbe affrontare cambiamenti sostanziali)
(studio
del Parlamento europeo).
Concorrenza.
L’accumulo
di informazioni potrebbe anche portare a una distorsione della concorrenza, in
quanto le parti con maggiori informazioni potrebbero ottenere un vantaggio e
cercare di eliminare i concorrenti.
I
rischi per la sicurezza.
Le
applicazioni di intelligenza artificiale che sono a contatto o anche integrate
del corpo umano possono esser pericolose se mal progettate, utilizzate in modo
improprio o hackerate.
Un uso non regolamentato dell’intelligenza
artificiale negli armamenti potrebbe condurre a una perdita di controllo su
armi distruttive.
I
problemi per la trasparenza.
Le
disuguaglianze nell’accesso alle informazioni potrebbero essere sfruttate a
discapito degli utenti.
Ad
esempio, sulla base di un comportamento in rete di una persona o di altri dati
utilizzati a sua insaputa, un fornitore di servizi può prevedere quanto questa
persona sia disposta a pagare per un servizio o una campagna politica può
sapere quale messaggio inviarle.
Un
altro problema di trasparenza è che potrebbe non essere chiaro per l’utente se
sta interagendo con una persona o con un sistema di intelligenza artificiale.
(Per
saperne di più sulla strada scelta dagli eurodeputati per dare forma alla
legislazione sui dati in modo da promuovere l'innovazione e garantire la
sicurezza allo stesso tempo).
In
guerra con l’intelligenza artificiale:
le
nuove mire di Usa e Cina.
Agendadigitale.eu
– (30 agosto 2022) – Luigi Mischitelli –
ci dice:
Cultura
E Società Digitali.
La
corsa agli armamenti hi-tech spinta dalla guerra in Ucraina giova agli affari
di startup pronte a dispiegare le loro tecnologie sul campo di battaglia.
Cina e
Usa spingono in questa direzione.
Ma la
nuova corsa dell’intelligenza artificiale in campo militare solleva anche una
serie di questioni etiche.
(“Privacy
& Data Protection Specialist at IRCCS” Casa Sollievo della Sofferenza)
La
guerra in Ucraina sta fomentando con ancora più urgenza la corsa agli armamenti
hi-tech, basati su sistemi di intelligenza artificiale.
Cina e
Usa sono in prima fila e investono a ritmo serrato sulle tecnologie emergenti,
sebbene non sempre sia scontato un loro utilizzo concreto sul campo di
battaglia.
(Is
artificial intelligence the future of warfare? | UpFront)
In
questo contesto, chi ha più da guadagnare sono le startup (una fra tutte, la
statunitense “Palantir Technologies”), che mirano principalmente a generare
profitto, ma allo stesso tempo anche a rinnovare i loro arsenali con le
tecnologie più recenti, entrando in concorrenza con i colossi che forniscono i
diversi paesi.
Tuttavia,
di pari passo con l’avanzamento tecnologico, nell’ultimo lustro sono diventate
più urgenti e pressanti anche le preoccupazioni etiche sull’uso
dell’intelligenza artificiale in campo militare, mentre la prospettiva di
restrizioni e regolamenti che ne disciplinino l’uso sembra più remota che mai (almeno fino a quando il conflitto in
Ucraina non cesserà).
Indice
degli argomenti.
AI in
campo militare, cosa ci dice il dietrofront di Google sul progetto Maven.
AI sul
campo di battaglia: grandi promesse e molti flop.
La
corsa agli investimenti procede spedita.
Intelligenza
artificiale in campo militare, il difficile passaggio dalla teoria alla pratica.
AI a
uso bellico, gli Usa inseguono la Cina.
AI sul
campo di battaglia, le preoccupazioni etiche.
Conclusioni.
“AI”
in campo militare, cosa ci dice il dietrofront di “Google” sul progetto “Maven”.
Un
esempio fra tutti:
nel
2018, in seguito alle proteste e all’indignazione dei suoi dipendenti, “Google”
si ritirò dal “Progetto Maven” del Pentagono che mirava a costruire sistemi di
riconoscimento delle immagini per migliorare gli attacchi dei droni in zone di
guerra.
L’episodio suscitò un acceso dibattito sui
diritti umani e sulla moralità dello sviluppo di un’intelligenza artificiale
montata su “armi autonome”. Tuttavia, quattro anni dopo il “boicottaggio” di
Maven, la Silicon Valley sembra essersi (ri)avvicinata molto al Dipartimento
della Difesa USA.
E non si tratta solo di grandi aziende, ma
anche – come citato – di startup.
Le
aziende che investono in campo militare fanno spesso grandi proclami su ciò che
la loro tecnologia è in grado di fare.
Esse affermano, ad esempio, che può essere
d’aiuto per qualsiasi cosa, “dal banale al letale”, dallo screening dei
curricula all’elaborazione dei dati, fino ad aiutare i soldati a prendere
decisioni più rapide sul campo di battaglia.
Il software di riconoscimento delle immagini,
ad esempio, può aiutare a identificare gli obiettivi nemici con precisione.
I droni “autonomi” possono essere utilizzati
per la sorveglianza o gli attacchi su terra, aria o acqua, o per aiutare i
soldati a consegnare i rifornimenti in modo più sicuro di quanto sia possibile
via terra (o
con l’aiuto di mezzi con equipaggio a bordo).
“AI”
sul campo di battaglia: grandi promesse e molti flop.
Chiaramente,
tali tecnologie sono ancora “agli albori” sul campo di battaglia e le forze
armate di diversi paesi del mondo stanno attraversando un periodo di
sperimentazione (il teatro bellico ucraino figura tra questi).
Ci sono innumerevoli esempi della tendenza
delle aziende produttrici di intelligenza artificiale a fare grandi promesse
che poi si rivelano dei flop; le zone di combattimento, peraltro, sono forse
tra le aree tecnicamente più difficili in cui impiegare l’Intelligenza
Artificiale, perché ci sono pochi “dati di addestramento” (training data)
rilevanti.
Ciononostante,
molte forze armate di diversi paesi stanno andando avanti su questa strada.
Gli
Stati Uniti, ad esempio, stanno collaborando con le start-up per sviluppare
veicoli militari autonomi.
Ed ovviamente, non mancano le critiche.
Alcuni sostengono che questa spinta verso
l’intelligenza artificiale in campo bellico sia in realtà più volta ad
arricchire le aziende tecnologiche che a migliorare le operazioni militari sul
campo.
Mentre altri affermano che i sostenitori
dell’intelligenza artificiale stanno alimentando la retorica della Guerra
Fredda, cercando di creare una narrativa che posiziona le Big Tech come
“infrastrutture nazionali critiche”, troppo grandi e importanti per essere
smantellate o regolamentate.
La
corsa agli investimenti procede spedita.
Dopo
che le polemiche su “Maven” (da parte di Google) si sopirono, negli ultimi due
anni le voci che invocano un maggiore impiego dell’intelligenza artificiale in
campo militare sono diventate sempre più forti.
E la
guerra in Ucraina si pone come un vero e proprio “megafono” in tal senso.
Si
pensi alla “National Security Commission on Artificial Intelligence” (NSCAI),
che fornisce raccomandazioni al Presidente e al Congresso USA in materia di
Intelligenza Artificiale, la quale ha invitato (già a partire dal 2021) le
forze armate statunitensi a investire almeno otto miliardi di dollari l’anno in
queste tecnologie per non rischiare di rimanere indietro rispetto alla Cina.
Secondo
un rapporto del “Georgetown Center for Security and Emerging Technologies”, le
forze armate cinesi spendono probabilmente più di un miliardo e mezzo di
dollari all’anno per l’intelligenza artificiale (e negli Stati Uniti è già in
atto una spinta significativa per raggiungere la parità).
E non
è solo l’esercito statunitense ad essere convinto della necessità di adeguarsi
in tal senso.
Anche
alcuni paesi europei, che tendono a essere più cauti nell’adozione di nuove
tecnologie, stanno cercando di investire nel settore.
Francia
e Regno Unito hanno identificato l’intelligenza artificiale come una tecnologia
chiave per la difesa, con la Commissione Europea che ha stanziato un miliardo
di dollari per sviluppare nuove tecnologie di difesa comune dell’Unione.
Intelligenza
artificiale in campo militare, il difficile passaggio dalla teoria alla pratica.
In
ogni caso, creare domanda affinché si implementi l’intelligenza artificiale è
una cosa, mentre far sì che le forze armate la adottino è un’altra cosa.
Molti
Paesi stanno spingendo la “narrativa” sull’intelligenza artificiale, ma
faticano a passare dal concetto all’implementazione a quello dell’effettiva
adozione.
Ciò è
dovuto, in parte, al fatto che l’industria militare nella maggior parte dei
Paesi è ancora dominata da un gruppo di grandi appaltatori che non hanno ancora
molta esperienza nel campo dell’intelligenza artificiale.
In
pratica, in molti paesi, il monopolio dei grandi – storici – gruppi di
fornitori militari esclude l’ingresso delle startup e del loro grande know-how
tecnologico.
Inoltre,
i contratti militari possono durare decenni, cosa che le startup “non possono
permettersi”
(avendo solo un anno o poco più per “decollare”).
Il
rischio che vadano in bancarotta in attesa di contratti di difesa (che vengano
onorati dagli “appaltanti”) è sempre dietro l’angolo.
Le forze armate di diversi Paesi si trovano in un
vicolo cieco:
andare troppo “di fretta” e rischiare di
implementare sistemi pericolosi e difettosi, oppure andare troppo piano e
perdere l’occasione di sfruttare i progressi tecnologici presenti e futuri.
“AI” a
uso bellico, gli Usa inseguono la Cina.
Gli
Stati Uniti vogliono andare più veloci (anche perché la Cina è un formidabile
corridore), per cui sarà necessario approntare un cambiamento culturale in seno
al Pentagono (evitando il rischio di impelagarsi in inerzie burocratiche).
E abbiamo già degli esempi:
a gennaio scorso “ScaleAI”, una startup che
fornisce servizi di etichettatura dei dati per l’intelligenza artificiale, si è
aggiudicata un contratto da duecentocinquanta milioni di dollari con il
Pentagono; mentre a febbraio scorso” Anduril”, una startup che sviluppa sistemi
di difesa autonomi (come sofisticati droni subacquei), si è aggiudicata un
contratto di difesa da un miliardo di dollari sempre con il Dipartimento della
Difesa USA.
“AI”
sul campo di battaglia, le preoccupazioni etiche.
Nonostante
la “costante marcia” dell’intelligenza artificiale sul campo di battaglia, le
preoccupazioni etiche che hanno portato alle proteste per il “Progetto Maven”
non sono del tutto scomparse.
Consapevole
di dover comunque intervenire in materia, il “Dipartimento della Difesa degli
Stati Uniti” ha emanato delle linee guida per una intelligenza artificiale
“responsabile” per gli sviluppatori di tali tecnologie in ambito militare.
Anche
la NATO ha una strategia simile per le nazioni che ne fanno parte. Tutte queste
linee guida invitano le forze armate a utilizzare l’intelligenza artificiale in
modo lecito, responsabile, affidabile e tracciabile, cercando di mitigare i
pregiudizi (bias) “incorporati” negli algoritmi.
Uno
dei concetti chiave è che l’uomo deve sempre mantenere il controllo di tali
sistemi; cosa che, probabilmente, non può essere garantita per gli anni a
venire.
Invero,
l’obiettivo di un sistema autonomo è quello di consentirgli di prendere una
decisione in modo più rapido e accurato di quanto potrebbe fare un essere umano
(svincolando
quest’ultimo dal sindacare ogni scelta presa dalla macchina).
Tuttavia,
i critici sostengono che sono necessarie regole più severe.
Conclusioni.
Esiste
una campagna globale chiamata “Stop Killer Robot” che cerca di vietare le armi
autonome letali, come gli sciami di droni.
Diversi
attivisti e funzionari di alto profilo (come il segretario delle Nazioni Unite “Antonio
Guterres”), nonché governi (come quello della Nuova Zelanda) sostengono che le
armi autonome sono profondamente immorali, perché danno alle macchine il
controllo sulle decisioni di vita e di morte e potrebbero danneggiare in modo
sproporzionato le comunità emarginate a causa di pregiudizi algoritmici.
Sciami
di migliaia di droni autonomi, ad esempio, potrebbero essenzialmente diventare
armi di distruzione di massa.
Limitare
queste tecnologie sarà una battaglia in salita, perché l’idea di un divieto
globale ha incontrato l’opposizione di Stati Uniti, Francia e Regno Unito
(membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU).
In definitiva, la nuova era dell’intelligenza
artificiale impiegata in campo militare solleva una serie di difficili
questioni etiche a cui non abbiamo ancora una risposta.
Verso
un nuovo globalismo
Decentralizzato.
It.linkedin.com
- Pierluigi Casolari – (5 lug. 2022) – ci dice:
(Founder
of 5 startups (1Exit) now working as acceleration manager in CDP accelerator
FAROS and as startup CEO mentor and coach).
Yuval
Noah Harari non ha bisogno di presentazioni.
In
questa intervista per il “TED” del 2017 spiega molto bene la contrapposizione
sociale di questi anni come contrapposizione tra globalismo e nazionalismo.
Fino
al 2016, dice Yuval, ha retto l'idea originaria della globalizzazione. Ovvero
che i mercati dovevano essere globali e meno regolamentati possibile.
Ma nel 2017 sono accadute una serie di cose
che hanno messo profondamente in discussione l'idea di globalizzazione.
Negli
Stati Uniti è stato eletto Donald Trump - che aveva opinioni fortemente
contrarie alla globalizzazione senza frontiere.
E nel giugno dello stesso anno, l'Inghilterra
ha votato per uscire dall'Europa.
In
pratica, la globalizzazione non era più l'unica forza dell'occidente.
Stavano
nascendo dei nuovi nazionalismi.
Partiti, movimenti e ideologie che si richiamano alla
nazione, alle tradizioni locali e che hanno come nemico giurato proprio la
globalizzazione.
I
nazionalismi di nuova generazione, secondo Harari, non hanno nulla a che fare
con i nazionalismi guerrafondai del novecento.
Ma
presentano un profilo populista e negazionista dei principali problemi
mondiali.
Tendenzialmente
i nazionalismi non credono nel “Climate Change” e non ritengono che ci sia un
problema mondiale di materie prime.
Il
motivo per cui non credono in queste grandi problematiche è, secondo Harari,
perché non hanno risposte efficaci.
Allo stesso modo non credono nel crollo dei
posti di lavori causati dall'automazione e dall'intelligenza artificiale, e
fondamentalmente non hanno creduto alla gravità del Covid, perché si tratta in
ogni caso di problemi che possono essere affrontati solo a livello mondiale.
È
impossibile affrontare il problema ambientale a livello di singola nazione.
È
impossibile avere impatto sull'ambiente a livello di singola e specifica area
geografica.
Ed è
impossibile affrontare il problema della perdita del lavoro e del reddito
universale a livello di singoli stati.
È
evidente che servono risposte globali.
Ma se
non riconosco valore in una sorta di governo mondiale è evidente che farò di
tutto per evitare di evidenziare problemi che invece sorgono a livello
mondiale, perché ipso facto questi problemi giustificano una governance globale.
Ma
questo non significa tuttavia che i nazionalismi non abbiamo valore.
Né che
i problemi mondiali possano essere affrontati solo a livello
dell'organizzazioni guidate dai paesi occidentali.
Ma c'è
un altro tema fondamentale.
Dobbiamo
per forza decidere tra nazionalismi e globalismi?
È una
scelta obbligata?
In
primo luogo non è necessario scegliere tra queste due opzioni.
Come
dice Harari noi possiamo operare a più livelli.
Possiamo
ritenere che gli stati svolgano un ruolo fondamentale su molteplici aspetti
della vita civile, ma che servano risposte globali su specifiche problematiche.
E dunque i due modelli possono convivere.
Ma
soprattutto potremmo non essere allineati a queste specifiche forme di
globalismo e di nazionalismo.
Harari
mi ha convinto che i problemi più sfidanti del nostro tempo richiedono
strategie globali.
Però
non credo che la forma che hanno gli attuali globalismi sia idonea per
risolvere gli attuali problemi.
Oggi il globalismo si regge su organizzazioni molto
potenti (ONU, OMS) e strategico programmatiche (WEF) che definiscono l'agenda
delle priorità internazionali.
Queste strutture da un lato riflettono la
potenza degli stati nazionali (ONU e OMS) oppure, è il caso di WEF, riflettono
le élite finanziarie e industriali che hanno guidato il mondo degli ultimi
decenni.
Su
questo punto scatta una riflessione importante.
Le stesse élite, il cui modello economico finanziario
ha portato il mondo sull'orlo di una crisi irreversibile e che nel corso degli
ultimi decenni hanno ipso facto governato il mondo secondo logiche predatorie e
distruttive, perché dovrebbero essere le principali voci di rinnovamento del
mondo?
A che
titolo stanno definendo l'agenda dello sviluppo sostenibile?
È
evidente dunque che dovremmo provare a costruire un globalismo diverso:
tecnologico e decentralizzato.
Che
risponde a differenti priorità e differenti ragioni, rispetto a quello elitario
del “World Economic Forum” e statalista delle “Nazioni Unite”.
Un
globalismo delle persone, guidato dalle persone e per le persone.
Contro tanto il nazionalismo luddista quanto
il globalismo delle élite industriali e finanziarie.
“Mondo
capovolto.”
Corriere.it
- SARA GANDOLFI – (20 aprile 2023) – ci dice:
Notizie
dal sud del pianeta.
La
Newsletter del Corriere della Sera.
Questa
settimana parliamo del tempo che farà.
Dalle
coste dell’Ecuador, probabilmente nella seconda metà dell’anno, partirà un
fenomeno naturale che rischia di scatenare una nuova febbre della Terra.
Sta
tornando El Niño, fenomeno climatico periodico che si verifica nel Pacifico
centrale, in media ogni cinque anni, e consiste in un anomalo riscaldamento
delle acque oceaniche.
Agli
addetti ai lavori basta il nome per capire che qualcosa di grosso si sta per
scatenare, anche se è difficile stabilire dove e con quale intensità.
«Nel
sistema climatico, El Niño è il re.
Quando indossa la sua corona infuocata,
l’intero pianeta se ne accorge», avverte su “The Conversation” “Dillon Amaya”,
climatologo della statunitense “National Oceanic and Atmospheric
Administration”.
Rallenta
o addirittura può invertire il flusso umido dei venti alisei che corrono dalle
coste del Panama verso l’Indonesia, provocando siccità in Australia e Asia e
piogge torrenziali nei Paesi sudamericani che affacciano sul Pacifico.
Ma è
in grado di condizionare il clima dell’intero globo.
Stavolta
l’uomo non è la causa scatenante dell’instabilità climatica. Tutto ebbe inizio
quando alcuni pescatori sudamericani raccontarono ad uno scienziato di uno
strano riscaldamento delle acque costiere che si verificava ogni tanto intorno
a Natale.
Lo chiamavano El Niño, in onore del Bambin
Gesù, che America latina si chiama appunto El Niño.
Quest’anno
arriverà prima:
la
maggior parte dei modelli di previsione concordano sul fatto che il più grande
attore del sistema climatico tornerà entro luglio, dopo quasi quattro anni di
assenza.
L’anomalo
riscaldamento delle acque del Pacifico — fino a 3-4°C sopra la media nei casi
più estremi— rallenta la corrente marina di “Humbold”, ossia il flusso freddo
che dalle acque dell’Antartico si muove verso Nord, fino all’Ecuador.
Ed è
un problema anche per la fauna ittica, perché la corrente calda, povera di
elementi nutritivi, sostituisce la corrente fredda che favorisce invece la
risalita del plancton dalle acque profonde dell’Oceano, garantendo grandi
quantità di cibo ai pesci.
«Le temperature oceaniche globali sono già a
livelli record, quindi le ondate di calore marine indotte da El Niño potrebbero
spingere molte attività di pesca sensibili a un punto di rottura», avverte “Dillon
Amaya”.
Sulla
carta El Niño ha la forza e intensità per poter modificare la circolazione
atmosferica planetaria, quindi di influenzare la temperatura e le
precipitazioni in tutto il mondo, Europa e Italia compresi.
«È la più importante variabile climatica,
tipicamente porta a massimi di temperatura a livello globale.
Ci
aspettiamo fra il 2023 e il 2024 nuovi record», ci ha detto “Carlo Buontempo”,
direttore del “Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus” (il
programma di osservazione satellitare dell’Unione europea) in occasione
dell’uscita oggi del rapporto annuale “The European State of the Climate”.
«A
livello europeo, le previsioni sono più incerte, ma il trend è comunque di una
temperatura in continuo aumento».
Il Met
Office britannico ha prodotto una serie di mappe sugli effetti globali di El
Niño come quella qui sopra, che mostra come anche in Europa il fenomeno può
provocare una “tendenza ad un aumento delle temperature” (colore giallo).
I
modelli di previsione più recenti preannunciano che El Niño si svilupperà nei
prossimi sei-nove mesi, aumentando il rischio di ondate di calore marino da
gennaio a marzo del 2024 per la costa occidentale degli Stati Uniti, l’Oceano
Indiano occidentale, il Golfo del Bengala e l’Nord Atlantico tropicale.
Ma è ancora presto per avere certezze, l’unica
cosa sicura è che il Bambino sta nascendo.
A
seguire, un approfondimento di “Alessandra Muglia” sulla guerra civile in Sudan
e sul burattinaio che ne muove i fili, “Carlo Baroni” sulla «neutralità»
strategica del Sudafrica, il “Taccuino Luci & Ombre” di “Guido Olimpio “che
ci porta anche in Ecuador, dove è in corso una spietata guerra fra bande,
l’intervista di” Virginia Nesi” al fotografo “Eduardo Longoni”, che immortalò
la lotta delle “Madri di Plaza de Mayo” contro la dittatura argentina, la “Cleopatra
nera di Netflix “che sta facendo infuriare gli egiziani e tante altre notizie.
Buona
lettura.
Sudafrica:
il gioco pericoloso dei leader formati nelle scuole dell’Urss.
Il
presidente del Sudafrica “Cyril Ramaphosa” ha ricevuto il ministro degli Esteri
russo Sergei Lavrov a Pretoria lo scorso 23 gennaio, editorialista.
CARLO
BARONI.
Già
schierati dalla parte di Mosca magari ancora no.
Ma
neanche decisamente contro la Russia.
La
loro è una posizione da non allineati, come ai tempi della Guerra fredda.
Che
poi neutrali non si è mai del tutto.
Infatti
Sudafrica e Botswana mostrano più di un’attenzione a tenere buoni rapporti con
Putin.
Al
punto da preoccupare la Casa Bianca.
La
classe dirigente che guida il Sudafrica ha un passato di contiguità con quella
che era l’Unione Sovietica.
Tutti
o quasi i suoi attuali leader si sono formati all’università Lumumba di Mosca.
Affinità
politico-ideologiche che oggi sono diventate economiche.
La
Russia fornisce energia, grano e fertilizzanti: e armi al Sudafrica. Risorse
fondamentali per disinnescare sul nascere crisi sociali dagli esiti
imprevedibili.
La
leadership del Sudafrica non si è ancora stabilizzata tra presidenti corrotti e
qualità della vita in veloce deterioramento.
Di recente c’è stata un’esercitazione
congiunta di forze navali russe e cinesi nelle acque sudafricane.
Subito
derubricata a iniziativa di routine da parte dei vertici Città del Capo.
Di
certo le forze armate sudafricane hanno mostrato più di una falla e rischiano
di diventare dipendenti da Mosca.
Può
anche darsi che il Sudafrica giochi di sponda con la diplomazia.
Non
lasciandosi preclusa nessuna opzione.
L’apertura
a Mosca non significa chiudere la porta all’Occidente ma, magari, spingerlo, a
concessioni ed investimenti maggiori.
Il
Paese vuole tornare a contare.
Un ago della bilancia che può decidere la
partita delle grandi potenze in tutta l’Africa.
Un
gioco pericoloso che potrebbe portare a un nuovo genere di colonizzazione.
Non
meno avida di quella da cui il continente è uscito solo alla fine del secolo
scorso.
(Il
colombiano Petro intercede per Maduro in Usa: via le sanzioni.
Il
presidente colombiano Gustavo Petro a Washington.)
(s.g.)
Il
presidente colombiano “Gustavo Petro”, attualmente in visita ufficiale negli
Stati Uniti, intende chiedere oggi al presidente “Joe Biden” di revocare le
sanzioni imposte al Venezuela.
«Quello che stiamo cercando è l’apertura di un
canale umanitario, la possibilità per il Venezuela di recuperare la sua
economia», ha detto Petro in un’intervista al quotidiano El Colombiano.
Il
prossimo martedì, 25 aprile, si terrà a Bogotà una conferenza internazionale
incentrata sulla situazione politica in Venezuela. Convocata da “Petro”,
ufficialmente ha come obbiettivo la promozione del dialogo interno e dei
negoziati in corso tra il governo di “Nicolás Maduro” e l’opposizione
venezuelana.
Alla
conferenza sono attesi delegati provenienti dagli Stati Uniti, da diversi Paesi
dell’Unione Europea e da altre nazioni dell’America Latina.
Il ministro degli Esteri” Álvaro Leyva” ha
sottolineato che lo scopo dell’incontro è di normalizzare la situazione in
Venezuela attraverso un dialogo efficace tra le parti e di assicurare che le
elezioni previste per il 2024 in Venezuela abbiano le dovute garanzie e
trasparenza.
Il “governo
Maduro” ringrazia “Petro” e avverte che «sarà possibile avanzare nel dialogo
solo una volta annullate tutte le misure coercitive unilaterali», che sono
«contrarie al diritto internazionale».
Su
Twitter, la piattaforma preferita di “Petro” per comunicare, il leader
dell’opposizione “Juan Guadò” ha però messo in dubbio le buone intenzioni del
presidente colombiano:
«Perché
non ci siano sanzioni, abbiamo bisogno del 100% di democrazia, il fatto che non
ce l’abbiamo è la causa delle sanzioni.
La
democrazia si costruisce con azioni concrete, non con le parole».
Vladimir
Putin, il terzo uomo della guerra in Sudan.
Il
comandante delle “Rapid Support Forces” (Rsf) “Mohamed Hamdan Dagolo” ,editorialista.
ALESSANDRA
MUGLIA.
Dopo
trent’anni di regime e quattro di transizione militare, la democrazia in Sudan
resta più che mai un miraggio.
Il conflitto in corso tra le forze di
sicurezza, giunto ormai al sesto giorno, ha mandato in fumo i piani per
l’insediamento di un governo civile e fatto deragliare il progetto di indire
elezioni regolari sostenuto dall’Occidente.
Ma a contendersi il futuro di questo gigante
africano non ci sono soltanto i due generali un tempo alleati per rovesciare il
dittatore Omar Bashir.
Ci
sarebbe anche un terzo personaggio dietro le quinte di questa lotta per il
potere in corso tra il leader della giunta militare “Burhan” che guida
l’esercito e il suo vice “Dagalo”, l’ex signore della guerra del Darfur ora a
capo delle forze paramilitari Rsf:
è
Vladimir Putin.
Lo zar
esercita già la sua influenza su gran parte del “Sahel” attraverso i
paramilitari di “Wagner”, dal Burkina Faso al Mali, dal Ciad alla Libia.
Con
truppe sul campo e un’aggressiva propaganda digitale, il gruppo guidato da “Prigozhin”
è diventato una delle forze più potenti del continente, alleandosi con leader
politici e milizie in guerra in cambio di denaro o redditizie concessioni
minerarie.
In
Sudan “Mosca appoggia i ribelli delle Rsf” con cui condivide lauti affari
nell’estrazione dell’oro, attraverso i paramilitari della Wagner, per quanto il
suo leader ieri sia tornato a smentire la sua presenza in Sudan.
Proprio il rifiuto delle Rsf di essere
integrate in tempi brevi nell’esercito regolare sudanese in vista della
transazione democratica sarebbe stata la miccia all’origine del conflitto.
Un
rifiuto che si spiega con il timore di “Dagalo” di perdere potere, soprattutto
economico.
Nel
novembre 2017, il generale ha utilizzato i suoi uomini per prendere il
controllo delle miniere d’oro nella regione del Darfur.
Oggi
oltre l’82% delle risorse pubbliche nel Paese sono nelle mani di partecipate
riconducibili in gran parte alle “Rsf” o a “Dagalo” stesso.
L’ex
signore della guerra è stato collegato agli sforzi russi per estrarre enormi quantità
di oro dal Sudan:
è emerso che alcune società minerarie
riconducibili alla “Meroe Gold”, una sussidiaria del “gruppo Wagner” sanzionata
da Usa e Ue, operano con aziende appartenenti agli asset economici delle “Rsf “come
“Aswar Multi Activities”.
L’oro sudanese ha contribuito così a
finanziare l’invasione dell’Ucraina: non stupisce che “Dagalo” fosse a Mosca
quando è iniziata l’”operazione speciale”.
Ecuador
assediato dalla guerra fra bande criminali.
Soldati
all’esterno della prigione di Guayas
dopo che sei detenuti sono stati trovati impiccati all’interno di un
padiglione a Guayaquil, in Ecuador, il 12 aprile 2023, editorialista.
GUIDO
OLIMPIO.
Ecuador
è sotto assedio.
Frequenti e sanguinose le rivolte nelle
prigioni con scontri tra detenuti rivali, estensione delle faide nelle strade e
nelle città.
L’11 aprile un commando di sicari legati alla
fazione dei “Tiguerones” ha attaccato il porticciolo di “Esmeraldas”.
Nove
le vittime.
I
killer, come documentato da un video, sono arrivati a bordo di motoscafi,
un’incursione quasi da corsari.
Secondo
la polizia è un episodio della guerra che oppone questa organizzazione ai “Patones”,
network rivale alleatosi con gang locali e i “Chonero”s, ritenuta la più
importante realtà criminale.
Come
segnale “Insight Crime” non si tratta di demarcazioni nette in quanto alcune
delle alleanze sono state smentite.
Ma ciò
che più allarma sono le connessioni con i cartelli messicani. “Sinaloa” si
appoggia ai “Chonero”s mentre “Jalisco Nueva Generacion” è in affari con i “Tiguerones”.
E c’è
spazio anche per i clan albanesi che agiscono con i gangster noti come gli
“alligatori”.
Il
Paese è punto di transito per la cocaina prodotta in Colombia e Perù, droga
destinata al mercato europeo.
Tutto
questo trasforma il territorio in arena e innesca poi regolamenti di conti.
La
polizia è insufficiente, i porti sono sprovvisti di scanner e i controlli sono
“manuali” con l’aiuto di unità cinofile.
Come
sempre alla componente “economica” si possono aggiungere dispute più personali
tra i boss locali.
Media
locali ritengono che il massacro sia stato coordinato da un bandito noto come “Papà”,
una rappresaglia all’uccisione di “Ricky Palomino Clavijo”, alias “Lele”, uno
dei leader dei “Tiguerones”.
Delitto
avvenuto l’11 marzo.
L’INTERVISTA.
Il fotografo di Plaza de Mayo: «I governi
totalitari hanno delle crepe, bisogna saperci entrare per farle cadere»
Il
processo ai militari della giunta argentina nel 1985, VIRGINIA NESI.
Quando
durante la dittatura argentina (1976-1983) il governo de facto avvia quello che
i militari chiamano il «Processo di Riorganizzazione Nazionale» contro la
sovversione, “Eduardo Longoni” si ritrova con amici desaparecidos e una
macchina fotografica in mano per ribellarsi al regime.
All’inizio
lavora all’agenzia “Noticias Argentinas”solo per pagarsi l’Università (che
lascerà tre anni dopo):
«Volevo
diventare uno storico, poi ho smesso di studiare documenti per provare a
produrli».
L’obbiettivo
diventa la barriera più efficace:
«Le Madri di Plaza de Mayo mi chiedevano le
foto per spedirle e pubblicarle all’estero».
Quarant’anni dopo la fine della dittatura, il
fotografo argentino mette in fila i fotogrammi e parla per immagini.
Descrive
due scatti simbolici: «In uno si vede una Madre investita dai cavalli della
polizia e rappresenta le barbarie della dittatura.
Nell’altro,
gli sguardi dei militari, di chi si macchiava le mani di sangue, e memorizza la
paura della società».
Lei
paura non ne aveva?
«Tutti
ne abbiamo avuta, dal 24 marzo 1976 al 10 dicembre 1983. Ma avevo 20 anni e la
gioventù ti dà una certa incoscienza mentre lavori. Mi sentivo eterno, pensavo
che non mi sarebbe successo niente con la macchina fotografica: menzogna».
Che
intende dire?
«Tanti
giornalisti sparirono. Ma la paura non mi paralizzava, anzi, mi spingeva a fare
di più. La tragedia vera e propria non l’abbiamo saputa fino all’inizio del
processo alla giunta militare».
A cosa
si riferisce?
«Penso
alle testimonianze dei sopravvissuti ai centri clandestini. Il primo giorno del
processo (22 aprile 1985 ndr.) ero l’unico fotografo in aula. Ricordo quei
momenti come un viaggio all’inferno.
La gente raccontava come era stata sequestrata
e torturata.
La mia
foto ai governatori militari sul banco degli imputati è stata l’unica che ho
fatto piangendo perché non potevo credere che quegli assassini stessero per
essere processati».
Lei ha
fotografato anche “Jorge Videla”.
«Sì,
ma non ci ho mai parlato. Era un assassino, si sentiva un essere superiore, il
salvatore del Paese. La foto più importante che ho scattato lo ritrae mentre si
arrende davanti alle truppe dell’esercito durante il governo di “Alfonsín”.
Nell’immagine,
fondamentale per il processo, ci sono due dei quattro desaparecidos fatti
sparire nei primi anni della democrazia».
Allora
cosa significava scattare?
«Posso
dirle che ho fotografato presidenti, scrittori come “Saba”, “García Márquez”,”
Fuentes”, calciatori come “Maradona”, eppure le mie foto più significative
hanno a che vedere con i diritti umani.
Durante
la dittatura, fare foto era diventato il mio modo per denunciare quella
situazione, schierarmi, omaggiare i desaparecidos».
Molte
sue foto non sono state pubblicate.
«Ma ne
è sempre valsa la pena: i governi più duri e totalitari hanno delle crepe,
bisogna saperci entrare per farle cadere.
A
volte sembra che i popoli perdano la memoria e quando succede possono
commettere errori.
In Argentina la dittatura resta una ferita
aperta».
IL
TACCUINO “Ombre & Spie”
Il
generale Henry Sanabria.
Editorialista,
GUIDO OLIMPIO.
Colombia.
Il generale” Henry Sanabria”, comandante della
polizia, ha perso il posto.
L’alto ufficiale, molto religioso, aveva
spiegato in un’intervista di aver combattuto il crimine con le preghiere e
l’esorcismo dicendosi «certo dell’esistenza del diavolo».
Il
presidente “Gustavo Petro” pare che non abbia gradito.
Avviso
ai naviganti.
Il 29
marzo ha attraccato nel porto di “Durban”, Sud Africa, la Yuan Wang 5.
Le autorità locali l’hanno definita nave per ricerche,
in realtà è un’unità cinese in grado di tracciare missili e svolgere compiti di
intelligence.
I rapporti tra Pechino e i sudafricani sono sotto
osservazione da parte degli occidentali.
Poco
prima dell’invasione in Ucraina hanno svolto esercitazioni con la
partecipazione anche dei russi.
Nella
guerra civile sudanese ci sono molti attori esterni che seguono fa vicino con i
loro servizi di intelligence.
Egiziani
al fianco dei governativi del generale “Abdel Fattah Burhan”. “Israele” ha
ristabilito i rapporti con” Khartum”.
Russi, Emirati, sauditi hanno simpatie per le
milizie del generale Mohammed Dragalo.
Grande attenzione da parte dell’Etiopia che ha
contesa sulle acque sul Nilo con i sudanesi/egiziani e potrebbe aiutare Dragalo.
Nota:
sugli schieramenti girano molte notizie da prendere con cautela.
“Josè
Lopez Portillo”, presidente del Messico dal 1976 all’82, sarebbe stato un
informatore della “Cia”.
Lo
sostengono documenti americani de-secretati relativi a “Lee Oswald”, il
presunto assassino di John Kennedy a Dallas.
I
contatti con l’agenzia risalirebbero ad un periodo precedente alla sua
elezione.
L’uomo
politico è deceduto nel 2004.
Tutti
contro il Partito Colorado (e il suo presidente “corrotto”) in Paraguay.
Campagna
elettorale nel quartiere di Santa Ana ad Asuncion, Paraguay.
(s.g.)
Domenica
30 aprile, il Paraguay eleggerà un presidente per i prossimi cinque anni, 17
governatori, 45 senatori e 80 deputati.
I principali contendenti sono “Efraín Alegre”
(Concertación para un Nuevo Paraguay) e “Santiago Peña”” dell’Asociación
Nacional Republicana, conosciuto come Colorado”, il partito conservatore e
nazionalista che governa il Paese dal 1947 — sia con esecutivi civili che
militari — ad eccezione del periodo in cui governò il progressista “Fernando
Lugo”, tra il 2008 e il 2012, poi deposto per impeachment.
Il “Partito Colorado” sostenne politicamente
anche la “dittatura di Alfredo Stroessner”, fra il 1954 e il 1989.
L’attuale presidente” Abdo Benítez” è figlio
dell’ex segretario privato di Stroessner e crebbe all’ombra del dittatore.
“Pena”
è un ex ministro delle Finanze e la sua campagna si è concentrata sulla lotta
all’insicurezza e sulla difesa dei valori tradizionali della famiglia.
Uscito vincitore da un’aspra battaglia interna
al partito, il suo “mentore” politico è l’ex presidente “Horacio Cortes”,
attuale presidente del partito e indagato negli Stati Uniti per atti di
corruzione.
“Alegre”,
presidente del “Partito Liberale Radicale Autentico”, guida invece una
coalizione di 14 partiti di opposizione il cui obbiettivo unificante è porre
fine al monopolio politico del “Partito Colorado”.
È la terza volta che si candida alla
presidenza.
Chi
vincerà, erediterà un Paese con un debito elevato, povertà, corruzione, una
forte disuguaglianza sociale, insicurezza e la criminalità del narcotraffico.
Ma
l’economia del Paraguay sta crescendo a un buon ritmo e questo fa ben sperare
per il futuro.
L’odissea
dei barconi di migranti fuori rotta nell’Atlantico.
La
T-shirt appartenuta ad uno dei naufraghi del barcone finito a Tobago.
(Guido
Olimpio) Un’inchiesta
dell’Associated Press su una pagina tragica.
È il 28 maggio del 2021, alcuni pescatori
scoprono nelle vicinanze della costa di Tobago, Caraibi, un barcone.
All’interno
tre teschi, ossa, una dozzina di cadaveri, hanno la pelle scura, sono
certamente africani.
Ci
vorrà del tempo ma lavorando sui pochi reperti – “sim card” dei telefonini,
dettagli degli abiti, successive testimonianze – alla fine emergerà una
risposta.
Le vittime erano dei migranti partiti dal
porto di “Nouadhibou”, “Mauritania”, e diretti verso le “Canarie”.
Solo che il loro viaggio si è trasformato in
un dramma, il battello è finito dall’altra parte dell’Atlantico e non hanno
avuto alcuna possibilità di sopravvivenza.
I
giornalisti dell’”Ap”, dopo due anni, hanno identificato hanno ricostruito le
identità di 33 dei 43 che erano a bordo.
Tra
loro “Alassane Sow”, 30 anni, originario del “Mali”.
Ha
lavorato come guardiano in una cittadina mauritana ed ha guadagnato i 1500
dollari necessari per pagare i trafficanti.
Voleva
raggiungere la Francia dove vivono alcuni suoi parenti.
Invece è morto insieme ai suoi compagni.
L’arrivo
di barche fuori rotta non è purtroppo raro.
Dati
riferiti al 2021 raccontano che ne sono arrivate una mezza dozzina tra Brasile
e Caraibi.
Nessuno
sa però quante altre saranno affondate.
La
Cleopatra nera di Netflix fa infuriare gli egiziani
(Sara
Gandolfi)
La
serie Netflix «Africa Queens», che ritrae la regina Cleopatra come un’africana
nera (qui il trailer ufficiale), ha suscitato aspre polemiche in Egitto,
riporta la “Bbc”.
Un
avvocato ha già presentato una denuncia accusando la produttrice “Jada Pinkett
Smith”, moglie dell’attore “Will Smith”, di voler «cancellare l’identità
egiziana».
Un
importante archeologo ha insistito sul fatto che Cleopatra fosse «di pelle
chiara, non nera».
L’attrice che la interpreta, “Adele James”, ha
risposto piccata ai critici via twitter:
«Se
non ti piace il casting, non guardare lo spettacolo».
Cleopatra
nacque nella città egiziana di Alessandria nel 69 a.C. e divenne l’ultima
regina di una dinastia di lingua greca fondata dal generale macedone di
Alessandro Magno, Tolomeo.
Successe
al padre Tolomeo XII nel 51 a.C. e governò fino alla morte nel 30 a.C.
Successivamente
l’Egitto cadde sotto il dominio romano.
L’identità
della madre di Cleopatra non è nota e gli storici affermano che è possibile che
lei, o qualsiasi altra antenata femminile, fosse un’egiziana indigena o
proveniente da altre parti dell’Africa.
«Dato
che Cleopatra si definiva come un’egiziana, sembra strano insistere nel
dipingerla come interamente europea», afferma “Sally Ann Ashton”, un’esperta
intervistata nella serie.
«Cleopatra regnava in Egitto molto prima
dell’insediamento arabo in Nord Africa.
Se il lato materno della sua famiglia fosse costituito
da donne indigene, sarebbero state africane, e questo dovrebbe riflettersi
nelle rappresentazioni contemporanee di Cleopatra».
La
produttrice” Jada Pinkett Smith” è anche la voce narrante della docu-serie.
«Con
questo progetto volevo davvero rappresentare le donne nere», spiega” Pinkett
Smith” sul sito di Netflix.
«Non vediamo o ascoltiamo spesso storie sulle
regine nere, e questo è stato davvero importante per me, così come per mia
figlia.
La parte triste è che non abbiamo un facile
accesso a queste donne storiche che erano così potenti ed erano la spina
dorsale delle nazioni africane».
(Grazie
a tutti per la lettura.)
IL
PROF. MALOBERTI:
“L’INTELLIGENZA
ARTIFICIALE
È UNA
BOLLA TECNOLOGICA,
L’ILLUSIONE
FINIRÀ PRESTO.”
Comedonchisciotte.org
-Jacopo Brogi – (27 Dicembre 2023 ) – ci dice:
Secondo
lo studioso recentemente premiato con la laurea honoris causa dall'Università
di Macao per i suoi risultati nel campo della microelettronica e per
l'eccezionale contributo allo sviluppo di nuove e avanzate tecnologie "L'”A”I
sta uccidendo il lavoro".
E sul
nostro declino:
“L'Occidente
deve i suoi successi al lavoro e alle risorse di Cina e India e oggi vive il
problema dell'impoverimento di capacità tecnico scientifiche”.
IL
PROF. MALOBERTI: “L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE È UNA BOLLA TECNOLOGICA,
L'ILLUSIONE FINIRA' PRESTO.
MA STA
UCCIDENDO IL LAVORO”.
Il
Prof. Franco Maloberti, professore emerito del “Dipartimento di Ingegneria
Industriale e dell’Informazione dell’Università di Pavia”, è uno di quegli
italiani d’eccellenza, celebri nel mondo.
Ovviamente non occupa le trasmissioni televisive di
casa nostra o i giornaloni mainstream, perché la sua storia personale e ciò che
dice obbliga a guardarsi allo specchio come Paese, sempre più di periferia
nella gabbia dell’anglosfera dominata dalle “Corporation”, sfacciatamente in
declino nonostante lustrini e paillettes digitali profusi H24.
Sappiamo
tutti che è ormai praticamente impossibile pensare ad una società di massa
senza computer, smartphone, o senza elettronica in genere.
Anche il portale web che state attualmente
utilizzando per leggere questo articolo, in fondo in fondo, si basa sulla
microelettronica.
E
quindi non abbiamo alternativa: cerchiamo di capirne di più. Scopriremo che l’Occidente è in crisi
anche sul piano tecnologico, cioè dove si sta giocando il destino del mondo.
La
tanto sbandierata supremazia angloamericana sta per finire? L’Intelligenza
Artificiale davvero soppianterà l’essere umano?
Il
Prof. Maloberti ha appena ricevuto, il 2 dicembre scorso, la “laurea honoris
causa dall’Università di Macao” in riconoscimento dei considerevoli risultati
nel campo della microelettronica e dell’eccezionale contributo allo sviluppo di
nuove e avanzate tecnologie.
Prima
di lui, tra gli altri, il premio è andato anche al connazionale “Mario Capecchi”
Premio Nobel per la medicina;
alla
Prof.ssa “Ada Yonath” Nobel per la chimica; al “Prof. J. Stiglitz”, Nobel per
l’economia.
Professore,
innanzitutto complimenti per il grande risultato personale e grazie per aver
accettato questa intervista.
Che effetto le fa questa onorificenza e perché
Macao?
Ricevere
il titolo di “dottore in scienze honoris caus”a è una grande soddisfazione
anche perché l’assegnazione non è solo per meriti scientifici che, ritengo,
sono buoni ma non eccezionali, ma anche perché l’”Università di Macao”, che
occupa una buona posizione nel “ranking THE”, è la sede del ‘mio’ “State Key
Lab” un laboratorio di ricerca microelettronica che in una dozzina di anni è
diventato uno dei primi al mondo.
Dicevo ‘mio’ perché ho aiutato il mio amico “Rui
Martins,” Vice rettore, nella difficile approvazione del Ministero dell’Educazione cinese per
avere l’etichetta “State Key Lab,” “laboratorio statale chiave” per la microelettronica.
Poi,
per dodici anni, come “Chair dell’advisory committee”, ho assistito alla
travolgente crescita scientifica di quel laboratorio che ha superato ogni
università americana ed europea.
In
verità, non penso che il mio contributo a quel successo sia rilevante, ma, a
quanto pare, l’università e i suoi gestori la pensano diversamente, dato che
ora mi onorano con questo titolo.
Ho
conosciuto “Rui Martins” una quarantina di anni fa quando era uno studente di
dottorato a Lisbona.
Il suo
relatore, che incontrai a un meeting, non aveva la possibilità di costruire
circuiti integrati.
Gli offrii una parte dell’area di silicio che mi era
stata assegnata, e lui mandò il suo studente a Pavia per un mesetto circa per
fare un progetto. “Rui”, dopo il dottorato, è andato a Macao, allora colonia
portoghese, ad insegnare nella locale università.
Nel
1997 ero a Hong Kong a un congresso e Rui mi invitò per una breve visita.
Iniziammo una collaborazione e dopo qualche
anno “Rui” sottopose al governo cinese, con un mio piccolo aiuto, la domanda
per avere l’etichetta di “laboratorio statale chiave”.
La domanda fu approvata e il laboratorio fu
finanziato con soldi del governo di Macao.
Fu
anche istituito un “Academic Committee“, ovvero un comitato di controllo e
indirizzo, e io ne diventai il presidente.
Questo da dodici anni.
A
parte gli eventi abbastanza casuali che mi hanno portato alla mia avventura in
Oriente, debbo dire che da quelle parti sono tenuto in grande considerazione,
direi amore.
La mia
regola di vita corrisponde al detto “io ti amo tempo presente; tu non mi
ami tempo perso” e, appunto a Macao ho trovato quell’amore, in senso scientifico, che non
c’è assolutamente in Italia.
Da noi
impegnarsi è tempo perso.
Ma questo è normale, l’Italia è un paese
maestro nella “distruzione distruttiva”, ovvero valorizza sempre i peggiori.
Un
modo di fare che non è però una esclusiva.
Forse anche in Spagna. Ricordo infatti quello
che mi disse un mio amico dell’”Università Carlo III di Madrid”:
“Se mi
daranno una onorificenza, mi guarderò allo specchio per chiedermi: cosa ho
fatto di male?”
Gli
Usa, ancora la prima superpotenza mondiale, a chi devono la loro supremazia
tecnologica tanto sbandierata?
L’assetto
USA nel settore della microelettronica è cambiato negli anni. In generale, i
giovani americani non vogliono impegnarsi nelle discipline microelettroniche.
Preferiscono
attività più remunerative.
Nelle
università, normalmente si fermano a livello di master e non fanno il PhD.
Io,
negli anni di mia permanenza negli USA, non ho mai avuto PhD americani.
Anche
tra i professori, di americani ce ne sono pochi.
Quello
che succedeva nel passato è che la chimera americana era un’attrazione per i
cervelli capaci di paesi poveri, Cina e India principalmente.
Sono
stati quei cervelli che hanno determinato la supremazia tecnologica.
Recentemente
decisioni USA non molto brillanti, in particolare le restrizioni ai visti di
permanenza, hanno ridotto il flusso di cervelli, e questo ancora prima che la
Cina lanciasse le sue iniziative tendenti al richiamo in Patria delle
intelligenze più brillanti.
Il
cinese “Thousand Talent Plan “del 2008 ha favorito parecchi ritorni, sia di
scienziati che di imprenditori.
Tra
questi, per inciso, c’è “Feng Ying” un mio studente di PhD di Dallas che
lavorava alla Texas Instruments e, nel 2012, è tornato in Cina.
Ha
cofondato la “start-up 3Peak” che ora ha quasi mille dipendenti.
La “Thousand
Talent Plan” è stata poi estesa a persone con meno di 40 anni ed ha fatto
tornare circa 7000 persone in 10 anni.
Cito
Feng perché marca la differenza tra la cultura orientale e la nostra.
Quando
ha saputo della cerimonia, Feng è venuto da Shanghai a Macao per congratularsi
e assistere;
ha poi invitato a cena me e la mia famiglia
nel miglior ristorante di Maca.
Lo ho
ringraziato, e lui mi ha risposto con un vecchio proverbio cinese: “Insegnante una volta, padre per
sempre.”
Il
Prof. Maloberti:
“L’intelligenza
artificiale è una bolla tecnologica, l’illusione finirà presto”.
Il
Prof. Maloberti con “Feng Ying” ed alcuni ricercatori dello “SKL-AMSV”.
Quindi,
il mito della tecnologia americana dove il progresso è incessante e infallibile
sembra scricchiolare:
eppure
i mass media ci inondano quotidianamente di messaggi futuristici e
avveniristici tanto che le “Corporation vincenti” ci mostrano un “Metaverso”
dove dovremmo presto vivere, mentre consumiamo da “Amazon e Netflix”,
vivacchiando a sussidio.
L’anglosfera
rischia di rimanere indietro pure come progresso tecnologico?
Sì,
l’impoverimento di capacità tecnico scientifiche in Occidente è un problema che
avrà, se non lo ha già, un grosso impatto nella produzione di prodotti
elettronici avanzati.
Il
problema riguarda anche l’Europa?
La
problematica riguarda anche, pur in modo minore, l’Europa.
Le competenze tecnico scientifiche nel settore
della microelettronica europea sono di eccellenza analogica.
La competenza digitale è invece americana che
domina il mercato dei microprocessori e dei DSP.
Le capacità analogiche sono importanti per i
sistemi.
Questi
interagiscono con il mondo reale che è analogico, e prevedono spesso l’uso di
sensori e processori analogici.
Inoltre,
servono circuiti per il controllo della potenza che, in molti casi, è per
sistemi portatili a livello micro.
Aziende
come l’italo-francese STM, Bosh, Siemens, AMS-Osram, per nominare le grandi,
hanno ancora una buona dotazione di progettisti, ma il flusso di nuovi cervelli
è scarso, anche perché aziende USA vengono in Europa con centri di
progettazione e competono nel reclutamento.
In
questo modo si riduce ulteriormente le disponibilità.
Gli
americani, come noto, hanno disponibili moltissimi di dollari ‘Fiat’ freschi di
stampa, e fanno una facile concorrenza.
Cosa
pensa dei contrasti tra Occidente e Cina sui chip avanzati?
La
battaglia per l’alta tecnologia tra Occidente, ma in particolare gli Stati
Uniti, e la Cina è ben nota.
Gli
sforzi occidentali per limitare l’avanzata tecnologica cinese sono di vecchia
data.
“Lady
Huawei”, la figlia del fondatore del gigante delle telecomunicazioni, è rimasta
agli arresti per circa tre anni a “Vancouver”.
Huawei
è stata la azienda più colpita, con numerosissime accuse di interferenza, molte
non verificate, e cause legali, con poche condanne.
Pratiche industriali scorrette sono certo frequenti,
ma questo vale per moltissime aziende, incluse, ovviamente, quelle occidentali.
Lo
spionaggio non è una esclusiva di una sola parte, anzi, come noto c’è stato lo
spionaggio alle telefonate di capi dei Paesi amici.
Comunque,
il feroce contrasto all’avanzata tecnologica cinese, che comprende il divieto
alla esportazione in Cina di prodotti e macchinari ad alta tecnologia, è un
boomerang.
Le
sanzioni hanno certamente danneggiato la Cina e frenato la sua crescita, ma ci
sono stati anche danni non piccoli alle imprese dell’Occidente.
Molte
aziende americane hanno infatti protestato con la loro amministrazione.
È innegabile che la Cina soffra delle
restrizioni ma, come accade a persone forti messe sotto pressione, queste
reagiscono e trovano soluzioni alternative.
In
questo caso, l’indipendenza tecnologica.
Certamente,
nel medio termine le prepotenze occidentali si riveleranno negative per
l’Occidente stesso.
Ricordiamo,
poi, che la Cina ha anticipato il problema.
Già
nel 2015 ha lanciato il progetto Made in China 2025, con una roadmap di 35
anni.
Con la
prima fase ha ottenuto una certa sicurezza tecnologica e, per i semiconduttori,
ha sviluppato una tecnologia per circuiti integrati (7 nanometri) che è
indietro di solo due generazioni, ovvero cinque anni di ritardo, rispetto alla
leader mondiale, la taiwanese TSMC.
Si
deve comunque dire che le tecnologie super-avanzate sono parzialmente
importanti: servono solo per quei prodotti che richiedono un’enorme quantità di
calcolo.
Per
molte applicazioni, incluse quelle militari, le tecnologie ordinarie sono più
che sufficienti.
La
decadenza dell’Occidente, che investe le sue principali istituzioni educative
in primis, è ormai talmente plateale da avere riflessi anche nel settore che,
all’apparenza, dovrebbe essere il volto della supremazia e della cultura
tecnologica?
In
aggiunta alle restrizioni imposte nel commercio di semiconduttori sono stati
lanciati due grandi programmi di finanziamento:
il “Chip and Science Act” americano, e
l’iniziativa” Chips for Europe”. Entrambe sono reazioni un po’ isteriche e
certamente tardive.
Non si
recupera il tempo perduto sbattendo sul tavolo centinaia di miliardi senza
un’accurata strategia.
Anzi le centinaia di miliardi sono
controproducenti.
Parte
del progetto americano è di incentivi alle industrie di semiconduttori, a patto
che non vendano ai cinesi.
Una
seconda frazione di quel gigantesco finanziamento va al “NSF” e alla “NASA”,
due istituzioni che poco sanno di microelettronica.
La NASA dovrebbe stabilire un programma per andare
dalla luna a Marte (sic!).
Il
progetto europeo parte da un regolamento, direi, allucinante:
è il
2023/1781 del 13 settembre 2023.
Il
documento sembra essere scritto da un gruppo di analfabeti microelettronici.
Ci
sono 82 considerazioni iniziali che sono prevalentemente banalità o peggio.
Poi ci sono disposizioni generali.
L’articolo
2, quello che fornisce le definizioni, è il più esilarante.
La
prima definizione riguarda il ‘semiconduttore’.
Io,
che ho insegnato fisica dei semiconduttori per alcuni anni, non ho mai trovato
uno studente così asino da definire il semiconduttore “un materiale, compresi i
nuovi materiali, elementare o composto, la cui conduttività elettrica può
essere modificata. “
Lo
sanno anche gli studenti del liceo che semiconduttore significa un materiale
con conduttività intermedia tra metallo e isolante!
Per essere più sofisticati, il semiconduttore ha un “energy
gap” nell’intervallo 0.5 – 3 eV (electron volt, ndr).
Non
contento, il suddetto articolo 2 fornisce una seconda, ancora più esilarante,
definizione:
“Un
componente costituito da una serie di strati di materiali semiconduttori,
isolanti e conduttori definiti secondo uno schema predeterminato e destinati a
svolgere funzioni elettroniche o fotoniche ben definite o entrambe “.
Che roba!
Anche le altre definizioni sono divertenti, ma
non al livello del semiconduttore.
Mi
chiedo, allora, come è possibile far decidere come usare 43 miliardi di euro,
pubblici e privati, a capre di questa portata?
Se poi
guarda lo schema a blocchi del progetto si scopre con ribrezzo che questo
privilegia strumenti di progettazione, per la gioia dei monopolisti americani
del settore che venderanno tante licenze software, e si appassiona a sviluppi
tecnologici avveniristici.
Vorrebbero
far diventare realtà i sogni dei tecnologi, senza alcuna considerazione delle
reali necessità e delle caratteristiche produttive dell’industria elettronica
europea.
Anche
la recente iniziativa italiana è di analoga assurdità.
Ma non
andiamo oltre…per descrivere questi sprechi e assurdità servirebbe ben più che
il tempo di una intervista.
Cosa
pensa dell’Intelligenza Artificiale, che la propaganda dà ormai come entità
superiore rispetto all’intelligenza umana?
L’essere umano è già inutile?
La mia
opinione sulla cosiddetta intelligenza artificiale, detta anche “AI”, è di
scarsa considerazione.
Non
voglio arrivare all’estremo di chiamarla deficienza artificiale ma,
francamente, quello che fa, non è molto intelligente.
Tradurre un testo è una cosa che un umano
istruito fa agevolmente, riconoscere un viso o la differenza tra gatto e cane,
lo stesso.
Scrivere
qualcosa in automatico è come fare un riassunto di roba esistente.
Guidare
un’auto?
Lo fa
anche una vecchietta di novant’anni.
Purtroppo,
e questo è l’effetto tristemente ovvio per cosa accade per ogni avanzamento
tecnologico, l’AI uccide posti di lavoro.
La
vera potenza della AI è il volume di dati esaminati, supposti disponibili, e la
velocità di esecuzione.
È
questo quello che interessa i governanti.
Avere
strumenti di controllo e verifica su un numero grandissimo di cose o persone.
La
convenienza per i cittadini comuni è marginale e, in alcuni casi, un impiccio.
Gli
algoritmi che vengono impiegati richiedono una mostruosa capacità di calcolo.
Servono allora tecnologie ultra-spinte con cui
realizzare processori di crescente complessità.
Se si valutasse la posizione dell’”AI” sul
diagramma di hype, direi che siamo sul “picco gonfiato di aspettazione”, tra
qualche tempo si passerà alla disillusione per raggiungere, direi tra una
decina di anni, al plateau di produttività.
Quindi,
io penso che l’AI sia una recente bolla tecnologica, come lo sono stati il DNA
e l’internet delle cose.
Comunque,
come tutti i circuiti elettronici, anche quelli dell’”AI” sono “senz’anima”.
Sono
un po’, ma non in modo così categorico, dell’idea di “Federico Faggin”,
l’inventore del microprocessore.
All’”AI”,
‘l’anima’ la costruisce il “computer scientist”, quello che scrive gli
algoritmi, ed il risultato, direi, è inesistente.
(Jacopo
Brogi - 27.12.2023)
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