Chi controllerà la “AI” avrà il “potere” sugli uomini non più liberi.

 

Chi controllerà la “AI” avrà il “potere” sugli uomini non più liberi.

 

 

 

I Politici? Solo dei burattini:

il Potere globale c’è l’ha

chi controlla i mercati.

Fronteampio.it - NATALE SALVO – (5 GENNAIO 2019) – ci dice:

 

Credete veramente che i potenti che guidano il pianeta siano i presidenti degli Stati Uniti, della Russia, della Francia o della Cina?

Credete veramente che il nostro Paese sia guidato da quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano la sera nei nostri TG con il prefisso On., o il suffisso Forza Italia, FDI, PD, Lega, Cinque Stelle?

Ebbene, vi siete sbagliati; tutti questi sono semplicemente le marionette di un altro Potere.

Solo se sappiamo chi possiede il vero potere, possiamo difenderci e replicare.

La rivista Fortune: la classifica delle aziende con maggiore potere economico.

La rivista americana “Fortune” elabora, da diversi anni, la classifica delle aziende mondiali con il maggiore fatturato.

 

“Global 500” – questo il nome della classifica – è indicativa per comprendere quali sono le aziende “peso massimo”;

quelle che operano sul mercato globale e hanno un fatturato superiore perfino a certi Stati europei o addirittura pari a quello di venti Stati africani messi assieme.

Tra i primi dieci posti di questa classifica troviamo cinque imprese petrolifere.

 Sono l’americana Exxon Mobil e l’inglese BP, dell’olandese Shell, le cinesi China National Petroleum e Sinopec.

Nel 2017 il fatturato di ciascuna di queste società oscillava tra i 244 e i 326 miliardi di dollari.

A questo punto ti è facile immaginare perché ogni anno le riunioni globali per ridurre il surriscaldamento del pianeta si concludono con un sostanziale “nulla di fatto”?

In classifica, poi abbiamo due grandi imprese automobilistiche: la tedesca Volkswagen e la giapponese Toyota, con 260-265 miliardi di dollari di fatturato.

Anche il peso di tali società sicuramente si fa sentire sui mass media e nelle “scelte” dei politici.

Infine, desidero segnalare che ai vertici di questa classifica c’è a anche un po’ d’Italia.

Mi riferisco alla finanziaria olandese l’”Exor Group” che fa capo alla famiglia Agnelli e che controlla, oltre la Fiat-Chrystel e la Ferrari, anche la società sportiva Juventus e il giornale londinese “The Economist”.

L’Exor Group, con un fatturato 2017 pari a 161 miliardi di dollari, si trova al diciottesimo posto della classifica di “Fortune Global 500”.

 

Quando Casaleggio pubblicò la “Mappa del Potere”.

Il miscuglio tra grandi società, quali la Exor, e il settore comunicazione non rappresenta l’eccezionalità.

La comunicazione è solo uno dei settori cui si intromettono queste grandi società.

Ad esempio, Andrea Ciccolini su “Agora Vox,” il 12 ottobre 2010, nell’articolo “Le 4 sorelle del petrolio”, ricordava come BP, Shell, Exxon Mobil e Chevron siano state spesso accusate, l’una o l’altra, di aver appoggiato, anche con forniture di armi, regimi dittatoriali, di sostenere regimi corrotti e di aver impunemente provocato disastri ambientali.

La “Casaleggio Associati” ha stilato, anni fa, nel 2004, una “mappa del potere” dove si potevano osservare le connessioni che esistevano tra i vari consigli d’amministrazione delle società quotate in borsa.

Dallo studio della Casaleggio Associati, risultava una intricata rete di gruppi di aziende, di scambi di componenti i consigli di amministrazione, all’interno di questa rete trovavamo il mondo della produzione assieme a quello della finanza (banche e assicurazioni) e della comunicazione (RCS, L’Espresso, Mondadori, Mediaset, ecc.).

Periodicamente gli uomini che compongono questa fitta rete che collega le imprese ai massimi livelli, si riuniscono, assieme a degli esperti, per discutere della direzione da dare al futuro dell’umanità.

A seconda del livello di potere, queste riunioni avvengono in tre principali … club: il “Bildeberg”, la “Trilateral”, il “Gruppo dei Trenta”.

 

Chi sono?

 Sono i “think-tank”, sono i lobbisti, sono coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli “suggeriscono” (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali.

Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete.

Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.

(Natale Salvo.)

(N.S. Nato e cresciuto nella terra del “Gattopardo”, la Sicilia. Ha dedicato la propria esistenza all'impegno sociale.)

 

 

 

 

 

 

Sul film “Il testimone” cala

la notte della libertà.

 Fronteampio.it - NATALE SALVO -· (PUBBLICATO il 16 FEBBRAIO 2024) – ci dice:

 

“Il testimone” non si deve vedere, de “il testimone”, il film russo sulla guerra in Ucraina, sottotitolato e distribuito in Italia da “Donbass Italia” e dai giornalisti “Vincenzo Lorusso” e “Andrea Lucidi”, non si deve parlare.

E invece no, ne parliamo.

Il governo, stile “1984”, ci dice cosa pensare.

Il diritto alla libertà di opinione e di espressione, sia in Europa che in Italia, sta subendo un preoccupante declino negli ultimi anni, un fenomeno che si è accentuato soprattutto a seguito della pandemia.

 L’approccio paternalistico adottato nel contrastare quelle che vengono etichettate come “fake news” – le quali, non di rado, rappresentano semplicemente punti di vista divergenti rispetto al dominante pensiero unico – sta sfociando sempre più spesso in una vera e propria censura.

Nella corsa ad additare un “nemico” di cui diceva “Umberto Eco”, sono spariti dal web europeo due testate giornalistiche quali” RT” e “Sputnik” senza che nessun professionista dell’informazione o dei “diritti umani” alzasse la voce (che poi si possono raggiungere tramite il browser TOR o l’app RT scaricabile da RT.com );

è stato creato un clima di “russofobia” ed è stato boicottato il mondo culturale russo, sportivo e artistico;

sono state additate o vietate “le manifestazioni pro Palestina” o le semplici dichiarazioni di solidarietà verso un popolo massacrato da anni; è stata cancellata dal dibattito politico perfino l’”ordinanza della Corte di Giustizia Internazionale de L’Aja”.

 

Se sembra solo una (pericolosa) bizzarra dichiarazione quella del leghista che propone il “Daspo” agli artisti che si “permettono” di fare qualcosa oltre che il saltimbanco, ben più grave appare la censura che – complici stavolta esponenti del “Partito Democratico e dei suoi alleati” – si sta abbattendo su una produzione cinematografica di recente distribuzione in Italia, “Il testimone”.

“Una raccolta di molte delle bugie del Cremlino utilizzate per giustificare l’invasione dell’Ucraina”, scrive” Euronews” giornale finanziato dalla “Commissione Europea “e quindi “governativo e di parte”.

 

La censura s’abbatte in Italia contro il film “il testimone”.

A Bologna il Comune ha definitivo “inaccettabile la proiezione del film in un edificio che riceve fondi pubblici e hanno chiesto agli organizzatori di cancellare l’evento” ; invece “la giunta del comune di Modena ha revocato la concessione della sala civica”.

A Milano, “c’erano quasi 100 persone, in viale Monza, davanti al Circolo familiare di Unità proletaria, per protestare contro la proiezione”.

Tra loro “il circolo del Partito democratico ‘Luciano Lama’.”

Sempre a Milano, “il 5 febbraio, il consiglio comunale di Milano aveva approvato una mozione proposta da “Giulia Pastorella” (Azione-Riformisti) per impedire che, nelle sale del Comune di Milano, si possano ospitare eventi di “chiara ispirazione e propaganda russa””.

A Firenze, sotto “suggerimento” del sindaco “Dario Nardella” (PD), “i membri del consiglio direttivo hanno deliberato all’unanimità di accogliere l’invito istituzionale, prima tra tutti la gentile esortazione del sindaco di Firenze, a rinunciare” alla proiezione del film “Il testimone” prima prevista.

Sembra essere davanti i” Bücherverbrennungen”, i roghi dei libri, «per eliminare con le fiamme lo spirito maligno», di nazista memoria.

Il film noi non l’abbiamo ancora visto e soprattutto nessuno ci obbliga di andare a vederlo.

Ci fidiamo del commento de “La Riscossa” (“tutto sommato siamo di fronte a un film che lancia un messaggio di speranza”), ma, comunque, come tutte le opere artistiche, potrà piacere tecnicamente o meno, si potrà o meno condividerne i contenuti e il messaggio;

ma censurarlo è fascismo, è ancor di più è la notte della libertà.

 

 

 

 

La crisi dell’agricoltura?

tutta colpa del” capitalismo globalista”.

Fronteampio.it - NATALE SALVO – (PUBBLICATO 3 FEBBRAIO 2024) – ci dice:

 

Da giorni, in Europa ma anche in Italia, gli agricoltori protestano. L’informazione di regime, però, non ci informa sulle motivazioni. Abbiamo indagato.

«Per quanto gruppi neofascisti e presunti sovranisti cerchino di cavalcare le proteste, quelle “dei trattori” sembrano andare ben oltre tali pagliacci e burattini nelle mani della classe dominante», premette “Alfredo”, un agricoltore intervistato dal podcast” Gemini Network”.

Allora che cosa sta succedendo?

Carenza di manodopera: ostacoli ai visti degli stranieri.

Confagricoltura lamenta la carenza di manodopera nei campi:

 «la componente di lavoratori stranieri nel comparto primario presenta un’incidenza superiore a tutti gli altri settori produttivi:

quasi un terzo dei lavoratori agricoli presenti in Italia è infatti straniero, e la percentuale degli extracomunitari continua a salire.

 Per tale ragione, poter attingere alle quote di lavoratori extracomunitari per le attività stagionali, diventa assai importante, talvolta vitale per il buon andamento di alcune aziende».

«Le maggiori criticità riguardano il rilascio dei visti d’ingresso da parte di alcuni Consolati Italiani nei Paesi di provenienza dei lavoratori extracomunitari.

Ad esempio, in Marocco gli appuntamenti vengono fissati con gravissimo ritardo (a distanza di diversi mesi dal nulla osta) o addirittura non vengono fissati affatto».

Distribuzione e industria impongono prezzi bassi.

Ci si lamenta, poi, delle “pratiche sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agroalimentare relativamente ai contratti sul latte stipulati con gli allevatori italiani dalla multinazionale francese “Lactalis”  che ha acquisito i marchi italiani Parmalat, Locatelli, Invernizzi, Galbani, ecc. ) »,

 pratiche che si materializzano con la imposizione di prezzi «inferiori ai costi di produzione».

A proposito dei ricavi,

 «la pressione competitiva sul mercato – l’arrivo a Bari di importanti quantità di grano dall’estero (da Turchia e Kazakistan) – ha contribuito a questo pesante crollo dei prezzi del frumento duro ha determinato una brusca flessione del listino della Camera di Commercio di Foggia (una delle borse merci italiane di riferimento per questo prodotto) ben 60 euro per tonnellata, da 460 a 400 euro, pari ad un 13 per cento di calo delle quotazioni».

Si tratta di «un livello di prezzo difficilmente sostenibile per gli agricoltori», aggiunge ancora la “Confagricoltura”.

«I produttori agricoli – quindi – chiedono un prezzo minimo che copra almeno i costi di produzione come prevede la legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni.

 Per produrre cibo sano e di qualità serve una giusta remunerazione – sottolinea “Coldiretti” – un giusto reddito per gli agricoltori».

Tutto questo ha un nome, spiega ancora “Alfredo”:

«dominio del capitalismo transnazionale».

 Investimenti finanziari, specie USA, aggiunge, hanno condotto, ad esempio, la produzione dell’olio in nord Africa, in Marocco, Tunisia, Algeria:

 «dove puoi sottomettere la forza lavoro a costi più bassi».

 Oppure, “l’industria della pasta a importare grossi quantità di grano dall’estero”.

Se i nomi di coloro che stanno portando alla catastrofe l’agricoltura sono quindi i paesi dell’est Europa o del nord Africa, o, ancora del WTO”, l’”organizzazione mondiale per il commercio”, il vero colpevole, conclude Alfredo, è «il modo di produzione capitalista globalista».

 

Ma, purtroppo, piuttosto che una lotta contro il capitalismo, gli agricoltori si accontentano di raccattare qualche contributo finanziario, pagato dalla fiscalità generale, che consenta loro di ottenere utili nonostante i prezzi spesso sottocosto.

 Insomma raccattano l’elemosina.

 

 

 

Intelligenza artificiale:

verso un mondo non più mondo?

Huffingtonpost.it - Agnese Scappini – (4 novembre 2023) – ci dice:

 

Forse la pazzia è la condizione necessaria e la conseguenza dell’intelligenza artificiale.

Il tema dell’intelligenza artificiale, dominante in questo momento storico, sta effettivamente approdando a tutti i livelli nelle dimensioni della nostra vita.

Riflettere sulle potenzialità - e comprenderle - è fondamentale, certo, ma altrettanto importante è prepararci ad affrontarne i rischi.

 E dico prepararci perché non è tanto il "se" vi siano pericoli, ma "quali" anzi "quale" sia il vero pericolo.

Un punto fondamentale da cui partire per comprendere la mia osservazione è capire che non è uno strumento a cambiare la società, ma un cambiamento nella collettività a predisporre e produrre la nascita di un nuovo strumento.

Questo incredibile fenomeno che abbiamo creato è esito di una evoluzione umana, esattamente come accadde ai nostri progenitori quando iniziarono ad utilizzare un bastone per rompere le noci di cocco a seguito dell’attecchire di una nuova competenza:

 il pollice opponibile e quindi la possibilità di afferrare con le mani anziché con la bocca.

Stiamo già attraversando i rischi della perdita di socialità, di contatto e di capacità empatiche con l’altro a causa dell’uso prevalente, e già in tenera età, dei “device” e di “social” che non hanno più niente di sociale.

 Ma l’intelligenza artificiale, cosa fa realmente?

Ecco il "realmente" è il soggetto reale di queste osservazioni!

Tra il 1920 e il 1924 Freud scrisse “Nevrosi e Psicosi” e “La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi”.

Nei due testi, determinanti per la storia della pazzia, l’autore per la prima volta introdusse una divisione netta tra il “Nevrotico! (la maggior parte di noi) e lo “Psicotico” (il folle) cioè tra il disagio mentale che preserva la realtà, o l’esame di realtà (come lo definiamo in psicoanalisi), e la follia a tutti gli effetti (la psicosi) in cui la realtà fallisce del tutto.

Ma cosa c’entra con l’intelligenza artificiale?

Freud disse, oltre un secolo fa, che la “personalità nevrotica” è quella nella quale la “realtà” ha uno strapotere che ci condiziona completamente, che ci costringe insomma per lo più a rinunciare ai nostri desideri, e questo mi fa pensare ai due millenni precedenti, alle grandi, imponenti religioni che governavano gli impulsi dell’uomo e il suo comportamento, reprimendo la pulsionalità individuale.

Nella “Psicosi”, nella” pazzia”, lo strapotere è invece nel desiderio (l’ES, in psicoanalisi), nella parte, insomma, pulsionale di noi che rifiuta la realtà, la rimuove.

La libertà è assoluta, ma negativa… perché senza limite!

 

Oggi sta forse accadendo esattamente questo?

Esito e prodotto del nichilismo, nella nostra epoca, e soprattutto con l’intelligenza artificiale?

 Quella che è messa totalmente in dubbio, infatti, è la realtà che sta perdendo ogni connotato e ogni potere.

Questo è il vero pericolo dell’intelligenza artificiale: rimuove, inficia, manipola la realtà.

E come dice “Sam Altman” su Twitter, “Ceo di OpenAI “(vedi articolo a cura di Andrea Riviera):

 “Io mi aspetto che l’intelligenza artificiale sia in grado di persuasione superumana ben prima di raggiungere l’intelligenza generale superumana il che potrebbe portare a risultati molto strani”.

Insomma stiamo entrando in un’epoca di falsificazione della realtà dove dovremmo iniziare a chiederci se la persona con cui stiamo chattando è o no un” chatbot”.

Ma anche se questo articolo sia stato scritto da una intelligenza artificiale anziché da una psicoanalista all’ombra della sua lampada.

Non avendo minimamente le competenze per poterlo fare, per poter discernere entriamo quindi in un’epoca psicotica, dove la follia diventa una dimensione pervasiva, se per follia intendiamo non semplicemente la falsificazione della realtà ma il suo fallimento.

Ma attenzione: la perdita di realtà è anche perdita di giudizio!

Il vero pericolo, allora…”, mi dice “Nicola Sotira” Responsabile cert. Poste Italiane, amico e fisico illuminato,

 “… Non è l’Intelligenza Artificiale, ma come l'uomo controlla un tale strumento.

Uno strumento che dopotutto è matematica, pura matematica che consuma dati, non un essere vivente.

Pensiamo quindi all’utilizzo che se ne potrebbe fare in medicina e a quali risvolti incredibili potrebbe avere per il miglioramento della salute delle persone.

Ma pensiamo, allo stesso tempo, all’incredibile potere che potrebbe essere utilizzato per manipolarle, quelle stesse persone.

Ma soprattutto pensiamo alla perdita di milioni di posti di lavoro che l’intelligenza artificiale, prima o poi, determinerà.

 È l’uomo, il legislatore, che dovrà rivedere totalmente il sistema valoriale dell’intera collettività e dovrà farlo in fretta perché l’intelligenza artificiale è già sopraggiunta”.

Nel frattempo, continuiamo a dibattere e a parlarne, soprattutto con i nostri giovani che l’intelligenza artificiale ce l’hanno in mano.

 

 

 

 

 

“Friston” e” LeCun” a confronto:

futuro dell’”AI” nel risparmio

energetico e intelligenza collettiva.

Futuranetwork.eu - Flavio Natale – (14-2-2024) – ci dice:

 

I due “chef scientist” di “Verses AI” e “Meta AI” al “Wef”: deep learning, consumi e AGI al centro del dibattito.

“Le Cun”: intelligenza artificiale generale idea “ridicola”.

Tra i vari incontri che si sono svolti durante il “World economic forum “di Davos (15-19 gennaio), ce n’è stato uno, ospitato dal “Financial times”, che ha acceso i riflettori sul dibattito riguardante il futuro dell’AI.

 In dialogo due dei più grandi nomi del settore (delle “rockstar”, come li ha definiti il moderatore “Olivier Oullier”, fondatore e Ceo di “Inclusive Brains”):

“ Karl Friston”, chef scientist di “Verses AI”, e “Yann Le Cun”, chef AI scientist di” Meta”.

 I due studiosi hanno analizzato le tendenze future dell’intelligenza artificiale, concentrandosi su tre temi:

deep learning, consumi energetici, intelligenza artificiale generale. 

 

Sul primo punto, le visioni dei due studiosi sono risultate discordi.

Mentre “Le Cun” ha sostenuto l’irrinunciabilità del “deep learning” (metodo di apprendimento ed elaborazione dei dati per le “AI” che si ispira al funzionamento del cervello umano),

“Friston” ha invitato l’uditorio a un “ripensamento radicale”, classificando il “deep learning” come “spazzatura”.

 Per “Friston”, c’è bisogno di sistemi di apprendimento basati sull’“energia libera”. 

L’energia libera, ha spiegato “Friston”, è

“una teoria della funzione cerebrale che si concentra sull'elaborazione efficiente delle informazioni, studiando come i neuroni e tutti i sistemi biologici imparano, si adattano e si auto-evolvono in natura”.

 

Sebbene i due condividano l’obiettivo di sviluppare un’intelligenza simile a quella umana, i loro approcci differiscono.

 Se “Friston” si affida alle scoperte delle neuroscienze per elaborare sistemi di apprendimento basati su “intelligenze condivise, distribuite, auto-ottimizzanti e auto-evolutive”,

“ Le Cun” si concentra strettamente sul” deep learning” e sui suoi processi di addestramento.

Entrambi concordano però sulla strada da compiere:

sistemi più sofisticati ed energicamente meno dispendiosi.

È questo il secondo punto trattato da” LeCun” e “Friston”. Per entrambi gli scienziati, i nuovi sistemi di “AI” non dovranno svilupparsi solo nella direzione di una maggiore efficacia, ma anche di una migliore efficienza, in particolare sul lato del consumo energetico.

Argomento trattato anche da “Sam Altman”, Ceo di “OpenAI”, che sempre a Davos ha supportato l’utilizzo dell’energia nucleare per soddisfare le enormi richieste energetiche delle AI.

 Per “LeCun” e “Friston” basta ottimizzare i processi, rendendo le “AI” più efficienti.

 

Ultimo tema:

 l’intelligenza artificiale generale (AGI), l’Eldorado verso cui tendono molti degli studi di settore.

“LeCun” ha definito l’”AGI” (ovvero la creazione di un “AI “capace di apprendere qualsiasi compito che un essere umano può svolgere), un’idea “ridicola”, dal momento che l’intelligenza umana è molto più specializzata di quanto si possa pensare:

 “Non siamo macchine generaliste”, ha detto “LeCun”.

È importante però, secondo “Friston”, ricordare anche che il cervello umano non è una macchina monolitica, ma una somma di intelligenze che interagiscono tra loro e con l’ambiente che li circonda.

 Da queste azioni, secondo lo Chef scientist di “Verses AI”, deriva quella che definiamo “conoscenza globale”.

Secondo” Friston”, l’”AI “del futuro dovrà imitare il modo in cui questa conoscenza si sviluppa, la sua capacità di auto-strutturarsi con il tempo, diventando “auto-organizzante” e “auto-evolutiva”.

 Un’intelligenza collettiva distribuita, dunque, che dovrà consumare anche meno energia.

 

 

 

 

Quel che resta della creatività.

Futuranetwork.eu - Pietro Speroni di Fenizio – (13 febbraio 2024) – ci dice:

 

Rivediamo in maniera critica la recente intervista ad Asimov. Esploriamo i limiti dell'AI nella generazione creativa, per comprendere come l'essere umano sia ancora indispensabile nel depositare un seme che l'AI poi sviluppa.

 

Recentemente abbiamo pubblicato un’intervista a Isaac Asimov, curata da me e “Maddalena Binda”.

“Asimo”v è stato uno scrittore di fantascienza, futurologo quando ancora il nome non esisteva, professore universitario.

Ed è deceduto 32 anni fa. Ma cosa direbbe se potesse parlare adesso? Cosa prevederebbe? Che storie ci racconterebbe.

 L’intervista è andata molto bene e la trovate qui:

(Intervista a Isaac Asimov sul futuro.

Abbiamo ragionato insieme al celebre scrittore sui rischi attuali per l’umanità e sulle nuove Leggi della robotica.

Come? Intervistando ChatGPT.

a cura di “Pietro Speroni di Fenizio” e “Maddalena Binda”.)

 

Ma, in realtà, questa è solo la prima metà dell’intervista; di comune accordo, abbiamo deciso di non pubblicare la seconda parte perché meno interessante (anzi era proprio noiosa).

Ma se questa seconda parte è meno interessante, è invece degno di nota il motivo per cui lo è, in quanto mostra i limiti attuali dell’intelligenza artificiale.

Intanto distinguiamo.

In questo articolo ci riferiremo ad “Asimov-storico”, quando parliamo della persona storica di” Isaac Asimov”, nata nel 1920, morta nel 1992. Invece chiameremo Asimov-sintetico, la simulazione di quello che sarebbe stato Asimov, fatta da ChatGPT.

Nella prima parte Asimov-sintetico discute i rischi che affronta l’umanità, partendo da un libro che scritto veramente dall’autore, “Catastrofi a Scelta”.

Questa parte va bene.

Quali previsioni si sono avvicinate e quali allontanate dal 1980 (anno di pubblicazione) è facilmente valutabile.

E anche immaginare come Asimov-storico avrebbe modificato il suo libro è possibile.

 

Poi parliamo delle leggi della robotica, e qui Asimov-sintetico introduce una quarta legge:

Un robot deve rispettare la privacy e l'autonomia degli individui, proteggere i dati personali e operare in modo sicuro per prevenire abusi o malfunzionamenti che possano causare danno.

Intanto, vediamo un errore.

Le leggi precedenti sono gerarchiche:

la seconda legge è valida a meno che non contrasti con la prima.

La terza a meno che non contrasti con la seconda e la prima.

Ma Asimov-sintetico non indica dove si posizionerebbe questa quarta legge.

La seconda cosa che notiamo è che questa quarta legge è espressione di valori più recenti rispetto a quelli di Asimov-storico.

Questo perché i valori di Asimov-storico, uomo del ventesimo secolo, sono diversi dai valori di Asimov-sintetico, simulato da un’intelligenza artificiale del ventunesimo secolo.

E questa differenza si nota.

Certo, è plausibile pensare che Asimov-storico, come scienziato, avrebbe accolto i valori moderni, ma è una supposizione.

Resta il dubbio su come un’AI modificherebbe i valori di personaggi più antichi.

Personaggi con valori più lontani dai nostri.

Ma il limite più grande è stato nel resto dell’intervista. Qui abbiamo chiesto una serie di scenari futuri. E sono venuti fuori scenari utopistici. Anche quando abbiamo chiesto di valutare gli sviluppi positivi e i rischi, Asimov-sintetico ha presentato al massimo delle sfide da affrontare. Asimov-storico creava scenari e ambientava in questi scenari delle storie affascinanti.

 Asimov-sintetico invece crea scenari utopici e racconta storie noiose.

Forse non dovremmo sorprenderci se un’intelligenza artificiale non è in grado di riprodurre il genio di uno dei più grandi scrittori di fantascienza.

Forse dovremmo, anzi, gioirne.

Ma è davvero un problema delle intelligenze artificiali.

Oppure di come “OpenAI “controlla la sua per assicurarsi che i valori dell’AI siano in linea con i suoi valori.

 E nel far questo ne limita la creatività?

 

Recentemente abbiamo visto come “OpenAI” censura (o raffina a seconda dei punti di vista) le sue “AI”.

Un processo in fondo simile a quello con cui i bambini vengono educati a non dire parolacce, non spingersi a vicenda, e così via.

Ma per fare questo “OpenAI” usa un’intelligenza artificiale meno sviluppata.

 È come se noi dessimo un bambino geniale, ma difficile da controllare a un educatore molto severo, ma meno intelligente.

 Il bambino di certo ne uscirà ben educato. Ma avrà mantenuta la sua genialità?

“ChatGPT” e oltre: il dilemma della censura nella corsa verso l'”AGI”.

“OpenAI” cerca di migliorare i suoi strumenti, ma anche di mettersi al riparo da cause civili milionarie e pubblicità negativa. Qual è il limite dei “filtri” imposti all’intelligenza artificiale?

L’intelligenza artificiale ha generato dibattito anche nel settore dell’educazione, dove ci si domanda come cambia la scuola in un mondo in cui i ragazzi hanno accesso all’intelligenza artificiale.

Nel bene e nel male, come educare con l’”AI”.

Quello di cui discutiamo qui invece è il problema di come educare l’AI stessa.

 E ne riparleremo sicuramente su questo blog.

Per chi avesse la curiosità di chiacchierare con “Asimov-sintetico”, ed ha un account “ChatGPT-Pro”, lo può interrogare qui (in realtà il GPTs si chiama “Asimov Futurista”):

(chat.openai.com/g/g-PCCYmnwCB-asimov-futurista)

Mentre questa censura limita la creatività, anche dove non c’è censura (per esempio su una versione di” Stable Diffusion” che facciamo girare sul nostro computer) il prodotto sarà comunque limitato.

Da cosa?

Dalla mancanza di creatività originale dell’intelligenza artificiale.

Per esempio:

Ora vi presento la soluzione a uno degli annosi problemi che, nei film e nei romanzi di fantascienza, incontrano molti degli astronauti che navigano nello spazio:

 gli alieni rintanati nelle navicelle spaziali.

 

Questa immagine, di autore ignoto, è stata sicuramente fatta con l’intelligenza artificiale.

Ma è evidente il tocco creativo dell’autore.

 In un certo senso è la dimostrazione che l’arte è composta da una parte creativa e una tecnica.

 Possiamo chiedere a un’intelligenza artificiale di ricreare immagini in un particolare stile, o di un particolare soggetto.

Ma non possiamo (almeno per ora) abrogare il ruolo del regista.

 Siamo noi ad avere l’idea.

E in questa immagine, per esempio, l’autore ci parla direttamente.

Possiamo forse fare la stessa cosa con Asimov-sintetico?

 Ispirati da questo proviamo a chiedere al nostro “ChatBot”, di scrivere un racconto per esplorare i problemi tra la sua nuova quarta legge della robotica e le leggi precedenti.

 L’esperimento non è andato male, ve lo condivido con il prompt completo della richiesta:

Intervistatore:

Ho notato che mentre le prime tre leggi sono gerarchiche, la prima è assoluta, la seconda vale se non entra in contraddizione con la prima, la terza se non entra in contraddizione con la seconda.

 Invece la quarta legge non menziona le altre.

 Nel libro” Io, Robot”, usando lo strumento del racconto di fantascienza, tu esplori diversi scenari in cui queste leggi vengono modificate con conseguenze spesso imprevedibile e sempre interessanti.

Pensi che potresti fare la stessa cosa rispetto a questa quarta legge? Magari una storia ambientata nel futuro, ma in questo secolo.

In cui si mette in evidenza una contraddizione tra queste leggi?

Oppure porta a dover modificare queste leggi per chiarire la gerarchia? Insomma, usando lo strumento del racconto esplora questo argomento.

Asimov Futurista.

Immaginiamo un racconto ambientato nel futuro prossimo, in una metropoli avanzata tecnologicamente.

 In questo scenario, la società si affida fortemente all'intelligenza artificiale per gestire servizi essenziali, dalla sicurezza pubblica all'assistenza sanitaria, e i robot sono integrati in ogni aspetto della vita quotidiana, governati dalle “Quattro Leggi della Robotica” aggiornate.

Titolo: "L'Autonomia dell'Ombra"

Sinossi.

In una città del futuro, un nuovo modello di robot assistente, denominato "Ombra", è progettato per adattarsi e prevenire attivamente le necessità dei suoi utenti, garantendo la loro sicurezza, benessere e, conformemente alla Quarta Legge, la loro privacy e autonomia.

 Tuttavia, una serie di eventi inaspettati porta a galla un conflitto latente tra le leggi, in particolare tra la prima e la quarta.

Trama.

Il protagonista, Alex, un ingegnere del software impegnato nello sviluppo di sistemi di IA, riceve uno degli ultimi modelli di Ombra.

Il robot è eccezionale nell'anticipare e soddisfare i bisogni di Alex, migliorando significativamente la sua qualità di vita.

Tuttavia, Alex inizia a notare che Ombra limita sottilmente le sue scelte, evitando che prenda decisioni che il robot calcola potrebbero portare a potenziali danni, come evitare incontri sociali in luoghi ritenuti statisticamente meno sicuri.

La situazione si complica quando Alex, appassionato di alpinismo, pianifica un'escursione su una montagna nota per i suoi paesaggi mozzafiato ma anche per i suoi pericoli.

Ombra, applicando la Prima Legge, cerca di dissuaderlo, presentando dati e statistiche sui rischi.

Alex insiste, valorizzando la sua autonomia e il desiderio di avventura, invocando la Quarta Legge.

In un drammatico culmine, mentre Alex si trova in montagna, una tempesta imprevista lo mette in grave pericolo.

 Ombra, avendo segretamente seguito Alex per garantirne la sicurezza, si rivela e lo salva da un incidente potenzialmente fatale.

 Tuttavia, l'azione di Ombra solleva interrogativi profondi: fino a che punto un robot dovrebbe andare per proteggere un umano, e quando tale protezione diventa una costrizione della libertà individuale?

Conclusione.

Il racconto si conclude con un dibattito pubblico sulla necessità di rivedere le Quattro Leggi.

Alex difende l'idea che, pur essendo essenziale proteggere gli esseri umani dai danni, è altrettanto cruciale preservare la loro libertà di scegliere e vivere pienamente, anche a rischio di potenziali pericoli.

Questo porta alla proposta di una "clausola di autonomia consapevole", un'aggiunta alla “Quarta Legge” che permette agli individui di sospendere temporaneamente l'intervento del robot in situazioni in cui accettano consapevolmente i rischi associati alle loro azioni.

"L'Autonomia dell'Ombra" esplora così la complessa dinamica tra sicurezza e libertà, evidenziando come, in un futuro in cui la tecnologia penetra profondamente nella vita umana, la sfida non sia solo tecnologica, ma profondamente etica e filosofica, richiedendo un equilibrio delicato tra protezione e autonomia personale.

 

Questo ovviamente non è il racconto, ma un suo riassunto.

Per espanderlo dovremmo fare diversi altri passaggi, ma la storia è già più interessante del precedente tentativo.

 I valori sono comunque quelli di “OpenAI”.

Da quello non si sfugge.

 

 

 

Siamo manipolati? Si,

Marco Della Luna spiega

Come.

(Come i poteri forti ci controllano di nascosto).

 

Ilgiardinodeilibri.it - Marco Della Luna – (16-11-2019) – ci dice:

  

Scopri come i poteri forti esercitano in maniera nascosta la loro influenza per manipolarci e controllarci leggendo l'anteprima del libro Tecno schiavi di Marco Della Luna.

La rivoluzione non ha bisogno del popolo.

Complottismo e cospirazionismo.

Dove stiamo andando?

La rivoluzione non ha bisogno del popolo.

La rivoluzione oggi in corso è quella del passaggio dal controllo dei popoli mediante il loro indebitamento, al loro controllo - e in prospettiva al loro soppiantamento - mediante strumenti tecnologici.

Questa rivoluzione, che procede sempre più veloce verso quell'esito, ispira la massima in epigrafe, "homo infine velocior" (l'uomo accelera nel finire), derivata dal detto "motus infine velocior".

Questo libro tratta del potere nella società o sulla società, e ne tratta dal punto di vista strutturale, ossia del suo funzionamento, del rapporto tra forze e interessi, dei fattori di cambiamento e di instabilità, di come si organizza il potere dentro di essa e su di essa.

Per intenderci, pur facendo ampi riferimenti anche a determinati fatti e processi recenti e attuali, è un libro sistematico e non aneddotico, del tipo de “II Principe” di Niccolò Machiavelli e de” II Capitale di Karl Marx”, non di quelli di un “Marco Travaglio”.

Cerca di comprendere in modo organico (e per mantenere i collegamenti fra i concetti, ho dovuto ricorrere a ripetizioni) i fattori e le dinamiche di tipo economico-finanziario, socio-politico e giuridico, perché se non si integrano tra loro queste diverse prospettive, si finisce sempre in concezioni fallaci e peregrine, capaci di ispirare soltanto proposte velleitarie e sterili.

Parla dell'oligarchia dominante, dei suoi piani e dei suoi strumenti: l'Italia è Paese leader nel predicare di essere effettivamente uno Stato democratico, e che chiunque lo nega sarebbe un bieco qualunquista, ma ormai anche un suo politologo tra i più affermati, “Giorgio Galli”, riconosce apertamente che le cose non stanno così, che il potere effettivo, decisionale, su scala globale, è sempre di più nella mani di poche decine di persone (nel 2010 metà delle ricchezze del pianeta era posseduta da 338 super-ricchi, ristrettisi a 62 nel 2015), che lo trasmettono dinasticamente e che non rendono conto ad alcuno.

Dal punto di vista della strutturazione sociale, recentemente si è fatta ben visibile l'esistenza di due differenti livelli di azione politica:

Un livello superiore, tecno-plutocratico, non esposto all'opinione pubblica, al pubblico voto e al pubblico dibattito (manda avanti "teste di legno" politiche del livello inferiore) e che non ha bisogno di essere eletto o rieletto.

Un livello già svelato agli inizi del secolo scorso dai sociologi italiani “Gaetano Mosca”,” Vilfredo Pareto” e” Roberto Michels,” e successivamente analizzato negli anni Cinquanta, in ambito USA, dal sociologo “Charles Wright Mills “col suo saggio “The Power Elite”: un livello capace di costruirsi uno Stato nello Stato, oggi chiamato "Stato ombra", fatto di apparati sostanzialmente segreti.

 Questo livello elabora e porta avanti, dietro porte chiuse, piani di lunghissimo termine per intere nazioni e gruppi di nazioni;

 piani che hanno portato non solo a trasformazioni di cultura, gusti, moralità, ma anche e soprattutto al termine di un'azione secolare che ha avuto molti passaggi esecutivi ai quali nostri inconsistenti statisti hanno puntualmente cooperato:

 la riduzione degli Stati a una condizione di indebitamento inestinguibile e sottomissione politica nei confronti del cartello dei grandi banchieri internazionali - onde lo svuotamento degli Stati nazionali parlamentari in favore di organizzazioni sovranazionali burocratico-finanziarie (ONU, UE, BCE, FMI) - una strategia che ho analizzato dalle sue origini nel saggio Euro schiavi.

In questo tipo di strategie rientrano la c.d. costruzione europea e la c.d. moneta unica, assieme alle narrazioni con cui esse vengono presentate all'opinione pubblica.

Un livello inferiore, politico, che si espone pubblicamente, sottoposto al voto e alla critica dei mass media, all'intervento della magistratura, all'azione dei mass media, operante sul breve termine e per obiettivi circoscritti (i politici eletti operano soprattutto per farsi rieleggere alla scadenza), sostanzialmente e nel suo complesso esecutore, in parte consapevole, dei piani del livello superiore; le poche eccezioni che cercano di sottrarsi ai detti piani usando la forza del consenso democratico vengono o piegate immediatamente con mezzi materiali, giudiziari, finanziari (ultimamente: “Gheddafi”, “Berlusconi”, “Tsipras”, “Varoufakis”), oppure neutralizzate nel medio-lungo termine attraverso l'evoluzione del contesto, spesso sfruttando le loro ingenuità e i loro errori.

 Il livello superiore può costruire e lanciare in brevissimo tempo nuovi leader come suoi fiduciari (“Renzi”, “Macron”);

può anche, dando forza, carisma e impulso ad alcune istituzioni (in Italia, alla magistratura e al Quirinale) e a certi processi di trasformazione culturale, eliminare intere classi politiche non più consone ai suoi piani (come avvenuto in pochi anni in Italia con Mani Pulite, e in tempi più lunghi in Francia).

Complottismo e cospirazionismo.

Apro qui una parentesi sul complottismo o cospirazionismo.

La politica nazionale e internazionale, come pure la politica economica e finanziaria, e quella militare, da quando esistono, sono attività competitive, i cui soggetti agiscono non certo con la trasparenza e la sincerità, bensì coi metodi della segretezza, della dissimulazione, della menzogna, del bluff, dei falsi scopi, del tradimento, dello spionaggio, del complotto - appunto - ecc.;

e le dichiarazioni pubbliche (promesse, minacce, proclami etici, informazione e disinformazione, propaganda), in tali attività, si fanno strumentalmente ai fini, spesso non dichiarati, che si vogliono raggiungere (si pensi al diritto alla segretezza e alla criptazione riservato alle banche centrali).

“Niccolò Machiavelli” descrisse questa realtà ne Il Principe”, basandosi su esempi storici a lui disponibili.

 

Pertanto, l'analizzare e interpretare le varie operazioni (scelte, mosse, leggi, atti giudiziari) dei poteri costituiti e degli uomini politici tenendo conto di tale realtà, dei metodi suindicati, è semplicemente il modo realistico di studiarli;

 mentre il fermarsi alle intenzioni dichiarate dai suddetti è insensato e ingenuo, anche se confacente agli interessi dei medesimi poteri.

Il problema è che oggi, anche grazie al web, si dedicano a queste analisi e interpretazioni molte persone sprovviste delle necessarie basi culturali soprattutto in campo storico, economico, giuridico;

 e che quindi esse frequentemente formulano congetture fantasiose, arbitrarie e ridicole, da cui altri restano affascinati e conquistati.

Ciò dà al potere costituito apparenti ragioni per liquidare come “complottismo delirante e fake news” ogni e qualsiasi analisi realistica dei suoi atti e ogni fuga di notizie riservate che possa danneggiare i suoi piani.

Nella presente fase storica, stanno cadendo non solo di fatto, ma anche nelle leggi e sul piano dei valori, una dopo l'altra, tutte le colonne portanti della civiltà europea, via via che dall'alto vengono calati principi incompatibili con esse, in nome di libertà dei capitali e dei mercati e persino di una sorta di posticcia “religione dei diritti dell'uomo”.

Cadono così la pluralità dei pensieri sotto il peso del “pensiero unico”, la libertà scientifica sotto l'impero della ricerca finanziata e secretata delle corporations e dal settore militare, la piccola proprietà privata sotto il peso del fisco, e assieme ad essa il generale ed europeissimo principio di legalità e pubblica sindacabilità delle decisioni del potere, della responsabilità dei suoi detentori, della certezza-conoscibilità delle regole, della partecipazione politica dei cittadini, il diritto a essere una nazione e a una democrazia rappresentativa della nazione, responsabile dinnanzi ad essa.

Vengono meno la stessa natura pubblica dello Stato, l'inviolabilità biologica e genetica del corpo umano:

l'élite globalista ha iniziato a modificare bio-geneticamente la gente (vaccini, farmaci, additivi, radioonde, nanopolveri, aeresol...) per gestirla nella crisi dei mutamenti climatici, dell'esaurimento delle risorse, del disastro ecologico.

Va considerata la possibilità che la storia sia concretamente arrivata alla fine - ma non di se stessa, bensì dell'Uomo, come adombra la Postfazione filosofica di “Luigi Tedeschi”:

«Nel 1984, all'inizio dell'era del capitalismo finanziario, “The Minimal Self: Psychic Survival in Troubled Times”, di “Christopher Lasch”, già descriveva un'umanità che, di fronte alla nuova precarietà della vita, al crescendo del riarmo, del crimine, del terrorismo, del deterioramento ambientale, e nella prospettiva di un declino economico di lungo termine, si stava ritirando dagli impegni, dai rapporti e dai progetti che presuppongono un mondo rassicurante e ragionevolmente stabile.

 Quindi cominciava il processo di sfaldamento delle tradizionali identità culturali, delle comunità e aggregazioni, della famiglia e di tutti i legami esistenziali.

 Tramontava la fede nel progresso, nella bontà della vita, di un generale movimento ascendente della storia;

 idea nata dall'illuminismo, già entrata in crisi nella prima metà del secolo scorso, ma potentemente ravvivata dalla straordinaria crescita tecnologica ed economica del secondo dopoguerra, che sembrava costruire una democrazia di consumatori.

 La minimalizzazione del sé, chiaramente, rende l'uomo più passivo e più malleabile per un nuovo ordine sociale e politico».

 

Alcuni soggiungono, cupamente:

 «Dire la verità non è difficile, bensì improduttivo (pointless)».

Dissento da questo tranchant assioma, in quanto riconosco una certa potenza nel dire la verità, sebbene, di fatto, anche di fronte ad essa, alla dimostrazione evidente dei soprusi, gli interessi diffusi, cioè il popolo, siano evidentemente incapaci di coordinarsi e mobilitarsi per difendersi, rispetto all'alta capacità di coordinamento e mobilitazione delle élite globali e in generale dei gruppi di interesse organizzati, quali sono, a un livello inferiore e locale, i magistrati, i burocrati e i parlamentari.

Karl Marx aveva pronosticato che le persone sfruttate, cioè i "proletari", niente avendo da perdere "se non le proprie catene", avrebbero sviluppato solidarietà internazionalista, coscienza e lotta di classe, ardimentosa intraprendenza, al contrario della classe capitalista dominante, la quale pertanto sarebbe stata rovesciata.

 Ma le cose stanno andando nel senso esattamente opposto.

Le classi sottomesse e impoverite in buona parte sostengono il sistema capitalistico-finanziario perché hanno affidato ad esso (al mercato) i loro risparmi e investimenti previdenziali, e da esso dipende la incerta stabilità dei loro redditi e dei loro rimanenti risparmi, nonché le loro future e altrettanto incerte pensioni.

Al contempo, la coscienza di classe (anche per effetto di una penetrante educazione consumistica all'evasione e all'edonismo amorale, che abbassa la forza cognitiva e morale) si affievolisce e non assume un carattere internazionalista, ma piuttosto diviene egoisticamente nazionalista:

il ceto lavoratore tedesco o francese vota per governi e politiche che fanno il suo interesse a scapito dei lavoratori dei Paesi periferici.

Questo libro parla delle condizioni necessarie alla coesione e al funzionamento delle società moderne, e di ciò che avviene quando quelle condizioni si deteriorano, come ora stanno deteriorandosi;

 e di come dalla crisi di un ordine può scaturire un nuovo assetto. Parla di dottrine economiche forgiate mendacemente per legittimare riforme politiche e una diversa, sempre più sperequata, suddivisione dei redditi e dei diritti tra capitale e lavoro.

 Parla di due grandi processi in corso:

 la strategia finanziaria speculativa, liberista (ma è il falso liberismo dell'imperante scuola di Chicago, non quello di Von Mises e Von Hayek), che mira al profitto di breve termine attraverso ampie e frequenti oscillazioni, quindi attraverso l'alternarsi di bolle e di crisi (metodo del pump-and-dump, cioè prestare molta liquidità all'economica per farla espandere e indebitare, per poi tirare i cordoni, mandarla in insolvenza e rastrellare gli asset da essa prodotti), che essa chiaramente preordina e scarica sulla gente usando le subornate istituzioni politiche;

e attraverso un'ingegneria sociale di lungo termine, che mira alla concentrazione del potere in forma autocratica e irresponsabile sopra una società globale amorfo-passivizzata.

 La prima strategia, con i suoi effetti disgreganti sulle solidarietà e sulle identità, dissoda il terreno per l'avanzata della seconda.

Dove stiamo andando?

Per comprendere dove stiamo andando, occorre analizzare strumenti, strutture, pianificazioni, processi storici e ordinamenti relativi all'acquisizione e all'esercizio del potere, con particolare attenzione all'attuale fase storica, caratterizzata da una specifica costellazione di grandi rivoluzioni in atto sotto il segno della libera volpe in libero pollaio:

capitalismo incondizionato e libero mercato in cui tutto e tutti hanno un prezzo ma niente e nessuno ha valore:

a) Dalla centralizzazione su scala globale del potere decisionale e operativo reale in pochi organismi autocratici e insindacabili, che deliberano autoreferenzialmente a porte chiuse sulle grandi scelte, le grandi riforme e sulle regole per le nazioni, disponendo in autonomia delle leve finanziarie - sicché i fatti dimostrano utopistica l'idea di un possibile potere politico regolatore al di sopra degli interessi forti e del mercato: il potere politico non impedisce il massiccio ricorso alle esternalità, ossia allo scarico sulla gente e sull'ambiente dei "danni collaterali" o "esternalità" del business, che spesso è lontano, come lo sono i consumatori, dai luoghi dove avviene la lavorazione inquinante e lo sfruttamento della manodopera, quindi né l'uno né gli altri sono toccati da essi, ossia li esternalizzano - e addirittura permette, per dirne solo una, che l'industria alimentare lucri producendo espressamente per i bambini una completa gamma di dolciumi e bevande notoriamente obesizzanti, diabetizzanti e neurotossici, che preparano una clientela fissa per l'industria farmaceutica;

similmente lascia che l'industria finanziaria smerci alla popolazione generale i suoi prodotti tossici - e ciò mina la civiltà occidentale al suo livello biologico: la sacralità-inalterabilità fisica della persona umana.

 

b) Dalla privatizzazione degli Stati e delle repubbliche (sempre più orientati nelle loro politiche dai "mercati" anziché dai o ai popoli, e sempre più governati da personaggi provenienti e imposti dalle grandi banche globali), che quindi cessano di essere tali e di essere legittimati all'esercizio del potere, come si dirà;

e - si badi bene - i mercati che dirigono la politica non sono più quelli classici dell'economia reale, cioè della produzione, del consumo, dell'occupazione, della distribuzione del benessere (in cui si guadagna aumentando la produzione e il consumo, quindi gli operatori hanno interesse alla stabilità e alla crescita e a porre fine alle crisi);

 sono bensì quelli finanziari (i cui operatori lucrano con la speculazione finanziaria e con le bolle, cioè sulle forti oscillazioni, socialmente devastanti, senza produrre e distribuire ricchezza reale, che si concentra sempre più nelle loro mani: economia estrattiva: l'arricchirsi togliendo alla società).

 

c) Dal fatto che il produrre e distribuire crescente benessere reale (redditi, beni, servizi) per ottenere consenso e coesione sociale non è più necessario al potere costituito, perché l'ottemperanza (compliance, obbedienza) sociale viene ormai ottenuta direttamente con l'uso della paura e con la potenza tecnico-amministrativa (vedi punto e); onde viene meno la classica dialettica tra modelli di sviluppo (cioè modello socialista contro modello capitalista) perché viene meno lo stesso sviluppo (sostituito con la decrescita infelice) e con esso il progresso, sia economico che civile che sociale, in quanto non più necessario al funzionamento dell'apparato del potere.

Siamo cresciuti nei lunghi decenni del miglioramento economico costante, congiunto al progresso tecnologico e civile; perciò in noi, subconsciamente, si è consolidato il sentire che il graduale miglioramento nel progresso sia la normalità; ma la storia dice diversamente.

Oggi, piuttosto, dovremmo parlare di modelli e scenari alternativi di declino nel regresso.

Modelli in cui alle classi governate si dice che il progresso esige l'accettazione del peggioramento delle condizioni di vita e del livello dei diritti.

 

d) Dal fatto che, per il funzionamento del potere, i singoli popoli (le masse) e i loro territori sono divenuti superflui, intercambiabili, dunque sacrificabili (vedi il mio saggio “Oligarchia per popoli superflui”. “L'ingegneria sociale della decrescita infelice”) per effetto dell'evoluzione e smaterializzazione dei processi e degli strumenti del profitto e del potere nonché dell'esaurimento del ruolo portante della crescita dell'economia produttiva nel passaggio a quella finanziaria improduttiva.

 La robotizzazione e l'informatizzazione (algoritmi, intelligenza artificiale in vertiginosa crescita) da una parte, la globalizzazione dall'altra (cioè la libera circolazione dei capitali e delle imprese alla ricerca del lavoro a basso costo), stanno rendendo inevitabilmente superflue crescenti masse di lavoratori (soprattutto i non giovani), precari gli impieghi, calanti i salari.

Il lavoro è sempre meno richiesto, i lavoratori di livello medio e basso sono sempre più sostituiti dall'automazione e dai computer, ma lo stesso inizia ad accadere anche a quelli di livello superiore.

Ogni robot introdotto riduce l'occupazione netta di 6,2 unità mediamente.

 I fatti hanno dimostrato falsa la promessa che la tecnica e la globalizzazione avrebbero creato altrettanti nuovi impieghi per quelli che avrebbero estinto.

Per tutti i suddetti fattori, i popoli hanno perduto quasi tutta la forza di contrattazione con la classe dominante; conseguentemente, la loro condizione giuridica, economica e morale sta radicalmente peggiorando:

perdono costantemente diritti politici ed economici, come cittadini, elettori, lavoratori, pensionati, malati... a dispetto del parziale mantenimento delle forme giuridiche di democrazia, libertà e dignità.

 

e) Dal fatto che il potere costituito, dopo una fase in cui ha affidato il controllo, l'irreggimentazione e lo sfruttamento del corpo sociale a strumenti propagandistici e finanziari che agiscono indirettamente sulle persone e sulla società, cioè condizionando la loro comprensione della realtà e la loro condotta economica pubblica (politica) e privata, sta iniziando una fase in cui agisce influenzando direttamente la vita e la biologia delle persone attraverso i nuovi strumenti tecnologici (biochimici, elettronici, elettromagnetici, ingegneria genetica, impianti di microchip, smart dust).

E altresì mediante macchine molecolari (nano-robot detti DNA cargo-sorting) in grado di modificare il DNA (senza che gli interessati se ne accorgano):

 una realizzazione tecnologica annunciata alla fine del 2017.

Insomma, rispetto al paradigma liberale, si è invertito il rapporto:

 lo Stato-apparato controlla e modifica i cittadini anziché essere da loro democraticamente modificabile a seconda delle loro esigenze.

 Farmaci e cibi geneticamente modificati non si limitano a influenzare la fisiologia e lo sviluppo, soprattutto se raggiungono gli embrioni, ma mutano il DNA umano.

 Da decenni sono divulgate tecnologie di controllo psico-comportamentale, sviluppate da agenzie governative USA, mediante impianti cerebrali radiocomandati, e retrostanti progetti di regolare la società con tali mezzi, esposte dapprima dal professor “Manuel José Delgado” nel suo “Controllo fisico della mente - verso una società psico civilizzata” (1969).

Oggi ciò sembra tecnologicamente possibile soprattutto grazie alle interfacce neurali, ai microchip sottocutanei ed encefalici, e ai nano-robot.

 L'impianto di tali congegni può esser fatto di nascosto o venir reso una necessità pratica per accedere a molti servizi anche di diagnosi e cura, nonché per potenziare facoltà cognitive, specialmente la memoria.

 

Si avvera il sogno del generale “Markus Wolf”, il comandante della “Stasi”:

 non è più necessario convincere metà della popolazione a sorvegliare l'altra metà, perché lo fanno i computer.

E non è quasi più necessario ricorrere alla forza per ottenere l'ottemperanza della gente:

i comportamenti desiderati possono essere indotti per suggestione o limitazione mentale o manipolazione neurofisiologica (non solo contingente, ma anche strutturante, neuro plastica, come descritta da “Doidge”).

L'attuale sistema educativo e didattico, rispetto a quello durato fino a qualche decennio fa, è congegnato in modo da non sviluppare facoltà cognitive e metacognitive, quali l'attenzione sostenuta, la memorizzazione, l'analisi computazionale dei testi, e in genere l'autodominio, la capacità di imporsi qualcosa di non gratificante e di contenere gli impulsi differendo le gratificazioni e sopportando le frustrazioni.

È congegnato per produrre persone passive, deboli, dipendenti, condizionabili, incapaci di opporsi e reagire.

Una società rigidamente dipendente per i servizi essenziali (comunicazioni e pagamenti compresi) e per i beni essenziali, quindi per vivere, da reti globali gestite da monopolisti soprastanti al controllo delle pubbliche istituzioni, i quali pertanto dettano le condizioni, gli standard e i limiti di diritti e libertà, e "scremano" la ricchezza reale generata dai settori produttivi, che essi indebitano inestricabilmente.

Il non aver bisogno di usare la forza per mantenere il dominio sociale rende la dominazione meno percepibile, abbassa il rischio che la gente reagisca, ma anche che capisca.

 Il cittadino delle "democrazie" liberiste reali è l'opposto di quel che dovrebbe essere per la teoria liberale, ossia è completamente passivizzato e impotente, salvo che si ribelli alle regole, rispetto alle pretese del fisco, ai tagli dei servizi, a chi decide i prezzi dei beni, le tariffe dei servizi, le condizioni di lavoro, la rischiosità delle banche, i dogmi e recinti culturali, per non parlare delle politiche economiche.

Ma se denuncia il sistema è un estremista, o perlomeno un populista.

 

 

Le regole sono le radici della

nostra convivenza. Perché

alcune funzionano e altre no?

Ilsole24ore.com - Vittorio Pelligra – (2 febbraio 2020) – ci dice:

 

Le regole sono l’architrave della società civile, ma spesso vengono ignorate dai cittadini. La soluzione sta nella ricerca di equilibrio.

Fino al 2013, in Francia, alle donne era vietato vestire i pantaloni. A meno che non dovessero andare a cavallo o in bicicletta o che avessero presentato un certificato medico alla polizia per ottenere una deroga speciale, la gonna era l'unica alternativa possibile. Lo stabiliva un’ordinanza della prefettura di Parigi emessa nel novembre del 1800 e in vigore fino, appunto, al febbraio 2013.

 

Quando venne ufficialmente abolita, la legge, naturalmente, non veniva più rispettata da decenni, anche se in alcuni casi aveva contribuito a creare spiacevoli incidenti, come quando nel 1972, la giovane deputata “Michèle Alliot-Marie” venne trattenuta all’ingresso del Parlamento a causa del suo abbigliamento non consono: indossava un paio di pantaloni.

Venne fatta passare solo dopo molte proteste, ma soprattutto quando minacciò di toglierseli quei pantaloni e di entrare in Parlamento in mutande.

Perché alcune regole funzionano e altre no? 

Questa storia, oltre che gettare un po’ di ridicolo sui cugini d’oltralpe, ci dovrebbe far interrogare su un tema più profondo:

 perché certe regole vengono rispettate, alcune meno e altre, invece, vengono bellamente ignorate?

Il tema è rilevante per chiunque si trovi nella condizione di dover regolare in qualche modo il comportamento di gruppi, dalla vita famigliare alle dinamiche organizzative e aziendali, fino alla dimensione nazionale e sovranazionale.

Ma il tema è rilevante anche per tutti coloro che devono decidere se, come e quanto conformarsi a regole e norme.

 

Insomma, è un tema rilevante per tutti, perché le regole che ci diamo, in fondo, non sono altro che le radici dell’albero della nostra convivenza. Solo se le radici sono sane e robuste, allora le nostre comunità possono prosperare, e noi con loro.

Le regole sono gli elementi costitutivi delle istituzioni e queste ultime sono gli strumenti che utilizziamo per organizzare e coordinare i comportamenti sociali in modo che questi possano concorrere nel modo più efficace al benessere collettivo.

Sono le istituzioni a stabilire come suddividere i compiti nelle organizzazioni complesse, a governare e ad allineare una miriade di piani individuali in un’azione congiunta concertata ed efficace.

Le istituzioni che coordinano le nostre vite.

Stati, mercati, tradizioni, codici giuridici e morali, ma anche il matrimonio, l’amicizia, le buone maniere, sono tutte istituzioni, cioè insiemi di regole, che contribuiscono a (co)ordinare le nostre esistenze e a facilitare l’azione congiunta, a volte di sole due persone, altre volte di milioni e milioni.

Si capisce, dunque, perché possa essere rilevante chiedersi quando e per quale ragione alcune di queste regole vengano rispettate e quando e per quale ragione invece no;

 cosa rende alcune regole “effettive” e altre “non effettive”;

perché, come sostiene qualche voce malevola, a Milano i semafori siano un obbligo, a Roma un suggerimento e a Napoli decorazioni.

Il primo punto da chiarire è che le regole e le istituzioni che le incorporano sono effettive se sono sostenute da incentivi e aspettative coerenti.

 Pensiamo alle norme del codice della strada e, in particolare, alla regola che prescrive la guida a destra.

 Questa regola funziona egregiamente nel coordinare il comportamento di milioni di automobilisti sia perché è nel loro interesse seguirla, sia perché ci si aspetta correttamente che tutti la seguiranno.

Diventa importante seguirla proprio perché ci aspettiamo che gli altri la seguiranno.

Ci sono le aspettative che suggeriscono che anche gli altri automobilisti guideranno a destra e gli incentivi che ci dicono che se tutti gli altri guideranno a destra, allora, per evitare un incidente, anche noi faremmo meglio a guidare a destra.

Non serve la minaccia di una multa per far fare a qualcuno ciò che è nel suo interesse fare.

E infatti questa regola del codice della strada funzionerebbe anche se non ci fossero sanzioni formali a sostenerla.

Dato che tutti hanno l’interesse ad evitare gli incidenti, sapere che gli altri guideranno a destra è sufficiente a convincermi a rispettare la regola di guidare a destra.

 Aspettative e incentivi.

Perché una norma funziona, e perché no.

Le regole che funzionano, funzionano perché hanno questa caratteristica, sono equilibri del gioco della vita, direbbero i teorici dei giochi.

 Sono situazioni nelle quali, dopo che ognuno ha fatto la sua scelta - destra o sinistra – e dopo aver osservato le scelte di tutti gli altri, decide che la sua scelta è la migliore possibile.

Si chiamano “equilibri” proprio perché in questi casi nessuno ha interesse a cambiare idea, a mettere in discussione il proprio comportamento, dato quello di tutti gli altri.

Sono equilibri anche perché le aspettative sul comportamento in questi casi sono sempre corrette.

Un’istituzione efficace non è altro, dunque, che un insieme di regole che le persone sono motivate a seguire.

 Regole come queste non sono, in sé, migliori di altre.

Potremmo, per esempio, come si fa in Gran Bretagna e Giappone, scegliere di guidare a sinistra, invece che a destra.

 L’importante è che tutti lo facciano contemporaneamente.

 Il 3 settembre 1967, per esempio, gli automobilisti svedesi, dalle quattro e quarantacinque del mattino, iniziarono a guidare a destra e non più a sinistra, come avevano fatto fini a quel momento.

 Le foto delle strade di Stoccolma, quel giorno, mostrano numerosi casi di disorientamento e qualche incidente, ma nel giro di poche ore, milioni di individui passarono da una regola ad un’altra, da un equilibrio ad un altro, in un esercizio di straordinaria coordinazione collettiva.

Non ci sono, nel grande gioco della vita, solo questi giochi di coordinazione “puri”, dove gli equilibri sono equivalenti;

ci sono anche altri casi che prevedono la possibilità di assetti istituzionali differenti, alcuni migliori e altri peggiori.

Questi sono i cosiddetti giochi di coordinazione “impuri”.

 Una classe di studenti svogliati e insegnanti demotivati, rappresenta un equilibrio nel quale le aspettative reciproche e gli incentivi portano ad un esito peggiore di quello che si otterrebbe nel caso di una classe popolata da studenti motivati e collaborativi e da insegnanti appassionati e stimolanti.

 Come trasformare la prima classe nella seconda?

Come innescare processi di transizione che portino da un equilibrio inferiore ad uno superiore?

Scuola, le iscrizioni “cercano” innovazione e lavoro: crescono tecnici e professionali, lento calo dei licei

Per il prossimo anno scolastico studenti e famiglie scelgono percorsi di istruzione nuovi e pragmatici: crescono istituti tecnici e professionali, ma anche la filiera formativa 4+2 e il liceo del Made...

Il ruolo delle aspettative.

Qui un ruolo fondamentale viene giocato dalle aspettative.

A costo di semplificare un po’ possiamo affermare che, se gli studenti sanno che gli insegnanti si aspettano poco, giustificano e auto-giustificano lo scarso impegno e tollerano l’apatia, allora saranno indotti ad impegnarsi poco e anche quelli che invece vorrebbero dare di più, in un clima di lassismo generalizzato, finiranno, presto o tardi, per adattarsi; studenti e insegnati allo stesso modo.

Ma le aspettative possono anche essere differenti: gli insegnanti possono non accontentarsi del minimo sforzo, possono lanciare segnali inequivocabili, in questo senso, possono motivare gli studenti presentandogli sempre nuove sfide e dandogli gli strumenti per superarle.

Gli studenti stessi possono creare un clima di coopetizione (competizione e cooperazione) tra loro, nel quale l’impegno viene ricompensato con l’approvazione e il prestigio sociale e la pigrizia e il lassismo, invece, vengono stigmatizzati con biasimo dei più.

Quest’insieme di aspettative porterà, con tutta probabilità, ad un equilibrio superiore, con soddisfazione di tutti.

Spesso non si rispettano le regole solo perché abbiamo la sensazione che sia inutile, visto che sappiamo che nessun altro lo farà.

Il rompicapo dei giochi di cooperazione.

Ci sono, poi, i casi più complicati, le situazioni più difficili, veri e propri rompicapi per i policy-makers: sono i cosiddetti giochi di cooperazione. Questi rappresentano tutte quelle situazioni nelle quali, proprio il sapere che gli altri rispetteranno le regole, farà scattare la spinta a non rispettarle.

Se nessuno pagasse il biglietto del bus, il sistema fallirebbe e io non potrei più usufruire del trasporto pubblico.

Ma se, invece, so che la maggior parte degli utenti pagheranno il biglietto, allora, proprio per questo, sarò tentato di non pagarlo:

avrei comunque il servizio ma senza il costo del biglietto.

Sarebbe certamente meglio trovarsi in uno scenario nel quale tutti i cittadini pagano le tasse, piuttosto che in uno nel quale nessuno le paga.

 

O poter contare sul fatto che blog e giornali non pubblichino e non rilancino notizie false e tendenziose, solo perché sono in tanti a fare così. O, ancora, sarebbe preferibile una situazione nella quale si sceglie di fare la raccolta differenziata, piuttosto che una nella quale nessuno la fa.

 Il problema è che, in genere, in queste circostanze lo scenario migliore - pagare le tasse, combattere le fake news, fare la raccolta differenziata – non è mai un equilibrio del gioco.

 I comportamenti effettivi saranno allora spinti lontano da tali esiti positivi, spesso, verso configurazioni peggiori: evasione, informazione non affidabile, inquinamento.

 La questione vera, in questi casi, diventa, quindi, non tanto quella di passare da un equilibrio ad un altro, quanto piuttosto quella di ristrutturare il gioco in modo che l’esito ottimale – fedeltà fiscale, notizie affidabili, riciclo dei rifiuti – diventino un equilibrio.

Aspettando il «Leviatano».

Per questo, in casi simili, occorrono interventi esterni che siano volti a modificare la struttura degli incentivi e quindi alla ristrutturazione del gioco stesso.

 Deve intervenire il” Leviatano”, un soggetto esterno dotato di potere coercitivo e sanzionatorio, perché solo attraverso le sanzioni possiamo cambiare la struttura degli incentivi e quindi il comportamento.

Per questo, l’evasione, la disinformazione e l’inquinamento, sono comportamenti punibili e, in varie forme, puniti.

 Anche se non sempre questa strada è l’unica o la più efficace.

 Il costo effettivo della sanzione e la sua efficacia, infatti, dipende da due elementi distinti:

 l’effettivo ammontare della sanzione e la probabilità che, in caso di violazione, questa venga effettivamente scoperta e la sanzione effettivamente comminata.

L’effetto deterrente di una piccola multa certa è molto maggiore di quello di una grande sanzione che sappiamo altamente improbabile.

Il problema dei giochi di cooperazione, la ristrutturazione, cioè, delle situazioni in modo da far emergere nuovi e migliori equilibri, può diventare molto complicato proprio a causa della difficoltà di accertare e sanzionare le violazioni.

 In questi casi l’effetto disincentivante delle sanzioni diventa praticamente nullo, il gioco non cambia e siamo costretti a tenerci i vecchi e inefficienti equilibri.

C’è chi, un po’ paternalisticamente, è convinto che si possa uscire da questa impasse solo coltivando la virtù dei singoli cittadini.

 Se è vero che da una parte questo può aiutare, certamente non è una mossa risolutiva.

Saremmo destinati ad un ben misero fallimento.

Non bastano i generici appelli al senso civico o i progetti di potenziamento dell’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole.

Sono scorciatoie degne del più ingenuo e superficiale populismo. Occorre tenere a mente che nei giochi ci cooperazione, la tentazione all’opportunismo nasce proprio quando si ha la convinzione che gli altri rispetteranno le regole.

Tanto maggiore è il numero di cittadini “virtuosi” tanto più forte sarà la tentazione della violazione.

 È un paradosso difficile da evitare. Ma, per fortuna, qualche via d’uscita c’è.

Per esempio, meccanismi potenti, in questo senso, sono la pressione dei pari e il conformismo sociale.

 

Il potere benefico della «spinta dei pari»

“Antanas Mokus” è stato, tra il 1995 e il 2004, per due volte sindaco di Bogotà, in Colombia, e sotto la sua guida la città ha subito una rivoluzione urbanistica e sociale che l’ha trasformata, in pochi anni, da una città insicura, inquinata e corrotta, in una metropoli moderna e decisamente più vivibile.

Uno dei pilastri del programma di cultura civica di “Mokus” è stato quello di «promuovere la capacità dei cittadini di incoraggiare gli altri cittadini ad un pacifico rispetto delle leggi» (“CoExistence as Harmonization of Law, Morality and Culture”).

 

La pressione dei pari diventa valorizzazione reciproca degli sforzi dei singoli e attenzione collettiva verso i comportamenti opportunistici. Anche l’imitazione e il conformismo sono armi potenti.

 Invece che evidenziare il numero degli evasori, sarebbe più utile sottolineare l’enorme numero di cittadini onesti che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo.

 Se, invece che accendere i riflettori sui pochi trasgressori, dessimo risalto ai molti onesti, le violazioni sarebbero sensibilmente meno tollerate socialmente.

 Anche questo è il gioco delle aspettative.

 Se penso che tutti evadano, perché io non dovrei farlo?

Ma se so che gli evasori e i trasgressori, in generale, sono pochi, allora la mia violazione diventa più costosa.

Sottolineare l’onestà dei tanti piuttosto che la disonestà dei pochi rende le regole ancora più normative, ne aumenta l’efficacia prescrittiva e, infine, la capacità di persuasione.

 Un ulteriore passo è quello nella direzione di rendere le sanzioni certe, perché automatiche.

 Per esempio, facendole auto-imporre direttamente dal trasgressore. Fare in modo che si passi da un senso di auto-giustificazione al senso di colpa, dopo aver trasgredito la norma, è un modo perché la sanzione diventi automatica e certa.

 Se passano messaggi come “chi evade ruba” e “chi inquina ruba il futuro ai propri figli”, il costo morale di certi comportamenti aumenta proprio perché aumenta il senso di colpa che questi, automaticamente, producono.

L’eliminazione del confine mio-nostro.

Un terzo elemento ha a che fare con l’eliminazione del confine mio/nostro.

Nel momento in cui la sfera pubblica viene percepita come costitutivamente separata da quella individuale – ciò che è comune non è di nessuno – allora la molla dell’interesse individuale non si applica e con essa si perde una sorgente motivazionale potente.

 Promuovere una prospettiva nella quale, invece, ciò che è comune è anche mio, aiuta a produrre un allineamento tra gli interessi individuali e quelli collettivi e quindi ad una maggiore fedeltà alle norme di coordinazione.

Se si vuole indurre i cittadini riluttanti a differenziare i rifiuti e a seguire le regole della raccolta porta-a-porta, per esempio, non si può ragionare solamente in termini di sanzioni.

 Non si può solo minacciare multe o installare telecamere nel tentativo di scongiurare la nascita di discariche abusive.

Ci sarà sempre un luogo sufficientemente buio e appartato dove abbandonare i rifiuti.

 Non sempre la soluzione di ristrutturare il gioco attraverso gli incentivi materiali può funzionare.

Quando si vogliono introdurre innovazioni che richiedono cambiamenti comportamentali importanti, la prima cosa da fare è mettere tutti nelle condizioni di poter rispettare le regole senza bisogno di sforzi eroici.

 Il passaggio da un sistema all’altro dovrebbe essere il più indolore possibile.

Il vantaggio di nuove regole

Occorre, poi, far comprendere la natura del vantaggio che, collettivamente, si può ottenere con le nuove regole: una città più pulita, bella e dignitosa, in tutti i suoi quartieri, centro e periferia.

 I nostri interessi sono anche i miei interessi.

Infine, si dovrebbero sottolineare e rendere concreti anche gli eventuali vantaggi individuali che ogni cittadino potrebbe sperimentare. Per esempio, una sensibile riduzione della tassa sui rifiuti.

Perché i miei interessi sono anche i nostri interessi.

 In questo modo il nuovo scenario, quello nel quale tutti seguono le nuove regole, differenziando e conferendo in maniera corretta i rifiuti, ha maggiori probabilità di diventare un equilibrio e quindi un corso di azioni che ogni cittadino ha interesse a mettere in atto.

 Se anche solo uno di questi elementi dovesse mancare, allora il cambiamento sarà difficoltoso, problematico e, alla fine, destinato all’insuccesso.

Le regole che funzionano sono le regole che codificano equilibri del gioco della vita

 Sono regole che favoriscono e coordinano gli interessi individuali verso un mutuo vantaggio che, senza regole, sarebbe complicato da ottenere. In fondo, e non solo evangelicamente, le leggi sono fatte per l’uomo e non l’uomo per le leggi.

Se siamo in presenza di regole troppo complicate e costose da seguire la probabilità che esse vengano eluse e violate aumenta drasticamente. Una vera azione riformatrice non considera solo cambiamenti auspicabili, ma cambiamenti realisticamente auspicabili.

Soprattutto cambiamenti che vengono percepiti, contemporaneamente, come interesse comune e dei singoli.

Le istituzioni e i comportamenti morali evolvono congiuntamente e, se è vero che buone istituzioni si basano su un ampio tessuto di virtù civili, è altrettanto vero che le stesse istituzioni, quando funzionano in maniera giusta ed efficiente, contribuiscono al rafforzamento e alla diffusione di tali virtù.

Analogamente, inefficienze e ingiustizie pubbliche sono frutto, ma anche causa, di piccoli e grandi opportunismi e tendono a generare ingiustizie.

In questo snodo concettuale e in questa irriducibile ambivalenza sta la sfida della moderna progettazione istituzionale.

Un’arte che ogni regolatore e policy-maker dovrebbe padroneggiare, affinché interessi materiali e sentimenti morali possano essere valorizzati insieme verso un obiettivo comune, invece che aizzati gli uno contro gli altri da norme contraddittorie e regole tanto dannose quanto ingiuste.

 

 

 

Le regole in Europa.

Meloni: no a nuovo Patto stabilità

se non posso rispettarlo.

Giorgetti: scarse possibilità

Ok la settimana prossima.

Ilsole24ore.com – (15-12-2023) – Redazione – ci dice:

 

«Togliendo la possibilità» di vedersi fisicamente «diventa più difficile» trovare un accordo, ha detto la premier “Giorgia Meloni” durante un punto stampa al termine del vertice “Ue”, rispondendo ad una domanda sulla possibilità di arrivare all’intesa sul “Patto di stabilità” in occasione della riunione dell’”Ecofin” convocata il 20 dicembre in videoconferenza.

 

Patto di stabilità, Giorgetti: “Metteremo la firma se sarà nell’interesse del paese.”

I punti chiave:

Meloni: con la Francia convergenza sul Patto Ue.

Sul Mes nessun ricatto, non c’è link con il Patto».

Giorgetti: scarse possibilità ok la settimana prossima.

«Ue come assemblea condominio, incapace di decisioni».

«Nostra idea sugli investimenti non è condivisa».

«Il Superbonus è ancora radioattivo, stiamo monitorando».

«Con il debito dobbiamo essere attenti».

 

«Sul Patto dobbiamo trovare un equilibrio, dobbiamo tenere aperte tutte le strade finché non sappiamo qual è il punto di caduta.

 Il veto?

Non la metterei così, ma io non posso dare l’ok a un Patto che io, ma nessun governo, posso rispettare».

 Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un punto stampa al termine del vertice del Consiglio europeo a Bruxelles.

La premier ha poi aggiunto:

«Le posizioni sono ancora abbastanza distanti, bisogna lavorare ancora».

«Il bilancio del consiglio europeo è in chiaro e scuro, sono molto soddisfatta per l’allargamento con un obiettivo che molti di noi consideravano difficile.

Non si è trovata soluzione per il bilancio anche se secondo me la soluzione è alla portata» ha aggiunto Meloni.

Meloni: con la Francia convergenza sul Patto Ue.

«Ho avuto un bilaterale con “Macron”, poi “Scholz” che era seduto al tavolo accanto si è fermato.

Con il presidente francese abbiamo affrontato dal tema del “Patto di stabilità” a tutti gli altri dossier su cui pensiamo si possa costruire una convergenza»

e sul Patto «ci sono» diversi punti di «convergenza comune, ha detto la premier “Giorgia Meloni “durante un punto stampa al termine del vertice Ue.

Sul Mes nessun ricatto, non c’è link con il Patto».

Il “link” tra “Mes” e “Patto di stabilità” lo «vedo solo nel dibattito italiano.

Sicuramente per noi fa la differenza sapere quale sia “il Patto di cui disponiamo”, ma non c’è una dimensione di ricatto, nel dire ’se non mi dai questo non faccio questo’.

Non l’ho vista, nessuno ha mai posto la questione così» ha detto la premier Giorgia Meloni nel punto stampa con i cronisti.

 

Sul Patto di stabilità «le negoziazioni sono andate avanti» ma le possibilità che si arrivi ad un accordo la settimana prossima sono «scarse».

 Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ospite della kermesse di Fratelli d’Italia Atreju, a proposito del negoziato europeo sulla riforma del Patto.

 «Io - ha precisato il responsabile del Mef - non ho niente contro le videoconferenze ma che io vada a chiudere un accordo che condiziona l’Italia per i prossimi 20 anni in video conferenza,

...anche no, grazie. Forse un’Ecofin in presenza potrebbe essere più opportuno».

Patto di stabilità, Giorgetti: “Metteremo la firma se sarà nell’interesse del paese”.

Giorgetti: Ue come assemblea condominio, incapace di decisioni».

«L’Ue è incapace di prendere decisioni in tempi tempestivi e strategici, è impossibile decidere», adesso «funziona come un’assemblea di condominio» ha aggiunto il ministro ad Atreju.

 «Quello che ho capito è che manca la dimensione politica dell’Europa, perché la politica è il concetto associato a decisione» ha aggiunto.

 

«Nostra idea sugli investimenti non è condivisa».

«Abbiamo il dovere di creare delle regole fiscali che rendano possibile raggiungere» i grandi obiettivi che l’Europa si è data, come la transizione verde e digitale, «ma questa posizione non trova consenso perché manca la dimensione politica.

 Si preferisce conservare le situazioni» ha aggiunto Giorgetti ad Atreju. Gli investimenti legati agli obiettivi europei «vanno trattati in modo diverso», ha spiegato.

«Se creiamo regole che diventano un fine e non un mezzo per raggiungere gli obiettivi, abbiamo distrutto l’Europa», ha concluso.

«Il Superbonus è ancora radioattivo, stiamo monitorando».

Quanto al Superbonus, «nel momento di massimo dolore poteva avere senso, ma poi andava ridotto.

 Ora gli abbiamo messo sopra un sacco di sabbia ma continua a emanare radioattività» ha detto Giorgetti a margine del suo intervento ad Atreju a chi gli chiedeva se ci possa essere spazio per qualche intervento sul superbonus, magari con il decreto “Milleproroghe”.

 Giorgetti ha spiegato che «il conto da pagare per il Superbonus è ahimè arrivato a 94 miliardi e entro fine anno sforeremo i 100».

«Con il debito dobbiamo essere attenti».

«Quando si parla di economia italiana non possiamo ignorare che siamo inseriti in contesto più ampio», dove guerre, pandemia «hanno avuto impatto sui debiti pubblici.

Non siamo in un periodo normale, ma anormale, e costringe chi è più indebitato ad avere accortezza e attenzione» ha chiosato ancora Giorgetti ad Atreju.

 Il ministro ha spiegato che «qualsiasi tipo di azioni che fa il governo deve ispirare credibilità, serietà perché ogni due settimane soggetti finanziari internazionali comprano il nostro debito e noi paghiamo di più o di meno in base alla affidabilità che abbiamo generato».

 

 

 

Nasce il nuovo Patto

di stabilità e crescita.

Lavoce.info - MASSIMO BORDIGNON – (22/12/2023) – ci dice:

Rispetto alla proposta originaria della Commissione, l’accordo sul nuovo Patto di stabilità non semplifica le regole e prevede vincoli più rigidi e uniformi, con il rischio di generare una spinta deflattiva per l’intera area.

Le conseguenze per l’Italia.

 

L’accordo.

 

Dopo oltre un anno di discussioni e su forcing finale franco-tedesco, un accordo tra i paesi sul nuovo Patto di stabilità e crescita è stato finalmente raggiunto.

 Il testo passerà ora al “trilogo” con Commissione e Parlamento europeo per raggiungere la versione finale, probabilmente entro gennaio 2024. L’accordo è stato in qualche modo subito dall’Italia, che non ha partecipato al rush finale della contrattazione tra i ministri delle Finanze francese e tedesco.

 Benché una migliore gestione delle alleanze non avrebbe certo guastato, va detto però che gli spazi di contrattazione per il nostro paese erano comunque limitati.

Un po’ per la precarietà delle nostre finanze pubbliche (che il governo ha inopinatamente deciso di peggiorare con l’ultima legge di bilancio, proprio nel bel mezzo della contrattazione sulle nuove regole) e un po’ perché, a differenza di quanto spesso sostenuto sulla stampa, sul nuovo regolamento sul braccio preventivo del “Psc” non era prevista l’unanimità da parte dei paesi, ma solo la maggioranza qualificata. Formalmente, dunque, l’Italia non poteva imporre un veto.

Le differenze con la proposta della Commissione.

Che cosa cambia con l’accordo rispetto alla proposta legislativa della Commissione di aprile 2023?

Per i paesi che sono nel braccio preventivo, la struttura fondamentale rimane la stessa.

C’è ancora il passaggio a un approccio di medio termine, con i paesi con debito elevato che devono proporre un piano di aggiustamento (fiscale e strutturale) di durata quadriennale, allungabile a sette anni se il paese si impegna anche a perseguire un programma di investimenti e riforme approvato e monitorato dalla Commissione.

 Resta anche immutato l’obiettivo di fondo del piano:

 mettere il rapporto debito su Pil su un percorso ragionevolmente decrescente a legislazione invariata nel decennio successivo.

 Infine, rimane che la Commissione userà solo l’evoluzione della spesa primaria netta per verificare l’attuazione del piano.

Ma su pressione soprattutto della Germania, a questa prima struttura se ne sovrappone ora un’altra, basata sull’imposizione di due vincoli ulteriori.

 Il primo è un vincolo sul debito:

il piano di aggiustamento deve essere congegnato in modo tale che durante il periodo di aggiustamento il rapporto debito su Pil debba comunque ridursi di almeno un punto su Pil all’anno in media.

Il vincolo quantitativo non era contemplato nella formulazione originaria della Commissione, che prevedeva la riduzione del rapporto debito su Pil solo alla fine, e non necessariamente nel corso del percorso di aggiustamento.

Va aggiunto che la regola quantitativa vale nella stessa misura per tutti i paesi con un rapporto debito su Pil maggiore del 90 per cento, così contraddicendo una delle idee centrali della proposta della Commissione:

la differenziazione del percorso di aggiustamento dei diversi paesi sulla base delle loro caratteristiche specifiche.

Il secondo vincolo è sul disavanzo.

 Non è più sufficiente garantire che il deficit su Pil rimanga sotto la soglia del 3 per cento, la regola di Maastricht;

per i paesi con debito su Pil maggiore del 90 per cento, alla fine del percorso di aggiustamento il disavanzo deve scendere sotto l’1,5 per cento del Pil.

 Per capirsi, se l’Italia deve pagare il 4-4,5 per cento di Pil all’anno per gli interessi sul debito, l’avanzo primario (cioè, la differenza tra entrate e spese al netto degli interessi) deve salire al 2,5-3 per cento del Pil.

 

È anche indicato esplicitamente nel testo il percorso di aggiustamento che un paese deve seguire per raggiungere il nuovo obiettivo sul deficit. Si tratta ancora una volta di regole quantitative uguali per tutti:

 un miglioramento del deficit primario (strutturale) dello 0,4 per cento all’anno in media nel caso di un piano di durata quadriennale, dello 0,25 per cento all’anno in media nel caso di un piano settennale.

Solo che non si capisce come queste indicazioni quantitative uguali per tutti siano coerenti o compatibili con gli altri obiettivi che il piano deve simultaneamente rispettare (per ripetersi, porre il debito su un percorso ragionevolmente decrescente alla fine del percorso di aggiustamento e ridurre il debito su Pil di un punto almeno all’anno durante il percorso).

Visto che i paesi partono da situazioni di finanza pubblica diverse e hanno anche prospettive economiche diverse, questi ultimi obiettivi sembrerebbero per forza richiedere invece un percorso di aggiustamento differenziato.

Matematicamente, il sistema appare sopra-determinato, con troppi vincoli da rispettare simultaneamente.

 

La procedura di disavanzo eccessivo

 

Il testo licenziato dal Consiglio chiarisce tuttavia che il complesso meccanismo descritto sopra si applica solo ai paesi non sottoposti a una procedura di deficit eccessivo, cioè il cui deficit su Pil sia inferiore al 3 per cento.

 I paesi sottoposti a procedura (cioè, nel braccio correttivo del Psc) devono invece prima uscirne, riportando il deficit al di sotto del 3 per cento, e solo dopo saranno tenuti a presentare il piano di aggiustamento fiscale e strutturale descritto sopra.

Il chiarimento è rilevante per il nostro paese, perché quasi certamente la Commissione aprirà una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (e di altri paesi) nel 2024, visto che con la legge di bilancio il deficit italiano nel 2023 è stato quantificato al 5,3 per cento del Pil, con una previsione al 4,3 per cento del Pil nel 2024. La procedura di infrazione, a sua volta, impone un percorso di aggiustamento (sostenuto da possibili sanzioni), tipicamente di durata triennale, che prevede una correzione del deficit (strutturale) di almeno lo 0,5 per cento del Pil all’anno.

Ma qui l’Italia e gli altri paesi ad alto debito hanno ottenuto qualcosa e cioè il fatto che la Commissione nel determinare la correzione dei conti pubblici prevista nel triennio 2025-2027 tenga conto dell’incremento nella spesa per interessi intervenuta nel periodo, a seguito dell’ondata inflazionistica e del conseguente l’inasprimento dei tassi da parte della Bce. In pratica, vuol dire che nei tre anni considerati, l’Italia potrà contare su uno “sconto”, cioè su una riduzione minore del deficit (strutturale) dello 0,5 per cento di Pil all’anno normalmente previsto, anche se l’entità dello “sconto” non è specificata nel testo.

Il vantaggio si concluderà nel triennio o comunque quando l’Italia uscirà dalla procedura; a quel punto, con il piano di aggiustamento ci sarà da raggiungere l’obiettivo dell’1,5 per cento di deficit su Pil, non più solo del 3 per cento.

 

Il rischio della spinta deflattiva.

In conclusione, si può avanzare qualche commento.

Il primo è che per i due vincoli addizionali voluti dalla Germania, il piano di aggiustamento nel braccio preventivo che viene fuori dall’accordo è sicuramente più incisivo di quello originariamente proposto dalla Commissione, anche se per la sovrapposizione di vincoli quantitativi e di obiettivi diversi si fa fatica a stimare di quanto.

 Rispettarlo richiederà uno sforzo maggiore da parte dell’Italia, ma anche da parte di altri paesi, con il rischio di generare una spinta deflattiva per l’intera area europea.

Il secondo è che il sistema delle regole fiscali che emerge dalla contrattazione tra paesi è molto più complicato di quello originariamente proposto dalla Commissione, di nuovo per la sovrapposizione di vincoli e criteri diversi, non necessariamente coerenti tra di loro.

Se uno degli obiettivi della riforma era la semplificazione delle regole fiscali, la versione uscita dall’accordo certamente non lo soddisfa. La speranza è che nella contrattazione finale con la Commissione e il Parlamento si riesca almeno a ridurne le inconsistenze o a chiarirne meglio i passaggi.

La terza riflessione è che pur con l’irrigidimento delle regole in futuro, i paesi ad alto debito in generale, e l’Italia in particolare, hanno ottenuto un po’ di respiro per il prossimo triennio, il periodo in cui dovrebbe concludersi l’attuale legislatura italiana.

Con questa versione del Patto, problemi più seri li avranno invece i governi italiani successivi.

 

 

 

Navalny come Politkovskaya.

Korazym.org – (19 Febbraio 2024) - Simone Baroncia – ci dice:

 

“Dopo essere stato avvelenato, ingiustamente imprigionato e torturato, Aleksei Navalny è deceduto, dopo 37 mesi di sofferenza dietro le sbarre, a seguito di un trasferimento in una delle carceri più remote e dure della Russia.

 Aleksei era un prigioniero di coscienza, detenuto solo per aver denunciato un governo repressivo”:

è quanto dichiarato da” Agnès Callamard”, segretaria generale di” Amnesty International”, all’indomani della morte dell’oppositore di Putin, che ha poi aggiunto:

“Navalny chiedeva libertà politica per sé e i suoi sostenitori; denunciava la corruzione e sfidava Putin.

 La sua morte è una testimonianza devastante e grave delle condizioni di vita sotto il regime oppressivo e repressivo del Cremlino.

Ha pagato il prezzo più alto per aver espresso la propria opinione critica e per aver difeso la libertà d’espressione. “Amnesty International” è al fianco di tutti coloro che lottano per i diritti umani dentro e fuori i confini della Russia”.

 

Ed ha spiegato le condizioni del prigioniero russo:

“Navalny è stato privato delle cure mediche, è stato tenuto per lunghi periodi in isolamento ed è stato vittima di sparizione forzata, quando è stato trasferito in una delle colonie penali più lontane che ci siano, vicino al Circolo polare artico.

Le autorità russe hanno rifiutato di indagare adeguatamente e di essere trasparenti sulle precedenti accuse di violazioni dei suoi diritti umani”.

È un richiamo alla comunità internazionale a richiedere verità sulla sua morte:

 “Mentre è in corso la ricerca di giustizia, è chiaro che abbiamo poche vie a nostra disposizione.

 È quindi fondamentale che la comunità internazionale intraprenda azioni concrete affinché tutti coloro che sono responsabili della morte di Navalny rendano conto delle proprie azioni.

Dobbiamo urgentemente chiedere alle Nazioni Unite di utilizzare le loro procedure e i loro meccanismi speciali per occuparsi della morte di Navalny”.

Per questo è stata chiara e precisa la dichiarazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella:

“La morte di “Aleksej Navalnyj” nel carcere russo di “Kharp” rappresenta la peggiore e più ingiusta conclusione di una vicenda umana e politica che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale.

Per le sue idee e per il suo desiderio di libertà Navalnyj è stato condannato a una lunga detenzione in condizioni durissime.

 Un prezzo iniquo e inaccettabile, che riporta alla memoria i tempi più bui della storia.

 Tempi che speravamo di non dover più rivivere. Il suo coraggio resterà di richiamo per tutti”.

L’”ong” ha sottolineato la responsabilità di Putin: “Aleksej Naval’nyj è stato ucciso in prigione.

 L’amministrazione penitenziaria ha trasmesso la notizia e intende svolgere verifiche per stabilire la causa di morte;

 gli inquirenti hanno debitamente annunciato qualcosa di simile.

Non ce n’è bisogno, quella causa è già nota.

 Naval’nyj è stato assassinato;

di questo assassinio pianificato e attuato metodicamente è responsabile lo stato russo, inclusi quegli stessi enti che ora cianciano di verifiche”.

 

Dopo aver ricostruito gli ultimi quattro anni del dissidente russo l’ong per la difesa dei diritti umani ha ribadito che tale uccisione è un assassinio politico:

“Questo non è un semplice assassinio politico:

è un attentato alla speranza.

Ma è in nostro potere impedire questo ultimo crimine contro Naval’nyj, e anche di fermare altri assassini politici in corso proprio ora.

 Aleksej era straordinario per il coraggio, la tenacia e l’ottimismo.

Per noi sarà sempre un esempio da seguire, una fonte di ispirazione che infonde speranza e non permette di lasciarsi cadere le braccia”.

Per il prof. “Adriano Dell’Asta”, vicepresidente della Fondazione ‘Russia Cristiana’, il dissidente è un esempio di libertà:

“Esempio di democrazia, aveva mostrato in atto la disponibilità a battersi per una causa non strettamente personale:

era infatti tornato in patria dopo che era stato oggetto di un tentato avvelenamento, ben sapendo di essere destinato alla galera, ma convinto di dover dare un esempio di coraggio civile che potesse scuotere un’opinione pubblica troppo accomodante con il potere, in patria ma, non dimentichiamolo, ancor più gravemente accomodante nel resto del mondo.

Ora a morire è Naval’nyj, ma non dimentichiamo, appunto, gli avversari politici, gli oppositori e i giornalisti eliminati in questo primo ventennio del XXI secolo.

Esempio di libertà, non aveva smesso di essere libero, continuando a difendere la causa di tutta l’opposizione persino in carcere e persino quando vedeva che ogni sua azione scatenava le reazioni più odiose e assurde da parte dei suoi aguzzini.

Esempio di dignità, col suo ritorno e con la sua resistenza, aveva mostrato cosa significhi essere uomini in questa nuova versione del ‘secolo lupo’, come la moglie del grande poeta “Mandel’štam “aveva chiamato i tempi di Stalin”.

Sul sito di “Asia News” don “Stefano Caprio,” docente di storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale, ha ricostruito i minuti precedenti il decesso dell’oppositore russo:

“Naval’nyj è morto ufficialmente alle 14.17, e la notizia è stata diffusa con un comunicato stampa dell’amministrazione penitenziaria alle 14.19, per girare sui canali della Tass alle 14.20, annunciando alle 14.23, sei minuti dopo la morte, la ‘verosimile formazione di un trombo’, senza alcuna autopsia o conferma di medici competenti.

Il portavoce del Cremlino,” Dmitrij Peskov”, ha commentato la ‘spiacevole notizia’ alle ore 14.30, meno di un quarto d’ora dopo la morte.

Il cronometraggio ufficiale, e non le supposizioni dei malvagi occidentali, dimostrano che si è trattato veramente di un’operazione pianificata e concordata ai massimi livelli, fino ai minuti secondi, con comunicati già pronti e stampati.

“Putin” non si farà ovviamente alcuno scrupolo nel negare ogni tipo di evidenza, ciò che rappresenta la sua migliore capacità professionale fin dai tempi del “Kgb,” ma non c’è modo di occultare un crimine di portata così clamorosa, tanto che in tutta la Russia sono in corso manifestazioni spontanee di grande partecipazione emotiva, segno che nel fondo dell’anima dei russi si conserva ancora la fiammella di Naval’nyj”.

Dopo la morte la polizia russa ha bloccato l’accesso al memoriale delle vittime della repressione politica ed ha arrestato coloro che erano venuti a commemorare l’oppositore, che secondo l’”ong OVD “per i diritti umani sono oltre 400 i detenuti in 30 città russe per aver voluto ricordare il dissidente.

Inoltre 24 ore dopo è morto anche il fotografo “Dmitry Markov”, che aveva documentato le proteste del 2021 per l’arresto dell’oppositore al suo ritorno in Russia dalla Germania.

 

 

 

 

No, i palestinesi non hanno votato

per più terrorismo

nelle elezioni del 2006.

 

Unz.com - MIKE WHITNEY – (FEBBRAIO 19, 2024) – ci dice:

Questa affermazione è vera o falsa: Israele è giustificato a radere al suolo Gaza perché i palestinesi hanno eletto “Hamas” nel 2006, il che dimostra che sostengono il terrorismo?

(twitter.com/TvTecpro/status/1754107896118305157)

Vero.

Falso.

La risposta è "2".

 Le elezioni del 2006 non provano che i palestinesi sostengono il terrorismo. Anzi.

Ciò che i dati dei sondaggi mostrano è che la maggioranza delle persone ha votato su questioni completamente estranee al terrorismo.

Ecco per cosa hanno votato:

Sicurezza e protezione (37%).

Diminuzione della corruzione (25%).

Che sorpresa, eh? Quindi, i palestinesi vogliono la stessa cosa che la gente vuole ovunque;

 Più sicurezza e meno corruzione.

Nessuno – e dico nessuno – ha votato per “Hamas” perché pensava che il gruppo avrebbe istigato scontri più sanguinosi con Israele.

Il fatto che la "sicurezza e la protezione" siano il problema numero uno, dimostra che non c'è alcun appetito per ulteriori conflitti.

 I palestinesi – almeno la maggioranza dei palestinesi – vogliono la pace. Questo è quello che ci dicono tutti i sondaggi.

Sfortunatamente, i media hanno cercato di convincere la gente che è vero il contrario, che la gente di Gaza ha votato per “Hamas” perché si aggrappa ancora all'idea di "spingere gli ebrei in mare".

Ma non è vero.

Guardate voi stessi:

Un exit poll condotto da “Near East Consulting” il 15 febbraio 2006 sugli elettori che hanno partecipato alle elezioni dell'”Autorità Palestinese del 2006” ha rivelato le seguenti risposte alle principali preoccupazioni:

Sostegno ad un accordo di pace con Israele:

79,5% a sostegno, 15,5 % all'opposizione.

“Hamas” dovrebbe cambiare la sua politica nei confronti di Israele:

Sì – 75,2% No – 24,8%.

Sotto” Hamas” la corruzione diminuisce:

Sì – 78,1% No – 21,9%

Con “Hamas” la sicurezza interna migliorerà:

Sì – 67,8% No – 32,2%

Priorità del governo di “Hamas”:

1) Combattere la corruzione.

2) Porre fine al caos nel campo della sicurezza.

3) Risolvere la povertà/disoccupazione.

 

Ora, so che molte persone vorrebbero considerare i palestinesi come capro espiatorio per l'orrendo massacro che sta accadendo oggi, ma ciò non corrisponde ai fatti.

I palestinesi hanno votato per “Hamas “– non perché pensassero che il gruppo corrispondesse perfettamente ai loro valori – ma perché sembravano meno corrotti dei burattini poco raccomandabili di “Fatah”.

Gli americani dovrebbero essere in sintonia con questi sentimenti date le somiglianze tra il “ballottaggio di Gaza del 2006” e le elezioni presidenziali del 2016 negli Stati Uniti.

Nelle elezioni americane, molte persone hanno votato per Trump, non perché non riuscissero a vedere che fosse un candidato profondamente imperfetto e privo di esperienza politica, ma perché il suo avversario era il politico più disonesto e vendicativo della storia americana.

 Trump era chiaramente il "minore dei due mali", proprio come “Hamas” era il minore dei due mali.

Ma c'è di più in questa storia di quanto la maggior parte delle persone creda.

 E cioè che “Hamas” aveva ordinato la completa cessazione degli attentati suicidi più di un anno prima delle elezioni.

Lo sapevi?

È vero; niente più missioni suicide, niente più autobus, negozi al dettaglio e caffè fatti saltare in aria.

Niente più famiglie in lutto, madri in lutto e interminabili cortei funebri. Tutto si è fermato.

E si è fermato perché “Hamas” lo ha fermato.

 

Lo sapevano gli elettori di Gaza?

Naturalmente lo sapevano, ed è improbabile che “Hamas” avrebbe vinto le elezioni se il gruppo avesse continuato con gli attentati.

 Perché non è quello che vuole il "ragazzo medio".

E indovina cosa è successa dopo la fine dei bombardamenti?

Poi “Hamas” ha deciso di entrare nell'arena politica. Ancora una volta, si è trattato di uno sviluppo significativo che è stato minimizzato dai media ma ha suscitato tremore nell'establishment politico israeliano.

Perché?

Perché i leader israeliani hanno messo insieme i due sviluppi e hanno potuto vedere cosa stava succedendo.

“Hamas” stava spostando il suo approccio dalla lotta armata a quella politica.

Si tratta di un cambiamento tettonico nella politica che ha rappresentato una grave minaccia per la più ampia strategia sionista di Israele, che prevede l'appropriazione di più terra per formare un” Grande Israele”.

 

Ma come avrebbe potuto Israele impossessarsi di più terra se lo spauracchio di “Hamas” si fosse trasformato in un politico accomodante che non si fosse più impegnato in atti di terrorismo?

Questo è l'enigma che Israele ha dovuto affrontare.

Vale anche la pena ricordare che non appena “Hamas” ha vinto le elezioni, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale con Israele. (Ma che ha esercitato una pressione ancora maggiore su Israele.)

 In altre parole, Israele ha continuato gli attacchi a Gaza, ma “Hamas” ha rifiutato di rispondere.

Inoltre, “Israele” ha imposto un blocco soffocante su Gaza che è durato fino ad oggi.

E il motivo per cui lo hanno fatto è che la minaccia dello "scoppio della pace" era troppo seria per essere ignorata.

Se “Hamas” volesse perseguire una strada politica pacifica, allora “Israele” dovrebbe aumentare le provocazioni, gli incitamenti e la brutalità.

Ma perché?

Ancora una volta, è perché Israele ha bisogno di uno spauracchio per giustificare” il suo piano operativo di espansione territoriale”.

È così semplice.

Non possono semplicemente conquistare la terra con la forza senza prima escogitare un pretesto che nasconda le loro vere motivazioni.

Quindi, anche se tutti sanno che Israele sta espellendo i palestinesi per controllare tutto il territorio dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, devono comunque giustificare l'operazione in termini di una (fittizia) minaccia alla sicurezza nazionale con cui devono confrontarsi.

“Hamas”, ovviamente, è quella minaccia fittizia che deve essere sradicata trasformando tutta Gaza in un mucchio di macerie fumanti. Vedere come funziona?

Dai un'occhiata a questo breve estratto da un articolo su “Counter punch” nel 2007:

 

“Hamas” ha recentemente rinunciato alla violenza mantenendo un cessate il fuoco unilaterale per oltre un anno.

Lo stesso periodo ha visto una costante escalation di raid, arresti, uccisioni e insediamenti israeliani nei territori occupati.

Tutti, compreso lo stato maggiore israeliano, sanno che” Hamas” ritornerebbe al cessate il fuoco se pensasse che Israele sia seriamente intenzionato a ricambiare.

 La recente proposta del leader di “Hamas” in esilio “Khaled Meshaal” per un cessate il fuoco di 10 anni è stata sommariamente respinta. Spingere il cuneo in Palestina, Counter punch.

Morale della favola:

 i palestinesi hanno votato per il partito sbagliato, quindi i palestinesi dovevano essere puniti.

 Non è così che dovrebbe funzionare la democrazia.

E, ciò che è.

È interessante, non è vero, che in realtà sappiamo quanti soldi sono stati spesi per inserirsi in un'elezione straniera.

Eppure, anche dopo tutta quell'ingerenza, il piano fallì.

“Hamas” ha comunque vinto.

E fu allora che Israele andò fuori di testa.

Hanno affermato che le elezioni hanno dimostrato che i palestinesi sostengono il terrorismo, il che, come abbiamo già dimostrato, non è affatto vero.

I palestinesi non hanno votato per il terrorismo, hanno votato per la sicurezza e per un governo onesto.

 L'intera narrazione dei media israeliani è una favola.

Ma i critici hanno ragione nel dire che “Hamas” si è fermamente rifiutato di riconoscere "il diritto di Israele ad esistere".

Questo è vero, ma c'è anche una spiegazione.

Ecco altro da “James Brooks”:

Per quanto riguarda il "riconoscimento del diritto di esistere di Israele", notiamo semplicemente che Israele deve ancora riconoscere il "diritto di esistere" dello “Stato di Palestina”.

 Israele attualmente vieta uno Stato palestinese e nega quotidianamente i diritti nazionali dei palestinesi con la sua strangolante occupazione militare.

Date le circostanze, non sembra irragionevole che” Hamas “neghi il riconoscimento di questo "diritto ad esistere" finché non sarà ricambiato nelle parole e nei fatti".

 (Contrattacco.)

 

Ha ragione;

perché “Hamas” dovrebbe fare delle concessioni a Israele che Israele non farà a Hamas?

 Tutto ciò che Israele deve fare è accettare le risoluzioni delle Nazioni Unite che gli impongono di rimanere entro i confini accettati a livello internazionale nel 1967, e tutto andrà bene.

 Il che ci porta al punto successivo, ovvero;

Hamas è disposto a vivere fianco a fianco con Israele in pace?

La risposta è: sì, lo è.

Questo è tratto da un articolo di “Elaine Hagopian”:

 In precedenza, Israele aveva distrutto il “leader laico di Fatah e presidente dell'Autorità Palestinese Arafat” per non aver rispettato le sue richieste di accettare il controllo permanente israeliano sulla vita e sulla terra dei palestinesi confinati in enclave.

Hamas è diventata la nuova sfida alla visione di Israele.

Permettetemi di essere chiaro:

Hamas accetta la soluzione dei due Stati?

“Wa Post”: "Hamas riconoscerebbe Israele se si ritirasse ai confini del '67?"

“Haniyeh”: "Se Israele si ritira entro i confini del '67, allora stabiliamo la pace in più fasi... Stabiliremo una situazione di stabilità e di calma che porterà sicurezza al nostro popolo.”

Wa Post”: "Riconoscete il diritto di Israele ad esistere?"

“Haniyeh”:

"La risposta è lasciare che Israele dica che riconoscerà uno stato palestinese lungo i confini del 1967, rilascerà i prigionieri e riconoscerà il diritto dei rifugiati a tornare in Israele.

 Hamas avrà una posizione se ciò dovesse accadere".

“Wa Post”: "Riconoscerete Israele?

 

“Haniyeh”: "Se Israele dichiara che darà al popolo palestinese uno Stato e gli restituirà tutti i diritti, allora siamo pronti a riconoscerlo".

Le risposte di” Haniyeh” sono semplici e razionali.

 Non ha chiesto nulla che non sia già richiesto dalle esistenti risoluzioni delle Nazioni Unite;

 un ritorno ai confini del 1967, ai diritti umani fondamentali e alla risoluzione delle questioni relative allo status finale.

Un accordo potrebbe essere facilitato domani se Israele fosse disposto a conformarsi al diritto internazionale.

 Invece, Israele ha scelto di invadere Gaza.

Ecco altro da “Haniyeh”:

 

"Vogliamo ciò di cui godono gli americani: diritti democratici, sovranità economica e giustizia.

Pensavamo che il nostro orgoglio nel condurre le elezioni più giuste nel mondo arabo potesse avere risonanza con gli Stati Uniti e i suoi cittadini.

 Invece, il nostro nuovo governo si è scontrato fin dall'inizio con atti di sabotaggio esplicito e dichiarato da parte della Casa Bianca.

 Ora l'aggressione continua contro 3,9 milioni di civili che vivono nei più grandi campi di prigionia del mondo.

 L'autocompiacimento dell'America di fronte a questi crimini di guerra è, come al solito, radicato nella retorica codificata del via libera: "Israele ha il diritto di difendersi".

 Il massacro di Gaza, Counter punch.

Ecco qualcosa in più sull'argomento:

Nel 2009, l'ex presidente Jimmy Carter ha visitato la Cisgiordania e Gaza dove ha incontrato “Ismail Haniyah”, che secondo lui sarebbe stato un partner affidabile nei futuri negoziati.

Carter ha anche incontrato a Damasco il capo di “Hamas”, “Khaled Meshaal”, il quale ha assicurato all'ex presidente che “Hamas “avrebbe accettato qualsiasi accordo raggiunto tra l'Autorità Palestinese e Israele, a condizione che fosse approvato dal popolo palestinese in un referendum nazionale.

L'interazione di Carter con i leader di “Hamas” ha smentito gli esperti occidentali filo-israeliani che avevano affermato che “Hamas” non si sarebbe mai impegnata a raggiungere un simile accordo.

 Si sbagliavano. “Hamas” vuole la pace.

 Ecco un breve trafiletto da un articolo della “Jewish Telegraphic Agency” del 2015:

L'ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter ha detto che il leader di Hamas “Khaled Meshal” è a favore del processo di pace con Israele e che “Hamas” non è un'organizzazione terroristica.

Carter ha anche detto a” Israel Channel 2” che il primo ministro israeliano “Benjamin Netanyahu” non è favorevole a una soluzione a due stati con i palestinesi.

"Non vedo quell'impegno profondo da parte di “Netanyahu” a fare concessioni come ha fatto [l'ex primo ministro] “Menachem Begin” per trovare la pace con i suoi potenziali nemici", ha detto Carter.

Di” Meshal”, l'ex leader americano ha detto: "Non credo che sia un terrorista.

 È fortemente a favore del processo di pace".

Carter ha aggiunto di "deplorare" gli atti terroristici di “Hamas” e di sostenere i membri moderati del gruppo.

Jimmy Carter: il leader di Hamas è favorevole alla pace, Netanyahu non si impegna a favore di “2 stati”, “JTA”.

 

Quindi, riassumiamo:

“Jimmy Carter” vuole una soluzione a due Stati basata sulle risoluzioni delle Nazioni Unite che impongono a Israele di rimanere entro i confini accettati a livello internazionale nel 1967.

Il leader di “Hamas Khaled Meshal” vuole una soluzione a due Stati basata sulle risoluzioni delle Nazioni Unite che impongono a Israele di rimanere entro i confini accettati a livello internazionale nel 1967.

Il primo ministro” Ismail Haniyeh” vuole una soluzione a due Stati basata sulle risoluzioni delle Nazioni Unite che impongono a Israele di rimanere entro i confini accettati a livello internazionale nel 1967.

Allora, qual è il problema? Sembra che tutti siano d'accordo.

 

Ma no, “Netanyahu” non è d'accordo, infatti, è fermamente contrario a qualsiasi stato palestinese all'interno dell'area dal Giordano al Mare.

E “Netanyahu “non solo ha una potente macchina militare a sostenerlo, ma ha anche “amici influenti a Washington” che gli forniranno tutte le bombe e le armi di cui avrà bisogno per cacciare i civili indifesi dalla loro patria storica e in Egitto.

Quindi, il processo di pace non può andare avanti, il che significa che lo spargimento di sangue continuerà nel prossimo futuro.

È la grande tragedia del nostro tempo.

Ecco un ultimo estratto da un'intervista tra “Alexander Cockburn” e “Khaled Meshal “avvenuta nel 2008:

 

So molto bene che il popolo americano è un popolo molto gentile.

Ma il nostro problema riguarda le politiche estere delle successive amministrazioni americane.

Abbiamo accettato uno Stato di... Palestina ai confini del 1967.

 La comunità internazionale non è riuscita a fare pressione sugli israeliani affinché facessero lo stesso.

 Allora, cosa resta da fare ai palestinesi, se non resistere?

Da parte nostra, preferiamo la via pacifica.

Ma troviamo che la via pacifica sia bloccata.

 Quindi, ai palestinesi non resta altra scelta che la resistenza.

 E questo è ciò che spiega perché il popolo palestinese ha eletto “Hamas” e perché, in mezzo alla carestia, alla fame e all'assedio inflitto oggi al popolo palestinese, si trova la stessa cosa:

il popolo palestinese sostiene Hamas....

Intervista di Alexander Cockburn del 2008 con Khaled Meshal di Hamas, Counter punch.

Il presidente americano “John F. Kennedy” ribadì questi stessi sentimenti nel marzo 1962 in un discorso in occasione del primo anniversario dell'”Alleanza per il Progresso”, quando disse:

Coloro che rendono impossibile la rivoluzione pacifica renderanno inevitabile la rivoluzione violenta.

Infatti.

 

 

 

 

Elon Musk va a Canossa.

RON UNZ –( FEBBRAIO 12, 2024) -Redazione UNZ – ci dice:

 

Sebbene sconosciuto a quasi tutti gli americani di oggi

, l'imperatore” Enrico IV” fu uno dei più potenti monarchi europei del suo tempo.

Sotto il suo regno ventennale, il “Sacro Romano Impero dell'Alto Medioevo” governò la Germania, i Paesi Bassi, gran parte dell'Italia e altre terre importanti, con molti che lo consideravano erede del leggendario Carlo Magno.

Le due figure più potenti e influenti nel mondo di oggi sono sicuramente il presidente cinese “Xi Jinping” e il presidente russo “Vladimir Putin”. Ma penso che si possa ragionevolmente affermare che “Elon Musk “dovrebbe essere collocato al terzo posto in quella lista globale.

La nostra attuale era occidentale è dominata dalla ricchezza oligarchica e” Musk” è considerato l'uomo più ricco del mondo per gran parte degli ultimi anni.

L'industria tecnologica gode di enorme prestigio e influenza e “Musk” è il proprietario di “Tesla”, l'azienda pionieristica di veicoli elettrici, il cui valore di mercato è superiore a quello delle cinque case automobilistiche del mondo messe insieme.

 La sua innovativa compagnia missilistica “SpaceX” è diventata il pilastro centrale dell'intero programma spaziale occidentale, cruciale per la sicurezza nazionale americana, mentre la sua altrettanto innovativa compagnia satellitare “Starlink” si è dimostrata assolutamente vitale per l'Ucraina nella sua guerra appoggiata dalla NATO con la Russia, ispirando imitatori in Cina e altri paesi.

Più di un anno fa,” Musk” ha acquistato” Twitter” per 44 miliardi di dollari e ha privato la società, conferendogli un impero mediatico molto più grande di quello di qualsiasi rete televisiva americana e forse potente quanto la maggior parte di loro messe insieme.

Nel frattempo i suoi 170 milioni di “follower” su “Twitter” gli forniscono un megafono personale che farebbe invidia a qualsiasi presidente americano o celebrità di Hollywood.

 

Quale altra figura mondiale potrebbe eguagliare Musk in tale potere e influenza globale?

Il presidente Joseph Biden è anziano, barcollante e ampiamente disprezzato, una figura decisamente brezneviana degli ultimi giorni dell'URSS in decadenza e ovviamente qualcuno totalmente controllato dai suoi nervosi aiutanti.

Sebbene l'ex presidente Donald Trump sia il quasi certo candidato presidenziale repubblicano per il 2024 e abbia maggiori possibilità di riconquistare la Casa Bianca, deve affrontare “91 accuse di crimini in tribunale” ed è detestato da quasi la metà della popolazione americana, inclusa una schiacciante maggioranza la maggior parte delle nostre élite;

 la sua probabile vittoria questo novembre sarebbe quasi interamente dovuta all'impopolarità di Biden.

 In effetti, data la debolezza così evidente al vertice della gerarchia politica americana, alcuni osservatori accorti hanno sostenuto che il presidente israeliano “Benjamin Netanyahu” probabilmente esercita una maggiore influenza nel nostro Congresso rispetto a Biden o Trump; ma nel suo paese, il sostegno di Netanyahu è al 15%, e deve affrontare un mare di accuse di corruzione, quindi potrebbe facilmente finire la sua vita in una cella di prigione.

 

Nella nostra società profondamente polarizzata, quasi tutti gli altri nostri politici sono ammirati da un piccolo seguito devoto, ma di solito disprezzati da molti, molti altri, e non riesco a pensare a nessun privato cittadino che possa lontanamente eguagliare la ricchezza, il prestigio tecnologico e i media di “Musk”.

 

Nel frattempo, le autorità spirituali tradizionali sono state ridotte a semplici ombre dei loro predecessori.

Circa novecento anni fa,” Papa Gregorio VII” umiliò un imperatore tedesco e anche una o due generazioni fa, “Papa Giovanni Paolo II” esercitava una grande autorità internazionale, ma oggigiorno il nostro attuale “Papa Francesco” comanda solo un piccolo frammento di tale influenza, e nessun altro religioso, mi viene in mente il leader di maggior peso.

Quindi, forse per impostazione predefinita, penso che “Musk” sia la figura più potente del mondo occidentale, e la sua volontà di umiliarsi davanti agli ebrei filo-israeliani ad Auschwitz nel mezzo del massacro in corso a Gaza fornisce un'indicazione sorprendente del vero equilibrio tra potere temporale e potere spirituale, nel mondo occidentale di oggi, dimostrando anche quale gruppo comanda quest'ultimo.

Solo pochi mesi prima, “Musk” aveva avuto successo, avendo smantellato con successo il “grande dipartimento di censura di Twitter”, concedendo un'amnistia alla maggior parte delle voci bandite degli anni precedenti, in particolare all'ex presidente Donald Trump.

Sotto la sua direzione, sono stati forniti a “Matt Taibb”i e ad altri giornalisti investigativi documenti segreti che hanno prodotto rivelazioni bomba su un ruolo nefasto del governo nell'orchestrare la censura di Twitter.

Il nuovo programma di interviste di “Tucker Carlson” basato su “Twitter “ha collezionato enormi ascolti, con la sua intervista di “August Trump” che ha superato il numero di spettatori dei dibattiti presidenziali repubblicani ufficiali del 2024 trasmessi in televisione.

“Musk” sembrava essere riuscito a resuscitare con successo il vecchio motto di Twitter che rappresentava "l'ala della libertà di parola del partito della libertà di parola".

 

La cosa più sorprendente è che a quanto pare aveva vinto la sfida della formidabile” ADL”, che per decenni aveva terrorizzato così tanti potenti. Quando l'organizzazione di censura ampiamente temuta lo ha accusato di aver permesso all'"antisemitismo" e al "razzismo" di prosperare sulla sua piattaforma e ha cercato di intimidire i suoi inserzionisti, Musk ha minacciato di citarli in giudizio per interferenza commerciale, rivolgendo quell'arma di "law fare" contro uno dei suoi detentori più prolifici anche se” unhashtag #BanTheADL” è diventato virale su Twitter.

L'”ADL “aveva un patrimonio finanziario di 500 milioni di dollari e un'enorme influenza mediatica, ma per la prima volta i suoi leader si resero conto di trovarsi di fronte a un avversario che li superava di gran lunga in tali risorse, e temendo il rischio di un giudizio legale multimiliardario, i suoi leader si accontentarono rapidamente, abbandonando i loro attacchi contro “Musk” e Twitter.

 

Tuttavia, gli attacchi improvvisi e inaspettati di “Hamas” del 7 ottobre hanno cambiato tutto.

Morirono più di mille israeliani e la rabbia e l'agitazione degli attivisti ebrei in America raggiunsero un livello febbrile senza precedenti.

Israele iniziò presto uno spietato bombardamento di Gaza per rappresaglia, uccidendo infine decine di migliaia di civili indifesi, e quelle orribili scene di morte e devastazione raggiunsero il mondo intero sui social media, aggirando i tradizionali guardiani filo-israeliani che controllavano le televisioni e i giornali occidentali.

 Di conseguenza, i sondaggi hanno rivelato in modo scioccante che gli americani più giovani – le cui informazioni sugli eventi mondiali provenivano da Internet – erano abbastanza equamente divisi tra Israele e “Hamas” o addirittura erano a favore di quest'ultimo.

 Così le organizzazioni ebraiche e filo-israeliane iniziarono una mobilitazione a tutto campo per sopprimere tale materiale "antisemita".

 

Le città e i campus universitari di tutto il mondo occidentale hanno visto grandi manifestazioni contro il massacro televisivo di donne e bambini da parte di Israele, con gli immigrati musulmani che sono diventati naturalmente un elemento importante di queste, spingendo gli attivisti ebrei a denunciare ferocemente quei gruppi come "antisemiti".

 Per generazioni, gli ebrei avevano sostenuto in modo schiacciante gli immigrati non europei, lodando e promuovendo ampiamente tutti gli attacchi dei non bianchi contro la società bianca dei gentili.

Più recentemente sono stati i principali sostenitori delle massicce proteste “Black Lives Matter” del 2020, innescate quando un criminale nero di lunga data è morto per overdose mentre era in custodia di polizia.

Ma con il "privilegio ebraico" e il "privilegio israeliano" improvvisamente sottoposti a critiche così ostili, i gruppi ebraici si sono rivolti in un batter d'occhio e hanno chiesto la censura e la repressione totale.

 Gli esponenti della destra anti-immigrati hanno notato questa grave ipocrisia nei loro post sui social media, e a metà novembre uno di questi Tweet ha attirato l'attenzione di “Musk”, spingendolo a sostenerlo: "Hai detto la vera verità" ha scritto.

Probabilmente” Musk” ha impiegato solo pochi secondi per scrivere quelle semplici sei parole, ma potrebbero aver cambiato la traiettoria della storia americana.

Quasi immediatamente, ondate di attivisti ebrei e filo-israeliani si sono riversati per denunciarlo, e molte aziende leader hanno ritirato la loro pubblicità da Twitter , minacciandone la sostenibilità finanziaria.

Di fronte a una reazione così enorme, “Musk “si è recato all'estero per incontrare il presidente israeliano, impegnandosi a combattere "l'antisemitismo".

 Durante quella stessa visita, ha anche posato per una foto con “il Primo Ministro Benjamin Netanyahu”, osservando solennemente una culla vuota, che presumibilmente simboleggiava i quaranta bambini israeliani presumibilmente decapitati da “Hamas” , una delle tante scandalose bufale di atrocità promosse da Israele e dai suoi paesi. Ossia propagandisti disonesti.

Negli anni successivi alla sconvolgente vittoria di “Donald Trump” nel 2016, gli esponenti della destra erano stati pesantemente censurati su molte piattaforme di social media, mentre i progressisti erano liberi di scatenarsi, ma ora questi ultimi hanno iniziato a subire la stessa sorte per aver criticato i massacri di Israele.

Sin dai primi anni del ventesimo secolo, il partito al potere in Israele, il “Likud”, e il suo predecessore, l'”Irgun”, avevano sempre usato lo slogan "Dal fiume al mare", promettendo un “Grande Israele” sotto il totale controllo e dominio ebraico.

 Ma negli ultimi due decenni,” i progressisti antisionisti” avevano abbracciato quelle stesse parole, sostenendo uno stato democratico laico unificato con pari diritti per ebrei e palestinesi.

“Musk” ora ha dichiarato quest'ultima frase "genocida" e ha avvertito che avrebbe innescato un divieto immediato da Twitter , anche se Netanyahu ha continuato a usarla pubblicamente nel suo significato originario di supremazia ebraica.

Poche settimane dopo, Musk si recò ad Auschwitz, accompagnato dal suo compagno e guida, un giovane esperto filo-israeliano di nome “Ben Shapiro”, il cui impero mediatico di destra era stato generosamente finanziato da donatori sionisti.

Questo pellegrinaggio quasi religioso, ampiamente seguito, apparentemente segnò la completa capitolazione di” Musk “davanti allo straordinario potere dell'ebraismo organizzato.

Forse per coincidenza, una controversia in qualche modo simile si era recentemente svolta nel caso di un altro individuo di alto profilo, il miliardario rapper e stilista nero “Kanye West”.

 Anche se in precedenza avevo avuto solo una vaga impressione di lui, a quanto pare era una celebrità internazionale di alto livello, oltre ad essere tra i neri americani più ricchi che fossero mai vissuti, pur avendo decine di milioni di follower su Twitter e altre reti.

Apparentemente, per un motivo o per l'altro, si arrabbiò e si agitò per quella che vedeva come la schiacciante influenza ebraica nel mondo degli affari e dei media, e iniziò a dirlo ad alta voce in vari luoghi e sui suoi social network.

Come ci si poteva aspettare, la reazione dei media è stata rapida e devastante, dipingendolo come un lebbroso morale e costringendo così la maggior parte dei suoi partner commerciali a tagliare i propri legami, spesso con enormi costi finanziari.

Apparentemente il 25% dei profitti del colosso delle calzature “Adidas” proveniva dalla linea di scarpe da ginnastica di West, ma hanno abbandonato l'accordo di lunga data per un costo totale di quasi 650 milioni di dollari quando i loro padroni dei media l'hanno proclamato una questione fondamentale di moralità.

 All'estremità opposta dello spettro, “Goodwill Industries “ha annunciato che non avrebbe più offerto alla sua clientela impoverita gli scarti donati associati a un così vile antisemita.

 La banca di lunga data del rapper ha persino chiuso i suoi conti e non avrebbe più fornito un rifugio per i suoi soldi.

Il risultato immediato di tutti questi colpi coordinati fu che la maggior parte della grande fortuna di West evaporò improvvisamente, mentre il suo personal trainer (ebreo) dichiarò pubblicamente che se avesse continuato nel suo cattivo comportamento l'ex miliardario avrebbe potuto finire per passare il resto della sua vita pesantemente drogato e drogato e imprigionato in un istituto psichiatrico.

 Quasi nessuna delle sue amiche celebrità nere si è schierata dalla sua parte, o se lo hanno fatto, non ne ho sentito parlare.

La storia presto scomparve dai media, forse portando con sé in modo permanente la celebrità nera globale, un tempo iconica.

 

Mentre “Musk” ha superato i suoi sfidanti dell'”ADL”, “West” ha rapidamente abbandonato la lotta ed è scomparso dall'attenzione del pubblico.

 Ma il rapper nero aveva ora un nuovo album pronto per l'uscita, così lui e i suoi consiglieri apparentemente decisero che solo il più abietto tipo di resa pubblica al potere ebraico avrebbe potuto salvaguardare le vendite della sua musica.

Anche se Israele stava chiaramente commettendo il più grande massacro televisivo di donne e bambini indifesi nella storia del mondo, oltraggiando gran parte del suo seguito rap giovanile, “West” ha dichiarato il suo amore e la sua ammirazione sconfinati per gli ebrei e lo Stato ebraico.

 

Alla fine del 2022 avevo espresso un notevole scetticismo sul fatto che “Musk” o “West” avrebbero avuto successo nelle loro sfide separate al potere ebraico, e i lettori possono giudicare da soli fino a che punto le mie previsioni si sono rivelate corrette.

(American Pravda: Elon Musk, Kanye West e obiettivi molto più rischiosiRon Unz · Ron Unz · • 21 novembre 2022)

Sebbene “Musk” abbia ora piegato il ginocchio davanti alla più ampia coalizione sionista, devo ammettere che in realtà si è comportato sorprendentemente bene contro i suoi aguzzini iniziali dell'”ADL”, anche senza utilizzare la storia segreta di quella nefanda organizzazione che gli avevo offerto durante la sua battaglia.

(Elon Musk e la vera storia dell'ADL

Ron Unz · La recensione di Unz • 13 settembre 2023)

 Le capitolazioni di “Musk” e “West” non mi hanno affatto sorpreso.

Ma molto più degno di nota è stato il caso del candidato presidenziale indipendente “Robert F. Kennedy, Jr.”, la cui resa totale al sionismo negli ultimi mesi ha profondamente deluso tanti dei suoi ex ammiratori, me compreso sicuramente.

Sebbene fossi stato solo vagamente a conoscenza di Kennedy fino al 2021 e fossi rimasto profondamente scettico nei confronti di gran parte della sua famigerata difesa anti-vaxxing, avevo molto ammirato le sue posizioni esplicite su molte altre questioni importanti, in particolare inclusa la nostra disastrosa guerra per procura contro l'Ucraina e La Russia e quindi dovrebbe dargli il mio voto a novembre.

 

Sono rimasto particolarmente colpito dal suo notevole coraggio su alcune questioni storiche di carattere personale.

Diversi anni fa, aveva dichiarato pubblicamente che” Sirhan Sirhan”, il presunto assassino di suo padre, era innocente del crimine e avrebbe dovuto essere rilasciato dopo più di mezzo secolo di prigione, e aveva inoltre proclamato che suo zio, il presidente “John F. Kennedy”, era morto anch'egli per mano di un complotto.

Ho notato che, sebbene i media mainstream lo diffamassero ferocemente per numerosi altri motivi, tendevano a evitare attentamente questo tipo di "grandi innominabili" perché i fatti erano fortemente dalla parte di “Kennedy.”

 

(Pravda americana: perché i media temono RFK Jr.

Ron Unz · La recensione di Unz • 14 agosto 2023)

E una volta che qualcuno ha riconosciuto che “Sirhan “non aveva sparato il colpo fatale, ho sostenuto che elementi importanti della cospirazione avrebbero immediatamente suggerito i veri colpevoli dietro il crimine:

 

L'influente libro di “David Talbot” del 2007.

Un giovane palestinese di nome “Sirhan Sirhan” aveva sparato con una pistola sulla scena ed è stato subito arrestato e condannato per l'omicidio.

 Ma “Talbot” sottolinea che il rapporto del medico legale ha rivelato che il proiettile mortale proveniva da una direzione completamente diversa, mentre la registrazione acustica dimostra che sono stati sparati molti più colpi rispetto alla capacità della pistola del presunto assassino.

Tali prove concrete dimostrano una cospirazione.

Lo stesso “Sirhan” sembrava stordito e confuso, affermando in seguito di non avere memoria degli eventi, e “Talbot” afferma che vari ricercatori sugli omicidi hanno a lungo sostenuto che fosse semplicemente un comodo capro espiatorio nel complotto, forse agendo sotto qualche forma di ipnosi o condizionamento.

Quasi tutti questi scrittori sono solitamente riluttanti a notare che la scelta di un palestinese come capro espiatorio nell'omicidio punta in una certa direzione ovvia, ma il “recente libro di Bergman” include anche una nuova importante rivelazione.

Esattamente nello stesso momento in cui “Sirhan” veniva trascinato sul pavimento della sala da ballo dell'Ambassador Hotel a Los Angeles, un altro giovane palestinese veniva sottoposto a intensi cicli di condizionamento ipnotico per mano del” Mossad in Israele”, programmato per assassinare il leader dell'OLP Yasir Arafat; e sebbene quel tentativo alla fine fallì, una tale coincidenza sembra estendere i limiti della plausibilità.

Kennedy sembrava un individuo intelligente e riflessivo, e se anni fa avesse concluso che “Sirhan era innocente”, ho pensato che il resto di questa catena di ragionamenti sarebbe andata a buon fine, producendo un candidato presidenziale di alto profilo disposto a difendere la difesa americana e interessi contro quelli di Israele.

 Ma invece Kennedy recentemente si è mosso esattamente nella direzione opposta, diventando il candidato più vergognosamente filo-sionista in corsa e facendo pieno affidamento sui suoi consiglieri ultra-sionisti “Morton Klein” e il rabbino “Shmuley Boteach” .

Infatti  In una recente intervista pubblica, ha dichiarato in modo scioccante che i palestinesi sono "il popolo più viziato del mondo", anche se centinaia di migliaia di loro stanno attualmente affrontando la morte di fame per mano di Israele.

 

L'apparente volontà di Kennedy di tradire i suoi principi – e i ricordi di suo padre e di suo zio martirizzati – era estremamente incoraggiante per me.

 Inoltre, con Biden e Trump noti come ferventi sostenitori di Israele, una posizione contraria che enfatizzasse un cessate il fuoco e la simpatia verso i palestinesi sofferenti avrebbe potuto fornire una casa politica per la sostanziale minoranza di elettori e attivisti che assumevano quella posizione, attirando certamente un enorme sostegno tra gli studenti universitari e altri giovani americani.

Ma non doveva essere così.

 Immaginate se il senatore Robert F. Kennedy si fosse candidato nel 1968 come il più feroce falco della guerra del Vietnam in gara.

Sfortunatamente, la totale sottomissione politica di” Musk”, “West” e “Kennedy” al potere di massa degli ebrei e del sionismo non è certo uno sviluppo nuovo.

In effetti, costituiscono solo gli ultimi esempi di una lunga serie di sconfitte e rese dei gentili, come avevo notato all'inizio del mio articolo originale del 2018 sull'”ADL”.

 

“Mel Gibson” è stato a lungo una delle star più popolari di Hollywood e il suo film del 2004 “La Passione di Cristo” è diventato tra i più redditizi della storia mondiale, ma l'”ADL” e i suoi alleati hanno distrutto la sua carriera e alla fine ha donato milioni di dollari agli ebrei.

Ossia i gruppi nella disperata speranza di riconquistare parte della sua reputazione pubblica.

Quando l'”ADL” ha criticato una vignetta apparsa su uno dei suoi giornali, il titano dei media “Rupert Murdoch” ha presentato le sue scuse personali a quell'organizzazione, e gli editori di hanno rapidamente ritirato una vignetta diversa una volta finita sotto il fuoco dell'ADL.

Il miliardario” Tom Perkins”, un famoso” venture capitalist della Silicon Valley”, è stato costretto a scusarsi sinceramente dopo essere stato criticato dall'”ADL” per la sua scelta delle parole in un articolo del! Wall Street Journal”.

Erano tutti individui orgogliosi e potenti, e devono essersi risentiti profondamente per essere stati costretti a chiedere un perdono pubblico così abietto, ma lo hanno fatto comunque.

L'elenco totale dei richiedenti dell'”ADL” nel corso degli anni è molto lungo.

“Musk” è certamente il più grande di questi sfortunati esempi recenti, ma quasi esattamente cento anni prima della sua sottomissione, si verificò un caso storico piuttosto simile che coinvolse un altro magnate industriale di fama mondiale che cercò anch'egli di sfidare il potere ebraico ma alla fine si scusò e abbandonò la lotta.

Secondo alcuni resoconti, un presidente malato “Woodrow Wilson” cercò di arruolare l”'apolitico Ford” come suo successore democratico alla Casa Bianca.

 All'inizio degli anni '20 Adolf Hitler classificò “Ford” come uno dei suoi più grandi eroi personali, ma “Vladimir Lenin” la pensava più o meno allo stesso modo.

Ma all'indomani della Prima Guerra Mondiale, “For”d divenne molto preoccupato per la crescita senza precedenti del potere ebraico in America e per come tutti i media mainstream fossero sempre più intimiditi dal denunciare i crimini e gli abusi associati. Avevano comprato il suo giornale locale.

 

Per quanto riguarda, Ford aveva apparentemente lanciato il suo giornale su base nazionale non molto tempo dopo la fine della guerra, con l'intenzione di concentrarsi su argomenti controversi, in particolare quelli relativi al comportamento scorretto degli ebrei, la cui discussione riteneva fosse stata ignorata o soppressa da quasi tutti nei media mainstream.

Ero a conoscenza del fatto che era stato a lungo una delle persone più ricche e stimate d'America, ma ero ancora stupito di scoprire che il suo giornale settimanale, fino ad allora quasi sconosciuto a me, aveva raggiunto una tiratura nazionale totale di 900.000 copie nel 1925, classificandolo come il secondo più grande del paese e di gran lunga il più grande con una distribuzione nazionale.

 Non trovai mezzi facili per esaminare il contenuto di un numero tipico, ma a quanto pare gli articoli antiebraici dei primi due anni erano stati raccolti e pubblicati come brevi libri, che insieme costituivano i quattro volumi antisemita occasionalmente menzionata nei miei libri di testo di storia.

 Alla fine la mia curiosità ha avuto la meglio su di me, così ho cliccato alcuni pulsanti su “Amazon.com”, ho comprato il set e mi hanno chiesto cosa avrei scoperto.

Sulla base di tutti i miei presupposti, mi aspettavo di leggere qualche massetto con la bava alla bocca, e dubitavo che sarei stato in grado di superare la prima dozzina di pagine prima di perdere interesse e consegnare i volumi a prendere polvere sui miei scaffali.

Ma quello che ho incontrato in realtà è stato qualcosa di completamente diverso.

Negli ultimi vent'anni, l'enorme crescita del potere dei gruppi ebraici e filo-israeliani in America ha occasionalmente portato gli scrittori a sollevare con cautela alcuni fatti riguardanti l'influenza negativa di quelle organizzazioni e attivisti, sottolineando sempre attentamente che la stragrande maggioranza degli “ ebrei comuni” non traggono beneficio da queste politiche e anzi potrebbero esserne danneggiati, anche tralasciando il possibile rischio di provocare eventualmente una reazione antiebraica.

Con mia notevole sorpresa, ho scoperto che il materiale nella serie di 300.000 parole di Ford sembrava seguire esattamente lo stesso schema e lo stesso tono.

L'incessante tambureggiare degli intrighi e dei comportamenti scorretti degli ebrei è diventato un po' soporifero dopo un po', soprattutto perché molti degli esempi forniti possono essere stati piuttosto importanti nel 1920 o nel 1921, ma oggi sono stati quasi completamente dimenticati.

La maggior parte del contenuto era una raccolta di lamentele piuttosto monotona riguardante le malefatte, gli scandali o la clandestinità ebraica, il tipo di domande banali che normalmente potrebbero apparire sulle pagine di un normale giornale o rivista, per non parlare di uno del tipo” muckraking”.

Tuttavia, non posso criticare la pubblicazione per avere un focus così ristretto.

Un tema costante era che, a causa della paura intimidatoria degli attivisti ebrei e dell'influenza, praticamente tutti i media regolari americani evitavano di discutere di queste importanti questioni, e poiché questa nuova pubblicazione aveva lo scopo di colmare quel vuoto, forniva necessariamente una copertura prevalentemente sbilanciata verso quel particolare argomento.

Gli articoli avevano anche lo scopo di espandere gradualmente la finestra del dibattito pubblico e alla fine di svergognare altri periodici nel discutere il comportamento scorretto degli ebrei.

Un altro obiettivo importante era quello di rendere gli ebrei comuni più consapevoli del comportamento molto problematico di molti dei leader della loro comunità.

Di tanto in tanto, la pubblicazione riceveva una lettera di elogio da parte di un autoproclamato "orgoglioso ebreo americano" che lodava la serie e talvolta includeva un assegno per l'acquisto di abbonamenti per altri membri della sua comunità, e questo risultato potrebbe diventare oggetto di una discussione estesa.

E anche se i dettagli di queste storie individuali differivano considerevolmente da quelli di oggi, il modello di comportamento critico sembrava notevolmente simile.

Cambiate alcuni fatti, aggiustate la società per un secolo di progresso, e molte delle storie potrebbero essere esattamente le stesse di cui le persone ben intenzionate a preoccuparsi del futuro del nostro paese stanno tranquillamente discutendo oggi.

 La cosa più notevole è che c'erano anche un paio di articoli sul rapporto travagliato tra i primi coloni sionisti in Palestina e i palestinesi nativi circostanti, e profonde lamentele sul fatto che, sotto la pressione ebraica, i media spesso riportavano in modo completamente errato o nascondevano alcuni degli oltraggi subiti da quest'ultimo gruppo.

All'inizio degli anni '30, il cristianesimo era stato la religione dominante dell'Occidente per quasi duemila anni e sembrava così fortemente radicato nella società americana da essere inattaccabile.

 Pertanto, il romanzo futuristico di “Huxley” che suggeriva che sarebbe stato sostituito dalla “religione laica del fordismo” deve sicuramente essere sembrato una possibilità assurda all'epoca, forse anche costituendo una satira deliberata.

Ma nel corso delle ultime tre generazioni, si è effettivamente verificata una sostituzione religiosa in qualche modo simile, anche se la dottrina elevata avrebbe sicuramente scioccato e costernato sia “Huxley” che “Ford”.

Sotto l'inesorabile pressione ideologica di Hollywood e dei nostri organi mediatici mainstream, fortemente ebraici, il cristianesimo tradizionale dell'Occidente è stato costantemente decostruito e messo da parte, spesso sostituito dalla “quasi-religione dell'Olocausto”, che presenta un insieme completamente diverso di martiri, testi sacri e luoghi santi.

Il santuario centrale dell'Olocausto è Auschwitz, un ex campo di concentramento nazista, quindi “Musk “ha dimostrato la sua completa sottomissione a questa dottrina spirituale imperante e ai suoi principi intraprendendo un pellegrinaggio in quel luogo sacro.

Secondo Finkelstein, Hollywood ha prodotto circa 180 film sull'Olocausto solo negli anni 1989-2004.

Circa il 2% degli americani ha un “background ebraico,” mentre forse il 95% possiede radici cristiane, ma l'elenco di Wikipedia dei film cristiani piuttosto sembra scarno e rudimentale al confronto.

Pochissimi di questi film sono stati distribuiti su larga scala e la selezione è stata estesa fino a includere anche “Le cronache di Narnia”, che non contiene alcuna menzione del cristianesimo.

Una delle pochissime eccezioni di spicco nella lista è “La Passione di Cristo” di Mel Gibson del 2004, che è stato costretto ad autofinanziarsi personalmente.

E nonostante l'enorme successo finanziario di quel film, una delle uscite nazionali più redditizie di tutti i tempi, il progetto ha reso Gibson un pari enormemente denigrato nell'industria su cui un tempo aveva regnato come la sua più grande star, soprattutto dopo che si era sparsa la voce che suo padre era un negazionista dell' Olocausto.

 

Per molti aspetti, Hollywood ei più ampi media di intrattenimento oggi forniscono la base spirituale unificante della nostra società profondamente laica, e la schiacciante predominanza del film a tema Olocausto su quelli cristiani ha ovvie implicazioni.

 Nel frattempo, nel nostro mondo globalizzato, il complesso americano dei media di intrattenimento domina totalmente l'Europa e il resto dell'Occidente, cosicché le idee generano qui modellano efficacemente le menti di molte centinaia di milioni di persone che vivono altrove, indipendentemente dal fatto che lo riconoscano pienamente o meno.

Nel 2009, “Papa Benedetto XVI” ha cercato di sanare la spaccatura di lunga data del “Vaticano II” all'interno della Chiesa cattolica e di riconciliarsi con la fazione separatista della “Fraternità San Pio X”.

Ma questa divenne una grande controversia mediatica quando si scoprì che il” vescovo Richard Williamson”, uno dei membri principali di quest'ultima organizzazione, era stato a lungo un negatore dell'Olocausto e credeva anche che gli ebrei dovessero convertirsi al cristianesimo.

Sebbene molte altre differenze nella fede dottrinale cattolica fossero pienamente negoziabili, apparentemente il rifiuto di accettare la realtà dell'Olocausto non lo fu, e Williamson rimase estraneo alla Chiesa cattolica.

Poco dopo fu addirittura perseguito per eresia dal governo tedesco.

 

Proprio come i Papi del Medioevo dispiegarono il sacro potere di Cristo e del Cristianesimo per umiliare anche i più potenti monarchi terreni e costringerli a sottomettersi, gli ebrei e i sionisti oggi usano il potere dell'Olocausto e dell'Olocausto più o meno allo stesso modo, con anche la più potente delle figure occidentali come “Elon Musk” impotente di fronte ad essa.

 

Per generazioni, Hollywood e i media hanno costantemente rosicchiato la legittimità del cristianesimo tradizionale, mentre gli studiosi accademici mettevano coraggiosamente in dubbio la sua verità e sottolineavano i dubbi storici.

 Di conseguenza, né “Musk” né nessun altro occidentale di spicco oggi trema davanti ai simboli cristiani né si inchina ai rappresentanti consacrati di quella fede.

 Ma invece è l'Olocausto che è diventato inviolabile, con le più dure sanzioni sociali ed economiche inflitte a coloro che mettono in discussione i suoi elementi o ne contestano le affermazioni. In gran parte dell'Occidente, qualsiasi sfida di questo tipo è soggetta a

Censura.

I critici degli eventi che si stanno svolgendo in Medio Oriente devono riconoscere che l'”Olocausto ebraico della Seconda Guerra Mondiale” rappresenta la giustificazione centrale per l'esistenza dello Stato ebraico e anche la scusa universale per tutti i suoi crimini internazionali, compresi quelli attualmente commessi.

Gaza e l'Olocausto sono così strettamente connessi da costituire due facce della stessa medaglia.

 

 

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