Ideologia e Politica.
Ideologia
e Politica.
La
lotta delle ideologie
secondo
“Thomas Piketty”.
Internazionale.it
– (24 giugno 2020) – Annamaria Testa – ci dice:
(Annamaria
Testa, esperta di comunicazione).
“L’intero
modello economico deve essere ripensato, in modo più equo e sostenibile dopo la
pandemia”, dice Thomas Piketty, intervistato dal Manifesto a proposito del suo
nuovo, monumentale libro “Capitale e ideologia.”
(“La
Nave di Teseo”, traduzione di Lorenzo Matteoli e Andrea Terranova).
“Monumentale”
è la parola giusta. Sono 1.200 pagine, stampate su una carta patinata sottile e
consistente, simile a quella che si usa per i dizionari.
Appoggio
l’edizione di carta sulla bilancia per gli spaghetti.
Sono
quasi 1.100 grammi. Il corrispondente di una (assai abbondante) spaghettata per
dieci persone.
Qui
non provo nemmeno a commentarvele, le 1.200 pagine: ne verrebbe fuori un
consommé scipito.
Vi
offro invece, su un ideale vassoio, una serie di assaggi che provo, per quanto
è possibile, a impiattare connettendoli tra loro, e che vi danno conto, anche,
del linguaggio limpido usato da “Piketty.
Poiché
si tratta di un libro di economia, di storia e di scienze sociali, la
limpidezza è un attributo tutt’altro che scontato.
L’incipit
è folgorante. E incrocia strutture socioeconomiche, sovrastrutture ideologiche
e narrazioni.
Ogni
società umana deve giustificare le sue disuguaglianze: è necessario trovarne le
ragioni, perché in caso contrario è tutto l’edificio politico e sociale che
rischia di crollare.
Ogni epoca produce, quindi, un insieme di
narrative e di ideologie contraddittorie finalizzate a legittimare la
disuguaglianza, quale è o quale dovrebbe essere…
Nelle
società contemporanee, si tratta in particolare della narrativa proprietarista,
imprenditoriale e meritocratica:
la
disuguaglianza moderna è giusta, perché è la conseguenza di un processo
liberamente scelto nel quale ognuno ha le stesse opportunità di accesso al
mercato e alla proprietà e nel quale ciascuno gode naturalmente del vantaggio
derivante dal patrimonio dei più ricchi, che sono anche i più intraprendenti, i
più meritevoli e i più utili.
Ma
questa narrazione è adesso diventata fragile. Una “favoletta meritocratica”.
Cioè.
Un
modo molto comodo, per i privilegiati del sistema economico attuale, di
giustificare qualunque livello di disuguaglianza senza nemmeno doverlo
analizzare, stigmatizzando allo stesso tempo chi soccombe per le sue mancanze:
di merito, di capacità e di diligenza.
Questa
‘colpevolizzazione’ dei più poveri non esisteva o, almeno, non era così
esplicita nei precedenti regimi basati sulla disuguaglianza, che sottolineavano
invece la complementarità funzionale dei diversi gruppi sociali.
La
disuguaglianza, insomma, non è “naturale”, e varia nel tempo e nello spazio:
ci sono sempre state e sempre ci saranno molte
alternative per regolare il sistema della proprietà, il sistema dell’istruzione
e il sistema fiscale, le tre maggiori fonti della disuguaglianza.
È
tutta questione di scelte, politiche e, prima ancora, ideologiche.
In altre parole: a configurare le scelte è la
struttura delle idee del mondo, della giustizia e della legittimità (appunto:
l’ideologia) che ciascuna società adotta, attraverso un costante, conflittuale
processo di sperimentazione storica.
Lo fa
scegliendo di volta in volta (e giustificando ideologicamente) l’alternativa
più favorevole a chi ha l’effettivo potere di scegliere, e scartando tutte le
altre alternative possibili, in un costante, doloroso e conflittuale processo
di creazione narrativa.
Il
genere umano vive oggi in condizioni di salute mai godute prima nella sua
storia: lo stesso vale per l’accesso all’istruzione e alla cultura.
Il
reddito, nei limiti della possibilità di misurarlo, è passato da un potere
d’acquisto medio (espresso in euro 2020) di 80 euro al mese per abitante del
pianeta nel 1700, a circa 1000 euro al mese nel 2020.
Questi
importanti incrementi quantitativi, che – è bene ricordarlo – corrispondono a
ritmi di crescita annuale media di appena lo 0,8%, accumulati in più di tre
secoli, rappresentano comunque dei ‘progressi’ incontestabili dello stesso
ordine di grandezza di quelli che si sono verificati per la salute e per
l’istruzione; e provano che forse non è indispensabile una crescita del 5%
annuo per garantire il benessere sul pianeta.
Dobbiamo
ricordare che tra il 1700 e il 2020 la popolazione mondiale è passata da circa
600 milioni di persone a più di sette miliardi.
Dobbiamo
però anche stare attenti a non lasciarci ingannare dalla” media del pollo”.
Il
progresso esiste, ma è fragile e iniquo, e in ogni momento può essere
cancellato dalle derive identitarie e dalla rinnovata crescita delle
disuguaglianze, che si sono enormemente accentuate a partire dagli anni
ottanta.
Nei
capitoli centrali del suo testo,” Piketty” interpreta, alla luce delle
disuguaglianze e dei sistemi di relazioni che si sono via via prodotti per
giustificarle, le strutture sociali che si sono sviluppate non solo nell’Europa
cristiana, ma anche “in moltissime società extraeuropee e nella maggior parte
delle religioni, in particolare nel caso dell’induismo e dell’islam sciita e
sunnita”.
(Immagino
che trascuri la breve ma fiorente età comunale proprio perché sta andando in
cerca delle disuguaglianze maggiori, mentre – se i miei modesti ricordi di
storia non mi tradiscono – la società comunale coinvolge una consistente parte
della cittadinanza nel governo, nella difesa e nell’amministrazione cittadina.
È
socialmente fluida e vede la nascita di un embrione di borghesia artigianale e
mercantile).
“Piketty”
si concentra, invece, sulla società tri-funzionale, o ternaria, e sul grande
sforzo di “astrazione, di concettualizzazione e di formalizzazione giuridica”
cha dà luogo a un sistema che lascia tracce importanti nel mondo moderno.
È un sistema in cui due classi distinte per
legittimità, funzione e organizzazione – i nobili e il clero – controllano
singolarmente una quota importante delle risorse e dei beni (tra un quarto e un
terzo circa per ciascun gruppo delle proprietà totali disponibili, ovvero tra
metà e due terzi per i due gruppi insieme, e talvolta ancora di più, nel caso
del Regno Unito), fatto che permette a queste due classi di svolgere pienamente
un ruolo sociale e politico dominante.
Come
tutte le ideologie basate sulla disuguaglianza, l’ideologia ternaria
rappresenta un regime politico e un regime di proprietà e, al tempo stesso, una
specifica realtà umana, sociale e materiale.
Per “Piketty”,
la rottura definitiva con la società tri-funzionale coincide con la rivoluzione
francese del 1789, che tenta di ridefinire radicalmente le relazioni di potere
e di proprietà, e consolida il perimetro della proprietà privata traducendolo
in un’ideologia proprietarista.
La
quale abolisce i privilegi di nobiltà e clero e garantisce stabilità sociale,
ma non riduce certo le disuguaglianze.
La
concentrazione della proprietà privata è rimasta a un livello estremamente
elevato tra il 1789 e il 1914.
La
sacralizzazione della proprietà è in qualche modo una risposta alla fine della
religione come ideologia politica esplicita.
L’idea
di fondo è che il “vaso di Pandora” della redistribuzione della proprietà non
dovrebbe mai essere aperto, e che se si comincia a parlare di redistribuzione
non si sa dove si può andare a finire.
Questo
timore dell’instabilità e del caos è ancora ben presente nel dibattito odierno,
e sostiene regimi fiscali che hanno poca valenza redistributiva, e offrono
condizioni ideali per l’accumulazione e la concentrazione della ricchezza.
Traiettorie
analoghe, anche se differite nel tempo, si ritrovano nel Regno Unito (e
guidano, per esempio, il risentimento irlandese nei confronti dei proprietari
terrieri britannici assenteisti) e in Svezia, dove fino ai primi del novecento
è rimasto in vigore un regime proprietarista basato sulla disuguaglianza più
estrema.
Alla
vigilia della prima guerra mondiale, nel Regno Unito il 10 per cento dei
proprietari più ricchi possedeva il 92 per cento del patrimonio privato totale,
rispetto al ‘solo’ 88 per cento in Svezia e all’85 per cento in Francia.
Dato ancora più significativo, nel Regno Unito
l’1 per cento più ricco possedeva il 70 per cento del patrimonio privato
totale, rispetto al 60 per cento in Svezia e al 55 per cento in Francia (anche
se a Parigi il valore era superiore al 65 per cento).
Tutto
questo accade proprio nel momento in cui per lo sviluppo sociale ed economico
ci sarebbe bisogno di uguaglianza nell’istruzione, e non di sacralizzazione
della proprietà, così iniquamente distribuita da minacciare la stabilità
sociale e da “far emergere, alla fine del diciannovesimo secolo e nella prima
metà del ventesimo, prima le contro narrazioni e poi i contro regimi comunisti
e socialdemocratici”.
A
proposito di narrazioni:
“Piketty”
compie poi un ampio esame delle narrazioni che giustificano la disuguaglianza
estrema delle società schiaviste, la distribuzione del potere e le diverse
traiettorie seguite dalle società coloniali, fino ad arrivare al Giappone dello
shogunato, e alla Cina imperiale, “diseguale e gerarchizzata, percorsa da
continui conflitti di élite intellettuali, proprietariste e guerriere”.
La sua
conclusione è netta.
Tutte
queste esperienze storiche hanno tuttavia un tratto comune: dimostrano come la
disuguaglianza sociale non abbia mai nulla di ‘naturale’ ma sia, al contrario,
sempre profondamente ideologica e politica.
Ogni
società non ha altra scelta che dare un senso alle proprie disuguaglianze; e le
narrazioni che vengono elaborate in merito al bene comune non possono rivelarsi
efficaci, se non sono dotate di un minimo di plausibilità e se non si
concretizzano in istituzioni durature.
Il
ventesimo secolo cambia la struttura delle disuguaglianze, ma le riduce solo
per un breve periodo, e in seguito a eventi traumatici.
Nel
1914, alla vigilia della guerra, la prosperità del sistema di proprietà privata
sembrava assoluta e inalterabile, esattamente come quella del sistema
coloniale.
Le
potenze europee, al tempo stesso proprietariste e coloniali, sono al culmine
del potere.
I
proprietari britannici e francesi detengono nel resto del mondo portafogli
finanziari di dimensioni a tutt’oggi ineguagliate.
Poco
più di trent’anni dopo, nel 1945, la proprietà privata scompare nel sistema
comunista (assurto al potere prima in Unione Sovietica e poco più tardi in Cina
e nell’Europa orientale), e perde gran parte del suo potere anche in paesi che
sono rimasti nominalmente capitalisti, ma che in realtà stanno diventando
società socialdemocratiche, con combinazioni varie di nazionalizzazioni,
sistemi pubblici d’istruzione e di assistenza sanitaria, e imposte fortemente
progressive sugli alti redditi e sui grandi patrimoni.
Gli imperi coloniali saranno di lì a poco
smantellati.
Se
osserviamo le diverse situazioni all’interno dell’Europa, scopriamo che tutti i
paesi per i quali esistono dati disponibili registrano un crollo delle
disuguaglianze tra il 1914 e il 1945-1950.
I
grandi patrimoni vengono distrutti, espropriati, o subiscono gli effetti
dell’inflazione.
Vengono
attuati prelievi eccezionali e progressivi sui capitali.
Inoltre, “per la prima volta nella storia, e
quasi negli stessi anni in tutti i paesi, le aliquote applicate ai redditi più
alti e alle successioni più importanti raggiunsero livelli consistenti e
stabili nel tempo, nell’ordine di alcune decine di punti percentuali”.
Ma non solo.
All’inizio
degli anni cinquanta del secolo scorso, in Europa, gli elementi fondanti dello
Stato sociale erano già in essere, con entrate totali superiori al 30% del
reddito nazionale e un programma diversificato di spese sociali e per
l’istruzione che assorbivano i due terzi del totale, in sostituzione delle
spese sovrane che un tempo avevano la parte del leone.
Questa
spettacolare evoluzione è stata possibile solo dopo un radicale mutamento dei
rapporti di forza politico-ideologici negli anni 1910-1950, in un contesto nel
quale guerre, crisi e rivoluzioni denunciavano in modo plateale i limiti del
mercato autoregolamentato e la necessità di integrazione nel sociale
dell’economia.
Lo
stallo degli investimenti in materia di istruzione registrato nei paesi ricchi
a partire dagli anni ottanta-novanta del secolo scorso può spiegare non solo
l’aumento delle disuguaglianze, ma anche il rallentamento della crescita.
A
partire dagli anni ottanta, la speranza in un mondo più giusto e i progetti di
trasformazione anche radicale si sono di fatto dovuti scontrare con il triste
bilancio del comunismo sovietico (e le sue disuguaglianze fondate non sul
patrimonio, ma su status e conseguenti privilegi) e con il disincanto.
A
partire dagli anni novanta, un mondo iperconnesso e legato da un’infinità di
relazioni fa da riscontro a una società iper-capitalista.
Le disuguaglianze assumono forme anche nuove:
per esempio, la disparità nelle emissioni di anidride carbonica.
Gli stati competono anche in termini di
concorrenza fiscale.
I
patrimoni non sono solo più concentrati, sono anche più opachi.
Le
strutture sociali continuano ad avere una forte impostazione patriarcale, e le
disuguaglianze di genere non si sono certo risolte. “L’ideologia meritocratica
dell’attuale narrazione sociale si accompagna a una glorificazione di
imprenditori e miliardari”, che sono “così presenti nell’immaginario
contemporaneo da essere anche entrati con ruoli di spicco nel romanzo e nella
finzione”.
Infine:
le classi popolari, che in precedenza si
riconoscevano nei partiti comunisti, socialisti, laburisti, socialdemocratici
che componevano la sinistra elettorale, si sono ritrovate deluse
dall’incapacità di quei partiti di promuovere programmi convincenti a proposito
di istruzione, fisco, politiche internazionali.
Oggi
“i partiti e i movimenti politici della sinistra sono diventati quelli
maggiormente votati dagli elettori più istruiti e – in alcuni contesti – stanno
per diventare i partiti con gli elettori più ricchi in termini di reddito e di
patrimonio”.
Se il
conflitto politico degli anni 1950-1980 era “classista”, ora siamo in uno
spazio politico complesso, e in un sistema di “élite multiple”, distinte per
istruzione, o per reddito e patrimonio.
È una
trasformazione radicale, che ricorre in tutte le democrazie, e che porta a
ridefinire le categorie stesse di “sinistra” e “destra”, e a trascurare il tema
cruciale della redistribuzione del reddito.
“La
sinistra, che era il ‘partito dei lavoratori’, si è trasformata nel ‘partito
dei laureati’ (che propongo di chiamare la ‘sinistra intellettuale
benestante’), senza averlo di fatto voluto e senza che nessuno l’abbia
veramente deciso”.
In
sostanza, sembra essere “il partito dei vincitori della globalizzazione”. E le
classi popolari?
Be’, quelle si ritirano dalla competizione
politica e non vanno a votare.
‘Sinistra
intellettuale benestante’ e ‘destra mercantile‘ incarnano valori ed esperienze
in qualche modo complementari.
E condividono anche non pochi tratti comuni, a
cominciare da una certa dose di ‘conservatorismo’ di fronte all’odierna
situazione di disuguaglianza.
La sinistra crede nell’impegno e nel merito
nello studio;
la destra, nell’impegno e nel merito negli
affari.
La sinistra si prefigge l’acquisizione di
titoli di studio, di sapere e di capitale umano;
la destra, l’accumulazione di capitale
monetario e finanziario.
Possono
anche presentare delle divergenze su alcuni punti.
La
‘sinistra intellettuale benestante’ può volere più imposte, rispetto alla
‘destra mercantile’, per esempio al fine di finanziare i licei, le “grandes
écoles” e le istituzioni culturali e artistiche a cui è legata.
Ma
entrambe le parti condividono una netta adesione al sistema economico attuale e
alla globalizzazione nel suo assetto attuale, che di fatto avvantaggiano sia le
élite intellettuali sia quelle economiche e finanziarie.
Se
alla sinistra intellettuale e alla destra pro-mercato si affiancano una
sinistra più “radicale” e una destra nativista e nazionalista, ecco che abbiamo
l’attuale sistema del confronto politico, che si identifica secondo le due
discriminanti principali della tutela della proprietà e dei confini:
sono
quattro blocchi ideologici, ciascuno dei quali è contraddistinto da una propria
narrativa, a cui si aggiunge il quinto di chi non va a votare.
Le
traiettorie di sviluppo, a partire da questa situazione instabile, sono numerose,
e comprendono il possibile, ed “enormemente dannoso”
successo
elettorale dei ‘nazionalisti’, soprattutto se questi riusciranno a sviluppare
una forma di social-nativismo, vale a dire un’ideologia che abbina obiettivi
sociali ed egualitari, ma riservati ai soli ‘nativi’, a forme violente di
esclusione nei confronti dei ‘non nativi’.
Solo
con la riapertura del dibattito sulla giustizia e sul modello economico
conseguente si potrà fare in modo che il tema fondamentale della proprietà e
della disuguaglianza prenda il sopravvento sulle questioni dei confini e
dell’identità.
Il
punto essenziale consiste nell’istituire uno spazio di deliberazione e di
decisione democratica che consenta di adottare a livello europeo dispositivi
efficaci di giustizia fiscale, sociale e climatica.
Il
caso di Israele offre probabilmente l’esempio più estremo di democrazia
elettorale in cui il conflitto identitario ha preso il sopravvento su tutte le
altre dimensioni.
Il
problema delle relazioni con il popolo palestinese e con gli arabi israeliani è
diventato quasi l’unica questione politica significativa.
Nel
periodo 1950-1980, il partito laburista israeliano aveva un ruolo centrale nel
sistema dei partiti e promuoveva la riduzione delle disuguaglianze
socioeconomiche e lo sviluppo di forme cooperative originali.
Ma,
non avendo saputo elaborare in tempo una soluzione politica praticabile e
adatta alle comunità umane in gioco – soluzione che avrebbe implicato la
creazione di uno Stato palestinese o lo sviluppo di una forma originale di
Stato federale binazionale –, il partito laburista oggi è quasi scomparso dal
panorama elettorale israeliano, e ha lasciato il campo a lotte senza fine tra
fazioni interessate solo alle questioni securitarie.
“Piketty”
sostiene che oggi la disuguaglianza estrema deprime lo sviluppo, e delinea un
nuovo “socialismo partecipativo”:
bisogna tornare a usare la leva fiscale
(reddito, patrimonio o successioni) secondo una regolamentazione al livello
sovranazionale.
Le
imprese devono essere cogestite (esistono già diversi esempi europei).
Un
fisco più equo deve finanziare la riconversione ecologica, un reddito
universale di base e una dotazione universale di capitale, che ogni cittadino
riceve al compimento dei 25 anni.
L’accesso universale e paritario
all’istruzione, che è cruciale, deve essere non solo promosso, ma garantito.
Insomma: la proprietà privata rimane (e deve
rimanere) ma il suo impatto viene mitigato dalla presenza di forti meccanismi
redistributivi. E, soprattutto, non è un diritto permanente ed ereditario.
Tutto
ciò sembra essere, tra l’altro, una condizione necessaria, anche se non ancora
sufficiente, per poter contrastare con efficacia il cambiamento climatico.
Si
tratta di proposte che potrebbero sembrare radicali, ma in realtà sono in linea
con un’evoluzione iniziata alla fine del diciannovesimo secolo e all’inizio del
ventesimo, per quanto riguarda sia la condivisione del potere nelle imprese,
sia l’aumento della tassazione progressiva.
Questa dinamica evolutiva si è interrotta
negli ultimi decenni, da un lato perché la socialdemocrazia non è stata in
grado di rinnovare e internazionalizzare il suo progetto;
dall’altro
perché il drammatico fallimento del comunismo di stile sovietico ha inaugurato
in tutto il mondo, a partire dagli anni ottanta e novanta del secolo scorso,
una fase di deregolamentazione incontrollata e di rinuncia a ogni ambizione
egualitaria (della quale la Russia attuale e i suoi oligarchi costituiscono
senza dubbio il caso più estremo).
Come
ci si arriva, senza che il mondo esploda?
“Piketty”
non è troppo esplicito su questo punto ma, nelle conclusioni, riformula
l’affermazione che “Marx ed Engels” fanno nel Manifesto (la storia di ogni
società è stata fino a oggi solo la storia della lotta di classe) in questi
termini:
“La
storia di ogni società è stata fino a oggi solo la storia della lotta delle
ideologie e della ricerca di giustizia”.
Ha
ripetuto mille volte che molteplici traiettorie, segnate da infinite
biforcazioni, sono sempre possibili.
E ora
invita i mezzi d’informazione e i cittadini a formarsi un’opinione
indipendente, senza dar troppo retta agli economisti.
Questa
sintesi è il mio contributo per voi.
In
questi tempi di somma incertezza politica, economica e sociale, speriamo solo,
tutti quanti, di saper capire in tempo quali sono la traiettoria e la
biforcazione giusta.
Forse non sono esattamente quelle indicate da “Piketty”,
ma vale di sicuro la pena di parlarne e di cominciare, proprio a partire da
cambiamento climatico e contrasto alle disuguaglianze, a farsi qualche domanda.
Il
collasso dei media statunitensi
sta
accelerando la nostra crisi politica.
Unz.com – Siepi Di Cris - /17 FEBBRAIO 2024) –
ci dice:
Un
terzo di tutti i giornali statunitensi ha chiuso definitivamente, il settore
sta facendo un'emorragia di giornalisti e la colpa è del private equity e delle
Big Tech.
Ancora
un'altra ondata di licenziamenti nei media sta mettendo centinaia di
giornalisti senza lavoro in alcuni dei più grandi organi di informazione negli
Stati Uniti, tra cui CNN, LA Times, Vox, Business Insider, CNBC, Garnett e
altri.
In un
panorama mediatico già cupo, decimato da decenni di calo delle entrate,
quest'ultima tornata di tagli solleva seri interrogativi su come la perdita di
così tanto giornalismo avrà un impatto sulla nostra società.
I
giornali hanno chiuso a un ritmo di 2,5 a settimana nel 2023, rispetto a 2 a
settimana nel 2022. 3.000 dei 9.000 giornali statunitensi hanno chiuso
definitivamente e dal 2005 due terzi di tutti i giornalisti hanno perso il
lavoro.
La
giornalista vincitrice del Pulitzer Gretchen Morgenson si unisce al Chris
Hedges Report per discutere della crisi dei media, parzialmente trattata nel
suo libro” These Are the Plunderers: How Private Equity Runs—and Wrecks—America” .
(Produzione
in studio: Adam Coley, Cameron Granadino
Post-produzione:
Adam Coley, Kayla Rivara)
TRASCRIZIONE.
Chris
Hedges :
Il panorama dei media negli Stati Uniti sta crollando poiché gli organi di
giornalismo a livello nazionale, statale e locale chiudono o sventrano il
personale. Un terzo dei giornali del paese ha chiuso i battenti e due terzi dei
giornalisti hanno perso il lavoro dal 2005. Una media di 2,5 giornali ha chiuso
ogni settimana nel 2023 rispetto a 2 a settimana nel 2022. La decimazione dei
notiziari locali è addirittura pari peggio ancora, dove le pratiche si stanno
chiudendo e i licenziamenti sono stati quasi costanti. Negli ultimi due
decenni, quasi 3.000 dei 9.000 giornali del Paese hanno chiuso i battenti e
43.000 giornalisti hanno perso il lavoro.
Lo
spargimento di sangue sta solo accelerando. Business Insider sta eliminando
l'8% della sua forza lavoro. Il Los Angeles Times ha recentemente licenziato
120 giornalisti, più del 20% della redazione dopo aver tagliato 74 posti di
lavoro lo scorso giugno. La rivista Timeah annunciato imminenti licenziamenti,il
Washington Post alla fine dello scorso anno ha tagliato 240 posti di
lavoro,Sports Illustrated è stato sventrato e CNN, NPR, Vice Media, Vox Media,
NBC News, CNBC e altre organizzazioni hanno tutte creato uno staff enorme
tagli.
La
catena di giornali “Gannett”, proprietaria di “USA Today” e di molti giornali
locali, ha tagliato centinaia di posizioni. L'ultima ondata di licenziamenti
arriva sulla scia dei peggiori tagli di posti di lavoro nel settore del
giornalismo dal 2020, quando la crisi COVID ha visto eliminare circa 2.700
posti di lavoro. Il consumo di notizie e intrattenimento da parte del pubblico
nell'era digitale ha trasformato molte delle piattaforme mediatiche
tradizionali in dinosauri. Ma man mano che scompaiono, scompare anche il nucleo
del giornalismo e del giornalismo, in particolare del giornalismo
investigativo. Le piattaforme digitali, con poche eccezioni, non sostengono la
copertura repertoriale, certamente non a livello locale, uno dei pilastri
fondamentali della democrazia.
I
soldi spesi in pubblicità che un tempo sostenevano l'industria dei media sono
migrati verso le piattaforme digitali dove gli inserzionisti sono in grado di
rivolgersi con precisione ai potenziali clienti. Il monopolio che i vecchi media
avevano nel collegare i venditori agli acquirenti è scomparso. I social media e
i giganti della ricerca, come “Google” e “Meta”, acquisiscono gratuitamente
contenuti multimediali e li diffondono.
I media sono spesso di proprietà di società di
private equity o miliardari che non investono nel giornalismo ma sfruttano e
svuotano gli sbocchi per profitti a breve termine accelerando la spirale della
morte.
Il
giornalismo nella sua forma migliore rende responsabili i potenti, ma con il declino delle
organizzazioni mediatiche e l'espansione dei deserti di notizie, anche la
stampa, sempre più anemica, viene attaccata da demagoghi politici e siti
mascherati da piattaforme di notizie, notizie false, disinformazione, voci
salaci e bugie. riempire il vuoto. La società civile ne sta pagando il prezzo.
Insieme a me per discutere della crisi del giornalismo c'è “Gretchen Morgenson”,
una giornalista finanziaria senior dell'Unità investigativa di” NBC News”. In
precedenza ha lavorato per “ Wall Street Journal” e il “New York Times£ dove ha
vinto un Premio Pulitzer.
Il suo
ultimo libro è “These Are the Plunderers: How Private Equity Runs and Wrecks
America”.
Va
bene, quindi cominciamo quando eravamo entrambi giovani giornalisti. Come ho
detto prima, non voglio iniziare questa discussione non riconoscendo le colpe
della stampa commerciale, che sono molte; Tu ed io ne usciremo.
Nel
mio libro” Death of Liberal Class” cito “Sydney Schanberg”, che ha anche vinto
il Pulitzer in Cambogia, la gente può vedere quella storia nel film “The
Killing Fields”.
Aveva una citazione fantastica, ha detto:
"Forse
non abbiamo sempre migliorato le cose, ma abbiamo impedito che le cose
peggiorassero".
E ho
pensato che fosse un bel riassunto. Ma come te, sono terrorizzato da ciò che
accadrà. E
questa perdita di informazione, per quanto limitata possa essere stata, è
assolutamente mortale per la società civile e la nostra democrazia.
Ma
torniamo indietro e parliamo di cosa hanno fatto i giornali. Io ero un
corrispondente estero e tu eri un giornalista d'affari. Voglio paragonarlo al
vuoto che si è verificato adesso.
Parliamo
e torniamo alla tua esperienza di reporter: cosa hai fatto per contribuire alla
salute della nostra società aperta?
Gretchen
Morgenson :
Quello che ho sempre cercato di fare come
giornalista economica è stato mettere in discussione il senso comune. Coprire
gli affari per decenni è stato un ristagno. Era popolato da giornalisti che
erano stati allontanati da altre scrivanie e che riscrivevano i comunicati
stampa e si avvicinavano ai dirigenti aziendali.
Chris
Hedges :
Puoi guadagnarti bene da vivere così.
Gretchen
Morgenson :
Puoi. Puoi. Ma così sono entrato in questo business negli anni '80, quando le
cose cominciavano a cambiare e gli affari diventavano sempre più un argomento
centrale nelle conversazioni a tavola. Prima le persone avevano la pensione,
ora devono investire i propri soldi da soli. Avevano bisogno di maggiori
informazioni su come lo facciamo.
Chris
Hedges :
Questo avviene attraverso il 401(k)s.
Chris
Hedges :
Ma tu hai fatto anche di più, Gretchen. Si trattava di ritenere queste persone
responsabili.
Gretchen
Morgenson :
Ritenendoli responsabili, facendo luce sugli angoli bui, facendo luce su
pratiche piene di conflitti, che hanno permesso loro di trarre vantaggio dagli
investitori, dai lavoratori e dare a quelle persone che generalmente non lo
fanno avere una voce, una voce. Cercherò sempre di rivolgermi al singolo
individuo ed evitare i dirigenti o gli amministratori delegati perché non mi
diranno nulla di importante. Molte delle mie migliori fonti erano lavoratori
che mi chiamavano;
Avrebbero
visto succedere qualcosa nella loro azienda e me ne avrebbero parlato perché
non pensavano che fosse la cosa giusta. Quindi, ancora una volta, si trattava
di quel reportage dal basso, che conosci bene, e che hai fatto per decenni sul
campo come corrispondente di guerra.
Otterrai
quelle storie meglio dalle persone sul campo, in trincea, a fare il lavoro.
Non
riceverai le storie dagli amministratori delegati.
Chris
Hedges :
Sì. Dicevo che in guerra, più sali in alto nella classifica, più falsità
troverai. Perciò è meglio che tu stia con i soldati semplici e i caporali. Ma
questo comporta una pressione perché hai interessi potenti a cui non piace. E
dobbiamo riconoscere che hanno avuto influenza all'interno delle
organizzazioni. Entrambi abbiamo lavorato per il “New York Times” e tu hai
lavorato per il “Wall Street Journal” . Parliamo delle pressioni che sono in
grado di esercitare all'interno di un media commerciale che ha bisogno di quei
soldi pubblicitari per funzionare.
Gretchen
Morgenson :
Beh, c'è un effetto agghiacciante che cercano di esercitare quando contatti
un'azienda con la storia. Sono sempre molto aperto con queste aziende di cui
scrivo e con le persone di cui scrivo, su quale sia il mio argomento, cosa
dico, cosa ho sentito, perché sto segnalando e perché sto contattando loro.
Quando quelle ruote iniziano a girare e
capiscono che si tratterà di uno storytelling potenzialmente critico, un
aspetto del mostrare un lato della loro attività che non vogliono che venga
pubblicato, allora iniziano a esercitare pressioni, inviano lettere agli
avvocati, attaccano il giornalista, attaccano le informazioni che il
giornalista ha raccolto dalle fonti, mettendo in discussione le fonti,
eccetera.
Ma
questo è il modo in cui funziona il mondo e devi essere in grado di affrontarlo
come giornalista.
Ma,
cosa ancora più importante, devi avere un editore che si batte per questo con
te, ed è qui che iniziamo a vedere alcune delle linee di frattura ora.
Probabilmente
c'è ancora una schiera di giornalisti che sono disposti a uscire e ottenere la
storia, qualunque cosa accada. Ma hanno capi che sono disposti a sopportare il
calore, la pressione e continuare lungo la strada? Questa è una domanda.
Chris
Hedges :
Beh, queste organizzazioni sono diventate più anemiche, sono diventate più
caute perché non vogliono perdere i sempre più scadenti dollari pubblicitari di
cui dispongono. Voglio sottolineare un punto sulle istituzioni perché entrambi
abbiamo lavorato all'interno delle istituzioni e nonostante tutti i loro
numerosi difetti – Il grande teologo “Paul Tillich” ha detto: "Tutte le istituzioni, inclusa
la chiesa, sono intrinsecamente demoniache".
– Ma nonostante tutti i loro tanti difetti,
avevamo degli avvocati.
C'erano 19 avvocati nello staff del “New York
Times “e credo che, quando ero al giornale, non ci fosse mai stata una causa di
successo.
Senza
la sovrastruttura di quell'istituzione, gran parte della nostra protezione...
Ad esempio, se fossi un giornalista investigativo freelance, saresti molto più
vulnerabile.
Gretchen
Morgenson:
Assolutamente.
Chris
Hedges: E
queste istituzioni sono importanti in termini di creazione di una struttura
organizzativa che ci protegga.
Gretchen
Morgenson:
Sì. SÌ. Ho trascorso buona parte della mia carriera iniziale alla rivista “Forbes”,
che era una pubblicazione economica, e poi non faceva prigionieri, diceva le
cose col loro nome e celebrava le buone aziende e i bravi amministratori
delegati, ma ci sono voluti altri per farlo. compito.
Chris
Hedges : E
credo che tu avessi un editore, me lo hai menzionato, forse hai menzionato il
suo nome, ma hai parlato dell'importanza di un editore con quel coraggio e
integrità, e credo che sia stato il caso di Forbes .
Gretchen
Morgenson :
Sì. Il suo nome era “Jim Michaels”. Era un vecchio e scontroso reporter
dell'UPI che anni prima aveva raccontato la storia dell'assassinio di “Gandhi”
in India. Era duro. Era esigente. Era un burbero, ma sarebbe stato al tuo
fianco contro la pressione esercitata dagli amministratori delegati.
Ricordo
che una volta avevo scritto una storia su “Time Warner e Steve Ross”. “Herb
Siegel” era l'altra persona.
Steve
Ross era un amministratore delegato molto ricco e autorevole e la storia non
gli piaceva e ci chiese di andarlo a trovare.
E “Jim
Michaels” ha detto: no, dannazione. Verrai nel mio ufficio se vuoi parlarmi di
questa storia. Quindi è quel tipo di atteggiamento e approccio che temo che non
abbiamo più. Non abbiamo persone disposte ad affrontare alcune di queste
persone estremamente potenti. È più facile non scrivere quelle storie, e questo è un
problema.
Chris
Hedges :
Sono sempre stato sorpreso dal livello di mediocrità del “Times” , tra i
migliori redattori. Tu ed io eravamo grattacapi al management, che è quello che
dovrebbero essere i bravi reporter. Non farò nomi, ma li conosci bene quanto
me. Ma sono sempre rimasto sbalordito. Ed è perché erano completamente
ossequiosi al potere dell'istituzione e capivano cosa era buono per la loro
carriera e il loro progresso, e che oltre a ciò non avevano molto.
Gretchen
Morgenson :
Beh, non dimenticare, queste sono persone che forse non erano dei bravi
reporter.
Chris
Hedges :
Beh, questa è l'altra cosa. Hai ragione, è vero.
Gretchen
Morgenson :
Forse non erano così bravi a riferire. E quindi quale era la loro opzione?
Ebbene, la loro opzione era quella di scalare il palo della cuccagna, se
potevano. Quando sei un reporter eccezionale e hai una storia fantastica, vuoi
continuare su quella strada. Vuoi ottenere il prossimo, e il successivo, e il
successivo. Ma se non sei un grande reporter, quali sono le tue opzioni? Beh,
potresti diventare un editore.
Chris
Hedges :
Giusto. Ecco qua. Quindi una volta ho avuto un professore ad “Harvard” che
chiamava un assistente preside "un topo che si addestra per diventare un
topo".
Gretchen
Morgenson :
Esilarante. È una battuta fantastica, wow.
Chris
Hedges :
Riassume la gerarchia dei giornali. Queste sono istituzioni che fanno soldi.
Vieni promosso all'interno di quelle istituzioni se sanno che, alla fine,
servirai in gran parte l'istituzione. Ci sono alcune eccezioni, ma il vostro
servizio, alla fine, non è rivolto al giornalista, bensì al benessere e al
sostentamento dell'istituzione, che è definito in termini di prezzo delle
azioni. Questa è una fredda realtà. E lavori entro questi limiti.
Gretchen
Morgenson :
Giusto. Giusto. Giusto.
Chris
Hedges :
Sono stato all'estero per 20 anni. Se stavo raccontando un conflitto, ad
esempio, la guerra nell'ex Jugoslavia, dove non c'era un interesse diretto
degli Stati Uniti, a differenza di quando scrivevo in El Salvador o Nicaragua,
o quando scrivevo in Israele, avevo molta più libertà.
Potrei
scrivere cose su” Slobodan Milosevic”; Potrei praticamente definirlo un
assassino genocida e nessuno al” New York Times” batterebbe ciglio.
Ma se fossi arrivato a Gaza e avessi cominciato a
scrivere con la stessa ferocia contro Israele, oh, non avrei potuto. Quindi mi interessa, come
giornalista economico, se c'erano alcune aree del genere in cui potevi andare e
altre aree in cui era più limitato.
Gretchen
Morgenson :
Non mi è mai capitata una situazione in cui mi è stato detto di non scrivere di
qualcosa o in cui una storia che avevo già iniziato a indiana sarebbe stata
inchiodata. Non ho mai avuto una situazione del genere, quindi sono molto grato
per questo. Il “business reporting” è un po' diverso dal “reporting delle zone
di guerra” perché la posta in gioco nella zona di guerra è molto più grande,
molto più alta. E tu sei coinvolto. C'è la politica molto, molto coinvolta in
queste situazioni. “Washington”, questo è un tutt'uno –
Chris
Hedges :
Beh, avevi studi legali aziendali.
Gretchen
Morgenson :
– Non è questione di vita o di morte quanto il giornalismo di guerra.
Semplicemente non lo è, reporting aziendale. Non lo so. Non ho mai avuto
qualcuno che mi dicesse, no, non puoi scrivere quella storia. Forse sono
insolito in questo senso, ma sono stato assunto per portare un livello di
competenza nella copertura di “Wall Street al Times” .
Non è
che non avessero i pezzi necessari a posto, ma anch'io ero stato a “Wall Street”,
avevo visto alcune pratiche e sapevo dove erano sepolti i corpi, e avevo fatto
dei resoconti piuttosto seri a “Forbes” .
A
questo punto, Il “Times” voleva avere una certa importanza sulla copertura di “Wall
Street”, quindi forse questo è il motivo per cui non è stato messo in
discussione.
Chris
Hedges :
Anche se alla fine ti hanno chiesto del cambiamento.
Gretchen
Morgenson :
Beh, alla fine è arrivato un nuovo redattore economico...
Chris
Hedges :
Questo è il tuo punto. Questo è il punto che hai sottolineato.
Gretchen
Morgenson :
– E ha detto cose poco entusiaste riguardo ad alcuni dei miei –
Chris
Hedges :
Oh, no, devi citare quello che ha detto, non ha prezzo. Andare avanti. Voglio
dire che probabilmente avevi la rubrica economica più rispettata del paese.
Anche io lo sapevo e non leggo nemmeno gli affari. Quindi cominciamo da lì. Ma
qual è stata la risposta del redattore? Non dobbiamo nominarla, ma cosa ha
detto?
Gretchen
Morgenson :
– Ha detto che le piaceva il mio lavoro.
Chris
Hedges : È
una brutta cosa... Sai che sei nei guai quando è così... [cavalcare]
Gretchen
Morgenson :
Mi è piaciuto il mio articolo, ma la rubrica era di sinistra e supponente.
Chris
Hedges :
Era un articolo riportato.
Gretchen
Morgenson :
Era un articolo di cronaca. Non era un'opinione. Era così scioccante per me che
questa sarebbe stata la percezione che non avevo risposto in quel momento. Ero
tipo, ok, interessante. Ma poi ho deciso che non avrei lavorato per questa
persona perché chiunque avesse fatto quel commento sul lavoro che avevo fatto
per 20 anni al “Times”, non avrei lavorato per quella persona.
Chris
Hedges :
Giusto. Beh, comunque emettono la condanna a morte.
Gretchen
Morgenson :
Sì.
Chris
Hedges :
La prossima cosa che sai è che stai riscrivendo di notte.
Gretchen
Morgenson :
Sì. O guadagni. Devo fare i rendiconti del New York Times ogni trimestre.
Chris
Hedges :
Giusto. Parliamo di un paio delle storie di cui sei più orgoglioso e poi
spieghiamo perché.
Gretchen
Morgenson :
Va bene. Ebbene, uno è accaduto durante la grande crisi finanziaria del 2008,
qualcosa che sembrava uscito dal campo di sinistra per molte persone ma che
stava costruendo, costruendo, costruendo come fanno queste cose, da diversi
anni.
Questa
era la crisi dei mutui. Si basava su troppi soldi che rincorrevano le case, sulla
gente che impazziva e sulla macchina di “Wall Street” che raggruppava i mutui e
li vendeva alla gente anche se erano cattivi mutui.
Ad
ogni modo, c'era molto di cui parlare, ed è stato un momento fruttuoso per un
giornalista finanziario perché stai spiegando perché questa cosa è accaduta,
come è accaduta e che impatto ha avuto sulle persone.
E
questa era una situazione in cui c'erano esseri umani che, poiché non potevano
pagare i loro mutui perché i tassi di interesse erano saliti alle stelle dopo
un certo periodo di tempo.
Chris
Hedges :
Beh, dovremmo essere chiari. Quei “mutui subprime” sono stati venduti da entità
che sapevano che non sarebbero state in grado di pagarli. E poi li hanno
scaricati il più velocemente possibile.
Giusto.
Gretchen
Morgenson :
– Giusto, giusto. Quindi le persone bloccate in quei mutui avevano
letteralmente i loro mobili sul marciapiede. Sono stati cacciati dalle loro
case e i loro figli non hanno più potuto frequentare le scuole dove si
trovavano. E queste erano vere e proprie tragedie. Quindi scriverne è stato
importante per me. E la risposta del governo è stata troppo scarsa e troppo
tardiva. Stavano cercando forse di aiutare le persone a rinegoziare i loro
mutui. Non ha funzionato davvero. Comunque, sai come è successo, sai cosa è
successo in quella situazione.
Ma c'è
stata una storia accaduta dopo il fallimento di “Lehman” dopo che “Bear Stearns”
è stata acquistata da “JP Morgan” a marzo.
“Lehman”
poi fallì, e poi” AIG” fallì e dovette essere salvata.” AIG” era una compagnia
assicurativa, quindi era un po' diverso. Non era una banca, non era una società
di intermediazione, non era una società di Wall Street che si era lasciata alle
spalle i mutui, ma era comunque la più grande compagnia di assicurazioni del
mondo.
E quindi, il suo fallimento sarebbe stato un
grosso problema.
Chris
Hedges: E
aveva assicurato i mutui subprime che non andavano bene.
Gretchen
Morgenson :
Aveva qualche assicurazione, sì, di aver scritto questi “derivati”. Avevano
scommesso che i mutui erano una buona moneta e non erano una buona moneta, e
quindi erano stati attaccati per questo.
Ma
volevo capire questo piano di salvataggio. Perché il governo stava salvando una
compagnia assicurativa?
Era
insolito e costava un sacco di soldi. Erano circa 180 miliardi di dollari o
qualcosa del genere.
Così ho approfondito la questione e ho
scoperto che lo scopo del piano di salvataggio era il “salvataggio di Goldman
Sachs”, che sarebbe stata nei guai e si sarebbe trovata ad affrontare un buco
di 5 miliardi di dollari nel suo bilancio se “AIG” fosse stata autorizzata a
fallire, la scogliera.
Quindi
questo salvataggio di una compagnia assicurativa era un salvataggio di “Goldman
Sachs”.
E
durante quel periodo, il segretario al Tesoro era un ex dirigente della Goldman
Sachs.
Goldman Sachs.
Chris
Hedges :
Questo è Rubin?
Gretchen
Morgenson :
– Questo era... Oh, cavolo, mi metterai in imbarazzo.
Chris
Hedges :
No, va bene.
Gretchen
Morgenson
: Comunque, “Goldman Sachs” aveva un termine, erano conosciuti come “Government
Sachs” perché erano così potenti nel governo. “Hank Paulson” era il suo nome.
Chris
Hedges :
Esatto, Paulson.
Gretchen
Morgenson :
Quindi era degno di nota il fatto che il governo stesse salvando una compagnia
di assicurazioni, ma salvando la “Government Sachs”, la Goldman Sachs.
E così
questa storia è apparsa sulla prima pagina del “New York Times”.
Sono trascorse letteralmente un paio di
settimane dal piano di salvataggio, quindi questa è la spiegazione in tempo
reale di questa situazione dietro le quinte. Quella domenica ricevetti una
telefonata. Era una domenica, apparve in prima pagina. E ho ricevuto una
telefonata da “Timothy Geithner,” che era il capo della “Fed di New York”, che
poi è diventato segretario del Tesoro sotto Obama.
E mi
chiamò per raccontarmi quella storia, che avevo ingannato i miei lettori
scrivendo quella storia, che “Goldman Sachs” non era stata affatto messa in
pericolo dal fallimento dell'”AIG”, e che questo era molto negativo per”
Goldman”.
Li stavo facendo sembrare cattivi.
E io
gli dissi: come fai a sapere che “Goldman Sachs” non era in pericolo per
questo? E lui disse, beh, erano coperti, la loro posizione era coperta. Ora,
ciò che questo significa nel” mumbo jumbo finanziario “è che avevano un qualche
tipo di investimento che avrebbe annullato il problema che avrebbero dovuto
affrontare se “AIG” fosse fallita. Questa è una copertura contro qualsiasi
cosa. Comunque, ho detto, interessante. Ho detto che se la più grande compagnia
assicurativa del mondo fosse precipitata da un precipizio, non sono sicuro che
quelle coperture proteggessero correttamente.
Avete esaminato chi erano le loro controparti?
Chi erano le persone dall'altra parte di quegli investimenti, le coperture?
Beh, no, non li ho esaminati, ma “Goldman” mi ha detto che erano coperti.
Quindi
stava dicendo che la tesi del mio articolo era sbagliata, che non stavano
affrontando un buco di “5 miliardi di dollari” e che non si trattava di un
salvataggio di Goldman Sachs.
E stava criticando la storia e si è rivolto al
mio capo, e sono sicuro che sia il capo del mio capo. Si scopre che un'indagine
del “Congresso” su Goldman Sachs era in realtà bloccata per 5 miliardi di
dollari e il piano di salvataggio riguardava proprio quello. Ma l'idea che mi avrebbe telefonato
il capo della Fed di New York, poi diventato segretario del Tesoro, per dirmi
che avevo ingannato i miei lettori, è stato un momento interessante. In seguito seppi che il direttore
finanziario della Goldman Sachs lo aveva spinto a farlo e aveva chiesto a “Timothy
Geithner” di chiamarmi e di leggermi il “Riot Act” e di cercare di disperdere
il rapporto.
Chris
Hedges: La
cosa interessante è che quello che stanno cercando di fare è screditare il tuo
lavoro e, soprattutto, se continui a fare quel tipo di lavoro, spingerti fuori.
Ho visto quel tipo di pressione esercitata sui bravi reporter che riportavano
informazioni basate sui fatti e vengono espulsi e solo dopo apprendiamo che
avevano ragione.
È un
fenomeno che accade. L'ho visto diverse volte. Quindi questo fa parte della
pressione. E se giochi, se riscrivi quei comunicati stampa, andrai a cena con “Geithner”
o “Hank Paulson” o chiunque altro.
Quelli
sono i "giornalisti" che siedono alle scrivanie proprio accanto a noi
in redazione.
Quindi
parliamo del declino e di dove siamo arrivati con tutti i peccati della vecchia
industria dell'informazione. Non siamo in un posto migliore. Quindi hai visto “Craigslist”,
il 40% delle entrate dei giornali proveniva da annunci economici. Non c'è più.
Quindi è stato un successo del 40% proprio lì.
Poi l'ascesa dei media digitali dove tutti
hanno il nostro profilo, possono prenderci di mira direttamente, non ha bisogno
di una testata giornalistica che ci prenda di mira.
Gli annunci stampa sono in calo.
Il “New York Times” è riuscito a sopravvivere,
anche se non guadagna più i soldi di prima.
Penso che abbiano 10 milioni o qualcosa del
genere di abbonati digitali.
Ciò
non sta accadendo con altri giornali, compreso il “Washington Post” . Ma
cominciamo con le notizie locali perché le notizie locali sono vitali, e sono
quasi crollate.
Gretchen
Morgenson :
Assolutamente.
Chris
Hedges : E
parliamo del ruolo che i giornali locali... Queste sono piccole comunità, forse
servono tre o quattro comunità, ma coprono il consiglio scolastico, coprono...
E sono completamente spariti. Cominciamo da qui prima di parlare della stampa
nazionale.
Gretchen
Morgenson :
Lo sventramento dei media locali è una situazione terribile, terribile. C'era
un giornale del “West Virginia” che era in prima linea, per esempio, nel
coprire la crisi degli oppioidi, e ha vinto un “premio Pulitzer” per questo
servizio. Sono usciti e hanno trovato queste fabbriche di pillole e hanno
scoperto che queste persone stavano prescrivendo l'equivalente di...
Chris
Hedges :
Lascia che ti spieghi come funziona un mulino per pillole;
Un
medico entra in una città – ne scrivo in “Giorni di distruzione, Giorni di
rivolta “– E si siede dietro una scrivania. Vedevo le linee in West Virginia.
Fuori c'è una fila gigantesca, entri, dai loro 50 dollari in contanti e ti
scrivono una ricetta per l'”Oxy Contin”, da cui molte persone erano dipendenti.
È un mulino per pillole. E quel dottore se ne va con migliaia di dollari per aver
scritto prescrizioni tutto il giorno.
Gretchen
Morgenson :
– Quindi questo giornale ha esaminato il numero di pillole che venivano
prescritte in queste città del West Virginia ed era qualcosa di astronomico,
come 8.000 a persona al giorno o qualcosa del genere.
Quindi
è stato un ottimo lavoro, questo è il tipo di lavoro che non vedremo.
E
questi sono vuoti, questi buchi di cui non puoi nemmeno sapere quanto siano
gravi perché significa che sai che ci sono persone che fanno del male nel
palazzo statale o nel consiglio scolastico o nel consiglio comunale, e non
vengono osservati, e non vengono tenuti a risponderne. È una ricetta per il disastro e non
so come si risolverà.
Chris
Hedges : È
interessante, stavo leggendo dei “caucus dell'Iowa”. Tradizionalmente, i
candidati trascorrevano molto tempo con i giornali locali dell'Iowa e sarebbero
in grado di sollevare questioni di interesse per la comunità. Ma ora che quei
giornali sono morti, o hanno perso sensibilmente la circolazione, leggo che i
candidati non se ne preoccupano nemmeno. È molto più vantaggioso per la loro
campagna finire su “Fox” o “CNN “o altro. Non si preoccupano nemmeno della
stampa locale.
Gretchen
Morgenson :
Interessante. Bene, allora questo significa che non verranno a conoscenza dei
problemi che questa comunità ha bisogno che affrontino. Quindi questo è un
enorme buco nel... Se è un politico che vuole fare la cosa giusta, allora non
saprà cosa deve fare.
Chris
Hedges :
Quindi, quando i giornali caddero in declino, tagliarono drasticamente gli
aspetti più costosi del giornalismo; Quello era giornalismo estero, sventrato.
Così
era, quando ho iniziato negli anni '80, grandi giornali regionali come IL “Boston
Glob” e, “The Philadelphia Inquirer” e persino il “Baltimore Sun”, non avevano solo
sezioni straniere, ma avevano anche corrispondenza estera.
Non
tanti quanto il “Times” , ma li avevano. Penso che IL “Inquire”r ne abbia avuti
sei, lo stesso per “The Globe” . E' finito. E l'altro è il giornalismo
investigativo. E tu ed io abbiamo realizzato reportage investigativi;
Non è una capacità che si acquisisce
velocemente e che mi preoccupa tremendamente perché vogliono un giornalista che
sforni tre o quattro storie al giorno per riempire il... Allora parliamo di giornalismo
investigativo, del ruolo che gioca nella nostra società, la sua importanza e le
conseguenze della sua perdita.
Gretchen
Morgenson :
Non credo che si possano sopravvalutare le conseguenze della sua perdita. Si
tratta di illuminare gli angoli bui e far luce sui cattivi comportamenti.
Riguarda tutte queste cose che le persone devono capire e che influenzano le
loro vite ogni giorno, ma non lo sanno.
E quindi tu come reporter, tu come
giornalista, è tuo compito dire loro cosa sta succedendo, mostrare loro
l'impatto che ha su di loro, mostrare loro come le attività dei politici
disonesti ti stanno danneggiando e aumentando i tuoi costi o sventrando la
scuola dove va tuo figlio o qualunque cosa sia.
Questo
è così importante per le persone capire quali sono le pressioni sulle loro
vite.
Questo
è ciò che il giornalismo investigativo può aiutarti a vedere. E se non ce
l'abbiamo, non capiranno il mondo in cui vivono.
Chris
Hedges :
Mi chiedo fino a questo punto, e lo sollevi nel tuo libro, “The Plunderers” ,
che le persone sappiano che qualcosa non va. Queste non sono società di “private
equity”, stanno saccheggiando il paese. Le persone sanno che c'è qualcosa che
non va ma non sanno bene cosa sia e questo aggrava la situazione. E in che misura ciò dà foraggio a una
figura come “Trump”?
Gretchen
Morgenson :
Ciò eleva assolutamente una figura come Trump, perché può attingere a
quell'incertezza. Può attingere a questo, non so perché sono arrabbiato, ma
sono arrabbiato. C'è una ragione per cui è così. Ebbene, il motivo è perché non
puoi mettere il cibo in tavola o la tua pensione è stata sviscerata o le tue
spese sanitarie sono alle stelle. Queste sono tutte cose che mettono pressione
sulla vita quotidiana delle persone e se non capisci queste pressioni, da dove
provengono e chi le esercita su di te, allora avrai questa nebulosa
preoccupazione, preoccupazione, e disagio per la tua vita.
Ed
ecco che arriva un demagogo che dice che ti migliorerò le cose. Sistemerò
tutto.
Queste
élite qui vi stanno causando problemi. Li farò andare via. Me ne sbarazzerò.
Sarà in grado di riempire un vuoto perché dirà che questo è ciò che ti affligge
e che io lo sistemerò.
Chris
Hedges :
Ma alimenta anche “le teorie del complotto! perché c'è qualcosa che non va, ma
è dietro il muro. Non capisci i macchinari. Sai solo che c'è qualcosa che non
va.
Gretchen
Morgenson:
Questo è circolare perché spesso c'è qualcosa che non va e spesso è qualcosa
che non va all'interno di un governo, per esempio. Ma questo alimenta questa nozione
dello “stato profondo” secondo cui il governo vuole prendere tutti, che il
governo non può fare il lavoro e che un'industria privata sarà maggiormente in
grado di fare il... È una cosa circolare. Sicuramente alimenta questa nozione.
Chris
Hedges :
Quindi una delle cose che sono successe nel settore dell'informazione da quando
tu ed io abbiamo iniziato è l'ascesa dei pettegolezzi sulle celebrità come
notizie. Ricordo che quando la principessa” Di “morì a Parigi, al direttore del
Times, “Joe Lelyveld”, fu chiesto perché la copertura fosse così minima. È lui
che ha preso... Il direttore precedente ha messo i televisori in redazione, li
ha tolti tutti. E così ha detto, oh, non troppo minimale. Penso che abbiamo
fatto troppo. Questo è certamente cambiato. E l'ho trovato molto corrosivo,
quella fusione di intrattenimento e notizie, e mi chiedevo se potessi parlarne.
Gretchen
Morgenson :
Beh, sono una giornalista economica, e quindi vedo che arriva la celebrazione
dei” CEO”. E gli amministratori delegati sono le celebrità nel mondo degli
affari.
Chris
Hedges :
E' come “Bezos e queste figure.” Sì, sì, è vero.
Gretchen
Morgenson :
– Segnalazione. Quindi considerare queste persone come dei geni e non metterle
in discussione è molto corrosivo. Hai assolutamente ragione. Non mi occupo del
mondo dello spettacolo quindi non ci presto attenzione. Ma vedo che la stessa
cosa accade nell'idea che queste siano persone da lodare e venerare invece che
interrogare e tenere conto di ciò che fanno.
È
quasi come se il fatto che siano arrivati a questa posizione di potere e tutto
il denaro che ne deriva li isolasse da qualsiasi tipo di indagine, da qualsiasi
tipo di domanda o scetticismo. E ci sono molti giornalisti che credono in questo. Beh,
sono un amministratore delegato. Perché dovrei mettere in dubbio quello che
stanno facendo?
Chris
Hedges:
Vogliono accedervi.
Gretchen
Morgenson :
Vogliono accedervi. Vogliono essere invitati alla festa. Non voglio essere
invitato alla festa.
Chris
Hedges :
No, nemmeno io. Ma lo fanno. E lo vedevo a Washington.
Gretchen
Morgenson :
Washington è a un altro livello in quel gioco.
Chris
Hedges : È
una palude di tutto, compreso il giornalismo.
Gretchen
Morgenson :
Sono così felice. Ogni giorno conto le mie stelle fortunate. Non sono un
giornalista politico.
Chris
Hedges :
Quando vai alla Casa Bianca non devi prendere appunti perché ogni parola
pronunciata dal presidente viene stampata e ti viene data. È un lavoro
orribile. Sei solo uno stenografo e puoi viaggiare su un grande aereo e puoi
presentare tua madre al presidente o qualcosa del genere. Non sono mai stato
del tutto disorientato da qualcuno che volesse farlo. Ma penso che sia tutto;
C'è un
elemento all'interno della stampa che ha sempre voluto appartenere a quella
cerchia di potere, a quella cerchia di celebrità, e che ha sempre distorto i
resoconti di Washington per decenni e decenni.
Gretchen
Morgenson :
E ora forse ne hai di più perché hai meno dell'altro;
Hai
meno investimenti nel giornalismo investigativo e quindi l'equilibrio sembra
ora sbilanciato verso quello.
Quali
sono le conseguenze del crollo della stampa nazionale?
E dovremmo essere chiari, questi giornali,
come se 20-30 anni fa avessi comprato il” Sunday Philadelphia Inquirer” , stai
parlando di un giornale da cinque sterline.
Stiamo
parlando di 750 giornalisti ed editori. Queste erano le principali imprese
giornalistiche. Non c'è più. Questi documenti sono l'ombra di quello che erano.
Il personale è stato sventrato. Parliamo delle conseguenze a livello nazionale.
Gretchen
Morgenson :
Beh, pensaci in termini di Washington. La sovrastruttura a Washington, ci sono
le agenzie di regolamentazione, il Dipartimento della Difesa e i servizi
sanitari e umani. Queste sono entità gigantesche che necessitano di essere
coperte e comprese.
Stanno
influenzando la vita di tutti in tutta la nazione. E se non hai persone
sofisticate, competenti e aggressive nel coprirli, allora saranno lasciati fare
quello che vogliono e ciò avrà un impatto enorme sulle persone.
Avrà un impatto sulla loro salute, sulle loro
pensioni, sul loro futuro, sulla vita dei loro figli.
È
trasversale. E se non ci sono giornalisti che si chiedono cosa sta succedendo in
queste enormi agenzie e alla Casa Bianca, allora oh mio Dio, spaventoso.
Chris
Hedges:
Diciamo che ti occupi del Pentagono o del Dipartimento dell'Energia. Hai
bisogno di un insieme di conoscenze. Non puoi semplicemente arrivare e farlo;
Ci
vogliono anni per capire davvero e riferire bene. Stiamo perdendo quel senso di
competenza, soprattutto con i tagli al personale, perché quando le testate
giornalistiche effettuano acquisizioni, comprano quelli con maggiore
esperienza.
Gretchen
Morgenson :
Giusto. Quelli con più esperienza sono i più costosi e quindi sono i primi ad
andarsene. Mi dispiace davvero per i giovani reporter che stanno iniziando
perché impari da persone che sono state in giro.
Chris
Hedges:
L'ho fatto.
Gretchen
Morgenson
: Tutti commetteranno degli errori, non c'è dubbio, ma è molto utile avere
l'esperienza di un reporter sofisticato in una redazione. Vai a dire, ehi, cosa
ne pensi di questo? Potete aiutarmi con una fonte qui? È una collaborazione, ma
imparando a fare quel lavoro, non so come lo faranno con molte di queste
persone che sono capaci ed esperte se non ci sono più.
Chris
Hedges :
Fino a che punto ciò consente essenzialmente alle cosiddette “fake news” e alle
“teorie del complotto” di rimanere libere nel panorama dei media?
Gretchen
Morgenson :
Apre le porte a un enorme aumento di questo tipo di storie. Ma fa anche parte
di questa derisione dei veri media, che è molto dannosa e molto pericolosa, dove il presidente degli Stati Uniti
dice che i media sono nemici del popolo. Questo è da far rizzare i capelli, é
spaventoso.
Chris
Hedges :
Pensi che entrambi, come “Matt Taibbi” e “Glenn Greenwald”, per esempio, diano
la colpa ai media? C'è un po' di merito nella loro argomentazione in termini di
come le cose sono diventate più terribili all'interno del settore, siamo
diventati meno aggressivi. Penso che sia vero, ma fino a che punto i media sono
colpevoli di quell'animus da parte del pubblico?
Gretchen
Morgenson :
Accidenti, penso che sia una cosa condivisa. Non so se è 50-50, non so se è
75-25, ma i media commettono errori. Parte del lavoro è difficile da
sopportare. Ad esempio, se c'è una tragedia, ci sono giornalisti che attaccano
microfoni in faccia alla gente e dicono: "Dimmi come ci si sente a vedere
tuo figlio morire, o qualsiasi altra cosa". Ci sono aspetti brutti nel
business della raccolta di notizie che certamente possono allontanare le
persone. Ma è importante conoscere i fatti e...
Chris
Hedges :
Anch'io mi chiedo, con il tipo di compartimenti stagni dei media che c'era una
volta, che queste grandi organizzazioni mediatiche cercavano di raggiungere un
vasto pubblico. È finita. “Matt Taibbi” ha scritto un bel libro sull'argomento
intitolato “Hate Inc.”
Ad
esempio, c'è stato il “New York Times£ , il cui servizio “ digitale è stato
decollato durante il “Russia gate”. I suoi lettori odiavano” Trump”, alimentava
la narrativa del “Russia gate “– e tutti dovrebbero leggere la brillante
inchiesta di 20.000 parole di” Jeff Gerth” sulla storia del Russia gate sulla “Columbia
Journalism Review”– Ma c'era un incentivo economico a continuare ad alimentarla
perché era quello che voleva quella fascia demografica che si abbonava al “New
York Times “.
Avevo ascoltato
il loro podcast intitolato “Il Califfato”. Avendo trascorso sette anni in Medio
Oriente, ho sentito l'odore di un topo dopo circa cinque minuti.
Come
farebbe chiunque abbia trascorso molto tempo in Medio Oriente. Fino a che punto
questo ha corroso la credibilità? “MSNBC” è stata anche peggio del “Times” , in
un certo senso, a causa del “nuovo modello economico” e poiché hanno subito
tali colpi, queste organizzazioni mediatiche sono troppo disposte a soddisfare
ciò che i loro lettori o spettatori vogliono.
Gretchen
Morgenson :
– E' un problema enorme ed è molto difficile misurarne l'impatto perché si
pensa ai vecchi tempi in cui si leggeva un giornale di interesse generale e si
otteneva un ampio spettro.
Chris
Hedges :
Beh, questa è l'altra cosa. Giusto. Diventeresti diverso.
Gretchen
Morgenson :
– Avresti punti di vista diversi, informazioni diverse e forse non leggeresti
l'intera storia, ma vedresti il titolo e ti faresti un'idea di cosa si tratta.
Verresti informato su qualcosa che non rientra nelle tue possibilità,
normalmente non ciò che ti interessa, eccetera, ma amplierebbe la tua
comprensione del mondo e del modo in cui funziona. È importante. Non c'è più.
Se stai parlando di persone che vanno al mercato "Odio Donald Trump"
e continuano a...
Chris
Hedges : –
oppure "Adoro Donald Trump".
Gretchen
Morgenson :
– Oppure "Amo Donald Trump" e continuando a nutrirlo, non stai
espandendo le loro menti, giusto? Non stai accrescendo la loro comprensione del
mondo. Ma è molto difficile misurare quale sia questa perdita. È una perdita
che non si riesce a quantificare, ma è enorme ed è importante.
Chris
Hedges :
Dove stiamo andando? Cosa sta succedendo in termini di giornalismo?
Gretchen
Morgenson :
Accidenti, non ho la sfera di cristallo su questo. Penso che la situazione
peggiori. Ci sono persone di tutti i tipi che parlano di cosa si può fare, il
governo dovrebbe intervenire? Penso che sia una cattiva idea. Forse diventano
entità più piccole che servono un pubblico che è disposto a pagare di più
per...
Chris
Hedges :
Ma poi un problema è un paywall. “Barbara Ehrenreich” diceva: "Se vuoi fare il giornalista,
allora devi accettare di essere povero". Eravamo privilegiati nel
senso che nessuno di noi dovuto guadagnava molti soldi, ma certamente
guadagnavamo un reddito da classe media con una pensione e prestazioni
sanitarie. Non vedo come i veri giornalisti, le persone che vogliono fare il
giornalismo possono essere in grado di replicarlo.
Gretchen
Morgenson :
– Temo che potrebbero entrare in una nuova era oscura in cui si torna indietro
perché non si è illuminati dai media.
Chris
Hedges :
Beh, penso che sia vero. Ma non è solo il collasso del giornalismo, è il
collasso dell'istruzione. Scrivi di società di “private equity “che gestiscono
queste “scuole charter”, che si basano sulla memorizzazione meccanica e su una
sufficiente alfabetizzazione finanziaria nei quartieri poveri per lavorare in
un “fast food”. Sì, penso che sia giusto. Purtroppo devo essere d'accordo con
lei.
Gretchen
Morgenson :
Se stiamo andando indietro, è una cosa molto brutta. Spero che ci sia un punto
in cui si fermi e che qualcuno trovi un modo per far luce di nuovo su di esso e
riportarci in un luogo e in un tempo in cui stiamo educando noi stessi,
imparando, capendo e illuminando.
Chris
Hedges:
Quella era la giornalista vincitrice del Premio Pulitzer, “Gretchen Morgenson”,
autrice di “These Are the Plunderers: How Private Equity Runs and Wrecks
America” . Voglio ringraziare “The Real News Network” e il suo team di
produzione; “Cameron Granadino”, “Adam Coley”, “David Hebden “e “Kayla Rivara”.
(chrishedges.substack.com.)
Israele
sta lavorando per
espellere
i palestinesi,
ma
verso dove?
Unz.com
- ERIC ATTACCANTE – (15 FEBBRAIO 2024) – ci dice:
1,4
milioni di donne e bambini disperati che vivono in tende come rifugiati a Rafah
vengono uccisi indiscriminatamente dall'esercito ebraico mentre scriviamo.
L'esercito
israeliano ha fallito contro “Hamas” a “Gaza” e il “governo Netanyahu ha
respinto la proposta palestinese di fermare il fuoco. La loro mossa finale
sembra essere quella di eliminare l'esistenza del popolo palestinese dai
territori occupati da Israele.
Molti
commentatori musulmani e di sinistra hanno risposto al piano di Israele di
"distruggere Hamas", come nell'organizzazione politica, affermando
che sarebbe inutile.
I
movimenti di liberazione palestinese dal 1948 hanno assunto la patina del
marxismo-leninismo, del nazionalismo laico e ora di un'ideologia incentrata
sull'Islam, ma alla fine, il desiderio di una patria garantisce che la
resistenza sarà eterna finché esisterà il popolo palestinese, indipendentemente
dal fatto che” Hamas” sopravviva alla guerra o meno.
Questo
punto di vista è corretto e, in circostanze normali, un accordo negoziato
avrebbe già risolto il problema. Ciò che questi critici non vedono, tuttavia, è
che mentre molti credono che le espulsioni razziali di massa dei nativi siano
impossibili nel 21° secolo a causa di presunte norme liberali illuminate e
leggi umanitarie, Israele e le nazioni con élite etnicamente ebraiche stanno
lavorando per dimostrare che questa ipotesi è sbagliata.
La
campagna ebraica per distruggere l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso
e l'occupazione (UNRWA) che aiuta i palestinesi è il primo passo di questa
campagna di pulizia etnica. Questo è stato a lungo un punto all'ordine del
giorno per lo Stato israeliano, che si è opposto all'”UNRWA” sin dalla sua
fondazione nel 1949. Questa entità esiste per servire i palestinesi espulsi
dalle forze ebraiche durante la Nakba ei successivi assalti.
L'ostilità
dello Stato israeliano nei confronti dell'”UNRWA” è incentrata sulla protezione
legale di cui godono i palestinesi in quanto rifugiati, in primo luogo la
promessa del diritto al ritorno.
Questa
è stata dipinta dai sionisti come una richiesta estremista e antisemita, ma è
un diritto di cui godono tutti i rifugiati. I rifugiati protetti dalle Nazioni
Unite hanno un alto tasso di successo quando tornano nei loro paesi d'origine,
come si è visto di recente con il caso di agfani, somali e altri
precedentemente costretti a lasciare i loro paesi d'origine.
La
seconda lamentela degli israeliani è che i servizi medici, alimentari ed
educativi forniti ai palestinesi all'interno e intorno ai territori occupati
israeliani li incoraggiano dall'emigrare e stabilizzarsi altrove.
D'altra
parte, la contro-argomentazione all'interno della comunità ebraica sull'”UNRWA”
era che l'Europa e l'America finanziavano efficacemente l'occupazione
israeliana dei palestinesi. Offrendo assistenza umanitaria, alcuni israeliani
credevano che questo avrebbe riempito un vuoto che altrimenti sarebbe stato
colmato dai servizi forniti da gruppi come Hamas o nazioni come l'Iran.
Secondo
i termini dell'accordo con l'”UNRWA”, Israele è stato autorizzato a ispezionare
tutto senza condizioni ea supervisionare l'uso di risorse come il cemento.
C'era anche un deliberato punto di vista di "denazificazione" nel
lavoro dell'”UNRWA”, in quanto gli ebrei transnazionali erano persino in grado
di micro gestire i libri di testo che i bambini palestinesi nei campi profughi
potevano leggere, spesso minacciando di de-finanziare se venivano insegnati
messaggi critici nei confronti degli ebrei e del sionismo.
Ma ciò
non è bastato a distruggere la volontà di resistenza del popolo palestinese. Il
4 gennaio, l'esperta politica israeliana Noga Arbell – frustrata dalla mancanza
di successo militare nella lotta contro Hamas – ha proposto alla Knesset che
avrebbero potuto "eliminare i terroristi" solo distruggendo
"l'idea " di uno Stato palestinese, un'idea che secondo lei era stata
coltivata. dell'”UNRWA”.
Settimane
dopo, gli Stati Uniti e i suoi sudditi Canada, Australia, Gran Bretagna,
Germania, Italia, Paesi Bassi, Svizzera, Finlandia, Estonia, Giappone, Austria
e Romania hanno annunciato senza preavviso che avrebbero tagliato i
finanziamenti all'”UNRWA”, facendo vacillare improvvisamente l'organizzazione
sull'orlo del collasso finanziario. La leadership araba, dell'Unione Europea e
delle Nazioni Unite ha condannato la decisione come "punizione
collettiva", ma Washington ha ignorato queste denunce.
La
scusa addotta per tagliare i fondi all'”UNRWA” nel bel mezzo di una delle
guerre più brutali della storia contro la popolazione civile è stata la
diffusione dell'intelligence israeliana che affermava che una dozzina di
operatori umanitari (oltre 100 che sono stati uccisi nella guerra finora) erano
agenti segreti di “Hamas”.
Questa
informazione sembra essere unabufala infondata. Il capo americano dell'”UNRWA”,
“William Deere”, ha dichiarato che ogni singolo dipendente dell'organizzazione
è sottoposto a un controllo dei precedenti e controllato dallo stesso stato
israeliano.
Al
governo israeliano è stato a lungo dato il diritto di ordinare il licenziamento
dei lavoratori dell'”UNRWA” a suo piacimento, come si è visto con la dozzina di
dipendenti accusati di essere simpatizzanti di Hamas che sono stati licenziati
(o uccisi) nonostante la mancanza di dimostrare un sostegno delle accuse contro
di loro. I leader occidentali hanno mantenuto il massimo riserbo nel dichiarare
fiducia nell'intelligence israeliana in questione. Recentemente, il ministro
degli Esteri Penny Wong ha detto di non conoscere nemmeno il vero motivo per cui
ha votato per porre fine al sostegno dell'Australia all'”UNRWA”.
Come
una disperata proposta di genocidio, viaggi dal parlamento israeliano per diventare il
consenso in tutte le principali capitali dell'Occidente in meno di un mese,
rimane un mistero tra coloro che non hanno familiarità di come il potere viene
realmente mediato nelle plutocrazie liberali guidate da Washington.
L'espulsione
di massa di tutti gli arabi è l'obiettivo finale.
Il
principio fondamentale del sionismo è sempre stato quello di espellere gli
arabi nativi. Nel 1940, il leader del “Fondo Nazionale Ebraico” “Yosef Weitz “complottò
privatamente la successiva pulizia etnica di 750.000 palestinesi nel 1948.
"L'unica
soluzione è una Terra di Israele priva di arabi. Qui non c'è spazio per il
compromesso. Devono essere spostati tutti. Non può rimanere un solo villaggio e
nemmeno una tribù. Solo attraverso questo trasferimento degli arabi che vivono
in Terra d'Israele arriverà la redenzione".
Dopo
l'incursione del 7 ottobre, l' “Istituto Misgav per la Sicurezza Nazionale e la
Strategia Sionista” ha pubblicato un libro bianco.
“Netanyahu”
trattiene commenti su questo argomento in pubblico, ma i media israeliani hanno
riferito che alla fine di dicembre, il primo ministro ha detto ai membri del
partito “Likud” della loro strategia.
Nello
stesso incontro, “Netanyahu” ha promesso che il suo popolo stava lavorando
privatamente per convincere altre nazioni ad accettare milioni di palestinesi
sfollati. La destinazione più ovvia sembra essere l'Egitto, dato che si trova
nelle vicinanze, ma non dobbiamo scartare la prospettiva dell'Europa come
destinazione finale.
Alla
fine di ottobre, Il “Financial Times” ha riferito che il governo israeliano
stava usando l' “Unione Europea “per fare pressione sull'Egitto affinché
accogliesse i palestinesi espulsi. L'Egitto ha continuato a insistere che non
prenderà parte a questo accordo, non perché sia contro i rifugiati (il paese
ospita già milioni di rifugiati dalla Siria e altrove), ma perché il mondo
arabo li percepirà come collaboratori nella distruzione finale del paese.
Popolo palestinese.
Nonostante
le prime notizie secondo cui l'Egitto stava prendendo in considerazione
un'azione militare dopo gli sfrontati attacchi israeliani a Rafah, si prevede
che Fattah al-Sisi cederà. Per una sorprendente coincidenza, il Fondo monetario
internazionale (FMI) – che in precedenza aveva cessato di prestare denaro
all'Egitto – ha recentemente "riconsiderato" l'offerta, citando
genericamente la guerra di Gaza come motivo. L'organizzazione finanziaria
globale deve ancora prendere una decisione definitiva sull'opportunità di
disperdere i fondi promessi.
I
media arabi non stanno risparmiando questo sviluppo. I giornalisti
mediorientali sono giunti alla conclusione che la finanza mondiale ebraica sta
offrendo privatamente fino a 12 miliardi di dollari in condono di prestiti da
parte di banche americane ed europee in cambio dell'accoglienza da parte
dell'Egitto dei palestinesi che Israele sta spingendo nel Sinai. Una volta che
al-Sisi accetterà di seguire il piano, il credito fluirà.
Se in
questo scenario l'Egitto accettasse il "denaro" piuttosto che il
"piombo", ci sarebbero probabilmente delle conseguenze per l'Europa.
Prima del conflitto, il governo israeliano stava collaborando con il consolato
turco per consentire ai palestinesi di recarsi nell'Europa sudorientale, dove
entro la metà del 2023 sarebbero diventati la principale popolazione
richiedente asilo in Grecia. Israele usa strategicamente la sua burocrazia per
garantire che, una volta che un palestinese abbia accettato, lasciare il
territorio israeliano, è molto difficile, se non impossibile, che ritornino.
L'UE
si è offerta di corrompere il regime egiziano fin dall'inizio delle ostilità
tra Israele e Palestina. L'UE ha fatto di tutto per mantenere sul tavolo i
potenziali rifugiati palestinesi in Europa durante questi negoziati segreti,
anche se paga i leader arabi altrove per tenere lontani alcuni immigrati.
Il “Financial
Times “ha riferito di questa evidente omissione, affermando che l'accordo
"non collegherà specificatamente il denaro dell'UE all'impegno dell'Egitto
di prevenire qualsiasi ulteriore migrazione verso l'Europa o un possibile
afflusso di palestinesi".
La
leadership egiziana ha mostrato esasperazione nei confronti di Bruxelles,
dichiarando addirittura che manderebbe un milione di palestinesi in Europa se
le pressioni aggressive continuano.
Il
governo israeliano non va così per il sottile. “Danny Danon”, la figura di
spicco che lavora a stretto contatto con Netanyahu sul piano di espulsione da
Gaza, si è rivolto al Wall Street Journal a novembre per dichiarare: "L'Occidente
dovrebbe accogliere i rifugiati di Gaza".
“Breitbart"
Noi [l'America] dobbiamo dare ai civili di Gaza è un rifugio temporaneo durante
la guerra, purché non siano una minaccia, e incoraggiare gli stati arabi
regionali a fare lo stesso".
Anche
il falco sionista” Nikki Haley “ha accennato al sostegno di questa idea.
In
altre parole, le persone ritenute troppo pericolose per vivere nelle proprie
case vengono accolte dagli stessi sionisti in Occidente.
Ma i
palestinesi non vogliono andarsene. Stanno combattendo fino all'ultimo uomo per
restare nella loro terra.
In
definitiva, l'unico freno che potrebbe impedire che questa catastrofe di
rifugiati si svolga secondo il piano sionista è una vittoria dell'”Asse della
Resistenza”.
(Substack)
La
Morte di Navalny.
Conoscenzealconfine.it
– (18 Febbraio 2024) - Davide Malacaria – ci dice:
Il
decesso di “Navalny” nel carcere siberiano arriva a pochi giorni
dall’intervista di “Tucker Carlson” a “Putin”, oscurandola. Nuovo ossigeno per
la propaganda anti-russa e per la guerra ucraina.
La
morte di “Alexei Navalny” ha fatto il giro del mondo. Incarcerato dopo il suo
ritorno in Russia a seguito di un asserito avvelenamento per il quale era stato
trasferito in Germania (con il consenso di Mosca), è morto oggi in un carcere
siberiano.
La
Morte di Navalny, l’Intervista di Putin e la Guerra Ucraina.
La sua
morte giunge come una manna per la propaganda anti-russa che negli ultimi tempi
stava arrancando.
L’intervista
di “Tucker Carlson” a “Putin”, “probabilmente l’evento di informazione più
visto della storia”, come scriveva “Ron Paul”, aveva rilanciato l’immagine
dello zar nel mondo.
La
morte di Navalny avrà l’effetto di oscurare quell’intervista, se non di
sommergerla con effetto tombale.
E
chiunque si azzarderà a parlarne in termini elogiativi o a rilanciarla sarà
bollato come lacchè del dittatore che ha fatto morire un dissidente in un “gulag”
(sempre che vada bene).
Il
decesso non avrà solo conseguenze sulla propaganda, ma anche pratico.
I
sostenitori della guerra infinita ucraina non riescono infatti a vincere le
resistenze dei repubblicani della Camera degli Stati Uniti, ostinati nel loro
rifiuto di votare nuovi finanziamenti per Kiev.
Un
nuovo pacchetto di aiuti – collegato ad altri diretti a Israele e Taiwan – è
ora all’esame della Camera.
La
morte di Navalny sarà usata come una clava contro i repubblicani contrari, i
quali verranno bollati come quinta colonna del dittatore russo.
Se cederanno, la guerra, al momento destinata,
in prospettiva, a chiudersi per mancanza di fondi, verrà rilanciata.
E la morte di un uomo sarà foriera di morte per tanti
altri (da
considerare peraltro che, finché non si chiude, il rischio di un ampliamento
del conflitto resta).
Inoltre,
il decesso del detenuto coprirà la “ritirata ucraina da Adviika”, prossima a
cadere.
Più
che della disfatta della folle strategia ucraino-Nato, si parlerà della triste
sconfitta inflitta alle valorose forze ucraine (inutile dire che sono state
mandate al macello…).
E sarà
brandita per denunciare con maggior veemenza l’allarme per la minaccia russa,
che attenterebbe alla fulgida libertà dell’Europa e del mondo intero.
Ancora più armi a Kiev…
Navalny
e Assange, Narrative opposte.
Insomma,
Navalny, che dei “neocon” era al servizio, servirà la loro causa anche da
defunto, laddove il decesso dovrebbe lasciare posto alla pietà umana, che non
si dovrebbe negare a nessuno.
Quanto
all’asserito” dittatore” dell’Impero d’Oriente che ha relegato in prigione il
dissidente, è facile il parallelo con la sorte di “Julian Assange”, il “dissidente”
che l’Impero
d’Occidente sta facendo morire in un “gulag” di altro segno e colore nel silenzio più
assoluto dei media ufficiali.
Potrebbe
essere di qualche interesse notare che i media che hanno vigilato
sull’osservanza del silenzio sulla” sorte di Assange” sono i primi a piangere
per la triste” sorte di Navalny” e a indignarsi contro l’oppressore, ma è
inutile sottolineare l’ovvio.
Da
ultimo, questa notizia “coprirà gli orrori di Gaza” per alcuni giorni (o almeno
si spera in una tempistica limitata), così che la macelleria possa proseguire
con minor disturbo per il conducente.
Si può
scommettere che scorrerà più inchiostro per la “morte di Navalny” che non per
la morte delle” migliaia di bambini di Gaza”.
È il
meccanismo, deve essere così, scriveva “Aldo Moro” nel suo memoriale.
Probabile
che lo” zar” sia addirittura accusato di aver eliminato il dissidente,
esercizio facile per certi ambiti propagandistici più o meno estremi.
Sul
punto si può solo notare che “Navalny”, dal carcere, non recava alcun disturbo.
La sua
morte, invece, sarà riecheggiata come un colpo di frusta tra le mura del
Cremlino, che solo alcuni giorni prima aveva ospitato “Carlson”.
Inutile
aggiungere che il decesso raffredderà ancor più i rapporti Est – Ovest, già
degradati ai minimi livelli.
Tempi
da” Guerra Fredda 2.0,” nella quale, però, i rischi sono ben altri di allora,
quando l’Occidente era ancora guidato da una leadership Politica, con la P
maiuscola, e non da omini alla mercé dell’apparato militare industriale Usa e
dalla Tecno-Finanza collegata.
(Davide
Malacaria)
(piccolenote.it/mondo/la-morte-di-navalny)
La
politica estera americana sembra
non
avere un posto dove andare.
Unz.com
– Filippo Giraldi – (15 FEBBRAIO 2024) – ci dice:
Proprio
come i palestinesi rinchiusi in gabbia.
Nel
corso degli ultimi quattro mesi, ho effettuato la mia scansione mattutina
quotidiana dei principali siti web di notizie online, sempre più preoccupato
per ciò che avrei visto, data la riluttanza dei media mainstream a riferire
onestamente e la persistente gestione da parte delle fabbriche di propaganda
governativa di ciò che è trapelato ai giornalisti.
Le notizie su ciò che sta accadendo con
Russia-Ucraina hanno sofferto inizialmente quando la guerra ha virato
bruscamente a favore di Mosca alla fine dello scorso anno, tanto che il
probabile esito viene contestato solo su siti dominati dai “neoconservatori
come l'”American Enterprise Institute”, la “Fondazione per la Difesa delle
Democrazie” e la “Rivista Nazionale.
Il presidente Joe Biden e il suo team stanno
ora lottando solo per raccogliere 61 miliardi di dollari per” Volodymyr
Zelensky” per prolungare il conflitto fino alle elezioni statunitensi di
quest'anno, in modo che Biden possa apparire come un forte presidente "in
tempo di guerra" che combatte duramente per difendere gli Stati Uniti
dalle minacciose Orde Rosse.
Che il
denaro cadrà essenzialmente nel buco della corruzione ucraina sembra non
preoccuparsi nessuno alla Casa Bianca, ma il gioco continua con Biden che dice:
"Questo disegno di legge bipartisan invia
un chiaro messaggio agli ucraini e ai nostri partner e ai nostri alleati in
tutto il mondo:
ci si
può fidare dell'America, si può fare affidamento sull'America, e l'America si
batte per la libertà.
Siamo forti per i nostri alleati.
Non ci
inchiniamo mai a nessuno, e certamente non a “Vladimir Putin”.
Allora, andiamo avanti con questo... Ci schiereremo con il terrore e la
tirannia?
Schiereremo con l'Ucraina o con Putin?
Staremo con l'America o con “Trump”?
"
Il presidente sta anche pompando la linea che sta in qualche modo salvando o
proteggendo la "democrazia".
Il
fatto che l'”Ucraina”, mettendo al bando i partiti politici e persino i gruppi
religiosi e la lingua russa, non sia una democrazia non sembra avere un impatto sulla
narrazione.
E non
dimenticate come il “governo Zelenskyj” ha recentemente assassinato il
giornalista americano “Gonzalo Lira” per aver esercitato la libertà di stampa!
“Biden”
sostiene che stare al fianco degli "alleati" dell'America, anche
quando non sono veri alleati, è essenziale per mantenere la fiducia negli Stati
Uniti e nella loro missione di leadership di creare un "ordine internazionale basato sulle
regole" e quindi salvare il mondo.
Al di là dell'Ucraina, c'è, naturalmente, il
"migliore amico" e "più grande alleato" dell'America,”
Israele”, che
non è una democrazia in quanto i cittadini palestinesi hanno diritti limitati, con coloro che vivono nella “Cisgiordania”
occupata dall'esercito israeliano che non effettivamente hanno alcuna
protezione dall'essere arrestati arbitrariamente o addirittura colpiti a vista
da soldati e coloni infuriati, che non temono conseguenze per l'uccisione e la
rapina degli arabi perché non ci sono conseguenze.
Il
bombardamento di Gaza fino all'età della pietra continua con pochissima
copertura nei media mainstream, come se fosse un'atrocità che scomparirà dalla
coscienza collettiva se nessuno vi farà riferimento, nonostante le file di
donne e bambini morti.
I
media statunitensi ed europei, nel frattempo, riportano allegramente ogni nuova
"atrocità
di Hamas"
promossa dall'”esercito israeliano” (IDF) che mente abitualmente come se fosse
la verità, mentre “Biden” sta facendo di tutto per” fornire il denaro (14
miliardi di dollari) e le armi” per
consentire all'IDF di uccidere più palestinesi mentre allo stesso tempo fingono di
piangere il massacro degli innocenti che sta avvenendo.
L'orribile
bilancio delle vittime è il risultato diretto della mancanza di qualsiasi
azione da parte di” Joe “per costringere gli israeliani a cambiare rotta, cosa
che ha a che fare con una telefonata a” Benjamin Netanyahu” che minaccia di
tagliare il denaro, le armi e il sostegno politico.
Ma l'amministrazione ha chiarito che non ha intenzione
di fare nulla del genere.
Ma
nonostante tutta quell'eccitazione della scorsa settimana, c'è una storia che
risalta, il
video dell'ex Segretario di Stato e direttore della CIA Mike Pompeo in Israele
che sorride e balla con i soldati israeliani in festa, che presumibilmente sono appena
tornati da Gaza dopo aver avuto il piacere di far saltare in aria qualche
decina di civili in più, tra cui una grande percentuale di bambini.
L'ultima trovata dell'esercito israeliano è
posizionare cecchini e carri armati attorno all'ultima grande struttura medica
funzionante nel distretto di “Rafah”, nel sud di Gaza, l'”ospedale Nasser a
Khan Younis”.
Ai
palestinesi che cercavano di sopravvivere a Gaza era stato precedentemente
ordinato da Israele di andare a” Rafah” dove sarebbero stati "al
sicuro", ma era una menzogna egoistica e i militari hanno poi continuato a
bombardare e sparare ai civili, anche quando stavano cercando di arrendersi.
e
anche distruggendo infrastrutture come ospedali e scuole per rendere l'area
inabitabile.
I
cecchini dell'esercito di Gaza si sono ora uniti al divertimento sparando a
medici e pazienti all'interno dell'edificio e sul terreno per costringere
l'ospedale Nasser a evacuare e chiudere.
Dopo
il poligono di tiro hanno fatto irruzione nell' ospedale, presumibilmente alla
ricerca di "ostaggi".
Fa
tutto parte di ciò che si sta sviluppando quando “Netanyahu” ha annunciato che
presto inizierà
l'invasione di terra di Rafah, anche se i palestinesi intrappolati, che stanno
già morendo di fame a causa del blocco israeliano degli aiuti umanitari, non hanno nessun posto dove andare
e molte altre migliaia moriranno. in un modo o nell'altro.
In
corsa per l'orribile racconto della settimana c'era anche un pezzo in cui si
sosteneva che il primo passo positivo compiuto con un voto a maggioranza alla
Camera dei Rappresentanti avrebbe portato all'impeachment ampiamente meritato dell'orribile segretario del”
Dipartimento per la Sicurezza Interna”, Alejandro Mayorkas”, giovedì, ed è
stato il risultato di una "teoria “del complotto antisemita" perché è
un "ebreo sefardita", non a causa della sua incompetenza che ha dimostrato
regolarmente negli ultimi tre anni.
Il profondo buco di depressione in cui mi sono
insinuato mentre guardavo il “grasso idiota Pompeo” saltellare mentre il “nano Mayorkas” pubblicizzava le sue credenziali
ebraiche mi ha spinto a riconsiderare l'intera questione della politica estera
e di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Sono giunto alla conclusione che i
protagonisti sono caricature e che non dovrebbero essere prese sul serio e
dovrebbero invece essere considerate come una commedia di routine, qualcosa
come “Monty Python” ma terribilmente letale e senza l'intelligenza e l'arguzia
di “John Cleese”, “Eric Idle”, “Michael Palin” e “Graham Chapmann”.
A dire
il vero si può sempre contare sull'amministrazione”Biden” per suscitare una
risata, in particolare quando coinvolge i pagliacci di nome “Anthony Blinken”, “Victoria
Nuland”, “Karine Jean-Pierre” e “Jake Sullivan”.
Ci
sono state molte cose divertenti ultimamente, in particolare le chiacchiere su
una soluzione al genocidio palestinese, anche se “Biden” sembra abbastanza a
suo agio nel lasciare che gli israeliani finiscano la pulizia etnica di Gaza
prima che qualcuno cerchi un posto disposto ad acquisire altri due milioni di
apolidi e palestinesi senza casa.
L'ex
aspirante presidente e governatore fantoccio sionista della Florida, “Ron
DeSantis”, ha già dichiarato che nessun palestinese dovrebbe essere ammesso
negli Stati Uniti come rifugiato poiché è "antisemita".
Ciononostante,
“Bide”n e il “Dipartimento di Stato di Blinken” vogliono trovare una sorta di
formula, se non altro perché la reazione mondiale dovuta al fermo sostegno della
Casa Bianca alla brutalità israeliana ha cominciato ad avere conseguenze in
quanto costituisce complicità in crimini contro l'umanità.
Si
prevede una sorta di “sovranità limitata”, sicuramente disarmata, concessa alla
“Palestina”, ma Netanyahu e i suoi alleati politici, a lungo contrari a una
soluzione a due Stati, hanno recentemente ripetutamente respinto le proposte
per qualsiasi entità sovrana palestinese.
Anche
adesso Israele sta usando la sua “formidabile lobby” e il controllo internazionale sulla stampa
e sulla narrativa per lavorare assiduamente contro qualsiasi riconoscimento
diplomatico di uno” Stato palestinese” da parte di singoli paesi o come membro
a pieno titolo delle Nazioni Unite.
Non
sorprende che lo sforzo maggiore per mantenere le cose sulla buona strada sia
diretto contro le voci che si sono levate a sostegno della “Palestina” negli
Stati Uniti.
“
Biden” ascolta per essere sicuro e sta chiedendo a” Blinken” e al consigliere
per la sicurezza nazionale “Jake Sullivan” di coordinare attentamente ogni
passo intrapreso dall'amministrazione con il ministro israeliano per gli affari
strategici ed ex ambasciatore a Washington “Ron Dermer”.
Anche
se” Israele e Netanyahu” tengono sicuramente il comando, il presidente si
guarda comunque inevitabilmente alle spalle e teme di alienarsi gli elettori
con le elezioni nazionali imminenti se la carneficina a Gaza continua.
Non è la prima volta che la farsa infinita della
politica interna degli Stati Uniti probabilmente influenzerà almeno in qualche
modo ciò che alla fine avverrà in paesi a seimila miglia di distanza.
E data
la propensione di Biden a evitare di fare la cosa giusta, si può essere
abbastanza sicuri che il risultato non sarà carino!
(Philip
M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest,
una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501(c)3 (numero ID federale n. 52-1739023)
che persegue una politica estera statunitense più basata sugli interessi nel
Medio Oriente.)
La
complicità di Biden a Gaza
sta
rendendo più probabile
la
vittoria del fascista Trump.
-Unz.com
- SALOMONE NORMANNO • (15 FEBBRAIO 2024) – ci dice:
La
base elettorale di cui Biden avrà bisogno per la rielezione è fortemente
contraria al suo sostegno alla guerra di Israele contro Gaza.
Non
c'è modo di nascondersi da questo fatto.
Per
più di quattro mesi, il presidente Biden è stato il principale facilitatore
dell'omicidio di massa del popolo palestinese a Gaza da parte di Israele.
Ogni
giorno, centinaia di civili vengono uccisi dalle armi statunitensi e, sempre
più spesso, dalla fame e dalle malattie. La crudeltà e la grandezza del
massacro sono ripugnanti per chiunque non sia in qualche modo insensibile
all'agonia umana.
Tale
intorpidimento è molto diffuso negli Stati Uniti.
Alcuni
fattori includono pregiudizi etnocentrici, razziali e religiosi contro arabi e
musulmani.
La
forte inclinazione pro-israeliana dei mezzi di informazione corre parallela
all'inclinazione dei funzionari del governo degli Stati Uniti, con un linguaggio che abitualmente
trasmette un rispetto molto inferiore per le vite palestinesi rispetto a quelle
israeliane.
E
mentre la credibilità del governo israeliano è crollata, le braccia muscolose
della lobby israeliana – in particolare l'”AIPA”C e la “Maggioranza Democratica”
per Israele – esercitano ancora un'enorme influenza sulla stragrande
maggioranza del Congresso.
Pochi legislatori sono disposti a votare
contro i massicci aiuti militari che rendono possibile la carneficina a Gaza.
Un
esempio agghiacciante è il senatore “Chris Van Hollen” del “Maryland”.
Lunedì sera, è salito sul pavimento del Senato
e ha condannato Israele senza mezzi termini.
"I
bambini di Gaza stanno morendo a causa della deliberata negazione del
cibo", ha detto.
"Oltre
all'orrore di quella notizia, un'altra cosa è vera. Questo è un crimine di
guerra.
È un crimine di guerra da manuale. E questo
rende criminali di guerra coloro che lo orchestrano".
Guardando
il video dell'appassionato discorso di “Van Hollen”, si potrebbe supporre che
voterebbe contro l'invio di 14 miliardi di dollari in ulteriori aiuti militari
a quei "criminali di guerra". Ma ore dopo, ha fatto esattamente
l'opposto.
Come
ha osservato il giornalista “Ryan Grim”, "il discorso del senatore pulsava
di chiarezza morale, fino a quando non si è esaurito in una logica incerta per
il suo imminente voto a favore".
Al
contrario, tre senatori del “caucus democratico – “Jeff Merkley”, “Peter Welch”
e “Bernie Sanders” – hanno votato no .
“Sanders”
ha pronunciato un discorso potente chiedendo decenza invece di un ulteriore
collasso morale da parte dei vertici del governo degli Stati Uniti.
Mentre
il Senato deliberava, la Casa Bianca ha chiarito ancora una volta che non era
seriamente intenzionata a intralciare l'assalto pianificato da Israele alla
città di Rafah.
È lì che la maggior parte dei 2,2 milioni di
residenti sopravvissuti di Gaza si sono rifugiati in modo pericoloso dalle
Forze di Difesa Israeliane dal nome orwelliano.
Uno
scambio di battute in una conferenza stampa alla Casa Bianca lunedì ha
sottolineato che “Biden” è determinato a continuare a consentire i continui crimini di
guerra di Israele a Gaza.
Giornalista: "Il presidente ha mai
minacciato di privare Israele dell'assistenza militare se dovesse portare
avanti un'operazione a “Rafah” che non tenga conto di ciò che accade ai
civili?"
Il
portavoce John Kirby: "Continueremo a sostenere Israele. Hanno il diritto di
difendersi da “Hamas” e continueremo ad assicurarci che abbiano gli strumenti e
le capacità per farlo".
"L'amministrazione “Biden “non ha
intenzione di punire Israele se lancia una campagna militare a “Rafah” senza
garantire la sicurezza dei civili".
Citando
intervistando con tre funzionari statunitensi, l'articolo riportava che "non sono in corso piani di
rimprovero, il che significa che le forze israeliane potrebbero entrare in
città e danneggiare i civili senza affrontare le conseguenze americane".
“Biden”
continua ad essere complice mentre pronuncia banalità di preoccupazione per la
vita dei civili a Gaza.
Mese dopo mese, ha fatto tutto il possibile per
rifornire al massimo l'esercito israeliano.
Sotto
un titolo appropriato: " Biden è arrabbiato con Netanyahu? Risparmiami. "
Jack Mirkinson, caporedattore di “The Natio”n, ha
scritto questa settimana:
"Nel
mondo reale, “Biden” e i suoi partner legislativi hanno continuato ad armare
Israele;
la”
leadership democratica al Senato “ha effettivamente portato la gente a votare
la domenica del “Super Bowl” su un disegno di legge che, insieme al riarmo
dell'Ucraina, invierebbe a Israele altri 14,1 miliardi di dollari per quella
che viene eufemisticamente definita "assistenza alla sicurezza".
Da
ottobre, proteste e attivismo stimolanti negli Stati Uniti hanno messo in
discussione il sostegno americano all'assalto militare israeliano a Gaza.
Tuttavia,
alimentate dalla repulsione per le atrocità commesse da “Hama”s contro i civili
israeliani il 7 ottobre, le consuete motivazioni a sostegno della violenza di Israele
contro i palestinesi si sono rivelate efficaci.
In
quest'anno elettorale, un ulteriore fattore incombe importante.
A soli
otto mesi dall'inizio delle votazioni che potrebbero riportare “Donald Trump
alla presidenza”, la prospettiva del suo ritorno al potere è fin troppo reale.
E con “Biden”
destinato a essere il “candidato del Partito Democratico”, innumerevoli
individui e gruppi stanno attenti a evitare di dire molto che sia critico nei
confronti del presidente che vogliono vedere rieletto.
Invece
del candore, le scelte di routine sono state eufemismi e silenzio.
Ma, moralmente e politicamente, questo è un grosso
errore.
La
base elettorale di cui “Biden” avrà bisogno per la rielezione è fortemente
contraria al suo sostegno alla guerra di Israele a Gaza.
I sondaggi mostrano che soprattutto i giovani nella
stragrande maggioranza contrari.
La
maggior parte ha capito la sottile patina delle sue deboli suppliche affinché
Israele non uccida così tanti civili.
Nessuna
quantità di evasioni, silenzi o ambiguità può rendere moralmente accettabili le
politiche di “Biden.
Ma,
mentre l'amministrazione combina le sue strette di mano con la fornitura di
armi militari, gli apologeti di “Biden “vanno avanti con l'evasione e la
ginnastica verbale per difendere l'indifendibile.
Una
linea d'azione di gran lunga migliore sarebbe quella di essere sinceri nei
confronti delle realtà attuali:
il collasso morale di “Joe Biden” sta
permettendo al governo israeliano di continuare, impunemente, il suo massacro
su larga scala del popolo palestinese.
Nel
processo,” Biden” sta aumentando le possibilità che il “Partito Repubblicano”,
guidato dal fascista Donald Trump, ottiene il controllo della Casa Bianca a
gennaio.
(Common Dreamscon)
È
giunto il momento per
Washington
di rinsavire.
Unz.com
- PAUL CRAIG ROBERTS – (16 FEBBRAIO 2024) – ci dice:
Sembra
che i pigmei di Washington abbiano scelto il paese sbagliato per il ruolo di
nemico preferito, se c'è del vero nelle notizie di ieri secondo cui la Russia
ha dispiegato o ha in fase di sviluppo una piattaforma nucleare orbitale che
può sganciare testate nucleari fuori dall'orbita senza riscaldamento e senza
possibilità di intercettazione.
Recentemente
ho riferito sul nuovo libro di “Steven Starr “che una, a causa o tre esplosioni
ad alta quota, a seconda dell'altitudine, è tutto ciò che serve per far
collassare gli Stati Uniti e lasciarli nel caos totale senza dover fare alcun
danno al suolo.
(paulcraigroberts.org/2024/02/07/the-united-states-has-zero-national-security/)
Il
rapporto di “Brighteon” dice che il sistema orbitale è attivo:
Secondo
le fonti, la Russia ha appena messo in funzione una piattaforma nucleare
orbitale che può far cadere testate nucleari fuori dall'orbita in qualsiasi
momento, esplodendo su città chiave e basi militari degli Stati Uniti senza
preavviso e con zero possibilità di essere intercettate.
“Capitol Hill” è in preda al panico,
descrivendo la nuova tecnologia russa come "destabilizzante" e
chiedendo un'azione urgente per contrastare in qualche modo il vantaggio
militare della Russia.
L'esercito
degli Stati Uniti, nel frattempo, è troppo occupato ad essere
"svegliato" per costruire una nuova tecnologia.
La Russia ha armi nucleari orbitali, ma la
Marina degli Stati Uniti ha “drag queen “e “trans” al comando.
Non
c'è da chiedersi come va a finire...
Altre
fonti raccolte da “Simplicius “trattano la piattaforma orbitale come una
minaccia in corso:
(simplicius76.substack.com/p/planetary-scare-russian-doomsday?utm_source=post-email-title&publication_id=1351274&post_id=141657380&utm_campaign=email-post-title&isFreemail=true&r=dx5km&utm_medium=email)
È
troppo presto per sapere la veridicità di questi rapporti o se si tratta solo
di un'altra storia spaventosa, come "Le armi di distruzione di massa di
Saddam Hussein" e "Terroristi musulmani", per aumentare le nuove
spese militari per una "minaccia" " sostitutiva ora che la
Russia ha vinto la guerra in Ucraina.
Ciò
che mostra è la stupidità di una “Torre di Babele disfunzionale come gli Stati
Uniti” che combattono con una società altamente funzionale e unificata come la
Russia.
Gli interventisti liberali americani,
sostituiti dai neoconservatori egemonici, hanno creato un pericoloso nemico
per gli Stati Uniti che Washington non ha alcuna possibilità di sconfiggere.
La Russia, già con “ICBM ipersonici dispiegati” che
alterano casualmente la traiettoria in volo, a quanto pare sta aggiungendo al
suo dominio armi sparate dallo spazio.
Se
Washington non riesce a infastidire Israele espellendo i neoconservatori dalla
loro presa sulla politica estera degli Stati Uniti, l'Occidente idiota ha fatto
il suo corso.
(PaulCraigRoberts.org)
LE
IDEOLOGIE SONO MORTE
MA GLI
IDEALI NO.
È LA
POLITICA CHE PER INTERESSE
NON LI
RAPPRESENTA PIÙ.
Thevision.com
- DANIELE FULVI – (1° FEBBRAIO 2021) – ci dice:
Nel
dibattito politico degli ultimi anni, viene dedicata un’attenzione sempre più
grande a posizioni cosiddette “post-ideologiche”, che mirano al superamento
delle contrapposizioni concettuali destra/sinistra, fascisti/comunisti e così
via, in nome di una politica più pragmatica e votata agli interessi reali dei
cittadini:
quello
che oggi è il mio peggior avversario politico, domani potrebbe essere il mio
alleato di governo.
In questo scenario, un ruolo sempre più
centrale viene giocato dai leader dei vari partiti.
La
loro vita sembra dipendere più dal volere dei loro capi – e dagli scranni che
occupano – piuttosto che dalla reale condivisione di ideali o di una
determinata visione del futuro.
A
partire dall’epoca del primo Berlusconi, il leader di un determinato partito o
schieramento ha rappresentato un elemento sempre più determinante ai fini del
voto:
da una
trentina d’anni a questa parte, non si vota più per appartenenza ideologica, ma
in base al carisma del candidato a guida di questa o quella lista.
Su
queste basi Beppe Grillo già nel 2010 prendeva nettamente le distanze dagli
schieramenti tradizionali di destra e sinistra, definiti come “comitati
d’affari”;
e a
distanza di tre anni ribadiva il concetto sostenendo che il M5S fosse un
movimento di natura post-ideologica, lanciando il famoso mantra del “né di
destra né di sinistra”;
infine, nel 2018 il comico genovese si è
spinto ancora oltre, arrivando a sostenere che il movimento da lui fondato
fosse “la
più grande forza post-ideologica d’Europa”.
Visto
il successo in termini di consenso, anche i partiti storicamente schierati a
destra, ovvero la” Lega” e “Fratelli d’Italia”, hanno deciso di seguire
l’esempio della propaganda grillina.
“Salvini”,
ad esempio, nel 2015 definì l’antifascismo come “una roba da libri di storia”,
dal momento che l’ideologia fascista e quella comunista appartengono al passato
e non sono in grado di rappresentare le categorie politiche odierne.
Anche “Giorgia Meloni” non è da meno: da
sempre, infatti, la leader di “FdI” è impegnata nell’opera di normalizzazione e
istituzionalizzazione del fascismo, in nome proprio di quella politica
post-ideologica che vorrebbe superare posizioni faziose e “da tifoseria”.
Perfino
il successo elettorale di Trump nel 2016 è in parte dovuto al fatto che sia
stato presentato come un leader post-ideologico di un movimento che “trascende
le vecchie ideologie”.
Infine,
la recente crisi di governo nel nostro Paese, dettata più dagli interessi
individuali di singoli politici piuttosto che dalla genuina passione per
principi etici e politici, sembra essere un’ulteriore conferma della validità
delle posizioni post-ideologiche.
Infatti,
l’agenda politica dei vari leader di partito sembra basarsi sempre più sugli
interessi di potere dei singoli, anziché su una visione economica e sociale di
ampio respiro per il futuro.
Le
ideologie politiche che hanno caratterizzato il Novecento, dunque, sembrano
essersi eclissate in maniera definitiva, rimpiazzate dal trasformismo e
dall’individualismo.
Eppure,
il fatto che queste ideologie siano morte non significa che lo siano anche gli
ideali, soprattutto fra le nuove generazioni.
Mai
come oggi si ha da un lato l’impressione che la politica non segua più alcun
ideale, ma muti in base all’occorrenza e alla convenienza, dall’altro, però, al
di fuori delle stanze del potere, si stanno costruendo e stanno crescendo
sempre più delle comunità fondate su ideali molto forti.
E
nuovi ideali danno vita a nuove ideologie che si adattano ai problemi del
nostro tempo, nel tentativo di affrontarli e trovare una soluzione, sulla base
di un’etica e una visione del mondo condivise.
Proprio
in virtù di questa natura dinamica, non si può affermare che le ideologie siano
morte e che siano state definitivamente soppiantate da una sorta di nichilismo
etico e di cinico opportunismo.
Nel
dibattito politico quotidiano il concetto stesso di “ideologia” viene
interpretato in maniera superficiale e arbitraria:
infatti, quando si accusa qualcuno di avere una
posizione ideologica, si intende dire che le sue idee e i suoi discorsi sono
astratti, teorici e fondati su pregiudizi.
In
realtà, però, l’ideologia è tutt’altra cosa:
lungi
dall’essere un insieme di nozioni fumose e valide solo in ambito teorico, essa
consiste precisamente in un sistema di valori e coordinate concrete in base a
cui gli esseri umani orientano le proprie azioni nel mondo.
L’ideologia
è quanto di più tangibile e pragmatico esista, dato che rappresenta una sorta
di prontuario a cui tutti noi ci atteniamo più o meno fedelmente – e più o meno
consapevolmente.
Per
dirla con il filosofo francese “Althusser”, l’ideologia è “un sistema di idee
solo in quanto è un sistema di rapporti sociali” e in quanto tale costituisce
la linfa vitale di ogni società.
Louis
Althusser.
Perciò,
parlare di epoca post-ideologica significa da un lato avallare un luogo comune
che produce solamente cattiva politica (e cattivi politici), e dall’altro
utilizzare un metro di giudizio inadeguato a comprendere i tempi in cui viviamo.
Non è
vero che siccome le ideologie sono morte, allora c’è bisogno di politici
post-ideologici e spregiudicati;
al
contrario, è vero che siccome la classe dirigente italiana non è in grado di
rispondere alle esigenze e ai problemi reali del Paese, poiché non ne comprende
gli ideali, allora politici, giornalisti e opinionisti vari – in mancanza di
argomenti migliori – giustificano tale atteggiamento sulla base di una presunta
morte delle vecchie ideologie.
Ma
sposare un’ideologia non significa necessariamente adottare dei pregiudizi o
accontentarsi di una visione pigra o utopica della realtà.
Al
contrario, spesso è proprio chi è animato da ideali sinceri e da convinzioni
etiche solide a realizzare i cambiamenti più significativi in ambito politico e
sociale.
La
retorica della morte delle ideologie ha come effetto ultimo quello di
allontanare i cittadini dalle istituzioni e dai processi decisionali, di fatto
accentrando il potere nelle mani dei leader più in voga.
Perciò,
risulta chiaro come “trascendere le ideologie” o “affermarne la fine “non
significa altro che annientare il senso critico della popolazione prevenendo la
reale necessità di un cambiamento dei rapporti sociali.
In pratica, se si convincono tutti i cittadini
che le ideologie sono dei paraocchi che impediscono di vedere le cose in
maniera oggettiva, se non addirittura dei pesi morti di cui liberarsi, si ottiene come risultato sia la
creazione di una classe dirigente elitista e incapace di rapportarsi ai
cittadini, sia la subordinazione acritica del popolo a quella stessa classe
dirigente.
Facendo
un parallelo con “il pensiero di Gramsci”, possiamo dire che è esattamente in questo modo che le
classi dominanti costruiscono la “loro egemonia”.
Come
ci spiega in maniera chiara ed efficace” Alessandro Barbero”, una classe
diventa dominante quando riesce a far sì che anche le altre classi accettino la
sua ideologia, ovvero il suo pensiero e la sua visione del mondo.
Perciò, nel caso della situazione odierna,
l’ideologia dominante è quella superficiale e propagandistica secondo cui le
ideologie sono morte e sepolte, rimpiazzate dallo sprezzante pragmatismo dei
politici contemporanei.
Tuttavia,
è altrettanto vero che quando l’ideologia dominante non corrisponde alla
realtà, si apre una frattura tra governanti e governati che diventa sempre più
insanabile e porta a inevitabili cambi di rotta nei rapporti sociali.
Alessandro
Barbero.
Gli
attuali movimenti politici per le questioni di genere, razziali e ambientali,
infatti, non fanno altro che dimostrare quanto questa frattura sia profonda ed
evidente, e che continuare a ignorarla in nome della presunta morte degli
ideali politici novecenteschi non fa che allontanare ancora di più la politica
dalla realtà dei fatti.
Non solo tali movimenti mostrano come la
narrazione diffusa dell’estinzione delle ideologie sia un semplice strumento
propagandistico e ingannevole, ma anche che la costruzione di una società più
giusta passi necessariamente per l’istituzione di una nuova ideologia che
stravolga i rapporti sociali esistenti, sostituendoli con un nuovo ordine
politico ed economico basato su equità, inclusività e sostenibilità.
Ad
essere scomparsa dai radar, dunque, non è l’impostazione dell’azione politica
sulla base di valori etici, ma la buona politica che di tali valori si dovrebbe
nutrire.
Soprattutto
nelle nuove generazioni, è molto forte l’urgenza di implementare una visione
del mondo che si contrapponga a quella del capitalismo neoliberista, ormai in
profonda crisi.
Infatti,
sebbene anche leader politici di primissimo piano come “Macron” abbiano
riconosciuto che il modello capitalista non funziona più, in Italia sembra
mancare quasi del tutto una riflessione lucida e realista sulla possibilità di
liberarsi dalla propaganda post-ideologica e di creare un modello
economico-sociale in grado di dare un futuro alle nuove generazioni e al
pianeta.
Tale
atteggiamento, però, non fa che allontanare la politica e le istituzioni dai
cittadini, creando malcontento e aumentando il rischio di derive nazionaliste e
neofasciste.
Emmanuel
Macron.
La
soluzione, dunque, consiste nell’abbandonare una volta per tutte l’impostazione
post-ideologica, che non risponde ad alcuna esigenza reale delle persone e non
fa che allargare la forbice tra la piazza e il Palazzo.
Per questo, bisogna ridare la giusta
importanza alla politica ispirata a sani ideali e valori non negoziabili,
smettendola di conferire un valore esclusivamente negativo al concetto di
ideologia.
Senza ideali fondati su solide basi etiche, infatti,
non saremmo neanche in grado di dare un senso al mondo, né di avere una
prospettiva per il futuro.
(Daniele
su “The Vision”)
La
vita è un’ideologia
fondata
sul lavoro.
Iltascabile.com
– Fabio Ciancone – (18-9-2023) – ci dice:
Una
riflessione a partire da “After Work”, il documentario di “Erik Gandini “che
affronta il rapporto tra vita e lavoro.
(Fabio
Ciancone studia il rapporto tra letteratura contemporanea, critica letteraria e
politica. Ha pubblicato una ricerca sull'impegno politico di “Claudio Magris”
sulla rivista “Il Portolano”. Ha scritto di letteratura e di cinema per “Nido”,
“Nazione Indiana” e “Il lavoro culturale.)
Le
dita di un impiegato pigiano ripetutamente i due tasti di un mouse.
L’inquadratura, strettissima, si allarga a immortalare lo sguardo di un uomo
sui sessant’anni, che fissa vacuo lo schermo di un computer.
“Mi
sveglio ogni mattina alle 6.
Mi faccio
una doccia, vado al lavoro alle 7, resto in ufficio fino alle 23. Torno a casa,
ceno, vado a dormire a mezzanotte.
Faccio questa cosa ogni giorno”, dice la sua
voce fuori campo.
Con un
piano sequenza la telecamera immortala, alla sua destra, sua figlia, a braccia
conserte, a fissarlo con un misto di compassione e riprovazione:
“Non voglio per me questa vita, mio padre dice
che ha fatto tutti i suoi sacrifici per noi, noi siamo il premio per i suoi
sacrifici, dice.
Non sono d’accordo”.
Si
apre così “After Work”, l’ultimo documentario di “Erik Gandini” (regista
italo-svedese autore fra gli altri di “Videocracy”, sull’era berlusconiana):
una
scena piuttosto didascalica che focalizza l’attenzione dello spettatore su un
aspetto secondario – quello generazionale – di una questione cruciale della
nostra epoca: il rapporto tra tempo e lavoro.
“Gandini”
si chiede se sia possibile immaginare come impiegheremo il nostro tempo quando
il lavoro umano, per come l’abbiamo finora concepito, sarà reso superfluo dalla
tecnologia.
Se lo
chiede, sì, anche se sembra non volere o non essere in grado di dare una
risposta, tanto che il film si conclude con i primi piani di alcuni
intervistati che, alla domanda se sia possibile smettere di lavorare, fissano
la telecamera senza dire nulla.
L’impasse del dibattito è forse il fulcro di questa
analisi.
“Gandini”
si chiede se sia possibile immaginare come impiegheremo il nostro tempo quando
il lavoro umano, per come l’abbiamo finora concepito, sarà reso superfluo dalla
tecnologia.
“Gandini”
intervista persone di estrazione sociale differente (working poors, impiegati
statali, imprenditori, ricchi ereditieri), provenienti da diverse parti del
mondo – Stati Uniti, Italia, Kuwait e Corea del Sud, vale a dire, per
metonimia, Nord America, Europa, Medio ed Estremo Oriente.
L’operazione
è un po’ azzardata:
contesti
geopolitici molto specifici sembrano eletti a universali, chiamati a mappare
idealmente l’intero mondo industrializzato sotto l’egida culturale e economica
capitalista.
Come è azzardata l’idea di poter utilizzare
l’operaia” Astrid”, il manager “Pa Sinian”, l’imprenditore “John”, e poi ancora
“Armando”, “Meqdaq”, “Fatima”, “Rory”, “Ferdinando”, “Boseong” – tutti
significativamente evocati senza i cognomi – non come individui, ma quali, di
nuovo, metonimie della classe sociale a cui appartengono.
Alle interviste del regista si aggiungono, inoltre,
fonti secondarie, materiali d’archivio, brevi interventi di intellettuali e
personalità di spicco come “Noam Chomsky”, “Yuval Noah Harari”, “Yanis
Varoufakis”, “Elon Musk”, le cui parole aiutano a orientare lo spettatore
attraverso un tentativo di affresco contemporaneo.
Il
documentario procede per giustapposizione di testimonianze, ma è impossibile
capire in che modo “Gandini” si stia servendo delle parole degli intervistati.
Infatti allarga quanto più possibile il campo
della questione, pur partendo da casi singoli chiamati per nome e solo per
nome, astrae il problema dai particolarismi di una vita o di una classe sociale
specifica.
Ad
esempio, alle interviste a due ex ministri del lavoro sudcoreani sulle
politiche contro la cultura del superlavoro nel loro Paese, “Gandini” accosta
la testimonianza di un imprenditore americano, simbolo della “middle class
affamata di successo”, uno yuppie rampante che ride sguaiato all’idea che in
Europa sia socialmente accettato prendersi sei settimane di ferie all’anno.
Alle
lamentele concitate del manager di una grande azienda, che preoccupato spiega
come l’85% dei lavoratori globali svolga mal volentieri le proprie mansioni,
affianca la voce emozionata della dipendente di “Amazon” che definisce il
proprio compito di consegna dei pacchi un piccolo gesto rivoluzionario, che
migliora la vita delle persone, una missione a cui dedicarsi completamente.
Poi
conosciamo “Rory” e “Ferdinando”, una coppia:
lei ricca ereditiera la cui unica occupazione
sono i suoi svariati e esotici hobby;
lui
ricco imprenditore contrario al reddito di cittadinanza il cui hobby è il
lavoro.
All’estetica dell’uomo super-impegnato, sexy e
stimabile proprio perché oberato di lavoro (“I’m so busy” è il mantra remixato
che si ripete in modo martellante), sono poi affiancati i “NEET”, “Not in
Employment, Education or Training” (anche questa frase è remixata e fa da
ulteriore colonna sonora al documentario), persone giovani che scelgono
“volontariamente” di non lavorare né di formarsi al livello scolastico o
professionale.
Man
mano che compara contesti anche molto diversi – e mescola opinioni diversissime
senza tirare le fila – ha il potere di rendere la stessa questione del lavoro,
in qualche modo, metafisica.
Per chiedersi se sia possibile immaginare una
società post-lavorista (forse non dissimile da quella immaginata da “Srníče”k e
“Williams” in “Inventare il futuro”, saggio cardine del pensiero accelerazionista di
sinistra),
“Gandini” assume un punto di vista filosofico, più che economico o sociale,
ponendosi una domanda molto più radicale di quella che formulerebbe la mente di
un economista.
E in
fondo l’aspetto cruciale del film sembra sia chiederci se possiamo accettare
culturalmente (tutti, in tutto il mondo) che la nostra vita smetta di assumere
valore in relazione a ciò che produciamo: sarà accettabile, in futuro, l’idea
che si possano ricevere soldi senza produrre merci?
L’operazione
è un po’ azzardata: contesti geopolitici molto specifici sembrano eletti a
universali, chiamati a mappare idealmente l’intero mondo industrializzato sotto
l’egida culturale e economica capitalista.
In
conseguenza di questa tensione filosofica, il film non indaga la sostenibilità
materiale di un reddito universale o di un mondo del lavoro quasi interamente
robotizzato, ma, più per dir così più poeticamente, riflette sul nostro
rapporto con il tempo e con la vita.
Forse,
a ben vedere, la risposta a queste questioni è ancora più profonda, e riguarda
il nostro rapporto con la morte:
per superare la società del lavoro dobbiamo
riuscire a concepire una vita che sia degna di essere vissuta senza produrre
nulla, senza lasciare traccia.
Tutte
le filosofie occidentali apparentate con l’etica capitalista, che prevedano una
dimensione teologica o siano totalmente materialiste, si fondano sull’assunto
ineludibile del possesso, individuale o collettivizzato che sia.
Per
questo “Gandini” mette al centro del proprio documentario l’etica del lavoro:
fa
risalire la nascita del dissidio tra tempo occupato e tempo libero al modo di
vita dei puritani, che nel 1600, in piena Riforma Protestante, terrorizzati
dall’idea che la salvezza si ottenesse non tramite il pentimento e la sincera
adesione ai dettami del Vangelo, ma per mezzo delle proprie azioni in vita,
fondarono una società interamente imperniata sul lavoro, sul guadagno e – come
estrema conseguenza in tempi recenti – sul consumo.
Sono
le teorie espresse più di un secolo fa da “Max Weber” nel suo famoso saggio
sull’”etica protestante”, ma possiamo risalire fino alla parabola dei talenti
contenuta nel Vangelo:
“Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà
nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha.
E il servo inutile gettatelo fuori nelle
tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
“Non
esiste il non far niente, il non far niente è solo la morte”, dice in “After Work” Armando –
ovvero “Armando Pizzoni Ardemani” –, che è presentato come giardiniere dei “Giardini
Barbarigo a Valsanzibio”.
Allo
spettatore non è rivelata la sua origine, io l’ho scoperta solo casualmente
tramite una ricerca su Google.
“Armando
Pizzoni Ardemani “è conte, figlio di nobili e proprietario dell’intera tenuta
nella quale viene immortalato al lavoro.
I suoi
giardini sono pieni di rimandi simbolici all’elevazione spirituale e alla
purezza, raggiungibili, nella simbologia del luogo, attraverso un percorso che
conduce il visitatore all’ascesi per mezzo del superamento delle insidie
materiali, come il labirinto all’interno del quale” Armando” è immortalato
mentre lavora senza sosta alle siepi.
Chissà
che a volte non abbia avuto anche lui difficoltà a uscire dalla trappola di cui
è inconsapevolmente prigioniero.
E in
fondo l’aspetto cruciale del film sembra sia chiederci se possiamo accettare
culturalmente (tutti, in tutto il mondo) che la nostra vita smetta di assumere
valore in relazione a ciò che produciamo.
Negli
stessi giardini la telecamera di “Gandini” immortala una “statua di Crono”,
divinità greca del tempo:
“Il tempo vola, il tempo è inesorabile”, dice “Armando”.
Il
nostro rapporto con il tempo modella il modo in cui concepiamo la nostra vita e
la nostra utilità mentre siamo vivi.
Il tempo è valore materiale, tanto che il tempo si può
perdere e guadagnare e, per uno strano paradosso culturale, secondo molte
persone smettere di lavorare e comunque ricevere soldi significherebbe essere
più poveri, perdere tempo invece di guadagnarlo.
Possiamo
sentirci definiti dal nostro lavoro?
Possiamo
identificarci con esso? Esistono veri e propri “workaholic”, persone affette da”
stacanovismo performativo”, una dipendenza dal lavoro – che non possono fare a
meno di definire una malattia anche in casi non patologici.
È
proprio la performatività l’elemento più disturbante di un sistema lavorativo
che tenta di nascondere le proprie storture dietro il mito della dedizione alla
grande macchina produttiva sociale.
Sarebbe anche nobile lavorare molto, se non
fosse che è ritenuto ignobile non fare niente.
Ed è proprio l’etica del lavoro, ci dice il
documentario di “Gandini”, che porta alla conseguenza del consumismo sfrenato:
spendiamo perché lavoriamo, lavoriamo per
spendere e per dimostrare – a noi stessi e agli altri – di poterlo fare.
È così
che in Corea del Sud il governo ha deciso di mettere in pratica uno “shut down
forzato “di tutti i sistemi informatici pubblici alla stessa ora, per
costringere le persone a smettere di lavorare.
Quella della iper performatività, spiegano gli
esperti sudcoreani nel film, è una tendenza figlia del processo di
trasformazione economica che ha portato il Paese a diventare una potenza
globale del tech e ha trasformato una popolazione mediamente molto povera in un
gruppo di persone benestanti.
L’etica
del lavoro, la religiosa dedizione alla crescita, impedisce a queste persone di
godersi, in pieno riposo, i frutti storici del cambiamento.
Performance
è anche messinscena, è anche fingere di lavorare e fingere che sia necessario
farlo in qualunque circostanza, come nel caso del “Kuwait”, dove lo Stato
assume mediamente venti persone per fare il lavoro di una e i lavori di cura
sono delegati esclusivamente agli immigrati, con conseguenze dannose per la
salute mentale delle persone.
D’altronde, ricevere la stessa quantità di soldi dallo
Stato senza fare almeno finta di lavorare genererebbe nelle persone, dicono gli
intervistati di” After Work”, una sorta di crollo della fiducia negli stessi
fondamenti della società di appartenenza.
È un dato di fatto che molti lavori siano pagati poco,
male o per niente. Possiamo affezionarci a un sistema che ci rende schiavi?
Eppure, continuiamo a ritenere che una società
sana sia fondata sul sacrificio.
Così
anche i lavoratori diventano sacrificabili.
Se continuiamo a racchiudere nel lavoro il
senso della nostra esistenza, non ci libereremo mai dalla schiavitù.
Possiamo
affezionarci a un sistema che ci rende schiavi? Eppure, continuiamo a ritenere che
una società sana sia fondata sul sacrificio.
“Gandini”
tenta di condurre lo spettatore, una questione alla volta, nei meandri del
dibattito sul futuro del lavoro umano.
Lo fa forse con eccessiva leggerezza
argomentativa, con scarsa profondità di analisi, cercando di fotografare
un’istantanea sul dibattito più che di scavare a fondo nella questione o
provando a inventare il futuro, per l’appunto.
Il
regista mette una accanto all’altra le immagini di una sorta di polittico sul
lavoro di oggi, con l’obiettivo di registrare quanti più “tipi” umani
esistenti.
Il
film assume tinte più cupe solo nel finale, quando prova a inquadrare il
fenomeno delle malattie psichiche derivanti dal lavoro:
stress,
ansia, depressione, burnout.
Eppure,
la testimonianza a questo proposito è quella di un solo ragazzo e nessuno degli
intervistati riesce ad ammettere a voce alta la possibilità che si possa
modificare il nostro rapporto con il lavoro.
Forse,
ci dice “Gandini”, e in questo avrebbe un merito, dobbiamo scendere a patti con
la consapevolezza che per l’uomo immaginare un futuro senza lavoro è ancora
impossibile.
Ci
illudiamo che la contemporaneità sia segnata dal crollo di tutte le ideologie
forti, di ogni pensiero assoluto che porta a credere nell’esistenza di un
principio unificante, motore e generatore di realtà.
Ci
illudiamo di esserci liberati di Dio e delle ideologie.
Ciò di
cui ancora non possiamo fare a meno, però, sono le strutture profonde di
pensiero che legano la nostra esistenza all’idea che la nostra morte debba
essere giustificata.
Per
superare l’etica del lavoro è necessario, forse, fondare una nuova religione
che ci autorizzi a morire serenamente, come i protagonisti del “Decameron di
Boccaccio”, che scelgono di passare i loro ultimi giorni a raccontarsi storie a
voce senza trascriverle, in un tempo rigidamente scandito e allo stesso tempo
sospeso, per poi tornare a Firenze, dove moriranno certamente di peste.
Ridere
e lietamente morire, possibilmente senza lasciare tracce.
La
fastidiosa ingerenza della
“cultura
woke” nei film e nelle serie tv.
Linkiesta.it
- Riccardo Manzotti – (3 aprile 2021) – ci dice:
Sceneggiatori,
registi, attrici e attori cadono sempre di più nella tentazione di impartire
lezioncine moraleggianti invece di intrattenere e stupire.
Una
forzatura che non ha riscosso successo tra il pubblico, nonostante il settore
dell’immaginario è dove si conquista il mondo reale e si rovescia il pensiero
delle persone
Uno
spettro si aggira per il mondo e non è il comunismo, ma una ideologia che viene
imposta dall’alto attraverso l’uso strumentale del mondo dell’immaginario, abusando dei nostri beneamati eroi
ed eroine per trasformarli in venditori e insegnanti infallibili dei valori di
questa ideologia.
Dà
fastidio? A molti.
A me
personalmente lo dà molto perché, concedetemelo, sono refrattario a chi cerca
di cambiarmi sfruttando in modo subdolo il mondo della fantasia.
Ma è
proprio così?
Diceva
“Agatha Christie “che una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze fanno
un indizio, ma tre coincidenze fanno una prova.
E in questo caso non abbiamo solo tre
coincidenze, ne abbiamo decine e decine.
Di che
parlo?
Di una
serie ininterrotta e patetica di vittime (per fortuna solo letterarie): da “Star
Trek” a “Star Wars”, dal “Doctor Who” a “Ghost buster”, da “Super girl” a “Bat girl”.
Ma chi è il responsabile?
Si
tratta di una cultura che, nel mondo anglofono, è stata chiamata (prima
positivamente e poi negativamente) cultura woke.
Della
influenza della cultura woke sul mondo dell’immaginario con effetti spesso disastrosi e
controproducenti si sta discutendo molto nel mondo e, forse, ancora poco in
Italia.
Si tratta di un atteggiamento ideologico che
ha contagiato sceneggiatori e produzioni americane e inglesi e, per molti, è
una vera e propria guerra culturale.
Il
problema non è l’insieme di valori sociali di questo movimento:
sono
perfettamente legittimi e in gran parte condivisibili.
Il
problema è come vengono imposti e il fatto che, questa strategia di propaganda,
per i suoi metodi finisce con il tradire molti dei valori stessi.
Torniamo
al caso concreto, i valori woke sono stati adottati da parti importanti del “partito
democratico americano “e da sezioni molto influenti della “classe colta
anglosassone “(soprattutto il mondo universitario).
E questo non è un problema.
Ognuno
è libero di credere in quello che vuole.
Anzi, è un segno di progresso anche perché
molti di questi valori vanno a risolvere ingiustizie che affliggevano il mondo
anglosassone (e in gran parte anche il nostro).
Tuttavia,
anche le idee migliori devono vincere per forza di convincimento e non per
imposizione coatta e per propaganda.
È sempre stato il problema dei buoni: non puoi vincere con i metodi dei
cattivi.
Ora,
per una serie di meccanismi politici, è capitato che il mondo del fantastico
sia stato invaso da persone che, a volte ingenuamente e a volte
opportunisticamente, si sono identificate con questa cultura e hanno deciso di
usare il loro potere per educare il mondo.
È questo che non va bene.
Abbiamo
rifiutato i film di propaganda, non vedo perché dovremmo accettare i film “woke”?
Vediamo
qualche caso concreto.
La
vittima più illustre e forse la perdita più dolorosa è il “Doctor Who”.
Qui da
noi non è mai stato popolarissimo (troppo inglese, figuriamoci un alieno che
viaggia nel tempo dentro una cabina telefonica della polizia inglese!
Intraducibile!).
Nel
Regno Unito, però, è una vera e icona.
Anche
in numeri assoluti è impressionante:
il
Doctor Who è la serie televisiva più longeva al mondo (57 anni di
programmazione) ed è entrata nel “Guinness World Records” battendo campioni
come” I Soprano”, “Beautiful” e persino il nostrano “Un posto al sole”!
Semplificando
un po’, il “Doctor Who” sta alla cultura pop inglese come l’”ispettore
Montalbano” sta alla nostra.
Per
sopravvivere agli anni, uno dei trucchi narrativi è la possibilità di
reincarnare («rigenerare») il protagonista principale, di fatto cambiando
l’attore protagonista ogni lustro.
Con
alti e bassi la serie aveva attraversato epoche diversissime fino all’ultima
generazione quando è stato preso prigioniero di “Chris Chibnall”, il nuovo
sceneggiatore di “chiara fede woke”, che ha snaturato la serie trasformando il “Time
Lord” in una “Time Lady” (scritturando per il ruolo “Jodie Whittaker”).
Il
punto, ovviamente, non è il cambio di sesso (che peraltro il pubblico aveva
accolto con grande entusiasmo), quanto il fatto che la serie è diventata una serie di
lezioni sui valori woke impartiti al pubblico.
Anche
il cambio di genere del personaggio non è stato il problema (nelle serie
precedenti si erano già viste combinazioni a piaceri di generi e gusti
sessuali).
Il
problema è che il pubblico sente che la trama è subordinata alla lezione morale
che “Chibnall” ci vuole ammansire.
Il
risultato?
Crollo degli ascolti che sono scesi al livello
più basso (circa 5 milioni di spettatori contro i circa 10 dei momenti
migliori).
Volete
un altro esempio?
Ghostbusters
di “Paul Feig” del 2016, remake dell’omonimo campione di incassi del 1984 di “Ivan
Reitman”.
Il
nuovo film è stato realizzato sostituendo i quattro protagonisti maschili con
quattro protagoniste femminili e cambiando la divertente e ironica segretaria
dell’originale con un imbranato e infelice segretario interpretato dal sempre
carino “Chris Hemsworth”.
Il film è, per usare un’espressione sintetica,
un “abominio volgare” privo di humor dove la trama si trascina per impartire
una serie di lezioni woke.
Risultato?
Un flop che lascia un buco di 70 milioni di
dollari nelle casse della “Columbia Pictures”.
Ma
prendiamo un altro caso di cui ho già parlato anche in questa sede: “Star Wars”.
Qui,
il megadirettore galattico (©Fantozzi), ovvero “Kathleen Kennedy”, ha la
responsabilità artistica di una trilogia che ruota intorno a un personaggio
femminile, “Rey” (Daisy Ridley), che moltissimi giudicano una “Marie Sue”,
ovvero un cartonato senza spessore il cui unico scopo è impartire lezioni
morali insieme ad altri personaggi della trilogia, come l’antipaticissima
ammiragli(a) “Amilyn Holdo” (non si è mai vista un’acconciatura più brutta e di
un colore più improbabile), o persino la principessa “Leia” e il soldato “Rosie
Tico”.
Fino
ad arrivare al nuovo progetto di “casa Lucas” (non più del padre fondatore, il
buon “George Luca”s, spesso reputato troppo maschilista e troppo vicino al
patriarcato), cioè “The High Republic”, dove i personaggi vengono introdotti
sulla base di una specie di “codice Cencelli” della “inclusività di genere” (un
trans, un afro, una roccia …).
Potrei
andare avanti all’infinito con altri infausti e maldestri tentativi di imporre
una prospettiva ideologica al mondo del fantastico.
È chiaro che una parte consistente del
pubblico si è ribellata e infastidita a questa vocazione moraleggiante dei
media.
E infatti si è coniato il detto “Go woke, get
broke “che si potrebbe tradurre come «l’ideologia porta alla rovina».
Uno
dei sintomi rivelatori di questa” deriva ideologic”a è la tentazione dei
protagonisti di “accusare il pubblico di inadeguata coscienza civile.
Se al
pubblico non piace “The Last Jedi “non sarà perché il regista, “Ryan Johnson”,
ha scelto una trama debole e piena di buchi, ma perché il pubblico è arretrato e
incapace di apprezzare personaggi femminili forti.
Davvero?
Peccato
che personaggi come Ripley (Alien), Katniss Evergreen (The Hunger Games),
Wonder Woman, Valkyrie (Thor), Imperator Furiosa (Mad Max: Fury Road), Sarah
Connor (Terminator) siano sempre stati amatissimi da tutti i” nerd del mondo”
indipendentemente dal loro genere.
Il
problema è sempre solo uno:
l’inversione tra qualità artistica (anche in
senso commerciale) e il valore ideologico.
Raccontare
storie edificanti non è mai stato particolarmente divertente.
Si
dirà, si è sempre fatto!
Anche
l’”Eneide”,” I Promessi Sposi” o “Via col vento” erano animati dai valori
dell’epoca e dall’ideologia.
Certo,
ma non li ricordiamo e li amiamo per questo.
Anzi!
In
fondo, si tratta di un piccolo numero di casi in cui il guinzaglio
dell’ideologia non ha frenato la creatività dell’autore.
Della lunga schiera degli autori amati da chi
possiede, gestisce e distribuisce potere e ricchezza, non ricordiamo quasi
nessuno.
E non
si deve dimenticare un fatto fondamentale, nella nostra epoca dovremmo essere
noi a scegliere personaggi e storie, non i padroni delle industrie mediatiche
sempre vicini al potere politico ed economico.
La
deriva ideologia dell’immaginario rischia poi di tracimare nella vita reale.
Lo
stimato politologo canadese “Eric Kaufman” (Birkbeck College, University of
London) ha appena pubblicato una indagine (dal titolo significativo di “Crisi
della libertà accademica”:
punizioni,
discriminazioni e auto-censura) dove si vede come l’”ideologia woke” sta
diventando un credo al quale non ci si può sottrarre per il timore di essere
esclusi da una serie di possibilità sociali (tipo vincere una cattedra).
Il
controllo dell’immaginario non è una questione da poco: è il campo di battaglia dove si
conquista il mondo reale perché è il luogo dove si scelgono i valori in base ai
quali si premiano o si puniscono le persone.
È l’inversione del rapporto tra arte e morale: pensare che qualcosa sia bello perché
è giusto.
Abbiamo
combattuto per anni per uscire da questa visione medievale.
Non
sarebbe auspicabile ricaderci ora.
Ci
vogliono cambiare, non tutti vogliono esserlo.
Si può cambiare idea, ma alla pari, da essere umano a
essere umano, non da imbonitore a passivo credente.
I
predicatori non sono mai piaciuti.
Fa
tristezza vedere il mondo della fantasia e della creatività contrabbandare in
modo subdolo una ideologia, giusta o sbagliata che sia.
Nessuna azione o idea è meritevole se imposta.
È questo il vizio dell’ideologia e della
propaganda, imporre quello che dovrebbe essere una scelta libera.
“Kathleen
Kennedy”, “Chris Chibnall”, predicatori woke… giù le mani dai nostri eroi!
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