La scienza non è una religione.
La scienza non è una religione.
La
scienza è una religione?
Losbuffo.com - Federico Lucrezi – (08/08/2017)
– ci dice:
Mentre
il relativismo culturale sfrenato imperversa, mentre omeopati, osteopati, anti-vax,
e ciarlatani vari fanno proselitismo con successo, qualcuno dall’altra parte si
pone una domanda.
Siamo
in un gruppo Facebook frequentato da appassionati di scienza e cultura
scientifica in generale.
Tra le
migliaia di iscritti non ci sono solo laureati, dottori e professionisti
ovviamente, ma anche studenti, curiosi e semplici interessati.
Quel
che è certo è che nessuno tra gli iscritti si sognerebbe mai di ricorrere a
trattamenti omeopatici o rifiuterebbe mai di far vaccinare il figlio.
È un
caldo pomeriggio primaverile quando qualcuno pone un interessante spunto di
riflessione al gruppo.
Da
studente di fisica, non posso fare a meno di notare che nelle discussioni sulla
scienza (non su argomenti scientifici, ma sulla scienza in sé) viene spesso
manifestata da coloro che vi partecipano una fiducia spropositata nella
suddetta disciplina.
La
scienza viene vista come un’attività per liberi pensatori privi di pregiudizi,
e viene spesso contrapposta alla fede, presentata come una vuota superstizione
per poveri scemi che hanno paura della vita.
Gran
parte di coloro che esaltano la scienza non hanno competenze in merito, e la
loro fiducia in tale disciplina non è assolutamente diversa dalla fede
religiosa.
Non sto dicendo che la scienza è una
religione, ma solo che per molte persone i due concetti non sono poi tanto
differenti…
L’obiezione è valida, la questione è
interessante.
La
fiducia nella scienza e nelle sue conquiste può coesistere con l’assenza di
basi scientifiche solide?
C’è
più legittimità nella scelta di vaccinare un bambino da parte di un laureato in
biologia rispetto all’identica scelta di un filologo?
Una
persona priva di competenze scientifiche che si affida alla chemioterapia con
convinzione è sullo stesso piano di chi sceglie di curare un tumore con una
dieta vegetariana avendo solo avuto più “fortuna” scegliendo di seguire
ciecamente un medico anziché il blog del Beppe Grillo di turno?
Rispondere
a queste domande in maniera affrettata e istintiva potrebbe portarci a credere
che sì, la fede nella scienza senza una specifica laurea in tasca possa essere,
appunto, fede.
Al
pari degli omeopati.
La
questione però è leggermente diversa.
È
tutta questione di rispettare le regole del gioco.
Quelle stesse regole che il relativismo
culturale che si sta facendo sempre più spazio nella nostra società sta andando
a insidiare.
Il
metodo scientifico rappresenta una delle più grandi conquiste dell’uomo.
Sviluppo di una teoria, sperimentazione
rigorosa, studio dei risultati e validazione o meno della teoria.
Non c’è spazio per idee valide solo un piano teorico.
Ma
l’impostazione che Galileo ci ha regalato, le nostre regole del gioco, non è
importante solo sul piano della ricerca pura, è determinante anche a livello
sociale.
Il
metodo scientifico.
Proprio
grazie a questa impostazione oggi è possibile essere specializzati in
tutt’altro campo e non doversi preoccupare di conoscere la medicina in maniera
approfondita:
avere
fede nella scienza non è un atto di fede gratuito, quasi religioso, al contrario è fiducia nel metodo
scientifico quale grande conquista dell’uomo e, in modo traslato, nell’affidabilità di tutto ciò che è
stato validato con rigorosa sperimentazione.
Questo
è il motivo per cui specialisti che promuovono sedicenti cure alternative sono
estremamente pericolosi nei danni che potrebbero fare a chi, giustamente ripone
in loro fiducia.
Del
resto relativizzare tutto questo, andare a porre sullo stesso piano procedure
ampiamente validate e nuove metodologie più o meno naif è l’unico atto di fede.
Una
fede decisamente mal riposta.
(Prima
di obbligarci a mangiare bistecche sintetiche e farina di grilli sarebbe stato
più opportuno sperimentare per anni questa “dieta strana”, ossia verificare con”
metodo scientifico” gli eventuali danni arrecati dalla stessa dieta alla salute
degli umani! N.D.R).
Via
Libera ai “Nuovi Ogm”:
Sarà
più Semplice “Avere”
Cibo dal “Dna” Modificato!
Conoscenzealconfine.it
– (13 Febbraio 2024) - Alessia Capasso – ci dice:
Con il
“sì” del “Parlamento europeo” verranno semplificate le norme in materia di
“Nuove Tecniche Genomiche”, per creare semi più resistenti al clima.
I Verdi ottengono una piccola temporanea
vittoria sui brevetti.
Il
Parlamento europeo ha approvato la sua posizione sulle nuove tecniche per
modificare il Dna delle piante.
Gli
eurodeputati sono stati chiamati a votare sulla proposta relativa alle nuove
tecniche genomiche (Ngt) che alterano il materiale genetico di un organismo e
che potrebbe “rivoluzionare” il mondo dell’agricoltura (rivoluzioni che
interessano solo gli eurocrati… nota di conoscenzealconfine.it).
La
proposta, spinta da tutto l’arco della destra e da gran parte dei socialisti,
era avversata dai Verdi, che alla fine sono riusciti ad ottenere a sorpresa
l’approvazione di alcuni emendamenti importanti, come quello in cui si chiede
il divieto di brevettare il materiale vegetale ottenuto tramite queste tecniche.
Un
dettaglio da non sottovalutare in un settore dominato da poche multinazionali,
che proprio dai brevetti ricavano una fetta enorme dei loro profitti.
Regole
Diverse per le “Ngt” Rispetto agli Ogm.
Gli
eurodeputati, chiamati ad approvare il loro mandato per i negoziati con i
governi Ue, hanno adottato la posizione con 307 voti favorevoli, 263 contrari e
41 astensioni.
Attualmente
per le piante ottenute con le “Ngt” valgono le stesse regole in vigore per gli
organismi geneticamente modificati (Ogm).
I
deputati hanno sostenuto la proposta della Commissione europea di prevedere due
normative distinte, reputando differenti le due categorie.
Nella
proposta le piante prodotte con modifiche genetiche di tipo 1 (tecniche di
mutagenesi e cisgenesi mirate) sono considerate equivalenti alle varietà
ottenute tramite tecniche convenzionali.
Queste sarebbero esentate dalla maggior parte dei
requisiti di sicurezza previsti dalla legislazione sugli Ogm, ma rispetto alla
proposta di Bruxelles i deputati intendono emendare l’entità e il numero di
modifiche genetiche necessarie affinché una pianta “Ngt” sia considerata
equivalente a una pianta ottenuta con tecniche convenzionali.
Gli
eurodeputati chiedono invece di continuare ad applicare le regole valide per
gli Ogm alle piante” Ngt” di categoria 2.
In
base al voto, tutte le piante” Ngt” dovrebbero continuare ad essere vietate
nella produzione biologica, in quanto la loro compatibilità richiede un esame più
approfondito.
Etichette
sulle Confezioni.
Rispetto
alla proposta della Commissione, il Parlamento ha chiesto maggiori garanzie
sulla trasparenza e di mantenere l’etichettatura obbligatoria dei prodotti
derivati dalle piante “Ngt.1e 2”.
Gli eurodeputati hanno chiesto inoltre di
creare un elenco pubblico online di tutte queste tipologie di piante.
All’esecutivo Ue si chiede anche di presentare
una relazione sulla percezione delle nuove tecniche da parte di consumatori e
produttori sette anni dopo l’entrata in vigore della nuova normativa.
Per le
piante di categoria “Ngt” di tipo 2, i deputati intendono invece mantenere la
maggior parte dei requisiti della legislazione sugli “Ogm”, che rimane tra le
più rigorose al mondo, prevedendo sia la procedura di autorizzazione che
l’etichettatura obbligatoria dei prodotti.
Divieto
di Brevetto.
A
sorpresa rispetto alle posizioni iniziali, i deputati hanno chiesto di
introdurre il divieto assoluto di brevettare le piante frutto delle Ngt di
entrambe le categorie, il materiale vegetale, le loro parti, le informazioni
genetiche e le caratteristiche dei processi in esse contenute.
Al momento appena quattro aziende controllano
tramite i brevetti oltre il 60% del mercato delle sementi a livello mondiale: “Bayer”,”
Corteva”, “ChemChina”-“Syngenta” e “Basf”.
Se il
divieto venisse confermato, si eviterebbero incertezze giuridiche, costi più
elevati e nuove dipendenze per gli agricoltori da questi colossi del cibo.
La
Reazione delle Organizzazioni Agricole.
“Il
via libera alla “nuova genetica green No Ogm” permetterà di selezionare nuove
varietà vegetali, con maggiore sostenibilità ambientale, minor utilizzo di
input chimici, ma anche resilienza e adattamento dei cambiamenti climatici, nel
rispetto della biodiversità e della distintività dell’agricoltura italiana ed
europea”, ha dichiarato “Ettore Prandini”, presidente della Coldiretti,
apprezzando il voto del parlamento.
“Le “Ngt”
sono in grado di assicurare un fondamentale contributo per contrastare le
conseguenze del cambiamento climatico, consentono di salvaguardare il
potenziale produttivo, limitando allo stesso tempo la pressione sulle risorse
naturali e il ricorso alla chimica”, ha scritto in una nota Confagricoltura.
Le grandi organizzazioni agricole italiane,
insieme al governo, sostengono da tempo la deregolamentazione in materia.
Delusione
invece da parte dei gruppi ambientalisti come “Greenpeace”.
Piccole
Vittorie a Sorpresa.
“In un
momento in cui il mondo agricolo è in rivolta, chiedendo redditi dignitosi e
strategie chiare per salvaguardare il futuro del settore, la maggioranza di
questo Parlamento ha votato a favore di tecniche che non faranno altro che
aumentare la dipendenza degli agricoltori dalle poche multinazionali che
potranno investire in queste tecniche“, ha dichiarato” Benoît Biteau”, membro
dei “Verdi-Efa” e primo vicepresidente della Commissione per l’agricoltura e lo
sviluppo rurale del Parlamento europeo.
“Ci
sono state molte pressioni a tutto campo in questi ultimi giorni”, è trapelato
da una fonte dei Verdi.
Tuttavia,
proprio su spinta del gruppo politico ecologista è stata ottenuta una
maggioranza inaspettata a favore della tracciabilità e dell’etichettatura dei
prodotti derivati dalle” Nuove tecniche genomiche”.
Questo
punto si discosta dall’approccio delle altre due istituzioni, la Commissione e
il Consiglio.
A
breve l’Eurocamera si troverà a discutere per una versione finale del testo con
i governi degli Stati membri, dove tutto sembra ancora in bilico, vista l’opposizione di Paesi a forte
vocazione agricola come Austria, Germania e Polonia (ovviamente non dell’Italia… serva
fino in fondo e fino all’autodistruzione! – nota di conoscenzealconfine.it).
(Alessia
Capasso)
(europa.today.it/attualita/parlamento-europeo-vota-favore-ngt-ogm-dna-piante.html)
La
scienza non è come la religione.
Paganini
spiega perché.
Formiche.net
- Pietro Paganini – (03/05/2020) - ci dice:
Non
dobbiamo commettere l’errore di affidarci alla religione, che sia ideologia o
scienza, ma al metodo della sperimentazione.
Perché
ci consente più velocemente di considerare le condizioni che mutano e trovare
soluzioni sempre migliori.
In
questa fase di pandemia abbiamo trasformato la scienza in ideologia. Seguiamo
religiosamente le indicazioni degli scienziati ai problemi legati al covid-19
come se fossero soluzioni definitive, dogmi.
In nome della scienza, accettiamo che il
governo promuova comportamenti che riducono la nostra Libertà di e da.
Siamo
disposti a sospendere la Costituzione che fino a poco fa era - per molti -
intoccabile, per preservare la salute secondo le indicazioni degli esperti
(scienziati?).
Ci
sorprendiamo però, che le soluzioni degli scienziati siamo spesso contrastanti.
Così, quella verità scientifica a cui ci
affidiamo traballa.
Da qui
la confusione nostra e di chi governa.
E
quindi la nostra frustrazione che però è facilmente spiegabile.
La
scienza non è come la religione.
Non propone soluzioni fisse.
A problemi nuovi e complessi come il
Coronavirus, può dare solo tante soluzioni non definitive che richiedono tempo
per trovare mediante il controllo sperimentale un qualche impianto teorico più
stabile.
Non
dobbiamo commettere l’errore di affidarci alla religione, che sia ideologia o
scienza, ma al metodo della sperimentazione.
Perché
ci consente più velocemente di considerare le condizioni che mutano e trovare
soluzioni sempre migliori.
Troppi
cittadini e il nostro governo vogliono invece la soluzione definitiva.
Quella
per cui si risolve tutto, in un colpo solo.
Ma non
è così, e non sarà così.
Il metodo sperimentale opera per prove ed
errori.
La
Scienza è un insieme di attività che si servono del metodo dello sperimentare
una teoria per comprendere e risolvere problemi che riguardano l’uomo.
L’oggetto della scienza è molto ampio perché coinvolge
tutto quello che ci circonda e che ci sta dentro, ma anche le modalità con cui
conviviamo tra di noi e con le cose e gli esseri viventi con cui interagiamo.
L’uomo
è sempre il soggetto della scienza.
Affrontiamo
problemi sempre diversi perché l’ambiente intorno a noi evolve e così anche
noi.
Anche
le soluzioni e la comprensione che abbiamo degli stessi problemi cambiano nel
tempo, proprio perché nel tempo mutano le condizioni.
La
teoria è la sistematizzazione di una serie di congetture, ipotesi, speculazioni
o supposizioni che elaboriamo per spiegare un problema che osserviamo.
Le
teorie non sono mai definitive perché non esistono soluzioni finite.
Ci
possono sembrare tali, ma non lo sono.
Infatti, sono un numero infinito le condizioni
di diversità che possono riguardare quel problema.
Noi ne
vediamo solo una parte.
Con lo
scorrere del tempo ne emergeranno altre.
La
scienza deve perciò promuovere la diversità.
Più
prospettive ci sono e più siamo in grado di trovare soluzioni diverse che più
ci avvicinano alla piena comprensione dei problemi.
Per
farlo ci serviamo del metodo sperimentale.
Di fatto, la Scienza è sperimentazione.
La
sperimentazione non tende a confermare ciò che scopriamo, ma a scovare di volta
in volta nuove condizioni che ci consentano di falsificare ciò che abbiamo
osservato, ipotizzato e teorizzato fino ad allora.
L’ideologia
e la religione si distinguono dalla scienza proprio perché negano la
sperimentazione e la diversità su cui si fonda, perseguendo e proponendo
soluzioni definitive sul mondo.
Il
tempo, guarda caso, le smentisce.
Infatti, le idee definitive circa un fenomeno
si crepano appena le condizioni mutano.
Non
sono più in grado di spiegarle.
Il
Liberalismo invece, non insegue alcuna idea fissa.
Si
distingue dalla religione e dalla ideologia perché si affida al metodo della
sperimentazione e al tempo.
Per
questo, i liberali vorrebbero che si sperimentassero soluzioni diverse e nuove
alla così detta Fase 2 – della riapertura – dove le condizioni lo consentono.
La
proposta è stata subito categorizzata in chiave ideologica, come volontà
assoluta di riaprire tutto.
Non potevamo aspettarci diversamente da chi
ignora la sperimentazione e tende a voler definire tutto.
È un errore, comprensibile.
La
definizione che è all’origine della religione e dell’ideologia rassicura perché
garantisce quella che sembra una soluzione certa.
Così è
stato nella storia quando ci si affida alla religione per comprendere i
fenomeni nuovi.
O
all’ideologia per risolvere problemi sociali complessi.
Si ricerca quell’idea che ci dà certezze.
E la si affida alla burocrazia, a cui viene
dato il compito di predisporre il piano, le regole, il controllo per realizzare
il “mondo nuovo”.
Perciò
la politica non aiuta i cittadini a realizzare idee e progetti, ma si
sottomette alla burocrazia affinché concretizzi quello che la “religione della
scienza ha rivelato”.
Non
può essere così con il “Covid-19” (ed altre risorse mediche non sperimentate prima
dell’impiego! N.D.R.)
Dobbiamo
sforzarci di riconoscere l’incertezza, rifuggire le facili definizioni, e avere
il coraggio di sperimentare.
Costa fatica e sacrifici, ma porta soluzioni
migliori e rafforza le conoscenze.
Quando
la scienza è una religione
la
fede diventa pericolosa.
Ilfattoquotidiano.it
– Ferdinando Boero – (18 ottobre 2020) – ci dice.
“Gli
uomini di scienza sono l’incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla
sostituzione degli schemi ai concetti, dei mucchietti di notizie all’organismo
filosofico-storico”, così scriveva “Benedetto Croce” ne Il risveglio filosofico
e la cultura italiana. E questo spiega la diffidenza verso la scienza che
caratterizza la “cultura” italiana, visto che “Croce” disegnò i percorsi di
formazione nel nostro paese.
Con
queste parole in mente contestai un mio collega filosofo quando parlò di
“scientismo”: l’eccessiva fiducia nella scienza.
Eccessiva?
e quale altro sistema abbiamo per acquisire
conoscenza?
“Darwin”
ha messo l’uomo dentro la natura, e” Copernico” ha messo la terra al suo posto
nell’universo.
La
scienza ha dato le risposte e gli scienziati sono diventati filosofi, cambiando
la nostra visione del mondo e di noi stessi.
Ho
cambiato idea, e ora per me scientismo è una parola ammissibile, anche se con
qualche modifica rispetto all’accezione originale.
Vediamo
perché.
Scienza,
sbaglia chi non la ritiene importante: è cultura e ha una dignità. Nonostante
gli Usa.
Il
crescere della popolazione umana e uno stile di vita distruttivo modificano il
pianeta, rendendolo inospitale per la nostra specie.
Gli
scienziati che studiano gli ecosistemi e la biodiversità (ecologi, zoologi,
botanici) dicono:
non
possiamo crescere all’infinito e dobbiamo cambiare stile di vita, stiamo
mettendo a rischio la nostra sopravvivenza.
Altri
scienziati non chiedono di limitare la crescita e sviluppano nuove tecnologie,
in grado di infrangere i limiti e permettere una crescita senza fine.
Non a
caso la “crescita” continua ad essere il perno dei programmi di tutti i
governi, anche se ora c’è maggiore consapevolezza della necessità di
sostenibilità.
Le
soluzioni proposte per mantenere la crescita sono più tecnologiche che
scientifiche:
consistono
in pratiche agricole sempre più efficienti, con organismi geneticamente
modificati per crescere in fretta e resistere ai parassiti o ai veleni che
usiamo per distruggere i parassiti stessi.
Queste
pratiche prevedono che la biodiversità sia eradicata e che, al suo posto, crescano
soltanto le specie che soddisfano i nostri bisogni immediati.
Una minima conoscenza di come funzionano gli
ecosistemi dovrebbe far capire che le cose non possono andare in questa
direzione.
Infatti,
nel 2015, “Papa Francesco” pubblica “Laudato Si”, un’enciclica rivoluzionaria.
La
massima autorità di una delle più importanti religioni propone all’umanità
intera di convertirsi alla scienza.
Anzi,
a una scienza: l’ecologia.
Non
era mai avvenuto prima: la religione aveva sempre guardato con diffidenza al
progresso scientifico, basti pensare a “Galileo”, o a come furono accolte le
idee di “Darwin”.
L’enciclica
di “Francesco”, e la conversione ecologica che propone, dovrebbe essere il tema
principale delle ore di religione impartite nei percorsi scolastici, e dovrebbe
essere letta e commentata in tutte le funzioni religiose.
E invece no.
L’ecologia non è una formale materia di insegnamento,
pur essendo la disciplina che ci spiega come funziona il mondo vivente e quali
sono i rapporti tra le specie, inclusa la nostra.
Le Nazioni Unite, intanto, pubblicano
documenti che denunciano il rischio che un milione di specie si estingua nei
prossimi 30 anni.
Nonostante
questo la fiducia che la scienza possa risolvere i problemi permane in molte
porzioni della popolazione.
Se
consumeremo questo pianeta… poco male:
in un
post precedente ho parlato degli scienziati che propongono di risolvere il
problema trasferendoci su altri pianeti, dopo aver consumato questo.
Ecco,
questo è scientismo.
E la
scienza diventa una religione.
Costruire
un’arca di “Noè 2.0 “e trovare un “Pianeta B”.
Un
altro sogno degli astrofisici.
Non si
ha fede in un essere superiore che ci salverà, ma in soluzioni che prima o poi
la scienza troverà.
Ora non ci sono ma, se investiremo risorse
sufficienti, le troveremo.
Non ci
piace chi propone problemi, ci piacciono le soluzioni!
Le
risposte a quel post sono state rabbiose.
Sono stato attaccato e insultato da lettori
che mi hanno spiegato quanto sia grande il progresso scientifico, accusandomi
di profonda ignoranza.
In
effetti il mio post parlava proprio di ignoranza:
ignoranza di come funzionino gli ecosistemi e
la biodiversità nel permettere i processi che rendono possibile la nostra vita.
Siamo all’apice di una parabola:
una
posizione molto pericolosa, visto quello che viene dopo l’apice della crescita.
Lo scientismo si è manifestato anche con il
progetto genoma, quando ci promisero che tutti i problemi sanitari sarebbero
stati risolti una volta decodificato il nostro patrimonio genetico.
Promessa
esagerata.
Mettere
in dubbio una fede è pericoloso e i miscredenti sono oggetto delle critiche più
feroci.
Ora sarò attaccato da chi mi spiegherà l’importanza
della genetica, così come sono stato attaccato da chi mi ha spiegato
l’importanza dell’astrofisica.
Mi
spiego meglio:
non
nego affatto l’importanza di ogni branca della scienza, nego che una sola
branca della scienza possa farci capire “tutto”, e che la tecnologia possa
risolvere “tutto”.
Ogni
branca della scienza mette in luce i limiti delle altre branche.
Lo
scientismo, quindi, è la fede che una scienza possa essere la chiave che
risolve tutti i problemi, magari producendo una magica equazione del tutto.
Questo
mi convince sempre di più che l’uomo ha estremo bisogno di una religione, e se
una religione chiede la conversione alla scienza, portandoci con i piedi per
terra, ecco che la scienza diventa una religione.
Dalla
terra promessa siamo ora al pianeta promesso e, ovviamente, alla crescita
eterna, senza limiti.
Verso l’infinito e oltre!
(La
scienza non dice che la “CO2”- pur essendo un gas serra più pesante dell’aria –
non possa volare miracolosamente nell’alta atmosfera ed entrare nella “serra dei gas serra” che provocano il risaldamento globale della
Terra organizzato- però - dal sole.
Ma le
multinazionali che si “approfittano della scienza organizzata dai loro servi
multimilionari” fanno credere ai popoli della scoperta della “transizione
ideologica” che frutta enormi quantità di ricchezza solo alle stesse multinazionali
tramite il meccanismo CBAM ossia “ Carbon Border (co2) adjustment mechanism” !N.D.R).
Marcello
Veneziani. La scienza
è
ricerca, non è fede.
Raicultura.it
– (17 maggio 2023) – Marcello Veneziani – ci dice:
Tornare
ad una visione umanistica del sapere.
Marcello Veneziani, intervistato nel corso
della XII edizione della Festa di Scienza e di Filosofia-“Virtute e Canoscenza”,
che si è svolta a Foligno e a Fabriano dal 20 al 23 aprile 2023, parla del tema
della sua conferenza “La scienza è ricerca, non è fede”.
Chi
dice di credere nella scienza, la riduce a superstizione.
Non si crede nella scienza, perché la scienza
è ricerca incessante, i suoi risultati sono sempre provvisori, mai assoluti e
il suo campo di studi è il regno del come, non quello del perché, con tutte le
sue incertezze, di cui si occupano invece la teologia e la teleologia,
l'ontologia e la filosofia.
La
scienza non sostituisce né vanifica la religione, come l'arte o il pensiero.
Può formare o confutare giudizi ma non
pre-giudizi.
Contro
"la barbarie dello specialismo" (Ortega y Gasset) ogni grande ricerca
scientifica si connette alla storia, al mito e al sapere umanistico.
La
preoccupazione è che la scienza possa costituirsi in scientismo, ossia in una
forma ideologica, quasi fideistica, che rifiuta il confronto con altri ambiti
del sapere.
La
conoscenza che è propria della scienza non può essere sostituita dall’idea di
trasformazione del mondo, la scienza, che ha una sua dignità autonoma, non può
essere subordinata completamente alla tecnica, si applica alla tecnica ma non
si risolve nella tecnica.
La
scienza dovrebbe studiare la natura e non tentare di superarla o addirittura di
abolirla all’insegna di una seconda virtuale natura prodotta esclusivamente in
laboratorio.
Se la
scienza intende elevare le condizioni dell’uomo svolge un ruolo fondamentale,
se invece intende porsi il problema di superare l’umanità e di dar luogo ad
esperienze transumane e postumane il risultato è quello dell’alienazione
integrale.
Si intraprende così una strada che dalla
scienza passa al dominio assoluto della tecnica e dalla tecnica passa
all’espropriazione totale dell’umano.
Bisogna
recuperare un rapporto organico della scienza con la natura e con l’umanità,
tentando di rileggere la scienza alla luce di una visione umanistica della
realtà, comprensiva anche dei limiti della scienza e riconoscere di non poter
fare tutto quello che ci è consentito fare attraverso la tecnica.
Come
nella visione dantesca la conoscenza deve essere correlata alla virtù, virtù e
conoscenza insieme si limitano e si arricchiscono nello stesso tempo.
(Marcello
Veneziani è nato a Bisceglie e vive tra Roma e Talamone. Proviene da studi
filosofici. Ha fondato e diretto riviste tra cui L’Italia Settimanale e Lo
Stato. Ha scritto su vari quotidiani e settimanali: dal Corriere della Sera a
La Repubblica, La Stampa, Libero, Il
Messaggero, Panorama. Ha scritto a lungo su Il Giornale, chiamato da Montanelli
e poi da Feltri, dove ha tenuto per anni la rubrica in prima pagina Cucù. È
commentatore della Rai.
Ha
scritto vari saggi tra i quali “La rivoluzione conservatrice in Italia”, “Processo
all’Occidente”, “Comunitari o liberal”, Di Padre in figlio. “Elogio della
Tradizione”,” La cultura della destra e La sconfitta delle idee” (editi da
Laterza). I” Vinti”, Rovesciare il ’68, “Dio, Patria e Famiglia£. “Dopo il
declino” (editi da Mondadori).
"Lo
dice la scienza": un culto
materialista e anti-scientifico.
Lanuovabq.it
-Enzo Pennetta – (11-12-2021) – ci dice:
“Lo
dice la scienza”: questa è una delle frasi che maggiormente è entrata nell’uso
comune negli ultimi anni.
Da un
punto di vista scientifico, non esiste "la scienza", esistono semmai
gli scienziati.
I quali, proprio perché adottano un metodo
scientifico, sono sempre pronti a mettersi in discussione.
Lo scienziato è umile di natura,
un'affermazione è scientifica solo se un domani può essere dimostrata falsa.
Tuttavia,
sin dai tempi di Bacone, esiste un'idea di scienza che si sostituisce alla
religione, come spiegazione del tutto.
Ed è
questa visione che prevale, sia tra i comunisti orfani del comunismo, sia tra i
cristiani che si sentono "adulti".
“Lo
dice la scienza”: questa è una delle frasi che maggiormente è entrata nell’uso
comune negli ultimi anni e sempre più in nome della scienza vengono prese
decisioni su ogni aspetto della vita sociale. Questo rende necessario chiarire
cosa essa significhi veramente o se abbia realmente un senso.
Innanzitutto
va detto che non esiste un soggetto denominato “la scienza”, esistono invece
persone identificate come “scienziati” che pronunciano delle affermazioni che
sono scientifiche proprio in quanto passibili di confutazione.
Il
filosofo “Karl Popper “insegnava che un’affermazione non può essere ritenuta
scientifica se non fornisce una possibilità di essere dimostrata falsa.
Impedire
l’espressione di voci critiche, eventualmente con la giustificazione della non
adeguatezza dell’interlocutore, è quindi una contraddizione, se ci si vuole
muovere nell’ambito del metodo scientifico.
Il
vero scienziato inoltre risponde a tutti, deve potersi spiegare anche con
persone non competenti di media cultura, una frase attribuita ad “Einstein”
afferma “Non hai veramente capito qualcosa, se non sai spiegarla a tua nonna”.
Il
vero scienziato poi non è mai arrogante, questo contrasta visibilmente con
l’atteggiamento spesso irridente di alcuni esponenti della scienza che vengono
chiamati a confrontarsi pubblicamente riguardo temi di impatto sociale, il
premio Nobel per la fisica “Richard Feynman” affermava che “Scienza è credere nell’ignoranza
degli esperti”.
“Lo
dice la scienza” in quanto affermazione dogmatica non solo è per ciò stesso
antiscientifica, ma è una frase resa possibile solo da un lento, ma continuo,
lavoro di abbassamento del livello scolastico che ha portato a trasmettere
nozioni sempre meno comprese, fino a raggiungere un valore dogmatico.
Un
fenomeno descritto dallo scrittore “Aldous Huxley “nel suo “Il Mondo Nuovo”
quando, riguardo all’educazione scientifica impartita, fa dire ad un suo
personaggio:
“Voi non avete ricevuto una cultura
scientifica e di conseguenza non potete giudicare”.
La cultura scientifica è una cultura del
dubbio ed è l’opposto della fede nella scienza.
La
fede nella scienza sperimentale va contro il suo fondatore “Galileo Galilei”,
grazie al quale venne superato il principio di autorità, l’ipse dixit, da quel
momento nessuno avrebbe potuto più argomentare con un “è vero perché lo dico io
che sono l’autorità”.
Ma
negli stessi anni la scienza diventava uno strumento di potere nell’opera di “Francis Bacon” che,
nella sua utopia “La Nuova Atlantide”, indicava gli scienziati come nuovi
sacerdoti e guide della società.
La
scienza, in Bacon, diventa una fede surrogata che può sostituire la politica e
l’ideologia.
Questo
è avvenuto, ad esempio, con la fine del comunismo quando un” sistema mitopoietico scientista” ha preso il posto dell’ideologia
marxista.
Il
carattere, necessariamente in comune, per questa sostituzione è la pretesa di
offrire una salvezza:
si passa dalla salvezza di classe del comunismo a
quella fisica della scienza sperimentale, entrambe unificate nel materialismo.
La
scienza diventa fede quando pretende, e soprattutto quando le viene
riconosciuto, il diritto di diventare spiegazione dell’intero quadro del reale dimenticando che il limite
epistemologico della scienza sperimentale è proprio posto nell’impossibilità di
fare affermazioni di senso.
Accettare
una scienza come spiegazione di tutto è compiere una scelta di fondo che nega
il senso.
“Jacques Monod” nel suo “Il caso e la
necessità” poneva come base della scienza il postulato di oggettività cioè “il rifiuto sistematico a considerare
la possibilità di pervenire ad una conoscenza vera mediante qualsiasi
interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali”,
affidarsi alla scienza per spiegare il mondo
presuppone quindi come scelta iniziale l’abbandono di una ricerca di senso.
La
scienza come strumento unico o sovrano per assumere decisioni sulla vita
politica e sociale di una popolazione è dunque in sé la scelta di una mancanza di senso
e in definitiva la negazione di una umanità che attribuisce un valore all’etica,
al trascendente e a ciò che è propriamente umano, è una delega a costruire una
società su principi biofisici.
La società scientista come surrogato della religione ha bisogno di proprie tavole della
legge da venerare e rispettare, di sacerdoti e santoni con tuniche bianche, di
individuare trasgressori ed eretici, di mantenere i rituali propri della
società religiosa e sviluppare un linguaggio proprio fatto di termini, simboli,
gesti che hanno una valenza di identificazione e riconoscimento.
Lo
scientismo ha attratto gli orfani del marxismo e per questo viene fatto proprio
anche oggi da chi da quella tradizione proviene.
“Vota la scienza” è stato significativamente
lo slogan di un partito in una recente campagna elettorale.
Il rischio dell’affermarsi dello scientismo come sostitutivo riduttivo di una
teoria sul mondo diventa reale quando una precedente visione entra in crisi o
semplicemente si indebolisce, una frase riferita alla fine del comunismo affermava:
“Baffone
ci ha lasciati nei pasticci… non ci resta altro che la prospettiva di
modernizzare il Paese”.
Il
rischio di uno slittamento analogo può nascondersi anche in una visione
religiosa che si rivolge troppo al sociale distraendosi dal trascendente, che
si fa discorso politico, una religiosità “adulta” che si occupa prevalentemente
dei corpi non riconoscendo più i bisogni profondi dello spirito, che guarda al
progresso pensando che la tradizione sia qualcosa di un passato da superare e
forse da dimenticare.
Dopo
che ‘Baffone’ ha lasciato nei pasticci il comunismo la scelta di volgersi verso
lo scientismo potrebbe apparire la prospettiva anche di una religiosità delusa
e ridotta a dottrina sociale, allora il sentiero percorso dagli orfani del
comunismo potrebbe essere condiviso da un cristianesimo stanco, ripiegato sul
sociale e troppo fiducioso in una salvezza biologica che proviene dalla
scienza.
La
scienza e la ricerca di Dio.
Focus.it
-Redazione – (16 settembre 2018) – ci dice:
C'è
parentela tra scienza e religione o vivono su pianeti diversi?
La
scienza può dire la sua sull'esistenza di Dio?
Dio esiste?
Per
gli uomini di fede la domanda non si pone proprio, ma per la scienza?
Può la
"scienza", così come la intendiamo oggi, indagare questo ambito - e
arrivare a una risposta?
La
questione non è nuova, e non è un caso che nel corso dei secoli filosofi e
pensatori di ogni credo e partito abbiano versato fiumi d'inchiostro per...
raccontare giusto il loro pensiero.
Quello
che proponiamo qui è solamente un piccolo frammento di questa discussione
infinita sui come (e sui SE) la scienza e gli scienziati (che presi uno per uno
possono essere credenti o meno) possano arrivare a un'ipotesi condivisa
sull'esistenza o la non-esistenza di Dio.
FISICA:
“LA SCIENZA PURA”.
Tempo
fa l'idea che la scienza sia in grado di dare una risposta alla questione ha
ripreso vigore, complice, forse, “la scoperta del bosone di Higgs”, la
cosiddetta particella di Dio ("cosiddetta male", perché è
un'espressione giornalistica decisamente sgradita agli scienziati), che
dimostra piuttosto l'esistenza del “campo di Higgs “(appunto), il quale permea
l'intero Universo e con il quale tutte le particelle interagiscono e, così
facendo, acquisiscono la loro massa.
Al di
là della fisica, è una scoperta intrigante, che alla lontana e in qualche modo,
giustifica il nome, particella di Dio, evitato come la peste dagli scienziati
ma non dagli "uomini", perennemente alla ricerca di qualcosa che li
trascenda.
Fino a
che punto la scienza può spingersi nel dimostrare l'esistenza o l'inesistenza
di Dio?
UN'INVENZIONE
UMANA.
La
questione si potrebbe forse risolvere con la logica, ma la cosiddetta prova
regina nessuno l'ha ancora trovata.
La
scienza e la ricerca di Dio.
Ogni
minuto nel mondo muoiono almeno 100 persone:
ogni anno se ne vanno 55,3 milioni di
terrestri, principalmente per ictus e ischemie.
Fino
al 2011 avevano vissuto sulla Terra, e dunque erano morte, 108 miliardi di
persone:
i
viventi sarebbero quindi "solo" il 6,8% dell'umanità intera.
Di che
cosa si muore?
“Un
esempio.
“Emily
Thomas”
(filosofa, università di Durham, UK) scriveva che la vastità dello Spazio
è la dimostrazione lampante che
«Dio non esiste: l'Universo ha oltre 13
miliardi di anni, la Terra circa quattro miliardi di anni e gli umani si sono
evoluti circa 200.000 anni fa... l'equivalente di un battito di ciglia rispetto
ai tempi dell'Universo.» Eppure il dio delle religioni è sempre
"antropocentrico", concentrato sugli esseri viventi.
«Come
possiamo spiegarlo?
La risposta più semplice è che Dio non esista».
Si può
dunque, scientificamente, essere certi che quella di Dio sia una costruzione
umana?
CREDENZE
E RELIGIONI.
Per i
credenti l'esistenza di Dio non ha bisogno di prove né di giustificazioni: è un
atto di fede, e la sua esistenza si riconosce nel creato.
L'essere
divino, inoltre, si rivela solo a chi è predisposto ad accoglierlo.
Anche
in questo caso, riflettono alcuni scienziati, qualche considerazione di
carattere storico può (forse) aiutare.
Religioni
dell'antropocene: venerare un'intelligenza artificiale.
Noi
oggi sappiamo con certezza da quando gli uomini hanno iniziato a farsi delle
domande su misteri, spiriti e divinità.
Reperti del paleolitico (il primo periodo
della preistoria: corrisponde al Pleistocene, ossia da 2,5 milioni a 10.000
anni fa) suggeriscono che i nostri lontani parenti adoravano varie entità.
Si
ritiene che l'idea di "grandi divinità" - ossia singolari esseri in
grado di punire o premiare, specialmente nell'aldilà - iniziò a farsi strada
appunto 2,5 milioni di anni fa, con lo scopo di spiegare, ma anche di
rafforzare, unire, spaventare e via dicendo.
L'idea
di un premio, un "paradiso", aiuta infatti gli individui a essere più
cooperativi e le comunità a prosperare.
Tuttavia,
storicizzare la nascita delle religioni non basta a dimostrare che Dio sia
un'invenzione umana.
La
scienza e la ricerca di Dio.
Prima
dell'invenzione dello stetoscopio, la sepoltura anzitempo era un problema
frequente, come appare dalle disposizioni testamentarie lasciate da molti nella
seconda metà del Seicento:
si chiedeva che il cadavere fosse tenuto in
osservazione per tre giorni. Nell'Europa del XIX secolo esistevano ancora gli
"ospedali per i morti", dove gli infermieri controllavano i corpi in
attesa di segni di putrefazione.
L'ALDILÀ
E I MIRACOLI.
Allo
stesso modo, non conferma la tesi opposta chi sostiene di aver avuto esperienze
di pre-morte e di aver conosciuto per brevi istanti un aldilà di luce e
serenità.
A
dispetto di ciò che raccontano romanzi e film, questa condizione ai confini
della morte è indagata dalla scienza perché decretare una morte è spesso più
complesso di quanto si pensi, e gli studi contemplano l'uso di sostanze
allucinogene - che pare inducano esperienze analoghe agli stati clinici di
pre-morte.
Romanzi
e film ci giocano parecchio, ma la verità è che nessuna di queste ricerche si è
mai sognata di indagare un ipotetico aldilà, né di dare una risposta alla
fatidica domanda con la quale abbiamo iniziato.
Nessuno
scienziato ha mai neppure potuto confermare un miracolo: storicamente, la maggior parte di ciò che veniva
definito "miracolo" è stato col tempo spiegato alla luce di nuove
conoscenze
(e ciò che
ancora non è spiegabile potrebbe esserlo in futuro).
E
quindi?
Quindi
niente, siamo esattamente al punto di partenza.
Stai a vedere che dobbiamo pure dare ragione a
“Friedrich Nietzsche”, che un secolo fa scriveva:
"In
realtà fra la religione e la vera scienza non ci sono parentele, né amicizia e
neanche inimicizia: vivono semplicemente su pianeti diversi".
La
vecchia religione è morta,
sostituita
dalla nuova:
“la
scienza”.
Ilpiacenza.it
– Redazione – (29 maggio 2023) – ci dice:
Il “verbo”
oggi è la scienza, anzi la “gnosi scientifica”.
Una
illuminazione della mente che spiega il significato delle cose, attraverso
procedimenti conoscitivi mentali, anche di natura misterica.
Il risultato è che per significare una verità, oggi
bisogna scomodare l’aggettivo scientifico.
Infatti di questo termine tutti ne abusano.
Così
dicendo, bisogna allora scomodare il concetto di verità.
Vietato infatti non sapere cosa essa sia.
È questa una dimensione della mente diventata
terrena che ha sconfitto quella rivelata.
Considerata
non più moderna e soprattutto non più degna di una fede soprannaturale.
Infatti
ogni cosa si è secolarizzata, perché tutto è immanente nei luoghi in cui
viviamo.
Tutto
questo per intendere in una sola parola la terra.
Ma
attenzione nel mondo esiste l’uomo e questo rappresenta un problema.
È pur
vero che attraverso la scienza propone di spiegare le cose, ma è altrettanto
vero che la scienza spesso non sembra ubbidire alle aspettative legate alle
nuove esigenze, che del passato religioso non intendono curarsi.
In
quanto la religione viene considerata estranea alla mente, diventata secondo la
visione scientifica, la parte secolarizzata di quello che un tempo si chiamava
anima.
Se
dunque la scienza è tutto, non si spiega la contraddizione che l’ha colta
specie nelle due tragedie recenti che ci hanno riguardato.
Ed intendo parlare in successione della
pandemia da covid e dell’attuale inondazione dell’Emilia Romagna.
In entrambi i casi la scienza con la sua
presupponenza, per rimanere in terra romagnola, ha fatto acqua.
Sul problema del covid le opinioni
scientifiche si sono prodotte in quantità.
Tuttavia
con esiti alquanto discutibili.
La prova della sua insufficienza ha riguardato sia la
eziologia della malattia che la cura.
Ogni
giorno in tv, uno scienziato diverso con la sicumera della sua presunta
preparazione virologica, proponeva soluzioni proprie che poi venivano
contraddette da altri in corso d’opera o meglio in corso di pandemia.
Non
solo.
Ma i
pareri erano tali e quali che invece di rasserenare l’ambiente e
tranquillizzare i pazienti, suscitavano continui episodi di disaffezioni o di
rifiuto.
Il
meglio infatti dopo una proposta di cura con” tachipirina e vigile attesa”, che
fortunatamente non è stata disattesa da medici coscienziosi, sì è espresso
sulle vaccinazioni.
Di cui
ancora adesso si dubita, sia sul tipo di vaccino, sia sul numero. Tutto questo per non parlare delle complicanze
vaccinali che per quanto sottaciute, alla fine sono diventate di dominio
pubblico, giustificando, per questo motivo, la nascita degli scettici.
In
particolari delle persone definite no-vax, in quanto non favorevoli a dover
dare il braccio al vaccino.
Ebbene cosa è successo?
Che la
scienza diventata religione non poteva accettare di essere messa in
discussione.
Infatti
ogni vertà o meglio ogni dogma non si discute.
Si accettano al massimo le complicanze se
ritenute eccezionali, ma appunto perché tali queste non possono mettere in
discussione la loro paternità.
Chi lo
fa, si assume non solo le sue responsabilità personali, ma anche quelle
pubbliche, in quanto non conforme e rispettose della verità scientifica.
Ecco allora che il contestatore diventa il
discriminato, l’untore di manzoniana memoria.
Un individuo insomma pericoloso che non può
vivere in comunità col rischio di far ammalare gli altri.
Ed
anche se questo evento del contagio non solo non è mai stato dimostrato, ma
perfino negato, il reietto è sempre da considerarsi un colpevole a prescindere.
In
quanto col suo comportamento ostacola” il progresso”.
Costituito
dalla “gnosi scientifica” che per quanto possa subire qualche iniziale
tentennamento in fatto di risultati non sempre favorevoli, in prospettiva non
può fallire, assicurando a tutti benessere e longevità.
Fino
ad ora ho parlato del covid, ma adesso è giunto il momento di entrare
nell’attualità e mi riferisco all’inondazione dell’Emilia Romagna.
Fra i
due tragici eventi qualche differenza esiste.
Nel
primo caso la scienza ha vacillato, ma alla fine nonostante alcuni processi
intentati contro di essa, non ha compromesso la sua natura di certezza assoluta
e quindi religiosa.
Nel
caso invece dell’inondazione, la scienza, per non dimostrare incertezze e
dubbi, ha assunto la maschera della politica.
E questa ha offerto ogni spiegazione,
naturalmente scientifica sull’accaduto.
Quale
infatti la causa dell’evento?
Un
dissesto idro geologico dovuto ad una modificazione climatica a sua volta
determinata dall’aumento della temperatura del globo a causa dell’attività
dell’uomo.
Un
essere questo che violenta la natura con i suoi prodotti di rifiuto.
Rappresentati dall’immissione in circolo di “Co2” per l’uso di motori termici e
di caldaie inquinanti.
Per non parlare di deforestazioni e di
sostituzioni di terre agricole con insediamenti industriali o di abitazioni
costruite in terre un tempo alluvionali.
Quindi
cementificazioni indiscriminate al posto del verde.
Insomma quello che un tempo era un eden o per
dirla in chiave religiosa il paradiso terrestre di Adamo ed Eva, ora si è
ridotto ad un luogo di distruzione e di prevaricazione umana che in futuro
evolverà verso una temuta Apocalisse, secondo il parere degli ecologisti che
ambiscono al trionfo di una natura incontaminata.
Giungendo
addirittura a sostenere la teoria dell’economista “Thomas Malthus”, riguardo alla
possibilità della riduzione della componente umana sulla terra, perché
responsabile di ogni delitto dell’ambiente naturale idealizzato.
Tutto
questo, politicamente sostenuto da verdi e sinistra, lo sta a dimostrare la
scienza.
Tanto
che, secondo loro, è perfettamente inutile riportare analoghi episodi del
genere subentrati nei decenni scorsi.
Quando dell’inquinamento e del riscaldamento climatico
nessuno ne parlava.
Altra
mentalità quella di allora.
La
scienza non era ancora preparata ad intendere gli eventi secondo l’attuale e
giustificativa visione politica ed ora li intende offrendo la certezza di una
causa in cui scienza e politica si appoggiano a vicenda.
Infatti,
questo è il tema, la secolarizzazione riguarda ogni aspetto del vivere.
Ed allora se la scienza mostra qualche incertezza, ci
pensa la politica ad indirizzarla verso quel “pensiero unico” che piace un po’
a tutti.
In quanto la paura del contradditorio diventa
più indigesta di una tesi unica accettata a maggioranza.
Dunque
inutile insistere mettendo in discussione questa strana surrettizia alleanza in
fatto di principi e cause.
Perché
come è già stato detto a proposito del Covid, chi lo fa è un essere asociale,
un pericoloso negazionista, un individuo malato di protagonismo, quindi di una
forma psichica, di una più o meno latente forma di pazzia.
Per
questo se uno scienziato dice il vero politico e mi riferisco per fare un
esempio, al fisico “Giorgio Parisi” a proposito delle “modificazioni climatiche”,
non conta niente il parere opposto di “Franco Prodi”, meteorologico di fama, che invece ritiene l’uomo, per le
ragioni esposte, la causa del disastro ambientale indipendentemente dal
riscaldamento climatico che per lui c’entra poco o niente.
Chi sarebbe allora costui?
Direbbe
un certo “don Abbondio” a proposito di un certo “Carneade”.
E mi
riferisco a “Franco Prodi” da parte dei seguaci della nuova fede, che o non lo
conoscono o non lo considerano degno di attenzione per aver osato mettersi di
traverso contro il nuovo verbo.
Ho
parlato di scienza come religione.
Ma
ancora non è finita.
Infatti
succede per chi osasse metterla in dubbio, che la religione scientifica diventa
politeista causa una seconda divinità.
Trattasi
della “Madre terra deificata” e per questa ragione vendicativa nei confronti
dell’uomo che si è dimostrato nei suoi confronti egoista e malvagio.
Ebbene
in chiusura, un cenno deve essere rivolto della vecchia religione per
domandarci quale è stata la sua fine.
La risposta è secca.
La
secolarizzazione è stata la causa del suo triste destino.
Perché in questo modo ha permesso di eleggere,
a pari merito in materia di fede, la scienza.
Che
manifesta il vantaggio di poterla vivere e addirittura toccare con mano
attraverso soddisfazioni terrene, senza il bisogno di ipotizzare il cielo.
Attraverso
una visione ultraterrena che da semplice ipotesi, ha la necessità per diventare
certezza, del sostegno di una fede, ostacolata oggi dalla secolarizzazione.
Che
significa in pratica la comodità del vivere.
In
sintesi chiediamoci se sia da considerarsi plausibile quanto ho detto.
E cioè
che esiste solo un’unica verità, quella scientifica?
Ammesso
che sì, poiché non mi piace “il pensiero unico”, cito a mio vantaggio “Benedetto
Croce” a proposito di scienza e verità.
Questo
il suo pensiero che trascrivo:
“la scienza non può essere la verità,
in quanto è solo una organizzazione e catalogazione di eventi empirici”.
Vi
basta aver inserito il dubbio?
A me
sì.
Paura
della scienza,
dalla
religione ai no-vax.
Scienzainrete.it - Renata Tinini – (12/10/2022) – ci
dice:
SALUTE.
Non
stupisce che gli evangelici siano contro la scienza.
L’interpretazione
letterale delle Sacre Scritture rappresenta un forte legame identitario nei
gruppi cristiani che si sentono minacciati dalla laicizzazione della cultura.
Nella
“Bible Belt”, che va dal “Kansas alla Louisiana”, l’evoluzionismo è una teoria
al pari di quella creazionista e, per salvare il racconto della Bibbia, si può
insegnare che l’universo sia stato creato 6.000 anni fa, che le leggi della
fisica non siano costanti nel tempo e che i dinosauri continuassero a circolare
fino al Medioevo, come d’altra parte dimostrerebbero le pitture che raffigurano
“San Giorgio e il drago”.
Paura
della scienza.
L’era della sfiducia dal creazionismo
all’intelligenza artificiale (Treccani, 2022), di “Enrico Pedemonte”, è un
viaggio “nei luoghi dove si annida la paura nella scienza”, un viaggio fatto di
persone e di incontri, di battaglie vinte e perse, di riflessioni su soggetti e
oggetti dell’impresa scientifica.
La
recensione è di “Renata Tinini”.
Conoscendo
le leggi spietate del profitto, possiamo capire che gli industriali siano stati
spesso contro la scienza.
Il marketing delle aziende è riuscito, nel
corso dell’ultimo secolo, a vendere soluzioni radioattive per curare l’artrite
e il diabete, a reclamizzare i raggi X contro la depressione e dentifrici al
radio per denti più bianchi, nonostante i danni delle radiazioni fossero già
ampiamente noti.
Le strategie utilizzate dall’industria, pur nelle
diverse declinazioni, condividono una tecnica: disinformare.
Lo fa
l’industria del tabacco che semina dubbi sull’effettiva dannosità del fumo con
investimenti milionari in progetti destinati a creare incertezze e scetticismo
tra il pubblico, lo fa l’industria degli aerosol che difende i CFC erigendosi a
paladina del capitalismo e del libero mercato contro gli scienziati bolscevichi
che, a detta degli stessi industriali, vorrebbero minare l’”American way of
life”.
E lo
sta facendo ancora per ammorbidire la necessaria transizione climatica.
Che
anche gli ambientalisti siano stati a più riprese contro la scienza è una
conseguenza della polarizzazione emotiva che si è creata relativamente al
rapporto uomo-natura e al nostro diritto di manipolare il vivente.
Possiamo brevettare esseri viventi?
Il
“Golden Rice” salverà veramente la vita di milioni di bambini o le aziende
biotech ci stanno ricattando per conquistare nuovi mercati?
Possiamo
fidarci della “Monsanto” che durante la guerra del Vietnam produceva il
defoliante usato dalle truppe americane contro i vietcong?
I
no-vax hanno ovviamente sfiducia nella scienza.
Alcuni
perché credono ancora nella validità dello studio di “Andrew Wakefield” sulla
correlazione tra vaccini e autismo, nonostante sia stato ampiamente e più volte
smentito.
Altri
perché vedono nei vaccini, soprattutto in quelli recenti contro Covid-19, “armi
biologiche”, o addirittura “armi di distruzione di massa”, in un cortocircuito
tra posizioni anti potere e anti scienza che dilaga grazie alla pervasività dei
social.
Talvolta
le posizioni si mescolano:
gli evangelici sono no-vax perché i vaccini
sarebbero sviluppati con feti abortiti, chi diffida del capitalismo guarda con
sospetto alla velocità con cui sono stati creati i vaccini.
I
filosofi spesso si sono distinti per la pratica del sospetto. In questo esercizio del dubbio
metodico, talvolta l’esito non sono le cartesiane idee chiare e distinte ma
un attacco al potere che userebbe la scienza per instaurare uno stato
d’eccezione, arrivando a paragonare il “Green Pass” alle leggi razziali, come
recentemente sostenuto da “Giorgio Agamben”.
La
scienza è la nuova religione da abbattere, strumento subdolo del totalitarismo
che controlla attraverso la medicina il corpo vivente di noi umani.
Siamo
lontani anni-luce dall’esaltazione illuministica della scienza, grimaldello
contro la superstizione e viatico kantiano per “l’uscita dell’uomo dallo stato
di minorità”.
La
lettura sociologica derubrica il discorso scientifico a narrazione, a
costruzione intersoggettiva socialmente condivisa.
“Bruno
Latour” - appena mancato - ha contribuito a seppellire le pretese di verità e
oggettività.
La post-verità non aiuta la scienza.
Ma il
vero affondo di “Enrico Pedemonte” al lettore di “Paura della scienza”.
L’era
della sfiducia dal creazionismo all’intelligenza artificiale (Treccani, 2022)
arriva al sesto capitolo, dove ci viene detto che anche gli scienziati sono
contro la scienza.
L’ossimoro non vuole seminare sconcerto ma
riportare lo scienziato alla sua umanità, che in questo caso va intesa come
fallibilità.
Gli
scienziati sbagliano, mentono, truffano, manipolano.
Non
tutti, anzi pochissimi, ma ne basta uno per incrinare il santino.
Gli scienziati devono pubblicare tanto e in
fretta, le “peer review “non sono sempre attendibili, la crescente privatizzazione della
ricerca scientifica fa sì che la si associ al potere e non al bene pubblico.
Sono i
finanziamenti privati a decidere i progetti di ricerca e si stanno erodendo i
quattro pilastri su cui secondo il sociologo “Robert Merton” si regge la
fiducia nella scienza:
universalismo, comunitarismo, disinteresse e
scetticismo organizzato.
Il
direttore di “The Lancet”,” Richard Horton” - lo stesso che aveva pubblicato il
“discusso articolo di Wakefield” sulla correlazione tra vaccino e autismo -
auspica un “giuramento di Ippocrate” per gli scienziati, tema già espresso da “Bertolt
Brecht” nel suo “Vita di Galileo”, dove lo scienziato pisano così si rivolge ad
“Andrea Sarti”:
Se io
avessi resistito, i fisici avrebbero potuto sviluppare qualcosa di simile al “giuramento
d’Ippocrate”:
il voto solenne di far uso della scienza ad esclusivo
vantaggio dell’umanità. (…)
Ho
tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la
sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza.
Il
viaggio di “Pedemonte “nei luoghi dove si annida la paura nella scienza è fatto
di persone e di incontri, di battaglie vinte e perse, di riflessioni su
soggetti e oggetti dell’impresa scientifica, visti con il rigore dello
scienziato e la curiosità del giornalista (ma anche con la curiosità dello
scienziato e il rigore del giornalista sul campo).
Laureato
in fisica, “Enrico Pedemonte” è stato a lungo temuto e venerato caposervizio
scienza de L'Espresso, quando L'Espresso era L'Espresso.
Verso
la fine il libro compie un’apparente deviazione e si avventura nel campo forse
più affascinante e inquietante dell’impresa scientifica: “la cosiddetta intelligenza
artificiale”.
Tra
progetti antropologici che mirano a una simbiosi tra vita fisiologica e
intelligenza artificiale, visioni di “soluzionismo tecnologico” in cui i dati
sono il nuovo petrolio, applicazioni di riconoscimento facciale utilizzate dai
governi, algoritmi che stravincono a scacchi e a Go, database open source di
strutture proteiche, il lettore non sa se esultare o preoccuparsi.
Verso
la fine del libro si tirano le fila di quello che, ormai è chiaro, più che un
excursus nella scienza è stato una riflessione sul potere e sull’uso della
scienza che il potere ha fatto e sta facendo.
La rete è un grande esperimento di anarchia o
è il luogo dove i poteri (politici, economici) si esercitano attraverso la
propaganda e la manipolazione?
Il
flusso ininterrotto di informazioni vere e false aiuta la democrazia o è un
modo per annegarla nell’indistinto?
Se è
ancora valido il motto di “Francis Bacon ““sapere è potere”, chi detiene oggi
la conoscenza?
E
quindi il potere?
La
medicina come religione.
Quodlibet.it
- (2-5-2020) – Giorgio Agamben – ci dice:
Che la
scienza sia diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui gli uomini
credono di credere, è ormai da tempo evidente.
Nell’Occidente moderno hanno convissuto e, in
certa misura, ancora convivono tre grandi sistemi di credenze: il
cristianesimo, il capitalismo e la scienza.
Nella
storia della modernità, queste tre «religioni» si sono più volte
necessariamente incrociate, entrando di volta in volta in conflitto e poi in
vario modo riconciliandosi, fino a raggiungere progressivamente una sorta di
pacifica, articolata convivenza, se non una vera e propria collaborazione in
nome del comune interesse.
Il
fatto nuovo è che fra la scienza e le altre due religioni si è riacceso senza
che ce ne accorgessimo un conflitto sotterraneo e implacabile, i cui esiti
vittoriosi per la scienza sono oggi sotto i nostri occhi e determinano in
maniera inaudita tutti gli aspetti della nostra esistenza.
Questo
conflitto non concerne, come avveniva in passato, la teoria e i principi
generali, ma, per così dire, la prassi cultuale.
Anche
la scienza, infatti, come ogni religione, conosce forme e livelli diversi
attraverso i quali organizza e ordina la propria struttura: all’elaborazione di
una dogmatica sottile e rigorosa corrisponde nella prassi una sfera cultuale
estremamente ampia e capillare che coincide con ciò che chiamiamo tecnologia.
Non
sorprende che protagonista di questa nuova guerra di religione sia quella parte
della scienza dove la dommatica è meno rigorosa e più forte l’aspetto
pragmatico:
la
medicina, il cui oggetto immediato è il corpo vivente degli esseri umani.
Proviamo
a fissare i caratteri essenziali di questa fede vittoriosa con la quale dovremo
fare i conti in misura crescente.
1)- Il
primo carattere è che la medicina, come il capitalismo, non ha bisogno di una
dogmatica speciale, ma si limita a prendere in prestito dalla biologia i suoi
concetti fondamentali.
A
differenza della biologia, tuttavia, essa articola questi concetti in senso
gnostico-manicheo, cioè secondo una esasperata opposizione dualistica.
Vi è
un dio o un principio maligno, la malattia, appunto, i cui agenti specifici
sono i batteri e i virus, e un dio o un principio benefico, che non è la
salute, ma la guarigione, i cui agenti cultuali sono i medici e la terapia.
Come
in ogni fede gnostica, i due principi sono chiaramente separati, ma nella
prassi possono contaminarsi e il principio benefico e il medico che lo
rappresenta possono sbagliare e collaborare inconsapevolmente con il loro
nemico, senza che questo invalidi in alcun modo la realtà del dualismo e la
necessità del culto attraverso cui il principio benefico combatte la sua
battaglia.
Ed è
significativo che i teologi che devono fissarne la strategia siano i
rappresentanti di una scienza, la virologia, che non ha un luogo proprio, ma si
situa al confine fra la biologia e la medicina.
2) -Se
questa pratica cultuale era finora, come ogni liturgia, episodica e limitata
nel tempo, il fenomeno inaspettato a cui stiamo assistendo è che essa è
diventata permanente e onnipervasiva.
Non si
tratta più di assumere delle medicine o di sottoporsi quando è necessario a una
visita medica o a un intervento chirurgico:
la vita intera degli esseri umani deve
diventare in ogni istante il luogo di una ininterrotta celebrazione cultuale.
Il
nemico, il virus, è sempre presente e deve essere combattuto incessantemente e
senza possibile tregua.
Anche
la religione cristiana conosceva simili tendenze totalitarie, ma esse
riguardavano solo alcuni individui – in particolare i monaci – che sceglievano
di porre la loro intera esistenza sotto l’insegna «pregate incessantemente».
La medicina come religione raccoglie questo
precetto paolino e, insieme, lo rovescia:
dove i
monaci si riunivano in conventi per pregare insieme, ora il culto deve essere
praticato altrettanto assiduamente, ma mantenendosi separati e a distanza.
3)- La
pratica cultuale non è più libera e volontaria, esposta solo a sanzioni di
ordine spirituale, ma deve essere resa normativamente obbligatoria.
La
collusione fra religione e potere profano non è certo un fatto nuovo; del tutto
nuovo è, però, che essa non riguardi più, come avveniva per le eresie, la
professione dei dogmi, ma esclusivamente la celebrazione del culto.
Il
potere profano deve vegliare a che la liturgia della religione medica, che
coincide ormai con l’intera vita, sia puntualmente osservata nei fatti.
Che si
tratti qui di una pratica cultuale e non di un’esigenza scientifica razionale è
immediatamente evidente.
La
causa di mortalità di gran lunga più frequente nel nostro paese sono le
malattie cardio-vascolari ed è noto che queste potrebbero diminuire se si
praticasse una forma di vita più sana e se ci si attenesse a una alimentazione
particolare.
Ma a nessun medico era mai venuto in mente che
questa forma di vita e di alimentazione, che essi consigliavano ai pazienti,
diventasse oggetto di una normativa giuridica, che decretasse ex lege che cosa
si deve mangiare e come si deve vivere, trasformando l’intera esistenza in un
obbligo sanitario.
Proprio
questo è stato fatto e, almeno per ora, la gente ha accettato come se fosse
ovvio di rinunciare alla propria libertà di movimento, al lavoro, alle
amicizie, agli amori, alle relazioni sociali, alle proprie convinzioni
religiose e politiche.
Si
misura qui come le due altre religioni dell’Occidente, la religione di Cristo e
la religione del denaro, abbiano ceduto il primato, apparentemente senza
combattere, alla medicina e alla scienza.
La
Chiesa ha rinnegato puramente e semplicemente i suoi principi, dimenticando che
il santo di cui l’attuale pontefice ha preso il nome abbracciava i lebbrosi,
che una delle opere della misericordia era visitare gli ammalati, che i
sacramenti si possono amministrare solo in presenza.
Il
capitalismo per parte sua, pur con qualche protesta, ha accettato perdite di
produttività che non aveva mai osato mettere in conto, probabilmente sperando
di trovare più tardi un accordo con la nuova religione, che su questo punto
sembra disposta a transigere.
4) La
religione medica ha raccolto senza riserve dal cristianesimo l’istanza
escatologica che quello aveva lasciato cadere.
Già il
capitalismo, secolarizzando il paradigma teologico della salvezza, aveva
eliminato l’idea di una fine dei tempi, sostituendola con uno stato di crisi
permanente, senza redenzione né fine.
“Krisis”
è in origine un concetto medico, che designava nel corpus ippocratico il
momento in cui il medico decideva se il paziente sarebbe sopravvissuto alla
malattia.
I
teologi hanno ripreso il termine per indicare il “Giudizio finale” che ha luogo
nell’ultimo giorno.
Se si
osserva lo stato di eccezione che stiamo vivendo, si direbbe che la religione
medica coniughi insieme la crisi perpetua del capitalismo con l’idea cristiana
di un tempo ultimo, di un “eschaton” in cui la decisione estrema è sempre in
corso e la fine viene insieme precipitata e dilazionata, nel tentativo
incessante di poterla governare, senza però mai risolverla una volta per tutte.
È la
religione di un mondo che si sente alla fine e tuttavia non è in grado, come il
medico ippocratico, di decidere se sopravviverà o morirà.
5) -Come
il capitalismo e a differenza del cristianesimo, la religione medica non offre prospettive di
salvezza e di redenzione.
Al
contrario, la guarigione cui mira non può essere che provvisoria, dal momento
che il Dio malvagio, il virus, non può essere eliminato una volta per tutte,
anzi muta continuamente e assume sempre nuove forme, presumibilmente più
rischiose.
L’epidemia,
come l’etimologia del termine suggerisce (demos è in greco il popolo come corpo
politico e “polemos epidemios” è in Omero il nome della guerra civile) è
innanzi tutto un concetto politico, che si appresta a diventare il nuovo
terreno della politica – o della non-politica – mondiale.
È
possibile, anzi, che l’epidemia che stiamo vivendo sia la realizzazione della
guerra civile mondiale che secondo i politologi più attenti ha preso il posto
delle guerre mondiali tradizionali.
Tutte
le nazioni e tutti i popoli sono ora durevolmente in guerra con sé stessi,
perché il nemico invisibile e inafferrabile con cui sono in lotta è dentro di
noi.
Com’è
avvenuto più volte nel corso della storia, i filosofi dovranno nuovamente
entrare in conflitto con la religione, che non è più il cristianesimo, ma la
scienza o quella parte di essa che ha assunto la forma di una religione.
Non so
se torneranno ad accendersi i roghi e dei libri verranno messi all’indice, ma certo il pensiero di coloro che
continuano a cercare la verità e rifiutano la menzogna dominante sarà, come già sta accadendo sotto i
nostri occhi, escluso e accusato di diffondere notizie (notizie, non idee,
poiché la notizia è più importante della realtà!) false.
Come in tutti i momenti di emergenza, vera o simulata,
si vedranno nuovamente gli ignoranti calunniare i filosofi e le canaglie
cercare di trarre profitto dalle sciagure che esse stesse hanno provocato.
Tutto
questo è già avvenuto e continuerà a avvenire, ma coloro che testimoniano per
la verità non cesseranno di farlo, perché nessuno può testimoniare per il
testimone.
(Giorgio
Agamben - 2 maggio 2020).
L'agricoltura
europea è in crisi,
ma non
è colpa del Green Deal.
Lespresso.it
– (2-2-2024) - Federica Ferrario, Greenpeace Italia – ci dice:
Nel
Vecchio Continente molti piccoli produttori sono in difficoltà e alcune forze
politiche cercano di calcare la protesta indirizzandola verso le nuove regole
sull'ambiente che non sono mai state applicate.
Ma a
essere sbagliato è il sistema dei sussidi che premia le ricche multinazionali e
ignora i problemi reali.
Recentemente,
al Teatro Regio di Torino, “Coldiretti” ha organizzato un convegno dal titolo
“Gli allevamenti e la qualità dell’aria”.
Fra i
relatori molti ospiti illustri, compreso il ministro dell’Ambiente e della
Sicurezza energetica “Gilberto Pichetto Fratin”.
I vari
interventi, tenuti a ritmo serrato, andavano tutti nella stessa direzione, ovvero quella di affermare che in
realtà gli allevamenti intensivi non sono un vero problema per la qualità
dell’aria e per le emissioni di gas climalteranti.
In
realtà, la specifica “intensivi” è una libera aggiunta di chi scrive, dal
momento che al convegno il termine non è praticamente mai stato menzionato,
come se non esistessero differenze fra i metodi di allevamento intensivo e
quelli di più piccola scala e meno impattanti.
Cosa
alquanto anacronistica dato che è ormai notorio che il sistema degli
allevamenti intensivi ha impatti importanti sia dal punto di vista ambientale
che sanitario.
Parlando
di qualità dell’aria, le elaborazioni dell’Ispra ci dicono chiaramente che in
Italia gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di formazione delle
polveri sottili (PM2,5) – quasi il 17% se sommiamo particolato primario e
secondario – e che dal 1990 al 2018 il loro contributo è via via cresciuto.
Polveri fini che ogni anno provocano circa 50
mila morti premature soltanto in Italia.
Più in
generale, l’attuale modello di produzione agricola intensiva è responsabile da
solo del 93% delle emissioni di ammoniaca e del 54% di quelle di metano legate
all’attività antropica in Europa, e la maggior parte di queste emissioni
proviene proprio dagli allevamenti intensivi.
La
produzione zootecnica è inoltre responsabile del 73% dell’inquinamento idrico
derivante dalle attività agricole dell'Ue.
Sono
numeri importanti, e fare finta di non vederli non aiuta.
Non
aiuta le persone che vivono in zone con forte concentrazione di allevamenti
intensivi come la “Pianura Padana”, ma nemmeno gli allevatori che si trovano
spesso schiacciati in un ingranaggio che li costringe a produrre sempre di più,
con margini di guadagno risicati al minimo e che, in prima linea, devono
affrontare anche le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Mentre questo modello di produzione intensiva e di
mercato resta fallimentare e arricchisce le tasche di altri, speculatori
compresi.
Paradossalmente,
però, una gran quantità di soldi pubblici continua a foraggiare il sistema
coordinato dalle multinazionali del clima.
In
tutta Europa molti agricoltori sono in difficoltà e in tanti chiudono i
battenti.
Proprio in questi giorni alcune forze
politiche stanno provando a sfruttare la situazione per fomentare l’opposizione
al Green Deal e alle norme di tutela ambientale:
ma
quali sono le vere cause della crisi del comparto e quali sono gli interessi
realmente tutelati da questi politici?
Guardando
i numeri vediamo che attualmente l’80% dei fondi europei per l’agricoltura
italiana finisce nelle casse del 20% dei beneficiari.
Un sistema che penalizza le piccole aziende e
favorisce quelle più grandi.
Secondo dati Eurostat, in poco più di dieci
anni (tra il 2004 e il 2016) l’Italia ha perso oltre 320 mila aziende.
Abbiamo assistito a un calo del 38% delle
aziende “piccole”, mentre sono aumentate del 21% le aziende “molto grandi” e
del 23% di quelle grandi.
In
soli 15 anni, l’Ue ha perso quasi il 40% dei suoi agricoltori, che hanno
cessato l’attività o sono stati acquisiti da concorrenti sempre più grandi.
La
crisi esiste, ma ciò che sta mettendo fuori mercato le aziende agricole è il
fatto che i sussidi, le regole e il mercato sono tutti orientati a beneficio
degli attori più grandi.
Le
maggiori catene della grande distribuzione e le grandi aziende alimentari e di
trasformazione possono imporre prezzi bassi agli agricoltori.
Ciò spinge letteralmente i produttori più
piccoli fuori dal mercato, allevamenti compresi, poiché solo quelli intensivi
possono vendere a prezzi così stracciati.
Il
sistema di sussidi della politica agricola comune (PAC) dell'Ue premia in
particolare i più grandi proprietari terrieri e le aziende agricole più
industrializzate.
Il
denaro pubblico non premia invece gli agricoltori che producono cibo di alta
qualità in modo sostenibile.
Come se non bastasse, gli agricoltori di tutta
Europa si trovano ad affrontare gli effetti della crisi climatica:
siccità, ondate di calore, incendi,
inondazioni e fenomeni meteorologici estremi sempre più numerosi.
Una
crisi che spinge ulteriormente con le spalle al muro le piccole aziende
agricole che già lottano per restare a galla.
Dare la colpa della crisi climatica alle norme
di tutela dell’ambiente è dire una falsità:
così facendo, si mente in primis agli
agricoltori che sono allo stremo, mentre si continua a foraggiare un sistema
che funziona solo per una piccolissima percentuale di grandi attori del mercato.
Ma
quali regole green avrebbero fatto sparire così tante aziende agricole?
Gli
obiettivi proposti dall'Ue di ridurre l'uso dei pesticidi del 50% al 2030 e di
rinnovare il regolamento sul loro utilizzo “sostenibile” (SUR) sono stati nella
pratica accantonati.
La
legge europea sul ripristino della natura non prevede alcun requisito di peso
per le aree agricole in Europa.
La
strategia per costruire un “sistema alimentare sostenibile” è stata abbandonata
prima ancora che diventasse una bozza di proposta ufficiale dell’Ue, così come
il promesso aggiornamento delle norme sul benessere degli animali.
L’uso del glifosato – l’erbicida catalogato
dallo “Iarc “come “probabilmente cancerogeno” – è stato nuovamente autorizzato
in Europa per altri 10 anni.
Tornando
ad allevamenti intensivi e qualità dell’aria:
la riforma della direttiva Ue sulle emissioni
industriali inquinanti ha escluso completamente gli allevamenti di bovini, i
più grandi e intensivi, dal campo di applicazione della direttiva, mentre nella
pratica sono state allentate le regole applicabili ai più grandi allevamenti di
suini e pollame.
Le
lobby del settore zootecnico, insieme ai deputati liberali, conservatori e di
destra, sono riusciti a bloccare qualsiasi ampliamento del campo di
applicazione della “Direttiva sull’inquinamento industriale”, sostenendo che le
revisioni proposte avrebbero colpito negativamente i piccoli e medi allevamenti
bovini europei.
Dichiarazioni
non supportate dai dati, dal momento che le proposte sul tavolo dei negoziati
riguardavano appena l’1% di tutti gli allevamenti di bovini in Europa, solo
quelli più grandi e più inquinanti.
Le
aziende agricole di piccole e medie dimensioni hanno quindi tutto il diritto di
protestare, perché siamo di fronte a un insieme di regole di mercato, sussidi e
norme che funzionano a favore degli attori più grandi e industrializzati,
difesi dalle organizzazioni di categoria.
In un contesto di crisi geopolitica ed
ecologica, che vede l’aumento dei prezzi delle materie prime e il calo del
potere d’acquisto dei cittadini, le aziende agricole e gli allevamenti di
piccole dimensioni sono tra le categorie che pagano il prezzo più alto.
Chi
continua a sostenere il modello attuale, che avvantaggia una piccola
percentuale di aziende più grandi e intensive a scapito di tutte le altre,
dipinge la crisi attuale come uno scontro di agricoltori contro l’ambiente.
Non è
così.
Gli
agricoltori possono essere i migliori alleati dell’ambiente, a patto che le
regole, i mercati e i sussidi non li costringano a una scelta disperata tra la
produzione industriale o la bancarotta.
Negare
un problema non lo fa scomparire, analogamente alle emissioni inquinanti.
Serve
invece lavorare insieme e investire in una reale e sempre più urgente
transizione ecologica, in modo da salvaguardare l’ambiente, il clima e con essi
le nostre aziende agricole.
(Federica
Ferrario è responsabile Agricoltura di Greenpeace Italia)
L’Europa
ha bisogno di una politica verde:
la
guerra non sia un diversivo
per
sostenere le multinazionali
Slowfood.it
– (16/03/2022) – Redazione – comunicato stampa - ci dice:
La
sicurezza alimentare in Europa e in Italia si difende puntando sulla
transizione ecologica dell’agricoltura non indebolendo le norme della nuova Pac
post 2022 e le Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità”
«Indebolire
le Strategie Ue Farm to Fork e Biodiversità 2030 dell’Unione europea e rivedere
le norme ambientali della nuova Pac post 2022 sarebbe un grave errore e non
risolverebbe i problemi collegati all’aumento dei prezzi e disponibilità di
materie prime, problemi ulteriormente aggravati dalla guerra in Ucraina che
stanno mettendo in grave difficoltà le aziende agroalimentari europee e
nazionali.
Serve,
invece, accelerare la transizione ecologica della nostra agricoltura rivedendo
i modelli di produzione e consumo del cibo».
È
quanto sostengono 17 associazioni ambientaliste, dei consumatori e dei
produttori biologici, in una lettera inviata al Presidente del Consiglio, Mario
Draghi, e ai Ministri Patuanelli e Cingolani.
Le Associazioni rispondono agli argomenti con
cui le lobby dell’agricoltura industriale sostengono la necessità di rivedere
gli obiettivi del Green Deal per affrontare la crisi dei prezzi e delle materie
prime causata, solo in parte, dalla guerra in Ucraina.
Le Strategie europee che le lobby contestano
puntano a tutelare la biodiversità e a ridurre l’impatto che le pratiche
agricole intensive determinano su clima e ambiente, con obiettivi al 2030 che
riguardano la riduzione dell’utilizzo di pesticidi e sostanze chimiche nei
campi e nelle stalle e il mantenimento di uno spazio per la biodiversità nel
paesaggio agrario.
Le 17
Associazioni, nella loro lettera, stigmatizzano la strumentalità e
l’inadeguatezza di un dibattito che utilizza la drammatica contingenza della
guerra in Ucraina per attribuire alla transizione ecologica la responsabilità
delle crisi in corso in Europa.
Nel
quadro di drammatica incertezza che affligge l’agricoltura occorre invece
concentrarsi proprio su interventi che garantiscano un futuro sostenibile per
il settore agricolo, anche dal punto di vista economico.
È
surreale che invece si sposti la discussione sulle strategie della transizione
ecologica che si proiettano su scadenze di medio e lungo periodo.
La
nuova Pac infatti entrerà in vigore dal 2023 e sarà pienamente operativa dal
2025, mentre per molte aziende agricole la sopravvivenza è questione di giorni
o settimane.
È pertanto urgente intervenire a sostegno
delle aziende in grave difficoltà per l’aumento dei prezzi delle materie prime
con interventi tempestivi e mirati, tenendo anche conto delle speculazioni
finanziarie in atto.
Allo
stesso tempo, però, è necessario accelerare le risposte alle grandi sfide della
sostenibilità ambientale e climatica dell’agricoltura, a partire
dall’attuazione delle Strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” e della
nuova Pac post 2022, proprio per rendere i sistemi agroalimentari meno
vulnerabili a questi shock.
Senza
provvedimenti adeguati ed efficaci per la soluzione di questi problemi globali
i rischi di nuove crisi saranno sempre maggiori in futuro.
«La
guerra in Ucraina sta evidenziando la vulnerabilità dell’Europa nella
dipendenza da importazioni di materie prime e di energia.
Ma il
conflitto è l’ultimo di una serie di eventi, iniziati con la pandemia di Covid
e proseguiti con la siccità in Nord America che ha dimezzato i raccolti,
innescando dinamiche speculative e una pericolosa ascesa dei prezzi.
In un
mondo sempre più esposto a shock globali e a conflitti, abbiamo bisogno di una
radicale riforma dei nostri sistemi agroalimentari, per promuovere modelli
produttivi e di consumo più resilienti e sostenibili» sottolineano le 17
associazioni.
«I
timidi passi verso una transizione agro ecologica attesi con la riforma della
Pac non possono essere vanificati dalla conservazione degli stessi sistemi
produttivi e modelli di consumo che ci hanno condotto in questa situazione.
Non è
aumentando la produzione attraverso un ulteriore degrado dell’ambiente naturale
o aumentando la dipendenza da energie fossili che si risolveranno i problemi.
Occorrono
politiche che favoriscano la sicurezza alimentare, sostengano pratiche
estensive e rispettose del benessere degli animali, valorizzino il ruolo degli
agricoltori e promuovano diete più sane, con una riduzione e una qualificazione
del consumo di prodotti di origine animale».
Evidenze
scientifiche supportano queste posizioni, come il recente rapporto “Ipcc”
secondo cui «mentre lo sviluppo agricolo contribuisce alla sicurezza
alimentare, l’espansione agricola insostenibile, guidata in parte da diete
squilibrate, aumenta la vulnerabilità dell’ecosistema e la vulnerabilità umana
e porta alla competizione per la terra e/o le risorse idriche».
L’Ismea,
nell’analizzare i problemi attuali di disponibilità del mais in Italia,
evidenzia come sia divenuta «ormai strutturale la dipendenza degli allevamenti
dal prodotto di provenienza estera»:
si
tratta di un grosso segmento della nostra produzione agroalimentare che si
dichiara “Made in Italy” ma si basa su importazioni di mangimi, spesso prodotti
in Paesi che hanno norme, ad esempio in materia di Ogm e pesticidi, molto meno
rigorose di quelle europee.
Agricoltura
europea
Gran
parte dell’insicurezza dei sistemi agroalimentari dipende dalla espansione
della zootecnia intensiva, se si considera che il 70% dei terreni agricoli
europei è destinato all’alimentazione animale, e a questi si sommano le terre
coltivate al di fuori della Ue da cui importiamo mangimi per alimentare un
settore produttivo divenuto ipertrofico e inquinante, oltre che non rispettoso
del benessere animale.
Per le
17 Associazioni «la risposta in grado di garantire una maggiore sicurezza ai
sistemi agroalimentari in Europa passa pertanto dalla riduzione del numero
degli animali allevati, che richiede una contemporanea riduzione dei consumi di
carne e prodotti di origine animale e consentirebbe di liberare terreni per
colture alimentari, capaci di soddisfare meglio diete diversificate e a basso
impatto sul clima, garantire il diritto di accesso al cibo a prezzi
sostenibili».
Arare
più terreni, trasformando i prati-pascoli e le aree naturali in seminativi,
come si sta proponendo di fare per incrementare superfici agricole destinate a
produrre mangimi, usando ancora più pesticidi e fertilizzanti, aumenterebbe
pericolosamente il rischio di collassi degli ecosistemi, riducendo la capacità
dell’agricoltura di reagire agli shock esterni.
Una
revisione al ribasso degli obiettivi della nuova Pac e delle Strategie Ue “Farm
to Fork” e “Biodiversità 2030” cancellerebbe ogni residua prospettiva di
transizione ecologica della nostra agricoltura, che invece può sganciarsi dalle
dinamiche speculative dei mercati globali, come ha già saputo fare, in gran
parte, il settore dell’agricoltura biologica, e puntare su qualità e
sostenibilità.
(Le 17
Associazioni ambientaliste, dell’agricoltura biologica e dei consumatori che
inviano questo comunicato condividono la visione di una transizione ecologica
dell’agricoltura italiana ed europea, che tuteli tutti gli agricoltori, i
cittadini e l’ambiente.
Associazione
Consumatori ACU, AIDA, AIAB, AIAPP, Animal Equality, Associazione Italiana
Biodinamica, Associazione TERRA, CIWF Italia Onlus, FederBio, Greenpeace
Italia, ISDE Medici per l’Ambiente, Legambiente, Lipu-BirdLife, Pro Natura,
Rete Semi Rurali, Slow Food Italia, WWF Italia.)
Le
multinazionali riescono a
prosperare
in tempi difficili.
Ansa.it
– (6 aprile 2023) – Editore Advisor – ci dice:
(Responsabilità
editoriale di Advisor)
È cruciale
per le aziende di Stati Uniti, Europa e Giappone che siano determinate a
rimanere rilevanti o a espandersi in mercati emergenti anche se è più grave che
questi sono paesi dinamici.
Sono molti
questi paesi tra cui Cina, India, Brasile ecc.
Quanto
deve preoccupare l'impatto della deglobalizzazione?
I rischi sono evidenti:
escalation
delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, guerra in Ucraina, aumento delle
barriere commerciali, interruzione delle catene di approvvigionamento, un
dolente mercato ribassista e il rallentamento dell'economia globale.
In
questo scenario turbolento, le società multinazionali non sono le più
vulnerabili?
Per “Jody
Jonsson”, gestore di portafoglio azionario di “Capital Group” si potrebbe dire
il contrario.
“In
parole semplici, le multinazionali godono in molti versi di un miglior
posizionamento per navigare in un contesto incerto e sviluppare soluzioni
efficaci per affrontare i cambiamenti destabilizzanti” sottolinea l’esperta che indica
quattro motivi che avvalorano la sua tesi.
Le
multinazionali sono in grado di adattarsi alle tensioni tra Stati Uniti e Cina.
Le due
principali economie mondiali si sono colpite a vicenda con dazi onerosi e altre
restrizioni commerciali.
Ma
tralasciando i problemi attuali, passerà ancora parecchio tempo prima che gli
Stati Uniti e la Cina possano risolvere controversie più radicate in materia di
furto di proprietà intellettuale e ingenti sussidi alle imprese statali cinesi.
Per risolvere questi problemi spinosi – se mai
si riuscirà – potrebbero volerci anni o addirittura decenni.
Nel
frattempo, le aziende che operano in tutto il mondo stanno facendo quello che
sanno fare meglio:
trovare
nuovi modi per adattarsi e avere successo a prescindere dai crescenti ostacoli.
Team
di gestione esperti sanno gestire le sfide.
Non è
un caso se le multinazionali sono arrivate a dominare l'economia e i mercati
finanziari globali.
Nella maggior parte dei casi, queste realtà
sono gestite da manager brillanti, resilienti ed esperti.
Hanno
operato in qualsiasi tipo di contesto commerciale, dai più favorevoli ai più
ostili.
Alcune
società potrebbero beneficiare della rilocalizzazione delle catene di
approvvigionamento.
Molte
società globali stanno operando con successo sui mercati locali, anziché
lasciarsi intimidire delle barriere commerciali.
Sta
diventando sempre più importante per le multinazionali che luogo di produzione
e vendita coincidano.
Per poter avere successo, devono muoversi
velocemente e reagire in maniera efficace alla concorrenza locale.
Le
società che hanno superato con successo la crisi del COVID sono riuscite a
espandere rapidamente le proprie offerte online, localizzare le fonti di
approvvigionamento, produrre più vicino a dove vendono e attingere a più
fornitori in tutto il mondo.
Questo
contesto imprevedibile ha contribuito a rafforzare le multinazionali che
disponevano delle competenze, delle risorse e della liquidità necessari ad
adattarsi con la massima velocità.
I
campioni globali prosperano nei mercati emergenti.
Sotto
molti aspetti, questa strategia multi-locale è cruciale per le aziende di Stati
Uniti, Europa e Giappone che siano determinate a rimanere rilevanti o a
espandersi in mercati emergenti più dinamici.
Molti
di questi paesi – Cina, India, Brasile ecc. – stanno nutrendo i propri colossi
multinazionali ma anche concorrenti di minori dimensioni concentrati su singoli
paesi, lasciando indietro i protagonisti globali del passato.
I
consumatori dei mercati emergenti ricercano marchi di cui potersi fidare e
aziende che conoscano la realtà locale.
Pertanto, le grandi multinazionali in grado di
scomporsi, pensare localmente, muoversi agilmente e lanciare prodotti
velocemente dovrebbero avere maggiori chance di successo nel lungo termine.
Multinazionali
sempre più ricche.
A loro
un terzo del Pil mondiale.
Valori.it
– Pietro Pizzinato – (08.11.2021) – ci dice:
Nell'ultimo
rapporto del “Centro Nuovo Modello di Sviluppo” si nota la fotografia di un
mondo economico sempre più fagocitato dalle multinazionali.
Nonostante
le crisi, le multinazionali sono sempre più ricche e potenti.
“Eat
the rich”, mangia i ricchi, è il titolo dell’ultimo dossier del “Centro Nuovo
Modello di Sviluppo! (CNMS), istituto di ricerca toscano, sulle 200 più grandi
multinazionali al mondo.
Un po’
ironico, se si pensa che a banchettare sono proprio i “ricchi” oggetto dello
studio.
Entità enormi e tentacolari, con uffici sparsi
e guadagni ben conservati in tutti gli angoli del mondo.
Le
multinazionali controllano l’80% del commercio mondiale.
Negli
ultimi quindici anni, i ricavi delle multinazionali non hanno mai smesso di
crescere.
Il
dossier indica che ben l’80% del commercio globale è controllato dai grandi
gruppi internazionali, che si accaparrano un terzo del Prodotto interno lordo
dell’intero Pianeta.
I numeri di alcune società sono così
mastodontici da far impallidire le economie di interi Stati.
Tanto
per fare un esempio, “Walmart”, il colosso americano della grande distribuzione
organizzata, ogni anno fattura, da solo, oltre 500 miliardi di dollari.
Una montagna di soldi: equivalente al Pil di
nazioni come Svezia e Belgio.
Sono
concentrazioni e oligopoli. E un pugno di colossi controlla l’economia
mondiale.
E
perfino tra i ricchi ci sono disuguaglianze.
Lo studio del CNMS accende i riflettori sulle
200 principali multinazionali, ovvero un infinitesimale 0,06% che nel 2020
controllava il 14% del totale intascato da questo tipo di società.
Soldi
e potere sono ben saldi nelle mani di pochissimi.
Soltanto
un evento eccezionale come la crisi pandemica ha, seppur di poco, frenato una
crescita esponenziale.
Nel 2020 il fatturato delle 200 multinazionali
top è calato del 5% rispetto all’anno prima.
Il Covid è stata una batosta ma, a parte
questa parentesi, dal 2005 ricavi e profitti hanno segnato crescite
rispettivamente del 60 e 30%.
Un
esercito di 40 milioni di dipendenti in quindici anni è cresciuto del 40%.
Quali
sono le multinazionali più ricche e potenti del mondo ?
Se è
vero che oltre la metà delle multinazionali ha sede in Europa, per trovare
quelle che contano di più bisogna guardare a Pechino e negli Stati Uniti.
Delle top 200, due terzi sono aziende
americane o cinesi.
Il
2020 è l’anno che ha visto diventare la Cina il Paese più rappresentato in
questa ristrettissima cerchia di società miliardarie, grazie a giganti del
mercato energetico e petrolifero come “State Grid”, “China National Petroleum”
e “Sinopec Group”.
Nella
top 10, comunque, la supremazia è ancora degli Stati Uniti.
Non
solo “Walmart”, già al primo posto nel 2010, ma anche “Amazon”, “Apple”, “CVS”
e” United Health Group “sono cresciute negli ultimi dieci anni, scalando la
classifica.
(Le
prime 10 multinazionali per fatturato nel 2020 indicate nel Centro
Nuovo
modello di sviluppo.)
Per
quanto riguarda l’Italia, nelle prime 200 troviamo “Assicurazioni Generali”,
con i suoi 97 miliardi di fatturato e quasi 2 di profitti, ed “Enel” (74 e 3).
I
settori più proficui per le multinazionali sono quelli di sempre:
petrolio, trasporti, elettronica, computer e
finanza.
Le
automobili, invece – ci racconta il rapporto – hanno perso posizioni.
L’impennata
dei profitti delle case farmaceutiche.
Il
Covid ha mietuto vittime perfino tra i miliardari, ma c’è anche chi non ha
sofferto affatto gli effetti della pandemia.
La grande corsa al vaccino ha permesso alle
case farmaceutiche di beneficiare dei contributi governativi di mezzo mondo e
di realizzare guadagni stellari.
Gli Stati Uniti hanno finanziato con ben 18
miliardi di dollari la ricerca privata.
Mentre
l’Unione Europea, di suo, ne ha messi sul piatto 3.
La
sola vendita di vaccini rappresenta oggi il 50% dei ricavi delle aziende del
settore, con una crescita mai vista prima, se pensiamo che, fino al 2019,
arrivava a coprire soltanto il 15%.
Se
guardiamo nelle casse di “Moderna”, per esempio, in un anno il fatturato è
cresciuto dell’8.300%.
Per
quanto riguarda i profitti, la multinazionale americana è riuscita a passare da
un negativo di 240 milioni di dollari dei primi sei mesi del 2020 ai quattro
miliardi di profitti registrati a giugno 2021.
Dove
finiscono tutti questi soldi?
Il
frutto di questi enormi guadagni resta nelle casse societarie.
Secondo
uno studio di Tax Justice Network, organizzazione di advocacy inglese, ogni
anno le multinazionali evitano di pagare 250 miliardi di dollari di tasse
sfruttando i paradisi fiscali.
Con pratiche illecite di base” erosion” e “profit
shifting” le multinazionali “nascondono” i propri guadagni registrandoli in
Paesi nei quali le imposte sono significativamente più basse.
Per
combattere queste enormi differenze di trattamento da parte dei sistemi
fiscali, l’Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) dopo più di dieci anni di discussioni
ha finalmente trovato un accordo su “una global minimum tax”.
L’obiettivo dei governi è cominciare a
introdurre dal 2023 una tassa globale del 15% sui profitti delle
multinazionali.
Così facendo, ci si augura di recuperare 150
miliardi di dollari e incoraggiare le aziende a rimpatriare i propri capitali.
La
federalizzazione dei governi centrali
può
risolvere…il federalismo?
Scienceandfreedm.org
– (2-2-2024) – Redazione – Prof. Paul Frijters - Prof. Gigi Foster- Michele
Fornaio – ci dicono:
Società
e diritto.
Nel
formulare un governo che deve essere amministrato da uomini su uomini, la
grande difficoltà sta in questo: bisogna prima consentire al governo di
controllare i governati; e poi obbligarlo a controllarsi.
L'avvertimento
implicito in queste parole del Documenti federalisti, scritto da “James Madison”
nel febbraio 1788, è rimasto spettacolarmente inascoltato.
Gli
Stati Uniti, l’Australia e l’UE sono nati ciascuno con idee federaliste con
stati costituenti estremamente indipendenti e con costituzioni che rendevano
illegale e impossibile la nascita di un grande governo centrale.
Eppure,
in tutti e tre i luoghi, il progetto federalista è fallito ed è sorta una
gigantesca burocrazia centrale che sta strangolando la vita sia degli stati che
dei paesi, come abbiamo fatto noi, pur opinato in precedenza.
Come è
avvenuta questa presa di potere ostile e come possiamo creare un nuovo
federalismo che resista a diventare di nuovo un mostro?
Caso
di studio 1: Il fallimento del federalismo statunitense.
Gli
Stati Uniti iniziarono con una Costituzione e un quadro pratico radicalmente
federalisti.
Gli
stati indipendenti erano responsabili di quasi tutto, e il ruolo del governo
centrale era principalmente quello di intraprendere la guerra contro gli
stranieri e gestire questioni come gli standard commerciali.
Un
grande cambiamento avvenne con la prima guerra mondiale, quando
l'interpretazione alla moda della Costituzione cambiò da madisoniana a
wilsoniana, sostituendo il sospetto e l'esortazione di “Madison” nei confronti
del potere centralizzato con la convinzione di “Wilson” nei vantaggi della
concentrazione del potere nel governo centrale.
Il
risultato di questo cambiamento dottrinale portò alla creazione da parte di “Woodrow
Wilson” di un stato amministrativo in cui il potere dell’esecutivo centrale si
è espanso enormemente, e con esso la quota di risorse economiche dirottate
dall’apparato governativo e amministrativo di Washington.
La
percentuale del PIL spesa dal governo federale è cresciuta dal 2% intorno al
1900 al 25% di oggi, con picchi durante guerre, salvataggi e blocchi.
Dopo ogni picco causato da qualche crisi, la
dimensione della burocrazia (o almeno l’importo speso dalla burocrazia) si è
leggermente ridotta, ma è rimasta più alta rispetto a prima della crisi.
Come
esempio particolarmente eclatante di questa espansione del governo federale,
l’industria della difesa è diventata oscenamente grande.
Il budget del Dipartimento della Difesa degli Stati
Uniti è di 842 miliardi di dollari nel 2024, oltre ai quali la Casa Bianca ha
richiesto altri 50 miliardi di dollari per aiutare l'Ucraina a ritardare la sua
sconfitta per mano della Russia sacrificando al contempo più vite ucraine,
sostenere Israele nella sua guerra contro “Hamas” e perseguire altre attività
che convogliano denaro verso le industrie nazionali legate al settore militare.
Gli
Stati Uniti spendono per la difesa più dei successivi 10 paesi messi insieme,
più del doppio della Cina e sette volte più della Russia, tenendo conto anche
dell’attuale aumento del budget militare russo dovuto alla sconfitta dello
stato cliente anti-russo dell’America.
Il
sistema sanitario statunitense, in gran parte inefficace e parassitario come
abbiamo sostenuto nel post precedente nell’ottobre 2023, è un altro brillante
esempio di una struttura centrale gonfia e legata a strutture private gonfiate.
Come è
avvenuto questo gonfiore incontrollato?
In breve, missione instabile e corruzione.
Le
grandi aziende volevano più regolamentazione per contribuire a rendere la vita
più difficile per coloro che entrano nei loro settori.
Le
professioni legali e di amministrazione carceraria volevano e trovavano più
clienti (detenuti).
L’industria sanitaria voleva e trovava più
clienti (malati).
L’industria
della difesa voleva e trovò più nemici stranieri.
Quindi
ciascuno di questi gruppi in vari modi ha stimolato e spintonato il governo
federale ad aiutare l’espansione dei propri interessi privati.
Nel
corso del tempo, man mano che il governo è diventato più centralizzato e
potente, ha anche creato nuove agenzie per regolamentare le organizzazioni,
come le istituzioni finanziarie, gli inquinatori e le società di
telecomunicazioni.
Le
grandi aziende di questi settori, come quelle dei settori della difesa e della
sanità prima di loro, alla fine catturarono i loro regolatori, mettendoli
contro i concorrenti regolamentando le imprese più piccole e facendoli
scomparire e contro i consumatori riducendo la concorrenza in generale.
L’accresciuto potere del centro di appropriarsi e
controllare le risorse fu utilizzato per creare un Leviatano burocratico che si
rivelò terreno fertile per la formazione un’élite occidentale globalista
parassitaria che parla dall'alto verso coloro che preda, come vediamo con il “Manie
ESG” e “DEI”.
I
singoli Stati hanno resistito?
Sicuramente,
e a giudicare dalle azioni recenti di alcuni funzionari governativi della
Florida, stanno ancora resistendo.
Tuttavia,
nel lungo cammino verso l’espansione centrale, gli stati furono sopraffatti
perché il governo federale fu in grado di accedere a risorse molto maggiori
aumentando le tasse nazionali esistenti e creandone di nuove.
Un flusso costante di scuse per l’espansione
era disponibile perché le aziende e gli individui sfruttavano le lacune nelle
normative esistenti e perché c’erano emergenze reali e immaginarie che potevano
essere facilmente imbrigliate sul carro dell’espansione.
Gli Stati Uniti, un tempo apice del
federalismo, ora hanno un centro politico completamente fascista:
un’unificazione
dei poteri giudiziari, commerciali, legislativi, esecutivi e potere religioso.
Caso
di studio 2: La discesa dell'Australia.
L’Australia
iniziò come federazione nel 1901, modellata vagamente sulla federazione
tedesca, ma con un generoso aiuto di elementi innovativi progettati per
impedire al centro di acquisire troppo potere.
Sei colonie autonome hanno preceduto la
federazione, e solo nell'ultima parte degli anni 19th secolo ha fatto crescere
il sostegno per una nazione unificata.
Anche
allora, l’idea era che l’autorità centrale avrebbe gestito un numero molto
limitato di attività in cui l’inefficienza si era manifestata (principalmente difesa, commercio e
immigrazione).
Al centro, formalmente conosciuto come
“Commonwealth”, non furono conferiti poteri al di fuori delle emergenze.
Gli
stati avrebbero dovuto organizzare tutto, comprese l’istruzione e la sanità.
L'Australia
introdusse addirittura nel 1918 un'assicurazione obbligatoria con sistema di
voto preferenziale, in cui gli elettori indicano non solo il candidato di prima
scelta, ma anche il secondo, il terzo, il quarto preferito e così via.
Questo sistema rende più facile che nuovi partiti
emergano davanti agli occhi del pubblico votante rispetto a un semplice sistema
maggioritario, poiché se gli elettori possono votare per un solo partito,
saranno più riluttanti a schierarsi per un partito creato outsider per paura di
sprecare i propri voti.
Se
viene richiesta una classifica delle preferenze, tuttavia, possono selezionare
un candidato di un partito marginale in cima pur dando un cenno ai partiti
principali, in ordine di preferenza, lungo l’intera lista di candidati.
Se il
partito preferito di un elettore viene eliminato una volta conteggiate le prime
preferenze, le sue preferenze sussidiarie (e quelle degli altri elettori)
continueranno a essere conteggiate finché un candidato non avrà più del 50% dei
voti.
In
questo modo, un nuovo partito ha molte più possibilità di emergere e crescere
rapidamente.
Un ulteriore baluardo contro il potere
centralizzato fu attuato per quanto riguarda la tassazione:
un
comitato permanente supervisionò la divisione dei fondi fiscali federali tra
gli Stati.
Allora
come ha funzionato tutto questo?
Come
negli Stati Uniti, oggi il bilancio della difesa australiano è in forte
espansione, superando per la prima volta quest’anno i 50 miliardi di dollari
australiani.
Il “Commonwealth” si è insinuato attraverso la
regolamentazione del welfare, della sanità e dell’istruzione, e ora domina la
riscossione delle tasse.
Nel
complesso, spende circa il 27% del Pil, rispetto a praticamente zero prima
della prima guerra mondiale e a circa il 10% nel 1960.
I
singoli Stati detengono ancora un potere significativo, di cui hanno abusato
spietatamente durante i lockdown, ma sia i governi statali che quelli centrali
sono diventati Leviatani infestati da lobby e promotori di sciocchezze.
Un
problema particolare è che ovunque – e questo nonostante il sistema di
voto preferenziale che avrebbe dovuto contribuire a diluire il potere – sono gli stessi due partiti
politici a condurre lo spettacolo, entrambi tenuti a galla quando necessario
attraverso coalizioni con partiti gregari (il partito laburista ha il potere dei
Verdi e il partito liberale ha i Nazionali).
I due
partiti dominanti australiani hanno scoperto che con questo assetto possono
tenere fuori dalla scena i partiti minori attraverso il “gerrymandering”.
In un
caso particolarmente eclatante, un comitato composto in gran parte da membri di
questi partiti ha diviso il collegio elettorale di un politico ribelle di nome “Rob
Pyne” tanto che non viveva nemmeno più nella circoscrizione elettorale che lo
aveva votato al Parlamento del Queensland.
Attraverso
il “gerrymandering” e altri mezzi, la classe politica australiana mantiene due
gruppi mafiosi dominanti che diffondono corruzione e cattive abitudini, il
tutto con il sostegno delle principali società internazionali.
Leggi
il nostro “2022” libro “rigged” per saperne di più sui raccapriccianti
"giochi tra amici" che si svolgevano in Australia.
Caso
di studio 3: Come l'Unione europea ha fagocitato l'autorità degli Stati membri.
Le
fondamenta dell’UE iniziarono in piccolo, quando, nell’ambito del piano Schuman
nel 1951, sei paesi accettarono di integrare le loro industrie del carbone e
dell’acciaio sotto un’unica gestione.
Una più stretta integrazione economica negli
anni successivi portò alla formazione della Comunità economica europea (o CEE,
successivamente semplificata in CE) nel 1957 e infine all’Unione europea (UE)
nel 1993. L’UE è attualmente una federazione di 28 paesi.
Inizialmente,
la struttura della CE era quasi l’apice del federalismo:
non
esisteva un vero e proprio governo centrale (poiché, dopotutto, gli stati
indipendenti erano sovrani e nazioni!) e la leadership della CE ruotava tra i
paesi ogni sei mesi.
Le riunioni della CE coinvolgevano i leader
nazionali e i ministri erano indirizzati verso questioni economiche
collaborative come il finanziamento della politica agricola comune.
Gli interessi personali dei paesi membri hanno
prevalso sui sogni sovranazionali.
Esisteva un cosiddetto parlamento, ma con solo
78 membri e nessuna autorità legislativa.
I parlamentari non sono stati eletti
direttamente, ma piuttosto scelti tra i rappresentanti eletti dei parlamenti
dei paesi membri.
Eppure,
proprio come la pioggia, il numero di istituzioni, agenzie e burocrati crebbe
nel tempo man mano che la missione cominciava a farsi sentire.
All'inizio,
la maggior parte del crescente gruppo di burocrati trascorreva le giornate
lavorando piacevolmente su cose come gli standard per lo spessore delle
condutture idriche e dei treni e calibri.
Nel
corso del tempo, la Comunità si è organizzata in modo tale da assumere ruoli
sempre più autorevoli in questioni che andavano oltre il suo mandato
originario, come la politica estera e la politica monetaria, quest’ultima
formalizzata con l’istituzione della” Banca Centrale Europea” a Francoforte nel
1998.
Oggi
l’UE è diventata un mostro sputafuoco.
Attraverso
normative sanitarie, standard di settore insensati come rendere obbligatoria la
rendicontazione “ESG” per le grandi aziende, una valuta centrale utilizzata per
ottenere il controllo della tassazione e del debito, standard educativi e così
via, l’UE è un organo esecutivo e legislativo che esercita i poteri che era non
avrei mai dovuto avere.
Il suo budget formale non è così ampio, ma il
budget che dirige è enorme.
In
base ad un accordo pluriennale tra gli Stati membri, dispone di un budget di
1.8 trilioni di euro da spendere nel periodo 2021-27 (dall’1% al 2% del PIL).
Questo
è per l’amministrazione centrale e i programmi dell’UE, quindi in qualche modo
equivalente a ciò che Washington spende per sé stessa.
Non
include il controllo sulla spesa pubblica dei singoli paesi membri, che ammonta
a circa 50% del PIL dell'UE.
La burocrazia dell’UE controlla gran parte di
quella spesa tramite spese sanitarie obbligatorie (compresi i contratti
nascosti con Pfizer), propaganda obbligatoria, mandato regole di segnalazione, e
così via.
In
modo istruttivo, l’UE ha ottenuto molti dei suoi attuali poteri non attraverso
il voto democratico, ma piuttosto attraverso una riorganizzazione:
ha accumulato potere sollevando gli oneri dai
singoli leader dei paesi membri che non potevano essere disturbati da
ingombranti percorsi democratici.
La Commissione europea ha preso l’iniziativa
in cose come” Brexit”, “migrazione” e “vaccini anti-Covid”, lungo il percorso
usurpando i precedenti poteri nazionali sulla “diplomazia estera” e sui “bilanci
sanitari”.
I
governi degli Stati membri hanno deciso “lascia che accada”.
Allo
stesso modo, la macchina della propaganda dell’UE è iniziata in piccolo come un
insieme di direttive che i media e le grandi tecnologie dovevano seguire, ma si
è trasformata in un vero e proprio e palese ministero della propaganda che
mette fuori legge il dissenso dalla burocrazia.
Ancora
una volta il” fascismo nascosto”, ancora una volta “acclamato dalle “grandi
multinazionali” e dalle” élite globaliste”.
I
singoli paesi europei hanno ancora molto potere – più degli Stati Uniti e
dell’Australia, perché almeno gli eserciti europei sono ancora nazionali – ma
la discesa verso un’espansione centralizzata e tirannica in Europa è stata
sconcertante.
Come
risolvere il federalismo?
Gli
ultimi decenni hanno dimostrato che in regioni disparate, con punti di partenza
disparati, piccole burocrazie centrali hanno stretto alleanze con grandi
aziende e individui facoltosi, usurpato sempre più potere e risucchiato la vita
dalle federazioni che avrebbero dovuto servire.
Tutti
i tipi di pesi e contrappesi istituzionali sono falliti, dagli uffici di
controllo ai poteri di veto alla rotazione delle leadership.
La
bestia continuava a crescere nonostante tutto, attraverso l'arroganza,
l'astuzia, la furtività e la corruzione.
Il
federalismo è sotto attacco, ma il vecchio ronzio è ancora vivo.
In
tutti e tre gli esempi sopra riportati, gli stati costituenti hanno ancora una
democrazia in qualche modo funzionante, media indipendenti in piena espansione
e una crescente consapevolezza da parte dei cittadini di avere a che fare con
qualcosa che sta attivamente lavorando contro i loro interessi.
Fatta eccezione per coloro che si trovano al
centro stesso, c’è il desiderio che un maggiore processo decisionale avvenga in
modo non centrale.
Le
popolazioni stanno votando con i piedi per i luoghi che sbagliano (come
Florida, Svizzera, Madrid e Polonia (pre-2024)) e fuggono dai luoghi che
sbagliano (come Londra, California e Melbourne).
I
Leviatani centrali stanno ancora aumentando il loro controllo, ma ora devono gridare più
stridulamente per ottenere ciò che vogliono e fingere che ogni piccolo problema
sia una minaccia esistenziale che richiede maggiore controllo.
Un vaiolo (delle scimmie) sulle loro case!
Pensiamo
che il futuro sia federalista e vogliamo guardare avanti e riflettere su come
evitare che il problema attuale si ripresenti.
Come si può costruire un tipo di federalismo
che funga da robusto baluardo contro le forze fasciste oggi così dominanti?
Il
dilemma principale che vediamo è che qualsiasi federazione moderna
probabilmente non può evitare di avere una burocrazia “condivisa” di dimensioni
modeste.
Molti
dalla parte del “Team Sanity” durante gli anni del “Covid” sognano di avere
pochissima burocrazia comune, ma per quanto la odiamo, pensiamo che una
burocrazia condivisa non solo sia inevitabile ma possa anche servire a uno
scopo.
Abbiamo
bisogno di una burocrazia di dimensioni ragionevoli per gestire un grande
esercito perché ogni stato occidentale moderno ha nemici con grandi eserciti.
Ne abbiamo bisogno anche per fornire una forza
di controbilanciamento alle grandi multinazionali che ci calpesteranno tutti se
non ci sarà una resistenza organizzata.
Per quanto possa sembrare sognante, 18th Il
liberalismo del secolo scorso è semplicemente troppo individualista e ingenuo,
a nostro avviso, riguardo alle realtà moderne del mondo del potere “cane mangia
cane”.
Le
grandi aziende e i paesi con cattive intenzioni creano bestie spaventose che ci
costringono ad avere la nostra bestia feroce per difenderci.
Ma
come possiamo avere la nostra bestia feroce e non esserne mangiati anche noi?
Un
ovvio punto di partenza è smantellare l’attuale burocrazia antisociale e
istituire un processo di giustizia per denunciare e punire i crimini del
governo centrale.
Tutto
ciò è positivo e positivo, ma dobbiamo anche pensare al giorno successivo alle
punizioni.
Come
sistemeremo allora le cose per i nostri figli e i loro figli?
Un
elemento importante da abbinare al futuro federalismo è una cittadinanza molto
più attiva e consapevole.
Abbiamo già delineato due innovazioni cruciali
che potrebbero contribuire a creare tutto ciò:
la
nomina di ogni leader burocratico con autorità di bilancio o di
regolamentazione da parte di giurie cittadine, accompagnato dal dovere dei
cittadini mediatici nel riconoscimento delle notizie come un importante bene
pubblico che deve essere fornito dalla cittadinanza stessa.
Queste due innovazioni dovrebbero contribuire
a generare una cittadinanza auto-informante che sia regolarmente coinvolta
nella scelta dei leader e nella tutela dagli abusi burocratici.
Può la
“Quarta Potenza” combattere la corruzione da sola?
Il
cuore di queste due proposte era l’istituzione all’interno del governo centrale
e di ogni sottocomponente della federazione (ad esempio, stato o paese) di un
“quarto potere” il cui compito è quello di mantenere i cittadini auto informati
e di forzare gli altri tre poteri a del governo (legislativo, esecutivo e
giudiziario) a lavorare per le loro popolazioni invece di allearsi contro di
loro.
Le nomine basate su giurie di cittadini organizzate da
questo quarto potere sostituirebbero le nomine politiche ai vertici di
qualsiasi istituzione dipendente dal denaro del governo e di qualsiasi
istituzione che assume un ruolo simile a quello del governo – compresi gli enti
di beneficenza, molti dei quali attualmente hanno caratteristiche usato dai
ricchi per eludere le forze democratiche (si pensi alla Fondazione Gates).
Il
braccio mediatico della quarta potenza potrebbe anche estendersi alla fornitura
di informazioni al pubblico dall'interno del governo stesso, ad esempio sul
funzionamento e sulle scoperte degli uffici di audit.
Le
iniziative statunitensi in questa direzione sono ben avviate.
Eppure,
anche se i massimi burocrati di un nuovo sistema federale dovessero essere
nominati in modo indipendente da giurie cittadine, le pressioni commerciali per
corrompere questi incaricati sarebbero immediate e formidabili:
le
potenti multinazionali nazionali e internazionali sono intrinsecamente avide e
non andranno da nessuna parte.
Queste
aziende si alleeranno anche con i migliori consulenti la cui linfa vitale
scaturisce dall’assisterle nel sovvertire gli interessi delle loro stesse
popolazioni.
Con
tutti gli obiettivi vicini in un luogo fisico come Washington, DC, Canberra o
Bruxelles, “Big Money” può facilmente circondare i massimi burocrati con
tentazioni e con il proprio apparato mediatico propagandistico, incoraggiandoli
a vedere il resto di noi come subumani e bisogno di sentirsi dire cosa fare in
ogni minuto della giornata, proprio come succede adesso.
Si può
contare sul fatto che le élite economiche e politiche saboteranno gli sforzi
anti-corruzione della quarta potenza on-site.
I
sistemi costruiti dal “quarto potere” per ottenere il controllo dei cittadini
su ciò che accade al centro verrebbero gradualmente clonati dalle burocrazie
ombra, istituite da Big Money, che consigliano e “aiutano” direttamente i
politici di vertice “in modo efficiente” con questo o quel problema.
Il
centro inizierebbe ad aggirare le strutture sostenute dai cittadini e a fare
propaganda contro i leader scelti dalle giurie dei cittadini, con la classe
parassitaria emergente che renderebbe i leader - veramente indipendenti - dei
falliti.
Attraverso
questi e molti altri meccanismi nefasti ci aspettiamo che “Big Money” scopra
come sottomettere e corrompere il” quarto potere”.
Una
classe parassitaria riemergerebbe e fiorirebbe, assistita in modo cruciale
dalla co-ubicazione di molti ruoli chiave.
Questo
esperimento mentale distopico ci porta a concludere che un “quarto potere”
direttamente democratico non può fare tutto da solo:
per
mantenere la separazione dei poteri di governo è necessario che vi sia Fisicamente
anche la separazione dei poteri del governo.
La burocrazia centrale deve mettersi in
viaggio.
La
burocrazia itinerante.
Immaginate
un sistema in cui invece di una co-ubicazione permanente in una particolare
sede geografica, ogni area funzionale di una burocrazia centrale fosse
posizionata in un posto diverso all’interno della federazione e, inoltre,
sradicata e ricollocata altrove ogni due decenni, secondo un programma
scaglionato con i periodici ricollocamenti delle altre aree funzionali.
Ciascuna
area funzionale verrebbe collocata all'interno della burocrazia di un membro
scelto a caso del livello di governo successivo più basso – ovvero il livello
statale negli Stati Uniti e in Australia, il livello provinciale in Canada o il
livello nazionale nell'UE – e poi ruotato nella burocrazia di un altro membro
selezionato casualmente dopo un periodo di tempo designato.
Così,
ad esempio, il “Dipartimento di Stato americano” potrebbe far parte
dell’apparato di “governo della Florida” per un periodo di 20 anni, dopodiché
verrebbe inviato in “Texas” o nel “Montana”.
Allo
stesso modo, la “Federal Reserve” americana potrebbe far parte della “Federal
Reserve dell’Ohio “per 20 anni, per poi trasferirsi nel “Missouri”.
Il
governo federale fisserebbe comunque la politica, la portata delle
responsabilità e i budget per queste entità, ma la gestione quotidiana delle
loro attività e tutte le questioni relative al personale verrebbero decise a
livello locale, con un direttore al timone nominato da una giuria cittadina
formata dai cittadini di quello Stato membro locale.
Come
funzionerebbe nell’UE, composta da 28 paesi?
La
burocrazia centrale dell’UE sarebbe organizzata, diciamo, in circa 24 aree
funzionali di dimensioni più o meno uguali.
Queste 24 aree funzionali ruoterebbero attorno
all’UE, con una o due funzioni che si trasferiscono in un altro paese ogni
anno, e non ci sarebbero mai due aree co-localizzate nello stesso paese membro.
Il capo di ciascuna area funzionale, come il
massimo funzionario pubblico nel settore dell’istruzione, sarebbe nominato da
una giuria cittadina locale e quindi legato alla popolazione locale.
Circa
due anni prima dello sradicamento e del trasferimento programmati, il nuovo
paese ospitante verrebbe scelto casualmente e si attrezzerebbe per fare spazio
alla nuova funzione centrale.
Dato
che il nuovo paese ospitante avrebbe potere su tutte le questioni relative al
personale, durante il periodo transitorio avrebbe la possibilità di pianificare
eventuali riduzioni o riallocazioni di personale all'interno della burocrazia
entrante.
Specifiche
di progettazione dettagliate: rotazioni, potatura, modularità e controlli di
finanziamento.
Lo
scopo di avere meno aree funzionali rispetto ai membri della federazione è
quello di creare un forte incentivo politico per mantenere la rotazione in
corso:
i membri senza tale responsabilità tra un anno
chiederanno che qualcuno venga da loro, rendendo difficile fermare la
rotazione.
Lo
scopo della rotazione stessa è quello di incorporare un momento automatico di
distruzione creativa e rinnovamento in ciascuna area:
un punto in cui ciò che è ancora veramente
efficiente e utile sarà valutato dagli occhi freschi e critici di un nuovo
ospite disposto e in grado di eliminare ciò che non ha più senso.
Mantenendo
la stessa funzionalità centrale per l’intera federazione ma con meno risorse, l’ospite locale sarebbe in grado di
spendere parte del surplus per i propri cittadini, attraverso più posizioni lavorative
in altre aree della sua burocrazia locale più direttamente interessate alle
questioni locali.
Sia le
unità funzionali che i dipendenti pubblici che le compongono dovrebbero
apparire utili al nuovo ospite, ad esempio attraverso un “track record”
dimostrato, se vogliono che la loro area e i loro posti di lavoro sopravvivano
alla rotazione.
Un momento di potatura automatica come questo manca
nel sistema attuale, dove gli incentivi per la burocrazia centrale sono
destinati a crescere sempre di più, lasciando che il legno morto intralci i
lavori.
Distruzione
creativa è riconosciuto come una componente cruciale per garantire la continua
vitalità del settore privato.
Anche
se comporta sofferenze e inefficienza a breve termine, abbiamo bisogno di
regolari riorganizzazioni anche nel settore pubblico se vogliamo evitare il
riemergere dei peggiori problemi a lungo termine visti oggi.
Mantenere
la burocrazia in qualche modo modulare e quindi limitante l’integrazione tra
unità funzionali, è allo stesso modo una funzionalità, non un” bug”.
Le
unità modulari sono più facili da ottimizzare e più facili da mantenere onesti.
Il coordinamento tra le unità sarebbe più
difficile con un progetto modulare, ma questi problemi di coordinamento
verrebbero poi risolti attraverso il riconoscimento esplicito dei problemi
condivisi.
Il
dibattito aperto e le iniziative aperte sostituirebbero gli Invogliamenti del
nodo gordiano che abbiamo in questo momento che rendono la corruzione così
difficile da identificare e annullare.
La federalizzazione del sistema centrale stesso,
attraverso la suddivisione e la rotazione delle aree funzionali attorno alle
sedi degli Stati membri, costringe a deliberare apertamente le soluzioni ai
problemi di coordinamento a livello centrale.
Costringerebbe sia il servizio pubblico che i
cittadini a essere più maturi riguardo alle vere difficoltà della burocrazia,
premiando coloro che portano meno slogan accattivanti e più pragmatismo e
tolleranza. Promuoverebbe il valore dei generalisti interni rispetto a quelli
dei media.
Questo
sistema avrebbe anche bisogno di un meccanismo integrato per impedire al
governo centrale di ottenere il controllo diretto sulle risorse al di fuori
della frammentata burocrazia centrale – ad esempio sui fondi di guerra degli
enti di beneficenza o sui finanziamenti dei gruppi di ricerca universitari.
La nostra proposta è che tutte le aree
funzionali abbiano il potere di esigere il controllo su tutti i fondi extra- governativi
che i politici centrali riescono a usurpare e dirigere, anche se tale
usurpazione viene ottenuta tramite organizzazioni private create dai donatori.
Per
renderlo operativo sarebbe necessario un tribunale amministrativo che giudichi
quale delle aree funzionali riceve i fondi identificati.
Ci
auguriamo che questa capacità di avventarsi sul denaro extra-governativo possa
creare un forte incentivo per le numerose aree funzionali a tenere sotto
controllo le risorse controllate direttamente o indirettamente dai politici
centrali.
Per funzionare, sarebbe importante non
consentire eccezioni alla regola secondo cui non possono esserci fondi segreti
o speciali, soprattutto non per ragioni di “sicurezza nazionale” o di
“emergenza”, perché altrimenti tutta la corruzione verrebbe incanalata
attraverso scuse come è successo con il “Covid”.
Le
nostre specifiche progettuali escludono la necessità di una grande capitale:
non
esisterebbe alcun luogo fisico in cui i principali ministeri abbiano tutti le
loro sedi centrali, concentrando potere e lobbisti.
Tuttavia,
in uno o forse due posti potrebbero esistere parlamenti e uffici esecutivi del
governo centrale pieni di politici eletti e in grado di ospitare diplomatici in
visita all’estero.
Ma la
dimostrazione di autorità centrale a Washington DC e nelle sue città analoghe
in tutto l’Occidente si trasformerebbe in qualcosa di molto più modesto di
quanto non sia adesso.
Tutto
il supporto di “back-office” e gli strumenti integrati nei vari dipartimenti
dello “Stato profondo” sarebbero localizzati altrove.
Immagina
cosa potresti fare con quella proprietà immobiliare in “Independence Avenue”.
Anche
la sicurezza e le macchinette del caffè che circondano gli uffici del governo
esecutivo verrebbero organizzati e decisi da uno dei ministeri, situato in uno
degli Stati membri lontano dalla sede parlamentare centrale, con forti
incentivi a mantenerlo efficiente e piccolo.
I
politici centrali continuerebbero ad avere un grande potere, in particolare sul
bilancio e sulle leggi che riguardano tutti i cittadini della federazione,
semplicemente perché la popolazione ha bisogno che queste decisioni siano
decise dai rappresentanti.
Tuttavia,
i cittadini e gli Stati membri avrebbero un controllo molto più diretto su
tutti gli strumenti che i politici avrebbero a loro disposizione.
La “gente
del posto” potrebbe diventare “un ladro”?
Ci si
potrebbe preoccupare che in un sistema del genere, i politici e i burocrati
locali possano saccheggiare e indirizzare male le risorse che il centro invia
loro da spendere.
Riteniamo
che questo rischio sia inferiore a quanto potrebbe sembrare, per i seguenti
motivi.
Nel
nostro sistema a rotazione, ogni Stato membro amministrerebbe le spese centrali
dell’intera federazione per quanto riguarda un solo settore, come l’istruzione,
mentre gli altri singoli Stati membri amministrerebbero altri importanti
settori centrali pertinenti all’insieme, come la difesa, la sanità, la standard
di sicurezza alimentare, tassazione e parchi nazionali.
Finché
ha senso essere in federazione insieme agli altri Stati membri, esiste un
incentivo economico e politico affinché ogni Stato sia ragionevole
nell’erogazione dei fondi.
Inoltre il bilancio resterebbe soggetto al
controllo centrale e quindi indirettamente al controllo dell’intera
popolazione.
Se uno
Stato membro si comporta male, la popolazione nel suo insieme può reagire,
modificando i budget.
Un’altra
preoccupazione è che i dipendenti pubblici che lavorano per un’area centrale,
ma fisicamente posizionati in un particolare Stato membro e che lavorano
direttamente sotto i cittadini fedeli a quello Stato, avrebbero essi stessi
delle lealtà divise.
Il denaro e lo scopo del loro lavoro sono
servire il tutto, mentre gli incentivi del loro capo e l’etica nella loro
posizione fisica sono servire lo stato locale.
Consideriamo
ancora una volta questo come una caratteristica, non un bug, poiché è proprio
questa tensione che renderebbe difficile l'emergere di un nuovo Leviatano
centrale.
Per
funzionare bene, l’intero sistema necessita e genera fiducia tra gli Stati
costituenti, una fiducia nata e mantenuta da interessi comuni.
Col tempo, la rotazione e la dipendenza
reciproca insita in questo sistema dovrebbero promuovere una cultura di
cooperazione efficiente. Funzionerebbe un po’ come una comunità di famiglie, in
cui ciascuna famiglia, a rotazione, si assumerebbe compiti particolari
vantaggiosi per l’insieme.
Naturalmente
sorgerebbero alcune difficoltà, compresi casi di capi locali che abusano del
loro potere, ma quei capi sono in ultima analisi responsabili nei confronti
delle popolazioni locali che hanno un incentivo a mantenere buone relazioni con
i cittadini dell'intera federazione.
Solo se le popolazioni locali non vedessero
più l’utilità di far parte del tutto, questo crollerebbe, ed è giusto che sia
così:
un’altra caratteristica, non un bug.
Questa tensione mantiene il sistema in
tensione, costringendo ad una pratica di cooperazione tra gli Stati membri e ad
una continua ricerca di interessi comuni.
Se
davvero non ci fosse più un interesse comune a rimanere una federazione, allora
la federazione andrebbe e dovrebbe crollare in un grande esempio di distruzione
creativa, per far posto all’emergere di una struttura organizzativa
sovrastatale più adatta.
La
rottura sarebbe comunque dolorosa, perché all’improvviso ogni Stato che volesse
separarsi dovrebbe fare tutto ciò che gli altri Stati fanno per lui, sostenendo
un costo immediato elevato. Un'altra caratteristica, e una con l'altra analogia
con le famiglie.
Verso
un nuovo federalismo per l’era digitale.
La
nostra nuova proposta di federalismo è particolarmente adatta all’era moderna.
Nei secoli precedenti, prima di Internet e
della comunicazione video istantanea, di alta qualità e a lunga distanza,
sarebbe stato impossibile federare la burocrazia centrale in questo modo.
La condivisione delle informazioni, la
discussione, la risoluzione dei problemi e il coordinamento tra le unità
burocratiche centrali e tra queste e i politici centrali sarebbero stati quasi
impossibili.
Ci
sarebbero volute settimane perché un politico o un funzionario pubblico facesse
un giro di tutte le aree funzionali di tutti gli Stati membri.
L’enorme quantità di coordinamento necessaria
per gestire una grande burocrazia avrebbe impedito l’abbandono della
co-ubicazione.
L’opportunità
che stiamo delineando di poli-centralizzare il livello più alto di governo è
resa possibile grazie alla nuova tecnologia attraverso la quale il
coordinamento tra molte unità profondamente collegate e situate in luoghi
diversi è diventato molto più semplice, e persino comune.
Anche
il controllo da parte di politici e aziende sui flussi di informazione, reso
possibile su scala estrema dalla moderna tecnologia delle comunicazioni e dalle
società mediatiche monolitiche che essa genera, è un aspetto direttamente
affrontato nella nostra proposta.
Dopo un periodo di adattamento ai requisiti
democratici diretti del nuovo sistema, il frequente coinvolgimento dei
cittadini nella gestione dei media, degli Stati membri e della federazione
diventerebbe normale, il che nel tempo creerebbe una cittadinanza più attiva e
informata.
I cittadini sarebbero mobilitati per difendere
i propri interessi in misura molto maggiore e in modo più efficiente di quanto
lo siano attualmente.
Per
quanto la nostra proposta rappresenti un cambiamento, alcuni aspetti di ciò che
accade oggi continuerebbero.
La
divisione delle responsabilità tra il governo centrale e i governi dei singoli
Stati membri rimarrebbe soggetta alla “politica normale”.
Entrambi
cercherebbero perennemente più risorse sotto il loro controllo, competendo tra
loro e con i cittadini.
I
fattori che spingono contro queste spinte espansionistiche sarebbero però molto
più potenti di quanto lo siano ora, attraverso le attività del “quarto potere”
e attraverso l’architettura e la logistica del sistema policentrico.
Il
perfezionamento e l’adattamento di questo sistema di federalismo policentrico
necessitano di strutture proprie, che richiedono un’attenta analisi dei sistemi
policentrici esistenti, come in Svizzera, che ha mantenuto il suo federalismo
sostanzialmente intatto.
Alcune
domande di progettazione eccezionali includono quanto segue:
La
dimensione dell'area funzionale centrale assunta da un dato Stato membro
dovrebbe corrispondere all'incirca alla dimensione stessa di quello Stato, se
non altro perché Stati molto piccoli potrebbero non avere la capacità
amministrativa di farsi carico di porzioni molto grandi della burocrazia?
Ciò
potrebbe essere ottenuto attraverso la stratificazione basata sulle dimensioni
del meccanismo di assegnazione randomizzata.
(Aspetti negativi:
il
Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti probabilmente non avrebbe mai sede
in Idaho.
Aspetti
positivi:
la competizione tra la burocrazia locale di
uno stato membro e quella dell’area centrale che ospita in un dato anno sarebbe
più paritaria.)
I capi
di ciascuna area funzionale centrale dovrebbero essere autorizzati a recarsi
alla sede parlamentare centrale?
(Aspetti negativi:
sarebbero più facilmente in grado di colludere
con i politici eletti e” Big Money” contro gli interessi della gente.
Aspetti positivi:
le
attività congiunte tra i politici e la burocrazia centrale sarebbero più
efficienti.)
Sei un
pragmatico politico veramente interessato a trasformare il Titanic delle
moderne strutture di potere parassitarie occidentali e a contribuire a
progettare una versione più robusta, snella e reattiva del federalismo per
prendere il loro posto nel futuro?
Se è
così, vorremmo che ti impegnassi con le tue idee, organizzare conferenze
riguardo questo argomento, e provare le cose a livello locale.
Quando
le nostre società saranno veramente pronte per le riforme, il movimento per la
restaurazione non potrà permettersi di tenere in mano una cartella vuota di
progetti.
Il momento per pensare seriamente al design è
adesso.
(Questo
articolo è stato pubblicato per la prima volta dal Brownstone Institute)
Il
nostro vincitore dell'Anno e dell'Ordine dell'Australia avrebbe dovuto essere
esaminato su questo testo prima di essere lasciato avvicinare a un registro degli
ordini pandemici.
Scienceandfreedom.org
– (5 – 2 -2024) – Redazione - J. Scott Armstrong e Kesten C. Green –
ci dicono:
Il
metodo scientifico: una guida per trovare conoscenze utili.
J.
Scott Armstrong e Kesten C. Green sono coautori di un libro che dovrebbe essere una
lettura obbligatoria per tutti i "Chief Health Officer" statali e federali, quei
funzionari burocratici che non avrebbero mai dovuto essere spinti a sbattere le
palpebre davanti alle telecamere per fare il lavoro sporco.
È un
lavoro da “Premier e Primi Ministri” incapaci.
Con
l'aiuto di una serie di semplici liste di controllo descritte e spiegate nel
libro, sarebbero stati in grado di dire che il consiglio di evitare di toccare
il pallone se viene calciato in tribuna era qualcosa che solo un pazzo
certificato avrebbe potuto suggerire;
invece, Nicola Spurrier, responsabile della sanità pubblica
del South Australia, ha ripetuto quel “consiglio”.
Intendiamoci,
anche lei ha consigliato a Babbo Natale di essere quadruplicato.
Ricopre
ancora questo incarico. Chi è il pazzo?
Lettura
del “Il metodo scientifico”:
una
guida per trovare conoscenze utili' è come guardare i replay di un collasso in battuta, gemendo per gli
errori basilari mentre la palla naviga tra la mazza e il pad - che qualsiasi
allenatore junior di cricket ti dirà che dovresti essere vicini - per colpire
il moncone centrale ancora e ancora.
Gli esempi forniti in questo lavoro esaustivo sui modi
in cui gli studi scientifici e le riviste sono vittime di errori e pregiudizi
evitabili continuano ad arrivare, rendendo la lettura che fa riflettere.
In
quanti modi diversi la “scienza” può andare storta?
Circa tanti modi quanti ci sono per essere
licenziati nel cricket, e poi alcuni.
Il
libro è stato pubblicato per la prima volta nel 2022.
Dato l’ambiente ricco di obiettivi che ha
rappresentato la totale calamità dell’era Covid, gli autori hanno mostrato notevole
moderazione nella scelta degli esempi di fallimento nel seguire “il metodo
scientifico”.
Non
sono riuscito a trovare un solo esempio che faceva riferimento alle assurdità e
alle atrocità che ci furono subite in quel periodo, apparentemente sostenute
dalla "scienza".
Sai,
la "scienza" che dice che 6 piedi di distanza sono ok;
che
alzarsi per bere va bene ma sedersi no;
che a
un autista principiante dovrebbe essere impedito di esercitarsi e a un genitore
morente dovrebbe essere negato conforto;
che il coprifuoco alle 8: XNUMX aveva senso.
Probabilmente è meglio così, altrimenti il
lavoro potrebbe essere considerato un lavoro polemico, gli autori denigrati
come teorici della cospirazione, e molte informazioni preziose in tal modo
andranno perdute per le future generazioni di aspiranti scienziati e per coloro
che hanno bisogno di agire o ignorare, i loro risultati.
Avendo
evitato questa trappola, l’opera si pone al di sopra dell’idiozia e
dell’incoscienza delle persone al potere in quel periodo e si posiziona come
una guida senza tempo sul modo in cui le cose dovrebbero essere fatte.
I
principi enunciati così chiaramente nel libro meritano di essere memorizzati da
coloro che hanno il compito di governare e da coloro il cui compito è sfidare i
governatori.
Gli autori riassumono:
Abbiamo
concluso che gli elementi chiave del metodo scientifico – così come derivano
dalle parole di scienziati famosi e pionieristici – potrebbero essere riassunti
da otto criteri:
Studia
problemi importanti.
Basarsi
sulle conoscenze precedenti.
Fornire
un'informativa completa.
Utilizza
disegni oggettivi
Utilizzare
dati validi e affidabili.
Utilizzare
metodi semplici e validi.
Utilizzare
prove sperimentali.
Trarre
conclusioni logiche.
Con le
ricadute della risposta Covid che ancora piovono sulle nostre orecchie, pochi
paragrafi dopo gli autori notano:
Riteniamo
che il supporto di meta-analisi di studi oggettivi che siano collettivamente
conformi tutti gli otto criteri per la scienza sono necessari per una politica
razionale.
Il
requisito è particolarmente importante per le leggi e i regolamenti
governativi, perché implicano la costrizione piuttosto che le transazioni
volontarie.
Nel
caso dell'esperienza di “Victoria”, sarebbe stato bello, e convenzionale, se il
piano pandemico preesistente fosse stato la base per osservare il criterio
numero 2, "costruire sulla conoscenza precedente".
Invece,
esercitando allegramente il potere della “coercizione”, l’allora “Chief Health
Officer” annunciò
una misura dopo l’altra che sfidava ogni spiegazione razionale.
Ha persino ignorato la "conoscenza pregressa" sotto forma di un articolo di
cui lui stesso è stato coautore.
Questo
articolo, pubblicato nel 2001, “Gli anestesisti devono indossare mascherine chirurgiche in
sala operatoria”?
Una
revisione della letteratura con raccomandazioni basate sull’evidenza, include
la dichiarazione "Le prove a favore dell'interruzione dell'uso delle mascherine chirurgiche
sembrerebbero essere più forti delle prove disponibili a sostegno del loro uso continuato".
Per qualche ragione, 20 e passa anni dopo, lo stesso
uomo, ora mascherato da “CHO”, emanò ordini pandemici secondo cui i vittoriani
che camminavano su una spiaggia spazzata dal vento in una tempesta di 30 nodi
avrebbero infranto la legge se non lo avessero fatto.
Avere
uno straccio sporco legato al viso.
Se solo avesse letto questo libro.
Lo
scopo del libro comprende i problemi della "scienza della difesa", le
recensioni delle riviste, il coinvolgimento del governo, la regolamentazione,
come decidere se una carriera scientifica fa per te, come orientarsi in un
programma di dottorato e come diffondere i risultati con successo.
Questa è una guida pratica, che spiega come
strutturare un documento e come preparare un discorso.
Se dovessi scrivere un articolo, vorrei questo
libro al mio fianco.
Immaginiamo
che tutti gli orrori della risposta al Covid siano alle nostre spalle.
Questo libro è una guida preziosa per quegli
scienziati che sono genuini nei loro sforzi per dare un contributo reale alla
condizione umana.
Fornisce
consigli razionali e saggezza basata sull’esperienza agli scienziati in erba
che cercano di farsi pubblicare, pur mantenendo una posizione etica.
Fornisce
una guida pratica per gli studenti che valutano se hanno l'attitudine per una
carriera scientifica.
Sarebbe
un potente trucchetto per un politico che cerca di evitare di essere indotto ad
accettare politiche che si rivelano disastrose.
Lungo il percorso educa tutti i lettori sui modi in
cui la vera scienza può essere corrotta e su come evitare quelle trappole e gli
errori di base.
Immaginate
se ai bambini della scuola primaria venissero introdotti i criteri per una
buona scienza.
Immagina se l'uomo e la donna comune della strada
avessero familiarità con i principi della buona scienza spiegati in questo
libro.
Immaginate
se i reporter dei quotidiani e delle TV venissero assunti solo se potessero
dimostrare padronanza di queste idee.
Immaginate inoltre, un ultimo salto di fantasia, che i
giornalisti fossero disposti a sottoporre le dichiarazioni politiche dei
parlamentari a un interrogatorio sul grado in cui le politiche erano basate su
ricerche conformi ai principi.
Immaginate
che gli editori pubblicassero, anziché censurare, la presa in giro del pubblico
nelle pagine delle lettere del giorno successivo.
Penso che avremmo una classe dirigente molto
meno disposta a rischiare la mano con stronzate arroganti, sapendo che il
mattino dopo sarebbe stata uno zimbello.
Questo
libro potrebbe facilmente costituire la base di un corso universitario di un
semestre sul metodo scientifico.
Per lo
meno, attorno a questo libro come testo si potrebbe facilmente costruire una
serie di seminari per studenti delle scuole superiori che aspirano a una
carriera scientifica.
Forse
è da lì che dovremmo cominciare.
Gioca
a lungo. Insegna ai bambini.
Insegnare
i principi, le basi.
Come
tenere la mazza vicino agli assorbenti.
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