La transizione verde nella “UE” è fallita

 

La transizione verde nella “UE” è fallita.

 

 

 

LOLLOBRIGIDA “POLITICA

AGRICOLA UE DA CAMBIARE.”

Paviaunotv.it – Italpress – Redazione – (15-2-2024)

 

ROMA (ITALPRESS) – “Vogliamo un’agricoltura meno subordinata all’ambiente, o meglio, all’ideologia ambientalista.

 Perché laddove c’è attività agricola, anche attività agricola industriale, c’è un profondo rispetto dell’ambiente e tutela del territorio”.

 Lo dice il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, “Francesco Lollobrigida”, in un’intervista al “Sole 24 Ore”.

“Dobbiamo chiarire a Bruxelles che l’agricoltura non è un nemico dell’ambiente ma ne è il principale alleato.

 E nel corso dell’ultima legislatura “Ue” non è stato così.

 Prova ne è la “riforma Pac” che a parità di budget rispetto al passato ha introdotto vincoli ambientali irraggiungibili o ingestibili sul piano burocratico”.

Con l’effetto di provocare un taglio degli aiuti agli agricoltori in media del 40 per cento.

Taglio che è alla base, molto più della mancata esenzione Irpef , delle proteste andate in scena in queste settimane.

 L’attenzione all’ambiente è stata l’architrave della Commissione in scadenza:

“Noi – osserva sotto questo riguardo il ministro – confidiamo nelle prossime elezioni.

Se dovesse spuntarla una coalizione di centro destra, come mi auguro, cambieremo in profondità questo assetto.

 I temi della tutela dell’ambiente non sono in discussione.

Ma lo saranno i tempi.

E soprattutto lo sarà il concetto di una sostenibilità ambientale completamente slegata dalla sostenibilità economica.

 Non possiamo immolare alla transizione green interi settori produttivi”.

Per Lollobrigida bisogna iniziare “dalla riforma Pac” che va profondamente rivista perché il suo primo anno di applicazione è stato un fallimento.

 Le norme “Ue” ci consentono di chiederne la revisione e di introdurre correttivi sostanziali.

La “Pac” che ci siamo trovati e sulla quale non abbiamo avuto alcuna voce in capitolo è stata immaginata prima del Covid e prima delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

Un’era geologica fa.

 Un mondo nel quale era ancora vivo e vegeto il “Wto” e se c’era bisogno di una” commodity agroalimentare” la si poteva reperire sul mercato internazionale spesso a costi più bassi di quelli necessari per produrla”.

Da parte degli agricoltori, dice” Lollobrigida” a” La Stampa”, ci sono “manifestazioni in tutta Europa, in Germania ci sono centomila trattori in piazza.

 Domani vedremo quanti saranno qui.

 L’ “Irpe”f non è certo la richiesta principale di chi protesta, la partita vera è europea”.

(ITALPRESS).

 

 

 

 

Il Green Deal può fallire

su sostenibilità e autonomia

Eunews.it – (26 settembre 2023) – Emanuele Bonini – ci dice:

Uno studio dell'Europarlamento mette in luce una volta di più le incognite di un'agenda politica che vede l'”Ue” in forte difficoltà.

Investimenti privati non sicuri, e una corsa geopolitica in cui l'Europa rischia di rimanere schiacciata.

Bruxelles – Il Green Deal tra voglia di riuscire e il rischio di fallire.

 La” Commissione Von der Leyen” ha voluto imprimere un forte tratto al proprio mandato attraverso un’agenda che si rivela sempre di più una vera e propria scommessa.

 A legislatura ormai agli sgoccioli, c’è chi avverte:

 i due obiettivi di sostenibilità e autonomia strategica potrebbero non essere raggiunti.

È il centro studi e ricerca del Parlamento europeo a tracciare un bilancio, sia pur provvisorio ma comunque esplicativo, di una situazione dove l’”Ue” potrebbe uscirne tutt’altro che vittoriosa.

 

“Economia più verde e Ue più autonoma non sempre coincidono”, la premessa.

Cui segue la precisazione:

 “Mentre la Commissione sottolinea la sinergia tra questi obiettivi, questo è solo uno dei possibili scenari per il futuro dell’Ue”.

 Che però potrebbe essere molto diverso.

 “Concentrarsi esclusivamente sull’ecologizzazione o sull’autonomia sono scenari ugualmente praticabili, così come lo è la possibilità di non raggiungere nessuno di questi obiettivi”.

 

Sul fronte della sostenibilità il vero punto interrogativo è rappresentato da costi e risorse.

 I primi sembrano troppi, le secondo insufficienti.

 Le stime dell’esecutivo comunitario, senza considerare l’inflazione, dicono che servono 520 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi all’anno per i prossimi dieci anni solo per” la transizione climatica”, e 130 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi per “la transizione digitale”.

“Non è chiaro in che misura il settore privato, confrontato con un’inflazione elevata, prezzi energetici elevati e una forte concorrenza, sarà in grado di fornire i fondi necessari” per tradurre il “Green Deal europeo” e i suoi obiettivi in realtà, avverte il documento.

Del resto la questione, viene ricordato, è stata sollevata anche dalla Corte dei conti europea.

I revisori di Lussemburgo, pronunciandosi in merito al raggiungimento degli obiettivi per il 2030 (taglio netto delle emissioni di gas a effetto serra del 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990), ha sottolineato che “finora abbiamo trovato poche indicazioni che gli ambiziosi obiettivi dell’Ue per il 2030 si tradurranno in azioni sufficienti“, e questo si spiega col fatto che “non ci sono informazioni secondo cui saranno messi a disposizione finanziamenti sufficienti per raggiungere gli obiettivi del 2030, in particolare da parte del settore privato”.

Le scelte in materia energetica dell’Ue seguite alla guerra russo-ucraina e le sue conseguenze hanno aggiunto anche un ulteriore elemento di criticità.

 Nella fretta e nella necessità di liberarsi dalla morsa del Cremlino e del suo fornitore di gas, l’Unione europea si è consegnato a Washington. “Mentre l’Ue ha ridotto drasticamente la sua dipendenza dalle importazioni di gas russo, ha sostanzialmente aumentato la sua dipendenza dalle importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) statunitense”.

Il risultato è che “l’Europa è diventata la principale destinazione delle esportazioni di “Gnl statunitense”, superando l’Asia”.

 

Per gli analisti dell’europarlamento, “anche se la dipendenza dagli Stati Uniti non può essere considerata un rischio per la sicurezza, costituisce comunque un rischio economico, dato il prezzo sostanzialmente più alto del” Gnl americano” rispetto al gas russo”.

Tutto ciò ha il potenziale di produrre un riposizionamento dell’industria, e di chi è chiamato a investire.

 Perché “i prezzi dell’energia strutturalmente elevati non solo fanno aumentare l’inflazione, ma possono anche indurre le industrie a delocalizzare in paesi con energia più economica, portando a una deindustrializzazione dell’Europa”.

L’Europa che cerca di rilanciare la sua industria potrebbe addirittura perderla.

La sostenibilità è tutta da dimostrare, ma l’autonomia strategica non è meno in discussione.

Allo stato attuale permane il “rischio di dipendenza economica dalla Cina per l’importazione di materie prime critiche”.

Al momento l’Ue non può fare a meno della Repubblica popolare per queste materie prime fondamentali che sono “essenziali per le tecnologie verdi, come la produzione di pannelli solari, turbine eoliche e batterie”.

Poi c’è la nuova dipendenza energetica dagli Stati Uniti mostra i limiti dell’Ue.

È proprio sul partner transatlantico che si pone l’accento nel documento di lavoro dell’europarlamento.

Sulla capacità di trasformare il sistema produttivo in un sistema sostenibile e a basse emissioni di CO2, e sulla possibilità di essere autonomi nelle proprie azioni pesa il contesto geopolitico, che “non significa solo che l’Ue deve affrontare una Russia aggressiva e una Cina decisa”.

L’Ue deve anche fare i conti con “una concorrenza geo-economica più forte da parte degli Stati Uniti”, che stanno rafforzando la propria base industriale e “proteggendo le tecnologie di prossima generazione”.

La partita della “green economy” l’Ue rischia dunque di perderla con il resto del mondo, anche con quella parte ‘amica’, e a causa di criticità strutturali tutte europee legate a società e mondo del lavoro.

 Perché sullo sfondo rimane la questione di un mercato del lavoro da riformare con manodopera sempre più difficile da reperire a causa dell’invecchiamento della popolazione che “genera meno tasse sul reddito per i governi”, e quindi “le tasse verdi e gli investimenti privati dovranno colmare il gap finanziario”. Investimenti che potrebbero non essere sufficienti.

L’”Ue” potrebbe dunque andare seriamente incontro a un fallimento della sua strategia.

 Perché “nonostante le ipotesi contenute nelle relazioni di previsione della Commissione” e i toni trionfalistici usati dal “team Von der Leyen” secondo cui le sfide alla transizione verde possono essere affrontate, “ci sono seri segnali che dicono che tali sfide non lo saranno”.

 Lo dimostra anche il freno politico tirato tra gli Stati membri.

Per ragioni di logiche elettorali, nazionali ed europee, Francia, Germania, Paesi Bassi, si sta considerando di mettere in ‘standby’ il Green Deal.

A rischio.

 

 

 

 

Agricoltura Bio-Illogica,

Gradi di Insofferenza e

“Green Washing.”

Conoscenzealconfine.it – (20 Febbraio 2024) – Roberto Allieri – ci dice:

 

Riflessioni per diventare verdi di bile…

Rilancio una notizia, in merito ad una tra le tante follie green:

ridurre le coltivazioni con una motivazione che esprime tutta l’inflessibilità dell’utopia green a discapito del buon senso e della realtà.

L’ennesimo stravagante diktat è:

fermare il più possibile i trattori nelle campagne.

Non per dare più produttività ai terreni come stop annuale nell’ambito di un ciclo di rotazioni pluriennali, ma permanentemente (venti anni di sospensione!), per contenere le “emissioni di CO2” che le lavorazioni agricole comportano.

 

Contributi agli Agricoltori per Non Coltivare.

In sostanza, seguendo le indicazioni degli esperti della “transizione green”, l’Europa sarebbe disposta a pagare gli agricoltori per smettere di coltivare i campi.

E magari per convertire le colture attuali in seminagioni di pannelli solari.

O in allevamenti di grilli.

 O per sostituire le stalle tradizionali in stalle sintetiche, cioè laboratori asettici dove si possono clonare e assemblare tessuti animali destinati alle catene McDonald’s e ai supermercati.

Ai politici che verranno eletti alle prossime elezioni europee che insisteranno a voler dare contributi agli agricoltori per non coltivare, proporrei invece di prendere loro quegli stessi sussidi purché smettano di fare i politici.

Quindi, tradotto in soldoni, invece di dare, per ipotesi, duemila o tremila euro al mese netti all’agricoltore che non coltiva, si dia la stessa cifra al burocrate UE che se ne stia a casa sua.

È evidente, ormai, che certi politici nullafacenti fanno molto meno danni dell’agricoltore che diventa collega in quella stessa inattività.

Fino a che Grado Possiamo Arrivare?

Ci chiedono di non mangiare carne, di andare a trenta all’ora, di usare auto elettriche, addirittura di non coltivare troppo la terra.

 Tutto questo in aggiunta a sempre più asfissianti misure per contenere le insostenibili emissioni ad effetto serra.

Poi però gli stessi governanti mandano centinaia di miliardi (di euro e di dollari) per sostenere la guerra in Ucraina o per scatenarla da altre parti.

Ma le emissioni delle bombe, degli esplosivi, delle forniture belliche (per non parlare delle esercitazioni militari della Nato o dei loro caccia che sempre più solcano i cieli, anche in territori non belligeranti) sono forse salutari per l’ambiente?

 C’è maggior pericolo nell’escalation della temperatura media del Pianeta di un grado in più nel 2050, o in quella molto più concreta ed imminente che possono comportare deflagrazioni atomiche?

Green Washing:

 a Volte si Butta Via un Ambiente Sporco con le Persone Dentro.

Lo so che lo sapete già, non è certo una novità.

Io ho scoperto circa dieci anni fa, in un dossier del Il Sole 24 Ore che ho conservato, intitolato ‘Mercanteggiando alla Borsa del clima’ (oggi introvabile in internet), che esiste un meccanismo finanziario di riciclaggio del CO2 ‘sporco’, analogo a quello mafioso del denaro sporco.

È una tecnica subdola che consente di ripulire un’immagine aziendale davanti agli eco-burocrati o agli eco-attivisti.

 In sostanza, ci sono aziende che sforano i tetti imposti dalle leggi per le emissioni di CO2 e, per continuare ad operare (magari emettendo ancora di più gas ad effetto serra), ricorrono al mercato acquistando crediti di carbonio da aziende considerate virtuose.

C’è dunque un fiorente mercato di certificati verdi, cioè di diritti ad emettere tonnellate di biossido di carbonio a fronte dell’acquisto di quote, il cui valore è regolamentato su mercati finanziari.

 Quel che è peggio poi è che le certificazioni sono controllate da enti privati e gestite a vantaggio di multinazionali, oligarchi e speculatori di ogni risma.

Ad esempio, l’”azienda Tesla”, che produce veicoli elettrici, ed è considerato modello da seguire in tema di sostenibilità industriale, viene ricompensata con “crediti green di valore spropositato”, che vengono poi messi all’asta, magari per sostenere l’avvio di centrali alimentate con carburanti fossili.

In questo squallido ed opaco mercato, chi è amico dei potenti che lo gestiscono può ammantarsi della patente di rispettoso dell’ambiente pur permettendosi iniziative ciniche e sfrontate, che di verde hanno ben poco.

Come quella che vi segnalo in questo articolo. 

Dove emerge che la presunta tutela dell’ambiente non è a vantaggio delle persone o delle generazioni presenti o future, ma è finalizzata a beneficio… dell’ambiente.

Eh, sì: leggere l’articolo per credere!

Riassumendo, abbiamo due multinazionali che, per rifarsi una verginità eco-green-sostenibile (o, in altri termini, per agevolare una transizione da nero a verde, perché loro si percepiscono così), “pretendono di sviluppare progetti green sottraendo la terra a chi ci vive da sempre”.

Cioè, vogliono riqualificare quel territorio africano con una riforestazione che spazzi via non solo le capanne ma anche un intero popolo, sfrattato perché è di troppo.

Gli alberi acchiappa-carbonio vengono prima delle persone.

Eppure quelle persone, che hanno a cuore le loro terre ben più che i filantropi occidentali, come rileva l’articolo “non tagliano gli alberi ma li salvaguardano con saggezza e amore” mantenendo inalterato l’ecosistema come è sempre stato da secoli e secoli.

“Fumus Veritatis”

Tutte queste situazioni traggono origine da una scellerata e indimostrata teoria che ossessivamente batte lo stesso tasto, arrivando sempre alle stesse conclusioni:

 troppe variazioni climatiche (come se il tempo dovesse obbedire alle nostre necessità o non fosse mai cambiato bruscamente in passato), troppa CO2 e, infine, tutta colpa di troppe persone che la producono.

La fissazione di chi ci manovra sta proprio qui:

il problema non è l’eccesso di anidride carbonica, ma l’eccesso di persone.

E l’eugenetica, la limitazione dell’uomo (neo-malthusianesimo) o il superamento dei suoi limiti (transumanesimo) sono le soluzioni.

Sempre più persone sono consapevoli della disumanità di certa ideologia green e sanno che la verità è ben altra.

Ma non basta sapere: occorre far sapere.

Se la propaganda di oggi insiste nel “seguire gli insegnamenti di Goebbels” per addomesticare l’opinione pubblica, anche chi si oppone, pur svantaggiato nella cassa di risonanza, può utilizzare la stessa strategia.

 Prendi una verità, una di quelle soffocate, censurate ovvero spacciate come menzogna.

 Ripetila cento, mille, centomila volte: diventerà una falsa menzogna.

Cioè ridiventerà una verità, ripulita da ogni mistificazione.

Ma chi sta dalla parte della verità ha un grande vantaggio.

 La verità prima o poi si afferma.

La menzogna è buio che cerca di coprire la luce.

Ma la luce è più forte: bastano pochi raggi a sconfiggere la marea di buio che avvolge una stanza.

 La menzogna non può chiudere tutti i varchi dai quali può penetrare la verità.

E poi, come dice Simenon nel romanzo “Maigret ha un dubbio”: “la verità è come il profumo del mare: lo si respira ancor prima di vederlo”.

(Roberto Allieri)

(libertaepersona.org/wordpress/2024/02/agricoltura-bio-illogica-gradi-di-insofferenza-e-green-washing-riflessioni-per-diventare-verdi-di-bile/)

Fonti Lega, anche Ppe si accorge

che Green Deal è fallimento.

Ansa.it – Redazione Ansa – (24 – 5- 2023) – ci dice:

 

(ANSA) - BRUXELLES, 24 MAG 2023.

"Il sonoro schiaffo riservato alla proposta di legge sul ripristino della natura, bocciata sia dalla commissione agricoltura che dalla commissione pesca al Parlamento Europeo, dovrebbe imporre una riflessione ai vertici dell'Ue".

Lo riferiscono fonti della Lega al Parlamento Europeo.

(Metsola, 'bocciatura norma del Green Deal frutto dubbi Paesi').

Il "ravvedimento" del Ppe, secondo le stesse fonti, "conferma ancora una volta che la cosiddetta 'maggioranza Ursula' è ormai sepolta e, in vista del 2024, fa tramontare la sconsiderata idea della sinistra che la transizione ecologica sia da portare avanti sulle spalle di imprese, lavoratori e famiglie".

"Il commissario Timmermans ascolti gli appelli che ormai provengono da più parti e si fermi, prima che sia troppo tardi - concludono le fonti - c'è chi, come la Lega, denuncia quelle scelte sbagliate fin dal primo giorno; qualcun altro sente odore di elezioni e prova a rimediare agli errori commessi fino a oggi". (ANSA).

La bocciatura della normativa sul ripristino della natura, respinta sia dalla commissione Agricoltura che dalla commissione Pesca al Parlamento europeo, "è un dato che sottolinea le preoccupazioni di alcuni Paesi".

Così la presidente dell'Eurocamera, “Roberta Metsola”, durante un punto stampa con premier lettone, “Krisjanis Kariņs”.

"Ora bisogna vedere cosa succederà tra oggi e la plenaria, ma è evidente che è un voto che rispecchia il parere delle commissioni e che va tenuto in considerazione", ha spiegato “Metsola”.

La proposta normativa “Ue” sul ripristino della natura punta al ripristino della biodiversità a tutela degli ecosistemi terrestri e marini dando la priorità a quelli con il maggior potenziale di rimozione e stoccaggio del carbonio e di prevenzione o riduzione dell'impatto di disastri naturali come le inondazioni.

 

 

 

 

I tabù dell'Europa verde,

lo scontro sul Green Deal.

  Ilfoglio.it - CHICCO TESTA – (14 LUG. 2023) – ci dice:

    

Le europee 2024 si giocheranno sull’ambiente. La sinistra sta impoverendo i suoi elettori e ha fornito alla destra occasioni per scatenare l’attacco sui costi della transizione e sulla sovranità europea invadente ed eccessiva.

 Come uscirne.

 

Sullo stesso argomento:

Perché Weber e il Ppe sono pronti a tradire Von der Leyen sul “Green deal”

 Danti” (Renew): "Il via libera alla legge sulla natura è una sconfitta sia per Weber sia per la Commissione"

 

Come era ampiamente prevedibile il” green deal” è diventato uno dei punti di scontro più accesi delle politiche europee.

 Fino a portare i Popolari fuori dalla maggioranza Ursula, salvatasi per un pelo nel voto di pochi giorni fa sul programma di rinaturalizzazione.

Ma con una ferita difficilmente rimarginabile.

Alla destra sono state fornite discrete occasioni per scatenare l’attacco con almeno due argomenti.

 I costi che la transizione europea implica per famiglie e imprese:

 la natura centralista e ultra prescrittiva di molte di queste misure che appoggiano su una sovranità europea invadente ed eccessiva.

 Proposte ovviamente nessuna.

 Sull’altro lato un populismo diverso, ma altrettanto inconcludente, ideologico, che predica la catastrofe prossima ventura e quindi la necessità di non arretrare di un millimetro.

 Anzi accelerare.

Posizionamento che non è solo dei gruppi ambientalisti più estremi, compresi gli imbrattatori di monumenti, ma anche di vari intellettuali e politici variamente orientati a sinistra.

Il clima politico si surriscalda e il merito dei problemi rischia di essere completamente trascurato.

 Con buona pace delle soluzioni possibili.

Qualcuno, per esempio la posizione ragionevole contenuta nel recente libro di “Francesco Rutelli, “Il secolo verde”, o le proposte avanzate da “Roberto Cingolani” con altri autori (Agnoli, Zollino, Dia luce, Gracceva, Macchi) nel libro che riassume anche la sua esperienza di governo (“Riscrivere il futuro”) cerca di proporre un approccio costruttivo, ma il rischio è quello di essere stritolati fra gli opposti populismi.

 Ma per inquadrare l’oggetto del contendere conviene fare un passo indietro.

“Keynes” disse una volta che quando gli economisti azzardano previsioni la scienza economica comincia ad assomigliare all’astrologia.

 Vale a dire che ha la stessa affidabilità degli oroscopi.

Per questo motivo anziché azzardare previsioni sul futuro forse vale la pena di guardare ai consuntivi.

Tre fatti.

 Da quando all’inizio degli anni ‘90 è iniziata la discussione sulla necessità di ridurre i gas serra essi sono continuati a crescere anno su anno.

Non solo:

la loro velocità di crescita è aumentata.

Ogni anno un po’ di più, con l’eccezione del periodo della crisi finanziaria (2008) e del biennio del Covid.

Dove abbiamo sperimentato la decrescita infelice abbastanza per farcela bastare.

Ma già nel 2022 si è raggiunto il picco storico di nuove emissioni.

 Secondo: i consumi di carbone in crescita nel 2022 hanno superato per la prima volta 8 miliardi di tonnellate consumate.

Terzo: i consumi di petrolio sfonderanno questo anno molto probabilmente il tetto dei 100 milioni di barili al giorno.

Tutto il contrario, un fallimento mi sembra, di una narrazione che sembrerebbe dare per vincente l’inarrestabile crescita delle fonti rinnovabili.

 Che pure avviene, ma dentro confini definiti.

 Per due ragioni.

Fra l’80 e il 90% di tutta l’energia (energia primaria) consumata nel mondo è soddisfatto dai combustibili fossili.

Lentamente, molto lentamente si riduce di qualche punto la loro percentuale sul totale.

Ma un totale che è sempre più grande, perché il consumo di energia continua a crescere.

 Quindi anche una percentuale inferiore significa quantità più grandi di petrolio, carbone, gas.

Le rinnovabili elettriche insistono solo sulla quota di elettricità che è mediamente del 20% del totale dei consumi energetici.

 E in parte maggioritaria prodotta anche essa con fossili, carbone soprattutto e gas.

Ma vi è una seconda ragione ancora più sostanziale per capire perché il mondo va come va e non come vorremmo e ci piacerebbe andasse.

 È l’immenso fabbisogno di energia di cui ancora necessita buona parte del mondo, quello in cui vivranno fra pochi anni i 4/5 dell’umanità.

Se gli Stati Uniti hanno un consumo pro-capite di 75.000 kWh (usando il kWh come unità di energia onnicomprensiva) l’Africa si attesta a 4.000. Buona parte dell’Asia e dell’America Latina stanno intorno ai 10.000.

Vogliono crescere, crescono, e per crescere ancora hanno bisogno di energia.

E il modo più facile ed economico per farlo è il ricorso alle fonti fossili, che assicurano densità energetica, continuità, disponibilità e costi contenuti.

Per rendere più chiaro il ragionamento osserviamo cosa è accaduto in Cina che spicca in Asia per l’incredibile sviluppo avuto negli ultimi decenni.

La Cina dal 2000 al 2020 ha quadruplicato i suoi consumi energetici e con questo ha conquistato il primato di primo emettitore mondiale.

 Ma ha strappato alla povertà centinaia di milioni di persone.

L’ India e il resto dell’Asia vorrebbero replicare questa storia di successo. Con quali conseguenze sulle emissioni globali è facile immaginare.

 Ma chi glielo può vietare? 

Sono sempre di più i leader di questa parte del mondo che accusano l’Europa di neocolonialismo ambientale”.

Ci volete condannare alla povertà eterna, impedendoci di usare petrolio e carbone, mentre voi avete inquinato il mondo con le vostre emissioni”.

Strano che proprio la sinistra europea, una volta internazionalista e pro sviluppo di questi paesi, non si renda per niente conto di questa contraddizione.

 Stranamente i combustibili fossili, la stragrande maggioranza dell’energia consumata nel mondo ed in crescita continua, non compaiono mai nelle discussioni se non per la richiesta di vietarne l’uso.

È quindi un bene che la prossima COP si tenga a Dubai.

Forse sarà l’occasione per fare i conti con serietà anche con le fonti fossili.

Torniamo quindi in Europa e agli opposti populismi, demagogia contro ideologia, che si confrontano.

 L’Europa con la sua transizione verde vorrebbe salvare il mondo e salvare sé stessa.

Il mondo come abbiamo visto viaggia su altre lunghezze d’onda e non è certo l’Europa con il suo 8/9% di emissioni totali che può fare la differenza.

 Ma i sostenitori della strada scelta usano un altro argomento.

La transizione può costruire in Europa un altro modello di sviluppo capace di assicurare crescita, innovazione, occupazione.

Un’occasione da non perdere.

C’è del vero, a parte l’uso infelice e vagamente iettatorio dell’espressione “modello di sviluppo”, ma solo se queste indicazioni vengono implementate con un po’ di saggezza e la necessaria gradualità.

Visto che non saremo noi a salvare il mondo cerchiamo di dare il nostro contributo anche guardando ai nostri interessi.

 Intanto tutte le proposte avanzate dalla “Ue latitano di studi approfonditi sulle conseguenze economiche.

Incredibile ma vero.

 I vari dossier quasi mai presentano analisi esaurienti.

Anzi spesso non ci sono proprio.

E quando ci sono, sono redatte da società compiacenti che quasi mai ci azzeccano visto che dicono quel che la Commissione vuol sentirsi dire. Un po’ come in Italia con gli studi sui benefici del super bonus 110 commissionati dai costruttori e sbugiardati dal Mef.

Ci sono certamente campi promettenti, sviluppo delle rinnovabili per esempio, recupero almeno parziale del gap su batterie e auto elettriche, efficientamento degli edifici.

 Ma tempi e modi non sono secondari.

 Pretendere per guardare all’Italia che si efficientino milioni di edifici in pochi anni o che si stravolgano le buone pratiche di riciclaggio ottenute in Italia (siamo i primi riciclatori d’Europa) per modificare con scarsi benefici tutte le norme sugli imballaggi.

O attaccare frontalmente l’agricoltura europea imponendo standard impossibili nell’ uso di fitofarmaci e pesticidi.

 Puro autolesionismo economico e politico.

 Un discorso a parte meriterebbe il futuro dell’industria automobilistica. Per il momento limitiamoci ad osservare che il mercato delle batterie è saldamente in mano cinesi e che aumentano le importazioni di auto elettriche dalla Cina.

Secondo i dati di TERNA per raggiungere gli obbiettivi stabiliti dalla UE al 2030 l’Italia dovrebbe immatricolare 8 milioni di auto “full electric” più un paio di milioni plug-in entro il 2030.

 L’anno scorso si sono immatricolata in Italia 1.300.000 automobili in totale con meno di 50.000 full electric.

Ma a Bruxelles qualcuno sa fare i conti?  

Che fare quindi?

Forse la Commissione dovrebbe rallentare anziché accelerare a testa bassa.

Come richiesto per esempio dal Presidente francese Macron, spaventato dall’idea di dovere avere a che fare dopo i gilet gialli anche con gli agricoltori francesi e i proprietari di casa.

Come dire un’autostrada aperta a destra.

Rallentare per mettersi in sintonia con il mondo. 

 

La transizione è una cosa seria.

Comunque la si pensi, non c’è bisogno di evocare la fine del mondo ogni due minuti, un mondo più pulito serve a tutti e riuscire ad avere una crescita economica equilibrata è un buon obiettivo.

Miliardi e miliardi di dollari e di euro vengono investiti ogni anno nella ricerca di quei salti tecnologici che hanno cambiato e cambieranno il mondo.

 Sarà una corsa lunga e durerà probabilmente non qualche decennio ma molto di più se vorrà non limitarsi alla Ztl del mondo, ma essere globale.

 Una condizione necessaria.

Autopunirci con assurde prescrizioni di ogni genere e imponendoci obbiettivi irrealizzabili serve solo a screditare questo immenso sforzo. Usando la ragione e un po’ di ottimismo salviamo la transizione dagli opposti populismi.

Dalla demagogia e dall’ideologia.

 

 

 

Perché il Green Deal va verso

 il fallimento (anche a causa dell'Italia).

Europa.today.it-Alessia Capasso –(19-12-2023) – ci dice:

 

Un report prevede che l'Ue non riuscirà a raggiungere gran parte degli obiettivi climatici avendo spostato miliardi su guerra e migranti. Deboli le misure sulle rinnovabili e il riciclo di materiali.

La miniera a cielo aperto di lignite di “Garzweiler” in Germania, presidiata per giorni dagli attivisti per il clima dopo aver saputo della decisione di espanderla nel gennaio 2023.

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, numerosi governi europei hanno riattivato e/o aumentato i sussidi per le fonti fossili nonostante gli impegni assunti per ridurre le emissioni di gas serra.

L'Unione europea "molto probabilmente" non riuscirà a raggiungere gran parte dei suoi obiettivi climatici entro il 2030.

 La doccia fredda arriva dall'”Agenzia europea per l'ambiente”, che ha appena pubblicato un dettagliato report che analizza molteplici elementi:

dalle energie rinnovabili, alla riduzione delle emissioni di Co2, inclusa la riduzione della mole di imballaggi e rifiuti annessi.

Rispetto alle elevate ambizioni con cui era iniziato il mandato sia del Parlamento europeo che della Commissione guidata da Ursula von der Leyen, Bruxelles e i governi europei hanno arretrato su numerosi aspetti.

 Da un lato molte risorse che erano destinate a contrastare i cambiamenti climatici sono state invece riversate in altri settori, in particolare a causa della guerra in Ucraina e all'impegno per contrastare le migrazioni illegali, dall'altro commissari ed eurodeputati in quest'ultimo anno hanno deciso di cambiare rotta per ragioni puramente elettorali, sottraendosi agli impegni ambientali sottoscritti all'inizio della legislatura.

Obiettivi ambientali improbabili.

L'”Agenzia ambientale europea” sostiene che l'Ue "molto probabilmente" non raggiungerà i suoi obiettivi di consumo di energia primaria, stessa sorte per le ambizioni relative alle rinnovabili.

Gli autori hanno classificato i 28 indicatori inseriti nel report in base al livello di probabilità con cui potranno essere raggiunti entro il 2030, fissata come prima data utile per verificare cambi di rotta significativi.

 Il documento classifica ad esempio come "molto improbabile" la riduzione di emissioni di gas serra derivanti da un differente uso del suolo e dalla silvicoltura.

L'Ue si era riproposta di aumentare l'assorbimento netto di queste emissioni grazie ai pozzi di assorbimento del carbonio del settore delle foreste, prevedendo fino a 310 milioni di tonnellate di Co2 equivalente in meno entro il 2030.

 Stessa valutazione pesantemente negativa riguarda l'obiettivo di ridurre entro il 2030 i livelli di consumo di energia primaria e finale.

Secondo l'Agenzia per l'ambiente inoltre l'Ue non riuscirà a raddoppiare la percentuale di utilizzo di materiali circolari rispetto al 2020.

Male anche il contributo dell'agricoltura, dato che viene ritenuto molto improbabile l'obiettivo di coltivare il 25% delle terre agricole con il metodo biologico, ritenuto nettamente più proficuo, sia per la salute dei terreni che per la qualità dei prodotti.

Scarsi impegni per proteggere la natura.

Nella categoria degli "improbabili ma incerti" sono finiti invece numerosi obiettivi, come quelli che riguardavano una significativa riduzione delle materie prime utilizzate per realizzare prodotti consumati nell'Ue, oppure un deciso abbattimento dei rifiuti.

 Stessa sorte per tante ambizioni relative alla tutela e al ripristino della natura, come quelle che riguardano l'incremento delle aree marine e terrestri protette o la salvaguardia degli uccelli.

 Anche nel settore dei trasporti, risulta improbabile un aumento significativo dei mezzi pubblici, come bus e treni.

Gli Stati membri non sono sulla strada giusta neppure per ridurre il fenomeno della scarsità d'acqua, su cui incidono temperature estreme e siccità, ma ben poco di concreto si è deciso per mutare direzione.

Dal report emerge almeno un dato positivo:

"probabilmente" gli Stati dell'Ue saranno in grado di ridurre le emissioni di gas serra del 55% nel 2030 rispetto al 1990.

Il contributo dell'Italia al fallimento del “Green Deal”.

Alla base di quello che possiamo definire un vero e proprio "fallimento "del Green Deal c'è stato un mutamento nelle priorità dell'agenda europea.

 Innanzitutto è intervenuta all'inizio del 2022 la guerra della Russia in Ucraina, che ha drenato una larga parte delle risorse del vecchio continente, provocando effetti a catena.

Ad esempio gli autori del report hanno rilevato un aumento dei sussidi ai combustibili fossili di quasi il 120% tra il 2021 e il 2022, in risposta agli alti prezzi dell'energia determinati dall'invasione russa dell'Ucraina.

Il conflitto ha anche indotto a rinunciare, in nome di una maggiore produttività, ad alcuni importanti obiettivi del settore agricolo, come la riduzione di fertilizzanti e pesticidi.

In generale miliardi di euro sono stati dirottati verso i settori della difesa, della migrazione e della diversificazione energetica.

 Un contributo significativo a questa marcia indietro lo ha dato proprio l'Italia, sia con la pressione delle lobby agricole e dei produttori di plastica e carta sugli eurodeputati, sia con le posizioni assunte dai ministri dell'Agricoltura e dell'Ambiente del governo guidato da Giorgia Meloni.

 Insieme si sono messi di traverso rispetto ad alcune norme chiave, come la legge sul ripristino della natura, quella sugli imballaggi e il regolamento sulla riduzione dei pesticidi, miseramente arenato.

Ritorno al carbone.

Parallelamente al “rapporto dell'Agenzia ambientale”, il 18 dicembre la “Commissione europea” ha avvisato i governi dell'Ue che i loro piani di decarbonizzazione non riusciranno a ridurre le emissioni in linea con gli obiettivi dell'Ue.

"Nonostante una sostanziale riduzione negli ultimi anni, le emissioni di gas serra nette nel 2030 saranno inferiori del 51% rispetto al 1990, 4 punti percentuali in meno rispetto all'obiettivo del 55% fissato nella Legge sul clima", si legge nella valutazione.

Tra i "cattivi discepoli" individuati da Bruxelles figurano Paesi come “Germania”, “Romania” e “Croazia”, intenzionati ad utilizzare il carbone ben oltre il 2030.

 

 

 

 

"La politica energetica dell'UE

è fallita e deve essere rivista".

Intervento del Presidente Marsilio in Plenaria.

 

Regione.abruzzo.it – Presidente Marco Marsilio – (07 NOVEMBRE 2022) – ci dice:

 

"Credo che sia giunto il momento di riflettere su ciò che ha reso l'UE così debole; la nostra politica energetica ha bisogno di particolare attenzione e dovrebbe essere rivista".

 È quanto ha affermato il presidente della Regione Abruzzo e del “gruppo ECR” del Comitato europeo delle regioni, Marco Marsilio, intervenendo alla sessione plenaria del “CdR” a Bruxelles, in occasione della Settimana europea delle regioni e delle città.

“Marsilio” ha sottolineato che:

 "La direzione perseguita da diversi anni in questa politica è fallita e ci ha lasciato esposti al ricatto".

"Noi del gruppo dei “Conservatori e Riformisti europei”, sia al “Parlamento europeo” che al “Comitato delle regioni”, abbiamo cercato di mettere in guardia da questa situazione in molte occasioni", ha concluso.

 

L'Europa deve "essere all'altezza del compito che si è prefissata: dare meno attenzione alle questioni minori e concentrarsi invece sulle grandi strategie", ha aggiunto Marsilio, esortando l'UE a sostenere gli investimenti nell'energia nucleare.

"Ci vorrà tempo", ha detto.

 L'Europa sta conducendo programmi di ricerca su questo tema da molti anni.

Credo che si debbano destinare più risorse e intensificare gli sforzi, come è successo per il vaccino quando è arrivato il COVID-19".

Sull'energia "l'UE ha fallito [...] prendendo delle strade sbagliate".

"Dobbiamo muoverci rapidamente per rivedere la nostra politica energetica e sostenere la nostra transizione verde in corso con una solida politica di diversificazione delle fonti per renderci indipendenti da Paesi come la Russia e la Cina, che è una dittatura comunista", ha affermato “Marsilio”.

Il presidente dell'ECR” ha invitato l'Europa a "fare davvero un passo avanti e a proteggere i propri cittadini".

Le famiglie e le imprese "rischiano di fallire perché le loro bollette energetiche sono ormai insostenibili".

"Sono queste le cose a cui chiediamo che l'Europa risponda, presentando un'iniziativa seria ed efficace".

 

 

 

Transizione verde

“Green transition”.

Reform-support.ec.eurooa.eu – (10-1-2023) – Redazione – ci dice:

I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia enorme per l'Unione europea e per il mondo. Per superare queste sfide, l'UE ha adottato il “Green Deal europeo”, la nuova strategia di crescita che trasformerà l'Europa in un'economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva.

Il Green Deal europeo” punta a rendere l'Europa climaticamente neutra entro il 2050, rilanciare l'economia grazie alla tecnologia verde, creare industrie e trasporti sostenibili e ridurre l'inquinamento.

Trasformare le sfide climatiche e ambientali in opportunità renderà la transizione giusta e inclusiva per tutti.

La Commissione europea aiuta gli Stati membri dell'UE a progettare e attuare riforme che sostengano “la transizione verde” e contribuiscano al conseguimento degli “obiettivi del Green Deal europeo”.

Contribuisce inoltre a definire le procedure richieste nelle amministrazioni centrali e locali e a realizzare le strutture di coordinamento necessarie per l'attuazione delle politiche verdi.

INDICE.

Azione per il clima e riduzione delle emissioni.

Transizione giusta.

Sviluppo sostenibile.

Energia.

Trasporti e mobilità.

Ambiente ed economia circolare.

Ricerca e innovazione.

Rendere più verdi le finanze pubbliche e private.

Azione per il clima e riduzione delle emissioni.

L'azione per il clima è al centro del “Green Deal europeo”.

 L'UE può già vantare solidi risultati nella riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, mantenendo al contempo la crescita economica.

 Nei prossimi anni occorrerà fare ancora di più.

L'UE si è imposta di conseguire la neutralità climatica entro il 2050, invitando tutti gli Stati membri ad attuare un insieme coerente di politiche in materia di clima.

Attraverso lo strumento di sostegno tecnico la “Commissione europea” aiuta le amministrazioni nazionali a progettare e attuare riforme a sostegno delle loro ambizioni climatiche.

ESEMPI DI SOSTEGNO.

Messa a punto della politica climatica, compresi una consulenza per le strategie e i piani d'azione per il clima e un sostegno per la modellizzazione delle emissioni di gas serra.

Sostegno all'uso del suolo e alla gestione delle foreste, compresi la pianificazione urbana, le città intelligenti e la contabilizzazione e l'inventario delle foreste.

Migliore protezione delle coste e gestione del rischio di alluvioni e erosioni costiere.

Sviluppo di soluzioni ispirate alla natura per affrontare le ondate di calore, la siccità, le inondazioni e la scarsa qualità dell'aria nelle aree urbane.

Attuazione di strumenti di finanziamento nell'ambito del sistema europeo di scambio delle quote di emissione.

Sostegno alla decarbonizzazione degli impianti elettrici, compresi la progettazione di mercati e quadri normativi favorevoli alle energie rinnovabili.

Sviluppo di regimi di sostegno basati sul mercato per gli investimenti nelle energie rinnovabili e nell'efficienza energetica.

Elaborazione di piani nazionali per l'energia e il clima, compresa una modellizzazione analitica ed energetica.

Valutazione delle politiche a favore di sistemi di riscaldamento e raffreddamento efficienti sotto il profilo energetico.

Promozione degli investimenti destinati all'efficienza energetica degli edifici.

Definizione di politiche per trasporti/mobilità sostenibili e combustibili alternativi.

Rafforzamento dei trasporti per vie navigabili interne e delle linee ferroviarie ad alta velocità.

Sostenere l'attuazione della strategia nazionale ungherese in materia di clima.

Sostegno alla creazione di un quadro di monitoraggio e valutazione per le politiche in materia di clima ed energia, nonché al miglioramento delle metodologie di valutazione d'impatto ambientale (VIA).

Sostenere gli investimenti nell'energia pulita in Grecia.

Sostegno al miglioramento delle condizioni quadro per gli investimenti nell'energia pulita in Grecia, in particolare per le energie rinnovabili e l'efficienza energetica.

Aumentare gli investimenti a favore dell'efficienza energetica dell'edilizia in Ungheria.

Sostegno per l'individuazione di riforme politiche e strumenti di finanziamento per l'efficienza energetica dell'edilizia.

Migliorare la navigazione interna e il traffico nell'area del porto di Anversa.

La Commissione sta aiutando il porto di Anversa a spostare le merci dalla strada alla ferrovia e alle vie navigabili interne. L'obiettivo è ridurre il traffico stradale e migliorare la navigazione e il coordinamento delle navi nell'area portuale.

Transizione giusta.

Nell'UE l'insieme degli Stati membri, delle regioni e dei settori devono contribuire alla transizione verso un'economia climaticamente neutra. Tuttavia, la portata della sfida non è la stessa per tutti.

 Le regioni dipendenti dai combustibili fossili e dalle industrie ad alta intensità di CO2 saranno particolarmente colpite e subiranno una profonda trasformazione economica, ambientale e sociale.

La Commissione europea aiuta gli Stati membri a mobilitare risorse e ad adottare misure per garantire un sostegno mirato alle regioni e ai settori maggiormente colpiti dalla transizione.

 Inoltre, attraverso lo strumento di sostegno tecnico, la “DG REFORM” sta aiutando 17 Stati membri a definire i rispettivi piani territoriali che sono tenuti ad elaborare per poter accedere ai finanziamenti del meccanismo per una transizione giusta.

ESEMPI DI SOSTEGNO.

Valutazione delle sfide ed esigenze della transizione.

Elaborazione di un piano d'azione con una tabella di marcia delle misure necessarie per la transizione verso un'economia climaticamente neutra.

Sostegno alle consultazioni delle parti interessate al fine di raggiungere un consenso su come passare a un'economia climaticamente neutra.

Proposta di meccanismi di governance per attuare la transizione.

 

Sostenere la transizione dall'energia prodotta col carbone in Slovacchia.

Sostegno alla definizione di una strategia per il passaggio della regione dalla produzione di carbone ad altre attività economiche.

Sviluppo sostenibile.

Insieme agli Stati membri, l'Unione è pienamente impegnata ad essere in prima linea nell'attuazione dell'”Agenda 2030” per lo sviluppo sostenibile.

I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) intendono migliorare la vita delle persone e proteggere il pianeta dal degrado, per consentirgli di rispondere alle esigenze delle generazioni presenti e future.

Dal 2020 la Commissione europea ha rafforzato l'analisi e il monitoraggio del conseguimento degli OSS nell'ambito del semestre europeo.

Parallelamente, gli Stati membri stanno integrando gli OSS nel processo di elaborazione delle politiche e mettendo a punto strategie mirate per favorire uno sviluppo più sostenibile.

ESEMPI DI SOSTEGNO.

 

Elaborazione di una strategia di sviluppo sostenibile per il 2050.

Definizione di un piano d'azione per migliorare il benessere di coloro che risiedono nelle zone rurali e garantire la stabilità economica di tali zone.

Attuazione della strategia per lo sviluppo sostenibile integrando gli OSS nel processo decisionale a tutti i livelli di governo.

Coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile in Italia.

Al fine di attuare l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, nel 2017 il governo italiano ha adottato una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.

 

Energia.

La decarbonizzazione del sistema energetico è fondamentale per conseguire gli obiettivi climatici per il 2030 e 2050.

 Allo stesso tempo, occorre garantire la sicurezza e l'accessibilità dell'energia per i consumatori e le imprese.

A tal fine, gli Stati membri sono chiamati a trasformare i loro sistemi energetici in un mercato dell'energia europeo pienamente integrato, digitalizzato e competitivo, basato in larga misura su fonti rinnovabili. Oltre alle riforme normative, gli Stati membri devono agevolare e promuovere ulteriori investimenti in energia pulita e nell'efficienza energetica.

ESEMPI DI SOSTEGNO.

 

Adeguamento del quadro legislativo e regolamentare per aumentare la quota delle energie rinnovabili.

Definizione di misure politiche per promuovere l'efficienza energetica.

Progettazione di mercati dell'energia elettrica competitivi.

Rimozione degli ostacoli ai finanziamenti e ai mercati dei servizi per l'energia pulita.

Sostegno alla pianificazione strategica attraverso la modellizzazione e l'analisi energetica.

Trasporti e mobilità.

I trasporti consentono alle persone, ai servizi e alle merci di circolare liberamente all'interno dell'Unione europea. Rappresentano una pietra miliare dell'integrazione europea, poiché consentono di collegare persone di regioni e paesi diversi, e offrono un importante contributo all'economia. La domanda di trasporti continua ad aumentare con la crescente integrazione delle economie, offrendo opportunità, ma anche nuove sfide. In particolare, i trasporti rappresentano quasi un quarto delle emissioni di gas serra dell'UE e sono una delle principali cause dell'inquinamento atmosferico nelle città. Gli Stati membri stanno cercando di sviluppare soluzioni intelligenti, sostenibili ed efficienti. A tal fine, occorre mettere al primo posto gli utenti e fornire loro alternative più economiche, più accessibili, più sane e più pulite.

 

 ESEMPI DI SOSTEGNO.

Analisi delle politiche, degli strumenti economici e degli ordinamenti giuridici.

Svolgimento di analisi costi/benefici.

Sviluppo di modelli su scenari d'investimento e i relativi impatti.

Messa a punto di raccomandazioni strategiche, piani d'azione e tabelle di marcia.

Elaborazione di strategie e piani di comunicazione.

Ambiente ed economia circolare.

Secondo le stime, il degrado ambientale inciderà in modo crescente sull'attività economica. Può causare condizioni meteorologiche estreme, influire sulla salute umana e rendere meno accessibili le risorse naturali.

La tutela del capitale naturale dell'UE, la transizione verso un'economia efficiente sotto il profilo delle risorse e la protezione delle persone dalle pressioni legate all'ambiente sono priorità fondamentali del Green Deal europeo.

Gli Stati membri stanno avviando riforme per affrontare tali sfide sviluppando ulteriormente le loro politiche e strategie ambientali.

 

La “DG REFORM “sostiene le amministrazioni nazionali nell'elaborazione e attuazione di riforme che contribuiscano ad affrontare il degrado ambientale.

ESEMPI DI SOSTEGNO.

Definizione delle politiche nazionali e comunali in materia di gestione dei rifiuti.

Elaborazione di strategie e piani d'azione nazionali in materia di economia circolare.

Attuazione di strumenti per decarbonizzare le industrie.

Sostegno alla gestione delle risorse idriche e al monitoraggio dei servizi idrici.

Migliorare la gestione dei rifiuti in Grecia.

Migliorare la gestione dei rifiuti in una prospettiva di economia circolare costituisce una sfida fondamentale per la Grecia.

Gestione integrata delle zone naturali nei Paesi Bassi.

In un paese densamente popolato come i Paesi Bassi è indispensabile un approccio coordinato alla gestione dello spazio.

 

Rafforzare la normativa economica e ambientale nel settore delle acque e delle acque reflue in Romania.

Sostegno al regolatore economico rumeno affinché possa svolgere un ruolo cruciale come repertorio centrale delle informazioni sulle prestazioni e la conformità.

Ricerca e innovazione.

Le tecnologie digitali hanno un profondo impatto sul nostro modo di vivere e di fare impresa.

 Gli Stati membri devono avere la capacità di beneficiare della società sempre più digitalizzata in cui operano e di far fronte alle sfide che essa comporta.

Ciò richiede l'elaborazione di politiche e l'impiego di soluzioni innovative per dare alle imprese la fiducia, le competenze e i mezzi per digitalizzarsi e crescere.

 Una strategia sistematica e lungimirante in materia di ricerca e innovazione è indispensabile per un'economia più produttiva e verde.

 

ESEMPI DI SOSTEGNO.

Rafforzamento della cooperazione tra imprese e scienza per migliorare l'attuazione delle politiche di innovazione.

Risposta al fabbisogno di competenze negli istituti di ricerca, in particolare attraverso la condivisione delle conoscenze e delle migliori pratiche.

Miglioramento delle prestazioni innovative delle piccole e medie imprese.

Migliorare la collaborazione tra imprese e scienza in Lituania.

Per rafforzare la capacità di innovazione del paese, le autorità lituane hanno avviato una riforma in questo campo.

 

Rendere più verdi le finanze pubbliche e private.

Per realizzare l'ambizione del “Green Deal europeo” servono investimenti significativi.

 Il settore privato svolgerà un ruolo chiave nel finanziamento della transizione verde.

Sono però indispensabili strategie coerenti, quadri normativi innovativi e strumenti intelligenti.

 Anche i governi nazionali contribuiranno a finanziare la transizione inviando segnali corretti in fatto di prezzi e riorientando la spesa pubblica verso politiche sostenibili.

 Devono inoltre stimolare la domanda di beni e servizi più sostenibili attraverso appalti pubblici verdi e ridurre l'impronta ecologica dei servizi pubblici.

Un solido quadro di governance garantirà che i politici siano responsabili nei confronti delle generazioni future.

 

Per affrontare queste sfide, la “DG REFORM” sostiene gli Stati membri nei seguenti settori:

bilancio verde e tassazione ecologica;

appalti verdi;

finanziamenti e investimenti sostenibili.

ESEMPI DI SOSTEGNO.

Rafforzamento degli investimenti pubblici verdi.

Revisioni della spesa e delle agevolazioni fiscali delle politiche verdi e non rispettose dell'ambiente ("grigie") nei quadri di bilancio.

Progettazione di una tassazione verde e del relativo impatto.

Attuazione di orientamenti europei in materia di bilancio verde.

Elaborazione di un piano d'azione sulla finanza sostenibile destinato agli Stati membri e agli istituti nazionali di promozione.

Attuazione di quadri in materia di obbligazioni verdi sovrane.

Portare avanti la riforma fiscale ambientale in Italia

Sostegno per la riforma delle sovvenzioni dannose, la tassazione ambientale e una più ampia riforma fiscale.

Bilancio e gestione finanziaria sostenibili in Irlanda.

Il quadro irlandese per la programmazione di bilancio basata sulla performance va migliorato per consentire attività di bilancio e rendicontazione sostenibili.

Piano d'azione sulla finanza sostenibile per la banca nazionale spagnola di promozione - Instituto de Crédito Oficial (ICO)

La Commissione ha sostenuto la banca nazionale spagnola di promozione (ICO) nell'elaborazione di un piano d'azione strategico per il finanziamento diretto di attività e progetti più sostenibili (verdi e sociali).

Piano d'azione sulla finanza sostenibile per la Lituania.

Sebbene la Lituania sia attiva nel campo della finanza verde, l'attuale livello dei capitali raccolti per questo tipo di investimenti non è sufficiente a lungo termine.

 

 

Il fallimento della riforma del “sistema ETS

 del Parlamento europeo” è una grave

 battuta d'arresto per gli sforzi di

“decarbonizzazione industriale.”

    Catgf.us.it – (8 giugno 2022) – Redazione – ci dice:

 

BRUXELLES - Il Parlamento europeo non è riuscito oggi a trovare un accordo in plenaria sulla revisione del sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) dell'UE.

Dopo l'adozione di emendamenti volti a indebolire alcuni aspetti chiave della relazione presentata dalla “Commissione per l'ambiente”, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI), la maggioranza degli eurodeputati l'ha respinta e ha rinviato il dossier alla Commissione. 

 

"Data l'importanza di questa legislazione, un mancato accordo è certamente meglio di un cattivo accordo", ha dichiarato “Alessia Virone”, Direttore Affari UE di Clean Air Task Force.

"Tuttavia, i tentativi di annacquare la relazione ENVI e la rottura sul sistema ETS in plenaria mettono in discussione le ambizioni generali del Parlamento europeo in materia di clima". 

 

Il sistema ETS è la pietra miliare della legislazione europea sul clima.

La combinazione di una forte revisione dell'ETS con un meccanismo di aggiustamento delle frontiere per il carbonio (CBAM) ben progettato ha il potenziale per ridurre le emissioni dei beni che l'Europa produce e importa, creare condizioni di parità per i produttori europei a basse emissioni di carbonio e stimolare la domanda e l'offerta di prodotti industriali puliti. 

Il fatto che il Parlamento non abbia potuto approvare la relazione dell'ENVI è un segnale negativo per le ambizioni climatiche dell'UE.

I gruppi parlamentari non sono riusciti a trovare un compromesso in plenaria e a sostenere l'ambiziosa relazione adottata dall'ENVI a maggio.

 Il rapporto proponeva una data al 2030 per l'eliminazione graduale delle cosiddette "quote gratuite" per molti settori industriali, che esentano gli attori industriali dal pagamento dell'intero prezzo del carbonio.

Oggi sono stati adottati emendamenti, guidati dal PPE, per posticipare la graduale eliminazione delle quote gratuite dal 2030 al 2034.

 A seguito dell'annacquamento, S&D e Verdi hanno deciso di votare contro l'intera relazione piuttosto che accettare una versione sostanzialmente indebolita.

Di conseguenza, l'ETS tornerà in commissione.

Anche il voto sulla relazione CBAM è stato rinviato.

"Purtroppo, siamo fin troppo abituati a veder fallire le ambiziose misure europee di decarbonizzazione industriale", ha proseguito Virone.

"Questo è un settore in cui i politici devono imparare ad essere più coraggiosi.

L'Europa non può raggiungere i suoi obiettivi climatici senza riduzioni significative in questo settore".

La scorsa settimana, CATF si è unito a 20 importanti gruppi verdi europei nel sollecitare gli eurodeputati a non ritardare la graduale eliminazione delle quote gratuite assegnate a settori industriali come l'acciaio e il cemento. 

Allo stato attuale, il sistema di quote gratuite riduce l'incentivo a investire nelle tecnologie di decarbonizzazione e rallenta l'innovazione.

 Tutte le quote gratuite dovrebbero essere eliminate entro l'entrata in vigore di un meccanismo di aggiustamento delle frontiere del carbonio, idealmente entro il 2028, anche se la data di eliminazione graduale del 2030 votata dal Comitato ENVI è stata considerata un compromesso accettabile.

Sebbene la bocciatura di oggi sia dovuta principalmente alla diminuzione delle ambizioni sulle quote gratuite, il rapporto ENVI ETS comprendeva anche misure chiave sull'innovazione climatica.

Il testo conteneva l'espansione e l'anticipazione del nuovo "Fondo per gli investimenti nel clima", la rapida implementazione dei contratti di carbonio per differenza - particolarmente utili per le tecnologie di gestione del carbonio - e la messa a punto della contabilità delle emissioni.

CATF chiede che queste sezioni rimangano in tutte le prossime discussioni sull'ENVI.

Nella proposta originaria della Commissione Fit For 55, la parte del sistema ETS introduceva contratti di carbonio per differenza (CCfD) basati su progetti, per garantire agli investitori in tecnologie innovative verdi un prezzo fisso che ricompensasse le riduzioni delle emissioni di CO2 al di sopra degli attuali livelli di prezzo nel sistema ETS dell'UE.

Poiché le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio richiedono ingenti investimenti, i “CCfD” potrebbero sostenere la diffusione di queste tecnologie e consentire loro di svolgere il proprio ruolo nella transizione verde.

I finanziamenti aggiuntivi ottenuti con la graduale eliminazione delle quote gratuite dovrebbero essere dedicati a promuovere l'innovazione nelle tecnologie di decarbonizzazione per i settori industriali chiave.

CATF ha ripetutamente chiesto di sviluppare un ampio portafoglio di tecnologie per decarbonizzare le industrie europee. 

 

(Contatto con la stampa

Rowan Emslie, Direttore delle comunicazioni, Europa, Clean Air Task Force, remslie@cleanairtaskforce.org,+32 476 97 36 42.)

 

(Circa “Clean Air Task Force”.

Clean Air Task Force (CATF) è un'organizzazione globale senza scopo di lucro che lavora per salvaguardarsi dai peggiori impatti del cambiamento climatico catalizzando il rapido sviluppo e la diffusione di energia a basso contenuto di carbonio e di altre tecnologie per la protezione del clima. Con 25 anni di esperienza riconosciuta a livello internazionale in materia di politica climatica e un forte impegno nell'esplorare tutte le potenziali soluzioni, CATF è un gruppo di advocacy pragmatico e non ideologico con le idee coraggiose necessarie per affrontare il cambiamento climatico. CATF ha uffici a Boston, Washington D.C. e Bruxelles, con personale che lavora virtualmente in tutto il mondo.)

 

 

 

 

Transizione verde: il “Consiglio UE”

sulla direttiva sui consumatori.

Dirittobancario.it – (9 Maggio 2023) – Redazione – ci dice:

 

Consumatori.

Pubblicata la Posizione del Consiglio dell’UE sulla proposta di direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde.

La proposta di direttiva, pubblicata nel marzo 2022 dalla Commissione europea, è volta a rafforzare i diritti dei consumatori attraverso una serie di interventi in materia di modifica alla Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali ed alla Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.

 

La “proposta della Commissione” rientra tra le iniziative previste nella “nuova agenda dei consumatori” e nel “piano d’azione per l’economia circolare”, e dà seguito al “Green Deal europeo.”

 

Nella sua posizione il Consiglio rafforza i diritti dei consumatori, vieta le asserzioni ambientali generiche e introduce un formato grafico armonizzato dell’Unione europea per aiutare i consumatori a riconoscere le garanzie commerciali di durabilità.

In particolare, per quanto attiene le pratiche sleali, il Consiglio propone

di vietare ai produttori di pubblicizzare i loro prodotto, processi o le stesse imprese con asserzioni ambientali generiche, quali “ecocompatibile”, “verde” o “neutrale dal punto di vista climatico”, salvo che queste non siano sostenute da un sistema di certificazione accessibile al pubblico.

Consentire solo marchi di sostenibilità che si fondino su sistemi di certificazione ufficiali o registrati come marchi di certificazione o stabiliti da pubbliche autorità.

Correlare tali misure con informazioni su durabilità e riparabilità del prodotto o sui metodi usati per comparare la sostenibilità dei prodotti che vendono.

Definire un elenco di pratiche commerciali che verranno considerate sempre sleali.

Per quanto concerne i diritti dei consumatori, il Consiglio propone:

Realizzare un formato grafico armonizzato per le informazioni sulle garanzie di durabilità.

Introdurre un obbligo informativo specifico per i professionisti rispetto a prodotti comprendenti elementi digitali.

La discussione sulla proposta di direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde passa ora al Parlamento, che dovrà adottare la sua posizione.

 

 

 

 

Transizione verde addio, i big del petrolio

 non fanno più neanche finta di

 tutelare l’ambiente: da Exxon a Eni

 strategie cambiate, si torna ai combustibili fossili.

Ilfattoquotidiano.it – Mauro Del Corno – (30 GIUGNO 2023) – ci dice:

 

La transizione verde non esiste più.

Almeno non nei piani delle grandi compagnie petrolifere.

Uno dopo l’altro i big stanno rivedendo i loro piani e riscoprendo il loro primo amore, i combustibili fossili, ovvero gas e petrolio.

Ormai non c’è neppure più la pudicizia di quello che viene chiamato “greenwashing”, la ripulitura verde, ovvero fare finta, per ragioni di immagine e marketing, di adottare politiche pro ambiente anche se poi di concreto si fa poco o nulla.

Il colosso statunitense Exxon, che ha chiuso il 2022 con profitti per 59 miliardi di dollari, i più alti mai registrati da una compagnia petrolifera, liquida così la questione nei documenti inviati alla Sec (l’autorità che vigila sui mercati Usa):

 “È altamente improbabile che la società accetti il peggioramento degli standard di vita che richiederebbe il raggiungimento delle emissioni nette zero nel 2050″.

Ne consegue che il gruppo non ha nessuna intenzione di diminuire i suoi investimenti in gas e petrolio che sono tornati a generare profitti stratosferici.

 Tutte le grandi compagnie hanno chiuso il 2022 con risultati di bilancio record ed elargito generosi premi ai propri azionisti.

Dividendi, riacquisto di azioni proprie, bonus, titoli in crescita. Da un paio di anni nel settore è in corso un’abbuffata di profitti che lascia l’amaro in bocca a chi ha investito in prodotti finanziari focalizzati sulla sostenibilità ambientale (do you remember Esg?) che promettevano ritorni superiori a quelli dei business meno puliti.

Le compagnie americane come Chevron, e la stessa Exxon, sono sempre state più restie delle europee a lanciarsi nella “rivoluzione green”.

Ciò che è interessante, e preoccupante, è che mentre prima questa timidezza rischiava di allontanare gli investitori, ora li attrae.

Capita l’antifona, i concorrenti europei come Shell, British Petroleum, Total Energies e l’italiana Eni, hanno a loro volta messo nel cassetto i grandi piani “verdi” e ritirato fuori i vecchi progetti.

“Eni”, insieme a “Var Enrgi” (di cui la stessa Eni ha il 63%), ha da poco acquisito “Neptune Energy Group”, società specializzata nell’esplorazione e produzione di gas in Europa occidentale, Nord Africa, Indonesia e Australia.

 Un’operazione da quasi 5 miliardi di dollari.

 “Nel nostro modello di azienda a satelliti siamo capaci di investire nella transizione e quindi nella trasformazione del nostro business ma anche accrescendo ciò di cui abbiamo bisogno ora che è il gas, quindi dobbiamo investire bene in entrambi i fronti senza sacrificare un investimento rispetto all’altro, con profitti naturalmente, essere efficienti dal punto di vista del bilancio”, ha detto l’”Ad” di Eni “Claudio Descalzi”.

Il no dell’Italia e altri 5 paesi al “regolamento Ue” per il ripristino degli ecosistemi.

Che però passa.

“Wael Sawan”, amministratore delegato di “Shell”, la più grande compagnia petrolifera privata al mondo, ha ammesso candidamente:

“Investiremo nei modelli che funzionano, quelli con i rendimenti più alti”.

Ci abbiamo provato, o abbiamo fatto finta di farlo, ora si torna al fossile.

Il gruppo si accoda alla concorrente” British Petroleum” che aveva già fortemente ridimensionato i suoi piani per tagliare la produzione di petrolio.

 Una scelta premiata in borsa, nell’ultimo anno le azioni BP sono salire del 17%, quelle di Shell della metà.

Secondo la “Ong Global Witness”, la modifica delle linee strategiche di Shell costituisce “un’inversione di 180 gradi” in negativo.

Questa svolta, denuncia l’organizzazione, significa un grave passo indietro “sul dossier della crisi energetica, in luogo di un’accelerazione degli investimenti verdi”.

È la conferma della volontà di “mettere ancora una volta il profitto davanti a tutto da parte degli inquinatori, a danno della gente e della salute del pianeta”, rincara l’”associazione Amici della Terra”.

“Questo cambio di rotta sorprende ma fino ad un certo punto” spiega a Ilfattoquotidiano.it l’economista “Carlo Scarpa” che insegna all’università di Brescia.

 “Le compagnie hanno probabilmente l’impressione che l’aumento dei prezzi degli idrocarburi sia destinato a durare.

 Era iniziato già prima dell’invasione russa dell’Ucraina, ora è in parte rientrato ma le quotazioni rimangono su valori relativamente elevati”, spiega “Scarpa” che aggiunge:

“finché i prezzi erano bassi le rinunce da fare in termini di margini di profitto per allentare i legami con le fonti fossili erano contenuti, ora non lo sono più”.

 Del resto, ad essere sinceri, non c’è nessuna previsione realistica che “veda” un calo del consumo di petrolio nei prossimi anni.

 Secondo l’”Agenzia internazionale dell’energia” i consumi di greggio, oggi intorno ai 100 milioni di barili al giorno, sono destinati a rallentare la loro crescita fino ad azzerarla ma non a diminuire.

L’”Aie” stima che il consumo globale di petrolio salirà del 6% tra il 2022 e il 2028 per raggiungere i 105,7 milioni barili al giorno.

 

 

L’”Opec” (l’organizzazione di molti dei principali paesi produttori) si attende un incremento della domanda del 23% da qui al 2045, a 110 milioni di barili al giorno.

Discorso non dissimile per i consumi di gas, con una complicazione in più per l’Europa.

“Indipendentemente da come e quando finirà la guerra in Ucraina, la Russia ha smesso di essere un partner energetico affidabile per l’Ue, di fatto la sua offerta di gas non c’è e non ci sarà più.

È vero che la crescita delle rinnovabili è stata impetuosa ma ancora non basta per colmare del tutto questo gap che si è creato”, ragiona “Scarpa”.

 

La Russia è il primo esportatore di gas al mondo.

 Questa immensa offerta ora è fondamentalmente a disposizione dell’Asia e della Cina in particolare.

 “Avere a disposizione gas a basso costo è una fortissima tentazione per Pechino, lo è da un punto di vista industriale ma lo è anche da quello geopolitico.

 Per la Cina, comprare il gas e il petrolio di Mosca, è anche un modo per attrarre definitivamente nella sua orbita la Russia e farne un paese suo satellite”.

 La Cina, grande consumatrice di carbone, il più inquinante dei fossili, ha investito molto anche nelle rinnovabili ma, soprattutto ora che attraversa una fase economica molto delicata, la tentazione di rallentare è forte.

Ma è qui e in India che si giocherà la vera partita della lotta ai cambiamenti climatici.

“I consumi di combustibili fossili e le emissioni di Co2 sono diminuite molto in Europa ma purtroppo questa è una goccia nel mare.

È giusto che gli sforzi del Vecchio Continente proseguano ma l’Ue dovrebbe concentrare il suo impegno soprattutto nelle relazioni con i giganti asiatici, spingendoli ad adottare modelli di sviluppo più sostenibili.

 E questo non può essere fatto con sussidi economici, la Cina è ormai “fuori scala” per qualsiasi tipo di sostegno finanziario.

 È opportuno rafforzare un coordinamento, ma non aspettiamoci troppo”, commenta “Scarpa”.

Le compagnie petrolifere in tribunale contro le tasse sugli extraprofitti.

Dopo Exxon si muove anche la spagnola Repsol.

Le compagnie petrolifere in tribunale contro le tasse sugli extraprofitti.

 Dopo Exxon si muove anche la spagnola Repsol.

 

Non molto tempo fa colossi finanziari come” BlackRock” e “Vanguard Group” hanno risposto ad alcune domande rivolte loro da parlamentari britannici incaricati di capire come il Regno Unito potrebbe ottemperare ai suoi impegni di riduzione delle emissioni di Co2.

 Quello che è emerso è che nessuna di queste società ha intenzione di interrompere o ridurre significativamente i finanziamenti all’industria delle fonti fossili.

Tutto ciò pone una questione fondamentale, ovvero quanto spazio debba essere concesso ai meccanismi di mercato di fronte ad una crisi climatica ormai iniziata.

Molti economisti hanno rimarcato il sostanziale fallimento di sistemi come la vendita dei permessi di emissioni di Co2 o altri meccanismi che si affidano a logiche di mercato per gestire il problema dell’inquinamento.

La retromarcia delle compagnie petrolifere innescata dalla corsa al profitto suggerisce che siano necessari interventi esterni per più energici.

 Né sembra che la grande finanza sia davvero in grado di svolgere una funzione di allocazione degli investimenti favorevole al contrasto della crisi climatica.

Del resto, come scriveva il padre del libero mercato “Adam Smith” (un padre che conosceva bene virtù ma anche difetti del “figlio”):

 “I grandi azionisti sono una categorie di persone i cui interessi non coincidono mai con quelli della collettività, che hanno anzi un interesse a ingannare e addirittura opprimere il resto della società e che coerentemente, in molte circostanze, lo hanno fatto”.

(Che smacco per i “Buffoni di Davos “che hanno “fatto scrivere dai loro servi scribacchini” che “la CO2” è un gas serra che pur essendo più pesante dell’aria “VOLA nell’alto dei cieli” e si ritira nel dormitorio della “serra dei gas serra “autentici! N.D.R.).

 

 

 

 

ONG ambientaliste, le questioni

ambientali non risultano nell’elenco

delle future priorità dell’UE.

Euractiv.it - Kira Taylor - (2 ott. 2023) – ci dice:

(I leader dei Paesi europei si incontreranno a Granada il 6 ottobre per discutere le priorità future dell'”UE”.)

Le questioni legate alle crisi ambientali sono state in gran parte escluse dalla bozza di elenco delle future priorità dell’Unione europea che verrà discussa durante il vertice informale del Consiglio europeo che si terrà in Spagna questa settimana, secondo anticipazione della dichiarazione finale vista da “Euractiv”, che ha attirato critiche da parte dei gruppi ambientalisti.

 

La bozza trapelata della cosiddetta “Dichiarazione di Granada,” datata 27 settembre, si concentra su allargamento, migrazione, competitività e difesa.

Il tema sarà discusso dai leader dei Paesi dell’UE durante l’incontro che si terrà a Granada venerdì (6 ottobre) nell’ambito dei colloqui sulle priorità future per l’Unione europea, basandosi su una comunicazione adottata dalla “Commissione europea” la scorsa settimana.

Anche se si tratta ancora di una bozza e potrebbe cambiare quando sarà concordata, i gruppi ambientalisti temono che la dichiarazione finale distolga l’attenzione dell’UE dalle crisi climatiche e ambientali in corso.

“Nonostante una leggera infarinatura di parole d’ordine verdi, questo documento prepara l’Europa al fallimento”, ha affermato” Arianna Rodrigo”, attivista per la democrazia presso l’unità UE di “Greenpeace”.

Vede il futuro dell’UE come una fortezza militarizzata che interagisce con il mondo esterno solo per succhiare risorse e distruggere la natura”, ha aggiunto.

Nella bozza i temi legati all’energia, al clima e all’ambiente vengono discussi principalmente in relazione ai rischi geopolitici, alla competitività e alla sicurezza delle catene di approvvigionamento.

“Affronteremo le vulnerabilità, anche a causa dell’aggravarsi dei rischi climatici e delle tensioni geopolitiche”, si legge nella bozza del documento.

“Anticiperemo le potenziali sfide e coglieremo le opportunità per la nostra Unione nelle transizioni verde e digitale, con l’obiettivo di garantire la sostenibilità del nostro modello economico.

Ci concentreremo in particolare sull’efficienza energetica e delle risorse, sulla circolarità e sulla decarbonizzazione che continuano a plasmare il futuro”, continua.

Secondo le “ONG ambientalist”e, è “sorprendente” che il clima, la biodiversità e l’inquinamento ricevano solo menzioni superficiali.

In risposta alla fuga di notizie, un gruppo di cinque ONG ambientaliste ha pubblicato una lettera in cui esorta i leader del Parlamento europeo, della Commissione e del Consiglio a fare di più per sostenere il “Green Deal” nelle discussioni.

“L’attuale bozza di testo non riesce a riconoscere le minacce urgenti poste dalla crisi climatica galoppante, dall’allarmante perdita di ecosistemi e biodiversità e dall’inquinamento”, si legge nella lettera, firmata da “BirdLife Europe”, “Climate Action Network Europe”, “Ufficio europeo dell’ambiente”, “Trasporti e Ambiente” e l’”Ufficio Politiche Europee” del WWF.

“Fare marcia indietro rispetto all’impegno dell’Europa per una transizione verde, giusta e socialmente giusta farebbe il gioco di coloro che cercano di destabilizzare l’UE e minarne i valori fondamentali.

Metterebbe a repentaglio la competitività dell’Europa nella corsa globale alla sostenibilità e prolungherebbe la dipendenza da regimi autoritari”, avverte.

Le cinque ONG chiedono ai leader dell’UE di raddoppiare gli sforzi sulla transizione verde “aumentando radicalmente gli investimenti pubblici in materia di clima, ambiente e società, allineando al tempo stesso tutti gli

investimenti pubblici e privati ​​con gli obiettivi della transizione verde”.

Oltre a ciò, chiedono all’UE di accelerare l’attuazione del “Green Deal”, aumentare la sua ambizione, rafforzare la governance e aumentare la partecipazione pubblica.

La presidenza spagnola del Consiglio UE ha rifiutato di commentare la fuga di notizie.

[A cura di Frédéric Simon/Zoran Radosavljevic]

 

 

 

 

Le bufale sul clima: una storia

di consapevoli menzogne e

di disinformazione.

 Reteclima.it – Milena Gabanelli- (30.04.2021) – ci dice:

 

Qualche giorno fa il Corriere della Sera ha pubblicato un’analisi di Milena Gabanelli incentrata sul tema delle bufale relative ai cambiamenti climatici.

La giornalista si è avvalsa dell’aiuto degli esperti di “Climalteranti.it”, un portale che da anni è impegnato nella “lotta alla disinformazione climatica”, e ha presentato le più comuni bufale sul clima, i loro autori e l’origine dei finanziamenti che le sostengono.

Si tratta di un tema già molto discusso su questo sito, data la necessità di fare chiarezza su una serie di "falsità climatiche" che confondono i cittadini e rallentano l'azione di contrasto al riscaldamento climatico globale.

 

Un po' di storia (climatica)

I primi report dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, la massima autorità mondiale nella scienza dei cambiamenti climatici) già nei primi anni '90 mostravano chiaramente le origini umane del riscaldamento climatico: in realtà la certezza non risale a questo periodo, già diversi studi negli anni '80 lo dimostravano.

Ma è dagli anni '90, quando la relazione uomo-riscaldamento climatico diventa di dominio pubblico e si inizia a parlarne in maniera non solo episodica, che inizia una sistematica azione di negazionismo climatico, che oggi è molto ben documentata:

 le industrie che contribuiscono maggiormente alle emissioni climalteranti (in primis le “Major dell'Oil&Gas”, che producono i combustibili fossili) spendono miliardi di dollari in campagne di disinformazione, per confondere l’opinione pubblica seminando dubbi ed obiezioni infondate circa l'esistenza del riscaldamento climatico e la sua pur certa ed evidente causa umana.

 

Dubbi che, parlando di Stati Uniti, vengono ripresi anche da quotidiani autorevoli quali il “Wall Street Journal” e il “New York Times”,...etc., ma anche da emittenti televisive come “Fox News”:

in Italia purtroppo si distinguono invece alcune testate italiane fortemente orientate al “negazionismo climatico “oltre ogni ragionevolezza (in primis Il “Giornale”, “Libero”,...etc.)

 

bufale-clima.

Il “Corriere riporta” che fra il 2003 e il 2010 alcune organizzazioni pseudo-scientifiche impegnate nella “comunicazione sul negazionismo climatico” hanno ricevuto dalle “major fossili” più di 900 milioni di dollari all’anno di finanziamenti.

 

Bufale sul clima: "opinioni” interessate.

L’industria fossile ha finanziato singoli scienziati, giornali ed emittenti televisive, ma ha anche fondato o supportato “think-tank” e “siti-web” di (dis)informazione.

“Milena Gabanelli” presenta diversi esempi e, fra gli altri, cita uno studio dell’organizzazione “InfluenceMap”, secondo il quale soltanto nel periodo 2016-2019

 «le cinque maggiori aziende di gas e petrolio (ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron, British Petroleum e Total) hanno investito più di un miliardo di dollari per le campagne di disinformazione sul clima»,

 finalizzate a negare la correlazione diretta tra le attività umane ed il riscaldamento climatico.

 

Disinformazione italiana.

Nel giugno 2019 in Italia, 83 persone hanno inviato una “Petizione sul riscaldamento globale antropico” ai Presidenti della Repubblica, del Consiglio, della Camera dei Deputati e del Senato, ricevendo purtroppo una grande attenzione mediatica:

 in essa veniva pretestuosamente contestato “l’allarmismo climatico” e veniva irragionevolmente negata l’esistenza di qualsivoglia crisi o urgenza climatica.

 

Proprio “Climalteranti.it” aveva smontato le bufale contenute nella lettera, mostrando come la stragrande maggioranza dei (pochi) firmatari non fosse per nulla competente nella scienza del clima.

Non solo, questa petizione ne prendeva a modello un’altra del 1997 il cui promotore, il fisico “Frederick Seit”z, aveva legami con le industrie del petrolio e del tabacco.

Bufale sul clima: il metodo

In effetti, il metodo di negazione adottato è simile a quello utilizzato proprio dall’industria del tabacco che di basa sul diffondere teorie rivolte a negare e screditare le evidenze scientifiche, non in maniera argomentata e legittima, ma piuttosto tramite una “strategia del dubbio”.

Il fine è quello di far apparire la comunità scientifica divisa e l’argomento ancora oggetto di dibattito, per l’appunto, oggetto di dubbi anche fra gli scienziati stessi.

La logica - sinceramente criminale, perché sminuisce rischi climatici ad elevatissima pericolosità - è chiara:

presentando la finta esistenza di dubbi sul “climate change” anche nella comunità scientifica, quale senso avrebbe avuto intraprendere un enorme sforzo di "prevenzione climatica"?

Per supportare tali insinuazioni, sono stati spesso isolati pezzi incompleti e parziali delle verità scientifiche, un fenomeno conosciuto col termine “Cherry picking” (letteralmente “raccogliere le ciliegie”, prendendo cioè solo le migliori per se stessi e la propria causa, lasciando nel cestino quanto non è gradito).

bufale clima.

Fonte: “Pixabay/klimkin”.

Questa tecnica è ben esemplificata dalla diffusa bufala secondo la quale variazioni di intensità dell'attività del Sole sarebbero la causa principale del riscaldamento globale:

 in realtà, se da una parte l’attività solare ha sicuramente una rilevante influenza sul clima terrestre, dall’altra il monitoraggio di tale attività dimostra come oggi essa dovrebbe produrre una tendenza al raffreddamento.

Infatti è solo la parte più bassa dell’atmosfera che si sta scaldando, quella direttamente a contatto con l'uomo, mentre la porzione più alta si sta raffreddando:

 ciò è contrario a quanto si osserverebbe se il Sole fosse causa del riscaldamento climatico (dato che si riscalderebbero entrambe) e spiega perfettamente ciò che accade per effetto dei gas serra emessi dall'uomo e dalle sue attività.

Di seguito un grafico che illustra il (nullo) contributo dei fattori naturali al riscaldamento climatico :

 la linea nera è il riscaldamento climatico reale e misurato, le linee colorate mostrano invece il nullo contributo dei fattori naturali al riscaldamento climatico.

bufale cambiamento climatico.

Fonte: Bloomberg su dati Nasa (2016)

Bufale sul clima: la scellerata premeditazione.

La portata della truffa perpetuata dalle” major fossili” è dimostrata da quanto è trapelato alla stampa riguardo a “Shell” e ad” Exxon Mobil”:

 già negli anni 80’ (1982 per i documenti della Exxon, 1988 per quelli Shell) i tecnici delle due multinazionali avevano formulato previsioni – peraltro davvero accurate, ma tenute ben segrete – circa la crescita delle “concentrazioni di gas serra” ed il conseguente aumento della temperatura media globale.

Tali previsioni si sono rivelate molto, molto precise: il grafico sotto mostra la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera al 2020 pari a circa 420 ppm (la concentrazione media annuale del 2020 è stata di 414 ppm) e un aumento della temperatura rispetto al 1982 di circa +1°C rispetto al periodo pre-industriale, in sostanziale accordo con quanto è poi realmente accaduto.

bufale clima

Grafico da documento interno di ExxonMobil, 1982. Sull'asse delle ascisse il tempo, su quello delle ordinate a sinistra la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera [ppm], curva sopra, a destra l'aumento di temperatura medio dal 1982 [°C], curva sotto. Fonte: Guardian

Se quindi privatamente le multinazionali del settore Oil&Gas riconoscevano la validità della scienza dell’epoca e confermavano la connessione della loro attività con il riscaldamento globale, pubblicamente invece la negavano.

Di fronte a queste evidenze ci viene da pensare: chi può smentire i negazionisti meglio dei negazionisti stessi?

Uno spazio di manovra sempre più ristretto per le bufale sul clima.

La strategia negazionista nel tempo si è modificata, seguendo la variazione della sensibilità nell’opinione pubblica, adattando l’oggetto del dubbio in base all’evolversi della consapevolezza pubblica verso determinati argomenti.

Inizialmente le fake news cercavano di screditare l'esistenza stessa dei cambiamenti climatici, sostenendo ad esempio che i dati di temperatura presentassero dei bias (errori):

 in seguito invece, una volta che il “climate change” si è affermato quale realtà evidente, hanno iniziato ad affermare che il riscaldamento globale non fosse attribuibile all’uomo ma piuttosto a "forzanti naturali" da esso indipendenti.

Oggi, come afferma “Stefano Caserini”, professore di “Mitigazione dei Cambiamenti Climatici” al Politecnico di Milano e fondatore di “Climalteranti.it”, sono costretti a limitarsi sostenendo solamente che sia ormai troppo tardi per intervenire.

("Le 5 fasi del negazionismo climatico")

Dibatti (s)bilanciati e nuovi strumenti.

D’altra parte, instillare il dubbio è estremamente facile, infinitamente più facile del provare una verità scientifica.

La verità scientifica, supportata da migliaia di studi pubblicati su riviste scientifiche “peer-reviewed “(dove cioè ogni articolo è cioè sottoposto a rigidi controlli da parte della comunità scientifica prima di essere pubblicato) è stata fin troppe volte rappresentata, ad esempio nei dibattiti televisivi, da un solo scienziato su posizione negazionista verso un solo scienziato che sostiene la vera scienza del clima.

Ma questa dinamica del confronto uno a uno non rende affatto ragione di quella che è la reale proporzione di “consenso” (basato sui fatti, non sulle opinioni!) all’interno della comunità scientifica.

Nel 2014 John Oliver mostrò visivamente come un equilibrato dibattito televisivo dovesse essere condotto (a seguito il video, consigliatissimo), con la presenza del il 97% degli scienziati del clima a sostegno dell’origine antropogenica del global warming ed un restante 3% che affermava pretestuosamente il contrario.

3 contro 97: Last Week Tonight with John Oliver, HBO.

Infatti oggi, come sottolineato da “Stefano Caserini”, più del 97% della comunità scientifica è unanime su questo punto:

il cambiamento climatico esiste, è causato dall'uomo, è molto pericoloso per i suoi effetti attuali e futuri sul sistema socio-economico globale.

Il cambiamento climatico ha già mostrato in modo estremamente tangibile i suoi effetti, anche nel nostro Paese, uno degli” hospot del climate change”:

ondate di calore, fenomeni precipitativi estremi e siccità sono ormai sempre più frequenti.

Di fronte all’evidenza, i negazionisti non hanno solo cambiato narrazione (viva la coerenza) ma anche mezzo di comunicazione, abbandonando i canali ufficiali, quali le testate giornalistiche più autorevoli, e iniziando a popolare il web.

Esempio lampante della potenza della disinformazione sul web è quello, riportato dal Corriere, dei 6,5 milioni di Tweet sulla crisi climatica che hanno preceduto e seguito l’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sotto Trump:

secondo uno studio della Brown University circa un quarto di questi è stato generato da programmi automatici, i cosiddetti "bot".

A supporto dell’evidenza scientifica, finalmente qualcosa si sta muovendo anche nei territori più fertili per i negazionisti, i social network:

come riportato dal Corriere, dal 2020 Facebook ha ideato il “Climate Science Information Center”, piattaforma che segnala le bufale sul clima postate dagli utenti e invita a consultare fonti ufficiali e affidabili come l’IPCC.

Nello stesso anno, il più influente negazionista è stato sconfitto da un fermo sostenitore della scienza, “Joe Biden,” e oggi gli Stati Uniti sono di nuovo nell’Accordo di Parigi.

Forse, finalmente, qualcosa cambierà anche sul fronte della disinformazione climatica.

(ET e PV per Rete Clima)

 

 

 

 

 

I super ricchi inquinano come

i due terzi dell’umanità.

Collettiva.it - PATRIZIA PALLARA – (15 dicembre 2023) – ci dice:

 

Uno studio Oxfam dimostra che la crisi climatica è causata dall’1% dei Paperoni, ma è pagata da tutti. La soluzione?

Una tassa sui grandi patrimoni.

EMISSIONI.

L’1 per cento delle persone più ricche del Pianeta ha generato nel 2019 la stessa quantità di gas serra dei due terzi dell’umanità.

 È una di quelle affermazioni che fa subito pensare a Paperon de’ Paperoni e a un mondo fatto di cartone, invece le cose stanno davvero così.

I conti li ha fatti la “Ong Oxfam “con un nuovo studio realizzato in collaborazione con lo “Stockholm Environment Institute”, mirato a dimostrare, dati alla mano, che cosa significa “giustizia climatica”.

 Anzi,” ingiustizia climatica” se si pensa che in un anno una persona che fa parte di quell’1 per cento più ricco genera gli stessi gas a effetto serra che chiunque di noi produrrebbe in 1500 anni di vita.

Le conseguenze di questo inquinamento però non le paga quell’1 per cento, le paghiamo tutti e soprattutto coloro che hanno emesso davvero poco:

il 97 per cento di quanti sono colpiti dai disastri climatici vive infatti nei Paesi in via di sviluppo.

 

Bangladesh, “Sylhet”, 19 maggio, 2022 :

Un bambino nuota con un salvagente, in una strada sommersa d'acqua nella zona residenziale” Uposhahar” di “Sylhet”, in Bangladesh.

Mentre l'alluvione peggiora nella città di “Sylhe”t, molte persone delle aree residenziali di “Uposhahar” lasciano le loro case per un posto sicuro.

“Mentre la gente comune in tutto il mondo deve far fronte a prezzi sempre più alti per il cibo e per i prodotti alimentari – si legge nel report di Oxfam -, i più ricchi vedono le loro fortune crescere inesorabilmente.

Donne, persone di colore, popoli indigeni e altri gruppi emarginati si trovano nella fase finale del collasso climatico, i giovani e le generazioni future dovranno affrontare le conseguenze dei fallimenti nell’affrontare il cambiamento climatico.

Queste non sono crisi separate”.

Ma in che proporzione la popolazione mondiale contribuisce alle emissioni di CO2?

Partiamo dalla base della piramide:

 il 50 per cento più povero dell’umanità è responsabile di appena l’8 per cento delle emissioni legate ai consumi.

Il 40 per cento provoca il 43 per cento.

Tutto il resto, cioè quasi il 50 per cento del totale, è generato dal 10 per cento della popolazione più ricca.

Al top del top c’è poi un 1 per cento di super ricchi che sono anche dei super inquinatori, dato che sono responsabili del 16 per cento delle emissioni globali di carbonio, l’equivalente di quanto emette il 66 per cento più povero:

77 milioni di persone, su un totale di circa 8 miliardi, che intossicano il Pianeta con i loro viaggi sui jet privati, con i loro investimenti finanziari, che spesso privilegiano settori dall’impatto climatico e ambientale catastrofico, la loro influenza sui media, sull’economia e sulla politica. Se non è ingiustizia climatica questa.

Ma i record negativi dei “super Paperoni” non si fermano qui.

Le loro emissioni globali ogni anno annullano il risparmio di carbonio di quasi un milione di turbine eoliche installate a terra, vanificando dunque gli sforzi fatti da altri, e sono sufficienti a causare 1,3 milioni di morti provocate dal caldo.

Di questo passo nel 2030 dovrebbero essere 22 volte superiori al limite di sicurezza, se vogliamo rimanere al di sotto di 1,5°C di riscaldamento globale.

“Una tassa del 60 per cento sui redditi dell’1 per cento dei super-ricchi a livello globale ridurrebbe le emissioni di carbonio equivalente a più delle emissioni totali del Regno Unito, raccogliendo 6,4 trilioni di dollari per finanziare le energie rinnovabili e l’abbandono dei combustibili fossili” fa notare il report di Oxfam.

È la proposta dell’associazione per controbilanciare questa ingiustizia. Tassare i grandi patrimoni consentirebbe ai privilegiati di continuare a vivere nella loro bambagia e ai governi di incassare 6.400 miliardi di dollari all’anno.

 In Europa Oxfam con la campagna “La grande ricchezza” chiede all’Unione di introdurre un’imposta in sostituzione delle patrimoniali esistenti, per finanziare sanità, scuola, lavoro e lotta ai cambiamenti climatici:

se applicata in Italia a quei 50 mila italiani più ricchi, con un patrimonio netto al di sopra dei 5,4 milioni di euro, l’imposta potrebbe produrre risorse fino a 16 miliardi di euro all’anno.

 

 

Così i super-ricchi

uccidono il clima.

  Francescosiloslabini.info – (18 gennaio 2024) - Pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” – ci dice:

RISCALDAMENTO GLOBALE.

 Il report dell'Onu conferma il 2023 come anno più caldo di sempre. Oxfam: fattore che fa esplodere le disuguaglianze, è il “decennio dei grandi divari”.

Unica via d'uscita: tassare i mega-patrimoni.

L'”Organizzazione Meteorologica Mondiale “(OMM), un'agenzia specializzata delle “Nazioni Unite” dedicata al monitoraggio del tempo e del clima, ha recentemente confermato ufficialmente che il 2023 è stato di gran lunga l'anno più caldo mai registrato.

La temperatura media annua globale nel 2023 è stata di 1,45 °C al di sopra dei livelli preindustriali (1850-1900), avvicinandosi così alla soglia significativa dell'”Accordo di Parigi” sui cambiamenti climatici che aveva l'obiettivo di limitare l'aumento della temperatura (a lungo termine) a non più di 1,5° Celsius rispetto ai livelli preindustriali.

 Se già dagli anni 80 ogni decennio è stato più caldo del precedente, i nove anni più recenti rappresentano il periodo più caldo mai registrato. Nel 2023, le temperature globali hanno stabilito nuovi record mensili in ogni mese tra giugno e dicembre, con luglio e agosto che sono risultati i due mesi più caldi mai registrati.

Il rapporto dell'”OMM” sullo stato del “Clima Globale nel 2023 “ha evidenziato che sono stati superati record in tutti i settori monitorati, inclusi livelli di gas serra nell'atmosfera, calore e acidificazione degli oceani, livello del mare, estensione del ghiaccio marino e bilancio di massa dei ghiacciai.

 Le temperature superficiali del mare sono state eccezionalmente elevate per gran parte dell'anno, portando a gravi onde di calore marino.

 Inoltre, l'estensione del ghiaccio marino antartico è stata la più bassa mai registrata.

I cambiamenti climatici si manifestano quotidianamente attraverso condizioni meteorologiche straordinarie.

Non è necessario ricorrere a statistiche sofisticate per accorgersi delle onde di calore eccezionali, della mancanza di neve, della crisi idrica che si prospetta drammatica nelle isole maggiori, dell'aumento della frequenza di devastanti incendi, delle piogge intense, delle inondazioni e dei cicloni tropicali.

Ogni tentativo di spiegare queste trasformazioni, che stanno accelerando sotto i nostri occhi, come il normale susseguirsi delle stagioni, sebbene ancora proposto in modo strumentale e colpevole da vari organi di stampa, è ormai non solo patetico ma anche ridicolo.

La politica, in ritardo su tutti questi sviluppi e in un estremo tentativo di negare l'evidenza, continua a prestare credito a fonti che un Paese serio dovrebbe escludere dai finanziamenti pubblici a causa della diffusione di notizie infondate, se non addirittura false.

 È giusto che i giovani appartenenti ai vari gruppi di attivisti climatici organizzino eventi dimostrativi per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica.

Il cambiamento climatico a lungo termine si sta intensificando, ed è inequivocabilmente attribuibile alle attività umane.

La crisi climatica sta peggiorando la crisi delle disuguaglianze, ampliando disparità e fratture sociali, inaugurando ciò che il rapporto Oxfam Disuguaglianza:

il potere al servizio di pochi, pubblicato in occasione del meeting annuale del “World Economic Forum” a Davos, definisce come il “decennio dei grandi divari”.

Miliardi di persone sono costrette a vedere crescere le proprie fragilità per effetto degli eventi meteorologici estremi sempre più frequenti mentre una manciata di super-ricchi moltiplica le proprie fortune a ritmi spaventosi e incredibili.

Il rapporto Oxfam presenta uno scenario da film horror:

 i cinque uomini più ricchi del pianeta hanno raddoppiato il loro patrimonio dal 2020 a oggi, con un tasso di incremento di 14 milioni di dollari all'ora, mentre i poveri sono diventati più poveri per effetto dell'inflazione.

In Italia, l'1% più ricco possiede il 23% della ricchezza (e controlla gran parte dei mass media, in particolare quei quotidiani “negazionisti climatici”).

 Oxfam prevede che il primo trilionario (un trilione sono 1.000 miliardi) comparirà nel prossimo decennio.

 L'attuale assetto economico, con il trionfo di colossali oligopoli o, in alcuni casi, monopoli, celati dietro il paravento del “libero mercato”, genera quindi un'enorme concentrazione di ricchezza in un numero sempre minore di mani.

La relazione tra le disuguaglianze economiche e la crisi climatica è spiegata in un altro rapporto Oxfam, “L'uguaglianza climatica”, dove si evidenzia che nel 2019 l'1% dei super-ricchi è stato responsabile del 16% delle emissioni globali di carbonio, equivalente alle emissioni del 66% più povero dell'umanità (5 miliardi di persone).

Analizzando la serie storica, si nota che sin dagli anni 90 l'1% dei super-ricchi ha emesso il doppio del budget di carbonio rispetto alla metà più povera dell'umanità messa insieme.

Le emissioni dell'1% dei super-ricchi sono destinate a superare di oltre 22 volte il limite di sicurezza (le emissioni consentite per rimanere al di sotto di 1,5°C di riscaldamento globale secondo gli Accordi di Parigi) nel 2030, annullando i risparmi di carbonio equivalenti a quasi un milione di turbine eoliche onshore.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, “António Guterres”, ha lanciato per l'ennesima volta l'allarme, affermando che le azioni dell'umanità stanno bruciando la terra.

Il 2023 è stato solo un'anticipazione del futuro catastrofico che ci attende se non agiamo immediatamente.

“Guterres” ha sottolineato la necessità di rispondere all'aumento record della temperatura con azioni innovative.

Oxfam ha calcolato che una tassa del 60% sui redditi dell'1% dei super-ricchi a livello globale ridurrebbe l'equivalente delle emissioni totali di carbonio del Regno Unito e raccoglierebbe 6,4 trilioni di dollari per finanziare le energie rinnovabili e la transizione dai combustibili fossili.

Il problema della tassazione di ricchezze straordinarie e indicibili deve essere posto in cima all'agenda politica, sia per un principio basilare di uguaglianza e redistribuzione delle risorse, sia per limitare le emissioni di gas serra in un momento in cui non si capisce neppure se siamo ancora in tempo per recuperare la situazione.

(Pubblicato su “Il Fatto Quotidiano”)

 

 

 

 

La disumanità attuale: è andata perduta

l’umanità dell’essere umano?

Leonadoboff.org – (25/10/2023) - Leonardo Boff – ci dice:

 

Nietzsche ha ripetuto più volte che l’inumano (allzumenschlich) appartiene anche all’umano.

 Ciò deriva dal fatto che la nostra condizione umana è allo stesso tempo razionale e irrazionale, caotica e armoniosa.

 Non come un difetto della creazione, ma come un dato di fatto della nostra realtà storica.

Anche il processo cosmogenico mostra la stessa caratteristica, poiché caos e cosmo vanno insieme.

Si tratta, quindi, di una costante cosmologica, sociale e individuale.

 Che ciò sia vero lo vediamo nella perfida guerra Israele-Hamas.

Hamas ha compiuto orribili atti di terrorismo, uccidendo indiscriminatamente abitanti di Israele e sequestrando oltre duecento persone.

 Israele ha reagito con doppia violenza, uccidendo indiscriminatamente persone, soprattutto bambini e madri, distruggendo ospedali e luoghi sacri.

 Si è rivelato uno Stato terrorista.

 Da entrambe le parti veri e propri crimini di guerra che rasentano il genocidio embrionale.

Tutti siamo rimasti sconvolti: come è possibile tanta disumanità?

Cosa siamo finalmente?

Perché Dio tace di fronte a tanta malvagità?

 Non sono pochi quelli che disperano dell’umanità.

Meritiamo ancora di vivere su questo pianeta?

Un’ombra di tristezza e di sconforto segna i volti dei capi di Stato, dei giornalisti e praticamente di tutti coloro che appaiono sugli schermi televisivi e tra noi.  

In un modo commovente che ci fa piangere, appaiono le figure insanguinate dei palestinesi, che portano in braccio i figli e le figlie assassinate.

Restiamo abbattuti e indignati perché dentro di noi si fa sentire l’altro lato della nostra realtà:

siamo principalmente esseri di amore, di empatia, di solidarietà, di compassione e di rinuncia a ogni vendetta.

 Contro ogni male (ombra) riaffermiamo questa dimensione di bene (luce).

La scrittrice e poetessa palestinese “Heba Abu Nada”, poco prima di essere uccisa sotto le macerie di Gaza, ha lasciato per iscritto in modo impressionante:

“siamo persone Giuste e dalla parte della Verità”.

Si, lei ci conferma che siamo principalmente giusti e dalla parte della verità, dell’amore e della compassione.

 

Vale la pena riconoscere, però, che il lato irrazionale e perverso (anche se il momento razionale proprio della natura umana non viene mai del tutto perduto) è predominante in coloro che conducono la guerra, soprattutto Israele, gli USA e i suoi alleati europei, la comunità internazionale (chi sono?) che resta muta e inerte di fronte alla morte di migliaia di civili e di bambini innocenti nei bombardamenti israeliani.

Sembra che sia stata decretata una morte lenta con la chiusura di tutte le frontiere, del cibo, dell’acqua, delle medicine e dell’energia.

Questo è lo scenario delle potenze dominanti, dei signori della guerra, più interessati al conflitto geopolitico e al business miliardario delle armi che a salvare vite umane.

Alla fine, dicono, “sono palestinesi, sub-umani” e considerati dai gruppi estremisti in Israele, e persino dal ministro della Difesa, come “animali” e come tali devono essere trattati, eventualmente sterminati.

A questo scenario si contrappongono le moltitudini che in tutto il mondo, nel mondo arabo, negli USA, in Francia, in Germania, in altri paesi e un po’ anche in Brasile, manifestano in migliaia nelle strade e si schierano accanto a coloro che sono puniti collettivamente, i più deboli, dai palestinesi della Striscia di Gaza, dimostrando di volere umanità e non attacchi di disumanità.

Anche in situazione di guerra ci sono leggi (ius in bello) che, se violate, costituiscono crimini di guerra come l’uccisione di bambini innocenti, l’attacco a ospedali, scuole e luoghi sacri.

Questo è ciò che accade sistematicamente con i bombardamenti.

Cosa ci dice la migliore scienza contemporanea, la scienza della vita, della Terra e del cosmo?

 Ci convince che il nostro lato umano e luminoso appartiene al DNA (manuale di istruzioni della creazione umana) della nostra natura.

“James Watson” e “Francis Crick”, nel 1953, descrissero la struttura ad elica della molecola del DNA.

“Watson” nel suo libro “DNA, il segreto della vita” (Adelphi, 2006 ), confermando quanto scritto da “San Paolo” sull’amore nella “prima lettera ai Corinzi”, afferma:

”L’amore è così fondamentale per la natura umana che sono certo che la capacità di amare è inscritta nel nostro DNA – un “San Paolo” laico direbbe che l’amore è il dono più grande dei nostri geni all’umanità…questo impulso, credo, salverà il nostro futuro”.

Neuro-scienziati e biologi non sostengono altro (vedi le opinioni raccolte da “Michael Tomasello” nel libro “Perché noi cooperiamo” (Warum wir kooperieren, Berlino 2010):

“Nell’altruismo, uno si sacrifica per l’altro.

Nella cooperazione, molti si uniscono in visione del bene comune” (p.14).

 Il noto neuro-biologo “Joachim Bauer” del famoso Istituto “Max Plank”, nel libro “Principio umanità: perché noi, per natura, cooperiamo” e nell’altro “Il gene cooperativo” (Das cooperativa Gen, Hamburg 2006 e 2008 ) dimostra:

“I geni non sono autonomi e in nessun modo ‘egoisti’ (come falsamente vuole “Richard Dawkins”), ma si aggregano tra loro nelle cellule dell’intero organismo… tutti i sistemi viventi sono caratterizzati da cooperazione permanente e comunicazione molecolare verso l’interno e verso l’esterno (p.183-184).

Tali affermazioni, che potremmo moltiplicare con altri grandi scienziati, mostrano che ogni violenza e ogni guerra sono contro la nostra natura più essenziale, fatta di cooperazione, amore, solidarietà e compassione, sebbene, come abbiamo affermato in precedenza, vi sia anche l’impulso di morte e di aggressione. Ma questo attraverso la civiltà, le religioni, l’etica e la partecipazione politica di tutti (democrazia ecologico-sociale), attraverso lo sport e l’arte, può essere tenuto sotto controllo, come del resto affermava “Sigmund Freud” rispondendo ad “Albert Einstein”.

Ciò a cui stiamo assistendo è la totale mancanza di controllo su questa dimensione oscura e disumana (anche troppo umana) che sta producendo morti e distruzioni.

 Chi potrebbe impegnarsi a contenere la disumanità e a mantenere il nostro minimo di umanità è vergognosamente inerte di fronte alla pulizia etnica perpetrata dallo Stato di Israele.

Nel frattempo migliaia di persone sono uccise sotto le macerie prodotte dagli implacabili attacchi aerei dell’esercito israeliano.

Curiosamente, gli Stati Uniti stanno spendendo 100 miliardi di dollari per produrre armi di morte e sostenere la guerra in Ucraina e la guerra tra Israele e Hamas, sostenendo incondizionatamente lo Stato di Israele dando il via libera ad un contrattacco sproporzionato.

Allo stesso tempo, la Cina sta impegnando 100 miliardi di dollari per implementare pacificamente la “Belt and Road” (la via della seta).

 Sono due tipi opposti di politica, l’uno volto al miglioramento dei paesi, soprattutto quelli più poveri, lungo la via della pace e l’altro della guerra, sempre utilizzata dagli USA in Iraq, Afghanistan, Siria, Libia e in molti altri luoghi per garantire la sua eccezionalità e il suo potere unipolare.

Basta.

Ciò che la maggioranza dell’umanità desidera disperatamente è un mondo in cui tutti possano stare in pace, con il sufficiente e dignitoso per tutti, nella stessa Casa Comune, ora in guerra e sotto il fuoco.

(Leonardo Boff)

 

 

 

 

L’umanità potrebbe non essere

 evolutivamente in grado di

affrontare il cambiamento climatico.

Greenreport.it – Redazione - [3 Gennaio 2024] – ci dice:

 

L’umanità potrebbe non essere evolutivamente in grado di affrontare il cambiamento climatico

Gli esseri umani hanno bisogno di un sistema sociale funzionale per il pianeta, che non abbiamo.

 

 

Secondo lo studio “Characteristic processes of human evolution caused the Anthropocene and may obstruct its global solutions”, pubblicato su Philosophical Transactions of the Royal Society B dagli statunitensi Timothy Waring dell’università del Maine e Zachary Wood del Colby College e dall’ungherese Eörs Szathmáry, dell’Eötvös Loránd Tudományegyetem e del Center for the Conceptual Foundations of Science della Parmenides Foundation,  «Le caratteristiche centrali dell’evoluzione umana potrebbero impedire alla nostra specie di risolvere i problemi ambientali globali come il cambiamento climatico».

 

Un bel guaio evoluti vo che, spiegano dall’università del Maine, deriverebbe dal fratto che «Gli esseri umani sono arrivati ​​a dominare il pianeta con strumenti e sistemi per sfruttare le risorse naturali che sono stati perfezionati nel corso di migliaia di anni attraverso il processo di adattamento culturale all’ambiente».

 

Waring, un biologo evoluzionista dell’UMaine George J. Mitchell Center for Sustainability Solutions e della School of Economics, si è chiesto se  e come questo processo di adattamento culturale all’ambiente potrebbe influenzare l’obiettivo di risolvere i problemi ambientali globali. E ha scoperto qualcosa di controintuitivo.

 

Il progetto di ricerca ha cercato di rispondere a tre domande fondamentali: come umana ha operato l’evoluzione nel contesto delle risorse ambientali, come ha contribuito l’evoluzione umana alle molteplici crisi ambientali globali e come i limiti ambientali globali potrebbero cambiare i risultati dell’evoluzione umana in futuro.

 

Lo studio ha analizzato come l’utilizzi dell’ambiente da parte delle società umane è cambiato  nel corso della nostra storia evolutiva. Il team di ricerca ha studiato i cambiamenti nella nicchia ecologica delle popolazioni umane, compresi fattori come le risorse naturali utilizzate, l’intensità con cui sono state utilizzate, quali sistemi e metodi sono emersi per utilizzarle e gli impatti ambientali risultanti dal loro utilizzo.

 

Un lavoro che ha rivelato una serie di modelli comuni: «Nel corso degli ultimi 100.000 anni, i gruppi umani hanno progressivamente utilizzato più tipi di risorse, con maggiore intensità, su scala maggiore e con maggiori impatti ambientali. Questi gruppi spesso si sono poi diffusi in nuovi ambienti con nuove risorse.

 

L’espansione umana globale è stata facilitata dal processo di adattamento culturale all’ambiente. Questo  porta all’accumulo di tratti culturali adattivi: sistemi sociali e tecnologie per aiutare a sfruttare e controllare le risorse ambientali come pratiche agricole, metodi di pesca, infrastrutture di irrigazione, tecnologia energetica e sistemi sociali per la gestione di ciascuna di queste».

 

Waring  sottolinea che «L’evoluzione umana è guidata principalmente dal cambiamento culturale, che è più veloce dell’evoluzione genetica. Questa maggiore velocità di adattamento ha reso possibile agli esseri umani di colonizzare tutte le terre abitabili in tutto il mondo.  Inoltre, questo processo accelera a causa di un processo di feedback positivo: man mano che i gruppi diventano più grandi, accumulano tratti culturali adattivi più rapidamente, il che fornisce più risorse e consente una crescita più rapida. Negli ultimi 100.000 anni, questa è stata una buona notizia per la nostra specie nel suo insieme, ma questa espansione è dipesa dalle grandi quantità di risorse e di spazio disponibili. Oggi anche gli esseri umani hanno esaurito lo spazio. Abbiamo raggiunto i limiti fisici della biosfera e rivendicato la maggior parte delle risorse che ha da offrire. Anche la nostra espansione ci sta raggiungendo. I nostri adattamenti culturali, in particolare l’uso industriale dei combustibili fossili, hanno creato pericolosi problemi ambientali globali che mettono a repentaglio la nostra sicurezza e l’accesso alle risorse future».

 

Per capire cosa significano questi risultati per risolvere le sfide globali come il cambiamento climatico, il team di ricerca ha esaminato quando e come sono emersi in passato sistemi umani sostenibili. Waring e i suoi colleghi hanno trovato due modelli generali. «Primo, i sistemi sostenibili tendono a crescere e diffondersi solo dopo che i gruppi hanno lottato le proprie risorse o non sono riusciti a mantenerle».

 

I ricercatori fanno l’esempio degli  Stati Uniti che hanno regolamentato le emissioni industriali di zolfo e biossido di azoto nel 1990, ma solo dopo aver stabilito che causavano piogge acide e acidificavano molti corpi idrici nel nord-est. Oggi, questa azione ritardata rappresenta un grave problema perché l’umanità minaccia altri confini  globali. Per quanto riguarda il cambiamento climatico, gli esseri umani devono risolvere il problema prima di provocare una catastrofe.

 

nel secondo modello i ricercatori hanno anche trovato prove che «Forti sistemi di protezione ambientale tendono ad affrontare i problemi all’interno delle società esistenti, non tra di loro». Ad esempio, la gestione dei sistemi idrici regionali richiede cooperazione regionale, infrastrutture e tecnologie regionali, che derivano dall’evoluzione culturale regionale. La presenza o meno di società ad un giusto livello è, quindi, un fattore limitante critico.

 

Lo studio avverte che «Affrontare la crisi climatica in modo efficace richiederà probabilmente nuovi sistemi normativi, economici e sociali a livello mondiale, che generino maggiore cooperazione e autorità rispetto ai sistemi esistenti come l’Accordo di Parigi. Per stabilire e far funzionare questi sistemi, gli esseri umani hanno bisogno di un sistema sociale funzionale per il pianeta, che non abbiamo».

 

Waring  ribadisce che «Il problema è che non abbiamo una società globale coordinata che possa implementare questi sistemi. Abbiamo solo gruppi sub-globali, che probabilmente non saranno sufficienti. Ma si possono immaginare trattati di cooperazione per affrontare queste sfide condivise. Quindi, questo è il problema facile. L’altro problema è molto peggiore. In un mondo pieno di gruppi subglobali, l’evoluzione culturale tra questi gruppi tenderà a risolvere i problemi sbagliati, avvantaggiando gli interessi delle nazioni e delle imprese e ritardando l’azione sulle priorità condivise. L’evoluzione culturale tra i gruppi tenderebbe ad esacerbare la competizione per le risorse e potrebbe portare a un conflitto diretto tra i gruppi e persino al deperimento umano globale. Questo significa che le sfide globali come il cambiamento climatico sono molto più difficili da risolvere di quanto ritenuto in precedenza. Non è solo la cosa più difficile che la nostra specie abbia mai fatto. Lo è in assoluto. Il problema più grande è che le caratteristiche centrali dell’evoluzione umana probabilmente stanno ostacolando la nostra capacità di risolverle. Per risolvere le sfide collettive globali dobbiamo nuotare controcorrente».

 

Waring, Wood e Szathmáry ensano che la loro analisi possa aiutare a orientarsi nel futuro dell’evoluzione umana su una Terra limitata e il loro studio è il primo a proporre che l’evoluzione umana possa opporsi all’emergere di problemi globali collettivi e dicono che sono necessarie ulteriori ricerche per sviluppare e testare questa teoria, a cominciare dalla ricerca applicata per comprendere meglio i fattori trainanti dell’evoluzione culturale e, dato come funziona l’evoluzione umana, cercare modi per ridurre la concorrenza ambientale globale.  I tre scienziati evidenziano che «La ricerca è necessaria per documentare i modelli e la forza dell’evoluzione culturale umana nel passato e nel presente. Gli studi potrebbero concentrarsi sui processi passati che hanno portato al dominio umano della biosfera e sulle modalità con cui avviene oggi l’adattamento culturale all’ambiente».

 

Ma se lo schema generale dello studio è corretto e l’evoluzione umana tende a opporsi a soluzioni collettive ai problemi ambientali globali, allora è necessario rispondere ad alcune domande molto urgenti, inclusa quella e possiamo utilizzare queste conoscenze per migliorare la risposta globale al cambiamento climatico.

 

Per Waring la nostra natura tribal-nazionalista e il capitalismo famelico di risorse hanno già un antidoto: «C’è speranza, ovviamente, che gli esseri umani possano risolvere il cambiamento climatico. Abbiamo già costruito una governance cooperativa, anche se mai in questo modo: in fretta e su scala globale».

 

La crescita della politica ambientale internazionale offre qualche speranza. Esempi di successo includono il protocollo di Montreal per limitare i gas che riducono lo strato di ozono e la moratoria globale sulla caccia alle balene a fini commerciali. Nuove iniziative globali dovrebbero includere «La promozione di sistemi più intenzionali, pacifici ed etici di mutua autolimitazione, in particolare attraverso regolamenti di mercato e trattati applicabili, che leghino insieme sempre più strettamente i gruppi umani in tutto il pianeta in un’unità funzionale».

 

Ma è un modello potrebbe non funzionare per il cambiamento climatico. Waring spiega ancora: «Il nostro articolo spiega perché e come la costruzione di una governance cooperativa su scala globale è diversa e aiuta ricercatori e politici ad avere più lucidità su come lavorare verso soluzioni globali. Questa nuova ricerca potrebbe portare a un nuovo meccanismo politico per affrontare la crisi climatica: modificare il processo di cambiamento adattivo tra aziende e nazioni potrebbe essere un modo efficace per affrontare i rischi ambientali globali».

 

Per quanto riguarda la possibilità che gli esseri umani possano continuare a sopravvivere su un pianeta limitato, Waring conclude: «Non abbiamo alcuna soluzione per questa idea di una trappola evolutiva a lungo termine, poiché comprendiamo a malapena il problema. Se le nostre conclusioni sono anche vicine alla correttezza, dobbiamo studiarle molto più attentamente».

 

 

 

 

“Crisi climatica è una truffa”.

 Lo scienziato “Soon Park”:

“Neutralità Co2 sarà un suicidio economico.”

Ilsussidiario.net – (20.02.2024) - Valentina Simonetti – ci dice:

 

Lo scienziato coreano “Soon Park “contro l'allarme crisi climatica:

"Una bufala che sta creando inganni politici e porterà all'aumento della povertà".

Il ricercatore e professore universitario di scienze ambientali coreano “Seok Soon Park” è tra coloro che per primi hanno denunciato l’eccessivo allarme da parte delle istituzioni in merito alla crisi climatica.

 In base agli studi effettuati dallo scienziato infatti, l’inquinamento provocato dai fattori antropici e dalle attività umane è reversibile anche senza drastiche misure come quelle del raggiungimento della neutralità Co2 voluta a livello globale dalla maggior parte dei Paesi industrializzati.

“ Soon Park”, intervistato dal quotidiano “La Verità”, ha affermato che per una “Crescita felice“, servirebbero più investimenti.

Tuttavia, i verdi e gli esponenti della sinistra hanno per anni colpevolizzato il capitalismo per i problemi ambientali arrivando ad accusarli di aver provocato la crisi climatica per aumentare le possibilità di ritorno del socialismo.

 La posizione del professore è infatti categorica, e sottolinea, confermando le parole che furono espresse da Donald Trump nel  2017, che “La crisi climatica è una grande truffa” e il riscaldamento globale non è che una bufala totale e molto costosa, usata come inganno politico per conquistare il potere.

Crisi climatica, “Seok Soon Park”: “La neutralità di emissioni Co2 aumenterà la povertà.”

“Seok Soon Park”, scienziato coreano che studia il fenomeno del cambiamento climatico e della correlazione dell’aumento dell’inquinamento da Co2 con le attività umane, sostiene che: “La teoria del riscaldamento globale di origine antropica è una colossale manipolazione. Resa possibile da indagini scientificamente errate“.

Criticando il famoso modello Ipcc, il documento ufficiale Onu sui cambiamenti climatici, afferma: “È stato uno choc scoprire quanto alterato sia il racconto che politici e giornalisti fanno alla gente.

 

Studiando la storia climatica della Terra ho avuto la certezza che non solo non c’è alcuna crisi climatica, ma stiamo anche vivendo in un’epoca benedetta “.

Tuttavia la via intrapresa dai governi, tra i quali anche la Corea del Sud, è quella di raggiungere in breve tempo la neutralità delle emissioni di Co2.

Su questo il professore dice:

“Sarà un suicidio economico, perché non solo non permetterà di ridurre l’inquinamento ma aumenterà la povertà “.

 

 

 

 

Quali sono le” 5 teorie del complotto”

che agitano i gruppi Telegram

dei “No Clima”.

Fanpage.it – Elisabetta Rosso – (27 luglio 2023) – ci dice:

I gruppi Telegram dei No Clima in Italia hanno tra i 5.000 e i 15.000 iscritti.

Sono diventati aggregatori di notizie false rinforzate da post e commenti di personaggi pubblici e politici.

Dietro ogni teoria c’è quasi sempre la stessa motivazione: “I poteri forti usano la crisi climatica per farci vivere nella paura e controllarci”.

Diete per curare gli effetti della geoingegneria, presunti documenti segreti che dimostrano come i “poteri forti” siano in grado di generare terremoti e inondazioni artificiali, resistono intramontabili anche le scie chimiche.

Siamo entrati nei gruppi Telegram dei “No Clima”, per capire quali sono le teorie del complotto sul cambiamento climatico.

Nelle chat condividono post, video, tweet per rinforzare le loro tesi, tra queste “il caldo c’è sempre stato”, e “La Co2 fa bene”.

 L’aumento delle temperature estive, i temporali anomali, e le alluvioni, hanno incrementato la produzione di contenuti.

A spingere ci sono anche “voci autorevoli” (come li chiamano dentro i gruppi) influencer, personaggi pubblici e politici, che stanno alimentando la macchina dei negazionisti con post e dichiarazioni controverse.

 L’ultima è dello chef “Simone Rugiati,” che parla di strane miscele spruzzate in aria.

Ma facciamo un passo indietro.

C’è stato un momento in cui tutti erano d’accordo.

 Fino al 1992 nessuno negava l’emergenza climatica, persino le aziende petrolifere riconoscevano il problema.

Nel 1977 gli scienziati di “Exxon” avevano trovato prove schiaccianti sul legame tra l’uso dei combustibili fossili e l’aumento della quantità di anidride carbonica.

Prove che per il “bene dell’azienda” rimasero per anni sigillate dentro i cassetti.

Bisogna aspettare però il 1988 per dare un nome alla crisi: effetto serra.

 Il problema guadagna legittimità grazie alla testimonianza dello scienziato della Nasa “James Hansen” al Senato americano.

E così sulle scrivanie dei colossi del petrolio arrivano fascicoli sull’aumento della temperatura media globale di uno o due gradi centigradi entro i successivi quarant’anni a causa delle emissioni.

Le chat dei negazionisti.

È il 1989 e fino a questo momento nessuno ha messo in discussione il cambiamento climatico.

Ora però le grandi aziende che si sono trovate i fascicoli sulle scrivanie e non chiuse dentro i cassetti hanno un problema, e così decidono di offrire un contratto da un milione di dollari a chi fosse riuscito, diciamo, ad ammorbidire la narrazione sul clima.

E qui entra in scena “E. Bruce Harrison”.

Nel 1973 aveva fondato un’azienda di comunicazione che lavorava con aziende altamente inquinanti, e promuoveva le sigarette come innocui piaceri, e nel 1992 presentò il piano perfetto per trasformare evidenze scientifiche in inutili allarmismi.

Per Harrison serviva “l’ottimismo climatico”.

 Bastava comprare articoli sui giornali, far esprimere qualche voce contraria nella comunità scientifica, e iniziare una campagna comunicativa contro il catastrofismo per smontare gli studi e permettere alla lobby industriale di continuare l’avanzata senza ostacoli.

Ed è così che prende forma il negazionismo climatico. 

I “No Clima” sono figli degli stessi "poteri forti" che insultano con meme e frasi in grassetto sui loro gruppi.

Tutte le teorie che portano avanti sono solo versioni “New Age! della strategia di Harrison per accontentare i magnati del petrolio.

 I gruppi più attivi hanno in Italia tra i 5.000 e i 15.000 iscritti, e sono diventati aggregatori di notizie false o fuorvianti che vanno a rinforzare le loro tesi.

Dietro ogni teoria c'è quasi sempre la stessa motivazione: "I poteri usano la crisi climatica per farci vivere nella paura per controllarci", c'è anche l'opzione guerra del clima con armi di                        geoingegneria e la versione:

 "I potenti hanno investito troppo nell'energia rinnovabile, e rischiano di perdere un sacco di soldi se il riscaldamento globale si dimostra infondato. SVEGLIATEVI!".

I gruppi contro il cambiamento climatico.

1. Il caldo c’è sempre stato.

Sui gruppi si allegano post di presunti esperti e politici.

Comprare infatti un tweet del deputato della Lega “Claudio Borghi”:

“In Italia ci sono sempre stati terremoti, temporali, frane e alluvioni

 Un Paese dove può fare molto caldo e molto freddo.

Resistere a intemperie è parte della natura dell'Italiano.

Per chi pensasse che le trombe d'aria ci siano solo oggi ecco il database", e allega un link con lo storico delle trombe d’aria in Italia”.

Peccato che i numeri contraddicono la tesi di Borghi:

il numero di trombe d'aria registrato tra il 1900 e il 1950 è uguale a quello del 2022.

Sotto il tweet ripubblicato sul gruppo però compaiono applausi, cuori e pollici in su.

Scrivono ancora: “TEMPERATURE SOPRA LA MEDIA PER QUALCHE GIORNO…TEMPERATURE SOTTO LA MEDIA PER QUALCHE GIORNO..UGUALE TOTALE NORMALITÀ…”.

Le fonti che usano per dimostrare questa tesi del “il caldo c’è sempre stato” sono proprio i giornali contro cui inveiscono.

Allegano ai post foto di prime pagine di vecchi quotidiani.

Tra queste: “La grandine squassa Milano, a Roma si soffoca: 42 gradi” dell’estate del 1967, oppure: “Cento feriti e 500 famiglie sinistrate per una furiosa grandinata a Torino”, 1959.

Pagina di giornale del 1967 pubblicata sui gruppi che negano il cambiamento climatico.

Sui social è diventata virale anche la prima pagina della Domenica del Corriere della Sera del 13 luglio del 1952.

 Nel trafiletto in basso si legge:

 “Quaranta all’ombra! Eccezionali giornate di caldo hanno afflitto vaste zone dell’Europa e specialmente la Francia, l’Italia, la Svizzera e la Germania.

 Nella pianura padana si sono avute punte massime raramente registrate: 40 gradi all’ombra a Novara, 42 a Reggio Emilia”.

E i negazionisti scrivono: “Basta informarsi per scoprire che è tutta una montatura”.

 Prima pagina della Domenica del Corriere del 1952.

2. Geoingegneria clandestina.

La geoingegneria clandestina parte da un principio semplicissimo:

 i poteri forti sono in grado di controllare pioggia, vento, terremoti.

Su un gruppo scrivono: “La dispersione di ALLUMINIO, BARIO e altri elementi nell'atmosfera rappresenta la base della cosiddetta GEOINGENIERIA.

Questa attività è in grado di provocare siccità o inondazioni ovunque gli autori decidano”.

Partiamo da una precisazione, i complottisti scambiano la geoingegneria con l’ingegneria climatica, l'applicazione di tecniche artificiali di intervento umano sull'ambiente fisico per contrastare i cambiamenti climatici.

 La geoingegneria invece è lo studio dell'influenza dei fattori geologici su un'opera di ingegneria.

 

Secondo i complottisti, i “poteri forti” usano la "geoingegneria clandestina” come arma di pressione per mettere in atto quella che chiamano “guerra del clima”.

 In altre parole se la Francia è uno Stato nemico allora si generano terremoti o alluvioni artificiali sul territorio francese. Non solo, serve anche per “punire le popolazioni e renderle più paurose e tranquille così obbediscono” scrivono.

La teoria ha il fascino biblico delle piaghe d'Egitto.

 

Le teorie del complotto contro il cambiamento climatico.

A confermare questa versione c'è anche “Simone Rugiati”, chef, ex concorrente de l’Isola dei Famosi, Pechino Express e Tú sí que vales, e conduttore di programmi tv, ha pubblicato una storia Instagram dove spiega:

 “Si può manipolare il clima, in alcune zone si può causare pioggia, si può causare siccità.

Questo adesso è palese se siete curiosi, non vi stupite più di tanto, lo dovete sapere che è così”.

I complottisti sui gruppi sono infatti convinti che la “Haarp” (acronimo di High Frequency Active Auroral Research Program), un'installazione che si trova in Alaska costruita nel 1993 per studiare gli strati dell'atmosfera e della ionosfera, sia in realtà una fabbrica di terremoti e piogge artificiali. 

 

Ogni tanto compaiono post con sopra scritto: “RIVELATI PROGETTI GOVERNATIVI SULLA MODIFICAZIONE DEL TEMPO” e poi riportano i presunti stralci.

 “Sebbene la maggior parte di noi vivi oggi, abbia forse conosciuto poco il tempo veramente "naturale", ciò che stiamo vivendo, è tutt'altro che naturale.

 Queste "oscillazioni" o "fluttuazioni" stanno diventando sempre più gravi…Gli scenari di "colpo di frusta" geoingegnerizzata, sono ora la norma.”

 

3. Le scie chimiche.

È un evergreen, la teoria delle scie chimiche sostiene che alle scie di condensazione create dagli aerei, vengano aggiunti agenti chimici o biologici, poi spruzzati in volo.

L'operazione farebbe parte di un complotto globale.

 Il fine, secondo i complottisti, sarebbe alterare e il controllare il clima terrestre.

 Non solo.

 Per molti sono esperimenti governativi o militari, attacchi terroristici, operazioni di società private, tentativi di condizionamento psicologico tramite agenti psicoattivi, o addirittura un modo per frenare l'esplosione demografica mondiale, eliminando quattro miliardi di persone.

 In questo caso l’emergenza climatica è solo il pretesto per coprire i “delitti delle scie chimiche”.

 

Sul gruppo scrivono “Cosa c'è nella scia?

Elenco dei contenuti: – Ossido di alluminio – Arsenico – Bacilli e funghi – Piombo – Metilalluminio – Trifluoruro di azoto – Psedumonas – Selenio- Stronzio – Batteri sconosciuti – Sali di bario – Cadmio – Cromo – Sali di litio (stupefacenti per l'uomo)- Spore di muffa – Nichel – Cesio radioattivo – Particelle di titanio – Anidride solforosa – Microtossine prodotte da funghi – Tritanato di bario – Enterobacteriaceae – Mercurio – fibre di vetro con fibre di alluminio e polimeri (possono essere auto-assemblate)”.

Ingrediente preferito: il “spore di muffa”.

 Scrivono anche: “Molte compagnie aeree, specialmente low cost, sopravvivono con i compensi per la diffusione delle scie chimiche. Il trasporto dei passeggeri è poco più di una copertura.”

 Dentro le che dei negazionisti.

4. La CO2 fa bene.

“La CO2 non ha alcun effetto sul Clima, niente.

La CO2 è solo cibo per le piante, raddoppiare la CO2 sarebbe un'ottima cosa, più 40% di crescita vegetale.

 La verità verrà fuori quando il pubblico si renderà conto che è stato rubato dalle multinazionali in nome del pianeta”.

Si legge sui gruppi.

La CO2 quindi sarebbe stata ingiustamente demonizzata dai governi per mettere in scena l’emergenza climatica.

Scrivono ancora:

“Il riscaldamento globale è una truffa, il cambiamento climatico è di origine naturale, la CO2 è ottima per la crescita delle piante e l'innalzamento del livello del mare è lo stesso degli ultimi 300 anni.

 Era da molto tempo che il Polo Sud non aveva così tanto ghiaccio.

La NASA ci sta manipolando”.

E ancora:

"Attualmente siamo ai livelli più bassi di CO2 degli ultimi 600 milioni di anni.

Stanno manipolando i dati, ma noi scienziati che li denunciamo siamo ignorati dai media", allegano i video di “scienziati illustri che non si piegano al governo”.

I commenti sui gruppi contro il cambiamento climatico.

5. Gli scienziati sono pagati per mentire.

"È tutto falso e gli scienziati sono pagati", poi sotto viene riportata un'analisi dell’” Heartland Institute” (HI), un “think tank” conservatore, che spiega come la maggior parte degli scienziati sia pagato per falsificare le prove.

 “Sono solo dei venduti” scrivono sui gruppi, “ascoltate questa esperta che non è stata corrotta e racconta tutta la verità”.

Secondo teorici della cospirazione, attraverso il sabotaggio, l'ecoterrorismo, e "la cattiva condotta professionale", è stato costruito il cambiamento climatico.

Sotto i post appaiono liste con percentuali sempre diverse, il 45%, il 30%, il 60% “degli scienziati ha raccontato che il riscaldamento climatico è una fake news, ma i poteri forti li zittiscono”.

Tutti i gruppi hanno condiviso la notizia del “Premio Nobel per la fisica 2022”, “John Clauser”, che avrebbe dovuto presentare un seminario sui modelli climatici all’FMI, ma il suo discorso è stato cancellato dagli organizzatori.

 “L’hanno zittito perché voleva dire la verità” commentano.

Sembra infatti che scienziato abbia definito la narrativa del cambiamento climatico è “una bufala” perpetrata dell'élite “per spopolare il pianeta” e ha attaccato quella che ha definito una “fuorviante scienza del clima” che “si è trasformata in una massiccia pseudoscienza giornalistica scioccante”.

Sotto scrivono: “Pensateci, è un premio Nobel”.

I video che vengono pubblicati nelle chat.

Continua a leggere su: (fanpage.it/).

(fanpage.it/innovazione/tecnologia/quali-sono-le-5-teorie-del-complotto-che-agitano-i-gruppi-telegram-dei-no-clima/).

 

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