Mondo multipolare.
Mondo
multipolare.
Come
rilanciare il multilateralismo
in un
mondo multipolare?
Eeas.europa.eu
– (16-3 – 2021) -Josep Borrel – ci dice:
Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione
europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza / Vicepresidente della
Commissione UE.
(16.3.2021
– Blog dell'AR/VP).
Nei
dibattiti sulla politica estera dell'UE, i concetti chiave cui si fa spesso
riferimento sono quelli di multilateralismo e multipolarismo.
È stato così anche in occasione della mia
recente riunione con la conferenza interparlamentare.
Ho pensato che potrebbe essere utile
specificare come interpreto questi concetti e il loro modo di relazionarsi
l'uno con l'altro.
"Non
vi è contraddizione tra l'esercizio della politica di potere e la promozione
dei nostri valori.
Anzi, dare prova del fatto che non si intende
abbandonare i propri principi è un segno di forza."
Sappiamo
tutti che il multilateralismo è essenziale per la nostra visione del mondo, ma
si trova ad affrontare forti venti contrari.
Tuttavia,
l'insediamento della nuova amministrazione statunitense offre una reale
opportunità per lavorare al suo rilancio, anche se non sarà un compito facile:
in
primo luogo, perché non esiste un consenso a livello mondiale per quanto
riguarda i modi per ricostruirlo;
in
secondo luogo, perché in un mondo multipolare e frammentato la base geopolitica
del multilateralismo sta cambiando;
e in
terzo luogo, perché l'Europa, come gli altri attori globali, dovrà operare in
modo più assertivo per far valere i propri interessi in un mondo più
transazionale.
Intendo
dire che, se si vogliono promuovere alcuni principi fondamentali sulla scena
mondiale, non basta affidarsi semplicemente al loro valore morale, ma occorre
sostenerli con il proprio peso politico.
Ad esempio, nell'intento di difendere il
principio secondo cui le frontiere non possono essere modificate con l'uso
della forza, l'Europa ha adottato sanzioni nei confronti della Russia, che in
Ucraina ha cercato di contravvenire proprio a questo principio.
Chi viola i principi fondamentali deve subire
le conseguenze del proprio comportamento.
Per
questo motivo, dopo la mia ultima visita a Mosca ho proposto di impostare le
relazioni UE-Russia sulla base di tre linee guida: contrastare, quando la
Russia viola il diritto internazionale;
arginare,
quando la Russia vuole indebolire il nostro sistema democratico;
dialogare,
quando abbiamo interesse a collaborare con il regime russo.
"Oggi
il mondo sta diventando più multipolare e meno multilaterale."
Oggi il mondo sta diventando più multipolare e
meno multilaterale.
Per
l'Europa, la sfida consiste nel conciliare entrambe le dimensioni, adattandosi
alla nuova distribuzione del potere, adoperandosi allo stesso tempo per
attenuare la frammentazione politica del mondo in poli concorrenti.
Negli
ultimi trent'anni abbiamo assistito a una rapida trasformazione della
distribuzione del potere a livello mondiale.
Siamo
passati da una configurazione bipolare tra il 1945 e il 1989 a una unipolare
tra il 1989 e il 2008, per poi arrivare a quello che oggi potremmo chiamare
"multipolarismo
complesso".
Sul
piano economico, ad esempio, abbiamo tre poli dominanti:
Stati Uniti, Cina e Unione europea.
Sul piano politico la configurazione è
tuttavia più complessa:
in
primo luogo, perché l'emergente bipolarismo sino-americano sta strutturando
sempre di più il sistema mondiale;
in
secondo luogo, perché esistono importanti potenze politiche e militari che non
sono necessariamente forti potenze economiche (come la Russia, oppure la
Turchia a livello regionale);
in terzo luogo, perché in una posizione
intermedia vi sono attori, come l'UE, che hanno un forte peso economico ma che
sono poli politici in fieri.
L'ambizione di quella che chiamiamo
"Europa geopolitica" è proprio quella di colmare il divario tra
potere economico e influenza geopolitica.
"Lo
sviluppo dell'Europa in quanto polo politico non è contrario alla difesa del
multilateralismo, ma costituisce una condizione fondamentale per garantire
l'efficacia di tale difesa."
Occorre essere chiari su un punto:
lo sviluppo dell'Europa in quanto polo
politico non è contrario alla difesa del multilateralismo, ma costituisce una
condizione fondamentale per garantire l'efficacia di tale difesa.
In primo luogo, il multilateralismo è
principalmente una metodologia concepita per regolamentare le relazioni
mondiali in base a principi stabili e trasparenti che si applicano in egual
misura a tutti i paesi, indipendentemente dalla loro dimensione.
Ciò
significa che le regole sono le stesse a prescindere dal fatto che si tratti di
un paese più piccolo o di una grande potenza.
Tuttavia,
come immaginato da George Orwell ne "La fattoria degli animali",
anche se gli Stati sono uguali dal punto di vista formale, alcuni sono più
uguali degli altri.
Il
multilateralismo non è una bacchetta magica.
Può
però attenuare le differenze di potere esistenti tra gli Stati, vincolandoli
mediante norme comuni.
Per
questo motivo è appoggiato dall'Europa e dalla grande maggioranza degli Stati
di tutto il mondo.
Ora,
le norme multilaterali non piovono dal cielo, ma rispecchiano una situazione
esistente e, molto spesso, le preferenze dei più potenti.
Ad
esempio, per vincere la battaglia del” Green Deal europeo” dovremo istituire un
meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, un dispositivo
indispensabile ma anche controverso:
indispensabile perché senza tale meccanismo ci
troveremo di fronte a una rilocalizzazione delle emissioni di CO2 e a uno
svantaggio comparativo per le nostre industrie;
controverso perché molti paesi lo considerano,
erroneamente, un meccanismo protezionistico.
Per
questo deve essere conforme alle norme dell'OMC.
Dobbiamo costruire alleanze forti con Stati
che condividono gli stessi principi e convincere i più riluttanti tra loro a
partecipare con noi a questo sforzo.
Dobbiamo
pensare in termini di equilibrio di potere e promuovere allo stesso tempo i
nostri interessi.
Siamo
un'Unione fondata su principi, ma i principi da soli non bastano per elaborare
una politica e ancor meno una politica vincente.
Questo è l'insegnamento principale che
dobbiamo trarre dall'attuale contesto mondiale, in cui la politica di potere
sta guadagnando terreno.
"Non vi è contraddizione tra l'esercizio
della politica di potere e la promozione di valori.
Anzi,
dare prova del fatto che non si intende abbandonare i propri principi è un
segno di forza."
Il secondo motivo della crisi del
multilateralismo risiede nel fatto che i valori liberali del 1945 si trovano
sulla difensiva nel nostro mondo in evoluzione.
Narrazioni
alternative mettono in discussione l'"Occidente" in tutti i settori,
siano essi l'economia, la salute, la storia, le libertà individuali o i diritti
umani.
Russia e Cina, così come altri paesi,
ritengono che le discussioni sui diritti umani nelle rispettive sfere di
influenza siano una violazione della loro sovranità.
Per
l'UE, invece, i diritti umani sono valori universali e costituiscono il
fondamento della nostra politica estera.
Se la Russia cerca ora di aggirare l'Unione e
di trattare direttamente con gli Stati membri, è anche perché l'UE è importante
e ostacola gli obiettivi russi.
Infatti, contrariamente a quanto si crede
generalmente, non vi è contraddizione tra l'esercizio della politica di potere
e la promozione di valori.
Anzi, dare prova del fatto che non si intende
abbandonare i propri principi è un segno di forza.
La
creazione del multilateralismo nel 1945 e la sua rinascita dopo il 1989, pur
non essendo esclusivamente occidentali, sono state decisamente liberali.
Questo
ordine multilaterale e basato su regole è stato confortevole per noi europei
perché rispecchiava essenzialmente le nostre preferenze e i nostri interessi.
Nel
mondo del futuro la situazione sarà più difficile perché vi sono rivendicazioni
e visioni contrastanti sulle caratteristiche che il sistema internazionale
dovrebbe possedere.
La
voce liberale è semplicemente una voce tra le altre.
Gli
Stati che mettono in discussione questa prospettiva vogliono trasformare il
multilateralismo dall'interno e ridefinirlo.
Si stanno impegnando nella creazione di
istituzioni multilaterali intese a rovesciare questa visione liberale.
Alla
luce di tutto ciò, è urgente che l'Europa dia prova dell'esistenza di un punto
di vista europeo e stringa alleanze con gli Stati che condividono gli stessi
principi.
Sul
piano operativo, deve essere in grado di creare coalizioni tematiche e di
essere più assertiva, reattiva e agile, poiché, ancora una volta, l'equilibrio
di potere non sempre va a nostro vantaggio.
L'Europa difende una serie di punti di vista e
non ha ambizioni egemoniche.
Al tempo stesso, deve garantire che questo non
porti a un relativismo generalizzato in cui tutti fanno ciò che vogliono
all'interno dei propri confini.
Ecco perché il nostro impegno nell'ambito di
organizzazioni internazionali come il “Consiglio dei diritti umani” è molto
importante.
"Per quanto riguarda la definizione del
multilateralismo, i nostri obiettivi sono tre:
consolidare ciò che funziona,
riformare ciò che non funziona più correttamente ed
estendere la portata del multilateralismo a nuovi settori."
Vi è
un terzo motivo che giustifica i nostri sforzi per diventare un polo politico
in un mondo multipolare:
la necessità di difendere le nostre priorità
su come definire il sistema multilaterale.
I nostri obiettivi al riguardo sono tre:
consolidare ciò che funziona, riformare ciò che non funziona più correttamente
ed estendere la portata del multilateralismo a nuovi settori.
È
questo il messaggio principale della nuova strategia sul multilateralismo
approvata di recente dalla Commissione e da me in qualità di alto
rappresentante.
Essa offre idee concrete su come l'UE intende
rilanciare e modernizzare il sistema internazionale basato su regole in settori
prioritari fondamentali - dal commercio agli investimenti, passando per la
sanità, i cambiamenti climatici e le norme sulle nuove tecnologie emergenti.
La strategia evidenzia l'impegno a investire
in partenariati creativi, non da ultimo con organizzazioni regionali come, tra
l'altro, l'Unione africana e l'ASEAN, al fine di rafforzare collettivamente le
Nazioni Unite e altri consessi multilaterali.
In
effetti, la sfida non consiste tanto nel modificare le norme internazionali,
quanto nel garantirne l'attuazione.
Non
possiamo più accontentarci, ad esempio, di difendere l'OMC senza modernizzarne
le procedure, in particolare per quanto riguarda le sovvenzioni statali.
Infine, vi sono nuovi settori, come ad esempio
la digitalizzazione o l'intelligenza artificiale, per cui dobbiamo definire con
urgenza nuove norme globali.
Per conseguire questi obiettivi dobbiamo
detenere una posizione di forza, ma non solo:
dobbiamo
anche definire una posizione comune, sviluppare argomentazioni e costruire
alleanze.
"Non
siamo obbligati a scegliere tra il multipolarismo, che è un dato di fatto, e il
multilateralismo, che è un'ambizione."
Con questo intendo dire che non siamo
obbligati a scegliere tra il multipolarismo, che è un dato di fatto, e il
multilateralismo, che è un'ambizione.
Accettare il multipolarismo significa affrontare la realtà di un
mondo diversificato, ma anche frammentato e conflittuale.
Difendere
il multilateralismo vuol dire respingere i punti di vista fatalistici e
mobilitarsi a favore dei nostri punti di forza e dei nostri partner per rendere
il gioco globale più fluido, tenendo sempre presenti gli interessi dell'Europa
e i valori su cui poggiano.
In una
Società Normale…
Conoscenzealconfine.it
– (4 Febbraio 2024) - Gabriele Sannino – ci dice:
In una
società NORMALE la rivolta dei contadini, degli allevatori e dei pescatori di
un INTERO CONTINENTE dovrebbe diventare la rivolta di tutti.
Questi
imprenditori, infatti, stanno semplicemente FALLENDO, a causa di insensate –
anzi deliranti – politiche “green”, rincari di carburanti, limiti alla
produzione, al commercio, all’esportazione, insulsi sussidi per non lavorare,
tasse e balzelli di ogni genere.
Vogliono
proprio la loro FINE, se non lo avete capito.
Il
loro fallimento, però – è qui il punto – è il NOSTRO:
se
loro non producono più, noi cosa mangeremo?
Quanto
pagheremo per i prodotti importati?
Già
questi comparti sono rincarati: cosa accadrà se l’offerta si ridurrà ancora di
più?
Cosa darete da mangiare ai vostri figli?
Ve lo
scrivo io: grilli, insetti vari e cibo sintetico, che la nostra “amatissima”
Unione Europea non vede l’ora di poter smerciare in tutto il territorio sotto
la sua “DITTATURA
burocratica”.
Se non
lo sapete – e molti tele-affezionati sicuramente non lo sanno – a dicembre
hanno autorizzato diversi prodotti a base di insetti in questo sgangherato
paese senza più un briciolo di sovranità.
Ergo, se non riuscite a vedere il futuro che
vorrebbero preparare, posso farvi un disegnino:
il “cibo bio”, quello VERO per intenderci come
carne, latte, frutta e ortaggi sarà per pochi, mentre le MASSE si alimenteranno
con cibo spazzatura… che costerà molto poco.
Già lo
sento il BABBANO di turno:
ecco, è arrivato il complottista!
Bello
vivere su Marte, vero?
Tutto
verrà fatto PIANO PIANO naturalmente, così che il “popolino” si possa abituare.
Giovedì
1° febbraio 2024, mentre più di 1300 trattori assaltavano letteralmente
l’Europarlamento, i rappresentanti delle 27 nazioni lì presenti in quel palazzo
decidevano di stanziare NON fondi per la NOSTRA AGRICOLTURA, ma – udite – per l’UCRAINA:
ben 50 miliardi, di cui 33 di prestiti (a
proposito, quando li restituisce Zelensky?) e 17 a fondo perduto.
Ursula
Von De Leyen, dopo gli accordi, ha dichiarato: “oggi è un buongiorno per
l’Europa”.
No,
Signori, naturalmente non siamo davanti a una dittatura guerrafondaia che se ne
fotte del popolo e pensa solo a guerre insensate… se non per certi poteri:
questo
pensiero, infatti, è solo per chi osa ancora PENSARE.
Siamo
in un mondo che si basa SOLO su una gigantesca IGNORANZA dei popoli che sono
pronti, ormai, grazie al lavaggio del cervello quotidiano, ad accettare davvero
QUALSIASI COSA e non capire più neanche le cose essenziali!
Ecco
perché dei vostri diplomi, lauree, master… potete fare un bel falò per quanto
mi riguarda:
la vostra cecità e stupidità fa di voi le
persone più ignorantemente istruite della storia umana.
(Gabriele
Sannino)
(t.me/gabrielesannino).
Il
mondo multipolare, un nuovo
ordine globale sta nascendo.
(Monthly Report).
Indipendente.online.it - Redazione - 18
SETTEMBRE 2023 - ci dice:
L’assetto
geopolitico del mondo sta cambiando.
Quello
in cui ci troviamo è un periodo di transizione, nel quale il passaggio da un assetto unipolare a uno multipolare sembra ormai segnato.
Molti
tra i Paesi che per lungo tempo abbiamo con sprezzo definito Terzo mondo stanno
acquisendo sempre più voce nel contesto internazionale, contribuendo
all’insediarsi di questo nuovo equilibrio.
Ma
quali dinamiche stanno rendendo tutto questo possibile?
Dove
affondano le radici storiche di tale cambiamento?
Chi
tutelerà le popolazioni da questo frammentarsi di poteri – e quindi,
potenzialmente, dal moltiplicarsi degli oppressori?
Questi
i temi al centro del nuovo “Monthly Report”, la “rivista mensile de
L’Indipendente” all’interno della quale trattiamo tematiche di particolare
rilevanza che riteniamo non sufficientemente approfondite dalla comunicazione
mainstream.
L’editoriale
del nuovo numero: Il nuovo ordine mondiale sarà realmente nuovo?
Che il
mondo si avvii a diventare multipolare è un dato di fatto della storia, reso
ovvio dall’ascesa economica, politica e militare di nuovi attori globali.
Cina,
India, monarchie del Golfo, Brasile, Turchia, Russia ed altri ancora: sono
sempre di più i Paesi che chiedono una ridefinizione dell’ordine mondiale
stabilito dopo la fine della seconda guerra mondiale, basato su leggi e
organizzazioni sovranazionali progettate a Washington.
Quando
i media dominanti d’Occidente vagheggiano di ciò che pensa o decide la comunità
internazionale in realtà definiscono con questo termine un gruppo di Stati che
rappresenta appena 1,3 miliardi di cittadini del mondo – quelli che risiedono
nei Paesi occidentali più Giappone e Australia – mentre altri 6,7 miliardi sono
esclusi dal privilegio di vedersi rappresentati in questo club esclusivo che
parla a nome del mondo intero.
Si
tratta di una disparità che ha retto fino a che i Paesi di questa maggioranza
di cittadini del mondo potevano essere considerati poveri o in via di sviluppo,
ma ormai molti di questi sono potenze reali con economie forti e in espansione,
eserciti moderni e tecnologie all’avanguardia.
Come è
normale che sia, vogliono non solo entrare a far parte della comunità
internazionale, ma avere voce in capitolo per ridiscuterne le regole.
Stati
Uniti e alleati potranno decidere se aprire la porta oppure aspettare che venga
sfondata: il risultato non cambierà.
Come in ogni fase storica di ridefinizione
degli equilibri globali, un nuovo ordine mondiale sorgerà.
Si
spera con un negoziato pacifico, perché l’alternativa è un allargamento del
conflitto in corso in Ucraina (e per procura in medio Oriente e in Africa) che,
passando per Taiwan, sfocerebbe in una nuova guerra mondiale.
Questo il quadro che praticamente tutti gli
analisti geopolitici danno per scontato e che dettagliamo in questo nuovo
numero del “Monthly Report”.
Di
fronte a questo scenario di ridefinizione degli equilibri globali c’è chi si
dispera per l’unilateralismo occidentale perduto e chi festeggia per l’ascesa
di nuove potenze.
Come
al solito su “L’Indipendente” proviamo anche a cambiare sguardo sulla vicenda,
senza abbandonarci al tifo geopolitico per l’una o l’altra potenza.
Certo,
un mondo multipolare è maggiormente rappresentativo delle varie potenze
presenti nel mondo e potenzialmente più equo:
ma un
nuovo ordine globale non sarà automaticamente un mondo più giusto.
Fino
ad oggi l’umanità non è ancora riuscita a liberarsi di una logica atavica che
mette in dubbio una facoltà che gli umani si arrogano con incrollabile
convinzione:
essere
l’unica specie animale dotata di ragione, capace di senso di giustizia e di
risolvere le controversie in modo civile.
La verità è che gli equilibri tra Stati si
regolano oggi allo stesso modo di migliaia di anni fa:
attraverso
la legge di natura che vige nel mondo animale, dove il più forte cerca di
dominare i più deboli con la sopraffazione.
Se non
si supera questa logica, la differenza tra un mondo unipolare e uno multipolare
risiederà solo nel fatto che nel primo c’era un unico soggetto dominante e nel
secondo ci saranno più potenze a contendersi pezzi di pianeta da assoggettare
alle proprie sfere d’influenza.
Il nuovo ordine mondiale rischia così di essere una riedizione
di una logica vecchissima, dove per miliardi di umani la realtà continuerà ad
essere quella che oggi vivono le popolazioni africane, indigene, palestinesi,
curde e di tanti altri popoli ancora:
vivere
sotto il dominio diretto o neocoloniale di una potenza estera più forte.
Per
chi ha a cuore un mondo più giusto nel suo complesso occorre tifare non per
l’una o l’altra potenza, ma per la nascita di un equilibrio realmente nuovo.
Anche su questo proviamo a interrogarci.
Mondo
multipolare, dove
si
nascondono le opportunità.
Focusrisparmio.com
– Antonio Potenza – (1° luglio 2023) – ci dice:
I
nuovi equilibri geopolitici impatteranno sulle future tendenze degli
investimenti, mentre i bond degli Emergenti continuano a rappresentare
un’interessante fonte di diversificazione.
Tanto più nel delinearsi, come afferma Ceelen
(DPAM), di un equilibrio economico globale dalla trazione non più bipolare ma
multipolare
DPAM è
arrivata in Italia nel 2013.
Quest’anno
spegne dieci candeline con l’orgoglio di annunciare che il mercato tricolore
per il gruppo vale due miliardi di patrimonio tra gestito e advisory.
“La
decisione di aprire una sede a Milano è stata una scelta strategica” afferma”
Alessandro Fonzi”, country head della società, “con un approccio diverso da altri
gruppi esteri che dopo aver guadagnato hanno abbandonato il mercato. Abbiamo da
sempre guardato all’Italia con l’obiettivo di restarci”.
La
sostenibilità nella strategia di DPAM è diventata gradualmente fondamentale,
tanto che oggi “le scelte dei nostri clienti e collocatori, premiano
l’attenzione da sempre prestata alle tematiche ESG”.
“Quasi
il 100% dei fondi, che sono circa i 2/3 della nostra attività in Italia, è art.
8 o art. 9 ai sensi della normativa Sfdr”, fa sapere ancora Fonzi.
Quanti
poli.
Yves
Ceelen,
cio global balanced and head of institutional mandates di DPAM.
“Non è
più un mondo bipolare”, afferma Yves Ceelen, cio global balanced and head of
institutional mandates di DPAM, in apertura dell’outlook 2023 della società.
Per l’esperto non si può guardare all’attuale
equilibrio geopolitico ed economico come una semplice situazione bifronte.
Non c’è un conflitto economico tra Usa e Cina.
Ricostruendo
gli ultimi cinquant’anni, post-guerra fredda l’equilibrio economico globale si
basava sugli Stati Uniti “che avevano di fatto dato via a un ordine globale
unipolare” dice “Ceelen”.
La scacchiera internazionale è in subbuglio a
causa di diverse variabili: l’ascesa dell’economia cinese, il conflitto in seno
all’Europa, la crisi climatica e lo sviluppo dei mercati emergenti.
“Questo cambiamento avrà un impatto
significativo sulle future tendenze degli investimenti, sul dollaro, sul
mercato dei titoli di Stato e sulle materie prime.
Nessun attore del mercato sarà immune a questa
evoluzione che offre opportunità per alcune regioni, economie e settori”
aggiunge “Ceelen”.
“All’orizzonte
non c’è un mondo bipolare, ma multipolare” afferma l’esperto di DPAM.
“I
Paesi come l’India, l’Arabia Saudita, il Sudafrica e Singapore non sono più
disposti a limitarsi a seguire la linea dettata da altri” ma preferiscono
seguire la propria agenda e i propri interessi nazionali.
L’influenza
della Cina.
“La
Cina sembra essere alla guida della nuova era della globalizzazione” afferma “Ceelen”.
Che
ricorda come Pechino sia stata capace di promuovere alleanze un tempo ai
margini tramite iniziative come “Belt & Road”, “BRICS+ “(coniata da Jim
O’Neill di Goldman Sachs nel 2001) e l’”Organizzazione per la Cooperazione di
Shanghai”.
“Queste
piattaforme”, racconta l’esperto, “offrono un palcoscenico comune a Paesi,
principalmente del Sud Globale (Paesi dell’America Latina, Asia, Africa e
Oceania), con storie comuni di oppressione e sfruttamento, spesso per mano
dell’Occidente”.
“Al
centro di questa narrazione”, continua, “c’è l’ascesa del Dragone da vittima
coloniale a potenza globale, che funge da faro per le nazioni meno inclini alla
democrazia liberale”.
Alla
ricerca delle opportunità.
La
centralità del dollaro anche tra questi nuovi rapporti va gradualmente a
scemare.
“È importante ricordare che si tratta di una
transizione continua, non di un crollo improvviso” dice “Ceelen”.
Tuttavia, avverte,“non dimentichiamo che il
biglietto verde costituisce ancora circa il 70% del debito mondiale”.
In
questa fase, con lo spettro dell’inflazione sugli investimenti, è importante la
protezione del patrimonio.
“Salta all’occhio come molti mercati emergenti
registrino attualmente prezzi più bassi rispetto alle loro controparti
occidentali” fa notare “Ceelen”.
“Riteniamo”, aggiunge, “che le obbligazioni di
questi Paesi, che offrono un rendimento di circa il 7%-8% e rendimenti reali
consistenti, costituiscano un’interessante diversificazione per i portafogli a
reddito fisso.
Inoltre, alcuni investitori potrebbero voler
contribuire direttamente a contrastare l’impatto del cambiamento climatico, in
particolare in regioni come l’Africa, l’America Latina e l’Asia”.
A
questo scopo, suggerisce l’esperto, “può essere utile incorporare la
microfinanza nei tradizionali portafogli multi-asset.
Questa asset class, composta da numerosi
piccoli prestiti a breve termine con tassi di default generalmente bassi, non
solo offre potenzialmente un rendimento costante di circa il 4-5%, ma può anche
migliorare in modo significativo la vita quotidiana degli individui e delle
piccole imprese di questi Paesi”.
Bipolare,
multipolare e non-polare:
Il
mondo contraddittorio al tempo
dell’invasione
russa dell’Ucraina.
Affarinternazionali.it - Nathalie Tocci – (19
Settembre 2023) ci dice:
Sapevamo da tempo che il vecchio ordine sarebbe
scomparso.
Il
nuovo secolo è iniziato con gli attacchi terroristici dell’11 settembre e le
conseguenti guerre in Afghanistan e in Iraq.
Soprattutto
quest’ultima è stata associata agli eccessi dell’egemonia americana e, di
conseguenza, all’inizio della sua fine.
Sapevamo da almeno due decenni che la Pax
Americana sarebbe finita. Quello che non sapevamo è da cosa sarebbe stata
sostituita.
Crisi
finanziaria, BRICS e G20.
Solo
pochi anni dopo, a partire dal 2008, la crisi finanziaria globale e la conseguente
crisi dell’Eurozona sembravano fornire le prime risposte.
La
crisi finanziaria globale è stata una crisi dell’Occidente, che ha messo a nudo
le profonde vulnerabilità dell’iper liberismo che permeava il capitalismo
occidentale.
Ha stimolato un dibattito sul multipolarismo
come alternativa all’unipolarismo statunitense.
Si
sono formati raggruppamenti come i “BRICS” (Brasile, Russia, India, Cina,
Sudafrica), è stata istituita la “Banca asiatica per gli investimenti nelle
infrastrutture”, che ha messo in luce i fallimenti delle riforme delle
istituzioni finanziarie internazionali guidate dall’Occidente.
Nuovi
raggruppamenti multilaterali come il G20 sembravano più rappresentativi della
distribuzione globale del potere e meglio attrezzati per affrontare le crisi
dell’economia globale.
La
crisi finanziaria ha anche acceso il dibattito sui problemi di una
globalizzazione senza freni che, pur riducendo le disuguaglianze tra i Paesi e
facendo uscire un miliardo di persone dalla povertà, aveva aumentato in modo
massiccio le disparità socioeconomiche all’interno dell’Occidente.
La
crisi della democrazia.
La
crisi finanziaria ed economica, in particolare la sua cattiva gestione in
Europa culminata nella crisi del debito sovrano del 2011-2012, ha fornito
terreno fertile per una terza crisi, quella della democrazia, accentuata dalla
cosiddetta crisi migratoria in Europa.
La
crisi della democrazia, caratterizzata dall’elezione di Donald Trump, dal
referendum sulla Brexit, dall’ondata nazionalista-populista in Europa e
altrove, dalla Turchia al Brasile, nonché dalla crisi dello Stato di diritto
nell’UE con il regresso democratico dell’Ungheria e della Polonia, indicava un
mondo in cui la promozione della democrazia era ormai lontana.
Le
democrazie liberali si occupano ora della protezione della democrazia, mentre Paesi autoritari come la Russia di
Vladimir Putin iniziano a dipingersi esplicitamente come leader di un mondo
illiberale.
Poi è
arrivata la pandemia, una crisi che ha rivelato esplicitamente che il sistema
internazionale si stava effettivamente frammentando ancora una volta;
piuttosto che una chiara struttura
multipolare, tuttavia, stava emergendo una nuova forma di bipolarismo, in cui
la natura dei sistemi politici era centrale (“democrazia contro autocrazia”) e
che gravitava attorno alla crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina.
La
pandemia è stata spesso dipinta in termini di competizione (quale sistema
politico è meglio attrezzato per affrontare le grandi sfide globali?), ma ha
anche dimostrato che i risultati efficaci dipendono dallo sforzo aggregato e
dalle risposte multilaterali.
Lo stesso vale per altre sfide transnazionali come la
crisi climatica, l’intelligenza artificiale e la non proliferazione.
La pandemia ha messo in luce anche un’altra
contraddizione:
il
mondo è più connesso e interdipendente che mai, ma aumentano anche le spinte
alla “de-globalizzazione”, alla chiusura, alla protezione, alla ridondanza e
all’accorciamento delle catene di approvvigionamento.
Infine,
l’invasione russa dell’Ucraina, toccando così tante dimensioni della sicurezza,
del (dis)ordine e della governance globale, sta mettendo a nudo le
contraddizioni del nostro tempo in tutta la loro forza.
Ha dimostrato che il mondo è bipolare,
multipolare e non-polare allo stesso tempo.
Sì, c’è una forma crescente di bipolarismo,
con un rafforzamento delle relazioni transatlantiche e della cooperazione
all’interno del G7 Plus, e una Russia strategicamente rimpicciolita e sempre
più relegata a vassallo della Cina.
Allo stesso tempo, il mondo ha rivelato anche
caratteristiche di multipolarismo, in particolare l’azione di ambiziose medie
potenze che hanno rifiutato di allinearsi con l’Occidente o la Russia, cercando
opportunità da entrambi i lati.
Un
mondo “non polare.”
L’India,
il Brasile, il Sudafrica, l’Arabia Saudita e, in parte, la Turchia, piuttosto
che stare con le mani in mano, sono intenzionati a sfruttare appieno i vantaggi
derivanti dal confronto globale.
Tuttavia,
il mondo ha anche dimostrato di essere non polare.
L’ampia
maggioranza dei Paesi che si sono astenuti dalle risoluzioni dell’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite che condannavano l’invasione russa voleva
essenzialmente tenersi alla larga dal conflitto, preoccupandosi principalmente
delle sue conseguenze globali piuttosto che delle sue cause regionali.
Questi
Paesi, in Africa, America Latina e Sud-Est asiatico, ritengono di avere già
abbastanza da fare a livello nazionale e regionale e non sono semplicemente
disposti a farsi trascinare in una guerra che non considerano loro.
Sono preoccupati per i loro affari locali e
non sono legati gli uni agli altri da un collante ideologico globale:
in
questo senso, gli attuali “indecisi” sono fondamentalmente diversi dal
movimento dei non allineati della Guerra Fredda.
La
guerra ha anche rivelato che il mondo è allo stesso tempo più integrato e più
frammentato.
L’invasione russa dell’Ucraina è una guerra
sia europea sia globale.
A renderla globale sono sia i principi in
gioco, dal diritto internazionale, al colonialismo, alla democrazia e ai
diritti, sia le sue ripercussioni, dalla crisi energetica alla sicurezza
alimentare e alla proliferazione nucleare.
L’utilizzo
dell’energia e del cibo come arma (weaponization) ha evidenziato nella sua forma più
cruda i rischi per la sicurezza di un mondo sempre più interdipendente.
Allo
stesso tempo, la guerra ha portato alla ribalta la realtà che idee universali
come la sovranità e l’integrità territoriale hanno relativamente poca presa a
livello globale:
i
Paesi che difficilmente saranno direttamente colpiti dalla violazione di tali
principi semplicemente non saranno disposti a pagarne il prezzo per difendersi.
Per
quanto triste, la guerra ha portato un nuovo livello di onestà nel dibattito
internazionale.
La
guerra tra Russia e Ucraina, che segue altre crisi che hanno segnato il XXI
secolo, ci ha permesso di vedere con maggiore chiarezza il mondo in cui
viviamo.
Tuttavia, tale chiarezza ha rivelato la
complessità, in particolare le contraddizioni nella natura e nella
distribuzione del potere, nonché nelle forze centripete e centrifughe che lo
guidano.
Queste contraddizioni non sono affatto vicine
a una risoluzione, rendendo sempre più sfuggente la ricerca di un’efficace
governance globale incentrata su istituzioni esistenti, riformate o nuove.
Siamo
destinati ad arrancare ancora per un po’ nella nebbia della guerra, alternando
competizione e cooperazione ad hoc, proseguendo per tentativi nel fornire
soluzioni provvisorie e spesso non ottimali alle principali sfide della nostra
epoca.
Crescere
nel mondo multipolare
le Pmi
e l’arte della diplomazia.
Econopoly.lsole24ore.com
- Enrico Verga - SISTEMA SOLARE – (11 Dicembre 2023) – ci dice:
Di
recente “Bloomberg” ha lanciato un documentario dal titolo piuttosto
evocativo:” La grande frattura”.
Il
tema del documentario è il” futuro della globalizzazione” o, come meglio viene
spiegato, quello che verrà dopo la globalizzazione.
Il
fenomeno della globalizzazione nasce con “Friedman”, il suo padre nobile.
La
globalizzazione ha continuato a crescere sino al 2008.
Sono
in molti a ritenere questo anno un punto di non ritorno per la globalizzazione
e il suo maggiore campione e sostenitore: gli Stati Uniti.
Dopo
la bolla del 2008 alcuni eventi che prima erano ritenuti scontati, sono mutati
irrimediabilmente giungendo, dopo oltre 10 anni, a quello che osserviamo oggi.
Il vecchio sistema, consolidatosi dopo il
crollo del muro di Berlino, era basato su una triangolazione di merci e
servizi.
La
Russia, più o meno amica dell’Occidente, era il grande fornitore di qualunque
materia prima a costi ridotti.
Le
materie prime andavano sia alle industrie avanzate occidentali, sia alla grande
fabbrica del mondo: la Cina.
Il dragone produceva merci a basso costo per
tutti: dalla moda alle auto.
Questi
prodotti fluivano senza particolari problemi in Occidente dove i ricchi
consumatori democratici li compravano felici e i manager della finanza facevano
grassi prodotti.
L’Occidente dava alla Cina e alle altre
nazioni manufatturiere investimenti e tecnologie (a discapito della forza
lavoro democratica che è andata via via depauperandosi).
Questo
equilibrio si è rotto.
Ora i
russi sono divenuti (o percepiti) ostili.
La
Cina si sta espandendo in tutto il mondo, con l’ambizione di divenire la guida
del Sud del mondo.
L’Occidente sta tentando, con risultati
ambigui, di riportare le sue aziende manufatturiere in patria, o quanto meno in
nazioni geograficamente limitrofe come il Messico per gli Usa e l’Est Europa
per la Ue.
In
questo scenario si muovono le Pmi italiane. Sino a ieri sicure che l’equilibrio
del mondo poteva offrire spazi di manovra, oggi devono entrare in un ecosistema
completamente rivoluzionato dove, se non si conoscono le regole locali, si
rischia di brutto.
D’altro
canto il crollo della Germania, causato anche dalla mancanza di gas economico e politiche
del lavoro estreme, impone a molte Pmi italiane la necessità di cercare da
sole, senza mediazione tedesca, muovi mercati.
Le Pmi
italiane e i mercati extra-Ue.
“Muoversi all’estero non è semplice –
conferma “Alessandro Minon”, presidente di “Finest”, l’ente di promozione per
il commercio estero del Friuli Venezia Giulia -.
Il
primo aspetto a cui fare attenzione è il non cadere nella trappola
dell’etnocentrismo:
quel
percorso mentale che noi occidentali facciamo pensando che tutto il mondo pensi
come noi, abbia la nostra stessa visione nel fare affari.
Ogni
nazione extra Ue ha una sua visione.
Più ci
si spinge verso Est, sino alla Cina, più le trattative sono incentrate su
valori e schemi come il “non perdere la faccia”.
Poi ci
sono le regole legate alla contrattualistica:
in linea di principio un contratto è un
contratto”.
“Tuttavia
mentre da noi in Occidente il contratto rappresenta il punto finale di un
progetto, in molte culture il contratto è solo una parte della trattativa,
mentre il progetto sarà completo solo quando entrambe le parti vedranno soldi,
e beni/servizi, consegnati.
Da ultimo, ma non meno imporrante, la conoscenza
culturale, etica e linguistica delle popolazioni extra Ue.
Non
sto dicendo che trattare con altri clienti europei sia facile, ma, quanto meno,
condividiamo con loro una matrice culturale che, per quanto amplia, ha elementi
comuni: religione, etica, diritto.
All’estero
l’indole dei non europei si è evoluta, come logico che sia, con differenti
parametri e visioni”.
“Questo
– conclude “Minon” – non rende i non europei migliori o peggiori di noi.
Ma
implica un approccio che potrebbe non corrispondere ai nostri standard.
A
questo aspetto si aggiunge la lingua: un elemento creatosi nei millenni.
Conoscere
la lingua di ogni paese è impossibile, ma trovo che sia più interessante
conoscere la loro filosofia, storia, geografia.
Per la
lingua è utile avere un traduttore, e comunque chi va all’estero minimo
dovrebbe parlare inglese.
Ma
capire la mentalità di popoli differenti da noi è alla base per capire cosa
poter dire, come affrontare un discorso e una trattativa”.
Prendere
le misure al nuovo mondo multipolare.
I
rischi sono un tema familiare anche ad “Alessandro Mancini,” ceo di “Mancini
Worldwide”.
“La multipolarità, un nuovo paradigma mondiale, è un
fenomeno con cui chiunque voglia fare esportazione, o insediarsi all’estero,
dovrà fare i conti.
Quello
che prima era una sorta di terreno piatto, dove ognuno aveva una base di
trattativa creata nei decenni dallo sviluppo occidentale, oggi diviene sempre
più un terreno montuoso.
La
crisi ucraina, le recenti espansioni cinesi nel medio oriente, le nuove filiere
asiatiche non cinesi, sono solo gli elementi principali di quello che ci
aspetta.
Le Pmi che prima producevano in Cina, oggi,
con la “moral dissuasion” americana, rischiano di dover rilocalizzare le
produzioni in paesi più amici, diciamo filo occidentali”.
“Il near-reshoring, o friend shoring,
è sempre più un tema che deve essere assimilato dalle Pmi.
Per
dirla all’americana, la Cina non è più “the place to be”. Penso alle parti di
ricambio per auto elettriche, che ormai hanno trovato il loro paese amico
nell’Ungheria di Orban.
Un vantaggio se consideriamo che la nazione è
nella Ue, ma non sempre è così semplice.
Molte
aziende si stanno spostando nelle nazioni limitrofe alla Cina, ben viste dagli
Stati Uniti e, soprattutto, con un costo del lavoro più basso rispetto agli
stipendi cinesi che sono andati crescendo negli anni”.
“A
questo aggiungiamo una crescente influenza dei grandi attori come Cina e Russia
in molti paesi che forniscono materie prime anche alle Pmi italiane.
Penso
al Medio Oriente per l’energia, all’Asia centrale per le materie prime
minerali.
Tutte
queste nazioni sono un territorio ideale per vendere la nostra meccanica.
Penso
al recente viaggio del presidente Mattarella in Uzbekistan: nazione poco
conosciuta ma, con i suoi giacimenti minerari, un crocevia importante per molte
delle nostre industrie.
Tutte
queste sfide e opportunità devono essere valutate ricordando che, ad oggi,
molte nazioni erano clienti italiani indiretti, tramite per esempio la Germania
che compra molta della nostra meccanica ma che, al contempo, riduce i margini
di vendita delle Pmi.
A mio
avviso esplorare questi mercati direttamente è un’opportunità che dovrebbe
essere colta”.
Nuovi
mercati richiedono nuove risorse umane.
Capire
come muoversi in nuovi mercati non è sempre facile.
Le grandi aziende, le multinazionali, hanno un
approccio estremamente strutturato che le Pmi, per dirla in modo semplice, non
possono permettersi.
Avere
una matrice di conversione per massimizzare le proprie attività all’estero
implica di dover assumere nuovo personale.
È una
sfida nella sfida che deve essere compresa da ogni Pmi.
“Mi è
capitato di vedere nelle Pmi – continua “Minon” – approcci da praterie da attraversare.
Praterie
non ce ne sono, in realtà, sotto il manto erboso si nascondono delle trappole.
Le
opportunità, certo, ci sono. Ma è bene comprendere che se la Pmi non ha, al suo
interno, figure dedicate ed esperte sui temi internazionali, dovrà appoggiarsi
a strutture esterne oppure a manager presi in prestito, come i “temporary” o i “fractional
manager”.
Se
parliamo di strutture esterne che hanno già un’esperienza sul campo ci sono due
soluzioni: la prima pubblica e la seconda privata.
L’una
ovviamente non esclude l’altra.
Se
parliamo di Est Europa e stati della sfera d’influenza ex sovietica, c’è da
prendere in considerazione, per esempio,” Confindustria est Europa”, molto
attiva per supportare le aziende specialmente le Pmi.
Sempre nell’ambito delle Confindustria è
doveroso ricordare Confindustria Romania, Confindustria Polonia e Confindustria
Serbia. Poi ci sono le Camere di Commercio:
quella
Italo-Ucraina e Italo-Polacca”.
“Diciamo
che queste due tipologie di agenzie pubbliche devono essere utilizzate con uno
scopo preciso.
Le
Confindustrie sono più adatte per Pmi che vogliono installare una sede stabile
nel paese bersaglio, mentre le Camere di Commercio sono più adatte alle Pmi che
vogliono esportare merci e servizi senza strutturare un’organizzazione stabile
ma utilizzare agenti locali, o avere un semplice rappresentanza commerciale.
A
queste due tipologie di entità poi dobbiamo aggiungere “Ice”, che ha una
visione mondiale, e “Simest”.
A
livello regionale l’equivalente di “Simest” sono entità come “Finest”, di cui
sono presidente”.
“È una
realtà partecipata al 99% da capitale pubblico:
73% dal Friuli Venezia Giulia, una quota
minore in capo al Veneto e una piccola quota della provincia autonoma del
Trentino.
Poi ci sono partecipazioni simboliche degli
istituti bancaria privati che operano come un supporto di rete e servizi per le
aziende che s’affidano a noi.
È un’entità vitale, quasi una sorta di “merchant
bank” per l’internazionalizzazione delle aziende del Friuli Venezia Giulia,
Veneto e Trentino Alto Adige.
Come Finest – conclude Minon – operiamo in
tutto per le repubbliche ex sovietiche, a cui di recente si è aperto il mandato
per tutti i paesi che si affacciano sul mediterraneo dal nord africa al medio
oriente. A queste entità pubbliche si affiancano”,
Anche “Mancini”
ha le idee chiare sul tema risorse umane e agenzie di supporto alle Pmi.
“La
sfida che ogni imprenditore affronta quando vuole andare all’estero è
importante:
un
ecosistema culturale differente, regole di ingaggio complesse, la lingua.
Tutto questo implica una preparazione che
spesso una Pmi non possiede tra le risorse interne.
Nella
mia esperienza prima con “Expo 2015”, poi con “Expo Astana”, ho avuto modo di
confrontarmi con molte Pmi che avevano interesse a relazionarsi con gli
espositori di questi eventi”.
Le Pmi
e l’arte della diplomazia.
“C’è
una forte voglia di italianità e professionalità di cui il nostro paese è
ricco, ma che necessitano di essere supportate e intermediate.
Le Pmi
dovrebbero relazionarsi in eventi ufficiali, come quelli organizzati da
ambasciate o consolati italiani.
Spesso
noto, invece, una certa ritrosia:
esiste l’errata percezione che questi eventi
siano troppo formali o distaccati dall’attività di business.
Niente di più errato.
Spesso
mi sono confrontato con ambasciatori e consoli italiani durante eventi
organizzati tra la comunità nazionale, dove l’ambasciatore opera, e le nostre
imprese venute in occasione dell’evento: sono situazioni dove il formale e
l’informale si mischiano.
A
questo si aggiunga che spesso la cucina italiana gioca a favore delle nostre
imprese, dopo tutto il cibo è un linguaggio internazionale”.
“Ovviamente
le Pmi devono comprendere che se non hanno risorse interne adatte si devono
affidare a manager o agenzie, pubbliche o private, che possono accompagnarle e
smussare quelle spigolosità classiche che si manifestano quando due culture,
oserei dire due mondi, si incontrano”, conclude “Mancini”.
Con
l’evoluzione di un mondo multipolare sempre di più le Pmi dovranno imparare a
relazionarsi con un territorio economico e sociale che muta rapidamente.
Considerare i mercati esteri, magari fuori
dall’Unione europea, territori che possono portare molti vantaggi, se
valorizzati, è un approccio vincente.
Tuttavia
per evitare delusioni le Pmi dovranno comprendere quando e come affidarsi a
risorse esterne all’azienda, che possano aiutarle a raggiungere i propri
traguardi all’estero.
Ci
stiamo accorgendo che il mondo
multipolare
corrisponde al caos.
Libertaeguale.it
- Alessandro Maran – (10 Ottobre 2023) - ci dice:
“Si
delinea un mondo totalmente multipolare e la gente si sta rendendo conto
tardivamente che la multipolarità comporta un bel po’ di caos”, ha scritto
sabato scorso il blogger americano” Noah Smith”. (noahpinion.blog/…/youre-not-going-to-like…).
L’ha
spiegato benissimo, scrive “Smith”, “Zheng Yongnian” “dell’Università cinese di
Hong Kong”:
“Il
vecchio ordine si sta rapidamente disintegrando e la politica degli uomini
forti è di nuovo in ascesa tra le grandi potenze mondiali.
I paesi traboccano di ambizione, come tigri
che osservano la loro preda, ansiosi di individuare ogni spazio possibile tra
le rovine del vecchio ordine”.
Appunto
“come le tigri che osservano la loro preda” ribadisce Smith:
“Il mondo inizia a trasformarsi in una
giungla, dove i forti depredano i deboli e dove ogni paese ha l’esigenza
conseguente di sviluppare la propria forza;
se il
tuo vicino è una tigre, probabilmente dovrai farti crescere degli artigli.
I
vecchi conti che hanno dovuto aspettare ora possono essere saldati. Ora è
possibile riconquistare parti di territorio contese.
Le risorse naturali ora possono essere
sequestrate.
Ci
sono molte ragioni per cui i paesi combattono tra loro e ora uno dei motivi
principali per ‘non’ combattere è stato rimosso (ciò non significa che prevedo
un ritorno ai livelli di conflitto interstatale che prevalevano prima del 1945;
la pace democratica, la pace capitalista, i bassi tassi di fertilità e altri
fattori avranno presumibilmente ancora voce in capitolo. Ma ‘uno’ degli
ostacoli principali è ormai scomparso)”.
Insomma,
il “poliziotto globale” non c’è più (ne parlo ovviamente anche nel mio libro (nuova-dimensione.it/…/nello-specchio…/).
“Negli
ultimi vent’anni è diventato di moda deplorare l’egemonia americana, parlare in
modo derisorio dell’‘eccezionalismo americano’, ridicolizzare la funzione di
‘polizia mondiale’ che l’America si è auto-assegnata e aspirare a un mondo
multipolare.
Bene,
congratulazioni, ora quel mondo ce l’abbiamo.
Vediamo
se vi piace di più”, conclude “Smith”.
Benvenuti
nella giungla.
Sull’argomento
sono tornati anche “David Leonhardt” sul “New York Times” e “Giuliano Ferrara”
sul Foglio.
“La Russia – scrive “Leonhardt” – ha dato
inizio alla più grande guerra in Europa dalla seconda guerra mondiale.
La
Cina è diventata più bellicosa nei confronti di Taiwan.
L’India
ha abbracciato un nazionalismo virulento.
Israele
ha formato il governo più estremo della sua storia.
E sabato mattina “Hamas “ha attaccato
sfacciatamente Israele, lanciando migliaia di missili e rapendo e uccidendo
pubblicamente i civili.
Tutti questi sviluppi sono segnali che il
mondo potrebbe essere caduto in un nuovo periodo di disordine.
I paesi – e i gruppi politici come” Hamas” –
sono disposti a correre grandi rischi, piuttosto che temere che le conseguenze
siano troppo disastrose.
La
spiegazione più semplice è che il mondo è nel mezzo di una transizione verso un
nuovo ordine che gli esperti descrivono con la parola multipolare.
Gli
Stati Uniti non sono più la potenza dominante di un tempo e non è emerso alcun
sostituto.
Di
conseguenza, in molti luoghi i leader politici si sentono incoraggiati a far
valere i propri interessi, ritenendo che i benefici di un’azione aggressiva
possano superare i costi.
Questi
leader credono di avere più influenza sulla propria regione rispetto agli Stati
Uniti” (nytimes.com/…/briefing/hamas-israel-war.html).
Secondo”
Leonhardt”, che si interroga anche sulle ragioni del ritiro americano, “alcuni
cambiamenti sono inevitabili. I paesi dominanti non rimangono dominanti per
sempre.
Ma gli
Stati Uniti hanno anche commesso errori strategici che stanno accelerando
l’avvento di un mondo multipolare” e “forse il danno più grande al prestigio
americano è arrivato da Donald Trump, che ha rifiutato l’idea stessa che gli
Stati Uniti debbano guidare il mondo”,
“si è ritirato dagli accordi internazionali e
ha denigrato alleanze di successo come la Nato” e ora “ha dichiarato che, se
riconquisterà la presidenza nel 2025, potrebbe abbandonare l’Ucraina”.
Certo,
nonostante l’ascesa del multipolarismo, gli Stati Uniti rimangono il paese più
potente del mondo, ma la Pax Americana è finita e perciò, scrive “Smith”,
“finché e a meno che non venga forgiata una nuova coalizione globale dominante
di stati-nazione – un ordine globale guidato dalla Cina o una sorta di egemonia
democratica allargata che includa l’India e altri grandi paesi in via di
sviluppo – dovremo reimparare a vivere nella giungla”.
Per
ora guardiamo la giungla ricrescere in lontananza (ringraziando il cielo di
essere qui e di non essere al loro posto), alle prese con le nostre perenni
bagatelle, come ci ricorda la splendida vignetta di “Marco Makkox Dambrosio”
dell’altro giorno.
Ma
proprio “Mattarella” ha spiegato in modo chiaro e inequivocabile ai pacifisti
che nel nostro Paese vogliono spingere l’Italia a girarsi dall’altra parte e a
ignorare quanto sta accadendo in Ucraina, che quella di mettere la testa sotto
la sabbia non è mai stata una grande strategia.
Qualche
giorno fa, al vertice dei capi di Stato a” Arraiols, in Portogallo”, il Capo
dello Stato ha spiegato che se l’Ucraina cadesse assisteremmo a una deriva di
aggressioni ad altri paesi ai confini con la Russia e questo, come avvenne nel
secolo scorso tra il 1938 e il 1939, condurrebbe a un conflitto generale e
devastante (associando
di fatto la Russia di Putin alla Germania di Hitler).
Insomma, per “Mattarella” quanto stiamo facendo tutela
anche la pace mondiale perché sostenendo (doverosamente) l’Ucraina, l’Unione
europea scongiura anche il pericolo di un conflitto dai confini imprevedibili.
Occhio,
insomma, dopo il ’38 viene il ’39.
Ci torna oggi anche “Claudio Cerasa”: “Chi vi
ricordano gli ostaggi ebrei, con i bambini, portati via da “Hamas”? Una data:
1938”.
(Alessandro
Maran).
(Alessandro
Maran. Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e
della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertà eguale.
Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli
Venezia Giulia.)
La
Sfida: mondo multipolare
e
aziende italiane.
Fortuneita.com - ENRICO VERGA – (MAGGIO 11,
2023) – ci dice:
Il 17
aprile “Christine Lagarde”, presidente della “Banca Centrale Europea”, ha
affermato che un mondo molto più frammentato sarà il futuro.
Il concetto di multipolarismo (“mondo frammentato”
secondo Miss Lagarde) è molto dibattuto di recente.
Quando è finita l’epoca del bipolarismo
(Usa-Russia), abbiamo avuto diverse decadi di Pax Americana.
Nato,
Fondo Monetario, World Bank e WTO per circa 40 anni hanno manifestato la loro
visione, spesso sinergica, in tutto il mondo.
L’emergere
della potenza cinese, favorita dall’America, e il ritorno sulla scena della
Russia, erede dell’Unione Sovietica, hanno reso il mondo più ricco di
“sfumature”.
Queste
sfumature si sono consolidate in centri di potere che oggi influenzano
differenti parti del mondo.
Di qui
la definizione di multipolarità menzionata dalla presidente della Bce.
La
multipolarità è stata accelerata dal Covid:
dallo
sfilacciamento delle filiere di fornitori agli 7-8 trilioni di euro-dollari
rigurgitati nel sistema mondiale in poco più di 2 anni.
La
crisi ucraina ha ulteriormente estremizzato i blocchi:
Occidente
a favore di Zelensky, Russia contro, Cina e resto del mondo (circa 6 miliardi)
oscillanti a seconda degli interessi.
Questa
multipolarità è stata confermata anche da “Agustín Carstens”, general manager
della “Bank for International Settlements”.
Egli ha spiegato che ci sono due temi che
interessano l’ordine mondiale: la (in)stabilità di aspetti macro economici e il
mutare di intere filiere di fornitori.
Questi
concetti possono apparire lontani dall’uomo della strada. Tuttavia, come il
Covid e l’Ucraina ci hanno insegnato in meno di 3 anni, il signor” Mario Rossi”
può anche non interessarsi alla geopolitica… ma la geopolitica si interesserà a
lui, più prima che poi.
Il
mondo sta cambiando.
I “BRICs+”,
lo “SCO,” l’”AIIB” sono realtà che rappresentano il potere non occidentale.
Difficile considerarle antagoniste dei
classici” FMI”, “WB”, “Nato” e “WTO” ma sono realtà che stanno espandendosi su
tutto il globo.
Oggi
si parla di un futuro multipolare dove alcune delle sicurezze con cui noi
occidentali siamo cresciuti potrebbero svanire.
Il
dollaro era la valuta con cui si pagavano tutte le materie prime. Diverse
nazioni, negli ultimi anni, hanno deciso di pagare le materie prime con altre
valute: Yuan cinese, Euro e persino lo Scellino kenyota.
L’equilibrio
energetico sta mutando: India e Cina sono divenuti i maggiori compratori di
petrolio e gas russi.
L’Unione
Europea, a causa della guerra economica contro la Russia, e obbligata dagli
alleati americani, ha ridotto i suoi acquisti di energia russa, con la speranza
di azzerarli entro un paio di anni.
Lo
scenario digitale è già mutato.
La
sovranità digitale cinese in Africa è un dato di fatto e, combinata con la
massiccia presenza di capitali e aziende cinese nel continente, potrebbe
portare un radicale ri-posizionamento dell’Africa nei confronti dell’Unione
Europa, che guarda al continente nero per i futuri approvvigionamenti
energetici.
Non
ultimo la recente tregua siglata tra la repubblica iraniana e la monarchia
saudita, evento realizzato dalla Cina, ha ridefinito l’equilibrio del potere in
tutto il medio oriente.
Questi
eventi imporranno, alle aziende italiane ed europee, una completa rivalutazione
delle loro strategie di approvvigionamento di materie prime (energetiche o
meno) e mercati dove vendere i propri prodotti o servizi.
La
geopolitica (ri)entra in fabbrica.
“La
prima conseguenza di questa nuova multipolarità è che, se si vuole stare sui
mercati internazionali, non si può più fare industria senza sapere ciò che
succede nel mondo.”
Mi
spiega “Francesco Buzzella”, presidente di “Confindustria Lombardia”.
“La
geopolitica entra in fabbrica, per dirla con uno slogan.
La capacità di leggere gli sviluppi
internazionali consente alle aziende di limitare eventuali danni derivanti
dalla fine dello status quo unipolare ma dà anche la possibilità agli
imprenditori di cogliere le opportunità dalle crisi che ne derivano.
Ciò che sta accadendo alle catene del valore
ne è un esempio:
come reazione ai blocchi produttivi imposti
durante l’emergenza sanitaria prima, e alla guerra tra Russia e Ucraina poi, le
catene del valore si sono accorciate, si tende a preferire la filiera corta,
attraverso il “nearshoring”, al fine di limitare i danni dovuti agli shock
esterni.
Le
aziende dovranno fare i conti con il ritorno del protezionismo, delle sanzioni
come armi politiche e l’accelerazione della de-dollarizzazione dell’economia.”
Una
visione simile è condivisa da “Michele Lazzarini”, responsabile delle
“Operations Finanza” di una primaria banca nazionale.
“E’ uno scenario in continua trasformazione
lontano dall’aver già raggiunto la stabilità.
Una
guerra ai confini dell’Europa, una contrapposizione tra i cd. grandi della
terra, la posizione opportunistica di alcuni Paesi, l’apparente ridisegno delle
alleanze nei continenti asiatico e africano hanno mutato le possibilità ed il
costo di approvvigionamento di materie prime e fonti energetiche delle aziende
europee.
In
alcuni casi, hanno probabilmente mutato anche le possibilità di accesso a
determinati mercati di sbocco dei prodotti.”
Il
tema delle catene del valore è familiare anche a “Andrea Pietrini,” chairman di
“Yourgroup”.
“Monitoriamo
con molta attenzione il fenomeno di mutamento delle filiere di valore”.
Conferma.
“Prima
della pandemia, il fenomeno delle filiere era più o meno stabile. I nostri
manager, sia direttori finanziari che ceo, erano impegnati su differenti
dossier aziendali, tuttavia non c’erano urgenze particolari in merito a
fornitori strategici o mercati dove vendere prodotti.
Tutto
è cambiato con il Covid:
abbiamo ricevuto molte richieste da nuovi
clienti per manager esperti di crisi management, finanza gestionale,
valorizzazione di filiere o passaggio generazionale.
Tutti
elementi che connotano un fermento creativo, ma anche emergenziale, in molte
aziende familiari che sono il nostro cliente tipo”.
Cercasi
Europa.
La
crisi ucraina ha confermato che le nazioni perseguono i propri interessi (salvo
forse quelle europee).
Occidente
Vs Russia si è tradotto in due scenari tra loro distinti e, per certi versi,
legati.
Gli
Usa, come spiegava “Friedman di Stratfor” nel 2015, hanno distanziato l’Europa
dalle economiche materie prime russe: gas, petrolio, nickel, altri metalli
industriali, legnami, tutte materie acquistate a prezzi convenienti dalla
Russia che erano linfa vitale di nazioni manifatturiere come l’Italia.
Addirittura
il giornale europeo “Politico”, da sempre pro-Usa, è giunto a chiedersi perché
l’America stessero facendo una guerra economica all’Europa, attraendo aziende
europee con progetti e investimenti industriali su suolo a stelle e strisce.
Cosa dovrebbero fare le istituzioni europee lo
suggerisce il presidente di Confindustria Lombardia.
“Oltre
alla necessaria capacità di leggere il contesto, l’imprenditore ha però sempre
bisogno di un indirizzo da parte delle istituzioni.”
Chiarisce
“Buzzella”.
“Come
imprenditori italiani ed europei ci troviamo in una scomoda posizione.
Uno
degli effetti di questa multipolarità è l’aver fatto emergere tutta la
debolezza delle posizioni europee.
L’Unione Europea assiste passivamente agli
sviluppi tecnologici e alle partite industriali che si giocano tra Stati Uniti
e Asia,
limitandosi a battaglie ideologiche come il green e l’elettrico a tutti i costi, per sé un ossimoro
se si considerano i costi ambientali legati alla produzione e allo smaltimento
di batterie.
Le
istituzioni UE dovrebbero spiegare a cittadini e imprenditori europei come
intendono gestire, oggi, il taglio di 1 milione di barili al giorno deciso
dall’OPEC e questo mentre le industrie energivore sono vittima di dumping
energetico sia all’interno dei confini comunitari che nei confronti dei
competitors americani o cinesi.”
Governance
aziendale ne abbiamo?
Coperture
finanziarie, operazioni straordinarie, valute per pagare beni o servizi nel
mondo.
La governance delle aziende familiari, la
tipologia di aziende italiane più diffusa, è sotto stress.
La
gestione di un’impresa in un contesto mediamente prevedibile è l’ambiente
ideale per una governance familiare:
ogni
membro del board si è ricavato nel tempo le sue posizioni e specialità.
Tuttavia
le novità portano sfide a cui non si può rispondere con il classico “abbiamo
sempre fatto così”.
Conviene
“Lazzarini”.
“In
uno scenario fortemente instabile, la capacità di prevedere e gestire i rischi
diventa cruciale.
Esistono
strumenti finanziari che consentono di gestire il costo delle materie prime,
delle fonti energetiche, delle diverse divise con cui gli approvvigionamenti
vengono pagati.
Sono
strumenti accessibili con relativa facilità, ma il cui utilizzo richiede
consapevolezza, cautela e l’assistenza di figure professionali.
Altro
tema è quello dimensionale.
Potrebbe
aver senso, per le imprese, presentarsi su mercati “incerti” con un peso
specifico “maggiore”.
Senza
arrivare ad ipotizzare operazioni di fusione aziendale, o modifica della size
media delle imprese, è possibile pensare ad alleanze per condividere con i
competitor costi relativi ad attività ancillari/non distintive sul piano
competitivo, oppure i costi di approvvigionamento di determinati materiali
(economie di scala).”
L’incertezza
e l’assistenza di figure professionali esterne è un tema caro a “Pietrini”.
“Le
imprese familiari sono la spina dorsale dell’economia italiana. Tuttavia sono
aziende che, durante momenti di grandi cambiamenti, possono essere fragili:
ogni
membro della famiglia ha le sue competenze, tuttavia l’acquisizione di nuove
competenze richiede tempo.
In
questo senso i nostri manager vengono spesso arruolati come una soluzione
tampone:
lo stesso concetto di frazionale implica
un’attività mirata, su progetti specifici.
Le
operazioni speciali in una azienda familiare, penso alle fusioni, acquisizioni,
quotazioni in borsa etc. sono un momento altamente emotivo per i membri della
famiglia:
si
mette in discussione il futuro dell’azienda, il futuro in cui tutti i parenti
del fondatore/trice devono comprendere che ruolo avranno, che sforzi dovranno
fare.
In
questi momenti un manager frazionale esterno, con una visione distaccata ma di
amplio respiro, può fare la differenza”.
Il
cambiamento in atto è confermato anche da “Buzzella”.
“Stiamo
assistendo alla fine di un mondo.
Comprendere
il contesto nel quale ci muoviamo significa, per le aziende italiane
minimizzare i rischi ma anche guardare alle opportunità.
L’industria
italiana dell’automotive, per esempio, in questo momento assiste impotente ai
concorrenti extra europei che investono in nuove tecnologie, supportati da
ingenti piani statali di finanziamento industriale, mentre nei confini UE deve
combattere per la propria sopravvivenza minacciata da regole e divieti che ci
condanneranno alla subalternità.”
“Offshoring
Vs Nearshoring”
Il “concetto
di offshoring “è noto:
chiudere
gli impianti in Italia per andare a produrre in nazioni dove il costo del
lavoro è più basso.
L’intero Occidente si è orientato in questo
senso nelle ultime decadi.
Poi le cose sono mutate:
Covid
e Ucraina hanno ricordato a tutti che filiere di produzione troppo
geograficamente distanti sono un problema.
A questo si aggiunge la crescente
multipolarità, dove Cina e gli stati nella sua area di influenza, stanno
rivedendo le priorità produttive, introducendo norme e regole che possono far
crescere il benessere dei propri lavoratori, a danno del costo del lavoro che
andrà ad aumentare.
Il “reshoring”
è la nuova tendenza:
riportare
le produzioni occidentali “a casa”.
Un
crescente numero di aziende occidentali stanno riportando in patria, o in
aree/stati amici (come il Messico) parte della loro filiera, specialmente i
segmenti più strategici.
Sul
tema “Lazzarini” ha le idee chiare.
“Un’ulteriore
riflessione può essere legata alla convenienza (o meno) di continuare ad
usufruire della produzione delocalizzata, in paesi a basso costo della
manodopera, di semilavorati o prodotti finiti.
Nel
nuovo scenario, tale scelta continuerà a rivelarsi conveniente? Oppure i costi
approvvigionamento di materie prime/fonti energetiche, o le oscillazioni delle
divise in cui i Paesi esportatori di materie prime/energia chiederanno di
essere pagati, renderanno non più conveniente tale scelta?
È
possibile pensare ad una “re-internalizzazione” di determinate attività
produttive, giustificata dai ragionamenti ora accennati?
Oppure
cambierà la “mappa geografica” dei Paesi a basso costo della manodopera per cui
è opportuna una ri-localizzazione di determinate attività (e, nel caso, con
quali profili di costo/rischio/beneficio)?” Conclude interrogativo “Lazzarini”.
Su “reshoring”
anche “Buzzella” ha una visione strutturata. “Un’opportunità di sviluppo
importante alla luce della riorganizzazione in atto a livello globale dovrebbe
essere, per l’Italia, il recupero di una centralità nel Mediterraneo.
E qui torniamo al concetto di “nearshoring”.
L’influenza
e l’equilibrio che avevamo raggiunto nei decenni passati, e che aveva garantito
pace e stabilità nell’intera area, si è interrotta con la caduta del Presidente
libico Gheddafi.
L’Italia,
con le sue relazioni politiche, energetiche e industriali, fu la principale
vittima collaterale dell’avventura bellica del 2011.
Il
sistema Italia e la nostra industria ha interesse a supportare il “nearshoring”,
sia per favorire le rotte commerciali, sia per l’approvvigionamento energetico
e di capitale umano.”
Conclude
“Buzzella”.
Il
capitale umano, la conoscenza acquisita negli anni, sul campo, è una risorsa
estremamente preziosa per le Pmi.
I manager di grandi aziende che hanno una
visione d’insieme non sono un numero infinito.
Molte imprese familiari non possono
permettersi i costi di avere il Cfo di una multinazionale a tempo
indeterminato.
In tal senso “Pietrini” ha le idee chiare.
“Investire in risorse umane di valore è sempre
sfidante. Ancor di più in un momento come questo dove I costi sono sicuri ma i
ritorni di investimento ancora da comprendere a pieno.
Il “reshoring”
è cosa nuova: per una multinazionale è un fenomeno comprensibile, i cui
processi sono integrabili in una strategia globali.
Quando
parliamo di una media impresa, a guida familiare, il “reshoring” significa lo
spostamento quasi totale di tutti gli assetti produttivi.
Significa
aprire da zero una sede operativa in un paese amico oppure nella stessa Italia.
Uno
sforzo non solo economico ma anche intellettuale.
Lo stress generato da una strategia del
genere, per quanto comprensibile in via teorica, spesso può surclassare le
energie che il nucleo familiare che dirige l’azienda può disporre.
In tal
senso i “fractional”, provenendo da ambienti altamente stressanti come quelli
delle grandi aziende, hanno la capacità di organizzare e gestire il cambiamento
in modo sinergico rispetto alla famiglia a guida dell’azienda”.
Conclude
“Pietrini”.
Ci
sono ancora molte variabili che devono essere comprese. I
l
termine multipolare non deve spingere a considerare un mondo con alcuni poli
tra di loro slegati e fortificati.
A differenza della guerra fredda e il mondo
bipolare dell’epoca, un mondo multipolare sarà molto più fluido, con alleanze
che sfumano tra un polo e l’altro.
Uno scenario che vedrà le aziende italiane
affrontare sfide complesse e grandi opportunità, se si saprà giocare nel modo
opportuno.
(Enrico
Verga)
La
Stampa Attacca le Proteste
degli
Agricoltori Italiani
Conoscenzealconfine.it
– (5 Febbraio 2024) – Redazione – ci dice:
Era
inevitabile che dopo le proteste degli agricoltori in tutta Europa, partissero
anche in Italia, e la repressione da parte del mainstream segue i dettami di
quella internazionale.
Gli
agricoltori sarebbero dei” no vax fascisti”.
Il mainstream che sta delegittimando le proteste si
trova nella difficile situazione di dover presentare le proteste come nate in
ambiente “complottista” (repubblica.it/cronaca/2024/01/28/news/la_rivolta_dei_trattori_novax_e_neofascisti_soffiano_sullira_degli_agricoltori-421999473/)
e no vax,
e allo stesso tempo predicare l’esistenza di un’ingerenza fascista da parte di
“forza nuova”.
C’è
chi invece parla di “rossi, neri e no vax”, e dice che questa protesta è stata
organizzata da politici di estrema destra per ottenere voti alle elezioni
europee, peccato che i “rossi” di cui si parla all’inizio di questo articolo (repubblica.it/esteri/2024/01/25/news/proteste_agricoltori_destra_sovranisti_no_vax-421973208/) dovrebbero essere la sinistra, quindi
secondo i loro stessi articoli anche la sinistra dovrebbe far parte delle
proteste, eppure l’articolo continua a martellare tenendo il focus sull’estrema
destra.
Persino
Lollobrigida, da sempre preso di mira dal mainstream per aver parlato della sostituzione etnica,
ora lo fanno passare per una povera vittima sostenendo che viene tormentato
dalle destre radicali, anche se fino a qualche giorno fa la destra radicale
era, secondo il mainstream, proprio lui.
Questa
narrazione è una barzelletta tragicomica dove siamo tutti fascisti che vogliono
instaurare un governo fascista, ma in realtà, in un colpo di scena degno di una
commedia pirandelliana, anche il governo attuale stesso è “no vax e fascista”,
anche se poi scrive un piano pandemico uguale a quello dei governi precedenti.
Soltanto
i giornalisti sovvenzionati con i soldi pubblici dello stesso “governo
fascista” non sono fascisti, ma gli ostaggi di un paese fascistissimo che li
costringe, ricoprendoli d’oro, a farci lezione di “educazione sentimentale”.
Le
Vere Ragioni delle Proteste.
Il “mainstream”
(Partito
democratico & C.) tenta di politicizzare il dissenso per delegittimarlo
attraverso la politicizzazione per relativizzarlo e renderlo solo una questione
di gusto.
In
realtà gli agricoltori che protestano si oppongono a problematiche oggettive
che sono il risultato di una scelta deliberata dell’UE di impoverirci e
affamarci.
Siamo
un paese dove escono dei bandi dove si paga chi non coltiva i terreni, e gli
insetti nell’alimentazione sono ormai una realtà e dove i terreni vengono
espropriati per creare centrali fotovoltaiche.
Gli
agricoltori sostengono che queste politiche rendono l’agricoltura italiana non
competitiva rispetto ai prodotti importati a basso costo dall’estero, con i
ricavi che sono abbondantemente sotto i costi di produzione (adnkronos.com/economia/protesta-agricoltori-italia-oggi-trattori-rivolta-news_6WjQSqoIGpd9r92XqKobme).
Gli
agricoltori chiedono di abolire l’obbligo di non coltivare il 4% del
territorio, di fare rotazioni delle colture e l’obbligo di ridurre l’uso di
fertilizzanti del 20%, vietare i contributi economici che disincentivino la
coltivazione e mantenere anche dopo il 2026 il prezzo calmierato del gasolio
agricolo.
Conclusioni.
Non
manca chi accusa direttamente gli agricoltori (greenreport.it/news/economia-ecologica/senza-transizione-ecologica-non-ce-futuro-neanche-per-gli-agricoltori/) di essere un male per il mondo e che
con toni minatori gli impone di rinunciare al loro lavoro dicendo che la
transizione green farebbe bene anche a loro, il come, poi, però si dimenticano
di spiegarlo.
La CO2 ha sui terreni un effetto fertilizzante ed
aumenta la quantità dei raccolti, è il “green stesso” ad essere contro l’agricoltura.
(t.me/dereinzigeitalia)
USA
VS.” BRICS”: VERSO
UN
MONDO MULTIPOLARE?
Iari.site.it
- Vito Fatuzzo – (18 Settembre 2023) – ci dice:
(linkedin.com/pulse/brics-us-hegemony-andrea-mghames)
In
occasione del vertice annuale Brics di Johannesburg i paesi membri del formato
che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno annunciato
l’allargamento del gruppo a sei nuovi soci:
Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti
(Eau), Egitto, Etiopia e Argentina.
L’espansione
dei “Brics” è stata salutata da un coro di voci quasi unanime come un decisivo
passo verso la nascita di un mondo multipolare e la fine del sistema unipolare
americano che ha retto l’ordine internazionale liberale e la globalizzazione
economica e finanziaria negli ultimi trent’anni.
Attraverso
i Brics,” Cina” e “Russia”, che ne sono membri fondatori, aspirano a porre fine
al lungo dominio geopolitico ed economico dell’Occidente strategico, minandone
alcuni pilastri come l’egemonia del dollaro e proponendo la creazione di
istituzioni finanziarie alternative a quelle del “sistema di Bretton Woods”.
In
effetti, la recente espansione dei “Brics” aumenta il peso specifico
demografico, economico e diplomatico del raggruppamento anti-egemonico.
Con
l’ingresso di iraniani, sauditi, emiratini, egiziani, etiopi e argentini i
Brics+ rappresenteranno il 46% della popolazione mondiale e il 37% del prodotto
interno lordo globale (in termini di parità di potere d’acquisto), nonché il
75% delle riserve mondiali di manganese, il 72% di terre rare e il 50% di
grafite e includeranno sei dei dieci maggiori produttori di petrolio al mondo.
Eppure,
esistono limiti geopolitici che impediscono una evoluzione dei “Brics” verso la
formazione di un’alleanza strategica coesa.
Diverse
sono le visioni geopolitiche dei principali membri dei Brics sulle funzioni e
sugli obiettivi strategici da perseguire.
Mentre Russia e Cina vedono nei “Brics” un
contrappeso al” G7” e un forum attraverso il quale sostenere la costruzione di
un ordine multipolare che sostituisca l’ordine internazionale liberale a guida
americana, per l’India i “Brics” costituiscono la principale piattaforma
geopolitica tramite cui promuovere la cooperazione “Sud-Sud” e riformare il
sistema finanziario internazionale, in modo da tener contro anche degli
interessi dei paesi in via di sviluppo, dei quali Delhi si erge a
portabandiera.
Di
più.
La
nuova composizione dei “Brics+” se da un lato magnifica il peso specifico del
gruppo, dall’altro ne aumenta la disarmonia.
I nuovi membri hanno interessi e priorità
geopolitiche molto diverse fra loro e sono alle prese con serie crisi interne
di varia natura (economica, politica, sociale, militare).
L’aggiunta
dell’”Iran” completa e rafforza l’asse degli imperi che combattono l’egemonia
americana, ma almeno quattro degli altri cinque membri dipendono dagli Usa sul
piano securitario (Arabia Saudita, Eau, Egitto) o finanziario (Argentina,
Egitto) via “Fmi”.
Mentre
gli altri giganti del gruppo (Brasile e India) non possono prescindere dal
sostegno americano per la loro ascesa geopolitica.
Inoltre,
lo stesso “Iran” non può essere considerato come un socio satellite di “Russia
e Cina”.
La Repubblica Islamica rappresenta l’ultima
veste geopolitica di un impero millenario con una memoria storica fortemente
radicata e con un’identità imperiale di grande potenza autonoma e indipendente
dalle influenze esterne e ambisce al rispetto e alla pari considerazione delle
altre grandi potenze.
Teheran
intende proiettare potenza su una sfera d’influenza quantomeno regionale e
concepisce l’asse con Cina e Russia come un’alleanza tra pari per resistere
alla pressione americana (esemplare in tal senso il sostegno politico,
diplomatico e militare offerto ai russi nella guerra in Ucraina).
Questo
interesse convergente non deve però indurre a pensare che gli iraniani siano
disposti a diventare clienti dei cinesi, né deve far dimenticare che Iran e
Russia sono potenze storicamente nemiche con interessi in parte divergenti e
geo strategicamente sovrapposti.
Insomma,
Teheran si oppone apertamente all’egemonia occidentale ma diffida anche delle
intenzioni e delle ambizioni imperiali di russi e cinesi.
Il
mito del multipolarismo: non così in fretta.
L’allargamento
dei Brics pone comunque agli analisti geopolitici una serie di domande chiave:
viviamo
già in un mondo multipolare?
Le
tendenze geopolitiche spingono verso il multipolarismo?
Il XXI
secolo sarà il secolo asiatico?
La
risposta alla prima domanda è no.
Come
hanno osservato “Stephen G. Brooks” e “William Wohlforth”, “il mondo non è né
bipolare né multipolare e non sta nemmeno per diventarlo”.
L’unipolarismo
americano persiste tutt’ora.
Siamo
ancora all’interno di un unico ordine internazionale commerciale e finanziario,
la c.d. globalizzazione radicata sul controllo americano degli oceani, delle
linee di comunicazione marittime e dei “choke points” strategici.
Certamente
il margine di dominio della superpotenza a stelle e strisce si è ridotto negli
ultimi due decenni, ma gli Usa rimangono al vertice del sistema internazionale,
al di sopra della Cina e di qualsiasi altro rivale.
In
nessun grande quadrante geostrategico del pianeta esiste un’egemonia
alternativa a quella americana o all’equilibrio di potenze regionali.
E a
differenza dell’era della Guerra Fredda, in cui si contrapponevano due blocchi
ideologici, economici, sociali, finanziari, politici e strategico-militari,
oggi la competizione strategica tra grandi potenze avviene all’interno di un
unico ordine, ovvero del sistema unipolare costruito dagli Usa all’indomani
della dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Non
siamo nella “Nuova Guerra Fredda”.
Piuttosto, l’analogia storica più vicina alla
nostra epoca (e purtroppo più pericolosa) appare quella del periodo antecedente
alla Grande Guerra, quando l’egemonia talassocratica dell’impero britannico era
oggetto di contestazione da parte di grandi potenze euroasiatiche in ascesa (Germania, Giappone, Russia).
La
risposta alla seconda domanda è dipende.
Dipende da cosa si intende per multipolarismo.
Se ci
si riferisce alla formazione di ordini geopolitici regionali, ciascuno con al
centro una potenza ordinatrice in grado di offrire” global commons”, la
tendenza verso il multipolarismo appare debole.
Neppure in Asia, dove risiede il principale
(unico) rivale della potenza egemone, è alle viste una Pax Sinica.
Per
limiti strutturali, la Cina non è in grado di svolgere il ruolo di perno di un
sistema geopolitico, dal momento che continua ad adottare una (geo)politica
mercantilista funzionale anzitutto a soddisfare esigenze strategiche interne
(evitare la spaccatura del paese tra la ricca costa urbanizzata e l’arretrato
entroterra rurale), mentre la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione è
ancora strategicamente impostata sulla difesa costiera e sulla negazione del
mare, oltre che sulla deterrenza strategica, piuttosto che sul controllo del
mare e sulla proiezione di potenza a lungo raggio.
Se per
multipolarismo si intende invece una più equilibrata distribuzione del potere
geopolitico all’interno di un unico ordine internazionale, allora la tendenza
appare più marcata.
In
questo senso, il declino relativo del potere americano, dovuto principalmente
alla discordia sociale e antropologica interna alla potenza egemone, all’ascesa
geopolitica della Cina, alla riduzione delle distanze di potere tra Occidente e
resto del mondo, ha accelerato negli ultimi tempi la spinta verso un sistema
multipolare, manifestatasi attraverso due fenomeni diversi ma convergenti.
Ne deriva una doppia sfida all’ordine
internazionale liberale a guida americana, esogena ed endogena.
Da un
lato, vi è la contestazione dell’egemonia americana da parte di grandi potenze
revisioniste (Cina, Russia, Iran, Turchia) insoddisfatte dalla distribuzione
del potere all’interno del c.d. ordine internazionale liberale e dalla natura
delle regole e dei valori (occidentali) che lo incarnano.
Quindi, intente a sovvertire o a modificare
l’ordine costituito per dare forma a un nuovo ordine multipolare che rifletta i
loro valori autocratici e i loro interessi fondamentali.
Queste
spinte sono rafforzate dall’incapacità del sistema di fornire risposte coerenti
a causa del malessere sociale ed economico che affligge gli Usa e le principali
potenze democratiche europee.
Dall’altro
lato, vi è la tendenza di una serie di medie e piccole potenze a intraprendere
strategie di “hedging geopolitico”(copertura e non allineamento) come polizza
assicurativa per mantenere una relativa flessibilità e libertà di manovra nei
confronti delle grandi potenze.
Gli” hedger” spingono per la formazione di un
mondo multipolare perché ritengono che una distribuzione più diffusa del potere
impedirebbe alle grandi potenze di imporre la propria volontà agli stati più
deboli e aumenterebbe il valore strategico e l’influenza geopolitica dei paesi
non allineati, i quali potrebbero rivendicare con voce più forte i propri
interessi anche nelle sedi multilaterali.
Evitando
di scegliere tra le “portaerei” (Usa, Cina e Russia) questi “vascelli” pensano
di poter navigare più agilmente in un nuovo mondo multipolare e ottenere
guadagni economici e geopolitici da ciascuna grande potenza che vorrebbe
conquistarne i favori.
Le
nazioni più ambiziose e assertive come la Turchia agiscono da spoiler
profittando dei vuoti di potere aperti dal parziale “retrenchment” degli Usa.
Anche
questi paesi spingono per un mondo multipolare all’interno del quale coltivare
ambizioni di autonomia strategica, mentre si oppongono sia all’unipolarismo
americano che a una rinnovata era di bipolarismo internazionale.
Le ragioni di questa opposizione le ha ben
evidenziate “Matias Spektor”:
“Molti
in Occidente associano un ordine mondiale multipolare al conflitto e
all’instabilità, preferendo gli Stati Uniti dominanti, come accadde dopo il
crollo dell’Unione Sovietica.
Non
così tra i paesi del Sud del mondo, dove l’opinione prevalente è che il
multipolarismo potrebbe servire da base stabile per l’ordine internazionale nel
ventunesimo secolo.
Parte
di questo ragionamento è informato dalla memoria recente.
Le persone nei paesi in via di sviluppo
ricordano il momento unipolare post-Guerra Fredda come un periodo violento, con
le guerre in Afghanistan, nei Balcani e in Iraq”.
Nel
c.d. “Terzo Mondo” è diffusa la convinzione è che “quando l’egemonia degli
Stati Uniti è incontrollata, Washington diventa capricciosa, combattendo contro
stati recalcitranti o lasciando che i conflitti regionali periferici si
aggravino”.
Ma “i
ricordi del bipolarismo nel Sud del mondo non sono migliori.
Dal
punto di vista di molti paesi in via di sviluppo, la Guerra Fredda è stata
fredda solo perché non ha portato a uno scontro mortale tra due superpotenze
dotate di armi nucleari.
Al di
fuori dell’Europa e del Nord America, la seconda metà del ventesimo secolo è
stata rovente, con la violenza politica che si è diffusa in molti paesi.
Il bipolarismo non è stato segnato da una
competizione stabile lungo la cortina di ferro ma da sanguinosi interventi di
superpotenze nelle periferie del globo”.
Come
ha osservato “Henry Kissinger”, un ordine di potere (internazionale o
regionale) è retto da due cardini:
un
equilibrio di potere e la legittimità delle regole di funzionamento
dell’ordine.
Oggi
entrambi questi pilastri sono sotto attacco.
Ci
aspettano tempi difficili e caotici.
L'intervista.
Rohan Mukherjee:
«Il
mondo non è ancora pronto
per essere multipolare».
Avvenire.it - Angela Napoletano – (5 ottobre 2023) – ci
dice:
Il
docente di relazioni internazionali alla “London School of Economics”, immagina
il Pianeta tra 10 anni: quello che mi spaventa di più è il cambiamento climatico.
E’ Rohan Mukherjee, docente di relazioni
internazionali alla London School of Economics – Lse.
Incerto
e diviso ma in crescita.
È così
che “Rohan Mukherjee”, docente di relazioni internazionali alla “London School
of Economics”, immagina il mondo tra dieci anni.
Autore
di una premiata pubblicazione scientifica sulle potenze in ascesa, “Ascending
Order”, l’esperto studia in particolare cosa spinge i Paesi emergenti a
scegliere la guerra, o la collaborazione, con gli Stati più potenti per vedersi
riconoscere dalla comunità internazionale un ruolo proporzionale alla propria
crescita.
Professore,
immagini di essere nel 2033:
qual è il titolo di politica estera che si
aspetterebbe di leggere oggi giornali?
Dipende
se sei ottimista o pessimista.
Diciamo che mi piacerebbe trovarmi a leggere
un articolo su una scoperta tecnologica applicabile al cambiamento climatico.
Qualcosa
che possa perlomeno aiutarci a mitigarne gli effetti. Mi aspetterei però anche
che titoli su chissà quali trattative tra Usa e Cina.
Come
sarà l’ordine internazionale del prossimo decennio?
Prevedo
più negoziati, più discussioni, più tensioni.
Sono molte le nazioni che stanno emergendo
sulla scena.
Non
solo Cina e India ma anche Brasile, Indonesia, Nigeria.
Tutti
Paesi che ora stanno accumulando risorse e potere per perseguire i propri
interessi sullo scacchiere globale.
Si
dice che il mondo si stia lentamente muovendo verso un sistema multipolare e
sono parzialmente d’accordo con questo.
Ma ciò
non significa che non ci saranno spazi per la cooperazione.
Per
esempio, su temi come il clima, l’intelligenza artificiale o l’informatica
quantistica.
Quali
sono le sue riserve sul futuro multipolare?
Credo
che gli Stati Uniti, il polo più importante, sono molto più avanti rispetto
alla maggior parte degli altri Paesi, Cina compresa, e che continueranno ad
esserlo per lungo tempo.
Hanno
sicurezza energetica, innovazione e tecnologia militare.
La Cina è un Paese molto grande e per certi
versi, per esempio in termini di Pil, ha già superato Washington.
Ma sulla scena globale non ha lo stesso peso
degli Stati Uniti.
Non ha alcun alleato, ad eccezione della Corea
del Nord e, forse, del Pakistan e della Russia.
Per
questo direi, piuttosto, che stiamo passando da una sorta unipolarismo a un
sistema bipolare con tendenze multipolari.
Se gli
Stati Uniti sono destinati ad essere a lungo il primo polo dell’ordine globale
come vede il futuro dell’Europa?
In
questo momento l’Europa è in difficoltà su molti fronti.
Sfide
economiche, sconvolgimenti sociali e uno spostamento politico verso destra.
In un
certo senso è caratterizzata da una divisione interna che la Russia, invadendo
l’Ucraina, ha peggiorato.
Credo che sia a un bivio.
O un
ulteriore declino o la rimonta.
Questa
seconda strada è percorribile solo iniziando a farsi carico dei propri affari.
È il piano di autonomia strategica di cui
parla il presidente francese Emmanuel Macron.
Credo
che l’Europa non possa dipendere troppo né dagli Stati Uniti né dalla Cina
perché nessuno dei due avrà a cuore i suoi interessi.
L’Europa
ha bisogno di trovare la sua strada per diventare un terzo polo.
Ritieni
che le organizzazioni internazionali, in particolare le Nazioni Unite, siano
all’altezza di governare il mondo che verrà?
Le
istituzioni internazionali sono un forum che rappresenta non solo le grandi
potenze.
In cui
trovano spazio anche Ong e attori del settore privato.
Ritengo che siano il luogo in cui è ancora
possibile fare pressioni per evitare conflitti talvolta inevitabili.
La
tradizione diplomatica che li caratterizza è il dibattito in cui ciascuno
presenta le proprie ragioni.
Si dice spesso dice che le Nazioni Unite non
sono efficaci perché, ad esempio, la Russia può porre il veto su qualsiasi
cosa.
È vero.
Ma diplomaticamente mettono Mosca in un
angolo.
Credo che questo effetto dalle ricadute
sociali sia il più potente dell’Onu che ritengo abbia ancora un ruolo
importante nel futuro.
Cosa
la spaventa di più del futuro?
Il
cambiamento climatico.
Non
sono un esperto ma ci penso molto.
Ritengo
che siano preoccupanti soprattutto gli effetti che avrà dal punto di vista
umano, sociale e politico.
Ci
sarà una migrazione di massa che causerà danni non solo economici. Penso ai
disagi che causerà alle comunità e alle città.
Questa è una di quelle cose che potrebbero
peggiorare molto velocemente e non sappiamo come andrà a finire.
Non ha
paura di un’escalation nucleare?
Credo
che i Paesi che sviluppano arsenali nucleari molto probabilmente non li
useranno mai se non come deterrente.
Penso che, fondamentalmente, siano armi
difensive.
Lo
abbiamo visto per esempio con la Corea del Nord.
A parte la retorica e le azioni provocatorie,
il loro programma nucleare è ciò che gli consente di sedersi al tavolo delle
trattative con gli americani.
Penso
che questo possa essere anche l’approccio dell’Iran.
Ci si
preoccupa molto dell’uso di ordigni nucleari tattici su piccola scala da parte
di Putin ma ritengo che si tratti di una soglia difficile da raggiungere e
superare perché la prospettiva non piace neppure a chi, come la Cina, sostiene
la Russia, né a chi, come l’India, sulla guerra preferisce mantenere il
silenzio.
Dove
ripone invece le tue speranze più ottimistiche?
Nella
tecnologia al servizio dell’ecologia e, in termini di geopolitica, nel
crescente potere di attori terzi, Paesi o blocchi, in varie regioni del mondo.
Certo,
in un contesto multipolare è più difficile mettersi d’accordo su qualsiasi
cosa.
Ma ci
sono buone ragioni per essere ottimisti sul fatto che l’ascesa di nazioni come
India, Brasile, Turchia, Messico e Indonesia, interessate a creare prosperità
per la propria gente senza dover scegliere tra l’ovest e l’est, possa mitigare
gli effetti peggiori della rivalità tra Washington e Pechino a favore della
stabilità.
L’illusione
di un mondo multipolare:
intervista
a” Vijay Prashad”.
Dinamopress.it
- Francesco Brusa e Luca Peretti – (28-3- 2023) – ci dice:
Alla
radice dell’invasione dell’Ucraina c’è anche la totale indisponibilità degli
Stati Uniti a integrare nella propria sfera di influenza commerciale e politica
i nuovi “attori” dello scenario globale come Russia e Cina.
Questa
intervista è stata pubblicata originariamente in versione cartacea sul quinto
numero di di Dinamoprint, “Guerra alla scienza”, uscito nel mese di luglio del
2022 (l’intervista è stata realizzata due mesi prima).
La ripubblichiamo oggi sul sito assieme
all’articolo “Multipolarimo: il mantra dell’autoritarismo” di “Kavita Krishnan” come parte di
un dibattito sul multipolarismo nel mondo contemporaneo che ospitiamo su “Dinamopress”
a partire dalla guerra in Ucraina e dal dispiegarsi di nuovi imperialismi.
Sono
passati poco più di due mesi dall’inizio della guerra di aggressione russa
all’Ucraina quando parliamo con “Vijay Prashad”.
Direttore della” Tricontinental” (l’istituto e
rivista che ha le sue radici nel movimento dei paesi non allineati negli anni
’60), storico di anticolonialismo e Terzo Mondo inteso come progetto politico,
è uno dei più importanti studiosi dal e del sud globale.
Ci risponde dall’America Latina, dove vive
adesso dopo essere stato per molti anni negli Stati Uniti e prima in India, da
cui è originario e dove mantiene forti legami militanti e lavorativi.
La
capacità di muoversi e leggere il mondo da diversi punti di vista è una delle
caratteristiche di “Prashad”, unita alla vastissima rete di contatti e
interazioni che ha creato in mezzo mondo.
In
Italia è relativamente poco conosciuto, anche se i due libri più importanti
sono stati tradotti (“Storia del Terzo mondo” per Rubbettino e “Proiettili a
stelle e strisce” per Red Star Press).
Quando
lo abbiamo contattato, poco prima della data fatidica del 9 maggio (“Giornata
della vittoria”, in commemorazione della sconfitta della Germania nazista), si
faceva un gran parlare di nuova guerra fredda e mondo multipolare;
proprio
da qui cominciamo la nostra conversazione.
«Dobbiamo partire da lontano, da quando l’Unione
Sovietica ha iniziato a indebolirsi, cioè dagli anni ’70, e gli Stati Uniti
d’America iniziarono a mettere in atto piani di ristrutturazione degli
equilibri mondiali:
la formazione del “G7”, un nuovo e deciso
programma relativo all’”Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio”,
in particolare l’Uruguay Round” [che ha posto le basi per la creazione
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, ndr].
Insomma,
almeno dieci anni prima del collasso dell’Unione Sovietica, gli Usa hanno
iniziato a consolidare ulteriormente la propria potenza in termini militari,
diplomatici ed economici (e in special modo finanziari).
Questo
consolidamento di potere si è reso estremamente visibile subito dopo l’89.
Pensiamo, per esempio, al modo in cui gli Usa
hanno esercitato il proprio potere militare senza alcun contro-bilanciamento o
freno:
Iraq
(1991), la distruzione della Jugoslavia nel 1999, la guerra al terrore, e via
dicendo.
Alcuni sostengono che la ragione profonda di
tanti interventi fosse quella di limitare il ruolo geopolitico della Germania
ma – quale che fosse la ragione – gli Usa hanno potuto agire senza alcun tipo
di controllo esterno.
Era
dunque chiaro che non ci fosse alcuna competizione in termini militari (e basta
guardare alle voci di spesa).
Pensiamo poi al piano diplomatico:
gli Usa hanno sempre imposto le loro
condizioni anche alle Nazioni Unite.
Ero
amico personale dell’ex-segretario dell’Onu Boutros Boutros-Ghali e, quando
stava pensando a un suo possibile secondo mandato, mi diceva che gli Usa non lo
avrebbero mai accettato.
In
sostanza, gli Usa hanno iniziato a comandare tutta una serie di organismi
internazionali, come il” Fondo Monetario” che ha sempre guardato al “Dipartimento
del Tesoro statunitense “per formare la propria leadership;
la Nato, che non è una “allenza” ma un vero e
proprio strumento nelle mani degli Usa;
e infine bisogna guardare alla” Banca Centrale
Europea”: se durante la crisi del 2016/17 gli Stati Uniti non avessero pompato
soldi nel sistema europeo, le conseguenze della crisi sarebbero state molto più
severe ma, in questo modo, anche gli organismi economici europei sono caduti
sotto una maggiore influenza statunitense».
Cosa
rimane fuori dall’influenza USA?
Dopo
il “collasso economico” del 2008 è diventato molto chiaro come la Cina fosse
una delle poche nazioni che, in sostanza, era riuscita a “schivare” la crisi,
riuscendo a introdurre una crescita senza pari nello scenario globale.
A quel
punto, nel 2009, ci fu un tentativo di costruire il cosiddetto blocco dei
Brics, assieme a India, Brasile e Russia.
Non è
andato molto lontano visto che le élites al potere, soprattutto in India e
Brasile, non ne erano particolarmente entusiaste; così Cina e Russia si sono
avvicinate sempre di più.
E qui
arriviamo alla questione della multipolarità:
inizialmente,
sembrava dunque che si stessero creando dei nuovi blocchi di potenza ma la
realtà è che un tale processo non si è mai sviluppato appieno.
Come
dicevo, infatti, Brasile e India hanno continuato ad appoggiarsi a un sistema
di scambio e di sviluppo economico basato sul dollaro, il che è comprensibile
visto che non erano delle grandi potenze.
Nel
2018 poi in un documento strategico, gli Stati Uniti affermano essenzialmente
che la guerra al terrore era finita e ora gli sforzi andavano orientati a
prevenire l’emergenza del blocco di potere composto da Russia e Cina.
L’allora
segretario della Difesa “James Mattis” disse che non bisognava lasciare a
questa coppia di “quasi-alleati” (near peers) la possibilità di crescere.
Indebolire la Russia e indebolire la Cina in
sostanza diventavano dei principi fondanti della politica estera statunitense.
Donald
Trump annunciò che gli Usa si sarebbero ritirati dal Trattato sulle Forze
Nucleari a medio-raggio, mentre già nel 2002 Bush si era ritirato dal Trattato
anti-missili balistici.
Queste
due decisioni hanno di fatto messo fine al regime di controllo internazionale
sugli armamenti.
Ciò
significa – ed è terribile farlo notare – che un conflitto nucleare rappresenta
uno scenario di fatto accettato come possibile, dato che non c’è più nessun
regime di protezione contro una tale eventualità.
Secondo
me quello a cui si assiste dal 2018 in poi è quindi un contesto in cui gli
Stati Uniti non consentono l’ascesa di qualsiasi altra potenza globale.
E per
fare ciò viene introdotto l’intero arsenale a propria disposizione: dalla forza
militare a quella diplomatica, fino alla pressione economica. Il segretario
della difesa” Lloyd Austin” ha detto che gli aiuti all’Ucraina non servono a
rimuovere le truppe russe dal paese invaso ma, esplicitamente, a «indebolire la
Russia».
Quindi
non ci credi all’idea di un mondo multipolare?
No, è,
sostanzialmente, un’illusione neoliberale.
Perché la formazione di nuovi blocchi di
potenze viene troncata alla radice e ostacolata in tutti i modi dal principale
attore unipolare, ovvero gli Stati Uniti.
Ci
troviamo invece, a mio modo di vedere, in un interregno gramsciano in cui
appaiono sulla scena “nuovi mostri” che ancora non sono fascismo compiuto.
Solo che ora la minaccia non è più, come ai
tempi di Gramsci, quella della costituzione del fascismo in un solo paese ma è
l’annichilimento totale di stampo nucleare.
Che
ruolo dovrebbe avere la sinistra in un contesto così complesso?
Proviamo
a prendere la domanda da questa prospettiva:
quale dovrebbe essere, per esempio, la
relazione della sinistra con l’Iran?
Io sono ovviamente sfavorevole alla prospettiva di una
teocrazia.
Ma
allo stesso tempo penso che la politica degli Stati Uniti nei confronti
dell’Iran sia una politica criminale:
l’intero
regime delle sanzioni e il sabotaggio delle infrastrutture nucleari dell’Iran
sono, ripeto, atti criminali.
Penso
dunque che si debba difendere il progetto politico dell’Iran (nonostante non si
concordi con la sua specificità) contro il bullismo e la pressione esercitata
nei suoi confronti dalla potenza statunitense.
Ed è lo stesso per molte altre nazioni che
sono sotto questa minaccia. Non sono d’accordo con il progetto politico che si
sviluppa in Russia, perché non si tratta certo di un progetto socialista, ma
difendo la Russia contro l’imperialismo statunitense.
Noi
eravamo contro le due guerre condotte in Cecenia, prima da Eltsin e poi da
Putin.
Ma
penso che siano state principalmente le élites statunitensi ad aver distrutto
lo stato russo e ad aver facilitato, fra le altre cose, che Eltsin e Putin
consolidassero il proprio potere e bombardassero la Cecenia.
La Russia rappresenta un progetto politico
capitalistico, non dissimile da quello degli Usa.
È ridicolo chiamare i miliardari russi “oligarchi”,
perché allora tutti i miliardari del mondo dovrebbero essere chiamati in questo
modo.
Vogliamo
parlare della corruzione politica in Italia, per esempio?
Penso
che come sinistra dobbiamo riconoscere e tener presente il fatto che siamo in
un momento in cui la maggiore potenza mondiale vuole mettersi contro e
indebolire una delle maggiori potenze euroasiatiche, rischiando di trascinarci
in una guerra di annullamento totale.
Putin
non è l’unico attore aggressivo in questo contesto, per quanto ovviamente abbia
preso la decisione di violare l’integrità territoriale di un altro stato.
E non
sto parlando dell’allargamento a est della Nato, che non ritengo il punto
centrale della faccenda.
Ripeto,
credo che una delle questioni fondamentali sia quella relativa ai già
menzionati trattati sulla sicurezza nucleare.
Non è
stato Putin a ritirarsi per primo da quei trattati e questi per lui
rappresentano un serio motivo di preoccupazione.
Lo va
ripetendo sin dalla conferenza di Monaco del 2007.
Impossibile
schierarsi, dunque?
Io mi
schiero affinché si ritorni ad avere un regime di controllo sugli armamenti
nucleari e sto dalla parte dei popoli e degli attori internazionali che
vogliono abolire le armi nucleari (ricordo che venne assegnato nel 2017 il
Premio Nobel per questa iniziativa).
Insomma, vorrei un mondo senza armamenti
nucleari e questo rappresenta il mio primo obiettivo.
Dobbiamo
essere consapevoli che il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina non risolve
nulla.
La
questione della Crimea, per esempio, non può essere abbandonata da un giorno
all’altro da parte della Russia:
non
dobbiamo dimenticarci che nel 2014 l’Ucraina decise di tagliare ogni
rifornimento d’acqua verso la penisola ed è per questo che la Russia costruì
con grande dispendio di risorse un ponte che connettesse la Crimea al proprio
territorio.
In
più, c’è la base di Sebastopoli che è di grande interesse militare per la
Russia.
Dobbiamo
quindi essere capaci di mettere in piedi dei negoziati che tengano in conto di
tali questioni e che, soprattutto, partano dalla considerazione di quanto il
mondo in cui viviamo non sia fatto di certezze granitiche ma di contraddizioni
e di relazioni di totale interdipendenza fra stati.
Prendiamo
il caso del Giappone, che compra quasi il 10% della propria energia dalla
Russia, ma allo stesso tempo sta inviando aiuti militari all’Ucraina.
Inoltre,
col proprio capitale statale, il Giappone partecipa ai progetti relativi al gas
di Sakhalin e Sakhalin-II.
Anche
l’India non ha certo interrotto le proprie relazioni commerciali con la Russia.
Perché?
Perché sono paesi euroasiatici, che devono confrontarsi con la realtà del
contesto in cui vivono.
In
questo senso, io penso che l’Ucraina, purtroppo, si trova stretta fra le
“fantasie” anglo-americane e la realtà euroasiatica e il popolo ucraino sta
pagando tragicamente il prezzo di questo scontro che si svolge a un piano più
alto.
Quindi
con chi schierarsi in un tale scenario?
Io mi schiero a favore dell’integrazione del campo
euroasiatico dentro le relazioni di potenza globali.
Perché
è proprio la volontà di impedire una tale integrazione da parte delle élites
angloamericane che sta in parte alla base del conflitto in Ucraina.
Le
lotte anticoloniali del secolo scorso, che tu hai studiato, possono insegnarci
qualcosa?
Ci
sono un sacco di lezioni che possono essere tratte da quell’esperienza. La
principale credo consista nel fatto che le nazioni che non sono allineate con
gli Stati Uniti o quei paesi che non sono al cento per cento integrati nella
sfera d’influenza russa debbano far sentire la propria voce e debbano essere
ascoltate.
Perché
non hanno opinioni identiche.
È
stato chiesto al Ministro degli Esteri indiano, in modo molto aggressivo,
quand’è che avrebbe smesso di comprare gas dalla Russia e lui ha
sostanzialmente fatto notare come ciò che l’India compra dalla Russia in un
mese corrisponde più o meno a quanto i paesi occidentali comprano nell’arco di
un solo pomeriggio.
Ho
trovato questa risposta bellissima.
Insomma,
vorrei che ci fosse più spazio affinché i leader del Sud Globale possano dire
liberamente ciò che pensano.
Proviamo
a dare respiro al dibattito in questo senso.
Prima
di pensare al multipolarismo, dobbiamo intanto diversificare e “decolonizzare”
la discussione a livello globale.
In
questo momento, in pratica, stiamo ascoltando solo l’opinione dell’Occidente e
di Biden.
Vale
la pena ritornare quindi all’idea dei paesi non allineati, che durate la Guerra
Fredda provavano a pensare a un’alternativa oltre i due blocchi?
Sì,
credo che dovremmo ambire a una sorta di nuovo movimento dei paesi
non-allineati.
Dovremmo
spingere affinché le leadership del Sud Globale costruiscano maggiori relazioni
e siano più convinte nel far sentire la propria voce ed esprimere le proprie
opinioni.
Non devono avere paura degli Stati Uniti!
Caro
Occidente, ormai il
mondo
è «multipolare».
Lagazzettadelmezzogiorno.it - ENZO LAVARRA – (24
FEBBRAIO 2023) - ci dice:
Insomma
siamo al riarmo; e il riflesso condizionato (ovvero la paura) che le tragedie
delle due guerre del secolo scorso aveva portato «al mai più guerre in Europa»
si indebolisce giorno per giorno.
Caro
Occidente, ormai il mondo è «multipolare».
Venti
di guerra soffiano sul continente, e sul mondo.
È la
cifra dei discorsi di Biden e di Putin.
Con
l’annuncio di crescente escalation degli armamenti.
Sia
per la controffensiva russa di primavera, che per il conseguente impegno a
fornire armi sempre più sofisticate per la difesa della sovranità ucraina.
In parallelo la Russia sospende il trattato
Start USA-Russia (per il reciproco controllo e contenimento delle armi
nucleari), gli Usa hanno già piantato testate nucleari in Romania.
Insomma
siamo al riarmo; e il riflesso condizionato (ovvero la paura) che le tragedie
delle due guerre del secolo scorso aveva portato «al mai più guerre in Europa»
si indebolisce giorno per giorno.
Su
queste colonne “Marcello Foa” ha citato il Capo di Stato maggiore Usa il quale
sostiene che alla fine non ci sarà nessun vincitore.
Nel
dibattito tedesco, ed europeo “Jurghen Habermas” sostiene lo stesso concetto.
Il
punto di partenza e di giudizio di tutti è che c’è un aggressore e un
aggredito.
E che
l’Occidente deve sostenere anche con le armi l’aggredito. “Habermas” ammonisce
però a valutare la proporzione fra la potenza distruttiva di crescenti e
sofisticati congegni militari e il punto di non ritorno.
Da qui
anch’egli motiva l’urgenza di uno sforzo diplomatico.
Per
evitare l’incidente nucleare.
Ed è ancora Bergoglio a rinnovare il suo
appello «a quanti hanno autorità sulle nazioni perché si impegnino
concretamente per la fine del conflitto, raggiungere il cessate il fuoco;
quella costruita sulle macerie non sarà mai una reale vittoria».
Questi
moniti vengono classificati come aspettative di intellettuali privi di
principio di realtà o invocazioni di autorità morali e religiose di natura
prepolitica.
Così
anche la possibile iniziativa di pace che trapela dalla Cina è letta o ridotta
a schermaglia tattica con gli USA.
In
questo quadro si conferma la debolezza della “Ue”.
Mentre
la tradizione di politica estera italiana viene piegata dall’ansia di
legittimazione del nuovo governo verso gli Usa (che invece hanno investito del
ruolo di maggiore alleato la Polonia), scompare nella postura italiana di
Meloni e dell’arco politico parlamentare nel suo complesso - salvo poche
eccezioni -, la ricerca dello spazio possibile di iniziativa.
Che è sempre stato esercitato da tutti i
governi della Repubblica all’interno dell’alleanza atlantica.
Di
fronte a questo scenario è invece principio di realtà farsi carico della
crescente preoccupazione della opinione pubblica italiana.
Per l’invio di nuove armi e per il pericolo di una
partecipazione diretta sul terreno militare.
Nei talk show si discetta fra qualità delle
democrazie liberali e regimi autoritari.
Come
se fra i sostenitori della iniziativa diplomatica per «i compromessi
tollerabili» (Habermas) fosse in questione la appartenenza all’Occidente.
No, i governanti e i vertici politici di ogni
latitudine dovrebbero prender sul serio studi più recenti sul nuovo mondo;
da ultimo lo studio dell’”European Council on
Foreign Relations”, co-firmato da “Timothy Garton Ash”, “Mark Leonard” e “Ivan
Krastev”.
«L’ordine
internazionale sarà oggetto di polarizzazione e frammentazione, senza
possibilità di un ritorno al sistema guidato dagli Stati Uniti.
Bisogna
saper parlare con paesi come India, Turchia, Brasile. L’Occidente farebbe bene
a trattare India, Turchia, Brasile e altre potenze emergenti come “nuovi
soggetti sovrani della storia mondiale” e farebbe bene a fare pace con l’idea
di dover imparare a vivere come uno dei tanti poli in un mondo multipolare».
Dice
“Garton Ash”:
«Dobbiamo
trovare un linguaggio diverso per parlare a ognuno degli altri Stati non
occidentali, differenziarli, riconoscergli sovranità.
So che
in Europa il concetto di “sovranità” ha un’accezione negativa per via di “Le
Pen” e “Orban”, ma dovremmo guardarlo in positivo per instaurare un vero
dialogo con il resto del mondo che per ora non ci comprende».
Per
l’Italia questo vuol dire cambiare priorità e rinnovare il suo ruolo di ponte
europeo verso l’Africa, che rimane luogo nevralgico dei nuovi equilibri.
Articolo
di Alexey Drobinin "L'immagine di un mondo multipolare.
Il
fattore civiltà e la posizione della Russia nell'ordine mondiale
emergente".
Roma.mid.ru
– Alexey Drobinin – Redazione – (27-2-2023) – ci dice:
Articolo
di Alexey Drobinin, Direttore del Dipartimento di Pianificazione della Politica
Estera del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa, “L'immagine
di un mondo multipolare. Il fattore civiltà e la posizione della Russia
nell'ordine mondiale emergente”, nella rivista «Russia nella Politica Globale»,
20 febbraio 2023.
La
crisi ideologica nei rapporti tra Russia e Occidente, entrata in una fase calda
con l'inizio dell'Operazione Militare Speciale nel febbraio 2022, ha riportato
alla ribalta e alle discussioni politologiche la questione del futuro
dell'ordine mondiale e dei principi delle relazioni internazionali.
Proviamo
a guardare questo argomento attraverso il prisma della pianificazione della
politica estera.
Innanzitutto, alcune citazioni ispiratrici.
Riflettendo
sulle prospettive di sviluppo delle relazioni internazionali, nell'ottobre
2022, in una riunione del “Valdai International Discussion Club”, il Presidente
Russo “Vladimir Putin” ha osservato che un futuro comune per tutti richiederà
il dialogo tra l'Occidente e i “nuovi centri di un ordine mondiale
multipolare”.
Ha precisato che la base della civiltà
mondiale è costituita dalle "società tradizionali dell'Est, dell'America
Latina, dell'Africa e dell'Eurasia".
Tale
formulazione della questione fornisce un quadro concettuale per analizzare i
moderni processi globali.
Di
cosa si tratta?
Sostanzialmente,
il capo dello Stato ha delineato con chiarezza l'aspetto della civiltà come
base metodologica per comprendere, descrivere e costruire il multipolarismo.
Aggiungiamo
che il Presidente ha fatto più volte riferimento a questo approccio,
descrivendo l'attuale momento storico, la cui essenza, secondo lui, è “la scomparsa del potenziale creativo
dell'Occidente stesso e l’ambizione di frenare, bloccare il libero sviluppo di
altre civiltà”.
Anche
i politologi nazionali stanno richiamando l'attenzione sulla tendenza
fondamentale delineata dal Presidente russo” Putin.
Ascoltiamo,
ad esempio, questo punto di vista:
"Il
senso comune della lotta in Ucraina è la restituzione al non-Occidente - e
proponiamo di chiamarlo in modo diverso:
Maggioranza
Mondiale, che è stata sottomessa e derubata, culturalmente umiliata - della
libertà, della dignità e dell'autonomia.
E,
naturalmente, di una parte equa della ricchezza del mondo".
Ancora
una volta: la restituzione al mondo non occidentale ("altre civiltà"
nella logica del Presidente) di una parte equa della ricchezza mondiale.
A
parte il programma anti-neocoloniale di ampia portata insito in questa frase, vediamo un'opposizione analitica
sulla linea Occidente - Maggioranza Mondiale.
A
rigore, il criterio della civiltà è solo uno dei possibili modi di descrivere
il mondo.
Tuttavia, sembra che nell'attuale fase di svolta esso
fornisca il "punto di accesso" più scrupoloso per un'adeguata
interpretazione dei processi legati alla trasformazione dell'ordine mondiale.
Per molti anni abbiamo indicato la
ridistribuzione dei potenziali economici e di potere a favore di nuovi centri,
nonché il rafforzamento delle posizioni di attori non occidentali di rilevanza
globale come sintomi esterni del cambiamento della struttura del mondo.
Ma
cosa significa tutto ciò in termini di realpolitik?
Qual’
è la forma geopolitica del nuovo sistema?
Come
si organizzerà l'interazione tra stati in un mondo multipolare?
Queste
domande richiedono risposte.
A
nostro avviso, esse vanno ricercate soprattutto nello studio di grandi comunità
- macroregioni o civiltà con caratteristiche socioculturali, geoeconomiche e di
politica internazionale peculiari.
Torniamo
ancora al discorso del capo dello Stato Putin a Valdai:
“Il
senso del momento storico odierno sta proprio nel fatto che davanti a tutte le
civiltà, agli Stati, ma anche alle loro associazioni di integrazione si aprono
opportunità per un democratico e originale percorso di sviluppo.”
In
altre parole, la cristallizzazione delle civiltà (chiamiamole piattaforme di
civiltà), ognuna con la propria originale struttura, nonché lo sviluppo di
connessioni tra di esse, è ciò che apre la strada alla formazione di un sistema
fondamentalmente nuovo.
Sostituisce
il precedente paradigma, caratterizzato dal dominio di una civiltà e dalla sua
espansione con gli slogan di globalizzazione, occidentalizzazione,
americanizzazione, universalizzazione, liberalizzazione e cancellazione dei
confini nazionali.
Come
ha sottolineato il Presidente Russo Vladimir Putin, “se globalizzazione liberale
significa spersonalizzazione, imposizione del modello occidentale a tutto il
mondo, allora
l'integrazione, al contrario, è lo sblocco del potenziale di ciascuna civiltà
nell'interesse dell'insieme, per il bene comune”.
Quindi,
il mondo si sta spostando dalla globalizzazione alla formazione di molte
piattaforme di civiltà (si possono anche chiamare centri di potere o
"poli") e poi all'interazione e all'integrazione tra di loro.
Questo
è un lungo processo storico, un'intera epoca in cui stiamo entrando, che ci
piaccia o no.
Nuovi centri di sviluppo mondiale cercano nel
multipolarismo un'opportunità per preservare la sovranità e l'identità
socio-culturale e svilupparsi armoniosamente secondo le proprie tradizioni e
basandosi sugli interessi nazionali e sulle aspirazioni dei popoli.
È
importante che le comunità di civiltà non possono e non devono necessariamente essere uguali per
potere economico e militare, dimensioni del territorio o popolazione.
Sono
unite dal fatto di avere la capacità di influenzare i processi globali, di
portare la propria visione della risoluzione dei problemi nel dibattito
mondiale.
Con
quali altri segni definiamo una “comunità di civiltà”?
Gli
scienziati russi, a partire dal XIX secolo, danno descrizioni
significativamente analoghe.
Ogni civiltà «si costruisce sulla base di un
retroterra spirituale, di un simbolo culturale primario o valore sacro, che poi
diventa la base per la formazione di una cultura originaria».
La
civiltà è “una categoria speciale di stati con una storia lunga e ininterrotta,
un'identità pronunciata e la volontà di leader e cittadini di difendere
risolutamente la propria identità culturale.”
La civiltà è caratterizzata dalla presenza di
“pratiche sociali e politiche saldate nella cultura, costantemente riprodotte
per lungo tempo, matrici civili stabili, sebbene in evoluzione, che indicano
l'esistenza di un certo nucleo di civiltà”.
La
civiltà presuppone la formazione sovrana e la sua identità
“si
basa sul predominio della visione del mondo, tradotta nell'energia della
cultura e nella pratica della costruzione della pace, che trova espressione in
un progetto politico e si riflette nella definizione di obiettivi storici”.
La
civiltà è metaforicamente definita come "un'umanità speciale su una terra
speciale" o come "un'anima speciale" di ogni nazione,
"un'umanità speciale, autonoma (in altre parole, autosufficiente) su una
terra speciale».
Traducendo
quanto sopra nel linguaggio della pratica politica, elenchiamo i criteri che, a
nostro avviso, caratterizzano le civiltà e altri attori di rilevanza mondiale.
Prima
di tutto, la capacità e la volontà di portare avanti una politica interna ed
estera sovrana e indipendente.
In
secondo luogo, la presenza di un potenziale economico, militare, demografico,
scientifico, educativo e tecnologico sufficiente e completo.
Sicurezza
delle risorse, che consente di preservare la stabilità socio-economica e
mantenere un alto livello di autosufficienza dell'economia nazionale.
La
componente più importante è la capacità di porsi come “punto di raccolta” di
spazi geografici contigui, per svolgere un ruolo di primo piano nei progetti di
integrazione.
Infine,
parte integrante dell'identità di civiltà è la presenza di una propria
filosofia di sviluppo, di una propria visione "d'autore" della
politica internazionale, di un potenziale culturale e spirituale originale e
globalmente significativo.
I
seguenti Stati e comunità civili sembrano soddisfare in qualche misura questi
criteri: Russia, Cina, India, Sud-Est asiatico (comunità ASEAN), mondo arabo e
Umma musulmana, Africa, America Latina e Caraibi, nonché la civiltà occidentale
con le sue componenti anglosassone ed europea-continentale.
Sono
questi i protagonisti che si apprestano a partecipare più seriamente alla
definizione della forma di un mondo multipolare:
la Maggioranza Mondiale attraverso l’unione
delle opportunità e la creazione, l'Occidente (nel suo attuale stato di
nichilismo adolescenziale nei confronti di oggettivi processi storici)
attraverso la contrapposizione con il resto del mondo.
La
struttura delle civiltà può variare.
E le stesse civiltà si trovano a vari livelli
di assemblaggio, mostrando una varietà di soluzioni architettoniche.
Tuttavia, ogni civiltà è caratterizzata dalla
presenza di un nucleo centrale (una civiltà-paese o diversi Stati guida
regionali).
Attorno ad esso si formano la seconda e la
terza fascia periferica.
Un
caso particolare è quello dei "ricchi solitari":
Stati con ambizioni serie e superiori alla
media - all'interno di un'agenda regionale e, in alcuni casi, globale - e con
gli strumenti per attuarle;
tuttavia, questi solitari non hanno risorse
aggregate sufficienti per formare una comunità di civiltà, anche se a volte
pretendono di farlo (Iran, Turchia, Israele e pochi altri, tra cui forse il
Giappone).
L'osservanza
del principio
di uguaglianza sovrana, sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, è chiamata a garantire la libertà e
il benessere di tutti gli Stati del mondo multipolare, indipendentemente dall'appartenenza
all'uno o all'altro gruppo di civiltà.
Si
noti che questo principio di base non riguarda solo l'uguaglianza delle
relazioni interstatali.
Presuppone
anche la
vera sovranizzazione dei paesi indipendenti e il loro orientamento verso gli
interessi nazionali nella politica interna ed estera.
Sostenendo questo principio, difendiamo una
costante essenziale nella democratizzazione delle relazioni internazionali,
nella difesa della diversità culturale e di civiltà e nella costruzione di un
sistema mondiale multipolare in cui nessuno Stato debba essere
svantaggiato.
La
formazione di comunità o piattaforme di civiltà quali pilastri della nuova
architettura delle relazioni internazionali è facilitata dalla logica stessa
del processo storico.
Davanti ai nostri occhi, il mondo occidentale
sta perdendo cinquecento anni di dominio, iniziato convenzionalmente nell'anno
1492 (riconquista
nella penisola iberica e inizio della colonizzazione dell'America).
Un
eminente internazionalista russo sottolinea che il potere occidentale "ha
iniziato a sgretolarsi negli anni Sessanta" sotto l'impatto dei processi
di decolonizzazione.
Alla
fine della Seconda guerra mondiale, 750 milioni di persone (un terzo della
popolazione mondiale) vivevano nelle colonie.
Dopo il 1945, 80 ex colonie hanno ottenuto
l'indipendenza.
Tuttavia,
la decolonizzazione degli anni Sessanta non ha conferito ai nuovi Stati indipendenti
la piena sovranità economica e politica.
Il sistema di pagamenti internazionali e di
accumulo di riserve incentrato sul dollaro USA, gli istituti di Bretton Woods,
i movimenti di capitale transfrontalieri delle multinazionali occidentali e
molti altri elementi rappresentavano una nuova forma di dominio coloniale, più
sofisticata e protetta dal punto di vista normativo (ma non morale).
Il neocolonialismo è stato concepito per
garantire il trasferimento continuo di risorse dal mondo in via di sviluppo al
"miliardo d'oro".
Dopo
il crollo dell'URSS e della Comunità economica socialista, questo sistema si è
diffuso in quasi tutto il mondo sotto la bandiera della globalizzazione.
Le
pratiche neocoloniali hanno permesso ai gruppi dirigenti occidentali di tenere
a galla le loro economie, di garantire alla popolazione alti livelli di consumo
e di mantenere su questa base un cosiddetto ordine sociale liberaldemocratico
che però ha cominciato a erodersi rapidamente e a tornare, con l'aggravarsi
della crisi economica, alla norma asociale storicamente occidentale, proprio
alla guerra hobbesiana contro tutti.
All'inizio
del XXI secolo, l'ascesa dell'Est globale e del Sud, accelerata dalla
cooperazione transfrontaliera, ha infranto questo paradigma economicamente e
moralmente insostenibile.
Nel
2021, i Paesi” BRICS” hanno superato la quota del “G7” nel volume dell'attività
economica mondiale, rappresentando il 32% del PIL globale a parità di potere
d'acquisto.
Lo
sviluppo economico è seguito dalla soggettività politica e cioè dalla sovranità
degli Stati nazionali di cui si è parlato in precedenza.
In ogni macroregione del mondo è emerso uno o
più Stati leader di rilevanza globale.
Fino a
poco tempo fa, il processo era naturale, disordinato, persino spontaneo.
La tendenza di lungo periodo era chiaramente
visibile, ma ci voleva tempo perché si strutturasse.
C'è
motivo di credere che l'impulso per una trasformazione qualitativa della
situazione sia stato fornito dall’operazione militare speciale della Russia.
Lo dimostra la riluttanza della Maggioranza
Mondiale ad aderire alle sanzioni antirusse e alla campagna
politico-propagandistica dell'Occidente.
L'esito
del voto del novembre 2022 sull'odioso progetto di risoluzione dell'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite in merito ai "risarcimenti per
l'Ucraina" è eloquente.
Più
della metà degli Stati membri dell'ONU si è rifiutata di sostenere il testo
divisivo.
È sintomatica l'osservazione di un “think tank”
asiatico:
"I
leader del Sud globale sono stati colpiti dal contrasto tra l'insistenza
occidentale sull'Ucraina e la mancanza di analogo zelo quando si tratta di
problemi in altre parti del mondo".
Gli
occidentali, inoltre, hanno chiaramente esagerato nella durezza.
Il
ministro degli Esteri indiano,” Subrahmanyam Jaishankar”, ha raccomandato all'Europa di
"rinunciare alla convinzione secondo cui i suoi problemi sono i problemi
del resto del mondo".
Naturalmente,
le ragioni alla base della riluttanza della “Maggioranza Mondiale” a far parte
di una coalizione anti-russa non sono direttamente collegate all'Ucraina.
Gli
esperti russi notano che "gli abitanti dell'ex "Terzo Mondo"
considerano giusta e storicamente irreversibile l’opposizione agli ex
dominatori coloniali".
Le azioni della Russia sono viste attraverso
il prisma del ripristino della giustizia storica.
Esiste
una reale "opportunità di costruire schemi efficaci di interazione e
sviluppo non contro l'Occidente, ma aggirandolo, senza la sua
partecipazione".
Non si
tratta della "non violenza" secondo Leone Tolstoj o M. Gandhi, ma
semplicemente di ignorare l'Occidente (incarnazione del male).
Si
scopre che è possibile svilupparsi con successo al di fuori del paradigma
"padrone-schiavo" imposto dalle ex metropoli.
La
consapevolezza che le regole del gioco stanno cambiando potrebbe, in linea di
principio, essere un incentivo per tutti a trovare un accordo.
Ma
finora abbiamo visto come gli anglosassoni, o meglio le loro élite al potere,
abbiano puntato sul ripristino con la forza del "momento unipolare"
dei primi anni Novanta.
A tal
fine, cercano di smembrare le comunità di civiltà in segmenti facili da
assimilare, secondo la formula del "divide et impera".
Ciò
non sorprende.
Già nel 2019, lavorando nel settore privato, l'attuale
consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente degli Stati Uniti, “Jake
Sullivan”, ha scritto con franchezza in un articolo che la condizione per
vincere il concetto di eccezionalismo americano può essere solo "la sconfitta del paradigma che mette
in primo piano l'identità etnica e culturale".
In
altre parole, a livello di ideologia, c'è sempre stata la volontà di combattere
contro i "poli" indipendenti dall'Occidente, semplicemente ora è
giunto il momento di agire.
Per
nascondere le proprie aspirazioni egemoniche, l'Occidente ha proposto il
concetto di "ordine basato sulle regole".
Come
ha osservato il ministro degli Esteri russo, “Sergey Lavrov”, esso implica
"una divisione razzista del mondo in un gruppo di “eccezionali' che hanno
l'autorizzazione a qualsiasi azione, e altri Paesi che devono seguire la scia
del “miliardo d'oro” e servirne gli interessi".
Alcuni
esperti occidentali ammettono che l'"ordine" è contrario alle
aspirazioni del mondo in via di sviluppo e la maggioranza mondiale non avrà
fretta di schierarsi a suo sostegno.
E
siamo sicuri che l'"ordine" finirà presto nella pattumiera della storia o (nel migliore, per i suoi
ispiratori, dei casi) definirà solo i parametri del mondo occidentale
all'interno dei suoi naturali confini geografici.
Il
fattore della civiltà negli affari internazionali è un segno dei tempi.
In un
momento in cui le pietre miliari della storia si spostano, si intensifica la
battaglia delle idee e delle visioni del futuro.
Ma
questo conflitto non si svolge in astratto o nel vuoto.
Si inserisce
nel quadro della forma geopolitica e di civiltà e del mondo multipolare che sta
oggi emergendo.
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