Mondo multipolare.

 

Mondo multipolare.

 

 

Come rilanciare il multilateralismo

in un mondo multipolare?

Eeas.europa.eu – (16-3 – 2021) -Josep Borrel – ci dice:

 

 Josep Borrell, Alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza / Vicepresidente della Commissione UE.

(16.3.2021 – Blog dell'AR/VP). 

Nei dibattiti sulla politica estera dell'UE, i concetti chiave cui si fa spesso riferimento sono quelli di multilateralismo e multipolarismo.

 È stato così anche in occasione della mia recente riunione con la conferenza interparlamentare.

 Ho pensato che potrebbe essere utile specificare come interpreto questi concetti e il loro modo di relazionarsi l'uno con l'altro.

 

"Non vi è contraddizione tra l'esercizio della politica di potere e la promozione dei nostri valori.

 Anzi, dare prova del fatto che non si intende abbandonare i propri principi è un segno di forza."

Sappiamo tutti che il multilateralismo è essenziale per la nostra visione del mondo, ma si trova ad affrontare forti venti contrari.

Tuttavia, l'insediamento della nuova amministrazione statunitense offre una reale opportunità per lavorare al suo rilancio, anche se non sarà un compito facile:

in primo luogo, perché non esiste un consenso a livello mondiale per quanto riguarda i modi per ricostruirlo;

in secondo luogo, perché in un mondo multipolare e frammentato la base geopolitica del multilateralismo sta cambiando;

e in terzo luogo, perché l'Europa, come gli altri attori globali, dovrà operare in modo più assertivo per far valere i propri interessi in un mondo più transazionale.

 

Intendo dire che, se si vogliono promuovere alcuni principi fondamentali sulla scena mondiale, non basta affidarsi semplicemente al loro valore morale, ma occorre sostenerli con il proprio peso politico.

 Ad esempio, nell'intento di difendere il principio secondo cui le frontiere non possono essere modificate con l'uso della forza, l'Europa ha adottato sanzioni nei confronti della Russia, che in Ucraina ha cercato di contravvenire proprio a questo principio.

 Chi viola i principi fondamentali deve subire le conseguenze del proprio comportamento.

Per questo motivo, dopo la mia ultima visita a Mosca ho proposto di impostare le relazioni UE-Russia sulla base di tre linee guida: contrastare, quando la Russia viola il diritto internazionale;

arginare, quando la Russia vuole indebolire il nostro sistema democratico;

dialogare, quando abbiamo interesse a collaborare con il regime russo.

"Oggi il mondo sta diventando più multipolare e meno multilaterale."

 Oggi il mondo sta diventando più multipolare e meno multilaterale.

Per l'Europa, la sfida consiste nel conciliare entrambe le dimensioni, adattandosi alla nuova distribuzione del potere, adoperandosi allo stesso tempo per attenuare la frammentazione politica del mondo in poli concorrenti.

Negli ultimi trent'anni abbiamo assistito a una rapida trasformazione della distribuzione del potere a livello mondiale.

Siamo passati da una configurazione bipolare tra il 1945 e il 1989 a una unipolare tra il 1989 e il 2008, per poi arrivare a quello che oggi potremmo chiamare "multipolarismo complesso".

Sul piano economico, ad esempio, abbiamo tre poli dominanti:

 Stati Uniti, Cina e Unione europea.

 Sul piano politico la configurazione è tuttavia più complessa:

in primo luogo, perché l'emergente bipolarismo sino-americano sta strutturando sempre di più il sistema mondiale;

in secondo luogo, perché esistono importanti potenze politiche e militari che non sono necessariamente forti potenze economiche (come la Russia, oppure la Turchia a livello regionale);

 in terzo luogo, perché in una posizione intermedia vi sono attori, come l'UE, che hanno un forte peso economico ma che sono poli politici in fieri.

 L'ambizione di quella che chiamiamo "Europa geopolitica" è proprio quella di colmare il divario tra potere economico e influenza geopolitica.

"Lo sviluppo dell'Europa in quanto polo politico non è contrario alla difesa del multilateralismo, ma costituisce una condizione fondamentale per garantire l'efficacia di tale difesa."

 Occorre essere chiari su un punto:

 lo sviluppo dell'Europa in quanto polo politico non è contrario alla difesa del multilateralismo, ma costituisce una condizione fondamentale per garantire l'efficacia di tale difesa.

 In primo luogo, il multilateralismo è principalmente una metodologia concepita per regolamentare le relazioni mondiali in base a principi stabili e trasparenti che si applicano in egual misura a tutti i paesi, indipendentemente dalla loro dimensione.

Ciò significa che le regole sono le stesse a prescindere dal fatto che si tratti di un paese più piccolo o di una grande potenza.

Tuttavia, come immaginato da George Orwell ne "La fattoria degli animali", anche se gli Stati sono uguali dal punto di vista formale, alcuni sono più uguali degli altri.

Il multilateralismo non è una bacchetta magica.

Può però attenuare le differenze di potere esistenti tra gli Stati, vincolandoli mediante norme comuni.

Per questo motivo è appoggiato dall'Europa e dalla grande maggioranza degli Stati di tutto il mondo.

Ora, le norme multilaterali non piovono dal cielo, ma rispecchiano una situazione esistente e, molto spesso, le preferenze dei più potenti.

Ad esempio, per vincere la battaglia del” Green Deal europeo” dovremo istituire un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, un dispositivo indispensabile ma anche controverso:

 indispensabile perché senza tale meccanismo ci troveremo di fronte a una rilocalizzazione delle emissioni di CO2 e a uno svantaggio comparativo per le nostre industrie;

 controverso perché molti paesi lo considerano, erroneamente, un meccanismo protezionistico.

Per questo deve essere conforme alle norme dell'OMC.

 Dobbiamo costruire alleanze forti con Stati che condividono gli stessi principi e convincere i più riluttanti tra loro a partecipare con noi a questo sforzo.

Dobbiamo pensare in termini di equilibrio di potere e promuovere allo stesso tempo i nostri interessi.

Siamo un'Unione fondata su principi, ma i principi da soli non bastano per elaborare una politica e ancor meno una politica vincente.

 Questo è l'insegnamento principale che dobbiamo trarre dall'attuale contesto mondiale, in cui la politica di potere sta guadagnando terreno.

 

 "Non vi è contraddizione tra l'esercizio della politica di potere e la promozione di valori.

Anzi, dare prova del fatto che non si intende abbandonare i propri principi è un segno di forza."

 Il secondo motivo della crisi del multilateralismo risiede nel fatto che i valori liberali del 1945 si trovano sulla difensiva nel nostro mondo in evoluzione.

Narrazioni alternative mettono in discussione l'"Occidente" in tutti i settori, siano essi l'economia, la salute, la storia, le libertà individuali o i diritti umani.

 Russia e Cina, così come altri paesi, ritengono che le discussioni sui diritti umani nelle rispettive sfere di influenza siano una violazione della loro sovranità.

Per l'UE, invece, i diritti umani sono valori universali e costituiscono il fondamento della nostra politica estera.

 Se la Russia cerca ora di aggirare l'Unione e di trattare direttamente con gli Stati membri, è anche perché l'UE è importante e ostacola gli obiettivi russi.

 Infatti, contrariamente a quanto si crede generalmente, non vi è contraddizione tra l'esercizio della politica di potere e la promozione di valori.

 Anzi, dare prova del fatto che non si intende abbandonare i propri principi è un segno di forza.

La creazione del multilateralismo nel 1945 e la sua rinascita dopo il 1989, pur non essendo esclusivamente occidentali, sono state decisamente liberali.

Questo ordine multilaterale e basato su regole è stato confortevole per noi europei perché rispecchiava essenzialmente le nostre preferenze e i nostri interessi.

Nel mondo del futuro la situazione sarà più difficile perché vi sono rivendicazioni e visioni contrastanti sulle caratteristiche che il sistema internazionale dovrebbe possedere.

La voce liberale è semplicemente una voce tra le altre.

Gli Stati che mettono in discussione questa prospettiva vogliono trasformare il multilateralismo dall'interno e ridefinirlo.

 Si stanno impegnando nella creazione di istituzioni multilaterali intese a rovesciare questa visione liberale.

 

Alla luce di tutto ciò, è urgente che l'Europa dia prova dell'esistenza di un punto di vista europeo e stringa alleanze con gli Stati che condividono gli stessi principi.

Sul piano operativo, deve essere in grado di creare coalizioni tematiche e di essere più assertiva, reattiva e agile, poiché, ancora una volta, l'equilibrio di potere non sempre va a nostro vantaggio.

 L'Europa difende una serie di punti di vista e non ha ambizioni egemoniche.

 Al tempo stesso, deve garantire che questo non porti a un relativismo generalizzato in cui tutti fanno ciò che vogliono all'interno dei propri confini.

 Ecco perché il nostro impegno nell'ambito di organizzazioni internazionali come il “Consiglio dei diritti umani” è molto importante.

 

 "Per quanto riguarda la definizione del multilateralismo, i nostri obiettivi sono tre:

 consolidare ciò che funziona,

riformare ciò che non funziona più correttamente ed

 estendere la portata del multilateralismo a nuovi settori."

 

Vi è un terzo motivo che giustifica i nostri sforzi per diventare un polo politico in un mondo multipolare:

 la necessità di difendere le nostre priorità su come definire il sistema multilaterale.

 I nostri obiettivi al riguardo sono tre: consolidare ciò che funziona, riformare ciò che non funziona più correttamente ed estendere la portata del multilateralismo a nuovi settori.

È questo il messaggio principale della nuova strategia sul multilateralismo approvata di recente dalla Commissione e da me in qualità di alto rappresentante.

 Essa offre idee concrete su come l'UE intende rilanciare e modernizzare il sistema internazionale basato su regole in settori prioritari fondamentali - dal commercio agli investimenti, passando per la sanità, i cambiamenti climatici e le norme sulle nuove tecnologie emergenti.

 La strategia evidenzia l'impegno a investire in partenariati creativi, non da ultimo con organizzazioni regionali come, tra l'altro, l'Unione africana e l'ASEAN, al fine di rafforzare collettivamente le Nazioni Unite e altri consessi multilaterali.

In effetti, la sfida non consiste tanto nel modificare le norme internazionali, quanto nel garantirne l'attuazione.

Non possiamo più accontentarci, ad esempio, di difendere l'OMC senza modernizzarne le procedure, in particolare per quanto riguarda le sovvenzioni statali.

 Infine, vi sono nuovi settori, come ad esempio la digitalizzazione o l'intelligenza artificiale, per cui dobbiamo definire con urgenza nuove norme globali.

 Per conseguire questi obiettivi dobbiamo detenere una posizione di forza, ma non solo:

dobbiamo anche definire una posizione comune, sviluppare argomentazioni e costruire alleanze.

"Non siamo obbligati a scegliere tra il multipolarismo, che è un dato di fatto, e il multilateralismo, che è un'ambizione."

 Con questo intendo dire che non siamo obbligati a scegliere tra il multipolarismo, che è un dato di fatto, e il multilateralismo, che è un'ambizione.

 Accettare il multipolarismo significa affrontare la realtà di un mondo diversificato, ma anche frammentato e conflittuale.

Difendere il multilateralismo vuol dire respingere i punti di vista fatalistici e mobilitarsi a favore dei nostri punti di forza e dei nostri partner per rendere il gioco globale più fluido, tenendo sempre presenti gli interessi dell'Europa e i valori su cui poggiano.

 

 

In una Società Normale…

Conoscenzealconfine.it – (4 Febbraio 2024) - Gabriele Sannino – ci dice:

 

In una società NORMALE la rivolta dei contadini, degli allevatori e dei pescatori di un INTERO CONTINENTE dovrebbe diventare la rivolta di tutti.

Questi imprenditori, infatti, stanno semplicemente FALLENDO, a causa di insensate – anzi deliranti – politiche “green”, rincari di carburanti, limiti alla produzione, al commercio, all’esportazione, insulsi sussidi per non lavorare, tasse e balzelli di ogni genere.

Vogliono proprio la loro FINE, se non lo avete capito.

Il loro fallimento, però – è qui il punto – è il NOSTRO:

se loro non producono più, noi cosa mangeremo?

Quanto pagheremo per i prodotti importati?

Già questi comparti sono rincarati: cosa accadrà se l’offerta si ridurrà ancora di più?

 Cosa darete da mangiare ai vostri figli?

Ve lo scrivo io: grilli, insetti vari e cibo sintetico, che la nostra “amatissima” Unione Europea non vede l’ora di poter smerciare in tutto il territorio sotto la sua “DITTATURA burocratica”.

Se non lo sapete – e molti tele-affezionati sicuramente non lo sanno – a dicembre hanno autorizzato diversi prodotti a base di insetti in questo sgangherato paese senza più un briciolo di sovranità.

 Ergo, se non riuscite a vedere il futuro che vorrebbero preparare, posso farvi un disegnino:

 il “cibo bio”, quello VERO per intenderci come carne, latte, frutta e ortaggi sarà per pochi, mentre le MASSE si alimenteranno con cibo spazzatura… che costerà molto poco.

Già lo sento il BABBANO di turno:

 ecco, è arrivato il complottista!

Bello vivere su Marte, vero?

Tutto verrà fatto PIANO PIANO naturalmente, così che il “popolino” si possa abituare.

Giovedì 1° febbraio 2024, mentre più di 1300 trattori assaltavano letteralmente l’Europarlamento, i rappresentanti delle 27 nazioni lì presenti in quel palazzo decidevano di stanziare NON fondi per la NOSTRA AGRICOLTURA, ma – udite  – per l’UCRAINA:

 ben 50 miliardi, di cui 33 di prestiti (a proposito, quando li restituisce Zelensky?) e 17 a fondo perduto.

Ursula Von De Leyen, dopo gli accordi, ha dichiarato: “oggi è un buongiorno per l’Europa”.

No, Signori, naturalmente non siamo davanti a una dittatura guerrafondaia che se ne fotte del popolo e pensa solo a guerre insensate… se non per certi poteri:

questo pensiero, infatti, è solo per chi osa ancora PENSARE.

Siamo in un mondo che si basa SOLO su una gigantesca IGNORANZA dei popoli che sono pronti, ormai, grazie al lavaggio del cervello quotidiano, ad accettare davvero QUALSIASI COSA e non capire più neanche le cose essenziali!

Ecco perché dei vostri diplomi, lauree, master… potete fare un bel falò per quanto mi riguarda:

 la vostra cecità e stupidità fa di voi le persone più ignorantemente istruite della storia umana.

(Gabriele Sannino)

(t.me/gabrielesannino).

 

 

 

Il mondo multipolare, un nuovo

 ordine globale sta nascendo.

 (Monthly Report).

   Indipendente.online.it - Redazione - 18 SETTEMBRE 2023 - ci dice:

L’assetto geopolitico del mondo sta cambiando.

Quello in cui ci troviamo è un periodo di transizione, nel quale il passaggio da un assetto unipolare a uno multipolare sembra ormai segnato.

Molti tra i Paesi che per lungo tempo abbiamo con sprezzo definito Terzo mondo stanno acquisendo sempre più voce nel contesto internazionale, contribuendo all’insediarsi di questo nuovo equilibrio.

Ma quali dinamiche stanno rendendo tutto questo possibile?

Dove affondano le radici storiche di tale cambiamento?

Chi tutelerà le popolazioni da questo frammentarsi di poteri – e quindi, potenzialmente, dal moltiplicarsi degli oppressori?

Questi i temi al centro del nuovo “Monthly Report”, la “rivista mensile de L’Indipendente” all’interno della quale trattiamo tematiche di particolare rilevanza che riteniamo non sufficientemente approfondite dalla comunicazione mainstream.

L’editoriale del nuovo numero: Il nuovo ordine mondiale sarà realmente nuovo?

Che il mondo si avvii a diventare multipolare è un dato di fatto della storia, reso ovvio dall’ascesa economica, politica e militare di nuovi attori globali.

Cina, India, monarchie del Golfo, Brasile, Turchia, Russia ed altri ancora: sono sempre di più i Paesi che chiedono una ridefinizione dell’ordine mondiale stabilito dopo la fine della seconda guerra mondiale, basato su leggi e organizzazioni sovranazionali progettate a Washington.

Quando i media dominanti d’Occidente vagheggiano di ciò che pensa o decide la comunità internazionale in realtà definiscono con questo termine un gruppo di Stati che rappresenta appena 1,3 miliardi di cittadini del mondo – quelli che risiedono nei Paesi occidentali più Giappone e Australia – mentre altri 6,7 miliardi sono esclusi dal privilegio di vedersi rappresentati in questo club esclusivo che parla a nome del mondo intero.

Si tratta di una disparità che ha retto fino a che i Paesi di questa maggioranza di cittadini del mondo potevano essere considerati poveri o in via di sviluppo, ma ormai molti di questi sono potenze reali con economie forti e in espansione, eserciti moderni e tecnologie all’avanguardia.

Come è normale che sia, vogliono non solo entrare a far parte della comunità internazionale, ma avere voce in capitolo per ridiscuterne le regole.

Stati Uniti e alleati potranno decidere se aprire la porta oppure aspettare che venga sfondata: il risultato non cambierà.

 Come in ogni fase storica di ridefinizione degli equilibri globali, un nuovo ordine mondiale sorgerà.

Si spera con un negoziato pacifico, perché l’alternativa è un allargamento del conflitto in corso in Ucraina (e per procura in medio Oriente e in Africa) che, passando per Taiwan, sfocerebbe in una nuova guerra mondiale.

 Questo il quadro che praticamente tutti gli analisti geopolitici danno per scontato e che dettagliamo in questo nuovo numero del “Monthly Report”.

 

Di fronte a questo scenario di ridefinizione degli equilibri globali c’è chi si dispera per l’unilateralismo occidentale perduto e chi festeggia per l’ascesa di nuove potenze.

Come al solito su “L’Indipendente” proviamo anche a cambiare sguardo sulla vicenda, senza abbandonarci al tifo geopolitico per l’una o l’altra potenza.

Certo, un mondo multipolare è maggiormente rappresentativo delle varie potenze presenti nel mondo e potenzialmente più equo:

ma un nuovo ordine globale non sarà automaticamente un mondo più giusto.

Fino ad oggi l’umanità non è ancora riuscita a liberarsi di una logica atavica che mette in dubbio una facoltà che gli umani si arrogano con incrollabile convinzione:

essere l’unica specie animale dotata di ragione, capace di senso di giustizia e di risolvere le controversie in modo civile.

 La verità è che gli equilibri tra Stati si regolano oggi allo stesso modo di migliaia di anni fa:

attraverso la legge di natura che vige nel mondo animale, dove il più forte cerca di dominare i più deboli con la sopraffazione.

Se non si supera questa logica, la differenza tra un mondo unipolare e uno multipolare risiederà solo nel fatto che nel primo c’era un unico soggetto dominante e nel secondo ci saranno più potenze a contendersi pezzi di pianeta da assoggettare alle proprie sfere d’influenza.

 Il nuovo ordine mondiale rischia così di essere una riedizione di una logica vecchissima, dove per miliardi di umani la realtà continuerà ad essere quella che oggi vivono le popolazioni africane, indigene, palestinesi, curde e di tanti altri popoli ancora:

vivere sotto il dominio diretto o neocoloniale di una potenza estera più forte.

Per chi ha a cuore un mondo più giusto nel suo complesso occorre tifare non per l’una o l’altra potenza, ma per la nascita di un equilibrio realmente nuovo.

 Anche su questo proviamo a interrogarci.

 

 

 

Mondo multipolare, dove

si nascondono le opportunità.

Focusrisparmio.com – Antonio Potenza – (1° luglio 2023) – ci dice:

 

I nuovi equilibri geopolitici impatteranno sulle future tendenze degli investimenti, mentre i bond degli Emergenti continuano a rappresentare un’interessante fonte di diversificazione.

 Tanto più nel delinearsi, come afferma Ceelen (DPAM), di un equilibrio economico globale dalla trazione non più bipolare ma multipolare

DPAM è arrivata in Italia nel 2013.

Quest’anno spegne dieci candeline con l’orgoglio di annunciare che il mercato tricolore per il gruppo vale due miliardi di patrimonio tra gestito e advisory.

“La decisione di aprire una sede a Milano è stata una scelta strategica” afferma” Alessandro Fonzi”, country head della società, “con un approccio diverso da altri gruppi esteri che dopo aver guadagnato hanno abbandonato il mercato. Abbiamo da sempre guardato all’Italia con l’obiettivo di restarci”.

La sostenibilità nella strategia di DPAM è diventata gradualmente fondamentale, tanto che oggi “le scelte dei nostri clienti e collocatori, premiano l’attenzione da sempre prestata alle tematiche ESG”.

“Quasi il 100% dei fondi, che sono circa i 2/3 della nostra attività in Italia, è art. 8 o art. 9 ai sensi della normativa Sfdr”, fa sapere ancora Fonzi.

Quanti poli.

Yves Ceelen, cio global balanced and head of institutional mandates di DPAM.

“Non è più un mondo bipolare”, afferma Yves Ceelen, cio global balanced and head of institutional mandates di DPAM, in apertura dell’outlook 2023 della società.

 Per l’esperto non si può guardare all’attuale equilibrio geopolitico ed economico come una semplice situazione bifronte.

 Non c’è un conflitto economico tra Usa e Cina.

Ricostruendo gli ultimi cinquant’anni, post-guerra fredda l’equilibrio economico globale si basava sugli Stati Uniti “che avevano di fatto dato via a un ordine globale unipolare” dice “Ceelen”.

 La scacchiera internazionale è in subbuglio a causa di diverse variabili: l’ascesa dell’economia cinese, il conflitto in seno all’Europa, la crisi climatica e lo sviluppo dei mercati emergenti.

 “Questo cambiamento avrà un impatto significativo sulle future tendenze degli investimenti, sul dollaro, sul mercato dei titoli di Stato e sulle materie prime.

 Nessun attore del mercato sarà immune a questa evoluzione che offre opportunità per alcune regioni, economie e settori” aggiunge “Ceelen”.

“All’orizzonte non c’è un mondo bipolare, ma multipolare” afferma l’esperto di DPAM.

“I Paesi come l’India, l’Arabia Saudita, il Sudafrica e Singapore non sono più disposti a limitarsi a seguire la linea dettata da altri” ma preferiscono seguire la propria agenda e i propri interessi nazionali.

L’influenza della Cina.

“La Cina sembra essere alla guida della nuova era della globalizzazione” afferma “Ceelen”.

Che ricorda come Pechino sia stata capace di promuovere alleanze un tempo ai margini tramite iniziative come “Belt & Road”, “BRICS+ “(coniata da Jim O’Neill di Goldman Sachs nel 2001) e l’”Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai”.

“Queste piattaforme”, racconta l’esperto, “offrono un palcoscenico comune a Paesi, principalmente del Sud Globale (Paesi dell’America Latina, Asia, Africa e Oceania), con storie comuni di oppressione e sfruttamento, spesso per mano dell’Occidente”.

“Al centro di questa narrazione”, continua, “c’è l’ascesa del Dragone da vittima coloniale a potenza globale, che funge da faro per le nazioni meno inclini alla democrazia liberale”.

Alla ricerca delle opportunità.

La centralità del dollaro anche tra questi nuovi rapporti va gradualmente a scemare.

 “È importante ricordare che si tratta di una transizione continua, non di un crollo improvviso” dice “Ceelen”.

 Tuttavia, avverte,“non dimentichiamo che il biglietto verde costituisce ancora circa il 70% del debito mondiale”.

In questa fase, con lo spettro dell’inflazione sugli investimenti, è importante la protezione del patrimonio.

 “Salta all’occhio come molti mercati emergenti registrino attualmente prezzi più bassi rispetto alle loro controparti occidentali” fa notare “Ceelen”.

 “Riteniamo”, aggiunge, “che le obbligazioni di questi Paesi, che offrono un rendimento di circa il 7%-8% e rendimenti reali consistenti, costituiscano un’interessante diversificazione per i portafogli a reddito fisso.

 Inoltre, alcuni investitori potrebbero voler contribuire direttamente a contrastare l’impatto del cambiamento climatico, in particolare in regioni come l’Africa, l’America Latina e l’Asia”.

A questo scopo, suggerisce l’esperto, “può essere utile incorporare la microfinanza nei tradizionali portafogli multi-asset.

 Questa asset class, composta da numerosi piccoli prestiti a breve termine con tassi di default generalmente bassi, non solo offre potenzialmente un rendimento costante di circa il 4-5%, ma può anche migliorare in modo significativo la vita quotidiana degli individui e delle piccole imprese di questi Paesi”.

 

 

 

 

Bipolare, multipolare e non-polare:

Il mondo contraddittorio al tempo

dell’invasione russa dell’Ucraina.

  Affarinternazionali.it - Nathalie Tocci – (19 Settembre 2023) ci dice:

 

 Sapevamo da tempo che il vecchio ordine sarebbe scomparso.

Il nuovo secolo è iniziato con gli attacchi terroristici dell’11 settembre e le conseguenti guerre in Afghanistan e in Iraq.

Soprattutto quest’ultima è stata associata agli eccessi dell’egemonia americana e, di conseguenza, all’inizio della sua fine.

 Sapevamo da almeno due decenni che la Pax Americana sarebbe finita. Quello che non sapevamo è da cosa sarebbe stata sostituita.

Crisi finanziaria, BRICS e G20.

Solo pochi anni dopo, a partire dal 2008, la crisi finanziaria globale e la conseguente crisi dell’Eurozona sembravano fornire le prime risposte.

La crisi finanziaria globale è stata una crisi dell’Occidente, che ha messo a nudo le profonde vulnerabilità dell’iper liberismo che permeava il capitalismo occidentale.

 Ha stimolato un dibattito sul multipolarismo come alternativa all’unipolarismo statunitense.

Si sono formati raggruppamenti come i “BRICS” (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), è stata istituita la “Banca asiatica per gli investimenti nelle infrastrutture”, che ha messo in luce i fallimenti delle riforme delle istituzioni finanziarie internazionali guidate dall’Occidente.

Nuovi raggruppamenti multilaterali come il G20 sembravano più rappresentativi della distribuzione globale del potere e meglio attrezzati per affrontare le crisi dell’economia globale.

La crisi finanziaria ha anche acceso il dibattito sui problemi di una globalizzazione senza freni che, pur riducendo le disuguaglianze tra i Paesi e facendo uscire un miliardo di persone dalla povertà, aveva aumentato in modo massiccio le disparità socioeconomiche all’interno dell’Occidente.

La crisi della democrazia.

La crisi finanziaria ed economica, in particolare la sua cattiva gestione in Europa culminata nella crisi del debito sovrano del 2011-2012, ha fornito terreno fertile per una terza crisi, quella della democrazia, accentuata dalla cosiddetta crisi migratoria in Europa.

La crisi della democrazia, caratterizzata dall’elezione di Donald Trump, dal referendum sulla Brexit, dall’ondata nazionalista-populista in Europa e altrove, dalla Turchia al Brasile, nonché dalla crisi dello Stato di diritto nell’UE con il regresso democratico dell’Ungheria e della Polonia, indicava un mondo in cui la promozione della democrazia era ormai lontana.

Le democrazie liberali si occupano ora della protezione della democrazia, mentre Paesi autoritari come la Russia di Vladimir Putin iniziano a dipingersi esplicitamente come leader di un mondo illiberale.

Poi è arrivata la pandemia, una crisi che ha rivelato esplicitamente che il sistema internazionale si stava effettivamente frammentando ancora una volta;

 piuttosto che una chiara struttura multipolare, tuttavia, stava emergendo una nuova forma di bipolarismo, in cui la natura dei sistemi politici era centrale (“democrazia contro autocrazia”) e che gravitava attorno alla crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina.

La pandemia è stata spesso dipinta in termini di competizione (quale sistema politico è meglio attrezzato per affrontare le grandi sfide globali?), ma ha anche dimostrato che i risultati efficaci dipendono dallo sforzo aggregato e dalle risposte multilaterali.

 Lo stesso vale per altre sfide transnazionali come la crisi climatica, l’intelligenza artificiale e la non proliferazione.

 La pandemia ha messo in luce anche un’altra contraddizione:

il mondo è più connesso e interdipendente che mai, ma aumentano anche le spinte alla “de-globalizzazione”, alla chiusura, alla protezione, alla ridondanza e all’accorciamento delle catene di approvvigionamento.

Infine, l’invasione russa dell’Ucraina, toccando così tante dimensioni della sicurezza, del (dis)ordine e della governance globale, sta mettendo a nudo le contraddizioni del nostro tempo in tutta la loro forza.

 Ha dimostrato che il mondo è bipolare, multipolare e non-polare allo stesso tempo.

 Sì, c’è una forma crescente di bipolarismo, con un rafforzamento delle relazioni transatlantiche e della cooperazione all’interno del G7 Plus, e una Russia strategicamente rimpicciolita e sempre più relegata a vassallo della Cina.

 Allo stesso tempo, il mondo ha rivelato anche caratteristiche di multipolarismo, in particolare l’azione di ambiziose medie potenze che hanno rifiutato di allinearsi con l’Occidente o la Russia, cercando opportunità da entrambi i lati.

Un mondo “non polare.”

L’India, il Brasile, il Sudafrica, l’Arabia Saudita e, in parte, la Turchia, piuttosto che stare con le mani in mano, sono intenzionati a sfruttare appieno i vantaggi derivanti dal confronto globale.

Tuttavia, il mondo ha anche dimostrato di essere non polare.

L’ampia maggioranza dei Paesi che si sono astenuti dalle risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che condannavano l’invasione russa voleva essenzialmente tenersi alla larga dal conflitto, preoccupandosi principalmente delle sue conseguenze globali piuttosto che delle sue cause regionali.

Questi Paesi, in Africa, America Latina e Sud-Est asiatico, ritengono di avere già abbastanza da fare a livello nazionale e regionale e non sono semplicemente disposti a farsi trascinare in una guerra che non considerano loro.

 Sono preoccupati per i loro affari locali e non sono legati gli uni agli altri da un collante ideologico globale:

in questo senso, gli attuali “indecisi” sono fondamentalmente diversi dal movimento dei non allineati della Guerra Fredda.

La guerra ha anche rivelato che il mondo è allo stesso tempo più integrato e più frammentato.

 L’invasione russa dell’Ucraina è una guerra sia europea sia globale.

 A renderla globale sono sia i principi in gioco, dal diritto internazionale, al colonialismo, alla democrazia e ai diritti, sia le sue ripercussioni, dalla crisi energetica alla sicurezza alimentare e alla proliferazione nucleare.

L’utilizzo dell’energia e del cibo come arma (weaponization) ha evidenziato nella sua forma più cruda i rischi per la sicurezza di un mondo sempre più interdipendente.

Allo stesso tempo, la guerra ha portato alla ribalta la realtà che idee universali come la sovranità e l’integrità territoriale hanno relativamente poca presa a livello globale:

i Paesi che difficilmente saranno direttamente colpiti dalla violazione di tali principi semplicemente non saranno disposti a pagarne il prezzo per difendersi.

Per quanto triste, la guerra ha portato un nuovo livello di onestà nel dibattito internazionale.

La guerra tra Russia e Ucraina, che segue altre crisi che hanno segnato il XXI secolo, ci ha permesso di vedere con maggiore chiarezza il mondo in cui viviamo.

 Tuttavia, tale chiarezza ha rivelato la complessità, in particolare le contraddizioni nella natura e nella distribuzione del potere, nonché nelle forze centripete e centrifughe che lo guidano.

 Queste contraddizioni non sono affatto vicine a una risoluzione, rendendo sempre più sfuggente la ricerca di un’efficace governance globale incentrata su istituzioni esistenti, riformate o nuove. 

Siamo destinati ad arrancare ancora per un po’ nella nebbia della guerra, alternando competizione e cooperazione ad hoc, proseguendo per tentativi nel fornire soluzioni provvisorie e spesso non ottimali alle principali sfide della nostra epoca.

 

 

 

Crescere nel mondo multipolare

le Pmi e l’arte della diplomazia.

Econopoly.lsole24ore.com - Enrico Verga - SISTEMA SOLARE – (11 Dicembre 2023) – ci dice:

Di recente “Bloomberg” ha lanciato un documentario dal titolo piuttosto evocativo:” La grande frattura”.

Il tema del documentario è il” futuro della globalizzazione” o, come meglio viene spiegato, quello che verrà dopo la globalizzazione.

Il fenomeno della globalizzazione nasce con “Friedman”, il suo padre nobile.

La globalizzazione ha continuato a crescere sino al 2008.

Sono in molti a ritenere questo anno un punto di non ritorno per la globalizzazione e il suo maggiore campione e sostenitore: gli Stati Uniti.

Dopo la bolla del 2008 alcuni eventi che prima erano ritenuti scontati, sono mutati irrimediabilmente giungendo, dopo oltre 10 anni, a quello che osserviamo oggi.

 Il vecchio sistema, consolidatosi dopo il crollo del muro di Berlino, era basato su una triangolazione di merci e servizi.

La Russia, più o meno amica dell’Occidente, era il grande fornitore di qualunque materia prima a costi ridotti.

Le materie prime andavano sia alle industrie avanzate occidentali, sia alla grande fabbrica del mondo: la Cina.

 Il dragone produceva merci a basso costo per tutti: dalla moda alle auto.

Questi prodotti fluivano senza particolari problemi in Occidente dove i ricchi consumatori democratici li compravano felici e i manager della finanza facevano grassi prodotti.

 L’Occidente dava alla Cina e alle altre nazioni manufatturiere investimenti e tecnologie (a discapito della forza lavoro democratica che è andata via via depauperandosi).

 

Questo equilibrio si è rotto.

Ora i russi sono divenuti (o percepiti) ostili.

La Cina si sta espandendo in tutto il mondo, con l’ambizione di divenire la guida del Sud del mondo.

 L’Occidente sta tentando, con risultati ambigui, di riportare le sue aziende manufatturiere in patria, o quanto meno in nazioni geograficamente limitrofe come il Messico per gli Usa e l’Est Europa per la Ue.

In questo scenario si muovono le Pmi italiane. Sino a ieri sicure che l’equilibrio del mondo poteva offrire spazi di manovra, oggi devono entrare in un ecosistema completamente rivoluzionato dove, se non si conoscono le regole locali, si rischia di brutto.

D’altro canto il crollo della Germania, causato anche dalla mancanza di gas economico e politiche del lavoro estreme, impone a molte Pmi italiane la necessità di cercare da sole, senza mediazione tedesca, muovi mercati.

Le Pmi italiane e i mercati extra-Ue.

Muoversi all’estero non è semplice – conferma “Alessandro Minon”, presidente di “Finest”, l’ente di promozione per il commercio estero del Friuli Venezia Giulia -.

Il primo aspetto a cui fare attenzione è il non cadere nella trappola dell’etnocentrismo:

quel percorso mentale che noi occidentali facciamo pensando che tutto il mondo pensi come noi, abbia la nostra stessa visione nel fare affari.

Ogni nazione extra Ue ha una sua visione.

Più ci si spinge verso Est, sino alla Cina, più le trattative sono incentrate su valori e schemi come il “non perdere la faccia”.

Poi ci sono le regole legate alla contrattualistica:

 in linea di principio un contratto è un contratto”.

“Tuttavia mentre da noi in Occidente il contratto rappresenta il punto finale di un progetto, in molte culture il contratto è solo una parte della trattativa, mentre il progetto sarà completo solo quando entrambe le parti vedranno soldi, e beni/servizi, consegnati.

 Da ultimo, ma non meno imporrante, la conoscenza culturale, etica e linguistica delle popolazioni extra Ue.

Non sto dicendo che trattare con altri clienti europei sia facile, ma, quanto meno, condividiamo con loro una matrice culturale che, per quanto amplia, ha elementi comuni: religione, etica, diritto.

All’estero l’indole dei non europei si è evoluta, come logico che sia, con differenti parametri e visioni”.

“Questo – conclude “Minon” – non rende i non europei migliori o peggiori di noi.

Ma implica un approccio che potrebbe non corrispondere ai nostri standard.

A questo aspetto si aggiunge la lingua: un elemento creatosi nei millenni.

Conoscere la lingua di ogni paese è impossibile, ma trovo che sia più interessante conoscere la loro filosofia, storia, geografia.

Per la lingua è utile avere un traduttore, e comunque chi va all’estero minimo dovrebbe parlare inglese.

Ma capire la mentalità di popoli differenti da noi è alla base per capire cosa poter dire, come affrontare un discorso e una trattativa”.

 

Prendere le misure al nuovo mondo multipolare.

I rischi sono un tema familiare anche ad “Alessandro Mancini,” ceo di “Mancini Worldwide”.

 La multipolarità, un nuovo paradigma mondiale, è un fenomeno con cui chiunque voglia fare esportazione, o insediarsi all’estero, dovrà fare i conti.

Quello che prima era una sorta di terreno piatto, dove ognuno aveva una base di trattativa creata nei decenni dallo sviluppo occidentale, oggi diviene sempre più un terreno montuoso.

La crisi ucraina, le recenti espansioni cinesi nel medio oriente, le nuove filiere asiatiche non cinesi, sono solo gli elementi principali di quello che ci aspetta.

 Le Pmi che prima producevano in Cina, oggi, con la “moral dissuasion” americana, rischiano di dover rilocalizzare le produzioni in paesi più amici, diciamo filo occidentali”.

 

Il near-reshoring, o friend shoring, è sempre più un tema che deve essere assimilato dalle Pmi.

Per dirla all’americana, la Cina non è più “the place to be”. Penso alle parti di ricambio per auto elettriche, che ormai hanno trovato il loro paese amico nell’Ungheria di Orban.

 Un vantaggio se consideriamo che la nazione è nella Ue, ma non sempre è così semplice.

Molte aziende si stanno spostando nelle nazioni limitrofe alla Cina, ben viste dagli Stati Uniti e, soprattutto, con un costo del lavoro più basso rispetto agli stipendi cinesi che sono andati crescendo negli anni”.

 

“A questo aggiungiamo una crescente influenza dei grandi attori come Cina e Russia in molti paesi che forniscono materie prime anche alle Pmi italiane.

Penso al Medio Oriente per l’energia, all’Asia centrale per le materie prime minerali.

Tutte queste nazioni sono un territorio ideale per vendere la nostra meccanica.

Penso al recente viaggio del presidente Mattarella in Uzbekistan: nazione poco conosciuta ma, con i suoi giacimenti minerari, un crocevia importante per molte delle nostre industrie.

Tutte queste sfide e opportunità devono essere valutate ricordando che, ad oggi, molte nazioni erano clienti italiani indiretti, tramite per esempio la Germania che compra molta della nostra meccanica ma che, al contempo, riduce i margini di vendita delle Pmi.

A mio avviso esplorare questi mercati direttamente è un’opportunità che dovrebbe essere colta”.

Nuovi mercati richiedono nuove risorse umane.

Capire come muoversi in nuovi mercati non è sempre facile.

 Le grandi aziende, le multinazionali, hanno un approccio estremamente strutturato che le Pmi, per dirla in modo semplice, non possono permettersi.

Avere una matrice di conversione per massimizzare le proprie attività all’estero implica di dover assumere nuovo personale.

È una sfida nella sfida che deve essere compresa da ogni Pmi.

“Mi è capitato di vedere nelle Pmi – continua “Minon” – approcci da praterie da attraversare.

Praterie non ce ne sono, in realtà, sotto il manto erboso si nascondono delle trappole.

Le opportunità, certo, ci sono. Ma è bene comprendere che se la Pmi non ha, al suo interno, figure dedicate ed esperte sui temi internazionali, dovrà appoggiarsi a strutture esterne oppure a manager presi in prestito, come i “temporary” o i “fractional manager”.

Se parliamo di strutture esterne che hanno già un’esperienza sul campo ci sono due soluzioni: la prima pubblica e la seconda privata.

L’una ovviamente non esclude l’altra.

Se parliamo di Est Europa e stati della sfera d’influenza ex sovietica, c’è da prendere in considerazione, per esempio,” Confindustria est Europa”, molto attiva per supportare le aziende specialmente le Pmi.

 Sempre nell’ambito delle Confindustria è doveroso ricordare Confindustria Romania, Confindustria Polonia e Confindustria Serbia. Poi ci sono le Camere di Commercio:

quella Italo-Ucraina e Italo-Polacca”.

 

“Diciamo che queste due tipologie di agenzie pubbliche devono essere utilizzate con uno scopo preciso.

Le Confindustrie sono più adatte per Pmi che vogliono installare una sede stabile nel paese bersaglio, mentre le Camere di Commercio sono più adatte alle Pmi che vogliono esportare merci e servizi senza strutturare un’organizzazione stabile ma utilizzare agenti locali, o avere un semplice rappresentanza commerciale.

A queste due tipologie di entità poi dobbiamo aggiungere “Ice”, che ha una visione mondiale, e “Simest”.

A livello regionale l’equivalente di “Simest” sono entità come “Finest”, di cui sono presidente”.

 

“È una realtà partecipata al 99% da capitale pubblico:

 73% dal Friuli Venezia Giulia, una quota minore in capo al Veneto e una piccola quota della provincia autonoma del Trentino.

 Poi ci sono partecipazioni simboliche degli istituti bancaria privati che operano come un supporto di rete e servizi per le aziende che s’affidano a noi.

 È un’entità vitale, quasi una sorta di “merchant bank” per l’internazionalizzazione delle aziende del Friuli Venezia Giulia, Veneto e Trentino Alto Adige.

 Come Finest – conclude Minon – operiamo in tutto per le repubbliche ex sovietiche, a cui di recente si è aperto il mandato per tutti i paesi che si affacciano sul mediterraneo dal nord africa al medio oriente. A queste entità pubbliche si affiancano”,

 

Anche “Mancini” ha le idee chiare sul tema risorse umane e agenzie di supporto alle Pmi.

“La sfida che ogni imprenditore affronta quando vuole andare all’estero è importante:

un ecosistema culturale differente, regole di ingaggio complesse, la lingua.

 Tutto questo implica una preparazione che spesso una Pmi non possiede tra le risorse interne.

Nella mia esperienza prima con “Expo 2015”, poi con “Expo Astana”, ho avuto modo di confrontarmi con molte Pmi che avevano interesse a relazionarsi con gli espositori di questi eventi”.

 

Le Pmi e l’arte della diplomazia.

“C’è una forte voglia di italianità e professionalità di cui il nostro paese è ricco, ma che necessitano di essere supportate e intermediate.

Le Pmi dovrebbero relazionarsi in eventi ufficiali, come quelli organizzati da ambasciate o consolati italiani.

Spesso noto, invece, una certa ritrosia:

 esiste l’errata percezione che questi eventi siano troppo formali o distaccati dall’attività di business.

 Niente di più errato.

Spesso mi sono confrontato con ambasciatori e consoli italiani durante eventi organizzati tra la comunità nazionale, dove l’ambasciatore opera, e le nostre imprese venute in occasione dell’evento: sono situazioni dove il formale e l’informale si mischiano.

A questo si aggiunga che spesso la cucina italiana gioca a favore delle nostre imprese, dopo tutto il cibo è un linguaggio internazionale”.

“Ovviamente le Pmi devono comprendere che se non hanno risorse interne adatte si devono affidare a manager o agenzie, pubbliche o private, che possono accompagnarle e smussare quelle spigolosità classiche che si manifestano quando due culture, oserei dire due mondi, si incontrano”, conclude “Mancini”.

Con l’evoluzione di un mondo multipolare sempre di più le Pmi dovranno imparare a relazionarsi con un territorio economico e sociale che muta rapidamente.

 Considerare i mercati esteri, magari fuori dall’Unione europea, territori che possono portare molti vantaggi, se valorizzati, è un approccio vincente.

Tuttavia per evitare delusioni le Pmi dovranno comprendere quando e come affidarsi a risorse esterne all’azienda, che possano aiutarle a raggiungere i propri traguardi all’estero.

 

 

 

 

 

Ci stiamo accorgendo che il mondo

multipolare corrisponde al caos.

Libertaeguale.it - Alessandro Maran – (10 Ottobre 2023) - ci dice:

 

“Si delinea un mondo totalmente multipolare e la gente si sta rendendo conto tardivamente che la multipolarità comporta un bel po’ di caos”, ha scritto sabato scorso il blogger americano” Noah Smith”. (noahpinion.blog/…/youre-not-going-to-like…).

L’ha spiegato benissimo, scrive “Smith”, “Zheng Yongnian” “dell’Università cinese di Hong Kong”:

“Il vecchio ordine si sta rapidamente disintegrando e la politica degli uomini forti è di nuovo in ascesa tra le grandi potenze mondiali.

 I paesi traboccano di ambizione, come tigri che osservano la loro preda, ansiosi di individuare ogni spazio possibile tra le rovine del vecchio ordine”.

Appunto “come le tigri che osservano la loro preda” ribadisce Smith:

 “Il mondo inizia a trasformarsi in una giungla, dove i forti depredano i deboli e dove ogni paese ha l’esigenza conseguente di sviluppare la propria forza;

se il tuo vicino è una tigre, probabilmente dovrai farti crescere degli artigli.

I vecchi conti che hanno dovuto aspettare ora possono essere saldati. Ora è possibile riconquistare parti di territorio contese.

 Le risorse naturali ora possono essere sequestrate.

Ci sono molte ragioni per cui i paesi combattono tra loro e ora uno dei motivi principali per ‘non’ combattere è stato rimosso (ciò non significa che prevedo un ritorno ai livelli di conflitto interstatale che prevalevano prima del 1945; la pace democratica, la pace capitalista, i bassi tassi di fertilità e altri fattori avranno presumibilmente ancora voce in capitolo. Ma ‘uno’ degli ostacoli principali è ormai scomparso)”.

Insomma, il “poliziotto globale” non c’è più (ne parlo ovviamente anche nel mio libro (nuova-dimensione.it/…/nello-specchio…/).

“Negli ultimi vent’anni è diventato di moda deplorare l’egemonia americana, parlare in modo derisorio dell’‘eccezionalismo americano’, ridicolizzare la funzione di ‘polizia mondiale’ che l’America si è auto-assegnata e aspirare a un mondo multipolare.

Bene, congratulazioni, ora quel mondo ce l’abbiamo.

Vediamo se vi piace di più”, conclude “Smith”.

Benvenuti nella giungla.

Sull’argomento sono tornati anche “David Leonhardt” sul “New York Times” e “Giuliano Ferrara” sul Foglio.

 “La Russia – scrive “Leonhardt” – ha dato inizio alla più grande guerra in Europa dalla seconda guerra mondiale.

La Cina è diventata più bellicosa nei confronti di Taiwan.

L’India ha abbracciato un nazionalismo virulento.

Israele ha formato il governo più estremo della sua storia.

 E sabato mattina “Hamas “ha attaccato sfacciatamente Israele, lanciando migliaia di missili e rapendo e uccidendo pubblicamente i civili.

 Tutti questi sviluppi sono segnali che il mondo potrebbe essere caduto in un nuovo periodo di disordine.

 I paesi – e i gruppi politici come” Hamas” – sono disposti a correre grandi rischi, piuttosto che temere che le conseguenze siano troppo disastrose.

La spiegazione più semplice è che il mondo è nel mezzo di una transizione verso un nuovo ordine che gli esperti descrivono con la parola multipolare.

Gli Stati Uniti non sono più la potenza dominante di un tempo e non è emerso alcun sostituto.

Di conseguenza, in molti luoghi i leader politici si sentono incoraggiati a far valere i propri interessi, ritenendo che i benefici di un’azione aggressiva possano superare i costi.

Questi leader credono di avere più influenza sulla propria regione rispetto agli Stati Uniti” (nytimes.com/…/briefing/hamas-israel-war.html).

Secondo” Leonhardt”, che si interroga anche sulle ragioni del ritiro americano, “alcuni cambiamenti sono inevitabili. I paesi dominanti non rimangono dominanti per sempre.

Ma gli Stati Uniti hanno anche commesso errori strategici che stanno accelerando l’avvento di un mondo multipolare” e “forse il danno più grande al prestigio americano è arrivato da Donald Trump, che ha rifiutato l’idea stessa che gli Stati Uniti debbano guidare il mondo”,

 “si è ritirato dagli accordi internazionali e ha denigrato alleanze di successo come la Nato” e ora “ha dichiarato che, se riconquisterà la presidenza nel 2025, potrebbe abbandonare l’Ucraina”.

Certo, nonostante l’ascesa del multipolarismo, gli Stati Uniti rimangono il paese più potente del mondo, ma la Pax Americana è finita e perciò, scrive “Smith”, “finché e a meno che non venga forgiata una nuova coalizione globale dominante di stati-nazione – un ordine globale guidato dalla Cina o una sorta di egemonia democratica allargata che includa l’India e altri grandi paesi in via di sviluppo – dovremo reimparare a vivere nella giungla”.

Per ora guardiamo la giungla ricrescere in lontananza (ringraziando il cielo di essere qui e di non essere al loro posto), alle prese con le nostre perenni bagatelle, come ci ricorda la splendida vignetta di “Marco Makkox Dambrosio” dell’altro giorno.

Ma proprio “Mattarella” ha spiegato in modo chiaro e inequivocabile ai pacifisti che nel nostro Paese vogliono spingere l’Italia a girarsi dall’altra parte e a ignorare quanto sta accadendo in Ucraina, che quella di mettere la testa sotto la sabbia non è mai stata una grande strategia.

Qualche giorno fa, al vertice dei capi di Stato a” Arraiols, in Portogallo”, il Capo dello Stato ha spiegato che se l’Ucraina cadesse assisteremmo a una deriva di aggressioni ad altri paesi ai confini con la Russia e questo, come avvenne nel secolo scorso tra il 1938 e il 1939, condurrebbe a un conflitto generale e devastante (associando di fatto la Russia di Putin alla Germania di Hitler).

 Insomma, per “Mattarella” quanto stiamo facendo tutela anche la pace mondiale perché sostenendo (doverosamente) l’Ucraina, l’Unione europea scongiura anche il pericolo di un conflitto dai confini imprevedibili.

Occhio, insomma, dopo il ’38 viene il ’39.

 Ci torna oggi anche “Claudio Cerasa”: “Chi vi ricordano gli ostaggi ebrei, con i bambini, portati via da “Hamas”? Una data: 1938”.

(Alessandro Maran).

(Alessandro Maran. Già senatore del Partito democratico, membro della Commissione Esteri e della Commissione Politiche Ue, fa parte della presidenza di Libertà eguale. Parlamentare dal 2001 al 2018, è stato segretario regionale dei Ds del Friuli Venezia Giulia.)

 

 

 

 

 

La Sfida: mondo multipolare

e aziende italiane.

 Fortuneita.com - ENRICO VERGA – (MAGGIO 11, 2023) – ci dice:

 

Il 17 aprile “Christine Lagarde”, presidente della “Banca Centrale Europea”, ha affermato che un mondo molto più frammentato sarà il futuro.

 Il concetto di multipolarismo (“mondo frammentato” secondo Miss Lagarde) è molto dibattuto di recente.

 Quando è finita l’epoca del bipolarismo (Usa-Russia), abbiamo avuto diverse decadi di Pax Americana.

Nato, Fondo Monetario, World Bank e WTO per circa 40 anni hanno manifestato la loro visione, spesso sinergica, in tutto il mondo.

L’emergere della potenza cinese, favorita dall’America, e il ritorno sulla scena della Russia, erede dell’Unione Sovietica, hanno reso il mondo più ricco di “sfumature”.

Queste sfumature si sono consolidate in centri di potere che oggi influenzano differenti parti del mondo.

Di qui la definizione di multipolarità menzionata dalla presidente della Bce.

La multipolarità è stata accelerata dal Covid:

dallo sfilacciamento delle filiere di fornitori agli 7-8 trilioni di euro-dollari rigurgitati nel sistema mondiale in poco più di 2 anni.

La crisi ucraina ha ulteriormente estremizzato i blocchi:

Occidente a favore di Zelensky, Russia contro, Cina e resto del mondo (circa 6 miliardi) oscillanti a seconda degli interessi.

Questa multipolarità è stata confermata anche da “Agustín Carstens”, general manager della “Bank for International Settlements”.

 Egli ha spiegato che ci sono due temi che interessano l’ordine mondiale: la (in)stabilità di aspetti macro economici e il mutare di intere filiere di fornitori.

Questi concetti possono apparire lontani dall’uomo della strada. Tuttavia, come il Covid e l’Ucraina ci hanno insegnato in meno di 3 anni, il signor” Mario Rossi” può anche non interessarsi alla geopolitica… ma la geopolitica si interesserà a lui, più prima che poi.

 

Il mondo sta cambiando.

I “BRICs+”, lo “SCO,” l’”AIIB” sono realtà che rappresentano il potere non occidentale.

 Difficile considerarle antagoniste dei classici” FMI”, “WB”, “Nato” e “WTO” ma sono realtà che stanno espandendosi su tutto il globo.

Oggi si parla di un futuro multipolare dove alcune delle sicurezze con cui noi occidentali siamo cresciuti potrebbero svanire.

Il dollaro era la valuta con cui si pagavano tutte le materie prime. Diverse nazioni, negli ultimi anni, hanno deciso di pagare le materie prime con altre valute: Yuan cinese, Euro e persino lo Scellino kenyota.

L’equilibrio energetico sta mutando: India e Cina sono divenuti i maggiori compratori di petrolio e gas russi.

L’Unione Europea, a causa della guerra economica contro la Russia, e obbligata dagli alleati americani, ha ridotto i suoi acquisti di energia russa, con la speranza di azzerarli entro un paio di anni.

Lo scenario digitale è già mutato.

La sovranità digitale cinese in Africa è un dato di fatto e, combinata con la massiccia presenza di capitali e aziende cinese nel continente, potrebbe portare un radicale ri-posizionamento dell’Africa nei confronti dell’Unione Europa, che guarda al continente nero per i futuri approvvigionamenti energetici.

Non ultimo la recente tregua siglata tra la repubblica iraniana e la monarchia saudita, evento realizzato dalla Cina, ha ridefinito l’equilibrio del potere in tutto il medio oriente.

Questi eventi imporranno, alle aziende italiane ed europee, una completa rivalutazione delle loro strategie di approvvigionamento di materie prime (energetiche o meno) e mercati dove vendere i propri prodotti o servizi.

La geopolitica (ri)entra in fabbrica.

“La prima conseguenza di questa nuova multipolarità è che, se si vuole stare sui mercati internazionali, non si può più fare industria senza sapere ciò che succede nel mondo.”

Mi spiega “Francesco Buzzella”, presidente di “Confindustria Lombardia”. 

“La geopolitica entra in fabbrica, per dirla con uno slogan.

 La capacità di leggere gli sviluppi internazionali consente alle aziende di limitare eventuali danni derivanti dalla fine dello status quo unipolare ma dà anche la possibilità agli imprenditori di cogliere le opportunità dalle crisi che ne derivano.

 Ciò che sta accadendo alle catene del valore ne è un esempio:

 come reazione ai blocchi produttivi imposti durante l’emergenza sanitaria prima, e alla guerra tra Russia e Ucraina poi, le catene del valore si sono accorciate, si tende a preferire la filiera corta, attraverso il “nearshoring”, al fine di limitare i danni dovuti agli shock esterni.

Le aziende dovranno fare i conti con il ritorno del protezionismo, delle sanzioni come armi politiche e l’accelerazione della de-dollarizzazione dell’economia.”

Una visione simile è condivisa da “Michele Lazzarini”, responsabile delle “Operations Finanza” di una primaria banca nazionale.

 “E’ uno scenario in continua trasformazione lontano dall’aver già raggiunto la stabilità.

Una guerra ai confini dell’Europa, una contrapposizione tra i cd. grandi della terra, la posizione opportunistica di alcuni Paesi, l’apparente ridisegno delle alleanze nei continenti asiatico e africano hanno mutato le possibilità ed il costo di approvvigionamento di materie prime e fonti energetiche delle aziende europee.

In alcuni casi, hanno probabilmente mutato anche le possibilità di accesso a determinati mercati di sbocco dei prodotti.”

 

Il tema delle catene del valore è familiare anche a “Andrea Pietrini,” chairman di “Yourgroup”.

“Monitoriamo con molta attenzione il fenomeno di mutamento delle filiere di valore”.

 Conferma.

“Prima della pandemia, il fenomeno delle filiere era più o meno stabile. I nostri manager, sia direttori finanziari che ceo, erano impegnati su differenti dossier aziendali, tuttavia non c’erano urgenze particolari in merito a fornitori strategici o mercati dove vendere prodotti.

Tutto è cambiato con il Covid:

 abbiamo ricevuto molte richieste da nuovi clienti per manager esperti di crisi management, finanza gestionale, valorizzazione di filiere o passaggio generazionale.

Tutti elementi che connotano un fermento creativo, ma anche emergenziale, in molte aziende familiari che sono il nostro cliente tipo”.

Cercasi Europa.

La crisi ucraina ha confermato che le nazioni perseguono i propri interessi (salvo forse quelle europee).

Occidente Vs Russia si è tradotto in due scenari tra loro distinti e, per certi versi, legati.

Gli Usa, come spiegava “Friedman di Stratfor” nel 2015, hanno distanziato l’Europa dalle economiche materie prime russe: gas, petrolio, nickel, altri metalli industriali, legnami, tutte materie acquistate a prezzi convenienti dalla Russia che erano linfa vitale di nazioni manifatturiere come l’Italia.

Addirittura il giornale europeo “Politico”, da sempre pro-Usa, è giunto a chiedersi perché l’America stessero facendo una guerra economica all’Europa, attraendo aziende europee con progetti e investimenti industriali su suolo a stelle e strisce.

 Cosa dovrebbero fare le istituzioni europee lo suggerisce il presidente di Confindustria Lombardia. 

 

“Oltre alla necessaria capacità di leggere il contesto, l’imprenditore ha però sempre bisogno di un indirizzo da parte delle istituzioni.”

Chiarisce “Buzzella”.

“Come imprenditori italiani ed europei ci troviamo in una scomoda posizione.

Uno degli effetti di questa multipolarità è l’aver fatto emergere tutta la debolezza delle posizioni europee.

 L’Unione Europea assiste passivamente agli sviluppi tecnologici e alle partite industriali che si giocano tra Stati Uniti e Asia, limitandosi a battaglie ideologiche come il green e l’elettrico a tutti i costi, per sé un ossimoro se si considerano i costi ambientali legati alla produzione e allo smaltimento di batterie.

Le istituzioni UE dovrebbero spiegare a cittadini e imprenditori europei come intendono gestire, oggi, il taglio di 1 milione di barili al giorno deciso dall’OPEC e questo mentre le industrie energivore sono vittima di dumping energetico sia all’interno dei confini comunitari che nei confronti dei competitors americani o cinesi.”

Governance aziendale ne abbiamo?

Coperture finanziarie, operazioni straordinarie, valute per pagare beni o servizi nel mondo.

 La governance delle aziende familiari, la tipologia di aziende italiane più diffusa, è sotto stress.

La gestione di un’impresa in un contesto mediamente prevedibile è l’ambiente ideale per una governance familiare:

ogni membro del board si è ricavato nel tempo le sue posizioni e specialità.

Tuttavia le novità portano sfide a cui non si può rispondere con il classico “abbiamo sempre fatto così”.

Conviene “Lazzarini”.

“In uno scenario fortemente instabile, la capacità di prevedere e gestire i rischi diventa cruciale.

Esistono strumenti finanziari che consentono di gestire il costo delle materie prime, delle fonti energetiche, delle diverse divise con cui gli approvvigionamenti vengono pagati.

Sono strumenti accessibili con relativa facilità, ma il cui utilizzo richiede consapevolezza, cautela e l’assistenza di figure professionali.

Altro tema è quello dimensionale.

Potrebbe aver senso, per le imprese, presentarsi su mercati “incerti” con un peso specifico “maggiore”.

Senza arrivare ad ipotizzare operazioni di fusione aziendale, o modifica della size media delle imprese, è possibile pensare ad alleanze per condividere con i competitor costi relativi ad attività ancillari/non distintive sul piano competitivo, oppure i costi di approvvigionamento di determinati materiali (economie di scala).”

L’incertezza e l’assistenza di figure professionali esterne è un tema caro a “Pietrini”.

“Le imprese familiari sono la spina dorsale dell’economia italiana. Tuttavia sono aziende che, durante momenti di grandi cambiamenti, possono essere fragili:

ogni membro della famiglia ha le sue competenze, tuttavia l’acquisizione di nuove competenze richiede tempo.

In questo senso i nostri manager vengono spesso arruolati come una soluzione tampone:

 lo stesso concetto di frazionale implica un’attività mirata, su progetti specifici.

Le operazioni speciali in una azienda familiare, penso alle fusioni, acquisizioni, quotazioni in borsa etc. sono un momento altamente emotivo per i membri della famiglia:

si mette in discussione il futuro dell’azienda, il futuro in cui tutti i parenti del fondatore/trice devono comprendere che ruolo avranno, che sforzi dovranno fare.

In questi momenti un manager frazionale esterno, con una visione distaccata ma di amplio respiro, può fare la differenza”.

Il cambiamento in atto è confermato anche da “Buzzella”.

“Stiamo assistendo alla fine di un mondo.

Comprendere il contesto nel quale ci muoviamo significa, per le aziende italiane minimizzare i rischi ma anche guardare alle opportunità.

L’industria italiana dell’automotive, per esempio, in questo momento assiste impotente ai concorrenti extra europei che investono in nuove tecnologie, supportati da ingenti piani statali di finanziamento industriale, mentre nei confini UE deve combattere per la propria sopravvivenza minacciata da regole e divieti che ci condanneranno alla subalternità.”

 

“Offshoring Vs Nearshoring”

Il “concetto di offshoring “è noto:

chiudere gli impianti in Italia per andare a produrre in nazioni dove il costo del lavoro è più basso.

 L’intero Occidente si è orientato in questo senso nelle ultime decadi.

 Poi le cose sono mutate:

Covid e Ucraina hanno ricordato a tutti che filiere di produzione troppo geograficamente distanti sono un problema.

 A questo si aggiunge la crescente multipolarità, dove Cina e gli stati nella sua area di influenza, stanno rivedendo le priorità produttive, introducendo norme e regole che possono far crescere il benessere dei propri lavoratori, a danno del costo del lavoro che andrà ad aumentare.

 

Il “reshoring” è la nuova tendenza:

riportare le produzioni occidentali “a casa”.

Un crescente numero di aziende occidentali stanno riportando in patria, o in aree/stati amici (come il Messico) parte della loro filiera, specialmente i segmenti più strategici.

Sul tema “Lazzarini” ha le idee chiare.

“Un’ulteriore riflessione può essere legata alla convenienza (o meno) di continuare ad usufruire della produzione delocalizzata, in paesi a basso costo della manodopera, di semilavorati o prodotti finiti.

Nel nuovo scenario, tale scelta continuerà a rivelarsi conveniente? Oppure i costi approvvigionamento di materie prime/fonti energetiche, o le oscillazioni delle divise in cui i Paesi esportatori di materie prime/energia chiederanno di essere pagati, renderanno non più conveniente tale scelta?

È possibile pensare ad una “re-internalizzazione” di determinate attività produttive, giustificata dai ragionamenti ora accennati?

Oppure cambierà la “mappa geografica” dei Paesi a basso costo della manodopera per cui è opportuna una ri-localizzazione di determinate attività (e, nel caso, con quali profili di costo/rischio/beneficio)?” Conclude interrogativo “Lazzarini”.

Su “reshoring” anche “Buzzella” ha una visione strutturata. “Un’opportunità di sviluppo importante alla luce della riorganizzazione in atto a livello globale dovrebbe essere, per l’Italia, il recupero di una centralità nel Mediterraneo.

 E qui torniamo al concetto di “nearshoring”.

L’influenza e l’equilibrio che avevamo raggiunto nei decenni passati, e che aveva garantito pace e stabilità nell’intera area, si è interrotta con la caduta del Presidente libico Gheddafi.

L’Italia, con le sue relazioni politiche, energetiche e industriali, fu la principale vittima collaterale dell’avventura bellica del 2011.

Il sistema Italia e la nostra industria ha interesse a supportare il “nearshoring”, sia per favorire le rotte commerciali, sia per l’approvvigionamento energetico e di capitale umano.”

Conclude “Buzzella”.

Il capitale umano, la conoscenza acquisita negli anni, sul campo, è una risorsa estremamente preziosa per le Pmi.

 I manager di grandi aziende che hanno una visione d’insieme non sono un numero infinito.

 Molte imprese familiari non possono permettersi i costi di avere il Cfo di una multinazionale a tempo indeterminato.

 In tal senso “Pietrini” ha le idee chiare.

 “Investire in risorse umane di valore è sempre sfidante. Ancor di più in un momento come questo dove I costi sono sicuri ma i ritorni di investimento ancora da comprendere a pieno.

Il “reshoring” è cosa nuova: per una multinazionale è un fenomeno comprensibile, i cui processi sono integrabili in una strategia globali.

Quando parliamo di una media impresa, a guida familiare, il “reshoring” significa lo spostamento quasi totale di tutti gli assetti produttivi.

Significa aprire da zero una sede operativa in un paese amico oppure nella stessa Italia.

Uno sforzo non solo economico ma anche intellettuale.

 Lo stress generato da una strategia del genere, per quanto comprensibile in via teorica, spesso può surclassare le energie che il nucleo familiare che dirige l’azienda può disporre.

In tal senso i “fractional”, provenendo da ambienti altamente stressanti come quelli delle grandi aziende, hanno la capacità di organizzare e gestire il cambiamento in modo sinergico rispetto alla famiglia a guida dell’azienda”.

Conclude “Pietrini”.

Ci sono ancora molte variabili che devono essere comprese. I

l termine multipolare non deve spingere a considerare un mondo con alcuni poli tra di loro slegati e fortificati.

 A differenza della guerra fredda e il mondo bipolare dell’epoca, un mondo multipolare sarà molto più fluido, con alleanze che sfumano tra un polo e l’altro.

 Uno scenario che vedrà le aziende italiane affrontare sfide complesse e grandi opportunità, se si saprà giocare nel modo opportuno.

(Enrico Verga)

 

 

 

 

La Stampa Attacca le Proteste

degli Agricoltori Italiani

Conoscenzealconfine.it – (5 Febbraio 2024) – Redazione – ci dice:

Era inevitabile che dopo le proteste degli agricoltori in tutta Europa, partissero anche in Italia, e la repressione da parte del mainstream segue i dettami di quella internazionale.

Gli agricoltori sarebbero dei” no vax fascisti”.

 Il mainstream che sta delegittimando le proteste si trova nella difficile situazione di dover presentare le proteste come nate in ambiente “complottista” (repubblica.it/cronaca/2024/01/28/news/la_rivolta_dei_trattori_novax_e_neofascisti_soffiano_sullira_degli_agricoltori-421999473/) e no vax, e allo stesso tempo predicare l’esistenza di un’ingerenza fascista da parte di “forza nuova”.

C’è chi invece parla di “rossi, neri e no vax”, e dice che questa protesta è stata organizzata da politici di estrema destra per ottenere voti alle elezioni europee, peccato che i “rossi” di cui si parla all’inizio di questo articolo (repubblica.it/esteri/2024/01/25/news/proteste_agricoltori_destra_sovranisti_no_vax-421973208/) dovrebbero essere la sinistra, quindi secondo i loro stessi articoli anche la sinistra dovrebbe far parte delle proteste, eppure l’articolo continua a martellare tenendo il focus sull’estrema destra.

Persino Lollobrigida, da sempre preso di mira dal mainstream per aver parlato della sostituzione etnica, ora lo fanno passare per una povera vittima sostenendo che viene tormentato dalle destre radicali, anche se fino a qualche giorno fa la destra radicale era, secondo il mainstream, proprio lui.

 

Questa narrazione è una barzelletta tragicomica dove siamo tutti fascisti che vogliono instaurare un governo fascista, ma in realtà, in un colpo di scena degno di una commedia pirandelliana, anche il governo attuale stesso è “no vax e fascista”, anche se poi scrive un piano pandemico uguale a quello dei governi precedenti.

Soltanto i giornalisti sovvenzionati con i soldi pubblici dello stesso “governo fascista” non sono fascisti, ma gli ostaggi di un paese fascistissimo che li costringe, ricoprendoli d’oro, a farci lezione di “educazione sentimentale”.

Le Vere Ragioni delle Proteste.

Il “mainstream” (Partito democratico & C.) tenta di politicizzare il dissenso per delegittimarlo attraverso la politicizzazione per relativizzarlo e renderlo solo una questione di gusto.

In realtà gli agricoltori che protestano si oppongono a problematiche oggettive che sono il risultato di una scelta deliberata dell’UE di impoverirci e affamarci.

Siamo un paese dove escono dei bandi dove si paga chi non coltiva i terreni, e gli insetti nell’alimentazione sono ormai una realtà e dove i terreni vengono espropriati per creare centrali fotovoltaiche.

Gli agricoltori sostengono che queste politiche rendono l’agricoltura italiana non competitiva rispetto ai prodotti importati a basso costo dall’estero, con i ricavi che sono abbondantemente sotto i costi di produzione (adnkronos.com/economia/protesta-agricoltori-italia-oggi-trattori-rivolta-news_6WjQSqoIGpd9r92XqKobme).

Gli agricoltori chiedono di abolire l’obbligo di non coltivare il 4% del territorio, di fare rotazioni delle colture e l’obbligo di ridurre l’uso di fertilizzanti del 20%, vietare i contributi economici che disincentivino la coltivazione e mantenere anche dopo il 2026 il prezzo calmierato del gasolio agricolo.

Conclusioni.

Non manca chi accusa direttamente gli agricoltori (greenreport.it/news/economia-ecologica/senza-transizione-ecologica-non-ce-futuro-neanche-per-gli-agricoltori/) di essere un male per il mondo e che con toni minatori gli impone di rinunciare al loro lavoro dicendo che la transizione green farebbe bene anche a loro, il come, poi, però si dimenticano di spiegarlo.

 La CO2 ha sui terreni un effetto fertilizzante ed aumenta la quantità dei raccolti, è il “green stesso” ad essere contro l’agricoltura.

(t.me/dereinzigeitalia)

 

 

 

 

USA VS.” BRICS”: VERSO

UN MONDO MULTIPOLARE?

Iari.site.it - Vito Fatuzzo – (18 Settembre 2023) – ci dice:

 

(linkedin.com/pulse/brics-us-hegemony-andrea-mghames)

In occasione del vertice annuale Brics di Johannesburg i paesi membri del formato che riunisce Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno annunciato l’allargamento del gruppo a sei nuovi soci:

 Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (Eau), Egitto, Etiopia e Argentina.

L’espansione dei “Brics” è stata salutata da un coro di voci quasi unanime come un decisivo passo verso la nascita di un mondo multipolare e la fine del sistema unipolare americano che ha retto l’ordine internazionale liberale e la globalizzazione economica e finanziaria negli ultimi trent’anni.

Attraverso i Brics,” Cina” e “Russia”, che ne sono membri fondatori, aspirano a porre fine al lungo dominio geopolitico ed economico dell’Occidente strategico, minandone alcuni pilastri come l’egemonia del dollaro e proponendo la creazione di istituzioni finanziarie alternative a quelle del “sistema di Bretton Woods”.

In effetti, la recente espansione dei “Brics” aumenta il peso specifico demografico, economico e diplomatico del raggruppamento anti-egemonico.

Con l’ingresso di iraniani, sauditi, emiratini, egiziani, etiopi e argentini i Brics+ rappresenteranno il 46% della popolazione mondiale e il 37% del prodotto interno lordo globale (in termini di parità di potere d’acquisto), nonché il 75% delle riserve mondiali di manganese, il 72% di terre rare e il 50% di grafite e includeranno sei dei dieci maggiori produttori di petrolio al mondo.

Eppure, esistono limiti geopolitici che impediscono una evoluzione dei “Brics” verso la formazione di un’alleanza strategica coesa.

Diverse sono le visioni geopolitiche dei principali membri dei Brics sulle funzioni e sugli obiettivi strategici da perseguire.

 Mentre Russia e Cina vedono nei “Brics” un contrappeso al” G7” e un forum attraverso il quale sostenere la costruzione di un ordine multipolare che sostituisca l’ordine internazionale liberale a guida americana, per l’India i “Brics” costituiscono la principale piattaforma geopolitica tramite cui promuovere la cooperazione “Sud-Sud” e riformare il sistema finanziario internazionale, in modo da tener contro anche degli interessi dei paesi in via di sviluppo, dei quali Delhi si erge a portabandiera.

Di più.

La nuova composizione dei “Brics+” se da un lato magnifica il peso specifico del gruppo, dall’altro ne aumenta la disarmonia.

 I nuovi membri hanno interessi e priorità geopolitiche molto diverse fra loro e sono alle prese con serie crisi interne di varia natura (economica, politica, sociale, militare).

L’aggiunta dell’”Iran” completa e rafforza l’asse degli imperi che combattono l’egemonia americana, ma almeno quattro degli altri cinque membri dipendono dagli Usa sul piano securitario (Arabia Saudita, Eau, Egitto) o finanziario (Argentina, Egitto) via “Fmi”.

Mentre gli altri giganti del gruppo (Brasile e India) non possono prescindere dal sostegno americano per la loro ascesa geopolitica.

Inoltre, lo stesso “Iran” non può essere considerato come un socio satellite di “Russia e Cina”.

 La Repubblica Islamica rappresenta l’ultima veste geopolitica di un impero millenario con una memoria storica fortemente radicata e con un’identità imperiale di grande potenza autonoma e indipendente dalle influenze esterne e ambisce al rispetto e alla pari considerazione delle altre grandi potenze.

Teheran intende proiettare potenza su una sfera d’influenza quantomeno regionale e concepisce l’asse con Cina e Russia come un’alleanza tra pari per resistere alla pressione americana (esemplare in tal senso il sostegno politico, diplomatico e militare offerto ai russi nella guerra in Ucraina).

Questo interesse convergente non deve però indurre a pensare che gli iraniani siano disposti a diventare clienti dei cinesi, né deve far dimenticare che Iran e Russia sono potenze storicamente nemiche con interessi in parte divergenti e geo strategicamente sovrapposti.

Insomma, Teheran si oppone apertamente all’egemonia occidentale ma diffida anche delle intenzioni e delle ambizioni imperiali di russi e cinesi.

 

Il mito del multipolarismo: non così in fretta.

L’allargamento dei Brics pone comunque agli analisti geopolitici una serie di domande chiave:

viviamo già in un mondo multipolare?

Le tendenze geopolitiche spingono verso il multipolarismo?

Il XXI secolo sarà il secolo asiatico?

 

La risposta alla prima domanda è no.

Come hanno osservato “Stephen G. Brooks” e “William Wohlforth”, “il mondo non è né bipolare né multipolare e non sta nemmeno per diventarlo”.

L’unipolarismo americano persiste tutt’ora.

Siamo ancora all’interno di un unico ordine internazionale commerciale e finanziario, la c.d. globalizzazione radicata sul controllo americano degli oceani, delle linee di comunicazione marittime e dei “choke points” strategici.

Certamente il margine di dominio della superpotenza a stelle e strisce si è ridotto negli ultimi due decenni, ma gli Usa rimangono al vertice del sistema internazionale, al di sopra della Cina e di qualsiasi altro rivale.

In nessun grande quadrante geostrategico del pianeta esiste un’egemonia alternativa a quella americana o all’equilibrio di potenze regionali.

 

E a differenza dell’era della Guerra Fredda, in cui si contrapponevano due blocchi ideologici, economici, sociali, finanziari, politici e strategico-militari, oggi la competizione strategica tra grandi potenze avviene all’interno di un unico ordine, ovvero del sistema unipolare costruito dagli Usa all’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica.

Non siamo nella “Nuova Guerra Fredda”.

 Piuttosto, l’analogia storica più vicina alla nostra epoca (e purtroppo più pericolosa) appare quella del periodo antecedente alla Grande Guerra, quando l’egemonia talassocratica dell’impero britannico era oggetto di contestazione da parte di grandi potenze euroasiatiche in ascesa (Germania, Giappone, Russia).

 

La risposta alla seconda domanda è dipende.

 Dipende da cosa si intende per multipolarismo.

Se ci si riferisce alla formazione di ordini geopolitici regionali, ciascuno con al centro una potenza ordinatrice in grado di offrire” global commons”, la tendenza verso il multipolarismo appare debole.

 Neppure in Asia, dove risiede il principale (unico) rivale della potenza egemone, è alle viste una Pax Sinica.

Per limiti strutturali, la Cina non è in grado di svolgere il ruolo di perno di un sistema geopolitico, dal momento che continua ad adottare una (geo)politica mercantilista funzionale anzitutto a soddisfare esigenze strategiche interne (evitare la spaccatura del paese tra la ricca costa urbanizzata e l’arretrato entroterra rurale), mentre la Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione è ancora strategicamente impostata sulla difesa costiera e sulla negazione del mare, oltre che sulla deterrenza strategica, piuttosto che sul controllo del mare e sulla proiezione di potenza a lungo raggio.

Se per multipolarismo si intende invece una più equilibrata distribuzione del potere geopolitico all’interno di un unico ordine internazionale, allora la tendenza appare più marcata.

In questo senso, il declino relativo del potere americano, dovuto principalmente alla discordia sociale e antropologica interna alla potenza egemone, all’ascesa geopolitica della Cina, alla riduzione delle distanze di potere tra Occidente e resto del mondo, ha accelerato negli ultimi tempi la spinta verso un sistema multipolare, manifestatasi attraverso due fenomeni diversi ma convergenti.

 Ne deriva una doppia sfida all’ordine internazionale liberale a guida americana, esogena ed endogena.

Da un lato, vi è la contestazione dell’egemonia americana da parte di grandi potenze revisioniste (Cina, Russia, Iran, Turchia) insoddisfatte dalla distribuzione del potere all’interno del c.d. ordine internazionale liberale e dalla natura delle regole e dei valori (occidentali) che lo incarnano.

 Quindi, intente a sovvertire o a modificare l’ordine costituito per dare forma a un nuovo ordine multipolare che rifletta i loro valori autocratici e i loro interessi fondamentali.

Queste spinte sono rafforzate dall’incapacità del sistema di fornire risposte coerenti a causa del malessere sociale ed economico che affligge gli Usa e le principali potenze democratiche europee.

Dall’altro lato, vi è la tendenza di una serie di medie e piccole potenze a intraprendere strategie di “hedging geopolitico”(copertura e non allineamento) come polizza assicurativa per mantenere una relativa flessibilità e libertà di manovra nei confronti delle grandi potenze.

 Gli” hedger” spingono per la formazione di un mondo multipolare perché ritengono che una distribuzione più diffusa del potere impedirebbe alle grandi potenze di imporre la propria volontà agli stati più deboli e aumenterebbe il valore strategico e l’influenza geopolitica dei paesi non allineati, i quali potrebbero rivendicare con voce più forte i propri interessi anche nelle sedi multilaterali.

Evitando di scegliere tra le “portaerei” (Usa, Cina e Russia) questi “vascelli” pensano di poter navigare più agilmente in un nuovo mondo multipolare e ottenere guadagni economici e geopolitici da ciascuna grande potenza che vorrebbe conquistarne i favori.

Le nazioni più ambiziose e assertive come la Turchia agiscono da spoiler profittando dei vuoti di potere aperti dal parziale “retrenchment” degli Usa.

Anche questi paesi spingono per un mondo multipolare all’interno del quale coltivare ambizioni di autonomia strategica, mentre si oppongono sia all’unipolarismo americano che a una rinnovata era di bipolarismo internazionale.

 Le ragioni di questa opposizione le ha ben evidenziate “Matias Spektor”:

“Molti in Occidente associano un ordine mondiale multipolare al conflitto e all’instabilità, preferendo gli Stati Uniti dominanti, come accadde dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Non così tra i paesi del Sud del mondo, dove l’opinione prevalente è che il multipolarismo potrebbe servire da base stabile per l’ordine internazionale nel ventunesimo secolo.

Parte di questo ragionamento è informato dalla memoria recente.

 Le persone nei paesi in via di sviluppo ricordano il momento unipolare post-Guerra Fredda come un periodo violento, con le guerre in Afghanistan, nei Balcani e in Iraq”.

Nel c.d. “Terzo Mondo” è diffusa la convinzione è che “quando l’egemonia degli Stati Uniti è incontrollata, Washington diventa capricciosa, combattendo contro stati recalcitranti o lasciando che i conflitti regionali periferici si aggravino”.

 

Ma “i ricordi del bipolarismo nel Sud del mondo non sono migliori.

Dal punto di vista di molti paesi in via di sviluppo, la Guerra Fredda è stata fredda solo perché non ha portato a uno scontro mortale tra due superpotenze dotate di armi nucleari.

Al di fuori dell’Europa e del Nord America, la seconda metà del ventesimo secolo è stata rovente, con la violenza politica che si è diffusa in molti paesi.

 Il bipolarismo non è stato segnato da una competizione stabile lungo la cortina di ferro ma da sanguinosi interventi di superpotenze nelle periferie del globo”.

Come ha osservato “Henry Kissinger”, un ordine di potere (internazionale o regionale) è retto da due cardini:

un equilibrio di potere e la legittimità delle regole di funzionamento dell’ordine.

Oggi entrambi questi pilastri sono sotto attacco.

Ci aspettano tempi difficili e caotici.

 

 

 

 

L'intervista. Rohan Mukherjee:

«Il mondo non è ancora pronto

 per essere multipolare».

   Avvenire.it -  Angela Napoletano – (5 ottobre 2023) – ci dice:

 

Il docente di relazioni internazionali alla “London School of Economics”, immagina il Pianeta tra 10 anni: quello che mi spaventa di più è il cambiamento climatico.

 E’ Rohan Mukherjee, docente di relazioni internazionali alla London School of Economics – Lse.

   

Incerto e diviso ma in crescita.

È così che “Rohan Mukherjee”, docente di relazioni internazionali alla “London School of Economics”, immagina il mondo tra dieci anni.

Autore di una premiata pubblicazione scientifica sulle potenze in ascesa, “Ascending Order”, l’esperto studia in particolare cosa spinge i Paesi emergenti a scegliere la guerra, o la collaborazione, con gli Stati più potenti per vedersi riconoscere dalla comunità internazionale un ruolo proporzionale alla propria crescita.

Professore, immagini di essere nel 2033:

 qual è il titolo di politica estera che si aspetterebbe di leggere oggi giornali?

Dipende se sei ottimista o pessimista.

 Diciamo che mi piacerebbe trovarmi a leggere un articolo su una scoperta tecnologica applicabile al cambiamento climatico.

Qualcosa che possa perlomeno aiutarci a mitigarne gli effetti. Mi aspetterei però anche che titoli su chissà quali trattative tra Usa e Cina.

Come sarà l’ordine internazionale del prossimo decennio?

Prevedo più negoziati, più discussioni, più tensioni.

 Sono molte le nazioni che stanno emergendo sulla scena.

Non solo Cina e India ma anche Brasile, Indonesia, Nigeria.

Tutti Paesi che ora stanno accumulando risorse e potere per perseguire i propri interessi sullo scacchiere globale.

Si dice che il mondo si stia lentamente muovendo verso un sistema multipolare e sono parzialmente d’accordo con questo.

Ma ciò non significa che non ci saranno spazi per la cooperazione.

Per esempio, su temi come il clima, l’intelligenza artificiale o l’informatica quantistica.

Quali sono le sue riserve sul futuro multipolare?

Credo che gli Stati Uniti, il polo più importante, sono molto più avanti rispetto alla maggior parte degli altri Paesi, Cina compresa, e che continueranno ad esserlo per lungo tempo.

Hanno sicurezza energetica, innovazione e tecnologia militare.

 La Cina è un Paese molto grande e per certi versi, per esempio in termini di Pil, ha già superato Washington.

 Ma sulla scena globale non ha lo stesso peso degli Stati Uniti.

 Non ha alcun alleato, ad eccezione della Corea del Nord e, forse, del Pakistan e della Russia.

Per questo direi, piuttosto, che stiamo passando da una sorta unipolarismo a un sistema bipolare con tendenze multipolari.

 

Se gli Stati Uniti sono destinati ad essere a lungo il primo polo dell’ordine globale come vede il futuro dell’Europa?

In questo momento l’Europa è in difficoltà su molti fronti.

Sfide economiche, sconvolgimenti sociali e uno spostamento politico verso destra.

In un certo senso è caratterizzata da una divisione interna che la Russia, invadendo l’Ucraina, ha peggiorato.

 Credo che sia a un bivio.

O un ulteriore declino o la rimonta.

Questa seconda strada è percorribile solo iniziando a farsi carico dei propri affari.

 È il piano di autonomia strategica di cui parla il presidente francese Emmanuel Macron.

Credo che l’Europa non possa dipendere troppo né dagli Stati Uniti né dalla Cina perché nessuno dei due avrà a cuore i suoi interessi.

L’Europa ha bisogno di trovare la sua strada per diventare un terzo polo.

 

Ritieni che le organizzazioni internazionali, in particolare le Nazioni Unite, siano all’altezza di governare il mondo che verrà?

Le istituzioni internazionali sono un forum che rappresenta non solo le grandi potenze.

In cui trovano spazio anche Ong e attori del settore privato.

 Ritengo che siano il luogo in cui è ancora possibile fare pressioni per evitare conflitti talvolta inevitabili.

La tradizione diplomatica che li caratterizza è il dibattito in cui ciascuno presenta le proprie ragioni.

 Si dice spesso dice che le Nazioni Unite non sono efficaci perché, ad esempio, la Russia può porre il veto su qualsiasi cosa.

 È vero.

 Ma diplomaticamente mettono Mosca in un angolo.

 Credo che questo effetto dalle ricadute sociali sia il più potente dell’Onu che ritengo abbia ancora un ruolo importante nel futuro.

 

Cosa la spaventa di più del futuro?

Il cambiamento climatico.

Non sono un esperto ma ci penso molto.

Ritengo che siano preoccupanti soprattutto gli effetti che avrà dal punto di vista umano, sociale e politico.

Ci sarà una migrazione di massa che causerà danni non solo economici. Penso ai disagi che causerà alle comunità e alle città.

 Questa è una di quelle cose che potrebbero peggiorare molto velocemente e non sappiamo come andrà a finire.

 

Non ha paura di un’escalation nucleare?

 

Credo che i Paesi che sviluppano arsenali nucleari molto probabilmente non li useranno mai se non come deterrente.

 Penso che, fondamentalmente, siano armi difensive.

Lo abbiamo visto per esempio con la Corea del Nord.

 A parte la retorica e le azioni provocatorie, il loro programma nucleare è ciò che gli consente di sedersi al tavolo delle trattative con gli americani.

Penso che questo possa essere anche l’approccio dell’Iran.

Ci si preoccupa molto dell’uso di ordigni nucleari tattici su piccola scala da parte di Putin ma ritengo che si tratti di una soglia difficile da raggiungere e superare perché la prospettiva non piace neppure a chi, come la Cina, sostiene la Russia, né a chi, come l’India, sulla guerra preferisce mantenere il silenzio.

Dove ripone invece le tue speranze più ottimistiche?

Nella tecnologia al servizio dell’ecologia e, in termini di geopolitica, nel crescente potere di attori terzi, Paesi o blocchi, in varie regioni del mondo.

Certo, in un contesto multipolare è più difficile mettersi d’accordo su qualsiasi cosa.

Ma ci sono buone ragioni per essere ottimisti sul fatto che l’ascesa di nazioni come India, Brasile, Turchia, Messico e Indonesia, interessate a creare prosperità per la propria gente senza dover scegliere tra l’ovest e l’est, possa mitigare gli effetti peggiori della rivalità tra Washington e Pechino a favore della stabilità.

 

 

 

 

L’illusione di un mondo multipolare:

intervista a” Vijay Prashad”.

Dinamopress.it - Francesco Brusa e Luca Peretti – (28-3- 2023) – ci dice:

 

Alla radice dell’invasione dell’Ucraina c’è anche la totale indisponibilità degli Stati Uniti a integrare nella propria sfera di influenza commerciale e politica i nuovi “attori” dello scenario globale come Russia e Cina.

Questa intervista è stata pubblicata originariamente in versione cartacea sul quinto numero di di Dinamoprint, “Guerra alla scienza”, uscito nel mese di luglio del 2022 (l’intervista è stata realizzata due mesi prima).

 La ripubblichiamo oggi sul sito assieme all’articolo “Multipolarimo: il mantra dell’autoritarismo” di “Kavita Krishnan” come parte di un dibattito sul multipolarismo nel mondo contemporaneo che ospitiamo su “Dinamopress” a partire dalla guerra in Ucraina e dal dispiegarsi di nuovi imperialismi.

 

Sono passati poco più di due mesi dall’inizio della guerra di aggressione russa all’Ucraina quando parliamo con “Vijay Prashad”.

 Direttore della” Tricontinental” (l’istituto e rivista che ha le sue radici nel movimento dei paesi non allineati negli anni ’60), storico di anticolonialismo e Terzo Mondo inteso come progetto politico, è uno dei più importanti studiosi dal e del sud globale.

 Ci risponde dall’America Latina, dove vive adesso dopo essere stato per molti anni negli Stati Uniti e prima in India, da cui è originario e dove mantiene forti legami militanti e lavorativi.

La capacità di muoversi e leggere il mondo da diversi punti di vista è una delle caratteristiche di “Prashad”, unita alla vastissima rete di contatti e interazioni che ha creato in mezzo mondo.

In Italia è relativamente poco conosciuto, anche se i due libri più importanti sono stati tradotti (“Storia del Terzo mondo” per Rubbettino e “Proiettili a stelle e strisce” per Red Star Press).

 

Quando lo abbiamo contattato, poco prima della data fatidica del 9 maggio (“Giornata della vittoria”, in commemorazione della sconfitta della Germania nazista), si faceva un gran parlare di nuova guerra fredda e mondo multipolare;

proprio da qui cominciamo la nostra conversazione.

 «Dobbiamo partire da lontano, da quando l’Unione Sovietica ha iniziato a indebolirsi, cioè dagli anni ’70, e gli Stati Uniti d’America iniziarono a mettere in atto piani di ristrutturazione degli equilibri mondiali:

 la formazione del “G7”, un nuovo e deciso programma relativo all’”Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio”, in particolare l’Uruguay Round” [che ha posto le basi per la creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, ndr].

Insomma, almeno dieci anni prima del collasso dell’Unione Sovietica, gli Usa hanno iniziato a consolidare ulteriormente la propria potenza in termini militari, diplomatici ed economici (e in special modo finanziari).

Questo consolidamento di potere si è reso estremamente visibile subito dopo l’89.

 Pensiamo, per esempio, al modo in cui gli Usa hanno esercitato il proprio potere militare senza alcun contro-bilanciamento o freno:

Iraq (1991), la distruzione della Jugoslavia nel 1999, la guerra al terrore, e via dicendo.

 Alcuni sostengono che la ragione profonda di tanti interventi fosse quella di limitare il ruolo geopolitico della Germania ma – quale che fosse la ragione – gli Usa hanno potuto agire senza alcun tipo di controllo esterno.

Era dunque chiaro che non ci fosse alcuna competizione in termini militari (e basta guardare alle voci di spesa).

 Pensiamo poi al piano diplomatico:

 gli Usa hanno sempre imposto le loro condizioni anche alle Nazioni Unite.

Ero amico personale dell’ex-segretario dell’Onu Boutros Boutros-Ghali e, quando stava pensando a un suo possibile secondo mandato, mi diceva che gli Usa non lo avrebbero mai accettato.

In sostanza, gli Usa hanno iniziato a comandare tutta una serie di organismi internazionali, come il” Fondo Monetario” che ha sempre guardato al “Dipartimento del Tesoro statunitense “per formare la propria leadership;

 la Nato, che non è una “allenza” ma un vero e proprio strumento nelle mani degli Usa;

 e infine bisogna guardare alla” Banca Centrale Europea”: se durante la crisi del 2016/17 gli Stati Uniti non avessero pompato soldi nel sistema europeo, le conseguenze della crisi sarebbero state molto più severe ma, in questo modo, anche gli organismi economici europei sono caduti sotto una maggiore influenza statunitense».

Cosa rimane fuori dall’influenza USA?

 

Dopo il “collasso economico” del 2008 è diventato molto chiaro come la Cina fosse una delle poche nazioni che, in sostanza, era riuscita a “schivare” la crisi, riuscendo a introdurre una crescita senza pari nello scenario globale.

A quel punto, nel 2009, ci fu un tentativo di costruire il cosiddetto blocco dei Brics, assieme a India, Brasile e Russia.

Non è andato molto lontano visto che le élites al potere, soprattutto in India e Brasile, non ne erano particolarmente entusiaste; così Cina e Russia si sono avvicinate sempre di più.

E qui arriviamo alla questione della multipolarità:

inizialmente, sembrava dunque che si stessero creando dei nuovi blocchi di potenza ma la realtà è che un tale processo non si è mai sviluppato appieno.

Come dicevo, infatti, Brasile e India hanno continuato ad appoggiarsi a un sistema di scambio e di sviluppo economico basato sul dollaro, il che è comprensibile visto che non erano delle grandi potenze.

 

Nel 2018 poi in un documento strategico, gli Stati Uniti affermano essenzialmente che la guerra al terrore era finita e ora gli sforzi andavano orientati a prevenire l’emergenza del blocco di potere composto da Russia e Cina.

L’allora segretario della Difesa “James Mattis” disse che non bisognava lasciare a questa coppia di “quasi-alleati” (near peers) la possibilità di crescere.

 Indebolire la Russia e indebolire la Cina in sostanza diventavano dei principi fondanti della politica estera statunitense.

Donald Trump annunciò che gli Usa si sarebbero ritirati dal Trattato sulle Forze Nucleari a medio-raggio, mentre già nel 2002 Bush si era ritirato dal Trattato anti-missili balistici.

Queste due decisioni hanno di fatto messo fine al regime di controllo internazionale sugli armamenti.

Ciò significa – ed è terribile farlo notare – che un conflitto nucleare rappresenta uno scenario di fatto accettato come possibile, dato che non c’è più nessun regime di protezione contro una tale eventualità.

 

Secondo me quello a cui si assiste dal 2018 in poi è quindi un contesto in cui gli Stati Uniti non consentono l’ascesa di qualsiasi altra potenza globale.

E per fare ciò viene introdotto l’intero arsenale a propria disposizione: dalla forza militare a quella diplomatica, fino alla pressione economica. Il segretario della difesa” Lloyd Austin” ha detto che gli aiuti all’Ucraina non servono a rimuovere le truppe russe dal paese invaso ma, esplicitamente, a «indebolire la Russia».

 

Quindi non ci credi all’idea di un mondo multipolare?

 

No, è, sostanzialmente, un’illusione neoliberale.

 Perché la formazione di nuovi blocchi di potenze viene troncata alla radice e ostacolata in tutti i modi dal principale attore unipolare, ovvero gli Stati Uniti.

Ci troviamo invece, a mio modo di vedere, in un interregno gramsciano in cui appaiono sulla scena “nuovi mostri” che ancora non sono fascismo compiuto.

 Solo che ora la minaccia non è più, come ai tempi di Gramsci, quella della costituzione del fascismo in un solo paese ma è l’annichilimento totale di stampo nucleare.

Che ruolo dovrebbe avere la sinistra in un contesto così complesso?

 

Proviamo a prendere la domanda da questa prospettiva:

 quale dovrebbe essere, per esempio, la relazione della sinistra con l’Iran?

 Io sono ovviamente sfavorevole alla prospettiva di una teocrazia.

Ma allo stesso tempo penso che la politica degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran sia una politica criminale:

l’intero regime delle sanzioni e il sabotaggio delle infrastrutture nucleari dell’Iran sono, ripeto, atti criminali.

Penso dunque che si debba difendere il progetto politico dell’Iran (nonostante non si concordi con la sua specificità) contro il bullismo e la pressione esercitata nei suoi confronti dalla potenza statunitense.

 Ed è lo stesso per molte altre nazioni che sono sotto questa minaccia. Non sono d’accordo con il progetto politico che si sviluppa in Russia, perché non si tratta certo di un progetto socialista, ma difendo la Russia contro l’imperialismo statunitense.

Noi eravamo contro le due guerre condotte in Cecenia, prima da Eltsin e poi da Putin.

Ma penso che siano state principalmente le élites statunitensi ad aver distrutto lo stato russo e ad aver facilitato, fra le altre cose, che Eltsin e Putin consolidassero il proprio potere e bombardassero la Cecenia.

 La Russia rappresenta un progetto politico capitalistico, non dissimile da quello degli Usa.

 È ridicolo chiamare i miliardari russi “oligarchi”, perché allora tutti i miliardari del mondo dovrebbero essere chiamati in questo modo.

Vogliamo parlare della corruzione politica in Italia, per esempio?

Penso che come sinistra dobbiamo riconoscere e tener presente il fatto che siamo in un momento in cui la maggiore potenza mondiale vuole mettersi contro e indebolire una delle maggiori potenze euroasiatiche, rischiando di trascinarci in una guerra di annullamento totale.

Putin non è l’unico attore aggressivo in questo contesto, per quanto ovviamente abbia preso la decisione di violare l’integrità territoriale di un altro stato.

E non sto parlando dell’allargamento a est della Nato, che non ritengo il punto centrale della faccenda.

Ripeto, credo che una delle questioni fondamentali sia quella relativa ai già menzionati trattati sulla sicurezza nucleare.

Non è stato Putin a ritirarsi per primo da quei trattati e questi per lui rappresentano un serio motivo di preoccupazione.

Lo va ripetendo sin dalla conferenza di Monaco del 2007.

 

Impossibile schierarsi, dunque?

 

Io mi schiero affinché si ritorni ad avere un regime di controllo sugli armamenti nucleari e sto dalla parte dei popoli e degli attori internazionali che vogliono abolire le armi nucleari (ricordo che venne assegnato nel 2017 il Premio Nobel per questa iniziativa).

 Insomma, vorrei un mondo senza armamenti nucleari e questo rappresenta il mio primo obiettivo.

Dobbiamo essere consapevoli che il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina non risolve nulla.

La questione della Crimea, per esempio, non può essere abbandonata da un giorno all’altro da parte della Russia:

non dobbiamo dimenticarci che nel 2014 l’Ucraina decise di tagliare ogni rifornimento d’acqua verso la penisola ed è per questo che la Russia costruì con grande dispendio di risorse un ponte che connettesse la Crimea al proprio territorio.

In più, c’è la base di Sebastopoli che è di grande interesse militare per la Russia.

 

Dobbiamo quindi essere capaci di mettere in piedi dei negoziati che tengano in conto di tali questioni e che, soprattutto, partano dalla considerazione di quanto il mondo in cui viviamo non sia fatto di certezze granitiche ma di contraddizioni e di relazioni di totale interdipendenza fra stati.

Prendiamo il caso del Giappone, che compra quasi il 10% della propria energia dalla Russia, ma allo stesso tempo sta inviando aiuti militari all’Ucraina.

Inoltre, col proprio capitale statale, il Giappone partecipa ai progetti relativi al gas di Sakhalin e Sakhalin-II.

Anche l’India non ha certo interrotto le proprie relazioni commerciali con la Russia.

Perché? Perché sono paesi euroasiatici, che devono confrontarsi con la realtà del contesto in cui vivono.

In questo senso, io penso che l’Ucraina, purtroppo, si trova stretta fra le “fantasie” anglo-americane e la realtà euroasiatica e il popolo ucraino sta pagando tragicamente il prezzo di questo scontro che si svolge a un piano più alto.

 

Quindi con chi schierarsi in un tale scenario?

 Io mi schiero a favore dell’integrazione del campo euroasiatico dentro le relazioni di potenza globali.

Perché è proprio la volontà di impedire una tale integrazione da parte delle élites angloamericane che sta in parte alla base del conflitto in Ucraina.

Le lotte anticoloniali del secolo scorso, che tu hai studiato, possono insegnarci qualcosa?

Ci sono un sacco di lezioni che possono essere tratte da quell’esperienza. La principale credo consista nel fatto che le nazioni che non sono allineate con gli Stati Uniti o quei paesi che non sono al cento per cento integrati nella sfera d’influenza russa debbano far sentire la propria voce e debbano essere ascoltate.

Perché non hanno opinioni identiche.

 

È stato chiesto al Ministro degli Esteri indiano, in modo molto aggressivo, quand’è che avrebbe smesso di comprare gas dalla Russia e lui ha sostanzialmente fatto notare come ciò che l’India compra dalla Russia in un mese corrisponde più o meno a quanto i paesi occidentali comprano nell’arco di un solo pomeriggio.

Ho trovato questa risposta bellissima.

 

Insomma, vorrei che ci fosse più spazio affinché i leader del Sud Globale possano dire liberamente ciò che pensano.

Proviamo a dare respiro al dibattito in questo senso.

Prima di pensare al multipolarismo, dobbiamo intanto diversificare e “decolonizzare” la discussione a livello globale.

In questo momento, in pratica, stiamo ascoltando solo l’opinione dell’Occidente e di Biden.

Vale la pena ritornare quindi all’idea dei paesi non allineati, che durate la Guerra Fredda provavano a pensare a un’alternativa oltre i due blocchi?

 

Sì, credo che dovremmo ambire a una sorta di nuovo movimento dei paesi non-allineati.

Dovremmo spingere affinché le leadership del Sud Globale costruiscano maggiori relazioni e siano più convinte nel far sentire la propria voce ed esprimere le proprie opinioni.

 Non devono avere paura degli Stati Uniti!

 

 

 

 

Caro Occidente, ormai il

mondo è «multipolare».

 Lagazzettadelmezzogiorno.it - ENZO LAVARRA – (24 FEBBRAIO 2023) - ci dice:

 

Insomma siamo al riarmo; e il riflesso condizionato (ovvero la paura) che le tragedie delle due guerre del secolo scorso aveva portato «al mai più guerre in Europa» si indebolisce giorno per giorno.

Caro Occidente, ormai il mondo è «multipolare».

Venti di guerra soffiano sul continente, e sul mondo.

È la cifra dei discorsi di Biden e di Putin.

Con l’annuncio di crescente escalation degli armamenti.

Sia per la controffensiva russa di primavera, che per il conseguente impegno a fornire armi sempre più sofisticate per la difesa della sovranità ucraina.

 In parallelo la Russia sospende il trattato Start USA-Russia (per il reciproco controllo e contenimento delle armi nucleari), gli Usa hanno già piantato testate nucleari in Romania.

 

Insomma siamo al riarmo; e il riflesso condizionato (ovvero la paura) che le tragedie delle due guerre del secolo scorso aveva portato «al mai più guerre in Europa» si indebolisce giorno per giorno.

Su queste colonne “Marcello Foa” ha citato il Capo di Stato maggiore Usa il quale sostiene che alla fine non ci sarà nessun vincitore.

Nel dibattito tedesco, ed europeo “Jurghen Habermas” sostiene lo stesso concetto.

Il punto di partenza e di giudizio di tutti è che c’è un aggressore e un aggredito.

E che l’Occidente deve sostenere anche con le armi l’aggredito. “Habermas” ammonisce però a valutare la proporzione fra la potenza distruttiva di crescenti e sofisticati congegni militari e il punto di non ritorno.

Da qui anch’egli motiva l’urgenza di uno sforzo diplomatico.

Per evitare l’incidente nucleare.

 Ed è ancora Bergoglio a rinnovare il suo appello «a quanti hanno autorità sulle nazioni perché si impegnino concretamente per la fine del conflitto, raggiungere il cessate il fuoco; quella costruita sulle macerie non sarà mai una reale vittoria».

 

Questi moniti vengono classificati come aspettative di intellettuali privi di principio di realtà o invocazioni di autorità morali e religiose di natura prepolitica.

Così anche la possibile iniziativa di pace che trapela dalla Cina è letta o ridotta a schermaglia tattica con gli USA.

In questo quadro si conferma la debolezza della “Ue”.

Mentre la tradizione di politica estera italiana viene piegata dall’ansia di legittimazione del nuovo governo verso gli Usa (che invece hanno investito del ruolo di maggiore alleato la Polonia), scompare nella postura italiana di Meloni e dell’arco politico parlamentare nel suo complesso - salvo poche eccezioni -, la ricerca dello spazio possibile di iniziativa.

 Che è sempre stato esercitato da tutti i governi della Repubblica all’interno dell’alleanza atlantica.

 

Di fronte a questo scenario è invece principio di realtà farsi carico della crescente preoccupazione della opinione pubblica italiana.

 Per l’invio di nuove armi e per il pericolo di una partecipazione diretta sul terreno militare.

 Nei talk show si discetta fra qualità delle democrazie liberali e regimi autoritari.

Come se fra i sostenitori della iniziativa diplomatica per «i compromessi tollerabili» (Habermas) fosse in questione la appartenenza all’Occidente.

 No, i governanti e i vertici politici di ogni latitudine dovrebbero prender sul serio studi più recenti sul nuovo mondo;

 da ultimo lo studio dell’”European Council on Foreign Relations”, co-firmato da “Timothy Garton Ash”, “Mark Leonard” e “Ivan Krastev”.

«L’ordine internazionale sarà oggetto di polarizzazione e frammentazione, senza possibilità di un ritorno al sistema guidato dagli Stati Uniti.

Bisogna saper parlare con paesi come India, Turchia, Brasile. L’Occidente farebbe bene a trattare India, Turchia, Brasile e altre potenze emergenti come “nuovi soggetti sovrani della storia mondiale” e farebbe bene a fare pace con l’idea di dover imparare a vivere come uno dei tanti poli in un mondo multipolare».

Dice “Garton Ash”:

«Dobbiamo trovare un linguaggio diverso per parlare a ognuno degli altri Stati non occidentali, differenziarli, riconoscergli sovranità.

So che in Europa il concetto di “sovranità” ha un’accezione negativa per via di “Le Pen” e “Orban”, ma dovremmo guardarlo in positivo per instaurare un vero dialogo con il resto del mondo che per ora non ci comprende».

Per l’Italia questo vuol dire cambiare priorità e rinnovare il suo ruolo di ponte europeo verso l’Africa, che rimane luogo nevralgico dei nuovi equilibri.

 

 

 

 

Articolo di Alexey Drobinin "L'immagine di un mondo multipolare.

Il fattore civiltà e la posizione della Russia nell'ordine mondiale emergente".

Roma.mid.ru – Alexey Drobinin – Redazione – (27-2-2023) – ci dice:

 

Articolo di Alexey Drobinin, Direttore del Dipartimento di Pianificazione della Politica Estera del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa, “L'immagine di un mondo multipolare. Il fattore civiltà e la posizione della Russia nell'ordine mondiale emergente”, nella rivista «Russia nella Politica Globale», 20 febbraio 2023.

La crisi ideologica nei rapporti tra Russia e Occidente, entrata in una fase calda con l'inizio dell'Operazione Militare Speciale nel febbraio 2022, ha riportato alla ribalta e alle discussioni politologiche la questione del futuro dell'ordine mondiale e dei principi delle relazioni internazionali.

Proviamo a guardare questo argomento attraverso il prisma della pianificazione della politica estera.

 Innanzitutto, alcune citazioni ispiratrici.

 

Riflettendo sulle prospettive di sviluppo delle relazioni internazionali, nell'ottobre 2022, in una riunione del “Valdai International Discussion Club”, il Presidente Russo “Vladimir Putin” ha osservato che un futuro comune per tutti richiederà il dialogo tra l'Occidente e i “nuovi centri di un ordine mondiale multipolare”.

 Ha precisato che la base della civiltà mondiale è costituita dalle "società tradizionali dell'Est, dell'America Latina, dell'Africa e dell'Eurasia".

Tale formulazione della questione fornisce un quadro concettuale per analizzare i moderni processi globali.

 

Di cosa si tratta?

Sostanzialmente, il capo dello Stato ha delineato con chiarezza l'aspetto della civiltà come base metodologica per comprendere, descrivere e costruire il multipolarismo.

Aggiungiamo che il Presidente ha fatto più volte riferimento a questo approccio, descrivendo l'attuale momento storico, la cui essenza, secondo lui, è “la scomparsa del potenziale creativo dell'Occidente stesso e l’ambizione di frenare, bloccare il libero sviluppo di altre civiltà”.

Anche i politologi nazionali stanno richiamando l'attenzione sulla tendenza fondamentale delineata dal Presidente russo” Putin.

Ascoltiamo, ad esempio, questo punto di vista:

"Il senso comune della lotta in Ucraina è la restituzione al non-Occidente - e proponiamo di chiamarlo in modo diverso:

Maggioranza Mondiale, che è stata sottomessa e derubata, culturalmente umiliata - della libertà, della dignità e dell'autonomia.

E, naturalmente, di una parte equa della ricchezza del mondo".

Ancora una volta: la restituzione al mondo non occidentale ("altre civiltà" nella logica del Presidente) di una parte equa della ricchezza mondiale.

A parte il programma anti-neocoloniale di ampia portata insito in questa frase, vediamo un'opposizione analitica sulla linea Occidente - Maggioranza Mondiale.

 

A rigore, il criterio della civiltà è solo uno dei possibili modi di descrivere il mondo.

 Tuttavia, sembra che nell'attuale fase di svolta esso fornisca il "punto di accesso" più scrupoloso per un'adeguata interpretazione dei processi legati alla trasformazione dell'ordine mondiale.

 Per molti anni abbiamo indicato la ridistribuzione dei potenziali economici e di potere a favore di nuovi centri, nonché il rafforzamento delle posizioni di attori non occidentali di rilevanza globale come sintomi esterni del cambiamento della struttura del mondo.

Ma cosa significa tutto ciò in termini di realpolitik?

Qual’ è la forma geopolitica del nuovo sistema?

Come si organizzerà l'interazione tra stati in un mondo multipolare?

Queste domande richiedono risposte.

A nostro avviso, esse vanno ricercate soprattutto nello studio di grandi comunità - macroregioni o civiltà con caratteristiche socioculturali, geoeconomiche e di politica internazionale peculiari.

 

Torniamo ancora al discorso del capo dello Stato Putin a Valdai:

“Il senso del momento storico odierno sta proprio nel fatto che davanti a tutte le civiltà, agli Stati, ma anche alle loro associazioni di integrazione si aprono opportunità per un democratico e originale percorso di sviluppo.”

In altre parole, la cristallizzazione delle civiltà (chiamiamole piattaforme di civiltà), ognuna con la propria originale struttura, nonché lo sviluppo di connessioni tra di esse, è ciò che apre la strada alla formazione di un sistema fondamentalmente nuovo.

Sostituisce il precedente paradigma, caratterizzato dal dominio di una civiltà e dalla sua espansione con gli slogan di globalizzazione, occidentalizzazione, americanizzazione, universalizzazione, liberalizzazione e cancellazione dei confini nazionali.

Come ha sottolineato il Presidente Russo Vladimir Putin, “se globalizzazione liberale significa spersonalizzazione, imposizione del modello occidentale a tutto il mondo, allora l'integrazione, al contrario, è lo sblocco del potenziale di ciascuna civiltà nell'interesse dell'insieme, per il bene comune”.

Quindi, il mondo si sta spostando dalla globalizzazione alla formazione di molte piattaforme di civiltà (si possono anche chiamare centri di potere o "poli") e poi all'interazione e all'integrazione tra di loro.

Questo è un lungo processo storico, un'intera epoca in cui stiamo entrando, che ci piaccia o no.

 Nuovi centri di sviluppo mondiale cercano nel multipolarismo un'opportunità per preservare la sovranità e l'identità socio-culturale e svilupparsi armoniosamente secondo le proprie tradizioni e basandosi sugli interessi nazionali e sulle aspirazioni dei popoli.

È importante che le comunità di civiltà non possono e non devono necessariamente essere uguali per potere economico e militare, dimensioni del territorio o popolazione.

Sono unite dal fatto di avere la capacità di influenzare i processi globali, di portare la propria visione della risoluzione dei problemi nel dibattito mondiale.

Con quali altri segni definiamo una “comunità di civiltà”?

Gli scienziati russi, a partire dal XIX secolo, danno descrizioni significativamente analoghe.

 Ogni civiltà «si costruisce sulla base di un retroterra spirituale, di un simbolo culturale primario o valore sacro, che poi diventa la base per la formazione di una cultura originaria».

La civiltà è “una categoria speciale di stati con una storia lunga e ininterrotta, un'identità pronunciata e la volontà di leader e cittadini di difendere risolutamente la propria identità culturale.”

 La civiltà è caratterizzata dalla presenza di “pratiche sociali e politiche saldate nella cultura, costantemente riprodotte per lungo tempo, matrici civili stabili, sebbene in evoluzione, che indicano l'esistenza di un certo nucleo di civiltà”.

La civiltà presuppone la formazione sovrana e la sua identità

“si basa sul predominio della visione del mondo, tradotta nell'energia della cultura e nella pratica della costruzione della pace, che trova espressione in un progetto politico e si riflette nella definizione di obiettivi storici”.

La civiltà è metaforicamente definita come "un'umanità speciale su una terra speciale" o come "un'anima speciale" di ogni nazione, "un'umanità speciale, autonoma (in altre parole, autosufficiente) su una terra speciale».

Traducendo quanto sopra nel linguaggio della pratica politica, elenchiamo i criteri che, a nostro avviso, caratterizzano le civiltà e altri attori di rilevanza mondiale.

Prima di tutto, la capacità e la volontà di portare avanti una politica interna ed estera sovrana e indipendente.

In secondo luogo, la presenza di un potenziale economico, militare, demografico, scientifico, educativo e tecnologico sufficiente e completo.

Sicurezza delle risorse, che consente di preservare la stabilità socio-economica e mantenere un alto livello di autosufficienza dell'economia nazionale.

La componente più importante è la capacità di porsi come “punto di raccolta” di spazi geografici contigui, per svolgere un ruolo di primo piano nei progetti di integrazione.

Infine, parte integrante dell'identità di civiltà è la presenza di una propria filosofia di sviluppo, di una propria visione "d'autore" della politica internazionale, di un potenziale culturale e spirituale originale e globalmente significativo.

I seguenti Stati e comunità civili sembrano soddisfare in qualche misura questi criteri: Russia, Cina, India, Sud-Est asiatico (comunità ASEAN), mondo arabo e Umma musulmana, Africa, America Latina e Caraibi, nonché la civiltà occidentale con le sue componenti anglosassone ed europea-continentale.

Sono questi i protagonisti che si apprestano a partecipare più seriamente alla definizione della forma di un mondo multipolare:

 la Maggioranza Mondiale attraverso l’unione delle opportunità e la creazione, l'Occidente (nel suo attuale stato di nichilismo adolescenziale nei confronti di oggettivi processi storici) attraverso la contrapposizione con il resto del mondo.

La struttura delle civiltà può variare.

 E le stesse civiltà si trovano a vari livelli di assemblaggio, mostrando una varietà di soluzioni architettoniche.

 Tuttavia, ogni civiltà è caratterizzata dalla presenza di un nucleo centrale (una civiltà-paese o diversi Stati guida regionali).

 Attorno ad esso si formano la seconda e la terza fascia periferica.

Un caso particolare è quello dei "ricchi solitari":

 Stati con ambizioni serie e superiori alla media - all'interno di un'agenda regionale e, in alcuni casi, globale - e con gli strumenti per attuarle;

 tuttavia, questi solitari non hanno risorse aggregate sufficienti per formare una comunità di civiltà, anche se a volte pretendono di farlo (Iran, Turchia, Israele e pochi altri, tra cui forse il Giappone).

L'osservanza del principio di uguaglianza sovrana, sancito dalla Carta delle Nazioni Unite, è chiamata a garantire la libertà e il benessere di tutti gli Stati del mondo multipolare, indipendentemente dall'appartenenza all'uno o all'altro gruppo di civiltà.

Si noti che questo principio di base non riguarda solo l'uguaglianza delle relazioni interstatali.

Presuppone anche la vera sovranizzazione dei paesi indipendenti e il loro orientamento verso gli interessi nazionali nella politica interna ed estera.

 Sostenendo questo principio, difendiamo una costante essenziale nella democratizzazione delle relazioni internazionali, nella difesa della diversità culturale e di civiltà e nella costruzione di un sistema mondiale multipolare in cui nessuno Stato debba essere svantaggiato. 

La formazione di comunità o piattaforme di civiltà quali pilastri della nuova architettura delle relazioni internazionali è facilitata dalla logica stessa del processo storico.

 Davanti ai nostri occhi, il mondo occidentale sta perdendo cinquecento anni di dominio, iniziato convenzionalmente nell'anno 1492 (riconquista nella penisola iberica e inizio della colonizzazione dell'America).

Un eminente internazionalista russo sottolinea che il potere occidentale "ha iniziato a sgretolarsi negli anni Sessanta" sotto l'impatto dei processi di decolonizzazione.

Alla fine della Seconda guerra mondiale, 750 milioni di persone (un terzo della popolazione mondiale) vivevano nelle colonie.

 Dopo il 1945, 80 ex colonie hanno ottenuto l'indipendenza.

Tuttavia, la decolonizzazione degli anni Sessanta non ha conferito ai nuovi Stati indipendenti la piena sovranità economica e politica.

 Il sistema di pagamenti internazionali e di accumulo di riserve incentrato sul dollaro USA, gli istituti di Bretton Woods, i movimenti di capitale transfrontalieri delle multinazionali occidentali e molti altri elementi rappresentavano una nuova forma di dominio coloniale, più sofisticata e protetta dal punto di vista normativo (ma non morale).

 Il neocolonialismo è stato concepito per garantire il trasferimento continuo di risorse dal mondo in via di sviluppo al "miliardo d'oro".

Dopo il crollo dell'URSS e della Comunità economica socialista, questo sistema si è diffuso in quasi tutto il mondo sotto la bandiera della globalizzazione.

Le pratiche neocoloniali hanno permesso ai gruppi dirigenti occidentali di tenere a galla le loro economie, di garantire alla popolazione alti livelli di consumo e di mantenere su questa base un cosiddetto ordine sociale liberaldemocratico che però ha cominciato a erodersi rapidamente e a tornare, con l'aggravarsi della crisi economica, alla norma asociale storicamente occidentale, proprio alla guerra hobbesiana contro tutti.

All'inizio del XXI secolo, l'ascesa dell'Est globale e del Sud, accelerata dalla cooperazione transfrontaliera, ha infranto questo paradigma economicamente e moralmente insostenibile.

Nel 2021, i Paesi” BRICS” hanno superato la quota del “G7” nel volume dell'attività economica mondiale, rappresentando il 32% del PIL globale a parità di potere d'acquisto.

Lo sviluppo economico è seguito dalla soggettività politica e cioè dalla sovranità degli Stati nazionali di cui si è parlato in precedenza.

 In ogni macroregione del mondo è emerso uno o più Stati leader di rilevanza globale.

Fino a poco tempo fa, il processo era naturale, disordinato, persino spontaneo.

 La tendenza di lungo periodo era chiaramente visibile, ma ci voleva tempo perché si strutturasse.

C'è motivo di credere che l'impulso per una trasformazione qualitativa della situazione sia stato fornito dall’operazione militare speciale della Russia.

 Lo dimostra la riluttanza della Maggioranza Mondiale ad aderire alle sanzioni antirusse e alla campagna politico-propagandistica dell'Occidente.

L'esito del voto del novembre 2022 sull'odioso progetto di risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite in merito ai "risarcimenti per l'Ucraina" è eloquente.

Più della metà degli Stati membri dell'ONU si è rifiutata di sostenere il testo divisivo.

 È sintomatica l'osservazione di un “think tank” asiatico:

"I leader del Sud globale sono stati colpiti dal contrasto tra l'insistenza occidentale sull'Ucraina e la mancanza di analogo zelo quando si tratta di problemi in altre parti del mondo".

Gli occidentali, inoltre, hanno chiaramente esagerato nella durezza.

Il ministro degli Esteri indiano,” Subrahmanyam Jaishankar”,  ha raccomandato all'Europa di "rinunciare alla convinzione secondo cui i suoi problemi sono i problemi del resto del mondo".

Naturalmente, le ragioni alla base della riluttanza della “Maggioranza Mondiale” a far parte di una coalizione anti-russa non sono direttamente collegate all'Ucraina.

Gli esperti russi notano che "gli abitanti dell'ex "Terzo Mondo" considerano giusta e storicamente irreversibile l’opposizione agli ex dominatori coloniali".

 Le azioni della Russia sono viste attraverso il prisma del ripristino della giustizia storica.

Esiste una reale "opportunità di costruire schemi efficaci di interazione e sviluppo non contro l'Occidente, ma aggirandolo, senza la sua partecipazione".

Non si tratta della "non violenza" secondo Leone Tolstoj o M. Gandhi, ma semplicemente di ignorare l'Occidente (incarnazione del male).

Si scopre che è possibile svilupparsi con successo al di fuori del paradigma "padrone-schiavo" imposto dalle ex metropoli.

La consapevolezza che le regole del gioco stanno cambiando potrebbe, in linea di principio, essere un incentivo per tutti a trovare un accordo.

Ma finora abbiamo visto come gli anglosassoni, o meglio le loro élite al potere, abbiano puntato sul ripristino con la forza del "momento unipolare" dei primi anni Novanta.

A tal fine, cercano di smembrare le comunità di civiltà in segmenti facili da assimilare, secondo la formula del "divide et impera".

Ciò non sorprende.

 Già nel 2019, lavorando nel settore privato, l'attuale consigliere per la sicurezza nazionale del Presidente degli Stati Uniti, “Jake Sullivan”, ha scritto con franchezza in un articolo che la condizione per vincere il concetto di eccezionalismo americano può essere solo "la sconfitta del paradigma che mette in primo piano l'identità etnica e culturale".

In altre parole, a livello di ideologia, c'è sempre stata la volontà di combattere contro i "poli" indipendenti dall'Occidente, semplicemente ora è giunto il momento di agire.

 

Per nascondere le proprie aspirazioni egemoniche, l'Occidente ha proposto il concetto di "ordine basato sulle regole".

Come ha osservato il ministro degli Esteri russo, “Sergey Lavrov”, esso implica "una divisione razzista del mondo in un gruppo di “eccezionali' che hanno l'autorizzazione a qualsiasi azione, e altri Paesi che devono seguire la scia del “miliardo d'oro” e servirne gli interessi".

Alcuni esperti occidentali ammettono che l'"ordine" è contrario alle aspirazioni del mondo in via di sviluppo e la maggioranza mondiale non avrà fretta di schierarsi a suo sostegno.

E siamo sicuri che l'"ordine" finirà presto nella pattumiera della storia o (nel migliore, per i suoi ispiratori, dei casi) definirà solo i parametri del mondo occidentale all'interno dei suoi naturali confini geografici.

Il fattore della civiltà negli affari internazionali è un segno dei tempi.

In un momento in cui le pietre miliari della storia si spostano, si intensifica la battaglia delle idee e delle visioni del futuro.

Ma questo conflitto non si svolge in astratto o nel vuoto.

 Si inserisce nel quadro della forma geopolitica e di civiltà e del mondo multipolare che sta oggi emergendo.

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