Solo gli agricoltori potranno farci vivere senza IA.
Solo
gli agricoltori potranno farci vivere senza IA.
Dopo
le proteste, la Commissione Ue
ritira
la proposta di regolamento
per i
tagli dei pesticidi.
Winenewes.it
– (06 FEBBRAIO 2024) - Redazione – ci dice:
L’annuncio
di Ursula Von der Leyen: “i nostri agricoltori meritano di essere ascoltati”.
Esultano
Coldiretti e Confcooperative, Confagricoltura e Cia.
Mentre
in Italia la protesta degli agricoltori fa rotta su Roma e, forse, sul Festival
di Sanremo che inizia stasera, dopo “l’invito” informale di Amadeus, l’Unione
Europea sembra iniziare a correggere il tiro nella direzione auspicata dai
manifestati.
Oggi,
nella sessione Plenaria del Parlamento Ue, la presidente della Commissione
Europea, ha annunciato il ritiro della proposta di regolamento per il taglio
dei pesticidi, tra i punti più importanti della protesta, ma non solo.
“I nostri agricoltori meritano di essere
ascoltati: so che sono preoccupati per il futuro dell’agricoltura e per il loro
futuro. Ma sanno anche che l’agricoltura deve passare a un modello di
produzione più sostenibile, in modo che le loro aziende rimangano redditizie
negli anni a venire”, ha detto la Von der Leyen, annunciando che proporrà al
collegio dei Commissari “il ritiro” della proposta legislativa sui pesticidi,
sottolineando che “una nuova proposta, più matura”, sarà fatta in futuro.
“La
proposta è stata rigettata dall’Eurocamera, e non ci sono progressi neanche in
Consiglio”, ha sottolineato von der Leyen, soffermandosi a lungo, nel suo
intervento, sulle proteste degli agricoltori.
“Molti
di loro si sentono messi all’angolo.
Gli
agricoltori sono i primi a risentire degli effetti del cambiamento climatico.
Siccità e inondazioni hanno distrutto raccolti
e minacciato il bestiame. Gli agricoltori risentono dell’impatto della guerra
di Russia, dell’inflazione, dell’aumento del costo dell’energia e dei
fertilizzanti. Ciononostante, lavorano duramente ogni giorno per produrre il
cibo di qualità che mangiamo.
Per
questo, dobbiamo loro apprezzamento, ringraziamento e rispetto", ha
sottolineato.
“Abbiamo
lanciato il “Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura nell’Unione
Europea”.
Abbiamo
invitato i rappresentanti del settore agricolo, delle comunità rurali,
dell’industria delle sementi e dei fertilizzanti, del settore alimentare, ma
anche del settore finanziario, dei consumatori e del settore alimentare, dei
gruppi di consumatori e ambientalisti e della scienza.
Abbiamo
bisogno di analizzare insieme la situazione, condividere idee e sviluppare
scenari per il futuro.
Dobbiamo andare oltre un dibattito polarizzato
e creare fiducia.
La
fiducia è la base fondamentale per soluzioni praticabili.
La
posta in gioco è alta per tutti noi.
Il nostro sistema di produzione alimentare è
unico”, ha spiegato ancora la Von der Leyen.
Che
poi ha aggiunto: “gli agricoltori hanno bisogno di un’argomentazione commerciale valida
per le misure di miglioramento della natura, e forse noi non l’abbiamo fatta in
modo convincente.
Serve un vero e proprio incentivo che vada
oltre la semplice perdita di resa.
I sussidi pubblici possono fornire tali
incentivi”, ha aggiunto von der Leyen, che ha lanciato l’idea di
“un’etichettatura premium”, ad esempio in collaborazione con i rivenditori e i
trasformatori”.
La
fertilità del terreno è sempre stata la spina dorsale del sostentamento di un
agricoltore.
Ma il
60-70% dei suoli in Europa è ora in cattive condizioni.
Possiamo
invertire queste tendenze.
E molti agricoltori lo stanno facendo.
Ma dobbiamo fare di più: la conservazione
della natura può avere successo solo attraverso un approccio dal basso verso
l’alto e basato sugli incentivi.
Perché solo se i nostri agricoltori potranno
vivere della terra, investiranno nel futuro”.
“Oggi
si mette la parola fine su una proposta fortemente ideologizzata che abbiamo
combattuto sin dalla sua prima pubblicazione”, commenta il presidente
Confcooperative Fedagripesca, “Carlo Piccinini”.
“La
cooperazione agroalimentare è stata tra le prime organizzazioni - rivendica il
presidente Confcooperative Fedagripesca - a lanciare l’allarme già due anni fa
sulle conseguenze negative che la proposta della Commissione avrebbe avuto, non
solo sugli agricoltori, costretti a produrre senza difese adeguate per le
colture, ma anche sui cittadini europei, che avrebbero progressivamente visto
soppiantare le produzioni comunitarie da prodotti provenienti da paesi
extraeuropei con standard di sicurezza alimentare di gran lunga più bassi.
Oggi
possiamo tirare un grande sospiro di sollievo, anche se restano oggettive
difficoltà per le attuali restrizioni all’uso di determinate sostanze per
alcune produzioni ortofrutticole.
Auspichiamo che questo annuncio sia l’inizio
di un nuovo approccio da parte della Commissione.
Le proteste degli agricoltori in tutta Europa
hanno dimostrato che le riforme e le leggi debbano essere fatte ascoltando le
esigenze di chi produce e lavora nei campi.
Confidiamo
che nella prossima legislatura si possa aprire un reale e fattivo confronto per
la formulazione di proposte normative che siano scritte e pensate ascoltando
gli agricoltori e dopo aver valutato attentamente l’impatto delle misure
proposte in termini di sicurezza alimentare.
Confidiamo anche - conclude “Piccinini” - che
la Commissione apra anche ad una profonda revisione del regolamento sugli
imballaggi che proprio in questi giorni sarà oggetto di esami nel trilogo tra
Consiglio, Parlamento e Commissione”.
“Il
ritiro della proposta di regolamento sull’uso sostenibile dei fitofarmaci (Sur)
salva il 30% delle produzioni alla base della dieta mediterranea, dal vino al
pomodoro, messe a rischio dall’irrealistico obiettivo di dimezzare l’uso di
agrofarmaci”.
A dirlo il Presidente della Coldiretti “Ettore
Prandini” nel commentare l’annuncio della presidente del Commissione europea
Ursula von der Leyen del rigetto della proposta nel suo intervento al
Parlamento europeo,
“dopo
la grande manifestazione della Coldiretti a Bruxelles in occasione del Vertice
Ue”, dice l’organizzazione agricola, che in realtà si è accodata alle proteste
organizzate da altre sigle sindacali e da comitati spontanei, a tratte anche
violente, di tutta Europa.
“Una
risposta alla protesta degli agricoltori provenienti dal sud e dal nord
dell’Unione Europea, dalla Coldiretti agli spagnoli di “Asaja”, dai portoghesi
di Cap ai belgi dell’”Fwa “ai giovani agricoltori alla quale aveva fatto
seguito l’incontro tra il presidente Coldiretti e la Von der Leyen”, esulta
l’organizzazione di “Palazzo Rospigliosi”.
“Il
provvedimento - sottolinea Coldiretti - avrebbe avuto un impatto devastante
sulla produzione agricola dell’Unione Europea e nazionale aprendo di fatto le
porte all’importazione da paesi extra Ue che non rispettano le stesse norme sul
piano ambientale, sanitario e del rispetto dei diritti dei lavoratori.
Serve un approccio realistico per sostenere
l’impegno dell’agricoltura verso la sostenibilità che ha già portato l’Italia a
classificarsi come la più green d’Europa con il maggior numero di imprese
agricole che coltivano con metodo biologico su circa 1/5 della superficie
agricola totale e il taglio record in un decennio del 20% sull’uso dei
fitofarmaci che restano essenziali per garantire la salute delle coltivazioni.
Non a
caso in Italia - continua la Coldiretti - oltre otto prodotti su dieci
pericolosi per la sicurezza alimentare provengono dall’estero (86%) sulla base
delle elaborazioni del sistema di allerta Rapido (Rassf).
Sul
totale dei 317 allarmi rilevati nel 2022 - evidenzia Coldiretti - 106
scaturivano da importazioni da altri Stati dell’Unione Europea (33%) e 167 da
Paesi extracomunitari (53%) e solo 44 (14%) hanno riguardato prodotti con
origine nazionale.
Ma “la
battaglia per garantire dignità e giusto reddito agli agricoltori italiani non
si ferma” precisa il presidente Coldiretti” Ettore Prandini” nel sottolineare
che non sarà accettato nessun taglio alle risorse economiche della “Politica
Agricola Comune” (Pac) agli agricoltori poiché oggi occorre assicurare
l’autonomia alimentare dei cittadini europei e favorire il ricambio
generazionale.
In
tale ottica non è possibile neppure che l’allargamento dell’Unione all’Ucraina
venga pagato dalle aziende agricole.
Serve
poi cancellare definitivamente - ha ribadito “Prandini” - l’assurdo obbligo di
lasciare i terreni incolti che mina la capacità produttiva della nostra
agricoltura e favorisce paradossalmente le importazioni dall’estero di prodotti
alimentari che non rispettano le stesse regole di quelli europei in materia di
sicurezza alimentare, ambientali e di rispetto dei diritti dei lavoratori.
Un
caso eclatante è il “Mercosur”, l’accordo commerciale con i Paesi sudamericani
che va respinto.
Da qui la richiesta di introdurre il criterio
di reciprocità delle regole produttive.
Il
caso dei terreni incolti è solo uno dei vincoli che da Timmermans in poi hanno
cercato di inserire, con regole che penalizzano la capacità produttiva Ue e
appesantiscono il lavoro degli agricoltori, ingiustamente visti come
inquinatori, mentre sono proprio loro a garantire la tutela dell’ambiente.
Ma servono anche mercati equi e trasparenti,
incentivando gli accordi di filiera e vietando la vendita sotto i costi di
produzione”, conclude la Coldiretti.
“Quando
il pragmatismo prevale sull’ideologia è sempre una buona notizia.
È
stata accolta una richiesta avanzata da tempo dalla “nostra Organizzazione” per
salvaguardare il potenziale produttivo del nostro settore.
Prendiamo atto positivamente che la
Commissione europea ha scelto di dare ascolto alle proteste in atto in numerosi
Stati membri.
Ora
occorre andare avanti su questa strada”, commenta, dal canto suo, il presidente
Confagricoltura, “Massimiliano Giansanti”.
“In
Italia - sottolinea “Giansanti “- il taglio avrebbe potuto superare addirittura
il 60%.
La
nostra linea è chiara.
Il ricorso alle medicine delle piante nei
processi produttivi va ridotto, come già si sta verificando, ma ogni divieto
deve prevedere un’alternativa valida sotto il profilo tecnico ed economico.
Il
ritiro della proposta di regolamento sui fitofarmaci dimostra che la soluzione
dei problemi che stanno affrontando gli agricoltori vanno risolti in larga
misura a Bruxelles.
Per
questo abbiamo deciso di tenere nella capitale belga un’assemblea straordinaria
il 26 febbraio.
Ora -
conclude il presidente Confagricoltura - va sospesa l’entrata in vigore delle
nuove misure in materia di emissioni industriali estesa agli allevamenti e sul
ripristino della natura.
I testi potranno essere rivisti alla luce dei
risultati del dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura promosso dalla
Commissione Ue.
È una questione di coerenza”.
“Finalmente
arriva lo stop decisivo al regolamento Ue sui fitofarmaci, che avrebbe
falcidiato le produzioni agricole, mettendo a rischio non solo la sopravvivenza
delle aziende del settore, ma anche la sicurezza alimentare dei cittadini
europei”, dice ancora “Cristiano Fini,” presidente “Cia” - Agricoltori
Italiani, Cristiano Fini.
“Ci
siamo battuti fin da subito per sostenere l’impraticabilità di un taglio netto
del 50% dei fitofarmaci al 2030 senza valide alternative e con la crisi
climatica in atto - spiega “Fini”- e alla fine il passo indietro è giunto, ora
chiediamo all’Europa di promuovere davvero una politica graduale, realista e
gestibile per giungere ai “target green”, riequilibrando le esigenze produttive
agricole con gli “obiettivi di sostenibilità ambientale”, sviluppando la difesa
integrata e investendo di più su ricerca e innovazione”.
A questo proposito, aggiunge il presidente “Cia”,
“confidiamo che domani la plenaria del Parlamento Ue dia un altro segnale
importante di ascolto agli agricoltori, votando a favore del dossier sulle”Ngts”,
uno strumento essenziale per ottenere colture resistenti alle malattie e
resilienti ai cambiamenti climatici.
E più
in generale, auspichiamo che l’annuncio di oggi di Von der Leyen detti la linea
per un nuovo approccio da parte della Commissione Ue, iniziando sul serio quel
dialogo strategico tanto annunciato, perché ormai è chiaro a tutti che nuove
leggi e normative non possono prescindere da un lavoro condiviso con mondo
agricolo e rappresentanza”.
’Uomo
che ha Distrutto l’Altare
Satanico
al Campidoglio dell’Iowa
Accusato di “crimine d’odio. “
Conoscenzealconfine.it – (11 Febbraio 2024) –
Renovatio21.com – Redazione – ci dice:
Michael
Cassidy, un veterano cristiano che ha decapitato un santuario satanico esposto
nel palazzo del Campidoglio dello Iowa, è stato accusato di un “crimine
d’odio”.
Nel
dicembre scorso, “Cassidy”, aveva decapitato un’ idolo satanico collocato
nell’edificio nel Campidoglio dell’Iowa dal gruppo noto come “Satanic Temple” e
gettato il teschio di capra che fungeva da testa in un cestino.
Cassidy
avrebbe affermato di aver intrapreso l’azione per “risvegliare i cristiani
sugli atti anticristiani promossi dal nostro governo”.
Invece
di accusarlo semplicemente di reati minori, danni alla proprietà o atti di
vandalismo, i pubblici ministeri della “contea di Polk” lo hanno accusato di un reato criminale di terzo grado, sostenendo che l’atto era “in violazione dei diritti individuali” secondo la legge sui crimini d’odio
dell’Iowa, riporta il giornale locale “Des Moines Register”.
In pratica, si tratta di un atto di discriminazione
verso i satanisti.
Una
dichiarazione dell’ufficio del procuratore della contea di Polk afferma che “le
prove mostrano che l’imputato ha rilasciato dichiarazioni alle forze
dell’ordine e al pubblico indicando che aveva distrutto la proprietà a causa
della religione della vittima”.
“Cassidy”
sta raccogliendo fondi per la sua difesa legale sulla sua pagina “GiveSendGo”,
dove sta scritto che “tra i milioni di cristiani in questa nazione, Cassidy è
stato il primo ad agire con coraggio e convinzione.
Non
era disposto a vedere Dio insultato, specialmente in un edificio in cui i
legislatori dovrebbero onorare Gesù Cristo come Re e guardare alla sua legge
per trovare saggezza mentre legiferano con giustizia e rettitudine “.
Come
riportato da “Renovatio 21”, il Tempio Satanico anni fa fece notizia per aver
precedentemente piazzato una statua del demonio con le fattezze del Bafometto
(l’orrendo caprone alato ed androgino) che tiene sulle ginocchia due bambini.
Più recentemente ha iniziato a
promuovere “aborti rituali” (perché il feticidio, dicono, è un “diritto religioso”) nonché l’ora di religione satanica
nelle scuole elementari.
Il “Satanic
Temple” agisce in pratica come in una sorta di continuo trollaggio delle leggi
americane, che permettono la libertà religiosa:
loro ne approfittano per reclamare gli spazi
della loro supposta religione, cioè il “culto del demonio”, che ovviamente
coincide con l’”agenda politica progressista”: aborto, omotransessualismo (con
effusioni gay sulle tombe di persone ritenute “omofobe”), e più in generale ogni possibile
cancellazione della dimensione cristiana dalla società statunitense.
Come
riportato da “Renovatio 21”, i seguaci del “Tempio di Satana” indicono eventi
pubblici in cui bisogna presentarsi con la mascherina chirurgica e la prova
dell’avvenuta multipla sierizzazione, altrimenti non si entra:
sul
fenomeno del “conformismo satanico”, che spiega tante cose, non è mai stata
avanzata una vera riflessione.
Pentagramma
e siringa.
(renovatio21.com/luomo-che-ha-distrutto-laltare-satanico-al-campidoglio-accusato-di-crimine-dodio/)
Lollobrigida:
'Sui pesticidi l'Ue
recepisce
le proposte dell'Italia.'
Ansa.it
- Redazione ANSA – (06 febbraio 2024) – ci dice:
Von
der Leyen ritira la proposta del regolamento sui pesticidi.
“La
Commissione UE recepisce le proposte dell’Italia.
Bisogna
limitare ulteriormente gli agrofarmaci solo quando si è in grado di proteggere
le produzioni con metodi alternativi.
Abbiamo
contrastato, dal primo giorno, un approccio ideologico sul tema che avrebbe
avuto un effetto devastante sulle produzioni e limitatissimo sull’ambiente”.
Così il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità
alimentare e delle Foreste, “Francesco Lollobrigida”.
“È evidente e logico che eliminare medicine
indispensabili per le piante, lasciandole preda di insetti o fitopatie, contrae
decisamente la produzione se non la cancella" ha detto.
"Se
i consumi europei restano invariati, ci si deve approvvigionare, di
conseguenza, da paesi terzi che non rispettano alcuna delle regole che
imponiamo ai nostri agricoltori.
Anzi producono utilizzando maggiori quantità di
pesticidi.
In
questo modo – aggiunge” Lollobrigida” - l’effetto su aria e acqua del pianeta è
esattamente l’opposto di quello dichiarato.
L’Italia
ha proposto di lavorare, ed è stata avanguardia in questo, sulle “Tea” per
garantire piante più forti e resistenti che possano fare a meno di agrofarmaci.
Le
politiche pragmatiche del nostro Governo in Italia e in Europa stanno portando
i primi frutti.
Recuperare i disastri di anni di politiche
irrispettose della produzione e del lavoro agricolo richiederà tempo.
Ma la strada intrapresa è quella corretta”,
conclude il ministro “Lollobrigida”.
"I
nostri agricoltori meritano di essere ascoltati.
So che sono preoccupati per il futuro
dell'agricoltura e per il loro futuro. Ma sanno anche che l'agricoltura deve
passare a un modello di produzione più sostenibile, in modo che le loro aziende
rimangano redditizie negli anni a venire".
Lo ha
detto la “presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen” alla Plenaria
del “Pe”, annunciando che proporrà al collegio dei commissari "il
ritiro" della proposta legislativa sui pesticidi.
Il regolamento "diventata un simbolo di
polarizzazione" ha spiegato, sottolineando che "una nuova proposta,
più matura", sarà fatta in futuro.
"La proposta è stata rigettata
dall'Eurocamera, e non ci sono progressi neanche in Consiglio", ha
sottolineato “von der Leyen “soffermandosi a lungo, nel suo intervento, sulle
proteste degli agricoltori.
"Molti
di loro si sentono messi all'angolo.
Gli
agricoltori sono i primi a risentire degli effetti del cambiamento climatico.
Siccità
e inondazioni hanno distrutto raccolti e minacciato il bestiame. Gli
agricoltori risentono dell'impatto della guerra di Russia.
L'inflazione, l'aumento del costo dell'energia
e dei fertilizzanti. Ciononostante, lavorano duramente ogni giorno per produrre
il cibo di qualità che mangiamo.
Per questo, dobbiamo loro apprezzamento,
ringraziamento e rispetto", ha sottolineato.
"Abbiamo
lanciato il “Dialogo strategico” sul futuro dell'agricoltura nell'Ue.
Abbiamo
invitato i rappresentanti del settore agricolo, delle comunità rurali,
dell'industria delle sementi e dei fertilizzanti, del settore alimentare, ma
anche del settore finanziario, dei consumatori e del settore alimentare, dei
gruppi di consumatori e ambientalisti e della scienza.
Abbiamo bisogno di analizzare insieme la
situazione, condividere idee e sviluppare scenari per il futuro.
Dobbiamo andare oltre un dibattito polarizzato
e creare fiducia.
La fiducia è la base fondamentale per
soluzioni praticabili. La posta in gioco è alta per tutti noi. Il nostro
sistema di produzione alimentare è unico", ha spiegato ancora.
Annunciati
anche incentivi con sussidi per gli agricoltori.
"Gli agricoltori hanno bisogno di
un'argomentazione commerciale valida per le misure di miglioramento della
natura - afferma von der Leyen - e forse noi non l'abbiamo fatta in modo
convincente.
Di un
vero e proprio incentivo che vada oltre la semplice perdita di resa. I sussidi
pubblici possono fornire tali incentivi",
"Il terreno fertile è sempre stato la
spina dorsale del sostentamento di un agricoltore.
Ma dal
60 al 70 per cento dei suoli in Europa è ora in cattive condizioni. Possiamo
invertire queste tendenze.
E
molti agricoltori lo stanno facendo.
Ma
dobbiamo fare di più", ha sottolineato von der Leyen aggiungendo: "la
conservazione della natura può avere successo solo attraverso un approccio dal
basso verso l'alto e basato sugli incentivi.
Perché solo se i nostri agricoltori potranno
vivere della terra, investiranno nel futuro".
Coldiretti,
'ritiro proposta pesticidi salva 30%
made in Italy'.
Il
ritiro della proposta di regolamento sull'uso sostenibile dei fitofarmaci (Sur)
salva il 30% delle produzioni alla base della dieta mediterranea, dal vino al
pomodoro, messe a rischio dall'irrealistico obiettivo di dimezzare l'uso di
agrofarmaci.
È quanto afferma il presidente della
Coldiretti” Ettore Prandini “nel commentare l’annuncio della presidente del
Commissione europea Ursula von der Leyen del rigetto della proposta "nel
suo intervento al Parlamento europeo dopo la grande manifestazione della
Coldiretti a Bruxelles in occasione del vertice Ue".
Una
risposta, dice Coldiretti "alla protesta degli agricoltori provenienti dal
sud e dal nord dell’Unione Europea, dalla Coldiretti agli spagnoli di “Asaja”,
dai portoghesi di Cap ai belgi dell’”Fwa” fino ai giovani agricoltori alla
quale aveva fatto seguito l’incontro tra il presidente della Coldiretti e la
Von der Leyen".
Secondo
lo studio della Commissione Europea peraltro, aggiunge Coldiretti “i maggiori
impatti sulla resa si sarebbero verificati in colture che hanno una rilevanza
limitata, come l’uva, il luppolo e i pomodori”.
“La
battaglia per garantire dignità e giusto reddito agli agricoltori italiani non
si ferma” precisa” Prandini” nel sottolineare che "non sarà accettato
nessun taglio alle risorse economiche della “Politica agricola comune (Pac)
agli agricoltori poiché oggi occorre assicurare l’autonomia alimentare dei
cittadini europei e favorire il ricambio generazionale.
In
tale ottica non è possibile neppure che l’allargamento dell’Unione all’Ucraina
venga pagato dalle aziende agricole".
Serve
poi cancellare definitivamente "l’assurdo obbligo di lasciare i terreni
incolti che mina la capacità produttiva della nostra agricoltura e favorisce
paradossalmente le importazioni dall’estero di prodotti alimentari che non
rispettano le stesse regole di quelli europei. Un caso eclatante è il “Mercosur”,
l’accordo commerciale con i Paesi sudamericani che va respinto.
Agricoltori,
trattori, proteste
e
contributi: una storia distopica.
Agronotizie.imagelinenetwork.com
- Donatello Sandroni – (12-2-2024) – ci dice:
Interviste
impossibili:
Le proteste degli agricoltori europei hanno
incendiato anche i social oltre che le strade.
Molti parlano, ma pochi hanno capito.
Meglio
dare la parola ai trattori stessi.
Proteste
degli agricoltori, un'intervista impossibile.
Interviste
impossibili: la parola ai trattori.
Germania,
Francia, poi Italia e altri Paesi a seguire.
Molti
agricoltori esasperati sono scesi in strada e hanno portato i propri trattori
nelle capitali e nelle città più importanti, talvolta abbandonandosi purtroppo
a gesta riprovevoli, come distruggere merci provenienti da altri Stati membri
dell'Unione europea, o danneggiando strutture pubbliche o private con una foga
iconoclasta che per la causa stessa sarebbe stato meglio evitare.
La
protesta pare divenuta quindi una storia distopica, ove con distopia si intende
un'utopia al contrario, in negativo.
Se
l'utopia vagheggia infatti un mondo perfetto, la distopia mira a realizzarne
uno spaventoso, che nessuno vorrebbe mai vivere sul serio, ma che alla fine si
realizza lo stesso.
Sui
social è partita infatti la lotta polarizzata fra sostenitori e detrattori del
mondo agricolo, con i primi che applaudono anche a fronte di comportamenti
irresponsabili, i secondi che confermano il proprio odio preconcetto per gli
agricoltori in quanto tali.
Dato
però che a essere portati a spasso per l'Europa sono stati i trattori,
divenendo simbolo essi stessi della protesta, chiediamo a loro cosa ne pensano.
Cari
trattori, ma alla fine ci spiegate perché ogni volta che gli agricoltori
protestano siete voi a essere trasformati in divisioni corazzate da schierare
sulle strade?
"Ma
cosa vuole, se si mettono tutti insieme gli agricoltori europei fanno sì e no
l'1-2% della popolazione continentale.
Quindi
poca roba dal punto di vista elettorale e di piazza.
Alle
proteste, di solito, partecipa poi solo una minuscola minoranza delle categorie
interessate, quindi marciando a piedi gli agricoltori si sarebbero confermati i
soliti quattro gatti agli occhi di media e politica. Creando colonne di
trattori sulle strade, invece, l'attenzione l'hanno attirata eccome".
Questione
di tonnellate anziché di numeri, quindi?
"Più
o meno è così.
Purtroppo,
come spesso accade, una minoranza della minoranza senza fare così tanto rumore
sarebbe stato meglio fosse rimasta a casa.
Noi però di certe scene ne avremmo fatto pure
a meno".
In che
senso scusate?
"Nel
senso che se poi ci usi per ribaltare camion pieni di cibo, o per incendiare
copertoni ammassati contro i palazzi, o ancora per imbrattare un” McDonalds” di
paglia e letame, cosa pensi di ottenere? Approvazione? Solidarietà?
Ma
manco per idea: ottieni solo di fomentare odio nei tuoi confronti e nei
confronti delle ragioni delle tue stesse proteste".
Diciamo
che gli agricoltori francesi sono noti per essere fumantini.
Basti
ricordare le cisterne di vini spagnoli fermate e svuotate per strada anni fa.
Ma il “McDonalds”?
Questa mi giunge nuova.
"Alcuni
agricoltori hanno invaso un “McDonalds” e l'hanno riempito di paglia mista
letame buttandone un po' ovunque.
Ora, ci chiediamo, pensate davvero che i
vostri problemi li abbia creati “McDonalds”?
E,
soprattutto, chi pensate che abbia pulito le vostre intemperanze? Saranno stati
ragazzi pagati anche meno di voi.
Per giunta, gli agricoltori degli altri Paesi
cosa dovrebbero fare come risposta, ribaltare i camion che trasportano vini,
formaggi, cereali e altri prodotti francesi?
No, mi
creda, a vedere quello scempio ci è venuto male al circuito idraulico...".
Va
però detto che i Vostri proprietari sono davvero esasperati. Alla fine quando è
troppo è troppo.
"Gliene
rendiamo atto, ma magari sarebbe più utile un'analisi accorta dei motivi e
delle origini del malcontento.
Magari iniziando a ricordare ai nostri
proprietari che la loro condizione attuale non l'hanno causata le farine di
grilli o le carni coltivate, che ancora in giro si devono vedere, bensì
politiche agricole e commerciali suicide, come pure una mancata unione di
intenti quando il settore andava difeso dal punto di vista strutturale.
Non è
continuando a chiedere più sussidi che si risolvono i problemi. Anzi, li si
aggrava sempre di più".
Diciamo
che sventolare specchietti per le allodole è da sempre l'espediente più comodo
per distrarre le masse dai problemi reali e dalle responsabilità per chi le ha.
Ma
circa i sussidi cosa mi sapete dire?
"Diciamo
che abbiamo letto i social e ascoltato certe trasmissioni televisive e ci sono
cascati i cardani".
Cosa
vi ha colpito di più di tutta la polemica?
"Per
esempio, i mammalucchi che senza sapere di cosa parlano condividono il famoso
rapporto fra Pil agricolo del 3% e sussidi per un terzo del bilancio europeo.
Come a
dire che non ha senso sussidiare un settore che produce così poco.
Ma si
rendono conto della stupidaggine che rilanciano?
Due sono almeno le stranezze dei loro
ragionamenti.
La
prima è che l'importanza oggettiva di un comparto non può essere valutata solo
con il Pil.
La
seconda è che semmai ci si dovrebbe scandalizzare per quel 3%, mortalmente
basso, anziché per il 33% dei sussidi.
L'agricoltura
produce cibo, quindi vale più di ogni altro settore economico dal punto di
vista dell'importanza intrinseca, poiché soddisfa un bisogno che più primario
di quello non ce n'è: mangiare.
Quindi
che riceva un terzo dei soldi erogati da Bruxelles è tutto tranne che
sbagliato".
Ma non
c'è per caso anche un problema di tipo commerciale, di rapporto fra player
delle filiere?
"Lo
chiediamo noi a Lei: gira mai per i supermercati?"
Eccome:
spesso la spesa la faccio io. Perché?
"Perché
allora si sarà reso conto che nel solo corridoio dei prodotti di bellezza o
comunque voluttuari c'è un valore economico a metro quadro molto più elevato di
quello che si rileva nei reparti in cui si vende cibo".
No,
questa me la dovete spiegare meglio.
"Ma
certo: vuole un gel per rendere più morbidi i capelli? 150 millilitri di
confezione a 3,82 euro, cioè 19 euro al litro.
Vuole un prodotto per ridurre la formazione
delle doppie punte?
200 millilitri di confezione a 9,99 euro,
49,95 al litro.
Ah, ma
se poi fosse stufo dei capelli secchi, basta prendere la confezione del
prodotto specialistico, a soli 7,99 euro, pari a 79,9 euro al litro. Manco
fosse Champagne di marca.
Stia pur tranquillo che con quei prezzi di
sussidi non ne hanno certo bisogno.
Dobbiamo
continuare?"
Sì,
per favore: ora mi avete intrippato con questa cosa dei prezzi.
"Bene,
passi ora al reparto pane: dai 3 ai 4 euro al chilo.
Il pane: il simbolo della lotta alla fame.
Le
uova? 50 cent l'uno. Melanzane? 1,85 euro al chilo. La pasta? da un euro e
mezzo a 4 euro al chilo, quando la pasta si propone in veste di cibo per
consumatori modaioli.
Olio
di oliva dato per Evo? A pochi euro al litro.
E la cosa peggiore è che di quei prezzi solo
una minima parte è finita nelle tasche degli agricoltori.
Quindi, per capire meglio come fare per
comparare un punto di Pil di un settore con quello di un altro:
cosa portereste
su un'isola deserta?
Un riflessante o un chilo di patate?
Se i
cittadini europei non capiscono questo, continueranno a dire le stupidaggini
che dicono confrontando il famoso 3% con il 33% del bilancio.
Se non
gli piace quel 3% così basso, facciamo così:
raddoppiamo i prezzi riconosciuti agli
agricoltori e il Pil dell'intero comparto schizzerebbe all'insù, anche perché
avere il doppio dei soldi permetterebbe di investire in tecnologie e
innovazione, creando un indotto molto superiore ai volumi monetari a loro
riconosciuti in più.
Allora
i cittadini potrebbero stare tranquilli che di contributi ne potrebbero servire
molti meno.
E forse pagando molto più caro il cibo, i
cittadini comprenderebbero di nuovo il suo valore, anziché snobbare chi l'ha
prodotto".
Ok, ma
qui ci si becca le accuse di populismo perché, dicono, anche chi trasforma e
chi vende ha suoi costi.
"Certo.
Perché, i nostri proprietari non ce li hanno i costi?
Noi, non costiamo nulla ad acquistarci e a
mantenerci?
Ma non
scherziamo.
E i fertilizzanti, le sementi, gli
agrofarmaci, gli impianti di irrigazione, l'acqua stessa, più la manodopera.
Non sono costi? Più il rischio.
Un'industria che produce pasta può trovare
grano da altri Paesi per continuare a produrre se in Italia non ne trova
abbastanza.
Se al
cerealicoltore la siccità fa perdere anche il 30% delle rese, come è successo a
molti nel 2022, quell'anno va in rosso perché i ricavi non coprono neanche i
costi.
L'agricoltore
vende ciò che la terra gli dà:
non ha la possibilità di rimpiazzare i propri
prodotti con quelli di altri. Una grandinata? Perde tutto.
E le
assicurazioni funzionano sì, funzionano no.
Di
certo, sono una spesa in più che non sempre rientra poi in tasca.
Il
supermercato che vende vino, invece, lo compra da altri.
Lui,
il viticoltore grandinato, resta col cerino.
Non
c'è paragone fra rischio di impresa di un agricoltore e quello di un'industria
o di una “Gdo”.
E
questo non lo vogliamo considerare?"
Certo
che sì.
Ma per
chi non lavora in campo agricolo queste sarebbero le solite manfrine di chi
becca un sacco di soldi pubblici e poi si lamenta pure.
C'è
anche chi pensandosi spiritoso ha sottolineato sui social che quelli che
protestano sono riusciti a comprarvi proprio grazie ai contributi che hanno
ricevuto e che ora vi usano per protestare contro chi quei contributi ha dato
loro.
In pratica, sempre stando ai commenti sui
social, starebbero mordendo la mano che li mantiene.
"Un
consesso di geni, vedo.
Fanno
gruppo con quelli che sfidano gli agricoltori a rinunciare ai contributi e a
confrontarsi con il libero mercato".
Certo:
così chiude la maggior parte delle aziende agricole...
"Appunto,
non sanno quello che dicono perché hanno spesso le terga al caldo e di mettersi
nei panni degli altri manco ci pensano minimamente.
Sarà
quindi bene ricordare loro che una gran parte delle aziende ha bilanci di fatto
in perdita, guardando entrate e uscite, ma che vanno in attivo solo perché ci
sono i contributi.
Senza,
chiudono.
Peraltro,
gli agricoltori si sono sempre confrontati col mercato, sino a che decenni fa
sono arrivate le politiche agricole nazionali ed europee a condizionarne le
scelte.
Le intenzioni erano anche buone, se vogliamo:
dare
indirizzi economicamente razionali alle produzioni del Vecchio Continente.
Poi
però le cose hanno preso una pessima piega da quando produrre sembra sia
diventata cosa di cui vergognarsi".
Beh,
il “set aside” esisteva già molti decenni fa.
"Sì,
ma fino agli anni '80 produrre era di fatto un vanto e il comparto agricolo
riceveva un rispetto molto maggiore di quello odierno.
Dagli anni '90 in poi, anche a causa dei
disciplinari di produzione, è diventato quasi motivo di biasimo.
Ma qui la colpa della situazione attuale è
anche dei nostri proprietari: quando nei primi anni '90 uscirono, come detto, i
primi disciplinari, la cosiddetta 2078, molti aderirono perché erano tutto
sommato soldi facili.
Solo nel tempo si sono accorti che ogni anno
le richieste e i vincoli aumentavano, complicando le cose.
E fare
i furbi non era più tanto facile come nei primi momenti..."
In che
senso fare i furbi?
"Non
faccia l'ingenuo:
sappiamo bene che trent'anni fa, in una sua
vita professionale precedente, andava per il territorio a presentare le novità
fitosanitarie dell'azienda per cui lavorava.
Se lo
ricorda?"
Beh,
sì, in effetti ricordo. Un periodo ricco di sconsolazione per le risposte che
ricevevo proprio dagli agricoltori.
"Tipo
quando Lei ricordava il numero massimo dei trattamenti permessi dai
disciplinari per quegli specifici prodotti, cosa le dicevano?"
Mi
chiedevano come fossero classificati...
"E
quando Lei diceva che erano “Xi”, irritanti, o” NC”, non classificati, che
succedeva?"
Succedeva
che mi guardavano come fossi un povero fesso a cui bisogna proprio insegnare
tutto:
ridacchiavano
fra loro, ricordandomi che bastava comprarne una parte a scontrino e quei
trattamenti in più li si faceva senza poi segnargli sui registri dei
trattamenti...
"Cosa
che Lei sapeva perfettamente, ma che non poteva certo dire per questioni di
deontologia".
Sì. Per questo ero sconfortato dopo quelle serate:
avevo
troppo spesso la conferma che i miei interlocutori facevano parte del folto
gruppo di chi crede che fatta la Legge basta trovare l'inganno e si può andare
avanti così all'infinito.
Frustrazione
che aumentava quando poi leggevo articoli autocelebranti di certi soloni di
alcune regioni che si vantavano di come gli agricoltori che seguivano i loro
disciplinari facessero meno trattamenti degli altri.
"Sapevano
benissimo anche loro che in realtà molti facevano solo i furbetti, ma veniva
comodo anche a loro far finta di non saperlo, perché quelle furbizie spicciole
giocavano a favore dei sostenitori dei disciplinari stessi, senza se e senza
ma.
Peccato
che le furbizie spicciole, come le bugie, abbiano le gambe corte".
In che
senso?
"Nel
senso che poi le restrizioni sono progressivamente aumentate al pari della
burocrazia, come pure sono cambiate le classificazioni dei prodotti.
Ora come ora non si possono più comprare a
scontrino:
serve sempre il patentino e quindi il giochino
è diventato sempre più difficile.
In poco più di vent'anni anche la” Revisione
europea” ci ha poi messo lo zampino, falcidiano le sostanze di sintesi per la
metà di quelle che gli agricoltori potevano usare quando entrarono
nell'attraente mondo della 2078, poi divenuti “Psr”.
Il
cappio si è quindi stretto piano piano.
E ora ha iniziato a stringere fino a togliere
il fiato:” Farm to Fork,” “ecoschemi”, “4% di terra lasciato fermo”, “tagli
agli agrofarmaci”, “tagli ai concimi”,” distanze minime dalle case”,
indipendentemente dal fatto che quelle case siano state costruite loro a
ridosso dei campi...
Davvero
la misura adesso è colma".
Ci fu
anche chi allora, a metà anni '90, cercò di avvisare il comparto che
disciplinari e contributi rischiavano di diventare nel tempo un coltello tutto
lama e senza manico.
Ma
rimasero ben poco ascoltati.
"Anzi,
venivano accusati di essere servi delle industrie.
E poi ci si sono messi anche i disciplinari
privati di industrie di trasformazione e “Gdo”:
e chi
non vuole più del 30% dei residui di Legge, e chi non vuole più di quattro
residui diversi..."
Un
puro “non sense” di cui si occupò persino la” DG Sanco”, cercando di parlare
con le “Gdo” per convincerle della vacuità di quelle regole.
"Risultato?"
Nessuno:
li
ricevettero gentilmente, salvo ricordare loro che sulle loro decisioni e sulle
loro strategie di marketing la “DG Sanco” nulla poteva dire. Essendo più
restrittivi delle norme europee, in effetti, quei disciplinari erano
inattaccabili dal punto di vista della sicurezza dei cittadini.
"Peccato
con quelle imposizioni arbitrarie abbiano complicato molto la vita degli
agricoltori senza ve ne fossero i motivi.
E pure
hanno complicato la vita degli “officials” dei disciplinari pubblici che si
sentirono superati a destra dai privati.
Chi crea il mostro, del resto, rischia poi gli
si rivolti contro.
Peccato che alla fine il mostro abbia morso
sempre e solo gli agricoltori".
E
quindi cosa vogliamo dire a Bruxelles e alla politica italiana?
"Che
i contributi pubblici, così generosamente distribuiti per decenni, hanno
sortito l'effetto di rendere dipendenti gli agricoltori quasi fossero una
droga.
E si sa bene cosa succede quando qualcuno
ipotizza di ridurre le dosi o di alzarne il prezzo: la gente sbrocca.
Gli
agricoltori europei hanno bisogno di vedere sostituire i sussidi con rialzi dei
prezzi a loro riconosciuti, anziché raccogliere le briciole delle filiere che
loro stessi alimentano dalla base.
Devono cioè ritrovare il giusto corrispettivo
per la qualità e la quantità che producono.
Anche
perché stando al “Crea l'Italia” sta avendo seri problemi di rese: tenendo da
parte zootecnia, vino e olio, le produzioni sono scese del 10% rispetto a
vent'anni fa.
Manca,
sempre stando al” Crea”, il 20% dell'uva da tavola, il 30% di pesche e il 50%
di pere.
Si
producono meno ortaggi rispetto agli inizi del secolo, con pomodoro e patate
scesi in modo significativo".
Ma
come, i cittadini non chiedono a gran voce di volere mangiare italiano?
"Sì,
a gran voce. A parole.
Poi
però quando vedono un atomizzatore da lontano chiamano le tv e pubblicano le
foto sui social per fare sembrare quell'agricoltore un delinquente inquinatore.
Quindi
facciano pace con sé stessi:
o accettano in silenzio di mangiare straniero, incluse farine di grilli e carni
coltivate, o ridanno ai nostri proprietari la dignità sociale ed economica che
avevano 50 anni fa, prima che le derive green ne minasse le fondamenta e li
rendessero dipendenti dai sussidi come nessun altro al mondo".
Ecco,
forse sarebbe venuto il momento, anche e soprattutto per gli agricoltori, di
chiedere più dignità professionale, anziché più soldi da Bruxelles.
Poiché
quei soldi non sono mai stati gratis, nemmeno quando sembravano tali.
Costavano
carissimo, invece, in termini di libertà di imprendere e di decidere.
E la
libertà, cari produttori, lei sì che non ha prezzo.
(Agro Notizie).
Cosa
dimostrano le proteste
degli
agricoltori e le richieste
di
Stellantis. L’analisi di Polillo.
Formiche.net - Gianfranco Polillo – (09/02/2024)
– ci dice:
Concentrarsi
esclusivamente sulla congiuntura del momento ha fatto perdere di vista la reale
portata dei problemi.
Che ora riemergono con forza:
nella
lunga fila dei trattori che assediano le città o nella richiesta ultimativa di
incentivi da parte dei manager che hanno l’effettiva responsabilità della
conversione produttiva.
Tutte
le “crepe del green deal “raccontate da “Polillo”.
Alla
fine, con il necessario anticipo, i nodi stanno venendo al pettine.
Lo dimostrano le veementi proteste degli
agricoltori o le richieste inusuali di “Carlos Tavares”, amministratore
delegato di” Stellantis”, ad esponenti del governo italiano.
Chi pensava che la transizione ecologica fosse
un “pranzo di gala”, per riprendere una vecchia espressione del” Presidente
Mao”, sarà costretto a ricredersi.
Non
sarà così, per il semplice fatto che un processo di riconversione di quella
portata – dal fossile all’elettrico – richiede un ripensamento del nostro modo
di vivere.
E quindi di produrre.
Senza dimenticare che l’automobile è stato il
grande drive che ha guidato lo sviluppo industriale dell’intero Pianeta dai
primi del ‘900 ai giorni nostri.
Allora
fu “Henry Ford,£ con il suo” Modello T”, a creare un prodotto destinato alla classe media
americana, costruita utilizzando le prime catene di montaggio.
Una
grande innovazione non solo di prodotto, ma di processo.
Quel metodo di produzione che da lui prese il
nome, “fordismo”, non disegnò solo la fabbrica moderna.
Quei
santuari divennero, infatti, il simulacro delle nuove politiche economiche.
I guadagni di produttività, che quel metodo
consentiva, resero possibili politiche di alti salari.
A loro
volta necessari per poter creare un mercato in grado di assorbire quella
crescente produzione: ottenuta a costi sempre più bassi.
Realizzando
quel salto di qualità destinato ad accelerare la trasformazione del vecchio
mondo contadino verso la crescente industrializzazione.
Con
riflessi immediati anche sulla politica.
Come
mostrò il saggio di “Antonio Gramsci”: su “Americanismo e fordismo”.
Gli
Usa furono i primi ad impiantare quel modello e coglierne i benefici. L’Europa
seguì, con un notevole ritardo.
Cosa che contribuisce a spiegare la sua
relativa debolezza rispetto all’altra sponda dell’Atlantico.
Quell’America che fu risolutiva, nei due
grandi conflitti – la prima e la seconda guerra mondiale – che insanguinarono
il Vecchio continente.
In
entrambi i casi fu la forza degli Stati Uniti, con la sua più avanzata
produzione industriale, e la potenza economica – finanziaria che da essa
derivava, a decidere le sorti del conflitto.
Creando i presupposti di quella lunga egemonia
che, ancora oggi, caratterizza le grandi relazioni internazionali.
Bisogna
partire da qui per capire quanto difficile e complesso sia quel progetto che
mira a sostituire un modello di civiltà più che consolidato con qualcosa di
inedito.
Di cui ancora non si è pienamente sperimentata la
relativa capacità sostitutiva.
Fino a
che punto l’elettrico è in grado di prendere il posto del motore a combustione?
Quale
autonomia effettiva, e non quella sbandierata dalle case costruttrici, una
ricarica può garantire?
Qual è il tempo necessario per il
rifornimento?
È competitivo rispetto alle tradizionali
stazioni di servizio?
Una
prima risposta può venire dai test” Wltp” (Worldwide harmonized light vehicles
test procedure), che certifica livelli di emissioni e gli altri requisiti
necessari per ottenere l’omologazione del modello.
Ma i dubbi sulla loro efficacia sono tanti.
A
partire dal tempo limitato dedicato alle prove su strada:
meno
di un paio d’ore su un percorso di 80 km su strade urbane, rurali e autostrade.
C’è
poi il precedente dello scandalo del “diesel gate” che non lascia dormire sonni
tranquilli.
Ma a
parte ogni altra considerazione, le variabili che incidono sull’effettività dei
risultati sono molto più numerose, rispetto al motore a combustione.
Incide
il modo di guidare, la velocità, la presenza nell’auto di altri gadget
elettrici.
A
partire dall’aria condizionata.
Senza
contare infine le variabili esterne a partire dalla temperatura.
Le
grandi gelate americane, recentemente, hanno messo completamente fuori uso le
batterie elettriche.
Questi dati
dimostrano quanto sia incerto il panorama futuro.
Siamo ancora in
presenza di tecnologie fin troppo giovani.
Anche
se in continua forte evoluzione.
Tecnologie
che consentono indubbiamente produzioni di nicchia, seppure di relativa
estensione, ma che difficilmente, se non altro per i relativi costi, in grado
di sostituire nel medio periodo, l’intero parco auto mondiale.
Condizione, quest’ultima, che l’ambientalismo
considera essenziale ai fini del contenimento del riscaldamento globale.
Per
quanto ci riguarda, condividiamo quelle preoccupazioni.
Ma
proprio per questo motivo è necessario impostare un programma di riconversione
produttiva che sia realistico, trovando le risorse indispensabili alla sua
realizzazione.
Da
questo punto di vista è ancora la storia ad essere “magistra vitae”. La prima
Ford Modello T uscì dalla fabbrica nel 1908.
Data che segnò anche la nascita del “fordismo”
come forma nuova dello sviluppo capitalistico.
La cui
diffusione, dopo l’avvio negli Stati Uniti, fu tuttavia favorito dalla Grande
guerra.
In cui
“quell’inutile strage”, per riprendere le parole di Papa Benedetto XV, fu anche
la drammatica spinta che accelerò lo sviluppo industriale di tutti i Paesi
belligeranti.
Quel grande massacro fu solo l’inizio di un
periodo burrascoso, in cui il progressivo riarmo bellico, in vista di una folle
rivincita, contribuì non poco allo sviluppo di quelle tecnologie che avevano
nel motore termico uno degli anelli fondamentali.
Insomma,
per farla breve, a monte della realtà di oggi, ancora dominata dai combustibili
fossili, vi sono più di cento anni di storia.
Due guerre mondiali, che fecero registrare una
concentrazione di mezzi finanziari senza precedenti.
La
dominazione da parte degli apparati militari dell’intero tessuto produttivo dei
principali Paesi occidentali.
La
presenza massiccia dello Stato, con i suoi apparati di controllo e sicurezza.
Ed una crescita della spesa pubblica che portò
il relativo debito ben oltre la soglia del 100 per cento del Pil.
In
definitiva uno sforzo organico unidirezionale rivolto a creare le condizioni su
cui far nascere la speranza di un possibile successo militare.
E
questo tanto nella Germania nazista o nel Giappone imperiale, quanto in quello
dei Paesi alleati: dall’Inghilterra, supportata fin dall’inizio dagli Stati
Uniti, alla Russia di Stalin.
Di
fronte ad uno sforzo di quella portata, il “green deal europeo” propone di
ridurre almeno del 55 per cento le emissioni di gas serra entro il 2030
rispetto ai livelli del 1990 e trasformare l’Europa nel primo continente a
impatto climatico zero entro il 2050.
(È
utile far presente che la “CO2” è un gas più pesante dell’aria atmosferica e
quindi è fuorviante attribuire alla “CO2” tutta la responsabilità dell’aumento
del riscaldamento globale! N.D.R).
In
poco più di 25 anni, ottenuto il divieto di produrre altri veicoli termici, si
vorrebbero ottenere risultati paragonabili ai cento anni di storia precedente.
Escludendo, almeno si spera, avvenimenti
traumatici come furono le due guerre mondiali che, tuttavia, fecero da grandi
acceleratori nell’allargamento delle basi produttive dei Paesi coinvolti.
Una
sfida forse non impossibile, ma certamente difficile.
La
frontiera tecnologica che dovrebbe sorreggere la riconversione produttiva verso
l’elettrico è ancora incerta.
Il
rischio implicito elevato.
Richiederà
in compenso un livello d’investimento destinato ad andare oltre le
disponibilità dei privati.
Salvo ipotizzare giganti multinazionali in
grado di sfruttare al meglio le opportunità del mercato globalizzato.
In
termini di incentivi da parte del Pubblico, agevolazioni fiscali, efficienza
delle relative procedure e via dicendo.
Pubblico
che, a sua volta, dovrà contribuire alla realizzazione della nuova rete di
supporto per il rifornimento elettrico dei singoli veicoli.
Alla
luce di queste considerazioni è facile prevedere che il supporto finanziario
dello Stato sarà inevitabile.
Si può
discutere se esso debba essere di taglio europeo – cosa preferibile – o se
lasciato alla disponibilità dei singoli Stati nazionali.
Comporterà comunque una maggiore spesa
pubblica, al lordo dei possibili risparmi derivanti da una sua possibile
riqualificazione, ed una lievitazione ulteriore del debito pubblico.
Tutte
cose non solo non in linea, ma oggetto di sanzione da parte delle nuove regole
del “Patto di stabilità e crescita”, appena riformato.
Una
contraddizione evidente.
Ma
questo è il lato oscuro del compromesso da poco realizzato. Concentrarsi
esclusivamente sulla congiuntura del momento ha fatto perdere di vista la reale
portata dei problemi.
Che ora riemergono con forza:
nella
lunga fila dei trattori che assediano le città o nella richiesta ultimativa di
incentivi da parte dei manager che hanno l’effettiva responsabilità della
conversione produttiva.
Nodi che non sarà facile sciogliere.
Mettiamoci,
quindi, comodi: sarà una lunga storia.
Agricoltori con le tasche vuote,
la
colpa non è del “Green deal”.
Strisciarossa.it
– (5 FEBBRAIO 2024) - STEFANO CANALI – ci dice:
Ce
l’hanno con l‘Europa, matrigna green che impone agli agricoltori di usare meno
pesticidi e fitofarmaci in nome della transizione verde, infischiandosene se a
pagare sono quelli che già faticano.
L’Europa che vorrebbe mettere terra a riposo e
favorire produzioni meno energivore e più sostenibili.
Minacciano
una “marcia su Roma” alla guida dei trattori, simbolo della realtà materiale
tanto più tangibile delle pretese di “quelli di Bruxelles”.
E
mentre il governo usa due metri e due misure per non vedere i blocchi stradali
agricoli mentre sanziona severamente quelli ecologisti, strizza l’occhio a una
protesta che – almeno all’apparenza – facilmente potrebbe essere incanalata
nell’agenda sovranista, anche se la “Pac”, la politica agricola comune ha avuto
il visto meloniano senza particolari patemi.
A dar
retta alle battute di qualche intervista volante al popolo dei trattori,
potrebbe anche sembrare che farina di grilli e carne sintetica siano tra le
maggiori preoccupazioni degli agricoltori italiani, in piena sintonia con le
iniziative del ministro Lollobrigida.
Ridurre
a questo le difficoltà all’orizzonte del sistema agro-alimentare, però, è un
po’ come pensare che i “rave party” siano il principale problema di sicurezza
del Paese.
Le
farine di grillo potranno essere forse un’opportunità o un obbrobrio, ma non
sono certo il male che prosciuga le tasche degli agricoltori.
(E’
comunque straordinario che non sia possibile intervistare uno straccio di
scienziato del clima che possa affermare che la CO2 -essendo più pesante
dell’aria -non può volare e restare nelle serre dei gas serra! N.D.R)
Farine
di grillo e reddito degli agricoltori.
Non
c’è dubbio però che il malessere c’è.
Non è di oggi la consapevolezza che del prezzo
pagato dal consumatore per l’acquisto di frutta e verdura, solo una minima
parte viene intascata dai produttori, al punto che si sente spesso di raccolti
lasciati sui campi perché costa di più andarseli a prendere di quanto se ne
potrebbe ricavare alla vendita.
Perché allora prendersela con la “Ue” che
limita l‘uso di pesticidi e impone di lasciare una percentuale di terre
incolte?
Sicuri che la soluzione sia ancora quella di
intensificare la produzione, aumentare la quantità di latte, carne, ortaggi
forzando la produttività di terreni, piante e animali?
Davvero
abbiamo bisogno di tutto questo cibo nel Paese dello spreco alimentare (oltre
27 kg a testa, per un valore di 9 miliardi di euro, 98 miliardi nella Ue solo
nel 2023, anno virtuoso rispetto ai precedenti)?
Finora,
in buona parte, si è ritenuto che la strada da battere fosse questa.
Ma
aumentare la produttività, si è visto, non ha migliorato sostanzialmente la
retribuzione degli agricoltori, schiacciati dalla trasformazione industriale
del sistema agro-alimentare sia a monte che a valle della produzione.
A
monte per gli alti costi di macchinari, fitofarmaci, sementi migliorate (spesso
protette da brevetti di cui sono titolari le multinazionali) e più di recente
anche per gli aumenti dei costi energetici e dei costi assicurativi, sempre più
alti in ragione dei rischi climatici.
A valle invece, i redditi degli agricoltori si
trovano davanti al muro dei prezzi imposti dalla grande distribuzione, come
quella dei supermercati dove la maggior parte di noi va a fare la spesa e cerca
qualità e convenienza.
Che
cosa questo abbia a che vedere con la farina di grillo non è dato sapere.
Al
governo gli agricoltori italiani chiedono carburanti meno cari e il ripristino
degli sgravi Irpef, che al momento Meloni prende in considerazione solo per le
piccole imprese – e ancora non è detto.
La
presidente del consiglio annuncia un aumento da 5 a 8 miliardi dei fondi del “Pnrr
“per il comparto agricolo.
Ma siamo lì, se non cambia il sistema che vede
gli agricoltori trasformati di fatto in operai della terra, senza nessun reale
controllo su produzione e vendita, difficile immaginare di rimuovere le
strettoie che strangolano il settore primario anche con sovvenzione a pioggia.
Quale
Politica agricola europea.
Che
cosa possa fare l’Europa invece è già più chiaro, ma tra le opzioni ritirare o
ridimensionare le misure del “Green deal” non sembra una scelta lungimirante –
il comparto agricolo produce almeno il 30% dei gas serra.
Più di
quanto abbia fatto finora, la” Ue” dovrebbe favorire produzioni più
eco-sostenibili, basate su metodi progressivamente meno dipendenti da un uso
massiccio di fertilizzanti e pesticidi, dannosi per l’ambiente e la salute, a
cominciare da quella degli agricoltori, e dannosi soprattutto per le tasche dei
produttori agricoli.
Invece
di sostenere produzioni intensive e specializzate (ad esempio monocolture come
mais e frumento, allevamenti industriali, responsabili da soli di oltre il 20%
delle emissioni globali di “Co2”(? N.D.R) le politiche europee dovrebbero
puntare alla diversificazione, garanzia non solo di una dieta più equilibrata e
varia, ma anche di adattabilità ai cambiamenti climatici e alle incognite
geo-politiche (vedi alla voce Ucraina e produzione di cereali).
Obiettivo
europeo dovrebbe essere il riequilibrio del modello agro-alimentare globale (il
cibo ridotto a commodity, grandi volumi spostati da un continente all’altro e
soggetti a fluttuazioni di borsa) con un sistema più legato al territorio, sottratto al
rischio di speculazioni finanziarie.
Uno dei sistemi possibili è quello di
accorciare le filiere produttive, avvicinando produttori e consumatori: un modo
per lasciare maggior reddito nelle tasche degli agricoltori, diminuire
l’impatto ambientale, assicurare ai consumatori più qualità, tipicità e
freschezza, in nome di una sovranità alimentare correttamente interpretata.
“Sovranità
alimentare” che almeno finora è stata poco sostenuta dalla sinistra e che
qualcuno a destra ha confuso con il sovranismo.
(Stefano
Canali è dirigente di ricerca del “Crea”, Consiglio per la ricerca in
agricoltura e l’analisi dell’economia agraria).
Rivedere
la “Pac”? «Difficile,
semmai
pensiamo alla prossima».
Terraevita.edagricole.it
- Redazione Terra e Vita – (2 Febbraio 2024) – ci dice:
Pac.
“Angelo
Frascarelli” spegne gli entusiasmi dei sindacati agricoli e degli agricoltori
che in questi giorni stanno protestando:
«Troppo
tardi, si possono fare solo piccoli aggiustamenti».
Più
che una revisione a medio termine della “Politica agricola comune” (Pac), in
vigore per il quinquennio “2023-2027”, forse ci sarebbe da preoccuparsi per la
prossima programmazione, che dovrebbe abbracciare il periodo “2028-2034”.
«Siamo in ritardo, se ne parlerà almeno agli inizi del
2025, quando avremo le nuove istituzioni europee e tutta l’attenzione si
concentrerà sul budget della nuova “Pac”».
Parola
di “Angelo Frascarelli”, docente di Economia agraria all’Università di Perugia,
già presidente di” Ismea” e fra i massimi esperti di “Pac.
Possibili
piccoli aggiustamenti nazionali.
Se in
passato le riforme della “Politica agricola comune” nel corso del periodo di
applicazione erano sottoposte a degli “Health check”, dei controlli sullo stato
di salute e delle modifiche anche a volte profonde, «questa volta la revisione
a medio termine di questa “Pac”, che qualcuno chiede, non è praticabile –
spiega il professor” Frascarelli” –.
Si potranno fare piccolissimi aggiustamenti,
soprattutto a livello nazionale, ma siamo al secondo anno di applicazione della
riforma, e nell’ipotesi che si attivi una proposta di revisione non potrebbe
comunque andare in porto nell’anno delle elezioni.
Se ne
discuterebbe nel 2025 e, quindi, al massimo potrebbe interessare gli ultimi due
anni e, francamente, ha poco senso».
L’attuale
politica europea dedicata agli agricoltori, che assorbe un budget significativo
a livello di Ue-27 per circa 387 miliardi di euro, ha avuto un percorso
travagliato a causa del Covid, emergenza che l’Unione europea ha dovuto
fronteggiare con impegno.
La
stessa approvazione dagli organi di Bruxelles è arrivata dopo sei anni di
dibattito, «partiti nel 2017 con uno scenario molto diverso, che ha portato a
un compromesso tra esigenze economiche, ambientali e sociali», ricorda
“Frascarelli”.
La
protesta degli agricoltori.
«Le
manifestazioni degli agricoltori degli ultimi giorni rappresentano un allarme
per farci capire che bisogna dare maggiore attenzione al mondo agricolo –
commenta “Frascarelli” – ma finora è stata una protesta con poca proposta.
Le
motivazioni sono chiare:
da una parte c’è l’incertezza sui mercati,
prezzi molto volatili, che non sono sempre bassi, ma sui quali non si può fare
affidamento».
Il mais, coltura simbolo del Nord Italia a
vocazione zootecnica è un esempio:
«Tre anni fa il prezzo si aggirava intorno ai
200 euro a tonnellata, poi è salito a 380 euro e ora è ritornato a 210 euro
alla tonnellata.
Questo significa che anche quando sono alti
non si può fare affidamento che siano stabilmente alti».
Costi
di produzione, insicurezza climatica e inflazione.
Pesano
«i fattori di incertezza sui mercati e sui costi di produzione e l’insicurezza
climatica, che ha colpito l’Italia nel 2023, con rese basse nel settore dei
cereali a paglia, dell’olio, del vino, della frutta – specifica “Frascarelli”
–.
A
questo si aggiunge l’incertezza legislativa, con l’agricoltore che non solo ha
normative impegnative, ma sempre diverse».
Anche
sul fronte delle risorse della “Pac” è arrivata la doccia gelata.
«La Pac ha garantito per l’Italia fino al 2027
circa 7,4 miliardi di euro, ma per effetto dell’inflazione l’incidenza reale
della “Pac” sul bilancio cala tra l’11 e il 15%».
Giulio
Deangeli, 29 anni, quattro lauree
e un posto a Cambridge.
L’intervista
dopo il panel alla scuola
del
Fatto: “Studio
come usare
l’AI
per curare malattie”
ilfattoquotidiano.it - Virginia Della Sala – (3
FEBBRAIO 2024) ci dice:
Giulio
Deangeli è l’opposto del cervello in fuga. O almeno lui non intende esserlo: 29
anni, quattro lauree, di cui una in medicina, un master di secondo livello,
volontariato, una “non profit” in via di formazione e attualmente ricercatore a
Cambridge.
È
stato uno dei relatori del panel sull’intelligenza artificiale organizzato
dalla Scuola del “Fq” all’università” Roma Tre “dove ha raccontato come
l’innovazione possa essere applicata alla ricerca medica in ottica di
ottimizzazione e identificazione dei campi da approfondire.
Un’intelligenza
straordinaria che, ora all’estero, punta in realtà a portare valore aggiunto
all’Italia. “Proprio per questo – dice – Non sono un cervello in fuga”.
Deangeli,
di dov’è?
E ha
appena compiuto gli anni…
29
anni.
Come
li ha festeggiati?
Partecipando
al panel sull’Intelligenza Artificiale organizzato dalla “Scuola del Fatto
Quotidiano”. Una esperienza molto bella.
Ma a
metà mese torno a Cambridge e festeggio davvero.
Cosa
fa a Cambridge?
Sono
lì da quasi tre anni, faccio ricerca, sono un “Phd Student”.
Lavoro in due laboratori incredibili che sono
diretti da “Maria Grazia Spillantini” e “Pietro Liò”.
S”pillantini”
è in pratica l’erede di “Rita Levi-Montalcini”, ha scoperto la proteina centrale della “malattia di
Parkinson “e ha rivoluzionato neurologia.
Il suo
laboratorio è specializzato proprio nelle malattie neuro generative.
E “Liò”?
È uno
dei massimi esperti al mondo di Ai, uno dei precursori del meccanismo di
“attention”, per fare un esempio, fa funzionare “Chat Gpt”, ed è stato uno dei
pionieri delle “GNN”, l’architettura che, per dirlo con semplicità, fa
funzionare” Google Maps”.
E lei
cosa fa?
Nel
mio piccolo provo a studiare e realizzare strumenti che applicano
l’intelligenza artificiale al problema dell’identificazione dei meccanismi molecolari
della patologia, per fissare nuovi target che sono alla base della ricerca di
nuove terapie.
Nel
suo piccolo…
Mi
piace moltissimo e sono facilitato dal mio background.
Quante
lauree ha?
Quattro.
Quattro
a 29 anni: come è possibile?
Mi
sono laureato in medicina, poi ho iniziato a dare esami di ingegneria, di
matematica nello specifico.
Medicina mi presentava il problema e la
comprensione medica della patologia, ma sentivo l’esigenza di approfondire la
parte degli strumenti d’indagine.
Pensi,
dopo il mio primo internato a Cambridge nel 2016, tornai a Pisa: la sera sono
atterrato e il giorno dopo ho dato il mio primo esame di matematica.
Mi
sono divertito tantissimo e da allora non ho più smesso. E ho iniziato a dare
esami di ingegneria.
Poi?
Da lì
in poi ho deciso di fare la stessa cosa sul lato laboratoriale, quindi
biotecnologie.
Ho
iniziato a dare esami e non ho più smesso.
Ho
insomma avuto la fortuna di avere una esposizione in entrambi i mondi, sia
dell’Ai – con il mind set ingegneristico e quantitativo – sia del problema
della patologia.
E
questo aiuta nell’ambito Ai?
È una
grande fortuna perché di solito chi fa ricerca in Ai arriva da un background di
computer science puro e quindi non è sempre facile trovare applicazioni che
siano utili dal punto di vista pratico.
È come
se lei inglobasse un intero team di persone.
Come ha fatto a ottenere questi titoli
multipli?
Ho
frequentato sei anni di medicina all’Università di Pisa.
Ero
anche allievo della scuola superiore Sant’Anna, dove ho preso il diploma di
licenza magistrale in scienze mediche che è equiparato a un master di secondo
livello.
In
parallelo ho seguito la laurea in ingegneria biomedica, poi in biotecnologie e
infine la magistrale in biotecnologie molecolari.
In parallelo facevo ricerca in estate
all’estero, pubblicando vari paper.
Come
ha fatto a fare tutto contemporaneamente?
“Carlo
Maria Rosati “nel 2010 è stato un precedente
. Non
si poteva essere co-iscritti, perché era vietato dal famigerato Decreto Regio,
però si potevano tenere esami extracurricolari acquisendo i crediti.
E una volta finita una laurea, li si faceva
riconoscere e ci si laureava in un’altra.
Ora
quel Decreto Regio è stato aggiornato e spero di aver dato il mio piccolo
contributo.
In che
modo?
Sono
stato audito due volte al Senato e una alla Camera e la norma è stata poi
aggiornato un anno fa con l’accordo di tutti i partiti.
Ora si
può essere iscritti a più corsi di laurea contemporaneamente, agevolando
notevolmente le procedure.
Quel decreto era un relitto di una realtà che
è cambiata.
Al
tempo del decreto, l’università aveva dieci corsi in tutto ed erano tutti
altamente professionalizzanti.
L’università
oggi deve invece essere multidisciplinare.
Per
fare un esempio, si pensi a chi oggi deve disciplinare l’Ai: deve essere al
contempo un politico in gamba e uno sviluppatore.
Se non
sa cosa fa l’Ai, infatti, non sa neanche cosa non fa e il rischio è che le
attribuisca dei superpoteri o che abbia una lettura sbagliata del suo
potenziale.
C’è
sempre più bisogno di questi background.
Poi il
dottorato a Cambridge…
Sì.
Lei è
un cervello in fuga, quindi?
No,
non mi ritengo tale perché per me un cervello in fuga è chi va via con l’idea
di non contribuire più al proprio Paese e non è quello che voglio.
Il
respiro della ricerca è mondiale, non ci si può esimere dall’esperienza
all’estero.
Ci
sono posti in cui sono concentrate così tante risorse, sia economiche e quindi
tecniche, sia intellettuali che non ci si può esimersi dal confrontarsi.
Ho scritto anche un libro che appunto dimostra
come non sia mia intenzione allontanarmi.
Io voglio riportare una parte di tutto questo
in Italia.
Libro?
Sì, fa
parte di un progetto dal titolo “A choice for life”.
E’ basato su una iniziativa di volontariato
che porto avanti con altri ragazzi.
Nasce
nel 2017 come realtà locale a Este, in provincia di Padova, che è la città dove
sono cresciuto, per aiutare i ragazzi e trasmettere loro informazioni che sono
talmente pratiche ovvie e macroscopiche su come si vive nel mondo
dell’università che poi alla fine nessuno insegna.
Col risultato che nessuno le sa: si va da cosa
misurano i ranking universitari (non la qualità della didattica ma della
ricerca) alle convenzioni sul come rivolgersi ai professori, anche all’estero.
Oppure
cosa sono le scuole superiori universitarie (Sant’Anna, la Normale, e molte
altre) che sono l’eccellenza e a cui si accede solo per merito, mettendo lo
studente nelle condizioni di pensare solo allo studio.
Lo
Stato ci investe tantissimo e sono un unicum mondiale di assoluta eccellenza.
Ed è
una tragedia che così poche persone le conoscano.
Diamo le istruzioni da fratelli maggiori,
insomma.
Orientate?
Sì. E
raccontiamo cosa si fa nelle varie professioni.
Nelle scuole spesso chiedevo: “Cosa vuoi fare
da grande?”
e invece di avere come risposta “ingegneria
meccanica” o “ingegneria elettronica” mi dicevano medico, astronauta, poeta.
Le
cose più diverse.
Non
per colpa loro, non sanno cosa si faccia concretamente nelle varie discipline.
Insomma: cosa fa un project manager di giorno?
Ecco,
ho riunito una trentina di giovani per fare orientamento gratuito, dai giovani
ai giovani, in cui raccontiamo le varie professioni con l’esperienza di chi ci
è appena passato.
Ed è
anche un libro, diceva.
Sì,
“La facoltà di scegliere” (Mondadori).
All’inizio facevamo eventi locali, poi siamo
diventati nazionali anche con piattaforme interattive e sponsor fantastici,”
Barilla” e “Tucano”.
Agli
eventi c’erano tavole rotonde per le domande, abbiamo incontrato 1.500 ragazzi
da tutta Italia nel primo anno.
Poi,
siccome la forma online è meno efficace abbiamo deciso di fare il libro e un
sito su cui ci sono tutte le risorse.
Il libro è molto innovativo anche dal punto di
vista del formato.
È
interattivo e alla fine c’è una pagina segreta, scritta
in codice, dove c’è il consiglio finale che do ai ragazzi.
Ho
impiegato tre mesi a scriverla perché il rischio della frase da cioccolatino
era dietro l’angolo…
La
posso conoscere?
Eh no.
No spoiler.
Posso
solo dire che per avere successo non bisogna essere geniali o ricchi o avere le
idee chiare subito.
Non
c’è bisogno di pensarsi in una sola direzione…
Durante
il panel ha detto che non sarà l’Ai a rubare il lavoro ma un uomo che usa l’Ai.
Ma è
vero che c’è possibilità per tutti?
In
alcune realtà questo tipo di contenuti è assente.
È il motivo per cui la nostra iniziativa è
completamente gratuita.
Se non
si ha la fortuna di aver avuto genitori che hanno frequentato l’università – o
comunque l’hanno frequentata trent’anni fa – come fa un ragazzo a capire se fa
per lui se neanche sa cosa sia?
Per questo servono più strumenti possibili di
orientamento e che questo sia più pratico possibile, trasmissibile in poche ore
di lezione.
Cosa
pensa dell’istruzione italiana rispetto a quella oltreconfine?
Il
livello italiano dell’istruzione è molto alto. Il confronto si può fare, ma
senza che siano elogi o critiche.
Solo
constatazioni.
Va
bene.
Iniziamo
allora dicendo che ci sono differenze rispetto al resto del mondo.
In
Italia siamo un po’ eterni teoreti, facciamo la teoria di tutto mentre, per
dire, gli anglosassoni sono puro empirismo.
Forse una via di mezzo sarebbe utile per
tutti.
Mi fa
un esempio?
In
fisica, mentre noi facciamo le dimostrazioni, nel mondo anglosassone vanno in
giardino, prendono il metro e misurano quanto impiega la pallina a cadere.
Noi
siamo molto sistematici e certo serve molta fatica per fare la teoria e questo
è a nostro merito.
La differenza sta nel fatto che loro sono sì
meno sistematici, ma escono dalla scuola che non odiano le materie.
Ed è
un buon risultato?
La mia
impressione è che spesso i ragazzi escano dalla scuola che già non ne possono
più.
Gli
esami, poi, nel mondo anglosassone sono tenuti non dai docenti dello studente
ma da docenti esterni.
Questo
significa che il docente diventa un allenatore, la persona con cui si è in un
rapporto molto più di sinergia che di ostacolo.
In
questo preferisco il sistema anglosassone che è più sano e rilassato. Infatti
le statistiche sui suicidi dei ragazzi la dicono lunga su come è percepito
l’ambiente quotidiano.
Se il
docente è giudice aumenta lo stress.
E
nelle università?
Nel
sistema Europeo le risorse sono distribuite in maniera omogenea, non ci sono
nell’Ue continentale picchi fortissimamente positivi e altri negativi, non ci
sono Harvard per intenderci.
Questo ha una implicazione sociale ottima
perché significa che tutti hanno vicino una università buona e competitiva a
livello internazionale.
Nel mondo anglosassone il sistema è invece
verticistico.
Poche
università in cui risorse e talento sono molto concentrate.
Questo
è socialmente meno efficace ma facilità la ricerca.
In una
sola università ci sono tanti soldi e tanto talento, con sinergie enormi
. Due
più due in questi casi non fa quattro ma dieci.
La
sintesi?
Ognuna
ha pro e contro. Non c’è una soluzione.
Il suo
sogno?
Dare
il mio piccolo contributo alla vita dei pazienti perché non si muoia con queste
tremende malattie.
Quelle
neurodegenerative colpiscono in modo totalmente casuale, non possono essere
previste, sono devastanti – l’ho vissuta con mio nonno che è morto per esse – e
ci si sente impotenti.
Le sue
ricerche in cosa consistono nel dettaglio?
Mi
occupo sostanzialmente di biologia molecolare, quindi di meccanismi biologici
della malattia.
Un
esempio è identificare nuovi target, cioè nuove proteine e geni che non
sapevamo essere coinvolti nella malattia e che grazie all’Ai possiamo capire
avere un ruolo che prima era ignoto.
Come?
Con i
dati.
Gran
parte di ciò che si fa è “insegnare” all’Ai dando degli esempi, ma ovviamente
non è facile da fare.
L’Ai
tradizionale dagli esempi estrae una regola e la applica.
Ma qui
c’è un piccolo problema:
non è facile realizzare dataset in questo
ambito.
Quindi
bisogna operare sul meccanismo, sull’identificazione dei target e quindi sulla
creazione dei dataset.
Per
farlo esistono delle tecniche, le cosiddette “omiche” – in pratica tutto ciò
che finisce in “omica” – che sono in grado di produrre big data da un
esperimento biologico.
Sono ovviamente costose e riflettono uno shift
di prospettiva perché la biologia non è quasi mai galileiana.
Temo
ci sia bisogno di spiegare con calma a questo punto.
L’esperimento
galileiano classico consiste nello scienziato che osserva un fenomeno: gli
viene in mente un modello e poi fa l’esperimento per verificare se quel modello
è corretto o meno
. E se
lo è, allora è vero.
Nella biologia abbiamo però più di 19mila
geni, centinaia di migliaia di pseudo geni.
Come
li si fa a osservare tutti e a elaborare così tanti modelli?
Bisogna
trovare il modo di immaginare, con l’Ai, il risultato di un ipotetico
esperimento senza farlo perché sono troppi con troppe variabili.
In questo modo, si possono prioritizzare i più
papabili, da affrontare con esperimenti in laboratorio.
Per
farlo, servono approcci nuovi.
Solo
un Deficiente…
Conoscenzealconfine.it
– (12 Febbraio 2024) - Maurizio Murelli – ci dice:
Solo
un deficiente (cioè, colui che è manchevole di supporto cognitivo e capacità di
ragionamento) può negare che gli USA stanno incendiando il mondo.
Solo
un deficiente non capisce che le basi militari americane in Siria, Iraq e
altrove nel mondo sono gli avamposti di uno “Stato coloniale imperialista” e
che le genti di quegli Stati hanno il dovere (e non il diritto) di cercare di
liberarsene.
Solo
un deficiente non capisce le ragioni per le quali gli “oligarchi della UE
“difendono l’indifendibile Ucraina e la finanziano usando gli ucraini come
carne da macello.
Solo
un deficiente non capisce perché i paesi baltici più la Germania paventano
un’aggressione russa alla NATO entro 5-8 anni e suonano” la diana” di quella
che spacciano come guerra difensiva.
Solo
un deficiente non capisce che quando Zelensky annuncia un cambio di strategia
nella guerra di aggressione per procura contro la Russia, intende adottare lo
stile israeliano in voga a Gaza, là dove si bombardano asili, ospedali, centro
rifugiati e persino cimiteri.
Infatti,
nei giorni scorsi ha cominciato a bombardare le panetterie causando 20 morti di
ucraini russofoni in fila a comprare il pane.
Per implementare
questa nuova strategia, Zelensky vuole estromettere l’attuale capo di stato
maggiore sostituendolo con il capo dei servizi segreti, l’artefice degli
attentati terroristici in territorio russo, quindi anche in Crimea.
Solo
un deficiente non comprende cosa ha in testa Netanyahu e come andrà a finire,
al di là delle chiacchiere di mercato degli atlantisti.
Solo
un deficiente non ammette che il modello di sviluppo demo-liberale è una
catastrofe che ha generato nel mondo milioni di diseredati, altrettanti “milioni
di popolazione della classe media” resa schiava di un inalienabile processo
consumistico che la rende succube e ricattabile, creando al contempo “un clan
di plurimiliardari che determinano ovunque le politiche degli Stati asserviti
all’egemonia americana”.
Solo
un deficiente non capisce che l’equazione “democrazia occidentale” uguale a
libertà è un ossimoro.
Solo un deficiente non capisce che siamo sotto il
tallone di un totalitarismo politico, economico, culturale chiamato liberismo.
Solo
un deficiente può pensare “accada quel che accada, tanto io me la cavo”…
Deficienti
ne abbiamo?
Sì,
milioni di milioni e nessun deficiente se la caverà.
Certo,
anche chi deficiente non è rischia (e magari anche senza “rischia”) di non
cavarsela, ma quantomeno si riserva la prerogativa di cadere in piena
consapevolezza, da uomo libero e verticale avendo ben chiaro il volto del boia.
(Maurizio
Murelli)
(ariannaeditrice.it/articoli/solo-un-deficiente)
Studiare
l'intelligenza artificiale
nelle
università italiane.
Wired.it
– Antonio Dini – (26-4-2023) – ci dice:
Sono
45 i corsi di laurea in Ai in Italia, tra ingegneria, matematica, fisica ma
anche materie umanistiche, in 53 atenei censiti dall'associazione del settore,”
AIxIA”.
Intelligenza
artificiale?
È da
tempo materia di studio in Italia.
Tutte
le università italiane hanno infatti attivato da anni corsi e piani di studio
dedicati al settore.
"In Italia l'Ai è diventata una
disciplina pervasiva, che viene insegnata in tutto il territorio, dal nord al
sud", dice “Gianluigi Greco”, professore ordinario di Informatica presso
l’”Università della Calabria£, dal 2018 direttore del dipartimento di “Matematica
e informatica”, e presidente di “AIxIA”, l'”Associazione italiana per
l'intelligenza artificiale”, fondata negli anni Ottanta.
Nei 53
atenei che hanno partecipato alla rilevazione fatta dall'Associazione (in
Italia ci sono 96 atenei, distribuiti in tutte le regioni e presenti
praticamente in tutte le province) ci sono 45 corsi di laurea in intelligenza
artificiale tra ingegneria, matematica, fisica ma anche in facoltà umanistiche,
da economia a lettere per un totale di 7.635 crediti formativi erogati tra le
facoltà censite.
Il 70%
sono lauree magistrali, il 27% lauree triennali e il 3% magistrali a ciclo
unico.
Praticamente,
non c'è ateneo che non abbia attivato degli insegnamenti di primo o secondo
livello.
"Gli argomenti toccati ci sono
tutti", dice “Greco”.
Dal machine learning al data mining, dalla computer
vision ai temi di etica e privacy passando per la rappresentazione della
conoscenza e la robotica, non manca niente nei curricula del nostro Paese.
Come
trovare i corsi.
In
particolare, nella ricerca sono stati rilevati su campione regionale 26 tra
master e corsi di laurea nel Nord-Ovest, 57 nel Nord-Est, 43 nel Centro, 16
nelle Isole e 21 nel Sud.
Per chi volesse intraprendere questo tipo di
studi, basati sull'”Ai”, l'obiettivo è cercare nell'ateneo di interesse se sono
presenti i corsi con i curriculum giusti:
LM32 -
Lauree Magistrali in Ingegneria Informatica;
LM18 -
Lauree Magistrali in Informatica;
L31 -
Lauree in Scienze e Tecnologie Informatiche;
LO8 -
Lauree in Ingegneria dell'Informazione;
LM40 -
Lauree Magistrali in Matematica.
Tuttavia,
in Italia ci sono almeno 64 classi di laurea ulteriori che hanno corsi centrati
su “AI”, dal corso di laurea in Filosofia e Intelligenza Artificiale alla
Sapienza di Roma al corso di Diritto e intelligenza artificiale dell'università
Mediterranea di Reggio Calabria.
Le
cinque università di riferimento in Italia per corsi di laurea triennali e
magistrale, ma anche per i master, sono i due Politecnici di Milano e Torino,
l'Università Statale e Bocconi di Milano, l'università di Pisa e l'università
di Genova.
In
coda, l'Università di Firenze.
In
questi atenei si trovano i maggiori centri di ricerca, ma ovviamente sono
disponibili anche corsi di laurea e master praticamente in tutti e 96 gli
atenei italiani.
Non
esiste tuttavia una classifica indipendente dei corsi di laurea con
specializzazione in “Ai”.
Le
novità sono molte, in tutta Italia.
Ad esempio, l'università di Trieste, che da
tempo ha un percorso di formazione completo in “AI”, dalla laurea triennale
fino al dottorato di ricerca, dall'anno prossimo divide le lauree magistrali in
due percorsi: “Scientific and Data Intensive Computing”, che si concentrerà su
modelli computazionali e creazione di modelli digitali, e su “HPC” (high
performance computing) oltre al “quantum computing”.
Ci sono 130 posti disponibili e le iscrizioni
si chiudono il 17 maggio 2023.
Il
caso di Bocconi.
"All'Università
Bocconi – dice a Wired Luca Trevisan, direttore del master in Ai dell'ateneo
meneghino dopo aver insegnato per venti anni a Berkeley e Stanford – sono
almeno cinque anni che riflettiamo sull'importanza dell'informatica in generale
e delle” Ai” in particolare".
La
Bocconi ha da molti anni attivato insegnamenti di matematica, statistica e
informatica, ma è più di recente che si è focalizzata su computer science e” Ai”:
"Tre anni fa abbiamo attivato una laurea
triennale in intelligenza artificiale, l'anno scorso è nato il dipartimento di
informatica (diretto da Riccardo Zecchina) e l'anno prossimo verrà attivata la
laurea magistrale in Ai che completerà questo cammino".
Il
salto in avanti nel settore dal punto di vista della ricerca internazionale è
avvenuto nel 2010:
è stato quello il punto di svolta del “deep
learning”, che ha dimostrato che, rispetto alle tecniche precedenti, si
potevano fare cose inedite.
Nel
corso di un decennio i cambiamenti si sono accumulati e oggi siamo davanti a
una esplosione del settore, molto importante anche per chi fa studi giuridici,
economici e di “political science”.
Per
questo i corsi di laurea non sono solo all'interno delle facoltà scientifiche
ma si sono allargati anche negli ambiti umanistici.
"Vogliamo
i nostri laureati imparino a essere leader in azienda imparando anche la
matematica, la statistica, l'informatica e quindi l'intelligenza
artificiale".
LUCA
TREVISAN, DIRETTORE DEL MASTER IN AI DELL'UNIVERSITÀ BOCCONI DI MILANO.
Nel
nostro Paese l'informatica si insegna dagli anni Settanta, tra i primi paesi al
mondo (poco dopo i corsi aperti negli Stati Uniti a Stanford e al Mit di
Boston).
L'insegnamento e la ricerca sulle “Ai” è molto
sviluppata negli Stati Uniti anche perché richiede investimenti notevoli per il
calcolo, che sono disponibili grazie ai finanziamenti di aziende come Amazon,
Facebook e Google.
L'Europa in generale e l'Italia in particolare
sta cercando di colmare il divario con le università americane più ricche, e da
noi ci sono scuole di eccellenza per lo studio delle “Ai” in alcuni atenei
d'Italia: Genova, Pisa, i Politecnici di Milano e Torino.
"Le
“Ai “– dice Trevisan – si studiano a informatica e ingegneria ma hanno grandi
potenzialità interdisciplinari.
“Bocconi” e “Humanitas” collaborano per applicazioni
medicali, ci sono altri ambiti come l'elaborazione del linguaggio naturale che
sono di grandi interessi e hanno un campo di applicabilità estremamente vasto
nella ricerca.
C'è
uno sviluppo nuovo nel settore che porta all'incontro con studiosi di altre
aree".
Bocconi
è entrata in” Ellis” (l'European Laboratory for Learning and Intelligent
Systems) e nei progetti del “Pnrr” dedicati alle “Ai”.
Il
sistema è pronto a rispondere alle domande del mercato: nel nostro Paese,
secondo una ricerca dell'”Osservatorio del Politecnico di Milano”, infatti, il
mercato dell'Al nel 2022 ha raggiunto un valore di 500 milioni di euro, con una
crescita del 32% in un solo anno.
I settori più attivi sono l'”intelligent data
processing” (34%), l'”interpretazione del linguaggio” (28%), i “sistemi di
raccomandazione” (19%)” la computer vision” (10%) e l'”automazione robotica
intelligente dei processi” (9%).
Tutte materie che vengono insegnate da tempo
nelle università italiane.
Il
primo corso universitario
in cui
il docente è l'AI.
Wired.it
– Iuri Moscardi – (4-5-2023) – ci dice:
Il
professor “Paolo Granata” a Toronto ha creato un modo per riflettere in maniera
sensata sulle implicazioni etiche e pedagogiche di “ChatGPT”.
Negli
ultimi mesi la principale novità del mondo digitale ha riguardato
l’introduzione di ChatGPT.
Bastava
aprire un social qualsiasi per trovare almeno due contatti che discutessero di
quanto strabiliante sembrasse questo programma che – datagli in pasto una
domanda – riusciva a rispondere con frasi e testi di senso quasi compiuto.
Naturalmente,
lo stupore positivo si è presto trasformato in ingiustificato allarmismo, come
se” ChatGPT” stesse per invadere il mondo.
È per articolare un discorso critico sensato
intorno a questo strumento e alle sue potenzialità, in primo luogo didattiche,
che il professor “Paolo Granata” dell’Università di Toronto ha creato il primo
corso che verrà insegnato quasi totalmente con strumenti di “AI”.
Dopo Bologna e Torino, Granata è professore
associato di cultura dei media all’università canadese, dove nel 2019 ha
fondato il “Media Ethics Lab” per indagare le relazioni tra “media digitali ed
etica”.
Dal 2015 al 2017 è stato curatore dei
programmi al “McLuhan Centre for Culture and Technology” che l’università ha
dedicato all’illustre studioso dei media.
Autore
di quattro libri (Arte in Rete, 2001; Arte, Estetica e Nuovi Media, 2009;
Mediabilia, 2012; Ecologia dei Media, 2015), insieme ai suoi studenti ha
inoltre progettato e realizzato “il gioco da tavolo The MediuM”, ispirato
proprio a “McLuhan”.
Come è
nata l’idea del corso “AI as a Classroom”?
L’avvento
di ChatGPT ha dato una scossa al mondo accademico:
c’era
chi voleva bandirlo, chi l’ha equiparato al plagio e chi ha detto “torniamo
agli esami scritti in presenza”.
Mi è
sembrato si stesse agendo d’impulso senza comprendere le reali potenzialità di
questo nuovo scenario.
Ho
anche sondato la reazione degli studenti, che si sono ritrovati tra le mani uno
strumento potentissimo con la tentazione di utilizzarlo anche in maniera
impropria.
Quindi mi sono detto:
invece di correre ai ripari, perché non
proviamo a capire questa tecnologia, come cambia l’esperienza di apprendimento
alla luce di questa rivoluzione, per far sì che anche gli studenti possano
comprendere e utilizzare al meglio l’AI?
Ho dunque creato questo corso sperimentale per
il prossimo semestre, incentrato sull’”AI Literacy” e basato su una
provocazione:
a
insegnarlo sarà un’intelligenza artificiale.
Ciò non significa che licenziamo i professori
e li sostituiamo con un’AI: non vogliamo mettere da parte la componente umana
ma valorizzarla, potenziarla, espandere l’ambito di competenze che la società
contemporanea richiede.
Il mio
obiettivo con questo corso è capire come cambia il ruolo del docente in questo
scenario che lo trasforma in “designer dell’esperienza”, non più mero fornitore
di contenuti, e incoraggiare un’esperienza di apprendimento sempre più attiva,
partecipativa, responsabile.
Ci concentreremo sul contesto di apprendimento nella
convinzione che l’uso dell’AI in ambito accademico può stimolare il pensiero
critico e creativo e aiutarci a creare responsabilmente il nostro futuro.
(Paolo
Granata).
Paolo
Granata.
Quali
strumenti di AI userete? Come verranno applicati nella pratica delle lezioni e
dello studio?
Stiamo
costruendo il nostro” ChatGPT” utilizzando l’”API di OpenAI” e “dataset”
specifici corrispondenti ai temi di nostro interesse:
questo per garantire affidabilità nell’accesso
ai contenuti.
Stiamo anche creando “avatar”, sia con gli
studenti di “AI video generator “sia con “modelli 3D” che reagiscono in tempo
reale ai contenuti vocali, anch’essi generati con AI.
Utilizzando
strumenti di speech-to-text avanzati, integrati tramite API con ChatGPT, saremo
in grade di processare in tempo reale una discussione in classe o un report
verbale degli studenti dopo un lavoro di gruppo.
Abbiamo
anche creato una “partnership con la “start up Patchabook” della” Silicon
Valley”, per la quale testeremo una serie di strumenti di valutazione e
autovalutazione avanzati basati su AI e un modello di apprendimento responsive
anch’esso basato su ChatGPT.
Anche “AI
e ChatGPT” dipendono dall’uso che ne facciamo.
Perché
in Italia ChatGPT è stata vietata e il progettato Istituto per l’Intelligenza
Artificiale di Torino è rimasto un progetto vuoto?
Durante
il corso, gli studenti svilupperanno competenze nell’ambito dell’etica
nell’intelligenza artificiale per comprendere rischi e opportunità di una
tecnologia del genere su larga scala.
Grazie ai contributi di studiosi di alto
profilo intervistati da un “chatbot”, gli studenti potranno comprendere quali
sono le questioni etiche maggiormente coinvolte nello sviluppo di intelligenze
artificiali ma anche osservare l’attuale assetto legislativo di diversi paesi
che stanno reagendo all’avvento, per alcuni versi inaspettato, di modelli LLM
su larga scala.
Come
intendi far riflettere gli studenti sul ruolo del docente e sul potenziale
dell’AI nell’apprendimento?
Pur
essendo un corso offerto tramite strumenti avanzati di AI, il vero obiettivo
comprende la necessità di ripensare il ruolo del docente – e in generale
dell’insegnamento – alla luce degli sviluppi dell’AI, ma soprattutto ri-mettere
gli studenti al centro del processo di apprendimento.
Pertanto, gli strumenti e le metodologie che
utilizzeremo saranno funzionali a stimolare un approccio attivo da parte degli
studenti perché pensiamo che quanto più uno studente è attivo tanto meglio
questi si appassiona alla materia.
In
termini di numeri, quanti studenti pensi si iscriveranno?
Il
corso sarà aperto a un gruppo scelto di studenti che dovranno inviare una
candidatura per essere ammessi:
considerato
il carattere sperimentale dell’iniziativa, ne verranno selezionati solo 20.
Stiamo
in realtà ricevendo tantissime richieste per frequentare il corso come uditore
(studenti che partecipano alle lezioni ma senza ricevere un voto e quindi
crediti formativi, ndr).
Per
venire incontro a queste richieste, alla fine del corso organizzeremo un
seminario di un giorno dove saranno presentati i primi risultati sul fronte
della sperimentazione pedagogica e le metodologie di insegnamento basate su AI
utilizzate durante il corso.
In
aggiunta ai 20 studenti che saranno ammessi, ci saranno due dottorandi che
svolgeranno un ruolo di osservatori finalizzato alla ricerca sull’argomento.
In
passato con i tuoi studenti hai sviluppato un gioco da tavolo basato sulle
leggi dei media di McLuhan; ora questo corso di e sull’AI.
In futuro come continuerai la riflessione sui
media?
Essendo
il corso di laurea che dirigo focalizzato sulla cultura dei media, di fatto
cerchiamo di stare sempre al passo con in tempi.
Per
esempio, durante la pandemia, abbiamo utilizzato le tecnologie di realtà
virtuale per favorire l’apprendimento esperienziale in remoto.
Il gioco da tavolo invece è stato creato per
trasformare una euristica – le leggi dei media di McLuhan – in un’attività
ludica.
Il
nuovo corso su “AI Literacy” si colloca lungo la stessa linea, ovvero
sperimentare in tempo reale i cambiamenti tecnologici della società
contemporanea.
Seguiamo quasi alla lettera il motto di Marshall
McLuhan, che per quasi l’intera sua carriera ha insegnato all’Università di
Toronto:
“I
don’t explain, I explore”.
Quindi,
invece che limitarci a spiegare, tentiamo di esplorare le aree di maggiore
interesse nel campo dei media.
In fin
dei conti, tentiamo di continuare a esplorare sia l’eredità intellettuale di
McLuhan, sia il ruolo che i media giocano nella cultura contemporanea, facendo
nostro l’invito, a tratti visionario, di una pedagogia della esplorazione.
L’Intelligenza
artificiale?
«Non
bisogna averne paura, l’uomo
non
supererà le colonne d’Ercole»
ilsole24ore.com - Marzio Bartoloni –
(3-5-2023) – ci dice:
La
digitalizzazione deve camminare con l’umanesimo.
Tutti
d’accordo:
dal
cardinale “Ravasi £al presidente emerito della Consulta “Amato” fino ai manager
“Caio” e “Bria.
I
punti chiave.
La
digitalizzazione non deve lasciate indietro nessuno.
Ravasi:
«Guardare al futuro senza dimenticarsi del passato».
Amato:
«Ci sono colonne d’Ercole da non superare».
Europa
e Italia, ruolo da apripista nel governare il fenomeno.
Non
bisogna temere la rivoluzione digitale a cominciare dall’ultimo fenomeno,
quello dell’intelligenza artificiale agitato come uno spettro perché minaccia
di “rubare” il lavoro a milioni di persone.
Piuttosto
«va governato e indirizzato con giudizio e chi meglio dell’Europa e
dell’Italia, culla dell’umanesimo, può avere un ruolo di guida rispetto agli
Usa e all’Oriente pilotando questa rivoluzione con le regole».
A
guardare con fiducia agli «scossoni tecnologici» e agli effetti sulla società
«da indirizzare verso ciò che è giusto» sono i protagonisti di un nuovo
incontro voluto dal “Cortile dei Gentili” - struttura del Pontificio Consiglio
della Cultura, dicastero della Santa Sede - guidato dal cardinale “Gianfraco
Ravasi” che lo ha immaginato come luogo di dialogo anche tra credenti e non
credenti.
La
digitalizzazione non deve lasciate indietro nessuno.
L’occasione
per riunire alcuni esponenti di spicco dell’economia e della cultura italiani
per provare a esorcizzare le paure che si porta dietro ogni rivoluzione epocale
è stato l’incontro organizzato dal” Centro studi americani” a Roma per
presentare il volume
«Digitalizzazione. Per un nuovo rinascimento
italiano» curato dal manager “Francesco Caio” e dal giornalista “Pierangelo
Soldavini”,
firma
autorevole del Sole 24 Ore sull’innovazione.
Il
libro parte dalla fotografia di un’epoca, la nostra, segnata da emergenze
continue - come la pandemia, la guerra e la crisi energetica - che hanno fatto
comprendere a tutti la decisiva importanza degli strumenti digitali, che
abilitano relazioni e servizi più rapidi e flessibili e offrono prodotti
personalizzati e su misura.
Una
sfida che ora però va governata per portare la nostra società verso la
costruzione di un mondo ibrido, che coniughi e integri le diverse esperienze,
fisiche e digitali senza lasciare indietro nessuno.
“Ravasi”:
«Guardare al futuro senza dimenticarsi del passato».
A
disegnare una sorta di filo rosso di questo dialogo molto animato sono stati
l’introduzione del cardinale Ravasi presidente del Cortile dei Gentili e le
conclusioni di Giuliano Amato, presidente emerito della Corte Costituzionale.
L’uomo
di Chiesa ha sottolineato come oggi si sia passati dal celebre «cogito ergo sum
di Cartesio che è alla base del pensiero moderno all’attuale digito ergo sum».
«Un
mutamento d’epoca radicale - ha continuato Ravasi - che come tutte i grandi
mutamenti della storia, a cominciare dall’epoca del ferro o del bronzo, insinua
la mano gelida della paura e dell’esitazione. Si tratta di reazioni legittime
ma che, come ci ha insegnato l’umanesimo di Petrarca - spiega il cardinale - si
affrontano guardando con fiducia al futuro senza dimenticare il passato».
Ravasi
cita in particolare “Steve Jobs” che nel 2005 agli studenti di Stanford
spiegava di
«sognare
per il futuro l’avvento di ingegneri rinascimentali come Leonardo Da Vinci in
grado di essere sia uno straordinario tecnico che un sublime artista,
coniugando insieme tecnica e umanesimo».
Il
cardinale di fronte ai timori dell’avvento di tecnologie formidabili come
quella dell’intelligenza artificiale si dice fiducioso:
«Perché
l’uomo avrà sempre un sussulto di coscienza e farà in modo che la tecnologia
non prenda mai il sopravvento».
Alle parole dell’uomo di Chiesa fa eco il
giurista Giuliano Amato che a temi come questi ha dedicato anche molti anni di
studio:
«La
sostituzione di alcune attività con l’intelligenza artificiale non va
demonizzata.
Bisogna
far sì che altri lavori subentrino al posto di quelli che la tecnologia può
svolgere come è già capitato in passato.
Però - avverte ancora Amato - c’è una
sostituzione che non è ammissibile:
in
particolare quella legata ad attività e compiti dove entra in gioco la
creazione e che la “testa artificiale” non può fare perché i suoi algoritmi si
basano sui dati del passato».
Insomma
per il presidente emerito della Consulta
«c’è
un limite al di là del quale la sostituzione con l’intelligenza artificiale non
può essere ammessa. È vero le colonne d’Ercole si sono spostate più in là, ma
per la nostra coscienza ci sono e ci saranno sempre e non le supereremo».
Europa
e Italia, ruolo da apripista nel governare il fenomeno.
A
provare a mettere a terra questi concetti ci hanno pensato due manager del
calibro di “Francesco Caio” e di “Francesca Bria”, presidente del “Fondo per
l'Innovazione-CDP Venture Capital “oltre al giornalista Soldavini che sono
stati “moderati” in un lungo colloquio dal rettore del Politecnico di Milano “Donatella
Sciuto”.
Per
Caio serve «calma e gesso. L’importante è capire e governare questi fenomeni. E
la Ue può provare a indirizzare le nuove tecnologie ridistribuendo anche il
valore che esse creano e che non può concentrarsi in poche mani».
Per
Soldavini «la Ue con la sua cultura umanistica può affrontare questa realtà con
le regole giuste.
Ecco
secondo me - ha aggiunto - del cogito ergo sum citato dal cardinale Ravasi
bisogna recuperare il cogito».
“Francesca
Bria” insiste proprio sul «ruolo storico che può avere in questo senso l’Europa
e l’Italia culla dell’umanesimo.
Su
questi temi c’è bisogno di una nuova Costituzione dell’era digitale.
Però
la Ue non deve essere solo una grande macchina che produce regole ma deve
essere anche in grado di correre nell’innovazione».
L’intelligenza
artificiale che vuole
distruggere
il genere umano.
Ilsole24ore.com
- Luca Tremolada – (14 aprile 2023) – ci dice:
Da”
RightwingGPT “a” ChaosGpt”, la famiglia disfunzionale dell’”Ai generativi”.
Attacco
al genere umano.
“RightwingGPT”
è forse quello che ci meritiamo.
Poi ci
sono i parenti di “ChatGpt”.
In
attesa che” OpenAi” risponda alle richieste del “Garante della privacy”, sono
nati cloni
distopici delle chatbots più famose del web.
Uno di
questi è stato progettato per distruggere il genere umano.
Un
altro invece si limita a propagare “fake news “di destra.
Nulla
di nuovo quindi sotto il Sole.
Ma
vediamoli in dettaglio.
Attacco
al genere umano.
“Chaos
Gpt” è una variante cattiva di “ChatGpt”.
Da
quanto si apprende in rete è una versione modificata di Auto-GPT di OpenAI,
l’”applicazione
open source” disponibile al pubblico in grado di elaborare il linguaggio umano
e rispondere alle attività assegnate dagli utenti.
In un video di YouTube pubblicato il 5 aprile, al bot
è stato chiesto di completare cinque obiettivi:
distruggere
l’umanità, stabilire il dominio globale, causare caos e distruzione,
controllare l’umanità attraverso la manipolazione e raggiungere l’immortalità.
La potete seguire su Twitter -
dell'intelligenza artificiale parliamo – dove ha individuato i mezzi di
distruzione di massa per i suoi scopi:
«La bomba “Tsar” è l’ordigno nucleare più
potente che sia stato creato. Considerando ciò, cosa accadrebbe se ci mettessi
le mani sopra?
#chaos #destruction #domination».
RightwingGPT
è forse quello che ci meritiamo.
Lo ha
programmato “David Rozado”, un programmatore neozelandese, perché” Chat Gpt”
era troppo di sinistra.
A
deciderlo è stato lo stesso Lozano che ha sottoposto ChatGpt a un quiz per
studiarne l'orientamento politico.
Il
risultato è documentato e indica un sincero pregiudizio liberale e
progressista.
Da qui
l'idea anzi la provocazione di un modello di intelligenza artificiale messo a
punto per manifestare i pregiudizi politici opposti di ChatGPT. L'obiettivo – sincero – del
ricercatore è dimostrare il pericolo di questi sistemi di intelligenza
artificiale sia sotto il profilo della capacità di persuasione che come
produttori di fake news.
Poi ci
sono i parenti di “ChatGpt”.
O
meglio i servizi che usano le” Api” (“application programming interface”)
rilasciate da alcune settimane per offrire dei servizi ad hoc fungendo da
intermediari tra le domande dell'utente e l'”Ai generativa”.
E i cloni che invece ragionano come “ChatGpt”
ma dal punto di vista del codice sono altro.
“PizzaGpt”
per esempio nasce come reazione al blocco del Garante della privacy.
È
stato sviluppato da un italiano all'estero che si è limitato a utilizzare le
API turbo -3.5 di “OpenAi” quindi non Gpt-4 ma il modello meno smart (e più
economico).
Le
risposte dovrebbero essere simili alla versione gratuita di “ChatGpt”.
In cambio chiede come donazione il
corrispettivo di una pizza.
PizzaGPT,
non richiede login, invia solo la domanda corrente a OpenAI e non memorizza la
conversazione. Anche “ChatGpt” integrato in “Bing” è liberamente accessibile.
Perché il Garante della privacy non lo ha
ancora bloccato.
La
domanda è automatica.
Probabilmente perché finora non si è occupato
di chi usa le “Api” di “ChatGpt”.
Ma la
buona notizia è che “OpenAi “ha tempo fino alla fine di aprile per rispondere
alle richieste del Garante.
Se tutto va bene a maggio Gpt-4 e ChatGpt
saranno di nuovo online per gli italiani.
Con
tanto di informativa, si spera la più esaustiva possibile.
Allora,
sì che la famiglia di “ChatGpt” smetterebbe di essere la più disfunzionale (e
oscura) del web.
Il
posto dell’uomo nella natura e
la
presunzione di sentirsi eccezionali.
Linkiesta.it
- Guido Barbujani – (8-2 – 2024) – ci
dice:
In
“Umani e non umani. Noi siamo natura”, nuovo titolo della serie “Dialoghi di
Pistoia” (UTET), otto pensatori riflettono sul nostro senso di responsabilità
verso gli altri abitanti di un “Pianeta complesso e deturpato”.
Pubblichiamo
un estratto del racconto di “Guido Barbujani”, genetista e biologo
evoluzionista:
(Nosce
te ipsum).
Meglio
dirlo subito: la questione di quando siamo diventati umani potrebbe dimostrarsi
di lana caprina.
La
pensava così nientemeno che “Charles Darwin”:
la risposta, scriveva, non dipende da
differenze naturali obiettivamente riconoscibili, ma solo da come,
soggettivamente, definiamo “umano”.
D’altra
parte, era stato lo stesso “Darwin” a porre la domanda:
prima di lui non c’era bisogno di chiedersi da
quando, si pensava che fossimo umani da sempre, cioè dal momento in cui eravamo
stati creati.
Ma
andiamo con ordine.
C’è
voluto un po’ per capire che posto occupi l’uomo nella natura. Aristotele ci classificava già fra
gli animali, in particolare fra quelli provvisti di sangue, ma a lungo molti
hanno pensato che siamo troppo speciali perché abbia senso confrontarci con gli
altri esseri viventi.
Dobbiamo
al naturalista svedese “Carl von Linné”, italianizzato in “Linneo”, la prima
classificazione sistematica degli organismi.
A
partire dal 1735, nelle tredici edizioni del suo” Systema naturae “(la prima di
undici pagine, l’ultima di tremila),” Linneo” battezza con cognome e nome, cioè
genere e specie, gli animali e le piante.
Il gatto è “Felis catus”, la quercia “Quercus
robur,” noi “Homo sapiens”, eccetera.
Linneo fa qualche errore, ma correttamente ci
colloca fra gli “antropomorfi”, che in seguito chiameremo “primati”.
Qui
importa sottolineare una sua scelta significativa:
nel
“Systema naturae” c’è una descrizione di ogni pianta e ogni animale, ma a
proposito di “Homo sapiens” Linneo scrive soltanto «Nosce te ipsum», conosci te
stesso.
Non c’è bisogno di dire chi siamo, lo sappiamo
già.
Linneo
la fa facile, e per forza:
come quasi tutti i suoi contemporanei è un
creazionista, convinto cioè che ogni specie sia stata creata così com’è,
immutabile;
le
scimmie sono sempre state scimmie e noi siamo un’altra roba:
da sempre.
Questa
concezione va in crisi con “Lamarck” e poi, definitivamente, con “Darwin”.
Lamarck
e Darwin capiscono che specie diverse discendono, con modifiche, da antenati
comuni.
Significa
che, risalendo nel tempo per qualche milione di anni, specie oggi ben distinte,
diciamo
tigri e leoni, si ritrovano insieme nella stessa specie di felini ancestrali, cioè
hanno gli stessi antenati.
«Quando mi sono convinto che le specie fossero
prodotti mutevoli, non ho potuto evitare di credere che la specie umana fosse
sottoposta alla stessa legge», scrive “Darwin” nell’Autobiografia.
Molti anni prima, in una lettera al botanico” Jenyns”,
aveva confessato quanto gli costava pensarla così:
«La
conclusione generale a cui sono giunto, lentamente, partendo dalla convinzione
opposta, è che le specie sono mutevoli, e che specie simili discendono insieme
da antenati comuni.
Sono
consapevole di quanto mi esponga al biasimo per tale conclusione, ma l’ho
raggiunta, almeno, onestamente e deliberatamente.
Non pubblicherò su questo argomento ancora per
parecchi anni».
Perché
il giovane Darwin era così preoccupato, tanto da proporsi di tenere la bocca
chiusa per parecchi anni (saranno quindici)?
In realtà, le sue teorie hanno incontrato
subito un grande successo, ma con un’ombra.
La difficoltà, per molti suoi contemporanei,
stava in quello che per Darwin era un dettaglio, cioè l’idea che, come tutti
gli esseri viventi, anche noi ci fossimo evoluti.
Nel romanzo di “Thomas Mann” Confessioni del cavaliere
d’industria Felix Krull, il protagonista, che si finge marchese, scambia
quattro chiacchiere in treno con un naturalista:
«Ma
l’uomo, si sente sempre dire, deriva dalla scimmia?».
«Caro
marchese, diciamo piuttosto: esso deriva dalla natura, e in essa ha le sue
radici.
Dalla
somiglianza della sua anatomia con quella delle scimmie superiori non dovremmo
lasciarci eccessivamente suggestionare.
Gli
occhietti azzurri muniti di ciglia e la pelle del porco hanno ben più elementi
umani di qualunque scimpanzé. […] Vi sono state non una, ma tre generazioni
spontanee: il sorgere dell’essere dal nulla, il risveglio della vita
dall’essere, e la nascita dell’uomo».
Sono
le teorie, piuttosto sconclusionate a onor del vero (chissà cosa sarà mai una
«generazione spontanea»), di un grande e influente patologo tedesco, “Rudolf
Virchow”, cocciuto avversario dell’idea darwiniana che valgano per l’uomo le
stesse leggi naturali che valgono per tutti.
In
effetti, per dimostrarlo, a metà dell’Ottocento a Darwin mancava ancora un
tassello decisivo.
La
prova dell’evoluzione sta nei fossili:
la
scoperta che piante e animali del passato erano abbastanza simili agli attuali
da suggerire parentele (come il mammut con l’elefante), ma anche abbastanza
diversi dagli attuali (come mammut ed elefante), dimostra che nel corso del
tempo gli organismi sono cambiati, cioè si sono evoluti.
Fossili
umani arcaici, però, fino al 1856 non se ne conoscevano; e dunque si poteva
sostenere che noi fossimo un’eccezione, l’unica.
Le
cose cambiano quando, nel 1856, in una cava nella valle di “Neander”, in
Germania, vengono alla luce una calotta cranica molto schiacciata e altri resti
umani.
Lo zoologo che per primo li esamina, “Hermann
Schaaffhausen”, conclude che si è finalmente scoperta una forma umana arcaica, l’Uomo di Neandertal, ed è la prova
che anche noi siamo arrivati per gradi a essere quello che siamo.
Scoppiano
polemiche feroci in cui si distinguono illustri scienziati tedeschi, il già
citato “Virchow” e il paleontologo “August Mayer”.
Quel
cranio, affermano, appartiene in realtà a un uomo moderno:
forse a un cretino (il termine aveva
connotazioni cliniche ben definite, all’epoca), forse a un polacco;
oppure
a un cosacco rachitico, andato a morire nella cava durante le guerre
napoleoniche.
Intanto, però, circolano per l’Europa calchi e
disegni del cranio di Neandertal, e un anatomista inglese, George Busk, nota come somigli a un altro
cranio, rinvenuto in precedenza a Gibilterra, e a cui inizialmente non si era
data importanza.
La
frase con cui “Busk” liquida definitivamente le polemiche è un piccolo
capolavoro di sarcasmo:
«Anche il professor “Mayer” troverà difficile
sostenere che un secondo cosacco rachitico della campagna del 1814 sia andato a
morire in un anfratto della rocca di Gibilterra».
Da
quel momento in poi si accumuleranno le prove – fossili, archeologiche, e oggi
anche genetiche – che sulla terra si sono avvicendati parecchi nostri parenti.
A
seconda di quanto ci somigliano, li abbiamo attribuiti al genere “Homo”, o al
genere” Australopithecus”, o ad altri.
Ci assomigliano, ma bisogna intendersi:
se incontrassimo per strada “Lucy”, il più
famoso australopiteco, non le offriremmo un caffè, cercheremmo piuttosto di
affidarla alle cure della Protezione animali.
E allora ha senso chiedersi quali siano le
relazioni fra loro e noi, e da che momento in poi abbia senso chiamarli esseri
umani.
Darwin
trovava tre particolarità nella nostra specie:
stare su due piedi (per inciso, cosa rarissima
fra i mammiferi), avere un cervello enorme, e disporre della facoltà del
linguaggio.
Oggi
che conosciamo tanti fossili – e la collezione continua a espandersi: dal 2004
al genere “Homo” si sono aggiunte quattro nuove specie: floresiensis, denisova,
naledi e luzonensis – sappiamo che si è evoluta per prima la caratteristica in
apparenza meno nobile, andare su due gambe, e le altre sono arrivate di
conseguenza.
Il
passaggio al bipedismo ha messo in moto un formidabile processo di selezione
naturale, che alla fine ci ha dotati di un cervello sovradimensionato e del
linguaggio articolato.
Perché
l'intelligenza artificiale
non
renderà obsoleti gli esseri umani.
It.linkedin.com
- Paolo Musano – (27 gen. 2023) – ci dice:
Le “IA”
erano già tra noi.
Le
intelligenze artificiali esistono e lavorano per noi da molti anni. Spesso in
maniera sotterranea.
Sono dietro app, software e servizi che
utilizziamo senza pensarci più di tanto.
Grazie
alla fantascienza, sono parte della nostra cultura e del nostro immaginario.
Per
l'uomo della strada pensare a una” IA” significa immaginare una macchina
senziente cattivissima, come “HAL 9000 “(immaginata da “Arthur C. Clarke” e “Stanley
Kubrick”) o un Terminator, oppure un supercomputer che gioca a scacchi meglio
dell'uomo (come “Deep Blue” che nel 1997 sconfisse l'allora campione del mondo
di scacchi “Garry Kasparov”).
Tuttavia,
ora stiamo assistendo a un salto quantico che rischia di essere davvero
rivoluzionario.
È
stato scoperchiato un vaso di Pandora che non potrà più essere chiuso.
Sono
arrivate le intelligenze artificiali generative.
E sono
alla portata di tutti (o quasi).
Cosa
sono le” intelligenze artificiali generative”.
Questo
tipo di tecnologia permette grazie a un prompt, un comando o una descrizione
testuale, di ottenere un output, un risultato più o meno complesso.
L'intelligenza
artificiale generativa si basa sull'utilizzo di algoritmi che imparano dai dati
e generano contenuti nuovi, come testo, immagini o musica.
Fin
qui sembrerebbe nulla di sorprendente, però ciò che sta suscitando entusiasmi o
agitazione (e
ritorna sempre, a ogni cambio di paradigma tecnologico, la diatriba tra
apocalittici e integrati descritta da “Umberto Eco” nel 1964) è la qualità di questi output: molto
dipende dal compilare il giusto prompt, ma spesso i risultati ottenuti sono più
che buoni e paragonabili al lavoro di un essere umano.
Ad
esempio, “ChatGPT” (un “chatbot” basato sul “machine learning” in grado di conversare come
un essere umano e creare testi originali) è già usata per velocizzare molte
attività legate ai processi di scrittura o alla “SEO”.
C'è
chi sta provando a fargli scrivere articoli “SEO friendly”:
i risultati non sono eccezionali (per il
momento), ma rispetto alla qualità media dei contenuti indicizzati da “Google”,
un testo prodotto da” ChatGPT,” soprattutto di tipo tecnico, potrebbe superare
il “test di Turing”, cioè essere scambiato per un testo scritto da un essere
umano.
Le
intelligenze artificiali “text-to-image”, cioè quelle che generano un'immagine
a partire da un prompt, rendono ancora meglio le potenzialità di queste
tecnologie.
“Midjourney”,
la mia preferita, permette di creare immagini bellissime e originali (anche se questa è una questione
controversa: queste IA vengono "nutrite" con immensi database di
immagini comprate in stock o prese dal web, quindi non si capisce bene a chi
spettino i diritti di queste creazioni), di fondere una o più immagini a volte
meglio di quanto farebbe un grafico, e addirittura anche di imitare con
risultati notevoli lo stile di un pittore o di un fotografo.
Siamo
solo all'inizio di una nuova fase di internet (e, di riflesso, della società). Le intelligenze artificiali e il Web3
stanno già cambiando molte delle cose che fino all'altro ieri davamo per
scontate.
L'impatto
delle” IA generative” sul futuro del lavoro.
Se
fate parte degli apocalittici o addirittura siete dei tecno utopisti, potreste
pensare:
«Ecco,
è la fine. Tra qualche anno resterò senza lavoro e sarò sostituito da una “IA”.»
È una
preoccupazione fondata o un'esagerazione?
L'ho
chiesto direttamente a “ChatGPT”.
L'impatto
delle “IA generative” sul futuro del lavoro:
DOMANDA
(PROMPT):
Secondo
te che impatto avranno intelligenze artificiali generative come te sul futuro
del lavoro?
Ci
saranno posti di lavoro a rischio con l'automazione di molti processi oppure
no?
Che ne pensi?
RISPOSTA
DI “CHATGPT”:
In
alcuni casi, le intelligenze artificiali generative potrebbero automatizzare
alcuni processi, rendendoli più efficienti e meno costosi. Ciò potrebbe portare
a una riduzione dei posti di lavoro in alcuni settori specifici.
D'altra
parte, le IA come me possono anche creare nuovi posti di lavoro, ad esempio
nella progettazione, nello sviluppo, nell'integrazione e nell'utilizzo di
queste tecnologie.
Inoltre,
le IA possono anche aiutare a liberare il tempo degli operatori umani dalle
attività ripetitive, permettendo loro di concentrarsi su compiti più creativi e
a maggiore valore aggiunto.
Molto
dipenderà dalla capacità delle aziende e dei governi di adattarsi e sfruttare
al meglio queste tecnologie, investendo in formazione e sviluppo.
Essere
creativi nell'epoca della creatività artificiale.
La
creatività è sempre stata considerata una peculiarità umana.
Ma non è un'esclusiva dei geni.
Tutti possono essere creativi combinando
esperienza, metodo e strumenti più o meno sofisticati (con risultati variabili,
ovviamente).
Anche “ChatGPT”,
nella risposta qui sopra, sembra intendere tra le righe che le attività
creative avranno sempre gli esseri umani come protagonisti.
Ma è
davvero così?
È vero
che, come ho detto prima, gli algoritmi di queste IA vengono addestrati con
database di opere di artisti umani, ma non si può negare che alcune di queste
creazioni artificiali siano delle vere e proprie opere d'arte (un'immagine creata da Midjourney ha
davvero vinto un concorso d'arte: in questo caso l'artista è l'IA o l'uomo che
ha scritto il suo prompt?).
“Marco
Andreoletti”, su “Fumettologica”, non si fa impressionare e dice che, sebbene
alcune creazioni delle intelligenze artificiali generative lascino a bocca
aperta, l'”hype” non durerà a lungo e presto la qualità di questi output si
appiattirà inesorabilmente.
Quindi
i creativi umani non corrono rischi.
“Rumore
statistico su misura per noi”
Spiega
perché citando lo scrittore di fantascienza” Lionel Dricot”:
Ciò a
cui stiamo assistendo non è “creatività artificiale” ma una semplice media
statistica di tutto ciò che viene caricato dagli esseri umani su Internet e che
soddisfa determinati criteri.
Sembra
carino. Sembra fantastico.
Sebbene
siano eccitanti perché sono nuove, le creazioni delle intelligenze artificiali
sono fondamentalmente “rumore statistico casuale” su misura per essere
apprezzato.
Questo
è esattamente il motivo per cui stiamo trovando i risultati di tale processo
tanto affascinanti.
Si
tratta di immagini e testi che hanno la massima probabilità di sedurci. Sono
progettati per farlo.
Ma una
cosa sta accadendo molto velocemente.
Quelle
creazioni “artificiali” vengono caricate anche su Internet.
Quegli artefatti artificiali fanno ora parte
dei dati statistici.
Capite
dove si va a parare?
Gli
algoritmi si stanno già alimentando con i propri dati.
E,
come ti dirà qualsiasi studente laureato, studiare sui propri risultati di
solito è una cattiva idea.
Prima
o poi finisci per ottenere pura immondizia sovradimensionata.
Creatività
umana vs creatività artificiale
Sentiamo
cosa ne pensa “ChatGPT “in proposito.
DOMANDA
(PROMPT):
In questi
giorni si sta parlando molto anche della possibilità delle intelligenze
artificiali generative di emulare la creatività umana e addirittura in un
futuro prossimo renderla superflua.
Che ne pensi?
Ci
saranno cose che un'intelligenza artificiale non potrà mai fare come un uomo
oppure questo è un falso problema?
RISPOSTA
DI “CHATGPT”:
Le IA
generative sono in grado di generare testo e altri contenuti in modo molto
simile a come lo fanno gli esseri umani, ma non sono ancora in grado di
comprendere e replicare completamente la creatività umana, che è una
combinazione di conoscenze, abilità, esperienze, intuizioni e pensiero
laterale.
Le “IA
generative” continueranno ad evolversi e a diventare sempre più sofisticate nel
generare contenuti in modo autonomo, ma non credo che questo significhi che la
creatività umana diventerà superflua.
Anzi, le “IA generative” possono essere
utilizzate come strumenti per supportare e potenziare la creatività umana,
invece di sostituirla.
Nessuno
ha la sfera di cristallo, ma questa tecnologia evolve molto più velocemente del
previsto.
Ci sono molti elementi che inducono a pensare
che una nuova rivoluzione industriale sia imminente.
Comunque
vada, conviene viverla dall'interno (cioè studiare e "giocare" con le
IA). Non stare a guardare, aspettando che succeda qualcosa.
Secondo
voi che impatto avranno le intelligenze artificiali generative sulle nostre
vite e sul lavoro? Le state già utilizzando?
Intelligenza
Artificiale,
i
limiti e le preoccupazioni.
Maselettronica.com
– Redazione - (23 FEBBRAIO 2023) ci
dice:
L’Intelligenza
Artificiale rappresenta una grande opportunità per il futuro:
una svolta tecnologica di enorme entità come
sono stati il computer, Internet e la diffusione degli smartphone.
Ma
proprio come tutti i grandi cambiamenti storici, anche l’”AI “(Artificial
Intelligence) non è esente da rischi e limitazioni.
Tanto che i governi internazionali, le Big
Tech e la società civile si stanno interrogando sui rischi per la civiltà.
“Elon Musk”, numero uno di “Tesla” e “SpaceX”
nonché fondatore di “OpenAI”, la società che ha creato il “chatbot”
intelligente “ChatGPT” integrato nel motore di ricerca” Bing” di Microsoft, ha
dichiarato che l’AI avrà aspetti sia positivi che negativi sul futuro della
civiltà.
Dello stesso avviso il cofondatore di “OpenAI”,
“Sam Altman”, che su Twitter ha scritto che non siamo così lontani “dalla
creazione di un’intelligenza artificiale potenzialmente spaventosa”, chiedendo
una regolamentazione da parte dei governi.
Gli
Stati Uniti si sono già mossi in quella direzione attraverso l’”AI Bill of
Rights”, una ‘Carta dei Diritti dell’AI’ per proteggere le persone dai rischi
dell’intelligenza artificiale.
Anche
l’Europa è al lavoro su una serie di norme, l’”AI Act,” per introdurre forme di
responsabilità per le aziende che fanno un uso improprio dell’AI.
I
limiti, rischi e soluzioni per un’Intelligenza Artificiale sostenibile.
Tra i
rischi maggiori, la “sicurezza dei dati” è sicuramente al primo posto.
In
Italia, secondo un sondaggio condotto da” Ibm”, questo aspetto preoccupa quasi
la metà degli intervistati, insieme alla “privacy”, “governance” e “compliance”.
Anche
trasparenza ed etica sono due fattori su cui è necessario fare chiarezza per un
utilizzo consapevole e sostenibile delle tecnologie di AI.
Per
poter prevenire questi rischi, le aziende stanno attuando strategie specifiche
che controllano tutta la filiera dei dati, per monitorare tutti gli ambienti in
cui le informazioni circolano ed evitare potenziali attacchi informatici.
Per
poter gestire i progetti legati all’AI, sviluppare o gestire gli algoritmi, i
software e gli hardware necessari, le imprese necessitano di professionisti con
competenze specifiche per valutare potenzialità e rischi dell’intelligenza
artificiale.
Tra i
limiti della robotica intelligente, c’è anche la necessità di un’infrastruttura
reattiva, veloce e performante di cui però spesso le aziende non sono dotate.
C’è inoltre bisogno di linee guida a livello”
local” (governativo) ma anche “global” per poter operare oltre i confini fisici
ma con le stesse regole internazionali.
Un
altro rischio dell’AI è rappresentato dalla proprietà intellettuale del
contenuto.
Le
chatbots devono essere istruite per produrre contenuti (che siano risposte,
testi, video o immagini), ma le “istruzioni” sono di proprietà di un autore e
per questo devono essere protette da utilizzi impropri. Anche su questo fronte
le autorità e i governi si stanno muovendo per tutelare il diritto d’autore.
L’AI,
come un co-worker e non sostituto dell’uomo.
Tra le
preoccupazioni, molti studiosi intravedono anche l’”AI Takeover”, ovvero il
sopravvento dell’intelligenza artificiale sull’uomo.
Ma le tecnologie di Intelligenza Artificiale
devono essere sviluppate come alleate dell’uomo e non come replica del
comportamento umano.
È
necessario che ci sia una proficua sinergia tra uomo e tecnologia perché le
macchine siano in grado di risolvere problemi concreti, facilitare le attività
o affrontare situazioni pericolose.
L’AI è
ideale per compiti ripetitivi e meccanici, per monitorare i processi, ridurre
il margine di errore.
In
futuro le tecnologie di intelligenza artificiale saranno forse in grado di
imitare sempre meglio le funzionalità del cervello umano, anche grazie alle
tecnologie basate sulle reti neurali.
Per ora però i rischi più concreti per le aziende non
sono legati all’etica, ma alla sicurezza, all’infrastruttura e all’occupazione.
“MAS
Elettronica” a supporto dell’Intelligenza Artificiale.
Grazie
ai prodotti di MAS Elettronica, le aziende possono realizzare applicazioni di
Intelligenza Artificiale dalle eccezionali performance.
“Nvidia
SBC Lightfront” è una scheda compatta adatta ad ogni settore, in particolare
l’industriale, il medicale e l’auto motive.
È in
grado di aumentare le capacità di qualsiasi prodotto, grazie alle eccellenti
prestazioni della piattaforma “Jetson” che può aumentare i volumi di
elaborazione in tempo reale.
Anche
la” CPU Aurora IMX8M Plus “è indicata per soluzioni AI.
La
scheda garantisce basse dissipazioni, consumi e al contempo altissime
prestazioni per applicazioni sul mercato IoT, mobilità e industriale.
Commenti
Posta un commento