Gli Stati Uniti (USA) vogliono il controllo del mondo.

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La democrazia è un governo

ideale per l'influenza ebraica.

Unz.com - THOMAS DALTON – (25 MARZO 2024) – ci dice:

 

La democrazia è diventata uno strumento nelle mani di quella razza [ebraica] che, a causa dei suoi obiettivi interiori, deve evitare la luce aperta, come ha sempre fatto e sempre farà.

Solo l'ebreo può lodare un'istituzione corrotta e falsa come lui.

(Adolf Hitler, Mein Kampf, 1924)

La democrazia è oggi definita in Europa come "un paese governato da ebrei".

(Ezra Pound, 1940)

 

Nel suo recente discorso sullo stato dell'Unione, “Joe Biden” ha fatto riferimento alla "democrazia" quasi una dozzina di volte.

 La democrazia, ha detto, è attualmente "sotto attacco" e "sotto attacco";

 la rivolta del 6 gennaio gli ha messo un "pugnale alla gola" ed è stata la sua "minaccia più grave".

Di conseguenza, la democrazia "deve essere difesa";

E in effetti, dobbiamo "abbracciarla".

O almeno così dice il nostro presidente che si è inchinato.

Il nostro vicepresidente poli-razziale parla in modo simile.

A proposito di “Donald Trump”, “Kamala Harris” ci informa che "dobbiamo riconoscere la profonda minaccia che rappresenta... alla nostra democrazia".

 Questo è stato un messaggio ricorrente da parte sua da anni.

Quando lei stessa si è candidata alla presidenza nel 2019, ha definito Trump "un pericolo chiaro e presente per la democrazia" e il tema non ha mai abbandonato il suo fianco.

 

I media mainstream non sono migliori.

 La battuta costante, sia a sinistra che a destra, è che la democrazia è tutto, la democrazia è minacciata (dal candidato X) e la democrazia deve essere protetta e difesa, a qualunque costo.

 L'”Atlantico” ci dice che “Trump” rappresenta "una minaccia sistemica per la democrazia".

“Trump”, a sua volta, definisce “Biden” "un distruttore della democrazia".

 E così via.

 La democrazia, a quanto pare, è importantissima, l'essenza stessa dell'America, e quell'unica cosa a cui tutto il resto deve cedere.

Si tratta, ha detto” Biden”, di una "causa sacra";

 La democrazia è la nostra religione secolare e il nostro Dio laico, tutto in uno.

 

In particolare, ci sono diversi presupposti qui, e diversi punti non dichiarati, che gettano una luce completamente nuova sulla nostra amata e "sacra" democrazia.

 Di particolare importanza sono quattro ipotesi, tutte false.

Questi sono:

In realtà abbiamo la democrazia.

La democrazia è una buona cosa.

L'unica alternativa alla democrazia è l'autoritarismo.

"Democrazia" è un concetto chiaro e ovvio.

Ancora una volta, tutte e quattro queste affermazioni sono false, e quindi l'attuale adorazione della democrazia da sinistra a destra collassa in un mucchio di sciocchezze.

Discuto tutte queste domande di seguito, ma in breve:

 I nostri attuali sistemi di governo negli Stati Uniti, in Canada e in Europa assomigliano alla vera democrazia solo di nome.

Quello che abbiamo è una falsa democrazia, o "democrazia", che viene usata per placare e stordire le masse in modo che non mettono in discussione le attuali strutture di potere dell'Occidente o cerchino alternative.

 È stato a lungo riconosciuto che gli Stati Uniti, per esempio, sono molto più vicini a un'oligarchia ("governata da pochi ricchi") che a una democrazia populista in cui prevale la volontà delle masse.

Fondamentalmente, però, le identità specifiche di quei "pochi ricchi" non vengono mai esaminate.

A parte questo, anche nel loro stesso funzionamento, i sistemi americani (e occidentali) sono ben lontani dalla vera democrazia, come mostrerò.

 

 La democrazia è un bene per coloro che ne traggono profitto direttamente: le élite, i ricchi, le celebrità, le pop star.

 Ma per la stragrande maggioranza delle persone nelle cosiddette nazioni democratiche, il costo per il loro benessere è straordinariamente alto e in gran parte non riconosciuto.

 

 Esistono infatti diverse alternative alla democrazia, la maggior parte delle quali le sono superiori, almeno se crediamo ai nostri pensatori più saggi in materia.

Anche a prima vista, la democrazia, in quanto "governo del popolo", è in realtà un governo di massa, o di massa;

e tutti sanno che il livello intellettuale e morale della massa è davvero molto basso.

Un'analisi di base di qualsiasi discorso elettorale conferma questo punto.

 

 Nel corso della storia, ci sono state molte varianti del modello democratico, per cui parlare di "democrazia" come idea unica e chiara è ridicolo.

Quasi tutti coloro che usano il termine oggi, e certamente coloro che detengono il potere, non hanno un'idea reale di quale sia la teoria.

 

Ma il punto centrale qui è che, soprattutto, la democrazia è un mezzo attraverso il quale una piccola ed invasiva minoranza – gli ebrei – si è dimostrata in grado di assumere il potere, acquisire vaste ricchezze e imporre in gran parte la propria volontà su una maggioranza non ebraica.

 il tutto mantenendo questi fatti in gran parte nascosti alla vista. "Democrazia", o governo del popolo, è ora una parola in codice per "giudeo-crazia", o governo degli ebrei.

 Come ciò sia avvenuto è una storia illuminante.

 

Democrazia o "democrazia"?

Quando le nostre figure di spicco parlano di democrazia, non è chiaro cosa intendano, né penso che loro stessi sappiano cosa intendono.

 È inutile parlare delle cose se non comprendiamo nemmeno le parole che usiamo.

 Quindi ecco una breve recensione; mi scuso con chi è già esperto in materia.

 

La vera democrazia originale fu inventata intorno al 550 a.C dall'antico legislatore greco “Clistene£, quando decise che "il popolo" (demeo demos ) doveva essere il potere supremo (kratos) nella città-stato di Atene.

Così, i cittadini maschi adulti – non le donne, non i nati all'estero – si riunivano regolarmente sulla cima di una collina di Atene per discutere le questioni del giorno e per votare su varie proposte, grandi e piccole; Lo hanno fatto apertamente e in svendita.

 In particolare, il popolo non ha votato per i singoli leader;

 quasi tutte le posizioni dirigenziali, compreso il leader dell'Assemblea (che era il presidente de facto della polis), sono state scelte a sorte, a caso, tra un gruppo di cittadini volontari.

 Immaginatelo:

il vostro presidente è stato scelto con “una sorte”!

Niente campagna, niente pubblicità, niente corruzione, niente tangenti, niente promesse senza senso:

basta tirare fuori un nome da un cappello.

 E ha funzionato.

 

Il sistema aveva i suoi pro e i suoi contro: da un lato, il governo era semplice, diretto e trasparente;

dall'altro, ogni uomo incolto e semi-ignorante aveva pari voce in capitolo rispetto al più saggio.

Metteva gli uomini inferiori alla pari con i più grandi e migliori.

E così facendo, "garantisce una sorta di uguaglianza sia agli uguali che ai disuguali".

Ma nel complesso, funzionò straordinariamente bene e pose le basi per il fiorire della cultura ateniese nei successivi 300 anni.

Ma man mano che Atene cresceva in dimensioni e potenza, e man mano che gli stranieri e gli schiavi aumentavano di numero, le questioni diventavano più complesse, il processo democratico diventava più macchinoso e la democrazia semplice e diretta faceva fatica ad adattarsi.

Pertanto, pensatori di spicco come Platone e, più tardi, Aristotele, iniziarono a esaminare le alternative.

Meglio della democrazia, diceva Platone, era l'Oligarchia:

il governo di pochi (ricchi).

Potrebbero essere avidi di denaro, ma almeno avevano alcune capacità di gestione e un interesse acquisito per la fioritura della nazione.

Meglio ancora era La Timocrazia, o il governo dei cercatori di onore. Piuttosto che sforzarsi di creare ricchezza, come avrebbero fatto gli oligarchi, i “timocrati” avrebbero enfatizzato l'onore e la gloria della città-stato;

questa è stata un'ottima opzione.

Ma la cosa migliore, diceva “Platone”, era un'aristocrazia: far governare il migliore, cioè il più saggio o il più giusto.

Un'aristocrazia potrebbe essere un piccolo gruppo di uomini saggi, oppure potrebbe essere un singolo individuo saggio;

 questo era in gran parte irrilevante.

 Ciò che era importante era che tu cercassi, educassi e addestrassi i tuoi uomini, o uomini, più saggi, e poi lasciassi che fossero loro a guidare.

 E questo, diceva Platone, è il massimo che l'uomo possa raggiungere.

 

La democrazia era una pessima alternativa, scrisse, ma c'era un sistema ancora peggiore: “la tirannia”.

La democrazia stessa era già una sorta di tirannia – dei cercatori di piacere, della "maggioranza" – ma un tiranno formale, come un singolo uomo, poteva governare impunemente, arricchire sé stesso e i suoi amici e portare alla rovina la polis.

Il tiranno era, in un certo senso, l'immagine speculare del saggio, aristocratico re filosofo del miglior sistema.

In entrambi i casi, un solo uomo governa, ma il tiranno non è né saggio né giusto, e ha semplicemente preso il potere con la forza;

 mentre il “sovrano aristocratico”, in virtù della sua saggezza e giustizia, assume giustamente il potere e lo esercita con la dovuta cura e discrezione.

 

Dei cinque sistemi di Platone, tutti, “tranne la tirannia”, potrebbero essere plausibilmente definiti "democratici", nel senso che il popolo aderisce volontariamente al sistema di governo.

Se il popolo accetta di mettere al comando un unico, saggio sovrano, e poi di conferirgli poteri dittatoriali, questa è "democrazia"?

 In un certo senso lo è, ma sarebbe diverso da qualsiasi forma occidentale attuale.

Probabilmente, questo è il sistema di governo oggi in Russia e, in misura minore, in Cina.

Entrambi i governanti sono "autocrati", nel linguaggio dei nostri oligarchi, ma in Russia ci sono elezioni nazionali in cui più persone partecipano al ballottaggio.

E anche se queste non sono "libere ed giuste", come ci piace dire, danno comunque la possibilità a un solo uomo di gestire efficacemente il Paese.

La Cina non prevede elezioni per il suo presidente, ma lo sceglie piuttosto il “Congresso nazionale del popolo”, formato da 3.000 membri.

Chiaramente non esiste un processo sistematico in nessuna delle due nazioni per cercare il sovrano più saggio, ma comunque entrambi i presidenti in carica hanno dimostrato di essere uomini di visione e sostanza, a differenza, per esempio, di praticamente ogni leader "democratico" occidentale degli ultimi decenni.

 La democrazia moderna, a quanto pare, è virtualmente progettata per produrre leader mediocri o incompetenti.

 E questo è esattamente ciò che otteniamo.

Ma per concludere il punto:

 la "democrazia" moderna non ha nulla a che vedere con l'originale ateniese.

 La "democrazia" è caratterizzata da una serie di caratteristiche che sarebbero state spaventose per i greci:

 ha il suffragio universale (le donne, le minoranze e i nati all'estero possono votare);

è un sistema rappresentativo, non diretto (si vota per i senatori e i deputati, che a loro volta votano sui temi);

votiamo per le persone, compreso il presidente;

e il denaro corruttore sgorga attraverso il sistema come un torrente, principalmente denaro ebraico, a quanto pare.

 

Il presidente “Biden”, il vicepresidente “Harris” e tutti gli altri politici capiscono la differenza?

 Certo che no.

Hanno studiato teoria politica? Improbabile, a dir poco.

 Hanno letto Platone o Aristotele? Mai.

Quando queste persone usano la parola "democrazia", letteralmente non sanno di cosa stanno parlando.

Chiaramente, la nostra "democrazia" moderna è qualcosa di molto diverso, qualcosa che è mutato dal nobile ideale greco, conservando solo il nome.

Peggio ancora, è diventato positivamente dannoso per il benessere nazionale.

 

Stato globale della democrazia.

Numerosi gruppi monitorano lo stato della democrazia in tutto il mondo, il più importante dei quali è l' Economist Intelligence Unit” (EIU) e il loro annuale " Indice di democrazia” .

Valutano 167 nazioni (tutte quelle con più di 500.000 abitanti) su una scala da 0 a 10.

 I punteggi da 8 a 10 sono considerate "democrazie complete" e quelli da 6 a 8 sono considerate "democrazie imperfette".

Le altre due categorie sono "regimi ibridi (o misti)" (da 4 a 6) e "regimi autoritari" (da 0 a 4).

 Secondo questa misura, 74 nazioni sono alcune versioni della democrazia, che rappresentano il 45% della popolazione mondiale.

 E quasi la stessa percentuale – circa il 40% – vive sotto sistemi autoritari, di cui i più grandi sono Cina e Russia.

Per il 2023, la nazione con il punteggio più alto è stata la Norvegia (9,81) e quella più bassa è stata l'Afghanistan (0,26).

Gli Stati Uniti si sono attestati a 7,85 ("imperfetto"), in calo rispetto a 8,22 ("pieno") del 2006.

 

Notiamo qui alcuni punti rilevanti.

Ancora una volta, la democrazia è indiscutibilmente descritta come buona e positiva.

La sua unica alternativa, l'autoritarismo, è descritta come negativa e malvagia (e abbinata alla parola distorta "regime").

 Qualsiasi movimento verso l'autoritarismo è un "declino" o un "declassamento" e qualsiasi movimento verso la piena democrazia è un "miglioramento".

 Purtroppo per quelli dell'EIU, la media globale è scesa nel 2023 al nuovo minimo storico di 5,23.

 

Significativo è anche il fatto che l'EIU è un'istituzione interamente ebraica.

È gestito dall' “Economist Group”, una società di media britannica di proprietà principalmente di “Exor” e della” famiglia Rothschild”.

 Exor è una holding olandese il cui attuale amministratore delegato è l'ebreo John Elkann.

Possiamo così comprendere la fissazione e la valutazione morale della democrazia nel mondo;

per gli ebrei è una questione importantissima.

 

Il punto di vista ebraico.

Quindi, come si inseriscono gli ebrei in questo quadro?

Qui abbiamo bisogno di un po' più di storia.

 Gli ebrei vennero alla ribalta per la prima volta tra le strutture di potere occidentali durante l'Impero Romano;

 emigrarono a Roma, fecero proselitismo tra la popolazione locale e si fecero strada in posizioni di influenza.

 Già nel 59 A.C, Cicerone osservò "quanto siano influenti nelle assemblee informali".

Nel 35 A.C, Orazio, in una delle sue Satire, tenta di persuadere il lettore di un certo punto:

 "e se non vuoi cedere, allora... proprio come i Giudei, ti costringeremo a cedere alla nostra folla".

Evidentemente, il loro potere di "persuasione" era notevole, anche allora.

L'imperatore Tiberio li cacciò da Roma nel 19 D.C e, nel 41 D.C,

 Claudio inviò una lettera agli alessandrini, incolpando gli ebrei "di fomentare una peste generale che infesta il mondo intero".

 Li avrebbe espulsi da Roma, ancora una volta, nel 49.

 

Chiaramente gli ebrei erano una minoranza importante e problematica.

Ma in un impero, spesso di origine ereditaria, non avevano praticamente alcuna capacità di assumere il potere diretto.

Corruppero vari funzionari con il loro oro e si unirono in reti per indebolire i nemici, ma la loro influenza fu sempre indiretta e limitata.

 

Quando Roma cadde e il cristianesimo salì al potere, gli ebrei furono nuovamente esclusi dalle stanze del potere. Sì, erano gli "eletti" di Dio, e sì, il loro Antico Testamento era visto come una parte legittima della parola di Dio;

 ma gli ebrei negavano le cosiddette rivelazioni di Cristo, negavano la sua divinità e furono persino implicati, forse direttamente, nella sua crocifissione.

 Gli ebrei potevano acquisire ricchezza attraverso l'usura e la finanza e potevano manipolare i nobili attraverso prestiti e favori finanziari, ma la loro strada verso il potere politico era ancora in gran parte bloccata.

 Le monarchie europee erano ereditarie e la Chiesa aveva una propria rigida gerarchia che escludeva rigorosamente i non cristiani.

Alcuni "conversos" o cripto-ebrei - ebrei etnici convertiti (onestamente o meno) al cristianesimo - potrebbero essere riusciti a raggiungere posizioni di potere, ma queste erano le eccezioni.

 

La democrazia si ristabilì lentamente in Europa intorno all'anno 1000 d.C., in luoghi come l'Islanda, l'Isola di Man e la Sicilia, ma fu sempre in concomitanza con il dominio monarchico.

Nei secoli successivi, i nascenti parlamenti europei lottarono per il potere sia contro i loro monarchi che contro la Chiesa.

È stata una battaglia a tre, senza un chiaro vincitore.

I parlamenti moderni e democratici apparvero per la prima volta nel 1200 in Inghilterra e Scozia, e questi sarebbero sicuramente stati corrotti dall'influenza ebraica, se gli ebrei britannici non fossero stati espulsi da Edoardo I nell'anno 1290.

L'Inghilterra rimase quindi essenzialmente libera dagli ebrei per quasi 400 anni, fino a quando “Cromwell” revocò l'editto di espulsione nel 1656.

Fu durante quei secoli proto-democratici, liberi dagli ebrei, che l'Inghilterra raggiunse molti dei suoi più grandi trionfi, sia in termini di cultura che di influenza mondiale.

Negli Stati Uniti, la creazione del paese nel 1776 e la ratifica della “Costituzione nel 1788 £stabilirono la democrazia, ma come per l'Inghilterra durante la sua Età dell'Oro, c'erano pochi ebrei – forse solo 3.000 o giù di lì – e quindi non potevano esercitare alcun effetto reale, se non come principali commercianti di schiavi.

Ma il loro numero crebbe costantemente, e nel 1855 c'erano circa 50.000 ebrei, che rappresentavano circa lo 0,2% del totale.

Questo può sembrare poco, e per qualsiasi altra minoranza sarebbe irrilevante, ma una volta che gli ebrei superano anche solo lo 0,1% di una popolazione, la corruzione inizia a farsi sentire.

 E infatti, a quel tempo, l'America aveva il suo primo rappresentante ebreo (Lewis Levin) e il suo primo senatore ebreo (David Yulee);

Gli ebrei stavano già facendo sentire la loro presenza a Washington.

Gli ebrei furono certamente attivi durante la guerra civile americana, tipicamente come agitatori e approfittatori.

Il generale “William Sherman” si lamentò del fatto che il “Tennessee” "brulica di ebrei disonesti che contrabbanderanno polvere, pistole, berretti a percussione, ecc. [al nemico]".

“Ulysses S. Grant” acconsentì, emettendo due ordini di espulsione degli "ebrei, come classe" dal “Tennessee” (cosa che Lincoln contravvenne). Alla fine, solo poche centinaia morirono in guerra, ma molti fecero fortuna.

 

Alla fine della guerra, gli ebrei americani erano circa 100.000, pari a circa lo 0,3% del totale.

Ma presto si sarebbero imbarcati in una crescita esponenziale;

nel 1940, l'America aveva circa 4,8 milioni di ebrei, ovvero circa il 3,9% della popolazione totale:

una ricetta per il “disastro totale”.

 

Gli ebrei e la democrazia europea.

Tornati in Europa, gli ebrei premevano per "riforme" democratiche in tutte le principali nazioni, sospettando o sapendo che avrebbero potuto usare questo sistema per aggirare finalmente i limiti fondamentali al loro potere posti dalle monarchie e dalla Chiesa.

 È un punto importante di svolta nell'avvento della democrazia fu “la Rivoluzione francese”.

Quell'evento "venne a costituire il mito dell'origine, la data di nascita di una nuova esistenza" per l'ebraismo europeo.

Nelle parole di “Vladimir Moss”, "fu la Rivoluzione francese che diede agli ebrei l'opportunità di irrompere in prima linea nella politica mondiale per la prima volta dalla caduta di Gerusalemme".

"La Rivoluzione fu un periodo climatico per gli ebrei francesi", scrive “Levy-Buhl”;

"Ha segnato l'inizio della loro emancipazione politica".

 

All'alba della Rivoluzione, nel 1789, c'erano circa 40.000 ebrei in Francia, ovvero circa lo 0,1% del totale, proprio a quella soglia in cui iniziano i guai seri.

Dopo la presa della Bastiglia e la formazione della neo-democratica Assemblea Nazionale, ci furono accesi dibattiti su cosa fare con gli ebrei di Francia.

Difensori degli ebrei come “Stanislas Clermont-Tonnerre” e “Henri Gregoire” fecero pressioni in loro favore, e grazie alle pressioni di ricchi ebrei francesi come “Herz Cerfbeer”, l'Assemblea alla fine accettò di dare agli ebrei pieni e uguali diritti civili il 27 settembre 1791.

Luigi XVI firmò il decreto il giorno successivo.

 

Armati, per la prima volta, di pieni diritti civili, gli ebrei francesi decisero evidentemente che ora potevano agire impunemente e con un vero fervore rivoluzionario.

 Come scrive” Paul Johnson” (1995),

"Per la prima volta, un nuovo archetipo, che era sempre esistito in forma embrionale, cominciò ad emergere dall'ombra: l'ebreo rivoluzionario. ...

Tra il 1793 e il 1794, i giacobini ebrei instaurarono un regime rivoluzionario a “Saint Esprit”, il sobborgo ebraico di “Bayonne”.

 Ancora una volta, come durante “la Riforma”, i tradizionalisti videro un legame sinistro tra la “Torah” [cioè l'Antico Testamento] e la sovversione".

 

E in effetti, non sarebbe passato molto tempo prima dell'avvento del “Regno del Terrore”, un periodo di rappresaglie particolarmente sanguinose che durò dall'estate del 1793 all'estate del 1794.

 Le cifre delle vittime variano, ma tra le 15.000 e le 45.000 persone perdono la vita quell'anno, molte delle quali con la ghigliottina.

 E i giacobini influenzati dagli ebrei guidarono la carica.

 

Molti francesi dell'epoca credevano sinceramente che, concedendo agli ebrei pieni diritti civili, avrebbero cessato di operare come una nazione ebraica e avrebbero vissuto come veri francesi.

Questa, purtroppo, era una visione ingenuamente sbagliata.

Napoleone salì al potere nel 1799 come primo grande leader della giovane Repubblica, e imparò rapidamente una dura lezione:

"che la gentilezza verso gli ebrei non li rende più trattabili".

Lo storico militare russo “Aleksandr Nechvolodov” ha descritto la situazione in questo modo:

 

Fin dai primi anni dell'Impero, Napoleone era diventato molto preoccupato per il monopolio ebraico in Francia e per l'isolamento in cui vivevano in mezzo agli altri cittadini, anche se avevano ricevuto la cittadinanza.

I rapporti dei dipartimenti mettevano in cattiva luce l'attività degli ebrei:

"Dappertutto ci sono false dichiarazioni alle autorità civili; I padri dichiarano figlie i figli che nascono loro. ... Ancora, ci sono ebrei che hanno dato un esempio di disobbedienza alle leggi della coscrizione;

su 69 ebrei che, nel corso di sei anni, avrebbero dovuto far parte del “contingente della Mosella”, nessuno è entrato nell'esercito".

 

Nel 1805, Napoleone era stufo degli ebrei.

Nel discorso al Consiglio di Stato del 30 aprile ha emesso questo duro rimprovero:

Il governo francese non può guardare con indifferenza mentre una nazione vile, degradata, capace di ogni iniquità, si impossessa esclusivamente di due bei dipartimenti dell'Alsazia; si devono considerare gli ebrei come una nazione e non come una setta [religiosa].

 È una nazione all'interno di una nazione;

Li priverei, almeno per un certo tempo, del diritto di contrarre ipoteche, perché è troppo umiliante per la nazione francese trovarsi alla mercé della nazione più vile.

Alcuni interi villaggi sono stati espropriati dagli ebrei;

Hanno sostituito il feudalesimo. ...

Sarebbe pericoloso lasciare che le chiavi della Francia, di Strasburgo e dell'Alsazia cadano nelle mani di un popolo di spie che non sono affatto legate al paese.

 

Tutto questo, quindi, come classica lezione sulla manipolazione ebraica dei diritti e dei privilegi democratici.

Guardando indietro con il senno di poi e con una certa prospettiva storica, lo scrittore francese “Edouard Drumont” scrisse nel 1886 che "l'unico gruppo che la Rivoluzione ha protetto sono gli ebrei".

 

Nel ventesimo secolo.

E a parte la rivoluzione, cosa hanno fatto esattamente gli ebrei europei con i loro nuovi privilegi democratici conquistati a fatica?

Acquisirono ricchezza e influenza politica.

“Drumont” scrisse, sorprendentemente, che "gli ebrei possiedono la metà del capitale mondiale".

Dei 150 miliardi di franchi stimati di ricchezza totale in Francia all'epoca, sosteneva che "gli ebrei ne possiedono almeno 80 miliardi", o poco più della metà.

Un'affermazione notevole, ma che, anche se esagerata, indica certamente che gli ebrei avevano abbastanza ricchezza per ottenere una potente influenza nella Francia democratica.

 

In tutta l'Europa democratica, gli ebrei usarono la loro ricchezza per far leva sui politici, per acquisire influenza, per acquisire mezzi di informazione e per assumere posizioni di potere direttamente, attraverso elezioni popolari.

Al tempo delle guerre napoleoniche tra Inghilterra e Francia (intorno al 1810), la società bancaria Rothschild finanziava e traeva profitto da entrambe le parti della guerra.

Nel 1850, l'Inghilterra contava circa 40.000 ebrei e stava appena superando la soglia critica dello 0,1%;

nel 1868 ebbero il loro primo ministro ebreo in “Benjamin Disraeli”.

 Nel 1869, il compositore” Richard Wagner” poteva lamentarsi di una stampa europea "interamente diretta da ebrei".

Nel 1873, lo scrittore “Frederick Millingen” poteva scrivere in modo significativo e concreto della "conquista del mondo da parte degli ebrei".

Questo è ciò che la democrazia moderna ha significato per gli ebrei: vasta ricchezza e dominio globale:

cosa meravigliosa per loro, disastrosa per tutti gli altri.

 

Nel 1900 "l'America Democratica" era un vero e proprio paradiso ebraico.

 La popolazione ebraica aveva superato 1 milione, per arrivare a 2 milioni nel 1910 ea 3,5 milioni nel 1920.

 Teddy Roosevelt, che "dichiarò due volte che i suoi antenati erano ebrei"-divenne presidente nel 1901, a causa del conveniente assassinio di William McKinley. “Teddy” nominò “Oscar Straus” nel suo gabinetto nel 1906, il primo ebreo a ricoprire una tale posizione.

 Il presidente successivo, “William Taft”, cercò di mantenere la posizione sul potere ebraico, ma fallì;

nel dicembre 1911, gli ebrei americani avevano una tale presa sul Congresso da “imporre l'abrogazione del patto commerciale di lunga data tra Stati Uniti e Russia”, ignorando la minaccia di veto di Taft.

E nel 1912, il "loro uomo" “Woodrow Wilson” sarebbe diventato presidente, promuovendo gli interessi ebraici su diversi fronti.

Non dovremmo mai dimenticare le fatali parole di “Wilson”, pronunciate dopo aver gettato l'America nella prima guerra mondiale nell'aprile 1917:

"Il mondo deve essere reso sicuro per la democrazia".

Anzi, per la "democrazia" del potere ebraico.

 

Solo la Germania riuscì a respingere l'ondata giudeo-democratica del diciannovesimo secolo.

La Confederazione tedesca degli Stati indipendenti e monarchici, dal 1815 al 1871, riuscì in gran parte a evitare i movimenti democratici che attraversavano l'Europa.

La Germania divenne uno stato unito – in realtà, un impero – nel 1871, governato dal “Kaiser Guglielmo I” e dal cancelliere “Otto von Bismarck”.

“Guglielmo II” prese il potere nel 1888, mantenendolo fino alla sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale nel 1918.

 

I 300.000 ebrei tedeschi erano in agitazione contro l'imperatore da anni, ed erano sicuramente ansiosi di attuare le riforme "democratiche" che avevano portato un favoloso successo ebraico in altre nazioni.

Durante la prima guerra mondiale, i rivoluzionari ebrei combatterono per il rovesciamento del Kaiser;

 Attivisti degni di nota furono “Rosa Luxemburg”, “Hugo Haase”,” Karl Liebknecht” e “Karl Radek” nel nord, e “Kurt Eisner”, “Ernst Toller” e “Eugen Levine” nel sud.

 Dopo la resa della Germania e l'abdicazione del Kaiser, altri ebrei, come “Paul Levi”, “Otto Landesberg” e “Walter Rathenau,” presero il comando e crearono il nuovo regime "democratico" di Weimar. Cominciarono così 15 anni di dominio ebraico in Germania.

Non sorprende che una storia svolta degli eventi colpì duramente un certo numero di tedeschi, tra cui un certo Adolf Hitler, che era un giovane di 29 anni, appena uscito dalle trincee, quando gli ebrei presero il controllo.

Dai suoi anni a Vienna, conosceva già in prima persona l'effetto pernicioso degli ebrei sulla società, ma ora lo vedeva svolgersi ai più alti livelli:

nella capacità di spodestare il Kaiser, di imporre la sconfitta alla nazione tedesca e di prendere il potere.

 Nel giro di tre anni, l'esplosione iniziò a distruggere l'economia tedesca, e l'iper espansione del 1922 e del 1923 cancellò tutti i risparmi personali e rese impossibile la vita quotidiana.

Ma almeno la Germania era una democrazia (ebraica).

 

Nel Mein Kampf, scritto tra il 1924 e il 1925, Hitler offrì una critica straordinariamente perspicace della democrazia.

Partendo da una visione inizialmente innocente della bontà della democrazia, iniziò a studiare il sistema parlamentare di Vienna e rimase sconvolto da ciò che vide.

L'idea è che i funzionari eletti in massa, che sono, nella migliore delle ipotesi, competenti in una o due aree rilevanti, siano chiamati a prendere decisioni in tutte le aree di interesse governativo.

Quel che è peggio, grazie alla "regola della maggioranza" i parlamentari possono nascondersi dietro le decisioni della maggioranza ed evitare così ogni senso di responsabilità personale.

Ad un certo punto del testo, Hitler collega addirittura i mali della democrazia con quelli del marxismo:

La democrazia occidentale, così come viene praticata oggi, è il precursore del marxismo.

 Quest'ultimo, infatti, sarebbe inconcepibile senza il primo.

La democrazia è il terreno fertile in cui i bacilli del parassita del mondo marxista possono crescere e diffondersi.

 Con l'introduzione del parlamentarismo, la democrazia ha prodotto un «abominio della sporcizia e del fuoco», il cui fuoco creativo, tuttavia, sembra essersi spento.

 

Sia la democrazia (moderna) che il marxismo riflettono fenomeni ebraici che favoriscono il potere ebraico;

 entrambi sono materialisti e agnostici o a-spirituali;

 entrambi elevano persone mediocri o maliziose a posizioni di potere: entrambi sono "universali" nel senso che non sono radicati in popoli o nazioni specifiche;

ed entrambi sono distruttivi per il benessere umano.

 

Più precisamente, attraverso una forma di democrazia parlamentare rappresentativa, forze esterne, individui e organizzazioni particolarmente ricche possono intervenire e influenzare fortemente chi viene eletto o come agiscono gli eletti.

In entrambi i casi, la democrazia diventa "uno strumento nelle mani" degli interessi del gruppo ebraico, diceva Hitler;

 e ancora meglio, l'ebraismo può farlo sullo sfondo, nascosto, fuori dalla vista, "evitando la luce aperta".

 In combinazione con il controllo dei principali mezzi di comunicazione – come avviene oggi negli Stati Uniti e nella maggior parte dell'Europa – gli ebrei possono rimanere quasi del tutto invisibili al grande pubblico e quindi agire con relativa impunità.

 Ed è così, anche se alcune persone ben informate dell'"estrema destra" sanno il contrario.

Possiamo quindi vedere che la democrazia moderna serve perfettamente gli interessi ebraici.

La "libertà" e i diritti concessi agli ebrei consentono loro di accumulare vaste ricchezze.

 Con questa ricchezza in mano, possono quindi:

(a) acquistare partecipazioni di controllo nei mass media e

 (b) acquistare politici, che a loro volta eseguono i loro ordini.

 Attraverso i mass media, poi nascondono i propri ruoli e il loro effetto sui politici, mantenendo il pubblico confuso e all'oscuro riguardo alle manipolazioni del loro sistema politico.

I candidati filo-ebraici sono gli unici presi sul serio (dai media ebraici e dai politici filoebraici) e quindi sono gli unici in grado di vincere le elezioni.

Le masse poi votano in condizioni di ignoranza, paura, rassegnazione o disperazione.

Il sistema della democrazia ebraica, o giudeo crazia, quindi si rafforza e si consolida, bloccando i suoi guadagni e bloccando qualsiasi individuo o gruppo che potrebbe rappresentare una minaccia per questo sistema.

Questo era certamente il caso in Europa all'inizio della seconda guerra mondiale.

 Le principali nazioni "democratiche" di Inghilterra e Francia (prima del 1940) erano in gran parte sotto il controllo ebraico.

 Al contrario, ci furono diversi leader europei non democratici e quasi fascisti che riuscirono a tenere sotto controllo la propria popolazione ebraica;

 questi includevano “Dollfuss” in Austria, “Pétain” in Francia (post-1940), “Metaxas” in Grecia, “Quisling” in Norvegia, “Salazar” in Portogallo, “Antonescu” in Romania,” Tisoof” in Slovacchia e “Franco” in Spagna.

 Quindi c'era infatti una stretta correlazione tra il fatto che una nazione fosse "democratica" e il suo essere sotto il controllo ebraico.

Il poeta americano “Ezra Pound” non era lontano dal bersaglio quando scrisse: "La democrazia è attualmente definita in Europa come 'un paese gestito da ebrei'".

Dopo la loro vittoria nella seconda guerra mondiale, gli ebrei democratici cavalcarono l'onda del successo, consolidando il loro controllo e accumulando ancora più ricchezza.

Attraverso le strutture economiche stabilite nel 1944 a “Bretton Woods”, ebrei americani come “Harry Dexter White”, “Jacob Viner” e “Henry Morgenthau Jr. riuscirono a far passare un sistema di controllo economico globale basato sul dollaro USA e sostenuto da nuove istituzioni come il “Fondo Monetario Internazionale” e “la Banca Mondiale”.

E le successive innovazioni ebraiche – come il "quantitative easing" che consente la stampa virtualmente illimitata di denaro – avrebbero portato denaro essenzialmente illimitato nelle mani degli ebrei.

L'"America Democratica" sarebbe ora il mezzo per esercitare il controllo ebraico su vaste regioni del mondo.

 

Una via da seguire.

Se la mia analisi precedente è anche solo lontanamente corretta, allora ci sono alcune misure ovvie che potrebbero porre rimedio alla situazione.

In primo luogo, dobbiamo superare la nostra fissazione per la democrazia.

Il concetto, un tempo nobile, è stato irrimediabilmente corrotto dall'influenza ebraica e ora serve soprattutto i loro interessi, a spese dei lavoratori e della classe media.

La democrazia oggi è davvero "governata dagli ebrei", e più democrazia abbiamo, più radicato diventa il potere ebraico.

In secondo luogo, dobbiamo quindi considerare seriamente le opzioni non democratiche, compreso il temuto "autoritarismo".

Al momento, nulla è più pericoloso per l'America, per l'Occidente e per il mondo della democrazia giudaica;

quindi, nessun compito è più urgente che minarlo e sostituirlo con qualcos'altro.

 La democrazia giudaica è diventata una tirannia ebraica, e niente – niente – è peggio di questo. Qualsiasi alternativa rappresenterebbe un miglioramento, e alcune opzioni – come forme forti di nazionalismo etnico combinate con un socialismo morbido – rappresenterebbero enormi miglioramenti. Quando sei in fondo al barile, ogni strada è aperta.

 

In terzo luogo, possiamo considerare di mantenere alcuni aspetti del nostro attuale sistema politico, ma solo con modifiche drastiche.

 È assurdo, ad esempio, avere elezioni in cui letteralmente ogni adulto possa votare;

questo ci riporta allo stato di mafia.

 Devono esserci restrizioni:

test di competenza, standard educativi, qualifiche di proprietà terriera o immobiliare, ecc.

Si potrebbe sostenere regole ancora più rigide, come requisiti su base etnica (ascendenza bianca europea), o addirittura tornare agli standard di i Padri Fondatori e gli antichi Greci: lasciamo che siano gli uomini a decidere!

E i voti dovrebbero essere ancora una volta una questione di dominio pubblico;

se non altro, ciò metterebbe fine a tutti i tentativi di brogli elettorali e di "furto" delle elezioni.

In quarto luogo, accettare che saranno necessarie misure forti per spezzare la schiena al potere ebraico in Occidente.

 Questo è vero da millenni.

 Eppure, ancora e ancora, leader forti e movimenti forti hanno trovato il modo di realizzarlo.

Qualsiasi nazione che voglia liberarsi dall'influenza corruttrice degli ebrei probabilmente avrà bisogno di molti meno ebrei di quanti ne abbia oggi.

 Ricordiamo la mia soglia dello 0,1%:

questa fissa l'obiettivo a cui i gruppi nazionalisti dovrebbero aspirare apertamente.

E quinto, come sempre, istruitevi, parlate apertamente, organizzatevi. Diventa un critico esperto di giudeo crazia.

Alza la tua voce a sostegno di quei rari gruppi e individui disposti ad opporsi.

Non importa cosa sai attualmente del potere ebraico, non importa quanto pensi che sia grave la situazione, è peggio di quanto pensi.

 Il mondo è sull'orlo di numerose guerre multinazionali, grazie all'aggressione di ispirazione ebraica.

 La corruzione ebraica contamina praticamente ogni aspetto della vita moderna:

economia, governo, mondo accademico, cultura, ambiente, istruzione. Tutto è degradato;

nulla rimane intatto.

Considerate ciò che “Henry Ford” disse a proposito di questa situazione, nel 1921:

"Se poteste mettere un'etichetta con la scritta 'ebreo' su ogni parte della vostra vita che è controllata dagli ebrei, sareste stupiti della proiezione".

 Nel 1921.

 Quanto peggio oggi, 100 anni dopo?

 

(Thomas Dalton, PhD, è autore o curatore di numerosi libri e articoli sulla politica, la storia e la questione ebraica. Tutte le sue opere sono disponibili su (clemensandblair.com) e sul suo sito personale (thomasdaltonphd.com).

 

 

 

LA TRANSIZIONE DALLA PRODUZIONE

 DI ENERGIA FOSSILE APRE

OPPORTUNITA' DI INVESTIMENTO.

Ifanews.it – Redazione - Nicolas Jacob – (28 marzo 2024) – ci dice:

(A cura di Nicolas Jacob, ODDO BHF Asset Management).

 

Il comunicato finale della COP 28 del dicembre 2023 ha segnato una svolta storica nella lotta contro il riscaldamento globale.

 Sottolineando la necessità di “abbandonare i combustibili fossili nei sistemi energetici” nei prossimi decenni, il petrolio, il gas e il carbone sono stati messi sullo stesso piano, sottolineando l’importanza cruciale del prossimo decennio per una riduzione accelerata delle emissioni di gas serra.

Per rispettare l’Accordo di Parigi, le emissioni di gas serra devono essere ridotte del 43% entro il 2030 rispetto al 2019 e del 60% entro il 2035.

Ciò richiede triplicare la capacità di energia rinnovabile globale entro il 2030, il che corrisponde a un tasso di crescita medio annuo di circa il 15%.

(Nessuno dei burocrati di Bruxelles è in grado di immaginare come giungere alla transizione a emissione zero… ossia che occorre fare un salto nel buio! N.D.R.).

Per raggiungere questi risultati ambiziosi sarà necessario anche accelerare lo sviluppo di tecnologie a zero o basse emissioni di anidride carbonica, tra cui l’energia nucleare, la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica e la produzione di idrogeno a basse emissioni di anidride carbonica.

Questo obiettivo è sfidante e comporterà un profondo cambiamento nelle pratiche commerciali, il che creerà molte opportunità a livello globale per le aziende il cui modello aziendale offre un contributo positivo e significativo al cambiamento ecologico.

 Oltre a combattere il cambiamento climatico, la sostenibilità sta diventando un megatrend che apre opportunità di guadagno a lungo termine per gli investitori.

 Ciò è confermato anche dai dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE).

 

Espansione accelerata delle energie rinnovabili.

 

Nell’ottobre 2023, l’”Agenzia Internazionale dell’Energia” ha pubblicato il suo Outlook per il mercato globale delle energie rinnovabili, che descrive un 2030 con un sistema energetico in cui le tecnologie pulite svolgono un ruolo significativamente maggiore rispetto a oggi.

Ciò include un numero di auto elettriche quasi 10 volte superiore a quello circolante in tutto il mondo;

 il solare fotovoltaico che genera più elettricità di quanta ne produca attualmente l’intero sistema elettrico degli Stati Uniti;

la quota delle rinnovabili nel mix di elettricità globale vicina al 50%, rispetto all’attuale 30% circa;

le pompe di calore e altri sistemi di riscaldamento elettrico che superano le caldaie a combustibile fossile a livello globale;

 il triplo degli investimenti in nuovi progetti eolici offshore rispetto alle nuove centrali elettriche a carbone e a gas.

 

Le energie rinnovabili sono ora competitive in termini di costi.

Questo, a sua volta, posiziona le aziende in modo ottimale per capitalizzare la crescita accelerata degli investimenti nelle capacità rinnovabili lungo l’intera catena del valore, dalla pianificazione, installazione e manutenzione delle infrastrutture alla generazione e distribuzione di energia.

Un super ciclo per gli investimenti nelle reti elettriche.

Una rete elettrica moderna ed efficiente è essenziale per una transizione energetica di successo.

L’anno scorso, gli investimenti globali per la modernizzazione e la costruzione di reti elettriche sono stati pari a 274 miliardi di dollari.

Uno scenario neutrale dal punto di vista delle emissioni di CO2 entro il 2050 richiederebbe 800 miliardi di dollari.

Un quinto dell’investimento necessario sarebbe destinato alla sostituzione di sistemi decisamente obsoleti, e due quinti ciascuno alla modernizzazione e alla costruzione di sistemi infrastrutturali.

Di questi, il 40% sarebbe costituito da infrastrutture di trasmissione, ossia reti ad alta tensione per il trasporto a lunga distanza, e il 60% da infrastrutture di distribuzione, ossia reti a media e bassa tensione per il trasporto locale.

Per gli operatori di queste reti e per l’intera catena di valore, si prevede una crescita media del mercato del 7-8% l’anno fino al 2030.

Il ritardo negli investimenti, evidente in molte regioni, è stato finora compensato da una maggiore efficienza energetica.

 

Tuttavia, è probabile che tre fattori portino a un’accelerazione degli investimenti.

Primo, il 70% delle reti elettriche negli Stati Uniti e in Europa ha più di 30 anni.

 Secondo, la disponibilità di energie rinnovabili sta crescendo in parallelo.

 Terzo, lo sviluppo di nuove forme di utilizzo, in particolare nelle aree della mobilità e della digitalizzazione, ad esempio nei veicoli elettrici e nei “data center”, sta generando un’ulteriore domanda di elettricità e rende necessaria una maggiore espansione della rete.

 

Reti flessibili, utilizzo efficiente dell’energia.

 

Nel novembre 2023, la Commissione Europea ha presentato una serie di misure per accelerare l’espansione delle reti elettriche in Europa, per renderle più intelligenti ed efficienti.

Grazie a queste misure, l’Ue raddoppierà gli investimenti annuali nelle reti elettriche, passando da 40 a 80 miliardi di euro.

Tuttavia, l’uso efficiente dell'energia sta diventando sempre più importante anche nel settore privato, in risposta ai prezzi elevati dell’elettricità.

Ci sono anche interessanti sottotemi all’interno del megatrend del cambiamento ecologico e del raggiungimento delle emissioni Net Zero: la crescente digitalizzazione dell’economia, e dell’industria in particolare, ha dato al settore del software aziendale una crescita media annua di circa il 7% negli ultimi 20 anni, e il mercato del software industriale è addirittura cresciuto di oltre il 10% all’anno negli ultimi cinque anni.

L’uso di questo tipo di software consente di ridurre il consumo energetico complessivo e le emissioni di CO2, in particolare durante le fasi di prototipazione e test di varie applicazioni industriali, il che contribuisce in modo significativo ad aumentare l’efficienza energetica in settori come l'aviazione, l’auto-motive o l’efficienza energetica delle turbine eoliche.

Non sorprende quindi che la “COP 2”8 abbia formulato anche l’obiettivo di aumentare il tasso annuale di incremento dell’efficienza energetica dall’attuale 2% al 4% entro il 2030.

 

 Una struttura chiara per un argomento complesso.

 

Secondo le stime internazionali, esiste tuttora un gap di investimenti annuali pari a 4.000 miliardi di dollari per rendere la transizione ecologica una realtà.

 Il capitale privato sta trovando una moltitudine di interessanti opportunità di investimento e di crescita in questo megatrend globale.

Come gestori di fondi e investitori, è utile concentrarsi su quelle aree il cui potenziale di crescita comprende aspetti chiave del cambiamento ecologico:

dall’energia pulita e efficienza energetica, alla mobilità sostenibile e alla conservazione delle risorse naturali.

 

 

ECOLOGISMO.

Il verde suicidio

economico dell'Europa.

Lanuovabq.it – Stefano Magni – (19-4-2023) – ci dice:

In pochi giorni il volto dell'Europa è cambiato, sta diventando verde.

La Germania ha definitivamente rinunciato alla produzione di energia nucleare.

 La locomotiva d'Europa, che non potrà andare a carbone, dovrà affidarsi alle rinnovabili.

 E intanto si discute la direttiva sulle case green pronta ad abbattersi sui nostri immobili.

 

Ecologisti a Berlino dopo la chiusura delle centrali.

In pochi giorni, l’Europa sta cambiando volto, sta diventando verde.

Ma non è detto che sia un colorito sano.

Sabato, la Germania ha chiuso le sue ultime tre centrali nucleari. Secondo i sondaggi, la maggioranza dei tedeschi era contraria.

Ma una promessa è una promessa e la chiusura delle ultime centrali è il culmine di un programma di de-nuclearizzazione iniziato dal governo Schroeder nei primi anni 2000, rilanciato dal governo Merkel dopo il disastro di Fukushima nel 2011 ed ora è il cavallo di battaglia dei Verdi, da cui dipende la sopravvivenza dell’attuale governo Scholz.

 L’evento è stato salutato da manifestazioni degli ecologisti a Berlino e a Kiel.

Senza l’energia nucleare la Germania dovrà fare affidamento sempre più sulle fonti rinnovabili e sulle vecchie centrali termiche ancora attive. Attualmente, la “locomotiva d’Europa” è quella che consuma più carbone:

quasi un terzo del fabbisogno energetico.

Il carbone è completamente incompatibile con gli obiettivi europei di de-carbonizzazione, per cui per il prossimo futuro i tedeschi dovranno fare affidamento solo sulle rinnovabili e, se resta nella tassonomia europea, anche sul gas di importazione.

 Schroeder aveva fatto affidamento sull’importazione stabile di gas dalla Russia.

Non per caso è stato successivamente invitato a far parte del consiglio di Gazprom, il colosso statale energetico russo.

Ma adesso lo scenario è decisamente cambiato, la Germania sa che non può più far affidamento sulla Russia, nemmeno dopo la guerra in Ucraina, comunque si concluda.

Sarà possibile alimentare la prima potenza industriale europea solo con le rinnovabili?

Salvo miracoli tecnologici nel prossimo futuro, la risposta è: no.

Regioni altamente urbanizzate e industrializzate come la “California”, che per prima ha puntato sulle rinnovabili, dimostrano quante difficoltà (black out soprattutto) si incontreranno, se ci si affida ad un’energia incostante.

Ieri, invece, è iniziata la trattativa del trilogo europeo (Commissione, Consiglio e Parlamento dell’Ue) per mettere a punto la direttiva sulle case green.

 Secondo le anticipazioni, gli Stati si dovranno fare garanti del rispetto degli obiettivi.

E quindi saranno previste anche punizioni?

Probabilmente sì, lo sapremo solo l’estate prossima quando si prevede che sarà pronta la versione finale.

Per ora, in base alla bozza votata dal Parlamento europeo il 14 marzo, tutti gli edifici dovranno essere in “classe energetica E” entro il 2030.

E tutti dovranno essere “in classe D “entro il 2033, per poi raggiungere la neutralità assoluta delle emissioni entro il 2050.

Le scadenze per gli immobili privati, già molto ravvicinate, sono ancora più strette per quelli pubblici: rispettivamente il 2027 e il 2030.

In Italia, si calcola, devono essere “riqualificati” circa 10 milioni di edifici.

I sostenitori della direttiva affermano che saranno previsti solo incentivi, ma non punizioni.

Ma l’effetto dell’annuncio della direttiva già si vede nel mercato immobiliare.

 I dieci milioni di edifici che dovranno essere riqualificati inevitabilmente perderanno di valore. N

el terzo trimestre del 2022 le compravendite immobiliari sono in calo: -2,7% rispetto al trimestre precedente e -1% su base annua.

 Le convenzioni notarili di compravendita di unità immobiliari sono diminuite, così come le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni legate all’acquisto di immobili (-5,5% rispetto al trimestre precedente).

Secondo l’analisi di “Giorgio Spaziani Testa”, presidente di “Confedilizia”, non è solo l’inflazione a far male al mercato, ma anche la paura della nuova direttiva.

Anche qui:

l’Italia può permettersi di applicare una direttiva che abbatte il valore del mattone, quello in cui gli italiani investono i loro risparmi?

Siamo un popolo di proprietari di case che vivono in edifici storici, anche molto antichi.

E l’Italia non è certamente l’unico Paese dell’Ue a trovarsi in questa condizione.

 Ad essere esclusi dalla direttiva sono gli edifici ufficialmente protetti in virtù dell'appartenenza

a determinate aree o del loro particolare valore architettonico o storico. Ma in Italia è difficile trovare qualche edificio che non sia anagraficamente “storico”.

 

Sbalordisce sempre l’effetto controproducente di queste politiche della transizione verde, per la lotta al cambiamento climatico.

Avremo una Germania senza energia e gli italiani senza casa.

Giusto per impoverirci ancora un po’ di più.

Da questo si capisce che queste scelte non sono compiute in base a criteri economici e neppure razionali.

(I criteri sono stati proposti e forniti dai “fenomeni” di Davos! N.D.R.)

Non c’è alcun vantaggio strategico da sfruttare, attuando queste politiche.

 Regaleremo il vantaggio ad altri concorrenti, alla Cina prima di tutto, maggior fornitrice delle materie prime utili per la transizione verde.

Si tratta di politiche che sfuggono anche alla loro stessa logica:

 se l’obiettivo è ridurre drasticamente le emissioni di CO2, perché non costruire più centrali nucleari, che sono a zero emissioni?

Non c’è una risposta razionale, appunto.

C’è solo una risposta emotiva di chi teme che la fine del mondo sia vicina e occorra, per scongiurarla, cambiare radicalmente la nostra vita quotidiana.

Si sta perseguendo una politica che è alimentata da un’angoscia esistenziale che spinge al suicidio, anche in senso fisico, non solo economico.

Il 29 marzo, “Theo Khelfoune Ferreras”, 19 anni, attivista inglese di “Greenpeace”, non ha retto il pensiero del “disastro climatico prossimo venturo” e si è suicidato.

 

 

 

Bibi può essere fermato?

Unz.com - MIKE WHITNEY – (29 MARZO 2024) – ci dice:

 

I recenti sviluppi suggeriscono che l'offensiva della terra su vasta scala di Israele a “Rafah” potrebbe avere luogo in qualsiasi momento.

Quello che ci è stato detto dai funzionari israeliani è che l'operazione richiederà l'evacuazione della città, protettiva in modo che l'“IDF” possa infliggere a Rafah lo stesso livello di distruzione che è stato inflitto a “Khan Yunis” e “Gaza City”.

Una volta dispiegate le forze di terra, i palestinesi saranno costretti a fuggire verso il confine egiziano, dove cercheranno rifugio dall'assalto israeliano.

Quello che accadrà dopo è incerto, ma – dati i numerosi incontri tra funzionari israeliani ed egiziani e i rispettivi capi dell'intelligence – pensa che ci possa essere un accordo per consentire a oltre un milione di rifugiati palestinesi di attraversare il confine con l'Egitto.

 Ecco alcuni articoli recenti che suggeriscono che l'Egitto potrebbe essere pagato per partecipare all'operazione di pulizia etnica di Israele.

 

1 – L'Egitto firma un accordo di prestito da 8 miliardi di dollari con il “FMI”,” Reuters”.

 

Il “Fondo Monetario Internazionale” (FMI) ha dichiarato mercoledì che aumenterà il suo attuale programma di prestiti con l'Egitto di 5 miliardi di dollari.

Il nuovo accordo è un'espansione dell'“Extended Fund Facility” da 3 miliardi di dollari e 46 mesi che il “FMI” ha stretto con l'Egitto nel dicembre 2022.

 

L'Egitto sta anche cercando un prestito separato dal “Fondo per la resilienza e la sostenibilità del FMI”, che promuove il finanziamento della “transizione climatica”.

 Il primo ministro egiziano “Mostafa Madbouly” ha dichiarato che il prestito sarà di 1,2 miliardi di dollari.

 

2 – L' “UE” annuncia un pacchetto di aiuti da 7,4 miliardi di euro per l'Egitto a causa delle crescenti preoccupazioni per l'immigrazione,” Le Monde:

 

Domenica 17 marzo l'“Unione Europea” ha annunciato un pacchetto di aiuti da 7,4 miliardi di euro per l'Egitto, un conto di liquidità, mentre aumentano le preoccupazioni che la pressione economica e i conflitti nei paesi vicini possono spingere più migranti verso le coste europee.

 

Il pacchetto di aiuti comprende sia sovvenzioni che prestiti nei prossimi tre anni per il paese più popoloso del mondo arabo, secondo la missione dell'UE al Cairo.

L'accordo arriva tra le crescenti preoccupazioni che l'incombente offensivo della terra israeliana sulla città più meridionale di Gaza, “Rafah”, possa costringere centinaia di migliaia di persone a irrompere nella penisola egiziana del Sinai.

La guerra tra Israele e Hamas, giunta al suo sesto mese, ha spinto più di 1 milione di persone a “Rafah”.

 

3– Gli aiuti della Banca Mondiale spingono il piano di salvataggio globale dell'Egitto a oltre 50 miliardi di dollari,” Yahoo finance”.

 

La “Banca Mondiale” lunedì ha dichiarato che fornirà all'Egitto oltre 6 miliardi di dollari, aumentando il piano di salvataggio globale per l'economia in difficoltà della nazione nordafricana a più di 50 miliardi di dollari nelle ultime settimane.

L'annuncio arriva un giorno dopo che l'Unione Europea ha promesso circa 8 miliardi di dollari in aiuti, prestiti e sovvenzioni.

Questi fondi hanno fatto seguito a un programma del “Fondo Monetario Internazionale” da 8 miliardi di dollari recentemente ampliato, che è stato presentato poche ore dopo che le autorità hanno promulgato il più grande aumento dei tassi della nazione di sempre e hanno svalutato la valuta per la quarta volta dall'inizio del 2022.

Ovviamente, accumulare miliardi di dollari di prestiti su una nazione oberata dal debito, la cui economia moribonda non mostra alcun segno di ripresa, non è una procedura normale.

 Si può solo concludere che il denaro viene offerto per qualche scopo alternativo, cioè per far fronte all'ondata di profughi che presto si riverserà oltre il confine.

Ma, se questi articoli non hanno ancora convinto i lettori che il governo egiziano è in combutta con Israele, allora forse questo articolo del 23 marzo:

 

L'UE lascia da parte il Parlamento per inviare rapidamente 1 miliardo di euro all'Egitto,” EUobserver”.

 

La Commissione Europea sta ufficialmente mettendo da parte il ruolo di controllo del Parlamento Europeo quando si tratta di 1 miliardo di euro di prestiti inviati all'Egitto.

 L'annuncio è arrivato prima di un accordo di 7,4 miliardi di euro per il controllo dell'immigrazione con il Cairo, ponendo domande difficili a un Parlamento europeo sempre più frustrato.

La presidente della Commissione europea “Ursula von der Leyen afferma”, in una lettera datata 15 marzo e vista da EUobserver, che l'urgenza di trasferire i soldi al Cairo le impone di bypassare l'assemblea.

 Da allora ha deciso di attivare l'articolo 213 del trattato UE, consentendo alla “Commissione Europea” di agire da sola.

 

"Per ragioni di massima urgenza e in via del tutto eccezionale, il ricorso all'articolo 213 TFUE è considerato base giuridica adeguata per la prima operazione da 1 miliardo di euro", scrive in una lettera inviata alla presidente del Parlamento europeo, “Roberta Metsola”.

 

Perché il presidente della Commissione europea dovrebbe provare un senso di urgenza così insopportabile per le finanze instabili di uno stato fallito nell'Africa orientale?

E perché la” von der Leyen” ha scelto di ignorare i limiti della sua autorità legale trasferendo i fondi al Cairo senza prima ottenere l'approvazione dell'assemblea?

Se tutto questo sembra piuttosto insolito è perché lo è.

 Gli agenti di potere politico in tutto l'Occidente stanno facendo tutto il possibile per assistere Israele nel suo piano di pulizia etnica della Palestina.

 La signora” von der Leyen” è solo uno dei contributori a questo progetto maligno, ma ce ne sono anche altri.

Il punto che stiamo cercando di sottolineare è che la distruzione di Gaza da parte di Israele e il concentramento della sua popolazione verso il confine meridionale fanno parte di un piano più ampio che ha molte parti in movimento e molti attori potenti.

 I leader israeliani sanno cosa serve per portare a termine un'operazione come questa perché hanno condotto operazioni simili in passato, come questo estratto da un articolo su “Counterpunch” aiuta a illustrare:

La pulizia etnica era e rimane parte integrante del progetto sionista.

Al fine di creare uno stato ebraico in Palestina, i sionisti dovettero creare una schiacciante maggioranza ebraica.

 La Germania nazista aiutò a cacciare gli ebrei dall'Europa... ma non esisteva ancora alcuna prospettiva realistica di creare una schiacciante maggioranza ebraica attirando coloni ebrei.

 

Il primo ciclo di pulizia etnica in Israele iniziò nel 1947, si intensificò nel 1948 e continuò nel 1949.

 Complessivamente, durante questo periodo furono espulsi 720.000 palestinesi, circa l'ottanta per cento dei palestinesi nei territori occupati dalle forze ebraiche/israeliane;

ciò ammontava a metà della popolazione araba della Palestina mandataria.

Israele si impegnò in una seconda fase di “pulizia etnica” durante e dopo la cattura, nel giugno 1967, della Cisgiordania, di Gaza e di Gerusalemme Est ...

Ai palestinesi che erano presenti nei territori occupati, ma che non furono conteggiati in un censimento israeliano dopo la guerra di giugno fu negata il diritto di residenza in Israele...

 con questi e altri mezzi, Israele aveva effettuato la pulizia etnica di un quinto dei palestinesi nei territori occupati.

 

Nei decenni successivi alla guerra del giugno 1967, Israele ha reso la vita sempre più difficile ai palestinesi nei territori occupati....

Tra il 1970 e il 2000 la popolazione della Cisgiordania e di Gaza è triplicata, passando da un milione a tre milioni.

All'interno dei suoi “confini de facto”, Israele ora conteneva 4,1 milioni di palestinesi e 5 milioni di ebrei.

Questo faceva suonare il campanello d'allarme.

Bisognava fare qualcosa a riguardo.... Post scritti su Israele: sorpresa del 7 ottobre? M. Shahid Alam, “Contropugno”.

 

Ciò che possiamo dedurre da questo brano è che l'espulsione dei palestinesi da Gaza non mira a reprimere il terrorismo ma a cambiare la composizione demografica dell'area tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.

 Il fatto è che non è possibile preservare uno Stato a maggioranza ebraica senza una chiara maggioranza ebraica.

Annettendo i territori occupati di Gaza e della Cisgiordania, Israele aumenterà drasticamente il numero di arabi all'interno dei suoi confini, mettendo a rischio questo principio fondamentale.

Ecco altro dallo stesso articolo:

 

La popolazione ebraica di Israele è decuplicata tra il 1948 e il 2023, passando da 717.000 a 7.181.000. Quasi la metà della popolazione ebraica mondiale vive oggi in Israele.

Eppure Israele non ha vinto la corsa demografica. Nel 2023, i palestinesi superavano in numero gli ebrei nella Palestina storica: 7,4 milioni di palestinesi contro 7,1 milioni di ebrei....

Post scriptum su Israele: 7 ottobre Sorpresa?  “M. Shahid Alam”, Counterpunch”

 

L'operazione militare israeliana a Gaza è semplicemente una risposta a un problema demografico che ha tormentato i leader israeliani sin dall'inizio dello Stato ebraico.

Alla luce di questo fatto, possiamo vedere che “Hamas” è solo il pretesto che viene usato per nascondere il motivo che guida le ostilità.

In verità, non avrebbe importanza se i palestinesi fossero ispanici, asiatici o scozzesi-irlandesi.

 Se il loro numero minacciava di superare quello della maggioranza ebraica, il loro destino sarebbe stato lo stesso.

 

Naturalmente, l'annessione de facto di ulteriori territori arabi pone una sfida numerica per la quale c'è in definitiva una sola soluzione: Pulizia etnica.

 E mentre la formulazione è stata ripetutamente riconfezionata per sembrare meno oppressiva (trasferimento, evacuazione, reinsediamento, migrazione volontaria) la pratica rimane la stessa.

(Pulizia etnica def- L'espulsione di massa o l'uccisione di membri di un gruppo etnico o religioso in un'area da parte di quelli di un'altra. Oxford).

 Ecco alcune iterazioni recenti sullo stesso tema:

In un documento del 17 ottobre 2023, il Ministero dell'Intelligence israeliano ha esaminato l'opzione di "evacuare" gli abitanti di Gaza nel Sinai e ha affermato che ciò "avrebbe prodotto risultati strategici positivi a lungo termine per Israele”. ( ...)

 

Anche un think tank israeliano, il “Misgav Institute”, ha fatto un discorso simile.

Sosteneva che le condizioni a Gaza offrivano "un'opportunità unica e rara per evacuare l'intera Striscia di Gaza e il suo coordinamento con il governo egiziano”.

 

Jonathan Adler”, Hurford Fellow presso il “Carnegie Endowment for International Peace”, scrivendo il 31 dicembre 2023, afferma che "oggi c'è uno slancio crescente [in Israele] per effettuare trasferimenti di massa, con il sostegno americano".

Alcuni politici e funzionari israeliani – tra cui un ex generale di brigata e un ex ambasciatore israeliano negli Stati Uniti – "suggeriscono che i palestinesi dovrebbero fuggire da Gaza attraverso il valico di “Rafah” con l'Egitto e cercare rifugio nella penisola del Sinai...

Il 20 ottobre, la Casa Bianca ha chiesto al Congresso fondi per "affrontare i potenziali bisogni degli abitanti di Gaza in fuga nei paesi vicini".

 Se la Casa Bianca si stava preparando a finanziare la pulizia etnica degli abitanti di Gaza, è improbabile che ciò sia avvenuto senza previe discussioni con Israele ed Egitto.

Queste discussioni sono avvenute prima del 7 ottobre?... “Contrattacco”.

Chiaramente, Israele vuole una Palestina senza i palestinesi, e negli ultimi sei mesi ha fatto tutto ciò che era in suo potere per raggiungere proprio questo obiettivo.

Ora che l'obiettivo è a portata di mano, faranno di tutto – anche mettere a repentaglio i rapporti con il loro più importante alleato – per raggiungere il loro obiettivo.

 Ecco perché mercoledì "Netanyahu ha detto che Israele "non aveva altra scelta" se non quella di trasferirsi a “Rafah” poiché "è in gioco la stessa esistenza del Paese".

In verità, Israele non corre alcun pericolo, Netanyahu sta semplicemente cercando di nascondere il vero scopo dell'offensiva di terra israeliana che è quello di esiliare oltre un milione di palestinesi in Egitto.

 Secondo un rapporto della “CNN”,

In precedenza Netanyahu aveva detto alla delegazione che

"Muoversi con le loro tende"?

Quindi, ora, “Netanyahu” sta ammettendo ciò che i suoi critici hanno detto fin dall'inizio, che l'assalto militare di Israele è in realtà un'operazione di pulizia etnica volta a spingere i palestinesi fuori da Gaza e nelle tendopoli nel deserto del Sinai?

 

Sembra di sì, e sembra anche che l'Egitto stia seguendo il piano. Secondo il “Guardian”:

L'Egitto ha iniziato a costruire un'area recintata circondata da alti muri di cemento lungo il confine con Gaza che sembra destinata ad ospitare i palestinesi in fuga dal minacciato assalto israeliano alla città meridionale di “Rafah”.

 

Anche foto e video diffusi dalla “Sinai Foundation for Human Rights” (SFHR), un gruppo di monitoraggio, mostrano lavoratori che utilizzano macchinari pesanti che erigono barriere di cemento e torri di sicurezza intorno a una striscia di terra sul lato egiziano del valico di “Rafah”.

SFHR ha affermato sui social media che i video mostrano gli sforzi per "creare un'area isolata circondata da muri al confine con la Striscia di Gaza, con l'obiettivo di accogliere i rifugiati in caso di esodo di massa".

L'Egitto costruisce un recinto murato nel Sinai per i rifugiati di Rafah, suggeriscono le foto, “Guardian”.

 

Tutto, dal disboscamento della terra nel deserto del Sinai all'emissione di giganteschi prestiti all'Egitto, agli incontri segreti dei capi dell'intelligence a “Doha” (CIA, Mossad, intelligence generale egiziana) alle dichiarazioni burrascose dei funzionari israeliani, al frenetico balzo in avanti di “Anthony Blinken”, da Jedda a Gerusalemme, a Doha, al Cairo e ritorno, suggerisce che stiamo per iniziare la fase finale della maligna operazione di pulizia etnica di Israele.

Ecco come lo ha riassunto” Johnathan Adler” del “Carnegie Endowment”:

Nelle ultime settimane, il presidente egiziano Abdel Fattah El-Sisi ha resistito alle pressioni israeliane e americane per consentire ai palestinesi di evacuare attraverso Rafah nel Sinai...

Ma in cambio dell'accettazione dei palestinesi da Gaza, gli Stati Uniti avrebbero offerto al Cairo incentivi economici in un momento quando l'Egitto si trova ad affrontare una crisi del debito estrema ...

 Dal Sud al Sinai: Israele costringerà i palestinesi a lasciare Gaza? , “Carnegie Dotazione

 

Con ogni probabilità, non c'è nulla che possa essere fatto per impedire di radere al suolo “Rafah” da parte di Israele o l'inevitabile sfratto dei palestinesi dal loro ultimo rifugio.

 L'unica speranza è che la comunità internazionale condanni l'occupazione illegale di Gaza da parte di Israele imponendo dolorose sanzioni economiche, politiche e militari che dureranno fino a quando la terra non sarà restituita ai legittimi proprietari.

Questa non è una riparazione sufficiente per la morte e la sofferenza che i palestinesi hanno sopportato nell'ultimo mezzo secolo, ma è un passo nella giusta direzione.

Guerra Inc. Il conflitto in Ucraina,

 gli Stati Uniti e gli interessi

 delle “corporation”.

Questionegiustizia.it - Elisabetta Grande – (14 aprile 2022) – ci dice:

 

Il teatro di guerra ucraino è geograficamente lontano dagli Stati Uniti, non così gli interessi di chi dal conflitto in corso trae enormi guadagni.

Si tratta dei tre complessi economici che – agevolati da un diritto amico – controllano le scelte politiche statunitensi.

Il presente scritto analizza brevemente chi sono, come operano e in che modo quei tre grandi gruppi di potere ottengono vantaggi ai danni dell’umanità intera.

 

1. La democrazia perduta / 2. Gruppi di potere in azione: i complessi militare-industriale e finanziario… / 3. … e quello dell’estrazione energetica / 4. Conclusioni.

 

 1. La democrazia perduta.

Vista dagli Stati Uniti – dove ora mi trovo – la guerra è lontana.

Le sue polveri non soffiano sul collo della gente come accade in Europa e, per quanto le bandiere ucraine sventolino dalle abitazioni californiane di Berkeley, la stragrande maggioranza degli americani non sa neppure dove l’Ucraina si trovi, così come a stento – e solo dopo molti anni di conflitto – aveva imparato a collocare l’Afghanistan sulla cartina geografica.

Terre distanti, periferiche in fondo – forse perfino l’Europa ormai lo è – per chi si vive, al pari degli americani, come al centro del mondo.

Certamente, anche la popolazione statunitense sta già fin d’ora scontando alcuni suoi effetti collaterali:

 il prezzo della benzina per esempio, che ha ultimamente subito aumenti senza precedenti, con quel che ne segue in termini di inflazione.

 La guerra, però, che sia condotta in prima persona o sia alimentata attraverso il sostegno a una delle parti in conflitto, è raramente il frutto di scelte democratiche, tanto meno negli “States”.

 Quel che importa non è il sentimento collettivo o l’opinione pubblica al riguardo – pur mediaticamente spronata, come in questo caso, a parteciparvi anche se per ora solo in via indiretta –, ma gli interessi di chi davvero conta che vi stanno dietro.

Negli Stati Uniti, tanto il Presidente quanto il Parlamento sono solo apparentemente l’espressione di chi li ha votati:

senza il fondamentale aiuto dei grandi gruppi economici che ne finanziano le sempre più costose campagne elettorali, difficilmente infatti avrebbero potuto essere eletti.

 Ciò significa che, per assicurarsi la rielezione, la stragrande maggioranza di loro deve costantemente rispondere non ai bisogni di chi li ha votati, ma agli interessi di chi li ha finanziati.

Siccome, poi, le scadenze elettorali sono ravvicinate – soprattutto per la “House of Representatives”, che viene rinnovata tutta ogni due anni –, occorre evitare di voltare le spalle anche una sola volta ai gruppi di potere da cui si è stati appoggiati, che – traditi – altrimenti non assicureranno più il loro sostegno economico al turno successivo.

 Si tratta di un sistema già in vigore prima del 2008, ma che a livello di elezione presidenziale diventa irreversibilmente pervasivo da quando Barack Obama – pur di sfondare con soldi privati il tetto altrimenti previsto per il finanziamento pubblico – inaugura la rinuncia ai fondi federali per la sua campagna elettorale.

Una mossa che gli consente di raccogliere l’astronomica somma di 745 milioni, contro gli 84 che altrimenti avrebbe ottenuto come finanziamento pubblico – ricevuti invece dal suo avversario, John Mc Cain.

Dopo il 2008 nessun candidato presidenziale accetterà più il finanziamento pubblico per campagne dai costi ormai elevatissimi, e la cifra record ottenuta da “Joe Biden” nel 2020, che ha oltrepassato il miliardo, ben esprime l’inevitabile commistione fra interessi privati e politica negli States.

Due anni dopo, la dipendenza delle elezioni dal danaro privato diviene definitivamente strutturale anche a livello di Congresso.

Nel 2010, infatti, la “Corte suprema degli Stati Uniti”, nell’ormai famoso caso “Citizen United”, si pronuncia nel senso che occorre tutelare il diritto di parola delle corporation durante le campagne elettorali.

Siccome le persone giuridiche parlano con i soldi, il risultato è che esse devono poter spendere al di là dei tetti massimi in precedenza previsti per le donazioni ai candidati politici, purché lo facciano attraverso comitati indipendenti (che indipendenti sono assai poco): gli ormai famosi “Super PACs”.

 

Ecco perché le vere domande da porsi, per cercare di comprendere le scelte strategiche degli Stati Uniti in relazione alla guerra in Ucraina, concernono l’individuazione dei grandi gruppi economici che dominano la politica statunitense e i loro interessi al riguardo.

 La risposta breve è che per i tre grandi gruppi di potere (strettamente intrecciati fra di loro) che controllano tramite il loro denaro le scelte politiche in Usa – ossia il complesso militare-industriale, quello energetico estrattivo e quello finanziario – la guerra che si sta svolgendo nel cuore dell’Europa è una grande opportunità.

 

 2. Gruppi di potere in azione: i complessi militare-industriale e finanziario…

Proviamo a vedere in maggior dettaglio – sia pure per sommi capi, data l’ampia disamina che un tale tema meriterebbe – chi sono e in che modo guadagnano dalla guerra in corso i grandi gruppi di potere economico statunitensi.

 

Il primo di essi è quel complesso militare-industriale della cui pericolosa crescente influenza politica già “Dwight Eisenhower”, alla fine del suo mandato, aveva esortato i cittadini americani a diffidare.

 «In the councils of government, we must guard against the acquisition of unwarranted influence, whether sought or unsought, by the military-industrial complex. The potential for the disastrous rise of misplaced power exists and will persist», aveva detto il Presidente repubblicano nel 1961.

L’inquietante previsione si è certamente avverata:

mai come oggi, infatti, i legami fra quel complesso e i rappresentanti politici all’interno del Congresso e dell’Esecutivo sono stati più forti.

Non soltanto i grandi produttori di armi come Raytheon, Boeing, Lockheed-Martin, Northrop Grumman o General Dynamics – le società, cioè, che monopolizzano il mercato delle armi e della tecnologia militare per la difesa – sono presenti con le loro fabbriche in quasi ogni Stato dell’Unione – soprattutto nei distretti elettorali in cui vengono eletti i presidenti dei cruciali comitati del Congresso che, debitamente finanziati, ne fanno in quella sede gli interessi.

Addirittura il Dipartimento di Stato, quello della Difesa e la National Intelligence vedono alla loro testa uomini e donne i cui rapporti con l’industria bellica sono caratterizzati da un legame di porte girevoli.

Si pensi a “Tony Blinken”, scelto da “Biden” come Segretario di Stato, noto per aver sempre abbracciato la linea interventista più dura possibile in materia di politica estera, dalle invasioni in Afghanistan e in Iraq all’operazione in Libia, fino alla richiesta di pesanti interventi militari contro la Siria.

 Uscito dall’amministrazione Obama, forte della sua esperienza governativa, nel 2018 aveva co-fondato una società di consulenza, la “WestExec Advisors”, che offre i propri servizi alle più importanti società di “high tech”, aerospaziali e in generale del settore militare privato, fra cui (secondo un’indagine di “The American Prospect”) la “Winward”, società israeliana di elevata tecnologia di guerra.

 Dello staff della società di “informata” consulenza faceva parte anche “Avril Haines”, nominata da “Biden” a capo della National Intelligence (prima donna a ricoprire tale carica) e nota non solo per il suo ruolo nella strategia di guerra con i droni inaugurata da Obama, ma anche per aver coperto le torture dei prigionieri perpetrate durante la presidenza di George W. Bush.

Anche il primo afroamericano mai nominato a capo del Pentagono, l’ex-generale” Lloyd Austin”, oltre ad avere fortissimi legami col mondo militare da cui si era troppo recentemente congedato, ha ampiamente partecipato al” sistema di revolving door” fra pubblico e privato.

 È stato, infatti, nei consigli di amministrazione delle più disparate società, ma soprattutto in quello della “Raytheon Technologies”, leader nella costruzione di armamenti per il Pentagono stesso.

 

È questo il quadro all’interno del quale è possibile comprendere non solo la richiesta dell’amministrazione Biden, già nel dicembre 2021 – ad avventura Afghanistan conclusa e con un personale bellico in Iraq ridotto rispetto all’anno prima –, di aumentare il budget per la difesa, cui il Congresso aveva risposto entusiasticamente, incrementandola addirittura di ben 24 miliardi e approvando così – con maggioranze straordinariamente altissime – uno stanziamento militare senza precedenti.

È anche possibile dare un senso al recente nuovo aumento di quelle spese per l’anno fiscale in corso, che arrivano oggi all’astronomica cifra di 782 miliardi di dollari e, soprattutto, all’accordo peculiarmente bipartisan – in un contesto politico altrimenti estremamente polarizzato – con cui il 10 marzo di quest’anno il Congresso ha varato, insieme al primo, anche un pacchetto di aiuti all’Ucraina per ben 13,6 miliardi, di cui 3,65 per acquistare e spedire armi e altri 3 per supporto militare alle truppe americane in Europa.

Pure in questo caso la richiesta di “Biden” era stata molto più bassa, addirittura della metà, ma un provvidenziale accordo fra il democratico “Chuck Schume”r e il repubblicano “Mitch McConnell” in Senato ha fatto lievitare la spesa armata, votata a stragrande maggioranza anche dalla “House of Representatives”, addirittura 361 da 69[, che il Pentagono ha ovviamente ringraziato di cuore.

Gli interessi della potentissima industria bellica, che apparivano in crisi per lo svanire dei teatri di guerra più redditizi, paiono insomma chiamare a raccolta i loro debitori nel Governo e in Parlamento, diretti o indiretti, democratici o repubblicani che siano, ed essi rispondono tendenzialmente compatti, mossi non solo – pare lecito immaginare – da ragioni umanitarie e di solidarietà fra popoli.

 La guerra in Ucraina rappresenta una splendida opportunità di crescita per il “military industrial complex” e giustifica l’inversione di rotta di una politica volta a ridurne i proventi, che pur Biden aveva dichiarato di voler inaugurare al momento della rovinosa ritirata dall’Afghanistan, esprimendo l’intenzione di dedicare finalmente parte del danaro speso in quella guerra – 300 milioni al giorno per due decenni – al cd. “dividendo di pace”, ossia a spese sociali interne.

Anche il riarmo dell’Europa – Germania in testa – che l’invasione russa sta portando con sé contribuisce ad aumentare i profitti dell’industria bellica statunitense.

«Dallo scoppio del conflitto i titoli dei grandi gruppi della difesa hanno spiccato il volo:

 “Northrop Grumman” e” Lockheed Martin” hanno guadagnato oltre il 30% in meno di un mese.

In deciso rialzo anche il terzo colosso della difesa Usa “Raytheon Technologies”.

 Sono le aziende che costruiscono, tra l’altro, i missili “Stinger” e “Javelins” di cui si sente molto parlare nello scenario ucraino, oltre ai “jet F35” per cui stanno fioccando nuovi ordini», racconta, per esempio, “Mauro Del Corno” sul “Fatto quotidiano del 26 marzo.

 

Strettamente collegati agli interessi dell’industria bellica sono gli affari della finanza, il più potente dei tre gruppi economici di influenza politica negli Stati Uniti.

 «Nell’industria delle armi si distingue in particolare la statunitense “State Street Global Advisory”, quarto gestore di patrimoni al mondo. Detiene una partecipazione del 14,5% in “Lockheed Martin”, del 9,2% in “Raytheon Technologies” e del 9,5% in “Northrop Grumman.

Altro grande socio dell’industria militare è “Vanguard”, società statunitense che gestisce asset per oltre 5mila miliardi di dollari.

Possiede il 7,2% di “Northrop Grumman”, il 7,2% di “Lockheed Martin”, il 7,5% di “Raytehon”.

 Ha una quota del 2,8% nella tedesca “Rheinmetall”, l’1,3% della francese Thales, l’1,9% di Leonardo e lo 0,7% di Hensoldt.

Tra i nomi più noti della finanza si segnalano l’onnipresente “Blackrock” che in portafoglio tiene il 4,1% di “Northrop Grumman”, il 4,8% di “Lockheed Martin”, il 4,7% di “Raytheon”, il 3% di “Leonardo” e lo 0,2% della britannica “Bae Systems”.

C’è poi “Jp Morgan”, con quote in “Northrop Grumman” (2,9%) e “Raytheon” (1,5%).

Soci di peso sono anche i gruppi di investimento” Fidelity e Capital Research”», continua “Del Corno.

E ancora: «In concreto cosa significa avere in portafoglio queste partecipazioni?

Prendiamo ad esempio il caso di “State Street”, uno dei più rappresentativi.

Le tre aziende di armi in cui è presente hanno registrato nelle ultime settimane un incremento della capitalizzazione complessivo di circa 35 miliardi di dollari.

 Significa che il valore delle sue partecipazioni è cresciuto di 3,7 miliardi in meno di un mese.

C’è anche qualcuno che forse, nonostante tutto, stappa champagne».

3. … e quello dell’estrazione energetica.

Lo champagne lo stanno certamente stappando anche le corporation che estraggono energia dal suolo statunitense e che, accanto ai gruppi dell’industria bellica e della finanza, rappresentano l’altro grande complesso economico di influenza politica negli States.

Così come i primi due – il secondo dei quali ha sempre sostenuto l’attuale Presidente Biden nelle sue avventure senatoriali ed è risultato uno dei maggiori finanziatori della sua ultima vittoriosa campagna presidenziale – anche il cd. “OGAM [oil, gas, mining] complex” esprime in Congresso i suoi rappresentanti.

 «Se le attività petrolifere, gasiere o minerarie non sono situate in ogni collegio elettorale, i suoi investitori però lo sono», ci dice “Michael Hudson”, dando per implicita la conseguente capacità di pressione politica degli stessi.

Nessuno meglio di “Joe Manchin,” senatore della West Virginia, chiarisce quel legame profondo, che ha finora impedito l’attuazione del “Build Back Better Plan” di “Biden”, soprattutto nel suo aspetto di incentivazione delle energie rinnovabili ai danni delle fossili.

 Sotto questo profilo, lo scoppio della guerra in Ucraina ha rappresentato la perfetta giustificazione per affossare definitivamente i buoni propositi di attenzione al clima, che pur Biden aveva espresso appena nominato Presidente, quando – con un “executive order” del 27 gennaio 2021 – aveva ordinato al Segretario degli interni di sospendere l’attivazione di nuove licenze estrattive di petrolio e gas e di rivedere quelle correnti, al fine di porre gli Stati Uniti sul cammino di un’economia libera dall’energia fossile e dai gas serra entro il 2050.

Per quanto il complesso energetico estrattivo si fosse allarmato e avesse, quindi, attivato i suoi rappresentanti politici al Congresso affinché il progetto naufragasse, solo con l’aiuto di un’emergenza capace di catturare davvero la sensibilità collettiva, esso poteva sperare in un cambio di rotta che mettesse da parte le preoccupazioni climatiche ormai globalmente troppo fortemente condivise.

 La guerra in Ucraina era quello che ci voleva.

La necessità di procurare energia a un Europa indotta dal conflitto a rinunciare al fondamentale apporto russo ha infatti immediatamente riattivato l’interesse per una massiccia estrazione di gas naturale negli Stati Uniti, i quali all’inizio del 2022 hanno visto crescere il loro export di gas naturale liquefatto (LNG) in Europa del 34% rispetto all’anno prima.

Così, se “Biden” ha cominciato a pompare quanto più petrolio può per i bisogni domestici di un mercato i cui prezzi sono stabiliti dall’estrazione ed esportazione globali, la “Federal Energy Regulatory Commission “(FERC) ha cancellato il suo piano di controllo sull’impatto climatico delle nuove infrastrutture di estrazione di energia dal terreno.

 L’agenzia federale di regolamentazione dell’energia ha anche approvato in fretta e furia tre nuovi progetti di estrazione di gas naturale da tempo bloccati, con grande sdegno degli ambientalisti, che ne hanno – non senza serie ragioni – addebitato la responsabilità ai politici corrotti dai finanziamenti del complesso “OGAM”.

 

Accantonata – grazie all’emergenza guerra – la crisi climatica come preoccupazione immediata, Biden incoraggia oggi l’uso di tutti gli oltre 9000 permessi estrattivi già concessi a livello federale.

E il complesso energetico estrattivo non sta certamente mancando di seguirne il consiglio, giacché finalmente i più alti prezzi sul mercato, dovuti all’attesa minor esportazione russa, assicureranno loro ingenti profitti.

 Gli Stati Uniti hanno, infatti, un’enorme quantità di gas naturale che la tecnologia del fracking consente di ricavare facilmente dal terreno, ma i cui costi per l’esportazione sono alti anche a causa del processo di congelamento necessario per il trasporto.

 La tanto attesa emancipazione degli europei dall’energia russa, ben esemplificata dall’estenuante trattativa – già risalente a Trump e continuata, poi, con Biden – relativa al gasdotto “Nord Stream 2”, che avrebbe potuto portare alla Germania tanto gas naturale a basso prezzo, sembra infatti – grazie al conflitto – finalmente giunta.

Non solo la Germania si è impegnata a non usare il gasdotto russo e ad aprire infine un terminale per la liquefazione del gas naturale che arriverà dagli Usa;

l’intera Europa ha anche preso accordi con gli Stati Uniti per una riduzione progressiva della sua dipendenza energetica dalla Russia, cui sopperirà – scontando un aumento dei costi non indifferente – almeno in parte attraverso l’“aiuto” statunitense.

Il patto, siglato fra Stati Uniti ed Europa il 25 marzo 2022, prevede infatti che i primi inviino per quest’anno 15 miliardi di metri cubi di gas naturale in più alla seconda.

Per il 2030, ha però assicurato Biden, gli Stati Uniti saranno in grado di incrementare l’aiuto fino a 50 miliardi di metri cubi l’anno.

Un vero bingo, insomma, per il complesso dell’energia estrattiva statunitense, che chiama oggi a raccolta gli investitori.

Precedentemente frenati dalla probabile immagine negativa che avrebbe potuto loro derivare dalla poca attenzione dimostrata verso la questione climatica, questi ultimi sono oggi invece legittimati a investire in energia sporca dalla retorica della solidarietà fra popoli.

 La costruzione di nuovi costosi terminal per il congelamento e la liquefazione del gas, già in corso negli Stati Uniti e in Europa, così come l’intensificazione dei processi di fracking in atto negli States, allontana tuttavia a tempo indeterminato ogni progetto di abbandono dell’energia fossile e di emissione-zero di gas serra, pur annunciato da Biden – come si è detto – per il 2050, con buona pace per ogni preoccupazione di sostenibilità del pianeta.

 

 

4. Conclusioni.

Delle sofferenze di chi le armi le vede usare contro di sé, di chi dall’aumento dei prezzi dell’energia ricava povertà o più povertà, o di chi, a causa del riscaldamento del pianeta, già subisce e subirà catastrofi climatiche sempre più devastanti, i grandi gruppi economici che dominano gli Stati Uniti e ne influenzano le strategie politiche si disinteressano.

 È questo il risultato di aver concentrato il potere nelle mani delle corporation, ossia di persone non fisiche ma giuridiche, che non hanno un cuore o un’anima, ma sono mosse da puri meccanismi di accumulazione di capitale.

Tornare alla perduta umanità nelle decisioni politiche, a rappresentare in quella sede i bisogni della gente comune – quella che non conta ma che vota –, a una “democrazia” degna del nome, insomma, sembra l’unica via di salvezza possibile, negli Stati Uniti come ovunque.

 

 

 

Lo stato del conflitto tecnologico

tra Cina e Stati Uniti.

Ispionline.it – Francesca Spigarelli – Gianluca Sanpaolo – (15 gennaio 2024) - ci dicono:

 

La "guerra fredda tecnologica" tra Cina e Stati Uniti ha visto un'intensificazione dagli inizi degli anni 2010, con l'industria dei semiconduttori come fulcro delle tensioni.

 

La guerra tecnologica tra Cina e Stati Uniti, spesso definita “guerra fredda tecnologica” o “guerra tecnologica” (tech war) ha iniziato a intensificarsi all’inizio degli anni 2010.

È difficile individuare una data di inizio esatta, ma una serie complessa e continua di sviluppi, politiche e azioni da parte di entrambi i paesi hanno contribuito ad accrescere le tensioni, che vedono come indiscussa protagonista l’industria dei semiconduttori.

Sicuramente, sul fronte cinese, il lancio del piano “Made in China 2025”(Mic2025), nel 2015 e la formalizzazione del” New Chinese Dream” da parte del presidente “Xi Jinping”, hanno segnato un primo punto di svolta.

 La visione per il futuro della Cina, introdotta nel 2012 da “Xi” in occasione dell’assunzione del mandato di segretario generale del Partito comunista cinese e presidente della Repubblica popolare cinese, prevedeva tra gli altri l’obiettivi di rendere la Cina leader globale nel campo della scienza e della tecnologia.

La competizione con gli Usa, protagonista indiscusso dell’innovazione specie in campo tecnologico fino ad allora, è apparsa subito inevitabile.

 

La competizione Usa-Cina: semiconduttori e oltre.

La competizione tecnologica è dominata dall’industria dei semiconduttori, che a cascata influenza le tecnologie del futuro, tra cui l’intelligenza artificiale (IA), il quantum computing (QC), le blockchain (Bct), etc.

 La crucialità di questa industria si associa alla complessità della relativa catena del valore, alimentata da un ecosistema geograficamente diffuso e interconnesso, con lunghi cicli di fabbricazione, non linearità nei processi produttivi, eterogenea distribuzione geografica della produzione e interdipendenza tra fornitori e fasi della produzione.

Tale catena comprende la progettazione, la produzione (processi front-end), oltre che il test, l’assemblaggio e l’imballaggio (processi back-end), prima di raggiungere le aziende utilizzatrici che integrano i chip nei loro prodotti.

La complessità è ulteriormente accentuata dalla volatilità e imprevedibilità del mercato dell’elettronica.

 

Sebbene la Cina non abbia sviluppato aziende di semiconduttori leader mondiali, ha stabilito una presenza in quasi ogni fase della produzione di chip, grazie a decenni di investimenti e sviluppo interno.

Questi sforzi hanno trovato compimento sia nel “piano Mic2025”, che si pone l’obiettivo di rendere la Cina dominante nella produzione globale di alta tecnologia, sia nelle politiche specifiche per promuovere la crescita di alta qualità nelle industrie dei circuiti integrati (CI) che di software.

 Tali politiche hanno consentito, negli anni, di sviluppare un vantaggio competitivo tale da rendere la Cina il maggiore produttore al mondo di dispositivi elettronici.

 

Nonostante i notevoli progressi raggiunti, le analisi disponibili mostrano come siano ancora numerosi i punti deboli cinesi, in particolare nel segmento delle industrie di supporto, come quelle legate alle attrezzature per la produzione di “CI”, o ai materiali e strumenti di progettazione elettronica (Eda).

 I vincoli tecnologici cinesi rendono difficile una produzione competitiva di semiconduttori di fascia alta, costringendo il paese a una forte dipendenza dalle aziende straniere per l’approvvigionamento delle tecnologie critiche.

Di fatto, dal 2006, l’importazione di semiconduttori, compresi i “CI” e altri tipi di dispositivi al silicio, ha superato il petrolio greggio diventando la principale merce importata in Cina.

Nel 2021, il valore annuo delle importazioni cinesi di “IC” ha raggiunto i 635,5 milioni di unità per un valore complessivo record di circa 433 miliardi di dollari statunitensi, evidenziando la dipendenza del paese dall’estero.

 

Con l’aumentare delle tensioni con gli Usa, la Cina ha ulteriormente investito sulla capacità produttiva nazionale.

Ciò è dimostrato dal “14° Piano quinquennale” e dalla” Legge sul progresso scientifico e tecnologico”, che mira a sviluppare e rafforzare le aree identificate come prioritarie tra cui “IA”, “tecnologia quantistica”, “CI”, “reti neurali”,” genomica”, “biotecnologia” e “scienze della salute”.

 

Nel 2023, la Cina ha iniziato ad adottare un approccio politico più assertivo per affrontare l’escalation della “Chip war” con gli Usa.

 Il panorama iniziale di misure di investimento interne è stato nel tempo accompagnato da azioni aggiuntive volte a incidere sulle politiche commerciali, così da contrastare le sanzioni degli Stati Uniti e di altri paesi.

In base agli eventi più recenti, queste includono misure per limitare o fermare le esportazioni, colpire le aziende straniere che operano in Cina o impedire alle imprese di accedere al suo vasto mercato.

 Si consideri, ad esempio, il caso della” Micron Technology Inc.”, produttore statunitense di dispositivi a semiconduttore, che non ha superato la revisione sulla sicurezza informatica da parte della “Cyberspace Administration of China” (Cac).

Quest’ultima ha emesso un avviso agli operatori delle infrastrutture chiave nazionali, invitandoli a non acquistare i prodotti dell’impresa Usa.

 

Inoltre, la Cina ha bloccato l’esportazione di grafite, un minerale essenziale che ha acquisito importanza geopolitica come ingrediente chiave nelle batterie per veicoli elettrici, di cui gli Stati Uniti sono tra i principali importatori della Cina.

 Allo stesso tempo, sono stati firmati accordi volti a generare politiche commerciali preferenziali.

 Cina e Corea del Sud hanno convenuto di rafforzare il dialogo e la cooperazione sulle catene di approvvigionamento dell’industria dei semiconduttori.

 Analogamente, si sono intensificati gli sforzi della Cina per sostenere le relazioni economiche in America Latina.

Come testimoniato dalle recenti acquisizioni minerarie volte all’approvvigionamento di materiali come litio, rame, cobalto, niobio e altri elementi rari, essenziali nella produzione di batterie per veicoli ibridi ed elettrici, la Cina alimenta le relazioni con una area del mondo che, storicamente, ha considerato il mercato statunitense come riferimento sia per prossimità geografica sia per alleanze politiche consolidate.

 Gli accordi raggiunti di recente nella regione e ben accolti dalle amministrazioni locali e nazionali, attratti dalla tecnologia e dai capitali cinesi come leva per promuovere lo sviluppo locale, potrebbero costituire un volano per aggirare le barriere commerciali imposte dagli Usa, attraverso iniziative mirate a promuovere lo sviluppo congiunto e favorire l’uso internazionale dello yuan.

 

Le prospettive di autarchia e avanzamento tecnologico cinese hanno trasformato l’approccio degli Stati Uniti alla globalizzazione dei mercati.

In questa sede, in particolare, si ricordano i due provvedimenti recenti più controversi:

 il decreto sulla riduzione dell’inflazione (Inflation Reduction Act, Ira) e il decreto sui chip e la scienza (Chips Act).

 A partire dal 2022, l’“Ira”, tra le altre cose, garantisce l’accesso a crediti fiscali per oltre 360 miliardi di dollari, concentrati sull’elettrificazione e sulle industrie verdi a fronte di processi di produzione svolti a livello locale.

Ad esempio, per ottenere un credito di 7500 dollari per un veicolo elettrico (EV), l’EV e la maggior parte dei suoi componenti della batteria devono essere assemblati in Nord America.

 I minerali critici nella batteria devono anche provenire o essere in gran parte raffinati a livello nazionale o dai partner del” Free Trade Agreement”.

Il “Chips Act” contiene il più grande investimento in ricerca e sviluppo nella storia degli Stati Uniti.

 Si prevedono investimenti pari a 52,7 miliardi di dollari per potenziare la produzione di semiconduttori negli Stati Uniti.

La maggior parte di questa spesa è destinata a impianti e strutture di fabbricazione di dispositivi a semiconduttore, con 11 miliardi di dollari per la ricerca e lo sviluppo di chip.

 Congiuntamente, tali politiche mirano a ridistribuire le attività economiche e le catene di approvvigionamento lontano dalla Cina, contribuendo a salvaguardare e accrescere la leadership e la capacità di innovazione tecnologica degli Usa.

 

L’impatto della “Tech war” sui flussi commerciali.

Una nostra analisi dei flussi commerciali più recenti tra la Cina e gli Stati Uniti nella catena del valore dei semiconduttori conferma le tensioni e le dinamiche in atto tra i due paesi.

 I dati mostrano come la dipendenza tecnologica della Cina dagli Stati Uniti rimanga ancora elevata, comprovata da un elevato deficit commerciale, specie per “CI” e macchine e apparecchiature per la produzione di semiconduttori.

Tuttavia, emerge una netta riduzione di importazioni nel periodo tra maggio 2021 e marzo 2022, risultato sia delle sanzioni commerciali Usa, sia della ricerca della diversificazione e del rafforzamento della capacità di innovazione indigena cinese, supportata anche dal recente fondo statale da 40 miliardi di dollari.

 

La Cina sta sviluppando una notevole capacità nei dispositivi a semiconduttori che si basano su processi di produzione maturi (mature process node manufacturing), inclusi i sensori, i power semiconductors e i microcontrollori presenti in dispositivi di elettronica di consumo, veicoli e dispositivi medici di uso quotidiano.

 L’evidente dipendenza dall’estero per l’import di “CI” menzionata sopra ha visto una drastica diminuzione a partire dal 2021, confermata dai dati più recenti che mostrano come l’import abbia registrato una diminuzione del 15,3 % nel 2022 e del 12,3% nei primi 11 mesi del 2023. Al contempo, i ritorni sulle vendite di “CI” prodotti in Cina hanno superato per la prima volta i 140,86 miliardi di dollari Usa nel 2021, con una crescita annua del 18%.

Nel 2022, il dato ha registrato nuovamente una crescita a due cifre. I risultati più sorprendenti sono evidenti nell’utilizzo di processi di produzione più avanzati.

Ne è esempio l’utilizzo di un “chip super-potente” all’interno del “nuovo smartphone Mate 60 Pro” di “Huawei” lanciato in Cina ad agosto 2023.

L’impiego di un chip Kirin utilizzando il processo di fonderia a 7nm (N+2) di “SMIC” (la più grande azienda di chip cinese) dimostra il progresso tecnico che l’industria dei semiconduttori cinese è stata in grado di compiere senza l’uso di strumenti di litografia ultravioletta estrema (Euv).

 

Questo esempio specifico ha accentuato le preoccupazioni occidentali e aperto il dibattito sui primi segnali di autarchia tecnologica cinese, prontamente e pubblicamente contrastati dalle affermazioni della Segretaria al commercio Usa “Gina Raimondo” secondo cui non vi è evidenza di una attuale capacità cinese di processi di produzione avanzati (7nm e inferiori) su larga scala.

 L’hardware all’avanguardia è stato infatti prodotto nonostante le restrizioni degli Usa.

A ciò si aggiunge lo slancio alla produzione di tecnologie innovative e di un ecosistema logistico favorevole in quanto geograficamente e politicamente vicino, di cui la Cina potrebbe beneficiare nel contesto della promozione degli accordi commerciali e di investimento regionali, come nel caso del “Regional Comprehensive Economic Partnership”.

 La stretta integrazione con contesti politici ed economici isolati da potenziali influenze esterne presenta una serie di vantaggi significativi per la Cina.

 Questi accordi e interazioni non solo garantiscono un approvvigionamento stabile di materie prime e processi vitali ad alimentare l’indipendenza tecnologica del paese, ma rafforzano anche la posizione economica e politica nelle aree limitrofe, consentendo un maggiore controllo e influenza nelle dinamiche regionali.

 

Le recenti misure adottate dagli Usa per aumentare il controllo sugli investimenti per scopi di sicurezza nazionale, e il lancio dell’indagine dell’”UE” sugli incentivi cinesi per i veicoli elettrici rivelano una rinnovata ansia e preoccupazione occidentale rispetto a tali prospettive.

 

I semiconduttori e lo sviluppo delle tecnologie digitali chiave.

Dall’avanzamento tecnologico e dalla disponibilità di semiconduttori performanti ed efficienti dipende, a cascata, lo sviluppo di molti settori fortemente digitalizzati su cui si concentrano le traiettorie di crescita di Usa e Cina.

 

Di seguito si analizzano alcune industrie chiave su cui da un lato la posizione di leadership Usa è ampia, ma dall’altro lato l’intervento del governo cinese risulta molto pressante e attento.

I settori su ci si sofferma la nostra attenzione sono: quantum computing (QC), intelligenza artificiale (IA) e tecnologia blockchain (Bct). Tutte e tre le industrie sopra richiamate sono state oggetto di interventi prioritari a seguito anche dell’emanazione del 14° Piano quinquennale (generale).

 Il 30 novembre 2021, il ministero dell’Industria e dell’Informazione cinese ha pubblicato il “Piano quinquennale per lo sviluppo dell’industria del software e dei servizi informatici”, sottolineando l’importanza del software come supporto fondamentale nel processo di digitalizzazione.

 Questo piano guida l’innovazione delle nuove tecnologie dell’informazione tra cui “cloud computing”, “big data”, “IA”, “5G”, “Bct” e “calcolo quantistico”.

Il 27 dicembre 2021, il Comitato centrale per la sicurezza informatica e l’informazione della Cina ha rilasciato il “14° Piano quinquennale per l’informatica nazionale” che dispone e organizza lo sviluppo dell’informatica in Cina.

 

Attualmente, in questi ambiti, la “tech war “è assolutamente aperta, con entrambi i paesi capaci di esprimere ricerca e sviluppo o capacità innovative di eccellenza, imprese leader, programmi nazionali di investimento molto ambiziosi.

 

Il calcolo quantistico o i computer quantistici.

Nell’agosto del 2016, il Consiglio di stato attraverso il “Piano quinquennale per l’innovazione tecnologica nazionale nel periodo del tredicesimo quinquennio” ha elevato i computer quantistici a elemento chiave del progresso tecnologico nazionale.

Negli anni successivi, l’intervento dello stato si è dimostrato costante e sempre più legato alla volontà di promuovere lo sviluppo completo della scienza delle informazioni quantistiche.

 

Nel 14° piano quinquennale si indicano chiaramente tra i settori di frontiera prioritari anche le informazioni quantistiche, insieme all’”IA”, ai “CI”, alla “salute e vita”, alla “scienza cerebrale”, alla” coltivazione biologica”, alla” tecnologia spaziale e marina”.

 Si pianificano investimenti per 100 miliardi di yuan nella costruzione di laboratori nazionali per le scienze delle informazioni quantistiche.

 Dopo l’emanazione del nuovo piano, 21 regioni amministrative provinciali della Cina (su 32 in totale, Hong Kong e Macao esclusi) hanno incluso nei rispettivi piani quinquennali la tecnologia quantistica.

 È stata inoltre istituita l’”Alleanza industriale del calcolo quantistico”, coinvolgendo enti pubblici e privati leader come la” China Construction Bank”,” China Mobile”,” Ping An Bank” e altre, per esplorare applicazioni commerciali.

 

Intelligenza artificiale.

La corsa cinese alla supremazia tecnologica coinvolge anche l’”IA”.

Nel 2017 il “Piano di sviluppo della nuova generazione di intelligenza artificiale” ha elevato l’IA a uno status strategico nazionale, enfatizzando il suo impatto significativo sulla competizione internazionale, sullo sviluppo economico e sulla governance sociale.

Quest’ultimo piano ha definito tre obiettivi principali per la Cina:

a)- entro il 2020, acquisire tecnologie e applicazioni avanzate di IA, creando un’industria specifica con un valore superiore a 1.500 miliardi di yuan;

b)- entro il 2025, ottenere progressi significativi nelle teorie di base dell’IA e sviluppare tecnologie e applicazioni di livello mondiale, portando il valore dell’industria a 4.000 miliardi di yuan;

c)- entro il 2030, sviluppare teorie, tecnologie e applicazioni di IA di livello mondiale, diventando un importante centro globale di innovazione e portando la dimensione dell’industria a 10.000 miliardi di yuan.

 Dopo aver introdotto il concetto di “Intelligenza+” nel rapporto governativo del marzo 2019, l’IA si è rapidamente integrata in vari settori economici e sociali.

 

Il fatto che nel 14° piano siano stati inseriti 59 riferimenti pertinenti all’IA mostra come tali tecnologie siano destinate a divenire una forza motrice dello sviluppo economico della Cina.

 A livello centrale, il Consiglio di stato e l’Assemblea nazionale del popolo, dal 2020 al 14 giugno 2023, hanno emanato 4 politiche correlate all’AI, mentre diversi ministeri ed enti hanno sviluppato indirizzi e linee guida, specifiche per rispettivi settori.

Secondo i dati statistici del ministero dell’Industria e dell’Informazione, al giugno 2022, il numero di imprese impegnate nel settore dell’intelligenza artificiale in Cina supera le 3.000, posizionando il Paese al secondo posto nel mondo dopo gli Stati Uniti.

 

Nel maggio 2023 l’Istituto di ricerca strategica sullo sviluppo della nuova generazione di intelligenza artificiale dell’Accademia delle scienze dell’ingegneria ha pubblicato il “Rapporto sullo sviluppo dell’industria tecnologica di nuova generazione di intelligenza artificiale in Cina nel 2023”.

Nel rapporto sono mappate le istituzioni che alimentano l’ecosistema dell’innovazione sull’AI, costituito da 2.200 imprese di intelligenza artificiale, 5.722 investitori (istituzioni di investimento e non), 438 università specializzate in intelligenza artificiale, 307 istituti di ricerca non universitari, 967 associazioni industriali.

Nel rapporto si evidenzia come lo Stato abbia pianificato la costruzione di 3.507 parchi industriali su IA.

 

Tecnologia blockchain.

L’interesse per la “Bct” da parte cinese è elevato.

Nel corso degli anni, l’industria è stata interessata da numerosi interventi di politica industriale, oltre che da investimenti in ricerca e sviluppo che lo stato ha supportato.

 Anche in questo ambito la competizione con gli Usa è accesa.

 Alla fine del 2023, risultano operative nel mondo 10.291 aziende specializzate in “Bc”t, di cui 2.697 negli Stati Uniti e 2.802 in Cina.

 Secondo una classifica di inizio 2023 stilata da Forbes, nella lista delle prime 50 aziende “Bct” a livello globale, figurano 6 aziende cinesi, a fronte di 32 statunitensi:

Ant Group, Baidu, China Construction Bank, Industrial and Commercial Bank of China, Tencent, e WeBank.

 

Tra gli interventi principali del governo a supporto dello sviluppo “Bct” si evidenziano le “Linee guida per accelerare l’applicazione e lo sviluppo dell’industria della tecnologia blockchain” (maggio 2021), in cui il ministero dell’industria e dell’informazione cinese e l’Ufficio centrale di informazione per internet hanno pianificato misure per la piena implementazione di questa tecnologia in modo diffuso nei vari settori industriali.

A partire dal 2021, il ministero della Scienza e della Tecnologia ha formulato e avviato il programma triennale di sviluppo per le “Bct”.

Nel gennaio 2022, attraverso il “Piano quinquennale per lo sviluppo dell’economia digitale del 14° quinquennio” il consiglio di stato ha identificato 11 progetti prioritari che coinvolgono” Bct”, insieme a “IA” e “big data”.

 

Il 30 gennaio 2022, l’Ufficio centrale di informazione per internet ha pubblicato l’“Elenco pilota nazionale per l’innovazione e l’applicazione della tecnologia blockchain”, che include 15 entità amministrative oggetto di sperimentazione ampia e completa delle “Bct” (tra cui municipalità autonome e città), oltre che 164 entità con sperimentazioni specifiche che coinvolgono 16 settori (tra questi energia, servizi amministrativi/servizi di condivisione dati amministrativi, servizi fiscali, giudiziari, amministrazione della giustizia, gestione dei diritti d’autore, affari civili, assistenza sociale, istruzione, sanità, commercio e finanza, gestione dei rischi, mercato azionario, finanza transfrontaliera).

 

Come risultato di questi massicci interventi, nel periodo 2021-26, il tasso di crescita annuo composto del mercato della “Bct” è previsto raggiunga il 73%, mentre entro il 2026 le dimensioni del mercato cinese dovrebbero essere pari a oltre 16.000 milioni di dollari statunitensi.

 

Come mai gli Stati Uniti

vogliono mettere al bando TikTok.

Esquire.com - Davide Piacenza – (13/03/2024) - ci dice:

Una proposta presentata alla Camera imporrebbe a Byte Dance, sospettata di legami con la Cina, di vendere.

Diventerà legge?

 

Mercoledì 13 marzo la Camera statunitense voterà una proposta di legge voluta dai Repubblicani che prende di mira TikTok, la popolarissima “app” di video brevi e meno brevi utilizzata soprattutto dalla “Gen. Z”, da tempo criticata oltreoceano per presunti legami col governo cinese della società di Pechino che la gestisce, “Byte Dance”. Nel “bill”, la legge in fase di voto alla Camera, si propone di obbligare TikTok a separarsi formalmente da “Byte Dance”, altrimenti l’utilizzo dell’applicazione sarà bandito su tutto il territorio americano.

 

I primi firmatari della proposta, il Repubblicano “Mike Gallagher “e il Democratico” Raja Krishnamoorthi”, sostengono che “TikTok” ponga «una grave minaccia alla sicurezza nazionale statunitense» perché la proprietà cinese potrebbe utilizzarla per operazioni di spionaggio di massa od operazioni di influenza dell’opinione pubblica americana.

I proponenti hanno puntualizzato di non volere per forza la proibizione di TikTok, ma che la proprietà dovrebbe essere che l’”app” venga sottratta al controllo cinese.

«Il principale avversario dell’America non deve poter controllare una piattaforma mediatica dominante negli Stati Uniti», per citare le parole dello stesso “Gallagher”.

I detrattori della misura pensano invece che una messa al bando di TikTok violerebbe la libertà di espressione della sua utenza, e i Democratici al Senato hanno proposto misure alternative che, senza mettere nel mirino l’applicazione di” Byte Dance” nello specifico, darebbero nuovi strumenti ai legislatori americani per regolare piattaforme controllate all’estero.

Il progetto di legge in discussione, invece, come approvato dall’ “House Energy Committee,” prevede che qualsiasi compagnia operante negli Stati Uniti ma sotto il controllo di un Paese ostile – il testo fa i nomi di “Byte Dance” e “TikTok” – debba essere ceduta entro 180 giorni a un’entità commerciale americana, sulla cui legittimità si esprimerà direttamente il presidente.

 

Difficile esprimersi sui destini della misura:

diversamente da quanto si potrebbe immaginare, il “TikTok ban” è supportato da “Joe Biden” e avversato da “Donald Trump” – che pure aveva tentato di proibire l’uso dell’“app” con un ordine esecutivo nel 2020, per gli stessi motivi addotti dai proponenti della legge.

E se anche dovesse passare alla Camera in mano ai Repubblicani – come è probabile che accada – avrebbe una strada più difficile al Senato, che è controllato dai Democratici.

(DAVIDE PIACENZA)

 

 

 

È Guerra: il vero tritacarne

comincia adesso.

 Unz.com - Redazione The UNZ - PEPE ESCOBAR – (23 MARZO 2024) – ci dice:

 

Niente più giochi di ombre. Ora è allo scoperto.

Senza esclusione di colpi.

Venerdì 22 marzo 2024. È la guerra.

Il Cremlino, tramite Peskov, alla fine lo ammette.

La quotazione in denaro:

"La Russia non può permettere l'esistenza ai suoi confini di uno Stato che ha l'intenzione documentata di utilizzare qualsiasi metodo per portarle via la Crimea, per non parlare del territorio di nuove regioni".

Traduzione:

il “bastardo di Kiev costruito dall'Egemone” è condannato, in un modo o nell'altro.

Il segnale del Cremlino: "Non abbiamo nemmeno iniziato" inizia ora.

Venerdì pomeriggio, poche ore dopo Peskov.

 Confermato da una seria fonte europea, non russa.

Il primo contro segnale.

Truppe regolari provenienti da Francia, Germania e Polonia sono arrivate, per ferrovia e per via aerea, a Cherkassy, a sud di Kiev.

 Una forza notevole. Nessun numero trapelato.

Vengono ospitati nelle scuole. A tutti gli effetti pratici, si tratta di una forza della “NATO.

 

Questo segnala: "Che i giochi hanno inizio".

Da un punto di vista russo, i biglietti da visita di “Khinzal” sono destinati a essere molto richiesti.

Venerdì sera.

 Attacco terroristico a Crocus City, un locale musicale nel nord-ovest di Mosca.

Un commando pesantemente addestrato spara a vista a sangue freddo, a bruciapelo, poi dà fuoco a una sala da concerto.

 Il contro-segnale definitivo: con il campo di battaglia che crolla, tutto ciò che rimane è il terrorismo a Mosca.

E proprio mentre il terrore colpiva Mosca, gli Stati Uniti e il Regno Unito, nel sud-ovest asiatico, bombardavano” Sana'a”, la capitale yemenita, con almeno cinque attacchi.

Un po' di ingegnosa coordinazione.

Lo Yemen ha appena concluso un accordo strategico in Oman con Russia-Cina per una navigazione senza problemi nel Mar Rosso, ed è tra i principali candidati per l'espansione “BRICS+” al vertice di Kazan del prossimo ottobre.

Non solo gli “Houthi” stanno sconfiggendo in modo spettacolare la talassocrazia, ma hanno dalla loro parte anche il partenariato strategico Russia-Cina.

L'assicurazione di Cina e Russia che le loro navi possono navigare senza problemi attraverso “Bab-al-Mandeb”, “Mar Rosso” e “Golfo di Aden” viene scambiata con il totale sostegno politico di Pechino e Mosca.

 

Gli sponsor restano gli stessi.

È notte fonda a Mosca, prima dell'alba di sabato 23. Praticamente nessuno dorme. Le voci danzano come dervisci su innumerevoli schermi. Naturalmente nulla è stato confermato – ancora.

Solo l'FSB avrà risposte.

È in corso una massiccia indagine.

La tempistica del massacro di Crocus è piuttosto intrigante.

Un venerdì durante il “Ramadan”.

 I veri musulmani non penserebbero nemmeno di perpetrare un omicidio di massa di civili disarmati in un'occasione così sacra.

Confrontatela con la carta dell'“Isis” marchiata freneticamente dai soliti noti.

Andiamo a “pop”.

Per citare i “Talking Heads”:

"Questa non è una festa/questa non è una discoteca/non è uno scherzo".

Oh no; è più come un'operazione psichiatrica tutta americana.

 L'ISIS è mercenario/scagnozzo da cartone animato.

Non veri musulmani.

E tutti sanno chi li finanzia e li utilizza come armi.

 

Ciò porta allo scenario più possibile, prima che intervenga l'FSB: scagnozzi dell'ISIS importati dal campo di battaglia siriano – allo stato attuale, probabilmente tagiki – addestrati dalla “CIA” e dall'”MI”6, che lavorano per conto della “SBU” ucraina.

Diversi testimoni al Crocus si riferivano a "wahhabiti" – poiché nel commando gli assassini non sembravano slavi.

 

Toccava al serbo “Aleksandar Vucic” andare al sodo.

 Ha collegato direttamente gli "avvertimenti" lanciati all'inizio di marzo dalle ambasciate americana e britannica ai loro cittadini di non visitare luoghi pubblici a Mosca con le informazioni della CIA/MI6 che avevano informazioni interne su un possibile terrorismo e non le avevano rivelate a Mosca.

La trama si infittisce quando si scopre che Crocus è di proprietà degli “Agalarov”:

una famiglia miliardaria azera-russa, molto amica di...

 

... Donald Trump.

 

Parla di un obiettivo individuato dallo “Stato Profondo”.

Spin-off” dell'ISIS o banderistas – gli sponsor rimangono gli stessi.

 Il clownesco segretario del Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale dell'Ucraina, “Oleksiy Danilov,” è stato abbastanza stupido da confermare virtualmente, afferma, che l'hanno fatto, dicendo alla TV ucraina:

 "Daremo loro [ai russi] questo tipo di divertimento più spesso".

Ma è toccato a “Sergei Goncharov”, un veterano dell'unità d'élite antiterrorismo “Russia Alpha”, avvicinarsi a svelare l'enigma:

ha detto a “Sputnik” che la mente più fattibile è “Kyrylo Budanov”, il capo della Direzione principale dell'intelligence presso il ministero della Difesa ucraino.

Il "capo dello spionaggio" sembra essere la principale risorsa della “CIA” a Kiev.

Deve andare avanti fino all'ultimo ucraino.

I tre reperti di cui sopra completano ciò che il capo della NATO

il comitato militare, “Rob Bauer”, aveva precedentemente dichiarato in un forum sulla sicurezza a Kiev:

"Abbiamo bisogno di più che semplici granate: abbiamo bisogno di persone per sostituire i morti e i feriti.

E questo significa mobilitazione".

 

Traduzione: la NATO dichiara che questa è una guerra fino all'ultimo ucraino.

E la "leadership" di Kiev continua a non capirlo.

L'ex ministro delle Infrastrutture “Omelyan”:

 "Se vinciamo, ripagheremo con petrolio, gas, diamanti e pellicce russi. Se perdiamo, non si parlerà di soldi:

l'Occidente penserà a come sopravvivere".

 

Parallelamente, il debole "giardino e giungla" “Borrell” ha ammesso che sarebbe "difficile" per l'UE trovare 50 miliardi di euro extra per Kiev se Washington staccasse la spina.

La leadership sudata e alimentata dalla cocaina crede in realtà che Washington non stia "aiutando" sotto forma di prestiti, ma sotto forma di omaggi.

 E lo stesso vale per l'UE.

 

Il Teatro dell'Assurdo è ineguagliabile.

Il cancelliere tedesco della” Salsiccia di Fegato” ritiene in realtà che i proventi dei beni russi rubati "non appartengono a nessuno", quindi possono essere utilizzati per finanziare ulteriori armi da parte di Kiev.

 

Chiunque abbia un cervello sa che usare gli interessi di beni russi "congelati", in realtà rubati, per armare l'Ucraina è un vicolo cieco – a meno che non si rubino tutti i beni della Russia, circa 200 miliardi di dollari, per lo più parcheggiati in Belgio e Svizzera: ciò farebbe crollare l'euro per bene, e per quanto riguarda l'intera economia dell'UE.

Gli eurocrati faranno meglio ad ascoltare il grande "disgregatore" della Banca Centrale Russa (terminologia americana) Elvira Nabiullina:

 La Banca di Russia adotterà "misure appropriate" se l'UE farà qualcosa sui beni russi "congelati"/rubati.

Inutile dire che le tre mostre di cui sopra annullano completamente il circo "La Cage aux Folles" promosso dal gracile “Petit Roi”, ora noto nei suoi domini francesi come “Macronapoleon”.

Praticamente l'intero pianeta, compreso il Nord del mondo di lingua inglese, aveva già deriso le "imprese" del suo esercito di Can Can Moulin Rouge.

Così i soldati francesi, tedeschi e polacchi, come parte della NATO, sono già a sud di Kiev.

 Lo scenario più probabile è che restano molto, molto lontani dalle linee del fronte, anche se rintracciabili dalle attività commerciali di “Khinzal”.

Anche prima che questo nuovo gruppo della NATO arrivasse a sud di Kiev, la Polonia – che funge da corridoio di transito privilegiato per le truppe di Kiev – aveva confermato che le truppe occidentali erano già sul terreno.

Quindi non si tratta più di mercenari

 La Francia, tra l'altro, ha solo 7 anni di punteggio in termini di mercenari sul terreno, in gran parte dietro a Polonia, Stati Uniti e Georgia, per esempio.

 Il Ministero della Difesa russo ha tutti i documenti precisi.

In poche parole: ora la guerra si è trasformata da “Donetsk, Avdeyevka e Belgorod” a Mosca.

Più avanti, potrebbe non fermarsi solo a Kiev.

 Potrebbe fermarsi solo a Leopoli.

 Il signor 87%, che gode di una massiccia quasi unanimità nazionale, ora ha il mandato di andare fino in fondo.

Soprattutto dopo Crocus.

C'è ogni possibilità che le tattiche terroristiche degli scagnozzi di Kiev spingano finalmente la Russia a riportare l'Ucraina ai suoi confini originali senza sbocco sul mare del XVII secolo:

privato del Mar Nero e con Polonia, Romania e Ungheria che rivendicano i loro ex territori.

I restanti ucraini inizieranno a porsi seri interrogativi su ciò che li ha portati a combattere – letteralmente fino alla morte – per conto del “Deep State americano”, del “complesso militare” e di “BlackRock”.

Allo stato attuale, il “tritacarne Highway to Hell” è destinato a raggiungere la massima velocità.

 

 

Una rivalutazione totale

delle elezioni del 2024.

Unz.com - ANDREW ANGLIN – (8 MARZO 2024) – ci dice:

 

A causa dei cambiamenti estremi nella situazione globale e nazionale, le mie opinioni sulle imminenti elezioni del 2024 sono cambiate drasticamente negli ultimi mesi, quindi è opportuno fornire uno schema di base di quali erano le mie posizioni e di quali sono ora.

Notoriamente, fin dal 2024 avevo affermato che non c'erano possibilità che Donald Trump potesse vincere le elezioni del 2024.

L'argomentazione era che semplicemente non ha senso che i democratici abbiano rubato le elezioni del 2020 (qualcosa che affermo è un fatto incontrovertibile), affrontando zero conseguenze e quindi non continuando a rubare le elezioni.

Ho anche sottolineato che il numero di frodi nelle elezioni del 2022 è stato probabilmente addirittura peggiore rispetto a quello di due anni prima.

Affinché ci siano elezioni giuste, affermo, gli Stati Uniti dovrebbero essere sottoposti a una qualche forma di legge marziale.

Attualmente non esiste altro meccanismo per prevenire frodi di massa. Senza entrare troppo nei dettagli sulla frode, di cui ho parlato ampiamente altrove, si tratta di un processo molto semplice che implica semplicemente il controllo del conteggio dei voti in una manciata di città blu in stati altrimenti rossi (Michigan, Wisconsin, Arizona, Pennsylvania, e Georgia).

 

L'unico modo per prevenire questa frode sarebbe inviare l'esercito per monitorare questi siti, così come i siti in altri potenziali stati indecisi.

Ovviamente, ciò non accadrà.

Non succederà nulla, a parte esattamente quello che è successo nel 2020 e nel 2022.

 Il piano è di condurre le elezioni esattamente allo stesso modo.

 Il Congresso non ha intrapreso alcuna azione contro il sistema di voto per corrispondenza e di raccolta delle schede elettorali.

(Questo è il meccanismo attraverso il quale le elezioni sono state rubate; non si è trattato di macchine truccate, che è stata una falsa pista spinta da Sydney Powell e Rudy Giuliani, entrambi cattivi attori che hanno paralizzato la capacità di Trump di creare una risposta così alla frode nel 2020.)

Inoltre, i democratici hanno reso ancora più semplice il voto per i non cittadini (che è un fattore minore nella frode rispetto alle schede elettorali per corrispondenza, ma comunque un fattore rilevante).

 

Le argomentazioni di coloro che concordano sul fatto che il 2020 sia stata una frode massiccia e che sostengono anche che Trump possa vincere nel 2024 non sono coerenti.

Se dovessi fare del mio meglio per sostenere la loro tesi:

 sosterrò che Biden è così impopolare che la frode elettorale sarà sopraffatta da così tanti voti per Trump.

Se Trump dovesse ottenere il 70% dei voti in questi stati in bilico, sicuramente sarebbe troppo per i truffatori, che non lo sostengono.

 Tuttavia, questo va contro ciò a cui tutti abbiamo assistito nel 2020, ovvero che hanno chiuso i centri di conteggio e introdotto nuove schede elettorali.

Tutti i media, compreso Fox News, hanno detto che era normale.

Non c'erano rivolte, non c'erano folle con torce e forconi che si presentavano ai centri di conteggio.

Alcuni sostenitori di Trump con il muso del cornuto si sono presentati per lamentarsi, e a Detroit hanno letteralmente chiuso le porte e coperto le finestre con il cartone.

Quando la gente ha reagito a queste immagini scioccanti, la spudorata “lugenpresse” ha pubblicato titoli non commentabili.

 

La risposta della base di Trump è stata il 6 gennaio, che è stata una messa in scena totale da parte dei federali per creare una narrativa di atrocità intorno alle elezioni, e una scusa per mettere fuori legge qualsiasi ulteriore discussione sulla questione.

Tutto questo ha funzionato.

Trump ha accettato di lasciare la Casa Bianca, “Joe Biden” è stato insediato.

 I manifestanti del 6 gennaio furono sottoposti a prigionia politica di tipo bolscevico, tortura e processi farsa.

 E questo è tutto.

Trump potrebbe ottenere il 100% dei voti negli stati in bilico, e non avrebbe importanza.

Non c'è nessuno che fermi la frode e non c'è nessuno che indaghi.

 Le elezioni del 2024 non possono essere legittime.

È impossibile.

Tuttavia, ciò che dobbiamo capire è che l'unica cosa che la frode effettivamente dimostra è che le elezioni americane non vengono decise dal conteggio dei voti.

 Sebbene ciò dimostri che Trump non può vincere, non prova che Trump non possa "vincere", cioè essere selezionato e nominato presidente attraverso il sistema elettorale fraudolento.

Prima dell'attacco del 7 ottobre contro Israele da parte di Hamas, e della conseguente risposta israeliana, non c'era motivo di credere che le persone con il potere di manipolare le elezioni avrebbero voluto il ritorno di Trump al potere.

 Ora, c'è una grande ragione per crederlo: Trump è un irriducibile sostenitore di Israele.

 Sebbene avesse detto poco sulla situazione in corso a Gaza (presumibilmente perché è così impopolare, anche tra i repubblicani), martedì ha detto a Fox News che Israele dovrebbe "finire il lavoro", suggerendo pieno sostegno a tutto ciò che l'“IDF” sta facendo a Gaza.

Qual è il lavoro che deve essere finito, Donald?

 Uccidere il resto dei bambini di Gaza?

Invadere il sud del Libano, apparentemente per "creare un cuscinetto" contro i razzi di Hezbollah che stanno colpendo il nord di Israele? Spazzare via gli Houthi?

 Invasioni dell'Iraq e della Siria?

Un'invasione dell'Iran?

Qualunque cosa sia, è un grande lavoro. E non è certo un lavoro "America First".

Praticamente nessuno in America vuole una guerra regionale in Medio Oriente, e le persone che la vogliono sono troppo stupide per capirne le implicazioni.

Israele ha un'incredibile influenza sulla politica estera e interna degli Stati Uniti attraverso tutti i tipi di meccanismi.

Il meccanismo più grande è ovviamente solo il denaro; la lobby ebraica paga solo i politici.

 Ma dobbiamo anche considerare che il presunto agente del Mossad “Jeffrey Epstein” era quasi certamente solo una delle tante operazioni di intelligence israeliane progettate per controllare persone potenti negli Stati Uniti.

 Ci sono molte ragioni per credere che gli israeliani e i loro sostenitori americani sarebbero in grado di progettare una vittoria elettorale di Trump nel 2024 se credessero che ne trarrebbero beneficio.

Penso che a questo punto, dati i problemi che Biden sta affrontando, e questo segnale da parte di Trump, sia molto facile presumere che l'intero governo israeliano voglia Trump 2024.

 

Donald Trump non è stupido.

Capisce tutto quanto sopra affermato sulla natura del sistema di frode elettorale.

Quello che sta facendo è fare appello agli ebrei affinché gli permettano di diventare nuovamente presidente in cambio del pieno sostegno alla loro agenda nella regione.

 Ciò che tale sostegno comporterebbe non è calcolabile.

La stragrande maggioranza – probabilmente più del 95% – dei maschi bianchi che sarebbero utili all'esercito americano (giovani, intelligenti, in forma, competenti, coraggiosi) sono devoti sostenitori di Trump, e se lui li invitasse a combattere una guerra con l'Iran, ci sarebbero state file fuori dai centri di reclutamento militare che si estendevano attorno all'isolato.

Trump ha una speciale qualità di leadership da cui gli uomini mascolini sono magneticamente attratti, e questo gli dà la capacità di comandare i suoi milioni di giovani a combattere una guerra.

Questo è primordiale, un elemento atavico della psicologia maschile. Pochissimi di questi giovani prenderanno in considerazione le implicazioni.

Anche se cerco di evitare di diventare troppo complottista nelle mie analisi, certamente non sarei sorpreso se ci fosse un attacco del tipo dell'11 settembre contro l'America, e l'Iran ne fosse incolpato, fornendo un casus belli che va oltre "dobbiamo" proteggere Israele".

Trump in realtà non è una minaccia per tutto ciò che interessa agli ebrei.

A parte gli israeliani e i sostenitori intransigenti di Israele, probabilmente si assisterà a un alleggerimento della retorica su Trump da parte degli ebrei americani, se sarà pienamente stabilito che è il candidato israeliano.

L'ipotesi che a Trump non sarebbe mai stato permesso di tornare in carica si basava sulla quantità di vetriolo rivolto a Trump dall'establishment ebraico, dalle donne bianche, dagli immigrati e da vari altri scagnozzi dell'impero americano.

Tuttavia, le reazioni emotivamente sconvolgono Trump non si sono mai allineate con la realtà.

 Trump non ha fatto nessuna delle cose che i suoi nemici sostenevano che avrebbe fatto.

Non ha costruito un muro né ha fatto deportazioni di massa di immigrati.

Non ha posto fine al conflitto con la Russia, e infatti ha inviato armi all'Ucraina dopo che Obama si era rifiutato.

Non ha sciolto la NATO.

Non ha fermato le rivolte di “Black Lives Matter”, non ha fermato la follia del coronavirus, ha effettivamente sostenuto la campagna di vaccinazione di massa.

Egli non "prosciugò la palude", e infatti nominò solo le peggiori creature della palude a cariche importanti.

Anche se non ha iniziato nessuna nuova guerra, il che è stato forse impressionante, non è riuscito a porre fine a nessun conflitto tranne in Siria (dove i russi probabilmente meritano molto più credito di lui), e ha continuato molte politiche neocon, comprese le escalation contro l'Iran. Ha anche sostenuto la guerra saudita contro gli Houthi.

Ha fatto di più per Israele che per l'America, dando loro la sovranità sulle alture del Golan, spostando l'ambasciata americana a Gerusalemme (un gesto simbolico per dire che non ci sarà mai una soluzione a due stati), e ha organizzato gli Accordi di Abramo, che negavano l'esistenza della Palestina, hanno dato agli stati islamici incentivi ridicoli (tangenti, in realtà) per normalizzare le relazioni con Israele e sono stati probabilmente un fatto precursore dell'attuale situazione in Palestina.

Voglio sottolineare che provo ancora sentimenti affettuosi nei confronti di Trump e credo che volesse fare cose buone per il Paese.

Non penso che fosse "coinvolto", penso che semplicemente non fosse in grado di fare davvero nulla e finì per scegliere la strada di minor resistenza.

 Capisco anche perché così tante persone lo vogliono di nuovo in carica. Ovviamente, indipendentemente dall'elenco dei problemi di cui sopra, il Paese era molto migliore quando era presidente.

L'isteria ebraica americana che circonda Trump non era razionale.

Era puramente basato sulla paura di un leader maschile, bianco e aggressivo.

Non si basava su un'analisi obiettiva di ciò che era capace di fare, o di come qualsiasi cosa avesse fatto avrebbe danneggiato gli ebrei.

Mi viene in mente il pezzo della "comica" ebrea “Sarah Silverman” in cui dice che il suo ragazzo (bianco, non ebreo) che alza una bandiera americana le ricorda Hitler e l'Olocausto.

 

Durante un episodio del 2017 della serie ironicamente intitolata "I Love You, America", “Silverman” ha detto:

Avevo un ragazzo molti anni fa, era il mio primo ragazzo che aveva una casa propria, e un giorno sono uscito per vedere cosa stava facendo, e stava issando una bandiera americana sul pennone nel suo cortile.

 E mi sono sentito subito molto strano.

Non aveva senso, ma ho sentito questa sensazione come se fossi spaventato - sì, mi sono sentito spaventato.

Quindi ho pensato: 'Uh, cosa stai facendo?' e lui ha detto: 'Alzare la bandiera', e io ho pensato: 'Perché?' e lui, 'Uhm, perché amo l'America?' e io ho risposto: "Giusto, giusto, ovviamente".

Ma dentro ero scosso.

 

E poi con calma sono andato alla mia macchina, sono salito a bordo e ho chiamato mia sorella Susie per raccontarle cosa era successo.

 Ora forse stai pensando: "Cosa intendi con quello che è successo?" Non è successo niente, il tuo ragazzo ha issato una bandiera americana a casa sua.' No, hai perfettamente ragione, non avevo idea del motivo per cui stavo andando fuori di testa.

 Ho solo... ho avuto questa reazione molto viscerale e mia sorella, che ne sa un perché è una rabbina in Israele, mi ha spiegato che era tipo: 'Amico, il nazionalismo è intrinsecamente terrificante per gli ebrei. Pensateci: bandiere, marce, cieca fedeltà? Queste cose tendono a farci suonare un campanello.' Giusto. Ovviamente. Già. Aveva senso.

Questo spiega più o meno totalmente le urla che abbiamo visto da parte degli ebrei su Donald Trump.

Questa nevrosi inspiegabile sarebbe naturalmente sopraffatta, nel caso di molti ebrei, dalla necessità percepita di proteggere Israele.

Gli ebrei che sostengono tacitamente Donald Trump per proteggere Israele potrebbero essere paragonati a un uomo affamato che si dedica al cannibalismo.

Potreste, e probabilmente lo farete, vedere i media ripiegare nei loro attacchi a Trump.

Lo attaccheranno ancora, ma abbasseranno i toni.

 In particolare, inizieranno ad ammettere che probabilmente vincerà, e a pubblicare sondaggi che lo dimostrano.

 E poi, la notte delle elezioni, potrebbe comportarsi in modo molto diverso da come hanno fatto nel 2020, chiamando gli stati in anticipo per Trump.

La maggior parte del resto della "resistenza" a Trump proveniva da donne e millennial (così come da altre persone emotivamente volatili come “Keith Olbermann”) legati all'idea che Trump ricordasse loro i loro odiati padri.

Queste persone sono irrilevanti.

Non controllano i media.

Il potenziale per sostituire Biden esiste ancora.

 

Era concepibile che “Nikki Haley” avrebbe svolto un ruolo significativo in questo ciclo elettorale, candidandosi potenzialmente come candidata di un terzo partito.

Tuttavia, dopo che ha abbandonato gli studi questa settimana, e visto il modo in cui ha abbandonato gli studi, ciò non sembra più molto probabile.

 C'è ancora la possibilità che Biden possa essere sostituito dal “Partito Democratico” con qualcuno che sarebbe considerato valido da un numero sufficiente di intermediari del potere da insediarsi a novembre.

“Biden” sembra certamente completamente bruciato.

Il modo in cui la sua amministrazione ha gestito la situazione in Ucraina e Israele, insieme alla senilità da cartone animato di quest'uomo, significa che rieleggerlo creerebbe molta più instabilità negli Stati Uniti.

In teoria, la sua amministrazione sostiene Israele tanto quanto Donald Trump.

 Il problema è che nessuno dei suoi elettori lo fa e stanno protestando contro di lui.

 Se Trump fosse presidente, potrebbe fare ciò che non è riuscito a fare con il “BLM”, e cioè sedare le proteste in Palestina.

 

In una moderna democrazia liberale, non c'è bisogno del sostegno pubblico per nessuna politica.

Un governo democratico è sempre solo un burattino di gruppi di interesse privati e la popolazione non ha la capacità di influenzare le decisioni dello Stato.

L'unica minaccia è lo sconvolgimento interno, che è generalmente estremamente improbabile in una democrazia, dato che la gente di solito dice semplicemente "beh, la prossima volta voterò per l'altro" invece di scendere in strada e creare il caos.

 Tuttavia, se Biden si insedierà come presidente a novembre, e le guerre continueranno, l'economia diminuirà e la criminalità e la situazione degli immigrati continueranno a diventare più estreme, si potrebbe finire in una situazione in cui, non importa quanto siano duri i colpi dei media, il suo reale livello di sostegno è inferiore al 15%.

 A quel punto, ci si sta muovendo in una situazione molto precaria, in cui si potrebbe iniziare a vedere una vera e propria violenza politica che minaccia la stabilità di base del paese.

 C'è un interruttore che può essere attivato nella psiche collettiva di una popolazione umana in cui, quasi contemporaneamente, si infuria violentemente e inizia ad agire di conseguenza.

 In questo momento, la politica israeliana di Biden e la sua invasione dell'immigrazione minacciano entrambe di innescare questo meccanismo psicologico collettivo.

C'è ancora la possibilità che Biden venga sostituito da qualche altro candidato democratico, che molto probabilmente sarebbe “Gavin Newsom” (anche se altri hanno affermato che Michelle Obama è l'opzione più probabile).

Se ciò accade, allora c'è la possibilità o la probabilità che i Democratici continuino al potere.

Tuttavia, se ciò non dovesse accadere, andrò su un sito di scommesse sulle criptovalute e scommetterò un sacco di soldi sulla vittoria di Donald Trump alle elezioni del 2024.

Una nota personale.

Odio dire tutto questo.

Come i lettori di lunga data sanno, ho appoggiato Donald Trump nel 2015, subito dopo la sua dichiarazione.

 Qualunque cosa accada, la notte delle elezioni del 2016 sarà sempre una delle notti più belle della mia vita.

Capisco perfettamente che l'idea che Donald Trump diventi il cattivo, che inizi una grande guerra e mandi i nostri ragazzi a morire per Israele in una mega guerra di massa in tutta la regione del Medio Oriente, è estremamente dolorosa anche solo da prendere in considerazione.

Ma devo dire la verità, e tutti noi dobbiamo vivere nella realtà se vogliamo essere veri esseri umani fedeli a Dio, gli uni agli altri e a noi stessi.

Non riconoscere ciò che sta accadendo qui, o negarlo, non può avere alcun buon risultato.

Anche se ho accennato al fatto che Trump potrebbe essere il candidato israeliano per un po' di tempo, è stato dopo le sue dichiarazioni di "finire il lavoro" di martedì, dove in tante parole ha approvato esplicitamente l'intera agenda di guerra di Israele , che è diventato necessario dare un quadro completo di ciò che penso stia accadendo, che è quello che ho fatto qui.

 

Devo anche notare che l'intera faccenda è un pasticcio così incredibile, con così tanto caos nel governo e apparentemente nessuno veramente al comando, che è impossibile fare qualsiasi previsione con un certo grado di certezza.

 Le previsioni sulla politica si basano principalmente sulla teoria dei giochi, sull'analisi delle motivazioni degli attori razionali e, da quello che abbiamo visto, nessuno sta realmente agendo razionalmente (con l'eccezione di Trump, che sta agendo razionalmente appellandosi direttamente agli ebrei e offrendo un sostegno illimitato per il loro sforzo bellico in cambio di una vittoria elettorale).

 

Nessuno nell'amministrazione Biden è in grado di agire razionalmente. Continuano a indietreggiare nelle curve.

Questa situazione in Ucraina è sempre stata una follia.

 O, almeno, è stata una follia dopo che le sanzioni non hanno fatto crollare il governo Putin.

 Il piano originale per la guerra riguardava in realtà l'economia russa: credevano di poter schiacciare il rublo, il che avrebbe causato una rivoluzione colorata che si sarebbe conclusa con la sostituzione di Putin con Alexi Navalny.

Quando ciò non accadesse, l'unica mossa razionale sarebbe stata quella di accettare di dare a Putin il Donbass e poi rivendicare la vittoria perché "a Putin è stato impedito di andare oltre".

Invece, hanno continuato a fare cose che non hanno alcun senso, da qualsiasi angolazione.

Forse ancora più importante, andando avanti, il governo di Bibi Netanyahu, che ho affermato sarebbe un capo di una potenziale amministrazione Trump, non sta agendo razionalmente.

L'ipotesi che nessuno stato arabo sia in grado di mobilitarsi contro di loro, insieme all'ipotesi che la divisione tra sunniti e sciiti sia qualcosa di permanente e che una qualche forma di alleanza tra Turchia e Iran sia sempre impossibile, non sono presupposti razionali.

 Si tratta di scommesse molto pericolose che potrebbero, e probabilmente lo faranno, portare alla distruzione dell'entità sionista.

Non pretendo di avere informazioni riservate e non sono un mago, quindi l'unica capacità che ho è analizzare i dati che abbiamo e fare del mio meglio per dargli un senso.

L'analisi corretta, alla fine, deve essere: tutto può succedere.

Biden potrebbe morire prima delle elezioni, Trump potrebbe essere eletto e poi morire, probabilmente c'è qualche possibilità diversa da zero che “Nikki Haley” diventi presidente in qualche modo, potrebbe esserci un grave attacco terroristico o una guerra molto seria potrebbe scoppiare prima delle elezioni e questi scenari potrebbero significare chissà nemmeno cosa.

Questa è l'unica cosa che so per certo:

c'è un vento cattivo che non porta bene a nessuno. 

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