Il confronto è solo sui governi delle superpotenze.
Il
confronto è solo sui governi delle superpotenze.
Le
Valchirie Ucraine
Possono
Morire…
Conoscenzealconfine.it
– (8 Aprile 2024) - Manlio Lo Presti – ci dice:
Possono
morire con il colpevole silenzio dei movimenti femministi genderisti woke.
Tra la
massa di notizie sullo stato del conflitto russo-ucraino, è emerso di recente
il racconto sull’abbassamento dell’età di arruolamento di uomini ucraini da
inviare al fronte.
Nel
flusso manicomiale dettato da una fretta ossessiva, focalizzata al lancio di
notizie di cui è diventato superfluo valutare la veridicità, è opportuno e
necessario ricordare un articolo del 20/12/2023 con il titolo “A Kiev le valchirie ucraine si
preparano alla guerra “.
Il
titolo è decisamente altisonante, e ricorda i retorici proclami della
propaganda di guerra dell’ultimo conflitto mondiale.
I suoi
contenuti sono in aperta contraddizione rispetto all’ammissione sempre più
aperta di una guerra perduta dagli ucraini, nonostante l’appoggio della
anglosfera.
La
notizia è stata peraltro diffusa da organismi governativi USA che ne sono i
principali responsabili e che – come è accaduto varie volte – stanno attuando
una strategia di progressivo abbandono del cosiddetto “alleato”, per gettarlo
nelle braccia di una Europa sempre più sottomessa e distrutta.
Questa
guerra non sarà vinta da donne inviate al sicuro massacro.
A tutela di queste donne, che saranno
sterminate e moltissime catturate per espiantare i loro organi e subire le
solite violenze di guerra, i movimenti femministi mondiali tacciono e non
muovono un dito.
Il loro indecente silenzio, anche fra i gruppi
italiani molto attivi a perseguitare nemici accuratamente scelti, fa capire
come le loro azioni siano l’attuazione di precisi copioni operativi scritti,
dettati e imposti da ben precise “cabine di regia”.
L’operazione
di arruolamento di donne, se la notizia è vera, è palesemente un atto
disperato.
Il fatto viene giustificato come un ulteriore
progresso sociale delle donne anche nel settore bellico, un altro passo nella
realizzazione della parità genderista.
Anche
in questa occasione, abilmente nascosta e dimenticata, la parità è sostenuta ad
intermittenza e nei momenti “opportuni”.
La
scelta del termine “valchirie” non è casuale.
I nascosti ed espertissimi tecnologi della
sovversione sanno benissimo come rendere potabile un fatto che è semplicemente
e assolutamente ignobile.
Ma
siamo da tempo immersi nell’epoca del rovesciamento di senso e delle logiche di
ragionamento.
La
“PSY-OP”, “Psychological Operation” consiste nell’appoggiare le strategie
atlantiste vestendole di un manto eroico.
Nessuno
degli organi di stampa, tv e rete intendono ricordare la presenza di divisioni
mercenarie di stampo nazista seguaci dello sterminatore nazista “Stefan Bandera”.
Gruppi
che continuano liberamente a massacrare e ad uccidere, con il patrocinio dei
soliti “consiglieri” della “Nato” e della “Cia” operanti liberamente in suolo
ucraino, ai quali si stanno aggiungendo forze militari germaniche, francesi e
polacche.
I
fatti sono scomparsi da decenni e la narrazione è sviluppata solamente a senso
unico dimenticando che le guerre hanno almeno due contendenti.
È diventato irrilevante che le parti in conflitto
uccidano e che la responsabilità non sia da una sola parte.
Queste
donne possono morire uccise come carne da macello sotto i cannoni di una Russia
che da tempo, ma invano, tutti vorrebbero frazionata in decine di staterelli di tipo
balcanico con nuclei di mafiosi al potere.
L’aggressione
ossessiva alla Russia è ufficialmente motivata da ragioni ideologiche è
motivata dal saccheggio delle sue immense risorse naturali finora intatte.
Rimane
il dubbio che perfino la notizia di donne al fronte possa essere totalmente
falsa.
Al
quesito risponderà molto presto la Storia.
Dispiace
che non saranno puniti i responsabili che hanno provocato il massacro e la
progressiva demolizione dell’Ucraina, con danni immensi alla popolazione
inerme.
Non avranno un processo di Norimberga nuova
versione.
Ancora
una volta va certificata la totale inutilità e l’inettitudine di costosissimi
carrozzoni internazionali come ONU, OMS, UNESCO, Corte internazionale dell’Aja,
ecc.
La
vastità della loro inconsistenza certifica come la loro gestione sia nelle mani
di personaggi dello “Stato profondo”.
Questo
è il livello e la qualità infima delle informazioni diffuse mediante una
accozzaglia di fonti che sono diventate “sistema”.
La velocità di creazione e di diffusione delle
notizie non consente una adeguata verifica dei contenuti.
Il
solito e martellante velo ideologico genderista globalista inclusivo ad una
velocità fa il resto.
Sul
commento e sulla valutazione del termine “valchirie” mi astengo per non cadere
anche io nel ridicolo.
(Manlio
Lo Presti)
(lapekoranera.it/2024/04/06/le-valchirie-ucraine-possono-morire-con-il-colpevole-silenzio-dei-movimenti-femministi-genderisti-woke/)
Israele: lo stato terrorista impazzito
che
non vuole rassegnarsi alla sconfitta.
Lacrunadellago.net
- Cesare Sacchetti – (8-4-2024) – ci dice:
Quando
è giunta la notizia che il consolato iraniano in Siria era stato colpito da un
bombardamento non si è potuto non pensare ad un vero e proprio atto
terroristico.
Il
colpevole dell’attacco è noto a tutti, ma questi se ne sta in silenzio perché
in Siria segue la strategia del bombardare siti, spesso civili, poiché l’“ISIS”
non è riuscita a fare il lavoro per il quale era stata creata, senza però fare
rivendicazioni di alcun tipo.
Il
colpevole è ovviamente Israele che da tre anni a questa parte mette in atto
questo tipo di attacchi.
Stavolta
però, forse, si è andati anche un po’ oltre i sanguinari standard dello stato
ebraico per il semplice fatto che ad essere colpito è stato il consolato di una
nazione, l’ “Iran”, che ufficialmente non è coinvolto in nessuna guerra contro
Israele.
Non
può trattarsi del “tragico errore”, espressione della quale a Tel Aviv sono
degli specialisti a ricorrere soprattutto quando si tratta di provare a
giustificare i loro efferati atti di terrorismo come quello che è stato messo in atto
contro i lavoratori delle ONG che portavano aiuti ai palestinesi.
Anche
gli operatori umanitari sono nel mirino di Israele e questi uomini hanno perduto la vita
perché hanno “osato” aiutare un popolo stremato da un’aggressione e da una
barbarie che procede ormai da più di 70 anni.
Israele:
uno stato nato con il terrorismo.
Se
qualcuno però pensa che il terrorismo sia una pagina nuova nella storia del
regime sionista, allora si sbaglia di grosso.
Il
terrorismo è il sangue che scorre nelle vene di Israele sin dall’inizio della
sua controversa storia.
Quando
ancora c’erano gli insediamenti ebraici in Palestina e quando il movimento
sionista mondiale presieduto da “Chaim Weizmann”, molto vicino alla “famiglia
Rothschild”, negli anni 30 continuava a favorire l’immigrazione degli “ebrei
askenaziti” in Palestina, il terrorismo era già una delle strategie
privilegiate dei coloni ebrei.
In
quel periodo esisteva l”’agenzia ebraica per la Palestina”, che oggi ha preso
il nome di “agenzia ebraica per Israele”, che controllava” l’Agana” che viene
ufficialmente definita come una sorta di gruppo paramilitare dagli storici più
vicini ad Israele, quando in realtà esso non era altro che un vero e proprio
gruppo terroristico.
Assieme
ad esso c’erano altri due gruppi che mettevano in atto azioni simili quali “ l’
Irgun” e il Lehi” chiamato anche “banda Stern” che prendeva il suo nome dal suo
fondatore,” Avraham Stern”.
La
“Lagana” era nelle mani di “David Ben Gurion”, futuro primo ministro israeliano
e considerato uno dei padri fondatori dello stato ebraico, mentre” l’Irgun” era
controllata da un altro personaggio che in futuro avrà un ruolo altrettanto di
rilievo in Israele,” Menachem Begin”, che diventerà a sua volta primo ministro
negli anni successivi alla nascita di Israele.
Gli
uomini che hanno fondato lo stato ebraico lo hanno fatto mettendo in atto una
precisa strategia del terrore volta a colpire sia i palestinesi che vivevano su
quella terra da molti secoli, sia i britannici ai quali era stato affidato il
compito da” Lord Rothschild nel 1917” di fare della Palestina una casa per gli
ebrei di tutto il mondo.
In
realtà, dietro il fine dello stato ebraico c’è molto di più che la semplice
idea di costruire uno Stato che potesse accogliere gli ebrei perseguitati in
Europa, circostanza che non suscitava affatto l’indignazione del movimento
sionista mondiale che stipulava accordi con gli aguzzini degli ebrei, spesso i
più poveri, per poter avere la futura popolazione di cui Israele aveva.
È il
caso della famigerata” Haavara”, ovvero quell’accordo tra la Germania nazista e
l’agenzia ebraica in Germania che prevedeva il trasferimento degli ebrei
tedeschi in Palestina.
Ancora
oggi sono gli stessi storici israeliani ad affermare che senza Adolf Hitler lo
stato di Israele non sarebbe mai nato e questo dovrebbe forse indurre più di
qualche riflessione a quei nostalgici dell’era nazista e del fuhrer che credono
ancora che il nazismo sia stato un fenomeno politico sorto in opposizione alla
potenza della finanza ebraica mondiale.
Quando
giungevano gli ebrei in Palestina, i gruppi terroristici sionisti facevano
scorrere una lunghissima scia di sangue.
La
lista dei loro attentanti è talmente lunga che si ha difficoltà ad elencarla
tutta.
Tra
gli episodi ce ne sono alcuni che suscitano più orrore proprio per il loro
assoluto disprezzo nei confronti dei civili che perdevano la vita in questi
agguati.
Nel
marzo del 1937, “l’Irgun” faceva esplodere una bomba nel mercato di Haifa uccidendo 18
civili palestinesi.
Nel
giugno del 1939, la “Lagana di Ben Gurion” razziava la città di Balad Al-Shaykh, rapiva
5 civili e poi li uccideva a sangue freddo.
Gli
agguati però non sono terminati.
Quando inizia la seconda guerra mondiale e
quando si avvicina il “sogno” della nascita di Israele, la scia di sangue si
allunga ancora di più.
Questa
fase è nota come la “insorgenza ebraica”. Gli askenaziti non tollerano
nemmeno più il mandato britannico in Palestina.
Non
vogliono nemmeno più essere sottoposti al controllo della Gran Bretagna che
pure ha consentito loro di emigrare in una terra con la quale non avevano nel
migliore dei casi alcun legame da moltissimi secoli, come nel caso degli “ebrei
sefarditi”, e nel peggiore non ce l’avevano proprio come nel caso degli “ebrei
askenaziti” che, secondo le stesse ricerche effettuate da genetisti israeliani
quali “Eran Elhaik”, sono gli eredi dei cazari, un popolo dell’Est Europa che si
convertì all’ebraismo nel VIII secolo d.C. per mere ragioni di opportunità
politica.
Quando
esplodono 300 kg di esplosivo il 22 luglio del 1946 nel King David hotel di
Gerusalemme, allora sede del quartier generale britannico, si comprende bene
fino a che punto sono disposti ad arrivare gli uomini del sionismo pur di veder
nascere il “loro” stato.
Il
bilancio è a dir poco drammatico. Sotto le macerie dell’albergo c’è una carneficina di
91 persone e 45 feriti.
“L’Irgun”
non si tira affatto indietro e rivendica con orgoglio di aver massacrato molte
persone che erano in larga parte innocenti e che non avevano nemmeno nulla a
che fare con il conflitto israelo-britannico.
Sul
“campo” restano i cadaveri di molti dipendenti dell’albergo e di diversi
stranieri, ma per il sionismo nessuna vita umana non ha valore se non quella
dei sionisti stessi, tra l’altro nemmeno tutte perché anche da quelle parti
esistono delle gerarchie che vedono i pesci più piccoli essere sacrificati
senza troppe remore.
Ad
esprimere al “meglio” la filosofia che governa l’Irgun è proprio il suo leader,
“Begin”, che nei successivi anni pronuncerà queste parole di fronte alla
Knesset, il parlamento ebraico.
“La
nostra razza è la razza maestra. Noi ebrei siamo dei divini su questo pianeta.
Noi siamo differenti dalle razze inferiori così come loro sono dagli insetti.
Infatti, paragonate alla nostra razza, le altre razze sono bestie e animali,
bestiame nel migliore dei casi. Le altre razze sono considerate come escrementi
umani. Il nostro destino è di governare sulle razze inferiori. Il nostro regno
terreno sarà governato dal nostro leader con pugno di ferro. Le masse
leccheranno i nostri piedi e ci serviranno come schiavi.”
Negli
anni successivi alcuni si sono dati da fare per provare a dichiarare come falsa
tale citazione, nonostante essa sia stata riportata dal giornalista israeliano “Amnon
Kapeliouk” in un articolo sul quotidiano “The New Statesman” nel 1982.
Non
era questa certo, tra l’altro, l’unica occasione nella quale “Begin”, che era
primo ministro israeliano in quegli anni, si esprimeva in questo modo riguardo
alla presunta superiorità razziale degli “askenaziti” e alla “inferiorità”
degli altri popoli rispetto a quello israeliano.
“Begin”
disse dei palestinesi che erano “animali che camminavano su due gambe”.
Quando
i leader del sionismo vedono un altro essere umano non vedono un uomo o una
donna, ma vedono appunto una sorta di scarafaggio che deve essere schiacciato
per poter giungere al “sogno” di ricostruire completamente l’antica nazione
israelitica ben al di là degli attuali confini.
Quando
l’ex premier israeliano afferma che “il nostro regno terreno sarà
governato dal nostro leader con pugno di ferro” non fa altro che affermare appieno il vero disegno messianico
che c’è dietro Israele, una nazione nata per ospitare il cosiddetto “moschiach”
del quale parla il gruppo sionista “Chabad “e che nell’ottica di questi
suprematisti sionisti sarà il tiranno che imporrà il suo dominio su tutto il
mondo.
E
questa “visione” ha lasciato dietro di sé una interminabile scia di sangue.
Quando
viene compiuto il “massacro del King David Hotel”, “David Ben Gurion” pretende
ipocritamente di prendere le distanze da “Begin”, quando è emerso
successivamente che la “Lagana” stessa era pienamente coinvolta nell’attacco
terroristico.
Questo
presunto dualismo o contrapposizione tra Ben Gurion e Begin fa parte della messinscena allestita
da questi due gruppi che in pubblico ogni tanto si lanciavano reciproche accuse
di mettere a repentaglio gli interessi di Israele, e poi dietro le quinte
perseguivano gli stessi fini con le stesse strategie.
A “Deir
Yassin”, nell’aprile del 1948, c’è un altro saggio di questa strategia del
terrore permanente attuata da Israele.
Un
commando di terroristi ancora una volta diretto da “Begin”, stavolta assistito
anche dalla “banda Stern”, attacca il villaggio palestinese di “Deir Yassin” e
mette in scena un’altra carneficina che costa la vita a 100 persone innocenti,
metà delle quali donne e bambini.
I
sionisti non si fermano di fronte a niente e nessuno. Schiacciano qualsiasi
vita che loro considerano una “minaccia” sulla strada del potere assoluto della
“loro” nazione.
Anche
in questa occasione “Ben Gurion” prova a prendere le distanze dalla carneficina
ma è lo
stesso “Begin” a dichiarare che la “Lagana” era stata pienamente informata del
piano e aveva dato il suo assenso alla strage.
Le
stragi non si arrestano nemmeno dopo che Israele è nata.
La “banda
Stern” nel settembre del 1948 uccide il “conte Folk Bernadotte”, mediatore
dell’ONU, considerato come una “minaccia” dai terroristi sionisti per la sua
proposta di voler costruire uno stato palestinese per porre fine ad un
conflitto che dura tutt’oggi.
Questa
sua volontà gli costò la vita.
Un
commando di “tagliagole di Stern” crivellò di colpi il convoglio di auto che lo
scortava, uccidendo anche altre persone, ma questo, come si è visto, non turba
minimamente queste persone.
Sarà
così anche negli anni successivi. Sarà così quando durante il conflitto tra
Egitto e Israele nel 1970, l’aviazione israeliana bombarderà indiscriminatamente una
scuola elementare egiziana e lascerà sulle macerie dell’edificio una
carneficina di 30 bambini uccisi dalle bombe di Israele.
Anche
all’epoca qualche fonte Occidentale provò a parlare di “tragico errore” ma sono
80 anni che si vedono dei “tragici errori” da parte di Israele che non sono
altro che la esternazione da parte di questo stato di uccidere tutto e tutti
quelli che non si piegano ai suoi ordini.
Non
c’è davvero modo di trovare una qualche forma di contatto con i suprematisti
sionisti.
O sei
loro schiavo oppure devi essere ucciso.
È
quanto accaduto contro il “consolato iraniano in Siria” dimostra come il
terrorismo continui a scorrere nelle vene di Israele.
Israele
ha bisogno di massacrare vite innocenti per sopravvivere e per espandersi pur
di raggiungere la sua folle visione di dominio del mondo.
Talmente
è folle e incontrollata questa volontà di voler a tutti i costi costruire un “impero
israeliano” che i sionisti messianici hanno in programma per la data odierna il
“sacrificio della giovenca rossa” che serve, nella loro ottica, a propiziare la
ricostruzione del terzo tempio di Gerusalemme, la casa del messia ebraico che nelle
Sacre Scritture non ha altro che le fattezze dell’Anticristo che tiranneggerà
il mondo.
Stavolta
però non siamo nel 1948 né nel 1970.
Non
siamo più nell’impero americano che è stato al servizio del sionismo per larga
parte del 900 e negli anni 2000.
Non
siamo più nell’era del secolo ebraico, come ha scritto, lamentandosene, “The
Atlantic”.
Siamo nell’era della disgregazione dell’impero
americano che oggi rifiuta il ruolo ricevuto nel dopoguerra dal potere
mondialista e sionista, e che fa capire ad Israele che oggi questa nella sua
delirante volontà di onnipotenza è sola.
Gli
Stati Uniti hanno già fatto sapere che non verranno in soccorso di Israele se
ci sarà uno scontro con l’Iran.
Per
anni, il sionismo ha cercato di scatenare una “guerra contro Teheran”, il
grande avversario che si oppone al “movimento sionista mondiale” e che resta un ostacolo enorme sulla
strada della Grande Israele voluta dal Likud e da Netanyahu.
Israele
poi non deve fare i conti non soltanto con un isolamento esterno, al quale si
sono aggiunti anche “gli Emirati” che hanno interrotto le loro relazioni con
Tel Aviv, ma anche con una crisi interna, considerate le sempre crescenti
contestazioni interne contro Netanyahu e contro quella parte di israeliani
secolari che non è poi così interessata all’imperialismo israeliano, e che
invece preferirebbe vivere una vita più normale e non una in trincea permanente
a massacrare i palestinesi.
Se è
vero che l’impero americano sta finendo allora ci si chiede come possa
sopravvivere lo stato ebraico che dipendeva dalla potenza del primo.
Non è
una domanda che sembrano porsi Netanyahu e soci che sono troppo in preda al
loro delirio di onnipotenza per poter fare anche i ragionamenti più semplici.
Israele
con questa gente continuerà nella sua guerra contro il mondo intero.
Il
mondo intero però sembra davvero non volerne più sapere di Israele.
Guerra
brutale e caotica:
le
norme, le convenzioni e
le
leggi di condotta vengono cancellate.
Unz.com
- ALASTAIR CROOKE – (8 APRILE 2024) – ci dice:
Siamo
all'apice di quella che potrebbe essere definita una guerra caotica. Non la
formula usata spesso da Israele in passato per intimidire gli avversari; Questo
è diverso.
Il
reporter israeliano “Eddie Cohe”n, sulla scia dell'attacco al consolato
iraniano, ha dichiarato: "Siamo molto chiari sul fatto che vogliamo iniziare una
guerra con l'Iran e Hezbollah. Ancora non capisci?"
"Israele
vuole trascinare l'Iran in una guerra su vasta scala per essere in grado di
colpire gli impianti nucleari iraniani", anche se questi impianti sono al
di fuori della portata americana e israeliana, sepolti sotto le montagne.
“Cohen”
e, naturalmente, la leadership militare israeliana lo sapranno; ma Israele si
sta comunque rinchiudendo in una logica che non può che portare alla sconfitta.
Gli
impianti nucleari iraniani sono al sicuro dagli attacchi israeliani.
La distruzione delle infrastrutture civili
iraniane, che sono alla luce del sole, può uccidere molti, ma non farà, di per
sé, il collasso dello Stato iraniano.
“Trita
Parsi” colloca l'obiettivo di Israele nell'attaccare il consolato iraniano a
Damasco in un contesto diverso:
"Un
aspetto importante della condotta di Israele – e dell'acquiescenza di “Biden” –
è che Israele è impegnato in uno sforzo deliberato e sistematico per
distruggere le leggi e le norme esistenti in materia di guerra.
Anche
in tempo di guerra, le ambasciate sono off-limits, Israele ha appena bombardato
un complesso diplomatico iraniano a Damasco.
Bombardare
gli ospedali è un crimine di guerra, eppure Israele ha bombardato TUTTI gli
ospedali di Gaza. Ha persino assassinato medici e pazienti all'interno degli
ospedali.
La “Corte
Internazionale di Giustizia” ha obbligato Israele a consentire la consegna di
aiuti umanitari a Gaza.
Israele impedisce attivamente l'arrivo degli
aiuti.
La
morte per fame dei civili come metodo di guerra è proibita dal diritto
internazionale umanitario.
Israele ha deliberatamente creato una carestia
a Gaza.
I
bombardamenti indiscriminati sono illegali secondo il diritto internazionale
umanitario.
Lo
stesso “Biden” ammette che Israele sta bombardando Gaza
indiscriminatamente".
L'elenco
potrebbe continuare all'infinito...
Tuttavia,
la violazione da parte di Israele dell'immunità concessa ai locali diplomatici
della Convenzione di Vienna – oltre alla statura delle persone uccise – è molto
significativa.
È un
segnale importante: Israele vuole la guerra, ma con il sostegno degli Stati
Uniti, ovviamente.
L'obiettivo
di Israele, in primo luogo, è quello di distruggere le norme, le convenzioni e
le leggi di guerra; creare un'anarchia geopolitica in cui tutto è permesso, e
per cui, con la Casa Bianca frustrata, ma accondiscendente a ogni norma di
condotta calpestata in modo invadente, permetta a Netanyahu di afferrare le
briglie degli Stati Uniti e condurre il cavallo della Casa Bianca all'acqua –
verso la sua "Grande Vittoria" regionale della Fine dei Tempi; Una
guerra necessariamente brutale, al di là delle linee rosse esistenti e priva di
limiti.
Simbolicamente
significativo quanto l'attacco di Damasco è che gli Stati Uniti, la Francia e
la Gran Bretagna – dopo un breve "tanto di cappello" alla Convenzione
di Vienna – si sono rifiutati di condannare il livellamento del consolato
iraniano, ponendo così l'ombra del dubbio sull'immunità della Convenzione di
Vienna per le sedi diplomatiche.
Implicitamente,
questo rifiuto di condannare sarà ampiamente interpretato come una morbida
giustificazione del primo timido passo di Israele verso la guerra con Hezbollah
e l'Iran.
Questo
caotico nichilismo "biblico" israeliano, tuttavia, non ha alcuna
relazione in termini puramente razionali con l'aspirazione di Netanyahu a una
"Grande Vittoria".
La
realtà è che Israele ha perso la sua deterrenza.
Non
tornerà; la profonda rabbia in tutto il mondo islamico generata da Israele
attraverso i suoi massacri a Gaza negli ultimi sei mesi lo preclude.
Tuttavia,
c'è una seconda ragione aggiuntiva per cui Israele è deciso a farsi
deliberatamente beffe del diritto e delle norme umanitarie: il giornalista
israeliano” Yuval Abraham” riferisce in modo molto approfondito su “+972
Magazine” come Israele abbia sviluppato una macchina di intelligenza
artificiale (chiamata "Lavanda") per generare liste di uccisioni a
Gaza – senza quasi alcuna verifica umana;
solo un controllo "timbro" di circa
"20 secondi" per assicurarsi che il bersaglio dell'“IA” sia maschio (poiché non si sa che nessuna femmina
appartenga all'esercito della Resistenza).
La
palese extra-legalità dietro la metodologia della "lista delle
uccisioni" di Gaza, come riportato dalle varie fonti di “Abraham”, può
essere immunizzata e protetta solo attraverso la loro normalizzazione come una
delle due illegalità – e in effetti, rivendicando l'eccezionalità sovrana:
"L'esercito
israeliano attacca sistematicamente l'individuo preso di mira mentre si trova
nelle sue case – di solito di notte mentre è presente l'intera famiglia –
piuttosto che nel corso dell'attività militare... Sono stati utilizzati
ulteriori sistemi automatizzati, tra cui uno, chiamato "Dov'è papà?",
in particolare per tracciare i bersagli quando erano entrati nelle residenze
della loro famiglia.
Tuttavia, quando una casa veniva colpita, di
solito di notte, il singolo bersaglio a volte non era affatto all'interno".
"Il
risultato è che migliaia di palestinesi – la maggior parte dei quali donne e
bambini o persone che non erano coinvolte nei combattimenti – sono stati
spazzati via dagli attacchi aerei israeliani, specialmente durante le prime
settimane di guerra, a causa delle decisioni del programma di intelligenza
artificiale".
"Non
eravamo interessati a uccidere gli operativi [di Hamas] quando si trovavano in
un edificio militare... o impegnato in un'attività militare", ha detto A.,
un ufficiale dell'intelligence, a “+972” e “Local Call”.
“Al
contrario, l'esercito israeliano li ha bombardati nelle case senza esitazione,
come prima opzione. È molto più facile bombardare la casa di una famiglia. Il
sistema è costruito per cercarli in queste situazioni".
"Inoltre...
quando si è trattato di prendere di mira presunti militanti minori
contrassegnati da “Lavender”, l'esercito ha preferito utilizzare solo missili
non guidati, comunemente noti come bombe "stupide" (in contrasto con
le bombe di precisione "intelligenti") che possono distruggere interi
edifici sopra i loro occupanti e causare perdite significative.
"Non
si vogliono sprecare bombe costose su persone poco importanti – è molto costoso
per il paese e c'è una carenza [di quelle bombe]".
"...
L'esercito ha anche deciso durante le prime settimane di guerra che, per ogni
giovane operativo di “Hamas” che “Lavender “ha segnato, era permesso uccidere
fino a 15 o 20 civili.
Nel
caso in cui l'obiettivo fosse un alto funzionario di “Hamas” con il grado di
comandante di battaglione o di brigata, l'esercito in diverse occasioni ha
autorizzato l'uccisione di più di 100 civili nell'assassinio di un singolo
comandante".
"Lavender
– che è
stato sviluppato per creare bersagli umani nella guerra in corso – ha contrassegnato circa 37.000
palestinesi come sospetti "militanti di Hamas", la maggior parte dei quali
giovani, per l'assassinio (il portavoce dell'IDF ha negato l'esistenza di una
tale lista di uccisioni in una dichiarazione a” +972” e “Local Call”)".
Quindi,
non c'è da stupirsi che Israele possa cercare di camuffare i dettagli
all'interno di una serie generale normalizzata di trasgressioni contro il
diritto umanitario:
"Volevano
permetterci di attaccare [gli agenti subalterni] automaticamente. Questo è il
Santo Graal. Una volta che si passa all'automatico, la generazione del
bersaglio impazzisce".
Non è
difficile ipotizzare ciò che la “Corte Internazionale di Giustizia” potrebbe
determinare...
Qualcuno
immagina che a questa imperfetta macchina di intelligenza artificiale “Lavanda”
non verrebbe chiesto di sfornare le sue liste di uccisioni, se Israele
decidesse di irrompere in Libano? (Un'altra ragione per normalizzare le procedure prima
a Gaza).
Il
punto chiave sollevato nel rapporto di “+972 Magazine” (con fonti multiple) è
che l'IDF non si è concentrato sull'eliminazione precisa delle “Brigate Qassam”
di “Hamas” (come affermato):
"È stato molto sorprendente per me che
ci sia stato chiesto di bombardare una casa per uccidere un soldato di terra,
la cui importanza nei combattimenti era così bassa", ha detto una fonte
sull'uso dell'IA per contrassegnare presunti militanti di basso rango:
"Ho
soprannominato quei bersagli 'bersagli spazzatura'.
Tuttavia, li ho trovati più etici degli
obiettivi che abbiamo bombardato solo per 'deterrenza' – grattacieli che
vengono evacuati e abbattuti solo per causare distruzione".
Questo
rapporto rende chiaramente assurde le affermazioni di Israele di aver
smantellato 19 dei 24 battaglioni di “Hamas”: una fonte, critica
dell'inesattezza di” Lavender”, sottolinea l'ovvio difetto:
"È
un confine vago"; Come distinguere un combattente di Hamas da qualsiasi
altro maschio civile di Gaza?
"Al
suo apice, il sistema è riuscito a generare 37.000 persone come potenziali
bersagli umani", ha detto B.
"Ma
i numeri cambiavano continuamente, perché dipende da dove si imposta
l'asticella di ciò che è un operativo di “Hamas”.
Ci
sono stati momenti in cui un operativo di Hamas è stato definito in modo più
ampio, e poi la macchina ha iniziato a portarci tutti i tipi di personale della
protezione civile, agenti di polizia, su cui sarebbe stato un peccato sprecare
bombe".
Proprio
la scorsa settimana, il membro del “Gabinetto di Guerra e Ministro Ron Dermer”,
è stato delegato a recarsi a Washington per sostenere che il successo dell'IDF
nello smantellamento di 19 battaglioni di Hamas giustificava un'incursione a
Rafah per smantellare i 4 o 5 battaglioni che Israele sostiene siano ancora
presenti a Rafah.
Ciò
che è chiaro è che l'IA è stata uno strumento chiave di Israele per la sua
"vittoria" a Gaza. Israele stava per vendere una "storia di fumo
negli occhi" basata su "Lavanda".
Al
contrario, i palestinesi, che sono consapevoli della loro inferiorità
quantitativa, hanno una visione molto diversa:
sono
passati a un nuovo modo di pensare che dà al semplice atto di resistere un
significato di civiltà – un percorso verso la vittoria metafisica (e molto
probabilmente una sorta di vittoria militare), se non durante la loro vita,
almeno per il popolo palestinese.
Successivamente.
Questo costituisce la natura asimmetrica del
conflitto che Israele non è mai riuscito a comprendere.
Israele
vuole essere temuto, credendo che questo ripristinerà la sua deterrenza.
“Amira
Hass” scrive che, indipendentemente da qualsiasi repulsione per questo governo
e i suoi membri:
"La stragrande maggioranza [degli israeliani]
crede ancora che la guerra sia la soluzione".
E “Mairav Zonszein”, scrivendo su “Foreign
Policy”, osserva che "il problema non è solo Netanyahu, è la società
israeliana":
"L'attenzione
su Netanyahu è una comoda distrazione dal fatto che la guerra a Gaza non è la
guerra di Netanyahu, è la guerra di Israele – e il problema non è solo
Netanyahu; è l'elettorato israeliano ... Una grande maggioranza – l'88 per
cento – degli ebrei israeliani intervistati a gennaio crede che l'incredibile
numero di morti palestinesi, che all'epoca aveva superato i 25.000, sia
giustificato.
Una grande maggioranza dell'opinione pubblica ebraica
pensa anche che l'IDF stia usando una forza adeguata o addirittura troppo poca
a Gaza.
Dare tutta la colpa al primo ministro non
coglie il punto.
Non tiene conto del fatto che gli israeliani hanno da
tempo progredito, permesso o sono venuti a patti con il sistema di occupazione
militare e disumanizzazione dei palestinesi del loro paese".
Eppure
né Israele, né gli Stati Uniti, hanno una strategia globale per questa guerra
discussa.
L'approccio
di Israele è tutto tattico: sostiene di aver degradato Hamas; trasformando Gaza
in un inferno umanitario e preparando la scena per il "piano
decisivo" ideato da “Bezalel Smotrich” per i palestinesi.
Ancora
“Amira Hass”:
"O
accetti uno status inferiore, da emigrato e vieni sradicato apparentemente
volontariamente, o affronti la sconfitta e la morte in una guerra.
Questo è il piano che si sta attuando a Gaza e
in Cisgiordania, con la maggior parte degli israeliani che fungono da complici
attivi ed entusiasti, o che acconsentono passivamente alla sua realizzazione".
La
"visione" degli Stati Uniti è anche tattica (e molto lontana dalla
realtà) – immaginare la trasformazione di Gaza in uno staterello
"collaborazionista di Vichy";
immaginando
che la pressione politica dei francesi in Libano costringerà Hezbollah a
ritirarsi dalle sue terre ancestrali nel sud del Libano;
e
immaginando che la Casa Bianca di Biden sia in grado di ottenere politicamente
attraverso la pressione ciò che Israele non può fare militarmente.
Il
paradosso è che, con Israele e gli Stati Uniti che dipendono da una
"immagine" che è stata confusa con la realtà, anche questo va a
vantaggio dell'Iran e del Fronte di Resistenza. (Come dice il vecchio adagio,
"non disturbare un avversario che sta commettendo errori").
Declino
economico degli” Stati Uniti”
e
ascesa della “Grande Eurasia”.
Unz.com
- MICHAEL HUDSON – (5 APRILE 2024) – ci dice:
GLENN
DIESEN:
Benvenuto, mi chiamo “Glenn Diesen” e sono
affiancato da “Alexander Mercouris” e dal professor “Michael Hudson”.
Benvenuti
a entrambi.
Oggi
volevo davvero discutere del disaccoppiamento o frammentazione dell'economia
internazionale e anche dell'architettura economica alternativa che sta
emergendo, direi principalmente nell'Est, ma anche in altre parti del mondo.
Quindi
ho pensato che potremmo iniziare discutendo delle sfide economiche che
definiscono il nostro tempo.
Per
quelli di noi che studiavano economia negli anni '90 e 2000, il discorso
importante è sempre stato l'interdipendenza economica. Questa avrebbe dovuto
essere la ricetta per la prosperità e la pace, ma oggi la retorica è ovviamente
cambiata.
Ora il
discorso principale in città sarà una nuova divisione internazionale del
potere.
Quindi,
mentre all'inizio degli anni 2000 l'idea era che gli Stati Uniti avrebbero
inventato l'iPhone e i cinesi avrebbero potuto assemblarlo, questa era la
distribuzione del lavoro, ma ora ovviamente la Cina ha scalato queste catene
del valore globali e può effettivamente fare entrambe le cose, l’invenzione di
esso e assemblaggio.
Nel
frattempo,” Biden” ha recentemente sostenuto che se qualcosa viene inventato
negli Stati Uniti, dovrebbe essere prodotto anche lì. Si tratta quindi di uno
smantellamento o di un rimpatrio delle catene di approvvigionamento in corso.
Vediamo
anche che la dipendenza economica viene usata come arma, direi, attraverso il
dirottamento delle petroliere iraniane, il sequestro dei beni della banca
centrale russa o semplicemente il tentativo di tagliare o paralizzare l'accesso
della Cina alla tecnologia.
Quindi
immagino che la mia prima domanda sarebbe: cosa significa tutto questo?
Quali sono le principali tendenze e cosa
significano non solo per gli Stati Uniti e la Cina, ma anche per il resto del
mondo?
Paesi come la Germania, che erano molto legati a
questo sistema economico molto liberale, saranno schiacciati dalla nuova
politica economica o cosa prevedete che accadrà?
MICHAEL
HUDSON:
Beh, gli Stati Uniti sono sempre stati a
favore del libero scambio dopo la seconda guerra mondiale fintanto che erano il
produttore industriale più efficiente e più forte.
Ma ora
che non è più la più forte, è tornata al protezionismo che nel 19esimo secolo
ha costruito la sua industria all'inizio.
Il
problema è che in questo momento, anche se gli Stati Uniti e altri paesi stanno
diventando protezionisti, gli Stati Uniti non possono reindustrializzarsi come potevano
allora perché hanno già sovraccaricato la loro economia con la
finanziarizzazione, il debito aziendale, il debito personale e l'assistenza
sanitaria privatizzata. E l’istruzione privatizzata.
Il
costo economico derivante dall'ottenere un lavoro qui e la paga che i
lavoratori devono ricevere, non semplicemente per mangiare e vestirsi ma per
l'assicurazione medica, per il servizio del debito, esclude l'America dal
mercato.
Quindi non ha davvero altra alternativa se non
quella di essere autarchico.
Ma non
può essere autarchico perché nessuno vede come possa reindustrializzarsi.
Quindi
c'è una sorta di rabbia qui tra gli economisti.
E
proprio oggi, il ministro del Tesoro “Janet Yellen” è andato in Cina e ha
detto, beh, non possiamo più importare i pannelli solari perché il governo
cinese li sostiene, come se anche il governo degli Stati Uniti non li
sostenesse e altri paesi no. Ma occorre sostenerli.
Le dichiarazioni pubbliche sul motivo per cui
l'America deve evitare le importazioni dalla Cina e imporre sanzioni alla
Russia sono quasi una parodia.
Ma il
risultato è che ci saranno carenze in tutte le economie che stanno seguendo
questo ritiro dal commercio internazionale.
ALEXANDER
MERCOURIS:
Questo
è molto interessante. Quando dici che ci saranno delle carenze, queste carenze alla
fine si autocorreggeranno?
Poiché
in realtà stavo leggendo, ancora una volta, c'è stata una dichiarazione molto
interessante da parte del governatore della banca centrale russa,” Nebulina”,
che è, tra l'altro, qualcuno che penso personalmente, emotivamente, fosse molto
legato al mercato aperto e neoliberista, modello economico non regolamentato.
Lei è
assolutamente stupita da quale sia stato l'effetto, l'effetto reale, della
spinta verso una sorta di protezionismo forzato in Russia.
E in questa dichiarazione dice che ciò che sta
realmente accadendo, e dice, non posso spiegarlo, questo mi sorprende, è che
gli investimenti stanno aumentando.
La
spesa dei consumatori è in aumento.
I
salari stanno aumentando.
E in
condizioni di boom degli investimenti, la produzione è in espansione. Lei dice
che non ci credo del tutto.
Temo
che l'economia, la nostra economia russa, stia crescendo più velocemente delle
sue capacità, che in qualche modo finirà per esaurirsi.
Voglio
dire, è un'affermazione molto strana, sicura di sé per certi aspetti, panico
per altri.
Questo
non può essere vero. Ma è davvero quello che accadrà?
Perché
questo sistema in cui tutti sono collegati in un unico sistema economico in
realtà è stato, credo, una cosa relativamente recente in termini di, sai, il
periodo post-Impero britannico.
In
effetti, la frammentazione alla fine porterà un panorama economico più
diversificato e più equilibrato?
Me lo
sto solo chiedendo, perché “Nebulina” sta forse, credo, cominciando a
chiedersi, con il suo stesso stupore, se questo potrebbe accadere nella stessa
Russia.
MICHAEL
HUDSON:
Beh,
gli economisti amano usare la parola autocorrezione, perché se le economie si
autocorreggono, non c'è bisogno di un governo.
Puoi
semplicemente lasciare che sia il settore privato a gestire l'economia.
E in pratica ciò significa “Wall Street”.
Ma non
è possibile che l'economia americana possa autocorreggersi senza qualche
decennio di nuovi investimenti.
Dovresti
reinventare il sistema educativo.
Dovreste
portare la sanità pubblica nel settore pubblico, così da poter abbassare il
costo della vita e far sì che i datori di lavoro non debbano pagare salari così
alti.
Dovresti
fornire un'istruzione più gratuita in modo che i lavoratori non entrino nel
mondo del lavoro con così tanti debiti da aver bisogno di salari
sufficientemente alti per pagare il debito.
E anche così, non possono permettersi di
comprare case.
L'America,
e anche, credo, l'Europa occidentale, si è messa in un angolo che ora è
sistemico.
L'intera tendenza dal 1945 a oggi, tutti
questi 70 anni, hanno creato tali rigidità che non c'è modo di abbatterle.
E neanche l'idea che in qualche modo esista
una politica governativa in grado di sistemare le cose funzionerà, a meno che
non sia una politica così radicale da non essere più l'economia attuale.
Nessuno
parla della necessità di un cambiamento strutturale.
Evitano semplicemente di parlare del problema
del debito, di parlare di ciò che rende l'America un costo elevato.
E poi, ovviamente, ci sono le spese di guerra.
GLENN
DIESEN:
Ebbene, lei ha menzionato la ricerca di
rendere come qualcosa che rende l'America molto poco competitiva.
Ovviamente,
estrarre, avere tutto questo, beh, non necessariamente gli oligarchi, ma le
persone che estraggono denaro attraverso il modo in cui la loro economia è
stata finanziarizzata, la proprietà intellettuale, i diritti fondiari, le
tecnologie.
Questo
ovviamente è un onere per la produttività e la competitività degli Stati Uniti.
Ma c'è
anche un senso di ricerca di resa a livello internazionale attraverso queste
posizioni monopolistiche.
Quindi,
ancora una volta, quando si ha un monopolio in determinate aree, ovviamente,
questo ha un'influenza economica, beh, conseguenze economiche in termini di
alta redditività.
Ma hai
anche la capacità di estrarre influenza politica quando c'è una posizione di
monopolio economico.
Ma sì,
perché ricordo che nel 2009, credo, “Putin” chiamò il dollaro, lo chiamò “una
sanguisuga” o qualcosa del genere, il che suggeriva anche che c'era un modo
simile di estrarre ricchezza.
Quindi,
in altre parole, la ricerca di resa, non solo in America, ma per l'intera
comunità internazionale.
E mi
chiedevo se questo rientra in ciò che stava menzionando “Alexander”, perché per
i paesi di tutto il mondo, beh, soprattutto i paesi che hanno alternative, sia
la Russia, se non attraverso i diritti di proprietà intellettuale, o le
piattaforme tecnologiche americane, o le banche di debito, l'uso del dollaro
USA, se non usano tutto questo, si tradurrebbe in una minore efficienza?
Oppure si tratterebbe essenzialmente di
salvarsi o di liberarsi dalla ricerca di rendite da parte degli Stati Uniti?
Questo
avrebbe qualcosa a che fare con tutto questo, secondo te?
MICHAEL
HUDSON:
Ci hai messo il dito sopra. La posizione
ufficiale degli Stati Uniti riconosce che non possono più essere un esportatore
industriale, ma come bilancerà i pagamenti internazionali per sostenere il
tasso di cambio del dollaro?
La
soluzione è la ricerca di un affitto.
Ecco
perché gli Stati Uniti dicono: qual è la principale nuova opportunità di ricerca di
rendita nel commercio mondiale?
Bene,
è tecnologia dell'informazione e tecnologia informatica.
Ecco
perché gli Stati Uniti combattono così tanto la Cina e perché il presidente “Biden”
ha
ripetuto più volte che la Cina è il nemico numero uno.
Si è
mosso prima contro Huawei per le comunicazioni “5G”, e ora sta cercando di
convincere l'Europa e gli esportatori americani e taiwanesi a non esportare
chip per computer in Cina, e a impedire agli olandesi di esportare macchinari
per l'incisione di chip in Cina.
C'è la convinzione che in qualche modo gli
Stati Uniti, se riescono a impedire ad altri paesi di produrre rendite per la
proprietà intellettuale ad alta tecnologia, allora altri paesi ne diventeranno
dipendenti.
Cercare
una resa significa in realtà dipendere da altri paesi se non hanno la
possibilità di pagarti molto di più rispetto al costo effettivo di produzione.
Questo è l'affitto, il prezzo rispetto al
valore.
Ebbene,
gli Stati Uniti, dal momento che non possono competere sul valore a causa
dell'alto costo della vita e del lavoro, possono solo monopolizzare l'affitto.
Ebbene,
la Cina non si è lasciata scoraggiare.
La
Cina ha scavalcato gli Stati Uniti e produce i propri macchinari per l'incisione
e i propri chip per computer.
La
domanda è: cosa farà il resto del mondo?
Ebbene, il resto del mondo significa, da un lato, la
maggioranza globale, l'Eurasia, i BRICS+ e, dall'altro, l'Europa occidentale.
L'Europa
occidentale si trova proprio nel mezzo di tutto questo. Rinuncerà davvero alle
esportazioni cinesi molto meno costose al costo, compreso il normale profitto, o si lascerà bloccare nella
tecnologia americana di estrazione della rendita, non solo per i chip dei
computer ma anche per le armi militari?
Quindi
che la Francia vuole usare i combattimenti contro la Russia in Ucraina come
un'opportunità per dire:
"Bene,
ricostruiamo l'industria europea degli armamenti".
Ma i
tedeschi non sono particolarmente favorevoli a questo, e gli americani hanno
certamente detto, no, no.
Quando diciamo che bisogna spendere dal 2 al 3
per cento del PIL in armi, questo significa comprare armi americane, armi
integrate.
Quindi
è tutta una questione di ricerca di resa.
ALEXANDER
MERCOURIS:
Presumibilmente
è anche il motivo per cui non siamo mai riusciti a creare una nostra
infrastruttura di tipo social media in Europa.
Non abbiamo equivalenti europei di “Google” o “TikTok”,
di cui sentiamo tanto parlare, del “TikTok cinese”, o di Facebook, o qualcosa
del genere.
Contiamo
interamente sugli americani per fornirci queste cose.
E ogni
volta che c'è un tentativo di produrre qualcosa del genere in Europa, fallisce
sempre, in parte perché gli americani si oppongono.
Ora,
voglio dire, so tutto questo perché mio fratello, dovrei dire, ha lavorato per
un periodo al Parlamento europeo e ha visto in azione i sistemi di lobbying americani
che operavano all'interno del Parlamento europeo a livello europeo, ed estremamente efficaci Li
avevamo.
Ma
questo non è un meccanismo per il progresso economico o tecnologico.
Almeno
questo è quello che mi sembra.
È una formula per la stagnazione definitiva,
perché sei bloccato in un sistema che non è nemmeno, per quanto posso vedere,
focalizzato sullo sviluppo.
Si
concentra sull'affitto, che è una cosa completamente diversa.
Quindi
hai detto che i cinesi, sai, potresti usare la parola cavallina. Capisco che
anche i cinesi stiano pensando alla cavallina.
Stanno osservando il balzo in avanti nella
tecnologia informatica. Sapete, dicono che i chip stanno in qualche modo raggiungendo
la fine della loro utilità tecnologica.
Sai,
dobbiamo pensare oltre. E stanno cercando di andare oltre e cercare altri
sistemi. Voglio
dire, non sono una persona tecnica, quindi non proverò a indovinare cosa siano.
Ma
voglio dire, il punto che sto sottolineando è la ricerca di rendite, mi sembra,
ciò che alla fine provoca è la stagnazione tecnica.
Oppure
mi sto sbagliando completamente?
MICHAEL
HUDSON:
C'è
anche una considerazione geopolitica qui, e questo è il ruolo dell'Europa nella
guerra dell'America contro la Cina.
Più
volte, come ho già detto, il presidente Biden ha affermato che la Cina è il
nemico numero uno e che la battaglia durerà 10 o 20 anni.
Beh,
se è una lotta che dura da 20 anni, come ti schieri per questo? Bene, hanno detto che la prima cosa
che dobbiamo fare è separare la Russia dalla Cina, perché finché stanno
insieme, sono una massa critica che può in un certo senso dominare il
continente eurasiatico e surclassare l'Occidente.
Bene,
per fare questo, per prepararci a questa lotta contro la Russia e la Cina
insieme, e allontanare la Russia dalla Cina, gli Stati Uniti dicono che la
prima cosa che dobbiamo fare è consolidare il nostro controllo sui nostri
satelliti, e cioè che il satellite principale è l'Europa, ovviamente.
E questo è stato la guerra in Ucraina,
l'attacco ucraino ai territori russofoni del “Donbas” e di “Luhansk”.
Iniziando
la guerra in Ucraina nel 2022, gli Stati Uniti potrebbero quindi rappresentare
la risposta protettiva della Russia, proteggendo la sua popolazione russofona,
come un attacco, e far imporre sanzioni alla Germania e all'Europa.
Le
sanzioni imposte in Europa sono state una manna dal cielo per la Russia, come
penso abbiamo già detto in precedenza.
Le sanzioni erano l'equivalente del
protezionismo per la Russia.
Se non esporti cibo e produttori in Russia,
devono farlo da soli, e lo hanno fatto.
Gli
effetti delle sanzioni sono ricaduti tutti sull'Europa occidentale, e in
particolare sulla Germania.
E lì
c'è la deindustrializzazione tedesca, l'industria chimica, l'industria
siderurgica e l'industria pesante che sono state il sostegno non solo delle
esportazioni tedesche e della bilancia dei pagamenti, ma dell'intera bilancia
dei pagamenti dell'Eurozona.
Ora
questo non c'è più, perché non solo l'industria tedesca, ma anche l'industria
francese, l'industria olandese, l'industria belga, sono tutte costrette a
dipendere dagli Stati Uniti, non solo per il gas naturale liquefatto, parlando
di ricerca di rendita, ma anche per le armi e per i prodotti industriali che
non possono essere prodotti in patria.
Quindi
ci sono fabbriche tedesche che si trasferiscono negli Stati Uniti.
Che
cosa accadrà al lavoro tedesco? Seguiranno le fabbriche? Improbabile.
Andranno
in Cina? Perché questa è l'altra alternativa. Cosa succederà?
Quindi
l'Europa si sta fondamentalmente restringendo, anche se anche se si sta
restringendo, sta diventando un mercato più grande per le esportazioni di gas
americano, le esportazioni di armi e altre esportazioni.
La stretta riguarderà l'industria europea.
La
domanda è:
per quanto tempo l'Europa può decidere, beh,
preferiremmo essere un satellite americano piuttosto che godere degli
investimenti reciproci e del commercio che stavamo facendo con la Russia e la
Cina.
Per
quanto tempo ancora non prendiamo una decisione economica?
Voglio dire, c'è l'approccio materialista
all'economia.
L'idea
è che la politica estera dovrebbe essere ciò che aiuta la tua economia a
crescere.
E come
si spiega che l'Europa non segue questo, e per quanto tempo un'economia può
seguire, una nazione seguire una politica che va contro i suoi interessi
economici e che sfocia in proteste?
GLENN
DIESEN:
Questo
è ciò che trovo così strano nell'assenza di discussioni su ciò che sta
accadendo all'economia in Europa.
Perché
l'insieme, beh, non l'insieme, ma gran parte dell'idea dell'Unione Europea dopo
la Guerra Fredda era, dopo la Guerra Fredda, avevi un potere centrale, e quindi
principalmente gli Stati Uniti.
Ma gran parte dell'idea dell'Unione Europea
vedrebbe che gli europei, con potere di contrattazione collettiva, stabilissero
effettivamente una certa simmetria con gli Stati Uniti.
Avremmo quindi un'egemonia collettiva, il
dominio dell'Occidente, ma con due pilastri, gli Stati Uniti e l'Europa.
Ma
dimenticare che c'è una componente, sia la competizione che la cooperazione.
In
questi giorni, tutto quello che sento è che siamo alleati, stiamo cooperando,
come se non ci fosse, che gli europei non hanno i loro interessi, che sono
separati da quelli dell'America, spesso anche in conflitto.
Inoltre,
gran parte di ciò di cui stai discutendo mi fa pensare a “Yanis Varoufakis”,
l'ex ministro delle finanze greco, perché lui, beh, non ha solo discusso la
questione dell'energia e dei diritti di proprietà intellettuale, ma ha anche
discusso ultimamente si è concentrato molto sulle tecnologie, visto il ruolo
crescente di questi giganti digitali.
E la
sua principale preoccupazione è che, beh, in effetti, l'Europa sia finita,
perché come vedete, questi giganti digitali acquisiscono un ruolo sempre
maggiore nell'economia internazionale.
Gli
europei non ne hanno nessuno.
Come
ha detto “Alexander”, non esiste un equivalente di” Google” o “Facebook” o di
nessuno di questi grandi, “Amazon” per questo motivo.
Ma i
cinesi e i russi hanno i loro.
E
penso che questo sia stato parte della maledizione secondo cui, poiché gli
Stati Uniti sono un alleato, sono amici, se si vuole usare la parola amico,
hanno creato meno urgenza di creare la nostra sovranità tecnologica.
Quindi
penso che l'accettazione di sviluppare questa dipendenza dagli Stati Uniti, sia
la maledizione di essere alleati, se volete.
E ora
vediamo, come sostiene “Varoufakis,” che non c'è più alcuna possibilità per
l'Europa.
Ora
saremo permanenti.
Ebbene,
gli Stati Uniti saranno alla ricerca di rendite e la nostra economia diventerà
sempre meno competitiva man mano che la ricchezza verrà estratta.
MICHAEL
HUDSON:
Beh, “Glenn”, inizi parlando di simmetria e
poi cambi la parola con la parola dipendenza più appropriata.
La
dipendenza è il tipo di simmetria che l'America vuole.
Non è
una simmetria uguale. È una dipendenza asimmetrica.
Questa
è la dipendenza, e questo è lo scopo della politica americana, di chi paga
l'affitto e di chi cerca l'affitto.
Ed
essenzialmente, l'America sta cercando di fare all'Europa quello che
l'Inghilterra ha fatto con l'area della sterlina prima del 1945, bloccando le
sue colonie e la protezione di sterline da parte dell'Argentina in acquisti di
esportazioni di sterline.
Bene,
questo è ciò che la dollarizzazione sta arrivando a significare, certamente per
l'Europa, ed è per questo che la maggioranza globale sta cercando di
de-dollarizzare.
Non
voglio quel tipo di simmetria.
GLENN
DIESEN:
Il
motivo per cui uso la parola simmetria è che “Albert Hirschman” negli anni
Quaranta la usò in modo specifico, perché ogni volta che parliamo di
interdipendenza economica, viene trattata come un guadagno assoluto.
Quindi
potremmo essere reciprocamente dipendenti, ma uno è sempre più dipendente
dall'altro.
E
quando ci sono asimmetrie, si ha una maggiore prosperità economica e anche
questa può essere convertita in influenza politica.
Ed è
spesso qui che trova il suo posto la competizione economica, che vuoi che gli
altri siano più dipendenti da te mentre vuoi ridurre la tua dipendenza dagli
altri, perché allora l'intero dilemma tra perdere una certa autonomia rispetto
a guadagnare influenza è sbilanciato a tuo favore.
In questo modo si massimizza l'autonomia,
l'influenza e la prosperità economica.
Quindi
penso che la simmetria sia spesso un linguaggio appropriato, perché vorresti
che una parte fosse più dipendente dell'altra, poi diventa, beh, non lo vuoi,
ma poi ottieni quasi questa relazione di sfruttamento.
MICHAEL
HUDSON:
Ebbene, Donald Trump è uscito allo scoperto e
ha detto:
l'America deve essere quella che guadagna in qualsiasi
tipo di scambio, scambi ineguali.
Questa
è una politica esplicita, nessun vantaggio reciproco.
D'altra
parte, ci sono la Cina e la Russia che dicono, beh, come possiamo avere
un'alternativa a questo standard del dollaro e a questa visione degli Stati
Uniti di un ordine mondiale unipolare?
L'unico
modo in cui possono davvero creare una massa critica necessaria per creare
un'alternativa, che gli americani chiamano divisione della civiltà, è quello di
convincere altri paesi ad aderire volontariamente.
E questo significa che la Cina può solo
[attrarre] il resto dell'Asia, per non parlare dell'Africa e del Sud del mondo,
il Sud America.
Possono solo attirare gli altri mattoni nel
sistema offrendo effettivamente un migliore vantaggio reciproco.
E
questo comporta la creazione di una serie completamente nuova di istituzioni
internazionali, istituzioni parallele che sono diverse dagli Stati Uniti, la
loro versione di un fondo monetario internazionale, la loro Banca Mondiale, la
loro versione delle Nazioni Unite, o qualche tipo di raggruppamento tra di
loro.
In
definitiva, si tratta di una filosofia economica diversa.
Questo è ciò che rende diversa una civiltà.
E la
distinzione principale, cosa rende una società diversa da un'altra? Che cosa
rende gli Stati Uniti e l'Europa, la NATO, diversi dalla maggioranza globale?
Alla
fine dipende da come è organizzato finanziariamente.
L'istituto
finanziario è pubblico o è privatizzato?
Come
gestisce il debito?
Questo
è ciò che distingue quasi ogni società da un'altra.
E se iniziano con una ristrutturazione finanziaria,
che è la base del mutuo guadagno, si ha a che fare con un sistema economico
completamente diverso.
ALEXANDER
MERCOURIS:
Voglio
solo tornare all'economia russa, perché abbiamo parlato di protezione e di come
il protezionismo sia stato imposto loro, e penso che questo sia certamente una
parte di ciò che sta accadendo lì.
Ma in
realtà penso che ci sia una ragione ancora più importante.
Uno
dei miei amici, un amico russo, uno dei suoi lavori, infatti era tesoriere di
una grande azienda russa.
Era solito venire in Europa e negli Stati
Uniti, parlare con le banche locali per ottenere prestiti per le sue aziende in
Russia.
E
penso che una delle cose che la gente non capisce è che, soprattutto prima
della crisi del 2008, ma in larga misura ancora, fino al 2022, l'economia
russa, l'intero sistema russo, era completamente permeato da imprese
occidentali, aziende occidentali, fornitori occidentali di finanziamenti,
assicurazioni, servizi di vario tipo.
Aiutavano nella produzione di automobili,
erano coinvolti in ogni sorta di imprese miste, cose del genere.
E il
denaro che tutti questi progetti stavano facendo stava ovviamente tornando in
Europa, principalmente in Europa, meno negli Stati Uniti. Così era in effetti
gli affitti.
Gli
affitti vennero pagati dai russi agli europei.
2022,
tutto si ferma.
Si
ferma completamente.
E all'improvviso c'è un'enorme quantità di
denaro in più in Russia perché gli affitti non si stanno muovendo verso ovest.
E
questo sta facendo è che sta guidando un boom di investimenti perché quel
denaro, quel capitale, deve essere usato.
E non
solo, ma qualcos'altro sta iniziando ad accadere, è che stiamo facendo il”
reverse engineering” a un livello accelerato.
Ora è
molto comune, ad esempio, nell'industria aerospaziale, gli aerei, gli aerei
della “Western Airbus” che vengono smontati, decodificati, il materiale che
entra nel sistema industriale russo.
E naturalmente questo sta causando una forte
accelerazione.
Suppongo
quindi che qui ci sia il classico caso di studio di ciò che accade quando si
interrompe l'estrazione degli affitti.
Un'economia
improvvisa, almeno un'economia come quella russa, improvvisamente aumenta.
E
infatti il presidente della banca centrale, “Nebulina”, ha detto che l'economia
è nella fase di investimento della crescita, che è una delle manifestazioni
della trasformazione strutturale.
Quindi
le cose stanno cambiando completamente perché all'improvviso il denaro rimane
in Russia invece di uscire.
Volevo solo dire.
MICHAEL
HUDSON:
Questo
è esattamente ciò che sta accadendo.
Vorrei
che fossero consegnate tutte le loro abitazioni agli occupanti nel 1991.
Feci
tre viaggi alla Duma per sollecitare l'adozione di una tassa fondiaria per
impedire la privatizzazione che si era verificata.
Perché
anche se hai privatizzato il petrolio e il settore immobiliare, puoi
raccogliere le rendite economiche con una tassa sugli affitti e
fondamentalmente fare un profitto e basta.
Ovviamente questo non era ciò che le autorità
statunitensi volevano.
E i
membri della Duma che mi avevano portato qui avevano le loro elezioni fissate e
furono de-eletti dai consiglieri statunitensi.
E così
quello che” Putin” ha dovuto fare è ricreare l'equivalente di evitare la
ricerca di rendite senza una tassa ufficiale sugli affitti.
Ed è
stato in grado di farlo, come hai descritto numerose volte, “Alexander”,
proprio con una specie di mascella, come si dice negli Stati Uniti, dicendo
loro, guardate, non potete fare affitti esorbitanti.
E
penso che il presidente “Putin” abbia fatto un discorso qualche giorno fa per
le elezioni proprio su questo punto.
E in
qualche modo l'hanno fatto funzionare in Russia.
Hanno
aumentato l'occupazione e hanno aumentato il tenore di vita.
E mi
chiedo cosa penserà l'Europa quando vedrà il tenore di vita e l'occupazione in
Europa aumentare e la loro occupazione diminuire.
Per
quanto tempo questa è una vera e propria instabilità, è un sottoprodotto della
ricerca della resa.
Non è
qualcosa che può limitare la piena occupazione reciproca. È intrinsecamente
instabile.
Eppure
gli Stati Uniti dicono, beh, dobbiamo mantenere il sistema in vigore per 10 o
20 anni fino a quando non sconfiggeremo la Cina.
ALEXANDER
MERCOURIS:
Beh, questa è un'ottima domanda perché,
ovviamente, penso che tu stia mettendo, beh, prima di tutto, affrontando la
questione degli alloggi, posso dire assolutamente che c'erano persone, che ci
sono persone oggi in Russia che forse non ricordano il tuo consiglio, ma se
glielo ricordassero, sarebbero molto, molto dispiaciuti che non sia stato
seguito perché chiaramente era la cosa giusta da fare.
E
penso che lo stesso” Putin” probabilmente sarebbe d'accordo con te su questo.
Voglio
dire, è molto, molto concentrato sul mantenere i costi delle abitazioni il più
bassi possibile e sul far costruire abitazioni, abitazioni di massa.
E la
priorità in Russia sono le abitazioni di massa, le abitazioni di massa a basso
costo, non gli immobili costosi, che hanno prezzi molto alti.
Ora,
penso che a questo siano arrivati gradualmente senza capire e pensare
veramente, ma è spesso così in Russia, ad essere onesti.
Ma il
grande evento che potremmo aspettarci ad un certo punto nei prossimi 10 anni è
il punto in cui improvvisamente la gente in Gran Bretagna, Germania, Russia, si
rende conto che per la prima volta qualcuno può ricordare che le persone in Russia stanno meglio di
noi nell'Europa occidentale.
Ora,
voglio dire, non sto dicendo che accadrà necessariamente esattamente così, ma
sarebbe una rivoluzione della percezione.
Voglio dire, trasformerebbe completamente la
geografia politica e sociale in Europa.
Se ci
troviamo in una situazione in cui le persone in Occidente, in Europa
occidentale, sentono che stanno crescendo e diventando sempre più ricche e noi
non stiamo crescendo e stiamo diventando più poveri, e che non solo stanno
raggiungendo i nostri livelli di tenore di vita, ma in realtà stanno superando
i nostri livelli di tenore di vita, allora è molto difficile prevedere
esattamente come le persone si reagiranno. Ma risponderanno in modo molto
profondo.
Tenete
a mente che ciò non è mai accaduto prima in nessun momento della storia europea
moderna, anzi, in nessuna parte della storia europea.
L'Oriente è sempre stato più povero dell'Occidente.
MICHAEL
HUDSON: Beh, hai ragione, Alex.
È
stata una risposta ad hoc. Stanno reinventando la ruota.
Eppure
il problema che hai descritto era il problema del 19° secolo.
La
Germania ha affrontato questo problema. Come avrebbero fatto a superare
l'industria inglese?
Ebbene,
lo Stato giocava un ruolo importante, in particolare un collegamento tra lo
Stato, il “Reichspunk” e il “complesso militare-industriale”.
Stessa
cosa negli Stati Uniti.
Tutti
gli economisti classici hanno descritto l'ideale come la riduzione dei prezzi
al valore reale, l'eliminazione della ricerca della resa, l'eliminazione della
classe dei proprietari terrieri.
Si
tratta di Adam Smith e John Stuart Mill.
Sbarazzarsi
dei monopolisti, libertà delle banche private e fare il...
Le
banche centrali dell'Europa non si basavano sul pagamento di dividendi per
aumentare i prezzi delle azioni, ma per reinvestire, reinvestire ed espandersi.
Stanno
riscoprendo tutto questo, cosa fare senza alcun riferimento all'economia
classica o al fatto che tutto questo è accaduto più di un secolo e mezzo fa.
GLENN
DIESEN:
No, abbiamo parlato prima di questo, di tutto
quello che è successo, di come l'ideologia ha cambiato le idee del capitalismo,
perché tutto questo doveva essere buon senso.
Se lo si desidera, sì, i profitti dovrebbero essere
investiti, o almeno si dovrebbero tassare coloro che cercano rendita per
sviluppare infrastrutture adeguate, fornire un'istruzione adeguata, tutte
queste cose, che hanno migliorato il tenore di vita, ma rende le aziende più
competitive anche a livello internazionale.
“Alexander
ed io” abbiamo anche discusso in precedenza, tutto viene messo in secondo piano
in questi giorni con la ricerca di rendere che non è vista come il problema
chiave, qualcosa che si deve diminuire, ma invece vista come la fonte
effettiva di ciò che fa andare avanti l'economia per avere questo sistema.
Penso
che questo sia il motivo per cui è così difficile avere un vero cambiamento
strutturale per rendere le economie di nuovo più competitive.
A
questo proposito, volevo chiederle anche a lei, perché un problema enorme è il
debito, non solo dei paesi, ma anche dei singoli.
Qual è la sfida principale per la riduzione
del debito? Ad esempio, negli Stati Uniti, la maggior parte del debito è ora privato
rispetto ad altri paesi che hanno scelto di rendere pubblico il debito.
In che
modo questo viene influenzato, se si vuole, ad esempio, seguire la strada della
riduzione del debito, al fine di ottenere questi cambiamenti strutturali che
potrebbero essere necessari?
MICHAEL
HUDSON:
Ebbene,
ci sono due sviluppi nel debito personale che si sono verificati negli ultimi
tre mesi.
Innanzitutto,
il debito delle carte di credito è aumentato molto bruscamente.
Le
tariffe d'interesse sono ora al 20% per gli interessi regolari e oltre il
30-35% per le penalità.
Ora,
il prestito su pegno è salito molto, molto in alto.
C'è
stato un enorme aumento del prestito su pegno.
Le
persone che non sono in grado di ottenere più margine di manovra sulle loro
carte di credito, le inadempienze sulle carte di credito sono in aumento.
Se sei inadempiente sulla tua carta di credito
e non riesci a ottenere più credito, vai alle agenzie di pegno.
Questo
è il motivo per cui gli economisti democratici come “Paul Krugman” dicono:
perché
gli americani non si rendono conto di quanto sia meravigliosa l'economia che il
presidente Biden ha creato per loro? Perché non sostenere Biden?
Beh, è
perché l'economia sembra andare molto bene per i contribuenti della campagna
elettorale dei principali partiti politici.
Ma per
il 90% della popolazione, sono davvero schiacciati dalla combinazione del
debito e dall' acquisto che li sta costringendo a salire, e l'aumento dei costi
delle case è l'altra grande stretta che sta avvenendo.
Quindi,
come si può ottenere un cambiamento strutturale per questo? L'unico modo per avere un cambiamento
strutturale in un problema di debito è quello di cancellare il debito.
Ora,
il presidente “Biden”, che è stato l'autore del divieto agli studenti debitori
di cancellare il debito con la bancarotta, li ha bloccati e ha detto:
"Non
c'è modo di ottenere la bancarotta, prenderemo tutta la tua previdenza sociale
e la previdenza sociale dei tuoi genitori per questo".
Non
c'è modo di avere una soluzione strutturale senza svalutare il debito.
Ma
come si può svalutare il debito senza danneggiare le banche?
Le
banche stanno già soffrendo per il debito della proprietà commerciale negli
Stati Uniti.
C'è un
tasso di sfitto del 40% per gli immobili commerciali.
Immagina
se sei un banchiere, cosa fai?
Voi
dite, beh, lo rimanderemo e basta.
Lo gireremo sopra. Continueremo, immagino, a
prestarvi abbastanza soldi per pagare gli interessi.
Ebbene,
è così che Edoardo III se la cavò nel XIV secolo, fino a quando alla fine non
riuscì a pagare e il (non chiaro) andò sotto, e poi il (non chiaro).
Abbiamo
otto secoli di tentativi di risolvere il problema rinviando.
Ma non
c'è nessuno che parli, tranne noi, immagino, del problema strutturale che i
debiti non possono essere pagati.
Proprio
come nel 1931, il mondo si rese conto che i debiti di riparazione tedeschi e i
debiti interalleati non potevano essere pagati.
C'è stata una moratoria.
Ma
come si fa ad ottenere una moratoria sui debiti personali e sui debiti
aziendali che stanno andando in rovina?
Ebbene,
la Cina non ha questo problema, perché i debiti sono dovuti al governo.
Il
governo può svalutare i debiti nei confronti di “Evergrande” e delle società
immobiliari che non sono in grado di pagare.
E non
abbattono gli edifici, gli edifici non vengono venduti, tutto va avanti.
Ma
quando i debiti sono dovuti al sistema bancario privato, è nei guai.
E le
banche, hai fatto notare, Glenn, le banche sono le protettrici di chi cerca
rendita.
Si
sono uniti come lobbisti, perché i cercatori di rendita prendono in prestito
denaro dalle banche per comprare un'operazione che produce rendita e pagare gli
affitti che stanno pagando gli interessi.
Bene,
ci sono la finanza, il settore immobiliare, le assicurazioni e monopoli tutti
insieme, che controllano praticamente la classe dei donatori e controllano la
politica elettorale.
Hai un
dilemma. Un problema ha una soluzione, un dilemma no.
E l'unica soluzione a questo dilemma è un cambiamento
strutturale così radicale che non se ne parla e nemmeno all'orizzonte.
ALEXANDER
MERCOURIS:
Voglio
dire, non solo un cambiamento radicale, ma forse anche in qualche modo
rivoluzionario, perché ciò che equivale a un cambiamento fondamentale, in
definitiva, nella struttura del potere.
Voglio
dire, bisogna entrare in una situazione in cui i beneficiari del sistema che
hanno interesse a perpetuarlo così com'è essenzialmente perdono il controllo, e
coloro che ne sono effettivamente sfruttati sono in grado di respingere e
ristrutturare il sistema completamente nel loro interesse, il che è una
rivoluzione, in effetti.
Voglio
dire, questo è il linguaggio, comunque.
Voglio
dire, ho notato, a proposito, che non so se questo sia il caso negli Stati
Uniti, ma in Gran Bretagna la parola sfruttamento oggi non appare mai da
nessuna parte nei media.
Non è
mai usato in politica.
Non
viene affatto utilizzato, per quanto ho capito, nelle discussioni tra
economisti.
Mi
chiedo se questo sia vero negli Stati Uniti.
Ma
comunque, voglio dire, è un cambiamento rivoluzionario.
MICHAEL
HUDSON:
Hai
detto la parola. Hai assolutamente ragione.
GLENN
DIESEN:
Ero
curioso però, quali sono le possibili alternative?
Perché
il problema chiave al quale tutti, beh, la maggior parte del mondo sembra
rendersi conto, è che l'attuale sistema economico, organizzato quasi
esclusivamente attorno agli Stati Uniti, sta cominciando, beh, a fratturarsi in
larga misura a causa del debito.
A
questo punto.
Ma
ovviamente a peggiorare la situazione è anche che, man mano che la posizione
degli Stati Uniti nell'economia internazionale si indebolisce, diventa anche
molto, molto più probabile che utilizzino il loro ruolo amministrativo
nell'economia internazionale per prevenire l'ascesa di centri di potere
alternativi, trasformando così efficacemente in arma ogni dipendenza dagli
Stati Uniti.
Quindi
ci sono tutti questi paesi in altre aree degli Stati Uniti, che si tratti di
Russia, Cina, ma anche amici o alleati, India, Turchia, Arabia Saudita, gli
altri stati del Golfo, tutti vogliono trovare alternative. Ma di cosa stiamo
parlando?
Quali sono le principali alternative?
È solo
perché ho parlato con alcuni che sostengono, sai, i “BRICS”, che non sarebbero
in grado di trovare una moneta comune, dovrebbero fare qualcos'altro.
Il
centro tecnologico, se si dispone di nuovi centri tecnologici, non sarebbe
centralizzato nello stesso modo in un paese come lo era in passato.
Ma
ancora una volta, tutto questo, i “BRICS” sono la principale istituzione per
portare avanti una nuova architettura economica, o se sì, come sarebbe in
realtà?
MICHAEL
HUDSON:
Ebbene,
non c'è alternativa se non una rivoluzione, ma non siamo in una situazione
pre-rivoluzionaria.
Quindi,
cosa fare se, quando si dice che c'è un'alternativa, si intende un'alternativa
alla rivoluzione, ma se ciò che è richiesto è un cambiamento strutturale, dal
1945, come ho detto, c'è stato un costante accumulo e non può essere sostenuto.
Cosa
fare se le economie sono sulla strada sbagliata? Come si fa a cambiare rotta, soprattutto
se ci sono interessi acquisiti che controllano il sistema elettorale a tal
punto da bloccare qualsiasi tipo di terzo partito dal duopolio che si è
sviluppato? Come si risolve il problema politico che protegge il dilemma
economico?
Nessuno
è stato in grado di risolvere questo problema a meno di una rivoluzione, eppure
non lo è, la gente non è pronta per questo.
Stanno incolpando sé stessi.
Daremo
la colpa alla vittima, daremo la colpa ai debitori per essere impazienti, per
aver consumato troppo, per non aver risparmiato abbastanza, senza dare loro
l'opportunità di avere un lavoro che consente loro di pagare il costo della
vita e di accumulare i risparmi.
L'alternativa
di cui parlano i Democratici ei Repubblicani è quella di fermare la previdenza
sociale.
Facciamo un passo indietro per la previdenza
sociale, l'assicurazione medica e Medicare.
Facciamo
un passo indietro nella spesa sociale.
Ebbene,
questo accadrà anche in Europa.
Come può l'Europa, l'Eurozona, finché è
soggetta al limite del 3% sull'importo di un deficit di bilancio nazionale,
come può riarmarsi?
Come
se la Russia stessa per invadere, questo mito che in qualche modo la Russia
vuole ristabilire la vecchia Unione Sovietica, dove la Russia non potrebbe
permetterselo, anche se lo volesse.
Non
c'è alcun riconoscimento del fatto che la Russia ha già detto: lasciate che
l'Europa vada per la sua strada.
Stiamo
girando verso est.
Non ci
vuoi? Beh, non vogliamo andare dove non siamo i benvenuti. Penso che il
Presidente “Putin” abbia detto proprio queste parole.
Stanno
in un certo senso lasciando in pace l'Europa.
È rimasta da sola, senza nessun posto a cui
rivolgersi, se non gli Stati Uniti, o per rifare l'intero allineamento
geopolitico.
E non
vedo che, finché c'è l'ingerenza americana nelle elezioni politiche tedesche ed
europee, come fa per promuovere i politici orientati verso gli Stati Uniti,
specialmente governando attraverso la NATO o Bruxelles, c'è troppo blocco per
una rivoluzione.
E non
c'è una coscienza popolare che ci sia un'alternativa.
Hanno
creduto all'affermazione di “Margaret Thatcher” secondo cui non c'è altra
alternativa che soffrire ed essere impoveriti e l'economia polarizzarsi.
Non
c'è un'alternativa.
È così
che funziona l'evoluzione in qualche modo.
Ho
cercatori di rendita e l'1% sono la sopravvivenza del più adatto.
Loro
sono sopravvissuti e tu no.
Accettatelo.
ALEXANDER
MERCOURIS:
Ma
almeno in Gran Bretagna, voglio dire, se riducessimo ulteriormente il tipo di
spesa per il welfare di cui si parla negli Stati Uniti, ciò aumenterebbe la
dipendenza dal debito.
Non lo ridurrebbe perché se le persone non
fossero in grado di andare, ad esempio, a un servizio sanitario di proprietà
statale, dovrebbero pagare.
Anche
se stessero pagando un'assicurazione, avrebbero dovuto pagare in qualche modo.
E questa è una forma di rendita, alla fine.
E se
si conosce il servizio sanitario in Gran Bretagna, che tra l'altro è in crisi,
una crisi sempre più profonda, se si conoscono le varie riorganizzazioni che ha
avuto per decenni, quello che hanno fatto è che lo hanno frammentato e reso
estremamente suscettibile alla ricerca di rendite.
Oggi
all'interno del servizio sanitario accadono molte cose che in precedenza il
servizio sanitario faceva da solo, che in altre parole sono finanziate con
fondi pubblici, ma che ora vengono appaltate a contraenti privati.
E penso che anche le persone con opinioni
conservatrici stiano diventando sempre più critiche nei confronti di questo.
Ma non ha senso che possa essere cambiato.
Cambiarlo
significherebbe rompere i contratti, violare i diritti di proprietà, e
ovviamente questo è concettualmente impossibile o almeno così siamo portati a
credere.
Quindi
intendo moltissimo di questo.
Se
solo potessimo tornare al sistema mondiale.
Voglio
dire, però, i paesi devono commerciare tra loro.
È
possibile avere un sistema di commercio, diciamo un sistema di commercio “BRICS”,
che alla fine non degeneri in un sistema di scambi, anch'esso in cerca di
rendita?
A
proposito, non penso che questo sia un motivo per non provarci, ma intendo
dire, provare a creare alternative a quello esistente.
Ma le
persone con cui discutiamo, i telespettatori, tornano e ci dicono sempre bene,
sai, non dare per scontato che i BRICS, i cinesi, alla fine saranno diversi da
quello che abbiamo adesso, perché questo è un tipo del diritto umano che alla
fine la ricerca di rendita in qualche forma verrà ristabilita.
È
possibile concettualmente pensare a un sistema commerciale alternativo che
funzioni ma che non sia vulnerabile alla ricerca di rendita, che non si
trasformi in un altro sistema di ricerca di rendita come quello che abbiamo
visto svilupparsi dopo la Seconda Guerra Mondiale?
MICHAEL
HUDSON:
Beh,
hai assolutamente ragione. Ciò che hai appena detto è ciò che gli economisti
negano.
La
maggior parte dei vantaggi del commercio internazionale sono legati alla
ricerca di rendita.
Ma
nella teoria del libero scambio la rendita non compare.
Tutto
dovrebbe essere un costo senza tener conto dell'affitto.
È come
se le merci venissero scambiate sulla base del valore e non della rendita.
Beh,
la cosa interessante di quello che hai appena detto, “Alex”, è che chi cerca
l'affitto sa cos'è l'affitto, ma chi paga l'affitto no.
Pensano
che sia tutto valore.
Pensano
che questo faccia davvero parte del costo effettivo di produzione.
Quindi
la risposta è che se sono il leader dei creatori di questo nuovo sistema,
diciamo che sono la Cina, la Russia, l'Iran, se si rende conto che, beh, per
rimanere vitali, dobbiamo assorbire l'intera regione eurasiatica come un
insieme interdipendente, ciò significa che i governi devono prendere
l'iniziativa nel dire:
Ok, dovremo dare lavoro a tutti.
Dovremo
effettivamente decidere che tipo di governo sovvenzionerà quale tipo di
produzione.
Quindi
in realtà c'è uno scambio reciproco.
C'erano
molti piani per questo negli anni '50 come alternativa alla Banca Mondiale.
La riforma agraria, per esempio.
La riforma agraria avrebbe eliminato molte
delle rendite agricole, ma la Banca Mondiale avrebbe prestato solo per le
esportazioni alimentari, non per l'indipendenza alimentare interna,
l'autosufficienza.
L'idea è quella di realizzare
l'autosufficienza a livello regionale, e questo implica una sorta di accordo
governativo.
Ovviamente,
se c'è un paese, come la Cina, che dice che otterremo tutti i vantaggi per noi
stessi perché abbiamo un vantaggio grazie al nostro socialismo, altri paesi non
aderiranno.
E gli
Stati Uniti potrebbero allora dire, beh, di aderire al sistema statunitense.
Quindi
l'alternativa al sistema dollarizzato e al sistema “NATO” è che bisogna creare
un sistema per eliminare la rendita economica, e il modo principale per
sbarazzarsi di quella rendita economica è attraverso un'imposta sull'affitto.
Voglio
dire, questo è l'obiettivo di Adam Smith, John Stuart Mill, dei fisiocratici,
di Marx e di tutto il XIX secolo in questa politica.
Il
decollo industriale tedesco alla fine del XIX secolo ce l'ha fatta.
Tutti
pensavano che, beh, il modo per minimizzare le rendite fosse rendere i monopoli
naturali della ricerca di rendita di dominio pubblico, perché se c'è la ricerca
di rendita, è un servizio pubblicato essenziale.
È la necessità di tali servizi che consente ai
loro proprietari di ricavare una rendita.
Ma se
questi servizi sono nel settore pubblico, allora possiamo fornire i loro
servizi a tariffe agevolate o anche gratuitamente per l'istruzione,
l'assistenza medica.
Quindi
c'è un modo per fare in modo che i paesi che fanno il commercio commerciano
principalmente in prodotti industriali che riflettono il costo di produzione,
esclusi gli affitti, senza una sorta di sostegno governativo come “Keynes”
aveva proposto per il “bancor” nel lontano 1944, che se alcuni paesi hanno
deficit consistenti, diciamo, con la Cina, Poi, a un certo punto, l'accumulo di
crediti finanziari dei paesi che guadagnano sui paesi paganti sarà spazzato
via.
Tutto questo
è stato proposto, e avrebbe potuto essere praticabile in questo modo, ed è
l'unico modo in cui si può mantenere una reciprocità del commercio, ma la
mutualità definita come nessun paese che cade nella dipendenza dal debito da
altri paesi che porta tutto intero accumulo di dipendenza, instabilità e
polarizzazione che si sta riscontrando nelle economie occidentali oggi.
GLENN
DIESEN:
Beh,
l'emergere di molti poli di potere centrali non creerebbe maggiori incentivi
per ridurre gli affitti?
Perché penso che, dopo la Seconda Guerra
Mondiale, ovviamente, gli Stati Uniti erano all'avanguardia nelle tecnologie
principali, tutte le grandi aziende si erano fuse negli Stati Uniti, dominavano
il settore, avevano una posizione molto privilegiata in termini, beh, in
termini della sua posizione nella Banca Mondiale, con il FMI che rende il
dollaro la principale valuta commerciale internazionale e valuta di riserva.
Ma una
volta ottenuta questa posizione monopolistica, c'è una certa capacità di
ricercare rendita nel regno internazionale.
Ma se
ci fossero altri centri di potere, non si creerebbe un sistema per ridurre la
resa al fine di attrarre, beh, il resto del mondo, se volete?
MICHAEL
HUDSON:
In
linea di principio sì. Ma cos'è un Paese? Cos'è una società? Non si tratta
semplicemente di un paese che si muove nel suo interesse generale, perché una
società è costituita da tutti i tipi di classi diverse insieme, l'interesse
finanziario, l'interesse immobiliare, l'interesse del lavoro, e certamente in
Occidente, gli interessi dei rentier, l'interesse finanziario, l'interesse i
monopoli controllano il governo.
Hanno utilizzato tutte le rendite che avevano,
tutta la ricchezza che avevano creato, per privatizzare il processo elettorale
e il processo politico.
Quindi
il paese è in realtà gestito da chi cerca rendita in Occidente.
La
Cina ha lasciato che i miliardari si sviluppassero, e la stessa cosa in Russia.
La Russia e la Cina hanno lasciato che i
miliardari si sviluppassero, ma possono ancora dire, beh, si può fare una certa
quantità di denaro, ma al di là di questo, si dovrà ripagarlo nell'economia in
un modo o nell'altro, o attraverso le tasse o semplicemente prendendo il
sopravvento. Sei semplicemente troppo grande per diventare un potere separato.
Se
avete un governo socialista come la Cina, o anche la Russia, e dite:
"Il
nostro compito oggi è quello di non lasciare che si sviluppi un'oligarchia che
destabilizzerà la nostra economia".
E
penso che questo sia ciò che Putin ha detto. Abbiamo avuto un'oligarchia sotto
Eltsin.
Non permetteremo che ciò accada di nuovo.
Questa
è la nostra politica. La stessa cosa con la Cina, dicendo che quando il
presidente “Xi” dice che le case sono per viverci, non per trarre profitto o
affittare, le industrie producono beni, non per creare fortuna per
un'oligarchia indipendente, allora si impedisce in primo luogo lo sviluppo di
una classe egoistica in cerca di rendita.
E questo deve essere fatto aumentando il ruolo
del settore pubblico con un'analisi economica molto chiara di cosa sia la resa
economica, come calcolarla.
E non
è difficile da calcolare, sicuramente per il settore immobiliare.
È facile guardare uno stato patrimoniale e un conto
economico, economico e passivo e rendersi conto di come stabilizzare le cose.
Ma in
realtà c'è una dottrina economica alla base di questo riallineamento politico
che lei giustamente dice essere l'ideale.
Ed è l'ideale perché è l'unico modo per creare
stabilità a lungo termine.
GLENN
DIESEN:
Beh,
mi chiedevo quale consiglio daresti all'Europa, perché ovviamente l'Europa non
può sviluppare la stessa autonomia strategica degli Stati Uniti o della Cina.
E
penso che in questa situazione, l'Europa si sia resa ancora più vulnerabile
perché in un conflitto come questo, gli europei diventano ancora più dipendenti
dagli Stati Uniti, avendo inviato molte armi anche all'Ucraina, e avendo queste
tensioni con la Russia.
Prima
l'Europa dipende ancora di più dagli Stati Uniti, il che consente agli Stati
Uniti di esercitare maggiore influenza nel chiedere agli europei non solo di
tagliarsi fuori dall'energia russa, ma anche ora di esercitare maggiori
pressioni per tagliarsi fuori dai cinesi.
Ora,
se non avete autonomia strategica, la seconda cosa migliore sarebbe almeno
diversificare la vostra partnership per essere sicuri di non diventare
eccessivamente dipendenti da uno stato, come gli Stati Uniti, come allora, come
direste voi, può trarne vantaggio.
Ma al
momento, mentre l'Europa sprofonda in questa tana del coniglio, vediamo che le
relazioni con la Cina vanno di male in peggio.
E gli europei stanno diventando sempre più
dipendenti dagli Stati Uniti. E ovviamente, l'economia continuerà a vacillare.
Ma
abbiamo pochissime discussioni a riguardo.
Come
ho detto prima, è tutta ideologia.
Ebbene, siamo tutte democrazie dalla stessa
parte che lottano per la libertà.
Quindi
nessuna di queste rivalità tra europei e americani emerge effettivamente nel
discorso.
Volevo
quindi chiederle: ha qualche consiglio per le economie europee su come
dovrebbero uscire da questa situazione?
Perché
qualsiasi obiettivo di parità con gli Stati Uniti è, sì, ormai lontano ormai,
credo.
MICHAEL
HUDSON:
Beh,
chi avrebbe mai pensato 10 anni fa che fossero i partiti di destra a sostenere
le linee che hai appena descritto, e che fossero i cosiddetti partiti di
sinistra, e apparentemente il Partito dei Verdi, i partiti ambientalisti, che
sono i partiti della guerra, e tutti a favore della dipendenza contro questo
tipo di indipendenza.
Hai “Sarah
Wagenknecht” che lascia il” Linke Party” per unirsi alla nostra alternativa per
la Germania per creare un'alternativa.
Ma la
risposta del governo tedesco è: vietiamo questi partiti.
Questi partiti si oppongono a ciò che stiamo
facendo. Quindi sì, certo, c'è una soluzione.
E in
qualche modo lo farebbero i partiti di destra che tentano di giocare la carta
populista e dicono che l'Europa deve essere economicamente indipendente dagli
Stati Uniti.
Possiamo
tutti ottenere di nuovo la piena occupazione se siamo indipendenti.
Ma non potranno diventare indipendenti senza
ripristinare le opportunità di investimento e commerciali con Russia, Cina ed
Eurasia. Ma li hanno già tagliati.
E a
quali condizioni la Russia, la Cina, l'Iran e altri paesi accetterebbero
l'Europa nel tipo di istituzioni” BRICS plus” che stanno cercando di creare?
Come
possono fidarsi che l'Europa non abbia un regresso e una controrivoluzione e
che non venga tirata indietro con l'ennesimo cambio di regime sponsorizzato
dagli Stati Uniti nei paesi europei che bloccheranno tutto questo?
Quindi
ci deve essere una consapevolezza in Europa che hanno perso il controllo della
loro politica e che sono diventati essenzialmente colonizzati politicamente
dagli Stati Uniti attraverso la NATO e le spese di guerra.
Gli
europei dovrebbero, in primo luogo, rendersi conto che la Russia non ha alcun
vantaggio economico invadendoci.
Dovrebbe
sostenere tutti i costi del nostro salvataggio.
La Russia dirà invece che devi salvarti.
Non
pagheremo per te.
Lo
abbiamo fatto dopo la seconda guerra mondiale. E molti dei satelliti
occidentali russi vivono meglio dei russi.
Non lo
faranno più.
Quindi,
se la Russia non ha intenzione di invadere l'Europa, non c'è bisogno di una
spesa militare, ad eccezione della soluzione della Danimarca negli anni '60.
Avete
un telefono con un servizio di risposta automatica che dice: "Ci
arrendiamo".
Questo
è tutto ciò di cui hai bisogno per le tue spese militari.
Ti
liberi dall'incombenza militare.
Rifai
un curriculum di economia che fa rivivere il concetto di ricerca della rendita.
Questo
non è qualcosa che viene insegnato nelle università accademiche neoliberiste di
oggi, sia in Europa che negli Stati Uniti, tranne che nelle “business school”
che dicono ai nuovi uomini d'affari come estrarre più rendita economica dal
resto della società.
Quindi
è una combinazione di rieducazione, di riallineamento politico e di
riconoscimento del fatto che i termini destra e sinistra non hanno più alcun
significato per il settore finanziario.
Ciò di
cui stiamo parlando va oltre l'idea di destra e sinistra del 21° secolo ed è
molto più simile al concetto di questo concetto del 19° secolo.
Perché
ciò accada, l'Europa deve riscoprire la metà del XIX secolo.
ALEXANDER
MERCOURIS:
Una
cosa molto impegnativa da fare per gli europei. Voglio dire, parlo per la Gran
Bretagna, in una certa misura per la Germania, che conosco. In Gran Bretagna,
penso che ci sia un senso di demoralizzazione molto diffuso, un grande senso di
depressione, la sensazione che le opzioni vengono chiuse e, sai, la sensazione
che non sappiamo bene cosa fare in una situazione che sta andando in discesa.
Ma il
sistema politico è ancora abbastanza forte da impedire il tipo di discussione
di cui lei sta parlando.
Concludo
con una nota ottimistica, ovvero che non credo che questo sia sostenibile, in
realtà.
Almeno, voglio dire, in Gran Bretagna, non
credo che lo sia.
Se passi un po' di tempo a parlare con le
persone in Gran Bretagna, io parlo con molte persone in Gran Bretagna, c'è una
grande sensazione diffusa che le cose devono non cambiare.
È solo
che le persone non sanno bene come cambiare.
E
questa è in realtà una cosa che fa ben sperare, perché quando le persone
iniziano a pensare che le cose devono cambiare, allora iniziano a dire a sé
stesse, beh, siamo davvero alternative, alternative che il sistema attuale non
sta fornendo.
Sono
un po' più ottimista, ma al momento le cose sembrano molto cupe. Penso che in
Germania, dove questo si è manifestato molto più all'improvviso, ci sia ancora
una certa distanza da quel punto.
E
penso che per il momento la classe politica abbia il controllo, nonostante
tutto ciò che “Sarah Wagenknecht “e “l'IFD “stanno cercando di fare.
Questo
è il mio punto di vista. Comunque ci siamo.
Questi
sono i miei ultimi pensieri.
Solo
un'ultima cosa per “Michael Hudson”.
So che
sei interessato alla storia antica.
Io
stesso, come persona che conosce la storia classica, ho sempre pensato che la
caduta della Repubblica Romana fosse principalmente una crisi del debito.
Era
proprio il tipo di crisi del debito di cui parlavamo: la ricerca di rendite, la
perdita di controllo, che causa enormi problemi all'interno della società
romana.
E,
naturalmente, il classico libro sulla caduta della Repubblica, che tutti noi
leggevamo, di” Ronald Syme”, si intitola “La Rivoluzione Romana”. Quindi lì è
avvenuta una sorta di rivoluzione.
Quindi
le rivoluzioni non sono impossibili.
MICHAEL
HUDSON:
Quindi
siamo entrambi ottimisti che ci sarà una rivoluzione.
ALEXANDER
MERCOURIS: Sì. SÌ. SÌ.
MICHAEL
HUDSON: Esiste una soluzione.
ALEXANDER
MERCOURIS: Esiste una soluzione.
C'è
sempre. Voglio dire, la storia umana non finirà con un arresto completo. Non
succede così.
Voglio
dire, potrebbero esserci tutti i tipi di problemi e ostacoli lungo il percorso,
probabilmente orribili, ma le cose non si fermano.
Se qualcosa è insostenibile, non sarà sostenuto.
La
sfida è fare in modo che quando il cambiamento arriverà, non sarà così caotico
e pericoloso come potrebbe essere.
E il modo per farlo è prepararsi in anticipo e
pensare, capire quali sono i problemi, e come affrontarli, e poi cosa fare
oltre il punto in cui quei problemi sono stati raggiunti.
GLENN
DIESEN:
Penso
che ciò che rende così difficile uscirne sia perché l'economia è così
profondamente legata alla politica.
E
ormai da tanti anni, dalla fine della Guerra Fredda, abbiamo di fatto ri-diviso
l'Europa.
Abbiamo
rimilitarizzato le linee di divisione in Europa.
E il
problema di fare questo in Europa è che alla fine si avrebbe una crisi, e
allora l'Europa divisa e militarizzata diventerebbe una scacchiera, se si
vuole, l'oggetto della politica delle grandi potenze, in cui verrebbe
gravemente indebolita in questo modo.
Quindi,
ancora una volta, questo è il motivo per cui lo trovo così frustrante, perché
se l'Europa volesse davvero uscire da questa situazione, cercheremmo
immediatamente di negoziare la fine di questa guerra, in modo da ridurre la
dipendenza dagli Stati Uniti, permetterci di diversificare la nostra
connettività economica in misura maggiore e iniziare a ripristinare qualcosa di
simile all'autonomia politica.
Ma non
c'è ancora.
Ma
ancora una volta, ho anche un certo ottimismo sul fatto che se riusciamo a
porre fine a questa orribile guerra, potrebbero esserci alcune opportunità per
ripensare alcune delle politiche e alcuni dei percorsi sbagliati che abbiamo
scelto.
Comunque,
prima di andare,” Michael Hudson”, qualche ultima parola, Professore?
MICHAEL
HUDSON:
Beh,
solo per commentare quello che hai appena detto, cioè che è in corso una nuova
Guerra Fredda, e gli Stati Uniti l'hanno iniziata contro la Cina, e ancora,
perché è contro la Cina, è contro la Russia, e perché è contro la Russia, è
contro l'Europa.
Occorre
quindi riconoscere che l'Europa vuole davvero far parte di questa nuova Guerra
Fredda o vuole prendere una direzione diversa?
È proprio di questo che stiamo parlando.
ALEXANDER
MERCOURIS: Assolutamente.
GLENN
DIESEN: Quindi sì, grazie mille, professor Hudson, per il suo tempo.
Alessandro?
ALEXANDER
MERCOURIS: Bene, e grazie mille, professor Hudson, per essere venuto e averci
tenuto questo discorso meraviglioso, molto istruttivo, straordinariamente
interessante.
GLENN
DIESEN: Beh, grazie, Alex. Grazie.
Non è
un mondo
per
superpotenze.
Ispionline.it
- (21 Dic. 2023) – Susan A. Thornton – ci dice:
Il
mondo nel 2024.
La competizione geopolitica tra gli Stati Uniti e la
Cina guiderà e dominerà l'agenda globale del 2024, mettendo in difficoltà le
nazioni più piccole.
In queste
ultime battute del 2023, la competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina
domina l’agenda globale.
Lo si vede dalla contrapposizione sulle guerre
in Medio Oriente e Ucraina, sul commercio globale e sulle potenziali
vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, ma anche dalle preoccupazioni
per il “rischio geopolitico” che dominano l’agenda economica e commerciale
globale.
Il
vertice “COP28” di dicembre negli Emirati Arabi Uniti avrebbe dovuto iniziare a
fare il punto sui progressi compiuti per mantenere l’aumento della temperatura
globale al di sotto di 1,5 gradi Celsius;
in realtà, si è trasformato in un’occasione
per puntare il dito.
Oggi
come oggi, non ci sono le premesse per soddisfare neanche gli obiettivi di
massimo incremento della temperatura e non c’è dubbio che, senza un grande
sforzo di cooperazione da parte di Stati Uniti e Cina, gli obiettivi non
verranno raggiunti.
Per quanto le popolazioni del mondo si siano
apparentemente lasciate alle spalle gli effetti devastanti della pandemia di
COVID-19, i governi e le istituzioni non hanno imparato le lezioni di quel
disastro e alcuni guardano con sospetto a un nuovo aumento dei tassi di
polmonite in Cina.
Nel
frattempo, i paesi colpiti dalla recessione economica, dall’Europa all’America
Latina all’Africa, devono affrontare importanti sfide interne dovute alle
politiche populiste, ai disordini sociali e all’indebitamento.
Gli
scontri tra le grandi potenze promuovono e perpetuano l’instabilità e le
turbolenze, sconvolgendo le fondamenta gestionali altrui, come si è visto con
le conseguenze della guerra della Russia in Ucraina e con l’aumento delle
tensioni nello Stretto di Taiwan.
I
rappresentanti governativi e i commentatori di tutto il mondo sembrano
rassegnati a vedere la competizione geopolitica tra gli Stati Uniti e la Cina
guidare e dominare l’agenda globale, mettendo in difficoltà le nazioni più
piccole.
Si dà per scontato che, nell’attuale contesto
politico e geopolitico interno, non siano più possibili soluzioni negoziate di
tipo compromissorio.
La “sicurezza nazionale” viene invocata come
un mantra per giustificare le chiusure e il protezionismo che mettono a
repentaglio la promessa di mercati globali e connettività economica nell’ambito
dell’ordine internazionale liberale.
Naturalmente,
è responsabilità dei governi garantire la sicurezza dei propri cittadini e
lavorare per migliorare il contesto sociale;
a
questo proposito, la globalizzazione degli ultimi due decenni richiede una
messa a punto e una riforma.
Stiamo
tuttavia correndo il grave rischio di “buttare via il bambino con l’acqua
sporca”.
All’inizio
di quest’anno, la direttrice del “Fondo Monetario Internazionale”, “Kristalina
Georgieva”, ha messo in guardia da una “china scivolosa che porta a una
frammentazione geoeconomica incontrollabile”.
La frammentazione in blocchi rivali, ha
continuato,
“sarebbe
un errore politico collettivo che lascerebbe tutti più poveri e meno sicuri”.
Una
competizione geostrategica a somma zero tra Stati Uniti e Cina rischia di far
precipitare il mondo nella recessione economica, di diminuire i beni pubblici
globali proprio quando sono più necessari e di aumentare la disuguaglianza su
scala mondiale, per non parlare della prospettiva di un conflitto militare tra
grandi potenze.
Le
sfide globali del XXI secolo non potranno essere affrontate nel bel mezzo di
questa competizione.
Verranno sottratte risorse ai beni pubblici
globali e le tensioni e i conflitti domineranno l’agenda del mondo intero, come
già si riscontra.
A
fronte di questa realtà, cosa si può fare per ridurre al minimo questa
prospettiva, per preservare ed espandere i vantaggi della globalizzazione e di
un’unica comunità internazionale, individuando in modo consensuale gli
aggiustamenti necessari per preservare un ordine funzionante e sicuro?
Se le
grandi potenze, compresi tutti e “cinque i membri del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite con diritto di veto”, sono impegnate a perseguire i
“blocchi rivali”, spetta ad altre nazioni farsi avanti e aprire la strada a un
percorso alternativo e meno distruttivo.
Negli ultimi anni i paesi più piccoli sono diventati
più espliciti nel voler avere più voce in capitolo negli affari globali,
manifestando il loro malcontento e le divergenze con le grandi potenze riguardo
alle priorità globali e alle agende internazionali.
Questo
tipo di pressione è assolutamente necessario.
La
competizione fine a sé stessa tra Stati Uniti e Cina non solo metterà in
secondo piano le agende dei paesi più piccoli, ma calpesterà ciò che resta dell’ordine globale basato sulle
regole,
compresi i pochi vincoli che ancora rimangono per i principali attori.
Gli
altri paesi devono dare più voce al loro scetticismo nei confronti della
competizione a somma zero tra Stati Uniti e Cina, devono chiarire che non
intendono partecipare a un’escalation del tipo “occhio per occhio” e devono
insistere affinché gli Stati Uniti e la Cina (e altre grandi potenze) non solo
aderiscano agli accordi internazionali, ma si impegnino a riformare la
governance internazionale per il XXI secolo.
Sfortunatamente,
sull’attuale scena mondiale non abbondano certo i leader che abbiano la statura
morale e la capacità di emergere dal frastuono politico e far sentire il loro
messaggio a Pechino e a Washington nel contesto odierno;
tuttavia,
se un numero sufficiente di leader manifestasse le proprie remore, il loro
effetto potrebbe risultare vincolante.
Secondo quanto riferito dagli addetti ai
lavori dell’amministrazione “Biden”, le preoccupazioni manifestate dai partner
degli Stati Uniti in Asia per le crescenti tensioni con la Cina sono state un
fattore di peso nel determinare il turbinio di attività diplomatiche con questo
paese a cui si è assistito nella seconda metà di quest’anno.
Questo dimostra che i messaggi privati urgenti di più
partner importanti hanno un certo peso, almeno a Washington.
Non è altrettanto chiaro quanto questo
meccanismo possa funzionare con Pechino o con un’altra amministrazione alla
Casa Bianca, ma l’opinione mondiale conta e genera pressione.
Di
recente, i piccoli stati insulari del Pacifico hanno acquisito autorità e
statura manifestando a gran voce le loro preoccupazioni esistenziali sul
cambiamento climatico e il timore di trovarsi in mezzo a un confronto tra
grandi potenze.
Queste
proteste pubbliche possono essere galvanizzanti e portare l’attenzione su come
la competizione tra grandi potenze stia impedendo la realizzazione dell’agenda
globale.
Si
dovrebbe anche contare sugli attori più piccoli sia per esercitare pressioni
per il mantenimento e la riforma delle istituzioni chiave esistenti, come
l’ONU, le istituzioni di Bretton Woods (FMI, Banca Mondiale) e l’Organizzazione
Mondiale del Commercio, sia per catalizzare nuove iniziative in grado di
spingere le grandi potenze in direzioni costruttive.
Queste
istituzioni non sono nate facilmente e non saranno facilmente sostituite.
Apportano
enormi benefici agli stati meno potenti e sono una fonte di beni pubblici
globali che molti di questi paesi non sono in grado di permettersi da soli.
Le nuove iniziative avviate da attori più
piccoli possono anche alimentare le riforme delle istituzioni esistenti.
Alcuni esempi di tali iniziative sono il “Partenariato
Trans-Pacifico” e “l’Accordo di Partenariato per l’Economia Digitale” avviato
da Cile, Nuova Zelanda e Singapore.
Le
Barbados hanno riunito una coalizione di paesi in via di sviluppo che sta
efficacemente richiedendo dei cambiamenti alla Banca Mondiale e al FMI
attraverso l'”Agenda di Bridgetown”.
Queste
sono esattamente le mosse audaci di cui il mondo ha bisogno allo stato attuale
per controllare la “frammentazione selvaggia” e riorientare i grandi attori
verso l’obiettivo di rendere il nostro pianeta e la nostra governance idonei al
futuro collettivo di noi tutti.
Verso
il voto del 2024: è iniziata
la
lotta per il potere europeo.
Csfederalismo.it - Alberto Majocchi – (16-5
-2023) – ci dice:
(A.Majocchi - Professore Emerito di Scienza
delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del
Centro Studi sul Federalismo)
Dopo
il drammatico abbandono dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti – che ha
segnato simbolicamente la fine del tentativo americano di imporre un governo
unilaterale del sistema mondiale degli Stati –, l’invasione russa dell’Ucraina
rappresenta l’estremo tentativo del governo di Mosca di giocare un ruolo nei
nuovi equilibri che si stanno delineando a livello globale.
La
crisi che sta attraversando il sistema mondiale degli Stati mostra che un
governo unilaterale del mondo non è oggi concepibile, non solo per l’affermarsi
della potenza cinese, ma soprattutto per l’emergere di un numero rilevante di
altri paesi, in Asia, in Africa, in America Latina, che non accettano più di
subire le decisioni prese dalle superpotenze, e richiedono con forza di
partecipare alla definizione di un assetto multilaterale del potere a livello
mondiale.
In
questo contesto un ruolo decisivo può essere giocato dall’Europa, la cui
“ragion di stato” implica che l’obiettivo prioritario della sua politica estera
debba essere il perseguimento della pace.
In
linea generale, la possibilità che un paese possa adottare in politica
internazionale una strategia volta non ad accrescere la propria potenza, ma a
promuovere una situazione di equilibrio a livello globale, anche al fine di
garantire il permanere di istituzioni democratiche al proprio interno, è legata
storicamente a una situazione di insularità:
è
quello che è avvenuto per il Regno Unito nel contesto del sistema europeo degli
Stati e per gli Stati Uniti fino al momento in cui hanno assunto un ruolo
determinante nell’equilibrio del sistema mondiale degli Stati.
Ma
l’Unione europea, quando disporrà degli strumenti necessari per svolgere in
autonomia una propria politica estera e della sicurezza, sarà comunque inserita
negli equilibri internazionali e, quindi, dovrà tener conto degli assetti del
potere a livello mondiale.
L’obiettivo
finale di una pace perpetua potrà essere realizzato, come teorizzato nel
pensiero di “Immanuel Kant”, soltanto quando i rapporti fra gli Stati a livello
mondiale saranno fondati sul diritto e non sulla forza, e questo sarà possibile
soltanto con una federazione mondiale.
Il
compito dell’Europa è di promuovere la transizione verso questo obiettivo.
Oggi il mondo sta evolvendo con grandi
difficoltà verso il multipolarismo, ma questo sistema è più instabile di un
sistema bipolare, che ha saputo garantire con un “equilibrio del terrore” un
ordine relativamente pacifico durante il confronto fra Stati Uniti e Unione
Sovietica.
Per
realizzare in questa fase storica un ordine più pacifico occorre rafforzare – e
non indebolire, come fanno le superpotenze in crisi – le istituzioni
multilaterali, e qui sta la responsabilità specifica dell’Europa, prima che
prevalga, anche nell’Unione, la logica di una politica di potenza.
Questi
sviluppi saranno possibili se l’Europa saprà completare il processo di
unificazione con l’attribuzione all’Unione di un potere di decisione nel
settore della politica estera e della sicurezza, della definizione delle linee
generali di politica economica e di un Piano finanziario che distribuisca in
modo equilibrato le risorse fra i diversi livelli di governo.
Questi temi saranno al centro della campagna
per le prossime elezioni europee del 2024, che potrebbero rappresentare il
punto di partenza per una fase costituente in cui avvenga, in modo
irreversibile, il trasferimento di poteri dagli Stati all’Europa che, nel
pensiero di “Mario Albertini”, coincide con “il momento in cui la lotta politica
diviene europea, in cui l’oggetto per cui lottano uomini e partiti sarà il
potere europeo”.
Nel
suo libro “Europa, forza gentile” “Tommaso Padoa-Schioppa” concordava in modo
chiaro con il pensiero di “Albertini” sul tema del trasferimento di poteri
dagli Stati all’Europa:
“Sono
convinto che il punto di non ritorno non potrà che essere propriamente
politico; non economico o monetario, e neppure istituzionale.
Ricordo,
e porto con me, un’osservazione fatta da “Mario Albertini” in una conversazione
cui ebbi la fortuna di partecipare, mentre maturava la decisione dell’“Unione
Monetaria”.
Il punto di non ritorno – egli disse – non è
né nelle competenze né nelle istituzioni:
è il momento in cui la lotta politica diviene europea,
in cui l’oggetto per cui lottano uomini e partiti sarà il potere europeo.
Quello sarà il momento in cui la rivoluzione
avrà finito il suo compito e gli ordini nuovi creatisi verranno occupati dalle
forze politiche ordinarie, che ne faranno il teatro della loro contesa.
In una
società politica civilizzata, il ferro e il sangue sono sostituiti dalla lotta
elettorale, gli eserciti dalle formazioni politiche”.
Nella
campagna per le elezioni europee i partiti, che si contenderanno i seggi nel
Parlamento di Strasburgo, dovranno assumere una posizione, fondamentale non
soltanto per il futuro dell’Europa, ma anche del mondo, nella prospettiva di
dare all’Unione un assetto istituzionale di natura federale.
Si
tratterà di favorire non soltanto il rafforzamento di competenze in materia di
sicurezza e politica estera e di politica economica e fiscale, ma soprattutto
di garantire la possibilità di prendere decisioni a maggioranza in questi
settori cruciali, con istituzioni federali che gestiscano una sovranità
condivisa fra il livello europeo e gli Stati membri, per garantire l’unità
nella diversità, secondo la classica definizione di “Kenneth Wheare”, e per
promuovere un nuovo assetto multipolare del mondo capace di assicurare la pace
e lo sviluppo sostenibile di tutto il pianeta.
Sul
punto delle decisioni a maggioranza un primo passo importante è rappresentato
dalla proposta del “Cancelliere tedesco Olaf Scholz “di adottare il voto
maggioranza (55% dei membri del Consiglio dei ministri, in rappresentanza di
paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione totale dell’Unione) per
le decisioni di politica estera e fiscale, proposta già condivisa da altri otto
paesi (Francia, Spagna, Italia, i tre paesi del Benelux, Finlandia e Slovenia).
Ma
soprattutto appaiono rilevanti i movimenti che si registrano per la formazione
degli schieramenti che si affronteranno nel corso delle elezioni europee del
2024.
Il
primo fatto da rilevare – che riguarda anche direttamente la politica italiana
– è il tentativo di “Lega e Fratelli d’Italia” di muoversi in direzione del “PPE”, sganciandosi delle formazioni
politiche più sovraniste e più ostili al completamento di un’evoluzione
federale dell’Unione, per spostare verso il centro-destra l’equilibrio politico a
livello europeo.
Questo
tentativo incontra una ferma opposizione da parte di chi, nel PPE, mira a una
riconferma della coalizione che ha portato alla nomina di Ursula von der Leyen
alla Presidenza della Commissione.
L’esito di questo processo è ancora incerto,
ma questi movimenti in ogni caso mostrano che la lotta per la conquista del
potere europeo ha ormai preso avvio e che dal suo esito dipenderanno largamente
gli sviluppi futuri dell’Unione.
(Alberto
Majocchi -Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia,
membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo).
Le
superpotenze globali
guardano
ancora all'Indo-Pacifico.
Mondointernazionale.org
– REDAZIONE – (18 MAGGIO 2023) - Dott. Pierpaolo Piras – ci dice:
(Dott.
Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale
Post).
L'indebolimento
a livello economico, politico e militare della Russia conferma ulteriormente
che il gioco si sta svolgendo nell'Indo-Pacifico. Più baricentrico che mai.
Mentre
l'invasione russa dell'Ucraina può suggerire il contrario, non vi è alcun
ritorno del centro di gravità geopolitico nell'Atlantico.
È ancora più di prima nell'Indo-Pacifico.
Le
ragioni di questa posizione contro-intuitiva sono diverse, ma plausibili e
obbedienti ad un criterio strategico e geopolitico.
In
questo caso, per gli Stati Uniti, il principale avversario in relazione alle
loro mire geostrategiche globali continua ad essere la Cina Popolare.
Nel
frattempo, la Cina è concentrata nell’impegno internazionale di creare le
migliori condizioni politiche e commerciali capaci di concorrere e alla fine
sostituire gli Stati Uniti come superpotenza globale entro la metà di questo
secolo.
Pechino
dice entro il 2050.
La
guerra d’aggressione della Russia contro l’Ucraina non ha cambiato questa
realtà.
Ed
entrambe le parti stanno muovendo i loro pezzi in questo grande gioco,
scrutandosi a vicenda in modo sempre più intraprendente, e talvolta pure cinico
e aggressivo.
Il
rischio di cadere nella "trappola di Tucidide" rimane in auge.
In
questa luce, è sufficiente valutare gli sviluppi di alcuni episodi recenti.
In
primis, l’ultima visita di “Joe Biden”, Presidente degli Stati Uniti, in
Giappone e Corea del Sud ha voluto riaffermare la volontà americana di
rispettare i propri impegni relativi alla sicurezza reciproca e di promuovere
il loro riavvicinamento a scopo preventivo.
D'altra
parte, un altro incontro si è svolto a Tokyo al più alto livello del “QUAD” –
alleanza politico-militare internazionale che comprende Giappone, Australia,
Stati Uniti e India – in un chiaro tentativo di controbattere le dichiarazioni
provocatorie del ministro degli Esteri cinese,” Wang Yi”, in senso anti
americano.
La
cooperazione sta crescendo sulle questioni di sicurezza, comprese le manovre
aeronavali congiunte nella vasta area dell’indo-pacifico.
A
livello internazionale è stato notevole lo sforzo di incorporare l'India in
un'alleanza in crescita come il “QUAD”, il cui primario obiettivo implicito è
il contenimento dell'espansionismo sempre più aggressivo della Cina.
Non è
circostanziale che la Cina, approfittando dell'equidistante atteggiamento
indiano nella guerra in Ucraina, stia cercando di avvicinarsi al suo
tradizionale avversario storico (la Russia) sulle possibili soluzioni al
confronto laico in merito agli enormi confini fra i due.
Tra l’altro, in alcuni tratti, non sempre
chiaramente e definitivamente delimitati.
Continua
l’ambiguità diplomatica?
Lentamente,
gli Stati Uniti modulano la loro dottrina tradizionale nei rapporti di politica
internazionale con Pechino secondo un’ "ambiguità con finalità
strategica", stabilita dopo la storica visita di Nixon a Pechino ed i suoi
accordi definiti con “Mao Tse-Tung”, nel 1972.
Tale
dottrina USA sostiene la duplice tesi di "una sola Cina", da un lato
riconoscendo alla Repubblica Popolare il pieno status nazionale unicamente
sotto il profilo internazionale, mentre dall’altro si impegna a sostenere la”
Cina nazionalista di Taiwan” di fronte a qualsiasi tentativo di integrazione
non pacifica o che avvenga non di comune accordo.
Il
dibattito negli Stati Uniti è aperto e i sostenitori dell'abbandono di tale
ambiguità sono sempre più in maggioranza in entrambi i partiti. Essi sostengono che le circostanze
politiche ed economiche sono decisamente cambiate e la Cina appare sempre più
desiderosa di reintegrare Taiwan, anche usando la forza militare.
La
dimostrazione più eclatante è rappresentata dalle continue e provocatorie
intrusioni di velivoli di superiorità aerea cinesi nello spazio aereo di
Taiwan, così come le centinaia di pattuglie militari travestite da barche
"da pesca" presenti nelle acque territoriali contese tra i due nel
Mar Cinese Meridionale.
Ovvero
quelle che circondano l'arcipelago di “Spartly” o le “Paracels”.
La
posizione degli USA.
La
risposta americana all'aggressione russa deve essere letta in questo contesto.
Gli
Stati Uniti non permetteranno alla Russia di raggiungere i suoi obiettivi
egemonici e in questo hanno impegnato l'Alleanza Atlantica e, nonostante alcune
(oggi già superate) difficoltà interne, anche l’Unione Europea e l'intero
Occidente nel suo complesso.
Il
messaggio è chiaro:
il costo militare, materiale e in vite umane per la
Federazione Russa sarà insopportabile – i segni già si vedono – e lo sarebbe
certamente anche per la Cina Popolare se optasse per un'invasione territoriale
di Taiwan.
Le
dichiarazioni di “Biden” vanno anche oltre.
In
Ucraina, il sostegno all’Ucraina e al suo governo legittimo è indiscutibile, ma
non include il coinvolgimento militare sul terreno o la partecipazione a
operazioni aeree in profondità, per evitare un confronto diretto della “NATO”
con la Russia.
Nel
caso di Taiwan, l'impegno USA include questo aspetto del proprio coinvolgimento
militare, oltre alla protezione diretta di altri alleati nell'area, come
l'Australia, e il sostegno ancora più esplicito del Giappone e della Corea del
Sud.
Allo
stesso tempo, “Biden “sta cercando di invertire ciò che nel tempo si è rivelato
un grossolano errore strategico di “Donald Trump” non ratificando la
“Trans-Pacific Partnership” (TPP) e spingendo il suo principale promotore, il
Giappone, ad approvarlo senza gli Stati Uniti, presumibilmente in attesa di un
cambio di posizione politica al vertice.
Le
iniziative USA.
“Biden”
ha lanciato l'“Indo-Pacific Economic Framework” (IPEF), un
"sostituto" del TPP, più flessibile e adattabile alle circostanze, al
fine di superare le prevedibili difficoltà che un trattato di questa
complessità potrebbe incontrare per essere approvato a Washington.
Non si
tratta, quindi, di un accordo commerciale in senso formale, ma poggia
seriamente su quattro pilastri:
promuovere
il commercio, in particolare quello digitale, investire nelle infrastrutture
relative alle energie rinnovabili, contrastare la corruzione e affermare regole
più corrette di bilancio.
Pertanto,
si tratta di aprire un percorso virtuoso mirato a adottare questo schema operativo
che riguardi, oltre al Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda,
anche i sette paesi dell'”ASEAN” (tranne Myanmar, Cambogia e Laos) e,
significativamente, l' “India”.
A
farne la somma, questo gruppo di nazioni rappresenterebbe circa il 40% del PIL
globale e, sebbene soffra dell'assenza di alcuni paesi nelle Americhe, è
compensato dal peso dell'India, non solo demograficamente ed economicamente, ma
dal suo peso nel panorama politico internazionale.
Va
anche notato la sua apertura ad altri Stati insulari del Pacifico. Le isole Figi hanno già mostrato il
loro interesse.
Questa
iniziativa si aggiunge all'implementazione, promossa dal “QUAD”, dell'”Alleanza
per la conoscenza del Dominio Marittimo in Indo-Pacifico, che includerebbe
tutte le isole dell'oceano”.
Infatti,
non si deve dimenticare il ruolo strategico svolto dalle isole dell’oceano
Pacifico nel corso della seconda guerra mondiale e l’aspro confronto tra Stati
Uniti e Giappone per il dominio dell’area dell’indo-pacifico.
Le
intenzioni cinesi.
Va
notato che tutte queste iniziative arrivano a contrastare la chiara volontà
cinese di espandere la propria influenza in questo ampio teatro, a scapito non
solo degli Stati Uniti, ma anche dell'Australia, tradizionale garante della sua
sicurezza.
Ciò è
ancora più rilevante, specie dopo l’entrata in vigore dell’ “AUKUS”, l'accordo
politico-militare stipulato tra Usa, Regno Unito e Australia a scapito della
Francia - a sua volta storicamente presente nella regione, con possedimenti in
Polinesia – per la fornitura a Canberra di sottomarini a propulsione nucleare e
della più alta e sofisticata tecnologia militare – fino ad ora non condivisa
con nessuno – da parte di Washington.
La
risposta della Cina è chiara:
rappresentata da un peggioramento delle
proprie relazioni con l'Australia, pur essendo il suo principale partner
commerciale.
È in
corso un rapporto di collaborazione tra Cina ed isole del Pacifico che
comprende la sicurezza, le regole di dogana e la pesca commerciale con le isole
Salomone.
Che prevedibilmente includono la possibilità
di stabilire una base militare in esse, qualcosa che fino ad ora la Cina si è materializzata
solo e non oltre a Gibuti, all'ingresso del Mar Rosso attraverso lo stretto di
Bab-el Mandeb.
La
Cina intende estendere tale accordo con un negoziato già avanzato con “Kiribati”
e colloqui con le isole di Samoa, Tonga, Figi, Vanuatu, Papua Nuova Guinea e
Timor Est.
Ancora
più preoccupante appare l’azione cinese a favore di altre autocrazie e democrazie
illiberali sulla duplice base e intesa della non interferenza e nel rifiuto
dell’importante ruolo statunitense nel mondo.
In
sintesi, entrambe le parti (USA e Cina) stanno rapidamente muovendo i loro
rapporti tra molteplici accordi economici e commerciali, strategici, di
finanziamento delle infrastrutture e di lotta agli effetti dei cambiamenti
climatici (enormemente sensibili nella regione, più che in Occidente), che però
non nascondono sia la competizione strategico-militare che la tutela delle
sfere di influenza di ognuna.
La
posta in gioco è che la presenza americana (e australiana) nella regione
scompaia e pertanto che gli Stati Uniti cessino di essere una superpotenza
globale a scapito di una Cina il cui obiettivo principale è, appunto,
sostituirla in quel ruolo.
Indubbiamente,
sono parole grosse:
l'indebolimento della Russia conferma
ulteriormente che il gioco massimamente importante si sta svolgendo nella vasta
area dell’Indo-Pacifico.
Yellen
in Cina: i
sussidi di Pechino
sono
un pericolo per l'economia globale.
Avvenire.it
- Luca Miele – (5 aprile 2024) - ci dice:
La
visita di quattro giorni del segretario al Tesoro Usa, “Janet Yellen” è un test
per misurare le relazioni tra le due superpotenze.
Pechino: "La vera sovrapproduzione? È quella
delle armi occidentali."
Cosa
segna il termometro delle relazioni tra Usa e Cina?
I
tentativi di riannodare la tela diplomatica sono destinati ad abbassare i toni
o, al contrario, velano una “guerra commerciale” senza esclusione di colpi?
Il ricorso formale di Pechino all’
“Organizzazione mondiale del commercio” (Wto), contro quelli che vengono
considerati sussidi «discriminatori» da parte degli Stati Uniti sui veicoli
elettrici, è solo l’ultimo atto di un duello sempre più acceso tra le due
superpotenze.
Un
test importante lo offre il viaggio in Cina di quattro giorni del segretario al
Tesoro Usa, Janet Yellen.
In programma per l’ex presidente della “Federal
Reserve”, tra gli altri, i faccia a faccia con il governatore della provincia
del Guangdong “Wang Weizhong”, con il governatore della Banca centrale cinese “Pan
Gongsheng” e, soprattutto, con il vice premier “He Lifeng”.
Nonostante
i tentativi di distensione (lo scorso novembre i due presidenti Joe Biden e Xi Jinping
si sono incontrati a San Francisco dopo un anno di gelo e martedì scorso si
sono “intrattenuti” in una telefonata di 90 minuti a tutto campo), la temperatura resta alta.
Anzi bollente.
Il confronto continua a passare lungo il
terreno insidioso (e friabile) dell’economia, con i due giganti che gareggiano in
vista del primato mondiale.
Il nuovo mantra Usa è “la superproduzione” cinese,
"drogata" dal sostegno del governo, che rischia di sommergere i
mercati.
Lo ha detto “Yellen” incontrando a” Guangzhou”
la comunità imprenditoriale americana:
“Il sostegno diretto e indiretto del governo
di Pechino al settore manifatturiero sta portando a una capacità produttiva che
supera significativamente la domanda interna della Cina, così come supera ciò
che il mercato globale può assorbire”.
La
missione di Janet Yellen è un test per misurare lo stato di salute delle
relazioni tra Usa e Cina.
“L'eccesso
di capacità, che può portare a grandi volumi di export a prezzi bassi" – è
il ragionamento di Yellen - rappresenta "un rischio per la resilienza
economica globale".
Per
gli Usa "l’eccesso di capacità produttiva in Cina" è stato un
problema in passato, ma recentemente si è intensificato con i rischi emergenti
“in nuovi settori come i veicoli elettrici, le batterie e i prodotti a energia
solare, minando i lavoratori e le imprese concorrenti negli Stati Uniti, in
Messico e l'India".
Insomma
siamo davanti a un caso di “concorrenza sleale”.
"Credo che affrontare il problema dell'eccesso di
capacità, e più in generale considerare riforme basate sul mercato, sia
nell'interesse della Cina", ha insistito Yellen.
E
Pechino?
La replica del gigante asiatico non si è fatta
attendere.
Per la Cina il duello commerciale maschera una
retorica bellica.
"Anche
se attaccare la Cina non è una novità in Occidente, negli ultimi tempi, è
emerso un nuovo obiettivo dell’incessante potenza di fuoco:
la
capacità manifatturiera della Cina.
Questa
nuova variante della teoria della “minaccia cinese” è solo un pretesto per
alcuni Paesi occidentali per avvelenare lo sviluppo interno della Cina e la
cooperazione internazionale e adottare misure più protezionistiche per le
proprie industrie", si legge sul “ChinaDaily”.
Quindi l’affondo:
"Il mondo ha un “problema di sovraccapacità”, che
riguarda il colosso militare-industriale occidentale.
Secondo un rapporto dello “Stockholm
International Peace Research Institute”, gli Stati Uniti e i Paesi dell’Europa
occidentale hanno rappresentato collettivamente il 72% di tutte le esportazioni
di armi nel 2019-23, in aumento di 10 punti percentuali rispetto ai cinque anni
precedenti.
Se
l’Occidente fosse veramente preoccupato per il mondo, è il “problema della
sovracapacità” militare che dovrebbe affrontare".
Un’isola
al voto, il
mondo
sospende il fiato.
Ytali.com
- BENIAMINO NATALE – (8 Gennaio 2024) – ci dice:
Le
presidenziali di Taiwan, che si tengono il 13 gennaio, sono molto attese, dato
il suo ruolo centrale nel confronto tra le superpotenze, americana e cinese.
In un
2024 denso di appuntamenti elettorali le “presidenziali di Tawian”, che si
tengono il 13 gennaio, sono tra quelli più attesi dato il ruolo centrale
dell’isola nel confronto tra le superpotenze, americana e cinese.
I
contendenti sono tre:
l’attuale
vicepresidente Lai Ching-te, conosciuto anche come William Lai, del Democratic
Progressive Party (DPP), il sindaco di Taipei Hou You-ih, del Guomindang
(partito nazionalista), e Ko Wen-je, del Taiwan People’s Party (TPP), nato da
una scissione del DPP.
Al
centro del dibattito, circostanza che non sorprende, i rapporti con la Cina
guidata dal presidente “Xi Jinping”.
Nei
sondaggi, “Lai” è in testa di pochi punti su “Hou” mentre “Ko” appare staccato.
L’ imprenditore” Terry Gou”, fondatore della “Foxconn”,
produttrice degli iPhone in Cina, aveva annunciato la sua intenzione di
candidarsi come indipendente ma ha rinunciato e si è ritirato dalla
competizione.
Dopo
le elezioni, la situazione nello Stretto di Taiwan continuerà a galleggiare nel
limbo creato dal riconoscimento internazionale di “una sola” Cina, cioè quella
con capitale Pechino, e dalla rinuncia di Taiwan a dichiarare formalmente la
sua indipendenza di fatto.
Ciononostante
il mondo guarda alle elezioni con il fiato sospeso, attendendo un’indicazione
sul futuro dell’isola e sulla possibilità che la situazione sfugga di mano
innescando una guerra tra Cina e Stati Uniti.
“Il
candidato del “Guomintan”g alla vicepresidenza,” Zhao Shaokan”g, ha invitato
l’altro lato dello Stretto di Taiwan a mostrare buona volontà, chiedendo che
gli aerei e le navi della Cina continentale non si avvicinino alla linea
centrale dello Stretto di Taiwan.
Che lo
Stretto di Taiwan sia pacifico nella prossima settimana e le elezioni di Taiwan
saranno pacifiche”.
Il
DPP, in realtà, è nato per battersi per l’indipendenza definitiva dell’isola
dalla Cina, che continua a essere il suo orizzonte, il suo obiettivo di lungo
periodo.
Il “Guomindang” è un partito più cinese che
taiwanese:
è stato fondato nel 1912 da “Sun Yat-sen” e in
seguito guidato da “Chiang Kai-shek”, e il suo obiettivo di lungo periodo è
l’unificazione con la Repubblica Popolare e la conquista del governo di questa
immaginaria Cina Unificata.
Quanto
al “TPP”, il suo leader e fondatore “Ko” non si è pronunciato in modo chiaro
sui rapporti con la Cina popolare, preferendo attaccare i suoi avversari con
argomenti piu’ concreti e attinenti al governo dell’isola.
Obiettivi
strategici a parte, nel prossimo futuro tutti e tre i partiti sono per il
mantenimento dello status quo.
Solo
una manciata di paesi di secondo piano ha riconosciuto la “Repubblica di Cina”
(il nome ufficiale di Taiwan) mentre la maggior parte dei paesi del mondo – tra
cui l’Italia – ha nella capitale Taipei degli uffici commerciali che agiscono
come ambasciate di fatto.
Va
però sottolineato che negli ultimi anni il peso politico dell’isola è
decisamente aumentato e i suoi rapporti internazionali si sono intensificati.
In
particolare si sono rafforzati i legami con gli USA, in un processo che ha
avuto il suo culmine nella visita della parlamentare americana” Nancy Pelosi”
nell’agosto del 2022.
Gli
USA hanno inoltre fornito all’esercito taiwanese armamenti per miliardi di
dollari mettendolo in grado di dare del filo da torcere a un eventuale attacco
cinese.
Spesso, navi da guerra e sottomarini americani
si recano nello stretto di Taiwan partendo dalle loro basi in Giappone e
nell’isola di Guam.
Secondo
alcuni osservatori, la conquista di Taiwan, se necessario con un attacco
militare, fa parte degli obiettivi irrinunciabili del presidente cinese “Xi
Jinping”.
Nel
suo discorso di Capodanno, “Xi” ha affermato che quella della “riunificazione”
è una “necessità storica”.
“La
campagna tripartitica di Taiwan è molto entusiasmante, migliore di quella dei
due partiti che si alternano nel mondo democratico.
Ogni elezione influenza la situazione politica
su entrambi i lati dello Stretto di Taiwan e persino la situazione politica del
mondo.
Avanti, Taiwan.
A dispetto
delle previsioni apocalittiche degli “esperti” sembra di poter dire che, almeno
nel prossimo futuro, un’invasione cinese di Taiwan sia da escludere.
Le ragioni sono molte:
prima
di tutto, la presenza nel Pacifico della settima flotta americana,
tecnologicamente più avanzata della Marina cinese;
le
difficoltà economiche della Cina;
il fallimento dell’attacco russo all’Ucraina
(che secondo i piani del Cremlino sarebbe stata conquistata in pochi giorni);
le
difficoltà di attaccare un’isola, azione che comporterebbe una serie di sbarchi
simultanei;
il rafforzamento delle difese militari di
Taiwan;
non
ultimi i sondaggi più recenti secondo i quali il 66 per cento della popolazione
s’identifica come semplicemente “taiwanese”, il 28 per cento come “taiwanese e
cinese” e solo il quattro per cento come “cinese”; in altre parole l’invasione
dovrebbe fare i conti con una popolazione quasi interamente ostile.“Nelle
elezioni tripartitiche di Taiwan, ciascun partito ha ricevuto meno della metà
dei voti, evitando così la polarizzazione.
Penso
che in futuro la Cina democratica dovrebbe seguire questa strada per evitare
alcune carenze simili a quelle dell’attuale campagna elettorale bipartitica
negli Stati Uniti.
La
guerra per Taiwan coinvolgerebbe certamente il Giappone e probabilmente la
Corea del Sud, e potrebbe veder scendere in campo altri alleati regionali degli
USA.
La
probabile sconfitta dell’Esercito di Liberazione Popolare avrebbe conseguenze
drammatiche per il regime di Pechino.
Non
bisogna dimenticare il fatto che Taiwan è la principale produttrice mondiale di
semiconduttori, un elemento indispensabile nella produzione di apparati
elettronici per l’audio e il video, per le telecomunicazioni, per la gestione
dei velivoli aerospaziali, per gli strumenti informatici, per la robotica e per
altri settori industriali di punta e una interruzione della produzione sarebbe
un grave problema per l’economia internazionale, e anche per la Cina.
La
probabile vittoria nelle presidenziali di “Lai” porterà a un intensificarsi
della guerra di parole tra le due sponde dello Stretto di Taiwan ma
difficilmente a una guerra guerreggiata.
Nel
caso prevalesse il “Guomindang” si assisterà a un moltiplicarsi dei rapporti
culturali e a una ripresa del turismo tra le due sponde ma è evidente che la
“ri-unificazione” rimarrebbe un obiettivo lontano, molto lontano nel tempo.
Mondo
senza pace,
la
responsabilità delle grandi
potenze
e la necessità di un
nuovo
equilibrio economico.
Left.it
- Pier Giorgio Ardeni - Francesco Sylos Labini – (30 Marzo 2023) – ci dicono:
La
guerra in Ucraina, che segna uno spartiacque nella nostra epoca, si inserisce
in un contesto economico instabile di cui bisogna tenere conto.
La
tragedia della politica delle grandi potenze consiste nel fatto che, siccome
nessuno Stato è in grado di raggiungere l’egemonia globale, il mondo è
condannato a una grande e perpetua competizione.
La
guerra in Ucraina rappresenta un evento epocale nella nostra vita, uno
spartiacque che segna il prima e il dopo.
Per
inquadrare il conflitto ci facciamo guidare da quattro illustri studiosi.
L’economista” Jeffrey Sachs”, direttore del “Centro
di sviluppo sostenibile “della Columbia University, consulente economico per i
governi dell’America Latina, dell’Europa orientale e dell’ex Unione Sovietica,
ha recentemente tenuto la lezione “The Geopolitics of a Changing World”
all’università di Oxford.
“ John
Mearsheimer”, politologo e studioso di relazioni internazionali americano,
professore all’Università di Chicago è il principale rappresentante della
scuola di pensiero nota come” realismo offensivo” (qui un suo intervento del
2014).
“Emmanuel
Todd” storico, sociologo e antropologo francese, ricercatore presso l’ “Institut
national d’études démographiques” di Parigi, ha scritto numerosi saggi, tra cui
“Il crollo finale “(1976), in cui ha preconizzato la fine dell’Unione
Sovietica, e” Dopo l’impero” (2003), in cui profetizza la «disgregazione del
sistema americano» e la rinascita dell’Europa.
Infine,”
Wolfgang Streeck” è un sociologo ed economista tedesco e direttore emerito
dell’ “Istituto Max Planck” per lo studio delle società. La fine dell’Unione
Sovietica ha chiuso l’epoca della guerra fredda iniziata nel dopoguerra.
La grande crescita economica della Cina e la
ripresa della Russia dopo la catastrofe degli anni Novanta sono le realtà
emergenti che stanno cambiando gli equilibri globali e sono alla radice
dell’instabilità del mondo “unipolare” in cui gli Stati Uniti sono stati
egemoni per un trentennio.
La
crescita della Cina.
Per
valutare la crescita di un’economia e confrontarla con altri Paesi, è
importante considerare i dati a prezzi costanti (ovvero depurandoli
dall’effetto inflazione), utilizzando i tassi di cambio internazionali a parità
di potere d’acquisto. In questo modo si prende in esame la crescita in termini
reali. Consideriamo qui i dati del” World Development Indicators database”
della” World Bank”.
La
crescita della Cina negli ultimi 30 anni è stata fenomenale: il Pil pro capite
(ovvero per persona) è passato dai 1429 dollari del 1990 ai 17.603 del 2021,
cioè è aumentato di 12 volte.
Nello
stesso periodo il Pil per persona negli Stati Uniti è cresciuto di poco più
della metà, passando da 40.456 dollari a 63.670.
La Cina, però, ha oggi una popolazione di 1,4
miliardi di persone, cioè 4,6 volte quella degli Stati Uniti, tanto che il Pil
totale della Cina è oggi maggiore di quello americano (in termini reali,
valutato a parità di potere d’acquisto):
nel
2021 il Pil cinese è stato di 24.860.000 miliardi di dollari, contro i
21.130.000 miliardi degli Usa e i 19.740.000 dell’insieme della Ue.
Nel
1990, il Pil totale cinese era di 1.620.000 miliardi, mentre quello di Stati
Uniti e Ue erano, rispettivamente, di 10.100.000 e 11.990.000 miliardi di dollari.
L’impressionante
crescita dell’economia cinese è corrisposta ad aumento del Pil che si è
generalmente mantenuto sempre superiore al 5% annuo per ormai più di
quarant’anni, contro a valori ben più bassi dell’economia americana (o
europea).
Se la
distanza tra economia cinese e americana si è ridotta, è comunque rimasta
considerevole in termini di Pil pro-capite:
nel
1990 un cittadino americano aveva un reddito superiore a quello di un cittadino
cinese di 39mila dollari, mentre oggi il divario è di 46mila dollari.
Tuttavia,
il dato rilevante è che il Pil della Cina ha superato quello degli Stati Uniti.
Perché
la Cina cresce.
La
competitività economica di una nazione si può misurare quantificando il livello
di diversificazione del sistema industriale e dei servizi, cioè la diversità
nel tipo di prodotti realizzati, e la loro complessità, ovvero il grado di
sofisticazione tecnologica.
In tal modo si riesce a estrarre da un
complesso sistema economico, come quello di un Paese industrializzato,
un’informazione globale che ne descrive la sua qualità.
Non è
sorprendente che da un’analisi di questo tipo si desuma che i Paesi che
cresceranno di più domani sono quelli che si sono occupati di meglio rafforzare
oggi il proprio sistema industriale, della ricerca e dell’innovazione che si
avvicina così a quello dei Paesi tecnologicamente e industrialmente più
avanzati senza aver però ancora raggiunto un livello di Pil pro capite
comparabile a quest’ultimi.
In
ultima analisi questa è la spinta della crescita di alcune economie come quelle
di Cina e in maniera meno accentuata dell’India.
Nella
figura che segue è mostrata la spesa in ricerca e sviluppo della Cina in
confronto ad altri Paesi occidentali: la veloce crescita avvenuta dal 2000 in
poi è alla base della trasformazione dell’economia cinese attuale.
Nel
2014 la stessa spesa in ricerca e sviluppo della Cina era del 2%, una
percentuale maggiore dell’Europa, con una tendenza a raggiungere il 2,5% in
questi anni.
La
combinazione tra la grande spesa in ricerca e sviluppo e i bassi salari hanno
reso possibile il veloce sviluppo economico della Cina.
Un’altra
rappresentazione dell’impressionante sviluppo cinese è fornita da quest’altra
figura che mostra la crescita della quota del Valore aggiunto totale mondiale
dell’attività manifatturiera per paese, che ha ora superato il combinato tra
Europa e Stati Uniti, mentre fino a 15 anni fa era minore di entrambi.
L’età
della convergenza.
La
Cina ha superato gli Stati Uniti in termini di produzione totale in termini di
Pil.
Questo
non deve sorprendere più di tanto in quanto la Cina ha quattro volte la
popolazione degli Stati Uniti, e per questo c’è da aspettarsi che diventerà nel
prossimo futuro un’economia ancora più grande.
Come
abbiamo visto sopra, attualmente il reddito pro capite cinese è ancora poco più
di un quarto di quello americano.
Il divario è ancora molto grande, anche perché
le economie americana ed europea restano ancora quelle più avanzate dal punto
di vista finanziario e tecnologico:
le
corporation dove sono concentrati i grandi capitali sono ancora americane (e
qualche europea).
Tuttavia,
la Cina è un Paese enormemente produttivo, creativo, innovativo e laborioso,
con un sistema educativo eccellente, e dunque è ragionevole aspettarsi che
cresca ancora in termini economici relativi e tutto lascia pensare che la sua
economia e quelle americane ed europee stiano “convergendo” in termini di
reddito per persona.
Tra
l’altro, l’insieme dei Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica)
ha un’economia la cui dimensione ha superato quella dei Paesi del G7 , che
indica che la convergenza è in atto per un più ampio numero di Paesi.
Tuttavia,
è vero che l’economia cinese è “grande” e sta crescendo ad un passo più veloce
di quello dei paesi capitalistici avanzati (Pca) – e con essa anche quella
degli altri Brics – ma ha ancora un basso Pil pro-capite il che implica che il
Paese ha ancora un lungo cammino da percorrere per raggiungere gli standard dei
Pca in termini di tenore di vita, servizi, etc.
Inoltre,
la distribuzione del reddito in Cina è più iniqua che non in Europa e simile a
quella degli Usa.
Il
vantaggio dei Paesi capitalistici avanzati.
I Pca
hanno un vantaggio sugli altri che è tecnologico e finanziario e che durerà
ancora per qualche tempo.
È vero
che la guerra in Ucraina ha evidenziato una “rottura” tra l’Occidente e il
resto del mondo che va ben oltre il piano strategico-militare, creando una
frattura vieppiù apparente anche sul piano economico.
L’Africa, l’Asia e anche l’America Latina
hanno rapporti economici sempre più stretti con Cina e India ma anche con la
Russia.
La leadership dei Pca è ancora assicurata ma
potrebbe essere in un futuro non troppo lontana messa in discussione.
Tuttavia, il capitalismo della globalizzazione
si è evoluto oltre i confini nazionali e i suoi interessi non coincidono più
necessariamente, con quelli nazionali: la dinamica capitalistica è
sovra-nazionale.
La
lista delle 100 principali aziende per capitalizzazione mostra che 59 hanno
base negli Usa, 18 in Europa e 14 in Cina.
Le
compagnie americane totalizzano il 65% del valore totale di mercato in termini
di capitalizzazione, pari a 20.550.000 miliardi di dollari, quelle cinesi
4.190.000 miliardi e quelle europee 3.460.000 miliardi.
La competitività cinese si è quindi fatta
valere, non solo nei settori dell’high-tech e dei beni di consumo, ma anche in
campi come quello della finanza.
Nelle
prime 500 società, nel 2022, secondo Fortune, 124 sono americane, 136 cinesi,
47 giapponesi, 28 tedesche, 18 britanniche e 31 francesi). Il numero di società
cinesi, in questa lista, è costantemente aumentato dal 2000. Tra le prime 500
compagnie, tra l’altro, 7 sono russe (e 5 sono nel settore dell’energia).
La
tragedia delle grandi potenze.
“John
Mearsheime”r nel 2002 ha scritto un libro di relazioni internazionali di grande
impatto intitolato” La tragedia delle grandi potenze” (The tragedy of Great
Power Politics).
Mearsheimer
sostiene che la politica internazionale è sempre stata un affare spietato e
pericoloso e che probabilmente continuerà ad esserlo.
L’intensità
della competizione si alterna, le grandi potenze si temono l’una dell’altra e
sempre competono tra loro per il potere:
l’obiettivo
primario di ogni Stato è quello di massimizzare la propria quota di potere
mondiale, il che significa acquisire potere a scapito di altri Stati.
Le
grandi potenze non si limitano a cercare di essere le più forti tra tutte le
grandi potenze, anche se questo è un risultato loro gradito;
il loro obiettivo finale è quello di diventare
la potenza egemone, cioè l’unica grande potenza del sistema.
Ci
sono tre fattori alla base di questa dinamica:
il primo consiste nell’assenza di un’autorità
centrale così che gli Stati si contendono il potere all’interno di un sistema
internazionale che è fondamentalmente anarchico.
Questa anarchia si origina dal disprezzo delle
superpotenze per il quadro giuridico internazionale:
le
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu vengono troppo frequentemente
ignorate o bloccate dai veti dei membri permanenti.
Il secondo, che gli Stati abbiano capacità
militare offensiva:
in
questo modo ognuno deve essere consapevole che qualcun altro può sferrare un
attacco a sorpresa – il primo attacco – e che questo è un fatto devastante.
Il terzo, che gli Stati non possono mai essere
certi delle intenzioni dell’altro quindi la migliore garanzia di sopravvivenza
è quella di essere un egemone, così che non si possa essere minacciati
seriamente da nessun altro Stato.
La
tragedia della politica delle grandi potenze consiste nel fatto che, siccome
nessuno Stato è in grado di raggiungere l’egemonia globale, il mondo è
condannato a una grande e perpetua competizione.
Questa
è, in grande sintesi, la teoria del realismo nelle relazioni internazionali.
“
Mearsheimer” ha scritto questo libro nel 2002 in un momento in cui gli Stati
Uniti avevano normali relazioni sia con la Cina e sia con la Russia, ma aveva
già compreso che non c’è modo in cui la Cina possa crescere senza che un
conflitto tra Stati Uniti e Cina diventi probabile se non inevitabile.
Mearsheimer
aveva previsto tutto questo in modo corretto: queste idee, sono al contempo
molto efficaci, perché permettono di inquadrare le relazioni internazionali e
prevedere quello che succederà, e nello stesso tempo sono però tragiche, perché
non sono abbastanza efficaci da permettere di superare la tragedia, che invece
è quello di cui abbiamo bisogno.
La
guerra in Ucraina.
La
guerra in Ucraina va dunque inquadrata nel più grande scenario di tensione tra
forze in competizione a livello mondiale.
È un
fatto che gli Stati Uniti hanno cercato di ostacolare l’integrazione della
Russia in Europa.
L’economia russa è rimasta sotto il controllo
degli “oligarchi”, una casta che si è creata negli anni Novanta con la
transizione al mercato dell’economia sovietica, ed è divenuta capitalistica a
tutti gli effetti: tuttavia essa è rimasta fuori dal “circolo capitalista”.
Questo
poiché la Russia è considerata come “una pompa di benzina” cioè un produttore
di materie prime: la Russia ha enormi risorse energetiche di cui l’Europa ha
necessità; sin dagli anni Ottanta è stato ipotizzato di sviluppare il gasdotto
Trans-Siberiano per portare il gas estratto dai giacimenti siberiano
all’Europa, progetto che già allora aveva suscitato l’ostilità degli Stati
Uniti.
Si è
dunque cercata l’integrazione economica della Russia in Europa attraverso lo
scambio energia a basso costo per tecnologia, e questo era l’obiettivo dei
gasdotti Nord Stream, ma gli Stati Uniti si sono sempre opposti anche a questo
progetto.
Questa
ostilità, secondo l’antropologo francese” Emmanuel Todd!”, si spiega
considerando che:
«Per
quanto terribile sia per il popolo ucraino, la guerra in Ucraina non è che una
questione secondaria in una storia molto più grande:
quella
della battaglia in corso tra una potenza egemonica globale in declino, gli
Stati Uniti e con loro gli altri Paesi occidentali del G7, e una in ascesa, la
Cina e con essa i Brics.
Un’importante funzione dell’attuale guerra è
il consolidamento del controllo degli Stati Uniti sugli alleati europei,
necessari per sostenere il “perno verso l’Asia” della potenza statunitense.
Il
compito dell’Europa è quello di impedire alla Russia di approfittare del fatto
che gli Stati Uniti rivolgono la loro attenzione armata altrove e, se
necessario, di unirsi alla potenza statunitense nella sua spedizione asiatica
(cosa a cui il Regno Unito si sta già attivamente preparando)».
Il Pil
della Russia e le sanzioni.
Il Pil
totale della Federazione Russa, valutato in termini reali a prezzi 2017 a
parità di potere d’acquisto come sopra, tra il 1990 e il 2021 è cresciuto di
pochissimo, passando dai 3.180.000 ai 4.080.000 miliardi di dollari.
Il Pil
pro capite, dopo il crollo degli anni Novanta, è invece passato dai 12.358
dollari del 1998 ai 27.960 del 2021, a metà circa tra quello cinese e quello
europeo, quindi.
Il Pil
totale di Russia e Bielorussia, però, rappresenta appena il 3,3% del Pil
occidentale o dei Pca (Stati Uniti, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del
Sud).
Inoltre,
una delle maggiori entrate per la Russia era rappresentata dall’esportazione di
gas e petrolio verso l’Europa.
Per
questo motivo, allo scoppiare della guerra, si era convinti che la Russia, con
l’imposizione delle sanzioni, sarebbe stata schiacciata economicamente.
Tuttavia,
il rublo ha guadagnato l’8% rispetto al dollaro e il 18% rispetto all’euro
dalla vigilia dell’ingresso in guerra.
L’economia russa non solo ha retto bene il
peso delle sanzioni, ma è stata capace di rivolgersi verso altri Paesi per
l’esportazione di materie prima e l’importazione di tecnologia (quello che era
un tempo l’accordo con la Germania, energia a basso costo in cambio di
tecnologia) mentre l’industria bellica, fino ad ora, è riuscita a rifornire
l’esercito.
Come
spiegare questa dinamicità economica se il Pil è così modesto?
Neoliberismo
e guerra.
La
guerra diventa un test dell’economia politica, è il grande rivelatore: ci si
chiede come questo Pil insignificante possa affrontare la guerra e continuare a
produrre missili.
“Todd”
fa notare che il motivo è che il Pil è una misura fittizia della produzione,
soprattutto per un Paese con grandi risorse di materie prime come la Russia:
«Se si
sottrae dal Pil americano metà delle sue spese sanitarie sovrafatturate, poi la
“ricchezza prodotta” dall’attività dei suoi avvocati, dalle carceri più
affollate del mondo, poi da un’intera economia di servizi scarsamente definiti
tra cui la “produzione” dei suoi 15-20.000 economisti con uno stipendio medio
annuo di 120 mila dollari, ci rendiamo conto che una parte importante di questo
Pil è solo vapore acqueo.
La guerra ci riporta all’economia reale, rende
possibile capire quale sia la vera ricchezza delle nazioni, la capacità
produttiva e quindi la capacità di guerra.
Se torniamo alle variabili materiali, vediamo
l’economia russa.
Nel
2014, abbiamo messo in atto le prime importanti sanzioni contro la Russia, ma
essa ha da allora aumentato la sua produzione di grano, che va da 40 a 90
milioni di tonnellate nel 2020.
Mentre,
grazie al neoliberismo, la produzione americana di grano, tra il 1980 e 2020, è
passata da 80 a 40 milioni di tonnellate.
La Russia è anche diventata il primo
esportatore di centrali nucleari.
Nel
2007, gli americani hanno spiegato che il loro avversario strategico era in un
tale stato di decadimento nucleare che presto gli Stati Uniti avrebbero avuto
una capacità di primo colpo atomico su una Russia che non avrebbe potuto
rispondere.
Oggi i
russi sono in superiorità nucleare con i loro missili ipersonici.
La Russia ha quindi un’autentica capacità di
adattamento.
Quando
vuoi prendere in giro le economie centralizzate, sottolinei la loro rigidità,
mentre quando fai l’apologia del capitalismo, ne vanti la flessibilità. Giusto.
Affinché
un’economia sia flessibile, prendi ovviamente il mercato dei meccanismi
finanziari e monetari.
Ma
prima di tutto, hai bisogno di una popolazione attiva che sappia fare delle
cose.
Gli
Stati Uniti hanno ora più del doppio della popolazione della Russia (2,2 volte
nelle fasce di età degli studenti).
Resta
il fatto che con proporzioni da parte di coorti comparabili di giovani che
fanno istruzione superiore, negli Stati Uniti, il 7% sta studiando ingegneria,
mentre in Russia è il 25%.
Ciò
significa che con 2,2 volte meno persone che studiano, i russi formano il 30%
di più ingegneri.
Gli
Stati Uniti colmano il buco con studenti stranieri, ma che sono principalmente
indiani e ancora più cinesi.
Questa
risorsa di sostituzione non è sicura e già diminuisce.
È il dilemma fondamentale dell’economia
americana: può affrontare la concorrenza cinese solo importando forza lavoro
qualificata cinese. Propongo qui il concetto di bilanciamento economico.
L’economia russa, da parte sua, ha accettato
le regole operative del mercato (è persino un’ossessione per Putin quella di
preservarle), ma con un ruolo grandissimo dello Stato.
E si
tiene anche la sua flessibilità della formazione di ingegneri che consentono
gli adattamenti, sia industriali che militari».
Sulla
produzione di armi “Todd” aggiunge:
«Una
delle cose sorprendenti in questo conflitto, e questo lo rende così incerto, è
che pone (come qualsiasi guerra moderna) la questione dell’equilibrio tra
tecnologie avanzate e produzione di massa.
Non vi
è dubbio che gli Stati Uniti abbiano alcune delle tecnologie militari più
avanzate, che a volte sono state decisive per i successi militari ucraini.
Ma
quando si entra nella durata, in una guerra di logoramento, non solo dalla
parte delle risorse umane, ma anche di quelle materiali, la capacità di
continuare dipende dal settore della produzione di armi più basso.
E troviamo, vedendolo ritornare dalla
finestra, la questione della globalizzazione e il problema fondamentale degli
occidentali:
abbiamo trasferito una proporzione tale delle
nostre attività industriali che non sappiamo se la nostra produzione di guerra
può proseguire.
Il
problema viene ammesso.
La Cnn, il New York Times e il Pentagono si
chiedono se l’America riuscirà a rilanciare le catene di produzione di questo o
quel tipo di missile.
Ma non
sappiamo se i russi saranno in grado di seguire il ritmo di un tale conflitto.
Il risultato e la soluzione della guerra
dipenderanno dalla capacità dei due sistemi di produrre armamenti».
Le
forze in campo.
Per
comprendere quello che è avvenuto nell’ultimo anno sul terreno di battaglia
bisogna comprendere le forze in campo degli eserciti all’inizio del conflitto e
come queste sono poi cambiate.
Scrive
il sociologo tedesco” Wolfgang Streeck”:
«Nel
2021, l’anno precedente all’invasione dell’Ucraina, la Russia ha speso 65,9
miliardi di dollari (a prezzi costanti 2020) per le sue forze armate, pari al
4,1% del suo Pil.
La Germania, con una popolazione pari a poco
più della metà di quella russa, ha speso 56 miliardi di dollari, pari all’1,3%
del suo Pil.
Le
cifre rispettive per Regno Unito, Francia e Italia sono state di 68,4 miliardi
(2,2 per cento del Pil), 56,6 miliardi (1,9 per cento del Pil) e 32 miliardi
(1,5 per cento del Pil).
Insieme,
i quattro maggiori Stati membri dell’Ue hanno speso per la difesa poco più del
triplo della Russia.
La
spesa militare statunitense, pari al 38% del totale mondiale, supera di dodici
volte quella russa e, se combinata con quella dei quattro grandi Paesi europei
della Nato, di quindici volte».
«Il
fatto che la Russia abbia attaccato da una posizione di debolezza è confermato
anche dal fatto che, secondo l’opinione degli esperti militari, la sua forza
d’invasione, stimata in 190.000 uomini nel febbraio 2022, era troppo esigua per
raggiungere il suo presunto obiettivo, la conquista dell’Ucraina, un Paese di
40 milioni di persone con una massa territoriale quasi doppia rispetto a quella
della Germania, il cui raggiungimento avrebbe richiesto, secondo la maggioranza
delle stime, un raddoppio del contingente impiegato.
Sebbene
il bilancio della difesa ucraino nel 2021 ammontasse a meno di sei miliardi di
dollari (pari al 3,2% del Pil di uno dei Paesi più poveri d’Europa), ciò
rappresentava un impressionante aumento del 142% della spesa militare ucraina
rispetto al 2012, che era di gran lunga il più alto tasso di crescita tra i
primi quaranta Paesi al mondo per spesa militare.
È un segreto solo per i media europei
cosiddetti di qualità che questo aumento è stato dovuto ad ampi aiuti militari
statunitensi, finalizzati a raggiungere la “interoperabilità” dell’esercito
ucraino con le forze armate statunitensi.
Secondo
fonti della Nato, l’interoperabilità è stata raggiunta nel 2020, rendendo di
fatto l’Ucraina un membro della “Nato de facto”, se non de jure».
L’antropologo
francese “Emmanuel Todd “concorda con l’analisi di “Streeck” e sottolinea un
punto importante che chiarisce meglio la prospettiva russa:
«Oggi
condivido l’analisi del geopolitico “realista” americano “John Mearsheimer”.
Quest’ultimo ha fatto la seguente osservazione: ci dicevano che l’Ucraina, il
cui esercito era stato preso in mano dai soldati della Nato (americani,
britannici e polacchi) almeno dal 2014, era quindi membro di fatto della Nato e
che i russi avevano annunciato che non avrebbero mai tollerato un’Ucraina
membro della Nato.
Questi russi fanno quindi, (come Putin ci ha
spiegato il giorno prima dell’attacco) una guerra che dal loro punto di vista è
difensiva e preventiva.
“Mearsheimer”
ha aggiunto che non avremmo motivo di rallegrarci di qualsiasi difficoltà dei
russi perché, poiché per loro si tratta una questione esistenziale, quanto più
questa dovesse risultare dura, tanto più loro colpirebbero con forza.
L’analisi
sembra essersi verificata».
Vari
analisti militari sostengono che la strategia militare della Russia è cambiata
durante il conflitto:
mentre la prima forza d’invasione serviva
essenzialmente per mostrare la serietà delle intenzioni russe, dopo l’estate la
Russia ha capito che non ci sono margini di trattativa e che la guerra era
inevitabile.
Per
questo è stata formata una armata tra 500 e 700 mila uomini che in parte è già
stata utilizzata ed in parte è pronta all’intervento.
La
Russia ha mobilitato le sue riserve di uomini ed equipaggiamenti per introdurre
una forza di grande dimensione e significativamente più letale di quella di un
anno fa.
Una
guerra esistenziale.
“Mearsheimer”
nel 2014 ha scritto un importante articolo dal titolo esplicito, “Perché la
crisi ucraina è colpa dell’Occidente”, in cui ha anticipato gli eventi
spiegandone in dettaglio le ragioni:
«Gli
Stati Uniti e i loro alleati europei condividono la maggior parte della
responsabilità della crisi [ucraina]. La radice del problema è l’allargamento
della Nato».
E «i
leader russi hanno ripetutamente detto che vedono l’adesione dell’Ucraina alla
Nato come una minaccia esistenziale che deve essere impedita».
Le ragioni per questa posizione sono varie:
dalle radici storiche che legano la Russia all’Ucraina, al fatto che la Crimea,
da sempre appartenuta alla Russia che lì ha una importante base navale,
rappresenta l’imprescindibile sbocco sul Mar Nero.
Come
nota “Todd”, per una sorta di eterogenesi dei fini, la guerra sta diventando un
pericolo esistenziale per gli Stati Uniti:
«Mearsheimer,
da buon americano, sopravvaluta il suo Paese.
Ritiene
che, se per i russi la guerra ucraina è esistenziale, per gli americani è
fondamentalmente solo un “gioco” di potere tra gli altri. Dopo il Vietnam,
l’Iraq e l’Afghanistan, una disfatta in più o in meno…. Cosa importa?
L’assioma
di base della geopolitica americana è: “Possiamo fare quello che vogliamo
perché siamo al sicuro, lontani, tra due oceani, non ci succederà mai nulla”.
Niente
sarebbe esistenziale per l’America. Analisi insufficiente che ora porta Biden a
una fuga in avanti.
L’America
è fragile.
La resistenza dell’economia russa spinge il
sistema imperiale americano verso il precipizio.
Nessuno
aveva previsto che l’economia russa avrebbe tenuto testa al “potere economico”
della Nato.
Credo
che i russi stessi non lo avessero anticipato.
Se l’economia russa resistesse alle sanzioni
indefinitamente e riuscisse a esaurire l’economia europea, laddove essa
rimanesse in campo, sostenuta dalla Cina, il controllo monetario e finanziario
americano del mondo crollerebbe e con esso la possibilità per gli Stati Uniti
di finanziare il proprio enorme deficit commerciale dal nulla.
Questa
guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti.
Così
come la Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare.
Questo è il motivo per cui ora siamo in una
guerra infinita, in uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno
o dell’altro.
Cinesi,
indiani e sauditi, tra gli altri, esultano.»
E
aggiunge:
«Questa
guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti.
Non
più della Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare.
Questo
è il motivo per cui stiamo ormai dentro una guerra infinita, dentro uno scontro
il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro.»
In
breve, la strategia militare di Washington per indebolire, isolare o
addirittura distruggere la Russia è un colossale fallimento e il fallimento
mette la guerra per procura di Washington con la Russia su un percorso davvero
pericoloso caratterizzato dal persistere di un’inflazione elevata e l’aumento
dei tassi di interesse che segnalano la debolezza economica.
A
questo si aggiunga la minaccia alla stabilità e alla prosperità delle società
europee, già provate da diverse ondate di rifugiati/migranti indesiderati e la
minaccia di una guerra europea più ampia.
La
fine della globalizzazione e il nuovo protezionismo.
Uno
degli effetti collaterali, non previsti né voluti, della deregolamentazione del
sistema economico globale è stato rendere le tensioni geopolitiche estremamente
più acute.
Gli
Stati Uniti, e con essi il Regno Unito e altri Paesi occidentali, hanno
accumulato ingenti debiti verso l’estero, mentre la Cina, altri Paesi
orientali, e in parte anche la Russia, sono in una posizione di credito verso
l’estero.
Un’implicazione di questo squilibrio è la
tendenza a esportare capitale orientale verso l’Occidente, non più soltanto
sotto forma di prestiti ma anche di acquisizioni:
uno
spostamento cioè del capitale in mani orientali.
Gli
Stati Uniti, che avevano un debito pubblico del 31% del Pil nel 1971, sono
passati a uno del 132% oggi e un debito netto verso l’estero di oltre 14 mila
miliardi di dollari pari al 65% del Pil.
Questo
debito è sostenibile solo grazie al ruolo centrale che ha il dollaro negli
scambi a livello internazionale ma rende l’economia statunitense sempre più
fragile e condizionata dagli interessi dei creditori.
Per
questa ragione, sono oggi gli Stati Uniti, già promotori della globalizzazione,
a richiedere una chiusura protezionista sempre più accentuata nei confronti
delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia e gran parte
dell’Oriente non allineato.
È
questa criticità nell’equilibrio economico mondiale che rende pericoloso questo
momento storico:
la
guerra è vista come una minaccia esistenziale non solo dalla Russia ma anche
dagli Stati Uniti:
nessuno
si può permettere di perderla.
Le
condizioni economiche per la pace.
Per
avviare un realistico processo di pace, è oggi dunque necessario non solo
ridisegnare un quadro di sicurezza europeo condiviso che tenga conto delle
istanze della Russia, ma è necessaria anche una iniziativa di politica
economica internazionale.
Come
recita l’appello promosso da promosso dagli economisti “Emiliano Brancaccio” e “Robert
Skidelsky “e apparso sul “Financial Times” del 17 febbraio 2023:
«Occorre
un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti, che si ispiri al
progetto di Keynes di una “international clearing union”.
Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe
partire da una duplice rinuncia:
gli
Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il protezionismo
unilaterale del “friend shoring”, mentre la Cina e gli altri creditori
dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio senza limiti.
Siamo
consapevoli di evocare una soluzione di “capitalismo illuminato” che venne
delineata solo dopo lo scoppio di due guerre mondiali e sotto il pungolo
dell’alternativa sovietica.
Ma è
proprio questo l’urgente compito del nostro tempo:
occorre verificare se sia possibile creare le
condizioni economiche per la pacificazione mondiale, prima che le tensioni
militari raggiungano un punto di non ritorno».
La
dinamica capitalistica è sovranazionale e fino a prima della guerra stava
andando nella direzione di includere, cooptare i capitalisti russi, cinesi,
indiani e messicani e governare il mondo ora su una scala oltre le nazioni.
Sembra che la guerra in Ucraina abbia
interrotto questa tendenza sancendo l’isolamento del blocco occidentale, inteso
in senso politico.
Se il grande capitale di tutti i Paesi ne
avrebbe fatto volentieri a meno continuando la via del “business as usual”, le
ragioni delle tensioni internazionali, come abbiamo visto, sembrano essere più
profonde della dinamica capitalistica globale che ha caratterizzato il
trentennio dalla caduta del muro di Berlino ad oggi.
Se pensiamo che anche le nostre imprese
seguiranno i diktat della politica, il “friend shoring” e altre simili
ingiunzioni, sarà la nostra scomparsa.
In
questo senso, anzi, stiamo facendo un favore a russi e cinesi, ci mettiamo in
ginocchio da soli:
più
aumenta l’isolamento dei Paesi occidentali e più si rafforzano i legami e gli
scambi internazionali tra i Paesi del resto del mondo.
Non
era mai successo e rischiamo un declino inarrestabile.
Certo, molti Paesi poveri ed emergenti
dipendono ancora molto dai Paesi occidentali, ma potrebbe non durare.
Per un
nuovo equilibrio tra grandi potenze.
La
strategia dei neoconservatori americani, che hanno dominato la politica estera
nel periodo “unipolare”, assume che la sicurezza per gli Stati Uniti dipenda
dal fatto di essere la potenza globale egemone che ha il dominio assoluto.
Questa
potenza non ha interessi in termini assoluti di aumento del tenore di vita ma
il suo obbiettivo è solo la differenza tra lo stato relativo con gli altri
Paesi.
È necessario per questo rimettere al centro
l’utopia di un mondo aperto in cui prevalga l’interesse nel guadagno reciproco.
A causa delle fratture che si sono create per
la guerra in Ucraina, questo sarà necessariamente un processo lento che
prenderà varie generazioni.
Nel
frattempo, si deve ritrovare un equilibrio tra grandi potenze, che sarà
necessariamente fragile e basato sul reciproco timore l’uno dell’altro, un
“equilibrio del terrore” che va gestito con cautela e prudenza, come
quarant’anni di guerra fredda ci hanno insegnato.
Di
fronte al pericolo atomico imminente è l’unica via percorribile quella di
ritornare ad un “equilibrio del terrore”, che ha reso possibile un lungo
periodo di pace relativa seppure caratterizzato da guerre di carattere locale,
per poi intraprendere la lunga strada che conduce ad un equilibrio
“multipolare”.
Al
momento due aspetti critici si vedono all’orizzonte, oltre ovviamente alla
guerra in Ucraina:
da una
parte la tensione tra Stati Uniti e Cina sulla questione di Taiwan e dall’altro
il legame sempre più solido tra Cina e Russia per creare un asse strategico,
politico ed economico a cominciare dall’utilizzo dello yuan cinese come moneta
per gli scambi internazionali.
Se il
dollaro dovesse perdere il suo status di moneta di riferimento per comprare il
petrolio, il debito pubblico americano potrebbe diventare in tempi brevi
insostenibile.
Ed è
questo il motivo per cui è necessario inquadrare il conflitto attuale nel più
grande scenario globale e porre come punto di riferimento la ricerca di un
nuovo equilibrio internazionale.
(Pier
Giorgio Ardeni è professore ordinario di Economia politica e dello sviluppo
all’Università di Bologna. Francesco Sylos Labini, fisico, dirigente di ricerca
presso il Centro Ricerche E. Fermi di Roma, cofondatore e redattore di Roars).
Commenti
Posta un commento