Il confronto è solo sui governi delle superpotenze.

 

Il confronto è solo sui governi delle superpotenze.

 

 

Le Valchirie Ucraine

Possono Morire…

Conoscenzealconfine.it – (8 Aprile 2024) - Manlio Lo Presti – ci dice:

 

Possono morire con il colpevole silenzio dei movimenti femministi genderisti woke.

Tra la massa di notizie sullo stato del conflitto russo-ucraino, è emerso di recente il racconto sull’abbassamento dell’età di arruolamento di uomini ucraini da inviare al fronte.

Nel flusso manicomiale dettato da una fretta ossessiva, focalizzata al lancio di notizie di cui è diventato superfluo valutare la veridicità, è opportuno e necessario ricordare un articolo del 20/12/2023 con il titolo “A Kiev le valchirie ucraine si preparano alla guerra “.

 

Il titolo è decisamente altisonante, e ricorda i retorici proclami della propaganda di guerra dell’ultimo conflitto mondiale.

I suoi contenuti sono in aperta contraddizione rispetto all’ammissione sempre più aperta di una guerra perduta dagli ucraini, nonostante l’appoggio della anglosfera.

La notizia è stata peraltro diffusa da organismi governativi USA che ne sono i principali responsabili e che – come è accaduto varie volte – stanno attuando una strategia di progressivo abbandono del cosiddetto “alleato”, per gettarlo nelle braccia di una Europa sempre più sottomessa e distrutta.

Questa guerra non sarà vinta da donne inviate al sicuro massacro.

 A tutela di queste donne, che saranno sterminate e moltissime catturate per espiantare i loro organi e subire le solite violenze di guerra, i movimenti femministi mondiali tacciono e non muovono un dito.

 Il loro indecente silenzio, anche fra i gruppi italiani molto attivi a perseguitare nemici accuratamente scelti, fa capire come le loro azioni siano l’attuazione di precisi copioni operativi scritti, dettati e imposti da ben precise “cabine di regia”.

L’operazione di arruolamento di donne, se la notizia è vera, è palesemente un atto disperato.

 Il fatto viene giustificato come un ulteriore progresso sociale delle donne anche nel settore bellico, un altro passo nella realizzazione della parità genderista.

Anche in questa occasione, abilmente nascosta e dimenticata, la parità è sostenuta ad intermittenza e nei momenti “opportuni”.

La scelta del termine “valchirie” non è casuale.

 I nascosti ed espertissimi tecnologi della sovversione sanno benissimo come rendere potabile un fatto che è semplicemente e assolutamente ignobile.

Ma siamo da tempo immersi nell’epoca del rovesciamento di senso e delle logiche di ragionamento.

La “PSY-OP”, “Psychological Operation” consiste nell’appoggiare le strategie atlantiste vestendole di un manto eroico.

Nessuno degli organi di stampa, tv e rete intendono ricordare la presenza di divisioni mercenarie di stampo nazista seguaci dello sterminatore nazista “Stefan Bandera”.

Gruppi che continuano liberamente a massacrare e ad uccidere, con il patrocinio dei soliti “consiglieri” della “Nato” e della “Cia” operanti liberamente in suolo ucraino, ai quali si stanno aggiungendo forze militari germaniche, francesi e polacche.

I fatti sono scomparsi da decenni e la narrazione è sviluppata solamente a senso unico dimenticando che le guerre hanno almeno due contendenti.

 È diventato irrilevante che le parti in conflitto uccidano e che la responsabilità non sia da una sola parte.

Queste donne possono morire uccise come carne da macello sotto i cannoni di una Russia che da tempo, ma invano, tutti vorrebbero frazionata in decine di staterelli di tipo balcanico con nuclei di mafiosi al potere.

L’aggressione ossessiva alla Russia è ufficialmente motivata da ragioni ideologiche è motivata dal saccheggio delle sue immense risorse naturali finora intatte.

Rimane il dubbio che perfino la notizia di donne al fronte possa essere totalmente falsa.

Al quesito risponderà molto presto la Storia.

Dispiace che non saranno puniti i responsabili che hanno provocato il massacro e la progressiva demolizione dell’Ucraina, con danni immensi alla popolazione inerme.

 Non avranno un processo di Norimberga nuova versione.

Ancora una volta va certificata la totale inutilità e l’inettitudine di costosissimi carrozzoni internazionali come ONU, OMS, UNESCO, Corte internazionale dell’Aja, ecc.

La vastità della loro inconsistenza certifica come la loro gestione sia nelle mani di personaggi dello “Stato profondo”.

Questo è il livello e la qualità infima delle informazioni diffuse mediante una accozzaglia di fonti che sono diventate “sistema”.

 La velocità di creazione e di diffusione delle notizie non consente una adeguata verifica dei contenuti.

Il solito e martellante velo ideologico genderista globalista inclusivo ad una velocità fa il resto.

Sul commento e sulla valutazione del termine “valchirie” mi astengo per non cadere anche io nel ridicolo.

(Manlio Lo Presti)

(lapekoranera.it/2024/04/06/le-valchirie-ucraine-possono-morire-con-il-colpevole-silenzio-dei-movimenti-femministi-genderisti-woke/)

Israele: lo stato terrorista impazzito

che non vuole rassegnarsi alla sconfitta.

Lacrunadellago.net - Cesare Sacchetti – (8-4-2024) – ci dice:

 

Quando è giunta la notizia che il consolato iraniano in Siria era stato colpito da un bombardamento non si è potuto non pensare ad un vero e proprio atto terroristico.

Il colpevole dell’attacco è noto a tutti, ma questi se ne sta in silenzio perché in Siria segue la strategia del bombardare siti, spesso civili, poiché l’“ISIS” non è riuscita a fare il lavoro per il quale era stata creata, senza però fare rivendicazioni di alcun tipo.

 

Il colpevole è ovviamente Israele che da tre anni a questa parte mette in atto questo tipo di attacchi.

Stavolta però, forse, si è andati anche un po’ oltre i sanguinari standard dello stato ebraico per il semplice fatto che ad essere colpito è stato il consolato di una nazione, l’ “Iran”, che ufficialmente non è coinvolto in nessuna guerra contro Israele.

Non può trattarsi del “tragico errore”, espressione della quale a Tel Aviv sono degli specialisti a ricorrere soprattutto quando si tratta di provare a giustificare i loro efferati atti di terrorismo come quello che è stato messo in atto contro i lavoratori delle ONG che portavano aiuti ai palestinesi.

 

Anche gli operatori umanitari sono nel mirino di Israele e questi uomini hanno perduto la vita perché hanno “osato” aiutare un popolo stremato da un’aggressione e da una barbarie che procede ormai da più di 70 anni.

Israele: uno stato nato con il terrorismo.

Se qualcuno però pensa che il terrorismo sia una pagina nuova nella storia del regime sionista, allora si sbaglia di grosso.

Il terrorismo è il sangue che scorre nelle vene di Israele sin dall’inizio della sua controversa storia.

Quando ancora c’erano gli insediamenti ebraici in Palestina e quando il movimento sionista mondiale presieduto da “Chaim Weizmann”, molto vicino alla “famiglia Rothschild”, negli anni 30 continuava a favorire l’immigrazione degli “ebrei askenaziti” in Palestina, il terrorismo era già una delle strategie privilegiate dei coloni ebrei.

In quel periodo esisteva l”’agenzia ebraica per la Palestina”, che oggi ha preso il nome di “agenzia ebraica per Israele”, che controllava” l’Agana” che viene ufficialmente definita come una sorta di gruppo paramilitare dagli storici più vicini ad Israele, quando in realtà esso non era altro che un vero e proprio gruppo terroristico.

Assieme ad esso c’erano altri due gruppi che mettevano in atto azioni simili quali “ l’ Irgun” e il Lehi” chiamato anche “banda Stern” che prendeva il suo nome dal suo fondatore,” Avraham Stern”.

 

La “Lagana” era nelle mani di “David Ben Gurion”, futuro primo ministro israeliano e considerato uno dei padri fondatori dello stato ebraico, mentre” l’Irgun” era controllata da un altro personaggio che in futuro avrà un ruolo altrettanto di rilievo in Israele,” Menachem Begin”, che diventerà a sua volta primo ministro negli anni successivi alla nascita di Israele.

 

Gli uomini che hanno fondato lo stato ebraico lo hanno fatto mettendo in atto una precisa strategia del terrore volta a colpire sia i palestinesi che vivevano su quella terra da molti secoli, sia i britannici ai quali era stato affidato il compito da” Lord Rothschild nel 1917” di fare della Palestina una casa per gli ebrei di tutto il mondo.

 

In realtà, dietro il fine dello stato ebraico c’è molto di più che la semplice idea di costruire uno Stato che potesse accogliere gli ebrei perseguitati in Europa, circostanza che non suscitava affatto l’indignazione del movimento sionista mondiale che stipulava accordi con gli aguzzini degli ebrei, spesso i più poveri, per poter avere la futura popolazione di cui Israele aveva.

 

È il caso della famigerata” Haavara”, ovvero quell’accordo tra la Germania nazista e l’agenzia ebraica in Germania che prevedeva il trasferimento degli ebrei tedeschi in Palestina.

Ancora oggi sono gli stessi storici israeliani ad affermare che senza Adolf Hitler lo stato di Israele non sarebbe mai nato e questo dovrebbe forse indurre più di qualche riflessione a quei nostalgici dell’era nazista e del fuhrer che credono ancora che il nazismo sia stato un fenomeno politico sorto in opposizione alla potenza della finanza ebraica mondiale.

Quando giungevano gli ebrei in Palestina, i gruppi terroristici sionisti facevano scorrere una lunghissima scia di sangue.

La lista dei loro attentanti è talmente lunga che si ha difficoltà ad elencarla tutta.

Tra gli episodi ce ne sono alcuni che suscitano più orrore proprio per il loro assoluto disprezzo nei confronti dei civili che perdevano la vita in questi agguati.

Nel marzo del 1937, “l’Irgun” faceva esplodere una bomba nel mercato di Haifa uccidendo 18 civili palestinesi.

Nel giugno del 1939, la “Lagana di Ben Gurion” razziava la città di Balad Al-Shaykh, rapiva 5 civili e poi li uccideva a sangue freddo.

Gli agguati però non sono terminati.

 Quando inizia la seconda guerra mondiale e quando si avvicina il “sogno” della nascita di Israele, la scia di sangue si allunga ancora di più.

Questa fase è nota come la “insorgenza ebraica”. Gli askenaziti non tollerano nemmeno più il mandato britannico in Palestina.

Non vogliono nemmeno più essere sottoposti al controllo della Gran Bretagna che pure ha consentito loro di emigrare in una terra con la quale non avevano nel migliore dei casi alcun legame da moltissimi secoli, come nel caso degli “ebrei sefarditi”, e nel peggiore non ce l’avevano proprio come nel caso degli “ebrei askenaziti” che, secondo le stesse ricerche effettuate da genetisti israeliani quali “Eran Elhaik”, sono gli eredi dei cazari, un popolo dell’Est Europa che si convertì all’ebraismo nel VIII secolo d.C. per mere ragioni di opportunità politica.

Quando esplodono 300 kg di esplosivo il 22 luglio del 1946 nel King David hotel di Gerusalemme, allora sede del quartier generale britannico, si comprende bene fino a che punto sono disposti ad arrivare gli uomini del sionismo pur di veder nascere il “loro stato.

Il bilancio è a dir poco drammatico. Sotto le macerie dell’albergo c’è una carneficina di 91 persone e 45 feriti.

“L’Irgun” non si tira affatto indietro e rivendica con orgoglio di aver massacrato molte persone che erano in larga parte innocenti e che non avevano nemmeno nulla a che fare con il conflitto israelo-britannico.

Sul “campo” restano i cadaveri di molti dipendenti dell’albergo e di diversi stranieri, ma per il sionismo nessuna vita umana non ha valore se non quella dei sionisti stessi, tra l’altro nemmeno tutte perché anche da quelle parti esistono delle gerarchie che vedono i pesci più piccoli essere sacrificati senza troppe remore.

 

Ad esprimere al “meglio” la filosofia che governa l’Irgun è proprio il suo leader, “Begin”, che nei successivi anni pronuncerà queste parole di fronte alla Knesset, il parlamento ebraico.

La nostra razza è la razza maestra. Noi ebrei siamo dei divini su questo pianeta. Noi siamo differenti dalle razze inferiori così come loro sono dagli insetti. Infatti, paragonate alla nostra razza, le altre razze sono bestie e animali, bestiame nel migliore dei casi. Le altre razze sono considerate come escrementi umani. Il nostro destino è di governare sulle razze inferiori. Il nostro regno terreno sarà governato dal nostro leader con pugno di ferro. Le masse leccheranno i nostri piedi e ci serviranno come schiavi.”

Negli anni successivi alcuni si sono dati da fare per provare a dichiarare come falsa tale citazione, nonostante essa sia stata riportata dal giornalista israeliano “Amnon Kapeliouk” in un articolo sul quotidiano “The New Statesman” nel 1982.

Non era questa certo, tra l’altro, l’unica occasione nella quale “Begin”, che era primo ministro israeliano in quegli anni, si esprimeva in questo modo riguardo alla presunta superiorità razziale degli “askenaziti” e alla “inferiorità” degli altri popoli rispetto a quello israeliano.

“Begin” disse dei palestinesi che erano “animali che camminavano su due gambe”.

Quando i leader del sionismo vedono un altro essere umano non vedono un uomo o una donna, ma vedono appunto una sorta di scarafaggio che deve essere schiacciato per poter giungere al “sogno” di ricostruire completamente l’antica nazione israelitica ben al di là degli attuali confini.

Quando l’ex premier israeliano afferma che “il nostro regno terreno sarà governato dal nostro leader con pugno di ferro” non fa altro che affermare appieno il vero disegno messianico che c’è dietro Israele, una nazione nata per ospitare il cosiddetto “moschiach” del quale parla il gruppo sionista “Chabad “e che nell’ottica di questi suprematisti sionisti sarà il tiranno che imporrà il suo dominio su tutto il mondo.

E questa “visione” ha lasciato dietro di sé una interminabile scia di sangue.

Quando viene compiuto il “massacro del King David Hotel”, “David Ben Gurion” pretende ipocritamente di prendere le distanze da “Begin”, quando è emerso successivamente che la “Lagana” stessa era pienamente coinvolta nell’attacco terroristico.

 

Questo presunto dualismo o contrapposizione tra Ben Gurion e Begin fa parte della messinscena allestita da questi due gruppi che in pubblico ogni tanto si lanciavano reciproche accuse di mettere a repentaglio gli interessi di Israele, e poi dietro le quinte perseguivano gli stessi fini con le stesse strategie.

A “Deir Yassin”, nell’aprile del 1948, c’è un altro saggio di questa strategia del terrore permanente attuata da Israele.

Un commando di terroristi ancora una volta diretto da “Begin”, stavolta assistito anche dalla “banda Stern”, attacca il villaggio palestinese di “Deir Yassin” e mette in scena un’altra carneficina che costa la vita a 100 persone innocenti, metà delle quali donne e bambini.

I sionisti non si fermano di fronte a niente e nessuno. Schiacciano qualsiasi vita che loro considerano una “minaccia” sulla strada del potere assoluto della “loro” nazione.

Anche in questa occasione “Ben Gurion” prova a prendere le distanze dalla carneficina ma è lo stesso “Begin” a dichiarare che la “Lagana” era stata pienamente informata del piano e aveva dato il suo assenso alla strage.

Le stragi non si arrestano nemmeno dopo che Israele è nata.

La “banda Stern” nel settembre del 1948 uccide il “conte Folk Bernadotte”, mediatore dell’ONU, considerato come una “minaccia” dai terroristi sionisti per la sua proposta di voler costruire uno stato palestinese per porre fine ad un conflitto che dura tutt’oggi.

Questa sua volontà gli costò la vita.

Un commando di “tagliagole di Stern” crivellò di colpi il convoglio di auto che lo scortava, uccidendo anche altre persone, ma questo, come si è visto, non turba minimamente queste persone.

Sarà così anche negli anni successivi. Sarà così quando durante il conflitto tra Egitto e Israele nel 1970, l’aviazione israeliana bombarderà indiscriminatamente una scuola elementare egiziana e lascerà sulle macerie dell’edificio una carneficina di 30 bambini uccisi dalle bombe di Israele.

 

Anche all’epoca qualche fonte Occidentale provò a parlare di “tragico errore” ma sono 80 anni che si vedono dei “tragici errori” da parte di Israele che non sono altro che la esternazione da parte di questo stato di uccidere tutto e tutti quelli che non si piegano ai suoi ordini.

Non c’è davvero modo di trovare una qualche forma di contatto con i suprematisti sionisti.

O sei loro schiavo oppure devi essere ucciso.

È quanto accaduto contro il “consolato iraniano in Siria” dimostra come il terrorismo continui a scorrere nelle vene di Israele.

Israele ha bisogno di massacrare vite innocenti per sopravvivere e per espandersi pur di raggiungere la sua folle visione di dominio del mondo.

Talmente è folle e incontrollata questa volontà di voler a tutti i costi costruire un “impero israeliano” che i sionisti messianici hanno in programma per la data odierna il “sacrificio della giovenca rossa” che serve, nella loro ottica, a propiziare la ricostruzione del terzo tempio di Gerusalemme, la casa del messia ebraico che nelle Sacre Scritture non ha altro che le fattezze dell’Anticristo che tiranneggerà il mondo.

Stavolta però non siamo nel 1948 né nel 1970.

Non siamo più nell’impero americano che è stato al servizio del sionismo per larga parte del 900 e negli anni 2000.

Non siamo più nell’era del secolo ebraico, come ha scritto, lamentandosene, “The Atlantic”.

 Siamo nell’era della disgregazione dell’impero americano che oggi rifiuta il ruolo ricevuto nel dopoguerra dal potere mondialista e sionista, e che fa capire ad Israele che oggi questa nella sua delirante volontà di onnipotenza è sola.

Gli Stati Uniti hanno già fatto sapere che non verranno in soccorso di Israele se ci sarà uno scontro con l’Iran.

Per anni, il sionismo ha cercato di scatenare una “guerra contro Teheran”, il grande avversario che si oppone al “movimento sionista mondiale” e che resta un ostacolo enorme sulla strada della Grande Israele voluta dal Likud e da Netanyahu.

Israele poi non deve fare i conti non soltanto con un isolamento esterno, al quale si sono aggiunti anche “gli Emirati” che hanno interrotto le loro relazioni con Tel Aviv, ma anche con una crisi interna, considerate le sempre crescenti contestazioni interne contro Netanyahu e contro quella parte di israeliani secolari che non è poi così interessata all’imperialismo israeliano, e che invece preferirebbe vivere una vita più normale e non una in trincea permanente a massacrare i palestinesi.

Se è vero che l’impero americano sta finendo allora ci si chiede come possa sopravvivere lo stato ebraico che dipendeva dalla potenza del primo.

Non è una domanda che sembrano porsi Netanyahu e soci che sono troppo in preda al loro delirio di onnipotenza per poter fare anche i ragionamenti più semplici.

Israele con questa gente continuerà nella sua guerra contro il mondo intero.

Il mondo intero però sembra davvero non volerne più sapere di Israele.

 

 

 

 

Guerra brutale e caotica:

le norme, le convenzioni e

le leggi di condotta vengono cancellate.

 

Unz.com - ALASTAIR CROOKE – (8 APRILE 2024) – ci dice:

Siamo all'apice di quella che potrebbe essere definita una guerra caotica. Non la formula usata spesso da Israele in passato per intimidire gli avversari; Questo è diverso.

Il reporter israeliano “Eddie Cohe”n, sulla scia dell'attacco al consolato iraniano, ha dichiarato: "Siamo molto chiari sul fatto che vogliamo iniziare una guerra con l'Iran e Hezbollah. Ancora non capisci?"

"Israele vuole trascinare l'Iran in una guerra su vasta scala per essere in grado di colpire gli impianti nucleari iraniani", anche se questi impianti sono al di fuori della portata americana e israeliana, sepolti sotto le montagne.

 

“Cohen” e, naturalmente, la leadership militare israeliana lo sapranno; ma Israele si sta comunque rinchiudendo in una logica che non può che portare alla sconfitta.

Gli impianti nucleari iraniani sono al sicuro dagli attacchi israeliani.

 La distruzione delle infrastrutture civili iraniane, che sono alla luce del sole, può uccidere molti, ma non farà, di per sé, il collasso dello Stato iraniano.

 

“Trita Parsi” colloca l'obiettivo di Israele nell'attaccare il consolato iraniano a Damasco in un contesto diverso:

"Un aspetto importante della condotta di Israele – e dell'acquiescenza di “Biden” – è che Israele è impegnato in uno sforzo deliberato e sistematico per distruggere le leggi e le norme esistenti in materia di guerra.

Anche in tempo di guerra, le ambasciate sono off-limits, Israele ha appena bombardato un complesso diplomatico iraniano a Damasco.

Bombardare gli ospedali è un crimine di guerra, eppure Israele ha bombardato TUTTI gli ospedali di Gaza. Ha persino assassinato medici e pazienti all'interno degli ospedali.

La “Corte Internazionale di Giustizia” ha obbligato Israele a consentire la consegna di aiuti umanitari a Gaza.

 Israele impedisce attivamente l'arrivo degli aiuti.

La morte per fame dei civili come metodo di guerra è proibita dal diritto internazionale umanitario.

 Israele ha deliberatamente creato una carestia a Gaza.

I bombardamenti indiscriminati sono illegali secondo il diritto internazionale umanitario.

Lo stesso “Biden” ammette che Israele sta bombardando Gaza indiscriminatamente".

 

L'elenco potrebbe continuare all'infinito...

Tuttavia, la violazione da parte di Israele dell'immunità concessa ai locali diplomatici della Convenzione di Vienna – oltre alla statura delle persone uccise – è molto significativa.

È un segnale importante: Israele vuole la guerra, ma con il sostegno degli Stati Uniti, ovviamente.

L'obiettivo di Israele, in primo luogo, è quello di distruggere le norme, le convenzioni e le leggi di guerra; creare un'anarchia geopolitica in cui tutto è permesso, e per cui, con la Casa Bianca frustrata, ma accondiscendente a ogni norma di condotta calpestata in modo invadente, permetta a Netanyahu di afferrare le briglie degli Stati Uniti e condurre il cavallo della Casa Bianca all'acqua – verso la sua "Grande Vittoria" regionale della Fine dei Tempi; Una guerra necessariamente brutale, al di là delle linee rosse esistenti e priva di limiti.

Simbolicamente significativo quanto l'attacco di Damasco è che gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna – dopo un breve "tanto di cappello" alla Convenzione di Vienna – si sono rifiutati di condannare il livellamento del consolato iraniano, ponendo così l'ombra del dubbio sull'immunità della Convenzione di Vienna per le sedi diplomatiche.

 

Implicitamente, questo rifiuto di condannare sarà ampiamente interpretato come una morbida giustificazione del primo timido passo di Israele verso la guerra con Hezbollah e l'Iran.

Questo caotico nichilismo "biblico" israeliano, tuttavia, non ha alcuna relazione in termini puramente razionali con l'aspirazione di Netanyahu a una "Grande Vittoria".

La realtà è che Israele ha perso la sua deterrenza.

Non tornerà; la profonda rabbia in tutto il mondo islamico generata da Israele attraverso i suoi massacri a Gaza negli ultimi sei mesi lo preclude.

Tuttavia, c'è una seconda ragione aggiuntiva per cui Israele è deciso a farsi deliberatamente beffe del diritto e delle norme umanitarie: il giornalista israeliano” Yuval Abraham” riferisce in modo molto approfondito su “+972 Magazine” come Israele abbia sviluppato una macchina di intelligenza artificiale (chiamata "Lavanda") per generare liste di uccisioni a Gaza – senza quasi alcuna verifica umana;

 solo un controllo "timbro" di circa "20 secondi" per assicurarsi che il bersaglio dell'“IA” sia maschio (poiché non si sa che nessuna femmina appartenga all'esercito della Resistenza).

 

La palese extra-legalità dietro la metodologia della "lista delle uccisioni" di Gaza, come riportato dalle varie fonti di “Abraham”, può essere immunizzata e protetta solo attraverso la loro normalizzazione come una delle due illegalità – e in effetti, rivendicando l'eccezionalità sovrana:

"L'esercito israeliano attacca sistematicamente l'individuo preso di mira mentre si trova nelle sue case – di solito di notte mentre è presente l'intera famiglia – piuttosto che nel corso dell'attività militare... Sono stati utilizzati ulteriori sistemi automatizzati, tra cui uno, chiamato "Dov'è papà?", in particolare per tracciare i bersagli quando erano entrati nelle residenze della loro famiglia.

 Tuttavia, quando una casa veniva colpita, di solito di notte, il singolo bersaglio a volte non era affatto all'interno".

"Il risultato è che migliaia di palestinesi – la maggior parte dei quali donne e bambini o persone che non erano coinvolte nei combattimenti – sono stati spazzati via dagli attacchi aerei israeliani, specialmente durante le prime settimane di guerra, a causa delle decisioni del programma di intelligenza artificiale".

"Non eravamo interessati a uccidere gli operativi [di Hamas] quando si trovavano in un edificio militare... o impegnato in un'attività militare", ha detto A., un ufficiale dell'intelligence, a “+972” e “Local Call”.                          

“Al contrario, l'esercito israeliano li ha bombardati nelle case senza esitazione, come prima opzione. È molto più facile bombardare la casa di una famiglia. Il sistema è costruito per cercarli in queste situazioni".

 

"Inoltre... quando si è trattato di prendere di mira presunti militanti minori contrassegnati da “Lavender”, l'esercito ha preferito utilizzare solo missili non guidati, comunemente noti come bombe "stupide" (in contrasto con le bombe di precisione "intelligenti") che possono distruggere interi edifici sopra i loro occupanti e causare perdite significative.

"Non si vogliono sprecare bombe costose su persone poco importanti – è molto costoso per il paese e c'è una carenza [di quelle bombe]".

"... L'esercito ha anche deciso durante le prime settimane di guerra che, per ogni giovane operativo di “Hamas” che “Lavender “ha segnato, era permesso uccidere fino a 15 o 20 civili.

Nel caso in cui l'obiettivo fosse un alto funzionario di “Hamas” con il grado di comandante di battaglione o di brigata, l'esercito in diverse occasioni ha autorizzato l'uccisione di più di 100 civili nell'assassinio di un singolo comandante".

 

"Lavender – che è stato sviluppato per creare bersagli umani nella guerra in corso – ha contrassegnato circa 37.000 palestinesi come sospetti "militanti di Hamas", la maggior parte dei quali giovani, per l'assassinio (il portavoce dell'IDF ha negato l'esistenza di una tale lista di uccisioni in una dichiarazione a” +972” e “Local Call”)".

Quindi, non c'è da stupirsi che Israele possa cercare di camuffare i dettagli all'interno di una serie generale normalizzata di trasgressioni contro il diritto umanitario:

"Volevano permetterci di attaccare [gli agenti subalterni] automaticamente. Questo è il Santo Graal. Una volta che si passa all'automatico, la generazione del bersaglio impazzisce".

Non è difficile ipotizzare ciò che la “Corte Internazionale di Giustizia” potrebbe determinare...

Qualcuno immagina che a questa imperfetta macchina di intelligenza artificiale “Lavanda” non verrebbe chiesto di sfornare le sue liste di uccisioni, se Israele decidesse di irrompere in Libano? (Un'altra ragione per normalizzare le procedure prima a Gaza).

Il punto chiave sollevato nel rapporto di “+972 Magazine” (con fonti multiple) è che l'IDF non si è concentrato sull'eliminazione precisa delle “Brigate Qassam” di “Hamas” (come affermato):

"È stato molto sorprendente per me che ci sia stato chiesto di bombardare una casa per uccidere un soldato di terra, la cui importanza nei combattimenti era così bassa", ha detto una fonte sull'uso dell'IA per contrassegnare presunti militanti di basso rango:

"Ho soprannominato quei bersagli 'bersagli spazzatura'.

 Tuttavia, li ho trovati più etici degli obiettivi che abbiamo bombardato solo per 'deterrenza' – grattacieli che vengono evacuati e abbattuti solo per causare distruzione".

Questo rapporto rende chiaramente assurde le affermazioni di Israele di aver smantellato 19 dei 24 battaglioni di “Hamas”: una fonte, critica dell'inesattezza di” Lavender”, sottolinea l'ovvio difetto:

"È un confine vago"; Come distinguere un combattente di Hamas da qualsiasi altro maschio civile di Gaza?

"Al suo apice, il sistema è riuscito a generare 37.000 persone come potenziali bersagli umani", ha detto B.

"Ma i numeri cambiavano continuamente, perché dipende da dove si imposta l'asticella di ciò che è un operativo di “Hamas”.

Ci sono stati momenti in cui un operativo di Hamas è stato definito in modo più ampio, e poi la macchina ha iniziato a portarci tutti i tipi di personale della protezione civile, agenti di polizia, su cui sarebbe stato un peccato sprecare bombe".

Proprio la scorsa settimana, il membro del “Gabinetto di Guerra e Ministro Ron Dermer”, è stato delegato a recarsi a Washington per sostenere che il successo dell'IDF nello smantellamento di 19 battaglioni di Hamas giustificava un'incursione a Rafah per smantellare i 4 o 5 battaglioni che Israele sostiene siano ancora presenti a Rafah.

Ciò che è chiaro è che l'IA è stata uno strumento chiave di Israele per la sua "vittoria" a Gaza. Israele stava per vendere una "storia di fumo negli occhi" basata su "Lavanda".

 

Al contrario, i palestinesi, che sono consapevoli della loro inferiorità quantitativa, hanno una visione molto diversa:

sono passati a un nuovo modo di pensare che dà al semplice atto di resistere un significato di civiltà – un percorso verso la vittoria metafisica (e molto probabilmente una sorta di vittoria militare), se non durante la loro vita, almeno per il popolo palestinese.

Successivamente.

 Questo costituisce la natura asimmetrica del conflitto che Israele non è mai riuscito a comprendere.

Israele vuole essere temuto, credendo che questo ripristinerà la sua deterrenza.

“Amira Hass” scrive che, indipendentemente da qualsiasi repulsione per questo governo e i suoi membri:

 "La stragrande maggioranza [degli israeliani] crede ancora che la guerra sia la soluzione".

 E “Mairav Zonszein”, scrivendo su “Foreign Policy”, osserva che "il problema non è solo Netanyahu, è la società israeliana":

"L'attenzione su Netanyahu è una comoda distrazione dal fatto che la guerra a Gaza non è la guerra di Netanyahu, è la guerra di Israele – e il problema non è solo Netanyahu; è l'elettorato israeliano ... Una grande maggioranza – l'88 per cento – degli ebrei israeliani intervistati a gennaio crede che l'incredibile numero di morti palestinesi, che all'epoca aveva superato i 25.000, sia giustificato.

 Una grande maggioranza dell'opinione pubblica ebraica pensa anche che l'IDF stia usando una forza adeguata o addirittura troppo poca a Gaza.

 Dare tutta la colpa al primo ministro non coglie il punto.

 Non tiene conto del fatto che gli israeliani hanno da tempo progredito, permesso o sono venuti a patti con il sistema di occupazione militare e disumanizzazione dei palestinesi del loro paese".

Eppure né Israele, né gli Stati Uniti, hanno una strategia globale per questa guerra discussa.

L'approccio di Israele è tutto tattico: sostiene di aver degradato Hamas; trasformando Gaza in un inferno umanitario e preparando la scena per il "piano decisivo" ideato da “Bezalel Smotrich” per i palestinesi.

Ancora “Amira Hass”:

"O accetti uno status inferiore, da emigrato e vieni sradicato apparentemente volontariamente, o affronti la sconfitta e la morte in una guerra.

 Questo è il piano che si sta attuando a Gaza e in Cisgiordania, con la maggior parte degli israeliani che fungono da complici attivi ed entusiasti, o che acconsentono passivamente alla sua realizzazione".

La "visione" degli Stati Uniti è anche tattica (e molto lontana dalla realtà) – immaginare la trasformazione di Gaza in uno staterello "collaborazionista di Vichy";

immaginando che la pressione politica dei francesi in Libano costringerà Hezbollah a ritirarsi dalle sue terre ancestrali nel sud del Libano;

e immaginando che la Casa Bianca di Biden sia in grado di ottenere politicamente attraverso la pressione ciò che Israele non può fare militarmente.

Il paradosso è che, con Israele e gli Stati Uniti che dipendono da una "immagine" che è stata confusa con la realtà, anche questo va a vantaggio dell'Iran e del Fronte di Resistenza. (Come dice il vecchio adagio, "non disturbare un avversario che sta commettendo errori").

 

 

 

 

Declino economico degli” Stati Uniti”

e ascesa della “Grande Eurasia”.

Unz.com - MICHAEL HUDSON – (5 APRILE 2024) – ci dice:

 

GLENN DIESEN:

 Benvenuto, mi chiamo “Glenn Diesen” e sono affiancato da “Alexander Mercouris” e dal professor “Michael Hudson”.

Benvenuti a entrambi.

Oggi volevo davvero discutere del disaccoppiamento o frammentazione dell'economia internazionale e anche dell'architettura economica alternativa che sta emergendo, direi principalmente nell'Est, ma anche in altre parti del mondo.

Quindi ho pensato che potremmo iniziare discutendo delle sfide economiche che definiscono il nostro tempo.

Per quelli di noi che studiavano economia negli anni '90 e 2000, il discorso importante è sempre stato l'interdipendenza economica. Questa avrebbe dovuto essere la ricetta per la prosperità e la pace, ma oggi la retorica è ovviamente cambiata.

Ora il discorso principale in città sarà una nuova divisione internazionale del potere.

Quindi, mentre all'inizio degli anni 2000 l'idea era che gli Stati Uniti avrebbero inventato l'iPhone e i cinesi avrebbero potuto assemblarlo, questa era la distribuzione del lavoro, ma ora ovviamente la Cina ha scalato queste catene del valore globali e può effettivamente fare entrambe le cose, l’invenzione di esso e assemblaggio.

Nel frattempo,” Biden” ha recentemente sostenuto che se qualcosa viene inventato negli Stati Uniti, dovrebbe essere prodotto anche lì. Si tratta quindi di uno smantellamento o di un rimpatrio delle catene di approvvigionamento in corso.

Vediamo anche che la dipendenza economica viene usata come arma, direi, attraverso il dirottamento delle petroliere iraniane, il sequestro dei beni della banca centrale russa o semplicemente il tentativo di tagliare o paralizzare l'accesso della Cina alla tecnologia.

Quindi immagino che la mia prima domanda sarebbe: cosa significa tutto questo?

 Quali sono le principali tendenze e cosa significano non solo per gli Stati Uniti e la Cina, ma anche per il resto del mondo?

 Paesi come la Germania, che erano molto legati a questo sistema economico molto liberale, saranno schiacciati dalla nuova politica economica o cosa prevedete che accadrà?

MICHAEL HUDSON:

 Beh, gli Stati Uniti sono sempre stati a favore del libero scambio dopo la seconda guerra mondiale fintanto che erano il produttore industriale più efficiente e più forte.

Ma ora che non è più la più forte, è tornata al protezionismo che nel 19esimo secolo ha costruito la sua industria all'inizio.

Il problema è che in questo momento, anche se gli Stati Uniti e altri paesi stanno diventando protezionisti, gli Stati Uniti non possono reindustrializzarsi come potevano allora perché hanno già sovraccaricato la loro economia con la finanziarizzazione, il debito aziendale, il debito personale e l'assistenza sanitaria privatizzata. E l’istruzione privatizzata.

 

Il costo economico derivante dall'ottenere un lavoro qui e la paga che i lavoratori devono ricevere, non semplicemente per mangiare e vestirsi ma per l'assicurazione medica, per il servizio del debito, esclude l'America dal mercato.

 Quindi non ha davvero altra alternativa se non quella di essere autarchico.

Ma non può essere autarchico perché nessuno vede come possa reindustrializzarsi.

Quindi c'è una sorta di rabbia qui tra gli economisti.

 

E proprio oggi, il ministro del Tesoro “Janet Yellen” è andato in Cina e ha detto, beh, non possiamo più importare i pannelli solari perché il governo cinese li sostiene, come se anche il governo degli Stati Uniti non li sostenesse e altri paesi no. Ma occorre sostenerli.

 Le dichiarazioni pubbliche sul motivo per cui l'America deve evitare le importazioni dalla Cina e imporre sanzioni alla Russia sono quasi una parodia.

Ma il risultato è che ci saranno carenze in tutte le economie che stanno seguendo questo ritiro dal commercio internazionale.

 

ALEXANDER MERCOURIS:

Questo è molto interessante. Quando dici che ci saranno delle carenze, queste carenze alla fine si autocorreggeranno?

Poiché in realtà stavo leggendo, ancora una volta, c'è stata una dichiarazione molto interessante da parte del governatore della banca centrale russa,” Nebulina”, che è, tra l'altro, qualcuno che penso personalmente, emotivamente, fosse molto legato al mercato aperto e neoliberista, modello economico non regolamentato.

Lei è assolutamente stupita da quale sia stato l'effetto, l'effetto reale, della spinta verso una sorta di protezionismo forzato in Russia.

 E in questa dichiarazione dice che ciò che sta realmente accadendo, e dice, non posso spiegarlo, questo mi sorprende, è che gli investimenti stanno aumentando.

La spesa dei consumatori è in aumento.

I salari stanno aumentando.

E in condizioni di boom degli investimenti, la produzione è in espansione. Lei dice che non ci credo del tutto.

Temo che l'economia, la nostra economia russa, stia crescendo più velocemente delle sue capacità, che in qualche modo finirà per esaurirsi.

Voglio dire, è un'affermazione molto strana, sicura di sé per certi aspetti, panico per altri.

Questo non può essere vero. Ma è davvero quello che accadrà?

Perché questo sistema in cui tutti sono collegati in un unico sistema economico in realtà è stato, credo, una cosa relativamente recente in termini di, sai, il periodo post-Impero britannico.

In effetti, la frammentazione alla fine porterà un panorama economico più diversificato e più equilibrato?

Me lo sto solo chiedendo, perché “Nebulina” sta forse, credo, cominciando a chiedersi, con il suo stesso stupore, se questo potrebbe accadere nella stessa Russia.

 

MICHAEL HUDSON:

Beh, gli economisti amano usare la parola autocorrezione, perché se le economie si autocorreggono, non c'è bisogno di un governo.

Puoi semplicemente lasciare che sia il settore privato a gestire l'economia.

 E in pratica ciò significa “Wall Street”.

Ma non è possibile che l'economia americana possa autocorreggersi senza qualche decennio di nuovi investimenti.

Dovresti reinventare il sistema educativo.

Dovreste portare la sanità pubblica nel settore pubblico, così da poter abbassare il costo della vita e far sì che i datori di lavoro non debbano pagare salari così alti.

Dovresti fornire un'istruzione più gratuita in modo che i lavoratori non entrino nel mondo del lavoro con così tanti debiti da aver bisogno di salari sufficientemente alti per pagare il debito.

 E anche così, non possono permettersi di comprare case.

 

L'America, e anche, credo, l'Europa occidentale, si è messa in un angolo che ora è sistemico.

 L'intera tendenza dal 1945 a oggi, tutti questi 70 anni, hanno creato tali rigidità che non c'è modo di abbatterle.

 E neanche l'idea che in qualche modo esista una politica governativa in grado di sistemare le cose funzionerà, a meno che non sia una politica così radicale da non essere più l'economia attuale.

Nessuno parla della necessità di un cambiamento strutturale.

 Evitano semplicemente di parlare del problema del debito, di parlare di ciò che rende l'America un costo elevato.

 E poi, ovviamente, ci sono le spese di guerra.

 

GLENN DIESEN:

 Ebbene, lei ha menzionato la ricerca di rendere come qualcosa che rende l'America molto poco competitiva.

Ovviamente, estrarre, avere tutto questo, beh, non necessariamente gli oligarchi, ma le persone che estraggono denaro attraverso il modo in cui la loro economia è stata finanziarizzata, la proprietà intellettuale, i diritti fondiari, le tecnologie.

Questo ovviamente è un onere per la produttività e la competitività degli Stati Uniti.

Ma c'è anche un senso di ricerca di resa a livello internazionale attraverso queste posizioni monopolistiche.

Quindi, ancora una volta, quando si ha un monopolio in determinate aree, ovviamente, questo ha un'influenza economica, beh, conseguenze economiche in termini di alta redditività.

Ma hai anche la capacità di estrarre influenza politica quando c'è una posizione di monopolio economico.

Ma sì, perché ricordo che nel 2009, credo, “Putin” chiamò il dollaro, lo chiamò “una sanguisuga” o qualcosa del genere, il che suggeriva anche che c'era un modo simile di estrarre ricchezza.

Quindi, in altre parole, la ricerca di resa, non solo in America, ma per l'intera comunità internazionale.

E mi chiedevo se questo rientra in ciò che stava menzionando “Alexander”, perché per i paesi di tutto il mondo, beh, soprattutto i paesi che hanno alternative, sia la Russia, se non attraverso i diritti di proprietà intellettuale, o le piattaforme tecnologiche americane, o le banche di debito, l'uso del dollaro USA, se non usano tutto questo, si tradurrebbe in una minore efficienza?

 Oppure si tratterebbe essenzialmente di salvarsi o di liberarsi dalla ricerca di rendite da parte degli Stati Uniti?

Questo avrebbe qualcosa a che fare con tutto questo, secondo te?

 

MICHAEL HUDSON:

 Ci hai messo il dito sopra. La posizione ufficiale degli Stati Uniti riconosce che non possono più essere un esportatore industriale, ma come bilancerà i pagamenti internazionali per sostenere il tasso di cambio del dollaro?

La soluzione è la ricerca di un affitto.

Ecco perché gli Stati Uniti dicono: qual è la principale nuova opportunità di ricerca di rendita nel commercio mondiale?

Bene, è tecnologia dell'informazione e tecnologia informatica.

Ecco perché gli Stati Uniti combattono così tanto la Cina e perché il presidente “Biden” ha ripetuto più volte che la Cina è il nemico numero uno.

Si è mosso prima contro Huawei per le comunicazioni “5G”, e ora sta cercando di convincere l'Europa e gli esportatori americani e taiwanesi a non esportare chip per computer in Cina, e a impedire agli olandesi di esportare macchinari per l'incisione di chip in Cina.

 C'è la convinzione che in qualche modo gli Stati Uniti, se riescono a impedire ad altri paesi di produrre rendite per la proprietà intellettuale ad alta tecnologia, allora altri paesi ne diventeranno dipendenti.

Cercare una resa significa in realtà dipendere da altri paesi se non hanno la possibilità di pagarti molto di più rispetto al costo effettivo di produzione.

 Questo è l'affitto, il prezzo rispetto al valore.

Ebbene, gli Stati Uniti, dal momento che non possono competere sul valore a causa dell'alto costo della vita e del lavoro, possono solo monopolizzare l'affitto.

 

Ebbene, la Cina non si è lasciata scoraggiare.

La Cina ha scavalcato gli Stati Uniti e produce i propri macchinari per l'incisione e i propri chip per computer.

La domanda è: cosa farà il resto del mondo?

 Ebbene, il resto del mondo significa, da un lato, la maggioranza globale, l'Eurasia, i BRICS+ e, dall'altro, l'Europa occidentale.

L'Europa occidentale si trova proprio nel mezzo di tutto questo. Rinuncerà davvero alle esportazioni cinesi molto meno costose al costo, compreso il normale profitto, o si lascerà bloccare nella tecnologia americana di estrazione della rendita, non solo per i chip dei computer ma anche per le armi militari?

Quindi che la Francia vuole usare i combattimenti contro la Russia in Ucraina come un'opportunità per dire:

"Bene, ricostruiamo l'industria europea degli armamenti".

Ma i tedeschi non sono particolarmente favorevoli a questo, e gli americani hanno certamente detto, no, no.

 Quando diciamo che bisogna spendere dal 2 al 3 per cento del PIL in armi, questo significa comprare armi americane, armi integrate.

Quindi è tutta una questione di ricerca di resa.

 

ALEXANDER MERCOURIS:

Presumibilmente è anche il motivo per cui non siamo mai riusciti a creare una nostra infrastruttura di tipo social media in Europa.

 Non abbiamo equivalenti europei di “Google” o “TikTok”, di cui sentiamo tanto parlare, del “TikTok cinese”, o di Facebook, o qualcosa del genere.

Contiamo interamente sugli americani per fornirci queste cose.

E ogni volta che c'è un tentativo di produrre qualcosa del genere in Europa, fallisce sempre, in parte perché gli americani si oppongono.

Ora, voglio dire, so tutto questo perché mio fratello, dovrei dire, ha lavorato per un periodo al Parlamento europeo e ha visto in azione i sistemi di lobbying americani che operavano all'interno del Parlamento europeo a livello europeo, ed estremamente efficaci Li avevamo.

Ma questo non è un meccanismo per il progresso economico o tecnologico.

Almeno questo è quello che mi sembra.

 È una formula per la stagnazione definitiva, perché sei bloccato in un sistema che non è nemmeno, per quanto posso vedere, focalizzato sullo sviluppo.

Si concentra sull'affitto, che è una cosa completamente diversa.

Quindi hai detto che i cinesi, sai, potresti usare la parola cavallina. Capisco che anche i cinesi stiano pensando alla cavallina.

 Stanno osservando il balzo in avanti nella tecnologia informatica. Sapete, dicono che i chip stanno in qualche modo raggiungendo la fine della loro utilità tecnologica.

Sai, dobbiamo pensare oltre. E stanno cercando di andare oltre e cercare altri sistemi. Voglio dire, non sono una persona tecnica, quindi non proverò a indovinare cosa siano.

Ma voglio dire, il punto che sto sottolineando è la ricerca di rendite, mi sembra, ciò che alla fine provoca è la stagnazione tecnica.

Oppure mi sto sbagliando completamente?

 

MICHAEL HUDSON:

C'è anche una considerazione geopolitica qui, e questo è il ruolo dell'Europa nella guerra dell'America contro la Cina.

Più volte, come ho già detto, il presidente Biden ha affermato che la Cina è il nemico numero uno e che la battaglia durerà 10 o 20 anni.

Beh, se è una lotta che dura da 20 anni, come ti schieri per questo? Bene, hanno detto che la prima cosa che dobbiamo fare è separare la Russia dalla Cina, perché finché stanno insieme, sono una massa critica che può in un certo senso dominare il continente eurasiatico e surclassare l'Occidente.

Bene, per fare questo, per prepararci a questa lotta contro la Russia e la Cina insieme, e allontanare la Russia dalla Cina, gli Stati Uniti dicono che la prima cosa che dobbiamo fare è consolidare il nostro controllo sui nostri satelliti, e cioè che il satellite principale è l'Europa, ovviamente.

 E questo è stato la guerra in Ucraina, l'attacco ucraino ai territori russofoni del “Donbas” e di “Luhansk”.

Iniziando la guerra in Ucraina nel 2022, gli Stati Uniti potrebbero quindi rappresentare la risposta protettiva della Russia, proteggendo la sua popolazione russofona, come un attacco, e far imporre sanzioni alla Germania e all'Europa.

Le sanzioni imposte in Europa sono state una manna dal cielo per la Russia, come penso abbiamo già detto in precedenza.

 Le sanzioni erano l'equivalente del protezionismo per la Russia.

 Se non esporti cibo e produttori in Russia, devono farlo da soli, e lo hanno fatto.

Gli effetti delle sanzioni sono ricaduti tutti sull'Europa occidentale, e in particolare sulla Germania.

E lì c'è la deindustrializzazione tedesca, l'industria chimica, l'industria siderurgica e l'industria pesante che sono state il sostegno non solo delle esportazioni tedesche e della bilancia dei pagamenti, ma dell'intera bilancia dei pagamenti dell'Eurozona.

Ora questo non c'è più, perché non solo l'industria tedesca, ma anche l'industria francese, l'industria olandese, l'industria belga, sono tutte costrette a dipendere dagli Stati Uniti, non solo per il gas naturale liquefatto, parlando di ricerca di rendita, ma anche per le armi e per i prodotti industriali che non possono essere prodotti in patria.

Quindi ci sono fabbriche tedesche che si trasferiscono negli Stati Uniti.

Che cosa accadrà al lavoro tedesco? Seguiranno le fabbriche? Improbabile.

Andranno in Cina? Perché questa è l'altra alternativa. Cosa succederà?

Quindi l'Europa si sta fondamentalmente restringendo, anche se anche se si sta restringendo, sta diventando un mercato più grande per le esportazioni di gas americano, le esportazioni di armi e altre esportazioni.

 La stretta riguarderà l'industria europea.

La domanda è:

 per quanto tempo l'Europa può decidere, beh, preferiremmo essere un satellite americano piuttosto che godere degli investimenti reciproci e del commercio che stavamo facendo con la Russia e la Cina.

Per quanto tempo ancora non prendiamo una decisione economica?

 Voglio dire, c'è l'approccio materialista all'economia.

L'idea è che la politica estera dovrebbe essere ciò che aiuta la tua economia a crescere.

E come si spiega che l'Europa non segue questo, e per quanto tempo un'economia può seguire, una nazione seguire una politica che va contro i suoi interessi economici e che sfocia in proteste?

 

GLENN DIESEN:

Questo è ciò che trovo così strano nell'assenza di discussioni su ciò che sta accadendo all'economia in Europa.

Perché l'insieme, beh, non l'insieme, ma gran parte dell'idea dell'Unione Europea dopo la Guerra Fredda era, dopo la Guerra Fredda, avevi un potere centrale, e quindi principalmente gli Stati Uniti.

 Ma gran parte dell'idea dell'Unione Europea vedrebbe che gli europei, con potere di contrattazione collettiva, stabilissero effettivamente una certa simmetria con gli Stati Uniti.

 Avremmo quindi un'egemonia collettiva, il dominio dell'Occidente, ma con due pilastri, gli Stati Uniti e l'Europa.

Ma dimenticare che c'è una componente, sia la competizione che la cooperazione.

In questi giorni, tutto quello che sento è che siamo alleati, stiamo cooperando, come se non ci fosse, che gli europei non hanno i loro interessi, che sono separati da quelli dell'America, spesso anche in conflitto.

Inoltre, gran parte di ciò di cui stai discutendo mi fa pensare a “Yanis Varoufakis”, l'ex ministro delle finanze greco, perché lui, beh, non ha solo discusso la questione dell'energia e dei diritti di proprietà intellettuale, ma ha anche discusso ultimamente si è concentrato molto sulle tecnologie, visto il ruolo crescente di questi giganti digitali.

E la sua principale preoccupazione è che, beh, in effetti, l'Europa sia finita, perché come vedete, questi giganti digitali acquisiscono un ruolo sempre maggiore nell'economia internazionale.

Gli europei non ne hanno nessuno.

Come ha detto “Alexander”, non esiste un equivalente di” Google” o “Facebook” o di nessuno di questi grandi, “Amazon” per questo motivo.

Ma i cinesi e i russi hanno i loro.

E penso che questo sia stato parte della maledizione secondo cui, poiché gli Stati Uniti sono un alleato, sono amici, se si vuole usare la parola amico, hanno creato meno urgenza di creare la nostra sovranità tecnologica.

Quindi penso che l'accettazione di sviluppare questa dipendenza dagli Stati Uniti, sia la maledizione di essere alleati, se volete.

E ora vediamo, come sostiene “Varoufakis,” che non c'è più alcuna possibilità per l'Europa.

Ora saremo permanenti.

Ebbene, gli Stati Uniti saranno alla ricerca di rendite e la nostra economia diventerà sempre meno competitiva man mano che la ricchezza verrà estratta.

MICHAEL HUDSON:

 Beh, “Glenn”, inizi parlando di simmetria e poi cambi la parola con la parola dipendenza più appropriata.

La dipendenza è il tipo di simmetria che l'America vuole.

Non è una simmetria uguale. È una dipendenza asimmetrica.

Questa è la dipendenza, e questo è lo scopo della politica americana, di chi paga l'affitto e di chi cerca l'affitto.

Ed essenzialmente, l'America sta cercando di fare all'Europa quello che l'Inghilterra ha fatto con l'area della sterlina prima del 1945, bloccando le sue colonie e la protezione di sterline da parte dell'Argentina in acquisti di esportazioni di sterline.

Bene, questo è ciò che la dollarizzazione sta arrivando a significare, certamente per l'Europa, ed è per questo che la maggioranza globale sta cercando di de-dollarizzare.

Non voglio quel tipo di simmetria.

 

GLENN DIESEN:

Il motivo per cui uso la parola simmetria è che “Albert Hirschman” negli anni Quaranta la usò in modo specifico, perché ogni volta che parliamo di interdipendenza economica, viene trattata come un guadagno assoluto.

Quindi potremmo essere reciprocamente dipendenti, ma uno è sempre più dipendente dall'altro.

E quando ci sono asimmetrie, si ha una maggiore prosperità economica e anche questa può essere convertita in influenza politica.

Ed è spesso qui che trova il suo posto la competizione economica, che vuoi che gli altri siano più dipendenti da te mentre vuoi ridurre la tua dipendenza dagli altri, perché allora l'intero dilemma tra perdere una certa autonomia rispetto a guadagnare influenza è sbilanciato a tuo favore.

 In questo modo si massimizza l'autonomia, l'influenza e la prosperità economica.

Quindi penso che la simmetria sia spesso un linguaggio appropriato, perché vorresti che una parte fosse più dipendente dell'altra, poi diventa, beh, non lo vuoi, ma poi ottieni quasi questa relazione di sfruttamento.

MICHAEL HUDSON:

 Ebbene, Donald Trump è uscito allo scoperto e ha detto:

 l'America deve essere quella che guadagna in qualsiasi tipo di scambio, scambi ineguali.

Questa è una politica esplicita, nessun vantaggio reciproco.

 

D'altra parte, ci sono la Cina e la Russia che dicono, beh, come possiamo avere un'alternativa a questo standard del dollaro e a questa visione degli Stati Uniti di un ordine mondiale unipolare?

L'unico modo in cui possono davvero creare una massa critica necessaria per creare un'alternativa, che gli americani chiamano divisione della civiltà, è quello di convincere altri paesi ad aderire volontariamente.

 E questo significa che la Cina può solo [attrarre] il resto dell'Asia, per non parlare dell'Africa e del Sud del mondo, il Sud America.

 Possono solo attirare gli altri mattoni nel sistema offrendo effettivamente un migliore vantaggio reciproco.

E questo comporta la creazione di una serie completamente nuova di istituzioni internazionali, istituzioni parallele che sono diverse dagli Stati Uniti, la loro versione di un fondo monetario internazionale, la loro Banca Mondiale, la loro versione delle Nazioni Unite, o qualche tipo di raggruppamento tra di loro.

In definitiva, si tratta di una filosofia economica diversa.

 Questo è ciò che rende diversa una civiltà.

 

E la distinzione principale, cosa rende una società diversa da un'altra? Che cosa rende gli Stati Uniti e l'Europa, la NATO, diversi dalla maggioranza globale?

Alla fine dipende da come è organizzato finanziariamente.

L'istituto finanziario è pubblico o è privatizzato?

Come gestisce il debito?

Questo è ciò che distingue quasi ogni società da un'altra.

 E se iniziano con una ristrutturazione finanziaria, che è la base del mutuo guadagno, si ha a che fare con un sistema economico completamente diverso.

 

ALEXANDER MERCOURIS:

Voglio solo tornare all'economia russa, perché abbiamo parlato di protezione e di come il protezionismo sia stato imposto loro, e penso che questo sia certamente una parte di ciò che sta accadendo lì.

Ma in realtà penso che ci sia una ragione ancora più importante.

Uno dei miei amici, un amico russo, uno dei suoi lavori, infatti era tesoriere di una grande azienda russa.

 Era solito venire in Europa e negli Stati Uniti, parlare con le banche locali per ottenere prestiti per le sue aziende in Russia.

E penso che una delle cose che la gente non capisce è che, soprattutto prima della crisi del 2008, ma in larga misura ancora, fino al 2022, l'economia russa, l'intero sistema russo, era completamente permeato da imprese occidentali, aziende occidentali, fornitori occidentali di finanziamenti, assicurazioni, servizi di vario tipo.

 Aiutavano nella produzione di automobili, erano coinvolti in ogni sorta di imprese miste, cose del genere.

E il denaro che tutti questi progetti stavano facendo stava ovviamente tornando in Europa, principalmente in Europa, meno negli Stati Uniti. Così era in effetti gli affitti.

Gli affitti vennero pagati dai russi agli europei.

 

2022, tutto si ferma.

Si ferma completamente.

 E all'improvviso c'è un'enorme quantità di denaro in più in Russia perché gli affitti non si stanno muovendo verso ovest.

E questo sta facendo è che sta guidando un boom di investimenti perché quel denaro, quel capitale, deve essere usato.

E non solo, ma qualcos'altro sta iniziando ad accadere, è che stiamo facendo il” reverse engineering” a un livello accelerato.

Ora è molto comune, ad esempio, nell'industria aerospaziale, gli aerei, gli aerei della “Western Airbus” che vengono smontati, decodificati, il materiale che entra nel sistema industriale russo.

 E naturalmente questo sta causando una forte accelerazione.

Suppongo quindi che qui ci sia il classico caso di studio di ciò che accade quando si interrompe l'estrazione degli affitti.

Un'economia improvvisa, almeno un'economia come quella russa, improvvisamente aumenta.

E infatti il presidente della banca centrale, “Nebulina”, ha detto che l'economia è nella fase di investimento della crescita, che è una delle manifestazioni della trasformazione strutturale.

Quindi le cose stanno cambiando completamente perché all'improvviso il denaro rimane in Russia invece di uscire.

 Volevo solo dire.

 

MICHAEL HUDSON:

Questo è esattamente ciò che sta accadendo.

Vorrei che fossero consegnate tutte le loro abitazioni agli occupanti nel 1991.

Feci tre viaggi alla Duma per sollecitare l'adozione di una tassa fondiaria per impedire la privatizzazione che si era verificata.

Perché anche se hai privatizzato il petrolio e il settore immobiliare, puoi raccogliere le rendite economiche con una tassa sugli affitti e fondamentalmente fare un profitto e basta.

 Ovviamente questo non era ciò che le autorità statunitensi volevano.

E i membri della Duma che mi avevano portato qui avevano le loro elezioni fissate e furono de-eletti dai consiglieri statunitensi.

E così quello che” Putin” ha dovuto fare è ricreare l'equivalente di evitare la ricerca di rendite senza una tassa ufficiale sugli affitti.

Ed è stato in grado di farlo, come hai descritto numerose volte, “Alexander”, proprio con una specie di mascella, come si dice negli Stati Uniti, dicendo loro, guardate, non potete fare affitti esorbitanti.

E penso che il presidente “Putin” abbia fatto un discorso qualche giorno fa per le elezioni proprio su questo punto.

E in qualche modo l'hanno fatto funzionare in Russia.

Hanno aumentato l'occupazione e hanno aumentato il tenore di vita.

E mi chiedo cosa penserà l'Europa quando vedrà il tenore di vita e l'occupazione in Europa aumentare e la loro occupazione diminuire.

Per quanto tempo questa è una vera e propria instabilità, è un sottoprodotto della ricerca della resa.

Non è qualcosa che può limitare la piena occupazione reciproca. È intrinsecamente instabile.

Eppure gli Stati Uniti dicono, beh, dobbiamo mantenere il sistema in vigore per 10 o 20 anni fino a quando non sconfiggeremo la Cina.

 

ALEXANDER MERCOURIS:

 Beh, questa è un'ottima domanda perché, ovviamente, penso che tu stia mettendo, beh, prima di tutto, affrontando la questione degli alloggi, posso dire assolutamente che c'erano persone, che ci sono persone oggi in Russia che forse non ricordano il tuo consiglio, ma se glielo ricordassero, sarebbero molto, molto dispiaciuti che non sia stato seguito perché chiaramente era la cosa giusta da fare.

E penso che lo stesso” Putin” probabilmente sarebbe d'accordo con te su questo.

Voglio dire, è molto, molto concentrato sul mantenere i costi delle abitazioni il più bassi possibile e sul far costruire abitazioni, abitazioni di massa.

E la priorità in Russia sono le abitazioni di massa, le abitazioni di massa a basso costo, non gli immobili costosi, che hanno prezzi molto alti.

Ora, penso che a questo siano arrivati gradualmente senza capire e pensare veramente, ma è spesso così in Russia, ad essere onesti.

Ma il grande evento che potremmo aspettarci ad un certo punto nei prossimi 10 anni è il punto in cui improvvisamente la gente in Gran Bretagna, Germania, Russia, si rende conto che per la prima volta qualcuno può ricordare che le persone in Russia stanno meglio di noi nell'Europa occidentale.

 

Ora, voglio dire, non sto dicendo che accadrà necessariamente esattamente così, ma sarebbe una rivoluzione della percezione.

 Voglio dire, trasformerebbe completamente la geografia politica e sociale in Europa.

Se ci troviamo in una situazione in cui le persone in Occidente, in Europa occidentale, sentono che stanno crescendo e diventando sempre più ricche e noi non stiamo crescendo e stiamo diventando più poveri, e che non solo stanno raggiungendo i nostri livelli di tenore di vita, ma in realtà stanno superando i nostri livelli di tenore di vita, allora è molto difficile prevedere esattamente come le persone si reagiranno. Ma risponderanno in modo molto profondo.

Tenete a mente che ciò non è mai accaduto prima in nessun momento della storia europea moderna, anzi, in nessuna parte della storia europea.

 L'Oriente è sempre stato più povero dell'Occidente.

 

MICHAEL HUDSON: Beh, hai ragione, Alex.

È stata una risposta ad hoc. Stanno reinventando la ruota.

Eppure il problema che hai descritto era il problema del 19° secolo.

La Germania ha affrontato questo problema. Come avrebbero fatto a superare l'industria inglese?

Ebbene, lo Stato giocava un ruolo importante, in particolare un collegamento tra lo Stato, il “Reichspunk” e il “complesso militare-industriale”.

Stessa cosa negli Stati Uniti.

Tutti gli economisti classici hanno descritto l'ideale come la riduzione dei prezzi al valore reale, l'eliminazione della ricerca della resa, l'eliminazione della classe dei proprietari terrieri.

Si tratta di Adam Smith e John Stuart Mill.

Sbarazzarsi dei monopolisti, libertà delle banche private e fare il...

Le banche centrali dell'Europa non si basavano sul pagamento di dividendi per aumentare i prezzi delle azioni, ma per reinvestire, reinvestire ed espandersi.

Stanno riscoprendo tutto questo, cosa fare senza alcun riferimento all'economia classica o al fatto che tutto questo è accaduto più di un secolo e mezzo fa.

 

GLENN DIESEN:

 No, abbiamo parlato prima di questo, di tutto quello che è successo, di come l'ideologia ha cambiato le idee del capitalismo, perché tutto questo doveva essere buon senso.

 Se lo si desidera, sì, i profitti dovrebbero essere investiti, o almeno si dovrebbero tassare coloro che cercano rendita per sviluppare infrastrutture adeguate, fornire un'istruzione adeguata, tutte queste cose, che hanno migliorato il tenore di vita, ma rende le aziende più competitive anche a livello internazionale.

“Alexander ed io” abbiamo anche discusso in precedenza, tutto viene messo in secondo piano in questi giorni con la ricerca di rendere che non è vista come il problema chiave, qualcosa che si deve diminuire, ma invece vista come la fonte effettiva di ciò che fa andare avanti l'economia per avere questo sistema.

Penso che questo sia il motivo per cui è così difficile avere un vero cambiamento strutturale per rendere le economie di nuovo più competitive.

A questo proposito, volevo chiederle anche a lei, perché un problema enorme è il debito, non solo dei paesi, ma anche dei singoli.

 Qual è la sfida principale per la riduzione del debito? Ad esempio, negli Stati Uniti, la maggior parte del debito è ora privato rispetto ad altri paesi che hanno scelto di rendere pubblico il debito.

In che modo questo viene influenzato, se si vuole, ad esempio, seguire la strada della riduzione del debito, al fine di ottenere questi cambiamenti strutturali che potrebbero essere necessari?

 

MICHAEL HUDSON:

Ebbene, ci sono due sviluppi nel debito personale che si sono verificati negli ultimi tre mesi.

Innanzitutto, il debito delle carte di credito è aumentato molto bruscamente.

Le tariffe d'interesse sono ora al 20% per gli interessi regolari e oltre il 30-35% per le penalità.

Ora, il prestito su pegno è salito molto, molto in alto.

C'è stato un enorme aumento del prestito su pegno.

Le persone che non sono in grado di ottenere più margine di manovra sulle loro carte di credito, le inadempienze sulle carte di credito sono in aumento.

 Se sei inadempiente sulla tua carta di credito e non riesci a ottenere più credito, vai alle agenzie di pegno.

Questo è il motivo per cui gli economisti democratici come “Paul Krugman” dicono:

perché gli americani non si rendono conto di quanto sia meravigliosa l'economia che il presidente Biden ha creato per loro? Perché non sostenere Biden?

Beh, è perché l'economia sembra andare molto bene per i contribuenti della campagna elettorale dei principali partiti politici.

Ma per il 90% della popolazione, sono davvero schiacciati dalla combinazione del debito e dall' acquisto che li sta costringendo a salire, e l'aumento dei costi delle case è l'altra grande stretta che sta avvenendo.

Quindi, come si può ottenere un cambiamento strutturale per questo? L'unico modo per avere un cambiamento strutturale in un problema di debito è quello di cancellare il debito.

Ora, il presidente “Biden”, che è stato l'autore del divieto agli studenti debitori di cancellare il debito con la bancarotta, li ha bloccati e ha detto:

"Non c'è modo di ottenere la bancarotta, prenderemo tutta la tua previdenza sociale e la previdenza sociale dei tuoi genitori per questo".

Non c'è modo di avere una soluzione strutturale senza svalutare il debito.

Ma come si può svalutare il debito senza danneggiare le banche?

Le banche stanno già soffrendo per il debito della proprietà commerciale negli Stati Uniti.

C'è un tasso di sfitto del 40% per gli immobili commerciali.

Immagina se sei un banchiere, cosa fai?

Voi dite, beh, lo rimanderemo e basta.

 Lo gireremo sopra. Continueremo, immagino, a prestarvi abbastanza soldi per pagare gli interessi.

Ebbene, è così che Edoardo III se la cavò nel XIV secolo, fino a quando alla fine non riuscì a pagare e il (non chiaro) andò sotto, e poi il (non chiaro).

Abbiamo otto secoli di tentativi di risolvere il problema rinviando.

Ma non c'è nessuno che parli, tranne noi, immagino, del problema strutturale che i debiti non possono essere pagati.

Proprio come nel 1931, il mondo si rese conto che i debiti di riparazione tedeschi e i debiti interalleati non potevano essere pagati.

 C'è stata una moratoria.

Ma come si fa ad ottenere una moratoria sui debiti personali e sui debiti aziendali che stanno andando in rovina?

Ebbene, la Cina non ha questo problema, perché i debiti sono dovuti al governo.

Il governo può svalutare i debiti nei confronti di “Evergrande” e delle società immobiliari che non sono in grado di pagare.

E non abbattono gli edifici, gli edifici non vengono venduti, tutto va avanti.

Ma quando i debiti sono dovuti al sistema bancario privato, è nei guai.

E le banche, hai fatto notare, Glenn, le banche sono le protettrici di chi cerca rendita.

Si sono uniti come lobbisti, perché i cercatori di rendita prendono in prestito denaro dalle banche per comprare un'operazione che produce rendita e pagare gli affitti che stanno pagando gli interessi.

Bene, ci sono la finanza, il settore immobiliare, le assicurazioni e monopoli tutti insieme, che controllano praticamente la classe dei donatori e controllano la politica elettorale.

Hai un dilemma. Un problema ha una soluzione, un dilemma no.

 E l'unica soluzione a questo dilemma è un cambiamento strutturale così radicale che non se ne parla e nemmeno all'orizzonte.

 

ALEXANDER MERCOURIS:

Voglio dire, non solo un cambiamento radicale, ma forse anche in qualche modo rivoluzionario, perché ciò che equivale a un cambiamento fondamentale, in definitiva, nella struttura del potere.

Voglio dire, bisogna entrare in una situazione in cui i beneficiari del sistema che hanno interesse a perpetuarlo così com'è essenzialmente perdono il controllo, e coloro che ne sono effettivamente sfruttati sono in grado di respingere e ristrutturare il sistema completamente nel loro interesse, il che è una rivoluzione, in effetti.

Voglio dire, questo è il linguaggio, comunque.

Voglio dire, ho notato, a proposito, che non so se questo sia il caso negli Stati Uniti, ma in Gran Bretagna la parola sfruttamento oggi non appare mai da nessuna parte nei media.

Non è mai usato in politica.

Non viene affatto utilizzato, per quanto ho capito, nelle discussioni tra economisti.

Mi chiedo se questo sia vero negli Stati Uniti.

Ma comunque, voglio dire, è un cambiamento rivoluzionario.

MICHAEL HUDSON:

Hai detto la parola. Hai assolutamente ragione.

GLENN DIESEN:

Ero curioso però, quali sono le possibili alternative?

Perché il problema chiave al quale tutti, beh, la maggior parte del mondo sembra rendersi conto, è che l'attuale sistema economico, organizzato quasi esclusivamente attorno agli Stati Uniti, sta cominciando, beh, a fratturarsi in larga misura a causa del debito.

A questo punto.

Ma ovviamente a peggiorare la situazione è anche che, man mano che la posizione degli Stati Uniti nell'economia internazionale si indebolisce, diventa anche molto, molto più probabile che utilizzino il loro ruolo amministrativo nell'economia internazionale per prevenire l'ascesa di centri di potere alternativi, trasformando così efficacemente in arma ogni dipendenza dagli Stati Uniti.

 

Quindi ci sono tutti questi paesi in altre aree degli Stati Uniti, che si tratti di Russia, Cina, ma anche amici o alleati, India, Turchia, Arabia Saudita, gli altri stati del Golfo, tutti vogliono trovare alternative. Ma di cosa stiamo parlando?

 Quali sono le principali alternative?

È solo perché ho parlato con alcuni che sostengono, sai, i “BRICS”, che non sarebbero in grado di trovare una moneta comune, dovrebbero fare qualcos'altro.

Il centro tecnologico, se si dispone di nuovi centri tecnologici, non sarebbe centralizzato nello stesso modo in un paese come lo era in passato.

Ma ancora una volta, tutto questo, i “BRICS” sono la principale istituzione per portare avanti una nuova architettura economica, o se sì, come sarebbe in realtà?

MICHAEL HUDSON:

Ebbene, non c'è alternativa se non una rivoluzione, ma non siamo in una situazione pre-rivoluzionaria.

Quindi, cosa fare se, quando si dice che c'è un'alternativa, si intende un'alternativa alla rivoluzione, ma se ciò che è richiesto è un cambiamento strutturale, dal 1945, come ho detto, c'è stato un costante accumulo e non può essere sostenuto.

 

Cosa fare se le economie sono sulla strada sbagliata? Come si fa a cambiare rotta, soprattutto se ci sono interessi acquisiti che controllano il sistema elettorale a tal punto da bloccare qualsiasi tipo di terzo partito dal duopolio che si è sviluppato? Come si risolve il problema politico che protegge il dilemma economico?

Nessuno è stato in grado di risolvere questo problema a meno di una rivoluzione, eppure non lo è, la gente non è pronta per questo.

 Stanno incolpando sé stessi.

Daremo la colpa alla vittima, daremo la colpa ai debitori per essere impazienti, per aver consumato troppo, per non aver risparmiato abbastanza, senza dare loro l'opportunità di avere un lavoro che consente loro di pagare il costo della vita e di accumulare i risparmi.

L'alternativa di cui parlano i Democratici ei Repubblicani è quella di fermare la previdenza sociale.

 Facciamo un passo indietro per la previdenza sociale, l'assicurazione medica e Medicare.

Facciamo un passo indietro nella spesa sociale.

Ebbene, questo accadrà anche in Europa.

 Come può l'Europa, l'Eurozona, finché è soggetta al limite del 3% sull'importo di un deficit di bilancio nazionale, come può riarmarsi?

Come se la Russia stessa per invadere, questo mito che in qualche modo la Russia vuole ristabilire la vecchia Unione Sovietica, dove la Russia non potrebbe permetterselo, anche se lo volesse.

Non c'è alcun riconoscimento del fatto che la Russia ha già detto: lasciate che l'Europa vada per la sua strada.

Stiamo girando verso est.

Non ci vuoi? Beh, non vogliamo andare dove non siamo i benvenuti. Penso che il Presidente “Putin” abbia detto proprio queste parole.

Stanno in un certo senso lasciando in pace l'Europa.

 È rimasta da sola, senza nessun posto a cui rivolgersi, se non gli Stati Uniti, o per rifare l'intero allineamento geopolitico.

E non vedo che, finché c'è l'ingerenza americana nelle elezioni politiche tedesche ed europee, come fa per promuovere i politici orientati verso gli Stati Uniti, specialmente governando attraverso la NATO o Bruxelles, c'è troppo blocco per una rivoluzione.

E non c'è una coscienza popolare che ci sia un'alternativa.

Hanno creduto all'affermazione di “Margaret Thatcher” secondo cui non c'è altra alternativa che soffrire ed essere impoveriti e l'economia polarizzarsi.

Non c'è un'alternativa.

È così che funziona l'evoluzione in qualche modo.

Ho cercatori di rendita e l'1% sono la sopravvivenza del più adatto.

Loro sono sopravvissuti e tu no.

Accettatelo.

ALEXANDER MERCOURIS:

Ma almeno in Gran Bretagna, voglio dire, se riducessimo ulteriormente il tipo di spesa per il welfare di cui si parla negli Stati Uniti, ciò aumenterebbe la dipendenza dal debito.

 Non lo ridurrebbe perché se le persone non fossero in grado di andare, ad esempio, a un servizio sanitario di proprietà statale, dovrebbero pagare.

Anche se stessero pagando un'assicurazione, avrebbero dovuto pagare in qualche modo.

 E questa è una forma di rendita, alla fine.

E se si conosce il servizio sanitario in Gran Bretagna, che tra l'altro è in crisi, una crisi sempre più profonda, se si conoscono le varie riorganizzazioni che ha avuto per decenni, quello che hanno fatto è che lo hanno frammentato e reso estremamente suscettibile alla ricerca di rendite.

Oggi all'interno del servizio sanitario accadono molte cose che in precedenza il servizio sanitario faceva da solo, che in altre parole sono finanziate con fondi pubblici, ma che ora vengono appaltate a contraenti privati.

 E penso che anche le persone con opinioni conservatrici stiano diventando sempre più critiche nei confronti di questo.

 Ma non ha senso che possa essere cambiato.

Cambiarlo significherebbe rompere i contratti, violare i diritti di proprietà, e ovviamente questo è concettualmente impossibile o almeno così siamo portati a credere.

Quindi intendo moltissimo di questo.

 

Se solo potessimo tornare al sistema mondiale.

Voglio dire, però, i paesi devono commerciare tra loro.

È possibile avere un sistema di commercio, diciamo un sistema di commercio “BRICS”, che alla fine non degeneri in un sistema di scambi, anch'esso in cerca di rendita?

A proposito, non penso che questo sia un motivo per non provarci, ma intendo dire, provare a creare alternative a quello esistente.

Ma le persone con cui discutiamo, i telespettatori, tornano e ci dicono sempre bene, sai, non dare per scontato che i BRICS, i cinesi, alla fine saranno diversi da quello che abbiamo adesso, perché questo è un tipo del diritto umano che alla fine la ricerca di rendita in qualche forma verrà ristabilita.

È possibile concettualmente pensare a un sistema commerciale alternativo che funzioni ma che non sia vulnerabile alla ricerca di rendita, che non si trasformi in un altro sistema di ricerca di rendita come quello che abbiamo visto svilupparsi dopo la Seconda Guerra Mondiale?

 

MICHAEL HUDSON:

Beh, hai assolutamente ragione. Ciò che hai appena detto è ciò che gli economisti negano.

La maggior parte dei vantaggi del commercio internazionale sono legati alla ricerca di rendita.

Ma nella teoria del libero scambio la rendita non compare.

Tutto dovrebbe essere un costo senza tener conto dell'affitto.

È come se le merci venissero scambiate sulla base del valore e non della rendita.

Beh, la cosa interessante di quello che hai appena detto, “Alex”, è che chi cerca l'affitto sa cos'è l'affitto, ma chi paga l'affitto no.

Pensano che sia tutto valore.

Pensano che questo faccia davvero parte del costo effettivo di produzione.

 

Quindi la risposta è che se sono il leader dei creatori di questo nuovo sistema, diciamo che sono la Cina, la Russia, l'Iran, se si rende conto che, beh, per rimanere vitali, dobbiamo assorbire l'intera regione eurasiatica come un insieme interdipendente, ciò significa che i governi devono prendere l'iniziativa nel dire:

 Ok, dovremo dare lavoro a tutti.

Dovremo effettivamente decidere che tipo di governo sovvenzionerà quale tipo di produzione.

Quindi in realtà c'è uno scambio reciproco.

C'erano molti piani per questo negli anni '50 come alternativa alla Banca Mondiale.

 La riforma agraria, per esempio.

 La riforma agraria avrebbe eliminato molte delle rendite agricole, ma la Banca Mondiale avrebbe prestato solo per le esportazioni alimentari, non per l'indipendenza alimentare interna, l'autosufficienza.

 L'idea è quella di realizzare l'autosufficienza a livello regionale, e questo implica una sorta di accordo governativo.

 

Ovviamente, se c'è un paese, come la Cina, che dice che otterremo tutti i vantaggi per noi stessi perché abbiamo un vantaggio grazie al nostro socialismo, altri paesi non aderiranno.

E gli Stati Uniti potrebbero allora dire, beh, di aderire al sistema statunitense.

 

Quindi l'alternativa al sistema dollarizzato e al sistema “NATO” è che bisogna creare un sistema per eliminare la rendita economica, e il modo principale per sbarazzarsi di quella rendita economica è attraverso un'imposta sull'affitto.

Voglio dire, questo è l'obiettivo di Adam Smith, John Stuart Mill, dei fisiocratici, di Marx e di tutto il XIX secolo in questa politica.

Il decollo industriale tedesco alla fine del XIX secolo ce l'ha fatta.

Tutti pensavano che, beh, il modo per minimizzare le rendite fosse rendere i monopoli naturali della ricerca di rendita di dominio pubblico, perché se c'è la ricerca di rendita, è un servizio pubblicato essenziale.

 È la necessità di tali servizi che consente ai loro proprietari di ricavare una rendita.

Ma se questi servizi sono nel settore pubblico, allora possiamo fornire i loro servizi a tariffe agevolate o anche gratuitamente per l'istruzione, l'assistenza medica.

Quindi c'è un modo per fare in modo che i paesi che fanno il commercio commerciano principalmente in prodotti industriali che riflettono il costo di produzione, esclusi gli affitti, senza una sorta di sostegno governativo come “Keynes” aveva proposto per il “bancor” nel lontano 1944, che se alcuni paesi hanno deficit consistenti, diciamo, con la Cina, Poi, a un certo punto, l'accumulo di crediti finanziari dei paesi che guadagnano sui paesi paganti sarà spazzato via.

 

Tutto questo è stato proposto, e avrebbe potuto essere praticabile in questo modo, ed è l'unico modo in cui si può mantenere una reciprocità del commercio, ma la mutualità definita come nessun paese che cade nella dipendenza dal debito da altri paesi che porta tutto intero accumulo di dipendenza, instabilità e polarizzazione che si sta riscontrando nelle economie occidentali oggi.

 

GLENN DIESEN:

Beh, l'emergere di molti poli di potere centrali non creerebbe maggiori incentivi per ridurre gli affitti?

 Perché penso che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ovviamente, gli Stati Uniti erano all'avanguardia nelle tecnologie principali, tutte le grandi aziende si erano fuse negli Stati Uniti, dominavano il settore, avevano una posizione molto privilegiata in termini, beh, in termini della sua posizione nella Banca Mondiale, con il FMI che rende il dollaro la principale valuta commerciale internazionale e valuta di riserva.

Ma una volta ottenuta questa posizione monopolistica, c'è una certa capacità di ricercare rendita nel regno internazionale.

Ma se ci fossero altri centri di potere, non si creerebbe un sistema per ridurre la resa al fine di attrarre, beh, il resto del mondo, se volete?

 

MICHAEL HUDSON:

In linea di principio sì. Ma cos'è un Paese? Cos'è una società? Non si tratta semplicemente di un paese che si muove nel suo interesse generale, perché una società è costituita da tutti i tipi di classi diverse insieme, l'interesse finanziario, l'interesse immobiliare, l'interesse del lavoro, e certamente in Occidente, gli interessi dei rentier, l'interesse finanziario, l'interesse i monopoli controllano il governo.

 Hanno utilizzato tutte le rendite che avevano, tutta la ricchezza che avevano creato, per privatizzare il processo elettorale e il processo politico.

Quindi il paese è in realtà gestito da chi cerca rendita in Occidente.

La Cina ha lasciato che i miliardari si sviluppassero, e la stessa cosa in Russia.

 La Russia e la Cina hanno lasciato che i miliardari si sviluppassero, ma possono ancora dire, beh, si può fare una certa quantità di denaro, ma al di là di questo, si dovrà ripagarlo nell'economia in un modo o nell'altro, o attraverso le tasse o semplicemente prendendo il sopravvento. Sei semplicemente troppo grande per diventare un potere separato.

Se avete un governo socialista come la Cina, o anche la Russia, e dite:

"Il nostro compito oggi è quello di non lasciare che si sviluppi un'oligarchia che destabilizzerà la nostra economia".

E penso che questo sia ciò che Putin ha detto. Abbiamo avuto un'oligarchia sotto Eltsin.

 Non permetteremo che ciò accada di nuovo.

Questa è la nostra politica. La stessa cosa con la Cina, dicendo che quando il presidente “Xi” dice che le case sono per viverci, non per trarre profitto o affittare, le industrie producono beni, non per creare fortuna per un'oligarchia indipendente, allora si impedisce in primo luogo lo sviluppo di una classe egoistica in cerca di rendita.

 E questo deve essere fatto aumentando il ruolo del settore pubblico con un'analisi economica molto chiara di cosa sia la resa economica, come calcolarla.

E non è difficile da calcolare, sicuramente per il settore immobiliare.

 È facile guardare uno stato patrimoniale e un conto economico, economico e passivo e rendersi conto di come stabilizzare le cose.

Ma in realtà c'è una dottrina economica alla base di questo riallineamento politico che lei giustamente dice essere l'ideale.

 Ed è l'ideale perché è l'unico modo per creare stabilità a lungo termine.

 

GLENN DIESEN:

Beh, mi chiedevo quale consiglio daresti all'Europa, perché ovviamente l'Europa non può sviluppare la stessa autonomia strategica degli Stati Uniti o della Cina.

E penso che in questa situazione, l'Europa si sia resa ancora più vulnerabile perché in un conflitto come questo, gli europei diventano ancora più dipendenti dagli Stati Uniti, avendo inviato molte armi anche all'Ucraina, e avendo queste tensioni con la Russia.

Prima l'Europa dipende ancora di più dagli Stati Uniti, il che consente agli Stati Uniti di esercitare maggiore influenza nel chiedere agli europei non solo di tagliarsi fuori dall'energia russa, ma anche ora di esercitare maggiori pressioni per tagliarsi fuori dai cinesi.

Ora, se non avete autonomia strategica, la seconda cosa migliore sarebbe almeno diversificare la vostra partnership per essere sicuri di non diventare eccessivamente dipendenti da uno stato, come gli Stati Uniti, come allora, come direste voi, può trarne vantaggio.

Ma al momento, mentre l'Europa sprofonda in questa tana del coniglio, vediamo che le relazioni con la Cina vanno di male in peggio.

 E gli europei stanno diventando sempre più dipendenti dagli Stati Uniti. E ovviamente, l'economia continuerà a vacillare.

Ma abbiamo pochissime discussioni a riguardo.

Come ho detto prima, è tutta ideologia.

 Ebbene, siamo tutte democrazie dalla stessa parte che lottano per la libertà.

Quindi nessuna di queste rivalità tra europei e americani emerge effettivamente nel discorso.

Volevo quindi chiederle: ha qualche consiglio per le economie europee su come dovrebbero uscire da questa situazione?

Perché qualsiasi obiettivo di parità con gli Stati Uniti è, sì, ormai lontano ormai, credo.

 

MICHAEL HUDSON:

Beh, chi avrebbe mai pensato 10 anni fa che fossero i partiti di destra a sostenere le linee che hai appena descritto, e che fossero i cosiddetti partiti di sinistra, e apparentemente il Partito dei Verdi, i partiti ambientalisti, che sono i partiti della guerra, e tutti a favore della dipendenza contro questo tipo di indipendenza.

 

Hai “Sarah Wagenknecht” che lascia il” Linke Party” per unirsi alla nostra alternativa per la Germania per creare un'alternativa.

Ma la risposta del governo tedesco è: vietiamo questi partiti.

 Questi partiti si oppongono a ciò che stiamo facendo. Quindi sì, certo, c'è una soluzione.

E in qualche modo lo farebbero i partiti di destra che tentano di giocare la carta populista e dicono che l'Europa deve essere economicamente indipendente dagli Stati Uniti.

Possiamo tutti ottenere di nuovo la piena occupazione se siamo indipendenti.

 Ma non potranno diventare indipendenti senza ripristinare le opportunità di investimento e commerciali con Russia, Cina ed Eurasia. Ma li hanno già tagliati.

 

E a quali condizioni la Russia, la Cina, l'Iran e altri paesi accetterebbero l'Europa nel tipo di istituzioni” BRICS plus” che stanno cercando di creare?

Come possono fidarsi che l'Europa non abbia un regresso e una controrivoluzione e che non venga tirata indietro con l'ennesimo cambio di regime sponsorizzato dagli Stati Uniti nei paesi europei che bloccheranno tutto questo?

Quindi ci deve essere una consapevolezza in Europa che hanno perso il controllo della loro politica e che sono diventati essenzialmente colonizzati politicamente dagli Stati Uniti attraverso la NATO e le spese di guerra.

 

Gli europei dovrebbero, in primo luogo, rendersi conto che la Russia non ha alcun vantaggio economico invadendoci.

Dovrebbe sostenere tutti i costi del nostro salvataggio.

 La Russia dirà invece che devi salvarti.

Non pagheremo per te.

Lo abbiamo fatto dopo la seconda guerra mondiale. E molti dei satelliti occidentali russi vivono meglio dei russi.

Non lo faranno più.

Quindi, se la Russia non ha intenzione di invadere l'Europa, non c'è bisogno di una spesa militare, ad eccezione della soluzione della Danimarca negli anni '60.

Avete un telefono con un servizio di risposta automatica che dice: "Ci arrendiamo".

Questo è tutto ciò di cui hai bisogno per le tue spese militari.

Ti liberi dall'incombenza militare.

 

Rifai un curriculum di economia che fa rivivere il concetto di ricerca della rendita.

Questo non è qualcosa che viene insegnato nelle università accademiche neoliberiste di oggi, sia in Europa che negli Stati Uniti, tranne che nelle “business school” che dicono ai nuovi uomini d'affari come estrarre più rendita economica dal resto della società.

Quindi è una combinazione di rieducazione, di riallineamento politico e di riconoscimento del fatto che i termini destra e sinistra non hanno più alcun significato per il settore finanziario.

Ciò di cui stiamo parlando va oltre l'idea di destra e sinistra del 21° secolo ed è molto più simile al concetto di questo concetto del 19° secolo.

Perché ciò accada, l'Europa deve riscoprire la metà del XIX secolo.

ALEXANDER MERCOURIS:

Una cosa molto impegnativa da fare per gli europei. Voglio dire, parlo per la Gran Bretagna, in una certa misura per la Germania, che conosco. In Gran Bretagna, penso che ci sia un senso di demoralizzazione molto diffuso, un grande senso di depressione, la sensazione che le opzioni vengono chiuse e, sai, la sensazione che non sappiamo bene cosa fare in una situazione che sta andando in discesa.

Ma il sistema politico è ancora abbastanza forte da impedire il tipo di discussione di cui lei sta parlando.

Concludo con una nota ottimistica, ovvero che non credo che questo sia sostenibile, in realtà.

 Almeno, voglio dire, in Gran Bretagna, non credo che lo sia.

 Se passi un po' di tempo a parlare con le persone in Gran Bretagna, io parlo con molte persone in Gran Bretagna, c'è una grande sensazione diffusa che le cose devono non cambiare.

È solo che le persone non sanno bene come cambiare.

E questa è in realtà una cosa che fa ben sperare, perché quando le persone iniziano a pensare che le cose devono cambiare, allora iniziano a dire a sé stesse, beh, siamo davvero alternative, alternative che il sistema attuale non sta fornendo.

Sono un po' più ottimista, ma al momento le cose sembrano molto cupe. Penso che in Germania, dove questo si è manifestato molto più all'improvviso, ci sia ancora una certa distanza da quel punto.

E penso che per il momento la classe politica abbia il controllo, nonostante tutto ciò che “Sarah Wagenknecht “e “l'IFD “stanno cercando di fare.

Questo è il mio punto di vista. Comunque ci siamo.

Questi sono i miei ultimi pensieri.

Solo un'ultima cosa per “Michael Hudson”.

So che sei interessato alla storia antica.

Io stesso, come persona che conosce la storia classica, ho sempre pensato che la caduta della Repubblica Romana fosse principalmente una crisi del debito.

Era proprio il tipo di crisi del debito di cui parlavamo: la ricerca di rendite, la perdita di controllo, che causa enormi problemi all'interno della società romana.

E, naturalmente, il classico libro sulla caduta della Repubblica, che tutti noi leggevamo, di” Ronald Syme”, si intitola “La Rivoluzione Romana”. Quindi lì è avvenuta una sorta di rivoluzione.

Quindi le rivoluzioni non sono impossibili.

MICHAEL HUDSON:

Quindi siamo entrambi ottimisti che ci sarà una rivoluzione.

ALEXANDER MERCOURIS: Sì. SÌ. SÌ.

MICHAEL HUDSON: Esiste una soluzione.

ALEXANDER MERCOURIS: Esiste una soluzione.

C'è sempre. Voglio dire, la storia umana non finirà con un arresto completo. Non succede così.

Voglio dire, potrebbero esserci tutti i tipi di problemi e ostacoli lungo il percorso, probabilmente orribili, ma le cose non si fermano.

 Se qualcosa è insostenibile, non sarà sostenuto.

La sfida è fare in modo che quando il cambiamento arriverà, non sarà così caotico e pericoloso come potrebbe essere.

 E il modo per farlo è prepararsi in anticipo e pensare, capire quali sono i problemi, e come affrontarli, e poi cosa fare oltre il punto in cui quei problemi sono stati raggiunti.

GLENN DIESEN:

Penso che ciò che rende così difficile uscirne sia perché l'economia è così profondamente legata alla politica.

E ormai da tanti anni, dalla fine della Guerra Fredda, abbiamo di fatto ri-diviso l'Europa.

Abbiamo rimilitarizzato le linee di divisione in Europa.

E il problema di fare questo in Europa è che alla fine si avrebbe una crisi, e allora l'Europa divisa e militarizzata diventerebbe una scacchiera, se si vuole, l'oggetto della politica delle grandi potenze, in cui verrebbe gravemente indebolita in questo modo.

Quindi, ancora una volta, questo è il motivo per cui lo trovo così frustrante, perché se l'Europa volesse davvero uscire da questa situazione, cercheremmo immediatamente di negoziare la fine di questa guerra, in modo da ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti, permetterci di diversificare la nostra connettività economica in misura maggiore e iniziare a ripristinare qualcosa di simile all'autonomia politica.

Ma non c'è ancora.

 

Ma ancora una volta, ho anche un certo ottimismo sul fatto che se riusciamo a porre fine a questa orribile guerra, potrebbero esserci alcune opportunità per ripensare alcune delle politiche e alcuni dei percorsi sbagliati che abbiamo scelto.

 

Comunque, prima di andare,” Michael Hudson”, qualche ultima parola, Professore?

 

MICHAEL HUDSON:

Beh, solo per commentare quello che hai appena detto, cioè che è in corso una nuova Guerra Fredda, e gli Stati Uniti l'hanno iniziata contro la Cina, e ancora, perché è contro la Cina, è contro la Russia, e perché è contro la Russia, è contro l'Europa.

Occorre quindi riconoscere che l'Europa vuole davvero far parte di questa nuova Guerra Fredda o vuole prendere una direzione diversa?

 È proprio di questo che stiamo parlando.

ALEXANDER MERCOURIS: Assolutamente.

GLENN DIESEN: Quindi sì, grazie mille, professor Hudson, per il suo tempo.

 Alessandro?

ALEXANDER MERCOURIS: Bene, e grazie mille, professor Hudson, per essere venuto e averci tenuto questo discorso meraviglioso, molto istruttivo, straordinariamente interessante.

GLENN DIESEN: Beh, grazie, Alex. Grazie.

 

 

 

Non è un mondo

per superpotenze.

 

Ispionline.it - (21 Dic. 2023) – Susan A. Thornton – ci dice:

Il mondo nel 2024.

 La competizione geopolitica tra gli Stati Uniti e la Cina guiderà e dominerà l'agenda globale del 2024, mettendo in difficoltà le nazioni più piccole.

In queste ultime battute del 2023, la competizione geopolitica tra Stati Uniti e Cina domina l’agenda globale.

 Lo si vede dalla contrapposizione sulle guerre in Medio Oriente e Ucraina, sul commercio globale e sulle potenziali vulnerabilità delle catene di approvvigionamento, ma anche dalle preoccupazioni per il “rischio geopolitico” che dominano l’agenda economica e commerciale globale.

Il vertice “COP28” di dicembre negli Emirati Arabi Uniti avrebbe dovuto iniziare a fare il punto sui progressi compiuti per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5 gradi Celsius;

 in realtà, si è trasformato in un’occasione per puntare il dito.

Oggi come oggi, non ci sono le premesse per soddisfare neanche gli obiettivi di massimo incremento della temperatura e non c’è dubbio che, senza un grande sforzo di cooperazione da parte di Stati Uniti e Cina, gli obiettivi non verranno raggiunti.

 Per quanto le popolazioni del mondo si siano apparentemente lasciate alle spalle gli effetti devastanti della pandemia di COVID-19, i governi e le istituzioni non hanno imparato le lezioni di quel disastro e alcuni guardano con sospetto a un nuovo aumento dei tassi di polmonite in Cina.

Nel frattempo, i paesi colpiti dalla recessione economica, dall’Europa all’America Latina all’Africa, devono affrontare importanti sfide interne dovute alle politiche populiste, ai disordini sociali e all’indebitamento.

Gli scontri tra le grandi potenze promuovono e perpetuano l’instabilità e le turbolenze, sconvolgendo le fondamenta gestionali altrui, come si è visto con le conseguenze della guerra della Russia in Ucraina e con l’aumento delle tensioni nello Stretto di Taiwan.

I rappresentanti governativi e i commentatori di tutto il mondo sembrano rassegnati a vedere la competizione geopolitica tra gli Stati Uniti e la Cina guidare e dominare l’agenda globale, mettendo in difficoltà le nazioni più piccole.

 Si dà per scontato che, nell’attuale contesto politico e geopolitico interno, non siano più possibili soluzioni negoziate di tipo compromissorio.

 La “sicurezza nazionale” viene invocata come un mantra per giustificare le chiusure e il protezionismo che mettono a repentaglio la promessa di mercati globali e connettività economica nell’ambito dell’ordine internazionale liberale.

Naturalmente, è responsabilità dei governi garantire la sicurezza dei propri cittadini e lavorare per migliorare il contesto sociale;

a questo proposito, la globalizzazione degli ultimi due decenni richiede una messa a punto e una riforma. 

Stiamo tuttavia correndo il grave rischio di “buttare via il bambino con l’acqua sporca”.

All’inizio di quest’anno, la direttrice del “Fondo Monetario Internazionale”, “Kristalina Georgieva”, ha messo in guardia da una “china scivolosa che porta a una frammentazione geoeconomica incontrollabile”.

 La frammentazione in blocchi rivali, ha continuato,

“sarebbe un errore politico collettivo che lascerebbe tutti più poveri e meno sicuri”.

Una competizione geostrategica a somma zero tra Stati Uniti e Cina rischia di far precipitare il mondo nella recessione economica, di diminuire i beni pubblici globali proprio quando sono più necessari e di aumentare la disuguaglianza su scala mondiale, per non parlare della prospettiva di un conflitto militare tra grandi potenze.

Le sfide globali del XXI secolo non potranno essere affrontate nel bel mezzo di questa competizione.

 Verranno sottratte risorse ai beni pubblici globali e le tensioni e i conflitti domineranno l’agenda del mondo intero, come già si riscontra.

A fronte di questa realtà, cosa si può fare per ridurre al minimo questa prospettiva, per preservare ed espandere i vantaggi della globalizzazione e di un’unica comunità internazionale, individuando in modo consensuale gli aggiustamenti necessari per preservare un ordine funzionante e sicuro?

Se le grandi potenze, compresi tutti e “cinque i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con diritto di veto”, sono impegnate a perseguire i “blocchi rivali”, spetta ad altre nazioni farsi avanti e aprire la strada a un percorso alternativo e meno distruttivo.

 Negli ultimi anni i paesi più piccoli sono diventati più espliciti nel voler avere più voce in capitolo negli affari globali, manifestando il loro malcontento e le divergenze con le grandi potenze riguardo alle priorità globali e alle agende internazionali.

Questo tipo di pressione è assolutamente necessario.

La competizione fine a sé stessa tra Stati Uniti e Cina non solo metterà in secondo piano le agende dei paesi più piccoli, ma calpesterà ciò che resta dell’ordine globale basato sulle regole, compresi i pochi vincoli che ancora rimangono per i principali attori.

Gli altri paesi devono dare più voce al loro scetticismo nei confronti della competizione a somma zero tra Stati Uniti e Cina, devono chiarire che non intendono partecipare a un’escalation del tipo “occhio per occhio” e devono insistere affinché gli Stati Uniti e la Cina (e altre grandi potenze) non solo aderiscano agli accordi internazionali, ma si impegnino a riformare la governance internazionale per il XXI secolo.

Sfortunatamente, sull’attuale scena mondiale non abbondano certo i leader che abbiano la statura morale e la capacità di emergere dal frastuono politico e far sentire il loro messaggio a Pechino e a Washington nel contesto odierno;

tuttavia, se un numero sufficiente di leader manifestasse le proprie remore, il loro effetto potrebbe risultare vincolante.

 Secondo quanto riferito dagli addetti ai lavori dell’amministrazione “Biden”, le preoccupazioni manifestate dai partner degli Stati Uniti in Asia per le crescenti tensioni con la Cina sono state un fattore di peso nel determinare il turbinio di attività diplomatiche con questo paese a cui si è assistito nella seconda metà di quest’anno.

 Questo dimostra che i messaggi privati urgenti di più partner importanti hanno un certo peso, almeno a Washington.

 Non è altrettanto chiaro quanto questo meccanismo possa funzionare con Pechino o con un’altra amministrazione alla Casa Bianca, ma l’opinione mondiale conta e genera pressione. 

Di recente, i piccoli stati insulari del Pacifico hanno acquisito autorità e statura manifestando a gran voce le loro preoccupazioni esistenziali sul cambiamento climatico e il timore di trovarsi in mezzo a un confronto tra grandi potenze.

Queste proteste pubbliche possono essere galvanizzanti e portare l’attenzione su come la competizione tra grandi potenze stia impedendo la realizzazione dell’agenda globale.

 

Si dovrebbe anche contare sugli attori più piccoli sia per esercitare pressioni per il mantenimento e la riforma delle istituzioni chiave esistenti, come l’ONU, le istituzioni di Bretton Woods (FMI, Banca Mondiale) e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, sia per catalizzare nuove iniziative in grado di spingere le grandi potenze in direzioni costruttive. 

Queste istituzioni non sono nate facilmente e non saranno facilmente sostituite.

Apportano enormi benefici agli stati meno potenti e sono una fonte di beni pubblici globali che molti di questi paesi non sono in grado di permettersi da soli.

 Le nuove iniziative avviate da attori più piccoli possono anche alimentare le riforme delle istituzioni esistenti.

 Alcuni esempi di tali iniziative sono il “Partenariato Trans-Pacifico” e “l’Accordo di Partenariato per l’Economia Digitale” avviato da Cile, Nuova Zelanda e Singapore.

Le Barbados hanno riunito una coalizione di paesi in via di sviluppo che sta efficacemente richiedendo dei cambiamenti alla Banca Mondiale e al FMI attraverso l'”Agenda di Bridgetown”.

Queste sono esattamente le mosse audaci di cui il mondo ha bisogno allo stato attuale per controllare la “frammentazione selvaggia” e riorientare i grandi attori verso l’obiettivo di rendere il nostro pianeta e la nostra governance idonei al futuro collettivo di noi tutti.

 

 

 

Verso il voto del 2024: è iniziata

la lotta per il potere europeo.

 Csfederalismo.it - Alberto Majocchi – (16-5 -2023) – ci dice:

  (A.Majocchi - Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo)

 

Dopo il drammatico abbandono dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti – che ha segnato simbolicamente la fine del tentativo americano di imporre un governo unilaterale del sistema mondiale degli Stati –, l’invasione russa dell’Ucraina rappresenta l’estremo tentativo del governo di Mosca di giocare un ruolo nei nuovi equilibri che si stanno delineando a livello globale.

La crisi che sta attraversando il sistema mondiale degli Stati mostra che un governo unilaterale del mondo non è oggi concepibile, non solo per l’affermarsi della potenza cinese, ma soprattutto per l’emergere di un numero rilevante di altri paesi, in Asia, in Africa, in America Latina, che non accettano più di subire le decisioni prese dalle superpotenze, e richiedono con forza di partecipare alla definizione di un assetto multilaterale del potere a livello mondiale.

In questo contesto un ruolo decisivo può essere giocato dall’Europa, la cui “ragion di stato” implica che l’obiettivo prioritario della sua politica estera debba essere il perseguimento della pace.

In linea generale, la possibilità che un paese possa adottare in politica internazionale una strategia volta non ad accrescere la propria potenza, ma a promuovere una situazione di equilibrio a livello globale, anche al fine di garantire il permanere di istituzioni democratiche al proprio interno, è legata storicamente a una situazione di insularità:

è quello che è avvenuto per il Regno Unito nel contesto del sistema europeo degli Stati e per gli Stati Uniti fino al momento in cui hanno assunto un ruolo determinante nell’equilibrio del sistema mondiale degli Stati.

Ma l’Unione europea, quando disporrà degli strumenti necessari per svolgere in autonomia una propria politica estera e della sicurezza, sarà comunque inserita negli equilibri internazionali e, quindi, dovrà tener conto degli assetti del potere a livello mondiale.

L’obiettivo finale di una pace perpetua potrà essere realizzato, come teorizzato nel pensiero di “Immanuel Kant”, soltanto quando i rapporti fra gli Stati a livello mondiale saranno fondati sul diritto e non sulla forza, e questo sarà possibile soltanto con una federazione mondiale.

Il compito dell’Europa è di promuovere la transizione verso questo obiettivo.

 Oggi il mondo sta evolvendo con grandi difficoltà verso il multipolarismo, ma questo sistema è più instabile di un sistema bipolare, che ha saputo garantire con un “equilibrio del terrore” un ordine relativamente pacifico durante il confronto fra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Per realizzare in questa fase storica un ordine più pacifico occorre rafforzare – e non indebolire, come fanno le superpotenze in crisi – le istituzioni multilaterali, e qui sta la responsabilità specifica dell’Europa, prima che prevalga, anche nell’Unione, la logica di una politica di potenza.

Questi sviluppi saranno possibili se l’Europa saprà completare il processo di unificazione con l’attribuzione all’Unione di un potere di decisione nel settore della politica estera e della sicurezza, della definizione delle linee generali di politica economica e di un Piano finanziario che distribuisca in modo equilibrato le risorse fra i diversi livelli di governo.

 Questi temi saranno al centro della campagna per le prossime elezioni europee del 2024, che potrebbero rappresentare il punto di partenza per una fase costituente in cui avvenga, in modo irreversibile, il trasferimento di poteri dagli Stati all’Europa che, nel pensiero di “Mario Albertini”, coincide con “il momento in cui la lotta politica diviene europea, in cui l’oggetto per cui lottano uomini e partiti sarà il potere europeo”.

 

Nel suo libro “Europa, forza gentile” “Tommaso Padoa-Schioppa” concordava in modo chiaro con il pensiero di “Albertini” sul tema del trasferimento di poteri dagli Stati all’Europa:

“Sono convinto che il punto di non ritorno non potrà che essere propriamente politico; non economico o monetario, e neppure istituzionale.

Ricordo, e porto con me, un’osservazione fatta da “Mario Albertini” in una conversazione cui ebbi la fortuna di partecipare, mentre maturava la decisione dell’“Unione Monetaria”.

 Il punto di non ritorno – egli disse – non è né nelle competenze né nelle istituzioni:

 è il momento in cui la lotta politica diviene europea, in cui l’oggetto per cui lottano uomini e partiti sarà il potere europeo.

 Quello sarà il momento in cui la rivoluzione avrà finito il suo compito e gli ordini nuovi creatisi verranno occupati dalle forze politiche ordinarie, che ne faranno il teatro della loro contesa.

In una società politica civilizzata, il ferro e il sangue sono sostituiti dalla lotta elettorale, gli eserciti dalle formazioni politiche”.

Nella campagna per le elezioni europee i partiti, che si contenderanno i seggi nel Parlamento di Strasburgo, dovranno assumere una posizione, fondamentale non soltanto per il futuro dell’Europa, ma anche del mondo, nella prospettiva di dare all’Unione un assetto istituzionale di natura federale.

Si tratterà di favorire non soltanto il rafforzamento di competenze in materia di sicurezza e politica estera e di politica economica e fiscale, ma soprattutto di garantire la possibilità di prendere decisioni a maggioranza in questi settori cruciali, con istituzioni federali che gestiscano una sovranità condivisa fra il livello europeo e gli Stati membri, per garantire l’unità nella diversità, secondo la classica definizione di “Kenneth Wheare”, e per promuovere un nuovo assetto multipolare del mondo capace di assicurare la pace e lo sviluppo sostenibile di tutto il pianeta.

 

Sul punto delle decisioni a maggioranza un primo passo importante è rappresentato dalla proposta del “Cancelliere tedesco Olaf Scholz “di adottare il voto maggioranza (55% dei membri del Consiglio dei ministri, in rappresentanza di paesi che rappresentino almeno il 65% della popolazione totale dell’Unione) per le decisioni di politica estera e fiscale, proposta già condivisa da altri otto paesi (Francia, Spagna, Italia, i tre paesi del Benelux, Finlandia e Slovenia).

Ma soprattutto appaiono rilevanti i movimenti che si registrano per la formazione degli schieramenti che si affronteranno nel corso delle elezioni europee del 2024.

Il primo fatto da rilevare – che riguarda anche direttamente la politica italiana – è il tentativo di “Lega e Fratelli d’Italia” di muoversi in direzione del “PPE”, sganciandosi delle formazioni politiche più sovraniste e più ostili al completamento di un’evoluzione federale dell’Unione, per spostare verso il centro-destra l’equilibrio politico a livello europeo.

Questo tentativo incontra una ferma opposizione da parte di chi, nel PPE, mira a una riconferma della coalizione che ha portato alla nomina di Ursula von der Leyen alla Presidenza della Commissione.

 L’esito di questo processo è ancora incerto, ma questi movimenti in ogni caso mostrano che la lotta per la conquista del potere europeo ha ormai preso avvio e che dal suo esito dipenderanno largamente gli sviluppi futuri dell’Unione.

(Alberto Majocchi -Professore Emerito di Scienza delle Finanze all’Università di Pavia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi sul Federalismo).

 

 

 

 

Le superpotenze globali

guardano ancora all'Indo-Pacifico.

Mondointernazionale.org – REDAZIONE – (18 MAGGIO 2023) - Dott. Pierpaolo Piras – ci dice:

(Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale Post).

 

L'indebolimento a livello economico, politico e militare della Russia conferma ulteriormente che il gioco si sta svolgendo nell'Indo-Pacifico. Più baricentrico che mai.

Mentre l'invasione russa dell'Ucraina può suggerire il contrario, non vi è alcun ritorno del centro di gravità geopolitico nell'Atlantico.

 È ancora più di prima nell'Indo-Pacifico.

Le ragioni di questa posizione contro-intuitiva sono diverse, ma plausibili e obbedienti ad un criterio strategico e geopolitico.

In questo caso, per gli Stati Uniti, il principale avversario in relazione alle loro mire geostrategiche globali continua ad essere la Cina Popolare.

Nel frattempo, la Cina è concentrata nell’impegno internazionale di creare le migliori condizioni politiche e commerciali capaci di concorrere e alla fine sostituire gli Stati Uniti come superpotenza globale entro la metà di questo secolo.

Pechino dice entro il 2050.

La guerra d’aggressione della Russia contro l’Ucraina non ha cambiato questa realtà.

Ed entrambe le parti stanno muovendo i loro pezzi in questo grande gioco, scrutandosi a vicenda in modo sempre più intraprendente, e talvolta pure cinico e aggressivo.

Il rischio di cadere nella "trappola di Tucidide" rimane in auge.

In questa luce, è sufficiente valutare gli sviluppi di alcuni episodi recenti.

In primis, l’ultima visita di “Joe Biden”, Presidente degli Stati Uniti, in Giappone e Corea del Sud ha voluto riaffermare la volontà americana di rispettare i propri impegni relativi alla sicurezza reciproca e di promuovere il loro riavvicinamento a scopo preventivo.

D'altra parte, un altro incontro si è svolto a Tokyo al più alto livello del “QUAD” – alleanza politico-militare internazionale che comprende Giappone, Australia, Stati Uniti e India – in un chiaro tentativo di controbattere le dichiarazioni provocatorie del ministro degli Esteri cinese,” Wang Yi”, in senso anti americano.

La cooperazione sta crescendo sulle questioni di sicurezza, comprese le manovre aeronavali congiunte nella vasta area dell’indo-pacifico.

A livello internazionale è stato notevole lo sforzo di incorporare l'India in un'alleanza in crescita come il “QUAD”, il cui primario obiettivo implicito è il contenimento dell'espansionismo sempre più aggressivo della Cina.

Non è circostanziale che la Cina, approfittando dell'equidistante atteggiamento indiano nella guerra in Ucraina, stia cercando di avvicinarsi al suo tradizionale avversario storico (la Russia) sulle possibili soluzioni al confronto laico in merito agli enormi confini fra i due.

 Tra l’altro, in alcuni tratti, non sempre chiaramente e definitivamente delimitati.

 

Continua l’ambiguità diplomatica?

Lentamente, gli Stati Uniti modulano la loro dottrina tradizionale nei rapporti di politica internazionale con Pechino secondo un’ "ambiguità con finalità strategica", stabilita dopo la storica visita di Nixon a Pechino ed i suoi accordi definiti con “Mao Tse-Tung”, nel 1972.

Tale dottrina USA sostiene la duplice tesi di "una sola Cina", da un lato riconoscendo alla Repubblica Popolare il pieno status nazionale unicamente sotto il profilo internazionale, mentre dall’altro si impegna a sostenere la” Cina nazionalista di Taiwan” di fronte a qualsiasi tentativo di integrazione non pacifica o che avvenga non di comune accordo.

Il dibattito negli Stati Uniti è aperto e i sostenitori dell'abbandono di tale ambiguità sono sempre più in maggioranza in entrambi i partiti. Essi sostengono che le circostanze politiche ed economiche sono decisamente cambiate e la Cina appare sempre più desiderosa di reintegrare Taiwan, anche usando la forza militare.

La dimostrazione più eclatante è rappresentata dalle continue e provocatorie intrusioni di velivoli di superiorità aerea cinesi nello spazio aereo di Taiwan, così come le centinaia di pattuglie militari travestite da barche "da pesca" presenti nelle acque territoriali contese tra i due nel Mar Cinese Meridionale.

Ovvero quelle che circondano l'arcipelago di “Spartly” o le “Paracels”.

 

La posizione degli USA.

La risposta americana all'aggressione russa deve essere letta in questo contesto.

Gli Stati Uniti non permetteranno alla Russia di raggiungere i suoi obiettivi egemonici e in questo hanno impegnato l'Alleanza Atlantica e, nonostante alcune (oggi già superate) difficoltà interne, anche l’Unione Europea e l'intero Occidente nel suo complesso.

Il messaggio è chiaro:

 il costo militare, materiale e in vite umane per la Federazione Russa sarà insopportabile – i segni già si vedono – e lo sarebbe certamente anche per la Cina Popolare se optasse per un'invasione territoriale di Taiwan.

Le dichiarazioni di “Biden” vanno anche oltre.

In Ucraina, il sostegno all’Ucraina e al suo governo legittimo è indiscutibile, ma non include il coinvolgimento militare sul terreno o la partecipazione a operazioni aeree in profondità, per evitare un confronto diretto della “NATO” con la Russia.

Nel caso di Taiwan, l'impegno USA include questo aspetto del proprio coinvolgimento militare, oltre alla protezione diretta di altri alleati nell'area, come l'Australia, e il sostegno ancora più esplicito del Giappone e della Corea del Sud.

Allo stesso tempo, “Biden “sta cercando di invertire ciò che nel tempo si è rivelato un grossolano errore strategico di “Donald Trump” non ratificando la “Trans-Pacific Partnership” (TPP) e spingendo il suo principale promotore, il Giappone, ad approvarlo senza gli Stati Uniti, presumibilmente in attesa di un cambio di posizione politica al vertice.

 

Le iniziative USA.

“Biden” ha lanciato l'“Indo-Pacific Economic Framework” (IPEF), un "sostituto" del TPP, più flessibile e adattabile alle circostanze, al fine di superare le prevedibili difficoltà che un trattato di questa complessità potrebbe incontrare per essere approvato a Washington.

Non si tratta, quindi, di un accordo commerciale in senso formale, ma poggia seriamente su quattro pilastri:

promuovere il commercio, in particolare quello digitale, investire nelle infrastrutture relative alle energie rinnovabili, contrastare la corruzione e affermare regole più corrette di bilancio.

Pertanto, si tratta di aprire un percorso virtuoso mirato a adottare questo schema operativo che riguardi, oltre al Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, anche i sette paesi dell'”ASEAN” (tranne Myanmar, Cambogia e Laos) e, significativamente, l' “India”.

A farne la somma, questo gruppo di nazioni rappresenterebbe circa il 40% del PIL globale e, sebbene soffra dell'assenza di alcuni paesi nelle Americhe, è compensato dal peso dell'India, non solo demograficamente ed economicamente, ma dal suo peso nel panorama politico internazionale.

Va anche notato la sua apertura ad altri Stati insulari del Pacifico. Le isole Figi hanno già mostrato il loro interesse.

Questa iniziativa si aggiunge all'implementazione, promossa dal “QUAD”, dell'”Alleanza per la conoscenza del Dominio Marittimo in Indo-Pacifico, che includerebbe tutte le isole dell'oceano”.

Infatti, non si deve dimenticare il ruolo strategico svolto dalle isole dell’oceano Pacifico nel corso della seconda guerra mondiale e l’aspro confronto tra Stati Uniti e Giappone per il dominio dell’area dell’indo-pacifico.

 

Le intenzioni cinesi.

Va notato che tutte queste iniziative arrivano a contrastare la chiara volontà cinese di espandere la propria influenza in questo ampio teatro, a scapito non solo degli Stati Uniti, ma anche dell'Australia, tradizionale garante della sua sicurezza.

Ciò è ancora più rilevante, specie dopo l’entrata in vigore dell’ “AUKUS”, l'accordo politico-militare stipulato tra Usa, Regno Unito e Australia a scapito della Francia - a sua volta storicamente presente nella regione, con possedimenti in Polinesia – per la fornitura a Canberra di sottomarini a propulsione nucleare e della più alta e sofisticata tecnologia militare – fino ad ora non condivisa con nessuno – da parte di Washington.

La risposta della Cina è chiara:

 rappresentata da un peggioramento delle proprie relazioni con l'Australia, pur essendo il suo principale partner commerciale.

È in corso un rapporto di collaborazione tra Cina ed isole del Pacifico che comprende la sicurezza, le regole di dogana e la pesca commerciale con le isole Salomone.

 Che prevedibilmente includono la possibilità di stabilire una base militare in esse, qualcosa che fino ad ora la Cina si è materializzata solo e non oltre a Gibuti, all'ingresso del Mar Rosso attraverso lo stretto di Bab-el Mandeb.

La Cina intende estendere tale accordo con un negoziato già avanzato con “Kiribati” e colloqui con le isole di Samoa, Tonga, Figi, Vanuatu, Papua Nuova Guinea e Timor Est.

Ancora più preoccupante appare l’azione cinese a favore di altre autocrazie e democrazie illiberali sulla duplice base e intesa della non interferenza e nel rifiuto dell’importante ruolo statunitense nel mondo.

In sintesi, entrambe le parti (USA e Cina) stanno rapidamente muovendo i loro rapporti tra molteplici accordi economici e commerciali, strategici, di finanziamento delle infrastrutture e di lotta agli effetti dei cambiamenti climatici (enormemente sensibili nella regione, più che in Occidente), che però non nascondono sia la competizione strategico-militare che la tutela delle sfere di influenza di ognuna.

La posta in gioco è che la presenza americana (e australiana) nella regione scompaia e pertanto che gli Stati Uniti cessino di essere una superpotenza globale a scapito di una Cina il cui obiettivo principale è, appunto, sostituirla in quel ruolo.

Indubbiamente, sono parole grosse:

 l'indebolimento della Russia conferma ulteriormente che il gioco massimamente importante si sta svolgendo nella vasta area dell’Indo-Pacifico.

 

 

 

Yellen in Cina: i sussidi di Pechino

sono un pericolo per l'economia globale.

 

Avvenire.it - Luca Miele – (5 aprile 2024) - ci dice:

La visita di quattro giorni del segretario al Tesoro Usa, “Janet Yellen” è un test per misurare le relazioni tra le due superpotenze.

 Pechino: "La vera sovrapproduzione? È quella delle armi occidentali."

 

Cosa segna il termometro delle relazioni tra Usa e Cina?

I tentativi di riannodare la tela diplomatica sono destinati ad abbassare i toni o, al contrario, velano una “guerra commerciale” senza esclusione di colpi?

 Il ricorso formale di Pechino all’ “Organizzazione mondiale del commercio” (Wto), contro quelli che vengono considerati sussidi «discriminatori» da parte degli Stati Uniti sui veicoli elettrici, è solo l’ultimo atto di un duello sempre più acceso tra le due superpotenze.

Un test importante lo offre il viaggio in Cina di quattro giorni del segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen.

 In programma per l’ex presidente della “Federal Reserve”, tra gli altri, i faccia a faccia con il governatore della provincia del Guangdong “Wang Weizhong”, con il governatore della Banca centrale cinese “Pan Gongsheng” e, soprattutto, con il vice premier “He Lifeng”.

Nonostante i tentativi di distensione (lo scorso novembre i due presidenti Joe Biden e Xi Jinping si sono incontrati a San Francisco dopo un anno di gelo e martedì scorso si sono “intrattenuti” in una telefonata di 90 minuti a tutto campo), la temperatura resta alta.

 Anzi bollente.

 Il confronto continua a passare lungo il terreno insidioso (e friabile) dell’economia, con i due giganti che gareggiano in vista del primato mondiale.

 Il nuovo mantra Usa è “la superproduzione” cinese, "drogata" dal sostegno del governo, che rischia di sommergere i mercati.

 Lo ha detto “Yellen” incontrando a” Guangzhou” la comunità imprenditoriale americana:

 “Il sostegno diretto e indiretto del governo di Pechino al settore manifatturiero sta portando a una capacità produttiva che supera significativamente la domanda interna della Cina, così come supera ciò che il mercato globale può assorbire”.

La missione di Janet Yellen è un test per misurare lo stato di salute delle relazioni tra Usa e Cina.

​“L'eccesso di capacità, che può portare a grandi volumi di export a prezzi bassi" – è il ragionamento di Yellen - rappresenta "un rischio per la resilienza economica globale".

Per gli Usa "l’eccesso di capacità produttiva in Cina" è stato un problema in passato, ma recentemente si è intensificato con i rischi emergenti “in nuovi settori come i veicoli elettrici, le batterie e i prodotti a energia solare, minando i lavoratori e le imprese concorrenti negli Stati Uniti, in Messico e l'India".

Insomma siamo davanti a un caso di “concorrenza sleale”.

 "Credo che affrontare il problema dell'eccesso di capacità, e più in generale considerare riforme basate sul mercato, sia nell'interesse della Cina", ha insistito Yellen.

E Pechino?

 La replica del gigante asiatico non si è fatta attendere.

 Per la Cina il duello commerciale maschera una retorica bellica.

"Anche se attaccare la Cina non è una novità in Occidente, negli ultimi tempi, è emerso un nuovo obiettivo dell’incessante potenza di fuoco:

la capacità manifatturiera della Cina.

Questa nuova variante della teoria della “minaccia cinese” è solo un pretesto per alcuni Paesi occidentali per avvelenare lo sviluppo interno della Cina e la cooperazione internazionale e adottare misure più protezionistiche per le proprie industrie", si legge sul “ChinaDaily”.

 Quindi l’affondo:

 "Il mondo ha un “problema di sovraccapacità”, che riguarda il colosso militare-industriale occidentale.

 Secondo un rapporto dello “Stockholm International Peace Research Institute”, gli Stati Uniti e i Paesi dell’Europa occidentale hanno rappresentato collettivamente il 72% di tutte le esportazioni di armi nel 2019-23, in aumento di 10 punti percentuali rispetto ai cinque anni precedenti.

Se l’Occidente fosse veramente preoccupato per il mondo, è il “problema della sovracapacità” militare che dovrebbe affrontare".

 

 

 

Un’isola al voto, il

mondo sospende il fiato.

Ytali.com - BENIAMINO NATALE – (8 Gennaio 2024) – ci dice:

 

Le presidenziali di Taiwan, che si tengono il 13 gennaio, sono molto attese, dato il suo ruolo centrale nel confronto tra le superpotenze, americana e cinese.

In un 2024 denso di appuntamenti elettorali le “presidenziali di Tawian”, che si tengono il 13 gennaio, sono tra quelli più attesi dato il ruolo centrale dell’isola nel confronto tra le superpotenze, americana e cinese.

I contendenti sono tre:

l’attuale vicepresidente Lai Ching-te, conosciuto anche come William Lai, del Democratic Progressive Party (DPP), il sindaco di Taipei Hou You-ih, del Guomindang (partito nazionalista), e Ko Wen-je, del Taiwan People’s Party (TPP), nato da una scissione del DPP.

Al centro del dibattito, circostanza che non sorprende, i rapporti con la Cina guidata dal presidente “Xi Jinping”.

Nei sondaggi, “Lai” è in testa di pochi punti su “Hou” mentre “Ko” appare staccato.

 L’ imprenditore” Terry Gou”, fondatore della “Foxconn”, produttrice degli iPhone in Cina, aveva annunciato la sua intenzione di candidarsi come indipendente ma ha rinunciato e si è ritirato dalla competizione.

Dopo le elezioni, la situazione nello Stretto di Taiwan continuerà a galleggiare nel limbo creato dal riconoscimento internazionale di “una sola” Cina, cioè quella con capitale Pechino, e dalla rinuncia di Taiwan a dichiarare formalmente la sua indipendenza di fatto.

Ciononostante il mondo guarda alle elezioni con il fiato sospeso, attendendo un’indicazione sul futuro dell’isola e sulla possibilità che la situazione sfugga di mano innescando una guerra tra Cina e Stati Uniti.

“Il candidato del “Guomintan”g alla vicepresidenza,” Zhao Shaokan”g, ha invitato l’altro lato dello Stretto di Taiwan a mostrare buona volontà, chiedendo che gli aerei e le navi della Cina continentale non si avvicinino alla linea centrale dello Stretto di Taiwan.

Che lo Stretto di Taiwan sia pacifico nella prossima settimana e le elezioni di Taiwan saranno pacifiche”.

Il DPP, in realtà, è nato per battersi per l’indipendenza definitiva dell’isola dalla Cina, che continua a essere il suo orizzonte, il suo obiettivo di lungo periodo.

 Il “Guomindang” è un partito più cinese che taiwanese:

 è stato fondato nel 1912 da “Sun Yat-sen” e in seguito guidato da “Chiang Kai-shek”, e il suo obiettivo di lungo periodo è l’unificazione con la Repubblica Popolare e la conquista del governo di questa immaginaria Cina Unificata.

Quanto al “TPP”, il suo leader e fondatore “Ko” non si è pronunciato in modo chiaro sui rapporti con la Cina popolare, preferendo attaccare i suoi avversari con argomenti piu’ concreti e attinenti al governo dell’isola.

Obiettivi strategici a parte, nel prossimo futuro tutti e tre i partiti sono per il mantenimento dello status quo.

Solo una manciata di paesi di secondo piano ha riconosciuto la “Repubblica di Cina” (il nome ufficiale di Taiwan) mentre la maggior parte dei paesi del mondo – tra cui l’Italia – ha nella capitale Taipei degli uffici commerciali che agiscono come ambasciate di fatto.

 

Va però sottolineato che negli ultimi anni il peso politico dell’isola è decisamente aumentato e i suoi rapporti internazionali si sono intensificati.

In particolare si sono rafforzati i legami con gli USA, in un processo che ha avuto il suo culmine nella visita della parlamentare americana” Nancy Pelosi” nell’agosto del 2022.

Gli USA hanno inoltre fornito all’esercito taiwanese armamenti per miliardi di dollari mettendolo in grado di dare del filo da torcere a un eventuale attacco cinese.

 Spesso, navi da guerra e sottomarini americani si recano nello stretto di Taiwan partendo dalle loro basi in Giappone e nell’isola di Guam.

Secondo alcuni osservatori, la conquista di Taiwan, se necessario con un attacco militare, fa parte degli obiettivi irrinunciabili del presidente cinese “Xi Jinping”.

Nel suo discorso di Capodanno, “Xi” ha affermato che quella della “riunificazione” è una “necessità storica”.

La campagna tripartitica di Taiwan è molto entusiasmante, migliore di quella dei due partiti che si alternano nel mondo democratico.

 Ogni elezione influenza la situazione politica su entrambi i lati dello Stretto di Taiwan e persino la situazione politica del mondo.

 Avanti, Taiwan.

A dispetto delle previsioni apocalittiche degli “esperti” sembra di poter dire che, almeno nel prossimo futuro, un’invasione cinese di Taiwan sia da escludere.

 Le ragioni sono molte:

prima di tutto, la presenza nel Pacifico della settima flotta americana, tecnologicamente più avanzata della Marina cinese;

le difficoltà economiche della Cina;

 il fallimento dell’attacco russo all’Ucraina (che secondo i piani del Cremlino sarebbe stata conquistata in pochi giorni);

le difficoltà di attaccare un’isola, azione che comporterebbe una serie di sbarchi simultanei;

 il rafforzamento delle difese militari di Taiwan;

non ultimi i sondaggi più recenti secondo i quali il 66 per cento della popolazione s’identifica come semplicemente “taiwanese”, il 28 per cento come “taiwanese e cinese” e solo il quattro per cento come “cinese”; in altre parole l’invasione dovrebbe fare i conti con una popolazione quasi interamente ostile.Nelle elezioni tripartitiche di Taiwan, ciascun partito ha ricevuto meno della metà dei voti, evitando così la polarizzazione.

Penso che in futuro la Cina democratica dovrebbe seguire questa strada per evitare alcune carenze simili a quelle dell’attuale campagna elettorale bipartitica negli Stati Uniti.

La guerra per Taiwan coinvolgerebbe certamente il Giappone e probabilmente la Corea del Sud, e potrebbe veder scendere in campo altri alleati regionali degli USA.

La probabile sconfitta dell’Esercito di Liberazione Popolare avrebbe conseguenze drammatiche per il regime di Pechino.

 

Non bisogna dimenticare il fatto che Taiwan è la principale produttrice mondiale di semiconduttori, un elemento indispensabile nella produzione di apparati elettronici per l’audio e il video, per le telecomunicazioni, per la gestione dei velivoli aerospaziali, per gli strumenti informatici, per la robotica e per altri settori industriali di punta e una interruzione della produzione sarebbe un grave problema per l’economia internazionale, e anche per la Cina.

La probabile vittoria nelle presidenziali di “Lai” porterà a un intensificarsi della guerra di parole tra le due sponde dello Stretto di Taiwan ma difficilmente a una guerra guerreggiata.

Nel caso prevalesse il “Guomindang” si assisterà a un moltiplicarsi dei rapporti culturali e a una ripresa del turismo tra le due sponde ma è evidente che la “ri-unificazione” rimarrebbe un obiettivo lontano, molto lontano nel tempo.

 

Mondo senza pace,

la responsabilità delle grandi

potenze e la necessità di un

nuovo equilibrio economico.

Left.it - Pier Giorgio Ardeni - Francesco Sylos Labini – (30 Marzo 2023) – ci dicono:

 

La guerra in Ucraina, che segna uno spartiacque nella nostra epoca, si inserisce in un contesto economico instabile di cui bisogna tenere conto.

La tragedia della politica delle grandi potenze consiste nel fatto che, siccome nessuno Stato è in grado di raggiungere l’egemonia globale, il mondo è condannato a una grande e perpetua competizione.

La guerra in Ucraina rappresenta un evento epocale nella nostra vita, uno spartiacque che segna il prima e il dopo.

Per inquadrare il conflitto ci facciamo guidare da quattro illustri studiosi.

 L’economista” Jeffrey Sachs”, direttore del “Centro di sviluppo sostenibile “della Columbia University, consulente economico per i governi dell’America Latina, dell’Europa orientale e dell’ex Unione Sovietica, ha recentemente tenuto la lezione “The Geopolitics of a Changing World” all’università di Oxford.

“ John Mearsheimer”, politologo e studioso di relazioni internazionali americano, professore all’Università di Chicago è il principale rappresentante della scuola di pensiero nota come” realismo offensivo” (qui un suo intervento del 2014).

“Emmanuel Todd” storico, sociologo e antropologo francese, ricercatore presso l’ “Institut national d’études démographiques” di Parigi, ha scritto numerosi saggi, tra cui “Il crollo finale “(1976), in cui ha preconizzato la fine dell’Unione Sovietica, e” Dopo l’impero” (2003), in cui profetizza la «disgregazione del sistema americano» e la rinascita dell’Europa.

Infine,” Wolfgang Streeck” è un sociologo ed economista tedesco e direttore emerito dell’ “Istituto Max Planck” per lo studio delle società. La fine dell’Unione Sovietica ha chiuso l’epoca della guerra fredda iniziata nel dopoguerra.

 La grande crescita economica della Cina e la ripresa della Russia dopo la catastrofe degli anni Novanta sono le realtà emergenti che stanno cambiando gli equilibri globali e sono alla radice dell’instabilità del mondo “unipolare” in cui gli Stati Uniti sono stati egemoni per un trentennio.

 

La crescita della Cina.

Per valutare la crescita di un’economia e confrontarla con altri Paesi, è importante considerare i dati a prezzi costanti (ovvero depurandoli dall’effetto inflazione), utilizzando i tassi di cambio internazionali a parità di potere d’acquisto. In questo modo si prende in esame la crescita in termini reali. Consideriamo qui i dati del” World Development Indicators database” della” World Bank”.

La crescita della Cina negli ultimi 30 anni è stata fenomenale: il Pil pro capite (ovvero per persona) è passato dai 1429 dollari del 1990 ai 17.603 del 2021, cioè è aumentato di 12 volte.

Nello stesso periodo il Pil per persona negli Stati Uniti è cresciuto di poco più della metà, passando da 40.456 dollari a 63.670.

 La Cina, però, ha oggi una popolazione di 1,4 miliardi di persone, cioè 4,6 volte quella degli Stati Uniti, tanto che il Pil totale della Cina è oggi maggiore di quello americano (in termini reali, valutato a parità di potere d’acquisto):

nel 2021 il Pil cinese è stato di 24.860.000 miliardi di dollari, contro i 21.130.000 miliardi degli Usa e i 19.740.000 dell’insieme della Ue.

Nel 1990, il Pil totale cinese era di 1.620.000 miliardi, mentre quello di Stati Uniti e Ue erano, rispettivamente, di 10.100.000 e  11.990.000 miliardi di dollari.

L’impressionante crescita dell’economia cinese è corrisposta ad aumento del Pil che si è generalmente mantenuto sempre superiore al 5% annuo per ormai più di quarant’anni, contro a valori ben più bassi dell’economia americana (o europea).

Se la distanza tra economia cinese e americana si è ridotta, è comunque rimasta considerevole in termini di Pil pro-capite:

nel 1990 un cittadino americano aveva un reddito superiore a quello di un cittadino cinese di 39mila dollari, mentre oggi il divario è di 46mila dollari.

Tuttavia, il dato rilevante è che il Pil della Cina ha superato quello degli Stati Uniti.

 

Perché la Cina cresce.

La competitività economica di una nazione si può misurare quantificando il livello di diversificazione del sistema industriale e dei servizi, cioè la diversità nel tipo di prodotti realizzati, e la loro complessità, ovvero il grado di sofisticazione tecnologica.

 In tal modo si riesce a estrarre da un complesso sistema economico, come quello di un Paese industrializzato, un’informazione globale che ne descrive la sua qualità.

Non è sorprendente che da un’analisi di questo tipo si desuma che i Paesi che cresceranno di più domani sono quelli che si sono occupati di meglio rafforzare oggi il proprio sistema industriale, della ricerca e dell’innovazione che si avvicina così a quello dei Paesi tecnologicamente e industrialmente più avanzati senza aver però ancora raggiunto un livello di Pil pro capite comparabile a quest’ultimi.

In ultima analisi questa è la spinta della crescita di alcune economie come quelle di Cina e in maniera meno accentuata dell’India.

Nella figura che segue è mostrata la spesa in ricerca e sviluppo della Cina in confronto ad altri Paesi occidentali: la veloce crescita avvenuta dal 2000 in poi è alla base della trasformazione dell’economia cinese attuale.

Nel 2014 la stessa spesa in ricerca e sviluppo della Cina era del 2%, una percentuale maggiore dell’Europa, con una tendenza a raggiungere il 2,5% in questi anni.

La combinazione tra la grande spesa in ricerca e sviluppo e i bassi salari hanno reso possibile il veloce sviluppo economico della Cina.

Un’altra rappresentazione dell’impressionante sviluppo cinese è fornita da quest’altra figura che mostra la crescita della quota del Valore aggiunto totale mondiale dell’attività manifatturiera per paese, che ha ora superato il combinato tra Europa e Stati Uniti, mentre fino a 15 anni fa era minore di entrambi.

L’età della convergenza.

La Cina ha superato gli Stati Uniti in termini di produzione totale in termini di Pil.

Questo non deve sorprendere più di tanto in quanto la Cina ha quattro volte la popolazione degli Stati Uniti, e per questo c’è da aspettarsi che diventerà nel prossimo futuro un’economia ancora più grande.

Come abbiamo visto sopra, attualmente il reddito pro capite cinese è ancora poco più di un quarto di quello americano.

 Il divario è ancora molto grande, anche perché le economie americana ed europea restano ancora quelle più avanzate dal punto di vista finanziario e tecnologico:

le corporation dove sono concentrati i grandi capitali sono ancora americane (e qualche europea).

Tuttavia, la Cina è un Paese enormemente produttivo, creativo, innovativo e laborioso, con un sistema educativo eccellente, e dunque è ragionevole aspettarsi che cresca ancora in termini economici relativi e tutto lascia pensare che la sua economia e quelle americane ed europee stiano “convergendo” in termini di reddito per persona.

Tra l’altro, l’insieme dei Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) ha un’economia la cui dimensione ha superato quella dei Paesi del G7 , che indica che la convergenza è in atto per un più ampio numero di Paesi.

Tuttavia, è vero che l’economia cinese è “grande” e sta crescendo ad un passo più veloce di quello dei paesi capitalistici avanzati (Pca) – e con essa anche quella degli altri Brics – ma ha ancora un basso Pil pro-capite il che implica che il Paese ha ancora un lungo cammino da percorrere per raggiungere gli standard dei Pca in termini di tenore di vita, servizi, etc.

Inoltre, la distribuzione del reddito in Cina è più iniqua che non in Europa e simile a quella degli Usa.

 

Il vantaggio dei Paesi capitalistici avanzati.

I Pca hanno un vantaggio sugli altri che è tecnologico e finanziario e che durerà ancora per qualche tempo.

È vero che la guerra in Ucraina ha evidenziato una “rottura” tra l’Occidente e il resto del mondo che va ben oltre il piano strategico-militare, creando una frattura vieppiù apparente anche sul piano economico.

 L’Africa, l’Asia e anche l’America Latina hanno rapporti economici sempre più stretti con Cina e India ma anche con la Russia.

 La leadership dei Pca è ancora assicurata ma potrebbe essere in un futuro non troppo lontana messa in discussione.

 Tuttavia, il capitalismo della globalizzazione si è evoluto oltre i confini nazionali e i suoi interessi non coincidono più necessariamente, con quelli nazionali: la dinamica capitalistica è sovra-nazionale.

La lista delle 100 principali aziende per capitalizzazione mostra che 59 hanno base negli Usa, 18 in Europa e 14 in Cina.

Le compagnie americane totalizzano il 65% del valore totale di mercato in termini di capitalizzazione, pari a 20.550.000 miliardi di dollari, quelle cinesi 4.190.000 miliardi e quelle europee 3.460.000 miliardi.

 La competitività cinese si è quindi fatta valere, non solo nei settori dell’high-tech e dei beni di consumo, ma anche in campi come quello della finanza.

Nelle prime 500 società, nel 2022, secondo Fortune, 124 sono americane, 136 cinesi, 47 giapponesi, 28 tedesche, 18 britanniche e 31 francesi). Il numero di società cinesi, in questa lista, è costantemente aumentato dal 2000. Tra le prime 500 compagnie, tra l’altro, 7 sono russe (e 5 sono nel settore dell’energia).

 

La tragedia delle grandi potenze.

“John Mearsheime”r nel 2002 ha scritto un libro di relazioni internazionali di grande impatto intitolato” La tragedia delle grandi potenze” (The tragedy of Great Power Politics).

Mearsheimer sostiene che la politica internazionale è sempre stata un affare spietato e pericoloso e che probabilmente continuerà ad esserlo.

L’intensità della competizione si alterna, le grandi potenze si temono l’una dell’altra e sempre competono tra loro per il potere:

l’obiettivo primario di ogni Stato è quello di massimizzare la propria quota di potere mondiale, il che significa acquisire potere a scapito di altri Stati.

Le grandi potenze non si limitano a cercare di essere le più forti tra tutte le grandi potenze, anche se questo è un risultato loro gradito;

 il loro obiettivo finale è quello di diventare la potenza egemone, cioè l’unica grande potenza del sistema.

Ci sono tre fattori alla base di questa dinamica:

 il primo consiste nell’assenza di un’autorità centrale così che gli Stati si contendono il potere all’interno di un sistema internazionale che è fondamentalmente anarchico.

 Questa anarchia si origina dal disprezzo delle superpotenze per il quadro giuridico internazionale:

le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu vengono troppo frequentemente ignorate o bloccate dai veti dei membri permanenti.

 Il secondo, che gli Stati abbiano capacità militare offensiva:

in questo modo ognuno deve essere consapevole che qualcun altro può sferrare un attacco a sorpresa – il primo attacco – e che questo è un fatto devastante.

 Il terzo, che gli Stati non possono mai essere certi delle intenzioni dell’altro quindi la migliore garanzia di sopravvivenza è quella di essere un egemone, così che non si possa essere minacciati seriamente da nessun altro Stato.

La tragedia della politica delle grandi potenze consiste nel fatto che, siccome nessuno Stato è in grado di raggiungere l’egemonia globale, il mondo è condannato a una grande e perpetua competizione.

Questa è, in grande sintesi, la teoria del realismo nelle relazioni internazionali.

“ Mearsheimer” ha scritto questo libro nel 2002 in un momento in cui gli Stati Uniti avevano normali relazioni sia con la Cina e sia con la Russia, ma aveva già compreso che non c’è modo in cui la Cina possa crescere senza che un conflitto tra Stati Uniti e Cina diventi probabile se non inevitabile.

Mearsheimer aveva previsto tutto questo in modo corretto: queste idee, sono al contempo molto efficaci, perché permettono di inquadrare le relazioni internazionali e prevedere quello che succederà, e nello stesso tempo sono però tragiche, perché non sono abbastanza efficaci da permettere di superare la tragedia, che invece è quello di cui abbiamo bisogno.

La guerra in Ucraina.

La guerra in Ucraina va dunque inquadrata nel più grande scenario di tensione tra forze in competizione a livello mondiale.

È un fatto che gli Stati Uniti hanno cercato di ostacolare l’integrazione della Russia in Europa.

 L’economia russa è rimasta sotto il controllo degli “oligarchi”, una casta che si è creata negli anni Novanta con la transizione al mercato dell’economia sovietica, ed è divenuta capitalistica a tutti gli effetti: tuttavia essa è rimasta fuori dal “circolo capitalista”.

Questo poiché la Russia è considerata come “una pompa di benzina” cioè un produttore di materie prime: la Russia ha enormi risorse energetiche di cui l’Europa ha necessità; sin dagli anni Ottanta è stato ipotizzato di sviluppare il gasdotto Trans-Siberiano per portare il gas estratto dai giacimenti siberiano all’Europa, progetto che già allora aveva suscitato l’ostilità degli Stati Uniti.

Si è dunque cercata l’integrazione economica della Russia in Europa attraverso lo scambio energia a basso costo per tecnologia, e questo era l’obiettivo dei gasdotti Nord Stream, ma gli Stati Uniti si sono sempre opposti anche a questo progetto.

Questa ostilità, secondo l’antropologo francese” Emmanuel Todd!”, si spiega considerando che:

«Per quanto terribile sia per il popolo ucraino, la guerra in Ucraina non è che una questione secondaria in una storia molto più grande:

quella della battaglia in corso tra una potenza egemonica globale in declino, gli Stati Uniti e con loro gli altri Paesi occidentali del G7, e una in ascesa, la Cina e con essa i Brics.

 Un’importante funzione dell’attuale guerra è il consolidamento del controllo degli Stati Uniti sugli alleati europei, necessari per sostenere il “perno verso l’Asia” della potenza statunitense.

Il compito dell’Europa è quello di impedire alla Russia di approfittare del fatto che gli Stati Uniti rivolgono la loro attenzione armata altrove e, se necessario, di unirsi alla potenza statunitense nella sua spedizione asiatica (cosa a cui il Regno Unito si sta già attivamente preparando)».

 

Il Pil della Russia e le sanzioni.

Il Pil totale della Federazione Russa, valutato in termini reali a prezzi 2017 a parità di potere d’acquisto come sopra, tra il 1990 e il 2021 è cresciuto di pochissimo, passando dai 3.180.000 ai 4.080.000 miliardi di dollari.

Il Pil pro capite, dopo il crollo degli anni Novanta, è invece passato dai 12.358 dollari del 1998 ai 27.960 del 2021, a metà circa tra quello cinese e quello europeo, quindi.

Il Pil totale di Russia e Bielorussia, però, rappresenta appena il 3,3% del Pil occidentale o dei Pca (Stati Uniti, Anglosfera, Europa, Giappone, Corea del Sud).

Inoltre, una delle maggiori entrate per la Russia era rappresentata dall’esportazione di gas e petrolio verso l’Europa.

Per questo motivo, allo scoppiare della guerra, si era convinti che la Russia, con l’imposizione delle sanzioni, sarebbe stata schiacciata economicamente.

Tuttavia, il rublo ha guadagnato l’8% rispetto al dollaro e il 18% rispetto all’euro dalla vigilia dell’ingresso in guerra.

 L’economia russa non solo ha retto bene il peso delle sanzioni, ma è stata capace di rivolgersi verso altri Paesi per l’esportazione di materie prima e l’importazione di tecnologia (quello che era un tempo l’accordo con la Germania, energia a basso costo in cambio di tecnologia) mentre l’industria bellica, fino ad ora, è riuscita a rifornire l’esercito.

Come spiegare questa dinamicità economica se il Pil è così modesto?

 

Neoliberismo e guerra.

La guerra diventa un test dell’economia politica, è il grande rivelatore: ci si chiede come questo Pil insignificante possa affrontare la guerra e continuare a produrre missili.

“Todd” fa notare che il motivo è che il Pil è una misura fittizia della produzione, soprattutto per un Paese con grandi risorse di materie prime come la Russia:

«Se si sottrae dal Pil americano metà delle sue spese sanitarie sovrafatturate, poi la “ricchezza prodotta” dall’attività dei suoi avvocati, dalle carceri più affollate del mondo, poi da un’intera economia di servizi scarsamente definiti tra cui la “produzione” dei suoi 15-20.000 economisti con uno stipendio medio annuo di 120 mila dollari, ci rendiamo conto che una parte importante di questo Pil è solo vapore acqueo.

 La guerra ci riporta all’economia reale, rende possibile capire quale sia la vera ricchezza delle nazioni, la capacità produttiva e quindi la capacità di guerra.

 Se torniamo alle variabili materiali, vediamo l’economia russa.

Nel 2014, abbiamo messo in atto le prime importanti sanzioni contro la Russia, ma essa ha da allora aumentato la sua produzione di grano, che va da 40 a 90 milioni di tonnellate nel 2020.

Mentre, grazie al neoliberismo, la produzione americana di grano, tra il 1980 e 2020, è passata da 80 a 40 milioni di tonnellate.

 La Russia è anche diventata il primo esportatore di centrali nucleari.

Nel 2007, gli americani hanno spiegato che il loro avversario strategico era in un tale stato di decadimento nucleare che presto gli Stati Uniti avrebbero avuto una capacità di primo colpo atomico su una Russia che non avrebbe potuto rispondere.

Oggi i russi sono in superiorità nucleare con i loro missili ipersonici.

 La Russia ha quindi un’autentica capacità di adattamento.

Quando vuoi prendere in giro le economie centralizzate, sottolinei la loro rigidità, mentre quando fai l’apologia del capitalismo, ne vanti la flessibilità. Giusto.

Affinché un’economia sia flessibile, prendi ovviamente il mercato dei meccanismi finanziari e monetari.

Ma prima di tutto, hai bisogno di una popolazione attiva che sappia fare delle cose.

Gli Stati Uniti hanno ora più del doppio della popolazione della Russia (2,2 volte nelle fasce di età degli studenti).

Resta il fatto che con proporzioni da parte di coorti comparabili di giovani che fanno istruzione superiore, negli Stati Uniti, il 7% sta studiando ingegneria, mentre in Russia è il 25%.

Ciò significa che con 2,2 volte meno persone che studiano, i russi formano il 30% di più ingegneri.

Gli Stati Uniti colmano il buco con studenti stranieri, ma che sono principalmente indiani e ancora più cinesi.

Questa risorsa di sostituzione non è sicura e già diminuisce.

 È il dilemma fondamentale dell’economia americana: può affrontare la concorrenza cinese solo importando forza lavoro qualificata cinese. Propongo qui il concetto di bilanciamento economico.

 L’economia russa, da parte sua, ha accettato le regole operative del mercato (è persino un’ossessione per Putin quella di preservarle), ma con un ruolo grandissimo dello Stato.

E si tiene anche la sua flessibilità della formazione di ingegneri che consentono gli adattamenti, sia industriali che militari».

 

Sulla produzione di armi “Todd” aggiunge:

«Una delle cose sorprendenti in questo conflitto, e questo lo rende così incerto, è che pone (come qualsiasi guerra moderna) la questione dell’equilibrio tra tecnologie avanzate e produzione di massa.

Non vi è dubbio che gli Stati Uniti abbiano alcune delle tecnologie militari più avanzate, che a volte sono state decisive per i successi militari ucraini.

Ma quando si entra nella durata, in una guerra di logoramento, non solo dalla parte delle risorse umane, ma anche di quelle materiali, la capacità di continuare dipende dal settore della produzione di armi più basso.

 E troviamo, vedendolo ritornare dalla finestra, la questione della globalizzazione e il problema fondamentale degli occidentali:

 abbiamo trasferito una proporzione tale delle nostre attività industriali che non sappiamo se la nostra produzione di guerra può proseguire.

Il problema viene ammesso.

 La Cnn, il New York Times e il Pentagono si chiedono se l’America riuscirà a rilanciare le catene di produzione di questo o quel tipo di missile.

Ma non sappiamo se i russi saranno in grado di seguire il ritmo di un tale conflitto.

 Il risultato e la soluzione della guerra dipenderanno dalla capacità dei due sistemi di produrre armamenti».

 

Le forze in campo.

Per comprendere quello che è avvenuto nell’ultimo anno sul terreno di battaglia bisogna comprendere le forze in campo degli eserciti all’inizio del conflitto e come queste sono poi cambiate.

Scrive il sociologo tedesco” Wolfgang Streeck”:

«Nel 2021, l’anno precedente all’invasione dell’Ucraina, la Russia ha speso 65,9 miliardi di dollari (a prezzi costanti 2020) per le sue forze armate, pari al 4,1% del suo Pil.

 La Germania, con una popolazione pari a poco più della metà di quella russa, ha speso 56 miliardi di dollari, pari all’1,3% del suo Pil.

Le cifre rispettive per Regno Unito, Francia e Italia sono state di 68,4 miliardi (2,2 per cento del Pil), 56,6 miliardi (1,9 per cento del Pil) e 32 miliardi (1,5 per cento del Pil).

Insieme, i quattro maggiori Stati membri dell’Ue hanno speso per la difesa poco più del triplo della Russia.

La spesa militare statunitense, pari al 38% del totale mondiale, supera di dodici volte quella russa e, se combinata con quella dei quattro grandi Paesi europei della Nato, di quindici volte».

«Il fatto che la Russia abbia attaccato da una posizione di debolezza è confermato anche dal fatto che, secondo l’opinione degli esperti militari, la sua forza d’invasione, stimata in 190.000 uomini nel febbraio 2022, era troppo esigua per raggiungere il suo presunto obiettivo, la conquista dell’Ucraina, un Paese di 40 milioni di persone con una massa territoriale quasi doppia rispetto a quella della Germania, il cui raggiungimento avrebbe richiesto, secondo la maggioranza delle stime, un raddoppio del contingente impiegato.

Sebbene il bilancio della difesa ucraino nel 2021 ammontasse a meno di sei miliardi di dollari (pari al 3,2% del Pil di uno dei Paesi più poveri d’Europa), ciò rappresentava un impressionante aumento del 142% della spesa militare ucraina rispetto al 2012, che era di gran lunga il più alto tasso di crescita tra i primi quaranta Paesi al mondo per spesa militare.

 È un segreto solo per i media europei cosiddetti di qualità che questo aumento è stato dovuto ad ampi aiuti militari statunitensi, finalizzati a raggiungere la “interoperabilità” dell’esercito ucraino con le forze armate statunitensi.

Secondo fonti della Nato, l’interoperabilità è stata raggiunta nel 2020, rendendo di fatto l’Ucraina un membro della “Nato de facto”, se non de jure».

L’antropologo francese “Emmanuel Todd “concorda con l’analisi di “Streeck” e sottolinea un punto importante che chiarisce meglio la prospettiva russa:

«Oggi condivido l’analisi del geopolitico “realista” americano “John Mearsheimer”. Quest’ultimo ha fatto la seguente osservazione: ci dicevano che l’Ucraina, il cui esercito era stato preso in mano dai soldati della Nato (americani, britannici e polacchi) almeno dal 2014, era quindi membro di fatto della Nato e che i russi avevano annunciato che non avrebbero mai tollerato un’Ucraina membro della Nato.

 Questi russi fanno quindi, (come Putin ci ha spiegato il giorno prima dell’attacco) una guerra che dal loro punto di vista è difensiva e preventiva.

“Mearsheimer” ha aggiunto che non avremmo motivo di rallegrarci di qualsiasi difficoltà dei russi perché, poiché per loro si tratta una questione esistenziale, quanto più questa dovesse risultare dura, tanto più loro colpirebbero con forza.

L’analisi sembra essersi verificata».

Vari analisti militari sostengono che la strategia militare della Russia è cambiata durante il conflitto:

 mentre la prima forza d’invasione serviva essenzialmente per mostrare la serietà delle intenzioni russe, dopo l’estate la Russia ha capito che non ci sono margini di trattativa e che la guerra era inevitabile.

Per questo è stata formata una armata tra 500 e 700 mila uomini che in parte è già stata utilizzata ed in parte è pronta all’intervento.

La Russia ha mobilitato le sue riserve di uomini ed equipaggiamenti per introdurre una forza di grande dimensione e significativamente più letale di quella di un anno fa.

Una guerra esistenziale.

“Mearsheimer” nel 2014 ha scritto un importante articolo dal titolo esplicito, “Perché la crisi ucraina è colpa dell’Occidente”, in cui ha anticipato gli eventi spiegandone in dettaglio le ragioni:

«Gli Stati Uniti e i loro alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità della crisi [ucraina]. La radice del problema è l’allargamento della Nato».

E «i leader russi hanno ripetutamente detto che vedono l’adesione dell’Ucraina alla Nato come una minaccia esistenziale che deve essere impedita».

 Le ragioni per questa posizione sono varie: dalle radici storiche che legano la Russia all’Ucraina, al fatto che la Crimea, da sempre appartenuta alla Russia che lì ha una importante base navale, rappresenta l’imprescindibile sbocco sul Mar Nero.

Come nota “Todd”, per una sorta di eterogenesi dei fini, la guerra sta diventando un pericolo esistenziale per gli Stati Uniti:

«Mearsheimer, da buon americano, sopravvaluta il suo Paese.

Ritiene che, se per i russi la guerra ucraina è esistenziale, per gli americani è fondamentalmente solo un “gioco” di potere tra gli altri. Dopo il Vietnam, l’Iraq e l’Afghanistan, una disfatta in più o in meno…. Cosa importa?

L’assioma di base della geopolitica americana è: “Possiamo fare quello che vogliamo perché siamo al sicuro, lontani, tra due oceani, non ci succederà mai nulla”.

Niente sarebbe esistenziale per l’America. Analisi insufficiente che ora porta Biden a una fuga in avanti.

L’America è fragile.

 La resistenza dell’economia russa spinge il sistema imperiale americano verso il precipizio.

Nessuno aveva previsto che l’economia russa avrebbe tenuto testa al “potere economico” della Nato.

Credo che i russi stessi non lo avessero anticipato.

 Se l’economia russa resistesse alle sanzioni indefinitamente e riuscisse a esaurire l’economia europea, laddove essa rimanesse in campo, sostenuta dalla Cina, il controllo monetario e finanziario americano del mondo crollerebbe e con esso la possibilità per gli Stati Uniti di finanziare il proprio enorme deficit commerciale dal nulla.

Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti.

Così come la Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare.

 Questo è il motivo per cui ora siamo in una guerra infinita, in uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro.

Cinesi, indiani e sauditi, tra gli altri, esultano.»

E aggiunge:

«Questa guerra è quindi diventata esistenziale per gli Stati Uniti.

Non più della Russia, non possono ritirarsi dal conflitto, non possono mollare.

Questo è il motivo per cui stiamo ormai dentro una guerra infinita, dentro uno scontro il cui risultato deve essere il crollo dell’uno o dell’altro.»

In breve, la strategia militare di Washington per indebolire, isolare o addirittura distruggere la Russia è un colossale fallimento e il fallimento mette la guerra per procura di Washington con la Russia su un percorso davvero pericoloso caratterizzato dal persistere di un’inflazione elevata e l’aumento dei tassi di interesse che segnalano la debolezza economica.

A questo si aggiunga la minaccia alla stabilità e alla prosperità delle società europee, già provate da diverse ondate di rifugiati/migranti indesiderati e la minaccia di una guerra europea più ampia.

 

La fine della globalizzazione e il nuovo protezionismo.

Uno degli effetti collaterali, non previsti né voluti, della deregolamentazione del sistema economico globale è stato rendere le tensioni geopolitiche estremamente più acute.

Gli Stati Uniti, e con essi il Regno Unito e altri Paesi occidentali, hanno accumulato ingenti debiti verso l’estero, mentre la Cina, altri Paesi orientali, e in parte anche la Russia, sono in una posizione di credito verso l’estero.

 Un’implicazione di questo squilibrio è la tendenza a esportare capitale orientale verso l’Occidente, non più soltanto sotto forma di prestiti ma anche di acquisizioni:

uno spostamento cioè del capitale in mani orientali.

Gli Stati Uniti, che avevano un debito pubblico del 31% del Pil nel 1971, sono passati a uno del 132% oggi e un debito netto verso l’estero di oltre 14 mila miliardi di dollari pari al 65% del Pil.

Questo debito è sostenibile solo grazie al ruolo centrale che ha il dollaro negli scambi a livello internazionale ma rende l’economia statunitense sempre più fragile e condizionata dagli interessi dei creditori.

Per questa ragione, sono oggi gli Stati Uniti, già promotori della globalizzazione, a richiedere una chiusura protezionista sempre più accentuata nei confronti delle merci e dei capitali provenienti da Cina, Russia e gran parte dell’Oriente non allineato.

È questa criticità nell’equilibrio economico mondiale che rende pericoloso questo momento storico:

la guerra è vista come una minaccia esistenziale non solo dalla Russia ma anche dagli Stati Uniti:

nessuno si può permettere di perderla.

 

Le condizioni economiche per la pace.

Per avviare un realistico processo di pace, è oggi dunque necessario non solo ridisegnare un quadro di sicurezza europeo condiviso che tenga conto delle istanze della Russia, ma è necessaria anche una iniziativa di politica economica internazionale.

Come recita l’appello promosso da promosso dagli economisti “Emiliano Brancaccio” e “Robert Skidelsky “e apparso sul “Financial Times” del 17 febbraio 2023:

«Occorre un piano per regolare gli squilibri delle partite correnti, che si ispiri al progetto di Keynes di una “international clearing union”.

 Lo sviluppo di questo meccanismo dovrebbe partire da una duplice rinuncia:

gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il protezionismo unilaterale del “friend shoring”, mentre la Cina e gli altri creditori dovrebbero abbandonare la loro adesione al libero scambio senza limiti.

Siamo consapevoli di evocare una soluzione di “capitalismo illuminato” che venne delineata solo dopo lo scoppio di due guerre mondiali e sotto il pungolo dell’alternativa sovietica.

Ma è proprio questo l’urgente compito del nostro tempo:

 occorre verificare se sia possibile creare le condizioni economiche per la pacificazione mondiale, prima che le tensioni militari raggiungano un punto di non ritorno».

 

La dinamica capitalistica è sovranazionale e fino a prima della guerra stava andando nella direzione di includere, cooptare i capitalisti russi, cinesi, indiani e messicani e governare il mondo ora su una scala oltre le nazioni.

 Sembra che la guerra in Ucraina abbia interrotto questa tendenza sancendo l’isolamento del blocco occidentale, inteso in senso politico.

 Se il grande capitale di tutti i Paesi ne avrebbe fatto volentieri a meno continuando la via del “business as usual”, le ragioni delle tensioni internazionali, come abbiamo visto, sembrano essere più profonde della dinamica capitalistica globale che ha caratterizzato il trentennio dalla caduta del muro di Berlino ad oggi.

 Se pensiamo che anche le nostre imprese seguiranno i diktat della politica, il “friend shoring” e altre simili ingiunzioni, sarà la nostra scomparsa.

In questo senso, anzi, stiamo facendo un favore a russi e cinesi, ci mettiamo in ginocchio da soli:

più aumenta l’isolamento dei Paesi occidentali e più si rafforzano i legami e gli scambi internazionali tra i Paesi del resto del mondo.

Non era mai successo e rischiamo un declino inarrestabile.

 Certo, molti Paesi poveri ed emergenti dipendono ancora molto dai Paesi occidentali, ma potrebbe non durare.

 

Per un nuovo equilibrio tra grandi potenze.

La strategia dei neoconservatori americani, che hanno dominato la politica estera nel periodo “unipolare”, assume che la sicurezza per gli Stati Uniti dipenda dal fatto di essere la potenza globale egemone che ha il dominio assoluto.

Questa potenza non ha interessi in termini assoluti di aumento del tenore di vita ma il suo obbiettivo è solo la differenza tra lo stato relativo con gli altri Paesi.

 È necessario per questo rimettere al centro l’utopia di un mondo aperto in cui prevalga l’interesse nel guadagno reciproco.

 A causa delle fratture che si sono create per la guerra in Ucraina, questo sarà necessariamente un processo lento che prenderà varie generazioni.

Nel frattempo, si deve ritrovare un equilibrio tra grandi potenze, che sarà necessariamente fragile e basato sul reciproco timore l’uno dell’altro, un “equilibrio del terrore” che va gestito con cautela e prudenza, come quarant’anni di guerra fredda ci hanno insegnato.

Di fronte al pericolo atomico imminente è l’unica via percorribile quella di ritornare ad un “equilibrio del terrore”, che ha reso possibile un lungo periodo di pace relativa seppure caratterizzato da guerre di carattere locale, per poi intraprendere la lunga strada che conduce ad un equilibrio “multipolare”.

Al momento due aspetti critici si vedono all’orizzonte, oltre ovviamente alla guerra in Ucraina:

da una parte la tensione tra Stati Uniti e Cina sulla questione di Taiwan e dall’altro il legame sempre più solido tra Cina e Russia per creare un asse strategico, politico ed economico a cominciare dall’utilizzo dello yuan cinese come moneta per gli scambi internazionali.

Se il dollaro dovesse perdere il suo status di moneta di riferimento per comprare il petrolio, il debito pubblico americano potrebbe diventare in tempi brevi insostenibile.

Ed è questo il motivo per cui è necessario inquadrare il conflitto attuale nel più grande scenario globale e porre come punto di riferimento la ricerca di un nuovo equilibrio internazionale.

(Pier Giorgio Ardeni è professore ordinario di Economia politica e dello sviluppo all’Università di Bologna. Francesco Sylos Labini, fisico, dirigente di ricerca presso il Centro Ricerche E. Fermi di Roma, cofondatore e redattore di Roars).

 

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