La fine del mondo attuale si avvicina.

 

La fine del mondo attuale si avvicina.

 

 

 

Le oscure origini del

Great Reset di Davos.

Globalreseach.ca - William Engdahl – (12 aprile 2024) – ci dice:

 

È importante capire che non c'è una sola idea nuova o originale nel cosiddetto programma del “Grande Reset” di Klaus Schwab per il mondo.

Né la sua agenda per la “Quarta Rivoluzione Industriale” è una sua pretesa di aver inventato la nozione di “Stakeholder Capitalism”, un prodotto di Schwab.

 

Klaus Schwab è poco più di un abile agente di pubbliche relazioni per un'agenda tecnocratica globale, un'unità corporativa del potere corporativo con il governo, comprese le Nazioni Unite, un'agenda le cui origini risalgono all'inizio degli anni '70 e anche prima.

 Il Grande reset di Davos è semplicemente un progetto aggiornato per una dittatura distopica globale sotto il controllo delle Nazioni Unite che è stato sviluppato per decenni.

Gli attori chiave erano “David Rockefeller” e il suo protettore, “Maurice Strong”.

All'inizio degli anni '70, probabilmente non c'era persona più influente nella politica mondiale del defunto allora ampiamente noto come “presidente della Chase Manhattan Bank£.

 

Creare il nuovo paradigma.

Alla fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, i circoli internazionali direttamente legati a David Rockefeller lanciarono una serie abbagliante di organizzazioni d'élite e think tank.

Questi includevano:

“Il Club di Roma”;

“il 1001”: A “Nature Trus”t, legato al “World Wildlife Fund” (WWF);

la “conferenza di Stoccolma per la Giornata della Terra delle Nazioni Unite”;

lo studio del MIT,” I limiti della crescita”;

e la “Commissione Trilaterale” di David Rockefeller.

 

Club di Roma.

Nel 1968 David Rockefeller fondò un think tank neo-malthusiano, “The Club of Rome”, insieme ad “Aurelio Peccei” e “Alexander King”.

Aurelio Peccei, era un alto dirigente della casa automobilistica Fiat, di proprietà della potente famiglia italiana Agnelli.

 “Gianni Agnelli” della Fiat era un amico intimo di “David Rockefeller” e membro dell'“International Advisory Committee” della Chase Manhattan Bank di Rockefeller.

Agnelli e David Rockefeller erano amici intimi dal 1957.

Agnelli divenne membro fondatore della Commissione Trilaterale di David Rockefeller nel 1973.

Alexander King, capo del “Programma scientifico dell'OCSE”, è stato anche consulente della “NATO”. 

Quello fu l'inizio di quello che sarebbe diventato il movimento neo-malthusiano del "popolo inquina".

Nel 1971 il Club di Roma pubblicò un rapporto profondamente imperfetto, “Limiti alla crescita”, che prevedeva la fine della civiltà come la conoscevamo a causa della rapida crescita della popolazione, combinata con risorse fisse come il petrolio.

 Il rapporto concludeva che senza cambiamenti sostanziali nel consumo delle risorse, "il risultato più probabile sarà un declino piuttosto improvviso e incontrollabile sia della popolazione che della capacità industriale".

 

Si basava su false simulazioni al computer da parte di un gruppo di scienziati informatici del MIT.

 Si affermava l'audace previsione:

"Se le attuali tendenze di crescita della popolazione mondiale, dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della produzione alimentare e dell'esaurimento delle risorse continueranno invariate, i limiti alla crescita su questo pianeta saranno raggiunti entro i prossimi cento anni".

Era il 1971.

 Nel 1973 Klaus Schwab, nel suo terzo incontro annuale dei leader aziendali a Davos, invitò “Peccei” a Davos per presentare “i limiti della crescita” agli amministratori delegati delle aziende riuniti.

Nel 1974, il Club di Roma dichiarò coraggiosamente: "La Terra ha il cancro e il cancro è l'Uomo".

Poi: "il mondo sta affrontando una serie senza precedenti di problemi globali interconnessi, come la sovrappopolazione, la carenza di cibo, l'esaurimento delle risorse non rinnovabili [petrolio-noi], il degrado ambientale e la cattiva governance". 

Sostenevano che,

è necessaria una ristrutturazione "orizzontale" del sistema mondiale... cambiamenti drastici nello strato normativo – cioè nel sistema di valori e negli obiettivi dell'uomo – sono necessari per risolvere la crisi energetica, alimentare e altre crisi, cioè cambiamenti sociali e Se si vuole che avvenga la transizione verso una crescita organica, sono necessari cambiamenti negli atteggiamenti individuali.

Nel loro rapporto del 1974, ”L'umanità al punto di svolta”, il Club di Roma sosteneva ulteriormente:

La crescente interdipendenza tra nazioni e regioni deve quindi tradursi in una autorizzata dell'indipendenza.

Le nazioni non possono essere interdipendenti senza che ciascuna di esse rinunci ad alcuni dei propri limiti o almeno riconosca i limiti della propria indipendenza.

Ora è il momento di redigere un piano generale per la crescita organica sostenibile e lo sviluppo mondiale basato sull'allocazione globale di tutte le risorse limitate e su un nuovo sistema economico globale.

Questa è stata la prima formulazione dell'Agenda 21 delle Nazioni Unite, dell'Agenda 2030 e del Grande Reset di Davos del 2020.

David Rockefeller e Maurice Strong.

Di gran lunga l'organizzatore più influente dell'agenda di "crescita zero" di Rockefeller nei primi anni '70 fu l'amico di lunga data di “David Rockefeller”, un petroliere miliardario di nome “Maurice Strong”.

Il canadese Maurice Strong è stato uno dei principali promotori della “teoria scientificamente errata” secondo cui le emissioni di “CO2” provocate dall'uomo dai veicoli di trasporto, dalle centrali a carbone e dall'agricoltura hanno causato un aumento drammatico e accelerato della temperatura globale che minaccia "il pianeta", il cosiddetto riscaldamento globale.

In qualità di presidente della Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite per la Giornata della Terra del 1972, Strong ha promosso un'agenda di riduzione della popolazione e abbassamento del tenore di vita in tutto il mondo per "salvare l'ambiente".

Strong ha dichiarato la sua agenda ecologista radicale: L'unica speranza per il pianeta non è il collasso delle civiltà industrializzate? Non è nostra responsabilità realizzarlo?"

Questo è ciò che sta accadendo ora sotto la copertura di una tanto pubblicizzata pandemia globale.

Strong è stata una scelta curiosa quella di guidare un'importante iniziativa delle Nazioni Unite per mobilitare l'azione sull'ambiente, poiché la sua carriera e la sua considerevole fortuna erano state costruite sullo sfruttamento del petrolio, come un insolito numero di nuovi sostenitori della "purezza ecologica", come “David Rockefeller” o “Robert O. Anderson” dell'”Aspen Institute” o “John Loudon” della Shell.

 

Strong aveva incontrato David Rockefeller nel 1947 quando era un giovane canadese diciottenne e da quel momento la sua carriera si legò alla rete della famiglia Rockefeller.

 Attraverso la sua nuova amicizia con “David Rockefeller”, Strong, all'età di 18 anni, ricevette una chiave Posizione delle Nazioni Unite sotto il Tesoriere delle Nazioni Unite, Noah Monod.

I fondi delle Nazioni Unite furono opportunamente gestiti dalla Chase Bank di Rockefeller.

Questo era tipico del modello di "partenariato pubblico-privato" implementato da Strong: guadagno privato dal governo pubblico.

 

Negli anni '60 Strong era diventato presidente dell'enorme conglomerato energetico e compagnia petrolifera di Montreal noto come “Power Corporation”, allora di proprietà dell'influente” Paul Desmarais”.

Secondo quanto riferito, la “Power Corporation” è stata utilizzata anche come fondo nero politico per finanziare campagne di politici canadesi selezionati come “Pierre Trudeau”, padre del protetto di “Davos Justin Trudeau”, secondo la ricercatrice investigativa canadese “Elaine Dewar”.

 

Summit della Terra I e Summit della Terra di Rio.

Nel 1971 Strong fu nominato sottosegretario delle Nazioni Unite a New York e segretario generale della prossima conferenza sulla Giornata della Terra, la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano (Summit della Terra I) a Stoccolma, in Svezia.

Quell'anno fu anche nominato amministratore fiduciario della “Fondazione Rockefeller”, che finanziò il suo lancio del progetto “Stockholm Earth Day”.

 A Stoccolma fu creato il “Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente” (UNEP) con Strong come capo.

 

Nel 1989 Strong è stato nominato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite a capo della Conferenza delle Nazioni Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo del 1992 o UNCED ("Rio Earth Summit II").

Ha supervisionato la stesura degli obiettivi "Ambiente sostenibile" delle Nazioni Unite, l'Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile che costituisce la base del “Great Reset di Klaus Schwab”, nonché la creazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite . Strong, che era anche membro del consiglio di amministrazione del “WEF di Davos”, aveva fatto in modo che Schwab fungesse da consigliere chiave per il Summit della Terra di Rio.

 

In qualità di Segretario Generale della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio, Strong ha anche commissionato un rapporto al Club di Roma, La prima rivoluzione globale, scritto da Alexander King, in cui ammetteva che l' “affermazione sul riscaldamento globale da CO2” era semplicemente uno “stratagemma inventato” per forzare il cambiamento:

"Il nemico comune dell'umanità è l'uomo.

Nella ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, ci è venuta l'idea che l'inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d'acqua, la carestia e simili sarebbero stati all'altezza.

Tutti questi pericoli sono causati dall'intervento umano, ed è solo attraverso un cambiamento di atteggiamenti e comportamenti che possono essere superati.

 Il vero nemico quindi è l'umanità stessa".

Il delegato del presidente Clinton a Rio, “Tim Wirth”, ha ammesso la stessa cosa, affermando:

"Dobbiamo affrontare il problema del riscaldamento globale. Anche se la teoria del riscaldamento globale è sbagliata, faremo la cosa giusta in termini di politica economica e politica ambientale".

A Rio Strong ha introdotto per la prima volta l'idea manipolativa di "società sostenibile" definita in relazione a questo obiettivo arbitrario di eliminare la CO2 e altri cosiddetti gas serra.

 L'Agenda 21 è diventata” Agenda 2030” nel settembre 2015 a Roma, con la benedizione del Papa, con 17 obiettivi "sostenibili".

Ha dichiarato, tra le altre cose,

"La terra, per la sua natura unica e per il ruolo cruciale che svolge nell'insediamento umano, non può essere trattata come un bene ordinario, controllato da individui e soggetto alle pressioni e alle inefficienze del mercato.

La proprietà privata della terra è anche uno strumento principale di accumulazione e concentrazione della ricchezza e quindi contribuisce all'ingiustizia sociale...

La giustizia sociale, il rinnovamento e lo sviluppo urbano, la fornitura di abitazioni dignitose e condizioni sane per le persone possono essere raggiunti solo se la terra viene utilizzata nell'interesse della società nel suo insieme".

In breve, la proprietà privata della terra deve diventare socializzata per "la società nel suo insieme", un'idea ben nota ai tempi dell'Unione Sovietica e una parte fondamentale del “Grande Reset di Davos”.

A Rio nel 1992, dove era presidente e segretario generale, “Forte” dichiarò:

"È chiaro che gli attuali stili di vita e i modelli di consumo della classe media benestante – che comportano un'elevata assunzione di carne, il consumo di grandi quantità di cibi surgelati e pronti, l'uso di combustibili fossili, elettrodomestici, aria condizionata a casa e sul posto di lavoro e abitazioni suburbane – non sono sostenibili".

 

A quel tempo” Strong” era al centro stesso della trasformazione delle “Nazioni Unite! nel veicolo per imporre di nascosto un nuovo "paradigma" tecnocratico globale, utilizzando terribili avvertimenti sull'estinzione del pianeta e sul riscaldamento globale, fondendo le agenzie governative con il potere aziendale in un controllo non eletto.

E praticamente di tutto, sotto la copertura della "sostenibilità".

Nel 1997 Strong ha supervisionato la creazione del piano d'azione successivo all' “Earth Summit”, “The Global Diversity Assessment”, un progetto per l'avvio di una quarta rivoluzione industriale, un inventario di ogni risorsa del pianeta, come sarebbe controllata e come questa rivoluzione lo avrebbe raggiunto.

A quel tempo Strong era co-presidente del Forum economico mondiale di Davos di Klaus Schwab.

Nel 2015, alla morte di Strong, il fondatore di Davos Klaus Schwab scrisse:

"È stato il mio mentore fin dalla creazione del Forum: un grande amico; un consigliere indispensabile; e, da molti anni, membro del nostro Consiglio di Fondazione."

Prima di lasciare l'ONU a causa dello scandalo di corruzione Food-for-Oil in Iraq, Strong era membro del Club di Roma, amministratore dell'Aspen Institute, amministratore della Fondazione Rockefeller e della Fondazione Rothschild. Strong è stato anche direttore del” Tempio della Comprensione del Lucifer Trust” (noto anche come” Lucis Trust”) ospitato presso la “Cattedrale di St. John the Divine” a New York City:

 

"dove i rituali pagani includono la scorta di pecore e bovini all'altare per la benedizione.

 Qui, il vicepresidente Al Gore ha tenuto un sermone, mentre i fedeli marciavano verso l'altare con ciotole di compost e vermi..."

Questa è l'origine oscura dell'agenda del Grande Reset di Schwab, secondo la quale dovremmo mangiare vermi e non avere proprietà privata per "salvare il pianeta".

 L'agenda è oscura, distopica e intesa a eliminare miliardi di noi "umani comuni".

(F. William Engdahl è consulente e docente in materia di rischi strategici, ha conseguito una laurea in politica presso l'Università di Princeton ed è un autore di best-seller su petrolio e geopolitica. È ricercatore associato del Centro di ricerca sulla globalizzazione. CRG).

 

 

 

Gli oligarchi non

parlano solo russo.

Milanoinmovimento.com – (26-3-2022) – Editoriale – Intervento di Berni Sanders – ci dice:

Se osservate i mass media, troverete molto spesso la parola “oligarca” associata alla parola “russo”.

Ma gli oligarchi non sono solamente un fenomeno russo o un concetto lontano da noi. No.

Anche gli Stati Uniti e l’Europa hanno i loro oligarchi.

Oggi, negli Stati Uniti, le due persone più ricche possiedono più ricchezza del 42% della popolazione povera, vale a dire 130 milioni di americani.

E l’1% dei ricchi possiede più ricchezza del 92% più povero.

Negli ultimi cinquanta anni c’è stato un enorme trasferimento di ricchezza, ma nella direzione sbagliata.

 La classe media tira la cinghia mentre chi sta sopra sé la spassa sempre di più.

 

Ancora, nell’economia globale, è evidente che stiamo vedendo una gigantesca e distruttiva crescita della disuguaglianza di reddito e ricchezza.

 Mentre la parte più ricca del mondo diventa sempre più ricca, la gente normale lotta per la sopravvivenza e i più disperati muoiono di fame.

La pandemia da Covid ha peggiorato questa già drammatica situazione.

Oggi, nel mondo, i dieci più ricchi multimilionari possiedono più ricchezza del resto dei 3,1 miliardi di poveri, ovvero il 40% della popolazione mondiale.

Incredibilmente, la ricchezza di questi dieci multimilionari è raddoppiata durante la Pandemia, mentre il reddito del 99% della popolazione mondiale è diminuita.

Gli oligarchi spendono montagne di denaro per comprarsi yacht lussuosi, ville e costose opere d’arte mentre 160 milioni di persone sono scivolate nella povertà.

Secondo Oxfam, il reddito globale e la disuguaglianza di reddito hanno portato alla morte più di 21 mila persone ogni giorno a causa della fame e della mancanza di accesso alle cure mediche.

Ancora, i 2.755 milionari del mondo hanno visto crescere la loro ricchezza di 5 trilioni di dollari a partire dal marzo 2021, crescendo da 8,6 a 13,8 trilioni di dollari.

Ma non è solamente la crescita della disuguaglianza di reddito e ricchezza tra super ricchi e tutti gli altri.

È la crescita della concentrazione della proprietà e del potere politico.

Qualcosa di cui non si parla mai abbastanza, nei media o nei circoli della politica, è la realtà che una manciata di gruppi economici di Wall Street, Black Rock, Vanguard e State Street, adesso controllano oltre 21 trilioni di dollari in asset, all’incirca l’intero Pil degli USA.

Questo dona a un minuscolo numero di CEO un enorme potere su centinaia di compagnie e sulla vita di milioni di lavoratori.

Il risultato: negli ultimi anni abbiamo visto i super ricchi accrescere significativamente la loro influenza sui media, il sistema delle banche, il sistema sanitario, l’edilizia e molte altre parti dell’economia.

Obiettivamente non avevamo mai visto prima così poche persone possedere e controllare così tanto.

Metti tutto assieme e vedi un mondo, occidentale ma non solo, tendente fortemente verso l’oligarchia, dove un piccolo numero di multi-milionari esercita un enorme potere economico e politico.

Quindi, in mezzo a tutto questo, da dove partiamo?

Chiaramente, mentre affrontiamo oligarchia, Covid, attacchi alla democrazia, “cambiamento climatico”, l’orribile guerra in Ucraina e altre sfide, è facile lasciarsi andare al cinismo e perdere le speranze.

 È uno stato d’animo, tuttavia, che dobbiamo superare, non solo per noi stessi, ma per i nostri figli e le future generazioni.

La posta in gioco è troppo alta e la disperazione non è un’opzione. Dobbiamo unirci e combattere.

Quello che la storia ci ha sempre insegnato è che il cambiamento reale non è mai avvenuto dall’alto verso il basso.

È sempre stato spinto dal basso.

 Questa è stata la storia del movimento operaio, del movimento per i diritti civili, del movimento femminista, del movimento ambientalista e del movimento omosessuale.

Questa è la storia di ogni sforzo che ha portato a una trasformazione della nostra società.

Questa è una lotta che dobbiamo intensificare oggi.

Dobbiamo riunire la gente attorno a una agenda progressiva.

Dobbiamo educare, organizzare e costruire un movimento di base inarrestabile che aiuti a creare il tipo di nazione e di mondo che sappiamo di poter diventare.

Basato su principi di giustizia e compassione e non sull’avidità e sull’oligarchia.

Non dobbiamo mai perdere l’indignazione quando così pochi hanno tanto mentre così tanti hanno così poco.

Non dobbiamo lasciarci dividere in base al colore della nostra pelle, al luogo in cui siamo nati, alla nostra religione o al nostro orientamento sessuale.

La più grande minaccia della classe miliardaria non è semplicemente la loro ricchezza e potere illimitati.

 È la loro capacità di creare una cultura che ci fa sentire deboli e senza speranza e diminuisce la forza della solidarietà umana. (…)

Ora è il momento di costruire un nuovo ordine globale progressivo che riconosca che ogni persona su questo pianeta condivide un’umanità comune e che tutti noi, indipendentemente da dove viviamo o dalla lingua che parliamo, vogliamo che i nostri figli crescano sani, abbiano un’istruzione adeguata, e respirino aria pulita e vivano in pace. (…)

Sorelle e fratelli, in questo momento siamo in una lotta tra un movimento progressista che si mobilita attorno a una visione condivisa di prosperità, sicurezza e dignità per tutte le persone, contro uno che difende l’oligarchia e la massiccia disuguaglianza di reddito e ricchezza globale.

È una lotta che non possiamo perdere.

Ed è un ostacolo che possiamo superare, fintanto che stiamo insieme.

(Recente intervento di “Bernie Sanders”).  

 

 

 

 

 

Oligarchi ucraini, com'è cambiata

 la loro vita con la guerra?

Il patto con Zelensky

(simile a quello di Putin).

Ilmattino.it – (8 giugno 2022) - Mario Landi - Financial Times – ci dice:

 

Nel 2014, quando era scoppiata la guerra nel Donbass, gli oligarchi ucraini erano stati in prima linea contro la Russia:

con l'esercito mal equipaggiato e colto alla sprovvista, l'élite di Kiev finanziò interi battaglioni volontari si unirono al conflitto.

Diversi oligarchi furono nominati per prendere il potere come governatori di regioni instabili di lingua russa dove Mosca stava cercando di istigare altre rivolte separatiste.

 Oggi il ruolo degli oligarchi è ben diverso:

sono più emarginati e il loro peso economico è diminuito.

«La mia impressione è che si siano persi - ha detto “Timofij Mylovanov”, ex ministro dell'Economia -.

Non hanno idea di cosa fare».

Il 23 febbraio, il giorno prima dell'invasione, il presidente “Volodymyr Zelensky” ha convocato nel suo ufficio le figure più potenti dell'economia ucraina.

 Alcuni, come “Pinchuk” e” Rinat Akhmetov”, l'uomo più ricco dell'Ucraina, sono tornati nel Paese espressamente per incontrarlo.

Mentre il presidente “Vladimir Putin” ha tenuto una conferenza a distanza agli oligarchi russi in un incontro simile al Cremlino il giorno successivo, l'incontro di Zelensky è stato più ospitale, con gli oligarchi riuniti attorno a un tavolo.

Ma il messaggio era simile, ha spiegato il “Financial Times”:

quello di seguire il leader in tempo di guerra.

Due dei presenti hanno detto che Zelensky ha chiesto loro di mettere da parte le loro rivalità e unirsi in difesa della nazione.

Cosa è cambiato rispetto al 2014.

Otto anni fa,” Ihor Kolomoisky”, co-proprietario di un impero commerciale diversificato che comprende banche e media, è stato nominato governatore della sua regione nativa di “Dnipropetrovsk”, che confinava con il” Donbass separatista”.

Ha sostenuto decine di gruppi di combattimento volontari per schiacciare i movimenti nazionali filo-russi.

Allo stesso modo “Serhiy Taruta”, un magnate dell'acciaio, è stato nominato governatore della regione di Donetsk.

Insomma, chi più chi meno hanno usato la loro autorità, le loro risorse e il potere dei media per mobilitare la popolazione contro il tentativo della Russia di destabilizzare e disgregare il Paese.

La guerra in Ucraina.

Otto anni dopo, con l'esercito ucraino ben addestrato e in grado di resistere agli attacchi russi, gli oligarchi del paese stanno giocando un ruolo più passivo nella difesa della nazione, donando denaro e forniture come milioni di loro compatrioti.

“Akhmetov” e “Pinchuk” hanno organizzato uno sforzo di pubbliche relazioni per ottenere riconoscimenti per i loro sforzi filantropici.

Altri, come “Kolomoisky”, un sostenitore chiave della campagna presidenziale di Zelensky, sono stati vistosamente assenti.

Anche “Dmytro Firtash”, il magnate del gas in esilio ricercato negli Stati Uniti con l'accusa di corruzione e un tempo considerato vicino al Cremlino, ha detto di voler tornare in Ucraina per aiutare lo sforzo bellico.

 

“Akhmetov “ha affermato di aver stanziato 100 milioni di euro in aiuti umanitari e sostegno all'esercito ucraino.

 «Il compito cruciale per noi ora è aiutare gli ucraini a sopravvivere e l'Ucraina a vincere - ha detto al “Financial Times” -.

È già chiaro che sia la nostra attività che il nostro Paese stanno subendo enormi perdite a causa della guerra».

 Come altri magnati i cui imperi commerciali hanno avuto origine con attività nel cuore industriale orientale dell'Ucraina - ora al centro della guerra – “Akhmetov” ha subito un duro colpo.

Sta facendo causa al governo russo per perdite fino a 20 miliardi di dollari nelle sue due mastodontiche acciaierie a “Mariupol”, tra cui “Azovstal!, che è stata distrutta dall'assalto della Russia.

Gli oligarchi hanno anche perso la leva politica.

I loro canali televisivi trasmettono le stesse linee del governo sulla guerra.

 Nel frattempo Zelensky, che l'anno scorso ha fatto arrabbiare i magnati quando ha approvato una legge anti-oligarca per ridurre la loro influenza politica, è cresciuto in popolarità e autorità.

Cosa può cambiare dopo la guerra.

“Oleksiy Danilov”, capo della sicurezza nazionale di Zelensky che ha svolto un ruolo importante negli sforzi per frenare l'influenza degli oligarchi, ha detto al “Financial Times” che dall'invasione russa si sono comportati «in vari modi» e ha lasciato intendere che alcuni sarebbero stati ritenuti responsabili dopo la fine della guerra.

È probabile che gli industriali più ricchi dell'Ucraina trovino nuove opportunità di business nel ruolo di ricostruzione finanziato con centinaia di miliardi di dollari di aiuti occidentali.

Alcuni dovrebbero anche chiedere un risarcimento al governo per le fabbriche e le strutture distrutte durante la guerra.

 

 

 

La nostra: più oligarchia

che democrazia?

 Istitutoeuroarabo.it – (1° settembre 2023) - Comitato di Redazione – Elio Rindone – ci dice:

 

È noto che il significato delle parole cambia nel corso dei secoli.

Il vocabolario della Treccani, per esempio, definisce la democrazia come quella «forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico».

Oggi, quindi, caratteristica essenziale della democrazia è l’uguaglianza dei cittadini, garantita dal suffragio universale, che permette a tutti di partecipare, attraverso i propri rappresentanti, alla gestione del potere.

Ben diverso era il significato del termine nell’antica Grecia.

Gli abitanti di Atene, considerata abitualmente culla della democrazia, erano costituiti per tre quarti da schiavi, che non avevano ovviamente alcun diritto.

C’erano, poi, i cittadini liberi – artigiani, commercianti, piccoli proprietari – che costituivano il δῆμος, cioè le classi meno abbienti, i poveri che, con le loro lotte, talora riuscivano a imporre il loro dominio, κρατία.

Ciò, evidentemente, in contrasto con i ceti superiori, i ricchi che, di solito pochi di numero, ὀλίγοι, intendevano mantenere il potere, αρχία, esclusivamente nelle proprie mani.

La democrazia, dunque, era lo strapotere dei poveri, l’oligarchia il governo dei ricchi.

 Tutto ciò lo dicono con assoluta chiarezza sia “Platone” che “Aristotele”, i quali giudicano negativamente sia l’una che l’altra.

Per il primo, la democrazia «nasce quando i poveri, riportata la vittoria sulla fazione avversaria, uccidono gli uni e mandano in esilio gli altri, e dividono con i rimanenti a parità di condizioni il governo e le cariche, che per lo più vengono assegnate tramite sorteggio» (Repubblica, libro VIII, 557 a), mentre l’oligarchia è «quel sistema politico basato sul censo, nel quale i ricchi comandano e i poveri non partecipano al governo» (Repubblica, libro VIII, 550 c).

Parimenti “Aristotele”: «si ha democrazia quando stanno al potere uomini liberi e poveri, che sono [di solito] in maggioranza, oligarchia quando vi stanno uomini ricchi e nobili, che sono [di solito] in minoranza» (Politica, IV, 4, 1290 b 17-20).

 La polis, quindi, conosce una profonda divisione tra ricchi e poveri:

 i loro interessi sono contrastanti, e lo si proclama alla luce del sole.

I regimi democratici e oligarchici non convivono ma sono alternativi, perché sono uno la negazione dell’altro.

È solo a partire dal XVIII secolo, dunque, che a poco a poco il termine democrazia comincia ad essere usato con un altro significato, per indicare un sistema fondato sul principio di uguaglianza:

 tutti i cittadini, ricchi e poveri, hanno gli stessi diritti e possono partecipare alla gestione del potere attraverso i loro rappresentanti, eletti col suffragio universale.

 Così inteso, il termine ‘democrazia’ si imporrà acquistando una valenza positiva, tanto che è difficile trovare oggi uno Stato che non si autodefinisca democratico. La nostra Costituzione, per esempio, dichiara subito che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1), e cioè anzitutto attraverso il diritto, riconosciuto a tutti i cittadini, di eleggere i propri rappresentanti:

 «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età» (art. 48).

 

Ma l’affermazione che il potere sovrano appartiene al popolo significa che i cittadini italiani costituiscono una comunità compatta, animata dagli stessi interessi e senza divisioni al suo interno?

Per nulla:

le divisioni ci sono, le differenze tra ricchi e poveri non sono affatto scomparse.

E la Costituzione non ignora questo fatto, e anzi esige di impegnarsi per ridurle.

Pone chiaramente, infatti, come aspirazione irrinunciabile, che tutti i cittadini siano messi in condizione di realizzare la propria umanità. Obiettivo certo non facile da raggiungere, ma ciò non significa che la Costituzione consideri la divisione tra ricchi e poveri una realtà immodificabile:

compito di primaria importanza della Repubblica, anzi, è proprio quello di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3).

Presentando il popolo nel suo insieme come titolare della sovranità, le Costituzioni democratiche mirano, dunque, a superare la netta contrapposizione tra ricchi e poveri che, come abbiamo visto, nell’antica Grecia dava luogo all’alternanza, spesso violenta, di regimi democratici e oligarchici.

Infatti, da una parte, il suffragio universale consente a tutti di eleggere i propri rappresentanti e, dall’altra, il pluralismo dei partiti permette agli interessi dei diversi ceti di essere tutelati nel confronto parlamentare, cercando una sintesi che ottenga l’approvazione della maggioranza degli eletti.

Ma un’obiezione si potrebbe fare subito al principio del suffragio universale:

poiché i ceti meno abbienti costituiscono la maggioranza della popolazione e i ceti privilegiati la minoranza, come gli interessi di questi ultimi potrebbero essere adeguatamente tutelati?

È ovvio che il principio del suffragio universale non può essere gradito ai ricchi, che infatti lo hanno a lungo contestato:

il pensiero liberale, in effetti, considerava ragionevole la limitazione del diritto di voto ai possidenti, con la giustificazione che questi sono i soli che dispongono delle doti e della cultura necessarie per governare.

Ma dopo la Seconda Guerra mondiale, alla quale i ceti inferiori avevano partecipato pagando un tributo di milioni di morti, non era più possibile privarli del diritto di voto, e infatti, grazie al suffragio universale e all’azione dei partiti che rappresentavano i loro interessi, le loro condizioni di vita hanno conosciuto un progressivo miglioramento.

 Ha avuto così inizio una politica, ispirata ai principi del “Welfare State”, che ha realizzato riforme importanti per i più svantaggiati:

progressività delle imposte, scuola pubblica, servizio sanitario nazionale, Statuto dei lavoratori…

Ma ciò significa che i ricchi si sono rassegnati, accettando le conseguenze di quel suffragio universale, che di fatto rappresenta una loro sconfitta? Evidentemente no.

 Il suffragio universale, osserva “Zagrebelsky”, ormai non può essere esplicitamente abolito, perché oggi «viviamo in un tempo in cui la democrazia – come principio, come idea, come forza legittimante il potere – è fuori discussione» (L. Canfora G. Zagrebelsky, La maschera democratica dell’oligarchia, Bari 2014: 7).

Ciò non toglie, però, che, pur rispettando le forme della democrazia, si possa far ricorso a una serie di mezzi per svuotarlo dei suoi effetti eversivi:

quindi, «se l’oligarchia s’instaura nei nostri regimi, deve farlo in forme democratiche; deve in qualche modo mascherarsi; non può presentarsi come usurpazione di potere».

 In sostanza, ad Atene i ricchi, per gestire il potere, dovevano abbattere un regime democratico: oggi, invece, riescono a impadronirsi del potere salvando le apparenze del regime democratico.

E i mezzi di cui i ceti privilegiati dispongono sono numerosi: anzitutto il controllo delle varie forme di comunicazione di massa – stampa, radio, televisione, internet – che ha portato da un lato a considerare la qualifica di ‘comunista’, appioppata persino alle più modeste rivendicazioni sociali, come un appellativo di cui vergognarsi e dall’altra ad accettare l’ideologia neo-liberista come l’unica valida, e ormai condivisa anche dai partiti che una volta erano di sinistra.

Poi la manipolazione delle leggi elettorali: è evidente che il sistema elettorale proporzionale è quello che meglio fotografa la consistenza delle preferenze politiche dei cittadini, con la conseguenza che le classi inferiori sono ben rappresentate in Parlamento.

I sistemi maggioritari, invece, o quelli proporzionali con premio di maggioranza, o che dividono il Paese in collegi uninominali, o che danno agli elettori la possibilità di votare solo candidati scelti dalle segreterie dei partiti, alterano il quadro politico, trasformando in maggioranza quelle forze che in realtà rappresentano una minoranza della popolazione.

E così i ricchi ottengono un altro risultato: le classi meno abbienti, vedendo sempre meno tutelati i propri interessi, rinunciano sempre più spesso a recarsi alle urne; è proprio tra i poveri, infatti, che aumenta l’astensionismo.

L’ovvia conseguenza è che si sta tornando di fatto a quella limitazione del diritto di voto ai possidenti, che era così cara ai liberali.

Non occorre una legge, che sarebbe assolutamente impopolare, che reintroduca il sistema censitario, perché è la realtà stessa che si impone: visto che se vado a votare non cambia nulla e le mie condizioni peggiorano chiunque vinca, perché dovrei andare a votare?

In effetti, negli ultimi decenni abbiamo assistito a una serie di leggi che apportavano tagli agli investimenti nella scuola pubblica e nel sistema sanitario nazionale, riducevano i diritti dei lavoratori, aumentavano la precarietà, sino a considerare i disoccupati degli sfaticati che non vogliono lavorare.

 E non di rado le leggi, che smontavano quelle che erano state conquiste ottenute con una dura lotta, erano opera proprio di quei partiti da cui sarebbe stato lecito attendersi invece la loro difesa.

E, almeno a parere di Canfora, tutto ciò ha avuto inizio, per quanto riguarda l’Italia, nel 1993.

 In quell’anno la cosiddetta ‘seconda’ Repubblica è «nata, con la riforma elettorale che ha instaurato il sistema ‘maggioritario’ e abrogato quello proporzionale» (L. Canfora, La democrazia. Storia di un’ideologia, Bari 2004: 315).

 Il proporzionale veniva criticato perché favoriva la frantumazione dei partiti, che ostacolava la creazione di alleanze solide, e quindi la stabilità dei governi.

 Il maggioritario, invece, era apprezzato perché favoriva la ‘governabilità’, intesa come capacità, di chi vince le elezioni, di prendere decisioni senza troppi ostacoli.

 In realtà, l’obiettivo era quello di ridurre la presenza in Parlamento delle forze d’opposizione: la governabilità, nei fatti, «consiste nella più spedita gestione del potere da parte dei ceti più forti» (ivi: 317).

 E le forze che rappresentavano i poveri sono cadute nel tranello, approvando il passaggio dal proporzionale al maggioritario.

Come se tutto ciò non bastasse, si sono ripetuti negli ultimi anni tentativi di modificare la Costituzione, sempre caratterizzati dall’intento di comprimere il ruolo del Parlamento e rafforzare i poteri dell’esecutivo, sino alle attuali proposte di un’elezione diretta del capo del governo o del capo dello Stato.

Se le cose stanno così, la conclusione può essere una sola: i ricchi ce l’hanno fatta! Hanno preso il potere incoraggiando le forze d’opposizione a rinunciare alle loro lotte, inducendo le classi meno abbienti ad allontanarsi dalle urne o, addirittura, convincendole a votare per chi in realtà si propone di ridurre i loro diritti.

Oggi, infatti, per arrivare al potere non occorre la forza: basta l’astuzia.

 I ricchi, che ovviamente agiscono per i propri interessi, riescono a convincere gli elettori che operano per il loro bene:

quindi, «devono esibire una realtà diversa, fittizia, artefatta, costruita con discorsi propagandistici, blandizie, regalie e spettacoli. […]

Così, l’oligarchia è il regime della menzogna, della simulazione» (G. Zagrebelsky, Tempo di oligarchie e di chiarimenti, La Repubblica 12‎/‎10‎/‎2016).

Sotto le apparenze della democrazia, la nostra (parliamo dell’Italia ma analisi simili potrebbero farsi per altri Paesi) è un’oligarchia:

un regime in cui la menzogna è ripetuta con tale abilità e tanta insistenza da essere scambiata per verità.

È grazie alla forza suggestiva della simulazione che il potere dei ricchi non trova praticamente oppositori, si consolida e tende a “rafforzarsi, estendersi ‘globalizzandosi’ e velarsi in reti di relazioni d’interesse politico-finanziario, non prive di connessioni malavitose protette dal segreto, sempre più complicate e sempre meno decifrabili”.

 

E vittime della menzogna sono anche le classi medie:

queste vengono facilmente convinte che è possibile arricchirsi ed entrare a far parte dei ceti privilegiati, a patto che non ostacolino il loro potere. E così, rileva amaramente Zagrebelsky, «il ceto medio deve stare al gioco, deve accettare, è lo schiavo affezionato al padrone. Se non ci sta, gli si dice che il suo destino è di entrare a far parte dei falliti della società» (Canfora, Zagrebelsky, La maschera democratica dell’oligarchia: 43).

Per i poveri, allora, non c’è più nulla da fare?

Al contrario, nota Zagrebelsky, ci sono spazi d’azione: «l’oligarchia, che per affermarsi ha bisogno di forme democratiche, quanto meno non può adottare strumenti di violenza esplicita per supplire al deficit di consenso, e deve mantenere ferme le procedure democratiche, sebbene cerchi di svuotarle dall’interno. E se le procedure restano ferme, c’è sempre la possibilità di rianimarle, di ridare al guscio il suo contenuto».

Quindi, cosa fare?

Anzitutto liberarsi dall’idea che la democrazia ci sia già:

«dal punto di vista degli esclusi dal governo, la democrazia non è una meta raggiunta, un assetto politico consolidato, una situazione statica. La democrazia è conflitto » (Zagrebelsky, Tempo di oligarchie).

Le classi inferiori possono ottenere qualcosa solo se combattono:

«in sintesi, la democrazia è lotta per la democrazia e non sono certo coloro che stanno nella cerchia dei privilegiati quelli che la conducono».

Quindi impegnarsi per contrastare il predominio dei ricchi, che hanno creato una società che è la negazione dell’articolo 3 della Costituzione: una società «dove la povertà e il disagio sociale sono abbandonati a se stessi, nella solitudine; dove il lavoro non è considerato un diritto, ma solo un fattore dell’impresa subordinato alla sua logica e dove i disoccupati e i precari sono solo un accidente fastidioso di un “sistema” e non un problema per tutti; dove l’istruzione e la cultura sono riservati ai figli di coloro che possono; dove la salute è il privilegio di chi può permettersi d’affrontare le spese che la sua cura comporta» (G. Zagrebelsky, Lezione sulla democrazia, 13/9/2010).

Se è la rinuncia alla lotta che assicura la vittoria dell’oligarchia, la soluzione è una sola, ed è evidente.

 L’oligarchia non è certamente facile da contrastare, ma non è imbattibile.

 Ciò che preoccupa, piuttosto, è il fatto che oggi si vedono poche forze politiche e sindacali pronte a una lotta dura, sempre nel rispetto delle regole democratiche, per tutelare i diritti dei poveri!

(Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023).

 

 

 

 

Disposizioni in materia

di fine vita.

  Senatoragazzi.it – (15 Marzo 2023) - Un giorno in Senato – Redazione – ci dice:

(Istituto di Istruzione Superiore Cambi Serrani, Falconara Marittima Ancona)

Testo finale.

ONOREVOLI SENATORI!

 Il percorso che ci siamo proposti cerca di analizzare l’annosa questione della correttezza morale della somministrazione della morte; tema controverso fin dagli albori della medicina.

Dal giuramento d’Ippocrate dove il medico s’impegnava a non somministrare alcun farmaco letale o abortivo;

al mondo classico che attraverso la filosofia morale, vedeva il suicidio con rispetto; all’epoca cristiana che, nella Summa Teologica di San Tommaso d’Aquino, affermava che il suicidio è peccato mortale perché contro l’amore che ogni essere deve portare a se stesso e alla società di cui è membro; nonché per il fatto che la vita è dono di Dio e quindi solo in Lui vi è il potere su di essa.

Il nostro lavoro mira ad esaminare il punto di arrivo della legislazione, le sue criticità ed i suoi pregi.

Partendo da casi famosi di suicidio assistito, quali Welby, Englaro, Forzatti, passa per i tre casi recentissimi avvenuti, quest’anno, nella nostra regione, le Marche.

Ma che sono anche i primi in Italia.

 Il primo caso è quello di Federico Carboni, tetraplegico da 10 anni che ha ingaggiato una battaglia legale con l'Azienda sanitaria Unica Regionale (Asur) per l'applicazione della sentenza della Consulta Cappato-Dj Fabo.

Finalmente, dopo vari ritardi, Federico è riuscito ad ottenere quella che l’Associazione Coscioni, ha definito “una svolta storica” e cioè la somministrazione del farmaco.

Allo stesso modo, Antonio, tetraplegico da 10 anni, è stato ammesso al suicidio assistito lo scorso agosto.

Un terzo caso è quello di Fabio Ridolfi, anche lui tetraplegico, che, nelle more degli ingranaggi procedurali, ha preferito optare per la sedazione profonda, pur suo malgrado perché molto più dolorosa per i congiunti.

Tuttavia, pur non essendo sfociato in suicidio assistito, va qui, secondo noi, annoverato.

 Il nostro percorso è volto alla stesura di una proposta di legge in tema di fine vita che abbiamo voluto intitolare “L’amore non ha limiti” per evidenziare come l’amore per un proprio congiunto possa arrivare fino al sacrificio anche estremo.

La Consulta, infatti, aveva aperto la strada al suicidio assistito ritenendo compatibile il diritto alla salute e la libertà di scegliere con l’art 580 c.p. che punisce l’aiuto e l’istigazione al suicidio.

Cioè i giudici costituzionali hanno ritenuto che la Costituzione, in particolare l’art 32 che sancisce la tutela della salute dell’individuo, sia compatibile con l’art 580 del c.p. che punisce l’aiuto al suicidio.

Quindi i medici che, nell’esercizio del loro lavoro, ritengano di aiutare un paziente a porre termine alle sue sofferenze, sono liberi di farlo.

Ovviamente, quello della Consulta è solo un suggerimento al Parlamento e quella che potrete leggere è la nostra proposta di legge.

Art. 1

(Ratio della legge e condizioni)

1) La presente legge della Repubblica ha lo scopo di liberare il paziente terminale, in condizioni irreversibili e prognosi infausta, dalle atroci sofferenze provate, attraverso la morte medicalmente assistita.

2) A tal fine è necessario che la persona che ne faccia richiesta sia pienamente capace d’intendere e di volere nonché di prendere decisioni libere e consapevoli sulla base dell’avvenuta adeguata illustrazione del caso clinico, in tutti i suoi aspetti, da parte del medico.

Art. 2

(Formazione del medico)

1) Il Medico deve essere formato, ex tunc, in ordine alle modalità di relazione col paziente e la sua formazione continua in itinere.

2) Egli deve conoscere le modalità peculiari di raccolta del consenso, relative a determinati trattamenti.

Art. 3

(Consenso informato) 1) Il medico, in virtù del principio di alleanza terapeutica col paziente, è tenuto ad informarlo in maniera chiara ed esaustiva su quanto, in toto, attiene all’ anamnesi, alla diagnosi, agli accertamenti necessari per raggiungerla, alla prognosi e alle conseguenti terapie e relativi rischi.

2) Per converso, il paziente, se lo desidera ha diritto a non essere messo al corrente della sua patologia e quanto ad essa concerne.

3) Il paziente può volere che, in sua vece, sia informato un suo familiare o altra persona da lui indicata. In assenza di tale volontà, il medico non può dare notizie a nessuno.

Art. 4

Fa parte delle competenze del medico usare un linguaggio semplice e comprensibile dando una realistica visione della malattia sapendo, però, dare elementi di speranza al paziente ed ai suoi familiari. Questo è un emendamento alla prima stesura.

4- Il consenso informato viene inserito nella cartella clinica e non è necessario in casi di trattamenti sanitari obbligatori.

Art. 5

Per l’esplicitazione del consenso è usata la forma scritta ma ad essa è equiparata la videoregistrazione o il consenso orale, alla presenza di due testimoni, quando il malato non può scrivere.

5 -Il malato è libero di accettare o rifiutare il trattamento sanitario ma non può esigere trattamenti contrari a norme di legge, anche deontologiche.

Art. 6

(Revoca del consenso prestato)

1) Il malato può revocare, in ogni momento, il consenso iniziale.

2) È equiparata al mancato inizio di trattamento, per effetto di consenso non prestato, l’interruzione dello stesso in itinere, dovuta alla volontà del paziente.

Art 2 bis- Tale interruzione non dipende dal tipo di patologia, dal suo stato di avanzamento o di trattamento ed è possibile attuarla sempre affinché non si realizzi il rischio di una scelta diversa, ab origine, causata dal timore di divenire prigionieri della scelta stessa.

3) Stante l’autodeterminazione, costituzionalmente garantita, del malato è, altresì, possibile revocare il consenso al trattamento intrapreso dal medico per stato di necessità ed in condizioni di non coscienza del paziente. La forma della revoca può essere diversa da quella con la quale il consenso è stato prestato inizialmente poiché potrebbero essere cambiate le condizioni fisiche del paziente. L’unico scopo è quello di realizzare la certezza della volontà del paziente.

Art. 7

(Consenso dell’incapace)

1) Il minore, l’interdetto e l’inabilitato esprimono la loro volontà attraverso il legale rappresentante ma è tenuta in considerazione la loro volontà secondo la capacità naturale che ne deriva. In caso di contrasto tra la volontà del minore e quella del rappresentante, decide il giudice tutelare.

Art. 8

(Eutanasia: condizioni)

1) Il paziente che chiede l’eutanasia deve avere, simultaneamente, i seguenti requisiti:

a) essere affetto da malattia, irreversibile e certificata, che porti a morte certa e fonte di sofferenze da lui considerate intollerabili.

b) essere tenuto in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale.

Sono considerati apparecchi di sostegno vitale che rappresentino condizioni di accesso alla procedura medicalmente assistita gli apparecchi di respirazione, nutrizione, idratazione, ventilazione, macchinari per dialisi, fleboclisi. Non sono considerati tali tutti quelli che, pur rappresentando in senso letterale un sostegno vitale (es pace maker), possono essere sostituiti con interventi o procedure ad hoc.

Art. 9

(Cure palliative)

1) Dicesi fase terminale di una malattia quella in cui la malattia non risponde più alle terapie che hanno come scopo la guarigione ed è caratterizzata da una progressiva perdita di autonomia della persona e dal manifestarsi di sintomi, sia fisici che psichici. È in questa fase che il controllo del dolore e degli altri disturbi, dei problemi psicologici, sociali e spirituali assume importanza primaria.

2) A tal fine il paziente, prima ancora di poter fare richiesta di ammissione all’eutanasia, deve essere ammesso alle cure palliative. Lo scopo delle cure palliative non è quello di accelerare né di ritardare la morte, ma di preservare la migliore qualità della vita possibile fino alla fine.

3) Solo se le cure palliative non dovessero sortire alcun effetto sarà possibile far predisporre al paziente la richiesta per l’eutanasia attiva o passiva, a seconda di una libera scelta informata e consapevole sempre che il paziente sia legato a trattamenti di sostegno vitali.

Art. 10

(Eutanasia attiva)

1) L’EUTANASIA ATTIVA è l’intervento compiuto dal medico, o da terzi, diretto ad interrompere la vita del paziente mediante la somministrazione di sostanze e farmaci o tramite il compimento di atti che, in quanto tali, siano causa di decesso.

a) il paziente deve soffrire di un dolore fisico insopportabile;

b) la morte deve essere inevitabile e vicina;

c) il paziente deve dare il consenso in maniera esplicita ed attuale;

d) il medico deve aver (inefficacemente) esaurito tutte le altre misure di sollievo dal dolore.

 

 Art. 11

(Eutanasia passiva)

1) L’EUTANASIA PASSIVA è l’intervento compiuto dal medico o da terzi diretto ad interrompere la somministrazione del trattamento terapeutico applicato al paziente, in modo tale che s’impedisca un prolungamento ingiustificato della vita in previsione della morte prossima.

2) Il paziente deve essere affetto da una malattia incurabile, e nelle fasi finali della malattia dalla quale difficilmente si riprenderà;

a) il paziente deve dare il consenso espresso all'interruzione del trattamento, e tale consenso deve essere ottenuto e conservato prima della morte. Se il paziente non è in grado di dare un consenso chiaro, il suo consenso può essere determinato da un documento pre-scritto come un testamento biologico o dalla testimonianza della famiglia;

b) il paziente può essere sottoposto all’eutanasia passiva interrompendo cure mediche, chemioterapia, dialisi, respirazione artificiale, trasfusione di sangue, fleboclisi, ecc.

Art. 12

(Accanimento terapeutico)

1) Nei casi di pazienti con prognosi infausta e a breve termine o imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e sproporzionati (accanimento terapeutico).

2) È considerato accanimento terapeutico la pratica ostinata di cure che risultano sproporzionate rispetto all’obiettivo terapeutico che deve essere la cura e non il “mantenere in vita”. Si sono create classificazioni dei trattamenti tipici dell’accanimento:

- trattamenti inutili.

 -trattamenti straordinari

 - trattamenti di sostegno vitale

3) I trattamenti inutili riguardano tutti quegli interventi che non incidono in maniera significativa sul naturale decorso della patologia o sulla miglior qualità della vita del paziente. I trattamenti straordinari riguardano il ricorso a mezzi terapeutici eccedenti le normali capacità che il paziente ha di usufruirne. È nella terza ipotesi (trattamenti di sostegno vitale) che si manifesta con evidente realtà l’accanimento terapeutico. Cioè l’ammalato viene trattenuto in uno stato di vita vegetativa persistente.

4) La terapia proporzionata è quella che trova un punto chiave tra i due eccessi dell’accanimento terapeutico e dell’abbandono terapeutico.

Art. 13

(Sedazione palliativa profonda)

1) In presenza di trattamenti refrattari ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua, in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.

2) Si considera terapia palliativa profonda la somministrazione intenzionale di farmaci ipnotici, alla dose necessaria richiesta, per ridurre il livello di coscienza fino a annullarla. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda o il rifiuto vengono motivati e annotati nel fascicolo sanitario elettronico.

3) Non costituiscono una forma di accanimento le terapie sperimentali perché mirate alla guarigione. Si può evitare qualsiasi forma di cura non desiderata attraverso la compilazione delle DAT.

Art. 14

(Disposizioni anticipate di trattamento)

1. a. Chiunque, in grado d’intendere o di volere, voglia disporre del proprio fine- vita, in merito a trattamenti sanitari, alle scelte diagnostiche o terapeutiche che intende o no accettare, può farlo, recandosi presso il proprio comune di residenza o presso la propria azienda sanitaria, consegnando scrittura privata, scrittura privata autenticata o atto pubblico che contenga disposizioni in merito. La consegna delle DAT è esente da tributi di alcun genere.

b. Qualora le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, possono essere espresse attraverso video registrazione o dispositivi elettronici.

c. Il soggetto potrà nominare un fiduciario. Se non è nominato o è, nel frattempo deceduto od è stato revocato, esse mantengono validità in ordine alla volontà del disponente.

d. Il medico potrà disattendere in tutto o in parte alle DAT, in accordo con il fiduciario, soltanto qualora esse appaiano palesemente incongrue e non corrispondenti alla condizione clinica del paziente; allorquando siano state individuate terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione che siano capaci di assicurare concrete possibilità di miglioramento.

e. In caso di disaccordo tra medico e fiduciario, decide il giudice tutelare. Di conseguenza il medico è esente da responsabilità sia civile che penale.

f. Le DAT sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento nelle stesse forme; in casi di necessità ed urgenza si potranno revocare con videoregistrazione o consenso espresso oralmente davanti a due testimoni.

g. È istituita presso il Ministero della salute una banca dati.

h. Nelle situazioni di necessità ed urgenza il medico e tutta la sua equipe devono attivarsi per il bene del paziente e solo qualora ciò non sia stato possibile, si farà riferimento alle DAT.

i. Se il paziente non ha sottoscritto, in precedenza, le disposizioni anticipate di trattamento il medico potrà scegliere la terapia che ritiene più indicata e ne darà comunicazione ai familiari.

Art. 15

(Regime sanzionatorio degli atti posti in essere senza consenso)

1) Se il medico attua atti diagnostici o terapeutici senza il consenso del malato, è punito senza che gli sia necessario dimostrare che, se l’obbligo informativo fosse stato correttamente svolto, il paziente avrebbe probabilmente rifiutato l’intervento cui si è sottoposto.

2) Il consenso informato è alla base del trattamento sanitario e, qualora manchi, è sicuramente presente un illecito, anche se la cosa è avvenuta nell’interesse del paziente. Trattasi di condotta omissiva cui segue una condotta commissiva punibile in sede civile con il risarcimento del danno ed in sede penale con la pena dell’arresto pari a 10 giorni.

Art. 16

(Suicidio assistito)

1) Colui che, a causa di una grave e lunga malattia, viva forti sofferenze fisiche e/o psicologiche che, secondo la letteratura medica non diano speranza di miglioramento alcuno, qualora consideri tali condizioni non dignitose per la sua persona, ha facoltà di decidere di porre fine alla sua esistenza tramite suicidio assistito. Egli potrà essere, pertanto, aiutato da un medico a morire dopo un’adeguata informazione.

2) Sarà il paziente stesso che, in modo autonomo e volontario, si somministrerà le sostanze necessarie per porre fine alle sofferenze che lo affliggono, da lungo tempo, senza speranza. L’atto che pone fine alla vita del soggetto sarà, quindi, dal punto di vista fisico, interamente posto in essere da lui mentre soggetti terzi si occuperanno di assistere la persona per tutti gli altri aspetti: ricovero, preparazione delle sostanze e gestione tecnica legale post mortem.

Art. 17

(La morte assistita come dovere d’ufficio)

1) Il personale sanitario e amministrativo coinvolto nella procedura non sarà considerato responsabile di aiuto al suicidio, omicidio del consenziente od omissione di soccorso. Per converso, s’intenderà adempiente ad un dovere d’ufficio se tutta la procedura di accesso sarà stata ex lege.

Art. 18

(L’obiezione di coscienza del medico)

1) Se il medico che si trova a dover dare seguito alle richieste di morte medicalmente assistita non vuole metterla in atto, dovrà essere sostituito dall’azienda sanitaria con un collega non obiettore in quanto è compito degli enti pubblici ospedalieri assicurare l’espletamento delle procedure di legge.

Art. 19

(Richiesta di ammissione alla procedura)

1) La richiesta di ammissione alla procedura deve essere fatta dal paziente per atto pubblico o scrittura privata autenticata. In essa deve risultare che la volontà si è formata liberamente e consapevolmente dopo adeguata illustrazione da parte dei medici in merito alle condizioni cliniche, alla prognosi e alle terapie.

2) Sono possibili forme alternative per acquisire il consenso del malato laddove le sue condizioni fisiche non gli consentano di scrivere. In tal caso si rende necessaria la presenza di due testimoni. La richiesta, in qualunque forma, raccolta deve essere inviata al medico di medicina generale che assiste il paziente. Egli prospetterà al paziente e, col suo consenso, anche ai familiari le conseguenze di quanto richiesto approntando misure di sostegno psicologiche adeguate. Successivamente, invia al Comitato etico di riferimento il rapporto valutativo delle condizioni del paziente, cliniche e psicologiche, morali e familiari. Lo informa, altresì, sulle motivazioni che l’hanno determinata.

Art. 20

(Parere del Comitato etico)

1) Il comitato etico territorialmente competente deve esprimere il parere favorevole, entro 40 giorni, all’ammissione e all’adeguatezza della procedura relativamente alla quale è stato interpellato. Il parere deve essere, successivamente, trasmesso al paziente e al medico inviante.

2) Quest’ultimo dovrà trasmettere quanto riceve all’azienda sanitaria locale o all’azienda ospedaliera di riferimento che deve attivare le verifiche necessarie a garantire che il decesso avvenga, presso il domicilio del paziente o, se ciò non è possibile, presso una struttura ospedaliera.

Art.2 bis I Comitati etici sono composti da medici specialisti, compresi i palliativisti, e da professionisti con competenze cliniche, psicologiche, giuridiche e sociali e bioetiche idonee a garantire il corretto ed efficace assolvimento dei compiti a loro demandati.

3) Il parere del Comitato etico deve essere obbligatorio e vincolante. Pertanto l’Asur non può procedere ad una sua valutazione se non il parere del CERM è negativo.

Art. 21

(Autorizzazione dell’asur di appartenenza)

1) Previo parere positivo del Comitato etico l’Azienda sanitaria di appartenenza delibera la presenza o meno dei requisiti richiesti dal paziente ed invia il tutto al Tribunale competente che autorizzerà la procedura di morte assistita.

Art. 22

(Norma transitoria)

1) I documenti atti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, depositati presso il comune di residenza o presso un notaio, prima della data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le disposizioni della medesima legge.

Art. 23

(Clausola di invarianza finanziaria)

1) Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

2) Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente codice con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Art. 24

(Relazione alle Camere)

1) Il Ministro della salute trasmette alle Camere, entro il 30 aprile di ogni anno, a decorrere dall'anno successivo a quello in corso, alla data di entrata in vigore della presente legge, una relazione sull'applicazione della legge stessa.

2) Le Regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di febbraio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministero della salute.

Art. 25

(Entrata in vigore)

1) La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.

2) È fatto obbligo, a chiunque spetti, di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Approfondimento.

Approfondimento normativo.

Vogliamo adesso approcciare insieme il mondo del diritto e quello della bioetica relativamente al diritto alla salute, all’autodeterminazione, alla tutela della dignità personale nella malattia fino alla morte, al principio di autonomia messo, però, anche a confronto con quello di solidarietà. Infatti è su questi temi che diritto e bioetica si confrontano sul terreno complesso del diritto di ogni persona di rinunciare a quelle cure che presentano un sostegno vitale per il malato ex art. 1 della legge n 219 del 2017.

L’interrogativo di fondo è se il diritto di rifiutare o interrompere le cure vitali incontri dei limiti, vale a dire se il diritto all’autodeterminazione terapeutica debba sempre prevalere o invece debba cedere di fronte ad altri diritti fondamentali, eticamente rilevanti e costituzionalmente protetti. I valori in gioco sono molteplici. Alla legge n 219 del 2017 sul testamento biologico si è arrivati nell’evidenza del vuoto normativo evidenziato da casi famosi come quello di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e DJ Fabo. Tutti questi casi sono precedenti alla legge sul testamento biologico del 2019 e, quindi, queste morti sono avvenute sulla base di modalità diverse. Welby chiese con ricorso che il magistrato autorizzasse il distacco del respiratore, invocando il diritto alla salute, ex art 32 della Costituzione, e quello alla libertà personale ex art 13 sempre della nostra legge fondamentale. Il 16 dicembre 2006 il giudice dichiarò l’inammissibilità della proposta di Welby, seppure riconobbe l’esistenza di un diritto soggettivo sulla base dell’articolo 32 della Costituzione, su cui però mancava una tutela giuridica: tradotto, in Italia non esisteva un impianto normativo adeguato che regolamentasse il Fine Vita. Nelle more procedurali Welby ottenne la desiderata morte grazie all’intervento del dr M.Riccio, un medico anestesista che si fece carico del desiderio di Welby e procedette alla sedazione del paziente che provocò, entro mezz’ora, un arresto cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria causata dall’impossibilità del paziente di respirare meccanicamente in maniera spontanea, dovuto alla distrofia da cui era colpito. Nel luglio dello stesso anno, il medico fu prosciolto in quanto il fatto non costituiva reato. Il giudice riconobbe che il comportamento rientrava nella norma dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), ma sottolineò che la condotta del medico era stata portata avanti in un contesto di relazione terapeutica, difesa dalla Costituzione. Insomma, il medico aveva adempiuto a un dovere imposto da una norma giuridica che non poteva essere punito (articolo 51 del codice penale).

Altro caso famosissimo è quello di Eluana Englaro che, però, fu molto più complicato nella decisione dei giudici perché la ragazza, caduta in coma all’età di vent’anni, non aveva la possibilità di esprimere la propria volontà, rendendo così impraticabile l’applicazione dell’art. 32 Costituzione. Inoltre, Eluana non era attaccata ad un dispositivo medico per la ventilazione artificiale, dunque ci si domandava se la mera nutrizione del paziente che, pur essendo in coma irreversibile, respira, sia da considerarsi come “cura medica” e per ciò stesso ricadente nella fattispecie indicata dall’art. 32 Cost. Siffatte argomentazioni, nel 1999, inducono il Tribunale di Lecco a respingere la richiesta di Beppino Englaro di lasciar morire la figlia, poiché il supporto alla nutrizione non viene visto come una cura medica. Il padre, riaffermando che tale situazione di stato vegetativo permanente, fosse lesiva della dignità della figlia ripresentò un nuovo ricorso per la richiesta di sospensione dell’alimentazione artificiale della figlia che, però, venne respinta nuovamente sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello di Lecco. Englaro impugna in Cassazione; quest’ultima sentenzia che il giudice può autorizzare l’interruzione delle cure o dell’alimentazione artificiale se “la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”.

 In secondo luogo, la Corte sostiene che è necessario, altresì “che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della volontà del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona. Nel giudizio si merito sono stati ascoltati i familiari e gli amici di Eluana che hanno testimoniato l’inequivocabile volontà di Eluana di lasciarsi morire in siffatte condizioni portando alla luce commenti e convinzioni della paziente allorquando a cadere in coma irreversibile fu una persona di sua conoscenza.

Il vero quesito posto dal caso Englaro è se il ‘valore’ presidiato dalla Carta costituzionale sia la vita in se o, piuttosto, la ‘dignità’ dell’esistenza, intesa come condizione umana non degradante ma capace di consentire alla persona di vivere senza una sofferenza insopportabile, idonea a tradursi in vera e propria condanna, tortura.

Altro caso determinante al fine della redazione della nuova normativa sul fine vita è stato quello di Fabio Antoniani, meglio conosciuto come D. J Fabo che era rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale. Fabiano Antoniani scelse di morire con il suicidio assistito in svizzera, il 27 febbraio del 2017. Egli fu accompagnato in Svizzera da Marco Cappato, esponente dell’associazione Luca Coscioni incriminato per aiuto al suicidio. Il caso era stato rinviato ai giudici costituzionali che avevano chiesto un intervento del Parlamento per colmare il vuoto legislativo. Tuttavia, non avendo il legislatore normato in tal senso, la Corte ha, con sentenza, aperto la strada al suicidio assistito nel settembre del 2019; la qual cosa ha portato, ovviamente, all’assoluzione di Marco Cappato “perché il fatto non sussiste.”

  Infatti, L’art. 580 del codice penale punisce chiunque determini altri al suicidio o chiunque ne rafforzi il proposito o ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione. È una norma che ha chiaramente la sua logica, e che è fondamentale in uno Stato come il nostro che tutela la vita. Tuttavia, diventa irragionevole laddove non preveda alcuna eccezione, neppure nel caso di un uomo da anni costretto a vivere in condizioni miserabili, afflitto da una patologia degenerativa e irreversibile. Era questo il caso, tra i tanti, di Dj Fabo.

Al momento non esiste, quindi, una legge che definisca le modalità del suicidio assistito che, pertanto, è regolato in via giurisprudenziale, come detto prima. Tuttavia era ferma al Senato una proposta di legge che era già stata approvata alla Camera  e che prevedeva che la richiesta dovesse essere indirizzata dal medico di medicina generale o dal medico che ha in cura il paziente. Spetterà poi al comitato di valutazione clinica dare il via libera.

 

I medici e in genere il personale sanitario avrebbero potuto sollevare l'obiezione di coscienza. Però gli ospedali pubblici sarebbero stati tenuti, in ogni caso, ad assicurare che fosse possibile esercitare il diritto al suicidio assistito. Le Regioni avrebbero dovuto controllare nel merito. Nel testo era espressamente riconosciuta l'esclusione della punibilità per i medici e il personale sanitario con la conseguenza che gli articoli del codice penale 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) non si sarebbero applicati ai sanitari chiamati ad intervenire nel suicidio assistito. Non sarebbe stato punibile chi sia stato condannato, anche con sentenza passata in giudicato, per aver agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente assistita di una persona prima dell'entrata in vigore della legge.

L’unico intervento normativo in vigore sul tema di fine vita risale alla legge sulle DAT, disposizioni anticipate di trattamento; meglio noto come testamento biologico.  Quest’ultimo è un documento che esprime la scelta di una persona riguardo alle terapie da prescrivere nel caso, per malattia o incidente, non fosse più in grado di esprimere una sua volontà. Infatti, secondo l’art 4 della legge, ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere può, nelle Disposizione Anticipate di Trattamento (DAT), esprimere la propria volontà in materia di trattamenti sanitari, indicando un fiduciario che lo rappresenti al fine di evitare l’accanimento terapeutico, oppure definire le modalità della sua sepoltura e dare il consenso all’espianto degli organi.

 Il paziente ha il diritto di rifiutare in tutto o in parte i trattamenti e di revocare il consenso prestato, sulla base del quale è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico.  E’ stato stabilito che Nutrizione e idratazione artificiale sono da considerarsi trattamenti sanitari e, quindi, rientranti nell’art 32 della Costituzione e, come tali, rinunciabili. Inoltre, il medico deve rispettare la volontà del paziente ed è “esente da responsabilità civile e penale”.

Viene garantito lo svolgimento da parte dei medici di un’appropriata terapia del dolore. Nel caso di prognosi infausta a breve o imminenza della morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole di cura e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati.

Viene introdotta la pianificazione delle cure condivisa tra medico e paziente relativa alle conseguenze di una patologia cronica e invalidante e contraddistinta da un’inarrestabile evoluzione con prognosi infausta.

In seguito al caso di Fabio Antoniani, DJ Fabo per i più, la cui morte avvenne per suicidio assistito nel febbraio del 2017 si riaprono le discussioni  sul fine vita. Infatti Marco Cappato, accompagnando in Svizzera DJ Fabo, fu incriminato di aiuto al suicidio e sottoposto a processo. Durante il processo, davanti alla Corte D’assise di Milano, venne sollevata la questione di legittimità costituzionale relativamente all’art 580 c.p. che prevede l’aiuto al suicidio. La sentenza della Corte Costituzionale n 242 del 2019  escluse la punibilità di chi , in osservanza alle norme della stessa legge, agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile , fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente». E questo perché la punibilità dell’aiuto al suicidio ex art 580 c.p sarebbe in contrasto con la Costituzione relativamente agli articoli 32, che sancisce il diritto alla salute a al rifiuto delle cure, all’art 13, che sancisce l’inviolabilità della libertà personale e ai sensi dell’art 2 sempre della nostra legge fondamentale che sancisce la salute come diritto umano inviolabile.

Ovviamente la questione va legiferata dal Parlamento ma, come si è già detto, il testo è fermo al Senato e, conseguentemente, si va avanti su base giurisprudenziale fintanto che il vuoto legislativo non sarà colmato.

In merito all’eutanasia vera e propria lo scorso anno la Corte Costituzionale ha bocciato l’ammissibilità del referendum in materia affermando che, secondo il quesito referendario l’eutanasia attiva avrebbe potuto essere consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza resa dalla Consulta sul cd. “Caso Cappato”, tuttavia sarebbe restata punita ove il fatto fosse stato posto in essere contro una persona incapace, ovvero nei confronti di una persona il cui consenso sarebbe stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di diciotto anni.

In altre parole, l’eventuale abrogazione parziale della norma penale in parola, nei termini emarginati dal quesito, avrebbe fatto venir meno il divieto assoluto dell’eutanasia, consentendola limitatamente alle forme previste dalla Legge n. 219/2017 in materia di consenso informato. La pronuncia della Consulta depositata il 15 febbraio

La Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile il quesito referendario in quanto non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana.

Approfondimento tematico.

Crediamo che, alla base di qualunque discorso sulla morte sia doveroso ricordare il famoso giuramento d’Ippocrate, un medico dell’antica Grecia (460 a.c.) considerato il padre della medicina scientifica. Egli ebbe il merito di riassumere le conoscenze mediche delle scuole precedenti e di descrivere le pratiche per i medici. In particolare egli formulò il famoso giuramento d’Ippocrate che recita: : «Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo. Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte».

Con Ippocrate cioè, per la prima volta, la morte comincia ad essere trattata nel senso di “dolce morte”, non secondo la corrente accezione moderna di anticipare la fine della vita ma di preservarla il più possibile dall’atroce dolore provocato da determinate malattie.

Successivamente, l’eutanasia ebbe un profilo sociale cioè era stata volta ad eliminare gli individui malati e, quindi, ritenuti inadatti a contribuire al bene sociale. Si pensi a Sparta dove i bambini inidonei fisicamente e psichicamente dovevano morire abbandonati dal padre sul monte Taigeto.

Il primo a parlare di eutanasia fu il filosofo Francesco Bacone cancelliere calvinista del XV secolo che vede  la scienza e la tecnologia come alleata della fede e al tempo stesso del regnum Dei e ad majorem Dei gloriam. Per lui le finalità della fede coincidono con alcune finalità di grande rilevanza umana tra cui c’è anche quella del dovere della scienza medica di portare sollievo ai pazienti sofferenti che vanno dunque trattati come persone e non come un caso astratto di etica.

Per Bacone la medicina deve preoccuparsi non solo di ristabilire la salute ma anche di mitigare il dolore sia quando l’obiettivo sia la guarigione sia quando, pur mancando tale speranza, l’obiettivo sia una morte più serena e placida. Infatti egli afferma che i medici, per essere coerenti al loro ufficio e alla loro umanità, dovrebbero imparare l’arte di aiutare gli agonizzanti ad uscire da questo mondo con più dolcezza e serenità. Dal termine “agonizzanti”, che Bacone usa, sembra che egli sia orientato verso le cure palliative o meglio verso una moderna terapia del dolore piuttosto che verso una terapia letale cioè una terapia intenzionalmente predisposta a dare la morte. Quindi il suo concetto di eutanasia è volto a lenire le sofferenze nell’attesa della morte ma è non un’anticipazione della morte.Passiamo adesso alla visione eutanasica dei giorni nostri. Riassumiamo in breve i termini specifici nel merito: eutanasia attiva, eutanasia passive e suicidio assistito.

- L’EUTANASIA ATTIVA: è l’intervento compiuto dal medico o da terzi diretto ad interrompere la vita del paziente mediante la somministrazione di sostanze e farmaci o tramite il compimento di atti che, in quanto tali, siano causa di decesso.

- EUTANASIA PASSIVA: è l’intervento compiuto dal medico o da terzi diretto ad interrompere la somministrazione del trattamento terapeutico applicato al paziente, in modo tale che s’impedisca un prolungamento ingiustificato della vita in previsione della morte prossima.

Il Suicidio assistito, invece, prevede l’aiuto medico per la preparazione di un mix di sostanze e farmaci che coadiuvano la morte dolce. L’azione finale è, però, svolta dalla persona che ha scelto il suicidio.

Chiariti i diversi termini, di seguito, vediamo le basi delle due diverse correnti: quella pro eutanasia e quella contro.

Posto che il diritto alla vita è un diritto umano consacrato giuridicamente nella Dichiarazione dei Diritti dell’ONU del 1948 e nella Carta dei Diritti fondamentali dell’UE del 2000, vediamo in questa sede le due posizioni: quella cattolica e quella laica per evidenziare come la nostra scelta sia stata ponderata.

La visione religiosa della vita si basa sulla sua sacralità e, di conseguenza, la sua indisponibilità. Dio, cioè, nel suo grande amore offre ad ognuno di noi un disegno di salvezza tale da affermare che la vita è sempre un bene e che, quindi, passa attraverso la realizzazione di quel disegno. Posto questo assunto, sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla ma, al contrario, significa disconoscere la sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, e il valore della sua vita, negandogli ogni ulteriore possibilità di relazione umana, di senso dell’esistenza e di crescita teologale.

Quindi, Dio creatore offre all’uomo la vita e la sua dignità come un dono prezioso da custodire ed incrementare e di cui rendere conto ultimamente a Lui.

Una persona che sceglie di togliersi la vita rompe la sua relazione con Dio e con gli altri e nega sé stessa come soggetto morale. Il suicidio assistito ne aumenta la gravità perché il paziente, chiedendo aiuto ad un'altra persona, l’induce a non indirizzare la sua volontà verso Dio e a non riconoscere il vero valore della vita e a rinnegare la speranza.

Inoltre, anche se la domanda di eutanasia o suicidio assistito nasce da angoscia e disperazione (e la responsabilità personale può essere diminuita o addirittura non sussistere), ciò non modifica la natura dell’atto omicida commesso da chi sta accanto al paziente.  Ogni operatore sanitario deve essere al servizio della vita e non della morte. Infatti non esiste un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita per cui nessun operatore sanitario può farsi tutore di un diritto inesistente.

Il quinto comandamento “non uccidere” è un sì alla vita anche verso il prossimo. Il cristiano deve aiutare il moribondo a liberarsi dalla disperazione e a permettere la sua speranza in Dio. L’ammalato deve sentirsi accolto e circondato da amorevole presenza e non abbandonato dal suo destino di sofferenza e morte.

Coloro che fanno approvare leggi a favore dell’eutanasia si rendono complici del grave peccato che altri eseguiranno. E coloro che operano suicidio assistito od eutanasia sono partecipi di un grave illecito penale cioè l’omicidio del consenziente. Il paziente che chiede la collaborazione a tali pratiche rende partecipe un altro della propria disperazione inducendolo a non indirizzare la volontà verso il mistero di Dio attraverso la virtù teologale della speranza.  Inoltre, Così come non si deve anticipare, per propria volontà, la morte neppure ci si deve accanire dal punto di vista terapeutico.

D’altro canto, non è lecito sospendere le cure efficaci per sostenere le funzioni vitali finché l’organismo è in grado di beneficarvi (idratazione, nutrizione, respirazione). Queste azioni causano grave insensibilità verso il malato e fanno pensare che idratare e nutrire un malato in stato d’incoscienza e senza prospettive di guarigione sia immorale. In tal senso Papa Francesco ha parlato di “cultura dello scarto” facendo riferimento agli esseri umani più fragili che rischiano di essere scartati da un ingranaggio che vuole essere efficiente a tutti i costi. Si tratta, per i cristiani, di un fenomeno culturale fortemente antisolidaristico che Giovanni Paolo 2 qualificò come “cultura di morte".

Questi supporti non sono terapie mediche ma una cura dovuta alla persona del paziente, un’attenzione umana ineludibile.

Un’altra argomentazione contro l’eutanasia è il cosiddetto “pendio scivoloso” che sarebbe pericoloso per più ragioni: intanto darebbe ai medici un potere decisionale sproporzionato. In seconda battuta aprirebbe una diatriba sulle malattie rientranti nell’eutanasia e quelle non rientranti. Ancora, giustificherebbe una riduzione delle spese per la ricerca medica di trattamenti efficaci contro determinate malattie. Inoltre potrebbe rappresentare la fine della vita per quelle persone cui è stata erroneamente diagnosticata una malattia terminale.

Inoltre, nella lettera Samaritanus Bonus della Congregazione per la dottrina della Fede del 2020, è posto in evidenza il solidarismo della visione cattolica della vita in contrapposizione all’individualismo della visione laica. E cioè i principi di accoglienza e di solidarietà che permeano la visione cattolica del diritto alla vita si scontrano con il principio individualista laico che pone la libertà di autodeterminazione del singolo prima di tutto. Il buon Samaritano è colui che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, ebbe compassione di un uomo assalito e spogliato dai briganti che, invece, sia un sacerdote che un levita, avevano ignorato nel loro cammino. Egli gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.”

Sempre in questa parabola, Gesù chiese a colui che gli aveva chiesto cosa fare per avere la vita eterna: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».

È quindi fondamentale la pietas come accoglienza e solidarietà verso prossimo.

A sostegno della posizione del Magistero sono le cure palliative.

La parola palliativo deriva dalla parola latina pallium che significa mantello, protezione.

Per cure palliative si intende “l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”.

Le cure palliative, quindi, sono quell'insieme di cure, non solo farmacologiche, volte a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato in fase terminale che della sua famiglia.

La fase terminale è una condizione irreversibile in cui la malattia non risponde più alle terapie che hanno come scopo la guarigione ed è caratterizzata da una progressiva perdita di autonomia della persona e dal manifestarsi di disturbi (sintomi) sia fisici, ad esempio il dolore, che psichici. In queste condizioni, il controllo del dolore e degli altri disturbi, dei problemi psicologici, sociali e spirituali assume importanza primaria.

Lo scopo delle cure palliative non è quello di accelerare né di ritardare la morte, ma di preservare la migliore qualità della vita possibile fino fine. Le cure palliative non possono prescindere da una terapia del dolore che spesso si associa alla cura della persona che sta affrontando l'ultimo periodo della sua vita. Vengono quindi utilizzati sia metodi farmacologici contro il dolore che non farmacologici di supporto (psicologici, cognitivi, comportamentali, agopuntura, massaggio, fisioterapia, terapia occupazionale, meditazione, terapie artistiche, musicoterapia…). Il dolore è, infatti, fra tutti i sintomi, quello che più mina l'integrità fisica e psichica del malato e che più angoscia e preoccupa i familiari, con un notevole impatto sulla loro qualità della vita fino alla fine.

D’altro canto, davanti ad una sofferenza qualificata come insopportabile si giustifica la fine della vita del paziente in nome della compassione; I laici sostengono che, per non soffrire più, sia meglio morire.  E danno un’altra lettura del termine compassione. Per loro, infatti, essa consiste nell’aiutare il paziente a smettere di soffrire attraverso l’eutanasia o il suicidio assistito.

Ciò che rende difficile riconoscere il senso della vita propria e altrui, dentro le relazioni, è un individualismo crescente che induce a vedere gli altri come minaccia o limite alla libertà. Ciò auspica la liberazione della persona dai limiti del suo corpo, soprattutto quando fragile e ammalato.

Quindi, coloro che non credono mettono al centro della loro visione due concetti: quello dalla disponibilità della loro vita e quello della sua dignità. La vita non è sacra, né in senso biologico né in senso biografico, quello che può essere ritenuto sacro, nel senso di intoccabile e irrinunciabile, è il diritto del singolo individuo all’autodeterminazione nel rispetto della sfera altrui. In questo caso l’individuo ha il diritto di decidere per sé il criterio che determina quando una vita sia decorosa e biologicamente funzionale. A proposito del principio dell’autodeterminazione, che ispira la bioetica laica.

La bioetica laica vede nel progresso della conoscenza la fonte principale del progresso dell’umanità, perché è soprattutto dalla conoscenza che deriva la diminuzione della sofferenza umana. Ogni limitazione alla ricerca scientifica imposta nel nome dei pregiudizi che questa potrebbe comportare per l’uomo equivale in realtà a perpetuare sofferenze che potrebbero essere evitate.

Posta questa dicotomia, dopo ampia discussione in classe, la maggioranza si è espressa per una visione laica della vita e, quindi, il disegno di legge che abbiamo redatto contiene norme pro-eutanasia. Ciò rispetta anche la cultura laica del nostro stato a seguito della modifica del Patti Lateranensi del 1984.

 

 

 

Geoingegneria: Avviato Esperimento

per Deflettere la Luce Solare.

Conoscenzealconfine.it – Redazione -  (17 Aprile 2024) – ci dice:

 

A San Francisco stanno iniettando “aerosol” nell’atmosfera per raffreddare la superficie terrestre seguendo un progetto di “Bill Gates”.

Dietro c’è “Bill Gates”…

Questo esperimento di geoingegneria è stato tenuto totalmente segreto al pubblico:

(scientificamerican.com/article/geoengineering-test-quietly-launches-salt-crystals-into-atmosphere/) perché non volevano essere intralciati dalle persone contrarie, perché un esperimento simile che l’università di Harvard voleva tenere in Svezia è stato bloccato a causa delle proteste.

Solo il “New York Times” è stato informato, in un articolo (nytimes.com/2024/04/02/climate/global-warming-clouds-solar-geoengineering.html) ha mostrato il cannone attraverso il quale vengono sparate queste particelle di cristalli di sale (NaCl) nell’atmosfera, ed è stato spiegato che lo scopo è schiarire le nuvole per renderle più capaci di riflettere la luce del Sole, in modo che si scaldi meno la superficie terrestre.

L’articolo spiega che questo esperimento è il risultato di un progetto di “Bill Gates”, perché lo stesso cannone che viene usato a San Francisco deriva da un prototipo elaborato sotto un finanziamento di “Bill Gates” (economictimes.indiatimes.com/small-biz/sustainability/as-earth-overheats-scientists-test-way-to-repel-suns-rays/articleshow/109021782.cms?from=mdr) da parte di “Neukermans” ceduto alla” SRI International” che ha iniziato l’esperimento vero e proprio.

Come riportato nel PDF del progetto (drive.google.com/file/d/1iJWCk5wGhAWbFPFcVftBojoO3_kqBA-o/view), il fine è modificare le nuvole marine e di conseguenza il clima marino, per cui dopo questo primo tentativo alla baia di San Francisco si muoveranno con delle navi in mare aperto e poi nell’oceano e bombarderanno le nuvole da lì.

I Rischi Socio Politici.

In questo studio (journals.uchicago.edu/doi/epdf/10.1093/reep/reu011) si sostiene che una società in cui la geoingegneria è pratica diffusa, sarebbe sotto il controllo di tecnocrati che possono modificare il clima a piacimento.

 Presenta poi il “problema della terminazione”:

una volta che si inizia con la geoingegneria, il clima ne diventa dipendente e non sarà più possibile smettere di praticarla perché ogni intervento di geoingegneria andrà a disturbare qualcosa nell’ecosistema, che dovrà essere sistemato con un altro intervento, e così all’infinito.

L’altro rischio evidenziato nell’articolo, ma che ormai è una certezza visto ciò che è successo a San Francisco, è l’impiego unilaterale di questi strumenti che possono portare a vantaggi a breve termine per gli Stati che li usano e forti ripercussioni a lungo termine per gli stati che li subiscono, andandosi a configurare come una vera e propria arma.

Come aggiunge questo studio (science.org/doi/10.1126/science.abj3679), se pochi tecnocrati hanno il potere di modificare il clima e la temperatura, questo renderebbe le popolazioni ancora più soggette alle élite e aumenterebbero anche le tensioni geopolitiche tra i paesi che potranno implementarla per seguire i loro propri obiettivi strategici sempre ai danni della popolazione.

Infine, questo altro studio (sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0095069623000724) mostra che la geoingegneria può essere utilizzata come” arma per ricattare interi stati a seguire l’agenda green”, minacciando pratiche di geoingegneria nel caso ci si rifiutasse di ridurre le emissioni.

 

Danni alla Natura.

Secondo questo studio (nature.com/articles/s41467-017-01606-0), la geoingegneria può provocare dei veri cambiamenti climatici.

Il modello in questione misura gli effetti di un raffreddamento indotto sulla superficie del Nord Atlantico e di come ciò possa comportare forti venti e siccità nel mondo occidentale.

Al contrario, un raffreddamento del Sud Atlantico aumenterebbe le precipitazioni;

 infine, in media l’iniezione di aerosol nell’atmosfera tenderà ad aumentare sia la frequenza degli uragani sia la loro forza.

 

Questo altro studio (pnas.org/doi/10.1073/pnas.1921854118), oltre alla siccità e alle alluvioni elenca altri effetti:

riducendo la temperatura verrà ridotta la capacità delle piante di fare la fotosintesi e di assorbire nutrienti dal terreno.

Come spiega poi questo studio (royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rspa.2019.0255#d1e289), questi danni sono irreversibili;

inoltre, non essendoci studi sulla sicurezza, né si possono fare senza mettere a rischio la natura, potrebbero emergere ulteriori effetti avversi imprevedibili che potrebbero causare ulteriori danni.

Conclusioni.

La narrazione delle” emissioni di CO2” viene usata dalle élite per coprire i misfatti della geoingegneria e allo stesso tempo per preparare le masse ad accettare la geoingegneria stessa.

(t.me/dereinzigeitalia).

 

La “fine del mondo” si avvicina?

L’Orologio dell’Apocalisse

lo svelerà domani.

Meteo.eu - Filomena Fotia – (22 Gen.2024) – ci dice

 

Siamo vicini alla "fine del mondo"? La risposta sta nelle nostre mani, e il "Doomsday Clock" segna il conto alla rovescia.

Guerre, armi nucleari, cambiamenti climatici: la “fine del mondo” si avvicina? L’Orologio dell’Apocalisse lo svelerà domani.

 Il “Bulletin of the Atomic Scientists”, custode del “Doomsday Clock “, annuncerà alle 16 di domani, 23 gennaio, se l’orario del celebre orologio deve essere modificato.

 Cosa significherà per noi e per il nostro pianeta?

Cos’è l’Orologio dell’Apocalisse?

L’Orologio dell’Apocalisse è un orologio simbolico gestito dal “Bulletin of the Atomic Scientists”, che mostra quanto ritengono vicina l’umanità ad una catastrofe globale.

Utilizza l’immagine simbolica della mezzanotte, che rappresenta la distruzione, e il conto alla rovescia verso lo zero di un’esplosione nucleare, per comunicare l’urgenza delle minacce che incombono sull’umanità.

L’Orologio dell’Apocalisse è un progetto che avverte il pubblico su quanto siamo vicini a distruggere il nostro mondo con tecnologie pericolose, di nostra creazione.

È una metafora, un promemoria dei pericoli che dobbiamo affrontare se vogliamo sopravvivere sul pianeta.

 I “minuti alla mezzanotte” simboleggiano quanto siamo vicini alla catastrofe, al nostro stesso annientamento, alla “fine del mondo” metaforica.

Nonostante possa sembrare spaventoso, lo scopo dell’Orologio è informativo, e i suoi principali obiettivi includono:

Avvertire il pubblico sui pericoli esistenziali che noi stessi abbiamo creato, principalmente le armi nucleari e il cambiamento climatico;

Promuovere azioni per mitigare queste minacce e garantire un futuro più sicuro per l’umanità.

La storia dell’Orologio dell’Apocalisse.

È stato creato nel 1947 da scienziati coinvolti nel “Progetto Manhattan”, poco dopo lo sviluppo della bomba atomica.

Inizialmente incentrato sulle minacce nucleari, si è ampliato nel 2007 per includere il cambiamento climatico e altre minacce per la nostra esistenza.

Impostazione attuale.

L’Orologio dell’Apocalisse segna attualmente 90 secondi alla mezzanotte, il valore più vicino alla “fine del mondo” simbolica mai registrato.

Questa impostazione è principalmente dovuta all’escalation della guerra in Ucraina e all’aumento dei pericoli legati alla proliferazione delle armi nucleari.

L’aggiornamento dell’Orologio.

I custodi dell’Orologio dell’Apocalisse, il “Bulletin of the Atomic Scientists”, svelerà l’impostazione del 2024 attraverso una conferenza stampa virtuale.

Questo orologio simbolico si avvicina alla mezzanotte mentre l’umanità vacilla sull’orlo dell’auto-distruzione.

 Il “Science and Security Board” (SASB), assistito dalla saggezza di 9 Premi Nobel, valuta il destino del mondo prima di impostare l’Orologio.

Alla conferenza stampa di domani saranno presenti:

“Bill Nye”: educatore scientifico, ingegnere, personaggio televisivo;

“Rachel Bronson”: Presidente e CEO, Bulletin of Atomic Scientists;

“Daniel Holz”: Presidente, SASB, Professore di Fisica all’Università di Chicago;

“Asha George”: Membro di SASB, direttore esecutivo della Commissione sulla Biodefesa;

“Alexander Glaser”: Membro di SASB, Professore all’Università di Princeton:

“Herb Lin”: Membro di SASB, esperto di politiche informatiche presso l’Università di Stanford:

“Ambuj Sagar”: Membro di SASB, Professore presso l’ “IIT Delhi.”

L’Orologio non è solo un annuncio di sventura: è un allarme che ci esorta a trovare soluzioni.

 Invita all’azione unitaria contro le minacce artificiali e prematuramente vicine alla mezzanotte.

Possiamo spingere collettivamente le lancette lontano dall’annientamento?

 La risposta sta nelle nostre mani, e l’Orologio segna il conto alla rovescia.

Negli ultimi anni, l’“Orologio dell’Apocalisse” è stato spesso spostato più vicino alla mezzanotte a causa delle preoccupazioni crescenti riguardo alle minacce globali, tra cui il cambiamento climatico, le tensioni geopolitiche e l’instabilità politica.

È importante notare che la posizione delle lancette orologio è simbolica e non riflette una misurazione scientifica precisa, ma serve piuttosto come strumento per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni globali critiche.

 

 

 

La guerra atomica e

la fine dell’umanità.

 

Quodlibet.it – (7 ottobre 2022) – Giorgio Agamben – ci dice:

Nel 1958 “Karl Jaspers” pubblica col titolo” La bomba atomica e il futuro dell’umanità” un libro in cui intende mettere radicalmente in questione – come recita il sottotitolo – “La coscienza politica del nostro tempo”.

 La bomba atomica – esordisce nella premessa – ha prodotto una situazione assolutamente nuova nella storia dell’umanità, ponendola di fronte all’inaggirabile alternativa:

 «o l’intera umanità sarà fisicamente distrutta o l’uomo deve trasformare la sua condizione etico-politica».

 Se in passato, com’era avvenuto agli inizi delle comunità cristiane, gli uomini si erano fatte delle «rappresentazini irreali» di una fine del mondo, oggi per la prima volta nella sua storia, l’umanità ha la «possibilità reale» di annientare sé stessa e ogni vita sulla terra.

 Questa possibilità, anche se gli uomini non sembrano rendersene pienamente conto, non può che segnare per la coscienza politica un nuovo inizio e implicare «una svolta nell’intera storia dell’umanità».

A quasi settant’anni di distanza, la «possibilità reale» di un’autodistruzione dell’umanità, che sembrava scuotere la coscienza del filosofo e coinvolgere immediatamente i suoi lettori (il libro fu ampiamente discusso) sembra diventata un fatto ovvio, che i giornali e gli uomini politici evocano ogni giorno come un’eventualità assolutamente normale.

A furia di parlare di emergenza – in cui l’eccezione diventa come si sa la regola – l’evento che “Jaspers” considerava come inaudito si presenta come un’occorrenza tutto sommato banale di cui si tratta per gli esperti di valutare l’opportunità e l’imminenza.

Dal momento che la bomba ha cessato di essere una «possibilità» decisiva per la storia dell’umanità e ci riguarda invece da vicino come una «casualità» fra le altre che definiscono una situazione di guerra, sarà bene allora riconsiderare da capo la questione, che forse non era stata posta nei suoi termini propri.

 

Tredici anni dopo, in un saggio intitolato significativamente “L’apocalisse delude”, “Maurice Blanchot£ è tornato a interrogarsi sul problema della fine dell’umanità.

E lo ha fatto sottoponendo a una critica discreta, ma non per questo meno efficace, le tesi di “Jaspers”.

 Se il tema del libro era la necessità di un cambiamento epocale, sorprende che «da parte di Jaspers, nel libro che dovrebbe essere la coscienza, la ripresa e il commento di questo cambiamento, nulla è mutato – né nel linguaggio, né nel pensiero né nelle formule politiche, che sono conservate e anzi bloccate intorno ai pregiudizi di tutta una vita, alcuni nobilissimi, ma altri molto ristretti… com’è possibile che una questione che mette in gioco il destino dell’umanità e tale che affrontarla non può che supporre un pensiero interamente nuovo, non ha rinnovato la lingua che l’esprime e non produce che delle considerazioni parziali e partigiane nell’ordine politico o urgenti e emozionanti nell’ordine spirituale, ma identiche a quelle che si sentono ripetere invano da duemila anni?».

L’obiezione è certamente pertinente, perché non solo il libro di “Jaspers “si presenta come un’ampia monografia accademica che intende esaminare il problema in tutti i suoi aspetti, ma ciò che l’autore intende opporre alla distruzione è il luogo comune di «una pace universale senza bombe atomiche, con una nuova vita economicamente fondata sull’energia nucleare». Non meno singolare è che alla bomba atomica sia affiancato come un pericolo altrettanto mortale il dominio totalitario del bolscevismo, con il quale è impossibile venire a patti.

Il fatto è, sembra suggerire “Blanchot”, che una prospettiva apocalittica del genere è necessariamente deludente, perché presenta come un potere nelle mani dell’umanità qualcosa che, in verità, non è tale.

Si tratta, infatti, di «un potere che non è in nostro potere, che indica una possibilità di cui non siamo padroni, una probabilità – diamola per probabile-improbabile – che esprimerebbe una nostra potenza soltanto se la dominassimo in modo sicuro.

 Per ora, tuttavia, noi siamo altrettanto incapaci di dominarla che di volerla, e per una ragione evidente: noi non siamo padroni di noi stessi, perché quest’umanità, capace di essere totalmente distrutta, non esiste ancora come un tutto».

Da una parte un potere che non si può potere, dall’altra come preteso soggetto di questo potere una comunità umana, «che si può sopprimere, ma non affermare o che si potrebbe in qualche modo affermare soltanto dopo la sua sparizione, attraverso il vuoto, impossibile da afferrare, di questa sparizione, qualcosa, dunque, che non si può nemmeno distruggere, perché non esiste» (p. 124).

 

Se, come sembra innegabile, la distruzione dell’umanità non è una possibilità di cui l’umanità dispone consapevolmente, ma resta affidata alla contingenza delle decisioni e delle valutazioni in buona parte casuali di questo o di quel capo di stato, l’argomentazione di “Jaspers” è allora distrutta dalle fondamenta, perché degli uomini che non hanno in realtà la facoltà di distruggersi non possono nemmeno prendere coscienza di questa possibilità per trasformare eticamente e politicamente la loro coscienza.

“Jaspers” sembra qui ripetere lo stesso errore che aveva commesso “Husserl” quando, in una conferenza del 1935 su «La filosofia e la crisi dell’umanità europea», pur identificando nelle «deviazioni del razionalismo» la causa della crisi, aveva nondimeno affidato a una non meglio definita «ragione» europea il compito di guidare l’umanità nel suo progresso infinito verso la maturità.

L’alternativa qui già chiaramente formulata fra «una scomparsa dell’Europa divenuta sempre più estranea a sé stessa e alla sua vocazione razionale» e una «rinascita dell’Europa» in virtù di «un eroismo della ragione», tradisce l’inconfessabile consapevolezza che dove c’è bisogno di un «eroismo» non c’è più posto per quella «vocazione razionale» (di cui si precisa che contraddistingue l’umanità europea «dal selvaggio Papu», almeno quanto questi si differenzia da una bestia).

Ciò che una ragione benpensante non ha il coraggio di accettare è che la fine dell’umanità europea o della stessa umanità, consegnata ad aspirazioni anodine e vane, che lasciano intatto il principio che ne è responsabile, finisce col rovesciarsi, come” Blanchot” aveva intuito, in «un semplice fatto di cui non c’è nulla da dire, se non che è la stessa assenza di significato, qualcosa che non merita né esaltazione, né disperazione e forse nemmeno attenzione».

Nessun evento storico – non la guerra atomica (o, per “Husserl”, la Prima guerra mondiale), non lo sterminio degli ebrei e certamente non la pandemia – può essere ipostatizzato in un evento epocale, se non si vuole che diventi un incomprensibile e vacuo” idolum historiae”, che non si riesce più né a pensare né a affrontare.

Occorre pertanto lasciar cadere senza riserve l’argomentazione di “Jaspers”, che sconta l’incapacità della ragione occidentale di pensare il problema di una fine che è stata essa stessa a produrre, ma che non è in grado in alcun modo di padroneggiare.

 Posta davanti alla realtà della propria fine, essa cerca di guadagnar tempo, trasformando questa realtà in una possibilità che rimanda a una realizzazione futura, a una guerra atomica che la ragione può ancora scongiurare.

Sarebbe forse stato più coerente supporre che un’umanità che ha prodotto la bomba è già spiritualmente morta e che è della consapevolezza della realtà e non della possibilità di questa morte che occorre cominciare a pensare.

Se il pensiero non può ragionevolmente porre il problema della fine del mondo è perché il pensiero si situa sempre nella fine, è in ogni istante esperienza della realtà e non della possibilità della fine.

La guerra che temiamo è sempre in corso e non è mai finita, come la bomba una volta gettata a “Hiroshima” e “Nagasaki “non ha mai smesso di essere gettata.

 Solo a partire da questa consapevolezza la fine dell’umanità, la guerra atomica, le catastrofi climatiche cessano di essere fantasmi che atterriscono e paralizzano una ragione incapace di venirne a capo e appaiono invece per quello che sono:

 fenomeni politici già sempre attuali nella loro contingenza e nella loro assurdità, che proprio per questo non dobbiamo più temere come fatalità senza alternative, ma possiamo affrontare ogni volta secondo le istanze concrete in cui si presentano e le forze di cui disponiamo per contrastarle o sfuggirle.

Questo è quanto abbiamo appreso nei due anni appena trascorsi e, di fronte a dei potenti che si rivelano sempre più incapaci di governare l’emergenza che essi stessi hanno prodotto, intendiamo farne tesoro.

(Giorgio Agamben).

 

 

 

 

Stati sovrani e protettorati.

Quodlibet.it – (17 gennaio 2024) – Giorgio Agamben – ci dice:

 

I discorsi di coloro che parlano sui media di questioni di politica estera in Italia sono privi di ogni fondamento, perché fingono di ignorare che l’Italia non è una nazione sovrana, ma un protettorato.

Secondo il “diritto internazionale, una nazione che ospita sul suo territorio un numero di basi (alcune delle quali segrete e piene di bombe atomiche) pari a quello che gli Stati uniti intrattengono in Italia non ha sovranità “sulla sua politica estera, ma solo sulla sua politica interna; è, cioè, tecnicamente un protettorato.

Questo spiega perché il nuovo governo, che, definendosi di destra, avrebbe dovuto innanzitutto rivendicare uno statuto di piena sovranità, si è semplicemente uniformato, rispetto alla guerra in Ucraina, alle direttive dello Stato protettore.

Lasciamo immaginare a chi ne ha voglia che cosa avverrebbe, infatti, a un capo di stato che aprisse una vertenza sulla presenza delle basi degli Stati Uniti sul nostro territorio.

Eppure la questione va ben al di là di un problema di sovranità, dal momento che essa implica che, nel caso di una nuova guerra mondiale, l’Italia sarebbe il primo paese a subire un bombardamento nucleare che la distruggerebbe interamente.

 È purtroppo inutile sperare che i giornalisti pagati dal potere per ora ancora dominante si pongano questo genere di problemi.

(17 gennaio 2024 -Giorgio Agamben).

 

 

La fine del mondo e

il Male che viene.

Litorale.org - Pierre-Henri Castel – (12 Giugno 2023) – Libro – ci dice:

 

Presentiamo un breve ma denso testo in cui il filosofo, storico delle scienze e psicoanalista Pierre-Henri Castel presenta il suo libro “Le mal qui vient”.

(Essai hãtif sur la fin des temps, tradotto in italiano da Queriniana Editrice (Il male che viene. Saggio incalzante sulla fine dei tempi).

La fine del mondo e dell’umanità è certa, come pure inevitabile qualunque cosa oggi facciamo e, soprattutto, è vicina.

 Vicina, ma non imminente.

Detto altrimenti, non bisogna semplicemente pensare alla fine dei tempi, ma al tempo della fine, il che esige di ricordarsene e di anticipare: di vederla arrivare e, vedendola arrivare, di prenderne coscienza.

Tranquilli: non è mia intenzione rovinarvi il rientro dalle vacanze citando le cifre davvero catastrofiche della canicola di quest’estate, o il devastante monsone che imperversa attualmente nell’India meridionale, né ho intenzione di fare la minima allusione allo scioglimento del permafrost (che credevo confinato alla lontana Siberia, ma che ha appena colpito le Alpi), e neppure di fare il raffronto con i numerosi passi indietro di politica ambientale negli Stati Uniti e – mi dicono – in Francia, e meno ancora, o proprio per niente, con la desertificazione, le carestie, le crisi economiche, le guerre civili e gli esodi di massa che presto ne deriveranno.

 

 Tutti noi abbiamo imparato a convivere con queste piccole vampate di ansia nelle quali, per salvaguardare la salute della nostra digestione psicologica, la superficie ancora liscia di una quotidianità senza accidenti di rilievo avvolge le previsioni di un’amarezza spaventosa – e la pillola va giù.

Il fatto è che ci sono cose di cui abbiamo talmente tanta paura che risulta «impossibile» (leggete: «impensabile») credere che stiano effettivamente per accadere.

Tra queste, la fine dell’umanità occupa un posto di rilievo.

Perché non ignoriamo in alcun modo i fattori di distruzione ecologica del pianeta, né i disastri geopolitici che ne seguiranno.

 Piuttosto, la comprensibile speranza in un lieto fine compromette l’adeguata comprensione dei processi.

Eppure, in maniera del tutto bizzarra, questi processi sono assolutamente comprensibili.

 Infatti, la fine del mondo e dell’umanità di cui parliamo non deve nulla alla religione né ad alcunché di irrazionale: l’apocalisse materiale e non spirituale che ci aspetta è, per dirla con” Günther Anders”, una «apocalisse senza regno»:

una fine secca, che non rivelerà niente e non giustificherà nessuno.

Ma non è nemmeno il tipo di fine del mondo causata da grandi eventi astronomici, come l’esplosione del Sole, di cui parliamo con distacco perché i tempi coinvolti non ci riguardano.

Quel che rende la fine dei tempi intelligibile e vicina (come il dritto e il rovescio della stessa medaglia) è che si svolgerà in un orizzonte storico. Cioè, nell’arco di pochi secoli, mille anni al massimo, causata e vissuta da persone che molto probabilmente ci assomiglieranno parecchio e che, ad ogni modo, avranno ereditato le conseguenze di quanto facciamo oggi.

Questa speranza in un lieto fine, anche se lo si nega, spiega perché la letteratura semi-erudita che descrive l’imminente collasso – la collassologia, come è stata definita – conserva una certa ambiguità.

 Il suo tracciare un quadro iper-realista della fine dei tempi non le impedisce di invocare un sussulto di salvezza, il che rende fittizia la stessa fine.

 Il fatto (la fine) rimane inseparabile dalla speranza (anche tenue) che non si realizzi mai, o non in maniera così catastrofica come si potrebbe temere.

 Non è che si ritenga possibile che la fine non avvenga, giacché la si considera certa; ad essere inconcepibile è piuttosto il fatto che tale fine abbia necessariamente luogo.

 Nella sua forma più raffinata, sviluppata in passato da” Jean-Pierre Dupuy” sotto il titolo di «catastrofismo illuminato», l’argomentazione cerca dunque di tenere insieme il fatto

 a) che la fine è certa, quindi ci sono ragioni oggettive per avere paura, ma

b) che, allo stesso tempo, non è necessaria, il che giustifica un’azione di prevenzione.

 

Ne “Il male che viene”, propongo qualcosa di completamente diverso. Suggerisco che sia giunto il momento di porre come premessa che la fine del mondo e dell’umanità è certa, ma anche inevitabile, qualunque cosa facciamo ora e, soprattutto, che è vicina.

 Vicina, ma non imminente. Giacché se si deve pensarne qualcosa, allora occorre darle un po’ di tempo per arrivare, in modo che questa fine non sia una sorpresa totale. In altre parole, non si deve pensare semplicemente alla fine dei tempi, ma al tempo della fine, il che esige di ricordarsi e anticipare: di vederla arrivare e, nel vederla arrivare, di prenderne coscienza.

Perché pensare significa comprendere i processi, anche se si accelerano, anche se convergono verso un Evento epocale che suonerà la campana a morto di tutti i processi. Inoltre, riflettere sul tempo della fine (quello prima della fine dei tempi) non meriterebbe un’ora di fatica se non ci permettesse di capire ciò che le persone fanno e che faranno in fretta man mano che la fine si avvicina, avendo, per questo motivo, bisogno di un po’ di tempo prima che tutto finisca: il tempo in cui ciò che era solo probabile, e previsto da poche persone, diventi l’evidenza comune.

 

A me, non più che a voi, non piace sventolare una simile idea. Esplorarla non richiede solo di sguazzare nei paradossi inestricabili delle situazioni-limite.

 Spinge a saltare troppo velocemente dalla ragione al mito. Insomma, la chiarezza amata dal filosofo deve fare delle concessioni a un’oscurità sgradevole, un’oscurità che non si limita a colorare oggettivamente l’idea della fine, ma ottenebra anche la mente che la pensa.

 

La scrittura dotta ne risente. Le grandi utopie del Rinascimento (quelle di Moro o di Campanella, la grande affermazione del diritto degli individui a vivere liberi in una società armoniosa) prefigurarono ciò che, due secoli dopo, avrebbe preso la forma razionale del «diritto delle nazioni» e successivamente delle varie versioni del «contratto sociale», delle istituzioni repubblicane, cioè democratiche: allo stesso modo, una certa sensibilità letteraria che ha cominciato a sfornare autentici capolavori (la fantascienza post-apocalittica) richiede oggi una riflessione di vasta portata, di cui, ahimè, abbiamo solo dei balbettii. Ecco perché la collassologia parla ancora il linguaggio della fantascienza, e non riesce a svilupparsi in maniera riflessiva, cioè a sfociare in una filosofia politica dell’autodistruzione o in una scienza della fine della società.

Vediamo l’imbarazzo nel quale ci fa sprofondare lo sforzo di prendere sul serio la fine (in un orizzonte storico) del mondo e dell’umanità. Perché è il senso dell’attività razionale che essa porta al suo limite estremo.

 Se tale fine è reale, allora la ragione che la concepisce deve certamente mutare. Ma cosa controllerà la sua mutazione? Cosa consentirà alla ragione di ragionare? Come sapere se si ragiona bene sulla fine di tutto, o se si delira?

 

A meno che non siamo ciechi di fronte a quanto sta accadendo. Sotto la sorda pressione degli uragani e delle guerre, dell’inquinamento e delle migrazioni, dovremmo vedere l’interdipendenza vertiginosa delle cose fisiche e degli esseri sociali, tutto ciò che fa delle prime le ragioni d’essere dei secondi, e basta già questo a cambiare, senza prenderne le misure, il contenuto e il senso di ciò che chiamiamo ragione e scienza. Guardate la recente evoluzione del lavoro di” Bruno Latour”.

Per molto tempo, ci dice, abbiamo resistito all’idea che niente esista se non perché lo facciamo durare.

Non vediamo che non bastano le attività umane a far esistere le cose, ma che le cose, lungi dall’essere passive e senza voce, sostengono reciprocamente l’attività umana.

 È così che i veri componenti del mondo sono tutti questi «ibridi» naturali et culturali che ci accaniamo costantemente a separare a colpi di dualismi vani – respingendo gli uni nel «mondo materiale» e gli altri nel «mondo sociale».

Ma la nostra situazione, con tutte queste crisi indissolubilmente ecologiche e politiche, prova senza il minimo dubbio che esiste continuità ontologica tra la biofisica e la geopolitica – ecco ciò che «rivela» l’apocalisse in corso.

Così, rianimando l’«ipotesi Gaia» di “James Lovelock”, “Bruno Latour” ha forse trovato l’oggetto totale che cercava da sempre.

 Gaia, questo sistema geologico, chimico, biologico e umano più o meno autoregolante, e che noi sconvolgiamo, è l’orizzonte finalmente trovato del suo empirismo radicale, del suo acuto senso della fragilità e della contingenza, delle ristrutturazioni permanenti, quindi della vitalità e della mortalità degli «ibridi» in cui tutto consiste.

 Gaia: è dunque questa la scena in cui dispiegare un pragmatismo e un costruttivismo serio, liberato dal sogno di una Natura là «per sempre», e che si pone la questione pratica di cosa si può far durare, come e a quale prezzo.

È qui che interviene un fattore costantemente sottovalutato.

 La certezza della fine prossima è spesso considerata come un fattore di mobilitazione, che dovrebbe spingerci a correggere la traiettoria che ci precipita verso l’abisso.

Al punto che ci chiediamo perché diavolo persone così ben informate come noi alla fine non facciano nulla, o facciano così poco.

Ma, da un lato, è tutt’altro che scontato che un’angoscia così «totale» dovrebbe innescare un sussulto salvifico.

E se fosse vero il contrario? E se ci paralizzasse ancora di più?

 Dall’altro lato, più pericolosamente, la certezza della fine potrebbe alimentare, alimenterà e probabilmente sta già alimentando opzioni morali e politiche che affrettano la fine.

Perché se tutto è perduto (e questa certezza aumenterà man mano che la fine si avvicina, radicalizzando il processo al quale sto pensando), allora cosa ci impedirebbe di godere nel modo più sfrenato, più devastante, di tutto ciò che rimane finché c’è ancora tempo?

E non dobbiamo fermarci qui.

 Il male che viene, come lo chiamo io, si rivela in tutta la sua ampiezza solo se si accetta di guardare in faccia la tentazione del peggio che ecciterà follemente gli ultimi uomini, consapevoli di essere gli ultimi.

Sappiamo davvero quale vertigine morale potrebbe causare la percezione che l’intera storia si sia ficcata in un vicolo cieco, e che l’idea di «destinazione morale» dell’umanità sia un vuoto sogno la cui data di scadenza è inscritta nell’ultima riserva delle ultime risorse vitali?

 La fine sempre più certa dell’umanità, col passare del tempo, potrebbe dar luogo allo scatenarsi delle voluttà più crudeli e, spingendo a fondo le cose, rendere molto ragionevole ciò che oggi giudichiamo assurdo.

Meno si crederà all’«essenza eterna dell’uomo» – o al Bene che «per natura» l’uomo deve volere per sé stesso -, e più delle possibilità oggi considerate marginali diventeranno centrali – o addirittura forniranno l’ultimo sapore ricavabile da una vita morente.

Sì, “Sade” ci aspetta alla fine delle fini.

 

Senza negare la stupidità e l’ignoranza di tutti, forse bisogna anche far posto, almeno tra i ricchi e i potenti, meglio informati, a uno sfacciato cinismo.

Con questo intendo dire che non ci sono solo persone informate che si affretteranno a saccheggiare gli ultimi tesori del mondo.

Ci saranno (ci sono?) persone per le quali le disuguaglianze e le ingiustizie inestricabilmente legate alla catastrofe globale in atto costituiscono non un problema, ma uno strumento per i loro godimenti.

Sto speculando, in altre parole, su quando l’unico fuoco col quale potremo riscaldare il sentimento della vita sarà quello del crimine su larga scala.

Non importa che un simile punto di inversione morale avvenga un giorno preciso nel futuro (quando i tempi della fine diventeranno per sempre la fine dei tempi).

Non perdere di vista la possibilità astratta di questo Male illumina il nostro prossimo futuro di una luce oscura che viene da più lontano e che, credo, rivela fin d’ora ombre minacciose, che non si vedrebbero così bene senza un’ipotesi azzardata.

 

Si obietterà che un tale Male è difficile da immaginare se nessun Bene vi si oppone.

Quale Bene può esserci in un mondo «senza domani» (un mondo che è, penso, già il nostro)?

Con un pizzico di umorismo nero, considereremo che questa è la vera questione morale da chiarire.

 E ho la mia idea su cosa un simile Bene potrebbe essere. Ma vorrei concludere su un altro registro.

In altri lavori ho difeso un’idea sicuramente più seria di questa, in ogni caso più scientifica, affrontando lo sviluppo degli ideali collettivi di autonomia nelle società moderne.

 Il rovescio della medaglia di questa autonomia è un’auto costrizione sempre più intensa, che si manifesta contemporaneamente attraverso un’inibizione raddoppiata degli impulsi, una responsabilizzazione esponenziale di tutti e una sensibilità esacerbata al Male, anche nelle sue forme minori.

 Abbiamo orrore della violenza.

Ora, vorrei suggerire qualcosa di un po’ sovversivo.

 

È evidente, visto il grado di formazione sociale cui oggi siamo giunti, che dinnanzi al Male che viene dobbiamo assolutamente rifuggire dalla violenza?

Dobbiamo credere ancora che la vita civile abbia come criterio la sua abolizione?

 E che dobbiamo ancora delegarne il legittimo esercizio a entità distanti come lo Stato?

 O dovremmo invece inventare nuove forme di violenza, anch’esse altamente civilizzate (e basate proprio su una più profonda responsabilità personale), senza lasciarci intimidire dai processi e dagli individui malvagi il cui godimento cinico consiste nell’affrettare la fine per il proprio profitto?

In effetti, per noi, il pericolo di comportarci come bestie feroci immaginando di difendere la giustizia (come temono i nostri cani da guardia) è minimo.

Non quello, invece, di lasciarsi ingannare dagli interessi dei potenti che si divertono nel gioco della corsa verso l’abisso, in anticipo sui tempi.

Ultimo paradosso: la certezza dell’inevitabile fine del mondo e dell’umanità in un orizzonte prossimo significa anche che abbiamo poco tempo, pochissimo, per essere felici.

Ma, nel complesso, credo che abbiate capito a cosa punta il mio cuore.

 

 

 

 

Approvata la riforma del mercato

energetico in UE: ecco cosa prevede.

 Switiho.it – (17 Aprile 2024) – Redazione – ci dice:

 

L’11 aprile 2024 il Parlamento europeo ha approvato la riforma del mercato energetico in UE. In breve:

In risposta alla crisi energetica, conseguenza dello scoppio della guerra tra Russia e Ucraina nel 2022, e per scongiurare simili situazioni in futuro, l’UE compie un ulteriore passo per riformare il mercato energetico europeo;

La riforma del mercato dell’energia elettrica mira a tutelare maggiormente i consumatori, offrire più stabilità alle imprese e incentivare la produzione di energia da fonti rinnovabili;

La riforma avrà impatti sui consumatori in tutta UE, i quali saranno maggiormente tutelati da eventuali aumenti in bolletta.

Ora che i prezzi sono tornati alla normalità, se la tua bolletta risulta essere ancora troppo alta, forse è il momento di cambiare tariffa.

Noi di Switcho ti aiutiamo a trovare l’offerta luce e gas più adatta alle tue esigenze e ci occupiamo al posto tuo della burocrazia legata al cambio fornitore.

Il tutto con un servizio 100% digitale e gratuito.

Cos’è la riforma del mercato energetico UE.

In cosa consiste la riforma del mercato dell’energia elettrica UE.

Riforma mercato energetico in UE: come cambieranno le bollette

Le tappe della riforma del mercato energetico UE.

L’Unione Europea sta riformando il mercato dell’energia elettrica.

 L’11 aprile 2024 ha compiuto un altro passo verso questo obiettivo con l’approvazione della riforma, comprendente un regolamento – che tutti gli Stati dovranno applicare – e una direttiva – con obiettivi comuni, ma libertà, da parte degli Stati membri, su come raggiungerli.

 

Ma perché l’UE sta riformando il mercato dell’energia elettrica?

Si tratta di misure a lungo termine in risposta alla crisi energetica del 2022, anno in cui è scoppiato il conflitto tra Russia e Ucraina, durante il quale abbiamo sperimentato un’impennata delle bollette della luce a fronte di aumenti dei prezzi dei combustibili fossili (gas in particolare).

Il motivo? Il meccanismo insito nel mercato dell’energia in UE, nel quale il prezzo dell’energia elettrica è basato proprio sul costo dei combustibili fossili che vengono utilizzati per la produzione di energia elettrica.

E se nel 2022 i governi hanno provveduto a introdurre misure per proteggere i consumatori (si pensi al taglio dell’IVA sul gas in Italia, ripristinata a inizio 2024), ora l’Unione Europea vuole abbandonare le soluzioni temporanee e introdurre misure con effetti a lungo termine.

In cosa consiste la riforma del mercato dell’energia elettrica UE.

Uno dei principali obiettivi della nuova riforma del mercato dell’energia UE è quello di rendere i prezzi dell’elettricità meno dipendenti dalla volatilità dei prezzi dei combustibili fossili.

La nuova riforma del mercato dell’energia agisce su diversi fronti:

Sostenibilità per le imprese, anche grazie ai contratti per differenza – o CfD in inglese – che possono essere stipulati con l’autorità pubblica per sostenere gli investimenti nella nuova produzione di energia elettrica, sia che provenga da fonti rinnovabili sia che provenga dal nucleare;

Potere, da parte del Consiglio, di dichiarare una crisi dei prezzi dell’energia elettrica, per consentire agli Stati membri di intervenire per stabilizzare i prezzi dell’elettricità per le aziende più piccole e per i consumatori industriali che sono particolarmente sensibili ai costi energetici elevati;

Maggiori tutele per i consumatori, con una particolare attenzione ai clienti vulnerabili.

Riforma mercato energetico in UE: come cambieranno le bollette.

La riforma del mercato dell’energia elettrica in UE avrà un impatto diretto sulle nostre bollette.

Uno degli obiettivi della riforma, infatti, è proteggere i consumatori dalla volatilità dei prezzi.

Per farlo, le nuove misure offrono la possibilità a tutti i consumatori di scegliere tra offerte a prezzo variabile e offerte a prezzo fisso, con informazioni più chiare prima della firma:

Offerte a prezzo variabile: sono quelle che seguono l’andamento del mercato, con costi che aumentano all’aumentare dei prezzi della materia prima e diminuiscono quando i prezzi scendono;

Offerte a prezzo fisso: il prezzo rimane invariato dalla stipula alla conclusione del contratto, proteggendo da eventuali fluttuazioni dei prezzi. La riforma prevede maggiore disponibilità di contratti a prezzo fisso e a tempo determinato.

Maggiori tutele, poi, per i consumatori vulnerabili. Anche in caso di mancati pagamenti, questi ultimi non rischieranno l’interruzione della fornitura di elettricità.

Le tappe della riforma del mercato energetico UE.

La riforma del mercato dell’energia elettrica UE è stata presentata dalla Commissione europea per la prima volta lo scorso anno a marzo.

Da allora, il Consiglio ha approvato un orientamento generale sulla riforma, con un accordo provvisorio tra Consiglio e Parlamento europeo nel dicembre 2023.

Con l’approvazione del Parlamento, l’11 aprile 2024, la prossima tappa prevede l’approvazione da parte del Consiglio, che rappresenta gli Stati membri. Starà a quest’ultimo adottare formalmente la legislazione perché la riforma entri in vigore e diventi parte del diritto dell’Unione Europea.

(Redi Vyshka).

Corea del Sud: un paese

sorprendente, anche nel voto.

  Lavoce.info - DONATELLA PORRINI – (16/04/2024) – ci dice:

In Corea del Sud l’opposizione ha vinto le elezioni con un programma elettorale basato su una maggiore apertura dei mercati e dei confini del paese. Il paese è sì molto legato alle tradizioni, ma ha anche un’alta scolarità ed è attento all’ambiente.

 

I risultati delle elezioni.

 

Lo spoglio elettorale degli ultimi giorni in Corea del Sud ha registrato la vittoria del partito democratico d’opposizione sui conservatori al governo, che ora dovranno cercare di ricomporre una difficile maggioranza in Parlamento.

Il risultato arriva dopo mesi di critiche nei confronti dell’attuale presidente “Yoon Suk-yeol” e non solo per il cosiddetto “scandalo Dior” che ha coinvolto la “first lady”, una giovane imprenditrice, che avrebbe accettato un costoso regalo griffato, dal valore di tre milioni di “won”, equivalente a circa 2 mila euro, mentre la legge sudcoreana impone ai funzionari pubblici di rifiutare regali che superino il valore di “1 milione di won”.

Il risultato sembra invece più collegato alla recente impennata dei prezzi e quindi al cosiddetto “cipollotto gate”.

A metà marzo, il presidente “Yoon”, durante una sua visita in un supermercato, per conquistare il sostegno pubblico, aveva definito come “ragionevole” il prezzo di 875 won (circa 60 centesimi di euro) per un fascio di cipollotti.

 L’opposizione aveva però fatto notare che il prezzo così basso era dovuto a un sussidio governativo ad hoc, mentre il costo effettivo a Seul risultava di gran lunga più alto, intorno ai 4 mila won.

Un paese tradizionale in cerca di cambiamento.

Sorprende la sconfitta elettorale dei conservatori perché a prima vista la Corea del Sud appare un paese nazionalista.

 Circolano poche auto straniere e per strada c’è una gran varietà di modelli Hyundai e Kia;

nelle case, nei bar, nei ristoranti si vedono solamente televisori e apparecchi per l’aria condizionata di marca LG;

nelle mani dei coreani ci sono per lo più telefonini “Samsung Galaxy”, con tutti i loro accessori venduti ovunque.

Il fatto che queste aziende siano orgogliosamente coreane colpisce ancora di più se si pensa al dibattito attuale in Italia sul caso “Stellantis”.

 

Un altro aspetto che colpisce al primo impatto è che le persone che si vedono in giro sono praticamente tutte coreane, tranne poche eccezioni, soprattutto turisti:

la Corea ha infatti rigidissime politiche di immigrazione che hanno consentito finora di controllare i flussi in entrata.

 

Ma lo status quo non soddisfa i coreani che hanno premiato l’opposizione, che ha condotto un’aggressiva campagna elettorale proprio sui vantaggi di una maggiore apertura dei mercati alla concorrenza e di una maggiore apertura dei confini del paese, anche per contrastare il calo demografico che nel 2023 ha visto il tasso di natalità scendere ai minimi storici.

E la sorpresa è ancora più grande se si pensa che il presidente in carica poteva vantare positivi dati economici: infatti, i dati per il 2024 registrano un aumento del Pil del 2,2 per cento, in miglioramento rispetto al 2023 (1,4 per cento).

La scelta di cambiamento viene da una popolazione con uno dei livelli di istruzione più alti al mondo.

Infatti, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso la Corea del Sud ha sempre investito nel sistema dell’istruzione, dalle scuole elementari fino all’università.

 E gli effetti si vedono:

nel 2023 la percentuale di persone adulte con un livello di istruzione terziaria (laurea e oltre) è di circa il 50 per cento (contro il circa 20 per cento dell’Italia).

 Ancora, per quanto riguarda la spesa in ricerca e sviluppo sul Pil, la Corea è tra i primi paesi al mondo e si avvicina al 5 per cento (contro l’1,5 per cento dell’Italia).

È una scelta di cambiamento che arriva da una popolazione che mostra un grande rispetto per la natura, che si tramuta in molto “verde”, in spazi pubblici all’aperto curatissimi e a disposizione di tutti.

Basti ricordare che lo scorso 5 aprile è stato celebrato il cosiddetto “Sikmogil Arbor Day” (식목일), la festa nazionale che dal 1946 invita le persone a piantare nuovi alberi e le strade, come ogni anno, sono state invase da famiglie con in mano piante e arnesi da giardinaggio.

Ancora una volta questo paese sorprende.

 E anche se la Corea del Sud viene considerata “l’Italia dell’Asia”, le differenze con il nostro paese sono evidenti.

Alla fine, come in un vecchio ricordo calcistico, la Corea riesce a battere l’Italia.

(Donatella Porrini).

 

 

 

 

 

 

MAPPA DELL'ANTIDRAGHISMO

ITALIANO.

 Msn.com - Alfonso Raimo – (17 -4-2024) – Huff post Italy - Redazione – ci dice:

 

17/04/2024 Roma: il ministro dei Trasporti Matteo Salvini partecipa nella sede di Confcooperative,all.

La candidatura di Draghi viaggia controvento.

Per capire l’aria che tira intorno all’ipotesi che l’ex premier possa essere eletto alla” presidenza della commissione Ue”, conviene leggersi le pagine che Matteo Salvini gli dedica nel libro “Controvento”.

Il testo è in uscita per il 25 aprile, ma il leader della Lega ha fatto trapelare un’anticipazione.

A orologeria.

Il giorno dopo il discorso di Draghi sul futuro dell’Europa.

È una stroncatura in piena regola, una “vendetta”, scrivono i giornali. Ma è anche un bastone tra le ruote all’alleata Meloni.

Racconta Salvini che Draghi dopo aver annunciato la fine del suo governo, lo incontrò per sondare “la disponibilità della Lega e del centrodestra in generale per un'eventuale sua ascesa al Colle.

 Alla mia domanda diretta: 'In caso di sua elezione che ne sarà del governo?', la risposta non arrivò. O meglio, ci fu un 'ne parleremo dopo...'".

Come se non bastasse, Salvini confessa l’avversione personale – “ma lo pensavano tutti i partiti” - per il modo in cui Draghi scelse i ministri leghisti di quel governo.

“Uno scivolone.

Ricordo che ero a casa, quando mi squillò il telefono.

Palazzo Chigi.

Da lì a dieci minuti, i nomi degli aspiranti ministri sarebbero stati consegnati al Colle.

Draghi mi comunicò di aver individuato in Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed Erika Stefani i leghisti meritevoli di ottenere dei dicasteri. Nomi autorevoli ma il metodo era evidentemente sbagliato.

Peraltro, era opinione diffusa in tutti i partiti".

E ancora.

 In quell’esecutivo il premier scelse dei nomi – Lamorgese, Speranza e Di Maio – che Salvini definisce “sconcertanti”. E come se non bastasse, di fronte alle sue richieste di “una pace fiscale”, Draghi non fece nulla.

 Se queste sono le premesse, è fin troppo facile dedurre che la Lega non sosterrà l’ex premier in una eventuale corsa al vertice della Commissione.

Il vicesegretario Andrea Crippa, all’Huffpost, spiega il senso politico. “Per prima cosa è un nome che non ha fatto ufficialmente nessuno. Neppure lui stesso si è candidato. Ma poi: vale per lui come per chiunque altro che laddove c’è il sostegno anche dei socialisti, la Lega non c’è.

E siccome non è realistica una candidatura Draghi senza i socialisti, di che parliamo?”

Insomma, “nemo propheta in patria”.

E anche fuori patria le cose non vanno meglio. “Ma che significa? Anche Prodi è italiano. Ma se fosse candidato alla Commissione come facciamo a sostenerlo?”

A parte gli sponsor europei – Macron per tutti, e poi il polacco Donald Tusk – a dare vento all’ipotesi è stato per un verso il tenore del discorso di Draghi, che a Bruxelles è stato inteso come “un programma di legislatura”.

E sul versante italiano l’innegabile sintonia che si è realizzata su alcuni capitoli tra la premier Giorgia Meloni e lo stesso Draghi.

Il passaggio di consegne a Palazzo Chigi avvenne con Draghi che lasciava a Meloni un paper con gli impegni irrinunciabili.

E soprattutto in tema di politica estera e conti pubblici, Meloni ci si è attenuta.

Al punto da beccarsi le critiche di chi riteneva che tanto valeva tenersi Draghi. 

Ma la campagna elettorale brucia ogni terra di mezzo.

Lo sa bene “Tommaso Foti”, capogruppo di Fdi alla Camera, che ricorda come valga in questo caso il detto “chi entra papa, esce cardinale”.

Interpellato dall’Huffpost, Foti chiarisce:

“Mi sembra di rivedere la scena del Quirinale. Quando lui disse ‘ritengo esaurito il mio mandato’ e da lì lo hanno bruciato perché sono inevitabilmente prevalsi gli interessi di parte”.

Si entrava nella lunga campagna elettorale delle politiche.

Oggi la situazione non è dissimile.

“Non possiamo essere noi a sostenere Draghi, noi che gli abbiamo fatto l’opposizione.

 Ci si chiede troppo.

Per quanto riguarda la situazione dopo le europee, ci sono tante variabili da considerare.

 Leggo di Tusk che farebbe da apripista nel Ppe.

E strabuzzo gli occhi.

Ma il Ppe ha già un candidato, ed evidentemente potrebbe averne anche un altro di riserva.

E lo stesso vale per il Pse.

Siamo sicuri che i due partiti usciranno da questo schema, e convergeranno su uno esterno?

 A Draghi conviene stare dietro le quinte, ed essere richiamato nel caso in cui si verificasse un empasse politica dopo il voto sui nomi riconducili a Pse e a Ppe, o a loro sostituti.

 Intanto mi permetto di dare un consiglio: chiunque ci abbia fatto un pensiero, tenga la palla bassa”.

 

Se qualcuno pensava che l’elezione di Draghi potesse stabilizzare il governo di Giorgia Meloni, le schermaglie di queste ore basterebbero a dissuaderlo.

Ma anche nel campo largo le cose non vanno meglio.

 

 Curioso: nel 2019-2020 quando Matteo Salvini e Giuseppe Conte governavano insieme si spendevano in proclami per un’eventuale ascesa di Draghi al vertice della commissione.

 Ora che sono all’opposizione interna dei rispettivi schieramenti, hanno cambiato idea.

Il Pd è invariabilmente destinato a dividersi.

Paolo Gentiloni plaude a Draghi:

"Ha centrato il punto, serve un cambio radicale dell'Europa per essere competitivi nello scenario globale".

Ma la sinistra interna è tiepida.

 Per Andrea Orlando, che di Draghi è stato ministro, l'ex premier va sostenuto sì, ma al Consiglio europeo.

 Non alla Commissione dove il candidato è Nicolas Schmit, che il Pse vuole sostenere puntando a essere il primo partito del Parlamento.   

Giuseppe Conte è ancora più freddo.

Per un verso invoca il programma dell’ex premier, perché dice, “ancora se la ricorda l’agenda Draghi”, motivo di lunghe dispute nell’esecutivo.

E se proprio bisogna parlare di una svolta in Europa, allora la primogenitura spetta a lui, mica a Draghi.

 “Il M5s con me presidente del Consiglio, è stato il primo a dire che l'Europa deve dotarsi di un piano straordinario di finanziamento basato sul debito pubblico comune per affrontare le sfide e cambiare completamente rotta", dice.

 E mette in chiaro che “le sfide non sono il riarmo e la transizione militare. Ma la transizione ecologica e quella digitale, le politiche del lavoro”. Un modo per rispedire al mittente questa agenda, così come la precedente.

Dall’Italia soffia un vento che porta Draghi fuori rotta: non alla Commissione, ma semmai alla presidenza del Consiglio Ue.

 Anche Matteo Renzi e Carlo Calenda, che pure si professano i suoi più convinti sostenitori, non riescono a fare una lista comune per il Parlamento europeo.

“In tutto il nostro programma risuona la parola Draghi. Lui è la bussola”, dice Calenda.

Che aggiunge: “Faremo di tutto per portarlo alla presidenza del Consiglio Ue”.

 

 

 

 

Il crollo dell'impero americano,

 parte III: diplomazia e soft power.

 Unz.com - ERIC Striker -ATTACCANTE – (17 APRILE 2024) – ci dice:

 

Il prestigio dell'America è rapidamente diminuito.

La guerra in Iraq del 2003, la crisi finanziaria del 2008, la denuncia da parte di “Edward Snowden” del programma di spionaggio della “NSA”, l'utilizzo del dollaro come arma e l' isolamento diplomatico americano a sostegno della guerra genocida di Israele a Gaza hanno intaccato il potere di persuasione dell'argomentazione di Washington secondo cui è l'unico qualificato a sostenere lo stato di diritto e detiene il mandato universale di imporre la sua ideologia politica al mondo.

Il concetto di “soft power”, reso popolare da “Joseph Nye”, sostiene che la chiave dell'egemonia americana risiede nella sua capacità di ispirare obbedienza, piuttosto che ottenerla attraverso la coercizione.

La cultura popolare, i valori politici e la politica estera degli Stati Uniti, secondo “Nye”, consentono all'America di costringere le nazioni a eseguire i propri ordini attraverso la seduzione, piuttosto che con i mezzi tradizionali della carota (tangenti) o del bastone (guerra).

 

Alla base della “teoria di Nye” c'è il presupposto infalsificabile che ci siano maggioranze silenziose di persone in tutto il mondo che preferiscono la “democrazia liberale”, la” comunità LGBT”, le tutele speciali delle minoranze, il” femminismo”, il “multiculturalismo” e l'economia individualista agli "dei forti" del nazionalismo prebellico.

Tradizione e collettivismo.

 Il mondo può amare gli” iPhone” e la” Coca Cola”, ma come dimostra il famoso fan dei “Chicago Bulls” Kim Jong Un, questo non si traduce sempre in un abbraccio del sistema americano.

Questa linea di pensiero ha probabilmente ostacolato le élite americane al punto da incorrere in sconfitte diplomatiche evitabili in diversi teatri.

Il verificarsi regolare di "rivoluzioni colorate" nel corso degli anni '90 e 2000 potrebbe dare credito al” punto di vista di Nye”, ma questo tipo di rivolte non ha avuto successo negli ultimi anni poiché l'America perde il favore come modello politico e le nazioni diventano più sofisticate nel combattere le manovre segrete di Washington. Così l’ influenza (ad esempio attraverso organizzazioni non governative) e spionaggio.

 

Il principale punto debole della” teoria di Nye” è che non ammette la possibilità che gli ideali antiliberali siano attraenti.

 Durante la Guerra Fredda gli Stati Uniti si sono posti, con un certo successo, come difensore della civiltà cristiana e della libertà umana contro l'ateismo e il totalitarismo sovietici.

Ma dal 2012, Vladimir Putin ha lavorato per posizionare il suo Paese in contrapposizione alla fissazione americana sui comportamenti sessualmente devianti, per diventare la voce leader globale dell'eteronormatività e della famiglia tradizionale, una posizione con cui la stragrande maggioranza dell'umanità, comprese le nazioni occidentali, è d'accordo. . .

 Una legge recentemente approvata che obbliga le ambasciate statunitensi all'estero a nascondere le “bandiere LGBT e Black Lives Matter” che hanno sventolato in precedenza suggerisce che questo tipo di “soft power” è più efficace di quanto gli accademici liberali siano disposti ad ammettere.

 

Oggi, le nazioni che gli Stati Uniti considerano "democrazie" intrappolate nella rete dei trattati atlantisti continuano a eleggere leader che fanno campagne in difesa delle maggioranze etniche e contro gli immigrati, promettono repressioni legislative e dell'ordine e pretendono di sostenere i valori tradizionali, come visto con” Recep Erdogan” in Turchia, “Viktor Orban” in Ungheria, “Narendra Modi” in India, “Giorgia Meloni” in Italia e persino l'elezione presidenziale di “Donald Trump” nel 2016.

 In Francia, Emmanuel Macron è stato costretto ad attaccare pubblicamente i valori anti-bianchi americani solo per respingere alle sfide di personaggi come “Marine Le Pen”, mentre in Germania il governo è nel panico per i risultati favorevoli dei sondaggi di” Alternativ Fur Deutschland”.

La recente visita di “Tucker Carlson” in Russia, dove ha elogiato l'ordine pubblico e i negozi di alimentari, è stato un momento enormemente demoralizzante non solo per le élite americane, ma anche per i loro partner nell'opposizione liberale russa anti-Putin, che sono arrivati a fare affidamento interamente sull'immagine di un'America ricca e senza corruzione per il reclutamento.

 Quando si guarda allo slancio popolare sia all'interno dell'Occidente che oltre, ci si deve seriamente chiedere quante nazioni rimarranno impegnate in strutture come la “NATO” una volta che il suo potere militare ed economico sarà eguagliato o addirittura oscurato da avversari come “Russia” e “Cina”.

 

Ciò che gli Stati Uniti concepiscono come democrazia è ormai in declino a livello globale per il ventesimo anno consecutivo.

Il discorso americano nelle relazioni estere è diventato più mercenario e feroce, facendo sempre più affidamento sulla minaccia di sanzioni economiche, intervento militare o compromessi significativi per ottenere la conformità.

Alcuni hanno osservato che la "globalizzazione" è in realtà “americanizzazione”, e tutti concorderebbero sul fatto che la globalizzazione è in rapida ritirata.

In altre parole, gli Stati Uniti non suscitano né ammirazione né rispetto, il che porta a una maggiore dipendenza dall' “hard power”, che ha l'effetto moltiplicatore di aumentare il risentimento globale.

 L'ascesa senza precedenti della” Cina” offre una via d'accesso alla prosperità economica e all'innovazione tecnologica senza essere costretta ad abbracciare tutti i valori nichilisti e poco intuitivi dell'America e ha minato il potere della carota (l'accesso ai potenti dollari statunitensi).

Mentre nazioni come la Russia e l'Iran affrontano direttamente le minacce militari di Washington e controllano le sue ambizioni globali, la paura del bastone sta svanendo.

Il futuro del mondo si preannuncia come uno di una serie di relazioni alla carta, in cui le nazioni di piccole e medie dimensioni trattano con molteplici potenze – Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Russia e persino Iran – alle loro condizioni e secondo i propri interessi.

Diplomazia.

Un elemento importante nel cambiamento degli affari mondiali è la rivalità in atto nell'economia dello sviluppo tra il “Fondo monetario internazionale degli Stati Uniti” e la “Belt and Road Initiative cinese”.

 

La Belt and Road Initiative mira a sfidare il sistema commerciale marittimo americano creando una nuova "Via della seta" che collega gli scambi economici globali via terra.

I beneficiari del FMI generalmente ricevono prestiti, a volte con interessi elevati, a condizione che riformino i loro sistemi politici ed economici, in gran parte attraverso l'eliminazione del protezionismo e un programma di privatizzazione delle attività.

 I paesi spesso non sono in grado di ripagare questi prestiti, portandoli in trappole del debito che consentono ai banchieri e alle multinazionali di trarre vantaggio dai mercati aperti e agitati per accaparrarsi risorse privatizzate a prezzi di svendita o capitalizzare opportunisticamente su accordi di ristrutturazione del debito.

Una famosa vittima di questo sistema basato sul debito è stata l'Argentina, la cui economia è stata completamente devastata dal “capitalista avvoltoio ebreo Paul Singer” attraverso la pratica di prestiti sovrani predatori.

 

La “BRI” si distingue per il fatto che è guidata dalle infrastrutture e impersonale.

 Le banche cinesi pagano le aziende cinesi per impiegare (di solito) manodopera cinese per costruire infrastrutture con materie prime cinesi per le nazioni povere.

Questi sono generalmente strutturati come joint-venture, in cui i beneficiari che non possono rimborsare i prestiti danno alle imprese cinesi il controllo sullo specifico progetto infrastrutturale (porti, autostrade, ferrovie ad alta velocità, ecc.) fino a quando i profitti generati non ripagano l'investimento e questo viene consegnato.

 

Circa 150 nazioni hanno aderito alla BRI cinese, mentre il FMI ha attualmente 35 clienti.

Un punto chiave della BRI è la politica cinese di non interferenza negli affari culturali o politici locali.

 I cinesi non hanno alcun problema a fare affari con nazioni designate come “paria” dalle istituzioni liberali, come la Bielorussia, il cui primo stabilimento automobilistico nazionale è stato costruito dal sistema” BRI”, o l'Ungheria, l'Eritrea, l'Iran, l'Afghanistan dei talebani e così via.

Al contrario, il “FM”I è emerso come un'istituzione utilizzata per imporre le ambizioni ebraiche e impegnarsi nell'ingegneria sociale come condizioni di prestito che offendono i valori locali e minano gli interessi personali degli stati sovrani.

Gli esempi abbondano.

L'anno scorso, il “Fondo monetario internazionale” ha dichiarato che non presterà denaro alla Tunisia finché non finirà la repressione sull'immigrazione clandestina e non si lasceranno entrare i migranti africani.

Sia il “Fondo monetario internazionale” che la “Banca mondiale”, guidati dall'ambasciatore statunitense locale, hanno minacciato di prelevare miliardi di dollari in finanziamenti al Ghana per l'approvazione da parte del parlamento di una legge che vieta le manifestazioni pubbliche di omosessualità.

 In Egitto, il Fondo monetario internazionale ha stanziato miliardi in denaro per il salvataggio a condizione che accettassero i palestinesi che Israele vuole punire etnicamente.

In teoria, le nazioni potrebbero trattare sia con la Cina che con gli Stati Uniti, ma la diplomazia americana spesso è a somma zero.

 L'ipotesi secondo cui l'America sarà sempre la soluzione migliore viene messa alla prova dal contro modello cinese per lo sviluppo globale, a vantaggio delle nazioni un tempo impotenti.

Washington inizialmente ha minacciato il popolare presidente salvadoregno “Nayib Bukele” di sanzioni per la sua repressione del crimine, ora lodata a livello internazionale.

Gli Stati Uniti, che iniziarono a riferirsi a “Bukele” come al nuovo “Hugo Chavez”, furono ostacolati quando il leader salvadoregno rispose alle punture aprendo la porta alla Cina e segnalando sostegno alla Russia.

Ciò ha ribaltato la situazione per Washington, che ha finito per imparare a vivere invece di rischiare di sentirsi dire di andarsene.

 La “Biblioteca Nazionale di El Salvador”, un'imponente struttura educativa moderna che è il gioiello della corona del governo “Bukele”, è stata costruita in segno di amicizia da parte della Cina.

 

In Ungheria, anche l'influenza di Washington e Bruxelles sembra indebolirsi.

Il mese scorso,” David Pressman”, ambasciatore “ebreo gay” americano presso lo stato membro della NATO, ha tenuto un discorso in cui prometteva di punire e far cadere il governo eletto dal popolo di Viktor Orban.

Nel suo discorso,” Pressman” ha affermato:

"Mentre il governo Orbán potrebbe voler aspettare il governo degli Stati Uniti, gli Stati Uniti certamente non aspetteranno l'amministrazione Orbán. Mentre l'Ungheria aspetta, noi agiremo".

Orban si è scrollato di dosso queste minacce aumentando drasticamente i suoi legami economici con Cina e Russia.

Orban ha fatto infuriare la fazione filo-americana nel suo parlamento sostenendo l'espansione di un'università cinese in Ungheria e firmando un contratto con la Russia per costruire una centrale nucleare nel paese.

Altri "fuorilegge" regionali, come Bulgaria e Slovacchia, stanno seguendo l'esempio.

Se i vantaggi economici e militari derivanti dall'appartenenza alla “NATO”  o all' “Unione Europea” non giustificano più l'incessante ingerenza di attori stranieri, è questione di tempo prima che queste nazioni abbandonino queste alleanze.

 

Un'altra grave battuta d'arresto per la diplomazia americana si sta verificando nella regione africana del” Sahel”, ricca di risorse.

 Nazioni come il “Mali” e il “Burkina Faso” hanno cacciato Francia e Stati Uniti, optando invece per il sostegno militare del “Gruppo Wagner russo” e per i partenariati economici con la Cina.

Il Ciad, l'ultima nazione africana che ospita una presenza militare francese, si sta allontanando verso Russia e Cina anche se il governo Macron li implora di restare.

 

Il nuovo governo militare del “Niger”, che ospita una base americana con 1.000 soldati, ha risposto alle arroganti richieste degli Stati Uniti di dimettersi dal potere e ripristinare la risorsa di “Washington Mohamed Bazoum”, ordinando alle truppe statunitensi di lasciare il loro paese.

 La” leadership del Niger” ha concluso che l'America è incapace di negoziare in buona fede e ha promesso di soddisfare le sue esigenze economiche e di sicurezza attraverso la Russia e la Cina.

Un analista di politica estera la dura prova come segue:

"In questo nuovo mondo multipolare, sembra che gli Stati Uniti, ancora probabilmente il paese più ricco e potente del mondo, abbiano bisogno del Niger, uno dei paesi più poveri e deboli del mondo, di più di quanto il Niger ne abbia bisogno".

Il Dipartimento di Stato USA sta addirittura lottando per controllare l'Arabia Saudita, una nazione comunemente percepita come uno stato cliente completamente dipendente dall'impero americano.

In un caso, i sauditi hanno rifiutato le richieste dell'amministrazione Biden di aumentare la produzione di petrolio per ridurre l'impatto delle sanzioni contro la Russia in Europa.

Aggiungendo la beffa al danno, i sauditi hanno integrato più o meno informalmente la Russia nell'OPEC.

Forse il colpo più grande alle aspirazioni americane di politica estera architettate dagli ebrei è stato l'accordo di pace mediato dalla Cina tra Arabia Saudita e Iran, che ha di fatto posto fine al sanguinoso conflitto settario tra sunniti e sciiti che ha tormentato il Medio Oriente per decenni.

Da allora, i sauditi hanno posto fine alla loro terribile guerra contro gli Houthi nello Yemen e hanno ristabilito i rapporti diplomatici con il governo di Bashar al-Assad, un leader che hanno cercato di rovesciare per un decennio.

La settimana scorsa, i sauditi hanno dichiarato pubblicamente che non avrebbero permesso che il loro spazio aereo fosse utilizzato per proteggere Israele dall'Iran.

Per quanto riguarda il conflitto Palestina-Israele, Cina e Russia sono emerse come improbabili leader morali nella loro ferma opposizione alla guerra di Israele a Gaza, la peggiore atrocità del 21° secolo trasmessa in tempo reale a miliardi di persone sui social media.

Alle Nazioni Unite, il mondo continua a sostenere, in un consenso virtuale, un cessate il fuoco nella guerra, insieme al riconoscimento dello Stato palestinese.

 Questi sforzi ricevono continuamente il veto da parte degli Stati Uniti.

 I commentatori e persino i diplomatici statunitensi ritengono che il sostegno incondizionato dell'America alla barbarie dello Stato ebraico, di cui miliardi di persone stanno assistendo in tempo reale sui social media, sia un punto di non ritorno per la legittimità degli Stati Uniti come poliziotto internazionale dei diritti umani.

Gli accademici liberali Dem hanno iniziato a venire a patti con la crescente opinione che l'America sia un cattivo attore sulla scena globale.

 Alcuni incolpano il linguaggio sfacciato e criminale dell'amministrazione Trump (che chiede ai paesi della NATO di proteggere i soldi, uccidere le famiglie dei belligeranti, rubare il petrolio in Siria, ecc.) per il crollo della reputazione dell'America, ma in verità, molte persone in tutto il mondo hanno trovato Trump piacevolmente nel comunicare quali sono state le motivazioni degli Stati Uniti per tutto il tempo.

 

Tecnologia.

Questo non è più vero per le industrie di domani.

 L'equilibrio di potere nel campo della tecnologia si è drammaticamente spostato a favore di una Cina sofisticata.

 L'anno scorso, l'”Australian Strategic Policy Institute” hanno detto che gli Stati Uniti e la sfera liberale in generale erano dietro alla Cina in 37 dei 44 settori tecnologici cruciali, tra cui robotica, produzione avanzata, intelligenza artificiale e biotecnologia.

Questo divario crescente sta iniziando a essere visto nei prodotti di consumo, come l'“iPhone”, che sin dalla sua nascita nel 2007 è stato visto come lo standard internazionale nella tecnologia dei telefoni cellulari.

 

L'anno scorso, “Huawei” ha rilasciato il suo modello “Mate 60” per competere con il nuovo “iPhone 15”.

“L'iPhone 15” è stato lanciato con recensioni contrastanti, con i consumatori che lo hanno definito una scelta che non ha aggiunto alcuna nuova funzionalità.

Il “Mate 60”, d'altro canto, supera” l'iPhone 15” su molti fronti, in particolare per quanto riguarda l'innovativa inclusione della possibilità di effettuare chiamate satellitari.

I produttori americani producono già telefoni satellitari, che sono grandi, ingombranti e difficili da trasportare, ma nessuno ha mai incorporato questa tecnologia in uno” smartphone” che puoi tenere in tasca.

Il governo degli Stati Uniti ha fatto del divieto di vendita dei prodotti “Huawei” un obiettivo di politica interna ed estera.

La sfida per il governo degli Stati Uniti è che “Apple” sta diventando meno competitiva dei suoi rivali cinesi a causa della decorazione del titano aziendale americano di saziare la sua avidità attraverso riacquisti di azioni improduttive a scapito degli investimenti in ricerca e sviluppo.

Il Dipartimento di Giustizia sta cercando di costringere Apple a innovare, ma la natura del sistema economico guidato dalla finanza americana lo rende difficile.

 

Le ramificazioni geopolitiche cominciano a farsi sentire.

 Nonostante abbia utilizzato le minacce degli Stati Uniti per bandire gli smartphone cinesi dal maggior numero possibile di mercati, “Apple” è ora a “Huawei” e ai marchi associati nelle vendite globali di smartphone.

Si tratta di una battuta d'arresto per le capacità di sorveglianza del governo degli Stati Uniti a causa della dipendenza della “NSA ad” e altri prodotti telefonici americani per spiare il mondo.

Nel regno dei veicoli elettrici, un altro teatro della guerra fredda tecnologica, la Cina ha superato di gran lunga gli Stati Uniti.

All'inizio di quest'anno, la casa automobilistica cinese BYD – soprannominata dal New York Times viene il "killer di Tesla" – ha superato Tesla come veicolo elettrico più venduto al mondo.

 

La” popolarità di BYD in Cina” e altrove è guidata dai suoi modelli economici, che costano circa un quarto del prezzo iniziale di una Tesla.

Le BYD sono relativamente economiche grazie al loro approccio diversificato, come la produzione interna di batterie.

La Cina ha attualmente un tasso di adozione dei veicoli elettrici del 22%, che contribuisce a ridurre le emissioni e lo smog, mentre negli Stati Uniti il tasso di adozione dei veicoli elettrici è inferiore al 6%.

Ciò non vuol dire che gli Stati Uniti siano indietro ovunque.

 L'America ha superato la Cina creando la prima intelligenza artificiale interattiva.

Questo risultato, tuttavia, è stato macchiato dall'”assurdo scandalo del bot Google Gemini”, che è stato programmato per rifiutare qualsiasi rappresentazione normale dei bianchi al fine di adattarsi all'ideologia dominante americana.

Questa malattia sta mostrando sintomi in “ChatGPT,” il primo strumento di intelligenza artificiale conversazionale, programmato per bloccare domande "incitanti all'odio" su razza e genere, nonché "contenuti che tentano di influenzare il processo politico".

ChatGPT” non consentirà nemmeno agli utenti di generare ricerche scientifiche critiche nei confronti del “transgenderismo”.

Uno strumento che dovrebbe posizionare gli Stati Uniti davanti alla Cina nella corsa all'intelligenza artificiale è ora liquidato come uno strumento di propaganda da una parte sostanziale del popolo americano in patria.

Questo malessere affligge altri campi strategici in cui gli Stati Uniti sono sempre stati rispettati.

Una combinazione di osservazioni razziali che discriminano i dipendenti bianchi qualificati ha portato a numerosi guasti tecnici di alto profilo dei più nuovi aerei Boeing, trasformando il nome del leader globale nei prodotti aerospaziali in una durante il volo.

Sia il razzismo anti-bianco che la filosofia degli affari "l'avidità è buona" sono parte integrante dell'americanismo, il che significa che porre rimedio a questo problema sarà difficile, se non impossibile.

Nel regno dei missili ipersonici difficili da intercettare, le notizie sono cupe per gli Stati Uniti.

 L'Iran, la Cina e la Russia sono tutti considerati molto più avanti degli Stati Uniti, avendo effettivamente testato i loro primi missili e nel caso della Russia li hanno usati in battaglia, mentre i tentativi dell'America di testare la sua versione di questa la tecnologia sono falliti.

All'inizio di questo mese, la piccola e pesantemente sanzionata nazione della Corea del Nord ha battuto gli Stati Uniti testando con successo il proprio missile ipersonico, l'Hwasong-16B.

Questo sviluppo ha suscitato più domande che risposte.

 È ampiamente ipotizzato che la Russia abbia segretamente trasferito questa tecnologia ai nordcoreani, garantendo loro un sorprendente vantaggio strategico contro la presenza americana nella regione.

Gli Stati Uniti attualmente rilevano un vantaggio di esportazione rispetto alla Russia a causa della guerra in Ucraina, ma il desiderio di accedere ai sistemi d'arma russi più economici ma avanzati, come il sistema di difesa S-400, rimane una delle principali barriere che impediscono a potenze strategiche come l'India di sostenere pienamente e ambizioni di Washington di creare una "NATO asiatica".

 

Cultura.

La proliferazione della cultura pop americana, in cui gli ebrei svolgono un ruolo importante come creatori di gusto, è stata una freccia importante nella faretra dell'egemone globale.

Non c'è dubbio che i” jeans Levi's”, la “musica rock “e “McDonald's “abbiano catturato l'immaginazione di milioni di persone nel blocco orientale durante la Guerra Fredda.

Nel 2002, il primo ministro israeliano” Benjamin Netanyahu” fu più schietto, suggerendo al Congresso degli Stati Uniti di lavorare per trasmettere in Iran per fomentare la discordia, con Netanyahu che scherzava, "questa è roba sovversiva!"

La popolarità della cultura americana conserva ancora parte del suo potere, ma è senza dubbio diminuita a livello globale.

Durante gli anni '90, le formose bionde seminude della serie ne fecero lo show televisivo più visto al mondo.

Avanzando rapidamente fino al 2023, il “remake in CGI della Sirenetta” con protagonista una donna di colore nel ruolo del personaggio principale è stato solo una esibizione nella Cina amante della Disney e nella maggior parte del resto del mondo.

 I critici cinesi non hanno avuto remore a spiegare il motivo per cui hanno boicottato il film:

credono che sia scegliere una persona di colore per recitare in un racconto popolare europeo e hanno respinto le critiche "occidentali" al loro "razzismo" come stupide.

I cittadini di paesi con una popolazione massiccia come la Cina e l'India stanno ora rifiutando i film di Hollywood e i valori che promuovono, scegliendo invece di guardare film realizzati in patria.

Anche la presa sui social media, un tempo monopolizzata da “Instagram”,” Youtube”, “Facebook”, ecc., si sta indebolendo.

L'adattamento globale dei social media nel corso degli anni 2000 e 2010 ha permesso ai politici di Washington di trasmettere la propaganda e gli stili di vita americani negli smartphone dei giovani di tutto il mondo, portando a vari episodi come “IA”.

 

L'uso di queste app di social media da parte di attori statali e ONG americani, britannici e israeliani per fomentare il caos e organizzare la violenza è stato citato come motivo per vietarle in nazioni come la Turchia, il Pakistan e la Cina, portando ad accusa da parte dell'Occidente di minare Internet libero e aperto.

Ora il governo degli Stati Uniti è sulla difensiva, lavorando per mettere fuori legge o forzare la vendita di una delle app più popolari in America – TikTok di proprietà cinese – a causa del diffuso sentimento anti-israeliano che può fluire sulla piattaforma.

Le piattaforme di social media di proprietà russa e cinese sono diventate più sofisticate, mentre i loro equivalenti americani sono rimasti stagnanti, portando a un diffuso adattamento nazionale e a un crescente uso internazionale di prodotti non americani.

L'app gratuita del russo “Pavel Durov”, “Telegram”, è salita al 7° posto tra le piattaforme di social media più utilizzate, mentre il tentativo di “Elon Musk” di competere, Twitter, non è nemmeno nella top 10. “WeChat” in Cina è ora il quinto più utilizzato, “TikTok” è il” sesto” e “Weibo” è il decimo.

 

Cina e Russia ora possono rispondere ad Amazon con Ali Baba e Ozon.

Il motore di ricerca “Google” si è scontrato con “Yandex” e Baidu, con “Yandex” persino del suo concorrente americano per la "libertà di parola" “Duck Duck Go”.

Anche l'accesso alle prelibatezze americane, come “Starbucks e McDonalds”, è stato politicizzato dalle élite statunitensi, ma non sempre a loro vantaggio.

Le sanzioni hanno portato la maggior parte dei marchi americani a lasciare improvvisamente la Russia nel 2022, ma i sostituti nativi sono dei loro predecessori.

In una conferenza sugli utili di febbraio, McDonald's ha mostrato una crescita anemica.

 Il consigliere finanziario capo “Ian Borden “come colpevole il boicottaggio da parte del mondo musulmano, forte di un miliardo di persone, che sostiene il genocidio israeliano a Gaza. Anche “Starbucks”, di proprietà dell'ebreo sionista “Howard Schulz”, viene boicottata per aver sostenuto Israele.

In un certo senso, l'omogeneizzazione americana delle preferenze culturali e dei consumatori del mondo rappresenta un ripristino della diversità e dell'esclusività umana.

I prodotti fabbricati negli Stati Uniti non sono più "must-have".

In termini di soft power, questo significa che i politici di Washington dovranno fare pace con un mondo che non condivide automaticamente tutte le sue ipotesi o preferenze e che non si adatta o muore.

Commenti

Post popolari in questo blog

La difesa della famiglia umana.

E lo scandalo continua contro i popoli.

Ci vogliono uccidere!