La fine del mondo attuale si avvicina.
La
fine del mondo attuale si avvicina.
Le
oscure origini del
Great
Reset di Davos.
Globalreseach.ca
- William Engdahl – (12 aprile 2024) – ci dice:
È
importante capire che non c'è una sola idea nuova o originale nel cosiddetto
programma del “Grande Reset” di Klaus Schwab per il mondo.
Né la
sua agenda per la “Quarta Rivoluzione Industriale” è una sua pretesa di aver
inventato la nozione di “Stakeholder Capitalism”, un prodotto di Schwab.
Klaus
Schwab è poco più di un abile agente di pubbliche relazioni per un'agenda
tecnocratica globale, un'unità corporativa del potere corporativo con il
governo, comprese le Nazioni Unite, un'agenda le cui origini risalgono
all'inizio degli anni '70 e anche prima.
Il Grande reset di Davos è semplicemente un
progetto aggiornato per una dittatura distopica globale sotto il controllo
delle Nazioni Unite che è stato sviluppato per decenni.
Gli
attori chiave erano “David Rockefeller” e il suo protettore, “Maurice Strong”.
All'inizio
degli anni '70, probabilmente non c'era persona più influente nella politica
mondiale del defunto allora ampiamente noto come “presidente della Chase
Manhattan Bank£.
Creare
il nuovo paradigma.
Alla
fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, i circoli internazionali
direttamente legati a David Rockefeller lanciarono una serie abbagliante di
organizzazioni d'élite e think tank.
Questi
includevano:
“Il
Club di Roma”;
“il
1001”: A “Nature Trus”t, legato al “World Wildlife Fund” (WWF);
la “conferenza
di Stoccolma per la Giornata della Terra delle Nazioni Unite”;
lo
studio del MIT,” I limiti della crescita”;
e la “Commissione
Trilaterale” di David Rockefeller.
Club
di Roma.
Nel
1968 David Rockefeller fondò un think tank neo-malthusiano, “The Club of Rome”,
insieme ad “Aurelio Peccei” e “Alexander King”.
Aurelio
Peccei, era un alto dirigente della casa automobilistica Fiat, di proprietà
della potente famiglia italiana Agnelli.
“Gianni Agnelli” della Fiat era un amico
intimo di “David Rockefeller” e membro dell'“International Advisory Committee”
della Chase Manhattan Bank di Rockefeller.
Agnelli
e David Rockefeller erano amici intimi dal 1957.
Agnelli
divenne membro fondatore della Commissione Trilaterale di David Rockefeller nel
1973.
Alexander
King, capo del “Programma scientifico dell'OCSE”, è stato anche consulente
della “NATO”.
Quello
fu l'inizio di quello che sarebbe diventato il movimento neo-malthusiano del
"popolo inquina".
Nel
1971 il Club di Roma pubblicò un rapporto profondamente imperfetto, “Limiti
alla crescita”, che prevedeva la fine della civiltà come la conoscevamo a causa
della rapida crescita della popolazione, combinata con risorse fisse come il
petrolio.
Il rapporto concludeva che senza cambiamenti
sostanziali nel consumo delle risorse, "il risultato più probabile sarà un
declino piuttosto improvviso e incontrollabile sia della popolazione che della
capacità industriale".
Si
basava su false simulazioni al computer da parte di un gruppo di scienziati
informatici del MIT.
Si affermava l'audace previsione:
"Se
le attuali tendenze di crescita della popolazione mondiale,
dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della produzione alimentare e
dell'esaurimento delle risorse continueranno invariate, i limiti alla crescita
su questo pianeta saranno raggiunti entro i prossimi cento anni".
Era il
1971.
Nel 1973 Klaus Schwab, nel suo terzo incontro
annuale dei leader aziendali a Davos, invitò “Peccei” a Davos per presentare “i
limiti della crescita” agli amministratori delegati delle aziende riuniti.
Nel
1974, il Club di Roma dichiarò coraggiosamente: "La Terra ha il cancro e il
cancro è l'Uomo".
Poi:
"il
mondo sta affrontando una serie senza precedenti di problemi globali
interconnessi, come la sovrappopolazione, la carenza di cibo, l'esaurimento
delle risorse non rinnovabili [petrolio-noi], il degrado ambientale e la
cattiva governance".
Sostenevano
che,
è
necessaria una ristrutturazione "orizzontale" del sistema mondiale...
cambiamenti drastici nello strato normativo – cioè nel sistema di valori e
negli obiettivi dell'uomo – sono necessari per risolvere la crisi energetica,
alimentare e altre crisi, cioè cambiamenti sociali e Se si vuole che avvenga la
transizione verso una crescita organica, sono necessari cambiamenti negli
atteggiamenti individuali.
Nel
loro rapporto del 1974, ”L'umanità al punto di svolta”, il Club di Roma
sosteneva ulteriormente:
La
crescente interdipendenza tra nazioni e regioni deve quindi tradursi in una
autorizzata dell'indipendenza.
Le
nazioni non possono essere interdipendenti senza che ciascuna di esse rinunci
ad alcuni dei propri limiti o almeno riconosca i limiti della propria
indipendenza.
Ora è
il momento di redigere un piano generale per la crescita organica sostenibile e
lo sviluppo mondiale basato sull'allocazione globale di tutte le risorse
limitate e su un nuovo sistema economico globale.
Questa
è stata la prima formulazione dell'Agenda 21 delle Nazioni Unite, dell'Agenda
2030 e del Grande Reset di Davos del 2020.
David
Rockefeller e Maurice Strong.
Di
gran lunga l'organizzatore più influente dell'agenda di "crescita
zero" di Rockefeller nei primi anni '70 fu l'amico di lunga data di “David
Rockefeller”, un petroliere miliardario di nome “Maurice Strong”.
Il
canadese Maurice Strong è stato uno dei principali promotori della “teoria scientificamente errata” secondo cui le emissioni di “CO2”
provocate dall'uomo dai veicoli di trasporto, dalle centrali a carbone e
dall'agricoltura hanno causato un aumento drammatico e accelerato della
temperatura globale che minaccia "il pianeta", il cosiddetto riscaldamento
globale.
In
qualità di presidente della Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite per la
Giornata della Terra del 1972, Strong ha promosso un'agenda di riduzione della
popolazione e abbassamento del tenore di vita in tutto il mondo per "salvare
l'ambiente".
Strong
ha dichiarato la sua agenda ecologista radicale: L'unica speranza per il
pianeta non è il collasso delle civiltà industrializzate? Non è nostra
responsabilità realizzarlo?"
Questo
è ciò che sta accadendo ora sotto la copertura di una tanto pubblicizzata
pandemia globale.
Strong è stata una scelta curiosa quella di
guidare un'importante iniziativa delle Nazioni Unite per mobilitare l'azione
sull'ambiente, poiché la sua carriera e la sua considerevole fortuna erano
state costruite sullo sfruttamento del petrolio, come un insolito numero di
nuovi sostenitori della "purezza ecologica", come “David Rockefeller”
o “Robert O. Anderson” dell'”Aspen Institute” o “John Loudon” della Shell.
Strong
aveva incontrato David Rockefeller nel 1947 quando era un giovane canadese
diciottenne e da quel momento la sua carriera si legò alla rete della famiglia
Rockefeller.
Attraverso la sua nuova amicizia con “David
Rockefeller”, Strong, all'età di 18 anni, ricevette una chiave Posizione delle Nazioni Unite sotto
il Tesoriere delle Nazioni Unite, Noah Monod.
I
fondi delle Nazioni Unite furono opportunamente gestiti dalla Chase Bank di
Rockefeller.
Questo
era tipico del modello di "partenariato pubblico-privato"
implementato da Strong: guadagno privato dal governo pubblico.
Negli
anni '60 Strong era diventato presidente dell'enorme conglomerato energetico e
compagnia petrolifera di Montreal noto come “Power Corporation”, allora di
proprietà dell'influente” Paul Desmarais”.
Secondo
quanto riferito, la “Power Corporation” è stata utilizzata anche come fondo
nero politico per finanziare campagne di politici canadesi selezionati come “Pierre
Trudeau”, padre del protetto di “Davos Justin Trudeau”, secondo la ricercatrice
investigativa canadese “Elaine Dewar”.
Summit
della Terra I e Summit della Terra di Rio.
Nel
1971 Strong fu nominato sottosegretario delle Nazioni Unite a New York e
segretario generale della prossima conferenza sulla Giornata della Terra, la
Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano (Summit della Terra I) a
Stoccolma, in Svezia.
Quell'anno
fu anche nominato amministratore fiduciario della “Fondazione Rockefeller”, che
finanziò il suo lancio del progetto “Stockholm Earth Day”.
A Stoccolma fu creato il “Programma delle
Nazioni Unite per l'ambiente” (UNEP) con Strong come capo.
Nel
1989 Strong è stato nominato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite a capo della Conferenza delle Nazioni
Unite sull'Ambiente e lo Sviluppo del 1992 o UNCED ("Rio Earth Summit II").
Ha
supervisionato la stesura degli obiettivi "Ambiente sostenibile"
delle Nazioni Unite, l'Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile che costituisce la
base del “Great Reset di Klaus Schwab”, nonché la creazione del Gruppo
intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni
Unite .
Strong, che era anche membro del consiglio di amministrazione del “WEF di Davos”,
aveva
fatto in modo che Schwab fungesse da consigliere chiave per il Summit della
Terra di Rio.
In
qualità di Segretario
Generale della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio, Strong ha anche commissionato un rapporto
al Club di Roma, La prima rivoluzione globale, scritto da Alexander King, in
cui ammetteva che l' “affermazione sul riscaldamento globale da CO2” era
semplicemente uno “stratagemma inventato” per forzare il cambiamento:
"Il
nemico comune dell'umanità è l'uomo.
Nella
ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, ci è venuta l'idea che
l'inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d'acqua, la
carestia e simili sarebbero stati all'altezza.
Tutti
questi pericoli sono causati dall'intervento umano, ed è solo attraverso un
cambiamento di atteggiamenti e comportamenti che possono essere superati.
Il vero nemico quindi è l'umanità stessa".
Il
delegato del presidente Clinton a Rio, “Tim Wirth”, ha ammesso la stessa cosa,
affermando:
"Dobbiamo
affrontare il problema del riscaldamento globale. Anche se la teoria del riscaldamento globale è
sbagliata,
faremo la cosa giusta in termini di politica economica e politica
ambientale".
A Rio
Strong ha introdotto per la prima volta l'idea manipolativa di "società
sostenibile" definita in relazione a questo obiettivo arbitrario di
eliminare la CO2 e altri cosiddetti gas serra.
L'Agenda 21 è diventata” Agenda 2030” nel settembre
2015 a Roma, con la benedizione del Papa, con 17 obiettivi "sostenibili".
Ha
dichiarato, tra le altre cose,
"La
terra, per la sua natura unica e per il ruolo cruciale che svolge
nell'insediamento umano, non può essere trattata come un bene ordinario,
controllato da individui e soggetto alle pressioni e alle inefficienze del
mercato.
La
proprietà privata della terra è anche uno strumento principale di accumulazione
e concentrazione della ricchezza e quindi contribuisce all'ingiustizia
sociale...
La
giustizia sociale, il rinnovamento e lo sviluppo urbano, la fornitura di
abitazioni dignitose e condizioni sane per le persone possono essere raggiunti
solo se la terra viene utilizzata nell'interesse della società nel suo
insieme".
In
breve, la
proprietà privata della terra deve diventare socializzata per "la società
nel suo insieme", un'idea ben nota ai tempi dell'Unione Sovietica e una
parte fondamentale del “Grande Reset di Davos”.
A Rio
nel 1992, dove era presidente e segretario generale, “Forte” dichiarò:
"È
chiaro che gli attuali stili di vita e i modelli di consumo della classe media
benestante – che comportano un'elevata assunzione di carne, il consumo di
grandi quantità di cibi surgelati e pronti, l'uso di combustibili fossili,
elettrodomestici, aria condizionata a casa e sul posto di lavoro e abitazioni
suburbane – non sono sostenibili".
A quel
tempo” Strong” era al centro stesso della trasformazione delle “Nazioni Unite!
nel veicolo per imporre di nascosto un nuovo "paradigma" tecnocratico
globale, utilizzando terribili avvertimenti sull'estinzione del pianeta e sul
riscaldamento globale, fondendo le agenzie governative con il potere aziendale
in un controllo non eletto.
E
praticamente di tutto, sotto la copertura della "sostenibilità".
Nel
1997 Strong ha supervisionato la creazione del piano d'azione successivo all' “Earth
Summit”, “The Global Diversity Assessment”, un progetto per l'avvio di una quarta rivoluzione
industriale, un inventario di ogni risorsa del pianeta, come sarebbe
controllata e come questa rivoluzione lo avrebbe raggiunto.
A quel
tempo Strong era co-presidente del Forum economico mondiale di Davos di Klaus
Schwab.
Nel
2015, alla morte di Strong, il fondatore di Davos Klaus Schwab scrisse:
"È
stato il mio mentore fin dalla creazione del Forum: un grande amico; un
consigliere indispensabile; e, da molti anni, membro del nostro Consiglio di
Fondazione."
Prima
di lasciare l'ONU a causa dello scandalo di corruzione Food-for-Oil in Iraq,
Strong era membro del Club di Roma, amministratore dell'Aspen Institute,
amministratore della Fondazione Rockefeller e della Fondazione Rothschild.
Strong è stato anche direttore del” Tempio della Comprensione del Lucifer Trust”
(noto anche come” Lucis Trust”) ospitato presso la “Cattedrale di St. John the
Divine” a New York City:
"dove
i rituali pagani includono la scorta di pecore e bovini all'altare per la
benedizione.
Qui, il vicepresidente Al Gore ha tenuto un
sermone, mentre i fedeli marciavano verso l'altare con ciotole di compost e
vermi..."
Questa
è l'origine oscura dell'agenda del Grande Reset di Schwab, secondo la quale dovremmo
mangiare vermi e non avere proprietà privata per "salvare il
pianeta".
L'agenda è oscura, distopica e intesa a
eliminare miliardi di noi "umani comuni".
(F.
William Engdahl è consulente e docente in materia di rischi strategici, ha
conseguito una laurea in politica presso l'Università di Princeton ed è un
autore di best-seller su petrolio e geopolitica. È ricercatore associato del
Centro di ricerca sulla globalizzazione. CRG).
Gli
oligarchi non
parlano
solo russo.
Milanoinmovimento.com
– (26-3-2022) – Editoriale – Intervento di Berni Sanders – ci dice:
Se
osservate i mass media, troverete molto spesso la parola “oligarca” associata
alla parola “russo”.
Ma gli
oligarchi non sono solamente un fenomeno russo o un concetto lontano da noi.
No.
Anche
gli Stati Uniti e l’Europa hanno i loro oligarchi.
Oggi,
negli Stati Uniti, le due persone più ricche possiedono più ricchezza del 42%
della popolazione povera, vale a dire 130 milioni di americani.
E l’1%
dei ricchi possiede più ricchezza del 92% più povero.
Negli
ultimi cinquanta anni c’è stato un enorme trasferimento di ricchezza, ma nella
direzione sbagliata.
La classe media tira la cinghia mentre chi sta
sopra sé la spassa sempre di più.
Ancora,
nell’economia globale, è evidente che stiamo vedendo una gigantesca e
distruttiva crescita della disuguaglianza di reddito e ricchezza.
Mentre la parte più ricca del mondo diventa
sempre più ricca, la gente normale lotta per la sopravvivenza e i più disperati
muoiono di fame.
La
pandemia da Covid ha peggiorato questa già drammatica situazione.
Oggi,
nel mondo, i dieci più ricchi multimilionari possiedono più ricchezza del resto
dei 3,1 miliardi di poveri, ovvero il 40% della popolazione mondiale.
Incredibilmente,
la ricchezza di questi dieci multimilionari è raddoppiata durante la Pandemia,
mentre il reddito del 99% della popolazione mondiale è diminuita.
Gli
oligarchi spendono montagne di denaro per comprarsi yacht lussuosi, ville e
costose opere d’arte mentre 160 milioni di persone sono scivolate nella povertà.
Secondo
Oxfam, il reddito globale e la disuguaglianza di reddito hanno portato alla
morte più di 21 mila persone ogni giorno a causa della fame e della mancanza di
accesso alle cure mediche.
Ancora,
i 2.755 milionari del mondo hanno visto crescere la loro ricchezza di 5
trilioni di dollari a partire dal marzo 2021, crescendo da 8,6 a 13,8 trilioni
di dollari.
Ma non
è solamente la crescita della disuguaglianza di reddito e ricchezza tra super
ricchi e tutti gli altri.
È la
crescita della concentrazione della proprietà e del potere politico.
Qualcosa
di cui non si parla mai abbastanza, nei media o nei circoli della politica, è
la realtà che una manciata di gruppi economici di Wall Street, Black Rock,
Vanguard e State Street, adesso controllano oltre 21 trilioni di dollari in
asset, all’incirca l’intero Pil degli USA.
Questo
dona a un minuscolo numero di CEO un enorme potere su centinaia di compagnie e
sulla vita di milioni di lavoratori.
Il
risultato: negli ultimi anni abbiamo visto i super ricchi accrescere
significativamente la loro influenza sui media, il sistema delle banche, il
sistema sanitario, l’edilizia e molte altre parti dell’economia.
Obiettivamente
non avevamo mai visto prima così poche persone possedere e controllare così
tanto.
Metti
tutto assieme e vedi un mondo, occidentale ma non solo, tendente fortemente
verso l’oligarchia, dove un piccolo numero di multi-milionari esercita un
enorme potere economico e politico.
Quindi,
in mezzo a tutto questo, da dove partiamo?
Chiaramente,
mentre affrontiamo oligarchia, Covid, attacchi alla democrazia, “cambiamento
climatico”, l’orribile guerra in Ucraina e altre sfide, è facile lasciarsi
andare al cinismo e perdere le speranze.
È uno stato d’animo, tuttavia, che dobbiamo
superare, non solo per noi stessi, ma per i nostri figli e le future
generazioni.
La
posta in gioco è troppo alta e la disperazione non è un’opzione. Dobbiamo
unirci e combattere.
Quello
che la storia ci ha sempre insegnato è che il cambiamento reale non è mai
avvenuto dall’alto verso il basso.
È
sempre stato spinto dal basso.
Questa è stata la storia del movimento
operaio, del movimento per i diritti civili, del movimento femminista, del
movimento ambientalista e del movimento omosessuale.
Questa
è la storia di ogni sforzo che ha portato a una trasformazione della nostra
società.
Questa
è una lotta che dobbiamo intensificare oggi.
Dobbiamo
riunire la gente attorno a una agenda progressiva.
Dobbiamo
educare, organizzare e costruire un movimento di base inarrestabile che aiuti a
creare il tipo di nazione e di mondo che sappiamo di poter diventare.
Basato
su principi di giustizia e compassione e non sull’avidità e sull’oligarchia.
Non
dobbiamo mai perdere l’indignazione quando così pochi hanno tanto mentre così
tanti hanno così poco.
Non
dobbiamo lasciarci dividere in base al colore della nostra pelle, al luogo in
cui siamo nati, alla nostra religione o al nostro orientamento sessuale.
La più
grande minaccia della classe miliardaria non è semplicemente la loro ricchezza
e potere illimitati.
È la loro capacità di creare una cultura che
ci fa sentire deboli e senza speranza e diminuisce la forza della solidarietà
umana. (…)
Ora è
il momento di costruire un nuovo ordine globale progressivo che riconosca che
ogni persona su questo pianeta condivide un’umanità comune e che tutti noi,
indipendentemente da dove viviamo o dalla lingua che parliamo, vogliamo che i
nostri figli crescano sani, abbiano un’istruzione adeguata, e respirino aria
pulita e vivano in pace. (…)
Sorelle
e fratelli, in questo momento siamo in una lotta tra un movimento progressista
che si mobilita attorno a una visione condivisa di prosperità, sicurezza e
dignità per tutte le persone, contro uno che difende l’oligarchia e la massiccia
disuguaglianza di reddito e ricchezza globale.
È una
lotta che non possiamo perdere.
Ed è
un ostacolo che possiamo superare, fintanto che stiamo insieme.
(Recente
intervento di “Bernie Sanders”).
Oligarchi
ucraini, com'è cambiata
la loro vita con la guerra?
Il
patto con Zelensky
(simile
a quello di Putin).
Ilmattino.it
– (8 giugno 2022) - Mario Landi - Financial Times – ci dice:
Nel
2014, quando era scoppiata la guerra nel Donbass, gli oligarchi ucraini erano
stati in prima linea contro la Russia:
con
l'esercito mal equipaggiato e colto alla sprovvista, l'élite di Kiev finanziò
interi battaglioni volontari si unirono al conflitto.
Diversi
oligarchi furono nominati per prendere il potere come governatori di regioni
instabili di lingua russa dove Mosca stava cercando di istigare altre rivolte
separatiste.
Oggi il ruolo degli oligarchi è ben diverso:
sono
più emarginati e il loro peso economico è diminuito.
«La
mia impressione è che si siano persi - ha detto “Timofij Mylovanov”, ex
ministro dell'Economia -.
Non
hanno idea di cosa fare».
Il 23
febbraio, il giorno prima dell'invasione, il presidente “Volodymyr Zelensky” ha
convocato nel suo ufficio le figure più potenti dell'economia ucraina.
Alcuni, come “Pinchuk” e” Rinat Akhmetov”,
l'uomo più ricco dell'Ucraina, sono tornati nel Paese espressamente per
incontrarlo.
Mentre
il presidente “Vladimir Putin” ha tenuto una conferenza a distanza agli
oligarchi russi in un incontro simile al Cremlino il giorno successivo,
l'incontro di Zelensky è stato più ospitale, con gli oligarchi riuniti attorno
a un tavolo.
Ma il
messaggio era simile, ha spiegato il “Financial Times”:
quello
di seguire il leader in tempo di guerra.
Due
dei presenti hanno detto che Zelensky ha chiesto loro di mettere da parte le
loro rivalità e unirsi in difesa della nazione.
Cosa è
cambiato rispetto al 2014.
Otto
anni fa,” Ihor Kolomoisky”, co-proprietario di un impero commerciale
diversificato che comprende banche e media, è stato nominato governatore della
sua regione nativa di “Dnipropetrovsk”, che confinava con il” Donbass
separatista”.
Ha
sostenuto decine di gruppi di combattimento volontari per schiacciare i
movimenti nazionali filo-russi.
Allo
stesso modo “Serhiy Taruta”, un magnate dell'acciaio, è stato nominato
governatore della regione di Donetsk.
Insomma,
chi più chi meno hanno usato la loro autorità, le loro risorse e il potere dei
media per mobilitare la popolazione contro il tentativo della Russia di
destabilizzare e disgregare il Paese.
La
guerra in Ucraina.
Otto
anni dopo, con l'esercito ucraino ben addestrato e in grado di resistere agli
attacchi russi, gli oligarchi del paese stanno giocando un ruolo più passivo
nella difesa della nazione, donando denaro e forniture come milioni di loro
compatrioti.
“Akhmetov”
e “Pinchuk” hanno organizzato uno sforzo di pubbliche relazioni per ottenere
riconoscimenti per i loro sforzi filantropici.
Altri,
come “Kolomoisky”, un sostenitore chiave della campagna presidenziale di
Zelensky, sono stati vistosamente assenti.
Anche “Dmytro
Firtash”, il magnate del gas in esilio ricercato negli Stati Uniti con l'accusa
di corruzione e un tempo considerato vicino al Cremlino, ha detto di voler tornare in Ucraina
per aiutare lo sforzo bellico.
“Akhmetov
“ha affermato di aver stanziato 100 milioni di euro in aiuti umanitari e
sostegno all'esercito ucraino.
«Il compito cruciale per noi ora è aiutare gli
ucraini a sopravvivere e l'Ucraina a vincere - ha detto al “Financial Times” -.
È già
chiaro che sia la nostra attività che il nostro Paese stanno subendo enormi
perdite a causa della guerra».
Come altri magnati i cui imperi commerciali
hanno avuto origine con attività nel cuore industriale orientale dell'Ucraina -
ora al centro della guerra – “Akhmetov” ha subito un duro colpo.
Sta
facendo causa al governo russo per perdite fino a 20 miliardi di dollari nelle
sue due mastodontiche acciaierie a “Mariupol”, tra cui “Azovstal!, che è stata
distrutta dall'assalto della Russia.
Gli
oligarchi hanno anche perso la leva politica.
I loro
canali televisivi trasmettono le stesse linee del governo sulla guerra.
Nel frattempo Zelensky, che l'anno scorso ha
fatto arrabbiare i magnati quando ha approvato una legge anti-oligarca per
ridurre la loro influenza politica, è cresciuto in popolarità e autorità.
Cosa
può cambiare dopo la guerra.
“Oleksiy
Danilov”, capo della sicurezza nazionale di Zelensky che ha svolto un ruolo
importante negli sforzi per frenare l'influenza degli oligarchi, ha detto al “Financial
Times” che dall'invasione russa si sono comportati «in vari modi» e ha lasciato
intendere che alcuni sarebbero stati ritenuti responsabili dopo la fine della
guerra.
È
probabile che gli industriali più ricchi dell'Ucraina trovino nuove opportunità
di business nel ruolo di ricostruzione finanziato con centinaia di miliardi di
dollari di aiuti occidentali.
Alcuni
dovrebbero anche chiedere un risarcimento al governo per le fabbriche e le
strutture distrutte durante la guerra.
La
nostra: più oligarchia
che
democrazia?
Istitutoeuroarabo.it – (1° settembre 2023) -
Comitato di Redazione – Elio Rindone – ci dice:
È noto
che il significato delle parole cambia nel corso dei secoli.
Il
vocabolario della Treccani, per esempio, definisce la democrazia come quella
«forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di
rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione,
su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico».
Oggi,
quindi, caratteristica essenziale della democrazia è l’uguaglianza dei
cittadini, garantita dal suffragio universale, che permette a tutti di
partecipare, attraverso i propri rappresentanti, alla gestione del potere.
Ben
diverso era il significato del termine nell’antica Grecia.
Gli
abitanti di Atene, considerata abitualmente culla della democrazia, erano
costituiti per tre quarti da schiavi, che non avevano ovviamente alcun diritto.
C’erano,
poi, i cittadini liberi – artigiani, commercianti, piccoli proprietari – che
costituivano il δῆμος, cioè le classi meno abbienti, i poveri che, con le loro
lotte, talora riuscivano a imporre il loro dominio, κρατία.
Ciò,
evidentemente, in contrasto con i ceti superiori, i ricchi che, di solito pochi
di numero, ὀλίγοι, intendevano mantenere il potere, αρχία, esclusivamente nelle
proprie mani.
La
democrazia, dunque, era lo strapotere dei poveri, l’oligarchia il governo dei
ricchi.
Tutto ciò lo dicono con assoluta chiarezza sia
“Platone” che “Aristotele”, i quali giudicano negativamente sia l’una che
l’altra.
Per il
primo, la democrazia «nasce quando i poveri, riportata la vittoria sulla
fazione avversaria, uccidono gli uni e mandano in esilio gli altri, e dividono
con i rimanenti a parità di condizioni il governo e le cariche, che per lo più
vengono assegnate tramite sorteggio» (Repubblica, libro VIII, 557 a), mentre
l’oligarchia è «quel sistema politico basato sul censo, nel quale i ricchi
comandano e i poveri non partecipano al governo» (Repubblica, libro VIII, 550
c).
Parimenti
“Aristotele”: «si ha democrazia quando stanno al potere uomini liberi e poveri,
che sono [di solito] in maggioranza, oligarchia quando vi stanno uomini ricchi
e nobili, che sono [di solito] in minoranza» (Politica, IV, 4, 1290 b 17-20).
La polis, quindi, conosce una profonda
divisione tra ricchi e poveri:
i loro interessi sono contrastanti, e lo si
proclama alla luce del sole.
I
regimi democratici e oligarchici non convivono ma sono alternativi, perché sono
uno la negazione dell’altro.
È solo
a partire dal XVIII secolo, dunque, che a poco a poco il termine democrazia
comincia ad essere usato con un altro significato, per indicare un sistema
fondato sul principio di uguaglianza:
tutti i cittadini, ricchi e poveri, hanno gli
stessi diritti e possono partecipare alla gestione del potere attraverso i loro
rappresentanti, eletti col suffragio universale.
Così inteso, il termine ‘democrazia’ si imporrà
acquistando una valenza positiva, tanto che è difficile trovare oggi uno Stato
che non si autodefinisca democratico. La nostra Costituzione, per esempio,
dichiara subito che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione» (art. 1), e cioè anzitutto attraverso il diritto,
riconosciuto a tutti i cittadini, di eleggere i propri rappresentanti:
«Sono elettori tutti i cittadini, uomini e
donne, che hanno raggiunto la maggiore età» (art. 48).
Ma
l’affermazione che il potere sovrano appartiene al popolo significa che i
cittadini italiani costituiscono una comunità compatta, animata dagli stessi
interessi e senza divisioni al suo interno?
Per
nulla:
le
divisioni ci sono, le differenze tra ricchi e poveri non sono affatto
scomparse.
E la
Costituzione non ignora questo fatto, e anzi esige di impegnarsi per ridurle.
Pone
chiaramente, infatti, come aspirazione irrinunciabile, che tutti i cittadini
siano messi in condizione di realizzare la propria umanità. Obiettivo certo non
facile da raggiungere, ma ciò non significa che la Costituzione consideri la
divisione tra ricchi e poveri una realtà immodificabile:
compito
di primaria importanza della Repubblica, anzi, è proprio quello di «rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà
e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese» (art. 3).
Presentando
il popolo nel suo insieme come titolare della sovranità, le Costituzioni
democratiche mirano, dunque, a superare la netta contrapposizione tra ricchi e
poveri che, come abbiamo visto, nell’antica Grecia dava luogo all’alternanza,
spesso violenta, di regimi democratici e oligarchici.
Infatti,
da una parte, il suffragio universale consente a tutti di eleggere i propri
rappresentanti e, dall’altra, il pluralismo dei partiti permette agli interessi
dei diversi ceti di essere tutelati nel confronto parlamentare, cercando una
sintesi che ottenga l’approvazione della maggioranza degli eletti.
Ma
un’obiezione si potrebbe fare subito al principio del suffragio universale:
poiché
i ceti meno abbienti costituiscono la maggioranza della popolazione e i ceti
privilegiati la minoranza, come gli interessi di questi ultimi potrebbero
essere adeguatamente tutelati?
È
ovvio che il principio del suffragio universale non può essere gradito ai
ricchi, che infatti lo hanno a lungo contestato:
il
pensiero liberale, in effetti, considerava ragionevole la limitazione del
diritto di voto ai possidenti, con la giustificazione che questi sono i soli
che dispongono delle doti e della cultura necessarie per governare.
Ma
dopo la Seconda Guerra mondiale, alla quale i ceti inferiori avevano
partecipato pagando un tributo di milioni di morti, non era più possibile
privarli del diritto di voto, e infatti, grazie al suffragio universale e
all’azione dei partiti che rappresentavano i loro interessi, le loro condizioni
di vita hanno conosciuto un progressivo miglioramento.
Ha avuto così inizio una politica, ispirata ai
principi del “Welfare State”, che ha realizzato riforme importanti per i più
svantaggiati:
progressività
delle imposte, scuola pubblica, servizio sanitario nazionale, Statuto dei
lavoratori…
Ma ciò
significa che i ricchi si sono rassegnati, accettando le conseguenze di quel
suffragio universale, che di fatto rappresenta una loro sconfitta?
Evidentemente no.
Il suffragio universale, osserva “Zagrebelsky”,
ormai non può essere esplicitamente abolito, perché oggi «viviamo in un tempo
in cui la democrazia – come principio, come idea, come forza legittimante il
potere – è fuori discussione» (L. Canfora G. Zagrebelsky, La maschera
democratica dell’oligarchia, Bari 2014: 7).
Ciò
non toglie, però, che, pur rispettando le forme della democrazia, si possa far
ricorso a una serie di mezzi per svuotarlo dei suoi effetti eversivi:
quindi,
«se l’oligarchia s’instaura nei nostri regimi, deve farlo in forme
democratiche; deve in qualche modo mascherarsi; non può presentarsi come
usurpazione di potere».
In sostanza, ad Atene i ricchi, per gestire il
potere, dovevano abbattere un regime democratico: oggi, invece, riescono a
impadronirsi del potere salvando le apparenze del regime democratico.
E i
mezzi di cui i ceti privilegiati dispongono sono numerosi: anzitutto il
controllo delle varie forme di comunicazione di massa – stampa, radio,
televisione, internet – che ha portato da un lato a considerare la qualifica di
‘comunista’, appioppata persino alle più modeste rivendicazioni sociali, come
un appellativo di cui vergognarsi e dall’altra ad accettare l’ideologia
neo-liberista come l’unica valida, e ormai condivisa anche dai partiti che una
volta erano di sinistra.
Poi la
manipolazione delle leggi elettorali: è evidente che il sistema elettorale
proporzionale è quello che meglio fotografa la consistenza delle preferenze
politiche dei cittadini, con la conseguenza che le classi inferiori sono ben
rappresentate in Parlamento.
I
sistemi maggioritari, invece, o quelli proporzionali con premio di maggioranza,
o che dividono il Paese in collegi uninominali, o che danno agli elettori la
possibilità di votare solo candidati scelti dalle segreterie dei partiti, alterano il quadro politico,
trasformando in maggioranza quelle forze che in realtà rappresentano una
minoranza della popolazione.
E così
i ricchi ottengono un altro risultato: le classi meno abbienti, vedendo sempre
meno tutelati i propri interessi, rinunciano sempre più spesso a recarsi alle
urne; è proprio tra i poveri, infatti, che aumenta l’astensionismo.
L’ovvia
conseguenza è che si sta tornando di fatto a quella limitazione del diritto di
voto ai possidenti, che era così cara ai liberali.
Non
occorre una legge, che sarebbe assolutamente impopolare, che reintroduca il
sistema censitario, perché è la realtà stessa che si impone: visto che se vado a votare non cambia
nulla e le mie condizioni peggiorano chiunque vinca, perché dovrei andare a
votare?
In
effetti, negli ultimi decenni abbiamo assistito a una serie di leggi che
apportavano tagli agli investimenti nella scuola pubblica e nel sistema
sanitario nazionale, riducevano i diritti dei lavoratori, aumentavano la
precarietà, sino a considerare i disoccupati degli sfaticati che non vogliono
lavorare.
E non di rado le leggi, che smontavano quelle
che erano state conquiste ottenute con una dura lotta, erano opera proprio di
quei partiti da cui sarebbe stato lecito attendersi invece la loro difesa.
E,
almeno a parere di Canfora, tutto ciò ha avuto inizio, per quanto riguarda
l’Italia, nel 1993.
In quell’anno la cosiddetta ‘seconda’
Repubblica è «nata, con la riforma elettorale che ha instaurato il sistema
‘maggioritario’ e abrogato quello proporzionale» (L. Canfora, La democrazia.
Storia di un’ideologia, Bari 2004: 315).
Il proporzionale veniva criticato perché
favoriva la frantumazione dei partiti, che ostacolava la creazione di alleanze
solide, e quindi la stabilità dei governi.
Il maggioritario, invece, era apprezzato
perché favoriva la ‘governabilità’, intesa come capacità, di chi vince le
elezioni, di prendere decisioni senza troppi ostacoli.
In realtà, l’obiettivo era quello di ridurre
la presenza in Parlamento delle forze d’opposizione: la governabilità, nei
fatti, «consiste nella più spedita gestione del potere da parte dei ceti più
forti» (ivi: 317).
E le forze che rappresentavano i poveri sono
cadute nel tranello, approvando il passaggio dal proporzionale al maggioritario.
Come
se tutto ciò non bastasse, si sono ripetuti negli ultimi anni tentativi di
modificare la Costituzione, sempre caratterizzati dall’intento di comprimere il
ruolo del Parlamento e rafforzare i poteri dell’esecutivo, sino alle attuali proposte di
un’elezione diretta del capo del governo o del capo dello Stato.
Se le
cose stanno così, la conclusione può essere una sola: i ricchi ce l’hanno fatta! Hanno
preso il potere incoraggiando le forze d’opposizione a rinunciare alle loro
lotte, inducendo le classi meno abbienti ad allontanarsi dalle urne o,
addirittura, convincendole a votare per chi in realtà si propone di ridurre i
loro diritti.
Oggi,
infatti, per arrivare al potere non occorre la forza: basta l’astuzia.
I ricchi, che ovviamente agiscono per i propri
interessi, riescono a convincere gli elettori che operano per il loro bene:
quindi,
«devono esibire una realtà diversa, fittizia, artefatta, costruita con discorsi
propagandistici, blandizie, regalie e spettacoli. […]
Così,
l’oligarchia è il regime della menzogna, della simulazione» (G. Zagrebelsky, Tempo di
oligarchie e di chiarimenti, La Repubblica 12/10/2016).
Sotto
le apparenze della democrazia, la nostra (parliamo dell’Italia ma analisi
simili potrebbero farsi per altri Paesi) è un’oligarchia:
un
regime in cui la menzogna è ripetuta con tale abilità e tanta insistenza da
essere scambiata per verità.
È
grazie alla forza suggestiva della simulazione che il potere dei ricchi non
trova praticamente oppositori, si consolida e tende a “rafforzarsi, estendersi
‘globalizzandosi’ e velarsi in reti di relazioni d’interesse
politico-finanziario, non prive di connessioni malavitose protette dal segreto,
sempre più complicate e sempre meno decifrabili”.
E
vittime della menzogna sono anche le classi medie:
queste
vengono facilmente convinte che è possibile arricchirsi ed entrare a far parte
dei ceti privilegiati, a patto che non ostacolino il loro potere. E così,
rileva amaramente Zagrebelsky, «il ceto medio deve stare al gioco, deve accettare, è
lo schiavo affezionato al padrone. Se non ci sta, gli si dice che il suo
destino è di entrare a far parte dei falliti della società» (Canfora, Zagrebelsky, La maschera
democratica dell’oligarchia: 43).
Per i
poveri, allora, non c’è più nulla da fare?
Al
contrario, nota Zagrebelsky, ci sono spazi d’azione: «l’oligarchia, che per affermarsi ha
bisogno di forme democratiche, quanto meno non può adottare strumenti di
violenza esplicita per supplire al deficit di consenso, e deve mantenere ferme
le procedure democratiche, sebbene cerchi di svuotarle dall’interno. E se le
procedure restano ferme, c’è sempre la possibilità di rianimarle, di ridare al
guscio il suo contenuto».
Quindi,
cosa fare?
Anzitutto
liberarsi dall’idea che la democrazia ci sia già:
«dal
punto di vista degli esclusi dal governo, la democrazia non è una meta
raggiunta, un assetto politico consolidato, una situazione statica. La
democrazia è conflitto » (Zagrebelsky, Tempo di oligarchie).
Le
classi inferiori possono ottenere qualcosa solo se combattono:
«in
sintesi, la democrazia è lotta per la democrazia e non sono certo coloro che
stanno nella cerchia dei privilegiati quelli che la conducono».
Quindi
impegnarsi per contrastare il predominio dei ricchi, che hanno creato una
società che è la negazione dell’articolo 3 della Costituzione: una società «dove la povertà e il disagio sociale
sono abbandonati a se stessi, nella solitudine; dove il lavoro non è
considerato un diritto, ma solo un fattore dell’impresa subordinato alla sua
logica e dove i disoccupati e i precari sono solo un accidente fastidioso di un
“sistema” e non un problema per tutti; dove l’istruzione e la cultura sono
riservati ai figli di coloro che possono; dove la salute è il privilegio di chi
può permettersi d’affrontare le spese che la sua cura comporta» (G. Zagrebelsky, Lezione sulla
democrazia, 13/9/2010).
Se è
la rinuncia alla lotta che assicura la vittoria dell’oligarchia, la soluzione è
una sola, ed è evidente.
L’oligarchia non è certamente facile da contrastare,
ma non è imbattibile.
Ciò che preoccupa, piuttosto, è il fatto che
oggi si vedono poche forze politiche e sindacali pronte a una lotta dura,
sempre nel rispetto delle regole democratiche, per tutelare i diritti dei
poveri!
(Dialoghi
Mediterranei, n. 63, settembre 2023).
Disposizioni
in materia
di
fine vita.
Senatoragazzi.it – (15 Marzo 2023) - Un
giorno in Senato – Redazione – ci dice:
(Istituto
di Istruzione Superiore Cambi Serrani, Falconara Marittima Ancona)
Testo
finale.
ONOREVOLI
SENATORI!
Il percorso che ci siamo proposti cerca di
analizzare l’annosa questione della correttezza morale della somministrazione
della morte; tema controverso fin dagli albori della medicina.
Dal
giuramento d’Ippocrate dove il medico s’impegnava a non somministrare alcun
farmaco letale o abortivo;
al
mondo classico che attraverso la filosofia morale, vedeva il suicidio con
rispetto; all’epoca cristiana che, nella Summa Teologica di San Tommaso
d’Aquino, affermava che il suicidio è peccato mortale perché contro l’amore che
ogni essere deve portare a se stesso e alla società di cui è membro; nonché per
il fatto che la vita è dono di Dio e quindi solo in Lui vi è il potere su di
essa.
Il
nostro lavoro mira ad esaminare il punto di arrivo della legislazione, le sue
criticità ed i suoi pregi.
Partendo
da casi famosi di suicidio assistito, quali Welby, Englaro, Forzatti, passa per
i tre casi recentissimi avvenuti, quest’anno, nella nostra regione, le Marche.
Ma che
sono anche i primi in Italia.
Il primo caso è quello di Federico Carboni,
tetraplegico da 10 anni che ha ingaggiato una battaglia legale con l'Azienda
sanitaria Unica Regionale (Asur) per l'applicazione della sentenza della
Consulta Cappato-Dj Fabo.
Finalmente,
dopo vari ritardi, Federico è riuscito ad ottenere quella che l’Associazione
Coscioni, ha definito “una svolta storica” e cioè la somministrazione del
farmaco.
Allo
stesso modo, Antonio, tetraplegico da 10 anni, è stato ammesso al suicidio
assistito lo scorso agosto.
Un
terzo caso è quello di Fabio Ridolfi, anche lui tetraplegico, che, nelle more
degli ingranaggi procedurali, ha preferito optare per la sedazione profonda,
pur suo malgrado perché molto più dolorosa per i congiunti.
Tuttavia,
pur non essendo sfociato in suicidio assistito, va qui, secondo noi,
annoverato.
Il nostro percorso è volto alla stesura di una
proposta di legge in tema di fine vita che abbiamo voluto intitolare “L’amore
non ha limiti” per evidenziare come l’amore per un proprio congiunto possa
arrivare fino al sacrificio anche estremo.
La
Consulta, infatti, aveva aperto la strada al suicidio assistito ritenendo
compatibile il diritto alla salute e la libertà di scegliere con l’art 580 c.p.
che punisce l’aiuto e l’istigazione al suicidio.
Cioè i
giudici costituzionali hanno ritenuto che la Costituzione, in particolare l’art
32 che sancisce la tutela della salute dell’individuo, sia compatibile con
l’art 580 del c.p. che punisce l’aiuto al suicidio.
Quindi
i medici che, nell’esercizio del loro lavoro, ritengano di aiutare un paziente
a porre termine alle sue sofferenze, sono liberi di farlo.
Ovviamente,
quello della Consulta è solo un suggerimento al Parlamento e quella che potrete
leggere è la nostra proposta di legge.
Art. 1
(Ratio
della legge e condizioni)
1) La
presente legge della Repubblica ha lo scopo di liberare il paziente terminale,
in condizioni irreversibili e prognosi infausta, dalle atroci sofferenze
provate, attraverso la morte medicalmente assistita.
2) A
tal fine è necessario che la persona che ne faccia richiesta sia pienamente
capace d’intendere e di volere nonché di prendere decisioni libere e
consapevoli sulla base dell’avvenuta adeguata illustrazione del caso clinico,
in tutti i suoi aspetti, da parte del medico.
Art. 2
(Formazione
del medico)
1) Il
Medico deve essere formato, ex tunc, in ordine alle modalità di relazione col
paziente e la sua formazione continua in itinere.
2)
Egli deve conoscere le modalità peculiari di raccolta del consenso, relative a
determinati trattamenti.
Art. 3
(Consenso
informato) 1) Il medico, in virtù del principio di alleanza terapeutica col
paziente, è tenuto ad informarlo in maniera chiara ed esaustiva su quanto, in
toto, attiene all’ anamnesi, alla diagnosi, agli accertamenti necessari per
raggiungerla, alla prognosi e alle conseguenti terapie e relativi rischi.
2) Per
converso, il paziente, se lo desidera ha diritto a non essere messo al corrente
della sua patologia e quanto ad essa concerne.
3) Il
paziente può volere che, in sua vece, sia informato un suo familiare o altra
persona da lui indicata. In assenza di tale volontà, il medico non può dare
notizie a nessuno.
Art. 4
Fa
parte delle competenze del medico usare un linguaggio semplice e comprensibile
dando una realistica visione della malattia sapendo, però, dare elementi di
speranza al paziente ed ai suoi familiari. Questo è un emendamento alla prima
stesura.
4- Il
consenso informato viene inserito nella cartella clinica e non è necessario in
casi di trattamenti sanitari obbligatori.
Art. 5
Per
l’esplicitazione del consenso è usata la forma scritta ma ad essa è equiparata
la videoregistrazione o il consenso orale, alla presenza di due testimoni,
quando il malato non può scrivere.
5 -Il
malato è libero di accettare o rifiutare il trattamento sanitario ma non può
esigere trattamenti contrari a norme di legge, anche deontologiche.
Art. 6
(Revoca
del consenso prestato)
1) Il
malato può revocare, in ogni momento, il consenso iniziale.
2) È
equiparata al mancato inizio di trattamento, per effetto di consenso non
prestato, l’interruzione dello stesso in itinere, dovuta alla volontà del
paziente.
Art 2
bis- Tale interruzione non dipende dal tipo di patologia, dal suo stato di
avanzamento o di trattamento ed è possibile attuarla sempre affinché non si
realizzi il rischio di una scelta diversa, ab origine, causata dal timore di
divenire prigionieri della scelta stessa.
3)
Stante l’autodeterminazione, costituzionalmente garantita, del malato è,
altresì, possibile revocare il consenso al trattamento intrapreso dal medico
per stato di necessità ed in condizioni di non coscienza del paziente. La forma
della revoca può essere diversa da quella con la quale il consenso è stato
prestato inizialmente poiché potrebbero essere cambiate le condizioni fisiche
del paziente. L’unico scopo è quello di realizzare la certezza della volontà
del paziente.
Art. 7
(Consenso
dell’incapace)
1) Il
minore, l’interdetto e l’inabilitato esprimono la loro volontà attraverso il
legale rappresentante ma è tenuta in considerazione la loro volontà secondo la
capacità naturale che ne deriva. In caso di contrasto tra la volontà del minore
e quella del rappresentante, decide il giudice tutelare.
Art. 8
(Eutanasia:
condizioni)
1) Il
paziente che chiede l’eutanasia deve avere, simultaneamente, i seguenti
requisiti:
a)
essere affetto da malattia, irreversibile e certificata, che porti a morte
certa e fonte di sofferenze da lui considerate intollerabili.
b)
essere tenuto in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale.
Sono
considerati apparecchi di sostegno vitale che rappresentino condizioni di
accesso alla procedura medicalmente assistita gli apparecchi di respirazione,
nutrizione, idratazione, ventilazione, macchinari per dialisi, fleboclisi. Non
sono considerati tali tutti quelli che, pur rappresentando in senso letterale
un sostegno vitale (es pace maker), possono essere sostituiti con interventi o
procedure ad hoc.
Art. 9
(Cure
palliative)
1)
Dicesi fase terminale di una malattia quella in cui la malattia non risponde
più alle terapie che hanno come scopo la guarigione ed è caratterizzata da una
progressiva perdita di autonomia della persona e dal manifestarsi di sintomi,
sia fisici che psichici. È in questa fase che il controllo del dolore e degli
altri disturbi, dei problemi psicologici, sociali e spirituali assume
importanza primaria.
2) A
tal fine il paziente, prima ancora di poter fare richiesta di ammissione
all’eutanasia, deve essere ammesso alle cure palliative. Lo scopo delle cure
palliative non è quello di accelerare né di ritardare la morte, ma di
preservare la migliore qualità della vita possibile fino alla fine.
3)
Solo se le cure palliative non dovessero sortire alcun effetto sarà possibile
far predisporre al paziente la richiesta per l’eutanasia attiva o passiva, a
seconda di una libera scelta informata e consapevole sempre che il paziente sia
legato a trattamenti di sostegno vitali.
Art.
10
(Eutanasia
attiva)
1)
L’EUTANASIA ATTIVA è l’intervento compiuto dal medico, o da terzi, diretto ad
interrompere la vita del paziente mediante la somministrazione di sostanze e
farmaci o tramite il compimento di atti che, in quanto tali, siano causa di
decesso.
a) il
paziente deve soffrire di un dolore fisico insopportabile;
b) la
morte deve essere inevitabile e vicina;
c) il
paziente deve dare il consenso in maniera esplicita ed attuale;
d) il
medico deve aver (inefficacemente) esaurito tutte le altre misure di sollievo
dal dolore.
Art. 11
(Eutanasia
passiva)
1)
L’EUTANASIA PASSIVA è l’intervento compiuto dal medico o da terzi diretto ad
interrompere la somministrazione del trattamento terapeutico applicato al
paziente, in modo tale che s’impedisca un prolungamento ingiustificato della
vita in previsione della morte prossima.
2) Il
paziente deve essere affetto da una malattia incurabile, e nelle fasi finali
della malattia dalla quale difficilmente si riprenderà;
a) il
paziente deve dare il consenso espresso all'interruzione del trattamento, e
tale consenso deve essere ottenuto e conservato prima della morte. Se il
paziente non è in grado di dare un consenso chiaro, il suo consenso può essere
determinato da un documento pre-scritto come un testamento biologico o dalla
testimonianza della famiglia;
b) il
paziente può essere sottoposto all’eutanasia passiva interrompendo cure
mediche, chemioterapia, dialisi, respirazione artificiale, trasfusione di
sangue, fleboclisi, ecc.
Art.
12
(Accanimento
terapeutico)
1) Nei
casi di pazienti con prognosi infausta e a breve termine o imminenza di morte,
il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella
somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e
sproporzionati (accanimento terapeutico).
2) È
considerato accanimento terapeutico la pratica ostinata di cure che risultano
sproporzionate rispetto all’obiettivo terapeutico che deve essere la cura e non
il “mantenere in vita”. Si sono create classificazioni dei trattamenti tipici
dell’accanimento:
-
trattamenti inutili.
-trattamenti straordinari
- trattamenti di sostegno vitale
3) I
trattamenti inutili riguardano tutti quegli interventi che non incidono in
maniera significativa sul naturale decorso della patologia o sulla miglior qualità
della vita del paziente. I trattamenti straordinari riguardano il ricorso a
mezzi terapeutici eccedenti le normali capacità che il paziente ha di
usufruirne. È nella terza ipotesi (trattamenti di sostegno vitale) che si
manifesta con evidente realtà l’accanimento terapeutico. Cioè l’ammalato viene
trattenuto in uno stato di vita vegetativa persistente.
4) La
terapia proporzionata è quella che trova un punto chiave tra i due eccessi
dell’accanimento terapeutico e dell’abbandono terapeutico.
Art.
13
(Sedazione
palliativa profonda)
1) In
presenza di trattamenti refrattari ai trattamenti sanitari, il medico può
ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua, in associazione con la
terapia del dolore, con il consenso del paziente.
2) Si
considera terapia palliativa profonda la somministrazione intenzionale di
farmaci ipnotici, alla dose necessaria richiesta, per ridurre il livello di
coscienza fino a annullarla. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda o il
rifiuto vengono motivati e annotati nel fascicolo sanitario elettronico.
3) Non
costituiscono una forma di accanimento le terapie sperimentali perché mirate
alla guarigione. Si può evitare qualsiasi forma di cura non desiderata
attraverso la compilazione delle DAT.
Art.
14
(Disposizioni
anticipate di trattamento)
1. a.
Chiunque, in grado d’intendere o di volere, voglia disporre del proprio fine-
vita, in merito a trattamenti sanitari, alle scelte diagnostiche o terapeutiche
che intende o no accettare, può farlo, recandosi presso il proprio comune di
residenza o presso la propria azienda sanitaria, consegnando scrittura privata,
scrittura privata autenticata o atto pubblico che contenga disposizioni in
merito. La consegna delle DAT è esente da tributi di alcun genere.
b.
Qualora le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, possono essere
espresse attraverso video registrazione o dispositivi elettronici.
c. Il
soggetto potrà nominare un fiduciario. Se non è nominato o è, nel frattempo
deceduto od è stato revocato, esse mantengono validità in ordine alla volontà
del disponente.
d. Il
medico potrà disattendere in tutto o in parte alle DAT, in accordo con il
fiduciario, soltanto qualora esse appaiano palesemente incongrue e non
corrispondenti alla condizione clinica del paziente; allorquando siano state
individuate terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione che siano
capaci di assicurare concrete possibilità di miglioramento.
e. In
caso di disaccordo tra medico e fiduciario, decide il giudice tutelare. Di
conseguenza il medico è esente da responsabilità sia civile che penale.
f. Le
DAT sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento nelle stesse
forme; in casi di necessità ed urgenza si potranno revocare con
videoregistrazione o consenso espresso oralmente davanti a due testimoni.
g. È
istituita presso il Ministero della salute una banca dati.
h.
Nelle situazioni di necessità ed urgenza il medico e tutta la sua equipe devono
attivarsi per il bene del paziente e solo qualora ciò non sia stato possibile,
si farà riferimento alle DAT.
i. Se
il paziente non ha sottoscritto, in precedenza, le disposizioni anticipate di
trattamento il medico potrà scegliere la terapia che ritiene più indicata e ne
darà comunicazione ai familiari.
Art.
15
(Regime
sanzionatorio degli atti posti in essere senza consenso)
1) Se
il medico attua atti diagnostici o terapeutici senza il consenso del malato, è
punito senza che gli sia necessario dimostrare che, se l’obbligo informativo
fosse stato correttamente svolto, il paziente avrebbe probabilmente rifiutato
l’intervento cui si è sottoposto.
2) Il
consenso informato è alla base del trattamento sanitario e, qualora manchi, è
sicuramente presente un illecito, anche se la cosa è avvenuta nell’interesse
del paziente. Trattasi di condotta omissiva cui segue una condotta commissiva
punibile in sede civile con il risarcimento del danno ed in sede penale con la
pena dell’arresto pari a 10 giorni.
Art.
16
(Suicidio
assistito)
1)
Colui che, a causa di una grave e lunga malattia, viva forti sofferenze fisiche
e/o psicologiche che, secondo la letteratura medica non diano speranza di
miglioramento alcuno, qualora consideri tali condizioni non dignitose per la
sua persona, ha facoltà di decidere di porre fine alla sua esistenza tramite
suicidio assistito. Egli potrà essere, pertanto, aiutato da un medico a morire
dopo un’adeguata informazione.
2)
Sarà il paziente stesso che, in modo autonomo e volontario, si somministrerà le
sostanze necessarie per porre fine alle sofferenze che lo affliggono, da lungo
tempo, senza speranza. L’atto che pone fine alla vita del soggetto sarà,
quindi, dal punto di vista fisico, interamente posto in essere da lui mentre
soggetti terzi si occuperanno di assistere la persona per tutti gli altri
aspetti: ricovero, preparazione delle sostanze e gestione tecnica legale post
mortem.
Art.
17
(La
morte assistita come dovere d’ufficio)
1) Il
personale sanitario e amministrativo coinvolto nella procedura non sarà
considerato responsabile di aiuto al suicidio, omicidio del consenziente od
omissione di soccorso. Per converso, s’intenderà adempiente ad un dovere
d’ufficio se tutta la procedura di accesso sarà stata ex lege.
Art.
18
(L’obiezione
di coscienza del medico)
1) Se
il medico che si trova a dover dare seguito alle richieste di morte
medicalmente assistita non vuole metterla in atto, dovrà essere sostituito
dall’azienda sanitaria con un collega non obiettore in quanto è compito degli
enti pubblici ospedalieri assicurare l’espletamento delle procedure di legge.
Art.
19
(Richiesta
di ammissione alla procedura)
1) La
richiesta di ammissione alla procedura deve essere fatta dal paziente per atto
pubblico o scrittura privata autenticata. In essa deve risultare che la volontà
si è formata liberamente e consapevolmente dopo adeguata illustrazione da parte
dei medici in merito alle condizioni cliniche, alla prognosi e alle terapie.
2)
Sono possibili forme alternative per acquisire il consenso del malato laddove
le sue condizioni fisiche non gli consentano di scrivere. In tal caso si rende
necessaria la presenza di due testimoni. La richiesta, in qualunque forma,
raccolta deve essere inviata al medico di medicina generale che assiste il
paziente. Egli prospetterà al paziente e, col suo consenso, anche ai familiari
le conseguenze di quanto richiesto approntando misure di sostegno psicologiche
adeguate. Successivamente, invia al Comitato etico di riferimento il rapporto
valutativo delle condizioni del paziente, cliniche e psicologiche, morali e
familiari. Lo informa, altresì, sulle motivazioni che l’hanno determinata.
Art.
20
(Parere
del Comitato etico)
1) Il
comitato etico territorialmente competente deve esprimere il parere favorevole,
entro 40 giorni, all’ammissione e all’adeguatezza della procedura relativamente
alla quale è stato interpellato. Il parere deve essere, successivamente,
trasmesso al paziente e al medico inviante.
2)
Quest’ultimo dovrà trasmettere quanto riceve all’azienda sanitaria locale o
all’azienda ospedaliera di riferimento che deve attivare le verifiche
necessarie a garantire che il decesso avvenga, presso il domicilio del paziente
o, se ciò non è possibile, presso una struttura ospedaliera.
Art.2
bis I Comitati etici sono composti da medici specialisti, compresi i
palliativisti, e da professionisti con competenze cliniche, psicologiche,
giuridiche e sociali e bioetiche idonee a garantire il corretto ed efficace
assolvimento dei compiti a loro demandati.
3) Il
parere del Comitato etico deve essere obbligatorio e vincolante. Pertanto
l’Asur non può procedere ad una sua valutazione se non il parere del CERM è
negativo.
Art.
21
(Autorizzazione
dell’asur di appartenenza)
1)
Previo parere positivo del Comitato etico l’Azienda sanitaria di appartenenza
delibera la presenza o meno dei requisiti richiesti dal paziente ed invia il
tutto al Tribunale competente che autorizzerà la procedura di morte assistita.
Art.
22
(Norma
transitoria)
1) I
documenti atti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti
sanitari, depositati presso il comune di residenza o presso un notaio, prima
della data di entrata in vigore della presente legge, si applicano le
disposizioni della medesima legge.
Art.
23
(Clausola
di invarianza finanziaria)
1)
Dall'attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica.
2) Le
amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente
codice con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a
legislazione vigente.
Art.
24
(Relazione
alle Camere)
1) Il Ministro
della salute trasmette alle Camere, entro il 30 aprile di ogni anno, a
decorrere dall'anno successivo a quello in corso, alla data di entrata in
vigore della presente legge, una relazione sull'applicazione della legge
stessa.
2) Le
Regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di
febbraio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministero
della salute.
Art.
25
(Entrata
in vigore)
1) La
presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta
ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana.
2) È
fatto obbligo, a chiunque spetti, di osservarla e di farla osservare come legge
dello Stato.
Approfondimento.
Approfondimento
normativo.
Vogliamo
adesso approcciare insieme il mondo del diritto e quello della bioetica
relativamente al diritto alla salute, all’autodeterminazione, alla tutela della
dignità personale nella malattia fino alla morte, al principio di autonomia
messo, però, anche a confronto con quello di solidarietà. Infatti è su questi
temi che diritto e bioetica si confrontano sul terreno complesso del diritto di
ogni persona di rinunciare a quelle cure che presentano un sostegno vitale per
il malato ex art. 1 della legge n 219 del 2017.
L’interrogativo
di fondo è se il diritto di rifiutare o interrompere le cure vitali incontri
dei limiti, vale a dire se il diritto all’autodeterminazione terapeutica debba
sempre prevalere o invece debba cedere di fronte ad altri diritti fondamentali,
eticamente rilevanti e costituzionalmente protetti. I valori in gioco sono
molteplici. Alla legge n 219 del 2017 sul testamento biologico si è arrivati
nell’evidenza del vuoto normativo evidenziato da casi famosi come quello di
Piergiorgio Welby, Eluana Englaro e DJ Fabo. Tutti questi casi sono precedenti
alla legge sul testamento biologico del 2019 e, quindi, queste morti sono
avvenute sulla base di modalità diverse. Welby chiese con ricorso che il
magistrato autorizzasse il distacco del respiratore, invocando il diritto alla
salute, ex art 32 della Costituzione, e quello alla libertà personale ex art 13
sempre della nostra legge fondamentale. Il 16 dicembre 2006 il giudice dichiarò
l’inammissibilità della proposta di Welby, seppure riconobbe l’esistenza di un diritto
soggettivo sulla base dell’articolo 32 della Costituzione, su cui però mancava
una tutela giuridica: tradotto, in Italia non esisteva un impianto normativo
adeguato che regolamentasse il Fine Vita. Nelle more procedurali Welby ottenne
la desiderata morte grazie all’intervento del dr M.Riccio, un medico
anestesista che si fece carico del desiderio di Welby e procedette alla
sedazione del paziente che provocò, entro mezz’ora, un arresto
cardiocircolatorio da insufficienza respiratoria causata dall’impossibilità del
paziente di respirare meccanicamente in maniera spontanea, dovuto alla
distrofia da cui era colpito. Nel luglio dello stesso anno, il medico fu
prosciolto in quanto il fatto non costituiva reato. Il giudice riconobbe che il
comportamento rientrava nella norma dell’articolo 579 del codice penale
(omicidio del consenziente), ma sottolineò che la condotta del medico era stata
portata avanti in un contesto di relazione terapeutica, difesa dalla
Costituzione. Insomma, il medico aveva adempiuto a un dovere imposto da una
norma giuridica che non poteva essere punito (articolo 51 del codice penale).
Altro
caso famosissimo è quello di Eluana Englaro che, però, fu molto più complicato
nella decisione dei giudici perché la ragazza, caduta in coma all’età di
vent’anni, non aveva la possibilità di esprimere la propria volontà, rendendo
così impraticabile l’applicazione dell’art. 32 Costituzione. Inoltre, Eluana
non era attaccata ad un dispositivo medico per la ventilazione artificiale,
dunque ci si domandava se la mera nutrizione del paziente che, pur essendo in
coma irreversibile, respira, sia da considerarsi come “cura medica” e per ciò
stesso ricadente nella fattispecie indicata dall’art. 32 Cost. Siffatte
argomentazioni, nel 1999, inducono il Tribunale di Lecco a respingere la
richiesta di Beppino Englaro di lasciar morire la figlia, poiché il supporto
alla nutrizione non viene visto come una cura medica. Il padre, riaffermando
che tale situazione di stato vegetativo permanente, fosse lesiva della dignità
della figlia ripresentò un nuovo ricorso per la richiesta di sospensione
dell’alimentazione artificiale della figlia che, però, venne respinta
nuovamente sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello di Lecco. Englaro
impugna in Cassazione; quest’ultima sentenzia che il giudice può autorizzare
l’interruzione delle cure o dell’alimentazione artificiale se “la condizione di
stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico,
irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard
scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché
minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e
di ritorno ad una percezione del mondo esterno”.
In secondo luogo, la Corte sostiene che è
necessario, altresì “che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad
elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della volontà del paziente
medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua
personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al
suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa
di dignità della persona. Nel giudizio si merito sono stati ascoltati i
familiari e gli amici di Eluana che hanno testimoniato l’inequivocabile volontà
di Eluana di lasciarsi morire in siffatte condizioni portando alla luce
commenti e convinzioni della paziente allorquando a cadere in coma
irreversibile fu una persona di sua conoscenza.
Il
vero quesito posto dal caso Englaro è se il ‘valore’ presidiato dalla Carta
costituzionale sia la vita in se o, piuttosto, la ‘dignità’ dell’esistenza,
intesa come condizione umana non degradante ma capace di consentire alla
persona di vivere senza una sofferenza insopportabile, idonea a tradursi in
vera e propria condanna, tortura.
Altro
caso determinante al fine della redazione della nuova normativa sul fine vita è
stato quello di Fabio Antoniani, meglio conosciuto come D. J Fabo che era
rimasto tetraplegico in seguito a un incidente stradale. Fabiano Antoniani
scelse di morire con il suicidio assistito in svizzera, il 27 febbraio del
2017. Egli fu accompagnato in Svizzera da Marco Cappato, esponente
dell’associazione Luca Coscioni incriminato per aiuto al suicidio. Il caso era
stato rinviato ai giudici costituzionali che avevano chiesto un intervento del
Parlamento per colmare il vuoto legislativo. Tuttavia, non avendo il
legislatore normato in tal senso, la Corte ha, con sentenza, aperto la strada
al suicidio assistito nel settembre del 2019; la qual cosa ha portato,
ovviamente, all’assoluzione di Marco Cappato “perché il fatto non sussiste.”
Infatti, L’art. 580 del codice penale punisce
chiunque determini altri al suicidio o chiunque ne rafforzi il proposito o ne
agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione. È una norma che ha chiaramente la sua
logica, e che è fondamentale in uno Stato come il nostro che tutela la vita.
Tuttavia, diventa irragionevole laddove non preveda alcuna eccezione, neppure
nel caso di un uomo da anni costretto a vivere in condizioni miserabili,
afflitto da una patologia degenerativa e irreversibile. Era questo il caso, tra
i tanti, di Dj Fabo.
Al
momento non esiste, quindi, una legge che definisca le modalità del suicidio
assistito che, pertanto, è regolato in via giurisprudenziale, come detto prima.
Tuttavia era ferma al Senato una proposta di legge che era già stata approvata
alla Camera e che prevedeva che la
richiesta dovesse essere indirizzata dal medico di medicina generale o dal
medico che ha in cura il paziente. Spetterà poi al comitato di valutazione
clinica dare il via libera.
I
medici e in genere il personale sanitario avrebbero potuto sollevare
l'obiezione di coscienza. Però gli ospedali pubblici sarebbero stati tenuti, in
ogni caso, ad assicurare che fosse possibile esercitare il diritto al suicidio
assistito. Le Regioni avrebbero dovuto controllare nel merito. Nel testo era
espressamente riconosciuta l'esclusione della punibilità per i medici e il
personale sanitario con la conseguenza che gli articoli del codice penale 580
(Istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) non si
sarebbero applicati ai sanitari chiamati ad intervenire nel suicidio assistito.
Non sarebbe stato punibile chi sia stato condannato, anche con sentenza passata
in giudicato, per aver agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente
assistita di una persona prima dell'entrata in vigore della legge.
L’unico
intervento normativo in vigore sul tema di fine vita risale alla legge sulle
DAT, disposizioni anticipate di trattamento; meglio noto come testamento
biologico. Quest’ultimo è un documento
che esprime la scelta di una persona riguardo alle terapie da prescrivere nel
caso, per malattia o incidente, non fosse più in grado di esprimere una sua
volontà. Infatti, secondo l’art 4 della legge, ogni persona maggiorenne e
capace di intendere e volere può, nelle Disposizione Anticipate di Trattamento
(DAT), esprimere la propria volontà in materia di trattamenti sanitari,
indicando un fiduciario che lo rappresenti al fine di evitare l’accanimento
terapeutico, oppure definire le modalità della sua sepoltura e dare il consenso
all’espianto degli organi.
Il paziente ha il diritto di rifiutare in
tutto o in parte i trattamenti e di revocare il consenso prestato, sulla base
del quale è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra
paziente e medico. E’ stato stabilito
che Nutrizione e idratazione artificiale sono da considerarsi trattamenti
sanitari e, quindi, rientranti nell’art 32 della Costituzione e, come tali,
rinunciabili. Inoltre, il medico deve rispettare la volontà del paziente ed è
“esente da responsabilità civile e penale”.
Viene
garantito lo svolgimento da parte dei medici di un’appropriata terapia del
dolore. Nel caso di prognosi infausta a breve o imminenza della morte, il
medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole di cura e dal ricorso a
trattamenti inutili o sproporzionati.
Viene
introdotta la pianificazione delle cure condivisa tra medico e paziente
relativa alle conseguenze di una patologia cronica e invalidante e
contraddistinta da un’inarrestabile evoluzione con prognosi infausta.
In
seguito al caso di Fabio Antoniani, DJ Fabo per i più, la cui morte avvenne per
suicidio assistito nel febbraio del 2017 si riaprono le discussioni sul fine vita. Infatti Marco Cappato,
accompagnando in Svizzera DJ Fabo, fu incriminato di aiuto al suicidio e
sottoposto a processo. Durante il processo, davanti alla Corte D’assise di
Milano, venne sollevata la questione di legittimità costituzionale
relativamente all’art 580 c.p. che prevede l’aiuto al suicidio. La sentenza
della Corte Costituzionale n 242 del 2019
escluse la punibilità di chi , in osservanza alle norme della stessa
legge, agevoli l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e
liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno
vitale e affetta da una patologia irreversibile , fonte di sofferenze fisiche o
psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere
decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di
esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio
sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente
competente». E questo perché la punibilità dell’aiuto al suicidio ex art 580
c.p sarebbe in contrasto con la Costituzione relativamente agli articoli 32,
che sancisce il diritto alla salute a al rifiuto delle cure, all’art 13, che
sancisce l’inviolabilità della libertà personale e ai sensi dell’art 2 sempre
della nostra legge fondamentale che sancisce la salute come diritto umano
inviolabile.
Ovviamente
la questione va legiferata dal Parlamento ma, come si è già detto, il testo è
fermo al Senato e, conseguentemente, si va avanti su base giurisprudenziale
fintanto che il vuoto legislativo non sarà colmato.
In
merito all’eutanasia vera e propria lo scorso anno la Corte Costituzionale ha
bocciato l’ammissibilità del referendum in materia affermando che, secondo il
quesito referendario l’eutanasia attiva avrebbe potuto essere consentita nelle
forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e
in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza resa dalla Consulta sul cd.
“Caso Cappato”, tuttavia sarebbe restata punita ove il fatto fosse stato posto
in essere contro una persona incapace, ovvero nei confronti di una persona il
cui consenso sarebbe stato estorto con violenza, minaccia o contro un minore di
diciotto anni.
In
altre parole, l’eventuale abrogazione parziale della norma penale in parola,
nei termini emarginati dal quesito, avrebbe fatto venir meno il divieto
assoluto dell’eutanasia, consentendola limitatamente alle forme previste dalla
Legge n. 219/2017 in materia di consenso informato. La pronuncia della Consulta
depositata il 15 febbraio
La
Corte Costituzionale ha ritenuto inammissibile il quesito referendario in
quanto non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria
della vita umana.
Approfondimento
tematico.
Crediamo
che, alla base di qualunque discorso sulla morte sia doveroso ricordare il
famoso giuramento d’Ippocrate, un medico dell’antica Grecia (460 a.c.)
considerato il padre della medicina scientifica. Egli ebbe il merito di
riassumere le conoscenze mediche delle scuole precedenti e di descrivere le
pratiche per i medici. In particolare egli formulò il famoso giuramento
d’Ippocrate che recita: : «Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati
secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa.
Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né
suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale
abortivo. Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte».
Con
Ippocrate cioè, per la prima volta, la morte comincia ad essere trattata nel
senso di “dolce morte”, non secondo la corrente accezione moderna di anticipare
la fine della vita ma di preservarla il più possibile dall’atroce dolore
provocato da determinate malattie.
Successivamente,
l’eutanasia ebbe un profilo sociale cioè era stata volta ad eliminare gli individui
malati e, quindi, ritenuti inadatti a contribuire al bene sociale. Si pensi a
Sparta dove i bambini inidonei fisicamente e psichicamente dovevano morire
abbandonati dal padre sul monte Taigeto.
Il
primo a parlare di eutanasia fu il filosofo Francesco Bacone cancelliere
calvinista del XV secolo che vede la
scienza e la tecnologia come alleata della fede e al tempo stesso del regnum
Dei e ad majorem Dei gloriam. Per lui le finalità della fede coincidono con
alcune finalità di grande rilevanza umana tra cui c’è anche quella del dovere
della scienza medica di portare sollievo ai pazienti sofferenti che vanno
dunque trattati come persone e non come un caso astratto di etica.
Per
Bacone la medicina deve preoccuparsi non solo di ristabilire la salute ma anche
di mitigare il dolore sia quando l’obiettivo sia la guarigione sia quando, pur
mancando tale speranza, l’obiettivo sia una morte più serena e placida. Infatti
egli afferma che i medici, per essere coerenti al loro ufficio e alla loro
umanità, dovrebbero imparare l’arte di aiutare gli agonizzanti ad uscire da
questo mondo con più dolcezza e serenità. Dal termine “agonizzanti”, che Bacone
usa, sembra che egli sia orientato verso le cure palliative o meglio verso una
moderna terapia del dolore piuttosto che verso una terapia letale cioè una
terapia intenzionalmente predisposta a dare la morte. Quindi il suo concetto di
eutanasia è volto a lenire le sofferenze nell’attesa della morte ma è non
un’anticipazione della morte.Passiamo adesso alla visione eutanasica dei giorni
nostri. Riassumiamo in breve i termini specifici nel merito: eutanasia attiva,
eutanasia passive e suicidio assistito.
-
L’EUTANASIA ATTIVA: è l’intervento compiuto dal medico o da terzi diretto ad
interrompere la vita del paziente mediante la somministrazione di sostanze e
farmaci o tramite il compimento di atti che, in quanto tali, siano causa di
decesso.
-
EUTANASIA PASSIVA: è l’intervento compiuto dal medico o da terzi diretto ad
interrompere la somministrazione del trattamento terapeutico applicato al
paziente, in modo tale che s’impedisca un prolungamento ingiustificato della
vita in previsione della morte prossima.
Il
Suicidio assistito, invece, prevede l’aiuto medico per la preparazione di un
mix di sostanze e farmaci che coadiuvano la morte dolce. L’azione finale è,
però, svolta dalla persona che ha scelto il suicidio.
Chiariti
i diversi termini, di seguito, vediamo le basi delle due diverse correnti: quella pro eutanasia e quella contro.
Posto
che il diritto alla vita è un diritto umano consacrato giuridicamente nella
Dichiarazione dei Diritti dell’ONU del 1948 e nella Carta dei Diritti
fondamentali dell’UE del 2000, vediamo in questa sede le due posizioni: quella
cattolica e quella laica per evidenziare come la nostra scelta sia stata
ponderata.
La
visione religiosa della vita si basa sulla sua sacralità e, di conseguenza, la
sua indisponibilità. Dio, cioè, nel suo grande amore offre ad ognuno di noi un
disegno di salvezza tale da affermare che la vita è sempre un bene e che,
quindi, passa attraverso la realizzazione di quel disegno. Posto questo
assunto, sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto
riconoscere la sua autonomia e valorizzarla ma, al contrario, significa
disconoscere la sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal
dolore, e il valore della sua vita, negandogli ogni ulteriore possibilità di
relazione umana, di senso dell’esistenza e di crescita teologale.
Quindi,
Dio creatore offre all’uomo la vita e la sua dignità come un dono prezioso da
custodire ed incrementare e di cui rendere conto ultimamente a Lui.
Una
persona che sceglie di togliersi la vita rompe la sua relazione con Dio e con
gli altri e nega sé stessa come soggetto morale. Il suicidio assistito ne
aumenta la gravità perché il paziente, chiedendo aiuto ad un'altra persona,
l’induce a non indirizzare la sua volontà verso Dio e a non riconoscere il vero
valore della vita e a rinnegare la speranza.
Inoltre,
anche se la domanda di eutanasia o suicidio assistito nasce da angoscia e
disperazione (e la responsabilità personale può essere diminuita o addirittura
non sussistere), ciò non modifica la natura dell’atto omicida commesso da chi
sta accanto al paziente. Ogni operatore
sanitario deve essere al servizio della vita e non della morte. Infatti non
esiste un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita per cui nessun
operatore sanitario può farsi tutore di un diritto inesistente.
Il
quinto comandamento “non uccidere” è un sì alla vita anche verso il prossimo.
Il cristiano deve aiutare il moribondo a liberarsi dalla disperazione e a
permettere la sua speranza in Dio. L’ammalato deve sentirsi accolto e
circondato da amorevole presenza e non abbandonato dal suo destino di
sofferenza e morte.
Coloro
che fanno approvare leggi a favore dell’eutanasia si rendono complici del grave
peccato che altri eseguiranno. E coloro che operano suicidio assistito od
eutanasia sono partecipi di un grave illecito penale cioè l’omicidio del
consenziente. Il paziente che chiede la collaborazione a tali pratiche rende
partecipe un altro della propria disperazione inducendolo a non indirizzare la
volontà verso il mistero di Dio attraverso la virtù teologale della
speranza. Inoltre, Così come non si deve
anticipare, per propria volontà, la morte neppure ci si deve accanire dal punto
di vista terapeutico.
D’altro
canto, non è lecito sospendere le cure efficaci per sostenere le funzioni
vitali finché l’organismo è in grado di beneficarvi (idratazione, nutrizione,
respirazione). Queste azioni causano grave insensibilità verso il malato e
fanno pensare che idratare e nutrire un malato in stato d’incoscienza e senza
prospettive di guarigione sia immorale. In tal senso Papa Francesco ha parlato
di “cultura dello scarto” facendo riferimento agli esseri umani più fragili che
rischiano di essere scartati da un ingranaggio che vuole essere efficiente a
tutti i costi. Si tratta, per i cristiani, di un fenomeno culturale fortemente
antisolidaristico che Giovanni Paolo 2 qualificò come “cultura di morte".
Questi
supporti non sono terapie mediche ma una cura dovuta alla persona del paziente,
un’attenzione umana ineludibile.
Un’altra
argomentazione contro l’eutanasia è il cosiddetto “pendio scivoloso” che
sarebbe pericoloso per più ragioni: intanto darebbe ai medici un potere
decisionale sproporzionato. In seconda battuta aprirebbe una diatriba sulle
malattie rientranti nell’eutanasia e quelle non rientranti. Ancora,
giustificherebbe una riduzione delle spese per la ricerca medica di trattamenti
efficaci contro determinate malattie. Inoltre potrebbe rappresentare la fine
della vita per quelle persone cui è stata erroneamente diagnosticata una
malattia terminale.
Inoltre,
nella lettera Samaritanus Bonus della Congregazione per la dottrina della Fede
del 2020, è posto in evidenza il solidarismo della visione cattolica della vita
in contrapposizione all’individualismo della visione laica. E cioè i principi
di accoglienza e di solidarietà che permeano la visione cattolica del diritto
alla vita si scontrano con il principio individualista laico che pone la
libertà di autodeterminazione del singolo prima di tutto. Il buon Samaritano è
colui che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, ebbe compassione di un uomo
assalito e spogliato dai briganti che, invece, sia un sacerdote che un levita,
avevano ignorato nel loro cammino. Egli gli si fece vicino, gli fasciò le
ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò
a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e
li diede all'albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui e ciò che spenderai in
più, te lo rifonderò al mio ritorno.”
Sempre
in questa parabola, Gesù chiese a colui che gli aveva chiesto cosa fare per
avere la vita eterna: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di
colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione
di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».
È
quindi fondamentale la pietas come accoglienza e solidarietà verso prossimo.
A
sostegno della posizione del Magistero sono le cure palliative.
La
parola palliativo deriva dalla parola latina pallium che significa mantello,
protezione.
Per
cure palliative si intende “l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici
e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare,
finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base,
caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non
risponde più a trattamenti specifici”.
Le
cure palliative, quindi, sono quell'insieme di cure, non solo farmacologiche,
volte a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato in
fase terminale che della sua famiglia.
La
fase terminale è una condizione irreversibile in cui la malattia non risponde
più alle terapie che hanno come scopo la guarigione ed è caratterizzata da una
progressiva perdita di autonomia della persona e dal manifestarsi di disturbi
(sintomi) sia fisici, ad esempio il dolore, che psichici. In queste condizioni,
il controllo del dolore e degli altri disturbi, dei problemi psicologici,
sociali e spirituali assume importanza primaria.
Lo
scopo delle cure palliative non è quello di accelerare né di ritardare la
morte, ma di preservare la migliore qualità della vita possibile fino fine. Le
cure palliative non possono prescindere da una terapia del dolore che spesso si
associa alla cura della persona che sta affrontando l'ultimo periodo della sua
vita. Vengono quindi utilizzati sia metodi farmacologici contro il dolore che
non farmacologici di supporto (psicologici, cognitivi, comportamentali,
agopuntura, massaggio, fisioterapia, terapia occupazionale, meditazione,
terapie artistiche, musicoterapia…). Il dolore è, infatti, fra tutti i sintomi,
quello che più mina l'integrità fisica e psichica del malato e che più angoscia
e preoccupa i familiari, con un notevole impatto sulla loro qualità della vita
fino alla fine.
D’altro
canto, davanti ad una sofferenza qualificata come insopportabile si giustifica
la fine della vita del paziente in nome della compassione; I laici sostengono
che, per non soffrire più, sia meglio morire.
E danno un’altra lettura del termine compassione. Per loro, infatti,
essa consiste nell’aiutare il paziente a smettere di soffrire attraverso
l’eutanasia o il suicidio assistito.
Ciò
che rende difficile riconoscere il senso della vita propria e altrui, dentro le
relazioni, è un individualismo crescente che induce a vedere gli altri come
minaccia o limite alla libertà. Ciò auspica la liberazione della persona dai
limiti del suo corpo, soprattutto quando fragile e ammalato.
Quindi,
coloro che non credono mettono al centro della loro visione due concetti:
quello dalla disponibilità della loro vita e quello della sua dignità. La vita
non è sacra, né in senso biologico né in senso biografico, quello che può
essere ritenuto sacro, nel senso di intoccabile e irrinunciabile, è il diritto
del singolo individuo all’autodeterminazione nel rispetto della sfera altrui.
In questo caso l’individuo ha il diritto di decidere per sé il criterio che
determina quando una vita sia decorosa e biologicamente funzionale. A proposito
del principio dell’autodeterminazione, che ispira la bioetica laica.
La
bioetica laica vede nel progresso della conoscenza la fonte principale del
progresso dell’umanità, perché è soprattutto dalla conoscenza che deriva la
diminuzione della sofferenza umana. Ogni limitazione alla ricerca scientifica
imposta nel nome dei pregiudizi che questa potrebbe comportare per l’uomo
equivale in realtà a perpetuare sofferenze che potrebbero essere evitate.
Posta
questa dicotomia, dopo ampia discussione in classe, la maggioranza si è
espressa per una visione laica della vita e, quindi, il disegno di legge che
abbiamo redatto contiene norme pro-eutanasia. Ciò rispetta anche la cultura
laica del nostro stato a seguito della modifica del Patti Lateranensi del 1984.
Geoingegneria:
Avviato Esperimento
per
Deflettere la Luce Solare.
Conoscenzealconfine.it
– Redazione - (17 Aprile 2024) – ci
dice:
A San
Francisco stanno iniettando “aerosol” nell’atmosfera per raffreddare la
superficie terrestre seguendo un progetto di “Bill Gates”.
Dietro
c’è “Bill Gates”…
Questo
esperimento di geoingegneria è stato tenuto totalmente segreto al pubblico:
(scientificamerican.com/article/geoengineering-test-quietly-launches-salt-crystals-into-atmosphere/)
perché non
volevano essere intralciati dalle persone contrarie, perché un esperimento
simile che l’università di Harvard voleva tenere in Svezia è stato bloccato a
causa delle proteste.
Solo
il “New York Times” è stato informato, in un articolo (nytimes.com/2024/04/02/climate/global-warming-clouds-solar-geoengineering.html)
ha
mostrato il cannone attraverso il quale vengono sparate queste particelle di
cristalli di sale (NaCl) nell’atmosfera, ed è stato spiegato che lo scopo è
schiarire le nuvole per renderle più capaci di riflettere la luce del Sole, in
modo che si scaldi meno la superficie terrestre.
L’articolo
spiega che questo esperimento è il risultato di un progetto di “Bill Gates”,
perché lo stesso cannone che viene usato a San Francisco deriva da un prototipo
elaborato sotto un finanziamento di “Bill Gates” (economictimes.indiatimes.com/small-biz/sustainability/as-earth-overheats-scientists-test-way-to-repel-suns-rays/articleshow/109021782.cms?from=mdr) da parte di “Neukermans” ceduto
alla” SRI International” che ha iniziato l’esperimento vero e proprio.
Come
riportato nel PDF del progetto (drive.google.com/file/d/1iJWCk5wGhAWbFPFcVftBojoO3_kqBA-o/view),
il fine è
modificare le nuvole marine e di conseguenza il clima marino, per cui dopo
questo primo tentativo alla baia di San Francisco si muoveranno con delle navi
in mare aperto e poi nell’oceano e bombarderanno le nuvole da lì.
I
Rischi Socio Politici.
In
questo studio (journals.uchicago.edu/doi/epdf/10.1093/reep/reu011) si sostiene che una società in cui la
geoingegneria è pratica diffusa, sarebbe sotto il controllo di tecnocrati che possono
modificare il clima a piacimento.
Presenta poi il “problema della terminazione”:
una
volta che si inizia con la geoingegneria, il clima ne diventa dipendente e non
sarà più possibile smettere di praticarla perché ogni intervento di
geoingegneria andrà a disturbare qualcosa nell’ecosistema, che dovrà essere
sistemato con un altro intervento, e così all’infinito.
L’altro
rischio evidenziato nell’articolo, ma che ormai è una certezza visto ciò che è
successo a San Francisco, è l’impiego unilaterale di questi strumenti che
possono portare a vantaggi a breve termine per gli Stati che li usano e forti
ripercussioni a lungo termine per gli stati che li subiscono, andandosi a
configurare come una vera e propria arma.
Come
aggiunge questo studio (science.org/doi/10.1126/science.abj3679), se pochi tecnocrati hanno il potere
di modificare il clima e la temperatura, questo renderebbe le popolazioni
ancora più soggette alle élite e aumenterebbero anche le tensioni geopolitiche
tra i paesi che potranno implementarla per seguire i loro propri obiettivi
strategici sempre ai danni della popolazione.
Infine,
questo altro studio (sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0095069623000724) mostra che la geoingegneria può
essere utilizzata come” arma per ricattare interi stati a seguire l’agenda
green”, minacciando pratiche di geoingegneria nel caso ci si rifiutasse di
ridurre le emissioni.
Danni
alla Natura.
Secondo
questo studio (nature.com/articles/s41467-017-01606-0), la geoingegneria può provocare dei
veri cambiamenti climatici.
Il
modello in questione misura gli effetti di un raffreddamento indotto sulla
superficie del Nord Atlantico e di come ciò possa comportare forti venti e
siccità nel mondo occidentale.
Al
contrario, un raffreddamento del Sud Atlantico aumenterebbe le precipitazioni;
infine, in media l’iniezione di aerosol
nell’atmosfera tenderà ad aumentare sia la frequenza degli uragani sia la loro
forza.
Questo
altro studio (pnas.org/doi/10.1073/pnas.1921854118), oltre alla siccità e alle alluvioni
elenca altri effetti:
riducendo
la temperatura verrà ridotta la capacità delle piante di fare la fotosintesi e
di assorbire nutrienti dal terreno.
Come
spiega poi questo studio (royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rspa.2019.0255#d1e289), questi danni sono irreversibili;
inoltre,
non essendoci studi sulla sicurezza, né si possono fare senza mettere a rischio
la natura, potrebbero emergere ulteriori effetti avversi imprevedibili che
potrebbero causare ulteriori danni.
Conclusioni.
La
narrazione delle” emissioni di CO2” viene usata dalle élite per coprire i misfatti della geoingegneria
e allo
stesso tempo per preparare le masse ad accettare la geoingegneria stessa.
(t.me/dereinzigeitalia).
La
“fine del mondo” si avvicina?
L’Orologio
dell’Apocalisse
lo
svelerà domani.
Meteo.eu
- Filomena Fotia – (22 Gen.2024) – ci dice
Siamo
vicini alla "fine del mondo"? La risposta sta nelle nostre mani, e il
"Doomsday Clock" segna il conto alla rovescia.
Guerre,
armi nucleari, cambiamenti climatici: la “fine del mondo” si avvicina?
L’Orologio dell’Apocalisse lo svelerà domani.
Il “Bulletin of the Atomic Scientists”,
custode del “Doomsday Clock “, annuncerà alle 16 di domani, 23 gennaio, se
l’orario del celebre orologio deve essere modificato.
Cosa significherà per noi e per il nostro
pianeta?
Cos’è
l’Orologio dell’Apocalisse?
L’Orologio
dell’Apocalisse è un orologio simbolico gestito dal “Bulletin of the Atomic
Scientists”, che mostra quanto ritengono vicina l’umanità ad una catastrofe
globale.
Utilizza
l’immagine simbolica della mezzanotte, che rappresenta la distruzione, e il
conto alla rovescia verso lo zero di un’esplosione nucleare, per comunicare
l’urgenza delle minacce che incombono sull’umanità.
L’Orologio
dell’Apocalisse è un progetto che avverte il pubblico su quanto siamo vicini a
distruggere il nostro mondo con tecnologie pericolose, di nostra creazione.
È una
metafora, un promemoria dei pericoli che dobbiamo affrontare se vogliamo
sopravvivere sul pianeta.
I “minuti alla mezzanotte” simboleggiano quanto siamo
vicini alla catastrofe, al nostro stesso annientamento, alla “fine del mondo”
metaforica.
Nonostante
possa sembrare spaventoso, lo scopo dell’Orologio è informativo, e i suoi
principali obiettivi includono:
Avvertire
il pubblico sui pericoli esistenziali che noi stessi abbiamo creato,
principalmente le armi nucleari e il cambiamento climatico;
Promuovere
azioni per mitigare queste minacce e garantire un futuro più sicuro per
l’umanità.
La
storia dell’Orologio dell’Apocalisse.
È
stato creato nel 1947 da scienziati coinvolti nel “Progetto Manhattan”, poco
dopo lo sviluppo della bomba atomica.
Inizialmente
incentrato sulle minacce nucleari, si è ampliato nel 2007 per includere il
cambiamento climatico e altre minacce per la nostra esistenza.
Impostazione
attuale.
L’Orologio
dell’Apocalisse segna attualmente 90 secondi alla mezzanotte, il valore più
vicino alla “fine del mondo” simbolica mai registrato.
Questa
impostazione è principalmente dovuta all’escalation della guerra in Ucraina e
all’aumento dei pericoli legati alla proliferazione delle armi nucleari.
L’aggiornamento
dell’Orologio.
I
custodi dell’Orologio dell’Apocalisse, il “Bulletin of the Atomic Scientists”,
svelerà l’impostazione del 2024 attraverso una conferenza stampa virtuale.
Questo
orologio simbolico si avvicina alla mezzanotte mentre l’umanità vacilla
sull’orlo dell’auto-distruzione.
Il “Science and Security Board” (SASB), assistito
dalla saggezza di 9 Premi Nobel, valuta il destino del mondo prima di impostare
l’Orologio.
Alla
conferenza stampa di domani saranno presenti:
“Bill
Nye”: educatore scientifico, ingegnere, personaggio televisivo;
“Rachel
Bronson”: Presidente e CEO, Bulletin of Atomic Scientists;
“Daniel
Holz”: Presidente, SASB, Professore di Fisica all’Università di Chicago;
“Asha
George”: Membro di SASB, direttore esecutivo della Commissione sulla Biodefesa;
“Alexander
Glaser”: Membro di SASB, Professore all’Università di Princeton:
“Herb
Lin”: Membro di SASB, esperto di politiche informatiche presso l’Università di
Stanford:
“Ambuj
Sagar”: Membro di SASB, Professore presso l’ “IIT Delhi.”
L’Orologio
non è solo un annuncio di sventura: è un allarme che ci esorta a trovare
soluzioni.
Invita all’azione unitaria contro le minacce
artificiali e prematuramente vicine alla mezzanotte.
Possiamo
spingere collettivamente le lancette lontano dall’annientamento?
La risposta sta nelle nostre mani, e
l’Orologio segna il conto alla rovescia.
Negli
ultimi anni, l’“Orologio dell’Apocalisse” è stato spesso spostato più vicino
alla mezzanotte a causa delle preoccupazioni crescenti riguardo alle minacce
globali, tra cui il cambiamento climatico, le tensioni geopolitiche e
l’instabilità politica.
È
importante notare che la posizione delle lancette orologio è simbolica e non
riflette una misurazione scientifica precisa, ma serve piuttosto come strumento
per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle questioni globali critiche.
La
guerra atomica e
la
fine dell’umanità.
Quodlibet.it
– (7 ottobre 2022) – Giorgio Agamben – ci dice:
Nel
1958 “Karl Jaspers” pubblica col titolo” La bomba atomica e il futuro
dell’umanità” un libro in cui intende mettere radicalmente in questione – come
recita il sottotitolo – “La coscienza politica del nostro tempo”.
La bomba atomica – esordisce nella premessa –
ha prodotto una situazione assolutamente nuova nella storia dell’umanità,
ponendola di fronte all’inaggirabile alternativa:
«o l’intera umanità sarà fisicamente distrutta
o l’uomo deve trasformare la sua condizione etico-politica».
Se in passato, com’era avvenuto agli inizi
delle comunità cristiane, gli uomini si erano fatte delle «rappresentazini irreali» di una fine del mondo, oggi per la
prima volta nella sua storia, l’umanità ha la «possibilità reale» di annientare
sé stessa e ogni vita sulla terra.
Questa possibilità, anche se gli uomini non
sembrano rendersene pienamente conto, non può che segnare per la coscienza
politica un nuovo inizio e implicare «una svolta nell’intera storia
dell’umanità».
A
quasi settant’anni di distanza, la «possibilità reale» di un’autodistruzione
dell’umanità, che sembrava scuotere la coscienza del filosofo e coinvolgere
immediatamente i suoi lettori (il libro fu ampiamente discusso) sembra
diventata un fatto ovvio, che i giornali e gli uomini politici evocano ogni
giorno come un’eventualità assolutamente normale.
A
furia di parlare di emergenza – in cui l’eccezione diventa come si sa la regola
– l’evento che “Jaspers” considerava come inaudito si presenta come
un’occorrenza tutto sommato banale di cui si tratta per gli esperti di valutare
l’opportunità e l’imminenza.
Dal
momento che la bomba ha cessato di essere una «possibilità» decisiva per la
storia dell’umanità e ci riguarda invece da vicino come una «casualità» fra le
altre che definiscono una situazione di guerra, sarà bene allora riconsiderare
da capo la questione, che forse non era stata posta nei suoi termini propri.
Tredici
anni dopo, in un saggio intitolato significativamente “L’apocalisse delude”, “Maurice
Blanchot£ è tornato a interrogarsi sul problema della fine dell’umanità.
E lo
ha fatto sottoponendo a una critica discreta, ma non per questo meno efficace,
le tesi di “Jaspers”.
Se il tema del libro era la necessità di un
cambiamento epocale, sorprende che «da parte di Jaspers, nel libro che dovrebbe essere la
coscienza, la ripresa e il commento di questo cambiamento, nulla è mutato – né
nel linguaggio, né nel pensiero né nelle formule politiche, che sono conservate
e anzi bloccate intorno ai pregiudizi di tutta una vita, alcuni nobilissimi, ma
altri molto ristretti… com’è possibile che una questione che mette in gioco il
destino dell’umanità e tale che affrontarla non può che supporre un pensiero
interamente nuovo, non ha rinnovato la lingua che l’esprime e non produce che
delle considerazioni parziali e partigiane nell’ordine politico o urgenti e
emozionanti nell’ordine spirituale, ma identiche a quelle che si sentono
ripetere invano da duemila anni?».
L’obiezione
è certamente pertinente, perché non solo il libro di “Jaspers “si presenta come
un’ampia monografia accademica che intende esaminare il problema in tutti i
suoi aspetti, ma ciò che l’autore intende opporre alla distruzione è il luogo
comune di «una
pace universale senza bombe atomiche, con una nuova vita economicamente fondata
sull’energia nucleare». Non meno singolare è che alla bomba atomica sia affiancato
come un pericolo altrettanto mortale il dominio totalitario del bolscevismo,
con il quale è impossibile venire a patti.
Il
fatto è, sembra suggerire “Blanchot”, che una prospettiva apocalittica del
genere è necessariamente deludente, perché presenta come un potere nelle mani
dell’umanità qualcosa che, in verità, non è tale.
Si
tratta, infatti, di «un potere che non è in nostro potere, che indica una
possibilità di cui non siamo padroni, una probabilità – diamola per
probabile-improbabile – che esprimerebbe una nostra potenza soltanto se la
dominassimo in modo sicuro.
Per ora, tuttavia, noi siamo altrettanto
incapaci di dominarla che di volerla, e per una ragione evidente: noi non siamo
padroni di noi stessi, perché quest’umanità, capace di essere totalmente
distrutta, non esiste ancora come un tutto».
Da una
parte un potere che non si può potere, dall’altra come preteso soggetto di
questo potere una comunità umana, «che si può sopprimere, ma non affermare o
che si potrebbe in qualche modo affermare soltanto dopo la sua sparizione,
attraverso il vuoto, impossibile da afferrare, di questa sparizione, qualcosa,
dunque, che non si può nemmeno distruggere, perché non esiste» (p. 124).
Se,
come sembra innegabile, la distruzione dell’umanità non è una possibilità di
cui l’umanità dispone consapevolmente, ma resta affidata alla contingenza delle
decisioni e delle valutazioni in buona parte casuali di questo o di quel capo
di stato, l’argomentazione di “Jaspers” è allora distrutta dalle fondamenta,
perché degli uomini che non hanno in realtà la facoltà di distruggersi non
possono nemmeno prendere coscienza di questa possibilità per trasformare
eticamente e politicamente la loro coscienza.
“Jaspers”
sembra qui ripetere lo stesso errore che aveva commesso “Husserl” quando, in
una conferenza del 1935 su «La filosofia e la crisi dell’umanità europea», pur
identificando nelle «deviazioni del razionalismo» la causa della crisi, aveva
nondimeno affidato a una non meglio definita «ragione» europea il compito di
guidare l’umanità nel suo progresso infinito verso la maturità.
L’alternativa
qui già chiaramente formulata fra «una scomparsa dell’Europa divenuta sempre più
estranea a sé stessa e alla sua vocazione razionale» e una «rinascita
dell’Europa» in virtù di «un eroismo della ragione», tradisce l’inconfessabile
consapevolezza che dove c’è bisogno di un «eroismo» non c’è più posto per
quella «vocazione razionale» (di cui si precisa che contraddistingue l’umanità
europea «dal selvaggio Papu», almeno quanto questi si differenzia da una
bestia).
Ciò
che una ragione benpensante non ha il coraggio di accettare è che la fine
dell’umanità europea o della stessa umanità, consegnata ad aspirazioni anodine
e vane, che lasciano intatto il principio che ne è responsabile, finisce col
rovesciarsi, come” Blanchot” aveva intuito, in «un semplice fatto di cui non
c’è nulla da dire, se non che è la stessa assenza di significato, qualcosa che
non merita né esaltazione, né disperazione e forse nemmeno attenzione».
Nessun
evento storico – non la guerra atomica (o, per “Husserl”, la Prima guerra
mondiale), non lo sterminio degli ebrei e certamente non la pandemia – può
essere ipostatizzato in un evento epocale, se non si vuole che diventi un
incomprensibile e vacuo” idolum historiae”, che non si riesce più né a pensare
né a affrontare.
Occorre
pertanto lasciar cadere senza riserve l’argomentazione di “Jaspers”, che sconta
l’incapacità della ragione occidentale di pensare il problema di una fine che è
stata essa stessa a produrre, ma che non è in grado in alcun modo di
padroneggiare.
Posta davanti alla realtà della propria fine,
essa cerca di guadagnar tempo, trasformando questa realtà in una possibilità
che rimanda a una realizzazione futura, a una guerra atomica che la ragione può
ancora scongiurare.
Sarebbe
forse stato più coerente supporre che un’umanità che ha prodotto la bomba è già
spiritualmente morta e che è della consapevolezza della realtà e non della
possibilità di questa morte che occorre cominciare a pensare.
Se il
pensiero non può ragionevolmente porre il problema della fine del mondo è
perché il pensiero si situa sempre nella fine, è in ogni istante esperienza
della realtà e non della possibilità della fine.
La
guerra che temiamo è sempre in corso e non è mai finita, come la bomba una
volta gettata a “Hiroshima” e “Nagasaki “non ha mai smesso di essere gettata.
Solo a partire da questa consapevolezza la
fine dell’umanità, la guerra atomica, le catastrofi climatiche cessano di
essere fantasmi che atterriscono e paralizzano una ragione incapace di venirne
a capo e appaiono invece per quello che sono:
fenomeni politici già sempre attuali nella
loro contingenza e nella loro assurdità, che proprio per questo non dobbiamo
più temere come fatalità senza alternative, ma possiamo affrontare ogni volta
secondo le istanze concrete in cui si presentano e le forze di cui disponiamo
per contrastarle o sfuggirle.
Questo
è quanto abbiamo appreso nei due anni appena trascorsi e, di fronte a dei
potenti che si rivelano sempre più incapaci di governare l’emergenza che essi
stessi hanno prodotto, intendiamo farne tesoro.
(Giorgio
Agamben).
Stati
sovrani e protettorati.
Quodlibet.it
– (17 gennaio 2024) – Giorgio Agamben – ci dice:
I
discorsi di coloro che parlano sui media di questioni di politica estera in
Italia sono privi di ogni fondamento, perché fingono di ignorare che l’Italia
non è una nazione sovrana, ma un protettorato.
Secondo
il “diritto internazionale, una nazione che ospita sul suo territorio un numero
di basi (alcune delle quali segrete e piene di bombe atomiche) pari a quello
che gli Stati uniti intrattengono in Italia non ha sovranità “sulla sua
politica estera, ma solo sulla sua politica interna; è, cioè, tecnicamente un
protettorato.
Questo
spiega perché il nuovo governo, che, definendosi di destra, avrebbe dovuto
innanzitutto rivendicare uno statuto di piena sovranità, si è semplicemente
uniformato, rispetto alla guerra in Ucraina, alle direttive dello Stato
protettore.
Lasciamo
immaginare a chi ne ha voglia che cosa avverrebbe, infatti, a un capo di stato
che aprisse una vertenza sulla presenza delle basi degli Stati Uniti sul nostro
territorio.
Eppure
la questione va ben al di là di un problema di sovranità, dal momento che essa
implica che, nel caso di una nuova guerra mondiale, l’Italia sarebbe il primo
paese a subire un bombardamento nucleare che la distruggerebbe interamente.
È purtroppo inutile sperare che i giornalisti
pagati dal potere per ora ancora dominante si pongano questo genere di problemi.
(17
gennaio 2024 -Giorgio Agamben).
La
fine del mondo e
il
Male che viene.
Litorale.org
- Pierre-Henri Castel – (12 Giugno 2023) – Libro – ci dice:
Presentiamo
un breve ma denso testo in cui il filosofo, storico delle scienze e
psicoanalista Pierre-Henri Castel presenta il suo libro “Le mal qui vient”.
(Essai
hãtif sur la fin des temps, tradotto in italiano da Queriniana Editrice (Il
male che viene. Saggio incalzante sulla fine dei tempi).
La
fine del mondo e dell’umanità è certa, come pure inevitabile qualunque cosa
oggi facciamo e, soprattutto, è vicina.
Vicina, ma non imminente.
Detto
altrimenti, non bisogna semplicemente pensare alla fine dei tempi, ma al tempo
della fine, il che esige di ricordarsene e di anticipare: di vederla arrivare
e, vedendola arrivare, di prenderne coscienza.
Tranquilli:
non è mia intenzione rovinarvi il rientro dalle vacanze citando le cifre
davvero catastrofiche della canicola di quest’estate, o il devastante monsone
che imperversa attualmente nell’India meridionale, né ho intenzione di fare la
minima allusione allo scioglimento del permafrost (che credevo confinato alla
lontana Siberia, ma che ha appena colpito le Alpi), e neppure di fare il
raffronto con i numerosi passi indietro di politica ambientale negli Stati
Uniti e – mi dicono – in Francia, e meno ancora, o proprio per niente, con la
desertificazione, le carestie, le crisi economiche, le guerre civili e gli
esodi di massa che presto ne deriveranno.
Tutti noi abbiamo imparato a convivere con
queste piccole vampate di ansia nelle quali, per salvaguardare la salute della
nostra digestione psicologica, la superficie ancora liscia di una quotidianità
senza accidenti di rilievo avvolge le previsioni di un’amarezza spaventosa – e
la pillola va giù.
Il
fatto è che ci sono cose di cui abbiamo talmente tanta paura che risulta
«impossibile» (leggete: «impensabile») credere che stiano effettivamente per
accadere.
Tra
queste, la fine dell’umanità occupa un posto di rilievo.
Perché
non ignoriamo in alcun modo i fattori di distruzione ecologica del pianeta, né
i disastri geopolitici che ne seguiranno.
Piuttosto, la comprensibile speranza in un
lieto fine compromette l’adeguata comprensione dei processi.
Eppure,
in maniera del tutto bizzarra, questi processi sono assolutamente
comprensibili.
Infatti, la fine del mondo e dell’umanità di
cui parliamo non deve nulla alla religione né ad alcunché di irrazionale:
l’apocalisse materiale e non spirituale che ci aspetta è, per dirla con”
Günther Anders”, una «apocalisse senza regno»:
una
fine secca, che non rivelerà niente e non giustificherà nessuno.
Ma non
è nemmeno il tipo di fine del mondo causata da grandi eventi astronomici, come
l’esplosione del Sole, di cui parliamo con distacco perché i tempi coinvolti
non ci riguardano.
Quel
che rende la fine dei tempi intelligibile e vicina (come il dritto e il
rovescio della stessa medaglia) è che si svolgerà in un orizzonte storico.
Cioè, nell’arco di pochi secoli, mille anni al massimo, causata e vissuta da
persone che molto probabilmente ci assomiglieranno parecchio e che, ad ogni
modo, avranno ereditato le conseguenze di quanto facciamo oggi.
Questa
speranza in un lieto fine, anche se lo si nega, spiega perché la letteratura
semi-erudita che descrive l’imminente collasso – la collassologia, come è stata
definita – conserva una certa ambiguità.
Il suo tracciare un quadro iper-realista della
fine dei tempi non le impedisce di invocare un sussulto di salvezza, il che
rende fittizia la stessa fine.
Il fatto (la fine) rimane inseparabile dalla
speranza (anche tenue) che non si realizzi mai, o non in maniera così
catastrofica come si potrebbe temere.
Non è che si ritenga possibile che la fine non
avvenga, giacché la si considera certa; ad essere inconcepibile è piuttosto il
fatto che tale fine abbia necessariamente luogo.
Nella sua forma più raffinata, sviluppata in
passato da” Jean-Pierre Dupuy” sotto il titolo di «catastrofismo illuminato»,
l’argomentazione cerca dunque di tenere insieme il fatto
a) che la fine è certa, quindi ci sono ragioni
oggettive per avere paura, ma
b)
che, allo stesso tempo, non è necessaria, il che giustifica un’azione di
prevenzione.
Ne “Il
male che viene”, propongo qualcosa di completamente diverso. Suggerisco che sia giunto il momento
di porre come premessa che la fine del mondo e dell’umanità è certa, ma anche
inevitabile, qualunque cosa facciamo ora e, soprattutto, che è vicina.
Vicina, ma non imminente. Giacché se si deve
pensarne qualcosa, allora occorre darle un po’ di tempo per arrivare, in modo
che questa fine non sia una sorpresa totale. In altre parole, non si deve
pensare semplicemente alla fine dei tempi, ma al tempo della fine, il che esige
di ricordarsi e anticipare: di vederla arrivare e, nel vederla arrivare, di
prenderne coscienza.
Perché
pensare significa comprendere i processi, anche se si accelerano, anche se
convergono verso un Evento epocale che suonerà la campana a morto di tutti i
processi. Inoltre, riflettere sul tempo della fine (quello prima della fine dei
tempi) non meriterebbe un’ora di fatica se non ci permettesse di capire ciò che
le persone fanno e che faranno in fretta man mano che la fine si avvicina,
avendo, per questo motivo, bisogno di un po’ di tempo prima che tutto finisca:
il tempo in cui ciò che era solo probabile, e previsto da poche persone,
diventi l’evidenza comune.
A me,
non più che a voi, non piace sventolare una simile idea. Esplorarla non
richiede solo di sguazzare nei paradossi inestricabili delle situazioni-limite.
Spinge a saltare troppo velocemente dalla
ragione al mito. Insomma, la chiarezza amata dal filosofo deve fare delle
concessioni a un’oscurità sgradevole, un’oscurità che non si limita a colorare
oggettivamente l’idea della fine, ma ottenebra anche la mente che la pensa.
La
scrittura dotta ne risente. Le grandi utopie del Rinascimento (quelle di Moro o
di Campanella, la grande affermazione del diritto degli individui a vivere
liberi in una società armoniosa) prefigurarono ciò che, due secoli dopo,
avrebbe preso la forma razionale del «diritto delle nazioni» e successivamente
delle varie versioni del «contratto sociale», delle istituzioni repubblicane,
cioè democratiche: allo stesso modo, una certa sensibilità letteraria che ha
cominciato a sfornare autentici capolavori (la fantascienza post-apocalittica)
richiede oggi una riflessione di vasta portata, di cui, ahimè, abbiamo solo dei
balbettii. Ecco perché la collassologia parla ancora il linguaggio della
fantascienza, e non riesce a svilupparsi in maniera riflessiva, cioè a sfociare
in una filosofia politica dell’autodistruzione o in una scienza della fine
della società.
Vediamo
l’imbarazzo nel quale ci fa sprofondare lo sforzo di prendere sul serio la fine
(in un orizzonte storico) del mondo e dell’umanità. Perché è il senso
dell’attività razionale che essa porta al suo limite estremo.
Se tale fine è reale, allora la ragione che la
concepisce deve certamente mutare. Ma cosa controllerà la sua mutazione? Cosa
consentirà alla ragione di ragionare? Come sapere se si ragiona bene sulla fine
di tutto, o se si delira?
A meno
che non siamo ciechi di fronte a quanto sta accadendo. Sotto la sorda pressione
degli uragani e delle guerre, dell’inquinamento e delle migrazioni, dovremmo
vedere l’interdipendenza vertiginosa delle cose fisiche e degli esseri sociali,
tutto ciò che fa delle prime le ragioni d’essere dei secondi, e basta già
questo a cambiare, senza prenderne le misure, il contenuto e il senso di ciò
che chiamiamo ragione e scienza. Guardate la recente evoluzione del lavoro di”
Bruno Latour”.
Per
molto tempo, ci dice, abbiamo resistito all’idea che niente esista se non
perché lo facciamo durare.
Non
vediamo che non bastano le attività umane a far esistere le cose, ma che le
cose, lungi dall’essere passive e senza voce, sostengono reciprocamente
l’attività umana.
È così che i veri componenti del mondo sono
tutti questi «ibridi» naturali et culturali che ci accaniamo costantemente a
separare a colpi di dualismi vani – respingendo gli uni nel «mondo materiale» e
gli altri nel «mondo sociale».
Ma la
nostra situazione, con tutte queste crisi indissolubilmente ecologiche e
politiche, prova senza il minimo dubbio che esiste continuità ontologica tra la
biofisica e la geopolitica – ecco ciò che «rivela» l’apocalisse in corso.
Così,
rianimando l’«ipotesi Gaia» di “James Lovelock”, “Bruno Latour” ha forse
trovato l’oggetto totale che cercava da sempre.
Gaia, questo sistema geologico, chimico,
biologico e umano più o meno autoregolante, e che noi sconvolgiamo, è
l’orizzonte finalmente trovato del suo empirismo radicale, del suo acuto senso
della fragilità e della contingenza, delle ristrutturazioni permanenti, quindi
della vitalità e della mortalità degli «ibridi» in cui tutto consiste.
Gaia: è dunque questa la scena in cui
dispiegare un pragmatismo e un costruttivismo serio, liberato dal sogno di una
Natura là «per sempre», e che si pone la questione pratica di cosa si può far
durare, come e a quale prezzo.
È qui
che interviene un fattore costantemente sottovalutato.
La certezza della fine prossima è spesso
considerata come un fattore di mobilitazione, che dovrebbe spingerci a
correggere la traiettoria che ci precipita verso l’abisso.
Al
punto che ci chiediamo perché diavolo persone così ben informate come noi alla
fine non facciano nulla, o facciano così poco.
Ma, da
un lato, è tutt’altro che scontato che un’angoscia così «totale» dovrebbe
innescare un sussulto salvifico.
E se
fosse vero il contrario? E se ci paralizzasse ancora di più?
Dall’altro lato, più pericolosamente, la certezza
della fine potrebbe alimentare, alimenterà e probabilmente sta già alimentando
opzioni morali e politiche che affrettano la fine.
Perché
se tutto è perduto (e questa certezza aumenterà man mano che la fine si
avvicina, radicalizzando il processo al quale sto pensando), allora cosa ci
impedirebbe di godere nel modo più sfrenato, più devastante, di tutto ciò che
rimane finché c’è ancora tempo?
E non
dobbiamo fermarci qui.
Il male che viene, come lo chiamo io, si
rivela in tutta la sua ampiezza solo se si accetta di guardare in faccia la
tentazione del peggio che ecciterà follemente gli ultimi uomini, consapevoli di
essere gli ultimi.
Sappiamo
davvero quale vertigine morale potrebbe causare la percezione che l’intera
storia si sia ficcata in un vicolo cieco, e che l’idea di «destinazione morale»
dell’umanità sia un vuoto sogno la cui data di scadenza è inscritta nell’ultima
riserva delle ultime risorse vitali?
La fine sempre più certa dell’umanità, col passare del
tempo, potrebbe dar luogo allo scatenarsi delle voluttà più crudeli e,
spingendo a fondo le cose, rendere molto ragionevole ciò che oggi giudichiamo
assurdo.
Meno
si crederà all’«essenza eterna dell’uomo» – o al Bene che «per natura» l’uomo
deve volere per sé stesso -, e più delle possibilità oggi considerate marginali
diventeranno centrali – o addirittura forniranno l’ultimo sapore ricavabile da
una vita morente.
Sì, “Sade”
ci aspetta alla fine delle fini.
Senza
negare la stupidità e l’ignoranza di tutti, forse bisogna anche far posto,
almeno tra i ricchi e i potenti, meglio informati, a uno sfacciato cinismo.
Con
questo intendo dire che non ci sono solo persone informate che si affretteranno
a saccheggiare gli ultimi tesori del mondo.
Ci
saranno (ci sono?) persone per le quali le disuguaglianze e le ingiustizie
inestricabilmente legate alla catastrofe globale in atto costituiscono non un
problema, ma uno strumento per i loro godimenti.
Sto
speculando, in altre parole, su quando l’unico fuoco col quale potremo
riscaldare il sentimento della vita sarà quello del crimine su larga scala.
Non
importa che un simile punto di inversione morale avvenga un giorno preciso nel
futuro (quando i tempi della fine diventeranno per sempre la fine dei tempi).
Non perdere
di vista la possibilità astratta di questo Male illumina il nostro prossimo
futuro di una luce oscura che viene da più lontano e che, credo, rivela fin
d’ora ombre minacciose, che non si vedrebbero così bene senza un’ipotesi
azzardata.
Si
obietterà che un tale Male è difficile da immaginare se nessun Bene vi si
oppone.
Quale
Bene può esserci in un mondo «senza domani» (un mondo che è, penso, già il
nostro)?
Con un
pizzico di umorismo nero, considereremo che questa è la vera questione morale
da chiarire.
E ho la mia idea su cosa un simile Bene
potrebbe essere. Ma vorrei concludere su un altro registro.
In
altri lavori ho difeso un’idea sicuramente più seria di questa, in ogni caso
più scientifica, affrontando lo sviluppo degli ideali collettivi di autonomia
nelle società moderne.
Il rovescio della medaglia di questa autonomia
è un’auto costrizione sempre più intensa, che si manifesta contemporaneamente
attraverso un’inibizione raddoppiata degli impulsi, una responsabilizzazione
esponenziale di tutti e una sensibilità esacerbata al Male, anche nelle sue
forme minori.
Abbiamo orrore della violenza.
Ora,
vorrei suggerire qualcosa di un po’ sovversivo.
È
evidente, visto il grado di formazione sociale cui oggi siamo giunti, che
dinnanzi al Male che viene dobbiamo assolutamente rifuggire dalla violenza?
Dobbiamo
credere ancora che la vita civile abbia come criterio la sua abolizione?
E che dobbiamo ancora delegarne il legittimo
esercizio a entità distanti come lo Stato?
O dovremmo invece inventare nuove forme di
violenza, anch’esse altamente civilizzate (e basate proprio su una più profonda
responsabilità personale), senza lasciarci intimidire dai processi e dagli
individui malvagi il cui godimento cinico consiste nell’affrettare la fine per
il proprio profitto?
In
effetti, per noi, il pericolo di comportarci come bestie feroci immaginando di
difendere la giustizia (come temono i nostri cani da guardia) è minimo.
Non
quello, invece, di lasciarsi ingannare dagli interessi dei potenti che si
divertono nel gioco della corsa verso l’abisso, in anticipo sui tempi.
Ultimo
paradosso: la certezza dell’inevitabile fine del mondo e dell’umanità in un
orizzonte prossimo significa anche che abbiamo poco tempo, pochissimo, per
essere felici.
Ma,
nel complesso, credo che abbiate capito a cosa punta il mio cuore.
Approvata
la riforma del mercato
energetico
in UE: ecco cosa prevede.
Switiho.it – (17 Aprile 2024) – Redazione – ci
dice:
L’11
aprile 2024 il Parlamento europeo ha approvato la riforma del mercato
energetico in UE. In breve:
In
risposta alla crisi energetica, conseguenza dello scoppio della guerra tra
Russia e Ucraina nel 2022, e per scongiurare simili situazioni in futuro, l’UE
compie un ulteriore passo per riformare il mercato energetico europeo;
La
riforma del mercato dell’energia elettrica mira a tutelare maggiormente i
consumatori, offrire più stabilità alle imprese e incentivare la produzione di
energia da fonti rinnovabili;
La
riforma avrà impatti sui consumatori in tutta UE, i quali saranno maggiormente
tutelati da eventuali aumenti in bolletta.
Ora
che i prezzi sono tornati alla normalità, se la tua bolletta risulta essere
ancora troppo alta, forse è il momento di cambiare tariffa.
Noi di
Switcho ti aiutiamo a trovare l’offerta luce e gas più adatta alle tue esigenze
e ci occupiamo al posto tuo della burocrazia legata al cambio fornitore.
Il
tutto con un servizio 100% digitale e gratuito.
Cos’è
la riforma del mercato energetico UE.
In
cosa consiste la riforma del mercato dell’energia elettrica UE.
Riforma
mercato energetico in UE: come cambieranno le bollette
Le
tappe della riforma del mercato energetico UE.
L’Unione
Europea sta riformando il mercato dell’energia elettrica.
L’11 aprile 2024 ha compiuto un altro passo
verso questo obiettivo con l’approvazione della riforma, comprendente un
regolamento – che tutti gli Stati dovranno applicare – e una direttiva – con
obiettivi comuni, ma libertà, da parte degli Stati membri, su come
raggiungerli.
Ma
perché l’UE sta riformando il mercato dell’energia elettrica?
Si
tratta di misure a lungo termine in risposta alla crisi energetica del 2022,
anno in cui è scoppiato il conflitto tra Russia e Ucraina, durante il quale
abbiamo sperimentato un’impennata delle bollette della luce a fronte di aumenti
dei prezzi dei combustibili fossili (gas in particolare).
Il
motivo? Il meccanismo insito nel mercato dell’energia in UE, nel quale il
prezzo dell’energia elettrica è basato proprio sul costo dei combustibili
fossili che vengono utilizzati per la produzione di energia elettrica.
E se
nel 2022 i governi hanno provveduto a introdurre misure per proteggere i
consumatori (si pensi al taglio dell’IVA sul gas in Italia, ripristinata a
inizio 2024), ora l’Unione Europea vuole abbandonare le soluzioni temporanee e
introdurre misure con effetti a lungo termine.
In
cosa consiste la riforma del mercato dell’energia elettrica UE.
Uno
dei principali obiettivi della nuova riforma del mercato dell’energia UE è
quello di rendere i prezzi dell’elettricità meno dipendenti dalla volatilità
dei prezzi dei combustibili fossili.
La
nuova riforma del mercato dell’energia agisce su diversi fronti:
Sostenibilità
per le imprese, anche grazie ai contratti per differenza – o CfD in inglese –
che possono essere stipulati con l’autorità pubblica per sostenere gli
investimenti nella nuova produzione di energia elettrica, sia che provenga da
fonti rinnovabili sia che provenga dal nucleare;
Potere,
da parte del Consiglio, di dichiarare una crisi dei prezzi dell’energia
elettrica, per
consentire agli Stati membri di intervenire per stabilizzare i prezzi
dell’elettricità per le aziende più piccole e per i consumatori industriali che
sono particolarmente sensibili ai costi energetici elevati;
Maggiori
tutele per i consumatori, con una particolare attenzione ai clienti
vulnerabili.
Riforma
mercato energetico in UE: come cambieranno le bollette.
La
riforma del mercato dell’energia elettrica in UE avrà un impatto diretto sulle
nostre bollette.
Uno
degli obiettivi della riforma, infatti, è proteggere i consumatori dalla
volatilità dei prezzi.
Per
farlo, le nuove misure offrono la possibilità a tutti i consumatori di
scegliere tra offerte a prezzo variabile e offerte a prezzo fisso, con
informazioni più chiare prima della firma:
Offerte
a prezzo variabile: sono quelle che seguono l’andamento del mercato, con costi
che aumentano all’aumentare dei prezzi della materia prima e diminuiscono
quando i prezzi scendono;
Offerte
a prezzo fisso: il prezzo rimane invariato dalla stipula alla conclusione del
contratto, proteggendo da eventuali fluttuazioni dei prezzi. La riforma prevede maggiore
disponibilità di contratti a prezzo fisso e a tempo determinato.
Maggiori
tutele, poi, per i consumatori vulnerabili. Anche in caso di mancati pagamenti,
questi ultimi non rischieranno l’interruzione della fornitura di elettricità.
Le
tappe della riforma del mercato energetico UE.
La
riforma del mercato dell’energia elettrica UE è stata presentata dalla
Commissione europea per la prima volta lo scorso anno a marzo.
Da
allora, il Consiglio ha approvato un orientamento generale sulla riforma, con
un accordo provvisorio tra Consiglio e Parlamento europeo nel dicembre 2023.
Con
l’approvazione del Parlamento, l’11 aprile 2024, la prossima tappa prevede
l’approvazione da parte del Consiglio, che rappresenta gli Stati membri. Starà a quest’ultimo adottare
formalmente la legislazione perché la riforma entri in vigore e diventi parte
del diritto dell’Unione Europea.
(Redi
Vyshka).
Corea
del Sud: un paese
sorprendente,
anche nel voto.
Lavoce.info - DONATELLA PORRINI – (16/04/2024)
– ci dice:
In
Corea del Sud l’opposizione ha vinto le elezioni con un programma elettorale
basato su una maggiore apertura dei mercati e dei confini del paese. Il paese è
sì molto legato alle tradizioni, ma ha anche un’alta scolarità ed è attento
all’ambiente.
I
risultati delle elezioni.
Lo
spoglio elettorale degli ultimi giorni in Corea del Sud ha registrato la vittoria del partito democratico
d’opposizione sui conservatori al governo, che ora dovranno cercare di
ricomporre una difficile maggioranza in Parlamento.
Il
risultato arriva dopo mesi di critiche nei confronti dell’attuale presidente
“Yoon Suk-yeol” e non solo per il cosiddetto “scandalo Dior” che ha coinvolto
la “first lady”, una giovane imprenditrice, che avrebbe accettato un costoso
regalo griffato, dal valore di tre milioni di “won”, equivalente a circa 2 mila
euro, mentre la legge sudcoreana impone ai funzionari pubblici di rifiutare
regali che superino il valore di “1 milione di won”.
Il
risultato sembra invece più collegato alla recente impennata dei prezzi e
quindi al cosiddetto “cipollotto gate”.
A metà
marzo, il presidente “Yoon”, durante una sua visita in un supermercato, per
conquistare il sostegno pubblico, aveva definito come “ragionevole” il prezzo
di 875 won (circa 60 centesimi di euro) per un fascio di cipollotti.
L’opposizione aveva però fatto notare che il
prezzo così basso era dovuto a un sussidio governativo ad hoc, mentre il costo
effettivo a Seul risultava di gran lunga più alto, intorno ai 4 mila won.
Un
paese tradizionale in cerca di cambiamento.
Sorprende
la sconfitta elettorale dei conservatori perché a prima vista la Corea del Sud
appare un paese nazionalista.
Circolano poche auto straniere e per strada
c’è una gran varietà di modelli Hyundai e Kia;
nelle
case, nei bar, nei ristoranti si vedono solamente televisori e apparecchi per
l’aria condizionata di marca LG;
nelle
mani dei coreani ci sono per lo più telefonini “Samsung Galaxy”, con tutti i
loro accessori venduti ovunque.
Il
fatto che queste aziende siano orgogliosamente coreane colpisce ancora di più
se si pensa al dibattito attuale in Italia sul caso “Stellantis”.
Un
altro aspetto che colpisce al primo impatto è che le persone che si vedono in
giro sono praticamente tutte coreane, tranne poche eccezioni, soprattutto
turisti:
la
Corea ha infatti rigidissime politiche di immigrazione che hanno consentito
finora di controllare i flussi in entrata.
Ma lo
status quo non soddisfa i coreani che hanno premiato l’opposizione, che ha
condotto un’aggressiva campagna elettorale proprio sui vantaggi di una maggiore
apertura dei mercati alla concorrenza e di una maggiore apertura dei confini
del paese, anche per contrastare il calo demografico che nel 2023 ha visto il
tasso di natalità scendere ai minimi storici.
E la
sorpresa è ancora più grande se si pensa che il presidente in carica poteva
vantare positivi dati economici: infatti, i dati per il 2024 registrano un
aumento del Pil del 2,2 per cento, in miglioramento rispetto al 2023 (1,4 per
cento).
La
scelta di cambiamento viene da una popolazione con uno dei livelli di
istruzione più alti al mondo.
Infatti,
a partire dagli anni Settanta del secolo scorso la Corea del Sud ha sempre
investito nel sistema dell’istruzione, dalle scuole elementari fino
all’università.
E gli effetti si vedono:
nel
2023 la percentuale di persone adulte con un livello di istruzione terziaria
(laurea e oltre) è di circa il 50 per cento (contro il circa 20 per cento
dell’Italia).
Ancora, per quanto riguarda la spesa in
ricerca e sviluppo sul Pil, la Corea è tra i primi paesi al mondo e si avvicina
al 5 per cento (contro l’1,5 per cento dell’Italia).
È una
scelta di cambiamento che arriva da una popolazione che mostra un grande
rispetto per la natura, che si tramuta in molto “verde”, in spazi pubblici
all’aperto curatissimi e a disposizione di tutti.
Basti
ricordare che lo scorso 5 aprile è stato celebrato il cosiddetto “Sikmogil
Arbor Day” (식목일), la festa nazionale che dal 1946 invita le persone a
piantare nuovi alberi e le strade, come ogni anno, sono state invase da
famiglie con in mano piante e arnesi da giardinaggio.
Ancora
una volta questo paese sorprende.
E anche se la Corea del Sud viene considerata
“l’Italia dell’Asia”, le differenze con il nostro paese sono evidenti.
Alla
fine, come in un vecchio ricordo calcistico, la Corea riesce a battere
l’Italia.
(Donatella
Porrini).
MAPPA DELL'ANTIDRAGHISMO
ITALIANO.
Msn.com - Alfonso Raimo – (17 -4-2024) – Huff
post Italy - Redazione – ci dice:
17/04/2024
Roma: il ministro dei Trasporti Matteo Salvini partecipa nella sede di
Confcooperative,all.
La
candidatura di Draghi viaggia controvento.
Per
capire l’aria che tira intorno all’ipotesi che l’ex premier possa essere eletto
alla” presidenza della commissione Ue”, conviene leggersi le pagine che Matteo
Salvini gli dedica nel libro “Controvento”.
Il
testo è in uscita per il 25 aprile, ma il leader della Lega ha fatto trapelare
un’anticipazione.
A
orologeria.
Il
giorno dopo il discorso di Draghi sul futuro dell’Europa.
È una
stroncatura in piena regola, una “vendetta”, scrivono i giornali. Ma è anche un
bastone tra le ruote all’alleata Meloni.
Racconta
Salvini che Draghi dopo aver annunciato la fine del suo governo, lo incontrò
per sondare “la disponibilità della Lega e del centrodestra in generale per
un'eventuale sua ascesa al Colle.
Alla mia domanda diretta: 'In caso di sua
elezione che ne sarà del governo?', la risposta non arrivò. O meglio, ci fu un
'ne parleremo dopo...'".
Come
se non bastasse, Salvini confessa l’avversione personale – “ma lo pensavano
tutti i partiti” - per il modo in cui Draghi scelse i ministri leghisti di quel
governo.
“Uno
scivolone.
Ricordo
che ero a casa, quando mi squillò il telefono.
Palazzo
Chigi.
Da lì
a dieci minuti, i nomi degli aspiranti ministri sarebbero stati consegnati al
Colle.
Draghi
mi comunicò di aver individuato in Giancarlo Giorgetti, Massimo Garavaglia ed
Erika Stefani i leghisti meritevoli di ottenere dei dicasteri. Nomi autorevoli
ma il metodo era evidentemente sbagliato.
Peraltro,
era opinione diffusa in tutti i partiti".
E
ancora.
In quell’esecutivo il premier scelse dei nomi
– Lamorgese,
Speranza e Di Maio – che Salvini definisce “sconcertanti”. E come se non bastasse, di fronte
alle sue richieste di “una pace fiscale”, Draghi non fece nulla.
Se queste sono le premesse, è fin troppo
facile dedurre che la Lega non sosterrà l’ex premier in una eventuale corsa al
vertice della Commissione.
Il
vicesegretario Andrea Crippa, all’Huffpost, spiega il senso politico. “Per prima cosa è un nome che non ha
fatto ufficialmente nessuno. Neppure lui stesso si è candidato. Ma poi: vale
per lui come per chiunque altro che laddove c’è il sostegno anche dei
socialisti, la Lega non c’è.
E
siccome non è realistica una candidatura Draghi senza i socialisti, di che
parliamo?”
Insomma,
“nemo propheta in patria”.
E
anche fuori patria le cose non vanno meglio. “Ma che significa? Anche Prodi è
italiano. Ma se fosse candidato alla Commissione come facciamo a sostenerlo?”
A
parte gli sponsor europei – Macron per tutti, e poi il polacco Donald Tusk – a
dare vento all’ipotesi è stato per un verso il tenore del discorso di Draghi,
che a Bruxelles è stato inteso come “un programma di legislatura”.
E sul
versante italiano l’innegabile sintonia che si è realizzata su alcuni capitoli
tra la premier Giorgia Meloni e lo stesso Draghi.
Il
passaggio di consegne a Palazzo Chigi avvenne con Draghi che lasciava a Meloni
un paper con gli impegni irrinunciabili.
E
soprattutto in tema di politica estera e conti pubblici, Meloni ci si è
attenuta.
Al
punto da beccarsi le critiche di chi riteneva che tanto valeva tenersi
Draghi.
Ma la
campagna elettorale brucia ogni terra di mezzo.
Lo sa
bene “Tommaso Foti”, capogruppo di Fdi alla Camera, che ricorda come valga in
questo caso il detto “chi entra papa, esce cardinale”.
Interpellato
dall’Huffpost, Foti chiarisce:
“Mi
sembra di rivedere la scena del Quirinale. Quando lui disse ‘ritengo esaurito
il mio mandato’ e da lì lo hanno bruciato perché sono inevitabilmente prevalsi
gli interessi di parte”.
Si
entrava nella lunga campagna elettorale delle politiche.
Oggi
la situazione non è dissimile.
“Non
possiamo essere noi a sostenere Draghi, noi che gli abbiamo fatto
l’opposizione.
Ci si chiede troppo.
Per
quanto riguarda la situazione dopo le europee, ci sono tante variabili da
considerare.
Leggo di Tusk che farebbe da apripista nel
Ppe.
E
strabuzzo gli occhi.
Ma il
Ppe ha già un candidato, ed evidentemente potrebbe averne anche un altro di
riserva.
E lo
stesso vale per il Pse.
Siamo
sicuri che i due partiti usciranno da questo schema, e convergeranno su uno
esterno?
A Draghi conviene stare dietro le quinte, ed
essere richiamato nel caso in cui si verificasse un empasse politica dopo il
voto sui nomi riconducili a Pse e a Ppe, o a loro sostituti.
Intanto mi permetto di dare un consiglio:
chiunque ci abbia fatto un pensiero, tenga la palla bassa”.
Se
qualcuno pensava che l’elezione di Draghi potesse stabilizzare il governo di
Giorgia Meloni, le schermaglie di queste ore basterebbero a dissuaderlo.
Ma
anche nel campo largo le cose non vanno meglio.
Curioso: nel 2019-2020 quando Matteo Salvini e
Giuseppe Conte governavano insieme si spendevano in proclami per un’eventuale
ascesa di Draghi al vertice della commissione.
Ora che sono all’opposizione interna dei
rispettivi schieramenti, hanno cambiato idea.
Il Pd
è invariabilmente destinato a dividersi.
Paolo
Gentiloni plaude a Draghi:
"Ha
centrato il punto, serve un cambio radicale dell'Europa per essere competitivi
nello scenario globale".
Ma la
sinistra interna è tiepida.
Per Andrea Orlando, che di Draghi è stato
ministro, l'ex premier va sostenuto sì, ma al Consiglio europeo.
Non alla Commissione dove il candidato è Nicolas
Schmit, che il Pse vuole sostenere puntando a essere il primo partito del
Parlamento.
Giuseppe
Conte è ancora più freddo.
Per un
verso invoca il programma dell’ex premier, perché dice, “ancora se la ricorda
l’agenda Draghi”, motivo di lunghe dispute nell’esecutivo.
E se
proprio bisogna parlare di una svolta in Europa, allora la primogenitura spetta
a lui, mica a Draghi.
“Il M5s con me presidente del Consiglio, è
stato il primo a dire che l'Europa deve dotarsi di un piano straordinario di
finanziamento basato sul debito pubblico comune per affrontare le sfide e
cambiare completamente rotta", dice.
E mette in chiaro che “le sfide non sono il
riarmo e la transizione militare. Ma la transizione ecologica e quella
digitale, le politiche del lavoro”. Un modo per rispedire al mittente
questa agenda, così come la precedente.
Dall’Italia
soffia un vento che porta Draghi fuori rotta: non alla Commissione, ma semmai
alla presidenza del Consiglio Ue.
Anche Matteo Renzi e Carlo Calenda, che pure
si professano i suoi più convinti sostenitori, non riescono a fare una lista
comune per il Parlamento europeo.
“In
tutto il nostro programma risuona la parola Draghi. Lui è la bussola”, dice
Calenda.
Che
aggiunge: “Faremo di tutto per portarlo alla presidenza del Consiglio Ue”.
Il
crollo dell'impero americano,
parte III: diplomazia e soft power.
Unz.com - ERIC Striker -ATTACCANTE – (17
APRILE 2024) – ci dice:
Il
prestigio dell'America è rapidamente diminuito.
La
guerra in Iraq del 2003, la crisi finanziaria del 2008, la denuncia da parte di
“Edward Snowden” del programma di spionaggio della “NSA”, l'utilizzo del
dollaro come arma e l' isolamento diplomatico americano a sostegno della guerra
genocida di Israele a Gaza hanno intaccato il potere di persuasione
dell'argomentazione di Washington secondo cui è l'unico qualificato a sostenere
lo stato di diritto e detiene il mandato universale di imporre la sua ideologia
politica al mondo.
Il
concetto di “soft power”, reso popolare da “Joseph Nye”, sostiene che la chiave
dell'egemonia americana risiede nella sua capacità di ispirare obbedienza,
piuttosto che ottenerla attraverso la coercizione.
La
cultura popolare, i valori politici e la politica estera degli Stati Uniti,
secondo “Nye”, consentono all'America di costringere le nazioni a eseguire i
propri ordini attraverso la seduzione, piuttosto che con i mezzi tradizionali
della carota (tangenti) o del bastone (guerra).
Alla
base della “teoria di Nye” c'è il presupposto infalsificabile che ci siano
maggioranze silenziose di persone in tutto il mondo che preferiscono la
“democrazia liberale”, la” comunità LGBT”, le tutele speciali delle minoranze,
il” femminismo”, il “multiculturalismo” e l'economia individualista agli
"dei forti" del nazionalismo prebellico.
Tradizione
e collettivismo.
Il mondo può amare gli” iPhone” e la” Coca
Cola”, ma come dimostra il famoso fan dei “Chicago Bulls” Kim Jong Un, questo
non si traduce sempre in un abbraccio del sistema americano.
Questa
linea di pensiero ha probabilmente ostacolato le élite americane al punto da
incorrere in sconfitte diplomatiche evitabili in diversi teatri.
Il
verificarsi regolare di "rivoluzioni colorate" nel corso degli anni
'90 e 2000 potrebbe dare credito al” punto di vista di Nye”, ma questo tipo di
rivolte non ha avuto successo negli ultimi anni poiché l'America perde il
favore come modello politico e le nazioni diventano più sofisticate nel
combattere le manovre segrete di Washington. Così l’ influenza (ad esempio
attraverso organizzazioni non governative) e spionaggio.
Il
principale punto debole della” teoria di Nye” è che non ammette la possibilità
che gli ideali antiliberali siano attraenti.
Durante la Guerra Fredda gli Stati Uniti si
sono posti, con un certo successo, come difensore della civiltà cristiana e
della libertà umana contro l'ateismo e il totalitarismo sovietici.
Ma dal
2012, Vladimir Putin ha lavorato per posizionare il suo Paese in
contrapposizione alla fissazione americana sui comportamenti sessualmente
devianti, per diventare la voce leader globale dell'eteronormatività e della
famiglia tradizionale, una posizione con cui la stragrande maggioranza
dell'umanità, comprese le nazioni occidentali, è d'accordo. . .
Una legge recentemente approvata che obbliga
le ambasciate statunitensi all'estero a nascondere le “bandiere LGBT e Black
Lives Matter” che hanno sventolato in precedenza suggerisce che questo tipo di “soft
power” è più efficace di quanto gli accademici liberali siano disposti ad
ammettere.
Oggi,
le nazioni che gli Stati Uniti considerano "democrazie" intrappolate
nella rete dei trattati atlantisti continuano a eleggere leader che fanno
campagne in difesa delle maggioranze etniche e contro gli immigrati, promettono
repressioni legislative e dell'ordine e pretendono di sostenere i valori
tradizionali, come visto con” Recep Erdogan” in Turchia, “Viktor Orban” in
Ungheria, “Narendra Modi” in India, “Giorgia Meloni” in Italia e persino
l'elezione presidenziale di “Donald Trump” nel 2016.
In Francia, Emmanuel Macron è stato costretto
ad attaccare pubblicamente i valori anti-bianchi americani solo per respingere
alle sfide di personaggi come “Marine Le Pen”, mentre in Germania il governo è
nel panico per i risultati favorevoli dei sondaggi di” Alternativ Fur
Deutschland”.
La
recente visita di “Tucker Carlson” in Russia, dove ha elogiato l'ordine
pubblico e i negozi di alimentari, è stato un momento enormemente
demoralizzante non solo per le élite americane, ma anche per i loro partner
nell'opposizione liberale russa anti-Putin, che sono arrivati a fare affidamento
interamente sull'immagine di un'America ricca e senza corruzione per il
reclutamento.
Quando si guarda allo slancio popolare sia
all'interno dell'Occidente che oltre, ci si deve seriamente chiedere quante
nazioni rimarranno impegnate in strutture come la “NATO” una volta che il suo
potere militare ed economico sarà eguagliato o addirittura oscurato da
avversari come “Russia” e “Cina”.
Ciò
che gli Stati Uniti concepiscono come democrazia è ormai in declino a livello
globale per il ventesimo anno consecutivo.
Il
discorso americano nelle relazioni estere è diventato più mercenario e feroce,
facendo sempre più affidamento sulla minaccia di sanzioni economiche,
intervento militare o compromessi significativi per ottenere la conformità.
Alcuni
hanno osservato che la "globalizzazione" è in realtà “americanizzazione”,
e tutti concorderebbero sul fatto che la globalizzazione è in rapida ritirata.
In
altre parole, gli Stati Uniti non suscitano né ammirazione né rispetto, il che
porta a una maggiore dipendenza dall' “hard power”, che ha l'effetto
moltiplicatore di aumentare il risentimento globale.
L'ascesa senza precedenti della” Cina” offre
una via d'accesso alla prosperità economica e all'innovazione tecnologica senza
essere costretta ad abbracciare tutti i valori nichilisti e poco intuitivi
dell'America e ha minato il potere della carota (l'accesso ai potenti dollari
statunitensi).
Mentre
nazioni come la Russia e l'Iran affrontano direttamente le minacce militari di
Washington e controllano le sue ambizioni globali, la paura del bastone sta
svanendo.
Il
futuro del mondo si preannuncia come uno di una serie di relazioni alla carta,
in cui le nazioni di piccole e medie dimensioni trattano con molteplici potenze
– Stati Uniti, Unione Europea, Cina, Russia e persino Iran – alle loro
condizioni e secondo i propri interessi.
Diplomazia.
Un
elemento importante nel cambiamento degli affari mondiali è la rivalità in atto
nell'economia dello sviluppo tra il “Fondo monetario internazionale degli Stati
Uniti” e la “Belt and Road Initiative cinese”.
La
Belt and Road Initiative mira a sfidare il sistema commerciale marittimo americano
creando una nuova "Via della seta" che collega gli scambi economici
globali via terra.
I
beneficiari del FMI generalmente ricevono prestiti, a volte con interessi
elevati, a condizione che riformino i loro sistemi politici ed economici, in
gran parte attraverso l'eliminazione del protezionismo e un programma di
privatizzazione delle attività.
I paesi spesso non sono in grado di ripagare questi
prestiti, portandoli in trappole del debito che consentono ai banchieri e alle
multinazionali di trarre vantaggio dai mercati aperti e agitati per
accaparrarsi risorse privatizzate a prezzi di svendita o capitalizzare
opportunisticamente su accordi di ristrutturazione del debito.
Una
famosa vittima di questo sistema basato sul debito è stata l'Argentina, la cui economia è stata
completamente devastata dal “capitalista avvoltoio ebreo Paul Singer”
attraverso la pratica di prestiti sovrani predatori.
La “BRI”
si distingue per il fatto che è guidata dalle infrastrutture e impersonale.
Le banche cinesi pagano le aziende cinesi per
impiegare (di solito) manodopera cinese per costruire infrastrutture con
materie prime cinesi per le nazioni povere.
Questi
sono generalmente strutturati come joint-venture, in cui i beneficiari che non
possono rimborsare i prestiti danno alle imprese cinesi il controllo sullo
specifico progetto infrastrutturale (porti, autostrade, ferrovie ad alta
velocità, ecc.) fino a quando i profitti generati non ripagano l'investimento e
questo viene consegnato.
Circa
150 nazioni hanno aderito alla BRI cinese, mentre il FMI ha attualmente 35
clienti.
Un
punto chiave della BRI è la politica cinese di non interferenza negli affari
culturali o politici locali.
I cinesi non hanno alcun problema a fare
affari con nazioni designate come “paria” dalle istituzioni liberali, come la
Bielorussia, il cui primo stabilimento automobilistico nazionale è stato
costruito dal sistema” BRI”, o l'Ungheria, l'Eritrea, l'Iran, l'Afghanistan dei
talebani e così via.
Al
contrario, il “FM”I è emerso come un'istituzione utilizzata per imporre le
ambizioni ebraiche e impegnarsi nell'ingegneria sociale come condizioni di
prestito che offendono i valori locali e minano gli interessi personali degli
stati sovrani.
Gli
esempi abbondano.
L'anno
scorso, il “Fondo monetario internazionale” ha dichiarato che non presterà
denaro alla Tunisia finché non finirà la repressione sull'immigrazione
clandestina e non si lasceranno entrare i migranti africani.
Sia il
“Fondo monetario internazionale” che la “Banca mondiale”, guidati
dall'ambasciatore statunitense locale, hanno minacciato di prelevare miliardi
di dollari in finanziamenti al Ghana per l'approvazione da parte del parlamento
di una legge che vieta le manifestazioni pubbliche di omosessualità.
In Egitto, il Fondo monetario internazionale
ha stanziato miliardi in denaro per il salvataggio a condizione che
accettassero i palestinesi che Israele vuole punire etnicamente.
In
teoria, le nazioni potrebbero trattare sia con la Cina che con gli Stati Uniti,
ma la diplomazia americana spesso è a somma zero.
L'ipotesi secondo cui l'America sarà sempre la
soluzione migliore viene messa alla prova dal contro modello cinese per lo
sviluppo globale, a vantaggio delle nazioni un tempo impotenti.
Washington
inizialmente ha minacciato il popolare presidente salvadoregno “Nayib Bukele”
di sanzioni per la sua repressione del crimine, ora lodata a livello
internazionale.
Gli
Stati Uniti, che iniziarono a riferirsi a “Bukele” come al nuovo “Hugo Chavez”,
furono ostacolati quando il leader salvadoregno rispose alle punture aprendo la
porta alla Cina e segnalando sostegno alla Russia.
Ciò ha
ribaltato la situazione per Washington, che ha finito per imparare a vivere
invece di rischiare di sentirsi dire di andarsene.
La “Biblioteca Nazionale di El Salvador”,
un'imponente struttura educativa moderna che è il gioiello della corona del
governo “Bukele”, è stata costruita in segno di amicizia da parte della Cina.
In
Ungheria, anche l'influenza di Washington e Bruxelles sembra indebolirsi.
Il
mese scorso,” David Pressman”, ambasciatore “ebreo gay” americano presso lo
stato membro della NATO, ha tenuto un discorso in cui prometteva di punire e
far cadere il governo eletto dal popolo di Viktor Orban.
Nel
suo discorso,” Pressman” ha affermato:
"Mentre
il governo Orbán potrebbe voler aspettare il governo degli Stati Uniti, gli
Stati Uniti certamente non aspetteranno l'amministrazione Orbán. Mentre
l'Ungheria aspetta, noi agiremo".
Orban
si è scrollato di dosso queste minacce aumentando drasticamente i suoi legami
economici con Cina e Russia.
Orban
ha fatto infuriare la fazione filo-americana nel suo parlamento sostenendo
l'espansione di un'università cinese in Ungheria e firmando un contratto con la
Russia per costruire una centrale nucleare nel paese.
Altri
"fuorilegge" regionali, come Bulgaria e Slovacchia, stanno seguendo
l'esempio.
Se i
vantaggi economici e militari derivanti dall'appartenenza alla “NATO” o all' “Unione Europea” non giustificano più
l'incessante ingerenza di attori stranieri, è questione di tempo prima che
queste nazioni abbandonino queste alleanze.
Un'altra
grave battuta d'arresto per la diplomazia americana si sta verificando nella regione
africana del” Sahel”, ricca di risorse.
Nazioni come il “Mali” e il “Burkina Faso” hanno
cacciato Francia e Stati Uniti, optando invece per il sostegno militare del “Gruppo
Wagner russo” e per i partenariati economici con la Cina.
Il
Ciad, l'ultima nazione africana che ospita una presenza militare francese, si
sta allontanando verso Russia e Cina anche se il governo Macron li implora di
restare.
Il
nuovo governo militare del “Niger”, che ospita una base americana con 1.000
soldati, ha risposto alle arroganti richieste degli Stati Uniti di dimettersi
dal potere e ripristinare la risorsa di “Washington Mohamed Bazoum”, ordinando
alle truppe statunitensi di lasciare il loro paese.
La” leadership del Niger” ha concluso che l'America è
incapace di negoziare in buona fede e ha promesso di soddisfare le sue esigenze
economiche e di sicurezza attraverso la Russia e la Cina.
Un
analista di politica estera la dura prova come segue:
"In
questo nuovo mondo multipolare, sembra che gli Stati Uniti, ancora
probabilmente il paese più ricco e potente del mondo, abbiano bisogno del
Niger, uno dei paesi più poveri e deboli del mondo, di più di quanto il Niger
ne abbia bisogno".
Il
Dipartimento di Stato USA sta addirittura lottando per controllare l'Arabia
Saudita, una nazione comunemente percepita come uno stato cliente completamente
dipendente dall'impero americano.
In un
caso, i sauditi hanno rifiutato le richieste dell'amministrazione Biden di
aumentare la produzione di petrolio per ridurre l'impatto delle sanzioni contro
la Russia in Europa.
Aggiungendo
la beffa al danno, i sauditi hanno integrato più o meno informalmente la Russia
nell'OPEC.
Forse
il colpo più grande alle aspirazioni americane di politica estera architettate
dagli ebrei è stato l'accordo di pace mediato dalla Cina tra Arabia Saudita e Iran, che ha di fatto posto fine al
sanguinoso conflitto settario tra sunniti e sciiti che ha tormentato il Medio
Oriente per decenni.
Da
allora, i sauditi hanno posto fine alla loro terribile guerra contro gli Houthi
nello Yemen e hanno ristabilito i rapporti diplomatici con il governo di Bashar
al-Assad, un leader che hanno cercato di rovesciare per un decennio.
La
settimana scorsa, i sauditi hanno dichiarato pubblicamente che non avrebbero
permesso che il loro spazio aereo fosse utilizzato per proteggere Israele
dall'Iran.
Per
quanto riguarda il conflitto Palestina-Israele, Cina e Russia sono emerse come
improbabili leader morali nella loro ferma opposizione alla guerra di Israele a
Gaza, la peggiore atrocità del 21° secolo trasmessa in tempo reale a miliardi
di persone sui social media.
Alle
Nazioni Unite, il mondo continua a sostenere, in un consenso virtuale, un
cessate il fuoco nella guerra, insieme al riconoscimento dello Stato
palestinese.
Questi sforzi ricevono continuamente il veto
da parte degli Stati Uniti.
I commentatori e persino i diplomatici
statunitensi ritengono che il sostegno incondizionato dell'America alla
barbarie dello Stato ebraico, di cui miliardi di persone stanno assistendo in
tempo reale sui social media, sia un punto di non ritorno per la legittimità
degli Stati Uniti come poliziotto internazionale dei diritti umani.
Gli
accademici liberali Dem hanno iniziato a venire a patti con la crescente
opinione che l'America sia un cattivo attore sulla scena globale.
Alcuni incolpano il linguaggio sfacciato e
criminale dell'amministrazione Trump (che chiede ai paesi della NATO di
proteggere i soldi, uccidere le famiglie dei belligeranti, rubare il petrolio
in Siria, ecc.) per il crollo della reputazione dell'America, ma in verità, molte persone in tutto
il mondo hanno trovato Trump piacevolmente nel comunicare quali sono state le
motivazioni degli Stati Uniti per tutto il tempo.
Tecnologia.
Questo
non è più vero per le industrie di domani.
L'equilibrio di potere nel campo della
tecnologia si è drammaticamente spostato a favore di una Cina sofisticata.
L'anno scorso, l'”Australian Strategic Policy
Institute” hanno detto che gli Stati Uniti e la sfera liberale in generale
erano dietro alla Cina in 37 dei 44 settori tecnologici cruciali, tra cui
robotica, produzione avanzata, intelligenza artificiale e biotecnologia.
Questo
divario crescente sta iniziando a essere visto nei prodotti di consumo, come l'“iPhone”,
che sin dalla sua nascita nel 2007 è stato visto come lo standard
internazionale nella tecnologia dei telefoni cellulari.
L'anno
scorso, “Huawei” ha rilasciato il suo modello “Mate 60” per competere con il
nuovo “iPhone 15”.
“L'iPhone
15” è stato lanciato con recensioni contrastanti, con i consumatori che lo
hanno definito una scelta che non ha aggiunto alcuna nuova funzionalità.
Il “Mate
60”, d'altro canto, supera” l'iPhone 15” su molti fronti, in particolare per
quanto riguarda l'innovativa inclusione della possibilità di effettuare
chiamate satellitari.
I
produttori americani producono già telefoni satellitari, che sono grandi,
ingombranti e difficili da trasportare, ma nessuno ha mai incorporato questa
tecnologia in uno” smartphone” che puoi tenere in tasca.
Il
governo degli Stati Uniti ha fatto del divieto di vendita dei prodotti “Huawei”
un obiettivo di politica interna ed estera.
La
sfida per il governo degli Stati Uniti è che “Apple” sta diventando meno
competitiva dei suoi rivali cinesi a causa della decorazione del titano
aziendale americano di saziare la sua avidità attraverso riacquisti di azioni
improduttive a scapito degli investimenti in ricerca e sviluppo.
Il
Dipartimento di Giustizia sta cercando di costringere Apple a innovare, ma la
natura del sistema economico guidato dalla finanza americana lo rende
difficile.
Le
ramificazioni geopolitiche cominciano a farsi sentire.
Nonostante abbia utilizzato le minacce degli
Stati Uniti per bandire gli smartphone cinesi dal maggior numero possibile di
mercati, “Apple” è ora a “Huawei” e ai marchi associati nelle vendite globali
di smartphone.
Si
tratta di una battuta d'arresto per le capacità di sorveglianza del governo
degli Stati Uniti a causa della dipendenza della “NSA ad” e altri prodotti
telefonici americani per spiare il mondo.
Nel
regno dei veicoli elettrici, un altro teatro della guerra fredda tecnologica,
la Cina ha superato di gran lunga gli Stati Uniti.
All'inizio
di quest'anno, la casa automobilistica cinese BYD – soprannominata dal New York
Times viene il "killer di Tesla" – ha superato Tesla come veicolo
elettrico più venduto al mondo.
La”
popolarità di BYD in Cina” e altrove è guidata dai suoi modelli economici, che
costano circa un quarto del prezzo iniziale di una Tesla.
Le BYD
sono relativamente economiche grazie al loro approccio diversificato, come la
produzione interna di batterie.
La
Cina ha attualmente un tasso di adozione dei veicoli elettrici del 22%, che
contribuisce a ridurre le emissioni e lo smog, mentre negli Stati Uniti il
tasso di adozione dei veicoli elettrici è inferiore al 6%.
Ciò
non vuol dire che gli Stati Uniti siano indietro ovunque.
L'America ha superato la Cina creando la prima
intelligenza artificiale interattiva.
Questo
risultato, tuttavia, è stato macchiato dall'”assurdo scandalo del bot Google
Gemini”, che è stato programmato per rifiutare qualsiasi rappresentazione normale dei
bianchi al fine di adattarsi all'ideologia dominante americana.
Questa
malattia sta mostrando sintomi in “ChatGPT,” il primo strumento di intelligenza
artificiale conversazionale, programmato per bloccare domande "incitanti
all'odio" su razza e genere, nonché "contenuti che tentano di
influenzare il processo politico".
“ChatGPT” non consentirà nemmeno agli
utenti di generare ricerche scientifiche critiche nei confronti del “transgenderismo”.
Uno
strumento che dovrebbe posizionare gli Stati Uniti davanti alla Cina nella
corsa all'intelligenza artificiale è ora liquidato come uno strumento di
propaganda da una parte sostanziale del popolo americano in patria.
Questo
malessere affligge altri campi strategici in cui gli Stati Uniti sono sempre
stati rispettati.
Una
combinazione di osservazioni razziali che discriminano i dipendenti bianchi
qualificati ha portato a numerosi guasti tecnici di alto profilo dei più nuovi
aerei Boeing, trasformando il nome del leader globale nei prodotti aerospaziali
in una durante il volo.
Sia il
razzismo anti-bianco che la filosofia degli affari "l'avidità è
buona" sono parte integrante dell'americanismo, il che significa che porre
rimedio a questo problema sarà difficile, se non impossibile.
Nel
regno dei missili ipersonici difficili da intercettare, le notizie sono cupe
per gli Stati Uniti.
L'Iran, la Cina e la Russia sono tutti
considerati molto più avanti degli Stati Uniti, avendo effettivamente testato i
loro primi missili e nel caso della Russia li hanno usati in battaglia, mentre
i tentativi dell'America di testare la sua versione di questa la tecnologia
sono falliti.
All'inizio
di questo mese, la piccola e pesantemente sanzionata nazione della Corea del
Nord ha battuto gli Stati Uniti testando con successo il proprio missile
ipersonico, l'Hwasong-16B.
Questo
sviluppo ha suscitato più domande che risposte.
È ampiamente ipotizzato che la Russia abbia
segretamente trasferito questa tecnologia ai nordcoreani, garantendo loro un sorprendente
vantaggio strategico contro la presenza americana nella regione.
Gli
Stati Uniti attualmente rilevano un vantaggio di esportazione rispetto alla
Russia a causa della guerra in Ucraina, ma il desiderio di accedere ai sistemi
d'arma russi più economici ma avanzati, come il sistema di difesa S-400, rimane
una delle principali barriere che impediscono a potenze strategiche come
l'India di sostenere pienamente e ambizioni di Washington di creare una
"NATO asiatica".
Cultura.
La
proliferazione della cultura pop americana, in cui gli ebrei svolgono un ruolo
importante come creatori di gusto, è stata una freccia importante nella faretra
dell'egemone globale.
Non
c'è dubbio che i” jeans Levi's”, la “musica rock “e “McDonald's “abbiano
catturato l'immaginazione di milioni di persone nel blocco orientale durante la
Guerra Fredda.
Nel
2002, il primo ministro israeliano” Benjamin Netanyahu” fu più schietto,
suggerendo al Congresso degli Stati Uniti di lavorare per trasmettere in Iran
per fomentare la discordia, con Netanyahu che scherzava, "questa è roba
sovversiva!"
La
popolarità della cultura americana conserva ancora parte del suo potere, ma è
senza dubbio diminuita a livello globale.
Durante
gli anni '90, le formose bionde seminude della serie ne fecero lo show
televisivo più visto al mondo.
Avanzando
rapidamente fino al 2023, il “remake in CGI della Sirenetta” con protagonista
una donna di colore nel ruolo del personaggio principale è stato solo una esibizione
nella Cina amante della Disney e nella maggior parte del resto del mondo.
I critici cinesi non hanno avuto remore a
spiegare il motivo per cui hanno boicottato il film:
credono
che sia scegliere una persona di colore per recitare in un racconto popolare
europeo e hanno respinto le critiche "occidentali" al loro
"razzismo" come stupide.
I
cittadini di paesi con una popolazione massiccia come la Cina e l'India stanno
ora rifiutando i film di Hollywood e i valori che promuovono, scegliendo invece
di guardare film realizzati in patria.
Anche
la presa sui social media, un tempo monopolizzata da “Instagram”,” Youtube”, “Facebook”,
ecc., si sta indebolendo.
L'adattamento
globale dei social media nel corso degli anni 2000 e 2010 ha permesso ai
politici di Washington di trasmettere la propaganda e gli stili di vita
americani negli smartphone dei giovani di tutto il mondo, portando a vari episodi
come “IA”.
L'uso
di queste app di social media da parte di attori statali e ONG americani,
britannici e israeliani per fomentare il caos e organizzare la violenza è stato
citato come motivo per vietarle in nazioni come la Turchia, il Pakistan e la
Cina, portando ad accusa da parte dell'Occidente di minare Internet libero e
aperto.
Ora il
governo degli Stati Uniti è sulla difensiva, lavorando per mettere fuori legge
o forzare la vendita di una delle app più popolari in America – TikTok di
proprietà cinese – a causa del diffuso sentimento anti-israeliano che può
fluire sulla piattaforma.
Le
piattaforme di social media di proprietà russa e cinese sono diventate più
sofisticate, mentre i loro equivalenti americani sono rimasti stagnanti,
portando a un diffuso adattamento nazionale e a un crescente uso internazionale
di prodotti non americani.
L'app
gratuita del russo “Pavel Durov”, “Telegram”, è salita al 7° posto tra le
piattaforme di social media più utilizzate, mentre il tentativo di “Elon Musk”
di competere, Twitter, non è nemmeno nella top 10. “WeChat” in Cina è ora il
quinto più utilizzato, “TikTok” è il” sesto” e “Weibo” è il decimo.
Cina e
Russia ora possono rispondere ad Amazon con Ali Baba e Ozon.
Il
motore di ricerca “Google” si è scontrato con “Yandex” e Baidu, con “Yandex”
persino del suo concorrente americano per la "libertà di parola" “Duck
Duck Go”.
Anche
l'accesso alle prelibatezze americane, come “Starbucks e McDonalds”, è stato
politicizzato dalle élite statunitensi, ma non sempre a loro vantaggio.
Le
sanzioni hanno portato la maggior parte dei marchi americani a lasciare
improvvisamente la Russia nel 2022, ma i sostituti nativi sono dei loro
predecessori.
In una
conferenza sugli utili di febbraio, McDonald's ha mostrato una crescita
anemica.
Il consigliere finanziario capo “Ian Borden “come
colpevole il boicottaggio da parte del mondo musulmano, forte di un miliardo di
persone, che sostiene il genocidio israeliano a Gaza. Anche “Starbucks”, di proprietà
dell'ebreo sionista “Howard Schulz”, viene boicottata per aver sostenuto
Israele.
In un
certo senso, l'omogeneizzazione americana delle preferenze culturali e dei
consumatori del mondo rappresenta un ripristino della diversità e
dell'esclusività umana.
I
prodotti fabbricati negli Stati Uniti non sono più "must-have".
In
termini di soft power, questo significa che i politici di Washington dovranno
fare pace con un mondo che non condivide automaticamente tutte le sue ipotesi o
preferenze e che non si adatta o muore.
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