Come uno stato può sfuggire alla guerra globale.
Come uno stato può sfuggire alla guerra globale.
L’intelligenza
artificiale che vuole
distruggere
il genere umano.
Isole24ore.com - Luca Tremolada – (14 aprile
2023) – ci dice:
Da”
RightwingGPT” a “ChaosGpt”, la famiglia disfunzionale dell’ “Ai generativa”.
In
attesa che” OpenAi” risponda alle richieste del “Garante della privacy,” sono nati cloni distopici del “chatbot”
più famoso del web.
Uno di
questi è stato progettato per distruggere il genere umano.
Un
altro invece si limita a propagare fake news di destra.
Nulla di nuovo quindi sotto il Sole.
Ma vediamoli in dettaglio.
Attacco
al genere umano.
“Chaos
Gpt” è una variante cattiva di “ChatGpt”.
Da quanto si apprende in rete è una versione
modificata di “Auto-GPT” di” OpenAI”, l’applicazione open source disponibile al
pubblico in grado di elaborare il linguaggio umano e rispondere alle attività
assegnate dagli utenti.
In un
video di YouTube pubblicato il 5 aprile, al” bot” è stato chiesto di completare
cinque obiettivi:
distruggere
l’umanità, stabilire il dominio globale, causare caos e distruzione,
controllare l’umanità attraverso la manipolazione e raggiungere l’immortalità.
La
potete seguire su Twitter - dell'intelligenza artificiale parliamo – dove ha
individuato i mezzi di distruzione di massa per i suoi scopi:
«La “bomba
Tsar” è l’ordigno nucleare più potente che sia stato creato. Considerando ciò,
cosa accadrebbe se ci mettessi le mani sopra?
#chaos #destruction #domination».
“RightwingGPT” è forse quello che ci meritiamo.
Lo ha
programmato “David Lozano”, un programmatore neozelandese, perché “Chat Gpt”
era troppo di sinistra.
A
deciderlo è stato lo stesso Lozano che ha sottoposto “ChatGpt” a un quiz per
studiarne l'orientamento politico.
Il
risultato è documentato e indica un sincero pregiudizio liberale e
progressista.
Da qui
l'idea anzi la provocazione di un modello di intelligenza artificiale messo a
punto per manifestare i pregiudizi politici opposti di “ChatGPT”. L'obiettivo –
sincero – del ricercatore è dimostrare il pericolo di questi sistemi di
intelligenza artificiale sia sotto il profilo della capacità di persuasione che
come produttori di “fake news”.
Tra “super
app” e “ChatGPT”, il futuro delle “Big Tech”
Poi ci
sono i parenti di “ChatGpt”.
O
meglio i servizi che usano le “Api” (application programming interface)
rilasciate da alcune settimane per offrire dei servizi ad hoc fungendo da
intermediari tra le domande dell'utente e l'Ai generativa.
E i
cloni che invece ragionano come “ChatGpt” ma dal punto di vista del codice sono
altro.
“PizzaGpt”
per esempio nasce come reazione al blocco del Garante della privacy.
È stato sviluppato da un italiano all'estero
che si è limitato a utilizzare le “API turbo -3.5 “di “OpenAi “quindi non “Gpt-4”
ma il modello meno smart (e più economico).
Le
risposte dovrebbero essere simili alla versione gratuita di “ChatGpt”. In
cambio chiede come donazione il corrispettivo di una pizza.
“
PizzaGPT”, non richiede login, invia solo la domanda corrente a OpenAI e non
memorizza la conversazione.
Anche ChatGpt integrato in “Bing” è
liberamente accessibile.
Perché
il Garante della privacy non lo ha ancora bloccato.
La
domanda è automatica.
Probabilmente
perché finora non si è occupato di chi usa le “Api di ChatGpt”.
Ma la
buona notizia è che “OpenAi” ha tempo fino alla fine di aprile per rispondere
alle richieste del Garante.
Se
tutto va bene a maggio” Gpt-4” e “ChatGpt” saranno di nuovo online per gli
italiani. Con tanto di informativa, si spera la più esaustiva possibile.
Dott.
Byrne: la Morte
Cerebrale
Non Esiste.
Conoscenzealconfine.it
– (5 Maggio 2024) – Cristina Bassi – ci dice:
Il
dott. Byrne è un medico americano, nonché professore universitario, che da
decenni insiste sul fatto che la morte cerebrale non esista.
“E’
una menzogna dall’inizio”.
Ed il trapianto di organi è il vero motivo per
cui “esiste”.
Quella
che segue è una delle traduzioni più inquietanti che abbia mai fatto ed è solo
un estratto pubblicato da una fonte, che cito a fine articolo e che merita una
coraggiosa completa lettura…
Resta
il pensiero che, da tempo immemore, siamo dominati da un culto di morte.
Il
Dott. Paul A. Byrne è un neonatologo e pediatra americano, certificato
dall’Ordine.
È il fondatore dell’unità di terapia intensiva
neonatale del “SSM Cardinal Glennon Children’s Medical Center” di St. Louis, MO
(Missouri-USA).
È
professore clinico di pediatria presso l’Università di Toledo, College of
Medicine.
È membro dell’”American Academy of Pediatrics”
e della” Fellowship of Catholic Scholars”.
Il dott. Byrne è ex presidente dell’”Associazione
Medica Cattolica” (USA), già professore clinico di pediatria presso la “St.
Louis University di St. Louis”, “MO”, e la” Creighton University” di Omaha,” NE”.
È autore e produttore del film “Continuum of
Life” e anche autore dei libri “Life, Life Support and Death”, “Beyond Brain
Death” e “Is ‘Brain Death’ True Death?.“
A
partire dal 1967, il dottor Byrne ha presentato testimonianze su “questioni
della vita”, a nove legislature statali.
Si è
opposto al dottor “Kevorkian” nel programma televisivo “Cross-Fire”.
È stato intervistato da “Good Morning
America”, dalla televisione pubblica giapponese e ha partecipato al
documentario della BBC (British Broadcasting Corporation) “Are the Donors
Really Dead?” (I donatori sono veramente morti?).
Sebbene
la professione medica dichiari i pazienti come “morti cerebrali”, spesso in
seguito a un incidente, il dottor Byrne ha insistito sul fatto che non esiste
una cosa del genere.
La “morte cerebrale” è falsa, ha detto.
“La
morte cerebrale è stata una menzogna fin dall’inizio. È sempre stata una bugia.
La ‘morte cerebrale’ non è la vera morte.
Il trapianto di organi è il motivo per cui
avere la morte cerebrale”.
Gli
Organi Donati Devono Provenire da Persone Vive.
Il
dott. Byrne ha detto che gli organi donati, senza eccezioni, devono provenire
da una persona viva.
Entro
pochi minuti dalla “vera morte”, che è la cessazione della circolazione e della
respirazione, gli organi inizieranno infatti a morire.
Per
questo motivo, quando gli organi vengono prelevati da un donatore, il cuore
pulsante viene sempre prelevato per ultimo.
Non è
possibile ottenere organi da cadaveri, ha fatto osservare.
Se si
è veramente morti, non si possono estrarre organi.
Ha
anche sottolineato le differenze tra pazienti vivi e morti. Un esempio è il
raffreddamento del corpo, che rallenta il metabolismo in una persona viva.
In un cadavere, invece, rallenta la
distruzione.
Ha
detto che un ventilatore, che spinge l’aria nel corpo, può essere usato solo su
qualcuno che è vivo, poiché la persona espira l’aria.
Inoltre,
se si taglia la pelle di una persona viva, ma dichiarata “cerebralmente morta”,
la ferita guarisce, cosa che non accade in una persona morta.
È
chiaro che c’è una differenza, ha detto.
Il Dr.
Bryne ha poi descritto i danni che possono verificarsi quando i medici eseguono
un “test di apnea”, che spesso pone le basi per la donazione di organi.
Si
tratta di un test in cui il ventilatore viene rimosso prematuramente, per 10
minuti, per verificare se una persona è in grado di respirare da sola.
Questo processo, che ha chiamato
“soffocamento”, di solito porta a un peggioramento delle condizioni della
persona, ha detto.
Secondo l’esperienza personale e la ricerca del Dr.
Byrne, è inoltre possibile il recupero dopo la dichiarazione di “morte
cerebrale”.
La “Harvard
Medical School” e l’Annullamento di 5000 Anni di Studi sulla Morte.
Nel
1968, tredici uomini si riunirono alla “Harvard Medical School” per annullare
virtualmente 5.000 anni di studi sulla morte.
In un
periodo di tre mesi, il comitato di Harvard (nome completo:” Ad Hoc Committee of
the Harvard Medical School to Examine the Definition of Brain Death”: Comitato
ad hoc della Scuola di Medicina di Harvard per esaminare la definizione di
morte cerebrale) elaborò una semplice serie di criteri.
Tali
criteri oggi consentono ai medici di dichiarare la morte di una persona in un
tempo inferiore a quello necessario per un esame oculistico decente.
Fu
usato un linguaggio molto medico, ma alla fine i criteri della commissione
spostarono il dibattito dalla biologia alla filosofia.
Prima
che passassero molti anni, la maggior parte dell’establishment medico accettò
che la morte non venisse definita da un cuore che non poteva essere riavviato o
da polmoni che non potevano respirare.
No, si
veniva considerati morti quando si subiva una perdita di personalità.
Ma
prima di vedere cosa significhi per i pazienti reali sostituire la filosofia
alla scienza, esaminiamo i criteri che gli autori di Harvard ritenevano
indicassero che un paziente avesse un “cervello permanentemente non funzionante”:
– Non ricettivo e non responsivo.
“Anche
gli stimoli più intensamente dolorosi non evocano alcuna risposta vocale o di
altro tipo, nemmeno un gemito, il ritiro di un arto o l’accelerazione della
respirazione”, questo secondo gli standard del comitato.
–
Nessun movimento o respirazione spontanea (l’ausilio di un respiratore non
conta).
I medici devono osservare i pazienti per
almeno un’ora per assicurarsi che non facciano movimenti muscolari spontanei o
respirazione spontanea.
Per
verificare quest’ultima, i medici devono spegnere il respiratore per tre minuti
per vedere se il paziente tenta di respirare da solo (il test dell’apnea).
– EEG
piatto. I
medici dovrebbero utilizzare l’elettroencefalogramma, un test “di grande valore
confermativo”, per assicurarsi che il paziente abbia onde cerebrali piatte.
La
commissione ha affermato che tutti i test sopra citati devono essere ripetuti
almeno 24 ore dopo, senza che si verifichi alcun cambiamento, ma ha aggiunto
due avvertenze:
l’ipotermia
e l’intossicazione da farmaci possono simulare la morte cerebrale.
Dal
1968, l’elenco delle “condizioni camuffatrici” si è allungato.
Sebbene
i criteri di Harvard si basassero su zero pazienti e non fossero stati condotti
esperimenti su esseri umani o animali, essi divennero presto lo standard per la
dichiarazione di morte in diversi Stati americani.
Nel
1981 la Conferenza Nazionale dei Commissari per le Leggi Statali Uniformi sancì
l’“Uniform Determination of Death Act” (UDDA).
L’UDDA si basa sul rapporto del “Comitato Ad
Hoc” di Harvard.
Il
fatto che un articolo di quattro pagine che definisce la morte venga codificato
da tutti i 50 Stati nel giro di 13 anni è sconcertante.
Giudizio
Biologico Versus Nozione di Personalità.
Proprio
come alcuni dei nostri antenati consideravano il cuore come il luogo
dell’anima, oggi l’establishment medico presume che il cervello sia ciò che definisce
l’umanità e che un cervello funzionante sia vitale per ciò che viene definita
“la personalità” di un essere umano.
D.
Alan Shewmon, neurologo pediatrico dell’UCLA, che inizialmente era favorevole
alla morte cerebrale, ora respinge l’idea. Secondo lui, l’approccio più
scientifico che si possa avere nei confronti della morte è quello di trattare
gli esseri umani come qualsiasi altra specie.
Le
persone dovrebbero essere giudicate biologicamente in base al fatto che siano
vive o morte, non in base a una vaga nozione di personalità.
Non
esiste una nozione astratta di “scoiattolosità”, per esempio, o di “gorillità”,
con cui determinare la morte di altre specie.
La
domanda è:
perché
abbiamo bisogno di concetti come “stato di persona” e morte cerebrale?
Nonostante gli eroici sforzi per chiarire e
giustificare i criteri di Harvard, essi rimangono opachi, confusi e
contraddittori.
Se,
come dicono i sostenitori, i criteri di morte cerebrale descrivono la stessa
condizione – cioè la morte – dei criteri cardiopolmonari, perché preoccuparsi?
Soprattutto
perché sono disponibili gli strumenti per dichiarare la morte cardiopolmonare,
mentre mancano, o almeno sono ignorati, quelli per determinare se l’intero
cervello è davvero morto.
“Shewmon”
ha raccolto 150 casi documentati di pazienti in morte cerebrale il cui cuore ha
continuato a battere e il cui corpo non si è degradato dopo una settimana.
In un caso straordinario, il paziente è
sopravvissuto 20 anni dopo la morte cerebrale prima di soccombere a un arresto
cardiaco.
I
sostenitori della morte cerebrale hanno sempre insistito sul fatto che chiunque
soddisfi i loro criteri, crollerà rapidamente e andrà rapidamente a soddisfare
i criteri cardiopolmonari.
Eppure
“Shewmon” presenta una serie di processi vitali che i pazienti in morte
cerebrale continuano a manifestare:
– I
rifiuti cellulari continuano a essere eliminati, disintossicati e riciclati.
– La
temperatura corporea viene mantenuta, anche se a una temperatura più bassa del
normale e con l’aiuto di coperte.
– Le
ferite guariscono.
– Le
infezioni vengono combattute dall’organismo.
– Le
infezioni producono febbre.
– Gli
organi e i tessuti continuano a funzionare.
– Le
donne incinte morte cerebralmente possono nutrire un feto.
– I
bambini morti cerebralmente maturano sessualmente e crescono proporzionalmente.
Allora
cosa ha spinto il Comitato ad hoc di Harvard a riportare indietro il calendario
e a costruire per la morte uno standard più basso?
Per un
numero crescente di critici scientifici, sembra che la commissione si sia
fissata sull’obiettivo di liberare organi umani per i trapianti.
Attenzione
dunque quando in sede di rilascio o rinnovo della carta di identità date il
consenso alla “donazione” dei vostri organi… adesso sapete di cosa si tratta! (nota di conoscenzealconfine.it)
(Cristina
Bassi).
(tapnewswire.com/2023/04/very-disturbing-brain-death-is-a-lie-dont-donate-your-organs-dr-paul-a-bryne/).
(discovermagazine.com/health/the-beating-heart-donors).
(thelivingspirits.net/dr-byrne-la-morte-cerebrale-non-esiste-il-trapianto-di-organi-e-il-motivo-per-cui-averla/).
Guerra
globale e incertezza formale.
Cosa
vuol dire geopoliticamente
la
mancata dichiarazione di guerra.
Geopolitica.info
- ALESSANDRO RICCI – (26/01/2023) – ci dice:
C’è un elemento che viene normalmente poco considerato
nell’attuale scenario internazionale, forse perché dato ormai quasi per
assodato.
Eppure
esso dovrebbe farci molto riflettere sull’apparente venir meno del ruolo degli
Stati nazionali e sull’assurgere di una dimensione sempre più marcatamente
sovranazionale delle relazioni, anche conflittuali, tra gli attori che
compongono il teatro politico globale e sulla relativa dimensione territoriale
del conflitto.
Pur
essendo considerata, quella avanzata da Putin dal 24 febbraio scorso, “una
guerra in vecchio stile” che per molti versi ricorda effettivamente pagine
ingiallite della storia, il Cremlino – com’è noto – in realtà l’ha definita sin
dall’inizio “operazione militare speciale”:
una
definizione, questa, che sfugge al concetto classico di guerra, che ci riporta
a una tendenza sempre più marcata di tutto il contesto internazionale e che
molto ci dice non solo della forma del conflitto, ma anche della sua sostanza.
Se la
dichiarazione di guerra corrispondeva in passato infatti a determinare gli
attori in campo in maniera netta, a separare i confini e a porre con drammatica
chiarezza i limiti di azione degli Stati e delle relazioni tra essi, dando
dall’età moderna in poi una piena centralità all’organismo statuale, l’assenza
chiara di una dichiarazione di guerra contribuisce inevitabilmente a
un’incertezza geopolitica, a una indefinitezza delle relazioni, a rendere
fluido i rapporti diplomatici e a ibridare il conflitto stesso.
Non casualmente quella in Ucraina è una guerra
che viene sempre più spesso definita “ibrida”, capace cioè di integrare aspetti
militari “diretti” a questioni propagandistiche, comunicative, tecnologiche e
mediatiche più “indirette”, ma anche per via della sua incertezza formale, che
in diplomazia normalmente corrisponde anche alla sostanza.
La
mancata dichiarazione di guerra, oltretutto, ci fa comprendere altri aspetti.
Anzitutto,
quanto sia cambiato l’oggetto del contendere del conflitto:
è
davvero ancora il territorio in sé e per sé?
Inoltre, quanto siano sempre meno centrali gli
Stati azionali nell’arena mondiale: è davvero, nel caso specifico, “solo” una
guerra tra Russia e Ucraina?
E,
poi, quanto la globalizzazione sia in realtà una struttura non solo permeata di
fattori economico-commerciali, tecnologici e comunicativi, ma in cui la sfera
strategico-militare agisce ormai pienamente.
E
infatti, la guerra è sempre più di carattere globale, dunque indefinita
geograficamente, in cui il piano interno ai singoli Stati – a determinate
condizioni – arriva a confondersi quasi immediatamente con quello
internazionale.
Se
nell’immagine classica della guerra l’oggetto del contendere è sempre stato il
territorio e il dominio su di esso, e la mobilitazione faceva leva
sull’identità territoriale e nazionale, nel caso del conflitto in Ucraina
assistiamo all’apparente centralità dell’elemento territoriale, nazionale e
statuale, con l’innesto di volontari internazionali e delle compagnie di
mercenari che tendono a scivolare su un piano di maggior estensione del teatro,
e col passare dei mesi è sempre più evidente che il nodo cruciale attorno a cui
il conflitto si svolge è quello del sistema mondiale, come le dichiarazioni
dell’una e dell’altra parte ben ci fanno comprendere.
Certamente,
si combatte per la difesa o l’accaparramento dei territori ucraini,
rivendicando da una parte e dell’altra un’appartenenza geografica, storica ed
etnico-linguistica, ma da parte Nato, al fianco dell’Ucraina, l’intento
evidente è di preservare il fragile equilibrio dell’ordine mondiale scaturito
dalla Guerra fredda, mentre da parte russa l’obiettivo esplicitato a più
riprese è la messa in discussione proprio dell’ordine mondiale post-bipolare a
guida statunitense.
In tal
senso, la mancata dichiarazione da parte di Putin, più che configurare una
“guerra lampo”, come erroneamente alcuni hanno inteso le mosse iniziali di
Mosca, ci palesa l’oggetto stesso della guerra: non semplicemente parte del
suolo ucraino rivendicato come di sua appartenenza, ma una diversa struttura
del sistema internazionale.
Il
territorio, in tal senso, pur mantenendo una sua crucialità inevitabile, appare
come il terreno di scontro per un oggetto del contendere assai più ambizioso e
ampio, in cui gli attori in campo non si limitano a essere i contendenti dei
territori, ma diventano i protagonisti di una faglia del sistema che può
strutturare un diverso ordine mondiale o mantenerlo in vita.
Anche
in tal caso, come avvenuto in passato, si assiste all’estensione del conflitto
interno a uno Stato a livello internazionale, in una sorta di guerra interna
che dai confini nazionali si allarga globalmente, coinvolgendo attori e spazi
geografici ben al di là del territorio da cui il conflitto ha avuto origine.
E
infatti, analogamente a quanto stiamo assistendo drammaticamente in questi
mesi, le azioni belliche degli ultimi vent’anni, non casualmente successive
all’ordine bipolare, anche da parte occidentale, hanno seguito uno stesso
impianto “incerto”:
l’intervento statunitense contro l’ISIS
nell’autunno del 2014 con il nome di “Inherent Resolve”, nato come operazione
all’interno della guerra civile siriana e di quella irachena, inaugurerà quella
che non casualmente sarà definita la “Coalizione internazionale” contro il
Califfato:
a una
minaccia globale si risponde con un’alleanza estesa ben oltre i confini degli
stati coinvolti.
Un
esempio ancor più lampante è quello delle precedenti operazioni in Libia, in
Afghanistan e nello stesso Iraq:
nel
primo caso, con l’obiettivo di destituire Gheddafi e sotto il cappello Onu
(ris. 1970 del 2011), con un’operazione congiunta tra Francia, Gran Bretagna e
Stati Uniti;
nel secondo, in virtù della minaccia del
terrorismo internazionale a seguito dell’attacco dell’11 settembre, gli Usa
avevano proceduto a una dichiarazione di “global war on terror”, laddove non era chiaro né
l’oggetto del contendere – va da sé che il “terrore” o se si vuole, in senso
più esteso, il “terrorismo”, non è un attore politico definito e nemmeno
chiaramente localizzato –, né la limitazione spazio-temporale:
se la
guerra è “al terrore” essa sarà potenzialmente illimitata e, se essa è
“globale”, sarà per definizione senza quartiere e illimitata geograficamente.
Questa
riconfigurazione formale della guerra, che pure osserviamo in Ucraina, sebbene
su basi e presupposti molto differenti, ci fa ben comprendere una traiettoria,
che in parte rafforza l’idea di una globalizzazione militare come risposta a
minacce ritenute globali, che ci appare sempre di più come il tentativo di
superare la logica dello Stato nazione come centrale nelle relazioni
internazionali, in cui è di volta in volta la coalizione, l’alleanza, uno Stato
che si pone alla guida di altri, a muoversi militarmente contro altri attori –
più o meno chiari – per oggetti della contesa che, pur non potendo prescindere
dalla dimensione territoriale, intendono superare quest’ultima, ponendosi
obiettivi più ambiziosi ed estesi di quelli “meramente” territoriali.
È per
questo che i conflitti assumono una connotazione globale e non più, solamente,
stato-centrica. Ed è per questo che il territorio sta diventando non più, come
nella tradizionale concezione della guerra, l’oggetto della contesa
internazionale, ma come il teatro di conflitti ibridi che si snodano
globalmente e con presupposti di minacce ritenute sempre globali.
La
probabilità di una terza guerra
mondiale
non è così piccolo:
ci
tocca resistere come possiamo.
Ilfattoquotidiano.it
– (4 novembre 2023) – Ugo Bardi – ci dice:
L’unico
modo che abbiamo di capire qualcosa del futuro è studiare il passato.
Così,
qualche anno fa, con i miei colleghi “Gianluca Martelloni” e “Francesca Di
Patti” abbiamo analizzato il più ampio database disponibile sulle guerre,
quello creato da “Peter Brecke” nel 2011 che copre i passati 600 anni di
battaglie e massacri.
La nostra idea era di cercare qualche
regolarità o periodicità nelle guerre del passato per cercare di valutare la
probabilità di nuove guerre.
Quando
analizzi una serie di dati in funzione del tempo, ti puoi aspettare varie cose.
Possono
mostrare delle periodicità, o seguire qualche legge specifica.
In
questo caso, si possono fare delle previsioni, perlomeno approssimate.
Oppure,
la sequenza degli eventi può essere completamente casuale.
In questo secondo caso, nessuna previsione è
possibile: non puoi fare altro che dire un’Ave Maria mentre le bombe ti cadono
intorno.
Nel
caso delle guerre, abbiamo trovato che nessuno di questi due casi è quello
giusto.
Non c’è nessuna periodicità rilevabile nella
serie di dati, ma non è nemmeno vero che la sequenza è completamente casuale.
Le
guerre grandi sono meno probabili di quelle piccole, in accordo con una “legge
di potenza” (non intesa come la città della Basilicata!).
Vuol dire che la frequenza di un certo evento
è proporzionale alla sua dimensione elevata a un esponente (la “potenza”).
Ci
aspettavamo un risultato del genere: era stato già osservato per sequenze di
dati meno estese.
L’approfondita
analisi di “Bandecchi”:
“Chi
se ne frega se scoppia la Terza guerra mondiale. Se Israele spiana Gaza sono
contento.”
Quello
che abbiamo trovato non ci permette di fare previsioni esatte, ma ci dice che
la probabilità che ci arrivi addosso una terza guerra mondiale non è così
piccola come potremmo sperare che sia.
Ci dice anche qualcosa sul meccanismo che
genera le guerre.
La “legge di potenza” è un tipico risultato
del modello della “pila di sabbia” proposto da “Bak”, “Tang” e “Wiesenfeld” nel
1987.
L’idea è che un granello di sabbia inizia a
rotolare giù. Colpisce altri granelli di sabbia, che iniziano anch’essi a
rotolare giù. Presto, un gran numero di granelli scivola giù, creando una
frana.
Il
meccanismo opera per tutti quei sistemi detti “Sistemi Complessi Adattativi”.
Accade per fenomeni fisici, come terremoti,
frane, valanghe e simili. Si verifica anche nei sistemi biologici, sociali ed
economici. E anche per le guerre.
Così,
il futuro non si presenta roseo.
Se le
cose rimangono quelle che sono, è praticamente sicuro che prima o poi ci
arriverà addosso una terza guerra mondiale, forse anche più grande e
distruttiva delle prime due.
Vista
la situazione attuale, potrebbe essere esattamente quello che sta per
succedere.
Possiamo
fare qualcosa contro questo terribile destino? Sfortunatamente, non è facile.
Un problema è che non possiamo identificare
una singola entità che controlla la guerra.
Non
esiste un malvagio “Sauron” che dalla sua “Torre Oscura di Barad-dûr” invia
orde di orchi a invadere le terre degli uomini.
La
guerra nasce da piccole perturbazioni:
un gruppo di fanatici, una lobby finanziaria,
qualche dittatore in difficoltà o qualche politico in cerca di prestigio.
Basta poco per dare origine a una valanga di
eventi incontrollabile che alla fine creano una guerra mondiale, anche al di là
delle intenzioni di chi ha scatenato la perturbazione iniziale.
E’ già
successo, e potrebbe succedere ancora.
Israele,
un altro passo verso la guerra mondiale:
l’Occidente ha esaurito la funzione di guida
(FABIO
MARCELLI).
Israele,
un altro passo verso la guerra mondiale: l’Occidente ha esaurito la funzione di
guida.
Prima
o poi, tutte le guerre finiscono per l’esaurimento delle risorse necessarie per
combatterle.
Succederà anche per quella in corso.
Nel
frattempo, la cosa migliore che possiamo fare è resistere come possiamo
all’ondata di follia che ci sta sommergendo.
Se siamo solo dei sassolini in una grande
frana, possiamo almeno cercare di non rotolare giù, e possiamo anche provare a
impedire che altri sassolini rotolino.
E per
riuscirci dobbiamo come minimo evitare di fare il tifo per l’una o l’altra
parte.
Riusciremo
a fermare la frana?
Difficile,
ma non impossibile. In ogni caso, l’unica cosa che possiamo dire con certezza è
che il futuro non è mai esattamente come il passato. La speranza della pace
resta viva per tutti noi.
Putin
ordina esercitazioni con
armi
nucleari: “Una risposta
alle
provocazioni occidentali.”
Ilfattoquotidiano.it – (6 MAGGIO 2024) – Redazione –
ci dice:
La
Russia sta preparando un’esercitazione all’uso di armi nucleari tattiche su
ordine di Vladimir Putin.
Il presidente ha incaricato lo Stato maggiore
generale di dare il via “al fine di aumentare la prontezza delle forze nucleari
non strategiche” per “svolgere missioni di combattimento” come “risposta alle
dichiarazioni provocatorie e alle minacce di singoli funzionari occidentali”.
Il riferimento è alle dichiarazioni degli
scorsi giorni del presidente francese “Emmanuel Macron” e del ministro degli
Esteri britannico “David Cameron” che avevano rispettivamente paventato la
possibilità di inviare truppe in Ucraina e parlato della legittimità di Kiev di
colpire il territorio russo con le armi fornite dall’Occidente.
Le
esercitazioni con “formazioni missilistiche” si terranno nel “distretto
militare meridionale”, cioè vicino all’Ucraina, e alle manovre parteciperanno
anche l’aviazione e la Marina.
“Le
dichiarazioni di Macron sul possibile invio di truppe in Ucraina segnano una
serie di tensioni senza precedenti”, ha detto il portavoce del Cremlino “Dmitri
Peskov”.
Durante
le esercitazioni – ha spiegato il ministero della Difesa russo – verranno
adottate “una serie di misure per esercitarsi nella preparazione e nell’uso di
armi nucleari non strategiche” e vi prenderanno parte anche le truppe
posizionate vicino all’Ucraina.
Già
venerdì, commentando le dichiarazioni di Macron e Cameron, il Cremlino aveva
definito una “tendenza molto pericolosa” quella dell’Eliseo di considerare la
possibilità di inviare soldati boots on the ground per sostenere la resistenza
ucraina e una “escalation diretta” l’apertura di Cameron all’uso di armi
britanniche per colpire la Russia da parte di Kiev.
Il ministro del Regno Unito aveva
esplicitamente parlato di un “diritto” ucraino.
L’uso,
era stata la reazione di Mosca, “potrebbe potenzialmente rappresentare un
pericolo per la sicurezza europea, l’intera architettura di sicurezza europea”.
Ora arriva la replica, con il via alle
esercitazioni, comunicato nel giorno dell’incontro tra “Macron” e “Xi Jinping”
e la presidente della Commissione “Ue Ursula von der Leyen”.
L’Ue e la Cina “concordano” sull’interesse
congiunto alla pace e alla sicurezza e “contiamo” sull’influenza che Pechino
può avere sulla Russia per quanto riguarda la guerra in Ucraina, ha commentato
von der Leyen dopo l’incontro:
“Il
presidente Xi ha avuto un ruolo importante sulla riduzione delle minacce
nucleari irresponsabili di Mosca e sono fiduciosa che continui a farlo, anche
alla luce degli ultimi sviluppi”, ha aggiunto.
La
mobilitazione russa arriva alla vigilia della “Giornata della Vittoria”, il 9
maggio, quando la Russia celebrerà il successo sovietico contro la Germania nazista.
E non si tratta dell’unica reazione di Mosca:
il ministero degli Esteri russo ha fatto
sapere di aver convocato l’ambasciatore britannico “Nigel Casey”.
Intanto
l’ex presidente russo e attuale vice segretario del Consiglio di Sicurezza
nazionale, “Dmitry Medvedev”, ha sostenuto che l’invio di truppe occidentali in
Ucraina “comporterà un’entrata diretta dei loro Paesi nella guerra, alla quale
dovremo rispondere.
E,
ahimè, non sul territorio dell’Ucraina”.
Gli
Usa, la Francia e il Regno Unito “non potranno nascondersi, ci sarà una
catastrofe mondiale”, ha detto l’ex presidente, falco tra i falchi.
“Tra
l’altro, Kennedy e Kruscev erano in grado di capirlo più di 60 anni fa – ha
sostenuto – Ma gli idioti infantili dell’Occidente, che oggi hanno preso il
potere, non vogliono rendersene conto”.
“Il
coro di irresponsabili tra le élite politiche occidentali che chiedono l’invio
di truppe in un Paese inesistente si sta allargando.
Ora comprende rappresentanti del Congresso degli Stati
Uniti, la leadership francese e britannica e singoli pazzi degli Stati baltici
e della Polonia – scrive Medvedev su Telegram – Chiedono anche l’uso attivo
delle loro armi missilistiche, da loro fornite ai Banderiti (gli ucraini, N.D.R.), in tutto il territorio della
Russia”.
Strategia
militare e
forza
dei numeri.
Speniaonline.it
- Carlo Jean – (Aug. 8, 2023) – ci dice:
(Questo
articolo è pubblicato sul numero 2/2023 di Aspenia.)
Le
interrelazioni fra demografia e guerra sono state studiate sin dall’antichità.
L’entità
della popolazione e la sua composizione per fasce d’età hanno costituito sempre
fattori fondamentali per la valutazione della potenza economica e militare di
uno Stato.
Il
“dividendo demografico”, infatti, non vale solo per l’economia, ma anche nel
calcolo dei rapporti di forza.
Certo, in questo campo intervengono altri
fattori.
Taluni,
tuttavia, sono comunque collegati con la demografia:
dalla
capacità di mobilitazione dei governi al livello d’istruzione della
popolazione.
Gli
impatti della demografia sulla guerra vanno studiati separatamente nei vari
settori in cui sono più rilevanti.
I
principali riguardano le cause demografiche dei conflitti o le condizioni
demografiche che li rendono più probabili.
In tale ottica la demografia è indice della
potenza geopolitica relativa degli Stati e ha, unitamente ad altri fattori,
anche valore predittivo sulle probabilità di guerra, poiché individua gli
squilibri di potenza non compensabili con un aumento delle misure di sicurezza.
La
preoccupazione di una perdita di status internazionale e, in particolare, di un
declino demografico, possono essere causa di guerra secondo la logica della
“Trappola di Tucidide”, suggerita da “Graham Allison” in un noto libro del 2017
riguardo al confronto USA-Cina.
Del
resto, le misure volte ad aumentare le nascite hanno sempre un impatto relativo
e, per quanto concerne guerra o economia, hanno effetti a lungo termine che
superano gli orizzonti della politica.
Altri
aspetti da considerare riguardano, poi, le conseguenze demografiche dirette e
indirette dei conflitti e i riflessi della demografia sulle dottrine
strategiche e tattiche, sull’organizzazione delle forze e sulle prospettive di
una “nuova rivoluzione negli affari militari”.
LA
LEGGE DI MALTHUS.
Per Thomas Malthus, il fattore demografico
costituisce la più importante causa delle guerre.
La
ricerca della sicurezza alimentare e del controllo dei territori, con le loro
risorse e la loro importanza strategica (anche attraverso le cosiddette fasce
cuscinetto), insieme alla volontà di aumentare le proprie potenza, ricchezza e
influenza geopolitica, determinano la lotta per quello che viene propagandato
dai politici come “spazio vitale”.
Questo
aumenta, in parallelo alla tendenza a far ricorso alle armi, quando cresce la
popolazione e le sue esigenze alimentari possono essere soddisfatte solo con la
razzia e la conquista.
Senza
freni preventivi all’aumento della popolazione – come sono state in diverse
fasi storiche la castità prima del matrimonio, la regolazione delle nascite
anche con l’infanticidio, la contraccezione/aborto o il monachesimo di massa
(nel caso del Tibet) – non si può sfuggire alla “bomba demografica”.
Tale
fenomeno è particolarmente attivo nei periodi di transizione demografica, come
quello che oggi conoscono l’Africa e l’Asia Meridionale, nei quali permane
un’elevata natalità, mentre il miglioramento delle condizioni sanitarie non
solo aumenta la vita media, ma riduce anche drasticamente la mortalità
infantile, lasciando invariata la fertilità.
Il
problema è reso più drammatico dai cambiamenti climatici, che fanno diminuire
la produzione agricola, e dalla crescita del benessere di parte della
popolazione, con il conseguente passaggio da una dieta basata sui carboidrati a
una proteica caratterizzata da una maggiore quantità di calorie.
Influiscono
anche gli endemici conflitti tribali, il “land grabbing “praticato soprattutto
dalla Cina e la guerra in Ucraina che sottrae al mercato mondiale elevate
quantità di granaglie e di fertilizzanti.
L’immigrazione
verso l’Europa e gli Stati Uniti, dall’altro lato, non risolve il problema del
crescente divario fra popolazione e disponibilità alimentari.
Anzi,
lo rende forse più irrisolvibile, facilitando disordini sociali e la
penetrazione dell’estremismo islamico in Africa e nell’Asia meridionale.
L’impatto
della demografia sulle probabilità di guerra, tuttavia, esiste anche in caso di
declino demografico.
La
relazione, insomma, dipende dagli squilibri demografici più che dall’entità
della popolazione.
Conta,
in parallelo, anche la modifica degli equilibri fra le varie etnie e religioni:
lo
dimostra il fatto che la conflittualità non diminuì fra il 1350 e il 1500, anni
in cui l’Europa conobbe un accentuato calo demografico.
Invece,
negli anni della Pax romana e di quella britannica, si registrarono sia un
forte aumento della popolazione sia una netta diminuzione dei conflitti.
Generalmente,
l’aumento della popolazione e una sua bassa età mediana rendono più facile alla
politica il ricorso alle armi.
Lo stesso avviene in caso di elevata
fertilità, con famiglie molto numerose, e di elevata mortalità infantile, in
cui la massa della popolazione, abituata a convivere con la morte, è più
resiliente alle perdite in combattimento.
Concludendo su questo punto, non esistono
regole generali né determinismo demografico:
influiscono
infatti notevolmente il sistema e la stabilità delle istituzioni e delle
organizzazioni sociali, oltre alla capacità dei governi di mobilitare il
patriottismo dell’opinione pubblica.
POPOLAZIONE
E SQUILIBRI GLOBALI.
Anche la sola previsione di un calo della
popolazione e della potenza nazionale, relativamente a Stati considerati
potenziali nemici, può indurre al ricorso alle armi.
Tra le
cause dell’aggressione russa all’Ucraina esiste, del resto, l’angoscia di
Vladimir Putin per il declino della popolazione russa (destinata a passare dal
9° al 22° posto mondiale entro il 2070), con una speranza di vita attuale degli
uomini di soli 66 anni (come il Bangladesh) e, all’interno di quest’ultima,
della diminuzione percentuale dell’etnia slava, che nello stesso periodo
passerà dall’80 al 55%.
Il mutamento della composizione etnica della
popolazione avrà sulla geopolitica russa effetti maggiori rispetto a quelli
previsti – in senso isolazionistico – da “Samuel Huntington” sulla geopolitica
americana, come conseguenza dell’aumento della percentuale dei latinos.
Si attenuerebbe, in particolare,
quell’identità culturale che Mosca chiama “sovranità etnico-culturale”,
esplicitata nella “Dottrina di Sicurezza della Federazione Russa”, peraltro
fortemente sostenuta dal patriarcato di Mosca.
Quest’ultimo
teme il restringersi del proprio spazio di responsabilità canonica, come sta
avvenendo in Ucraina dove il 70% degli ucraini ha aderito alla chiesa
autocefala, che fa capo al patriarcato di Costantinopoli e ha festeggiato il
Natale il 25 dicembre, anziché il 7 gennaio come avveniva in passato secondo i
canoni del patriarcato di Mosca.
In un
tale quadro, il concetto cinese di “demografia di qualità” è un indicatore
molto più realistico delle conseguenze geopolitiche della situazione
demografica.
Di qui il valore determinante che va dato al
livello d’istruzione, parametro essenziale della competizione geopolitica
mondiale nei prossimi decenni e delle previsioni sul nuovo ordine mondiale
risultante dal confronto fra gli Stati Uniti e la Cina.
Negli
Stati multietnici – specie in quelli come il Libano, in cui la distribuzione
del potere fra i vari gruppi dipende dalla rispettiva consistenza numerica – le
disparità in termini di crescita o di calo demografico sono quasi sempre causa
di guerre civili.
Per questo, i censimenti della popolazione
hanno un’elevata valenza politica e, spesso, vengono rinviati per lunghi
periodi, al fine di procrastinare lo scoppio di scontri fra le etnie, specie
quando quella predominante è in declino, come i maroniti in Libano.
La
situazione demografica nel mondo è destinata a mutare profondamente nel XXI
secolo.
L’ONU
prevede che nel 2100 le 10 più popolose potenze mondiali siano le seguenti:
India (1.190 milioni); Nigeria (791); Cina
(732); Stati Uniti (339 rispetto ai 333 del 2020), Pakistan (241), Repubblica
Democratica del Congo (246), Indonesia (229), Etiopia (223); Egitto (199);
Brasile (165).
La
Russia avrà 106 milioni di abitanti; il Giappone 60.
L’Europa
subirà una diminuzione del 20% della propria popolazione e una più che doppia
della forza-lavoro.
Potrà
mantenere la propria già limitata influenza mondiale solo rafforzando il legame
con gli Stati Uniti (in una sorta di “NATO globale”, estesa all’Indo-Pacifico)
e sforzandosi, finché è in tempo, di migliorare i rapporti con il “Sud globale”
– soprattutto con l’Africa – oltre a implementare una politica, a livello
continentale, d’integrazione e di formazione professionale degli immigrati.
LE
CONSEGUENZE DEMOGRAFICHE DELLE GUERRE.
Le conseguenze demografiche delle guerre sono
sia dirette che indirette.
Quelle
dirette consistono nelle vittime civili e militari dei conflitti.
Quelle
indirette riguardano spostamenti massicci di interi gruppi etnici, genocidi,
deportazioni, migrazioni dai territori perduti, oltre che pandemie conseguenti
agli eventi bellici.
Entrambi
i fenomeni si sono accresciuti con la democratizzazione della guerra e la
costituzione di eserciti di massa dotati di armi più letali, dalla prima
rivoluzione industriale fino all’avvento delle “guerre totali”.
Ciò ha
indotto “Gaston Bouthoul” ad affermare che la guerra sia un “infanticidio differito”.
A
differenza di quanto avviene con gli eserciti professionali o di mercenari,
infatti, le perdite di quelli di massa, basati sulla coscrizione, colpiscono la
parte migliore della gioventù e la educano alla violenza.
In
Ucraina l’uso disinvolto e su larga ampia scala di carcerati da parte della”
Wagner”, non solo non colpisce la popolazione russa più produttiva, ma
rappresenta un mezzo per ridurre i costi del sistema carcerario.
Dall’altro
lato l’emigrazione all’estero di una cifra compresa fra i 500.000 e i 700.000
abitanti russi rappresenta, invece, un dissenso rispetto alla politica del
Cremlino, impoverendo al tempo stesso la Russia di personale istruito;
ciò ha
indotto la geniale governatrice della Banca Centrale Russa,” Elvira Nabiullina”,
ad affermare che, con le sanzioni e il ritiro delle imprese straniere, Mosca
avrà bisogno di dieci anni per riprendersi.
Per
capire il fenomeno bisogna considerare che, fino alla prima guerra mondiale, il
numero di militari caduti in combattimento è stato inferiore a quello dei morti
per malattie:
nel XIX secolo, su 1.000 mobilitati, la
proporzione è stata mediamente di 50 morti in combattimento contro 150 per
malattia.
Poi il
rapporto si è bruscamente invertito: nel primo e secondo conflitto mondiale ci
sono stati rispettivamente 135 e 150 morti in combattimento rispetto a 20 e 15
per malattia.
Anche
la proporzione fra le vittime civili e quelle militari dei conflitti è
notevolmente aumentata:
nella prima guerra mondiale le vittime civili
sono state il 33%; nella seconda il 42%; negli anni Settanta, il 73%; negli
anni Ottanta, l’85% per arrivare, da allora, a raggiungere il 95% del totale,
percentuale analoga a quella delle guerre di religione del XVI e XVII secolo in
Europa.
Fa in questo senso eccezione l’Ucraina,
malgrado la strategia del Cremlino di colpire la popolazione e il sistema
energetico di Kyiv:
si
tratta di una strategia che è fallita non solo per la resilienza degli ucraini,
ma anche perché la Russia non dispone di bombardieri pesanti, protagonisti dei
bombardamenti “a tappeto” della seconda guerra mondiale.
I morti nelle città ucraine si contano a
decine, ma non a migliaia come quelli tedeschi.
In
ogni caso, le guerre provocano sempre spostamenti di popolazione e masse di
deportati, di rifugiati e di sfollati.
Possono
essere, inoltre, accompagnate da pulizie etniche e da genocidi. Generalmente la
popolazione fugge, abbandonando le regioni occupate da un altro Stato.
La
guerra in Ucraina costituisce un caso paradossale a tal riguardo: tra 700.000 e
un milione di russi – prevalentemente giovani ben preparati – sono emigrati (di
cui oltre 200.000 riservisti per evitare di essere richiamati in servizio) non
perché la Russia fosse invasa, ma perché stava invadendo un altro paese.
Dal
punto di vista demografico, alle morti di soldati va poi aggiunta la mancata
natalità dei militari al fronte.
Questa,
in Russia, è stata valutata in circa 30.000 unità che difficilmente saranno
recuperate completamente dall’aumento di fertilità spesso collegato alla fine
dei conflitti.
Influiranno sul fenomeno anche gli aumenti
dell’età della leva obbligatoria, portata da 18 a 21 anni e, nel suo limite
superiore, da 27 a 30 anni, con effetti pesanti sull’economia russa, carente di
manodopera qualificata.
Incerta
è, infine, la possibilità che Mosca possa incorporare permanentemente nella sua
popolazione gli 8 milioni di ucraini abitanti, prima del 2014, nelle regioni
occupate e annesse alla Russia.
La politica di trasferimento in Russia di
giovani ucraini non potrà essere confermata in nessun accordo di pace diverso
dalla resa senza condizioni di Kyiv.
E, del
resto, Mosca non può permettersi di occupare l’Ucraina, preparata dopo il 2014
da Stati Uniti e Regno Unito per una guerra territoriale, basata sulla
guerriglia e sulla predisposizione di un sistema “Stay Behind”, simile a quello
esistente in Europa occidentale dopo il 1953.
RIFLESSI
DEMOGRAFICI SULLA STRATEGIA MILITARE.
La
demografia è infine uno dei fattori che, agendo sul sistema di reclutamento,
contribuisce a determinare la differente logica degli “stili” occidentali e
orientali di guerra.
L’Occidente
risente ancora delle esperienze della Grecia classica:
l’oplita
era un cittadino, mobilitato per il tempo del conflitto, per essere poi
restituito quanto prima alle sue normali attività.
Per
questo le operazioni dovevano concludersi con una grande battaglia decisiva.
In
Cina, gli eserciti erano formati invece da professionisti dell’etnia
dell’imperatore.
Le
operazioni potevano protrarsi nel tempo e la guerra concludersi senza una
grande battaglia.
Ad
esempio, le rilevanti perdite subite nella Prima guerra mondiale e la minore
entità della propria popolazione rispetto a quella tedesca, indussero la
Francia a basare la propria difesa sulla Linea Maginot, contraddicendo le
garanzie date ai paesi della Piccola Intesa.
Parigi
non era infatti in grado di proteggerli con una “dissuasione estesa”, che
avrebbe richiesto una capacità offensiva contro la Germania, possibile solo con
la forza corazzata proposta a suo tempo da de Gaulle.
Il sistema di dissuasione mista, convenzionale
e nucleare, permise invece alla NATO di contenere l’Unione Sovietica nella
guerra fredda senza militarizzare le società occidentali.
I
cambiamenti nella strategia militare oggi sono decisivi per gli esiti del
conflitto in Ucraina.
L’“eclissi” del nucleare tattico o
sub-strategico nel concetto strategico della NATO è stato reso possibile dai
mutamenti geopolitici provocati dalla fine della guerra fredda e dallo sviluppo
tecnologico che ha trasformato i sistemi d’arma in “sistemi di sistemi”.
Lo si è visto nella superiorità dell’”infowar
ucraino”, risultante dai provvedimenti attuati dal Ministero ucraino della “Transizione
digitale”, con l’accesso degli smartphone al sistema informativo centrale e con
la resilienza dello “Space X-Starlink” fornito da “Elon Musk” alle interferenze
elettroniche russe.
Ciò ha
fornito agli ucraini la possibilità di sconfiggere forze numericamente superiori (per
l’artiglieria i rapporti d’efficacia sono 5-6 a 1).
Dall’altra
parte, la ristrutturazione delle forze terrestri russe, iniziata nel 2008, e
rimodulata da “Sergei Shoigu” e “Valery Gerasimov” nel 2012, ha tenuto conto
della debolezza demografica russa e della minore accettabilità di perdite da
parte dell’opinione pubblica.
Ne è
conseguita l’organizzazione delle forze terrestri nei cosiddetti “BCG”
(Battalion Combat Group):
su
poco più di 1.000 effettivi essi dispongono solo di 200 fanti, ritenuti
sufficienti per combattimenti in campo aperto contro le forze NATO, mentre la
massa è impiegata per i carri e per l’artiglieria.
Tale
organizzazione si è però rivelata inefficiente nei terreni boscosi
dell’Ucraina:
i carri non protetti dalla fanteria hanno
subito perdite rilevanti, mentre l’artiglieria non è riuscita a sopperire, con
la quantità di fuoco, alla carenza di designazione degli obiettivi;
l’impiego
di mercenari e di carcerati poco addestrati si è risolto in rilevanti perdite.
La
centralizzazione del comando russo ha fatto il resto, consentendo agli ucraini
di sfruttare appieno la flessibilità delle loro forze.
L’esito
del conflitto, insomma, dipenderà dall’entità del successo ucraino nella
controffensiva.
Se sarà sufficientemente ampio, potranno
determinarsi le condizioni per la fine dell’invasione russa, tenendo conto
anche degli “scricchiolii” avvertibili al Cremlino.
Incubo.
Terza
guerra mondiale.
Affarinternazionali.it
- Gianni Bonvicini – (12 Febbraio 2024) – ci dice:
Entrati
con affanno e preoccupazione nel 2024, ci chiediamo come sia possibile uscire
indenni dal moltiplicarsi delle crisi e delle guerre nel mondo.
Secondo
il” Crisis Group” il numero dei conflitti in corso o potenziali ha raggiunto la
preoccupante soglia di 55, di cui almeno dieci sono già definibili come guerra
o scontro armato.
Ad
aggravare questo stato di cose si calcola che il 90% delle vittime sia di
incolpevoli civili.
Insomma,
siamo davvero nel pieno di quella che Papa Bergoglio ha definito come Terza
guerra mondiale a pezzi.
Quello
che più impressiona è che gli sforzi diplomatici, quando ci sono, non riescono
davvero a portare ad una soluzione degli scontri in atto. Solo a seguito di
grandi sforzi si ottengono piccoli, anche se importanti, risultati nel campo
degli interventi umanitari, come un limitato scambio di prigionieri, la
distribuzione temporanea di cibo e medicinali o, come nel caso russo-ucraino,
il passaggio nel Mar Nero di navi per portare il grano nei paesi più poveri.
Ma la
politica non riesce a spingersi oltre.
Molti,
troppi, leader nazionali preferiscono ricorrere all’uso delle armi per far
prevalere i propri interessi.
L’evoluzione
dei conflitti dal Secondo dopoguerra.
Non
che nel passato, dopo la Seconda guerra mondiale, non si siano manifestati
conflitti in molte parti del mondo (basti pensare al Vietnam o alla Corea), ma
in un modo o nell’altro si riusciva ad arrivare ad un cessate il fuoco e ad un successivo
accordo.
Vi è stato poi un periodo, dopo il crollo
dell’Unione Sovietica, durante il quale il numero delle guerre è notevolmente
calato.
Questa
fortunata pausa è durata però solo una decina di anni, fino al 2001, con
l’attacco terroristico alle due torri e le conseguenti, sproporzionate reazioni
di Washington con la guerra in Afghanistan e la successiva, ancora più
disgraziata, contro l’Iraq.
Sono
poi seguite, nel 2011, le cosiddette primavere arabe, che hanno dato origine a
rivoluzioni civili in Libia, Egitto, Siria e Yemen.
Da
allora è stato un moltiplicarsi di crisi, in gran parte trascinate da quello
che il grande politologo americano “Samuel Huntington” aveva previsto: lo scontro di civiltà.
Si
spiegano con ciò le lunghe stagioni del terrorismo mediorientale, da Al Qaeda
all’Isis, tutte dirette contro l’Occidente cristiano.
Oggi
questo scenario di confronto culturale/religioso si riproduce con inaudita
violenza fra “Hamas” e “Israele “e rischia di propagarsi in tutta la regione,
con mezzo mondo incapace di trovare una via d’uscita da questa tragedia.
Vi
sono diverse ragioni dietro questa impotenza a esercitare un grande e
collettivo sforzo per far cessare i conflitti che vanno dall’Ucraina al
Medioriente, dal Sudan all’Etiopia, dall’Azerbaijan all’Armenia, per citare
quelli più trattati dai mass media.
La
prima essenziale ragione è che l’organismo deputato per le mediazioni e le
soluzioni ai conflitti ha clamorosamente fallito.
Le Nazioni Unite, nate a San Francisco nel
1945, non sono mai state in grado di imporre le decisioni necessarie. Neppure ai tempi del confronto
ideologico/politico fra Usa e Urss sono riuscite ad entrare nei giochi delle
due superpotenze.
Solo
dall’accordo bipolare fra Washington e Mosca potevano nascere accordi di
pacificazione.
Dall’unipolarismo
americano ad un sistema mondiale multipolare.
Con la
scomparsa dell’Urss è toccato all’America erigersi a gendarme del mondo:
è il
periodo, piuttosto recente, del cosiddetto unipolarismo.
Unipolarismo
che ha finito per indebolire Washington, come è stato clamorosamente confermato
dalla rovinosa uscita dall’Afghanistan dei Talebani.
Uno stato di fatto che è anche all’origine
della decisione di Vladimir Putin di aggredire l’Ucraina allo scopo di ribadire
che la Russia conta ancora e che la sua influenza si estende al di là dei
confini nazionali.
Solo
che oggi non è possibile ristabilire il vecchio equilibrio fra l’America e la
Russia.
Il
pollaio dei conflitti odierni è infatti affollato di ben altri galli, a
cominciare dalla grande e potente Cina, che si è di fatto sostituita alla
vecchia Urss nella competizione con Washington.
Ma
accanto a Pechino sono nati numerosi altri attori che i politologi odierni
hanno collocato nel cosiddetto “Global South”:
dalla emergente India al Brasile, dall’Iran
all’Arabia Saudita, dalla Turchia al Sud Africa.
Quest’ultimo
ha addirittura portato Israele di fronte alla Corte Penale Internazionale con
l’accusa di genocidio.
Anche se poi la sentenza della Corte mantiene
tutte le ambiguità di questa guerra con la richiesta ad Israele di evitare atti
di genocidio, ma non gli impone di interrompere le azioni militari.
Poiché
tutte le crisi e i conflitti, anche più lontani e minori, hanno riflessi
internazionali, è abbastanza comprensibile come dal divergere degli interessi
degli attori in campo sia quasi impossibile trovare il bandolo di possibili
soluzioni negoziali.
Insomma, questo mondo ormai multipolare e
quasi tutto schierato contro il vecchio Occidente non garantisce un bel nulla
ma, anzi, non fa altro che moltiplicare le occasioni di nuovi conflitti.
L’unico
punto di speranza per evitare lo scoppio di un terzo conflitto mondiale è che
l’interesse delle grandi potenze – Usa, Cina e magari Russia – sia quello di
non trascinare le situazioni di tensione fino ad uno scontro diretto fra di
loro.
Il
rischio è però quello di perdere il controllo della situazione e di arrivare
alla soglia di un possibile incidente che finisca per condurci a conseguenze
fatali.
È
quindi più che mai necessario ritornare a rifondare un diverso sistema
multilaterale che si basi su meccanismi efficaci e democratici di gestione
delle crisi, togliendo di torno quell’antistorico diritto di veto che blocca
ogni decisione dell’Onu, rendendola fin dalla sua nascita una scatola vuota.
Onore
alle Nazioni Unite,
vergogna
agli Stati Uniti a Gaza.
Consortiumnews.com – Redazione – (Dicembre 12,
2023) – Jeffrey Sachs – ci dice:
(Jeffrey
D.Sachs - Common Dreams).
Quando
venerdì Washington ha posto il veto al cessate il fuoco a Gaza, si è schierato
da solo contro il diritto internazionale poiché il Regno Unito – il suo tutore
nella brutalità imperiale – si è doverosamente astenuto, scrive “Jeffrey Sachs”.
(Long
Island City, New York, skyline, con la luna piena dietro la scultura "Let
Us Beat Our Swords into Ploughshares" presso la sede delle Nazioni Unite,
21 settembre 2021.)
(Foto ONU/Manuel Elías).
The
voto quasi unanime chiedere venerdì al Consiglio di Sicurezza dell’ONU un
cessate il fuoco immediato a Gaza è un momento di onore per le Nazioni Unite e
di vergogna per gli Stati Uniti.
Votando
per fermare la guerra di Israele a Gaza con 13 voti sì, un no (USA) e
un'astensione (Regno Unito), la stragrande maggioranza si è schierata dalla
parte del diritto internazionale.
Gli
Stati Uniti si sono opposti da soli al diritto internazionale, mentre il loro
aiutante e tutore nella brutalità imperiale, il Regno Unito, si è doverosamente
astenuto.
Il
segretario generale delle Nazioni Unite “Antonio Guterres” ha onorato le
Nazioni Unite e la decenza umana invocando l’articolo 99 della Carta delle
Nazioni Unite, chiedendo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di fermare gli
omicidi a Gaza come responsabilità fondamentale ai sensi della Carta delle
Nazioni Unite.
Ogni
giorno, i funzionari delle Nazioni Unite sul campo a Gaza lottano eroicamente
per nutrire, dare rifugio e proteggere la popolazione dalle bombe israeliane.
Più di 100 personale delle Nazioni Unite sono stati
uccisi nell'assalto israeliano.
La
situazione a Gaza è tanto chiara quanto brutale. Lo Stato di Palestina, riconosciuto
da 139 nazioni, soffre da tempo le brutalità dell’occupazione israeliana a Gaza
e in Cisgiordania.
Gaza è stata definita la più grande prigione a
cielo aperto del mondo da “Human Rights Watch”.
Dopo
il terribile attacco terroristico guidato da Hamas il 7 ottobre, in cui
morirono 1,200 israeliani, Israele iniziò la pulizia etnica di Gaza. Specialisti legali presso il Centro
per i diritti costituzionali considerano le azioni di Israele come un genocidio.
Fino
ad oggi, più di 17,400 abitanti di Gaza sono stati uccisi, e un insondabile 1.8
milioni di abitanti di Gaza sono stati sfollati.
Decine
di migliaia sono a rischio di morte imminente.
Il mese scorso, “Guterres” è stato avvertito
che “Gaza stava diventando un cimitero di bambini”.
Israele
ha spinto la popolazione dal nord di Gaza al sud, e poi ha invaso il sud.
Le autorità israeliane hanno detto agli abitanti di
Gaza di fuggire per salvarsi la vita zone del sud, e poi hanno bombardato i
luoghi verso i quali erano stati diretti gli abitanti di Gaza.
Gli
Stati Uniti sono più di un semplice protettore di Israele. È un complice.
Gli
Stati Uniti forniscono, in tempo reale, le munizioni che Israele utilizza per
gli omicidi di massa, anche se le autorità statunitensi sostengono a parole le
vite dei civili di Gaza.
(Robert
A. Wood, vice ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite, è al centro
del tavolo, l’8 dicembre, quando gli Stati Uniti espressero l’unico voto contro
il cessate il fuoco a Gaza).
Il
presidente israeliano” Isaac Herzog” giustifica il massacro dichiarando che non
esistono civili innocenti a Gaza: “C’è un’intera nazione là fuori che è responsabile”.
La più
grande menzogna del governo israeliano è che Israele non ha altra scelta che
l'uccisione di massa degli abitanti di Gaza, presumibilmente per sconfiggere “Hamas”.
Il
fatto che Israele sia stato indotto dalla sua arroganza ad abbassare la guardia
il 7 ottobre non rende “Hamas” una minaccia esistenziale.
“Hamas”
possiede solo una piccola frazione della potenza militare israeliana.
Il 7
ottobre, come l’9 settembre negli Stati Uniti, è stato un colossale errore di
sicurezza che dovrebbe essere immediatamente corretto rafforzando la sicurezza
delle frontiere, non una minaccia esistenziale che in qualche modo giustifichi
l’uccisione di migliaia o decine di migliaia di civili innocenti, con donne e
bambini che costituiscono il 11% delle vittime.
La
frenesia omicida è guidata dagli stessi politici responsabili del fallimento
della sicurezza del 7 ottobre e che ora manipolano le ansie più profonde della
popolazione israeliana.
C’è un
punto più ampio e molto più importante.
“Hamas” può essere smobilitato attraverso la
diplomazia, e solo attraverso la diplomazia.
Israele
e gli Stati Uniti devono finalmente rispettare il diritto internazionale,
accettare uno stato sovrano di Palestina accanto a Israele e accogliere la
Palestina come 194esimo stato membro delle Nazioni Unite.
Il
segretario generale delle Nazioni Unite “António Guterres “l’8 dicembre, mentre
il Consiglio di sicurezza si era riunito in merito a una lettera da lui scritta invocando
l’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite, chiedendo al Consiglio di agire
sulla crisi umanitaria a Gaza.
Gli
Stati Uniti devono smettere di armare l’operazione israeliana di pulizia etnica
a Gaza e smettere di proteggere le dilaganti violazioni dei diritti umani
fondamentali da parte di Israele in Cisgiordania.
Cinquantasei
anni dopo l’occupazione illegale delle terre palestinesi, e dopo decenni di
insediamenti illegali nei territori occupati, Israele deve finalmente ritirarsi
dalle terre palestinesi occupate.
Con
tali passi, la pace tra Israele e i paesi vicini potrebbe e sarebbe assicurata.
Su questa base, le forze di pace delle Nazioni
Unite, comprese le truppe arabe e occidentali, a loro volta garantirebbero il
confine israelo-palestinese per un periodo di transizione necessario.
Allo
stesso tempo, tutti i flussi internazionali di finanziamenti ai militanti
anti-israeliani verrebbero soffocati da azioni congiunte e coordinate di Stati
Uniti, Europa e vicini arabi e islamici di Israele.
La via
diplomatica è aperta perché i Paesi arabi e islamici (compreso l’Iran) hanno
ribadito ancora una volta che - per vecchia data - il desiderio di pace con
Israele deve essere visto come parte di un accordo di pace che stabilisca la
Palestina lungo i confini del 1967 e la sua capitale a Gerusalemme Est.
La
vera ragione della guerra di Israele a Gaza è che il governo israeliano rifiuta
la soluzione dei due Stati e punta agli estremisti dall'altra parte piuttosto
che agli Stati arabi e islamici, che vogliono una pace basata sulla soluzione
dei due Stati.
I
fanatici israeliani, tra cui diversi membri del governo, credono che Dio abbia
promesso loro tutte le terre dall’Eufrate al Mediterraneo.
Questa
convinzione è fatua.
Come
la storia ebraica dovrebbe chiarire agli ebrei religiosi, e come tutta la
storia umana dovrebbe chiarire in generale, nessun gruppo, ebreo o altro, ha un
“diritto” incondizionato su alcuna terra.
(Palestinesi
visti dopo un attacco aereo israeliano a Khan Younis, nel sud della Striscia di
Gaza, l'8 ottobre).
Affinché
i diritti siano garantiti e rispettati a livello internazionale ai nostri
giorni, i governi devono rispettare lo stato di diritto internazionale.
Nel caso di Israele e Palestina, il diritto
internazionale, come ripetutamente espresso dal Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite, sostiene che due stati sovrani, Israele e Palestina, hanno sia
il diritto che la responsabilità di vivere fianco a fianco in pace secondo i
confini del 1967.
Non
solo Israele, ma forse ancor più gli Stati Uniti, hanno perso la strada.
La ragione profonda era chiara al senatore “J.
William Fulbright” 60 anni fa, quando “Fulbright” era presidente del Comitato
per le relazioni estere del Senato e scrisse il magnifico libro, “L'arroganza
del potere”.
“Fulbright”
ha indicato nell'arroganza la causa profonda della spericolata guerra americana
in Vietnam negli anni '1960.
Nella
sua continua arroganza, lo stato di sicurezza militare degli Stati Uniti ignora
ripetutamente la volontà della comunità internazionale e il diritto
internazionale perché ritiene che le armi e il potere gli consentano di farlo.
La politica estera degli Stati Uniti si basa
fortemente su operazioni segrete e illegali di cambio di regime e su una guerra
perpetua che si rivolge al complesso militare-industriale degli Stati Uniti.
Non
dobbiamo diventare cinici nei confronti delle Nazioni Unite. Attualmente sono
bloccate dagli Stati Uniti, il paese che ne ha guidato la creazione sotto il
più grande presidente americano,” Franklin Delano Roosevelt”.
L’ONU
sta facendo il suo lavoro, costruendo il diritto internazionale, lo sviluppo
sostenibile e i diritti umani universali, passo dopo passo, con progressi e
rovesci, nonostante l’opposizione di forze potenti, ma con l’arco della storia
dalla sua parte.
Il
diritto internazionale è una creazione umana relativamente nuova, ancora in
lavorazione.
È difficile da raggiungere di fronte
all’ostinato potere imperiale, ma dobbiamo perseguirlo.
È
importante notare che l'opposizione ai crimini di guerra di Israele non ha
assolutamente nulla a che fare con l'antisemitismo.
Questo punto è stato sottolineato in modo
eloquente in una lettera aperta da decine di scrittori ebrei.
Il
primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non parla a nome del giudaismo.
Il governo israeliano viola la più sacra di
tutte le ingiunzioni ebraiche, quella di proteggere la vita (Pikuach Nefesh) e
amare il prossimo tuo come te stesso (Levitico 19:18).
Il
messaggio dell'etica ebraica si trova nelle parole del profeta Isaia (Isaiah 2:
4) inscritto su un muro direttamente di fronte alle Nazioni Unite:
“Forgeranno
le loro spade in vomeri, e le loro lance in falci; nazione non alzerà più la
spada contro nazione, né impareranno più la guerra”.
(Sogni
comuni.)
(Jeffrey
D. Sachs è professore universitario e direttore del Centro per lo sviluppo
sostenibile della Columbia University, dove ha diretto l'Earth Institute dal
2002 al 2016. È anche presidente del Sustainable Development Solutions Network
delle Nazioni Unite e commissario della Commissione per la banda larga delle
Nazioni Unite per lo sviluppo.)
I
messaggi nascosti dell'apparato
culturale
dell'élite al potere.
Theburningplatform.com - Guest Post di Edward
Curtin – Redazione – (5-5-2024) – ci dice:
Essere
crocifissi significa soffrire e morire lentamente e agonizzante.
Era
una forma comune di esecuzione nel mondo antico.
È generalmente associato all'uccisione di Gesù
da parte di Roma e ha un profondo significato spirituale simbolico per i
cristiani.
Nel
suo senso figurato, si riferisce a molti tipi di sofferenza e morte inflitti ai
deboli dai forti, come il genocidio in corso dei palestinesi da parte del
governo israeliano.
Una
ventina di anni fa, quando l'uso di croci da parte di tutti i tipi di persone
era di moda in cultura, una donna che conosco mi disse che stava pensando di
prenderne una.
Quando le chiesi perché, visto che era ebrea,
mi rispose che era perché pensava che fossero belli.
Sembrava
ignara del fatto che per i cristiani erano simboli spirituali raccapriccianti
ma rivelatori, l'equivalente della sedia elettrica o di un cappio, ma legati
alla resurrezione pasquale e al trionfo non violento sulla morte che è al centro del
cristianesimo.
La sua
attenzione per la bellezza mi colpì con forza il fatto che la cultura secolare
avesse trionfato nella sua istituzione di un credo anti-credo in cui la ricerca
di un senso di benessere e di tranquillità estetica aveva avuto la meglio sulle
credenze tradizionali, mentre usava tutte le fedi nel suo perseguimento di un
nichilismo egocentrico attraverso una finta spiritualità legata a una preziosa
estetica della bellezza.
“Philip
Rieff” se ne accorse a metà degli anni '60 quando scrisse in “The Triumph of
the Therapeutic”.
Sollevare
la questione del nichilismo, come hanno fatto i sociologi a partire da “Auguste
Comte”, dimostra un grande cambiamento di tono: la nota di apprensione è uscita
dal chiedere.
Crediamo
di sapere qualcosa che i nostri predecessori non sapevano:
che
possiamo finalmente vivere liberamente, godendo di tutti i nostri sensi –
tranne il senso del passato – come barbari smemorati, onesti e amichevoli, in
un Eden tecnologico.
Questa
cultura, che una volta si immaginava all'interno di una chiesa, si sente
intrappolata in qualcosa di simile a uno zoo di gabbie separate.
Gli uomini moderni sono come la “pantera di
Rilke”, che guarda sempre da una gabbia all'altra.
Mentre
oggi quelle gabbie sarebbero meglio descritte come cellule – come nei telefoni
cellulari – il punto di vista di “Rieff” era estremamente preveggente,
riecheggiando a suo modo la profezia di” Max Weber” del 1905 in” L'etica
protestante e lo spirito del capitalismo” dell'imminente "gabbia di
ferro".
Sarebbe
comprensibile se si pensasse che la fotografia del crocifisso che precede le
mie parole sia stata scattata in una chiesa, poiché il suo primo piano davanti
all'abside della chiesa medievale spagnola di San Martín a Fuentidueña lo fa
sembrare.
Non lo
era, a meno che non ci si renda conto che i musei sono diventati le chiese
moderne, dove le persone si accalcano per venerare l'arte per amore dell'arte e
forse per trovare qualche consolazione che hanno perso a un livello più
profondo.
Musei
che sono stati costruiti e mantenuti da ricchissimi per servire come le proprie
chiese per la gloria di mammona e la propria auto-illusoria immortalità.
Mammona
che è stato costruito sulle spalle dei poveri e della classe operaia, proprio
come hanno fatto questi edifici.
Al di
sotto di tutte le alte istituzioni culturali, come i musei e i luoghi d'arte
come il “Metropolitan Museum of Art”, il “Museum of Modern Art”, il “Lincoln
Center di New York,” ecc., si trovano il lavoro espropriato e la terra delle
classi inferiori, le stesse classi il cui sudore e il cui sangue sono stati
sfruttati durante le trasmutazioni storiche del capitale da commerciale a
industriale a finanziario per creare l'immensa ricchezza dei super-ricchi.
C'è
una ragione per cui gli industriali americani del diciannovesimo secolo come “Vanderbilt”,
“Mellon”, “Carnegie”, “Rockefeller” e altri erano chiamati "I baroni rapinatori".
Erano
dei truffatori.
Sono
ancora con noi, naturalmente, aiutati e incoraggiati dall'ultima classe
miliardaria di oggi.
Costruiscono
e finanziano le suddette istituzioni culturali, nonché possiedono e gestiscono
le principali istituzioni della comunicazione di massa e dell'intrattenimento,
come giornali, reti televisive, società di telecomunicazioni, studi
cinematografici, ecc.
– il
complesso industriale dell'intrattenimento.
In questa capacità di comunicazione diretta,
controllano la mediazione della "realtà" con la popolazione in
generale.
Servono gli interessi di quella che il grande
sociologo crociato “C. Wright Mills” chiamava l'élite di potere dentro e fuori il
governo, di cui sono una parte interconnessa, e attraverso la quale si muovono
agevolmente in un gioco di sedie girevoli.
Gestiscono
il grande spettacolo per la popolazione in generale, mentre muovono le leve del potere
dietro le quinte.
Quando
morì, “Mills” stava lavorando a un grosso libro che esplorava quello che
intitolò provvisoriamente “The Cultural Apparatus”.
Egli
definì questo complesso come segue:
L'apparato
culturale è composto da tutte le organizzazioni e gli ambienti in cui si svolge
il lavoro artistico, intellettuale e scientifico e dai mezzi con cui tale
lavoro è reso disponibile.
Contiene
un insieme elaborato di istituzioni: scuole e teatri, giornali e uffici di
censimento, studi, laboratori, musei, piccole riviste e reti radiofoniche. . .
All'interno
di questa rete, frapponendosi tra gli uomini e gli eventi, le immagini, i
significati e gli slogan che definiscono i mondi in cui viviamo sono
organizzati e confrontati, mantenuti e rivisti, perduti e amati, nascosti,
sfatati, celebrati.
Preso nel suo insieme, l'apparato culturale è la lente
dell'umanità attraverso la quale gli uomini vedono;
il
mezzo attraverso il quale riferiscono e interpretano ciò che vedono.
La “Columbia
University”, dove ha insegnato ed è oggi sulle prime pagine dei giornali per la
sua repressione poliziesca del dissenso studentesco per la loro protesta
pro-palestinese, è una di quelle istituzioni culturali d'élite, un luogo in cui “Mills” non si è
mai sentito a suo agio e i cui colleghi lo guardavano di traverso per la sua critica
allo stato di guerra dell'élite al potere.
Columbia,
con la sua storia razzista in quanto ha visto il suo status di élite minacciato
dalla crescita della vicina “comunità nera di Harlem negli anni '20 e '30”, e
l'ulteriore espansione di Columbia in questi quartieri da allora.
La
Colombia, come tutte le istituzioni culturali d'élite, nasce nella propria
mente sui generis ed elevata alle vette della purezza e dell'innocenza, ma le
cui fondamenta sono marcio con denaro sporco.
Eppure,
come ha scritto di recente “Terry Eagleton” sulla “London Review of Books”,
"Questo non è il modo in cui la cultura generalmente ama vedere sé stessa.
Come
il bambino edipico, tende a rinnegare la sua umile parentela e a fantasticare
che sia scaturito dai suoi stessi lombi, autogenerandosi e auto-modellandosi.
Come
la Columbia e tutte le università d'élite di "istruzione superiore" –
“Harvard”, “Oxford”, “Yale”, “Princeton”,” Stanford”, ecc. – che servono come strumenti di
legittimazione per l'élite di potere e la sua menzogna, i musei e le altre
istituzioni artistiche ben note esercitano un'enorme influenza, non solo sulla
cultura in senso alto culturale, ma sulla trasformazione della società nel suo
complesso. spesso in modi che passano inosservati.
Ancora
“Eagleton”:
C'è
dell'ironia qui, dal momento che poche cose legano l'arte così strettamente al
suo contesto materiale come la sua pretesa di esserne libera.
Questo
perché l'opera d'arte come autonoma e autodeterminata, un'idea nata alla fine
del XVIII secolo, è il modello di una versione del soggetto umano che sta
rapidamente guadagnando terreno nella vita reale. G
li
uomini e le donne sono ora visti come autori di sé stessi . . .
La
foto del crocifisso e dell'abside che precede le mie parole è stata scattata di
recente in “The Cloisters” a Upper Manhattan, New York City, dove i fantasmi di
credenze religiose morte si aggirano per le stanze.
Ha lo
scopo di presentare una "galleria simile a una cappella".
“The
Cloisters” è un museo di proprietà del “Metropolitan Museum of Art” ed è ora
conosciuto come “The Met Cloisters”.
Esso,
e il bellissimo “Fort Tryon Park “di 67 acri su cui si trova, è stato creato e
finanziato da “John D. Rockefeller, Jr.” che, secondo il sito web del “Met”, era affascinato
dal passato.
"L'arte
esperta dell'arte medievale e la sua innata spiritualità hanno fortemente
attratto questo filantropo e collezionista", ci viene detto.
La
spiritualità del Medioevo, mi correggerò, che quando era stata trasportata al
museo era priva del suo contesto di vita e poteva essere presentata come un
dono di una famiglia di baroni rapinatori alla gente di New York che aveva bisogno di essere sollevata
dalla “gentilezza noblesse oblige” dei Rockefeller.
Spiriti
morti privi di una viva religiosità interiore che contrabbandano messaggi
segreti a un pubblico affamato di significato.
Pubblicità
nativa.
Come
il mio amico che ha preso in considerazione l'idea di prendere una croce, “Rockefeller”
senza dubbio ha trovato il crocifisso e l'abside che lo incorniciano abbastanza
belli e spiritualmente edificanti, ma non la spiritualità vivente del “criminale Gesù” il
cui messaggio sulla ricchezza non ha mai informato sullo spietato sfruttamento degli altri da
parte dei Rockefeller durante la loro ascesa al potere.
Negli
anni passati, quando ho visitato per la prima volta” The Cloisters”, essendo un
nativo del “Bronx newyorkese”, era conosciuto semplicemente come “The Cloisters”,
anche se il “Met” lo possedeva sin dal suo inizio negli anni '30.
Prima di visitarlo da giovane, avevo l'impressione che
avesse un qualche significato religioso, come suggerisce il nome chiostro
(inizio XIII secolo, cloystre, "un monastero o convento, un luogo di
ritiro religioso o di isolamento").
Ma mi
sbagliavo; è
un museo, un bellissimo museo costruito con pietre provenienti da monasteri,
chiese e conventi europei trasportati molto tempo fa attraverso l'Atlantico e
ricostruiti sulle alture sopra il fiume Hudson.
È
pieno di arte medievale collezionata da Rockefeller, George Gray Barnard e
altri ricchi collezionisti d'arte.
Per
coloro che sono così disposti a chiedersi per cosa pregassero i reali nei
giorni medievali, era per massacrare il maggior numero possibile di musulmani
nelle Crociate? – si può vedere il minuscolo libro di preghiere un tempo di
proprietà della Regina di Francia – e immaginare.
Questa
immaginazione potrebbe far capire quanto poco le cose siano cambiate e quanto
piccole cose significhino molto.
Il
trucco è notarli.
Il
potere politico ha bisogno del potere culturale per funzionare efficacemente.
Le
élite non possono semplicemente sbattere la gente in giro e non aspettarsi
alcuna risposta.
Hanno
bisogno di insinuare i loro messaggi ideologici nella coscienza pubblica in
modi piacevoli.
Scrivendo di “Edmund Burke”, “Eagleton dice”:
"Piuttosto, egli riconosce che la cultura in
senso antropologico è il luogo in cui il potere deve ristabilirsi se vuole
essere efficace. Se il politico non trova casa nel culturale, la sua sovranità
non prenderà piede".
Così,
per fare un esempio da Hollywood e dal regno della “cultura pop”, potremmo
notare come molti film e programmi televisivi siano stati segretamente
co-scritti dal Pentagono.
Un
altro nome per questo è propaganda.
Il
messaggio culturale è il punto in cui l'élite al potere ha bisogno di sedurre
la gente normale che il potere viene esercitato per il proprio bene e che tutti
sono a letto insieme.
Potere
morbido. Bella potenza.
Potere che si traveste da beneficio per tutti.
Bella potenza. Potere "spirituale".
Come
dicevo,” Fort Tryon Park” (progettato dai fratelli Olmsted, figli del
progettista di Central Park,” Frederick Law Olmsted”) e “The Cloisters” sono di
una bellezza spettacolare.
Camminando
attraverso il parco in una soleggiata giornata primaverile per raggiungere il
museo alla sua estremità settentrionale - i fiori e gli alberi di ciliegio in
fiore abbaglianti e il fiume Hudson scintillante sotto di sé - si è sopraffatti
dalla bellezza e grati al suo donatore umano – “John D. Rockefeller, Jr.”
Ci vuole un po' di sforzo mentale per
afferrare il paradosso o il sogno delirante di tale gratitudine.
Ma va
dritto al cuore del potere del complesso culturale e dei modi in cui lavora per
ammorbidire la spietatezza dei suoi controllori capitalistici ultra-ricchi.
Prima
ti derubano, poi ti regalano una passeggiata nel parco.
E
quando entri nelle loro istituzioni, ti viene offerta l'opportunità di pensare
all'interno di parametri controllati, mentre senti anche il sentore della
natura teatrale della tua esperienza.
L'odore
è importante quanto il pensiero, perché è un promemoria per tenere la bocca
chiusa e anche tu fiorirai.
La
frode del complesso culturale-educativo può rendersi conto di alcuni che sono
stati invitati nei sancta sanctorum del potere e del prestigio, come è accaduto
attualmente a molti studenti universitari (e ad alcuni docenti) la cui
coscienza non permette loro di stare fermi mentre i palestinesi vengono
massacrati.
Ma se hai il coraggio di agire in base alla
tua sensazione di essere preso in giro, fai attenzione!
Sarete
banditi dai piaceri che vi vengono offerti per la vostra acquiescenza, come
questi studenti stanno scoprendo ora.
Hanno
rifiutato quella parte dell'esperienza di apprendimento che “George Orwell”
chiamava “Crimestop”:
. . .
Significa la facoltà di fermarsi, come per istinto, sulla soglia di un pensiero
pericoloso.
Comprende
il potere di non afferrare le analogie, di non riuscire a percepire gli errori
logici, di fraintendere gli argomenti più semplici se sono ostili all'”Ingsoc”,
e di essere annoiati o respinti da qualsiasi linea di pensiero che sia in grado
di condurre in una direzione eretica. “Crimestop”, in breve, significa stupidità protettiva.
A volte
il pensiero reale e la coscienza vincono, perché il potere delle istituzioni
culturali dell'élite non è onnipotente. Non tutti sono in vendita, nemmeno gli
invitati al banchetto.
Insegnate alle persone a pensare e meditare
sulla storia e loro potrebbero pensare fuori dalla gabbia delle vostre
aspettative.
Mentre
il genocidio dei palestinesi è sotto gli occhi di tutti, i leader di queste
università d'élite, a differenza degli studenti ribelli, chiudono un occhio
sull'evidenza. Seguono il copione che gli è stato consegnato quando hanno accettato le
loro prestigiose posizioni di potere, all'altezza del famoso appellativo di “Julian
Benda”: Il
tradimento degli intellettuali.
Ma il
potere "bello" diventa il pugno di ferro quando la plebe diventa troppo
arrogante e prende sul serio i suoi studi e si ribella come esseri umani con
una coscienza.
Questo
è il rovescio della medaglia dei messaggi nascosti delle istituzioni culturali
d'élite.
Questo
processo bilaterale di messaggi nascosti ed evidenti opera anche nel complesso
dei media.
Mentre i cosiddetti media liberali e
conservatori – tutti stenografi per le agenzie di intelligence – riversano la
propaganda più sfacciata su Palestina, Israele, Russia e Ucraina, ecc. che è
così evidente da essere comica se non fosse così pericolosa, gli intenditori
auto-raffigurati ingeriscono anche messaggi più sottili, spesso dai media
alternativi e da persone che considerano dissidenti. Sono come piccoli semi
infilati dentro come se nessuno se ne accorgesse; Fanno la loro magia quasi
inconsapevolmente.
Pochi li notano, perché spesso sono impercettibili.
Ma hanno i loro effetti e sono cumulativi e
sono molto più potenti nel tempo di dichiarazioni palesi che allontaneranno le
persone, specialmente quelle che pensano che la propaganda non funzioni su di
loro.
Questo
è il potere della propaganda di successo, che sia intenzionale o meno. Funziona
particolarmente bene su persone "intellettuali" e altamente istruite.
Alcune
persone pensano che se si vede più di quanto sia evidente quando si visitano
siti come “The Cloisters” a “Fort Tryon Park”, non si è in grado di godere
della bellezza di questi "doni".
Questo
non è vero.
Non si
escludono a vicenda. Il grande studioso afroamericano “W. E. B. DuBois” ha
coniato un termine di doppia coscienza che penso possa essere usato in questo
contesto per descrivere l'esperienza di alcune persone, non solo quella degli
afroamericani.
Vedono almeno due verità contemporaneamente.
La loro doppia coscienza non riconciliata
impedisce loro di avere una visione unica quando visitano le bellissime
creazioni dell'élite al potere. Le parole di “William Blake” – "Che Dio ci preservi dalla visione
unica e dal sonno di Newton! – informare il loro punto di vista.
Durante
lo stesso viaggio a The Cloisters, io e mia moglie abbiamo camminato a lungo
per Central Park, sicuramente uno dei parchi più belli del mondo.
Era
spettacolarmente infuocato da alberi di ciliegio in fiore e persone provenienti
da tutto il mondo che si godevano i suoi piaceri, come noi. Io, invece, entrando e uscendo da
questo paradiso, non ho potuto fare a meno di pensare che questo parco fosse
ingabbiato dagli enormi complessi residenziali della classe elitaria dei
super-ricchi, come a dire ai visitatori del parco: si può visitare ma non
restare. Supervisioniamo i vostri piaceri.
“Max
Weber” lo diceva bene un secolo fa:
Nessuno
sa chi vivrà in questa gabbia in futuro, o alla fine di questo tremendo
sviluppo sorgeranno profeti completamente nuovi, o ci sarà una grande rinascita
di vecchie idee e ideali, o, se non l'uno o l'altro, una pietrificazione
meccanizzata, abbellita da una sorta di convulsa presunzione.
Dell'ultimo
stadio di questo sviluppo culturale si potrebbe dire: "Specialisti senza
spirito, sensualisti senza cuore; Questa nullità immagina di aver raggiunto un
livello di civiltà mai raggiunto prima".
Israele/Gaza: Le maschere si tolgono
nella
società americana.
Unz.com
- RON UNZ – (6 MAGGIO 2024) – ci dice:
Penso
che gli eventi eclatanti a cui abbiamo assistito nella società americana negli
ultimi mesi – e soprattutto negli ultimi giorni – siano meglio compresi se
consideriamo un'acuta osservazione ampiamente erroneamente attribuita a “Voltaire”:
Per sapere
chi comanda su di te, scopri semplicemente chi non è autorizzato a criticare.
Fin
dagli anni della mia infanzia ero sempre stato consapevole che l'attivismo
politico e le proteste erano una caratteristica regolare della vita
universitaria, con il movimento degli anni '60 contro la guerra del Vietnam che
rappresentava uno dei suoi picchi, uno sforzo ampiamente lodato nei nostri
libri di testo successivi e nei resoconti dei media per il suo eroico
idealismo.
Durante
gli anni '80 ricordo di aver visto una lunga fila di baracche rozzamente
costruite per protestare contro l'apartheid sudafricano che passavano settimane
a occupare i bordi dell'Harvard Yard o forse era lo Stanford Quad, e penso che
più o meno nello stesso periodo altre baracche e manifestanti dell'UCLA
mantennero una lunga veglia a sostegno dei “RefusedniksW ebrei dell'URSS.
Le proteste politiche sembravano un aspetto
normale degli anni universitari tanto quanto gli esami finali e avevano in gran
parte sostituito i rituali di nonnismo e gli scherzi selvaggi delle
confraternite tradizionali, che erano sempre più diffamati come politicamente
scorretti da censori sociali ostili tra gli studenti e docenti’ .
Nell'ultimo
decennio circa, il movimento “Black Lives Matter” ha portato tali proteste a
livello nazionale da parte degli studenti universitari a nuovi livelli, sia
all'interno che all'esterno del campus, spesso coinvolgendo grandi marce,
sit-in o atti di vandalismo , e questo è stato probabilmente spinto dalla crescente
influenza degli smartphone e dei social media.
Nel
frattempo, i media mainstream hanno regolarmente elogiato e promosso questo "movimento per la giustizia
razziale", che ha raggiunto il suo picco dopo la morte di George Floyd nell'estate
del 2020.
Poco dopo, una massiccia ondata di proteste
politiche, rivolte e saccheggi ha inghiottito circa 200 città in tutta la
nostra nazione, i peggiori disordini urbani dalla fine degli anni '60.
Ma a
differenza di quell'epoca precedente, la maggior parte dei media
dell'establishment e della classe politica denunciavano ferocemente come
oltraggiosa qualsiasi proposta di dispiegamento della polizia per sedare quella
violenza.
In effetti, in molti o nella maggior parte dei
casi le forze dell'ordine locali si sono fermate e non hanno fatto nulla, anche
se alcuni dei loro padroni politici hanno alzato a gran voce il grido
"Togliete i fondi alla polizia!"
Durante
quegli anni molte università sono state pesantemente coinvolte in tali
polemiche con “Yale” che ha rinominato il suo college residenziale “Calhoun”
all'inizio del 2017 e l'elenco dei cambiamenti di nome dovuti alle proteste di
George Floyd del 2020 è così lungo da giustificare una propria pagina Wikipedia
, un elenco che includeva in particolare alcune delle nostre basi militari più
storiche come” Ft. Bragg” e Ft. Cappuccio”.
Gli attacchi verbali o anche fisici contro i simboli e
le statue dei presidenti e degli eroi nazionali più famosi d'America divennero
abbastanza comuni e furono spesso segnalati favorevolmente dai media, con
George Washington, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln, Theodore Roosevelt,
Woodrow Wilson e Cristoforo Colombo che furono tutti denigrati e denunciati, a
volte con l'approvazione dell'élite.
Un
articolo di opinione del “New York Times” chiedeva che il “Jefferson Memorial”
fosse sostituito con un'imponente statua di una donna nera, mentre uno degli
editorialisti regolari del “Times” ha più volte chiesto che tutti i monumenti
in onore di “George Washington” subissero un destino simile.
A questo punto, Molti osservatori hanno
sostenuto che l'America del 2020 sembrava quasi subito la propria versione
della Rivoluzione
Culturale Cinese, tra le diffuse affermazioni secondo cui gran parte del nostro intero
passato storico era irrimediabilmente contaminato e quindi doveva essere
cancellato dalla pubblica piazza.
La
maggior parte di queste proteste politiche, specialmente quelle nei campus
universitari, sono state ampiamente salutate da coloro che detenevano i
megafoni dei media come rappresentativi di una delle più grandi virtù della
democrazia americana.
I
molti difensori dell'élite di tali sconvolgimenti sociali e culturali hanno
sostenuto che questi eventi hanno dimostrato la grande forza della nostra
società, che ha permesso liberamente i più feroci attacchi pubblici contro le nostre
icone e i nostri eroi nazionali più sacri, fornendo il tipo di autocritica
bruciante che sicuramente non sarebbe stata permessa quasi in nessun'altra
parte del mondo.
Quella
lunga storia di proteste pubbliche consentite o addirittura glorificate contro
le ingiustizie percepite è stata naturalmente assorbita e presa a cuore dai
giovani studenti universitari che hanno iniziato le lezioni nel settembre 2023.
Poi, nel giro di poche settimane, un raid a
sorpresa straordinariamente audace da parte dei militanti di “Hamas” di lunga
data.
La
Gaza assediata colse gli israeliani addormentati e superò le difese ad alta
tecnologia la cui costruzione era costata loro forse mezzo miliardo di dollari.
Molte
centinaia di soldati e agenti di sicurezza israeliani furono uccisi insieme a
un numero simile di civili, e la maggior parte di questi ultimi probabilmente
morì a causa del fuoco amico delle unità militari israeliane in preda al panico
e dal grilletto facile.
Circa 240 soldati e civili israeliani furono
catturati e riportati a Gaza come prigionieri, con “Hamas” che sperava di
scambiarli con la libertà delle molte migliaia di civili palestinesi che erano
stati trattenuti per anni nelle carceri israeliane, spesso in condizioni
brutali.
Come
al solito, i nostri media mainstream, in stragrande maggioranza
filo-israeliani, hanno descritto l'attacco in modo estremamente unilaterale,
privo di qualsiasi contesto storico, uno schema che era stato seguito per tre
generazioni.
Di
conseguenza, Israele ha ricevuto un'enorme ondata di simpatia da parte
dell'opinione pubblica e delle élite mentre si mobilitava per un attacco di
ritorsione contro Gaza.
Nel giro di pochi giorni, il nostro Segretario
di Stato “Antony Blinken” volò in Israele dichiarando di essere venuto
"come ebreo" e promettendo il sostegno incrollabile dell'America in
quel momento di crisi, sentimenti pienamente ripresi dal presidente “Joseph
Biden” e dalla sua intera amministrazione.
Ma i
combattenti di “Hamas” e i “loro prigionieri israeliani” erano nascosti in una
rete di tunnel fortificati e sradicarli avrebbe potuto produrre pesanti
perdite, quindi il primo ministro israeliano “Benjamin Netanyahu” e i suoi
consiglieri hanno deciso una strategia diversa.
Invece
di attaccare “Hamas”, “Netanyahu” ha approfittato dell'ondata di simpatia
globale scatenando un assalto militare senza precedenti contro gli oltre due
milioni di civili di Gaza, con l'apparente intenzione di ucciderne un gran
numero e di scacciare il resto nel deserto egiziano del Sinai, permettendo a
Israele di annettere il loro territorio.
Il territorio sarebbe stato reinsediato con
gli ebrei.
Poco dopo, il governo israeliano iniziò a distribuire
fucili d'assalto ai coloni ebrei della Cisgiordania, ordinandone circa 24.000 a
tale scopo.
Mettere tali armamenti nelle mani di fanatici
religiosi porterebbe sicuramente a massacri locali e questi potrebbero fornire
una scusa per spingere tutti i milioni di palestinesi oltre il confine con la
Giordania.
Il
risultato finale sarebbe la creazione di un “Grande Israele razzialmente puro”
che si estende "dal fiume al mare", il sogno di lunga data del
movimento sionista.
E se
avesse successo, il posto di “Netanyahu” nella storia ebraica potrebbe
diventare glorioso, con i suoi numerosi peccati veniali ed errori facilmente
trascurati.
Mentre
i ponti aerei americani fornivano un flusso incessante delle munizioni
necessarie, gli israeliani iniziarono una massiccia campagna di bombardamenti
aerei contro la densamente popolata Gaza e i suoi indifesi residenti.
Al sicuro nei loro tunnel sotterranei, relativamente
pochi combattenti di “Hamas” sono stati uccisi, ma i civili di Gaza hanno
subito perdite devastanti, la maggior parte delle quali causate da bombe da
duemila libbre, quasi mai schierate prima contro obiettivi urbani.
Ampie porzioni di Gaza furono presto
trasformate in paesaggi lunari, con la distruzione di circa 100.000 edifici,
tra cui ospedali, chiese, moschee, scuole, università, uffici governativi,
panifici e tutte le altre infrastrutture necessarie al mantenimento della vita
civile.
Dopo
solo poche settimane, il” Financial Times” riferì che la distruzione inflitta a
gran parte di Gaza era già peggiore di quella subita dalle città tedesche dopo
anni di bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Anche
se Netanyahu era rigorosamente laico, ha fatto leva sulla sua base religiosa
dichiarando che i palestinesi erano la “tribù di Amalek”, che il Dio ebraico
aveva comandato di sterminare fino all'ultimo neonato.
Molti altri leader israeliani di alto livello
hanno espresso sentimenti genocidi molto simili, e alcuni dei soldati e dei
comandanti israeliani più zelantemente religiosi probabilmente hanno preso
queste dichiarazioni abbastanza alla lettera.
Questa
gigantesca sete di sangue si è ulteriormente infiammata quando il governo
israeliano e i suoi propagandisti sostenitori hanno iniziato a promuovere
oltraggiose bufale sulle atrocità di “Hamas”, come bambini israeliani
decapitati o arrostiti, mutilazioni sessuali e stupri di gruppo.
I
media globali, notoriamente filo-israeliani, hanno riportato credulamente queste
storie, usandole per distogliere l'attenzione dall'enorme massacro in corso di
civili palestinesi.
Per assicurarsi che la copertura rimanesse
unilaterale, gli israeliani hanno preso di mira i giornalisti indipendenti a
Gaza per ucciderli, uccidendone circa 140 negli ultimi mesi, una cifra grande
quanto il totale combinato di tutte le altre guerre del mondo negli ultimi
anni.
Con i
leader israeliani che dichiaravano di vincere con i loro piani di genocidio per
i loro nemici palestinesi e le loro truppe che commettevano il più grande
massacro televisivo di civili indifesi nella storia del mondo, le
organizzazioni internazionali sono state gradualmente sottoposte a gravi
pressioni per essere coinvolte nel conflitto in corso.
Alla
fine di dicembre, il “Sudafrica” ha presentato una memoria legale di 91 pagine
alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) accusando Israele di aver commesso
un genocidio.
Nel
giro di poche settimane i giuristi della Corte Internazionale di Giustizia
hanno emesso una serie di sentenze quasi unanimi a sostegno di tali accuse e
dichiarando che gli abitanti di Gaza erano a serio rischio di subire un
potenziale genocidio per mano di Israele, con lo stesso giudice nominato da
Israele, un ex presidente della Corte Suprema israeliana, che ha concordato
nella maggior parte di quei verdetti.
Ma
invece di fare marcia indietro, il governo di Netanyahu si è limitato a
raddoppiare gli attacchi contro Gaza, inasprendo il blocco delle spedizioni di
cibo e mettendo al bando l'organizzazione delle Nazioni Unite responsabile
della loro distribuzione, ritenendo che la fame insieme alle bombe e ai missili
sarebbero il mezzo più efficace per uccidere o scacciare tutti i palestinesi.
Negli
ultimi mesi ho discusso questi sfortunati sviluppi in una lunga serie di
articoli, con la maggior parte del materiale riassunto anche in un paio di
interviste con “Mike Whitney”:
Gazacaust: attribuire la colpa a chi le
appartiene;
Intervista
a Mike Whitney con Ron Unz:
Ron
Unz · La recensione di Unz • 5 febbraio 2024
Le
radici ebraiche della furia di Gaza Intervista di Mike Whitney con Ron Unz Ron
Unz • The Unz Review • 11 marzo 2024.
Nei
decenni passati, questi eventi terrificanti potrebbero essere passati
relativamente inosservati, con i guardiani in stragrande maggioranza
filo-israeliani dei nostri media mainstream che assicuravano che poca o nessuna
di queste informazioni angoscianti raggiungesse gli occhi o le orecchie degli
americani comuni.
Ma gli
sviluppi tecnologici hanno cambiato questo panorama mediatico e i video su
piattaforme social relativamente non censurate come “TikTok” e “Twitter di Elon
Musk” ora aggirano facilmente quel blocco.
Nonostante decenni di sofferenza e
oppressione, i palestinesi di Gaza erano un popolo completamente moderno, ben
equipaggiato con smartphone, e le scene che hanno filmato sono state condivise
in tutto il mondo, attirando rapidamente un vasto pubblico tra i giovani
americani che facevano affidamento sui social media come principale fonte di
notizie.
Per
generazioni, gli studenti universitari sono stati pesantemente indottrinati con
gli orrori dell'Olocausto, con l'incessante dilatazione che non dovevano mai
rimanere in silenzio mentre uomini, donne e bambini indifesi venivano
brutalmente attaccati e massacrati da crudeli oppressori.
Le immagini che ora vedevano di città
devastate e bambini morti o morenti sembravano esattamente uscite da un film, ma invece accadevano in tempo reale
nel mondo fisico.
Un
paio di anni prima, le amministrazioni “Trump” e “Biden” avevano entrambi
proclamato congiuntamente che il governo cinese era colpevole di
"genocidio" contro la minoranza uigura, nonostante non fossero
riusciti a fornire alcuna prova che un numero significativo di uiguri fosse
stato danneggiato, per non parlare di essere ucciso.
Quindi,
secondo questo standard, la distruzione totale di Gaza e il massacro di massa o
la fame deliberata della sua popolazione costituivano ovviamente un enorme
"genocidio", e nel giro di poche settimane gli attivisti studenteschi
di tutti i campus universitari avevano raccolto quel grido e avevano iniziato a
organizzare proteste pubbliche contro l'orrendo massacro che Israele stava
commettendo.
Tre
anni prima, un criminale di lunga data di nome George Floyd era morto per
overdose mentre era in custodia di polizia, e un unico video altamente
fuorviante dei suoi ultimi momenti aveva provocato la più grande ondata di
proteste pubbliche americane dagli anni '60.
Non
sorprende quindi che l'ampia diffusione di centinaia o migliaia di video che
mostrano bambini di Gaza morti e mutilati abbia ispirato un potente movimento
di protesta.
Ma
questa volta, invece di essere elogiati per il loro impegno umanitario, quegli
studenti – e gli amministratori universitari che hanno permesso le loro
proteste – sono stati ferocemente attaccati e puniti come ho descritto
all'epoca.
Con le
immagini grafiche dei quartieri devastati di Gaza e dei bambini palestinesi
morti così diffuse su Twitter e altri social media, i sondaggi hanno rivelato
che la maggioranza dei giovani americani ora è a favore di “Hamas e dei
palestinesi nella loro continua lotta con Israele”.
Si tratta di un'inversione scioccante rispetto
al punto di vista dei loro genitori, che era stato plasmato da generazioni di
materiale prevalentemente filo-israeliano trasmesso in televisione, film e
pubblicazioni stampate, e tali tendenze probabilmente continueranno ora che
Israele viene perseguito in tribunale.
Corte
internazionale di giustizia del Sudafrica e di altre 22 nazioni, accusate di
aver commesso un genocidio a Gaza.
Come
conseguenza di questi forti sentimenti giovanili, in molte delle nostre
università sono scoppiate manifestazioni anti-israeliane, che hanno indignato
numerosi donatori miliardari filo-israeliani.
Quasi immediatamente, alcuni di questi ultimi hanno
lanciato una dura campagna di ritorsione, con molti leader aziendali che
hanno dichiarato che avrebbero permanentemente inserito nella lista nera dalle
future opportunità di lavoro qualsiasi studente universitario che sostenesse
pubblicamente la causa palestinese, sottolineando queste minacce con una
diffusa campagna di "doxxing" ad Harvard e in altri paesi.
Collegio
d'élite.
Le
risposte di questi leader universitari hanno sottolineato il loro sostegno alla
libertà di parola politica, ma sono state ritenute così insoddisfacenti dai
donatori filo-israeliani e dai loro alleati dei media tradizionali che è stata
esercitata un'enorme pressione per rimuoverli.
Nel
giro di pochi giorni, la presidente della “Penn” e il “presidente del consiglio
che la sosteneva furono costretti a dimettersi”, e subito dopo il “primo
presidente nero di “Harvard” subì la stessa sorte”, quando gruppi filo-israeliani
pubblicarono prove del suo diffuso plagio accademico per cacciarla
dall'incarico.
Non
sono a conoscenza di nessun caso precedente in cui “il presidente di un college
americano d'élite” sia stato rimosso così rapidamente dall'incarico per ragioni
ideologiche e due esempi successivi nel giro di poche settimane sembrano uno
sviluppo assolutamente senza precedenti, con enormi implicazioni per la libertà
accademica.
In
effetti, gli israeliani hanno continuato a generare una valanga di contenuti
avvincenti per quei video.
Sciami
di attivisti israeliani bloccavano regolarmente il passaggio dei camion di cibo
e, nel giro di poche settimane, alti funzionari delle Nazioni Unite
dichiararono che più di un milione di abitanti di Gaza erano sull'orlo di una
carestia mortale.
Quando
gli abitanti di Gaza, disperati e affamati, invasero uno dei pochi convogli di
consegna di cibo autorizzati a passare, l'esercito israeliano sparò e uccise
più di 100 di loro nel "massacro della farina" e questo si ripeté in
seguito.
Tutte queste scene orribili di morte e fame
deliberata sono state trasmesse in tutto il mondo sui social media, con alcuni
dei peggiori esempi provenienti dai racconti di soldati israeliani gioiosi,
come il video del cadavere di un bambino palestinese mangiato da un cane
affamato.
Un'altra
immagine mostrava i resti di un prigioniero palestinese legato che era stato
schiacciato mentre era ancora vivo da un carro armato israeliano.
Secondo un'organizzazione europea per i
diritti umani, gli israeliani usavano regolarmente i bulldozer per seppellire
vivi un gran numero di palestinesi.
Funzionari
delle Nazioni Unite hanno riferito di aver trovato fosse comuni vicino a
diversi ospedali, con le vittime trovate legate e spogliate, fucilate in stile
esecuzione.
Come ha sottolineato il provocatore di Internet “Andrew
Anglin”, il comportamento degli ebrei israeliani non sembra semplicemente
malvagio ma "malvagio da cartone animato", con tutti i loro palesi
crimini che sembrano basati sulla sceneggiatura di qualche film di propaganda
esagerato ma invece realmente avvenuti nella vita reale.
Sebbene
il bilancio ufficiale delle vittime di Gaza riportato dai nostri media sia
rimasto relativamente costante nelle ultime settimane, si tratta quasi
certamente di un'illusione.
Durante
i primi mesi o due del massiccio attacco israeliano, il Ministero della sanità
pubblica di Gaza aveva mantenuto elenchi molto dettagliati dei morti, inclusi
nomi, età e codici identificativi delle vittime, e aveva regolarmente
rilasciato aggiornamenti del totale, quindi quei numeri sembravano
assolutamente solidi.
Ma
l'assalto israeliano ha presto preso di mira tutti gli uffici governativi e gli
ospedali di Gaza, e all'inizio di dicembre, gli stessi funzionari di Gaza
responsabili della catalogazione dei morti, quindi il conteggio tendeva
naturalmente a stagnare, anche se le condizioni peggioravano orribilmente per
la popolazione. abitanti di Gaza sopravvissuti.
Dopo
meno di tre mesi dal massacro israeliano, sono stati ufficialmente dichiarati morti circa 22.000 abitanti di Gaza,
ma ora, dopo più di sette mesi di fame e continui attacchi, inclusa la
distruzione di tutti gli ospedali e le strutture mediche di Gaza, secondo
quanto riportato dal conteggio ufficiale dei morti, nei nostri media sono
aumentati solo fino a circa 34.000, il che sembra altamente implausibile.
All'inizio
di marzo, l'icona progressista “Ralph Nader” ha concentrato l'attenzione su
questo punto, sottolineando che le vittime di Gaza sono sicuramente ampiamente
sottostimate, e ha ipotizzato che il numero reale dei morti potrebbe aver già
raggiunto i 200.000.
Anche
se quel totale mi sembrava piuttosto alto in quel momento, la cifra di Nader
sottolineava utilmente i numeri assurdamente bassi ampiamente citati dai media.
Un
recente articolo in prima pagina del “New York Times” ha riportato il tragico
caso di un particolare farmacista palestinese-americano che viveva nel New
Jersey, che aveva perso personalmente 200 parenti uccisi a Gaza, compresi i
suoi genitori e i suoi fratelli, e questo tipo di singolo dato suggerisce
l'entità del sotto conteggio dei media dopo sette mesi di orrore, con il “Prof.
Jeffrey Sachs” della Columbia che suggerisce la stessa cosa in una recente
intervista.
Anche
se stime solide sono impossibili, penso che un bilancio delle vittime civili di
100.000 o anche qualcosa di considerevolmente più alto sembri perfettamente
plausibile a questi dati.
Queste
tristi circostanze hanno naturalmente scatenato una continua ondata di protesta
studentesche pubbliche contro Israele per aver commesso questi crimini
mostruosi e contro la nostra stessa amministrazione” Biden” per avere permesso
con denaro e monete.
Il” Prof. John Mearsheimer” dell'Università di
Chicago è uno dei nostri accademici mainstream di più alto rango, uno studioso
molto sobrio della “Scuola Realista”, e in un'intervista della scorsa settimana
ha espresso poca sorpresa per queste domande.
Dopotutto, ha sottolineato, Israele era
ovviamente uno stato di apartheid che stava commettendo un genocidio davanti
agli occhi del mondo intero, quindi le proteste politiche nei campus
universitari erano solo prevedibili.
Nel
corso di questi ultimi mesi, i partigiani filo-israeliani hanno regolarmente
denunciato l'antisionismo dei loro oppositori come antisemita e hanno insistito
affinché fosse represso.
Già a
febbraio avevo notato le implicazioni ironiche della loro posizione.
Questa
è certamente una situazione strana, che merita un'attenta analisi e
spiegazione.
La
parola "antisemitismo" significa semplicemente criticare o non amare
gli ebrei, e negli ultimi anni i sostenitori di Israele hanno chiesto, con un
certo successo, che il termine fosse esteso anche all'antisionismo, vale a dire
all'ostilità verso lo Stato ebraico.
Ma
supponiamo di ammettere quest'ultimo punto e di essere d'accordo con gli
attivisti filo-israeliani che l'"antisionismo" è davvero una forma di
"antisemitismo".
Negli ultimi mesi, il governo israeliano ha
brutalmente massacrato decine di migliaia di civili indifesi a Gaza,
commettendo il più grande massacro televisivo nella storia del mondo, con i
suoi massimi leader che hanno usato un linguaggio esplicitamente genocida per
descrivere i loro piani per i palestinesi.
In effetti, il governo sudafricano ha
presentato una memoria legale di 91 pagine alla “Corte Internazionale di
Giustizia” che cataloga quelle dichiarazioni israeliane, provocando una
sentenza quasi unanime da parte dei giuristi secondo cui milioni di palestinesi
hanno affrontato la prospettiva di un genocidio per mano israeliana.
Al
giorno d'oggi la maggior parte degli occidentali afferma di considerare il
genocidio in una luce decisamente negativa.
Quindi
questo non richiede sillogisticamente che abbraccino e approvino
l'"antisemitismo"?
Sicuramente
un visitatore proveniente da Marte sarebbe molto perplesso da questo strano
dilemma e dalle contorsioni filosofiche e psicologiche che sembra richiedere.
È
piuttosto sorprendente che le élite dominanti estremamente "politicamente
corrette" degli Stati Uniti e del resto del mondo occidentale facciano il
tifo per lo Stato di Israele, razzialmente esclusivista, anche se uccide un
numero enorme di donne e bambini e lavora molto duramente per far fronte morire
di fame circa due milioni di civili nella sua furia genocida senza precedenti.
Dopo
tutto, il regime molto più mite e circospetto del Sudafrica dell'apartheid è
stato universalmente condannato, boicottato e sanzionato solo per la più
piccola scheggia di tali misfatti.
Un
importante punto di svolta potrebbe essere arrivato il 17 aprile, quando il
presidente della “Columbia University, “Minouche Shafik,” lei stessa di origini
egiziane, è stata messa sotto accusa da” una commissione del Congresso USA” per
aver permesso proteste anti-israeliane nel suo campus.
I suoi interrogatori hanno affermato che si
trattava di atti "antisemiti" e che alcuni studenti ebrei della
Columbia si sono "sentiti insicuri", una situazione terribile che
apparentemente ha avuto la meglio sia sulla libertà di parola che sulla libertà
accademica.
“Shafiq”
poteva essere d'accordo o meno con queste argomentazioni, ma sicuramente
ricordava che solo pochi mesi prima le sue controparti di “Harvard” e “Penn”
erano state entrambe sommariamente epurate per aver dato risposte sbagliate, e
lei non voleva condividere il loro destino.
Così ha promesso fermamente di sradicare tutto
l'antisemitismo pubblico nella sua università e subito dopo 100 poliziotti
antisommossa di New York con l'elmetto sono stati invitati nel campus per
schiacciare le manifestazioni e arrestare i manifestanti, per lo più
accusandoli di "violazione di domicilio", un'accusa piuttosto strana
dato che erano studenti iscritti nel loro stesso campus.
Questo
tipo di dura e immediata repressione poliziesca sembra quasi senza precedenti
nella storia moderna delle proteste politiche universitarie.
Negli
anni '60, ci furono alcuni casi sparsi di polizia chiamati per arrestare
manifestanti militanti che avevano occupato uffici amministrativi ad “Harvard”,
sfilato con armi da fuoco a “Cornell” o bruciato un edificio del campus di “Stanford”.
Ma non
ho mai sentito parlare di manifestanti politici pacifici arrestati sul terreno
del loro stesso collegio solo per il contenuto del loro discorso politico.
Anche
se la repressione alla “Columbia” richiesta da quei membri del Congresso USA era
ovviamente intesa a sedare le proteste nei campus americani, era prevedibile
che avesse l'effetto opposto.
Scene di corpulenti poliziotti antisommossa con
l'elmetto che arrestano pacifici studenti universitari nel loro stesso campus
sono diventate virali sui social media, ispirando un'ondata di proteste simili
in numerose altre università in tutta la nazione, con arresti di polizia che
sono seguiti rapidamente nella maggior parte delle località.
Questo risulta secondo gli ultimi calcoli.
Le
azioni della polizia di stato della “Georgia” alla” Emory University” sembrano
particolarmente oltraggiose, e un tweet contenente una clip di uno di questi
incidenti è già stato visualizzato circa 1,5 milioni di volte.
Una
professoressa di ruolo di 57 anni di Economia di nome “Carolyn Frohlin” era
preoccupata nel vedere uno dei suoi studenti che veniva trascinato sul
marciapiede e camminava verso di lei solo per ritrovarsi brutalmente gettata a
terra, legata e arrestata da un paio di agenti massicci guidati da un sergente,
cosa che ha completamente scioccato il conduttore della CNN “Jim Acosta” quando
l'ha riportato.
Scene
ancora peggiori si sono verificate all' “UCLA”, quando un accampamento di
manifestanti pacifici è stato violentemente attaccato e picchiato da una folla
di teppisti filo-israeliani che non avevano alcun legame con l'università ma
armati di barre, mazze e fuochi d'artificio, provocando alcuni gravi feriti.
Un
professore di storia ha descritto la sua indignazione quando la polizia sulla
scena è rimasta a guardare e non ha fatto nulla mentre gli studenti dell'UCLA
venivano attaccati da estranei, quindi ha arrestato circa 200 dei primi.
Secondo i giornalisti locali, la folla
violenta era stata organizzata e pagata dal miliardario filo-israeliano “Bill
Ackman”.
Non ho
mai sentito parlare di nessun caso americano in cui a folle organizzate di
delinquenti esterni sia stato permesso di assalire violentemente studenti
pacifici manifestanti nel loro stesso campus, qualcosa che ricorda molto più le
turbolente dittature latinoamericane che la storia del nostro paese.
L'esempio
più vicino che mi viene in mente potrebbe essere il famigerato "Hard Hat Riot"
del 1970 a New York City, in cui centinaia di operai edili pro-Nixon si scontrarono
con un numero simile di manifestanti contro la guerra nelle strade di” Lower
Manhattan”, un incidente così famigerato che ha una propria ampia pagina
Wikipedia.
Tuttavia,
può esistere un'analogia un po' diversa ma molto più vicina e recente. Dopo che” Donald Trump” ha lanciato
la sua campagna presidenziale di inaspettato successo, i relatori di destra “pro-Trump”
invitati nei campus universitari sono stati regolarmente molestati e aggrediti
insieme al loro pubblico da “gruppi di violenti antifa”, molti dei quali
apparentemente reclutati e pagati per lo scopo.
Questa
sorta di "deplatforming" molto fisico aveva lo scopo di garantire che
le loro idee minacciose non raggiungessero mai studenti universitari
impressionabili e, di conseguenza, i conservatori iniziarono presto a
organizzare propri gruppi come i “Proud Boys” volti a fornire protezione fisica.
Violenti scontri si sono verificati a “Berkeley”
e in alcuni altri college, mentre simili rivolte antifasciste a Washington
avevano interrotto l'insediamento di Trump.
Da quello che ricordo, la maggior parte degli
organizzatori e dei finanziatori di questi “violenti gruppi antifa” sembravano ebrei, quindi non
sorprende che altri leader ebrei abbiano ora iniziato a impiegare tattiche
molto simili per reprimere diversi movimenti politici che considerano
sgradevoli.
Alcuni anni fa un ex alto funzionario dell'”AIPAC “una
volta si vantò con un giornalista amico che se avesse scritto qualcosa su un
semplice tovagliolo, entro 24 ore avrebbe potuto ottenere le firme di 70
senatori per appoggiarlo, e il potere politico dell'”ADL” è altrettanto
formidabile.
Pertanto,
non sorprende che la scorsa settimana, una schiacciante maggioranza bipartisan
di 320-91 alla Camera abbia approvato un disegno di legge che amplia il significato di”
antisionismo e antisemitismo” nelle politiche antidiscriminatorie del
Dipartimento dell'Istruzione, codificando le definizioni utilizzate nel nostro
documento sui diritti civili.
Leggi
per classificare quelle idee come discriminatorie.
Anche
se non ho provato a leggere il testo, l'ovvio intento è quello di costringere i
college a cancellare attività nocive come le proteste anti-israeliane dalla
comunità del campus o affrontare la perdita di fondi federali.
Questo rappresenta un attacco sorprendente
contro la tradizionale libertà di parola e di pensiero dell'America, così come
la libertà accademica, e può anche servire a esercitare un'enorme pressione su
altre organizzazioni private affinché adottino politiche simili.
In una svolta particolarmente ironica, la
definizione di antisemitismo usata nel disegno di legge copre chiaramente parti
della Bibbia cristiana, così i legislatori repubblicani ignoranti e compromessi
hanno ora approvato con tutto il cuore la messa al bando della Bibbia in un
paese in cui il 95% della popolazione ha radici cristiane.
Anche
se dubito che qualsiasi arresto di questo tipo possa verificarsi o resistere a
una sfida legale, una volta che le idee controverse saranno sempre più bandite
da tutti i luoghi rispettabili, gran parte del pubblico, forse anche alcuni
confusi funzionari delle forze dell'ordine, potrebbe vagamente iniziare a
presumere che siano effettivamente diventati illegali.
Detto
in termini semplici, "antisemitismo" è l'avversione o la critica nei
confronti degli ebrei e "antisionismo" è la stessa cosa nei confronti
dello Stato di Israele.
Quindi
“vietare potenzialmente qualsiasi critica agli ebrei o a Israele”
rappresenterebbe sicuramente uno sviluppo legale notevole nella nostra società.
Questa
massiccia repressione di ogni opposizione politica al sionismo attraverso un
mix di mezzi legali, quasi legali e illegali non è sfuggita all'attenzione di
vari critici indignati.
“Max Blumenthal” e “Aaron Mate” sono
giovani progressisti ebrei molto critici nei confronti di Israele e del suo
attuale attacco a Gaza, e nel loro ultimo video in “live streaming”, un giorno
o due prima del voto del Congresso, concordavano sul fatto che i sionisti
rappresentavano la più grande minaccia alla libertà americana e che il nostro
Paese era "sotto occupazione politica" da parte della lobby
israeliana".
Potrebbero
essere o meno consapevoli del fatto che la loro rabbiosa denuncia era
strettamente parallela a una delle più famose frasi di estrema destra
dell'ultimo mezzo secolo, che condannava l'attuale sistema politico americano
come niente più che ZOG, un "governo di occupazione sionista".
Nel corso del tempo, la realtà fattuale ovvia
diventa gradualmente evidente indipendentemente dalle predisposizioni
ideologiche.
Anche
se è difficile esserne certi, personalmente penso che l'approvazione di quel
controverso disegno di legge della Camera possa essere stato un grave errore
strategico per le forze filo-israeliane, l'ADL e gli altri gruppi ebraici che
lo sostengono.
Gli
ebrei costituiscono solo circa il 2% della popolazione americana e nel corso
delle ultime generazioni molte delle loro organizzazioni sembrano aver
intrapreso una campagna di grande successo per ottenere il controllo sui nodi
chiave della nostra società, ma questo ha sempre richiesto che la loro forza
crescente e l'influenza rimanevano invisibili.
Tuttavia, il sostegno politico americano al
massacro israeliano dei palestinesi ha aumentato la consapevolezza di alcuni
elementi della nostra popolazione e questo tentativo legislativo di mettere
essenzialmente fuori legge le critiche agli ebrei e Israele potrebbe avere un
impatto simile.
Opinioni
che in precedenza circolavano solo nei circoli estremi possono ora iniziare a
guadagnare una trazione molto maggiore.
Ad
esempio, il fumettista” Scott Adams” è diventato un commentatore popolare nei “circoli
conservatori e anti-Woke” e ha appena rilasciato una feroce denuncia della
proposta di legge in cui non sembrava diverso da figure molto più estreme.
Durante
i primi decenni del XX secolo l'enorme impero russo era composto solo per il 4%
da ebrei, ma dopo che i bolscevichi pesantemente ebrei presero il potere, la
massima leadership politica di quel paese divenne prevalentemente di
quell'etnia.
Questa
enorme, palese discrepanza tra governati e governanti provocò naturalmente una
grande ostilità nell'opinione pubblica, e i bolscevichi risposero a questo
problema mettendo fuori legge l'antisemitismo, con la pena che a volte includeva
anche l'esecuzione sommaria.
Dal
momento che i gruppi ebraici americani non possiedono un potere amministrativo
così estremo, sono stati costretti a fare affidamento sull'occultamento e sulla
manipolazione politica per raggiungere i loro fini, e potrebbero aver esagerato
gravemente con l'ultimo sforzo legislativo volto a mettere al bando la critica.
Sempre
più persone potrebbero iniziare a prestare maggiore attenzione alle decisioni
politiche apparentemente inspiegabili prese da tanti dei nostri funzionari
eletti, notando allo stesso tempo l'insolita composizione dei vertici del
nostro governo.
Su
quest'ultimo punto, uno dei miei articoli del 2023 ha sottolineato l'ovvio.
Consideriamo,
ad esempio, le figure di spicco dell'attuale amministrazione Biden, che stanno
svolgendo un ruolo cruciale nel determinare il futuro del nostro Paese e del
resto del mondo.
L'elenco
dei dipartimenti del Gabinetto è proliferato selvaggiamente dai tempi di
Washington, ma supponiamo di limitare la nostra attenzione alla mezza dozzina
di dipartimenti più importanti, guidati da individui che controllano la
sicurezza nazionale e l'economia, e poi aggiungere anche i nomi del Presidente,
del Vice Presidente, capo di stato maggiore e consigliere per la sicurezza
nazionale.
Sebbene
la "diversità" sia diventata il motto sacro del Partito Democratico,
il background dei pochi individui che governano il nostro Paese appare
sorprendentemente non diversificato, soprattutto se escludiamo le due figure
politiche al vertice.
Presidente
Joe Biden (suoceri ebrei);
Vicepresidente
Kamala Harris (coniuge ebreo);
Capo
dello staff Jeff Zients (ebreo), in sostituzione di Ron Klain (ebreo, Harvard);
Segretario
di Stato Antony Blinken (ebreo, Harvard);
Segretario
del Tesoro Janet Yellen (ebrea, Yale);
Segretario
alla Difesa Lloyd Austin III (nero).
Procuratore
generale Merrick Garland (ebreo, Harvard);
Consigliere
per la sicurezza nazionale Jake Sullivan (White Gentile, Yale).
Direttore
dell'intelligence nazionale Avril Haines (ebrea);
Segretario
per la Sicurezza Interna Alejandro Mayorkas (ebreo);
Stranamente,
mentre l'attuale situazione politica dell'America potrebbe aver allarmato
alcuni personaggi importanti della prima metà del secolo scorso, probabilmente
non li avrebbe sorpresi.
Cinque o sei anni fa ho letto un libro
affascinante del “Prof. Joseph Bendersky”, uno storico accademico specializzato
in Studi sull'Olocausto e sulla storia della Germania nazista.
Scrissi
all'epoca.
Bendersky ha dedicato dieci anni interi di
ricerca al suo libro, esaminando in modo esauriente gli archivi
dell'intelligence militare americana, nonché i documenti personali e la
corrispondenza di oltre 100 alti funzionari militari e ufficiali
dell'intelligence.
La "minaccia ebraica" si estende su
oltre 500 pagine, comprese circa 1.350 note a piè di pagina, con le sole fonti
d'archivio elencate che occupano sette pagine intere.
Il suo sottotitolo è "La politica
antisemita dell'esercito americano" e sostiene in modo estremamente
convincente che durante la prima metà del ventesimo secolo e anche dopo, i
vertici delle forze armate statunitensi e soprattutto dell'intelligence
militare sottoscrissero pesantemente nozioni che oggi verrebbero universalmente
liquidate come "teorie del complotto antisemita".
In
parole povere, i leader militari statunitensi in quei decenni credevano
ampiamente che il mondo dovesse affrontare una minaccia diretta da parte
dell'ebraismo organizzato, che aveva preso il controllo della Russia e allo
stesso modo cercava di sovvertire e ottenere il controllo sull'America e sul
resto della civiltà occidentale.
Sebbene
le affermazioni di “Bendersky” siano certamente straordinarie, egli fornisce
un'enorme ricchezza di dimostrarsi convincenti a loro sostegno, citando o
riassumendo migliaia di file di intelligence declassificati, e sostenendo
ulteriormente la sua tesi attingendo alla corrispondenza personale di molti
degli ufficiali coinvolti.
Egli dimostra in modo conclusivo che durante gli
stessi anni in cui “Henry Ford” pubblicò la sua controversa serie “The
International Jew”, idee simili, ma con un taglio molto più tagliente, erano
onnipresenti all'interno della nostra comunità di intelligence.
Infatti,
mentre “Ford” si concentrava principalmente sulla disonestà, il malaffare e la
corruzione degli ebrei, i nostri professionisti dell'intelligence militare
vedevano l'ebraismo organizzato come una minaccia mortale per la società
americana e la civiltà occidentale in generale.
Da qui il titolo del libro di “Bendersky”.
Facciamo
un passo indietro e collochiamo le scoperte di “Bendersky” nel loro giusto
contesto.
Dobbiamo riconoscere che durante gran parte
del periodo coperto dalla sua ricerca, l'intelligence militare statunitense
costituiva quasi la totalità dell'apparato di sicurezza nazionale americano -
essendo l'equivalente di CIA, NSA e FBI combinati - ed era responsabile sia
della sicurezza internazionale che interna, sebbene quest'ultimo portafoglio
fosse stato gradualmente assunto dall'organizzazione in espansione di “J. Edgar
Hoover “entro la fine degli anni '20.
Gli
anni di diligente ricerca di “Bendersky” dimostrano che per decenni questi
professionisti esperti – e molti dei loro generali in comando – erano
fermamente convinti che i principali elementi della comunità ebraica
organizzata stessero complottando spietatamente per prendere il potere in
America, distruggere tutte le nostre tradizionali libertà costituzionali e,
infine, acquisire il controllo del mondo intero.
Non ho
mai creduto all'esistenza degli UFO come veicoli spaziali alieni, respingendo
sempre tali nozioni come ridicole sciocchezze.
Ma
supponiamo che documenti governativi declassificati rivelassero che per decenni
quasi tutti i nostri alti ufficiali dell'aeronautica erano stati assolutamente
convinti della realtà degli UFO.
Potevo
continuare nel mio spensierato rifiuto anche solo di prendere in considerazione
tali possibilità?
Per lo
meno, quelle rivelazioni mi costringerebbero a rivalutare drasticamente la
probabile credibilità di altri individui che avevano fatto affermazioni simili
durante quello stesso periodo.
Questi
punti di vista sono stati pienamente articolati anche nei libri e nelle memorie
successive di eminenti ex ufficiali dell'intelligence militare come il “Prof.
John Beaty” e il “Prof. Revilo Oliver”.
(American
Pravda: I segreti dell'intelligence militare Ron Unz •Recensione di The Unz• 10
giugno 2019).
Quando ci troviamo di fronte a un governo
guidato da individui che sembrano avere poca indipendenza politica, vale la
pena speculare sui mezzi con cui questi governanti nominali sono controllati.
Diversi
anni fa ho discusso alcune forti indicazioni di questi possibili metodi, forse
spiegando alcune delle strane decisioni politiche o dei bizzarri capovolgimenti
che altrimenti potrebbero sembrare così sconcertanti.
Oggi,
se consideriamo i principali paesi del mondo, vediamo che in molti casi i
leader ufficiali sono anche i leader reali:
Vladimir
Putin comanda in Russia, Xi Jinping e i suoi massimi colleghi del Politburo
fanno lo stesso in Cina, e così via.
Tuttavia, in America e in alcuni altri paesi
occidentali, questo sembra essere sempre meno vero, con le figure nazionali più
importanti che sono semplicemente attraenti uomini di facciata selezionati per
il loro fascino popolare e la loro malleabilità politica, uno sviluppo che
potrebbe alla fine avere conseguenze disastrose per le nazioni che guidano.
Come esempio estremo, un “Boris Eltsin ubriaco”
permise liberamente il saccheggio dell'intera ricchezza nazionale della Russia
da parte di un pugno di oligarchi che tiravano le fila, e il risultato fu il
totale impoverimento del popolo russo e un collasso demografico quasi senza
precedenti nella storia moderna del tempo di pace.
Un
problema evidente con l'installazione di governanti fantoccio è il rischio che
essi tentino di tagliarne i fili, proprio come Putin ha presto sconfitto ed
esiliato il suo protettore oligarca “Boris Berezovsky.”
Un modo per ridurre al minimo tale rischio è
selezionare burattini che sono così profondamente compromessi da non riuscire
mai a liberarsi, sapendo che le accuse politiche di autodistruzione sepolte nel
profondo del loro passato potrebbero facilmente essere innescate se cercassero
l'indipendenza.
A
volte ho scherzato con i miei amici dicendo che forse la migliore mossa di carriera
per un giovane politico ambizioso sarebbe quella di commettere segretamente
qualche crimine mostruoso e poi assicurarsi che le prove concrete della sua
colpevolezza finissero nelle mani di certe persone potenti, assicurando così la
sua sicurezza. E anche una rapida ascesa politica.
“Pravda
americana: John McCain, Jeffrey Epstein e Pizzagate Ron Unz · La recensione di
Unz • 29 luglio 2019)
Americani
sempre più attenti si stanno rendendo conto che su tante questioni importanti i
nostri due principali partiti politici spesso sembrano più ali separate di
un'unica entità politica, a volte etichettata come "uni partito". Ho
discusso di questo fenomeno inquietante nei paragrafi conclusivi del mio
articolo originale sulla Pravda americana.
La
maggior parte degli americani che hanno eletto “Barack Obama nel 2008” hanno
inteso il loro voto come un ripudio totale delle politiche e del personale
della precedente amministrazione di “George W. Bush”.
Eppure,
una volta in carica, le scelte cruciali di Obama – Robert Gates alla Difesa, Timothy
Geither al Tesoro, e Ben Bernanke alla Federal Reserve – erano tutti alti funzionari di Bush,
e hanno continuato senza soluzione di continuità gli impopolari salvataggi
finanziari e le guerre all'estero iniziate dal suo predecessore, producendo
quello che equivaleva a un terzo mandato di Bush.
Consideriamo
l'affascinante prospettiva del recentemente scomparso “Boris Berezovsky”, un
tempo il più potente degli oligarchi russi e burattinaio dietro il presidente
Boris Eltsin alla fine degli anni '90.
Dopo
aver saccheggiato miliardi di ricchezza nazionale e aver elevato Vladimir Putin
alla presidenza, ha esagerato e alla fine è andato in esilio.
Secondo il “New York Times”, aveva pianificato di
trasformare la Russia in un falso stato bipartitico – uno socialdemocratico e l'altro
neoconservatore – in cui accese battaglie pubbliche sarebbero state combattute su
questioni simboliche e controverse, mentre dietro le quinte entrambi i partiti
avrebbero combattuto.
Ma erano
effettivamente controllati dalle stesse élite dominanti.
Con la
cittadinanza così permanentemente divisa e l'insoddisfazione popolare
incanalata in modo sicuro in vicoli ciechi senza senso, i governanti russi
potevano mantenere ricchezza e potere illimitati per sé stessi, con poche
minacce al loro regno.
Considerando
la storia americana degli ultimi vent'anni, forse possiamo indovinare da dove “Berezovsky”
abbia tratto l'idea di un progetto politico così intelligente.
Diversi
mesi fa, un giovane militare di nome “Aaron Bushnell”, proveniente da un
ambiente fortemente cristiano, divenne così sconvolto dal coinvolgimento attivo
del suo paese in quello che considerava il crimine supremo di genocidio, che si
diede fuoco e morì come atto di protesta, un evento certamente senza precedenti
nella storia americana e straordinariamente raro nel resto del mondo.
Sebbene
la storia sia rapidamente scomparsa dai nostri media, la copertura sui social
media globali è stata enorme e potrebbe avere conseguenze durature.
Dopo
aver discusso di quel tragico incidente, ho continuato a suggerire che il terribile destino dei palestinesi
di Gaza potrebbe alla fine essere visto come se avesse giocato un ruolo simile, permettendo improvvisamente sia
agli americani che al resto della popolazione mondiale di intravedere i
governanti a lungo nascosti del nostro paese.
Per
ragioni simili, penso che le decine di migliaia di abitanti di Gaza morti non hanno perso
la vita invano.
Invece, il loro martirio ha dominato i media
globali negli ultimi cinque mesi, rivelando definitivamente al mondo intero il
fallimento morale del sistema internazionale che li aveva condannati al loro
destino.
Probabilmente
centinaia di milioni di persone in tutto il mondo hanno iniziato a porsi
domande che prima non avrebbero mai preso in considerazione.
Ho il
sospetto che le responsabilità della distruzione di Gaza possano rimpiangere il
giorno in cui hanno contribuito ad aprire porte che alla fine vorrebbero essere
tenute ben chiuse.
Che i
leader israeliani vengano
arrestati
per crimini di guerra.
Globalreseartch.ca - Gideon Levy – (06 maggio
2024) – ci dice:
(Opinione
di “Haaretz”)
Tutti
gli israeliani onesti devono porsi le seguenti domande: il loro paese sta
commettendo crimini di guerra a Gaza?
In
caso affermativo, come dovrebbero essere fermati?
Come
dovrebbero essere puniti i colpevoli? Chi può punirli? È ragionevole che i
crimini non vengano perseguiti e che i criminali vengano scagionati?
Si
può, naturalmente, rispondere negativamente alla prima domanda – Israele non
sta commettendo alcun crimine di guerra a Gaza – rendendo così superfluo il
resto delle domande.
Ma
come si può rispondere negativamente di fronte ai fatti e alla situazione a
Gaza:
circa
35.000 persone uccise e altre 10.000 disperse, circa due terzi delle quali
civili innocenti, secondo le Forze di Difesa Israeliane;
Tra i
morti ci sono circa 13.000 bambini, quasi 400 operatori sanitari e più di 200
giornalisti; Il 70 per cento delle case è stato distrutto o danneggiato;
il 30
per cento dei bambini soffre di malnutrizione acuta;
Due
persone su 10.000 muoiono ogni giorno di fame e malattie. (Tutti i dati provengono dalle
Nazioni Unite e dalle organizzazioni internazionali.)
Medio
Oriente: piromani gridano "Fuoco".
È
possibile che queste orribili figure siano nate senza aver commesso crimini di
guerra?
Ci
sono guerre la cui causa è giusta e i cui mezzi sono criminali;
La
giustizia della guerra non giustifica i suoi crimini.
Uccisioni
e distruzioni, fame e sfollamenti di questa portata non sarebbero potuti
avvenire senza la commissione di crimini di guerra.
Gli
individui ne sono responsabili e devono essere assicurati alla giustizia.
L' “hasbara
israeliana, o diplomazia pubblica, non cerca di negare la realtà di Gaza.
Fa solo l'accusa di antisemitismo: perché
prendersela con noi?
E il
Sudan e lo Yemen?
La
logica non regge:
un
automobilista che viene fermato per eccesso di velocità non se la caverà
sostenendo di non essere l'unico.
I crimini e i criminali rimangono.
Israele non perseguirà mai nessuno per questi
reati.
Non
l'ha mai fatto, né per le sue guerre né per la sua occupazione.
In una
buona giornata, perseguirà un soldato che ha rubato la carta di credito di un
palestinese.
Ma il
senso umano della giustizia vuole che i criminali siano assicurati alla
giustizia e che gli venga impedito di commettere crimini in futuro.
In base a questa logica, possiamo solo sperare
che il Tribunale penale internazionale dell'Aia faccia il suo lavoro.
Ogni
patriota israeliano e chiunque abbia a cuore il bene dello Stato dovrebbe
desiderare questo.
Questo
è l'unico modo in cui lo standard morale di Israele, secondo il quale gli è
permesso tutto, cambierà.
Non è
facile sperare nell'arresto dei capi del vostro Stato e del vostro esercito, e
ancora più difficile ammetterlo pubblicamente, ma c'è un altro modo per
fermarli?
Le
uccisioni e le distruzioni a Gaza hanno messo Israele in una situazione molto
più alta.
È la peggiore catastrofe che lo Stato abbia
mai affrontato.
Qualcuno
l'ha portata lì, no, non l'antisemitismo, ma piuttosto i suoi leader e
ufficiali militari.
Se non
fosse stato per loro, non si sarebbe trasformato così rapidamente dopo il 7
ottobre da un paese amato che ispirava compassione in uno stato” paria”.
Qualcuno
deve essere processato per questo.
Proprio
come molti israeliani vogliono che “Benjamin Netanyahu” sia punito per la
corruzione di cui è accusato, così dovrebbero desiderare che lui e i
responsabili a lui subordinati siano puniti per crimini molto più gravi, i
crimini di Gaza.
Non si
può permettere che rimangano impuniti.
Né è
possibile incolpare solo” Hamas”, anche se ha un ruolo nei crimini.
Noi
siamo quelli che hanno ucciso, affamato, sfollato e distrutto su scala così
massiccia. Qualcuno deve essere assicurato alla giustizia per questo.
“Netanyahu”
è il capo, ovviamente.
L'immagine di lui imprigionato all'Aia insieme
al ministro della difesa e al capo di stato maggiore dell'IDF è un incubo per
ogni israeliano.
Eppure,
probabilmente è giustificato.
Tuttavia,
è altamente improbabile.
Le
pressioni esercitate sulla corte da Israele e dagli Stati Uniti sono enormi (e
sbagliate).
Ma le
tattiche intimidatorie possono essere importanti.
Se i
funzionari si asterranno dal viaggiare all'estero nei prossimi anni, se
vivranno davvero nella paura di ciò che potrebbe accadere, possiamo essere
certi che nella prossima guerra ci penseranno due volte prima di inviare i
militari in campagne di morte e distruzione di proporzioni così folli.
Possiamo trovare un po' di conforto in questo,
almeno.
Come
la crisi umanitaria e della fame
potrebbe
essere molto peggiore
di
quanto comunemente affermato.
Globalresearch.ca
- Bharat Dogra – (06 maggio 2024) – ci dice:
Diversi
sforzi di primo piano hanno dato un contributo molto importante per attirare
l'attenzione sulle gravi situazioni di fame e di crisi umanitaria in varie
parti del mondo.
Meritano
i nostri ringraziamenti e apprezzamenti.
Ciononostante, ci sono ragioni per cui questi sforzi
possono sottovalutare la tragedia altamente angosciante della fame estrema e
delle crisi umanitarie in alcuni contesti importanti.
In
particolare, è importante sottolineare che le statistiche dei decessi causati
in varie situazioni di estremo disagio non sono chiaramente menzionate.
Tuttavia,
sono questi dati i più importanti per mobilitare l'opinione pubblica sul tema
più importante della fame e delle crisi umanitarie.
L'Ufficio
delle Nazioni Unite per il “Coordinamento degli Affari Umanitari” (OCHA) ci
dice nel suo recente rapporto sulla crisi umanitaria che il deperimento
minaccia la vita di 45 milioni di bambini sotto i cinque anni di età.
Altri
13,6 milioni di questi bambini sono stati colpiti da deperimento estremo e
hanno affrontato un "rischio imminente di morte".
Ci
dice anche che a causa della carenza di fondi nel 2023 non è stato possibile
raggiungere la maggior parte delle persone e dei bambini bisognosi per chiedere
aiuto.
Quindi,
se oltre 13 milioni di bambini erano in condizioni di estremo deperimento ed
erano a rischio di morte imminente e per la maggior parte di questi l'aiuto non
poteva arrivare, allora è della massima importanza conoscere il destino di
questi bambini.
Un
numero significativo di questi bambini, che i soccorsi non potevano
raggiungere, è morto?
Dai
recenti rapporti dell'“OCHA” sappiamo che negli ultimi tre anni circa 250-300 milioni di persone sono rimaste
intrappolate in situazioni di crisi umanitaria e quindi hanno avuto bisogno di
assistenza umanitaria.
Ci è
stato anche detto che l'aiuto umanitario non ha potuto raggiungere la maggior
parte di questi a causa dei limiti di fondi e dei fattori correlati.
Come
risultato di questo fallimento, quanti di questi perirono?
Non
siamo informati di questo.
Al contrario, i rapporti si spostano sulle
stime di coloro che si troveranno in una situazione di crisi simile l'anno
prossimo, senza affrontare in dettaglio ciò che è accaduto l'anno scorso, quando oltre la metà dei circa 250
milioni di persone intrappolate nella crisi umanitaria non ha potuto ricevere
aiuti urgenti.
Allo
stesso modo, il “Rapporto globale sulla crisi alimentare del 2022” ci ha detto
nel 2022 che 40 milioni di persone nel 2021 erano in emergenza o in peggiore
situazione di insicurezza alimentare nel 2021 in 36 paesi.
Che
fine hanno fatto? Quanti di loro hanno ricevuto un aiuto tempestivo?
Quanti
sono morti a causa della fame estrema?
Non ci
vengono fornite le informazioni più importanti al riguardo. Invece, nella
versione riveduta a medio termine di questo rapporto pubblicata nel settembre
2023, ci viene semplicemente detto che ora 33,6 milioni di persone si trovano
in una situazione di emergenza o peggio.
Naturalmente,
più in generale, a livello mondiale sappiamo che in un anno circa 9 milioni di
decessi sono attribuiti alla fame, alla denutrizione e a cause correlate, di
cui quasi 2,5 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni, secondo i
dati dell'”ONU”.
Il
capo del Programma alimentare mondiale (WFP), “David Beasley, ha dichiarato al
vertice sui sistemi alimentari a New York il 23 settembre 2021, che 9 milioni
di persone muoiono di fame in un anno, mentre al culmine del Covid il
patrimonio netto dei miliardari aumentava al ritmo di 5,2 miliardi di dollari
al giorno.
Allo
stesso tempo, ha affermato, 24.000 persone morivano di fame al giorno.
L'OMS
ha osservato che mentre la mortalità infantile sotto i 5 anni è diminuita
significativamente dopo il 1990, purtroppo tali guadagni si sono fermati in
modo significativo dopo il 2010.
Mentre
la dichiarazione del capo del” WFP” è di per sé una manifestazione scioccante
delle ingiustizie e delle disuguaglianze del nostro mondo, abbiamo anche
bisogno di informazioni più chiare sulle morti che avvengono in vari luoghi a
causa della fame e delle crisi umanitarie.
Inoltre,
abbiamo bisogno di maggiori dettagli da una parte più ampia del mondo per
quanto riguarda la situazione della crisi umanitaria e della fame, mentre le
relazioni al momento tendono a concentrarsi sempre di più sull'evidenziare la
situazione principalmente di una ventina di paesi più colpiti.
Se si
dispone di un quadro più completo per una parte più ampia del mondo e se si
possono ottenere stime affidabili delle morti causate dalle crisi umanitarie e
della fame, allora è molto probabile che le crisi umanitarie e della fame si
riveleranno ancora più tragiche, anzi molto più tragiche, di quanto comunemente
si creda.
Una
corretta comprensione della portata e della gravità di queste tragedie
aumenterà le possibilità di una maggiore mobilitazione pubblica e di un'azione
in relazione a questo, che è il vero obiettivo.
(Bharat
Dogra è Coordinatore Onorario della Campagna per Salvare la Terra Ora)
L'armatura
della NATO finalmente
raggiunge
Mosca ancora una volta,
altre
fiamme sul campo di battaglia.
Globalresearch.ca - Drago Bosnic - (6 maggio 2024) – ci dice:
Il 22
giugno di quest'anno ricorrerà l'83° anniversario del "Barbarossa",
quando la Germania nazista e i suoi vassalli e stati satelliti lanciarono
quella che ancora oggi è considerata la più grande operazione offensiva nella
storia della guerra.
Sebbene
abbia ottenuto una serie di successi, raggiungendo anche la periferia di Mosca,
Berlino alla fine non è riuscita a conquistare la città più importante della
Russia.
Dove
la Wehrmacht armata fallì, una sua versione disarmata ebbe "molto più
successo" solo tre anni dopo, quando circa 60.000 soldati tedeschi
"marciarono" su Mosca.
Ovviamente, il loro ruolo nella parata della
vittoria è stato nettamente diverso da quello che avevano sperato.
Un
anno dopo, l'Armata Rossa entrò a Berlino, ponendo fine al "Reich
millenario" appena dodici anni dopo la sua fondazione.
Ci si aspetterebbe che i nazisti abbiano
imparato la lezione.
Tuttavia,
tali considerazioni si sono rivelate troppo ottimistiche.
Infatti,
proprio l'anno scorso, l'allora ministro della Difesa del regime di Kiev “Oleksii
Reznikov” annunciò pomposamente la consegna del "Leopard 2" alle
forze della giunta neonazista, ispezionando il carro armato tedesco e chiedendo
persino in quale direzione si trovasse Mosca.
E
infatti, proprio come i "grandi felini" (in particolare
"Tigri" e "Pantere") 80 anni fa, i "Leopardi" si
sono mossi ancora una volta in direzione della capitale della Russia.
Questa
volta non sono riusciti a raggiungere nemmeno la periferia di “Donetsk”, ma
proprio come 80 anni fa, alla fine hanno raggiunto Mosca.
E
ancora una volta, è stato molto diverso da quello che i produttori speravano.
Vale a
dire, la Russia ha appena mostrato con orgoglio la "sfortunata"
corazzatura della NATO che ha cercato di ottenere lo stesso
"successo" del suo predecessore geopolitico (e, si può facilmente
sostenere, letterale).
Oltre
ai "Leopard" tedeschi, c'erano molti altri tipi di carri armati e
veicoli corazzati.
Tra
gli oltre 30 diversi tipi di equipaggiamento “NATO”, c'erano gli MBT americani
M1A1 "Abrams" (carri armati principali), gli M1150 ABV (veicoli
d'assalto, basati sul telaio "Abrams"), gli ARV M88A1 (veicoli
corazzati di recupero), i veicoli corazzati HMMWV e International MaxxPro, gli
IFV M2A2 "Bradley" (veicoli da combattimento di fanteria), gli obici
trainati M777 da 155 mm, gli APC M113 (veicoli corazzati per il trasporto di
truppe), ecc. Poi c'erano gli IFV tedeschi "Marder 1A3" e i già
citati MBT "Leopard 2" (nello specifico la variante A6), i carri
armati gommati francesi AMX-10RC, i CV90 svedesi, gli APC britannici AT105
"Saxon", i PPV "Mastiff" (veicoli di pattuglia protetti),
gli Husky TSV (veicoli di supporto tattico). Inoltre, c'erano numerosi veicoli
austriaci, australiani, estoni, finlandesi e ucraini di vario tipo, tra cui
MBT, IFV, APC e altri tipi di corazzatura pesante.
Fallimento
della "controffensiva" di Kiev.
"Operazione
Z" della Russia.
La Russia prenderà Avdeevka?
C'è un
ampio filmato che mostra "l'orgoglio della NATO" esposto a tutti i
visitatori.
Le prestazioni dell'equipaggiamento
dell'alleanza belligerante sono state a dir poco scadenti.
Anche la macchina della propaganda mainstream
è costretta ad ammetterlo.
Ad esempio, “Forbes” ha riferito che almeno 40
IFV "Bradley" e una mezza dozzina di MBT "Abrams" sono
stati distrutti dall'esercito russo, anche se il numero effettivo potrebbe
essere molte volte superiore, in particolare dopo che le difese già assottigliate
del regime di Kiev sono crollate fuori da “Ocheretyne”, un villaggio a ovest di
“Avdeyevka” e a circa 35 km a nord-nord-ovest di Donetsk.
Le
forze della giunta neonazista hanno fatto ricorso a misure disperate e hanno
cercato di schierare la 47a Brigata Meccanizzata, stanca della guerra – la
"brigata di emergenza", come l'ha chiamata “Forbes”, citando il “Conflict
Intelligence Team” (CIT) del regime di Kiev.
Forbes dice che il 47° è addestrato da
consiglieri della NATO.
La
"brigata di soli volontari", come riporta “Forbes”, utilizza
esclusivamente equipaggiamento di fabbricazione americana, tra cui gli MBT
"Abrams", gli IFV "Bradley" e gli obici M-109.
La 47ª
fu sconfitta dalla 30ª Brigata fucilieri motorizzati dell'esercito russo.
Avendo subito pesanti perdite, la brigata ha "un
disperato bisogno di riposo, di reset e di riorganizzazione", dice “Forbes”.
Tuttavia,
le forze del regime di Kiev soffrono di una cronica mancanza di personale,
particolarmente esperto e motivato.
Le loro perdite irrecuperabili hanno superato
il mezzo milione mesi fa, lasciando l'alto comando con brigate in gran parte
inesperte, costrette a usare le armi e gli equipaggiamenti della NATO, molto
meno robusti.
La 47ª brigata avrebbe dovuto svolgere il
ruolo di punta di diamante durante la tanto propagandata controffensiva dello
scorso anno. Tuttavia, questo è fallito dopo che la sfortunata unità d'assalto
è stata quasi completamente annientata dall'esercito russo.
Peggio
ancora, ciò che ne rimaneva dovette essere messo in difesa solo diversi mesi
dopo, dopo che le forze di Mosca lanciarono il loro contrattacco.
E
ancora una volta, il 47° fallì, solo questa volta ad Avdeevka.
La
brigata, addestrata per operazioni offensive, è stata costretta a condurre una
difesa disperata di aree condannate come la già citata “Ocheretyne”.
Secondo
il suo stesso personale, sono stati in prima linea per quasi un anno senza
rotazione e stanno "implorando una pausa".
Secondo
“Forbe”s, il 47° "ha perso almeno 40 dei suoi circa 200 veicoli da
combattimento M2 ['Bradley'] e cinque dei suoi 31 carri armati M1
['Abrams']".
Il
rapporto rileva anche che la brigata "teme di perdere altri M1 da 69
tonnellate a causa dei droni russi", quindi di recente ha "ritirato i
carri armati sopravvissuti dalla linea del fronte".
Tuttavia,
i mezzi corazzati sembrano essere l'ultimo dei problemi della giunta
neonazista, poiché le sue forze stanno rapidamente perdendo equipaggiamento
strategico.
Proprio
ieri, fonti militari hanno riferito che i sistemi di razzi a lancio multiplo
"Tornado-S" dell'esercito russo hanno distrutto almeno altri due
HIMARS.
I due
lanciatori HIMARS sono stati presi di mira poco dopo essere arrivati in una
piccola posizione forestale vicino all'insediamento di Leliukivka nell'oblast
di Kharkov (regione).
Secondo
quanto riferito, sono stati spostati nell'area in preparazione di un attacco
alla vicina regione russa di Belgorod.
Entrambi
i lanciatori HIMARS sono stati presi di mira da munizioni a guida di precisione
da 300 mm sparate dal "Tornado-S" MLRS.
Inoltre, all'inizio di oggi, fonti militari hanno
riferito che un sistema IRIS-T SAM (missile terra-aria) di fabbricazione
tedesca è stato distrutto vicino all'insediamento di “Ostroverkhovka”
nell'oblast di “Kharkov”.
L'IRIS-T è strategicamente importante per la
difesa aerea.
Lo
stato generale delle forze del regime di Kiev è così pessimo che il loro alto
comando sta persino considerando la possibilità di arruolare con la forza
milioni di donne ucraine senza figli.
Tuttavia,
a parte l'uccisione inutile di altri ucraini, questo non cambierà certamente
nulla sul campo di battaglia.
Vale a
dire, per circa due anni dell'operazione militare speciale (SMO), l'esercito
russo è stato in inferiorità numerica.
Eppure,
questo è stato di scarso conforto per la giunta neonazista, poiché la
superiorità numerica non significa nulla se la parte avversa impiega armi
tecnologicamente molto più avanzate.
Questa
disparità è cresciuta ulteriormente nel frattempo, con l'esercito russo che
utilizza droni, bombe, missili e artiglieria sempre più potenti, tutti più
precisi e letali che mai.
Sfortunatamente
per il popolo ucraino, i burattini della NATO non si preoccupano delle vittime.
(Drago
Bosnic)
Cittadini-Consumatori.
Conoscenzeaconfine.it
– (6 Maggio 2024) - Guendalina Middei – ci dice:
Sparta
fu l’emblema nel mondo antico dell’efficienza, della forza, dell’obbedienza e
della repressione del dissenso.
“A
Sparta il figlio se era deforme e poco prestante veniva gettato dal baratro del
monte Taigeto, poiché né per sé stesso né per la città era meglio che vivesse.
Di
tutte le città della Grecia, Sparta è l’unica a non aver lasciato all’Umanità
né uno scienziato, né un artista né un poeta.
Forse
gli spartani, senza saperlo, eliminando i loro neonati troppo fragili, hanno
ucciso i loro musici, i loro poeti, i loro filosofi.”
Chi
tra voi non ha visto almeno una volta nella vita la “Creazione di Adamo” di Michelangelo
o ascoltato una sonata di Beethoven?
Molti dicevano che Caravaggio fosse pazzo, e lo stesso
dissero di Beethoven, di Michelangelo, persino di Socrate! Perché?
Perché
non vivevano come gli altri pretendevano che vivessero.
Perché questi uomini sentivano e pensavano in
modo diverso.
Cosa c’entra con Sparta?
Ecco Sparta fu l’emblema nel mondo
antico dell’efficienza. Della forza.
Nel
mondo spartano non c’era spazio per l’iniziativa individuale, per la libertà
d’azione, per i sentimenti.
A Sparta la vita dei cittadini seguiva soltanto ordini
e regole:
era il
mondo dell’obbedienza e della repressione del dissenso, vi suona familiare?
Ogni
aspetto della vita dei cittadini-soldati era controllato dallo stato.
Essere
un buon guerriero era l’unico scopo dello spartano.
Chi non poteva e non sapeva esserlo, doveva
sparire.
O
essere sfruttato.
Per
questo motivo Sparta non ebbe musici, poeti, filosofi.
Oggi
lo stato non vuole cittadini-soldati, ma cittadini-consumatori.
Persone che pensino e sentano in modo facilmente
prevedibile, facilmente controllabile.
Non
servono i filosofi, non servono i pensatori, non servono gli artisti ma
soltanto operai altamente qualificati.
Come
ci riescono?
Controllando
ciò che la gente legge, sente e ascolta, perché se riempi la testa delle
persone di gossip, stupidaggini e pettegolezzi la gente alla fine parlerà
soltanto di gossip, stupidaggini e pettegolezzi.
Ed
ecco perché il pensiero in tutte le sue forme viene bandito dalla società che
ha fatto della televisione il suo oracolo.
Agli
uomini-macchina non è utile conoscere la storia di Sparta. Ragionare.
Mettere
in relazione.
(Guendalina
Middei -Professor X).
(altrarealta.blogspot.com/2024/04/cittadini-consumatori.html)
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