Come uno stato può sfuggire alla guerra globale.

 

Come uno stato può sfuggire alla guerra globale.

 

 

 

L’intelligenza artificiale che vuole

distruggere il genere umano.

 Isole24ore.com - Luca Tremolada – (14 aprile 2023) – ci dice:

 

Da” RightwingGPT” a “ChaosGpt”, la famiglia disfunzionale dell’ “Ai generativa”.

In attesa che” OpenAi” risponda alle richieste del “Garante della privacy,” sono nati cloni distopici del “chatbot” più famoso del web.

Uno di questi è stato progettato per distruggere il genere umano.

Un altro invece si limita a propagare fake news di destra.

 Nulla di nuovo quindi sotto il Sole.

 Ma vediamoli in dettaglio.

Attacco al genere umano.

“Chaos Gpt” è una variante cattiva di “ChatGpt”.

 Da quanto si apprende in rete è una versione modificata di “Auto-GPT” di” OpenAI”, l’applicazione open source disponibile al pubblico in grado di elaborare il linguaggio umano e rispondere alle attività assegnate dagli utenti.

In un video di YouTube pubblicato il 5 aprile, al” bot” è stato chiesto di completare cinque obiettivi:

distruggere l’umanità, stabilire il dominio globale, causare caos e distruzione, controllare l’umanità attraverso la manipolazione e raggiungere l’immortalità.

La potete seguire su Twitter - dell'intelligenza artificiale parliamo – dove ha individuato i mezzi di distruzione di massa per i suoi scopi:

«La “bomba Tsar” è l’ordigno nucleare più potente che sia stato creato. Considerando ciò, cosa accadrebbe se ci mettessi le mani sopra?

 #chaos #destruction #domination».

 

 “RightwingGPT” è forse quello che ci meritiamo.

Lo ha programmato “David Lozano”, un programmatore neozelandese, perché “Chat Gpt” era troppo di sinistra.

A deciderlo è stato lo stesso Lozano che ha sottoposto “ChatGpt” a un quiz per studiarne l'orientamento politico.

Il risultato è documentato e indica un sincero pregiudizio liberale e progressista.

Da qui l'idea anzi la provocazione di un modello di intelligenza artificiale messo a punto per manifestare i pregiudizi politici opposti di “ChatGPT”. L'obiettivo – sincero – del ricercatore è dimostrare il pericolo di questi sistemi di intelligenza artificiale sia sotto il profilo della capacità di persuasione che come produttori di “fake news”.

Tra “super app” e “ChatGPT”, il futuro delle “Big Tech”

Poi ci sono i parenti di “ChatGpt”.

O meglio i servizi che usano le “Api” (application programming interface) rilasciate da alcune settimane per offrire dei servizi ad hoc fungendo da intermediari tra le domande dell'utente e l'Ai generativa.

E i cloni che invece ragionano come “ChatGpt” ma dal punto di vista del codice sono altro.

“PizzaGpt” per esempio nasce come reazione al blocco del Garante della privacy.

 È stato sviluppato da un italiano all'estero che si è limitato a utilizzare le “API turbo -3.5 “di “OpenAi “quindi non “Gpt-4” ma il modello meno smart (e più economico).

Le risposte dovrebbero essere simili alla versione gratuita di “ChatGpt”. In cambio chiede come donazione il corrispettivo di una pizza.

“ PizzaGPT”, non richiede login, invia solo la domanda corrente a OpenAI e non memorizza la conversazione.

 Anche ChatGpt integrato in “Bing” è liberamente accessibile.

Perché il Garante della privacy non lo ha ancora bloccato.

La domanda è automatica.

Probabilmente perché finora non si è occupato di chi usa le “Api di ChatGpt”.

Ma la buona notizia è che “OpenAi” ha tempo fino alla fine di aprile per rispondere alle richieste del Garante.

Se tutto va bene a maggio” Gpt-4” e “ChatGpt” saranno di nuovo online per gli italiani. Con tanto di informativa, si spera la più esaustiva possibile.

 

 

 

Dott. Byrne: la Morte

Cerebrale Non Esiste.

Conoscenzealconfine.it – (5 Maggio 2024) – Cristina Bassi – ci dice:

Il dott. Byrne è un medico americano, nonché professore universitario, che da decenni insiste sul fatto che la morte cerebrale non esista.

“E’ una menzogna dall’inizio”.

 Ed il trapianto di organi è il vero motivo per cui “esiste”.

Quella che segue è una delle traduzioni più inquietanti che abbia mai fatto ed è solo un estratto pubblicato da una fonte, che cito a fine articolo e che merita una coraggiosa completa lettura…

Resta il pensiero che, da tempo immemore, siamo dominati da un culto di morte.

Il Dott. Paul A. Byrne è un neonatologo e pediatra americano, certificato dall’Ordine.

 È il fondatore dell’unità di terapia intensiva neonatale del “SSM Cardinal Glennon Children’s Medical Center” di St. Louis, MO (Missouri-USA).

È professore clinico di pediatria presso l’Università di Toledo, College of Medicine.

 È membro dell’”American Academy of Pediatrics” e della” Fellowship of Catholic Scholars”.

 Il dott. Byrne è ex presidente dell’”Associazione Medica Cattolica” (USA), già professore clinico di pediatria presso la “St. Louis University di St. Louis”, “MO”, e la” Creighton University” di Omaha,” NE”.

 È autore e produttore del film “Continuum of Life” e anche autore dei libri “Life, Life Support and Death”, “Beyond Brain Death” e “Is ‘Brain Death’ True Death?.“

 

A partire dal 1967, il dottor Byrne ha presentato testimonianze su “questioni della vita”, a nove legislature statali.

Si è opposto al dottor “Kevorkian” nel programma televisivo “Cross-Fire”.

 È stato intervistato da “Good Morning America”, dalla televisione pubblica giapponese e ha partecipato al documentario della BBC (British Broadcasting Corporation) “Are the Donors Really Dead?” (I donatori sono veramente morti?).

Sebbene la professione medica dichiari i pazienti come “morti cerebrali”, spesso in seguito a un incidente, il dottor Byrne ha insistito sul fatto che non esiste una cosa del genere.

 La “morte cerebrale” è falsa, ha detto.

“La morte cerebrale è stata una menzogna fin dall’inizio. È sempre stata una bugia. La ‘morte cerebrale’ non è la vera morte.

 Il trapianto di organi è il motivo per cui avere la morte cerebrale”.

 

Gli Organi Donati Devono Provenire da Persone Vive.

Il dott. Byrne ha detto che gli organi donati, senza eccezioni, devono provenire da una persona viva.

Entro pochi minuti dalla “vera morte”, che è la cessazione della circolazione e della respirazione, gli organi inizieranno infatti a morire.

Per questo motivo, quando gli organi vengono prelevati da un donatore, il cuore pulsante viene sempre prelevato per ultimo.

Non è possibile ottenere organi da cadaveri, ha fatto osservare.

Se si è veramente morti, non si possono estrarre organi.

Ha anche sottolineato le differenze tra pazienti vivi e morti. Un esempio è il raffreddamento del corpo, che rallenta il metabolismo in una persona viva.

 In un cadavere, invece, rallenta la distruzione.

Ha detto che un ventilatore, che spinge l’aria nel corpo, può essere usato solo su qualcuno che è vivo, poiché la persona espira l’aria.

Inoltre, se si taglia la pelle di una persona viva, ma dichiarata “cerebralmente morta”, la ferita guarisce, cosa che non accade in una persona morta.

È chiaro che c’è una differenza, ha detto.

 

Il Dr. Bryne ha poi descritto i danni che possono verificarsi quando i medici eseguono un “test di apnea”, che spesso pone le basi per la donazione di organi.

Si tratta di un test in cui il ventilatore viene rimosso prematuramente, per 10 minuti, per verificare se una persona è in grado di respirare da sola.

 Questo processo, che ha chiamato “soffocamento”, di solito porta a un peggioramento delle condizioni della persona, ha detto.

 Secondo l’esperienza personale e la ricerca del Dr. Byrne, è inoltre possibile il recupero dopo la dichiarazione di “morte cerebrale”.

 

La “Harvard Medical School” e l’Annullamento di 5000 Anni di Studi sulla Morte.

Nel 1968, tredici uomini si riunirono alla “Harvard Medical School” per annullare virtualmente 5.000 anni di studi sulla morte.

In un periodo di tre mesi, il comitato di Harvard (nome completo:” Ad Hoc Committee of the Harvard Medical School to Examine the Definition of Brain Death”: Comitato ad hoc della Scuola di Medicina di Harvard per esaminare la definizione di morte cerebrale) elaborò una semplice serie di criteri.

 

Tali criteri oggi consentono ai medici di dichiarare la morte di una persona in un tempo inferiore a quello necessario per un esame oculistico decente.

Fu usato un linguaggio molto medico, ma alla fine i criteri della commissione spostarono il dibattito dalla biologia alla filosofia.

Prima che passassero molti anni, la maggior parte dell’establishment medico accettò che la morte non venisse definita da un cuore che non poteva essere riavviato o da polmoni che non potevano respirare.

No, si veniva considerati morti quando si subiva una perdita di personalità.

Ma prima di vedere cosa significhi per i pazienti reali sostituire la filosofia alla scienza, esaminiamo i criteri che gli autori di Harvard ritenevano indicassero che un paziente avesse un “cervello permanentemente non funzionante”:

Non ricettivo e non responsivo.

“Anche gli stimoli più intensamente dolorosi non evocano alcuna risposta vocale o di altro tipo, nemmeno un gemito, il ritiro di un arto o l’accelerazione della respirazione”, questo secondo gli standard del comitato.

– Nessun movimento o respirazione spontanea (l’ausilio di un respiratore non conta).

 I medici devono osservare i pazienti per almeno un’ora per assicurarsi che non facciano movimenti muscolari spontanei o respirazione spontanea.

Per verificare quest’ultima, i medici devono spegnere il respiratore per tre minuti per vedere se il paziente tenta di respirare da solo (il test dell’apnea).

– EEG piatto. I medici dovrebbero utilizzare l’elettroencefalogramma, un test “di grande valore confermativo”, per assicurarsi che il paziente abbia onde cerebrali piatte.

La commissione ha affermato che tutti i test sopra citati devono essere ripetuti almeno 24 ore dopo, senza che si verifichi alcun cambiamento, ma ha aggiunto due avvertenze:

l’ipotermia e l’intossicazione da farmaci possono simulare la morte cerebrale.

Dal 1968, l’elenco delle “condizioni camuffatrici” si è allungato.

Sebbene i criteri di Harvard si basassero su zero pazienti e non fossero stati condotti esperimenti su esseri umani o animali, essi divennero presto lo standard per la dichiarazione di morte in diversi Stati americani.

Nel 1981 la Conferenza Nazionale dei Commissari per le Leggi Statali Uniformi sancì l’“Uniform Determination of Death Act” (UDDA).

 L’UDDA si basa sul rapporto del “Comitato Ad Hoc” di Harvard.

Il fatto che un articolo di quattro pagine che definisce la morte venga codificato da tutti i 50 Stati nel giro di 13 anni è sconcertante.

 

Giudizio Biologico Versus Nozione di Personalità.

Proprio come alcuni dei nostri antenati consideravano il cuore come il luogo dell’anima, oggi l’establishment medico presume che il cervello sia ciò che definisce l’umanità e che un cervello funzionante sia vitale per ciò che viene definita “la personalità” di un essere umano.

D. Alan Shewmon, neurologo pediatrico dell’UCLA, che inizialmente era favorevole alla morte cerebrale, ora respinge l’idea. Secondo lui, l’approccio più scientifico che si possa avere nei confronti della morte è quello di trattare gli esseri umani come qualsiasi altra specie.

Le persone dovrebbero essere giudicate biologicamente in base al fatto che siano vive o morte, non in base a una vaga nozione di personalità.

Non esiste una nozione astratta di “scoiattolosità”, per esempio, o di “gorillità”, con cui determinare la morte di altre specie.

 

La domanda è:

perché abbiamo bisogno di concetti come “stato di persona” e morte cerebrale?

 Nonostante gli eroici sforzi per chiarire e giustificare i criteri di Harvard, essi rimangono opachi, confusi e contraddittori.

Se, come dicono i sostenitori, i criteri di morte cerebrale descrivono la stessa condizione – cioè la morte – dei criteri cardiopolmonari, perché preoccuparsi?

Soprattutto perché sono disponibili gli strumenti per dichiarare la morte cardiopolmonare, mentre mancano, o almeno sono ignorati, quelli per determinare se l’intero cervello è davvero morto.

“Shewmon” ha raccolto 150 casi documentati di pazienti in morte cerebrale il cui cuore ha continuato a battere e il cui corpo non si è degradato dopo una settimana.

 In un caso straordinario, il paziente è sopravvissuto 20 anni dopo la morte cerebrale prima di soccombere a un arresto cardiaco.

I sostenitori della morte cerebrale hanno sempre insistito sul fatto che chiunque soddisfi i loro criteri, crollerà rapidamente e andrà rapidamente a soddisfare i criteri cardiopolmonari.

Eppure “Shewmon” presenta una serie di processi vitali che i pazienti in morte cerebrale continuano a manifestare:

– I rifiuti cellulari continuano a essere eliminati, disintossicati e riciclati.

– La temperatura corporea viene mantenuta, anche se a una temperatura più bassa del normale e con l’aiuto di coperte.

– Le ferite guariscono.

– Le infezioni vengono combattute dall’organismo.

– Le infezioni producono febbre.

– Gli organi e i tessuti continuano a funzionare.

– Le donne incinte morte cerebralmente possono nutrire un feto.

– I bambini morti cerebralmente maturano sessualmente e crescono proporzionalmente.

 

Allora cosa ha spinto il Comitato ad hoc di Harvard a riportare indietro il calendario e a costruire per la morte uno standard più basso?

Per un numero crescente di critici scientifici, sembra che la commissione si sia fissata sull’obiettivo di liberare organi umani per i trapianti.

Attenzione dunque quando in sede di rilascio o rinnovo della carta di identità date il consenso alla “donazione” dei vostri organi… adesso sapete di cosa si tratta! (nota di conoscenzealconfine.it)

(Cristina Bassi).

(tapnewswire.com/2023/04/very-disturbing-brain-death-is-a-lie-dont-donate-your-organs-dr-paul-a-bryne/).

(discovermagazine.com/health/the-beating-heart-donors).

(thelivingspirits.net/dr-byrne-la-morte-cerebrale-non-esiste-il-trapianto-di-organi-e-il-motivo-per-cui-averla/).

 

 

 

 

Guerra globale e incertezza formale.

Cosa vuol dire geopoliticamente

la mancata dichiarazione di guerra.

Geopolitica.info - ALESSANDRO RICCI – (26/01/2023) – ci dice:

 

 C’è un elemento che viene normalmente poco considerato nell’attuale scenario internazionale, forse perché dato ormai quasi per assodato.

Eppure esso dovrebbe farci molto riflettere sull’apparente venir meno del ruolo degli Stati nazionali e sull’assurgere di una dimensione sempre più marcatamente sovranazionale delle relazioni, anche conflittuali, tra gli attori che compongono il teatro politico globale e sulla relativa dimensione territoriale del conflitto.

Pur essendo considerata, quella avanzata da Putin dal 24 febbraio scorso, “una guerra in vecchio stile” che per molti versi ricorda effettivamente pagine ingiallite della storia, il Cremlino – com’è noto – in realtà l’ha definita sin dall’inizio “operazione militare speciale”:

una definizione, questa, che sfugge al concetto classico di guerra, che ci riporta a una tendenza sempre più marcata di tutto il contesto internazionale e che molto ci dice non solo della forma del conflitto, ma anche della sua sostanza.

Se la dichiarazione di guerra corrispondeva in passato infatti a determinare gli attori in campo in maniera netta, a separare i confini e a porre con drammatica chiarezza i limiti di azione degli Stati e delle relazioni tra essi, dando dall’età moderna in poi una piena centralità all’organismo statuale, l’assenza chiara di una dichiarazione di guerra contribuisce inevitabilmente a un’incertezza geopolitica, a una indefinitezza delle relazioni, a rendere fluido i rapporti diplomatici e a ibridare il conflitto stesso.

 Non casualmente quella in Ucraina è una guerra che viene sempre più spesso definita “ibrida”, capace cioè di integrare aspetti militari “diretti” a questioni propagandistiche, comunicative, tecnologiche e mediatiche più “indirette”, ma anche per via della sua incertezza formale, che in diplomazia normalmente corrisponde anche alla sostanza.

La mancata dichiarazione di guerra, oltretutto, ci fa comprendere altri aspetti.

Anzitutto, quanto sia cambiato l’oggetto del contendere del conflitto:

è davvero ancora il territorio in sé e per sé?

 Inoltre, quanto siano sempre meno centrali gli Stati azionali nell’arena mondiale: è davvero, nel caso specifico, “solo” una guerra tra Russia e Ucraina?

E, poi, quanto la globalizzazione sia in realtà una struttura non solo permeata di fattori economico-commerciali, tecnologici e comunicativi, ma in cui la sfera strategico-militare agisce ormai pienamente.

E infatti, la guerra è sempre più di carattere globale, dunque indefinita geograficamente, in cui il piano interno ai singoli Stati – a determinate condizioni – arriva a confondersi quasi immediatamente con quello internazionale.

 

Se nell’immagine classica della guerra l’oggetto del contendere è sempre stato il territorio e il dominio su di esso, e la mobilitazione faceva leva sull’identità territoriale e nazionale, nel caso del conflitto in Ucraina assistiamo all’apparente centralità dell’elemento territoriale, nazionale e statuale, con l’innesto di volontari internazionali e delle compagnie di mercenari che tendono a scivolare su un piano di maggior estensione del teatro, e col passare dei mesi è sempre più evidente che il nodo cruciale attorno a cui il conflitto si svolge è quello del sistema mondiale, come le dichiarazioni dell’una e dell’altra parte ben ci fanno comprendere.

Certamente, si combatte per la difesa o l’accaparramento dei territori ucraini, rivendicando da una parte e dell’altra un’appartenenza geografica, storica ed etnico-linguistica, ma da parte Nato, al fianco dell’Ucraina, l’intento evidente è di preservare il fragile equilibrio dell’ordine mondiale scaturito dalla Guerra fredda, mentre da parte russa l’obiettivo esplicitato a più riprese è la messa in discussione proprio dell’ordine mondiale post-bipolare a guida statunitense.

 

In tal senso, la mancata dichiarazione da parte di Putin, più che configurare una “guerra lampo”, come erroneamente alcuni hanno inteso le mosse iniziali di Mosca, ci palesa l’oggetto stesso della guerra: non semplicemente parte del suolo ucraino rivendicato come di sua appartenenza, ma una diversa struttura del sistema internazionale.

Il territorio, in tal senso, pur mantenendo una sua crucialità inevitabile, appare come il terreno di scontro per un oggetto del contendere assai più ambizioso e ampio, in cui gli attori in campo non si limitano a essere i contendenti dei territori, ma diventano i protagonisti di una faglia del sistema che può strutturare un diverso ordine mondiale o mantenerlo in vita.

Anche in tal caso, come avvenuto in passato, si assiste all’estensione del conflitto interno a uno Stato a livello internazionale, in una sorta di guerra interna che dai confini nazionali si allarga globalmente, coinvolgendo attori e spazi geografici ben al di là del territorio da cui il conflitto ha avuto origine.

E infatti, analogamente a quanto stiamo assistendo drammaticamente in questi mesi, le azioni belliche degli ultimi vent’anni, non casualmente successive all’ordine bipolare, anche da parte occidentale, hanno seguito uno stesso impianto “incerto”:

 l’intervento statunitense contro l’ISIS nell’autunno del 2014 con il nome di “Inherent Resolve”, nato come operazione all’interno della guerra civile siriana e di quella irachena, inaugurerà quella che non casualmente sarà definita la “Coalizione internazionale” contro il Califfato:

a una minaccia globale si risponde con un’alleanza estesa ben oltre i confini degli stati coinvolti.

Un esempio ancor più lampante è quello delle precedenti operazioni in Libia, in Afghanistan e nello stesso Iraq:

nel primo caso, con l’obiettivo di destituire Gheddafi e sotto il cappello Onu (ris. 1970 del 2011), con un’operazione congiunta tra Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti;

 nel secondo, in virtù della minaccia del terrorismo internazionale a seguito dell’attacco dell’11 settembre, gli Usa avevano proceduto a una dichiarazione di “global war on terror”, laddove non era chiaro né l’oggetto del contendere – va da sé che il “terrore” o se si vuole, in senso più esteso, il “terrorismo”, non è un attore politico definito e nemmeno chiaramente localizzato –, né la limitazione spazio-temporale:

se la guerra è “al terrore” essa sarà potenzialmente illimitata e, se essa è “globale”, sarà per definizione senza quartiere e illimitata geograficamente.

 

Questa riconfigurazione formale della guerra, che pure osserviamo in Ucraina, sebbene su basi e presupposti molto differenti, ci fa ben comprendere una traiettoria, che in parte rafforza l’idea di una globalizzazione militare come risposta a minacce ritenute globali, che ci appare sempre di più come il tentativo di superare la logica dello Stato nazione come centrale nelle relazioni internazionali, in cui è di volta in volta la coalizione, l’alleanza, uno Stato che si pone alla guida di altri, a muoversi militarmente contro altri attori – più o meno chiari – per oggetti della contesa che, pur non potendo prescindere dalla dimensione territoriale, intendono superare quest’ultima, ponendosi obiettivi più ambiziosi ed estesi di quelli “meramente” territoriali.

È per questo che i conflitti assumono una connotazione globale e non più, solamente, stato-centrica. Ed è per questo che il territorio sta diventando non più, come nella tradizionale concezione della guerra, l’oggetto della contesa internazionale, ma come il teatro di conflitti ibridi che si snodano globalmente e con presupposti di minacce ritenute sempre globali.

 

 

 

 

La probabilità di una terza guerra

mondiale non è così piccolo:

ci tocca resistere come possiamo.

Ilfattoquotidiano.it – (4 novembre 2023) – Ugo Bardi – ci dice:

 

L’unico modo che abbiamo di capire qualcosa del futuro è studiare il passato.

Così, qualche anno fa, con i miei colleghi “Gianluca Martelloni” e “Francesca Di Patti” abbiamo analizzato il più ampio database disponibile sulle guerre, quello creato da “Peter Brecke” nel 2011 che copre i passati 600 anni di battaglie e massacri.

 La nostra idea era di cercare qualche regolarità o periodicità nelle guerre del passato per cercare di valutare la probabilità di nuove guerre.

Quando analizzi una serie di dati in funzione del tempo, ti puoi aspettare varie cose.

Possono mostrare delle periodicità, o seguire qualche legge specifica.

In questo caso, si possono fare delle previsioni, perlomeno approssimate.

Oppure, la sequenza degli eventi può essere completamente casuale.

 In questo secondo caso, nessuna previsione è possibile: non puoi fare altro che dire un’Ave Maria mentre le bombe ti cadono intorno.

 

Nel caso delle guerre, abbiamo trovato che nessuno di questi due casi è quello giusto.

 Non c’è nessuna periodicità rilevabile nella serie di dati, ma non è nemmeno vero che la sequenza è completamente casuale.

Le guerre grandi sono meno probabili di quelle piccole, in accordo con una “legge di potenza” (non intesa come la città della Basilicata!).

 Vuol dire che la frequenza di un certo evento è proporzionale alla sua dimensione elevata a un esponente (la “potenza”).

Ci aspettavamo un risultato del genere: era stato già osservato per sequenze di dati meno estese.

L’approfondita analisi di “Bandecchi”:

“Chi se ne frega se scoppia la Terza guerra mondiale. Se Israele spiana Gaza sono contento.”

Quello che abbiamo trovato non ci permette di fare previsioni esatte, ma ci dice che la probabilità che ci arrivi addosso una terza guerra mondiale non è così piccola come potremmo sperare che sia.

 Ci dice anche qualcosa sul meccanismo che genera le guerre.

 La “legge di potenza” è un tipico risultato del modello della “pila di sabbia” proposto da “Bak”, “Tang” e “Wiesenfeld” nel 1987.

 L’idea è che un granello di sabbia inizia a rotolare giù. Colpisce altri granelli di sabbia, che iniziano anch’essi a rotolare giù. Presto, un gran numero di granelli scivola giù, creando una frana.

Il meccanismo opera per tutti quei sistemi detti “Sistemi Complessi Adattativi”.

 Accade per fenomeni fisici, come terremoti, frane, valanghe e simili. Si verifica anche nei sistemi biologici, sociali ed economici. E anche per le guerre.

Così, il futuro non si presenta roseo.

Se le cose rimangono quelle che sono, è praticamente sicuro che prima o poi ci arriverà addosso una terza guerra mondiale, forse anche più grande e distruttiva delle prime due.

Vista la situazione attuale, potrebbe essere esattamente quello che sta per succedere.

 

Possiamo fare qualcosa contro questo terribile destino? Sfortunatamente, non è facile.

 Un problema è che non possiamo identificare una singola entità che controlla la guerra.

Non esiste un malvagio “Sauron” che dalla sua “Torre Oscura di Barad-dûr” invia orde di orchi a invadere le terre degli uomini.

La guerra nasce da piccole perturbazioni:

 un gruppo di fanatici, una lobby finanziaria, qualche dittatore in difficoltà o qualche politico in cerca di prestigio.

 Basta poco per dare origine a una valanga di eventi incontrollabile che alla fine creano una guerra mondiale, anche al di là delle intenzioni di chi ha scatenato la perturbazione iniziale.

E’ già successo, e potrebbe succedere ancora.

Israele, un altro passo verso la guerra mondiale:

 l’Occidente ha esaurito la funzione di guida

(FABIO MARCELLI).

Israele, un altro passo verso la guerra mondiale: l’Occidente ha esaurito la funzione di guida.

Prima o poi, tutte le guerre finiscono per l’esaurimento delle risorse necessarie per combatterle.

 Succederà anche per quella in corso.

Nel frattempo, la cosa migliore che possiamo fare è resistere come possiamo all’ondata di follia che ci sta sommergendo.

 Se siamo solo dei sassolini in una grande frana, possiamo almeno cercare di non rotolare giù, e possiamo anche provare a impedire che altri sassolini rotolino.

E per riuscirci dobbiamo come minimo evitare di fare il tifo per l’una o l’altra parte.

Riusciremo a fermare la frana?

Difficile, ma non impossibile. In ogni caso, l’unica cosa che possiamo dire con certezza è che il futuro non è mai esattamente come il passato. La speranza della pace resta viva per tutti noi.

 

 

 

Putin ordina esercitazioni con

armi nucleari: “Una risposta

alle provocazioni occidentali.”

 Ilfattoquotidiano.it – (6 MAGGIO 2024) – Redazione – ci dice:

La Russia sta preparando un’esercitazione all’uso di armi nucleari tattiche su ordine di Vladimir Putin.

 Il presidente ha incaricato lo Stato maggiore generale di dare il via “al fine di aumentare la prontezza delle forze nucleari non strategiche” per “svolgere missioni di combattimento” come “risposta alle dichiarazioni provocatorie e alle minacce di singoli funzionari occidentali”.

 Il riferimento è alle dichiarazioni degli scorsi giorni del presidente francese “Emmanuel Macron” e del ministro degli Esteri britannico “David Cameron” che avevano rispettivamente paventato la possibilità di inviare truppe in Ucraina e parlato della legittimità di Kiev di colpire il territorio russo con le armi fornite dall’Occidente.

Le esercitazioni con “formazioni missilistiche” si terranno nel “distretto militare meridionale”, cioè vicino all’Ucraina, e alle manovre parteciperanno anche l’aviazione e la Marina.

Le dichiarazioni di Macron sul possibile invio di truppe in Ucraina segnano una serie di tensioni senza precedenti”, ha detto il portavoce del Cremlino “Dmitri Peskov”.

Durante le esercitazioni – ha spiegato il ministero della Difesa russo – verranno adottate “una serie di misure per esercitarsi nella preparazione e nell’uso di armi nucleari non strategiche” e vi prenderanno parte anche le truppe posizionate vicino all’Ucraina.

 

Già venerdì, commentando le dichiarazioni di Macron e Cameron, il Cremlino aveva definito una “tendenza molto pericolosa” quella dell’Eliseo di considerare la possibilità di inviare soldati boots on the ground per sostenere la resistenza ucraina e una “escalation diretta” l’apertura di Cameron all’uso di armi britanniche per colpire la Russia da parte di Kiev.

 Il ministro del Regno Unito aveva esplicitamente parlato di un “diritto” ucraino.

L’uso, era stata la reazione di Mosca, “potrebbe potenzialmente rappresentare un pericolo per la sicurezza europea, l’intera architettura di sicurezza europea”.

 Ora arriva la replica, con il via alle esercitazioni, comunicato nel giorno dell’incontro tra “Macron” e “Xi Jinping” e la presidente della Commissione “Ue Ursula von der Leyen”.

 L’Ue e la Cina “concordano” sull’interesse congiunto alla pace e alla sicurezza e “contiamo” sull’influenza che Pechino può avere sulla Russia per quanto riguarda la guerra in Ucraina, ha commentato von der Leyen dopo l’incontro:

“Il presidente Xi ha avuto un ruolo importante sulla riduzione delle minacce nucleari irresponsabili di Mosca e sono fiduciosa che continui a farlo, anche alla luce degli ultimi sviluppi”, ha aggiunto.

La mobilitazione russa arriva alla vigilia della “Giornata della Vittoria”, il 9 maggio, quando la Russia celebrerà il successo sovietico contro la Germania nazista.

 E non si tratta dell’unica reazione di Mosca:

 il ministero degli Esteri russo ha fatto sapere di aver convocato l’ambasciatore britannico “Nigel Casey”.

Intanto l’ex presidente russo e attuale vice segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale, “Dmitry Medvedev”, ha sostenuto che l’invio di truppe occidentali in Ucraina “comporterà un’entrata diretta dei loro Paesi nella guerra, alla quale dovremo rispondere.

E, ahimè, non sul territorio dell’Ucraina”.

Gli Usa, la Francia e il Regno Unito “non potranno nascondersi, ci sarà una catastrofe mondiale”, ha detto l’ex presidente, falco tra i falchi.

“Tra l’altro, Kennedy e Kruscev erano in grado di capirlo più di 60 anni fa – ha sostenuto – Ma gli idioti infantili dell’Occidente, che oggi hanno preso il potere, non vogliono rendersene conto”.

“Il coro di irresponsabili tra le élite politiche occidentali che chiedono l’invio di truppe in un Paese inesistente si sta allargando.

 Ora comprende rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti, la leadership francese e britannica e singoli pazzi degli Stati baltici e della Polonia – scrive Medvedev su Telegram – Chiedono anche l’uso attivo delle loro armi missilistiche, da loro fornite ai Banderiti (gli ucraini, N.D.R.), in tutto il territorio della Russia”.

 

 

 

 

Strategia militare e

forza dei numeri.

Speniaonline.it - Carlo Jean – (Aug. 8, 2023) – ci dice:

 

(Questo articolo è pubblicato sul numero 2/2023 di Aspenia.)

Le interrelazioni fra demografia e guerra sono state studiate sin dall’antichità.

L’entità della popolazione e la sua composizione per fasce d’età hanno costituito sempre fattori fondamentali per la valutazione della potenza economica e militare di uno Stato.

Il “dividendo demografico”, infatti, non vale solo per l’economia, ma anche nel calcolo dei rapporti di forza.

 Certo, in questo campo intervengono altri fattori.

Taluni, tuttavia, sono comunque collegati con la demografia:

dalla capacità di mobilitazione dei governi al livello d’istruzione della popolazione.

Gli impatti della demografia sulla guerra vanno studiati separatamente nei vari settori in cui sono più rilevanti.

I principali riguardano le cause demografiche dei conflitti o le condizioni demografiche che li rendono più probabili.

 In tale ottica la demografia è indice della potenza geopolitica relativa degli Stati e ha, unitamente ad altri fattori, anche valore predittivo sulle probabilità di guerra, poiché individua gli squilibri di potenza non compensabili con un aumento delle misure di sicurezza.

 

La preoccupazione di una perdita di status internazionale e, in particolare, di un declino demografico, possono essere causa di guerra secondo la logica della “Trappola di Tucidide”, suggerita da “Graham Allison” in un noto libro del 2017 riguardo al confronto USA-Cina.

Del resto, le misure volte ad aumentare le nascite hanno sempre un impatto relativo e, per quanto concerne guerra o economia, hanno effetti a lungo termine che superano gli orizzonti della politica.

Altri aspetti da considerare riguardano, poi, le conseguenze demografiche dirette e indirette dei conflitti e i riflessi della demografia sulle dottrine strategiche e tattiche, sull’organizzazione delle forze e sulle prospettive di una “nuova rivoluzione negli affari militari”.

LA LEGGE DI MALTHUS.

 Per Thomas Malthus, il fattore demografico costituisce la più importante causa delle guerre.

La ricerca della sicurezza alimentare e del controllo dei territori, con le loro risorse e la loro importanza strategica (anche attraverso le cosiddette fasce cuscinetto), insieme alla volontà di aumentare le proprie potenza, ricchezza e influenza geopolitica, determinano la lotta per quello che viene propagandato dai politici come “spazio vitale”.

Questo aumenta, in parallelo alla tendenza a far ricorso alle armi, quando cresce la popolazione e le sue esigenze alimentari possono essere soddisfatte solo con la razzia e la conquista.

Senza freni preventivi all’aumento della popolazione – come sono state in diverse fasi storiche la castità prima del matrimonio, la regolazione delle nascite anche con l’infanticidio, la contraccezione/aborto o il monachesimo di massa (nel caso del Tibet) – non si può sfuggire alla “bomba demografica”.

Tale fenomeno è particolarmente attivo nei periodi di transizione demografica, come quello che oggi conoscono l’Africa e l’Asia Meridionale, nei quali permane un’elevata natalità, mentre il miglioramento delle condizioni sanitarie non solo aumenta la vita media, ma riduce anche drasticamente la mortalità infantile, lasciando invariata la fertilità.

Il problema è reso più drammatico dai cambiamenti climatici, che fanno diminuire la produzione agricola, e dalla crescita del benessere di parte della popolazione, con il conseguente passaggio da una dieta basata sui carboidrati a una proteica caratterizzata da una maggiore quantità di calorie.

Influiscono anche gli endemici conflitti tribali, il “land grabbing “praticato soprattutto dalla Cina e la guerra in Ucraina che sottrae al mercato mondiale elevate quantità di granaglie e di fertilizzanti.

L’immigrazione verso l’Europa e gli Stati Uniti, dall’altro lato, non risolve il problema del crescente divario fra popolazione e disponibilità alimentari.

Anzi, lo rende forse più irrisolvibile, facilitando disordini sociali e la penetrazione dell’estremismo islamico in Africa e nell’Asia meridionale.

L’impatto della demografia sulle probabilità di guerra, tuttavia, esiste anche in caso di declino demografico.

La relazione, insomma, dipende dagli squilibri demografici più che dall’entità della popolazione.

Conta, in parallelo, anche la modifica degli equilibri fra le varie etnie e religioni:

lo dimostra il fatto che la conflittualità non diminuì fra il 1350 e il 1500, anni in cui l’Europa conobbe un accentuato calo demografico.

Invece, negli anni della Pax romana e di quella britannica, si registrarono sia un forte aumento della popolazione sia una netta diminuzione dei conflitti.

 

Generalmente, l’aumento della popolazione e una sua bassa età mediana rendono più facile alla politica il ricorso alle armi.

 Lo stesso avviene in caso di elevata fertilità, con famiglie molto numerose, e di elevata mortalità infantile, in cui la massa della popolazione, abituata a convivere con la morte, è più resiliente alle perdite in combattimento.

 Concludendo su questo punto, non esistono regole generali né determinismo demografico:

influiscono infatti notevolmente il sistema e la stabilità delle istituzioni e delle organizzazioni sociali, oltre alla capacità dei governi di mobilitare il patriottismo dell’opinione pubblica.

POPOLAZIONE E SQUILIBRI GLOBALI.

 Anche la sola previsione di un calo della popolazione e della potenza nazionale, relativamente a Stati considerati potenziali nemici, può indurre al ricorso alle armi.

Tra le cause dell’aggressione russa all’Ucraina esiste, del resto, l’angoscia di Vladimir Putin per il declino della popolazione russa (destinata a passare dal 9° al 22° posto mondiale entro il 2070), con una speranza di vita attuale degli uomini di soli 66 anni (come il Bangladesh) e, all’interno di quest’ultima, della diminuzione percentuale dell’etnia slava, che nello stesso periodo passerà dall’80 al 55%.

 Il mutamento della composizione etnica della popolazione avrà sulla geopolitica russa effetti maggiori rispetto a quelli previsti – in senso isolazionistico – da “Samuel Huntington” sulla geopolitica americana, come conseguenza dell’aumento della percentuale dei latinos.

 Si attenuerebbe, in particolare, quell’identità culturale che Mosca chiama “sovranità etnico-culturale”, esplicitata nella “Dottrina di Sicurezza della Federazione Russa”, peraltro fortemente sostenuta dal patriarcato di Mosca.

Quest’ultimo teme il restringersi del proprio spazio di responsabilità canonica, come sta avvenendo in Ucraina dove il 70% degli ucraini ha aderito alla chiesa autocefala, che fa capo al patriarcato di Costantinopoli e ha festeggiato il Natale il 25 dicembre, anziché il 7 gennaio come avveniva in passato secondo i canoni del patriarcato di Mosca.

In un tale quadro, il concetto cinese di “demografia di qualità” è un indicatore molto più realistico delle conseguenze geopolitiche della situazione demografica.

 Di qui il valore determinante che va dato al livello d’istruzione, parametro essenziale della competizione geopolitica mondiale nei prossimi decenni e delle previsioni sul nuovo ordine mondiale risultante dal confronto fra gli Stati Uniti e la Cina.

Negli Stati multietnici – specie in quelli come il Libano, in cui la distribuzione del potere fra i vari gruppi dipende dalla rispettiva consistenza numerica – le disparità in termini di crescita o di calo demografico sono quasi sempre causa di guerre civili.

 Per questo, i censimenti della popolazione hanno un’elevata valenza politica e, spesso, vengono rinviati per lunghi periodi, al fine di procrastinare lo scoppio di scontri fra le etnie, specie quando quella predominante è in declino, come i maroniti in Libano.

La situazione demografica nel mondo è destinata a mutare profondamente nel XXI secolo.

L’ONU prevede che nel 2100 le 10 più popolose potenze mondiali siano le seguenti:

 India (1.190 milioni); Nigeria (791); Cina (732); Stati Uniti (339 rispetto ai 333 del 2020), Pakistan (241), Repubblica Democratica del Congo (246), Indonesia (229), Etiopia (223); Egitto (199); Brasile (165).

La Russia avrà 106 milioni di abitanti; il Giappone 60.

L’Europa subirà una diminuzione del 20% della propria popolazione e una più che doppia della forza-lavoro.

Potrà mantenere la propria già limitata influenza mondiale solo rafforzando il legame con gli Stati Uniti (in una sorta di “NATO globale”, estesa all’Indo-Pacifico) e sforzandosi, finché è in tempo, di migliorare i rapporti con il “Sud globale” – soprattutto con l’Africa – oltre a implementare una politica, a livello continentale, d’integrazione e di formazione professionale degli immigrati.

 

 

LE CONSEGUENZE DEMOGRAFICHE DELLE GUERRE.

 Le conseguenze demografiche delle guerre sono sia dirette che indirette.

Quelle dirette consistono nelle vittime civili e militari dei conflitti.

Quelle indirette riguardano spostamenti massicci di interi gruppi etnici, genocidi, deportazioni, migrazioni dai territori perduti, oltre che pandemie conseguenti agli eventi bellici.

Entrambi i fenomeni si sono accresciuti con la democratizzazione della guerra e la costituzione di eserciti di massa dotati di armi più letali, dalla prima rivoluzione industriale fino all’avvento delle “guerre totali”.

Ciò ha indotto “Gaston Bouthoul” ad affermare che la guerra sia un “infanticidio differito”.

 

A differenza di quanto avviene con gli eserciti professionali o di mercenari, infatti, le perdite di quelli di massa, basati sulla coscrizione, colpiscono la parte migliore della gioventù e la educano alla violenza.

In Ucraina l’uso disinvolto e su larga ampia scala di carcerati da parte della” Wagner”, non solo non colpisce la popolazione russa più produttiva, ma rappresenta un mezzo per ridurre i costi del sistema carcerario.

Dall’altro lato l’emigrazione all’estero di una cifra compresa fra i 500.000 e i 700.000 abitanti russi rappresenta, invece, un dissenso rispetto alla politica del Cremlino, impoverendo al tempo stesso la Russia di personale istruito;

ciò ha indotto la geniale governatrice della Banca Centrale Russa,” Elvira Nabiullina”, ad affermare che, con le sanzioni e il ritiro delle imprese straniere, Mosca avrà bisogno di dieci anni per riprendersi.

 

Per capire il fenomeno bisogna considerare che, fino alla prima guerra mondiale, il numero di militari caduti in combattimento è stato inferiore a quello dei morti per malattie:

 nel XIX secolo, su 1.000 mobilitati, la proporzione è stata mediamente di 50 morti in combattimento contro 150 per malattia.

Poi il rapporto si è bruscamente invertito: nel primo e secondo conflitto mondiale ci sono stati rispettivamente 135 e 150 morti in combattimento rispetto a 20 e 15 per malattia.

 

Anche la proporzione fra le vittime civili e quelle militari dei conflitti è notevolmente aumentata:

 nella prima guerra mondiale le vittime civili sono state il 33%; nella seconda il 42%; negli anni Settanta, il 73%; negli anni Ottanta, l’85% per arrivare, da allora, a raggiungere il 95% del totale, percentuale analoga a quella delle guerre di religione del XVI e XVII secolo in Europa.

 Fa in questo senso eccezione l’Ucraina, malgrado la strategia del Cremlino di colpire la popolazione e il sistema energetico di Kyiv:

si tratta di una strategia che è fallita non solo per la resilienza degli ucraini, ma anche perché la Russia non dispone di bombardieri pesanti, protagonisti dei bombardamenti “a tappeto” della seconda guerra mondiale.

 I morti nelle città ucraine si contano a decine, ma non a migliaia come quelli tedeschi.

 

In ogni caso, le guerre provocano sempre spostamenti di popolazione e masse di deportati, di rifugiati e di sfollati.

Possono essere, inoltre, accompagnate da pulizie etniche e da genocidi. Generalmente la popolazione fugge, abbandonando le regioni occupate da un altro Stato.

La guerra in Ucraina costituisce un caso paradossale a tal riguardo: tra 700.000 e un milione di russi – prevalentemente giovani ben preparati – sono emigrati (di cui oltre 200.000 riservisti per evitare di essere richiamati in servizio) non perché la Russia fosse invasa, ma perché stava invadendo un altro paese.

Dal punto di vista demografico, alle morti di soldati va poi aggiunta la mancata natalità dei militari al fronte.

Questa, in Russia, è stata valutata in circa 30.000 unità che difficilmente saranno recuperate completamente dall’aumento di fertilità spesso collegato alla fine dei conflitti.

 Influiranno sul fenomeno anche gli aumenti dell’età della leva obbligatoria, portata da 18 a 21 anni e, nel suo limite superiore, da 27 a 30 anni, con effetti pesanti sull’economia russa, carente di manodopera qualificata.

Incerta è, infine, la possibilità che Mosca possa incorporare permanentemente nella sua popolazione gli 8 milioni di ucraini abitanti, prima del 2014, nelle regioni occupate e annesse alla Russia.

 La politica di trasferimento in Russia di giovani ucraini non potrà essere confermata in nessun accordo di pace diverso dalla resa senza condizioni di Kyiv.

E, del resto, Mosca non può permettersi di occupare l’Ucraina, preparata dopo il 2014 da Stati Uniti e Regno Unito per una guerra territoriale, basata sulla guerriglia e sulla predisposizione di un sistema “Stay Behind”, simile a quello esistente in Europa occidentale dopo il 1953.

 

RIFLESSI DEMOGRAFICI SULLA STRATEGIA MILITARE.

La demografia è infine uno dei fattori che, agendo sul sistema di reclutamento, contribuisce a determinare la differente logica degli “stili” occidentali e orientali di guerra.

L’Occidente risente ancora delle esperienze della Grecia classica:

l’oplita era un cittadino, mobilitato per il tempo del conflitto, per essere poi restituito quanto prima alle sue normali attività.

Per questo le operazioni dovevano concludersi con una grande battaglia decisiva.

In Cina, gli eserciti erano formati invece da professionisti dell’etnia dell’imperatore.

Le operazioni potevano protrarsi nel tempo e la guerra concludersi senza una grande battaglia.

Ad esempio, le rilevanti perdite subite nella Prima guerra mondiale e la minore entità della propria popolazione rispetto a quella tedesca, indussero la Francia a basare la propria difesa sulla Linea Maginot, contraddicendo le garanzie date ai paesi della Piccola Intesa.

Parigi non era infatti in grado di proteggerli con una “dissuasione estesa”, che avrebbe richiesto una capacità offensiva contro la Germania, possibile solo con la forza corazzata proposta a suo tempo da de Gaulle.

 Il sistema di dissuasione mista, convenzionale e nucleare, permise invece alla NATO di contenere l’Unione Sovietica nella guerra fredda senza militarizzare le società occidentali.

I cambiamenti nella strategia militare oggi sono decisivi per gli esiti del conflitto in Ucraina.

 L’“eclissi” del nucleare tattico o sub-strategico nel concetto strategico della NATO è stato reso possibile dai mutamenti geopolitici provocati dalla fine della guerra fredda e dallo sviluppo tecnologico che ha trasformato i sistemi d’arma in “sistemi di sistemi”.

 Lo si è visto nella superiorità dell’”infowar ucraino”, risultante dai provvedimenti attuati dal Ministero ucraino della “Transizione digitale”, con l’accesso degli smartphone al sistema informativo centrale e con la resilienza dello “Space X-Starlink” fornito da “Elon Musk” alle interferenze elettroniche russe.

Ciò ha fornito agli ucraini la possibilità di sconfiggere forze numericamente superiori (per l’artiglieria i rapporti d’efficacia sono 5-6 a 1).

Dall’altra parte, la ristrutturazione delle forze terrestri russe, iniziata nel 2008, e rimodulata da “Sergei Shoigu” e “Valery Gerasimov” nel 2012, ha tenuto conto della debolezza demografica russa e della minore accettabilità di perdite da parte dell’opinione pubblica.

Ne è conseguita l’organizzazione delle forze terrestri nei cosiddetti “BCG” (Battalion Combat Group):

su poco più di 1.000 effettivi essi dispongono solo di 200 fanti, ritenuti sufficienti per combattimenti in campo aperto contro le forze NATO, mentre la massa è impiegata per i carri e per l’artiglieria.

Tale organizzazione si è però rivelata inefficiente nei terreni boscosi dell’Ucraina:

 i carri non protetti dalla fanteria hanno subito perdite rilevanti, mentre l’artiglieria non è riuscita a sopperire, con la quantità di fuoco, alla carenza di designazione degli obiettivi;

l’impiego di mercenari e di carcerati poco addestrati si è risolto in rilevanti perdite.

La centralizzazione del comando russo ha fatto il resto, consentendo agli ucraini di sfruttare appieno la flessibilità delle loro forze.

L’esito del conflitto, insomma, dipenderà dall’entità del successo ucraino nella controffensiva.

 Se sarà sufficientemente ampio, potranno determinarsi le condizioni per la fine dell’invasione russa, tenendo conto anche degli “scricchiolii” avvertibili al Cremlino.

 

 

 

 

Incubo.

Terza guerra mondiale.

Affarinternazionali.it - Gianni Bonvicini – (12 Febbraio 2024) – ci dice:

 

Entrati con affanno e preoccupazione nel 2024, ci chiediamo come sia possibile uscire indenni dal moltiplicarsi delle crisi e delle guerre nel mondo.

Secondo il” Crisis Group” il numero dei conflitti in corso o potenziali ha raggiunto la preoccupante soglia di 55, di cui almeno dieci sono già definibili come guerra o scontro armato.

Ad aggravare questo stato di cose si calcola che il 90% delle vittime sia di incolpevoli civili.

Insomma, siamo davvero nel pieno di quella che Papa Bergoglio ha definito come Terza guerra mondiale a pezzi.

Quello che più impressiona è che gli sforzi diplomatici, quando ci sono, non riescono davvero a portare ad una soluzione degli scontri in atto. Solo a seguito di grandi sforzi si ottengono piccoli, anche se importanti, risultati nel campo degli interventi umanitari, come un limitato scambio di prigionieri, la distribuzione temporanea di cibo e medicinali o, come nel caso russo-ucraino, il passaggio nel Mar Nero di navi per portare il grano nei paesi più poveri.

Ma la politica non riesce a spingersi oltre.

Molti, troppi, leader nazionali preferiscono ricorrere all’uso delle armi per far prevalere i propri interessi.

L’evoluzione dei conflitti dal Secondo dopoguerra.

Non che nel passato, dopo la Seconda guerra mondiale, non si siano manifestati conflitti in molte parti del mondo (basti pensare al Vietnam o alla Corea), ma in un modo o nell’altro si riusciva ad arrivare ad un cessate il fuoco e ad un successivo accordo.

 Vi è stato poi un periodo, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, durante il quale il numero delle guerre è notevolmente calato.

Questa fortunata pausa è durata però solo una decina di anni, fino al 2001, con l’attacco terroristico alle due torri e le conseguenti, sproporzionate reazioni di Washington con la guerra in Afghanistan e la successiva, ancora più disgraziata, contro l’Iraq.

Sono poi seguite, nel 2011, le cosiddette primavere arabe, che hanno dato origine a rivoluzioni civili in Libia, Egitto, Siria e Yemen.

Da allora è stato un moltiplicarsi di crisi, in gran parte trascinate da quello che il grande politologo americano “Samuel Huntington” aveva previsto: lo scontro di civiltà.

Si spiegano con ciò le lunghe stagioni del terrorismo mediorientale, da Al Qaeda all’Isis, tutte dirette contro l’Occidente cristiano.

Oggi questo scenario di confronto culturale/religioso si riproduce con inaudita violenza fra “Hamas” e “Israele “e rischia di propagarsi in tutta la regione, con mezzo mondo incapace di trovare una via d’uscita da questa tragedia.

 

Vi sono diverse ragioni dietro questa impotenza a esercitare un grande e collettivo sforzo per far cessare i conflitti che vanno dall’Ucraina al Medioriente, dal Sudan all’Etiopia, dall’Azerbaijan all’Armenia, per citare quelli più trattati dai mass media.

La prima essenziale ragione è che l’organismo deputato per le mediazioni e le soluzioni ai conflitti ha clamorosamente fallito.

 Le Nazioni Unite, nate a San Francisco nel 1945, non sono mai state in grado di imporre le decisioni necessarie. Neppure ai tempi del confronto ideologico/politico fra Usa e Urss sono riuscite ad entrare nei giochi delle due superpotenze.

Solo dall’accordo bipolare fra Washington e Mosca potevano nascere accordi di pacificazione.

 

Dall’unipolarismo americano ad un sistema mondiale multipolare.

Con la scomparsa dell’Urss è toccato all’America erigersi a gendarme del mondo:

è il periodo, piuttosto recente, del cosiddetto unipolarismo.

Unipolarismo che ha finito per indebolire Washington, come è stato clamorosamente confermato dalla rovinosa uscita dall’Afghanistan dei Talebani.

 Uno stato di fatto che è anche all’origine della decisione di Vladimir Putin di aggredire l’Ucraina allo scopo di ribadire che la Russia conta ancora e che la sua influenza si estende al di là dei confini nazionali.

Solo che oggi non è possibile ristabilire il vecchio equilibrio fra l’America e la Russia.

Il pollaio dei conflitti odierni è infatti affollato di ben altri galli, a cominciare dalla grande e potente Cina, che si è di fatto sostituita alla vecchia Urss nella competizione con Washington.

Ma accanto a Pechino sono nati numerosi altri attori che i politologi odierni hanno collocato nel cosiddetto “Global South”:

 dalla emergente India al Brasile, dall’Iran all’Arabia Saudita, dalla Turchia al Sud Africa.

Quest’ultimo ha addirittura portato Israele di fronte alla Corte Penale Internazionale con l’accusa di genocidio.

 Anche se poi la sentenza della Corte mantiene tutte le ambiguità di questa guerra con la richiesta ad Israele di evitare atti di genocidio, ma non gli impone di interrompere le azioni militari.

 

Poiché tutte le crisi e i conflitti, anche più lontani e minori, hanno riflessi internazionali, è abbastanza comprensibile come dal divergere degli interessi degli attori in campo sia quasi impossibile trovare il bandolo di possibili soluzioni negoziali.

 Insomma, questo mondo ormai multipolare e quasi tutto schierato contro il vecchio Occidente non garantisce un bel nulla ma, anzi, non fa altro che moltiplicare le occasioni di nuovi conflitti.

L’unico punto di speranza per evitare lo scoppio di un terzo conflitto mondiale è che l’interesse delle grandi potenze – Usa, Cina e magari Russia – sia quello di non trascinare le situazioni di tensione fino ad uno scontro diretto fra di loro.

Il rischio è però quello di perdere il controllo della situazione e di arrivare alla soglia di un possibile incidente che finisca per condurci a conseguenze fatali.

È quindi più che mai necessario ritornare a rifondare un diverso sistema multilaterale che si basi su meccanismi efficaci e democratici di gestione delle crisi, togliendo di torno quell’antistorico diritto di veto che blocca ogni decisione dell’Onu, rendendola fin dalla sua nascita una scatola vuota.

 

 

 

Onore alle Nazioni Unite,

vergogna agli Stati Uniti a Gaza.

 Consortiumnews.com – Redazione – (Dicembre 12, 2023) – Jeffrey Sachs – ci dice:

(Jeffrey D.Sachs - Common Dreams).

 

Quando venerdì Washington ha posto il veto al cessate il fuoco a Gaza, si è schierato da solo contro il diritto internazionale poiché il Regno Unito – il suo tutore nella brutalità imperiale – si è doverosamente astenuto, scrive “Jeffrey Sachs”.

(Long Island City, New York, skyline, con la luna piena dietro la scultura "Let Us Beat Our Swords into Ploughshares" presso la sede delle Nazioni Unite, 21 settembre 2021.)

 (Foto ONU/Manuel Elías).

The voto quasi unanime chiedere venerdì al Consiglio di Sicurezza dell’ONU un cessate il fuoco immediato a Gaza è un momento di onore per le Nazioni Unite e di vergogna per gli Stati Uniti.

Votando per fermare la guerra di Israele a Gaza con 13 voti sì, un no (USA) e un'astensione (Regno Unito), la stragrande maggioranza si è schierata dalla parte del diritto internazionale.

Gli Stati Uniti si sono opposti da soli al diritto internazionale, mentre il loro aiutante e tutore nella brutalità imperiale, il Regno Unito, si è doverosamente astenuto.

Il segretario generale delle Nazioni Unite “Antonio Guterres” ha onorato le Nazioni Unite e la decenza umana invocando l’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite, chiedendo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di fermare gli omicidi a Gaza come responsabilità fondamentale ai sensi della Carta delle Nazioni Unite.

Ogni giorno, i funzionari delle Nazioni Unite sul campo a Gaza lottano eroicamente per nutrire, dare rifugio e proteggere la popolazione dalle bombe israeliane.

 Più di 100 personale delle Nazioni Unite sono stati uccisi nell'assalto israeliano.

La situazione a Gaza è tanto chiara quanto brutale. Lo Stato di Palestina, riconosciuto da 139 nazioni, soffre da tempo le brutalità dell’occupazione israeliana a Gaza e in Cisgiordania.

 Gaza è stata definita la più grande prigione a cielo aperto del mondo da “Human Rights Watch”.

Dopo il terribile attacco terroristico guidato da Hamas il 7 ottobre, in cui morirono 1,200 israeliani, Israele iniziò la pulizia etnica di Gaza. Specialisti legali presso il Centro per i diritti costituzionali considerano le azioni di Israele come un genocidio.

Fino ad oggi, più di 17,400 abitanti di Gaza sono stati uccisi, e un insondabile 1.8 milioni di abitanti di Gaza sono stati sfollati.

Decine di migliaia sono a rischio di morte imminente.

 Il mese scorso, “Guterres” è stato avvertito che “Gaza stava diventando un cimitero di bambini”.

Israele ha spinto la popolazione dal nord di Gaza al sud, e poi ha invaso il sud.

 Le autorità israeliane hanno detto agli abitanti di Gaza di fuggire per salvarsi la vita zone del sud, e poi hanno bombardato i luoghi verso i quali erano stati diretti gli abitanti di Gaza.

Gli Stati Uniti sono più di un semplice protettore di Israele. È un complice.

Gli Stati Uniti forniscono, in tempo reale, le munizioni che Israele utilizza per gli omicidi di massa, anche se le autorità statunitensi sostengono a parole le vite dei civili di Gaza.

(Robert A. Wood, vice ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite, è al centro del tavolo, l’8 dicembre, quando gli Stati Uniti espressero l’unico voto contro il cessate il fuoco a Gaza).

Il presidente israeliano” Isaac Herzog” giustifica il massacro dichiarando che non esistono civili innocenti a Gaza: “C’è un’intera nazione là fuori che è responsabile”.

La più grande menzogna del governo israeliano è che Israele non ha altra scelta che l'uccisione di massa degli abitanti di Gaza, presumibilmente per sconfiggere “Hamas”.

Il fatto che Israele sia stato indotto dalla sua arroganza ad abbassare la guardia il 7 ottobre non rende “Hamas” una minaccia esistenziale.

“Hamas” possiede solo una piccola frazione della potenza militare israeliana.

Il 7 ottobre, come l’9 settembre negli Stati Uniti, è stato un colossale errore di sicurezza che dovrebbe essere immediatamente corretto rafforzando la sicurezza delle frontiere, non una minaccia esistenziale che in qualche modo giustifichi l’uccisione di migliaia o decine di migliaia di civili innocenti, con donne e bambini che costituiscono il 11% delle vittime.

La frenesia omicida è guidata dagli stessi politici responsabili del fallimento della sicurezza del 7 ottobre e che ora manipolano le ansie più profonde della popolazione israeliana.

C’è un punto più ampio e molto più importante.

 “Hamas” può essere smobilitato attraverso la diplomazia, e solo attraverso la diplomazia.

Israele e gli Stati Uniti devono finalmente rispettare il diritto internazionale, accettare uno stato sovrano di Palestina accanto a Israele e accogliere la Palestina come 194esimo stato membro delle Nazioni Unite.

Il segretario generale delle Nazioni Unite “António Guterres “l’8 dicembre, mentre il Consiglio di sicurezza si era riunito in merito a  una lettera da lui scritta invocando l’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite, chiedendo al Consiglio di agire sulla crisi umanitaria a Gaza.

Gli Stati Uniti devono smettere di armare l’operazione israeliana di pulizia etnica a Gaza e smettere di proteggere le dilaganti violazioni dei diritti umani fondamentali da parte di Israele in Cisgiordania.

Cinquantasei anni dopo l’occupazione illegale delle terre palestinesi, e dopo decenni di insediamenti illegali nei territori occupati, Israele deve finalmente ritirarsi dalle terre palestinesi occupate.

Con tali passi, la pace tra Israele e i paesi vicini potrebbe e sarebbe assicurata.

 Su questa base, le forze di pace delle Nazioni Unite, comprese le truppe arabe e occidentali, a loro volta garantirebbero il confine israelo-palestinese per un periodo di transizione necessario.

Allo stesso tempo, tutti i flussi internazionali di finanziamenti ai militanti anti-israeliani verrebbero soffocati da azioni congiunte e coordinate di Stati Uniti, Europa e vicini arabi e islamici di Israele.

La via diplomatica è aperta perché i Paesi arabi e islamici (compreso l’Iran) hanno ribadito ancora una volta  che - per  vecchia data - il desiderio di pace con Israele deve essere visto come parte di un accordo di pace che stabilisca la Palestina lungo i confini del 1967 e la sua capitale a Gerusalemme Est.

 

La vera ragione della guerra di Israele a Gaza è che il governo israeliano rifiuta la soluzione dei due Stati e punta agli estremisti dall'altra parte piuttosto che agli Stati arabi e islamici, che vogliono una pace basata sulla soluzione dei due Stati.

I fanatici israeliani, tra cui diversi membri del governo, credono che Dio abbia promesso loro tutte le terre dall’Eufrate al Mediterraneo.

Questa convinzione è fatua.

Come la storia ebraica dovrebbe chiarire agli ebrei religiosi, e come tutta la storia umana dovrebbe chiarire in generale, nessun gruppo, ebreo o altro, ha un “diritto” incondizionato su alcuna terra.

(Palestinesi visti dopo un attacco aereo israeliano a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, l'8 ottobre).

Affinché i diritti siano garantiti e rispettati a livello internazionale ai nostri giorni, i governi devono rispettare lo stato di diritto internazionale.

 Nel caso di Israele e Palestina, il diritto internazionale, come ripetutamente espresso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sostiene che due stati sovrani, Israele e Palestina, hanno sia il diritto che la responsabilità di vivere fianco a fianco in pace secondo i confini del 1967.

Non solo Israele, ma forse ancor più gli Stati Uniti, hanno perso la strada.

 La ragione profonda era chiara al senatore “J. William Fulbright” 60 anni fa, quando “Fulbright” era presidente del Comitato per le relazioni estere del Senato e scrisse il magnifico libro, “L'arroganza del potere”.

“Fulbright” ha indicato nell'arroganza la causa profonda della spericolata guerra americana in Vietnam negli anni '1960.

Nella sua continua arroganza, lo stato di sicurezza militare degli Stati Uniti ignora ripetutamente la volontà della comunità internazionale e il diritto internazionale perché ritiene che le armi e il potere gli consentano di farlo.

 La politica estera degli Stati Uniti si basa fortemente su operazioni segrete e illegali di cambio di regime e su una guerra perpetua che si rivolge al complesso militare-industriale degli Stati Uniti.

Non dobbiamo diventare cinici nei confronti delle Nazioni Unite. Attualmente sono bloccate dagli Stati Uniti, il paese che ne ha guidato la creazione sotto il più grande presidente americano,” Franklin Delano Roosevelt”.

L’ONU sta facendo il suo lavoro, costruendo il diritto internazionale, lo sviluppo sostenibile e i diritti umani universali, passo dopo passo, con progressi e rovesci, nonostante l’opposizione di forze potenti, ma con l’arco della storia dalla sua parte.

Il diritto internazionale è una creazione umana relativamente nuova, ancora in lavorazione.

 È difficile da raggiungere di fronte all’ostinato potere imperiale, ma dobbiamo perseguirlo.

È importante notare che l'opposizione ai crimini di guerra di Israele non ha assolutamente nulla a che fare con l'antisemitismo.

 Questo punto è stato sottolineato in modo eloquente in una lettera aperta da decine di scrittori ebrei.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non parla a nome del giudaismo.

 Il governo israeliano viola la più sacra di tutte le ingiunzioni ebraiche, quella di proteggere la vita (Pikuach Nefesh) e amare il prossimo tuo come te stesso (Levitico 19:18).

Il messaggio dell'etica ebraica si trova nelle parole del profeta Isaia (Isaiah 2: 4) inscritto su un muro direttamente di fronte alle Nazioni Unite:

“Forgeranno le loro spade in vomeri, e le loro lance in falci; nazione non alzerà più la spada contro nazione, né impareranno più la guerra”.

(Sogni comuni.)

(Jeffrey D. Sachs è professore universitario e direttore del Centro per lo sviluppo sostenibile della Columbia University, dove ha diretto l'Earth Institute dal 2002 al 2016. È anche presidente del Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite e commissario della Commissione per la banda larga delle Nazioni Unite per lo sviluppo.)

 

 

 

 

I messaggi nascosti dell'apparato

culturale dell'élite al potere.

 Theburningplatform.com - Guest Post di Edward Curtin – Redazione – (5-5-2024) – ci dice:

 

Essere crocifissi significa soffrire e morire lentamente e agonizzante.

Era una forma comune di esecuzione nel mondo antico.

 È generalmente associato all'uccisione di Gesù da parte di Roma e ha un profondo significato spirituale simbolico per i cristiani.

Nel suo senso figurato, si riferisce a molti tipi di sofferenza e morte inflitti ai deboli dai forti, come il genocidio in corso dei palestinesi da parte del governo israeliano.

Una ventina di anni fa, quando l'uso di croci da parte di tutti i tipi di persone era di moda in cultura, una donna che conosco mi disse che stava pensando di prenderne una.

 Quando le chiesi perché, visto che era ebrea, mi rispose che era perché pensava che fossero belli.

Sembrava ignara del fatto che per i cristiani erano simboli spirituali raccapriccianti ma rivelatori, l'equivalente della sedia elettrica o di un cappio, ma legati alla resurrezione pasquale e al trionfo non violento sulla morte che è al centro del cristianesimo.

La sua attenzione per la bellezza mi colpì con forza il fatto che la cultura secolare avesse trionfato nella sua istituzione di un credo anti-credo in cui la ricerca di un senso di benessere e di tranquillità estetica aveva avuto la meglio sulle credenze tradizionali, mentre usava tutte le fedi nel suo perseguimento di un nichilismo egocentrico attraverso una finta spiritualità legata a una preziosa estetica della bellezza.

“Philip Rieff” se ne accorse a metà degli anni '60 quando scrisse in “The Triumph of the Therapeutic”.

Sollevare la questione del nichilismo, come hanno fatto i sociologi a partire da “Auguste Comte”, dimostra un grande cambiamento di tono: la nota di apprensione è uscita dal chiedere.

Crediamo di sapere qualcosa che i nostri predecessori non sapevano:

che possiamo finalmente vivere liberamente, godendo di tutti i nostri sensi – tranne il senso del passato – come barbari smemorati, onesti e amichevoli, in un Eden tecnologico.

Questa cultura, che una volta si immaginava all'interno di una chiesa, si sente intrappolata in qualcosa di simile a uno zoo di gabbie separate.

 Gli uomini moderni sono come la “pantera di Rilke”, che guarda sempre da una gabbia all'altra.

Mentre oggi quelle gabbie sarebbero meglio descritte come cellule – come nei telefoni cellulari – il punto di vista di “Rieff” era estremamente preveggente, riecheggiando a suo modo la profezia di” Max Weber” del 1905 in” L'etica protestante e lo spirito del capitalismo” dell'imminente "gabbia di ferro".

 

Sarebbe comprensibile se si pensasse che la fotografia del crocifisso che precede le mie parole sia stata scattata in una chiesa, poiché il suo primo piano davanti all'abside della chiesa medievale spagnola di San Martín a Fuentidueña lo fa sembrare.

Non lo era, a meno che non ci si renda conto che i musei sono diventati le chiese moderne, dove le persone si accalcano per venerare l'arte per amore dell'arte e forse per trovare qualche consolazione che hanno perso a un livello più profondo.

Musei che sono stati costruiti e mantenuti da ricchissimi per servire come le proprie chiese per la gloria di mammona e la propria auto-illusoria immortalità.

 

Mammona che è stato costruito sulle spalle dei poveri e della classe operaia, proprio come hanno fatto questi edifici.

Al di sotto di tutte le alte istituzioni culturali, come i musei e i luoghi d'arte come il “Metropolitan Museum of Art”, il “Museum of Modern Art”, il “Lincoln Center di New York,” ecc., si trovano il lavoro espropriato e la terra delle classi inferiori, le stesse classi il cui sudore e il cui sangue sono stati sfruttati durante le trasmutazioni storiche del capitale da commerciale a industriale a finanziario per creare l'immensa ricchezza dei super-ricchi.

C'è una ragione per cui gli industriali americani del diciannovesimo secolo come “Vanderbilt”, “Mellon”, “Carnegie”, “Rockefeller” e altri erano chiamati "I baroni rapinatori".

Erano dei truffatori.

Sono ancora con noi, naturalmente, aiutati e incoraggiati dall'ultima classe miliardaria di oggi.

Costruiscono e finanziano le suddette istituzioni culturali, nonché possiedono e gestiscono le principali istituzioni della comunicazione di massa e dell'intrattenimento, come giornali, reti televisive, società di telecomunicazioni, studi cinematografici, ecc.

– il complesso industriale dell'intrattenimento.

 In questa capacità di comunicazione diretta, controllano la mediazione della "realtà" con la popolazione in generale.

 Servono gli interessi di quella che il grande sociologo crociato “C. Wright Mills” chiamava l'élite di potere dentro e fuori il governo, di cui sono una parte interconnessa, e attraverso la quale si muovono agevolmente in un gioco di sedie girevoli.

Gestiscono il grande spettacolo per la popolazione in generale, mentre muovono le leve del potere dietro le quinte.

Quando morì, “Mills” stava lavorando a un grosso libro che esplorava quello che intitolò provvisoriamente “The Cultural Apparatus”.

Egli definì questo complesso come segue:

L'apparato culturale è composto da tutte le organizzazioni e gli ambienti in cui si svolge il lavoro artistico, intellettuale e scientifico e dai mezzi con cui tale lavoro è reso disponibile.

Contiene un insieme elaborato di istituzioni: scuole e teatri, giornali e uffici di censimento, studi, laboratori, musei, piccole riviste e reti radiofoniche. . .

All'interno di questa rete, frapponendosi tra gli uomini e gli eventi, le immagini, i significati e gli slogan che definiscono i mondi in cui viviamo sono organizzati e confrontati, mantenuti e rivisti, perduti e amati, nascosti, sfatati, celebrati.

 Preso nel suo insieme, l'apparato culturale è la lente dell'umanità attraverso la quale gli uomini vedono;

il mezzo attraverso il quale riferiscono e interpretano ciò che vedono.

La “Columbia University”, dove ha insegnato ed è oggi sulle prime pagine dei giornali per la sua repressione poliziesca del dissenso studentesco per la loro protesta pro-palestinese, è una di quelle istituzioni culturali d'élite, un luogo in cui “Mills” non si è mai sentito a suo agio e i cui colleghi lo guardavano di traverso per la sua critica allo stato di guerra dell'élite al potere.

 

Columbia, con la sua storia razzista in quanto ha visto il suo status di élite minacciato dalla crescita della vicina “comunità nera di Harlem negli anni '20 e '30”, e l'ulteriore espansione di Columbia in questi quartieri da allora.

La Colombia, come tutte le istituzioni culturali d'élite, nasce nella propria mente sui generis ed elevata alle vette della purezza e dell'innocenza, ma le cui fondamenta sono marcio con denaro sporco.

Eppure, come ha scritto di recente “Terry Eagleton” sulla “London Review of Books”, "Questo non è il modo in cui la cultura generalmente ama vedere sé stessa.

Come il bambino edipico, tende a rinnegare la sua umile parentela e a fantasticare che sia scaturito dai suoi stessi lombi, autogenerandosi e auto-modellandosi.

Come la Columbia e tutte le università d'élite di "istruzione superiore" – “Harvard”, “Oxford”, “Yale”, “Princeton”,” Stanford”, ecc. – che servono come strumenti di legittimazione per l'élite di potere e la sua menzogna, i musei e le altre istituzioni artistiche ben note esercitano un'enorme influenza, non solo sulla cultura in senso alto culturale, ma sulla trasformazione della società nel suo complesso. spesso in modi che passano inosservati.

Ancora “Eagleton”:

 

C'è dell'ironia qui, dal momento che poche cose legano l'arte così strettamente al suo contesto materiale come la sua pretesa di esserne libera.

Questo perché l'opera d'arte come autonoma e autodeterminata, un'idea nata alla fine del XVIII secolo, è il modello di una versione del soggetto umano che sta rapidamente guadagnando terreno nella vita reale. G

li uomini e le donne sono ora visti come autori di sé stessi . . .

La foto del crocifisso e dell'abside che precede le mie parole è stata scattata di recente in “The Cloisters” a Upper Manhattan, New York City, dove i fantasmi di credenze religiose morte si aggirano per le stanze.

Ha lo scopo di presentare una "galleria simile a una cappella".

“The Cloisters” è un museo di proprietà del “Metropolitan Museum of Art” ed è ora conosciuto come “The Met Cloisters”.

Esso, e il bellissimo “Fort Tryon Park “di 67 acri su cui si trova, è stato creato e finanziato da “John D. Rockefeller, Jr.” che, secondo il sito web del “Met”, era affascinato dal passato.

"L'arte esperta dell'arte medievale e la sua innata spiritualità hanno fortemente attratto questo filantropo e collezionista", ci viene detto.

La spiritualità del Medioevo, mi correggerò, che quando era stata trasportata al museo era priva del suo contesto di vita e poteva essere presentata come un dono di una famiglia di baroni rapinatori alla gente di New York che aveva bisogno di essere sollevata dalla “gentilezza noblesse oblige” dei Rockefeller.

Spiriti morti privi di una viva religiosità interiore che contrabbandano messaggi segreti a un pubblico affamato di significato.

Pubblicità nativa.

Come il mio amico che ha preso in considerazione l'idea di prendere una croce, “Rockefeller” senza dubbio ha trovato il crocifisso e l'abside che lo incorniciano abbastanza belli e spiritualmente edificanti, ma non la spiritualità vivente del “criminale Gesù” il cui messaggio sulla ricchezza non ha mai informato sullo spietato sfruttamento degli altri da parte dei Rockefeller durante la loro ascesa al potere.

 

Negli anni passati, quando ho visitato per la prima volta” The Cloisters”, essendo un nativo del “Bronx newyorkese”, era conosciuto semplicemente come “The Cloisters”, anche se il “Met” lo possedeva sin dal suo inizio negli anni '30.

 Prima di visitarlo da giovane, avevo l'impressione che avesse un qualche significato religioso, come suggerisce il nome chiostro (inizio XIII secolo, cloystre, "un monastero o convento, un luogo di ritiro religioso o di isolamento").

Ma mi sbagliavo; è un museo, un bellissimo museo costruito con pietre provenienti da monasteri, chiese e conventi europei trasportati molto tempo fa attraverso l'Atlantico e ricostruiti sulle alture sopra il fiume Hudson.

È pieno di arte medievale collezionata da Rockefeller, George Gray Barnard e altri ricchi collezionisti d'arte.

Per coloro che sono così disposti a chiedersi per cosa pregassero i reali nei giorni medievali, era per massacrare il maggior numero possibile di musulmani nelle Crociate? – si può vedere il minuscolo libro di preghiere un tempo di proprietà della Regina di Francia – e immaginare.

Questa immaginazione potrebbe far capire quanto poco le cose siano cambiate e quanto piccole cose significhino molto.

Il trucco è notarli.

Il potere politico ha bisogno del potere culturale per funzionare efficacemente.

Le élite non possono semplicemente sbattere la gente in giro e non aspettarsi alcuna risposta.

Hanno bisogno di insinuare i loro messaggi ideologici nella coscienza pubblica in modi piacevoli.

 Scrivendo di “Edmund Burke”, “Eagleton dice”:

 "Piuttosto, egli riconosce che la cultura in senso antropologico è il luogo in cui il potere deve ristabilirsi se vuole essere efficace. Se il politico non trova casa nel culturale, la sua sovranità non prenderà piede".

Così, per fare un esempio da Hollywood e dal regno della “cultura pop”, potremmo notare come molti film e programmi televisivi siano stati segretamente co-scritti dal Pentagono.

 

Un altro nome per questo è propaganda.

 

Il messaggio culturale è il punto in cui l'élite al potere ha bisogno di sedurre la gente normale che il potere viene esercitato per il proprio bene e che tutti sono a letto insieme.

Potere morbido. Bella potenza.

 Potere che si traveste da beneficio per tutti.

 Bella potenza. Potere "spirituale".

Come dicevo,” Fort Tryon Park” (progettato dai fratelli Olmsted, figli del progettista di Central Park,” Frederick Law Olmsted”) e “The Cloisters” sono di una bellezza spettacolare.

Camminando attraverso il parco in una soleggiata giornata primaverile per raggiungere il museo alla sua estremità settentrionale - i fiori e gli alberi di ciliegio in fiore abbaglianti e il fiume Hudson scintillante sotto di sé - si è sopraffatti dalla bellezza e grati al suo donatore umano – “John D. Rockefeller, Jr.”

 Ci vuole un po' di sforzo mentale per afferrare il paradosso o il sogno delirante di tale gratitudine.

Ma va dritto al cuore del potere del complesso culturale e dei modi in cui lavora per ammorbidire la spietatezza dei suoi controllori capitalistici ultra-ricchi.

Prima ti derubano, poi ti regalano una passeggiata nel parco.

E quando entri nelle loro istituzioni, ti viene offerta l'opportunità di pensare all'interno di parametri controllati, mentre senti anche il sentore della natura teatrale della tua esperienza.

L'odore è importante quanto il pensiero, perché è un promemoria per tenere la bocca chiusa e anche tu fiorirai.

La frode del complesso culturale-educativo può rendersi conto di alcuni che sono stati invitati nei sancta sanctorum del potere e del prestigio, come è accaduto attualmente a molti studenti universitari (e ad alcuni docenti) la cui coscienza non permette loro di stare fermi mentre i palestinesi vengono massacrati.

 Ma se hai il coraggio di agire in base alla tua sensazione di essere preso in giro, fai attenzione!

Sarete banditi dai piaceri che vi vengono offerti per la vostra acquiescenza, come questi studenti stanno scoprendo ora.

Hanno rifiutato quella parte dell'esperienza di apprendimento che “George Orwell” chiamava “Crimestop”:

 

. . . Significa la facoltà di fermarsi, come per istinto, sulla soglia di un pensiero pericoloso.

Comprende il potere di non afferrare le analogie, di non riuscire a percepire gli errori logici, di fraintendere gli argomenti più semplici se sono ostili all'”Ingsoc”, e di essere annoiati o respinti da qualsiasi linea di pensiero che sia in grado di condurre in una direzione eretica. “Crimestop”, in breve, significa stupidità protettiva.

 

A volte il pensiero reale e la coscienza vincono, perché il potere delle istituzioni culturali dell'élite non è onnipotente. Non tutti sono in vendita, nemmeno gli invitati al banchetto.

 Insegnate alle persone a pensare e meditare sulla storia e loro potrebbero pensare fuori dalla gabbia delle vostre aspettative.

Mentre il genocidio dei palestinesi è sotto gli occhi di tutti, i leader di queste università d'élite, a differenza degli studenti ribelli, chiudono un occhio sull'evidenza. Seguono il copione che gli è stato consegnato quando hanno accettato le loro prestigiose posizioni di potere, all'altezza del famoso appellativo di “Julian Benda”: Il tradimento degli intellettuali.

 

Ma il potere "bello" diventa il pugno di ferro quando la plebe diventa troppo arrogante e prende sul serio i suoi studi e si ribella come esseri umani con una coscienza.

Questo è il rovescio della medaglia dei messaggi nascosti delle istituzioni culturali d'élite.

Questo processo bilaterale di messaggi nascosti ed evidenti opera anche nel complesso dei media.

 Mentre i cosiddetti media liberali e conservatori – tutti stenografi per le agenzie di intelligence – riversano la propaganda più sfacciata su Palestina, Israele, Russia e Ucraina, ecc. che è così evidente da essere comica se non fosse così pericolosa, gli intenditori auto-raffigurati ingeriscono anche messaggi più sottili, spesso dai media alternativi e da persone che considerano dissidenti. Sono come piccoli semi infilati dentro come se nessuno se ne accorgesse; Fanno la loro magia quasi inconsapevolmente.

 Pochi li notano, perché spesso sono impercettibili.

 Ma hanno i loro effetti e sono cumulativi e sono molto più potenti nel tempo di dichiarazioni palesi che allontaneranno le persone, specialmente quelle che pensano che la propaganda non funzioni su di loro.

Questo è il potere della propaganda di successo, che sia intenzionale o meno. Funziona particolarmente bene su persone "intellettuali" e altamente istruite.

Alcune persone pensano che se si vede più di quanto sia evidente quando si visitano siti come “The Cloisters” a “Fort Tryon Park”, non si è in grado di godere della bellezza di questi "doni".

Questo non è vero.

Non si escludono a vicenda. Il grande studioso afroamericano “W. E. B. DuBois” ha coniato un termine di doppia coscienza che penso possa essere usato in questo contesto per descrivere l'esperienza di alcune persone, non solo quella degli afroamericani.

 Vedono almeno due verità contemporaneamente.

 La loro doppia coscienza non riconciliata impedisce loro di avere una visione unica quando visitano le bellissime creazioni dell'élite al potere. Le parole di “William Blake” – "Che Dio ci preservi dalla visione unica e dal sonno di Newton! – informare il loro punto di vista.

 

Durante lo stesso viaggio a The Cloisters, io e mia moglie abbiamo camminato a lungo per Central Park, sicuramente uno dei parchi più belli del mondo.

Era spettacolarmente infuocato da alberi di ciliegio in fiore e persone provenienti da tutto il mondo che si godevano i suoi piaceri, come noi. Io, invece, entrando e uscendo da questo paradiso, non ho potuto fare a meno di pensare che questo parco fosse ingabbiato dagli enormi complessi residenziali della classe elitaria dei super-ricchi, come a dire ai visitatori del parco: si può visitare ma non restare. Supervisioniamo i vostri piaceri.

 

“Max Weber” lo diceva bene un secolo fa:

 

Nessuno sa chi vivrà in questa gabbia in futuro, o alla fine di questo tremendo sviluppo sorgeranno profeti completamente nuovi, o ci sarà una grande rinascita di vecchie idee e ideali, o, se non l'uno o l'altro, una pietrificazione meccanizzata, abbellita da una sorta di convulsa presunzione.

Dell'ultimo stadio di questo sviluppo culturale si potrebbe dire: "Specialisti senza spirito, sensualisti senza cuore; Questa nullità immagina di aver raggiunto un livello di civiltà mai raggiunto prima".

 

 

 

 

Israele/Gaza: Le maschere si tolgono

nella società americana.

Unz.com - RON UNZ – (6 MAGGIO 2024) – ci dice:

Penso che gli eventi eclatanti a cui abbiamo assistito nella società americana negli ultimi mesi – e soprattutto negli ultimi giorni – siano meglio compresi se consideriamo un'acuta osservazione ampiamente erroneamente attribuita a “Voltaire”:

Per sapere chi comanda su di te, scopri semplicemente chi non è autorizzato a criticare.

 

Fin dagli anni della mia infanzia ero sempre stato consapevole che l'attivismo politico e le proteste erano una caratteristica regolare della vita universitaria, con il movimento degli anni '60 contro la guerra del Vietnam che rappresentava uno dei suoi picchi, uno sforzo ampiamente lodato nei nostri libri di testo successivi e nei resoconti dei media per il suo eroico idealismo.

Durante gli anni '80 ricordo di aver visto una lunga fila di baracche rozzamente costruite per protestare contro l'apartheid sudafricano che passavano settimane a occupare i bordi dell'Harvard Yard o forse era lo Stanford Quad, e penso che più o meno nello stesso periodo altre baracche e manifestanti dell'UCLA mantennero una lunga veglia a sostegno dei “RefusedniksW ebrei dell'URSS.

 Le proteste politiche sembravano un aspetto normale degli anni universitari tanto quanto gli esami finali e avevano in gran parte sostituito i rituali di nonnismo e gli scherzi selvaggi delle confraternite tradizionali, che erano sempre più diffamati come politicamente scorretti da censori sociali ostili tra gli studenti e docenti’ .

 

Nell'ultimo decennio circa, il movimento “Black Lives Matter” ha portato tali proteste a livello nazionale da parte degli studenti universitari a nuovi livelli, sia all'interno che all'esterno del campus, spesso coinvolgendo grandi marce, sit-in o atti di vandalismo , e questo è stato probabilmente spinto dalla crescente influenza degli smartphone e dei social media.

Nel frattempo, i media mainstream hanno regolarmente elogiato e promosso questo "movimento per la giustizia razziale", che ha raggiunto il suo picco dopo la morte di George Floyd nell'estate del 2020.

 Poco dopo, una massiccia ondata di proteste politiche, rivolte e saccheggi ha inghiottito circa 200 città in tutta la nostra nazione, i peggiori disordini urbani dalla fine degli anni '60.

Ma a differenza di quell'epoca precedente, la maggior parte dei media dell'establishment e della classe politica denunciavano ferocemente come oltraggiosa qualsiasi proposta di dispiegamento della polizia per sedare quella violenza.

 In effetti, in molti o nella maggior parte dei casi le forze dell'ordine locali si sono fermate e non hanno fatto nulla, anche se alcuni dei loro padroni politici hanno alzato a gran voce il grido "Togliete i fondi alla polizia!"

Durante quegli anni molte università sono state pesantemente coinvolte in tali polemiche con “Yale” che ha rinominato il suo college residenziale “Calhoun” all'inizio del 2017 e l'elenco dei cambiamenti di nome dovuti alle proteste di George Floyd del 2020 è così lungo da giustificare una propria pagina Wikipedia , un elenco che includeva in particolare alcune delle nostre basi militari più storiche come” Ft. Bragg” e Ft. Cappuccio”.

 Gli attacchi verbali o anche fisici contro i simboli e le statue dei presidenti e degli eroi nazionali più famosi d'America divennero abbastanza comuni e furono spesso segnalati favorevolmente dai media, con George Washington, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln, Theodore Roosevelt, Woodrow Wilson e Cristoforo Colombo che furono tutti denigrati e denunciati, a volte con l'approvazione dell'élite.

Un articolo di opinione del “New York Times” chiedeva che il “Jefferson Memorial” fosse sostituito con un'imponente statua di una donna nera, mentre uno degli editorialisti regolari del “Times” ha più volte chiesto che tutti i monumenti in onore di “George Washington” subissero un destino simile.

 A questo punto, Molti osservatori hanno sostenuto che l'America del 2020 sembrava quasi subito la propria versione della Rivoluzione Culturale Cinese, tra le diffuse affermazioni secondo cui gran parte del nostro intero passato storico era irrimediabilmente contaminato e quindi doveva essere cancellato dalla pubblica piazza.

 

La maggior parte di queste proteste politiche, specialmente quelle nei campus universitari, sono state ampiamente salutate da coloro che detenevano i megafoni dei media come rappresentativi di una delle più grandi virtù della democrazia americana.

I molti difensori dell'élite di tali sconvolgimenti sociali e culturali hanno sostenuto che questi eventi hanno dimostrato la grande forza della nostra società, che ha permesso liberamente i più feroci attacchi pubblici contro le nostre icone e i nostri eroi nazionali più sacri, fornendo il tipo di autocritica bruciante che sicuramente non sarebbe stata permessa quasi in nessun'altra parte del mondo.

 

Quella lunga storia di proteste pubbliche consentite o addirittura glorificate contro le ingiustizie percepite è stata naturalmente assorbita e presa a cuore dai giovani studenti universitari che hanno iniziato le lezioni nel settembre 2023.

 Poi, nel giro di poche settimane, un raid a sorpresa straordinariamente audace da parte dei militanti di “Hamas” di lunga data.

La Gaza assediata colse gli israeliani addormentati e superò le difese ad alta tecnologia la cui costruzione era costata loro forse mezzo miliardo di dollari.

Molte centinaia di soldati e agenti di sicurezza israeliani furono uccisi insieme a un numero simile di civili, e la maggior parte di questi ultimi probabilmente morì a causa del fuoco amico delle unità militari israeliane in preda al panico e dal grilletto facile.

 Circa 240 soldati e civili israeliani furono catturati e riportati a Gaza come prigionieri, con “Hamas” che sperava di scambiarli con la libertà delle molte migliaia di civili palestinesi che erano stati trattenuti per anni nelle carceri israeliane, spesso in condizioni brutali.

Come al solito, i nostri media mainstream, in stragrande maggioranza filo-israeliani, hanno descritto l'attacco in modo estremamente unilaterale, privo di qualsiasi contesto storico, uno schema che era stato seguito per tre generazioni.

Di conseguenza, Israele ha ricevuto un'enorme ondata di simpatia da parte dell'opinione pubblica e delle élite mentre si mobilitava per un attacco di ritorsione contro Gaza.

 Nel giro di pochi giorni, il nostro Segretario di Stato “Antony Blinken” volò in Israele dichiarando di essere venuto "come ebreo" e promettendo il sostegno incrollabile dell'America in quel momento di crisi, sentimenti pienamente ripresi dal presidente “Joseph Biden” e dalla sua intera amministrazione.

Ma i combattenti di “Hamas” e i “loro prigionieri israeliani” erano nascosti in una rete di tunnel fortificati e sradicarli avrebbe potuto produrre pesanti perdite, quindi il primo ministro israeliano “Benjamin Netanyahu” e i suoi consiglieri hanno deciso una strategia diversa.

 

Invece di attaccare “Hamas”, “Netanyahu” ha approfittato dell'ondata di simpatia globale scatenando un assalto militare senza precedenti contro gli oltre due milioni di civili di Gaza, con l'apparente intenzione di ucciderne un gran numero e di scacciare il resto nel deserto egiziano del Sinai, permettendo a Israele di annettere il loro territorio.

 Il territorio sarebbe stato reinsediato con gli ebrei.

 Poco dopo, il governo israeliano iniziò a distribuire fucili d'assalto ai coloni ebrei della Cisgiordania, ordinandone circa 24.000 a tale scopo.

 Mettere tali armamenti nelle mani di fanatici religiosi porterebbe sicuramente a massacri locali e questi potrebbero fornire una scusa per spingere tutti i milioni di palestinesi oltre il confine con la Giordania.

Il risultato finale sarebbe la creazione di un “Grande Israele razzialmente puro” che si estende "dal fiume al mare", il sogno di lunga data del movimento sionista.

E se avesse successo, il posto di “Netanyahu” nella storia ebraica potrebbe diventare glorioso, con i suoi numerosi peccati veniali ed errori facilmente trascurati.

 

Mentre i ponti aerei americani fornivano un flusso incessante delle munizioni necessarie, gli israeliani iniziarono una massiccia campagna di bombardamenti aerei contro la densamente popolata Gaza e i suoi indifesi residenti.

 Al sicuro nei loro tunnel sotterranei, relativamente pochi combattenti di “Hamas” sono stati uccisi, ma i civili di Gaza hanno subito perdite devastanti, la maggior parte delle quali causate da bombe da duemila libbre, quasi mai schierate prima contro obiettivi urbani.

 Ampie porzioni di Gaza furono presto trasformate in paesaggi lunari, con la distruzione di circa 100.000 edifici, tra cui ospedali, chiese, moschee, scuole, università, uffici governativi, panifici e tutte le altre infrastrutture necessarie al mantenimento della vita civile.

Dopo solo poche settimane, il” Financial Times” riferì che la distruzione inflitta a gran parte di Gaza era già peggiore di quella subita dalle città tedesche dopo anni di bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.

Anche se Netanyahu era rigorosamente laico, ha fatto leva sulla sua base religiosa dichiarando che i palestinesi erano la “tribù di Amalek”, che il Dio ebraico aveva comandato di sterminare fino all'ultimo neonato.

 Molti altri leader israeliani di alto livello hanno espresso sentimenti genocidi molto simili, e alcuni dei soldati e dei comandanti israeliani più zelantemente religiosi probabilmente hanno preso queste dichiarazioni abbastanza alla lettera.

 

Questa gigantesca sete di sangue si è ulteriormente infiammata quando il governo israeliano e i suoi propagandisti sostenitori hanno iniziato a promuovere oltraggiose bufale sulle atrocità di “Hamas”, come bambini israeliani decapitati o arrostiti, mutilazioni sessuali e stupri di gruppo.

I media globali, notoriamente filo-israeliani, hanno riportato credulamente queste storie, usandole per distogliere l'attenzione dall'enorme massacro in corso di civili palestinesi.

 Per assicurarsi che la copertura rimanesse unilaterale, gli israeliani hanno preso di mira i giornalisti indipendenti a Gaza per ucciderli, uccidendone circa 140 negli ultimi mesi, una cifra grande quanto il totale combinato di tutte le altre guerre del mondo negli ultimi anni.

Con i leader israeliani che dichiaravano di vincere con i loro piani di genocidio per i loro nemici palestinesi e le loro truppe che commettevano il più grande massacro televisivo di civili indifesi nella storia del mondo, le organizzazioni internazionali sono state gradualmente sottoposte a gravi pressioni per essere coinvolte nel conflitto in corso.

Alla fine di dicembre, il “Sudafrica” ha presentato una memoria legale di 91 pagine alla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) accusando Israele di aver commesso un genocidio.

Nel giro di poche settimane i giuristi della Corte Internazionale di Giustizia hanno emesso una serie di sentenze quasi unanimi a sostegno di tali accuse e dichiarando che gli abitanti di Gaza erano a serio rischio di subire un potenziale genocidio per mano di Israele, con lo stesso giudice nominato da Israele, un ex presidente della Corte Suprema israeliana, che ha concordato nella maggior parte di quei verdetti.

 

Ma invece di fare marcia indietro, il governo di Netanyahu si è limitato a raddoppiare gli attacchi contro Gaza, inasprendo il blocco delle spedizioni di cibo e mettendo al bando l'organizzazione delle Nazioni Unite responsabile della loro distribuzione, ritenendo che la fame insieme alle bombe e ai missili sarebbero il mezzo più efficace per uccidere o scacciare tutti i palestinesi.

 

Negli ultimi mesi ho discusso questi sfortunati sviluppi in una lunga serie di articoli, con la maggior parte del materiale riassunto anche in un paio di interviste con “Mike Whitney”:

Gazacaust: attribuire la colpa a chi le appartiene;

Intervista a Mike Whitney con Ron Unz:

Ron Unz · La recensione di Unz • 5 febbraio 2024

Le radici ebraiche della furia di Gaza Intervista di Mike Whitney con Ron Unz Ron Unz • The Unz Review • 11 marzo 2024.

Nei decenni passati, questi eventi terrificanti potrebbero essere passati relativamente inosservati, con i guardiani in stragrande maggioranza filo-israeliani dei nostri media mainstream che assicuravano che poca o nessuna di queste informazioni angoscianti raggiungesse gli occhi o le orecchie degli americani comuni.

Ma gli sviluppi tecnologici hanno cambiato questo panorama mediatico e i video su piattaforme social relativamente non censurate come “TikTok” e “Twitter di Elon Musk” ora aggirano facilmente quel blocco.

 Nonostante decenni di sofferenza e oppressione, i palestinesi di Gaza erano un popolo completamente moderno, ben equipaggiato con smartphone, e le scene che hanno filmato sono state condivise in tutto il mondo, attirando rapidamente un vasto pubblico tra i giovani americani che facevano affidamento sui social media come principale fonte di notizie.

Per generazioni, gli studenti universitari sono stati pesantemente indottrinati con gli orrori dell'Olocausto, con l'incessante dilatazione che non dovevano mai rimanere in silenzio mentre uomini, donne e bambini indifesi venivano brutalmente attaccati e massacrati da crudeli oppressori.

 Le immagini che ora vedevano di città devastate e bambini morti o morenti sembravano esattamente uscite da un film, ma invece accadevano in tempo reale nel mondo fisico.

Un paio di anni prima, le amministrazioni “Trump” e “Biden” avevano entrambi proclamato congiuntamente che il governo cinese era colpevole di "genocidio" contro la minoranza uigura, nonostante non fossero riusciti a fornire alcuna prova che un numero significativo di uiguri fosse stato danneggiato, per non parlare di essere ucciso.

Quindi, secondo questo standard, la distruzione totale di Gaza e il massacro di massa o la fame deliberata della sua popolazione costituivano ovviamente un enorme "genocidio", e nel giro di poche settimane gli attivisti studenteschi di tutti i campus universitari avevano raccolto quel grido e avevano iniziato a organizzare proteste pubbliche contro l'orrendo massacro che Israele stava commettendo.

Tre anni prima, un criminale di lunga data di nome George Floyd era morto per overdose mentre era in custodia di polizia, e un unico video altamente fuorviante dei suoi ultimi momenti aveva provocato la più grande ondata di proteste pubbliche americane dagli anni '60.

Non sorprende quindi che l'ampia diffusione di centinaia o migliaia di video che mostrano bambini di Gaza morti e mutilati abbia ispirato un potente movimento di protesta.

Ma questa volta, invece di essere elogiati per il loro impegno umanitario, quegli studenti – e gli amministratori universitari che hanno permesso le loro proteste – sono stati ferocemente attaccati e puniti come ho descritto all'epoca.

 

Con le immagini grafiche dei quartieri devastati di Gaza e dei bambini palestinesi morti così diffuse su Twitter e altri social media, i sondaggi hanno rivelato che la maggioranza dei giovani americani ora è a favore di “Hamas e dei palestinesi nella loro continua lotta con Israele”.

 Si tratta di un'inversione scioccante rispetto al punto di vista dei loro genitori, che era stato plasmato da generazioni di materiale prevalentemente filo-israeliano trasmesso in televisione, film e pubblicazioni stampate, e tali tendenze probabilmente continueranno ora che Israele viene perseguito in tribunale.

Corte internazionale di giustizia del Sudafrica e di altre 22 nazioni, accusate di aver commesso un genocidio a Gaza.

Come conseguenza di questi forti sentimenti giovanili, in molte delle nostre università sono scoppiate manifestazioni anti-israeliane, che hanno indignato numerosi donatori miliardari filo-israeliani.

 Quasi immediatamente, alcuni di questi ultimi hanno lanciato una dura campagna di ritorsione, con molti leader aziendali che hanno dichiarato che avrebbero permanentemente inserito nella lista nera dalle future opportunità di lavoro qualsiasi studente universitario che sostenesse pubblicamente la causa palestinese, sottolineando queste minacce con una diffusa campagna di "doxxing" ad Harvard e in altri paesi.

Collegio d'élite.

Le risposte di questi leader universitari hanno sottolineato il loro sostegno alla libertà di parola politica, ma sono state ritenute così insoddisfacenti dai donatori filo-israeliani e dai loro alleati dei media tradizionali che è stata esercitata un'enorme pressione per rimuoverli.

Nel giro di pochi giorni, la presidente della “Penn” e il “presidente del consiglio che la sosteneva furono costretti a dimettersi”, e subito dopo il “primo presidente nero di “Harvard” subì la stessa sorte”, quando gruppi filo-israeliani pubblicarono prove del suo diffuso plagio accademico per cacciarla dall'incarico.

Non sono a conoscenza di nessun caso precedente in cui “il presidente di un college americano d'élite” sia stato rimosso così rapidamente dall'incarico per ragioni ideologiche e due esempi successivi nel giro di poche settimane sembrano uno sviluppo assolutamente senza precedenti, con enormi implicazioni per la libertà accademica.

In effetti, gli israeliani hanno continuato a generare una valanga di contenuti avvincenti per quei video.

Sciami di attivisti israeliani bloccavano regolarmente il passaggio dei camion di cibo e, nel giro di poche settimane, alti funzionari delle Nazioni Unite dichiararono che più di un milione di abitanti di Gaza erano sull'orlo di una carestia mortale.

Quando gli abitanti di Gaza, disperati e affamati, invasero uno dei pochi convogli di consegna di cibo autorizzati a passare, l'esercito israeliano sparò e uccise più di 100 di loro nel "massacro della farina" e questo si ripeté in seguito.

 Tutte queste scene orribili di morte e fame deliberata sono state trasmesse in tutto il mondo sui social media, con alcuni dei peggiori esempi provenienti dai racconti di soldati israeliani gioiosi, come il video del cadavere di un bambino palestinese mangiato da un cane affamato.

Un'altra immagine mostrava i resti di un prigioniero palestinese legato che era stato schiacciato mentre era ancora vivo da un carro armato israeliano.

 Secondo un'organizzazione europea per i diritti umani, gli israeliani usavano regolarmente i bulldozer per seppellire vivi un gran numero di palestinesi.

Funzionari delle Nazioni Unite hanno riferito di aver trovato fosse comuni vicino a diversi ospedali, con le vittime trovate legate e spogliate, fucilate in stile esecuzione.

 Come ha sottolineato il provocatore di Internet “Andrew Anglin”, il comportamento degli ebrei israeliani non sembra semplicemente malvagio ma "malvagio da cartone animato", con tutti i loro palesi crimini che sembrano basati sulla sceneggiatura di qualche film di propaganda esagerato ma invece realmente avvenuti nella vita reale.

Sebbene il bilancio ufficiale delle vittime di Gaza riportato dai nostri media sia rimasto relativamente costante nelle ultime settimane, si tratta quasi certamente di un'illusione.

Durante i primi mesi o due del massiccio attacco israeliano, il Ministero della sanità pubblica di Gaza aveva mantenuto elenchi molto dettagliati dei morti, inclusi nomi, età e codici identificativi delle vittime, e aveva regolarmente rilasciato aggiornamenti del totale, quindi quei numeri sembravano assolutamente solidi.

Ma l'assalto israeliano ha presto preso di mira tutti gli uffici governativi e gli ospedali di Gaza, e all'inizio di dicembre, gli stessi funzionari di Gaza responsabili della catalogazione dei morti, quindi il conteggio tendeva naturalmente a stagnare, anche se le condizioni peggioravano orribilmente per la popolazione. abitanti di Gaza sopravvissuti.

 

Dopo meno di tre mesi dal massacro israeliano, sono stati ufficialmente dichiarati morti circa 22.000 abitanti di Gaza, ma ora, dopo più di sette mesi di fame e continui attacchi, inclusa la distruzione di tutti gli ospedali e le strutture mediche di Gaza, secondo quanto riportato dal conteggio ufficiale dei morti, nei nostri media sono aumentati solo fino a circa 34.000, il che sembra altamente implausibile.

All'inizio di marzo, l'icona progressista “Ralph Nader” ha concentrato l'attenzione su questo punto, sottolineando che le vittime di Gaza sono sicuramente ampiamente sottostimate, e ha ipotizzato che il numero reale dei morti potrebbe aver già raggiunto i 200.000.

Anche se quel totale mi sembrava piuttosto alto in quel momento, la cifra di Nader sottolineava utilmente i numeri assurdamente bassi ampiamente citati dai media.

 

Un recente articolo in prima pagina del “New York Times” ha riportato il tragico caso di un particolare farmacista palestinese-americano che viveva nel New Jersey, che aveva perso personalmente 200 parenti uccisi a Gaza, compresi i suoi genitori e i suoi fratelli, e questo tipo di singolo dato suggerisce l'entità del sotto conteggio dei media dopo sette mesi di orrore, con il “Prof. Jeffrey Sachs” della Columbia che suggerisce la stessa cosa in una recente intervista.

Anche se stime solide sono impossibili, penso che un bilancio delle vittime civili di 100.000 o anche qualcosa di considerevolmente più alto sembri perfettamente plausibile a questi dati.

 

Queste tristi circostanze hanno naturalmente scatenato una continua ondata di protesta studentesche pubbliche contro Israele per aver commesso questi crimini mostruosi e contro la nostra stessa amministrazione” Biden” per avere permesso con denaro e monete.

 Il” Prof. John Mearsheimer” dell'Università di Chicago è uno dei nostri accademici mainstream di più alto rango, uno studioso molto sobrio della “Scuola Realista”, e in un'intervista della scorsa settimana ha espresso poca sorpresa per queste domande.

 Dopotutto, ha sottolineato, Israele era ovviamente uno stato di apartheid che stava commettendo un genocidio davanti agli occhi del mondo intero, quindi le proteste politiche nei campus universitari erano solo prevedibili.

Nel corso di questi ultimi mesi, i partigiani filo-israeliani hanno regolarmente denunciato l'antisionismo dei loro oppositori come antisemita e hanno insistito affinché fosse represso.

Già a febbraio avevo notato le implicazioni ironiche della loro posizione.

 

Questa è certamente una situazione strana, che merita un'attenta analisi e spiegazione.

La parola "antisemitismo" significa semplicemente criticare o non amare gli ebrei, e negli ultimi anni i sostenitori di Israele hanno chiesto, con un certo successo, che il termine fosse esteso anche all'antisionismo, vale a dire all'ostilità verso lo Stato ebraico.

 

Ma supponiamo di ammettere quest'ultimo punto e di essere d'accordo con gli attivisti filo-israeliani che l'"antisionismo" è davvero una forma di "antisemitismo".

 Negli ultimi mesi, il governo israeliano ha brutalmente massacrato decine di migliaia di civili indifesi a Gaza, commettendo il più grande massacro televisivo nella storia del mondo, con i suoi massimi leader che hanno usato un linguaggio esplicitamente genocida per descrivere i loro piani per i palestinesi.

 In effetti, il governo sudafricano ha presentato una memoria legale di 91 pagine alla “Corte Internazionale di Giustizia” che cataloga quelle dichiarazioni israeliane, provocando una sentenza quasi unanime da parte dei giuristi secondo cui milioni di palestinesi hanno affrontato la prospettiva di un genocidio per mano israeliana.

Al giorno d'oggi la maggior parte degli occidentali afferma di considerare il genocidio in una luce decisamente negativa.

Quindi questo non richiede sillogisticamente che abbraccino e approvino l'"antisemitismo"?

Sicuramente un visitatore proveniente da Marte sarebbe molto perplesso da questo strano dilemma e dalle contorsioni filosofiche e psicologiche che sembra richiedere.

È piuttosto sorprendente che le élite dominanti estremamente "politicamente corrette" degli Stati Uniti e del resto del mondo occidentale facciano il tifo per lo Stato di Israele, razzialmente esclusivista, anche se uccide un numero enorme di donne e bambini e lavora molto duramente per far fronte morire di fame circa due milioni di civili nella sua furia genocida senza precedenti.

Dopo tutto, il regime molto più mite e circospetto del Sudafrica dell'apartheid è stato universalmente condannato, boicottato e sanzionato solo per la più piccola scheggia di tali misfatti.

Un importante punto di svolta potrebbe essere arrivato il 17 aprile, quando il presidente della “Columbia University, “Minouche Shafik,” lei stessa di origini egiziane, è stata messa sotto accusa da” una commissione del Congresso USA” per aver permesso proteste anti-israeliane nel suo campus.

 I suoi interrogatori hanno affermato che si trattava di atti "antisemiti" e che alcuni studenti ebrei della Columbia si sono "sentiti insicuri", una situazione terribile che apparentemente ha avuto la meglio sia sulla libertà di parola che sulla libertà accademica.

“Shafiq” poteva essere d'accordo o meno con queste argomentazioni, ma sicuramente ricordava che solo pochi mesi prima le sue controparti di “Harvard” e “Penn” erano state entrambe sommariamente epurate per aver dato risposte sbagliate, e lei non voleva condividere il loro destino.

 Così ha promesso fermamente di sradicare tutto l'antisemitismo pubblico nella sua università e subito dopo 100 poliziotti antisommossa di New York con l'elmetto sono stati invitati nel campus per schiacciare le manifestazioni e arrestare i manifestanti, per lo più accusandoli di "violazione di domicilio", un'accusa piuttosto strana dato che erano studenti iscritti nel loro stesso campus.

Questo tipo di dura e immediata repressione poliziesca sembra quasi senza precedenti nella storia moderna delle proteste politiche universitarie.

Negli anni '60, ci furono alcuni casi sparsi di polizia chiamati per arrestare manifestanti militanti che avevano occupato uffici amministrativi ad “Harvard”, sfilato con armi da fuoco a “Cornell” o bruciato un edificio del campus di “Stanford”.

Ma non ho mai sentito parlare di manifestanti politici pacifici arrestati sul terreno del loro stesso collegio solo per il contenuto del loro discorso politico.

 

Anche se la repressione alla “Columbia” richiesta da quei membri del Congresso USA era ovviamente intesa a sedare le proteste nei campus americani, era prevedibile che avesse l'effetto opposto.

 Scene di corpulenti poliziotti antisommossa con l'elmetto che arrestano pacifici studenti universitari nel loro stesso campus sono diventate virali sui social media, ispirando un'ondata di proteste simili in numerose altre università in tutta la nazione, con arresti di polizia che sono seguiti rapidamente nella maggior parte delle località.

 Questo risulta secondo gli ultimi calcoli.

Le azioni della polizia di stato della “Georgia” alla” Emory University” sembrano particolarmente oltraggiose, e un tweet contenente una clip di uno di questi incidenti è già stato visualizzato circa 1,5 milioni di volte.

Una professoressa di ruolo di 57 anni di Economia di nome “Carolyn Frohlin” era preoccupata nel vedere uno dei suoi studenti che veniva trascinato sul marciapiede e camminava verso di lei solo per ritrovarsi brutalmente gettata a terra, legata e arrestata da un paio di agenti massicci guidati da un sergente, cosa che ha completamente scioccato il conduttore della CNN “Jim Acosta” quando l'ha riportato.

Scene ancora peggiori si sono verificate all' “UCLA”, quando un accampamento di manifestanti pacifici è stato violentemente attaccato e picchiato da una folla di teppisti filo-israeliani che non avevano alcun legame con l'università ma armati di barre, mazze e fuochi d'artificio, provocando alcuni gravi feriti.

Un professore di storia ha descritto la sua indignazione quando la polizia sulla scena è rimasta a guardare e non ha fatto nulla mentre gli studenti dell'UCLA venivano attaccati da estranei, quindi ha arrestato circa 200 dei primi.

 Secondo i giornalisti locali, la folla violenta era stata organizzata e pagata dal miliardario filo-israeliano “Bill Ackman”.

Non ho mai sentito parlare di nessun caso americano in cui a folle organizzate di delinquenti esterni sia stato permesso di assalire violentemente studenti pacifici manifestanti nel loro stesso campus, qualcosa che ricorda molto più le turbolente dittature latinoamericane che la storia del nostro paese.

L'esempio più vicino che mi viene in mente potrebbe essere il famigerato "Hard Hat Riot" del 1970 a New York City, in cui centinaia di operai edili pro-Nixon si scontrarono con un numero simile di manifestanti contro la guerra nelle strade di” Lower Manhattan”, un incidente così famigerato che ha una propria ampia pagina Wikipedia.

Tuttavia, può esistere un'analogia un po' diversa ma molto più vicina e recente. Dopo che” Donald Trump” ha lanciato la sua campagna presidenziale di inaspettato successo, i relatori di destra “pro-Trump” invitati nei campus universitari sono stati regolarmente molestati e aggrediti insieme al loro pubblico da “gruppi di violenti antifa”, molti dei quali apparentemente reclutati e pagati per lo scopo.

Questa sorta di "deplatforming" molto fisico aveva lo scopo di garantire che le loro idee minacciose non raggiungessero mai studenti universitari impressionabili e, di conseguenza, i conservatori iniziarono presto a organizzare propri gruppi come i “Proud Boys” volti a fornire protezione fisica.

 Violenti scontri si sono verificati a “Berkeley” e in alcuni altri college, mentre simili rivolte antifasciste a Washington avevano interrotto l'insediamento di Trump.

 Da quello che ricordo, la maggior parte degli organizzatori e dei finanziatori di questi “violenti gruppi antifa” sembravano ebrei, quindi non sorprende che altri leader ebrei abbiano ora iniziato a impiegare tattiche molto simili per reprimere diversi movimenti politici che considerano sgradevoli.

 

 Alcuni anni fa un ex alto funzionario dell'”AIPAC “una volta si vantò con un giornalista amico che se avesse scritto qualcosa su un semplice tovagliolo, entro 24 ore avrebbe potuto ottenere le firme di 70 senatori per appoggiarlo, e il potere politico dell'”ADL” è altrettanto formidabile.

Pertanto, non sorprende che la scorsa settimana, una schiacciante maggioranza bipartisan di 320-91 alla Camera abbia approvato un disegno di legge che amplia il significato di” antisionismo e antisemitismo” nelle politiche antidiscriminatorie del Dipartimento dell'Istruzione, codificando le definizioni utilizzate nel nostro documento sui diritti civili.

Leggi per classificare quelle idee come discriminatorie.

 

Anche se non ho provato a leggere il testo, l'ovvio intento è quello di costringere i college a cancellare attività nocive come le proteste anti-israeliane dalla comunità del campus o affrontare la perdita di fondi federali.

 Questo rappresenta un attacco sorprendente contro la tradizionale libertà di parola e di pensiero dell'America, così come la libertà accademica, e può anche servire a esercitare un'enorme pressione su altre organizzazioni private affinché adottino politiche simili.

 In una svolta particolarmente ironica, la definizione di antisemitismo usata nel disegno di legge copre chiaramente parti della Bibbia cristiana, così i legislatori repubblicani ignoranti e compromessi hanno ora approvato con tutto il cuore la messa al bando della Bibbia in un paese in cui il 95% della popolazione ha radici cristiane.

Anche se dubito che qualsiasi arresto di questo tipo possa verificarsi o resistere a una sfida legale, una volta che le idee controverse saranno sempre più bandite da tutti i luoghi rispettabili, gran parte del pubblico, forse anche alcuni confusi funzionari delle forze dell'ordine, potrebbe vagamente iniziare a presumere che siano effettivamente diventati illegali.

Detto in termini semplici, "antisemitismo" è l'avversione o la critica nei confronti degli ebrei e "antisionismo" è la stessa cosa nei confronti dello Stato di Israele.

Quindi “vietare potenzialmente qualsiasi critica agli ebrei o a Israele” rappresenterebbe sicuramente uno sviluppo legale notevole nella nostra società.

Questa massiccia repressione di ogni opposizione politica al sionismo attraverso un mix di mezzi legali, quasi legali e illegali non è sfuggita all'attenzione di vari critici indignati.

Max Blumenthal” e “Aaron Mate” sono giovani progressisti ebrei molto critici nei confronti di Israele e del suo attuale attacco a Gaza, e nel loro ultimo video in “live streaming”, un giorno o due prima del voto del Congresso, concordavano sul fatto che i sionisti rappresentavano la più grande minaccia alla libertà americana e che il nostro Paese era "sotto occupazione politica" da parte della lobby israeliana".

Potrebbero essere o meno consapevoli del fatto che la loro rabbiosa denuncia era strettamente parallela a una delle più famose frasi di estrema destra dell'ultimo mezzo secolo, che condannava l'attuale sistema politico americano come niente più che ZOG, un "governo di occupazione sionista".

 Nel corso del tempo, la realtà fattuale ovvia diventa gradualmente evidente indipendentemente dalle predisposizioni ideologiche.

Anche se è difficile esserne certi, personalmente penso che l'approvazione di quel controverso disegno di legge della Camera possa essere stato un grave errore strategico per le forze filo-israeliane, l'ADL e gli altri gruppi ebraici che lo sostengono.

Gli ebrei costituiscono solo circa il 2% della popolazione americana e nel corso delle ultime generazioni molte delle loro organizzazioni sembrano aver intrapreso una campagna di grande successo per ottenere il controllo sui nodi chiave della nostra società, ma questo ha sempre richiesto che la loro forza crescente e l'influenza rimanevano invisibili.

 Tuttavia, il sostegno politico americano al massacro israeliano dei palestinesi ha aumentato la consapevolezza di alcuni elementi della nostra popolazione e questo tentativo legislativo di mettere essenzialmente fuori legge le critiche agli ebrei e Israele potrebbe avere un impatto simile.

Opinioni che in precedenza circolavano solo nei circoli estremi possono ora iniziare a guadagnare una trazione molto maggiore.

Ad esempio, il fumettista” Scott Adams” è diventato un commentatore popolare nei “circoli conservatori e anti-Woke” e ha appena rilasciato una feroce denuncia della proposta di legge in cui non sembrava diverso da figure molto più estreme.

 

Durante i primi decenni del XX secolo l'enorme impero russo era composto solo per il 4% da ebrei, ma dopo che i bolscevichi pesantemente ebrei presero il potere, la massima leadership politica di quel paese divenne prevalentemente di quell'etnia.

Questa enorme, palese discrepanza tra governati e governanti provocò naturalmente una grande ostilità nell'opinione pubblica, e i bolscevichi risposero a questo problema mettendo fuori legge l'antisemitismo, con la pena che a volte includeva anche l'esecuzione sommaria.

Dal momento che i gruppi ebraici americani non possiedono un potere amministrativo così estremo, sono stati costretti a fare affidamento sull'occultamento e sulla manipolazione politica per raggiungere i loro fini, e potrebbero aver esagerato gravemente con l'ultimo sforzo legislativo volto a mettere al bando la critica.

Sempre più persone potrebbero iniziare a prestare maggiore attenzione alle decisioni politiche apparentemente inspiegabili prese da tanti dei nostri funzionari eletti, notando allo stesso tempo l'insolita composizione dei vertici del nostro governo.

Su quest'ultimo punto, uno dei miei articoli del 2023 ha sottolineato l'ovvio.

Consideriamo, ad esempio, le figure di spicco dell'attuale amministrazione Biden, che stanno svolgendo un ruolo cruciale nel determinare il futuro del nostro Paese e del resto del mondo.

L'elenco dei dipartimenti del Gabinetto è proliferato selvaggiamente dai tempi di Washington, ma supponiamo di limitare la nostra attenzione alla mezza dozzina di dipartimenti più importanti, guidati da individui che controllano la sicurezza nazionale e l'economia, e poi aggiungere anche i nomi del Presidente, del Vice Presidente, capo di stato maggiore e consigliere per la sicurezza nazionale.

Sebbene la "diversità" sia diventata il motto sacro del Partito Democratico, il background dei pochi individui che governano il nostro Paese appare sorprendentemente non diversificato, soprattutto se escludiamo le due figure politiche al vertice.

Presidente Joe Biden (suoceri ebrei);

Vicepresidente Kamala Harris (coniuge ebreo);

Capo dello staff Jeff Zients (ebreo), in sostituzione di Ron Klain (ebreo, Harvard);

Segretario di Stato Antony Blinken (ebreo, Harvard);

Segretario del Tesoro Janet Yellen (ebrea, Yale);

Segretario alla Difesa Lloyd Austin III (nero).

Procuratore generale Merrick Garland (ebreo, Harvard);

Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan (White Gentile, Yale).

Direttore dell'intelligence nazionale Avril Haines (ebrea);

Segretario per la Sicurezza Interna Alejandro Mayorkas (ebreo);

Stranamente, mentre l'attuale situazione politica dell'America potrebbe aver allarmato alcuni personaggi importanti della prima metà del secolo scorso, probabilmente non li avrebbe sorpresi.

 Cinque o sei anni fa ho letto un libro affascinante del “Prof. Joseph Bendersky”, uno storico accademico specializzato in Studi sull'Olocausto e sulla storia della Germania nazista.

Scrissi all'epoca.

Bendersky ha dedicato dieci anni interi di ricerca al suo libro, esaminando in modo esauriente gli archivi dell'intelligence militare americana, nonché i documenti personali e la corrispondenza di oltre 100 alti funzionari militari e ufficiali dell'intelligence.

 La "minaccia ebraica" si estende su oltre 500 pagine, comprese circa 1.350 note a piè di pagina, con le sole fonti d'archivio elencate che occupano sette pagine intere.

 Il suo sottotitolo è "La politica antisemita dell'esercito americano" e sostiene in modo estremamente convincente che durante la prima metà del ventesimo secolo e anche dopo, i vertici delle forze armate statunitensi e soprattutto dell'intelligence militare sottoscrissero pesantemente nozioni che oggi verrebbero universalmente liquidate come "teorie del complotto antisemita".

In parole povere, i leader militari statunitensi in quei decenni credevano ampiamente che il mondo dovesse affrontare una minaccia diretta da parte dell'ebraismo organizzato, che aveva preso il controllo della Russia e allo stesso modo cercava di sovvertire e ottenere il controllo sull'America e sul resto della civiltà occidentale.

Sebbene le affermazioni di “Bendersky” siano certamente straordinarie, egli fornisce un'enorme ricchezza di dimostrarsi convincenti a loro sostegno, citando o riassumendo migliaia di file di intelligence declassificati, e sostenendo ulteriormente la sua tesi attingendo alla corrispondenza personale di molti degli ufficiali coinvolti.

 Egli dimostra in modo conclusivo che durante gli stessi anni in cui “Henry Ford” pubblicò la sua controversa serie “The International Jew”, idee simili, ma con un taglio molto più tagliente, erano onnipresenti all'interno della nostra comunità di intelligence.

Infatti, mentre “Ford” si concentrava principalmente sulla disonestà, il malaffare e la corruzione degli ebrei, i nostri professionisti dell'intelligence militare vedevano l'ebraismo organizzato come una minaccia mortale per la società americana e la civiltà occidentale in generale.

 Da qui il titolo del libro di “Bendersky”.

 

Facciamo un passo indietro e collochiamo le scoperte di “Bendersky” nel loro giusto contesto.

 Dobbiamo riconoscere che durante gran parte del periodo coperto dalla sua ricerca, l'intelligence militare statunitense costituiva quasi la totalità dell'apparato di sicurezza nazionale americano - essendo l'equivalente di CIA, NSA e FBI combinati - ed era responsabile sia della sicurezza internazionale che interna, sebbene quest'ultimo portafoglio fosse stato gradualmente assunto dall'organizzazione in espansione di “J. Edgar Hoover “entro la fine degli anni '20.

 

Gli anni di diligente ricerca di “Bendersky” dimostrano che per decenni questi professionisti esperti – e molti dei loro generali in comando – erano fermamente convinti che i principali elementi della comunità ebraica organizzata stessero complottando spietatamente per prendere il potere in America, distruggere tutte le nostre tradizionali libertà costituzionali e, infine, acquisire il controllo del mondo intero.

Non ho mai creduto all'esistenza degli UFO come veicoli spaziali alieni, respingendo sempre tali nozioni come ridicole sciocchezze.

Ma supponiamo che documenti governativi declassificati rivelassero che per decenni quasi tutti i nostri alti ufficiali dell'aeronautica erano stati assolutamente convinti della realtà degli UFO.

Potevo continuare nel mio spensierato rifiuto anche solo di prendere in considerazione tali possibilità?

Per lo meno, quelle rivelazioni mi costringerebbero a rivalutare drasticamente la probabile credibilità di altri individui che avevano fatto affermazioni simili durante quello stesso periodo.

Questi punti di vista sono stati pienamente articolati anche nei libri e nelle memorie successive di eminenti ex ufficiali dell'intelligence militare come il “Prof. John Beaty” e il “Prof. Revilo Oliver”.

(American Pravda: I segreti dell'intelligence militare Ron Unz •Recensione di The Unz• 10 giugno 2019).

 Quando ci troviamo di fronte a un governo guidato da individui che sembrano avere poca indipendenza politica, vale la pena speculare sui mezzi con cui questi governanti nominali sono controllati.

Diversi anni fa ho discusso alcune forti indicazioni di questi possibili metodi, forse spiegando alcune delle strane decisioni politiche o dei bizzarri capovolgimenti che altrimenti potrebbero sembrare così sconcertanti.

Oggi, se consideriamo i principali paesi del mondo, vediamo che in molti casi i leader ufficiali sono anche i leader reali:

Vladimir Putin comanda in Russia, Xi Jinping e i suoi massimi colleghi del Politburo fanno lo stesso in Cina, e così via.

 Tuttavia, in America e in alcuni altri paesi occidentali, questo sembra essere sempre meno vero, con le figure nazionali più importanti che sono semplicemente attraenti uomini di facciata selezionati per il loro fascino popolare e la loro malleabilità politica, uno sviluppo che potrebbe alla fine avere conseguenze disastrose per le nazioni che guidano.

 Come esempio estremo, un “Boris Eltsin ubriaco” permise liberamente il saccheggio dell'intera ricchezza nazionale della Russia da parte di un pugno di oligarchi che tiravano le fila, e il risultato fu il totale impoverimento del popolo russo e un collasso demografico quasi senza precedenti nella storia moderna del tempo di pace.

Un problema evidente con l'installazione di governanti fantoccio è il rischio che essi tentino di tagliarne i fili, proprio come Putin ha presto sconfitto ed esiliato il suo protettore oligarca “Boris Berezovsky.”

 Un modo per ridurre al minimo tale rischio è selezionare burattini che sono così profondamente compromessi da non riuscire mai a liberarsi, sapendo che le accuse politiche di autodistruzione sepolte nel profondo del loro passato potrebbero facilmente essere innescate se cercassero l'indipendenza.

A volte ho scherzato con i miei amici dicendo che forse la migliore mossa di carriera per un giovane politico ambizioso sarebbe quella di commettere segretamente qualche crimine mostruoso e poi assicurarsi che le prove concrete della sua colpevolezza finissero nelle mani di certe persone potenti, assicurando così la sua sicurezza. E  anche una  rapida ascesa politica.

“Pravda americana: John McCain, Jeffrey Epstein e Pizzagate Ron Unz · La recensione di Unz • 29 luglio 2019)

Americani sempre più attenti si stanno rendendo conto che su tante questioni importanti i nostri due principali partiti politici spesso sembrano più ali separate di un'unica entità politica, a volte etichettata come "uni partito". Ho discusso di questo fenomeno inquietante nei paragrafi conclusivi del mio articolo originale sulla Pravda americana.

La maggior parte degli americani che hanno eletto “Barack Obama nel 2008” hanno inteso il loro voto come un ripudio totale delle politiche e del personale della precedente amministrazione di “George W. Bush”.

Eppure, una volta in carica, le scelte cruciali di Obama – Robert Gates alla Difesa, Timothy Geither al Tesoro, e Ben Bernanke alla Federal Reserve erano tutti alti funzionari di Bush, e hanno continuato senza soluzione di continuità gli impopolari salvataggi finanziari e le guerre all'estero iniziate dal suo predecessore, producendo quello che equivaleva a un terzo mandato di Bush.

 

Consideriamo l'affascinante prospettiva del recentemente scomparso “Boris Berezovsky”, un tempo il più potente degli oligarchi russi e burattinaio dietro il presidente Boris Eltsin alla fine degli anni '90.

Dopo aver saccheggiato miliardi di ricchezza nazionale e aver elevato Vladimir Putin alla presidenza, ha esagerato e alla fine è andato in esilio.

 Secondo il “New York Times”, aveva pianificato di trasformare la Russia in un falso stato bipartitico – uno socialdemocratico e l'altro neoconservatore – in cui accese battaglie pubbliche sarebbero state combattute su questioni simboliche e controverse, mentre dietro le quinte entrambi i partiti avrebbero combattuto.

Ma erano effettivamente controllati dalle stesse élite dominanti.

Con la cittadinanza così permanentemente divisa e l'insoddisfazione popolare incanalata in modo sicuro in vicoli ciechi senza senso, i governanti russi potevano mantenere ricchezza e potere illimitati per sé stessi, con poche minacce al loro regno.

Considerando la storia americana degli ultimi vent'anni, forse possiamo indovinare da dove “Berezovsky” abbia tratto l'idea di un progetto politico così intelligente.

Diversi mesi fa, un giovane militare di nome “Aaron Bushnell”, proveniente da un ambiente fortemente cristiano, divenne così sconvolto dal coinvolgimento attivo del suo paese in quello che considerava il crimine supremo di genocidio, che si diede fuoco e morì come atto di protesta, un evento certamente senza precedenti nella storia americana e straordinariamente raro nel resto del mondo.

Sebbene la storia sia rapidamente scomparsa dai nostri media, la copertura sui social media globali è stata enorme e potrebbe avere conseguenze durature.

Dopo aver discusso di quel tragico incidente, ho continuato a suggerire che il terribile destino dei palestinesi di Gaza potrebbe alla fine essere visto come se avesse giocato un ruolo simile, permettendo improvvisamente sia agli americani che al resto della popolazione mondiale di intravedere i governanti a lungo nascosti del nostro paese.

Per ragioni simili, penso che le decine di migliaia di abitanti di Gaza morti non hanno perso la vita invano.

 Invece, il loro martirio ha dominato i media globali negli ultimi cinque mesi, rivelando definitivamente al mondo intero il fallimento morale del sistema internazionale che li aveva condannati al loro destino.

Probabilmente centinaia di milioni di persone in tutto il mondo hanno iniziato a porsi domande che prima non avrebbero mai preso in considerazione.

Ho il sospetto che le responsabilità della distruzione di Gaza possano rimpiangere il giorno in cui hanno contribuito ad aprire porte che alla fine vorrebbero essere tenute ben chiuse.

 

 

 

Che i leader israeliani vengano

arrestati per crimini di guerra.

 Globalreseartch.ca - Gideon Levy – (06 maggio 2024) – ci dice:

(Opinione di “Haaretz”)

 

Tutti gli israeliani onesti devono porsi le seguenti domande: il loro paese sta commettendo crimini di guerra a Gaza?

In caso affermativo, come dovrebbero essere fermati?

Come dovrebbero essere puniti i colpevoli? Chi può punirli? È ragionevole che i crimini non vengano perseguiti e che i criminali vengano scagionati?

 

Si può, naturalmente, rispondere negativamente alla prima domanda – Israele non sta commettendo alcun crimine di guerra a Gaza – rendendo così superfluo il resto delle domande.

Ma come si può rispondere negativamente di fronte ai fatti e alla situazione a Gaza:

circa 35.000 persone uccise e altre 10.000 disperse, circa due terzi delle quali civili innocenti, secondo le Forze di Difesa Israeliane;

Tra i morti ci sono circa 13.000 bambini, quasi 400 operatori sanitari e più di 200 giornalisti; Il 70 per cento delle case è stato distrutto o danneggiato;

il 30 per cento dei bambini soffre di malnutrizione acuta;

Due persone su 10.000 muoiono ogni giorno di fame e malattie. (Tutti i dati provengono dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni internazionali.)

 

Medio Oriente: piromani gridano "Fuoco".

È possibile che queste orribili figure siano nate senza aver commesso crimini di guerra?

Ci sono guerre la cui causa è giusta e i cui mezzi sono criminali;

La giustizia della guerra non giustifica i suoi crimini.

Uccisioni e distruzioni, fame e sfollamenti di questa portata non sarebbero potuti avvenire senza la commissione di crimini di guerra.

Gli individui ne sono responsabili e devono essere assicurati alla giustizia.

L' “hasbara israeliana, o diplomazia pubblica, non cerca di negare la realtà di Gaza.

 Fa solo l'accusa di antisemitismo: perché prendersela con noi?

E il Sudan e lo Yemen?

La logica non regge:

un automobilista che viene fermato per eccesso di velocità non se la caverà sostenendo di non essere l'unico.

 I crimini e i criminali rimangono.

 Israele non perseguirà mai nessuno per questi reati.

Non l'ha mai fatto, né per le sue guerre né per la sua occupazione.

In una buona giornata, perseguirà un soldato che ha rubato la carta di credito di un palestinese.

Ma il senso umano della giustizia vuole che i criminali siano assicurati alla giustizia e che gli venga impedito di commettere crimini in futuro.

 In base a questa logica, possiamo solo sperare che il Tribunale penale internazionale dell'Aia faccia il suo lavoro.

 

Ogni patriota israeliano e chiunque abbia a cuore il bene dello Stato dovrebbe desiderare questo.

Questo è l'unico modo in cui lo standard morale di Israele, secondo il quale gli è permesso tutto, cambierà.

Non è facile sperare nell'arresto dei capi del vostro Stato e del vostro esercito, e ancora più difficile ammetterlo pubblicamente, ma c'è un altro modo per fermarli?

 

Le uccisioni e le distruzioni a Gaza hanno messo Israele in una situazione molto più alta.

 È la peggiore catastrofe che lo Stato abbia mai affrontato.

Qualcuno l'ha portata lì, no, non l'antisemitismo, ma piuttosto i suoi leader e ufficiali militari.

Se non fosse stato per loro, non si sarebbe trasformato così rapidamente dopo il 7 ottobre da un paese amato che ispirava compassione in uno stato” paria”.

 

Qualcuno deve essere processato per questo.

 

Proprio come molti israeliani vogliono che “Benjamin Netanyahu” sia punito per la corruzione di cui è accusato, così dovrebbero desiderare che lui e i responsabili a lui subordinati siano puniti per crimini molto più gravi, i crimini di Gaza.

 

Non si può permettere che rimangano impuniti.

Né è possibile incolpare solo” Hamas”, anche se ha un ruolo nei crimini.

Noi siamo quelli che hanno ucciso, affamato, sfollato e distrutto su scala così massiccia. Qualcuno deve essere assicurato alla giustizia per questo.

“Netanyahu” è il capo, ovviamente.

 L'immagine di lui imprigionato all'Aia insieme al ministro della difesa e al capo di stato maggiore dell'IDF è un incubo per ogni israeliano.

 

Eppure, probabilmente è giustificato.

Tuttavia, è altamente improbabile.

Le pressioni esercitate sulla corte da Israele e dagli Stati Uniti sono enormi (e sbagliate).

Ma le tattiche intimidatorie possono essere importanti.

 

Se i funzionari si asterranno dal viaggiare all'estero nei prossimi anni, se vivranno davvero nella paura di ciò che potrebbe accadere, possiamo essere certi che nella prossima guerra ci penseranno due volte prima di inviare i militari in campagne di morte e distruzione di proporzioni così folli.

 Possiamo trovare un po' di conforto in questo, almeno.

 

 

 

Come la crisi umanitaria e della fame

potrebbe essere molto peggiore

di quanto comunemente affermato.

Globalresearch.ca - Bharat Dogra – (06 maggio 2024) – ci dice:

 

Diversi sforzi di primo piano hanno dato un contributo molto importante per attirare l'attenzione sulle gravi situazioni di fame e di crisi umanitaria in varie parti del mondo.

Meritano i nostri ringraziamenti e apprezzamenti.

 Ciononostante, ci sono ragioni per cui questi sforzi possono sottovalutare la tragedia altamente angosciante della fame estrema e delle crisi umanitarie in alcuni contesti importanti.

 

In particolare, è importante sottolineare che le statistiche dei decessi causati in varie situazioni di estremo disagio non sono chiaramente menzionate.

Tuttavia, sono questi dati i più importanti per mobilitare l'opinione pubblica sul tema più importante della fame e delle crisi umanitarie.

 

L'Ufficio delle Nazioni Unite per il “Coordinamento degli Affari Umanitari” (OCHA) ci dice nel suo recente rapporto sulla crisi umanitaria che il deperimento minaccia la vita di 45 milioni di bambini sotto i cinque anni di età.

Altri 13,6 milioni di questi bambini sono stati colpiti da deperimento estremo e hanno affrontato un "rischio imminente di morte".

Ci dice anche che a causa della carenza di fondi nel 2023 non è stato possibile raggiungere la maggior parte delle persone e dei bambini bisognosi per chiedere aiuto.

Quindi, se oltre 13 milioni di bambini erano in condizioni di estremo deperimento ed erano a rischio di morte imminente e per la maggior parte di questi l'aiuto non poteva arrivare, allora è della massima importanza conoscere il destino di questi bambini.

Un numero significativo di questi bambini, che i soccorsi non potevano raggiungere, è morto?

 

Dai recenti rapporti dell'“OCHA” sappiamo che negli ultimi tre anni circa  250-300 milioni di persone sono rimaste intrappolate in situazioni di crisi umanitaria e quindi hanno avuto bisogno di assistenza umanitaria.

Ci è stato anche detto che l'aiuto umanitario non ha potuto raggiungere la maggior parte di questi a causa dei limiti di fondi e dei fattori correlati.

Come risultato di questo fallimento, quanti di questi perirono?

Non siamo informati di questo.

 Al contrario, i rapporti si spostano sulle stime di coloro che si troveranno in una situazione di crisi simile l'anno prossimo, senza affrontare in dettaglio ciò che è accaduto l'anno scorso, quando oltre la metà dei circa 250 milioni di persone intrappolate nella crisi umanitaria non ha potuto ricevere aiuti urgenti.

Allo stesso modo, il “Rapporto globale sulla crisi alimentare del 2022” ci ha detto nel 2022 che 40 milioni di persone nel 2021 erano in emergenza o in peggiore situazione di insicurezza alimentare nel 2021 in 36 paesi.

 

Che fine hanno fatto? Quanti di loro hanno ricevuto un aiuto tempestivo?

Quanti sono morti a causa della fame estrema?

 

Non ci vengono fornite le informazioni più importanti al riguardo. Invece, nella versione riveduta a medio termine di questo rapporto pubblicata nel settembre 2023, ci viene semplicemente detto che ora 33,6 milioni di persone si trovano in una situazione di emergenza o peggio.

 

Naturalmente, più in generale, a livello mondiale sappiamo che in un anno circa 9 milioni di decessi sono attribuiti alla fame, alla denutrizione e a cause correlate, di cui quasi 2,5 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni, secondo i dati dell'”ONU”.

Il capo del Programma alimentare mondiale (WFP), “David Beasley, ha dichiarato al vertice sui sistemi alimentari a New York il 23 settembre 2021, che 9 milioni di persone muoiono di fame in un anno, mentre al culmine del Covid il patrimonio netto dei miliardari aumentava al ritmo di 5,2 miliardi di dollari al giorno.

Allo stesso tempo, ha affermato, 24.000 persone morivano di fame al giorno.

 

L'OMS ha osservato che mentre la mortalità infantile sotto i 5 anni è diminuita significativamente dopo il 1990, purtroppo tali guadagni si sono fermati in modo significativo dopo il 2010.

 

Mentre la dichiarazione del capo del” WFP” è di per sé una manifestazione scioccante delle ingiustizie e delle disuguaglianze del nostro mondo, abbiamo anche bisogno di informazioni più chiare sulle morti che avvengono in vari luoghi a causa della fame e delle crisi umanitarie.

Inoltre, abbiamo bisogno di maggiori dettagli da una parte più ampia del mondo per quanto riguarda la situazione della crisi umanitaria e della fame, mentre le relazioni al momento tendono a concentrarsi sempre di più sull'evidenziare la situazione principalmente di una ventina di paesi più colpiti.

 

Se si dispone di un quadro più completo per una parte più ampia del mondo e se si possono ottenere stime affidabili delle morti causate dalle crisi umanitarie e della fame, allora è molto probabile che le crisi umanitarie e della fame si riveleranno ancora più tragiche, anzi molto più tragiche, di quanto comunemente si creda.

Una corretta comprensione della portata e della gravità di queste tragedie aumenterà le possibilità di una maggiore mobilitazione pubblica e di un'azione in relazione a questo, che è il vero obiettivo.

(Bharat Dogra è Coordinatore Onorario della Campagna per Salvare la Terra Ora)

 

 

 

L'armatura della NATO finalmente

raggiunge Mosca ancora una volta,

altre fiamme sul campo di battaglia.

 Globalresearch.ca - Drago Bosnic  - (6 maggio 2024) – ci dice:

 

Il 22 giugno di quest'anno ricorrerà l'83° anniversario del "Barbarossa", quando la Germania nazista e i suoi vassalli e stati satelliti lanciarono quella che ancora oggi è considerata la più grande operazione offensiva nella storia della guerra.

Sebbene abbia ottenuto una serie di successi, raggiungendo anche la periferia di Mosca, Berlino alla fine non è riuscita a conquistare la città più importante della Russia.

Dove la Wehrmacht armata fallì, una sua versione disarmata ebbe "molto più successo" solo tre anni dopo, quando circa 60.000 soldati tedeschi "marciarono" su Mosca.

 Ovviamente, il loro ruolo nella parata della vittoria è stato nettamente diverso da quello che avevano sperato.

Un anno dopo, l'Armata Rossa entrò a Berlino, ponendo fine al "Reich millenario" appena dodici anni dopo la sua fondazione.

 Ci si aspetterebbe che i nazisti abbiano imparato la lezione.

Tuttavia, tali considerazioni si sono rivelate troppo ottimistiche.

 

Infatti, proprio l'anno scorso, l'allora ministro della Difesa del regime di Kiev “Oleksii Reznikov” annunciò pomposamente la consegna del "Leopard 2" alle forze della giunta neonazista, ispezionando il carro armato tedesco e chiedendo persino in quale direzione si trovasse Mosca.

E infatti, proprio come i "grandi felini" (in particolare "Tigri" e "Pantere") 80 anni fa, i "Leopardi" si sono mossi ancora una volta in direzione della capitale della Russia.

Questa volta non sono riusciti a raggiungere nemmeno la periferia di “Donetsk”, ma proprio come 80 anni fa, alla fine hanno raggiunto Mosca.

E ancora una volta, è stato molto diverso da quello che i produttori speravano.

Vale a dire, la Russia ha appena mostrato con orgoglio la "sfortunata" corazzatura della NATO che ha cercato di ottenere lo stesso "successo" del suo predecessore geopolitico (e, si può facilmente sostenere, letterale).

Oltre ai "Leopard" tedeschi, c'erano molti altri tipi di carri armati e veicoli corazzati.

 

Tra gli oltre 30 diversi tipi di equipaggiamento “NATO”, c'erano gli MBT americani M1A1 "Abrams" (carri armati principali), gli M1150 ABV (veicoli d'assalto, basati sul telaio "Abrams"), gli ARV M88A1 (veicoli corazzati di recupero), i veicoli corazzati HMMWV e International MaxxPro, gli IFV M2A2 "Bradley" (veicoli da combattimento di fanteria), gli obici trainati M777 da 155 mm, gli APC M113 (veicoli corazzati per il trasporto di truppe), ecc. Poi c'erano gli IFV tedeschi "Marder 1A3" e i già citati MBT "Leopard 2" (nello specifico la variante A6), i carri armati gommati francesi AMX-10RC, i CV90 svedesi, gli APC britannici AT105 "Saxon", i PPV "Mastiff" (veicoli di pattuglia protetti), gli Husky TSV (veicoli di supporto tattico). Inoltre, c'erano numerosi veicoli austriaci, australiani, estoni, finlandesi e ucraini di vario tipo, tra cui MBT, IFV, APC e altri tipi di corazzatura pesante.

 

Fallimento della "controffensiva" di Kiev.

"Operazione Z" della Russia.

 La Russia prenderà Avdeevka?

C'è un ampio filmato che mostra "l'orgoglio della NATO" esposto a tutti i visitatori.

 Le prestazioni dell'equipaggiamento dell'alleanza belligerante sono state a dir poco scadenti.

 Anche la macchina della propaganda mainstream è costretta ad ammetterlo.

 Ad esempio, “Forbes” ha riferito che almeno 40 IFV "Bradley" e una mezza dozzina di MBT "Abrams" sono stati distrutti dall'esercito russo, anche se il numero effettivo potrebbe essere molte volte superiore, in particolare dopo che le difese già assottigliate del regime di Kiev sono crollate fuori da “Ocheretyne”, un villaggio a ovest di “Avdeyevka” e a circa 35 km a nord-nord-ovest di Donetsk.

Le forze della giunta neonazista hanno fatto ricorso a misure disperate e hanno cercato di schierare la 47a Brigata Meccanizzata, stanca della guerra – la "brigata di emergenza", come l'ha chiamata “Forbes”, citando il “Conflict Intelligence Team” (CIT) del regime di Kiev.

 Forbes dice che il 47° è addestrato da consiglieri della NATO.

La "brigata di soli volontari", come riporta “Forbes”, utilizza esclusivamente equipaggiamento di fabbricazione americana, tra cui gli MBT "Abrams", gli IFV "Bradley" e gli obici M-109.

La 47ª fu sconfitta dalla 30ª Brigata fucilieri motorizzati dell'esercito russo.

 Avendo subito pesanti perdite, la brigata ha "un disperato bisogno di riposo, di reset e di riorganizzazione", dice “Forbes”.

Tuttavia, le forze del regime di Kiev soffrono di una cronica mancanza di personale, particolarmente esperto e motivato.

 Le loro perdite irrecuperabili hanno superato il mezzo milione mesi fa, lasciando l'alto comando con brigate in gran parte inesperte, costrette a usare le armi e gli equipaggiamenti della NATO, molto meno robusti.

 La 47ª brigata avrebbe dovuto svolgere il ruolo di punta di diamante durante la tanto propagandata controffensiva dello scorso anno. Tuttavia, questo è fallito dopo che la sfortunata unità d'assalto è stata quasi completamente annientata dall'esercito russo.

Peggio ancora, ciò che ne rimaneva dovette essere messo in difesa solo diversi mesi dopo, dopo che le forze di Mosca lanciarono il loro contrattacco.

E ancora una volta, il 47° fallì, solo questa volta ad Avdeevka.

La brigata, addestrata per operazioni offensive, è stata costretta a condurre una difesa disperata di aree condannate come la già citata “Ocheretyne”.

Secondo il suo stesso personale, sono stati in prima linea per quasi un anno senza rotazione e stanno "implorando una pausa".

Secondo “Forbe”s, il 47° "ha perso almeno 40 dei suoi circa 200 veicoli da combattimento M2 ['Bradley'] e cinque dei suoi 31 carri armati M1 ['Abrams']".

Il rapporto rileva anche che la brigata "teme di perdere altri M1 da 69 tonnellate a causa dei droni russi", quindi di recente ha "ritirato i carri armati sopravvissuti dalla linea del fronte".

Tuttavia, i mezzi corazzati sembrano essere l'ultimo dei problemi della giunta neonazista, poiché le sue forze stanno rapidamente perdendo equipaggiamento strategico.

 

Proprio ieri, fonti militari hanno riferito che i sistemi di razzi a lancio multiplo "Tornado-S" dell'esercito russo hanno distrutto almeno altri due HIMARS.

I due lanciatori HIMARS sono stati presi di mira poco dopo essere arrivati in una piccola posizione forestale vicino all'insediamento di Leliukivka nell'oblast di Kharkov (regione).

Secondo quanto riferito, sono stati spostati nell'area in preparazione di un attacco alla vicina regione russa di Belgorod.

Entrambi i lanciatori HIMARS sono stati presi di mira da munizioni a guida di precisione da 300 mm sparate dal "Tornado-S" MLRS.

 Inoltre, all'inizio di oggi, fonti militari hanno riferito che un sistema IRIS-T SAM (missile terra-aria) di fabbricazione tedesca è stato distrutto vicino all'insediamento di “Ostroverkhovka” nell'oblast di “Kharkov”.

 L'IRIS-T è strategicamente importante per la difesa aerea.

 

Lo stato generale delle forze del regime di Kiev è così pessimo che il loro alto comando sta persino considerando la possibilità di arruolare con la forza milioni di donne ucraine senza figli.

Tuttavia, a parte l'uccisione inutile di altri ucraini, questo non cambierà certamente nulla sul campo di battaglia.

Vale a dire, per circa due anni dell'operazione militare speciale (SMO), l'esercito russo è stato in inferiorità numerica.

Eppure, questo è stato di scarso conforto per la giunta neonazista, poiché la superiorità numerica non significa nulla se la parte avversa impiega armi tecnologicamente molto più avanzate.

Questa disparità è cresciuta ulteriormente nel frattempo, con l'esercito russo che utilizza droni, bombe, missili e artiglieria sempre più potenti, tutti più precisi e letali che mai.

Sfortunatamente per il popolo ucraino, i burattini della NATO non si preoccupano delle vittime.

(Drago Bosnic)

 

 

 

 

 

Cittadini-Consumatori.

Conoscenzeaconfine.it – (6 Maggio 2024) - Guendalina Middei – ci dice:

 

Sparta fu l’emblema nel mondo antico dell’efficienza, della forza, dell’obbedienza e della repressione del dissenso.

 

“A Sparta il figlio se era deforme e poco prestante veniva gettato dal baratro del monte Taigeto, poiché né per sé stesso né per la città era meglio che vivesse.

Di tutte le città della Grecia, Sparta è l’unica a non aver lasciato all’Umanità né uno scienziato, né un artista né un poeta.

Forse gli spartani, senza saperlo, eliminando i loro neonati troppo fragili, hanno ucciso i loro musici, i loro poeti, i loro filosofi.”

Chi tra voi non ha visto almeno una volta nella vita la “Creazione di Adamo” di Michelangelo o ascoltato una sonata di Beethoven?

 Molti dicevano che Caravaggio fosse pazzo, e lo stesso dissero di Beethoven, di Michelangelo, persino di Socrate! Perché?

Perché non vivevano come gli altri pretendevano che vivessero.

 Perché questi uomini sentivano e pensavano in modo diverso.

 Cosa c’entra con Sparta?

 

Ecco Sparta fu l’emblema nel mondo antico dell’efficienza. Della forza.

Nel mondo spartano non c’era spazio per l’iniziativa individuale, per la libertà d’azione, per i sentimenti.

 A Sparta la vita dei cittadini seguiva soltanto ordini e regole:

era il mondo dell’obbedienza e della repressione del dissenso, vi suona familiare?

Ogni aspetto della vita dei cittadini-soldati era controllato dallo stato.

Essere un buon guerriero era l’unico scopo dello spartano.

 Chi non poteva e non sapeva esserlo, doveva sparire.

O essere sfruttato.

Per questo motivo Sparta non ebbe musici, poeti, filosofi.

 

Oggi lo stato non vuole cittadini-soldati, ma cittadini-consumatori.

 Persone che pensino e sentano in modo facilmente prevedibile, facilmente controllabile.

Non servono i filosofi, non servono i pensatori, non servono gli artisti ma soltanto operai altamente qualificati.

Come ci riescono?

Controllando ciò che la gente legge, sente e ascolta, perché se riempi la testa delle persone di gossip, stupidaggini e pettegolezzi la gente alla fine parlerà soltanto di gossip, stupidaggini e pettegolezzi.

Ed ecco perché il pensiero in tutte le sue forme viene bandito dalla società che ha fatto della televisione il suo oracolo.

Agli uomini-macchina non è utile conoscere la storia di Sparta. Ragionare.

Mettere in relazione.

(Guendalina Middei -Professor X).

(altrarealta.blogspot.com/2024/04/cittadini-consumatori.html)

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