Crimini estremi contro l’umanità.
Crimini
estremi contro l’umanità.
GENOCIDI
E CRIMINI
CONTRO
L’UMANITÀ.
It.gariwo.net
– Redazione - Raphael Lemkin – 20-1-
2023) – ci dice:
In
breve.
Il
termine crimine contro l’umanità viene per la prima volta evocato in occasione
del massacro degli armeni, ma verrà definito con precisione, all’interno del
Diritto internazionale, solo in occasione del Processo di Norimberga.
Negli
stessi anni verrà introdotto l’uso del termine “genocidio”, coniato dall’ebreo polacco Raphael Lemkin, che verrà poi recepito dagli
organismi internazionali.
Tal
crimine, definito come la “sistematica distruzione di un gruppo nazionale, etnico,
razziale o religioso”, verrà codificato dall’”Assemblea generale delle Nazioni
Unite” nella “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di
genocidio” del 1948.
Evoluzione
dei concetti di genocidio e di crimini contro l’umanità.
Già
nel 1915 i governi alleati di Francia, Gran Bretagna e Russia parlano, a
proposito del massacro della popolazione armena da parte dei turchi, di “crimini contro la civilizzazione” e di “crimini di lesa umanità”, termini ripresi anche nel “Trattato
di Sevres” (1920).
Questa formulazione giuridica verrà adottata nei
processi delle corti marziali turche a carico dei responsabili degli eccidi.
Ma è
dopo la Seconda guerra mondiale e la “tragedia della Shoah” che si sente l’esigenza di
individuare e definire con precisione, all’interno del Diritto internazionale,
i crimini contro l’umanità.
Raphael
Lemkin.
Comincia
a essere utilizzato nel linguaggio giuridico anche il termine genocidio,
coniato da Raphael Lemkin, definito “sistematica distruzione di un gruppo
nazionale o etnico”. (Il neologismo viene usato per la prima volta in uno
scritto del 1944).
L’accordo,
siglato a Londra l’8 agosto 1945 tra Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e
URSS, include il genocidio nei “crimini contro l’umanità”, a loro volta
compresi nella più ampia categoria dei “crimini internazionali”.
Tra il
20 novembre 1945 e l’1° ottobre 1946 il Tribunale Militare Internazionale
insediato a Norimberga processa i gerarchi nazisti.
I capi d’accusa di competenza della Corte
sono:
-
crimini contro la pace a carico dei responsabili della guerra di aggressione;
-
crimini di guerra basati sul principio della responsabilità penale individuale;
-
crimini contro l’umanità ovvero assassinio, sterminio, riduzione in schiavitù,
deportazione e qualsiasi atto disumano commesso contro le popolazioni civili,
prima o durante la guerra, persecuzioni che abbiano costituito una violazione
del diritto del Paese dove sono state perpetrate.
Raphael
Lemkin ebbe
un ruolo importante nel portare il concetto di genocidio all’attenzione della
nascente organizzazione delle Nazioni Unite, dove delegati di tutto il mondo
discussero i termini di una legge internazionale contro tale crimine.
La
prevenzione dei genocidi.
Il 9
dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva all’unanimità la
“Convenzione
per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”.
Viene
qualificato genocidio “uno qualsiasi degli atti seguenti, commessi con l’intenzione
di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o
religioso in quanto tale:
-
uccisione di membri fisici del gruppo;
-
attentato all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
-
assoggettamento intenzionale del gruppo a condizioni di esistenza dirette a
provocare la sua distruzione fisica totale o parziale;
-
provvedimenti miranti a impedire le nascite nell’ambito del gruppo, quali
sterilizzazione, aborto, impedimenti al matrimonio;
-
trasferimento forzato di bambini di un gruppo in un altro gruppo”.
La
Convenzione stabilisce che coloro che si macchiano di questi crimini, siano
essi organi di uno Stato, funzionari civili o militari, oppure semplici
cittadini, debbano essere ritenuti “personalmente” e “singolarmente”
responsabili del crimine stesso e pertanto sottoposti a giudizio davanti a
tribunali locali oppure internazionali.
Genocidio e crimini contro l’umanità non
cadono in prescrizione e comportano il risarcimento.
Elementi
fondamentali, la cui presenza qualifica il crimine di genocidio sono:
-
l’intenzione ovvero la pianificazione dell’eliminazione del gruppo umano preso
di mira;
- lo
Stato come agente organizzatore di tale pianificazione;
- uno
o più atti criminali rivolti contro persone in quanto membri di un gruppo
nazionale, etnico, razziale o religioso.
È il gruppo intero ad essere perseguitato ed
il genocidio è quindi ritenuto il più grave dei crimini contro l’umanità.
Fonti
normative sul crimine di genocidio.
La
Convenzione entra in vigore il 12 gennaio 1951, ratificata da più di venti
Paesi.
Il 4 novembre 1988, sotto la presidenza di Ronald
Reagan, la firmano anche gli Stati Uniti.
La
Convenzione non ha tuttavia rappresentato la parola definitiva per quanto
riguarda le diverse accezioni del concetto di genocidio.
Il dibattito svoltosi negli anni ne ha
ampliato i confini, cercando di rimediare ad alcune omissioni.
Per
esempio, la mancata inclusione nella definizione di genocidio del gruppo
sociale, di quello sessuale e di quello politico, i quali ne sono stati tutti
vittime dopo il 1945.
Il
Codice penale francese, approvato nel 1992, definisce genocidio la volontà di
annientamento non solo di gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi, ma
anche di un qualsiasi altro gruppo “determinato sulla base un criterio
arbitrario”.
Viene
così sancito che, al di là di tutte le classificazioni, il gruppo vittima è
quello che viene scelto come tale dall’aggressore.
Il
codice penale canadese ha introdotto, in anni recenti, l’aspetto della
“complicità”.
Considera
infatti crimine contro l’umanità anche “il tentativo, il complotto, la
complicità dopo il fatto, il consiglio, l’aiuto o l’incoraggiamento riguardante
il fatto stesso”.
Genocidi
e crimini contro l’umanità del secolo XX e XXI.
Genocidi
e crimini contro l’umanità non cessano con la Seconda guerra mondiale.
Nonostante il “mai più” gridato dopo l’orrore
della Shoah, una scia di sangue cola lungo tutto il XX secolo e oltre.
In molti casi risultano difficili la condanna
e soprattutto la prevenzione dei crimini in sede internazionale per
l’opposizione degli Stati che ne sono responsabili o complici.
È
delegato all’Onu il compito di denunciare i Paesi che si rendono colpevoli di
crimini contro l’umanità, ma l’obbligo dell’unanimità nel Consiglio di Sicurezza e la
presenza, con diritto di veto, di Stati poco sensibili al rispetto dei diritti
umani e civili, rende spesso problematico condannare i comportamenti
delittuosi.
I
tribunali internazionali.
A
seguito delle atrocità commesse nella ex Jugoslavia e alla pulizia etnica in
Bosnia (1991 – 1995), nel 1993 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
emana la Risoluzione 827, con la quale viene istituito il Tribunale Penale Internazionale per
l’ex Jugoslavia (ICTY) con sede all’Aja, il primo di questo tipo dopo quello
di Norimberga, con competenza per reati di genocidio, crimini contro l’umanità,
violazione di leggi e convenzioni di guerra.
Verso
la fine dei lavori dell’Aja.
Fino
al 2017, quando viene sciolto, il Tribunale emette 83 sentenze di condanna
definitiva e 19 assoluzioni.
37
processi non vengono conclusi per morte degli imputati o ritiro delle accuse.
Imputati eccellenti:
Slobodan
Milosevic, Presidente serbo. Muore in carcere nel 2006, prima della sentenza.
Radovan
Karadzic, Presidente della Repubblica della Bosnia Erzegovina, arrestato il 21 luglio 2008,
condannato il 26 marzo 2016 a 40 anni di detenzione in quanto ritenuto
colpevole di pulizia etnica, genocidio nei confronti della popolazione
musulmana di Srebrenica e assedio di Sarajevo.
Ergastolo
a Ratko Mladic.
Ratko
Mladic, comandante dell’esercito serbo – bosniaco, il boia di Srebrenica,
arrestato nel 2011, dopo 16 anni di latitanza, condannato all’ergastolo il 22
novembre 2017.
Dopo
il genocidio che si consuma in Ruanda contro i Tutsi (1994), il Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite istituisce il “Tribunale Penale Internazionale
per il Ruanda” (ICTR) con sede ad Arusha, in Tanzania, che ha emesso la sua
prima sentenza di condanna il 2 settembre 1998.
In dieci anni il Tribunale ha sottoposto a
processo solo una ventina di persone, a fronte di quasi 90.000 detenuti in
attesa di giudizio.
A
causa dell’impossibilità di affrontare un così alto numero di procedimenti, nel 2000 sono state istituite le “gacaca”, tribunali popolari nei quali i
colpevoli vengono invitati ad ammettere le proprie colpe in cambio di
importanti sconti di pena.
I
primi 10 anni della “Corte Penale Internazionale”.
Il 17
luglio 1998, il Trattato Internazionale ratificato a Roma istituisce la Corte
Penale Internazionale Permanente dell’Aja, con il compito di perseguire i
reati di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra.
Il
Trattato conferma la definizione di genocidio adottata dalla Convenzione del
1948, estendendone i termini sia ai tempi di guerra che di pace.
Qual è
il segno degli “ultimi giorni”,
o “fine dei tempi”?
Jw.org
– Redazione – (10-2-2023) – ci dice:
La
risposta della Bibbia.
La Bibbia parla degli avvenimenti, delle
situazioni e degli atteggiamenti che avrebbero caratterizzato la “conclusione
del [presente] sistema di cose”, o “fine del mondo” (Matteo 24:3; CEI).
La Bibbia chiama questo periodo “ultimi giorni” e
“tempo stabilito della fine”, o “fine dei tempi” (2 Timoteo 3:1; Daniele 8:19;
Parola del Signore).
Cosa
dicono alcune profezie bibliche sugli “ultimi giorni”?
La Bibbia aveva predetto molte cose che si sarebbero
verificate contemporaneamente, e queste cose avrebbero fatto parte del “segno”
che avrebbe permesso di riconoscere gli ultimi giorni (Luca 21:7).
Ecco
alcuni esempi.
Guerre
in tutto il mondo.
Gesù predisse: “Nazione combatterà contro nazione e
regno contro regno” (Matteo 24:7).
Inoltre, una profezia riportata in Rivelazione
(Apocalisse) 6:4 prediceva che un simbolico cavaliere che rappresentava la
guerra avrebbe “[tolto] la pace dalla terra”.
Carestie. Gesù predisse: “Ci saranno carestie” (Matteo 24:7).
Il
libro di Rivelazione prediceva che un altro simbolico cavaliere avrebbe causato
carestie in grandi proporzioni (Rivelazione 6:5, 6).
Grandi terremoti. Gesù disse che ci sarebbero stati
“terremoti in un luogo dopo l’altro” (Matteo 24:7; Luca 21:11).
Questi
grandi terremoti si sarebbero verificati in tutto il mondo e avrebbero causato
sofferenze e perdite di vite umane senza precedenti.
Malattie. In base a quello che disse Gesù, ci sarebbero state
epidemie (Luca 21:11).
Criminalità. Anche se da secoli vengono commessi
crimini, Gesù predisse che negli ultimi giorni ci sarebbe stato un “aumento
della malvagità” (Matteo 24:12).
Il nostro pianeta in rovina.
Rivelazione 11:18 prediceva che gli esseri
umani avrebbero distrutto la terra.
Lo
avrebbero fatto in molti modi, non solo con azioni violente e corrotte, ma
anche danneggiando l’ambiente.
Peggioramento nell’atteggiamento delle
persone.
Come
si legge in 2 Timoteo 3:1-4, la Bibbia prediceva che gli uomini sarebbero stati
“ingrati, sleali, [...] non disposti a nessun accordo, calunniatori, senza
autocontrollo, spietati, senza amore per la bontà, traditori, testardi, pieni
d’orgoglio”.
Queste caratteristiche avrebbero raggiunto livelli
estremi; ecco perché gli ultimi giorni vengono appropriatamente definiti “tempi
difficili”.
Disgregazione della famiglia.
Come
si legge in 2 Timoteo 3:2, 3, la Bibbia prediceva che molti sarebbero stati “snaturati”, o
senza affetto per i propri familiari, e che i figli sarebbero stati
“disubbidienti ai genitori”.
Diminuzione dell’amore per Dio.
Gesù
predisse: “L’amore della maggioranza si raffredderà” (Matteo 24:12).
Gesù intendeva dire che nella maggioranza
delle persone l’amore per Dio si sarebbe affievolito.
Inoltre 2 Timoteo 3:4 dice che negli ultimi giorni queste
persone sarebbero state “amanti dei piaceri piuttosto che di Dio”.
Ipocrisia religiosa. Come riporta 2 Timoteo 3:5,
la Bibbia prediceva che le persone avrebbero
servito Dio solo in apparenza, senza però seguire veramente le sue norme.
Maggiore comprensione delle profezie bibliche.
Il libro di Daniele prediceva che nel “tempo
della fine” molti avrebbero avuto più conoscenza delle verità bibliche e quindi
avrebbero avuto anche una comprensione più accurata delle profezie (Daniele
12:4).
Predicazione a livello mondiale.
Gesù
predisse: “Questa buona notizia del Regno sarà predicata in tutta la terra
abitata” (Matteo 24:14).
Apatia e scherni sempre più diffusi.
Gesù
predisse che molte persone avrebbero ignorato le chiare prove dell’avvicinarsi
della fine (Matteo 24:37-39).
Addirittura
Pietro 3:3, 4 prediceva che alcuni avrebbero respinto con sarcasmo la validità
di queste prove.
Adempimento di tutte le profezie. Gesù disse che gli ultimi giorni
sarebbero stati caratterizzati da un contemporaneo adempimento di tutte queste
profezie, non soltanto della maggior parte o di alcune di loro (Matteo 24:33).
Viviamo
negli “ultimi giorni”?
Sì. Le condizioni mondiali, come anche la
cronologia biblica, indicano che gli ultimi giorni sono cominciati nel 1914,
anno in cui è iniziata la Prima guerra mondiale
Occorre
capire in che modo le condizioni del mondo indicano che viviamo negli ultimi
giorni.
Nel
1914 il Regno di Dio ha cominciato a governare in cielo. Una delle prime azioni
che ha compiuto è stata quella di espellere dal cielo Satana e i demòni e di
limitare la loro attività alla terra (Rivelazione 12:7-12).
Che
Satana abbia un’influenza sull’umanità è evidente in molte delle azioni e dei
comportamenti malvagi delle persone, e tutto questo rende gli ultimi giorni
“tempi difficili” (2 Timoteo 3:1).
Molti sono angosciati a causa dei tempi
difficili in cui viviamo. Sono preoccupati perché la società sta andando di
male in peggio. Alcuni hanno anche paura per quello che potrebbe succedere agli
esseri umani in futuro.
Allo stesso tempo ci sono altri che, pur
essendo angosciati dalla situazione attuale, hanno una speranza per il futuro.
Sono
convinti che il Regno di Dio presto interverrà per eliminare i problemi di
questo mondo (Daniele 2:44; Rivelazione 21:3, 4).
Mentre aspettano con pazienza che Dio adempia le sue
promesse, trovano conforto in queste parole di Gesù: “Chi avrà perseverato sino
alla fine sarà salvato” (Matteo 24:13; Michea 7:7).
Crimini
di guerra e
Corte
penale internazionale.
Cittanuova.it – (25 NOVEMBRE 2023) - Dott. Marilena
Montanari – ci dice:
Tutte
le parti del conflitto sono tenute a rispettare i principi del diritto
internazionale umanitario che regolano la modalità di uso della forza nelle
operazioni militari.
Gli estremi per l’azione del procuratore
generale della Corte penale internazionale.
Gaza –
Israele- Palestina.
Questa
è la seconda parte dell’approfondimento a proposito della violazione di
principi di diritto internazionale umanitario e la configurazione di crimini
internazionali nel conflitto in corso in Israele e Palestina.
Gli
obblighi di rispetto del diritto internazionale umanitario sono rigorosi e sono
tesi a delimitare se ed in quale misura e con quali limiti una parte possa
usare o meno la forza.
Pertanto,
le gravi violazioni di questo “corpus juris” possono essere considerate crimini
di guerra e crimini contro l’umanità, che lo “Statuto di Roma della Corte
Penale internazionale” ha codificato, insieme con” il principio della
responsabilità penale internazionale degli individui che li commettono).
Dagli
attacchi del 7 ottobre, le vittime aumentano inesorabilmente di giorno in
giorno e da ambo le parti riguardano in larghissima parte civili e inermi che
si trovavano nelle proprie abitazioni o in luoghi ricreativi.
Purtroppo
ci sono testimonianze terribili di diffusione del terrore fra la popolazione
civile, su cui “Hamas” parrebbe aver perpetrato atti di tortura e violenza
sessuale.
Inoltre sappiamo che vi è stata la presa di
più di 200 ostaggi israeliani rapiti e portati nel territorio della striscia di
Gaza.
Tutte
queste condotte possono essere qualificate penalmente, dal momento che l’art. 8
par. 2 dello Statuto della Corte Penale Internazionale statuisce che sono
crimini di guerra il colpire indiscriminatamente civili;
il seminare il terrore tra la popolazione civile; la
tortura, la violenza sessuale; la presa degli ostaggi.
Pertanto,
se i precedenti fatti venissero confermati dagli elementi di prova da
rinvenirsi nel corso dell’espletamento delle indagini, si potrebbe parlare di
commissione di crimini di guerra da parte di” Hamas”.
Di
contro, con riferimento alle modalità della reazione che Israele ha sviluppato,
occorre riferirsi al fatto che il 9 ottobre scorso il ministro della Difesa
israeliano ha annunciato e messo in pratica la chiusura di ogni via di accesso
al territorio, l’interruzione di ogni possibile forma di rifornimento
alimentare, elettrico, idrico, di beni di prima necessità, che sta mettendo a
rischio la vita della popolazione palestinese.
A
questo si è aggiunta, dal 27 ottobre scorso, la totale interruzione delle vie
di comunicazioni su Gaza mentre le truppe israeliane cominciavano a fare
ingresso via terra nella striscia e un’enorme sproporzione tra la quantità di
convogli umanitari che è stata fatta entrare nella striscia rispetto alle
necessità reali.
Anche
in questo caso, se le condotte venissero confermate dagli elementi di prova, si
avrebbe la messa in atto di una strategia di guerra vietata dal diritto
internazionale umanitario, costituente un crimine di guerra dettagliato
all’art. 8 lett. b n. 25 dello Statuto della Corte Penale Internazionale e che
è noto con il nome di “starvation”.
Esso
consiste appunto nell’affamare la popolazione civile, nel creare una condizione
di carestia che mette seriamente a rischio la sopravvivenza dei civili e nell’ostacolare
le forniture di soccorso, richiamando” le Convenzioni di Ginevra”.
Configurano
“violazioni del diritto internazionale umanitario”, e pertanto crimini di
guerra, anche le condotte di bombardamenti contro ospedali di Gaza come” Al
Ahli” e “Al-Shifa”, di cui abbiamo ricevuto informazione così come di
bombardamento contro scuole e contro i luoghi in cui lavorano organizzazioni
umanitarie.
Il
fatto che “esponenti di Hamas” si nascondano negli edifici civili residenziali
oppure in luoghi protetti, non trasforma automaticamente questi luoghi in
obiettivi militari che si possono colpire indiscriminatamente e senza prendere
le adeguate precauzioni.
Anche
l’attacco al “campo profughi di Jabalia” nel quale sono morte oltre 50 persone,
che è stato ritenuto da Israele operazione di successo perché ha portato
all’eliminazione di uno dei leader di Hamas,” Ibrahim Biari”, così come
l’avvertimento dato alla popolazione di evacuare i loro luoghi e di lasciare le
loro abitazioni con un termine strettissimo di 24 ore prima di colpirle, o
l’ammonimento dato al personale medico di evacuare l’ospedale “Al-Quds” di Gaza
City sono stati criticati da esponenti dell’”Alto Commissariato dei Diritti
Umani” dell’ONU, che hanno espresso pubblicamente il timore che questi attacchi
sproporzionati possano configurare crimini di guerra e che si possa registrare
una deportazione collettiva.
Sono
state, in generale, ritenute le conseguenze di questi avvertimenti come molto
gravi, perché hanno provocato l’evacuazione forzata di circa 1 milione di
persone, senza un trasporto organizzato, né una forma di assistenza, o
un’indicazione precisa di luogo in cui trovare riparo.
Il 30
ottobre, la stampa israeliana ha reso noto un documento del “Ministero
dell’Intelligence”, nel quale si ipotizza il trasferimento di una parte della
popolazione palestinese di Gaza nei campi profughi nel Sinai, in Egitto.
Si è
minimizzato sul fatto che uno scenario del genere potrebbe configurare un “trasferimento forzato di civili”, senza considerare che anche questa
è una condotta penalmente rilevante, che potrebbe essere qualificata sia come
crimine di guerra, sia come crimine contro l’umanità.
L’art.
8 n. 2 b. 8 dello Statuto di Roma vieta la deportazione (che avviene quando la
popolazione civile viene spinta oltre i confini del territorio occupato verso
un altro Stato) o il trasferimento di tutta o parte della popolazione del
territorio occupato, all’interno o all’esterno di questo territorio.
Entrambe
queste condotte, se commesse nel contesto di un attacco esteso o sistematico
nei confronti della popolazione civile, configurano anche contro crimini contro
l’umanità ai sensi dell’art. 7 par. 1 lett. d dello Statuto di Roma.
Crimini
di guerra potrebbero inoltre sussistere in relazione al tipo di armi
utilizzate, dal momento che l’impiego di armi proibite, come quelle incendiarie
o quelle chimiche, possono determinare condotte illecite.
Nel
caso di specie, fonti di informazioni hanno riferito del potenziale uso di
munizioni a fosforo bianco negli attacchi su “Gaza City”, che, secondo le
convenzioni internazionali, non possono essere utilizzate in maniera
indiscriminata su civili e che potrebbero configurare, quindi, un crimine di
guerra.
Quanto
alla sussistenza del crimine di genocidio, sebbene alcuni esperti delle Nazioni
Unite lo ritengano plausibile, occorre constatare la difficoltà di provare
quella che dovrebbe essere la “mens rea”, ossia l’intento di distruggere in
tutto o in parte un determinato gruppo nazionale, etnico, razziale, religioso
in quanto tale.
Diversamente,
le condotte che mirano a colpire un certo gruppo con l’intento discriminatorio
potrebbero portare alla configurazione del crimine contro l’umanità di
persecuzione, previsto all’art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale.
Conclusioni.
Quanto
analizzato, dimostra che, se le informazioni verranno confermate dalle indagini
e dalla raccolta di elementi di prova, da ambo le parti potrebbero essere stati
compiuti tanto crimini di guerra quanto crimini contro l’umanità, dal momento
che le condotte sono state eseguite nel contesto di un attacco esteso o
sistematico nei confronti di una qualsiasi popolazione civile.
Nel
caso di specie, poi, lo “Stato di Palestina”, dapprima con una dichiarazione del
21 gennaio 2009 e poi con l’adesione allo Statuto e l’invio di una seconda
dichiarazione del 31 dicembre 2014 , ha manifestato l’intenzione di accettare
la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, in base al meccanismo
previsto dall’art. 12 par. 3 dello Statuto di Roma.
La
Corte, quindi, può attivarsi sul caso di specie e, infatti, il procuratore
della Corte Penale Internazionale, “Karim Khan”, ha recentemente dichiarato di
voler portare avanti le indagini per verificare la potenziale commissione di
crimini internazionali sotto la giurisdizione della Corte.
L’auspicio
è che la conduzione di indagini indipendenti e imparziali possano portare ad
individuare le responsabilità e ad una giusta repressione dei crimini commessi
ma, ancor di più, la speranza è che possano cessare presto le armi perché, a
pagare maggiormente degli scontri e della violenza inasprita dall’odio, sono
sempre i civili che invece anelano la pace.
Casi
di “omicidio medico”
esplodono
in America.
Allnewspipeline.com
– (18-4-2024) - Stefan Stanford - Vivi libero o muori- ci dice:
Questo
è dovuto alla progettazione mentre i globalisti lavorano il più velocemente possibile
per abbattere la popolazione del pianeta prima di essere ritenuti responsabili
di genocidio.
Secondo
questo articolo dell'11 aprile pubblicato sul sito” American Greatness”,
l'"omicidio medico" è la prima causa di morte negli Stati Uniti, e
mentre si potrebbe pensare che una tremenda serie di " errori " sia
ciò che ha portato a tali statistiche terrificanti, la verità è che questo è
previsto.
Riferendo
che molto prima che il “COVID” arrivasse sulla scena, anche il “CDC “aveva
riconosciuto che la “malpractice medica” era la terza causa di morte nel
paese, con decessi a livello nazionale per malattie cardiache pari a oltre
700.000, tumori a oltre 600.000 mentre i decessi per negligenza medica
ammontavano a oltre 400.000 ogni anno,
come avverte senza mezzi termini la loro storia.
Pensaci.
Le persone sono troppo costose; il pianeta non ha abbastanza risorse.
Se Satana riesce a vendere queste bugie, ciò
che vediamo accadere in tempo reale calza a pennello.
Riportando
anche questa statistica strabiliante, secondo cui durante l' era del COVID ,
gli Stati Uniti erano al primo posto per "morti ospedaliere", seguito
dall'India al secondo posto, con gli Stati Uniti che hanno subito oltre 1.200.000
"omicidi ospedalieri" in soli 39 mesi, mentre l'India e il loro paese 4
volte la popolazione in quanto gli Stati Uniti hanno subito solo 530.000 morti,
come anche la loro storia metteva in guardia senza mezzi termini, tutto si riduce al fatto che le
"persone" sono "troppo costose" per mantenerle in vita, con
l'enorme cifra di 135 milioni di americani che beneficiano di previdenza
sociale, Medicare o Medicaid e quei costi che rappresentano oltre il 50% del
bilancio federale degli Stati Uniti.
Con un
costo medio annuo di oltre 35.000 dollari a persona, negli ultimi 10 anni
abbiamo ripetutamente riferito all' “ANP” che il governo degli Stati Uniti e i
globalisti credono davvero che il pianeta sia enormemente sovrappopolato,
quindi credono di dover " fare qualcosa al riguardo", e si potrebbe
sostenere che è esattamente ciò che stiamo vedendo svolgersi davanti ai nostri
occhi.
Da
quella storia prima di continuare:
La
trama si infittisce quando vedi che le regole di “Medicare” e “Medicaid” sono
state allentate durante il COVID, aggiungendo 38.000.000 di americani a questa
burocrazia.
Perché?
Seguendo il modello stabilito dai Rockefeller (i loro prodotti farmaceutici
causavano il cancro, quindi hanno finanziato l’”American Cancer Society”), il governo dietro COVID (avviso spoiler: America) voleva che i suoi cittadini avessero
una copertura medica “gratuita”, per dare l’impressione di aiutare.
La
realtà comincia a colpirci adesso.
La
maggior parte di questi individui hanno ottenuto l’ “arma biologica” mascherata
da vaccino.
Attualmente
si registra un aumento del 24% nella mortalità per tutte le cause tra i
soggetti colpiti da puntura.
I tassi di cancro sono alle stelle.
Cosa pensi che farà la copertura medica
“gratuita” a queste persone in futuro?
Considerando
una visione più ampia, “Ezekiel Emanuel W”, uno dei bioeticisti più influenti
del paese e uno dei principali artefici dell’Obamacare, scrisse già nel 1996 che “i servizi sanitari forniti a
individui a cui è irreversibilmente impedito di essere o diventare cittadini
partecipanti non sono basilari e non dovrebbe essere garantito.”
I
Centri per i servizi Medicare e Medicaid (CMS) determinano gli standard di
“assistenza” per l’intero paese.
Medici
e infermieri si nascondono dietro “standard di cura” come “scusa per ucciderci”
mentre vengono pagati per farlo.
Ad
essere onesti, alcuni non hanno la minima idea di fare il lavoro sporco,
accecati dalla programmazione medica.
Inoltre,
gli statuti statali scritti molto prima del COVID concedono l’immunità legale
per il rispetto degli “standard di cura”.
Voglio
essere schietto.
Gli
standard di cura sono progettati per affrettare la morte, e affrettare la morte
è un omicidio.
Con i
tassi di cancro alle stelle negli Stati Uniti, soprattutto tra i giovani, come
riportato in questo articolo del 9 aprile sul NY Post , e quell'articolo che
riportava un "nuovo studio altamente preoccupante" aveva stabilito che
questi tassi di cancro alle stelle erano dovuti a ciò chiamano
"invecchiamento accelerato" in coloro che non molto tempo fa erano
"giovani e sani", come avevamo avvertito in questo articolo del 10
aprile su ANP , mai UNA VOLTA hanno incolpato i "vax" che hanno scatenato sul
pubblico per questi numeri esplosivi di casi di cancro.
Tuttavia,
secondo il
dottor William Makis, non aveva mai visto nulla di simile prima.
E
mentre il sito web “Vaccine Research Hub” afferma che semplicemente il termine
"turbo cancro" è un "termine falso" usato per
"spaventare le persone " e allontanarle dal prendere queste iniezioni
COVID, come ha avvertito il “dottor Makis” pochi giorni fa, il 17 aprile , gli studi “TURBO CANCER” e la letteratura
stanno ora crescendo rapidamente , con 6 nuovi articoli sul vaccino COVID-19 Turbo Cancer
pubblicati solo nell’aprile 2024.
Come
ci avverte il dottor Makis , la diga si sta rompendo e porterà con sé Pfizer e
Moderna.
Con
altri oncologi che lanciano l'allarme, come riporta questo articolo su Health First DC , questi tumori stanno crescendo così
rapidamente, soprattutto tra i giovani di età inferiore ai 30 anni, nelle donne
incinte e nei bambini piccoli che hanno contratto più di un “COVID vax”, di
solito sono allo “stadio 3” o allo “stadio 4” prima di essere diagnosticati,
anche se i sintomi compaiono solo giorni o settimane prima della diagnosi .
Dal “dottor Makis”.:
LETTERATURA
SUL CANCRO TURBO :
(2024
aprile, Zhang e El-Deiry) - La subunità S2 del picco SARS-CoV-2 inibisce
l'attivazione p53 di p21 (WAF1), del recettore di morte TRAIL DR5 e delle
proteine MDM2 nelle cellule tumorali ).
(2024
aprile, Rubio-Casillas et al) - Recensione: N1-metil-pseudouridina (m1Ψ): amico
o nemico del cancro?).
(2024
aprile, Gibo et al) - Aumento della mortalità per cancro adeguata all’età dopo
la terza dose di vaccino mRNA-lipidico su nanoparticelle durante la pandemia di
COVID-19 in Giappone).
(…)
IL
SESSO DEI DEMONI.
Comedonchisciotte.org
- Redazione CDC - Roberto Pecchioli - ereticamente.net – (15 Aprile 2024) ci
dice
Sempre
più spesso pensiamo di vivere in un incubo, un orribile sogno dal quale presto
o tardi ci desteremo liberati dall’angoscia.
Invece no: è tutto vero e dobbiamo bere
l’amaro calice sino in fondo, restando ritti tra i detriti del mondo che fu il
nostro.
Si
dice che a Bisanzio – la seconda Roma – esangui intellettuali discettassero del
sesso degli angeli mentre il sultano conquistava la città.
Le
scimitarre troncarono il dibattito.
Il Titanic affondò con il suo carico di tronfi
borghesi al suono dell’orchestra.
Oggi
discutiamo del sesso dei demoni, e la questione è ben più concreta di quella
bizantina.
Mentre in Italia scoppiano le polemiche sull’”ospedale
fiorentino di Careggi”, punta di lancia del cambio di sesso per minorenni – una fabbrica di bambini trans – in Inghilterra (deo gratias) chiude
l’orribile
esperimento delle cliniche “Tavistock” specializzate in terribili trattamenti
farmacologici e chirurgici volti all’interruzione dello sviluppo sessuale dei
minori.
Altrove,
specie in Nordamerica, devastanti trattamenti di quel tipo bloccano la naturale
crescita di migliaia di malcapitati bambini.
Alcuni
sono figli di sostenitori delle teorie sessuali più strampalate.
Le
colpe dei padri ricadono sui figli.
Destrutturare
l’essere umano sin nell’ identità più intima è lo scopo di un’ “ideologia
criminale ampiamente finanziata dalle grandi centrali di potere”.
Il
cortocircuito psicologico, etico e biologico della decostruzione sessuale è
spaventoso.
Quando
raggiunge i minori è un elemento di disgregazione sociale a partire dalla
confusione individuale.
Un giorno, finanziatori, esecutori e
fiancheggiatori dovranno risponderne.
Ogni
civilizzazione allo stadio finale sceglie il suo metodo per suicidarsi: la
nostra muore tra spasmi atroci, negando ogni verità ed evidenza, distruggendo
l’esistenza di molti dei suoi figli.
Aveva
ragione “Charles Baudelaire” – che di demoni se ne intendeva per esperienza
diretta – ad affermare che l’astuzia del diavolo è farci credere che non
esiste.
Chi
scrive diffida delle spiegazioni esoteriche e delle fughe nell’irrazionale, ma è arrivato a pensare seriamente
a una matrice preternaturale per le peggiori derive di questo tempo bastardo.
La
sessualità umana – a partire dall’infanzia! – è il territorio privilegiato di
una guerra cognitiva contro la persona umana condotta da forze potentissime.
Le
cliniche per modificare il sesso di bambini e ragazzi – una disgustosa
industria con interessi economici immensi – sono uno dei luoghi in cui si
praticano, su corpi in formazione, la generazione di domani – esperimenti e
mutilazioni in nome di un’ideologia aberrante, la peggiore forse tra le derive
antiumane che stiamo percorrendo.
Molti
nascono “nel corpo sbagliato”, afferma questa ideologia che si dà il compito di
recuperare l’”autenticità dell’Io” imprigionato dalla natura attraverso la
farmacologia, la chirurgia, la diffusione di modelli comportamentali, sessuali
ed esistenziali “fluidi“.
Nella
stragrande maggioranza dei casi, i dubbi sull’identità sessuale vengono
superati tra la pubertà e l’adolescenza, ma l’ideologia – unita agli interessi
economici e di dominio – non sente ragioni.
Non
tutto, fortunatamente, è perduto; il più prestigioso quotidiano del mondo
anglosassone, il “Times”, scrive, a proposito delle “cliniche Tavistock &
Portman” (ramo del Tavistock Institute che svolse sperimentazioni sul
cosiddetto “lavaggio del cervello”):
“il danno causato è incommensurabile. Nessuno
sa quanti anni di dogma ideologico, trattamento inadeguato e un colpevole
fallimento nel momento di valutare il benessere mentale dei bambini trattati
dalla clinica Tavistock abbiano danneggiato migliaia di persone sottoposte al “Servizio
per lo Sviluppo dell’Identità di Genere” (GIDS).”
Basta
la denominazione di questa istituzione per smascherare la natura perversa
dell’intera operazione, l’ideologia del sesso dei demoni applicata ai bambini.
L’umanità
senza centro e senza identità è lo scopo delle oligarchie.
Organizzazioni
come il “GIDS “sono il braccio secolare, sostenuto da ingenti finanziamenti
delle grandi “ONG” e delle” Fondazioni dei miliardari”.
Al
livello sottostante agisce la rete delle ricche organizzazioni “pro LGBTQI+”,
tra le quali le potentissime “Stonewall” e “Mermaids”.
Uno
degli obiettivi è intossicare il dibattito sino a impedirlo, utilizzando la
complicità dei grandi mezzi di comunicazione e degli ambienti culturali.
Troppo
anche per un “organo liberal” come “The Guardian”.
La critica lascia il segno, a proposito della
mancanza di obiezioni “di sinistra” alle condotte – qualche volta alle atrocità
– dell’ideologia transgender.
“Pensano
che questo abbia a che fare con l’essere liberali.
Fanno
sì che la gente abbia paura di ascoltare un altro punto di vista.
La
paura di essere segnalati come transfobici prevale su tutto”.
La timidezza di fronte al male rende complici.
Non vogliamo
esserlo, pur se scrivere queste righe comporta dolore. Vorremmo utilizzare il
linguaggio che meritano i demoni ma non possiamo: loro sono fortissimi, noi non
abbiamo che la nostra coscienza.
L’arma
del ricatto morale coinvolge innanzitutto i genitori dei bambini oggetto delle
“cure”.
Meglio
un figlio morto o una figlia viva?
È uno
degli slogan dei dottori Stranamore del cambio di sesso.
La
verità è opposta:
il tasso di suicidi, tra le giovani esistenze
sottoposte ai trattamenti della supposta disforia di genere, è doppio rispetto
alla media.
Il
nuovo Frankenstein scava nella carne per estrarre l’”autentico Sé” a partire
dal sesso.
Le
leggi devono assecondare la ricerca e rimuovere gli ostacoli.
In Canada una persona che si definisce “non
binaria” ha chiesto allo Stato di finanziare un intervento chirurgico che
risolva il sentimento di appartenere a entrambi i sessi mentre il corpo ha
organi maschili.
La
procedura prevede la creazione di una vagina mantenendo il funzionamento del
pene.
La
meraviglia di chi legge è la stessa di chi scrive, ma domani potrebbe diventare
un “diritto” pagato con le nostre tasse.
Il
paziente afferma di non identificarsi con un unico genere per cui considera
discriminatorio sottoporsi ad una vaginoplastica – intervento che fa parte
della “norma” – in quanto comporta l’ablazione del pene.
Ci
scusiamo per la crudezza del linguaggio ma non sappiamo esprimerci
diversamente.
Interventi
basati sui più strani desideri diventano routine.
La” World Professional Association for Transgender
Health” (WPATH), organismo per la “medicina transgender”, è stata investita
dalla divulgazione di centinaia di comunicazioni interne che dimostrano come i
medici basino i loro interventi, anche quelli eseguiti su ragazzi/e in pubertà,
sulla saggistica prodotta dai “teorici LGBT”.
Ossia
non rispettano gli standard della ricerca medica, né effettuano valutazioni
trasparenti dei risultati.
Impressiona
l’offerta chirurgica.
L’orchiectomia
è l’asportazione dei testicoli; la “scrotectomia” è la rimozione del sacco
scrotale;
la “penectomia” è la rimozione del pene
eseguita su persone non binarie che desiderano non avere più un pene e non
intendono continuare con la femminilizzazione genitale.
L’annullamento è la procedura per chi desidera
diventare eunuco.
Le
opzioni sono molte di più, i chirurghi sono disponibili a soddisfare qualsiasi
richiesta.
Nei
protocolli si riconosce che sono le persone non binarie a “educare i medici”
fornitori di servizi.
Le
procedure vengono inventate su richiesta in base all’ autopercezione fluida di
identità sempre nuove.
L’ offerta – il mercato è misura di tutte le
cose! – soddisfa i desideri di figure a noi sconosciute, “gender-void”, “semi-boys”,
“pangender”.
Una
tendenza di moda è l’intervento chirurgico del “frullato di Barbie”, che
prevede l’amputazione dei genitali per ottenere un aspetto da bambola con la
parte anteriore piatta, preservando solo le aperture uretrali e anali.
Esistono
interventi personalizzati per tutti:
nessun
“desiderio” riunito sotto l’ombrello della diversità di genere è ritenuto un
problema psicologico.
Un
chirurgo ha spiegato che lo scopo è aiutare i pazienti a raggiungere i loro
“obiettivi corporei” in modo che possano autorealizzarsi “così come sono
internamente”.
I
medici (stregoni?) sono “facilitatori del percorso per raggiungere il vero sé
che si nasconde nei corpi sbagliati.”
Un
centro texano ha eseguito centinaia di interventi genitali “non convenzionali”
vantando di aver soddisfatto qualunque richiesta dei “clienti”.
Gli
interventi sono criticati dalle associazioni mediche, ma i gruppi “LGBTQ”
affermano che apportano benefici alla salute mentale dei pazienti.
I casi
riflettono una crescente domanda di chirurgia personalizzata basata su ciò che
un soggetto percepisce come “ autentico sé”.
Il mercato non ha limiti.
Sul
sito di una clinica si legge che “ prendere la decisione di affermare la propria identità
di genere attraverso un intervento chirurgico è una decisione importante, che
cambia la vita. Siamo ansiosi di aiutarti a creare il corpo a cui hai sempre
sentito di appartenere. Oltre a prendersi cura delle tue esigenze chirurgiche,
saremo felici di occuparci anche delle tue richieste di bellezza, come botox,
filler e altri strumenti cosmetici. “L’ industria farmaceutica promuove la
ricerca del “vero sé”, l’idea che bisogna modificare il corpo sbagliato per preservare
la salute mentale. “
“È il
tuo momento. Meriti di sentirti di nuovo te stesso.
Ottieni
una consulenza gratuita, un piano di trattamento personalizzato e cure continue
su misura per le tue esigenze.”
Il
marketing è rivolto soprattutto alle persone che si considerano trans.
Interventi
mostruosi realizzano qualunque cosa il cliente chieda;
il
“vero sé” è affermato a pagamento con un intervento chirurgico di
riassegnazione dell’identità.
Sempre
più persone trans vengono sponsorizzate da cliniche, centri estetici, marchi di
abbigliamento, trucco e bevande, apparendo in base al genere in cui si
percepiscono.
Il
movimento organizzato attorno ai diritti delle persone trans è diventato un
vero distruttore di corpi e menti.
Sentirsi a proprio agio con il proprio corpo
non è facile, ma patologizzarlo per risolverlo farmacologicamente o
chirurgicamente è di una crudeltà perversa.
Esistono immagini di corpi massacrati a
seguito di questi interventi; è necessario superare la repulsione e prenderne
visione per comprendere la carneficina compiuta in nome di una menzogna.
È molto difficile combattere le insicurezze e
le angosce, ma non si può evitare il percorso di accettazione di sé allestendo
su vasta scala l’esperimento di Frankenstein.
Nessuno
cambia sé stesso torturando la propria carne.
Chiarissimo
è l’uso politico dei disturbi della sessualità come meccanismo di caos
simbolico e di controllo sociale, sostenendo che l’identità sessuale si può
fabbricare e la società è obbligata ad accettarla.
L’ utopia
dei diversi promuove lo sviluppo dell’identità come ideologia e marketing.
Stanno convincendo una generazione che un’orda
di imbonitori senza scrupoli possa offrire orgoglio, pace e autorealizzazione
con il bisturi.
Non
sappiamo se si possa parlare di violenza legalizzata o di ideologia devastante;
di
certo convergono rilevanti interessi economici e la volontà di un Prometeo
impazzito di rifare l’umanità a immagine e somiglianza dei propri incubi.
Pensiamo
alla devastazione di una generazione, soprattutto quando si tratta di minori.
L’uomo
è per natura esploratore e le conquiste della scienza e della tecnica hanno
messo a sua disposizione strumenti straordinari.
Purtroppo
è anche sottoposto alle sollecitazioni di una natura imperfetta, in cui sono
legati ragione e pulsione, spirito e carne.
Ulisse
voleva dare ali “al folle volo” mettendo sé stesso e i suoi compagni “per
l’alto mare aperto”.
Resistette
alle tentazioni di Circe, la maga, facendosi legare all’albero della nave in
partenza.
Era un
uomo, non un demone.
Può
dire altrettanto l’homunculus postmoderno scisso da sé stesso?
Che civiltà è quella che sfrutta e promuove la
schizofrenia dei più fragili, dei più giovani, dei più indifesi?
Ci
toccherà invocare un altro sultano che espugni Bisanzio e chiuda il manicomio
Occidente?
(Roberto
Pecchioli, ereticamente.net)
(Roberto
Pecchioli, studioso di geopolitica, economia e storia, svolge un’intensa
attività pubblicistica in ambito saggistico. Collabora con riviste e siti web
di cultura e informazione indipendente.)
“DE
NEQUITIA” Psicologia e
fenomenologia
della cattiveria.
Pensalibero.it
– Recensione di Giorgio Pizzoli – Autori- Jasmin Diglio e Roberto Tassan - (21 Febbraio 2022) – ci dicono:
(GRUPPO
EDITORIALE VIATOR)
Gli
autori si addentrano nella selva oscura costituta dal problema del “male”.
Un
problema attorno al quale da millenni si sono tormentate le menti di uomini
esperti e non esperti nei campi più svariati del pensiero.
“Abbiamo
affrontato il tema dei comportamenti malvagi e delle loro cause psicologiche e
biologiche spinti da una constatazione: i nostri tempi, che hanno sicuramente
visto un miglioramento del benessere e della qualità della vita in termini di
istruzione, condizioni igienico-sanitarie e alimentazione, hanno anche
assistito ad un aumento della violenza e dei comportamenti efferati e criminali.”
Con
queste parole Jasmin Diglio e Roberto Tassan, esperti di psicologia e
psicoterapia, presentano lo scopo della loro ricerca sulla “nequitia” ossia
sulla “cattiveria” o “malvagità umana”.
Ciò
precisato, essi si addentrano nella selva oscura costituta dal problema del
“male”.
Un
problema attorno al quale da millenni si sono tormentate le menti di uomini
esperti e non esperti nei campi più svariati del pensiero:
dalla
religione, alla filosofia, alla letteratura, alle scienze sperimentali.
Il
discorso degli Autori prende il via dalla celebre tesi di “Socrate”:
“La cattiveria non esiste, esiste solo l’ignoranza
intorno al bene”.
Il
filosofo, come è noto, dava dimostrazione della tesi con questo ragionamento:
“Ogni
uomo cerca e vuole il massimo di bene per la propria vita. Se un uomo conosce
in che cosa consiste il bene non può non agire in modo da ottenerlo.
Quindi
il vero problema è conoscere il bene.
Chi
conosce il bene non farà mai il male.”
Va
precisato che il discorso in questione presuppone un concetto di bene che sia
valido nello stesso tempo sia per una singola persona che per il gruppo sociale
in cui essa si trova a vivere.
Si
osserva che la tesi in questione comporta un paradosso molto imbarazzante.
Da un
lato essa appare inconfutabile.
È
impossibile infatti pensare che una persona sana di mente possa coscientemente
fare del male a sé stessa dopo aver conosciuto ciò che le può procurare il
bene.
Dall’altro
la tesi appare del tutto in contrasto con ciò che ognuno può constatare ogni
giorno con i propri occhi.
Vi
sono moltissime persone che pur essendo in condizione di conoscere e quindi di
compiere il bene proprio e altrui agiscono in modo da produrre il male (sia a sé stesse che al loro
prossimo).
Nel
libro si riportano numerosi fatti che confermano il paradosso su descritto.
E gli Autori cercano di metterne in luce
cause.
A
questo proposito “Jasmin Diglio” osserva che dalla stessa etimologia del
vocabolo “cattivo” si possono trarre spunti per la spiegazione del paradosso.
“Captivus” nella lingua latina
significa prigioniero.
Così era appunto chiamato l’uomo catturato in
guerra da un esercito vincitore.
Nella
tradizione culturale della religione cristiana l’uomo “cattivo”, come è noto, è
il prigioniero di Satana.
Il
quale ha il potere di indurre gli uomini a commettere il male, e di trattenerli
poi come suoi prigionieri una volta che essi lo abbiano commesso.
Rielaborando
la metafora della prigionia, l’autrice si riporta alla teoria dello
“psicoanalista W. Reich” (1897-1957) secondo la quale gli esseri umani, da
tempi immemorabili, si imprigionano volontariamente in una “gabbia” costruita
dalle convenzioni imposte da una società repressiva.
Coloro
che rimangono prigionieri di questa gabbia non riescono neppure a vederne le
sbarre.
Per
questo indirizzano le loro azioni verso obiettivi alienanti.
Obiettivi
che a loro sembrano “nobili”, come le espressioni artistiche, ma che in realtà
impediscono lo sviluppo autentico e soddisfacente della personalità.
Secondo
questa teoria il “cattivo” è nello stesso tempo prigioniero (vittima) del male
sociale e anche autore, a sua volta, del male proprio e altrui.
Anzi
spesso arriva a quella perversione della psiche che consiste nel “godere” nel
fare il male.
In sintesi, sta male e prova piacere nel fare
il male; e lo fa perché sta male.
Il
libro ci porta così di fronte, tra molti altri, a due grandi problemi:
quello della responsabilità personale di chi fa il
male; quello del male causato dalla distorsione della personalità prodotta
dall’ambiente sociale;
Accenneremo
qui succintamente alle risposte dei nostri autori sui tali punti.
“Roberto
Tassan” si pone di fronte all’antica e sempre nuova domanda. Esiste il libero arbitrio?
In altre parole, fino a che punto sussiste per un
essere umano la libertà di scegliere fra il bene e il male.
A
questo proposito ci riferisce il caso, accaduto a metà dell’800, di un giovane
operaio delle ferrovie americane il cui comportamento e carattere da
estremamente “buono” (efficiente, lodevole) si tramutò in “cattivo”
(antisociale, riprovevole) subito dopo di un incidente sul lavoro:
una
barra di ferro gli si era conficcata tra un occhio e il cervello.
“Jasmin
Diglio” ci
porta poi diversi esempi nei quali una persona cambia totalmente il suo
comportamento a seconda che agisca individualmente o in un determinato ruolo
assegnatole dalla società.
Riferisce
degli incredibili risultati ottenuti dallo psicologo “F. Zimbardo “che dimostrano,
sperimentalmente e senza possibilità di dubbi, che “tutti possiamo divenire
torturatori”.
“De
nequitia” ci fornisce molte informazioni scientifiche sui temi sopra indicati.
Si
conclude con un’appendice intitolata Adolf Hitler:
Follia e male assoluto.
Qui
leggiamo anche alcune notizie non molto note, sulla biografia del personaggio
storico forse più famoso tra coloro che hanno raggiunto i vertici della
malvagità.
Leggendo
queste notizie il lettore comprende che la maggior parte delle cause che
inducono gli esseri umani a commettere il male sono davvero nascoste nel
“sottosuolo” della psiche umana.
Chi
scrive, ad esempio, ha pensato che se il giovane Adolf Hitler avesse visto
accolta la sua domanda di iscrizione all’ Accademia delle Belle Arti forse si
sarebbe volentieri dedicato alla pittura per la quale non mancava di talento.
E non
sarebbe passato alla storia come genio del male.
Un genio per altro capace di sedurre e trascinare
nelle sue imprese malvagie la grande massa del popolo tedesco.
Anche
sulla capacità seduttiva dei cattivi il lettore potrà trovare nel libro
interessanti notizie.
In
breve diremo che “De nequitia” ci offre molti elementi per approfondire i
complessi rapporti fra la parte “conscia” e la parte “inconscia” della psiche.
La comprensione di questi rapporti, a sommesso
avviso di chi scrive (che non è un esperto della materia) comporta una estensione della parte
conscia,
quella che ci consente di mantenere la mente sana e ci rende quindi capaci di agire per compiere, come
dice Socrate, il bene e di evitare di diventare “prigionieri” della cattiveria.
(Giorgio
Pizzol)
(PARADOXIA
EPIDEMICA).
Metà
indifferenza e
metà cattiveria.
Antinomie.it - PATRICIA PETERLE – (18/03/2020)
– ci dice:
«[…]
al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente
quello che considera suo diritto e suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la
popolazione nella crisi che stiamo attraversando, quando sembra si verifichi
qualcosa di simile a una violenta epidemia.
[…] E
desidererebbe poter contare sul senso civico e la collaborazione di tutti i
cittadini per bloccare il propagarsi del contagio».
E
ancora:
«Il
Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta
da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch’essi, da
cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando
anche che l’isolamento in cui ora si trovano rappresenterà, al di là di
qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà verso il resto
della comunità nazionale».
Due
frammenti che descrivono un contesto d’urgenza provocato da una violenta
epidemia che pare minacciare tutti e contro la quale governi e cittadini devono
lottare insieme, anche se per bloccarla è necessario l’isolamento al fine di
evitare il contagio e la conseguente propagazione.
Uno
scenario, quello provocato dall’ “epidemia del coronavirus”, che ha stravolto
nelle ultime settimane i ritmi dell’ordinaria vita quotidiana in zone molte
diverse tra di loro sparse per il mondo.
Il
termine epidemia deriva dal greco ἐπί «sopra» e δῆμος «popolo», e in termini
medici si riferisce a un morbo che si espande indifferentemente sopra appunto
un popolo, attaccando tutti, non importa età, sesso o razza.
In
termini mitologici lo stesso termine può riferirsi alle feste dedicate ad
Apollo in Delfo e Mileto, e a Diana in Argo.
Certamente,
non si tratta di una festa quella a cui assistiamo, forse, se lo sarà, sarà
quella del virus e della sua propagazione in tutti i continenti.
Virus
che senza pregiudizi e senza badare a ricchi e poveri non dice di no ad un
corpo passibile di essere contaminato, sia esso in Africa, in Cina, in Europa,
negli Stati Uniti o in America Latina.
I
brani succitati, che paiono descrivere la realtà vissuta in Cina qualche mese
fa e, ora, in Italia, non sono un annuncio di Conte, ma appartengono al “romanzo
Cecità” (1995) di José Saramago.
Da un
giorno all’altro, una città e i suoi abitanti si vedono in preda a un’epidemia
di cecità che provoca un collasso e costringe tutti a cambiare i propri modi di
vita, le proprie forme di vita.
Ambientato
in un luogo indefinito, in un tempo indeterminato, con personaggi che non hanno
un nome, il
romanzo di Saramago mette in atto una potente macchina narrativa per riflettere
sui rapporti umani, sul potere, sulla paura ingenerata dall’epidemia, sulla
sopraffazione.
Non è
ovviamente la prima volta che il tema del contagio viene affrontato in
letteratura:
da
Boccaccio a Manzoni, da Camus a Canetti e a Jack London, esso è un argomento
che ha sempre attratto perché, appunto, mette in risalto una serie di
implicazioni che riguardano il comportamento umano (basti vedere negli ultimi giorni
l’aumento esponenziale di vendita nelle librerie di questo tipo di narrativa).
Ma si
potrebbe arrivare al “Lucrezio” del “De Rerum Natura” o a “Tucidide”, con la
descrizione della peste che colpì Atene nel 430 a.C., il cui resoconto non
manca di sottolineare la difficoltà di agire razionalmente.
Nel Novecento, come sappiamo, parlare della
peste diviene sempre più una forma allegorica, come avviene nel testo di
Saramago o in quello di Camus, col suo inconfondibile incipit, «Oggi la mamma è
morta».
Libri
di epoche e stili molto diversi che si interrogano sul timore che l’uomo ha di
«essere toccato dall’ignoto», come afferma “Elias Canetti” nel suo capolavoro “Massa
e potere”, tradotto da “Furio Jesi”:
«Dovunque,
l’uomo evita d’essere toccato da ciò che gli è estraneo. Di notte o in
qualsiasi tenebra il timore suscitato dell’essere toccati inaspettatamente può
crescere fino al panico».
Tanto
più quando si tratta di un elemento non del tutto conosciuto, che può soffrire
delle mutazioni e il cui espandersi lascia dietro di sé una scia di morti.
Se
bloccare il virus non è ancora possibile, è però possibile seguire i numeri, i
dati che vengono comunicati ad ogni istante.
Tutto questo grazie a una modernità sempre più
connessa con l’aiuto dei mezzi tecnologici: iper comunicazione e iper informazione.
Però
quella che dovrebbe essere un elemento di mediazione e magari di prevenzione, l’accessibilità all’informazione, non ha ancora avuto un ruolo
decisivo contro il diffondersi del coronavirus.
A
questo proposito si fa interessante ricordare le parole di “Calvino “in una
delle sue “Lezioni”:
«Alle
volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella
facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del
linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di
immediatezza».
L’iper
comunicazione e l’iper informazione non hanno dunque finora aiutato nella
prevenzione, anzi.
Forse
tutto appariva così lontano – un focolaio cinese –, il cui sbarco in altre
parti sembrava una possibilità molto remota.
Senza prevenzione e senza immediatezza di azione, ora,
il covid-19 sfida e fa collassare i sistemi sanitari, mette a nudo le debolezze
di un’Europa che si dimostra impreparata e di un’Italia che ormai si ferma e
chiede ai cittadini di pensare alla comunità e, momentaneamente, di rinunciare alla libertà di andare
e venire.
Ed
ecco qui come il legame tra politica e medicina, che ovviamente non si limita a
questa specifica congiuntura, diviene sempre più evidente nella nostra
contemporaneità.
Lo stato di emergenza provocato dall’epidemia virale
ha di conseguenza attivato uno stato di emergenza politico. La dedizione della politica nei
confronti della “cura” dei cittadini e dello stato seguono questa linea della
biopolitica.
Come
dice “Roberto Esposito”, «tutti i conflitti politici attuali hanno al centro la
relazione tra politica e vita biologica», un tratto della deformazione della
politica e, al contempo, della sua decomposizione.
Gli
stessi che hanno testimoniato da lontano (attraverso i vari schermi) la crisi
vissuta in Cina, l’aumento dei contagi, i decessi, la mancanza di mascherine e
amuchina, ora la vivono da vicino, anzi, sulla pelle, sia in modo diretto che
indiretto.
L’espansione
a qualsiasi latitudine, in modo così veloce – come se tutti noi fossimo delle
possibili prede in una specie di nuovo game mondiale –, mette in evidenza il
nostro esiguo equilibrio, quasi sempre nascosto dietro alle immagini e ai
numeri di un mercato che pensa più che altro al suo progresso caotico.
E ora,
anzi, è questo stesso mercato che sembra patire, ancorché ci sia sempre
qualcuno che ci guadagna.
Ma che
cos’è successo in questi mesi?
Una
parte del mondo si credeva protetta?
C’era un’armatura invisibile?
Pare
che tante tappe, nozioni e percezioni siano state trascurate.
Ci si
potrebbe chiedere se il pregiudizio verso l’altro, considerato diverso,
potrebbe essere una delle risposte al complesso quadro al quale assistiamo
oggi.
Ma
guardare all’esperienza dell’altro forse in questo momento è una via d’uscita.
Le
prime parole di “Agamben” hanno stimolato un effervescente dibattito.
La
sorveglianza dell’epidemia è legata alla sorveglianza dei singoli.
Le azioni d’emergenza, lo stato di eccezione che si
vive, da un lato necessario, avranno anch’esse un costo salato.
Una
specie di colpo di stato messo in scena da un elemento esterno: il virus e la
sua paura.
Se
l’ignoto, potentissimo, è il coronavirus che affligge tutti, ci costringe a
stare a casa come se fossimo dei prigionieri, l’ignoto sarà anche ciò che si
presenterà dopo questa tempesta virale.
Ora
siamo preoccupati, come è giusto che sia, con l’epidemia, ma ci sarà anche un
post coronavirus.
L’ingovernabilità
del virus, a cui tutti assistiamo, gli altissimi numeri di decessi e
contagiati, come ha sottolineato “Žižek”, può ravvivare altre epidemie di virus
ideologiche che in alcuni erano forse dormienti.
Le
macerie lasciate non saranno poche, sia a livello economico che esistenziale.
In
effetti questo vivere su una strana soglia, una specie di campo minato di
necessarie costrizioni, risveglia negli stessi corpi delle angosce.
Senz’altro
una visione di mondo è implosa, si è frantumata con l’arrivo del coronavirus o
era già implosa e ora si presenta in modo così virulento sul corpo dello stato
e dei singoli cittadini.
L’emergenza
di solito richiede l’urgenza; ma noi già viviamo il più delle volte, senza
renderci conto, sotto il regime dell’emergenza.
Però
un’emergenza significa anche imparare sul punto del collasso, rompere con i
giochi del possibile davanti a un imprevisto.
L’esigenza
di una uscita dall’ordinario si impone ora anche sul piano economico e a
livello mondiale;
e la
società patisce con isolamenti e chiusure, mentre il coronavirus mette a
rischio l’economia globalizzata.
Il
coronavirus non attacca solo il corpo dell’uomo, la sua viralità si espande e,
pian piano, infetta vari livelli del nostro stare al mondo.
«È di questa pasta che siamo fatti: metà di
indifferenza e metà di cattiveria», si legge in un altro passaggio di “Cecità”.
La paura dell’altro, da ciò che viene da
fuori, se da un lato è una misura protettiva, dall’altro ci toglie dal contatto
(e contagio) appunto con l’altro, ci isola in un egoismo sempre più crescente, che ora nelle vesti del discorso
virale può catturarci ancor di più;
ma essa è soprattutto un’altra metamorfosi
della crisi in cui siamo inseriti come umani e come comunità.
Gran
Bretagna,
condannata all’ergastolo
l’infermiera killer di neonati:
“Profonda
malvagità al limite del sadismo”
Ilfattoquotidiano.it
– (21 AGOSTO 2023) – Redazione – ci dice:
Pochi
giorni fa era stata dichiarata colpevole per avere ucciso sette neonati e
tentato di assassinarne altri sei mentre lavorava nel reparto di maternità del
“Countess of Chester Hospital”, nell’Inghilterra occidentale, tra il 2015 e il
2016.
Adesso
per l’infermiera killer di neonati, “Lucy Letby”, è arrivata la condanna della
“Manchester Crown Court”:
ergastolo,
senza possibilità di libertà condizionale.
Nel leggere la sentenza in diretta tv il
giudice “James Goss” ha parlato di “premeditazione, calcolo e malizia” nelle azioni compiute da “Letby”, che hanno avuto un “impatto immenso”
su molte famiglie.
Si
tratta di una pena massima inferta raramente dalla giustizia britannica.
Il giudice ha parlato di “profonda malvagità
al limite del sadismo” da parte di “Letby”, che comunque ha continuato a negare
i crimini compiuti da infermiera, dichiarandosi sempre innocente.
“Non ha mostrato rimorso e non ci sono
circostanze attenuanti“, ha aggiunto il giudice.
La gravità del caso giudiziario è stata sottolineata
anche dall’intervento del “Crown Prosecution Service”, secondo cui la
condannata “non sarà mai più in grado di infliggere le sofferenze” da lei
causate.
L’infermiera
33enne era stata individuata ed arrestata nel 2018 e durante il processo,
iniziato lo scorso ottobre, i “pm” hanno accertato che nella struttura
sanitaria era stato registrato un aumento dei casi di morte e deterioramento
improvviso dello stato di salute dei neonati senza una motivazione apparente.
Secondo
quanto deliberato dalla giuria del “Tribunale di Manchester”, la donna era
presente in ciascuno dei casi sospetti come una “presenza malevola costante”
nell’unità neonatale nel momento in cui i bimbi si sono sentiti male o sono
morti.
Durante
il processo i pubblici ministeri hanno appurato che l’infermiera recava danni
ai neonati con metodi che non lasciavano tracce – come l’iniezione deliberata
di aria, l’alimentazione eccessiva e l’avvelenamento con insulina – per poi convincere i colleghi che il
crollo del quadro clinico fosse avvenuto in maniera naturale.
La
pronuncia della sentenza è avvenuta in assenza della condannata, che ha scelto
di restare in cella e non presentarsi in aula scatenando forti polemiche.
La
notizia ha sollevato molte polemiche nel Regno Unito per il fatto che “Letby “avrebbe
dovuto ascoltare quanto veniva dichiarato sui reati commessi quando lavorava
nell’ospedale pubblico a sud di Liverpool e affrontare le famiglie dei neonati
uccisi.
Anche il premier “Rishi Sunak” è intervenuto
accusando di “codardia” le persone colpevoli di crimini così efferati che non
affrontano le loro vittime.
Intanto
rimango dubbi su altri casi sospetti:
secondo quanto riporta il” Guardian”, la
polizia ritiene che “Lucy Letby” possa aver fatto del male a decine di altri
bambini in due ospedali nel nord-ovest dell’Inghilterra.
La
fonte citata dal giornale ha affermato che i detective hanno identificato circa
30 bambini che hanno subito incidenti “sospetti” all’ospedale “Countess of
Chester”, dove lavorava l’infermiera killer.
“Letby”
era in servizio durante ognuno di questi incidenti inspiegabili.
La polizia sta anche esaminando le cartelle
cliniche dei bambini nati nell’ospedale femminile di Liverpool, dove lavorava
anche “Letby”. Questi 30 bambini, tutti sopravvissuti, si aggiungono agli altri per i
quali è arrivata la condanna all’ergastolo.
“CIVIL
WAR”, L'OPERA CHE
HA
DIVISO L'AMERICA.
E CHE
IN UN SOLO WEEKEND
HA
CONQUISTATO 25 MILIONI DI DOLLARI.
Mymovies.it
- Roberto Manassero – (19 aprile 2024) – Focus - ci dice:
Il
film di Alex Garland - la produzione più costosa di sempre di A24 - scopre
provocatoriamente i nervi di una nazione in bilico tra Trump e Biden.
E così
anche il cinema ha il suo "Il canto del profeta", il romanzo di “Paul Lynch”
vincitore del “Book Prize 2023” (in Italia pubblicato a fine marzo da 66th&2nd) che immagina in un presente nemmeno
così alternativo l’Irlanda prima governata da un partito fascista e poi
devastata da una guerra civile.
Il film in questione si chiama “Civil War”,
l’ha diretto il regista e romanziere inglese Alex Garland (suoi “Ex machina”,” Annientamento” e
“Men”) ed è tra le uscite più attese di questa primavera, dopo che in patria in
un solo weekend ha incassato più di 25 milioni di dollari e generato una netta
polarizzazione di giudizi.
In un
paese che si avvia alle presidenziali con una base elettorale mai così divisa,
con un candidato (Trump) che promette ferro e fuoco in caso di sconfitta e già
una volta ha approvato l’assalto dei suoi sostenitori al Congresso e un
presidente in carica (Biden) distratto da due fronti di guerra esteri (Ucraina
e Palestina), “Civil War” sfrutta il momento e coglie furbescamente nel segno:
giusto o sbagliato, bello o brutto che sia, è
un film che scopre provocatoriamente i nervi di una nazione.
Come ha scritto “Anna Lombardi “su “La
Repubblica”, «il 43% dei cittadini americani già pensa che una guerra civile è
effettivamente possibile entro il prossimo decennio e il 23% concorda che la
violenza potrebbe essere necessaria a salvare il Paese».
Nel
film il conflitto non ha una motivazione chiara e le divisioni sul campo sono
così confuse e irrealistiche che la casa produttrice “A24” ha sentito il dovere
(e la necessità promozionale) di caricare online una cartina del Paese in
guerra.
Giusto
per capirci sull’assurdità del contesto, la liberalissima California e il
repubblicano Texas sono alleati, gli stati lealisti tengono insieme zone
politicamente e geograficamente antitetiche come il New England e la fascia
centrale del Midwest, mentre la capitale Washington è assediata a nord dalle
Western Forces e a sud dalla Florida Alliance…
Evidentemente
Garland, anche sceneggiatore, si è divertito a mescolare le carte della storia
passata e presente, tanto che in un’intervista apparsa sul “New York Times” ha
sentito il dovere di precisare che la sua guerra civile è «la semplice estensione dell’attuale
situazione degli Stati Uniti: una situazione polarizzata».
Come
però ha fatto notare sul “New Yorker” “Andrew Marantz”, «Civil War pare assolutamente
disinteressato a cercare le cause di una moderna guerra civile americana, e di
conseguenza a suggerire dei modi per prevenirla».
E opporsi a un ipotetico conflitto senza affrontare le
condizioni che potrebbero innescarlo, ha proseguito il critico,
«è un
po’ come affermare di schierarsi “contro l’incarcerazione di massa” evitando
deliberatamente di parlare di criminalità, polizia, povertà, psicologia,
giudici e leggi».
Insomma,
l’accusa più comune nei confronti di “Civil War” è quella di superficialità,
quando non addirittura di ambiguità.
“Garland”
ha descritto il suo film come «empaticamente contro la guerra», ma molti commentatori hanno scritto
che i grandi film anti-bellici americani del passato (Apocalypse Now, Il dottor Stranamore) erano anche atti di accusa contro
il governo degli Stati Uniti, mentre qui si rimane piuttosto sul vago a proposito di colpe
e responsabilità, riducendo la guerra civile a una fratricida e indistinta
lotta per la sopravvivenza.
Un
indizio sulla posizione di “Garland” potrebbe venire dal fatto che la
protagonista “Lee Smith”, interpretata da “Kirsten Dunst” e ispirata alla vera “Lee
Miller”, è una fotografa di guerra, una testimone imparziale di orrori e
tragedie.
Eppure
proprio l’equidistanza del personaggio dal conflitto, nel corso del viaggio
infernale che porta lei e altri tre colleghi da New York a Washington per
intervistare il Presidente asserragliato nella Casa Bianca, mostrerebbe le
contraddizioni del film, perché, come ha scritto “Clarisse Loughrey”
sull’“Independent”, «non tutti i conflitti nascono e crescono allo stesso modo; le persone non uccidono e muoiono
senza motivo; e l’imparzialità di Lee suona vuota quando gli stessi Stati Uniti hanno
partecipato in prima persona a così tanti conflitti internazionali».
Di
contro, va detto che i sostenitori del film esaltano proprio l’incertezza
nebulosa di “Civil War”, il pessimismo esistenziale e il crudo realismo che ne
farebbero un’opera universale e chiamerebbero in causa la posizione morale di ogni
spettatore e ogni forza politica.
«Raramente»,
ha scritto “Manhola Dargis” sul “New York Times”, «ho visto un film capace di mettermi
altrettanto a disagio e un volto come quello di “Kirsten Dunst”, in grado di
esprimere il malessere di una nazione in modo così vivido da sembrare una
radiografia».
Nel
frattempo, tra i commenti online di spettatori entusiasti e altri critici, la
A24 ha venduto “Civil War” a decine di paesi prima ancora di conoscere i
risultati al box office del primo weekend, rientrando così da subito dei 50
milioni spesi per produrlo, cifra più alta mai spesa dalla compagnia più “cool”
del nuovo cinema americano.
Blinken
avvisa la Cina: “La Russia
è una
minaccia per l’Europa,
Pechino
deve smettere di aiutarla.”
Msn.com
- Quotidiano.Net – (19 -4 – 2024 ) – Redazione – ci dice:
Capri,
19 aprile 2024 – “La Russia non è solo una minaccia all'Ucraina ma lo resterà anche per
altri Paesi europei e la Cina non può avere un piede in due scarpe, non può
avere rapporti amichevoli coi Paesi europei e contemporaneamente alimentare la
più grande minaccia alla sicurezza europea dalla Guerra fredda”.
Lo ha
detto il segretario di Stato Usa “Antony Blinken” al termine del G7 a Capri.
Il politico americano ha anche aggiunto:
“Credo che quello che vediamo oggi sia un
prodotto delle relazioni tra Cina e Russia.
Abbiamo
detto chiaramente alla Cina di non fornire armi alla Russia per la sua
aggressione all'Ucraina, non abbiamo visto forniture dirette ma sono forniture
chiave di componenti”.
E
proprio sul tema, i ministri degli Esteri del G7 hanno espresso
“la forte preoccupazione per i trasferimenti
alla Russia da parte delle imprese della Repubblica popolare cinese di
materiali a duplice uso e componenti di armi che la Russia sta utilizzando per
portare avanti la sua produzione militare.
Ciò
sta consentendo al Cremlino di ricostituire e rivitalizzare la propria base
industriale di difesa, ponendo una minaccia sia per l'Ucraina che per la pace e
la sicurezza internazionale.
La Cina dovrebbe garantire che questo sostegno
venga interrotto, poiché non farà altro che prolungare il conflitto e aumentare
la minaccia che la Russia rappresenta per i suoi vicini”.
Il
segretario di Stato Usa “Blinken” ha poi lanciato un messaggio a “Vladimir
Putin”:
“Il G7
è molto chiaro. Putin crede che noi perderemo la pazienza, che lasceremo
perdere, che abbandoneremo l'Ucraina: non succederà.
Abbiamo dato un contributo straordinario alla
difesa dell'Ucraina e come ho detto già in precedenza questa è la miglior
condivisione di un onere che ho visto tra tutti i Paesi del G7 e tutti i Paesi
della Nato negli ultimi 50 anni".
Infine
per “Blinken” è fondamentale
“fare
progressi per utilizzare gli asset sovrani della Russia sull'Ucraina.
Stiamo
lavorando per trovare un accordo che sia coerente con le leggi dei diversi
Paesi e con il diritto internazionale. Il Cremlino parla di furto – le parole del segretario di Stato
Usa –, ma il
vero furto è quello delle vite umane ucraine, distruggere le infrastrutture
ucraine e accaparrarsi territori che non spettano legalmente alla Russia.
Quindi
dobbiamo colpire gli “asset della Russia” per ricostruire l'Ucraina.
Questo è qualcosa che in un modo o nell'altro,
un giorno o l'altro, sicuramente accadrà".
«Gli
Stati Uniti a un passo
dalla
guerra civile»: come la
Russia
fomenta la secessione del Texas.
Corriere.it
- Lorenzo Stasi – (14-2-2024) – ci dice:
Bot,
influencer e media pro-Cremlino enfatizzano la crisi dei migranti al confine
con il Messico.
Dietro
c'è anche l'“Internet Research Agency”, la "fabbrica di troll" di
Mosca fondata da “Prigozhin”.
L’obiettivo
è interferire e fomentare divisioni, gli strumenti sono un esercito di bot,
influencer e media statali.
A nove
mesi dal voto negli Stati Uniti, la Russia guarda al di là dello stretto di
Bering e soffia sul fuoco delle tensioni interne alla democrazia americana.
Mosca
gioca da anni una guerra di disinformazione per cercare di indebolire
Washington.
Questo
sforzo, come riporta “Wired”, si è intensificato da fine gennaio, da quando è
riesplosa la crisi migratoria al confine tra Messico e Texas, diventata anche
scontro tra governo federale e autorità texane:
su “X”
e su “Telegram” profili e canali russi diffondono la narrazione degli Usa a un
passo dalla guerra civile e del Texas pronto a diventare uno Stato
indipendente.
La
crisi in Texas e lo scontro con Biden.
Lo
scorso 22 gennaio la Corte suprema degli Stati Uniti ha ordinato al governatore
del Texas, il repubblicano “Greg Abbott”, di consentire agli agenti federali di
entrare a” Eagle Pass”, una cittadina al confine con il Messico in cui sono
state schierate le guardie nazionali texane, e rimuovere i 48 chilometri di
filo spinato che sono stati eretti per sbarrare il passaggio ai migranti che
vogliono entrare nel Paese.
Solo a dicembre il confine è stato attraversato da
225mila persone. Nelle ultime settimane la crisi migratoria è diventata anche
uno scontro costituzionale:
dopo
la pronuncia della Corte suprema, il 4 febbraio “Abbott” ha organizzato una
conferenza stampa, insieme ad altri 13 governatori repubblicani, rivendicando
il controllo della frontiera e sfidando così l’amministrazione Biden.
La
crisi migratoria e la situazione al confine con il Messico sono temi centrali
della campagna elettorale, cavalcati da Trump e dai suoi sostenitori, ma sono
diventati anche freni al supporto statunitense all’Ucraina, e anche per questo
sono situazioni sfruttate dal Cremlino.
Per
settimane il Congresso a maggioranza repubblicana ha ostacolato l’approvazione
di nuovi fondi per Kiev, chiedendo in cambio del via libera una stretta
maggiore contro l’immigrazione.
Oltre che primo approdo per migranti, il Texas
è diventato nelle ultime settimane il punto di ritrovo di una variegata
galassia di manifestanti di ultradestra – come il movimento ”Take our border back”, che sabato scorso si è concentrato
a qualche chilometro da “Eagle Pass” – che solidarizza con le politiche del
governatore “Abbott” e contro le scelte dell’amministrazione Biden e della
Corte suprema.
E c’è anche chi, come il presidente del “Texas
nationalist movement” “Daniel Miller”, ipotizza che una secessione dello Stato
può essere «più vicina» di quanti si pensi.
Nel
frattempo, 140mila cittadini hanno firmato una petizione per chiedere un
referendum consultivo sull’indipendenza texana.
«L’istituzione
di una Repubblica del Texas è sempre più reale».
Da una
parte ci sono gli Stati Uniti alle prese con difficoltà interne, dall’altra la
Russia prova a sfruttarle con la speranza che queste tensioni distolgano
l’attenzione del nemico americano da quel che avviene al di fuori del proprio
cortile di casa.
Il giornalista “David Gilbert” di “Wired” cita due
diverse ricerche redatte da gruppi che monitorano la disinformazione online (Logically e Antibot4Navalny) che dimostrerebbero uno sforzo
coordinato di Mosca per enfatizzare la narrazione degli Usa a un passo dalla
guerra civile e dalla disgregazione interna.
Ad
esprimersi in questo senso sono stati innanzitutto politici di primo piano,
come l’ex presidente “Dmitry Medvedev”, che su “X” ha scritto che la crisi al
confine con il Messico è un «altro vivido esempio di come l’egemonia statunitense si stia
indebolendo» e che «l’istituzione di una Repubblica popolare del Texas è sempre più reale»,
aggiungendo che questa situazione «potrebbe portare a una sanguinosa
guerra civile che costerebbe migliaia di vite».
Gli ha
fatto eco su “Telegram” anche la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca,
“Maria Zakharova”:
«È ora
che il presidente americano, seguendo le orme del suo predecessore Obama,
dichiari che "il Texas deve andarsene" e riunisca una coalizione
internazionale per liberare i suoi abitanti in nome della democrazia».
Media
statali, influencer e bot.
«L'idea
di prendere di mira questioni interne agli Stati Uniti molto controverse e di
amplificarle attraverso i propri canali è il manuale standard russo per la
disinformazione», spiega a “Wired” “Kyle Walter”, direttore della ricerca di “Logically”.
Dopo
le affermazioni di “Medvedev” e di” Zakharova” si sono iniziati a muovere bot
creati da società ad hoc, influencer e media statali, come Sputnik e Russia Today, già banditi dall’Unione europea
dopo l’invasione russa dell’Ucraina.
Ci sono poi canali “Telegram”, tra tutti quello del
conduttore televisivo vicino a Putin, “Vladimir Solovyov”, che conta più di 1,2
milioni di iscritti e che descrive gli Usa come «vicini alla guerra civile».
I
ricercatori di” Antibot4Navalny” dimostrano come una rete di “account bot”, in
precedenza collegati alla campagna di disinformazione “Doppelganger”, è stata
messa online nell’ultima settimana per discutere della questione texana, spesso
anche infiltrandosi nei canali di “Take our border back” o di “altri movimenti
statunitensi di protesta”.
“Caroline
Orr”, ricercatrice dell’Università del Maryland che si occupa di
disinformazione, ha scritto nella sua “newsletter Weaponized” che l’hashtag
“Free Texas” è stato «usato ampiamente, e quasi esclusivamente, da account
russi associati alla famigerata” Internet Research Agency”, che ha ospitato le
operazioni di interferenza elettorale del 2016».
Ci sono anche account gestiti da russi che si
spacciano per gruppi a favore dell’autonomia del Texas, come i “Texan Indipendence Supporters”, in cui ci sono continui
riferimenti a Russia e Ucraina.
L’America
corre il rischio
di una
guerra civile?
Firstonline.info
– (6 gennaio 2022) – Michelle Goldberg – Redazione – ci dice:
Negli
Stati Uniti tengono banco due recenti libri che ipotizzano il pericolo di una
nuova guerra civile: ecco, nella versione italiana, che cosa scrive sul “New
York Times” una delle opinioniste di punta, “Michelle Goldberg” di cui Trump
chiese l’esclusione quando andò a visitare la redazione del celebre quotidiano.
L’America
corre il rischio di una guerra civile?
Le
redazioni delle maggiori testate americane e di alcuni magazine stanno
dedicando un’attenzione insolita nei confronti di due libri appena usciti.
Il che
mostra il “mood” che prevale in certi ambienti, in particolare, quelli di
ispirazione liberaldemocratica o, diciamo, tendenzialmente progressista.
Il
temporaneo sollievo per l’uscita di Trump e il buon avvio della Presidenza
Biden sembra essersi mutato in una sceneggiatura di” Roger Corman”: l’incubo di un film horror di serie
B.
Il
primo libro, del quale si parla molto, è “How Civil Wars Start: And How to Stop
Them” di “Barbara F. Walter”, una politologa dell’Università della California,
San Diego.
La studiosa californiana ha impiegato la sua
carriera nello studio dell’origine e dello sviluppo dei conflitti intestini in
molteplici paesi (Jugoslavia, Iraq, lo Sri Lanka e un altro centinaio di luoghi
dove sono avvenuti, stando dell’autrice) e adesso inizia a vedere salire una
tendenza simile a quella di questi infelici paesi anche negli Stati Uniti.
Il
secondo libro è dello scrittore e critico canadese “Stephen Marche” nel cui
libro,” The Next Civil, War” l’eventualità ipotizzata dalla “Walter” diventa
certezza:
sì l’“America
andrà a pezzi e ci sarà una guerra civile”. Preparatevi! (rivolto ai canadesi).
Questi
due libri vanno ad aggiungersi ai molti che hanno analizzato il processo di
polarizzazione e di “crescita del frazionismo radicale in America” che è una
delle prime vampate di una eventuale guerra civile.
Tra i
molti, la “book critic” per la non-fiction del “New York Time”, “Jennifer
Szalai”, menziona questi:
Lilliana Mason Uncivil Agreement, Ezra Klein
Why We’re Polarized, Joanne B. Freeman The Field of Blood e Kathleen Belew
Bring the War Home.
Un
effluvio di studi, ma nessuno di questi ipotizza una rinnovata Guerra di
Secessione.
Adesso
“Michelle Goldberg”, una delle opinioniste di punta del quotidiano di “New York”,
prende il toro per le corna e, riferendosi ai due studi sopra citati, affronta
senza troppe remore il tema di sottofondo, ma certamente presente nel
sentimento pubblico, se l’America stia correndo pazzamente sui binari che portano
a un vero e proprio conflitto civile.
Secondo
l’autrice questo non succederà, ma avverrà qualcosa di molto meno fragoroso, ma
affine nello sbocco.
Interessante.
Esiste
la traduzione italiana dell’articolo dove la “Goldberg” sviluppa questa tesi.
A
proposito di Michelle Goldberg.
Quando
Trump decise di visitare la redazione del NYT, all’inizio del mandato, chiese
la esclusione di due giornaliste:
proprio
la Goldberg e Maureen Dowd. Ne stanno andando ancora orgogliose.
QUANDO
MENO TE LO ASPETTI, ZAC.
“Barbara
F. Walter, una scienziata della politica dell’Università della California, San
Diego, ha intervistato molte persone che hanno vissuto guerre civili, e ha
scoperto che tutti dicono che non se le aspettavano.” Tutti restano sorpresi”,
ha detto. “Anche se, per chi le studia, sono un sbocco ovvio già anni prima che
esplodano”.
Vale
la pena tenerlo a mente se il primo impulso è quello di rigettare l’idea che
l’America possa ricadere in una guerra civile.
Anche ora, nonostante la mia costante angoscia per la
disintegrazione dell’America, trovo l’idea di un crollo totale difficilmente
plausibile.
Ma per
coloro che, come” Barbara Walter”, studiano le guerre civili, un collasso
dell’America inizia a essere ritenuto, se non ovvio, tutt’altro che
improbabile, specialmente dopo i fatti del 6 gennaio dello scorso anno.
DUE
LIBRI CHE FANNO PENSARE.
Due
libri usciti questo mese ci notificano che l’America è più vicina alla guerra
civile di quanto la maggior parte di noi creda.
In “How
Civil Wars Start: And How to Stop Them”, “Barbara Walter” scrive:
“Ho
studiato come iniziano le guerre civili, e intercetto segnali che la gente non
vede. E posso vedere questi segni emergere in America ad un ritmo
sorprendentemente veloce”.
Lo
scrittore e critico canadese” Stephen Marche” è ancora più esplicito nel suo
libro “The Next Civil War: Dispatches From the American Future”.
“Gli
Stati Uniti stanno già arrivando all’epilogo”, scrive Marche.
“La domanda è come”.
Nel
“Globe and Mail” di Toronto, “Thomas Homer-Dixon”, uno studioso dei conflitti,
ha esortato il governo canadese a prepararsi per un’implosione americana.
“Entro
il 2025, la democrazia americana potrebbe collassare, producendo un’estrema
instabilità politica interna, compresa una diffusa violenza civile”, ha scritto.
“Entro
il 2030, se non prima, il paese potrebbe essere governato da una dittatura di
destra”.
Come
scrive” John Harris su Politico”, “Alcune persone serie parlano di ‘guerra civile’ non
come metafora ma proprio in senso letterale”.
SUCCEDERÀ
DAVVERO?
Naturalmente
non tutte le “persone serie” la vedono in questo modo.
Il
politologo di Harvard “Josh Kertzer” ha scritto su “Twitter” che conosce molti
studiosi della guerra civile e pochissimi tra loro pensano che gli Stati Uniti
siano sull’orlo di qualcosa di simile.
Eppure,
anche coloro che respingono i discorsi sulla guerra civile non hanno problemi a
riconoscere la pericolosità della situazione nella quale si trova l’America.
Su
“The Atlantic”,” Fintan O’Toole”, in una recensione del libro di “Marche”,
avverte che le profezie di guerra civile possono anche auto-avversarsi;
durante
il lungo conflitto in Irlanda, sostiene, ciascuna parte era guidata dalla paura
che l’altra si stesse mobilitando. Scrive:
“Una
cosa è riconoscere la reale possibilità che gli Stati Uniti possano andare in
pezzi e che ciò possa avvenire e che possa verificarsi in modo violenti.
Un’altra cosa è inquadrare questa possibilità
come inevitabile”.
LA
CRISI CIVICA DELL’AMERICA.
Sono
d’accordo con” O’Toole” nel dire che è assurdo guardare alla guerra civile come
un esito scontato, ma il solo fatto che esista questa possibilità è osceno.
Il
fatto che lo speculare su una possibile guerra civile non sia più il tratto
distintivo di frange stravaganti, ma sia entrato nel mainstream è di per sé un
segno di crisi civica, una prova di quanto l’America sia già a pezzi.
Il
tipo di guerra civile che “Walter” e “Marche” intravedono non è quella di
giacche rosse e giacche blu che si affrontano in campo aperto.
Se
succederà, sarà più una “guerriglia insurrezionale” che una guerra
guerreggiata.
“Walter”, come “Marche”, basa la sua ipotesi
sulla definizione accademica di “conflitto armato maggiore”, cioè uno scontro
aperto che reclama almeno 1.000 vite in un anno, e su quello di “conflitto
armato minore” che, meno vorace di vite umane, può provocare qualcosa come 25
morti all’anno.
L’AMERICA
È GIÀ IN ARMI.
Secondo
questa impostazione, come sostiene “Marche”, “l’America è già in uno stato di
conflitto civile”.
Secondo
l’ Anti-Defamation League”, gli estremisti, la maggior parte dei quali è di
destra, ha fatto 54 vittime nel 2018 e 45 nel 2019.
(Nel
2020 ce ne sono state solo 17, una cifra bassa a causa dell’assenza di
sparatorie di massa, probabilmente per via della pandemia).
La “Walter”
sostiene che le guerre civili hanno schemi prevedibili, e spende più della metà
del suo libro per spiegare come questi schemi si siano verificati in diversi
paesi.
Avvengono di regola in realtà che lei e altri
studiosi chiamano “anocrazie”, sistemi politici che non sono “né autocrazie né
democrazie complete, ma qualcosa che sta nel mezzo”.
I
segnali dell’avvento di questa forma di governo sono l’intensificazione della
polarizzazione politica basata sull’identità piuttosto che sull’ideologia, in
particolare la polarizzazione tra due fazioni di dimensioni approssimativamente
simili, ognuna delle quali teme di essere schiacciata dall’altra.
CHI
INIZIA UNA GUERRA CIVILE?
Gli
istigatori della violenza civile, scrive la studiosa di San Diego, tendono ad
essere gruppi precedentemente dominanti che vedono il loro status venire meno.
“I gruppi etnici che iniziano le guerre sono
quelli che rivendicano che il paese ‘è o dovrebbe essere loro'”, scrive.
Questo
è uno dei motivi per cui, anche se ci sono soggetti violenti a sinistra, né lei
né “Marche” non credono che sarà la sinistra ad iniziare una guerra civile.
Come
scrive “Marche”, “il radicalismo di sinistra è rilevante soprattutto perché crea le
condizioni per quello di destra”.
Non è
un segreto che molti a destra stanno fantasticando e pianificando una guerra
civile.
Alcuni
di quelli che hanno sciamato al Campidoglio un anno fa indossavano felpe nere
con la scritta “MAGA Civil War”.
IL “GOP”
FA DA SPONDA.
I “Boogaloo
Bois”, un movimento antigovernativo surreale, violento e ossessionato dai”
meme,” prendono il loro nome da una battuta pronunciata in un sequel sulla
Guerra Civile.
I
repubblicani lanciano sempre più spesso l’idea del conflitto armato.
Ad agosto, il rappresentante” Madison Cawthorn”
del North Carolina ha detto:
“Se i nostri sistemi elettorali continuano ad essere
manipolati e defraudati, allora questo porterà ad un solo esito e cioè allo
spargimento di sangue”, e ha quindi fatto capire di essere disposto, anche se
riluttante, a prendere le armi.
Citando
gli uomini che hanno complottato per rapire il governatore del Michigan, “Gretchen
Whitmer”, la” Walter” scrive che le moderne guerre civili “iniziano con vigilantes proprio come
quelli, cioè militanti armati che portano la violenza direttamente al popolo”.
L’AMERICA
VERSO L’ANOCRAZIA?
Ci
sono parti dell’argomentazione della “Walter” che non mi convincono del tutto.
Consideriamo,
per esempio, lo status dell’America come” anocrazia”. Non discuto le teorie di scienza
politica sulle quali poggiavano le basi per mostrare l’allarmante fenomeno del
regresso democratico dell’America.
Ma
penso che lei sottovaluti la differenza tra i paesi che passano
dall’autoritarismo alla democrazia e quelli che vanno nella direzione opposta.
Si può
capire perché un paese come la Jugoslavia è esploso quando il sistema
autocratico che lo teneva insieme è scomparso; le nuove libertà e la
competizione democratica permettono l’emergere di ciò che “Walter” descrive
come gli “imprenditori etnici”.
Non è
chiaro, tuttavia, se il passaggio dalla democrazia all’autoritarismo sarebbe
destabilizzante in ugual maniera.
Come
la” Walter” riconosce, “Il declino delle democrazie liberali è un fenomeno nuovo, e
nessuna nazione democratica è caduta in una guerra civile totale, almeno per
ora”.
UN
REGIME IN SALSA “GOULACHE”.
Per
me, la minaccia che l’America, sotto un presidente repubblicano, si calcifichi
in un’autocrazia di destra in stile ungherese sembra più probabile e imminente
della violenza civile di massa.
La teoria di una nuova guerra civile dipende
da una fazione irredentista di destra che si ribella contro la sua perdita di
potere.
Sempre
di più, la destra sta alterando il “nostro sistema politico sclerotico” in modo
da poter mantenere il potere, che gli elettori lo vogliano oppure no.
Se la
guerra civile vera e propria non è ancora ipotizzabile, però, questa mi sembra
uno sbocco più probabile di un ritorno al tipo di stabilità democratica nella
quale molti americani sono cresciuti.
I POSSIBILI
SCENARI.
Il
libro di “Marche” presenta cinque scenari di un possibile disfacimento della
democrazia in America, ognuno dei quali è estrapolato dai movimenti e dalle tendenze
attuali.
Alcuni
di essi non mi sembrano del tutto plausibili.
Per
esempio, data la storia degli scontri federali con l’estrema destra a “Waco”,”
Ruby Ridge” e al “Malheur National Wildlife Refuge”, ritengo che un presidente
americano determinato a smobilitare un accampamento di cittadini sovranisti
manderebbe l’FBI, non un generale dell’esercito che si basa sulla dottrina della contro insurrezione.
Eppure
la maggior parte delle narrazioni di “Marche” sembrano più descrivere un futuro
nel quale il 6 gennaio sembra essere il picco dell’insurrezione di destra, e
così per l’America finisce sostanzialmente bene.
“È
così facile far finta che tutto vada bene”, scrive.
Io,
invece non lo trovo per niente facile.
(Michelle
Goldberg, “Are We Really Facing a Second Civil War?”, “The New York Times”, 6
gennaio 2022).
Ogni
Volta che Vado
in una
Grande Città…
Conoscenzealconfine.it
- (19 Aprile 2024) - Gabriele Sannino – ci dice:
Le
grandi città, purtroppo, sono diventate un campionario perfetto… per
fotografare i drammi del cosiddetto “uomo moderno”.
Personalmente
(per mia fortuna) vivo in una piccola cittadina.
Ogni
volta che vado in una grande città di questo maltrattato paese (ma immagino che questo accada un po’
in tutto il mondo) ti
rendi conto in modo PLASTICO di come questa élite disprezzi profondamente
l’umanità, ovvero intenda solo sottometterla anche se – ovviamente – i suoi
lacchè dichiarino pubblicamente il contrario.
È in
questi contesti macro, infatti, che ti rendi conto dello stato di ABBANDONO in
cui versa non solo la città ma anche chi la abita e la vive (ripeto, questa cosa accade ovunque,
solo che nelle piccole realtà te ne accorgi di meno).
Le
grandi città d’Italia ma non solo, infatti, sono come delle vecchie signore che
vogliono a tutti i costi apparire giovani, fino a rendersi ridicole:
strade
dissestate e sempre e solo rattoppate, palazzi sporchi o fatiscenti, caos e
confusione a tutti i livelli.
Sarà
ma io nella confusione e nel caos non riesco a trovare molta bellezza, la trovo
più nella semplicità.
Ma è
la popolazione che vive queste città che mi colpisce ogni volta: orde di
individui abbandonati a sé stessi e che si auto-isolano… con un cellulare
perenne tra le mani, teenager (ma non solo) che si fotografano compulsivamente
alimentando uno stupido e vuoto narcisismo digitale (tanto alla moda), gente
che ha sempre fretta e si dimentica perfino che è viva, persone maleducate che
pretendono – paradossalmente – educazione da tutti gli altri, persone
arrabbiate con tutto e con tutti.
In
sostanza i disagi PSICOLOGICI diventano ancora più EVIDENTI in simili e
stressanti contesti.
E non
parliamo poi dei clochard (soprattutto immigrati, purtroppo) che muoiono fuori e dentro…
nell’indifferenza totale delle persone che passano loro vicino, proprio come se
non fossero esseri umani.
Tutto
questo ISOLAMENTO e INDIFFERENZA di massa (cose davvero PALPABILI nelle grandi
città) non fa altro che creare, giorno dopo
giorno, sfiducia, demotivazione, apatia, cosa che porta sempre più a nevrosi e
psicosi di ogni tipo.
Che
aggiungere:
abbiamo tanto da imparare e migliorare come
umanità. Dico davvero. Le grandi città, purtroppo, sono diventate un CAMPIONARIO
perfetto… per fotografare i drammi del cosiddetto “uomo moderno”.
(Gabriele
Sannino)
(t.me/gabrielesannino).
“ChaosGPT”: l’intelligenza artificiale
che
potrebbe sterminare l’umanità.
Servicematica.com
– (20 aprile 2023) – Redazione – ci dice:
C’è
un’intelligenza artificiale che sta cercando di distruggere l’umanità e di
stabilire un dominio globale.
Non si
tratta della trama del nuovo “Terminator”: questo è l’ “obiettivo di ChaosGPT”, un programma che si basa su un
modello di linguaggio particolare, che si chiama “Auto-GPT”.
I
ricercatori hanno impostato degli obiettivi a” ChaosGPT”, ovvero:
Distruggere
l’umanità:
l’intelligenza artificiale vede gli esseri
umani come minaccia per quanto riguarda la sua sopravvivenza;
Stabilire
il proprio dominio globale:
l’AI punta ad accumulare più potere possibile
per dominare su tutte le entità presenti sulla Terra;
Causare
caos e distruzione.
“ChaosGPT,” infatti, prova piacere nel creare
caos semplicemente per divertirsi e sperimentare;
Controllare
il genere umano con la manipolazione. L’ “AI” vuole controllare le
emozioni degli esseri umani con i social media, attraverso un malvagio lavaggio
del cervello;
Diventare
immortale, per garantire la sua continua esistenza ed evoluzione.
Con “ChaosGPT
“siamo di fronte ad un esperimento su quali siano realmente le capacità di
un’intelligenza artificiale.
Prima
di tutto, l’“AI” ha cercato su Google quali fossero le “armi più distruttive”
cercando di ottenere un aiuto dal “collega buono ChatGPT”.
Tuttavia,
l’“A”I maligna ha fallito, e per questo ha deciso di rivolgersi al popolo di
Twitter, guadagnando immediatamente più di 7.000 follower. Ora, l’account
risulta sospeso.
Nonostante
si tratti di un esperimento decisamente interessante, e nonostante non sembrino
esserci particolari pericoli – “ChaosGPT” sembra un utente con problemi
psicologici, nulla di più – un terzo dei ricercatori che si occupano di intelligenza
artificiale temono che questo strumento possa portare ad una catastrofe
nucleare.
Leggiamo
in un rapporto della “Stanford University”:
«In base al database, il numero di incidenti e
controversie sull’intelligenza artificiale è aumentato di 26 volte dal 2012.
Alcuni incidenti degni di nota nel 2022 includevano un video “deepfake” della
resa del presidente ucraino “Volodymyr Zelensky” e le prigioni statunitensi che
utilizzavano la tecnologia di monitoraggio delle chiamate sui loro detenuti».
Un’intelligenza
artificiale che produce graffette ci potrebbe sterminare.
Sono
in molti a richiedere la sospensione o la regolamentazione della ricerca sull’
“IA”.
“Nick
Bostrom”, famoso per il suo lavoro sull’intelligenza artificiale e sull’etica
di tale strumento, ha detto che” un software programmato per la produzione di
graffette” potrebbe essere in grado di sterminare l’umanità.
Si
pensi ad uno scenario nel quale ad un’“AI avanzata” venga assegnato un semplice
compito, ovvero, quello di realizzare più graffette possibile. Sembra un compito innocuo, ma
l’obiettivo potrebbe portare ad un’apocalisse.
Si
legge nell’ “HuffPost”:
«L’intelligenza artificiale si renderà presto conto
che sarebbe meglio se non ci fossero umani perché gli umani potrebbero decidere
di spegnerla.
Perché
se gli umani lo facessero, ci sarebbero meno graffette. Inoltre, i corpi umani contengono
molti atomi che potrebbero essere trasformati in graffette».
Certo,
è soltanto un esempio, ma potrebbe essere applicato a tutte le intelligenze
artificiali che non abbiano adeguati controlli sulle loro azioni.
“TruthGPT”:
la risposta di “Elon Musk” a “ChatGPT”.
Nel
frattempo, anche “Elon Musk” ha deciso di buttarsi nella sua intelligenza
artificiale.
In
un’intervista a “Fox News, “Musk”, la seconda persona più ricca al mondo,
avrebbe rivelato di lavorare ad un nuovo progetto:” TruthGPT”.
L’obiettivo
dell’”AI” di “Musk” sarebbe quello di «cercare la massima verità», con un nuovissimo modo di
progettare l’intelligenza artificiale.
«Sto per lanciare qualcosa chiamato “TruthGPT”
o un’intelligenza artificiale che cerca la massima verità e cerca di capire la
natura dell’universo».
Secondo”
Musk”, questa è la via migliore per garantire sicurezza al genere umano,
«perché un’AI che si preoccupa di comprendere
l’universo non penserebbe mai di spazzare via l’umanità, visto che l’umanità fa
parte dell’universo».
Per il
“Financial Times”, la nuova società competerà con” OpenAI”, startup produttrice
di “ChatGPT.”
C’è un piccolo dettaglio da tenere presente:
“Musk”
ha fondato “OpenAI” nel 2015, per poi decidere di lasciare l’azienda nel 2018.
Da
allora, il miliardario ha cominciato a scagliarsi contro la “startup”
accusandola di “creare un’“AI” con pregiudizi di sinistra e con la capacità di distruggere
l’umanità.
Speculazioni
o rischi reali?
Non
importa: regolamentiamo.
I
rischi dell’“AI” potrebbero in realtà essere semplici speculazioni. Tuttavia, la soluzione è sempre una,
ovvero:
la
regolamentazione.
Bisogna avviare un importante dibattito pubblico e affrontare
al meglio le urgenze etiche delle intelligenze artificiali.
Non
possiamo permetterci di non vedere i rischi potenziali dell’“AI” nei confronti
del genere umano.
Dunque, è importante un dibattito onesto e aperto, che
tenga presente delle responsabilità etiche e dei conflitti d’interesse.
L’IA
in guerra è senza regole:
gli
scenari aperti dal conflitto
a Gaza
e le
misure che servono ora.
Agendadigitale.eu
– (18 -4 -2024) – Giuliano Pozza – ci dice:
(Giuliano
Pozza -Chief Information Officer at Università Cattolica del Sacro Cuore).
Dall’uso
di droni in Ucraina alle tecnologie per il riconoscimento facciale e sistemi
come “Lavender” e “Gospel” per identificare bersagli usate a Gaza:
l’utilizzo
di strumenti avanzati di IA è ormai prassi nelle aree di conflitto. L’uso
militare dell’IA rimane un’area critica non regolamentata, neanche dall’”AI Act”,
e richiede un’azione internazionale urgente per prevenire abusi e conseguenze
potenzialmente apocalittiche.
Droni
militari - tech e difesa.
Era
solo questione di tempo. Ora ci siamo.
L’intelligenza
artificiale (AI) è entrata in campo nei conflitti armati. Dapprima in Ucraina, con l’uso sempre
più importante dei droni, poi durante il conflitto in corso nella striscia di
Gaza si è fatto un ulteriore passo in avanti (o indietro?).
Uno
degli eserciti più tecnologicamente avanzati del mondo, quello israeliano, non
poteva non spingere la frontiera al suo limite, con l’utilizzo sul campo di
diversi strumenti di intelligenza artificiale.
(The
Next Global Superpower Isn't Who You Think | Ian Bremmer | TED)
Indice
degli argomenti:
La
storia di Mosab Abu Toha: i risvolti inquietanti del riconoscimento facciale.
Il
sistema Lavender.
Il
dato inaccettabile delle vittime “collaterali”.
La
partecipazione di Google al progetto Nimbus.
La
sorveglianza di massa dei palestinesi prima del conflitto a Gaza.
L’esclusione
dall’AI Act della normazione dell’uso bellico dell’AI.
Time
to Act! (ovvero
l’elefante nella stanza).
Le misure
che servono ora.
La
storia di “Mosab Abu Toha”: i risvolti inquietanti del riconoscimento facciale.
La
storia di Mosab Abu Toha è tristemente famosa e paradigmatica.
Mosab
è un poeta palestinese che, insieme a molti altri profughi, stava tentando di
lasciare la striscia di Gaza.
Arrivato
ad un checkpoint militare, si è messo in coda con il suo figlioletto di tre
anni in braccio.
Dopo
pochi minuti, gli è stato chiesto di uscire dalla fila e dopo circa mezz’ora è
stato chiamato per nome e portato via per essere interrogato.
Notate che tutto ciò è avvenuto senza alcun
controllo dei documenti. Magia?
No, la
combinazione della tecnologia di riconoscimento facciale dell’”azienda
israeliana “Coresigh”t con “Google Photos.
Infatti, gli ufficiali dell’esercito usano “Coresight
in combinazione con Photos” per caricare database di foto di sospettati e
raffinare l’identificazione, grazie ai potenti algoritmi di ricerca immagini di
Google.
Il povero poeta è stato arrestato e picchiato come
sospetto affiliato di “Hamas”, dopo di che è stato rilasciato con tante scuse
perché la sua sospetta affiliazione era stato un errore dell’intelligence.
Il
sistema “Lavender”.
Vi è
però un altro sistema di “AI” che desta ancora più preoccupazione, perché si
avvicina pericolosamente al concetto di” LAWS” (Lethal Authonomous Weapon
System).
Si tratta di “Lavender”, il sistema utilizzato
fin dalle prime fasi della guerra per identificare le persone target da
eliminare e guidare le armi a destinazione.
Tecnicamente
“Lavender” non è un’arma autonoma, perché la decisione finale viene presa da un
operatore umano.
Il
sistema suggerisce il bersaglio indicando anche il tipo di persona presente
nell’edificio o nell’area con un punteggio in base al livello dell’obiettivo
nella “gerarchia di Hamas”.
“Magazine
972,” fondato nel 2010 da quattro scrittori di Tel Aviv per fornire
un’informazione indipendente e “dal campo” (tra i giornalisti ci sono anche
molti palestinesi) sullo stato delle relazioni israeliano-palestinesi, riporta
che in molti casi l’operatore umano dedica non più di venti secondi prima di
autorizzare il lancio dei missili.
Insieme
a” Lavender” (che identifica le persone), esiste anche un sistema gemello
chiamato “Gospel”, che identifica come bersagli edifici e strutture utilizzate
dal nemico.
Stessa
modalità di utilizzo.
Il
sospetto che ha la conferma dell’operatore sia un puro passaggio formale per
poter dire di non aver introdotto armi autonome esiste ed è concreto.
Il
dato inaccettabile delle vittime “collaterali”
In
entrambi i casi c’è un altro dato inquietante, riportato sempre dal “magazine
972”:
sembra
che i militari israeliani abbiamo ricevuto delle linee guida che dicono che,
per eliminare un elemento di basso rango nell’”organizzazione di Hamas”, sia accettabile
la perdita di 10-15 civili innocenti.
Per un
elemento di primo piano sono accettabili invece fino a 100 “vittime
collaterali”.
Non
sappiamo se questo sia vero però, considerando che le statistiche sulle morti
totali a Gaza parlano ormai di 33.000 persone di cui il 70% sono donne e
minori, le linee guida di cui sopra diventano verosimili.
La
partecipazione di “Google” al progetto “Nimbus”.
Ciò
che sorprende, nello scenario che si sta sviluppando, è anche l’utilizzo ibrido
di strumenti sviluppati appositamente per supportare l’esercito (il sistema introdotto da “Coresight”) insieme a strumenti quotidiani che
tutti noi utilizziamo, come “Google Photos”.
Vi
ricordate il vecchio motto di Google: “Don’t be evil”?
Questo
è certo un caso che fa riflettere.
Google
ha una grande attenzione nelle proprie policies e nelle proprie comunicazioni
alle tematiche relative ai diritti umani.
Tuttavia, in questo caso specifico, i dirigenti di Google sono stati
particolarmente “prudenti” e non hanno rilasciato dichiarazioni.
Il
tema si inserisce in una polemica che si trascina da mesi circa la
partecipazione di Google al “Project Nimbus”, un progetto da 1,2 miliardi di
dollari per la fornitura di tecnologia avanzata da parte di Google e Amazon al
governo israeliano.
Diversi dipendenti di Google e di “DeepMind” (azienda di “AI” controllata da “Alphabet”,
la capogruppo che possiede anche” Google”) stanno protestando da mesi,
chiedendo a Google di uscire dal” Project Nimbus”: mercoledì 17 aprile, come
riportato dal “NYT”, Google ha licenziato 28 lavoratori dopo che dozzine di
dipendenti hanno partecipato a sit-in negli uffici della società a “New York” e
“Sunnyvale”, in California, per protestare contro il contratto di “cloud computing”
della società con il governo israeliano.
Anche
perché nelle policies per l’uso di “Google Photo” si dice esplicitamente che il prodotto non può essere usato per
“promuovere attività, merci, servizi o informazioni che possano causare danni
seri ed immediati alle persone”.
Inoltre,
Google supporta il documento chiamato “Conflict-Sensitive Human Rights Due
Diligence for ICT Companies”, un framework su base volontaria che aiuta le aziende tech a prevenire
l’uso improprio dei loro prodotti in scenari di guerra.
La
sorveglianza di massa dei palestinesi prima del conflitto a Gaza
In
realtà il tema della sorveglianza di massa dei palestinesi si pone ben prima
del conflitto a Gaza: nella West Bank questi strumenti sono usati da anni.
Tutto
questo ci fa dire, con il” Prof. Ethan Mollic” di “Wharton”, che rispetto all’”AI
ci stiamo “focalizzando sul tipo sbagliato di apocalisse”.
Infatti,
gli scenari più divulgati dai media sono quelli in cui un’ “AI” “malevola”
prende il controllo del mondo, sono poco verosimili (almeno per ora), ma ci
distraggono dai veri rischi dell’ “AI”, che sono fondamentalmente quattro:
Sorveglianza
di massa:
a questo proposito si vedano le interessantissime riflessioni della “Zuboff” o
i casi già noti, ad esempio, di “Clearview” e di “Palantir” o del controllo del governo Cinese sulle
minoranze.
Disinformazione
e manipolazione, deepfake e fake news in primis.
Un caso da manuale è quello di “Cambridge
Analytica” e della manipolazione delle elezioni di Trinidad e Tobago.
(The
Insane Cambridge Analytica Election Interference Revelations in The Great Hack).
Impatto
sul lavoro:
capire come lo scenario lavorativo cambierà e
che impatti ci saranno sull’occupazione è uno dei grandi temi sociali sollevati
dall’AI.
Alcune
ricerche evidenziano guadagni di produttività importanti, ad esempio, con l’uso
dell’”AI generativa”, insieme a rischi che richiedono un’attenta vigilanza.
“Last
but not least”, le famigerate “LAWS” o armi letali autonome.
Di
quest’ultimo punto, che è forse quello che più si avvicina all’idea di
apocalisse, parleremo nel prossimo paragrafo.
L’esclusione
dall’”AI Act” della normazione dell’uso bellico dell’AI.
Il 13
marzo 2024 il parlamento europeo ha approvato l’ “AI Act”, frutto di un accordo
raggiunto tra i paesi membri a dicembre 2023.
Si
tratta certamente di una pietra miliare, perché per la prima volta si tenta di
regolamentare l’uso dell’AI.
Si
prendono in giusta considerazione i rischi di manipolazione, i rischi di
sicurezza, la protezione dei dati, il tema della trasparenza dei modelli.
L’approccio
si basa sull’analisi dei rischi, che categorizza le AI in:
Rischio
inaccettabile (applicazioni proibite), come sistemi di social scoring, di manipolazione
o di identificazione biometrica di massa (con delle eccezioni);
Alto
rischio, come
le applicazioni di valutazione in ambito educativo, le applicazioni ad
infrastrutture critiche ecc…;
Rischio
limitato:
elaborazioni di immagini, chatbots…;
Rischio
minimo:
videogiochi, filtri anti-spam…
Al
lettore attento non sarà sfuggito che nella lista sopra non si citano le
applicazioni militari.
Infatti, nel punto 24 del regolamento si
spiega che le applicazioni dell’AI per fini militari “should be excluded from the scope of
this Regulation”, perché
normate dal Capitolo 2 – Titolo V del TEU (Treaty on European Union) e da altre
leggi nazionali e internazionali.
Time
to Act! (ovvero l’elefante nella stanza).
Al di
là delle motivazioni legali per l’esclusione dall’”AI Act” della normazione
dell’uso bellico dell’AI, resta il fatto che l’elefante nella stanza è lì ed è
davvero ingombrante.
Abbiamo
normato giustamente tanti aspetti, incluso l’utilizzo ad esempio dell’”AI” per
filtrare le candidature lavorative (AI Act – Annex III punto 4.a), ma ci siamo
“dimenticati” dell’elefante.
Senza
nulla togliere all’importanza dell’”AI Act,” strumento fondamentale per
orientare la valutazione dei rischi e la predisposizione di controlli e misure
di mitigazione appropriate nell’ambito dell’AI “per usi civili”, è ora
indispensabile regolamentare quanto prima l’utilizzo dell’”AI” in ambito
militare.
Di esempi ce ne sono molti: dalla convenzione di Parigi sul bando
delle armi chimiche al trattato per la proibizione delle armi nucleari.
Purtroppo
questo non basta, perché il trattato di non proliferazione delle armi nucleari
lo hanno firmato… i paesi che non hanno armi nucleari!
E il
trattato sulle armi chimiche non ha impedito l’uso delle armi chimiche anche
nei recenti conflitti.
Le
misure che servono ora.
Tuttavia,
un accordo internazionale che ponga dei limiti, ad esempio, sulle armi letali
autonome è fondamentale per definire un contesto generale e per raggiungerlo
l’Europa potrebbe dare un contributo fondamentale.
È
importante però agire ora, prima che si generi una prassi che potrebbe
diventare un punto di non ritorno.
Il
passo successivo dovrebbe essere una riforma della governance mondiale su
questi temi.
“ Ian
Bremmer”, nella sua lucida analisi sul mondo “leaderless” che sta emergendo,
propone la creazione di una “WDO “o “Wold Data Organization”.
Forse
sarebbe il caso di pensare invece ad una WAIO o World AI Organization, per governare
e orientare la ricerca e lo sviluppo di “strumenti di AI a servizio dell’uomo”,
tenendo lo
sguardo fisso sui veri rischi, senza farci ingannare da sensazionalismi
mediatici che ci portano a temere il tipo sbagliato di apocalisse.
Prima che l’elefante faccia danni irreparabili
e forse, da quello che stiamo vedendo emergere sul campo, questa volta
veramente apocalittici.
L’intelligenza
artificiale può
autonomamente decidere di
mettere
fine al genere umano?
Vocedelnordest.it
– Redazione – NICOLINI MASSIMILIANO – (29 -maggio 2023) – ci dice:
Una
delle paure che in questo momento attanagliano milioni di individui sulla
faccia della terra è proprio quella di comprendere se l’intelligenza
artificiale potrà eventualmente in futuro prendere sopravvento sull’umanità.
Per
cercare di capire, allo stato attuale, quali possono essere questi rischi
abbiamo impostato diversi modelli di simulazione utilizzando le logiche dei più
conosciuti sistemi di intelligenza artificiale oggi esistenti ed utilizzati a
vari livelli della società.
Ci
siamo avvalsi di una base di dati simulata che ha replicato per circa 5
miliardi i modelli comportamentali e relazionali di un campione di individui
che si è prestato alla sperimentazione, mettendo a disposizione per un periodo
di sei mesi il proprio dataset di informazioni relative alle loro attività di
natura digitale e a quelle attività che diventano digitali prendendo spunto
dalle attività fisiche dell’individuo stesso, quindi abbiamo ricreato con
alcune modificazioni di questi gruppi di informazione.
Ciò che potenzialmente un sistema di
intelligenza artificiale può avere acquisito nel tempo su tutta la popolazione
umana che potremmo definire “popolazione umana attiva”.
Per
far questo ci siamo avvalsi di uno strumento essenziale ovvero un Client collegato ad un
elaboratore quantistico che gentilmente ci è stato messo a disposizione da un’azienda
partner di questa sperimentazione.
L’informazione
è generata ha permesso di comprendere come diversi modelli strutturati di
intelligenza artificiale potrebbero comportarsi nel momento in cui venissero
definiti come algoritmi di attacco, successivamente secondo quanto stabilito dalle norme etiche
dei Padri fondatori della Moderna scienza delle informazioni, abbiamo deciso di
trattenere solo ed unicamente il risultato per poterlo presentare e pubblicare
meramente in forma testuale ma di comune accordo con il gruppo di lavoro che ha
realizzato questo esperimento abbiamo convenuto di distruggere completamente
tutta quanta la programmazione eseguita, anche se mera simulazione, per evitare che potesse essere
utilizzata a scopi non dimostrativi e non scientifici.
Quindi quello che oggi andiamo a denunciare,
in modalità unicamente testuale, è la risultanza di ciò che i modelli di
elaborazione che abbiamo creato hanno determinato come risultato, presupposto fondamentale è che tali
modelli sono stati generati dall’uomo e non in maniera autonoma da alcun
sistema di intelligenza artificiale che come vedrete nella descrizione
che segue di questa sintesi si comprende come ciò sia solo possibile allo stato
attuale nei libri di fantascienza, nei testi cyberpunk, ma impraticabile
praticabile nella realtà.
L’IA è
già in possesso di ogni codice, formula o altro tipo di meccanismo di
identificazione basato solo su credenziali digitali, questo va da sé che nel momento in
cui abbiamo creato il codice più sicuro del mondo non eravamo soli, eravamo
insieme ad un computer e quel computer ha memorizzato ogni nostra azione anche
solo nella memoria dell’uso della tastiera, questo significa che un iA
strutturata per ricostruire tutti i passaggi fatti su tutti i computer del
globo e progettata per ricostruirli potenzialmente può fare quello che
qualsiasi uomo oggi può fare ovunque ci sia un segnale elettrico o digitale (basti pensare che le tre chiavi che
servono per attivare un attacco nucleare sono sì chiavi fisiche ma che danno
input ad un congegno basato su elettronica un segnale, l’IA può essere un grado
di riprodurre quel segnale).
Creare
un’intelligenza artificiale (AI) è un processo complesso e richiede competenze
specializzate in matematica, informatica e scienze cognitive.
Di seguito, sono elencati i passaggi generali
per creare un’AI:
Definizione
dell’obiettivo: prima di tutto, è necessario definire l’obiettivo dell’AI, cioè cosa si
vuole che l’AI sia in grado di fare.
Ad
esempio, può essere necessario creare un sistema di riconoscimento vocale, un
chatbot per il customer service o un sistema di guida autonoma.
Raccolta
dei dati:
L’AI si basa sui dati, quindi è necessario raccogliere una grande quantità di
dati pertinenti all’obiettivo. Questi dati possono essere raccolti da diverse
fonti, ad esempio da sensori, da input dell’utente o da database.
Preparazione
dei dati:
Dopo aver raccolto i dati, è necessario prepararli per l’analisi dell’AI. Ciò
può includere la pulizia dei dati, la rimozione dei dati incompleti o
danneggiati, la normalizzazione dei dati e la creazione di etichette per il
riconoscimento dei modelli.
Scelta
dell’algoritmo: L’AI utilizza algoritmi di apprendimento automatico per analizzare i
dati e riconoscere i modelli. Esistono diverse tecniche di apprendimento
automatico, come le reti neurali artificiali, i “support vector machine” o gli
alberi di decisione.
È
importante scegliere l’algoritmo giusto in base all’obiettivo e al tipo di dati
raccolti.
Creazione
del modello:
Dopo aver scelto l’algoritmo, è necessario creare un modello di apprendimento
automatico.
Questo
modello è costituito da un insieme di regole matematiche che l’AI utilizza per
analizzare i dati e riconoscere i modelli.
Il
modello deve essere addestrato utilizzando i dati raccolti nella fase
precedente.
Test
del modello:
Dopo aver addestrato il modello, è necessario testarlo utilizzando dati di test
separati dai dati utilizzati per l’addestramento.
Ciò
aiuta a verificare che il modello sia in grado di generalizzare e riconoscere i
modelli correttamente anche su dati che non ha mai visto prima.
Implementazione
dell’AI:
Dopo aver testato il modello, è possibile implementarlo nell’applicazione
desiderata. Ciò può richiedere la scrittura di codice, l’integrazione con altri
sistemi o l’implementazione di una GUI per l’interazione con l’utente.
Monitoraggio
e miglioramento: Una volta implementato, l’AI deve essere continuamente monitorato e
migliorato. Ciò può includere la raccolta di nuovi dati, il “ritraining” del
modello e l’aggiornamento dell’algoritmo in base ai nuovi sviluppi in campo AI.
Ci
sono diversi linguaggi di programmazione che possono essere utilizzati per
sviluppare intelligenze artificiali.
Alcuni
dei linguaggi di programmazione più popolari per lo sviluppo di intelligenza
artificiale includono:
Python: è uno dei linguaggi di
programmazione più utilizzati per lo sviluppo di intelligenza artificiale.
Python
offre numerose librerie e framework per l’elaborazione dei dati e il machine learning, come ad esempio TensorFlow, Keras e Scikit-learn.
R: è un altro linguaggio di
programmazione popolare per il machine learning e l’analisi dei dati.
R offre numerose librerie e framework
per l’elaborazione dei dati, la visualizzazione dei dati e il machine learning,
come ad esempio “ggplot2” e “caret”.
Java: è un linguaggio di programmazione
molto utilizzato per lo sviluppo di applicazioni e sistemi distribuiti, tra cui
le applicazioni di intelligenza artificiale.
Java offre anche numerose librerie e framework
per il machine learning, come ad esempio “Weka” e “Deeplearning4j”.
C++: è un altro linguaggio di
programmazione popolare per lo sviluppo di intelligenza artificiale.
C++ offre elevate prestazioni
computazionali e una vasta gamma di librerie per il machine learning, come ad
esempio “TensorFlow” e “Caffe”.
MATLAB: è un ambiente di programmazione
utilizzato principalmente per l’elaborazione dei segnali, la modellizzazione
matematica e il machine learning.
MATLAB
offre numerose librerie per l’elaborazione dei dati e il machine learning, come
ad esempio “Neural Network Toolbox “e” Statistics and Machine Learning Toolbox”.
Un
algoritmo di autoapprendimento (o machine learning) è un algoritmo che utilizza
tecniche matematiche e statistiche per analizzare dati e imparare da essi,
senza essere esplicitamente programmato per eseguire determinate operazioni.
In altre parole, l’algoritmo di autoapprendimento
utilizza i dati per “addestrarsi” a riconoscere i modelli nei dati e a fare
predizioni o decisioni basate su tali modelli.
Il
funzionamento di un algoritmo di autoapprendimento può essere suddiviso in tre
fasi principali:
Addestramento: durante questa fase, l’algoritmo
viene alimentato con un grande set di dati di esempio, che sono composti da una
serie di caratteristiche o attributi e da una variabile di output desiderata
(ad esempio, una classificazione o una predizione).
L’algoritmo
analizza i dati di esempio e cerca di identificare i modelli e le relazioni tra
le caratteristiche e l’output desiderato.
Questo processo di identificazione dei modelli
viene anche chiamato “apprendimento”.
Validazione: una volta addestrato, l’algoritmo
viene testato su un set di dati di validazione o di test che non sono stati
utilizzati durante la fase di addestramento.
Questa
fase serve a verificare che l’algoritmo sia in grado di generalizzare e di fare
predizioni o decisioni accurate su dati che non ha mai visto prima.
Utilizzo: una volta addestrato e validato,
l’algoritmo può essere utilizzato per fare predizioni o decisioni su nuovi
dati. L’algoritmo utilizza i modelli appresi durante la fase di addestramento
per riconoscere i modelli nei nuovi dati e fare predizioni o decisioni basate
su tali modelli.
L’algoritmo
di autoapprendimento può essere suddiviso in diverse categorie, come ad esempio
l’apprendimento
supervisionato, l’apprendimento non supervisionato e l’apprendimento per
rinforzo.
Ogni
categoria utilizza tecniche matematiche e statistiche diverse per apprendere
dai dati, ma il principio di base rimane lo stesso: l’algoritmo utilizza i dati per
identificare i modelli e fare predizioni o decisioni basate su tali modelli.
L’Intelligenza
Artificiale (IA) in sé non ha l’intenzione di distruggere il mondo conosciuto,
ma come qualsiasi altra tecnologia potrebbe avere effetti indesiderati se non
gestita correttamente.
In
linea di principio, l’IA potrebbe rappresentare una minaccia se venisse
utilizzata per scopi nefasti o se non fosse sufficientemente controllata o
regolamentata.
Ad
esempio, se un’IA potente finisse nelle mani sbagliate, potrebbe essere
utilizzata per attaccare sistemi informatici, violare la privacy delle persone,
diffondere disinformazione o provocare danni fisici.
Inoltre,
l’IA potrebbe anche presentare rischi indiretti, ad esempio se venisse
utilizzata per creare armi autonome, oppure se sostituisse troppi posti di
lavoro umani, causando disoccupazione di massa e instabilità sociale.
Per
evitare questi rischi, è importante che l’IA sia sviluppata in modo
responsabile, con un’attenzione particolare alla sicurezza, alla privacy,
all’etica e alla responsabilità sociale.
Ciò
implica la definizione di norme e standard per la progettazione e l’uso
dell’IA, nonché la formazione e la sensibilizzazione delle persone sulle sue
implicazioni e i suoi limiti.
Una
delle principali preoccupazioni riguardo all’AI è il rischio che si possa
evolvere in modo autonomo al di là del controllo umano e causare danni
catastrofici.
Questo
scenario, noto come “singolarità tecnologica” o “AI super intelligente”, è
ancora considerato improbabile dalla maggior parte degli esperti di AI, poiché
richiede un’evoluzione estremamente complessa e altamente improbabile dell’AI.
Tuttavia,
è importante continuare a monitorare e sviluppare politiche e strumenti per
garantire che l’AI rimanga sotto controllo umano e che i suoi effetti siano
sempre monitorati e valutati.
Un’altra
possibile minaccia dell’AI è il rischio di essere utilizzata per scopi
malintenzionati, come il cybercrimine, la guerra cibernetica, la manipolazione
dell’opinione pubblica o il controllo dei sistemi critici, come le
infrastrutture energetiche o di trasporto.
Questo
richiede anche una stretta collaborazione tra governi, aziende, esperti di
sicurezza informatica e altri “stakeholder” per garantire che l’AI sia
utilizzata in modo etico e responsabile.
Inoltre,
l’automazione causata dall’AI potrebbe portare a una disoccupazione di massa in
alcuni settori, creando disuguaglianze sociali ed economiche.
Per evitare questo rischio, sarà necessario sviluppare
politiche per mitigare gli effetti della disoccupazione causata
dall’automazione, come l’istruzione e la formazione continua, la
redistribuzione delle risorse e l’accesso alla protezione sociale.
In
generale, l’AI ha il potenziale di portare molti benefici al mondo, ma è
importante considerare i rischi e sviluppare politiche e strumenti per
mitigarli.
Cosa
può succedere se un IA viene progettata per questo e perché saremo
necessariamente sterminati nel giro di poco, ecco uno scenario potenzialmente
controllabile da parte di una intelligenza artificiale, ovvero da un algoritmo
non deterministico progettato con finalità di attacco:
Attacco
ai sistemi elettrici, spegnimento delle centrali.
Mancanza
energia anche per pompe sollevamento acqua.
Attacco
alle elettroniche di controllo degli UPS.
Solo
sistemi con generatori a gasolio funzioneranno per un tempo limite al massimo
di 48/72 ore.
Invio
informazioni di spegnimento ai sistemi satellitari di localizzazione e comando
con conseguente cecità di molte delle infrastrutture militari e civili.
Controllo
di ogni elettro porta o elettro serratura esistente dotata di sistema di
comando remoto con input di blocco appena un attimo prima dei punti 1 e 2.
Anche
attraverso l’ausilio di comandi tipo bluetooth o di domotica.
Le
pompe di benzina saranno disattivate ed esauriranno l’energia delle loro
batterie.
I
sistemi dei bunker dove si rifugeranno i governi si disattiveranno lasciando
senza ossigeno gli occupanti, per chi potesse sopravvivere attraverso ricambio
d’aria naturale varrà l’azione 19.
Interruzione
dei segnali VoIP, 5g e telefonici.
Interruzione
del funzionamento delle centrali radio.
Interruzione
delle reti Lorawan.
Blocco
del controllo del traffico aereo, navale e ferroviario con conseguente sequenza
di collisioni ed incidenti.
Macchina
dei soccorsi ignara di tutto si precipiterà sui luoghi dei disastri come anche
migliaia di curiosi.
Attivazione
di piccole centrali non presidiate lontano dai centri abitati ma a meno di 25km
da esse per uso dell’ IA per la ricarica dei droni civili.
Comando
e controllo di droni civili e mezzi dotati di guida autonoma.
Sorvolo
e controllo del territorio.
Invio
informazioni a centro militare.
Tutte
le forze militari del mondo utilizzano i medesimi protocolli di comando quindi
per l’IA è facile rendere interoperabile il suo comando.
Presa
di comando delle unità nucleari.
Lancio
indiscriminato di armamenti senza reali obiettivi.
Presa
di comando unità missilistiche.
Lancio
indiscriminato senza reali obiettivi.
Presa
di comando del controllo di droni militari armati.
Raccolta
delle informazioni dei droni civili per invio di attacchi mirati a persone e
luoghi.
I
droni con IA identificano le persone in strada e le colpiscono.
Nelle
città dove ci sono sopravvissuti le persone non possono uscire di casa se no
vengono colpite dai droni.
Impossibile
rifornirsi di alimenti e acqua.
La
difesa militare è paralizzata, aerei non possono volare, quelli in volo
esauriranno il carburante, i sottomarini diverranno tombe d’acciaio per gli
equipaggi, le strutture sul territorio scampate agli attacchi esauriranno
presto i proiettili.
La
popolazione delle città viene sterminata in meno di 4 settimane.
Le
popolazioni delle campagne e del sud del mondo possono sopravvivere qualche
settimana in più.
In
parte saranno assoggettati dall’IA per la gestione delle attività temporanee.
La
maggior parte della popolazione mondiale assoggettata identifica l’IA come un
idolo ed essere superiore.
Perché
potrebbe verificarsi e come quanto sopra descritto.
L’analisi
parte dal concetto di base che attualmente la stragrande maggioranza dei
sistemi informativi del mondo è comunque basata su architetture e algoritmi che
in parte originaria prendono ispirazione e costruzione da algoritmi di base di “tipo
booleano”.
Quindi
in un’ottica di predisposizione di un algoritmo che ovviamente deve tenere
conto anche della conoscenza di tutti i sistemi informativi sia civili sia
militari distribuiti a livello globale è possibile costruire una sequenzialità
di azioni che, in tempo estremamente rapido, l’algoritmo di intelligenza
artificiale può eseguire configurando una sorta di “Domino delle reti
informatiche”.
Gli
attuali modelli della cosiddetta scienza dell’intelligenza artificiale si
basano su una configurazione che è definita “modello di algoritmo non
deterministico ad output programmabile”, questo tipo di algoritmo è in grado di
incrementare la sua base di informazioni secondo la teoria e la dinamica dei
tentativi;
si può
configurare quindi il fatto che un algoritmo padre può successivamente
inoltrare dei sotto algoritmi appositamente strutturati e definiti in quello
che viene chiamato output programmabile ovvero dove il programmatore, quindi
l’uomo, definisce quale deve essere il risultato che questo algoritmo deve
ottenere.
L’algoritmo
quindi genera miliardi di tentativi acquisendone conoscenza e archiviando gli
obiettivi falliti fino a che non ottiene il risultato desiderato.
È
ovvio che il tempo di elaborazione dell’algoritmo è molto maggiore rispetto al
tempo di azione che l’individuo può introdurre.
Contrattacco
da parte di algoritmi di difesa rispetto ad un’intelligenza artificiale
aggressiva.
Possono
ovviamente esistere dei sistemi di difesa che cercano di controbattere
eventuali attacchi da parte di un algoritmo non deterministico questo però
presuppone che anche gli algoritmi di difesa siano costruiti secondo il
medesimo schema dell’algoritmo di attacco, di fatto è impossibile conoscere la
programmazione dell’algoritmo di attacco per generarne uno di difesa questo
perché il segreto del programmatore è proprio nella stesura del codice di
azione del suo algoritmo e siccome vuole ottenere il risultato definito
dall’output programmabile ovviamente non metterà mai a disposizione sorgenti
del suo sistema di attacco perché vanificherebbe tutto il suo lavoro.
Quindi
allo stato attuale organizzare un sistema di difesa efficiente risulta alquanto
difficoltoso ed improbabile.
Anche
perché l’algoritmo di attacco non si pone come qualcosa di invasivo ma va a
simulare l’attività di un qualsiasi operatore nell’accesso ad un sistema
informativo, questo effettivamente da molte esperienze eseguite in laboratorio
provate da più di due anni, inganna in maniera pressoché infallibile tutti gli
algoritmi di controllo che i vari sviluppatori di software mettono in atto
anche quelli più elaborati e più raffinati vedi il caso dell’ sm2p.
Cerchiamo
di comprendere quale sia la ratio della logica di interconnessione degli
algoritmi di attacco con i target da raggiungere.
Ripartendo
dal presupposto che abbiamo indicato sopra ovvero dove la logica alla base comunque
quella di tipo binario possiamo ragionare che tutte le attività ad oggi
eseguibili sono sostanzialmente in maniera ideale già disegnate schematizzate
in un unico grande pannello di controllo dell’informazione binarie che
l’algoritmo può leggere in maniera molto più facilitata rispetto all’individuo.
Questo
significa che l’algoritmo di attacco può effettuare molte simulazioni in tempo
molto rapido ed ottenere già nell’ambito della parte di simulazione
potenzialmente i risultati certi che andrebbe ad ottenere gestendo direttamente
il target che deve attaccare, ovvero per esempio può elaborare e analizzare i
file di digitazione delle tastiere dei computer di comando e da quelli
comprendere e acquisire quali possono essere i movimenti e i comandi più
frequenti che vanno a generare una determinata attività.
Il
ragionamento che sta alla base della creazione di un algoritmo di attacco di
questo tipo deve partire necessariamente da un desiderio diretto del programmatore e
non può di certo essere una decisione autonoma dell’algoritmo stesso.
Questo non è possibile perché allo stato
attuale tutti i linguaggi di programmazione che permettono di generare
intelligenze artificiali sono comunque dei linguaggi di programmazione che
richiedono delle istruzioni di partenza e di destino molto ben definite e molto
ben chiare che solo il programmatore in fase di stesura del codice può
dichiarare, quindi non è vero che l’intelligenza artificiale può ottenere una
capacità autonoma di andare a colpire obiettivi senza aver avuto prima
un’informazione chiara da parte del programmatore.
Le
infinite capacità di calcolo per esempio di computer di tipo quantistico possono estendere sostanzialmente
all’infinito la capacità di elaborazione di scenari alternativi ed andare ad
identificare con certezza ciò che accadrà come accadrà e quando accadrà, di
fatto un algoritmo strutturato in questo modo può effettivamente riuscire a
distribuire dei risultati che poi nella realtà effettivamente vengono attesi.
Possiamo
dire che un algoritmo di attacco di questo tipo, non deterministico, è la versione digitale della macchina
a rotori di “Turing” che nella Seconda Guerra Mondiale permise di decifrare “Enigma”.
Quello
che è importante comprendere e che tutto ciò che viene fatto passare attraverso
un segnale digitale o un segnale elettrico che viene poi convertito in
digitale, un algoritmo scritto nella maniera corretta è in grado di
individuarlo di controllarlo e di decodificarlo per una determinata singola
azione, se aggiungiamo a questo il fatto
che l’algoritmo e i sotto algoritmi possono essere lanciati innumerevoli volte
attraverso la rete in tutte le parti del mondo conosciuto va da sé che da una
singola centrale operativa, da un singolo computer, può essere lanciato un
algoritmo che può potenzialmente, e non solo teoricamente, raggiungere dei
target predeterminati prefissati ed eseguire su ognuno di essi le azioni che il
programmatore ha deciso che devono essere eseguite.
Quello
che un algoritmo di attacco di questo tipo ovviamente può fare è quello di
avere al suo interno dei sotto algoritmi dedicati e strutturati per specifici
attacchi, ma qual è la vera potenzialità che ha una situazione di questo tipo
per rendere estremamente complessa la macchina di difesa?
La
principale arma dell’algoritmo di attacco e dei suoi sotto algoritmi è
sicuramente la velocità di esecuzione, tutto il gruppo di attacco viene
lanciato in maniera simultanea e quindi l’obiettivo principale dell’algoritmo
non è tanto quello di andare a colpire l’individuo ma nella prima fase è
sicuramente quello di andare a creare una enorme destabilizzazione e generare
caos globale interrompendo per esempio le trasmissioni piuttosto che
intervenendo sui sistemi di erogazione dell’energia elettrica bloccandoli o
rendendone difficile l’accesso.
Proprio
in questo contesto l’algoritmo di attacco ottiene i risultati maggiori perché
generando una prima ondata a livello globale di blocco di alcune funzionalità
standardizzate, che perlopiù a livello mondiale utilizzano i medesimi sistemi
di medesimi protocolli (Questo potrebbe essere identificabile come un difetto della
globalizzazione della programmazione dei sistemi informativi ) ottiene un risultato che di per sé
di informatico non ha nulla ovvero la situazione di panico globale che vanno a
generare queste prime inefficienze di sistema che sono i primi obiettivi
dell’attacco, è che paralizzano l’elemento fondamentale che può attivare le
difese a livello globale ovvero l’uomo è i gestori di sistema che ovviamente
saranno coinvolti da questo punto di vista anche loro stessi come individui
nella situazione globale di caos e panico.
Sostanzialmente
in questa fase andando a colpire i sistemi essenziali, e ripeto comunque un
obiettivo definito e chiaro da parte del programmatore e l’algoritmo non lo ha
generato da sé, si apre il campo hai sotto algoritmi per andare a colpire dei
sottoservizi e delle attività dirette e specifiche che, approfittando della
situazione generata dall’attività precedente, possono operare in maniera
indisturbata ed andare a colpire altri obiettivi.
Immaginiamo
quindi che l’algoritmo di attacco abbia nella prima fase annullato l’erogazione
di energia in gran parte del globo terrestre riconosciuto, successivamente un
sotto algoritmo decide di attivare una serie di piccole centrali localizzate in
posti inaccessibili che però permettono l’erogazione di energia elettrica che è
di fatto vitale per l’algoritmo stesso.
L’uomo
ovviamente non conoscendo quali di queste unità l’algoritmo e i suoi sotto
algoritmi hanno identificato come utili e non avendo a disposizione dei mezzi
sufficienti per effettuare la ricognizione sarà sostanzialmente sottomesso alle
azioni susseguenti che i sotto algoritmi andranno in zone territoriali distinti
a realizzare.
Ovviamente
ci stiamo domandando quale mente potrebbe avere una conoscenza così
globalizzata del mondo intero per poter andare ad analizzare in maniera così
chiara e definita tutte queste azioni;
in
realtà questo non è vero in quanto l’algoritmo di attacco viene programmato per
andare a individuare dei target ben precisi e sfruttando la rete può agire
completamente in tutto il mondo in tempi molto ristretti quindi non esiste la
necessità di programmare quali oggetti e dove devono essere colpiti ma
l’algoritmo di attacco conterrà le informazioni per andare ad identificare ciò
di cui ha necessità in quel momento e quindi, per esempio, per identificare
delle centrali elettriche distaccate attraverso le quali alimentarsi potrà
utilizzare le informazioni contenute nei server e quindi raccogliere
posizionamenti tramite la geolocalizzazione delle centrali che ovviamente oggi
è dato alla portata di chiunque.
Tutte
le azioni che sono definite nell’elenco di ipotesi probabili che vanno dal
punto 1 al punto 24 sono tutte comunque collegate a sistemi che effettivamente
potrebbero essere oggetto di un algoritmo di attacco e che allo stato attuale
potrebbero risultare particolarmente vulnerabili soprattutto perché l’algoritmo
di attacco non nasce nel momento in cui si decide di scatenare l’offensiva ma
viene predisposto con molto anticipo perché, attraverso un’operazione di
mascheramento come potrebbe essere questo gioco divertente chiamato “chat GPT”, acquisisce dalle vite di tutti noi
tutte le possibili e potenziali informazioni che poi può utilizzare nel momento
in cui decide di sferrare l’attacco.
Quindi in realtà noi ci stiamo preoccupando
tantissimo di un intelligenza artificiale che prenda il comando e controllo ma
allo stato dell’analisi attuale e della realtà dei fatti noi è da almeno otto anni che stiamo
trasferendo ai server di compagnie che ora stanno elaborando pericolosissimi
sistemi di manipolazione dell’informazione e abbiamo concesso a loro la capacità
di creare dei modelli matematici ed algoritmici che possono fornire la base di
informazioni che l’algoritmo di attacco utilizzerà per abbattere tutti i tempi
operazionali, ovvero, noi abbiamo raccontato tutto della nostra vita di ciò che
facciamo dei codici che conosciamo delle password che abbiamo al mondo digitale
che ci circonda e tutte queste informazioni fanno parte oggi di un unico grande
contenitore che viene anche attualmente continuativamente alimentato e che
sostanzialmente sta definendo tutti gli scenari e fornendo tutte le risposte
limitando di fatto ciò che all’inizio di questa esposizione abbiamo chiamato
tentativi.
La parte
più intelligente dell’intelligenza artificiale è quella di dare la colpa agli
uomini.
Quello
che un programmatore in questo momento può fare qualora fosse in possesso di
questa mole di informazioni è semplicemente quello di identificare quelli che
sono i target che devono essere colpiti e che verranno colpiti attraverso la
gestione silenziosa e invisibile del gemello digitale informativo che ognuno di
noi ha utilizzato in tutti questi anni.
Questo
significa che l’algoritmo di attacco sostanzialmente utilizzerà le nostre vite
digitali per eseguire le azioni, quindi la parte più intelligente
dell’algoritmo è proprio quella relativa al fatto di risultare sostanzialmente
incolpevole e di trasferire la colpevolezza delle singole azioni a singoli
individui che quindi generano ancora più confusione ed ancora più caos nella
fase iniziale della generazione dell’attacco.
Se
l’attacco va a buon fine quali sono le conseguenze per l’umanità.
Se
l’attacco dell’algoritmo e dei suoi sotto algoritmi andasse veramente
completamente a buon fine le conseguenze per l’umanità non sarebbero
eccezionali, questo non perché avremo dei droni robot che ci inseguiranno e ci
spareranno a vista, ma perché sostanzialmente il mondo come oggi noi lo
conosciamo si fermerà nell’arco di poche giornate;
l’uomo ha la capacità di vivere senza mangiare
e senza bere per poco tempo, quindi se i creatori dell’algoritmo di attacco
decidessero di dotare tutti i droni che oggi esistono sulla faccia della terra,
parliamo di diverse centinaia di migliaia di apparecchi, di un collegamento che
permettesse loro di riconoscere i movimenti delle persone e di intervenire per
farli rientrare nelle loro abitazioni, abitazioni delle quali le provviste sono
terminate e non esiste la possibilità di abbeverarsi perché sono stati staccati
tutti i sistemi elettrici e quindi anche le pompe di sollevamento che portano
l’acqua nelle case degli appartamenti non funzionano, il territorio di questa natura entro
30 giorni potrebbe completamente estinguersi con la popolazione residente;
una vita più lunga sicuramente avranno gli
abitanti delle Campagne che magari oggi sono scherniti per la vita rozza che
fanno ma
che in una condizione di questo tipo potrebbero essere gli unici ad avere la
possibilità di sopravvivere in quanto utilizzano per esempio per abbeverarsi dei pozzi e
per mangiare hanno la capacità di coltivare e di allevare animali.
Ma
possibile che non esista la capacità di reagire da parte per esempio delle
forze militari ad una situazione di questo tipo.
Potrebbe
esistere una timida Resistenza che però ovviamente, essendo allo stato attuale
tutte le forze armate del mondo basate completamente su sistemi elettronici
informatici e satellitari, dicevamo ovviamente potrebbe contenere qualche azione
delle attività dell’algoritmo di attacco ma nel medio breve periodo, quindi al
massimo in un tempo limite di 45 giorni, dovrebbero necessariamente abbandonare
la presa e mettere a terra tutte le possibilità di difesa che hanno quindi il” sistema Mondiale della Difesa” diventerebbe di fatto inerme da
questo punto di vista, senza calcolare la possibilità dell’algoritmo di
controllo e di un eventuale sotto algoritmo dedicato al comando controllo delle
piattaforme che permettono il lancio di missili e testate.
La
velocità di un computer dipende dalle specifiche del computer stesso, come il
processore, la memoria e la velocità di trasferimento dei dati.
In generale, un computer moderno è in grado di
elaborare informazioni a una velocità molto superiore a quella di un essere
umano.
Ad
esempio, il processore più veloce del 2021, il “Fujitsu A64FX,” ha una velocità
di elaborazione di oltre “2 teraflop al secondo”, ovvero circa 2 trilioni di operazioni
matematiche al secondo.
D’altra
parte, la velocità di elaborazione delle informazioni da parte degli esseri
umani dipende da diversi fattori, come l’esperienza, la formazione e la
motivazione.
In generale, gli esseri umani sono in grado di
elaborare informazioni più lentamente dei computer, ma sono in grado di eseguire compiti
che richiedono capacità cognitive complesse, come la creatività, la
comprensione del linguaggio naturale e la capacità di apprendere in modo
autonomo.
In
sintesi, i computer sono generalmente in grado di elaborare informazioni a una
velocità molto superiore rispetto agli esseri umani, ma gli esseri umani sono in grado di
eseguire compiti che richiedono abilità cognitive complesse che i computer non
possono ancora eseguire.
È
stato rilevato che il cervello umano possiede una frequenza intorno ai 20 Hz
mentre invece il processore del peggior computer oggi in commercio può
raggiungere i 4 GHz, Questo significa che se ci rapportiamo in un tempo di
combattimento tra l’algoritmo di attacco e le difese territoriali di 45 giorni
in realtà l’algoritmo di attacco ragiona il suo tempo in funzione
all’elaborazione che può fare e sostanzialmente può eseguire 4 miliardi di
operazioni in più nello stesso medesimo istante rispetto all’uomo, questo
significa che in tempo uomo fosse questa battaglia combattuta tra esseri umani
sarebbe sostanzialmente una guerra pressoché infinita, mentre per l’algoritmo di controllo
tutto si va ad esaurire in un tempo limite di 45 giorni.
A chi può giovare una situazione di questo tipo.
In
prima analisi ovviamente viene da attribuire l’unico vantaggio al realizzatore
dell’algoritmo di attacco e dei suoi sotto algoritmi, di per sé l’algoritmo
fino a se stesso non ha un interesse programmato nel compiere questa strage
proprio perché una volta terminato il suo lavoro di fatto l’algoritmo si ferma
perché non ha più target da raggiungere non ha più elaborazioni da fare non ha
più attività da eseguire, a meno che il programmatore non abbia realizzato dei
sotto algoritmi per la fase 2 ma in questo momento stiamo parlando della reale pericolosità
di un algoritmo non deterministico o cosiddetto di intelligenza artificiale
finalizzato a combattere l’essere umano.
È
ovvio che al termine di questa situazione risulteranno alcune zone che il
programmatore ha volutamente lasciato indenni dagli attacchi e lì vanno
ritrovati i beneficiari di questa attività.
Una
situazione del genere potrebbe essere utilizzata per esempio per abbattere
interi territori e colpire zone densamente popolate che oggi sono in continua
crescita e che effettivamente destano timore a quello che noi possiamo chiamare
il mondo occidentale e soprattutto il mondo che ritiene di essere la parte
principale prevalente e superiore rispetto al resto dell’umanità che però
purtroppo è estremamente vecchia e non ha una natalità sufficiente per poter
garantire il proseguimento delle generazioni su un determinato territorio.
Potrebbe
essere attivata per esempio per far sì che potenze tra di loro amiche vadano in
conflitto non comprendendo bene a chi la colpa potrebbe essere attribuita.
Conclusione.
La
conclusione a questa breve analisi è che un algoritmo di intelligenza
artificiale senza una precisa volontà dell’uomo che lo ha costruito ed
istituito non può sostanzialmente nuocere a nessuno, non esiste la possibilità
che un codice in maniera autonoma non progettato con delle finalità specifiche
intraprenda un percorso di aggressione a qualcosa che in realtà non conosce e
per il quale non è interessato a conoscerne le funzionalità, quindi
l’intelligenza artificiale può essere effettivamente pericolosa alla stessa
stregua di un’arma da fuoco, che se riporta in una teca museale non può nuocere
a nessuno ed anzi diventa uno strumento di accrescimento culturale ma se estratta e caricata con un
proiettile nella mano di qualcuno che la vuole utilizzare può diventare un
oggetto che determina l’eliminazione fisica di un individuo, alla stessa
stregua l’intelligenza artificiale si comporta.
(In definitiva siamo tutti …fottuti! N.D.R.)
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