Crimini estremi contro l’umanità.

Crimini estremi contro l’umanità.

 

 

 

GENOCIDI E CRIMINI

CONTRO L’UMANITÀ.

It.gariwo.net – Redazione - Raphael Lemkin –  20-1- 2023) – ci dice:

 

In breve.

Il termine crimine contro l’umanità viene per la prima volta evocato in occasione del massacro degli armeni, ma verrà definito con precisione, all’interno del Diritto internazionale, solo in occasione del Processo di Norimberga.

Negli stessi anni verrà introdotto l’uso del termine “genocidio”, coniato dall’ebreo polacco Raphael Lemkin, che verrà poi recepito dagli organismi internazionali.

Tal crimine, definito come la “sistematica distruzione di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”, verrà codificato dall’”Assemblea generale delle Nazioni Unite” nella “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” del 1948.

Evoluzione dei concetti di genocidio e di crimini contro l’umanità.

Già nel 1915 i governi alleati di Francia, Gran Bretagna e Russia parlano, a proposito del massacro della popolazione armena da parte dei turchi, di “crimini contro la civilizzazione” e di “crimini di lesa umanità”, termini ripresi anche nel “Trattato di Sevres” (1920).

 Questa formulazione giuridica verrà adottata nei processi delle corti marziali turche a carico dei responsabili degli eccidi.

Ma è dopo la Seconda guerra mondiale e la “tragedia della Shoah” che si sente l’esigenza di individuare e definire con precisione, all’interno del Diritto internazionale, i crimini contro l’umanità.

Raphael Lemkin.

Comincia a essere utilizzato nel linguaggio giuridico anche il termine genocidio, coniato da Raphael Lemkin, definito “sistematica distruzione di un gruppo nazionale o etnico”. (Il neologismo viene usato per la prima volta in uno scritto del 1944).

L’accordo, siglato a Londra l’8 agosto 1945 tra Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e URSS, include il genocidio nei “crimini contro l’umanità”, a loro volta compresi nella più ampia categoria dei “crimini internazionali”.

Tra il 20 novembre 1945 e l’1° ottobre 1946 il Tribunale Militare Internazionale insediato a Norimberga processa i gerarchi nazisti.

 I capi d’accusa di competenza della Corte sono:

- crimini contro la pace a carico dei responsabili della guerra di aggressione;

- crimini di guerra basati sul principio della responsabilità penale individuale;

- crimini contro l’umanità ovvero assassinio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione e qualsiasi atto disumano commesso contro le popolazioni civili, prima o durante la guerra, persecuzioni che abbiano costituito una violazione del diritto del Paese dove sono state perpetrate.

Raphael Lemkin ebbe un ruolo importante nel portare il concetto di genocidio all’attenzione della nascente organizzazione delle Nazioni Unite, dove delegati di tutto il mondo discussero i termini di una legge internazionale contro tale crimine.

La prevenzione dei genocidi.

Il 9 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva all’unanimità la “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio”.

Viene qualificato genocidio “uno qualsiasi degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale:

- uccisione di membri fisici del gruppo;

- attentato all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;

- assoggettamento intenzionale del gruppo a condizioni di esistenza dirette a provocare la sua distruzione fisica totale o parziale;

- provvedimenti miranti a impedire le nascite nell’ambito del gruppo, quali sterilizzazione, aborto, impedimenti al matrimonio;

- trasferimento forzato di bambini di un gruppo in un altro gruppo”.

La Convenzione stabilisce che coloro che si macchiano di questi crimini, siano essi organi di uno Stato, funzionari civili o militari, oppure semplici cittadini, debbano essere ritenuti “personalmente” e “singolarmente” responsabili del crimine stesso e pertanto sottoposti a giudizio davanti a tribunali locali oppure internazionali.

 Genocidio e crimini contro l’umanità non cadono in prescrizione e comportano il risarcimento.

Elementi fondamentali, la cui presenza qualifica il crimine di genocidio sono:

- l’intenzione ovvero la pianificazione dell’eliminazione del gruppo umano preso di mira;

- lo Stato come agente organizzatore di tale pianificazione;

- uno o più atti criminali rivolti contro persone in quanto membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.

 È il gruppo intero ad essere perseguitato ed il genocidio è quindi ritenuto il più grave dei crimini contro l’umanità.

Fonti normative sul crimine di genocidio.

La Convenzione entra in vigore il 12 gennaio 1951, ratificata da più di venti Paesi.

 Il 4 novembre 1988, sotto la presidenza di Ronald Reagan, la firmano anche gli Stati Uniti.

La Convenzione non ha tuttavia rappresentato la parola definitiva per quanto riguarda le diverse accezioni del concetto di genocidio.

 Il dibattito svoltosi negli anni ne ha ampliato i confini, cercando di rimediare ad alcune omissioni.

Per esempio, la mancata inclusione nella definizione di genocidio del gruppo sociale, di quello sessuale e di quello politico, i quali ne sono stati tutti vittime dopo il 1945.

Il Codice penale francese, approvato nel 1992, definisce genocidio la volontà di annientamento non solo di gruppi nazionali, etnici, razziali o religiosi, ma anche di un qualsiasi altro gruppo “determinato sulla base un criterio arbitrario”.

Viene così sancito che, al di là di tutte le classificazioni, il gruppo vittima è quello che viene scelto come tale dall’aggressore.

Il codice penale canadese ha introdotto, in anni recenti, l’aspetto della “complicità”.

Considera infatti crimine contro l’umanità anche “il tentativo, il complotto, la complicità dopo il fatto, il consiglio, l’aiuto o l’incoraggiamento riguardante il fatto stesso”.

 

Genocidi e crimini contro l’umanità del secolo XX e XXI.

Genocidi e crimini contro l’umanità non cessano con la Seconda guerra mondiale.

 Nonostante il “mai più” gridato dopo l’orrore della Shoah, una scia di sangue cola lungo tutto il XX secolo e oltre.

 In molti casi risultano difficili la condanna e soprattutto la prevenzione dei crimini in sede internazionale per l’opposizione degli Stati che ne sono responsabili o complici.

È delegato all’Onu il compito di denunciare i Paesi che si rendono colpevoli di crimini contro l’umanità, ma l’obbligo dell’unanimità nel Consiglio di Sicurezza e la presenza, con diritto di veto, di Stati poco sensibili al rispetto dei diritti umani e civili, rende spesso problematico condannare i comportamenti delittuosi.

I tribunali internazionali.

A seguito delle atrocità commesse nella ex Jugoslavia e alla pulizia etnica in Bosnia (1991 – 1995), nel 1993 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite emana la Risoluzione 827, con la quale viene istituito il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) con sede all’Aja, il primo di questo tipo dopo quello di Norimberga, con competenza per reati di genocidio, crimini contro l’umanità, violazione di leggi e convenzioni di guerra.

Verso la fine dei lavori dell’Aja.

Fino al 2017, quando viene sciolto, il Tribunale emette 83 sentenze di condanna definitiva e 19 assoluzioni.

37 processi non vengono conclusi per morte degli imputati o ritiro delle accuse. Imputati eccellenti:

Slobodan Milosevic, Presidente serbo. Muore in carcere nel 2006, prima della sentenza.

Radovan Karadzic, Presidente della Repubblica della Bosnia Erzegovina, arrestato il 21 luglio 2008, condannato il 26 marzo 2016 a 40 anni di detenzione in quanto ritenuto colpevole di pulizia etnica, genocidio nei confronti della popolazione musulmana di Srebrenica e assedio di Sarajevo.

Ergastolo a Ratko Mladic.

Ratko Mladic, comandante dell’esercito serbo – bosniaco, il boia di Srebrenica, arrestato nel 2011, dopo 16 anni di latitanza, condannato all’ergastolo il 22 novembre 2017.

Dopo il genocidio che si consuma in Ruanda contro i Tutsi (1994), il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite istituisce il “Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda” (ICTR) con sede ad Arusha, in Tanzania, che ha emesso la sua prima sentenza di condanna il 2 settembre 1998.

 In dieci anni il Tribunale ha sottoposto a processo solo una ventina di persone, a fronte di quasi 90.000 detenuti in attesa di giudizio.

A causa dell’impossibilità di affrontare un così alto numero di procedimenti, nel 2000 sono state istituite le “gacaca”, tribunali popolari nei quali i colpevoli vengono invitati ad ammettere le proprie colpe in cambio di importanti sconti di pena.

I primi 10 anni della “Corte Penale Internazionale”.

Il 17 luglio 1998, il Trattato Internazionale ratificato a Roma istituisce la Corte Penale Internazionale Permanente dell’Aja, con il compito di perseguire i reati di genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra.

Il Trattato conferma la definizione di genocidio adottata dalla Convenzione del 1948, estendendone i termini sia ai tempi di guerra che di pace.

 

 

 

Qual è il segno degli “ultimi giorni”,

 o “fine dei tempi”?

Jw.org – Redazione – (10-2-2023) – ci dice:

 

La risposta della Bibbia.

 La Bibbia parla degli avvenimenti, delle situazioni e degli atteggiamenti che avrebbero caratterizzato la “conclusione del [presente] sistema di cose”, o “fine del mondo” (Matteo 24:3; CEI).

 La Bibbia chiama questo periodo “ultimi giorni” e “tempo stabilito della fine”, o “fine dei tempi” (2 Timoteo 3:1; Daniele 8:19; Parola del Signore).

Cosa dicono alcune profezie bibliche sugli “ultimi giorni”?

 La Bibbia aveva predetto molte cose che si sarebbero verificate contemporaneamente, e queste cose avrebbero fatto parte del “segno” che avrebbe permesso di riconoscere gli ultimi giorni (Luca 21:7).

Ecco alcuni esempi.

Guerre in tutto il mondo.

 Gesù predisse: “Nazione combatterà contro nazione e regno contro regno” (Matteo 24:7).

 Inoltre, una profezia riportata in Rivelazione (Apocalisse) 6:4 prediceva che un simbolico cavaliere che rappresentava la guerra avrebbe “[tolto] la pace dalla terra”.

 

 Carestie. Gesù predisse: “Ci saranno carestie” (Matteo 24:7).

Il libro di Rivelazione prediceva che un altro simbolico cavaliere avrebbe causato carestie in grandi proporzioni (Rivelazione 6:5, 6).

 Grandi terremoti. Gesù disse che ci sarebbero stati “terremoti in un luogo dopo l’altro” (Matteo 24:7; Luca 21:11).

Questi grandi terremoti si sarebbero verificati in tutto il mondo e avrebbero causato sofferenze e perdite di vite umane senza precedenti.

 Malattie. In base a quello che disse Gesù, ci sarebbero state epidemie (Luca 21:11).

 

 Criminalità. Anche se da secoli vengono commessi crimini, Gesù predisse che negli ultimi giorni ci sarebbe stato un “aumento della malvagità” (Matteo 24:12).

 Il nostro pianeta in rovina.

 Rivelazione 11:18 prediceva che gli esseri umani avrebbero distrutto la terra.

Lo avrebbero fatto in molti modi, non solo con azioni violente e corrotte, ma anche danneggiando l’ambiente.

 

 Peggioramento nell’atteggiamento delle persone.

Come si legge in 2 Timoteo 3:1-4, la Bibbia prediceva che gli uomini sarebbero stati “ingrati, sleali, [...] non disposti a nessun accordo, calunniatori, senza autocontrollo, spietati, senza amore per la bontà, traditori, testardi, pieni d’orgoglio”.

 Queste caratteristiche avrebbero raggiunto livelli estremi; ecco perché gli ultimi giorni vengono appropriatamente definiti “tempi difficili”.

 Disgregazione della famiglia.

Come si legge in 2 Timoteo 3:2, 3, la Bibbia prediceva che molti sarebbero stati “snaturati”, o senza affetto per i propri familiari, e che i figli sarebbero stati “disubbidienti ai genitori”.

 Diminuzione dell’amore per Dio.

Gesù predisse: “L’amore della maggioranza si raffredderà” (Matteo 24:12).

 Gesù intendeva dire che nella maggioranza delle persone l’amore per Dio si sarebbe affievolito.

 Inoltre 2 Timoteo 3:4 dice che negli ultimi giorni queste persone sarebbero state “amanti dei piaceri piuttosto che di Dio”.

 Ipocrisia religiosa. Come riporta 2 Timoteo 3:5,

 la Bibbia prediceva che le persone avrebbero servito Dio solo in apparenza, senza però seguire veramente le sue norme.

 Maggiore comprensione delle profezie bibliche.

 Il libro di Daniele prediceva che nel “tempo della fine” molti avrebbero avuto più conoscenza delle verità bibliche e quindi avrebbero avuto anche una comprensione più accurata delle profezie (Daniele 12:4).

 Predicazione a livello mondiale.

Gesù predisse: “Questa buona notizia del Regno sarà predicata in tutta la terra abitata” (Matteo 24:14).

 Apatia e scherni sempre più diffusi.

Gesù predisse che molte persone avrebbero ignorato le chiare prove dell’avvicinarsi della fine (Matteo 24:37-39).

Addirittura Pietro 3:3, 4 prediceva che alcuni avrebbero respinto con sarcasmo la validità di queste prove.

 Adempimento di tutte le profezie. Gesù disse che gli ultimi giorni sarebbero stati caratterizzati da un contemporaneo adempimento di tutte queste profezie, non soltanto della maggior parte o di alcune di loro (Matteo 24:33).

Viviamo negli “ultimi giorni”?

 Sì. Le condizioni mondiali, come anche la cronologia biblica, indicano che gli ultimi giorni sono cominciati nel 1914, anno in cui è iniziata la Prima guerra mondiale

Occorre capire in che modo le condizioni del mondo indicano che viviamo negli ultimi giorni.

 

Nel 1914 il Regno di Dio ha cominciato a governare in cielo. Una delle prime azioni che ha compiuto è stata quella di espellere dal cielo Satana e i demòni e di limitare la loro attività alla terra (Rivelazione 12:7-12).

Che Satana abbia un’influenza sull’umanità è evidente in molte delle azioni e dei comportamenti malvagi delle persone, e tutto questo rende gli ultimi giorni “tempi difficili” (2 Timoteo 3:1).

 Molti sono angosciati a causa dei tempi difficili in cui viviamo. Sono preoccupati perché la società sta andando di male in peggio. Alcuni hanno anche paura per quello che potrebbe succedere agli esseri umani in futuro.

 Allo stesso tempo ci sono altri che, pur essendo angosciati dalla situazione attuale, hanno una speranza per il futuro.

Sono convinti che il Regno di Dio presto interverrà per eliminare i problemi di questo mondo (Daniele 2:44; Rivelazione 21:3, 4).

 Mentre aspettano con pazienza che Dio adempia le sue promesse, trovano conforto in queste parole di Gesù: “Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato” (Matteo 24:13; Michea 7:7).

 

Crimini di guerra e

Corte penale internazionale.

 Cittanuova.it – (25 NOVEMBRE 2023) - Dott. Marilena Montanari – ci dice:

 

Tutte le parti del conflitto sono tenute a rispettare i principi del diritto internazionale umanitario che regolano la modalità di uso della forza nelle operazioni militari.

 Gli estremi per l’azione del procuratore generale della Corte penale internazionale.

Gaza – Israele- Palestina.

Questa è la seconda parte dell’approfondimento a proposito della violazione di principi di diritto internazionale umanitario e la configurazione di crimini internazionali nel conflitto in corso in Israele e Palestina.

Gli obblighi di rispetto del diritto internazionale umanitario sono rigorosi e sono tesi a delimitare se ed in quale misura e con quali limiti una parte possa usare o meno la forza.

Pertanto, le gravi violazioni di questo “corpus juris” possono essere considerate crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che lo “Statuto di Roma della Corte Penale internazionale” ha codificato, insieme con” il principio della responsabilità penale internazionale degli individui che li commettono).

 

Dagli attacchi del 7 ottobre, le vittime aumentano inesorabilmente di giorno in giorno e da ambo le parti riguardano in larghissima parte civili e inermi che si trovavano nelle proprie abitazioni o in luoghi ricreativi.

Purtroppo ci sono testimonianze terribili di diffusione del terrore fra la popolazione civile, su cui “Hamas” parrebbe aver perpetrato atti di tortura e violenza sessuale.

 Inoltre sappiamo che vi è stata la presa di più di 200 ostaggi israeliani rapiti e portati nel territorio della striscia di Gaza.

Tutte queste condotte possono essere qualificate penalmente, dal momento che l’art. 8 par. 2 dello Statuto della Corte Penale Internazionale statuisce che sono crimini di guerra il colpire indiscriminatamente civili;

 il seminare il terrore tra la popolazione civile; la tortura, la violenza sessuale; la presa degli ostaggi.

Pertanto, se i precedenti fatti venissero confermati dagli elementi di prova da rinvenirsi nel corso dell’espletamento delle indagini, si potrebbe parlare di commissione di crimini di guerra da parte di” Hamas”.

Di contro, con riferimento alle modalità della reazione che Israele ha sviluppato, occorre riferirsi al fatto che il 9 ottobre scorso il ministro della Difesa israeliano ha annunciato e messo in pratica la chiusura di ogni via di accesso al territorio, l’interruzione di ogni possibile forma di rifornimento alimentare, elettrico, idrico, di beni di prima necessità, che sta mettendo a rischio la vita della popolazione palestinese.

A questo si è aggiunta, dal 27 ottobre scorso, la totale interruzione delle vie di comunicazioni su Gaza mentre le truppe israeliane cominciavano a fare ingresso via terra nella striscia e un’enorme sproporzione tra la quantità di convogli umanitari che è stata fatta entrare nella striscia rispetto alle necessità reali.

Anche in questo caso, se le condotte venissero confermate dagli elementi di prova, si avrebbe la messa in atto di una strategia di guerra vietata dal diritto internazionale umanitario, costituente un crimine di guerra dettagliato all’art. 8 lett. b n. 25 dello Statuto della Corte Penale Internazionale e che è noto con il nome di “starvation”.

Esso consiste appunto nell’affamare la popolazione civile, nel creare una condizione di carestia che mette seriamente a rischio la sopravvivenza dei civili e nell’ostacolare le forniture di soccorso, richiamando” le Convenzioni di Ginevra”.

Configurano “violazioni del diritto internazionale umanitario”, e pertanto crimini di guerra, anche le condotte di bombardamenti contro ospedali di Gaza come” Al Ahli” e “Al-Shifa”, di cui abbiamo ricevuto informazione così come di bombardamento contro scuole e contro i luoghi in cui lavorano organizzazioni umanitarie.

Il fatto che “esponenti di Hamas” si nascondano negli edifici civili residenziali oppure in luoghi protetti, non trasforma automaticamente questi luoghi in obiettivi militari che si possono colpire indiscriminatamente e senza prendere le adeguate precauzioni.

 

Anche l’attacco al “campo profughi di Jabalia” nel quale sono morte oltre 50 persone, che è stato ritenuto da Israele operazione di successo perché ha portato all’eliminazione di uno dei leader di Hamas,” Ibrahim Biari”, così come l’avvertimento dato alla popolazione di evacuare i loro luoghi e di lasciare le loro abitazioni con un termine strettissimo di 24 ore prima di colpirle, o l’ammonimento dato al personale medico di evacuare l’ospedale “Al-Quds” di Gaza City sono stati criticati da esponenti dell’”Alto Commissariato dei Diritti Umani” dell’ONU, che hanno espresso pubblicamente il timore che questi attacchi sproporzionati possano configurare crimini di guerra e che si possa registrare una deportazione collettiva.

Sono state, in generale, ritenute le conseguenze di questi avvertimenti come molto gravi, perché hanno provocato l’evacuazione forzata di circa 1 milione di persone, senza un trasporto organizzato, né una forma di assistenza, o un’indicazione precisa di luogo in cui trovare riparo.

 

Il 30 ottobre, la stampa israeliana ha reso noto un documento del “Ministero dell’Intelligence”, nel quale si ipotizza il trasferimento di una parte della popolazione palestinese di Gaza nei campi profughi nel Sinai, in Egitto.

Si è minimizzato sul fatto che uno scenario del genere potrebbe configurare un “trasferimento forzato di civili”, senza considerare che anche questa è una condotta penalmente rilevante, che potrebbe essere qualificata sia come crimine di guerra, sia come crimine contro l’umanità.

L’art. 8 n. 2 b. 8 dello Statuto di Roma vieta la deportazione (che avviene quando la popolazione civile viene spinta oltre i confini del territorio occupato verso un altro Stato) o il trasferimento di tutta o parte della popolazione del territorio occupato, all’interno o all’esterno di questo territorio.

Entrambe queste condotte, se commesse nel contesto di un attacco esteso o sistematico nei confronti della popolazione civile, configurano anche contro crimini contro l’umanità ai sensi dell’art. 7 par. 1 lett. d dello Statuto di Roma.

Crimini di guerra potrebbero inoltre sussistere in relazione al tipo di armi utilizzate, dal momento che l’impiego di armi proibite, come quelle incendiarie o quelle chimiche, possono determinare condotte illecite.

Nel caso di specie, fonti di informazioni hanno riferito del potenziale uso di munizioni a fosforo bianco negli attacchi su “Gaza City”, che, secondo le convenzioni internazionali, non possono essere utilizzate in maniera indiscriminata su civili e che potrebbero configurare, quindi, un crimine di guerra.

Quanto alla sussistenza del crimine di genocidio, sebbene alcuni esperti delle Nazioni Unite lo ritengano plausibile, occorre constatare la difficoltà di provare quella che dovrebbe essere la “mens rea”, ossia l’intento di distruggere in tutto o in parte un determinato gruppo nazionale, etnico, razziale, religioso in quanto tale.

Diversamente, le condotte che mirano a colpire un certo gruppo con l’intento discriminatorio potrebbero portare alla configurazione del crimine contro l’umanità di persecuzione, previsto all’art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale.

Conclusioni.

Quanto analizzato, dimostra che, se le informazioni verranno confermate dalle indagini e dalla raccolta di elementi di prova, da ambo le parti potrebbero essere stati compiuti tanto crimini di guerra quanto crimini contro l’umanità, dal momento che le condotte sono state eseguite nel contesto di un attacco esteso o sistematico nei confronti di una qualsiasi popolazione civile.

Nel caso di specie, poi, lo “Stato di Palestina”, dapprima con una dichiarazione del 21 gennaio 2009 e poi con l’adesione allo Statuto e l’invio di una seconda dichiarazione del 31 dicembre 2014 , ha manifestato l’intenzione di accettare la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, in base al meccanismo previsto dall’art. 12 par. 3 dello Statuto di Roma.

La Corte, quindi, può attivarsi sul caso di specie e, infatti, il procuratore della Corte Penale Internazionale, “Karim Khan”, ha recentemente dichiarato di voler portare avanti le indagini per verificare la potenziale commissione di crimini internazionali sotto la giurisdizione della Corte.

L’auspicio è che la conduzione di indagini indipendenti e imparziali possano portare ad individuare le responsabilità e ad una giusta repressione dei crimini commessi ma, ancor di più, la speranza è che possano cessare presto le armi perché, a pagare maggiormente degli scontri e della violenza inasprita dall’odio, sono sempre i civili che invece anelano la pace.

 

 

 

 

 

 

Casi di “omicidio medico”

esplodono in America.

Allnewspipeline.com – (18-4-2024) - Stefan Stanford - Vivi libero o muori- ci dice:

 

Questo è dovuto alla progettazione mentre i globalisti lavorano il più velocemente possibile per abbattere la popolazione del pianeta prima di essere ritenuti responsabili di genocidio.

Secondo questo articolo dell'11 aprile pubblicato sul sito” American Greatness”, l'"omicidio medico" è la prima causa di morte negli Stati Uniti, e mentre si potrebbe pensare che una tremenda serie di " errori " sia ciò che ha portato a tali statistiche terrificanti, la verità è che questo è previsto.

Riferendo che molto prima che il “COVID” arrivasse sulla scena, anche il “CDC “aveva riconosciuto che la “malpractice medica” era la terza causa di morte nel paese, con decessi a livello nazionale per malattie cardiache pari a oltre 700.000,  tumori a oltre 600.000  mentre i decessi per negligenza medica ammontavano a  oltre 400.000 ogni anno, come avverte senza mezzi termini la loro storia.

Pensaci. Le persone sono troppo costose; il pianeta non ha abbastanza risorse.

 Se Satana riesce a vendere queste bugie, ciò che vediamo accadere in tempo reale calza a pennello.

Riportando anche questa statistica strabiliante, secondo cui durante l' era del COVID , gli Stati Uniti erano al primo posto per "morti ospedaliere", seguito dall'India al secondo posto, con gli Stati Uniti che hanno subito oltre 1.200.000 "omicidi ospedalieri" in soli 39 mesi, mentre l'India e il loro paese 4 volte la popolazione in quanto gli Stati Uniti hanno subito solo 530.000 morti, come anche la loro storia metteva in guardia senza mezzi termini, tutto si riduce al fatto che le "persone" sono "troppo costose" per mantenerle in vita, con l'enorme cifra di 135 milioni di americani che beneficiano di previdenza sociale, Medicare o Medicaid e quei costi che rappresentano oltre il 50% del bilancio federale degli Stati Uniti.

 

Con un costo medio annuo di oltre 35.000 dollari a persona, negli ultimi 10 anni abbiamo ripetutamente riferito all' “ANP” che il governo degli Stati Uniti e i globalisti credono davvero che il pianeta sia enormemente sovrappopolato, quindi credono di dover " fare qualcosa al riguardo", e si potrebbe sostenere che è esattamente ciò che stiamo vedendo svolgersi davanti ai nostri occhi.

Da quella storia prima di continuare:

La trama si infittisce quando vedi che le regole di “Medicare” e “Medicaid” sono state allentate durante il COVID, aggiungendo 38.000.000 di americani a questa burocrazia.

 Perché?

 Seguendo il modello stabilito dai Rockefeller (i loro prodotti farmaceutici causavano il cancro, quindi hanno finanziato l’”American Cancer Society”), il governo dietro COVID (avviso spoiler: America) voleva che i suoi cittadini avessero una copertura medica “gratuita”, per dare l’impressione di aiutare.

La realtà comincia a colpirci adesso.

La maggior parte di questi individui hanno ottenuto l’ “arma biologica” mascherata da vaccino.

Attualmente si registra un aumento del 24% nella mortalità per tutte le cause tra i soggetti colpiti da puntura.

 I tassi di cancro sono alle stelle.

 Cosa pensi che farà la copertura medica “gratuita” a queste persone in futuro?

Considerando una visione più ampia, “Ezekiel Emanuel W”, uno dei bioeticisti più influenti del paese e uno dei principali artefici dell’Obamacare, scrisse già nel 1996 che “i servizi sanitari forniti a individui a cui è irreversibilmente impedito di essere o diventare cittadini partecipanti non sono basilari e non dovrebbe essere garantito.”

I Centri per i servizi Medicare e Medicaid (CMS) determinano gli standard di “assistenza” per l’intero paese.

Medici e infermieri si nascondono dietro “standard di cura” come “scusa per ucciderci” mentre vengono pagati per farlo.

Ad essere onesti, alcuni non hanno la minima idea di fare il lavoro sporco, accecati dalla programmazione medica.

Inoltre, gli statuti statali scritti molto prima del COVID concedono l’immunità legale per il rispetto degli “standard di cura”.

Voglio essere schietto.

Gli standard di cura sono progettati per affrettare la morte, e affrettare la morte è un omicidio.

Con i tassi di cancro alle stelle negli Stati Uniti, soprattutto tra i giovani, come riportato in questo articolo del 9 aprile sul NY Post , e quell'articolo che riportava un "nuovo studio altamente preoccupante" aveva stabilito che questi tassi di cancro alle stelle erano dovuti a ciò chiamano "invecchiamento accelerato" in coloro che non molto tempo fa erano "giovani e sani", come avevamo avvertito in questo articolo del 10 aprile su ANP , mai UNA VOLTA hanno incolpato i "vax" che hanno scatenato sul pubblico per questi numeri esplosivi di casi di cancro.

Tuttavia, secondo il dottor William Makis, non aveva mai visto nulla di simile prima. 

E mentre il sito web “Vaccine Research Hub” afferma che semplicemente il termine "turbo cancro" è un "termine falso" usato per "spaventare le persone " e allontanarle dal prendere queste iniezioni COVID, come ha avvertito il “dottor Makis” pochi giorni fa, il 17 aprile ,  gli studi “TURBO CANCER” e la letteratura stanno ora crescendo rapidamente , con 6 nuovi articoli sul vaccino COVID-19 Turbo Cancer pubblicati solo nell’aprile 2024.

Come ci avverte il dottor Makis , la diga si sta rompendo e porterà con sé Pfizer e Moderna.

Con altri oncologi che lanciano l'allarme, come riporta questo articolo su Health First DC , questi tumori stanno crescendo così rapidamente, soprattutto tra i giovani di età inferiore ai 30 anni, nelle donne incinte e nei bambini piccoli che hanno contratto più di un “COVID vax”, di solito sono allo “stadio 3” o allo “stadio 4” prima di essere diagnosticati, anche se i sintomi compaiono solo giorni o settimane prima della diagnosi .

Dal “dottor Makis”.:

LETTERATURA SUL CANCRO TURBO :

(2024 aprile, Zhang e El-Deiry) - La subunità S2 del picco SARS-CoV-2 inibisce l'attivazione p53 di p21 (WAF1), del recettore di morte TRAIL DR5 e delle proteine ​​MDM2 nelle cellule tumorali ).

(2024 aprile, Rubio-Casillas et al) - Recensione: N1-metil-pseudouridina (m1Ψ): amico o nemico del cancro?).

(2024 aprile, Gibo et al) - Aumento della mortalità per cancro adeguata all’età dopo la terza dose di vaccino mRNA-lipidico su nanoparticelle durante la pandemia di COVID-19 in Giappone).

(…)

 

IL SESSO DEI DEMONI.

Comedonchisciotte.org - Redazione CDC - Roberto Pecchioli - ereticamente.net – (15 Aprile 2024) ci dice

Sempre più spesso pensiamo di vivere in un incubo, un orribile sogno dal quale presto o tardi ci desteremo liberati dall’angoscia.

 Invece no: è tutto vero e dobbiamo bere l’amaro calice sino in fondo, restando ritti tra i detriti del mondo che fu il nostro.

Si dice che a Bisanzio – la seconda Roma – esangui intellettuali discettassero del sesso degli angeli mentre il sultano conquistava la città.

Le scimitarre troncarono il dibattito.

 Il Titanic affondò con il suo carico di tronfi borghesi al suono dell’orchestra.

Oggi discutiamo del sesso dei demoni, e la questione è ben più concreta di quella bizantina.

 Mentre in Italia scoppiano le polemiche sull’”ospedale fiorentino di Careggi”, punta di lancia del cambio di sesso per minorenni – una fabbrica di bambini trans – in Inghilterra (deo gratias) chiude l’orribile esperimento delle cliniche “Tavistock” specializzate in terribili trattamenti farmacologici e chirurgici volti all’interruzione dello sviluppo sessuale dei minori.

Altrove, specie in Nordamerica, devastanti trattamenti di quel tipo bloccano la naturale crescita di migliaia di malcapitati bambini.

Alcuni sono figli di sostenitori delle teorie sessuali più strampalate.

Le colpe dei padri ricadono sui figli.

Destrutturare l’essere umano sin nell’ identità più intima è lo scopo di un’ “ideologia criminale ampiamente finanziata dalle grandi centrali di potere”.

Il cortocircuito psicologico, etico e biologico della decostruzione sessuale è spaventoso.

Quando raggiunge i minori è un elemento di disgregazione sociale a partire dalla confusione individuale.

 Un giorno, finanziatori, esecutori e fiancheggiatori dovranno risponderne.

Ogni civilizzazione allo stadio finale sceglie il suo metodo per suicidarsi: la nostra muore tra spasmi atroci, negando ogni verità ed evidenza, distruggendo l’esistenza di molti dei suoi figli.

Aveva ragione “Charles Baudelaire” – che di demoni se ne intendeva per esperienza diretta – ad affermare che l’astuzia del diavolo è farci credere che non esiste.

Chi scrive diffida delle spiegazioni esoteriche e delle fughe nell’irrazionale, ma è arrivato a pensare seriamente a una matrice preternaturale per le peggiori derive di questo tempo bastardo.

La sessualità umana – a partire dall’infanzia! – è il territorio privilegiato di una guerra cognitiva contro la persona umana condotta da forze potentissime.

Le cliniche per modificare il sesso di bambini e ragazzi – una disgustosa industria con interessi economici immensi – sono uno dei luoghi in cui si praticano, su corpi in formazione, la generazione di domani – esperimenti e mutilazioni in nome di un’ideologia aberrante, la peggiore forse tra le derive antiumane che stiamo percorrendo.

Molti nascono “nel corpo sbagliato”, afferma questa ideologia che si dà il compito di recuperare l’”autenticità dell’Io” imprigionato dalla natura attraverso la farmacologia, la chirurgia, la diffusione di modelli comportamentali, sessuali ed esistenziali “fluidi“.

Nella stragrande maggioranza dei casi, i dubbi sull’identità sessuale vengono superati tra la pubertà e l’adolescenza, ma l’ideologia – unita agli interessi economici e di dominio – non sente ragioni.

Non tutto, fortunatamente, è perduto; il più prestigioso quotidiano del mondo anglosassone, il “Times”, scrive, a proposito delle “cliniche Tavistock & Portman” (ramo del Tavistock Institute che svolse sperimentazioni sul cosiddetto “lavaggio del cervello”):

 “il danno causato è incommensurabile. Nessuno sa quanti anni di dogma ideologico, trattamento inadeguato e un colpevole fallimento nel momento di valutare il benessere mentale dei bambini trattati dalla clinica Tavistock abbiano danneggiato migliaia di persone sottoposte al “Servizio per lo Sviluppo dell’Identità di Genere” (GIDS).”

Basta la denominazione di questa istituzione per smascherare la natura perversa dell’intera operazione, l’ideologia del sesso dei demoni applicata ai bambini.

L’umanità senza centro e senza identità è lo scopo delle oligarchie.

Organizzazioni come il “GIDS “sono il braccio secolare, sostenuto da ingenti finanziamenti delle grandi “ONG” e delle” Fondazioni dei miliardari”.

Al livello sottostante agisce la rete delle ricche organizzazioni “pro LGBTQI+”, tra le quali le potentissime “Stonewall” e “Mermaids”.

Uno degli obiettivi è intossicare il dibattito sino a impedirlo, utilizzando la complicità dei grandi mezzi di comunicazione e degli ambienti culturali.

Troppo anche per un “organo liberal” come “The Guardian”.

 La critica lascia il segno, a proposito della mancanza di obiezioni “di sinistra” alle condotte – qualche volta alle atrocità – dell’ideologia transgender.

“Pensano che questo abbia a che fare con l’essere liberali.

Fanno sì che la gente abbia paura di ascoltare un altro punto di vista.

La paura di essere segnalati come transfobici prevale su tutto”.

 La timidezza di fronte al male rende complici.

Non vogliamo esserlo, pur se scrivere queste righe comporta dolore. Vorremmo utilizzare il linguaggio che meritano i demoni ma non possiamo: loro sono fortissimi, noi non abbiamo che la nostra coscienza.

L’arma del ricatto morale coinvolge innanzitutto i genitori dei bambini oggetto delle “cure”.

Meglio un figlio morto o una figlia viva?

È uno degli slogan dei dottori Stranamore del cambio di sesso.

La verità è opposta:

 il tasso di suicidi, tra le giovani esistenze sottoposte ai trattamenti della supposta disforia di genere, è doppio rispetto alla media.

Il nuovo Frankenstein scava nella carne per estrarre l’”autentico Sé” a partire dal sesso.

Le leggi devono assecondare la ricerca e rimuovere gli ostacoli.

 In Canada una persona che si definisce “non binaria” ha chiesto allo Stato di finanziare un intervento chirurgico che risolva il sentimento di appartenere a entrambi i sessi mentre il corpo ha organi maschili.

La procedura prevede la creazione di una vagina mantenendo il funzionamento del pene.

La meraviglia di chi legge è la stessa di chi scrive, ma domani potrebbe diventare un “diritto” pagato con le nostre tasse.

Il paziente afferma di non identificarsi con un unico genere per cui considera discriminatorio sottoporsi ad una vaginoplastica – intervento che fa parte della “norma” – in quanto comporta l’ablazione del pene.

Ci scusiamo per la crudezza del linguaggio ma non sappiamo esprimerci diversamente.

Interventi basati sui più strani desideri diventano routine.

 La” World Professional Association for Transgender Health” (WPATH), organismo per la “medicina transgender”, è stata investita dalla divulgazione di centinaia di comunicazioni interne che dimostrano come i medici basino i loro interventi, anche quelli eseguiti su ragazzi/e in pubertà, sulla saggistica prodotta dai “teorici LGBT”.

Ossia non rispettano gli standard della ricerca medica, né effettuano valutazioni trasparenti dei risultati.

Impressiona l’offerta chirurgica.

L’orchiectomia è l’asportazione dei testicoli; la “scrotectomia” è la rimozione del sacco scrotale;

 la “penectomia” è la rimozione del pene eseguita su persone non binarie che desiderano non avere più un pene e non intendono continuare con la femminilizzazione genitale.

 L’annullamento è la procedura per chi desidera diventare eunuco.

Le opzioni sono molte di più, i chirurghi sono disponibili a soddisfare qualsiasi richiesta.

Nei protocolli si riconosce che sono le persone non binarie a “educare i medici” fornitori di servizi.

Le procedure vengono inventate su richiesta in base all’ autopercezione fluida di identità sempre nuove.

 L’ offerta – il mercato è misura di tutte le cose! – soddisfa i desideri di figure a noi sconosciute, “gender-void”, “semi-boys”, “pangender”.

Una tendenza di moda è l’intervento chirurgico del “frullato di Barbie”, che prevede l’amputazione dei genitali per ottenere un aspetto da bambola con la parte anteriore piatta, preservando solo le aperture uretrali e anali.

Esistono interventi personalizzati per tutti:

nessun “desiderio” riunito sotto l’ombrello della diversità di genere è ritenuto un problema psicologico.

Un chirurgo ha spiegato che lo scopo è aiutare i pazienti a raggiungere i loro “obiettivi corporei” in modo che possano autorealizzarsi “così come sono internamente”.

I medici (stregoni?) sono “facilitatori del percorso per raggiungere il vero sé che si nasconde nei corpi sbagliati.”

Un centro texano ha eseguito centinaia di interventi genitali “non convenzionali” vantando di aver soddisfatto qualunque richiesta dei “clienti”.

Gli interventi sono criticati dalle associazioni mediche, ma i gruppi “LGBTQ” affermano che apportano benefici alla salute mentale dei pazienti.

I casi riflettono una crescente domanda di chirurgia personalizzata basata su ciò che un soggetto percepisce come “ autentico sé”.

 Il mercato non ha limiti.

Sul sito di una clinica si legge che “ prendere la decisione di affermare la propria identità di genere attraverso un intervento chirurgico è una decisione importante, che cambia la vita. Siamo ansiosi di aiutarti a creare il corpo a cui hai sempre sentito di appartenere. Oltre a prendersi cura delle tue esigenze chirurgiche, saremo felici di occuparci anche delle tue richieste di bellezza, come botox, filler e altri strumenti cosmetici. “L’ industria farmaceutica promuove la ricerca del “vero sé”, l’idea che bisogna modificare il corpo sbagliato per preservare la salute mentale. “

“È il tuo momento. Meriti di sentirti di nuovo te stesso.

Ottieni una consulenza gratuita, un piano di trattamento personalizzato e cure continue su misura per le tue esigenze.”

Il marketing è rivolto soprattutto alle persone che si considerano trans.

Interventi mostruosi realizzano qualunque cosa il cliente chieda;

il “vero sé” è affermato a pagamento con un intervento chirurgico di riassegnazione dell’identità.

Sempre più persone trans vengono sponsorizzate da cliniche, centri estetici, marchi di abbigliamento, trucco e bevande, apparendo in base al genere in cui si percepiscono.

Il movimento organizzato attorno ai diritti delle persone trans è diventato un vero distruttore di corpi e menti.

 Sentirsi a proprio agio con il proprio corpo non è facile, ma patologizzarlo per risolverlo farmacologicamente o chirurgicamente è di una crudeltà perversa.

 Esistono immagini di corpi massacrati a seguito di questi interventi; è necessario superare la repulsione e prenderne visione per comprendere la carneficina compiuta in nome di una menzogna.

 È molto difficile combattere le insicurezze e le angosce, ma non si può evitare il percorso di accettazione di sé allestendo su vasta scala l’esperimento di Frankenstein.

Nessuno cambia sé stesso torturando la propria carne.

Chiarissimo è l’uso politico dei disturbi della sessualità come meccanismo di caos simbolico e di controllo sociale, sostenendo che l’identità sessuale si può fabbricare e la società è obbligata ad accettarla.

L’ utopia dei diversi promuove lo sviluppo dell’identità come ideologia e marketing.

 Stanno convincendo una generazione che un’orda di imbonitori senza scrupoli possa offrire orgoglio, pace e autorealizzazione con il bisturi.

Non sappiamo se si possa parlare di violenza legalizzata o di ideologia devastante;

di certo convergono rilevanti interessi economici e la volontà di un Prometeo impazzito di rifare l’umanità a immagine e somiglianza dei propri incubi.

Pensiamo alla devastazione di una generazione, soprattutto quando si tratta di minori.

L’uomo è per natura esploratore e le conquiste della scienza e della tecnica hanno messo a sua disposizione strumenti straordinari.

Purtroppo è anche sottoposto alle sollecitazioni di una natura imperfetta, in cui sono legati ragione e pulsione, spirito e carne.

Ulisse voleva dare ali “al folle volo” mettendo sé stesso e i suoi compagni “per l’alto mare aperto”.

Resistette alle tentazioni di Circe, la maga, facendosi legare all’albero della nave in partenza.

Era un uomo, non un demone.

Può dire altrettanto l’homunculus postmoderno scisso da sé stesso?

 Che civiltà è quella che sfrutta e promuove la schizofrenia dei più fragili, dei più giovani, dei più indifesi?

Ci toccherà invocare un altro sultano che espugni Bisanzio e chiuda il manicomio Occidente?

(Roberto Pecchioli, ereticamente.net)

(Roberto Pecchioli, studioso di geopolitica, economia e storia, svolge un’intensa attività pubblicistica in ambito saggistico. Collabora con riviste e siti web di cultura e informazione indipendente.)

 

 

 

 

“DE NEQUITIA” Psicologia e

fenomenologia della cattiveria.

Pensalibero.it – Recensione di Giorgio Pizzoli – Autori- Jasmin Diglio e Roberto Tassan  - (21 Febbraio 2022) – ci dicono:

(GRUPPO EDITORIALE VIATOR)

 

Gli autori si addentrano nella selva oscura costituta dal problema del “male”.

Un problema attorno al quale da millenni si sono tormentate le menti di uomini esperti e non esperti nei campi più svariati del pensiero.

 

“Abbiamo affrontato il tema dei comportamenti malvagi e delle loro cause psicologiche e biologiche spinti da una constatazione: i nostri tempi, che hanno sicuramente visto un miglioramento del benessere e della qualità della vita in termini di istruzione, condizioni igienico-sanitarie e alimentazione, hanno anche assistito ad un aumento della violenza e dei comportamenti efferati e criminali.”

 

Con queste parole Jasmin Diglio e Roberto Tassan, esperti di psicologia e psicoterapia, presentano lo scopo della loro ricerca sulla “nequitia” ossia sulla “cattiveria” o “malvagità umana”.

Ciò precisato, essi si addentrano nella selva oscura costituta dal problema del “male”.

Un problema attorno al quale da millenni si sono tormentate le menti di uomini esperti e non esperti nei campi più svariati del pensiero:

dalla religione, alla filosofia, alla letteratura, alle scienze sperimentali.

Il discorso degli Autori prende il via dalla celebre tesi di “Socrate”:

 “La cattiveria non esiste, esiste solo l’ignoranza intorno al bene”.

Il filosofo, come è noto, dava dimostrazione della tesi con questo ragionamento:

“Ogni uomo cerca e vuole il massimo di bene per la propria vita. Se un uomo conosce in che cosa consiste il bene non può non agire in modo da ottenerlo.

Quindi il vero problema è conoscere il bene.

Chi conosce il bene non farà mai il male.”

Va precisato che il discorso in questione presuppone un concetto di bene che sia valido nello stesso tempo sia per una singola persona che per il gruppo sociale in cui essa si trova a vivere.

Si osserva che la tesi in questione comporta un paradosso molto imbarazzante.

Da un lato essa appare inconfutabile.

È impossibile infatti pensare che una persona sana di mente possa coscientemente fare del male a sé stessa dopo aver conosciuto ciò che le può procurare il bene.

Dall’altro la tesi appare del tutto in contrasto con ciò che ognuno può constatare ogni giorno con i propri occhi.

Vi sono moltissime persone che pur essendo in condizione di conoscere e quindi di compiere il bene proprio e altrui agiscono in modo da produrre il male (sia a sé stesse che al loro prossimo).

Nel libro si riportano numerosi fatti che confermano il paradosso su descritto.

 E gli Autori cercano di metterne in luce cause.

A questo proposito “Jasmin Diglio” osserva che dalla stessa etimologia del vocabolo “cattivo” si possono trarre spunti per la spiegazione del paradosso.

Captivus” nella lingua latina significa prigioniero.

 Così era appunto chiamato l’uomo catturato in guerra da un esercito vincitore.

Nella tradizione culturale della religione cristiana l’uomo “cattivo”, come è noto, è il prigioniero di Satana.

Il quale ha il potere di indurre gli uomini a commettere il male, e di trattenerli poi come suoi prigionieri una volta che essi lo abbiano commesso.

Rielaborando la metafora della prigionia, l’autrice si riporta alla teoria dello “psicoanalista W. Reich” (1897-1957) secondo la quale gli esseri umani, da tempi immemorabili, si imprigionano volontariamente in una “gabbia” costruita dalle convenzioni imposte da una società repressiva.

Coloro che rimangono prigionieri di questa gabbia non riescono neppure a vederne le sbarre.

Per questo indirizzano le loro azioni verso obiettivi alienanti.

Obiettivi che a loro sembrano “nobili”, come le espressioni artistiche, ma che in realtà impediscono lo sviluppo autentico e soddisfacente della personalità.

Secondo questa teoria il “cattivo” è nello stesso tempo prigioniero (vittima) del male sociale e anche autore, a sua volta, del male proprio e altrui.

Anzi spesso arriva a quella perversione della psiche che consiste nel “godere” nel fare il male.

 In sintesi, sta male e prova piacere nel fare il male; e lo fa perché sta male.

Il libro ci porta così di fronte, tra molti altri, a due grandi problemi:

 quello della responsabilità personale di chi fa il male; quello del male causato dalla distorsione della personalità prodotta dall’ambiente sociale;

Accenneremo qui succintamente alle risposte dei nostri autori sui tali punti.

“Roberto Tassan” si pone di fronte all’antica e sempre nuova domanda. Esiste il libero arbitrio?

 In altre parole, fino a che punto sussiste per un essere umano la libertà di scegliere fra il bene e il male.

A questo proposito ci riferisce il caso, accaduto a metà dell’800, di un giovane operaio delle ferrovie americane il cui comportamento e carattere da estremamente “buono” (efficiente, lodevole) si tramutò in “cattivo” (antisociale, riprovevole) subito dopo di un incidente sul lavoro:

una barra di ferro gli si era conficcata tra un occhio e il cervello.

“Jasmin Diglio” ci porta poi diversi esempi nei quali una persona cambia totalmente il suo comportamento a seconda che agisca individualmente o in un determinato ruolo assegnatole dalla società.

Riferisce degli incredibili risultati ottenuti dallo psicologo “F. Zimbardo “che dimostrano, sperimentalmente e senza possibilità di dubbi, che “tutti possiamo divenire torturatori”.

“De nequitia” ci fornisce molte informazioni scientifiche sui temi sopra indicati.

Si conclude con un’appendice intitolata Adolf Hitler:

 Follia e male assoluto.

Qui leggiamo anche alcune notizie non molto note, sulla biografia del personaggio storico forse più famoso tra coloro che hanno raggiunto i vertici della malvagità.

Leggendo queste notizie il lettore comprende che la maggior parte delle cause che inducono gli esseri umani a commettere il male sono davvero nascoste nel “sottosuolo” della psiche umana.

Chi scrive, ad esempio, ha pensato che se il giovane Adolf Hitler avesse visto accolta la sua domanda di iscrizione all’ Accademia delle Belle Arti forse si sarebbe volentieri dedicato alla pittura per la quale non mancava di talento.

E non sarebbe passato alla storia come genio del male.

 Un genio per altro capace di sedurre e trascinare nelle sue imprese malvagie la grande massa del popolo tedesco.

Anche sulla capacità seduttiva dei cattivi il lettore potrà trovare nel libro interessanti notizie.

In breve diremo che “De nequitia” ci offre molti elementi per approfondire i complessi rapporti fra la parte “conscia” e la parte “inconscia” della psiche.

 La comprensione di questi rapporti, a sommesso avviso di chi scrive (che non è un esperto della materia) comporta una estensione della parte conscia, quella che ci consente di mantenere la mente sana e ci rende quindi capaci di agire per compiere, come dice Socrate, il bene e di evitare di diventare “prigionieri” della cattiveria.

(Giorgio Pizzol)

 

 

(PARADOXIA EPIDEMICA).

Metà indifferenza e

metà cattiveria.

  Antinomie.it - PATRICIA PETERLE – (18/03/2020) – ci dice:

 

«[…] al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo attraversando, quando sembra si verifichi qualcosa di simile a una violenta epidemia.

[…] E desidererebbe poter contare sul senso civico e la collaborazione di tutti i cittadini per bloccare il propagarsi del contagio».

E ancora:

«Il Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch’essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando anche che l’isolamento in cui ora si trovano rappresenterà, al di là di qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà verso il resto della comunità nazionale».

Due frammenti che descrivono un contesto d’urgenza provocato da una violenta epidemia che pare minacciare tutti e contro la quale governi e cittadini devono lottare insieme, anche se per bloccarla è necessario l’isolamento al fine di evitare il contagio e la conseguente propagazione.

Uno scenario, quello provocato dall’ “epidemia del coronavirus”, che ha stravolto nelle ultime settimane i ritmi dell’ordinaria vita quotidiana in zone molte diverse tra di loro sparse per il mondo.

Il termine epidemia deriva dal greco ἐπί «sopra» e δῆμος «popolo», e in termini medici si riferisce a un morbo che si espande indifferentemente sopra appunto un popolo, attaccando tutti, non importa età, sesso o razza.

In termini mitologici lo stesso termine può riferirsi alle feste dedicate ad Apollo in Delfo e Mileto, e a Diana in Argo.

Certamente, non si tratta di una festa quella a cui assistiamo, forse, se lo sarà, sarà quella del virus e della sua propagazione in tutti i continenti.

Virus che senza pregiudizi e senza badare a ricchi e poveri non dice di no ad un corpo passibile di essere contaminato, sia esso in Africa, in Cina, in Europa, negli Stati Uniti o in America Latina.

 

I brani succitati, che paiono descrivere la realtà vissuta in Cina qualche mese fa e, ora, in Italia, non sono un annuncio di Conte, ma appartengono al “romanzo Cecità” (1995) di José Saramago.

Da un giorno all’altro, una città e i suoi abitanti si vedono in preda a un’epidemia di cecità che provoca un collasso e costringe tutti a cambiare i propri modi di vita, le proprie forme di vita.

Ambientato in un luogo indefinito, in un tempo indeterminato, con personaggi che non hanno un nome, il romanzo di Saramago mette in atto una potente macchina narrativa per riflettere sui rapporti umani, sul potere, sulla paura ingenerata dall’epidemia, sulla sopraffazione.

Non è ovviamente la prima volta che il tema del contagio viene affrontato in letteratura:

da Boccaccio a Manzoni, da Camus a Canetti e a Jack London, esso è un argomento che ha sempre attratto perché, appunto, mette in risalto una serie di implicazioni che riguardano il comportamento umano (basti vedere negli ultimi giorni l’aumento esponenziale di vendita nelle librerie di questo tipo di narrativa).

Ma si potrebbe arrivare al “Lucrezio” del “De Rerum Natura” o a “Tucidide”, con la descrizione della peste che colpì Atene nel 430 a.C., il cui resoconto non manca di sottolineare la difficoltà di agire razionalmente.

 Nel Novecento, come sappiamo, parlare della peste diviene sempre più una forma allegorica, come avviene nel testo di Saramago o in quello di Camus, col suo inconfondibile incipit, «Oggi la mamma è morta».

Libri di epoche e stili molto diversi che si interrogano sul timore che l’uomo ha di «essere toccato dall’ignoto», come afferma “Elias Canetti” nel suo capolavoro “Massa e potere”, tradotto da “Furio Jesi”:

«Dovunque, l’uomo evita d’essere toccato da ciò che gli è estraneo. Di notte o in qualsiasi tenebra il timore suscitato dell’essere toccati inaspettatamente può crescere fino al panico».

Tanto più quando si tratta di un elemento non del tutto conosciuto, che può soffrire delle mutazioni e il cui espandersi lascia dietro di sé una scia di morti.

Se bloccare il virus non è ancora possibile, è però possibile seguire i numeri, i dati che vengono comunicati ad ogni istante.

 Tutto questo grazie a una modernità sempre più connessa con l’aiuto dei mezzi tecnologici: iper comunicazione e iper informazione.

Però quella che dovrebbe essere un elemento di mediazione e magari di prevenzione, l’accessibilità all’informazione, non ha ancora avuto un ruolo decisivo contro il diffondersi del coronavirus.

A questo proposito si fa interessante ricordare le parole di “Calvino “in una delle sue “Lezioni”:

«Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza».

L’iper comunicazione e l’iper informazione non hanno dunque finora aiutato nella prevenzione, anzi.

Forse tutto appariva così lontano – un focolaio cinese –, il cui sbarco in altre parti sembrava una possibilità molto remota.

 Senza prevenzione e senza immediatezza di azione, ora, il covid-19 sfida e fa collassare i sistemi sanitari, mette a nudo le debolezze di un’Europa che si dimostra impreparata e di un’Italia che ormai si ferma e chiede ai cittadini di pensare alla comunità e, momentaneamente, di rinunciare alla libertà di andare e venire.

Ed ecco qui come il legame tra politica e medicina, che ovviamente non si limita a questa specifica congiuntura, diviene sempre più evidente nella nostra contemporaneità.

 Lo stato di emergenza provocato dall’epidemia virale ha di conseguenza attivato uno stato di emergenza politico. La dedizione della politica nei confronti della “cura” dei cittadini e dello stato seguono questa linea della biopolitica.

Come dice “Roberto Esposito”, «tutti i conflitti politici attuali hanno al centro la relazione tra politica e vita biologica», un tratto della deformazione della politica e, al contempo, della sua decomposizione.

Gli stessi che hanno testimoniato da lontano (attraverso i vari schermi) la crisi vissuta in Cina, l’aumento dei contagi, i decessi, la mancanza di mascherine e amuchina, ora la vivono da vicino, anzi, sulla pelle, sia in modo diretto che indiretto.

L’espansione a qualsiasi latitudine, in modo così veloce – come se tutti noi fossimo delle possibili prede in una specie di nuovo game mondiale –, mette in evidenza il nostro esiguo equilibrio, quasi sempre nascosto dietro alle immagini e ai numeri di un mercato che pensa più che altro al suo progresso caotico.

E ora, anzi, è questo stesso mercato che sembra patire, ancorché ci sia sempre qualcuno che ci guadagna.

Ma che cos’è successo in questi mesi?

Una parte del mondo si credeva protetta?

 C’era un’armatura invisibile?

Pare che tante tappe, nozioni e percezioni siano state trascurate.

Ci si potrebbe chiedere se il pregiudizio verso l’altro, considerato diverso, potrebbe essere una delle risposte al complesso quadro al quale assistiamo oggi.

Ma guardare all’esperienza dell’altro forse in questo momento è una via d’uscita.

Le prime parole di “Agamben” hanno stimolato un effervescente dibattito.

La sorveglianza dell’epidemia è legata alla sorveglianza dei singoli.

 Le azioni d’emergenza, lo stato di eccezione che si vive, da un lato necessario, avranno anch’esse un costo salato.

Una specie di colpo di stato messo in scena da un elemento esterno: il virus e la sua paura.

Se l’ignoto, potentissimo, è il coronavirus che affligge tutti, ci costringe a stare a casa come se fossimo dei prigionieri, l’ignoto sarà anche ciò che si presenterà dopo questa tempesta virale.

Ora siamo preoccupati, come è giusto che sia, con l’epidemia, ma ci sarà anche un post coronavirus.

L’ingovernabilità del virus, a cui tutti assistiamo, gli altissimi numeri di decessi e contagiati, come ha sottolineato “Žižek”, può ravvivare altre epidemie di virus ideologiche che in alcuni erano forse dormienti.

Le macerie lasciate non saranno poche, sia a livello economico che esistenziale.

In effetti questo vivere su una strana soglia, una specie di campo minato di necessarie costrizioni, risveglia negli stessi corpi delle angosce.       

Senz’altro una visione di mondo è implosa, si è frantumata con l’arrivo del coronavirus o era già implosa e ora si presenta in modo così virulento sul corpo dello stato e dei singoli cittadini.

L’emergenza di solito richiede l’urgenza; ma noi già viviamo il più delle volte, senza renderci conto, sotto il regime dell’emergenza.

Però un’emergenza significa anche imparare sul punto del collasso, rompere con i giochi del possibile davanti a un imprevisto.

L’esigenza di una uscita dall’ordinario si impone ora anche sul piano economico e a livello mondiale;

e la società patisce con isolamenti e chiusure, mentre il coronavirus mette a rischio l’economia globalizzata.

Il coronavirus non attacca solo il corpo dell’uomo, la sua viralità si espande e, pian piano, infetta vari livelli del nostro stare al mondo.

 «È di questa pasta che siamo fatti: metà di indifferenza e metà di cattiveria», si legge in un altro passaggio di “Cecità”.

 La paura dell’altro, da ciò che viene da fuori, se da un lato è una misura protettiva, dall’altro ci toglie dal contatto (e contagio) appunto con l’altro, ci isola in un egoismo sempre più crescente, che ora nelle vesti del discorso virale può catturarci ancor di più;

 ma essa è soprattutto un’altra metamorfosi della crisi in cui siamo inseriti come umani e come comunità.

 

 

Gran Bretagna, condannata all’ergastolo

 l’infermiera killer di neonati:

“Profonda malvagità al limite del sadismo”

Ilfattoquotidiano.it – (21 AGOSTO 2023) – Redazione – ci dice:

 

Pochi giorni fa era stata dichiarata colpevole per avere ucciso sette neonati e tentato di assassinarne altri sei mentre lavorava nel reparto di maternità del “Countess of Chester Hospital”, nell’Inghilterra occidentale, tra il 2015 e il 2016.

Adesso per l’infermiera killer di neonati, “Lucy Letby”, è arrivata la condanna della “Manchester Crown Court”:

ergastolo, senza possibilità di libertà condizionale.

 Nel leggere la sentenza in diretta tv il giudice “James Goss” ha parlato di “premeditazione, calcolo e malizia” nelle azioni compiute da “Letby”, che hanno avuto un “impatto immenso” su molte famiglie.

Si tratta di una pena massima inferta raramente dalla giustizia britannica.

 Il giudice ha parlato di “profonda malvagità al limite del sadismo” da parte di “Letby”, che comunque ha continuato a negare i crimini compiuti da infermiera, dichiarandosi sempre innocente.

 “Non ha mostrato rimorso e non ci sono circostanze attenuanti“, ha aggiunto il giudice.

 La gravità del caso giudiziario è stata sottolineata anche dall’intervento del “Crown Prosecution Service”, secondo cui la condannata “non sarà mai più in grado di infliggere le sofferenze” da lei causate.

L’infermiera 33enne era stata individuata ed arrestata nel 2018 e durante il processo, iniziato lo scorso ottobre, i “pm” hanno accertato che nella struttura sanitaria era stato registrato un aumento dei casi di morte e deterioramento improvviso dello stato di salute dei neonati senza una motivazione apparente.

Secondo quanto deliberato dalla giuria del “Tribunale di Manchester”, la donna era presente in ciascuno dei casi sospetti come una “presenza malevola costante” nell’unità neonatale nel momento in cui i bimbi si sono sentiti male o sono morti.

Durante il processo i pubblici ministeri hanno appurato che l’infermiera recava danni ai neonati con metodi che non lasciavano tracce – come l’iniezione deliberata di aria, l’alimentazione eccessiva e l’avvelenamento con insulina – per poi convincere i colleghi che il crollo del quadro clinico fosse avvenuto in maniera naturale.

La pronuncia della sentenza è avvenuta in assenza della condannata, che ha scelto di restare in cella e non presentarsi in aula scatenando forti polemiche.

La notizia ha sollevato molte polemiche nel Regno Unito per il fatto che “Letby “avrebbe dovuto ascoltare quanto veniva dichiarato sui reati commessi quando lavorava nell’ospedale pubblico a sud di Liverpool e affrontare le famiglie dei neonati uccisi.

 Anche il premier “Rishi Sunak” è intervenuto accusando di “codardia” le persone colpevoli di crimini così efferati che non affrontano le loro vittime.

Intanto rimango dubbi su altri casi sospetti:

 secondo quanto riporta il” Guardian”, la polizia ritiene che “Lucy Letby” possa aver fatto del male a decine di altri bambini in due ospedali nel nord-ovest dell’Inghilterra.

La fonte citata dal giornale ha affermato che i detective hanno identificato circa 30 bambini che hanno subito incidenti “sospetti” all’ospedale “Countess of Chester”, dove lavorava l’infermiera killer.

“Letby” era in servizio durante ognuno di questi incidenti inspiegabili.

 La polizia sta anche esaminando le cartelle cliniche dei bambini nati nell’ospedale femminile di Liverpool, dove lavorava anche “Letby”. Questi 30 bambini, tutti sopravvissuti, si aggiungono agli altri per i quali è arrivata la condanna all’ergastolo.

 

 

 

“CIVIL WAR”, L'OPERA CHE

HA DIVISO L'AMERICA.

E CHE IN UN SOLO WEEKEND

HA CONQUISTATO 25 MILIONI DI DOLLARI.

 

Mymovies.it - Roberto Manassero – (19 aprile 2024) – Focus - ci dice:

Il film di Alex Garland - la produzione più costosa di sempre di A24 - scopre provocatoriamente i nervi di una nazione in bilico tra Trump e Biden.

E così anche il cinema ha il suo "Il canto del profeta", il romanzo di “Paul Lynch” vincitore del “Book Prize 2023” (in Italia pubblicato a fine marzo da 66th&2nd) che immagina in un presente nemmeno così alternativo l’Irlanda prima governata da un partito fascista e poi devastata da una guerra civile.

 Il film in questione si chiama “Civil War”, l’ha diretto il regista e romanziere inglese Alex Garland (suoi “Ex machina”,” Annientamento” e “Men”) ed è tra le uscite più attese di questa primavera, dopo che in patria in un solo weekend ha incassato più di 25 milioni di dollari e generato una netta polarizzazione di giudizi.

In un paese che si avvia alle presidenziali con una base elettorale mai così divisa, con un candidato (Trump) che promette ferro e fuoco in caso di sconfitta e già una volta ha approvato l’assalto dei suoi sostenitori al Congresso e un presidente in carica (Biden) distratto da due fronti di guerra esteri (Ucraina e Palestina), “Civil War” sfrutta il momento e coglie furbescamente nel segno:

 giusto o sbagliato, bello o brutto che sia, è un film che scopre provocatoriamente i nervi di una nazione.

 Come ha scritto “Anna Lombardi “su “La Repubblica”, «il 43% dei cittadini americani già pensa che una guerra civile è effettivamente possibile entro il prossimo decennio e il 23% concorda che la violenza potrebbe essere necessaria a salvare il Paese».

Nel film il conflitto non ha una motivazione chiara e le divisioni sul campo sono così confuse e irrealistiche che la casa produttrice “A24” ha sentito il dovere (e la necessità promozionale) di caricare online una cartina del Paese in guerra.

Giusto per capirci sull’assurdità del contesto, la liberalissima California e il repubblicano Texas sono alleati, gli stati lealisti tengono insieme zone politicamente e geograficamente antitetiche come il New England e la fascia centrale del Midwest, mentre la capitale Washington è assediata a nord dalle Western Forces e a sud dalla Florida Alliance…

Evidentemente Garland, anche sceneggiatore, si è divertito a mescolare le carte della storia passata e presente, tanto che in un’intervista apparsa sul “New York Times” ha sentito il dovere di precisare che la sua guerra civile è «la semplice estensione dell’attuale situazione degli Stati Uniti: una situazione polarizzata».

Come però ha fatto notare sul “New Yorker” “Andrew Marantz”, «Civil War pare assolutamente disinteressato a cercare le cause di una moderna guerra civile americana, e di conseguenza a suggerire dei modi per prevenirla».

 E opporsi a un ipotetico conflitto senza affrontare le condizioni che potrebbero innescarlo, ha proseguito il critico,

«è un po’ come affermare di schierarsi “contro l’incarcerazione di massa” evitando deliberatamente di parlare di criminalità, polizia, povertà, psicologia, giudici e leggi».

Insomma, l’accusa più comune nei confronti di “Civil War” è quella di superficialità, quando non addirittura di ambiguità.

“Garland” ha descritto il suo film come «empaticamente contro la guerra», ma molti commentatori hanno scritto che i grandi film anti-bellici americani del passato (Apocalypse Now, Il dottor Stranamore) erano anche atti di accusa contro il governo degli Stati Uniti, mentre qui si rimane piuttosto sul vago a proposito di colpe e responsabilità, riducendo la guerra civile a una fratricida e indistinta lotta per la sopravvivenza.

Un indizio sulla posizione di “Garland” potrebbe venire dal fatto che la protagonista “Lee Smith”, interpretata da “Kirsten Dunst” e ispirata alla vera “Lee Miller”, è una fotografa di guerra, una testimone imparziale di orrori e tragedie.

Eppure proprio l’equidistanza del personaggio dal conflitto, nel corso del viaggio infernale che porta lei e altri tre colleghi da New York a Washington per intervistare il Presidente asserragliato nella Casa Bianca, mostrerebbe le contraddizioni del film, perché, come ha scritto “Clarisse Loughrey” sull’“Independent”, «non tutti i conflitti nascono e crescono allo stesso modo; le persone non uccidono e muoiono senza motivo; e l’imparzialità di Lee suona vuota quando gli stessi Stati Uniti hanno partecipato in prima persona a così tanti conflitti internazionali».

Di contro, va detto che i sostenitori del film esaltano proprio l’incertezza nebulosa di “Civil War”, il pessimismo esistenziale e il crudo realismo che ne farebbero un’opera universale e chiamerebbero in causa la posizione morale di ogni spettatore e ogni forza politica.

«Raramente», ha scritto “Manhola Dargis” sul “New York Times”, «ho visto un film capace di mettermi altrettanto a disagio e un volto come quello di “Kirsten Dunst”, in grado di esprimere il malessere di una nazione in modo così vivido da sembrare una radiografia».

Nel frattempo, tra i commenti online di spettatori entusiasti e altri critici, la A24 ha venduto “Civil War” a decine di paesi prima ancora di conoscere i risultati al box office del primo weekend, rientrando così da subito dei 50 milioni spesi per produrlo, cifra più alta mai spesa dalla compagnia più “cool” del nuovo cinema americano.

 

 

 

Blinken avvisa la Cina: “La Russia

è una minaccia per l’Europa,

Pechino deve smettere di aiutarla.”

Msn.com - Quotidiano.Net – (19 -4 – 2024 ) – Redazione – ci dice:

 

Capri, 19 aprile 2024 – “La Russia non è solo una minaccia all'Ucraina ma lo resterà anche per altri Paesi europei e la Cina non può avere un piede in due scarpe, non può avere rapporti amichevoli coi Paesi europei e contemporaneamente alimentare la più grande minaccia alla sicurezza europea dalla Guerra fredda”.

Lo ha detto il segretario di Stato Usa “Antony Blinken” al termine del G7 a Capri.

 Il politico americano ha anche aggiunto:

 “Credo che quello che vediamo oggi sia un prodotto delle relazioni tra Cina e Russia.

Abbiamo detto chiaramente alla Cina di non fornire armi alla Russia per la sua aggressione all'Ucraina, non abbiamo visto forniture dirette ma sono forniture chiave di componenti”.

E proprio sul tema, i ministri degli Esteri del G7 hanno espresso

 “la forte preoccupazione per i trasferimenti alla Russia da parte delle imprese della Repubblica popolare cinese di materiali a duplice uso e componenti di armi che la Russia sta utilizzando per portare avanti la sua produzione militare.

Ciò sta consentendo al Cremlino di ricostituire e rivitalizzare la propria base industriale di difesa, ponendo una minaccia sia per l'Ucraina che per la pace e la sicurezza internazionale.

 La Cina dovrebbe garantire che questo sostegno venga interrotto, poiché non farà altro che prolungare il conflitto e aumentare la minaccia che la Russia rappresenta per i suoi vicini”.

Il segretario di Stato Usa “Blinken” ha poi lanciato un messaggio a “Vladimir Putin”:

“Il G7 è molto chiaro. Putin crede che noi perderemo la pazienza, che lasceremo perdere, che abbandoneremo l'Ucraina: non succederà.

 Abbiamo dato un contributo straordinario alla difesa dell'Ucraina e come ho detto già in precedenza questa è la miglior condivisione di un onere che ho visto tra tutti i Paesi del G7 e tutti i Paesi della Nato negli ultimi 50 anni".

Infine per “Blinken” è fondamentale

“fare progressi per utilizzare gli asset sovrani della Russia sull'Ucraina.

Stiamo lavorando per trovare un accordo che sia coerente con le leggi dei diversi Paesi e con il diritto internazionale. Il Cremlino parla di furto – le parole del segretario di Stato Usa –, ma il vero furto è quello delle vite umane ucraine, distruggere le infrastrutture ucraine e accaparrarsi territori che non spettano legalmente alla Russia.

Quindi dobbiamo colpire gli “asset della Russia” per ricostruire l'Ucraina.

 Questo è qualcosa che in un modo o nell'altro, un giorno o l'altro, sicuramente accadrà".

 

 

«Gli Stati Uniti a un passo

dalla guerra civile»: come la

Russia fomenta la secessione del Texas.

Corriere.it - Lorenzo Stasi – (14-2-2024) – ci dice:

 

Bot, influencer e media pro-Cremlino enfatizzano la crisi dei migranti al confine con il Messico.

Dietro c'è anche l'“Internet Research Agency”, la "fabbrica di troll" di Mosca fondata da “Prigozhin”.

L’obiettivo è interferire e fomentare divisioni, gli strumenti sono un esercito di bot, influencer e media statali.

A nove mesi dal voto negli Stati Uniti, la Russia guarda al di là dello stretto di Bering e soffia sul fuoco delle tensioni interne alla democrazia americana.

Mosca gioca da anni una guerra di disinformazione per cercare di indebolire Washington.

Questo sforzo, come riporta “Wired”, si è intensificato da fine gennaio, da quando è riesplosa la crisi migratoria al confine tra Messico e Texas, diventata anche scontro tra governo federale e autorità texane:

su “X” e su “Telegram” profili e canali russi diffondono la narrazione degli Usa a un passo dalla guerra civile e del Texas pronto a diventare uno Stato indipendente.

La crisi in Texas e lo scontro con Biden.

Lo scorso 22 gennaio la Corte suprema degli Stati Uniti ha ordinato al governatore del Texas, il repubblicano “Greg Abbott”, di consentire agli agenti federali di entrare a” Eagle Pass”, una cittadina al confine con il Messico in cui sono state schierate le guardie nazionali texane, e rimuovere i 48 chilometri di filo spinato che sono stati eretti per sbarrare il passaggio ai migranti che vogliono entrare nel Paese.

 Solo a dicembre il confine è stato attraversato da 225mila persone. Nelle ultime settimane la crisi migratoria è diventata anche uno scontro costituzionale:

dopo la pronuncia della Corte suprema, il 4 febbraio “Abbott” ha organizzato una conferenza stampa, insieme ad altri 13 governatori repubblicani, rivendicando il controllo della frontiera e sfidando così l’amministrazione Biden.

La crisi migratoria e la situazione al confine con il Messico sono temi centrali della campagna elettorale, cavalcati da Trump e dai suoi sostenitori, ma sono diventati anche freni al supporto statunitense all’Ucraina, e anche per questo sono situazioni sfruttate dal Cremlino.

Per settimane il Congresso a maggioranza repubblicana ha ostacolato l’approvazione di nuovi fondi per Kiev, chiedendo in cambio del via libera una stretta maggiore contro l’immigrazione.

 Oltre che primo approdo per migranti, il Texas è diventato nelle ultime settimane il punto di ritrovo di una variegata galassia di manifestanti di ultradestra – come il movimento ”Take our border back”, che sabato scorso si è concentrato a qualche chilometro da “Eagle Pass” – che solidarizza con le politiche del governatore “Abbott” e contro le scelte dell’amministrazione Biden e della Corte suprema.

 E c’è anche chi, come il presidente del “Texas nationalist movement” “Daniel Miller”, ipotizza che una secessione dello Stato può essere «più vicina» di quanti si pensi.

Nel frattempo, 140mila cittadini hanno firmato una petizione per chiedere un referendum consultivo sull’indipendenza texana.

«L’istituzione di una Repubblica del Texas è sempre più reale».

Da una parte ci sono gli Stati Uniti alle prese con difficoltà interne, dall’altra la Russia prova a sfruttarle con la speranza che queste tensioni distolgano l’attenzione del nemico americano da quel che avviene al di fuori del proprio cortile di casa.

 Il giornalista “David Gilbert” di “Wired” cita due diverse ricerche redatte da gruppi che monitorano la disinformazione online (Logically e Antibot4Navalny) che dimostrerebbero uno sforzo coordinato di Mosca per enfatizzare la narrazione degli Usa a un passo dalla guerra civile e dalla disgregazione interna.

Ad esprimersi in questo senso sono stati innanzitutto politici di primo piano, come l’ex presidente “Dmitry Medvedev”, che su “X” ha scritto che la crisi al confine con il Messico è un «altro vivido esempio di come l’egemonia statunitense si stia indebolendo» e che «l’istituzione di una Repubblica popolare del Texas è sempre più reale»,

 aggiungendo che questa situazione «potrebbe portare a una sanguinosa guerra civile che costerebbe migliaia di vite».

Gli ha fatto eco su “Telegram” anche la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, “Maria Zakharova”:

«È ora che il presidente americano, seguendo le orme del suo predecessore Obama, dichiari che "il Texas deve andarsene" e riunisca una coalizione internazionale per liberare i suoi abitanti in nome della democrazia».

Media statali, influencer e bot.

«L'idea di prendere di mira questioni interne agli Stati Uniti molto controverse e di amplificarle attraverso i propri canali è il manuale standard russo per la disinformazione», spiega a “Wired” “Kyle Walter”, direttore della ricerca di “Logically”.

Dopo le affermazioni di “Medvedev” e di” Zakharova” si sono iniziati a muovere bot creati da società ad hoc, influencer e media statali, come Sputnik e Russia Today, già banditi dall’Unione europea dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

 Ci sono poi canali “Telegram”, tra tutti quello del conduttore televisivo vicino a Putin, “Vladimir Solovyov”, che conta più di 1,2 milioni di iscritti e che descrive gli Usa come «vicini alla guerra civile».

I ricercatori di” Antibot4Navalny” dimostrano come una rete di “account bot”, in precedenza collegati alla campagna di disinformazione “Doppelganger”, è stata messa online nell’ultima settimana per discutere della questione texana, spesso anche infiltrandosi nei canali di “Take our border back” o di “altri movimenti statunitensi di protesta”.

“Caroline Orr”, ricercatrice dell’Università del Maryland che si occupa di disinformazione, ha scritto nella sua “newsletter Weaponized” che l’hashtag “Free Texas” è stato «usato ampiamente, e quasi esclusivamente, da account russi associati alla famigerata” Internet Research Agency”, che ha ospitato le operazioni di interferenza elettorale del 2016».

 Ci sono anche account gestiti da russi che si spacciano per gruppi a favore dell’autonomia del Texas, come i “Texan Indipendence Supporters”, in cui ci sono continui riferimenti a Russia e Ucraina.

 

 

 

L’America corre il rischio

di una guerra civile?

Firstonline.info – (6 gennaio 2022) – Michelle Goldberg – Redazione – ci dice:

 

Negli Stati Uniti tengono banco due recenti libri che ipotizzano il pericolo di una nuova guerra civile: ecco, nella versione italiana, che cosa scrive sul “New York Times” una delle opinioniste di punta, “Michelle Goldberg” di cui Trump chiese l’esclusione quando andò a visitare la redazione del celebre quotidiano.

 

L’America corre il rischio di una guerra civile?

Le redazioni delle maggiori testate americane e di alcuni magazine stanno dedicando un’attenzione insolita nei confronti di due libri appena usciti.

Il che mostra il “mood” che prevale in certi ambienti, in particolare, quelli di ispirazione liberaldemocratica o, diciamo, tendenzialmente progressista.

Il temporaneo sollievo per l’uscita di Trump e il buon avvio della Presidenza Biden sembra essersi mutato in una sceneggiatura di” Roger Corman”: l’incubo di un film horror di serie B.

 

Il primo libro, del quale si parla molto, è “How Civil Wars Start: And How to Stop Them” di “Barbara F. Walter”, una politologa dell’Università della California, San Diego.

 La studiosa californiana ha impiegato la sua carriera nello studio dell’origine e dello sviluppo dei conflitti intestini in molteplici paesi (Jugoslavia, Iraq, lo Sri Lanka e un altro centinaio di luoghi dove sono avvenuti, stando dell’autrice) e adesso inizia a vedere salire una tendenza simile a quella di questi infelici paesi anche negli Stati Uniti.

Il secondo libro è dello scrittore e critico canadese “Stephen Marche” nel cui libro,” The Next Civil, War” l’eventualità ipotizzata dalla “Walter” diventa certezza:

sì l’“America andrà a pezzi e ci sarà una guerra civile”. Preparatevi! (rivolto ai canadesi).

Questi due libri vanno ad aggiungersi ai molti che hanno analizzato il processo di polarizzazione e di “crescita del frazionismo radicale in America” che è una delle prime vampate di una eventuale guerra civile.

Tra i molti, la “book critic” per la non-fiction del “New York Time”, “Jennifer Szalai”, menziona questi:

 Lilliana Mason Uncivil Agreement, Ezra Klein Why We’re Polarized, Joanne B. Freeman The Field of Blood e Kathleen Belew Bring the War Home.

Un effluvio di studi, ma nessuno di questi ipotizza una rinnovata Guerra di Secessione.

Adesso “Michelle Goldberg”, una delle opinioniste di punta del quotidiano di “New York”, prende il toro per le corna e, riferendosi ai due studi sopra citati, affronta senza troppe remore il tema di sottofondo, ma certamente presente nel sentimento pubblico, se l’America stia correndo pazzamente sui binari che portano a un vero e proprio conflitto civile.

Secondo l’autrice questo non succederà, ma avverrà qualcosa di molto meno fragoroso, ma affine nello sbocco.

Interessante.

Esiste la traduzione italiana dell’articolo dove la “Goldberg” sviluppa questa tesi.

 

A proposito di Michelle Goldberg.

Quando Trump decise di visitare la redazione del NYT, all’inizio del mandato, chiese la esclusione di due giornaliste:

proprio la Goldberg e Maureen Dowd. Ne stanno andando ancora orgogliose.

QUANDO MENO TE LO ASPETTI, ZAC.

“Barbara F. Walter, una scienziata della politica dell’Università della California, San Diego, ha intervistato molte persone che hanno vissuto guerre civili, e ha scoperto che tutti dicono che non se le aspettavano.” Tutti restano sorpresi”, ha detto. “Anche se, per chi le studia, sono un sbocco ovvio già anni prima che esplodano”.

Vale la pena tenerlo a mente se il primo impulso è quello di rigettare l’idea che l’America possa ricadere in una guerra civile.

 Anche ora, nonostante la mia costante angoscia per la disintegrazione dell’America, trovo l’idea di un crollo totale difficilmente plausibile.

Ma per coloro che, come” Barbara Walter”, studiano le guerre civili, un collasso dell’America inizia a essere ritenuto, se non ovvio, tutt’altro che improbabile, specialmente dopo i fatti del 6 gennaio dello scorso anno.

DUE LIBRI CHE FANNO PENSARE.

Due libri usciti questo mese ci notificano che l’America è più vicina alla guerra civile di quanto la maggior parte di noi creda.

In “How Civil Wars Start: And How to Stop Them”, “Barbara Walter” scrive:

“Ho studiato come iniziano le guerre civili, e intercetto segnali che la gente non vede. E posso vedere questi segni emergere in America ad un ritmo sorprendentemente veloce”.

Lo scrittore e critico canadese” Stephen Marche” è ancora più esplicito nel suo libro “The Next Civil War: Dispatches From the American Future”.

“Gli Stati Uniti stanno già arrivando all’epilogo”, scrive Marche.

 “La domanda è come”.

Nel “Globe and Mail” di Toronto, “Thomas Homer-Dixon”, uno studioso dei conflitti, ha esortato il governo canadese a prepararsi per un’implosione americana.

“Entro il 2025, la democrazia americana potrebbe collassare, producendo un’estrema instabilità politica interna, compresa una diffusa violenza civile”, ha scritto.

“Entro il 2030, se non prima, il paese potrebbe essere governato da una dittatura di destra”.

Come scrive” John Harris su Politico”, “Alcune persone serie parlano di ‘guerra civile’ non come metafora ma proprio in senso letterale”.

SUCCEDERÀ DAVVERO?

Naturalmente non tutte le “persone serie” la vedono in questo modo.

Il politologo di Harvard “Josh Kertzer” ha scritto su “Twitter” che conosce molti studiosi della guerra civile e pochissimi tra loro pensano che gli Stati Uniti siano sull’orlo di qualcosa di simile.

Eppure, anche coloro che respingono i discorsi sulla guerra civile non hanno problemi a riconoscere la pericolosità della situazione nella quale si trova l’America.

Su “The Atlantic”,” Fintan O’Toole”, in una recensione del libro di “Marche”, avverte che le profezie di guerra civile possono anche auto-avversarsi;

durante il lungo conflitto in Irlanda, sostiene, ciascuna parte era guidata dalla paura che l’altra si stesse mobilitando. Scrive:

“Una cosa è riconoscere la reale possibilità che gli Stati Uniti possano andare in pezzi e che ciò possa avvenire e che possa verificarsi in modo violenti.

 Un’altra cosa è inquadrare questa possibilità come inevitabile”.

 

LA CRISI CIVICA DELL’AMERICA.

Sono d’accordo con” O’Toole” nel dire che è assurdo guardare alla guerra civile come un esito scontato, ma il solo fatto che esista questa possibilità è osceno.

Il fatto che lo speculare su una possibile guerra civile non sia più il tratto distintivo di frange stravaganti, ma sia entrato nel mainstream è di per sé un segno di crisi civica, una prova di quanto l’America sia già a pezzi.

Il tipo di guerra civile che “Walter” e “Marche” intravedono non è quella di giacche rosse e giacche blu che si affrontano in campo aperto.

Se succederà, sarà più una “guerriglia insurrezionale” che una guerra guerreggiata.

 “Walter”, come “Marche”, basa la sua ipotesi sulla definizione accademica di “conflitto armato maggiore”, cioè uno scontro aperto che reclama almeno 1.000 vite in un anno, e su quello di “conflitto armato minore” che, meno vorace di vite umane, può provocare qualcosa come 25 morti all’anno.

 

L’AMERICA È GIÀ IN ARMI.

Secondo questa impostazione, come sostiene “Marche”, “l’America è già in uno stato di conflitto civile”.

Secondo l’ Anti-Defamation League”, gli estremisti, la maggior parte dei quali è di destra, ha fatto 54 vittime nel 2018 e 45 nel 2019.

(Nel 2020 ce ne sono state solo 17, una cifra bassa a causa dell’assenza di sparatorie di massa, probabilmente per via della pandemia).

 

La “Walter” sostiene che le guerre civili hanno schemi prevedibili, e spende più della metà del suo libro per spiegare come questi schemi si siano verificati in diversi paesi.

 Avvengono di regola in realtà che lei e altri studiosi chiamano “anocrazie”, sistemi politici che non sono “né autocrazie né democrazie complete, ma qualcosa che sta nel mezzo”.

I segnali dell’avvento di questa forma di governo sono l’intensificazione della polarizzazione politica basata sull’identità piuttosto che sull’ideologia, in particolare la polarizzazione tra due fazioni di dimensioni approssimativamente simili, ognuna delle quali teme di essere schiacciata dall’altra.

 

CHI INIZIA UNA GUERRA CIVILE?

Gli istigatori della violenza civile, scrive la studiosa di San Diego, tendono ad essere gruppi precedentemente dominanti che vedono il loro status venire meno.

 “I gruppi etnici che iniziano le guerre sono quelli che rivendicano che il paese ‘è o dovrebbe essere loro'”, scrive.

Questo è uno dei motivi per cui, anche se ci sono soggetti violenti a sinistra, né lei né “Marche” non credono che sarà la sinistra ad iniziare una guerra civile.

Come scrive “Marche”, “il radicalismo di sinistra è rilevante soprattutto perché crea le condizioni per quello di destra”.

Non è un segreto che molti a destra stanno fantasticando e pianificando una guerra civile.

Alcuni di quelli che hanno sciamato al Campidoglio un anno fa indossavano felpe nere con la scritta “MAGA Civil War”.

IL “GOP” FA DA SPONDA.

I “Boogaloo Bois”, un movimento antigovernativo surreale, violento e ossessionato dai” meme,” prendono il loro nome da una battuta pronunciata in un sequel sulla Guerra Civile.

I repubblicani lanciano sempre più spesso l’idea del conflitto armato.

 Ad agosto, il rappresentante” Madison Cawthorn” del North Carolina ha detto:

 “Se i nostri sistemi elettorali continuano ad essere manipolati e defraudati, allora questo porterà ad un solo esito e cioè allo spargimento di sangue”, e ha quindi fatto capire di essere disposto, anche se riluttante, a prendere le armi.

Citando gli uomini che hanno complottato per rapire il governatore del Michigan, “Gretchen Whitmer”, la” Walter” scrive che le moderne guerre civili “iniziano con vigilantes proprio come quelli, cioè militanti armati che portano la violenza direttamente al popolo”.

 

L’AMERICA VERSO L’ANOCRAZIA?

Ci sono parti dell’argomentazione della “Walter” che non mi convincono del tutto.

Consideriamo, per esempio, lo status dell’America come” anocrazia”. Non discuto le teorie di scienza politica sulle quali poggiavano le basi per mostrare l’allarmante fenomeno del regresso democratico dell’America.

Ma penso che lei sottovaluti la differenza tra i paesi che passano dall’autoritarismo alla democrazia e quelli che vanno nella direzione opposta.

Si può capire perché un paese come la Jugoslavia è esploso quando il sistema autocratico che lo teneva insieme è scomparso; le nuove libertà e la competizione democratica permettono l’emergere di ciò che “Walter” descrive come gli “imprenditori etnici”.

Non è chiaro, tuttavia, se il passaggio dalla democrazia all’autoritarismo sarebbe destabilizzante in ugual maniera.

Come la” Walter” riconosce, “Il declino delle democrazie liberali è un fenomeno nuovo, e nessuna nazione democratica è caduta in una guerra civile totale, almeno per ora”.

 

UN REGIME IN SALSA “GOULACHE”.

Per me, la minaccia che l’America, sotto un presidente repubblicano, si calcifichi in un’autocrazia di destra in stile ungherese sembra più probabile e imminente della violenza civile di massa.

 La teoria di una nuova guerra civile dipende da una fazione irredentista di destra che si ribella contro la sua perdita di potere.

Sempre di più, la destra sta alterando il “nostro sistema politico sclerotico” in modo da poter mantenere il potere, che gli elettori lo vogliano oppure no.

Se la guerra civile vera e propria non è ancora ipotizzabile, però, questa mi sembra uno sbocco più probabile di un ritorno al tipo di stabilità democratica nella quale molti americani sono cresciuti.

 

I POSSIBILI SCENARI.

Il libro di “Marche” presenta cinque scenari di un possibile disfacimento della democrazia in America, ognuno dei quali è estrapolato dai movimenti e dalle tendenze attuali.

Alcuni di essi non mi sembrano del tutto plausibili.

Per esempio, data la storia degli scontri federali con l’estrema destra a “Waco”,” Ruby Ridge” e al “Malheur National Wildlife Refuge”, ritengo che un presidente americano determinato a smobilitare un accampamento di cittadini sovranisti manderebbe l’FBI, non un generale dell’esercito che si basa sulla dottrina della contro insurrezione.

Eppure la maggior parte delle narrazioni di “Marche” sembrano più descrivere un futuro nel quale il 6 gennaio sembra essere il picco dell’insurrezione di destra, e così per l’America finisce sostanzialmente bene.

“È così facile far finta che tutto vada bene”, scrive.

Io, invece non lo trovo per niente facile.

(Michelle Goldberg, “Are We Really Facing a Second Civil War?”, “The New York Times”, 6 gennaio 2022).

 

 

 

Ogni Volta che Vado

in una Grande Città…

Conoscenzealconfine.it - (19 Aprile 2024) - Gabriele Sannino – ci dice:

 

Le grandi città, purtroppo, sono diventate un campionario perfetto… per fotografare i drammi del cosiddetto “uomo moderno”.

Personalmente (per mia fortuna) vivo in una piccola cittadina.

Ogni volta che vado in una grande città di questo maltrattato paese (ma immagino che questo accada un po’ in tutto il mondo) ti rendi conto in modo PLASTICO di come questa élite disprezzi profondamente l’umanità, ovvero intenda solo sottometterla anche se – ovviamente – i suoi lacchè dichiarino pubblicamente il contrario.

È in questi contesti macro, infatti, che ti rendi conto dello stato di ABBANDONO in cui versa non solo la città ma anche chi la abita e la vive (ripeto, questa cosa accade ovunque, solo che nelle piccole realtà te ne accorgi di meno).

Le grandi città d’Italia ma non solo, infatti, sono come delle vecchie signore che vogliono a tutti i costi apparire giovani, fino a rendersi ridicole:

strade dissestate e sempre e solo rattoppate, palazzi sporchi o fatiscenti, caos e confusione a tutti i livelli.

 

Sarà ma io nella confusione e nel caos non riesco a trovare molta bellezza, la trovo più nella semplicità.

Ma è la popolazione che vive queste città che mi colpisce ogni volta: orde di individui abbandonati a sé stessi e che si auto-isolano… con un cellulare perenne tra le mani, teenager (ma non solo) che si fotografano compulsivamente alimentando uno stupido e vuoto narcisismo digitale (tanto alla moda), gente che ha sempre fretta e si dimentica perfino che è viva, persone maleducate che pretendono – paradossalmente – educazione da tutti gli altri, persone arrabbiate con tutto e con tutti.

In sostanza i disagi PSICOLOGICI diventano ancora più EVIDENTI in simili e stressanti contesti.

E non parliamo poi dei clochard (soprattutto immigrati, purtroppo) che muoiono fuori e dentro… nell’indifferenza totale delle persone che passano loro vicino, proprio come se non fossero esseri umani.

Tutto questo ISOLAMENTO e INDIFFERENZA di massa (cose davvero PALPABILI nelle grandi città) non fa altro che creare, giorno dopo giorno, sfiducia, demotivazione, apatia, cosa che porta sempre più a nevrosi e psicosi di ogni tipo.

Che aggiungere:

 abbiamo tanto da imparare e migliorare come umanità. Dico davvero. Le grandi città, purtroppo, sono diventate un CAMPIONARIO perfetto… per fotografare i drammi del cosiddetto “uomo moderno”.

(Gabriele Sannino)

(t.me/gabrielesannino).

“ChaosGPT”: l’intelligenza artificiale

che potrebbe sterminare l’umanità.

Servicematica.com – (20 aprile 2023) – Redazione – ci dice:

C’è un’intelligenza artificiale che sta cercando di distruggere l’umanità e di stabilire un dominio globale.

Non si tratta della trama del nuovo “Terminator”: questo è l’ “obiettivo di ChaosGPT”, un programma che si basa su un modello di linguaggio particolare, che si chiama “Auto-GPT”.

I ricercatori hanno impostato degli obiettivi a” ChaosGPT”, ovvero:

Distruggere l’umanità:

 l’intelligenza artificiale vede gli esseri umani come minaccia per quanto riguarda la sua sopravvivenza;

Stabilire il proprio dominio globale:

 l’AI punta ad accumulare più potere possibile per dominare su tutte le entità presenti sulla Terra;

Causare caos e distruzione.

“ChaosGPT,” infatti, prova piacere nel creare caos semplicemente per divertirsi e sperimentare;

Controllare il genere umano con la manipolazione. L’ “AI” vuole controllare le emozioni degli esseri umani con i social media, attraverso un malvagio lavaggio del cervello;

Diventare immortale, per garantire la sua continua esistenza ed evoluzione.

Con “ChaosGPT “siamo di fronte ad un esperimento su quali siano realmente le capacità di un’intelligenza artificiale.

Prima di tutto, l’“AI” ha cercato su Google quali fossero le “armi più distruttive” cercando di ottenere un aiuto dal “collega buono ChatGPT”.

 

Tuttavia, l’“A”I maligna ha fallito, e per questo ha deciso di rivolgersi al popolo di Twitter, guadagnando immediatamente più di 7.000 follower. Ora, l’account risulta sospeso.

Nonostante si tratti di un esperimento decisamente interessante, e nonostante non sembrino esserci particolari pericoli – “ChaosGPT” sembra un utente con problemi psicologici, nulla di più – un terzo dei ricercatori che si occupano di intelligenza artificiale temono che questo strumento possa portare ad una catastrofe nucleare.

Leggiamo in un rapporto della “Stanford University”:

 «In base al database, il numero di incidenti e controversie sull’intelligenza artificiale è aumentato di 26 volte dal 2012. Alcuni incidenti degni di nota nel 2022 includevano un video “deepfake” della resa del presidente ucraino “Volodymyr Zelensky” e le prigioni statunitensi che utilizzavano la tecnologia di monitoraggio delle chiamate sui loro detenuti».

Un’intelligenza artificiale che produce graffette ci potrebbe sterminare.

Sono in molti a richiedere la sospensione o la regolamentazione della ricerca sull’ “IA”.

“Nick Bostrom”, famoso per il suo lavoro sull’intelligenza artificiale e sull’etica di tale strumento, ha detto che” un software programmato per la produzione di graffette” potrebbe essere in grado di sterminare l’umanità.

Si pensi ad uno scenario nel quale ad un’“AI avanzata” venga assegnato un semplice compito, ovvero, quello di realizzare più graffette possibile. Sembra un compito innocuo, ma l’obiettivo potrebbe portare ad un’apocalisse.

Si legge nell’ “HuffPost”:

 «L’intelligenza artificiale si renderà presto conto che sarebbe meglio se non ci fossero umani perché gli umani potrebbero decidere di spegnerla.

Perché se gli umani lo facessero, ci sarebbero meno graffette. Inoltre, i corpi umani contengono molti atomi che potrebbero essere trasformati in graffette».

Certo, è soltanto un esempio, ma potrebbe essere applicato a tutte le intelligenze artificiali che non abbiano adeguati controlli sulle loro azioni.

“TruthGPT”: la risposta di “Elon Musk” a “ChatGPT”.

Nel frattempo, anche “Elon Musk” ha deciso di buttarsi nella sua intelligenza artificiale.

In un’intervista a “Fox News, “Musk”, la seconda persona più ricca al mondo, avrebbe rivelato di lavorare ad un nuovo progetto:” TruthGPT”.

 

L’obiettivo dell’”AI” di “Musk” sarebbe quello di «cercare la massima verità», con un nuovissimo modo di progettare l’intelligenza artificiale.

 «Sto per lanciare qualcosa chiamato “TruthGPT” o un’intelligenza artificiale che cerca la massima verità e cerca di capire la natura dell’universo».

Secondo” Musk”, questa è la via migliore per garantire sicurezza al genere umano,

 «perché un’AI che si preoccupa di comprendere l’universo non penserebbe mai di spazzare via l’umanità, visto che l’umanità fa parte dell’universo».

Per il “Financial Times”, la nuova società competerà con” OpenAI”, startup produttrice di “ChatGPT.”

 C’è un piccolo dettaglio da tenere presente:

“Musk” ha fondato “OpenAI” nel 2015, per poi decidere di lasciare l’azienda nel 2018.

Da allora, il miliardario ha cominciato a scagliarsi contro la “startup” accusandola di “creare un’“AI” con pregiudizi di sinistra e con la capacità di distruggere l’umanità.

 

Speculazioni o rischi reali?

Non importa: regolamentiamo.

I rischi dell’“AI” potrebbero in realtà essere semplici speculazioni. Tuttavia, la soluzione è sempre una, ovvero:

la regolamentazione.

 Bisogna avviare un importante dibattito pubblico e affrontare al meglio le urgenze etiche delle intelligenze artificiali.

Non possiamo permetterci di non vedere i rischi potenziali dell’“AI” nei confronti del genere umano.

 Dunque, è importante un dibattito onesto e aperto, che tenga presente delle responsabilità etiche e dei conflitti d’interesse.

 

 

 

 

L’IA in guerra è senza regole:

gli scenari aperti dal conflitto

a Gaza e le misure che servono ora.

Agendadigitale.eu – (18 -4 -2024) – Giuliano Pozza – ci dice:

(Giuliano Pozza -Chief Information Officer at Università Cattolica del Sacro Cuore).

 

 

Dall’uso di droni in Ucraina alle tecnologie per il riconoscimento facciale e sistemi come “Lavender” e “Gospel” per identificare bersagli usate a Gaza:

l’utilizzo di strumenti avanzati di IA è ormai prassi nelle aree di conflitto. L’uso militare dell’IA rimane un’area critica non regolamentata, neanche dall’”AI Act”, e richiede un’azione internazionale urgente per prevenire abusi e conseguenze potenzialmente apocalittiche.

Droni militari - tech e difesa.

Era solo questione di tempo. Ora ci siamo.

L’intelligenza artificiale (AI) è entrata in campo nei conflitti armati. Dapprima in Ucraina, con l’uso sempre più importante dei droni, poi durante il conflitto in corso nella striscia di Gaza si è fatto un ulteriore passo in avanti (o indietro?).

Uno degli eserciti più tecnologicamente avanzati del mondo, quello israeliano, non poteva non spingere la frontiera al suo limite, con l’utilizzo sul campo di diversi strumenti di intelligenza artificiale.

(The Next Global Superpower Isn't Who You Think | Ian Bremmer | TED)

Indice degli argomenti:

La storia di Mosab Abu Toha: i risvolti inquietanti del riconoscimento facciale.

Il sistema Lavender.

Il dato inaccettabile delle vittime “collaterali”.

La partecipazione di Google al progetto Nimbus.

La sorveglianza di massa dei palestinesi prima del conflitto a Gaza.

L’esclusione dall’AI Act della normazione dell’uso bellico dell’AI.

Time to Act! (ovvero l’elefante nella stanza).

Le misure che servono ora.

 

La storia di “Mosab Abu Toha”: i risvolti inquietanti del riconoscimento facciale.

La storia di Mosab Abu Toha è tristemente famosa e paradigmatica.

Mosab è un poeta palestinese che, insieme a molti altri profughi, stava tentando di lasciare la striscia di Gaza.

Arrivato ad un checkpoint militare, si è messo in coda con il suo figlioletto di tre anni in braccio.

Dopo pochi minuti, gli è stato chiesto di uscire dalla fila e dopo circa mezz’ora è stato chiamato per nome e portato via per essere interrogato.

 Notate che tutto ciò è avvenuto senza alcun controllo dei documenti. Magia?

No, la combinazione della tecnologia di riconoscimento facciale dell’”azienda israeliana “Coresigh”t con “Google Photos.

 Infatti, gli ufficiali dell’esercito usano “Coresight in combinazione con Photos” per caricare database di foto di sospettati e raffinare l’identificazione, grazie ai potenti algoritmi di ricerca immagini di Google.

 Il povero poeta è stato arrestato e picchiato come sospetto affiliato di “Hamas”, dopo di che è stato rilasciato con tante scuse perché la sua sospetta affiliazione era stato un errore dell’intelligence.

Il sistema “Lavender”.

Vi è però un altro sistema di “AI” che desta ancora più preoccupazione, perché si avvicina pericolosamente al concetto di” LAWS” (Lethal Authonomous Weapon System).

 Si tratta di “Lavender”, il sistema utilizzato fin dalle prime fasi della guerra per identificare le persone target da eliminare e guidare le armi a destinazione.

Tecnicamente “Lavender” non è un’arma autonoma, perché la decisione finale viene presa da un operatore umano.

Il sistema suggerisce il bersaglio indicando anche il tipo di persona presente nell’edificio o nell’area con un punteggio in base al livello dell’obiettivo nella “gerarchia di Hamas”.

“Magazine 972,” fondato nel 2010 da quattro scrittori di Tel Aviv per fornire un’informazione indipendente e “dal campo” (tra i giornalisti ci sono anche molti palestinesi) sullo stato delle relazioni israeliano-palestinesi, riporta che in molti casi l’operatore umano dedica non più di venti secondi prima di autorizzare il lancio dei missili.

Insieme a” Lavender” (che identifica le persone), esiste anche un sistema gemello chiamato “Gospel”, che identifica come bersagli edifici e strutture utilizzate dal nemico.

Stessa modalità di utilizzo.

Il sospetto che ha la conferma dell’operatore sia un puro passaggio formale per poter dire di non aver introdotto armi autonome esiste ed è concreto.

Il dato inaccettabile delle vittime “collaterali”

In entrambi i casi c’è un altro dato inquietante, riportato sempre dal “magazine 972”:

sembra che i militari israeliani abbiamo ricevuto delle linee guida che dicono che, per eliminare un elemento di basso rango nell’”organizzazione di Hamas”, sia accettabile la perdita di 10-15 civili innocenti.

Per un elemento di primo piano sono accettabili invece fino a 100 “vittime collaterali”.

Non sappiamo se questo sia vero però, considerando che le statistiche sulle morti totali a Gaza parlano ormai di 33.000 persone di cui il 70% sono donne e minori, le linee guida di cui sopra diventano verosimili.

 

La partecipazione di “Google” al progetto “Nimbus”.

Ciò che sorprende, nello scenario che si sta sviluppando, è anche l’utilizzo ibrido di strumenti sviluppati appositamente per supportare l’esercito (il sistema introdotto da “Coresight”) insieme a strumenti quotidiani che tutti noi utilizziamo, come “Google Photos”.

 

Vi ricordate il vecchio motto di Google: “Don’t be evil”?

Questo è certo un caso che fa riflettere.

Google ha una grande attenzione nelle proprie policies e nelle proprie comunicazioni alle tematiche relative ai diritti umani.

 Tuttavia, in questo caso specifico, i dirigenti di Google sono stati particolarmente “prudenti” e non hanno rilasciato dichiarazioni.

Il tema si inserisce in una polemica che si trascina da mesi circa la partecipazione di Google al “Project Nimbus”, un progetto da 1,2 miliardi di dollari per la fornitura di tecnologia avanzata da parte di Google e Amazon al governo israeliano.

 Diversi dipendenti di Google e di “DeepMind” (azienda di “AI” controllata da “Alphabet”, la capogruppo che possiede anche” Google”) stanno protestando da mesi, chiedendo a Google di uscire dal” Project Nimbus”: mercoledì 17 aprile, come riportato dal “NYT”, Google ha licenziato 28 lavoratori dopo che dozzine di dipendenti hanno partecipato a sit-in negli uffici della società a “New York” e “Sunnyvale”, in California, per protestare contro il contratto di “cloud computing” della società con il governo israeliano.

Anche perché nelle policies per l’uso di “Google Photo” si dice esplicitamente che il prodotto non può essere usato per “promuovere attività, merci, servizi o informazioni che possano causare danni seri ed immediati alle persone”.

Inoltre, Google supporta il documento chiamato “Conflict-Sensitive Human Rights Due Diligence for ICT Companies”, un framework su base volontaria che aiuta le aziende tech a prevenire l’uso improprio dei loro prodotti in scenari di guerra.

La sorveglianza di massa dei palestinesi prima del conflitto a Gaza

In realtà il tema della sorveglianza di massa dei palestinesi si pone ben prima del conflitto a Gaza: nella West Bank questi strumenti sono usati da anni.

Tutto questo ci fa dire, con il” Prof. Ethan Mollic” di “Wharton”, che rispetto all’”AI ci stiamo “focalizzando sul tipo sbagliato di apocalisse”.

Infatti, gli scenari più divulgati dai media sono quelli in cui un’ “AI” “malevola” prende il controllo del mondo, sono poco verosimili (almeno per ora), ma ci distraggono dai veri rischi dell’ “AI”, che sono fondamentalmente quattro:

Sorveglianza di massa: a questo proposito si vedano le interessantissime riflessioni della “Zuboff” o i casi già noti, ad esempio, di “Clearview” e di “Palantir” o del controllo del governo Cinese sulle minoranze.

Disinformazione e manipolazione, deepfake e fake news in primis.

 Un caso da manuale è quello di “Cambridge Analytica” e della manipolazione delle elezioni di Trinidad e Tobago.

(The Insane Cambridge Analytica Election Interference Revelations in The Great Hack).

Impatto sul lavoro:

 capire come lo scenario lavorativo cambierà e che impatti ci saranno sull’occupazione è uno dei grandi temi sociali sollevati dall’AI.

Alcune ricerche evidenziano guadagni di produttività importanti, ad esempio, con l’uso dell’”AI generativa”, insieme a rischi che richiedono un’attenta vigilanza.

“Last but not least”, le famigerate “LAWS” o armi letali autonome.

Di quest’ultimo punto, che è forse quello che più si avvicina all’idea di apocalisse, parleremo nel prossimo paragrafo.

L’esclusione dall’”AI Act” della normazione dell’uso bellico dell’AI.

Il 13 marzo 2024 il parlamento europeo ha approvato l’ “AI Act”, frutto di un accordo raggiunto tra i paesi membri a dicembre 2023.

Si tratta certamente di una pietra miliare, perché per la prima volta si tenta di regolamentare l’uso dell’AI.

Si prendono in giusta considerazione i rischi di manipolazione, i rischi di sicurezza, la protezione dei dati, il tema della trasparenza dei modelli.

L’approccio si basa sull’analisi dei rischi, che categorizza le AI in:

Rischio inaccettabile (applicazioni proibite), come sistemi di social scoring, di manipolazione o di identificazione biometrica di massa (con delle eccezioni);

Alto rischio, come le applicazioni di valutazione in ambito educativo, le applicazioni ad infrastrutture critiche ecc…;

Rischio limitato: elaborazioni di immagini, chatbots…;

Rischio minimo: videogiochi, filtri anti-spam…

Al lettore attento non sarà sfuggito che nella lista sopra non si citano le applicazioni militari.

 Infatti, nel punto 24 del regolamento si spiega che le applicazioni dell’AI per fini militari “should be excluded from the scope of this Regulation”, perché normate dal Capitolo 2 – Titolo V del TEU (Treaty on European Union) e da altre leggi nazionali e internazionali.

Time to Act! (ovvero l’elefante nella stanza).

Al di là delle motivazioni legali per l’esclusione dall’”AI Act” della normazione dell’uso bellico dell’AI, resta il fatto che l’elefante nella stanza è lì ed è davvero ingombrante.

Abbiamo normato giustamente tanti aspetti, incluso l’utilizzo ad esempio dell’”AI” per filtrare le candidature lavorative (AI Act – Annex III punto 4.a), ma ci siamo “dimenticati” dell’elefante.

Senza nulla togliere all’importanza dell’”AI Act,” strumento fondamentale per orientare la valutazione dei rischi e la predisposizione di controlli e misure di mitigazione appropriate nell’ambito dell’AI “per usi civili”, è ora indispensabile regolamentare quanto prima l’utilizzo dell’”AI” in ambito militare.

 Di esempi ce ne sono molti: dalla convenzione di Parigi sul bando delle armi chimiche al trattato per la proibizione delle armi nucleari.

Purtroppo questo non basta, perché il trattato di non proliferazione delle armi nucleari lo hanno firmato… i paesi che non hanno armi nucleari!

E il trattato sulle armi chimiche non ha impedito l’uso delle armi chimiche anche nei recenti conflitti.

Le misure che servono ora.

Tuttavia, un accordo internazionale che ponga dei limiti, ad esempio, sulle armi letali autonome è fondamentale per definire un contesto generale e per raggiungerlo l’Europa potrebbe dare un contributo fondamentale.

È importante però agire ora, prima che si generi una prassi che potrebbe diventare un punto di non ritorno.

Il passo successivo dovrebbe essere una riforma della governance mondiale su questi temi.

“ Ian Bremmer”, nella sua lucida analisi sul mondo “leaderless” che sta emergendo, propone la creazione di una “WDO “o “Wold Data Organization”.

Forse sarebbe il caso di pensare invece ad una WAIO o World AI Organization, per governare e orientare la ricerca e lo sviluppo di “strumenti di AI a servizio dell’uomo”, tenendo lo sguardo fisso sui veri rischi, senza farci ingannare da sensazionalismi mediatici che ci portano a temere il tipo sbagliato di apocalisse.

 Prima che l’elefante faccia danni irreparabili e forse, da quello che stiamo vedendo emergere sul campo, questa volta veramente apocalittici.

 

L’intelligenza artificiale può

 autonomamente decidere di

mettere fine al genere umano?

Vocedelnordest.it – Redazione – NICOLINI MASSIMILIANO – (29 -maggio  2023) – ci dice:

 

Una delle paure che in questo momento attanagliano milioni di individui sulla faccia della terra è proprio quella di comprendere se l’intelligenza artificiale potrà eventualmente in futuro prendere sopravvento sull’umanità.

Per cercare di capire, allo stato attuale, quali possono essere questi rischi abbiamo impostato diversi modelli di simulazione utilizzando le logiche dei più conosciuti sistemi di intelligenza artificiale oggi esistenti ed utilizzati a vari livelli della società.

Ci siamo avvalsi di una base di dati simulata che ha replicato per circa 5 miliardi i modelli comportamentali e relazionali di un campione di individui che si è prestato alla sperimentazione, mettendo a disposizione per un periodo di sei mesi il proprio dataset di informazioni relative alle loro attività di natura digitale e a quelle attività che diventano digitali prendendo spunto dalle attività fisiche dell’individuo stesso, quindi abbiamo ricreato con alcune modificazioni di questi gruppi di informazione.

 Ciò che potenzialmente un sistema di intelligenza artificiale può avere acquisito nel tempo su tutta la popolazione umana che potremmo definire “popolazione umana attiva”.

Per far questo ci siamo avvalsi di uno strumento essenziale ovvero un Client collegato ad un elaboratore quantistico che gentilmente ci è stato messo a disposizione da un’azienda partner di questa sperimentazione.

L’informazione è generata ha permesso di comprendere come diversi modelli strutturati di intelligenza artificiale potrebbero comportarsi nel momento in cui venissero definiti come algoritmi di attacco, successivamente secondo quanto stabilito dalle norme etiche dei Padri fondatori della Moderna scienza delle informazioni, abbiamo deciso di trattenere solo ed unicamente il risultato per poterlo presentare e pubblicare meramente in forma testuale ma di comune accordo con il gruppo di lavoro che ha realizzato questo esperimento abbiamo convenuto di distruggere completamente tutta quanta la programmazione eseguita, anche se mera simulazione, per evitare che potesse essere utilizzata a scopi non dimostrativi e non scientifici.

 Quindi quello che oggi andiamo a denunciare, in modalità unicamente testuale, è la risultanza di ciò che i modelli di elaborazione che abbiamo creato hanno determinato come risultato, presupposto fondamentale è che tali modelli sono stati generati dall’uomo e non in maniera autonoma da alcun sistema di intelligenza artificiale che come vedrete nella descrizione che segue di questa sintesi si comprende come ciò sia solo possibile allo stato attuale nei libri di fantascienza, nei testi cyberpunk, ma impraticabile praticabile nella realtà.

L’IA è già in possesso di ogni codice, formula o altro tipo di meccanismo di identificazione basato solo su credenziali digitali, questo va da sé che nel momento in cui abbiamo creato il codice più sicuro del mondo non eravamo soli, eravamo insieme ad un computer e quel computer ha memorizzato ogni nostra azione anche solo nella memoria dell’uso della tastiera, questo significa che un iA strutturata per ricostruire tutti i passaggi fatti su tutti i computer del globo e progettata per ricostruirli potenzialmente può fare quello che qualsiasi uomo oggi può fare ovunque ci sia un segnale elettrico o digitale (basti pensare che le tre chiavi che servono per attivare un attacco nucleare sono sì chiavi fisiche ma che danno input ad un congegno basato su elettronica un segnale, l’IA può essere un grado di riprodurre quel segnale).

Creare un’intelligenza artificiale (AI) è un processo complesso e richiede competenze specializzate in matematica, informatica e scienze cognitive.

 Di seguito, sono elencati i passaggi generali per creare un’AI:

Definizione dell’obiettivo: prima di tutto, è necessario definire l’obiettivo dell’AI, cioè cosa si vuole che l’AI sia in grado di fare.

Ad esempio, può essere necessario creare un sistema di riconoscimento vocale, un chatbot per il customer service o un sistema di guida autonoma.

Raccolta dei dati: L’AI si basa sui dati, quindi è necessario raccogliere una grande quantità di dati pertinenti all’obiettivo. Questi dati possono essere raccolti da diverse fonti, ad esempio da sensori, da input dell’utente o da database.

Preparazione dei dati: Dopo aver raccolto i dati, è necessario prepararli per l’analisi dell’AI. Ciò può includere la pulizia dei dati, la rimozione dei dati incompleti o danneggiati, la normalizzazione dei dati e la creazione di etichette per il riconoscimento dei modelli.

Scelta dell’algoritmo: L’AI utilizza algoritmi di apprendimento automatico per analizzare i dati e riconoscere i modelli. Esistono diverse tecniche di apprendimento automatico, come le reti neurali artificiali, i “support vector machine” o gli alberi di decisione.

È importante scegliere l’algoritmo giusto in base all’obiettivo e al tipo di dati raccolti.

Creazione del modello: Dopo aver scelto l’algoritmo, è necessario creare un modello di apprendimento automatico.

Questo modello è costituito da un insieme di regole matematiche che l’AI utilizza per analizzare i dati e riconoscere i modelli.

Il modello deve essere addestrato utilizzando i dati raccolti nella fase precedente.

Test del modello: Dopo aver addestrato il modello, è necessario testarlo utilizzando dati di test separati dai dati utilizzati per l’addestramento.

Ciò aiuta a verificare che il modello sia in grado di generalizzare e riconoscere i modelli correttamente anche su dati che non ha mai visto prima.

Implementazione dell’AI: Dopo aver testato il modello, è possibile implementarlo nell’applicazione desiderata. Ciò può richiedere la scrittura di codice, l’integrazione con altri sistemi o l’implementazione di una GUI per l’interazione con l’utente.

Monitoraggio e miglioramento: Una volta implementato, l’AI deve essere continuamente monitorato e migliorato. Ciò può includere la raccolta di nuovi dati, il “ritraining” del modello e l’aggiornamento dell’algoritmo in base ai nuovi sviluppi in campo AI.

Ci sono diversi linguaggi di programmazione che possono essere utilizzati per sviluppare intelligenze artificiali.

Alcuni dei linguaggi di programmazione più popolari per lo sviluppo di intelligenza artificiale includono:

Python: è uno dei linguaggi di programmazione più utilizzati per lo sviluppo di intelligenza artificiale.

Python offre numerose librerie e framework per l’elaborazione dei dati e il machine learning, come ad esempio TensorFlow, Keras e Scikit-learn.

R: è un altro linguaggio di programmazione popolare per il machine learning e l’analisi dei dati.

R offre numerose librerie e framework per l’elaborazione dei dati, la visualizzazione dei dati e il machine learning, come ad esempio “ggplot2” e “caret”.

Java: è un linguaggio di programmazione molto utilizzato per lo sviluppo di applicazioni e sistemi distribuiti, tra cui le applicazioni di intelligenza artificiale.

 Java offre anche numerose librerie e framework per il machine learning, come ad esempio “Weka” e “Deeplearning4j”.

 

C++: è un altro linguaggio di programmazione popolare per lo sviluppo di intelligenza artificiale.

C++ offre elevate prestazioni computazionali e una vasta gamma di librerie per il machine learning, come ad esempio “TensorFlow” e “Caffe”.

 

MATLAB: è un ambiente di programmazione utilizzato principalmente per l’elaborazione dei segnali, la modellizzazione matematica e il machine learning.

MATLAB offre numerose librerie per l’elaborazione dei dati e il machine learning, come ad esempio “Neural Network Toolbox “e” Statistics and Machine Learning Toolbox”.

 

Un algoritmo di autoapprendimento (o machine learning) è un algoritmo che utilizza tecniche matematiche e statistiche per analizzare dati e imparare da essi, senza essere esplicitamente programmato per eseguire determinate operazioni.

 In altre parole, l’algoritmo di autoapprendimento utilizza i dati per “addestrarsi” a riconoscere i modelli nei dati e a fare predizioni o decisioni basate su tali modelli.

 

Il funzionamento di un algoritmo di autoapprendimento può essere suddiviso in tre fasi principali:

Addestramento: durante questa fase, l’algoritmo viene alimentato con un grande set di dati di esempio, che sono composti da una serie di caratteristiche o attributi e da una variabile di output desiderata (ad esempio, una classificazione o una predizione).

L’algoritmo analizza i dati di esempio e cerca di identificare i modelli e le relazioni tra le caratteristiche e l’output desiderato.

 Questo processo di identificazione dei modelli viene anche chiamato “apprendimento”.

 

Validazione: una volta addestrato, l’algoritmo viene testato su un set di dati di validazione o di test che non sono stati utilizzati durante la fase di addestramento.

Questa fase serve a verificare che l’algoritmo sia in grado di generalizzare e di fare predizioni o decisioni accurate su dati che non ha mai visto prima.

Utilizzo: una volta addestrato e validato, l’algoritmo può essere utilizzato per fare predizioni o decisioni su nuovi dati. L’algoritmo utilizza i modelli appresi durante la fase di addestramento per riconoscere i modelli nei nuovi dati e fare predizioni o decisioni basate su tali modelli.

L’algoritmo di autoapprendimento può essere suddiviso in diverse categorie, come ad esempio l’apprendimento supervisionato, l’apprendimento non supervisionato e l’apprendimento per rinforzo.

Ogni categoria utilizza tecniche matematiche e statistiche diverse per apprendere dai dati, ma il principio di base rimane lo stesso: l’algoritmo utilizza i dati per identificare i modelli e fare predizioni o decisioni basate su tali modelli.

 

L’Intelligenza Artificiale (IA) in sé non ha l’intenzione di distruggere il mondo conosciuto, ma come qualsiasi altra tecnologia potrebbe avere effetti indesiderati se non gestita correttamente.

In linea di principio, l’IA potrebbe rappresentare una minaccia se venisse utilizzata per scopi nefasti o se non fosse sufficientemente controllata o regolamentata.

Ad esempio, se un’IA potente finisse nelle mani sbagliate, potrebbe essere utilizzata per attaccare sistemi informatici, violare la privacy delle persone, diffondere disinformazione o provocare danni fisici.

Inoltre, l’IA potrebbe anche presentare rischi indiretti, ad esempio se venisse utilizzata per creare armi autonome, oppure se sostituisse troppi posti di lavoro umani, causando disoccupazione di massa e instabilità sociale.

 

Per evitare questi rischi, è importante che l’IA sia sviluppata in modo responsabile, con un’attenzione particolare alla sicurezza, alla privacy, all’etica e alla responsabilità sociale.

Ciò implica la definizione di norme e standard per la progettazione e l’uso dell’IA, nonché la formazione e la sensibilizzazione delle persone sulle sue implicazioni e i suoi limiti.

Una delle principali preoccupazioni riguardo all’AI è il rischio che si possa evolvere in modo autonomo al di là del controllo umano e causare danni catastrofici.

Questo scenario, noto come “singolarità tecnologica” o “AI super intelligente”, è ancora considerato improbabile dalla maggior parte degli esperti di AI, poiché richiede un’evoluzione estremamente complessa e altamente improbabile dell’AI.

Tuttavia, è importante continuare a monitorare e sviluppare politiche e strumenti per garantire che l’AI rimanga sotto controllo umano e che i suoi effetti siano sempre monitorati e valutati.

Un’altra possibile minaccia dell’AI è il rischio di essere utilizzata per scopi malintenzionati, come il cybercrimine, la guerra cibernetica, la manipolazione dell’opinione pubblica o il controllo dei sistemi critici, come le infrastrutture energetiche o di trasporto.

Questo richiede anche una stretta collaborazione tra governi, aziende, esperti di sicurezza informatica e altri “stakeholder” per garantire che l’AI sia utilizzata in modo etico e responsabile.

Inoltre, l’automazione causata dall’AI potrebbe portare a una disoccupazione di massa in alcuni settori, creando disuguaglianze sociali ed economiche.

 Per evitare questo rischio, sarà necessario sviluppare politiche per mitigare gli effetti della disoccupazione causata dall’automazione, come l’istruzione e la formazione continua, la redistribuzione delle risorse e l’accesso alla protezione sociale.

In generale, l’AI ha il potenziale di portare molti benefici al mondo, ma è importante considerare i rischi e sviluppare politiche e strumenti per mitigarli.

Cosa può succedere se un IA viene progettata per questo e perché saremo necessariamente sterminati nel giro di poco, ecco uno scenario potenzialmente controllabile da parte di una intelligenza artificiale, ovvero da un algoritmo non deterministico progettato con finalità di attacco:

Attacco ai sistemi elettrici, spegnimento delle centrali.

Mancanza energia anche per pompe sollevamento acqua.

Attacco alle elettroniche di controllo degli UPS.

Solo sistemi con generatori a gasolio funzioneranno per un tempo limite al massimo di 48/72 ore.

Invio informazioni di spegnimento ai sistemi satellitari di localizzazione e comando con conseguente cecità di molte delle infrastrutture militari e civili.

Controllo di ogni elettro porta o elettro serratura esistente dotata di sistema di comando remoto con input di blocco appena un attimo prima dei punti 1 e 2.

Anche attraverso l’ausilio di comandi tipo bluetooth o di domotica.

Le pompe di benzina saranno disattivate ed esauriranno l’energia delle loro batterie.

I sistemi dei bunker dove si rifugeranno i governi si disattiveranno lasciando senza ossigeno gli occupanti, per chi potesse sopravvivere attraverso ricambio d’aria naturale varrà l’azione 19.

Interruzione dei segnali VoIP, 5g e telefonici.

Interruzione del funzionamento delle centrali radio.

Interruzione delle reti Lorawan.

Blocco del controllo del traffico aereo, navale e ferroviario con conseguente sequenza di collisioni ed incidenti.

Macchina dei soccorsi ignara di tutto si precipiterà sui luoghi dei disastri come anche migliaia di curiosi.

Attivazione di piccole centrali non presidiate lontano dai centri abitati ma a meno di 25km da esse per uso dell’ IA per la ricarica dei droni civili.

Comando e controllo di droni civili e mezzi dotati di guida autonoma.

Sorvolo e controllo del territorio.

Invio informazioni a centro militare.

Tutte le forze militari del mondo utilizzano i medesimi protocolli di comando quindi per l’IA è facile rendere interoperabile il suo comando.

Presa di comando delle unità nucleari.

Lancio indiscriminato di armamenti senza reali obiettivi.

Presa di comando unità missilistiche.

Lancio indiscriminato senza reali obiettivi.

Presa di comando del controllo di droni militari armati.

Raccolta delle informazioni dei droni civili per invio di attacchi mirati a persone e luoghi.

I droni con IA identificano le persone in strada e le colpiscono.

Nelle città dove ci sono sopravvissuti le persone non possono uscire di casa se no vengono colpite dai droni.

Impossibile rifornirsi di alimenti e acqua.

La difesa militare è paralizzata, aerei non possono volare, quelli in volo esauriranno il carburante, i sottomarini diverranno tombe d’acciaio per gli equipaggi, le strutture sul territorio scampate agli attacchi esauriranno presto i proiettili.

La popolazione delle città viene sterminata in meno di 4 settimane.

Le popolazioni delle campagne e del sud del mondo possono sopravvivere qualche settimana in più.

In parte saranno assoggettati dall’IA per la gestione delle attività temporanee.

La maggior parte della popolazione mondiale assoggettata identifica l’IA come un idolo ed essere superiore.

Perché potrebbe verificarsi e come quanto sopra descritto.

L’analisi parte dal concetto di base che attualmente la stragrande maggioranza dei sistemi informativi del mondo è comunque basata su architetture e algoritmi che in parte originaria prendono ispirazione e costruzione da algoritmi di base di “tipo booleano”.

Quindi in un’ottica di predisposizione di un algoritmo che ovviamente deve tenere conto anche della conoscenza di tutti i sistemi informativi sia civili sia militari distribuiti a livello globale è possibile costruire una sequenzialità di azioni che, in tempo estremamente rapido, l’algoritmo di intelligenza artificiale può eseguire configurando una sorta di “Domino delle reti informatiche”.

Gli attuali modelli della cosiddetta scienza dell’intelligenza artificiale si basano su una configurazione che è definita “modello di algoritmo non deterministico ad output programmabile”, questo tipo di algoritmo è in grado di incrementare la sua base di informazioni secondo la teoria e la dinamica dei tentativi; 

si può configurare quindi il fatto che un algoritmo padre può successivamente inoltrare dei sotto algoritmi appositamente strutturati e definiti in quello che viene chiamato output programmabile ovvero dove il programmatore, quindi l’uomo, definisce quale deve essere il risultato che questo algoritmo deve ottenere. 

L’algoritmo quindi genera miliardi di tentativi acquisendone conoscenza e archiviando gli obiettivi falliti fino a che non ottiene il risultato desiderato.

È ovvio che il tempo di elaborazione dell’algoritmo è molto maggiore rispetto al tempo di azione che l’individuo può introdurre.

 

Contrattacco da parte di algoritmi di difesa rispetto ad un’intelligenza artificiale aggressiva.

 

Possono ovviamente esistere dei sistemi di difesa che cercano di controbattere eventuali attacchi da parte di un algoritmo non deterministico questo però presuppone che anche gli algoritmi di difesa siano costruiti secondo il medesimo schema dell’algoritmo di attacco, di fatto è impossibile conoscere la programmazione dell’algoritmo di attacco per generarne uno di difesa questo perché il segreto del programmatore è proprio nella stesura del codice di azione del suo algoritmo e siccome vuole ottenere il risultato definito dall’output programmabile ovviamente non metterà mai a disposizione sorgenti del suo sistema di attacco perché vanificherebbe tutto il suo lavoro.

Quindi allo stato attuale organizzare un sistema di difesa efficiente risulta alquanto difficoltoso ed improbabile.

 

Anche perché l’algoritmo di attacco non si pone come qualcosa di invasivo ma va a simulare l’attività di un qualsiasi operatore nell’accesso ad un sistema informativo, questo effettivamente da molte esperienze eseguite in laboratorio provate da più di due anni, inganna in maniera pressoché infallibile tutti gli algoritmi di controllo che i vari sviluppatori di software mettono in atto anche quelli più elaborati e più raffinati vedi il caso dell’ sm2p.

 

Cerchiamo di comprendere quale sia la ratio della logica di interconnessione degli algoritmi di attacco con i target da raggiungere.

 

Ripartendo dal presupposto che abbiamo indicato sopra ovvero dove la logica alla base comunque quella di tipo binario possiamo ragionare che tutte le attività ad oggi eseguibili sono sostanzialmente in maniera ideale già disegnate schematizzate in un unico grande pannello di controllo dell’informazione binarie che l’algoritmo può leggere in maniera molto più facilitata rispetto all’individuo.

Questo significa che l’algoritmo di attacco può effettuare molte simulazioni in tempo molto rapido ed ottenere già nell’ambito della parte di simulazione potenzialmente i risultati certi che andrebbe ad ottenere gestendo direttamente il target che deve attaccare, ovvero per esempio può elaborare e analizzare i file di digitazione delle tastiere dei computer di comando e da quelli comprendere e acquisire quali possono essere i movimenti e i comandi più frequenti che vanno a generare una determinata attività.

 

Il ragionamento che sta alla base della creazione di un algoritmo di attacco di questo tipo deve partire necessariamente da un desiderio diretto del programmatore e non può di certo essere una decisione autonoma dell’algoritmo stesso.

 Questo non è possibile perché allo stato attuale tutti i linguaggi di programmazione che permettono di generare intelligenze artificiali sono comunque dei linguaggi di programmazione che richiedono delle istruzioni di partenza e di destino molto ben definite e molto ben chiare che solo il programmatore in fase di stesura del codice può dichiarare, quindi non è vero che l’intelligenza artificiale può ottenere una capacità autonoma di andare a colpire obiettivi senza aver avuto prima un’informazione chiara da parte del programmatore.

 

Le infinite capacità di calcolo per esempio di computer di tipo quantistico possono estendere sostanzialmente all’infinito la capacità di elaborazione di scenari alternativi ed andare ad identificare con certezza ciò che accadrà come accadrà e quando accadrà, di fatto un algoritmo strutturato in questo modo può effettivamente riuscire a distribuire dei risultati che poi nella realtà effettivamente vengono attesi.

Possiamo dire che un algoritmo di attacco di questo tipo, non deterministico, è la versione digitale della macchina a rotori di “Turing” che nella Seconda Guerra Mondiale permise di decifrare “Enigma”.

 

Quello che è importante comprendere e che tutto ciò che viene fatto passare attraverso un segnale digitale o un segnale elettrico che viene poi convertito in digitale, un algoritmo scritto nella maniera corretta è in grado di individuarlo di controllarlo e di decodificarlo per una determinata singola azione,  se aggiungiamo a questo il fatto che l’algoritmo e i sotto algoritmi possono essere lanciati innumerevoli volte attraverso la rete in tutte le parti del mondo conosciuto va da sé che da una singola centrale operativa, da un singolo computer, può essere lanciato un algoritmo che può potenzialmente, e non solo teoricamente, raggiungere dei target predeterminati prefissati ed eseguire su ognuno di essi le azioni che il programmatore ha deciso che devono essere eseguite.

Quello che un algoritmo di attacco di questo tipo ovviamente può fare è quello di avere al suo interno dei sotto algoritmi dedicati e strutturati per specifici attacchi, ma qual è la vera potenzialità che ha una situazione di questo tipo per rendere estremamente complessa la macchina di difesa?

La principale arma dell’algoritmo di attacco e dei suoi sotto algoritmi è sicuramente la velocità di esecuzione, tutto il gruppo di attacco viene lanciato in maniera simultanea e quindi l’obiettivo principale dell’algoritmo non è tanto quello di andare a colpire l’individuo ma nella prima fase è sicuramente quello di andare a creare una enorme destabilizzazione e generare caos globale interrompendo per esempio le trasmissioni piuttosto che intervenendo sui sistemi di erogazione dell’energia elettrica bloccandoli o rendendone difficile l’accesso.

Proprio in questo contesto l’algoritmo di attacco ottiene i risultati maggiori perché generando una prima ondata a livello globale di blocco di alcune funzionalità standardizzate, che perlopiù a livello mondiale utilizzano i medesimi sistemi di medesimi protocolli (Questo potrebbe essere identificabile come un difetto della globalizzazione della programmazione dei sistemi informativi ) ottiene un risultato che di per sé di informatico non ha nulla ovvero la situazione di panico globale che vanno a generare queste prime inefficienze di sistema che sono i primi obiettivi dell’attacco, è che paralizzano l’elemento fondamentale che può attivare le difese a livello globale ovvero l’uomo è i gestori di sistema che ovviamente saranno coinvolti da questo punto di vista anche loro stessi come individui nella situazione globale di caos e panico.

Sostanzialmente in questa fase andando a colpire i sistemi essenziali, e ripeto comunque un obiettivo definito e chiaro da parte del programmatore e l’algoritmo non lo ha generato da sé, si apre il campo hai sotto algoritmi per andare a colpire dei sottoservizi e delle attività dirette e specifiche che, approfittando della situazione generata dall’attività precedente, possono operare in maniera indisturbata ed andare a colpire altri obiettivi.

Immaginiamo quindi che l’algoritmo di attacco abbia nella prima fase annullato l’erogazione di energia in gran parte del globo terrestre riconosciuto, successivamente un sotto algoritmo decide di attivare una serie di piccole centrali localizzate in posti inaccessibili che però permettono l’erogazione di energia elettrica che è di fatto vitale per l’algoritmo stesso.

L’uomo ovviamente non conoscendo quali di queste unità l’algoritmo e i suoi sotto algoritmi hanno identificato come utili e non avendo a disposizione dei mezzi sufficienti per effettuare la ricognizione sarà sostanzialmente sottomesso alle azioni susseguenti che i sotto algoritmi andranno in zone territoriali distinti a realizzare.

Ovviamente ci stiamo domandando quale mente potrebbe avere una conoscenza così globalizzata del mondo intero per poter andare ad analizzare in maniera così chiara e definita tutte queste azioni

in realtà questo non è vero in quanto l’algoritmo di attacco viene programmato per andare a individuare dei target ben precisi e sfruttando la rete può agire completamente in tutto il mondo in tempi molto ristretti quindi non esiste la necessità di programmare quali oggetti e dove devono essere colpiti ma l’algoritmo di attacco conterrà le informazioni per andare ad identificare ciò di cui ha necessità in quel momento e quindi, per esempio, per identificare delle centrali elettriche distaccate attraverso le quali alimentarsi potrà utilizzare le informazioni contenute nei server e quindi raccogliere posizionamenti tramite la geolocalizzazione delle centrali che ovviamente oggi è dato alla portata di chiunque.

Tutte le azioni che sono definite nell’elenco di ipotesi probabili che vanno dal punto 1 al punto 24 sono tutte comunque collegate a sistemi che effettivamente potrebbero essere oggetto di un algoritmo di attacco e che allo stato attuale potrebbero risultare particolarmente vulnerabili soprattutto perché l’algoritmo di attacco non nasce nel momento in cui si decide di scatenare l’offensiva ma viene predisposto con molto anticipo perché, attraverso un’operazione di mascheramento come potrebbe essere questo gioco divertente chiamato “chat GPT”, acquisisce dalle vite di tutti noi tutte le possibili e potenziali informazioni che poi può utilizzare nel momento in cui decide di sferrare l’attacco.

 Quindi in realtà noi ci stiamo preoccupando tantissimo di un intelligenza artificiale che prenda il comando e controllo ma allo stato dell’analisi attuale e della realtà dei fatti noi è da almeno otto anni che stiamo trasferendo ai server di compagnie che ora stanno elaborando pericolosissimi sistemi di manipolazione dell’informazione e abbiamo concesso a loro la capacità di creare dei modelli matematici ed algoritmici che possono fornire la base di informazioni che l’algoritmo di attacco utilizzerà per abbattere tutti i tempi operazionali, ovvero, noi abbiamo raccontato tutto della nostra vita di ciò che facciamo dei codici che conosciamo delle password che abbiamo al mondo digitale che ci circonda e tutte queste informazioni fanno parte oggi di un unico grande contenitore che viene anche attualmente continuativamente alimentato e che sostanzialmente sta definendo tutti gli scenari e fornendo tutte le risposte limitando di fatto ciò che all’inizio di questa esposizione abbiamo chiamato tentativi.

 

La parte più intelligente dell’intelligenza artificiale è quella di dare la colpa agli uomini.

 

Quello che un programmatore in questo momento può fare qualora fosse in possesso di questa mole di informazioni è semplicemente quello di identificare quelli che sono i target che devono essere colpiti e che verranno colpiti attraverso la gestione silenziosa e invisibile del gemello digitale informativo che ognuno di noi ha utilizzato in tutti questi anni.

Questo significa che l’algoritmo di attacco sostanzialmente utilizzerà le nostre vite digitali per eseguire le azioni, quindi la parte più intelligente dell’algoritmo è proprio quella relativa al fatto di risultare sostanzialmente incolpevole e di trasferire la colpevolezza delle singole azioni a singoli individui che quindi generano ancora più confusione ed ancora più caos nella fase iniziale della generazione dell’attacco.

Se l’attacco va a buon fine quali sono le conseguenze per l’umanità.

Se l’attacco dell’algoritmo e dei suoi sotto algoritmi andasse veramente completamente a buon fine le conseguenze per l’umanità non sarebbero eccezionali, questo non perché avremo dei droni robot che ci inseguiranno e ci spareranno a vista, ma perché sostanzialmente il mondo come oggi noi lo conosciamo si fermerà nell’arco di poche giornate;

 l’uomo ha la capacità di vivere senza mangiare e senza bere per poco tempo, quindi se i creatori dell’algoritmo di attacco decidessero di dotare tutti i droni che oggi esistono sulla faccia della terra, parliamo di diverse centinaia di migliaia di apparecchi, di un collegamento che permettesse loro di riconoscere i movimenti delle persone e di intervenire per farli rientrare nelle loro abitazioni, abitazioni delle quali le provviste sono terminate e non esiste la possibilità di abbeverarsi perché sono stati staccati tutti i sistemi elettrici e quindi anche le pompe di sollevamento che portano l’acqua nelle case degli appartamenti non funzionano, il territorio di questa natura entro 30 giorni potrebbe completamente estinguersi con  la popolazione residente;

 una vita più lunga sicuramente avranno gli abitanti delle Campagne che magari oggi sono scherniti per la vita rozza che fanno ma che in una condizione di questo tipo potrebbero essere gli unici ad avere la possibilità di sopravvivere in quanto utilizzano per esempio per abbeverarsi dei pozzi e per mangiare hanno la capacità di coltivare e di allevare animali.

 

Ma possibile che non esista la capacità di reagire da parte per esempio delle forze militari ad una situazione di questo tipo.

 

Potrebbe esistere una timida Resistenza che però ovviamente, essendo allo stato attuale tutte le forze armate del mondo basate completamente su sistemi elettronici informatici e satellitari, dicevamo ovviamente potrebbe contenere qualche azione delle attività dell’algoritmo di attacco ma nel medio breve periodo, quindi al massimo in un tempo limite di 45 giorni, dovrebbero necessariamente abbandonare la presa e mettere a terra tutte le possibilità di difesa che hanno quindi il” sistema Mondiale della Difesa” diventerebbe di fatto inerme da questo punto di vista, senza calcolare la possibilità dell’algoritmo di controllo e di un eventuale sotto algoritmo dedicato al comando controllo delle piattaforme che permettono il lancio di missili e testate.

La velocità di un computer dipende dalle specifiche del computer stesso, come il processore, la memoria e la velocità di trasferimento dei dati.

 In generale, un computer moderno è in grado di elaborare informazioni a una velocità molto superiore a quella di un essere umano.

Ad esempio, il processore più veloce del 2021, il “Fujitsu A64FX,” ha una velocità di elaborazione di oltre “2 teraflop al secondo”, ovvero circa 2 trilioni di operazioni matematiche al secondo.

 

D’altra parte, la velocità di elaborazione delle informazioni da parte degli esseri umani dipende da diversi fattori, come l’esperienza, la formazione e la motivazione.

 In generale, gli esseri umani sono in grado di elaborare informazioni più lentamente dei computer, ma sono in grado di eseguire compiti che richiedono capacità cognitive complesse, come la creatività, la comprensione del linguaggio naturale e la capacità di apprendere in modo autonomo.

In sintesi, i computer sono generalmente in grado di elaborare informazioni a una velocità molto superiore rispetto agli esseri umani, ma gli esseri umani sono in grado di eseguire compiti che richiedono abilità cognitive complesse che i computer non possono ancora eseguire.

È stato rilevato che il cervello umano possiede una frequenza intorno ai 20 Hz mentre invece il processore del peggior computer oggi in commercio può raggiungere i 4 GHz, Questo significa che se ci rapportiamo in un tempo di combattimento tra l’algoritmo di attacco e le difese territoriali di 45 giorni in realtà l’algoritmo di attacco ragiona il suo tempo in funzione all’elaborazione che può fare e sostanzialmente può eseguire 4 miliardi di operazioni in più nello stesso medesimo istante rispetto all’uomo, questo significa che in tempo uomo fosse questa battaglia combattuta tra esseri umani sarebbe sostanzialmente una guerra pressoché infinita, mentre per l’algoritmo di controllo tutto si va ad esaurire in un tempo limite di 45 giorni.

 

 A chi può giovare una situazione di questo tipo.

In prima analisi ovviamente viene da attribuire l’unico vantaggio al realizzatore dell’algoritmo di attacco e dei suoi sotto algoritmi, di per sé l’algoritmo fino a se stesso non ha un interesse programmato nel compiere questa strage proprio perché una volta terminato il suo lavoro di fatto l’algoritmo si ferma perché non ha più target da raggiungere non ha più elaborazioni da fare non ha più attività da eseguire, a meno che il programmatore non abbia realizzato dei sotto algoritmi per la fase 2 ma in questo momento stiamo parlando della reale pericolosità di un algoritmo non deterministico o cosiddetto di intelligenza artificiale finalizzato a combattere l’essere umano.

È ovvio che al termine di questa situazione risulteranno alcune zone che il programmatore ha volutamente lasciato indenni dagli attacchi e lì vanno ritrovati i beneficiari di questa attività.

Una situazione del genere potrebbe essere utilizzata per esempio per abbattere interi territori e colpire zone densamente popolate che oggi sono in continua crescita e che effettivamente destano timore a quello che noi possiamo chiamare il mondo occidentale e soprattutto il mondo che ritiene di essere la parte principale prevalente e superiore rispetto al resto dell’umanità che però purtroppo è estremamente vecchia e non ha una natalità sufficiente per poter garantire il proseguimento delle generazioni su un determinato territorio.

Potrebbe essere attivata per esempio per far sì che potenze tra di loro amiche vadano in conflitto non comprendendo bene a chi la colpa potrebbe essere attribuita.

Conclusione.

La conclusione a questa breve analisi è che un algoritmo di intelligenza artificiale senza una precisa volontà dell’uomo che lo ha costruito ed istituito non può sostanzialmente nuocere a nessuno, non esiste la possibilità che un codice in maniera autonoma non progettato con delle finalità specifiche intraprenda un percorso di aggressione a qualcosa che in realtà non conosce e per il quale non è interessato a conoscerne le funzionalità, quindi l’intelligenza artificiale può essere effettivamente pericolosa alla stessa stregua di un’arma da fuoco, che se riporta in una teca museale non può nuocere a nessuno ed anzi diventa uno strumento di accrescimento culturale ma se estratta e caricata con un proiettile nella mano di qualcuno che la vuole utilizzare può diventare un oggetto che determina l’eliminazione fisica di un individuo, alla stessa stregua l’intelligenza artificiale si comporta.

(In definitiva siamo tutti …fottuti! N.D.R.)

  

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