Governare il mondo è un compito arduo.
Governare
il mondo è un compito arduo.
L’arduo compito per
Europa
e Usa.
Avvenire.it
- Adrea Lavazza – (19 ottobre 2023) – ci dice:
Provare
a sedersi a un tavolo.
L’esplosione
dell’altra sera all’ospedale “Al Ahli Arab” ha reso ancora più livida e
infuocata la situazione in Medio Oriente.
Nella periferia di Gaza City si è consumata –
ed è stata denunciata una tragedia che ha già cambiato, almeno parzialmente,
l’andamento della crisi apertasi il 7 ottobre con il feroce attacco
terroristico di Hamas a Israele.
Si è
subito strappata la tela del dialogo che gli Stati Uniti si accingevano a
tessere e le piazze sono tornate a ribollire, animate anche dal risorgente
antisemitismo, ed Hezbollah ha rafforzato le sue minacce di un intervento al
confine Nord.
Com’è noto, dal primo giorno la risposta del
governo di Tel Aviv si sta concretizzando in attacchi mirati alle basi del
movimento palestinese nella Striscia.
Quanto
possano essere chirurgici i tentativi legittimi di difendersi – i lanci di
razzi non sono mai cessati – e di colpire i responsabili del raid che ha fatto
oltre 1.400 morti e 200 ostaggi è una questione decisiva in questa fase del
conflitto.
Sul
centro medico gestito dalla Chiesa anglicana, se si fosse trattato di un
bombardamento delle forze armate con la stella di Davide, ogni proporzionalità
sarebbe stata violata, anche ammesso che nella struttura, insieme ai moltissimi
civili, si nascondessero armi o combattenti.
I leader di “Hamas” hanno veicolato la tesi di
un attacco che avrebbe provocato quasi 500 vittime fra pazienti e persone
inermi in cerca di rifugi sicuri.
La notizia ha immediatamente sollevato
l’indignazione e la rabbia non solo nella regione.
Il
primo effetto è stato la cancellazione degli incontri tra il presidente
americano, volato ieri a Tel Aviv con una fitta agenda, il re di Giordania e
Abu Mazen, leader dell’“Anp”.
Il
viaggio di “Joe Biden” era atteso come un momento di rilancio dell’azione
diplomatica tesa a spegnere l’incendio che sta divampando sulle rive del
Mediterraneo.
Il capo della Casa Bianca ha confermato
l’appoggio senza esitazioni a Israele – navi e aerei schierati, promesse di
aiuti straordinari, veto al Consiglio di sicurezza Onu a una proposta di “pausa
umanitaria” – ma ha cercato per quanto possibile di raffreddare gli animi,
mentre nel mondo arabo divampavano le proteste per l’ultima strage.
Ha convinto Netanyahu a concedere assistenza
alla popolazione palestinese attraverso il valico di Rafah controllato
dall’Egitto e ha promesso 100 milioni di aiuti americani per Gaza (più
simbolici che decisivi).
“Ho
fatto richieste difficili agli amici di Israele”, ha detto.
Richieste
di non cedere ai sentimenti di rabbia e vendetta, che una democrazia non può
coltivare.
E che
possono portare ancora più in là il conflitto su cui molti soffiano da lontano.
Biden
ha confermato la ricostruzione fatta da Tel Aviv circa la paternità del
massacro nell’ospedale:
un missile difettoso della Jihad islamica –
organizzazione alleata di Hamas – caduto nel cortile.
Una
ricostruzione che soltanto un’inchiesta indipendente e tempestiva potrebbe
suffragare.
Ciò
non toglie che i dubbi rimangano sulla dinamica e il numero delle vittime,
stanti il piccolo cratere al suolo, la sostanziale tenuta dell’edificio e i
danni apparentemente non devastanti nell’area antistante.
L’annuncio di Hamas con l’accusa all’aviazione
israeliana e il bilancio agghiacciante ha però conquistato i titoli
dell’informazione in tempo reale e devastato i cuori degli spettatori, creando
una narrazione che sarà difficile rimodulare con la reale portata degli eventi,
quale che essa sia.
Se
davvero l’ordigno è il frutto di un incidente – non raro – durante i lanci
verso il nemico e, quindi, risultato di “fuoco amico”, non viene meno la
necessità di un’azione dello Stato ebraico che limiti maggiormente gli effetti
collaterali su Gaza.
Più di
tremila persone sono rimaste uccise finora, secondo i dati palestinesi.
Quattro
ospedali erano già stati danneggiati e ieri, solo per fare un esempio, è stato
distrutto un panificio industriale che serviva decine di migliaia di abitanti
nel centro della Striscia.
Non è accettabile che i miliziani continuino a
colpire Israele e minacciarne l’esistenza.
Eppure, serve anche un piano chiaro di come il
governo di Tel Aviv voglia procedere, senza allontanare di fatto la possibilità
di un ritorno alla convivenza nella regione.
Biden
si è spinto a dire di non ripetere gli errori che gli Usa commisero dopo l’11
settembre.
Inseguire
dovunque Ben Laden e i suoi seguaci che tanti lutti inflissero all’America
sembrava doveroso, ma portare la guerra in Afghanistan e in Iraq ha generato,
tra le altre nefaste conseguenze in Paesi mai veramente pacificati, la nascita
dell’Isis, con cui facciamo di nuovo i conti oggi in Europa dopo gli attentati
ad Arras e Bruxelles.
Con un credibile progetto a breve termine per
Gaza e tutti i palestinesi – i due Stati sembrano purtroppo ancora lontani – si
può provare a sedersi a un tavolo con gli interlocutori interessati (non la
Russia e probabilmente nemmeno la Cina, che difendono strumentalmente i
musulmani in Medio Oriente salvo poi spesso perseguitarli dentro i loro
confini).
Garantire
l’indispensabile sicurezza di Israele e isolare quel che resterà di Hamas,
insieme al miglioramento delle condizioni della popolazione araba, è il compito
che attende Europa e Stati Uniti con le nazioni “responsabili” della regione.
Quel
compito per cui il Papa offre profeticamente la giornata di preghiera che si
svolgerà venerdì prossimo.
La
sfida decisionale in
un
mondo complesso.
It.linkedin.com
- Alberto Viotto – (7 set 2023) – ci dice:
La
velocità con cui il mondo si evolve è in crescita costante e l'abilità di
prendere decisioni tempestive e accurate sta diventando sempre più un'arte che
una scienza.
In un ambiente in cui l’unica costante è il
cambiamento, le aziende trovano difficile navigare attraverso la nebbia della
complessità del mercato, la carenza di dati affidabili e le previsioni incerte.
La
complessità del mercato moderno.
Il
mercato di oggi è un labirinto in continuo cambiamento, caratterizzato da una
moltitudine di fattori che interagiscono tra loro in modi a volte prevedibili,
ma spesso sorprendentemente inaspettati.
L'epoca
in cui le aziende operavano principalmente nei mercati locali è ormai lontana.
La globalizzazione ha aperto le porte a un
confronto con concorrenti provenienti da ogni angolo del mondo.
Questo
ha portato a una diversificazione delle offerte, una rapida diffusione delle
innovazioni e una pressione costante sui prezzi e sulla qualità.
Il
consumatore moderno è poi molto diverso da quello di qualche decennio fa.
Dotato di strumenti digitali e di una rete
globale a portata di mano, è meglio informato, più esigente e meno fedele ai
brand.
Le
aziende devono ora affrontare il difficile compito di prevedere e soddisfare le
mutevoli esigenze di questi consumatori, che possono cambiare preferenze
basandosi su recensioni online, influencer o nuove tendenze globali.
La
tecnologia sta avanzando a un ritmo senza precedenti. Ciò che è considerato
all'avanguardia oggi potrebbe diventare obsoleto in pochi anni, se non mesi.
Le
aziende devono rimanere aggiornate sulle ultime innovazioni, altrimenti
rischiano di essere superate da nuovi concorrenti che adottano modelli di
business rivoluzionari.
Oltre
ai cambiamenti interni al mercato, le aziende devono anche tener conto delle
fluttuazioni politiche e normative.
Le decisioni prese da governi e organizzazioni
internazionali possono avere un impatto significativo su vari settori.
Ad
esempio, le guerre commerciali, le tariffe, le politiche ambientali e le
regolamentazioni sulla privacy possono influenzare profondamente le strategie
aziendali.
La
carenza di dati affidabili.
L'accesso
e l'analisi dei dati sono diventati elementi essenziali per la gestione
aziendale.
Tuttavia,
nonostante l'esplosione dei dati a disposizione, trovarne di qualità e
affidabili può essere una vera sfida.
Ironia
della sorte, in un'epoca definita "l'era dell'informazione", una
delle principali sfide non è la mancanza di dati, ma piuttosto la loro
sovrabbondanza.
La vastità di informazioni disponibili può
rendere difficile distinguere ciò che è rilevante da ciò che non lo è.
Questo
fenomeno, spesso definito "paralisi da analisi", può portare le aziende a prendere
decisioni basate su informazioni irrilevanti o fuorvianti.
Gran
parte dei dati disponibili non sono strutturati in un formato facilmente
analizzabile.
Pensiamo
ai post sui social media, alle recensioni dei clienti o ai video. Questi dati,
sebbene preziosi, richiedono strumenti e competenze avanzate per essere
trasformati in informazioni utilizzabili.
La
capacità di gestire e interpretare dati non strutturati è diventata una
competenza chiave per le organizzazioni moderne.
Anche quando i dati sono disponibili e
analizzabili, potrebbero non essere necessariamente affidabili.
Le
fonti di dati possono presentare “bias”, sia intenzionali che non.
Ad
esempio, un sondaggio online potrebbe riflettere solo le opinioni di un certo
segmento di popolazione e non essere rappresentativo dell'intera base di
clienti.
Identificare e correggere questi “bias” è
fondamentale per assicurarsi che le decisioni siano basate su dati accurati.
Con la
crescente consapevolezza e preoccupazione per la privacy dei dati, molte
aziende devono fare i conti con regolamentazioni sempre più stringenti.
Leggi
come il “GDPR” in Europa hanno imposto limiti su ciò che le aziende possono
fare con i dati dei loro utenti.
Questo
rende ancora più complicato il processo di raccolta e analisi, poiché le
aziende devono garantire che ogni dato utilizzato sia in conformità con queste
normative.
Anche
i dati più recenti possono diventare obsoleti in breve tempo.
Le aziende devono assicurarsi di avere accesso
a flussi di dati aggiornati e di essere in grado di interpretarli rapidamente
per restare competitivi.
L'arte
delle previsioni.
Prevedere
il futuro è sempre stato una sfida, ma nel contesto attuale, caratterizzato da
rapidi cambiamenti e imprevedibilità, diventa un compito ancora più arduo.
La
storia recente ci ha mostrato come eventi esterni, come pandemie, crisi
finanziarie, disastri naturali, guerre, possono avere un impatto devastante
sulle previsioni aziendali.
La teoria del cigno nero, sviluppata dal filosofo e
matematico “Nassim Nicholas Taleb”, descrive un evento non previsto che ha
effetti rilevanti e che, a posteriori, viene inappropriatamente razionalizzato
e giudicato prevedibile con il senno di poi.
Spesso
quindi, guardandoci indietro, riteniamo che alcuni eventi sarebbero stati
prevedibili, mentre in realtà non è così.
La
globalizzazione ha reso i mercati più interconnessi che mai.
Un
cambiamento in una parte del mondo può avere ripercussioni a catena in tutto il
globo.
Questa
interconnessione rende estremamente complesso fare previsioni precise, poiché
una miriade di variabili possono influenzare l'esito.
Anche
il comportamento dei consumatori è in costante evoluzione, influenzato da
fattori culturali, sociali, economici e tecnologici.
Anche
se le aziende investono in ricerche di mercato e analisi dei dati, le
previsioni basate sul comportamento del consumatore rimangono una sfida,
soprattutto in mercati nuovi o emergenti.
A
fronte di queste sfide, le aziende devono quindi dotarsi di un processo di
rivalutazione e adattamento continuo, in cui le previsioni vengono regolarmente
aggiornate in base ai nuovi dati e agli eventi mondiali.
La
difficoltà di prendere decisioni rapide in un contesto inaspettato.
La
vastità delle informazioni e l'incertezza del futuro possono portare a quello
che viene spesso chiamato "paralisi decisionale".
Di
fronte a troppi dati, opzioni o possibili esiti, le persone possono ritrovarsi
incapaci di prendere una decisione tempestiva, portando a ritardi costosi e
opportunità perse.
Se da
un lato i Big Data sono una benedizione per la comprensione del mercato,
dall'altro possono creare una dipendenza eccessiva.
Confidare ciecamente nei dati senza
incorporare intuito, esperienza e comprensione umana può portare a decisioni
fuorvianti o inadeguate, perché bisogna considerare che non abbiamo mai davvero
tutti i dati necessari a prendere una decisione certa.
C'è inoltre una crescente pressione per
prendere decisioni immediate. Tuttavia, decisioni affrettate possono non essere
sempre le migliori. Trovare un equilibrio tra reagire prontamente e prendersi il
tempo necessario per riflettere è cruciale.
Ogni
decisione comporta un certo grado di rischio.
In un
ambiente incerto, la valutazione e la gestione del rischio diventano più
complesse.
Le
aziende devono sviluppare metodi robusti per identificare, valutare e mitigare
i rischi associati alle loro decisioni.
Prendere
decisioni in un mondo in rapido cambiamento richiede un mix di analisi,
intuito, coraggio e comunicazione.
Aspetti
psicologici e sociologici.
Viviamo
nell'era dell'informazione.
Con
l'accesso istantaneo a enormi quantità di dati, la società ha sviluppato una
fame insaziabile per il "nuovo".
Questa costante necessità di aggiornamento ha
reso il mercato volatile e ha spinto le aziende a rincorrere continuamente
l'innovazione, influenzando la dinamica socio-economica.
La
rapidità con cui le notizie si diffondono e i trend cambiano ha portato a una
società dell'istantaneità.
Questa enfasi sulla velocità può erodere la
pazienza collettiva e influenzare le aspettative sociali sul tempo di risposta
e l'efficienza.
Le
aziende devono essere continuamente adattabili, anche i ruoli dei lavoratori
cambiano velocemente.
Questa
fluidità può influenzare il modo in cui le persone vedono la propria identità
professionale e il loro posto nella società.
Le
persone si trovano di fronte a nuove difficoltà che non sono state affrontate
dalle generazioni precedenti e questo porta a incertezze su come affrontarle.
- Sovraffaticamento Informativo:
L'incessante flusso di dati può causare una
sovraccarica informativa, portando a stress, ansia e una diminuita capacità di
prendere decisioni informate.
Le
persone possono sentirsi sopraffatte e incapaci di discernere ciò che è
veramente importante.
- Paralisi Decisionale: Come menzionato sopra, troppa
informazione o troppa incertezza possono portare a una paralisi decisionale.
Psicologicamente, ciò può essere legato alla
paura di fare errori o di affrontare le conseguenze di scelte sbagliate.
- Bisogno di Controllo: Gli esseri umani hanno un innato
bisogno di controllo.
In un
ambiente aziendale in rapido cambiamento, la sensazione di perdere il controllo
può avere effetti negativi sulla salute mentale, portando a sentimenti di
impotenza o ansia.
- Gestione del Cambiamento: Gli individui reagiscono al
cambiamento in modi diversi.
Mentre
alcuni vedono l'incertezza come un'opportunità, altri possono percepire la
stessa situazione come una minaccia, influenzando il loro benessere psicologico
e la loro capacità di adattarsi.
Viviamo
in un'era di accelerazione in cui l'inaspettato è diventato la norma e
l'imprevedibilità una costante affrontata dalle aziende su scala globale.
La
turbolenza del mercato, l'esplosione dei dati e la velocità dei cambiamenti
hanno creato un paesaggio complesso e spesso intimidatorio per gli imprenditori
e i manager.
Per
affrontare questa nuova realtà, le aziende devono fare più che adattarsi;
devono
diventare resilienti e anti fragili, costruendo strutture e strategie capaci non solo di
resistere agli shock, ma di trarre vantaggio da essi.
Questo
richiede un cambiamento radicale nel modo in cui pensiamo alla pianificazione,
alla leadership e alla gestione.
Al centro
di tutto ciò vi è l'importanza dell'umanità.
Mentre
ci affacciamo sulla frontiera dell'intelligenza artificiale, dei big data e
dell'automazione, è fondamentale ricordare che le macchine sono strumenti e non
sostituti per la comprensione umana, l'empatia e l'intuizione.
In
ogni decisione aziendale, in ogni previsione o modello, c'è una componente
umana irriducibile che deve essere valorizzata e preservata.
Inoltre,
in questo mare in tempesta di cambiamenti, le aziende devono riconoscere
l'importanza di costruire comunità - sia interne che esterne.
Il
supporto reciproco, la condivisione di risorse e la collaborazione possono
servire come ancore, offrendo stabilità in momenti di instabilità.
Infine,
mentre ci muoviamo in un futuro incerto, è essenziale abbracciare un senso di
curiosità e apertura.
Con la giusta mentalità, strumenti e
strategie, le aziende possono non solo sopravvivere ma prosperare, trasformando
l'incertezza in un vantaggio competitivo.
(Alberto
Viotto).
UNIONE
EUROPEA.
Perché
non sarà facile
cambiare
i trattati dell’Ue.
Pagellapolitica.it – (04 APRILE 2024) - MATTEO
NEGRI – ci dice:
Se ne
parla da tempo, in particolare per quanto riguarda il superamento del diritto
di veto, ma le procedure di riforma sono lunghe.
Questo
dibattito sarà al centro della prossima campagna elettorale.
Da
tempo ormai all’interno delle istituzioni europee si discute della necessità di
riformare i” Trattati fondativi dell’Unione europea” per adattarli al nuovo
contesto globale.
Per
esempio, nelle conclusioni del “Consiglio europeo del 21 e 22 marzo” i capi di
Stato e di governo dei 27 Stati membri dell’Ue si sono impegnati ad adottare,
entro questa estate, una tabella di marcia per i «lavori futuri» riguardanti la
riforma delle istituzioni europee.
Su
questo tema si è espresso di recente anche il” Parlamento europeo”, che nella
seduta plenaria dello scorso novembre ha chiesto formalmente al “Consiglio
europeo” di avviare una procedura di revisione dei trattati.
Nonostante
l’urgenza delle riforme sia riconosciuta da più parti, il processo di modifica dei trattati
è tutt’altro che semplice e sarà uno dei temi di discussione della campagna elettorale
delle prossime elezioni europee di giugno.
L’Unione
europea del futuro.
L’Unione
europea è disciplinata da due trattati:
il
Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione
europea (TFUE).
I testi attualmente in vigore sono il risultato di
progressive modifiche, l’ultima delle quali risale al 1° dicembre 2009.
In
seguito alle crisi e alle emergenze globali degli ultimi anni si è tornati a
discutere della possibilità di riformare questi trattati, per dotare le
istituzioni europee degli strumenti necessari per rispondere alle sfide
contemporanee, come il cambiamento climatico e la guerra in Ucraina.
In
particolare, il dibattito sulle riforme si è riacceso in seguito alla
convocazione di una “Conferenza sul futuro dell’Europa”, che tra aprile 2021 e
maggio 2022 ha coinvolto cittadini provenienti da tutti gli Stati membri.
I lavori della Conferenza si sono conclusi il
9 maggio 2022 con la presentazione di 49 proposte per cambiare l’Unione europea.
«I cittadini europei hanno chiesto un’Europa
più unita e capace di agire, ma anche un maggiore controllo democratico
attraverso nuove forme di partecipazione diretta e, soprattutto, un
rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo»,
ha
spiegato a “Pagella Politica” “Luisa Trumellini”, segretaria del Movimento Federalista Europeo (MFE), un movimento politico che si batte
per una maggiore integrazione europea.
«Alcune di queste richieste per essere
esaudite necessitano di una riforma dei trattati.
Il
Parlamento europeo si è quindi messo al lavoro, elaborando una proposta che ha
visto la collaborazione di tutti i partiti europeisti, dalla sinistra radicale
al Partito popolare europeo».
Tra le
principali novità, il Parlamento europeo ha chiesto di ottenere il diritto di
iniziativa legislativa, cioè di proporre nuove leggi, prerogativa che a oggi
resta in capo alla “Commissione europea”.
Un’altra
richiesta avanzata dal Parlamento è che all’Ue siano assegnate maggiori
competenze in materia di ambiente, salute, energia, affari esteri e difesa.
Il Parlamento vorrebbe quindi un peso maggiore
nell’adozione di atti legislativi su questi temi, che seguirebbero la procedura
legislativa ordinaria, anche detta di “codecisione”.
In questa procedura un atto legislativo, per
essere approvato, deve ricevere il consenso sia del Parlamento europeo sia del
Consiglio dell’Unione europea.
Al
momento, invece, la maggior parte dei provvedimenti segue procedure legislative speciali, che prevedono un coinvolgimento
minore da parte dei parlamentari europei.
Inoltre
queste procedure speciali richiedono solitamente che il Consiglio dell’Ue si
esprima all’unanimità, attribuendo a ciascuno dei 27 Stati membri il cosiddetto
“potere di veto”.
Per
esempio, l’Ungheria ha ostacolato a lungo l’adozione di un pacchetto di aiuti
per l’Ucraina del valore di 50 miliardi di euro.
Il
Consiglio dell’Ue ha potuto prendere questa decisione solo lo scorso febbraio,
dopo che tutti i 27 leader, incluso il primo ministro ungherese Viktor Orbán,
hanno raggiunto un accordo sul provvedimento.
Il
superamento dell’unanimità è un tema ricorrente nel dibattito sulla riforma dei
trattati e l’anno scorso si era creato un gruppo informale di nove Paesi
favorevoli a questa modifica, tra cui l’Italia.
Ma non
tutti i partiti italiani sono concordi su questo cambiamento.
La segretaria del Partito Democratico “Elly
Schlein””, il ministro degli Esteri Antonio Tajani” (Forza Italia) e la
deputata di Italia Viva “Maria Elena Boschi” hanno detto che bisogna superare il meccanismo del
diritto di veto, mentre la Lega è apertamente contraria.
Per
quanto riguarda la “Commissione europea”, che sarebbe rinominata “Esecutivo europeo”, il numero dei componenti sarebbe
ridotto dagli attuali 27, cioè uno per Stato membro, a 15.
Questi
non sarebbero più indicati dai governi nazionali, come avviene oggi, ma spetterebbe al presidente
dell’Esecutivo selezionarli per garantire maggiore coesione politica.
Inoltre,
il
presidente sarebbe nominato dal Parlamento europeo e approvato dal Consiglio
europeo, a
differenza della procedura attuale dove è il” Consiglio europeo” a proporre un candidato
al Parlamento.
Il “presidente
dell’Esecutivo” assumerebbe poi i poteri attualmente in capo al presidente del
Consiglio europeo, diventando a tutti gli effetti il “presidente dell’Unione
europea”.
«Il
Consiglio europeo manterrebbe un ruolo di indirizzo generale, ma non sarebbe
più un organo autogestito con un proprio presidente.
I vantaggi della presidenza unica sarebbero da
un lato una sinergia maggiore tra le due istituzioni, e dall’altro una
rappresentanza molto forte dell’Unione europea in ambito internazionale», ha spiegato “Trumellini”.
Come
si modificano i trattati.
L’articolo
48 TUE stabilisce le modalità con cui i trattati possono essere riformati.
Nel
dettaglio, sono previste una procedura di revisione ordinaria e due procedure semplificate.
La portata delle modifiche richieste dal Parlamento
non è però compatibile con nessuna delle due procedure semplificate, che
possono essere adottate soltanto in casi circoscritti.
La
procedura di revisione ordinaria prevede che alla presentazione del progetto di
modifica dei trattati faccia seguito la convocazione di una Convenzione da
parte del Consiglio europeo.
Per
questo passaggio è necessaria la maggioranza semplice, ossia 14 Paesi su 27.
«Il presidente del Consiglio europeo è tenuto
a mettere all’ordine del giorno la questione della riforma dei trattati quando
è sollevata dal Parlamento, ma non è prevista una scadenza temporale.
A nostra richiesta il presidente “Charles
Michel” ha risposto che è consapevole dell’importanza del tema e che lo porterà
sul tavolo al momento opportuno.
Se
questo momento dovesse essere il Consiglio europeo di giugno, la Convenzione
potrebbe essere inaugurata nel 2025», ha affermato “Trumellini”.
Alla Convenzione partecipano rappresentanti
del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, una delegazione della
Commissione europea e un rappresentante per ciascun governo nazionale.
I membri esaminano il progetto di modifica e
adottano per consenso, ossia senza che nessuno si opponga, una raccomandazione
rivolta a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri
(detta “conferenza
intergovernativa” o CIG).
A questo punto la “CIG “deve stabilire
all’unanimità le modifiche da apportare ai trattati, che entrano in vigore dopo
essere state ratificate da tutti gli Stati membri.
«Il
consenso e l’unanimità richiesti da questa procedura sono due ostacoli concreti
alla revisione dei Trattati.
Per questo si stanno ipotizzando delle
alternative possibili nell’ottica di un’Europa a due velocità.
La soluzione ideale sarebbe un compromesso tra gli Stati
membri che desiderano una maggiore integrazione e quelli che vogliono mantenere
lo status quo, per cui si elabori una struttura capace di tenere conto delle
differenze a garanzia di tutti.
L’alternativa
è lo strappo:
i Paesi disponibili adottano le modifiche
necessarie con una diversa modalità di ratifica e in un secondo momento
negoziano con gli altri le condizioni per mantenere l’Ue.
Per
questa seconda strada servirebbe però una forte volontà politica, che oggi
manca», ha
concluso “Trumellini”.
I
globalisti continuano
ad attirare un’inesauribile
scorta di discepoli creduloni in una vile eredità
di
fame e morte di massa e se non sei
d’accordo
con loro, i
funzionari sanitari
vogliono
che tu venga impegnato.
Allnewspipeline.com
- JB Shurk e All News Pipeline – (26 aprile 2024) - ci dicono:
Una
delle caratteristiche più insidiose della manipolazione del linguaggio da parte
del marxismo è la stigmatizzazione dei punti di vista opposti come una forma di
disturbo mentale.
L’opposizione al “matrimonio gay” sarebbe un
“segno” di omofobia.
La
diffidenza nei confronti dei terroristi islamici che celebrano l’11 settembre e
gridano “Morte all’America” è un “sintomo” di islamofobia.
Volere che il governo federale protegga i
nostri confini e applichi la legge esistente sull’immigrazione “rivela” la
xenofobia sottostante.
Non
volere che gli uomini biologici entrino con la forza negli spogliatoi e nelle
docce delle donne suggerisce che una persona “soffre” di una temuta transfobia.
Si
noti che tutti questi presunti disturbi psichiatrici sono classificati come
“fobie” o, più chiaramente, come “paure irrazionali”.
I
marxisti usano abitualmente un linguaggio medico carico non solo per
demonizzare o disonorare i loro nemici, ma anche per trasformare qualsiasi
disaccordo politico in qualcosa che non è.
Rispettare
il matrimonio come istituzione millenaria che celebra il legame tra un uomo e
una donna non ha nulla a che fare con la paura degli omosessuali.
Essere
pronti a difenderti da chi ti vuole morto non significa che le tue
preoccupazioni siano infondate.
Insistere
sul fatto che gli stranieri immigrano negli Stati Uniti legalmente è del tutto
razionale.
Garantire
che tua madre, tua moglie, le tue sorelle o le tue figlie siano al sicuro da
strani (e spesso pericolosi) uomini adulti intenzionati a intromettersi nei
loro spazi privati richiede coraggio altruistico.
Tuttavia,
poiché i
marxisti dipendono dalle distorsioni della realtà per istigare l’attrito
culturale e manipolare le masse, l’opposizione a qualsiasi questione politicamente
conveniente del cuneo attualmente utilizzata come ariete contro la società deve
essere diagnosticata come un’anomalia psicologica.
Si
potrebbe dire che i marxisti sono convinti della menzogna secondo cui
l’opposizione al marxismo si basa sulla paura irrazionale.
Certo,
il comunismo ha ucciso oltre cento milioni di persone solo nel ventesimo
secolo, ma questo non è motivo di temere un’ideologia che cerca solo di
conferire potere all’ “uomo comune”.
Giusto?
Non so
se rivela di più sulla persistente malevolenza degli spudorati sostenitori del
marxismo o sull’inesauribile riserva di credulità della razza umana che Marx
continua ad attirare discepoli volenterosi per promuovere la sua vile eredità
di fame di massa, tortura e morte.
Il
marxismo è il clown malvagio in agguato nelle fogne che riappare ogni
generazione per banchettare con tenera carne umana, ma quasi tutti i campus
universitari in America insisterebbero sul fatto che tale descrizione è
un’iperbole derivante da una paura irrazionale.
Opporsi
oggi al socialismo e al comunismo a causa della follia omicida intrapresa in
passato dalle filosofie gemelle è marx-o-fobico e dovrebbe essere trattato come
qualsiasi altra malattia mentale.
Almeno
questo è quello che direbbero gli psicologi e gli psichiatri perché i marxisti
hanno assunto il controllo della professione della salute mentale molto tempo
fa.
È un’osservazione ben nota che ovunque i
marxisti si infiltrino, presto
corrompono.
La
scienza ambientale non sarebbe fissata sulla menzogna dimostrabile secondo cui
il consumo di energia umana sta accelerando un catastrofico “cambiamento
climatico” se i marxisti non avessero avuto bisogno di uno spauracchio globale
per spaventare le popolazioni nazionali e spingerle ad abbracciare un’economia
controllata centralmente.
Il presidente Trump non sarebbe stato imputato in
quattro distinti processi penali e in decine di cause civili se i pubblici
ministeri e i giudici marxisti non fossero impegnati a pervertire lo stato di
diritto per guadagni ideologici.
Le
scuole e i datori di lavoro non selezionerebbero i candidati in base al colore
della pelle o agli appetiti sessuali esotici se il “DEI”, l’”ESG” e altre
iniziative marxiste non avessero privilegiato la mediocrità rispetto al duro
lavoro, all’abilità e al merito.
Nessuno
sarebbe così stupido da definire la matematica “razzista” se gli accoliti
distruttori di civiltà di Marx non fossero prima riusciti a permeare ogni
livello dell’istruzione.
La
scienza e la giustizia sono morte perché i marxisti salgono al potere solo dopo
aver eseguito sommariamente conoscenza e verità.
Una
volta fatto ciò, la scienza lavora per Marx.
È per
questo motivo che i principi biologici del lysenkoismo prosperarono nell’Unione
Sovietica nonostante le loro evidenti assurdità.
È così che gli allarmisti del “cambiamento
climatico” possono sbagliarsi su ogni previsione (e ribaltarsi tra le profezie
di una Terra che si raffredda e una che si riscalda) ed essere comunque onorati
come “esperti”.
Ed è per questo che vengono scritti interi capitoli
nei libri di testo di medicina che classificano la minima opposizione alle
ortodossie marxiste come indicativa di una preoccupante malattia mentale.
Ciò ha
senso, dal momento che le società comuniste hanno una lunga storia di
imprigionamento dei dissidenti politici nei reparti psichiatrici come
alternativa effettivamente umiliante al perseguimento penale dei rivali
ideologici.
Che cosa?
Non credi nell'abolizione della proprietà
privata o che le file per il pane siano colpa dei maiali capitalisti e
antigovernativi?
Devi
essere pazzo!
Mandate
questo pazzo al manicomio!
Nell’ex
Unione Sovietica, non era insolito che un membro della famiglia “sparisse” un
giorno senza alcuna notifica formale da parte dello Stato o che parenti
affranti scoprissero solo anni dopo che la persona amata era morta durante il
“trattamento” in un ospedale psichiatrico, ossia asilo.
Simili
atrocità sui diritti umani si sono verificate nei paesi comunisti dell’America
centrale e meridionale e si verificano ancora oggi nella Cina comunista.
I
marxisti amano condannare i loro nemici a un’esistenza da incubo in cui il
corpo è intrappolato in una camicia di forza e la mente è tenuta insensibile
con un cocktail di tranquillanti e altri antipsicotici.
Devo
ammettere che la propensione dei marxisti a trattare i loro nemici come malati
di mente mi ha reso riluttante a coinvolgere il governo nella legittima crisi
di salute mentale che affligge oggi gli Stati Uniti.
Menti brillanti (incluso il grande e defunto” Charles
Krauthammer”) hanno a lungo sottolineato i cambiamenti negli statuti
sull’impegno civile nell’ultimo mezzo secolo che hanno reso più difficile per i
pazienti essere internati contro la loro volontà e la conseguente chiusura
degli ospedali psichiatrici gestiti dal governo in tutto il mondo.
E
quindi il paese diventa come principale responsabile dell’impennata di alcune
categorie di crimini violenti.
Numerose
ricerche sui senzatetto, sulle dipendenze, sui suicidi e sugli omicidi
suggeriscono che la tendenza verso la deistituzionalizzazione a partire dagli
anni ’60 ha prodotto risultati tragici.
D’altro
canto, sono estremamente restio a restituire certi poteri di impegno
involontario agli psichiatri e agli “esperti” sanitari del governo quando
entrambe le comunità professionali pregano sull’altare di Marx.
Proprio
come il “Patriot Act” è stato venduto come una necessaria misura di sicurezza
nazionale prima di rivelarsi un’arma di sorveglianza interna grottescamente
incostituzionale usata contro i cittadini americani, conferire al governo
federale il potere di rinnovata autorità per combattere le malattie mentali
sembra ragionevole in teoria ma molto probabilmente si tradurrà in una un
numero considerevole di americani “MAGA” che vengono disarmati con la forza, etichettati
pregiudizialmente e confinati involontariamente.
Dopotutto,
agli occhi di un consigliere o giudice marxista, c’è qualcuno più “pericoloso”
di un entusiasta sostenitore del presidente Trump?
Purtroppo,
i prigionieri politici ”J6“conoscono fin troppo bene questa risposta.
Non
commettere errori, i marxisti stanno già usando il linguaggio della salute
mentale per intimidire gli oppositori politici.
Un
piccolo sobborgo di Chicago ha recentemente rimosso l'unico repubblicano dal
consiglio della biblioteca del villaggio.
Il suo
“crimine”?
Si è opposto al "drag queen bingo",
ha criticato il piano del consiglio di sostituire il giuramento di fedeltà con
una dichiarazione secondo cui la terra della città era stata "rubata da
uomini bianchi cristiani agli indiani" e si è rifiutato di pubblicare i
suoi "pronomi" sul sito web della biblioteca.
I
marxisti della città insistevano sul fatto che questi punti di vista li
facevano sentire “insicuri”.
“Questo
non ha nulla a che fare con l’appartenenza politica, ma ha tutto a che fare con
un pericoloso estremismo”, ha spiegato un marxista, prima di esprimere sgomento
per il fatto che il presunto colpevole del reato si fosse rifiutato di essere
rieducato.
Nel
frattempo, nel Regno Unito, agenti di polizia e uno psicologo governativo hanno
fatto irruzione nell’abitazione di un uomo non perché avesse commesso qualche
crimine ma piuttosto perché avevano “alcune preoccupazioni” riguardo a un post
sui social media in cui incoraggiava i cristiani a “stare up” dopo che un
terrorista islamico ha accoltellato un vescovo in Australia.
"La
gente ha espresso preoccupazioni riguardo alle tue opinioni... riguardo a ciò
che sta accadendo in Australia", ha spiegato un agente di polizia.
Proprio
come in Illinois, l’autoritarismo con gli stivali si presenta sotto forma di
“aiuto” psicologico.
Il marxismo
potrebbe essere definito come un sistema in cui governano folli tiranni e sani
oppositori si impegnano per la loro “salute”.
Media
indipendenti sotto attacco
mentre
ci avviciniamo alle elezioni del 2024.
I globalisti e i media di propaganda lavorano
per
controllare tutto ciò che senti mentre bruciano la casa.
Allnewspipeline.com
- Stefan Stanford –(24 aprile 2024) – ci dice:
I "pensatori critici" vengono
"sbancati" e finiscono senza lavoro.
Secondo
questo articolo del 20 aprile pubblicato dalla CNBC , per vivere
"comodamente " nello stato del Massachusetts, la famiglia "
media " di quattro persone, inclusi due adulti e due bambini, deve
guadagnare 301.184 dollari all'anno, la cifra più alta negli Stati Uniti,
mentre nello stato del Mississippi tale importo è di soli $ 177.798 all'anno
per una famiglia di quattro persone, il minimo negli Stati Uniti, ma è comunque
necessario un importo di $ 14.816,50 ogni mese per coprire cose come costi di
alloggio e servizi pubblici, cibo, assistenza all'infanzia e assistenza medica
secondo alle statistiche del “MIT Living Wage Calculator,” si tratta comunque
di una cifra sconcertante considerando che il reddito medio annuo nel
Mississippi è di soli $ 37.500 a persona.
L’
articolo della CNBC riporta anche che il salario medio annuo per una famiglia
negli Stati Uniti nel suo insieme è di 213.782 dollari, ben 40.000 dollari in
più rispetto alla famiglia media di quattro persone nel Mississippi, ma
comunque oltre 87.000 dollari in meno rispetto alla famiglia media di quattro
persone nel Massachusetts, un paese separato.
L'articolo della CNBC riporta che per
"vivere comodamente" una persona single che vive in 99 delle più
grandi aree metropolitane degli Stati Uniti deve realizzare un reddito medio di
$ 93.933 all'anno, che ammonta a una media di $ 7.827,75 al mese, per coprire
spese come costi per l'abitazione e le utenze, "spese discrezionali"
pur potendo accantonare circa il 20% del proprio reddito per i risparmi,
potendo mettere da parte una parte "per i giorni difficili.".
Riferendo
che il “ budget 50/30/20 ” raccomanda che per un comfort “ sostenibile ( c’è di
nuovo la parola “sostenibile” ) , il 50% dello stipendio di una persona
dovrebbe essere assegnato a bisogni come alloggio, servizi pubblici, generi
alimentari e trasporti ;
mentre
il 30% dovrebbe essere destinato a " desideri " come intrattenimento
e hobby, mentre il restante 20% va a saldare debiti, risparmi o investimenti,
usano queste statistiche per elaborare uno stipendio al lordo delle imposte
necessario alle persone nel 2024 per "vivere" comodamente",
anche se questo tipo di numeri ci sbalordisce completamente.
Con
l'”ANP" pre-“COVID " che guadagnava in media circa 5.000 dollari al
mese e poteva vivere "confortevolmente" guadagnando quella cifra,
certamente non ci rendeva " ricchi" , ma non abbiamo mai avuto il
desiderio di fare un sacco di soldi ma essendo in grado di pagare l'affitto,
pagare tutte le nostre utenze, comprare cibo e persino essere in grado di
fornire al nostro prezioso cucciolo "Hootie" le cure mediche di cui
ha bisogno e sistemare il nostro camion in modo che abbiamo i freni
funzionanti, possiamo " Non fare NESSUNA di queste cose ora, dal momento
che la "grande tecnologia" e la "grande industria
farmaceutica" hanno iniziato letteralmente a "farci guerra"
perché vi portiamo il tipo di storie che facciamo .
E come
riportato da “Armstrong Economics” in questa nuova storia a cui “Steve Quayle”
aveva collegato martedì sul suo sito web, questo sta accadendo a tutti i
cristiani nel 2024, con le banche che ora hanno la capacità di rovinare
finanziariamente individui e organizzazioni senza giusta causa, aggirando ogni
protezione riconosciutaci dalla Costituzione.
Non è
solo legale ma incoraggiato!
In
poche parole, essere nei media indipendenti e riferirvi il tipo di storie che
facciamo, anche se abbiamo dovuto dedicare 60 ore settimanali alla ricerca e
alla scrittura di quelle storie per essere voi il tipo di " verità"
così " grande" il settore farmaceutico e il " grande governo
" sicuramente NON vogliono che tu senta, sicuramente NON paga.
E
infatti, come abbiamo sottolineato nella nostra nota di raccolta fondi qui
sotto, che sfortunatamente abbiamo dovuto cambiare, ora siamo sul punto di
diventare dei senzatetto e “ANP” è solo un altro sito web che svanisce nella
polvere perché sicuramente non paga ricercare e riferire "la verità"
nel 2024.
E non
siamo sicuramente l'unico sito web di media indipendenti che è costantemente
sotto attacco su vasta scala poiché anche l'eccellente “sito anti-vax” “The
Expose” sta subendo attacchi su vasta scala chiaramente progettati per mettere
offline anche loro.
Come
affermano nella nota nella parte superiore del loro sito Web, " È QUESTA
LA FINE DELL'ESPOSIZIONE?
RIMANONO
SOLO 7 GIORNI PER SALVARE L'ESPOSIZIONE E AIUTARCI A ESPANDERE - Contiamo
esclusivamente sul vostro supporto, ma attualmente meno dello 0,1% dei lettori
sosteneteci e l'establishment continua a congelare i nostri fondi, quindi se vi
piace quello che facciamo, sosteneteci oggi così possiamo vincere la nostra
battaglia contro di loro e rimuovere questo fastidioso banner."
Ebbene,
l’”ANP” ora è esattamente nella stessa barca in cui si trova “The Expose” .
Ma
questa storia non riguarda noi, anche se abbiamo una trama che si adatta
perfettamente, ma ciò che sta accadendo alle persone ora in TUTTA l'America.
Come “Ethan
Huff “ha riportato in questo recente articolo su “Natural News” , è in arrivo
un “GIGANTICO collasso finanziario che distruggerà i beni di TUTTI e, sebbene
non sia stato ancora completamente svelato,
gli Stati Uniti sono stati derubati dai poteri costituiti”, che hanno
sottoscritto le attività finanziarie degli americani come garanzia per
l’imminente scoppio della bolla finanziaria e dei derivati .
Quindi
sì, secondo “Paul Craig Roberts”, ormai è solo questione di tempo.
E con
quei numeri precedentemente menzionati provenienti da quelle storie alla CNBC
che chiaramente non ci raccontano l'intera storia perché li parlano tutti in
"gergo sostenibile" in un momento in cui “Fox News Business” ha
appena pubblicato questa storia riportando che " il 2024 sarà" il più
duro " mercato del lavoro "nel corso della nostra vita ", quanti altri americani stanno
soffrendo come noi mentre CNBC e Washington DC cercano di far sembrare che
tutto sia rose e fiori?
Come
riporta l’articolo di “Fox News”, un nuovo studio “allarmante” sul futuro del
mercato del lavoro punta i riflettori sulla mancanza di dipendenti e
sull’aumento delle controversie sul posto di lavoro quest’anno.
"Il
rapporto parla di come il 2024, a nostro avviso, sarà uno degli anni più
impegnativi della nostra vita sul mercato del lavoro", “ha affermato il
CEO di “RedBalloon Andrew Crapuchettes” in un'esclusiva di Fox News Digital”.
"Ci
sono molti fattori diversi che stanno determinando tutto ciò.
Vediamo
il declino della popolazione.
Vediamo
i baby boomer che vanno in pensione.
Vediamo una forza lavoro della “generazione Z”
che arriva e non fa cose produttive sul posto di lavoro...
La
cosa che penso sia la più Un fatto allarmante, però, nell'intero rapporto, e
uno dei nostri risultati più importanti è stata la quantità di contenziosi che
si verificano oggi sul posto di lavoro americano."
Riferendo
inoltre che c'è una massiccia esplosione di quella “generazione Z” e dei “millennial”
che soffrono di " crisi di salute mentale ", lasciando così
innumerevoli datori di lavoro a camminare sulle uova a causa di tutte le
malattie mentali che portano con sé sul posto di lavoro, si noti che uno dei
più grandi calamità sulla salute mentale
che secondo loro si stanno verificando nel 2024 hanno a che fare con la
tossicità e la divisione che questi dipendenti portano con sé sul posto di
lavoro, in gran parte a causa della loro visione distorta della realtà, dovuta
in gran parte alle loro “identità sessuali” .
Un
problema enorme che sicuramente NON ERA presente sul posto di lavoro quando mi
muovevo nel mercato del lavoro poiché allora, GLI UOMINI SAPEVANO DI ESSERE
UOMINI e LE DONNE SAPEVANO DI ESSERE DONNE!
E,
naturalmente, il problema che oggigiorno si presenta con i
"dipendenti" sta portando a un'esplosione di cause legali,
contenziosi e caos perché, follemente, gli uomini oggigiorno pensano di essere
donne e le donne pensano di essere uomini.
E il
loro rapporto mette in discussione anche l’impatto sul posto di lavoro delle
politiche in materia di diversità, equità e inclusione.
Il rapporto “RedBalloon” sul “DEI” ha rilevato
che "l'ascesa del “DEI” ha coinciso anche con una maggiore disaffezione
tra i lavoratori americani" perché
i dipendenti NON erano incoraggiati a "abbreviare il processo di
assunzione".
Ricordo
ancora un tempo in cui le persone venivano assunte per un lavoro in base al
fatto se potevano FARE o meno quel lavoro, e se erano o meno grandi lavoratori,
non se avevano o meno il colore "giusto" della pelle o cosa "
identità sessuale " potrebbero essere o quale marca di " politica
" seguissero.
Quindi,
con i "reporter" delle "notizie" oggigiorno in gran parte
"pagati" in base al fatto che riferiranno o meno ciò che i loro
datori di lavoro vogliono che riferiscano, senza che venga data alcuna
importanza al fatto che riferiranno o meno ciò che è " vero", '
immaginate semplicemente un '"America" senza media indipendenti in
vista delle elezioni del 2024.
Con i
media mainstream che vogliono chiaramente tornare indietro a un’epoca in cui
controllano tutto ciò di cui gli americani sentono e pensano, perché una cosa
del genere permetterà loro sicuramente di controllare chi verrà eletto in
carica a novembre, non c’è mai stato un momento più importante di “Ora”.
Modi ha già vinto le prossime
elezioni
generali indiane?
Aliseoeditoriale.it
- Matteo Borgese –(19 Gennaio 2024) – ci dice:
La
presa del nazionalismo e un'opposizione debole favoriscono ancora l'egemonia
politica di Narendra Modi.
L’identità:
variabile chiave della politica indiana.
Narendra
Modi è un uomo con una visione chiara dell’India del presente e, naturalmente,
di quella da costruirsi nell’immediato futuro.
In
oltre 70 anni di storia, dall’indipendenza ottenuta nel 1947, l’India ha visto
leader, traghettatori e personaggi politicamente attivi che hanno saputo
conquistare in casa, e a volte anche nello scenario internazionale, un grande
sostegno e una potenza mediatica non indifferente.
Se
Nehru, insieme a Gandhi, ha dato alla luce l’India come stato-nazione
indipendente, dopo di lui anche sua figlia “Indira Gandhi” (non c’è parentela
tra lei e già citato il Mahatma) ha saputo, pur con metodi controversi,
mantenere salda la presa del potere politico in nome dell’unità nazionale.
Al
Congresso, partito politico di cui entrambi facevano parte, l’India deve molto.
La
pragmaticità con cui in ottica realista si sia scivolati in questi 65 anni di
egemonia politica è stata, a volte, sconcertante.
Governare
l’India significa tentare di ascoltare le esigenze di popoli, culture, identità
profondamente diverse tra loro.
Si
deve sopravvivere alle insidie di chi vorrebbe separarsi dalla nazione e a
quelle di chi vorrebbe, lentamente, sbranarne i confini dall’esterno. Governare l’India significa
affrontare i pregiudizi dell’Occidente e la sfiducia dell’Asia, tentare di
appiattire le disuguaglianze che permeano le coscienze e di instillare
continuamente l’orgoglio di essere indiani.
È un
compito arduo, che la storia dell’India contemporanea ci insegna essere colmo
di ferite autoinflitte in nome di quell’identità, di cicatrici che continuano a
sanguinare nella memoria del popolo indiano.
Il
Mahatma Gandhi ha favorito il sentimento nazionalista cercando di unire
dividendo, nonostante gli avvertimenti dell’amico, la “Grande Sentinella” Rabindranath
Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913.
Tagore
(1861-1941)
con i
discorsi sul nazionalismo nel 1917 si propone, con notevole lungimiranza, di
fare luce sulle inevitabili derive di una politica ultranazionalista,
criticando le scelte europee che hanno favorito l’esplosione del primo
conflitto mondiale.
Tagore
sapeva benissimo che l’universalità di certi sentimenti avrebbe intossicato
anche il popolo indiano e ammoniva spesso Gandhi sui pericoli di
un’indipendenza il cui vessillo fosse l’esasperazione dell’identità nazionale.
La storia, pur plasmata dal Mahatma e da Nehru, ha
dato ragione al poeta bengalese.
La
ricerca spasmodica delle tradizioni perdute fu l’unico modo di riappropriarsi
di tutto ciò che la dominazione coloniale aveva cancellato. Il popolo venne
diviso su sommarie basi religiose poiché, come “Tagore” aveva intuito, la battaglia per l’India non si
combatteva con lo scudo indistruttibile dell’unità, ma con la lama a doppio
taglio del nazionalismo aggregante.
Indira
Gandhi, nel suo burrascoso mandato da Primo Ministro, è stata negli anni’70 e
’80 una delle donne più influenti e controverse della politica internazionale.
Figlia
di Nehru, ha avuto l’arduo compito di traghettare il Paese verso la modernità,
di dialogare con le grandi potenze straniere e di spegnere la miccia ai
movimenti terroristici interni.
L’operazione
“Blue Star”, un massacro senza precedenti contro separatisti “Sikh del Punjab”,
fu solo il culmine di quasi vent’anni di mandato in cui il pugno di ferro fu
l’unica costante nel dinamismo sociale indiano del trentennio
post-indipendenza.
Queste
due incredibili figure, il Mahatma e Indira, hanno subito infine il rancore di
quella parte di India che non hanno saputo abbracciare, tragicamente travolti
dalle proprie scelte politiche.
Il
Congresso oggi, le fratture interne e le prossime elezioni in India.
Oggi
il Congresso Nazionale appare come l’ombra di sé stesso. Alla guida c’è “Mallikarjun
Kharge”, eletto ad ottobre 2022 ha spodestato pacificamente la famiglia Gandhi dalla Presidenza
di partito,
sostituendo come figura centrale Rahul Gandhi.
Egli,
nipote di Indira, ha cercato di risollevare senza successo le sorti del proprio
partito da quando l’era Modi ha avuto inizio, ormai dieci anni fa.
Rahul
è stato un avversario politico che non ha saputo incarnare il carisma dei
propri familiari e si è trovato a fare i conti con un’India che, benché
proiettata verso il futuro, ha anche scoperto la necessità di una comunicazione meno
progressista e, anzi, fortemente legata al laccio pericoloso dell’identità
nazionale.
Kharge è un uomo di grande esperienza
politica, maturata soprattutto in “Karnataka”, la propria regione d’origine, ma
si trova oggi in una posizione per nulla invidiabile.
Nel momento in cui, grazie alla vetrina dello
scorso maggio del G20 tenutosi in “Kashmir”, il Paese si è presentato al mondo
come “Bharat”, l’opposizione ha unito le forze nella neonata coalizione il cui
acronimo è I.N.D.I.A.
Il
processo di sanscritizzazione culturale del governo in carica sembra
continuamente scontrarsi con le scelte progressiste dell’opposizione.
Anche
questo scontro linguistico, in un Paese in cui “il nome” come concetto ha
un’importanza straordinaria, come ci ricordano scrittrici del calibro di “Mahasweta
Devi “e “Gayatri Spivak”, è importante per capire la psicologia delle due
compagini in gara per il governo della nazione.
I.N.D.I.A
sta per “Indian National Developmental Inclusive Alliance”.
La
coalizione comprende la maggior parte dei partiti d’opposizione e nasce nel
luglio 2023 con l’obbiettivo di contrastare lo strapotere dell’attuale
maggioranza.
Come si può intuire, una mossa così rischiosa non può
che essere la conseguenza della consapevolezza di non poter competere da soli
contro il “Bjp”.
Circa
26 leader dell’opposizione si trovano dunque a competere tra loro, più che
contro il governo Modi, poiché i dissapori interni e la naturale impossibilità
di conciliare così tante visioni politiche diverse rendono l’I.N.D.I.A. più
fragile che mai.
Sebbene
sia facilmente possibile interpretare le prossime elezioni come uno scontro tra
due giganti, per l’opposizione l’unità politica è un’illusione come lo fu
quella, sociale, gandhiana oltre settant’anni fa.
Da
tenere d’occhio oltre al già citato Congresso, tra i partiti della coalizione,
c’è l’Aap.
L’Aam Aadmi Party (“il Partito dell’Uomo Comune”) nasce dai movimenti anticorruzione
che denunciavano già dal 2011 il malaffare delle istituzioni politiche e
giuridiche.
Forte
delle vittorie a Delhi (2020) e in Punjab (2022) sta acquisendo sempre più
influenza, silenziosamente richiamando i riflettori politici ai danni del
Congresso, ormai guida troppo debole per l’opposizione.
La
disputa dei seggi tra queste due forze politiche, a prescindere dal risultato
delle elezioni, che si terranno in primavera, non farà altro che incrinare
ulteriormente le fondamenta della coalizione.
Coalizione
che, pur strizzando l’occhio al progressismo internazionale, all’inclusività e
alla globalizzazione, accoglie forze politiche controverse sotto la propria
ala, le cui ideologie sono poco coerenti con la linea generale dell’alleanza.
Spiccano
infatti, tra gli altri, i partiti di matrice comunista. Dalle rivolte dei naxaliti di fine
anni ’60, in cui i ribelli maoisti hanno messo a dura prova la presa
governativa tra le popolazioni rurali, tribali e le realtà marginali, lo
spettro rosso aleggia forte intorno al Golfo del Bengala.
Le
cronache della guerriglia dei gruppi ribelli sono vive nella letteratura e
nella memoria di tanti indiani, i racconti della già citata “Devi” ne sono
l’esempio più icastico.
Oggi è
difficile dire quanto appeal possano avere le idee marxiste e maoiste;
tuttavia,
quando oltre il 60% della popolazione indiana vive, non senza difficoltà, in
zone rurali e le comunità tribali sono ghettizzate, una propaganda di riscatto
e giustizia può sicuramente risultare convincente.
L’era
Modi è destinata a continuare incontrastata?
Il
problema dell’I.N.D.I.A. come forza politica non è nella potenziale varietà di
elettorato, fattore che potrebbe essere la forza della coalizione, ma nell’impossibilità
materiale di conciliare tutte le necessità dei propri sostenitori.
E
molti di essi inevitabilmente si trovano a subire il fascino di una
comunicazione di pancia, aggregante e conservatrice che, laddove sfumano le
idee, fa dell’orgoglio e dell’ideologia la propria forza. Proprio in mezzo al
nazionalismo, dove “la Grande Sentinella” avrebbe guardato con sospetto,
proprio lì fiorisce il loto, ad oggi più rigoglioso che mai, del “Bharatiya
Janata Party”.
A
dicembre del 2023 in molti hanno gridato alla morte della democrazia in India.
L’accusa
al governo è arrivata dopo che 141 membri del Parlamento, appartenenti ad 11
partiti dell’opposizione, sono stati sospesi per tutta la sessione invernale e
interdetti dall’attività parlamentare.
Ai
deputati sarebbe stato imputato di aver fomentato e sostenuto l’irruzione in
Parlamento di un gruppo di attivisti che stavano protestando violentemente
contro le politiche economiche del governo e la disoccupazione.
“Amit
Shah”, Ministro degli Interni, e” Modi” hanno evitato di commentare la
questione, richiamando alla cooperazione politica.
Due
terzi dei parlamentari sospesi orbitano intorno alla coalizione I.N.D.I.A.
Tutto
ciò sicuramente indebolisce le opposizioni, ma nuoce gravemente anche
all’immagine di potenza democratica in Asia, ruolo che l’India fieramente vuole
da sempre incarnare.
“Karti
Chidambaram”, membro del Congresso, ha espresso la propria preoccupazione dopo
l’accaduto addirittura accusando il governo di Delhi di ricalcare il modello
nordcoreano.
L’occhio
internazionale, avendo intuito le possibilità strategiche della “Bharat” di
Modi, si chiude spesso sulle strategie di repressione del dissenso e sulle
controverse modalità di aggregazione divisiva del “Bjp” che troppo spesso sono
ben lontane dal concetto più puro di unità nazionale.
Sempre
a dicembre, “Delhi “ha revocato allo “Stato federale del Kashmir” lo statuto
autonomo del quale godeva dalla formazione della Costituzione.
L’articolo
370, abrogato nel 2019, garantiva al “Kashmir” lo statuto speciale, ma
nell’ottica di potenziare il controllo centrale del governo sul territorio, il “BJP”
ha attuato negli ultimi anni una serie di politiche discutibili.
Il
contrasto al terrorismo ha presto trasformato la presenza dell’esercito in una
forza d’attacco, e non in un presidio per la sicurezza locale.
Il Kashmir ha ovviamente un’importanza
strategica enorme nelle relazioni con il Pakistan e nella resistenza
all’espansionismo cinese, ma come ci ricorda il Giudice “Sanjay Kaul” “i
kashmiri sono il cuore della questione” e tuttavia, dai conflitti civili del
2016 ad oggi, sono stati troppo spesso considerati solo danni collaterali nella
lotta per la valle più contesa del pianeta.
La
figura di “Modi” vanta sicuramente un fascino mediatico e un’influenza
internazionale fuori dal comune, persino per gli standard della politica
indiana.
Sebbene a seguito delle tutele garantite dal
governo canadese ai terroristi del Khalistan i rapporti tra il leader del “BJP”
e Justin Trudeau si siano raffreddati, è indubbio che nel mondo occidentale
Modi abbia avuto uno straordinario successo.
Il
soft power ottenuto grazie ai social e il feeling politico e personale con
leader molto influenti (Giorgia Meloni, Vladimir Putin, Emmanuel Macron e
Anthony Albanese su tutti) hanno sicuramente favorito l’ascesa dell’India nel
quadro internazionale.
L’equidistanza
mantenuta a livello economico e nella diplomazia dei conflitti recenti ha
inoltre consolidato il ruolo di attore non-allineato del grande elefante
asiatico.
Modi è
in testa in tutti i sondaggi (come l’ultimo realizzato ABP News-CVoter), ma le
sfide interne e il futuro internazionale della sua” Bharat” sono un avversario
ben più temibile di un’opposizione fragile e divisa.
Le elezioni generali dell’India saranno
probabilmente solo una formalità ad un mandato che sembra senza scadenza e al
percorso politico di un personaggio destinato a plasmare il futuro dell’India
partendo dal passato.
Con le
luci e le ombre tipiche della classe politica indiana, “Modi” rappresenta senza
dubbio la svolta che in questo momento storico tiene l’India sul binario di un
orgoglio aggregante almeno apparente.
Ma il
nazionalismo è un’arma difficile da brandire a lungo, specialmente nel contesto
indiano, dove il popolo è costantemente pronto a dividersi ancora e ancora,
alla ricerca dell’unità.
Gli
USA Impongono Rastrellamenti
di
Ucraini Emigranti in Tutto il Mondo.
Conoscenzealconfine.it
– (29 Aprile 2024) - Manlio Lo Presti – ci dice:
Come
requisito di incasso dell’ultimo finanziamento di circa 60 miliardi di dollari
all’Ucraina, gli Usa impongono rastrellamenti di ucraini emigranti in tutto il
mondo per incrementare l’esercito nazionale.
Inghilterra
e Polonia hanno iniziato subito a respingere gli ucraini con passaporto
scaduto.
Giunge
da poco la notizia che l’”attore ucraino “abbia firmato nei giorni scorsi un decreto che ordina
il blocco dei rinnovi dei passaporti di oltre dieci milioni di ucraini emigrati
all’estero (https://ukraina.ru/20240423/1054675733.html).
La
conferma di tale infausta decisione è arrivata dalla dichiarazione del ministro
della difesa polacco che ha anche confermato di aver iniziato a rastrellare
ucraini senza passaporto rinnovato per respingerli in Ucraina. (gazeta.ru/social/2024/04/24/18981686.shtm),
(espansionetv.it/2024/04/25/ucraina-polonia-favoriremo-rimpatrio-uomini-in-eta-militare/).
Anche
l’Inghilterra ha manifestato la propria immediata collaborazione iniziando una
vera e propria caccia all’uomo e alle donne ucraini. (rbc.ru/politics/23/04/2024/6626d08a9a7947c4f5942ac5).
Probabilmente,
il motivo di questa decisione sembra riferirsi ad uno dei requisiti di incasso
dell’ultimo finanziamento USA, che prevede un sostanziale aumento del numero di
militari ucraini al fronte di circa cinquecentomila uomini e donne.
Il
decreto di arruolamento forzato dal blocco del rinnovo dei passaporti firmato
dall’attuale capo ucraino accentuerà l’odio della popolazione. L’esercito
ucraino al fronte si vede sfumare la possibilità di essere sostituito dal
ricambio di forze fresche e questo non potrà che generare un più vasto
risentimento nei confronti dei vertici militari di Kiev, con crescenti
diserzioni.
La
coscrizione obbligatoria avrà l’immediato effetto di far morire un altissimo
numero di ucraini al fronte, sia uomini che donne.
Anche
questo sarà considerato un “effetto collaterale” senza importanza dagli alti
comandi angloamericani, dalle industrie di armamenti e dai fornitori di colonie
mercenarie, ma non dalla popolazione.
La
persona non ancora piallata dalla narrazione dominante si pone subito una
domanda:
inizierà
la caccia all’uomo e alle donne ucraine attualmente residenti in Italia per
essere poi rispediti con forza in Ucraina?
Il nostro governo si trova adesso a dover
collaborare con una feroce ed ignobile caccia all’uomo?
Sarà
un dramma etico di notevole importanza.
Chi
firmerà in Italia i decreti di espulsione?
Come saranno caricati su aerei o su mezzi di
terra diretti in Ucraina senza che nessuno veda il movimento?
Tutto
questo non ricorda le persecuzioni di ebrei, di armeni, di siriani, di
palestinesi, di iracheni?
Quale
differenza possiamo trovare?
Infine,
una notizia fornisce la chiave di lettura che motiva l’impopolare firma che
prevede il blocco del rinnovo dei passaporti.
Il
mandato dell’attuale capo ucraino scade il 21 di maggio prossimo.
Costui
può sempre dire ai suoi mandanti americani di aver eseguito ogni ordine,
compreso quello di arruolamento forzato.
Ne esce pulitamente il 21 maggio e va a
godersi la villa faraonica acquistata nei dintorni di Londra.
La
patata bollente cadrà più rovente che mai ai successori del “comico”.
Con il
servile collaborazionismo dei Paesi membri dell’Ue la realizzazione delle
espulsioni di massa, viene fuori la loro vera faccia, nascosta dietro un
generico e retorico rispetto dei diritti umani, ma non per tutti.
Quale
sarà il comportamento di Mosca nei confronti del numero crescente di ucraini
che tenteranno di entrare in Russia?
Non
credo che siano già state emanate disposizioni in merito fino a quando non sarà
valutato il rischio di ingresso di terroristi mimetizzati fra le file dei
profughi ucraini.
La
disponibilità dei russi accrescerebbe la loro popolarità ma vanno calcolati con
cura gli effetti degli ingressi di agenti terroristi disposti a tutto pur di
provocare danni.
La
scusa umanitaria della fuga di ucraini in Russia costituisce una copertura
perfetta per una vasta operazione occulta dentro i territori russi, con la
realizzazione di numerosi attentati sanguinosi.
Come
al solito, l’Europa sarà impotente ed incapace di influenzare gli eventi, men che meno la ex-italia definita
comicamente “media potenza regionale”, ancor meno le organizzazioni mondiali umanitarie
paralizzate dalla loro palese inutilità.
Ininfluente, infine, il cicaleggio del “pontifex argentinus “che continua a somigliare ad un
disco rotto che dimentica di tutelare i propri cristiani uccisi dappertutto e di cui non
parla mai.
Aspettiamo…
(Manlio
Lo Presti -Scrittore ed esperto di banche e finanza).
(lapekoranera.it/2024/04/25/per-ricevere-i-60-miliardi-circa-gli-usa-impongono-rastrellamenti-di-ucraini-emigranti-in-tutto-il-mondo-per-incrementare-lesercito-nazionale/).
I
giovani e le donne: qualcosa può
cambiare
negli scenari politici palestinesi?
Monopoli.it
– (32-1-2022) - CAMPELLI ENRICO – ci dice:
Che lo
Stato di Israele stia affrontando una fase di rimodellamento politico è un dato
ormai largamente condiviso dagli analisti internazionali.
Quattro tornate elettorali in meno di due anni
hanno infatti prodotto una eterogenea maggioranza che per la prima volta ha
lasciato all’opposizione Netanyahu e i suoi alleati dei partiti religiosi, ma
che tiene insieme forze profondamente diverse tra loro e, per la prima volta,
anche un partito arabo-israeliano.
Riuscire
ad immaginare quali siano i possibili risultati, politici ed istituzionali, del
nuovo assetto politico, dall’equilibrio assai precario, è tuttavia un compito
davvero troppo arduo, soprattutto in una realtà politica come quella
israeliana, storicamente liquida e volatile.
È però
interessante riportare come il 28 dicembre 2021, il Ministro della Difesa
“Benny Gantz” abbia ricevuto il Presidente dell’Autorità Palestinese (AP),”
Mahmud Abbas”, nella sua residenza di” Rosh Ha’ayin”, nella prima visita
ufficiale del leader palestinese sul suolo israeliano dal 2010.
Così
come per quello israeliano, anche il mondo politico palestinese ha visto negli
ultimi mesi un riaccendersi dello scontro tra i partiti ed una nuova fase
dell’eterno dibattito sul tema della rappresentanza, che da anni ne
caratterizza la vita politica.
Tuttavia,
se lo scenario politico israeliano appare confuso ma molto veloce e mobile,
decisamente diversa è la realtà palestinese.
Dopo il rinvio sine die delle elezioni
(legislative e presidenziali) previste con molto ritardo per il 2021 –
considerato che le precedenti risalgono al lontano 2006 – il mondo politico
palestinese è in effetti sempre più diviso.
Le prime elezioni parlamentari e presidenziali
palestinesi si sono svolte nel 1996, subito dopo la creazione dell’Autorità
Palestinese in base agli accordi di Oslo. “Yasser Arafat”, Presidente di lunga
data dell’OLP e di Fatah, è stato Presidente dell’Autorità Palestinese (AP)
fino alla sua morte nel 2004, e l’anno successivo è stato eletto “Abbas” per
sostituirlo.
Nelle
elezioni del 2006 il “movimento islamista Hamas “si è assicurato la maggioranza dei
voti, e pesanti sanzioni sono state imposte al governo palestinese da Israele,
Stati Uniti e Unione Europea che classificano il gruppo come organizzazione
terroristica.
La
conseguente lotta per il potere, esacerbata dalla pressione internazionale, si
è trasformata in un violento conflitto tra “Hamas” e “Fatah”, che ha portato il
primo a prendere il controllo di Gaza e il secondo a governare la Cisgiordania, immobilizzando la politica
palestinese.
L’ “AP”,
che avrebbe dovuto gestire la Striscia di Gaza e meno del 40% della West Bank,
è ampiamente percepita come corrotta e incompetente.
Secondo i dati del Palestinian Centre for Policy and
Survey Research (Public Opinion Poll N.82 del dicembre 2021), l’84% degli intervistati ritiene
infatti che le istituzioni dell’AP siano “corrotte” e il 69% afferma lo stesso
delle istituzioni controllate da “Hamas” nella Striscia di Gaza.
Da
quando è succeduto a Yasser Arafat come leader palestinese nel 2004,” Abbas” ha
puntato soprattutto a consolidare il suo potere all’interno dell’Autorità
Palestinese (AP), l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e
Fatah.
Nel
corso degli anni, “Abbas” ha costantemente epurato i suoi rivali politici,
monopolizzato i processi decisionali palestinesi e perseguito misure sempre più
autoritarie per soffocare il dissenso e ridurre lo spazio democratico e la
partecipazione popolare (si veda a questo proposito l’uccisione del noto
oppositore Nizar Banat del giugno 2021).
Questa
condizione di frammentazione e fragilità politica è stata aggravata dalle continue
lotte intestine tra Fatah e Hamas, principali partiti protagonisti della scena
politica, e dalla conseguente separazione politica tra la West Bank e Gaza.
Non
sorprende dunque che la fiducia dell’opinione pubblica palestinese nelle
tradizionali strutture di governo continui a diminuire, mettendo le istituzioni
palestinesi, la presidenza di Abbas e l’AP, di fronte a una crisi di
legittimità senza precedenti.
Inoltre,
sia Fatah
che Hamas –
caratterizzati da imponenti e complessi apparati burocratici – stanno
assistendo ad un deciso declino del consenso popolare.
Tale
cambiamento è particolarmente evidente tra i giovani palestinesi, sempre più
alienati dalla politica e dalle élite palestinesi e sempre più inclini ad una
aggregazione non partitica ma legata alla società civile e alle organizzazioni
non governative locali.
Vale
la pena a questo proposito sottolineare come la metà degli aventi diritto al
voto nel 2021 abbia un’età compresa tra i 18 ei 33 anni e non abbia mai votato
alle elezioni legislative prima d’ora.
In
realtà, la situazione è però potenzialmente più dinamica di quanto appaia, e
segnalare gli indicatori di un simile movimento – possibile ma nascosto – è
l’obiettivo di queste note.
Per
comprendere questo moto sotterraneo è utile prendere in considerazione le
recenti elezioni locali e le candidature alle elezioni politiche nazionali (poi
rinviate), che mostrano un interessante quadro di partecipazione popolare e di
maggiore diversificazione della proposta politica.
I
risultati, e la maggiore partecipazione popolare si possono forse spiegare – in
parte – con la forza dei legami familiari e di clan (hamula) e attraverso la
presenza di molte liste di natura clanica, ma la maggiore offerta politica
nelle elezioni nazionali è un elemento su cui vale la pena di riflettere.
Le
elezioni locali del 2021-2022 sono divise in due fasi, secondo una decisione
presa dal Consiglio
dei ministri dell’Autorità palestinese (AP):
il
primo turno di voto si è svolto l’11 dicembre 2021, in 376 autorità locali, per
lo più rurali, nella zona C della West Bank.
Il secondo turno avrà invece luogo il 26 marzo
2022 e comprenderà le restanti 66 autorità locali di Gaza e i comuni più grandi
della Cisgiordania (area A e B).
“Hamas” ha però boicottato le elezioni locali,
e impedito l’inclusione di Gaza nei procedimenti elettorali.
Le ultime elezioni locali si sono tenute, solo
nella West Bank, nel 2017, e sono state altresì boicottate da parte di Hamas in
opposizione alla AP.
Il voto del dicembre 2021 ha visto
un’affluenza del 66,14% e i candidati indipendenti (cioè coloro che non hanno
legami ufficiali con un partito politico) hanno conquistato più del 70% dei
seggi.
Un simile trend sembrerebbe confermare almeno
in parte il preesistente allontanamento dalla politica bipolare visto nelle
ultime elezioni locali del 2017.
Tuttavia,
mentre poche delle liste elettorali erano esplicitamente collegate ai partiti
tradizionali, è innegabile che molti dei partiti avessero in realtà delle
connessioni non ufficiali con “Fatah”, mentre altri sono stati formati sulla
base di relazioni familiari o tribali, ancora molto forti e presenti sul
territorio.
Hana
Nasir, Presidente della Commissione Elettorale Centrale (CEC), ha detto a questo proposito in una
conferenza stampa che il 79% degli eletti appartiene a liste indipendenti,
riferendosi in gran parte a liste familiari o tribali che non hanno
un’affiliazione politica ufficiale e “Suheir Ismael Faraj”, importante
attivista della zona di Betlemme, ha parlato di una “clear victory for tribal lists”.
Il
numero totale dei votanti è stato di 268.318 su 405.687 aventi diritto, cioè
appunto il 66.14%:
dato
assai significativo se si considera che nelle contemporanee elezioni israeliane
per la 24a Knesset l’affluenza al voto dei Palestinesi israeliani non ha
superato il 44.6%.
La registrazione degli elettori per la seconda
fase inizierà l’8 gennaio, mentre l’inizio della campagna elettorale avverrà
ufficialmente il 13 marzo.
Lo scrutinio avrà luogo in 66 località, che
rappresentano i comuni delle aree A e B della Cisgiordania, e 25 località a
Gaza.
La
variabile più misteriosa a Gaza è certamente” Hamas”, che ha boicottato le
elezioni di dicembre per protestare contro la cancellazione delle elezioni
legislative dello scorso maggio.
È però immaginabile che anche la dirigenza di
Hamas si troverà sotto pressione, poiché l’ultima elezione a Gaza risale
infatti al 2006, con la vittoria, appunto, del movimento islamico.
A questo proposito è evidente il timore della
comunità internazionale per una eventuale partecipazione di “Hamas”.
Le
numerose condanne contro il movimento islamista per i fatti del maggio del 2021
lasciano intendere conseguenze imprevedibili se dovesse prospettarsi uno
scenario simile a quello del 2006.
Azzardando
una previsione, è plausibile ipotizzare che “Fatah” continuerà ad essere la
forza dominante all’interno dell’OLP e dell’AP, anche se l’emergere di “Hamas”
e la sua vittoria nelle elezioni del Palestinian Legislative Council (PLC) nel 2006 hanno posto una seria
sfida a Fatah e all’OLP nel suo complesso.
Per quanto” Fatah” e “Hamas” – con la lunga scia di lotte intestine
– rappresentino
inevitabilmente l’asse intorno a cui orbita la maggior parte del consenso
politico, sarebbe comunque un grave errore di prospettiva ridurre lo scenario
politico e partitico palestinese a questa semplice dicotomia.
Non va
dimenticato infatti che altri raggruppamenti si contendono la rappresentanza.
Senza
correre il rischio di trascurare divergenze ideologiche significative, è il
caso di ricordare, fra gli altri,” Iniziativa Nazionale Palestinese” (PNI) – Al “Mubadara” in arabo – che si
descrive come un movimento democratico di resistenza non violenta
all’occupazione, e sostiene la pace con Israele basata su una soluzione a due stati e il
diritto al ritorno dei rifugiati.
Il
partito si considera una “terza forza democratica” nella politica palestinese e si
oppone alla dicotomia tra Fatah (che considera corrotta e antidemocratica) e Hamas (che considera estremista e
fondamentalista).
Per le
elezioni legislative del 2006,” Iniziativa Nazionale Palestinese” ha corso
sotto il nome di Palestina Indipendente, candidando alcuni indipendenti e ottenendo il 2,7% e due
seggi nel PLC.
Un
consenso non trascurabile raccoglie poi il Fronte Popolare per la Liberazione
della Palestina (PFLP), partito socialista rivoluzionario fondato nel 1967 come
organizzazione ombrello per gruppi marxisti-leninisti e nazionalisti arabi.
Si
tratta della seconda fazione più grande all’interno dell’OLP, e la principale
forza di opposizione a Fatah.
Il PFLP non sostiene la soluzione dei due
Stati e chiede invece la liberazione di tutta la Palestina storica.
In base ai risultati delle elezioni
legislative del 2006, detiene 3 seggi all’interno del Palestinian Legislative Council (PLC).
La
Terza Via è invece un partito politico centrista palestinese attivo nell’Autorità Nazionale Palestinese
(ANP), che
si presenta come un’alternativa al sistema bipartitico di Hamas e Fatah.
Nelle elezioni PLC del gennaio 2006 il partito
ha ricevuto il 2,41% del voto popolare e ha vinto due dei 132 seggi del
Consiglio.
Se i
due partiti maggiori, Fatah e Hamas, hanno visto ridursi il proprio seguito in modo
consistente, soprattutto negli ultimi anni, di questo processo di erosione non
hanno però approfittato in modo significativo neanche le nuove (o vecchie)
formazioni politiche.
Piuttosto, stando ai dati 2020/21 del Palestinian Center for Policy and
Survey Research (PCPSR), le nuove generazioni palestinesi ripongono in effetti scarsa
fiducia nelle forze politiche e negli ultimi anni sembrano preferire
aggregazioni di tipo civico e sociale.
Nonostante il rinvio sine die delle elezioni
nazionali, l’ipotesi di un progressivo emergere di forze alternative ai due
partiti principali e di forze giovani che finora non hanno trovato una chiara
rappresentanza politica, trova conferma anche dai dati sulle candidature
giovanili alle elezioni nazionali, poi rinviate.
I
numeri infatti assumono grande rilevanza per disegnare un quadro più completo
della vita politica palestinese, anche e soprattutto alla luce delle assurde
restrizioni legislative che limitano la partecipazione giovanile imponendo alle
liste una quota di registrazione di $ 20.000 ed una età minima per i candidati
fissata a 28 anni, che sono inoltre tenuti a dimettersi dai loro lavori,
indipendentemente dal fatto che vengano eletti o meno.
Simili
restrizioni sono un ovvio limite alla capacità elettorale passiva giovanile
palestinese, una fascia demografica spesso poco considerata nella maggior parte
delle analisi, sebbene non solo numericamente sempre più consistente, ma anche
pesantemente svantaggiata in termini di prospettive di vita.
Nel
2021, i tassi di disoccupazione a Gaza
hanno infatti raggiunto il 50,2%
ed il 68% per quanto riguarda le
donne (dati del Palestinian Central Bureau of Statistics relativi al terzo
trimestre 2021), e non è certamente un caso che nell’ultimo sondaggio del Palestine Center for Policy and
Survey Research, un
numero maggiore di palestinesi abbia indicato la disoccupazione e la corruzione
– piuttosto che l’occupazione israeliana – come i problemi più gravi che la
società palestinese deve affrontare attualmente.
In
termini di partecipazione partitica, vale dunque la pena sottolineare come
secondo i dati della Palestinian Central Election Commission del 2021 un totale di 36 liste e ben 1.389
candidati si fossero registrati alle elezioni legislative poi rinviate (di cui
il 40% giovani di età compresa tra i 28
e i 40 anni), segnalando una chiara e nuova urgenza da parte dell’elettorato.
Tra le
liste presentatesi, avvalorando la tesi di un graduale allontanamento da una
politica bipolare, vi era anche “Fed Up,” lista di esponenti della società
civile e di molti giovani, tra cui quelli coinvolti nelle proteste della Grande Marcia del Ritorno 2018-2019
contro le restrizioni israeliane su Gaza e nelle proteste del 2019 “Let us
live” (Bidna Na’ish) contro il governo di “Hamas”.
Rilevante anche la presenza di “Nabd al-Balad”,
altra lista indipendente orientata ad una rappresentanza giovanile.
Altro
dato da sottolineare è che, stando agli stessi dati, il 29% dei candidati era
costituito da donne: elemento, questo, che rappresenta una novità importante
(rispetto al conservatorismo culturale in generale ed islamico in particolare) e che in prospettiva può introdurre
una dinamica finora rimasta del tutto marginale.
Infine,
l’incremento delle candidature di esponenti dei Comitati Popolari di Resistenza
(Popular Struggle Committees) mostra chiaramente come le organizzazioni della società
civile palestinese si stiano progressivamente sostituendo, in termini di
identità politica, ad una tradizionale politica partitica immobile e poco
funzionale.
Mentre
le elezioni locali si sono tenute ogni quattro anni come previsto dalla legge,
la grande questione irrisolta per la politica palestinese rimane quella delle
elezioni legislative e presidenziali.
La
leggera spinta che gli attuali risultati hanno dato a “Fatah” potrebbe
incoraggiarne la dirigenza a considerare le elezioni legislative, ma una
decisione definitiva sarà probabilmente presa solo dopo i risultati delle
elezioni del 26 marzo.
Nel
frattempo, la paralisi istituzionale degli ultimi 15 anni testimonia come
l’ordinamento palestinese, colpito dal perdurante conflitto con lo Stato di
Israele ma anche da un apparato istituzionale confuso e fragile, non possa
esimersi dalla necessità di riformare profondamente i propri supremi organi
statali, facendo chiarezza tra le prerogative di OLP e ANP e stimolando una
partecipazione politica non più incanalata in una stretta e poco efficiente
politica bipolare, ma su forze politiche e sociali nuove e realmente
rappresentative della popolazione, in particolare delle nuove generazioni.
L'interconnessione
dei
paradigmi
strategici
Unz.com
- ALASTAIR CROOKE – (29 APRILE 2024) – ci dice:
Molti
europei opterebbero per rendere l'Europa nuovamente competitiva; fare
dell'Europa un attore diplomatico, piuttosto che militare.
“Theodore
Postol”, professore di scienza, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al”
MIT£, ha fornito un'analisi forense dei video e delle prove emerse dall'attacco
"dimostrativo" dello sciame di droni e missili iraniani contro
Israele il 13 aprile:
un
"messaggio", piuttosto che un "messaggio" assalto'.
Il
principale quotidiano israeliano “Yediot Ahoronot” stima a 2-3 miliardi di
dollari il costo del tentativo di abbattere la flottiglia iraniana.
Le implicazioni di questo singolo numero sono
sostanziali.
Il
professor Postol scrive:
"Ciò
indica che il costo della difesa da ondate di attacchi di questo tipo è molto
probabilmente insostenibile contro un avversario adeguatamente armato e
determinato".
"I
video mostrano un fatto estremamente importante:
tutti
gli obiettivi, siano essi droni o meno, vengono abbattuti da missili
aria-aria", [lanciati principalmente da aerei statunitensi. Secondo quanto
riferito, circa 154 aerei erano in volo in quel momento] probabilmente
lanciando missili aria-aria AIM-9x Sidewinder.
Il costo di un singolo missile aria-aria
Sidewinder è di circa 500.000 dollari".
Inoltre:
"Il
fatto che un gran numero di missili balistici non ingaggiati possano essere
visti brillare mentre rientrano nell'atmosfera ad altitudini più basse
[un'indicazione di ipervelocità], indica che qualunque siano gli effetti delle
difese missilistiche” David's Sling e Arrow” [di Israele], non erano
particolarmente efficaci.
Pertanto,
le prove a questo punto mostrano che essenzialmente tutti o la maggior parte
dei missili balistici a lungo raggio in arrivo non furono intercettati da
nessuno dei sistemi di difesa aerea e missilistica israeliani".
“Postel”
aggiunge:
"Ho
analizzato la situazione e ho concluso che la tecnologia ottica e
computazionale disponibile in commercio è più che in grado di essere adattata a
un sistema di guida per missili da crociera per conferirgli “capacità di homing”
di altissima precisione... è la mia conclusione che gli iraniani hanno già sviluppato
sistemi di precisione missili da crociera guidati e droni".
"Le
implicazioni di ciò sono chiare.
Il
costo per abbattere missili da crociera e droni sarà molto alto e potrebbe
essere insostenibile a meno che non vengano implementati sistemi antiaerei
estremamente economici ed efficaci.
Al
momento, nessuno ha dimostrato un sistema di difesa economicamente vantaggioso
in grado di intercettare i missili balistici con una certa affidabilità".
Giusto
per essere chiari, “Postol” sta dicendo che né gli Stati Uniti né Israele hanno
una difesa più che parziale contro un potenziale attacco di questa natura – soprattutto perché l'Iran ha disperso
e seppellito i suoi silos di missili balistici su tutto il territorio iraniano
sotto il controllo di forze autonome.
Unità in grado di continuare una guerra, anche
se il comando centrale e le comunicazioni fossero completamente perduti.Ciò
equivale a un cambiamento di paradigma – chiaramente per Israele, per esempio.
L'enorme
spesa fisica per ordinanze di difesa aerea – del valore di 2-3 miliardi di
dollari – non sarà ripetuta, volenti o nolenti, dagli Stati Uniti.
Netanyahu
non convincerà facilmente gli Stati Uniti a impegnarsi con Israele in qualsiasi
joint venture contro l'Iran, date queste insostenibili misure di difesa aerea,
con i collegati costi.
Ma
inoltre, come seconda importante implicazione, questi mezzi di difesa aerea non
sono solo costosi in termini di dollari, semplicemente non ci sono:
cioè
l'armadio delle scorte è quasi vuoto!
E gli Stati Uniti non hanno la capacità
produttiva per sostituire rapidamente queste piattaforme non particolarmente
efficaci e ad alto costo.
«Sì,
l'Ucraina»... il paradigma del Medio Oriente si interconnette direttamente con
il paradigma dell'Ucraina, dove la Russia è riuscita a distruggere gran parte delle
capacità di difesa aerea fornite dall'Occidente in Ucraina, dando alla Russia
un dominio aereo quasi completo sui cieli.
Posizionare
una scarsa difesa aerea "per salvare Israele", quindi, espone
l'Ucraina (e rallenta anche il perno degli Stati Uniti verso la Cina).
E data la recente approvazione del disegno di
legge sul finanziamento dell'Ucraina al Congresso, è chiaro che le risorse di
difesa aerea sono una priorità da inviare a Kiev, dove l'Occidente sembra
sempre più intrappolato e fruga alla ricerca di una via d' uscita che non porti
all'umiliazione.
Ma
prima di lasciare il “cambio di paradigma” in Medio Oriente, le implicazioni
per Netanyahu sono già evidenti:
deve
quindi concentrarsi di nuovo sul "nemico vicino" – la sfera
palestinese o il Libano – per fornire a Israele la "Grande Vittoria" che il
suo governo brama.
In
breve, il "costo" per Biden di salvare Israele dalla flottiglia
iraniana, che era stata preannunciata dall'Iran come dimostrativa e non
distruttiva né letale, è che la Casa Bianca deve sopportare il corollario: un
attacco a Rafah.
Ma ciò
implica una diversa forma di costo: un'erosione elettorale attraverso
l'esacerbazione delle tensioni interne derivanti dal palese massacro di
palestinesi in corso.
Non è
solo Israele a sostenere il peso del cambiamento di paradigma iraniano.
Consideriamo
gli Stati arabi sunniti che hanno lavorato in varie forme di collaborazione
(normalizzazione) con Israele.
Nell'eventualità
di un conflitto più ampio che coinvolga l'Iran, chiaramente Israele non può
proteggerlo – come mostra chiaramente il professor Postol.
E possono contare sugli Stati Uniti?
Gli
Stati Uniti si trovano ad affrontare richieste contrastanti per le loro scarse
difese aeree e (per ora) l'Ucraina, e il perno verso la Cina, sono più in alto
nella scala delle priorità della Casa Bianca.
Nel
settembre 2019, l'“impianto petrolifero saudita di Abqaiq” è stato colpito da
missili da crociera, che “Postol” osserva:
"aveva
una precisione effettiva di forse pochi metri, molto più precisa di quella che si
poteva ottenere con la guida GPS (suggerendo un sistema di guida ottica e
computazionale, che dava una “capacità di homing” molto precisa)".
Quindi,
dopo il
cambio di paradigma della deterrenza attiva iraniana e il successivo shock del paradigma
di esaurimento della difesa aerea, il presunto cambiamento di paradigma occidentale (il
Terzo Paradigma) è similmente interconnesso con l'Ucraina.
Perché
la guerra per procura dell'Occidente con la Russia, incentrata sull'Ucraina, ha
reso abbondantemente chiara una cosa:
la delocalizzazione della sua base
manifatturiera da parte dell'Occidente l'ha resa non competitiva, sia in
termini commerciali semplici, sia in secondo luogo, limitando la capacità
manifatturiera della difesa occidentale.
Scopre
(dopo il 13 aprile) di non avere i mezzi di difesa aerea per andare in giro:
"salvare Israele"; "salvare
l'Ucraina" e prepararsi alla guerra con la Cina.
Il
modello occidentale di massimizzazione dei rendimenti per gli azionisti non si
è adattato prontamente alle esigenze logistiche dell'attuale
"limitata" guerra Ucraina/Russia, per non parlare del posizionamento
per le guerre future con l'Iran e la Cina.
In
parole povere, questo imperialismo globale "in fase avanzata" ha
vissuto una "falsa alba":
con
l'economia che si è spostata dalla produzione di "cose" alla sfera
più redditizia di immaginare nuovi prodotti finanziari (come i derivati) che fanno un sacco
di soldi rapidamente, ma che destabilizzano la società (attraverso crescenti
disparità di ricchezza);
e che, in ultima analisi, destabilizzano lo stesso
sistema globale (mentre gli Stati della “Maggioranza Mondiale” indietreggiano di fronte alla perdita
di sovranità e autonomia che il “finanziario” comporta).
Più in
generale, il sistema globale è prossimo a un massiccio cambiamento strutturale.
Come
avverte il “Financial Times” ,
"Gli
Stati Uniti e l'UE non possono abbracciare le argomentazioni della
"industria nascente" in materia di sicurezza nazionale, impadronirsi
delle principali catene del valore per ridurre la disuguaglianza e infrangere
le "regole" fiscali e monetarie, mentre usano anche il “FMI” e la”
Banca Mondiale” – e la “professione economica” – per predicare migliori
pratiche di libero mercato per i mercati emergenti, Cina esclusa.
E la
Cina non può pretendere che altri non copino ciò che fa".
Come
conclude il “FT”, "il passaggio a un nuovo paradigma economico è iniziato.
Dove andrà a finire è ancora tutto da decidere".
'In
palio':
Beh,
per il “FT” la risposta potrebbe essere opaca, ma per la maggioranza globale è abbastanza chiara: "Torniamo alle origini":
un'economia
più semplice, in gran parte nazionale, protetta dalla concorrenza straniera da
barriere doganali.
Chiamatelo "vecchio stile" (i
concetti sono stati scritti negli ultimi 200 anni); eppure non è niente di
estremo.
Queste
nozioni riflettono semplicemente il rovescio della medaglia delle dottrine di “Adam
Smith” e di ciò che “Friedrich List “avanzò nella sua critica all'approccio
individualista del laissez-faire degli anglo-americani.
I
"leader europei", tuttavia, vedono la soluzione del paradigma
economico in modo diverso:
"Panetta
della BCE ha tenuto un discorso che riecheggia l'appello di Mario Draghi per un
"cambiamento radicale":
ha
affermato che per far prosperare l'UE ha bisogno di un'economia politica de
facto incentrata sulla sicurezza nazionale incentrata su: ridurre la dipendenza
dalla domanda estera;
rafforzare la sicurezza energetica
(protezionismo verde);
promuovere
la produzione di tecnologia (politica industriale), ripensare la partecipazione
alle catene globali del valore (tariffe/sovvenzioni) lavoro);
rafforzare
la sicurezza esterna (ingenti fondi per la difesa e investimenti congiunti in
beni pubblici europei (tramite Eurobond ... essere acquistati dal” QE” della
BCE)".
Il
boom della "falsa alba" dei servizi finanziari statunitensi è
iniziato quando la sua base industriale stava marcendo e mentre nuove guerre
cominciavano ad essere promosse.
È
facile vedere che l'economia degli Stati Uniti ha ora bisogno di un cambiamento
strutturale.
La sua economia reale è diventata non
competitiva a livello globale, da qui l'invito della “Yellen” alla “Cina” a
frenare la sua sovraccapacità che sta danneggiando le economie occidentali.
Ma è
realistico pensare che l'Europa possa gestire un rilancio come "economia
politica guidata dalla difesa e dalla sicurezza nazionale", come sostenere Draghi e Panetta come
continuazione della guerra con la Russia?
Lanciato da quasi “Ground Zero”?
È
realistico pensare che lo Stato di sicurezza americano permetterà all'Europa di farlo, dopo aver deliberatamente ridotto
l'Europa a un vassallaggio economico, inducendola ad abbandonare il suo
precedente modello di business “basato sull'energia a basso costo” (Carbone e
Gas!) e sulla vendita di prodotti ingegneristici di fascia alta alla Cina?
Questo
piano Draghi-BCE rappresenta un enorme cambiamento strutturale;
Uno
che richiederebbe un decennio o dovuto per essere implementato e costerebbe
trilioni.
Accadrebbe
anche questo, in un momento di inevitabile austerità fiscale europea.
Ci sono prove che i comuni europei sono
favorevoli ad un cambiamento strutturale così radicale?
Perché
allora l'Europa
sta perseguendo un percorso che comporta enormi rischi – un percorso che potenzialmente
potrebbe trascinare l'Europa in un vortice di tensioni che sfoceranno in una
guerra con la Russia?
Per
una ragione principale:
la leadership dell'UE aveva l'ambizione
arrogante di trasformare l'UE in un impero "geopolitico" – un attore
globale con il peso di unirsi agli Stati Uniti al vertice.
A tal fine, l'UE si è offerta senza riserve
come ausiliaria del team della Casa Bianca per il progetto sull'Ucraina, e ha
accettato il prezzo d'entrata consistente nello svuotare i propri arsenali e
nel sanzionare l'energia a basso costo da cui dipendeva l'economia.
È
stata questa decisione a deindustrializzare l'Europa;
ciò ha reso non competitivo ciò che resta
dell'economia reale e ha innescato l'inflazione che sta minando il tenore di
vita.
L'allineamento
con il fallimentare progetto ucraino di Washington ha scatenato una cascata di
decisioni disastrose da parte dell'UE.
Se
questa linea politica cambiasse, l'Europa potrebbe tornare a essere quella che
era: un'associazione commerciale formata da diversi stati sovrani.
Molti
europei si accontenterebbero di questo:
concentrare
l'attenzione sul rendere l'Europa nuovamente competitiva; fare dell'Europa un
attore diplomatico, piuttosto che un attore militare.
Gli
europei vogliono davvero essere al tavolo più alto degli americani?
"Non
hai il senso
della
decenza?"
Unz.com
- MICHAEL HUDSON – (28 APRILE 2024) – ci dice:
Le
recenti udienze del Congresso che hanno portato ad un massacro di presidenti
universitari mi riportano alla mente ricordi della mia adolescenza negli anni
'50, quando gli occhi di tutti erano incollati alla trasmissione televisiva
delle udienze di McCarthy.
E le rivolte studentesche incitate dai feroci
presidenti dei college che cercano di soffocare la libertà accademica quando si
oppone alle guerre ingiuste straniere risvegliano i ricordi delle proteste
degli anni '60 contro la guerra del Vietnam e delle repressioni nei campus di
fronte alla violenza della polizia.
Ero il
membro più giovane dei "tre Columbia" insieme a “Seymour Melman” e al
mio mentore “Terence McCarthy” (entrambi insegnavano alla” Seeley Mudd School
of Industrial Engineering” della Columbia;
il mio
lavoro era principalmente quello di gestire la pubblicità e la pubblicazione).
Alla
fine di quel decennio, gli studenti occuparono il mio ufficio e tutti gli altri
docenti della” New School” di New York City – in modo molto pacifico, senza
disturbare nessuno dei miei libri e delle mie carte.
Sono
cambiati solo gli epiteti.
L'invettiva "comunista" è stata
sostituita da "antisemita" e la ripresa della violenza della polizia
nel campus non ha ancora portato a una raffica di fucili in stile “Kent State”
contro i manifestanti.
Ma i denominatori comuni sono ancora una volta
tutti qui.
È stato organizzato uno sforzo concertato per
condannare e perfino punire le odierne rivolte studentesche a livello nazionale
contro il genocidio che si sta verificando a Gaza e in Cisgiordania.
Proprio
come il “Comitato per le attività antiamericane della Camera” (HUAC) mirava a
porre fine alle carriere di attori progressisti, registi, professori e
funzionari del “Dipartimento di Stato” anti-Chiang Kai-Shek o “solidali con
l'Unione Sovietica dal 1947 al 1975”, la versione odierna mira a porre fine a
ciò che rimane della libertà accademica negli Stati Uniti.
L'epiteto
di "comunismo" di 75 anni fa è stato aggiornato in
"antisemitismo".
Il
senatore “Joe McCarthy” del Wisconsin è stato sostituito da “Elise Stefanik”,
repubblicana della Camera dello stato di New York, e il senatore "Scoop
Jackson” è stato promosso dal presidente “Joe Biden”.
Il presidente dell'Università di Harvard, “Claudine
Gay” (ora costretta a dimettersi), l'ex presidente dell'Università della
Pennsylvania, “Elizabeth Magill”, e il presidente del “Massachusetts Institute
of Technology”,” Sally Kornbluth”, sono stati chiamati ad abbassarsi
promettendo di accusare di antisemitismo i sostenitori della pace critici della
politica estera degli Stati Uniti.
La
vittima più recente è stata il presidente della Colombia “Nemat
"Minouche" Shafik”, un'opportunista cosmopolita con cittadinanza
trilaterale che ha applicato la politica economica neoliberista come
funzionario di alto rango del “FMI” (dove non era estranea alla violenza delle
"rivolte del FMI") e della “Banca Mondiale”, e che ha portato con sé
i suoi avvocati per aiutarla ad acconsentire alle richieste del “Comitato del
Congresso”.
Ha
fatto questo e molto altro, da sola.
Nonostante
le fosse stato detto di non farlo dai comitati per gli affari della facoltà e
degli studenti, ha chiamato la polizia per arrestare i manifestanti pacifici.
Questa violazione radicale della violenza
della polizia contro i manifestanti pacifici (la polizia stessa ha attestato la
loro pacificità) ha scatenato rivolte solidali in tutti gli Stati Uniti,
incontrate risposte ancora più violente della polizia all' “Emory College di
Atlanta” e al “California State Polytechnic”, dove i video dei telefoni
cellulari sono stati rapidamente pubblicati su varie piattaforme mediatiche.
Proprio
come la libertà intellettuale e la libertà di parola sono state attaccate dall'
“HUAC 75 anni fa,” la libertà accademica è ora sotto attacco in queste
università. La polizia ha fatto irruzione nel cortile della scuola per accusare
gli studenti stessi di violazione di domicilio, con una violenza che ricorda le
manifestazioni che raggiunsero l'apice nel maggio 1970, quando la “Guardia
Nazionale dell'Ohio” sparò agli studenti dello “Stato del Kent” che cantavano e
parlavano contro la guerra americana in Vietnam.
Le
manifestazioni di oggi sono in opposizione al genocidio Biden-Netanyahu a Gaza
e in Cisgiordania.
La
crisi più sotterranea può essere ricondotta all'insistenza di Benjamin
Netanyahu sul fatto che criticare Israele è antisemita.
Questo
è l'"insulto abilitante" dell'odierno assalto alla libertà
accademica.
Per
"Israele", “Biden e Netanyahu” intendono specificamente il” partito
di destra Likud” e i suoi sostenitori teocratici che mirano a creare "una
terra senza un popolo [non ebraico]".
Affermano che gli ebrei devono la loro lealtà
non alla loro attuale nazionalità (o umanità), ma a Israele e alla sua politica
di spingere i milioni di palestinesi della Striscia di Gaza in mare
bombardandoli fuori dalle loro case, ospedali e campi profughi.
L'implicazione è che sostenere le accuse della
“Corte Internazionale di Giustizia” secondo cui Israele sta plausibilmente
commettendo un genocidio è un atto antisemita.
Sostenere le risoluzioni dell'ONU su cui gli
Stati Uniti hanno posto il veto è antisemita.
La
tesi è che Israele si sta difendendo e che la protesta contro il genocidio dei
palestinesi a Gaza e in Cisgiordania spaventa gli studenti ebrei.
Ma una
ricerca condotta dagli studenti della “School of Journalism della Columbia” ha
scoperto che le denunce citate dal “New York Times” e da altri “media
filo-israeliani” erano state avanzate da non studenti che cercavano di diffondere la storia
secondo cui la violenza di Israele era per legittima difesa.
La
violenza studentesca è stata” commessa” da cittadini israeliani.
La Columbia ha un programma di scambio di studenti con
Israele per gli studenti che completano la formazione obbligatoria con le forze
di difesa israeliane.
Sono stati alcuni di questi studenti di
scambio ad attaccare i manifestanti pro-Gaza, spruzzandoli con Skunk, un'arma
chimica indelebile e maleodorante dell'esercito israeliano che marchia i
manifestanti per il successivo arresto, tortura o assassinio.
Gli
unici studenti in pericolo sono stati le vittime di questo attacco.
La “Columbia
sotto Shafik” non ha fatto nulla per proteggere o aiutare le vittime.
Le
udienze alle quali si è presentata parlano da sole.
Il
presidente della Columbia Shafik è riuscito a evitare il primo attacco alle
università non sufficientemente pro-Likud organizzando riunioni fuori dal
paese.
Eppure
si è mostrata disposta a sottoporsi alle stesse percosse che avevano portato i
suoi due colleghi presidenti a essere licenziati, sperando che i suoi avvocati
l'avessero spinta a sottomettersi in un modo che fosse accettabile per il
comitato.
Ho
trovato che l'attacco più demagogico sia stato quello del deputato repubblicano
“Rick Allen” dalla Georgia, che ha chiesto alla dottoressa “Shafik” se avesse
familiarità con il passaggio in Genesi 12.3.
Come
ha spiegato" "Era un patto che Dio fece con Abramo. E quel patto era
davvero chiaro. ... 'Se benedici Israele, io benedirò te. Se maledici Israele,
io maledirò te». ...
Ritieni che sia una questione seria? Voglio
dire, vuoi che la Columbia University venga maledetta dal Dio della Bibbia?»
“Shafiq”
sorrise e fu amichevole per tutto il tempo di questo tonfo biblico, e rispose
docilmente: "Assolutamente no".
Avrebbe
potuto scongiurare questa domanda sconvolgente dicendo:
"La tua domanda è bizzarra. Siamo nel
2024 e l'America non è una teocrazia.
E l'Israele dei primi anni e Il secolo A.C non
era l'Israele di Netanyahu di oggi". Accettò tutte le accuse che “Allen”
ei suoi colleghi inquisitori del Congresso le lanciarono.
La sua
principale nemesi è stata “Elise Stefanik”, presidente della Conferenza
repubblicana della Camera, che fa parte della Commissione per i servizi armati
della Camera e della Commissione per l'istruzione e la forza lavoro.
Deputata
“Stefanik”:
Le è stato
chiesto se ci fossero state proteste antiebraiche e lei ha detto
"no".
Presidente
“Shafik”:
Quindi la protesta non è stata etichettata come una
protesta antiebraica. È stato etichettato come un governo anti-israeliano. Ma
si sono verificati episodi di antisemitismo o sono state dette cose antisemite.
Quindi
volevo solo finire.
Deputata
“Stefanik” :
E lei sa
che in quel disegno di legge, che ha ottenuto 377 deputati su 435 deputati al
Congresso, si condanna "dal fiume al mare" come antisemita?
Dr.
Shafik :
Sì, ne sono consapevole.
Deputata
Stefanik :
Ma lei non
crede che "dal fiume al mare" sia antisemita?
Dott.
Shafik : Abbiamo già rilasciato una
dichiarazione alla nostra comunità affermando che il linguaggio è offensivo e
preferiremmo non sentirlo nel nostro campus.
Quale
avrebbe potuto essere una risposta adeguata all'intimidazione di Stefanik?
“Shafik
“avrebbe potuto dire:
"Il motivo per cui gli studenti stanno
protestando è contro il genocidio israeliano contro i palestinesi, come ha
stabilito “la Corte internazionale di giustizia”, e la maggior parte delle
Nazioni Unite è d'accordo.
Sono
orgoglioso di loro per aver preso una posizione morale che la maggior parte del
mondo sostiene, ma che è sotto attacco qui in questa stanza".
Alla
domanda esplicita se gli appelli al genocidio violino il codice di condotta
della Columbia, il dottor Shafik ha risposto affermativamente: "Sì, lo
fa".
Lo stesso hanno fatto gli altri leader della
Columbia che l'hanno accompagnata all'udienza.
Non
hanno detto che non è affatto questo l'obiettivo delle proteste.
Né
Shafiq né nessun altro funzionario dell'università dice:
"La
nostra università è orgogliosa dei nostri studenti che assumono un ruolo
politico e sociale attivo nel protestare contro l'idea della pulizia etnica e
dell'omicidio delle famiglie semplicemente per accaparrarsi la terra in cui
vivono. Difendere
questo principio morale è l'essenza dell'educazione e la civiltà".
L'unico
punto saliente che ricordo delle audizioni di McCarthy fu la risposta di “Joseph
Welch”, il Consiglio Speciale dell'Esercito degli Stati Uniti, il 9 giugno 1954
all'accusa del senatore repubblicano “Joe McCarthy “secondo cui uno degli
avvocati di “Welch” aveva legami con un'organizzazione comunista di facciata.
«Fino a questo momento, senatore», rispose “Welsh”, «credo di non aver mai
valutato la sua crudeltà o la sua imprudenza. ... Non ha alcun senso del
pudore, signore?
Alla
fine, non
hai più il senso del pudore?"
Il
pubblico scoppiò in un applauso scrosciante.
La denigrazione
di” Welch” è riecheggiata negli ultimi 70 anni nella mente di coloro che
guardavano la televisione allora (come me, all'età di 15 anni).
Una
risposta simile da parte di uno qualsiasi degli altri tre presidenti del
college avrebbe dimostrato che “Stefanik “è la volgare che è.
Ma
nessuno si azzardò a opporsi all'umiliazione.
L'attacco
del Congresso che accusa gli oppositori del genocidio a Gaza come antisemiti
che sostengono il genocidio contro gli ebrei è bipartisan.
Già a dicembre, la deputata “Suzanne Bonamici”
(D-Ore.) aveva contribuito a far licenziare i presidenti di Harvard e Penn per
aver inciampato nella sua persecuzione.
Ha ripetuto la sua domanda a Shafik il 17
aprile: "Invocare il genocidio degli ebrei viola il codice di condotta
della Columbia?" - ha chiesto Bonamici ai quattro nuovi testimoni della
Columbia.
Tutti
hanno risposto: "Sì".
Quello
era il momento in cui avrebbero dovuto dire che gli studenti non chiedevano il
genocidio degli ebrei, ma cercavano di mobilitare l'opposizione al genocidio
commesso dal governo del Likud contro i palestinesi con il pieno sostegno del
presidente Biden.
Durante
una pausa nel procedimento, il deputato “Stefanik” ha detto alla stampa che
"i testimoni sono stati sentiti discutere di quanto pensavano che la loro
testimonianza stesse andando bene per la Columbia".
Questa arroganza ricorda stranamente quella
dei tre precedenti rettori universitari che, uscendo dall'udienza, credevano
che la loro testimonianza fosse accettabile.
"La
Columbia è pronta per una resa dei conti. Se è necessario un membro del
Congresso per costringere un rettore universitario a licenziare un presidente
di facoltà pro-terrorismo e antisemita, allora la leadership della Columbia
University sta deludendo gli studenti ebrei e la sua missione accademica",
ha aggiunto Stefanik.
"Nessuna
quantità di testimonianze esagerate, preparate e consultate in modo eccessivo
potrà coprire l'incapacità di agire."
“Shafik”
avrebbe potuto correggere in modo mirato le implicazioni degli inquisitori
della Camera secondo cui erano gli studenti ebrei ad aver bisogno di
protezione.
La
realtà era esattamente l'opposto:
il pericolo proveniva dagli studenti
israeliani dell'IDF che attaccavano i manifestanti con la” Skunk militare”,
senza alcuna punizione da parte della Columbia.
Nonostante
le fosse stato detto di non farlo dalla facoltà e dai gruppi studenteschi (che
Shafik era ufficialmente obbligato a consultare), ha chiamato la polizia, che
ha arrestato 107 studenti, ha legato loro le mani dietro la schiena e li ha
tenuti così per molte ore come punizione mentre caricavano, per aver violato la
proprietà della Columbia.
Shafik li ha poi sospesi dalle lezioni.
Lo
scontro tra due tipi di ebraismo: sionista vs. assimilazionista.
Un
buon numero di questi manifestanti critici erano ebrei.
Netanyahu
e l'AIPAC hanno affermato – giustamente, a quanto pare – che il più grande
pericolo per le loro attuali politiche di genocidio viene dalla popolazione
della classe media ebraica, tradizionalmente liberale.
Gruppi ebraici progressisti si sono uniti alle
rivolte alla Columbia e in altre università.
Il
primo sionismo sorse nell'Europa della fine del XIX secolo come risposta ai
violenti pogrom che uccidevano gli ebrei nelle città ucraine come Odessa e
altre città dell'Europa centrale che erano il centro dell'antisemitismo.
Il sionismo ha promesso di creare un rifugio
sicuro.
Aveva senso in un'epoca in cui gli ebrei
fuggivano dai propri paesi per salvarsi la vita in paesi che li accettavano.
Erano i "gazani" dei loro tempi.
Dopo
la seconda guerra mondiale e gli orrori dell'Olocausto l'antisemitismo divenne
superato.
La maggior parte degli ebrei negli Stati Uniti
e in altri paesi venivano assimilati e diventavano prosperi, con maggior
successo negli Stati Uniti.
Il
secolo scorso ha visto questo successo consentire loro di assimilarsi, pur
mantenendo la norma morale secondo cui la discriminazione etnica e religiosa
come quella subita dai loro antenati è sbagliata in linea di principio.
Gli
attivisti ebrei erano in prima linea nella lotta per le libertà civili, in modo
più visibile contro i pregiudizi e la violenza anti-neri negli anni '60 e '70 e
contro la guerra del Vietnam.
Molti
dei miei compagni di scuola ebrei negli anni '50 acquistarono titoli
israeliani, ma pensavano a Israele come a un paese socialista e pensavano di
offrirsi volontari per lavorare in un kibbutz in estate.
Non
c'era alcun pensiero di antagonismo, e non ho sentito alcun riferimento alla
popolazione palestinese quando è stata pronunciata la frase "un popolo
senza terra in una terra senza popolo".
Ma i
leader del sionismo sono rimasti ossessionati dai vecchi antagonismi sulla scia
degli omicidi di così tanti ebrei da parte del nazismo.
In molti modi hanno rovesciato il nazismo,
temendo un nuovo attacco da parte dei non ebrei.
Cacciare
gli arabi da Israele e trasformarlo in uno stato di apartheid era esattamente
l'opposto di ciò a cui miravano gli ebrei assimilazionisti.
La
posizione morale degli ebrei progressisti, e l'ideale che ebrei, neri e membri
di tutte le altre religioni e razze dovrebbero essere trattati allo stesso
modo, è l'opposto del sionismo israeliano.
Nelle mani del partito Likud di Netanyahu e
dell'afflusso di sostenitori di destra, il sionismo afferma la pretesa di
distinguere il popolo ebraico dal resto della popolazione nazionale, e persino
dal resto del mondo, come stiamo vedendo oggi.
Affermando
di parlare a nome di tutti gli ebrei, vivi e morti, Netanyahu afferma che
criticare il suo genocidio e l'olocausto palestinese,” lanakba”, è antisemita.
Questa
è la posizione di “Stefanik “e dei suoi colleghi membri della commissione.
È
un'affermazione che gli ebrei devono la loro prima fedeltà a Israele, e quindi
alla sua pulizia etnica e al suo omicidio di massa dallo scorso ottobre.
Anche il presidente Biden ha etichettato le
manifestazioni studentesche come "proteste antisemite".
Questa
affermazione, nelle circostanze del genocidio in corso da parte di Israele, sta
causando più antisemitismo di chiunque altro dai tempi di Hitler.
Se le
persone in tutto il mondo adottano la definizione di antisemitismo di Netanyahu
e del suo gabinetto, quanti, disgustati dalle azioni di Israele, diranno:
"Se è così, allora credo di essere antisemita".
La
calunnia di Netanyahu contro l'ebraismo e cosa dovrebbe rappresentare la
civiltà.
Netanyahu
ha descritto le proteste degli Stati Uniti in un discorso estremista il 24
aprile che attacca la libertà accademica americana.
Quello
che sta succedendo nei campus universitari americani è orribile. Folle
antisemita hanno preso il controllo delle principali università.
Invocano l'annientamento di Israele, attaccano
gli studenti ebrei, attaccano i docenti ebrei.
Questo ricorda ciò che accadde nelle
università tedesche negli anni '30.
Vediamo
questo aumento esponenziale dell'antisemitismo in tutta l'America e in tutte le
società occidentali mentre Israele cerca di difendersi dai terroristi genocidi,
terroristi genocidi che si nascondono dietro i civili.
È
inconcepibile, deve essere fermato, deve essere condannato e condannato in modo
inequivocabile.
Ma non
è quello che è successo.
La risposta di diversi rettori universitari è
stata vergognosa.
Ora, fortunatamente, i funzionari statali,
locali, federali, molti di loro hanno risposto in modo diverso, ma devono
essercene di più.
Bisogna
fare di più.
Questo
è un appello a trasformare le università americane in braccia di uno stato di
polizia, imponendo politiche dettate dallo stato colonizzatore di Israele.
Questo appello è finanziato da un flusso
circolare:
il
Congresso dà enormi sussidi a Israele, che ricicla parte di questo denaro nelle
campagne elettorali dei politici disposti a servire i loro donatori.
È la
stessa politica che l'Ucraina usa quando impiega gli "aiuti" degli
Stati Uniti creando organizzazioni di lobbying ben finanziate per sostenere i
politici clienti.
Che
tipo di espressioni di protesta studentesche e accademiche potrebbero opporsi
al genocidio di Gaza e della Cisgiordania senza minacciare esplicitamente gli
studenti ebrei?
Che ne dici di "Anche i palestinesi sono esseri
umani!"
Questo
non è aggressivo. Per renderlo più ecumenico, si potrebbe aggiungere:
"E lo sono anche i russi, nonostante quello che dicono i
neonazisti ucraini".
Posso
capire perché gli israeliani si sentono minacciati dai palestinesi.
Sanno
quanti ne hanno uccisi e brutalizzati per accaparrarsi la loro terra, uccidendo
solo per "liberare" la terra per sé stessi.
Devono pensare:
"Se
i palestinesi sono come noi, devono volerci uccidere, a causa di quello che
abbiamo fatto loro, e non ci potrà mai essere una soluzione a due stati e non
potremo mai vivere insieme, perché questa terra ci è stata data da Dio".
Netanyahu
ha soffiato sul fuoco dopo il suo discorso del 24 aprile elevando il conflitto
odierno al livello di una lotta per la civiltà:
"Ciò che è importante ora è che tutti
noi, tutti noi che siamo interessati e abbiamo a cuore i nostri valori e la
nostra civiltà, ci alziamo insieme e diciamo basta".
Quello
che Israele sta facendo, e ciò a cui si oppongono le Nazioni Unite, la Corte
Internazionale di Giustizia e la maggior parte della Maggioranza Mondiale, è
davvero "la nostra civiltà"?
La pulizia etnica, il genocidio e il
trattamento della popolazione palestinese come conquistata ed espulsa come
subumana è un attacco ai principi più basilari della civiltà.
Gli
studenti pacifici che difendono quel concetto universale di civiltà sono
chiamati terroristi e antisemiti dal terrorista primo ministro israeliano.
Sta seguendo le tattiche di Joseph Goebbels:
il
modo per mobilitare una popolazione per combattere il nemico è quello di
dipingersi come sotto attacco.
Questa
era la strategia di relazioni pubbliche nazista, ed è la strategia di relazioni
pubbliche di Israele oggi – e di molti nel Congresso americano, nell'AIPAC e in
molte istituzioni collegate che proclamano un'idea moralmente offensiva di
civiltà come supremazia etnica di un gruppo sanzionato da Dio.
Il
vero fulcro delle proteste è la politica degli Stati Uniti che sostiene la
pulizia etnica e il genocidio di Israele, sostenuto dagli "aiuti"
stranieri della scorsa settimana.
È
anche una protesta contro” la corruzione dei politici del Congresso” che raccolgono denaro dai lobbisti
che rappresentano gli interessi stranieri rispetto a quelli degli Stati Uniti.
Il
disegno di legge sugli "aiuti" della scorsa settimana ha anche
sostenuto l'Ucraina, l'altro paese attualmente impegnato nella pulizia etnica,
con i membri della Camera che hanno sventolato bandiere ucraina, non quelle
degli Stati Uniti.
Poco
prima, un membro del Congresso ha indossato la sua uniforme dell'esercito
israeliano al Congresso per pubblicizzare le sue priorità.
Il
sionismo è andato ben oltre l'ebraismo.
Ho
letto che ci sono nove sionisti cristiani per ogni sionista ebreo.
È come
se entrambi i gruppi chiedessero l'arrivo della” Fine dei Temp”i, mentre
insistono sul fatto che il sostegno alle Nazioni Unite e alla Corte
Internazionale di Giustizia che condanna Israele per genocidio è antisemita.
Cosa
possono chiedere gli studenti della Columbia.
Gli
studenti della Columbia e di altre università hanno chiesto alle università di
disinvestire in azioni israeliane, e anche in quelle dei produttori di armi
statunitensi che esportano in Israele.
Dato che le università sono diventate
organizzazioni aziendali, non credo che questa sia la richiesta più pratica al
momento.
Ancora
più importante, non va al cuore dei principi in gioco.
Quello
che è davvero il grande problema delle relazioni pubbliche è il sostegno
incondizionato degli Stati Uniti a Israele, qualunque cosa accada, con
"antisemitismo" l'attuale epiteto propagandistico per caratterizzare
coloro che si oppongono al genocidio e al brutale accaparramento delle terre.
Dovrebbero
insistere affinché la Columbia (e anche Harvard e l'Università della Pennsylvania,
che furono altrettanto ossequiose nei confronti del deputato Stefanik) annuncino pubblicamente che
riconoscono che non è antisemita condannare il genocidio, sostenere le Nazioni
Unite e denunciare gli Stati Uniti. Possibile “veto”.
Dovrebbero
insistere sul fatto che la Columbia e le altre università facciano una promessa
sacrosanta di non chiamare la polizia per motivi accademici su questioni di
libertà di parola.
Dovrebbero
insistere sul fatto che la presidente sia licenziata per il suo sostegno
unilaterale alla violenza israeliana contro i suoi studenti.
In
questa richiesta sono d'accordo con il principio del deputato” Stefanik “di
proteggere gli studenti, e che il “dottor Shafik” deve andarsene.
Ma c'è
una classe di grandi trasgressori che dovrebbe essere accusata di disprezzo:
“i
donatori corruttori” che cercano di attaccare la libertà accademica usando i
loro soldi per mantenere la politica universitaria e allontanare le università
dal ruolo di sostegno alla libertà accademica e alla libertà di parola.
Gli
studenti dovrebbero insistere sul fatto che gli amministratori universitari –
gli sgradevoli opportunisti che stanno al di sopra della facoltà e degli
studenti – non solo devono rifiutare tali pressioni, ma dovrebbero aderire
nell'esprimere zona shock per tale influenza politica nascosta.
Il
problema è che le università americane sono diventate come il Congresso nel
basare la loro politica sull'attrazione di contributi da parte dei loro
donatori.
Questo
è l'equivalente accademico della “sentenza della Corte Suprema” Citizens
United.
Numerosi
finanziatori sionisti hanno minacciato di ritirare i loro contributi ad
Harvard, alla Columbia e ad altre scuole che non seguiranno le richieste di
Netanyahu di reprimere gli oppositori del genocidio e i difensori delle Nazioni
Unite.
Questi
finanziatori sono i nemici degli studenti di tali università, e sia gli
studenti che i docenti dovrebbero insistere sulla loro rimozione.
Proprio come il Fondo Monetario Internazionale
del Dr. Shafik è caduto soggetto alla protesta dei suoi economisti che ci
devono essere "Mai più argentini", forse gli studenti della Columbia
potrebbero cantare "Mai più Shafiq".
(m.youtube.com/watch?v=syPELLKpABI).
(stefanik.house.gov/2024/4/icymi-stefanik-secures-columbia-university-president-s-commitment-to-remove-antisemitic-professor-from-leadership-role).
(Miranda
Nazzaro. "Netanyahu condanna le 'folle antisemite' nei campus universitari
statunitensi", The Hill , 24 aprile 2024.)
Il
falso oppositore Vannacci:
il 9
giugno sarà un referendum
sulla
fine della repubblica dell’anglosfera.
Lacrunadellago.net
– (30/04/2024) – Cesare Sacchetti – ci dice:
A
volte si ha la sensazione di essere imprigionati in una dimensione che il
filosofo tedesco Nietzsche, “massima” espressione del pensiero anticristiano
moderno, chiamava “eterno ritorno dell’uguale”.
È
quella dimensione dove gli eventi continuano a ripetersi all’infinito fino a
quando poi si arriva inevitabilmente alla fine della storia stessa, almeno
quella che i suoi mediocri sceneggiatori hanno scritto.
In
questo caso, si tratta del valzer dei falsi oppositori, chiamati “gate keeper”
nella terminologia anglosassone, che è iniziato almeno dagli anni 2000 quando già la
democrazia liberale iniziava a mostrare delle vistose crepe sul suo muro.
Erano
gli anni del cosiddetto berlusconismo liberale di centrodestra contrapposto
invece al liberalismo di sinistra.
Erano
gli anni di quel duopolio controllato partorito dalla infausta rivoluzione
colorata di Mani Pulite voluta dall’anglosfera che infatti ha modellato la già
fragile democrazia “italiana” a immagine e somiglianza di quella americana.
La
Prima Repubblica è stata una stagione nella quale la sovranità era ristretta,
ma non così tanto da annullare una intera classe politica.
Esistevano
degli statisti di prim’ordine quali Bettino Craxi e Giulio Andreotti che furono
poi spazzati via dall’ondata di fango del pool di Milano che già prima
dell’inizio delle inchieste era in contatto con gli ambienti diplomatici
americani.
Questa
falsa rivoluzione, come la definì efficacemente Craxi, creò un bipolarismo dove
entrambe le sue derivazioni, il centrodestra e il centrosinistra, erano
perfettamente controllate da quei poteri transnazionali massonici e finanziari
che hanno governato l’Italia dal 43 in poi e che hanno stretto un cappio ancora
più opprimente attorno al Paese dopo il 92.
La
costruzione dei falsi oppositori in Italia.
Il
malcontento degli italiani nei confronti di questa falsa alternanza era già
elevato negli anni 2000 e allora i signori del potere, quello vero, decisero di
lasciare entrare in scena una falsa opposizione che era stata accuratamente preparata
anni prima, sul panfilo del Britannia nel 1992, sul quale c’era a detta di Emma
Bonino, non smentita, Beppe Grillo.
Questa
falsa opposizione aveva le fattezze del M5S del citato Grillo e del suo socio,
Gianroberto Casaleggio, già vicino a Forza Italia e socio d’affari attraverso
la sua Casaleggio Associati, vera proprietaria del M5S, di Enrico Sassoon,
appartenente ad una famiglia ebraica vicina ai Rothschild e famigerata per il
traffico d’oppio che gestiva nel 800.
Quella
falsa opposizione aveva una data di scadenza come ce l’hanno tutte le false
opposizioni e allora i vari grembiulini che decidono chi e come deve entrare a
Montecitorio e palazzo Chigi si sono adoperati per costruire un’altra falsa
opposizione che stavolta aveva le sembianze della Lega.
Se c’è
stato un partito che ha una storia carica di odio nei confronti dell’Italia
quello è proprio il Carroccio fondato da Umberto Bossi e Roberto Maroni che non
aveva altro scopo sin dal principio che quello di dividere l’Italia in tre
macroregioni, si ricordi il progetto del non compianto professor Miglio, per servire
al meglio la causa di quei poteri mondialisti e di quelle potenze straniere che
volevano dividere l’Italia per poi accaparrarsi meglio le sue risorse
industriali.
Questo
disegno era stato concepito espressamente dal “grande” capitale tedesco che
aspirava ad una secessione del Nord-Est italiano per poi “annettere” così
economicamente quest’area e trasformarla de facto in un protettorato economico
teutonico.
L’idea
della secessione serviva a separare la catena del valore che lega il Nord-Est
al Mezzogiorno, con il secondo primo importatore dei beni prodotti in Lombardia
e Veneto, e soltanto questa semplice evidenza dimostrava e dimostra che il Sud
non è mai stato una “zavorra” per il Nord, a differenza di quanto millantavano
i beceri leghisti delle origini, ma invece è stato da sempre il suo primo
cliente.
Nel
2012, la Lega era caduta in disgrazia.
Il
Carroccio si trovò in un’ondata di scandali giudiziari che vedevano i suoi
membri invischiati in traffici di diamanti in Africa o coinvolti in vicende di
lauree comprate in Albania, come visto per il caso del figlio del “senatur
Umberto”, Renzo Bossi.
Il
volto, vero, della Lega era quello. Era quello di un manipolo di mediocri
capitani di ventura che non appena finivano di berciare “Roma ladrona” si
appropriavano dei soldi dei loro iscritti per pagarsi vacanze, auto di lusso e
anche altre “amenità”.
Ora
sarebbe interessante capire con lo sguardo più distaccato del tempo se quella
pioggia di inchieste non sia stata in qualche modo voluta per favorire la
nascita della “nuova” Lega di Salvini nel 2013, ma quanto accaduto sembra
suggerire fortemente questa ipotesi.
Salvini
era esattamente quello che erano Bossi, Maroni, Calderoli e gli altri
spregevoli personaggi del Carroccio.
Salvini
in quegli anni era noto più per essere un maleducato curvaiolo del Milan che
rivolgeva improperi di vario tipo ai napoletani, si ricordi il “senti che
puzza”, e che disse esplicitamente che “il Sud non merita l’euro”.
Questo
non nel 2000, ma nel 2012, soltanto un anno prima del “nuovo” corso della Lega
“sovranista”.
La
genesi della falsa lega sovranista.
Nel
2013, viene allestito il cantiere di quel progetto e viene chiamato come
“economista” di riferimento” Claudio Borghi”, pressoché sconosciuto fino a quel
momento, che
l’anno successivo iniziò un tour chiamato “Basta euro”.
La
Lega era passata già nelle mani di Salvini che decideva di cavalcare la
questione della sovranità monetaria per far rinascere dalle ceneri un partito
che era finito.
Cavalcare
è il termine giusto perché non c’era, come visto successivamente, alcuna seria
intenzione di portare l’Italia fuori dall’euro, ma si trattava semplicemente di una
messinscena politica per accreditarsi come un partito di ispirazione
sovranista, cosa che in realtà il Carroccio non è mai stato.
Allo
stesso modo i viaggi a Mosca e le magliette di solidarietà a Putin indossate da
Salvini – e ci si chiede a questo proposito che fine abbia fatto tutto quel
guardaroba – servivano sempre a veicolare il messaggio di una Lega che aveva
iniziato una autentica fase di rinnovamento che purtroppo era solo, come detto,
una triste recita.
Il
cantiere della messinscena ha visto poi salire sul palcoscenico negli anni dal
2016 in poi personaggi come Alberto Bagnai, Antonio Maria Rinaldi, Marco Zanni
e Francesca Donato.
Inutile
dire che ognuno di questi personaggi che aveva fatto del sovranismo monetario,
nemmeno economico, il marchio di fabbrica del partito ha poi abiurato le sue
posizioni.
Rinaldi
è stato colto da una sorta di “amnesia” che lo ha portato a dire “non abbiamo
mai detto di voler uscire dall’euro”, la Donato, oggi con Cuffaro (sic), che un
tempo cercava di passare come una progressista critica della NATO, ora dichiara
che la NATO “ha dato 80 anni di pace”, e Bagnai infine, come i suoi “colleghi”,
passato dalle stilettate all’euro a rivolgersi in termini più che amichevoli all’uomo che l’euro lo ha difeso e lo
ha salvato, condannando l’Italia, ovvero Mario Draghi.
Questa
è la storia di una farsa che gli italiani che votavano Lega hanno compreso
perfettamente soprattutto quando durante l’operazione terroristica del
coronavirus il Carroccio piuttosto che erigere una barriera in difesa degli
italiani come avrebbe dovuto, incitava a maggiori restrizioni e i suoi governatori erano i
primi a vessare i propri abitanti, come visto con Fontana in Lombardia.
La
maschera in realtà era stata calata già nel 2019 sul bagnasciuga del Papeete
quando Salvini, in quel momento “inspiegabilmente”, fece harakiri provocando la caduta
del governo gialloverde per riconsegnare il governo al PD, poiché tutti sapevano che i
pentastellati non aspettavano altro che siglare un accordo con il PD per
restare a palazzo Chigi.
L’anno
successivo, nel 2020, si comprese meglio che quello era un passaggio di
consegne concordato in quanto alla Lega era stata affidata un’altra missione,
quella di preparare la strada di palazzo Chigi a Mario Draghi, oggi decaduto e
da due anni a questa parte nelle vesti di mendicante di incarichi
sovranazionali.
Il
bilancio dopo 4 anni da quell’infausto marzo del 2020 è quello delle macerie
assolute.
Non
solo non esiste più la Lega ma probabilmente non esiste più nemmeno la
democrazia liberale.
Questo
sistema politico si fonda, come noto, sul controllo del dissenso. I gestori del
liberalismo si premurano sempre di costruire offerte politiche che sono da
questi controllate.
Il
gate keeper, o meglio falso oppositore, è un po’ come una polizza assicurativa
sulla vita della democrazia liberale.
Costoro
vogliono essere certi che il dissenso nei confronti dello status quo vada sul
binario da essi prestabilito e quando ciò non avviene, non ci sono possibilità
che il sistema resti in vita.
L’Italia
è ad un passo, o lo è già, in tali condizioni e ciò spiega i disperati
tentativi di rianimare la Lega.
I
lettori ricorderanno che già nell’agosto del 2023 denunciammo l’operazione che
stava portando agli “onori” delle cronache tale generale Vannacci.
Nessuno
conosceva questo personaggio prima di allora, e nessuno aveva mai saputo di una
qualche sua presunta opposizione, mai manifestata, contro la farsa pandemica e
contro le vessazioni subite dagli italiani.
Il
libro da lui (?) scritto non aveva nemmeno il linguaggio di un militare e non
sfiorava nemmeno i nervi del potere della massoneria, delle case farmaceutiche
e dell’alta finanza.
Il
sistema che aveva fabbricato le false opposizioni del M5S e della Lega era
all’opera in quell’occasione e oggi per riesumare la seconda defunta falsa
opposizione del Carroccio in una operazione che denota tutta la disperazione
dei suoi architetti.
Ormai
la falsa Lega sovranista è stata scoperta da tutti, e la costruzione dal nulla
di un altro falso oppositore nulla potrà cambiare.
Non si
fermano le macchine che stanno portando alla fine della repubblica
dell’anglosfera in Italia.
Il
processo storico che è in corso è irreversibile, eppure i vari peones dello
stato profondo italiano non si danno pace e continuano a riproporre senza
soluzione di continuità le stesse strategie che ormai non funzionano più.
Questo
spiega anche la ragione per la quale sono i media mainstream a dare tutto lo
spazio possibile a Vannacci.
Sono
loro che cercano di raffigurarlo a tutti i costi come un “oppositore” per far
sì che le masse si bevano ancora una volta la loro medicina e tornino alle
urne.
Non ci
sono però segnali di una inversione di tendenza.
Le settimane passano e la crisi della
democrazia liberale del 46-48 peggiora sempre di più senza dare nessun segnale
contrario.
Le
europee sono una data da segnare in rosso sul calendario per questa ragione. Potrebbe essere con ogni probabilità
la prima volta che in una “grande” elezione nazionale si scenda sotto la soglia
del 50%.
È lo
scenario che più atterrisce i vari inquilini di questa decadente repubblica e
ciò spiega la loro compulsività nell’invitare al voto, si veda Mattarella,
oppure il loro prepararsi a dare la colpa ai russi per il fallimento della
consultazione del 9 giugno in quella che non sarà un voto ma un referendum su
questo sistema politico in dismissione.
Se ci
viene chiesto cosa votare a questo referendum abrogativo, ci si passi
l’analogia, la nostra risposta è scontata.
Votare
sì all’abrogazione della repubblica dell’anglosfera. Votare sì alla fine delle
false opposizioni.
Il 9
giugno la non partecipazione al voto sarà un enorme segnale di rigetto del
popolo italiano nei confronti di questo decadente sistema politico e nessun
gate keeper di turno potrà invertire la rotta che è stata tracciata da qualche
anno a questa parte.
Solo
quando ci si libererà dei partiti espressione dell’anglosfera, avrà un senso
tornare al voto.
Ora
bisogna portare a termine il lavoro che è stato messo in moto dalla
storia.
Bisogna
liberarsi di questa classe politica di servi indegni che hanno preso l’Italia
per consegnarla ai suoi carnefici.
“GLI
STATI NASCONO E MUOIONO
CON LA GUERRA” OSSERVAVA
CHARLES DE GAULLE.
Lapekoranera.it - Redazione La Pekoranera.it –
(29/04/2024) – Piero La Porta – ci dice:
Troppi
seguono il conflitto a Gaza come fosse una partita di calcio:
la
squadra del cuore contro gli avversari storici, un Milan-Inter o una Lazio-Roma
con la medesima visceralità.
È
invece una guerra e lo Stato di Israele ha il pieno diritto di combatterla
perché ha il pieno diritto di esistere.
Israele
ha commesso errori? Sì.
Israele
ha commesso orrori? Sì.
Non di
meno ha il pieno diritto di esistere, perché se lo conquistò con la guerra del 1948-1949,
mossagli dai paesi musulmani del circondario che non accettarono la decisione
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per la costituzione di uno Stato
ebraico e uno stato arabo.
«Gli
Stati nascono e muoiono con la guerra» osservò Charles De Gaulle. Israele vinse
la guerra e le quattro successive.
Essa
ha dunque diritto di esistere.
Ciò non di meno Israele potrebbe scomparire se
perdesse una sola guerra, quantunque contro una Palestina mai esistita prima
che i Rothschild e la City di Londra se la inventassero.
Chi
dubiti rifletta:
il “Jerusalem
Post” è figlio del “Palestinian Post”, messo in piedi dai sionisti.
Quando
nacque lo stato ebraico i servizi sovietici ebbero buon giorno ad appropriarsi
del lemma “Palestina” per dare un’identità ai nativi, che si affidarono ai
sovietici e ai mussulmani, perdendo tutte le guerre. «Gli Stati nascono e
muoiono con la guerra», anche lo Stato del Vaticano, dal quale giustamente
lanciano accorate esortazioni alla pace, è a sua volta l’esito d’innumerevoli
guerre.
Un’altra
legge, valida da sempre:
«Gli
imperi si sgonfiano, col trascorrere degli anni e crollano».
Sì,
insomma, più durevoli d’un soufflé, gli imperi sono tuttavia destinati a
sgonfiarsi.
Panta
Rei, tutto passa dopo tutto, anche gli imperi, quelli decadenti prima dei
rimanenti.
È
necessario definire che cosa è un impero e che cosa è la guerra.
Diamo
per intuitivo il “dominio”.
L’impero è il dominio su una pluralità di
nazioni.
La
nazione è individuata da un popolo, dal territorio e dalle sue tradizioni,
dall’interesse nazionale.
“La
guerra” secondo “Carl von Clausewitz” è” la prosecuzione della politica con
altri mezzi.”
Lenin
invertì i termini: “La politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi”.
Questa
è la scuola dalla quale proviene “Vladimir Putin”, occorre ricordarlo prima di
santificarlo.
Conclusa
la “2^GM”, per gli Stati Uniti valse la norma:
”La
politica è la prosecuzione del business con altri mezzi”. Uccisi i due fratelli Kennedy
(chissà perché se ne ricorda usualmente solo uno), dimenticarono l’ammonimento
del generale e presidente Dwight D. Eisenhower:
“Ogni
arma da fuoco prodotta, ogni nave da guerra varata, ogni missile lanciato
significa, in ultima analisi, un furto ai danni di coloro che sono affamati e
non sono nutriti, di coloro che hanno freddo e non sono vestiti.”
Oggi
per “Joe Biden” e i suoi predecessori a partire dai “Bush” (padre e figlio): “La guerra è la prosecuzione del
business con altri mezzi”.
L’impero
più improbabile?
L’Unione Europea: disarmata, priva di
personalità giuridica statale internazionale, dominata da un’oligarchia non
eletta;
la sua
moneta, l’Euro, è in vita finché gli Stati Uniti e la Germania lo vorranno per
opposte ragioni.
L’UE
oltre 200 gruppi etnici, impossibili da amalgamare.
La cultura ebraico-cristiana avrebbe potuto
darle l’amalgama: l’hanno rifiutata aspramente; oggi celebrano il Ramadan,
suicidio.
La
Cina è l’impero più solido.
Dominato
da una dittatura compatta e piramidale;
moderno, ricco di cultura, mano d’opera e
d’ingegno scientifico e tecnico.
Manca
di materie prime, procurandosele ovunque riesca ad arrivare.
Ha
solo 12 gruppi etnici: 1) gli Han, la grande maggioranza della popolazione
totale della Cina; 2) gli Zhuang, della famiglia linguistica tai-kadai; 3) i
Manciù, di origine tungusa; 4) gli Hui, cinesi musulmani; 5) i Miao, di lingua
hmong-mien; 6) Uiguri, di lingua turca; 7) i Tujia, di lingua cinese; 8) gli
Yi, di lingua cinese; 9) i Mongoli cinesi; 10) i Tibetani; 11) gli Hakka; 12)
gli Hui.
Il
controllo dell’immenso territorio è ferreo, articolato, capillare a tenere
d’occhio 1.425.267.780 abitanti.
Per
assicurare ogni giorno 100 grammi di riso a ogni cinese, sono necessarie – ogni
giorno – 15.000.000 di tonnellate di riso, sette milioni di tonnellate di acqua
per cuocerlo, innumerevoli tonnellate di gas, ogni giorno.
D’altronde
se questo miliardo e mezzo di persone fossero lasciate a sé stesse, morirebbero
di fame perché per raccogliere, rendere disponibile e cuocere 15 milioni di
tonnellate di riso – ogni giorno – occorre un’organizzazione più precisa e
puntuale di quella elvetica, più spietata d’ogni altra nella storia.
Insomma,
o riso o democrazia.
Secondo
voi che cosa preferisce il popolo?
Il Vaticano fa bene a rinnovare l’accordo con Pechino:
bene o male, lì è il futuro con cui misurarsi.
La
Federazione Russa è un impero con grossi problemi economici e sociali, non di
meno è coeso, nonostante i numerosi assalti subito dopo la fine dell’Unione
sovietica, scioltasi la notte del nostro Santo Natale del 1991.
Il
79,83% della sua popolazione è di russi.
Altri gruppi etnici: 1) Tatari (3,83%); 2)
Ucraini (2,03%); 3) Baschiri (1,15%); 4) Ciuvasci (1,13%); 5) Ceceni (0,94%);
6) Armeni (0,78%). Vi sono altri 190 piccoli gruppi etnici riconosciuti
ufficialmente, senza problemi di amalgama.
La
Russia ha 144 milioni di abitanti.
È il paese più popoloso d’Europa ma la densità
è di solo 8,5 abitanti per chilometro quadrato.
Ha in
comune con la Cina 4mila chilometri di confine.
Se schierasse un carro armato per ogni
chilometro, un filo di seta dal punto di vista militare, dovrebbe disporre di
4mila carri armati che non ha.
D’altronde
è una potenza nucleare e militare di primo livello.
La Cina ha numerosi uomini alle armi ma non
dispone delle forze nucleari strategiche della Russia, la quale ha invece le
materie prime che necessitano a Pechino.
La
loro alleanza è quindi scritta nelle stelle.
L’impero
statunitense è quello più in crisi.
Ha 340
milioni di abitanti sul suo territorio, estremamente diversificati nelle etnie
e nelle razze.
L’estensione effettiva è globale e avvolge
Russia e Cina.
Vorrebbe
soffocarle ma non ha più le energie necessarie.
La
posizione di punta statunitense nello schieramento europeo e anglosassone (con
Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda e, a latere, il Giappone) è
molto meno brillante d’un tempo.
La guerra in Ucraina e a Gaza, nonché lo
scontro tra Donald Trump e Joe Biden (dietro al quale opera il World Economic
Forum di Davos e, dietro molte cortine, la casa reale inglese, oggi preda del
cancro), hanno reso inutilizzabile la NATO per la proiezione di potenza, con o
senza mandato delle Nazioni Unite, com’è invece avvenuto in Iraq, nei Balcani e
in Kosovo, in Afghanistan, nelle “primavere arabe”, in Libia, in Egitto,
Tunisia.
In
questa pentola di pece in ebollizione di imperi senza prospettive di lungo
termine, a parte la Cina, si vuole costringere la popolazione israeliana di 9
milioni di abitanti su un territorio equivalente alle Puglie e al Molise, sui
quali vi sono solo 4 milioni di abitanti.
Il
73,2% della popolazione israeliana (7.208.000 persone) sono ebrei;
il 21,1% (2.080.000 persone) sono arabi.
Sarebbe un piccolo impero con solo due etnie e
due nazioni ma del tutto incompatibili, non amalgamabili.
La
maggioranza della minoranza vuole la fine di Israele. Sono Incompatibili.
L’errore
di Israele nel 1948 fu non procedere a una radicale pulizia etnica com’è sempre
avvenuto a seguito delle guerre.
Chi dubiti chieda agli istriani, ai curdi,
agli armeni, ai nativi americani e australiani.
Dopo
quanto è avvenuto il 7 ottobre, Israele non ha scelta, quali che siano le
ragioni delle due parti: deve garantire il proprio interesse nazionale oppure
scomparire.
L’interesse nazionale è la somma di quanto
concorre alla sicurezza economica, del territorio e sociale.
Gaza è
contro tutte le sicurezze di Israele.
Nessuno
dei quattro imperi (USA, CINA, Russia, UE) può garantire la sicurezza di
Israele.
Hanno
i loro grattacapi e non possono impegnarsi più di tanto.
Gli
Stati Uniti stanno subendo lacerazioni interne profondissime a causa della
diffusa ostilità verso Israele.
Se
smettessimo di guardare il mondo come fosse composto di due opposti
schieramenti, i buoni e i cattivi, ci accorgeremmo che le politiche dissennate
degli imperi e il sionismo hanno portato Israele al punto di non ritorno:
deve
assaltare Rafah, sterminare Hamas e bombardare anche il sud del Libano per dare
un segnale chiaro a Hezbollah e all’Iran, dietro ai quali sogghignano Russia e
Cina.
Comunque vada la guerra in Ucraina, comunque
vada a Gaza, Xi Jinping ha vinto.
Questo
è il dato da tenere d’occhio.
Mentre
scriviamo, si ha notizia d’imponenti manifestazioni ad Amburgo per chiedere la
fine delle politiche anti-islamiche (?) e l’instaurazione del Califfato.
È un
caso? Il Califfato, in questo momento?
La fine delle politiche anti islamiche mentre
le chiese si svuotano e i musulmani pregano in massa davanti ad esse?
Non
tutto va male.
È
infatti importante la frantumazione del fronte di Davos e anti cristiano.
Netanyahu, sionista e dovosiano, contro Biden,
radicale e davosiano, ambedue contro i musulmani, ai quali Davos strizza
l’occhio da decenni in contrapposizione ai cristiani.
Un
caos una volta tanto consolatorio.
Israele
è un baluardo, non il sionismo, Israele, ricordiamocene ogni giorno.
Altra
cosa è il sionismo che sta a Israele come la tenia nel corpo umano.
Se
Israele perdesse la guerra, perderebbe il diritto di esistere.
Poi
toccherebbe a noi.
Restiamo
a guardare mentre gli altri s’azzannano e teniamo d’occhio il nostro interesse
nazionale:
sicurezza economica, sicurezza del territorio,
sicurezza sociale.
Nessuno dei 4 imperi garantisce queste sicurezze a
noi.
Rimaniamo
quindi cauti osservatori delle guerre altrui, senza cadere nel sentimentalismo,
fratello scemo dell’odio.
Cristo
Vince nonostante la guerra.
Per
ricevere i 60 miliardi circa gli USA impongono rastrellamenti di ucraini
emigranti in tutto il mondo per incrementare l’esercito nazionale.
“MONETA
POSITIVA” – L’ULTIMO
PASSO PRIMA DEL BARATRO.
Comedonchisciotte.org
- Megas Alexandros – Fabio Bonciani – (30 Aprile 2024) – ci dice:
Dietro
le quinte del movimento Positive Money, il volto buono del Potere che ci
traghetterà al Grande Reset che vuole l'oligarchia finanziaria occidentale.
Poteva mancare l'Italia?
Da
tempo mi sto adoperando in una ricerca accurata per delineare quelle che sono
le finalità, a dir poco subdole, delle idee propagandate dal “movimento
Positive Money”, che in apparente contrasto con il mondo delle banche si
propone di liberare la moneta dal debito, togliendo a detta loro, il monopolio
dell’emissione della moneta così detta “credito” alle banche commerciali:
Il
potere di creare e spendere nuova moneta nell’economia è posto sotto il
controllo pubblico e democratico.
Le banche private diventano veri intermediari
tra risparmiatori e mutuatari e non hanno più il monopolio sulla creazione di moneta.
Cercare
di unire i puntini – in quello che è stato un difficile slalom tra gli
apparenti buoni propositi che questo movimento decanta – per arrivare a quelle
che sono delle conclusioni direi definitive per chi mastica la materia
monetaria, oltre
ad essere drammatiche per chi invece ha a cuore il futuro del nostro paese e
dei nostri figli, vi assicuro non è stato per niente facile.
Come
non è semplice farvi comprendere i dettagli della diabolicità di quello che
ormai pare proprio essere l’ultimo passo di coloro che guidano il Grande Reset
per ricondurci al mondo che fu:
quello prima dell’avvento degli Stati
democratici moderni, dove il Signore aveva il totale controllo della moneta e
decideva della vita di tutti.
Contrastare
un movimento di pensiero economico e monetario, che come finalità principale si
propone di liberare gli Stati sovrani da una moneta fornita deliberatamente a
debito – ovvero una necessità ormai compresa e condivisa da molti – lo si può
fare solo se – avendo ben chiaro nei minimi dettagli quello che questi signori
vorrebbero mettere in atto – arriviamo alla piena consapevolezza che invece il loro target
ultimo è quello di rendere non più disponibile la moneta per i popoli.
Consapevole
della necessità di tornare anche in seguito sull’argomento, proverò intanto a
fornire una prima spiegazione di quelle che sono le imminenti intenzioni dei
potentati, fortemente
caldeggiate da questo movimento che ha le sue basi e trova linfa finanziaria e
mediatica nel mondo occidentale.
Andando
subito al sodo, il principale obiettivo che “Positive Money” si prefigge è
quello di togliere in modo definitivo la possibilità alle banche di creare
moneta.
E lo
fa con una specifica azione di propaganda, attraverso la quale, in modo del
tutto strumentale per ottenere un facile consenso, si posiziona dalla parte della maggioranza
della gente che, da sempre, vede nei banchieri i principali responsabili di
ogni nostra disgrazia.
Il
comune cittadino di fronte alla moneta “credito”, chiaramente si agita e
maledice chi gliela presta, costringendolo ad un debito da ripagare con sudore
e sacrifici.
Ma il
problema, come vedremo in seguito, non è certo l’aver ottenuto un prestito
tanto desiderato per realizzare un progetto reputato remunerativo, bensì quello di vivere in un sistema
economico che, al contrario, non permette lo sviluppo profittevole del progetto
stesso in cui abbiamo investito e, di conseguenza, la possibilità di ripagare
il finanziamento ottenuto.
Insomma,
indicare i banchieri, come del resto già facciamo coi politici e coi
magistrati, quali responsabili dei nostri guai, è certamente la strada più
semplice, ma è del tutto errata.
Poiché questi non sono altro che il braccio
armato di un sistema posizionato più in alto, che è condotto da chi ha in mano la
totalità dei mezzi di produzione e controlla l’emissione della moneta.
Come è
altrettanto errato indicare nel sistema bancario attuale, quello che appunto
crea moneta (depositi) attraverso la concessione di un prestito, come un
qualcosa da riformare nella direzione che ci indicano i sostenitori di
“Positive Money”, i quali vorrebbero ricondurre le banche a prestare solo il
denaro che hanno in deposito, in una sorta di riserva cento per cento.
Mi
spiego meglio:
le
banche, quando concedono un prestito, non lo fanno trasferendo il denaro che
hanno in deposito, ma creano nuovi depositi che di fatto vanno ad aggiungersi a
quelli in essere e quindi al totale dell’aggregato monetario presente nel
sistema economico.
Il che è perfettamente logico, per una nuova
transazione tra privati si registra un’equivalente creazione monetaria.
La
banca altro non è che un assicuratore del credito che permette a due soggetti
privati che non si conoscono di concludere una transazione.
La
moneta credito, se correttamente amministrata, è l’unica forma di moneta
coestensiva dello scambio e quindi connaturata all’essere umano dall’inizio dei
tempi.
Quando
dico “correttamente amministrata”, intendo che venga emessa solo per attività
economiche reali, e non finanziarie, ad un tasso che corrisponda solo al
rischio specifico, quindi con tassi di banca centrale a zero (0%) per sempre ed
una garanzia illimitata dello Stato (monopolista della moneta) sui depositi.
Sottolineo,
inoltre, senza entrare nel dettaglio per evitare un discorso troppo lungo, che
l’attività creditizia del settore bancario è logicamente pro-ciclica, quindi
secondaria rispetto alla creazione di valuta decisa dallo Stato attraverso la
spesa in deficit che invece può avvenire (come spesso necessita),
tranquillamente anche in controtendenza al ciclo economico.
È
fondamentale rendere chiaro come le banche commerciali – regolate nella loro
funzione creditizia dagli Istituti centrali e sottoposte al controllo dei
medesimi – siano dei loro agenti a tutti gli effetti e come le stesse non
possano agire in totale autonomia.
Stante il fatto di essere direttamente
dipendenti dalla spesa netta del governo per accrescere il proprio patrimonio
(che sta alla base dei criteri con cui creano moneta, prestando) e dalle
riserve create dalla banca centrale per ottenere liquidità.
Stante
la caratteristica del monopolio riguardo alla valuta di stato, è chiaro che
parlando di riforme necessarie, una nazionalizzazione del settore bancario sarebbe
l’ottimale per arrivare a garantire la moneta a tutti.
Proprio
quello che invece viene contrastato da “Positive Money”;
la cui
proposta si ispira alla riforma che alcuni economisti già tentarono di mettere
in atto negli anni della Grande depressione.
Mi
riferisco al ben noto “Chicago Plan”, il quale aveva come obiettivo principale
proprio il prevenire ogni sorta di nazionalizzazione delle banche, attraverso
appunto l’introduzione del meccanismo della piena riserva.
“Positive
Money”, cavalcando la vulgata comune che vede in questa creazione dal nulla una
sorta di signoraggio a vita per i banchieri – per essere ancora più chiari – vorrebbe tornare ad un sistema dove
le banche prestano realmente il denaro in essere, costituito appunto dai loro
depositi e quelli della clientela.
In
pratica, questo comporterebbe nei fatti, la cristallizzazione del denaro
presente in aggregato, che consiste appunto nel risparmio del settore privato.
La
conseguenza più grave che deriverebbe da tale sistema, sta nel fatto che, con
la cristallizzazione del denaro, si giungerebbe anche alla cristallizzazione di quella
che è la scala sociale dei paesi che andrebbero ad adottarlo, vero obiettivo di
chi ci comanda.
Dal
momento che, la spesa in deficit dello Stato ed il credito bancario sono i due
unici canali che consentono di far arrivare soldi nelle nostre tasche e quindi
ai sistemi economici, è chiaro che – se blocchi la creazione del denaro da
parte delle banche (dopo che da tempo, con regole assurde sul debito pubblico,
è stato impedito anche agli Stati di spendere per i popoli), i depositi
esistenti torneranno ad essere oro.
Non
parlo di veri e propri lingotti, ma di moneta-merce: oggi quasi totalmente elettronica e
presto digitale, per una necessità di maggior controllo sulle persone.
“Positive
Money Europe” è stata fondata nel 2019 ed è nata da “Positive Money UK” –
organizzazione no-profit fondata nel 2010.
“Fino
a gennaio 2019, le “attività di Positive Money Europe” sono state incubate da “Positive
Money Ltd”, con tutte le finanze e le operazioni ospitate presso la società
britannica.
Le
entrate delle sovvenzioni sono state quindi fornite come parte di sovvenzioni
più ampie a” Positive Money” per il lavoro di entrambe le organizzazioni, tra
cui due sovvenzioni (da Partners for New Economy e Open Society Foundations, e donazioni private (10.000 euro). Alcune di queste sovvenzioni
includono alcuni costi limitati da sostenere nel 2019.”
E qui
stiamo arrivando a definire quelli che sono i cromosomi diabolici che
identificano il “DNA di Positive Money”, la cui filiale europea – guarda caso –
è nata e risiede a Bruxelles, finanziata da subito da una varietà di
istituzioni e fondazioni filantropiche che fanno capo ai soliti noti, con la Commissione europea ed il
finanziere George Soros in testa (European Commission, Open Society Initiative
for Europe, Positive Money UK, European Climate Foundation, The Sunrise
Project, etc.).
È
sufficiente andare sull’”official web site di Positive Money Europe” per
rendersi conto di chi sono stati i principali finanziatori di questo movimento
nei suoi primi anni di vita (2020/2021).
La Lista
dei finanziatori di Positive Money Europe per l’anno 2021 – è pubblicata sul sito ufficiale del movimento.
Come abbiamo detto,” Positive Money Europe” è
nata dalla casa madre Positive Money UK, finanziata tramite una selva di
istituzioni filantropiche, scatole più angloamericane che cinesi, che ci
portano a potentati finanziari occidentali di grossissimo calibro.
Poteva
mancare la versione tricolore di Positive Money?
Certo
che no:
“Moneta
Positiva” – l’associazione guidata dall’ingegner Fabio Conditi che da anni
imperversa per il web, tra siti di informazione alternativa, televisioni e
convegni istituzionali.
Ospite
sempre gradito o almeno non scomodo persino nelle stanze parlamentari.
Il
logo del movimento Moneta Positiva, raffigura un “occhio che ti guarda”
circondato da buoni propositi che compare sul sito ufficiale dell’associazione.
Per realizzare i propri fini associativi, come si
legge sul sito ufficiale, Moneta Positiva si ispira proprio a Positive Money:
“Per
la realizzazione dei propri scopi l’associazione si propone di formazione di
gruppi di lavoro per lo studio e l’analisi del sistema economico e monetario,
al fine di elaborare proposte di riforma seguendo le soluzioni elaborate dal
Movimento Internazionale IMMR (International Movement for Monetary Reform) e
dall’esperienza britannica di “Positive Money”.
Oggi,
che per voce di Mario Draghi la globalizzazione pare non servire più a chi ci
comanda – all’interno della farsa di quello che è un necessario cambiamento di
pelle del Potere, che porta l’ex governatore della Banca Centrale Europea,
persino a confessare gli evidenti danni da essa provocati – non possiamo non
evidenziare come l’aver globalizzato il mondo, sia servito unicamente allo
scopo di riportare ricchezza finanziaria (risparmio) e di conseguenza anche gli
asset reali in mano a pochi.
È
stato appunto attraverso l’abbattimento di quelle che erano funzioni essenziali
in fatto di protezione per i popoli, quali l’azione fiscale dei governi che
consente loro di operare in modo anticiclico a livello di politiche economiche
e la costruzione di unioni monetarie per rendere sempre più fissi i cambi tra
le valute, che il mondo della finanza ha sovrastato quello dell’economia reale.
Questo
ha creato terreno fertile per rendere la moneta sempre più scarsa per la
maggioranza ed abbondante invece per i pochi eletti.
Allo
stesso tempo una speculazione senza freni, in particolar modo operata nei
settori vitali per la nostra vita, con giochetti finanziari diabolici, portava
a compimento l’opera di totale distruzione della classe media, divenuta
maggioranza nell’ultimo secolo proprio attraverso l’aver reso disponibile a
tutti la moneta.
Riportata
la moneta in poche mani, è chiaro come per chi ci comanda, sia giunto il
momento di rendere questo stock non più espandibile, in modo da bloccare ogni
tipo di ascesa nella scala sociale, proprio come era nel Medioevo.
Adesso
vi starete chiedendo: cosa ne sarà del credito e se ci sarà ancora la possibilità
di ottenere un prestito?
A quel
punto tutto sarà nelle mani di coloro che di fatto sono e saranno i titolari
esclusivi del risparmio.
Tolto
di mezzo ogni tipo di creazione monetaria, quella in essere diverrà merce
pregiata e chi la desidera la dovrà pagare, come si suol dire, a peso d’oro in
termini di tasso.
In
Italia, il “movimento Positive Money “è ancora poco conosciuto, anche perché il
compito di portare avanti le idee del Potere nel nostro paese, lo sta già
eseguendo in maniera più che ottimale il “nostro deep state”.
Dunque,
al momento nel belpaese, il movimento Positive Money, in quanto ad ufficialità,
come già scritto, pare affidarsi unicamente alle “chiacchere” di Conditi, che
sulla pagina web di Moneta Positiva, non fa certo mistero di mostrare questa
liaison strettissima.
Se
guardiamo bene quello che sta avvenendo ormai da decadi nel nostro paese –
storicamente da sempre centro dei poteri che guidano il mondo – non è difficile
vedere come in Italia questo processo di togliere la moneta dalle mani della
maggioranza sia già in stato avanzato rispetto al resto del globo.
A
livello di spesa dei governi, si viaggia ormai all’interno di avanzi primari
che sappiamo essere contabilmente una distruzione del nostro risparmio e per quanto riguarda il credito
bancario, le nostre banche già da tempo hanno chiuso ai prestiti, persino di
più di quanto avviene anche nei paesi dell’eurozona.
Il
progetto in addivenire della moneta digitale di banca centrale (CDBC),
anch’esso fa parte dello stesso piano ben ideato dai potentati.
La
prospettiva di portare tutti i depositi dentro le banche centrali, attratti da
una moneta con zero commissioni, è un attacco diretto che il Vero Potere,
attraverso le banche centrali stesse, sta portando avanti contro le banche
commerciali.
Un
piano già iniziato con la forte spinta dall’alto verso le unioni bancarie con
lo scopo di ridurne il numero ed eliminare quelle piccole realtà locali che
tanto hanno contribuito in passato alla crescita e lo sviluppo del nostro
paese, facendo appunto arrivare la moneta in ogni suo angolo.
Le
stesse idee che Draghi sta portando avanti per quella che dovrebbe essere una
nuova alba per l’Europa, non contemplano nella maniera più assoluta un ritorno
alla centralità dei governi nella gestione della moneta, tornando liberi in
quella che è la funzione di politica fiscale a loro costituzionalmente
demandata.
Addirittura,
le intenzioni sono quelle di accentrare maggiormente il controllo della moneta
stessa, affidando sempre più l’azione distributiva ad enti centrali privi di
legittimazione democratica, come appunto la commissione europea e la Bce.
La
voglia di “Stati Uniti d’Europa” è sempre più presente e pressante!
I
governi nazionali saranno sempre più istituzioni locali prive di ogni
sovranità, costretti ad agire dentro il pareggio di bilancio, ovvero zero
moneta in più per la gente, mentre i deficit saranno direttamente decisi ed
opportunamente indirizzati da un manipolo di cooptati chiusi dentro le stanze
di Bruxelles o chissà dove.
Come
vedete, le cose a volte non sempre sono come appaiono, ed anche quando
ascoltiamo le grida di qualcuno contro facili bersagli – con l’intento di
abbatterli attraverso il proporre riforme radicali – dobbiamo capire bene come
egli intende cambiare il sistema attuale, altrimenti si cade dalla padella
nella brace!
Occhio
alla Moneta Positiva!
(Megas
Alexandros)
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