Governare il mondo è un compito arduo.

 

Governare il mondo è un compito arduo.

 

 

 

 L’arduo compito per

Europa e Usa.

 

Avvenire.it - Adrea Lavazza – (19 ottobre 2023) – ci dice:

 

Provare a sedersi a un tavolo.

L’esplosione dell’altra sera all’ospedale “Al Ahli Arab” ha reso ancora più livida e infuocata la situazione in Medio Oriente.

 Nella periferia di Gaza City si è consumata – ed è stata denunciata una tragedia che ha già cambiato, almeno parzialmente, l’andamento della crisi apertasi il 7 ottobre con il feroce attacco terroristico di Hamas a Israele.

Si è subito strappata la tela del dialogo che gli Stati Uniti si accingevano a tessere e le piazze sono tornate a ribollire, animate anche dal risorgente antisemitismo, ed Hezbollah ha rafforzato le sue minacce di un intervento al confine Nord.

 Com’è noto, dal primo giorno la risposta del governo di Tel Aviv si sta concretizzando in attacchi mirati alle basi del movimento palestinese nella Striscia.

Quanto possano essere chirurgici i tentativi legittimi di difendersi – i lanci di razzi non sono mai cessati – e di colpire i responsabili del raid che ha fatto oltre 1.400 morti e 200 ostaggi è una questione decisiva in questa fase del conflitto.

Sul centro medico gestito dalla Chiesa anglicana, se si fosse trattato di un bombardamento delle forze armate con la stella di Davide, ogni proporzionalità sarebbe stata violata, anche ammesso che nella struttura, insieme ai moltissimi civili, si nascondessero armi o combattenti.

 I leader di “Hamas” hanno veicolato la tesi di un attacco che avrebbe provocato quasi 500 vittime fra pazienti e persone inermi in cerca di rifugi sicuri.

 La notizia ha immediatamente sollevato l’indignazione e la rabbia non solo nella regione.

Il primo effetto è stato la cancellazione degli incontri tra il presidente americano, volato ieri a Tel Aviv con una fitta agenda, il re di Giordania e Abu Mazen, leader dell’“Anp”.

 

Il viaggio di “Joe Biden” era atteso come un momento di rilancio dell’azione diplomatica tesa a spegnere l’incendio che sta divampando sulle rive del Mediterraneo.

 Il capo della Casa Bianca ha confermato l’appoggio senza esitazioni a Israele – navi e aerei schierati, promesse di aiuti straordinari, veto al Consiglio di sicurezza Onu a una proposta di “pausa umanitaria” – ma ha cercato per quanto possibile di raffreddare gli animi, mentre nel mondo arabo divampavano le proteste per l’ultima strage.

 Ha convinto Netanyahu a concedere assistenza alla popolazione palestinese attraverso il valico di Rafah controllato dall’Egitto e ha promesso 100 milioni di aiuti americani per Gaza (più simbolici che decisivi).

“Ho fatto richieste difficili agli amici di Israele”, ha detto.

Richieste di non cedere ai sentimenti di rabbia e vendetta, che una democrazia non può coltivare.

E che possono portare ancora più in là il conflitto su cui molti soffiano da lontano.

Biden ha confermato la ricostruzione fatta da Tel Aviv circa la paternità del massacro nell’ospedale:

 un missile difettoso della Jihad islamica – organizzazione alleata di Hamas – caduto nel cortile.

Una ricostruzione che soltanto un’inchiesta indipendente e tempestiva potrebbe suffragare.

Ciò non toglie che i dubbi rimangano sulla dinamica e il numero delle vittime, stanti il piccolo cratere al suolo, la sostanziale tenuta dell’edificio e i danni apparentemente non devastanti nell’area antistante.

 L’annuncio di Hamas con l’accusa all’aviazione israeliana e il bilancio agghiacciante ha però conquistato i titoli dell’informazione in tempo reale e devastato i cuori degli spettatori, creando una narrazione che sarà difficile rimodulare con la reale portata degli eventi, quale che essa sia.

Se davvero l’ordigno è il frutto di un incidente – non raro – durante i lanci verso il nemico e, quindi, risultato di “fuoco amico”, non viene meno la necessità di un’azione dello Stato ebraico che limiti maggiormente gli effetti collaterali su Gaza.

Più di tremila persone sono rimaste uccise finora, secondo i dati palestinesi.

Quattro ospedali erano già stati danneggiati e ieri, solo per fare un esempio, è stato distrutto un panificio industriale che serviva decine di migliaia di abitanti nel centro della Striscia.

 Non è accettabile che i miliziani continuino a colpire Israele e minacciarne l’esistenza.

 Eppure, serve anche un piano chiaro di come il governo di Tel Aviv voglia procedere, senza allontanare di fatto la possibilità di un ritorno alla convivenza nella regione.

Biden si è spinto a dire di non ripetere gli errori che gli Usa commisero dopo l’11 settembre.

Inseguire dovunque Ben Laden e i suoi seguaci che tanti lutti inflissero all’America sembrava doveroso, ma portare la guerra in Afghanistan e in Iraq ha generato, tra le altre nefaste conseguenze in Paesi mai veramente pacificati, la nascita dell’Isis, con cui facciamo di nuovo i conti oggi in Europa dopo gli attentati ad Arras e Bruxelles.

 Con un credibile progetto a breve termine per Gaza e tutti i palestinesi – i due Stati sembrano purtroppo ancora lontani – si può provare a sedersi a un tavolo con gli interlocutori interessati (non la Russia e probabilmente nemmeno la Cina, che difendono strumentalmente i musulmani in Medio Oriente salvo poi spesso perseguitarli dentro i loro confini).

Garantire l’indispensabile sicurezza di Israele e isolare quel che resterà di Hamas, insieme al miglioramento delle condizioni della popolazione araba, è il compito che attende Europa e Stati Uniti con le nazioni “responsabili” della regione.

Quel compito per cui il Papa offre profeticamente la giornata di preghiera che si svolgerà venerdì prossimo.

 

 

 

La sfida decisionale in

un mondo complesso.

It.linkedin.com - Alberto Viotto – (7 set 2023) – ci dice:

 

La velocità con cui il mondo si evolve è in crescita costante e l'abilità di prendere decisioni tempestive e accurate sta diventando sempre più un'arte che una scienza.

 In un ambiente in cui l’unica costante è il cambiamento, le aziende trovano difficile navigare attraverso la nebbia della complessità del mercato, la carenza di dati affidabili e le previsioni incerte.

La complessità del mercato moderno.

Il mercato di oggi è un labirinto in continuo cambiamento, caratterizzato da una moltitudine di fattori che interagiscono tra loro in modi a volte prevedibili, ma spesso sorprendentemente inaspettati.

L'epoca in cui le aziende operavano principalmente nei mercati locali è ormai lontana.

 La globalizzazione ha aperto le porte a un confronto con concorrenti provenienti da ogni angolo del mondo.

Questo ha portato a una diversificazione delle offerte, una rapida diffusione delle innovazioni e una pressione costante sui prezzi e sulla qualità.

Il consumatore moderno è poi molto diverso da quello di qualche decennio fa.

 Dotato di strumenti digitali e di una rete globale a portata di mano, è meglio informato, più esigente e meno fedele ai brand.

Le aziende devono ora affrontare il difficile compito di prevedere e soddisfare le mutevoli esigenze di questi consumatori, che possono cambiare preferenze basandosi su recensioni online, influencer o nuove tendenze globali.

La tecnologia sta avanzando a un ritmo senza precedenti. Ciò che è considerato all'avanguardia oggi potrebbe diventare obsoleto in pochi anni, se non mesi.

Le aziende devono rimanere aggiornate sulle ultime innovazioni, altrimenti rischiano di essere superate da nuovi concorrenti che adottano modelli di business rivoluzionari.

Oltre ai cambiamenti interni al mercato, le aziende devono anche tener conto delle fluttuazioni politiche e normative.

 Le decisioni prese da governi e organizzazioni internazionali possono avere un impatto significativo su vari settori.

Ad esempio, le guerre commerciali, le tariffe, le politiche ambientali e le regolamentazioni sulla privacy possono influenzare profondamente le strategie aziendali.

La carenza di dati affidabili.

L'accesso e l'analisi dei dati sono diventati elementi essenziali per la gestione aziendale.

Tuttavia, nonostante l'esplosione dei dati a disposizione, trovarne di qualità e affidabili può essere una vera sfida.

Ironia della sorte, in un'epoca definita "l'era dell'informazione", una delle principali sfide non è la mancanza di dati, ma piuttosto la loro sovrabbondanza.

 La vastità di informazioni disponibili può rendere difficile distinguere ciò che è rilevante da ciò che non lo è.

Questo fenomeno, spesso definito "paralisi da analisi", può portare le aziende a prendere decisioni basate su informazioni irrilevanti o fuorvianti.

Gran parte dei dati disponibili non sono strutturati in un formato facilmente analizzabile.

Pensiamo ai post sui social media, alle recensioni dei clienti o ai video. Questi dati, sebbene preziosi, richiedono strumenti e competenze avanzate per essere trasformati in informazioni utilizzabili.

La capacità di gestire e interpretare dati non strutturati è diventata una competenza chiave per le organizzazioni moderne.

 Anche quando i dati sono disponibili e analizzabili, potrebbero non essere necessariamente affidabili.

Le fonti di dati possono presentare “bias”, sia intenzionali che non.

Ad esempio, un sondaggio online potrebbe riflettere solo le opinioni di un certo segmento di popolazione e non essere rappresentativo dell'intera base di clienti.

 Identificare e correggere questi “bias” è fondamentale per assicurarsi che le decisioni siano basate su dati accurati.

Con la crescente consapevolezza e preoccupazione per la privacy dei dati, molte aziende devono fare i conti con regolamentazioni sempre più stringenti.

Leggi come il “GDPR” in Europa hanno imposto limiti su ciò che le aziende possono fare con i dati dei loro utenti.

Questo rende ancora più complicato il processo di raccolta e analisi, poiché le aziende devono garantire che ogni dato utilizzato sia in conformità con queste normative.

 

Anche i dati più recenti possono diventare obsoleti in breve tempo.

 Le aziende devono assicurarsi di avere accesso a flussi di dati aggiornati e di essere in grado di interpretarli rapidamente per restare competitivi.

L'arte delle previsioni.

Prevedere il futuro è sempre stato una sfida, ma nel contesto attuale, caratterizzato da rapidi cambiamenti e imprevedibilità, diventa un compito ancora più arduo.

La storia recente ci ha mostrato come eventi esterni, come pandemie, crisi finanziarie, disastri naturali, guerre, possono avere un impatto devastante sulle previsioni aziendali.

 La teoria del cigno nero, sviluppata dal filosofo e matematico “Nassim Nicholas Taleb”, descrive un evento non previsto che ha effetti rilevanti e che, a posteriori, viene inappropriatamente razionalizzato e giudicato prevedibile con il senno di poi.

Spesso quindi, guardandoci indietro, riteniamo che alcuni eventi sarebbero stati prevedibili, mentre in realtà non è così.

La globalizzazione ha reso i mercati più interconnessi che mai.

Un cambiamento in una parte del mondo può avere ripercussioni a catena in tutto il globo.

Questa interconnessione rende estremamente complesso fare previsioni precise, poiché una miriade di variabili possono influenzare l'esito.

Anche il comportamento dei consumatori è in costante evoluzione, influenzato da fattori culturali, sociali, economici e tecnologici.

Anche se le aziende investono in ricerche di mercato e analisi dei dati, le previsioni basate sul comportamento del consumatore rimangono una sfida, soprattutto in mercati nuovi o emergenti.

A fronte di queste sfide, le aziende devono quindi dotarsi di un processo di rivalutazione e adattamento continuo, in cui le previsioni vengono regolarmente aggiornate in base ai nuovi dati e agli eventi mondiali.

La difficoltà di prendere decisioni rapide in un contesto inaspettato.

La vastità delle informazioni e l'incertezza del futuro possono portare a quello che viene spesso chiamato "paralisi decisionale".

Di fronte a troppi dati, opzioni o possibili esiti, le persone possono ritrovarsi incapaci di prendere una decisione tempestiva, portando a ritardi costosi e opportunità perse.

Se da un lato i Big Data sono una benedizione per la comprensione del mercato, dall'altro possono creare una dipendenza eccessiva.

 Confidare ciecamente nei dati senza incorporare intuito, esperienza e comprensione umana può portare a decisioni fuorvianti o inadeguate, perché bisogna considerare che non abbiamo mai davvero tutti i dati necessari a prendere una decisione certa.

 C'è inoltre una crescente pressione per prendere decisioni immediate. Tuttavia, decisioni affrettate possono non essere sempre le migliori. Trovare un equilibrio tra reagire prontamente e prendersi il tempo necessario per riflettere è cruciale.

Ogni decisione comporta un certo grado di rischio.

In un ambiente incerto, la valutazione e la gestione del rischio diventano più complesse.

Le aziende devono sviluppare metodi robusti per identificare, valutare e mitigare i rischi associati alle loro decisioni.

Prendere decisioni in un mondo in rapido cambiamento richiede un mix di analisi, intuito, coraggio e comunicazione.

 

Aspetti psicologici e sociologici.

Viviamo nell'era dell'informazione.

Con l'accesso istantaneo a enormi quantità di dati, la società ha sviluppato una fame insaziabile per il "nuovo".

 Questa costante necessità di aggiornamento ha reso il mercato volatile e ha spinto le aziende a rincorrere continuamente l'innovazione, influenzando la dinamica socio-economica.

La rapidità con cui le notizie si diffondono e i trend cambiano ha portato a una società dell'istantaneità.

 Questa enfasi sulla velocità può erodere la pazienza collettiva e influenzare le aspettative sociali sul tempo di risposta e l'efficienza.

Le aziende devono essere continuamente adattabili, anche i ruoli dei lavoratori cambiano velocemente.

Questa fluidità può influenzare il modo in cui le persone vedono la propria identità professionale e il loro posto nella società.

Le persone si trovano di fronte a nuove difficoltà che non sono state affrontate dalle generazioni precedenti e questo porta a incertezze su come affrontarle.

-  Sovraffaticamento Informativo:

 L'incessante flusso di dati può causare una sovraccarica informativa, portando a stress, ansia e una diminuita capacità di prendere decisioni informate.

Le persone possono sentirsi sopraffatte e incapaci di discernere ciò che è veramente importante.

-  Paralisi Decisionale: Come menzionato sopra, troppa informazione o troppa incertezza possono portare a una paralisi decisionale.

 Psicologicamente, ciò può essere legato alla paura di fare errori o di affrontare le conseguenze di scelte sbagliate.

- Bisogno di Controllo: Gli esseri umani hanno un innato bisogno di controllo.

In un ambiente aziendale in rapido cambiamento, la sensazione di perdere il controllo può avere effetti negativi sulla salute mentale, portando a sentimenti di impotenza o ansia.

- Gestione del Cambiamento: Gli individui reagiscono al cambiamento in modi diversi.

Mentre alcuni vedono l'incertezza come un'opportunità, altri possono percepire la stessa situazione come una minaccia, influenzando il loro benessere psicologico e la loro capacità di adattarsi.

Viviamo in un'era di accelerazione in cui l'inaspettato è diventato la norma e l'imprevedibilità una costante affrontata dalle aziende su scala globale.

La turbolenza del mercato, l'esplosione dei dati e la velocità dei cambiamenti hanno creato un paesaggio complesso e spesso intimidatorio per gli imprenditori e i manager.

Per affrontare questa nuova realtà, le aziende devono fare più che adattarsi;

devono diventare resilienti e anti fragili, costruendo strutture e strategie capaci non solo di resistere agli shock, ma di trarre vantaggio da essi.

Questo richiede un cambiamento radicale nel modo in cui pensiamo alla pianificazione, alla leadership e alla gestione.

Al centro di tutto ciò vi è l'importanza dell'umanità.

Mentre ci affacciamo sulla frontiera dell'intelligenza artificiale, dei big data e dell'automazione, è fondamentale ricordare che le macchine sono strumenti e non sostituti per la comprensione umana, l'empatia e l'intuizione.

In ogni decisione aziendale, in ogni previsione o modello, c'è una componente umana irriducibile che deve essere valorizzata e preservata.

Inoltre, in questo mare in tempesta di cambiamenti, le aziende devono riconoscere l'importanza di costruire comunità - sia interne che esterne.

Il supporto reciproco, la condivisione di risorse e la collaborazione possono servire come ancore, offrendo stabilità in momenti di instabilità.

Infine, mentre ci muoviamo in un futuro incerto, è essenziale abbracciare un senso di curiosità e apertura.

 Con la giusta mentalità, strumenti e strategie, le aziende possono non solo sopravvivere ma prosperare, trasformando l'incertezza in un vantaggio competitivo.

(Alberto Viotto).

 

 

 

 

UNIONE EUROPEA.

Perché non sarà facile

cambiare i trattati dell’Ue.

  Pagellapolitica.it – (04 APRILE 2024) - MATTEO NEGRI – ci dice:

 

Se ne parla da tempo, in particolare per quanto riguarda il superamento del diritto di veto, ma le procedure di riforma sono lunghe.

Questo dibattito sarà al centro della prossima campagna elettorale.

Da tempo ormai all’interno delle istituzioni europee si discute della necessità di riformare i” Trattati fondativi dell’Unione europea” per adattarli al nuovo contesto globale.

Per esempio, nelle conclusioni del “Consiglio europeo del 21 e 22 marzo” i capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri dell’Ue si sono impegnati ad adottare, entro questa estate, una tabella di marcia per i «lavori futuri» riguardanti la riforma delle istituzioni europee.

Su questo tema si è espresso di recente anche il” Parlamento europeo”, che nella seduta plenaria dello scorso novembre ha chiesto formalmente al “Consiglio europeo” di avviare una procedura di revisione dei trattati.

Nonostante l’urgenza delle riforme sia riconosciuta da più parti, il processo di modifica dei trattati è tutt’altro che semplice e sarà uno dei temi di discussione della campagna elettorale delle prossime elezioni europee di giugno.

L’Unione europea del futuro.

L’Unione europea è disciplinata da due trattati:

il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

 I testi attualmente in vigore sono il risultato di progressive modifiche, l’ultima delle quali risale al 1° dicembre 2009.

In seguito alle crisi e alle emergenze globali degli ultimi anni si è tornati a discutere della possibilità di riformare questi trattati, per dotare le istituzioni europee degli strumenti necessari per rispondere alle sfide contemporanee, come il cambiamento climatico e la guerra in Ucraina.

In particolare, il dibattito sulle riforme si è riacceso in seguito alla convocazione di una “Conferenza sul futuro dell’Europa”, che tra aprile 2021 e maggio 2022 ha coinvolto cittadini provenienti da tutti gli Stati membri.

 I lavori della Conferenza si sono conclusi il 9 maggio 2022 con la presentazione di 49 proposte per cambiare l’Unione europea.

 «I cittadini europei hanno chiesto un’Europa più unita e capace di agire, ma anche un maggiore controllo democratico attraverso nuove forme di partecipazione diretta e, soprattutto, un rafforzamento dei poteri del Parlamento europeo»,

ha spiegato a “Pagella Politica” “Luisa Trumellini”, segretaria del Movimento Federalista Europeo (MFE), un movimento politico che si batte per una maggiore integrazione europea.

 «Alcune di queste richieste per essere esaudite necessitano di una riforma dei trattati.

Il Parlamento europeo si è quindi messo al lavoro, elaborando una proposta che ha visto la collaborazione di tutti i partiti europeisti, dalla sinistra radicale al Partito popolare europeo».

Tra le principali novità, il Parlamento europeo ha chiesto di ottenere il diritto di iniziativa legislativa, cioè di proporre nuove leggi, prerogativa che a oggi resta in capo alla “Commissione europea”.

Un’altra richiesta avanzata dal Parlamento è che all’Ue siano assegnate maggiori competenze in materia di ambiente, salute, energia, affari esteri e difesa.

 Il Parlamento vorrebbe quindi un peso maggiore nell’adozione di atti legislativi su questi temi, che seguirebbero la procedura legislativa ordinaria, anche detta di “codecisione”.

 In questa procedura un atto legislativo, per essere approvato, deve ricevere il consenso sia del Parlamento europeo sia del Consiglio dell’Unione europea.

Al momento, invece, la maggior parte dei provvedimenti segue procedure legislative speciali, che prevedono un coinvolgimento minore da parte dei parlamentari europei.

Inoltre queste procedure speciali richiedono solitamente che il Consiglio dell’Ue si esprima all’unanimità, attribuendo a ciascuno dei 27 Stati membri il cosiddetto “potere di veto”.

Per esempio, l’Ungheria ha ostacolato a lungo l’adozione di un pacchetto di aiuti per l’Ucraina del valore di 50 miliardi di euro.

Il Consiglio dell’Ue ha potuto prendere questa decisione solo lo scorso febbraio, dopo che tutti i 27 leader, incluso il primo ministro ungherese Viktor Orbán, hanno raggiunto un accordo sul provvedimento.

Il superamento dell’unanimità è un tema ricorrente nel dibattito sulla riforma dei trattati e l’anno scorso si era creato un gruppo informale di nove Paesi favorevoli a questa modifica, tra cui l’Italia.

Ma non tutti i partiti italiani sono concordi su questo cambiamento.

 La segretaria del Partito Democratico “Elly Schlein””, il ministro degli Esteri Antonio Tajani” (Forza Italia) e la deputata di Italia Viva “Maria Elena Boschi” hanno detto che bisogna superare il meccanismo del diritto di veto, mentre la Lega è apertamente contraria.

Per quanto riguarda la “Commissione europea”, che sarebbe rinominata “Esecutivo europeo”, il numero dei componenti sarebbe ridotto dagli attuali 27, cioè uno per Stato membro, a 15.

Questi non sarebbero più indicati dai governi nazionali, come avviene oggi, ma spetterebbe al presidente dell’Esecutivo selezionarli per garantire maggiore coesione politica.

Inoltre, il presidente sarebbe nominato dal Parlamento europeo e approvato dal Consiglio europeo, a differenza della procedura attuale dove è il” Consiglio europeo” a proporre un candidato al Parlamento.

Il “presidente dell’Esecutivo” assumerebbe poi i poteri attualmente in capo al presidente del Consiglio europeo, diventando a tutti gli effetti il “presidente dell’Unione europea”.

«Il Consiglio europeo manterrebbe un ruolo di indirizzo generale, ma non sarebbe più un organo autogestito con un proprio presidente.

 I vantaggi della presidenza unica sarebbero da un lato una sinergia maggiore tra le due istituzioni, e dall’altro una rappresentanza molto forte dell’Unione europea in ambito internazionale», ha spiegato “Trumellini”.

Come si modificano i trattati.

L’articolo 48 TUE stabilisce le modalità con cui i trattati possono essere riformati.

Nel dettaglio, sono previste una procedura di revisione ordinaria e due procedure semplificate.

 La portata delle modifiche richieste dal Parlamento non è però compatibile con nessuna delle due procedure semplificate, che possono essere adottate soltanto in casi circoscritti.

La procedura di revisione ordinaria prevede che alla presentazione del progetto di modifica dei trattati faccia seguito la convocazione di una Convenzione da parte del Consiglio europeo.

Per questo passaggio è necessaria la maggioranza semplice, ossia 14 Paesi su 27.

 «Il presidente del Consiglio europeo è tenuto a mettere all’ordine del giorno la questione della riforma dei trattati quando è sollevata dal Parlamento, ma non è prevista una scadenza temporale.

 A nostra richiesta il presidente “Charles Michel” ha risposto che è consapevole dell’importanza del tema e che lo porterà sul tavolo al momento opportuno.

Se questo momento dovesse essere il Consiglio europeo di giugno, la Convenzione potrebbe essere inaugurata nel 2025», ha affermato “Trumellini”.

 Alla Convenzione partecipano rappresentanti del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali, una delegazione della Commissione europea e un rappresentante per ciascun governo nazionale.

 I membri esaminano il progetto di modifica e adottano per consenso, ossia senza che nessuno si opponga, una raccomandazione rivolta a una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri (detta “conferenza intergovernativa” o CIG).

 A questo punto la “CIG “deve stabilire all’unanimità le modifiche da apportare ai trattati, che entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri.

«Il consenso e l’unanimità richiesti da questa procedura sono due ostacoli concreti alla revisione dei Trattati.

 Per questo si stanno ipotizzando delle alternative possibili nell’ottica di un’Europa a due velocità.

 La soluzione ideale sarebbe un compromesso tra gli Stati membri che desiderano una maggiore integrazione e quelli che vogliono mantenere lo status quo, per cui si elabori una struttura capace di tenere conto delle differenze a garanzia di tutti.

L’alternativa è lo strappo:

 i Paesi disponibili adottano le modifiche necessarie con una diversa modalità di ratifica e in un secondo momento negoziano con gli altri le condizioni per mantenere l’Ue.

Per questa seconda strada servirebbe però una forte volontà politica, che oggi manca», ha concluso “Trumellini”.

 

 

 

 

 

I globalisti continuano ad attirare un’inesauribile

 scorta di discepoli creduloni in una vile eredità

di fame e morte di massa e se non sei

d’accordo con loro, i funzionari sanitari

vogliono che tu venga impegnato.

Allnewspipeline.com - JB Shurk e All News Pipeline – (26 aprile 2024)  - ci dicono:

 

Una delle caratteristiche più insidiose della manipolazione del linguaggio da parte del marxismo è la stigmatizzazione dei punti di vista opposti come una forma di disturbo mentale.

 L’opposizione al “matrimonio gay” sarebbe un “segno” di omofobia.

La diffidenza nei confronti dei terroristi islamici che celebrano l’11 settembre e gridano “Morte all’America” è un “sintomo” di islamofobia.

 Volere che il governo federale protegga i nostri confini e applichi la legge esistente sull’immigrazione “rivela” la xenofobia sottostante.

Non volere che gli uomini biologici entrino con la forza negli spogliatoi e nelle docce delle donne suggerisce che una persona “soffre” di una temuta transfobia.

Si noti che tutti questi presunti disturbi psichiatrici sono classificati come “fobie” o, più chiaramente, come “paure irrazionali”.

I marxisti usano abitualmente un linguaggio medico carico non solo per demonizzare o disonorare i loro nemici, ma anche per trasformare qualsiasi disaccordo politico in qualcosa che non è.

Rispettare il matrimonio come istituzione millenaria che celebra il legame tra un uomo e una donna non ha nulla a che fare con la paura degli omosessuali.

Essere pronti a difenderti da chi ti vuole morto non significa che le tue preoccupazioni siano infondate.

Insistere sul fatto che gli stranieri immigrano negli Stati Uniti legalmente è del tutto razionale.

Garantire che tua madre, tua moglie, le tue sorelle o le tue figlie siano al sicuro da strani (e spesso pericolosi) uomini adulti intenzionati a intromettersi nei loro spazi privati ​​richiede coraggio altruistico.

Tuttavia, poiché i marxisti dipendono dalle distorsioni della realtà per istigare l’attrito culturale e manipolare le masse, l’opposizione a qualsiasi questione politicamente conveniente del cuneo attualmente utilizzata come ariete contro la società deve essere diagnosticata come un’anomalia psicologica.

Si potrebbe dire che i marxisti sono convinti della menzogna secondo cui l’opposizione al marxismo si basa sulla paura irrazionale.

Certo, il comunismo ha ucciso oltre cento milioni di persone solo nel ventesimo secolo, ma questo non è motivo di temere un’ideologia che cerca solo di conferire potere all’ “uomo comune”.

Giusto?

Non so se rivela di più sulla persistente malevolenza degli spudorati sostenitori del marxismo o sull’inesauribile riserva di credulità della razza umana che Marx continua ad attirare discepoli volenterosi per promuovere la sua vile eredità di fame di massa, tortura e morte.

Il marxismo è il clown malvagio in agguato nelle fogne che riappare ogni generazione per banchettare con tenera carne umana, ma quasi tutti i campus universitari in America insisterebbero sul fatto che tale descrizione è un’iperbole derivante da una paura irrazionale.

Opporsi oggi al socialismo e al comunismo a causa della follia omicida intrapresa in passato dalle filosofie gemelle è marx-o-fobico e dovrebbe essere trattato come qualsiasi altra malattia mentale.

Almeno questo è quello che direbbero gli psicologi e gli psichiatri perché i marxisti hanno assunto il controllo della professione della salute mentale molto tempo fa.

 È un’osservazione ben nota che ovunque i marxisti si infiltrino,                                               presto corrompono.

La scienza ambientale non sarebbe fissata sulla menzogna dimostrabile secondo cui il consumo di energia umana sta accelerando un catastrofico “cambiamento climatico” se i marxisti non avessero avuto bisogno di uno spauracchio globale per spaventare le popolazioni nazionali e spingerle ad abbracciare un’economia controllata centralmente.

 Il presidente Trump non sarebbe stato imputato in quattro distinti processi penali e in decine di cause civili se i pubblici ministeri e i giudici marxisti non fossero impegnati a pervertire lo stato di diritto per guadagni ideologici.

Le scuole e i datori di lavoro non selezionerebbero i candidati in base al colore della pelle o agli appetiti sessuali esotici se il “DEI”, l’”ESG” e altre iniziative marxiste non avessero privilegiato la mediocrità rispetto al duro lavoro, all’abilità e al merito.

Nessuno sarebbe così stupido da definire la matematica “razzista” se gli accoliti distruttori di civiltà di Marx non fossero prima riusciti a permeare ogni livello dell’istruzione.

La scienza e la giustizia sono morte perché i marxisti salgono al potere solo dopo aver eseguito sommariamente conoscenza e verità.

Una volta fatto ciò, la scienza lavora per Marx.

È per questo motivo che i principi biologici del lysenkoismo prosperarono nell’Unione Sovietica nonostante le loro evidenti assurdità.

 È così che gli allarmisti del “cambiamento climatico” possono sbagliarsi su ogni previsione (e ribaltarsi tra le profezie di una Terra che si raffredda e una che si riscalda) ed essere comunque onorati come “esperti”.

 Ed è per questo che vengono scritti interi capitoli nei libri di testo di medicina che classificano la minima opposizione alle ortodossie marxiste come indicativa di una preoccupante malattia mentale.

Ciò ha senso, dal momento che le società comuniste hanno una lunga storia di imprigionamento dei dissidenti politici nei reparti psichiatrici come alternativa effettivamente umiliante al perseguimento penale dei rivali ideologici.

 Che cosa?

 Non credi nell'abolizione della proprietà privata o che le file per il pane siano colpa dei maiali capitalisti e antigovernativi?

Devi essere pazzo!

Mandate questo pazzo al manicomio!

Nell’ex Unione Sovietica, non era insolito che un membro della famiglia “sparisse” un giorno senza alcuna notifica formale da parte dello Stato o che parenti affranti scoprissero solo anni dopo che la persona amata era morta durante il “trattamento” in un ospedale psichiatrico, ossia asilo.

Simili atrocità sui diritti umani si sono verificate nei paesi comunisti dell’America centrale e meridionale e si verificano ancora oggi nella Cina comunista.

I marxisti amano condannare i loro nemici a un’esistenza da incubo in cui il corpo è intrappolato in una camicia di forza e la mente è tenuta insensibile con un cocktail di tranquillanti e altri antipsicotici.

Devo ammettere che la propensione dei marxisti a trattare i loro nemici come malati di mente mi ha reso riluttante a coinvolgere il governo nella legittima crisi di salute mentale che affligge oggi gli Stati Uniti.

 Menti brillanti (incluso il grande e defunto” Charles Krauthammer”) hanno a lungo sottolineato i cambiamenti negli statuti sull’impegno civile nell’ultimo mezzo secolo che hanno reso più difficile per i pazienti essere internati contro la loro volontà e la conseguente chiusura degli ospedali psichiatrici gestiti dal governo in tutto il mondo.

E quindi il paese diventa come principale responsabile dell’impennata di alcune categorie di crimini violenti.

Numerose ricerche sui senzatetto, sulle dipendenze, sui suicidi e sugli omicidi suggeriscono che la tendenza verso la deistituzionalizzazione a partire dagli anni ’60 ha prodotto risultati tragici.

D’altro canto, sono estremamente restio a restituire certi poteri di impegno involontario agli psichiatri e agli “esperti” sanitari del governo quando entrambe le comunità professionali pregano sull’altare di Marx.

Proprio come il “Patriot Act” è stato venduto come una necessaria misura di sicurezza nazionale prima di rivelarsi un’arma di sorveglianza interna grottescamente incostituzionale usata contro i cittadini americani, conferire al governo federale il potere di rinnovata autorità per combattere le malattie mentali sembra ragionevole in teoria ma molto probabilmente si tradurrà in una un numero considerevole di americani “MAGA” che  vengono disarmati con la forza, etichettati pregiudizialmente e confinati involontariamente.

Dopotutto, agli occhi di un consigliere o giudice marxista, c’è qualcuno più “pericoloso” di un entusiasta sostenitore del presidente Trump?

Purtroppo, i prigionieri politici ”J6“conoscono fin troppo bene questa risposta.

 

Non commettere errori, i marxisti stanno già usando il linguaggio della salute mentale per intimidire gli oppositori politici.

Un piccolo sobborgo di Chicago ha recentemente rimosso l'unico repubblicano dal consiglio della biblioteca del villaggio.

Il suo “crimine”?

 Si è opposto al "drag queen bingo", ha criticato il piano del consiglio di sostituire il giuramento di fedeltà con una dichiarazione secondo cui la terra della città era stata "rubata da uomini bianchi cristiani agli indiani" e si è rifiutato di pubblicare i suoi "pronomi" sul sito web della biblioteca.

I marxisti della città insistevano sul fatto che questi punti di vista li facevano sentire “insicuri”.

“Questo non ha nulla a che fare con l’appartenenza politica, ma ha tutto a che fare con un pericoloso estremismo”, ha spiegato un marxista, prima di esprimere sgomento per il fatto che il presunto colpevole del reato si fosse rifiutato di essere rieducato.

Nel frattempo, nel Regno Unito, agenti di polizia e uno psicologo governativo hanno fatto irruzione nell’abitazione di un uomo non perché avesse commesso qualche crimine ma piuttosto perché avevano “alcune preoccupazioni” riguardo a un post sui social media in cui incoraggiava i cristiani a “stare up” dopo che un terrorista islamico ha accoltellato un vescovo in Australia.

"La gente ha espresso preoccupazioni riguardo alle tue opinioni... riguardo a ciò che sta accadendo in Australia", ha spiegato un agente di polizia.

Proprio come in Illinois, l’autoritarismo con gli stivali si presenta sotto forma di “aiuto” psicologico.

Il marxismo potrebbe essere definito come un sistema in cui governano folli tiranni e sani oppositori si impegnano per la loro “salute”.

 

 

 

 

 

Media indipendenti sotto attacco

mentre ci avviciniamo alle elezioni del 2024.

 I globalisti e i media di propaganda lavorano

per controllare tutto ciò che senti mentre bruciano la casa.

 

Allnewspipeline.com - Stefan Stanford –(24 aprile 2024) – ci dice:

 

 I "pensatori critici" vengono "sbancati" e finiscono senza lavoro.

Secondo questo articolo del 20 aprile pubblicato dalla CNBC , per vivere "comodamente " nello stato del Massachusetts, la famiglia " media " di quattro persone, inclusi due adulti e due bambini, deve guadagnare 301.184 dollari all'anno, la cifra più alta negli Stati Uniti, mentre nello stato del Mississippi tale importo è di soli $ 177.798 all'anno per una famiglia di quattro persone, il minimo negli Stati Uniti, ma è comunque necessario un importo di $ 14.816,50 ogni mese per coprire cose come costi di alloggio e servizi pubblici, cibo, assistenza all'infanzia e assistenza medica secondo alle statistiche del “MIT Living Wage Calculator,” si tratta comunque di una cifra sconcertante considerando che il reddito medio annuo nel Mississippi è di soli $ 37.500 a persona.

 

L’ articolo della CNBC riporta anche che il salario medio annuo per una famiglia negli Stati Uniti nel suo insieme è di 213.782 dollari, ben 40.000 dollari in più rispetto alla famiglia media di quattro persone nel Mississippi, ma comunque oltre 87.000 dollari in meno rispetto alla famiglia media di quattro persone nel Massachusetts, un paese separato.

 L'articolo della CNBC riporta che per "vivere comodamente" una persona single che vive in 99 delle più grandi aree metropolitane degli Stati Uniti deve realizzare un reddito medio di $ 93.933 all'anno, che ammonta a una media di $ 7.827,75 al mese, per coprire spese come costi per l'abitazione e le utenze, "spese discrezionali" pur potendo accantonare circa il 20% del proprio reddito per i risparmi, potendo mettere da parte una parte "per i giorni difficili.".

Riferendo che il “ budget 50/30/20 ” raccomanda che per un comfort “ sostenibile ( c’è di nuovo la parola “sostenibile” ) , il 50% dello stipendio di una persona dovrebbe essere assegnato a bisogni come alloggio, servizi pubblici, generi alimentari e trasporti ;

mentre il 30% dovrebbe essere destinato a " desideri " come intrattenimento e hobby, mentre il restante 20% va a saldare debiti, risparmi o investimenti, usano queste statistiche per elaborare uno stipendio al lordo delle imposte necessario alle persone nel 2024 per "vivere" comodamente", anche se questo tipo di numeri ci sbalordisce completamente.

 

Con l'”ANP" pre-“COVID " che guadagnava in media circa 5.000 dollari al mese e poteva vivere "confortevolmente" guadagnando quella cifra, certamente non ci rendeva " ricchi" , ma non abbiamo mai avuto il desiderio di fare un sacco di soldi ma essendo in grado di pagare l'affitto, pagare tutte le nostre utenze, comprare cibo e persino essere in grado di fornire al nostro prezioso cucciolo "Hootie" le cure mediche di cui ha bisogno e sistemare il nostro camion in modo che abbiamo i freni funzionanti, possiamo " Non fare NESSUNA di queste cose ora, dal momento che la "grande tecnologia" e la "grande industria farmaceutica" hanno iniziato letteralmente a "farci guerra" perché vi portiamo il tipo di storie che facciamo .

E come riportato da “Armstrong Economics” in questa nuova storia a cui “Steve Quayle” aveva collegato martedì sul suo sito web, questo sta accadendo a tutti i cristiani nel 2024, con le banche che ora hanno la capacità di rovinare finanziariamente individui e organizzazioni senza giusta causa, aggirando ogni protezione riconosciutaci dalla Costituzione.

Non è solo legale ma incoraggiato!

In poche parole, essere nei media indipendenti e riferirvi il tipo di storie che facciamo, anche se abbiamo dovuto dedicare 60 ore settimanali alla ricerca e alla scrittura di quelle storie per essere voi il tipo di " verità" così " grande" il settore farmaceutico e il " grande governo " sicuramente NON vogliono che tu senta, sicuramente NON paga.

E infatti, come abbiamo sottolineato nella nostra nota di raccolta fondi qui sotto, che sfortunatamente abbiamo dovuto cambiare, ora siamo sul punto di diventare dei senzatetto e “ANP” è solo un altro sito web che svanisce nella polvere perché sicuramente non paga ricercare e riferire "la verità" nel 2024.

E non siamo sicuramente l'unico sito web di media indipendenti che è costantemente sotto attacco su vasta scala poiché anche l'eccellente “sito anti-vax” “The Expose” sta subendo attacchi su vasta scala chiaramente progettati per mettere offline anche loro.

Come affermano nella nota nella parte superiore del loro sito Web, " È QUESTA LA FINE DELL'ESPOSIZIONE?

RIMANONO SOLO 7 GIORNI PER SALVARE L'ESPOSIZIONE E AIUTARCI A ESPANDERE - Contiamo esclusivamente sul vostro supporto, ma attualmente meno dello 0,1% dei lettori sosteneteci e l'establishment continua a congelare i nostri fondi, quindi se vi piace quello che facciamo, sosteneteci oggi così possiamo vincere la nostra battaglia contro di loro e rimuovere questo fastidioso banner."

Ebbene, l’”ANP” ora è esattamente nella stessa barca in cui si trova “The Expose” .

Ma questa storia non riguarda noi, anche se abbiamo una trama che si adatta perfettamente, ma ciò che sta accadendo alle persone ora in TUTTA l'America.

Come “Ethan Huff “ha riportato in questo recente articolo su “Natural News” , è in arrivo un “GIGANTICO collasso finanziario che distruggerà i beni di TUTTI e, sebbene non sia stato ancora completamente svelato,  gli Stati Uniti sono stati derubati dai poteri costituiti”, che hanno sottoscritto le attività finanziarie degli americani come garanzia per l’imminente scoppio della bolla finanziaria e dei derivati .

Quindi sì, secondo “Paul Craig Roberts”, ormai è solo questione di tempo.

 

E con quei numeri precedentemente menzionati provenienti da quelle storie alla CNBC che chiaramente non ci raccontano l'intera storia perché li parlano tutti in "gergo sostenibile" in un momento in cui “Fox News Business” ha appena pubblicato questa storia riportando che " il 2024 sarà" il più duro " mercato del lavoro "nel corso della nostra vita ", quanti altri americani stanno soffrendo come noi mentre CNBC e Washington DC cercano di far sembrare che tutto sia rose e fiori?

Come riporta l’articolo di “Fox News”, un nuovo studio “allarmante” sul futuro del mercato del lavoro punta i riflettori sulla mancanza di dipendenti e sull’aumento delle controversie sul posto di lavoro quest’anno.

"Il rapporto parla di come il 2024, a nostro avviso, sarà uno degli anni più impegnativi della nostra vita sul mercato del lavoro", “ha affermato il CEO di “RedBalloon Andrew Crapuchettes” in un'esclusiva di Fox News Digital”.

"Ci sono molti fattori diversi che stanno determinando tutto ciò.

Vediamo il declino della popolazione.

Vediamo i baby boomer che vanno in pensione.

 Vediamo una forza lavoro della “generazione Z” che arriva e non fa cose produttive sul posto di lavoro...

La cosa che penso sia la più Un fatto allarmante, però, nell'intero rapporto, e uno dei nostri risultati più importanti è stata la quantità di contenziosi che si verificano oggi sul posto di lavoro americano."

Riferendo inoltre che c'è una massiccia esplosione di quella “generazione Z” e dei “millennial” che soffrono di " crisi di salute mentale ", lasciando così innumerevoli datori di lavoro a camminare sulle uova a causa di tutte le malattie mentali che portano con sé sul posto di lavoro, si noti che uno dei più grandi  calamità sulla salute mentale che secondo loro si stanno verificando nel 2024 hanno a che fare con la tossicità e la divisione che questi dipendenti portano con sé sul posto di lavoro, in gran parte a causa della loro visione distorta della realtà, dovuta in gran parte alle loro “identità sessuali” .

Un problema enorme che sicuramente NON ERA presente sul posto di lavoro quando mi muovevo nel mercato del lavoro poiché allora, GLI UOMINI SAPEVANO DI ESSERE UOMINI e LE DONNE SAPEVANO DI ESSERE DONNE!

E, naturalmente, il problema che oggigiorno si presenta con i "dipendenti" sta portando a un'esplosione di cause legali, contenziosi e caos perché, follemente, gli uomini oggigiorno pensano di essere donne e le donne pensano di essere uomini.  

E il loro rapporto mette in discussione anche l’impatto sul posto di lavoro delle politiche in materia di diversità, equità e inclusione.

 Il rapporto “RedBalloon” sul “DEI” ha rilevato che "l'ascesa del “DEI” ha coinciso anche con una maggiore disaffezione tra i lavoratori americani"  perché i dipendenti NON erano incoraggiati a "abbreviare il processo di assunzione".

Ricordo ancora un tempo in cui le persone venivano assunte per un lavoro in base al fatto se potevano FARE o meno quel lavoro, e se erano o meno grandi lavoratori, non se avevano o meno il colore "giusto" della pelle o cosa " identità sessuale " potrebbero essere o quale marca di " politica " seguissero. 

 

Quindi, con i "reporter" delle "notizie" oggigiorno in gran parte "pagati" in base al fatto che riferiranno o meno ciò che i loro datori di lavoro vogliono che riferiscano, senza che venga data alcuna importanza al fatto che riferiranno o meno ciò che è " vero", ' immaginate semplicemente un '"America" ​​senza media indipendenti in vista delle elezioni del 2024.

Con i media mainstream che vogliono chiaramente tornare indietro a un’epoca in cui controllano tutto ciò di cui gli americani sentono e pensano, perché una cosa del genere permetterà loro sicuramente di controllare chi verrà eletto in carica a novembre, non c’è mai stato un momento più importante di “Ora”.

 

 

Modi ha già vinto le prossime

elezioni generali indiane?

Aliseoeditoriale.it - Matteo Borgese –(19 Gennaio 2024) – ci dice:

 

La presa del nazionalismo e un'opposizione debole favoriscono ancora l'egemonia politica di Narendra Modi.

L’identità: variabile chiave della politica indiana.

Narendra Modi è un uomo con una visione chiara dell’India del presente e, naturalmente, di quella da costruirsi nell’immediato futuro.

In oltre 70 anni di storia, dall’indipendenza ottenuta nel 1947, l’India ha visto leader, traghettatori e personaggi politicamente attivi che hanno saputo conquistare in casa, e a volte anche nello scenario internazionale, un grande sostegno e una potenza mediatica non indifferente.

Se Nehru, insieme a Gandhi, ha dato alla luce l’India come stato-nazione indipendente, dopo di lui anche sua figlia “Indira Gandhi” (non c’è parentela tra lei e già citato il Mahatma) ha saputo, pur con metodi controversi, mantenere salda la presa del potere politico in nome dell’unità nazionale.

Al Congresso, partito politico di cui entrambi facevano parte, l’India deve molto.

La pragmaticità con cui in ottica realista si sia scivolati in questi 65 anni di egemonia politica è stata, a volte, sconcertante.

Governare l’India significa tentare di ascoltare le esigenze di popoli, culture, identità profondamente diverse tra loro.

Si deve sopravvivere alle insidie di chi vorrebbe separarsi dalla nazione e a quelle di chi vorrebbe, lentamente, sbranarne i confini dall’esterno. Governare l’India significa affrontare i pregiudizi dell’Occidente e la sfiducia dell’Asia, tentare di appiattire le disuguaglianze che permeano le coscienze e di instillare continuamente l’orgoglio di essere indiani.

È un compito arduo, che la storia dell’India contemporanea ci insegna essere colmo di ferite autoinflitte in nome di quell’identità, di cicatrici che continuano a sanguinare nella memoria del popolo indiano.

Il Mahatma Gandhi ha favorito il sentimento nazionalista cercando di unire dividendo, nonostante gli avvertimenti dell’amico, la “Grande Sentinella” Rabindranath Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913.

 

Tagore (1861-1941) con i discorsi sul nazionalismo nel 1917 si propone, con notevole lungimiranza, di fare luce sulle inevitabili derive di una politica ultranazionalista, criticando le scelte europee che hanno favorito l’esplosione del primo conflitto mondiale.

Tagore sapeva benissimo che l’universalità di certi sentimenti avrebbe intossicato anche il popolo indiano e ammoniva spesso Gandhi sui pericoli di un’indipendenza il cui vessillo fosse l’esasperazione dell’identità nazionale.

 La storia, pur plasmata dal Mahatma e da Nehru, ha dato ragione al poeta bengalese.

La ricerca spasmodica delle tradizioni perdute fu l’unico modo di riappropriarsi di tutto ciò che la dominazione coloniale aveva cancellato. Il popolo venne diviso su sommarie basi religiose poiché, come “Tagore” aveva intuito, la battaglia per l’India non si combatteva con lo scudo indistruttibile dell’unità, ma con la lama a doppio taglio del nazionalismo aggregante.

Indira Gandhi, nel suo burrascoso mandato da Primo Ministro, è stata negli anni’70 e ’80 una delle donne più influenti e controverse della politica internazionale.

Figlia di Nehru, ha avuto l’arduo compito di traghettare il Paese verso la modernità, di dialogare con le grandi potenze straniere e di spegnere la miccia ai movimenti terroristici interni.

L’operazione “Blue Star”, un massacro senza precedenti contro separatisti “Sikh del Punjab”, fu solo il culmine di quasi vent’anni di mandato in cui il pugno di ferro fu l’unica costante nel dinamismo sociale indiano del trentennio post-indipendenza.

Queste due incredibili figure, il Mahatma e Indira, hanno subito infine il rancore di quella parte di India che non hanno saputo abbracciare, tragicamente travolti dalle proprie scelte politiche.

Il Congresso oggi, le fratture interne e le prossime elezioni in India.

Oggi il Congresso Nazionale appare come l’ombra di sé stesso. Alla guida c’è “Mallikarjun Kharge”, eletto ad ottobre 2022 ha spodestato pacificamente la famiglia Gandhi dalla Presidenza di partito, sostituendo come figura centrale Rahul Gandhi.

Egli, nipote di Indira, ha cercato di risollevare senza successo le sorti del proprio partito da quando l’era Modi ha avuto inizio, ormai dieci anni fa.

Rahul è stato un avversario politico che non ha saputo incarnare il carisma dei propri familiari e si è trovato a fare i conti con un’India che, benché proiettata verso il futuro, ha anche scoperto la necessità di una comunicazione meno progressista e, anzi, fortemente legata al laccio pericoloso dell’identità nazionale.

Kharge è un uomo di grande esperienza politica, maturata soprattutto in “Karnataka”, la propria regione d’origine, ma si trova oggi in una posizione per nulla invidiabile.

 Nel momento in cui, grazie alla vetrina dello scorso maggio del G20 tenutosi in “Kashmir”, il Paese si è presentato al mondo come “Bharat”, l’opposizione ha unito le forze nella neonata coalizione il cui acronimo è I.N.D.I.A.

 

Il processo di sanscritizzazione culturale del governo in carica sembra continuamente scontrarsi con le scelte progressiste dell’opposizione.

Anche questo scontro linguistico, in un Paese in cui “il nome” come concetto ha un’importanza straordinaria, come ci ricordano scrittrici del calibro di “Mahasweta Devi “e “Gayatri Spivak”, è importante per capire la psicologia delle due compagini in gara per il governo della nazione.

I.N.D.I.A sta per “Indian National Developmental Inclusive Alliance”.

La coalizione comprende la maggior parte dei partiti d’opposizione e nasce nel luglio 2023 con l’obbiettivo di contrastare lo strapotere dell’attuale maggioranza.

 Come si può intuire, una mossa così rischiosa non può che essere la conseguenza della consapevolezza di non poter competere da soli contro il “Bjp”.

Circa 26 leader dell’opposizione si trovano dunque a competere tra loro, più che contro il governo Modi, poiché i dissapori interni e la naturale impossibilità di conciliare così tante visioni politiche diverse rendono l’I.N.D.I.A. più fragile che mai.

Sebbene sia facilmente possibile interpretare le prossime elezioni come uno scontro tra due giganti, per l’opposizione l’unità politica è un’illusione come lo fu quella, sociale, gandhiana oltre settant’anni fa.

Da tenere d’occhio oltre al già citato Congresso, tra i partiti della coalizione, c’è l’Aap.

 L’Aam Aadmi Party (“il Partito dell’Uomo Comune”) nasce dai movimenti anticorruzione che denunciavano già dal 2011 il malaffare delle istituzioni politiche e giuridiche.

Forte delle vittorie a Delhi (2020) e in Punjab (2022) sta acquisendo sempre più influenza, silenziosamente richiamando i riflettori politici ai danni del Congresso, ormai guida troppo debole per l’opposizione.

La disputa dei seggi tra queste due forze politiche, a prescindere dal risultato delle elezioni, che si terranno in primavera, non farà altro che incrinare ulteriormente le fondamenta della coalizione.

Coalizione che, pur strizzando l’occhio al progressismo internazionale, all’inclusività e alla globalizzazione, accoglie forze politiche controverse sotto la propria ala, le cui ideologie sono poco coerenti con la linea generale dell’alleanza.

Spiccano infatti, tra gli altri, i partiti di matrice comunista. Dalle rivolte dei naxaliti di fine anni ’60, in cui i ribelli maoisti hanno messo a dura prova la presa governativa tra le popolazioni rurali, tribali e le realtà marginali, lo spettro rosso aleggia forte intorno al Golfo del Bengala.

Le cronache della guerriglia dei gruppi ribelli sono vive nella letteratura e nella memoria di tanti indiani, i racconti della già citata “Devi” ne sono l’esempio più icastico.

Oggi è difficile dire quanto appeal possano avere le idee marxiste e maoiste;

tuttavia, quando oltre il 60% della popolazione indiana vive, non senza difficoltà, in zone rurali e le comunità tribali sono ghettizzate, una propaganda di riscatto e giustizia può sicuramente risultare convincente.

L’era Modi è destinata a continuare incontrastata?

Il problema dell’I.N.D.I.A. come forza politica non è nella potenziale varietà di elettorato, fattore che potrebbe essere la forza della coalizione, ma nell’impossibilità materiale di conciliare tutte le necessità dei propri sostenitori.

E molti di essi inevitabilmente si trovano a subire il fascino di una comunicazione di pancia, aggregante e conservatrice che, laddove sfumano le idee, fa dell’orgoglio e dell’ideologia la propria forza. Proprio in mezzo al nazionalismo, dove “la Grande Sentinella” avrebbe guardato con sospetto, proprio lì fiorisce il loto, ad oggi più rigoglioso che mai, del “Bharatiya Janata Party”.

A dicembre del 2023 in molti hanno gridato alla morte della democrazia in India.

L’accusa al governo è arrivata dopo che 141 membri del Parlamento, appartenenti ad 11 partiti dell’opposizione, sono stati sospesi per tutta la sessione invernale e interdetti dall’attività parlamentare.

Ai deputati sarebbe stato imputato di aver fomentato e sostenuto l’irruzione in Parlamento di un gruppo di attivisti che stavano protestando violentemente contro le politiche economiche del governo e la disoccupazione.

“Amit Shah”, Ministro degli Interni, e” Modi” hanno evitato di commentare la questione, richiamando alla cooperazione politica.

Due terzi dei parlamentari sospesi orbitano intorno alla coalizione I.N.D.I.A.

Tutto ciò sicuramente indebolisce le opposizioni, ma nuoce gravemente anche all’immagine di potenza democratica in Asia, ruolo che l’India fieramente vuole da sempre incarnare.

“Karti Chidambaram”, membro del Congresso, ha espresso la propria preoccupazione dopo l’accaduto addirittura accusando il governo di Delhi di ricalcare il modello nordcoreano.

L’occhio internazionale, avendo intuito le possibilità strategiche della “Bharat” di Modi, si chiude spesso sulle strategie di repressione del dissenso e sulle controverse modalità di aggregazione divisiva del “Bjp” che troppo spesso sono ben lontane dal concetto più puro di unità nazionale.

Sempre a dicembre, “Delhi “ha revocato allo “Stato federale del Kashmir” lo statuto autonomo del quale godeva dalla formazione della Costituzione.

L’articolo 370, abrogato nel 2019, garantiva al “Kashmir” lo statuto speciale, ma nell’ottica di potenziare il controllo centrale del governo sul territorio, il “BJP” ha attuato negli ultimi anni una serie di politiche discutibili.

Il contrasto al terrorismo ha presto trasformato la presenza dell’esercito in una forza d’attacco, e non in un presidio per la sicurezza locale.

 Il Kashmir ha ovviamente un’importanza strategica enorme nelle relazioni con il Pakistan e nella resistenza all’espansionismo cinese, ma come ci ricorda il Giudice “Sanjay Kaul” “i kashmiri sono il cuore della questione” e tuttavia, dai conflitti civili del 2016 ad oggi, sono stati troppo spesso considerati solo danni collaterali nella lotta per la valle più contesa del pianeta.

La figura di “Modi” vanta sicuramente un fascino mediatico e un’influenza internazionale fuori dal comune, persino per gli standard della politica indiana.

 Sebbene a seguito delle tutele garantite dal governo canadese ai terroristi del Khalistan i rapporti tra il leader del “BJP” e Justin Trudeau si siano raffreddati, è indubbio che nel mondo occidentale Modi abbia avuto uno straordinario successo.

Il soft power ottenuto grazie ai social e il feeling politico e personale con leader molto influenti (Giorgia Meloni, Vladimir Putin, Emmanuel Macron e Anthony Albanese su tutti) hanno sicuramente favorito l’ascesa dell’India nel quadro internazionale.

L’equidistanza mantenuta a livello economico e nella diplomazia dei conflitti recenti ha inoltre consolidato il ruolo di attore non-allineato del grande elefante asiatico.

Modi è in testa in tutti i sondaggi (come l’ultimo realizzato ABP News-CVoter), ma le sfide interne e il futuro internazionale della sua” Bharat” sono un avversario ben più temibile di un’opposizione fragile e divisa.

 Le elezioni generali dell’India saranno probabilmente solo una formalità ad un mandato che sembra senza scadenza e al percorso politico di un personaggio destinato a plasmare il futuro dell’India partendo dal passato.

Con le luci e le ombre tipiche della classe politica indiana, “Modi” rappresenta senza dubbio la svolta che in questo momento storico tiene l’India sul binario di un orgoglio aggregante almeno apparente.

Ma il nazionalismo è un’arma difficile da brandire a lungo, specialmente nel contesto indiano, dove il popolo è costantemente pronto a dividersi ancora e ancora, alla ricerca dell’unità.

 

 

 

Gli USA Impongono Rastrellamenti

di Ucraini Emigranti in Tutto il Mondo.

Conoscenzealconfine.it – (29 Aprile 2024) - Manlio Lo Presti – ci dice:

Come requisito di incasso dell’ultimo finanziamento di circa 60 miliardi di dollari all’Ucraina, gli Usa impongono rastrellamenti di ucraini emigranti in tutto il mondo per incrementare l’esercito nazionale.

Inghilterra e Polonia hanno iniziato subito a respingere gli ucraini con passaporto scaduto.

Giunge da poco la notizia che l’”attore ucraino “abbia firmato nei giorni scorsi un decreto che ordina il blocco dei rinnovi dei passaporti di oltre dieci milioni di ucraini emigrati all’estero (https://ukraina.ru/20240423/1054675733.html).

 

La conferma di tale infausta decisione è arrivata dalla dichiarazione del ministro della difesa polacco che ha anche confermato di aver iniziato a rastrellare ucraini senza passaporto rinnovato per respingerli in Ucraina. (gazeta.ru/social/2024/04/24/18981686.shtm), (espansionetv.it/2024/04/25/ucraina-polonia-favoriremo-rimpatrio-uomini-in-eta-militare/).

 

Anche l’Inghilterra ha manifestato la propria immediata collaborazione iniziando una vera e propria caccia all’uomo e alle donne ucraini. (rbc.ru/politics/23/04/2024/6626d08a9a7947c4f5942ac5).

Probabilmente, il motivo di questa decisione sembra riferirsi ad uno dei requisiti di incasso dell’ultimo finanziamento USA, che prevede un sostanziale aumento del numero di militari ucraini al fronte di circa cinquecentomila uomini e donne.

Il decreto di arruolamento forzato dal blocco del rinnovo dei passaporti firmato dall’attuale capo ucraino accentuerà l’odio della popolazione. L’esercito ucraino al fronte si vede sfumare la possibilità di essere sostituito dal ricambio di forze fresche e questo non potrà che generare un più vasto risentimento nei confronti dei vertici militari di Kiev, con crescenti diserzioni.

La coscrizione obbligatoria avrà l’immediato effetto di far morire un altissimo numero di ucraini al fronte, sia uomini che donne.

Anche questo sarà considerato un “effetto collaterale” senza importanza dagli alti comandi angloamericani, dalle industrie di armamenti e dai fornitori di colonie mercenarie, ma non dalla popolazione.

La persona non ancora piallata dalla narrazione dominante si pone subito una domanda:

inizierà la caccia all’uomo e alle donne ucraine attualmente residenti in Italia per essere poi rispediti con forza in Ucraina?

 Il nostro governo si trova adesso a dover collaborare con una feroce ed ignobile caccia all’uomo?

Sarà un dramma etico di notevole importanza.

Chi firmerà in Italia i decreti di espulsione?

 Come saranno caricati su aerei o su mezzi di terra diretti in Ucraina senza che nessuno veda il movimento?

Tutto questo non ricorda le persecuzioni di ebrei, di armeni, di siriani, di palestinesi, di iracheni?

Quale differenza possiamo trovare?

Infine, una notizia fornisce la chiave di lettura che motiva l’impopolare firma che prevede il blocco del rinnovo dei passaporti.

Il mandato dell’attuale capo ucraino scade il 21 di maggio prossimo.

Costui può sempre dire ai suoi mandanti americani di aver eseguito ogni ordine, compreso quello di arruolamento forzato.

 Ne esce pulitamente il 21 maggio e va a godersi la villa faraonica acquistata nei dintorni di Londra.

La patata bollente cadrà più rovente che mai ai successori del “comico”.

Con il servile collaborazionismo dei Paesi membri dell’Ue la realizzazione delle espulsioni di massa, viene fuori la loro vera faccia, nascosta dietro un generico e retorico rispetto dei diritti umani, ma non per tutti.

Quale sarà il comportamento di Mosca nei confronti del numero crescente di ucraini che tenteranno di entrare in Russia?

Non credo che siano già state emanate disposizioni in merito fino a quando non sarà valutato il rischio di ingresso di terroristi mimetizzati fra le file dei profughi ucraini.

La disponibilità dei russi accrescerebbe la loro popolarità ma vanno calcolati con cura gli effetti degli ingressi di agenti terroristi disposti a tutto pur di provocare danni.

La scusa umanitaria della fuga di ucraini in Russia costituisce una copertura perfetta per una vasta operazione occulta dentro i territori russi, con la realizzazione di numerosi attentati sanguinosi.

Come al solito, l’Europa sarà impotente ed incapace di influenzare gli eventi, men che meno la ex-italia definita comicamente “media potenza regionale”, ancor meno le organizzazioni mondiali umanitarie paralizzate dalla loro palese inutilità.

 Ininfluente, infine, il cicaleggio del “pontifex argentinus “che continua a somigliare ad un disco rotto che dimentica di tutelare i propri cristiani uccisi dappertutto e di cui non parla mai.

Aspettiamo…

(Manlio Lo Presti -Scrittore ed esperto di banche e finanza).

(lapekoranera.it/2024/04/25/per-ricevere-i-60-miliardi-circa-gli-usa-impongono-rastrellamenti-di-ucraini-emigranti-in-tutto-il-mondo-per-incrementare-lesercito-nazionale/).

 

 

 

I giovani e le donne: qualcosa può

cambiare negli scenari politici palestinesi?

Monopoli.it – (32-1-2022) - CAMPELLI ENRICO – ci dice:

 

Che lo Stato di Israele stia affrontando una fase di rimodellamento politico è un dato ormai largamente condiviso dagli analisti internazionali.

 Quattro tornate elettorali in meno di due anni hanno infatti prodotto una eterogenea maggioranza che per la prima volta ha lasciato all’opposizione Netanyahu e i suoi alleati dei partiti religiosi, ma che tiene insieme forze profondamente diverse tra loro e, per la prima volta, anche un partito arabo-israeliano.

Riuscire ad immaginare quali siano i possibili risultati, politici ed istituzionali, del nuovo assetto politico, dall’equilibrio assai precario, è tuttavia un compito davvero troppo arduo, soprattutto in una realtà politica come quella israeliana, storicamente liquida e volatile.

È però interessante riportare come il 28 dicembre 2021, il Ministro della Difesa “Benny Gantz” abbia ricevuto il Presidente dell’Autorità Palestinese (AP),” Mahmud Abbas”, nella sua residenza di” Rosh Ha’ayin”, nella prima visita ufficiale del leader palestinese sul suolo israeliano dal 2010.

Così come per quello israeliano, anche il mondo politico palestinese ha visto negli ultimi mesi un riaccendersi dello scontro tra i partiti ed una nuova fase dell’eterno dibattito sul tema della rappresentanza, che da anni ne caratterizza la vita politica.

Tuttavia, se lo scenario politico israeliano appare confuso ma molto veloce e mobile, decisamente diversa è la realtà palestinese.

 Dopo il rinvio sine die delle elezioni (legislative e presidenziali) previste con molto ritardo per il 2021 – considerato che le precedenti risalgono al lontano 2006 – il mondo politico palestinese è in effetti sempre più diviso.

 Le prime elezioni parlamentari e presidenziali palestinesi si sono svolte nel 1996, subito dopo la creazione dell’Autorità Palestinese in base agli accordi di Oslo. “Yasser Arafat”, Presidente di lunga data dell’OLP e di Fatah, è stato Presidente dell’Autorità Palestinese (AP) fino alla sua morte nel 2004, e l’anno successivo è stato eletto “Abbas” per sostituirlo.

Nelle elezioni del 2006 il “movimento islamista Hamas “si è assicurato la maggioranza dei voti, e pesanti sanzioni sono state imposte al governo palestinese da Israele, Stati Uniti e Unione Europea che classificano il gruppo come organizzazione terroristica.

La conseguente lotta per il potere, esacerbata dalla pressione internazionale, si è trasformata in un violento conflitto tra “Hamas” e “Fatah”, che ha portato il primo a prendere il controllo di Gaza e il secondo a governare la Cisgiordania, immobilizzando la politica palestinese.

L’ “AP”, che avrebbe dovuto gestire la Striscia di Gaza e meno del 40% della West Bank, è ampiamente percepita come corrotta e incompetente.

 Secondo i dati del Palestinian Centre for Policy and Survey Research (Public Opinion Poll N.82 del dicembre 2021), l’84% degli intervistati ritiene infatti che le istituzioni dell’AP siano “corrotte” e il 69% afferma lo stesso delle istituzioni controllate da “Hamas” nella Striscia di Gaza.

Da quando è succeduto a Yasser Arafat come leader palestinese nel 2004,” Abbas” ha puntato soprattutto a consolidare il suo potere all’interno dell’Autorità Palestinese (AP), l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e Fatah.

Nel corso degli anni, “Abbas” ha costantemente epurato i suoi rivali politici, monopolizzato i processi decisionali palestinesi e perseguito misure sempre più autoritarie per soffocare il dissenso e ridurre lo spazio democratico e la partecipazione popolare (si veda a questo proposito l’uccisione del noto oppositore Nizar Banat del giugno 2021).

Questa condizione di frammentazione e fragilità politica è stata aggravata dalle continue lotte intestine tra Fatah e Hamas, principali partiti protagonisti della scena politica, e dalla conseguente separazione politica tra la West Bank e Gaza.

Non sorprende dunque che la fiducia dell’opinione pubblica palestinese nelle tradizionali strutture di governo continui a diminuire, mettendo le istituzioni palestinesi, la presidenza di Abbas e l’AP, di fronte a una crisi di legittimità senza precedenti.

Inoltre, sia Fatah che Hamas – caratterizzati da imponenti e complessi apparati burocratici – stanno assistendo ad un deciso declino del consenso popolare.

Tale cambiamento è particolarmente evidente tra i giovani palestinesi, sempre più alienati dalla politica e dalle élite palestinesi e sempre più inclini ad una aggregazione non partitica ma legata alla società civile e alle organizzazioni non governative locali.

Vale la pena a questo proposito sottolineare come la metà degli aventi diritto al voto nel 2021 abbia un’età compresa tra i 18 ei 33 anni e non abbia mai votato alle elezioni legislative prima d’ora.

In realtà, la situazione è però potenzialmente più dinamica di quanto appaia, e segnalare gli indicatori di un simile movimento – possibile ma nascosto – è l’obiettivo di queste note.

Per comprendere questo moto sotterraneo è utile prendere in considerazione le recenti elezioni locali e le candidature alle elezioni politiche nazionali (poi rinviate), che mostrano un interessante quadro di partecipazione popolare e di maggiore diversificazione della proposta politica.

I risultati, e la maggiore partecipazione popolare si possono forse spiegare – in parte – con la forza dei legami familiari e di clan (hamula) e attraverso la presenza di molte liste di natura clanica, ma la maggiore offerta politica nelle elezioni nazionali è un elemento su cui vale la pena di riflettere.

Le elezioni locali del 2021-2022 sono divise in due fasi, secondo una decisione presa dal Consiglio dei ministri dell’Autorità palestinese (AP):

il primo turno di voto si è svolto l’11 dicembre 2021, in 376 autorità locali, per lo più rurali, nella zona C della West Bank.

 Il secondo turno avrà invece luogo il 26 marzo 2022 e comprenderà le restanti 66 autorità locali di Gaza e i comuni più grandi della Cisgiordania (area A e B).

 “Hamas” ha però boicottato le elezioni locali, e impedito l’inclusione di Gaza nei procedimenti elettorali.

 Le ultime elezioni locali si sono tenute, solo nella West Bank, nel 2017, e sono state altresì boicottate da parte di Hamas in opposizione alla AP.

 Il voto del dicembre 2021 ha visto un’affluenza del 66,14% e i candidati indipendenti (cioè coloro che non hanno legami ufficiali con un partito politico) hanno conquistato più del 70% dei seggi.

 Un simile trend sembrerebbe confermare almeno in parte il preesistente allontanamento dalla politica bipolare visto nelle ultime elezioni locali del 2017.

Tuttavia, mentre poche delle liste elettorali erano esplicitamente collegate ai partiti tradizionali, è innegabile che molti dei partiti avessero in realtà delle connessioni non ufficiali con “Fatah”, mentre altri sono stati formati sulla base di relazioni familiari o tribali, ancora molto forti e presenti sul territorio.

Hana Nasir, Presidente della Commissione Elettorale Centrale (CEC), ha detto a questo proposito in una conferenza stampa che il 79% degli eletti appartiene a liste indipendenti, riferendosi in gran parte a liste familiari o tribali che non hanno un’affiliazione politica ufficiale e “Suheir Ismael Faraj”, importante attivista della zona di Betlemme, ha parlato di una “clear victory for tribal lists”.

Il numero totale dei votanti è stato di 268.318 su 405.687 aventi diritto, cioè appunto il 66.14%:

dato assai significativo se si considera che nelle contemporanee elezioni israeliane per la 24a Knesset l’affluenza al voto dei Palestinesi israeliani non ha superato il 44.6%.

 La registrazione degli elettori per la seconda fase inizierà l’8 gennaio, mentre l’inizio della campagna elettorale avverrà ufficialmente il 13 marzo.

 Lo scrutinio avrà luogo in 66 località, che rappresentano i comuni delle aree A e B della Cisgiordania, e 25 località a Gaza.

La variabile più misteriosa a Gaza è certamente” Hamas”, che ha boicottato le elezioni di dicembre per protestare contro la cancellazione delle elezioni legislative dello scorso maggio.

 È però immaginabile che anche la dirigenza di Hamas si troverà sotto pressione, poiché l’ultima elezione a Gaza risale infatti al 2006, con la vittoria, appunto, del movimento islamico.

 A questo proposito è evidente il timore della comunità internazionale per una eventuale partecipazione di “Hamas”.

Le numerose condanne contro il movimento islamista per i fatti del maggio del 2021 lasciano intendere conseguenze imprevedibili se dovesse prospettarsi uno scenario simile a quello del 2006.

Azzardando una previsione, è plausibile ipotizzare che “Fatah” continuerà ad essere la forza dominante all’interno dell’OLP e dell’AP, anche se l’emergere di “Hamas” e la sua vittoria nelle elezioni del Palestinian Legislative Council (PLC) nel 2006 hanno posto una seria sfida a Fatah e all’OLP nel suo complesso.

 Per quanto” Fatah” e “Hamas” – con la lunga scia di lotte intestine – rappresentino inevitabilmente l’asse intorno a cui orbita la maggior parte del consenso politico, sarebbe comunque un grave errore di prospettiva ridurre lo scenario politico e partitico palestinese a questa semplice dicotomia.

Non va dimenticato infatti che altri raggruppamenti si contendono la rappresentanza.

Senza correre il rischio di trascurare divergenze ideologiche significative, è il caso di ricordare, fra gli altri,” Iniziativa Nazionale Palestinese” (PNI) – Al “Mubadara” in arabo – che si descrive come un movimento democratico di resistenza non violenta all’occupazione, e sostiene la pace con Israele basata su una soluzione a due stati e il diritto al ritorno dei rifugiati.

Il partito si considera una “terza forza democratica” nella politica palestinese e si oppone alla dicotomia tra Fatah (che considera corrotta e antidemocratica) e Hamas (che considera estremista e fondamentalista).

Per le elezioni legislative del 2006,” Iniziativa Nazionale Palestinese” ha corso sotto il nome di Palestina Indipendente, candidando alcuni indipendenti e ottenendo il 2,7% e due seggi nel PLC. 

Un consenso non trascurabile raccoglie poi il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), partito socialista rivoluzionario fondato nel 1967 come organizzazione ombrello per gruppi marxisti-leninisti e nazionalisti arabi.

Si tratta della seconda fazione più grande all’interno dell’OLP, e la principale forza di opposizione a Fatah.

 Il PFLP non sostiene la soluzione dei due Stati e chiede invece la liberazione di tutta la Palestina storica.

 In base ai risultati delle elezioni legislative del 2006, detiene 3 seggi all’interno del Palestinian Legislative Council (PLC).

La Terza Via è invece un partito politico centrista palestinese attivo nell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), che si presenta come un’alternativa al sistema bipartitico di Hamas e Fatah.

 Nelle elezioni PLC del gennaio 2006 il partito ha ricevuto il 2,41% del voto popolare e ha vinto due dei 132 seggi del Consiglio.

Se i due partiti maggiori, Fatah e Hamas, hanno visto ridursi il proprio seguito in modo consistente, soprattutto negli ultimi anni, di questo processo di erosione non hanno però approfittato in modo significativo neanche le nuove (o vecchie) formazioni politiche.

 Piuttosto, stando ai dati 2020/21 del Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR), le nuove generazioni palestinesi ripongono in effetti scarsa fiducia nelle forze politiche e negli ultimi anni sembrano preferire aggregazioni di tipo civico e sociale.

 Nonostante il rinvio sine die delle elezioni nazionali, l’ipotesi di un progressivo emergere di forze alternative ai due partiti principali e di forze giovani che finora non hanno trovato una chiara rappresentanza politica, trova conferma anche dai dati sulle candidature giovanili alle elezioni nazionali, poi rinviate.

I numeri infatti assumono grande rilevanza per disegnare un quadro più completo della vita politica palestinese, anche e soprattutto alla luce delle assurde restrizioni legislative che limitano la partecipazione giovanile imponendo alle liste una quota di registrazione di $ 20.000 ed una età minima per i candidati fissata a 28 anni, che sono inoltre tenuti a dimettersi dai loro lavori, indipendentemente dal fatto che vengano eletti o meno.

Simili restrizioni sono un ovvio limite alla capacità elettorale passiva giovanile palestinese, una fascia demografica spesso poco considerata nella maggior parte delle analisi, sebbene non solo numericamente sempre più consistente, ma anche pesantemente svantaggiata in termini di prospettive di vita.

Nel 2021, i tassi di disoccupazione a Gaza  hanno infatti raggiunto il 50,2%  ed il 68%  per quanto riguarda le donne (dati del Palestinian Central Bureau of Statistics relativi al terzo trimestre 2021), e non è certamente un caso che nell’ultimo sondaggio del Palestine Center for Policy and Survey Research, un numero maggiore di palestinesi abbia indicato la disoccupazione e la corruzione – piuttosto che l’occupazione israeliana – come i problemi più gravi che la società palestinese deve affrontare attualmente.

In termini di partecipazione partitica, vale dunque la pena sottolineare come secondo i dati della Palestinian Central Election Commission  del 2021 un totale di 36 liste e ben 1.389 candidati si fossero registrati alle elezioni legislative poi rinviate (di cui il 40%  giovani di età compresa tra i 28 e i 40 anni), segnalando una chiara e nuova urgenza da parte dell’elettorato.

Tra le liste presentatesi, avvalorando la tesi di un graduale allontanamento da una politica bipolare, vi era anche “Fed Up,” lista di esponenti della società civile e di molti giovani, tra cui quelli coinvolti nelle proteste della Grande Marcia del Ritorno 2018-2019 contro le restrizioni israeliane su Gaza e nelle proteste del 2019 “Let us live” (Bidna Na’ish) contro il governo di “Hamas”.

 Rilevante anche la presenza di “Nabd al-Balad”, altra lista indipendente orientata ad una rappresentanza giovanile.

Altro dato da sottolineare è che, stando agli stessi dati, il 29% dei candidati era costituito da donne: elemento, questo, che rappresenta una novità importante (rispetto al conservatorismo culturale in generale ed islamico in particolare) e che in prospettiva può introdurre una dinamica finora rimasta del tutto marginale.

Infine, l’incremento delle candidature di esponenti dei Comitati Popolari di Resistenza (Popular Struggle Committees) mostra chiaramente come le organizzazioni della società civile palestinese si stiano progressivamente sostituendo, in termini di identità politica, ad una tradizionale politica partitica immobile e poco funzionale.

Mentre le elezioni locali si sono tenute ogni quattro anni come previsto dalla legge, la grande questione irrisolta per la politica palestinese rimane quella delle elezioni legislative e presidenziali.

La leggera spinta che gli attuali risultati hanno dato a “Fatah” potrebbe incoraggiarne la dirigenza a considerare le elezioni legislative, ma una decisione definitiva sarà probabilmente presa solo dopo i risultati delle elezioni del 26 marzo.

Nel frattempo, la paralisi istituzionale degli ultimi 15 anni testimonia come l’ordinamento palestinese, colpito dal perdurante conflitto con lo Stato di Israele ma anche da un apparato istituzionale confuso e fragile, non possa esimersi dalla necessità di riformare profondamente i propri supremi organi statali, facendo chiarezza tra le prerogative di OLP e ANP e stimolando una partecipazione politica non più incanalata in una stretta e poco efficiente politica bipolare, ma su forze politiche e sociali nuove e realmente rappresentative della popolazione, in particolare delle nuove generazioni.

 

 

 

 

L'interconnessione dei

paradigmi strategici

Unz.com - ALASTAIR CROOKE – (29 APRILE 2024) – ci dice:

 

Molti europei opterebbero per rendere l'Europa nuovamente competitiva; fare dell'Europa un attore diplomatico, piuttosto che militare.

“Theodore Postol”, professore di scienza, tecnologia e politica di sicurezza nazionale al” MIT£, ha fornito un'analisi forense dei video e delle prove emerse dall'attacco "dimostrativo" dello sciame di droni e missili iraniani contro Israele il 13 aprile:

un "messaggio", piuttosto che un "messaggio" assalto'.

Il principale quotidiano israeliano “Yediot Ahoronot” stima a 2-3 miliardi di dollari il costo del tentativo di abbattere la flottiglia iraniana.

 Le implicazioni di questo singolo numero sono sostanziali.

 

Il professor Postol scrive:

"Ciò indica che il costo della difesa da ondate di attacchi di questo tipo è molto probabilmente insostenibile contro un avversario adeguatamente armato e determinato".

"I video mostrano un fatto estremamente importante:

tutti gli obiettivi, siano essi droni o meno, vengono abbattuti da missili aria-aria", [lanciati principalmente da aerei statunitensi. Secondo quanto riferito, circa 154 aerei erano in volo in quel momento] probabilmente lanciando missili aria-aria AIM-9x Sidewinder.

 Il costo di un singolo missile aria-aria Sidewinder è di circa 500.000 dollari".

Inoltre:

"Il fatto che un gran numero di missili balistici non ingaggiati possano essere visti brillare mentre rientrano nell'atmosfera ad altitudini più basse [un'indicazione di ipervelocità], indica che qualunque siano gli effetti delle difese missilistiche” David's Sling e Arrow” [di Israele], non erano particolarmente efficaci.

Pertanto, le prove a questo punto mostrano che essenzialmente tutti o la maggior parte dei missili balistici a lungo raggio in arrivo non furono intercettati da nessuno dei sistemi di difesa aerea e missilistica israeliani".

“Postel” aggiunge:

"Ho analizzato la situazione e ho concluso che la tecnologia ottica e computazionale disponibile in commercio è più che in grado di essere adattata a un sistema di guida per missili da crociera per conferirgli “capacità di homing” di altissima precisione... è la mia conclusione che gli iraniani hanno già sviluppato sistemi di precisione missili da crociera guidati e droni".

"Le implicazioni di ciò sono chiare.

Il costo per abbattere missili da crociera e droni sarà molto alto e potrebbe essere insostenibile a meno che non vengano implementati sistemi antiaerei estremamente economici ed efficaci.

Al momento, nessuno ha dimostrato un sistema di difesa economicamente vantaggioso in grado di intercettare i missili balistici con una certa affidabilità".

 

Giusto per essere chiari, “Postol” sta dicendo che né gli Stati Uniti né Israele hanno una difesa più che parziale contro un potenziale attacco di questa natura – soprattutto perché l'Iran ha disperso e seppellito i suoi silos di missili balistici su tutto il territorio iraniano sotto il controllo di forze autonome.

 Unità in grado di continuare una guerra, anche se il comando centrale e le comunicazioni fossero completamente perduti.Ciò equivale a un cambiamento di paradigma – chiaramente per Israele, per esempio.

L'enorme spesa fisica per ordinanze di difesa aerea – del valore di 2-3 miliardi di dollari – non sarà ripetuta, volenti o nolenti, dagli Stati Uniti.

Netanyahu non convincerà facilmente gli Stati Uniti a impegnarsi con Israele in qualsiasi joint venture contro l'Iran, date queste insostenibili misure di difesa aerea, con i collegati costi.

Ma inoltre, come seconda importante implicazione, questi mezzi di difesa aerea non sono solo costosi in termini di dollari, semplicemente non ci sono:

cioè l'armadio delle scorte è quasi vuoto!

 E gli Stati Uniti non hanno la capacità produttiva per sostituire rapidamente queste piattaforme non particolarmente efficaci e ad alto costo.

«Sì, l'Ucraina»... il paradigma del Medio Oriente si interconnette direttamente con il paradigma dell'Ucraina, dove la Russia è riuscita a distruggere gran parte delle capacità di difesa aerea fornite dall'Occidente in Ucraina, dando alla Russia un dominio aereo quasi completo sui cieli.

Posizionare una scarsa difesa aerea "per salvare Israele", quindi, espone l'Ucraina (e rallenta anche il perno degli Stati Uniti verso la Cina).

 E data la recente approvazione del disegno di legge sul finanziamento dell'Ucraina al Congresso, è chiaro che le risorse di difesa aerea sono una priorità da inviare a Kiev, dove l'Occidente sembra sempre più intrappolato e fruga alla ricerca di una via d' uscita che non porti all'umiliazione.

Ma prima di lasciare il “cambio di paradigma” in Medio Oriente, le implicazioni per Netanyahu sono già evidenti:

deve quindi concentrarsi di nuovo sul "nemico vicino" – la sfera palestinese o il Libano – per fornire a Israele la "Grande Vittoria" che il suo governo brama.

In breve, il "costo" per Biden di salvare Israele dalla flottiglia iraniana, che era stata preannunciata dall'Iran come dimostrativa e non distruttiva né letale, è che la Casa Bianca deve sopportare il corollario: un attacco a Rafah.

Ma ciò implica una diversa forma di costo: un'erosione elettorale attraverso l'esacerbazione delle tensioni interne derivanti dal palese massacro di palestinesi in corso.

Non è solo Israele a sostenere il peso del cambiamento di paradigma iraniano.

Consideriamo gli Stati arabi sunniti che hanno lavorato in varie forme di collaborazione (normalizzazione) con Israele.

Nell'eventualità di un conflitto più ampio che coinvolga l'Iran, chiaramente Israele non può proteggerlo – come mostra chiaramente il professor Postol.

 E possono contare sugli Stati Uniti?

Gli Stati Uniti si trovano ad affrontare richieste contrastanti per le loro scarse difese aeree e (per ora) l'Ucraina, e il perno verso la Cina, sono più in alto nella scala delle priorità della Casa Bianca.

Nel settembre 2019, l'“impianto petrolifero saudita di Abqaiq” è stato colpito da missili da crociera, che “Postol” osserva:

"aveva una precisione effettiva di forse pochi metri, molto più precisa di quella che si poteva ottenere con la guida GPS (suggerendo un sistema di guida ottica e computazionale, che dava una “capacità di homing” molto precisa)".

Quindi, dopo il cambio di paradigma della deterrenza attiva iraniana e il successivo shock del paradigma di esaurimento della difesa aerea, il presunto cambiamento di paradigma occidentale (il Terzo Paradigma) è similmente interconnesso con l'Ucraina.

Perché la guerra per procura dell'Occidente con la Russia, incentrata sull'Ucraina, ha reso abbondantemente chiara una cosa:

 la delocalizzazione della sua base manifatturiera da parte dell'Occidente l'ha resa non competitiva, sia in termini commerciali semplici, sia in secondo luogo, limitando la capacità manifatturiera della difesa occidentale.

Scopre (dopo il 13 aprile) di non avere i mezzi di difesa aerea per andare in giro:

 "salvare Israele"; "salvare l'Ucraina" e prepararsi alla guerra con la Cina.

Il modello occidentale di massimizzazione dei rendimenti per gli azionisti non si è adattato prontamente alle esigenze logistiche dell'attuale "limitata" guerra Ucraina/Russia, per non parlare del posizionamento per le guerre future con l'Iran e la Cina.

In parole povere, questo imperialismo globale "in fase avanzata" ha vissuto una "falsa alba":

con l'economia che si è spostata dalla produzione di "cose" alla sfera più redditizia di immaginare nuovi prodotti finanziari (come i derivati) che fanno un sacco di soldi rapidamente, ma che destabilizzano la società (attraverso crescenti disparità di ricchezza);

 e che, in ultima analisi, destabilizzano lo stesso sistema globale (mentre gli Stati della “Maggioranza Mondiale” indietreggiano di fronte alla perdita di sovranità e autonomia che il “finanziario” comporta).

Più in generale, il sistema globale è prossimo a un massiccio cambiamento strutturale.

Come avverte il “Financial Times” ,

"Gli Stati Uniti e l'UE non possono abbracciare le argomentazioni della "industria nascente" in materia di sicurezza nazionale, impadronirsi delle principali catene del valore per ridurre la disuguaglianza e infrangere le "regole" fiscali e monetarie, mentre usano anche il “FMI” e la” Banca Mondiale” – e la “professione economica” – per predicare migliori pratiche di libero mercato per i mercati emergenti, Cina esclusa.

E la Cina non può pretendere che altri non copino ciò che fa".

Come conclude il “FT”, "il passaggio a un nuovo paradigma economico è iniziato. Dove andrà a finire è ancora tutto da decidere".

'In palio':

Beh, per il “FT” la risposta potrebbe essere opaca, ma per la maggioranza globale è abbastanza chiara: "Torniamo alle origini":

un'economia più semplice, in gran parte nazionale, protetta dalla concorrenza straniera da barriere doganali.

 Chiamatelo "vecchio stile" (i concetti sono stati scritti negli ultimi 200 anni); eppure non è niente di estremo.

Queste nozioni riflettono semplicemente il rovescio della medaglia delle dottrine di “Adam Smith” e di ciò che “Friedrich List “avanzò nella sua critica all'approccio individualista del laissez-faire degli anglo-americani.

I "leader europei", tuttavia, vedono la soluzione del paradigma economico in modo diverso:

"Panetta della BCE ha tenuto un discorso che riecheggia l'appello di Mario Draghi per un "cambiamento radicale":

ha affermato che per far prosperare l'UE ha bisogno di un'economia politica de facto incentrata sulla sicurezza nazionale incentrata su: ridurre la dipendenza dalla domanda estera;

 rafforzare la sicurezza energetica (protezionismo verde);

promuovere la produzione di tecnologia (politica industriale), ripensare la partecipazione alle catene globali del valore (tariffe/sovvenzioni) lavoro);

rafforzare la sicurezza esterna (ingenti fondi per la difesa e investimenti congiunti in beni pubblici europei (tramite Eurobond ... essere acquistati dal” QE” della BCE)".

Il boom della "falsa alba" dei servizi finanziari statunitensi è iniziato quando la sua base industriale stava marcendo e mentre nuove guerre cominciavano ad essere promosse.

È facile vedere che l'economia degli Stati Uniti ha ora bisogno di un cambiamento strutturale.

 La sua economia reale è diventata non competitiva a livello globale, da qui l'invito della “Yellen” alla “Cina” a frenare la sua sovraccapacità che sta danneggiando le economie occidentali.

Ma è realistico pensare che l'Europa possa gestire un rilancio come "economia politica guidata dalla difesa e dalla sicurezza nazionale", come sostenere Draghi e Panetta come continuazione della guerra con la Russia?

 Lanciato da quasi “Ground Zero”?

È realistico pensare che lo Stato di sicurezza americano permetterà all'Europa di farlo, dopo aver deliberatamente ridotto l'Europa a un vassallaggio economico, inducendola ad abbandonare il suo precedente modello di business “basato sull'energia a basso costo” (Carbone e Gas!) e sulla vendita di prodotti ingegneristici di fascia alta alla Cina?

 

Questo piano Draghi-BCE rappresenta un enorme cambiamento strutturale;

Uno che richiederebbe un decennio o dovuto per essere implementato e costerebbe trilioni.

Accadrebbe anche questo, in un momento di inevitabile austerità fiscale europea.

 Ci sono prove che i comuni europei sono favorevoli ad un cambiamento strutturale così radicale?

 

Perché allora l'Europa sta perseguendo un percorso che comporta enormi rischi – un percorso che potenzialmente potrebbe trascinare l'Europa in un vortice di tensioni che sfoceranno in una guerra con la Russia?

Per una ragione principale:

 la leadership dell'UE aveva l'ambizione arrogante di trasformare l'UE in un impero "geopolitico" – un attore globale con il peso di unirsi agli Stati Uniti al vertice.

 A tal fine, l'UE si è offerta senza riserve come ausiliaria del team della Casa Bianca per il progetto sull'Ucraina, e ha accettato il prezzo d'entrata consistente nello svuotare i propri arsenali e nel sanzionare l'energia a basso costo da cui dipendeva l'economia.

È stata questa decisione a deindustrializzare l'Europa;

 ciò ha reso non competitivo ciò che resta dell'economia reale e ha innescato l'inflazione che sta minando il tenore di vita.

L'allineamento con il fallimentare progetto ucraino di Washington ha scatenato una cascata di decisioni disastrose da parte dell'UE.

Se questa linea politica cambiasse, l'Europa potrebbe tornare a essere quella che era: un'associazione commerciale formata da diversi stati sovrani.

Molti europei si accontenterebbero di questo:

concentrare l'attenzione sul rendere l'Europa nuovamente competitiva; fare dell'Europa un attore diplomatico, piuttosto che un attore militare.

Gli europei vogliono davvero essere al tavolo più alto degli americani?

 

 

 

 

"Non hai il senso

della decenza?"

Unz.com - MICHAEL HUDSON – (28 APRILE 2024) – ci dice:

 

Le recenti udienze del Congresso che hanno portato ad un massacro di presidenti universitari mi riportano alla mente ricordi della mia adolescenza negli anni '50, quando gli occhi di tutti erano incollati alla trasmissione televisiva delle udienze di McCarthy.

 E le rivolte studentesche incitate dai feroci presidenti dei college che cercano di soffocare la libertà accademica quando si oppone alle guerre ingiuste straniere risvegliano i ricordi delle proteste degli anni '60 contro la guerra del Vietnam e delle repressioni nei campus di fronte alla violenza della polizia.

Ero il membro più giovane dei "tre Columbia" insieme a “Seymour Melman” e al mio mentore “Terence McCarthy” (entrambi insegnavano alla” Seeley Mudd School of Industrial Engineering” della Columbia;

il mio lavoro era principalmente quello di gestire la pubblicità e la pubblicazione).

Alla fine di quel decennio, gli studenti occuparono il mio ufficio e tutti gli altri docenti della” New School” di New York City – in modo molto pacifico, senza disturbare nessuno dei miei libri e delle mie carte.

 

Sono cambiati solo gli epiteti.

 L'invettiva "comunista" è stata sostituita da "antisemita" e la ripresa della violenza della polizia nel campus non ha ancora portato a una raffica di fucili in stile “Kent State” contro i manifestanti.

 Ma i denominatori comuni sono ancora una volta tutti qui.

 È stato organizzato uno sforzo concertato per condannare e perfino punire le odierne rivolte studentesche a livello nazionale contro il genocidio che si sta verificando a Gaza e in Cisgiordania.

Proprio come il “Comitato per le attività antiamericane della Camera” (HUAC) mirava a porre fine alle carriere di attori progressisti, registi, professori e funzionari del “Dipartimento di Stato” anti-Chiang Kai-Shek o “solidali con l'Unione Sovietica dal 1947 al 1975”, la versione odierna mira a porre fine a ciò che rimane della libertà accademica negli Stati Uniti.

 

L'epiteto di "comunismo" di 75 anni fa è stato aggiornato in "antisemitismo".

Il senatore “Joe McCarthy” del Wisconsin è stato sostituito da “Elise Stefanik”, repubblicana della Camera dello stato di New York, e il senatore "Scoop Jackson” è stato promosso dal presidente “Joe Biden”.

 Il presidente dell'Università di Harvard, “Claudine Gay” (ora costretta a dimettersi), l'ex presidente dell'Università della Pennsylvania, “Elizabeth Magill”, e il presidente del “Massachusetts Institute of Technology”,” Sally Kornbluth”, sono stati chiamati ad abbassarsi promettendo di accusare di antisemitismo i sostenitori della pace critici della politica estera degli Stati Uniti.

 

La vittima più recente è stata il presidente della Colombia “Nemat "Minouche" Shafik”, un'opportunista cosmopolita con cittadinanza trilaterale che ha applicato la politica economica neoliberista come funzionario di alto rango del “FMI” (dove non era estranea alla violenza delle "rivolte del FMI") e della “Banca Mondiale”, e che ha portato con sé i suoi avvocati per aiutarla ad acconsentire alle richieste del “Comitato del Congresso”.

Ha fatto questo e molto altro, da sola.

Nonostante le fosse stato detto di non farlo dai comitati per gli affari della facoltà e degli studenti, ha chiamato la polizia per arrestare i manifestanti pacifici.

 Questa violazione radicale della violenza della polizia contro i manifestanti pacifici (la polizia stessa ha attestato la loro pacificità) ha scatenato rivolte solidali in tutti gli Stati Uniti, incontrate risposte ancora più violente della polizia all' “Emory College di Atlanta” e al “California State Polytechnic”, dove i video dei telefoni cellulari sono stati rapidamente pubblicati su varie piattaforme mediatiche.

 

Proprio come la libertà intellettuale e la libertà di parola sono state attaccate dall' “HUAC 75 anni fa,” la libertà accademica è ora sotto attacco in queste università. La polizia ha fatto irruzione nel cortile della scuola per accusare gli studenti stessi di violazione di domicilio, con una violenza che ricorda le manifestazioni che raggiunsero l'apice nel maggio 1970, quando la “Guardia Nazionale dell'Ohio” sparò agli studenti dello “Stato del Kent” che cantavano e parlavano contro la guerra americana in Vietnam.

 

Le manifestazioni di oggi sono in opposizione al genocidio Biden-Netanyahu a Gaza e in Cisgiordania.

La crisi più sotterranea può essere ricondotta all'insistenza di Benjamin Netanyahu sul fatto che criticare Israele è antisemita.

Questo è l'"insulto abilitante" dell'odierno assalto alla libertà accademica.

 

Per "Israele", “Biden e Netanyahu” intendono specificamente il” partito di destra Likud” e i suoi sostenitori teocratici che mirano a creare "una terra senza un popolo [non ebraico]".

 Affermano che gli ebrei devono la loro lealtà non alla loro attuale nazionalità (o umanità), ma a Israele e alla sua politica di spingere i milioni di palestinesi della Striscia di Gaza in mare bombardandoli fuori dalle loro case, ospedali e campi profughi.

 

 L'implicazione è che sostenere le accuse della “Corte Internazionale di Giustizia” secondo cui Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio è un atto antisemita.

 Sostenere le risoluzioni dell'ONU su cui gli Stati Uniti hanno posto il veto è antisemita.

 

La tesi è che Israele si sta difendendo e che la protesta contro il genocidio dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania spaventa gli studenti ebrei.

Ma una ricerca condotta dagli studenti della “School of Journalism della Columbia” ha scoperto che le denunce citate dal “New York Times” e da altri “media filo-israeliani” erano state avanzate da non studenti che cercavano di diffondere la storia secondo cui la violenza di Israele era per legittima difesa.

La violenza studentesca è stata” commessa” da cittadini israeliani.

 La Columbia ha un programma di scambio di studenti con Israele per gli studenti che completano la formazione obbligatoria con le forze di difesa israeliane.

 Sono stati alcuni di questi studenti di scambio ad attaccare i manifestanti pro-Gaza, spruzzandoli con Skunk, un'arma chimica indelebile e maleodorante dell'esercito israeliano che marchia i manifestanti per il successivo arresto, tortura o assassinio.

Gli unici studenti in pericolo sono stati le vittime di questo attacco.

La “Columbia sotto Shafik” non ha fatto nulla per proteggere o aiutare le vittime.

Le udienze alle quali si è presentata parlano da sole.

Il presidente della Columbia Shafik è riuscito a evitare il primo attacco alle università non sufficientemente pro-Likud organizzando riunioni fuori dal paese.

Eppure si è mostrata disposta a sottoporsi alle stesse percosse che avevano portato i suoi due colleghi presidenti a essere licenziati, sperando che i suoi avvocati l'avessero spinta a sottomettersi in un modo che fosse accettabile per il comitato.

Ho trovato che l'attacco più demagogico sia stato quello del deputato repubblicano “Rick Allen” dalla Georgia, che ha chiesto alla dottoressa “Shafik” se avesse familiarità con il passaggio in Genesi 12.3.

Come ha spiegato" "Era un patto che Dio fece con Abramo. E quel patto era davvero chiaro. ... 'Se benedici Israele, io benedirò te. Se maledici Israele, io maledirò te». ...

 Ritieni che sia una questione seria? Voglio dire, vuoi che la Columbia University venga maledetta dal Dio della Bibbia?»

“Shafiq” sorrise e fu amichevole per tutto il tempo di questo tonfo biblico, e rispose docilmente: "Assolutamente no".

 

Avrebbe potuto scongiurare questa domanda sconvolgente dicendo:

 "La tua domanda è bizzarra. Siamo nel 2024 e l'America non è una teocrazia.

 E l'Israele dei primi anni e Il secolo A.C non era l'Israele di Netanyahu di oggi". Accettò tutte le accuse che “Allen” ei suoi colleghi inquisitori del Congresso le lanciarono.

La sua principale nemesi è stata “Elise Stefanik”, presidente della Conferenza repubblicana della Camera, che fa parte della Commissione per i servizi armati della Camera e della Commissione per l'istruzione e la forza lavoro.

Deputata “Stefanik”: Le è stato chiesto se ci fossero state proteste antiebraiche e lei ha detto "no".

Presidente “Shafik”:

 Quindi la protesta non è stata etichettata come una protesta antiebraica. È stato etichettato come un governo anti-israeliano. Ma si sono verificati episodi di antisemitismo o sono state dette cose antisemite.

Quindi volevo solo finire.

 

Deputata “Stefanik” : E lei sa che in quel disegno di legge, che ha ottenuto 377 deputati su 435 deputati al Congresso, si condanna "dal fiume al mare" come antisemita?

Dr. Shafik : Sì, ne sono consapevole.

Deputata Stefanik : Ma lei non crede che "dal fiume al mare" sia antisemita?

Dott. Shafik : Abbiamo già rilasciato una dichiarazione alla nostra comunità affermando che il linguaggio è offensivo e preferiremmo non sentirlo nel nostro campus.

Quale avrebbe potuto essere una risposta adeguata all'intimidazione di Stefanik?

 

“Shafik “avrebbe potuto dire:

 "Il motivo per cui gli studenti stanno protestando è contro il genocidio israeliano contro i palestinesi, come ha stabilito “la Corte internazionale di giustizia”, e la maggior parte delle Nazioni Unite è d'accordo.

Sono orgoglioso di loro per aver preso una posizione morale che la maggior parte del mondo sostiene, ma che è sotto attacco qui in questa stanza".

Alla domanda esplicita se gli appelli al genocidio violino il codice di condotta della Columbia, il dottor Shafik ha risposto affermativamente: "Sì, lo fa".

 Lo stesso hanno fatto gli altri leader della Columbia che l'hanno accompagnata all'udienza.

Non hanno detto che non è affatto questo l'obiettivo delle proteste.

Né Shafiq né nessun altro funzionario dell'università dice:

"La nostra università è orgogliosa dei nostri studenti che assumono un ruolo politico e sociale attivo nel protestare contro l'idea della pulizia etnica e dell'omicidio delle famiglie semplicemente per accaparrarsi la terra in cui vivono. Difendere questo principio morale è l'essenza dell'educazione e la civiltà".

 

L'unico punto saliente che ricordo delle audizioni di McCarthy fu la risposta di “Joseph Welch”, il Consiglio Speciale dell'Esercito degli Stati Uniti, il 9 giugno 1954 all'accusa del senatore repubblicano “Joe McCarthy “secondo cui uno degli avvocati di “Welch” aveva legami con un'organizzazione comunista di facciata. «Fino a questo momento, senatore», rispose “Welsh”, «credo di non aver mai valutato la sua crudeltà o la sua imprudenza. ... Non ha alcun senso del pudore, signore?

Alla fine, non hai più il senso del pudore?"

 

Il pubblico scoppiò in un applauso scrosciante.

La denigrazione di” Welch” è riecheggiata negli ultimi 70 anni nella mente di coloro che guardavano la televisione allora (come me, all'età di 15 anni).

Una risposta simile da parte di uno qualsiasi degli altri tre presidenti del college avrebbe dimostrato che “Stefanik “è la volgare che è.

Ma nessuno si azzardò a opporsi all'umiliazione.

L'attacco del Congresso che accusa gli oppositori del genocidio a Gaza come antisemiti che sostengono il genocidio contro gli ebrei è bipartisan.

 Già a dicembre, la deputata “Suzanne Bonamici” (D-Ore.) aveva contribuito a far licenziare i presidenti di Harvard e Penn per aver inciampato nella sua persecuzione.

 Ha ripetuto la sua domanda a Shafik il 17 aprile: "Invocare il genocidio degli ebrei viola il codice di condotta della Columbia?" - ha chiesto Bonamici ai quattro nuovi testimoni della Columbia.

Tutti hanno risposto: "Sì".

Quello era il momento in cui avrebbero dovuto dire che gli studenti non chiedevano il genocidio degli ebrei, ma cercavano di mobilitare l'opposizione al genocidio commesso dal governo del Likud contro i palestinesi con il pieno sostegno del presidente Biden.

Durante una pausa nel procedimento, il deputato “Stefanik” ha detto alla stampa che "i testimoni sono stati sentiti discutere di quanto pensavano che la loro testimonianza stesse andando bene per la Columbia".

 Questa arroganza ricorda stranamente quella dei tre precedenti rettori universitari che, uscendo dall'udienza, credevano che la loro testimonianza fosse accettabile.

"La Columbia è pronta per una resa dei conti. Se è necessario un membro del Congresso per costringere un rettore universitario a licenziare un presidente di facoltà pro-terrorismo e antisemita, allora la leadership della Columbia University sta deludendo gli studenti ebrei e la sua missione accademica", ha aggiunto Stefanik.

"Nessuna quantità di testimonianze esagerate, preparate e consultate in modo eccessivo potrà coprire l'incapacità di agire."

“Shafik” avrebbe potuto correggere in modo mirato le implicazioni degli inquisitori della Camera secondo cui erano gli studenti ebrei ad aver bisogno di protezione.

La realtà era esattamente l'opposto:

 il pericolo proveniva dagli studenti israeliani dell'IDF che attaccavano i manifestanti con la” Skunk militare”, senza alcuna punizione da parte della Columbia.

 

Nonostante le fosse stato detto di non farlo dalla facoltà e dai gruppi studenteschi (che Shafik era ufficialmente obbligato a consultare), ha chiamato la polizia, che ha arrestato 107 studenti, ha legato loro le mani dietro la schiena e li ha tenuti così per molte ore come punizione mentre caricavano, per aver violato la proprietà della Columbia.

 Shafik li ha poi sospesi dalle lezioni.

 

Lo scontro tra due tipi di ebraismo: sionista vs. assimilazionista.

Un buon numero di questi manifestanti critici erano ebrei.

Netanyahu e l'AIPAC hanno affermato – giustamente, a quanto pare – che il più grande pericolo per le loro attuali politiche di genocidio viene dalla popolazione della classe media ebraica, tradizionalmente liberale.

 Gruppi ebraici progressisti si sono uniti alle rivolte alla Columbia e in altre università.

 

Il primo sionismo sorse nell'Europa della fine del XIX secolo come risposta ai violenti pogrom che uccidevano gli ebrei nelle città ucraine come Odessa e altre città dell'Europa centrale che erano il centro dell'antisemitismo.

 Il sionismo ha promesso di creare un rifugio sicuro.

 Aveva senso in un'epoca in cui gli ebrei fuggivano dai propri paesi per salvarsi la vita in paesi che li accettavano.

 Erano i "gazani" dei loro tempi.

 

Dopo la seconda guerra mondiale e gli orrori dell'Olocausto l'antisemitismo divenne superato.

 La maggior parte degli ebrei negli Stati Uniti e in altri paesi venivano assimilati e diventavano prosperi, con maggior successo negli Stati Uniti.

Il secolo scorso ha visto questo successo consentire loro di assimilarsi, pur mantenendo la norma morale secondo cui la discriminazione etnica e religiosa come quella subita dai loro antenati è sbagliata in linea di principio.

Gli attivisti ebrei erano in prima linea nella lotta per le libertà civili, in modo più visibile contro i pregiudizi e la violenza anti-neri negli anni '60 e '70 e contro la guerra del Vietnam.

Molti dei miei compagni di scuola ebrei negli anni '50 acquistarono titoli israeliani, ma pensavano a Israele come a un paese socialista e pensavano di offrirsi volontari per lavorare in un kibbutz in estate.

Non c'era alcun pensiero di antagonismo, e non ho sentito alcun riferimento alla popolazione palestinese quando è stata pronunciata la frase "un popolo senza terra in una terra senza popolo".

Ma i leader del sionismo sono rimasti ossessionati dai vecchi antagonismi sulla scia degli omicidi di così tanti ebrei da parte del nazismo.

 In molti modi hanno rovesciato il nazismo, temendo un nuovo attacco da parte dei non ebrei.

Cacciare gli arabi da Israele e trasformarlo in uno stato di apartheid era esattamente l'opposto di ciò a cui miravano gli ebrei assimilazionisti.

La posizione morale degli ebrei progressisti, e l'ideale che ebrei, neri e membri di tutte le altre religioni e razze dovrebbero essere trattati allo stesso modo, è l'opposto del sionismo israeliano.

 Nelle mani del partito Likud di Netanyahu e dell'afflusso di sostenitori di destra, il sionismo afferma la pretesa di distinguere il popolo ebraico dal resto della popolazione nazionale, e persino dal resto del mondo, come stiamo vedendo oggi.

Affermando di parlare a nome di tutti gli ebrei, vivi e morti, Netanyahu afferma che criticare il suo genocidio e l'olocausto palestinese,” lanakba”, è antisemita.

Questa è la posizione di “Stefanik “e dei suoi colleghi membri della commissione.

È un'affermazione che gli ebrei devono la loro prima fedeltà a Israele, e quindi alla sua pulizia etnica e al suo omicidio di massa dallo scorso ottobre.

 Anche il presidente Biden ha etichettato le manifestazioni studentesche come "proteste antisemite".

 

Questa affermazione, nelle circostanze del genocidio in corso da parte di Israele, sta causando più antisemitismo di chiunque altro dai tempi di Hitler.

Se le persone in tutto il mondo adottano la definizione di antisemitismo di Netanyahu e del suo gabinetto, quanti, disgustati dalle azioni di Israele, diranno: "Se è così, allora credo di essere antisemita".

La calunnia di Netanyahu contro l'ebraismo e cosa dovrebbe rappresentare la civiltà.

Netanyahu ha descritto le proteste degli Stati Uniti in un discorso estremista il 24 aprile che attacca la libertà accademica americana.

Quello che sta succedendo nei campus universitari americani è orribile. Folle antisemita hanno preso il controllo delle principali università.

 Invocano l'annientamento di Israele, attaccano gli studenti ebrei, attaccano i docenti ebrei.

 Questo ricorda ciò che accadde nelle università tedesche negli anni '30.

Vediamo questo aumento esponenziale dell'antisemitismo in tutta l'America e in tutte le società occidentali mentre Israele cerca di difendersi dai terroristi genocidi, terroristi genocidi che si nascondono dietro i civili.

È inconcepibile, deve essere fermato, deve essere condannato e condannato in modo inequivocabile.

Ma non è quello che è successo.

 La risposta di diversi rettori universitari è stata vergognosa.

 Ora, fortunatamente, i funzionari statali, locali, federali, molti di loro hanno risposto in modo diverso, ma devono essercene di più.

Bisogna fare di più.

Questo è un appello a trasformare le università americane in braccia di uno stato di polizia, imponendo politiche dettate dallo stato colonizzatore di Israele.

 Questo appello è finanziato da un flusso circolare:

il Congresso dà enormi sussidi a Israele, che ricicla parte di questo denaro nelle campagne elettorali dei politici disposti a servire i loro donatori.

È la stessa politica che l'Ucraina usa quando impiega gli "aiuti" degli Stati Uniti creando organizzazioni di lobbying ben finanziate per sostenere i politici clienti.

Che tipo di espressioni di protesta studentesche e accademiche potrebbero opporsi al genocidio di Gaza e della Cisgiordania senza minacciare esplicitamente gli studenti ebrei?

 Che ne dici di "Anche i palestinesi sono esseri umani!"

Questo non è aggressivo. Per renderlo più ecumenico, si potrebbe aggiungere:

 "E lo sono anche i russi, nonostante quello che dicono i neonazisti ucraini".

Posso capire perché gli israeliani si sentono minacciati dai palestinesi.

Sanno quanti ne hanno uccisi e brutalizzati per accaparrarsi la loro terra, uccidendo solo per "liberare" la terra per sé stessi.

 Devono pensare:

"Se i palestinesi sono come noi, devono volerci uccidere, a causa di quello che abbiamo fatto loro, e non ci potrà mai essere una soluzione a due stati e non potremo mai vivere insieme, perché questa terra ci è stata data da Dio".

Netanyahu ha soffiato sul fuoco dopo il suo discorso del 24 aprile elevando il conflitto odierno al livello di una lotta per la civiltà:

 "Ciò che è importante ora è che tutti noi, tutti noi che siamo interessati e abbiamo a cuore i nostri valori e la nostra civiltà, ci alziamo insieme e diciamo basta".

Quello che Israele sta facendo, e ciò a cui si oppongono le Nazioni Unite, la Corte Internazionale di Giustizia e la maggior parte della Maggioranza Mondiale, è davvero "la nostra civiltà"?

 La pulizia etnica, il genocidio e il trattamento della popolazione palestinese come conquistata ed espulsa come subumana è un attacco ai principi più basilari della civiltà.

Gli studenti pacifici che difendono quel concetto universale di civiltà sono chiamati terroristi e antisemiti dal terrorista primo ministro israeliano.

 Sta seguendo le tattiche di Joseph Goebbels:

il modo per mobilitare una popolazione per combattere il nemico è quello di dipingersi come sotto attacco.

Questa era la strategia di relazioni pubbliche nazista, ed è la strategia di relazioni pubbliche di Israele oggi – e di molti nel Congresso americano, nell'AIPAC e in molte istituzioni collegate che proclamano un'idea moralmente offensiva di civiltà come supremazia etnica di un gruppo sanzionato da Dio.

Il vero fulcro delle proteste è la politica degli Stati Uniti che sostiene la pulizia etnica e il genocidio di Israele, sostenuto dagli "aiuti" stranieri della scorsa settimana.

È anche una protesta contro” la corruzione dei politici del Congresso” che raccolgono denaro dai lobbisti che rappresentano gli interessi stranieri rispetto a quelli degli Stati Uniti.

Il disegno di legge sugli "aiuti" della scorsa settimana ha anche sostenuto l'Ucraina, l'altro paese attualmente impegnato nella pulizia etnica, con i membri della Camera che hanno sventolato bandiere ucraina, non quelle degli Stati Uniti.

Poco prima, un membro del Congresso ha indossato la sua uniforme dell'esercito israeliano al Congresso per pubblicizzare le sue priorità.

Il sionismo è andato ben oltre l'ebraismo.

Ho letto che ci sono nove sionisti cristiani per ogni sionista ebreo.

È come se entrambi i gruppi chiedessero l'arrivo della” Fine dei Temp”i, mentre insistono sul fatto che il sostegno alle Nazioni Unite e alla Corte Internazionale di Giustizia che condanna Israele per genocidio è antisemita.

Cosa possono chiedere gli studenti della Columbia.

Gli studenti della Columbia e di altre università hanno chiesto alle università di disinvestire in azioni israeliane, e anche in quelle dei produttori di armi statunitensi che esportano in Israele.

 Dato che le università sono diventate organizzazioni aziendali, non credo che questa sia la richiesta più pratica al momento.

Ancora più importante, non va al cuore dei principi in gioco.

Quello che è davvero il grande problema delle relazioni pubbliche è il sostegno incondizionato degli Stati Uniti a Israele, qualunque cosa accada, con "antisemitismo" l'attuale epiteto propagandistico per caratterizzare coloro che si oppongono al genocidio e al brutale accaparramento delle terre.

Dovrebbero insistere affinché la Columbia (e anche Harvard e l'Università della Pennsylvania, che furono altrettanto ossequiose nei confronti del deputato Stefanik) annuncino pubblicamente che riconoscono che non è antisemita condannare il genocidio, sostenere le Nazioni Unite e denunciare gli Stati Uniti. Possibile “veto”.

Dovrebbero insistere sul fatto che la Columbia e le altre università facciano una promessa sacrosanta di non chiamare la polizia per motivi accademici su questioni di libertà di parola.

Dovrebbero insistere sul fatto che la presidente sia licenziata per il suo sostegno unilaterale alla violenza israeliana contro i suoi studenti.

In questa richiesta sono d'accordo con il principio del deputato” Stefanik “di proteggere gli studenti, e che il “dottor Shafik” deve andarsene.

Ma c'è una classe di grandi trasgressori che dovrebbe essere accusata di disprezzo:

“i donatori corruttori” che cercano di attaccare la libertà accademica usando i loro soldi per mantenere la politica universitaria e allontanare le università dal ruolo di sostegno alla libertà accademica e alla libertà di parola.

Gli studenti dovrebbero insistere sul fatto che gli amministratori universitari – gli sgradevoli opportunisti che stanno al di sopra della facoltà e degli studenti – non solo devono rifiutare tali pressioni, ma dovrebbero aderire nell'esprimere zona shock per tale influenza politica nascosta.

 

Il problema è che le università americane sono diventate come il Congresso nel basare la loro politica sull'attrazione di contributi da parte dei loro donatori.

Questo è l'equivalente accademico della “sentenza della Corte Suprema” Citizens United.

Numerosi finanziatori sionisti hanno minacciato di ritirare i loro contributi ad Harvard, alla Columbia e ad altre scuole che non seguiranno le richieste di Netanyahu di reprimere gli oppositori del genocidio e i difensori delle Nazioni Unite.

Questi finanziatori sono i nemici degli studenti di tali università, e sia gli studenti che i docenti dovrebbero insistere sulla loro rimozione.

 Proprio come il Fondo Monetario Internazionale del Dr. Shafik è caduto soggetto alla protesta dei suoi economisti che ci devono essere "Mai più argentini", forse gli studenti della Columbia potrebbero cantare "Mai più Shafiq".

(m.youtube.com/watch?v=syPELLKpABI).

(stefanik.house.gov/2024/4/icymi-stefanik-secures-columbia-university-president-s-commitment-to-remove-antisemitic-professor-from-leadership-role).

(Miranda Nazzaro. "Netanyahu condanna le 'folle antisemite' nei campus universitari statunitensi", The Hill , 24 aprile 2024.)

 

 

 

Il falso oppositore Vannacci:

il 9 giugno sarà un referendum

sulla fine della repubblica dell’anglosfera.

Lacrunadellago.net – (30/04/2024) – Cesare Sacchetti – ci dice:

 

A volte si ha la sensazione di essere imprigionati in una dimensione che il filosofo tedesco Nietzsche, “massima” espressione del pensiero anticristiano moderno, chiamava “eterno ritorno dell’uguale”.

È quella dimensione dove gli eventi continuano a ripetersi all’infinito fino a quando poi si arriva inevitabilmente alla fine della storia stessa, almeno quella che i suoi mediocri sceneggiatori hanno scritto.

In questo caso, si tratta del valzer dei falsi oppositori, chiamati “gate keeper” nella terminologia anglosassone, che è iniziato almeno dagli anni 2000 quando già la democrazia liberale iniziava a mostrare delle vistose crepe sul suo muro.

Erano gli anni del cosiddetto berlusconismo liberale di centrodestra contrapposto invece al liberalismo di sinistra.

Erano gli anni di quel duopolio controllato partorito dalla infausta rivoluzione colorata di Mani Pulite voluta dall’anglosfera che infatti ha modellato la già fragile democrazia “italiana” a immagine e somiglianza di quella americana.

La Prima Repubblica è stata una stagione nella quale la sovranità era ristretta, ma non così tanto da annullare una intera classe politica.

Esistevano degli statisti di prim’ordine quali Bettino Craxi e Giulio Andreotti che furono poi spazzati via dall’ondata di fango del pool di Milano che già prima dell’inizio delle inchieste era in contatto con gli ambienti diplomatici americani.

Questa falsa rivoluzione, come la definì efficacemente Craxi, creò un bipolarismo dove entrambe le sue derivazioni, il centrodestra e il centrosinistra, erano perfettamente controllate da quei poteri transnazionali massonici e finanziari che hanno governato l’Italia dal 43 in poi e che hanno stretto un cappio ancora più opprimente attorno al Paese dopo il 92.

La costruzione dei falsi oppositori in Italia.

Il malcontento degli italiani nei confronti di questa falsa alternanza era già elevato negli anni 2000 e allora i signori del potere, quello vero, decisero di lasciare entrare in scena una falsa opposizione che era stata accuratamente preparata anni prima, sul panfilo del Britannia nel 1992, sul quale c’era a detta di Emma Bonino, non smentita, Beppe Grillo.

 

Questa falsa opposizione aveva le fattezze del M5S del citato Grillo e del suo socio, Gianroberto Casaleggio, già vicino a Forza Italia e socio d’affari attraverso la sua Casaleggio Associati, vera proprietaria del M5S, di Enrico Sassoon, appartenente ad una famiglia ebraica vicina ai Rothschild e famigerata per il traffico d’oppio che gestiva nel 800.

Quella falsa opposizione aveva una data di scadenza come ce l’hanno tutte le false opposizioni e allora i vari grembiulini che decidono chi e come deve entrare a Montecitorio e palazzo Chigi si sono adoperati per costruire un’altra falsa opposizione che stavolta aveva le sembianze della Lega.

Se c’è stato un partito che ha una storia carica di odio nei confronti dell’Italia quello è proprio il Carroccio fondato da Umberto Bossi e Roberto Maroni che non aveva altro scopo sin dal principio che quello di dividere l’Italia in tre macroregioni, si ricordi il progetto del non compianto professor Miglio, per servire al meglio la causa di quei poteri mondialisti e di quelle potenze straniere che volevano dividere l’Italia per poi accaparrarsi meglio le sue risorse industriali.

 

Questo disegno era stato concepito espressamente dal “grande” capitale tedesco che aspirava ad una secessione del Nord-Est italiano per poi “annettere” così economicamente quest’area e trasformarla de facto in un protettorato economico teutonico.

L’idea della secessione serviva a separare la catena del valore che lega il Nord-Est al Mezzogiorno, con il secondo primo importatore dei beni prodotti in Lombardia e Veneto, e soltanto questa semplice evidenza dimostrava e dimostra che il Sud non è mai stato una “zavorra” per il Nord, a differenza di quanto millantavano i beceri leghisti delle origini, ma invece è stato da sempre il suo primo cliente.

Nel 2012, la Lega era caduta in disgrazia.

Il Carroccio si trovò in un’ondata di scandali giudiziari che vedevano i suoi membri invischiati in traffici di diamanti in Africa o coinvolti in vicende di lauree comprate in Albania, come visto per il caso del figlio del “senatur Umberto”, Renzo Bossi.

Il volto, vero, della Lega era quello. Era quello di un manipolo di mediocri capitani di ventura che non appena finivano di berciare “Roma ladrona” si appropriavano dei soldi dei loro iscritti per pagarsi vacanze, auto di lusso e anche altre “amenità”.

Ora sarebbe interessante capire con lo sguardo più distaccato del tempo se quella pioggia di inchieste non sia stata in qualche modo voluta per favorire la nascita della “nuova” Lega di Salvini nel 2013, ma quanto accaduto sembra suggerire fortemente questa ipotesi.

Salvini era esattamente quello che erano Bossi, Maroni, Calderoli e gli altri spregevoli personaggi del Carroccio.

Salvini in quegli anni era noto più per essere un maleducato curvaiolo del Milan che rivolgeva improperi di vario tipo ai napoletani, si ricordi il “senti che puzza”, e che disse esplicitamente che “il Sud non merita l’euro”.

Questo non nel 2000, ma nel 2012, soltanto un anno prima del “nuovo” corso della Lega “sovranista”.

 

La genesi della falsa lega sovranista.

Nel 2013, viene allestito il cantiere di quel progetto e viene chiamato come “economista” di riferimento” Claudio Borghi”, pressoché sconosciuto fino a quel momento, che l’anno successivo iniziò un tour chiamato “Basta euro”.

La Lega era passata già nelle mani di Salvini che decideva di cavalcare la questione della sovranità monetaria per far rinascere dalle ceneri un partito che era finito.

Cavalcare è il termine giusto perché non c’era, come visto successivamente, alcuna seria intenzione di portare l’Italia fuori dall’euro, ma si trattava semplicemente di una messinscena politica per accreditarsi come un partito di ispirazione sovranista, cosa che in realtà il Carroccio non è mai stato.

Allo stesso modo i viaggi a Mosca e le magliette di solidarietà a Putin indossate da Salvini – e ci si chiede a questo proposito che fine abbia fatto tutto quel guardaroba – servivano sempre a veicolare il messaggio di una Lega che aveva iniziato una autentica fase di rinnovamento che purtroppo era solo, come detto, una triste recita.

Il cantiere della messinscena ha visto poi salire sul palcoscenico negli anni dal 2016 in poi personaggi come Alberto Bagnai, Antonio Maria Rinaldi, Marco Zanni e Francesca Donato.

Inutile dire che ognuno di questi personaggi che aveva fatto del sovranismo monetario, nemmeno economico, il marchio di fabbrica del partito ha poi abiurato le sue posizioni.

Rinaldi è stato colto da una sorta di “amnesia” che lo ha portato a dire “non abbiamo mai detto di voler uscire dall’euro”, la Donato, oggi con Cuffaro (sic), che un tempo cercava di passare come una progressista critica della NATO, ora dichiara che la NATO “ha dato 80 anni di pace”, e Bagnai infine, come i suoi “colleghi”, passato dalle stilettate all’euro a rivolgersi in termini più che amichevoli all’uomo che l’euro lo ha difeso e lo ha salvato, condannando l’Italia, ovvero Mario Draghi.

Questa è la storia di una farsa che gli italiani che votavano Lega hanno compreso perfettamente soprattutto quando durante l’operazione terroristica del coronavirus il Carroccio piuttosto che erigere una barriera in difesa degli italiani come avrebbe dovuto, incitava a maggiori restrizioni e i suoi governatori erano i primi a vessare i propri abitanti, come visto con Fontana in Lombardia.

La maschera in realtà era stata calata già nel 2019 sul bagnasciuga del Papeete quando Salvini, in quel momento “inspiegabilmente”, fece harakiri provocando la caduta del governo gialloverde per riconsegnare il governo al PD, poiché tutti sapevano che i pentastellati non aspettavano altro che siglare un accordo con il PD per restare a palazzo Chigi.

 

L’anno successivo, nel 2020, si comprese meglio che quello era un passaggio di consegne concordato in quanto alla Lega era stata affidata un’altra missione, quella di preparare la strada di palazzo Chigi a Mario Draghi, oggi decaduto e da due anni a questa parte nelle vesti di mendicante di incarichi sovranazionali.

Il bilancio dopo 4 anni da quell’infausto marzo del 2020 è quello delle macerie assolute.

Non solo non esiste più la Lega ma probabilmente non esiste più nemmeno la democrazia liberale.

Questo sistema politico si fonda, come noto, sul controllo del dissenso. I gestori del liberalismo si premurano sempre di costruire offerte politiche che sono da questi controllate.

Il gate keeper, o meglio falso oppositore, è un po’ come una polizza assicurativa sulla vita della democrazia liberale.

Costoro vogliono essere certi che il dissenso nei confronti dello status quo vada sul binario da essi prestabilito e quando ciò non avviene, non ci sono possibilità che il sistema resti in vita.

L’Italia è ad un passo, o lo è già, in tali condizioni e ciò spiega i disperati tentativi di rianimare la Lega.

I lettori ricorderanno che già nell’agosto del 2023 denunciammo l’operazione che stava portando agli “onori” delle cronache tale generale Vannacci.

Nessuno conosceva questo personaggio prima di allora, e nessuno aveva mai saputo di una qualche sua presunta opposizione, mai manifestata, contro la farsa pandemica e contro le vessazioni subite dagli italiani.

Il libro da lui (?) scritto non aveva nemmeno il linguaggio di un militare e non sfiorava nemmeno i nervi del potere della massoneria, delle case farmaceutiche e dell’alta finanza.

Il sistema che aveva fabbricato le false opposizioni del M5S e della Lega era all’opera in quell’occasione e oggi per riesumare la seconda defunta falsa opposizione del Carroccio in una operazione che denota tutta la disperazione dei suoi architetti.

Ormai la falsa Lega sovranista è stata scoperta da tutti, e la costruzione dal nulla di un altro falso oppositore nulla potrà cambiare.

Non si fermano le macchine che stanno portando alla fine della repubblica dell’anglosfera in Italia.

Il processo storico che è in corso è irreversibile, eppure i vari peones dello stato profondo italiano non si danno pace e continuano a riproporre senza soluzione di continuità le stesse strategie che ormai non funzionano più.

Questo spiega anche la ragione per la quale sono i media mainstream a dare tutto lo spazio possibile a Vannacci.

Sono loro che cercano di raffigurarlo a tutti i costi come un “oppositore” per far sì che le masse si bevano ancora una volta la loro medicina e tornino alle urne.

Non ci sono però segnali di una inversione di tendenza.

 Le settimane passano e la crisi della democrazia liberale del 46-48 peggiora sempre di più senza dare nessun segnale contrario.

Le europee sono una data da segnare in rosso sul calendario per questa ragione. Potrebbe essere con ogni probabilità la prima volta che in una “grande” elezione nazionale si scenda sotto la soglia del 50%.

È lo scenario che più atterrisce i vari inquilini di questa decadente repubblica e ciò spiega la loro compulsività nell’invitare al voto, si veda Mattarella, oppure il loro prepararsi a dare la colpa ai russi per il fallimento della consultazione del 9 giugno in quella che non sarà un voto ma un referendum su questo sistema politico in dismissione.

 

Se ci viene chiesto cosa votare a questo referendum abrogativo, ci si passi l’analogia, la nostra risposta è scontata.

Votare sì all’abrogazione della repubblica dell’anglosfera. Votare sì alla fine delle false opposizioni.

Il 9 giugno la non partecipazione al voto sarà un enorme segnale di rigetto del popolo italiano nei confronti di questo decadente sistema politico e nessun gate keeper di turno potrà invertire la rotta che è stata tracciata da qualche anno a questa parte.

Solo quando ci si libererà dei partiti espressione dell’anglosfera, avrà un senso tornare al voto.

Ora bisogna portare a termine il lavoro che è stato messo in moto dalla storia. 

Bisogna liberarsi di questa classe politica di servi indegni che hanno preso l’Italia per consegnarla ai suoi carnefici.

 

 

 

 

“GLI STATI NASCONO E MUOIONO

 CON LA GUERRA” OSSERVAVA

 CHARLES DE GAULLE.

 

 Lapekoranera.it - Redazione La Pekoranera.it – (29/04/2024) – Piero La Porta – ci dice:

Troppi seguono il conflitto a Gaza come fosse una partita di calcio:

la squadra del cuore contro gli avversari storici, un Milan-Inter o una Lazio-Roma con la medesima visceralità.

È invece una guerra e lo Stato di Israele ha il pieno diritto di combatterla perché ha il pieno diritto di esistere.

Israele ha commesso errori? Sì.

Israele ha commesso orrori? Sì.

Non di meno ha il pieno diritto di esistere, perché se lo conquistò con la guerra del 1948-1949, mossagli dai paesi musulmani del circondario che non accettarono la decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per la costituzione di uno Stato ebraico e uno stato arabo.

«Gli Stati nascono e muoiono con la guerra» osservò Charles De Gaulle. Israele vinse la guerra e le quattro successive.

Essa ha dunque diritto di esistere.

 Ciò non di meno Israele potrebbe scomparire se perdesse una sola guerra, quantunque contro una Palestina mai esistita prima che i Rothschild e la City di Londra se la inventassero.

Chi dubiti rifletta:

il “Jerusalem Post” è figlio del “Palestinian Post”, messo in piedi dai sionisti.

Quando nacque lo stato ebraico i servizi sovietici ebbero buon giorno ad appropriarsi del lemma “Palestina” per dare un’identità ai nativi, che si affidarono ai sovietici e ai mussulmani, perdendo tutte le guerre. «Gli Stati nascono e muoiono con la guerra», anche lo Stato del Vaticano, dal quale giustamente lanciano accorate esortazioni alla pace, è a sua volta l’esito d’innumerevoli guerre.

Un’altra legge, valida da sempre:

«Gli imperi si sgonfiano, col trascorrere degli anni e crollano».

Sì, insomma, più durevoli d’un soufflé, gli imperi sono tuttavia destinati a sgonfiarsi.

Panta Rei, tutto passa dopo tutto, anche gli imperi, quelli decadenti prima dei rimanenti.

È necessario definire che cosa è un impero e che cosa è la guerra.

Diamo per intuitivo il “dominio”.

 L’impero è il dominio su una pluralità di nazioni.

La nazione è individuata da un popolo, dal territorio e dalle sue tradizioni, dall’interesse nazionale.

“La guerra” secondo “Carl von Clausewitz” è” la prosecuzione della politica con altri mezzi.”

Lenin invertì i termini: “La politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi”.

Questa è la scuola dalla quale proviene “Vladimir Putin”, occorre ricordarlo prima di santificarlo.

Conclusa la “2^GM”, per gli Stati Uniti valse la norma:

”La politica è la prosecuzione del business con altri mezzi”. Uccisi i due fratelli Kennedy (chissà perché se ne ricorda usualmente solo uno), dimenticarono l’ammonimento del generale e presidente Dwight D. Eisenhower:

“Ogni arma da fuoco prodotta, ogni nave da guerra varata, ogni missile lanciato significa, in ultima analisi, un furto ai danni di coloro che sono affamati e non sono nutriti, di coloro che hanno freddo e non sono vestiti.”

Oggi per “Joe Biden” e i suoi predecessori a partire dai “Bush” (padre e figlio): “La guerra è la prosecuzione del business con altri mezzi”.

L’impero più improbabile?

 L’Unione Europea: disarmata, priva di personalità giuridica statale internazionale, dominata da un’oligarchia non eletta;

la sua moneta, l’Euro, è in vita finché gli Stati Uniti e la Germania lo vorranno per opposte ragioni.

L’UE oltre 200 gruppi etnici, impossibili da amalgamare.

 La cultura ebraico-cristiana avrebbe potuto darle l’amalgama: l’hanno rifiutata aspramente; oggi celebrano il Ramadan, suicidio.

La Cina è l’impero più solido.

Dominato da una dittatura compatta e piramidale;

 moderno, ricco di cultura, mano d’opera e d’ingegno scientifico e tecnico.

Manca di materie prime, procurandosele ovunque riesca ad arrivare.

Ha solo 12 gruppi etnici: 1) gli Han, la grande maggioranza della popolazione totale della Cina; 2) gli Zhuang, della famiglia linguistica tai-kadai; 3) i Manciù, di origine tungusa; 4) gli Hui, cinesi musulmani; 5) i Miao, di lingua hmong-mien; 6) Uiguri, di lingua turca; 7) i Tujia, di lingua cinese; 8) gli Yi, di lingua cinese; 9) i Mongoli cinesi; 10) i Tibetani; 11) gli Hakka; 12) gli Hui.

Il controllo dell’immenso territorio è ferreo, articolato, capillare a tenere d’occhio 1.425.267.780 abitanti.

Per assicurare ogni giorno 100 grammi di riso a ogni cinese, sono necessarie – ogni giorno – 15.000.000 di tonnellate di riso, sette milioni di tonnellate di acqua per cuocerlo, innumerevoli tonnellate di gas, ogni giorno.

D’altronde se questo miliardo e mezzo di persone fossero lasciate a sé stesse, morirebbero di fame perché per raccogliere, rendere disponibile e cuocere 15 milioni di tonnellate di riso – ogni giorno – occorre un’organizzazione più precisa e puntuale di quella elvetica, più spietata d’ogni altra nella storia.

Insomma, o riso o democrazia.

Secondo voi che cosa preferisce il popolo?

 Il Vaticano fa bene a rinnovare l’accordo con Pechino: bene o male, lì è il futuro con cui misurarsi.

La Federazione Russa è un impero con grossi problemi economici e sociali, non di meno è coeso, nonostante i numerosi assalti subito dopo la fine dell’Unione sovietica, scioltasi la notte del nostro Santo Natale del 1991.

Il 79,83% della sua popolazione è di russi.

 Altri gruppi etnici: 1) Tatari (3,83%); 2) Ucraini (2,03%); 3) Baschiri (1,15%); 4) Ciuvasci (1,13%); 5) Ceceni (0,94%); 6) Armeni (0,78%). Vi sono altri 190 piccoli gruppi etnici riconosciuti ufficialmente, senza problemi di amalgama.

La Russia ha 144 milioni di abitanti.

 È il paese più popoloso d’Europa ma la densità è di solo 8,5 abitanti per chilometro quadrato.

Ha in comune con la Cina 4mila chilometri di confine.

 Se schierasse un carro armato per ogni chilometro, un filo di seta dal punto di vista militare, dovrebbe disporre di 4mila carri armati che non ha.

D’altronde è una potenza nucleare e militare di primo livello.

 La Cina ha numerosi uomini alle armi ma non dispone delle forze nucleari strategiche della Russia, la quale ha invece le materie prime che necessitano a Pechino.

La loro alleanza è quindi scritta nelle stelle.

L’impero statunitense è quello più in crisi.

Ha 340 milioni di abitanti sul suo territorio, estremamente diversificati nelle etnie e nelle razze.

 L’estensione effettiva è globale e avvolge Russia e Cina.

Vorrebbe soffocarle ma non ha più le energie necessarie.

La posizione di punta statunitense nello schieramento europeo e anglosassone (con Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda e, a latere, il Giappone) è molto meno brillante d’un tempo.

 La guerra in Ucraina e a Gaza, nonché lo scontro tra Donald Trump e Joe Biden (dietro al quale opera il World Economic Forum di Davos e, dietro molte cortine, la casa reale inglese, oggi preda del cancro), hanno reso inutilizzabile la NATO per la proiezione di potenza, con o senza mandato delle Nazioni Unite, com’è invece avvenuto in Iraq, nei Balcani e in Kosovo, in Afghanistan, nelle “primavere arabe”, in Libia, in Egitto, Tunisia.

In questa pentola di pece in ebollizione di imperi senza prospettive di lungo termine, a parte la Cina, si vuole costringere la popolazione israeliana di 9 milioni di abitanti su un territorio equivalente alle Puglie e al Molise, sui quali vi sono solo 4 milioni di abitanti.

Il 73,2% della popolazione israeliana (7.208.000 persone) sono ebrei;

 il 21,1% (2.080.000 persone) sono arabi.

 Sarebbe un piccolo impero con solo due etnie e due nazioni ma del tutto incompatibili, non amalgamabili.

La maggioranza della minoranza vuole la fine di Israele. Sono Incompatibili.

L’errore di Israele nel 1948 fu non procedere a una radicale pulizia etnica com’è sempre avvenuto a seguito delle guerre.

 Chi dubiti chieda agli istriani, ai curdi, agli armeni, ai nativi americani e australiani.

Dopo quanto è avvenuto il 7 ottobre, Israele non ha scelta, quali che siano le ragioni delle due parti: deve garantire il proprio interesse nazionale oppure scomparire.

 L’interesse nazionale è la somma di quanto concorre alla sicurezza economica, del territorio e sociale.

Gaza è contro tutte le sicurezze di Israele.

Nessuno dei quattro imperi (USA, CINA, Russia, UE) può garantire la sicurezza di Israele.

Hanno i loro grattacapi e non possono impegnarsi più di tanto.

Gli Stati Uniti stanno subendo lacerazioni interne profondissime a causa della diffusa ostilità verso Israele.

Se smettessimo di guardare il mondo come fosse composto di due opposti schieramenti, i buoni e i cattivi, ci accorgeremmo che le politiche dissennate degli imperi e il sionismo hanno portato Israele al punto di non ritorno:

deve assaltare Rafah, sterminare Hamas e bombardare anche il sud del Libano per dare un segnale chiaro a Hezbollah e all’Iran, dietro ai quali sogghignano Russia e Cina.

 Comunque vada la guerra in Ucraina, comunque vada a Gaza, Xi Jinping ha vinto.

Questo è il dato da tenere d’occhio.

Mentre scriviamo, si ha notizia d’imponenti manifestazioni ad Amburgo per chiedere la fine delle politiche anti-islamiche (?) e l’instaurazione del Califfato.

È un caso? Il Califfato, in questo momento?

 La fine delle politiche anti islamiche mentre le chiese si svuotano e i musulmani pregano in massa davanti ad esse?

Non tutto va male.

È infatti importante la frantumazione del fronte di Davos e anti cristiano.

 Netanyahu, sionista e dovosiano, contro Biden, radicale e davosiano, ambedue contro i musulmani, ai quali Davos strizza l’occhio da decenni in contrapposizione ai cristiani.

Un caos una volta tanto consolatorio.

Israele è un baluardo, non il sionismo, Israele, ricordiamocene ogni giorno.

Altra cosa è il sionismo che sta a Israele come la tenia nel corpo umano.

Se Israele perdesse la guerra, perderebbe il diritto di esistere.

Poi toccherebbe a noi.

Restiamo a guardare mentre gli altri s’azzannano e teniamo d’occhio il nostro interesse nazionale:

 sicurezza economica, sicurezza del territorio, sicurezza sociale.

 Nessuno dei 4 imperi garantisce queste sicurezze a noi.

Rimaniamo quindi cauti osservatori delle guerre altrui, senza cadere nel sentimentalismo, fratello scemo dell’odio.

Cristo Vince nonostante la guerra.

Per ricevere i 60 miliardi circa gli USA impongono rastrellamenti di ucraini emigranti in tutto il mondo per incrementare l’esercito nazionale.

 

 

“MONETA POSITIVA” – L’ULTIMO

 PASSO PRIMA DEL BARATRO.

Comedonchisciotte.org - Megas Alexandros – Fabio Bonciani – (30 Aprile 2024) – ci dice: 

 

Dietro le quinte del movimento Positive Money, il volto buono del Potere che ci traghetterà al Grande Reset che vuole l'oligarchia finanziaria occidentale.

 Poteva mancare l'Italia?

Da tempo mi sto adoperando in una ricerca accurata per delineare quelle che sono le finalità, a dir poco subdole, delle idee propagandate dal “movimento Positive Money”, che in apparente contrasto con il mondo delle banche si propone di liberare la moneta dal debito, togliendo a detta loro, il monopolio dell’emissione della moneta così detta “credito” alle banche commerciali:

Il potere di creare e spendere nuova moneta nell’economia è posto sotto il controllo pubblico e democratico.

 Le banche private diventano veri intermediari tra risparmiatori e mutuatari e non hanno più il monopolio sulla creazione di moneta.

Cercare di unire i puntini – in quello che è stato un difficile slalom tra gli apparenti buoni propositi che questo movimento decanta – per arrivare a quelle che sono delle conclusioni direi definitive per chi mastica la materia monetaria, oltre ad essere drammatiche per chi invece ha a cuore il futuro del nostro paese e dei nostri figli, vi assicuro non è stato per niente facile.

Come non è semplice farvi comprendere i dettagli della diabolicità di quello che ormai pare proprio essere l’ultimo passo di coloro che guidano il Grande Reset per ricondurci al mondo che fu:

 quello prima dell’avvento degli Stati democratici moderni, dove il Signore aveva il totale controllo della moneta e decideva della vita di tutti.

Contrastare un movimento di pensiero economico e monetario, che come finalità principale si propone di liberare gli Stati sovrani da una moneta fornita deliberatamente a debito – ovvero una necessità ormai compresa e condivisa da molti – lo si può fare solo se – avendo ben chiaro nei minimi dettagli quello che questi signori vorrebbero mettere in atto – arriviamo alla piena consapevolezza che invece il loro target ultimo è quello di rendere non più disponibile la moneta per i popoli.

Consapevole della necessità di tornare anche in seguito sull’argomento, proverò intanto a fornire una prima spiegazione di quelle che sono le imminenti intenzioni dei potentati, fortemente caldeggiate da questo movimento che ha le sue basi e trova linfa finanziaria e mediatica nel mondo occidentale.

 

Andando subito al sodo, il principale obiettivo che “Positive Money” si prefigge è quello di togliere in modo definitivo la possibilità alle banche di creare moneta.

E lo fa con una specifica azione di propaganda, attraverso la quale, in modo del tutto strumentale per ottenere un facile consenso, si posiziona dalla parte della maggioranza della gente che, da sempre, vede nei banchieri i principali responsabili di ogni nostra disgrazia.

Il comune cittadino di fronte alla moneta “credito”, chiaramente si agita e maledice chi gliela presta, costringendolo ad un debito da ripagare con sudore e sacrifici.

Ma il problema, come vedremo in seguito, non è certo l’aver ottenuto un prestito tanto desiderato per realizzare un progetto reputato remunerativo, bensì quello di vivere in un sistema economico che, al contrario, non permette lo sviluppo profittevole del progetto stesso in cui abbiamo investito e, di conseguenza, la possibilità di ripagare il finanziamento ottenuto.

Insomma, indicare i banchieri, come del resto già facciamo coi politici e coi magistrati, quali responsabili dei nostri guai, è certamente la strada più semplice, ma è del tutto errata.

 Poiché questi non sono altro che il braccio armato di un sistema posizionato più in alto, che è condotto da chi ha in mano la totalità dei mezzi di produzione e controlla l’emissione della moneta.

Come è altrettanto errato indicare nel sistema bancario attuale, quello che appunto crea moneta (depositi) attraverso la concessione di un prestito, come un qualcosa da riformare nella direzione che ci indicano i sostenitori di “Positive Money”, i quali vorrebbero ricondurre le banche a prestare solo il denaro che hanno in deposito, in una sorta di riserva cento per cento.

Mi spiego meglio:

le banche, quando concedono un prestito, non lo fanno trasferendo il denaro che hanno in deposito, ma creano nuovi depositi che di fatto vanno ad aggiungersi a quelli in essere e quindi al totale dell’aggregato monetario presente nel sistema economico.

 Il che è perfettamente logico, per una nuova transazione tra privati si registra un’equivalente creazione monetaria.

La banca altro non è che un assicuratore del credito che permette a due soggetti privati che non si conoscono di concludere una transazione.

La moneta credito, se correttamente amministrata, è l’unica forma di moneta coestensiva dello scambio e quindi connaturata all’essere umano dall’inizio dei tempi.

Quando dico “correttamente amministrata”, intendo che venga emessa solo per attività economiche reali, e non finanziarie, ad un tasso che corrisponda solo al rischio specifico, quindi con tassi di banca centrale a zero (0%) per sempre ed una garanzia illimitata dello Stato (monopolista della moneta) sui depositi.

Sottolineo, inoltre, senza entrare nel dettaglio per evitare un discorso troppo lungo, che l’attività creditizia del settore bancario è logicamente pro-ciclica, quindi secondaria rispetto alla creazione di valuta decisa dallo Stato attraverso la spesa in deficit che invece può avvenire (come spesso necessita), tranquillamente anche in controtendenza al ciclo economico.

È fondamentale rendere chiaro come le banche commerciali – regolate nella loro funzione creditizia dagli Istituti centrali e sottoposte al controllo dei medesimi – siano dei loro agenti a tutti gli effetti e come le stesse non possano agire in totale autonomia.

 Stante il fatto di essere direttamente dipendenti dalla spesa netta del governo per accrescere il proprio patrimonio (che sta alla base dei criteri con cui creano moneta, prestando) e dalle riserve create dalla banca centrale per ottenere liquidità.

Stante la caratteristica del monopolio riguardo alla valuta di stato, è chiaro che parlando di riforme necessarie, una nazionalizzazione del settore bancario sarebbe l’ottimale per arrivare a garantire la moneta a tutti.

Proprio quello che invece viene contrastato da “Positive Money”;

la cui proposta si ispira alla riforma che alcuni economisti già tentarono di mettere in atto negli anni della Grande depressione.

Mi riferisco al ben noto “Chicago Plan”, il quale aveva come obiettivo principale proprio il prevenire ogni sorta di nazionalizzazione delle banche, attraverso appunto l’introduzione del meccanismo della piena riserva.

“Positive Money”, cavalcando la vulgata comune che vede in questa creazione dal nulla una sorta di signoraggio a vita per i banchieri – per essere ancora più chiari – vorrebbe tornare ad un sistema dove le banche prestano realmente il denaro in essere, costituito appunto dai loro depositi e quelli della clientela.

In pratica, questo comporterebbe nei fatti, la cristallizzazione del denaro presente in aggregato, che consiste appunto nel risparmio del settore privato.

La conseguenza più grave che deriverebbe da tale sistema, sta nel fatto che, con la cristallizzazione del denaro, si giungerebbe anche alla cristallizzazione di quella che è la scala sociale dei paesi che andrebbero ad adottarlo, vero obiettivo di chi ci comanda.

Dal momento che, la spesa in deficit dello Stato ed il credito bancario sono i due unici canali che consentono di far arrivare soldi nelle nostre tasche e quindi ai sistemi economici, è chiaro che – se blocchi la creazione del denaro da parte delle banche (dopo che da tempo, con regole assurde sul debito pubblico, è stato impedito anche agli Stati di spendere per i popoli), i depositi esistenti torneranno ad essere oro.

Non parlo di veri e propri lingotti, ma di moneta-merce: oggi quasi totalmente elettronica e presto digitale, per una necessità di maggior controllo sulle persone.

“Positive Money Europe” è stata fondata nel 2019 ed è nata da “Positive Money UK” – organizzazione no-profit fondata nel 2010.

“Fino a gennaio 2019, le “attività di Positive Money Europe” sono state incubate da “Positive Money Ltd”, con tutte le finanze e le operazioni ospitate presso la società britannica.

Le entrate delle sovvenzioni sono state quindi fornite come parte di sovvenzioni più ampie a” Positive Money” per il lavoro di entrambe le organizzazioni, tra cui due sovvenzioni (da Partners for New Economy e Open Society Foundations, e donazioni private (10.000 euro). Alcune di queste sovvenzioni includono alcuni costi limitati da sostenere nel 2019.”

 

E qui stiamo arrivando a definire quelli che sono i cromosomi diabolici che identificano il “DNA di Positive Money”, la cui filiale europea – guarda caso – è nata e risiede a Bruxelles, finanziata da subito da una varietà di istituzioni e fondazioni filantropiche che fanno capo ai soliti noti, con la Commissione europea ed il finanziere George Soros in testa (European Commission, Open Society Initiative for Europe, Positive Money UK, European Climate Foundation, The Sunrise Project, etc.).

È sufficiente andare sull’”official web site di Positive Money Europe” per rendersi conto di chi sono stati i principali finanziatori di questo movimento nei suoi primi anni di vita (2020/2021).

La Lista dei finanziatori di Positive Money Europe per l’anno 2021 –  è pubblicata sul sito ufficiale del movimento.

 Come abbiamo detto,” Positive Money Europe” è nata dalla casa madre Positive Money UK, finanziata tramite una selva di istituzioni filantropiche, scatole più angloamericane che cinesi, che ci portano a potentati finanziari occidentali di grossissimo calibro.

Poteva mancare la versione tricolore di Positive Money?

Certo che no:

“Moneta Positiva” – l’associazione guidata dall’ingegner Fabio Conditi che da anni imperversa per il web, tra siti di informazione alternativa, televisioni e convegni istituzionali.

Ospite sempre gradito o almeno non scomodo persino nelle stanze parlamentari.

Il logo del movimento Moneta Positiva, raffigura un “occhio che ti guarda” circondato da buoni propositi che compare sul sito ufficiale dell’associazione.

 Per realizzare i propri fini associativi, come si legge sul sito ufficiale, Moneta Positiva si ispira proprio a Positive Money:

“Per la realizzazione dei propri scopi l’associazione si propone di formazione di gruppi di lavoro per lo studio e l’analisi del sistema economico e monetario, al fine di elaborare proposte di riforma seguendo le soluzioni elaborate dal Movimento Internazionale IMMR (International Movement for Monetary Reform) e dall’esperienza britannica di “Positive Money”.

Oggi, che per voce di Mario Draghi la globalizzazione pare non servire più a chi ci comanda – all’interno della farsa di quello che è un necessario cambiamento di pelle del Potere, che porta l’ex governatore della Banca Centrale Europea, persino a confessare gli evidenti danni da essa provocati – non possiamo non evidenziare come l’aver globalizzato il mondo, sia servito unicamente allo scopo di riportare ricchezza finanziaria (risparmio) e di conseguenza anche gli asset reali in mano a pochi.

È stato appunto attraverso l’abbattimento di quelle che erano funzioni essenziali in fatto di protezione per i popoli, quali l’azione fiscale dei governi che consente loro di operare in modo anticiclico a livello di politiche economiche e la costruzione di unioni monetarie per rendere sempre più fissi i cambi tra le valute, che il mondo della finanza ha sovrastato quello dell’economia reale.

Questo ha creato terreno fertile per rendere la moneta sempre più scarsa per la maggioranza ed abbondante invece per i pochi eletti.

Allo stesso tempo una speculazione senza freni, in particolar modo operata nei settori vitali per la nostra vita, con giochetti finanziari diabolici, portava a compimento l’opera di totale distruzione della classe media, divenuta maggioranza nell’ultimo secolo proprio attraverso l’aver reso disponibile a tutti la moneta.

Riportata la moneta in poche mani, è chiaro come per chi ci comanda, sia giunto il momento di rendere questo stock non più espandibile, in modo da bloccare ogni tipo di ascesa nella scala sociale, proprio come era nel Medioevo.

Adesso vi starete chiedendo: cosa ne sarà del credito e se ci sarà ancora la possibilità di ottenere un prestito?

A quel punto tutto sarà nelle mani di coloro che di fatto sono e saranno i titolari esclusivi del risparmio.

Tolto di mezzo ogni tipo di creazione monetaria, quella in essere diverrà merce pregiata e chi la desidera la dovrà pagare, come si suol dire, a peso d’oro in termini di tasso.

In Italia, il “movimento Positive Money “è ancora poco conosciuto, anche perché il compito di portare avanti le idee del Potere nel nostro paese, lo sta già eseguendo in maniera più che ottimale il “nostro deep state”.

Dunque, al momento nel belpaese, il movimento Positive Money, in quanto ad ufficialità, come già scritto, pare affidarsi unicamente alle “chiacchere” di Conditi, che sulla pagina web di Moneta Positiva, non fa certo mistero di mostrare questa liaison strettissima.

Se guardiamo bene quello che sta avvenendo ormai da decadi nel nostro paese – storicamente da sempre centro dei poteri che guidano il mondo – non è difficile vedere come in Italia questo processo di togliere la moneta dalle mani della maggioranza sia già in stato avanzato rispetto al resto del globo.

A livello di spesa dei governi, si viaggia ormai all’interno di avanzi primari che sappiamo essere contabilmente una distruzione del nostro risparmio e per quanto riguarda il credito bancario, le nostre banche già da tempo hanno chiuso ai prestiti, persino di più di quanto avviene anche nei paesi dell’eurozona.

Il progetto in addivenire della moneta digitale di banca centrale (CDBC), anch’esso fa parte dello stesso piano ben ideato dai potentati.

La prospettiva di portare tutti i depositi dentro le banche centrali, attratti da una moneta con zero commissioni, è un attacco diretto che il Vero Potere, attraverso le banche centrali stesse, sta portando avanti contro le banche commerciali.

Un piano già iniziato con la forte spinta dall’alto verso le unioni bancarie con lo scopo di ridurne il numero ed eliminare quelle piccole realtà locali che tanto hanno contribuito in passato alla crescita e lo sviluppo del nostro paese, facendo appunto arrivare la moneta in ogni suo angolo.

Le stesse idee che Draghi sta portando avanti per quella che dovrebbe essere una nuova alba per l’Europa, non contemplano nella maniera più assoluta un ritorno alla centralità dei governi nella gestione della moneta, tornando liberi in quella che è la funzione di politica fiscale a loro costituzionalmente demandata.

Addirittura, le intenzioni sono quelle di accentrare maggiormente il controllo della moneta stessa, affidando sempre più l’azione distributiva ad enti centrali privi di legittimazione democratica, come appunto la commissione europea e la Bce.

La voglia di “Stati Uniti d’Europa” è sempre più presente e pressante!

I governi nazionali saranno sempre più istituzioni locali prive di ogni sovranità, costretti ad agire dentro il pareggio di bilancio, ovvero zero moneta in più per la gente, mentre i deficit saranno direttamente decisi ed opportunamente indirizzati da un manipolo di cooptati chiusi dentro le stanze di Bruxelles o chissà dove.

Come vedete, le cose a volte non sempre sono come appaiono, ed anche quando ascoltiamo le grida di qualcuno contro facili bersagli – con l’intento di abbatterli attraverso il proporre riforme radicali – dobbiamo capire bene come egli intende cambiare il sistema attuale, altrimenti si cade dalla padella nella brace!

Occhio alla Moneta Positiva!

(Megas Alexandros)

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