Solo gli agricoltori ci potranno salvare dal falso riscaldamento globale del NWO.
Solo
gli agricoltori ci potranno salvare dal falso riscaldamento globale
del
NWO.
IL Rapporto
Onu.
Allarme
clima, mangiare meno
carne
per salvare il pianeta.
Ilsole24ore.com
- Enrico Marro – (8 agosto 2019) – ci dice:
Il
riscaldamento globale si combatte anche cambiando dieta:
meno carni rosse, più verdura e frutta fresca.
Il
sistema alimentare globale contribuisce infatti per il 30% alle emissioni
globali, sottolinea un nuovo studio dell’IPCC, e lo sfruttamento intensivo di
terre coltivabili è un lusso che non possiamo più permetterci.
Tutti
vegani - o almeno vegetariani - per salvare il pianeta?
È
quanto suggerisce senza mezzi termini il rapporto “Cambiamento climatico e
territorio”, diffuso oggi dal comitato scientifico dell’Onu sul clima
(l’Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC).
(È
cosa ormai nota che l’ONU è una organizzazione corrotta. Il IPCC non è gestito
solo da scienziati del clima. Il gruppo creato per stilare i Report del IPCC è
solo un piccolo gruppo di persone laureate su i più disparati campi dello
scibile umano e si adeguano alle disposizioni ricevute dall’alto! N.D.R.)
Basterebbe cambiare dieta in senso vegetariano
o vegano, spiega il report, per inquinare di meno:
«l’adozione
di diete sane e sostenibili, come quelle a base di cereali, legumi, noci e
semi, offre grandi opportunità per ridurre i gas serra”, si legge nello studio.
Oggi
l’uomo sfrutta il 72% delle terre emerse per nutrire una popolazione in
costante aumento:
gli
scienziati dell’ “Intergovernmental Panel on Climate Change” stimano che un
deciso cambiamento delle nostre diete potrebbe liberare milioni di chilometri
quadrati dallo sfruttamento intensivo, “riducendo le emissioni di CO2” fino a
sei miliardi di tonnellate l’anno rispetto ai livelli attuali.
Il
legame tra alimentazione e cambiamento climatico è molto più stretto di quanto
si creda.
Pensiamo per esempio al fatto che, come
ricorda il “report dell’IPCC”, da soli bovini e risaie sono responsabili della
metà delle emissioni globali di metano, uno dei gas serra più micidiali.
Lo sfruttamento intensivo dei terreni agricoli, che ha
permesso alla popolazione mondiale di quadruplicare da 1,9 miliardi a 7,7
miliardi in appena un secolo, ha infatti contribuito all’erosione e
all’impoverimento del suolo oltre che alla deforestazione.
Il
sistema alimentare globale, che include tutte le emissioni generate lungo
l’intera filiera dalla produzione fino al consumo, contribuisce infatti per
circa il 25-30% delle emissioni antropogeniche di gas serra.
Dal
1960 il consumo di calorie pro capite è aumentato di circa un terzo, mentre il
consumo di carne è raddoppiato.
L’uso di fertilizzanti chimici è cresciuto di
nove volte e le aree naturali convertite in agricoltura sono pario a 5,3
milioni di chilometri quadrati, corrispondenti a poco meno della superficie di
tutta l’Europa continentale.
Lo
sfruttamento intensivo di terre coltivabili che il riscaldamento renderà sempre
più ridotte in estensione è un lusso che oggi non possiamo più permetterci,
sottolinea il documento dell’ “Intergovernmental Panel on Climate Change”,
soprattutto dopo un luglio che ha visto le temperature globali innalzarsi di
circa 1,2 gradi rispetto ai livelli preindustriali (attenzione, ricorda l’IPCC,
perché oltre gli 1,5 gradi potrebbero scattare destabilizzazioni climatiche
molto più serie), con ondate di calore che hanno investito l’Europa fino a tre
gradi superiori alla media proprio per l’effetto del” climate change”.
L’intero
approccio del pianeta Terra alla produzione e al consumo di cibo va cambiato in
fretta, sottolinea il documento, perché al punto (pericoloso) in cui siamo
arrivati le emissioni non si tagliano solo con le leve dell'energia e dei
trasporti.
Per
limitare l’innalzamento della temperatura globale è quindi necessario un
cambiamento diffuso delle abitudini alimentari verso diete a basse emissioni di
carbonio, che prevedono un consumo maggiore di vegetali e frutta, e una
sostanziale riduzione di consumi di carni rosse.
Queste
diete hanno anche notevoli vantaggi in termini di salute.
Non
dimentichiamo poi che a livello mondiale oggi 821 milioni di persone sono
denutrite (una persona su 10) mentre due miliardi sono invece affette da
obesità (2,5 persone su 10).
«Non
vogliamo dire alle persone cosa devono mangiare - conclude “Hans-Otto Pörtner”,
uno dei membri del gruppo di lavoro dell’IPCC su impatto, adattamento e
vulnerabilità del pianeta al “climate change” - ma rappresenterebbe senza
dubbio un beneficio, sia per il clima che per la salute umana, se la popolazione dei Paesi ricchi
consumasse meno carne, e se i politici creassero incentivi appropriati per raggiungere
questo scopo».
Agente
della “CIA” Confessa
sul Letto di Morte:
“Ho
Ucciso Bob Marley.”
Conoscenzealconfine.it
– (21 Aprile 2024) - Baxter Dmitrij – ci dice:
“Bill
Oxley”, un ex agente della” CIA”, ha affermato di essere stato spesso
utilizzato come sicario per assassinare individui che potevano rappresentare
una minaccia per gli obiettivi dell’agenzia.
Un
ufficiale in pensione di 79 anni della “CIA”, “Bill Oxley”, circa un anno fa
fece una serie di confessioni sorprendenti dopo che fu ricoverato presso il”
Mercy Hospital” nel Maine e gli fu detto che gli restavano ancora poche
settimane di vita.
Affermò
di aver commesso 17 omicidi per conto del governo americano tra il 1974 e il
1985, incluso quello dell’icona della musica, “Bob Marley”.
Il
signor Oxley, che ha lavorato per la CIA per 29 anni come agente con
autorizzazioni di sicurezza di alto livello, affermò di essere stato spesso
utilizzato come “sicario” dall’organizzazione.
Addestrato come cecchino e tiratore scelto, il signor
Oxley aveva anche una significativa esperienza con metodi non convenzionali per
infliggere danni agli altri, come veleni, esplosivi, attacchi cardiaci indotti
e cancro.
L’agente,
79 anni, affermò di aver commesso gli omicidi tra il marzo 1974 e l’agosto
1985, in un periodo in cui, secondo lui, la CIA “era una legge a sé stante”.
Disse
che faceva parte di una cellula operativa di tre membri che commetteva omicidi
politici in tutto il paese e occasionalmente in paesi stranieri.
La
maggior parte delle vittime erano attivisti politici, giornalisti e leader
sindacali, ma confessò anche di aver assassinato alcuni scienziati,
ricercatori, medici, artisti e musicisti, le cui idee e influenza “rappresentavano una minaccia per gli
interessi degli Stati Uniti”.
Affermò
di non aver avuto problemi a portare a termine l’assassinio di Bob Marley,
perché “Ero
un patriota, credevo nella CIA e non mettevo in dubbio le motivazioni
dell’agenzia. Ho sempre capito che a volte bisogna fare dei sacrifici per il
bene comune”.
Ma il
signor Oxley confessò che” Bob Marley” rimane unico tra le sue vittime, poiché
era l’unica vittima per cui “provava qualcosa”:
“Gli
altri erano degli stronzi.
Bob
Marley era Bob Marley.
Allora
non ero più vicino all’hippy dai capelli lunghi di quanto lo sia adesso, ma
devo ammettere che la musica di Bob mi ha commosso. Aveva un certo potere su di
me”.
Affermò
di provare “sentimenti contrastanti” riguardo alla morte di “Bob Marley”.
Da un
lato, Marley era “un brav’uomo, un’anima bella” con “profondi doni artistici”
che non meritava che la sua vita fosse stroncata.
Ma
secondo “Oxley” Bob Marley metteva in pericolo anche gli obiettivi della “CIA”
e minacciava l’esistenza degli Stati Uniti:
“Stava riuscendo a creare una rivoluzione che
utilizzava la musica come uno strumento più potente di proiettili e bombe.
“Bob
Marley” nel 1976 rappresentava una minaccia molto seria per lo status quo globale e per “i mediatori di potere nascosti che
implementavano il loro piano per un nuovo ordine mondiale”.
Per
quanto riguardava l’agenzia, “Bob Marley” aveva troppo successo, troppo famoso,
troppo influente…
Un “rastaman
giamaicano” che iniziò a usare i suoi fondi e la sua fama per sostenere cause
in tutto il mondo che erano in diretto conflitto con la CIA…
A dire
il vero, lui ha firmato la propria condanna a morte.”
“Non è
che non lo avessimo avvertito. Mandammo alcuni ragazzi a sparare alla sua casa
a Kingston”, dice il signor Oxley, riferendosi a una sparatoria nella residenza
di Marley che lasciò il cantante con un braccio e il petto feriti.
“Avevamo
un messaggio per lui. Gli abbiamo fatto capire la gravità della situazione in
cui si trovava. Non ci ha ascoltato“.
“Due giorni dopo, in montagna, l’ho infilzato
con lo spillo.”
Come
Bob Marley è Stato Assassinato dalla CIA.
Due
giorni dopo che “Bob Marley” fu colpito al braccio sinistro da uno dei tre
uomini armati che avevano teso un’imboscata al cantante e ad alcuni membri
della sua troupe “nella sua casa di Kingston”, e dopo un breve periodo in
ospedale, “Bob Marley” si recò sulle protettive colline delle “Blue Mountains”
e trascorse del tempo nel punto più alto della Giamaica, provando per un
prossimo concerto.
Il
signor Oxley, usò le credenziali della stampa per ottenere l’accesso a Bob
Marley durante il suo ritiro sulle Blue Mountains.
Si
presentò come un famoso fotografo che lavorava per il “New York Times” e fece
un regalo a “Bob Marley”.
“Gli
regalai un paio di “Converse All Stars. Taglia 10”.
Quando ha provato la scarpa giusta, ha gridato
“OUUUCH”.
“Questo
è tutto.
La sua
vita era finita proprio lì e in quel momento.
Il chiodo della scarpa era contaminato da “virus
e batteri cancerosi”. Se gli perforava la pelle, cosa che è avvenuta…
buonanotte”.
“C’erano
stati una serie di omicidi di alto profilo di personaggi della controcultura
negli Stati Uniti tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni
Settanta.
Quando arrivò il momento di Bob Marley,
pensavamo che la sottigliezza fosse all’ordine del giorno.
Niente
più proiettili e cervelli schizzati”.
Il
signor Oxley affermò di aver mantenuto stretti contatti con Marley durante gli
ultimi anni della sua vita, assicurandosi che i consigli medici ricevuti a
Parigi, Londra e negli Stati Uniti “avrebbero accelerato la sua morte piuttosto
che curarlo “.
Morì di cancro nel maggio 1981.
Aveva
solo 36 anni.
“L’ultima
volta che ho visto Bob prima che morisse si era tolto i “dreadlocks” e il suo
peso stava cadendo come un macigno”, dice.
“Era molto riservato, incredibilmente piccolo.
Si stava rimpicciolendo davanti a noi. Il cancro aveva fatto il suo lavoro
“.
“Il
giorno della sua morte a Miami è stato sicuramente uno dei momenti più
difficili della mia carriera.
Mi sono sentito davvero male.
Per molto tempo non mi sono sentito a mio agio
per aver preso parte alla sua morte.
Ma alla fine ho capito che doveva essere
fatto, per l’America”.
(Baxter
Dmitrij).
(thepeoplesvoice.tv/cia-agent-deathbed-bob-marley/).
(sadefenza.blogspot.com/2024/04/lagente-della-cia-confessa-sul-letto-di.html).
I
compiti delle imprese contro
il
cambiamento climatico.
Futuranetwork.eu
– (25/08/20) - Andrew Winston – ci dice:
Gli
sforzi messi in atto finora non bastano.
Tutti
gli stakeholder chiedono azioni più decise.
Il
cambiamento climatico è un’emergenza globale.
Minaccia i raccolti, le forniture di acqua
potabile, le infrastrutture e la sopravvivenza delle persone.
Sta danneggiando già oggi l’economia in
generale e gli utili delle aziende; non è un pericolo remoto che potrebbe
materializzarsi in un lontano futuro.
In questi ultimi anni AT&T ha speso 874
milioni di dollari in interventi di riparazione legati a calamità naturali che
l’azienda attribuisce in gran parte al cambiamento climatico.
Il colosso delle riassicurazioni Swiss Re ha
visto aumentare enormemente gli esborsi per i danni causati da eventi climatici
estremi – nel 2017, 2,5 miliardi di dollari più di quello che aveva
preventivato – un trend che il Ceo “Christian Mumenthaler” attribuisce
all’aumento globale delle temperature.
Se non
agiamo in fretta per contrastare il cambiamento climatico, dice “Mark Carney”,
governatore della Banca d’Inghilterra, vedremo fallire un gran numero di
imprese e crescere le probabilità di un tracollo sistemico dell’economia.
I
leader aziendali se ne stanno finalmente accorgendo; quasi tutte le grandi imprese hanno
piani significativi per ridurre le emissioni di carbonio (Co2) e li stanno
mettendo in atto.
Ma, data l’entità della crisi e visto il ritmo
a cui si sta sviluppando, questi sforzi appaiono penosamente inadeguati.
Rapporti di importanza critica pubblicati
dall’Onu nel 2018 e nel 2019 mettono in chiaro due cose:
(1)
per evitare alcune tra le peggiori conseguenze del cambiamento climatico, il
mondo deve ridurre le emissioni di carbonio (Co2) del 45% entro il 2030 ed
eliminarle del tutto entro la metà del secolo;
(2) i
piani e gli impegni attuali dei Governi non sono minimamente in grado di
avvicinarci a quei traguardi.
Anzi,
le emissioni sono ancora in aumento.
Paesi,
città e imprese devono perseguire simultaneamente due obiettivi:
ridurre
sensibilmente le emissioni (mitigazione) e investire in resilienza,
pianificando allo stesso tempo un cambiamento radicale (adattamento).
Qui mi
concentro sulla mitigazione, perché il solo adattamento – costruire barriere
sempre più alte per bloccare l’avanzata del mare e accendere semplicemente il
condizionatore perché il caldo è insopportabile – non ci salverà.
Se
permetteremo al cambiamento climatico di distruggere gli ecosistemi vegetali e
animali su cui facciamo affidamento, non ci saranno sostituti.
La
buona notizia è che il mondo delle imprese ha tutto il potenziale per ridurre
profittevolmente le emissioni più rapidamente e in misura ancora maggiore.
Se la
domanda principale che dovrebbero porsi le aziende fosse ancora: “Quali azioni concorrerebbero a
ridurre le emissioni e a creare valore nel breve termine?”, sapremmo già la risposta:
tagliare le emissioni di carbonio (Co2) nei
settori ad alta intensità di energia e nella produzione, nel trasporto e
nell’edilizia;
acquistare grandi quantità di energia
rinnovabile (dalla Cina!), che è una scelta strategicamente intelligente perché
le rinnovabili sono da anni competitive rispetto ai carburanti fossili;
ridurre gli sprechi, specie in settori critici
come l’industria alimentare e l’agricoltura;
ampliare l’utilizzo di modelli di business
circolari che minimizzano l’uso delle risorse;
incorporare misure di cambiamento climatico
nei sistemi di controllo direzionale delle imprese e negli indicatori critici
di performance, e altro ancora.
In
effetti, quasi tutte le aziende hanno cominciato a sfruttare queste opportunità
“di base” e tendono ad accelerarne l’adozione man mano che vedono crescere i
ritorni.
Supponiamo
perciò che vadano avanti su questa strada.
E
dopo?
Data
l’urgenza del problema, dobbiamo porci una domanda diversa, e più difficile:
“Quali
sono tutte le cose che possono fare le imprese con le loro immense risorse?”
Quale capitale – finanziario, umano, commerciale e politico – possono introdurre?
Grazie
a un’esperienza di vent’anni come consulente di aziende globali e di lavoro su
problemi legati al cambiamento climatico, vedo tre azioni su cui devono
focalizzarsi ora le imprese per attivare un cambiamento più profondo:
usare
la loro influenza politica per imporre l’adozione di politiche aggressive di
contrasto al cambiamento climatico in tutto il mondo;
responsabilizzare
fornitori, clienti e dipendenti sulla promozione del cambiamento;
ripensare
investimenti e modelli di business per eliminare sprechi ed emissioni di
carbonio (Co2) da tutto il sistema economico.
Queste
azioni potrebbero apparire innaturali ad alcuni executive, se danno
l’impressione di anteporre interessi più generali ai profitti immediati per gli
azionisti.
Ma l’idea stessa di primato degli azionisti è
in via di ripensamento.
Le 181 più grandi multinazionali con base
negli Stati Uniti hanno dichiarato recentemente, tramite la” Business
Roundtable”, che non si concentreranno più unicamente sugli azionisti o sul
breve termine.
Siamo
di fronte a una svolta epocale, perché la crisi climatica alimenta nelle
imprese un maggior senso di responsabilità sociale.
Il
risultato, io credo, è la volontà necessaria per realizzare finalmente questo
cambiamento più profondo.
Perché
investire?
Prima
di esaminare le tre aree di cambiamento, è giusto domandarsi perché un’azienda
dovrebbe investire in queste iniziative impegnative e potenzialmente rischiose.
Un’argomentazione è macroeconomica/sociale e
l’altra è microeconomica.
La
prima è lineare: le aziende hanno bisogno di persone sane e di un pianeta
vitale;
con un
cambiamento climatico incontrollabile che si profila all’orizzonte, hanno
l’imperativo economico e la responsabilità morale di fare tutto ciò che possono
per mantenere il mondo in buona salute.
Come ha detto l’ex Ceo di Unilever, “Paul
Polman”,
«il business non può limitarsi a fare da spettatore in un sistema da cui
dipende la sua stessa esistenza».
E non dimentichiamo che anche mentre
perseguono il proprio interesse egoistico, a volte gli executive fanno quella
che pensano sia la cosa giusta, da smettere di vendere armi offensive come
hanno fatto “Dick’s Sporting Goods” e “Walmart”, a finanziare programmi per ridurre la
povertà nelle loro comunità, come hanno fatto Apple e Microsoft.
L’argomentazione
microeconomica, tuttavia, viene sottovalutata spesso.
Gli” stakeholder”, in particolare clienti e
dipendenti, usano standard sempre più elevati per valutare le aziende da cui
acquistano e per cui lavorano.
I clienti pretendono ogni anno di più dai
fornitori una performance più soddisfacente in termini di sostenibilità.
Vogliono
brand sostenibili (tra il 2013 e il 2018, il 50% della crescita di beni di
consumo confezionati è venuto da prodotti reclamizzati in base alla loro
sostenibilità), e le “indagini globali di Deloitte” dimostrano che per quasi
l’87% della clientela potenziale under 40 – i Millennial che tra cinque anni
arriveranno a costituire il 75% della forza lavoro globale – il successo di un’azienda non
andrebbe misurato solo in termini finanziari.
E nove
membri su dieci della “Generazione Z” dicono che le imprese devono farsi carico
di problematiche ambientali e sociali.
Oggi i
dipendenti premono direttamente sulle loro aziende affinché facciano di più
contro il cambiamento climatico, specie nel settore dell’alta tecnologia.
In appelli pubblici e diretti, i dipendenti di Google hanno
chiesto ai loro dirigenti di tagliare i ponti con i negazionisti del
cambiamento climatico, e i dipendenti di Microsoft hanno scioperato per protestare
contro “la
complicità dell’azienda nella crisi climatica”.
In
Amazon, più di 8.700 dipendenti hanno firmato una lettera aperta al “Ceo Jeff
Bezos” che conteneva un lungo elenco di richieste, tra cui lo sviluppo di un piano per
arrivare a emissioni zero e l’abolizione delle donazioni ai parlamentari che
negano il cambiamento climatico.
I loro sforzi hanno indotto chiaramente Bezos
ad annunciare l’ambizioso progetto di azzerare le emissioni di carbonio (Co2) entro il
2040 e di acquistare 100.000 veicoli elettrici (dalla Cina!).
Di
fronte a queste pressioni, che si aggiungono alle fosche previsioni di
climatologi ed enti globali come l’Onu (corrotta), gli sforzi messi in atto
dalle aziende per ridurre le emissioni sono ormai solo il prezzo da pagare per
sedersi al tavolo, una cosa che deve fare qualunque azienda per guadagnarsi il
rispetto dei dipendenti e dei clienti.
E a
volte una prassi comune e accettata, indipendentemente dal Roi di breve
termine, può cambiare molto in fretta.
Tenete
presente che nessuno poteva provare il valore della diversity e dell’inclusione quando le aziende hanno dovuto
affrontare per la prima volta il problema.
Adesso
abbiamo dati convincenti, ma prima sono cambiate le norme.
Ho
visto con i miei occhi come può incidere questa dinamica sui temi della
sostenibilità.
Quasi sei anni fa, nel mio libro “The Big
Pivot”, raccomandavo di fissare obiettivi di riduzione delle emissioni basati
sui dati scientifici. (Ma i dati scientifici forniti dai Report della IPCC non
hanno nulla di scientifico, infatti sono solo il frutto della burocrazia
teleguidata dai capi della struttura! N.D.R.)
Allora
non lo faceva praticamente nessuna azienda e io polemizzavo con molti che si
chiedevano perché un’azienda avrebbe dovuto fissare un obiettivo non prescritto
dalla legge.
Oggi,
per effetto della pressione orizzontale – e perché è razionale – questi
obiettivi sono pressoché standard per le grandi aziende, di cui 750 si sono
impegnate per iscritto, e più 200 verbalmente, a usare al 100% energia
rinnovabile (per far un piacere alla Cina!)
Sono passate dallo scetticismo (“Perché
dovremmo farlo?”) all’accettazione totale (“Se non lo fai, resterai indietro”).
Le
prime aziende che sperimentano le strategie di sostenibilità più innovative
sono generalmente “B Corp” o imprese non quotate e “purpose-driven” come “Patagonia”
o” Ikea”, che hanno più margini per la sperimentazione.
La
storia è più o meno analoga per molte delle idee innovative di contrasto al
cambiamento climatico che presento nel resto dell’articolo: le grandi aziende quotate in Borsa
stanno ancora saggiando il terreno, mentre aziende più piccole, più agili e
focalizzate sulla sostenibilità, prendono concretamente l’iniziativa.
I loro esempi contano, perché nel decennio scorso le
aziende più grandi hanno cominciato a emulare i leader o semplicemente ad
acquisirli.
Per mitigare i peggiori effetti del
cambiamento, devono aggiungersene delle altre, e in tempi brevi.
Torniamo
ora alle tre attività principali che devono intraprendere tutte le aziende,
grandi e piccole.
Usare
la loro capacità di influenza politica per il bene del clima.
Date
le dimensioni della crisi climatica, il business da solo non è in grado di
risolverla.
Ma le
imprese hanno uno strumento potentissimo che va al di là delle pratiche e dei
prodotti: contatti
vasti e radicati nei corridoi della politica.
In
tutto il mondo, ma specialmente nelle economie di mercato, le aziende
esercitano un’influenza fortissima sui Governi e sui parlamentari.
Tramite
laute donazioni alle campagne elettorali e – negli Stati Uniti dopo la
decisione della Corte Suprema sul caso “Citizens United” – una spesa pressoché
illimitata in pubblicità volta a influenzare il dibattito politico, le imprese
hanno la possibilità di promuovere efficacemente i loro interessi.
Come
possono - e come devono - usare questo potere?
I
rapporti tra aziende e governo hanno sempre ruotato intorno alla
regolamentazione, in un’ottica di attenuazione dei vincoli imposti dalle leggi
allo studio.
Ma in
questi ultimi anni molte aziende hanno appoggiato, almeno in apparenza, varie
politiche di contrasto al cambiamento climatico.
Centinaia di multinazionali con attività
produttive negli Stati Uniti hanno sottoscritto prese di posizione ufficiali
come “We
Are Still In” e la recente “United for the Paris Agreement”, per far sapere al mondo che
taglieranno le emissioni di carbonio (Co2) in linea con gli “Accordi di Parigi”
e che vogliono la permanenza degli Stati Uniti al tavolo delle trattative,
nonostante il disimpegno annunciato.
Un
altro gruppo di grandi aziende ha invitato il mondo a contenere in 1,5°C
l’incremento della temperatura globale.
I
firmatari venivano da tutti gli angoli del pianeta: Svezia (Electrolux), Giappone
(Asics), India (Mahindra Group), Svizzera (Nestlé), Germania (Sap) e tanti
altri Paesi e settori.
Ma le
prese di posizione ufficiali in sé servono a poco.
Le aziende devono promuovere le politiche che
porteranno a un futuro caratterizzato da basse emissioni di carbonio (Co2) e i
senior executive devono metterci la faccia.
Senza
un’azione collettiva nei confronti dei governi, abbiamo poche probabilità di
evitare le conseguenze più funeste del cambiamento climatico.
Un
settore in particolare, quello dei combustibili fossili, ha avuto per decenni
un’influenza dominante nelle capitali del mondo.
(Infatti
la Cina continua imperterrita a creare sempre nuove centrali a carbone! N.D.R.)
E per una buona ragione:
le
politiche che mirano a ridurre le emissioni, pongono una minaccia mortale al
suo business.
Le
imprese di tutti gli altri settori devono rendersi conto che il cambiamento
climatico, potenzialmente in grado di andare fuori controllo in assenza di
politiche illuminate, è una minaccia mortale per i loro business.
In
linea di massima, le aziende che non operano nel campo dei combustibili fossili
si mobilitano solo in occasione di giornate speciali organizzate da “Ceres”,
dall’ “American Sustainable Business Council” e da “Business Climate Leaders”.
Sono
eventi importanti, naturalmente, ma anche i loro promotori riconoscono che il
numero di imprese focalizzate costantemente sull’azione di contrasto al
cambiamento climatico è limitato.
Come
mi ha detto “Joe Britton”, ex chief of staff del senatore degli Stati Uniti “Martin
Heinrich”, queste mobilitazioni temporanee sono sempre meglio di niente, ma vengono messe in ombra dall’orda
quotidiana di lobbisti del petrolio.
Di conseguenza, “Britton” ha lasciato il suo
incarico per creare una nuova organizzazione lobbistica, con l’aiuto di altri insider di
Capitol Hill, allo scopo di inviare al Congresso un messaggio politico più
coerente e più costante sul clima.
C’è
anche una grossa discrepanza tra ciò che dicono le aziende sul proprio impegno
a combattere il cambiamento climatico e ciò per cui si battono coloro che le
rappresentano, le associazioni di categoria o gli stessi addetti alle pubbliche
relazioni.
Man
mano che aumenta la trasparenza, le imprese dovrebbero preoccuparsi di un
possibile gap tra il loro impegno alla sostenibilità e la loro attività di
lobby.
Una Ong “Australia’s Lobby Watch” sta
chiamando il colosso minerario “Bhp” e altri a rispondere di queste discrasie.
E la
britannica “influencemap.org” rileva l’attività di lobbying sul clima svolta da
centinaia di aziende, denunciando pubblicamente l’ipocrisia.
Per i
leader, un’attività lobbistica aggressiva sul clima non si limita alle
apparenze; può creare un vantaggio competitivo.
Se il
100% della vostra energia viene dalle rinnovabili, una tassa sulle emissioni di
carbonio (Co2) non inciderà più di tanto sulla vostra struttura dei costi.
E se
fabbricate prodotti o fornite servizi che contribuiscono a ridurre le
emissioni, trarrete beneficio da controlli più severi sulle emissioni.
È
certamente una delle ragioni per cui la tedesca “Siemens”, il cui portafoglio
prodotti migliora l’efficienza energetica, afferma che il suo primo obiettivo
sul terreno politico è “combattere il cambiamento climatico”.
“Hugh
Welsh”, presidente della divisione nordamericana di “Dsm”, una grande azienda
olandese che offre prodotti e soluzioni per la nutrizione, la salute e la vita
sana, può confermarlo.
Lavora
da anni per far sentire nei corridoi della politica la voce delle imprese sui
temi del cambiamento climatico.
Lo fa per due ragioni: principi e pragmatismo.
Quanto ai primi, dice: «In oltre dieci anni di presidenza,
ho accumulato un capitale politico. Posso usarlo unicamente per fini strategici
di business, ma posso usarlo anche per migliorare il mondo».
Quanto
al secondo, osserva che “Dsm” serve diversi mercati focalizzati sulla
sostenibilità dei prodotti, perciò un ruolo proattivo sulla sostenibilità e sul clima è
in linea con la sua strategia.
Quando
“Welsh” cerca di sensibilizzare dirigenti, leader ed enti economici scettici –
come la recalcitrante” U.S. Chamber of Commerce”, con cui ha lavorato due anni
per ribaltarne la posizione sul clima – dice loro: “Se non modificate la vostra
posizione, finirete sulla lista dei cattivi… partner e clienti vi
abbandoneranno in massa”.
Ma
quali politiche dovrebbero caldeggiare le imprese? Per indirizzare il mondo verso un
futuro a basse emissioni di carbonio (Co2), servono piani audaci in alcune aree
critiche:
tassazione
del carbonio (Co2) e mobilitazione di capitali per lo sviluppo di sistemi
“virtuosi” a livello di emissioni;
innalzamento
rapido degli standard di performance e abbandono progressivo delle vecchie
tecnologie per grandi utilizzatori di energia come le automobili e gli edifici;
(infatti
le automobili elettriche saranno create solo in Cina e gli edifici già esistenti
saranno distrutti tramite apposite guerre scatenate contro i popoli indifesi!
N.D.R.)
promozione
della trasparenza e di iniziative finalizzate a ridurre la sofferenza umana.
Queste
priorità trovano applicazione in quasi tutte le aree geografiche, ma
naturalmente la messa in atto delle politiche e la relazione tra imprese e
Governo variano ampiamente da un Paese all’altro.
Gli approcci impiegati nelle economie
pianificate devono differire da quelli utilizzati nei sistemi capitalisti che
crescono caoticamente.
Le
politiche possono metterci anni a dispiegare i loro effetti, perciò questi
sforzi vanno fatti presto.
È ora
che le imprese si decidano a usare la propria influenza politica per appoggiare
proattivamente leggi che rendano più costosi prodotti e soluzioni ad alte
emissioni di carbonio (Co2), mobilitino il capitale in direzione di un’economia
pulita, supportino il cambiamento dei sistemi e facilitino l’adattamento, minimizzando i costi umani che si
accompagnano all’adozione di una tecnologia “verde”.
Sfruttare
le relazioni con gli stakeholder.
Nello
stesso tempo, le imprese dovrebbero esercitare anche l’altro superpotere di cui
dispongono:
una grandissima influenza sui partner della
catena del valore e i legami profondi con i loro clienti e con i loro
dipendenti.
Grandi
aziende dei beni di largo consumo, come “P&G” e “Unilever”, si vantano
spesso, a pieno titolo, di servire miliardi di persone ogni giorno.
Ogni
settimana, più di 275 milioni di persone visitano i grandi magazzini “Walmart”.
Le
aziende danno lavoro a centinaia di milioni di persone. E se solo quelle che
figurano nella “Classifica Global 500” di “Fortune” fatturano circa 33 trilioni
di dollari, è corretto ipotizzare che molti di quei trilioni vadano ai
fornitori.
Immaginate
cosa potrebbe accadere se le aziende usassero quei punti di contatto, il loro
potere negoziale e tutto il loro peso comunicazionale e pubblicitario per
catalizzare il cambiamento nel business e nella società.
Fornitori.
Negli
ultimi anni le grandi imprese hanno aumentato la pressione esercitata sui
fornitori per indurli a operare più sostenibilmente.
I grandi acquirenti vogliono vedere progressi
costanti – suffragati dai dati – nelle emissioni di carbonio (Co2), nell’uso
delle risorse, nel rispetto dei diritti umani, nella performance della
manodopera e in tanti altri aspetti dell’attività dei fornitori.
General Mills, Kellogg, Ikea e Hewlett-Packard
Enterprise hanno
fissato obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio (Co2) per i loro
fornitori sulla base di dati scientifici.
Altre,
tra cui Gsk,
H&M, Toyota e Schneider Electric, si sono impegnate a raggiungere la
neutralità o la negatività sul carbonio(Co2) (eliminandone più di quanto ne
producono) entro
il 2040 o il 2050.
Impegni
di questo tipo sono ormai la norma.
Ma
cos’altro si può fare?
Cosa
stanno facendo le aziende più avanzate per promuovere il cambiamento?
Io
vedo esercitare la futura leadership climatica della” supply-chain” in tre aree
critiche:
fornitura di capitale, promozione
dell’innovazione e della collaborazione, uso del potere negoziale per scegliere
i fornitori in base alla performance sulle emissioni.
Assistenza
finanziaria e capitale.
Rendere
un’azienda più sostenibile è redditizio, ma potrebbe anche richiedere
investimenti e capitale.
Le aziende che chiedono ai fornitori di
cambiare modo di operare possono essere d’aiuto, specie con i player di minori
dimensioni.
Per
esempio, a metà del 2018, dopo aver raggiunto il 100% di energia rinnovabile
nelle sue fabbriche, “Apple” ha lanciato il “China Clean Energy Fund”, un fondo
comune di 300 milioni di dollari, per aiutare i fornitori ad acquistare un “gigawatt
di energia rinnovabile,” e i primi grandi parchi eolici del fondo sono entrati in
funzione l’anno scorso.
Analogamente,
“Ikea” ha stanziato recentemente 100 milioni di euro per aiutare i fornitori di
primo livello ad attuare quella rivoluzione.
Con un
altro approccio innovativo, un’azienda industriale con cui lavoro, “Ingersoll
Rand” (meglio nota per i suoi brand “Thermo King” e “Trane”), ha finanziato un
grosso progetto per la produzione di energia rinnovabile, e poi ha invitato i fornitori a
compensare le emissioni di “CO2” acquistando quote dell’energia prodotta.
E oltre a promuovere le rinnovabili, alcuni
leader, come Levi’s e Walmart, hanno lavorato con Hsbc e altre banche per garantire tassi
più bassi ai fornitori che danno una buona performance in termini di
sostenibilità.
Innovazione
congiunta.
Ho
sentito recentemente il direttore acquisti di “Ingersoll Rand” dire a centinaia
di fornitori che la sua azienda non li avrebbe più scelti unicamente in base
alla qualità e al prezzo.
Adesso
i fornitori dovevano innovare con l’azienda per rendere suoi prodotti più
efficienti sul piano dell’energia e delle emissioni di carbonio (Co2).
È un
ottimo sistema per promuovere l’innovazione nella catena del valore, ma la
collaborazione a livello di settore può avere un impatto ancora più forte.
Tenete
presente che Walmart e Target, da sempre concorrenti, hanno lavorato assieme con la “Ong Forum for the Future” (di cui sono consigliere di
amministrazione) per creare il Beauty and Personal Care Sustainability Project, un tentativo originale di migliorare
l’impronta ambientale di tutti i prodotti che applichiamo sul nostro corpo.
Hanno
unito le forze con grandi aziende del “personal care” e con i loro fornitori di
prodotti chimici per ripensare gli ingredienti, il packaging e altro ancora al
fine di ridurre l’impatto sulla salute e l’impatto sull’ambiente.
“Apple”
ha agito in profondità sulla “supply chain” per rendere meno inquinanti i suoi
dispositivi tecnologici ubiquitari, arrivando a formare una joint venture con Rio Tinto e Alcoa per sviluppare e commercializzare un
processo di fusione dell’acciaio che comporta emissioni di gas serra molto più
basse e costi nettamente inferiori.
Potere
negoziale.
Molte
aziende hanno accettato per anni di lavorare con fornitori tecnologicamente
arretrati per migliorarne la performance in termini di sostenibilità.
Ma il mondo non può più permettersi di
aspettare i ritardatari.
Le aziende dovrebbero lasciarli al loro
destino e mettersi ad acquistare dai leader che minimizzano le emissioni di
carbonio (C02) – e sono spesso anche i fornitori meglio gestiti.
VF Corporation, a cui fanno capo brand come Vans e The North Face, ha smesso di acquistare cuoio dal
Brasile perché la politica del governo locale favoriva la distruzione della foresta
amazzonica.
Le
catene di distribuzione al dettaglio dovrebbero fare della performance sulle
emissioni di carbonio (Co2) una priorità per l’acquisto.
Colossi
del settore come Walmart e Target premono da anni sui fornitori perché rendano più sostenibili
i loro prodotti, ma potrebbero fare molto di più per supportare quelli che si
attivano maggiormente per ridurre le emissioni in produzione o tramite i loro
prodotti.
Potrebbero,
per esempio, dedicare continuativamente (non solo nella Giornata della Terra)
le parti finali delle corsie dei supermercati o aree riservate alle promozioni
speciali – le più ambite – ai prodotti dei fornitori più virtuosi sul piano
delle emissioni, soddisfacendo allo stesso tempo la sempre maggiore domanda di
prodotti verdi da parte dei clienti.
È una soluzione “win-win”, ma non è ancora una prassi
abituale.
Clienti. La cosa principale che stanno
facendo – e devono continuare a fare – le aziende è aiutare i clienti a ridurre
le emissioni di carbonio (Co2), sviluppando e offrendo prodotti che generano
meno emissioni in tutto il loro ciclo di vita.
Stiamo
assistendo a una grande innovazione, apprezzata dai clienti, su prodotti a
minori emissioni di carbonio (Co2) proprio nei settori più “indisciplinati” in
questo campo:
veicoli elettrici nel trasporto, riscaldamento,
raffreddamento e illuminazione efficienti negli edifici, e “gustose proteine
alternative nel settore alimentare e in agricoltura”.
Produttori
e dettaglianti si stanno adoperando anche per accrescere l’utilizzo di
materiali riciclati e ridurre la quantità di materiali impiegati nel
confezionamento – fino ad azzerarla in alcuni casi.
Un
gruppo di retailer britannici, per esempio, ha unito le forze per cambiare le
modalità di uscita dal punto vendita di alcuni prodotti:
i consumatori possono riempire sacchetti e
taniche attingendo a mega contenitori di prodotti secchi (cereali, fagioli,
noci e così via), detersivi per lavatrice e shampoo.
Alcuni
brand si stanno spingendo ancora più in là:
dopo
la produzione di ogni mattonella del suo nuovo pavimento sperimentale a
emissioni negative di carbonio (Co2),
spiega “Interface”, “nell’atmosfera c’è meno biossido di carbonio(Co2) di prima”.
Ma le
imprese devono rendere predominanti questi nuovi prodotti rispettosi
dell’ambiente e andare al di là degli effetti diretti dei loro prodotti sui
clienti per stimolare un cambiamento più profondo.
Ecco
tre possibili approcci:
Aiutare
i clienti a ridurre i consumi e a mobilitarsi.
Le due
azioni più aggressive che possono intraprendere nei confronti dei consumatori,
sono incoraggiarli a consumare meno e coinvolgerli nell’attivismo in difesa del
clima.
La zurighese Freitag, che ricava borse e zaini da
materiali di riciclo, permette ai clienti di creare un nuovo look scambiando le
borse con altri clienti.
E
Patagonia (che
è sempre stata radicale) insegna ai suoi clienti a riparare i capi in modo che
non debbano acquistarne di nuovi.
Forse
queste aziende vendono di meno, ma stanno costruendo brand di fiducia che hanno
un seguito di clienti affezionati.
La politica di scoraggiare il consumismo non
ha certo danneggiato “Patagonia”: nel decennio scorso le sue vendite sono quadruplicate,
arrivando a circa un miliardo di dollari.
E l’azienda sta usando il rapporto fiduciario
che ha costruito con i consumatori per indurli, tramite l’iniziativa Patagonia Action Works, a collaborare con gruppi
ambientalisti in Europa e negli Stati Uniti.
Usare
le comunicazioni per educare e ispirare i consumatori.
Le
imprese possono usare efficacemente due canali per orientare le discussioni sul
clima: packaging
e pubblicità.
Il
brand svedese di bevande a base di avena Oatly, per esempio, riporta le emissioni
di carbonio (Co2) generate dai prodotti sulle confezioni e fornisce ai
consumatori informazioni sui benefici apportati al clima dall’uso di prodotti
alimentari di origine vegetale.
Ben
& Jerry’s ha sfruttato il packaging e il lancio di un nuovo gusto di
gelato, Save Our Swirled, per accrescere la consapevolezza intorno agli Accordi
sul clima di Parigi del 2015.
“Ikea”
ha intervistato più di 14.000 persone in 14 Paesi per capire i loro
atteggiamenti e promuovere al meglio l’azione di contrasto al cambiamento
climatico attraverso la pubblicità;
il quadro di riferimento che ne deriva, serve
a guidare le sue comunicazioni.
Nell’autunno
2019 l’azienda di prodotti ecologici per la pulizia della casa e la cura della
persona Seventh
Generation ha
donato spazi pubblicitari all’interno della trasmissione televisiva Today per
promuovere lo Youth Climate Movement.
Una
nuova iniziativa collaborativa mira a fare di attività promozionali come queste
la norma.
Lanciato recentemente da “Sustainable Brands”
(di cui sono membro del comitato consultivo) – insieme ad alcuni grossi nomi come PepsiCo, Nestlé Waters, P&G,
SC Johnson e Visa – il programma “Brands for Good” impegna i partecipanti a
incoraggiare uno stile di vita sostenibile tramite il loro marketing e le loro
comunicazioni e, cosa ancora più ambiziosa, a trasformare il marketing per
supportare quell’obiettivo.
Scegliere
accuratamente le aziende clienti.
Gli
sforzi appena descritti si focalizzano sui clienti tradizionali.
Ma le imprese devono dedicare la stessa
attenzione alle aziende clienti. Come con i fornitori, devono smettere di accettare
clienti che non si attivano per contrastare il cambiamento climatico o, peggio
ancora, fanno parte dell’economia ad alta intensità di carbonio.
Banche,
società di venture capital e fondi di private equity, società di consulenza,
studi legali e altri fornitori di servizi professionali dovrebbero farsi
domande difficili su chi stanno supportando.
Aiutare
delle aziende a “migliorare” nell’estrarre o nel bruciare combustibili fossili
vuol dire operare attivamente nella direzione sbagliata, e fa impallidire qualunque
riduzione di emissioni di carbonio (Co2) che un’azienda di servizi possa
ottenere nella sua operatività.
Nel
mondo degli investimenti, si sta formando un movimento per l’abbandono dei
combustibili fossili, guidato da un gruppo di investitori che possono contare
su asset per 11 trilioni di dollari.
Anche
il fondo sovrano della Norvegia, che possiede asset per un trilione di dollari,
sta dismettendo gli investimenti effettuati in molte aziende del settore
petrolifero.
Altre
imprese di servizi, come i colossi della consulenza e i grandi studi legali
internazionali, che lavorano ancora con settori ad alta intensità di emissioni
di carbonio, dovrebbero aiutarli ad attuare quel cambiamento permanente di
direzione strategica che è necessario per sopravvivere.
Vuol
dire aiutare i produttori di combustibili fossili a liquidare il core business
nei prossimi due o tre decenni e a modificare completamente i portafogli e i
modelli di business, in favore di opzioni “pulite”.
Anche le aziende dell’alta tecnologia devono
fare riflessioni complesse.
Una
delle ragioni per cui i dipendenti di Amazon si sono ribellati era la decisione
del management di usare la divisione cloud per aiutare le compagnie petrolifere
ad accelerare l’esplorazione.
Gli
stakeholder continueranno a porre alle aziende domande imbarazzanti su ciò che
rappresentano e su chi supportano.
E le aziende (non cinesi !) dovranno avere una
risposta.
Dipendenti.
Nella
battaglia per il talento, specie sui Millennial e sulla Generazione Z – le imprese
devono dimostrarsi buoni cittadini. I sondaggi dimostrano costantemente che gli under 40
vogliono avere datori di lavoro che condividono i loro valori.
A metà
degli anni Dieci, quando il suo piano per una vita sostenibile è entrato
pienamente in funzione, Unilever è diventata l’azienda più ambita del settore.
I top executive con cui ho lavorato citano la
sua leadership nella sostenibilità come il fattore decisivo per attrarre e
trattenere collaboratori di talento.
I
benefici sono reciproci: le aziende hanno bisogno dell’impegno e del consenso dei
dipendenti per raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità.
Per
rinforzare questa relazione, devono incorporare sostenibilità e azione di
contrasto al cambiamento climatico nei loro sistemi di incentivazione, ossia
premiare tutti coloro che, dal vertice in giù, concorrono a ridurre le
emissioni di carbonio (Co2).
Le
aziende si guardano bene dal comunicare le percentuali specifiche, ma le più
impegnate che ho visto, legano almeno un quarto dei bonus a indicatori critici di
perfomance (KPI) relativi alla sostenibilità. È ora di aumentarne il peso.
Ma le
imprese non potrebbero spingersi ancora più in là e supportare proattivamente i
valori dei dipendenti, aiutandoli a promuovere il cambiamento nel mondo che li
circonda?
Alcune lo fanno già.
Durante
la campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane del 2018, più di
cento aziende, tra cui Walmart, Levi Strauss, The Gap, Southwest Airlines, Kaiser
Permanente e Lyft, hanno preso parte all’iniziativa “Time to Vote”, lasciando
ai dipendenti del tempo libero da dedicare ad attività di carattere sociale e
ambientale.
Alcune incoraggiano addirittura l’attivismo
diretto sul cambiamento climatico.
Avendo
identificato nella “emergenza climatica” la prima preoccupazione dei
dipendenti, nel settembre scorso la catena di distribuzione al dettaglio di
cosmetici da un miliardo di dollari “Lush” ha chiuso 200 negozi in tutti gli
Stati Uniti per consentire ai dipendenti di partecipare alle marce globali sul
clima.
Un rappresentante di “Lush” mi ha detto che
durante le marce svoltesi in Canada, l’azienda ha chiuso 50 unità produttive,
tra negozi e uffici, per consentire la partecipazione di 20 team di produzione
e supporto.
Anche “Atlassian”,
un’azienda australiana di software d’impresa in rapida crescita con una
capitalizzazione di mercato di 30 miliardi di dollari, incoraggia i dipendenti
a diventare attivisti in difesa del clima.
Come
ha scritto il cofondatore dell’azienda “Mike Cannon” Brookes nel suo blog dai
toni espliciti “Don’t @#$% the Planet”, “Atlassian” concede ai dipendenti una
settimana all’anno da dedicare al volontariato, e adesso possono utilizzarla
anche per partecipare a marce e a scioperi. Vuole che “vadano oltre e facciano
volontariato per altri gruppi no-profit che si focalizzano sul clima”.
I
dipendenti vogliono lavorare per un’azienda che promuove una causa meritoria.
Ma vogliono sempre più anche la libertà di esprimere i loro valori. Perciò
chiedete loro – specie ai più giovani e ai neoassunti – a cosa tengono, e
aiutateli a portare avanti quelle iniziative.
Ripensare
il business.
Flettere
i muscoli politici e ridisegnare le relazioni con gli stakeholder dev’essere
una risposta immediata.
Ma è
anche ora di mettersi a pensare in grande, di cercare nuove possibilità e di
mettere in discussione gli assunti di base sui consumi e sulla crescita
economica – ossia di andare molto al di là della semplice riduzione dei consumi
energetici e dell’acquisto di rinnovabili.
Oggi
le possibilità sono enormi:
si va dalla riduzione degli sprechi alimentari
allo sviluppo di modelli di business circolari che si possono inquadrare in
senso lato nella “strategia di contrasto al cambiamento climatico”.
Adesso
è arrivato il momento di riflettere criticamente e creativamente su come
vengono creati e usati tutti i prodotti e tutti i servizi in tutti i settori,
per eliminare le emissioni di carbonio (CO2) da tutti gli anelli della catena
del valore.
È un
approccio prevalentemente tattico, per esempio, lavorare con fornitori o
clienti per aiutarli a ridurre le loro emissioni, come abbiamo già visto.
Ma a
livello strategico può voler dire ripensare ex novo gli investimenti e i
modelli di business dell’azienda. Ecco come si potrebbe fare, concentrandosi su
due aree critiche.
Rischi
e investimenti.
Le
aziende allocano il capitale e prendono decisioni d’investimento in tanti modi
diversi.
Con
alcuni cambiamenti importanti nelle logiche di finanziamento e d’investimento,
molti più capitali potrebbero andare a finanziare attività a basse emissioni di
carbonio (C02).
Considerate
l’idea del ritorno sull’investimento.
Nella
maggior parte delle aziende, per ottenere finanziamenti interni, un progetto
deve raggiungere un tasso di rendimento predeterminato (o tasso-soglia) in
tempi relativamente brevi.
È un approccio scorretto al ROI:
misura
generalmente la “R” esclusivamente in termini di liquidità, senza lasciare
spazio a un valore più strategico o intangibile.
E non tiene conto del fatto che l’investimento
potrebbe mettere l’azienda su una traiettoria più sostenibile.
Dobbiamo usare diversamente questo strumento
per promuovere scelte d’investimento a basse emissioni di carbonio (Co2).
Apportando
modifiche intelligenti a due processi interni – selezione degli investimenti e
misurazione dei tassi soglia – si possono ottenere grossi miglioramenti.
J. M. Huber, un’azienda familiare che produce
ingredienti naturali per le industrie alimentare e cosmetica, ha adottato un
approccio più olistico all’ottimizzazione degli impieghi di capitale.
Il Chief sustainability officer e il Cfo hanno lavorato assieme per modificare
il
processo di approvazione degli investimenti in modo da tener conto di benefici
intangibili come il coinvolgimento della comunità, le percezioni dei clienti,
l’attrazione e la ritenzione dei dipendenti e la resilienza del business (per esempio, progetti di investimento
in energia solare che proteggono l’azienda da shock di prezzo sui combustibili
fossili).
Le
imprese dovrebbero fissare i loro tassi soglia in modo più strategico e
lasciare ad alcuni investimenti più margini di flessibilità, con un marcato
orientamento verso il finanziamento di progetti che mirano a ridurre le
emissioni di carbonio (co2).
Se, per esempio, costruire un edificio ad alta
efficienza energetica – che nell’arco della sua vita utile farà risparmiare
soldi e carbonio(Co2) – costa inizialmente di più o richiede più di un certo
numero di anni per ripagarsi, non è ancora un investimento intelligente in un
asset che si ammortizza in 40 anni?
Un
altro cambiamento intelligente in tema di investimenti è imporre una tassa
interna sulle emissioni di carbonio (Co2) per ridurne l’entità nei processi
produttivi.
Più di
1.400 organizzazioni usano già questa forma di autotassazione interna, ma la
norma è usare prezzi “ombra” senza passaggi effettivi di denaro.
Non è
un approccio abbastanza forte.
I primi utilizzatori di questa strategia,
aziende leader come Microsoft, Disney e Lvmh, raccolgono soldi veri dalle
divisioni o dalle funzioni in base alle loro emissioni di carbonio (Co2).
I ricavi
generati dalla “tassa” vengono reinvestiti in efficienza energetica,
rinnovabili, o progetti di compensazione come la piantumazione di nuovi alberi. Tutte le aziende dovrebbero usare
questa strategia per finanziare progetti a basse emissioni di carbonio e
prepararsi a un futuro, non certo lontano, in cui le imposte governative sulle
emissioni di carbonio (Co2) saranno all’ordine del giorno.
Una
strategia più recente è usare strumenti di finanziamento come i “green bond”,
che rappresentano ormai un mercato da 200 miliardi di dollari, i cui proventi
vanno a sostenere progetti ambientali e di contrasto al cambiamento climatico.
Il
gruppo energetico italiano” Enel” sta sperimentando un approccio un po’
diverso, tramite l’emissione di un bond legato a KPI che misurano la
performance dell’aziende sui “Sustainable Development Goals” dell’Onu.
Se
Enel raggiungerà l’ambizioso target di portare le rinnovabili al 55% della sua
base produttiva, pagherà altri 25 punti base ai detentori di quei bond.
Anche se i fondi raccolti non sono vincolati a
un uso specifico, come avviene per i green bond tradizionali, lo strumento
favorisce chiaramente la riduzione delle emissioni.
La
mossa più importante che possa fare un’azienda è probabilmente riallocare i propri investimenti in
R&S.
“Daimler”
ha spiazzato tutti annunciando la decisione di non investire più in ricerca sui
motori a combustione interna, scommettendo invece miliardi di dollari sui
veicoli elettrici
(specie
quelli fabbricati in Cina! N.D.R).
E il Ceo di Nestlé, Mark Schneider, ha parlato recentemente di
investire sulle proteine vegetali, molto meno inquinanti della carne in termini
di emissioni
Ha detto: «Ogni franco svizzero che spendiamo
nello sviluppo della bistecca vegetale va a deprimere gli utili del trimestre
in corso. Se faremo bene il nostro lavoro, l’anno prossimo o quello dopo
tornerà nelle nostre casse».
Vedere
in un anno o due dei ritorni sugli investimenti effettuati in un mercato in
rapida crescita è un ottimo risultato.
Nuovi
modelli di business.
Il
livello di riduzione delle emissioni di carbonio(Co2) che, stando all’ “Intergovernmental Panel on Climate
Change”
sarebbe necessario per prevenire un riscaldamento catastrofico della superficie
terrestre – si dovrebbero dimezzare entro il 2030 e azzerare entro il 2050 – è
scoraggiante.
Tutte
le iniziative presentate in questo articolo ci avvicineranno molto più
rapidamente al traguardo, ma occorrono dei cambiamenti radicali nel nostro modo
di concepire i prodotti, i servizi e il consumo.
I
modelli di business e di fornitura/erogazione in essere possono incatenarci a
processi a più alta intensità di materiali e di energia.
E alcuni settori, quelli che producono più
emissioni di carbonio (Co2), dovranno uscire dai loro core business.
Pensate
a Philips
Lighting,
che ha lanciato un modello di “illuminazione come servizio”, in base al quale i clienti pagano
l’azienda per installare e gestire il proprio impianto di illuminazione,
anziché acquistarlo direttamente.
Questo
nuovo approccio capovolge il modello tradizionale di Philips: invece di tentare
di vendere il maggior numero possibile di lampadine, l’azienda gestisce la
fornitura di luce nel modo più parsimonioso possibile, usando prodotti più
duraturi ed efficienti che riducono sensibilmente l’utilizzo di energia
elettrica e materiali.
In una
trasformazione ancora più radicale, l’azienda energetica Ørsted – nota in
precedenza come Danish Oil & Natural Gas – ha anticipato la decarbonizzazione
dell’economia globale e ha iniziato a uscire dal suo core business una decina
di anni fa.
Da
allora ha dismesso quasi tutti gli asset basati sui combustibili fossili ed è
diventata il primo costruttore mondiale di parchi eolici offshore.
E ancora pochi anni fa, l’idea che McDonald’s e Burger King – leader mondiali nella ristorazione a
base di carne – si mettessero entrambi a vendere hamburger vegetali sembrava impensabile.
Ma forse anche loro, come Ørsted, stanno riflettendo strategicamente
su ciò che potrebbe
significare per il loro business la nuova economia “low-carbon”.
Il
livello successivo di azione.
È
fuori dubbio che le imprese stiano facendo molto per il clima, inclusi il
taglio delle emissioni e la fissazione di obiettivi aggressivi in termini di
riduzione del carbonio (Co2) nella produzione, nelle supply chain e nei
progetti d’innovazione.
Ma non basta.
Il progresso scientifico ci sta scappando di
mano, e stiamo perdendo la relativa stabilità delle temperature che ci ha
permesso di costruire la nostra società negli ultimi 10.000 anni.
Le
aziende hanno molte leve da azionare per cambiare veramente il loro modo di
operare, ma quasi tutte restano ancorate a vecchie logiche.
Di
solito, l’azione di contrasto al “global warming” si focalizza sul cambiamento
incrementale.
E anche quando si danno un obiettivo ambizioso
come passare in toto alle energie rinnovabili, le imprese tendono ad aspettare
il ritorno monetario di tutti i progetti, possibilmente in tempi brevi.
Adesso
devono mobilitare tutti i loro asset, hard e soft, per affrontare questo
problema comune e senza precedenti con l’impegno e le risorse che richiede.
Le
nuove azioni di contrasto al cambiamento climatico, che entreranno stabilmente
a far parte del business, creeranno un valore significativo di lungo termine. Aiuteranno le imprese a costruire
legami più stretti e più duraturi con gli stakeholder principali;
produrranno
ambienti normativi chiari e coerenti che faciliteranno pratiche più sostenibili
in grado di abbassare i costi;
e ispireranno un’innovazione più profonda e
più dirompente (che io chiamo eretica).
Aggiungeteci
un valore intangibile di tutto rispetto – attrazione e lealtà dei dipendenti,
attenuazione del rischio nella supply chain, resilienza, accettazione sociale,
rilevanza sociale e preparazione per un futuro molto diverso – e avrete una
motivazione economica indiscutibile.
Ma è
anche ora di riconoscere senza incertezze che un’azione aggressiva di contrasto
al cambiamento climatico è necessaria per la sopravvivenza e per la prosperità
del genere umano.
Le
imprese e la società non avranno successo se – e fino a quando - non
continueremo a fare tutto quello che possiamo per affrontare il cambiamento
climatico.
(Andrew
Winston, fondatore di Winston Eco-Strategies ed esperto globale di sostenibilità
del business, è autore dei libri The Big Pivot e Green to Gold. Una versione
più ampia di questo articolo è stata pubblicata nel numero di aprile 2020 di
Harvard Business Review Italia.)
Cosa
deve fare l'Europa
per sopravvivere a un ordine
mondiale in evoluzione.
It.euronews.com
- Osama Rizvi, economista – (17/01/2024) – ci dice:
L'Europa
deve adattarsi per trovare il suo posto in un ordine mondiale in evoluzione.
La
crescente tendenza alla de-dollarizzazione, la resilienza economica della Cina,
i flussi senza precedenti di petrolio e gas e l'apertura di nuovi mercati a
seguito di focolai geopolitici attivi in tutto il mondo sono solo alcune delle
caratteristiche di un ordine mondiale in evoluzione.
Le
nuove alleanze sono uno dei segni di un ordine mondiale in evoluzione e
l'Europa può trarre vantaggio da questi cambiamenti.
In primo luogo, dobbiamo capire che cos'è
esattamente un ordine mondiale e come sta cambiando.
Che
cos'è un ordine mondiale?
Non è
qualcosa di cui si sente parlare nelle teorie cospirative o nei film. Non si
tratta di un grande schema di cose controllato da una manciata di persone.
L'ordine mondiale si riferisce alle dinamiche
di potere, alle regole e alle norme tra Stati, istituzioni internazionali e
altri attori globali.
Ha
diverse caratteristiche, come i sistemi e i regolamenti economici, gli accordi
di sicurezza, la diplomazia, le impostazioni culturali e ideologiche, la
distribuzione del potere e le istituzioni internazionali.
Cosa rappresenta
un ordine mondiale in evoluzione?
Un
ordine mondiale in evoluzione si manifesta in varie forme.
Gli
spostamenti di potere sono uno dei principali indicatori di questo cambiamento.
L'ascesa
della Cina come potenza economica ne è un perfetto esempio.
Altri
indicatori possono essere una crisi globale come la pandemia da Covid-19, che
ha cambiato non solo il destino dell'economia globale, ma anche il modo in cui
viviamo e operiamo.
I
progressi tecnologici, come la recente proliferazione e il miglioramento
dell'intelligenza artificiale e dell'apprendimento automatico (con
l'introduzione di bot come” ChatGpt”, “Google Bard”, ecc.) sono un altro
indicatore di un ordine mondiale in evoluzione.
Questo
crea implicazioni per tutto, dai “video deep fake” che minacciano la nostra
privacy ai risultati delle elezioni.
Il
cambiamento dei modelli di trading è un indicatore molto forte del cambiamento
dell'ordine mondiale.
Secondo
”JP Morgan”, ad esempio, nel 2023 un quinto del commercio mondiale di petrolio
sarà effettuato in valute diverse dal dollaro.
Dodici contratti sono stati regolati con
pagamenti non in dollari, contro sette nel 2022 e solo due tra il 2015 e il
2021.
Questi
sono alcuni dei fattori che, quando emergono, segnalano un ordine mondiale in
evoluzione.
Europa
e sabbie mobili.
Con
così tante tendenze emergenti e contorni mutevoli, è di grande importanza che
l'Europa si prenda un po' di tempo per riconfigurare le sue relazioni con le
seguenti regioni, in modo da essere in grado di mantenere il suo marchio nella
comunità globale.
Europa
e Asia.
La
regione asiatica si è sviluppata rapidamente e non si può trascurare la sua
posizione sulla scena globale.
L'Asia
possiede la maggior parte delle riserve commerciali estere del mondo ed è un
rifugio sicuro per molte delle maggiori economie mondiali.
Rappresenta
il 60% della popolazione mondiale, con un numero di abitanti 10 volte superiore
a quello dell'Europa.
Pertanto,
i fattori chiave per la definizione delle relazioni tra Europa e Asia sono la
cooperazione commerciale e gli investimenti, che portano all'interdipendenza
economica e alla prosperità.
Europa
e BRICS
BRICS
è il gruppo delle economie mondiali emergenti formato dai Paesi del precedente
BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) con l'aggiunta di Sudafrica, di Egitto,
Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Con la
loro ascesa è di fondamentale importanza che l'Europa rafforzi le sue relazioni
con i vari partner, in modo da poter trarre vantaggio da ciascuno di essi.
La
cooperazione con i partner del Golfo, ad esempio, può rafforzare il mercato
dell'energia;
la cooperazione con il Sudafrica può aprire la
strada ad abbondanti risorse minerarie, mentre la cooperazione con l'India può
contribuire a bilanciare l'influenza cinese nella regione.
Europa
e Cina.
Con la
costante inclinazione alla diffidenza reciproca, Europa e Cina sembrano essere
distanti in termini di cooperazione e collaborazione.
Il ministro degli Esteri cinese “Wang Yi”,
nell'ottobre dello scorso anno, ha espresso la preoccupazione del suo Paese
affermando:
"La Cina spera che l'Unione europea
adotti un atteggiamento più pragmatico e razionale nella cooperazione con la
Cina".
Se
l'Europa riuscirà ad adottare un "atteggiamento più pragmatico e
razionale" con la Cina, potrà controbilanciare l'influenza della Cina
nella sfera geopolitica, tecnologica ed economica.
Nonostante
i diversi punti di vista sulle questioni internazionali e regionali, Ue e Cina
possono comunicare e collaborare tenendo conto delle preoccupazioni e degli
interessi reciproci.
Europa
e Medio Oriente.
Considerando
le mutevoli tendenze della regione mediorientale e la crescente influenza
cinese, l'Europa si trova ad affrontare una sfida per penetrare nei mercati dei
Paesi del Golfo.
In
quanto importante partner commerciale di Egitto, Turchia e Giordania, l'Europa
deve lavorare sul clima e sul partenariato tecnologico, per garantire
l'efficienza energetica e la produzione di energia pulita.
Promuovere
la connettività attraverso la regione per garantire il proprio fabbisogno
energetico dovrebbe essere l'obiettivo principale dell'Europa, in modo che
possa sopravvivere alle scosse causate dal cambiamento dell'ordine mondiale.
Per un
nuovo
ordine
mondiale.
Partitodemocratico.it
– Redazione – (26 giugno 2020) – ci dice:
Uno
sguardo politico che si riprometta oggi di analizzare nel quadro
internazionale, il ruolo del nostro paese ed il posizionamento del nostro
Partito, non può in alcun modo prescindere da ciò che nel mondo è accaduto in
questo 2020.
Questo
non perché la vicenda Covid, abbia rivoluzionato di già gli assetti globali
nello scacchiere internazionale, o non perché si siano fermati o riaccesi
conflitti locali o regionali in ragione della Pandemia, o neanche perché siano
cambiati gli equilibri di forza tra i grandi protagonisti; quanto piuttosto
perché l’umanità intera, ha potuto toccare con mano le molte fragilità che
percorrono l’intero globo;
fragilità
è termine che richiama bisogno di protezione, che se da un lato ricorda il
Protezionismo, di cui parleremo, non va assolutamente confuso con questo,
quella diposizione umana pretende da noi centralità nel nostro agire, come
domanda sociale, a cui rispondere non solo con scelte di tipo assistenziale
ovviamente, ma con un modello di sviluppo di crescita complessiva;
fragilità
dunque che rischiano di cambiare quegli assetti come in parte sta già
avvenendo;
fragilità
imputabili ai diversi modelli sociali e sanitari, ovvero risultanti dalla
resistenza di molti sistemi e leadership alla razionalità scientifica, oppure
derivanti dalla percezione concreta della dimensione che il rischio assume
nella nostra vita quotidiana, qualora essa non sia improntata, anche, ad una
profonda rivisitazione degli stili di vita, dei modelli di sviluppo e delle
forme di relazione con l’evoluzione ambientale.
Dunque
possiamo dire che nello scenario mondiale, la forza della Pandemia ha portato
alla consapevolezza di una grande fragilità del mondo, ad una grande richiesta
di protezione e ad una grande necessità di sviluppo complessivo.
Questa
crisi ha quindi anche una sua dimensione antropologica; l’epidemia che ha
minacciato la vita e la salute di miliardi di persone, che ha rivoluzionato le
abitudini e lo stile dei rapporti sociali, che ha cambiato non in modo
passeggero anche le forme del lavoro e dunque anche in parte la natura e la
qualità dei diritti da difendere, muterà in senso permanente le forme del
nostro stare nel mondo.
E,
oltre a questo, la sua dimensione economica è risultata particolare: questa
volta, rispetto al 2008 per esempio, la crisi colpisce non già solo la
dimensione finanziaria quanto piuttosto proprio l’economia reale, modificando
quindi nel concreto modello di vita personale e delle comunità, da quelle
piccole a quelle nazionali e sovranazionali.
Tanto per fare un esempio, non sarebbe infatti
forse arrivato questo cambiamento delle politiche economiche europee senza lo
scoppio tragico della Pandemia.
Qui
una fragilità si è trasformata in forza.
Purtuttavia, vi sono, di fronte a questa
drammatica cartina di tornasole globale, a questa registrazione del cambiamento
che stiamo attraversando, immani emergenze che disegnano invece aspetti non
mutati nello scenario mondiale.
Non
sono certamente mutati gli effetti di una globalizzazione economica che ha sì
meritatamente salvato dalla povertà masse ingenti di popolazione in questi
anni, un miliardo di persone si dice, in specie in alcuni grandi paesi, dato
che noi non vogliamo affatto dimenticare, ma il risultato di una crescita
affidata alla sola competizione totale, continua a risultare drammatico sia per
la crescita della diseguaglianza sociale, che della diseguaglianza per aree
geografiche, anche per gli effetti della mancanza di regole globali, come
ancora per la spinta al protezionismo di intere nazioni.
Di
questo, peraltro, il conflitto commerciale e non solo, tra Usa e Cina è
certamente la punta più avanzata e preoccupante.
Nondimeno
lo sono le tendenze fortissime di molti paesi europei al protezionismo dei dazi
e delle dogane, la resistenza alle storiche novità delle politiche economiche
europee, la volontà di riesumare muri e confini fisici e immateriali.
Possiamo
dire anche, quindi, che l’esplosione della Pandemia, ed il suo andamento
peculiare, nazione per nazione, sia servita da riscontro del tasso di
coincidenza tra livello dei diritti umani e democratici in un paese, e capacità
di gestione di grandi emergenze sociali.
Ancora
adesso mentre ne parliamo, la differente capacità di risposta complessiva di
sistemi a Democrazia incerta o a rischio, risulta eloquentemente minore
rispetto ai paesi governati in piena democrazia.
Grandi
paesi i cui regimi mostrano limiti evidenti e gravissimi nella difesa della
democrazia e dei diritti sono oggi messi in ginocchio dalla diffusione endemica
nel loro paese.
Nuovo
spunto per una riflessione generale sullo stato di salute della Democrazia nel
mondo, anche alla prova della Pandemia globale che ci ha colpiti.
In
generale è sicuramente possibile dire che oltre alla débâcle, drammatica, che
attraversano molti singoli paesi, anche diverse istituzioni internazionali e
sovranazionali, hanno mostrato i limiti della loro capacità di governo globale.
Ma ne parlerò dopo.
Aggiungo,
che la svolta che l’Europa sta percorrendo e per la quale vorrei ringraziare
certamente tutti i membri del nostro Governo che si occupano di politica estera
ed in particolare Enzo Amendola e Marina Sereni, nonché ovviamente il
Commissario europeo Gentiloni, e anche, certamente per i temi che tratteremo,
il Ministro Guerini, il cambiamento storico che essa potrebbe introdurre,
rafforzando l’Unione, la sua coesione e la sua prospettiva economica, la sua
politica sociale, il suo ruolo di baluardo democratico, possono riaffermarne il
ruolo mondiale, di cui il multilateralismo ha grande bisogno.
La nostra posizione, saldamente ancorata
all’Alleanza atlantica e al multilateralismo, come ad una visione aperta dei
mercati, dell’economia e del libero scambio, tradizionalmente condivisa dai
paesi del G8, così come dal complesso dei paesi europei, non è più per molte
forze politiche, oggi alla guida o all’opposizione in molti paesi occidentali,
la cifra della loro impostazione politica.
Populismo,
sovranismo, nazionalismo, egoismo, protezionismo, costituiscono un asse di
riferimento politico-culturale, che va dagli Usa di Trump all’Ungheria di
Orban, e anche l’Italia che disegnerebbero Salvini e Meloni, qualora al
governo, rischierebbe una virata radicale in quella direzione.
Non va
per questo sottovalutato il lavoro che dobbiamo contribuire a compiere perché
all’interno del PSE e anche dell’Alleanza progressista mondiale, la nostra linea saldamente
europeista e per una nuova Europa, divenga quella comune.
A noi ha fatto molta impressione scoprire come
Partiti fratelli, appartenenti al PSE, alla guida di paesi cosiddetti frugali,
o comunque esistenti in quei paesi, abbiano assunto le posizioni più ostili
alla realizzazione del Recovery Fund.
Il che
dimostra che per quei partiti fratelli conti di più l’appartenenza nazionale
piuttosto che l’ideale comune europeo. Una contraddizione in seno all’ide di
progresso a cui noi apparteniamo.
Più in
generale il nostro Partito dovrà favorire un’iniziativa politica affinché il
PSE esca dalla pura dimensione federativa per assumere quella di vero e proprio
Partito sovranazionale, asse portante di una nuova Europa.
Ulteriore
sforzo andrà fatto, affinché il PSE sia capace di allargare il campo delle
proprie alleanze a forze diverse dello schieramento progressista, come gli
ambientalisti o altro.
Ho
scelto delle parole chiave per sintetizzare i punti salienti delle nostre
posizioni.
Per la
prima parola, metterei al primo posto della nostra scelta di politica
internazionale, che è anche carta d’identità del nostro stare nel mondo, l’idea di una visione multilaterale
che serva a rafforzare il profilo del nuovo ordine mondiale a cui aspiriamo.
C’è
una necessità straordinaria di una visione globale e multilaterale del nuovo
ordine mondiale;
particolarismi,
nazionalismo e debolezze, come anche quelle che l’Europa ha mostrato purtroppo
negli ultimi anni, fino alla svolta di questi mesi, hanno contribuito ad una
paralisi di questa visione multilaterale, con una pericolosa tendenza ad un neo
bipolarismo tra Usa e Cina, che mostra di per sé i suoi limiti, ma che ha in
più nella Presidenza Usa, una costante ritrosia ad ogni forma di condivisione
mondiale delle scelte.
Non
possiamo dimenticare qui la decisione perlomeno annunciata da Trump di
sospendere i finanziamenti all’OMS, ( peraltro dopo molte altre parole sugli
accordi o sugli organismi internazionali) e anche dopo aver all’inizio
sostenuto che OMS faceva allarmismo, annuncio di Trump che pur se connesso ad
una iniziale giusta critica sui ritardi di azione di quella organizzazione e di
comunicazione da parte della Cina, porterebbe con sé conseguenze gravi sul
piano della condivisione mondiale delle politiche sanitarie.
L’occasione
di questo spunto è utile anche per dire la nostra opinione sull’altro gigante
mondiale, la Cina:
Il gigante cinese ha lanciato da anni una
offensiva geopolitica nei confronti dell’Europa, all’interno di una sua
iniziativa più vasta e volta a modificare l’ordine internazionale in senso più
favorevole ai propri interessi nazionali.
Gli
strumenti di tale offensiva sono insieme commerciali e politici, ovvero quelli
tipici di ogni strategia geopolitica ma che nel caso cinese si tengono insieme
in modo molto più stringente e interconnesso.
È una strategia che non va demonizzata, come
pretende di fare la destra sovranista in Europa e negli Stati Uniti mettendo in
conto la radicalizzazione dello scontro strategico e persino militare con
Pechino, ma di cui dobbiamo essere ben consapevoli.
Perché l’obiettivo del regime cinese è anche
quello di conquistare il silenzio o la connivenza della comunità internazionale
sulle feroci e massicce violazioni dei diritti umani e civili di cui esso è
responsabile:
all’interno
dei confini nazionali cinesi e ovunque arrivi il suo controllo di sicurezza
(come nel caso di Hong Kong, dove Pechino sta già violando gli accordi del 1997
ispirati al principio ‘un paese, due sistemi”).
Il nostro impegno, sulla base del valore
universale che riconosciamo al tema dei diritti umani e guardando all’obiettivo
di preservare il dialogo commerciale e politico con Pechino senza alcuna
subalternità ai suoi disegni strategici, dev’essere quello di impegnare la
potenza cinese sul piano multilaterale a tutti i livelli.
Diversamente
dalla strategia conflittuale della destra sovranista, è solo l’ingaggio
multilaterale con la Cina che rende possibile sia difendere l’autonomia
culturale e politica dell’Europa sia lavorare per ottenere miglioramenti
concreti nel rispetto dei diritti umani e civili all’interno dei confini cinesi
e nelle aree sottoposte ai suoi strumenti di sicurezza.
E’
chiaro, tornando alla visione multilaterale, che non potrà esserci nessuna
ripresa senza una grande spinta alla cooperazione internazionale e
all’integrazione, aumentando risorse e compiti delle istituzioni
internazionali, coordinando le attività nel campo sanitario, della ricerca
medica, della prevenzione e della cura, condividendo risultati e rimedi,
sostenendo la mobilità globale delle persone, delle merci e della conoscenza.
Pensate al vaccino di Oxford, come emblema di
questa visione, sviluppato in Italia e Gran Bretagna, prodotto dall’azienda
anglo-olandese AstraZeneca e distribuita dall’indiana Serum.
Detto questo sicuramente le culture e le
organizzazioni internazionaliste hanno mostrato anche i loro difetti, così come
l’ONU mostra i suoi limiti, cosi come altri organismi regionali come la Lega
Araba o il Nafta sembrano paralizzati da tensioni e conflitti
Si è
parlato negli ultimi anni, in alcune sedi, di fronte alla crescita delle
pulsioni isolazioniste, di fine della globalizzazione;
a me
non pare affatto, credo invece che la sfida che ci attende sia quella di dare
una guida democratica e condivisa alla globalizzazione, un ordine al mondo
globale, in una direzione di salvaguardia del multilateralismo, come italiani e
come europei.
C’è
una parola chiave nella tradizione di sinistra della politica internazionale,
questa parola è pace, è la seconda parola, la tradizione della sinistra e dei
riformismi a cui noi apparteniamo ha sempre frequentato questo termine come
stella polare.
La
pace è sviluppo, promozione dei diritti, dignità della persona umana, regola di
convivenza, giustizia, e benessere.
La pace richiede strategie globali. Non può
essere solo enunciata.
Il
mondo, anche quello più vicino a noi conosce invece continui conflitti,
conflitti irrisolti, nuovi conflitti, secondo “Acled” dall’inizio dell’anno
abbiamo avuto 46675 eventi di scontro militare e non nel mondo, con 52898
morti, in diminuzione del 28% rispetto all’anno scorso.
In un
anno 110.000 eventi e 129.000 morti.
Se
guardate la cartina dei conflitti in corso, vedrete esclusi dalla mappatura
l’Europa, a parte la Grecia, e il continente nord americano, nonché la Cina.
Se
guardo dunque quella carta, nella quale l’Europa è bianca, ho la dimostrazione
lampante che la fondazione dell’Unione europea ha garantito ai suoi paesi, pace
e prosperità, e dunque che il ruolo storico di cooperazione ed integrazione
viene confermato dalla storia, non il contrario.
Noi
crediamo che solo il negoziato, il compromesso, il dialogo tra nemici, possano
garantire questo valore, che va difeso anche prendendo parte come l’Italia fa
con i propri militari e con le forme di cooperazione alle operazioni di
peacekeeping e peace enforcing guidate dalle istituzioni internazionali, e
dall’ONU.
Noi
mettiamo nel nostro impegno per la pace tutto quello che riguarda lo sviluppo
personale e collettivo dell’essere umano, ciò significa investire nello
sviluppo globale e locale, garantire crescita, accessibilità, opportunità,
istruzione, tutto questo significa lavorare per la pace. Quando dico dialogo
con il nemico, intendo un valore molto chiaramente esplicitato dallo scrittore
israeliano “Amos Oz”.
Perché
la pace, ad ogni angolo del mondo si fa solo con il nemico, con l’amico è
inutile.
Per
questo noi dobbiamo recuperare l’idea di compromesso, come enunciava “Oz” come
valore positivo, fondante.
Per lo
scopo della pace noi dobbiamo promuovere uno sviluppo umano che consenta ad
ogni donna e uomo di vivere nella dignità nel rispetto dei suoi diritti e delle
sue aspirazioni.
Sostenere lo sviluppo economico e sociale dei
Paesi che lottano per uscire dalla marginalità.
Asserire
con forza che ogni uomo e ogni donna sono titolari di diritti irrinunciabili e
inalienabili.
Il
mondo vive di una pluralità di identità, culture, tradizioni, religioni che
devono essere riconosciute e rispettate e le loro specificità non possono, mai,
essere invocate o utilizzate per violare o voler annientare la specificità
dell’altro, o per giustificare violazioni di diritti che appartengono ad ogni
persona in ogni luogo del mondo.
Vuol
dire allora che noi possiamo accettare qualsiasi forma di pensiero?
No,
ovviamente, il perseguimento della pace, significa ovviamente anche combattere
ogni forma di discriminazione, violenta o meno, di razzismo, di ideologia della
separazione e della superiorità razziale, etnica o religiosa, e per
l’affermarsi della difesa della libertà secondo le regole consolidate della
Democrazia liberale.
Lo
ribadisco qui, perché la crisi di fiducia nella Democrazia, che indico come
terza parola, liberale, guida purtroppo oggi grandi paesi del mondo, e
l’appello alla Democrazia illiberale, e in alcuni casi anche a forme pericolose
di democrazia diretta, e dunque ad un restringimento degli strumenti della
rappresentanza, della libera espressione del pensiero, della partecipazione
popolare delegata, va diffondendosi, purtroppo, come dimostrano le note
affermazioni di Vladimir Putin e di Orban per esempio, o la battaglia
sull’indipendenza della Magistratura polacca che si sta ancora combattendo
proprio alla vigilia di elezioni presidenziali.
Per il
mantenimento o il raggiungimento della pace serve però anche e sempre, come
dicevamo prima, la battaglia per una guida democratica alla globalizzazione, dunque, visione multilaterale,
pace, democrazia e diritti, sono ovviamente legati, ed è questa la strada che
contrasta anche la vena di chi vorrebbe assenza di regole comuni, ovvero il
protezionismo puro e semplice;
per
questo, noi con convinzione, appoggiamo la strada che la comunità
internazionale ha per esempio intrapreso con il Protocollo di Kyoto e gli
Accordi di Parigi per affrontare il climate change;
con il
Tribunale Penale Internazionale per perseguire genocidi e gravi violazioni dei
diritti umani;
con il
Trattato di non proliferazione nucleare per fermare la corsa al riarmo;
con i
Trattati di Libero Scambio – come gli accordi negoziati dalla UE con Giappone,
Canada, Mercosul – per evitare guerre commerciali e neo protezionismi.
Nella stessa direzione è indispensabile oggi
riformare e potenziare le istituzioni dedicate a grandi questioni globali:
l’Organizzazione
mondiale del Commercio (WTO/OMC) per garantire regole e standard omogenei, per
assicurare mercati aperti e pari accessibilità, per contrastare ogni forma di
sleale concorrenza; l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per una
tempestiva prevenzione e lotta alle pandemie;
l’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (ILO/OIT) per una effettiva applicazione delle
Convenzioni a tutela dei diritti del lavoro e contro le troppe forme di dumping
sociale.
Non
posso però non dire qui, che ogni organismo di governo mondiale necessita con
evidenza di una riforma significativa del proprio funzionamento istituzionale.
Penso
all’ONU, alle sue agenzie, al Consiglio di Sicurezza, e anche alle grandi
agenzie di controllo economico come FMI e Banca Mondiale che necessitano di
essere investite di un più chiaro e trasparente mandato orientato allo sviluppo
nel senso indicato prima.
C’è
purtroppo una quarta parola che va ricordata per articolare il nostro sguardo.
Guerra.
Vicino
a noi l’instabile mediterraneo allargato, continua ad offrire purtroppo al
mondo focolai pericolosi di guerra.
Mentre
nuovi protagonisti si sono ormai insediati con forza nel quadrante, come Russia
e Turchia.
Il
conflitto in Siria di questi anni ha colpito più di metà della popolazione,
altrettanto si può dire per il conflitto in corso nello Yemen, parimenti
terribile con maggiori implicazioni dirette per l’Italia il conflitto in Libia,
ma uscendo dal Mediterraneo e rimanendo vicino all’Europa non possiamo
dimenticare lo scontro Russia/Ucraina, così come anche la minacciosa Iran
sempre pronta ad annunciare la volontà di annientamento di Israele, cosi come
l’irrisolto conflitto Israelo/Palestinese. (qui permettetemi una nota personale
io rimarrò sempre fedele alla storica formula cara agli accordi di Oslo di due
stati per due popoli, e due democrazie, con la linea del compromesso situata
nello scambio di territori in cambio di sicurezza, il mutuo riconoscimento dei
due diritti statuali e la rinuncia ad ogni forma di violenza, nella
consapevolezza che in quel territorio si scontrano due diritti e non un diritto
ed un torto).
Le
guerre civili, le instabilità politiche, che scuotono Mediterraneo e Medio
Oriente chiamano l’Europa ma anche noi direttamente, ad assumere un attivo
ruolo di pace.
Per
quanto riguarda la situazione in Libia noi dobbiamo affermare che
– non
esiste una soluzione militare alla crisi libica che solo potrà trovare
soluzione con gli strumenti del negoziato politico tra tutte le componenti
della società libica;
–
l’Italia si riconosce nelle deliberazioni delle Nazioni Unite e sostiene
l’attività dei suoi inviati per una soluzione politica della crisi;
–
l’Italia sostiene il Governo nazionale presieduto dal Primo ministro Serraj,
unico esecutivo riconosciuto dalle Nazioni Unite.
– Pieno
sostegno deve essere assicurato alla missione europea” Irini” incaricata di
garantire il rispetto dell’embargo sulla fornitura di armi e strumenti bellici;
–
l’assistenza alla Guardia costiera libica deve essere finalizzata alla
formazione del personale in funzione del contrasto al traffico di esseri umani,
nel rispetto dei diritti umani e delle Convenzioni internazionali, e in
coordinamento con le stesse attività in materia affidate alla missione europea
Irini;
– In
questa direzione, preso atto della disponibilità del Governo libico di accordo
nazionale e della possibilità di avviare il negoziato il prossimo 2 luglio, e
anche alla luce delle mutate condizioni sul terreno, è per noi non rinviabile
la modifica del relativo Memorandum d’intesa stipulato tra Italia e Libia nel
2017.
– E’
aspetto imprescindibile il rispetto dei diritti umani verso profughi e migranti
presenti in Libia e per questo i centri legali di permanenza devono essere
aperti al controllo dell’Unhcr e dell’ Oim e I centri illegali devono essere
smantellati;
–
corridoi umanitari vanno attivati immediatamente, con la collaborazione della
UE, per l’evacuazione e l’accoglienza di donne e bambini oggi trattenuti nei
centri di permanenza;
va sostenuta ogni iniziativa utile ad
alleviare le sofferenze della popolazione civile, come lo sminamento di edifici
civili e del territorio a cui l’Italia è pronta a concorrere;
–
l’azione di ONG e organizzazioni umanitarie va riconosciuta come preziosa per
il salvataggio di vite umane, superando atteggiamenti e misure di profilo
puramente punitivo;
Per
questo chiediamo al Governo di agire nei rapporti bilaterali, nelle sedi
multilaterali e nell’Unione Europea sulla base degli obiettivi sopraindicati.
E
dobbiamo altresì, in generale, dichiararci contrari ad atti unilaterali che
precludano una soluzione negoziata e condivisa del conflitto
israelo-palestinese;
sostenere
i movimenti di società civile che, dal Libano al Sudan all’Algeria, rivendicano
diritti e rigenerazione democratica;
promuovere
pacificazione e stabilizzazione nel Corno d’Africa;
dare
stabilità all’Irak e alla sua struttura plurinazionale e plurireligiosa;
questi
Conflitti e queste criticità richiedono il rilancio di una strategia
euromediterranea che offra ai Paesi del bacino sistemi preferenziali negli
scambi commerciali, promozione di investimenti, sostegno alla implementazione
di politiche sociali, accompagnamento nel rinnovamento delle istituzioni
democratiche e dello stato di diritto.
E una politica condivisa dei flussi migratori.
In questo ambito va anche inserita la nostra relazione con l’Egitto per il
quale tema abbiamo proposto alla Direzione il seguente OdG.
Il
Partito Democratico, ribadendo che:
• la
difesa dei diritti umani in ogni luogo del mondo fa parte indissolubile della
nostra identità politica e dei principi base della nostra visione del mondo;
•
primaria e irrinunciabile è la ricerca della verità sulla morte di Giulio
Regeni;
•
altrettanto improrogabile è la scarcerazione di Patrick Zaki;
•
l’Egitto non può sottrarsi alla responsabilità di accertare la verità
giudiziaria sull’omicidio di Giulio Regeni e per questo serve un deciso cambio
di passo nella collaborazione da parte delle autorità egiziane.
·
L’Italia ha sin dal primo momento subordinato ogni passo in avanti sul terreno
politico diplomatico ad altrettanti passi fatti sul terreno della
collaborazione giudiziaria per individuare e colpire i colpevoli.
·
Purtroppo con il precedente governo non c’ è stato nessun passo in avanti.
• La
ricerca della verità è responsabilità di tutti gli attori che possono
contribuire a fare luce sull’omicidio di Giulio Regeni, compreso il governo
britannico.
· Il
rapporto con il Governo di Al Sisi rientra in un quadro più generale di
relazioni con l’Egitto, Paese che gioca un ruolo di stabilizzazione del
Mediterraneo Orientale, nel contrasto al terrorismo, nelle politiche migratorie
ed energetiche.
Noi
non rinunceremo mai a qualsiasi atto utile alla consegna dei responsabili
dell’omicidio di Giulio Regeni alla giustizia.
– Il
rispetto dei diritti umani è valore fondativo dell’Unione Europea che deve
considerare proprio obiettivo l’accertamento della verità sul caso Regeni,
–
impegna il Governo italiano ad attivarsi con la massima attenzione possibile,
anche attraverso il coinvolgimento della UE, per ottenere immediatamente atti
concreti per l’accertamento della verità sull’omicidio di Giulio Regeni e la
consegna dei suoi responsabili alla giustizia.
La
proiezione mediterranea deve saldarsi ad una innovativa attenzione all’Africa,
che a fine secolo raggiungerà 4 miliardi di abitanti: il loro destino è una
delle grandi sfide del XXI secolo, resa ben evidente dell’attenzione che Cina,
India, Turchia, Brasile, Arabia Saudita e altri players dedicano al continente.
Ad
un’Africa percorsa da dinamiche di segno opposto – paesi ricchi di materie
prime con alti tassi di crescita e aree afflitte da fame, malattie endemiche,
degrado ambientale – l’Europa può offrire non solo i necessari investimenti
infrastrutturali, ma anche bisogni altrettanto essenziali: strutture educative
per una immensa popolazione giovanile; servizi sanitari e sociali, in primo
luogo per infanzia e donne; promozione di sistemi democratici stabili, apparati
pubblici affidabili, diritti civili e umani oggi spesso negati o oppressi;
sostegno a processi di cooperazione e integrazione regionali.
Così
come un Migration
Compact Euro-Africano, promosso da Unione Europea e Unione Africana, e accordi
bilaterali tra paesi europei e paesi africani, costituirebbero strumenti preziosi
per una gestione condivisa dei flussi migratori e per un efficace contrasto al
traffico di esseri umani.
Europa,
Mediterraneo e Africa sono sempre più un unico cosmo investito da problemi
comuni e da interessi comuni che richiedono soluzioni comuni.
A ciò deve dare concretezza e visibilità un
forte rafforzamento delle relazioni tra Unione Europea e Unione Africana e una
più rapida implementazione dell’Africa Plan lanciato dalla UE.
Una
forma di conflitto particolarmente difficile da contrastare è quello
asimmetrico legato al terrorismo di matrice jihadista, alla vicenda del Daesh o
Isis, più in generale ad una riflessione sul rapporto tra Europa e mondo
arabo-islamico, o tra occidente e mondo arabo-islamico, riflessione alla quale
non voglio sfuggire, ma che volentieri tratterei in una sessione specifica.
Non
penso di poter oggi trattare un argomento di tale portata anche se non penso si
possa omettere un ragionamento su questo nel nostro Partito.
Quinta
parola: Europa.
Noi
siamo già, coerentemente e coscientemente dentro una nuova fase dell’Europa.
Ce lo dicono i risultati già raggiunti in
questi mesi di trattative per gli strumenti comuni di risposta alla crisi del
Covid e quelli per i quali stiamo lavorando.
Alle
spalle abbiamo un cammino di integrazione che ha consentito di realizzare
traguardi economici, sociali e politici che nessuna nazione da sola avrebbe
potuto realizzare.
L’integrazione
europea ci ha consentito i traguardi di cui abbiamo parlato, altrimenti
irraggiungibili.
Senza
l’euro – la seconda moneta del pianeta, utilizzata da 330 milioni di cittadini
di diciannove nazioni – e senza le politiche della Bce le economie dei paesi
più fragili, tra cui l’Italia, sarebbero state via via inesorabilmente erose
nella loro qualità e solidità dalle svalutazioni competitive.
Ci
sono molte cose di cui andare orgogliosi e che dobbiamo rivendicare ogni
qualvolta ci viene offerto il miraggio di un neonazionalismo miracoloso.
Dobbiamo
essere orgogliosi degli accordi di Schengen, di norme comunitarie che pongono
l’Europa all’avanguardia nelle politiche ambientali, nel contrasto al” climate
change”, nella promozione delle energie rinnovabili e nella valorizzazione
delle biodiversità, dei fondi strutturali hanno consentito a Regioni e a Comuni
investimenti e coesione sociale, di Erasmus ha reso 9 milioni di ragazzi
protagonisti della costruzione di una comune identità.
Della
cultura democratica europea è il principale bastione di tutela dei diritti
civili e umani e per il loro rispetto nei troppi luoghi dove sono negati e
repressi.
Sono
risultati straordinari che tuttavia non corrispondono all’immagine che della UE
ha una parte dei cittadini europei.
Una
percezione negativa di tipo simile, che questo continente ha già conosciuto,
quando la frustrazione di masse ingenti di europei, la loro paura del futuro,
la rabbia per la loro condizione li convinse a seguire pericolosi pifferai
magici criminali.
Oggi
quella percezione è di nuovo legata alla misura della propria condizione
materiale, alla ristrettezza del proprio orizzonte, alla fragilità dei propri
diritti, legati anche alla rigidità delle politiche finanziarie e di bilancio
dell’Unione vissute come causa di bassa crescita e riduzione di lavoro,
consentendo a partiti populisti e movimenti antieuropei di accrescere i loro
consensi facendo della lotta all’integrazione europea la loro principale
bandiera.
Noi
sappiamo che non è così, ma questo è lo sfondo. Che spiega buna parte del
successo dei populismi nazionalistici. Oggi e sempre.
Dalle
sue difficoltà l’Unione Europea non uscirà con meno Europa, ma soltanto con un
rilancio in avanti delle politiche di integrazione e un cambio di passo
radicale e visibile.
Dopo
l’Europa dei Trattati di Roma, dopo l’Europa di Maastricht e dell’euro, serve
una “terza fase costituente” dell’Unione Europea (Stati uniti d’Europa ed
elezione diretta del Presidente, da proporre al PSE) che realizzi un salto di
qualità nella integrazione, dia all’Unione un suo profilo sovrano, accresca
tempestività e efficacia delle sue politiche, conquisti consenso e fiducia dei
cittadini.
Un salto di qualità che investa ogni aspetto
della vita della UE:
~
coesione e solidarietà siano pietra angolare di ogni azione europea;
~ alla
centralità degli equilibri di bilancio si sostituisca una politica economica
espansiva che promuova investimenti, crei lavoro, riconosca flessibilità
finanziaria, allenti vincoli stabiliti in contesti passati;
~ una
vera Unione Economica:
a euro e mercato unico si accompagnino
l’armonizzazione delle politiche fiscali e delle regole di investimento, una
vera unione bancaria, una politica europea della ricerca e dell’innovazione
tecnologica, un grande piano di modernizzazione infrastrutturale nei trasporti,
nell’energia, nel digitale, impegnativi programmi europei di formazione. La
riconversione ecologica della produzione e dei consumi costituisca l’asse
centrale di un nuovo modello di sviluppo green, sostenibile e equo;
~ l’UE
disponga di “risorse proprie”, attinte non solo da un più alto contributo dei
paesi membri al bilancio comunitario, ma anche da forme di fiscalità – carbon
tax, una web tax, prelievi sulle transazioni finanziarie transnazionali e sulle
attività svolte nei paradisi fiscali – e ricorrendo al mercato dei capitali con
l’emissione di eurobond finalizzati a finanziare precisi programmi di
investimento in Green economy, alta formazione, infrastrutture strategiche,
intelligenza artificiale;
~ gli
effetti recessivi di Covid19 siano affrontati con uno sforzo finanziario
straordinario, rafforzando ulteriormente i poteri di iniziativa della BCE e
della BEI, utilizzando i” Fondi MES senza condizionalita’ e dando vita ad un “Recovery
Fund” dotato di una ampia disponibilità finanziaria;
~
promozione di biodiversità, valorizzazione della tipicità dei prodotti, tutela
della fertilità e rinnovabilità delle colture caratterizzino la politica
agricola comune;
~ si
dia centralità al pilastro sociale e ai Fondi strutturali si accompagnino
strumenti di tutela del lavoro – come Sure – e armonizzazione delle politiche
sanitarie, di assistenza sociale e di sostegno a famiglie e persone fragili;
~
l’Europa sia all’avanguardia nella ricerca scientifica, nell’innovazione
tecnologica e nelle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale;
~ la
libera circolazione solleciti l’adozione di norme comuni sui diritti di
cittadinanza;
~
l’immigrazione non può essere affidato soltanto alle singole politiche
nazionali e si adottino comuni politiche di asilo, accoglienza e integrazione e
si armonizzino le politiche nazionali in materia di cittadinanza e diritti:
~ una
effettiva Politica Estera e di Sicurezza Comune, rafforzando il ruolo dell’Alto
Rappresentante, superando il vincolo dell’unanimita’, parlando con una sola
voce e agendo con una sola mano per essere attore globale e promotore di pace,
soluzioni negoziate ai conflitti, cooperazione economica e sociale, stabilità e
sicurezza;
~ una
Politica comune di Difesa, con la progressiva integrazione dei sistemi
logistici, degli apparati militari, dell’industria degli armamenti e dello
spazio;
~ alle
sfide della competizione globale si risponda con una politica commerciale
europea – peraltro già oggi comunitarizzata – che contribuisca a scambi e
mercati effettivamente aperti e con standard e accessibilità equivalenti.
Non
meno decisivo è superare la lontananza, e talora la estraneità, dei cittadini,
con riforme delle istituzioni europee attraverso relazione permanenti e
strutturate tra Parlamenti nazionali e Parlamento Europeo, l’elezione diretta
da parte dei cittadini del Presidente della Commissione, l’unificazione in
un’unica figura di Presidente della Commissione e Presidente del Consiglio
Europeo, la presentazione agli elettori di liste europee transnazionali.
Ineludibile
è affrontare il nodo della sovranità europea, riducendo la inter-governatività
a vantaggio di una maggiore comunitarizzazione e di un ruolo autonomo della
Commissione e di piena valorizzazione del Parlamento Europeo.
Un’Unione
più tempestiva ed efficace impone una visibile riforma dei suoi meccanismi di
decisione – superando il vincolo dell’unanimità -, una riduzione di
prescrizioni normative e apparati burocratici, una semplificazione di procedure
e un’effettiva attuazione dei principi di sussidiarietà’.
L’Eurozona
è oggi lo spazio economico e politico per un deciso salto in avanti nella messa
in comune di politiche strategiche, dotandolo di organi – quali un ministro
europeo dell’Economia – che diano sostanza a politiche comuni e integrate.
L’Eurozona
sia il primo ampio e forte nucleo di un’Unione Europea che progredisca nella
sua unità politica – aperta anche a successive adesioni – e mantenga
all’orizzonte la prospettiva federale.
Infine,
si impone secondo me, una riflessione su di un’ultima parola, Occidente.
Non
devo chiarirvi che l’Italia è saldamente radicata nell’Occidente e nei suoi
valori di libertà, democrazia, giustizia e nel rapporto transatlantico da più
di sessant’anni rappresenta il pilastro fondamentale della comune identità
occidentale.
Agli
Stati Uniti e al Canada ci legano vincoli profondi: la presenza di forti e
riconosciute comunità di origine italiana;
il
sacrificio di migliaia di ragazzi caduti in Europa per la nostra libertà;
la
comune appartenenza alla NATO, presidio essenziale della libertà e della
sicurezza europea;
la comune responsabilità, come membri del G7,
di assumere insieme politiche concertate per una globalizzazione regolata;
l’impegno
a ridefinire strategie per far fronte a nuove sfide: il terrorismo, la
cybersecurity, gli armamenti spaziali, l’emergenza energetica, i conflitti
commerciali.
Nonostante
l’amministrazione Trump ricorra a barriere protezionistiche, guardi all’Unione
Europeo come un concorrente più che come un alleato, manifesti disinteresse
verso la NATO, gli Stati Uniti restano partner economico e politico essenziale.
Così
come strategici sono i rapporti di collaborazione in campo scientifico, nella
ricerca, nelle nuove frontiere della tecnologia.
Un
mondo libero e giusto ha bisogno di un’America democratica, che rifugga dalla
tentazione di esercitare una leadership solitaria per essere invece attore di
politiche di cooperazione e di impegno multilaterale. E l’Italia vuole essere
in ciò un sicuro e leale alleato.
Saldi
e intensi sono i rapporti con il Canada, la cui multiculturalità consente
intensi rapporti economici, culturali e politici, resi oggi più solidi
dall’Accordo di Libero Scambio sottoscritto con l’Unione Europea, che offre
nuove e maggiori opportunità di interscambio e maggiori tutele alle
esportazioni e agli investimenti italiani nel Paese.
Questa
nostra stabile ed insostituibile appartenenza non ci deve impedire una
riflessione sui limiti dell’azione dell’Occidente nei confronti del mondo.
È del
ruolo dell’Occidente che vorrei parlarvi, c’è un tema di crisi dell’egemonia
dell’Occidente di cui bisognerebbe parlare, pur nella saldezza della nostra
appartenenza.
Poco
più di un secolo fa l’Europa rappresentava il 25% della popolazione mondiale,
oggi meno del 10. Verso il 7%.
Verso
il 2050 Europa Usa e Canada varranno il 12% della popolazione mondiale, l’Asia
il 60%, l’Africa il 20%.
La
nostra età media si avvicina ai 44 anni, in Asia 30, in Africa 19. Nel 1980 la
ricchezza del G7 era pari al alla metà della ricchezza con tutti paesi europei
del 65%.
Oggi
vale la meta e la Cina è passata dal 2 al 20%.
Il
rischio più grave che io vedo è che l’Occidente viva una vecchiaia ingenerosa e
chiusa per cercare di riaffermare la propria potenza senza riuscirci.
Così
sarebbe se rinunciassimo ai nostri valori, il mondo occidentale deve fare i
conti con le nuove forze in campo in una realtà nella quale non avremo più un
ruolo dominante rilanciando democrazia libertà diritti, dobbiamo essere noi a
civilizzare la globalizzazione.
Lavorando
per una guida democratica del nuovo ordine mondiale.
L’asta
dei Rothschild che si
terrà
al Rockefeller
Center
di New York.
Christie’s
annuncia la vendita di capolavori di proprietà dei banchieri mecenati: un
capitale artistico con una storia complessa.
Jharbergzaar.com
- STELLA MANFERDINI – (21/09/2023) – ci dice:
La
storia dei Rothschild inizia quando, nella seconda metà del Diciottesimo
secolo, il mercante Moses Amschel Bauer apre nel ghetto ebraico di Francoforte
una bottega di cambiavalute e vi pone come insegna uno scudo rosso, che in
tedesco suona “das rothe schild”.
Moses
Amschel era un ebreo tedesco con la passione per la contabilità e il suo era
semplicemente un bazar da rigattiere, che poco aveva a che fare con l’arte.
L’unico
pezzo di qualche prestigio era rappresentato da alcune monete da collezione,
che tuttavia non bastavano a sollevarlo dalla posizione di piccolo-borghese.
Eppure
oggi arte e collezionismo sono, accanto all’attività bancaria, i termini che
meglio definiscono la dinastia dei Rothschild.
Di
loro si dice che posseggano più beni di una banca e che ogni loro collezione
sia un museo a sé stante.
Per
questo, l’annuncio della casa d’aste Christie’s della vendita di capolavori di
proprietà della famiglia Rothschild non può che rinnovare l’interesse su una
saga familiare di mecenatismo e potere.
Le date annunciate sono 3-17 ottobre 2023 e il
palco sarà quello del Rockefeller Center di New York, con possibilità di
acquisto anche online.
Rispetto
all’evoluzione della bottega di “Moses Amschel”, si dice che sia stato il
figlio “Mayer Amschel “– il primo a portare il cognome Rothschild in luogo di
Bauer – a trainare l’attività paterna nel nuovo secolo e nel trionfo.
Soprannominato
il "bambino d’oro della Germania", Mayer uscì dal ghetto e si diede
al commercio di monete rare, attività che gli ingraziò il favore di Guglielmo
IX di Assia.
Durante
l’occupazione napoleonica che costrinse Guglielmo IX all’esilio, Mayer ne
assunse la gestione degli affari insieme ai figli.
Infine,
stabilitosi in Inghilterra, pose le basi di una nuova e maggior fortuna grazie
all’attività di finanziamento agli Stati in guerra.
Da Londra, i Rothschild assorbirono emissioni
di prestito dalle maggiori borse europee, finendo per dominare il mercato.
I cinque figli di Mayer vennero distribuiti
dal padre tra le capitali del continente a servire l’impero finanziario da lui
costruito.
Il più giovane, Jakob, issò ancora più in alto
lo stemma di famiglia: costituì formalmente la banca Rothschild Frères e avviò il ramo francese della
dinastia, cui si attribuiscono le collezioni oggi distribuite tra musei,
proprietà private dei Rothschild e, presto, anche tra compratori d’asta.
Il
primo a interessarsi all’attività del mecenatismo fu “James-Édouard Rothschild”.
Consapevole del valore dell’arte, non solo
come espressione culturale ma anche come strumento strategico di affermazione
sociale, egli convertì parte del capitale economico di cui era in possesso in
capitale artistico.
Dunque,
nel 1875 fondò la “Société des anciens textes français,” dove raccolse una
vastissima collezione di libri rari.
Lo scopo primario della società era quello
"pubblicare documenti di qualsiasi natura redatti nel Medioevo in lingua
d'oïl o in lingua d'oc", quello secondario era offrire alla famiglia un
palcoscenico culturale.
Quasi
parallelamente Ferdinand, anch’egli membro del ramo familiare francese, diede
seguito al crescente mecenatismo di casa Rothschild. Trasferitosi in
Inghilterra, nel castello di Waddesdon raccolse quadri, oggetti d’arte di età
rinascimentale, manoscritti miniati e volumi di pregio, donandone una parte al
British Museum di Londra.
Erede
di Ferdinand, anche il barone “Edmond de Rothschild”, fece dell’attività
bancaria un interesse laterale al collezionismo, occupazione per la quale è ben
più noto.
Citato
dai manuali di storia dell’arte come un uomo rigoroso e intransigente rispetto
all’autenticità dell’opera, ne osservava ogni finitura per assicurarne la
paternità.
Egli raccolse oltre trenta mila stampe,
antiche e moderne, oltre ad opere di artisti quali Raffaello, Leonardo da
Vinci, Pisanello e Rosso Fiorentino.
Nel
1935 parte della collezione venne donata dagli eredi al Louvre, dove si trova
tutt’ora.
Di
natura differente è la collezione di un altro membro della famiglia, il barone “Lionel
Walter”, banchiere – come ogni Rothschild – ma anche appassionato naturalista.
Nelle sue terre a “Tring”, nella contea
inglese dell’ “Hertfordshire”, inaugurò un vero e proprio museo di zoologia,
divenuto in seguito parte del British Museum.
In
anni più recenti si ricorda anche la raccolta di arte astratta di “Élie Rober”t,
con opere di Klein, Fautrier e Poliakoff.
Infine,
Herbert e Nannette Rothschild hanno portato oltreoceano l’arte europea e il
collezionismo dei Rothschild raccogliendo nella loro casa di New York opere di
Kandinskij, Leger, Mondrian, Picasso, Larionov e Delaunay.
La
loro collezione è oggi ospitata nelle stanze dei musei statunitensi, tra cui il
MET di New York e il National Gallery di Washington.
Dei
pezzi d’arte raccolti dai Rothschild rimasti fuori dai circoli museali,
numerosi verranno esposti al Rockefeller Center di New York in occasione
dell’asta di Christie’s.
Si
tratterà, più precisamente, di una serie di aste dal nome” Rothschild
Masterpieces”.
La selezione proviene per lo più dalla
raccolta del barone “James Rothschild”, di sua moglie Betty e dei loro figli,
Alphonse e Gustave.
Custodita
negli interni delle loro case parigine e del castello di Ferrières, la
collezione era così ricercata che presto si iniziò a parlare di “goût
Rothschild”, ovvero di uno “stile Rothschild”.
Tra i
pezzi in vendita, un cameo di età romana effigiato del ritratto dell’Imperatore
Claudio e una spilla rinascimentale in oro e diamanti dell’ordine di San
Michele sono di particolare rarità.
Sotto al martello di Christie’s finiranno
anche mobili antichi – tra cui una coppia di poltrone appartenenti a Madame du
Barry, ultima amante di Luigi XV – gioielli, maioliche italiane, argenti, ori e
ceramiche.
Il
sistema mondiale del potere
e come
siamo gestiti: tutto quello
che
non vogliono farci sapere.
Luigigrosso.net
– Dr Ligi Grosso – (11 dicembre 2023) – ci dice:
Ogni
sistema vivente del nostro amato pianeta è espressione eloquente della
straordinaria capacità dell’universo di raggiungere un equilibrio perfetto e
realizzare l’obbiettivo della vita: prosperare, fiorire, crescere, migliorarsi,
progredire.
Prosperare
è il flusso naturale della vita.
La
fecondazione “ovulo-spermatozoo” è la sintesi di questo meraviglioso modello di
prosperare sviluppando un sistema in equilibrio con il cosmo.
Se la
natura ci insegna qualcosa è che il senso della vita è quello di funzionare al
fine di prosperare.
Tuttavia,
per la maggior parte delle persone, non è così ma al contrario è quello di
sopravvivere e conservarsi cercando di ottenere il maggior bene materiale per
il raggiungimento del desiderio di potere e di dominio.
È
possibile mai che la vita di milioni di anni dell’umanità sia solo il
raggiungimento di questo?
Uccidere la vita per ottenere il dominio?
NO !
Siamo
stati resi ciechi della nostra LUCE.
Privati
della nostra FORZA.
Siamo
stati bloccati nello sviluppo del nostro GENIO.
Indeboliti
della nostra reale MAGNIFICENZA.
Cerchiamo
di capirne di più. La storia ci insegna che chi detiene il potere economico
segna la nostra strada ma non per il bene dell’umanità ma solo per un profitto
personale.
Ecco
alcuni esempi di quanto ha inciso la “lobby finanziaria manipolando la ricerca
scientifica libera” al fine di ottenere un maggiore potere economico.
Una
delle principali forme di sviluppo dell’umanità è l’energia. Molti scienziati si sono dedicati alla
ricerca e allo sviluppo di energia pulita e gratuita ma sono stati bloccati
dalle lobby di potere.
A)- Nikola Tesla (Serbo, 10 luglio1856 – New York, 7
gennaio1943) sviluppò molti brevetti tra cui la Corrente Alternata che si contrappose
al dominio della Corrente Continua (sviluppata da Thomas Alva Edison 1847-1931
verso la fine del XIX secolo) ed anche una forma di energia libera cosiddetta
Energia Radiante o Energia senza fili.
Per questo suo progetto fece sì che non fu più
finanziato dal banchiere John Pierpot Morgan, questi infatti era il detentore del
monopolio di un’azienda di produzione di rame per conduzione elettrica.
Nel
1888, sviluppò i principi della sua bobina di Tesla e iniziò a lavorare con
George Westinghouse nei laboratori di Pittsburgh della Westinghouse Electric &
Manufacturing Company.
Westinghouse ascoltò le sue idee per i sistemi
polifase che avrebbero permesso la trasmissione di elettricità a corrente
alternata ungo grandi distanze.
Il laboratorio di Tesla fu incendiato ed egli
emarginato.
B)
Adam Trombly : inventò
una Dinamo (generatore di energia elettrica) direttamente dall’aria.
Quando
fu invitato all’ONU e al senato, nella prima amministrazione di George H.W.
Bush, prima di dimostrare la sua scoperta, la sua dinamo fu sequestrata in un
blitz da parte del FBI governativa.
C)
John Bedini:
lavorò
sulle teorie di Tesla al fine di mettere a punto un dispositivo che produceva
energia più di quanto ne serviva per alimentarlo quando annunciò che stava per
immetterlo sul mercato a prezzi accessibili, subì un attentato che lo
minacciava di non produrre le macchine e a vendere il suo prodotto pena la sua
incolumità
D)
John Hutchison: sulle
vie sperimentali di Tesla ha inventato delle super batterie ed anche un sistema
per vincere la gravità ma i suoi laboratori hanno subito nel 1978,1989 e nel
2000 vi sono stati dei blitz da parte delle forze governative che hanno
sequestrato le sue invenzioni
E)
Eugene Franklin Mallove (June 9,1947 – May 14, 2004) scienziato, scrittore scientifico,
editore, e pubblicista di Infinite Energy Magazine, e fondatore della”
no-profit organizzazione New Energy Foundation”.
Era un forte oppositore della “cold fusion”
(energia nucleare atomica), supportava molto la fusione fredda .
Con la
rivista” INFINITE ENERGY ”mise a punto sviluppi teorici e pratici sulla nuova
energia ma fu misteriosamente picchiato a morte nel 2004 a bastonate.
Perché
fare tutto questo e perché mettere a tacere tali scienziati?
Il
motivo è che lo sviluppo di tali tecnologie metterebbe fine alla “EXXON”, al “petrolio”,
al” carbone”, alla trasmissione lineare dell’energia attraverso cavi… un salvadanaio da 2.000 miliardi di
dollari che nessuno vuol perdere.
La
diffusione di queste tecnologie di energia pulita e libera cambierebbe molto
della struttura geopolitica mondiale del pianeta poiché molta delle povertà
mondiali dipendono dalla scarsità di energia acquisibile.
Le
nuove tecnologie quindi determinerebbero un cambiamento epocale inimmaginabile.
Energia
pulita e gratuita per tutti!
Molta
della sofferenza del pianeta dipende dalla mancanza di energia: per nutrirsi,
per riscaldarsi, per ottenere strumenti alla tutela della salute. Tutto questo
dipende dalle risorse di energia. Le nuove tecnologie si integrano con la
natura. Il modo migliore di sostenere il consumo delle vecchie energie, da
parte delle grandi lobby di potere, era quello di negare la validità delle
nuove.
Brian O’Leary (prof. Princeton) collaboratore con la NASA, asserisce
che tali tecnologie sono possibili ed è possibile il loro inserimento nel
contesto geografico per la produzione di energia nuova.
CHI
TROVA VANTAGGIO DALLA REPRESSIONE DELLA RICERCA SCIENTIFICA?
Il
modo migliore è quello di seguire il per percorso del denaro.
La
nostra dipendenza dal petrolio garantisce alle multinazionali di incrementare i
loro profitti.
Sono proprio loro ad impegnare ingenti risorse
per ostacolare le energie alternative.
Inoltre
controllano i mercati per tenere alto il costo del petrolio.
Inoltre
non si fanno scrupoli per eliminare chiunque ostacoli il loro progetto.
Ma chi
c’è dietro questo che definiamo “POTERE ECONOMICO”.
L’impero
petrolifero di “John D. Rockefeller “ebbe inizio nel 1870 quando fondò la
STANDARD OIL (prima azienda petrolifera d’America) diventando il primo miliardario
d’America.
L’azienda
fu poi trasformata in EXXON MOBIL ed altre entità perché già in quegli anni
dominava e distruggeva tutte le piccole aziende.
I
Rockefeller controllavano anche il cibo e negli anni ’60 proposero l’uso di
fertilizzanti, pesticidi e erbicidi tutti derivanti dal petrolio questo fu
volto dalla “Rockefeller Foundation”.
L’agricoltura
basata sull’uso di prodotti derivati dal petrolio fornì nuovi ed importanti
profitti alle industrie del petrolio e ai Rockefeller ma non mantenne mai le
promesse di debellare la fame nel mondo e promuovere la SALUTE.
Risultato:
piccole aziende scomparse, biodiversità annientate, tutto grazie ad organismi
geneticamente modificati GMO (Genetically Modified Organism) ed inoltre le
sostanze chimiche tossiche altro non facevano che avvelenare i contadini, la
falda acquifera, il cibo mettendo a rischio la salute di tutti.
Nel
2010 circa 1 persona su 7 non disponeva di abbastanza cibo.
Sempre
le grandi holding avevano creato la possibilità di sementi sterili per cui
tutti i contadini dovevano approvvigionarsi presso di loro ovvero avevano
creato un nuovo tipo di colonizzazione ‘la colonizzazione del futuro”.
Henry
Kissinger (27
maggiol923, è un politico statunitense di origine tedesca. È stato il 569
segretario di stato degli Stati Uniti durante le presidenze di Richard Nixon e
di Gerald Ford):
“Coloro
che controllano l’approvvigionamento alimentare controllano la gente; coloro
che controllano l’energia controllano gli interi continenti; coloro che
controllano il danaro controllano il mondo” – 1973.
Le
maggiori famiglie di banchieri controllano anche:
“NEA”
(National Education Association) – Rockefeller e Fondazione Ford -L’educazione
scolastica: questo in modo da creare una popolazione “ubbidiente”.
“AMA” (American Medicai Association)
Un’ organizzazione della salute:
Chicago
finanziata dai Rockefeller attraverso finanziamenti per influenzarne ricerche e
mercato – l’uso di farmaci per ottenere guadagni – ecco perché “Deepak Chopra “è
molto combattuto sugli organismi americani che dovrebbero tutelare la salute
della gente.
Il Dr.
Royal Raymond Rife, negli anni ’20, inventò i microscopi più avanzati del suo
tempo e lavorò per sviluppare una metodica chiamata RISONANZA COORDINATIVA
apparentemente in grado di distruggere tumori, cancerosi e virus.
Nel
1939 il sistema di Rife fu testato su 16 ammalati di cancro terminali e nel
giro di 3 mesi risultarono tutti guariti.
Subito
dopo, un laboratorio che testava questa tecnologia fu dato alle fiamme.
Il Dr.
Morris Fishermann capo di un giornale dell’”AMA” confutò quanto “Rife” aveva
realizzato e solo per questo Rife” fu messo
a tacere e ridotto in rovina ed il suo promettente lavoro abbandonato.
Rene
Caisse nel 1922 era capo infermiera in un ospedale e fra i malati della sua
corsia noto una signora con un seno stranamente deformato.
Incuriosita, le domandò cosa fosse accaduto.
La signora raccontò che vent’anni prima un uomo di
medicina degli indiani Objiwa, saputala malata di cancro al seno, le aveva
fatto bere per un lungo periodo un the di erbe che l’aveva guarita.
L’indiano aveva definito questa miscela di
erbe e radici.
Più
tardi, Rene si adoperò affinché questa formula potesse guarire un gran numero
di persone.
Purtroppo
fu aggredita in tutti i modi dalle lobby farmaceutiche ed economiche che il suo
lavoro fu per molto tempo sconfessato.
MaxGerson ( 18 ottobre 1881 – New York, 8
marzo 1959) è stato un medico tedesco, che ha elaborato una terapia alternativa per
il trattamento di una variegata serie di patologie, tra cui i tumori, purtroppo
priva di riscontri scientifici. Tale terapia fu esaminata dal “National Cancer
lnstitute” (NCI) che riscontrò come le affermazioni e i dati portati da “Gerson”
a sostegno della sua tesi non dimostravano alcun effetto per la sua terapia.
La
terapia Hoxsey o di un metodo Hoxsey è un trattamento medico alternativo
promosso come una cura per il cancro.
Il trattamento consiste in una pasta a base di
erbe caustico per i tumori esterni o una miscela di erbe per ”interni” tumori,
in combinazione con lassativi, lavande, integratori vitaminici, e cambiamenti
nella dieta.
Recensioni
delle maggiori enti di medici, tra cui la “US Food and Drug Administration”
(FDA), il National Cancer Institute, l’American Cancer Society, MD Anderson
Cancer Center, e Memorial Sloan –
Kettering Cancer Center, hanno trovato
alcuna prova che la terapia Hoxsey è un trattamento efficace per il cancro.
La
vendita o la commercializzazione del metodo Hoxsey è stato vietato negli Stati
Uniti dalla FDA il 21 settembrel960 come un rimedio “inutile e screditato” e
una forma di ciarlataneria.
Attualmente, il metodo Hoxsey è principalmente
commercializzato dalla Bio-Medicai Center a Tijuana, in Messico.
La
terapia Hoxsey è commercializzato anche su Internet, nel giugno 2008, la FDA “Salute
Coordinatore Nazionale Fraud” ha osservato che”Non vi è alcuna prova
scientifica che non ha alcun valore per curare il cancro, ma i consumatori
possono andare on line in questo momento e trovare tutti i tipi di falso –
Hoxsey sostiene che il trattamento è efficace contro la malattia.
COSA
GESTISCONO LE LOBBY DEI POTENTI:
ENERGIA
, ALIMENTAZIONE, EDUCAZIONE, SALUTE.
Queste
sono tutte controllate da famiglie di banchieri attraverso il controllo del
denaro.
PIRAMIDE GESTIONE ECONOMICA.
Piramide
politica.
Fondo
Monetario Internazionale – Banca Mondiale.
Banche
associate.
Banche
(Citi, Chase, Big Banks, Goldman Sachs, ecc.)
Corporatocrazia
delle grandi aziende.
Governo
(Con forza e non ci tassano e ci danno leggi)
Popolazione
di pianeta (Normali lavoratori)
COME
FUNZIONA UNA BANCA.
Se
chiedo un prestito di 10.000 euro, la banca mi accredita tale richiesta sul
conto. (ma non stampa soldi né me li dà).
La
banca offre crediti 9 volte superiori a quelli che detiene nel caveau e questo
succede perché la banca centrale stabilisce la quantità di danaro che la banca
deve possedere (negli USA è di circa il 10%).
Così
ad esempio se io deposito in banca 10.000 euro in monete, la banca accantona
solo il 10% cioè 1000 euro e il resto lo rimette in cassa per offrirlo a chi
chiede soldi ma questi soldi non sono della banca bensì sono i soldi che IO ho
versato!
Moltiplicato per X alla fine si arriverà a
valori molto alti.
Sembra
che tutto sia iniziato nei primi del 600 quando lo scambio avveniva con l’oro
ma siccome questo metallo era molto pesante e difficile da trasportare allora
veniva depositato in camere di sicurezza e i proprietari delle camere
rilasciavano un documento cartaceo che garantiva la quantità di oro depositato
(primi segni di moneta cartacea).
Poiché
solo in pochi avrebbero ritirato l’oro in un preciso momento, i proprietari
delle camere (futuri banchieri), cominciarono a pensare che potevano offrire in
prestito la stessa moneta a fronte di interessi pesanti in garanzia su oro
depositato che in realtà non possedevano!
Nacque così la RISERVA FRAZIONARIA, in questo modo i
banchieri traevano profitto dal nulla su qualcosa che non possedevano mentre
noi il danaro lo dobbiamo lavorare … si è creato un modello di SERVITÙ’ in cui
la massa delle persone lavora per pagare i debiti con le banche.
Le
banche gestiscono soldi circa 9 volte superiori di quelle che tengono
depositate nel caveau.
La parte di denaro, che è virtuale,
corrisponde ai debiti che contraggano i cittadini.
Il
cittadino, quindi, deve lavorare per corrispondere alla banche soldi veri che
non sono mai usciti dalla banca.
La banca può produrre monete di carta,
chiedendo l’autorizzazione, che in realtà non corrisponde a valore reale ma
solo virtuale.
Questo perché il sistema bancario centrale è privato
ma si camuffa da banca pubblica.
Henry
Ford: “E’ una fortuna che i cittadini non comprendano il sistema bancario e
monetario; poiché io credo che se lo comprendessero, non passerebbe un nuovo
giorno prima dello scoppio di una rivoluzione” -1922
Catherine
Austin Fitts (U.S. Dept. of H.U.D.): denunciò il potere della sopraffazione
finanziaria governativa e della corruzione -1 suoi uffici furono sequestrati
dal governo e fu processata per 10 anni.
Nel
1910 nell’isola Jekyll Island: Rockefeller, Rothschild, Morgan, Stanley ed
altre banche costituirono le basi della
legislazione che avrebbe dato vita alla “RISERVA FEDERALE”.
Molti
politici USA vengono sovvenzionati da questa istituzione.
Dal canto loro, i politici consentono che le
banche producano più monete in carta.
La FED
(Federal Reserve) ha potere assoluto, è un organo indipendente e pertanto
nessuno, nemmeno il presidente USA può influire in alcun modo sulle sue
decisioni.
L’attuale
presidente della FED è Ben Shalom Bernanke (Augusta, 13 dicembre 1953) è un
economista statunitense, attuale Presidente del Comitato dei Governatori della
Federal Reserve negli Stati Uniti.
In precedenza ha ricoperto la carica di
Presidente del Comitato dei Consiglieri Economici del Presidente degli Stati
Uniti e membro del Comitato dei Governatori della Federai Reserve.
Il 24 ottobre. 2005, il Presidente George W.
Bush ha nominato Bernanke alla successione di Alan Greenspan come Presidente
della FED.
Bernanke
è entrato ufficialmente in carica il 1° febbraio 2006 dopo che il Senato ha
ratificato la nomina.
Il 25 agosto2009 il Presidente Barack Obama ha
confermato la nomina di Bernanke come Presidente della FED fino al 2014.
Ricordiamoci
di quanto è successo a J.F. Kennedy (29 maggiol917 – Dallas. 22 novembrel963).
Il 4
giugno 1963, venne fatto un piccolo tentativo per togliere alla Federal Reserve
Bank il suo potere di affittare la moneta al governo facendosi pagare un
interesse. In quel giorno, il presidente John Fitzgerald Kennedy firmò l’ordine
esecutivo numero 11110 che ripristinava al governo USA il potere di emettere
moneta senza passare attraverso la Federai Reserve.
L’ordine
di Kennedy dava al Ministero del Tesoro il potere “di emettere certificati
sull’argento contro qualsiasi riserva d’argento, argento o dollari d’argento
normali che erano nel Tesoro”.
Questo
voleva dire che per ogni oncia di argento nella cassaforte del Tesoro, il
governo poteva mettere in circolazione nuova moneta.
In tutto, Kennedy mise in circolazione
banconote per 4,3 miliardi di dollari.
Le conseguenze di questa legge furono enormi.
Con un
colpo di penna, Kennedy stava per mettere fuori gioco la Federal Reserve Bank
di New York.
Se
fosse entrata in circolazione una quantità sufficiente di questi certificati
basati sull’argento, questa avrebbe eliminato la domanda di banconote della
Federai Reserve.
Kennedy
fu assassinato il 22 novembre del 1963 a Dallas, in Texas.
Lee Harvev Oswald fu accusato dell’omicidio e
fu a sua volta ucciso, due giorni dopo, da Jack Ruby, prima che potesse essere
processato.
La Commissione Warren concluse che Oswald
aveva agito da solo; tuttavia, nel 1979 la “United States House Select
Committee on Assassinations” dichiarò che l’atto di Oswald era stato
probabilmente frutto di una cospirazione.
Potremmo
dire che il potere economico (le grandi famiglie di banchieri) sono come una
Tenia che si nutre dell’ospite (che siamo noi).
Questi
banchieri del popolo, in realtà, non sono nient’altro che parassiti a spese del
sistema producendo: economia parassitaria (cioè non collegata alla produzione
di manufatti).
Il
paese fu convinto che la FED era al servizio al popolo ma in realtà ha fatto
esattamente il contrario
Nel
1929 (periodo di depressione economica) l’élite bancaria ritirò dal commercio
un gran quantitativo di moneta creando ulteriore crisi per poi acquistare
piccole banche a prezzi irrisori tra questi banchieri c’erano i Rockefeller, i
Rothschild e i Morgan Nel 2008 gli istituti come:
Bank
of America controllata da Rockefeller
Citibank
controllata da Rothschild.
Chase
controllata da Morgan.
E hanno
messo insieme dei mutui corrotti (prestiti SUBPRIME) dei quali conoscevano già
il destino esiziale è come mettere delle mele marce in cassetta e venderle come
frutta di prima qualità solo dopo un po’ quando si è aperta la cassetta per
prendere i soldi si è visto che non avevano garanzie sufficienti.
Molte
agenzie di credito, in primis la” New Century Financial Corporation”,
precedentemente il secondo prestatore subprime della nazione, sono arrivate al
fallimento o alla bancarotta.
Il
fallimento di queste compagnie ha provocato il collasso dei prezzi delle loro
azioni, in un mercato che capitalizza 6.500 miliardi di dollari, minacciando
più ampi effetti sul settore abitativo americano e persino sull’intera economia
USA.
La
crisi ha ricevuto un’attenzione considerevole dai media USA e dal legislatore
americano, nella prima metà del 2007 e nel settembre 2008.
Nell’aprile
2009, il “Fondo Monetario Internazionale” ha stimato in 4.100 miliardi di
dollari Usa il totale delle perdite delle banche ed altre istituzioni
finanziarie a livello mondiale.
La cifra colossale, delle svalutazioni delle
attività finanziarie delle banche a causa delle crisi dei mutui.
David
Icke :
spiega come avviene con il “sistema della lenza” :
1°
fase - lanciare
la lenza:
Si
danno molti prestiti abbassando il tasso di interesse – il denaro circola di
più – la gente spende di più – si compra dalle aziende – le aziende chiedono
più soldi alle banche per produrre…ecc.
2°
fase – Poi
le grandi banche ritirano la lenza come?
Aumentando
i tassi di interesse – la gente richiede meno danaro e meno mutui perché più
rigorosi- le persone sono costrette a pagare gli interessi e non spende più –
all’improvviso c’è meno danaro in circolazione e meno produzione perché nessuno
acquista più – le aziende vedono diminuire i profitti – si riducono i posti di
lavoro e addirittura si ritirano dalla attività e/o falliscono – le banche
entrano quindi possesso della vera ricchezza … immobili, case, barche, ecc. che
sono state portate in garanzia solo per il semplice fatto di aver messo dei
numeri su uno schermo.
Barn
Mayer Amschel Rothchild: “Datemi il controllo della valuta corrente di una nazione e
non m’interessa chi fa le sue leggi”.
CHI
CONTROLLA IL DANARO CONTROLLA IL MONDO …e questi sono davvero pochi!
“Quando
un uomo onesto scopre di aver sbagliato egli o smette di sbagliare o smette di
essere onesto”- Anonimo.
Bisogna
considerare che a livello mondiale le banche centrali chiedono soldi alla banca
mondiale e queste sono gestite solo da pochi: Rockefeller, Rothschild, Morgan,
Stanley, ecc.
LA
DOMINAZIONE GLOBALE E SUOI INTENTI.
Dobbiamo
considerare che i potenti dominano già poiché controllano:
DENARO,
ENERGIA, AUMENTAZIONE (Cibo e acqua).
EDUCAZIONE
SCOLASTICA (Grandi scuole private).
SALUTE.
Che
altro devono dominare per aumentare il loro potere:
INFORMAZIONE
UBERA (Internet, ed altri sistemi liberi).
CONTROLLARE
IL DISSENSO.
Ma chi
è al comando economico mondiale e quali sono il più grandi potenti del sistema
economico mondiale in occidente:
1. Rothschild
2. Rockefeller
3. Morgan
4. Carnegie
5. Harriman
6. Schiff
7. Warburg
Alcuni
di questi potenti non è detto che sanno cosa stanno facendo. Tra loro:
David
Rockefeller, e James Wolfensohn (Former World Bank):
è già
stato visto che si incontrano segretamente con I maggiori capi di stato per
stipulare accordi ben precisi di movimenti economici finanziari con
ripercussioni sulla popolazione.
Solo
il vertice sa, solo il vertice manovra, la punta della piramide.
Come
si vede nei biglietti di banconote americani la punta è rappresentata
dall’occhio per definizione fu detto simbolo di sistema di sorveglianza di
massa americano inizialmente chiamato “Totale consapevolezza dell’informazione”.
Nel
sistema di sicurezza britannico MI;
Corte
suprema di Israele (Finanziata e progettata dai Rothschild).
Ma
qual è il presupposto di tutto questo?
Quando
un’ élite di persone ha tutto il potere economico e già domina il mondo vuole
avere di più e cioè il governo totale… il NUOVO ORDINE MONDIALE.
GEROGE
BUSH, Sr. (Pres. USA): parlò di “nuovo ordine mondiale”.
GORDON
BROWN: (1° Min. GB) parlò di ” nuovo ordine mondiale”.
HENRY
KISSINGER: parlò
di un ordine mondiale da auspicare.
A noi
può sembrare che quanto proposto da questi grandi uomini, sia una buona cosa ma
in realtà non lo è poiché rappresenterebbe la fine dell’umanità.
Un
tale potere oligarchico e totalitarista ci controllerebbe in ogni cosa: cibo,
acqua, salute, la nostra stessa specie !
David Icke: “La più grande prigione dell’uomo è il
timore di quello che pensano gli altri”:
Il passo per la vera libertà è liberarsi di questa
prigione.
È
sufficiente dettare le norme della società:
Cosa è
giusto e cosa non.
Cosa è
morale e cosa non.
Buono
o cattivo.
Savio
o folle.
Possibile
o impossibile.
Ecc.
Si
crea, cioè, un’area senza problemi.
Chi
sta dentro quest’area è ritenuto nella norma e la gente ti lascia stare perché
per loro è standard cioè normale ma se però esci fuori dall’area non sei più normale
e quelli che hanno dettato l’area sono pronti ad aggredire chi esce fuori.
In
realtà la realizzazione di aree geografiche è già stata avviata.
Pacific
Union;
American
Union;
African
Union;
European
Union.
Ma il
Governo Mondiale cos’è se non la iniziale formazione di schieramenti più facili
da dominare?
Molti
politici sostengono tale progetto poiché ritengono che la crescente complessità
di un mondo sempre più globalizzato potrebbe aver bisogno nel prossimo futuro
di una qualche forma di ordinamento che agisca a livello globale.
Jean
Claude Trichet (presidente BCE dal 2003 fino al 2011) si dichiarò favorevole ad
una governance mondiale (Mario Draghi è stato dal 2011 presidente della BCE)
ORGANIZZAZIONI
MONDIALI:
WTO (World Trade Organization);
Organizzazione Mondiale Commercio (OMC);
WHO
(World HealthOrganizatin) Organizzazione Mondiale Sanità;
WB
(World Bank) BancaMondiale;
IMF
(International Monetary Fund) FMI (Fondo Monetario Internazionale);
John
Perkins:
in “Confessione di un sicario
dell’economia” – straordinaria testimonianza di come un “pezzo” di potere politico ed
economico americano abbia pianificato e praticato lo sfruttamento dei paesi,
cosiddetti in “via di sviluppo”, dall’America Latina all’Indonesia,
attraverso
una nuova forma di colonialismo che al potere delle armi, antepone quello della
finanza e dei “progetti di sviluppo”.
Dal
libro:
“I sicari dell’economia sono professionisti
ben retribuiti che sottraggono migliaia di miliardi di dollari a diversi Paesi
in tutto il mondo.
Riversano il danaro della Banca Mondiale,
dell’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e di altre
‘organizzazioni umanitarie’ nelle casse di grandi multinazionali e nelle tasche
di quel pugno di ricche famiglie che detengono il controllo delle risorse
naturali del pianeta.
I loro
metodi comprendono il falso in bilancio, elezioni truccate, tangenti,
estorsioni, sesso e omicidio.
Il
loro è un gioco vecchio quanto il potere, ma che in quest’epoca di
globalizzazione ha assunto nuove e terrificanti dimensioni” (petrolio, ecc.).
Parla
anche di collusione con presidenti che , se non stanno agli ordini impartiti,
vengono uccisi.
IL
NUOVO ORDINE MONDIALE.
David
Icke parla
del Sistema di Piramide suddivisa in comparti:
i
livelli più bassi non sanno cosa succede al livello più alto e così via.
Questo
tipo di “compartimentazione” spiega come il “Progetto Manatthan” (130mila
collaboratori) che svluppa la bomba atomica, nessuno ne era a conoscenza tranne
i capi.
Pochi
hanno il potere di gestire molti, il risultato è che ci saranno poche isole di
ricchezza ed opulenza e tutto intorno povertà e queste isole saranno tutelate
dai militari.
Di qua
i ricchi…di là i poveri.
Un
mondo realizzato da potenti e diviso da chi ha … da chi non ha.
Il
sistema di potere utilizza strategie particolari per illudere il popolo a
seguirlo nel suo intento finalizzato al proprio dominio.
Tale
sistema si spiega così:
Problema
– Reazione – Soluzione.
FASE
UNO: si
crea un problema (attraverso i media, ecc.) che non è veritiero ma solo
inventato al fine di realizzare lo scopo ultimo.
FASE
DUE:
comunichi alla gente chi ha fatto A (problema) e perché -ma se i media fossero
“Liberi” divulgherebbero la notizia che il problema è stato posto proprio da
loro ma in realtà siccome i media sono gestiti proprio dai potenti, questi
fanno raccontare ciò che vogliono (vedi il caso Saddam Hussein della presidenza
Bush Jr.) – scatenano quindi sdegno e paura e implicitamente raccolgono quello che l’opinione desidera ma
solo per paura.
FASE
TRE:
consentono a chi ha architettato tutto questo di fare liberamente ciò che
volevano fare:
ESEMPI:
Robert
Mcnamara (1916-2009) .Occupò la carica di Segretario della Difesa degli Stati
Uniti dal 1961 al 1968 durante il periodo della Guerra del Vietnam sotto i
presidenti John Kennedy e Lyndon B. Johnson ), dichiarò che non fu vero
l’attacco nel golfo del Tonchino (L’incidente del Golfo del Tonchino, tra
Vietnam e Cina, fu uno scontro navale tra due cacciatorpediniere statunitensi e
alcune torpediniere nordvietnamite, che si svolse nell’agosto 1964 proprio nel
Golfo del Tonchino. Immediatamente dopo lo scontro armato, il presidente Lyndon
Johnson si appellò al Congresso per approvare la Risoluzione del Golfo del
Tonchino, che autorizzò il presidente a dare il via alla partecipazione
statunitense alla Guerra del Vietnam.)
G.
Bush Jr avanzò l’ipotesi che Saddam Hussein stesse costruendo armi di massa e/o
una bomba atomica o altre armi, ma fu solo un pretesto per consentire di
aggredire l’Iraq.
C’è
anche un’ipotesi che l’ 11 settembre 2001 sia stato un complotto.
Oggi
in America chiunque può essere arrestato senza avvertimento o giusta causa e
questo soltanto con un indizio sospetto alla lotta al terrorismo e finanche
torturato e ucciso se il governo ritiene che egli costituisce una minaccia per
i suoi piani.
Siamo
sempre più tenuti d’occhio, sempre più sorvegliati attraverso vari modi
realizzando così… il controllo su di noi è cominciato, ecco come:
Carte
magnetiche – Patenti - Passaporti elettronici - Chip sottocute – Telecamere,
Ecc.
È
stata la Procter & Gamble a sviluppare per prima questi chip per seguire i
suoi prodotti.
James
Monnier Simon (Direttore Assistente della CIA) ha ammesso che il chip è un primo passo
per il sistema di controllo dell’uomo.
Alcuni
satelliti sono in grado di individuare questi chip e controllare così l’uomo
nella sua libertà.
David
Rockefeller:
”L’esperimento
sociale in Cina sotto la presidenza di Mao è uno dei più importanti successi
della storia umana” -1973.
Quell’esperimento
sociale uccise 70 milioni di cinesi durante il cosiddetto “periodo di pace”.
UN’ALTRA
REALIZZAZIONE DI DOMINIO MONDIALE è I’ eugenetica.
L’EUGENETICA
è quella prassi attraverso la quali alcuni stabiliscono chi far riprodurre e
chi no, la sterilizzazione è il mezzo più insidioso attraverso cui questo piano
viene realizzato.
Nel
1904 i CARNEGIE hanno finanziato un laboratorio di eugenetica a Cold Spring
Harbour (CSHL- 1890)(Long Island).
I
Rockefeller hanno finanziato la sterilizzazione non volontaria di uomini di
colore attraverso programmi di eugenetica.
L’istituto
“Kaiser Wilhelm Institute” in Germania svolse programmi di eugenetica per favorire
i piani di supremazia razziale poi adottati da Hitler.
Nel
2007 il USDA (Dipartimento Agricoltura) e il HS (Sicurezza Nazionale USA) ha
finanziato un programma di irrorazione aerea su 7 milioni di persona nel Nord
Carolina ove erano previsti sostanze chimiche atte a sviluppare malattie e a
rendere sterili.
Dopo
la resistenza dei cittadini i funzionari hanno confermato il tutto ed è stato
fermato il progetto (La resistenza civile ha vinto).
Il
governo USA è stato smascherato ben 30 volte in questo intento di controllo
eugenico.
Denunce
sono state anche con la vaccinazione in Brasile in Portorico, Nicaragua,
Messico e filippine.
Queste
campagne sono potute avvenire poiché sovvenzionate da:
“Population
Council” – di Rockefeller.
Dipartimento
USA per la sanità;
ONU –
finanziata dai Rockfeller e Rothchild.
“Novartis”,
“Sygenta”, “USDA” e ministero della difesa hanno sperimentato un mais
(geneticamente modificato) che rende i maschi sterili dopo averlo mangiato e la
cosa è stata annunciata come … ” contributo al sistema per riduzione della
sovrappopolazione mondiale”.
AL
momento la fertilità umana nel mondo è sensibilmente diminuita con decremento
notevole della popolazione … è un caso? NO!
Ricordiamo
quello che è successo in Germania nel 1939.
MOMENTO
DI DIRE BASTA – CREIAMO LA SOLUZIONE.
Poniamoci
queste domande su chi siamo:
Siamo
essere umani che l’élite giudica stupide e avide che lasciate alle proprie
inclinazioni si darebbero alla violenza e al caos e quindi per il loro stesso
bene devono essere governata da un’élite autonominatesi.
Siamo
premurosi e creativi.
Sicuramente
apparteniamo alla seconda categoria!
Se le
persone sono in salute e posseggono il necessario per sopravvivere possono
creare un mondo basato sull’integrità, libertà, compassione insomma un mondo in
cui ognuno può prosperare.
Spetta
a noi scegliere quale di queste due forme è la nostra prospettiva … ORA!
Possiamo
essere plagiati a pensare che così si deve fare.
La nostra salvezza dipende dalla schiavitù di
altri.
NOI
ABBIAMO MOLTE CARTE IN MANO.
Paul
Hawken (Ha
fondato nel gennaio del 2011 il Naturai Capital Institute www.naturalcapital.org.
Parla
di un numero notevole di associazioni mondiali che si occupano e s’interessano
di questo nuovo sviluppo economico.
L’élite
ha bisogno della nostra partecipazione, se noi gliela neghiamo loro non possono
promuovere niente.
Il
potere della non violenza seguendo i principi di Ghandi e Martin Luther King.
Abbiamo
quella che Ghandi definiva “La semplice forza della verità”.
Un
esempio è l’India dove oggi ci sono molti villaggi liberi in cui non ci sono
leggi sui GMO (Organismi Geneticamente Modificati), non ci sono leggi su
brevetti né introduzione di sostanze chimiche e/o prodotti derivanti da
petrolio o similari.
ITALIA
: 90% di zone che non accettano I GMO – (Francia quasi uguale – Spagna meno
molto).
Altro
esempio è la Bolivia dove tutta la popolazione scese in strada per impedire che
alcune società straniere si impossessassero delle sorgenti idriche.
Altri
esempi ci sono ma i media non ne parlano!
Il
criterio che deve entrare in noi è che INSIEME SI VINCE!
COSA POSSIAMO FARE?
Ecco
un decalogo:
Informiamoci,
diciamo la nostra e prendiamo contati con altri.
Affidiamo
i nostri soldi alle banche locali (in questo modo sottraiamo soldi ai grandi
gruppi).
Acquistiamo
ed investiamo responsabilmente.
Uniamoci
alla verifica e chiusura della FED e FMI.
Salvaguardiamo
Internet (Nessun Controllo).
Sosteniamo
i media indipendenti.
Informiamoci
presso fonti diversificate ed informiamoci chi finanzia le informazioni.
Sosteniamo
la lotta alla produzione di GMO (Org. Genet. Mod).
Uniamoci
ai movimenti per elezioni pulite – Sosteniamo riforma di finanziamento partiti.
Sosteniamo
lo sviluppo di energia rinnovabile.
Uniamoci
alla massa critica.
Il
criterio che ci deve muovere è: NON VIOLAZIONE.
Questa
è la filosofia di un sistema economico basata sulla non violazione di “Ludwig
von Mises” basato sull’etica di base della non aggressione.
Questo
sistema si basa sul fatto contrario a quello che definisce che il bene di un
gruppo è prioritario rispetto al singolo.
La
nostra bussola è il nostro orientamento interiore:
Imparando
ad acquietare il rumore esterno e ad aumentare il segnale interiore possiamo
sentire meglio la voce della sapienza interiore che ci offre sagge indicazioni.
Possediamo
una immensa energia interiore che ci guida nel mondo esterno nella maniera
giusta.
“Deepak
Chopra”:
per guarire il mondo dobbiamo raccontare a noi stessi una storia diversa,
dobbiamo iniziare ad impegnarci in una storia diversa con gli altri.
La
crisi è maturata tanto da produrre come effetto: IL RISVEGLIO DI MASSA.
La
religione del progresso tecnico:
l’attualità
di Carl Schmitt fra
tecnica
e depoliticizzazione.
Pandorarivista.it
- Francesco Nasi – (26 ottobre 2022) – ci dice:
Negli
ultimi anni numerose voci hanno fornito chiavi di lettura importanti per
osservare con occhio critico il progresso tecnologico.
Tali
valutazioni condividono un comune oggetto di critica:
la
diffusa e incondizionata fiducia nei confronti della tecnologia, che sembra a
tratti assumere una dimensione semi-religiosa.
D’altra
parte, il legame tra tecnica e credenza religiosa non è nuovo.
Il
lavoro più significativo in questo senso è di “Davide Noble”, storico della
tecnologia americano, che ha dedicato al tema un’importante opera dal titolo “Religion
of Technology”.
In questo libro, “Noble” mostra lo stretto
rapporto che hanno avuto nel mondo occidentale il progresso tecnico e la
religione cristiana, spesso rafforzandosi e alimentandosi a vicenda, seppur le
linee di conflittualità non siano mai mancate.
In un
libro recente, “Gabriele Balbi” ha parlato della trasformazione digitale come
de “l’ultima ideologia”, sottolineando come, per legittimarne un’esaltazione a
volte acritica, si faccia spesso riferimento ad un immaginario di tipo
religioso.
Da un
punto di vista della riflessione politica, però, è “Carl Schmitt” a parlare
esplicitamente di una “religione del progresso tecnico”.
Il giurista tedesco ha introdotto questo
concetto nel suo saggio “L’età delle neutralizzazioni e delle
depoliticizzazioni”, identificando con questa espressione la crescente tendenza
che vedeva alla sua epoca a considerare proprio la tecnica il nuovo “centro di
riferimento” della società europea.
Può
questa categoria concettuale essere ancora utile, oggi?
Che
cosa ci dice del nostro presente, e come può aiutarci a decifrare i fenomeni a
cui assistiamo?
Per
tentare di rispondere a queste domande, nell’articolo si cercherà di
approfondire la nozione di religione del progresso tecnico, legata a sua volta
ai concetti di neutralizzazione e depoliticizzazione, provando in particolare
di coglierne gli elementi che possono essere utile per una lettura del nostro
tempo.
L’Europa
tra centri di riferimento e neutralizzazioni.
Per
comprendere la nozione di religione del progresso tecnico, è necessario innanzitutto
addentrarsi nel già citato saggio di Schmitt.
Secondo
il giurista tedesco, dalla fine del Medioevo ogni secolo in Europa è stato
caratterizzato da uno spostamento dei “centri di riferimento”, ovvero di quelle
categorie fondamentali attraverso cui le popolazioni, a partire dalle proprie
avanguardie intellettuali, comprendono e agiscono nel mondo.
L’essenza
del centro di riferimento è l’essere neutrale:
secondo Schmitt, infatti, il passaggio da un centro
all’altro dipende dal desiderio umano di raggiungere un centro neutrale, cioè
un’area depoliticizzata dove il conflitto è sospeso e la distinzione tra amico
e nemico – che è proprio la categoria fondamentale del “politico”, secondo
Schmitt – non sussiste.
Per
esempio, durante il Medioevo, la teologia cristiano-cattolica serviva come
centro di riferimento europeo, perché era abbracciata dalla maggioranza
generale della popolazione e l’autorità religiosa di Roma non era contestata,
se non in maniera sporadica e contingenziale.
Si
trattava per tanto di un ambito neutrale, sul quale si raccoglieva il consenso
della stragrande maggioranza della popolazione, escluso dalla diatriba politica
e militare.
La riforma di Lutero, però, trasformò questa sfera in un
ambito conflittuale, tra cattolici e protestanti, e così il centro di
riferimento dovette essere spostato verso un nuovo spazio di neutralità.
Seguendo
questo movimento storico e di pensiero, per Schmitt l’Europa passò prima dal
centro teologico (XVI secolo) a quello metafisico (XVII secolo), e poi da
quest’ultimo a quello morale-umanitario (XVIII secolo).
Infine, con l’avvento della rivoluzione
industriale, il centro di riferimento egemone in Europa divenne quello
tecnico-economico (XIX secolo), diffondendo una vera e propria “religione del
progresso tecnico”, come la chiama Schmitt.
Questa
non deve essere intesa come una teoria del dominio culturale o intellettuale:
diversi
centri di riferimento producono diverse gerarchie di potere, ma nessuno di essi
è specificamente “organico” ad alcuna classe sociale.
Inoltre, il centro di riferimento non ha un effetto
totalizzante sulla società: esistono centri minoritari e la pluralità – anche
se in misura minima – è preservata.
Senza
voler investigare le complesse motivazioni economiche, sociali e antropologiche
dietro il successo della tecnica nel XIX secolo europeo, secondo Schmitt la tecnologia fu abbracciata
come centro di riferimento perché rappresentava meglio di qualsiasi altro ente
la neutralità – e quindi l’apoliticità –, data la sua natura “oggettiva” e la
sua capacità di servire indiscriminatamente tutti.
Niente
poteva apparire più neutrale di qualcosa basato sulla fredda astrattezza dei
numeri e sul complicato calcolo di scienziati e ingegneri.
Citando
Schmitt stesso:
«Ogni battaglia e ogni mischia della contesa
confessionale, nazionale e sociale viene qui livellata, su un terreno
pienamente neutrale. La sfera della tecnica sembrava essere una sfera di pace,
di comprensione e di riconciliazione».
La
religione del progresso tecnico: una proposta di definizione
Nell’età
delle neutralizzazioni e delle depoliticizzazioni, Schmitt non propone una
definizione di religione del progresso tecnico.
Alla luce di quanto affermato precedentemente,
potrebbe però essere descritta come «una credenza simil-religiosa nella
capacità dello sviluppo scientifico e tecnologico di risolvere problemi,
fornire significato, dare orientamento e condurre alla salvezza».
Seguendo
la definizione proposta da Erich Fromm (1976) la religione è qui intesa in
senso lato, come «un sistema di pensiero e azione condiviso da un gruppo, che offre
all’individuo un mezzo di orientamento e un oggetto di devozione», e che quindi non ha strettamente a
che vedere con la dimensione divina e soprannaturale dell’esistenza.
La
definizione qui proposta di religione del progresso tecnico può essere
affiancata da quattro caratteristiche che la qualificano con maggior
precisione: verità, neutralità, salvezza e inevitabilità.
Il
progresso tecnico come verità.
Si
tratta sostanzialmente della convinzione che la tecnica stabilisca i limiti di
ciò che gli esseri umani possono raggiungere o conoscere della realtà.
Se
abbracciata pienamente, la religione del progresso tecnico esclude infatti
altre possibili interpretazioni della realtà, perché l’unico tipo di conoscenza
che si può avere del mondo è la conoscenza tecnica.
Questo
comporta, a sua volta, ciò che “Arnold Pacey “chiama “technical fixism”, cioè il tentativo di risolvere
ogni problema per solo mezzo di strumenti tecnici, ignorando altre possibili soluzioni
in altri ambiti della sfera sociale, politica e anche religiosa in senso
stretto, legato quindi alla presenza di una divinità.
La religione del progresso tecnico esaspera
questa convinzione, rendendo la soluzione tecnica l’unica soluzione possibile
per raggiungere qualsiasi tipo di obiettivo.
Come
scrive Schmitt «sorge una religione del progresso tecnico, per la quale tutti
gli altri problemi si risolvono da sé, appunto per mezzo del progresso tecnico».
Il
progresso tecnico come neutralità.
L’esistenza
di un’unica soluzione possibile – la soluzione tecnica – porterebbe a
un’equazione tra progresso tecnico e neutralità, elemento fondamentale
nell’identificazione dei centri di riferimento menzionati precedentemente.
La tecnologia così non potrebbe mai
configurarsi come politicamente prevenuta o orientata ai valori.
La
tecnica è neutrale perché è il terreno che mette d’accordo tutti, dove il
conflitto dato dall’intrinseca pluralità umana tace e le differenze vengono
meno.
In
questo modo, il progresso tecnico non è soltanto un oggetto di devozione tra i
tanti, ma la risposta ultima alle grandi questioni dell’umano.
Il
progresso tecnico come salvezza.
Se tutta la conoscenza è tecnica e se tutti i
problemi possono essere risolti attraverso la tecnica, allora la salvezza –
intesa in senso lato come uno stato finale di pace e benessere – è
raggiungibile solo attraverso la tecnologia.
Secondo questa narrazione, grazie alla
manipolazione del mondo naturale la tecnologia potrebbe così liberare le
illimitate possibilità umane di cambiamento e miglioramento.
Il
progresso tecnico presenta un mondo docile che può essere ordinato, controllato
e sottomesso per raggiungere un nuovo Eden terrestre, come è stato ben
rappresentato da nuove e vecchie utopie, dalla Nuova Atlantide di Francis
Bacon a Walden Two di Burrhus Skinner.
Questo elemento emerge con ulteriore vigore
nel pensiero post-umanista e transumanista.
Secondo
il post-umanesimo, l’umanità sarebbe diretta verso una situazione ideale in cui
i limiti della biologia umana saranno trascesi grazie al raggiungimento della
singolarità tecnologica.
Il
passaggio a questo status finale è facilitato dal transumanesimo, il progetto
di potenziamento e trasformazione umana.
Secondo
questa visione, la tecnologia rimuoverà le imperfezioni naturali dell’uomo e,
alla fine, porterà al “paradiso disincarnato del cyberspazio”
Il
progresso tecnico come inevitabilità.
La
credenza nell’evoluzione incessante della conoscenza tecnica comporta sia il
determinismo tecnologico che l’inevitabilismo tecnologico.
Secondo
“Daniel McCharty” il determinismo tecnologico presuppone che la tecnologia sia
al di là del controllo degli agenti umani, presentandosi come qualcosa di
totalmente autonomo e indipendente.
Una conseguenza diretta di tale certezza è ciò che “Shoshana
Zuboff”, riprendendo “Langdon Winner”, definisce come “inevitabilismo
tecnologico”.
In
base a questa idea, il progresso tecnico è sia la forza principale che
influenza la vita umana che un processo indipendente con esiti predeterminati.
Per questo motivo non può essere fermato o
cambiato: gli
esseri umani possono solo seguire la strada che è stata tracciata dalla
tecnologia stessa, non indirizzarla o contribuire al suo sviluppo attraverso i
propri valori e idee.
Le
conseguenze della religione del progresso tecnico nelle società contemporanee:
la mistificazione della politica.
Come
sostiene Schmitt, ciò che consegue alla neutralizzazione operata dalla
religione del progresso tecnico è la depoliticizzazione della società.
Se nel
pensiero schmittiano ciò ha a che fare con la sospensione della dicotomia
amico-nemico, è facile però estendere questa idea anche alle democrazie
contemporanee, dove la conflittualità politica si lega in primo luogo alla
pluralità interna alle società.
Nell’economia,
nello sviluppo, nella scuola e nei media, una cieca fiducia nel progresso
tecnico tende a ridurre la scelta politica a “bias” personale, una sorta di
pregiudizio primitivo ed egoistico.
L’idea che possa esistere una verità unica, neutrale e
oggettiva, delegittima le forme di conflitto e di pluralità nella vita sociale.
La sfera politica viene allora ridotta a mera
amministrazione volta a raggiungere un presunto e prestabilito “bene comune”
che spiani ulteriormente la strada al progresso tecnico.
Il
miglior governo diventa così il governo tecnocratico, e la politica democratica
viene delegittimata nel suo stesso fondamento di pluralità e discussione.
È un
tema che, soprattutto in Italia, si è presentato spesso con la necessità di
ricorrere a “governi tecnici” durante momenti di impasse parlamentare, come
quelli presieduti da Mario Monti e Mario Draghi.
Ciò
che sembra caratterizzare davvero questi esecutivi – e, paradossalmente, a
garantirne la legittimità – non è soltanto la competenza dei tecnici, ma
piuttosto il fatto di apparire come superiori rispetto alla dialettica
politica, come se le loro decisioni fossero dettate esclusivamente da una
realtà tecnica e oggettiva, e non fossero frutto di una scelta, che quindi di
per sé è politica.
Il fatto è che nella visione della religione
del progresso tecnico il concetto stesso di “scelta” viene meno, poiché la
verità e la salvezza stanno nell’oggettività della tecnica, del numero in sé e
per sé, ignorando che invece proprio quella “tecnica” potrebbe essere una
scelta fra tante.
Di
conseguenza, le entità politiche tradizionali e i gruppi collettivi – classi
sociali, minoranze, partiti, sindacati e così via – non sono concepiti come
attori in grado di trasformare la società, poiché il cambiamento sociale
sarebbe una prerogativa del progresso tecnico.
Questo
comporta uno spostamento dell’agency dagli individui agli strumenti tecnici, in
una pericolosa profezia che si autoavvera per cui il potere e l’azione vengono
monopolizzati dalla tecnologia, e quindi dagli attori che ne detengono le
redini.
In
questo modo la religione del progresso tecnico tenderebbe ad avere un effetto
lobotomizzante sul corpo politico.
Pur promettendo un “empowering dell’essere
umano” grazie agli strumenti tecnici, un’assolutizzazione della tecnica rischia
di trasformare l’individuo in un atomo isolato, incapace di azione collettiva
e, quindi, di esercitare un potere significativo nella società.
Come suggerito da “Éric Sadin” nel suo ultimo
volume, si allarga così il divario tra ciò che l’immaginario del potere
suggerisce – ogni persona può fare ciò che vuole della propria vita grazie alle
infinite possibilità della tecnica – e ciò che nei fatti è la pratica del
potere, dove l’incapacità di agire politicamente e collettivamente comporta l’impossibilità di cambiare
la realtà circostante e di conseguenza anche la propria esistenza, aumentando frustrazione e
sentimento antipolitico.
Eppure,
come sostiene “Schmitt”, qualsiasi centro di riferimento neutralizza senza
essere neutrale, perché è in realtà frutto di una determinata scelta.
La realtà è infatti sempre inevitabilmente
pregna di questioni etiche, politiche e sociali.
Questo
vale anche e soprattutto per la tecnica.
Per
esempio, “William Stahl” sostiene che la tecnologia è sempre una pratica, e
quindi è in una relazione intrinseca con gli attori social.
Non è
pertanto possibile rimuovere gli strumenti tecnici dal loro sfondo
socioculturale.
Un
esempio banale è la produzione della prima bomba atomica: non era solo un’arma,
ma un’arma americana, prodotta da esseri umani unici in un particolare contesto
storico – la Seconda guerra mondiale – e con uno scopo predeterminato.
La sua
esistenza era quindi inevitabilmente dipendente da questa contingenza.
Più
nello specifico, gli artefatti tecnici sono inseriti in una rete inestricabile
di valori e interessi:
è il
caso degli algoritmi per il riconoscimento facciale che presentano “bias
razziali”, o dei “feed” dei social media che privilegiano contenuti scandalosi
o altamente emotivi per massimizzare l’engagement e, di conseguenza, l’utile
economico.
La
tecnologia non è poi nemmeno “libera” nel suo sviluppo, ma altamente
incorporata nei processi politici:
si
consideri, ad esempio, come alcune delle principali scoperte tecnologiche siano
state guidate o finanziate dallo Stato e il ruolo delle aziende high-tech nella
lotta geopolitica sotto la forma del cosiddetto “capitalismo politico”.
Pertanto,
la religione del progresso tecnico non elimina il potere, i valori o le
gerarchie:
li
nasconde soltanto, rigenerandoli sotto un’altra forma.
Ecco perché, più che una vera e propria
depoliticizzazione, la prima e più importante conseguenza della religione del
progresso tecnico è una mistificazione della politica.
La
cieca fede nel progresso diffonde la narrazione di un mondo neutralizzato e
apolitico ma la realtà continua ad essere politica e conflittuale.
Il risultato è una paradossale
neutralizzazione senza neutralità in cui il gioco incessante della politica
continua in forme diverse, complesse e a volte ancora più gerarchizzate, mentre
chi è imbevuto della religione del progresso tecnico è privato della capacità
di agire politicamente e collettivamente, poiché abbagliato nel mito della
neutralizzazione, dove la politica non ha spazio.
Il
sistema tecnico produce vincitori e vinti, creando nuove disuguaglianze di
potere e di risorse tra città e zone rurali, giganti dell’alta tecnologia e
imprese locali, ingegneri plurilaureati e lavoratori poveri sotto-istruiti:
ma
questi nuovi conflitti difficilmente riescono ad essere politicizzati se la
religione del progresso tecnico è ampiamente diffusa nel corpo sociale.
Nel frattempo, però, la realtà continua a
muoversi e trasformarsi.
Riprendendo
il saggio di Schmitt: «…rappresentare l’epoca contemporanea, in senso spirituale,
come l’epoca tecnica, può essere solo un fatto provvisorio.
Il significato finale si ricava soltanto
quando appare chiaro quale tipo di politica è abbastanza forte da impadronirsi
della nuova tecnica e quali sono i reali raggruppamenti amico-nemico che
crescono su questo terreno».
Conclusione.
Libri
e film hanno descritto in modi diversi la religione del progresso tecnico.
Ne Il
mondo nuovo di “Aldous Huxley” gli apici delle croci cristiane venivano
tagliati per produrre il nuovo oggetto di devozione:
la
lettera T della Ford modello T, la prima auto prodotta in una catena di
montaggio taylorista, simbolo del sorprendente progresso raggiunto dalla
tecnica.
Nel
film “Minority Report” di Steven Spielberg (tratto dall’omonimo romanzo di
Philip K. Dick), umani geneticamente modificati (i precog) prevedono i crimini futuri in una
misteriosa stanza chiamata “il Tempio”.
La religione del progresso tecnico, però, non
è solo un’entità fittizia:
è una
tendenza presente nel nostro tessuto sociale, elemento importante per cogliere
correttamente la complessità sociotecnica delle società contemporanee e i
problemi legati alla depoliticizzazione, soprattutto nelle democrazie.
Dall’altra
parte, è bene precisare che per religione del progresso tecnico non si vuole
intendere una realtà empirica, quanto piuttosto un idealtipo, un concetto utile
ad orientare la riflessione teorica sullo sviluppo dei processi tecnici e
politici.
È
importante, infine, notare che dare una lettura critica della religione del
progresso tecnico, come quella proposta in questo articolo, non comporta
abbracciare un atteggiamento luddista di radicale opposizione e critica alla
tecnologia.
Si
tratta piuttosto, come ha ben sottolineato “Umberto Curi” nella sua lectio al
festival di Pandora Rivista del 2021, di vedere la necessaria e costante
ambivalenza dello sviluppo tecnico, che non è mai univoco nelle sue conseguenze
e sempre impregnato della realtà politica, sociale e culturale contingente.
Un
atteggiamento che, al contrario di essere antirazionale o antiscientifico, si
inserisce pienamente nel solco della tradizione illuminista e del “sapere aude”
kantiano.
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