Ci vogliono schiavizzare a nostra insaputa.
Ci
vogliono schiavizzare a nostra insaputa.
Siamo
in guerra a
nostra
insaputa?
Mittdolcino.com
-Roberto X – Redazione - Youry Roshka -(11-3-2024) – ci dice:
Cerchiamo
di capire se siamo sotto attacco in una guerra asimmetrica non dichiarata.
Redazione:
è indubbio che stiamo vivendo un periodo cruciale, caratterizzato da conflitti,
pandemie, rivolte, migrazioni e avvento dell’IA.
È
anche evidente che stanno tentando in tutti i modi di implementare nuove forme
di controllo (codici QR, identità digitale, biometria, 5G, CBDC) con la scusa
dell’emergenza di turno (terroristica, sanitaria, bellica, climatica, di ordine
pubblico, hacker e magari in futuro anche UFO) con una spinta mai vista ad
accentrare tutti i poteri su organizzazioni transnazionali, come l’OMS, l’ONU,
o il FMI.
Siamo
sotto attacco in una guerra asimmetrica non dichiarata?
A
questa domanda prova a rispondere “Youry Roshka, un giornalista conservatore
della Repubblica di Moldova, in passato dissidente anticomunista, leader di
partito, deputato e vice primo ministro, oggi autore antiglobalista con forti
convinzioni cristiane e nazionaliste.
Lasciamo
come al solito ai lettori il compito di formarsi una propria opinione in
proposito.
GUERRA
SENZA RESTRIZIONI: Un approccio olistico al “Grande Reset”.
(Youry
Roshka per arcaluinoe.info).
Lo
stato di guerra come realtà permanente.
L’assalto
totale del potere ombra, che andava avanti già da molti anni, ha acquisito una
grande accelerazione nel 2020.
È
stato l’anno del lancio di un’operazione speciale chiamata “pandemia Covid-19” che
mirava allo sterminio di massa della popolazione mondiale e alla sua
modificazione genetica, nonché l’impoverimento e la sottomissione dei
sopravvissuti.
Questo
stato di allerta, provocato da un evento di gravità senza precedenti nella
storia, richiede un’analisi complessa, esaustiva e profonda, perché è in gioco
la sopravvivenza stessa della specie umana.
L’urgenza
di un esame adeguato dello stato del mondo oggi ci chiama anche a formulare
soluzioni che ci offrano la possibilità di evitare una catastrofe terminale
rapida e irrimediabile.
Quindi
siamo in uno stato di guerra.
L’aggressore non rappresenta uno Stato o un
gruppo di Stati, ma è costituito da una vasta rete di entità private e sovranazionali,
guidate non solo dalla sete di potere assoluto e dall’instaurazione di una
tirannia mondiale, ma soprattutto da motivazioni profondamente spirituali di natura malvagia.
Gli
obiettivi di queste forze sono tutte le nazioni del mondo, tutti gli esseri
umani, e
le rivalità tra di loro sono semplicemente parte della strategia di dominio.
Tra le
caratteristiche principali che distinguono lo stato di guerra odierno da quelli
classici c’è il fatto che non è dichiarato, non avendo attori legittimi come
due parti belligeranti rappresentate da stati.
Il nemico è nascosto, di natura sovversiva e attacca
le sue vittime con una gamma di armi non convenzionali che non sono percepite
dalle nazioni prese di mira come atti di ostilità militare.
In tal
caso, la
regola d’oro de l’arte della guerra di Sun Tzu è portata alla perfezione:
“Attraverso
te impariamo ad essere invisibili, attraverso te impercettibili; e quindi
possiamo tenere il destino del nemico nelle nostre mani”.
La
tattica della dissimulazione e l’applicazione di una patina di rispettabilità
scientifica e di presunta responsabilità morale per il destino del mondo
rendono praticamente invulnerabili i maestri di questo gioco mortale.
Al
centro dell’enorme forza d’influenza mondiale si trova il potere economico,
tecnologico, mediatico e culturale-cognitivo che annienta ogni capacità di
comprensione complessa e di resistenza effettiva da parte di stati e nazioni.
Il
nemico dell’umanità è estremamente sofisticato, perfettamente equipaggiato con
un numero enorme di strumenti e capace di giocare un gioco fatale per il mondo
intero, pur continuando ad ostentare innocenza e buone intenzioni.
La
maschera della rispettabilità sul volto delle “istituzioni internazionali.”
I
nemici dell’umanità operano attraverso organizzazioni internazionali percepite
come neutrali e benefiche per gli stati e i popoli, come l’ONU, l’OMS, il FMI,
la Banca Mondiale, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), l’OMC, l’OMS,
GAVI, l’UNESCO, l’UNICEF, l’UE, NATO, ecc.
E come
complici di questa enorme “cospirazione aperta” appaiono i governi degli stati
del mondo che sono diventati i burattini di queste forze occulte:
regimi
politici che contribuiscono al “genocidio dei popoli da essi governati”.
La
prepotente influenza, su scala mondiale e nazionale, di quel vero e proprio arcipelago di
potere è disseminata ed esercitata attraverso una miriade di società segrete o
semisegrete come la
Massoneria, il Royal Institute of International Affairs (Chatham House), il
Tavistock Institute, il Council on Foreign Relations, il Club di Roma, il
Gruppo Bilderberg, la Commissione Trilaterale, il World Economic Forum, ecc.
Le
guerre non militari come strategia di dominio.
Tra
l’enorme schiera di guerre non militari intraprese da queste élite demoniache
ci sono le seguenti:
Guerra
religiosa, Guerra di civiltà, Guerra economica, Guerra cognitiva,
Guerra
culturale, Guerra ideologica, Guerra psicologica, Guerra mediatica, Guerra
biologica, Guerra genetica, Guerra razziale, Guerra d’immigrazione, Guerra
geofisica, Guerra climatica, Guerra cibernetica,
Guerra
elettromagnetica, Guerra demografica, Guerra femminista,
Guerra
di genere, Guerra transgender, Guerra intergenerazionale, ecc.
Parallelamente,
si scatenano guerre calde, come quelle in Ucraina e nella Striscia di Gaza,
destinate a contribuire alla “demolizione controllata” dell’economia mondiale,
alla disaggregazione della capacità funzionale degli Stati e al reset del mondo,
sulla base
di un Nuovo Ordine Mondiale.
Come
colpo finale per annientare gli stati e la libertà umana, le élite sataniche ci
stanno preparando da decenni per una “guerra interplanetaria” derivante da una
“invasione extraterrestre” e dal mito degli UFO, per realizzare il “Progetto
Blue Beam”, che apparirà come la fase terminale del trionfo del “NWO.
Pertanto,
siamo costretti dalle circostanze a vivere in un’apocalisse in corso che spesso
percepiamo come la “nuova normalità”.
Una
strategia unica mascherata dalle rivalità regionali.
L’Agenda
2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile con i suoi 17 obiettivi viene imposta
ad ogni nazione ed esprime la realtà della governance globale:
un’agenda che spinge il piano di sterminio di
massa e di sottomissione definitiva, senza che alcun paese possa opporre
resistenza.
Inoltre, affinché nessun paese al mondo possa
annunciare il suo desiderio di lasciare questa organizzazione, ombrello del
potere ombra (l’ONU), il” Governo Mondiale” funzionerà altrettanto incessantemente
senza nemmeno formalizzarne l’esistenza.
Per
l’anno 2024 è stata annunciata la firma del cosiddetto “Trattato pandemico
dell’OMS”, che instaurerebbe definitivamente la tirannia globale con il
pretesto della salute e sradicherebbe definitivamente ogni traccia di sovranità
nazionale e personale.
Parallelamente,
una “nuova realtà distopica” si sta espandendo in tutto il mondo,
manifestandosi come l’apice della scienza e della tecnologia che promette di
inaugurare il paradiso eterno.
L’era
della digitalizzazione, della sorveglianza universale, della distruzione delle
libertà fondamentali – con il pretesto di emergenze mediche, climatiche o
informatiche – si sta manifestando con una forza irresistibile.
Le valute digitali delle banche centrali, l’Internet
delle cose, l’Internet dei corpi, le città intelligenti o città in quindici
minuti, l’“uomo aumentato” in veste transumanista, la tecnocrazia come forma di
tirannia universale, che si autoproclama una profezia che si auto-avvera: tutte queste nuove le realtà stanno
rimodellando il mondo intero.
Una
fuga dalla prigione concettuale.
Nessuno
dei conflitti di alto livello che attualmente infuriano su scala globale,
Ovest-Est o Nord-Sud, sembra influenzare l’imposizione di una strategia mortale
comune emanata dall’ONU, dall’OMS, e altri.
Il
carattere estremamente sofisticato e complesso del sistema di dominio del mondo
attraverso le organizzazioni internazionali – innumerevoli entità private
annidate sotto una maschera scientifica, culturale, medica o mediatica – sta
portando ad uno stato di dominio ad ampio spettro molto più pericoloso di
quello che potrebbe essere raggiunto dai militari, conquista o sottomissione
economica.
La
moltitudine di forme di guerra totale non militare che vengono combattute
contro l’umanità non viene nemmeno percepita dalla grande maggioranza delle
persone come un attacco generale all’umanità.
Questa
incapacità di cogliere le nuove realtà geopolitiche nel loro profondo
significato spirituale potrebbe presto rivelarsi fatale per il mondo intero.
Un
certo errore di prospettiva, un’inerzia di pensiero tengono la mente collettiva
prigioniera dei tempi passati.
Nelle
nuove condizioni storiche della globalizzazione, a causa del massiccio balzo
della scienza e della tecnologia e della gigantesca concentrazione del potere
mondiale nelle mani di soggetti privati, i vecchi schemi di divisione tra
paesi, regioni e civiltà non sono più validi;
ora
servono semplicemente come una maschera che nasconde il vero volto delle parti
in conflitto.
Per
superare lo stato generale di confusione e avere la possibilità di organizzare
una resistenza effettiva per garantire la perpetuazione della civiltà umana, è
necessario fare una distinzione categorica tra la prospettiva orizzontale e la
prospettiva verticale.
Orizzontalmente,
sono l’Occidente collettivo e i paesi BRICS, il Nord ricco e il Sud emergente
ad affrontarsi.
Eppure,
la lotta
chiave si svolge verticalmente:
l’aggressione
multidimensionale e implacabile delle élite mondiali demonizzate da un lato e
di tutti i popoli del mondo dall’altro.
E se
il primo piano di scontro viene registrato dalla percezione pubblica, il
secondo, infinitamente più importante, sfugge all’attenzione del mondo.
Le
rivalità tra i suddetti gruppi di paesi non si sono fermate nemmeno nel 2020,
ma soprattutto tutti i paesi hanno risposto con la stessa docilità agli editti
dell’OMS durante la finta pandemia di Covid-19, che non hanno percepito come un
atto di guerra.
Il
collettivo Occidente contro BRICS, USA contro Cina: chi gestisce lo spettacolo?
Uno
degli errori fondamentali legati alla globalizzazione è la tendenza ad
assegnare all’Occidente collettivo il ruolo esclusivo di guidare questo
processo.
Secondo
questa logica, il collasso dell’Occidente porterebbe automaticamente al
fallimento della globalizzazione. Da qui i miti legati ai BRICS come alternativa di civiltà
all’Occidente.
La
recente sostanziale espansione di questa organizzazione informe e onnivora ha
suscitato nuove ondate di entusiasmo tra i sostenitori ingenui della
deglobalizzazione.
Il
declino dell’Occidente e l’ascesa dei BRICS sono ugualmente applauditi da tutti
gli sfidanti dell’egemonia americana.
Nel
frattempo, pochissimi si accorgono che il Grande Reset viene imposto ovunque.
Trascendendo
i conflitti geopolitici condotti orizzontalmente, è dettato dalla verticale del
potere, l’unica forza che conta davvero.
Ancora
una volta, il mondo è governato da entità private e sovranazionali che operano
attraverso l’ONU, l’OMS e altri. Big Money, Big Oil, Big Pharma, Big Tech, Big
Media, ecc., sono solo i tentacoli della stessa piovra satanica.
E se è
noto che l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite è accettata e attuata da tutti i
paesi del mondo, che la politica genocida dell’OMS di false pandemie e omicidi
tramite iniezione è una politica ufficiale di tutti gli stati, che la
digitalizzazione è onnipresente, come possiamo tollerare una tale assurdità
ammirando allo stesso tempo un’alternativa così falsa?
Alcuni
apprezzano la prospettiva di un’imminente de-dollarizzazione, come se dovesse
essere seguita dall’instaurazione di una sovranità monetaria a livello di ogni
nazione e dalla scomparsa della BRI e della City di Londra.
Va
tenuto presente che al dollaro succederanno le CBDC a livello “nazionale”,
dopodiché verrà imposta un’unità monetaria digitale universale.
È
ovvio che le medesime premesse porteranno inevitabilmente alle medesime
conseguenze.
La società tecnologica porterà allo svuotamento delle
campagne, all’urbanizzazione, alla tecnocrazia e, attraverso la robotica e
l’intelligenza artificiale, alla disoccupazione di massa.
Sostituire l’egemonismo americano con
l’egemonismo cinese non significherà comunque il fallimento del Grande Reset.
Al
contrario, la società cinese è un modello ideale per le élite globaliste, che
desiderano espandere le proprie caratteristiche a livello globale.
Una
vera rivolta delle nazioni presuppone, innanzitutto, la volontà di abbandonare
le restrizioni globaliste che sottomettono l’umanità, in primis l’ONU e l’OMS.
Ma finora nessun Paese al mondo ha annunciato
tale intenzione, seguendo piuttosto docilmente la politica del Governo Mondiale
che opera attraverso queste organizzazioni.
La
fine della geopolitica classica.
Il
mito del cambiamento climatico è accettato ciecamente e docilmente da tutti gli stati
sotto la direzione dell’ONU.
L’attività
della BRI, l’eliminazione del contante e l’imposizione di CBDC non vengono
viste come dovrebbero quali strumenti per pauperizzare e schiavizzare la
popolazione mondiale, ma vengono invece concepite erroneamente come processi
naturali di inevitabile regolamentazione finanziaria.
Lo
stesso vale per la percezione pubblica delle altre “organizzazioni
internazionali”.
La
capacità di orientare la mente collettiva, di sfatare presunti miti sul quadro
internazionale, nonché di ridurre metodicamente la capacità cognitiva dell’uomo
contemporaneo è la principale garanzia di successo per i globalisti.
Al
momento non esiste alcuna differenza tra il livello di ignoranza della persona
media e quello di un funzionario statale.
In
queste condizioni, la strategia del travestimento e della manipolazione
funziona senza il minimo ostacolo.
Ho
chiamato queste nuove realtà su scala globale “la fine della geopolitica
classica”.
Oggi
il conflitto di fondo è verticale:
si
combatte dall’alto verso il basso e il nemico è un’entità non statale,
sovranazionale ed extraterritoriale.
Pertanto
– proprio come negli esercizi di decrittazione praticati nell’ingegneria
sociale – i due angoli inferiori del triangolo devono, per sfuggire al loro
eterno vittimismo, rinunciare alle reciproche ostilità “orizzontalmente” e
guardare in alto per scoprire il vero nemico che li attacca “verticalmente”.
Errore
di prospettiva nell’identificazione del nemico.
E qui
torno al titolo del mio discorso di chiusura pronunciato al “Forum di Chișinău
2023 il 9 settembre dello scorso anno”:
“Conosci il tuo nemico” – la regola d’oro
dell’arte della guerra nell’era tecnocratica.
Vale a
dire, una profonda comprensione della natura dei nemici dell’umanità ci offre
la possibilità di vendetta, di controffensiva e di sopravvivenza.
E qui
entriamo nella zona più delicata e incerta.
Questo
perché l’uomo di oggi non ha più una prospettiva religiosa e spirituale della
vita.
La
modernità ci ha segnato in modo irreparabile: siamo materialisti, atei e
razionalisti.
E questo mentre i nemici dell’umanità, che per secoli
ci hanno secolarizzato e sterilizzato spiritualmente, sono rimasti essi stessi
profondamente ancorati alle realtà spirituali.
Ci
hanno allontanato dal nostro Salvatore, ma hanno mantenuto la loro alleanza con
il loro signore.
Ci hanno cioè accecati per poterci dominare e
sconfiggere senza alcuna resistenza.
Di
fronte al male spirituale totale, alle forze demoniache sovrumane, non abbiamo
alcuna possibilità di successo utilizzando solo il potenziale umano.
La mancanza di uguaglianza delle armi
significa la nostra sconfitta eterna.
Il
nostro bisogno vitale è riscoprire e cercare un’alleanza strategica con il
nostro Creatore Gesù Cristo.
Avere un nemico così potente come Satana pur
rimanendo illusi dalle nozioni di autonomia e autosufficienza umana è
un’illusione indotta dal figlio della perdizione.
Sta a
noi decidere se vestire i panni dei perdenti o preferire la missione dei
conquistatori, compiendo un enorme salto paradigmatico e indossando l’armatura
di nuovi crociati.
Per
concludere, la nostra scelta è molto semplice:
a chi
obbedire, Dio o Satana.
Non
esiste una terza opzione.
L’autonomia umana è una trappola perfetta che
ci acceca e spinge la nostra Resistenza in un vincolo suicida.
L’illusione
liberale come fattore paralizzante.
Una
delle ragioni del travolgente successo dei nostri nemici è che continuiamo a
operare in condizioni di tirannia mondiale e terrorismo di stato con il nostro
obsoleto quadro di riferimento liberal-democratico.
Di
fronte a una guerra totale delle élite sataniste contro l’umanità, a dispetto
di un genocidio universale, operiamo con nozioni legalistiche; facciamo appello
alla Costituzione, ai diritti umani e alle norme democratiche.
Riponiamo le nostre speranze nei cicli
elettorali e nei “salvatori” come Trump o Putin, deificando l’opposizione
controllata.
E ci
rifiutiamo di comprendere la natura tragicomica di questa situazione.
Quando
un assassino uccide i tuoi figli, tua moglie, i tuoi parenti, un cittadino
onorato si siede per sporgere denuncia in tribunale o cercare un avvocato.
Ma la guerra ha una sua logica inesorabile.
Se non
fermi il tuo assassino, ti ucciderà.
Anche
il fatto che questa volta non siano fucili e bombe ad essere usate come armi
letali, bensì iniezioni, onde elettromagnetiche e cibo avvelenato, non cambia
il rapporto di forza tra le due parti, l’assassino e la vittima.
La
vittima è in legittima difesa e deve reagire.
La
nostra risposta al piano genocida del Grande Reset dell’élite globalista è
tipicamente chiamato il Grande Risveglio, ed è giusto che sia così.
Ma
questo sforzo di risveglio deve trovare la sua immediata continuazione nella
Grande Rivolta.
Qualsiasi
altra cosa sarebbe uno sterile esercizio intellettuale e una condanna alla
scomparsa della civiltà umana.
(arcaluinoe.info/en/blog/2024-01-14-466g3tft/).
La
dottoressa canadese specializzata
in
eutanasia parla con entusiasmo di
quanto
le piaccia uccidere le persone.
Lifesitnews.com
- Jonathon Van Maren – (17 maggio 2024)
– ci dice:
La”
dottoressa Ellen Wiebe” respinge la tesi avanzata dai gruppi per i diritti dei
disabili secondo cui essi sono vulnerabili e che la pressione sociale e persino
la coercizione spesso accompagnano l'eutanasia.
(
LifeSiteNews ) — Nel documentario della BBC recentemente pubblicato “Better Off
Dead?” , l'attivista per i diritti dei disabili “Liz Carr” ha intervistato la
dottoressa “Ellen Wiebe”, la più famosa dottoressa canadese specializzata in
eutanasia.
“Wiebe”
è anche un abortista e un attivista di “Dying With Dignity”, il gruppo di
pressione sull’eutanasia che cerca di espandere ulteriormente l’ammissibilità
al suicidio assistito in Canada.
Il
tentativo di “Wiebe” di difendere il regime di eutanasia canadese si è ritorto
contro quando, durante tutta la sua intervista, ha riso e sorriso mentre discuteva
della fine della vita dei pazienti.
"Amo
il mio lavoro", ha detto a Carr .
“Ho
sempre amato fare il medico e ho fatto nascere oltre 1.000 bambini e mi sono
presa cura delle famiglie, ma questo è il lavoro migliore che abbia mai svolto
negli ultimi sette anni.
E la
gente mi chiede perché, e penso bene, ai medici piacciono i pazienti grati, e
nessuno è più grato dei miei pazienti adesso e delle loro famiglie.
I suoi
pazienti sottoposti a eutanasia, va notato, sono morti.
Come
ha notato un osservatore disturbato sui social media:
"Mi
è piaciuto un po' troppo il suo lavoro, ho la sensazione."
Molti
altri erano d'accordo.
“Carr”
ha insistito più volte su “Wiebe” sulla minaccia che l’eutanasia rappresenta
per le popolazioni vulnerabili, ma “Wiebe” non ne ha voluto sapere.
"Ho
sicuramente incontrato persone che non sono più disabili di quanto io dica che
la vita non è accettabile in questo stato", ha detto.
"E
io direi: 'Hm, tu ed io siamo diversi.'
Ma non
diverso nel senso di voler avere un certo controllo”.
“Carr”
ha risposto:
“Per
me, sono preoccupato che dare l'opzione e il diritto a un gruppo di persone
metta a rischio un altro gruppo di persone.
Ma non credo che tu lo veda come una
preoccupazione”.
“Carr”
ha ragione.
"Quello
che stai dicendo è che per proteggere quelle che consideri persone vulnerabili
condanni gli altri a sofferenze insopportabili", ha detto “Wiebe”.
“Ma
sono così felice, così felice di essere canadese e di avere questa legge in
modo che le persone possano sceglierlo o meno.
Ma
dire che qualcuno debba soffrire così è semplicemente crudele”.
In
breve, “Wiebe” respinge la tesi avanzata dai gruppi per i diritti dei disabili
secondo cui essi sono vulnerabili e che la pressione sociale e persino la
coercizione spesso accompagnano l’eutanasia.
( Anche la sinistra canadese sta
iniziando a riconoscere la natura “distopica” del MAiD)
Stare
dalla parte di” Harrison Butker” mentre la sinistra cerca di cancellarlo per
aver proclamato il Vangelo.
Secondo
un lungo rapporto pubblicato su ” The New Atlantis” da “Alexander Raikin”
intitolato “ No Other Options ”, un uomo con tendenze suicide a cui era stato
detto che non era idoneo perché non aveva una malattia grave e non aveva “la capacità di prendere
decisioni informate sulla propria salute personale”.
Ebbene
è stato scagionato da “Wiebe”, che lo ha portato in aereo a Vancouver e lì lo
ha ucciso.
"È il lavoro più gratificante che abbiamo
mai svolto", ha detto Wiebe ai colleghi medici nel 2020.
Wiebe
ha difeso l'ampliamento dell'ammissibilità all'eutanasia per coloro che
soffrono solo di malattie mentali.
E poi
c'è la risposta di” Wieb”e in un seminario” MAiD”, rispondendo alla domanda su
cosa dovrebbero fare i medici con un paziente che sembra resistere
all'eutanasia.
Suggerì,
ridacchiando, di sedare il paziente.
Guarda
tu stesso:
Nel
2017, la dottoressa” Ellen Wiebe” si è intrufolata in una casa di cura ebraica
che non consente l’eutanasia per somministrare un’iniezione letale a un uomo di
83 anni.
L'evento
comprensibilmente terrorizzò i sopravvissuti all'Olocausto residenti nella
casa, e il personale, sconvolto, presentò una denuncia contro “Wiebe” al”
College of Physicians and Surgeons of British Columbia”.
La
denuncia contro di lei è stata respinta sulla base del fatto che “MAiD” è
legale in Canada e che quindi “Wiebe” non aveva infranto la legge.
È
interessante che così tante persone fossero così a disagio per la gioia
espressa da Wiebe riguardo al suo lavoro.
Anche
molti sostenitori dell’eutanasia ritengono che lei dovrebbe essere più solenne
e premurosa al riguardo, in qualche modo.
Ma
perché?
Se l’eutanasia – ovvero l’uccisione – è
assistenza sanitaria, perché non dovrebbe allegramente liberarsi dei suoi
pazienti?
Forse
il disagio nel suo atteggiamento allegro - il fatto che trovi gratificante
porre fine alla vita su entrambe le estremità dello spettro della vita - è
perché sappiamo, nel profondo, che c'è qualcosa di profondamente sbagliato nella
normalizzazione dell'omicidio medicalizzato.
Quel
disagio potrebbe essere semplicemente la coscienza a parlare. Dovremmo
ascoltare attentamente.
Guerra
a Gaza: come l’“ordine basato
sulle
regole” occidentali sia una farsa.
naturalnews.com – (17/05/2024) - Redattori di
notizie - Marco Carnelos – ci dice:
(MiddleEastEye.net)
Non è
ancora chiaro se la Corte penale internazionale
(CPI)
emetterà mandati di arresto nei confronti dei massimi leader politici e militari israeliani , come riportato dai media nei giorni scorsi.
Si è
anche ipotizzato che gli Stati
Uniti avrebbero cercato di impedirlo
e che Israele avrebbe preso in considerazione una ritorsione , e che il primo ministro
Benjamin Netanyahu fosse “spaventato e insolitamente stressato” dalla
prospettiva.
L'ufficio del procuratore della Corte penale
internazionale ha indirettamente confermato l'attivismo statunitense e le
minacce israeliane in una dichiarazione sobria ma inequivocabile.
Se i
mandati alla fine verranno emessi è irrilevante, poiché Netanyahu li ha
già definiti “un oltraggio di proporzioni storiche”.
Osservando che organismi come la” Corte penale
internazionale” sono nati sulla scia dell’Olocausto (in realtà è stata creata
decenni dopo, nel 2002), ha affermato che questa sarebbe stata “la prima volta
che un paese democratico combattendo per la propria vita secondo le regole
della guerra, è essa stessa accusata di crimini di guerra”.
Israele
ha anche lasciato intendere che, se la CPI procederà con i mandati, reagirà
contro l’Autorità Palestinese in un modo che potrebbe causarne il collasso.
Con la
sua tipica insensibilità, Netanyahu avrebbe chiesto alle famiglie degli ostaggi
di esercitare pressioni sulla Corte penale internazionale per suo conto.
Lasciando
da parte tali prevedibili reazioni, è importante notare la tesi di Israele
secondo cui le democrazie, e in particolare Israele, non dovrebbero essere
giudicate in base al modo in cui esercitano il loro diritto all'autodifesa.
Lo
Statuto di Roma della CP , firmato da 124 paesi, non suggerisce che i cittadini
delle nazioni democratiche debbano essere esentati dalla sua giurisdizione.
Non
sorprende che il “Dipartimento di Stato americano” si sia affrettato ad
affermare che Washington non riconosce
la giurisdizione della CPI su Israele,
aggiungendo curiosamente che la Casa Bianca “lavora a stretto contatto con la
CPI su una serie di aree chiave… Ucraina, Darfur, Sudan”.
Né Israele né gli Stati Uniti hanno ratificato
lo Statuto di Roma, ponendoli fuori dalla giurisdizione della Corte.
L'
American Service-Members' Protection Act , noto in modo informale e
agghiacciante” come “Hague Invasion Act”, è progettato anche per proteggere il
personale militare americano e altri funzionari dai procedimenti penali.
Inoltre,
Washington ha imposto sanzioni contro i funzionari della CPI per le loro
indagini su presunti crimini di guerra statunitensi in Afghanistan.
Opportunità
politica.
Per
quanto sconcertante possa sembrare, pur affermando che la corte non ha
giurisdizione su Israele, gli Stati Uniti hanno sostenuto la loro indagine
sulla Russia , anch’essa non firmataria, sulla
guerra in Ucraina.
Tale
posizione, come molte altre promosse da Washington, è facilmente inquadrabile
nel cosiddetto ordine basato sulle regole (RBO).
La
strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti pubblicata nell’ottobre 2022 ha definito
l’ordine basato su regole come “il fondamento per la pace e la prosperità
globali”.
Quanto è stato ingenuo il resto del mondo per così
tanti decenni nel credere che tale fondamento fosse fornito dalla Carta delle
Nazioni Unite.
Washington
e i suoi principali alleati citano sempre più e inspiegabilmente l’ordine
basato su regole per sostenere le loro ragioni, al punto che il principale
studioso americano “Stephen Walt” ha osservato che fare riferimento al concetto
“sembra essere diventato un requisito lavorativo per una posizione di vertice
nel mercato estero degli Stati Uniti” come apparato politico”.
Tali
riferimenti sono casuali o intenzionali?
Il professor “John Dugard”, un eminente
studioso di diritto internazionale, ha osservato che i leader occidentali hanno
invocato l’ordine basato su regole per criticare gli stati non occidentali, “in
particolare Russia e Cina, per la loro cattiva condotta internazionale, ma tali
riferimenti sono stati incoerenti o usati in modo intercambiabile con legge
internazionale".
In
un’era di crescente concorrenza tra le grandi potenze, il requisito minimo
sarebbe quello di avere regole valide per tutti
L’uso
della “RBO”, almeno da parte dei funzionari statunitensi, è così assiduo che è
difficile credere che possa essere casuale.
Inoltre, nei principali testi di diritto
internazionale, non si fa menzione della “RBO”; ci sono invece riferimenti alla
Carta delle Nazioni Unite e ad altri trattati e convenzioni delle Nazioni Unite
o internazionali.
Pertanto,
è molto forte la tentazione di credere che si faccia riferimento alla RBO per
opportunità politica o, peggio, che si tratti di un trucco semantico.
Mentre
il diritto internazionale, codificato nelle convenzioni delle Nazioni Unite e
nei trattati internazionali dopo la seconda guerra mondiale, è ampiamente
enunciato, la RBO è presente solo nei discorsi dei leader occidentali.
È
usato così ossessivamente che non può essere ignorato.
Sebbene
non sia formalmente esplicitato, potremmo sperare che i sostenitori della RBO
lo considerino un ordine internazionale liberale basato su principi di
governance democratica, apertura economica, uguaglianza, diritti umani,
multilateralismo, libera circolazione delle merci e sicurezza collettiva.
Sarebbe
quindi allineato con i pilastri fondamentali del diritto internazionale. Perché
allora viene citato così spesso?
Applicazione
non ortodossa.
“Dugard” delinea
il vero scopo americano nell'usarla:
“La
natura indeterminata e indefinita delle 'regole' della RBO e la mancata considerazione
del loro rapporto con il diritto internazionale ha portato a interrogarsi sulla
ragione del ricorso alla RBO sul piano parte degli Stati Uniti.”
"Il
modo in cui gli Stati Uniti hanno giustificato evidenti violazioni del diritto
internazionale da parte delle proprie forze o di quelle dei suoi amici più
stretti ha inevitabilmente portato a una spiegazione cinica, sebbene
plausibile, per la preferenza degli Stati Uniti per la RBO... 'una chimera, che
significa qualunque cosa gli Stati Uniti e i loro seguaci vogliano che
significhi in un dato momento'."
Per
decenni, la RBO e la sua applicazione non ortodossa hanno alimentato un acceso
dibattito giurisprudenziale tra l’Occidente globale da un lato, e Russia e
Cina dall’altro, mentre il Sud del mondo
osserva – il suo cervello condizionato dal primo, e il suo cuore che batte per
il secondo.
La
situazione è così odiosa che, secondo “Dugard”, la Corte internazionale di
giustizia “probabilmente
non avrebbe alcuna competenza per giudicare una controversia basata su una
'regola' della RBO... in quanto tali 'regole' mancano di contenuto e non
possono essere identificate come appartenenti a qualsiasi fonte riconosciuta”.
Tra i
principali elementi di critica alla RBO ci sono l’intervento della NATO in
Kosovo del 1999, l’ invasione dell’Iraq
del 2003 , l’intervento in Libia del
2011 , l’ingerenza occidentale in corso in
Siria e l’impunità da tempo garantita alle azioni israeliane in Medio
Oriente.
In
tutti questi casi, gli Stati Uniti avrebbero agito secondo la poco chiara RBO,
piuttosto che secondo le ben note procedure del diritto internazionale.
Come lo descrive “Dugard” , la RBO “è un regime alternativo al di fuori
della disciplina del diritto internazionale che inevitabilmente sfida e
minaccia il diritto internazionale…
un
ordine concorrente sostenuto da alcuni stati occidentali, in particolare dagli
Stati Uniti, che cerca di imporre l’interpretazione del diritto internazionale
che meglio promuove gli interessi dell’Occidente”.
In
un’era di crescente concorrenza tra le grandi potenze, il requisito minimo
sarebbe quello di avere regole valide per tutti.
Gli
Stati Uniti e i loro alleati sembrano lottare con questo principio elementare,
e non sorprende quindi che stiano perdendo la battaglia per conquistare i cuori
e le menti, anche all’interno delle loro stesse società.
Ciò ha
stimolato goffi tentativi di sopprimere le voci dissenzienti nei campus e
altrove, utilizzando metodi che suonano come un palese disconoscimento della
RBO a loro così cara.
L'intelligenza
artificiale ha "desideri"
nascosti. Non è detto che
siano
gli stessi degli umani.
Msn.com – il Giornale - Daniel Andler – (18-5-2024) –
ci dice:
L'intelligenza
artificiale ha "desideri" nascosti. Non è detto che siano gli stessi
degli umani
La
super-intelligenza avrebbe il potere di asservire l'umanità, ma ne avrebbe
anche il desiderio?
Se ne
dibatte tra avveniristi.
Poiché
nulla le sfuggirebbe, per definizione, comprenderebbe la difficoltà che gli
esseri umani avrebbero nell'accettare di essere sotto il suo controllo.
Pertanto,
potrebbe rinunciarvi, a meno che non decida di passare oltre, imputando questo
sentimento alla debolezza della loro intelligenza, incapace di concepire che il
loro interesse, se inteso bene, consiste nel sacrificare la loro autonomia, di
cui farebbero un cattivo uso a causa delle loro mediocri capacità cognitive.
Nell'uno
come nell'altro caso, la super-intelligenza non potrebbe volere la propria
scomparsa, in modo che se la sua sopravvivenza e la sua prosperità entrassero
in conflitto con quelle dell'umanità, o se essa si sentisse minacciata di
disattivazione, non potrebbe vietarsi di anteporre il proprio interesse a quello
dell'umanità e adotterebbe le misure necessarie per preservare il primo a
scapito del secondo o liquidando l'umanità o asservendola.
Ma
l'umanità non deve guardarsi solo dall'ostilità potenziale di una
super-intelligenza, bensì anche dalla sua indifferenza.
Dopo
tutto, se l'ha fatta nascere, è per trarne vantaggio, perché essa la assista
nelle sue imprese e ciò richiede che, al livello più generale, sia al servizio
dei suoi valori:
quello
che l'umanità vuole, è necessario che la super-intelligenza voglia allo stesso
grado.
Bisogna
dunque garantire, secondo l'espressione ormai in uso, l'allineamento dei valori
dell'intelligenza artificiale su quelli degli esseri umani che essa serve, in
quanto per definizione la sua autonomia significa che non può che perseguire i
propri fini.
Tale
obiettivo pare irrealizzabile per due ragioni.
Da una parte, sembra impossibile imporre a
un'entità autonoma di adottare un valore qualsiasi:
nessun catechismo, nessuna moralità familiare,
nessun codice sociale ha mai impedito a un bambino di diventare un tiranno
abominevole.
Il precetto, la legge, la regola, il
comandamento possono essere debitamente inculcati, compresi, assimilati, ma
possono essere fatti propri solo grazie al consenso, che dipende, per
definizione, dall'autonomia del soggetto.
Quanto al controllo del comportamento, in
mancanza di quello dell'intenzione, verrebbe eluso dalla super-intelligenza,
come abbiamo visto quando si è parlato di un'intelligenza artificiale etica.
Ma la
seconda ragione e che l'obiettivo risulta incoerente.
A cosa mira, in realtà?
Un'intelligenza
artificiale che da una parte non nuoccia agli esseri umani ma agisca per il
loro bene;
e che
dall'altra tenga conto non solo degli interessi dell'umanità considerata
globalmente, ma anche di quelli dei diversi individui e dei diversi gruppi che
si richiamano a essa.
Incrociando
queste due dimensioni (non nuocere o servire l'intera umanità oppure gli
individui o gruppi particolari), si ottiene una tabella a quattro caselle.
Non
nuocere all'umanità nella sua globalità sarebbe forse assicurato dall'adesione
ai principi della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
E la casella meno difficile da riempire.
Quella
seguente lo è di più: quali valori potrebbero guidare l'intelligenza
artificiale verso il bene dell'umanità nella sua globalità?
La questione dello sviluppo umano (human flourishing) occupa da sempre filosofi,
antropologi, teologi, pensatori politici e di recente ha conosciuto
un'intensificazione.
Non fa
parte delle domande che possano mai ricevere una risposta unanime, anche solo a
causa delle differenze tra epoche e tra culture.
Ancora
più problematiche sono le altre due caselle, quelle relative agli individui e
ai gruppi particolari.
In primo luogo, quali sono i mali da cui
l'intelligenza artificiale deve preservarli, quali sono i beni ai quali deve
aiutarli ad accedere?
Se si deve rispettare la loro autonomia, sono
quelli che essi giudicano a loro volta costituire rispettivamente dei mali o
dei beni.
Tale
giudizio potrebbe non essere quello del “Sai implicato”, meglio informato e più
lucido, cosa che lo metterebbe in imbarazzo:
non
avrebbe scelta se non rendersi complice di un'azione deleteria per l'individuo
o il gruppo che dovrebbe servire e disobbedirgli.
In secondo luogo, poiché l'azione intrapresa
coinvolge varie persone o gruppi, può accadere che i loro valori siano
incompatibili:
quali
sono quelli che devono guidare il Sai?
Infine,
basterebbe fissare i valori della super-intelligenza perché serva i nostri
interessi?
Questi non rispondono forse a norme molto più
locali e particolari, quelle che vengono chiamate preferenze nell'ambito della
teoria della decisione?
Quali
che siano i valori o i principi necessariamente generali che la
super-intelligenza avrebbe fatto suoi nel momento della sua gestazione, non
sarebbero sufficienti a guidare la sua azione sul terreno:
essa
dovrebbe dunque essere predisposta a tener conto delle preferenze delle persone
coinvolte.
E dal momento che ce ne sono più di una, si
scontrerebbe con il problema insolubile dell'aggregazione delle preferenze,
vale a dire della possibilità se non di compiacere tutti, perlomeno di
determinare un optimum nel quale ciascuno sia trattato nel modo migliore
possibile.
In breve, vediamo che per risolvere il
problema dell'allineamento dei valori, bisognerebbe aver regolato in maniera
soddisfacente agli occhi di tutti un insieme di questioni iscritte all'ordine
del giorno della filosofia morale e politica.
L'intelligenza
artificiale potente ci porge lo specchio in cui si riflette la nostra profonda
incertezza.
La
situazione si trova in un punto analogo a quello dell'intelligenza artificiale
degli inizi:
per
munirla delle attitudini razionali di cui l'umanità e in possesso o che
idealmente dovrebbe possedere, dovrebbe essere in grado di identificarle.
L'esperienza
ha provato che era meno facile di quanto pensassero i pionieri, almeno, però,
disponevano di ipotesi di partenza abbastanza plausibili, emerse dai progressi
accumulati da generazioni di logici a partire da Aristotele.
La differenza è che, rispetto alle nostre aspirazioni,
i nostri progressi sono stati molto più esitanti e forse le cose andranno
sempre così.
(2023
Éditions Gallimard, Paris).
(2024
Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino).
L’ULTIMO
TIRO DI DADI DI ZELENSKY:
PERCHÉ
L’UCRAINA STA FACENDO UNA
NUOVA
CAMPAGNA DI ARRUOLAMENTI FORZATI?
Comedonchisciotte.org
- Markus – (18 Maggio 2024) - Sergey Poletaev - swentr.site – ci dice:
La
riforma del sistema di mobilitazione non farà altro che ritardare l'inevitabile
disfatta.
Nell’ultimo
anno, sono apparsi numerosi video che mostrano uomini in Ucraina che vengono
catturati con la violenza e arruolati a forza nell’esercito.
Spesso si vedono “uomini dall’aspetto severo”
in uniforme militare che arrestano i civili per strada tra le lacrime e le urla
delle donne, spesso picchiando brutalmente i futuri militari davanti alle
telecamere.
Sembra
che gli operatori degli uffici di arruolamento militare (Centri di reclutamento
territoriale, o TRC) agiscano in modo indiscriminato.
Catturano persone a caso per strada, compresi
padri con prole numerosa e persino persone disabili.
La
mobilitazione in Ucraina assomiglia a un safari.
Ad
esempio, in un video si vede un uomo inseguito da un’auto come un animale. Nel
tentativo di salvarsi la vita, salta un’alta recinzione.
L’uomo che aveva filmato la scena era nascosto
in una soffitta.
Un’
altra persona è quasi annegata nel tentativo di attraversare il fiume al
confine con la Moldavia.
Tuttavia,
non tutti gli uomini ucraini sono così sfortunati: diversi video su Internet
mostrano che ce ne sono molti nelle grandi città.
Li
vediamo seduti nei caffè, camminare per strada, lavorare, guidare e prendere
treni.
Allora
perché non sono al fronte?
Per
risolvere questo problema, le autorità ucraine hanno adottato una nuova legge
sulla mobilitazione, che entrerà in vigore il 18 maggio.
La
maggior parte delle innovazioni previste dalla nuova legge riguarda un maggiore
controllo sulla registrazione dei coscritti.
Le
nuove regole dovrebbero aiutare l’esercito ucraino a trovarli facilmente,
invece di prendere i ragazzi per strada, come nei video scandalistici.
Entro
60 giorni dall’entrata in vigore della legge, tutti i maschi ucraini di età
compresa tra i 18 e i 60 anni (compresi quelli che vivono all’estero) dovranno
aggiornare il proprio status all’anagrafe militare.
Gli
uomini che non si registreranno per il servizio non potranno ottenere il
passaporto o accedere ai servizi consolari.
Inoltre, la legge impedisce ai “renitenti alla
leva” di lavorare nel servizio civile e consente ai TRC di privarli della
patente di guida attraverso una sentenza del tribunale.
Le multe per le violazioni della legge sulla
mobilitazione saranno decuplicate.
Il
retaggio dell’epoca sovietica.
Al
momento del crollo dell’URSS, il distretto militare di Kiev era tra i più
avanzati e pronti al combattimento di tutta l’Unione Sovietica.
Aveva
le armi più moderne, alcune delle più grandi scorte di munizioni e veicoli
blindati, e vi prestavano servizio molti dei migliori ufficiali dell’esercito
sovietico.
Per
una migliore comprensione, è necessario spendere qualche parola sul sistema di
reclutamento dell’esercito sovietico.
In tempo di pace, le unità erano composte
principalmente da ufficiali e da un numero minimo di soldati che mantenevano
l’equipaggiamento militare pronto al combattimento.
In caso di guerra, nel giro di pochi giorni,
queste unità avrebbero dovuto accogliere i riservisti che avevano completato il
servizio militare obbligatorio dopo la scuola o l’università.
Con il
crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, questo sistema era caduto rapidamente in
disuso.
Nel
2013 la coscrizione in Ucraina era stata sospesa, ma, dopo il colpo di Stato di
Kiev del 2014 sostenuto dall’Occidente, era stata ripristinata.
Tuttavia,
il sistema non aveva funzionato.
Tra il 2014 e il 2022, l’AFU era composta
principalmente da uomini che prestavano servizio a contratto e, a febbraio
2022, la riserva dell’esercito ucraino era costituita dai veterani della
cosiddetta Operazione Antiterrorismo (ATO) nel Donbass. Secondo varie stime, in
otto anni avevano partecipato all’ATO, acquisendo esperienza pratica di
combattimento, circa 350.000 uomini.
Nel
frattempo, il servizio militare obbligatorio e la formazione dei riservisti in
Ucraina esistevano solo sulla carta.
In teoria,
tutti i giovani avrebbero dovuto prestare servizio nell’esercito, ma, in
pratica, in Ucraina quasi tutti i potenziali coscritti pagavano una tangente e
il loro fascicolo personale militare veniva “perso” o, semplicemente, cessava
di esistere (se la tangente era stata pagata dai genitori mentre il figlio era
ancora a scuola). E, se un ragazzo era registrato per il servizio militare, era
facile assicurarsi che l’indirizzo di registrazione e il luogo di residenza non
corrispondessero.
Nelle
zone rurali, l’evasione dal servizio di leva era meno comune, perché era più
probabile che le persone risiedessero all’indirizzo indicato nei loro
documenti.
Ecco perché in alcuni villaggi ucraini sono
rimasti pochi uomini, perché molti sono stati arruolati nell’esercito.
La
stampa occidentale parla occasionalmente di queste situazioni, ma, in generale,
si tratta di un fenomeno raro.
Dopo
l’inizio dell’offensiva russa e della legge marziale, gli uffici di militari
ucraini erano stati costretti ad iniziare gli arruolamenti.
Subito non c’erano stati problemi perché i
volontari erano molti.
Nei
primi giorni di guerra, quando l’entusiasmo patriottico era ancora forte, gli
uomini facevano la fila per entrare nell’AFU.
Le ultime brigate di volontari erano state
formate nell’inverno del 2022-23 per partecipare alla controffensiva ucraina
che si stava preparando in quel periodo (in particolare, la famosa 47ª Brigata
era stata costituita proprio in quel periodo), ma, in seguito, l’afflusso di
volontari era cessato quasi completamente.
Gradualmente,
le liste dei coscritti e dei riservisti registrati che avevano partecipato
all’ATO si erano esaurite.
Semplicemente
non c’era nessuno a cui inviare le convocazioni, poiché la maggior parte dei
maschi ucraini non era registrata per il servizio militare e gli uffici di
arruolamento non avevano informazioni su di loro.
Tuttavia,
il fronte richiedeva un costante rifornimento [di carne da cannone] e l’AFU non
aveva modificato il suo piano di mobilitazione.
Per questo motivo, le autorità erano dovute
ricorrere alle retate e a catturare le persone per la strada, mentre i
commissari militari si lamentavano del fallimento del sistema di reclutamento.
Il senso della nuova riforma è quello di
registrare tutti gli uomini ucraini e privare di molti diritti coloro che
rifiutano di essere registrati.
Il
comandante in capo dell’AFU, “Aleksandr Syrsky”, si è recentemente lamentato
del difficile periodo in cui l’Ucraina sta per entrare.
Egli
si rende conto che la situazione non può essere ribaltata in un mese o due:
ci
vorrà tempo per registrare tutti gli uomini e mandarli al fronte.
Anche
per questo motivo, i funzionari ucraini sono preoccupati per una possibile
offensiva russa durante l’estate.
Molto
probabilmente Mosca non cambierà la sua strategia ma, sfruttando il suo
vantaggio numerico e la sua superiore potenza di fuoco, continuerà a spingere
in diverse sezioni del fronte.
In
caso di sfondamento in qualche area, invierà le riserve in quel punto e
approfitterà della situazione.
A
questo proposito, “Ocheretino” è un buon esempio.
Con
l’esaurimento delle forze ucraine, la difesa potrebbe cedere e l’AFU potrebbe
perdere non solo una brigata, ma diverse.
Ecco
perché si è parlato molto della imminente perdita di ciò che Kiev ancora
controlla nel Donbass.
Il
disastro inevitabile.
In uno
scenario estremo, la strategia della Russia potrebbe portare ad una situazione
simile all’Offensiva
dei Cento Giorni dell’Intesa, nel 1918.
Allora
l’esercito tedesco era andato in pezzi.
Anche
se non c’erano stati sfondamenti impressionanti e le truppe del Kaiser non
erano state accerchiate e Berlino non aveva visto invase le sue città, la guerra era finita con la resa
della Germania.
Kiev
teme questo scenario e, per evitare un crollo totale del fronte, ha bisogno di
una riforma della mobilitazione.
Anche se non dovesse andare tutto secondo i
piani, i cambiamenti porteranno a risultati certi, poiché attualmente ci sono
molti uomini che non si arruolano volontariamente nell’esercito, ma che, in
ogni caso, non sono disposti a vivere come fuorilegge.
Possiamo
ipotizzare che l’AFU potrebbe reclutare fino a 100.000 persone.
Ciò
sarà sufficiente per rincalzare i ranghi, formare diverse nuove brigate,
rinforzare il fronte o tamponare gli sfondamenti della linea del fronte (come
quello attuale nella regione di “Kharkov”).
Tuttavia,
l’esercito russo ha ancora un vantaggio numerico e molte più risorse umane, per
non parlare della superiore potenza di fuoco.
Oltre
alla quantità, un’altra questione importante è la qualità dei militari.
Anche
i dati ucraini (che sottostimano la situazione) mostrano che in Russia, ogni
mese, circa 30.000 persone si arruolano per il servizio a contratto
nell’esercito.
Per il secondo anno consecutivo, si registrano
code agli uffici di arruolamento dell’esercito russo.
Come
abbiamo notato in precedenza, l’anno scorso l’Ucraina aveva esaurito i
volontari.
La
maggior parte di loro erano riservisti che avevano combattuto nel Donbass o
patrioti ucraini entusiasti.
Inoltre, i numeri dimostrano che, anche se il
numero di volontari in Russia e Ucraina fosse lo stesso, il fatto che la popolazione russa è
cinque volte quella ucraina parla da sé.
Inoltre,
le persone che sono state mobilitate con la forza nell’esercito possono essere
in grado di mantenere una difesa statica, ma non sono preparate per il
combattimento attivo, come la partecipazione a contrattacchi, per non parlare
delle operazioni di assalto.
Un
altro grave problema per l’AFU è che molti uomini si rifiutano di combattere.
Di conseguenza, alcune unità sono crollate al
punto da perdere la loro capacità di combattimento.
Molti
militari corrompono anche i comandanti per evitare di essere mandati al fronte.
Il
morale delle truppe ucraine sembra deteriorarsi ed è improbabile che la riforma
della mobilitazione possa risolvere il problema.
Per il
momento, l’AFU nel suo complesso è ancora pronta a combattere e l’Occidente
continua a rifornirla di equipaggiamento militare.
Molto
probabilmente, il fronte non crollerà durante la campagna di primavera-estate
di quest’anno e Kiev non capitolerà.
Ma, in
ogni caso, l’Ucraina sta entrando in un vicolo cieco: il Paese si sta
indebolendo e il suo esercito si sta esaurendo.
In realtà, potrebbe aver già superato il punto
di non ritorno e né gli aiuti occidentali né una maggiore mobilitazione la
aiuteranno a sfuggire al disastro.
Tuttavia,
questo non significa che Kiev e i suoi sponsor occidentali si metteranno il
cuore in pace e aspetteranno con calma l’inevitabile.
(Sergey
Poletaev)
(swentr.site)
(swentr.site/russia/597553-ukraine-increase-mobilized-men/)
MEDIA
– Spirito Artigiano entra nel
mondo dei giovani per scoprire
il futuro dell’Italia.
Confartigianato.it
– (24-2-2024) – Redazione – ci dice:
Il
nuovo numero di “Spirito Artigiano” esplora l’universo giovanile per coglierne
identità, valori, aspirazioni.
Il
Professor “Mauro Magatti”, Professore di Sociologia all’Università Cattolica di
Milano, indica
la necessità di porre le nuove generazioni al centro dell’agenda del Paese per comporre la frattura tra le loro
fragilità, le loro attese di cambiamento e un’Italia sclerotizzata e timorosa di
guardare al futuro.
Incita
alla passione del cambiamento anche il Professor “Giulio Sapelli”, Presidente
della “Fondazione Germozzi”, per offrire un orizzonte di futuro alle nuove
generazioni e salvarle così dai rischi di una sopravvivenza malinconica o, peggio,
della depressione.
Condizioni
che “Massimo Ammaniti”, psicoanalista, approfondisce mettendo in evidenza la difficoltà dei giovani a costruire
la propria personalità, con una lunga fase di ricerca e di instabilità che si
prolunga anche oltre i 30 anni e che Ammanniti definisce di ‘adultescenza’.
Il
Professor “Alberto Rosina”, ordinario di Demografia e Statistica sociale
all’Università Cattolica di Milano, insiste sulla necessità di formare
bene i giovani per inserirli in modo efficiente nel mondo del lavoro,
valorizzarne al meglio il contributo qualificato nelle aziende e nelle
organizzazioni.
Ed è
proprio dai giovani che arriva un’inaspettata consapevolezza dei valori artigiani
della creatività, unicità, sostenibilità che, spiega “Giovanni Boccia”,
direttore della Fondazione Germozzi, sono sempre più presenti nei consumi
della generazione Z.
La
nuova gerarchia che i giovani attribuiscono ai tempi di vita e ai tempi di
lavoro è al centro dell’analisi di “Massimiliano Valerii”, direttore del
Censis, e dell’intervista al Professor “Paolo Boccardelli”, Direttore della
LUISS Business School, secondo il quale “vi è nei giovani una visione nuova
del “valore del lavoro” e quindi del ruolo che il lavoro deve avere all’interno
di un più ampio percorso di crescita che prima di tutto è personale.
Il
lavoro rappresenta solo una parte dell’evoluzione del sé per i giovani ed è importante che sia di valore,
che si configuri come un’esperienza arricchente”.
E
proprio sulle opportunità di lavoro per i giovani nella tutela e conservazione
del nostro patrimonio storico e culturale si concentra “Luciano Monti”, Docente
di Politiche dell’Unione Europea alla” LUISS Guido Carli” di Roma, mentre “Riccardo
Giovani”, direttore delle politiche del lavoro di Confartigianato, sottolinea la necessità di investire
sul capitale umano e sulle competenze avvicinando scuola, famiglie, giovani e
imprese e analizza le novità del liceo del made in Italy e le nuove Linee guida
per l’orientamento, recentemente adottate dal Ministero dell’Istruzione e del
Merito.
Un
futuro sostenibile non può che partire dal riconoscimento del ruolo dei giovani:
ne è
convinta “Mariella Nocenzi”, docente di Sociologia generale all’Università La
Sapienza di Roma, così come “Tiziana Sallusti”, preside del liceo Mamiani di
Roma, spiega
le trasformazioni della scuola per formare le nuove competenze necessarie ai
giovani per educarli alla vita e ad affrontare le grandi rivoluzioni dei nostri
tempi.
Trasformazioni
che però restituiscono una straordinaria attualità all’artigianato, come
testimonia “Roberta Ligossi”, cofondatrice di “Ta-Daan”, nel raccontare
l’esperienza di “TA-DAAN” che nasce dalla passione personale per l’artigianato
e dalla sua rinascita e riscoperta sul mercato.
I
motivi?
In un mondo sempre più standardizzato, veloce
e digitale abbiamo più che mai un bisogno esasperato di tornare all’analogico.
Tornare
a parlare di artigianato significa quindi parlare di tre valori fondamentali
per la contemporaneità: unicità, consapevolezza e soprattutto sostenibilità.
Imposta
patrimoniale globale contro
le
disuguaglianze? Le richieste dei
super
ricchi e
l’importanza delle scelte fiscali.
Informazionefiscale.it – (18-1-2024) - Rosy
D’Elia – imposte – ci dice:
260
super ricchi del mondo, tra cui anche degli italiani, chiedono di essere
tassati: nel Fisco ideale del futuro si fa largo l'idea di un'imposta patrimoniale
globale contro le disuguaglianze.
La
richiesta in una lettera inviata al “World Economic Forum”, in corso a Davos,
accende i riflettori sul ruolo cruciale delle scelte fiscali.
La
lettera che i 260 super ricchi da 17 paesi, tra cui anche l’Italia, hanno
inviato ai leader presenti al World Economic Forum in corso a Davos dal 15 al
19 gennaio, per essere tassati accende i riflettori su un punto:
l’importanza
delle scelte fiscali per le dinamiche non solo economiche ma soprattutto sociali.
Tassate
le ricchezze estreme per intervenire sulle diseguaglianze economiche e sociali:
è
questa la richiesta che arriva tramite la campagna “Proud to pay more” e che sembra fare spazio a
un’imposta patrimoniale globale nel Fisco ideale del futuro.
Al di
là dell’applicazione concreta e delle valutazioni sulle eventuali effettive
conseguenze di una maggiore tassazione, la voce dei milionari richiama
l’attenzione sulle potenzialità del Fisco.
L’ipotesi
di una imposta patrimoniale globale contro le disuguaglianze: la lettera dei
super ricchi che chiedono di essere tassati.
“Siamo
sorpresi che non abbiate risposto a una semplice domanda che ci poniamo da tre
anni: quando tasserete le ricchezze estreme?
Se i rappresentanti eletti delle principali
economie mondiali non adottano misure per affrontare il drammatico aumento
della disuguaglianza economica, le conseguenze continueranno ad essere
catastrofiche per la società.”
Comincia
così, con un invito diretto all’azione, la lettera dei super ricchi.
A
firmarla anche tre italiani:
Martino Cortese, nipote del fondatore di
Amplifon e co-founder di Citybility, e i nobili siciliani Guglielmo e Giorgiana
Notarbartolo di Villarosa.
“La
nostra spinta verso tasse più giuste non è radicale.
Si tratta piuttosto di una richiesta di
ritorno alla normalità basata su una valutazione ponderata delle attuali
condizioni economiche.
Siamo
le persone che investono in startup, modellano i mercati azionari, fanno
crescere le imprese e promuovono una crescita economica sostenibile.
Siamo anche le persone che beneficiano
maggiormente dello status quo.
Ma la
disuguaglianza ha raggiunto un punto critico e il suo costo per la nostra
stabilità economica, sociale ed ecologica è grave e cresce ogni giorno.
In breve, abbiamo bisogno di agire adesso.
La
nostra richiesta è semplice:
vi chiediamo di tassare noi, i più ricchi
della società.
Ciò non modificherà radicalmente il nostro
tenore di vita, né priverà i nostri figli, né danneggerà la crescita economica
delle nostre nazioni.
Ma
trasformerà la ricchezza privata estrema e improduttiva in un investimento per
il nostro futuro democratico comune.
La
soluzione a questo non può essere trovata in donazioni una tantum o nella
filantropia; l’azione individuale non può correggere l’attuale colossale
squilibrio.
(...)
Il
valore di sistemi fiscali più equi dovrebbe essere evidente.
Sappiamo
tutti che l’economia “a cascata” non si è tradotta in realtà.
Invece
ci ha dato salari stagnanti, infrastrutture fatiscenti, servizi pubblici
inadeguati e ha destabilizzato l’istituzione stessa della democrazia.
Ha
creato un sistema economico vergognoso, incapace di garantire un futuro più
luminoso e sostenibile.
Queste sfide non potranno che peggiorare se
non si riesce ad affrontare l’estrema disuguaglianza in termini di ricchezza.
La
vera misura di una società può essere trovata non solo nel modo in cui tratta i
suoi membri più vulnerabili, ma in ciò che chiede ai suoi membri più ricchi.
Il nostro futuro è caratterizzato dall’orgoglio
fiscale o dalla vergogna economica. Questa è la scelta”.
I 260
milionari dal mondo immaginano anche quali potrebbero essere gli effetti
positivi di un intervento globale, e locale, sul Fisco, che li renderebbero
proud/orgogliosi:
affrontare
la disuguaglianza estrema;
ridurre
il costo della vita dei lavoratori;
migliorare
l’educazione per la prossima generazione;
sistemi
sanitari resilienti e infrastrutture migliori;
favorire
la transizione verde.
La
lettera è accompagnata, inoltre, da un report che evidenzia i dati di un
sondaggio condotto su 2.300 persone titolari di patrimoni investibili (senza
considerare le abitazioni).
Il 75
per cento degli intervistati e delle intervistate si è mostrato favorevole
all’introduzione di una imposta patrimoniale pari al 2 per cento che potrebbe
agire, quindi, sul “complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona
possiede”, volendo far riferimento alla sintesi del concetto di “patrimonio”
fornito dall’enciclopedia Treccani.it.
Un’imposta
patrimoniale globale, ma più in generale la leva fiscale, sembra essere in
quest’ottica la panacea di molti mali del mondo contemporaneo.
Sappiamo
bene che dalla teoria alla pratica le soluzioni non sono così semplici e non
solo per l’immobilismo politico a cui fanno riferimento i milionari.
La campagna, però, ha senza dubbio il merito
di accendere i riflettori su un punto fondamentale:
la capacità delle scelte fiscali di orientare
dinamiche economiche e sociali in maniera sensibile.
Un
tema caldissimo a livello nazionale, se si considerano i lavori in corso per
l’attuazione della riforma fiscale:
il
nuovo assetto di imposte, tasse e amministrazione che si va costruendo orienta
il futuro dei cittadini e delle cittadine, delle imprese, del Paese tutto.
In
termini diversi, su scala nazionale, più volte tramite queste pagine abbiamo
richiamato l’attenzione sull’importanza della leva fiscale per agire sulla
società.
È il
caso della necessità di incrementare l’occupazione femminile, ancora ferma al
52,9 per cento, e della possibilità di utilizzare la gender tax, una tassazione
più favorevole sul lavoro femminile, che per superare le criticità sulle
disparità di trattamento tra uomini e donne potrebbe essere tradotta in una
tassazione più favorevole sul secondo coniuge che entra nel mondo del lavoro.
E
ancora, anche per combattere la denatalità si fa largo l’ipotesi di percorrere
la via fiscale da bilanciare anche con i principi di parità e di capacità
contributiva.
Il
Fisco può essere lo strumento per “dare una spinta più o meno gentile” per dare
concretezza a quei “principi che sono importantissimi ma che non vengono
spontaneamente realizzati nella società”, per citare le parole di “Elsa Fornero”
professoressa di Economia all’Università degli Studi di Torino intervistata su
gender tax e parità di genere.
E sono
proprio le potenzialità della leva fiscale che impongono un’attenta
riflessione, locale e globale, sulla loro messa in atto.
Il
tumulto etico degli studenti in rivolta:
«Siamo contro un sistema
che
lascia indietro gli ultimi».
Lespresso.it
- Paolo Di Paolo – (14 maggio 2024) – ci dice:
Dagli
Stati Uniti all’Europa, in piazza e nelle università, cresce un impegno che
ignora, ricambiato, la politica tradizionale e che i media faticano a decifrare.
Bloccare
le lezioni universitarie. Occupare luoghi pubblici.
Lanciare vernice sulle opere d’arte. Fermare
il traffico.
Portare
la protesta all’estremo: al punto da renderla assimilabile a un reato.
La
generazione più giovane, schiacciata dal cliché dell’indifferenza e
dell’apatia, si mette in gioco in modo radicale e, a diverse latitudini,
sceglie il tumulto.
È la
parola che dà il titolo a un saggio del grande intellettuale tedesco “Hans
Magnus Enzensberger”, scomparso ultranovantenne nel 2022:
in
quelle pagine riprendeva il filo di una stagione di proteste, sommosse,
manifestazioni, assalti. Scontri di piazza.
Militanti,
studenti, pacifisti indignati.
Quelle
esperienze, dice “Enzensberger,”
«sono sepolte sotto il mucchio di letame dei media,
del materiale d’archivio, dei dibattiti, della schematizzazione da vecchi
militanti», ma lui non vuole dimenticare «quanto rumore faceva il tumulto».
E
d’altra parte, «vecchio mio, sai bene quanto me che il tumulto non finisce mai.
Semplicemente ha luogo da qualche altra parte, a Mogadiscio, Damasco, Lagos o
Kiev, ovunque abbiamo la fortuna di non vivere.
È solo una questione di prospettiva».
E se
il tumulto si fosse ravvivato nello stanco Occidente?
Se gli
under 25 – fra attivismo climatico e pacifismo – tra Europa e Stati Uniti
fossero pronti a riprendersi la scena come in un nuovo virulento ’68?
In un articolo pubblicato dal New Yorker e
molto discusso, la scrittrice “Zadie Smith “ha per l’appunto evocato le
proteste degli anni Sessanta e Settanta nei campus, che lei definisce «zone di
interesse etico».
«Parte
del significato di una protesta studentesca – scrive “Smith” – è il modo in cui
offre ai giovani l’opportunità di insistere su un principio etico pur essendo,
in termini comparativi, una forza più razionale dei presunti adulti».
«Cessate
il fuoco» non è in primo luogo una richiesta politica, è soprattutto una
richiesta etica.
E se fosse da questa via che la generazione
etichettata come post-ideologica si riprende la scena?
Da un
radicalismo etico che, disinteressato al piccolo cabotaggio delle politiche
nazionali, alza la posta in gioco, rimette in circolo valori universali,
assoluti.
Con
piglio aggressivo, che non pochi giudicano fanatico e intollerante.
È una
gioventù in larga parte “privilegiata”, come quella di mezzo secolo fa, ad
alimentare proteste scenografiche e invasive, con punte di estremismo.
Quadro
affascinante e turbolento, in costante evoluzione.
Imprevedibile come possono esserlo i ventenni.
Gli
studiosi di storia politica, stando alla stampa americana, hanno già colto
nelle proteste nei campus la matrice di quello che potrebbe essere considerato
uno dei movimenti più rilevanti degli ultimi decenni.
Il “Washington
Post” ha interpellato un docente della Columbia,” Thai Jones”, convinto che sia
ancora prematuro paragonare le proteste attuali a quelle del 1968 contro la
guerra in Vietnam:
«Ma i legami saldi fra campus e la forza
mediatica con cui arrivano le immagini degli studenti arrestati potrebbero
innescare un movimento di massa».
E gli
studenti italiani?
Guardano
lontano e forse pensano la stessa cosa. Alessandro, Liceo Virgilio di Roma, è
convinto che «esploderà via via anche qui e in altri Paesi europei».
Lorenzo,
del Liceo Augusto, raccoglie le voci dei suoi coetanei, e sono sulla stessa lunghezza
d’onda:
«Credo
che le manifestazioni nei campus americani possano essere l’inizio di un
risveglio globale sulla questione israelo-palestinese e sono comunque il
sintomo di una consapevolezza maggiore e di un interesse più forte da parte
dell’Occidente riguardo al conflitto in Medio Oriente».
C’è
chi conferma l’analisi di “Thai Jones”: il profilo severo e repressivo della
polizia americana non resta sullo sfondo.
«Tutti
coloro che hanno avuto il coraggio di protestare contro il genocidio in atto a
Gaza hanno rischiato.
Basti pensare che, dall’inizio delle proteste,
oltre duemila ragazze e ragazzi sono stati arrestati con la sola colpa di avere
esercitato il proprio diritto di libertà d’espressione».
E aggiunge considerazioni sulla «grande ombra
americana», che in effetti riportano allo spirito di mezzo secolo fa.
Forse
inconsapevolmente.
«Bisogna
ammettere che purtroppo tutti gli altri Paesi restano oscurati da ciò che
accade negli Stati Uniti; infatti sebbene da mesi in tutta Europa gli studenti
si siano mobilitati a favore del popolo palestinese, queste manifestazioni
hanno iniziato a fare maggiore scalpore solo con la diffusione in America».
A ogni
modo, colpisce la prospettiva internazionale dell’impegno; se chiedo ai miei
interlocutori quanto si sentano coinvolti dal paesaggio politico del nostro
Paese, mi sento rispondere:
«Quando
sento per settimane parlare solo di alleanze, nomi sui simboli, nomi dei
capilista, mi sento molto distante e poco rappresentato».
Tanto
vale allargare l’orizzonte:
«Fare politica oggi, in qualità di studente,
significa andare controcorrente, tentare di andare oltre il mare di
indifferenza in cui siamo abituati a vivere, con l’obiettivo e la speranza di
cambiare qualcosa».
Non avrebbe forse risposto allo stesso modo un
attivista di cinquantasei anni fa? Dove sembrava avere attecchito il
disincanto, dove la palude della rassegnazione e dell’apatia sembravano
inamovibili, qualcosa imprevedibilmente si muove.
Alla
fine del ventesimo secolo, mentre scadevano le ipoteche ideologiche e quelle
spirituali, un uomo che aveva attraversato i sogni, le speranze e le tempeste
della politica da sinistra, “Vittorio Foa”, si disponeva a dialogare con i
giovanissimi.
Non
era pessimista:
i valori, diceva, non sono collocati in una
cassetta di sicurezza, i valori vanno cercati ed è una fatica.
Anche
se orfani, non siamo privi di bussola.
Senza
ipoteche marxiste o clericali, «c’è un’occasione straordinaria, unica, per
darsi da fare».
Gli
under 25 con anagrafe post-novecentesca non hanno l’aria di essere spaventati
dalla fine delle vecchie strutture:
«Il
concetto di partito – mi dice un ragazzo – è perduto.
Nelle
forze politiche odierne, qualunque sia il colore, dominano la divisione, la
contraddizione e la corruzione.
Se dovessi andare a votare, sarei in seria
difficoltà, non riesco a rispecchiarmi pienamente in nessun simbolo».
Ma questo non vuol dire abdicare all’impegno.
Anzi.
Un’altra
voce: «Penso che quello che sta accadendo nelle università americane sia un
segnale.
Un
segnale che la nostra generazione ha tanto disagio da esprimere rispetto a un
futuro che fatica a vedere.
Il
tema della Palestina è riuscito a diventare un punto di partenza trasversale».
Non gli suggerisco il parallelo con gli anni Sessanta:
fa da
solo, e cita il sostegno al popolo vietnamita.
«Fare
politica oggi vuol dire interessarsi a ciò che succede intorno a noi e lontano
da noi.
Riuscire
ad avere uno spirito critico contro un sistema che lascia indietro gli ultimi e
non pensa ai più giovani.
Ma gli
ideali e gli interessi della mia generazione non sono rappresentati da nessun
simbolo sulla scheda elettorale».
Non
sono in aperta contraddizione – domando – lo slancio della militanza e
l’astensionismo alle elezioni politiche o amministrative?
«Il
disinteresse per la politica nazionale non credo sia una questione
generazionale.
I cittadini hanno perso fiducia non sentendosi
rappresentati e tutelati».
Come se ne esce? Saltando il confine, i
confini?
Cambiamento
climatico e questioni geopolitiche e difesa dei diritti civili sono il
carburante di un “internazionalismo” di fronte al quale il dibattito sul nome
del segretario del partito sul simbolo elettorale o le idee deliranti di un “Vannacci”
hanno il sapore dell’archeologia o del grottesco.
Intanto,
lasciamoci alle spalle i cliché sul disimpegno.
Non tutti seguono allo stesso modo, parecchi
«restano indifferenti ai temi politici perché respirano l’indifferenza delle
loro famiglie».
Ma intruppare una generazione nel recinto
dell’inerzia è un errore prospettico, corretto dai tumulti di queste settimane.
Mentre “Zadie Smith” – nata nel 1975 – si
interroga su alcune scivolose questioni di metodo nelle proteste (come si tiene in considerazione il
fatto che qualcuno possa sentirsi insicuro o minacciato – lo studente ebreo,
mettiamo – nell’università a cui è iscritto?), i nati negli anni Duemila
trascurano forse gli effetti collaterali e rivendicano come necessaria la
«prepotenza» del tumulto.
Occupare.
Bloccare. Fare rumore. Creare disagio, in modo anche scenografico. Molti adulti
– dicono – guardano al famoso dito e non alla luna: alla colata di vernice su
un’opera d’arte, all’imbottigliamento su un’arteria stradale, all’interruzione
della didattica in un contesto scolastico o accademico.
Ma il
punto è un altro.
E
comunque, come nota “Smith”, nel sostenere una «necessità etica» ci si può
mettere in conflitto aperto con gli amici, la famiglia, la comunità.
«Le
nostre zone di interesse etico non hanno confini fissi».
Questione
epocale. È incandescente.
Disuguaglianze
e povertà,
“Abolire
i super-ricchi, sobriamente
e ragionevolmente”: non è ingenuo
contrastare e contenere redditi e
ricchezze estremi.
Repubblica.it - Luke Hildyard – (03 MAGGIO
2024) – ci dice:
(Luke
Hildyard, autore di "Enough: Why it’s Time to Abolish the Super
Rich", sul sito di “Sbilanciamoci”, illustra le sue ragioni)
Disuguaglianze
e povertà, “Abolire i super-ricchi, sobriamente e ragionevolmente”: non è
ingenuo contrastare e contenere redditi e ricchezze estremi.
“Luke
Hildyard” è il direttore dell'”High Pay Centre”, un centro di ricerca con sede
a Londra per analisi politiche su questioni come retribuzione, lavoro e
disuguaglianza economica.
Scrive
sul “Guardian”, il “Times”,” l'Independent”, ed è un punto di riferimento
abituale, appunto, sui temi della disuguaglianza, spesso convocato da “BBC News”,
“CNN” e altri importanti canali televisivi.
Il
sito di “Sbilanciamoci “ha pubblicato un suo articolo che riporta in sintesi i
concetti espressi del suo libro "Enough: Why it’s Time to Abolish the Super
Rich".
“Sbilanciamoci “– va ricordato – dal 1999 riunisce 51
organizzazioni e reti della società civile italiana impegnate sui temi della
spesa pubblica e delle alternative di politica economica, sull’inclusione e
accoglienza dei migranti, la finanza etica, la cooperazione internazionale, il
commercio equo e l’economia solidale.
Scrive
dunque “Luke Hildyard”.
Per
quale ragione chi, avendo l’obiettivo di contrastare le concentrazioni estreme
di reddito e ricchezza, si dichiara favorevole a misure come le imposte sulla
ricchezza e i tetti alle super-retribuzioni viene visto come un ingenuo o un
idealista, mentre chi critica quelle politiche è considerato (e si ritiene)
sobrio e ragionevole?
Non è
un ragionamento “di sinistra”.
Nel
mio recente libro “Enough: Why it’s time to Abolish the Super Rich” sostengo che è vero esattamente il
contrario.
Un
programma politico importante e trasformativo per ridistribuire e reindirizzare
le fortune dai super-ricchi alla popolazione in generale sarebbe un modo ovvio,
efficace e immediato per aumentare la prosperità di un gran numero di persone.
Non si tratta di un argomento ideologicamente di sinistra.
Sarebbe
solo una risposta logica.
È la
risposta logica che scaturisce da qualsiasi valutazione pragmatica dei modi e
mezzi potenzialmente in grado di migliorare il tenore di vita generale;
una questione che dovrebbe interessare
l’intero spettro politico, anche gli elettori di centro e di destra.
Le ricchezze in eccesso e immeritate possedute
da chi sta in alto rappresentano una risorsa immensa e prontamente disponibile,
utilizzabile in modo molto più efficiente per ottenere enormi miglioramenti
socio-economici.
I
responsabili politici che non mostrano alcuna curiosità su come tutto ciò si
potrebbe realizzare, danno prova di scarsa scrupolosità.
Il
ri-equilibrio del benessere.
Il potenziale impatto di un ri-equilibrio
nella distribuzione del reddito e della ricchezza sul benessere è dimostrato
sia dall’evidenza che dall’esperienza.
Nel corso della storia, i governi hanno
innalzato il tenore di vita introducendo politiche che hanno convogliato il
reddito e la ricchezza, precedentemente appannaggio dei più ricchi della
società, verso il resto della popolazione.
I
diversi modi per redistribuire ricchezza.
Questo
può avvenire attraverso una redistribuzione diretta, come quella derivante dai
programmi di welfare e dai servizi pubblici finanziati dalla tassazione
progressiva oppure attraverso provvedimenti come le leggi sul salario minimo o
le norme sul lavoro che consentono ai lavoratori, generalmente i meno pagati,
di ottenere redditi più elevati grazie a entrate di cui altrimenti avrebbero
beneficiato gli imprenditori e i dirigenti più ricchi.
Le
politiche dell’Europa.
Queste
politiche sono tipicamente associate all’Europa continentale, dove le tasse
tendono a essere più elevate e le normative sono più severe.
Ciò
implica che i servizi pubblici e le infrastrutture sono di migliore qualità, e
la disuguaglianza è più contenuta.
Tuttavia,
sebbene in misura diversa, esse sono adottate in tutte le economie avanzate ed
è diffuso il convincimento che esse abbiano innalzato il tenore di vita, in
particolare quello delle famiglie che ne avevano maggior bisogno perché i loro
redditi erano di livello medio o basso.
Quell’1%
che detiene tutto.
Oggi
la quota di reddito e ricchezza totale detenuta dall’1% più ricco della
popolazione è a livelli storicamente molto elevati.
Secondo il “World Inequality Database”, nel Regno
Unito, dove risiedo, la quota del reddito totale che va all’1% della
popolazione è circa il doppio rispetto al punto più basso (approssimativamente
il 6%), raggiunto all’inizio degli anni ’80, ed è più alta che in qualsiasi
altro momento dalla seconda metà del XX secolo.
Inoltre, secondo alcune stime, l’1% più ricco
della popolazione detiene quasi un quarto di tutta la ricchezza.
Negli
Stati Uniti, le cifre sono ancora più estreme.
L’1%
più ricco in termini di reddito detiene quasi un quinto del reddito totale,
mentre l’1% più ricco in termini di ricchezza possiede circa un terzo di tutta
la ricchezza.
In entrambi i casi si tratta dei dati più
elevati almeno dalla Seconda guerra mondiale.
Queste tendenze si riscontrano, in misura diversa,
nella maggior parte delle economie avanzate.
Peraltro,
le sfide ambientali, demografiche e politiche, rendono più difficile
raggiungere livelli più elevati di reddito e ricchezza totali.
In
Europa, i decisori politici faticano, specialmente dopo la pandemia di Covid e
la guerra in Ucraina, a realizzare politiche in grado di sostenere la crescita
economica.
Negli
Stati Uniti, i livelli di crescita sono stati più elevati, ma quando il 50% più
povero della popolazione riceve a malapena 10 centesimi per ogni dollaro di
reddito generato nel Paese, la crescita difficilmente può avere effetti
significativi sul tenore di vita di tutta la popolazione.
Secondo
una recente analisi del “Financial Times” mentre gli americani più ricchi sono
più ricchi delle loro controparti in altri paesi ricchi, il reddito del 10% più
povero delle famiglie americane è inferiore a quello del 10% più povero in
Slovenia, per non parlare di paesi come la Francia o la Germania.
Quello
che si potrebbe fare.
Per affrontare questo deplorevole stato di
cose e garantire che la ricchezza generata in diversi paesi sia distribuita in
modo più equo ed efficiente, occorre sia redistribuire le ricchezze di coloro
che si trovano ai vertici, sia – e in primo luogo – impedire loro di accumulare
tali enormi fortune.
Ciò potrebbe comportare misure come una tassa sulla
ricchezza globale, che permetterebbe di trasferire una parte della ricchezza
dei super-ricchi alla popolazione in generale sia direttamente sia attraverso
le spese per la sicurezza sociale o, de facto, finanziando servizi pubblici
migliori.
Si
potrebbe anche mettere un tetto alle retribuzioni dei manager ad esempio
ancorandole a un multiplo del salario del lavoratore medio o, diversamente,
mediante accordi obbligatori di condivisione degli utili, che garantiscano ai
lavoratori una quota dei profitti generati dal loro lavoro. In questo modo,
parte del denaro che ora va ai ricchi amministratori e azionisti verrebbe
convogliato verso i lavoratori comuni.
I
rischi appaiono meno gravi di come si pensa.
I rischi economici che queste politiche
genererebbero sono largamente esagerati.
Esiste
chiaramente il pericolo che i ricchi cerchino di sottrarsi a misure che li
danneggiano dal punto di vista finanziario.
Ma
l’evidenza suggerisce che sia la propensione dei super-ricchi a trasferire la
propria residenza per motivi finanziari sia la misura in cui la società
risentirebbero della loro mancanza se lo facessero sono molto inferiori a ciò
che tanti dicono di temere.
Non è
detto che i ricchi scappino, anzi.
Dalle
interviste condotte dalla “London School of Economics “con alcuni dei residenti
più ricchi del Regno Unito non è emersa praticamente alcuna propensione a
lasciare il Paese in caso di aumento delle tasse.
Tutto ciò non sorprende.
Essere
ricchi vuol dire, banalmente, avere più soldi e potersi permettere uno stile di
vita più costoso, per questo i super-ricchi tendono a concentrarsi nei luoghi
più costosi del pianeta piuttosto che in quelli dove il costo della vita è
inferiore.
Solo
un numero di litato di persone diverrebbe più “povera”.
Inoltre,
politiche come quelle discusse in precedenza riguarderebbero soprattutto i
redditi e la ricchezza al di sopra della soglia che delimita l’1% più ricco.
Di
conseguenza, solo una piccola numero di persone diventerebbe più povera,
rimanendo comunque oggettivamente molto ricca.
All’interno
di questo gruppo, una percentuale molto consistente beneficia di denaro
ereditato che non ha mai guadagnato, o di redditi di natura speculativa
speculativi o derivanti da lavori non richiedono qualità particolari e uniche:
solo il 4% degli amministratori delegati dell’S&P 500 sono fondatori della
loro azienda, mentre il resto è costituito da manager scelti per le loro
competenze, ma inevitabilmente giocano un ruolo anche le condizioni di origine,
le relazioni sociali e le preferenze soggettive di chi assegna quei ruoli.
Rispetto
ai veri innovatori, l’argomentazione è che sarebbero disincentivate la loro
creatività e produttività. Ma si tratta di un’argomentazione piuttosto fatua,
perché in base a qualsiasi standard oggettivo sarebbero comunque
incredibilmente ben ricompensati.
Cittadinanza
e fisco.
Ci sono anche molte cose che i Paesi
potrebbero fare sia individualmente che collettivamente per mitigare i rischi
di fuga all’estero.
A
livello individuale, si potrebbe collegare la cittadinanza al contributo
fiscale (come già fanno gli Stati Uniti) o introdurre tasse di uscita che
renderebbero molto più difficile ai super-ricchi sottrarsi alla giusta quota di
contributo loro richiesto.
Collettivamente,
i governi potrebbero impegnarsi in azioni coordinate di contrasto alla
concentrazione estrema di reddito e ricchezza.
Al riguardo, stanno emergendo segnali
promettenti, come la proposta, avanzata alla riunione del G20 di luglio dal
governo brasiliano, di una dichiarazione congiunta a favore della tassazione
della ricchezza;
la proposta è sostenuta, tra gli altri, dal
governo francese e dal direttore del FMI. L’iniziativa del G20 appare quanto
mai opportuna (e urgente) considerando che le quote di reddito e ricchezza
totali appannaggio del top 1%, sono anche storicamente enormi (e questo è ben evidente).
Non si
possono ignorare le disuguaglianze.
In questo contesto i politici che promettono
di innalzare il tenore di vita della popolazione attraverso una maggiore
crescita economica, ignorando il problema della disuguaglianza, appaiono, nel
migliore dei casi, ingenui utopisti e, nel peggiore, ostruzionisti e
demolitori che agiscono per conto di una piccola élite di ricchi contro gli
interessi della popolazione nel suo complesso.
Il
ruolo dei ragionevoli e sobri.
Di
conseguenza i realisti sobri e ragionevoli sono quanti riconoscono che la
distribuzione conta e chiedono di affrontare il problema dei super-ricchi.
A loro
è affidata la più fondata speranza di ottenere miglioramenti immediati e
trasformativi nel tenore di vita della popolazione.
Se
questo non sarà compreso da tutti le nostre società non potranno sfruttare
appieno le potenzialità di cui dispongono per cambiare in meglio la vita di
moltissimi.
Coltivo
la speranza che il mio libro possa dare un piccolo contributo in questa
direzione.
La
disuguaglianza sociale.
Enelcuore.it
– (24 gennaio 2023) – Redazione – ci dice:
A
livello globale si stanno facendo passi significativi nella riduzione della
povertà, ma il tema delle disuguaglianze sociali continua a essere molto
rilevante soprattutto a causa della pandemia e della crisi economica che ha
travolto l’Europa.
Cos’è
la disuguaglianza sociale?
Il
termine “disuguaglianza” si riferisce a tutte le differenze in merito al
possesso di risorse che generano opportunità di vita diverse, più o meno
vantaggiose.
Quando
si parla di disuguaglianze va precisata la distinzione in disuguaglianze
economiche e sociali:
le
prime dipendono dalla situazione economica dell’individuo;
le seconde sono causate da genere, età, etnia,
religione, orientamento sessuale o dalla posizione geografica.
Una
influenza l’altra e viceversa andando a intaccare la libertà e le possibilità
di crescita di un paese, di una città o di una persona, come ad esempio
limitando l’accesso alla dovuta assistenza sanitaria o a una giusta istruzione.
I tipi
di disuguaglianza sociale.
Le
disuguaglianze sociali si suddividono in più sottocategorie.
Grazie
ai dati di “un sondaggio Ipsos”, ne analizziamo alcune nel dettaglio, confrontando i dati della
disuguaglianza in Italia e nel mondo:
La
disuguaglianza geografica è riscontrata tra le aree più in difficoltà di
crescita e sviluppo, una delle disparità più gravi nei 28 Paesi intervistati.
In
Italia la percezione di questa disuguaglianza è nella media, attestandosi al
42%, mentre è molto più bassa in Giappone e Germania (27 e 22%);
La
disuguaglianza etnica dipende dalla nazionalità:
troviamo
le persone più preoccupate in Sud Africa (65%) e negli USA (55%) con una
maggiore sensibilità sul tema da parte degli under 35 a livello globale;
La
disuguaglianza generazionale, intesa come la differenza tra i cittadini più anziani e
giovani, in Italia è sentita al 25% con picchi più alti in Giappone (39%) e più
bassi, ad esempio, in Brasile o Germania (26%);
è una
disuguaglianza che incide su salario, livello di sicurezza sul lavoro,
occupazione, disoccupazione e sulla difficoltà nel trovare alloggi;
La
disuguaglianza di genere è percepita come grave da meno della metà degli intervistati
anche se nel nostro Paese, in Messico e in Spagna arriva rispettivamente al
40%, 45% e 42%.
La
distinzione delle disuguaglianze altro non è che il risultato di una forte
stratificazione sociale in cui le principali risorse sono distribuite in modo
diverso tra le persone:
una
quota della popolazione possiede reddito, istruzione, proprietà terriera,
potere politico, prestigio personale o influenza intellettuale in misura
superiore rispetto ad altre quote della stessa popolazione.
Questa diseguale distribuzione di risorse
genera povertà.
I
“nuovi poveri.”
È
stato il 2020 ad essere definito l'anno dei "nuovi poveri", persone
con casa, lavoro e famiglia, ma cadute in povertà e che non hanno
l'indispensabile per condurre una vita quotidiana dignitosa, anche a causa
della pandemia:
secondo
il rapporto 2020 della Caritas Italiana sulla povertà ed esclusione sociale in
Italia, i poveri assoluti erano 1 milione in più rispetto al pre-pandemia,
arrivando al valore record di 5,6 milioni (pari a 2 milioni di nuclei
familiari), con picchi nel Mezzogiorno (9,4%), anche se la crescita più ampia,
registrata da un anno all'altro, si collocava nelle regioni del Nord (dal 5,8%
al 7,6%). Il rapporto 2020 faceva emergere anche importanti differenze legate
all'età, riportando un aumento di svantaggio per minori e giovani under 34.
Il
rapporto “Caritas 2022,” dal titolo “L’anello Debole”, presentato il 17 ottobre
in occasione della “Giornata internazionale di lotta alla povertà”, ribadisce
che non esiste una sola povertà:
ce ne
sono tante, aggravatesi nel post-pandemia e a causa delle ripercussioni della
guerra in Ucraina.
Sono
state 227.566 le persone che nel 2021 si sono rivolte alla Caritas con un
incremento del 7,7%.
Tra
gli assistiti, con un’età media di 45 anni, ci sono sia uomini (50,9%) sia
donne (49,1%).
È
cresciuta, da un anno all’altro, l’incidenza delle persone straniere che si
attesta al 55%, nelle regioni del Centro Nord mentre nel Sud e nelle Isole,
prevalgono gli assistiti di cittadinanza italiana che corrispondono
rispettivamente al 68,3% e al 74,2%.
Più
della metà degli indigenti (54,5%) soffre di povertà “multidimensionale”,
ovvero legata a due o più ambiti di bisogno.
Le
fragilità che prevalgono sono:
80%
povertà economica (reddito insufficiente);
48%
problemi occupazionali;
21%
problemi abitativi,
seguono
i problemi familiari (separazioni, divorzi, conflittualità), di salute o legati
ai processi migratori.
La
parte più innovativa del rapporto Caritas riguarda la trasmissione
intergenerazionale della povertà:
in Italia e a livello internazionale essere
poveri da bambini è altamente predittivo dell'esserlo anche da adulti.
L’Italia
risulta ultima tra i Paesi europei più industrializzati per mobilità sociale.
Per i nati in famiglie poste in fondo alla scala sociale diminuiscono le
opportunità di salire e, tra loro, il 28,9% resterà intrappolato nella stessa
posizione sociale dei genitori, da qui nasce l’espressione sticky floor.
Per liberarsi dalle catene della povertà
occorrono 5 generazioni.
Quasi
sei persone su dieci vivono una condizione di precarietà economica in
continuità con la propria famiglia di origine, sia pure con una incidenza
diversa a livello territoriale: la povertà di tipo ereditario, che si trasmette
“di padre in figlio”, è più frequente nelle isole e nelle regioni centrali,
meno nel Nord-Est e nel Sud dove è più alta l’incidenza di poveri di prima
generazione.
Due i
fattori che caratterizzano questo tipo di povertà:
quelli
determinanti, come la povertà economica, educativa e lavorativa della famiglia
di origine,
i
fattori psicologici, tra cui bassa autostima, mancanza di speranza e
progettualità e sfiducia nelle Istituzioni.
Povertà
assoluta ai massimi storici.
Anche
la recente statistica Istat sulla povertà conferma sostanzialmente i massimi
storici toccati nel 2020, con i poveri assoluti in Italia che toccano i 5,6
milioni. Le famiglie in povertà assoluta risultano 1,9 milioni (7,5% del
totale), pari a 5.571.000 persone e di queste 1,4 milioni sono bambini e
ragazzi minori di 18 anni (14,2%), i più colpiti.
A
livello geografico, il Sud si conferma l’area con la maggior incidenza di
poveri (10%) mentre il dato diminuisce in misura significativa al Nord, in
particolare nel Nord-Ovest (dal 7,9% del 2020 al 6,7%), ma registra un
peggioramento della condizione delle famiglie con maggior numero di componenti:
l’incidenza di povertà assoluta raggiunge il 22,6% tra quelle con cinque e più
componenti e l’11,6% tra quelle con quattro; segnali di miglioramento
provengono dalle famiglie di tre (da 8,5% a 7,1%) e di due componenti (da 5,7%
a 5,0%).
Guardando
all’Europa, dall’analisi Eurostat, emerge una disuguaglianza per genere e
nazionalità: chi è fuori dall’Unione Europea ha la probabilità del 25,2% di
essere un lavoratore che vive in povertà, quella di un italiano è dell’8,8% e
quella di un immigrato da Paesi dell’Ue è del 18,6%. Per quanto riguarda la
disuguaglianza tra uomini e donne, in Italia il 14,8% degli uomini è a rischio
povertà contro il 18,4% delle donne (la percentuale più alta dopo Spagna e
Cipro). Se parliamo poi di una donna lavoratrice extracomunitaria il dato sale
al 25,1%, mentre una madre single con figli a carico rischia al 20,8% di non
arrivare degnamente a fine mese.
Come
combattere le disuguaglianze sociali?
È uno
degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030, l’SDG 10 “Ridurre l’ineguaglianza
all’interno di e fra le Nazioni” che mira, tra le altre cose, a:
raggiungere
e sostenere progressivamente la crescita del reddito del 40 per cento più
povero della popolazione ad un tasso superiore rispetto alla media nazionale;
potenziare
e promuovere l'inclusione sociale, economica e politica di tutti senza alcuna
distinzione;
eliminazione
di politiche discriminatorie, assicurando pari opportunità a tutti, e adozione
di politiche per raggiungere progressivamente una maggiore uguaglianza;
tutelare
ciascun lavoratore garantendo un salario dignitoso ed equo per donne e uomini;
assicurare
ai Paesi in via di sviluppo una maggiore rappresentanza nelle sedi decisionali
globali;
adottare
misure speciali per i Paesi in via di sviluppo, supportandoli concretamente.
Come
Onlus, siamo al fianco delle organizzazioni del terzo settore sostenendo
progetti di assistenza e accoglienza volti a superare i contesti di esclusione
sociale e capaci di creare inclusione per garantire a tutte le persone una vita
dignitosa.
Tra
questi, “Varcare la Soglia”, il programma nazionale di “Fondazione L’Albero
della Vita” per ridurre le condizioni di povertà delle famiglie in numerose
periferie italiane, CRI per il Sociale, il progetto di Croce Rossa Italiana per
sostenere i più fragili e contrastare le nuove povertà, il sostegno alla
Caritas Ambrosiana per il centro diurno per senza fissa dimora di Milano, o il
bando Nel Cuore del Sud, promosso insieme a Fondazione CON IL SUD, per attivare
nelle aree interne del Mezzogiorno percorsi di autonomia per persone con
fragilità o a rischio marginalità, e creare occasioni di sviluppo locale.
Anche
l’istruzione è uno strumento fondamentale contro la povertà educativa e
culturale: in questo campo sosteniamo iniziative come ad esempio Base Camp:
Presidi Educativi Territoriali insieme a Impresa sociale Con i Bambini,
nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, il
progetto Casa di Quartiere San Bao a Brindisi o Fare scuola con Fondazione
Reggio Children.
Siamo
particolarmente attenti anche alle condizioni di genere, supportando iniziative
come “A Vele Spiegate”, per accrescere l’autonomia lavorativa di donne che
stanno affrontando percorsi di uscita dalla violenza, o “Casa Marzia”, dove
vogliamo dare alle mamme in condizioni di disagio e fragilità la possibilità di
guardare al loro futuro come donne indipendenti.
(I futuri padroni del” nuovo mondo” hanno già deciso
che l’unico rimedio che rimarrà a loro è quello dello sterminio della
popolazione più povera! N.D.R.).
Nel
futuro del made in Italy
‘brilla’
l’Intelligenza Artigiana.
Spiritoartigiano.it
– Marco Granelli – (27-1-2024) – ci dice:
Tra
incertezze globali e slancio riformista:
il
futuro degli artigiani e delle piccole imprese italiane nell'era
dell'innovazione e della sostenibilità, con Confartigianato in prima linea per
la valorizzazione del 'valore artigiano'.
L’innovazione
con l’intelligenza artificiale rappresentanza un valore artigiano.
Le
crisi sugli scenari internazionali gettano ombre di incertezza sulle
prospettive di crescita del nostro Paese che continua a cercare la strada della
ripresa, attraversato dalle spinte riformiste impresse dal Governo ma ancora
frenato da vecchie inefficienze e resistenze al cambiamento.
Nonostante
tutto, sono le piccole imprese a ‘brillare’ con quell’Intelligenza Artigiana
che ne caratterizza il talento e il coraggioso impegno per mantenersi
competitive e per cogliere nuove opportunità di mercato.
Quello
dell’artigianato e delle” Mpi” è un mondo in piena metamorfosi.
I
valori della tradizione manifatturiera italiana rimangono ben saldi nel loro
Dna ma, contemporaneamente, l’innovazione e la sostenibilità sono le parole
d’ordine che orientano le loro scelte per intercettare le nuove esigenze dei
consumatori e cavalcare la domanda dei mercati internazionali.
Le
nuove tecnologie sono le ‘armi’ che permettono alle imprese di tutti i settori,
di produzione e di servizio, di affrontare le nuove sfide della
globalizzazione.
I risultati si vedono nei numeri che misurano
le performances dei nostri piccoli imprenditori: grande sprint nelle
esportazioni, primato in Europa per capacità innovativa.
“All’impegno
e alle capacità degli artigiani e dei piccoli imprenditori fanno da contraltare
i ritardi che tengono l’Italia ancora distante dalla media dell’Unione europea.”
All’impegno e alle capacità degli artigiani e dei
piccoli imprenditori fanno da contraltare i ritardi che tengono l’Italia ancora
distante dalla media dell’Unione europea.
Fisco, burocrazia, accesso al credito, tempi
di pagamento, carenza di manodopera, infrastrutture materiali e immateriali
sono alcuni dei fronti sui quali la battaglia del cambiamento va combattuta con
decisione ed esige un convinto sforzo dei decisori pubblici e anche di tutto il
Paese.
I
segnali di vitalità delle nostre imprese vanno incoraggiati con un impegno
altrettanto energico per modificare un contesto spesso ancora ostile alla
libertà d’iniziativa economica.
Occorre
realizzare il giusto equilibrio tra le scelte di rigore e le indispensabili
opzioni per la crescita, puntando sull’ambizione di una visione strategica
complessiva che valorizzi i nostri punti di forza e rimuova le criticità che
sopportiamo da anni.
Vanno sostenuti gli investimenti, l’occupazione e le
aree più deboli con un’azione su più fronti e utilizzando i molteplici
strumenti del ‘pacchetto manovra’, a partire dalla piena realizzazione del
nuovo “Pnrr”.
Serve
uno scatto di orgoglio per difendere le nostre produzioni e il contenuto di
competenze, gusto, creatività, qualità, flessibilità, innovazione espresso
dall’artigianato e dalle piccole imprese.
Bisogna
fare leva su questi punti di forza della nostra capacità manifatturiera che
resistono al di là delle mode e che continuano ad essere apprezzati dai
consumatori di tutto il mondo.
Per
questo ci aspettiamo che il Governo si impegni per realizzare le condizioni di
contesto generali più favorevoli allo sviluppo dell’impresa:
riduzione della pressione fiscale, lotta alla
burocrazia, contenimento dei costi della pubblica amministrazione, migliore
accesso al credito, servizi pubblici e infrastrutture efficienti, giustizia
rapida, welfare attento alle nuove esigenze dei cittadini e degli imprenditori.
“Abbiamo
bisogno di interventi mirati ai settori più innovativi, ma servono anche
progetti di valorizzazione dei comparti forti del nostro manifatturiero
tradizionale”.
Va ripensata e sostenuta una politica
formativa per orientare i giovani nel mercato del lavoro.
Potremo
finalmente risalire la china soltanto se sapremo efficacemente difendere i
talenti di quel made in Italy che nel mondo è sinonimo di qualità e sul quale
basare il rilancio della nostra capacità competitiva.
Confartigianato
è sempre in prima linea in questo impegno.
Con la
forza dell’associazionismo responsabile, pro-attivo e di prossimità che ogni
giorno esercitiamo orgogliosamente, siamo al fianco degli artigiani e dei
piccoli imprenditori per contribuire a cambiare le cose, per trasformare
l’Italia in un Paese altrettanto orgoglioso e sostenitore del ‘valore
artigiano’ e delle migliaia di imprenditori che lo esprimono.
(Marco
Granelli -2024 Spirito Artigiano)
La
chiamata alle armi di Mario Savio:
"Mettete
il corpo sugli ingranaggi
e sulle ruote."
Unz.com - MIKE WHITNEY – (15 MAGGIO 2024) –
ci dice:
C'è un
momento in cui il funzionamento della macchina diventa così odioso, ti fa così
male al cuore, che non puoi prendervi parte;
Non
potete nemmeno prendervi parte passivamente, e dovete mettere i vostri corpi
sugli ingranaggi e sulle ruote, sulle leve, su tutto l'apparato, e dovete farlo
fermare.
E
dovete indicare alle persone che la gestiscono, alle persone che la possiedono,
che a meno che non siate liberi, alla macchina sarà impedito di funzionare
affatto.
(MARIO SAVIO – "Funzionamento
della macchina", YouTube)
Nessuno
nel movimento anti-genocidio sta incitando a uno sciopero generale, a una
rivolta dei lavoratori o ad atti dirompenti di disobbedienza civile.
Quello che chiedono è un cessate il fuoco e il
disinvestimento in qualsiasi azienda che stia traendo profitto dalla guerra di
Israele a Gaza.
Si
tratta di richieste ragionevoli e del tutto appropriate.
Il problema è che gli studenti che avanzano
queste richieste hanno allestito accampamenti nei campus di tutti gli Stati
Uniti, che è il primo passo verso una mobilitazione di più vasta portata contro
la politica israelo -americana a Gaza.
Questo
è il motivo per cui il governo, agendo di concerto con le forze dell'ordine
negli Stati Uniti, ha adottato un approccio così draconiano e brutale nei
confronti delle manifestazioni, per lo più pacifiche.
Vedono le proteste come la punta della lancia,
l'inizio di un movimento populista che detiene la superiorità morale e che alla
fine costringerà i politici a opporsi alla politica attuale.
Questo
è il motivo per cui il governo ha schierato le sue orde di poliziotti armati di
manganello negli accampamenti dei manifestanti in ogni occasione.
Stanno
cercando di intimidire i manifestanti con una massiccia dimostrazione di forza
e pene insolitamente dure nel tentativo di schiacciare il movimento prima che
decolli.
E dati
i progressi nella tecnologia di sorveglianza e altre misure repressive,
potrebbero avere successo in questo sforzo.
Non lo
sappiamo.
Ma
sappiamo che il punto di vista dei manifestanti sulla furia israeliana a Gaza
non è poi così diverso da quello dell'americano medio.
Dai
un'occhiata a questo sondaggio di Gallup:
Maggioranza
negli Stati Uniti. Ora disapprovate l'azione israeliana a Gaza...
La
disapprovazione dell'azione militare israeliana è simile, indipendentemente da
quanta attenzione gli americani stiano prestando al conflitto.
Tutti
e tre i principali gruppi di partito negli Stati Uniti sono diventati meno
favorevoli alle azioni di Israele a Gaza di quanto non lo fossero a novembre.
La diffusa opposizione dei democratici alle
azioni di Israele sottolinea la difficoltà della questione per il presidente.
L'indice di gradimento di Biden per la sua
gestione della situazione in Medio Oriente, al 27%, è il più basso tra i cinque
temi testati nel sondaggio.
Tra i democratici, il 75% degli intervistati
"disapprova l'azione militare che Israele ha intrapreso a Gaza".
Maggioranza
negli Stati Uniti Ora disapprova l'azione israeliana a Gaza, “Gallup”.
E
vediamo risultati simili in un recente sondaggio “AP/Norc”:
Una
percentuale crescente di adulti statunitensi crede che la risposta militare di
Israele a Gaza sia "andata troppo oltre".
Tra
gli adulti statunitensi intervistati a gennaio, il 50% ha dichiarato di
ritenere che le azioni di Israele a Gaza siano "andate troppo oltre",
...
Solo
il 31% crede che la risposta militare di Israele sia stata "giusta.
La
metà degli adulti statunitensi crede che Israele sia "andato troppo
oltre" nella guerra di Gaza:
sondaggio,
“Axios”
Questi
sondaggi mostrano che i manifestanti pro-Palestina non sono un elemento
marginale che ripete a pappagallo qualche arcana ideologia di sinistra.
Sono nel mainstream e le loro opinioni
riflettono le opinioni della maggioranza degli americani.
Allora,
perché i poliziotti li picchiano con i manganelli e li trascinano in prigione?
Non ha senso.
Questi
studenti non stanno abbattendo statue o bruciando edifici o saccheggiando
grandi magazzini o attaccando poliziotti come abbiamo visto durante le rivolte
di George Floyd.
Stanno
semplicemente esprimendo la loro opposizione a una furia di terra bruciata che
è moralmente indifendibile.
Allora
perché vengono perseguitati?
Ecco come “Norman Finkelstein” risponde a
questa domanda:
… Uno
degli aspetti dell'emergere del movimento studentesco è che c'è sempre più
chiarezza sul fatto che l'accusa di antisemitismo è semplicemente un pretesto
per sopprimere la legittima protesta contro le politiche genocide di Israele
contro il popolo di Gaza.
Devo anche aggiungere che tra le sorprese c'è il fatto
che un gruppo di miliardari ebrei – al fine di sopprimere le critiche del
campus al genocidio israeliano – stanno ora usando apertamente l'arma del
ricatto.
Stanno
dicendo alle università, al consiglio di amministrazione e al presidente che, a
meno che non reprimete queste manifestazioni, ritireremo le nostre centinaia di
milioni di dollari.
Questo
è senza dubbio l'assalto più sfacciato del settore privato alla libertà
accademica nella storia del nostro paese.
E come se non bastasse, ora c'è un assalto da
parte della destra nel nostro paese che sfrutta la falsa pretesa di
antisemitismo per reprimere la libertà accademica nei nostri campus.
Così,
è iniziato con miliardari ebrei che cercavano di reprimere il dissenso di
Israele, e ora quella falsa affermazione di antisemitismo viene usata dalla
destra nel nostro paese per reprimere qualsiasi pensiero critico nei nostri
campus. Questo
non è solo un assalto alla libertà accademica, ma è anche una prefigurazione di
un movimento fascista tra la destra e sostenuto dalla classe dei miliardari per
sopprimere qualsiasi dissenso che inizia nei campus universitari ma poi alla
fine si diffonde ovunque.
(Norman
Finkelstein sul genocidio a Gaza, “Mayadeen”)
Questo
aiuta a spiegare l'enigma di cui abbiamo discusso sopra, cioè perché i
poliziotti brutalizzano i manifestanti che riflettono semplicemente le opinioni
della maggioranza degli americani.
La
risposta, secondo “Finkelstein”, è che i poliziotti stanno operando per conto
di interessi particolari, in questo caso, gli interessi dei "miliardari
ebrei" la cui agenda orientata verso Israele prevale sui diritti civili
degli studenti americani.
Ecco altri retroscena tratti da un articolo di
“The Nation”:
La
violenza all'UCLA è istruttiva.
I contro-manifestanti filo-israeliani sono
stati organizzati da un gruppo finanziato dal miliardario “Bill Ackman” e dai
suoi amici, tra cui “Jessica Seinfeld” (moglie del comico Jerry Seinfeld).
Molti
dei manifestanti assoldati sembrano essere monarchici iraniani, un gruppo che
tende ad essere filo-israeliano a causa della vecchia alleanza tra il deposto
scià dell'Iran e Israele.
Come
hanno riportato sia il “Los Angeles Times” che “The Forward”, i contro manifestanti
filo-israeliani sono stati estremamente violenti.
Secondo
il “Los Angeles Times”:
Quattro
studenti giornalisti che lavorano per l' “UCLA Daily Bruin” sono stati
aggrediti poco prima delle 3:30 del mattino, e
Mercoledì
dai contromanifestanti pro-Israele durante una manifestazione nel campus che è
diventata violenta.
L'editore
del “Daily Bruin”,” Catherine Hamilton”, 21 anni, ha detto al “Times” di aver
riconosciuto uno dei contro manifestanti come qualcuno che in precedenza
l'aveva molestata verbalmente e aveva scattato foto del suo badge da stampa.
Mentre
cercava di liberarsi, ha detto “Hamilton”, è stata colpita ripetutamente al
petto e alla parte superiore dell'addome;
Un altro studente giornalista è stato spinto a
terra e picchiato e preso a calci per quasi un minuto.
L'attacco
è stato riportato per la prima volta dal “Daily Bruin”.
“Eric
Adams “è il volto bugiardo della repressione nei campus, “The Nation”.
Quindi,
i cosiddetti "contro-manifestanti" non erano affatto dei veri e
propri manifestanti.
Non sono stati nemmeno impiegati per
promuovere la posizione politica di Israele, ma per molestare, intimidire e
brutalizzare le persone che vedono come una potenziale minaccia alla pulizia
etnica israeliana di Gaza.
Si trattava di agitatori che non erano
impegnati nell'esprimere le proprie convinzioni sincere, ma si concentravano interamente sulla
soppressione della libertà di parola degli altri.
E
questo non è l'unico esempio che dà credito alle affermazioni di Finkelstein.
C'è anche il bizzarro caso di Rebecca Weiner,
i cui dettagli sono davvero raccapriccianti.
Questo
è tratto da un articolo di “Grayzone”:
“Rebecca
Weiner” è una professoressa della” Columbia University” che ricopre anche il
ruolo di direttrice dell'intelligence della polizia di New York.
Il sindaco “Eric Adams” le attribuisce il
merito di aver spiato i manifestanti studenteschi anti-genocidio e di aver
diretto il raid militarizzato che li ha scacciati dal campus.
La
violenta repressione degli studenti della Columbia University che protestavano
contro l'assalto genocida israeliano alla Striscia di Gaza è stata guidata da
un membro della facoltà della scuola, ...
… A
poche centinaia di metri dall'accampamento di protesta di Gaza, “Weiner” aveva
un ufficio presso la” Columbia School of International and Public Affairs”
(SIPA).
La sua
biografia SIPA la descrive come una "Professoressa Associata Aggiunta di
Affari Internazionali e Pubblici" che serve contemporaneamente come
"dirigente civile responsabile dell'Ufficio di Intelligence e
Antiterrorismo del Dipartimento di Polizia di New York City".
In
quel ruolo, secondo il SIPA, Weiner "sviluppa priorità politiche e
strategiche per “l'Intelligence & Counter terrorism Bureau” e rappresenta
pubblicamente il “NYPD” in questioni che coinvolgono l'antiterrorismo e
l'intelligence".
L'Ufficio
antiterrorismo della polizia di New York ha attualmente un ufficio a Tel Aviv,
in Israele, dove si coordina con l'apparato di sicurezza israeliano e mantiene
un collegamento con il dipartimento. Weiner sembra fungere da ponte tra gli
uffici del Bureau in Israele e New York.
Il giro di vite della Columbia guidato dal
prof universitario che raddoppia mentre la polizia di New York spetta a “The
Grayzone”.
Ci
sono così tante domande qui, è difficile sapere da dove cominciare.
Perché
un "dirigente civile responsabile dell'Intelligence & Counter terrorism
Bureau del Dipartimento di Polizia di New York" si maschera da professore
a contratto alla Columbia?
E se,
in effetti, “Weiner” "funge da ponte tra gli uffici del Bureau (NYPD) in
Israele e New York", allora a che titolo sta raccogliendo informazioni
sugli studenti americani che stanno semplicemente esercitando i loro diritti
costituzionali?
La
situazione di Weiner getta abbastanza dubbi sulle relazioni di Tel Aviv con
Washington che ci dovrebbe essere un'indagine approfondita, ma probabilmente
non accadrà.
Ciò
che è più probabile che accada è che la collusione si approfondisca e diventi
più diffusa fino a rappresentare una grave minaccia per la sicurezza nazionale
degli Stati Uniti.
Ci
siamo già?
Non lo
sappiamo, ma abbiamo bisogno di sapere; così come abbiamo bisogno di sapere
quanti "Weiners" stanno operando in posizioni di autorità in tutto il
paese. Non è una proposta ragionevole?
Purtroppo,
l'unica cosa di cui possiamo essere certi è che se “Weiner” fosse stata russa o
cinese, sarebbe stata impacchettata a “Gitmo pell-mell” dove avrebbe dovuto
affrontare una dieta costante di croste di pane e waterboarding.
Questo è certo.
Ecco di più sul collegamento israeliano con le
violenze all'UCLA da”The Grayzone”:
“The
Grayzone “ha ottenuto un dossier che dettaglia le identità degli” hooligan
sionisti “che hanno aggredito i manifestanti studenteschi anti-genocidio
dell'UCLA.
Il 30
aprile, trenta persone sono rimaste ferite quando una folla di teppisti
sionisti ha selvaggiamente assaltato l'accampamento pro-Palestina dell'UCLA
poco prima di mezzanotte...
La
polizia dell'area di Los Angeles ha arrestato frotte di studenti che
protestavano contro il genocidio israeliano sostenuto dagli Stati Uniti a
Gaza,... (ma) fino ad oggi non ci sono stati arresti di sicari filo-israeliani. (La zona grigia identifica molte
delle persone coinvolte.)
Aaron
Cohen.
Cohen
è un "analista dell'antiterrorismo" israeliano che si è integrato con
la polizia poco prima del raid del 2 maggio.
Poco
prima del raid,” Cohen” ha scritto su Instagram:
"Ho
appena concluso un'operazione di infiltrazione silenziosa indipendente per
@drphil stanotte nel cuore dell'accampamento dell'UCLA.
Ora
sono qui con l'élite del “LASD SRT” che si sta preparando a entrare
nell'accampamento antisemita pro terrorismo". …
Nel
periodo precedente all'attacco erano presenti anche membri di “Magen Am”, una
società di sicurezza privata ebraica con sede a Los Angeles fondata nel 2017 da
“Yossi Eilfort,” un combattente di “MMA” diventato rabbino “Chabad”.
“
Magen Am”, che sostiene di impiegare 12 ex soldati israeliani e statunitensi,
si autodefinisce "l'unica organizzazione ebraica senza scopo di lucro
autorizzata a fornire servizi di sicurezza fisica e armata sulla costa
occidentale degli Stati Uniti".
Parlando
con il “Los Angeles Times”, “Eilfort” ha ammesso di essersi coordinato con
l'UCLA in una contro-protesta del 28 aprile volta a inimicarsi l'accampamento
pro-Palestina.
Il gruppo mantiene uno stretto rapporto di
lavoro con le forze dell'ordine locali.... Questa "partnership"
sembra dare i suoi frutti, con la” Magen Am “che ora si vanta apertamente della
sua capacità di influenzare le operazioni della polizia di Los Angeles.
Ma i
loro legami con lo stato di sicurezza non finiscono qui.
Il
sito ufficiale di “Magen Am” si vanta:
"Abbiamo
collegamenti diretti con l'FBI e le forze dell'ordine locali, tra cui la
polizia di Los Angeles. Il Dipartimento dello Sceriffo, l'ufficio del
procuratore distrettuale e l'ufficio del procuratore degli Stati Uniti". …
Nel
frattempo, alla “Columbia University”, due ex soldati dell'esercito israeliano
che hanno attaccato gli studenti con un liquido chimico tossico
"puzzola" lo scorso gennaio, mandando almeno 10 manifestanti
anti-genocidio al pronto soccorso, non sono stati espulsi dal campus, né sono stati
arrestati.
"Non ci sono arresti e l'indagine è in
corso", ha detto un portavoce della polizia di New York all' “HuffPost” :
Smascherati gli aggressori dell'UCLA: incontra i
violenti agitatori sionisti che la polizia di Los Angeles non ha arrestato, “The
Grayzone”.
Cosa
significa tutto questo?
Perché
un analista dell'antiterrorismo israeliano è “embedded” con la polizia di Los
Angeles e quale possibile legame ha con i manifestanti anti-genocidio
dell'UCLA?
E
perché i membri di una "società di sicurezza privata ebraica" sono
impegnati in attacchi provocatori contro manifestanti pacifici?
E quali sono, in nome del cielo, i
"collegamenti diretti" che questa società di sicurezza ebraica ha con
"l'FBI e le forze dell'ordine locali"?
Non si
tratta di una questione banale.
Quello
che stiamo vedendo qui è l'influenza profondamente radicata di un paese
straniero che ora esercita un potere significativo all'interno delle forze
dell'ordine federali e statali e delle agenzie di intelligence.
Questo è un grosso problema.
Se i lettori pensano che io stia esagerando
l'importanza di questo problema, allora vi prego di dirlo.
Ma, se
anche solo la metà di ciò che “Grayzone” sta riportando è vero, siamo in un
mondo di guai.
Ecco
di più da un pezzo di “Substack” di “Ken Klippenstein”:
Per i
federali, si tratta di trasformare le proteste in una crisi di sicurezza
nazionale, con un'immaginaria influenza straniera, simpatia per “Hamas” e altri
gruppi terroristici e una minaccia per il governo stesso.
Mentre
gli studenti continuano a parlare, e così tanti sono chiaramente scontenti
della politica americana, il governo federale non ha perso tempo a far salire
le risorse da tutto il paese mentre dipinge gli studenti come minacce alla
sicurezza nazionale.
Ecco
solo alcune delle agenzie federali che sono state coinvolte:
Federal
Bureau of Investigation (FBI),
Servizio
di protezione federale (FPS) - l'agenzia di applicazione della legge del Dipartimento
della sicurezza interna che protegge gli edifici federali e altri beni, e
Homeland
Security Investigations (HSI), il braccio investigativo del Dipartimento della Sicurezza
Interna....
Nell'ambito
della Strategia nazionale 2023 dell'amministrazione Biden per contrastare
l'antisemitismo, un gruppo di altre agenzie è chiamato ad agire.
L'FBI.
In
un'intervista alla NBC la scorsa settimana, il direttore dell'FBI “Christopher
Wray” ha confermato che "condividiamo informazioni su specifiche minacce
di violenza" riguardanti le proteste del campus.
Nella
testimonianza di marzo al Congresso, “Wray” ha avvertito che "ci
aspettiamo che il 7 ottobre e il conflitto che ne è seguito alimenteranno una
pipeline di radicalizzazione e mobilitazione per gli anni a venire".
Mercoledì,
quando gli è stato chiesto delle proteste nel campus, la portavoce della Casa
Bianca “Karine Jean-Pierre” ha detto che "il Dipartimento di Giustizia e l'FBI
continueranno a offrire supporto alle università e ai college nel rispetto
delle leggi federali".
L'FBI
è anche sotto pressione da parte del Congresso per reprimere le proteste.
“ The
Intercept” ha anche riferito di una chiamata zoom in cui i rappresentanti J”osh
Gottheimer” (D-NJ) e “Mike Lawle”r (R-NY), insieme a fiduciari di diverse
università, hanno discusso di ciò che vedevano come la necessità di un
intervento dell'FBI.
Partecipi
alle proteste di Gaza? I federali stanno a guardare, Ken Klippenstein, Substack:
Capite
l'immagine?
Quindi,
le forze dell'ordine federali e le agenzie di intelligence sono già coinvolte e
probabilmente stanno usando i loro straordinari poteri di sorveglianza per
spiare i leader del movimento di protesta, infiltrarsi nei loro campi (con
informatori confidenziali) e attuare una strategia di trucchi sporchi volta a
intrappolare gli sfortunati manifestanti incoraggiando attività illegali o
danni alla proprietà.
Tutto questo è progettato per scoraggiare
ulteriori "radicalizzazione e mobilitazione", che sono le parole
d'ordine del direttore dell'FBI “Wray” per "presentare legalmente una
petizione al governo affinché abbandoni il suo sostegno al genocidio di
Gaza".
Tutti
gli strumenti di coercizione statale sono ora concentrati su un piccolo gruppo
di attivisti di principio che vogliono semplicemente impedire al loro governo
di partecipare all'uccisione di donne e bambini nella loro patria storica.
E per
questo, devono essere schiacciati.
Mi
ricorda un discorso che John F. Kennedy pronunciò sul prato della Casa Bianca
nel 1962 quando disse:
Coloro
che rendono impossibile la rivoluzione pacifica renderanno inevitabile la
rivoluzione violenta.
Amen,
a quello.
Il
vecchio genocida Joe deve andarsene!
Unz.com
- FILIPPO GIRALDI – (17 MAGGIO 2024) – ci dice:
È
estremamente difficile discernere quale potrebbe essere il pensiero dietro
l'incapace presidente “Joe Biden” e il suo team di politica estera e sicurezza
nazionale “Blinken”-“Austin-Mainakas”.
Abbracciare
Netanyahu non costituisce una politica estera.
O
piuttosto, il problema è che non sembra esserci alcuna riflessione su di esso
se lo si misura in base ai benefici che porta al popolo americano.
Tutto
in realtà sembra derivare dal desiderio di costruire una narrazione che vinca
le elezioni presidenziali di novembre, che fortunatamente saranno gestite
contro un candidato repubblicano profondamente imperfetto di nome Donald J.
Trump.
Ma
guardate cosa c'è nel record di Biden:
il
confine meridionale del paese con il Messico è poroso come un formaggio
svizzero, consentendo letteralmente a milioni di immigrati illegali di entrare
negli Stati Uniti da quando Biden è entrato in carica;
Washington
sta combattendo e perdendo contemporaneamente due guerre inutili che
coinvolgono potenze nucleari e che sono costate a un Tesoro quasi in bancarotta
centinaia di miliardi di dollari;
e la
Casa Bianca sta sanzionando inutilmente concorrenti non ostili come la Cina,
rendendo illegali anche i siti di social media popolari come “TikTok” che hanno
commesso il peccato di riportare e diffondere narrazioni accurate sul buon
vecchio "migliore amico e più stretto alleato" Israele.
Com'era
prevedibile, nessuna delle affermazioni sul valore dello Stato ebraico è vera,
né è una democrazia, ma chi se ne frega quando ci si diverte a sparare alla
gente e a spendere i soldi di qualcun altro?
Oh, e
provate a esercitare il vostro diritto alla libertà di parola sancito dal Primo
Emendamento manifestando contro il massacro israeliano di oltre 40.000 civili
palestinesi che usano armi fornite dagli Stati Uniti e verrete colpiti alla
testa da un poliziotto, forse arrestati e persino espulsi dall'università!
Se volete vedere dove sta andando a parare,
date un'occhiata ai rapporti sulla recente detenzione e interrogatorio da parte
dell'FBI dell'illustre storico israeliano “Ilan Pappe” che cercava di entrare
negli Stati Uniti attraverso l'aeroporto internazionale di Detroit.
Pappe
è un critico del governo Netanyahu e della politica degli Stati Uniti, quindi è
stato trattenuto, interrogato in dettaglio sui suoi contatti e gli è stato
copiato il telefono prima di poter procedere.
Nel
frattempo, un gruppo di “alti giudici federali” ha firmato una lettera in cui
afferma che colpirà gli studenti che manifestano rifiutandosi di assumere
laureati della “Columbia University Law School “come impiegati legali.
E c'è anche un disegno di legge attualmente
all'esame del Congresso che autorizzerebbe il governo a etichettare i
manifestanti stranieri come "antisemiti e sostenitori del terrorismo"
e deportarli, con alcuni che vanno a Gaza con l'aspettativa di essere uccisi,
possibilmente dalle potenti Forze di Difesa Israeliane (IDF)!
Sarebbe
un nuovo sviluppo sorprendente punire coloro il cui crimine consiste
principalmente nella violazione di domicilio, anche dati i confini etici
piuttosto vaghi stabiliti dalla guerra al terrorismo e dall'”Antisemitism
Awareness Act”!
Oppure,
si potrebbe seguire il percorso senatoriale guidato da un cinguettio “Lindsey
Graham” che raccomanda di sganciare una bomba nucleare su Gaza per uccidere
tutti coloro che sono sopravvissuti all'assalto israeliano.
L'area potrebbe poi essere sviluppata dopo che le
radiazioni si saranno esaurite per quelle splendide ville sul mare per ebrei
suggerite solo dallo stimato genero di Trump, “Jared Kushner”.
A dire
il vero, Joe a volte borbotta qualcosa che potrebbe essere visto positivamente,
come il suo recente blocco per motivi umanitari di una “partita di bombe
anti-bunker” in viaggio verso Israele a causa dell'insistenza di Benjamin
Netanyahu che, qualunque cosa accada, avrebbe invaso Rafah per distruggere
completamente Hamas e chiunque altro potesse mettersi sulla sua strada.
Joe ha prevedibilmente ribaltato quella decisione
martedì scorso, approvando una fornitura di munizioni da 1 miliardo di dollari
dopo essere stato messo sotto pressione dagli israeliani e dai loro molti amici
negli Stati Uniti, per includere una serie di membri del Congresso repubblicani
amanti di Israele che hanno portato la loro lotta per conto dello Stato ebraico
all'Aia, dove la Corte Penale Internazionale (CPI) è direttamente minacciata
dall'ira americana per timore che cerchi di punire i leader israeliani per il
loro genocidio in Israele.
Gaza.
Come
ha detto “Bill Astore”:
"La
scorsa settimana, il presidente Biden sembrava aver stretto una spina dorsale
temporanea nel ritardare le spedizioni di armi 'offensive' a Israele per la sua
invasione omicida di Rafah a Gaza.
Quella
spina dorsale ha avuto una breve durata quando Biden ha annunciato [martedì]
rinnovate spedizioni di carri armati e colpi di mortaio a Israele".
Anche
il Congresso è entrato in gioco, con la Camera dei Rappresentanti, controllata
dal Partito Repubblicano, che ha approvato un disegno di legge che
obbligherebbe la Casa Bianca a continuare tutte le spedizioni di armi a
Israele.
Joe
potrebbe anche pensare a contributi politici, dato che gli ebrei americani
donano la maggior parte dei finanziamenti del Partito Democratico, oltre a
garantire un media amico nella sua campagna elettorale mentre dominano sia
l'industria delle notizie che quella dell'intrattenimento.
Vedete,
Joe riesce a capire alcune cose da solo di tanto in tanto!
Ecco
il problema con Joe, a parte i circa 12 milioni di dollari in doni da fonti
ebraiche/israeliane che ha ottenuto nella sua carriera politica.
Il suo
pensiero tattico non si estende oltre i suoi interessi personali, per includere
i suoi figli corrotti, una caratteristica molto simile a quella posseduta dal
suo buon amico Netanyahu che sta affrontando accuse di corruzione in Israele.
Joe crede di essere molto più intelligente di quanto
non sia in realtà e pensa che una critica verbale occasionale del comportamento
israeliano convincerà il suo pubblico di elettori che è davvero preoccupato per
il continuo bilancio delle vittime a Gaza, dove gli israeliani hanno già mosso
i primi passi nel loro attacco a Rafah usando i loro carri armati per penetrare
nella zona presa di mira per distruggere e uccidere.
E per
quanto riguarda il completamento e il funzionamento iniziale del molo
galleggiante collegato a Gaza costruito da ingegneri militari statunitensi, non
cambierà radicalmente la realtà sul terreno, anche se Biden sostiene che
consentirà l'ingresso di cibo e aiuti medici tanto necessari.
Israele continuerà a controllare la
"sicurezza" di ciò che è permesso entrare a Gaza mentre Netanyahu
vede il molo come un ponte verso il nulla, utilizzabile principalmente per
esportare i palestinesi in eccesso in terre straniere che sono disposte o meno
ad accettarli.
E la
sua esistenza crea alcune possibilità interessanti.
Dato
che presumibilmente sarà logisticamente supportato sul molo stesso da personale
con sede negli Stati Uniti, Netanyahu potrebbe essere tentato di inscenare un
attacco sotto falsa bandiera attribuito ad Hamas per uccidere alcuni americani
e bloccare Biden nelle politiche di destra di Israele su Gaza d'ora in poi.
Tenete
a mente che, in realtà, a Biden potrebbe importare di meno se tutti i
palestinesi potessero essere "fatti sparire", così come vorrebbe
vedere tutti i critici di Israele essere sottoposti alle punizioni più dure,
tra cui il carcere e la negazione dei diritti fondamentali, nonché essere
privati dei benefici governativi.
Ha definito i manifestanti "trasgressori della
legge" e diffusori di "caos" e il Congresso sta attualmente
indagando sui presunti "organizzatori sovversivi" dei
"terroristi anti-israeliani".
Biden
e compagnia, così come Trump, che sta consigliando al governo israeliano di
"finire il lavoro" con i palestinesi, chiaramente non hanno vere e
proprie linee rosse che non devono essere superate quando si tratta di Israele.
La guerra di sterminio degli abitanti di Gaza
è stata accompagnata da una guerra più nascosta condotta dai coloni ebrei in
Cisgiordania, che è stata in gran parte sotto l'occupazione israeliana dal 1967.
I coloni, spesso armati, hanno attaccato
palestinesi disarmati, distruggendo le loro case e le loro attività, rovinando
i loro raccolti e vigneti, e persino uccidendoli in alcune occasioni.
La
polizia e l'esercito israeliani non fanno nulla per fermare il divertimento e
spesso partecipano loro stessi arrestando e picchiando palestinesi che sono
colpevoli solo di essere palestinesi.
Centinaia
di palestinesi sono stati arrestati senza accuse, a parte la "detenzione
preventiva", da quando sono iniziati i disordini in ottobre e le carceri
sono stracolme.
La
chiara intenzione, verbalizzata senza alcuna vergogna da alti funzionari del
governo israeliano come il ministro della Sicurezza” Itamar Ben-Gvir”, è quella
di produrre un “Grande Israele ripulito dagli arabi”.
E
Biden, che finge di favorire una soluzione a due stati per i disordini, aiuta
il processo ponendo il veto alle risoluzioni delle Nazioni Unite che
aiuterebbero a creare una sovranità separata per la Palestina.
Alcuni
degli sviluppi recenti più oltraggiosi sono stati l'interferenza dei coloni con
le spedizioni di cibo e medicine che entrano a Gaza, un punto che un Biden
finto-simpatico sottolinea ripetutamente quando pontifica sul portare aiuti
alle persone affamate che sono intrappolate senza un posto dove andare
all'interno dell'enclave.
Il giro di vite israeliano include anche il
blocco del Mar Mediterraneo da parte della marina israeliana, che spara a tutti
i disperati di Gaza che cercano di avvicinarsi all'acqua in modo da poter
pescare il cibo.-
Negli incidenti più recenti, osservati
dall'esercito e dalla polizia israeliani in attesa ma inerti, i camion carichi
di cibo sono stati bloccati, gli autisti e gli operatori umanitari sono stati
rimossi e picchiati, e il cibo è stato distrutto e bruciato prima che i camion
fossero trattati allo stesso modo.
In un
altro caso, i coloni hanno scaricato enormi massi su una delle strade di
accesso a un checkpoint che porta a Gaza, rendendolo impraticabile e bloccando
qualsiasi aiuto.
Nel
frattempo giornalisti e operatori umanitari vengono uccisi dall'esercito per
impedire qualsiasi segnalazione di ciò che sta accadendo, mentre il
Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si rifiuta di condannare l'attività.
Biden ha definito "oltraggiosa"
l'interferenza con i convogli di assistenza, ma non ha fatto nulla al riguardo,
né ha dato seguito alle promesse di sanzionare gli israeliani che attaccano i
palestinesi o le loro proprietà in Cisgiordania.
L'intero
problema è che Israele è un mostro, uno stato di apartheid che in qualche modo
si sente autorizzato da Dio e dagli Stati Uniti a uccidere tutti i suoi vicini
e a derubare i contribuenti americani per pagare ed equipaggiare il massacro.
Israele
è sostenuto da un'onnipotente lobby interna degli Stati Uniti che include
denaro ebraico illimitato e gruppi attivisti sionisti come l'”Anti-Defamation
League” (ADL) guidata dall'orribile “Jonathan Greenblatt” e il venerabile “American
Israel Political Affairs Committee” (AIPAC), entrambi i quali sono ora
impegnati a raccogliere fondi per sconfiggere tutte le creature del Congresso
che abbiano mai criticato lo Stato ebraico.
L'ADL e l'AIPAC sono anche legate a
"quella vecchia religione", i sionisti cristiani concentrati nel
Partito Repubblicano che hanno le loro “Bibbie Scofield” saldamente conficcate
tra le orecchie, dove si suppone che ci sia il loro cervello.
Una
soluzione parziale sarebbe quella di fare in modo che i gruppi ebraico-sionisti
si registrino come agenti governativi stranieri diretti da Israele secondo i
termini del “Foreign Agents Registration Act “(FARA), che è esattamente quello
che sono, ma questo non accadrà mai.
Il
presidente John F. Kennedy cercò di registrare il gruppo precedente all'AIPAC e
molti credono che abbia pagato il prezzo più alto per quell'affronto e per il
suo tentativo di fermare il programma di armi nucleari di Israele.
Quindi,
miei compatrioti americani, cosa dovremmo fare?
Bene,
dovremmo fare tutto ciò che possiamo, il che include parlare di come siamo
stati venduti dai nostri leader e opinionisti, e dovremmo continuare a farlo
anche sapendo che cercheranno di metterci a tacere distruggendo la libertà di
parola in questo paese.
È tutto ciò che ci resta e dobbiamo continuare
a opporci a quanto sta accadendo. Il primo passo, però, è quello di sbarazzarsi
di politici come “Joe” e “Donald”, che sono stati completamente corrotti da più di
cinquant'anni nel "sistema" e sono totalmente venduti e
irresponsabili nei loro comportamenti.
Ci
sono politici e giornalisti onesti là fuori e dobbiamo solo trovarli,
sostenerli e farli eleggere e in posizioni in cui saranno in grado di portare
un cambiamento nel modo in cui le cose vengono fatte a Washington!
Si
potrebbe chiamarla la Nuova Rivoluzione Americana per ripristinare i nostri diritti e
liberarci dall'oppressione straniera!
(Philip
M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest,
una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501 (c) 3).
Israele
dice che non può commettere
genocidio perché l'unico genocidio
è
l'"Olocausto."
Unz.com
- ANDREW ANGLIN – (18 MAGGIO 2024) – ci dice:
Beh,
prima di tutto, "L'Olocausto" non c'è stato. Era una bufala totale.
Questi ebrei bugiardi vi mostrano un mucchio di vecchie scarpe e dicono che
significa che sei trilioni di loro sono stati gasati a morte in finte docce con
porte di legno.
Ci
credete?
Io no.
Quello
che gli ebrei stanno facendo in questo momento a Gaza è il primo vero e
legittimo genocidio, in quanto stanno tentando di sterminare un'intera razza di
persone.
Forse questo è accaduto in qualche momento
della storia antica, ma niente di simile è accaduto in migliaia di anni.
“Reuters”:
Israele
ha difeso la necessità militare della sua offensiva su Gaza venerdì alla Corte
Internazionale di Giustizia e ha chiesto ai giudici di respingere la richiesta
del Sudafrica di ordinare di fermare le operazioni a Rafah e ritirarsi dal
territorio palestinese.
Il
funzionario del ministero della Giustizia israeliano “Gilad Noam” ha definito
il caso del Sudafrica, che accusa Israele di violare la “Convenzione sul
genocidio”, "completamente avulso dai fatti e dalle circostanze".
"(Il
caso) si fa beffe dell'atroce accusa di genocidio", ha detto “Noam”.
Lo ha definito "un osceno sfruttamento della
convenzione più sacra", riferendosi al trattato internazionale che vieta il
genocidio, concordato dopo l'Olocausto degli ebrei europei nella seconda guerra
mondiale.
La
convenzione richiede a tutti i paesi di agire per prevenire il genocidio, e la Corte Internazionale di
Giustizia, nota anche come “Corte Mondiale”, che esamina le controversie tra
gli Stati, ha concluso che questo dà al Sudafrica il diritto di perorare la
causa.
Una
donna che ha urlato "bugiardi!" durante la presentazione di Israele è
stata allontanata dalle guardie di sicurezza, una rara protesta nell'aula del
tribunale "Great Hall of Justice" dell'Aia.
"C'è
una tragica guerra in corso, ma non c'è alcun genocidio" a Gaza, ha detto “Noam”.
"L'Olocausto"
deve essere processato.
Questi
ebrei stanno affermando, spudoratamente, che a causa di questo cosiddetto
"Olocausto" (mucchio di scarpe), hanno il diritto di massacrare
chiunque vogliano.
Ogni
volta che cominci a lamentarti di questi ebrei che uccidono tutti questi
bambini, ti dicono "OLOCAUSTO".
Questo
non sarebbe valido anche se l'Olocausto fosse reale, ma non era reale.
Era
una grande bufala.
Dobbiamo
spingere le persone a mettere in discussione questo Olocausto.
Hitler
era una persona molto simpatica, un artista molto sensibile, e non avrebbe
ucciso nessuno.
Questa
è una stupida bugia. Non ci sono prove.
Dove sono le fosse comuni?
Questa
è la più grande menzogna della storia.
Beh,
forse il coronavirus è la bugia più grande, o forse il riscaldamento globale,
ma è sicuramente tra i primi tre.
Perché
non ci sono prove di questa bufala?
Guarda
il video:
Allora
dimmi che credi alla versione ufficiale.
Tutta
questa faccenda è una truffa gigantesca.
I
nazisti erano i buoni.
Forse accaddero alcune cose brutte, perché era
una guerra, ma i nazisti combatterono la guerra più giusta di qualsiasi guerra
moderna, e combatterono per proteggere la cristianità dai disgustosi ebrei che
uccidevano Cristo.
Ditemi,
se i nazisti avessero vinto, avremmo avuto bambini trans e immigrazione di
massa.
Non
puoi dirmelo.
I
nazisti erano i buoni e non hanno fatto un Olocausto.
Avrebbero
dovuto fare un Olocausto, francamente.
Non
c'è davvero alcuna giustificazione per non massacrare semplicemente gli ebrei.
Non è ragionevole dire qualcosa come "gli ebrei non meritano di essere
massacrati".
Ovviamente
lo fanno.
Almeno,
milioni di loro lo fanno. Forse ce ne sono di buone, non lo so, ma non è
proprio un mio problema.
Il mio
problema è che ce ne sono milioni che stanno distruggendo tutto e devono essere
isolati totalmente o semplicemente cancellati.
Russia
e Cina:
due
contro uno.
Unz.com
- RAY MCGOVERN – (18 MAGGIO 2024) – ci dice:
Il
presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping e le loro
squadre si incontrano giovedì a Pechino. (Konstantin Zavrazhin, Cremlino)
L'accoglienza
estremamente calorosa del presidente cinese Xi Jinping nei confronti del
presidente Vladimir Putin ieri a Pechino ha suggellato le sempre più
formidabili relazioni strategiche Russia-Cina.
Si
tratta di uno spostamento tettonico nell'equilibrio mondiale del potere.
L'intesa
Russia-Cina suona anche la campana a morto per i tentativi dei neofiti della
politica estera degli Stati Uniti di creare un cuneo tra i due paesi.
Il
rapporto triangolare è diventato due contro uno, con gravi implicazioni, in
particolare per la guerra in Ucraina.
Se i
geni della politica estera del presidente degli Stati Uniti” Joe Biden£
continuano a negare, l'escalation è quasi certa.
In
un'intervista pre-visita con “Xinhua”, Putin ha sottolineato il "livello
senza precedenti di partenariato strategico tra i nostri Paesi".
Lui e “Xi”
si sono incontrati più di 40 volte di persona o virtualmente.
Nel
giugno 2018, “Xi” ha descritto Putin come "un vecchio amico del popolo
cinese" e, personalmente, il suo "migliore amico".
Da
parte sua, Putin ha osservato giovedì che lui e Xi sono "in costante
contatto per mantenere il controllo personale su tutte le questioni urgenti
dell'agenda russo-cinese e internazionale".
Putin
ha portato con sé il ministro della Difesa “Andrey Belousov”, oltre a veterani
come il ministro degli Esteri” Sergey Lavrov” e importanti “leader aziendali”.
Le
dichiarazioni congiunte contano.
Xi e
Putin hanno firmato giovedì una forte dichiarazione congiunta, simile a quella
straordinaria che i due hanno rilasciato il 4 febbraio 2022 a Pechino.
Ritraeva il loro rapporto come "superiore alle alleanze
politiche e militari dell'era della Guerra Fredda. L'amicizia tra i due Stati
non ha limiti, non ci sono aree 'proibite' di cooperazione..."
La
piena portata di quella dichiarazione non è arrivata fino a quando Putin non ha
lanciato l'”Operazione Militare Speciale” nel Donbass tre settimane dopo.
La
reazione in sordina della Cina ha scioccato la maggior parte degli analisti,
che avevano respinto la possibilità che Xi avrebbe dato al "migliore
amico" Putin, in effetti, una deroga alla politica di non interferenza
della Cina all'estero.
Nelle
settimane successive, le dichiarazioni ufficiali cinesi hanno chiarito che “i
principi della Westfalia” erano passati in secondo piano rispetto alla "necessità per ogni paese di difendere
i propri interessi fondamentali" e di giudicare ogni situazione "in
base ai propri meriti".
Guerra
nucleare.
La
dichiarazione di giovedì esprimeva preoccupazione per "l'aumento dei rischi strategici
tra le potenze nucleari", riferendosi alla continua escalation della
guerra tra l'Ucraina e la Russia, sostenuta dalla NATO.
Condanna
"l'espansione delle alleanze militari e la creazione di teste di ponte
militari vicino ai confini di altre potenze nucleari, in particolare con il
dispiegamento avanzato di armi nucleari e dei loro vettori, nonché di altri
elementi".
Putin
ha senza dubbio informato Xi sui siti missilistici statunitensi già in Romania
e Polonia che possono lanciare quelli che i russi chiamano "missili d'attacco offensivi" con un tempo di volo verso
Mosca inferiore a 10 minuti.
Putin
ha sicuramente detto a Xi delle incongruenze nelle dichiarazioni degli Stati
Uniti riguardo ai missili nucleari a raggio intermedio.
Ad
esempio, Xi è consapevole – così come i consumatori dei media occidentali non
lo sono – che
durante una conversazione telefonica del 30 dicembre 2021, Biden ha assicurato
a Putin che "Washington non aveva intenzione di schierare armi offensive
in Ucraina".
C'era
gioia al Cremlino quella notte di Capodanno, poiché l'assicurazione di Biden
era il primo segnale che Washington avrebbe potuto riconoscere le
preoccupazioni per la sicurezza della Russia.
In
effetti, Biden ha affrontato una questione chiave in almeno cinque degli otto
articoli della bozza di trattato russo consegnata agli Stati Uniti il 17
dicembre 2021.
L'esultanza
russa, tuttavia, fu di breve durata.
Il
ministro degli Esteri Lavrov ha rivelato il mese scorso che quando ha
incontrato “Antony Blinken” a Ginevra nel gennaio 2022, il segretario di Stato americano ha
fatto finta di non aver sentito parlare dell'impegno di Biden nei confronti di
Putin il 30 dicembre 2021.
Piuttosto,
“Blinken” ha insistito sul fatto che i missili a medio raggio statunitensi
potrebbero essere schierati in Ucraina e solo che gli Stati Uniti potrebbero
essere disposti a limitarne il numero, ha detto” Lavrov”.
La
madre di tutti gli errori di calcolo.
Quando
Biden è entrato in carica nel 2021, i suoi consiglieri gli hanno assicurato che
avrebbe potuto giocare sulla paura della Russia (sic) nei confronti della Cina
e creare un cuneo tra di loro.
Questo è diventato imbarazzante e chiaro quando Biden
ha indicato ciò che aveva detto a Putin durante il vertice di Ginevra del 16
giugno 2021.
Quell'incontro
ha dato a Putin la conferma che Biden e i suoi consiglieri erano bloccati in
una valutazione tristemente obsoleta delle relazioni Russia-Cina.
Ecco
il modo bizzarro in cui Biden ha descritto il suo approccio a Putin sulla Cina:
"Senza
citarlo [Putin] – cosa che non credo sia appropriata – permettetemi di fare una
domanda retorica: avete un confine di migliaia di miglia con la Cina. La Cina
sta cercando di essere l'economia più potente del mondo e il più grande e
potente esercito del mondo".
La
'Compressione'.
All'aeroporto
dopo il vertice, gli assistenti di Biden hanno fatto del loro meglio per
portarlo sull'aereo, ma non sono riusciti a impedirgli di condividere più
saggezza sulla Cina:
"La
Russia si trova in una situazione molto, molto difficile in questo momento.
Sono schiacciati dalla Cina".
Dopo
queste osservazioni, Putin e Xi hanno passato il resto del 2021 a cercare di
disilludere Biden dalla "stretta cinese" sulla Russia:
non è
stata una stretta, ma un abbraccio fraterno.
Questo
sforzo reciproco è culminato in un vertice virtuale Xi-Putin il 15 dicembre di
quell'anno.
Il
video del primo minuto della loro conversazione è stato ripreso dal New York
Times, così come da altri.
Tuttavia,
la maggior parte dei commentatori sembrava non coglierne il significato:
Putin:
"Caro amico, caro presidente Xi
Jinping.
Il
prossimo febbraio mi aspetto che potremo finalmente incontrarci di persona a
Pechino come abbiamo concordato.
Faremo
dei colloqui e poi parteciperemo alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici
Invernali.
Vi sono grato per l'invito a partecipare a
questo evento storico".
Xi:
"Caro
presidente Putin, mio vecchio amico. È un piacere per me incontrarvi alla fine
di quest'anno in video, la seconda volta quest'anno, il nostro 37° incontro dal
2013.
Hai
salutato ... Le relazioni Cina-Russia come modello di collaborazione
internazionale nel 21° secolo, sostenendo con forza la posizione della Cina
sulla salvaguardia dei suoi interessi fondamentali e opponendosi fermamente ai
tentativi di creare un cuneo tra i nostri due paesi. Lo apprezzo molto".
Biden
ne è ancora all'oscuro?
I suoi
consiglieri gli hanno detto che la Russia e la Cina non sono mai state così
vicine, con quella che equivale a un'alleanza militare virtuale?
L'elezione
Putin
ha detto di essere consapevole che la politica di Washington nei confronti
della Russia "è principalmente influenzata dai processi politici interni".
La
Russia e la Cina valutano certamente che la politica di Biden sull'Ucraina sarà
influenzata dall'imperativo politico di essere visti come un affronto alla
Russia.
Se le
teste calde dei paesi della NATO inviano "addestratori" in Ucraina,
la prospettiva di un rispolvero militare è sempre presente.
Ciò che Biden deve sapere è che, se si tratta di ostilità aperte tra
la Russia e l'Occidente, è probabile che si trovi ad affrontare qualcosa di più
del semplice tintinnio di sciabole nel Mar Cinese Meridionale e lo spettro di
una guerra su due fronti.
I
cinesi sanno di essere i prossimi in linea di successione per i ministeri della
NATO/Est.
In
effetti, non è un segreto che il Pentagono veda la Cina come il nemico numero
uno.
Secondo
la “Strategia di Difesa Nazionale del Dipartimento della Difesa”, "le priorità della difesa sono
in primo luogo, la difesa della patria, al passo con la crescente minaccia
multi-dominio posta dalla Repubblica Popolare Cinese".
Il
Pentagono sarà l'ultimo a cantare un requiem per il mondo unipolare che non c'è
più.
Che la sanità mentale prevalga.
Il
primo portafoglio di “Ray McGovern” come analista della “CIA” fu quello delle
relazioni sino-sovietiche.
Nel
1963, il loro commercio totale era di $ 220 milioni; nel 2023, 227 MILIARDI DI
DOLLARI.
Fate i conti.
Lotte
intestine e il Putin mediatore:
i leak
Usa e le rilevazioni sul potere in Russia.
It.insideover.com
- Andrea Muratore – (13 APRILE 2023) - ci dice:
La
cautela russa nello spingere sull’uso propagandistico dei presunti documenti
declassificati del Pentagono e degli altri apparati di sicurezza Usa si può
spiegare alla luce delle recenti rivelazioni che segnalano consistenti
trattazioni dello status del potere politico e militare di Mosca dopo
l’invasione dell’Ucraina contenuti nei file in questione.
Una
nuova ondata di file anticipata dal” New York Times” presenta ben ventisette
pagine di documenti provenienti dal cuore degli apparati di sicurezza Usa.
Per precisione, essi includono in questo caso
file del “National Security Agency”, dell’Ufficio del Direttore della National
Intelligence e della “Joint Staff Intelligence Directorate” del Pentagono.
Le
informazioni, specifica il quotidiano della Grande Mela, appaiono di seconda
mano e cioè raccolte di memorandum e rapporti che la “talpa” ha avuto modo di
usare e diffondere senza averli redatti di suo pugno con le informazioni
originali.
E
offrirebbero uno spaccato sulla visione che l’Occidente e gli Usa hanno del
cuore conteso dell’impero di Vladimir Putin, in lotta intestina dopo
l’invasione dell’Ucraina.
E,
nota il “Nyt”, i dissidi sembrano essere profondissimi.
Si dà
conferma della lotta tra apparati, con il servizio segreto interno (Fsb)
furibondo con il ministero della Difesa per la sua riluttanza a riportare il
numero reale di caduti in Ucraina.
Si
parla di un Putin che vive in prima persona la necessità di mediare i conflitti
tra i fedelissimi.
Si dà
un numero preciso alle vittime che l’Fsb conta includendo i caduti della
Guardia Nazionale Russa, dei ceceni e del gruppo Wagner: 110mila.
Meno
dei 200mila stimati dagli Usa ma sicuramente più dell’imprecisato numero che la
Difesa russa non comunica.
Inoltre,
c’è spazio anche per l’affaire “apertosi nei mesi scorsi tra i mercenari del
Wagner e gli apparati di potere di Mosca.
“I nuovi documenti”, scrive il New York Times,
“forniscono anche nuovi dettagli su una disputa molto pubblica a febbraio in
cui “Yevgeny Prigozhin”, il magnate degli affari che gestisce la forza Wagner,
ha accusato i funzionari militari russi di trattenere le munizioni urgentemente
necessarie ai suoi combattenti.
Putin
ha tentato di risolvere personalmente la disputa convocando “Prigozhin” e”
Shoigu” in un incontro che si ritiene abbia avuto luogo il 22 febbraio”.
La
nebbia di guerra che avvolge la problematica questione dei documenti rivelati
nel server “Discord” di proprietà dello “YouTuber” filippino” wow-mao” è resa
ancora più fitta da queste rivelazioni.
I documenti sembrano rivelare, secondo quanto
la stampa ha finora anticipato, uno spaccato del potere russo che mostra palesi
conflittualità, ma anche un dato di fatto fondamentale:
Putin
resta il punto di caduta del sistema.
Fsb e Difesa sembrano non fidarsi l’una dell’altra?
La
risposta è chiara, la loro fiducia va solo alla parola del presidente. Shoigu e Prigozhin confliggono?
Ecco la mediazione di Putin.
Il
“Putin collettivo” oltre il Putin individuale media e tiene unito un sistema di
potere.
Quindi,
da un lato i leak, se confermati, danneggerebbero l’immagine della Russia come
potenza coesa nello sforzo bellico in Ucraina.
Ma
valorizzerebbero in un certo senso quella del presidente, segnalandone
l’indispensabilità.
I
silenzi da Mosca su un caso che fa parlare di sé la stampa mondiale sono in tal
senso emblematici.
Si può, per ora, ipotizzare tutto:
una
polpetta avvelenata di frange interne agli apparati Usa per mostrare le
debolezze del Cremlino, ma anche una rivelazione partita da ambienti russi
infiltrati nei gangli del potere americano per favorire regolamenti di conti a
favore di Putin a Mosca.
Lo
scenario è complesso e nuove rivelazioni possono cambiare il quadro. Ma ad oggi a regnare sovrana è
un’inquietante incertezza che mostra la facile rivelazione degli arcani imperii
delle potenze.
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