Ci vogliono schiavizzare a nostra insaputa.

 

Ci vogliono schiavizzare a nostra insaputa.

 

 

 

Siamo in guerra a

nostra insaputa?

Mittdolcino.com -Roberto X – Redazione - Youry Roshka -(11-3-2024) – ci dice:

 

Cerchiamo di capire se siamo sotto attacco in una guerra asimmetrica non dichiarata.

Redazione: è indubbio che stiamo vivendo un periodo cruciale, caratterizzato da conflitti, pandemie, rivolte, migrazioni e avvento dell’IA.

È anche evidente che stanno tentando in tutti i modi di implementare nuove forme di controllo (codici QR, identità digitale, biometria, 5G, CBDC) con la scusa dell’emergenza di turno (terroristica, sanitaria, bellica, climatica, di ordine pubblico, hacker e magari in futuro anche UFO) con una spinta mai vista ad accentrare tutti i poteri su organizzazioni transnazionali, come l’OMS, l’ONU, o il FMI.

Siamo sotto attacco in una guerra asimmetrica non dichiarata?

A questa domanda prova a rispondere “Youry Roshka, un giornalista conservatore della Repubblica di Moldova, in passato dissidente anticomunista, leader di partito, deputato e vice primo ministro, oggi autore antiglobalista con forti convinzioni cristiane e nazionaliste.

Lasciamo come al solito ai lettori il compito di formarsi una propria opinione in proposito.

 

GUERRA SENZA RESTRIZIONI: Un approccio olistico al “Grande Reset”.

(Youry Roshka per arcaluinoe.info).

Lo stato di guerra come realtà permanente.

L’assalto totale del potere ombra, che andava avanti già da molti anni, ha acquisito una grande accelerazione nel 2020.

È stato l’anno del lancio di un’operazione speciale chiamata “pandemia Covid-19” che mirava allo sterminio di massa della popolazione mondiale e alla sua modificazione genetica, nonché l’impoverimento e la sottomissione dei sopravvissuti.

 

Questo stato di allerta, provocato da un evento di gravità senza precedenti nella storia, richiede un’analisi complessa, esaustiva e profonda, perché è in gioco la sopravvivenza stessa della specie umana.

L’urgenza di un esame adeguato dello stato del mondo oggi ci chiama anche a formulare soluzioni che ci offrano la possibilità di evitare una catastrofe terminale rapida e irrimediabile.

Quindi siamo in uno stato di guerra.

 L’aggressore non rappresenta uno Stato o un gruppo di Stati, ma è costituito da una vasta rete di entità private e sovranazionali, guidate non solo dalla sete di potere assoluto e dall’instaurazione di una tirannia mondiale, ma soprattutto da motivazioni profondamente spirituali di natura malvagia.

Gli obiettivi di queste forze sono tutte le nazioni del mondo, tutti gli esseri umani, e le rivalità tra di loro sono semplicemente parte della strategia di dominio.

 

Tra le caratteristiche principali che distinguono lo stato di guerra odierno da quelli classici c’è il fatto che non è dichiarato, non avendo attori legittimi come due parti belligeranti rappresentate da stati.

 Il nemico è nascosto, di natura sovversiva e attacca le sue vittime con una gamma di armi non convenzionali che non sono percepite dalle nazioni prese di mira come atti di ostilità militare.

In tal caso, la regola d’oro de l’arte della guerra di Sun Tzu è portata alla perfezione:

“Attraverso te impariamo ad essere invisibili, attraverso te impercettibili; e quindi possiamo tenere il destino del nemico nelle nostre mani”.

La tattica della dissimulazione e l’applicazione di una patina di rispettabilità scientifica e di presunta responsabilità morale per il destino del mondo rendono praticamente invulnerabili i maestri di questo gioco mortale.

Al centro dell’enorme forza d’influenza mondiale si trova il potere economico, tecnologico, mediatico e culturale-cognitivo che annienta ogni capacità di comprensione complessa e di resistenza effettiva da parte di stati e nazioni.

Il nemico dell’umanità è estremamente sofisticato, perfettamente equipaggiato con un numero enorme di strumenti e capace di giocare un gioco fatale per il mondo intero, pur continuando ad ostentare innocenza e buone intenzioni.

La maschera della rispettabilità sul volto delle “istituzioni internazionali.”

I nemici dell’umanità operano attraverso organizzazioni internazionali percepite come neutrali e benefiche per gli stati e i popoli, come l’ONU, l’OMS, il FMI, la Banca Mondiale, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), l’OMC, l’OMS, GAVI, l’UNESCO, l’UNICEF, l’UE, NATO, ecc.

E come complici di questa enorme “cospirazione aperta” appaiono i governi degli stati del mondo che sono diventati i burattini di queste forze occulte:

regimi politici che contribuiscono al “genocidio dei popoli da essi governati”.

La prepotente influenza, su scala mondiale e nazionale, di quel vero e proprio arcipelago di potere è disseminata ed esercitata attraverso una miriade di società segrete o semisegrete come la Massoneria, il Royal Institute of International Affairs (Chatham House), il Tavistock Institute, il Council on Foreign Relations, il Club di Roma, il Gruppo Bilderberg, la Commissione Trilaterale, il World Economic Forum, ecc.

 

Le guerre non militari come strategia di dominio.

Tra l’enorme schiera di guerre non militari intraprese da queste élite demoniache ci sono le seguenti:

Guerra religiosa, Guerra di civiltà, Guerra economica, Guerra cognitiva,

Guerra culturale, Guerra ideologica, Guerra psicologica, Guerra mediatica, Guerra biologica, Guerra genetica, Guerra razziale, Guerra d’immigrazione, Guerra geofisica, Guerra climatica, Guerra cibernetica,

Guerra elettromagnetica, Guerra demografica, Guerra femminista,

Guerra di genere, Guerra transgender, Guerra intergenerazionale, ecc.

Parallelamente, si scatenano guerre calde, come quelle in Ucraina e nella Striscia di Gaza, destinate a contribuire alla “demolizione controllata” dell’economia mondiale, alla disaggregazione della capacità funzionale degli Stati e al reset del mondo, sulla base di un Nuovo Ordine Mondiale.

 

Come colpo finale per annientare gli stati e la libertà umana, le élite sataniche ci stanno preparando da decenni per una “guerra interplanetaria” derivante da una “invasione extraterrestre” e dal mito degli UFO, per realizzare il “Progetto Blue Beam”, che apparirà come la fase terminale del trionfo del “NWO.

Pertanto, siamo costretti dalle circostanze a vivere in un’apocalisse in corso che spesso percepiamo come la “nuova normalità”.

Una strategia unica mascherata dalle rivalità regionali.

L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile con i suoi 17 obiettivi viene imposta ad ogni nazione ed esprime la realtà della governance globale:

 un’agenda che spinge il piano di sterminio di massa e di sottomissione definitiva, senza che alcun paese possa opporre resistenza.

 Inoltre, affinché nessun paese al mondo possa annunciare il suo desiderio di lasciare questa organizzazione, ombrello del potere ombra (l’ONU), il” Governo Mondiale” funzionerà altrettanto incessantemente senza nemmeno formalizzarne l’esistenza.

Per l’anno 2024 è stata annunciata la firma del cosiddetto “Trattato pandemico dell’OMS”, che instaurerebbe definitivamente la tirannia globale con il pretesto della salute e sradicherebbe definitivamente ogni traccia di sovranità nazionale e personale.

Parallelamente, una “nuova realtà distopica” si sta espandendo in tutto il mondo, manifestandosi come l’apice della scienza e della tecnologia che promette di inaugurare il paradiso eterno.

L’era della digitalizzazione, della sorveglianza universale, della distruzione delle libertà fondamentali – con il pretesto di emergenze mediche, climatiche o informatiche – si sta manifestando con una forza irresistibile.

 Le valute digitali delle banche centrali, l’Internet delle cose, l’Internet dei corpi, le città intelligenti o città in quindici minuti, l’“uomo aumentato” in veste transumanista, la tecnocrazia come forma di tirannia universale, che si autoproclama una profezia che si auto-avvera: tutte queste nuove le realtà stanno rimodellando il mondo intero.

 

Una fuga dalla prigione concettuale.

Nessuno dei conflitti di alto livello che attualmente infuriano su scala globale, Ovest-Est o Nord-Sud, sembra influenzare l’imposizione di una strategia mortale comune emanata dall’ONU, dall’OMS, e altri.

 

Il carattere estremamente sofisticato e complesso del sistema di dominio del mondo attraverso le organizzazioni internazionali – innumerevoli entità private annidate sotto una maschera scientifica, culturale, medica o mediatica – sta portando ad uno stato di dominio ad ampio spettro molto più pericoloso di quello che potrebbe essere raggiunto dai militari, conquista o sottomissione economica.

La moltitudine di forme di guerra totale non militare che vengono combattute contro l’umanità non viene nemmeno percepita dalla grande maggioranza delle persone come un attacco generale all’umanità.

Questa incapacità di cogliere le nuove realtà geopolitiche nel loro profondo significato spirituale potrebbe presto rivelarsi fatale per il mondo intero.

Un certo errore di prospettiva, un’inerzia di pensiero tengono la mente collettiva prigioniera dei tempi passati.

 

Nelle nuove condizioni storiche della globalizzazione, a causa del massiccio balzo della scienza e della tecnologia e della gigantesca concentrazione del potere mondiale nelle mani di soggetti privati, i vecchi schemi di divisione tra paesi, regioni e civiltà non sono più validi;

ora servono semplicemente come una maschera che nasconde il vero volto delle parti in conflitto.

Per superare lo stato generale di confusione e avere la possibilità di organizzare una resistenza effettiva per garantire la perpetuazione della civiltà umana, è necessario fare una distinzione categorica tra la prospettiva orizzontale e la prospettiva verticale.

Orizzontalmente, sono l’Occidente collettivo e i paesi BRICS, il Nord ricco e il Sud emergente ad affrontarsi.

Eppure, la lotta chiave si svolge verticalmente:

l’aggressione multidimensionale e implacabile delle élite mondiali demonizzate da un lato e di tutti i popoli del mondo dall’altro.

E se il primo piano di scontro viene registrato dalla percezione pubblica, il secondo, infinitamente più importante, sfugge all’attenzione del mondo.

Le rivalità tra i suddetti gruppi di paesi non si sono fermate nemmeno nel 2020, ma soprattutto tutti i paesi hanno risposto con la stessa docilità agli editti dell’OMS durante la finta pandemia di Covid-19, che non hanno percepito come un atto di guerra.

 

Il collettivo Occidente contro BRICS, USA contro Cina: chi gestisce lo spettacolo?

Uno degli errori fondamentali legati alla globalizzazione è la tendenza ad assegnare all’Occidente collettivo il ruolo esclusivo di guidare questo processo.

Secondo questa logica, il collasso dell’Occidente porterebbe automaticamente al fallimento della globalizzazione. Da qui i miti legati ai BRICS come alternativa di civiltà all’Occidente.

La recente sostanziale espansione di questa organizzazione informe e onnivora ha suscitato nuove ondate di entusiasmo tra i sostenitori ingenui della deglobalizzazione.

Il declino dell’Occidente e l’ascesa dei BRICS sono ugualmente applauditi da tutti gli sfidanti dell’egemonia americana.

Nel frattempo, pochissimi si accorgono che il Grande Reset viene imposto ovunque.

Trascendendo i conflitti geopolitici condotti orizzontalmente, è dettato dalla verticale del potere, l’unica forza che conta davvero.

Ancora una volta, il mondo è governato da entità private e sovranazionali che operano attraverso l’ONU, l’OMS e altri. Big Money, Big Oil, Big Pharma, Big Tech, Big Media, ecc., sono solo i tentacoli della stessa piovra satanica.

E se è noto che l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite è accettata e attuata da tutti i paesi del mondo, che la politica genocida dell’OMS di false pandemie e omicidi tramite iniezione è una politica ufficiale di tutti gli stati, che la digitalizzazione è onnipresente, come possiamo tollerare una tale assurdità ammirando allo stesso tempo un’alternativa così falsa?

 

Alcuni apprezzano la prospettiva di un’imminente de-dollarizzazione, come se dovesse essere seguita dall’instaurazione di una sovranità monetaria a livello di ogni nazione e dalla scomparsa della BRI e della City di Londra.

Va tenuto presente che al dollaro succederanno le CBDC a livello “nazionale”, dopodiché verrà imposta un’unità monetaria digitale universale.

È ovvio che le medesime premesse porteranno inevitabilmente alle medesime conseguenze.

 La società tecnologica porterà allo svuotamento delle campagne, all’urbanizzazione, alla tecnocrazia e, attraverso la robotica e l’intelligenza artificiale, alla disoccupazione di massa.

 Sostituire l’egemonismo americano con l’egemonismo cinese non significherà comunque il fallimento del Grande Reset.

Al contrario, la società cinese è un modello ideale per le élite globaliste, che desiderano espandere le proprie caratteristiche a livello globale.

Una vera rivolta delle nazioni presuppone, innanzitutto, la volontà di abbandonare le restrizioni globaliste che sottomettono l’umanità, in primis l’ONU e l’OMS.

 Ma finora nessun Paese al mondo ha annunciato tale intenzione, seguendo piuttosto docilmente la politica del Governo Mondiale che opera attraverso queste organizzazioni.

La fine della geopolitica classica.

Il mito del cambiamento climatico è accettato ciecamente e docilmente da tutti gli stati sotto la direzione dell’ONU.

L’attività della BRI, l’eliminazione del contante e l’imposizione di CBDC non vengono viste come dovrebbero quali strumenti per pauperizzare e schiavizzare la popolazione mondiale, ma vengono invece concepite erroneamente come processi naturali di inevitabile regolamentazione finanziaria.

Lo stesso vale per la percezione pubblica delle altre “organizzazioni internazionali”.

La capacità di orientare la mente collettiva, di sfatare presunti miti sul quadro internazionale, nonché di ridurre metodicamente la capacità cognitiva dell’uomo contemporaneo è la principale garanzia di successo per i globalisti.

Al momento non esiste alcuna differenza tra il livello di ignoranza della persona media e quello di un funzionario statale.

In queste condizioni, la strategia del travestimento e della manipolazione funziona senza il minimo ostacolo.

 

Ho chiamato queste nuove realtà su scala globale “la fine della geopolitica classica”.

Oggi il conflitto di fondo è verticale:

si combatte dall’alto verso il basso e il nemico è un’entità non statale, sovranazionale ed extraterritoriale.

Pertanto – proprio come negli esercizi di decrittazione praticati nell’ingegneria sociale – i due angoli inferiori del triangolo devono, per sfuggire al loro eterno vittimismo, rinunciare alle reciproche ostilità “orizzontalmente” e guardare in alto per scoprire il vero nemico che li attacca “verticalmente”.

Errore di prospettiva nell’identificazione del nemico.

E qui torno al titolo del mio discorso di chiusura pronunciato al “Forum di Chișinău 2023 il 9 settembre dello scorso anno”:

 “Conosci il tuo nemico” – la regola d’oro dell’arte della guerra nell’era tecnocratica.

Vale a dire, una profonda comprensione della natura dei nemici dell’umanità ci offre la possibilità di vendetta, di controffensiva e di sopravvivenza.

E qui entriamo nella zona più delicata e incerta.

Questo perché l’uomo di oggi non ha più una prospettiva religiosa e spirituale della vita.

La modernità ci ha segnato in modo irreparabile: siamo materialisti, atei e razionalisti.

 E questo mentre i nemici dell’umanità, che per secoli ci hanno secolarizzato e sterilizzato spiritualmente, sono rimasti essi stessi profondamente ancorati alle realtà spirituali.

Ci hanno allontanato dal nostro Salvatore, ma hanno mantenuto la loro alleanza con il loro signore.

 Ci hanno cioè accecati per poterci dominare e sconfiggere senza alcuna resistenza.

Di fronte al male spirituale totale, alle forze demoniache sovrumane, non abbiamo alcuna possibilità di successo utilizzando solo il potenziale umano.

 La mancanza di uguaglianza delle armi significa la nostra sconfitta eterna.

Il nostro bisogno vitale è riscoprire e cercare un’alleanza strategica con il nostro Creatore Gesù Cristo.

 Avere un nemico così potente come Satana pur rimanendo illusi dalle nozioni di autonomia e autosufficienza umana è un’illusione indotta dal figlio della perdizione.

Sta a noi decidere se vestire i panni dei perdenti o preferire la missione dei conquistatori, compiendo un enorme salto paradigmatico e indossando l’armatura di nuovi crociati.

Per concludere, la nostra scelta è molto semplice:

a chi obbedire, Dio o Satana.

Non esiste una terza opzione.

 L’autonomia umana è una trappola perfetta che ci acceca e spinge la nostra Resistenza in un vincolo suicida.

L’illusione liberale come fattore paralizzante.

Una delle ragioni del travolgente successo dei nostri nemici è che continuiamo a operare in condizioni di tirannia mondiale e terrorismo di stato con il nostro obsoleto quadro di riferimento liberal-democratico.

Di fronte a una guerra totale delle élite sataniste contro l’umanità, a dispetto di un genocidio universale, operiamo con nozioni legalistiche; facciamo appello alla Costituzione, ai diritti umani e alle norme democratiche.

 Riponiamo le nostre speranze nei cicli elettorali e nei “salvatori” come Trump o Putin, deificando l’opposizione controllata.

E ci rifiutiamo di comprendere la natura tragicomica di questa situazione.

Quando un assassino uccide i tuoi figli, tua moglie, i tuoi parenti, un cittadino onorato si siede per sporgere denuncia in tribunale o cercare un avvocato.

 Ma la guerra ha una sua logica inesorabile.

Se non fermi il tuo assassino, ti ucciderà.

Anche il fatto che questa volta non siano fucili e bombe ad essere usate come armi letali, bensì iniezioni, onde elettromagnetiche e cibo avvelenato, non cambia il rapporto di forza tra le due parti, l’assassino e la vittima.

La vittima è in legittima difesa e deve reagire.

La nostra risposta al piano genocida del Grande Reset dell’élite globalista è tipicamente chiamato il Grande Risveglio, ed è giusto che sia così.

Ma questo sforzo di risveglio deve trovare la sua immediata continuazione nella Grande Rivolta.

Qualsiasi altra cosa sarebbe uno sterile esercizio intellettuale e una condanna alla scomparsa della civiltà umana.

(arcaluinoe.info/en/blog/2024-01-14-466g3tft/).

 

 

 

La dottoressa canadese specializzata

in eutanasia parla con entusiasmo di

quanto le piaccia uccidere le persone.

Lifesitnews.com - Jonathon Van  Maren – (17 maggio 2024) – ci dice:

 

La” dottoressa Ellen Wiebe” respinge la tesi avanzata dai gruppi per i diritti dei disabili secondo cui essi sono vulnerabili e che la pressione sociale e persino la coercizione spesso accompagnano l'eutanasia.

( LifeSiteNews ) — Nel documentario della BBC recentemente pubblicato “Better Off Dead?” , l'attivista per i diritti dei disabili “Liz Carr” ha intervistato la dottoressa “Ellen Wiebe”, la più famosa dottoressa canadese specializzata in eutanasia.

“Wiebe” è anche un abortista e un attivista di “Dying With Dignity”, il gruppo di pressione sull’eutanasia che cerca di espandere ulteriormente l’ammissibilità al suicidio assistito in Canada.

Il tentativo di “Wiebe” di difendere il regime di eutanasia canadese si è ritorto contro quando, durante tutta la sua intervista, ha riso e sorriso mentre discuteva della fine della vita dei pazienti.

 

"Amo il mio lavoro", ha detto a Carr .

“Ho sempre amato fare il medico e ho fatto nascere oltre 1.000 bambini e mi sono presa cura delle famiglie, ma questo è il lavoro migliore che abbia mai svolto negli ultimi sette anni.

E la gente mi chiede perché, e penso bene, ai medici piacciono i pazienti grati, e nessuno è più grato dei miei pazienti adesso e delle loro famiglie.

I suoi pazienti sottoposti a eutanasia, va notato, sono morti.

Come ha notato un osservatore disturbato sui social media:

"Mi è piaciuto un po' troppo il suo lavoro, ho la sensazione."

Molti altri erano d'accordo. 

 

“Carr” ha insistito più volte su “Wiebe” sulla minaccia che l’eutanasia rappresenta per le popolazioni vulnerabili, ma “Wiebe” non ne ha voluto sapere.

"Ho sicuramente incontrato persone che non sono più disabili di quanto io dica che la vita non è accettabile in questo stato", ha detto.

"E io direi: 'Hm, tu ed io siamo diversi.'

Ma non diverso nel senso di voler avere un certo controllo”.

“Carr” ha risposto:

“Per me, sono preoccupato che dare l'opzione e il diritto a un gruppo di persone metta a rischio un altro gruppo di persone.

 Ma non credo che tu lo veda come una preoccupazione”.

 

“Carr” ha ragione.

"Quello che stai dicendo è che per proteggere quelle che consideri persone vulnerabili condanni gli altri a sofferenze insopportabili", ha detto “Wiebe”.

“Ma sono così felice, così felice di essere canadese e di avere questa legge in modo che le persone possano sceglierlo o meno.

Ma dire che qualcuno debba soffrire così è semplicemente crudele”.

In breve, “Wiebe” respinge la tesi avanzata dai gruppi per i diritti dei disabili secondo cui essi sono vulnerabili e che la pressione sociale e persino la coercizione spesso accompagnano l’eutanasia.

( ​​Anche la sinistra canadese sta iniziando a riconoscere la natura “distopica” del MAiD)

Stare dalla parte di” Harrison Butker” mentre la sinistra cerca di cancellarlo per aver proclamato il Vangelo.

Secondo un lungo rapporto pubblicato su ” The New Atlantis”  da “Alexander Raikin” intitolato “ No Other Options ”, un uomo con tendenze suicide a cui era stato detto che non era idoneo perché non aveva una malattia grave e non aveva “la capacità di prendere decisioni informate sulla propria salute personale”.

Ebbene è stato scagionato da “Wiebe”, che lo ha portato in aereo a Vancouver e lì lo ha ucciso.

 "È il lavoro più gratificante che abbiamo mai svolto", ha detto Wiebe ai colleghi medici nel 2020.

Wiebe ha difeso l'ampliamento dell'ammissibilità all'eutanasia per coloro che soffrono solo di malattie mentali.

 

E poi c'è la risposta di” Wieb”e in un seminario” MAiD”, rispondendo alla domanda su cosa dovrebbero fare i medici con un paziente che sembra resistere all'eutanasia.

Suggerì, ridacchiando, di sedare il paziente.

Guarda tu stesso: 

Nel 2017, la dottoressa” Ellen Wiebe” si è intrufolata in una casa di cura ebraica che non consente l’eutanasia per somministrare un’iniezione letale a un uomo di 83 anni.

L'evento comprensibilmente terrorizzò i sopravvissuti all'Olocausto residenti nella casa, e il personale, sconvolto, presentò una denuncia contro “Wiebe” al” College of Physicians and Surgeons of British Columbia”.

La denuncia contro di lei è stata respinta sulla base del fatto che “MAiD” è legale in Canada e che quindi “Wiebe” non aveva infranto la legge. 

È interessante che così tante persone fossero così a disagio per la gioia espressa da Wiebe riguardo al suo lavoro.

Anche molti sostenitori dell’eutanasia ritengono che lei dovrebbe essere più solenne e premurosa al riguardo, in qualche modo.

Ma perché?

 Se l’eutanasia – ovvero l’uccisione – è assistenza sanitaria, perché non dovrebbe allegramente liberarsi dei suoi pazienti?

Forse il disagio nel suo atteggiamento allegro - il fatto che trovi gratificante porre fine alla vita su entrambe le estremità dello spettro della vita - è perché sappiamo, nel profondo, che c'è qualcosa di profondamente sbagliato nella normalizzazione dell'omicidio medicalizzato.

Quel disagio potrebbe essere semplicemente la coscienza a parlare. Dovremmo ascoltare attentamente. 

Guerra a Gaza: come l’“ordine basato

sulle regole” occidentali sia una farsa.

 naturalnews.com – (17/05/2024) - Redattori di notizie - Marco Carnelos – ci dice:

(MiddleEastEye.net)

Non è ancora chiaro se la Corte penale internazionale  (CPI) emetterà mandati di arresto nei confronti dei massimi  leader politici e militari israeliani  , come riportato dai media nei giorni scorsi.

Si è anche ipotizzato che gli  Stati Uniti  avrebbero cercato di  impedirlo  e che Israele avrebbe preso in considerazione  una ritorsione , e che il primo ministro Benjamin  Netanyahu fosse  “spaventato e insolitamente stressato” dalla prospettiva.

 L'ufficio del procuratore della Corte penale internazionale ha indirettamente confermato l'attivismo statunitense e le minacce israeliane in una dichiarazione sobria ma inequivocabile.

 

Se i mandati alla fine verranno emessi è irrilevante, poiché Netanyahu li ha già  definiti  “un oltraggio di proporzioni storiche”.

 Osservando che organismi come la” Corte penale internazionale” sono nati sulla scia dell’Olocausto (in realtà è stata creata decenni dopo, nel 2002), ha affermato che questa sarebbe stata “la prima volta che un paese democratico combattendo per la propria vita secondo le regole della guerra, è essa stessa accusata di crimini di guerra”.

Israele ha anche lasciato intendere che, se la CPI procederà con i mandati, reagirà contro l’Autorità Palestinese in un modo che potrebbe causarne il collasso.

Con la sua tipica insensibilità, Netanyahu avrebbe chiesto alle famiglie degli ostaggi di esercitare pressioni sulla Corte penale internazionale per suo conto.

Lasciando da parte tali prevedibili reazioni, è importante notare la tesi di Israele secondo cui le democrazie, e in particolare Israele, non dovrebbero essere giudicate in base al modo in cui esercitano il loro diritto all'autodifesa.

Lo Statuto di Roma della CP , firmato da 124 paesi, non suggerisce che i cittadini delle nazioni democratiche debbano essere esentati dalla sua giurisdizione.

 

Non sorprende che il “Dipartimento di Stato americano” si sia affrettato ad affermare che Washington non riconosce

  la giurisdizione della CPI su Israele, aggiungendo curiosamente che la Casa Bianca “lavora a stretto contatto con la CPI su una serie di aree chiave… Ucraina, Darfur, Sudan”.

 Né Israele né gli Stati Uniti hanno ratificato lo Statuto di Roma, ponendoli fuori dalla giurisdizione della Corte.

 

L' American Service-Members' Protection Act , noto in modo informale e agghiacciante” come “Hague Invasion Act”, è progettato anche per proteggere il personale militare americano e altri funzionari dai procedimenti penali.

Inoltre, Washington ha imposto sanzioni contro i funzionari della CPI per le loro indagini su presunti crimini di guerra statunitensi in Afghanistan.

 

Opportunità politica.

Per quanto sconcertante possa sembrare, pur affermando che la corte non ha giurisdizione su Israele, gli Stati Uniti hanno sostenuto la loro indagine sulla Russia , anch’essa non firmataria, sulla  guerra in Ucraina. 

Tale posizione, come molte altre promosse da Washington, è facilmente inquadrabile nel cosiddetto ordine basato sulle regole (RBO).

La strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti  pubblicata nell’ottobre 2022 ha definito l’ordine basato su regole come “il fondamento per la pace e la prosperità globali”.

 Quanto è stato ingenuo il resto del mondo per così tanti decenni nel credere che tale fondamento fosse fornito dalla Carta delle Nazioni Unite.

Washington e i suoi principali alleati citano sempre più e inspiegabilmente l’ordine basato su regole per sostenere le loro ragioni, al punto che il principale studioso americano “Stephen Walt” ha osservato che fare riferimento al concetto “sembra essere diventato un requisito lavorativo per una posizione di vertice nel mercato estero degli Stati Uniti” come apparato politico”.

Tali riferimenti sono casuali o intenzionali?

 Il professor “John Dugard”, un eminente studioso di diritto internazionale, ha osservato che i leader occidentali hanno invocato l’ordine basato su regole per criticare gli stati non occidentali, “in particolare Russia e Cina, per la loro cattiva condotta internazionale, ma tali riferimenti sono stati incoerenti o usati in modo intercambiabile con legge internazionale".

In un’era di crescente concorrenza tra le grandi potenze, il requisito minimo sarebbe quello di avere regole valide per tutti

L’uso della “RBO”, almeno da parte dei funzionari statunitensi, è così assiduo che è difficile credere che possa essere casuale.

 Inoltre, nei principali testi di diritto internazionale, non si fa menzione della “RBO”; ci sono invece riferimenti alla Carta delle Nazioni Unite e ad altri trattati e convenzioni delle Nazioni Unite o internazionali.

Pertanto, è molto forte la tentazione di credere che si faccia riferimento alla RBO per opportunità politica o, peggio, che si tratti di un trucco semantico.

Mentre il diritto internazionale, codificato nelle convenzioni delle Nazioni Unite e nei trattati internazionali dopo la seconda guerra mondiale, è ampiamente enunciato, la RBO è presente solo nei discorsi dei leader occidentali.

È usato così ossessivamente che non può essere ignorato.

Sebbene non sia formalmente esplicitato, potremmo sperare che i sostenitori della RBO lo considerino un ordine internazionale liberale basato su principi di governance democratica, apertura economica, uguaglianza, diritti umani, multilateralismo, libera circolazione delle merci e sicurezza collettiva.

Sarebbe quindi allineato con i pilastri fondamentali del diritto internazionale. Perché allora viene citato così spesso?

Applicazione non ortodossa.

“Dugard”  delinea  il vero scopo americano nell'usarla:

“La natura indeterminata e indefinita delle 'regole' della RBO e la mancata considerazione del loro rapporto con il diritto internazionale ha portato a interrogarsi sulla ragione del ricorso alla RBO sul piano parte degli Stati Uniti.”

"Il modo in cui gli Stati Uniti hanno giustificato evidenti violazioni del diritto internazionale da parte delle proprie forze o di quelle dei suoi amici più stretti ha inevitabilmente portato a una spiegazione cinica, sebbene plausibile, per la preferenza degli Stati Uniti per la RBO... 'una chimera, che significa qualunque cosa gli Stati Uniti e i loro seguaci vogliano che significhi in un dato momento'."

Per decenni, la RBO e la sua applicazione non ortodossa hanno alimentato un acceso dibattito giurisprudenziale tra l’Occidente globale da un lato, e Russia e Cina  dall’altro, mentre il Sud del mondo osserva – il suo cervello condizionato dal primo, e il suo cuore che batte per il secondo.

 

La situazione è così odiosa che, secondo “Dugard”, la Corte internazionale di giustizia “probabilmente non avrebbe alcuna competenza per giudicare una controversia basata su una 'regola' della RBO... in quanto tali 'regole' mancano di contenuto e non possono essere identificate come appartenenti a qualsiasi fonte riconosciuta”.

Tra i principali elementi di critica alla RBO ci sono l’intervento della NATO in Kosovo del 1999, l’  invasione dell’Iraq del 2003 , l’intervento in  Libia del 2011 , l’ingerenza occidentale in corso in  Siria e l’impunità da tempo garantita alle azioni israeliane in Medio Oriente.

In tutti questi casi, gli Stati Uniti avrebbero agito secondo la poco chiara RBO, piuttosto che secondo le ben note procedure del diritto internazionale.

Come  lo descrive “Dugard”  , la RBO “è un regime alternativo al di fuori della disciplina del diritto internazionale che inevitabilmente sfida e minaccia il diritto internazionale…

un ordine concorrente sostenuto da alcuni stati occidentali, in particolare dagli Stati Uniti, che cerca di imporre l’interpretazione del diritto internazionale che meglio promuove gli interessi dell’Occidente”.

In un’era di crescente concorrenza tra le grandi potenze, il requisito minimo sarebbe quello di avere regole valide per tutti.

Gli Stati Uniti e i loro alleati sembrano lottare con questo principio elementare, e non sorprende quindi che stiano perdendo la battaglia per conquistare i cuori e le menti, anche all’interno delle loro stesse società.

Ciò ha stimolato goffi tentativi di sopprimere le voci dissenzienti nei campus e altrove, utilizzando metodi che suonano come un palese disconoscimento della RBO a loro così cara.

 

 

 

L'intelligenza artificiale ha "desideri"

 nascosti. Non è detto che

siano gli stessi degli umani.

  Msn.com – il Giornale - Daniel Andler – (18-5-2024) – ci dice:

 

L'intelligenza artificiale ha "desideri" nascosti. Non è detto che siano gli stessi degli umani

La super-intelligenza avrebbe il potere di asservire l'umanità, ma ne avrebbe anche il desiderio?

Se ne dibatte tra avveniristi.

Poiché nulla le sfuggirebbe, per definizione, comprenderebbe la difficoltà che gli esseri umani avrebbero nell'accettare di essere sotto il suo controllo.

Pertanto, potrebbe rinunciarvi, a meno che non decida di passare oltre, imputando questo sentimento alla debolezza della loro intelligenza, incapace di concepire che il loro interesse, se inteso bene, consiste nel sacrificare la loro autonomia, di cui farebbero un cattivo uso a causa delle loro mediocri capacità cognitive.

Nell'uno come nell'altro caso, la super-intelligenza non potrebbe volere la propria scomparsa, in modo che se la sua sopravvivenza e la sua prosperità entrassero in conflitto con quelle dell'umanità, o se essa si sentisse minacciata di disattivazione, non potrebbe vietarsi di anteporre il proprio interesse a quello dell'umanità e adotterebbe le misure necessarie per preservare il primo a scapito del secondo o liquidando l'umanità o asservendola.

Ma l'umanità non deve guardarsi solo dall'ostilità potenziale di una super-intelligenza, bensì anche dalla sua indifferenza.

Dopo tutto, se l'ha fatta nascere, è per trarne vantaggio, perché essa la assista nelle sue imprese e ciò richiede che, al livello più generale, sia al servizio dei suoi valori:

quello che l'umanità vuole, è necessario che la super-intelligenza voglia allo stesso grado.

Bisogna dunque garantire, secondo l'espressione ormai in uso, l'allineamento dei valori dell'intelligenza artificiale su quelli degli esseri umani che essa serve, in quanto per definizione la sua autonomia significa che non può che perseguire i propri fini.

 

Tale obiettivo pare irrealizzabile per due ragioni.

 Da una parte, sembra impossibile imporre a un'entità autonoma di adottare un valore qualsiasi:

 nessun catechismo, nessuna moralità familiare, nessun codice sociale ha mai impedito a un bambino di diventare un tiranno abominevole.

 Il precetto, la legge, la regola, il comandamento possono essere debitamente inculcati, compresi, assimilati, ma possono essere fatti propri solo grazie al consenso, che dipende, per definizione, dall'autonomia del soggetto.

 Quanto al controllo del comportamento, in mancanza di quello dell'intenzione, verrebbe eluso dalla super-intelligenza, come abbiamo visto quando si è parlato di un'intelligenza artificiale etica.

Ma la seconda ragione e che l'obiettivo risulta incoerente.

 A cosa mira, in realtà?

Un'intelligenza artificiale che da una parte non nuoccia agli esseri umani ma agisca per il loro bene;

e che dall'altra tenga conto non solo degli interessi dell'umanità considerata globalmente, ma anche di quelli dei diversi individui e dei diversi gruppi che si richiamano a essa.

Incrociando queste due dimensioni (non nuocere o servire l'intera umanità oppure gli individui o gruppi particolari), si ottiene una tabella a quattro caselle.

Non nuocere all'umanità nella sua globalità sarebbe forse assicurato dall'adesione ai principi della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

 E la casella meno difficile da riempire.

Quella seguente lo è di più: quali valori potrebbero guidare l'intelligenza artificiale verso il bene dell'umanità nella sua globalità?

 La questione dello sviluppo umano (human flourishing) occupa da sempre filosofi, antropologi, teologi, pensatori politici e di recente ha conosciuto un'intensificazione.

Non fa parte delle domande che possano mai ricevere una risposta unanime, anche solo a causa delle differenze tra epoche e tra culture.

Ancora più problematiche sono le altre due caselle, quelle relative agli individui e ai gruppi particolari.

 In primo luogo, quali sono i mali da cui l'intelligenza artificiale deve preservarli, quali sono i beni ai quali deve aiutarli ad accedere?

 Se si deve rispettare la loro autonomia, sono quelli che essi giudicano a loro volta costituire rispettivamente dei mali o dei beni.

Tale giudizio potrebbe non essere quello del “Sai implicato”, meglio informato e più lucido, cosa che lo metterebbe in imbarazzo:

non avrebbe scelta se non rendersi complice di un'azione deleteria per l'individuo o il gruppo che dovrebbe servire e disobbedirgli.

 In secondo luogo, poiché l'azione intrapresa coinvolge varie persone o gruppi, può accadere che i loro valori siano incompatibili:

quali sono quelli che devono guidare il Sai?

Infine, basterebbe fissare i valori della super-intelligenza perché serva i nostri interessi?

 Questi non rispondono forse a norme molto più locali e particolari, quelle che vengono chiamate preferenze nell'ambito della teoria della decisione?

Quali che siano i valori o i principi necessariamente generali che la super-intelligenza avrebbe fatto suoi nel momento della sua gestazione, non sarebbero sufficienti a guidare la sua azione sul terreno:

essa dovrebbe dunque essere predisposta a tener conto delle preferenze delle persone coinvolte.

 E dal momento che ce ne sono più di una, si scontrerebbe con il problema insolubile dell'aggregazione delle preferenze, vale a dire della possibilità se non di compiacere tutti, perlomeno di determinare un optimum nel quale ciascuno sia trattato nel modo migliore possibile.

 In breve, vediamo che per risolvere il problema dell'allineamento dei valori, bisognerebbe aver regolato in maniera soddisfacente agli occhi di tutti un insieme di questioni iscritte all'ordine del giorno della filosofia morale e politica.

L'intelligenza artificiale potente ci porge lo specchio in cui si riflette la nostra profonda incertezza.

La situazione si trova in un punto analogo a quello dell'intelligenza artificiale degli inizi:

per munirla delle attitudini razionali di cui l'umanità e in possesso o che idealmente dovrebbe possedere, dovrebbe essere in grado di identificarle.

L'esperienza ha provato che era meno facile di quanto pensassero i pionieri, almeno, però, disponevano di ipotesi di partenza abbastanza plausibili, emerse dai progressi accumulati da generazioni di logici a partire da Aristotele.

 La differenza è che, rispetto alle nostre aspirazioni, i nostri progressi sono stati molto più esitanti e forse le cose andranno sempre così.

(2023 Éditions Gallimard, Paris).

(2024 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino).

 

 

 

 

L’ULTIMO TIRO DI DADI DI ZELENSKY:

PERCHÉ L’UCRAINA STA FACENDO UNA

NUOVA CAMPAGNA DI ARRUOLAMENTI FORZATI?

Comedonchisciotte.org - Markus – (18 Maggio 2024) - Sergey Poletaev - swentr.site – ci dice:

La riforma del sistema di mobilitazione non farà altro che ritardare l'inevitabile disfatta.

Nell’ultimo anno, sono apparsi numerosi video che mostrano uomini in Ucraina che vengono catturati con la violenza e arruolati a forza nell’esercito.

 Spesso si vedono “uomini dall’aspetto severo” in uniforme militare che arrestano i civili per strada tra le lacrime e le urla delle donne, spesso picchiando brutalmente i futuri militari davanti alle telecamere.

Sembra che gli operatori degli uffici di arruolamento militare (Centri di reclutamento territoriale, o TRC) agiscano in modo indiscriminato.

 Catturano persone a caso per strada, compresi padri con prole numerosa e persino persone disabili.

La mobilitazione in Ucraina assomiglia a un safari.

Ad esempio, in un video si vede un uomo inseguito da un’auto come un animale. Nel tentativo di salvarsi la vita, salta un’alta recinzione.

 L’uomo che aveva filmato la scena era nascosto in una soffitta.

Un’ altra persona è quasi annegata nel tentativo di attraversare il fiume al confine con la Moldavia.

Tuttavia, non tutti gli uomini ucraini sono così sfortunati: diversi video su Internet mostrano che ce ne sono molti nelle grandi città.

Li vediamo seduti nei caffè, camminare per strada, lavorare, guidare e prendere treni.

Allora perché non sono al fronte?

 

Per risolvere questo problema, le autorità ucraine hanno adottato una nuova legge sulla mobilitazione, che entrerà in vigore il 18 maggio.

La maggior parte delle innovazioni previste dalla nuova legge riguarda un maggiore controllo sulla registrazione dei coscritti.

Le nuove regole dovrebbero aiutare l’esercito ucraino a trovarli facilmente, invece di prendere i ragazzi per strada, come nei video scandalistici.

Entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, tutti i maschi ucraini di età compresa tra i 18 e i 60 anni (compresi quelli che vivono all’estero) dovranno aggiornare il proprio status all’anagrafe militare.

Gli uomini che non si registreranno per il servizio non potranno ottenere il passaporto o accedere ai servizi consolari.

 Inoltre, la legge impedisce ai “renitenti alla leva” di lavorare nel servizio civile e consente ai TRC di privarli della patente di guida attraverso una sentenza del tribunale.

 Le multe per le violazioni della legge sulla mobilitazione saranno decuplicate.

Il retaggio dell’epoca sovietica.

Al momento del crollo dell’URSS, il distretto militare di Kiev era tra i più avanzati e pronti al combattimento di tutta l’Unione Sovietica.

Aveva le armi più moderne, alcune delle più grandi scorte di munizioni e veicoli blindati, e vi prestavano servizio molti dei migliori ufficiali dell’esercito sovietico.

Per una migliore comprensione, è necessario spendere qualche parola sul sistema di reclutamento dell’esercito sovietico.

 In tempo di pace, le unità erano composte principalmente da ufficiali e da un numero minimo di soldati che mantenevano l’equipaggiamento militare pronto al combattimento.

 In caso di guerra, nel giro di pochi giorni, queste unità avrebbero dovuto accogliere i riservisti che avevano completato il servizio militare obbligatorio dopo la scuola o l’università.

Con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, questo sistema era caduto rapidamente in disuso.

Nel 2013 la coscrizione in Ucraina era stata sospesa, ma, dopo il colpo di Stato di Kiev del 2014 sostenuto dall’Occidente, era stata ripristinata.

Tuttavia, il sistema non aveva funzionato.

 Tra il 2014 e il 2022, l’AFU era composta principalmente da uomini che prestavano servizio a contratto e, a febbraio 2022, la riserva dell’esercito ucraino era costituita dai veterani della cosiddetta Operazione Antiterrorismo (ATO) nel Donbass. Secondo varie stime, in otto anni avevano partecipato all’ATO, acquisendo esperienza pratica di combattimento, circa 350.000 uomini.

 

Nel frattempo, il servizio militare obbligatorio e la formazione dei riservisti in Ucraina esistevano solo sulla carta.

In teoria, tutti i giovani avrebbero dovuto prestare servizio nell’esercito, ma, in pratica, in Ucraina quasi tutti i potenziali coscritti pagavano una tangente e il loro fascicolo personale militare veniva “perso” o, semplicemente, cessava di esistere (se la tangente era stata pagata dai genitori mentre il figlio era ancora a scuola). E, se un ragazzo era registrato per il servizio militare, era facile assicurarsi che l’indirizzo di registrazione e il luogo di residenza non corrispondessero.

Nelle zone rurali, l’evasione dal servizio di leva era meno comune, perché era più probabile che le persone risiedessero all’indirizzo indicato nei loro documenti.

 Ecco perché in alcuni villaggi ucraini sono rimasti pochi uomini, perché molti sono stati arruolati nell’esercito.

La stampa occidentale parla occasionalmente di queste situazioni, ma, in generale, si tratta di un fenomeno raro.

Dopo l’inizio dell’offensiva russa e della legge marziale, gli uffici di militari ucraini erano stati costretti ad iniziare gli arruolamenti.

 Subito non c’erano stati problemi perché i volontari erano molti.

Nei primi giorni di guerra, quando l’entusiasmo patriottico era ancora forte, gli uomini facevano la fila per entrare nell’AFU.

 Le ultime brigate di volontari erano state formate nell’inverno del 2022-23 per partecipare alla controffensiva ucraina che si stava preparando in quel periodo (in particolare, la famosa 47ª Brigata era stata costituita proprio in quel periodo), ma, in seguito, l’afflusso di volontari era cessato quasi completamente.

 

Gradualmente, le liste dei coscritti e dei riservisti registrati che avevano partecipato all’ATO si erano esaurite.

Semplicemente non c’era nessuno a cui inviare le convocazioni, poiché la maggior parte dei maschi ucraini non era registrata per il servizio militare e gli uffici di arruolamento non avevano informazioni su di loro.

Tuttavia, il fronte richiedeva un costante rifornimento [di carne da cannone] e l’AFU non aveva modificato il suo piano di mobilitazione.

 Per questo motivo, le autorità erano dovute ricorrere alle retate e a catturare le persone per la strada, mentre i commissari militari si lamentavano del fallimento del sistema di reclutamento.

 Il senso della nuova riforma è quello di registrare tutti gli uomini ucraini e privare di molti diritti coloro che rifiutano di essere registrati.

Il comandante in capo dell’AFU, “Aleksandr Syrsky”, si è recentemente lamentato del difficile periodo in cui l’Ucraina sta per entrare.

Egli si rende conto che la situazione non può essere ribaltata in un mese o due:

ci vorrà tempo per registrare tutti gli uomini e mandarli al fronte.

Anche per questo motivo, i funzionari ucraini sono preoccupati per una possibile offensiva russa durante l’estate.

Molto probabilmente Mosca non cambierà la sua strategia ma, sfruttando il suo vantaggio numerico e la sua superiore potenza di fuoco, continuerà a spingere in diverse sezioni del fronte.

In caso di sfondamento in qualche area, invierà le riserve in quel punto e approfitterà della situazione.

A questo proposito, “Ocheretino” è un buon esempio.

Con l’esaurimento delle forze ucraine, la difesa potrebbe cedere e l’AFU potrebbe perdere non solo una brigata, ma diverse.

Ecco perché si è parlato molto della imminente perdita di ciò che Kiev ancora controlla nel Donbass.

Il disastro inevitabile.

In uno scenario estremo, la strategia della Russia potrebbe portare ad una situazione simile all’Offensiva dei Cento Giorni dell’Intesa, nel 1918.

Allora l’esercito tedesco era andato in pezzi.

Anche se non c’erano stati sfondamenti impressionanti e le truppe del Kaiser non erano state accerchiate e Berlino non aveva visto invase le sue città, la guerra era finita con la resa della Germania.

Kiev teme questo scenario e, per evitare un crollo totale del fronte, ha bisogno di una riforma della mobilitazione.

 Anche se non dovesse andare tutto secondo i piani, i cambiamenti porteranno a risultati certi, poiché attualmente ci sono molti uomini che non si arruolano volontariamente nell’esercito, ma che, in ogni caso, non sono disposti a vivere come fuorilegge.

Possiamo ipotizzare che l’AFU potrebbe reclutare fino a 100.000 persone.

Ciò sarà sufficiente per rincalzare i ranghi, formare diverse nuove brigate, rinforzare il fronte o tamponare gli sfondamenti della linea del fronte (come quello attuale nella regione di “Kharkov”).

Tuttavia, l’esercito russo ha ancora un vantaggio numerico e molte più risorse umane, per non parlare della superiore potenza di fuoco.

Oltre alla quantità, un’altra questione importante è la qualità dei militari.

Anche i dati ucraini (che sottostimano la situazione) mostrano che in Russia, ogni mese, circa 30.000 persone si arruolano per il servizio a contratto nell’esercito.

 Per il secondo anno consecutivo, si registrano code agli uffici di arruolamento dell’esercito russo.

Come abbiamo notato in precedenza, l’anno scorso l’Ucraina aveva esaurito i volontari.

La maggior parte di loro erano riservisti che avevano combattuto nel Donbass o patrioti ucraini entusiasti.

 Inoltre, i numeri dimostrano che, anche se il numero di volontari in Russia e Ucraina fosse lo stesso, il fatto che la popolazione russa è cinque volte quella ucraina parla da sé.

Inoltre, le persone che sono state mobilitate con la forza nell’esercito possono essere in grado di mantenere una difesa statica, ma non sono preparate per il combattimento attivo, come la partecipazione a contrattacchi, per non parlare delle operazioni di assalto.

Un altro grave problema per l’AFU è che molti uomini si rifiutano di combattere.

 Di conseguenza, alcune unità sono crollate al punto da perdere la loro capacità di combattimento.

Molti militari corrompono anche i comandanti per evitare di essere mandati al fronte.

Il morale delle truppe ucraine sembra deteriorarsi ed è improbabile che la riforma della mobilitazione possa risolvere il problema.

 

Per il momento, l’AFU nel suo complesso è ancora pronta a combattere e l’Occidente continua a rifornirla di equipaggiamento militare.

Molto probabilmente, il fronte non crollerà durante la campagna di primavera-estate di quest’anno e Kiev non capitolerà.

Ma, in ogni caso, l’Ucraina sta entrando in un vicolo cieco: il Paese si sta indebolendo e il suo esercito si sta esaurendo.

 In realtà, potrebbe aver già superato il punto di non ritorno e né gli aiuti occidentali né una maggiore mobilitazione la aiuteranno a sfuggire al disastro.

Tuttavia, questo non significa che Kiev e i suoi sponsor occidentali si metteranno il cuore in pace e aspetteranno con calma l’inevitabile.

(Sergey Poletaev)

(swentr.site)

(swentr.site/russia/597553-ukraine-increase-mobilized-men/)

 

 

 

MEDIA – Spirito Artigiano entra nel

 mondo dei giovani per scoprire

 il futuro dell’Italia.

 

Confartigianato.it – (24-2-2024) – Redazione – ci dice:

Il nuovo numero di “Spirito Artigiano” esplora l’universo giovanile per coglierne identità, valori, aspirazioni.

Il Professor “Mauro Magatti”, Professore di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, indica la necessità di porre le nuove generazioni al centro dell’agenda del Paese per comporre la frattura tra le loro fragilità, le loro attese di cambiamento e un’Italia sclerotizzata e timorosa di guardare al futuro.

 

Incita alla passione del cambiamento anche il Professor “Giulio Sapelli”, Presidente della “Fondazione Germozzi”, per offrire un orizzonte di futuro alle nuove generazioni e salvarle così dai rischi di una sopravvivenza malinconica o, peggio, della depressione.

Condizioni che “Massimo Ammaniti”, psicoanalista, approfondisce mettendo in evidenza la difficoltà dei giovani a costruire la propria personalità, con una lunga fase di ricerca e di instabilità che si prolunga anche oltre i 30 anni e che Ammanniti definisce di ‘adultescenza’.

 

Il Professor “Alberto Rosina”, ordinario di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, insiste sulla necessità di formare bene i giovani per inserirli in modo efficiente nel mondo del lavoro, valorizzarne al meglio il contributo qualificato nelle aziende e nelle organizzazioni.

Ed è proprio dai giovani che arriva un’inaspettata consapevolezza dei valori artigiani della creatività, unicità, sostenibilità che, spiega “Giovanni Boccia”, direttore della Fondazione Germozzi, sono sempre più presenti nei consumi della generazione Z.

La nuova gerarchia che i giovani attribuiscono ai tempi di vita e ai tempi di lavoro è al centro dell’analisi di “Massimiliano Valerii”, direttore del Censis, e dell’intervista al Professor “Paolo Boccardelli”, Direttore della LUISS Business School, secondo il quale “vi è nei giovani una visione nuova del “valore del lavoro” e quindi del ruolo che il lavoro deve avere all’interno di un più ampio percorso di crescita che prima di tutto è personale.

Il lavoro rappresenta solo una parte dell’evoluzione del sé per i giovani ed è importante che sia di valore, che si configuri come un’esperienza arricchente”.

E proprio sulle opportunità di lavoro per i giovani nella tutela e conservazione del nostro patrimonio storico e culturale si concentra “Luciano Monti”, Docente di Politiche dell’Unione Europea alla” LUISS Guido Carli” di Roma, mentre “Riccardo Giovani”, direttore delle politiche del lavoro di Confartigianato, sottolinea la necessità di investire sul capitale umano e sulle competenze avvicinando scuola, famiglie, giovani e imprese e analizza le novità del liceo del made in Italy e le nuove Linee guida per l’orientamento, recentemente adottate dal Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Un futuro sostenibile non può che partire dal riconoscimento del ruolo dei giovani:

ne è convinta “Mariella Nocenzi”, docente di Sociologia generale all’Università La Sapienza di Roma, così come “Tiziana Sallusti”, preside del liceo Mamiani di Roma, spiega le trasformazioni della scuola per formare le nuove competenze necessarie ai giovani per educarli alla vita e ad affrontare le grandi rivoluzioni dei nostri tempi.

 

Trasformazioni che però restituiscono una straordinaria attualità all’artigianato, come testimonia “Roberta Ligossi”, cofondatrice di “Ta-Daan”, nel raccontare l’esperienza di “TA-DAAN” che nasce dalla passione personale per l’artigianato e dalla sua rinascita e riscoperta sul mercato.

I motivi?

 In un mondo sempre più standardizzato, veloce e digitale abbiamo più che mai un bisogno esasperato di tornare all’analogico.

Tornare a parlare di artigianato significa quindi parlare di tre valori fondamentali per la contemporaneità: unicità, consapevolezza e soprattutto sostenibilità.

 

 

 

 

Imposta patrimoniale globale contro

le disuguaglianze? Le richieste dei

super ricchi e l’importanza delle scelte fiscali.

 Informazionefiscale.it – (18-1-2024) - Rosy D’Elia – imposte – ci dice:

260 super ricchi del mondo, tra cui anche degli italiani, chiedono di essere tassati: nel Fisco ideale del futuro si fa largo l'idea di un'imposta patrimoniale globale contro le disuguaglianze.

La richiesta in una lettera inviata al “World Economic Forum”, in corso a Davos, accende i riflettori sul ruolo cruciale delle scelte fiscali.

La lettera che i 260 super ricchi da 17 paesi, tra cui anche l’Italia, hanno inviato ai leader presenti al World Economic Forum in corso a Davos dal 15 al 19 gennaio, per essere tassati accende i riflettori su un punto:

l’importanza delle scelte fiscali per le dinamiche non solo economiche ma soprattutto sociali.

Tassate le ricchezze estreme per intervenire sulle diseguaglianze economiche e sociali:

è questa la richiesta che arriva tramite la campagna “Proud to pay more” e che sembra fare spazio a un’imposta patrimoniale globale nel Fisco ideale del futuro.

Al di là dell’applicazione concreta e delle valutazioni sulle eventuali effettive conseguenze di una maggiore tassazione, la voce dei milionari richiama l’attenzione sulle potenzialità del Fisco.

L’ipotesi di una imposta patrimoniale globale contro le disuguaglianze: la lettera dei super ricchi che chiedono di essere tassati.

“Siamo sorpresi che non abbiate risposto a una semplice domanda che ci poniamo da tre anni: quando tasserete le ricchezze estreme?

 Se i rappresentanti eletti delle principali economie mondiali non adottano misure per affrontare il drammatico aumento della disuguaglianza economica, le conseguenze continueranno ad essere catastrofiche per la società.”

Comincia così, con un invito diretto all’azione, la lettera dei super ricchi.

A firmarla anche tre italiani:

 Martino Cortese, nipote del fondatore di Amplifon e co-founder di Citybility, e i nobili siciliani Guglielmo e Giorgiana Notarbartolo di Villarosa.

“La nostra spinta verso tasse più giuste non è radicale.

 Si tratta piuttosto di una richiesta di ritorno alla normalità basata su una valutazione ponderata delle attuali condizioni economiche.

Siamo le persone che investono in startup, modellano i mercati azionari, fanno crescere le imprese e promuovono una crescita economica sostenibile.

 Siamo anche le persone che beneficiano maggiormente dello status quo.

Ma la disuguaglianza ha raggiunto un punto critico e il suo costo per la nostra stabilità economica, sociale ed ecologica è grave e cresce ogni giorno.

 In breve, abbiamo bisogno di agire adesso.

La nostra richiesta è semplice:

 vi chiediamo di tassare noi, i più ricchi della società.

 Ciò non modificherà radicalmente il nostro tenore di vita, né priverà i nostri figli, né danneggerà la crescita economica delle nostre nazioni.

Ma trasformerà la ricchezza privata estrema e improduttiva in un investimento per il nostro futuro democratico comune.

La soluzione a questo non può essere trovata in donazioni una tantum o nella filantropia; l’azione individuale non può correggere l’attuale colossale squilibrio.

(...)

Il valore di sistemi fiscali più equi dovrebbe essere evidente.

Sappiamo tutti che l’economia “a cascata” non si è tradotta in realtà.

Invece ci ha dato salari stagnanti, infrastrutture fatiscenti, servizi pubblici inadeguati e ha destabilizzato l’istituzione stessa della democrazia.

Ha creato un sistema economico vergognoso, incapace di garantire un futuro più luminoso e sostenibile.

 Queste sfide non potranno che peggiorare se non si riesce ad affrontare l’estrema disuguaglianza in termini di ricchezza.

La vera misura di una società può essere trovata non solo nel modo in cui tratta i suoi membri più vulnerabili, ma in ciò che chiede ai suoi membri più ricchi.

 Il nostro futuro è caratterizzato dall’orgoglio fiscale o dalla vergogna economica. Questa è la scelta”.

I 260 milionari dal mondo immaginano anche quali potrebbero essere gli effetti positivi di un intervento globale, e locale, sul Fisco, che li renderebbero proud/orgogliosi:

affrontare la disuguaglianza estrema;

ridurre il costo della vita dei lavoratori;

migliorare l’educazione per la prossima generazione;

sistemi sanitari resilienti e infrastrutture migliori;

favorire la transizione verde.

La lettera è accompagnata, inoltre, da un report che evidenzia i dati di un sondaggio condotto su 2.300 persone titolari di patrimoni investibili (senza considerare le abitazioni).

Il 75 per cento degli intervistati e delle intervistate si è mostrato favorevole all’introduzione di una imposta patrimoniale pari al 2 per cento che potrebbe agire, quindi, sul “complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona possiede”, volendo far riferimento alla sintesi del concetto di “patrimonio” fornito dall’enciclopedia Treccani.it.

Un’imposta patrimoniale globale, ma più in generale la leva fiscale, sembra essere in quest’ottica la panacea di molti mali del mondo contemporaneo.

Sappiamo bene che dalla teoria alla pratica le soluzioni non sono così semplici e non solo per l’immobilismo politico a cui fanno riferimento i milionari.

 La campagna, però, ha senza dubbio il merito di accendere i riflettori su un punto fondamentale:

 la capacità delle scelte fiscali di orientare dinamiche economiche e sociali in maniera sensibile.

Un tema caldissimo a livello nazionale, se si considerano i lavori in corso per l’attuazione della riforma fiscale:

il nuovo assetto di imposte, tasse e amministrazione che si va costruendo orienta il futuro dei cittadini e delle cittadine, delle imprese, del Paese tutto.

In termini diversi, su scala nazionale, più volte tramite queste pagine abbiamo richiamato l’attenzione sull’importanza della leva fiscale per agire sulla società.

 

È il caso della necessità di incrementare l’occupazione femminile, ancora ferma al 52,9 per cento, e della possibilità di utilizzare la gender tax, una tassazione più favorevole sul lavoro femminile, che per superare le criticità sulle disparità di trattamento tra uomini e donne potrebbe essere tradotta in una tassazione più favorevole sul secondo coniuge che entra nel mondo del lavoro.

E ancora, anche per combattere la denatalità si fa largo l’ipotesi di percorrere la via fiscale da bilanciare anche con i principi di parità e di capacità contributiva.

Il Fisco può essere lo strumento per “dare una spinta più o meno gentile” per dare concretezza a quei “principi che sono importantissimi ma che non vengono spontaneamente realizzati nella società”, per citare le parole di “Elsa Fornero” professoressa di Economia all’Università degli Studi di Torino intervistata su gender tax e parità di genere.

E sono proprio le potenzialità della leva fiscale che impongono un’attenta riflessione, locale e globale, sulla loro messa in atto.

 

 

 

 

Il tumulto etico degli studenti in rivolta:

 «Siamo contro un sistema

che lascia indietro gli ultimi».

Lespresso.it - Paolo Di Paolo – (14 maggio 2024) – ci dice:

 

Dagli Stati Uniti all’Europa, in piazza e nelle università, cresce un impegno che ignora, ricambiato, la politica tradizionale e che i media faticano a decifrare.

Bloccare le lezioni universitarie. Occupare luoghi pubblici.

 Lanciare vernice sulle opere d’arte. Fermare il traffico.

Portare la protesta all’estremo: al punto da renderla assimilabile a un reato.

La generazione più giovane, schiacciata dal cliché dell’indifferenza e dell’apatia, si mette in gioco in modo radicale e, a diverse latitudini, sceglie il tumulto.

È la parola che dà il titolo a un saggio del grande intellettuale tedesco “Hans Magnus Enzensberger”, scomparso ultranovantenne nel 2022:

in quelle pagine riprendeva il filo di una stagione di proteste, sommosse, manifestazioni, assalti. Scontri di piazza.

Militanti, studenti, pacifisti indignati.

Quelle esperienze, dice “Enzensberger,”

 «sono sepolte sotto il mucchio di letame dei media, del materiale d’archivio, dei dibattiti, della schematizzazione da vecchi militanti», ma lui non vuole dimenticare «quanto rumore faceva il tumulto».

E d’altra parte, «vecchio mio, sai bene quanto me che il tumulto non finisce mai. Semplicemente ha luogo da qualche altra parte, a Mogadiscio, Damasco, Lagos o Kiev, ovunque abbiamo la fortuna di non vivere.

 È solo una questione di prospettiva».

E se il tumulto si fosse ravvivato nello stanco Occidente?

Se gli under 25 – fra attivismo climatico e pacifismo – tra Europa e Stati Uniti fossero pronti a riprendersi la scena come in un nuovo virulento ’68?

 In un articolo pubblicato dal New Yorker e molto discusso, la scrittrice “Zadie Smith “ha per l’appunto evocato le proteste degli anni Sessanta e Settanta nei campus, che lei definisce «zone di interesse etico».

«Parte del significato di una protesta studentesca – scrive “Smith” – è il modo in cui offre ai giovani l’opportunità di insistere su un principio etico pur essendo, in termini comparativi, una forza più razionale dei presunti adulti».

«Cessate il fuoco» non è in primo luogo una richiesta politica, è soprattutto una richiesta etica.

 E se fosse da questa via che la generazione etichettata come post-ideologica si riprende la scena?

Da un radicalismo etico che, disinteressato al piccolo cabotaggio delle politiche nazionali, alza la posta in gioco, rimette in circolo valori universali, assoluti.

Con piglio aggressivo, che non pochi giudicano fanatico e intollerante.

È una gioventù in larga parte “privilegiata”, come quella di mezzo secolo fa, ad alimentare proteste scenografiche e invasive, con punte di estremismo.

Quadro affascinante e turbolento, in costante evoluzione.

 Imprevedibile come possono esserlo i ventenni.

Gli studiosi di storia politica, stando alla stampa americana, hanno già colto nelle proteste nei campus la matrice di quello che potrebbe essere considerato uno dei movimenti più rilevanti degli ultimi decenni.

Il “Washington Post” ha interpellato un docente della Columbia,” Thai Jones”, convinto che sia ancora prematuro paragonare le proteste attuali a quelle del 1968 contro la guerra in Vietnam:

 «Ma i legami saldi fra campus e la forza mediatica con cui arrivano le immagini degli studenti arrestati potrebbero innescare un movimento di massa».

E gli studenti italiani?

Guardano lontano e forse pensano la stessa cosa. Alessandro, Liceo Virgilio di Roma, è convinto che «esploderà via via anche qui e in altri Paesi europei».

Lorenzo, del Liceo Augusto, raccoglie le voci dei suoi coetanei, e sono sulla stessa lunghezza d’onda:

«Credo che le manifestazioni nei campus americani possano essere l’inizio di un risveglio globale sulla questione israelo-palestinese e sono comunque il sintomo di una consapevolezza maggiore e di un interesse più forte da parte dell’Occidente riguardo al conflitto in Medio Oriente».

C’è chi conferma l’analisi di “Thai Jones”: il profilo severo e repressivo della polizia americana non resta sullo sfondo.

«Tutti coloro che hanno avuto il coraggio di protestare contro il genocidio in atto a Gaza hanno rischiato.

 Basti pensare che, dall’inizio delle proteste, oltre duemila ragazze e ragazzi sono stati arrestati con la sola colpa di avere esercitato il proprio diritto di libertà d’espressione».

 E aggiunge considerazioni sulla «grande ombra americana», che in effetti riportano allo spirito di mezzo secolo fa.

Forse inconsapevolmente.

«Bisogna ammettere che purtroppo tutti gli altri Paesi restano oscurati da ciò che accade negli Stati Uniti; infatti sebbene da mesi in tutta Europa gli studenti si siano mobilitati a favore del popolo palestinese, queste manifestazioni hanno iniziato a fare maggiore scalpore solo con la diffusione in America».

A ogni modo, colpisce la prospettiva internazionale dell’impegno; se chiedo ai miei interlocutori quanto si sentano coinvolti dal paesaggio politico del nostro Paese, mi sento rispondere:

«Quando sento per settimane parlare solo di alleanze, nomi sui simboli, nomi dei capilista, mi sento molto distante e poco rappresentato».

Tanto vale allargare l’orizzonte:

 «Fare politica oggi, in qualità di studente, significa andare controcorrente, tentare di andare oltre il mare di indifferenza in cui siamo abituati a vivere, con l’obiettivo e la speranza di cambiare qualcosa».

 Non avrebbe forse risposto allo stesso modo un attivista di cinquantasei anni fa? Dove sembrava avere attecchito il disincanto, dove la palude della rassegnazione e dell’apatia sembravano inamovibili, qualcosa imprevedibilmente si muove.

Alla fine del ventesimo secolo, mentre scadevano le ipoteche ideologiche e quelle spirituali, un uomo che aveva attraversato i sogni, le speranze e le tempeste della politica da sinistra, “Vittorio Foa”, si disponeva a dialogare con i giovanissimi.

Non era pessimista:

 i valori, diceva, non sono collocati in una cassetta di sicurezza, i valori vanno cercati ed è una fatica.

Anche se orfani, non siamo privi di bussola.

Senza ipoteche marxiste o clericali, «c’è un’occasione straordinaria, unica, per darsi da fare».

Gli under 25 con anagrafe post-novecentesca non hanno l’aria di essere spaventati dalla fine delle vecchie strutture:

«Il concetto di partito – mi dice un ragazzo – è perduto.

Nelle forze politiche odierne, qualunque sia il colore, dominano la divisione, la contraddizione e la corruzione.

 Se dovessi andare a votare, sarei in seria difficoltà, non riesco a rispecchiarmi pienamente in nessun simbolo».

 Ma questo non vuol dire abdicare all’impegno. Anzi.

Un’altra voce: «Penso che quello che sta accadendo nelle università americane sia un segnale.

Un segnale che la nostra generazione ha tanto disagio da esprimere rispetto a un futuro che fatica a vedere.

Il tema della Palestina è riuscito a diventare un punto di partenza trasversale». Non gli suggerisco il parallelo con gli anni Sessanta:

fa da solo, e cita il sostegno al popolo vietnamita.

«Fare politica oggi vuol dire interessarsi a ciò che succede intorno a noi e lontano da noi.

Riuscire ad avere uno spirito critico contro un sistema che lascia indietro gli ultimi e non pensa ai più giovani.

Ma gli ideali e gli interessi della mia generazione non sono rappresentati da nessun simbolo sulla scheda elettorale».

Non sono in aperta contraddizione – domando – lo slancio della militanza e l’astensionismo alle elezioni politiche o amministrative?

«Il disinteresse per la politica nazionale non credo sia una questione generazionale.

 I cittadini hanno perso fiducia non sentendosi rappresentati e tutelati».

 Come se ne esce? Saltando il confine, i confini?

Cambiamento climatico e questioni geopolitiche e difesa dei diritti civili sono il carburante di un “internazionalismo” di fronte al quale il dibattito sul nome del segretario del partito sul simbolo elettorale o le idee deliranti di un “Vannacci” hanno il sapore dell’archeologia o del grottesco.

Intanto, lasciamoci alle spalle i cliché sul disimpegno.

 Non tutti seguono allo stesso modo, parecchi «restano indifferenti ai temi politici perché respirano l’indifferenza delle loro famiglie».

 Ma intruppare una generazione nel recinto dell’inerzia è un errore prospettico, corretto dai tumulti di queste settimane.

 Mentre “Zadie Smith” – nata nel 1975 – si interroga su alcune scivolose questioni di metodo nelle proteste (come si tiene in considerazione il fatto che qualcuno possa sentirsi insicuro o minacciato – lo studente ebreo, mettiamo – nell’università a cui è iscritto?), i nati negli anni Duemila trascurano forse gli effetti collaterali e rivendicano come necessaria la «prepotenza» del tumulto.

Occupare. Bloccare. Fare rumore. Creare disagio, in modo anche scenografico. Molti adulti – dicono – guardano al famoso dito e non alla luna: alla colata di vernice su un’opera d’arte, all’imbottigliamento su un’arteria stradale, all’interruzione della didattica in un contesto scolastico o accademico.

Ma il punto è un altro.

E comunque, come nota “Smith”, nel sostenere una «necessità etica» ci si può mettere in conflitto aperto con gli amici, la famiglia, la comunità.

«Le nostre zone di interesse etico non hanno confini fissi».

Questione epocale. È incandescente.

 

 

 

Disuguaglianze e povertà,

“Abolire i super-ricchi, sobriamente

 e ragionevolmente”: non è ingenuo

 contrastare e contenere redditi e

 ricchezze estremi.

 Repubblica.it - Luke Hildyard – (03 MAGGIO 2024) – ci dice:

(Luke Hildyard, autore di "Enough: Why it’s Time to Abolish the Super Rich", sul sito di “Sbilanciamoci”, illustra le sue ragioni)

 

Disuguaglianze e povertà, “Abolire i super-ricchi, sobriamente e ragionevolmente”: non è ingenuo contrastare e contenere redditi e ricchezze estremi.

“Luke Hildyard” è il direttore dell'”High Pay Centre”, un centro di ricerca con sede a Londra per analisi politiche su questioni come retribuzione, lavoro e disuguaglianza economica.

Scrive sul “Guardian”, il “Times”,” l'Independent”, ed è un punto di riferimento abituale, appunto, sui temi della disuguaglianza, spesso convocato da “BBC News”, “CNN” e altri importanti canali televisivi.

Il sito di “Sbilanciamoci “ha pubblicato un suo articolo che riporta in sintesi i concetti espressi del suo libro "Enough: Why it’s Time to Abolish the Super Rich".

 Sbilanciamoci “– va ricordato – dal 1999 riunisce 51 organizzazioni e reti della società civile italiana impegnate sui temi della spesa pubblica e delle alternative di politica economica, sull’inclusione e accoglienza dei migranti, la finanza etica, la cooperazione internazionale, il commercio equo e l’economia solidale.

Scrive dunque “Luke Hildyard”.

Per quale ragione chi, avendo l’obiettivo di contrastare le concentrazioni estreme di reddito e ricchezza, si dichiara favorevole a misure come le imposte sulla ricchezza e i tetti alle super-retribuzioni viene visto come un ingenuo o un idealista, mentre chi critica quelle politiche è considerato (e si ritiene) sobrio e ragionevole?

Non è un ragionamento “di sinistra”.

Nel mio recente libro “Enough: Why it’s time to Abolish the Super Rich” sostengo che è vero esattamente il contrario.

Un programma politico importante e trasformativo per ridistribuire e reindirizzare le fortune dai super-ricchi alla popolazione in generale sarebbe un modo ovvio, efficace e immediato per aumentare la prosperità di un gran numero di persone. Non si tratta di un argomento ideologicamente di sinistra.

Sarebbe solo una risposta logica.

È la risposta logica che scaturisce da qualsiasi valutazione pragmatica dei modi e mezzi potenzialmente in grado di migliorare il tenore di vita generale;

 una questione che dovrebbe interessare l’intero spettro politico, anche gli elettori di centro e di destra.

 Le ricchezze in eccesso e immeritate possedute da chi sta in alto rappresentano una risorsa immensa e prontamente disponibile, utilizzabile in modo molto più efficiente per ottenere enormi miglioramenti socio-economici.

I responsabili politici che non mostrano alcuna curiosità su come tutto ciò si potrebbe realizzare, danno prova di scarsa scrupolosità.

Il ri-equilibrio del benessere.

 Il potenziale impatto di un ri-equilibrio nella distribuzione del reddito e della ricchezza sul benessere è dimostrato sia dall’evidenza che dall’esperienza.

 Nel corso della storia, i governi hanno innalzato il tenore di vita introducendo politiche che hanno convogliato il reddito e la ricchezza, precedentemente appannaggio dei più ricchi della società, verso il resto della popolazione.

I diversi modi per redistribuire ricchezza.

Questo può avvenire attraverso una redistribuzione diretta, come quella derivante dai programmi di welfare e dai servizi pubblici finanziati dalla tassazione progressiva oppure attraverso provvedimenti come le leggi sul salario minimo o le norme sul lavoro che consentono ai lavoratori, generalmente i meno pagati, di ottenere redditi più elevati grazie a entrate di cui altrimenti avrebbero beneficiato gli imprenditori e i dirigenti più ricchi.

 

Le politiche dell’Europa.

Queste politiche sono tipicamente associate all’Europa continentale, dove le tasse tendono a essere più elevate e le normative sono più severe.

Ciò implica che i servizi pubblici e le infrastrutture sono di migliore qualità, e la disuguaglianza è più contenuta.

Tuttavia, sebbene in misura diversa, esse sono adottate in tutte le economie avanzate ed è diffuso il convincimento che esse abbiano innalzato il tenore di vita, in particolare quello delle famiglie che ne avevano maggior bisogno perché i loro redditi erano di livello medio o basso.

Quell’1% che detiene tutto.

Oggi la quota di reddito e ricchezza totale detenuta dall’1% più ricco della popolazione è a livelli storicamente molto elevati.

 Secondo il “World Inequality Database”, nel Regno Unito, dove risiedo, la quota del reddito totale che va all’1% della popolazione è circa il doppio rispetto al punto più basso (approssimativamente il 6%), raggiunto all’inizio degli anni ’80, ed è più alta che in qualsiasi altro momento dalla seconda metà del XX secolo.

 Inoltre, secondo alcune stime, l’1% più ricco della popolazione detiene quasi un quarto di tutta la ricchezza.

Negli Stati Uniti, le cifre sono ancora più estreme.

L’1% più ricco in termini di reddito detiene quasi un quinto del reddito totale, mentre l’1% più ricco in termini di ricchezza possiede circa un terzo di tutta la ricchezza.

 In entrambi i casi si tratta dei dati più elevati almeno dalla Seconda guerra mondiale.

 Queste tendenze si riscontrano, in misura diversa, nella maggior parte delle economie avanzate.

 

Peraltro, le sfide ambientali, demografiche e politiche, rendono più difficile raggiungere livelli più elevati di reddito e ricchezza totali.

In Europa, i decisori politici faticano, specialmente dopo la pandemia di Covid e la guerra in Ucraina, a realizzare politiche in grado di sostenere la crescita economica.

Negli Stati Uniti, i livelli di crescita sono stati più elevati, ma quando il 50% più povero della popolazione riceve a malapena 10 centesimi per ogni dollaro di reddito generato nel Paese, la crescita difficilmente può avere effetti significativi sul tenore di vita di tutta la popolazione.

Secondo una recente analisi del “Financial Times” mentre gli americani più ricchi sono più ricchi delle loro controparti in altri paesi ricchi, il reddito del 10% più povero delle famiglie americane è inferiore a quello del 10% più povero in Slovenia, per non parlare di paesi come la Francia o la Germania.

Quello che si potrebbe fare.

 Per affrontare questo deplorevole stato di cose e garantire che la ricchezza generata in diversi paesi sia distribuita in modo più equo ed efficiente, occorre sia redistribuire le ricchezze di coloro che si trovano ai vertici, sia – e in primo luogo – impedire loro di accumulare tali enormi fortune.

 Ciò potrebbe comportare misure come una tassa sulla ricchezza globale, che permetterebbe di trasferire una parte della ricchezza dei super-ricchi alla popolazione in generale sia direttamente sia attraverso le spese per la sicurezza sociale o, de facto, finanziando servizi pubblici migliori.

Si potrebbe anche mettere un tetto alle retribuzioni dei manager ad esempio ancorandole a un multiplo del salario del lavoratore medio o, diversamente, mediante accordi obbligatori di condivisione degli utili, che garantiscano ai lavoratori una quota dei profitti generati dal loro lavoro. In questo modo, parte del denaro che ora va ai ricchi amministratori e azionisti verrebbe convogliato verso i lavoratori comuni.

I rischi appaiono meno gravi di come si pensa.

 I rischi economici che queste politiche genererebbero sono largamente esagerati.

Esiste chiaramente il pericolo che i ricchi cerchino di sottrarsi a misure che li danneggiano dal punto di vista finanziario.

Ma l’evidenza suggerisce che sia la propensione dei super-ricchi a trasferire la propria residenza per motivi finanziari sia la misura in cui la società risentirebbero della loro mancanza se lo facessero sono molto inferiori a ciò che tanti dicono di temere.

 

Non è detto che i ricchi scappino, anzi.

Dalle interviste condotte dalla “London School of Economics “con alcuni dei residenti più ricchi del Regno Unito non è emersa praticamente alcuna propensione a lasciare il Paese in caso di aumento delle tasse.

 Tutto ciò non sorprende.

Essere ricchi vuol dire, banalmente, avere più soldi e potersi permettere uno stile di vita più costoso, per questo i super-ricchi tendono a concentrarsi nei luoghi più costosi del pianeta piuttosto che in quelli dove il costo della vita è inferiore.

Solo un numero di litato di persone diverrebbe più “povera”.

Inoltre, politiche come quelle discusse in precedenza riguarderebbero soprattutto i redditi e la ricchezza al di sopra della soglia che delimita l’1% più ricco.

Di conseguenza, solo una piccola numero di persone diventerebbe più povera, rimanendo comunque oggettivamente molto ricca.

All’interno di questo gruppo, una percentuale molto consistente beneficia di denaro ereditato che non ha mai guadagnato, o di redditi di natura speculativa speculativi o derivanti da lavori non richiedono qualità particolari e uniche: solo il 4% degli amministratori delegati dell’S&P 500 sono fondatori della loro azienda, mentre il resto è costituito da manager scelti per le loro competenze, ma inevitabilmente giocano un ruolo anche le condizioni di origine, le relazioni sociali e le preferenze soggettive di chi assegna quei ruoli.

Rispetto ai veri innovatori, l’argomentazione è che sarebbero disincentivate la loro creatività e produttività. Ma si tratta di un’argomentazione piuttosto fatua, perché in base a qualsiasi standard oggettivo sarebbero comunque incredibilmente ben ricompensati.

Cittadinanza e fisco.

 Ci sono anche molte cose che i Paesi potrebbero fare sia individualmente che collettivamente per mitigare i rischi di fuga all’estero.

A livello individuale, si potrebbe collegare la cittadinanza al contributo fiscale (come già fanno gli Stati Uniti) o introdurre tasse di uscita che renderebbero molto più difficile ai super-ricchi sottrarsi alla giusta quota di contributo loro richiesto.

Collettivamente, i governi potrebbero impegnarsi in azioni coordinate di contrasto alla concentrazione estrema di reddito e ricchezza.

 Al riguardo, stanno emergendo segnali promettenti, come la proposta, avanzata alla riunione del G20 di luglio dal governo brasiliano, di una dichiarazione congiunta a favore della tassazione della ricchezza;

 la proposta è sostenuta, tra gli altri, dal governo francese e dal direttore del FMI. L’iniziativa del G20 appare quanto mai opportuna (e urgente) considerando che le quote di reddito e ricchezza totali appannaggio del top 1%, sono anche storicamente enormi (e questo è ben evidente).

Non si possono ignorare le disuguaglianze.

 In questo contesto i politici che promettono di innalzare il tenore di vita della popolazione attraverso una maggiore crescita economica, ignorando il problema della disuguaglianza, appaiono, nel migliore dei casi, ingenui utopisti e, nel peggiore, ostruzionisti e demolitori che agiscono per conto di una piccola élite di ricchi contro gli interessi della popolazione nel suo complesso.

 

Il ruolo dei ragionevoli e sobri.

Di conseguenza i realisti sobri e ragionevoli sono quanti riconoscono che la distribuzione conta e chiedono di affrontare il problema dei super-ricchi.

A loro è affidata la più fondata speranza di ottenere miglioramenti immediati e trasformativi nel tenore di vita della popolazione.

Se questo non sarà compreso da tutti le nostre società non potranno sfruttare appieno le potenzialità di cui dispongono per cambiare in meglio la vita di moltissimi.

Coltivo la speranza che il mio libro possa dare un piccolo contributo in questa direzione.

 

 

 

 

La disuguaglianza sociale.

Enelcuore.it – (24 gennaio 2023) – Redazione – ci dice:

 

A livello globale si stanno facendo passi significativi nella riduzione della povertà, ma il tema delle disuguaglianze sociali continua a essere molto rilevante soprattutto a causa della pandemia e della crisi economica che ha travolto l’Europa.

Cos’è la disuguaglianza sociale?

Il termine “disuguaglianza” si riferisce a tutte le differenze in merito al possesso di risorse che generano opportunità di vita diverse, più o meno vantaggiose.

Quando si parla di disuguaglianze va precisata la distinzione in disuguaglianze economiche e sociali:

le prime dipendono dalla situazione economica dell’individuo;

 le seconde sono causate da genere, età, etnia, religione, orientamento sessuale o dalla posizione geografica.

Una influenza l’altra e viceversa andando a intaccare la libertà e le possibilità di crescita di un paese, di una città o di una persona, come ad esempio limitando l’accesso alla dovuta assistenza sanitaria o a una giusta istruzione.

I tipi di disuguaglianza sociale.

Le disuguaglianze sociali si suddividono in più sottocategorie.

Grazie ai dati di “un sondaggio Ipsos”, ne analizziamo alcune nel dettaglio, confrontando i dati della disuguaglianza in Italia e nel mondo:

 

La disuguaglianza geografica è riscontrata tra le aree più in difficoltà di crescita e sviluppo, una delle disparità più gravi nei 28 Paesi intervistati.

In Italia la percezione di questa disuguaglianza è nella media, attestandosi al 42%, mentre è molto più bassa in Giappone e Germania (27 e 22%);

La disuguaglianza etnica dipende dalla nazionalità:

troviamo le persone più preoccupate in Sud Africa (65%) e negli USA (55%) con una maggiore sensibilità sul tema da parte degli under 35 a livello globale;

La disuguaglianza generazionale, intesa come la differenza tra i cittadini più anziani e giovani, in Italia è sentita al 25% con picchi più alti in Giappone (39%) e più bassi, ad esempio, in Brasile o Germania (26%);

è una disuguaglianza che incide su salario, livello di sicurezza sul lavoro, occupazione, disoccupazione e sulla difficoltà nel trovare alloggi;

La disuguaglianza di genere è percepita come grave da meno della metà degli intervistati anche se nel nostro Paese, in Messico e in Spagna arriva rispettivamente al 40%, 45% e 42%.

La distinzione delle disuguaglianze altro non è che il risultato di una forte stratificazione sociale in cui le principali risorse sono distribuite in modo diverso tra le persone:

una quota della popolazione possiede reddito, istruzione, proprietà terriera, potere politico, prestigio personale o influenza intellettuale in misura superiore rispetto ad altre quote della stessa popolazione.

 Questa diseguale distribuzione di risorse genera povertà.

 

I “nuovi poveri.”

È stato il 2020 ad essere definito l'anno dei "nuovi poveri", persone con casa, lavoro e famiglia, ma cadute in povertà e che non hanno l'indispensabile per condurre una vita quotidiana dignitosa, anche a causa della pandemia:

secondo il rapporto 2020 della Caritas Italiana sulla povertà ed esclusione sociale in Italia, i poveri assoluti erano 1 milione in più rispetto al pre-pandemia, arrivando al valore record di 5,6 milioni (pari a 2 milioni di nuclei familiari), con picchi nel Mezzogiorno (9,4%), anche se la crescita più ampia, registrata da un anno all'altro, si collocava nelle regioni del Nord (dal 5,8% al 7,6%). Il rapporto 2020 faceva emergere anche importanti differenze legate all'età, riportando un aumento di svantaggio per minori e giovani under 34.

Il rapporto “Caritas 2022,” dal titolo “L’anello Debole”, presentato il 17 ottobre in occasione della “Giornata internazionale di lotta alla povertà”, ribadisce che non esiste una sola povertà:

ce ne sono tante, aggravatesi nel post-pandemia e a causa delle ripercussioni della guerra in Ucraina.

Sono state 227.566 le persone che nel 2021 si sono rivolte alla Caritas con un incremento del 7,7%.

Tra gli assistiti, con un’età media di 45 anni, ci sono sia uomini (50,9%) sia donne (49,1%).

È cresciuta, da un anno all’altro, l’incidenza delle persone straniere che si attesta al 55%, nelle regioni del Centro Nord mentre nel Sud e nelle Isole, prevalgono gli assistiti di cittadinanza italiana che corrispondono rispettivamente al 68,3% e al 74,2%.

Più della metà degli indigenti (54,5%) soffre di povertà “multidimensionale”, ovvero legata a due o più ambiti di bisogno.

Le fragilità che prevalgono sono:

80% povertà economica (reddito insufficiente);

48% problemi occupazionali;

21% problemi abitativi,

seguono i problemi familiari (separazioni, divorzi, conflittualità), di salute o legati ai processi migratori.

La parte più innovativa del rapporto Caritas riguarda la trasmissione intergenerazionale della povertà:

 in Italia e a livello internazionale essere poveri da bambini è altamente predittivo dell'esserlo anche da adulti.

L’Italia risulta ultima tra i Paesi europei più industrializzati per mobilità sociale. Per i nati in famiglie poste in fondo alla scala sociale diminuiscono le opportunità di salire e, tra loro, il 28,9% resterà intrappolato nella stessa posizione sociale dei genitori, da qui nasce l’espressione sticky floor.

 Per liberarsi dalle catene della povertà occorrono 5 generazioni.

Quasi sei persone su dieci vivono una condizione di precarietà economica in continuità con la propria famiglia di origine, sia pure con una incidenza diversa a livello territoriale: la povertà di tipo ereditario, che si trasmette “di padre in figlio”, è più frequente nelle isole e nelle regioni centrali, meno nel Nord-Est e nel Sud dove è più alta l’incidenza di poveri di prima generazione.

Due i fattori che caratterizzano questo tipo di povertà:

quelli determinanti, come la povertà economica, educativa e lavorativa della famiglia di origine,

i fattori psicologici, tra cui bassa autostima, mancanza di speranza e progettualità e sfiducia nelle Istituzioni.

Povertà assoluta ai massimi storici.

Anche la recente statistica Istat sulla povertà conferma sostanzialmente i massimi storici toccati nel 2020, con i poveri assoluti in Italia che toccano i 5,6 milioni. Le famiglie in povertà assoluta risultano 1,9 milioni (7,5% del totale), pari a 5.571.000 persone e di queste 1,4 milioni sono bambini e ragazzi minori di 18 anni (14,2%), i più colpiti.

A livello geografico, il Sud si conferma l’area con la maggior incidenza di poveri (10%) mentre il dato diminuisce in misura significativa al Nord, in particolare nel Nord-Ovest (dal 7,9% del 2020 al 6,7%), ma registra un peggioramento della condizione delle famiglie con maggior numero di componenti: l’incidenza di povertà assoluta raggiunge il 22,6% tra quelle con cinque e più componenti e l’11,6% tra quelle con quattro; segnali di miglioramento provengono dalle famiglie di tre (da 8,5% a 7,1%) e di due componenti (da 5,7% a 5,0%).

Guardando all’Europa, dall’analisi Eurostat, emerge una disuguaglianza per genere e nazionalità: chi è fuori dall’Unione Europea ha la probabilità del 25,2% di essere un lavoratore che vive in povertà, quella di un italiano è dell’8,8% e quella di un immigrato da Paesi dell’Ue è del 18,6%. Per quanto riguarda la disuguaglianza tra uomini e donne, in Italia il 14,8% degli uomini è a rischio povertà contro il 18,4% delle donne (la percentuale più alta dopo Spagna e Cipro). Se parliamo poi di una donna lavoratrice extracomunitaria il dato sale al 25,1%, mentre una madre single con figli a carico rischia al 20,8% di non arrivare degnamente a fine mese.

Come combattere le disuguaglianze sociali?

È uno degli obiettivi dell’Agenda ONU 2030, l’SDG 10 “Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni” che mira, tra le altre cose, a:

raggiungere e sostenere progressivamente la crescita del reddito del 40 per cento più povero della popolazione ad un tasso superiore rispetto alla media nazionale;

potenziare e promuovere l'inclusione sociale, economica e politica di tutti senza alcuna distinzione;

eliminazione di politiche discriminatorie, assicurando pari opportunità a tutti, e adozione di politiche per raggiungere progressivamente una maggiore uguaglianza;

tutelare ciascun lavoratore garantendo un salario dignitoso ed equo per donne e uomini;

assicurare ai Paesi in via di sviluppo una maggiore rappresentanza nelle sedi decisionali globali;

adottare misure speciali per i Paesi in via di sviluppo, supportandoli concretamente.

Come Onlus, siamo al fianco delle organizzazioni del terzo settore sostenendo progetti di assistenza e accoglienza volti a superare i contesti di esclusione sociale e capaci di creare inclusione per garantire a tutte le persone una vita dignitosa.

Tra questi, “Varcare la Soglia”, il programma nazionale di “Fondazione L’Albero della Vita” per ridurre le condizioni di povertà delle famiglie in numerose periferie italiane, CRI per il Sociale, il progetto di Croce Rossa Italiana per sostenere i più fragili e contrastare le nuove povertà, il sostegno alla Caritas Ambrosiana per il centro diurno per senza fissa dimora di Milano, o il bando Nel Cuore del Sud, promosso insieme a Fondazione CON IL SUD, per attivare nelle aree interne del Mezzogiorno percorsi di autonomia per persone con fragilità o a rischio marginalità, e creare occasioni di sviluppo locale.

 

Anche l’istruzione è uno strumento fondamentale contro la povertà educativa e culturale: in questo campo sosteniamo iniziative come ad esempio Base Camp: Presidi Educativi Territoriali insieme a Impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, il progetto Casa di Quartiere San Bao a Brindisi o Fare scuola con Fondazione Reggio Children.

 

Siamo particolarmente attenti anche alle condizioni di genere, supportando iniziative come “A Vele Spiegate”, per accrescere l’autonomia lavorativa di donne che stanno affrontando percorsi di uscita dalla violenza, o “Casa Marzia”, dove vogliamo dare alle mamme in condizioni di disagio e fragilità la possibilità di guardare al loro futuro come donne indipendenti.

(I futuri padroni del” nuovo mondo” hanno già deciso che l’unico rimedio che rimarrà a loro è quello dello sterminio della popolazione più povera! N.D.R.).

 

 

 

 

 

Nel futuro del made in Italy

‘brilla’ l’Intelligenza Artigiana.

Spiritoartigiano.it – Marco Granelli – (27-1-2024) – ci dice:

Tra incertezze globali e slancio riformista:

il futuro degli artigiani e delle piccole imprese italiane nell'era dell'innovazione e della sostenibilità, con Confartigianato in prima linea per la valorizzazione del 'valore artigiano'.

L’innovazione con l’intelligenza artificiale rappresentanza un valore artigiano.

Le crisi sugli scenari internazionali gettano ombre di incertezza sulle prospettive di crescita del nostro Paese che continua a cercare la strada della ripresa, attraversato dalle spinte riformiste impresse dal Governo ma ancora frenato da vecchie inefficienze e resistenze al cambiamento.

Nonostante tutto, sono le piccole imprese a ‘brillare’ con quell’Intelligenza Artigiana che ne caratterizza il talento e il coraggioso impegno per mantenersi competitive e per cogliere nuove opportunità di mercato.

Quello dell’artigianato e delle” Mpi” è un mondo in piena metamorfosi.

I valori della tradizione manifatturiera italiana rimangono ben saldi nel loro Dna ma, contemporaneamente, l’innovazione e la sostenibilità sono le parole d’ordine che orientano le loro scelte per intercettare le nuove esigenze dei consumatori e cavalcare la domanda dei mercati internazionali.

Le nuove tecnologie sono le ‘armi’ che permettono alle imprese di tutti i settori, di produzione e di servizio, di affrontare le nuove sfide della globalizzazione.

 I risultati si vedono nei numeri che misurano le performances dei nostri piccoli imprenditori: grande sprint nelle esportazioni, primato in Europa per capacità innovativa.

“All’impegno e alle capacità degli artigiani e dei piccoli imprenditori fanno da contraltare i ritardi che tengono l’Italia ancora distante dalla media dell’Unione europea.”

 All’impegno e alle capacità degli artigiani e dei piccoli imprenditori fanno da contraltare i ritardi che tengono l’Italia ancora distante dalla media dell’Unione europea.

 Fisco, burocrazia, accesso al credito, tempi di pagamento, carenza di manodopera, infrastrutture materiali e immateriali sono alcuni dei fronti sui quali la battaglia del cambiamento va combattuta con decisione ed esige un convinto sforzo dei decisori pubblici e anche di tutto il Paese.

I segnali di vitalità delle nostre imprese vanno incoraggiati con un impegno altrettanto energico per modificare un contesto spesso ancora ostile alla libertà d’iniziativa economica.

Occorre realizzare il giusto equilibrio tra le scelte di rigore e le indispensabili opzioni per la crescita, puntando sull’ambizione di una visione strategica complessiva che valorizzi i nostri punti di forza e rimuova le criticità che sopportiamo da anni.

 Vanno sostenuti gli investimenti, l’occupazione e le aree più deboli con un’azione su più fronti e utilizzando i molteplici strumenti del ‘pacchetto manovra’, a partire dalla piena realizzazione del nuovo “Pnrr”.

Serve uno scatto di orgoglio per difendere le nostre produzioni e il contenuto di competenze, gusto, creatività, qualità, flessibilità, innovazione espresso dall’artigianato e dalle piccole imprese.

Bisogna fare leva su questi punti di forza della nostra capacità manifatturiera che resistono al di là delle mode e che continuano ad essere apprezzati dai consumatori di tutto il mondo.

Per questo ci aspettiamo che il Governo si impegni per realizzare le condizioni di contesto generali più favorevoli allo sviluppo dell’impresa:

 riduzione della pressione fiscale, lotta alla burocrazia, contenimento dei costi della pubblica amministrazione, migliore accesso al credito, servizi pubblici e infrastrutture efficienti, giustizia rapida, welfare attento alle nuove esigenze dei cittadini e degli imprenditori.

“Abbiamo bisogno di interventi mirati ai settori più innovativi, ma servono anche progetti di valorizzazione dei comparti forti del nostro manifatturiero tradizionale”.

 Va ripensata e sostenuta una politica formativa per orientare i giovani nel mercato del lavoro.

Potremo finalmente risalire la china soltanto se sapremo efficacemente difendere i talenti di quel made in Italy che nel mondo è sinonimo di qualità e sul quale basare il rilancio della nostra capacità competitiva.

Confartigianato è sempre in prima linea in questo impegno.

Con la forza dell’associazionismo responsabile, pro-attivo e di prossimità che ogni giorno esercitiamo orgogliosamente, siamo al fianco degli artigiani e dei piccoli imprenditori per contribuire a cambiare le cose, per trasformare l’Italia in un Paese altrettanto orgoglioso e sostenitore del ‘valore artigiano’ e delle migliaia di imprenditori che lo esprimono.

(Marco Granelli -2024 Spirito Artigiano)

 

La chiamata alle armi di Mario Savio:

"Mettete il corpo sugli ingranaggi

 e sulle ruote."

   Unz.com - MIKE WHITNEY – (15 MAGGIO 2024) – ci dice:

 

C'è un momento in cui il funzionamento della macchina diventa così odioso, ti fa così male al cuore, che non puoi prendervi parte;

Non potete nemmeno prendervi parte passivamente, e dovete mettere i vostri corpi sugli ingranaggi e sulle ruote, sulle leve, su tutto l'apparato, e dovete farlo fermare.

E dovete indicare alle persone che la gestiscono, alle persone che la possiedono, che a meno che non siate liberi, alla macchina sarà impedito di funzionare affatto.

(MARIO SAVIO – "Funzionamento della macchina", YouTube)

 

Nessuno nel movimento anti-genocidio sta incitando a uno sciopero generale, a una rivolta dei lavoratori o ad atti dirompenti di disobbedienza civile.

 Quello che chiedono è un cessate il fuoco e il disinvestimento in qualsiasi azienda che stia traendo profitto dalla guerra di Israele a Gaza.

Si tratta di richieste ragionevoli e del tutto appropriate.

 Il problema è che gli studenti che avanzano queste richieste hanno allestito accampamenti nei campus di tutti gli Stati Uniti, che è il primo passo verso una mobilitazione di più vasta portata contro la politica israelo -americana a Gaza.

Questo è il motivo per cui il governo, agendo di concerto con le forze dell'ordine negli Stati Uniti, ha adottato un approccio così draconiano e brutale nei confronti delle manifestazioni, per lo più pacifiche.

 Vedono le proteste come la punta della lancia, l'inizio di un movimento populista che detiene la superiorità morale e che alla fine costringerà i politici a opporsi alla politica attuale.

Questo è il motivo per cui il governo ha schierato le sue orde di poliziotti armati di manganello negli accampamenti dei manifestanti in ogni occasione.

Stanno cercando di intimidire i manifestanti con una massiccia dimostrazione di forza e pene insolitamente dure nel tentativo di schiacciare il movimento prima che decolli.

E dati i progressi nella tecnologia di sorveglianza e altre misure repressive, potrebbero avere successo in questo sforzo.

Non lo sappiamo.

Ma sappiamo che il punto di vista dei manifestanti sulla furia israeliana a Gaza non è poi così diverso da quello dell'americano medio.

Dai un'occhiata a questo sondaggio di Gallup:

Maggioranza negli Stati Uniti. Ora disapprovate l'azione israeliana a Gaza...

La disapprovazione dell'azione militare israeliana è simile, indipendentemente da quanta attenzione gli americani stiano prestando al conflitto.

Tutti e tre i principali gruppi di partito negli Stati Uniti sono diventati meno favorevoli alle azioni di Israele a Gaza di quanto non lo fossero a novembre.

 La diffusa opposizione dei democratici alle azioni di Israele sottolinea la difficoltà della questione per il presidente.

 L'indice di gradimento di Biden per la sua gestione della situazione in Medio Oriente, al 27%, è il più basso tra i cinque temi testati nel sondaggio.

 Tra i democratici, il 75% degli intervistati "disapprova l'azione militare che Israele ha intrapreso a Gaza".

Maggioranza negli Stati Uniti Ora disapprova l'azione israeliana a Gaza, “Gallup”.

E vediamo risultati simili in un recente sondaggio “AP/Norc”:

Una percentuale crescente di adulti statunitensi crede che la risposta militare di Israele a Gaza sia "andata troppo oltre".

Tra gli adulti statunitensi intervistati a gennaio, il 50% ha dichiarato di ritenere che le azioni di Israele a Gaza siano "andate troppo oltre", ...

Solo il 31% crede che la risposta militare di Israele sia stata "giusta.

La metà degli adulti statunitensi crede che Israele sia "andato troppo oltre" nella guerra di Gaza:

sondaggio, “Axios”

 

Questi sondaggi mostrano che i manifestanti pro-Palestina non sono un elemento marginale che ripete a pappagallo qualche arcana ideologia di sinistra.

 Sono nel mainstream e le loro opinioni riflettono le opinioni della maggioranza degli americani.

Allora, perché i poliziotti li picchiano con i manganelli e li trascinano in prigione? Non ha senso.

Questi studenti non stanno abbattendo statue o bruciando edifici o saccheggiando grandi magazzini o attaccando poliziotti come abbiamo visto durante le rivolte di George Floyd.

Stanno semplicemente esprimendo la loro opposizione a una furia di terra bruciata che è moralmente indifendibile.

Allora perché vengono perseguitati?

 Ecco come “Norman Finkelstein” risponde a questa domanda:

… Uno degli aspetti dell'emergere del movimento studentesco è che c'è sempre più chiarezza sul fatto che l'accusa di antisemitismo è semplicemente un pretesto per sopprimere la legittima protesta contro le politiche genocide di Israele contro il popolo di Gaza.

 Devo anche aggiungere che tra le sorprese c'è il fatto che un gruppo di miliardari ebrei – al fine di sopprimere le critiche del campus al genocidio israeliano – stanno ora usando apertamente l'arma del ricatto.

Stanno dicendo alle università, al consiglio di amministrazione e al presidente che, a meno che non reprimete queste manifestazioni, ritireremo le nostre centinaia di milioni di dollari.

Questo è senza dubbio l'assalto più sfacciato del settore privato alla libertà accademica nella storia del nostro paese.

 E come se non bastasse, ora c'è un assalto da parte della destra nel nostro paese che sfrutta la falsa pretesa di antisemitismo per reprimere la libertà accademica nei nostri campus.

Così, è iniziato con miliardari ebrei che cercavano di reprimere il dissenso di Israele, e ora quella falsa affermazione di antisemitismo viene usata dalla destra nel nostro paese per reprimere qualsiasi pensiero critico nei nostri campus. Questo non è solo un assalto alla libertà accademica, ma è anche una prefigurazione di un movimento fascista tra la destra e sostenuto dalla classe dei miliardari per sopprimere qualsiasi dissenso che inizia nei campus universitari ma poi alla fine si diffonde ovunque.

(Norman Finkelstein sul genocidio a Gaza, “Mayadeen”)

 

Questo aiuta a spiegare l'enigma di cui abbiamo discusso sopra, cioè perché i poliziotti brutalizzano i manifestanti che riflettono semplicemente le opinioni della maggioranza degli americani.

La risposta, secondo “Finkelstein”, è che i poliziotti stanno operando per conto di interessi particolari, in questo caso, gli interessi dei "miliardari ebrei" la cui agenda orientata verso Israele prevale sui diritti civili degli studenti americani.

 Ecco altri retroscena tratti da un articolo di “The Nation”:

La violenza all'UCLA è istruttiva.

 I contro-manifestanti filo-israeliani sono stati organizzati da un gruppo finanziato dal miliardario “Bill Ackman” e dai suoi amici, tra cui “Jessica Seinfeld” (moglie del comico Jerry Seinfeld).

Molti dei manifestanti assoldati sembrano essere monarchici iraniani, un gruppo che tende ad essere filo-israeliano a causa della vecchia alleanza tra il deposto scià dell'Iran e Israele.

 

Come hanno riportato sia il “Los Angeles Times” che “The Forward”, i contro manifestanti filo-israeliani sono stati estremamente violenti.

Secondo il “Los Angeles Times”:

Quattro studenti giornalisti che lavorano per l' “UCLA Daily Bruin” sono stati aggrediti poco prima delle 3:30 del mattino, e

Mercoledì dai contromanifestanti pro-Israele durante una manifestazione nel campus che è diventata violenta.

L'editore del “Daily Bruin”,” Catherine Hamilton”, 21 anni, ha detto al “Times” di aver riconosciuto uno dei contro manifestanti come qualcuno che in precedenza l'aveva molestata verbalmente e aveva scattato foto del suo badge da stampa.

Mentre cercava di liberarsi, ha detto “Hamilton”, è stata colpita ripetutamente al petto e alla parte superiore dell'addome;

 Un altro studente giornalista è stato spinto a terra e picchiato e preso a calci per quasi un minuto.

L'attacco è stato riportato per la prima volta dal “Daily Bruin”.

“Eric Adams “è il volto bugiardo della repressione nei campus, “The Nation”.

 

Quindi, i cosiddetti "contro-manifestanti" non erano affatto dei veri e propri manifestanti.

 Non sono stati nemmeno impiegati per promuovere la posizione politica di Israele, ma per molestare, intimidire e brutalizzare le persone che vedono come una potenziale minaccia alla pulizia etnica israeliana di Gaza.

 Si trattava di agitatori che non erano impegnati nell'esprimere le proprie convinzioni sincere, ma si concentravano interamente sulla soppressione della libertà di parola degli altri.

E questo non è l'unico esempio che dà credito alle affermazioni di Finkelstein.

 C'è anche il bizzarro caso di Rebecca Weiner, i cui dettagli sono davvero raccapriccianti.

Questo è tratto da un articolo di “Grayzone”:

“Rebecca Weiner” è una professoressa della” Columbia University” che ricopre anche il ruolo di direttrice dell'intelligence della polizia di New York.

 Il sindaco “Eric Adams” le attribuisce il merito di aver spiato i manifestanti studenteschi anti-genocidio e di aver diretto il raid militarizzato che li ha scacciati dal campus.

La violenta repressione degli studenti della Columbia University che protestavano contro l'assalto genocida israeliano alla Striscia di Gaza è stata guidata da un membro della facoltà della scuola, ...

… A poche centinaia di metri dall'accampamento di protesta di Gaza, “Weiner” aveva un ufficio presso la” Columbia School of International and Public Affairs” (SIPA).

La sua biografia SIPA la descrive come una "Professoressa Associata Aggiunta di Affari Internazionali e Pubblici" che serve contemporaneamente come "dirigente civile responsabile dell'Ufficio di Intelligence e Antiterrorismo del Dipartimento di Polizia di New York City".

In quel ruolo, secondo il SIPA, Weiner "sviluppa priorità politiche e strategiche per “l'Intelligence & Counter terrorism Bureau” e rappresenta pubblicamente il “NYPD” in questioni che coinvolgono l'antiterrorismo e l'intelligence".

 

L'Ufficio antiterrorismo della polizia di New York ha attualmente un ufficio a Tel Aviv, in Israele, dove si coordina con l'apparato di sicurezza israeliano e mantiene un collegamento con il dipartimento. Weiner sembra fungere da ponte tra gli uffici del Bureau in Israele e New York.

 Il giro di vite della Columbia guidato dal prof universitario che raddoppia mentre la polizia di New York spetta a “The Grayzone”.

Ci sono così tante domande qui, è difficile sapere da dove cominciare.

Perché un "dirigente civile responsabile dell'Intelligence & Counter terrorism Bureau del Dipartimento di Polizia di New York" si maschera da professore a contratto alla Columbia?

E se, in effetti, “Weiner” "funge da ponte tra gli uffici del Bureau (NYPD) in Israele e New York", allora a che titolo sta raccogliendo informazioni sugli studenti americani che stanno semplicemente esercitando i loro diritti costituzionali?

La situazione di Weiner getta abbastanza dubbi sulle relazioni di Tel Aviv con Washington che ci dovrebbe essere un'indagine approfondita, ma probabilmente non accadrà.

Ciò che è più probabile che accada è che la collusione si approfondisca e diventi più diffusa fino a rappresentare una grave minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Ci siamo già?

Non lo sappiamo, ma abbiamo bisogno di sapere; così come abbiamo bisogno di sapere quanti "Weiners" stanno operando in posizioni di autorità in tutto il paese. Non è una proposta ragionevole?

Purtroppo, l'unica cosa di cui possiamo essere certi è che se “Weiner” fosse stata russa o cinese, sarebbe stata impacchettata a “Gitmo pell-mell” dove avrebbe dovuto affrontare una dieta costante di croste di pane e waterboarding.

 Questo è certo.

 Ecco di più sul collegamento israeliano con le violenze all'UCLA da”The Grayzone”:

“The Grayzone “ha ottenuto un dossier che dettaglia le identità degli” hooligan sionisti “che hanno aggredito i manifestanti studenteschi anti-genocidio dell'UCLA.

Il 30 aprile, trenta persone sono rimaste ferite quando una folla di teppisti sionisti ha selvaggiamente assaltato l'accampamento pro-Palestina dell'UCLA poco prima di mezzanotte...

La polizia dell'area di Los Angeles ha arrestato frotte di studenti che protestavano contro il genocidio israeliano sostenuto dagli Stati Uniti a Gaza,... (ma) fino ad oggi non ci sono stati arresti di sicari filo-israeliani. (La zona grigia identifica molte delle persone coinvolte.)

Aaron Cohen.

Cohen è un "analista dell'antiterrorismo" israeliano che si è integrato con la polizia poco prima del raid del 2 maggio.

Poco prima del raid,” Cohen” ha scritto su Instagram:

"Ho appena concluso un'operazione di infiltrazione silenziosa indipendente per @drphil stanotte nel cuore dell'accampamento dell'UCLA.

Ora sono qui con l'élite del “LASD SRT” che si sta preparando a entrare nell'accampamento antisemita pro terrorismo". …

Nel periodo precedente all'attacco erano presenti anche membri di “Magen Am”, una società di sicurezza privata ebraica con sede a Los Angeles fondata nel 2017 da “Yossi Eilfort,” un combattente di “MMA” diventato rabbino “Chabad”.

“ Magen Am”, che sostiene di impiegare 12 ex soldati israeliani e statunitensi, si autodefinisce "l'unica organizzazione ebraica senza scopo di lucro autorizzata a fornire servizi di sicurezza fisica e armata sulla costa occidentale degli Stati Uniti".

Parlando con il “Los Angeles Times”, “Eilfort” ha ammesso di essersi coordinato con l'UCLA in una contro-protesta del 28 aprile volta a inimicarsi l'accampamento pro-Palestina.

 Il gruppo mantiene uno stretto rapporto di lavoro con le forze dell'ordine locali.... Questa "partnership" sembra dare i suoi frutti, con la” Magen Am “che ora si vanta apertamente della sua capacità di influenzare le operazioni della polizia di Los Angeles.

Ma i loro legami con lo stato di sicurezza non finiscono qui.

Il sito ufficiale di “Magen Am” si vanta:

"Abbiamo collegamenti diretti con l'FBI e le forze dell'ordine locali, tra cui la polizia di Los Angeles. Il Dipartimento dello Sceriffo, l'ufficio del procuratore distrettuale e l'ufficio del procuratore degli Stati Uniti". …

Nel frattempo, alla “Columbia University”, due ex soldati dell'esercito israeliano che hanno attaccato gli studenti con un liquido chimico tossico "puzzola" lo scorso gennaio, mandando almeno 10 manifestanti anti-genocidio al pronto soccorso, non sono stati espulsi dal campus, né sono stati arrestati.

 "Non ci sono arresti e l'indagine è in corso", ha detto un portavoce della polizia di New York all' “HuffPost” :

 Smascherati gli aggressori dell'UCLA: incontra i violenti agitatori sionisti che la polizia di Los Angeles non ha arrestato, “The Grayzone”.

 

Cosa significa tutto questo?

Perché un analista dell'antiterrorismo israeliano è “embedded” con la polizia di Los Angeles e quale possibile legame ha con i manifestanti anti-genocidio dell'UCLA?

E perché i membri di una "società di sicurezza privata ebraica" sono impegnati in attacchi provocatori contro manifestanti pacifici?

 E quali sono, in nome del cielo, i "collegamenti diretti" che questa società di sicurezza ebraica ha con "l'FBI e le forze dell'ordine locali"?

 

Non si tratta di una questione banale.

Quello che stiamo vedendo qui è l'influenza profondamente radicata di un paese straniero che ora esercita un potere significativo all'interno delle forze dell'ordine federali e statali e delle agenzie di intelligence.

 Questo è un grosso problema.

 Se i lettori pensano che io stia esagerando l'importanza di questo problema, allora vi prego di dirlo.

Ma, se anche solo la metà di ciò che “Grayzone” sta riportando è vero, siamo in un mondo di guai.

Ecco di più da un pezzo di “Substack” di “Ken Klippenstein”:

 

Per i federali, si tratta di trasformare le proteste in una crisi di sicurezza nazionale, con un'immaginaria influenza straniera, simpatia per “Hamas” e altri gruppi terroristici e una minaccia per il governo stesso.

Mentre gli studenti continuano a parlare, e così tanti sono chiaramente scontenti della politica americana, il governo federale non ha perso tempo a far salire le risorse da tutto il paese mentre dipinge gli studenti come minacce alla sicurezza nazionale.

Ecco solo alcune delle agenzie federali che sono state coinvolte:

Federal Bureau of Investigation (FBI),

Servizio di protezione federale (FPS) - l'agenzia di applicazione della legge del Dipartimento della sicurezza interna che protegge gli edifici federali e altri beni, e

Homeland Security Investigations (HSI), il braccio investigativo del Dipartimento della Sicurezza Interna....

Nell'ambito della Strategia nazionale 2023 dell'amministrazione Biden per contrastare l'antisemitismo, un gruppo di altre agenzie è chiamato ad agire.

L'FBI.

In un'intervista alla NBC la scorsa settimana, il direttore dell'FBI “Christopher Wray” ha confermato che "condividiamo informazioni su specifiche minacce di violenza" riguardanti le proteste del campus.

Nella testimonianza di marzo al Congresso, “Wray” ha avvertito che "ci aspettiamo che il 7 ottobre e il conflitto che ne è seguito alimenteranno una pipeline di radicalizzazione e mobilitazione per gli anni a venire".

Mercoledì, quando gli è stato chiesto delle proteste nel campus, la portavoce della Casa Bianca “Karine Jean-Pierre” ha detto che "il Dipartimento di Giustizia e l'FBI continueranno a offrire supporto alle università e ai college nel rispetto delle leggi federali".

L'FBI è anche sotto pressione da parte del Congresso per reprimere le proteste.

“ The Intercept” ha anche riferito di una chiamata zoom in cui i rappresentanti J”osh Gottheimer” (D-NJ) e “Mike Lawle”r (R-NY), insieme a fiduciari di diverse università, hanno discusso di ciò che vedevano come la necessità di un intervento dell'FBI.

Partecipi alle proteste di Gaza? I federali stanno a guardare, Ken Klippenstein, Substack:

Capite l'immagine?

Quindi, le forze dell'ordine federali e le agenzie di intelligence sono già coinvolte e probabilmente stanno usando i loro straordinari poteri di sorveglianza per spiare i leader del movimento di protesta, infiltrarsi nei loro campi (con informatori confidenziali) e attuare una strategia di trucchi sporchi volta a intrappolare gli sfortunati manifestanti incoraggiando attività illegali o danni alla proprietà.

 Tutto questo è progettato per scoraggiare ulteriori "radicalizzazione e mobilitazione", che sono le parole d'ordine del direttore dell'FBI “Wray” per "presentare legalmente una petizione al governo affinché abbandoni il suo sostegno al genocidio di Gaza".

Tutti gli strumenti di coercizione statale sono ora concentrati su un piccolo gruppo di attivisti di principio che vogliono semplicemente impedire al loro governo di partecipare all'uccisione di donne e bambini nella loro patria storica.

E per questo, devono essere schiacciati.

Mi ricorda un discorso che John F. Kennedy pronunciò sul prato della Casa Bianca nel 1962 quando disse:

Coloro che rendono impossibile la rivoluzione pacifica renderanno inevitabile la rivoluzione violenta.

Amen, a quello.

 

 

 

 

Il vecchio genocida Joe deve andarsene!

Unz.com - FILIPPO GIRALDI – (17 MAGGIO 2024) – ci dice:  

 

È estremamente difficile discernere quale potrebbe essere il pensiero dietro l'incapace presidente “Joe Biden” e il suo team di politica estera e sicurezza nazionale “Blinken”-“Austin-Mainakas”.

Abbracciare Netanyahu non costituisce una politica estera.

O piuttosto, il problema è che non sembra esserci alcuna riflessione su di esso se lo si misura in base ai benefici che porta al popolo americano.

Tutto in realtà sembra derivare dal desiderio di costruire una narrazione che vinca le elezioni presidenziali di novembre, che fortunatamente saranno gestite contro un candidato repubblicano profondamente imperfetto di nome Donald J. Trump.

Ma guardate cosa c'è nel record di Biden:

il confine meridionale del paese con il Messico è poroso come un formaggio svizzero, consentendo letteralmente a milioni di immigrati illegali di entrare negli Stati Uniti da quando Biden è entrato in carica;

Washington sta combattendo e perdendo contemporaneamente due guerre inutili che coinvolgono potenze nucleari e che sono costate a un Tesoro quasi in bancarotta centinaia di miliardi di dollari;

e la Casa Bianca sta sanzionando inutilmente concorrenti non ostili come la Cina, rendendo illegali anche i siti di social media popolari come “TikTok” che hanno commesso il peccato di riportare e diffondere narrazioni accurate sul buon vecchio "migliore amico e più stretto alleato" Israele.

Com'era prevedibile, nessuna delle affermazioni sul valore dello Stato ebraico è vera, né è una democrazia, ma chi se ne frega quando ci si diverte a sparare alla gente e a spendere i soldi di qualcun altro?

Oh, e provate a esercitare il vostro diritto alla libertà di parola sancito dal Primo Emendamento manifestando contro il massacro israeliano di oltre 40.000 civili palestinesi che usano armi fornite dagli Stati Uniti e verrete colpiti alla testa da un poliziotto, forse arrestati e persino espulsi dall'università!

 Se volete vedere dove sta andando a parare, date un'occhiata ai rapporti sulla recente detenzione e interrogatorio da parte dell'FBI dell'illustre storico israeliano “Ilan Pappe” che cercava di entrare negli Stati Uniti attraverso l'aeroporto internazionale di Detroit.

Pappe è un critico del governo Netanyahu e della politica degli Stati Uniti, quindi è stato trattenuto, interrogato in dettaglio sui suoi contatti e gli è stato copiato il telefono prima di poter procedere.

Nel frattempo, un gruppo di “alti giudici federali” ha firmato una lettera in cui afferma che colpirà gli studenti che manifestano rifiutandosi di assumere laureati della “Columbia University Law School “come impiegati legali.

 E c'è anche un disegno di legge attualmente all'esame del Congresso che autorizzerebbe il governo a etichettare i manifestanti stranieri come "antisemiti e sostenitori del terrorismo" e deportarli, con alcuni che vanno a Gaza con l'aspettativa di essere uccisi, possibilmente dalle potenti Forze di Difesa Israeliane (IDF)!

Sarebbe un nuovo sviluppo sorprendente punire coloro il cui crimine consiste principalmente nella violazione di domicilio, anche dati i confini etici piuttosto vaghi stabiliti dalla guerra al terrorismo e dall'”Antisemitism Awareness Act”!

Oppure, si potrebbe seguire il percorso senatoriale guidato da un cinguettio “Lindsey Graham” che raccomanda di sganciare una bomba nucleare su Gaza per uccidere tutti coloro che sono sopravvissuti all'assalto israeliano.

 L'area potrebbe poi essere sviluppata dopo che le radiazioni si saranno esaurite per quelle splendide ville sul mare per ebrei suggerite solo dallo stimato genero di Trump, “Jared Kushner”.

A dire il vero, Joe a volte borbotta qualcosa che potrebbe essere visto positivamente, come il suo recente blocco per motivi umanitari di una “partita di bombe anti-bunker” in viaggio verso Israele a causa dell'insistenza di Benjamin Netanyahu che, qualunque cosa accada, avrebbe invaso Rafah per distruggere completamente Hamas e chiunque altro potesse mettersi sulla sua strada.

 Joe ha prevedibilmente ribaltato quella decisione martedì scorso, approvando una fornitura di munizioni da 1 miliardo di dollari dopo essere stato messo sotto pressione dagli israeliani e dai loro molti amici negli Stati Uniti, per includere una serie di membri del Congresso repubblicani amanti di Israele che hanno portato la loro lotta per conto dello Stato ebraico all'Aia, dove la Corte Penale Internazionale (CPI) è direttamente minacciata dall'ira americana per timore che cerchi di punire i leader israeliani per il loro genocidio in Israele.

Gaza.

Come ha detto “Bill Astore”:

"La scorsa settimana, il presidente Biden sembrava aver stretto una spina dorsale temporanea nel ritardare le spedizioni di armi 'offensive' a Israele per la sua invasione omicida di Rafah a Gaza.

Quella spina dorsale ha avuto una breve durata quando Biden ha annunciato [martedì] rinnovate spedizioni di carri armati e colpi di mortaio a Israele".

Anche il Congresso è entrato in gioco, con la Camera dei Rappresentanti, controllata dal Partito Repubblicano, che ha approvato un disegno di legge che obbligherebbe la Casa Bianca a continuare tutte le spedizioni di armi a Israele.

Joe potrebbe anche pensare a contributi politici, dato che gli ebrei americani donano la maggior parte dei finanziamenti del Partito Democratico, oltre a garantire un media amico nella sua campagna elettorale mentre dominano sia l'industria delle notizie che quella dell'intrattenimento.

Vedete, Joe riesce a capire alcune cose da solo di tanto in tanto!

 

Ecco il problema con Joe, a parte i circa 12 milioni di dollari in doni da fonti ebraiche/israeliane che ha ottenuto nella sua carriera politica.

Il suo pensiero tattico non si estende oltre i suoi interessi personali, per includere i suoi figli corrotti, una caratteristica molto simile a quella posseduta dal suo buon amico Netanyahu che sta affrontando accuse di corruzione in Israele.

 Joe crede di essere molto più intelligente di quanto non sia in realtà e pensa che una critica verbale occasionale del comportamento israeliano convincerà il suo pubblico di elettori che è davvero preoccupato per il continuo bilancio delle vittime a Gaza, dove gli israeliani hanno già mosso i primi passi nel loro attacco a Rafah usando i loro carri armati per penetrare nella zona presa di mira per distruggere e uccidere.

E per quanto riguarda il completamento e il funzionamento iniziale del molo galleggiante collegato a Gaza costruito da ingegneri militari statunitensi, non cambierà radicalmente la realtà sul terreno, anche se Biden sostiene che consentirà l'ingresso di cibo e aiuti medici tanto necessari.

 Israele continuerà a controllare la "sicurezza" di ciò che è permesso entrare a Gaza mentre Netanyahu vede il molo come un ponte verso il nulla, utilizzabile principalmente per esportare i palestinesi in eccesso in terre straniere che sono disposte o meno ad accettarli.

E la sua esistenza crea alcune possibilità interessanti.

Dato che presumibilmente sarà logisticamente supportato sul molo stesso da personale con sede negli Stati Uniti, Netanyahu potrebbe essere tentato di inscenare un attacco sotto falsa bandiera attribuito ad Hamas per uccidere alcuni americani e bloccare Biden nelle politiche di destra di Israele su Gaza d'ora in poi.

Tenete a mente che, in realtà, a Biden potrebbe importare di meno se tutti i palestinesi potessero essere "fatti sparire", così come vorrebbe vedere tutti i critici di Israele essere sottoposti alle punizioni più dure, tra cui il carcere e la negazione dei diritti fondamentali, nonché essere privati dei benefici governativi.

 Ha definito i manifestanti "trasgressori della legge" e diffusori di "caos" e il Congresso sta attualmente indagando sui presunti "organizzatori sovversivi" dei "terroristi anti-israeliani".

 

Biden e compagnia, così come Trump, che sta consigliando al governo israeliano di "finire il lavoro" con i palestinesi, chiaramente non hanno vere e proprie linee rosse che non devono essere superate quando si tratta di Israele.

 La guerra di sterminio degli abitanti di Gaza è stata accompagnata da una guerra più nascosta condotta dai coloni ebrei in Cisgiordania, che è stata in gran parte sotto l'occupazione israeliana dal 1967.

 I coloni, spesso armati, hanno attaccato palestinesi disarmati, distruggendo le loro case e le loro attività, rovinando i loro raccolti e vigneti, e persino uccidendoli in alcune occasioni.

La polizia e l'esercito israeliani non fanno nulla per fermare il divertimento e spesso partecipano loro stessi arrestando e picchiando palestinesi che sono colpevoli solo di essere palestinesi.

Centinaia di palestinesi sono stati arrestati senza accuse, a parte la "detenzione preventiva", da quando sono iniziati i disordini in ottobre e le carceri sono stracolme.

La chiara intenzione, verbalizzata senza alcuna vergogna da alti funzionari del governo israeliano come il ministro della Sicurezza” Itamar Ben-Gvir”, è quella di produrre un “Grande Israele ripulito dagli arabi”.

E Biden, che finge di favorire una soluzione a due stati per i disordini, aiuta il processo ponendo il veto alle risoluzioni delle Nazioni Unite che aiuterebbero a creare una sovranità separata per la Palestina.

Alcuni degli sviluppi recenti più oltraggiosi sono stati l'interferenza dei coloni con le spedizioni di cibo e medicine che entrano a Gaza, un punto che un Biden finto-simpatico sottolinea ripetutamente quando pontifica sul portare aiuti alle persone affamate che sono intrappolate senza un posto dove andare all'interno dell'enclave.

 Il giro di vite israeliano include anche il blocco del Mar Mediterraneo da parte della marina israeliana, che spara a tutti i disperati di Gaza che cercano di avvicinarsi all'acqua in modo da poter pescare il cibo.-

 Negli incidenti più recenti, osservati dall'esercito e dalla polizia israeliani in attesa ma inerti, i camion carichi di cibo sono stati bloccati, gli autisti e gli operatori umanitari sono stati rimossi e picchiati, e il cibo è stato distrutto e bruciato prima che i camion fossero trattati allo stesso modo.

In un altro caso, i coloni hanno scaricato enormi massi su una delle strade di accesso a un checkpoint che porta a Gaza, rendendolo impraticabile e bloccando qualsiasi aiuto.

Nel frattempo giornalisti e operatori umanitari vengono uccisi dall'esercito per impedire qualsiasi segnalazione di ciò che sta accadendo, mentre il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si rifiuta di condannare l'attività.

 Biden ha definito "oltraggiosa" l'interferenza con i convogli di assistenza, ma non ha fatto nulla al riguardo, né ha dato seguito alle promesse di sanzionare gli israeliani che attaccano i palestinesi o le loro proprietà in Cisgiordania.

L'intero problema è che Israele è un mostro, uno stato di apartheid che in qualche modo si sente autorizzato da Dio e dagli Stati Uniti a uccidere tutti i suoi vicini e a derubare i contribuenti americani per pagare ed equipaggiare il massacro.

Israele è sostenuto da un'onnipotente lobby interna degli Stati Uniti che include denaro ebraico illimitato e gruppi attivisti sionisti come l'”Anti-Defamation League” (ADL) guidata dall'orribile “Jonathan Greenblatt” e il venerabile “American Israel Political Affairs Committee” (AIPAC), entrambi i quali sono ora impegnati a raccogliere fondi per sconfiggere tutte le creature del Congresso che abbiano mai criticato lo Stato ebraico.

 L'ADL e l'AIPAC sono anche legate a "quella vecchia religione", i sionisti cristiani concentrati nel Partito Repubblicano che hanno le loro “Bibbie Scofield” saldamente conficcate tra le orecchie, dove si suppone che ci sia il loro cervello.

Una soluzione parziale sarebbe quella di fare in modo che i gruppi ebraico-sionisti si registrino come agenti governativi stranieri diretti da Israele secondo i termini del “Foreign Agents Registration Act “(FARA), che è esattamente quello che sono, ma questo non accadrà mai.

Il presidente John F. Kennedy cercò di registrare il gruppo precedente all'AIPAC e molti credono che abbia pagato il prezzo più alto per quell'affronto e per il suo tentativo di fermare il programma di armi nucleari di Israele.

Quindi, miei compatrioti americani, cosa dovremmo fare?

Bene, dovremmo fare tutto ciò che possiamo, il che include parlare di come siamo stati venduti dai nostri leader e opinionisti, e dovremmo continuare a farlo anche sapendo che cercheranno di metterci a tacere distruggendo la libertà di parola in questo paese.

 È tutto ciò che ci resta e dobbiamo continuare a opporci a quanto sta accadendo. Il primo passo, però, è quello di sbarazzarsi di politici come “Joe” e “Donald”, che sono stati completamente corrotti da più di cinquant'anni nel "sistema" e sono totalmente venduti e irresponsabili nei loro comportamenti.

Ci sono politici e giornalisti onesti là fuori e dobbiamo solo trovarli, sostenerli e farli eleggere e in posizioni in cui saranno in grado di portare un cambiamento nel modo in cui le cose vengono fatte a Washington!

Si potrebbe chiamarla la Nuova Rivoluzione Americana per ripristinare i nostri diritti e liberarci dall'oppressione straniera!

(Philip M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest, una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501 (c) 3).

 

 

 

Israele dice che non può commettere

 genocidio perché l'unico genocidio

è l'"Olocausto."

Unz.com - ANDREW ANGLIN – (18 MAGGIO 2024) – ci dice:

 

Beh, prima di tutto, "L'Olocausto" non c'è stato. Era una bufala totale. Questi ebrei bugiardi vi mostrano un mucchio di vecchie scarpe e dicono che significa che sei trilioni di loro sono stati gasati a morte in finte docce con porte di legno.

Ci credete?

Io no.

Quello che gli ebrei stanno facendo in questo momento a Gaza è il primo vero e legittimo genocidio, in quanto stanno tentando di sterminare un'intera razza di persone.

 Forse questo è accaduto in qualche momento della storia antica, ma niente di simile è accaduto in migliaia di anni.

“Reuters”:

Israele ha difeso la necessità militare della sua offensiva su Gaza venerdì alla Corte Internazionale di Giustizia e ha chiesto ai giudici di respingere la richiesta del Sudafrica di ordinare di fermare le operazioni a Rafah e ritirarsi dal territorio palestinese.

Il funzionario del ministero della Giustizia israeliano “Gilad Noam” ha definito il caso del Sudafrica, che accusa Israele di violare la “Convenzione sul genocidio”, "completamente avulso dai fatti e dalle circostanze".

"(Il caso) si fa beffe dell'atroce accusa di genocidio", ha detto “Noam”.

 Lo ha definito "un osceno sfruttamento della convenzione più sacra", riferendosi al trattato internazionale che vieta il genocidio, concordato dopo l'Olocausto degli ebrei europei nella seconda guerra mondiale.

La convenzione richiede a tutti i paesi di agire per prevenire il genocidio, e la Corte Internazionale di Giustizia, nota anche come “Corte Mondiale”, che esamina le controversie tra gli Stati, ha concluso che questo dà al Sudafrica il diritto di perorare la causa.

Una donna che ha urlato "bugiardi!" durante la presentazione di Israele è stata allontanata dalle guardie di sicurezza, una rara protesta nell'aula del tribunale "Great Hall of Justice" dell'Aia.

"C'è una tragica guerra in corso, ma non c'è alcun genocidio" a Gaza, ha detto “Noam”.

 

"L'Olocausto" deve essere processato.

Questi ebrei stanno affermando, spudoratamente, che a causa di questo cosiddetto "Olocausto" (mucchio di scarpe), hanno il diritto di massacrare chiunque vogliano.

Ogni volta che cominci a lamentarti di questi ebrei che uccidono tutti questi bambini, ti dicono "OLOCAUSTO".

Questo non sarebbe valido anche se l'Olocausto fosse reale, ma non era reale.

Era una grande bufala.

Dobbiamo spingere le persone a mettere in discussione questo Olocausto.

Hitler era una persona molto simpatica, un artista molto sensibile, e non avrebbe ucciso nessuno.

Questa è una stupida bugia. Non ci sono prove.

 Dove sono le fosse comuni?

Questa è la più grande menzogna della storia.

Beh, forse il coronavirus è la bugia più grande, o forse il riscaldamento globale, ma è sicuramente tra i primi tre.

Perché non ci sono prove di questa bufala?

Guarda il video:

Allora dimmi che credi alla versione ufficiale.

Tutta questa faccenda è una truffa gigantesca.

I nazisti erano i buoni.

 Forse accaddero alcune cose brutte, perché era una guerra, ma i nazisti combatterono la guerra più giusta di qualsiasi guerra moderna, e combatterono per proteggere la cristianità dai disgustosi ebrei che uccidevano Cristo.

Ditemi, se i nazisti avessero vinto, avremmo avuto bambini trans e immigrazione di massa.

Non puoi dirmelo.

I nazisti erano i buoni e non hanno fatto un Olocausto.

Avrebbero dovuto fare un Olocausto, francamente.

Non c'è davvero alcuna giustificazione per non massacrare semplicemente gli ebrei. Non è ragionevole dire qualcosa come "gli ebrei non meritano di essere massacrati".

Ovviamente lo fanno.

Almeno, milioni di loro lo fanno. Forse ce ne sono di buone, non lo so, ma non è proprio un mio problema.

Il mio problema è che ce ne sono milioni che stanno distruggendo tutto e devono essere isolati totalmente o semplicemente cancellati.

Russia e Cina:

due contro uno.

Unz.com - RAY MCGOVERN – (18 MAGGIO 2024) – ci dice:

 

Il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping e le loro squadre si incontrano giovedì a Pechino. (Konstantin Zavrazhin, Cremlino)

L'accoglienza estremamente calorosa del presidente cinese Xi Jinping nei confronti del presidente Vladimir Putin ieri a Pechino ha suggellato le sempre più formidabili relazioni strategiche Russia-Cina.

Si tratta di uno spostamento tettonico nell'equilibrio mondiale del potere.

L'intesa Russia-Cina suona anche la campana a morto per i tentativi dei neofiti della politica estera degli Stati Uniti di creare un cuneo tra i due paesi.

Il rapporto triangolare è diventato due contro uno, con gravi implicazioni, in particolare per la guerra in Ucraina.

Se i geni della politica estera del presidente degli Stati Uniti” Joe Biden£ continuano a negare, l'escalation è quasi certa.

 

In un'intervista pre-visita con “Xinhua”, Putin ha sottolineato il "livello senza precedenti di partenariato strategico tra i nostri Paesi".

Lui e “Xi” si sono incontrati più di 40 volte di persona o virtualmente.

Nel giugno 2018, “Xi” ha descritto Putin come "un vecchio amico del popolo cinese" e, personalmente, il suo "migliore amico".

Da parte sua, Putin ha osservato giovedì che lui e Xi sono "in costante contatto per mantenere il controllo personale su tutte le questioni urgenti dell'agenda russo-cinese e internazionale".

Putin ha portato con sé il ministro della Difesa “Andrey Belousov”, oltre a veterani come il ministro degli Esteri” Sergey Lavrov” e importanti “leader aziendali”.

Le dichiarazioni congiunte contano.

Xi e Putin hanno firmato giovedì una forte dichiarazione congiunta, simile a quella straordinaria che i due hanno rilasciato il 4 febbraio 2022 a Pechino.

 Ritraeva il loro rapporto come "superiore alle alleanze politiche e militari dell'era della Guerra Fredda. L'amicizia tra i due Stati non ha limiti, non ci sono aree 'proibite' di cooperazione..."

La piena portata di quella dichiarazione non è arrivata fino a quando Putin non ha lanciato l'”Operazione Militare Speciale” nel Donbass tre settimane dopo.

La reazione in sordina della Cina ha scioccato la maggior parte degli analisti, che avevano respinto la possibilità che Xi avrebbe dato al "migliore amico" Putin, in effetti, una deroga alla politica di non interferenza della Cina all'estero.

Nelle settimane successive, le dichiarazioni ufficiali cinesi hanno chiarito che “i principi della Westfalia” erano passati in secondo piano rispetto alla "necessità per ogni paese di difendere i propri interessi fondamentali" e di giudicare ogni situazione "in base ai propri meriti".

 

Guerra nucleare.

 

La dichiarazione di giovedì esprimeva preoccupazione per "l'aumento dei rischi strategici tra le potenze nucleari", riferendosi alla continua escalation della guerra tra l'Ucraina e la Russia, sostenuta dalla NATO.

Condanna "l'espansione delle alleanze militari e la creazione di teste di ponte militari vicino ai confini di altre potenze nucleari, in particolare con il dispiegamento avanzato di armi nucleari e dei loro vettori, nonché di altri elementi".

Putin ha senza dubbio informato Xi sui siti missilistici statunitensi già in Romania e Polonia che possono lanciare quelli che i russi chiamano "missili d'attacco offensivi" con un tempo di volo verso Mosca inferiore a 10 minuti.

Putin ha sicuramente detto a Xi delle incongruenze nelle dichiarazioni degli Stati Uniti riguardo ai missili nucleari a raggio intermedio.

Ad esempio, Xi è consapevole – così come i consumatori dei media occidentali non lo sono – che durante una conversazione telefonica del 30 dicembre 2021, Biden ha assicurato a Putin che "Washington non aveva intenzione di schierare armi offensive in Ucraina".

C'era gioia al Cremlino quella notte di Capodanno, poiché l'assicurazione di Biden era il primo segnale che Washington avrebbe potuto riconoscere le preoccupazioni per la sicurezza della Russia.

In effetti, Biden ha affrontato una questione chiave in almeno cinque degli otto articoli della bozza di trattato russo consegnata agli Stati Uniti il 17 dicembre 2021.

L'esultanza russa, tuttavia, fu di breve durata.

 

Il ministro degli Esteri Lavrov ha rivelato il mese scorso che quando ha incontrato “Antony Blinken” a Ginevra nel gennaio 2022, il segretario di Stato americano ha fatto finta di non aver sentito parlare dell'impegno di Biden nei confronti di Putin il 30 dicembre 2021.

Piuttosto, “Blinken” ha insistito sul fatto che i missili a medio raggio statunitensi potrebbero essere schierati in Ucraina e solo che gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a limitarne il numero, ha detto” Lavrov”.

La madre di tutti gli errori di calcolo.

Quando Biden è entrato in carica nel 2021, i suoi consiglieri gli hanno assicurato che avrebbe potuto giocare sulla paura della Russia (sic) nei confronti della Cina e creare un cuneo tra di loro.

 Questo è diventato imbarazzante e chiaro quando Biden ha indicato ciò che aveva detto a Putin durante il vertice di Ginevra del 16 giugno 2021.

Quell'incontro ha dato a Putin la conferma che Biden e i suoi consiglieri erano bloccati in una valutazione tristemente obsoleta delle relazioni Russia-Cina.

Ecco il modo bizzarro in cui Biden ha descritto il suo approccio a Putin sulla Cina:

"Senza citarlo [Putin] – cosa che non credo sia appropriata – permettetemi di fare una domanda retorica: avete un confine di migliaia di miglia con la Cina. La Cina sta cercando di essere l'economia più potente del mondo e il più grande e potente esercito del mondo".

La 'Compressione'.

 

All'aeroporto dopo il vertice, gli assistenti di Biden hanno fatto del loro meglio per portarlo sull'aereo, ma non sono riusciti a impedirgli di condividere più saggezza sulla Cina:

"La Russia si trova in una situazione molto, molto difficile in questo momento. Sono schiacciati dalla Cina".

 

Dopo queste osservazioni, Putin e Xi hanno passato il resto del 2021 a cercare di disilludere Biden dalla "stretta cinese" sulla Russia:

non è stata una stretta, ma un abbraccio fraterno.

Questo sforzo reciproco è culminato in un vertice virtuale Xi-Putin il 15 dicembre di quell'anno.

Il video del primo minuto della loro conversazione è stato ripreso dal New York Times, così come da altri.

Tuttavia, la maggior parte dei commentatori sembrava non coglierne il significato:

Putin:

"Caro amico, caro presidente Xi Jinping.

Il prossimo febbraio mi aspetto che potremo finalmente incontrarci di persona a Pechino come abbiamo concordato.

Faremo dei colloqui e poi parteciperemo alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici Invernali.

 Vi sono grato per l'invito a partecipare a questo evento storico".

Xi:

"Caro presidente Putin, mio vecchio amico. È un piacere per me incontrarvi alla fine di quest'anno in video, la seconda volta quest'anno, il nostro 37° incontro dal 2013.

Hai salutato ... Le relazioni Cina-Russia come modello di collaborazione internazionale nel 21° secolo, sostenendo con forza la posizione della Cina sulla salvaguardia dei suoi interessi fondamentali e opponendosi fermamente ai tentativi di creare un cuneo tra i nostri due paesi. Lo apprezzo molto".

Biden ne è ancora all'oscuro?

I suoi consiglieri gli hanno detto che la Russia e la Cina non sono mai state così vicine, con quella che equivale a un'alleanza militare virtuale?

L'elezione

Putin ha detto di essere consapevole che la politica di Washington nei confronti della Russia "è principalmente influenzata dai processi politici interni".

La Russia e la Cina valutano certamente che la politica di Biden sull'Ucraina sarà influenzata dall'imperativo politico di essere visti come un affronto alla Russia.

Se le teste calde dei paesi della NATO inviano "addestratori" in Ucraina, la prospettiva di un rispolvero militare è sempre presente.

 Ciò che Biden deve sapere è che, se si tratta di ostilità aperte tra la Russia e l'Occidente, è probabile che si trovi ad affrontare qualcosa di più del semplice tintinnio di sciabole nel Mar Cinese Meridionale e lo spettro di una guerra su due fronti.

I cinesi sanno di essere i prossimi in linea di successione per i ministeri della NATO/Est.

In effetti, non è un segreto che il Pentagono veda la Cina come il nemico numero uno.

Secondo la “Strategia di Difesa Nazionale del Dipartimento della Difesa”, "le priorità della difesa sono in primo luogo, la difesa della patria, al passo con la crescente minaccia multi-dominio posta dalla Repubblica Popolare Cinese".

Il Pentagono sarà l'ultimo a cantare un requiem per il mondo unipolare che non c'è più.

 Che la sanità mentale prevalga.

Il primo portafoglio di “Ray McGovern” come analista della “CIA” fu quello delle relazioni sino-sovietiche.

Nel 1963, il loro commercio totale era di $ 220 milioni; nel 2023, 227 MILIARDI DI DOLLARI.

 Fate i conti.

 

 

 

Lotte intestine e il Putin mediatore:

i leak Usa e le rilevazioni sul potere in Russia.

It.insideover.com - Andrea Muratore – (13 APRILE 2023) - ci dice:

 

La cautela russa nello spingere sull’uso propagandistico dei presunti documenti declassificati del Pentagono e degli altri apparati di sicurezza Usa si può spiegare alla luce delle recenti rivelazioni che segnalano consistenti trattazioni dello status del potere politico e militare di Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina contenuti nei file in questione.

Una nuova ondata di file anticipata dal” New York Times” presenta ben ventisette pagine di documenti provenienti dal cuore degli apparati di sicurezza Usa.

 Per precisione, essi includono in questo caso file del “National Security Agency”, dell’Ufficio del Direttore della National Intelligence e della “Joint Staff Intelligence Directorate” del Pentagono.

Le informazioni, specifica il quotidiano della Grande Mela, appaiono di seconda mano e cioè raccolte di memorandum e rapporti che la “talpa” ha avuto modo di usare e diffondere senza averli redatti di suo pugno con le informazioni originali.

E offrirebbero uno spaccato sulla visione che l’Occidente e gli Usa hanno del cuore conteso dell’impero di Vladimir Putin, in lotta intestina dopo l’invasione dell’Ucraina.

E, nota il “Nyt”, i dissidi sembrano essere profondissimi.

Si dà conferma della lotta tra apparati, con il servizio segreto interno (Fsb) furibondo con il ministero della Difesa per la sua riluttanza a riportare il numero reale di caduti in Ucraina.

Si parla di un Putin che vive in prima persona la necessità di mediare i conflitti tra i fedelissimi.

Si dà un numero preciso alle vittime che l’Fsb conta includendo i caduti della Guardia Nazionale Russa, dei ceceni e del gruppo Wagner: 110mila.

Meno dei 200mila stimati dagli Usa ma sicuramente più dell’imprecisato numero che la Difesa russa non comunica.

 

Inoltre, c’è spazio anche per l’affaire “apertosi nei mesi scorsi tra i mercenari del Wagner e gli apparati di potere di Mosca.

 “I nuovi documenti”, scrive il New York Times, “forniscono anche nuovi dettagli su una disputa molto pubblica a febbraio in cui “Yevgeny Prigozhin”, il magnate degli affari che gestisce la forza Wagner, ha accusato i funzionari militari russi di trattenere le munizioni urgentemente necessarie ai suoi combattenti.

Putin ha tentato di risolvere personalmente la disputa convocando “Prigozhin” e” Shoigu” in un incontro che si ritiene abbia avuto luogo il 22 febbraio”.

 

La nebbia di guerra che avvolge la problematica questione dei documenti rivelati nel server “Discord” di proprietà dello “YouTuber” filippino” wow-mao” è resa ancora più fitta da queste rivelazioni.

 I documenti sembrano rivelare, secondo quanto la stampa ha finora anticipato, uno spaccato del potere russo che mostra palesi conflittualità, ma anche un dato di fatto fondamentale:

Putin resta il punto di caduta del sistema.

 Fsb e Difesa sembrano non fidarsi l’una dell’altra?

La risposta è chiara, la loro fiducia va solo alla parola del presidente. Shoigu e Prigozhin confliggono?

 Ecco la mediazione di Putin.

Il “Putin collettivo” oltre il Putin individuale media e tiene unito un sistema di potere.

Quindi, da un lato i leak, se confermati, danneggerebbero l’immagine della Russia come potenza coesa nello sforzo bellico in Ucraina.

Ma valorizzerebbero in un certo senso quella del presidente, segnalandone l’indispensabilità.

I silenzi da Mosca su un caso che fa parlare di sé la stampa mondiale sono in tal senso emblematici.

 Si può, per ora, ipotizzare tutto:

una polpetta avvelenata di frange interne agli apparati Usa per mostrare le debolezze del Cremlino, ma anche una rivelazione partita da ambienti russi infiltrati nei gangli del potere americano per favorire regolamenti di conti a favore di Putin a Mosca.

Lo scenario è complesso e nuove rivelazioni possono cambiare il quadro. Ma ad oggi a regnare sovrana è un’inquietante incertezza che mostra la facile rivelazione degli arcani imperii delle potenze.

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