Il futuro che ci aspetta.

 

Il futuro che ci aspetta.

 

 

Elon Musk: “In futuro non ci sarà nessun lavoro.”

msn.com – Motorionline.it – Andrea Senatore – (25-5-2024) – ci dice:

 

Il numero uno di Tesla Elon Musk è tornato a parlare di futuro lanciando una nuova profezia che questa volta non riguarda il settore auto nello specifico ma si riferisce al mondo intero.

 Secondo il CEO della casa automobilistica americana in futuro non ci sarà nessun lavoro.

 Questo a causa dell’Intelligenza Artificiale che secondo lui non solo entrerà in qualsiasi tipo di lavoro ma finirà per prendere il sopravvento sostituendo l’uomo in ogni attività.

 

L’Intelligenza Artificiale è la più grande paura di Elon Musk.

Elon Musk ha detto ciò in occasione di” VivaTech 2024”, la fiera dedicata alla tecnologia a Parigi a cui ha partecipato in collegamento video.

 “Nessuno di noi avrà un lavoro quando l’intelligenza artificiale si evolverà e crescerà.

Se vorrete potrete lavorare un po’ come hobby.

L’intelligenza artificiale e i robot forniranno tutti i beni e i servizi necessari”.

Il CEO di Tesla ha definito l’intelligenza artificiale “la sua più grande paura”, il CEO di Space X ha dichiarato che invece la sua “più grande speranza è Marte” e che intende inviare persone su Marte “probabilmente entro 10 anni, ma forse anche tra i sette e gli otto anni”.

Secondo Elon Musk quando nessuno o quasi avrà più un lavoro sarà necessario prevedere un “universal high income”, un reddito universale elevato che sarebbe distribuito direttamente dai governi a tutti i cittadini.

Durante la conferenza, Musk ha menzionato i romanzi di “Ian Banks”, descrivendola come una visione utopica e drammatizzata di una comunità gestita dalla tecnologia moderna, e l’ha definita la rappresentazione più autentica e “la migliore visione di una futura intelligenza artificiale”.

(Elon Musk lancia Starlink in Indonesia: connessione Internet per le aree remote -Il Messaggero)

Ha poi riflettuto se gli esseri umani possano essere soddisfatti di una vita senza lavoro e carriera, sottolineando:

“Se i computer e i robot possono fare tutto meglio di noi, la nostra vita avrà ancora un qualche significato?”

Nonostante ciò, l’imprenditore statunitense ha espresso la convinzione che “forse c’è ancora un ruolo per gli esseri umani in questo, nel senso che possiamo dare un significato all’intelligenza artificiale”.

 Infine, ha lanciato un severo avvertimento ai genitori riguardo all’uso della tecnologia da parte dei figli, consigliando di limitare il tempo che questi trascorrono sui social media.

 

 

 

 

Ocse “Nel 2050, anche in Italia,

più inattivi che lavoratori.”

Adepp.info – Paola Venanzi – (10-9-2019) – ci dice:

 

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico non sembra avere dubbi: anche nel nostro Paese il rapporto tra lavoratori e pensionati potrà superare 1 ad 1.

Secondo l’ultimo studio Ocse “Working Better with Age”, presentato a Tokio, infatti, il numero di persone over-50 inattive o pensionate che dovranno essere sostenute dai lavoratori potrebbe aumentare di circa il 40%, arrivando nell’aera Ocse a 58 su 100.

E in Italia, Grecia e Polonia il rischio è di arrivare ad una realtà nella quale gli over-50 fuori dal mondo del lavoro sulle spalle di ogni lavoratore supereranno la proporzione di 1 a 1.

Un futuro “buio” al quale sembra che difficilmente il nostro Paese si sottrarrà.

A meno che non vengano adottate misure e politiche mirate.

Due i fattori scatenanti: il rapido invecchiamento della popolazione e la scarsa volontà di continuare a lavorare fino o dopo i 65 anni di età.

Nella prefazione dello studio si legge “Le persone oggi vivono più a lungo ma ciò che è un vantaggio per gli individui può essere una sfida per le società.

 Se non si fa nulla per modificare i modelli di lavoro e pensionistici esistenti, il numero di persone anziane inattive che dovranno essere supportate da ciascun lavoratore potrebbe aumentare di circa il 40% tra il 2018 e il 2050 in media nell’area OCSE.

Ciò metterebbe un freno all’aumento del tenore di vita e all’enorme pressione sulle giovani generazioni che finanzieranno i sistemi di protezione sociale.

 Il miglioramento delle prospettive occupazionali dei lavoratori più anziani sarà cruciale.

Allo stesso tempo, sarà necessario adottare un approccio nel corso della vita per evitare l’accumulo di svantaggi individuali rispetto alle carriere lavorative che scoraggiano o impediscono il lavoro in età avanzata.”

 

Cosa fare?

 

Di fronte al rapido invecchiamento della popolazione, l’Ocse invita i governi a promuovere “maggiori e migliori opportunità di lavoro in età avanzata per proteggere gli standard di vita e la sostenibilità delle finanze pubbliche”.

Ritardando l’età media in cui i lavoratori più anziani lasciano la forza lavoro e riducendo il divario di genere tra i giovani che entrano nel mercato del lavoro, l’aumento medio per l’area Ocse potrebbe infatti essere ridotto al 9%.

“Il fatto che le persone vivano più a lungo e in una salute migliore è un risultato da celebrare – ha affermato “Stefano Scarpetta”, direttore dell’”Organizzazione per l’Occupazione, il lavoro e gli affari sociali”, al lancio del rapporto a Tokyo.

 Ma un rapido invecchiamento della popolazione richiederà un’azione politica concertata per promuovere l’invecchiamento attivo in modo da compensare le sue conseguenze potenzialmente gravi per gli standard di vita e le finanze pubbliche”.

Certo molti progressi sono stati fatti in questi anni ma non sembrano essere sufficienti.

 In tutti i Paesi Ocse, l’età effettiva in cui gli anziani escono dal mercato del lavoro è ancora più bassa oggi rispetto a 30 anni fa, nonostante un numero maggiore di anni rimanenti di vita.

 Ciò è spiegato da una combinazione di scarsi incentivi a continuare a lavorare in età avanzata, riluttanza dei datori di lavoro ad assumere e trattenere lavoratori più anziani e investimenti insufficienti nell’occupabilità per tutta la vita lavorativa.

Nel report si legge “Ulteriori misure sono necessarie in molti paesi per garantire che il lavoro in età avanzata sia incoraggiato e non penalizzato.

 Le norme sull’occupazione e le retribuzioni per anzianità dovrebbero essere riviste e riformate ove necessario in modo da aumentare la domanda di lavoro per i lavoratori più anziani e scoraggiare il ricorso a forme precarie di occupazione dopo una certa età. Sono inoltre necessarie una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro e migliori condizioni di lavoro in generale.

Ad esempio, un lungo orario di lavoro può dissuadere alcune persone anziane dal lavorare più a lungo e impedire ad alcune donne, che tornano dalle pause di educazione dei figli, di perseguire carriere lavorative più lunghe.

Cattive condizioni di lavoro in giovane età possono portare a cattive condizioni di salute e al pensionamento anticipato in età avanzata”.

“È anche importante investire nelle competenze dei lavoratori più anziani – afferma l’OCSE.

Molti di loro mostrano livelli più bassi di prontezza digitale rispetto ai loro figli e nipoti e partecipano molto meno alla formazione professionale rispetto ai lavoratori più giovani.

“Un fattore chiave che impedisce ai lavoratori più anziani di colmare il divario di competenze con i dipendenti più giovani sta nel fatto che i datori di lavoro di solito non vedono i vantaggi di investire nella formazione dei loro dipendenti più anziani” – ha affermato “Stefano Scarpetta”.

 Fornire buone opportunità ai lavoratori per migliorare le proprie competenze e apprenderne di nuove durante le loro carriere lavorative è un requisito fondamentale per favorire una vita lavorativa più lunga in lavori di buona qualità”.

La raccomandazione che il Consiglio OCSE rivolge ai Governi si può riassumere in tre grandi aree:

Premiare il lavoro in età avanzata:

i) garantendo che il sistema pensionistico incoraggi e ricompensi il pensionamento successivo in linea con una maggiore aspettativa di vita e fornendo una maggiore flessibilità nelle transizioni tra lavoro e pensionamento;

ii) limitare l’uso di piani di prepensionamento finanziati con fondi pubblici e scoraggiare il pensionamento obbligatorio da parte dei datori di lavoro;

iii) garantire che le prestazioni previdenziali siano utilizzate per fornire sostegno al reddito per coloro che non sono in grado di lavorare o cercano attivamente lavoro e non come regimi di prepensionamento di fatto.

Incoraggiare i datori di lavoro a trattenere e assumere lavoratori più anziani:

i) affrontando la discriminazione basata sull’età nelle assunzioni;

ii) cercare una migliore corrispondenza tra i costi del lavoro e la produttività dei lavoratori più anziani, lavorando con le parti sociali per rivedere le pratiche di fissazione dei salari ed eliminare le regole speciali di protezione del lavoro basate sull’età;

iii) incoraggiare le buone pratiche dei datori di lavoro nella gestione di una forza lavoro diversificata per età.

Promuovere l’occupabilità dei lavoratori durante la loro vita lavorativa:

i) migliorando l’accesso all’apprendimento permanente e al riconoscimento delle competenze;

ii) migliorare le condizioni di lavoro e la qualità del lavoro a tutte le età;

iii) fornire un’assistenza occupazionale efficace ai lavoratori più anziani che affrontano la perdita di posti di lavoro o desiderano trovare un altro lavoro.

 

Premier Georgiano: “Dalla UE mi

Dicono: ‘Lo Sai Cosa è Successo a Fico?’ “

Conoscenzealconfine.it – (26 Maggio 2024) – ci dice:

 

Premier Georgiano: “Il commissario UE Vàrhelyi mi ha minacciato di fare la fine di Fico”.

Vàrhelyi: “Frainteso”.

Il primo ministro georgiano “Kobakhidze” ha pubblicato una dichiarazione ufficiale affermando di essere regolarmente ricattato da “politici stranieri di alto rango”, (a causa del disegno di legge che prevede che le ong e i media che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti dall’estero si registrino come organismi “che perseguono gli interessi di una potenza straniera“)

ma che è rimasto “particolarmente inorridito” durante la conversazione telefonica con un anonimo commissario europeo, il quale “ha elencato la gamma di misure che i politici occidentali potrebbero adottare se superiamo il veto” e, in questo contesto, ha ricordato la sorte del primo ministro slovacco Fico.

Il Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato Olivér Várhelyi ha ammesso ufficialmente di aver parlato a telefono dell’argomento con Kobakhidze, ma che le sue parole “sono state estrapolate dal contesto”:

 “Con riferimento alla dichiarazione rilasciata dal Primo Ministro della Georgia il 23 maggio 2024, con la presente desidero esprimere il mio sincero rammarico per il fatto che una parte della mia conversazione telefonica sia stata estrapolata dal contesto. […]

Essendo pienamente consapevole del fortissimo sentimento pro-UE della società georgiana, durante la mia conversazione telefonica ho sentito il bisogno di richiamare l’attenzione del Primo Ministro sull’importanza di non infiammare ulteriormente la già fragile situazione, adottando questa legge che potrebbe portare a un’ulteriore polarizzazione e a possibili situazioni incontrollate per le strade di Tbilisi.

A questo proposito, l’ultimo tragico evento in Slovacchia è stato citato come esempio e come riferimento a dove può portare un livello così elevato di polarizzazione in una società anche in Europa.

Ancora una volta, mi rammarico che una parte della mia telefonata non solo sia stata completamente estrapolata dal contesto, ma sia stata anche presentata al pubblico in un modo da poter dare luogo a un’interpretazione completamente errata dello scopo originariamente previsto della mia telefonata“.

(t.me/rossobruni)

(x.com/CivilGe/status/1793626722132283789)

(ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_24_2821)

 

 

 

 

 

Nell’Ultima Modifica Del Trattato

Pandemico dell’OMS Spunta

un “Esercito Sanitario” Globale.

Conoscenzealconfine.it – (24 Maggio 2024) – Redazione – ci dice:

 

L’iniziativa di Bill Gates: un “Esercito Sanitario” globale per affrontare le pandemie.

L’ultima versione del nuovo trattato pandemico dell’OMS menziona per la prima volta una “forza lavoro per l’emergenza sanitaria globale”, o un corpo internazionale di “professionisti sanitari” che può essere schierato per “combattere le pandemie”, hanno scoperto “Elze van Hamelen” e “Karel Beckman”.

Di questo non si parlava nelle bozze precedenti.

 

Questo è esattamente ciò che ha suggerito l’anno scorso il miliardario Bill Gates, il più grande donatore privato dell’OMS.

In un articolo d’opinione apparso sul “New York Times” sulla prossima pandemia, il fondatore di Microsoft ha scritto che deve esserci un “esercito sanitario” internazionale per affrontare le “minacce”.

Ha aggiunto che il mondo ha bisogno di “un sistema ben finanziato” che sia pronto a rispondere “quando ci sono minacce”.

Nel 2022, l’OMS ha già lanciato la strategia “Emergency Medical Teams 2030”, che prevede la creazione di un esercito sanitario internazionale, scrivono Van Hamelen e Beckman su “The Other Newspaper”.

Questo corpo è progettato per condurre esercitazioni e simulazioni per prepararsi alla prossima pandemia.

 “Il piano di Bill Gates sembra ora essere tranquillamente incorporato nel previsto trattato internazionale sulla pandemia”.

Il medico australiano “David Bell”, che ha lavorato per nove anni per l’OMS, ritiene che la proposta sia “estremamente problematica”.

Bell paragona un tale “esercito sanitario” alle “missioni di pace” militari delle Nazioni Unite.

Bell sospetta che i corpi verranno schierati nei paesi più piccoli se non collaboreranno sufficientemente con le misure dell’OMS.

In teoria, potrebbe anche essere utilizzato per far rispettare le misure. “Si tratta di una cosa con cui l’OMS non dovrebbe avere nulla a che fare”, dice il medico.

(newsacademy.it/scienze-e-salute/2024/05/21/nellultima-modifica-del-trattato-pandemico-delloms-spunta-un-esercito-sanitario-globale-per-affrontare-le-pandemie-liniziativa-di-bill-gates/)

 

 

 

 

 

"Entro il 2050 l'Europa sarà al

centro di conflitti e instabilità"

 ilgiornale.it – (19 Dicembre 2023) - Felice Manti – ci dice:

 

L'ex capo degli 007 inglesi David Omand: Le nostre società sono fragili perché troppo interconnesse.

Perché nel 2023 è fondamentale prepararsi alle crisi?

 L’Unione europea sopravviverà alla futura immigrazione di massa attraverso il Mediterraneo dovuta al cambiamento climatico?

 Sono domande che in questa «Era del rischio» che viviamo (per usare una felice definizione dell’”agenzia di Risk rating Kelony”) in molti osservatori si pongono.

 Lo abbiamo chiesto all’ex direttore dell'intelligence inglese” David Omand”, che nei giorni scorsi è stato ospite dell’Associazione per il Progresso del Paese, con una lectio magistralis (link) sul suo ultimo libro, «How to Survive a Crisis» in cui si analizza la natura delle crisi moderne, comprese quelle derivanti dal mondo digitale.

«Mi baso sulla mia esperienza di supporto ai governi britannici in tempi buoni e cattivi, ma sottolineo che sono ormai in pensione e che le opinioni espresse sono mie in quanto accademico e non devono essere considerate come opinioni del governo britannico», è la sua premessa.

 

L’Italia ha in mente un Piano Mattei per l’Africa. È da lì che arriveranno le minacce all’Occidente?

"Con il cambiamento climatico assisteremo a ondate di calore letali, incendi selvaggi, desertificazione, innalzamento del livello del mare, instabilità politica, interruzioni dell'approvvigionamento alimentare, eventi meteorologici estremi, perdita di biodiversità, estinzioni di massa, collasso ecologico - nel complesso dobbiamo aspettarci entro il 2050 conflitti, sconvolgimenti socioeconomici e senza dubbio migrazioni di massa attraverso il Mediterraneo.

Immaginate se queste persone disperate diventassero gruppi armati?".

Quali sono le differenze tra le prossime crisi e quelle del secolo scorso?

"La differenza è che tutte le nostre società stanno diventando più che mai vulnerabili ai grandi cambiamenti improvvisi.

 I sistemi da cui dipende la vita quotidiana sono più complessi e connessi.

Le catene di approvvigionamento e le infrastrutture nazionali dipendono dalla tecnologia dell'informazione, dai dati e dalla connettività Internet. Viviamo in società che si basano sui dati per il loro funzionamento efficiente e questo comporta nuovi rischi".

 

Possiamo fare qualche previsione o...

"Non possiamo sapere nel dettaglio come i nostri figli e nipoti saranno messi alla prova nei prossimi anni.

L’intelligence per quanto buona, non può rispondere a domande impossibili.

Nel mondo dell’intelligence chiamiamo queste domande “misteri” e non “segreti”".

 

E il nostro futuro dipenderà da cosa?

"Il nostro futuro sarà governato dall’esito di questi “misteri” come, per esempio, i seguenti:

 Donald Trump sarà nominato e poi eletto nuovamente presidente, e quali saranno le conseguenze per l’Ucraina e la sicurezza europea?

La Ue sopravviverà fino al 2050 date le tensioni al suo interno tra il nazionalismo populista di destra in stile Victor Orban e la necessità di una solidarietà collettiva europea per quanto riguarda le relazioni con la Russia e, soprattutto, la futura immigrazione di massa attraverso il Mediterraneo dovuta al cambiamento climatico?

 

C’è il rischio che gli Stati europei arrivino ad affrontare tutte queste crisi impreparati?

"Dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre, la Commissione d'inchiesta del Congresso degli Stati Uniti ha messo in guardia da quello che ha definito il “paradosso dell'allerta”.

Troppo spesso si rinvia l'investimento in misure preventive adducendo come motivazione il fatto che le priorità immediate sono più urgenti.

 Ma quando la sfortuna o qualche evento scatenante fa esplodere la crisi, i problemi possono essere ormai così radicati da essere quasi irrisolvibili".

Nel suo libro utilizza spesso la parola “anticipare” …

"Non è necessario che tutti i cambiamenti inattesi della nostra vita diventino crisi, a patto di averne previsto la possibilità. E non è necessario che ogni crisi si trasformi in un fallimento e in un disastro, a condizione che si sia investito a sufficienza nella resilienza personale, aziendale e nazionale. Questo dipende da noi".

 

 

 

La bioeconomia nel 2050:

quattro scenari per l’Unione europea-.

Futuranetwork.eu - Andrea De Tommasi – (20-5-2023) – ci dice:

Un nuovo rapporto del “Joint research center “esplora gli sviluppi dell’economia in cui tutto è risorsa.

La previsione più sfavorevole è al momento la più realistica.

Garantire la sicurezza alimentare e nutrizionale, gestire le risorse naturali in modo sostenibile, limitare e adattarsi ai cambiamenti climatici.

 Sono alcune delle funzioni cui può contribuire la bioeconomia, componente che comprende tutti i settori economici e industriali che fanno affidamento sulle risorse biologiche rinnovabili, dalla terra e dal mare.

Un sistema che costituisce una parte importante dell’economia dell’Unione europea, generando il 4,7% del Prodotto interno lordo e impiegando l'8,9% della forza lavoro nell’Ue nel 2017.

Un team del “Network of Experts on Bioeconomy” (NoE), tra cui il professor “David Chiaramonti” del “Politecnico di Torino”, ha elaborato per conto del “Joint research center” della “Commissione europea” quattro scenari previsionali verso una bioeconomia sostenibile, pulita ed efficiente sotto il profilo delle risorse, con particolare attenzione alla neutralità climatica e allo sviluppo sostenibile.

 Gli scenari sono stati presentati in un rapporto pubblicato ad aprile con il titolo “Foresight Scenarios for the EU bioeconomy in 2050”. L’analisi mostra per ciascuna alternativa il contributo agli obiettivi della Strategia dell'Ue per la bioeconomia e agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.   

Nel primo scenario, intitolato “Do it for us”, la politica è un fattore chiave del cambiamento.

Nel 2030, gli obiettivi del “Green Deal europeo” sono stati raggiunti in agricoltura, pesca e silvicoltura.

Nel 2050 la quota dell'agricoltura biologica è del 70% della superficie agricola;

 le aree protette coprono il 40% del territorio europeo, la bioeconomia è “carbon neutral”, i pesticidi e gli antibiotici vengono utilizzati solo per ragioni di emergenza.

 A causa dei cambiamenti climatici, della riduzione dei terreni agricoli e dell'adozione di metodi di coltivazione meno intensivi, il volume di produzione è diminuito del 25% rispetto ai livelli del 2020.

Tuttavia, il comportamento dei consumatori è frammentato e polarizzato.

Nel 2050 la disponibilità ad acquistare prodotti di alta qualità (compresi quelli biologici), a emissioni zero, è aumentato in tutta Europa. Un segmento di consumatori “pesanti” continua però a dominare il mercato.

Il secondo scenario, dal titolo “Do it together”, delinea un futuro in cui il sistema politico e la società sono allineati per raggiungere l'obiettivo della neutralità climatica e gli SDGs dell’Agenda 2030.

 Le aziende si adattano rapidamente e fanno parte del cambiamento.

Il processo di transizione include tutti gli attori.

La trasformazione della bioeconomia verso la circolarità e la sostenibilità è progredita in modo convincente, anche nel settore dei rifiuti.

Questo cambiamento radicale, osserva il Rapporto, è il risultato di massicce crisi ecologiche e politiche in tutta Europa, che hanno aumentato la sensibilità alle questioni ambientali, il desiderio di stili di vita più sani e la giustizia sociale.

Nello scenario “Do it ourselves”, il sistema politico mostra un'incapacità di attuare politiche significative in materia di clima e Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Tuttavia, i consumatori avrebbero mutato i loro comportamenti sotto la spinta di movimenti sociali sempre più influenti e all'indomani di una serie di crisi drammatiche.

Questo cambiamento della domanda spinge il sistema di produzione ad adattarsi.

 Nel 2050 il livello di produzione alimentare diminuisce del 25%. La dimensione media delle aziende agricole e l'indice di diversità delle colture dell'agricoltura sono aumentati.

Una parte crescente dei terreni agricoli viene trasformata in agricoltura mista, rafforzando pratiche di coltivazione basate sul carbonio, come l'agro forestazione e la rotazione delle colture.

 

Il quarto scenario, intitolato “Do what is unavoidable”, immagina un futuro in cui gli stili di vita non sono cambiati in modo significativo rispetto ai modelli “business as usual” e il sistema politico non ha introdotto politiche proattive, limitandosi ad adottare - con un certo ritardo - misure di risposta alle crisi.

 Gli obiettivi del Green deal europeo sono chiaramente mancati.

Il cambiamento climatico accelera il degrado del suolo, portando alla perdita di superficie agricola e all'abbandono della terra.

La produzione del 2050 è inferiore del 25% rispetto ai livelli del 2020.

Per alcuni prodotti alimentari ciò̀ comporterà periodici surplus e conseguenti crisi di mercato con prezzi in aumento e fluttuanti.

La malnutrizione nella società̀ tende ad aumentare.

Questo scenario, rilevano gli autori, è il più sfavorevole, ma potrebbe essere anche il più realistico, viste le tendenze degli ultimi tre decenni.

 

Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione europea per “Interinstitutional relations & foresight”, ha così commentato lo studio:

 "La previsione strategica aiuta a identificare le sfide future e i modi per prepararle, sostenendo il processo decisionale in modo efficace.

Applicato alla bioeconomia, è quindi vitale, poiché viviamo in un mondo di risorse limitate.

Il rafforzamento di una bioeconomia sostenibile e circolare ci aiuterà a creare nuove catene del valore a base biologica in tutta Europa, dimostrando al contempo che la prosperità e la salute del nostro ambiente possono andare di pari passo ".

(Andrea De Tommasi)

 

 

 

 

La sostenibilità non è solo ambientale,

ma anche economica e sociale.

Lasvolta.it – (31-1-2024) – Alessandra Quaranta intervista Martina Rogato – ci dicono:

(Martina Rogato, consulente Esg - Environmental, Social and Governance (e non solo), ha raccontato a La Svolta qual è il legame tra ambientalismo e questioni di genere: «L’errore più comune è non avere un approccio integrato»)

Fin dal primo giorno, “La Svolta” si è occupata di raccontare i grandi cambiamenti in corso nel mondo, prestando particolare attenzione all’ambiente, ai diritti, all’innovazione sociale, culturale e tecnologica, dando voce soprattutto ai giovani e alle donne, nelle cui mani è riposto il futuro, a partire dalla transizione ecologica.

Per fare questo, vuole dare spazio e parola a professionisti e professioniste impegnate nel sociale, fonti di ispirazione, che con la loro visione e intraprendenza ogni giorno si impegnano a far rete e a creare progetti di crescita, per migliorare il benessere della comunità.

Ha quindi intervistato Martina Rogato:

 calabrese, che ha vissuto in Francia, Belgio e Cina, è una consulente che dal 2012 accompagna le aziende in progetti di sostenibilità e diversity e che nel 2022 ha fondato la società di consulenza ESG Boutique; è inoltre Co-fondatrice e Presidente onoraria di Young Women Network e fa parte del Women20 Italy, dove nel 2020 è stata scelta come Sherpa e Portavoce per la presidenza italiana del G20. L’anno scorso è stata nominata Co-chair del Women7 per la presidenza italiana del G7 2024 e scelta tra le 100 donne che stanno cambiando l’Italia (Start-up Italia).

 

Ci racconta brevemente la sua carriera e i risultati di cui è più orgogliosa?

Uno dei risultati della quale sono più orgogliosa è di aver contribuito alla costruzione di un’associazione nazionale “Young Women Network”, la prima organizzazione in Italia sull’”empowerment delle giovani donne”.

 In secondo luogo, sono stata molto fiera di essere stata nominata durante la presidenza del G20 italiano “Sherpa per l’Italia di Women20, engagement group ufficiale del G20 sulla parità di genere”.

Sono molto felice che alcune delle tematiche di genere che abbiamo presentato al Vertice siano poi diventate parte della Dichiarazione dei leader.

 

Si ricorda quando e per quale “battaglia” ha iniziato a essere un’attivista per la sostenibilità?

 

Devo la mia consapevolezza di attivista alla scuola “Amnesty “che per me è stata una palestra di vita.

 Ricordo la mia prima vera protesta davanti una nota “Oil & Gas nazionale “contro l’inquinamento del “Delta del Niger “auspicando una sua bonifica, dove abbiamo comprato delle quote simboliche di questa società per poter entrare in Assemblea degli azionisti e spiegare le nostre ragioni all’amministratore delegato e ai suoi soci.

Come professionista e come attivista non vivo bene la deriva che i social media stanno prendendo in questo momento dove tutti si improvvisano divulgatori con contenuti senza cognizione di causa mentre a mio avviso essere preparati e competenti, studiare, sporcarsi le mani, è fondamentale per fare la differenza.

 

Quali sono state le risorse (libri, persone) che l’hanno supportata o ispirata nella consapevolezza del suo attivismo verso la sostenibilità?

 

Dovunque tu vada, ci sei già di” Jon Kabat-Zinn” è un libro che consiglio a tutti di leggere che non parla di sostenibilità ma parla di cammino, percorso di vita.

 E per me è stato davvero un libro illuminante.

 

Ci descrive il lavoro di una “Designer di Sostenibilità” (ESG Boutique)?

 

In” ESG Boutique”, la società che ho fondato da due anni, ci definiamo designer di sostenibilità perché l’idea è quella di ascoltare le esigenze, di cucire strategie e progetti “su misura” per ogni “brand” attraverso l’ascolto e la capacità di trovare soluzioni che possano incontrare l’esigenza di tenere dei costi contenuti da parte delle aziende ma al contempo la possibilità di ottenere dei risultati e degli avanzamenti concreti.

Per noi è fondamentale effettuare uno screening reputazionale delle imprese che ci chiedono supporto e scegliamo di accompagnare “player” che sono veramente interessati a fare un percorso concreto e non “greenwashing”.

 

Vede un cambiamento delle aziende in questo senso?

Negli ultimi anni ci sono sempre più aziende che si interfacciano a professionisti come voi.

 

Fino a sei anni fa eravamo una nicchia che nessuno conosceva su temi che riguardavano solo un gruppetto ristretto di persone.

Adesso siamo diventati, per fortuna, mainstream.

Oggi, la reale necessità è quella di distinguere il green e social washing, quindi l’ambientalismo e l’attivismo di facciata dall’impegno concreto.

 C’è stata un’accelerazione dovuta sia a una maggiore sensibilità dei consumatori - consumatrici sia da parte dell’Unione europea che sta emettendo diversi regolamenti e direttive in materia a cui le aziende devono far riferimento.

 Anche in Italia, c’è un certo dinamismo finalmente.

Come nel caso della certificazione di parità di genere, su base volontaria, ma con sgravi fiscali e punteggi più alti in gare d’appalto pubbliche e private che incentivano indirettamente le aziende a dotarsi di una policy, fare divulgazione dei dati e iniziare un percorso concreto di maggiore consapevolezza.

 

Quali suggerimenti darebbe ai/alle professionisti/e che vogliono realizzarsi nel suo ambito lavorativo?

 

Il primo consiglio è investire in formazione autorevole e di qualità, scegliendo con attenzione a chi affidarsi:

a marzo con ESG Boutique lanceremo la seconda edizione delle nostre Masterclass sulla sostenibilità.

Secondo suggerimento: avere la cognizione che è una disciplina in divenire, in cui non si smette mai di apprendere.

 

Che correlazione esiste tra sostenibilità e questioni di genere?

L’errore più comune è non avere un approccio integrato alla sostenibilità considerando solo l’ambiente e non la sostenibilità sociale ed economica.

Finalmente, a oggi, ci sono degli studi seri resi noti da molte agenzie delle Nazioni Unite che riscontrano le connessioni fra il cambiamento climatico e le questioni di genere.

 Dove le donne, specialmente quelle nate nei Paesi del cosiddetto “Sud Globale” sono più impattate dal cambiamento climatico e dalla crisi ambientale.

 

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’Onu, è un programma d’azione per lo sviluppo economico, ambientale e sociale rivolto al benessere delle persone, al Pianeta e alla prosperità per condividere l’impegno a garantire un presente e un futuro migliore entro il 2030.

L’Italia a che punto è nella consapevolezza sul tema sia della sostenibilità che della parità di genere?

Per essere un Paese G7 non siamo assolutamente messi bene;

infatti, secondo il “World Economic Forum” siamo al 79° posto su 143° Paesi in tema di divario di genere verso la partecipazione politica.

Un lieve miglioramento lo riscontriamo in termini di partecipazione economica al mondo del lavoro ma a mio parere il cambiamento culturale di cui necessitiamo richiederà lunghe tempistiche e importanti sfide.

 

Può indicarci 3 profili di professionisti/e attivisti/e che, secondo lei, possono essere fonte di ispirazione?

 

Veronica Buonocore”, presidente di Young Women Network; “Claudia Segre,” presidente di Global Thinking Foundation, fondazione che promuove la diffusione dell’alfabetizzazione finanziaria e digitale per una cultura consapevole del risparmio e della sua gestione attraverso progetti di cittadinanza economica, secondo un approccio valoriale al tema dell’economia e della finanza nell’ottica di prevenire la violenza economica e l’abuso finanziario; e infine “Teresa Golino”, esperta in turismo sostenibile.

 

Qualche consiglio per diventare consumatori più attenti?

A mio avviso bisogna porsi sempre delle domande sugli acquisti che facciamo, mettendosi in discussione e continuando a informarsi in base alle nostre possibilità, alle nostre sensibilità ed esigenze.

(Martina Rogato è una consulente che dal 2012 accompagna le aziende in progetti di sostenibilità e diversity e che nel 2022 ha fondato la società di consulenza ESG Boutique; è inoltre Co-fondatrice e Presidente onoraria di Young Women Network e fa parte del Women20 Italy, dove nel 2020 è stata scelta come Sherpa e Portavoce per la presidenza italiana del G20. L'anno scorso è stata nominata Co-chair del Women7 per la presidenza italiana del G7 2024 e scelta tra le 100 donne che stanno cambiando l'Italia -Start-up Italia).

 

 

 

 

I 3 pilastri della Sostenibilità:

ambientale, sociale ed economica.

 

Enel.com – (15 giugno 2023) – Redazione – ci dice:

La sostenibilità rappresenta un approccio fondamentale per affrontare le sfide globali attuali e future, legate non solo all’ambiente. Ecco di cosa si tratta.

“Ad esempio un gruppo di giovani uomini e giovani donne si possono riunire per piantare verdure in un orto comunitario”.

La Sostenibilità, i 3 pilastri ESG e SDG.

Quando si parla di sostenibilità, ci si riferisce a un modello di sviluppo in grado di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di realizzare i propri.

È un approccio olistico che considera gli impatti sociali, ambientali ed economici delle azioni e delle decisioni intraprese oggi.

Da un punto di vista storico, il concetto di sostenibilità è stato formulato in occasione della “prima conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente del 1972”, ma ha preso corpo solamente a partire dal 1987, quando la pubblicazione del cosiddetto” Rapporto Brundtland” (“Our Common Future”) ha chiarito gli obiettivi dello sviluppo sostenibile.

Lo stesso rapporto ha introdotto i tre pilastri o principi della sostenibilità ambientale, sociale ed economica, noti anche come “ESG” (Environmental, Social, Governance).

La transizione verso lo sviluppo sostenibile trova fondamento principalmente in una serie di accordi e obiettivi internazionali che vengono poi applicati a livello dei singoli Stati e delle comunità coinvolte.

Tra questi, i più noti sono:

la” Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e i suoi protocolli, che stabiliscono impegni di riduzione delle emissioni di gas serra;

la “Convenzione sulla diversità biologica” (CBD), che promuove la

conservazione della biodiversità;

e soprattutto gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell'ONU, che coprono una vasta gamma di tematiche sulla sostenibilità.

 Attorno a questi obiettivi è costruita l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, il programma d’azione per le persone, il Pianeta e la prosperità, sottoscritto il 25 settembre 2015 dall’Assemblea Generale dell’ONU.

 L’Agenda comprende 17 obiettivi, validi per tutte le persone e in tutto il mondo, articolati lungo le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale ed ambientale.

 1. Che cos’è la sostenibilità ambientale.

La sostenibilità ambientale è la capacità di preservare e proteggere l’ambiente naturale nel tempo attraverso pratiche e politiche adeguate, soddisfacendo i bisogni presenti senza compromettere la disponibilità delle risorse per il futuro.

 

 Fattori che influenzano la sostenibilità ambientale.

La sostenibilità ambientale è influenzata da diversi fattori che possono avere un impatto significativo sull'equilibrio ecologico e sulla capacità del Pianeta di sostenere la vita.

Tra i principali troviamo:

l’inquinamento atmosferico, delle acque e del suolo;

il cambiamento climatico, causato dall’eccessiva quantità di gas serra rilasciati in atmosfera a causa delle attività umane;

la perdita di biodiversità;

l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali;

modelli economici che implicano consumi non sostenibili.

 Quali obiettivi raggiungere?

Per realizzare la sostenibilità ambientale è necessario quindi raggiungere alcuni obiettivi chiave, tra cui:

Ridurre le emissioni di gas serra, soprattutto in comparti cruciali come la produzione di energia, l’industria, l’agricoltura e i trasporti.

Incrementare la produzione e l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili.

Attuare politiche volte alla conservazione della biodiversità, affrontandone le cause.

Adottare pratiche sostenibili in agricoltura e nella catena alimentare, quali per esempio quelle dell’agricoltura di precisione, ottimizzando e aumentando qualità e produttività del suolo attraverso una serie di interventi mirati grazie alla tecnologia, dell’agricoltura rigenerativa e dell’agri voltaico, oppure metodi che non prevedono l’utilizzo del suolo come il sistema idroponico o aeroponico, fino alla riduzione degli sprechi alimentari.

Sensibilizzare e coinvolgere le comunità sul tema della sostenibilità ambientale.

Promuovere l’economia circolare.

Tra le pratiche che rivestono una grande importanza verso la sostenibilità, è essenziale preservare e gestire in modo sostenibile le risorse naturali, comprese l'acqua, il suolo, le foreste, la fauna selvatica e gli habitat naturali, per garantire l’equilibrio del Pianeta e la disponibilità di queste risorse per le generazioni future.

 

 2. Che cos’è la sostenibilità sociale.

La sostenibilità sociale implica l'attenzione verso il benessere delle persone e delle comunità.

Si tratta di promuovere l'equità, i diritti umani, l'accesso all'istruzione e alla salute e un’occupazione dignitosa.

La sostenibilità sociale mira a creare società inclusive, a ridurre le disuguaglianze e a garantire il benessere a lungo termine per tutte le persone, preservando la coesione sociale e la giustizia.

Per raggiungere la sostenibilità è necessario superare:

 

La povertà e le diseguaglianze socioeconomiche.

Le discriminazioni, i pregiudizi, l’esclusione sociale.

La mancanza di accesso alle risorse.

L’insicurezza e i conflitti, a livello locale, regionale e globale.

La cattiva governance, che comprende fenomeni come la corruzione e l’inefficienza istituzionale.

Nel cammino verso la sostenibilità sociale, rivestono un particolare ruolo la promozione di sistemi e politiche in grado di ridurre le disuguaglianze sociali ed economiche, garantendo l'accesso equo alle opportunità e alle risorse per tutti i membri della società.

Oltre alla lotta verso le diseguaglianze, tra gli obiettivi da raggiungere in chiave di sostenibilità sociale possiamo menzionare:

 

La promozione di politiche per il rispetto dei diritti umani fondamentali, come quello alla salute e all’istruzione.

L’adozione di pratiche che valorizzino e includano persone di diversa provenienza, genere, etnia, abilità e orientamento sessuale.

La creazione di ambienti di vita più sicuri e dotati di una più efficiente amministrazione della giustizia.

Il miglioramento delle condizioni di salute e di benessere psicofisico delle persone grazie a servizi sanitari di qualità.

 3. Che cos’è la sostenibilità economica.

La sostenibilità economica definisce l’approccio per cui le attività economiche sono condotte in modo tale da preservare e promuovere il benessere economico a lungo termine.

In pratica mira a creare un equilibrio tra crescita economica, efficienza delle risorse, equità sociale e stabilità finanziaria.

 

 Fattori che influenzano la sostenibilità economica.

Tra i fattori che influenzano la sostenibilità economica troviamo:

 

La gestione responsabile delle risorse.

La capacità di efficienza e innovazione dei sistemi economici e delle imprese.

La stabilità finanziaria a livello macroeconomico.

Il livello di innovazione sociale degli Stati, cioè l’impegno di ogni Paese nel promuovere politiche, programmi e iniziative che affrontano questioni sociali cruciali come la povertà, l'uguaglianza di genere, l'accesso all'istruzione e alla sanità, la sostenibilità ambientale e altre problematiche sociali.

Le attività di cooperazione internazionale e partenariato tra amministrazione pubblica e imprese private.

Il livello di equità e inclusione sociale.

La responsabilità aziendale.

 

Come un'economia diventa sostenibile.

Per rendere sostenibile un sistema economico è necessario favorire la generazione da fonti rinnovabili, adottare politiche e regolamenti che incoraggino l'efficienza energetica e la promozione di modelli economici basati sull’economia circolare che, come tali, siano in grado di ridurre gli scarti e contenere lo sfruttamento delle risorse.

 

Per raggiungere questi scopi è necessario favorire l’inclusione sociale ed economica, l’innovazione tecnologica, grazie a investimenti dedicati, la promozione di una governance efficiente e trasparente, infine la sensibilizzazione ed educazione dei cittadini.

La gestione responsabile delle risorse economiche è di fondamentale importanza perché implica e garantisce:

la minimizzazione dell’impatto ambientale;

l’equità sociale ed economica;

un’economia più resiliente e capace di affrontare le sfide;

una più diffusa adesione delle aziende a una gestione basata su principi di responsabilità e di etica.

 

Esiste anche il quarto pilastro Etico?

Esiste poi un altro pilastro della sostenibilità, che potremmo immaginare come il punto centrale di un triangolo che connette gli altri tre.

I processi verso uno sviluppo sostenibile non sarebbero davvero tali se tutti i soggetti coinvolti nelle filiere non ricevessero una remunerazione equa e – appunto - sostenibile.

Rientrano in questo pilastro anche alcune delle pratiche che abbiamo già considerato, per esempio il rispetto dei diritti umani e la promozione della responsabilità sociale.

Il pilastro etico, in conclusione, è costituito dal bagaglio di direttive fondamentali che sottendono le azioni pratiche previste negli altri tre:

tra queste l'integrità, la trasparenza, l'equità, il rispetto per la diversità e la promozione del benessere collettivo.

I pilastri della sostenibilità sono interconnessi.

I pilastri della sostenibilità sono tra di loro strettamente interconnessi, in quanto ogni azione compiuta all’interno di ciascuno degli ambiti comporta ricadute sugli altri.

Esiste una forte interconnessione tra la sfera ambientale e quella economica, dove le buone pratiche ambientali, come la gestione responsabile delle risorse, risultano essenziali per mantenere la stabilità dell’economia e l’esistenza stessa della catena di approvvigionamento alimentare.

Non solo:

 alcune strategie di sostenibilità, come la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio e l'adozione di pratiche sostenibili, possono creare opportunità economiche, promuovere l'innovazione e aumentare la competitività delle imprese.

Anche la sfera sociale è connessa sia con l’ambito ambientale sia con quello economico.

 È assodato che in una società equa e inclusiva, in cui le disuguaglianze sono ridotte, sia favorita la coesione sociale, la partecipazione attiva dei cittadini e ci siano le basi per un'economia sostenibile e resiliente, così come è di particolare evidenza che la salute e il benessere delle persone siano strettamente legati alla qualità dell'ambiente in cui vivono.

 

Cosa prevede la strategia “ESG Integration”.

La ESG Integration è la strategia d’investimento che tiene in conto i fattori e i rischi legati all’ambiente, all’importanza della sfera sociale e alla governance di un’azienda.

Questa strategia utilizza indicatori non finanziari per valutare le performance di imprese e organizzazioni.

“L'ESG Integration “coinvolge la raccolta di informazioni sulle politiche, le pratiche e le prestazioni di un'azienda relative a questioni ambientali (come l'impatto ambientale e l'uso delle risorse), sociali (come la gestione delle relazioni con i dipendenti e le comunità) e di governance (come la struttura di governo e la trasparenza)”.

 

L'obiettivo è quello di promuovere investimenti sostenibili che generino rendimenti finanziari a lungo termine, tenendo conto degli impatti sociali e ambientali delle attività economiche e favorendo la trasparenza e la responsabilità delle imprese.

 

Enel, per esempio, è stata la prima azienda al mondo a lanciare – nel 2019 - un bond legato alle proprie performance ESG.

Adottare una politica di sostenibilità per le aziende che sia realmente misurabile è importante per favorire la trasparenza e la responsabilità verso tutti gli “stakeholder” – dagli azionisti ai dipendenti, passando per i fornitori e le comunità locali – garantendo che le misure assunte abbiano realmente un impatto.

 

 

 

Il Parlamento della Germania

 fa Esultare i Pedofili.

Conoscenzealconfine.it – (27 Maggio 2024) - Luca Volontè – ci dice:

Malgrado il dilagare del fenomeno, la maggioranza social-liberal-ambientalista del Bundestag riduce le pene previste per la detenzione e la distribuzione di materiale pedopornografico, declassandoli a reati minori.

 Esultano i gruppi pro-pedofilia.

La recente depenalizzazione della pornografia infantile in Germania, da parte della maggioranza socialista, liberale e ambientalista, con l’appoggio delle sinistre, è l’ennesima prova di un progressismo relativista senza tabù e senza rispetto per i più deboli.

 

L’ultima decisione della maggioranza del Bundestag che aiuta a spiegare il collasso della civiltà tedesca – dopo la liberalizzazione della cannabis e la nuova e permissiva normativa sul cambio di genere sessuale – consiste nella depenalizzazione del possesso di materiale pedopornografico, declassandolo da reato grave a reato minore e riducendo le pene minime per il possesso e la distribuzione di materiali pedopornografici.

Il disegno di legge, che entrerà in vigore nelle prossime settimane, stabilisce che “il possesso e l’acquisizione dovrebbero essere punibili con una pena minima di tre mesi di reclusione, e la distribuzione con una pena minima di sei mesi di reclusione.

 I reati disciplinati dall’articolo 184b del Codice penale sono quindi classificati come reati minori e non come reati”.

L’Unione Cristiano-Democratica (CDU) e l’Unione Cristiano-Sociale di Baviera (CSU), che hanno votato contro, con l’AfD (Alternative für Deutschland), alle modifiche favorevoli alla pedofilia e pedopornografia, hanno dichiarato la propria ferma opposizione, convinti che la “distribuzione, il possesso e l’acquisizione di materiale pedopornografico devono, in linea di principio, rimanere classificati come reati”.

Contrarie anche le associazioni per la tutela dei minori, tra cui la “German Children’s Aid – The Permanent Children’s Representation” (Deutsche Kinderhilfe – Die ständige Kindervertretung), il cui presidente “Rainer Becker”, ha sottolineato che la Germania con le nuove norme potrebbe anche violare una direttiva dell’Unione Europea che classifica qualsiasi media pedopornografico come un grave reato penale.

 (chissà perché immagino che in questo caso in Europa chiuderanno un occhio e l’altro pure… – nota di conoscenze a lconfine)

Negli anni scorsi abbiamo denunciato l’enormità del fenomeno della pedopornografia in Germania e come interi apparati pubblici ne fossero implicati.

 La coalizione di sinistra, invece di contrastare il fenomeno disgustoso di abusi sui bambini, ha pensato di “governarlo” in senso permissivo.

I legislatori di maggioranza hanno giustificato la loro decisione sostenendo che la depenalizzazione consente “la flessibilità necessaria” per affrontare la “grande percentuale di delinquenti minorenni” e favorisce anche i genitori e gli insegnanti che scoprono pornografia infantile sui dispositivi dei giovani e li trasmettono alle autorità competenti.

 Invece di rispondere alle eccezioni nella legge, per affrontare questo tipo di particolari necessità, socialisti, verdi, liberali e sinistre hanno declassato l’intero possesso e distribuzione di pornografia infantile. Bella soluzione che favorisce solo i pedofili!

Ovvia l’esultanza di alcuni gruppi favorevoli alla liberalizzazione della pedofilia, in particolare il “Krumme-13“, o semplicemente K13, che non ha solo elogiato il voto, ma si è anche lamentato del fatto che nessun politico si sia ancora “scusato con le migliaia e migliaia di persone colpite che sono state vittime” delle ormai defunte leggi penali.

Ancora una volta queste sinistre e liberal relativisti hanno abusato del concetto di “consenso”, secondo il quale se tutte le parti acconsentono liberamente non c’è quasi nulla che possa essere giustamente proibito dalla legge.

Tale pensare corrotto vale per giustificare la pedofilia e pedopornografia ma anche per il cambio di sesso (genere) di ragazzi ed infatti lo scorso 12 aprile la stessa maggioranza di governo e delle sinistre hanno approvato norme che favoriscono l’assunzione di bloccanti della pubertà o ormoni cross-sex, o il sottoporsi a interventi chirurgici irreversibili da parte di bambini.

Questo incalzante procedere verso un progressismo retrogrado, barbaro e violento, nega l’evidenza che bimbi e minori non siano abbastanza maturi per comprendere le implicazioni o le conseguenze di una tale decisione, oltre che violare il diritto dei genitori nei confronti dei figli.

In Germania, la depenalizzazione della pornografia infantile, come è ovvio che sia, porterà prevedibilmente alla proliferazione della pornografia infantile e ad un ritorno al peggior socialismo tribale, già sperimentato nelle comuni socialcomuniste tedesche degli anni ’70 con la “liberazione” dei bambini dalle inibizioni sessuali, oltre all’uso di stupefacenti e il “sesso libero”.

È questo progressivo ritorno al peggior ’68, la proposta di benessere futuro europeo di cui sono portatori il socialismo, l’ambientalismo, il liberalismo?

Luca Volontè.

(lanuovabq.it/it/il-parlamento-della-germania-fa-esultare-i-pedofili).

 

 

 

 

Politiche Internazionali Green:

dall’Agenda 2030 al Green Deal europeo.

Symbola.net – (16-2-2022) – Redazione – ci dice:

 

Dall'Agenda 2030 al Green Deal europeo: il cambiamento climatico è entrato in maniera dirompente su tutti gli scenari internazionali.

(Realizzato in collaborazione con Marco Frey. Presidente del Comitato scientifico di Symbola.  Professore ordinario di Economia e gestione delle imprese, direttore del gruppo di ricerca sulla sostenibilità (SuM) della Scuola Universitaria Superiore Sant'Anna di Pisa; docente allo IUSS di Pavia e all’Università Cattolica di Milano; presidente della Fondazione Global Compact Italia.)

(Questo contributo fa parte del decimo rapporto GreenItaly,  realizzato da Fondazione Symbola e Unioncamere, in collaborazione con CONAI, Novamont e Ecopneus.)

Il quadro globale e l’Agenda 2030.

É ormai trascorso un terzo del quindicennio che – da quel 25 settembre 2015 in cui le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile – ci conduce al 2030, e non si può che evidenziare la lunga distanza ancora da percorrere nei confronti del 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). il Rapporto ONU sulla sostenibilità del 2019  ha evidenziato che, nonostante i progressi conseguiti in molteplici aree, vi è oggi la necessità di azioni e politiche più rapide e ambiziose per realizzare la trasformazione economica e sociale necessaria al raggiungimento degli SDGs.

A richiedere interventi più urgenti sono soprattutto la lotta contro il cambiamento climatico e alle disuguaglianze: nel primo caso, gli effetti catastrofici e irreversibili che si verificheranno – e in parte già si manifestano – in assenza di una riduzione delle emissioni di gas serra renderanno inabitabili molte parti del mondo, colpendo in particolar modo i Paesi e le persone più vulnerabili; d'altra parte, le diseguaglianze, la povertà, la fame e le malattie sono in crescita in numerosi Paesi.

A tal fine, il Rapporto evidenzia alcune linee strategiche che possono determinare progressi significativi, quali, ad esempio, lo sviluppo della finanza sostenibile, l'ammodernamento delle istituzioni, un'efficace cooperazione internazionale nella prospettiva multilaterale, un miglior uso dei dati statistici e la valorizzazione della scienza, della tecnologia e dell'innovazione, con una maggior attenzione alla trasformazione digitale.

Più recentemente nella relazione “Progress towards the Sustainable Development Goals”  il segretario generale dell’ONU Guterres ha ribadito l'urgenza di aumentare drasticamente il ritmo e la portata degli sforzi da compiere nel prossimo decennio per realizzare gli SDGs.

Se fino al 2019 i Goal 1 (sconfiggere la povertà), 3 (salute e benessere), 7 (energia pulita e accessibile) hanno fatto registrare progressi importanti, molti Goal non hanno evidenziato miglioramenti e alcuni hanno persino invertito la rotta: cresce il numero di persone che soffrono la fame (Goal 2); il cambiamento climatico si sta verificando con ritmi più veloci del previsto (Goal 13) e crescono le disuguaglianze all'interno dei Paesi (Goal 10).

Desta poi particolare preoccupazione l’impatto della pandemia da Covid-19. Pur iniziando come una emergenza sanitaria, quella scatenata dal coronavirus è diventata la peggiore crisi sociale ed economica dal dopoguerra in poi.

 

 

 

In occasione della presentazione del Rapporto 2020 sullo Human Development Achim Steiner, Direttore dell’UNDP ha dichiarato che “la distruzione ha assunto proporzioni su scala mondiale e in modo sincronizzato senza precedenti tanto da dovere aggiornare l’indice di sviluppo umano che per la prima volta da 30 anni sta regredendo, Dobbiamo ripensare ai nostri modelli economici e sociali. Ogni crisi porta con sé una opportunità che i leader globali devono cogliere”.

L’indice di sviluppo umano, che è un indicatore composito costituito da variabili economiche (come il PIL pro capite) e sociali (quali il livello educativo e della salute) non era decresciuto a livello globale neanche negli anni della crisi finanziaria del 2008. Nel 2020 è viceversa prevista una decrescita consistente per l’azione congiunta di tutti i parametri che lo compongono.

Tornando all’Agenda 2030, gli obiettivi più a carattere economico: l’8, il 9, l’11 e il 12, hanno subito una battuta di arresto, dopo che nei Paesi occidentali avevano visto una fase di graduale miglioramento.

Gli obiettivi più ambientali presentano dati altalenanti. Il Goal 14 (vita sott’acqua), nonostante il raddoppio delle aree marine protette rispetto al 2010, registra un aumento dell'acidità degli oceani del 10-30% rispetto al periodo 2015-2019. La percentuale di   aree forestali (SDG 15) è scesa dal 31,9% della superficie totale nel 2000 al 31,2% nel 2020, con una perdita netta di quasi 100 milioni di ettari di foreste.

 Le aree protette non sono concentrate in contesti fondamentali per la biodiversità e le specie rimangono minacciate di estinzione.

Infine il Goal 16 evidenzia che milioni di persone sono state private della loro sicurezza, dei diritti umani e dall’accesso alla giustizia.

Nel 2018, il numero di persone in fuga da guerre, persecuzioni e conflitti ha superato i 70 milioni, il livello più alto registrato dall'UNHCR in quasi 70 anni.

 A ciò si è aggiunta la pandemia da Covid-19, che può portare ad un aumento dei disordini sociali che minerebbe la capacità di raggiungere i target fissati.

Il quadro mondiale si presenta quindi come particolarmente critico e sino alla fine della pandemia non sarà facile comprendere quali saranno i tempi e le condizioni per recuperare il terremo perso nel perseguimento degli obiettivi dell’Agenda 2030, che continua a rappresentare a livello globale il riferimento principale per orientare la ripartenza in modo sostenibile, valorizzando gli ambiti essenziale per la transizione verso uno sviluppo economico e sociale più resiliente, inclusivo e in armonia con la natura.

Le rilevanti ricadute socio-economiche della crisi in corso hanno fatto sì che i principali sforzi dei diversi Paesi si siano concentrati sull’emergenza occupazione e sociale, spesso trascurando gli investimenti più di lungo periodo in una prospettiva green.

L’Unione Europea (UE), grazie anche alla spinta della nuova presidenza costituisce un esempio di maggiore lungimiranza ed è stata capace negli ultimi mesi di mantenere una forte coerenza con le linee strategiche definite con il Green Deal alla fine del 2019.

Sono numerosi e significativi i documenti strategici e di pianificazioni realizzati o in programma nel prossimo biennio che articolano questa visione strategica e che descriveremo sinteticamente nelle prossime pagine.

La nostra convinzione infatti è che l’UE stia in questo momento provando a fare un importante salto di qualità nella transizione verso la sostenibilità, facendo leva sull’eccezionale sforzo di investimento che la ripresa post-pandemica richiede. Questa transizione si articola in diverse dimensioni che vedono il pilastro ambientale della sostenibilità al centro delle interazioni con l’economia e con il pilastro sociale:

la transizione verso la decarbonizzazione (SDG13 dell’Agenda 2030), verso l’economia circolare (SDG12), la transizione alimentare (SDG2), quella verso un diverso rapporto con la natura ed ecosistemi più resilienti (SDG 14 e 15), verso un sistema economico, produttivo ed abitativo ad inquinamento zero (SDG8 e SDG 11), la transizione energetica e infrastrutturale orientata alla rinnovabilità e sostenibilità (SDG7 e SDG 9). Tutto ciò con le connesse ricadute sociali ed economiche che coinvolgono tutti gli altri obiettivi dell’Agenda 2030.

 

L’Europa al centro delle politiche Green.

L’Europa ha iniziato il 2019 con uno degli ultimi atti della Presidenza Junker che ha presentato il 30 gennaio il documento “Verso un’Europa sostenibile entro il 2030”, in cui si misura proprio con l’Agenda 2030.

In tal documento si evidenzia come gli SDGs grazie alla loro universalità hanno la potenzialità di risolvere le spinte sociali disgregative sia all’interno che all’esterno dell’Unione e inducono “a lavorare in un’ottica internazionale, incitando i paesi, l’industria e le persone a unirsi in questa missione”. La capacità di visione sistemica crea le condizioni per costruire la convergenza delle politiche sociali, ambientali ed economiche, in quanto “La crescita ‘verde’ avvantaggia tutti, i produttori come i consumatori”.

E ciò si deve realizzare nel quadro della coerenza delle politiche interne ed esterne. “Dobbiamo fare in modo di non esportare la nostra impronta ecologica o creare povertà, disuguaglianze e instabilità in altre parti del mondo. In quanto europei siamo del tutto consapevoli che gli impatti negativi che si manifestano altrove avranno a loro volta un effetto boomerang per la nostra economia e la nostra società”.

A ciò seguiva la considerazione che una leadership europea nella transizione verso un’economia verde e inclusiva, dando un forte impulso alla definizione di regole internazionali è necessaria per conseguire un forte vantaggio competitivo sul mercato globale.

Fin qui le dichiarazioni di principio, è poi spettato alla nuova presidente della Commissione Europea (CE), Ursula Von del Leyen, dare un reale impulso strategico a questi orientamenti generali, segnando l’inizio del suo mandato con la presentazione l’11 dicembre del Green New Deal.

Al momento della presentazione le sue dichiarazioni furono: “Il Green Deal europeo è la nostra nuova strategia di crescita, per restituire più di quanto togliamo, trasformando il nostro modo di vivere e lavorare, di produrre e consumare…

Tutti possiamo essere coinvolti nella transizione e tutti possiamo trarre vantaggio dalle opportunità. Aiuteremo la nostra economia a essere un leader globale muovendoci per primi e velocemente.

Siamo determinati ad avere successo per il bene di questo pianeta e della vita su di esso - per il patrimonio naturale dell'Europa, per la biodiversità, per le nostre foreste e per i nostri mari. Mostrando al resto del mondo come essere sostenibili e competitivi, possiamo convincere altri paesi muoversi con noi".

Con il Green Deal infatti la Ce si propone di posizionare l’UE come leader mondiale, anche attraverso un Patto per il Clima che sarà presentato nel corso del 2020, e si articola in 8 obiettivi, il primo dei quali riguarda ancora una volta il clima.

Questi obiettivi li approfondiremo successivamente uno per uno, salvo quelli più connessi all’energia che considereremo congiuntamente, in quanto verranno sviluppati nel capitolo successivo.

Gli obiettivi sono supportati da cinque misure trasversali:

Perseguire i finanziamenti e gli investimenti verdi, garantendo una transizione giusta, con un piano di investimenti per un’Europa sostenibile che comprenda:

un meccanismo e un Fondo per una transizione giusta, concentrato sulle regioni e sui settori più dipendenti dalle fonti fossili;

una strategia rinnovata in materia di finanza sostenibile per indirizzare i flussi finanziari e di capitale privato verso gli investimenti verdi ed evitare gli attivi non recuperabili.

E trasformando la BEI nella nuova banca dell’UE per il clima, prevedendo che il 50% delle sue operazioni siano dedicate all’azione per il clima entro il 2025;

“Inverdire” i bilanci nazionali e inviare i giusti segnali di prezzo, riorientando gli investimenti pubblici, i consumi e la tassazione verso le priorità verdi, abbandonando le sovvenzioni dannose, definendo con gli stati membri riforme fiscali ben concepite che possano stimolare la crescita economica, migliorare la resilienza agli shock climatici, contribuire a una società più equa e sostenere una transizione giusta;

Stimolare la ricerca e l’innovazione attraverso Horizon Europe e altre azioni sinergiche a livello europeo e degli Stati membri, coinvolgendo un’ampia gamma di portatori d’interessi tra cui regioni, cittadini, imprese, chiamando in causa tutti i settori e le discipline in un impegno di sistema;

Fare leva sull’istruzione e la formazione, definendo un quadro europeo delle competenze che aiuti a coltivare conoscenze, abilità e attitudini connesse ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile, utilizzando e aggiornando strumenti quali il Fondo sociale europeo Plus, l’agenda per le competenze e la garanzia per i giovani;

valutare preventivamente gl’impatti ambientali, utilizzando gli strumenti di cui la Commissione dispone per legiferare meglio basandosi sulle consultazioni pubbliche, sulle previsioni degli effetti ambientali, sociali ed economici, includendo nelle relazioni che accompagnano tutte le proposte legislative e gli atti delegati una sezione specifica che illustra come viene garantito il rispetto di tale principio.

Il 14 gennaio 2020 è stato quindi presentato il “Piano di investimenti connesso al Green Deal”, finalizzato oltre che alla messa in campo diretta di risorse comunitarie, nella creazione di un quadro favorevole per facilitare gli investimenti pubblici e privati necessari per la transizione verso un'economia climaticamente neutrale, verde, competitiva e inclusiva.

 Il Piano si basa su tre dimensioni:

Finanziamento: mobilitare almeno 1.000 miliardi di euro di investimenti sostenibili nel prossimo decennio, attribuendo un ruolo chiave alla Banca Europea per gli Investimenti che aumenterà la quota che riservata ai progetti sostenibili dal 25 al 50%. Nel complesso la CE ha previsto di destinare circa un quarto del nuovo budget pluriennale a progetti sostenibili.

Abilitazione: fornire incentivi per sbloccare e reindirizzare gli investimenti pubblici e privati, mettendo la finanza sostenibile al centro del sistema finanziario e facilitando gli investimenti sostenibili da parte delle autorità pubbliche.

Supporto: la Commissione fornirà supporto alle autorità pubbliche e ai promotori di progetti nella pianificazione, ideazione e realizzazione di progetti sostenibili.

Al tempo stesso è stato introdotto il meccanismo per una transizione giusta (JTM), uno strumento chiave per garantire che la transizione verso la decarbonizzazione avvenga in modo equo, senza lasciare indietro nessuno.

 Il meccanismo fornisce un sostegno mirato per aiutare a mobilitare almeno 100 miliardi di euro nel periodo 2021- 2027 per alleviare l'impatto socioeconomico della transizione, aiutando i lavoratori e le comunità che dipendono dalla catena del valore dei combustibili fossili.

Successivamente poi si è avuta la crisi pandemica a livello internazionale che ha condizionato tutte le scelte di policy.

 In Europa fortunatamente il forte orientamento strategico definito con il Green Deal ha di fatto indirizzato le scelte di allocazione e condizionerà le modalità di erogazione degli ingenti fondi per la ripartenza.

Il 27 maggio con la Comunicazione “Il bilancio dell’UE come motore del piano per la ripresa europea” (COM(2020), 442 final), la CE, rispondendo alle necessità straordinarie di finanziare la ripresa economica dei paesi membri dell’UE colpiti dalla crisi del Covid-19, ha proposto l’introduzione di uno strumento europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”) del valore di 750 miliardi di EURO, in aggiunta a un quadro finanziario pluriennale (QFP) rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro. La novità del fondo Next Generation EU è la possibilità per gli stati di poter beneficiare di un meccanismo di finanziamento temporaneo che consente un aumento ingente e tempestivo della spesa senza accrescere i debiti nazionali.

Per la prima volta l’UE diventa il garante dell’indebitamento dei Paesi membri, riuscendo così a contenere in misura significativa anche il costo dell’indebitamento.

All’interno della crisi più grave che abbia interessato l’economia globale ed europea negli ultimi settantacinque anni, si tratta quindi di una grande opportunità per accelerare la transizione verso un’economia più green e circolare.

Veniamo ora ad analizzare come il Green Deal (e la connessa Next Generation UE) si articola nelle politiche sulle dimensioni chiave della green economy.

Partiremo dalle politiche prioritarie che caratterizzano il Green Deal Europeo, ovvero la lotta al cambiamento climatico e l’economia circolare, per poi analizzare le politiche sul sistema alimentare, sulla biodiversità, sull’inquinamento, con un cenno finale su quelle inerenti l’energia e i trasporti che saranno analizzate nel prossimo capitolo.

 

La sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e incarnata nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior ruolo internazionale all’egida della transizione alla green, circular e decarbonised economy, ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri, dopo gli effetti della Brexit e dei neonazionalismi.

 

Il cambiamento climatico

Il 2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più caldo, dal 2010 al 2019. Con una temperatura media globale di 1,1°C al di sopra dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta particolarmente urgente.

Al fine marzo 2020 sono 185 i Paesi più l’Unione Europea che hanno comunicato il loro primo Contributo Nazionale Volontario alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il quadro degli impegni non è inadeguato per raggiungere gli obiettivi di 1,5 o 2°C previsti dall'accordo di Parigi e pertanto i Paesi sono stati invitati ad aggiornare i contributi a livello nazionale o a comunicarne di nuovi entro il 2020, aumentando il loro livello di ambizione nell'azione per il clima.

Anche se le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 6% nel 2020 (in Italia la riduzione è del 7.5% rispetto al 2019 secondo le stime Ispra) e la qualità dell'aria è migliorata a causa del divieto di viaggiare e del rallentamento economico dovuto alla pandemia, il miglioramento è solo temporaneo e la crisi può compromettere alcuni degli impegni ed investimenti previsti. Viceversa i governi dovrebbero utilizzare le lezioni apprese per accelerare le transizioni necessarie per raggiungere l'accordo di Parigi, ridefinire il rapporto con l'ambiente ed effettuare cambiamenti sistemici per ridurre le emissioni di gas serra. L’Europa è in prima linea in questa sfida.

Tra il 1990 e il 2018 l’UE ha ridotto del 23 % le emissioni di gas a effetto serra, mentre l'economia è cresciuta del 61 %. Tuttavia, mantenendo le attuali politiche, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sarà limitata al 60% entro il 2050: per Bruxelles occorre fare di più.

Con il Regolamento europeo sul clima del 4 marzo 2020, propedeutico al preannunciato Patto per il Clima, la CE ha proposto un obiettivo giuridicamente vincolante di azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 (già indicato nella risoluzione del Parlamento Europeo del 14 marzo 2019), assumendo il compito di esaminare la legislazione dell'Unione e le politiche vigenti per valutarne la coerenza rispetto all'obiettivo della neutralità climatica e alla traiettoria stabilita.

Ciò coinvolge i  Piani nazionali per l'energia e il clima degli Stati membri (la cui valutazione è prevista all’art.6 del Regolamento), le relazioni periodiche dell'Agenzia europea dell'ambiente e i   più recenti dati scientifici sui cambiamenti climatici e i relativi impatti.

Entro il 2020  la Commissione dovrebbe presentare il Piano corredato di una valutazione d'impatto per aumentare l'obiettivo dell'UE di riduzione delle emissioni di gas  a effetto serra per il 2030, portandolo almeno al 50%-55% rispetto ai livelli del 1990 (oggi l’obiettivo è al 40%).

Tra le varie misure da introdurre vi è anche la revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia, introducendo un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (border carbon tax). Ciò è necessario finche l’impegno dei diversi Paesi rispetto all’accordo di Parigi non sarà più equilibrato.

Sull’adattamento, cruciale date le conseguenze già evidenti del cambiamento climatico, il regolamento prevede (art.4) che gli Stati membri elaborino e attuino strategie e piani di adattamento che includono quadri completi di gestione dei rischi, fondati su basi di riferimento rigorose in materia di clima e di vulnerabilità e sulle valutazioni dei progressi compiuti.

Anche in questo ambito l’UE vuole confermare il proprio ruolo di apripista, recuperando lo spirito della COP di Parigi, purtroppo un po’ perso nelle COP successive.

Anche nell’ultima, tenutasi a dicembre 2019, a Madrid non sono state prese decisioni particolarmente rilevanti o ambiziose, senza trovare un accordo su uno dei temi più delicati, cioè il meccanismo che in futuro dovrebbe permettere ai paesi che inquinano di meno di «cedere» la quota rimanente di gas serra a paesi che inquinano di più.

Nei documenti approvati alla fine della conferenza dalla plenaria vi è l’impegno (anche se non vincolante) a presentare piani per ridurre ulteriormente le proprie emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi fissati dagli Accordi di Parigi sul clima. L’UE ha spinto in tale direzione, ma a frenare compromessi più ambiziosi sono intervenuti i delegati di paesi come il Brasile e soprattutto gli Stati Uniti, che hanno avviato le procedure per uscire formalmente dagli Accordi di Parigi.

Cruciale per l’impegno globale sul clima sarà pertanto la COP 26 che si terrà a Glasgow a fine 2021, dopo il rinvio di un anno causa Covid-19.

 

La tassonomia europea per la finanza sostenibile è una pietra miliare nell’agenda verde europea: il primo sistema di classificazione al mondo di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che darà una spinta reale agli investimenti sostenibili.

 

L’economia circolare e Il nuovo Piano di azione.

Per quanto riguarda l’Economia circolare (EC), l’ultimo anno ha visto l’emanazione di diversi provvedimenti comunitari, che sono culminati poi a marzo 2020 con il nuovo Piano di azione.

A marzo 2019, la Commissione europea ha adottato una relazione globale sull'attuazione del piano d'azione per l'economia circolare del 2015 .

La relazione indica, grazie alle attività di monitoraggio previste nel Piano, che l’EC  sta fornendo un contributo significativo nella creazione di occupazione. Nel 2016 nei settori attinenti all'economia circolare erano impiegati oltre quattro milioni di lavoratori  (di cui 510.145 in Italia, saliti a 517.540 nel 2017), il 6% in più rispetto al 2012.

 Ulteriori posti  di lavoro sono destinati a essere creati nei prossimi anni al fine di soddisfare la domanda prevista di materie prime secondarie generata da mercati pienamente funzionanti. La circolarità ha inoltre aperto nuove opportunità commerciali, dato origine a nuovi modelli   di impresa e sviluppato nuovi mercati, sia all'interno sia all'esterno dell'UE.

 Nel 2017  attività circolari come la riparazione, il riutilizzo o il riciclaggio hanno generato quasi 155 miliardi di euro di valore aggiunto, registrando investimenti pari a circa 18,5 miliardi di euro.

In Europa il riciclaggio di rifiuti urbani nel periodo 2008-2016 è aumentato e il contributo dei materiali riciclati alla domanda globale di materiali registra un continuo incremento. In media, tuttavia, i materiali riciclati riescono soltanto a soddisfare meno del 12% della domanda di materiali dell'UE.

Questo aspetto è ribadito da una recente relazione dei portatori di interessi secondo la quale la piena circolarità si applicherebbe solo al 9%  dell'economia mondiale, lasciando ampi margini di miglioramento.

 

La CE ha messo in campo nell’ultimo quinquennio una serie di azioni nell’ambito  della EC, tra cui la prima strategia settoriale ha riguardato la plastica: prevedendo che entro il 2030 tutti gli imballaggi di plastica immessi sul mercato dell'UE siano riutilizzabili o riciclabili;

e che, entro il 2025, 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata vengano utilizzati per la realizzazione di nuovi prodotti. Sono già state raggiunte alcune tappe verso un riciclaggio della plastica di maggiore qualità. Tra queste rientrano il nuovo obiettivo di riciclaggio per gli imballaggi di plastica, fissato al 55% per il 2030, gli obblighi di raccolta differenziata e i miglioramenti riguardanti i regimi di responsabilità estesa del produttore.

Si prevede che questi ultimi agevoleranno la progettazione che mira alla riciclabilità grazie all'eco-modulazione dei contributi dei produttori. Ulteriori passi in avanti sono stati definiti con la direttiva 2019/904/UE sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente (come le plastiche monouso).

La strategia si è poi proposta di allargare a scala globale l’azione della UE. In base alle iniziative introdotte, in particolare sulla plastica monouso, la leadership dell'UE nelle sedi multilaterali ha giocato un ruolo fondamentale nell’attivare l'interesse internazionale nei confronti dell'agenda sulla plastica, come dimostrato da iniziative quali la piattaforma Global Plastics in collaborazione con l’UNEP e il partenariato internazionale sui rifiuti di plastica nel quadro della convenzione di Basilea.

 

Nel 2020 La Commissione europea ha, infine, adottato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare , uno degli elementi cardine del Green Deal europeo.

 

Il nuovo Piano di azione dell’Unione Europea per l’economia circolare esprime la chiara convinzione che l’estensione dell'economia circolare dai first movers agli operatori economici tradizionali contribuirà in modo significativo al conseguimento della neutralità climatica entro il 2050 e alla dissociazione della crescita economica dall'uso delle risorse, garantendo allo stesso tempo la competitività a lungo termine dell’UE e una ripresa dalla crisi pandemica orientata alla sostenibilità.

Il modello di crescita circolare viene chiaramente descritto come rigenerativo e capace di contribuire agli obiettivi di riduzione dell’impronta dei consumi, grazie alla diffusione di prodotti circolari. Esso intende rappresentare un programma orientato al futuro per costruire un’Europa più pulita e competitiva in co- creazione con gli operatori economici, i consumatori, i cittadini e le organizzazioni della società civile, capace di accelerare il profondo cambiamento richiesto dal Green Deal europeo. Il piano d’azione pone un quadro strategico solido e coerente in cui i prodotti, i servizi e i modelli di business sostenibili costituiranno la norma, ciò:

al fine di trasformare i modelli di consumo in modo da evitare innanzitutto la produzione di rifiuti;

focalizzandosi sulle catene di valore dei prodotti chiave (il Piano ne individua sette: elettronica e TIC; batterie e veicoli; imballaggi; plastica; prodotti tessili; costruzioni e edilizia; prodotti alimentari;

riducendo i rifiuti e garantire il buon funzionamento del mercato interno dell'UE per le materie prime secondarie di alta qualità;

consentendo all’Unione si assumerà sempre di più la responsabilità dei rifiuti che produce (riducendo le spedizioni transfrontaliere).

Secondo la CE nell’economia circolare esiste un chiaro vantaggio competitivo anche per le singole aziende, in quanto la spesa delle imprese manifatturiere per l'acquisto di materiali (circa il 40% della spesa complessiva) potrebbe sensibilmente ridursi grazie a modelli a ciclo chiuso, incrementando la loro redditività e proteggendole dalle fluttuazioni dei prezzi delle risorse.

La transizione verso un modello circolare intende rafforzare la base industriale e favorire la creazione di imprese e l'imprenditorialità tra le Pmi. Grazie alla spinta innestata dalla circolarità le imprese adotteranno modelli innovativi basati su una relazione più stretta con i clienti, favorendo la personalizzazione di massa e l'economia collaborativa e partecipata.

Le tecnologie digitali forniranno una ulteriore impulso alla circolarità e alla dematerializzazione, consentendo all'Europa di ridurre la dipendenza dalle materie prime.

Al proposito è chiara la sinergia con la Strategia Industriale della UE presentata nel marzo 2020, in cui si individuano tre fattori chiave per l’Europa: essere più green, più circolare e più digitale.

 

Per quanto riguarda i cittadini, l'economia circolare fornirà prodotti di elevata qualità, funzionali, sicuri, efficienti e economicamente accessibili, che durano più a lungo e sono concepiti per essere riutilizzati, riparati o sottoposti a procedimenti di riciclaggio di elevata qualità. Un’intera gamma di nuovi servizi sostenibili, modelli di "prodotto come servizio" (product-as-service) e soluzioni digitali consentiranno di migliorare la qualità della vita, creare posti di lavoro innovativi e incrementare le conoscenze e le competenze.

Il piano mira inoltre a garantire che l'economia circolare vada a beneficio delle persone, delle regioni e delle città, contribuisca pienamente alla neutralità climatica e sfrutti appieno il potenziale della ricerca, dell'innovazione e della digitalizzazione.

Il Piano prevede, infine, l'ulteriore messa a punto di un quadro di monitoraggio adeguato che contribuisca a misurare il benessere al di là del PIL.

Particolare attenzione meritano, nell’ambito del Piano, due azioni trasversali, che dimostrano quale sia il livello di interconnessione tra le diverse politiche europee.

La prima attiene alla neutralità climatica. Al fine di conseguire questo obiettivo la Commissione intende rafforzare le sinergie tra circolarità e riduzione dei gas a effetto serra. Per fare ciò:

saranno analizzati i metodi di misura dell'impatto della circolarità,

sulla mitigazione dei cambiamenti climatici e sull'adattamento ai medesimi;

verranno migliorati gli strumenti di modellizzazione per cogliere le ricadute positive dell'economia circolare sulla riduzione delle emissioni di gas

a effetto serra a livello nazionale e di UE;

sarà promosso il rafforzamento del ruolo della circolarità nelle future revisioni dei piani nazionali per l'energia e il clima e, se del caso, in altre politiche in materia di clima.

Oltre alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, il conseguimento della neutralità climatica richiederà che il carbonio presente nell'atmosfera sia assorbito, utilizzato nella nostra economia senza essere rilasciato e, quindi, rimanendo stoccato per periodi di tempo più lunghi.

Per incentivare l'assorbimento e una maggiore circolarità del carbonio, nel pieno rispetto degli obiettivi in materia di biodiversità, la Commissione intende lavorare a un quadro normativo per la certificazione degli assorbimenti di carbonio basato su una contabilizzazione del carbonio solida e trasparente al fine di monitorare e verificare l'autenticità degli assorbimenti.

 

La seconda azione trasversale attiene alle politiche economiche. In tale ambito, la Commissione intende:

migliorare la divulgazione dei dati ambientali da parte delle imprese grazie al riesame della direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario;

sostenere un'iniziativa promossa dalle imprese per sviluppare principi di contabilità ambientale che integrino i dati finanziari con i dati sulle prestazioni dell'economia circolare;

promuovere l'integrazione di criteri di sostenibilità nelle strategie aziendali, migliorando il quadro in materia di governo societario;

far sì che gli obiettivi connessi all'economia circolare siano rispecchiati nel quadro del riorientamento del processo del semestre europeo e nel contesto della prossima revisione della disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia;

continuare a incoraggiare l'applicazione più ampia di strumenti economici ben progettati, come la tassazione ambientale che include imposte per il conferimento in discarica e l'incenerimento, e a mettere gli Stati membri in condizione di utilizzare le aliquote dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) per promuovere le attività di economia circolare destinate ai consumatori finali come i servizi di riparazione.

Sono molte le novità nel Piano Europeo per l’economia circolare, ci concentriamo qui su due tra le più significative.

Un approccio efficace alla circolarità prende il via dalla progettazione dei prodotti. Al proposito nel Piano per rendere i prodotti idonei a un'economia neutra dal punto di vista climatico, efficiente sotto il profilo delle risorse e circolare, ridurre i rifiuti e garantire che le prestazioni dei precursori della sostenibilità diventino progressivamente la norma, la Commissione proporrà un'iniziativa legislativa relativa ad una strategia in materia di prodotti sostenibili. L'obiettivo centrale di questa iniziativa legislativa sarà l'estensione della direttiva concernente la progettazione ecocompatibile oltre ai prodotti connessi all'energia, in modo che il quadro della progettazione ecocompatibile possa applicarsi alla più ampia gamma possibile di prodotti e rispetti i principi della circolarità.

 

Dal punto di vista delle misure, la Commissione valuterà la possibilità di stabilire dei principi di sostenibilità e altre modalità adeguate a disciplinare i seguenti aspetti:

miglioramento della durabilità, della riutilizzabilità, della possibilità di upgrading e della riparabilità dei prodotti, la questione della presenza di sostanze chimiche pericolose nei prodotti e l'aumento della loro efficienza sotto il profilo energetico e delle risorse;

aumento del contenuto riciclato nei prodotti, garantendone al tempo stesso le prestazioni e la sicurezza;

la possibilità di ri fabbricazione e di riciclaggio di elevata qualità;

la riduzione delle impronte carbonio e ambientale;

la limitazione dei prodotti monouso e la lotta contro l'obsolescenza prematura;

l'introduzione del divieto di distruggere i beni durevoli non venduti;

la promozione del modello "prodotto come servizio" o di altri modelli in cui i produttori mantengono la proprietà del prodotto o la responsabilità delle sue prestazioni per l'intero ciclo di vita;

la mobilitazione del potenziale di digitalizzazione delle informazioni relative ai prodotti, ivi comprese soluzioni come i passaporti, le etichettature e le filigrane digitali;

un sistema di ricompense destinate ai prodotti in base alle loro diverse prestazioni in termini di sostenibilità, anche associando i livelli elevati di prestazione all'ottenimento di incentivi;

Sarà data priorità ai gruppi di prodotti individuati nel contesto delle catene di valore che figurano nel piano d'azione, come l'elettronica, le TIC e i tessili, ma anche i mobili e i prodotti intermedi ad elevato impatto, come l'acciaio, il cemento e le sostanze chimiche. Altri gruppi di prodotti saranno individuati in base all'impatto ambientale e al loro potenziale di circolarità.

 

Progettare un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente.

Lo slogan utilizzato nella Strategia presentata il 20 maggio 2020 con la COM(2020) 381 final è “Dal produttore al consumatore” (from farm to fork).

La UE si pone l’obiettivo di divenire riferimento mondiale per la sostenibilità, attraverso una strategia specifica nel settore alimentare coerente con l’economia circolare.

La strategia "Dal produttore al consumatore", al centro del Green Deal e del perseguimento dell’Agenda 2030 da parte della UE (in particolare per quanto riguarda l’SDG 2), affronta in modo globale le sfide poste dal conseguimento di sistemi alimentari sostenibili, riconoscendo i legami inscindibili tra persone, società e pianeta sani. Il passaggio a un sistema alimentare sostenibile può apportare benefici ambientali, sanitari e sociali, offrire vantaggi economici e assicurare che la ripresa dalla crisi pandemica conduca l’UE su un percorso sostenibile. Un sistema alimentare sostenibile deve garantire ai consumatori un approvvigionamento sufficiente e diversificato di alimenti sicuri, nutrienti, economicamente accessibili e sostenibili in qualsiasi momento, anche in tempi di crisi.

Come è noto noi viviamo una profonda contraddizione tra l’obesità e lo spreco alimentare da un lato e la carenza di cibo per una parte della popolazione europea dall’altro. Il 20% circa degli alimenti prodotti va sprecato  e l'obesità è in aumento, con oltre la metà della popolazione adulta europea attualmente in sovrappeso .

 Al tempo stesso 33 milioni di cittadini europei non possono permettersi un pasto di qualità ogni due giorni. Se i regimi alimentari europei fossero conformi alle raccomandazioni nutrizionali e più equilibrati (con una dieta maggiormente basata sui vegetali), l'impronta ambientale e l’equità sociale dei sistemi alimentari sarebbe notevolmente migliorata. Si stima che nel 2017 nell'UE oltre 950 000 decessi (uno su cinque) e la perdita di oltre 16 milioni di anni di vita in buona salute fossero attribuibili a cattive abitudini alimentari e alle malattie connesse.

Eppure in generale i prodotti alimentari europei costituiscono già uno standard a livello globale, sinonimo di sicurezza, abbondanza, nutrimento e qualità elevata. Inoltre il settore agricolo dell'UE è l'unico grande sistema al mondo ad aver ridotto le emissioni di gas a effetto serra (del 20 % dal 1990).

Questo è il risultato di anni di politiche dell'UE volte a proteggere la salute umana, degli animali e delle piante ed è frutto degli sforzi di agricoltori, pescatori e produttori. I prodotti alimentari europei dovrebbero ora diventare lo standard globale anche in materia di sostenibilità.

Sono numerose le azioni che devono essere introdotte a questo fine, la strategia le delinea, rimandando poi a fasi successive per una effettiva implementazione, accompagnata da una ampia consultazione con tutti gli stakeholder.

Per garantire la sostenibilità della produzione alimentare occorre il contributo di tutti gli attori della filiera alimentare.

Ciò al fine di accelerare la trasformazione dei metodi di produzione sfruttando al meglio le “Nature based solutions”, le tecnologie digitali e satellitari per aumentare la resilienza ai cambiamenti climatici e ridurre e ottimizzare l'uso  di fattori di produzione (acqua, pesticidi e fertilizzanti). Queste soluzioni richiedono investimenti dal punto di vista umano e finanziario, ma promettono anche rendimenti più elevati creando valore aggiunto e riducendo i costi.

La CE mira a ricompensare gli agricoltori, i pescatori e gli altri operatori della filiera alimentare che hanno già compiuto la transizione verso pratiche sostenibili, a consentire la transizione di tutti gli altri e a creare ulteriori opportunità per le loro attività.

Per estendere l’approccio già sviluppato in molti contesti della UE vi è l'impellente necessità di ridurre la dipendenza da pesticidi e antimicrobici (l’obiettivo è di ridurli di un ulteriore 50% entro il 2030, dopo che già sono stati ridotti del 20% negli ultimi 5 anni), contenere il ricorso ai fertilizzanti, potenziare l'agricoltura biologica, migliorare il benessere degli animali e invertire la perdita di biodiversità. Nella strategia vengono citati alcune aree di innovazione significativamente, come:

a) il sequestro del carbonio da parte di agricoltori e silvicoltori (carbon farming), con associati sistemi di certificazione e di pagamento;

b) la bioeconomia circolare, di cui un esempio citato riguarda le bioraffinerie di cui l’italiana Novamont è un pioniere, che si raccorda strettamente con il Piano per l’economia circolare;

c) un ambito particolarmente rilevante riguarda le emissioni di gas serra, che provengono in larga parte (in Europa il 70% delle emissioni provenienti dall’agricoltura, pari al 10,3% del totale) dall’allevamento, che occupa peraltro il 68% della superficie agricola. In questo contesto la CE intende agire sui mangimi, attraverso ad esempio l’immissione sul mercato di additivi per mangimi sostenibili e innovativi, promuovendo le proteine vegetali coltivate nell'UE e materie prime per mangimi alternative quali gli insetti, le alghe e i sottoprodotti della bioeconomia (come gli scarti del pesce).

d) L’agricoltura biologica deve essere promossa ulteriormente: ha effetti positivi sulla biodiversità, crea posti di lavoro e attrae giovani agricoltori, e i consumatori ne riconoscono il valore.

La Commissione presenterà un piano d’azione sull’agricoltura biologica, con l’obiettivo di raggiungere almeno il 25% della superficie agricola dell’UE investita ad agricoltura biologica entro il 2030 e un aumento significativo dell’acquacoltura biologica.

La transizione verso un’agricoltura sostenibile dovrà essere sostenuta da una PAC incentrata sul Green Deal.

La nuova PAC, che la Commissione ha proposto nel giugno 2018, mira ad aiutare gli agricoltori a migliorare le loro prestazioni ambientali e climatiche attraverso un modello maggiormente orientato ai risultati, un uso più sistematico dei dati e delle analisi, un miglioramento delle norme ambientali obbligatorie, nuove misure volontarie e una maggiore attenzione agli investimenti nelle tecnologie e nelle pratiche verdi e digitali. Intende inoltre garantire un reddito dignitoso che consenta agli agricoltori di provvedere alle proprie famiglie, di resistere a crisi di ogni tipo e di continuare a svolgere il loro ruolo di custodi del territorio. In questa prospettiva la nuova PAC si propone di migliorare l'efficienza e l'efficacia dei pagamenti diretti con il sostegno al reddito agli agricoltori che ne hanno bisogno e contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali, anziché a soggetti e imprese che semplicemente possiedono terreni agricoli.

Occorre al proposito tenere conto che nel 2017 le sovvenzioni della PAC, ad eccezione del sostegno agli investimenti, hanno rappresentato il 57% del reddito agricolo netto nell'UE.

La capacità degli Stati membri di garantire questa impostazione sarà attentamente valutata nei piani strategici e monitorata durante tutto il processo di attuazione.

Inoltre la CE richiederà, anche attraverso uno specifico codice di condotta, alle imprese e alle organizzazioni del settore alimentare di impegnarsi in azioni concrete in materia di salute e sostenibilità, mirate in particolare a: riformulare i prodotti alimentari conformemente a linee guida per regimi alimentari sani e sostenibili, ridurre la propria impronta ambientale e il proprio consumo energetico, adottare opportune strategie di marketing e pubblicitarie, ridurre gli imballaggi in linea con il nuovo Piano di azione sull’Economia Circolare.

 

Tra le azioni di policy previste vi sono:

 

a) Il riesame della normativa sui materiali a contatto con gli alimenti al fine di migliorare la sicurezza degli alimenti e la salute pubblica, sostenendo l'impiego di soluzioni di imballaggio innovative e sostenibili che utilizzino materiali ecologici, riutilizzabili e riciclabili;

b) Il sostegno, allo scopo di creare filiere più corte la CE, della riduzione della dipendenza dai trasporti a lunga distanza (nel 2017 circa 1,3 miliardi di tonnellate di prodotti stati trasportati su strada);

c) l’introduzione, al fine di consentire ai consumatori di fare scelte alimentari consapevoli, sane e sostenibili, di un'etichettatura nutrizionale obbligatoria e armonizzata sulla parte anteriore dell'imballaggio, nonché la possibilità   di estendere le indicazioni di origine o di provenienza;

d) l’arricchimento delle EPD contemplando congiuntamente gli aspetti nutrizionali, climatici, ambientali e sociali dei prodotti alimentari.

e) Il sollecito agli Stati membri di utilizzare le aliquote IVA in modo mirato, ad esempio per sostenere i prodotti ortofrutticoli biologici.

 

Preservare e ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità

La CE ha definito nel maggio 2020 una nuova strategia per la biodiversità per assicurare che l’UE svolga un ruolo fondamentale per l’arresto della perdita di biodiversità a livello internazionale nelle prossime negoziazioni 2020 della Convenzione per la diversità biologica, perseguendo il principio che tutte le politiche dell’UE contribuiscano a preservare e ripristinare il capitale naturale europeo.

Nella strategia si evidenzia come la pandemia di Covid-19 abbia dimostrato una volta di più quanto sia urgente intervenire per proteggere e ripristinare la natura, facendo prendere coscienza dei legami che esistono tra la nostra salute e la salute degli ecosistemi, oltre a dimostrare la necessità di adottare catene di approvvigionamento e modi di consumo sostenibili che rispettino i limiti del pianeta.

Da un lato il rischio di insorgenza e diffusione delle malattie infettive aumenta con la distruzione della natura, dall’altro investire nella protezione e nel ripristino della natura sarà di cruciale importanza per la ripresa economica dell'Europa dalla crisi Covid-19.

La protezione della biodiversità ha giustificazioni economiche ineludibili, come è stato anche evidenziato all’ultimo World Economic Forum.

 I geni, le specie e i servizi ecosistemici sono fattori di produzione indispensabili per l'industria e le imprese, soprattutto per la produzione di medicinali. Oltre la metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai servizi che fornisce: in particolare tre dei settori economici più importanti — edilizia, agricoltura, settore alimentare e delle bevande — ne sono fortemente dipendenti.

Si è stimato che dal 1997 al 2011 i cambiamenti nella copertura del suolo abbiano causato perdite tra 3.500 e 18.500 miliardi di euro l'anno in servizi ecosistemici a livello mondiale e che il degrado del suolo sia costato 5.500-10.500 miliardi di euro l'anno.

La conservazione della biodiversità può apportare benefici economici diretti a molti settori dell'economia. Il rapporto benefici/costi complessivi di un programma mondiale efficace per la conservazione della natura è valutato essere superiore a 7 a 1. Gli investimenti nel capitale naturale sono così considerati tra le cinque politiche più importanti di risanamento del bilancio della UE in quanto offrono moltiplicatori economici elevati e un impatto positivo sul clima.

 

L’impegno della UE per il capitale naturale riguarda:

 

a) L’Estensione della rete di protezione dell’ambiente: la CE si propone di proteggere almeno il 30% della superficie terrestre (4% in più di oggi) e il 30 % del mare (19% in più di oggi), con importanti ricadute non solo ambientali, ma anche economiche. I benefici di Natura 2000 sono stati valutati tra i 200 e i 300 miliardi di EUR all'anno e i nuovi investimenti per la protezione genererebbero fino a 500.000 nuovi posti di lavoro [16]; così come nelle zone marine protette per ogni euro investito se ne genererebbero almeno tre.

b) La creazione di corridoi ecologici che, nell’ambito di una rete naturalistica transeuropea davvero resiliente, impediscano l'isolamento genetico, consentano la migrazione delle specie e preservino e rafforzino l’integrità degli ecosistemi. In tale contesto la CE intende sostenere gli investimenti nelle infrastrutture verdi e blu .

c) La predisposizione di un Piano di ripristino della natura, di cui l'UE vuole fare da apripista a livello globale. Tale Piano ridurrà le pressioni sugli habitat e le specie, assicurando che gli ecosistemi siano sempre usati in modo sostenibile, sostenendo il risanamento della natura, limitando l'impermeabilizzazione del suolo e l'espansione urbana, contrastando l'inquinamento e le specie esotiche invasive. In tale ambito la Commissione proporrà nel 2021 obiettivi di ripristino della natura giuridicamente vincolanti al fine di ripristinare gli ecosistemi degradati. Gli Stati membri dovranno assicurare che almeno il 30 % delle specie e degli habitat il cui attuale stato di conservazione non è soddisfacente lo diventi o mostri una netta tendenza positiva. A questo scopo nel 2020 la Commissione e l'Agenzia europea dell'ambiente forniranno orientamenti agli Stati membri su come selezionare le specie e gli habitat e stabilirne l'ordine di priorità.

d) L’intensificazione degli sforzi per proteggere il suolo (una risorsa rinnovabile cruciale), ridurne l'erosione e aumentarne la fertilità, attraverso una revisione nel 2021 della strategia tematica dell'UE per il suolo.

e) La predisposizione nel 2021 di una specifica Strategia forestale coerente con le ambizioni in materia di biodiversità e neutralità climatica. La proposta includerà una tabella di marcia per la piantumazione di almeno 3 miliardi di alberi supplementari nell'UE entro il 2030, nel pieno rispetto dei principi ecologici. La piantumazione di alberi sarà supportata, attingendo dal programma LIFE, anche dalla nuova piattaforma europea per l'inverdimento urbano.

f) La proposta di un nuovo Piano d'azione per conservare le risorse della pesca e proteggere gli ecosistemi marini, favorendo, tra l’altro, la transizione verso tecniche di pesca più selettive e meno dannose con il sostegno del Fondo europeo per gli affari marittimi.

g) Un impegno ad adoperarsi maggiormente per ristabilire gli ecosistemi di acqua dolce e le funzioni naturali dei fiumi, al fine di conseguire gli obiettivi (la cui attuazione è in ritardo) della direttiva quadro sulle acque. Uno dei modi per farlo consiste nell'eliminare o adeguare le barriere che impediscono il passaggio dei pesci migratori e nel migliorare il flusso libero dei sedimenti: s'intende così ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25.000 km di fiumi entro il 2030, eliminando le barriere obsolete e ripristinando le pianure alluvionali.

h) La volontà di riportare la natura nelle città e ricompensare l'azione delle comunità, per cui la CE invita le città europee di almeno 20.000 abitanti a elaborare entro la fine del 2021 piani ambiziosi di inverdimento urbano, che verranno supportati e valorizzati attraverso una piattaforma UE per il verde urbano che verrà creata nel 2021.

Inquinamento zero per un ambiente privo di sostanze tossiche.

La CE si propone di essere più efficace nel monitorare, segnalare, prevenire e porre rimedio all’inquinamento atmosferico, idrico, del suolo e dei prodotti di consumo.

A tal fine esaminerà insieme agli Stati membri tutte le politiche e i regolamenti in modo più sistematico, definendo nel 2021 un piano d’azione per l’inquinamento zero di aria, acqua e suolo. Nel caso delle norme sulla qualità dell’aria saranno riviste per allinearle maggiormente alle raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità. Sarà perseguito l’Inquinamento zero degl’impianti industriali, aggiornando gli strumenti normativi in coerenza con gli obiettivi di sostenibilità  e decarbonizzazione.

Il 10 luglio 2020 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Strategia in materia di sostanze chimiche per la sostenibilità in cui, anticipando alcuni degli indirizzi per il piano inquinamento zero, evidenzia le interconnessioni tra diversi piani e strategie del Green Deal, quali la strategia per la biodiversità, dal produttore al consumatore, economia circolare, nonché il piano europeo per la lotta contro il cancro.

 

Il 2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più caldo, dal 2010 al 2019. Con una temperatura media globale di 1,1°C al di sopra dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta particolarmente urgente.

 

Le infrastrutture: energia, mobilità e digitale.

Disporre di infrastrutture di elevata efficienza nei settori dell’energia, dei trasporti e del digitale è essenziale per un’UE integrata e competitiva, in cui i cittadini e le imprese possano trarre pienamente vantaggio dalla libera circolazione, dal mercato unico e da infrastrutture sociali adeguate. Le reti transeuropee mirano in questa prospettiva a soddisfare il fabbisogno di infrastrutture resilienti, sostenibili, innovative e senza soluzioni di continuità.

Due delle azioni specifiche previste nel Green Deal, energia e mobilità, possono in questa sede essere semplicemente richiamate, in quanto verranno riprese successivamente. In ogni caso qui troviamo le strategie presentate l’8 luglio 2020 per un sistema energetico integrato [COM(2020) 299 final] e per l’idrogeno pulito [COM(2020) 301 final]. L’interconnessione tra le diverse strategie è particolarmente richiesta dalla decarbonizzazione che richiede una visione di sistema, investimenti e processi che integrino i diversi vettori energetici e gli usi dell’energia. La strategia per l’idrogeno pulito viene ad integrarsi efficacemente quale chiusura del sistema.

La CE considera queste strategie come centrali nel piano di risanamento economico, poiché propongono un percorso a costi contenuti, promuovendo investimenti mirati nelle infrastrutture, che riducano i costi dell’energia per aziende e clienti.

Ciò vale anche nell’ambito della mobilità. Per conseguire la neutralità climatica è necessario ridurre le emissioni prodotte dai trasporti del 90 % entro il 2050 e occorrerà il contributo del trasporto stradale, ferroviario, aereo e per vie navigabili. Una strada importante è quella della mobilità elettrica, dove a livello globale siamo arrivati a più di 7 milioni di veicoli elettrici per passeggeri o merci (erano 1,5 milioni nel 2016). Se in questo ambito è la Cina a prevalere (con più di 3 milioni), l’Europa arriva a quasi 2 milioni e nei primi tre mesi dell’anno, in una fase di forte contrazione del mercato, le immatricolazioni sono cresciute dell’81,7% sul primo trimestre del 2019.

Nel 2020 la Commissione adotterà una strategia per una mobilità intelligente e sostenibile per mettere gli utenti al primo posto e fornire loro alternative più economiche, accessibili e pulite rispetto alle loro attuali abitudini.

In ultimo, come abbiamo già evidenziato, la trasformazione verde e la trasformazione digitale sono due sfide indissociabili. Secondo il Green Deal europeo, queste sfide richiedono un immediato riorientamento verso soluzioni più sostenibili che siano circolari, efficienti nell’impiego delle risorse e a impatto climatico zero. È necessario che ogni cittadino, ogni lavoratore, ogni operatore economico, ovunque viva, abbia un’equa possibilità di cogliere i vantaggi di questa società sempre più digitalizzata.

La Comunicazione “Plasmare il futuro digitale dell’Europa” del febbraio 2020 [20] indica un pacchetto di azioni che il Parlamento europeo a giugno ha fatto proprie, evidenziandone l’importanza nella trasformazione dell’economia e della società europee, soprattutto quale mezzo per raggiungere la neutralità climatica dell’UE entro il 2050 e per creare posti di lavoro, concordando che l’accelerazione della trasformazione digitale rappresenterà una componente essenziale della risposta dell’UE alla crisi economica generata dalla pandemia di Covid-19.

 

Green Economy e ripartenza.

Il Consiglio europeo del 23 aprile 2020 accogliendo con favore la “Tabella di marcia per la ripresa. Verso un’Europa più resiliente, sostenibile ed equa” ha sostenuto che l’Unione europea ha bisogno di uno sforzo di investimento simile al piano Marshall per sostenere la ripresa e modernizzare l’economia. Ciò significa investire massicciamente nella transizione verde e nella trasformazione digitale nonché nell’economia circolare parallelamente ad altre politiche quali la politica di coesione e la politica agricola comune.

Una scelta la cui bontà è confermata da uno studio dell'Università di Oxford firmato da un team di esperti di fama internazionale, tra cui il Nobel “Joseph Stiglitz” e l'economista del clima Lord “Nicholas Stern” della London School of Economic, che hanno valutato circa 700 pacchetti di stimolo attuati contro la crisi del 2008 (utile bussola quindi anche contro la crisi della pandemia): per risollevare le economie, la strategia migliore, anche dal punto di vista economico e dell’occupazione è stata puntare su politiche "green" riducendo le emissioni di gas serra. Una grande opportunità per il nostro Paese, che parte avvantaggiato: un’altra recente ricerca dell'Università di Oxford e della Smith School of Enterprise and the Environment, partendo dal primo e più grande database al mondo di prodotti green, colloca l'Italia al secondo posto fra i paesi in grado di esportare "i prodotti più verdi e complessi avendo una capacità di produzione green altamente avanzata”; e addirittura al primo posto per il potenziale per diventare competitiva a livello globale in prodotti ancora più green e tecnologicamente sofisticati. In questo contesto il Green Deal europeo avrà una funzione essenziale in quanto strategia di crescita inclusiva e sostenibile.

Le risorse messe in campo come è noto sono molto significative. Al quadro finanziario pluriennale rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro si vanno a sommare i 750 miliardi di euro dello strumento europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”), nonché i 540 miliardi delle misure eccezionali approvate dal Consiglio europeo del 23 aprile 2020.

Occorre ricordare come questi stanziamenti eccezionali stiano caratterizzando i principali Paesi a livello internazionale, con modalità che però risultano poco coordinate a livello globale.

L’ONU a marzo con il rapporto “Shared responsibility, global solidarity: Responding to the socio-economic impacts of COVID-19” [21], ha posto in evidenza come il mondo stia affrontando una crisi globale non solo sanitaria, ma umana, diversa da qualsiasi altra nei 75 anni di storia delle Nazioni Unite proprio per la sua estensione e profondità.

Questa crisi richiede una risposta collettiva all’interno dei Paesi e soprattutto tra Paesi: “da sole, le azioni a livello nazionale non possono corrispondere alla scala globale e alla complessità della crisi”.

L’ONU sottolinea quindi come tale momento richieda un'azione politica coordinata, decisa e innovativa da parte delle principali economie mondiali e il massimo sostegno finanziario e tecnico per le persone e i paesi più poveri e vulnerabili, che saranno i più colpiti. Questa call to action ha avuto difficoltà ad essere colta in un contesto internazionale sempre meno orientato al multilateralismo.

 

In questo contesto possiamo considerare l’Unione Europea, dopo le prime settimane in cui ha stentato a trovare una visione comune, come un esempio di politiche coordinate, in cui l’orientamento strategico green trova uno spazio centrale. D’altronde la sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e incarnata nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior ruolo internazionale all’egida della transizione alla green,” circular e decarbonised economy”, ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri, dopo gli effetti della Brexit e dei neonazionalismi.

Nel frattempo cosa stanno facendo i due Paesi leader dell’economia globale?

Alla fine del mese di marzo il governo americano ha realizzato un maxi intervento senza precedenti per stimolare l’economia USA; è stato stanziato un pacchetto di aiuti pari a 2.000 miliardi di dollari, circa il 13% del PIL degli Stati Uniti. Il pacchetto è di tipo emergenziale, prevedendo sostegno economico a imprese e ospedali, oltre che assegni diretti a milioni di americani colpiti dalla recessione.

Parallelamente la Cina, che ha innestato la pandemia, ma che è anche riuscita a contenerla sta cercando di reperire i finanziamenti necessari per una più rapida transizione green che consenta di superare i problemi ambientali del Paese, insieme alla sua ripartenza post-Covid.

Il settore manifatturiero cinese ha recuperato rapidamente, con le aziende che hanno avviato il ritorno graduale al lavoro nei siti produttivi per i loro dipendenti, con il supporto dei governi locali. La rapida ripresa è testimoniata dal valore del China Manufacturing Purchasing Managers Index (PMI), passato da 35,7 a febbraio a 52 a marzo [22].

Al fine di mitigare l’impatto del Covid-19, il governo ha introdotto piani di stimolo volti a rilanciare il sistema economico, con una particolare attenzione alle “nuove infrastrutture”:

come i ripetitori di segnale 5G, l’intelligenza artificiale, la creazione di grandi database, treni ad alta velocità, griglie ad altissimo voltaggio e colonnine per veicoli elettrici.

 Una delle politiche più significative messe in campo dalla Cina nell’ultimo periodo riguarda infatti quella che vedrà diventare elettrici entro il 2020 il 30% dei veicoli pubblici.

Secondo “Morgan Stanley”, gli investimenti della Cina in questo genere di infrastrutture per i prossimi 10 anni ammonteranno a circa 180 miliardi di dollari. Inoltre, per contrastare eventuali rallentamenti economici di breve periodo, queste nuove infrastrutture possono aumentare la produttività a lungo termine sfruttando le tecnologie di nuova generazione.

Questi investimenti in innovazione sono sempre più spesso correlati alla green economy oggi corrispondono ad una quota dell’8% del PIL cinese (ovvero circa 740 miliardi di euro). Il fabbisogno finanziario rispetto alla sostenibilità in Cina è dell’ordine dei 2 mila miliardi, di cui il governo può supportare solo il 15%. Per questo sono favoriti gli investimenti dall’estero di operatori che conoscano le tecnologie adatte a raggiungere obiettivi utili, come trattamento dell’aria, epurazione dell’acqua o smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

In questo quadro internazionale cosa ci possiamo attendere per il nostro Paese?

Dalla Commissione Europea potrebbero arrivare a breve in Italia 110 miliardi: 21 di fondi riassegnati, 5 dalla BEI, i 36 del MES, 15 dal SURE, più altri 30 di trasferimenti disponibili. Ad essi si potrebbero sommare, per comprendere appieno l’impegno della CE e l’importanza per noi che l’Unione assume, i 180 miliardi di acquisti dei titoli di stato grazie all’estensione del quantitative easing e i 350 miliardi di rifinanziamenti alle banche italiane per prestiti alle imprese da parte della BCE.

I finanziamenti che arriveranno dall’Europa saranno però vincolati alle” Country Specific Recommendations” elaborate all’interno del processo del Semestre europeo [23], che riguardano in particolare, oltre alle consuete raccomandazioni sul bilancio pubblico e sul debito (questa volta però molto attenuate): il Green new deal e la digitalizzazione; l’innovazione, la formazione e lotta alle disuguaglianze; la riforma della Pubblica amministrazione e della giustizia civile; oltre che il miglioramento del sistema sanitario, tramite il MES.

Tra questi, gli investimenti a favore della transizione verde saranno particolarmente rilevanti per sostenere la ripresa e aumentare la resilienza futura. L’Italia è molto vulnerabile ai fenomeni meteorologici estremi e alle catastrofi idrogeologiche, compresi la siccità e gli incendi boschivi. Nella percezione della CE la trasformazione dell’Italia in un’economia climaticamente neutra necessiterà di consistenti investimenti pubblici e privati per un lungo periodo di tempo.

 

Il coinvolgimento degli attori finanziari e la tassonomia europea.

Se il contributo europeo sarà nei prossimi anni consistente è necessario anche un pari apporto da parte degli attori finanziari privati. In questo ambito sono proseguiti i passi in avanti già manifestati negli scorsi anni.

A livello europeo, nel marzo del 2018 era uscito il Piano di azione per la finanza sostenibile, con l’obiettivo di incrementare gli investimenti in progetti sostenibili e di promuovere l’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) nella gestione dei rischi e nell’orizzonte temporale degli operatori finanziari, in coerenza con l’Agenda 2030 e con l’accordo di Parigi.

Il primo passo previsto dal Piano era la predisposizione di una tassonomia europea per la finanza sostenibile, ovvero un sistema condiviso di definizione e classificazione delle attività economiche sostenibili. ll Parlamento europeo con la risoluzione del 17 giugno 2020 riguardante “l’Istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili” ha chiuso l’iter d’approvazione del regolamento UE per la Tassonomia, adottato dal Consiglio europeo il 15 aprile 2020.

“Una pietra miliare nella nostra agenda verde”, ha commentato il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, illustrando come si tratti del “primo sistema di classificazione al mondo di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che darà una spinta reale agli investimenti sostenibili”. Inoltre, è prevista anche l’istituzione formale di una piattaforma sulla finanza sostenibile che “svolgerà un ruolo cruciale nello sviluppo della tassonomia dell’Unione europea e della nostra strategia di finanziamento sostenibile nei prossimi anni”.

Il mercato degli investimenti sostenibili (SRI) sta crescendo in modo rapido (+27% dal 2016 al 2018) e ha ampiamente superato i 30.000 miliardi di dollari. L’Europa fa la parte del leone con Asset under Management superiori a 14.000 miliardi di dollari, che rappresentano già la metà del totale degli asset investiti nella regione.

Anche i dati di adesione a UN PRI testimoniano l’attenzione crescente degli investitori verso questi temi: nel 2019 i “Principles for Responsible Investment” hanno superato i 2.500 firmatari con una crescita del 20% rispetto al 2018.

Le emissioni di green bond dell’area euro hanno segnato un nuovo record nel 2019: l’ammontare emesso ha raggiunto 170 miliardi di euro +50% rispetto all’anno precedente.

 Inoltre lo stock in circolazione di titoli green a livello globale è stato pari a 566 miliardi di euro a fine gennaio 2020. Il mercato appare in ulteriore forte crescita: nel solo mese di gennaio di quest’anno sono stati collocati sul mercato titoli per 20 miliardi di euro pari al 75% di quanto emesso nel primo trimestre 2019 .

Negli ultimi anni i green bond hanno conosciuto non solo una crescita delle emissioni ma anche dei rendimenti.

NN Investment Partners ha analizzato l’andamento degli indici dei green bond rispetto agli indici tradizionali, nei comparti euro green bond ed euro corporate green bond negli ultimi quattro anni.

Nel 2019 i green bond hanno generato rendimenti del 7,4% rispetto al 6% delle obbligazioni ordinarie .

 

Tuttavia i dati positivi degli ultimi anni potrebbero nascondere alcune criticità; uno studio di Insight, la più grande società di asset management del gruppo BNY Mellon, ha analizzato 83 green bond e 96 social impact bond presenti sul mercato mondiale nel 2019; il 15% dei green bond e il 16% degli impact bond del campione risultano in qualche modo sospetti, poiché generano dubbi sulla reale sostenibilità dell’emissione, soprattutto per una mancanza di trasparenza sul modo in cui i capitali raccolti verranno utilizzati per finanziare progetti dichiarati come “verdi”.

Al fine di orientare gli investitori, gli emittenti e di contrastare problemi come il greenwashing, occorre quindi uno standard, riconosciuto a livello internazionale e capace di disciplinare le componenti fondamentali dei green bond. Il 18 giugno 2019 il TEG [26] ha pubblicato un report con cui ha illustrato la sua proposta per uno standard europeo dei green bond (EU-GBS), il secondo degli obiettivi prioritari del Piano di azione sulla finanza sostenibile.

Affinché un progetto sia finanziabile con il nuovo Green Bond Standard deve essere allineato alla tassonomia europea; questo significa che il progetto deve contribuire in modo sostanziale ad almeno uno dei 6 obiettivi ambientali identificati dalla tassonomia europea (mitigazione del cambiamento climatico, adattamento ai cambiamenti climatici, utilizzo sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine, transizione verso l’economia circolare, prevenzione e riciclo dei rifiuti, prevenzione e controllo dell’inquinamento e protezione degli ecosistemi) senza compromettere il raggiungimento degli altri (è il concetto del “do not significant harm”) e deve presentare una serie di garanzie sociali minime.

Al fine di valutare la capacità di un’attività, di un progetto di contribuire al raggiungimento di uno degli obiettivi della tassonomia è essenziale l’utilizzo dei “technical screening criteria”; ad oggi il TEG ha sviluppato dei criteri tecnici di selezione per valutare la capacità di un’attività di contribuire agli obiettivi di “climate change mitigation e adaptation”, l’ambito identificato come prioritario dalla CE; in questo caso sono state individuate 3 classi:

 

attività a basse emissioni di carbonio e che già contribuiscono all’obiettivo della neutralità climatica; si pensi alla produzione di energia solare.

Attività in fase di transizione; possono contribuire al raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni entro il 2050 ma, attualmente non operano ancora su questo livello; si pensi alla ristrutturazione di un edificio per assicurare una maggiore efficienza energetica.

Attività abilitanti; hanno un impatto sulle categorie precedenti. Per esempio un produttore di pannelli solari o di pale eoliche consente la produzione di energia rinnovabile che rientra nella prima classe.

É interessante osservare un’evoluzione all’interno dei green bond, alla ricerca di un posizionamento sempre più strategico rispetto alle sfide della sostenibilità. Così settembre 2019 Enel ha lanciato il suo primo SDG linked Bond, collocando con successo sul mercato americano un’emissione obbligazionaria da 1,5 miliardi di dollari; gli ordini, per circa 4 miliardi di dollari USA, hanno superato l’emissione di quasi 3 volte; a fronte di questo successo, ad ottobre 2019 Enel ha deciso di intervenire anche sul mercato europeo con il nuovo strumento obbligazionario e, ancora una volta, la domanda ha superato l’offerta.

L’utilizzo dei proventi non è vincolato ad una serie di progetti green eleggibili, ma  agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030; questo garantisce maggiore flessibilità all’emittente e l’ambito di intervento dei potenziali investimenti risulta più esteso; in particolare Enel si è orientata alla creazione di valore mediante scelte di business che supportano il perseguimento dei seguenti SDGs: “Energia accessibile e pulita” SDG 7, “Imprese, innovazione e infrastrutture” SDG 9, “Città e comunità sostenibili” SDG 11, “Lotta contro il cambiamento climatico” SDG 13.

Le risorse raccolte sul mercato dei capitali soddisfano l’ordinario fabbisogno finanziario dell’emittente; quest’ultimo non utilizza le risorse per un progetto specifico ma per il raggiungimento di un determinato target al quale corrisponde un KPI. Per esempio, con l’emissione di settembre 2019, Enel si è impegnata a raggiungere una percentuale di capacità installata da fonti rinnovabili pari o superiore al 55% della capacità installata totale consolidata entro il 31 dicembre 2021.

Il processo di monitoraggio, basato sui KPI, consente di intervenire sul tasso di interesse in base ai risultati conseguiti dall’azienda; nel caso in cui Enel non rispettasse la condizione di capacità di energia rinnovabile installata nei tempi dichiarati, il tasso di interesse legato al prestito obbligazionario sarà automaticamente rettificato con un meccanismo di step up (incremento di 25 bps). Come detto il monitoraggio che consente di intervenire sul costo del denaro risulta molto attraente per gli investitori ed è anche un efficace incentivo per l’emittente al fine di migliorare la propria performance di sostenibilità nel tempo.

 

 

 

 

LA TRANSIZIONE ENERGETICA

NON AVRÀ LUOGO.

Comedonchisciotte.org – (26 -5 – 2024) - By CptHook - Intervista a Jean-Baptiste Fressoz – ci dice:

 

(Il nostro “corrispondente dalla Francia” Alceste de Ambris ci propone questa volta una sua traduzione adattata da un’interessantissima intervista, molto più lunga, di LeGrandContinent a Jean Baptiste Fressoz autore del libro che dà il titolo a questo pezzo. Come al solito un sentito ringraziamento sia per l’eccellente scelta che per l’ottima traduzione.)

(Le Grand Continent- 22 febbraio 2024).

Una delle tesi centrali del suo lavoro è la messa in discussione di una visione “a fasi” della storia dell’energia e dei materiali, come successione di epoche materiali distinte […].

Tuttavia, questa visione fasica non deriva semplicemente dal senso comune, ma si ritrova anche nelle opere dei maggiori autori di storia ambientale.

Potrebbe tornare sul tipo di narrazione che questo tipo di opere propone, sull’uso del termine “transizione” che viene fatto, e sui fenomeni che ci impedisce di vedere?

 Bisogna essere un futurologo o uno storico per poter leggere la storia dell’energia in maniera “fasica”.

 Se osserviamo un grafico che rappresenta il mix energetico globale nell’arco di uno o due secoli, notiamo immediatamente che non diminuisce alcun fattore.

Il trucco per vedere le transizioni, a partire dagli anni ’70, è considerare le energie primarie in termini relativi e includere il legno:

 appaiono allora due transizioni, una dal legno al carbone, l’altra dal carbone al petrolio.

Gli storici hanno poi collegato a questa visione in termini relativi la nozione di “sistema tecnico” – che è problematica – l’idea che ci sarebbe un “sistema del legno”, un “sistema del carbone”, un “sistema del petrolio”, o ancora “un sistema tecnico” della rivoluzione industriale incentrato sul carbone e sul vapore.

Tutte queste categorie sono astrazioni che semplificano drasticamente la complessità materiale della produzione in ogni epoca.

Sicché la cosa principale da raccontare e spiegare sarebbero le transizioni da un sistema all’altro.

La seconda caratteristica della storiografia è una forma di specializzazione. Abbiamo storici del carbone, altri del legno e altri ancora del petrolio.

Di conseguenza, le interrelazioni tra questi materiali e queste energie, che sono il cuore del mio libro, sono state relativamente trascurate.

 Infine, in terzo luogo, e questo è un difetto abbastanza generale e che va ben oltre la questione energetica, gli storici hanno avuto la tendenza a interessarsi a ciò che c’è di nuovo in ogni epoca.

 Questo punto è stato perfettamente evidenziato da “David Edgerton” in “The Shock of the Old”.

Tale pregiudizio non fa che rifletterne uno molto più ampio: il fascino per l’innovazione.

 Se aprite le pagine di “tecnologia” di un giornale, troverete informazioni sulle novità o anche sugli ultimi accessori alla moda, e poco o nulla sulle vecchie tecniche che ci accompagnano da molto tempo e che sono molto più importanti.

Quanti articoli leggiamo sullo sviluppo tecnologico dei trattori o delle macchine utensili?

 Eppure, è probabile che accadano cose interessanti in queste settori, forse più importanti di Chat GPT.

Questo modo di pensare alla storia e all’innovazione è molto pericoloso per comprendere la sfida climatica.

Perché?

 

 Prendiamo l’ultimo rapporto del Gruppo III dell’IPCC dell’aprile 2022.

 Ci sono diverse pagine su una discussione molto strana: la prossima transizione avverrà più velocemente delle transizioni energetiche del passato?

Ma queste transizioni passate sono costruzioni intellettuali piuttosto spettrali. Prendiamo ancora il “rapporto Pisani-Ferry,” presentato nel maggio 2023 a “Élisabeth Borne”:

 conclude che dobbiamo tassare i ricchi per finanziare la transizione, ma inizia meno bene, con un grafico che mostra in percentuali relative il mix energetico globale, per spiegare che abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione industriale.

 L’idea è ripresa da “Agnès Pannier-Runacher,” ex-ministro della transizione energetica.

Tutto ciò riflette una comprensione insufficiente delle dinamiche energetiche e materiali del passato:

 durante la prima rivoluzione industriale, nozione di per sé abbandonata da tempo dagli storici, tutto si è incrementato.

Non c’è stata alcuna transizione da un’energia all’altra.

 La legna da ardere è cresciuta nel XIX secolo , l’energia del legno è cresciuta nel XX secolo … […]

 

Il mio libro opera qualche scostamento rispetto alla storiografia abituale dell’energia.

 Innanzitutto, parte da una constatazione banale e nota… fin dagli anni ’20: la storia dell’energia è soprattutto una storia di sovrapposizioni. Né le materie prime né le fonti energetiche sono mai obsolete.

 E in secondo luogo, un punto meno banale e meno noto: è una storia di simbiosi. Quando parliamo di “petrolio”, “carbone”, in realtà stiamo trattando astrazioni statistiche.

Queste fonti di energia poggiano su basi materiali molto più ampie di quanto indica il loro nome.

Il carbone, ad esempio, richiede molto legno (all’inizio del XX secolo serviva circa una tonnellata di puntelli per estrarre 20 tonnellate di carbone ).

Di conseguenza, nel 1900 l’Inghilterra utilizzò più legno per sostenere le sue miniere di carbone di quanto ne bruciasse un secolo prima…

Per quanto riguarda il petrolio, necessita di carbone (perché serve acciaio per estrarlo e ancora più acciaio per bruciarlo) e quindi di legno… Tutti questi materiali ed energie sono completamente intrecciati.

 Il mio libro si rivolge anzitutto ai colleghi storici dicendo:

“Guardate, ci sono cose interessanti che non sono state raccontate”, come la storia dei puntelli o dei tubi del petrolio.

La domanda “La transizione avrà luogo?”» non mi interessa più tanto, perché tutti sanno che non riusciremo a decarbonizzare l’economia globale in trent’anni.

 Basta leggere i rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) o quelli dell’Amministrazione dell’Informazione Energetica americana.

In “L’evento antropocene” (scritto con” Christophe Bonneuil”), lei ha sostenuto la necessità di una storia dei servizi energetici.

 Su questo punto si ritorna nel capitolo 1 di questo libro, ricordando che questi servizi energetici non sono da confondere con il consumo di energia primaria su territorio nazionale.

Può illustrare questa distinzione con un esempio?

 Più in generale, quali sono le implicazioni più ampie di questa distinzione per la storia dell’energia e dell’industrializzazione?

 

Questo è un punto particolarmente importante per comprendere la storia dell’industrializzazione nel XIX secolo, mentre diventa meno importante per fare confronti tra paesi ricchi negli anni ‘60 che hanno sistemi energetici relativamente simili

. D’altra parte, all’inizio dell’industrializzazione, prendere in considerazione solo l’energia primaria falsa completamente la comprensione delle dinamiche in atto, perché appena si introduce una tonnellata di carbone nella propria economia, all’improvviso l’energia esplode, perché il carbone contiene una quantità enorme di energia.

Il problema è che essa viene utilizzata nei motori a vapore o negli impianti di illuminazione a gas, che hanno un rendimento disastroso e perdono gran parte dell’energia primaria – l’efficienza dei motori a vapore passa dal 3 al 15% nel corso del XIX secolo.

Si può anche aggiungere che l’EROI (tasso di rendimento energetico) del carbone non era eccezionale:

negli anni ’20, l’8% del carbone inglese veniva utilizzato nelle miniere di carbone, solo per estrarre carbone!

La storia dell’energia è stata costruita su dati energetici primari, ma ciò che conta per l’attività economica sono ovviamente i servizi energetici.

Ecco perché la storia ha rafforzato la convinzione di un’industrializzazione completamente determinata dal carbone. Questo è un punto importante, soprattutto storiografico.

 A un certo punto mi sono posto la domanda: “Sto iniziando a studiare la storia non dell’energia, ma dei servizi energetici?” “.

In realtà, ritorniamo più o meno alla storiografia econometrica degli anni ’70, che ha dimostrato che la crescita era stata molto più graduale di quanto l’idea di una rivoluzione industriale possa far pensare.

 Gli storici-econometrici si sono basati non sulle serie energetiche, ma su quelle economiche attraverso la ricostruzione del PNL.

 Insomma, il rischio era quello di ritrovarsi, dopo tanti sforzi, con risultati abbastanza noti.

 Ma ci sono comunque molte cose da raccontare una volta che si tenga conto di questa distinzione.

 Ad esempio, se si mette in relazione il numero dei motori a vapore con il numero delle imprese in Francia nel 1900, si vede che il 98,6% delle imprese industriali e agricole non disponeva di motori.

 L’economia francese del 1900 era imperniata soprattutto sull’energia muscolare!

Seguendo lo storico “David Edgerton” , lei critica il pregiudizio – sia nella storia della scienza e della tecnologia che in quella dell’energia – che porta a focalizzarsi su ciò che è nuovo.

Al contrario, propone “una storia senza direzione” mettendo in discussione l’idea che alcune energie siano più “tradizionali” di altre.

Questo disorientamento si manifesta nel suo lavoro dimostrando la modernità di tecniche o energie considerate antiche (la candela o il carbone per esempio), o, al contrario, relativizzando la modernità materiale di un edificio emblematico del capitalismo industriale, il “Crystal Palace” dell’Esposizione di Londra del 1851.

Potrebbe tornare su questa critica e sul modo in cui la illustra?

Il discorso sulla tecnologia fa ipotesi abbastanza arbitrarie su cosa sarebbe moderno e cosa sarebbe antico.

Sul” Crystal Palace”, in realtà, si sono fatti molti discorsi filosofici sulla straordinaria modernità di questo edificio, simbolo della globalizzazione e del capitalismo moderno.

Nei libri di testo scolastici è anche la classica immagine del capitolo sulla rivoluzione industriale…

Certamente all’interno del palazzo di cristallo c’erano tantissime macchine e perfino un grosso pezzo di carbone!

Ma per quanto riguarda l’edificio stesso, contiene tre volte più legno che ferro e vetro!

È stato progettato dall’architetto di un grande proprietario terriero, specialista in serre.

Si tratta insomma di un edificio ancorato al mondo aristocratico e agricolo.

Da notare che nel 1936 l’edificio bruciò improvvisamente perché il legno, sottoposto per più di mezzo secolo all’effetto serra, era completamente asciutto.

Il palazzo di cristallo è in definitiva una buona metafora del capitalismo moderno, ma certo non per le ragioni un po’ banali addotte ad esempio da “Sloterdijk”.

 Il Crystal Palace illustra il divario significativo tra la nostra comprensione di ciò che è moderno e la materialità della modernità.

Ha citato l’esempio della candela.

Questo emblema dell’arcaismo è infatti un oggetto modernissimo del XIX secolo, proveniente da laboratori di chimica organica, prodotto industrialmente in grandi stabilimenti che importavano grassi da tutto il mondo e in particolare olio di palma dall’ Africa occidentale.

Si riciclava anche il grasso dei macelli, quindi è una prima forma di economia circolare!

Le candele steariche prodotte a Londra, Parigi o Marsiglia venivano esportate in tutto il mondo alla fine del XIX secolo.

Questo esempio è interessante perché gli storici critici della modernità – ad esempio” Wolfgang Schivelbusch”, che ha scritto un buon libro sulla storia della luce – prendono troppo sul serio le pretese dei modernizzatori, in questo caso l’illuminazione a gas, di rappresentare la modernità.

Inoltre, se torniamo alla storia della luce all’inizio del XX secolo, la grande tecnologia di illuminazione non è l’elettricità, ma… la lampada a cherosene.

 È un combustibile fossile ma rimane a bassa tecnologia.

Quindi sì, appena ci addentriamo in un settore ci rendiamo conto che abbiamo storie stereotipate di cosa è moderno e cosa non lo è, di cosa è industriale e cosa non lo è:

 la candela ad esempio è più industriale del gas o almeno la sua produzione è più concentrata.

Ci sono fabbriche di candele molto grandi, mentre per il gas occorre installare una o più fabbriche in ogni città.

Perché gli storici sono affascinati dall’illuminazione a gas?

 Perché è una tecnica che funziona in rete, e la modernità significa necessariamente rete.

Il suo libro può essere considerato una sorta di critica ambientale dell’economia politica:

potrebbe tornare al ruolo di alcuni economisti nella creazione dell’apatia climatica, e in particolare a quello di “William Nordhaus”, vincitore del “Premio Nobel” per l’Economia nel 2018 (viene ricordata la dichiarazione piuttosto sorprendente del co-vincitore “Paul Romer” secondo cui, grazie alla ricerca e allo sviluppo nelle innovazioni verdi, “decarbonizzare l’economia sarà così facile che, guardando indietro, sembrerà di averlo fatto senza sforzo”)?

Il caso di” Nordhaus” è interessante in relazione a quanto dico perché è il primo economista del clima e ha ricevuto un premio Nobel per il suo lavoro, ma ha una visione aberrante della storia delle tecniche che non è priva di conseguenze sulle sue concezioni economiche.

 In un famoso articolo “Nordhaus” dimostra che il prezzo della luce è crollato nel corso della storia grazie al progresso tecnologico.

Ma confonde le date delle innovazioni e le date di utilizzo.

Le teorie economiche di “Nordhaus” sono già state ben studiate da “Antonin Pottier”.

 Il suo premio Nobel suscitò grande scalpore: dimostrò, ad esempio, che un aumento ottimale del riscaldamento globale era di 3,5°C.

 Ma c’è un aspetto del contesto storico che non si è notato:

l’utopia nucleare.

Quando” Nordhaus” iniziò a riflettere sul clima nel 1974-75, lavorava all”’IIASA” (Istituto Internazionale di Analisi dei Sistemi Avanzati), in un piccolo gruppo di esperti ossessionati dal “reattore nucleare autofertilizzante”.

Secondo loro, il reattore autofertilizzante doveva essere disponibile e persino diffuso entro il 2000.

Non possiamo sopravvalutare l’importanza del reattore autofertilizzante nell’immaginario dei primi esperti climatici, negli Stati Uniti e all’IIASA.

 È stato un grande progetto tecnologico, ha rappresentato dal 30 al 40% del settore pubblico di ricerca e sviluppo sull’energia in Inghilterra, Francia e Stati Uniti negli anni ’70.

Era una speranza immensa.

Grazie al reattore autofertilizzante gli orizzonti temporali dell’energia diventano infiniti o si possono contare in decine di migliaia di anni.

 Tutto ciò ha avuto una grandissima influenza. […].

 

“Nordhaus” ha avuto una grande influenza sui primi rapporti dell’IPCC.

Nel secondo rapporto del 1995 si scrive esplicitamente che è meglio non fare sforzi subito, perché poi sarà più facile, e che inoltre il ciclo naturale del carbonio ci aiuta a ridurre la quantità di CO2 nell’atmosfera.

 Infine, vorrei sottolineare che il presidente del gruppo III dell’IPCC all’inizio degli anni ’90, “Robert Reinstein”, che – cosa interessante – è apertamente scettico sul clima, spiega di aver consultato “Nordhaus” e di aver tratto ispirazione dal suo lavoro! “

Quindi sì, le teorie di Nordhaus” sono servite direttamente alla procrastinazione climatica.

 

È vero che a partire dagli anni 2000 la sua influenza si è erosa perché l’obiettivo dei 2 gradi è diventato centrale nei negoziati sul clima, mentre “Nordhaus” ha dichiarato esplicitamente:

“Due gradi sono come i segnali sull’autostrada che indicano 50 miglia all’ora negli Stati Uniti, è del tutto arbitrario e ingiustificato”.

Qui si tratta del secondo” Nordhaus”, ben analizzato dal collega “Antonin Pottier”, il “Nordhaus” del modello” DICE”, un modello costi/benefici dove arriva alla conclusione che un aumento di 3,5 gradi corrisponde alla temperatura economicamente ottimale!

Nella terza parte, come ha accennato, ripercorre la storia del Gruppo III dell’IPCC (il gruppo che valuta le “soluzioni”) in modo abbastanza iconoclasta, mostrando che quest’ultimo in realtà sostiene una linea piuttosto attendista negli anni ’90.

Come spiegare la profonda evoluzione che vedete negli anni 2000?

E come ciò ha influito sulle soluzioni prospettate da allora (ricordiamo che nel 2005 troviamo ancora in uno speciale rapporto dell’IPCC i progetti di “laghi” artificiali di anidride carbonica sul fondo degli oceani…)?

Non sono un esperto di queste questioni e ci sono persone che ci hanno  lavorato più seriamente, come “Hélène Guillemot” e “Béatrice Cointe”.

Negli anni 2000 è stato imposto l’obiettivo dei 2 gradi, e addirittura di 1,5 gradi a Parigi nel 2015.

Da quel momento in poi abbiamo scenari molto diversi da quanto delineato nei primi due rapporti.

Obiettivi NZE (Net Zero Emissions) che includono enormi quantità  di “emissioni negative”.

In pratica si tratta di utilizzare il BECCS (Bioenergy Carbon Capture and Storage):

bruciare legna nelle centrali termoelettriche per poi recuperare la CO2 e seppellirla sottoterra.

Nessuno ci crede veramente, ma è un elemento fondamentale per portare l’economia globale sotto la soglia dei 2 °C.

 Questo punto solleva una questione interessante, mi sembra, sull’effetto politico, volontario o involontario, di questi scenari a zero emissioni.

Il loro obiettivo è ovviamente quello di illuminare il processo decisionale.

 Sono esperimenti mentali assistiti dal computer.

Fissiamo un limite di riscaldamento al 2100 e lo IAM (Modello di Valutazione Integrata) calcola le traiettorie che includono più o meno efficienza energetica, diffusione delle energie rinnovabili, CCS o BECCS.

Questi scenari sono puramente normativi.

 Non sono predittivi, prospettici.

Ancora una volta, le previsioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (lo scenario Steps) non prevedono la decarbonizzazione, ma solo una lieve riduzione del carbone entro il 2050.

La fattibilità e la plausibilità degli scenari NZE è stata poco o per nulla valutata.

Il loro realismo economico e tecnologico è probabilmente molto basso.

Ma qual è l’effetto politico di questi scenari che sembrano dimostrare che tutto è possibile?

Non ho una risposta chiara, ma dobbiamo discuterne.

Dobbiamo anche discutere sulla visione del mondo e della tecnologia che si riflette nei rapporti del gruppo III dell’IPCC, in cui si parla principalmente di tecnologie e soprattutto di tecnologie complesse che riguardano i paesi ricchi.

 Il quarto rapporto annunciava, ad esempio, che la fusione nucleare sarebbe stata disponibile in commercio entro il 2050.

Viceversa, nei rapporti del gruppo III, si parla poco ad esempio dei treni o della possibile diffusione delle biciclette o delle videoconferenze…

Naturalmente queste visioni del futuro, che si tratti della fusione o del BECCS, sono discutibili e altamente politiche.

Il problema è che il dibattito è molto polarizzato:

non appena si inizia a discutere la minima asserzione del gruppo III, anche quando è un’assurdità evidente (quando si parla di storia), sulle piattaforme sociali si viene bollati come pericolosi luddisti anti-scienza…

[…]

(jb fressozJean-Baptiste Fressoz, nato nel 1977, è uno storico francese della scienza, della tecnologia e dell’ambiente.)

 

 

 

 

L'orlo della dissoluzione: la nevrosi

in Occidente mentre l'argine si rompe.

Unz.com - ALASTAIR CROOKE – (27 MAGGIO 2024) – ci dice:

Il discorso dell'escalation militare è di moda in Europa, ma sia in Medio Oriente che in Ucraina, la politica occidentale è in grave difficoltà.

Il paradosso è che il “Team Biden” – del tutto inavvertitamente – sta facendo da apripista alla nascita di un "nuovo mondo".

Lo fa a forza della sua cruda opposizione al parto.

Più le élite occidentali spingono contro la nascita – attraverso il "sionismo salvifico"; "salvare l'Ucraina europea " e schiacciando il dissenso – accelerano perversamente il naufragio del Leviatano.

Il doppio abbraccio d'addio del presidente Xi al presidente Putin dopo il vertice del 16-17 maggio ha comunque suggellato la nascita – anche il New York Times, con il consueto autoreferenzialismo, ha definito il caloroso abbraccio di Xi come "sfida all'Occidente" ".

La radice dell'imminente dissoluzione deriva proprio dal difetto che il titolo del NY Times racchiude nella sua sprezzante etichettatura del cambiamento sismico come vile anti-occidentalismo.

Riflette la miopia di non voler vedere o sentire ciò che è così chiaramente in bella vista davanti a noi:

 se fosse semplicemente "anti-Occidente" – nient'altro che la negazione della negazione – allora la critica avrebbe qualche giustificazione.

Tuttavia, non è una semplice antitesi.

Piuttosto, la dichiarazione congiunta Cina-Russia, composta da quasi 8.000 parole, evoca le leggi elementari della natura stessa nel delineare l'usurpazione da parte dell'Occidente dei principi fondamentali dell'umanità, della realtà e dell'ordine – una critica che fa impazzire l'Occidente collettivo.

“David Brooks”, l'autore statunitense che ha coniato il termine “BoBos” (Borghesia Boema, cioè le élite metropolitane) per tracciare l'ascesa del wakeismo, ora afferma che il "liberalismo" (qualunque cosa significa oggi) "è malato" e in ritirata. I

l classico zeitgeist "liberale" poggia su una base di impegni e obblighi morali che precedono la scelta – i nostri obblighi verso le nostre famiglie, verso le nostre comunità e nazioni, verso i nostri antenati e discendenti, verso Dio o verso qualche insieme di verità trascendenti.

Tende al tiepido e poco stimolante, dice “Brooks”:

"Evita le grandi domande come: perché siamo qui? Qual è il significato di tutto questo? Coltiva piuttosto le gentili virtù borghesi come la gentilezza e la decenza, ma non, come “Lefebvre” ammette, alcune delle virtù più elevate, come il coraggio, la lealtà, la pietà e l'amore altruistico".

Per essere chiari, “Brooks”, in un altro articolo, sostiene che ponendo così tanta enfasi sulla scelta individuale, il liberalismo puro attenua i legami sociali:

In un ethos puramente liberale, una domanda invisibile si nasconde dietro ogni relazione: questa persona è buona per me?

Ogni connessione sociale diventa temporanea e contingente.

Quando le società diventano liberali fino in fondo, trascurano (come citato da Brooks) la verità fondamentale di “Victor Frankl” secondo cui "la ricerca di significato dell'uomo è la motivazione primaria della sua vita".

La dichiarazione congiunta “Xi-Putin” non è quindi solo un piano di lavoro dettagliato per un futuro dei “BRICS” (anche se è in realtà un piano di lavoro molto completo per il vertice BRICS di ottobre).

La Russia e la Cina hanno piuttosto proposto una visione dinamica di principi concreti come pilastri per una nuova società nel futuro post-occidentale.

Giocando direttamente con le fonti primordiali di significato che sono più profonde delle preferenze individuali – la fede, la famiglia, la terra e la bandiera – la Russia e la Cina hanno raccolto i pezzi e hanno risollevato il mantello del “Movimento dei Paesi Non Allineati di Bandung” promuovendo il diritto all'autodeterminazione nazionale e la fine di sistemi di sfruttamento vecchi di secoli.

Ma come e perché si può dire che l'Occidente sta accelerando la propria dissoluzione?

Il New York Times dà l'indizio del "perché":

la vecchia ossessione "anglosassone" per una Russia ribelle che l'Occidente non è mai stato in grado di piegare al proprio volere.

E ora, Russia e Cina hanno firmato una dichiarazione congiunta in qualche modo simile all'amicizia "senza limiti" dichiarata nel febbraio 2022, ma che va oltre.

Ritrae la loro relazione come

"superiore alle alleanze politiche e militari dell'era della Guerra Fredda. L'amicizia tra i due Stati non ha limiti, non ci sono aree di cooperazione "proibite"...”

In parole povere, questo viola la regola occidentale di lunga data della triangolazione:

gli Stati Uniti devono stare con l'uno, la Russia o la Cina, contro l'altro;

 ma non dovrebbe mai essere permesso alla Cina e alla Russia di unirsi contro gli Stati Uniti! – una dottrina santificata nel 'diritto canonico' occidentale fin dai tempi di Mackinder nel 19 eesimo Secolo.

Eppure, quel "due contro uno" è esattamente ciò che il “Team Biden” ha inavvertitamente "fatto".

Che cos'è, allora, il "come"?

Il problema con le soluzioni occidentali a qualsiasi problema geopolitico è che invariabilmente comprende più o meno la stessa cosa.

La combinazione di questo profondo disprezzo per la Russia – sussunta nella paura sotterranea della Russia come presunto concorrente geo-strategico – invita l'Occidente a ricorrere a ripetere lo stesso approccio di triangolazione, senza la dovuta riflessione sul fatto che le circostanze siano cambiate o meno.

Questo è il caso qui e ora, il che comporta un rischio "chiaro e presente" di un'escalation non intenzionale e dannosa:

una prospettiva che potrebbe levare proprio ciò che l'Occidente teme di più: una perdita di controllo, che fa precipitare il sistema in caduta libera.

L'errore:

“Ray McGover”n, un ex briefer presidenziale degli Stati Uniti, ha raccontato come

"Biden è entrato in carica nel 2021, i suoi consiglieri gli hanno assicurato che avrebbe potuto giocare sulla paura della Russia (sic) nei confronti della Cina e creare un cuneo tra di loro.

 Questo rappresenta la 'madre di tutti gli errori' di giudizio, perché determina le circostanze in cui l''Ordine' occidentale può dissolversi".

"Questa [presunzione di debolezza russa] è diventata imbarazzante e chiara quando Biden ha detto a Putin durante il loro vertice di Ginevra...

Permettetemi di porre una domanda retorica:

"Avete un confine di migliaia di miglia con la Cina. La Cina sta cercando di essere l'economia più potente del mondo e il più grande e potente esercito del mondo".

“McGovern” osserva che questo incontro ha dato a Putin una chiara conferma che Biden e i suoi consiglieri erano bloccati in una valutazione tristemente obsoleta delle relazioni Russia-Cina.

Ecco il modo bizzarro in cui Biden ha descritto il suo approccio a Putin sulla Cina:

All'aeroporto dopo il vertice, gli assistenti di Biden hanno fatto del loro meglio per portarlo sull'aereo, ma non sono riusciti a impedirgli di condividere più "saggezza" " sulla Cina: "La Russia è in una situazione molto, molto difficile in questo momento Sono schiacciati dalla Cina".

'Sì': più o meno la stessa cosa! Biden stava cercando, su consiglio dei suoi esperti, di inserire l'onnipresente "cuneo" occidentale tra la Russia e una "GRANDE" Cina.

Dopo queste osservazioni, Putin e Xi hanno trascorso il resto del 2021 cercando di disilludere Biden dal meme della "stretta cinese":

questo sforzo reciproco è culminato nel vertice di amicizia "senza limiti" Xi-Putin di quell'anno.

Se i consiglieri avrebbero prestato attenzione, tuttavia, avrebbero infilato una lunga storia di riavvicinamento russo-cinese.

E invece no, erano ideologicamente congelati nell'idea che i due fossero destinati ad essere eterni nemici.

Raddoppiando l'errore. C'è di peggio:

Poi, in una conversazione telefonica del 30 dicembre 2021, Biden ha assicurato a Putin che "Washington non aveva intenzione di schierare armi offensive in Ucraina".

 Tuttavia, il ministro degli Esteri Lavrov ha rivelato che quando ha incontrato “Blinken” a Ginevra nel gennaio 2022, il segretario di Stato americano ha fatto finta di non aver sentito parlare dell'impegno di Biden nei confronti di Putin il 30 dicembre 2021.

Piuttosto, “Blinken” ha insistito sul fatto che i missili a medio raggio statunitensi potrebbero essere schierati in Ucraina e che gli Stati Uniti potrebbero essere disposti a prendere in considerazione la possibilità di limitarne il numero.

Peggiorare un errore adorabile.

Nell'agosto 2019, quando gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato che vietava i missili a raggio intermedio in Europa, gli Stati Uniti avevano già schierato missili in Romania e Polonia (affermando che il loro scopo era apparentemente "difendersi dall'Iran").

Tuttavia, i tubi installazioni sono deliberatamente configurati per ospitare missili da crociera e balistici dotati di testate nucleari.

Ma ecco il problema: non è possibile determinare quale missile è caricato, poiché i tubi hanno dei coperchi.

Il tempo necessario a questi missili per raggiungere Mosca sarebbe di 9 minuti dalla Polonia e 10 dalla Romania.

Ma se, come ha minacciato “Blinken”, i missili potrebbero essere installati in Ucraina, si scenderebbe a soli 7 minuti (e se si trattasse di un missile ipersonico, che gli Stati Uniti non avrebbero ancora, sarebbero solo 2-3 minuti)

Giusto per chiarezza, questa (cioè l'Ucraina) è la guerra esistenziale della Russia che combatterà, costi quel che costi.

Pechino è pienamente consapevole dell'alta posta in gioco per la Russia (e in ultima analisi anche per la Cina).

Le conseguenze dell'affidarsi alle minacce e alle pressioni del tipo "sempre le stesse tattiche di nuovo".

Il 18 maggio a Mosca, sulla scia dell'ultimo vertice Xi-Putin – come nota “MK Bhadrakumar” – Lavrov ha previsto un'escalation delle forniture di armi occidentali all'Ucraina, riflettendo non solo la necessità elettorale di “Biden” di essere vista "di fronte" alla Russia", ma anche la realtà che "la fase acuta del confronto politico-militare con l'Occidente" continua. È in pieno svolgimento.

 

I processi di pensiero occidentali, ha detto Lavrov, stanno virando pericolosamente verso "i contorni della formazione di un'alleanza militare europea – con una componente nucleare ". “Lavrov “si è lamentato del fatto che " hanno fatto una scelta a favore di una resa dei conti sul campo di battaglia: siamo pronti per questo".

"L'agenda per infliggere una sconfitta strategica alla Russia, militarmente e in altro modo, è pura fantasia e sarà risolutamente contrastata".

L'inadeguatezza militare europea spiega, preferibilmente, l'idea di aggiungere un componente nucleare.

In parole povere, con gli Stati Uniti incapaci di uscire o di moderare la loro determinazione a preservare la loro egemonia, Lavrov vede la prospettiva di un aumento della fornitura di armi occidentali all'Ucraina.

 Il discorso dell'escalation militare è di moda in Europa (su questo non c'è dubbio); ma sia in Medio Oriente che in Ucraina, la politica occidentale è in grave difficoltà.

Ci devono essere dubbi sul fatto che l'Occidente abbia la volontà politica, o l'unità interna, di questa linea aggressiva.

Le guerre trascinanti non sono tradizionalmente considerate "favorevoli agli elettori" quando la campagna elettorale raggiunge il suo apice.

 

 

 

 

Un attacco missilistico israeliano

trasforma il campo profughi

in un inferno a Rafah

unz.com - MIKE WHITNEY – (27 MAGGIO 2024) – ci dice:

Domenica, Israele ha lanciato diversi attacchi missilistici su una "zona sicura" nel quartiere “Tal al-Sultan” di “Rafah”.

Le esplosioni, che potevano essere udite a chilometri di distanza, hanno innescato un enorme incendio che ha attraversato rapidamente l'accampamento, intrappolando molte persone nelle loro tende, dove sono state bruciate vive.

 Le scene raccapriccianti del sito sono apparse quasi immediatamente su una serie di canali di social media dove milioni di spettatori sono stati in grado di vedere in prima persona gli effetti dell'assalto omicida di Israele.

Molti dei video apparsi su Twitter sono quasi troppo dolorosi da guardare.

In una clip particolarmente orribile, un uomo barbuto tiene in mano i resti senza testa di un bambino che è stato fatto a pezzi pochi minuti prima.

Un altro video mostra genitori e vicini di casa disperati che cercano di estrarre i corpi carbonizzati dei loro bambini dalle macerie mentre le fiamme tremolano sullo sfondo.

Un terzo video mostra sei giovani che trasportano una vittima avvolta in una trapunta attraverso un fumoso campo di detriti, i resti bombardati di un edificio residenziale.

Guardare questi inquietanti video post-apocalissi è allo stesso tempo traumatizzante e deludente.

 Stiamo chiaramente sperimentando un livello di barbarie omicida mai visto nel dopoguerra.

Tenete presente che alle vittime dell'attacco israeliano era stato ordinato di trasferirsi nella loro posizione attuale solo pochi giorni prima.

E – non appena si furono stabiliti – Israele li annientò senza pietà con bombe da 1.000 libbre.

Come mai non è un omicidio a sangue freddo?

È un omicidio. Come ha affermato recentemente l'autore “Norman Finklestein”, "Israele sta uccidendo persone in un campo di concentramento".

Ha ragione, non è vero?

E ancora più scioccante è il fatto che massacrano donne e bambini con un gusto che rasenta la psicosi clinica.

Ma non è psicosi; è un ceppo di fanatismo fanatico che non ha eguali nei tempi moderni.

Tenete presente che non vi è alcun valore strategico nel far saltare in aria un accampamento di sfollati

. Non ha alcuno scopo militare.

 Il che ci porta a credere che l'impulso a queste atrocità sia qualcosa di completamente diverso; qualcosa di molto più oscuro e sinistro.

 Questo è puro sport sanguinario; uccidere per il gusto di uccidere.

Nessuno vuole ammetterlo, ma dopo sette mesi di implacabile ferocia non è più possibile ignorare la pura verità;

Israele è impegnato nelle forme più estreme di violenza omicida perché ciò rafforza il loro senso collettivo di superiorità.

 È scioccante. Questo è tratto da un articolo su “Aljazeera “:

Funzionari di Gaza affermano che il bilancio delle vittime degli attacchi aerei israeliani su un campo che ospita profughi palestinesi vicino a Rafah, nella parte meridionale della Striscia, è salito a 45....

Testimoni hanno detto che almeno otto missili hanno colpito il campo – una zona designata come sicura – domenica notte intorno alle 20:45 ora locale.

L'agenzia di stampa “Wafa”, citando la “Mezzaluna Rossa Palestinese” (PRCS), ha affermato che molti di coloro che sono morti sono stati "bruciati vivi" all'interno delle loro tende nella zona di “Tal as-Sultan”...

Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha affermato che il suo ospedale da campo a Rafah sta ricevendo un afflusso di vittime e che anche altri ospedali stanno accogliendo un gran numero di pazienti.

" Gli attacchi aerei hanno bruciato le tende, le tende si stanno sciogliendo e anche i corpi delle persone si stanno sciogliendo", ha detto all'agenzia di stampa “Reuters” uno dei residenti arrivati all'ospedale kuwaitiano di Rafah.

Medici Senza Frontiere ha affermato che "dozzine di feriti" sono stati portati in una struttura da essa supportata.

"Siamo inorriditi da questo evento mortale, che dimostra ancora una volta che nessun posto è sicuro", ha scritto il gruppo sulla piattaforma di social media” X”, ribadendo la sua richiesta per un cessate il fuoco immediato.

 Il bilancio delle vittime dell'attacco israeliano contro gli sfollati palestinesi a Rafah sale a 45 . “Al Jazeera”.

 

Tutte le vittime dell'attacco israeliano sono state costrette a spostarsi numerose volte nel recente passato.

Il raduno di enormi gruppi di persone da un luogo all'altro è una forma di tormento psicologico progettato per intensificare i sentimenti di paura e insicurezza.

 Lo scopo finale di queste operazioni psicologiche è costringere i palestinesi a fuggire dal paese ogni volta che se ne presenta l'occasione.

 Con le loro case e città ormai distrutte, i loro cari morti o feriti, il loro accesso al cibo e all'acqua interrotto e la loro intera civiltà ridotta in macerie, l'aspettativa è che i palestinesi lascino volontariamente la loro patria permettendo a Israele di controllare l'intera area, dal fiume al mare, che è stato il piano sionista fin dall'inizio.

Questo è tratto da un articolo sul “World Socialist Web Site” :

... lo storico israeliano di fama mondiale “Ilan Pappé” ha definito il "mito fondativo" del sionismo:

che la "Nakba" del 1948, in cui 750.000 palestinesi furono espulsi dalle loro case, fu un reinsediamento volontario da parte dei palestinesi, non sollecitato dalle azioni di Forze israeliane.

Il libro di “Pappé” del 2006, “La pulizia etnica della Palestina”, è una devastante esposizione di tutte le bugie della storiografia ufficiale israeliana.

Dimostra che lo sfollamento e l'uccisione di massa dei palestinesi nel 1948 furono il risultato di un piano dettagliato e consapevole.

In un agghiacciante parallelo con gli eventi dei giorni nostri,” Pappé “ha spiegato che Israele ha mascherato i suoi piani come una risposta agli attacchi di una milizia araba, osservando:

 "La politica sionista era inizialmente basata sulla ritorsione contro gli attacchi palestinesi nel febbraio 1947, ma alla fine è si è evoluto in un'iniziativa per la pulizia etnica dell'intero paese nel marzo 1948".

Ha aggiunto:

Una volta presa la decisione, ci sono voluti sei mesi per completare la missione. Al termine, più della metà della popolazione nativa della Palestina, circa 800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi erano stati distrutti e undici quartieri urbani svuotati dei loro abitanti. Il piano deciso il 10 marzo 1948, e soprattutto la sua sistematica attuazione nei mesi successivi, costituiva un chiaro esempio di operazione di pulizia etnica, considerata oggi dal diritto internazionale un crimine contro l'umanità. (pag. 14).

Il genocidio di Gaza segna il culmine di quelli che “Pappé” spiegò fossero gli obiettivi "fissati dal movimento sionista molto presto, quando era apparso in Palestina: avere quanta più Palestina possibile con il minor numero possibile di palestinesi".

Ogni giorno, l'attuale politica israelo-americana di genocidio e pulizia etnica diventa sempre più chiara.

 Garantire la riorganizzazione del Medio Oriente dominata dagli “Stati Uniti” , quello che “Biden” ha definito il "sogno di generazioni", richiede, infatti, la "fine di Gaza", cioè la repressione sistematica della resistenza organizzata del popolo palestinese alla dominazione israeliana .

L'assalto a Rafah e la pulizia etnica della Palestina, “World Socialist Web Site”.

Le atrocità che vediamo compiersi giorno dopo giorno a Gaza sono alimentate dal forte bisogno di controllare ogni centimetro della Palestina storica e di espellere la sua popolazione nativa per stabilire una maggioranza ebraica permanente all'interno dei contorni del nuovo Stato ampliato.

Il massacro di ieri sera dimostra ancora una volta che Israele non si fermerà davanti a nulla pur di raggiungere il suo obiettivo.

 

Il “principale scienziato” del Regno Unito

afferma che la "nuova pandemia"

è "assolutamente inevitabile".

Unz.com - ANDREW ANGLIN – (26 MAGGIO 2024) – ci dice:

 

Questo è esattamente quello che continua a dire, non è vero?

Una nuova pandemia è inevitabile.

Naturalmente, quando lo dico, sto parlando di una "pandemia", come il coronavirus, che era una bufala.

Una vera e propria pandemia non è nemmeno possibile nell'anno in corso a causa delle procedure di pulizia:

 igiene, sterilizzazione e così via.

Inoltre, i virus probabilmente non esistono nemmeno, almeno non come vengono dipinti.

Ma c'è il 100% di possibilità che i governi occidentali facciano un'altra bufala in cui bloccano tutto e costringono le persone a fare ogni sorta di cose contro la loro volontà, inclusa una bizzarra iniezione genetica.

Il “guardian) :

L'ex capo consigliere scientifico del governo Sir “Patrick Vallance” ha affermato che un'altra pandemia è "assolutamente inevitabile" e ha esortato il governo britannico entrante a concentrarsi sulla preparazione, avvertendo che "non siamo ancora pronti".

Intervenendo a un evento organizzato all'”Hay Festival a Powys”, “Vallance” ha affermato che è "fantastico che stiamo avendo un'elezione" poiché ci sono "chiaramente problemi che devono essere risolti".

Una delle cose che il prossimo governo dovrà fare è implementare " una migliore sorveglianza per poter individuare questi fenomeni", ha affermato.

Patric Vallance ha anche ribadito ciò che ha detto ai leader del G7 nel 2021, ovvero che "dobbiamo essere molto più veloci, molto più allineati – e ci sono modi per farlo –nell'ottenere test diagnostici rapidi, vaccini rapidi, trattamenti rapidi, in modo da non dover ricorrere alle misure estreme che hanno avuto luogo" durante la pandemia di Covid-19. Le misure che raccomanda sono possibili da attuare, ritiene Vallance, ma "richiedono un certo coordinamento".

Ha menzionato la spinta dell'”Organizzazione Mondiale della Sanit࣠per l'accordo sulla pandemia, una proposta di accordo affinché i paesi lavorino insieme per prepararsi alle pandemie, come uno dei "passi nella giusta direzione" che si stanno compiendo.

"Ma non credo che ci sia abbastanza attenzione", ha detto.

 Se la questione verrà esclusa dalle agende del G7 e del G20, "ci troveremo esattamente nella stessa posizione, e spero che questo sia un risultato importante dell'indagine".

C'è un'altra cosa nel cedere la totale sovranità degli Stati Uniti all'ONU.

Giusto per essere sincero con te, non l'ho vissuto.

Leggo un sacco di cose e studio un sacco di argomenti, ma non sono un esperto di questo trattato dell'OMS.

Quasi non ho bisogno di studiarlo, perché appena ne senti parlare è molto ovvio di cosa si tratta.

Ma non ho intenzione di mentire e affermare di aver impiegato del tempo per capire tutte le implicazioni.

Ho sentito un paio di podcast a riguardo.

Queste persone sono pazzi, tuttavia.

Tutto ciò che l'ONU fa è parte dell'agenda globalista per distruggere la sovranità nazionale e creare un governo mondiale centralizzato gestito da ebrei.

L'ONU non è una vera e propria organizzazione. Si tratta di un braccio del governo degli Stati Uniti progettato per dare l'apparenza dell'indipendenza.

La faccenda dell'accordo sulla pandemia è proprio come l'assurdità del riscaldamento globale:

 un piano per stabilire un sistema di governo globale tecnocratico.

Tutto proviene dal “World Economic Forum”.

Recentemente ho visto alcune persone affermare che l'intera agenda del WEF è una sorta di teoria della cospirazione del boom.

Questo è solo puro idiotismo.

 Il fatto che i boomer parlino del WEF non significa che non sia importante.

Probabilmente sono d'accordo sul fatto che diverse persone nella sfera dei media di destra parlino del WEF come un modo per evitare di parlare degli ebrei, perché nei media di destra c'è questo problema in cui i personaggi dei media parlano costantemente di "loro" senza dire chi sono.

 Quindi è facile dire che "loro" sono "le élite di Davos".

Ma chi sono le élite di Davos?

Puoi controllare le persone che gestiscono il Forum, poi puoi controllare gli elenchi dei partecipanti, e scoprirai che gli ebrei sono sovrarappresentati rispetto alla loro popolazione di un fattore probabilmente di 100.000.

Ho sempre avuto intenzione di consultare la loro pagina "leadership e governance" e vedere quale percentuale è ebraica, ma se la dai un'occhiata, vedrai che si tratta di un gruppo ebraico.

La persona più influente nell'organizzazione è “Larry Fink “(BlackRock), il secondo più influente è “Marc Benioff” (Salesforce), poi c'è “Christine Lagarde” (FMI, Banca Centrale Europea) e così via.

 I non ebrei provengono tutti da paesi occupati dagli ebrei e la maggior parte di loro ha coniugi ebrei.

Dovrebbe essere un'organizzazione che rappresenta "il mondo", ma il paese più ricco con la popolazione più numerosa – la Cina – ha zero membri in posizioni di leadership.

Seriamente.

Vai a controllare.

Vedrai un nome cinese e poi lo cercherai e scoprirai che la persona è di Taiwan, Singapore o Hong Kong (e non ce ne sono nemmeno molti).

E, naturalmente, non ci sono russi.

I musulmani (un'altra massiccia popolazione) provengono tutti da stati arabi allineati con gli ebrei.

Il WEF è un'organizzazione estremamente importante che si sta occupando della pianificazione di tutte queste agende delle Nazioni Unite relative alle “bufale” sulla pandemia, sulle “bufale” meteorologiche e su varie altre “truffe governative globali”.

 Questo è vero.

È anche vero che si tratta di un'organizzazione ebraica.

Virus, condizioni atmosferiche, guerre:

queste sono tutte truffe per creare un governo ebraico globale.

Il sito web del WEF contiene dichiarazioni ufficiali a sostegno dell'Ucraina, di Israele e di Taiwan, oltre a condannare l'attività cinese nel Mar Cinese Meridionale (e condannare la Cina anche per un sacco di altre cose).

 

 

Pravda americana:

La vera origine degli ebrei come

Cazari, Israeliti o Cananei.

Unz.com - RON UNZ – (27 MAGGIO 2024) – ci dice:

 

Il Prof. “John Beaty “sugli Ebrei come Cazari.

Nel corso dell'ultima mezza dozzina di anni ho citato regolarmente il lavoro di “John Beaty”, un rispettato accademico che ha trascorso tutta la sua carriera di insegnante alla “Southern Methodist University” di Dallas, in Texas.

 

Durante la seconda guerra mondiale, il Prof. Beaty prestò servizio nell'intelligence militare e le sue responsabilità includevano la produzione dei rapporti giornalieri di intelligence distribuiti alla Casa Bianca e al resto della nostra leadership politica e militare. Questa posizione gli fornisce una prospettiva unica sull'intero corso del conflitto.

Dopo la fine della guerra, riprese la carriera accademica e nel 1951 pubblicò.

Poiché Beaty era uno studioso rispettabile che possedeva una conoscenza cruciale delle nostre attività in tempo di guerra, i suoi numerosi critici feroci, sia allora che oggi, hanno sempre scelto di attaccare la sua credibilità su una questione secondaria minore.

Nel suo libro, aveva ripetutamente affermato che invece di essere discendenti degli antichi israeliti, la maggior parte degli ebrei europei in realtà faceva risalire i propri antenati ai Cazari , una feroce tribù guerriera turco-mongola che per diversi secoli controllò un consistente impero in porzioni dell'attuale giorno Russia meridionale e Ucraina.

I loro governanti si erano convertiti al giudaismo nell'VIII secolo d.C. e, secondo Beaty, i Cazari alla fine divennero gli antenati degli ebrei ashkenaziti dell'Europa orientale, che costituivano la maggior parte della popolazione ebraica globale, inclusa la stragrande maggioranza degli ebrei americani.

 

Il libro di Beaty divenne un enorme best-seller conservatore durante gli anni '50, e le sue affermazioni sui Cazari furono riprese da molti altri esponenti della destra ostili all'influenza ebraica.

Ciò era particolarmente vero per i principali predicatori cristiani antisemiti di quell'epoca come “Gerald LK Smith” e “Gerald Winrod” , forse perché preferivano credere che i loro avversari ebrei fossero in realtà i discendenti delle tribù turche dell'Asia centrale piuttosto che i santi profeti dell'Antico Testamento; e poiché Beaty stesso era un devoto cristiano, potrebbe essere stato influenzato da fattori simili.

Negli ultimi anni, anche molti antisionisti di ogni orientamento ideologico hanno fatto propria la stessa teoria, sostenendo che gli ebrei europei che si stabilirono in Palestina erano in realtà “Khazari” e quindi non avevano alcun diritto legittimo su quella terra.

In effetti, tra gli attivisti antiebraici o antisionisti su Internet, "Khazar" è diventato abbastanza comune come sinonimo denigratorio di "ebreo".

 

Gli attuali sforzi per promuovere questa ipotesi Khazara possono avere una dimensione politica pratica. Al giorno d'oggi una parte importante del sostegno americano a Israele si basa sul grande corpo dei sionisti cristiani, che identificano gli ebrei di oggi con gli israeliti dell'Antico Testamento. Tali cristiani sostenevano con forza il ritorno di questi ebrei esiliati nella loro antica patria e la restaurazione di uno stato ebraico in Palestina dopo duemila anni, considerando questi eventi come l'adempimento delle profezie bibliche necessarie per il ritorno di Cristo. Quindi, se si convincessero che gli ebrei sono invece Khazari dell'Asia centrale, il loro sostegno potrebbe diminuire.

 

Dato che le convinzioni di Beaty sui Cazari sembravano irrilevanti per il resto del suo libro, per lo più le avevo ignorate. Ma sebbene tali teorie Khazar siano raramente discusse nelle sedi principali, sono diventate così diffuse nei circoli marginali e cospiratori che alcuni mesi fa ho finalmente deciso di rivedere le prove e pubblicare le mie scoperte. Tuttavia, la mia lunga analisi delle origini ebraiche è stata sepolta nel mezzo di un articolo molto lungo , circondato su entrambi i lati da questioni completamente indipendenti. Pertanto, ora ho deciso di estrarre quel materiale ed espanderlo in una trattazione molto più mirata e completa di questo importante argomento.

 

Avevo aperto la mia analisi menzionando le affermazioni di Beaty e gli attacchi contro di lui:

 

Sebbene fossi vagamente a conoscenza dell'ipotesi cazara delle origini ebraiche, la consideravo semplicemente una teoria accademica piuttosto marginale, finalmente messa a tacere negli ultimi due decenni dalla moderna analisi del DNA. Ma Beaty scriveva più di settant'anni fa, e citava il sostegno accademico apparentemente credibile per le sue affermazioni, tra cui in particolare l' Enciclopedia ebraica universale e la magistrale Storia degli ebrei in sei volumi , pubblicata nel diciannovesimo secolo da Heinrich Graetz. Il libro di Beaty era apparso diversi anni prima che Watson e Crick scoprissero il DNA, quindi la sua teoria sembrava un'innocua eccentricità, che difficilmente danneggiava la sua credibilità sulle principali questioni che rientravano nell'ambito della sua competenza personale.

 

La stragrande maggioranza del materiale di Beaty era sembrava molto solidamente argomentato, quindi le sue eccentriche affermazioni sui Khazari erano naturalmente viste come la sua più grande debolezza, la questione su cui i suoi aspri critici si sono concentrati per più di settant'anni al fine di screditare il resto della sua analisi. Pertanto, ho deciso di prendermi un po' di tempo per esplorare l'ipotesi cazara e la più ampia questione delle origini ebraiche, in parte per valutare la credibilità di Beaty.

 

Arthur Koestler e la tredicesima tribù.

Quando Beaty pubblicò il suo libro nel 1951, la storia dei Khazari era probabilmente sconosciuta a quasi tutti gli americani, ma una generazione dopo un altro libro di uno scrittore molto diverso la portò improvvisamente all'attenzione del pubblico, almeno nei circoli intellettuali.

 

 

Arthur Koestler era un ebreo ungherese, uno dei primi sionisti ed ex comunista che in seguito si rivoltò fortemente contro Stalin e presto divenne un importante scrittore della Guerra Fredda. Era conosciuto soprattutto per Buio a mezzogiorno , un resoconto vagamente romanzato dei processi di epurazione stalinista degli anni '30 che mi aveva profondamente colpito quando avevo letto il romanzo al liceo. Poi, nel 1976, ha pubblicato “The Thirteenth Tribe” , un libro ampiamente discusso che promuove l'ipotesi Khazar sulle origini dell'ebraismo europeo, e recentemente l'ho riletto per la prima volta dagli anni '90.

 

Non sono rimasto particolarmente colpito. A parte la storia della conversione dei loro governanti al giudaismo, apparentemente esistono pochissime prove concrete riguardo al grande impero cazaro, solo riferimenti sparsi nelle storie e nella corrispondenza dei loro vicini e rivali bizantini, russi e islamici, quindi sebbene il breve libro di Koestler Aveva solo un paio di centinaia di pagine, in realtà sembrava pesantemente imbottito, riassumendo sostanzialmente le storie molto meglio documentate delle altre potenze regionali per riempire le sue pagine.

 

Koestler era un intellettuale letterario piuttosto che uno storico o un antropologo esperto, e gli sforzi che fece a favore della sua controversa teoria a volte mi sembrarono piuttosto forzati. Tutti gli analisti concordano sul fatto che gli ebrei dell'Europa orientale sono i discendenti di migranti ebrei dalla zona renana della Germania oppure si sono convertiti ai turchi cazari. Ma questi ebrei si chiamano "Askenazim" – che significa "tedesco" – e parlano yiddish, un dialetto tedesco, che non contiene quasi parole turche. Sebbene queste prove non stabiliscano in modo definitivo il caso della Renania, tendono ovviamente a sostenerlo. Koestler cerca piuttosto debolmente di spiegare questi semplici fatti sostenendo che gli ebrei cazari furono così colpiti dall'alta cultura dei coloni tedeschi gentili che incontrarono che adottarono la lingua di questi ultimi, il che è possibile ma non molto plausibile.

 

Inoltre, cominciamo a incontrare riferimenti alla presenza consistente di ebrei dell'Europa orientale solo centinaia di anni dopo il crollo dell'Impero Cazaro, quindi qualsiasi collegamento tra le due popolazioni sembra piuttosto tenue.

 

Mi sono anche chiesto se la difesa di Koestler potesse essere in parte basata su un motivo personale. Prima della conquista delle loro terre attuali, i membri della tribù magiara che fondarono l'Ungheria avevano trascorso secoli come vassalli dei Cazari, e quando finalmente si liberarono durante il IX secolo e migrarono nell'Europa centrale, un piccolo segmento dei loro ex signori Cazari venne con loro. Quindi, se Koestler avesse stabilito con successo la sua teoria, sarebbe stato in grado di far risalire la propria discendenza ebraica agli ex governanti dei gentili ungheresi del suo paese, fornendo una piacevole spinta psicologica all'autostima di qualcuno cresciuto nel patchwork etnico della mittel europa.

 

L'argomento principale a favore dell'ipotesi cazara era stata la questione dei numeri. L'Impero Cazaro era relativamente grande e popoloso, ei sostenitori tendevano a sostenere che la maggior parte degli abitanti alla fine seguì i loro governanti nel convertirsi all'ebraismo, diventando così una fonte molto più plausibile dei milioni di ebrei dell'Europa centrale e orientale rispetto agli ebrei immigrati dalla Renania, che probabilmente erano solo poche migliaia. Ma questo ignora la realtà che le popolazioni che trovano una nicchia economica di successo possono crescere molto rapidamente nel tempo.

 

Ad esempio, il massimo leader sionista Chaim Weizmann aveva dieci fratelli nella sua famiglia russa, e tassi di fertilità altrettanto elevati avevano aiutato la popolazione ebraica russa a crescere da circa mezzo milione intorno al 1800 a una cifra dieci volte maggiore un secolo dopo. Quindi, se sappiamo che gli ebrei russi sono aumentati di dieci volte nel corso di un solo secolo, è perfettamente possibile che alcune migliaia di ebrei tedeschi si siano moltiplicati per cento nel corso di sei o settecento anni. Facendo un diverso esempio storico, i molti milioni di franco-canadesi e cajun della Louisiana di oggi sono tutti discendenti di appena un paio di migliaia di coloni francesi che arrivarono nel Nuovo Mondo tre o quattrocento anni fa, mentre molte decine di milioni di americani tracciano la maggior parte dei loro antenati risalgono a poche migliaia di coloni britannici che erano arrivati nel continente più o meno nello stesso periodo.

 

Inoltre, le attività economiche molto particolari degli ebrei ashkenaziti sono un altro fattore stranamente ignorato sia da Koestler che dai suoi critici. Gli ebrei della Renania occupavano in stragrande maggioranza una nicchia imprenditoriale minoritaria, essendo prestatori di denaro e commercianti tra la popolazione gentile che li ospitava, e insieme alla gestione immobiliare e alla vendita di alcolici, questo era lo stesso tipo di profilo professionale riempito dalle popolazioni ashkenazite molto più tarde e più numerose di Europa centrale e Ucraina. In netto contrasto, i Cazari erano feroci guerrieri tribali dell'Asia centrale, e la loro improvvisa trasformazione in una minoranza di intermediari che si guadagnava da vivere con gli affari e la finanza sembra molto meno probabile.

 

Il prof. Shlomo Sand e l'invenzione del popolo ebraico.

Il libro di Koestler suscitò notevoli discussioni quando fu pubblicato quasi due generazioni fa, ma molti dei revisori erano scettici o addirittura sprezzanti, quindi non sono sicuro se abbia avuto un grande impatto a lungo termine sul dibattito. In effetti, alcuni degli aspri critici di Koestler suggerirono addirittura che lo avesse scritto semplicemente nella speranza che un'opera così controversa potesse ravvivare il suo profilo pubblico che era in gran parte svanito da quando i suoi primi scritti degli anni Quaranta avevano originariamente stabilito il suo nome.

Molto più recente e più influente nei circoli mainstream è stato il bestseller internazionale ampiamente apprezzato

Forse perché ora ero molto più concentrato sul tema delle origini ebraiche, la mia reazione al lavoro di Sand fu molto più positiva rispetto alla prima volta.

 

Ad esempio, mentre Koestler aveva distribuito le scarsissime prove storiche dei Cazari in un intero libro, presentando il suo materiale in un modo piuttosto tendenzioso e credulone, uno storico professionista come Sand era molto più giudizioso, trattandolo con notevole cautela in 40 pagine. di testo, gran parte del quale riassumeva attentamente le opinioni contrastanti di molti dei principali storici ebrei degli ultimi due secoli.

 

Come ha spiegato Sand, gli studiosi ebrei tradizionali che credevano nelle origini cazare degli ebrei europei erano sempre stati una minoranza decisa, ma una minoranza allo stesso tempo sostanziale e altamente considerata. Durante gli anni '50, il Prof. John Beaty era stato arrostito e diffamato nel nostro paese per il suo sostegno all'ipotesi Khazar, che veniva descritta come una convinzione folle, probabilmente motivata dal suo odio per gli ebrei; ma durante quello stesso periodo, il ministro dell'Istruzione israeliano era un eminente studioso ebreo che sosteneva convinzioni molto simili.

 

Sebbene Sand sembri accettare che una frazione considerevole degli ebrei dell'Europa orientale abbia probabilmente radici cazare, difficilmente considera il caso come solidamente dimostrato, né è centrale per la sua analisi complessiva, che si è invece concentrata su un'ampia varietà di diverse conversioni al giudaismo. negli ultimi duemila anni e più.

 

Alcune delle conversioni sottolineate da Sand sembrano assolutamente innegabili, anche se precedentemente sconosciute a un non specialista come me. Ad esempio, intorno al 125 a.C., il re Yohanan Hyrcanus della dinastia dei Maccabei conquistò il piccolo stato semitico vicino di Edom e convertì con la forza i suoi abitanti al giudaismo. Questa storia fu spesso imbarazzante e sottovalutata da molti storici ebrei moderni, soprattutto perché alcuni dei più importanti successivi leader della Giudea come il re Erode il Grande, vari importanti rabbini e persino gli zeloti più estremisti coinvolti nella Grande Rivolta contro Roma erano principalmente di discendenza di convertiti edomiti.

 

Numerose altre apparenti conversioni su larga scala all'ebraismo ebbero luogo, ma su base volontaria. Sand fornisce lo sfondo del successivo regno ebraico dello Yemen che sopravvisse per più di un secolo, così come le comunità ebraiche molto grandi e fiorenti di Alessandria e del Nord Africa nell'era della tarda Repubblica Romana, mentre Cicerone aveva notoriamente osservato nel 59 aC il numero considerevole di ebrei che vivevano a Roma stessa. L'ebraismo era una religione di proselitismo durante questo periodo, e questo fatto fu quasi certamente responsabile della rapida comparsa di queste grandi popolazioni ebraiche attraverso le rive del Mediterraneo piuttosto che di una massiccia emigrazione di contadini ebrei dalla Palestina o di un aumento naturale della popolazione non plausibilmente rapido nelle piccole comunità ebraiche immigrate.

 

Infatti, nonostante la considerevole perdita di vite umane durante le rivolte contro il dominio romano, nel secolo successivo il numero degli ebrei raggiunse il livello massimo nel mondo antico, forse il 7-8% dell'intera popolazione dell'Impero Romano, pari a molti milioni. Sand sostiene plausibilmente che la rapida espansione del giudaismo attraverso la conversione fosse probabilmente iniziata con le conquiste di Alessandro e la creazione dei grandi regni ellenistici che sostituirono l'impero persiano, e questo processo si era poi accelerato con l'ascesa di Roma. Tutto ciò supporta la tesi centrale di Sand secondo cui al tempo del tardo Impero Romano solo una frazione piuttosto piccola della sua numerosa popolazione ebraica poteva effettivamente far risalire le proprie radici agli Israeliti della Bibbia.

 

 Molti degli altri fatti raccontati da Sands sembrano essersi saldamente affermati nella cultura moderna tradizionale, ma sono rimasti sconosciuti a un laico ignorante come me.

Ad esempio, nel mezzo secolo trascorso dalle conquiste israeliane della guerra del 1967, ondate di determinati archeologi e storici israeliani hanno fatto ogni sforzo per scoprire prove del ricco e potente stato ebraico di re Davide e re Salomone, ma non hanno trovato quasi nulla a livello mondiale. Tutto. Ciò suggerisce che la storia del loro potente regno fosse del tutto immaginaria o così selvaggiamente esagerata da equivalere alla stessa cosa, con quelle famose figure bibliche che in realtà regnavano su un minuscolo e povero pezzo di territorio, così poco importante e oscuro da essere totalmente ignorato. nelle cronache dei maggiori stati del Medio Oriente e anche da Erodoto quando qualche secolo dopo compilò la sua corposa storia regionale.

 

Si consideri anche la convinzione che gli ebrei furono espulsi dalla loro patria in seguito al fallimento delle loro ripetute rivolte contro i romani nel I e II secolo d.C. Questa storia dell'esilio ebraico è probabilmente quasi universalmente accettata sia dagli ebrei che dai gentili, costituendo un pilastro ideologico centrale per la "restaurazione" di una patria ebraica nello Stato di Israele nel 1948 e il raduno di ebrei da tutto il mondo che presto seguì. . Tuttavia, non ha assolutamente alcuna base fattuale ed è accettato da pochi studiosi rispettabili, se non nessuno. Anche se i romani vittoriosi avrebbero certamente potuto esiliare un sottile strato delle élite ebraiche sconfitte come punizione, non avevano una politica di deportazione di intere popolazioni, quindi i comuni giudei sopravvissuti alla loro sconfitta rimasero sicuramente esattamente dov'erano, subendo semplicemente una perdita di indipendenza politica. .

 

Come ha sostenuto in modo convincente Sand, nel corso dei secoli molti di quegli ebrei alla fine si sono convertiti al cristianesimo e poi all'Islam in seguito alla conquista musulmana, e sono gli antenati dei palestinesi di oggi, lievitati da una mescolanza di tutti i vari gruppi conquistatori degli ultimi duemila anni. , inclusi arabi, crociati e turchi. Pertanto, i discendenti diretti degli antichi Giudei vivevano ininterrottamente nella loro patria prima della creazione dello Stato di Israele nel 1948. La tremenda ironia storica è che gli attuali palestinesi – che ora subiscono orribili massacri a Gaza – sono quasi certamente i discendenti diretti più vicini di la Bibbia Israelita fu evidenziata da Sand ed era stata sottolineata in modo simile da Beaty nel suo libro del 1951.

 

Sebbene questo punto di vista possa sembrare scioccante per la stragrande maggioranza sia dei gentili che degli ebrei, inclusa certamente la maggior parte degli israeliani di oggi, Sand e Beaty non furono certo i soli a giungere a questa conclusione. fu il padre fondatore di Israele e il primo primo ministro, mentre divenne il secondo presidente del paese dopo la morte di Chaim Weizmann, e nel 1918, come giovani leader sionisti, erano stati coautori di , il libro sionista più importante di quell'epoca, pubblicato con grande successo sia in ebraico che in yiddish. In quell'opera riassumevano le forti prove storiche che i palestinesi locali erano ovviamente solo ebrei convertiti da molto tempo, esprimendo la speranza che sarebbero stati quindi assorbiti nel crescente movimento sionista e sarebbero diventati parte integrante del loro pianificato Stato di Israele; Ben-Zvi pubblicò un opuscolo successivo nel 1929 in cui sosteneva gli stessi punti. Fu solo dopo che i palestinesi divennero sempre più ostili alla colonizzazione sionista e iniziarono a scontrarsi violentemente con i coloni europei che l'ascendenza giudea dei palestinesi fu gettata nel buco della memoria e dimenticata.

 

Così, nonostante una lunga serie di conquiste militari e di signori stranieri, gli Israeliti dell'Antico Testamento erano rimasti al loro posto per oltre duemila anni, arando ogni anno i loro campi fino a quando non furono brutalmente sradicati ed espulsi dalla loro antica patria dai militanti sionisti nel 1948, una storia che avevo raccontato in un lungo articolo il mese scorso.

 

I diversi elementi della ricostruzione di Sand si incastrano perfettamente. La Palestina non è mai stata una terra molto popolosa e i suoi abitanti erano costituiti in maggioranza da contadini. Una volta riconosciuto che erano rimasti al loro posto dopo il fallimento delle loro ripetute rivolte contro il dominio romano, le grandi popolazioni ebraiche che in seguito troveremo sparse lungo le rive del bacino del Mediterraneo diventano spiegabili solo come risultato di conversioni religiose su larga scala. Un tale sviluppo non sorprendeva affatto, dato il declino del paganesimo tradizionale e la nascita di vari nuovi culti durante quegli stessi secoli del tardo Impero Romano. Pertanto, sembra innegabile che la stragrande maggioranza degli ebrei di quell'epoca avesse pochi o nessun ascendente giudeo.

 

Sand sembra uno studioso di grande reputazione e il suo best-seller internazionale è stato trattato con molto rispetto o addirittura elogiato entusiasticamente da un lungo elenco di organi di stampa e revisori mainstream, compresi quelli israeliani. Ma la sua specialità accademica era la storia francese piuttosto che il mondo classico, e molte delle sue affermazioni sulla dimensione e sullo status degli ebrei nell'impero romano mi sembravano così sorprendenti che decisi di valutarle leggendo Gli ebrei nel mondo romano . Pubblicato nel 1973 da Michael Grant, un eminente storico antico britannico.

 

Anche se l'enfasi di Grant era molto diversa, il suo racconto sembrava generalmente coerente con quello di Sand. I dati sulla popolazione dell'epoca classica hanno una notevole incertezza, ma Grant sembrava accettare la numerosa popolazione ebraica sparsa in tutto l'impero di Roma, che secondo lui avrebbe potuto raggiungere una cifra fino a otto milioni, forse rappresentando fino al 20% del totale nelle province orientali di lingua greca. Anche le prove diffuse delle conversioni ebraiche sono state ampiamente documentate, anche se, a differenza di Sand, Grant credeva che la seconda moglie dell'imperatore Nerone fosse semplicemente simpatizzante dell'ebraismo piuttosto che una vera e propria convertita ebrea.

 

Alcune delle recensioni che ho letto sembravano anche confermare le importanti scoperte di Sand. Un lungo articolo sul suo libro era apparso sulla prima pagina di una delle sezioni del New York Times, e il giornalista aveva contattato vari esperti mainstream, che confermarono molte delle sorprendenti affermazioni dell'autore: l'espulsione degli ebrei dalla Palestina era solo un mito, gli ebrei moderni erano sostanzialmente i discendenti di convertiti successivi.  

E i palestinesi di oggi erano probabilmente i discendenti diretti degli antichi giudei. Fui anche lieto di scoprire che l'autore del Times si era concentrato su molti degli stessi punti sorprendenti che avevo tratto dalla rilettura del testo. Un'esauriente pagina di Wikipedia fornisce un riassunto imparziale del libro di Sand, compresi gli elogi che ha attirato da parte di tanti importanti intellettuali ebrei.

 

Sebbene Sand abbia naturalmente attirato aspre critiche soprattutto da parte dei sionisti, ho notato che molti degli attacchi più aspri contro il suo lavoro si concentravano sul suo sostegno all'ipotesi Khazar, sebbene costituisse solo una piccola parte del suo libro e lui fosse cauto nelle sue affermazioni. Ciò rispecchiava da vicino la strategia impiegata contro Beaty più di mezzo secolo prima.

 

In realtà sospetto che la viscerale reazione ebraica all'ipotesi Khazar promossa da Beaty, Koestler e Sand possa in parte essere dovuta a una sfortunata coincidenza. Nella cultura ebraica, i maiali sono considerati animali disgustosi e impuri e sia in ebraico che in yiddish la parola per maiale è "Chazar", pronunciato " KHA-zer". Poiché la maggior parte degli ebrei probabilmente non ha mai sentito parlare dei Cazari, potrebbero aver naturalmente supposto che il nome avesse la stessa pronuncia e fosse in qualche modo correlato ai maiali. Quindi, se avessero scoperto che vari accademici sostenevano che gli ebrei facevano risalire i loro antenati a una sorta di "popolo-maiale", la loro risposta molto ostile non sarebbe stata sorprendente.

Le prove genetiche decisive.

Per secoli, quasi tutto ciò che abbiamo saputo sul mondo antico si è basato su prove letterarie ed epigrafiche, ma nell'ultima generazione l'analisi del DNA e la genetica delle popolazioni hanno iniziato a fornire ulteriori fonti di informazione, potenzialmente molto più obiettive dal punto di vista scientifico. E la natura e le origini dell'ebraismo mondiale sono un obiettivo importante di questa ricerca recentemente migliorata.

 

Sand è uno storico, fortemente impegnato nelle sue convinzioni antirazziste e un individuo con profonde radici comuniste. Quando ho letto per la prima volta il suo libro una decina di anni fa, sono rimasto sorpreso dal fatto che sembrava ignorare quasi completamente alcune delle rivelazioni sulle origini ebraiche prodotte da studi genetici che erano stati recentemente nelle notizie e quindi sono stato piuttosto sprezzante del suo lavoro quando l'ho brevemente menzionato in un articolo del 2016:

 

Ad esempio, il best-seller internazionale di Shlomo Sand, L'invenzione del popolo ebraico, è stato ampiamente elogiato nei circoli liberali di sinistra e antisionisti e ha attirato una notevole attenzione nei media mainstream. Ma anche se ho trovato molte parti della storia estremamente interessanti, l'affermazione centrale sembrava errata. Per quanto ne so, sembrano esserci prove genetiche schiaccianti che gli ebrei ashkenaziti europei facciano effettivamente risalire gran parte dei loro antenati alla Terra Santa, essendo apparentemente i discendenti di poche centinaia (presumibilmente ebrei) mediorientali, per lo più maschi, che si stabilirono nell'Europa meridionale qualche tempo dopo la caduta di Roma e presero mogli locali dell'Italia settentrionale, rimanendo poi in gran parte endogame per i successivi mille anni di crescente presenza nell'Europa centrale e orientale. Tuttavia, essendo uno storico piuttosto che un ricercatore genetico, il Prof. Sand era apparentemente inconsapevole di queste prove concrete e si concentrò su indicatori letterari e culturali molto più deboli, forse anche influenzato dalle sue stesse predilezioni ideologiche.

 

Dato il fascino del pubblico ebraico per le loro origini ancestrali e il fatto che così tanti giornalisti e ricercatori genetici sono essi stessi ebrei, non sorprende che le implicazioni dell'analisi del DNA ebraico siano state così ampiamente trattate dai media. Ma quando uno di questi genetisti ebraici rivelò nel 2010 che popolazioni di ebrei ampiamente separate sembravano molto più strettamente imparentate tra loro di quanto non lo fossero con qualsiasi popolazione locale ospitante tra le quali avevano vissuto per molti secoli, Sand scandalosamente disse a Science Magazine che " Hitler ne sarebbe stato certamente molto contento", offendendo profondamente lo scienziato. Reazioni ideologiche accese come queste furono tra le ragioni per cui avevo respinto il libro di Sand quando l'avevo letto un anno o due dopo.

 

Ma dopo aver riletto Sand, ho in qualche modo temperato la mia valutazione fortemente negativa. L'autore ha dedicato alcune pagine alla discussione delle prove genetiche, fornendo vari esempi per sostenere che esse erano state spesso distorte dalle predisposizioni ideologiche dei ricercatori, mentre i media tendevano a promuovere quegli studi che sostenevano il quadro sionista e ignoravano quelli che lo contestavano. Quindi, sebbene l'autore concordasse sul fatto che l'analisi genetica avesse "un brillante futuro", credeva che fosse ancora "una scienza relativamente giovane" le cui scoperte attuali dovrebbero essere trattate con notevole cautela. Anche se trovavo ancora poco convincenti le argomentazioni di Sand, la sua posizione non era così antiscientifica come la ricordavo.

 

Per ironia della sorte, come aveva notato uno dei revisori ostili del suo libro, molti aspetti del quadro genetico oggi ampiamente accettato sembrano rafforzare fortemente le conclusioni generali di Sand. La stragrande maggioranza degli ebrei del mondo sono ashkenaziti europei, e la maggior parte delle analisi del DNA ha concluso che sono in stragrande maggioranza i discendenti di una piccola popolazione fondatrice di più di mille anni fa, i cui maschi erano apparentemente ebrei mediorientali ma con un'ampia maggioranza di origine ebraica. le femmine sono gentili dell'Italia settentrionale o tedesche. Questa conclusione supporta quindi effettivamente l'affermazione di Sand secondo cui gli ebrei moderni avevano antenati convertiti molto numerosi, sebbene il loro albero genealogico sia diverso da quello da lui suggerito. Nel frattempo, quegli stessi studi hanno rivelato al massimo un piccolo frammento di ascendenza turca, sembrando escludere l'ipotesi Khazar di cui Sand aveva discusso a lungo.

 

Per decenni, il giornalista Jon Entine si è concentrato fortemente su questo tipo di questioni, con il suo sito web Genetic Literary Project dedicato a quell'argomento. Diversi anni fa ho letto il suo libro del 2007 Abraham's Children , che discuteva della particolare genetica della popolazione ebraica, e sebbene i ricercatori del DNA abbiano ovviamente fatto passi da gigante durante i successivi sedici anni, ho deciso di rileggerlo.

 

Sebbene l'obiettivo principale del libro di Entine fosse l'evidenza genetica delle origini ebraiche, egli dedicò anche parte di un capitolo a sfidare fortemente l'ipotesi cazara su basi storiche generali, e trovare le sue argomentazioni piuttosto persuasive. Anche se certamente riconosce che i convertiti Khazari possono aver contribuito all'ascendenza degli ebrei askhenaziti - trova anche alcune prove genetiche sparse a sostegno di questa possibilità - quel contributo sembra essere stato piuttosto piccolo, con la stragrande maggioranza della linea ebraica maschile che ha le sue origini nell'antico Medio Oriente. E dopo la formazione della popolazione ashkenazita, la successiva mescolanza degli ebrei dell'Europa orientale con gli schiavi ei baltici tra i quali vissero per secoli fu assolutamente trascurabile, con solo lo 0,5% delle donne ebree in ogni generazione che ebbero figli con i gentili.

 

Tuttavia, rileggendo il racconto di Entine, ho notato alcuni elementi che sembravano supportare le argomentazioni cautelative che Sand avrebbe sottolineato nel suo libro pubblicato l'anno successivo. Secondo Entine, il sostegno finanziario cruciale per la ricerca genetica innovativa era venuto da un ricco magnate ebreo in Gran Bretagna, che aveva una forte attenzione personale agli antenati ebrei e quindi finanziò un progetto che sembrava dimostrare che tutti i membri attuali della casta sacerdotale ebraica - i Cohanim - erano apparentemente discendenti maschi diretti del sommo sacerdote Aronne dell'Antico Testamento. Inoltre, lo scienziato capo di questo sforzo era un ricercatore ebreo ferventemente devoto che fece risalire i suoi antenati personali esattamente a quella linea sacra. Anche se non c'era nulla che suggerisse che queste forti convinzioni ideologiche avessero distorto le loro scoperte scientifiche, lo scetticismo di qualcuno come Sand non è affatto irragionevole. E in effetti un libro pubblicato diversi anni dopo da un importante ricercatore genetico, anche lui ebreo, sembrò sfatare completamente quell'eccitante ipotesi biblica, che aveva fatto notizia a livello mondiale quando era stata annunciata.

 

 

Quest'ultimo breve libro era Legacy: A Genetic History of the Jewish People , del Prof. Harry Ostrer , pubblicato nel 2012 dalla Oxford University Press, che sembrava avere una visione molto sobria e sobria di queste complesse questioni genetiche. Gran parte della discussione di Ostrer era storica, ed egli notò con una certa ironia che le diffuse credenze genetiche fermamente stabilite da una generazione di scienziati ebrei venivano talvolta completamente ribaltate da quelle della generazione successiva, solo per essere altrettanto fermamente resuscitate da una terza generazione. Ovviamente, in tali circostanze è molto importante mantenere un'adeguata cautela scientifica. Ma Ostrer confermò le conclusioni di Entine riguardo all'apparente ascendenza maschile mediorientale degli ebrei ashkenaziti e la loro totale dissomiglianza genetica dai popoli turchi sembrava virtualmente escludere l'ipotesi Khazar.

 

 

Ho anche acquistato e letto “The Maternal Genetic Lineages of Ashkenazic Jew”s, un brevissimo libro del 2022 di “Kevin Alan Brook”, un ricercatore genetico indipendente. Nel corso degli anni, Brook è diventato uno dei maggiori esperti dei Cazari, sostenendo che essi fornivano solo una frazione insignificante dell'ascendenza ashkenazita, e questo lavoro molto recente sembrava cementare pienamente questa conclusione, anche se in modo noioso: quasi l'intero testo consisteva in un elenco enciclopedico delle origini ancestrali delle molte centinaia di principali genotipi materni ebraici. quasi nessuno dei quali sembra avere una componente turca significativa.

 

 Per coloro che sono interessati ad esplorare l'argomento in modo più dettagliato, consiglio vivamente la pagina Wikipedia estremamente completa sull'ipotesi Khazar , che contiene quasi 13.000 parole inclusi numerosi riferimenti e un'ampia sezione sulle prove genetiche. Tuttavia, essendo Wikipedia, dobbiamo trattare le sue affermazioni su un argomento così controverso con notevole cautela. Ad esempio, ho notato che nella sezione Antisemitismo , l'articolo affermava che Wilmot Robertson, il padre fondatore del moderno nazionalismo bianco americano, era un sostenitore, ma quando ho controllato, ho scoperto che aveva effettivamente respinto l'ipotesi Khazar come "Uno dei la più antica delle storielle razziali", dichiarando che era stata definitivamente smentita dalle prove genetiche.

 

L'articolo di Wikipedia ha anche dedicato una sottosezione al lavoro molto controverso del genetista israelo-americano Eran Elhaik , che ha pubblicato diversi articoli negli ultimi dieci anni tentando di far rivivere l'ipotesi Khazar, ma con una grande maggioranza di ricercatori genetici che sono stati aspramente critici nei confronti della sua metodologia. e risultati. Ho letto uno dei principali articoli di Elhaik insieme a un riassunto di supporto , così come altri due articoli di importanti gruppi di ricerca che presentano la prospettiva opposta, quella tradizionale .

 

La mia esperienza tecnica nell'analisi genetica non è sufficientemente forte per valutare adeguatamente questi argomenti contrastanti, ma una delle principali affermazioni di Elhaik ha attirato la mia attenzione. Ha contrapposto la sua "Ipotesi Khazariana" di origini ebraiche con la tradizionale "Ipotesi della Renania", ma ha ripetutamente affermato che quest'ultima affermava che gli ebrei ashkenaziti erano esclusivamente i discendenti dei Giudei semiti, il che sembra un totale errore di quella posizione. Invece, i ricercatori tradizionali descrivono quegli ebrei come una popolazione ibrida, forse per metà mediorientale ma quasi per metà europea, un presupposto molto diverso.

 

L'ascendenza della popolazione è comunemente analizzata esaminando una tabella PCA di marcatori genetici e quella fornita nell'articolo di Elhaik ha mostrato che gli ebrei dell'Europa orientale e centrale sembrano raggrupparsi a metà strada tra europei e mediorientali, esattamente come ci aspetteremmo, e completamente distanti dai turchi. Quindi non vedevo nulla che mi portasse a dubitare della prospettiva dominante.

 

Sulla base di tutte queste prove, sembra che ci siano poche indicazioni che gli ebrei ashkenaziti abbiano una sostanziale ascendenza cazara, e un forte sostegno per l'idea che siano una popolazione ibrida mediorientale/europea, esattamente come i ricercatori mainstream hanno da tempo affermato.

 

Come gli ebrei come punici risolvono le prove contrastanti

Tuttavia, nell'esaminare queste prove genetiche ho visto un ovvio enigma che sembrava essere passato inosservato in tutte le discussioni che avevo letto.

 

La maggior parte degli esperti tradizionali sembrava ammettere tranquillamente che Sand aveva ragione nel sostenere che al tempo dell'Impero Romano la stragrande maggioranza degli ebrei che vivevano lungo le rive del Mediterraneo erano probabilmente di stirpe convertita, con pochi antenati dagli israeliti di Palestina. Eppure le prove genetiche dipingevano un quadro molto diverso per le principali popolazioni ebraiche successive.

 

Come accennato, gli ebrei ashkenaziti sembrano derivare da maschi mediorientali che presero mogli europee nei secoli successivi alla caduta di Roma. Nel frattempo, anche gli ebrei sefarditi della Spagna musulmana sono di origine mediorientale, ed erano la componente più ricca e numerosa degli ebrei per gran parte del Medioevo prima della loro espulsione nel 1492 da parte di Ferdinando e Isabella. Quindi, se solo una piccola frazione di ebrei avesse radici in Palestina, sembra abbastanza strano che questi sarebbero diventati i progenitori sia della linea sefardita che di quella maschile ashkenazita. Le prove genetiche sembrano essere in conflitto con le forti prove letterarie e storiche.

 

Penso che la soluzione a questo apparente mistero derivi dalla considerazione di una domanda molto semplice. Se milioni di pagani in tutto il mondo mediterraneo probabilmente si convertirono al giudaismo durante i secoli successivi alle conquiste di Alessandro Magno e all'ascesa di Roma, dovremmo chiederci quali pagani fossero i più propensi a farlo.

I Greci dominavano il mondo ellenistico, e il successo e il fascino della loro cultura furono così travolgenti che un gran numero di ebrei in Palestina divennero ardenti ellenizzatori, incorporando elementi pagani nel loro stile di vita e alla fine scatenando la rivolta dei Maccabei contro tali detestate influenze straniere. Sembra quindi molto improbabile che un numero considerevole di greci o di gruppi influenzati dalla Grecia si siano convertiti al giudaismo quando l'evidenza è che il flusso di quasi-convertiti era molto più forte nella direzione opposta. E la lunga storia di aspra ostilità tra le numerosissime popolazioni greche ed ebraiche di Alessandria mina ulteriormente l'idea di numerosi convertiti greci.

 

Quindi, se sembra piuttosto improbabile che un numero considerevole di Greci o Romani si fosse convertito all'Ebraismo prima della nascita di Cristo, qual era la probabile fonte dell'enorme numero di tali apparenti convertiti?

 

Si presenta una possibilità intrigante.

 Gli antichi Giudei erano un popolo semitico, strettamente imparentato per lingua e cultura con i vicini Cananei, contraddistinti principalmente dalla loro religione fieramente monoteistica.

E di gran lunga il più grande e importante di questi popoli cananei furono i Fenici , le cui città-stato costiere includevano Tiro, Sidone e Byblos, e che secoli prima avevano fondato Cartagine come colonia nordafricana sulla costa della Tunisia. Questi popoli punici, i Fenici e i Cartaginesi, erano rinomati come i più grandi mercanti del mondo antico e avevano stabilito con successo un vasto impero commerciale molto prima dell'ascesa della Grecia classica o di Roma, un impero che durò per quasi mille anni.

 Le loro attività commerciali li avevano resi anche grandi innovatori, tanto che i Greci attribuivano loro il merito di aver inventato l'Alfabeto, che poi fu preso in prestito e adattato da tutti gli altri popoli.

 

Le città fenicie furono infine sottomesse dai grandi imperi terrestri semitici degli Assiri e dei Babilonesi, divenendo vassalli tributari, e questo status continuò sotto l'impero persiano, che contava sui Fenici per fornire la maggior parte della sua marina. Ma durante la vittoriosa campagna di Alessandro Magno per conquistare la Persia, egli distrusse Tiro e ogni residuo dell'indipendenza fenicia andò definitivamente perduto sotto i suoi successori ellenistici.

 

In questa stessa epoca, Cartagine aveva stabilito un grande impero nordafricano nel Mediterraneo occidentale, comprese molte colonie proprie, ed era probabilmente diventata la città più grande e più ricca del mondo antico. Ma durante il secolo successivo, le guerre puniche contro Roma si conclusero con la sconfitta totale di Cartagine e la perdita di tutti i suoi territori, culminando infine nella sua distruzione finale nel 146 aC.

 

Sappiamo che gli israeliti avevano certamente avuto contatti regolari con i loro vicini cugini fenici. Secondo la Bibbia, il re Salomone si affidò agli abili artigiani di Tiro per i suoi progetti di costruzione, e in seguito un re d'Israele si sposò con la dinastia regnante di quella stessa città. Anche se questi particolari episodi storici sembrano abbastanza plausibili, penso che una prospettiva molto più realistica sia che i ricchi e sofisticati mercanti della Fenicia considerino gli Israeliti come i loro cugini rustici di campagna, probabilmente poveri e ignoranti e fanaticamente religiosi con il loro credo monoteista.

 

Tuttavia, una volta che la Fenicia fu permanentemente caduta sotto il dominio straniero degli eredi ellenistici di Alessandro e i Cartaginesi sopravvissuti furono incorporati nell'impero creato dai loro acerrimi nemici romani, è facile immaginare che molti membri di entrambe quelle popolazioni puniche avrebbero potuto gradualmente diventare attratti verso una religione messianica come il giudaismo sposato da un popolo semitico strettamente imparentato. Secondo stime moderne, l'impero nordafricano di Cartagine comprendeva probabilmente 3-4 milioni di abitanti al suo apice, il che spiega facilmente l'origine di così tanti apparenti convertiti ebrei che in seguito apparvero in quella stessa parte del mondo.

 

Alessandria era la città più grande e sofisticata della parte orientale dell'impero romano e un terzo del suo milione di residenti erano ebrei, spesso coinvolti in conflitti comunitari con un terzo che era greco. Sembra molto più probabile che questi ebrei urbanizzati fossero i discendenti dei fenici convertiti piuttosto che i contadini della Giudea che in qualche modo erano stati trasformati in abitanti delle città in così gran numero. Sembra probabile che anche la numerosa comunità ebraica di Cipro, al largo delle coste del Libano, abbia radici simili. In effetti, Michael Grant notò che già nel 6 d.C. un importante sobillatore ebreo coinvolto nell'agitazione anti-greca in Palestina portava il nome distintamente punico di Annibale.

 

Gli ebrei palestinesi non avevano alcuna tradizione marinara né alcuna storia di colonizzazione e non furono mai conosciuti come mercanti, e la loro caratteristica più notevole era il fanatismo religioso e le violente ribellioni che regolarmente ispirava. Ma al tempo del primo Impero Romano, troviamo enormi popolazioni ebraiche nelle città e nelle isole commerciali costiere, con Giuseppe Flavio che afferma (probabilmente esagerato) che 500.000 ebrei vivevano in Cirenaica, sulla costa libica, non lontano dalla distrutta Cartagine. Quanto è plausibile che i contadini della Giudea possano essere emigrati in tutte quelle località lontane in così gran numero, o che siano diventati improvvisamente mercanti e commercianti di successo come molti di questi ebrei sembravano essere?

 

Al di fuori delle vicinanze del Medio Oriente, quelle regioni che in seguito divennero centri di grandi popolazioni ebraiche furono la Spagna e porzioni della costa nordafricana, entrambi territorio cartaginese, un modello molto suggestivo. E anche se la popolazione ebraica dell'Impero Romano crebbe e divenne un argomento di discussione crescente nelle storie di quell'epoca, ogni menzione dei residui Fenici o Cartaginesi divenne sempre meno frequente, con queste due tendenze storiche che potrebbero essere collegate.

 

Inoltre, la conversione al giudaismo richiedeva la circoncisione degli adulti, un processo molto doloroso e talvolta pericoloso che fungeva da grande deterrente per i potenziali aderenti, e rinunciando a tale requisito, il cristianesimo fu in grado di ingrossare notevolmente i suoi ranghi di convertiti gentili. Ma Erodoto e alcune altre fonti antiche affermavano che i Fenici già praticavano la circoncisione, il che avrebbe reso loro molto più facile diventare ebrei.

 

Le città dei Fenici erano situate nell'attuale Libano e gran parte della popolazione di quel paese sono i loro diretti discendenti. Per secoli, i libanesi, sia che vivessero in patria che nella loro lontana diaspora, sono stati ampiamente considerati come alcuni degli uomini d'affari e commercianti più astuti del mondo, riflettendo sicuramente l'eredità fenicia e le sue tradizioni durature. Ma sebbene gli ebrei della Giudea non abbiano mai avuto una tale reputazione, gli ebrei sefarditi e ashkenaziti certamente l'hanno avuta, suggerendo ulteriormente che le loro vere origini risalgono a un diverso popolo semitico.

 

Anche se non sembra esserci alcuna indicazione che questa teoria sull'origine sia mai circolata all'interno della comunità ebraica, è stata abbastanza comune una forte simpatia per gli altri popoli semitici.

Per duemila anni, gli ebrei hanno considerato i romani come il loro nemico più odiato, la nazione straniera che li ha conquistati e oppressi, ha brutalmente represso le loro ripetute rivolte e ha demolito il loro Secondo Tempio, il santuario centrale della loro religione.

 Ma più di un secolo prima di conquistare Gerusalemme, la stessa Roma era stata quasi distrutta da Cartagine durante la seconda guerra punica, quindi nel corso della storia molti ebrei hanno ammirato molto quell'impero semitico affine. Durante quella guerra, i Cartaginesi erano stati guidati da Annibale , ampiamente considerato come uno dei comandanti militari più brillanti della storia, che distrusse ripetutamente eserciti romani di gran lunga superiori prima che il peso delle loro maggiori risorse finalmente lo sopraffacesse. Annibale in seguito fuggì all'estero, offrendo i suoi servizi a tutti i nemici di Roma, e molti anni dopo, quando stava per cadere nelle mani dei romani, scelse il suicidio con il veleno piuttosto che con la prigionia, spiegando così il nome della controversa "Direttiva Annibale" del governo israeliano. " Per ragioni correlate, Sigmund Freud spiegò che come ebreo aveva sempre considerato Annibale uno dei suoi eroi personali .

 

Quindi, a meno che il moderno test del DNA non sia diventato sufficientemente preciso da distinguere la genetica degli antichi Giudei da quella dei loro stretti cugini fenici, penso che quest'ultimo gruppo dovrebbe essere trattato come un candidato principale per la vera origine degli ebrei moderni , compresi sia i sefarditi della Spagna che la linea maschile degli ashkenaziti dell'Europa orientale.

 

Vorrei potermi prendere il merito personale di questa ipotesi audace e apparentemente persuasiva che risolve molti enigmi diversi, ma non posso. Quasi cinquant'anni fa mi capitò di leggere The Outline of History, l'ampia storia del mondo del 1920 del poliedrico britannico HG Wells, la cui narrazione si estende dalle origini della vita alla fine della guerra mondiale, e dedicò un paio di paragrafi nelle sue 1.200 pagine a presenta questa esatta teoria delle origini ebraiche. che considerava così plausibile da essere quasi palesemente vero. Trovai la sua ipotesi abbastanza convincente all'epoca e sono sempre rimasto sorpreso dal fatto che nessun altro sembra averla mai ripresa nei cento anni trascorsi da quando è stata proposta per la prima volta.

 

Ero piuttosto soddisfatto della mia analisi di gennaio sulle origini ebraiche, compreso il mio sfatamento dell'ipotesi Cazara e la tesi che avevo avanzato a favore delle origini molto più probabili fenicio/cartaginesi degli ebrei moderni. Sebbene HG Wells avesse brevemente abbozzato quella teoria più di un secolo fa, l'avevo sempre considerata così plausibile che mi chiedevo perché all'epoca fosse stata completamente ignorata e apparentemente quasi mai menzionata altrove. Quindi sono stato felice di averlo ripreso, raccogliendo le considerevoli prove di supporto letterario e genetico che si erano costantemente accumulate dal 1920.

 

Le implicazioni di questa ipotesi punica sono piuttosto interessanti. Durante il I secolo dC, il cristianesimo era iniziato come una piccola setta religiosa ebraica, ma presto attirò una moltitudine di convertiti gentili, che sommersero gli originali aderenti alla Giudea, portando a importanti cambiamenti nelle sue dottrine. Ma in base a questa ricostruzione, qualcosa di piuttosto simile potrebbe essere accaduto all'ebraismo durante il secolo precedente, con i convertiti punici in tutto il mondo mediterraneo che presto superarono di gran lunga gli ebrei giudei originali.

 

Inoltre, data la ricchezza e la raffinatezza di gran lunga maggiori di quegli ebrei punici, essi avrebbero dominato soprattutto i ranghi d'élite della religione. Eredi di un impero commerciale millenario, erano un popolo orgoglioso, forse riluttante ad abbandonare tutte le proprie tradizioni mentre adottavano l'ebraismo dei loro cugini rustici dell'entroterra. Pertanto, non sorprenderci se alcuni elementi di quelle credenze pagane puniche continuare ad esistere nella nuova versione della religione ebraica che alla fine emerse.

 

Anche se alcuni di questi pensieri erano stati in fondo alla mia mente, la mia esperienza religiosa era troppo scarsa per perseguirli adeguatamente e poiché il mio articolo era già troppo lungo, ho lasciato cadere la questione. Fortunatamente, qualcuno molto più esperto in tali questioni ha presto deciso di affrontare la questione.

Considerata l'evidente competenza di questo scrittore in storia religiosa e questioni teologiche, mi ha fatto molto piacere che sembrasse convinto dalle mie argomentazioni sull'origine fenicio/cartaginese degli ebrei e che successivamente abbia prodotto un nuovo articolo sostenendo la mia ipotesi ed estendendola in modi che non avevo mai conosciuto. considerato, attingendo alla sua profonda familiarità con l'Antico e il Nuovo Testamento.

 

Implicazioni religiose della teoria cartaginese.

Anche se consiglio vivamente a chi fosse interessato di leggere l'intero articolo, vale la pena discutere molti dei suoi punti importanti e citare alcuni dei suoi passaggi chiave.

In primo luogo, sebbene gli Israeliti fossero molto imparentati con i vicini Cananei, notò che l'Antico Testamento era fortemente ostile nei confronti di questi ultimi, che erano stigmatizzati come popolo maledetto.

"Ed egli disse: Maledetto sia Canaan; servo dei servi sarà egli per i suoi fratelli».

-Genesi 9:25

La Bibbia usa il termine "cananeo" per riferirsi alle tribù pagane indigene della terra di Canaan (i moderni Israele e Libano). La storia dei Cananei inizia con il loro omonimo, Canaan. La Bibbia descrive come il padre di Canaan, Cam, vede Noè nudo e lo racconta ai suoi fratelli, invece di aiutare a coprire Noè. Come punizione, Noè maledice Canaan in Genesi 9:25. I discendenti di Canaan si stabiliscono nella terra di Canaan e sono condannati per aver praticato l'incesto, l'omosessualità, la bestialità e il sacrificio di bambini (Levitico 18). Alla fine Dio comanda agli Israeliti di rimuoverli dalla parte meridionale del paese (l'odierna Israele). Mentre alcuni hanno l'impressione che i Cananei fossero stati completamente annientati, la Bibbia afferma in Giudici 3 1:4 che ai Cananei del nord (l'attuale Libano) fu permesso di sopravvivere per mettere alla prova i futuri Israeliti in battaglia.

 

Ma i Fenici ei loro coloni cartaginesi erano semplicemente i Cananei costieri, quindi se alla fine divennero gli antenati della maggior parte degli ebrei successivi, compresi i coloni sionisti che fondarono lo stato di Israele, sottolineò che le ironie storiche e religiose risultanti erano enormi.

 

Mentre la Bibbia descrive gli abitanti di questa terra come Cananei, i Greci avevano un nome diverso per loro: Fenici. Cartagine fu fondata dai Fenici come colonia nel IX secolo aC, circa tre secoli dopo che gli studiosi moderni ritengono che si sia verificato lo spostamento dei Cananei per mano degli Israeliti. Tuttavia, ci sono poche ragioni per pensare che questi Fenici/Cartaginesi fossero qualcosa di diverso dai discendenti diretti dei Cananei biblici. Ephraim Stern, presidente dell'Istituto di Archeologia dell'Università Ebraica di Gerusalemme, affermò che i Fenici erano i discendenti dei Cananei dell'era biblica, alcuni dei quali furono cacciati dalla Palestina dagli Israeliti intorno al 1200 aC.

 

Già si presenta un'incredibile ironia. Gli studiosi moderni riconoscono sottilmente che la stragrande maggioranza degli ebrei romani non lasciò mai la Palestina, il che significa che i palestinesi moderni sono i discendenti più vicini degli antichi israeliti. Altri hanno già sottolineato quanto sia ironico che l'intero progetto sionista si giustifichi con l'affermazione che essi sono i discendenti degli Israeliti, ma in realtà stanno espellendo i veri discendenti degli Israeliti dalla Terra Santa.

 

La teoria cartaginese approfondisce ulteriormente questa già notevole ironia. I coloni sionisti non sono solo un'entità straniera che attacca i veri israeliti, ma sono in realtà i discendenti del popolo che fu maledetto e a cui Dio ordinò esplicitamente di essere allontanato dal paese, secondo le scritture in cui credono gli stessi sionisti religiosi. Hanno una connessione in Terra Santa, semplicemente non è quella che vogliono.

 

Da una prospettiva cristiana, la storia del sionismo moderno è la storia di un popolo amareggiato che tenta di invertire il giudizio di Dio su di loro senza Cristo, e a cui è stato permesso di esistere per mettere alla prova gli israeliti in combattimento. Ciò finisce per rimanere vero teologicamente, nel senso che i cristiani sono i nuovi israeliti e le società cristiane sono state conquistate dalle organizzazioni ebraiche, e torna vero anche letteralmente, nel senso che i discendenti israeliti sono ora fisicamente in combattimento con i discendenti cananei nel mondo. terra Santa.

 

Le decine di milioni di sionisti cristiani d'America si devono i campioni degli israeliani che si identificano con gli israeliti della Bibbia, e sospetto che molti di loro possano vagamente considerare i palestinesi come i discendenti dei maledetti cananei. Ma i fatti reali sembrano essere l'opposto, con gli ebrei israeliani che hanno una forte ascendenza cananea ei palestinesi sofferenti di oggi che sono probabilmente i discendenti diretti più stretti degli antichi israeliti.

 

Erickson ha continuato a notare:

 

Si crede comunemente che gli ebrei moderni siano seguaci dell'Antico Testamento, differenziati dai cristiani solo per il loro rifiuto di Gesù come Messia. Le scritture ebraiche sembrano indicare chiaramente Gesù come il Messia, lasciando i cristiani frustrati per secoli per il rifiuto ebraico di accettarlo. Tuttavia, gli studi del Prof. Israel Shahakhanno dimostrato che la religione ebraica moderna include un'ampia varietà di pratiche strane e apparentemente pagane. Molti li hanno accusati di adorazione del diavolo in generale, ma le origini cananee potrebbero fornire maggiore chiarezza sull'essenza delle loro credenze.

 

Ha spiegato che, secondo Shahak, molti ebrei talmudici credevano effettivamente nell'esistenza di divinità supreme, sia maschili che femminili, la cui unione sessuale è un obiettivo cruciale dei rituali religiosi ebraici. Trovò questo un elemento molto sconcertante in un credo protettivo monoteista.

 

… Ero sconcertato e mi chiedevo come una credenza così strana potesse essere finita nel giudaismo moderno. Con il contesto cartaginese, tuttavia, ha perfettamente senso, poiché i Cartaginesi adoravano una coppia divina, il maschio Baal-Hammon e la femmina Tanit, come menzionato sopra.

 

Supponendo che la teoria cartaginese sia vera, le prove suggeriscono che la moderna religione ebraica è una sorta di ibrido tra il genuino giudaismo della Torah e il paganesimo cananeo. Ciò non dovrebbe sorprendere, poiché i Fenici erano un popolo orgoglioso con un impero durato un millennio, ed erano probabilmente riluttanti a sottrarsi completamente alla propria religione in favore di quella proveniente dai loro cugini contadini poveri.

 

A suo notevole merito, Erickson non si sottrasse alle questioni più delicate, come il sacrificio dei bambini, che sembrava collegare le pratiche religiose puniche con quelle degli ebrei degli ultimi giorni.

 

Come abbiamo spiegato in precedenza, i Cananei nella Bibbia si impegnavano in una serie di pratiche pagane inquietanti, tra cui il sacrificio di bambini... Nonostante la distanza tra Cartagine e la Fenicia, i Cartaginesi fenici mantennero un legame ininterrotto con la loro religione nativa , e questo includeva la pratica del sacrificio di bambini. Per molti anni si è dubitato che i Cartaginesi sacrificassero effettivamente i bambini, ma recenti scoperte hanno fornito prove schiaccianti che lo facessero.Un articolo diHaaretzfornisceun utile riassunto:

 

"Anche se si disperdero in tutto il Mediterraneo occidentale, i Fenici rimasero uniti dalle loro pratiche religiose. Per secoli, Cartagine inviò ogni anno una delegazione a Tiro per sacrificare al tempio del dio della città Melqart. Nella stessa Cartagine, le divinità principali erano la coppia divina Baal-Hammon, che significa "Signore del braciere", e Tanit, identificata con Astarte La caratteristica più nota della religione fenicia era la pratica del sacrificio di bambini L'area intorno al Mediterraneo occidentale (Cartagine, Sicilia occidentale, Sardegna meridionale) è disseminata di sepolture di bambini sacrificati, ma in realtà la pratica era comune nelle città fenicie di tutto il Levante Diodoro Siculo riferisce che nel 310 aEV, durante un attacco alla città, i cartaginesi sacrificarono oltre 200 bambini di nobili natali per placare. Baal-Hammon".

Gli studi del Prof. Ariel Toaff mostrano che anche questa pratica non terminò con la distruzione di Cartagine e che gli ebrei europei praticarono il sacrificio di bambini fino al Medioevo. L'esistenza del sacrificio infantile cartaginese supporta fortemente i resoconti del sacrificio infantile cananeo nella Bibbia, così come la ricerca del Prof. Toaff, e mostra un legame significativo tra l'ebraismo rabbinico e il paganesimo cananeo.

 

In un lungo passaggio, Erickson notò anche la forte associazione che sia i Fenici che gli Ebrei successivi mantennero con Saturno:

Un'altra continuità intrigante è il ruolo di Saturno nella cultura ebraica. Lo storico Eusebio ricorda che la divinità suprema fenicia, El, fu divinizzata come la stella Saturno . I romani collegavano Saturno anche alla divinità suprema cartaginese, Baal-Hammon, forse rafforzato dal fatto che Saturno mangiava i suoi figli nella mitologia romana.

 

Fonti ebraiche romane e medievali attestano che almeno qualche forma di culto di Saturno/Baal-Hammon rimase anche dopo che la massa dei Cartaginesi si convertì al giudaismo. Shlomo Sela, professore presso il Dipartimento del pensiero ebraico dell'Università Bar Ilan, ha analizzato le opere di Abraham ibn Ezra, un eminente commentatore ebreo medievale, che scrisse una lunga opera nel tentativo di difendere il legame tra gli ebrei e Saturno. Sela ha scritto che questo collegamento è "storicamente confermato in quasi tutte le fonti che sono state presentate sopra per dimostrare la persistenza del legame Saturno-ebraico dall'antichità fino al Medioevo. Pertanto, sia Tacito che sant'Agostino affermavano che gli ebrei facevano del sabato il loro giorno di riposo per onorare o adorare Saturno".(pag. 40)

 

Per evitare che qualcuno pensi che si tratti solo di propaganda romana o cristiana, Sela afferma inoltre: "Che la società ebraica del periodo talmudico riconoscesse la stessa associazione è dimostrato dal fatto che il Talmud babilonese (Shabbat 156a) si riferisce a Saturno come Shabbetai, cioè il stella dello Shabbat (sabato)."[7]Lo stesso Ibn Ezra non negò che lo Shabbat (Sabato) fosse legato a Saturno, ma lo difese dicendo che gli ebrei si riposavano per proteggersi dall'influenza maligna di Saturno, che si supponeva fosse più forte in quel giorno. Anche il quotidiano ebraico Forward ammette il collegamento, ma sostiene che gli ebrei chiamarono Saturno in onore del sabato semplicemente perché i romani credevano che gli ebrei riposassero in onore di Saturno.

 

Entrambe queste spiegazioni sollevano seri interrogativi. L'Antico Testamento afferma chiaramente e ripetutamente che Dio ha benedetto il giorno del Signore e lo ha reso santo, e che deve essere dedicato solo a Dio (Esodo 20:8-11). Se gli ebrei devoti riposano per Saturno, anche se dovessimo credere che sia per proteggersi da Saturno, questo sarebbe come minimo un errore religioso. Insieme a ciò, si potrebbe pensare che i più ebrei sarebbero stati profondamente offesi dall'accusa romana di dedicare il sabato a una malvagia divinità pagana e si sarebbero opposti strenuamente a tale connessione, dati i severi sentimenti scritturali contro l'adorazione degli idoli. Invece, sembra che non abbiano avuto problemi a chiamare Saturno "la stella del sabato", mettendo in dubbio l'idea che i romani si sbagliassero su questo.

 

Dato che gli ebrei hanno resistito alla conversione al cristianesimo per duemila anni sotto enormi pressioni, e che usano persino un segno più matematico diverso perché il nostro somiglia troppo a una croce, un termine improprio qui sembrerebbe una vera e propria svista.

 

Inoltre, sebbene la Stella di David sia diventata il simbolo principale del giudaismo, le sue origini sono in realtà oscure poiché non viene menzionata da nessuna parte nell'Antico Testamento. Ci sono invece riferimenti biblici a una stella come simbolo di Saturno e alla sua associazione con le pratiche religiose fenicie.

 

Santo Stefano sembra alludere a questo nel suo discorso al Sinedrio (Atti 7), dove paragona le loro azioni a quelle degli Israeliti disobbedienti nell'Antico Testamento, compresi alcuni che decisero di adorare Moloch e Remphan al posto di Dio:

"Sì, voi avete preso il tabernacolo di Moloch e la stella del vostro dio Remphan, figure che avete fatto per adorarli: e io vi porterò via oltre Babilonia".

-Atti 7:43

Remphan (o Rephan) è il nome egiziano di Saturno.  Stefano si riferisce ad Amos 5:26 quando si riferisce alla stella di Remphan:

 

"Ma voi avete portato il tabernacolo del vostro Moloch e Chiun le vostre immagini, la stella del vostro dio, che avete fatto per voi stessi."

-Amos 5:26

Chiun è il nome ebraico di Saturno, e il commento biblico di Jamieson-Fausset-Brown su questo versetto afferma che Saturno era probabilmente rappresentato con il simbolo di una stella: "Probabilmente c'era una figura di una stella sulla testa dell'immagine dell'idolo, per rappresentare il pianeta Saturno; quindi "immagini" corrispondono a "stella" nella proposizione parallela".[12]Sembra del tutto possibile che l'influenza cartaginese abbia portato a una rinascita nell'uso di questo simbolo della stella di Saturno, ed è ciò che ha portato Stefano a fare riferimento a questo versetto specifico.

 

Quando ci chiediamo che aspetto avesse questo simbolo stellare, c'è ovviamente un candidato molto ovvio: la Stella di David. Non molti cristiani sembrano esserne consapevoli, ma nell'Antico Testamento non c'è alcuna menzione di una sorta di "stella" di Davide, una stella simbolo per Davide, o qualsiasi altra cosa che possa plausibilmente collegare Davide con il moderno simbolo ebraico.[13]Le teorie sull'origine della stella di David sono vaghe e varie, ma la pagina della Biblioteca Virtuale Ebraica sull'argomento dice in modo interessante che "il più antico esempio indiscusso si trova su un sigillo del VII secolo aEV trovato a Sidone".[14]Sidone era un'importante città cananea/fenicia, e il VII secolo aC è solo un secolo dopo che si dice che il profeta Amos sia vissuto.[15]

 

La pagina afferma anche che le fonti arabe ed ebraiche si riferivano all'esagramma come "il sigillo di Salomone" e che questo collega il simbolo con la prima magia "giudaico-cristiana" come il primo secolo[16]Musica Liricamagica Il Testamento di Salomone. In quest'opera non canonica, Dio dà a Salomone un anello con inciso un pentagramma che gli permette di controllare i demoni, e la storia si conclude con Salomone che adora Moloch e Remphan in cambio di sesso. Questa sembra essere la prima fonte documentaria per la Stella di David, che sembra risalire al tempo in cui visse Stefano e che collega anche il simbolo con Saturno/Remphan.

 

Amos e Stefano parlavano della Stella di David quando condannavano questo simbolo della stella di Saturno? Forse non saremo mai in grado di confermarlo, ma dato che il più antico esempio della Stella di David risale al tempo di Amos, in una delle principali città di adoratori di Saturno, e le sue prime apparizioni documentate la associano anche a Saturno al tempo di Stephen, questo sembra altamente probabile.

 

Penso che tutti questi elementi religiosi condivisi sostengano fortemente l'ipotesi punica delle origini ebraiche, aggiungendosi alle considerevoli prove letterarie e genetiche che avevo precedentemente descritto.

 

La borsa di studio fondamentale di Israel Shahak e Ariel Toaff.

L'analisi di Erickson si è basata in larga misura sugli studi degli accademici israeliani Israel Shahak e Ariel Toaff, e ha citato ripetutamente il mio articolo del 2018 che descrive la loro ricerca innovativa. Pertanto, penso che valga la pena includere parti di quel pezzo in cui ho discusso le notevoli opere di quei due studiosi israeliani.

 

La mia prima sorpresa è stata che gli scritti di Shahak includessero introduzioni o commenti entusiastici di alcuni dei più importanti intellettuali pubblici americani, tra cui Christopher Hitchens, Gore Vidal, Noam Chomsky e Edward Said. Gli elogi provenivano anche da pubblicazioni di tutto rispetto come The London Review of Books , Middle East International e Catholic New Times , mentre Allan Brownfeld dell'American Council for Judaism aveva pubblicato un necrologio molto lungo ed elogiativo .

E ho scoperto che il background di Shahak era molto diverso da quello che avevo sempre immaginato.

Aveva trascorso molti anni come pluripremiato professore di chimica all'Università Ebraica e in realtà era tutt'altro che comunista. Mentre per decenni i partiti politici al potere in Israele erano stati socialisti o marxisti, i suoi dubbi personali sul socialismo lo avevano lasciato politicamente nel deserto, mentre il suo rapporto con il minuscolo Partito Comunista israeliano era dovuto esclusivamente al fatto che erano l'unico gruppo disposto a difendere i diritti fondamentali. questioni relative ai diritti umani che erano il suo obiettivo centrale. Le mie supposizioni casuali sulle sue opinioni e sul suo passato erano completamente sbagliate.

 

Una volta che ho iniziato a leggere i suoi libri, e considerando le sue affermazioni, il mio shock è aumentato di cinquanta volte. In tutta la mia vita, ci sono state pochissime volte in cui sono rimasto così totalmente sbalordito come dopo aver digerito Storia ebraica, Religione ebraica: il peso di tremila anni , il cui testo occupa appena un centinaio di pagine. Infatti, nonostante la sua solida formazione nel campo delle scienze accademiche e i lusinghieri avalli forniti da personaggi di spicco, trovavo piuttosto difficile accettare la realtà di ciò che stavo leggendo. Di conseguenza, ho pagato una somma considerevole a un giovane studente laureato che conoscevo, incaricandolo di verificare le affermazioni contenute nei libri di Shahak e, per quanto ne sapeva, tutte le centinaia di riferimenti che aveva controllato sembravano essere accurati o almeno trovato in altre fonti.

 

Nonostante tutta questa dovuta diligenza, devo sottolineare che non posso garantire direttamente per le affermazioni di Shahak sull'ebraismo. La mia conoscenza di quella religione è assolutamente trascurabile, essendo per lo più limitata alla mia infanzia, quando mia nonna di tanto in tanto riusciva a trascinarmi alle funzioni della sinagoga locale, dove ero seduto in mezzo a una massa di uomini anziani che pregavano e cantavano in una strana lingua. indossando vari indumenti rituali e talismani religiosi, un'esperienza che ho sempre trovato molto meno piacevole dei miei soliti cartoni animati del sabato mattina.

 

Anche se i libri di Shahaksono piuttosto brevi, contengono una tale densità di materiale sorprendente che ci vorrebbero molte, molte migliaia di parole per iniziare a riassumerli. Quasi tutto quello che sapeva – o che pensava di sapere – sulla religione dell'ebraismo, almeno nella sua forma tradizionale zelantemente ortodossa, era completamente sbagliato.

 

Ad esempio, gli ebrei tradizionalmente religiosi prestano poca attenzione alla maggior parte dell'Antico Testamento, e anche rabbini o studenti molto istruiti che hanno dedicato molti anni a uno studio intensivo possono rimanere in gran parte ignoranti del suo contenuto. Invece, il centro della loro visione religiosa del mondo è il Talmud, una massa enormemente grande, complessa e in qualche modo contraddittoria di scritti secondari e commenti costruiti nel corso di molti secoli, motivo per cui la loro dottrina religiosa è talvolta chiamata "giudaismo talmudico". ". Tra gran parte dei fedeli, il Talmud è integrato dalla Cabala, un'altra grande raccolta di scritti accumulati, per lo più incentrati sul misticismo e su ogni sorta di magia. Poiché questi commenti e interpretazioni rappresentano il nucleo della religione, molto di ciò che tutti danno per scontato nella Bibbia è considerato in modo molto diverso.

 

Data la natura delle basi talmudiche del giudaismo tradizionale e la mia totale precedente ignoranza dell'argomento, qualsiasi tentativo da parte mia di riassumere alcuni degli aspetti più sorprendenti della descrizione di Shahak potrebbe essere parzialmente confuso, ed è certamente degno di correzione da parte di qualcuno più esperto. in quel dogma. E poiché così tante parti del Talmud sono altamente contraddittorie e intrise di un misticismo complesso, sarebbe impossibile per qualcuno come me tentare di districare le apparenti incoerenze che sto semplicemente ripetendo. Dovrei notare che, sebbene la descrizione di Shahak delle credenze e delle pratiche dell'ebraismo talmudico abbia provocato una tempesta di denunce, pochi di questi aspri critici sembrano aver negato le sue affermazioni molto specifiche, comprese quelle più sorprendenti, il che sembrerebbe rafforzare la sua credibilità.

 

Al livello più basilare, la religione della maggior parte degli ebrei tradizionali in realtà non è affatto monoteistica, ma contiene invece un'ampia varietà di diversi dei maschili e femminili, che hanno relazioni piuttosto complesse tra loro, con queste entità e le loro proprietà che variano enormemente tra i vari popoli. numerose sotto sette ebraiche diverse, a seconda di quali parti del Talmud e della Cabala pongono in primo piano. Ad esempio, il tradizionale grido religioso ebraico "Il Signore è Uno" è sempre stato interpretato dalla maggior parte delle persone come un'affermazione monoteistica e, in effetti, molti ebrei hanno esattamente la stessa visione. Ma un gran numero di altri ebrei credono che questa dichiarazione si riferisca invece al raggiungimento dell'unione sessuale tra le entità divine primarie maschili e femminili. E, cosa ancora più bizzarra, gli ebrei che hanno visioni così radicalmente diverse non vedono assolutamente alcuna difficoltà nel pregare fianco a fianco e semplicemente nell'interpretare i loro identici canti in modi molto diversi.

 

Inoltre, gli ebrei apparentemente religiosi pregano Satana quasi con la stessa prontezza con cui pregano Dio, ea seconda delle varie scuole rabbiniche, i particolari rituali e sacrifici che praticano possono essere finalizzati ad ottenere il sostegno dell'uno o dell'altro. Ancora una volta, fintanto che i rituali sono seguiti correttamente, gli adoratori di Satana e gli adoratori di Dio vanno perfettamente d'accordo e si utilizzano ebrei ugualmente pii, solo di una tradizione leggermente diversa. Un punto che Shahak sottolinea ripetutamente è che nell'ebraismo tradizionale la natura del rituale stesso è assolutamente preminente, mentre l'interpretazione del rituale è piuttosto secondaria. Quindi forse un ebreo che si lava le mani tre volte in senso orario potrebbe essere inorridito da un altro che segue una direzione in senso antiorario, ma se il lavaggio delle mani fosse inteso per onorare Dio o per onorare Satana non sarebbe una questione di grande importanza.

 

Stranamente, molti dei rituali tradizionali sono esplicitamente intesi a ingannare o ingannare Dio o i suoi angeli o talvolta Satana, proprio come gli eroi mortali di alcune leggende greche potrebbero cercare di ingannare Zeus o Afrodite. Ad esempio, alcune preghiere devono essere pronunciate in aramaico anziché in ebraico sulla base del fatto che i santi angeli apparentemente non capiscono la prima lingua, e la loro confusione consente a quei versetti di scivolare senza ostacoli e di avere effetto senza l'interferenza divina.

 

Inoltre, poiché il Talmud rappresenta una massiccia raccolta di commenti pubblicati accumulati nel corso di più di un millennio, anche i mandati più espliciti sono stati talvolta trasformati nei loro opposti. Ad esempio, Maimonide, una delle massime autorità rabbiniche, proibiva assolutamente ai rabbini di essere pagati per il loro insegnamento religioso, dichiarando che ogni rabbino che riceveva uno stipendio era un malvagio ladro condannato al tormento eterno; tuttavia in seguito i rabbini alla fine "reinterpretarono" questa affermazione per significare qualcosa di completamente diverso, e oggi quasi tutti i rabbini riscuotono uno stipendio.

 

Un altro aspetto affascinante è che fino a tempi molto recenti, la vita degli ebrei religiosi era spesso dominata da ogni sorta di pratiche altamente superstiziose, inclusi incantesimi magici, pozioni, incantesimi, fatture, maledizioni e talismani sacri, con i rabbini che spesso avevano un ruolo importante ruolo secondario come stregoni, e questo rimane del tutto vero anche oggi tra i rabbini enormemente influenti di Israele e dell'area di New York City. Gli scritti di Shahak non lo avevano reso caro a molti di questi individui, e per anni lo attaccarono costantemente con ogni sorta di incantesimi e terribili maledizioni mirate a provocarne la morte o la malattia. Molte di queste pratiche ebraiche tradizionali non sembrano del tutto dissimili da quelle che tipicamente associamo agli stregoni africani o ai preti Voodoo, e in effetti, la famosa leggenda del Golem di Praga descriveva l'uso riuscito della magia rabbinica per animare una creatura gigante costruita in argilla.

 

Non dubito che gran parte dell'analisi sincera fornita sopra sarà piuttosto angosciante per molte persone. In effetti, alcuni potrebbero credere che tale materiale superi di gran lunga i confini del mero "antisemitismo" e attraversare facilmente la soglia per costituire una vera e propria "calunnia del sangue" contro il popolo ebraico. Questa accusa estremamente dura, ampiamente usata dai difensori del comportamento israeliano, si riferisce alla famigerata superstizione cristiana, prevalente per la maggior parte del Medioevo e anche nei tempi più moderni, secondo cui gli ebrei a volte rapivano piccoli bambini cristiani per drenare il loro sangue da utilizzare in vari rituali magici, specialmente in connessione con la festa religiosa di Purim. Una delle mie scoperte più scioccanti degli ultimi dodici anni è che c'è una probabilità abbastanza forte che queste credenze apparentemente impossibili fossero in realtà vere.

 

Personalmente non ho alcuna esperienza professionale nelle tradizioni rituali ebraiche, né nelle pratiche dell'ebraismo medievale. Ma uno dei più importanti studiosi del mondo in questo campo è Ariel Toaff , professore di Rinascimento ebraico e studi medievali all'Università Bar-Ilan vicino a Tel Aviv, e lui stesso figlio del rabbino capo di Roma.

 

Nel 2007 ha pubblicato l'edizione italiana del suo studio accademico Blood Passovers , basato su molti anni di diligente ricerca, assistito dai suoi studenti laureati e guidato dai suggerimenti dei suoi vari colleghi accademici, con una tiratura iniziale di 1.000 copie esaurite in tutto il mondo. il primo giorno. Data l'eminenza internazionale di Toaff e l'enorme interesse, sarebbe normalmente seguita un'ulteriore distribuzione internazionale, inclusa un'edizione inglese da parte di una prestigiosa casa editrice accademica americana. Ma l'ADL e vari altri gruppi di attivisti ebrei considerarono tale possibilità con estremo sfavore, e sebbene questi attivisti non avessero credenziali accademiche, apparentemente esercitarono una pressione sufficiente per cancellare ogni ulteriore pubblicazione. Sebbene il Prof. Toaff abbia inizialmente tentato di mantenere la sua posizione in modo ostinato, presto ha seguito la stessa strada di Galileo, e le sue scuse sono diventate naturalmente la base della voce sempre inaffidabile di Wikipedia sull'argomento.

 

Alla fine, una traduzione inglese del suo testo è apparsa su Internet in formato PDF ed è stata anche messa in vendita su Amazon.com, dove ne ho acquistato una copia e alla fine l'ho letta. Date queste difficili circostanze, questo lavoro di 500 pagine non è certo nella forma ideale, con la maggior parte delle centinaia di note a piè di pagina scollegate dal testo, ma fornisce comunque un mezzo ragionevole per valutare la controversa tesi di Toaff, almeno dal punto di vista di un profano. Sembra certamente uno studioso estremamente erudito, che attinge ampiamente alla letteratura secondaria in inglese, francese, tedesco e italiano, nonché alle fonti documentarie originali in latino, latino medievale, ebraico e yiddish. In effetti, nonostante la natura scioccante dell'argomento, questo lavoro accademico è in realtà piuttosto arido e noioso, con lunghissime digressioni riguardanti i particolari intrighi di vari oscuri ebrei medievali. Va sottolineata la mia totale mancanza di esperienza in questi settori, ma nel complesso ho pensato che Toaff avesse presentato un caso piuttosto convincente.

 

Sembra che un numero considerevole di ebrei ashkenaziti considerasse tradizionalmente il sangue cristiano come dotato di potenti proprietà magiche e lo considerasse una componente molto preziosa di alcune importanti osservanze rituali in particolari festività religiose. Ovviamente, ottenere tale sangue in grandi quantità era irto di rischi considerevoli, che ne aumentavano notevolmente il valore monetario, e sembra che il commercio delle fiale di quel bene prezioso fosse ampiamente praticato. Toaff sottolinea che, poiché le descrizioni dettagliate delle pratiche di omicidio rituale ebraico sono descritte in modo molto simile in luoghi ampiamente separati per geografia, lingua, cultura e periodo di tempo, sono quasi certamente osservazioni indipendenti dello stesso rito. Inoltre, egli nota che quando gli ebrei accusati venivano catturati e interrogati, spesso descrivevano correttamente oscuri rituali religiosi che non avrebbero potuto essere conosciuti dai loro interrogatori gentili, che spesso confondevano dettagli minori. Pertanto, era molto improbabile che queste confessioni fossero state inventate dalle autorità.

Inoltre, come ampiamente discusso da Shahak, la visione del mondo dell'ebraismo tradizionale implicava un'enfasi molto diffusa su rituali magici, incantesimi, incantesimi e cose simili, fornendo un contesto in cui l'omicidio rituale e il sacrificio umano difficilmente sarebbero stati del tutto inaspettato.

 

Ovviamente, l'omicidio rituale di bambini cristiani per il loro sangue era visto con enorme sfavore dalla popolazione gentile locale, e la diffusa credenza nella sua esistenza rimaneva una fonte di aspre tensione tra le due comunità, divampando occasionalmente quando un bambino cristiano scompariva misteriosamente in un particolare periodo dell'anno, o quando veniva trovato un corpo che mostrava tipi sospetti di ferite o mostrava una strana perdita di sangue. Di tanto in tanto, un caso particolare raggiunse la ribalta pubblica, spesso portando a una prova di forza politica tra gruppi ebraici e antiebraici. Durante la metà del XIX secolo, ci fu uno di questi casi famosi nella Siria dominata dai francesi, e poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale, la Russia fu devastata da un conflitto politico simile nell'affare Beilis del 1913 in Ucraina.

 

Ho incontrato per la prima volta queste idee davvero sorprendenti quasi una dozzina di anni fa in un lungo articolo di Israel Shamir a cui si fa riferimento in Counterpunch , e varrebbe sicuramente la pena leggerlo come riassunto generale , insieme a un paio di suoi articoli successivi , mentre lo scrittore Andrew Hamilton offre la panoramica più recente della controversia del 2012. Shamir fornisce inoltre una copia gratuita del libro in formato PDF , una versione aggiornata con le note a piè di pagina opportunamente annotate nel testo. Ad ogni modo, non ho l'esperienza per giudicare efficacemente la probabilità dell'ipotesi Toaff, quindi inviterei coloro che sono interessati a leggere il libro di Toaff o meglio ancora gli articoli correlati e decidere da soli.

Sebbene questa analisi delle origini ebraiche e delle credenze religiose si sia concentrata principalmente sul lontano passato, alcuni aspetti di essa possono essere rilevanti per il conflitto in corso tra Israele e Gaza che ha catturato così tanta attenzione nel mondo. Molti occidentali sono stati molto turbati nello scoprire un comportamento israeliano di lunga data ma nascosto che trova sorprendente e ripugnante, e alcuni di questi comportamenti possono essere illuminati dalle sue radici religiose.

Il mese scorso ho pubblicato un articolo che riportava la lunga intervista di Tucker Carlson a un pastore cristiano palestinese della città santa di Betlemme, che descriveva la grave oppressione che lui e il suo gregge cristiano hanno subito per mano del governo ebraico estremista di Israele e dei coloni militanti che sosteneva.

 

Ho anche notato i fatti a lungo nascosti della Nakba originale del 1948 , in cui circa 800.000 palestinesi nativi furono espulsi dalle loro antiche terre:

 

Alcuni dei crimini commessi dai sionisti per terrorizzare i palestinesi e cacciarli dal loro caso sono stati piuttosto scioccanti. Mentre la recente storia dei militanti di Hamas che arrostivano un bambino israeliano in un forno era solo una bufala di atrocità, abbiamo testimonianze oculari che nel 1948 i militanti sionisti gettarono un giovane ragazzo palestinese in un forno e lo bruciarono vivo, con suo padre che lo seguiva presto.

 

 

Ho sottolineato che le credenze religiose degli ebrei talmudici che dominano Israele hanno alcune importanti implicazioni politiche.

 

Non avendo alcun interesse per la religione, non ho mai prestato attenzione a queste cose, ma quelle convinzioni ovviamente dominano il pensiero degli ebrei talmudici ferocemente impegnati che sono diventati un fattore così potente nel governo e nella politica di Israele, e il loro dogma spirituale potrebbe avere conseguenze fatali. Il mese scorso ho assistito a una presentazione che suggeriva che quei ferventi ebrei messianici potrebbero essere sul punto di ristabilire i sacrifici rituali come preparazione ai piani per distruggere le sacre moschee islamiche del Monte del Tempio, risalenti a 1500 anni fa, e ricostruire il Terzo Tempio ebraico al loro posto. in preparazione alla venuta del Messia ebraico.

 

Tutto ciò suggerisce alcune notevoli ironie politiche americane.

 

Da quello che ho letto qua e là, i cristiani hanno tradizionalmente identificato il Messia ebreo con l'Anticristo delle loro Scritture, così sotto una tale interpretazione i numerosi sionisti cristiani d'America, inclusi leader come il reverendo Franklin Graham e il reverendo John Hagee , hanno effettivamente speso tutta la loro carriera al servizio dei seguaci dell'Anticristo, non certo una piacevole scoperta per quei più cristiani.

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