Il futuro che ci aspetta.
Il
futuro che ci aspetta.
Elon
Musk: “In futuro non ci sarà nessun lavoro.”
msn.com
– Motorionline.it – Andrea Senatore – (25-5-2024) – ci dice:
Il
numero uno di Tesla Elon Musk è tornato a parlare di futuro lanciando una nuova
profezia che questa volta non riguarda il settore auto nello specifico ma si
riferisce al mondo intero.
Secondo il CEO della casa automobilistica
americana in futuro non ci sarà nessun lavoro.
Questo a causa dell’Intelligenza Artificiale
che secondo lui non solo entrerà in qualsiasi tipo di lavoro ma finirà per
prendere il sopravvento sostituendo l’uomo in ogni attività.
L’Intelligenza
Artificiale è la più grande paura di Elon Musk.
Elon
Musk ha detto ciò in occasione di” VivaTech 2024”, la fiera dedicata alla
tecnologia a Parigi a cui ha partecipato in collegamento video.
“Nessuno di noi avrà un lavoro quando
l’intelligenza artificiale si evolverà e crescerà.
Se
vorrete potrete lavorare un po’ come hobby.
L’intelligenza
artificiale e i robot forniranno tutti i beni e i servizi necessari”.
Il CEO
di Tesla ha definito l’intelligenza artificiale “la sua più grande paura”, il
CEO di Space X ha dichiarato che invece la sua “più grande speranza è Marte” e
che intende inviare persone su Marte “probabilmente entro 10 anni, ma forse anche
tra i sette e gli otto anni”.
Secondo
Elon Musk quando nessuno o quasi avrà più un lavoro sarà necessario prevedere
un “universal
high income”, un reddito universale elevato che sarebbe distribuito direttamente dai
governi a tutti i cittadini.
Durante
la conferenza, Musk ha menzionato i romanzi di “Ian Banks”, descrivendola come
una visione utopica e drammatizzata di una comunità gestita dalla tecnologia
moderna, e l’ha definita la rappresentazione più autentica e “la migliore
visione di una futura intelligenza artificiale”.
(Elon
Musk lancia Starlink in Indonesia: connessione Internet per le aree remote -Il
Messaggero)
Ha poi
riflettuto se gli esseri umani possano essere soddisfatti di una vita senza
lavoro e carriera, sottolineando:
“Se i
computer e i robot possono fare tutto meglio di noi, la nostra vita avrà ancora
un qualche significato?”
Nonostante
ciò, l’imprenditore statunitense ha espresso la convinzione che “forse c’è ancora un ruolo per gli
esseri umani in questo, nel senso che possiamo dare un significato
all’intelligenza artificiale”.
Infine, ha lanciato un severo avvertimento ai genitori
riguardo all’uso della tecnologia da parte dei figli, consigliando di limitare il tempo
che questi trascorrono sui social media.
Ocse
“Nel 2050, anche in Italia,
più
inattivi che lavoratori.”
Adepp.info
– Paola Venanzi – (10-9-2019) – ci dice:
L’Organizzazione
per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico non sembra avere dubbi: anche nel
nostro Paese il rapporto tra lavoratori e pensionati potrà superare 1 ad 1.
Secondo
l’ultimo studio Ocse “Working Better with Age”, presentato a Tokio, infatti, il
numero di persone over-50 inattive o pensionate che dovranno essere sostenute
dai lavoratori potrebbe aumentare di circa il 40%, arrivando nell’aera Ocse a
58 su 100.
E in
Italia, Grecia e Polonia il rischio è di arrivare ad una realtà nella quale gli
over-50 fuori dal mondo del lavoro sulle spalle di ogni lavoratore supereranno
la proporzione di 1 a 1.
Un
futuro “buio” al quale sembra che difficilmente il nostro Paese si sottrarrà.
A meno
che non vengano adottate misure e politiche mirate.
Due i
fattori scatenanti: il rapido invecchiamento della popolazione e la scarsa
volontà di continuare a lavorare fino o dopo i 65 anni di età.
Nella
prefazione dello studio si legge “Le persone oggi vivono più a lungo ma ciò che
è un vantaggio per gli individui può essere una sfida per le società.
Se non si fa nulla per modificare i modelli di
lavoro e pensionistici esistenti, il numero di persone anziane inattive che
dovranno essere supportate da ciascun lavoratore potrebbe aumentare di circa il
40% tra il 2018 e il 2050 in media nell’area OCSE.
Ciò
metterebbe un freno all’aumento del tenore di vita e all’enorme pressione sulle
giovani generazioni che finanzieranno i sistemi di protezione sociale.
Il miglioramento delle prospettive
occupazionali dei lavoratori più anziani sarà cruciale.
Allo
stesso tempo, sarà necessario adottare un approccio nel corso della vita per
evitare l’accumulo di svantaggi individuali rispetto alle carriere lavorative
che scoraggiano o impediscono il lavoro in età avanzata.”
Cosa fare?
Di
fronte al rapido invecchiamento della popolazione, l’Ocse invita i governi a
promuovere “maggiori e migliori opportunità di lavoro in età avanzata per
proteggere gli standard di vita e la sostenibilità delle finanze pubbliche”.
Ritardando
l’età media in cui i lavoratori più anziani lasciano la forza lavoro e
riducendo il divario di genere tra i giovani che entrano nel mercato del
lavoro, l’aumento medio per l’area Ocse potrebbe infatti essere ridotto al 9%.
“Il
fatto che le persone vivano più a lungo e in una salute migliore è un risultato
da celebrare – ha affermato “Stefano Scarpetta”, direttore dell’”Organizzazione
per l’Occupazione, il lavoro e gli affari sociali”, al lancio del rapporto a
Tokyo.
Ma un rapido invecchiamento della popolazione
richiederà un’azione politica concertata per promuovere l’invecchiamento attivo
in modo da compensare le sue conseguenze potenzialmente gravi per gli standard
di vita e le finanze pubbliche”.
Certo
molti progressi sono stati fatti in questi anni ma non sembrano essere
sufficienti.
In tutti i Paesi Ocse, l’età effettiva in cui
gli anziani escono dal mercato del lavoro è ancora più bassa oggi rispetto a 30
anni fa, nonostante un numero maggiore di anni rimanenti di vita.
Ciò è spiegato da una combinazione di scarsi
incentivi a continuare a lavorare in età avanzata, riluttanza dei datori di
lavoro ad assumere e trattenere lavoratori più anziani e investimenti
insufficienti nell’occupabilità per tutta la vita lavorativa.
Nel
report si legge “Ulteriori misure sono necessarie in molti paesi per garantire
che il lavoro in età avanzata sia incoraggiato e non penalizzato.
Le norme sull’occupazione e le retribuzioni
per anzianità dovrebbero essere riviste e riformate ove necessario in modo da
aumentare la domanda di lavoro per i lavoratori più anziani e scoraggiare il
ricorso a forme precarie di occupazione dopo una certa età. Sono inoltre
necessarie una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro e migliori
condizioni di lavoro in generale.
Ad
esempio, un lungo orario di lavoro può dissuadere alcune persone anziane dal
lavorare più a lungo e impedire ad alcune donne, che tornano dalle pause di
educazione dei figli, di perseguire carriere lavorative più lunghe.
Cattive
condizioni di lavoro in giovane età possono portare a cattive condizioni di
salute e al pensionamento anticipato in età avanzata”.
“È
anche importante investire nelle competenze dei lavoratori più anziani –
afferma l’OCSE.
Molti
di loro mostrano livelli più bassi di prontezza digitale rispetto ai loro figli
e nipoti e partecipano molto meno alla formazione professionale rispetto ai
lavoratori più giovani.
“Un
fattore chiave che impedisce ai lavoratori più anziani di colmare il divario di
competenze con i dipendenti più giovani sta nel fatto che i datori di lavoro di
solito non vedono i vantaggi di investire nella formazione dei loro dipendenti
più anziani” – ha affermato “Stefano Scarpetta”.
Fornire buone opportunità ai lavoratori per
migliorare le proprie competenze e apprenderne di nuove durante le loro
carriere lavorative è un requisito fondamentale per favorire una vita
lavorativa più lunga in lavori di buona qualità”.
La
raccomandazione che il Consiglio OCSE rivolge ai Governi si può riassumere in
tre grandi aree:
Premiare
il lavoro in età avanzata:
i)
garantendo che il sistema pensionistico incoraggi e ricompensi il pensionamento
successivo in linea con una maggiore aspettativa di vita e fornendo una
maggiore flessibilità nelle transizioni tra lavoro e pensionamento;
ii)
limitare l’uso di piani di prepensionamento finanziati con fondi pubblici e
scoraggiare il pensionamento obbligatorio da parte dei datori di lavoro;
iii)
garantire che le prestazioni previdenziali siano utilizzate per fornire
sostegno al reddito per coloro che non sono in grado di lavorare o cercano
attivamente lavoro e non come regimi di prepensionamento di fatto.
Incoraggiare
i datori di lavoro a trattenere e assumere lavoratori più anziani:
i)
affrontando la discriminazione basata sull’età nelle assunzioni;
ii)
cercare una migliore corrispondenza tra i costi del lavoro e la produttività
dei lavoratori più anziani, lavorando con le parti sociali per rivedere le
pratiche di fissazione dei salari ed eliminare le regole speciali di protezione
del lavoro basate sull’età;
iii)
incoraggiare le buone pratiche dei datori di lavoro nella gestione di una forza
lavoro diversificata per età.
Promuovere
l’occupabilità dei lavoratori durante la loro vita lavorativa:
i)
migliorando l’accesso all’apprendimento permanente e al riconoscimento delle
competenze;
ii)
migliorare le condizioni di lavoro e la qualità del lavoro a tutte le età;
iii)
fornire un’assistenza occupazionale efficace ai lavoratori più anziani che
affrontano la perdita di posti di lavoro o desiderano trovare un altro lavoro.
Premier
Georgiano: “Dalla UE mi
Dicono:
‘Lo Sai Cosa è Successo a Fico?’ “
Conoscenzealconfine.it
– (26 Maggio 2024) – ci dice:
Premier
Georgiano: “Il commissario UE Vàrhelyi mi ha minacciato di fare la fine di
Fico”.
Vàrhelyi:
“Frainteso”.
Il
primo ministro georgiano “Kobakhidze” ha pubblicato una dichiarazione ufficiale
affermando di essere regolarmente ricattato da “politici stranieri di alto rango”, (a causa del disegno di legge che
prevede che le ong e i media che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti
dall’estero si registrino come organismi “che perseguono gli interessi di una
potenza straniera“)
ma che
è rimasto “particolarmente
inorridito”
durante la conversazione telefonica con un anonimo commissario europeo, il
quale “ha
elencato la gamma di misure che i politici occidentali potrebbero adottare se
superiamo il veto” e, in questo contesto, ha ricordato la sorte del primo
ministro slovacco Fico.
Il
Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato Olivér
Várhelyi ha ammesso ufficialmente di aver parlato a telefono dell’argomento con
Kobakhidze, ma che le sue parole “sono state estrapolate dal contesto”:
“Con riferimento alla dichiarazione rilasciata
dal Primo Ministro della Georgia il 23 maggio 2024, con la presente desidero
esprimere il mio sincero rammarico per il fatto che una parte della mia
conversazione telefonica sia stata estrapolata dal contesto. […]
Essendo
pienamente consapevole del fortissimo sentimento pro-UE della società
georgiana, durante la mia conversazione telefonica ho sentito il bisogno di
richiamare l’attenzione del Primo Ministro sull’importanza di non infiammare
ulteriormente la già fragile situazione, adottando questa legge che potrebbe
portare a un’ulteriore polarizzazione e a possibili situazioni incontrollate
per le strade di Tbilisi.
A
questo proposito, l’ultimo tragico evento in Slovacchia è stato citato come
esempio e come riferimento a dove può portare un livello così elevato di
polarizzazione in una società anche in Europa.
Ancora
una volta, mi rammarico che una parte della mia telefonata non solo sia stata
completamente estrapolata dal contesto, ma sia stata anche presentata al
pubblico in un modo da poter dare luogo a un’interpretazione completamente
errata dello scopo originariamente previsto della mia telefonata“.
(t.me/rossobruni)
(x.com/CivilGe/status/1793626722132283789)
(ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/statement_24_2821)
Nell’Ultima
Modifica Del Trattato
Pandemico
dell’OMS Spunta
un
“Esercito Sanitario” Globale.
Conoscenzealconfine.it
– (24 Maggio 2024) – Redazione – ci dice:
L’iniziativa
di Bill Gates: un “Esercito Sanitario” globale per affrontare le pandemie.
L’ultima
versione del nuovo trattato pandemico dell’OMS menziona per la prima volta una “forza lavoro per l’emergenza
sanitaria globale”, o un corpo internazionale di “professionisti sanitari” che
può essere schierato per “combattere le pandemie”, hanno scoperto “Elze van
Hamelen” e “Karel Beckman”.
Di
questo non si parlava nelle bozze precedenti.
Questo
è esattamente ciò che ha suggerito l’anno scorso il miliardario Bill Gates, il
più grande donatore privato dell’OMS.
In un
articolo d’opinione apparso sul “New York Times” sulla prossima pandemia, il
fondatore di Microsoft ha scritto che deve esserci un “esercito sanitario”
internazionale per affrontare le “minacce”.
Ha
aggiunto che il mondo ha bisogno di “un sistema ben finanziato” che sia pronto
a rispondere “quando ci sono minacce”.
Nel
2022, l’OMS ha già lanciato la strategia “Emergency Medical Teams 2030”, che prevede la creazione di un esercito sanitario
internazionale, scrivono Van Hamelen e Beckman su “The Other Newspaper”.
Questo
corpo è progettato per condurre esercitazioni e simulazioni per prepararsi alla
prossima pandemia.
“Il piano di Bill Gates sembra ora essere
tranquillamente incorporato nel previsto trattato internazionale sulla
pandemia”.
Il
medico australiano “David Bell”, che ha lavorato per nove anni per l’OMS,
ritiene che la proposta sia “estremamente problematica”.
Bell
paragona un tale “esercito sanitario” alle “missioni di pace” militari delle
Nazioni Unite.
Bell
sospetta che i corpi verranno schierati nei paesi più piccoli se non
collaboreranno sufficientemente con le misure dell’OMS.
In
teoria, potrebbe anche essere utilizzato per far rispettare le misure. “Si
tratta di una cosa con cui l’OMS non dovrebbe avere nulla a che fare”, dice il
medico.
(newsacademy.it/scienze-e-salute/2024/05/21/nellultima-modifica-del-trattato-pandemico-delloms-spunta-un-esercito-sanitario-globale-per-affrontare-le-pandemie-liniziativa-di-bill-gates/)
"Entro
il 2050 l'Europa sarà al
centro
di conflitti e instabilità"
ilgiornale.it – (19 Dicembre 2023) - Felice
Manti – ci dice:
L'ex
capo degli 007 inglesi David Omand: Le nostre società sono fragili perché
troppo interconnesse.
Perché
nel 2023 è fondamentale prepararsi alle crisi?
L’Unione europea sopravviverà alla futura immigrazione
di massa attraverso il Mediterraneo dovuta al cambiamento climatico?
Sono domande che in questa «Era del rischio»
che viviamo (per usare una felice definizione dell’”agenzia di Risk rating Kelony”) in molti osservatori si pongono.
Lo abbiamo chiesto all’ex direttore dell'intelligence
inglese” David Omand”, che nei giorni scorsi è stato ospite dell’Associazione
per il Progresso del Paese, con una lectio magistralis (link) sul suo ultimo
libro, «How to Survive a Crisis» in cui si analizza la natura delle crisi
moderne, comprese quelle derivanti dal mondo digitale.
«Mi
baso sulla mia esperienza di supporto ai governi britannici in tempi buoni e
cattivi, ma sottolineo che sono ormai in pensione e che le opinioni espresse
sono mie in quanto accademico e non devono essere considerate come opinioni del
governo britannico», è la sua premessa.
L’Italia
ha in mente un Piano Mattei per l’Africa. È da lì che arriveranno le minacce
all’Occidente?
"Con
il cambiamento climatico assisteremo a ondate di calore letali, incendi
selvaggi, desertificazione, innalzamento del livello del mare, instabilità
politica, interruzioni dell'approvvigionamento alimentare, eventi meteorologici
estremi, perdita di biodiversità, estinzioni di massa, collasso ecologico - nel
complesso dobbiamo aspettarci entro il 2050 conflitti, sconvolgimenti
socioeconomici e senza dubbio migrazioni di massa attraverso il Mediterraneo.
Immaginate
se queste persone disperate diventassero gruppi armati?".
Quali
sono le differenze tra le prossime crisi e quelle del secolo scorso?
"La
differenza è che tutte le nostre società stanno diventando più che mai
vulnerabili ai grandi cambiamenti improvvisi.
I sistemi da cui dipende la vita quotidiana
sono più complessi e connessi.
Le
catene di approvvigionamento e le infrastrutture nazionali dipendono dalla
tecnologia dell'informazione, dai dati e dalla connettività Internet. Viviamo in società che si basano sui
dati per il loro funzionamento efficiente e questo comporta nuovi rischi".
Possiamo
fare qualche previsione o...
"Non
possiamo sapere nel dettaglio come i nostri figli e nipoti saranno messi alla
prova nei prossimi anni.
L’intelligence
per quanto buona, non può rispondere a domande impossibili.
Nel
mondo dell’intelligence chiamiamo queste domande “misteri” e non
“segreti”".
E il
nostro futuro dipenderà da cosa?
"Il
nostro futuro sarà governato dall’esito di questi “misteri” come, per esempio,
i seguenti:
Donald Trump sarà nominato e poi eletto
nuovamente presidente, e quali saranno le conseguenze per l’Ucraina e la
sicurezza europea?
La Ue
sopravviverà fino al 2050 date le tensioni al suo interno tra il nazionalismo
populista di destra in stile Victor Orban e la necessità di una solidarietà
collettiva europea per quanto riguarda le relazioni con la Russia e,
soprattutto, la futura immigrazione di massa attraverso il Mediterraneo dovuta
al cambiamento climatico?
C’è il
rischio che gli Stati europei arrivino ad affrontare tutte queste crisi
impreparati?
"Dopo
gli attacchi terroristici dell'11 settembre, la Commissione d'inchiesta del
Congresso degli Stati Uniti ha messo in guardia da quello che ha definito il
“paradosso dell'allerta”.
Troppo
spesso si rinvia l'investimento in misure preventive adducendo come motivazione
il fatto che le priorità immediate sono più urgenti.
Ma quando la sfortuna o qualche evento
scatenante fa esplodere la crisi, i problemi possono essere ormai così radicati
da essere quasi irrisolvibili".
Nel
suo libro utilizza spesso la parola “anticipare” …
"Non
è necessario che tutti i cambiamenti inattesi della nostra vita diventino
crisi, a patto di averne previsto la possibilità. E non è necessario che ogni
crisi si trasformi in un fallimento e in un disastro, a condizione che si sia
investito a sufficienza nella resilienza personale, aziendale e nazionale.
Questo dipende da noi".
La
bioeconomia nel 2050:
quattro
scenari per l’Unione europea-.
Futuranetwork.eu
- Andrea De Tommasi – (20-5-2023) – ci dice:
Un
nuovo rapporto del “Joint research center “esplora gli sviluppi dell’economia
in cui tutto è risorsa.
La
previsione più sfavorevole è al momento la più realistica.
Garantire
la sicurezza alimentare e nutrizionale, gestire le risorse naturali in modo
sostenibile, limitare e adattarsi ai cambiamenti climatici.
Sono alcune delle funzioni cui può contribuire
la bioeconomia, componente che comprende tutti i settori economici e
industriali che fanno affidamento sulle risorse biologiche rinnovabili, dalla
terra e dal mare.
Un
sistema che costituisce una parte importante dell’economia dell’Unione europea,
generando il 4,7% del Prodotto interno lordo e impiegando l'8,9% della forza
lavoro nell’Ue nel 2017.
Un
team del “Network of Experts on Bioeconomy” (NoE), tra cui il professor “David
Chiaramonti” del “Politecnico di Torino”, ha elaborato per conto del “Joint
research center” della “Commissione europea” quattro scenari previsionali verso
una bioeconomia sostenibile, pulita ed efficiente sotto il profilo delle
risorse,
con particolare attenzione alla neutralità climatica e allo sviluppo
sostenibile.
Gli scenari sono stati presentati in un
rapporto pubblicato ad aprile con il titolo “Foresight Scenarios for the EU
bioeconomy in 2050”. L’analisi mostra per ciascuna alternativa il contributo agli
obiettivi della Strategia dell'Ue per la bioeconomia e agli Obiettivi di
sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.
Nel
primo scenario, intitolato “Do it for us”, la politica è un fattore chiave del cambiamento.
Nel
2030, gli obiettivi del “Green Deal europeo” sono stati raggiunti in
agricoltura, pesca e silvicoltura.
Nel
2050 la quota dell'agricoltura biologica è del 70% della superficie agricola;
le aree protette coprono il 40% del territorio
europeo, la bioeconomia è “carbon neutral”, i pesticidi e gli antibiotici
vengono utilizzati solo per ragioni di emergenza.
A causa dei cambiamenti climatici, della
riduzione dei terreni agricoli e dell'adozione di metodi di coltivazione meno
intensivi, il volume di produzione è diminuito del 25% rispetto ai livelli del
2020.
Tuttavia,
il comportamento dei consumatori è frammentato e polarizzato.
Nel
2050 la disponibilità ad acquistare prodotti di alta qualità (compresi quelli
biologici), a emissioni zero, è aumentato in tutta Europa. Un segmento di
consumatori “pesanti” continua però a dominare il mercato.
Il
secondo scenario, dal titolo “Do it together”, delinea un futuro in cui il sistema politico e la
società sono allineati per raggiungere l'obiettivo della neutralità climatica e
gli SDGs
dell’Agenda 2030.
Le aziende si adattano rapidamente e fanno
parte del cambiamento.
Il
processo di transizione include tutti gli attori.
La
trasformazione della bioeconomia verso la circolarità e la sostenibilità è
progredita in modo convincente, anche nel settore dei rifiuti.
Questo
cambiamento radicale, osserva il Rapporto, è il risultato di massicce crisi
ecologiche e politiche in tutta Europa, che hanno aumentato la sensibilità
alle questioni ambientali, il desiderio di stili di vita più sani e la
giustizia sociale.
Nello
scenario “Do it ourselves”, il sistema politico mostra un'incapacità di attuare
politiche significative in materia di clima e Obiettivi di sviluppo
sostenibile.
Tuttavia,
i consumatori avrebbero mutato i loro comportamenti sotto la spinta di
movimenti sociali sempre più influenti e all'indomani di una serie di crisi
drammatiche.
Questo
cambiamento della domanda spinge il sistema di produzione ad adattarsi.
Nel 2050 il livello di produzione alimentare
diminuisce del 25%. La dimensione media delle aziende agricole e l'indice di
diversità delle colture dell'agricoltura sono aumentati.
Una
parte crescente dei terreni agricoli viene trasformata in agricoltura mista,
rafforzando pratiche di coltivazione basate sul carbonio, come l'agro
forestazione e la rotazione delle colture.
Il
quarto scenario, intitolato “Do what is unavoidable”, immagina un futuro in cui gli
stili di vita non sono cambiati in modo significativo rispetto ai modelli “business
as usual” e il sistema politico non ha introdotto politiche proattive,
limitandosi ad adottare - con un certo ritardo - misure di risposta alle crisi.
Gli obiettivi del Green deal europeo sono chiaramente mancati.
Il
cambiamento climatico accelera il degrado del suolo, portando alla perdita di superficie
agricola e all'abbandono della terra.
La
produzione del 2050 è inferiore del 25% rispetto ai livelli del 2020.
Per
alcuni prodotti alimentari ciò̀ comporterà periodici surplus e conseguenti
crisi di mercato con prezzi in aumento e fluttuanti.
La
malnutrizione nella società̀ tende ad aumentare.
Questo
scenario, rilevano gli autori, è il più sfavorevole, ma potrebbe essere anche
il più realistico, viste le tendenze degli ultimi tre decenni.
Maroš
Šefčovič,
vicepresidente della Commissione europea per “Interinstitutional relations &
foresight”,
ha così commentato lo studio:
"La previsione strategica aiuta a
identificare le sfide future e i modi per prepararle, sostenendo il processo
decisionale in modo efficace.
Applicato
alla bioeconomia, è quindi vitale, poiché viviamo in un mondo di risorse
limitate.
Il
rafforzamento di una bioeconomia sostenibile e circolare ci aiuterà a creare
nuove catene del valore a base biologica in tutta Europa, dimostrando al
contempo che la prosperità e la salute del nostro ambiente possono andare di
pari passo ".
(Andrea
De Tommasi)
La
sostenibilità non è solo ambientale,
ma
anche economica e sociale.
Lasvolta.it
– (31-1-2024) – Alessandra Quaranta intervista Martina Rogato – ci dicono:
(Martina
Rogato, consulente Esg - Environmental, Social and Governance (e non solo), ha raccontato
a La Svolta qual è il legame tra ambientalismo e questioni di genere: «L’errore
più comune è non avere un approccio integrato»)
Fin
dal primo giorno, “La Svolta” si è occupata di raccontare i grandi cambiamenti
in corso nel mondo, prestando particolare attenzione all’ambiente, ai diritti,
all’innovazione sociale, culturale e tecnologica, dando voce soprattutto ai
giovani e alle donne, nelle cui mani è riposto il futuro, a partire dalla
transizione ecologica.
Per
fare questo, vuole dare spazio e parola a professionisti e professioniste
impegnate nel sociale, fonti di ispirazione, che con la loro visione e
intraprendenza ogni giorno si impegnano a far rete e a creare progetti di
crescita, per migliorare il benessere della comunità.
Ha
quindi intervistato Martina Rogato:
calabrese, che ha vissuto in Francia, Belgio e
Cina, è una consulente che dal 2012 accompagna le aziende in progetti di
sostenibilità e diversity e che nel 2022 ha fondato la società di consulenza
ESG Boutique; è inoltre Co-fondatrice e Presidente onoraria di Young Women
Network e fa parte del Women20 Italy, dove nel 2020 è stata scelta come Sherpa
e Portavoce per la presidenza italiana del G20. L’anno scorso è stata nominata
Co-chair del Women7 per la presidenza italiana del G7 2024 e scelta tra le 100
donne che stanno cambiando l’Italia (Start-up Italia).
Ci
racconta brevemente la sua carriera e i risultati di cui è più orgogliosa?
Uno
dei risultati della quale sono più orgogliosa è di aver contribuito alla
costruzione di un’associazione nazionale “Young Women Network”, la prima
organizzazione in Italia sull’”empowerment delle giovani donne”.
In secondo luogo, sono stata molto fiera di
essere stata nominata durante la presidenza del G20 italiano “Sherpa per
l’Italia di Women20, engagement group ufficiale del G20 sulla parità di genere”.
Sono
molto felice che alcune delle tematiche di genere che abbiamo presentato al
Vertice siano poi diventate parte della Dichiarazione dei leader.
Si
ricorda quando e per quale “battaglia” ha iniziato a essere un’attivista per la
sostenibilità?
Devo
la mia consapevolezza di attivista alla scuola “Amnesty “che per me è stata una
palestra di vita.
Ricordo la mia prima vera protesta davanti una
nota “Oil & Gas nazionale “contro l’inquinamento del “Delta del Niger “auspicando
una sua bonifica, dove abbiamo comprato delle quote simboliche di questa
società per poter entrare in Assemblea degli azionisti e spiegare le nostre
ragioni all’amministratore delegato e ai suoi soci.
Come
professionista e come attivista non vivo bene la deriva che i social media
stanno prendendo in questo momento dove tutti si improvvisano divulgatori con
contenuti senza cognizione di causa mentre a mio avviso essere preparati e
competenti, studiare, sporcarsi le mani, è fondamentale per fare la differenza.
Quali
sono state le risorse (libri, persone) che l’hanno supportata o ispirata nella
consapevolezza del suo attivismo verso la sostenibilità?
Dovunque
tu vada, ci sei già di” Jon Kabat-Zinn” è un libro che consiglio a tutti di
leggere che non parla di sostenibilità ma parla di cammino, percorso di vita.
E per me è stato davvero un libro illuminante.
Ci
descrive il lavoro di una “Designer di Sostenibilità” (ESG Boutique)?
In”
ESG Boutique”, la società che ho fondato da due anni, ci definiamo designer di
sostenibilità perché l’idea è quella di ascoltare le esigenze, di cucire
strategie e progetti “su misura” per ogni “brand” attraverso l’ascolto e la
capacità di trovare soluzioni che possano incontrare l’esigenza di tenere dei
costi contenuti da parte delle aziende ma al contempo la possibilità di
ottenere dei risultati e degli avanzamenti concreti.
Per
noi è fondamentale effettuare uno screening reputazionale delle imprese che ci
chiedono supporto e scegliamo di accompagnare “player” che sono veramente
interessati a fare un percorso concreto e non “greenwashing”.
Vede
un cambiamento delle aziende in questo senso?
Negli
ultimi anni ci sono sempre più aziende che si interfacciano a professionisti
come voi.
Fino a
sei anni fa eravamo una nicchia che nessuno conosceva su temi che riguardavano
solo un gruppetto ristretto di persone.
Adesso
siamo diventati, per fortuna, mainstream.
Oggi,
la reale necessità è quella di distinguere il green e social washing, quindi
l’ambientalismo e l’attivismo di facciata dall’impegno concreto.
C’è stata un’accelerazione dovuta sia a una
maggiore sensibilità dei consumatori - consumatrici sia da parte dell’Unione
europea che sta emettendo diversi regolamenti e direttive in materia a cui le
aziende devono far riferimento.
Anche in Italia, c’è un certo dinamismo
finalmente.
Come
nel caso della certificazione di parità di genere, su base volontaria, ma con
sgravi fiscali e punteggi più alti in gare d’appalto pubbliche e private che
incentivano indirettamente le aziende a dotarsi di una policy, fare
divulgazione dei dati e iniziare un percorso concreto di maggiore
consapevolezza.
Quali
suggerimenti darebbe ai/alle professionisti/e che vogliono realizzarsi nel suo
ambito lavorativo?
Il
primo consiglio è investire in formazione autorevole e di qualità, scegliendo con
attenzione a chi affidarsi:
a
marzo con ESG Boutique lanceremo la seconda edizione delle nostre Masterclass
sulla sostenibilità.
Secondo
suggerimento: avere la cognizione che è una disciplina in divenire, in cui non si
smette mai di apprendere.
Che
correlazione esiste tra sostenibilità e questioni di genere?
L’errore
più comune è non avere un approccio integrato alla sostenibilità considerando
solo l’ambiente e non la sostenibilità sociale ed economica.
Finalmente,
a oggi, ci sono degli studi seri resi noti da molte agenzie delle Nazioni Unite
che riscontrano le connessioni fra il cambiamento climatico e le questioni di
genere.
Dove le donne, specialmente quelle nate nei
Paesi del cosiddetto “Sud Globale” sono più impattate dal cambiamento climatico
e dalla crisi ambientale.
L’Agenda
2030 per lo Sviluppo Sostenibile, sottoscritta nel 2015 dai governi dei 193 Paesi
membri dell’Onu, è un programma d’azione per lo sviluppo economico, ambientale e sociale
rivolto al benessere delle persone, al Pianeta e alla prosperità per
condividere l’impegno a garantire un presente e un futuro migliore entro il
2030.
L’Italia
a che punto è nella consapevolezza sul tema sia della sostenibilità che della
parità di genere?
Per
essere un Paese G7 non siamo assolutamente messi bene;
infatti,
secondo il “World Economic Forum” siamo al 79° posto su 143° Paesi in tema di
divario di genere verso la partecipazione politica.
Un
lieve miglioramento lo riscontriamo in termini di partecipazione economica al
mondo del lavoro ma a mio parere il cambiamento culturale di cui necessitiamo
richiederà lunghe tempistiche e importanti sfide.
Può
indicarci 3 profili di professionisti/e attivisti/e che, secondo lei, possono
essere fonte di ispirazione?
“Veronica Buonocore”, presidente di
Young Women Network; “Claudia Segre,” presidente di Global Thinking Foundation,
fondazione che promuove la diffusione dell’alfabetizzazione finanziaria e
digitale per una cultura consapevole del risparmio e della sua gestione
attraverso progetti di cittadinanza economica, secondo un approccio valoriale
al tema dell’economia e della finanza nell’ottica di prevenire la violenza
economica e l’abuso finanziario; e infine “Teresa Golino”, esperta in turismo
sostenibile.
Qualche
consiglio per diventare consumatori più attenti?
A mio
avviso bisogna porsi sempre delle domande sugli acquisti che facciamo,
mettendosi in discussione e continuando a informarsi in base alle nostre
possibilità, alle nostre sensibilità ed esigenze.
(Martina
Rogato è una consulente che dal 2012 accompagna le aziende in progetti di
sostenibilità e diversity e che nel 2022 ha fondato la società di consulenza
ESG Boutique; è inoltre Co-fondatrice e Presidente onoraria di Young Women
Network e fa parte del Women20 Italy, dove nel 2020 è stata scelta come Sherpa
e Portavoce per la presidenza italiana del G20. L'anno scorso è stata nominata
Co-chair del Women7 per la presidenza italiana del G7 2024 e scelta tra le 100
donne che stanno cambiando l'Italia -Start-up Italia).
I 3
pilastri della Sostenibilità:
ambientale,
sociale ed economica.
Enel.com
– (15 giugno 2023) – Redazione – ci dice:
La
sostenibilità rappresenta un approccio fondamentale per affrontare le sfide
globali attuali e future, legate non solo all’ambiente. Ecco di cosa si tratta.
“Ad
esempio un gruppo di giovani uomini e giovani donne si possono riunire per
piantare verdure in un orto comunitario”.
La
Sostenibilità, i 3 pilastri ESG e SDG.
Quando
si parla di sostenibilità, ci si riferisce a un modello di sviluppo in grado di
soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future
generazioni di realizzare i propri.
È un
approccio olistico che considera gli impatti sociali, ambientali ed economici
delle azioni e delle decisioni intraprese oggi.
Da un
punto di vista storico, il concetto di sostenibilità è stato formulato in
occasione della “prima conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente del 1972”,
ma ha preso corpo solamente a partire dal 1987, quando la pubblicazione del
cosiddetto” Rapporto Brundtland” (“Our Common Future”) ha chiarito gli
obiettivi dello sviluppo sostenibile.
Lo
stesso rapporto ha introdotto i tre pilastri o principi della sostenibilità
ambientale, sociale ed economica, noti anche come “ESG” (Environmental, Social,
Governance).
La
transizione verso lo sviluppo sostenibile trova fondamento principalmente in
una serie di accordi e obiettivi internazionali che vengono poi applicati a
livello dei singoli Stati e delle comunità coinvolte.
Tra
questi, i più noti sono:
la” Convenzione quadro delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici e i suoi protocolli, che stabiliscono impegni di
riduzione delle emissioni di gas serra;
la “Convenzione sulla diversità biologica” (CBD), che promuove la
conservazione
della biodiversità;
e
soprattutto gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell'ONU, che coprono una vasta gamma di
tematiche sulla sostenibilità.
Attorno a questi obiettivi è costruita
l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, il programma d’azione per le persone, il
Pianeta e la prosperità, sottoscritto il 25 settembre 2015 dall’Assemblea
Generale dell’ONU.
L’Agenda comprende 17 obiettivi, validi per tutte le
persone e in tutto il mondo, articolati lungo le tre dimensioni dello sviluppo
sostenibile: economica, sociale ed ambientale.
1. Che cos’è la sostenibilità ambientale.
La
sostenibilità ambientale è la capacità di preservare e proteggere l’ambiente
naturale nel tempo attraverso pratiche e politiche adeguate, soddisfacendo i
bisogni presenti senza compromettere la disponibilità delle risorse per il
futuro.
Fattori che influenzano la sostenibilità
ambientale.
La
sostenibilità ambientale è influenzata da diversi fattori che possono avere un
impatto significativo sull'equilibrio ecologico e sulla capacità del Pianeta di
sostenere la vita.
Tra i
principali troviamo:
l’inquinamento
atmosferico, delle acque e del suolo;
il
cambiamento climatico, causato dall’eccessiva quantità di gas serra rilasciati
in atmosfera a causa delle attività umane;
la
perdita di biodiversità;
l’eccessivo
sfruttamento delle risorse naturali;
modelli
economici che implicano consumi non sostenibili.
Quali obiettivi raggiungere?
Per
realizzare la sostenibilità ambientale è necessario quindi raggiungere alcuni
obiettivi chiave, tra cui:
Ridurre
le emissioni di gas serra, soprattutto in comparti cruciali come la produzione
di energia, l’industria, l’agricoltura e i trasporti.
Incrementare
la produzione e l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili.
Attuare
politiche volte alla conservazione della biodiversità, affrontandone le cause.
Adottare
pratiche sostenibili in agricoltura e nella catena alimentare, quali per esempio quelle
dell’agricoltura di precisione, ottimizzando e aumentando qualità e
produttività del suolo attraverso una serie di interventi mirati grazie alla
tecnologia, dell’agricoltura rigenerativa e dell’agri voltaico, oppure metodi
che non prevedono l’utilizzo del suolo come il sistema idroponico o aeroponico,
fino alla riduzione degli sprechi alimentari.
Sensibilizzare
e coinvolgere le comunità sul tema della sostenibilità ambientale.
Promuovere
l’economia circolare.
Tra le
pratiche che rivestono una grande importanza verso la sostenibilità, è
essenziale preservare e gestire in modo sostenibile le risorse naturali,
comprese l'acqua, il suolo, le foreste, la fauna selvatica e gli habitat
naturali, per garantire l’equilibrio del Pianeta e la disponibilità di queste
risorse per le generazioni future.
2. Che cos’è la sostenibilità sociale.
La sostenibilità
sociale implica l'attenzione verso il benessere delle persone e delle comunità.
Si
tratta di promuovere l'equità, i diritti umani, l'accesso all'istruzione e alla
salute e un’occupazione dignitosa.
La
sostenibilità sociale mira a creare società inclusive, a ridurre le
disuguaglianze e a garantire il benessere a lungo termine per tutte le persone,
preservando la coesione sociale e la giustizia.
Per
raggiungere la sostenibilità è necessario superare:
La
povertà e le diseguaglianze socioeconomiche.
Le
discriminazioni, i pregiudizi, l’esclusione sociale.
La
mancanza di accesso alle risorse.
L’insicurezza
e i conflitti, a livello locale, regionale e globale.
La
cattiva governance, che comprende fenomeni come la corruzione e l’inefficienza
istituzionale.
Nel
cammino verso la sostenibilità sociale, rivestono un particolare ruolo la
promozione di sistemi e politiche in grado di ridurre le disuguaglianze sociali
ed economiche, garantendo l'accesso equo alle opportunità e alle risorse per
tutti i membri della società.
Oltre
alla lotta verso le diseguaglianze, tra gli obiettivi da raggiungere in chiave
di sostenibilità sociale possiamo menzionare:
La
promozione di politiche per il rispetto dei diritti umani fondamentali, come
quello alla salute e all’istruzione.
L’adozione
di pratiche che valorizzino e includano persone di diversa provenienza, genere,
etnia, abilità e orientamento sessuale.
La
creazione di ambienti di vita più sicuri e dotati di una più efficiente
amministrazione della giustizia.
Il
miglioramento delle condizioni di salute e di benessere psicofisico delle
persone grazie a servizi sanitari di qualità.
3. Che cos’è la sostenibilità economica.
La
sostenibilità economica definisce l’approccio per cui le attività economiche
sono condotte in modo tale da preservare e promuovere il benessere economico a
lungo termine.
In
pratica mira a creare un equilibrio tra crescita economica, efficienza delle
risorse, equità sociale e stabilità finanziaria.
Fattori che influenzano la sostenibilità
economica.
Tra i
fattori che influenzano la sostenibilità economica troviamo:
La
gestione responsabile delle risorse.
La
capacità di efficienza e innovazione dei sistemi economici e delle imprese.
La
stabilità finanziaria a livello macroeconomico.
Il
livello di innovazione sociale degli Stati, cioè l’impegno di ogni Paese nel
promuovere politiche, programmi e iniziative che affrontano questioni sociali
cruciali come la povertà, l'uguaglianza di genere, l'accesso all'istruzione e
alla sanità, la sostenibilità ambientale e altre problematiche sociali.
Le
attività di cooperazione internazionale e partenariato tra amministrazione
pubblica e imprese private.
Il
livello di equità e inclusione sociale.
La
responsabilità aziendale.
Come un'economia
diventa sostenibile.
Per
rendere sostenibile un sistema economico è necessario favorire la generazione
da fonti rinnovabili, adottare politiche e regolamenti che incoraggino
l'efficienza energetica e la promozione di modelli economici basati
sull’economia circolare che, come tali, siano in grado di ridurre gli scarti e
contenere lo sfruttamento delle risorse.
Per
raggiungere questi scopi è necessario favorire l’inclusione sociale ed
economica, l’innovazione tecnologica, grazie a investimenti dedicati, la
promozione di una governance efficiente e trasparente, infine la
sensibilizzazione ed educazione dei cittadini.
La
gestione responsabile delle risorse economiche è di fondamentale importanza
perché implica e garantisce:
la
minimizzazione dell’impatto ambientale;
l’equità
sociale ed economica;
un’economia
più resiliente e capace di affrontare le sfide;
una
più diffusa adesione delle aziende a una gestione basata su principi di
responsabilità e di etica.
Esiste
anche il quarto pilastro Etico?
Esiste
poi un altro pilastro della sostenibilità, che potremmo immaginare come il
punto centrale di un triangolo che connette gli altri tre.
I
processi verso uno sviluppo sostenibile non sarebbero davvero tali se tutti i
soggetti coinvolti nelle filiere non ricevessero una remunerazione equa e –
appunto - sostenibile.
Rientrano
in questo pilastro anche alcune delle pratiche che abbiamo già considerato, per
esempio il rispetto dei diritti umani e la promozione della responsabilità
sociale.
Il
pilastro etico, in conclusione, è costituito dal bagaglio di direttive
fondamentali che sottendono le azioni pratiche previste negli altri tre:
tra
queste l'integrità, la trasparenza, l'equità, il rispetto per la diversità e la
promozione del benessere collettivo.
I
pilastri della sostenibilità sono interconnessi.
I
pilastri della sostenibilità sono tra di loro strettamente interconnessi, in
quanto ogni azione compiuta all’interno di ciascuno degli ambiti comporta
ricadute sugli altri.
Esiste
una forte interconnessione tra la sfera ambientale e quella economica, dove le
buone pratiche ambientali, come la gestione responsabile delle risorse,
risultano essenziali per mantenere la stabilità dell’economia e l’esistenza
stessa della catena di approvvigionamento alimentare.
Non
solo:
alcune strategie di sostenibilità, come la
transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio e l'adozione di
pratiche sostenibili, possono creare opportunità economiche, promuovere
l'innovazione e aumentare la competitività delle imprese.
Anche
la sfera sociale è connessa sia con l’ambito ambientale sia con quello
economico.
È assodato che in una società equa e inclusiva, in cui
le disuguaglianze sono ridotte, sia favorita la coesione sociale, la
partecipazione attiva dei cittadini e ci siano le basi per un'economia
sostenibile e resiliente, così come è di particolare evidenza che la salute e
il benessere delle persone siano strettamente legati alla qualità dell'ambiente
in cui vivono.
Cosa
prevede la strategia “ESG Integration”.
La ESG
Integration è la strategia d’investimento che tiene in conto i fattori e i
rischi legati all’ambiente, all’importanza della sfera sociale e alla
governance di un’azienda.
Questa
strategia utilizza indicatori non finanziari per valutare le performance di
imprese e organizzazioni.
“L'ESG
Integration “coinvolge la raccolta di informazioni sulle politiche, le pratiche
e le prestazioni di un'azienda relative a questioni ambientali (come l'impatto
ambientale e l'uso delle risorse), sociali (come la gestione delle relazioni
con i dipendenti e le comunità) e di governance (come la struttura di governo e
la trasparenza)”.
L'obiettivo
è quello di promuovere investimenti sostenibili che generino rendimenti
finanziari a lungo termine, tenendo conto degli impatti sociali e ambientali
delle attività economiche e favorendo la trasparenza e la responsabilità delle
imprese.
Enel,
per esempio, è stata la prima azienda al mondo a lanciare – nel 2019 - un bond
legato alle proprie performance ESG.
Adottare
una politica di sostenibilità per le aziende che sia realmente misurabile è
importante per favorire la trasparenza e la responsabilità verso tutti gli “stakeholder”
– dagli azionisti ai dipendenti, passando per i fornitori e le comunità locali
– garantendo che le misure assunte abbiano realmente un impatto.
Il
Parlamento della Germania
fa Esultare i Pedofili.
Conoscenzealconfine.it
– (27 Maggio 2024) - Luca Volontè – ci dice:
Malgrado
il dilagare del fenomeno, la maggioranza social-liberal-ambientalista del
Bundestag riduce le pene previste per la detenzione e la distribuzione di
materiale pedopornografico, declassandoli a reati minori.
Esultano i gruppi pro-pedofilia.
La
recente depenalizzazione della pornografia infantile in Germania, da parte della maggioranza socialista,
liberale e ambientalista, con l’appoggio delle sinistre, è l’ennesima prova di un progressismo relativista senza
tabù e senza rispetto per i più deboli.
L’ultima
decisione della maggioranza del Bundestag che aiuta a spiegare il collasso
della civiltà tedesca – dopo la liberalizzazione della cannabis e la nuova e
permissiva normativa sul cambio di genere sessuale – consiste nella
depenalizzazione del possesso di materiale pedopornografico, declassandolo da
reato grave a reato minore e riducendo le pene minime per il possesso e la
distribuzione di materiali pedopornografici.
Il
disegno di legge, che entrerà in vigore nelle prossime settimane, stabilisce
che “il
possesso e l’acquisizione dovrebbero essere punibili con una pena minima di tre
mesi di reclusione, e la distribuzione con una pena minima di sei mesi di
reclusione.
I reati disciplinati dall’articolo 184b del
Codice penale sono quindi classificati come reati minori e non come reati”.
L’Unione
Cristiano-Democratica (CDU) e l’Unione Cristiano-Sociale di Baviera (CSU), che
hanno votato contro, con l’AfD (Alternative für Deutschland), alle modifiche
favorevoli alla pedofilia e pedopornografia, hanno dichiarato la propria ferma
opposizione, convinti che la “distribuzione, il possesso e l’acquisizione di
materiale pedopornografico devono, in linea di principio, rimanere classificati
come reati”.
Contrarie
anche le associazioni per la tutela dei minori, tra cui la “German Children’s
Aid – The Permanent Children’s Representation” (Deutsche Kinderhilfe – Die
ständige Kindervertretung), il cui presidente “Rainer Becker”, ha sottolineato che la
Germania con le nuove norme potrebbe anche violare una direttiva dell’Unione
Europea che classifica qualsiasi media pedopornografico come un grave reato
penale.
(chissà perché immagino che in questo caso in Europa
chiuderanno un occhio e l’altro pure… – nota di conoscenze a lconfine)
Negli
anni scorsi abbiamo denunciato l’enormità del fenomeno della pedopornografia in
Germania e come interi apparati pubblici ne fossero implicati.
La coalizione di sinistra, invece di contrastare il
fenomeno disgustoso di abusi sui bambini, ha pensato di “governarlo” in senso
permissivo.
I
legislatori di maggioranza hanno giustificato la loro decisione sostenendo che
la depenalizzazione consente “la flessibilità necessaria” per affrontare la
“grande percentuale di delinquenti minorenni” e favorisce anche i genitori e
gli insegnanti che scoprono pornografia infantile sui dispositivi dei giovani e
li trasmettono alle autorità competenti.
Invece di rispondere alle eccezioni nella legge, per
affrontare questo tipo di particolari necessità, socialisti, verdi, liberali e
sinistre hanno declassato l’intero possesso e distribuzione di pornografia
infantile. Bella soluzione che favorisce solo i pedofili!
Ovvia
l’esultanza di alcuni gruppi favorevoli alla liberalizzazione della pedofilia,
in particolare il “Krumme-13“, o semplicemente K13, che non ha solo elogiato il
voto, ma
si è anche lamentato del fatto che nessun politico si sia ancora “scusato con
le migliaia e migliaia di persone colpite che sono state vittime” delle ormai
defunte leggi penali.
Ancora
una volta queste sinistre e liberal relativisti hanno abusato del concetto di
“consenso”, secondo il quale se tutte le parti acconsentono liberamente non c’è
quasi nulla che possa essere giustamente proibito dalla legge.
Tale
pensare corrotto vale per giustificare la pedofilia e pedopornografia ma anche
per il cambio di sesso (genere) di ragazzi ed infatti lo scorso 12 aprile la
stessa maggioranza di governo e delle sinistre hanno approvato norme che
favoriscono l’assunzione di bloccanti della pubertà o ormoni cross-sex, o il
sottoporsi a interventi chirurgici irreversibili da parte di bambini.
Questo
incalzante procedere verso un progressismo retrogrado, barbaro e violento, nega l’evidenza che bimbi e minori
non siano abbastanza maturi per comprendere le implicazioni o le conseguenze di
una tale decisione, oltre che violare il diritto dei genitori nei confronti dei
figli.
In
Germania, la depenalizzazione della pornografia infantile, come è ovvio che
sia, porterà prevedibilmente alla proliferazione della pornografia infantile e ad un ritorno al peggior socialismo
tribale, già sperimentato nelle comuni socialcomuniste tedesche degli anni ’70
con la “liberazione” dei bambini dalle inibizioni sessuali, oltre all’uso di
stupefacenti e il “sesso libero”.
È
questo progressivo ritorno al peggior ’68, la proposta di benessere futuro
europeo di cui sono portatori il socialismo, l’ambientalismo, il liberalismo?
Luca
Volontè.
(lanuovabq.it/it/il-parlamento-della-germania-fa-esultare-i-pedofili).
Politiche
Internazionali Green:
dall’Agenda
2030 al Green Deal europeo.
Symbola.net
– (16-2-2022) – Redazione – ci dice:
Dall'Agenda
2030 al Green Deal europeo: il cambiamento climatico è entrato in maniera
dirompente su tutti gli scenari internazionali.
(Realizzato
in collaborazione con Marco Frey. Presidente del Comitato scientifico di
Symbola. Professore ordinario di
Economia e gestione delle imprese, direttore del gruppo di ricerca sulla
sostenibilità (SuM) della Scuola Universitaria Superiore Sant'Anna di Pisa;
docente allo IUSS di Pavia e all’Università Cattolica di Milano; presidente
della Fondazione Global Compact Italia.)
(Questo
contributo fa parte del decimo rapporto GreenItaly, realizzato da Fondazione Symbola e
Unioncamere, in collaborazione con CONAI, Novamont e Ecopneus.)
Il
quadro globale e l’Agenda 2030.
É
ormai trascorso un terzo del quindicennio che – da quel 25 settembre 2015 in
cui le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile
– ci conduce al 2030, e non si può che evidenziare la lunga distanza ancora da
percorrere nei confronti del 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). il
Rapporto ONU sulla sostenibilità del 2019
ha evidenziato che, nonostante i progressi conseguiti in molteplici
aree, vi è oggi la necessità di azioni e politiche più rapide e ambiziose per
realizzare la trasformazione economica e sociale necessaria al raggiungimento
degli SDGs.
A
richiedere interventi più urgenti sono soprattutto la lotta contro il
cambiamento climatico e alle disuguaglianze: nel primo caso, gli effetti
catastrofici e irreversibili che si verificheranno – e in parte già si
manifestano – in assenza di una riduzione delle emissioni di gas serra
renderanno inabitabili molte parti del mondo, colpendo in particolar modo i
Paesi e le persone più vulnerabili; d'altra parte, le diseguaglianze, la
povertà, la fame e le malattie sono in crescita in numerosi Paesi.
A tal
fine, il Rapporto evidenzia alcune linee strategiche che possono determinare
progressi significativi, quali, ad esempio, lo sviluppo della finanza
sostenibile, l'ammodernamento delle istituzioni, un'efficace cooperazione
internazionale nella prospettiva multilaterale, un miglior uso dei dati
statistici e la valorizzazione della scienza, della tecnologia e
dell'innovazione, con una maggior attenzione alla trasformazione digitale.
Più
recentemente nella relazione “Progress towards the Sustainable Development
Goals” il segretario generale dell’ONU
Guterres ha ribadito l'urgenza di aumentare drasticamente il ritmo e la portata
degli sforzi da compiere nel prossimo decennio per realizzare gli SDGs.
Se
fino al 2019 i Goal 1 (sconfiggere la povertà), 3 (salute e benessere), 7
(energia pulita e accessibile) hanno fatto registrare progressi importanti,
molti Goal non hanno evidenziato miglioramenti e alcuni hanno persino invertito
la rotta: cresce il numero di persone che soffrono la fame (Goal 2); il
cambiamento climatico si sta verificando con ritmi più veloci del previsto
(Goal 13) e crescono le disuguaglianze all'interno dei Paesi (Goal 10).
Desta
poi particolare preoccupazione l’impatto della pandemia da Covid-19. Pur
iniziando come una emergenza sanitaria, quella scatenata dal coronavirus è
diventata la peggiore crisi sociale ed economica dal dopoguerra in poi.
In
occasione della presentazione del Rapporto 2020 sullo Human Development Achim
Steiner, Direttore dell’UNDP ha dichiarato che “la distruzione ha assunto
proporzioni su scala mondiale e in modo sincronizzato senza precedenti tanto da
dovere aggiornare l’indice di sviluppo umano che per la prima volta da 30 anni
sta regredendo, Dobbiamo ripensare ai nostri modelli economici e sociali. Ogni
crisi porta con sé una opportunità che i leader globali devono cogliere”.
L’indice
di sviluppo umano, che è un indicatore composito costituito da variabili
economiche (come il PIL pro capite) e sociali (quali il livello educativo e
della salute) non era decresciuto a livello globale neanche negli anni della
crisi finanziaria del 2008. Nel 2020 è viceversa prevista una decrescita
consistente per l’azione congiunta di tutti i parametri che lo compongono.
Tornando
all’Agenda 2030, gli obiettivi più a carattere economico: l’8, il 9, l’11 e il
12, hanno subito una battuta di arresto, dopo che nei Paesi occidentali avevano
visto una fase di graduale miglioramento.
Gli
obiettivi più ambientali presentano dati altalenanti. Il Goal 14 (vita
sott’acqua), nonostante il raddoppio delle aree marine protette rispetto al
2010, registra un aumento dell'acidità degli oceani del 10-30% rispetto al
periodo 2015-2019. La percentuale di
aree forestali (SDG 15) è scesa dal 31,9% della superficie totale nel
2000 al 31,2% nel 2020, con una perdita netta di quasi 100 milioni di ettari di
foreste.
Le aree protette non sono concentrate in
contesti fondamentali per la biodiversità e le specie rimangono minacciate di
estinzione.
Infine
il Goal 16 evidenzia che milioni di persone sono state private della loro
sicurezza, dei diritti umani e dall’accesso alla giustizia.
Nel
2018, il numero di persone in fuga da guerre, persecuzioni e conflitti ha
superato i 70 milioni, il livello più alto registrato dall'UNHCR in quasi 70
anni.
A ciò si è aggiunta la pandemia da Covid-19,
che può portare ad un aumento dei disordini sociali che minerebbe la capacità
di raggiungere i target fissati.
Il
quadro mondiale si presenta quindi come particolarmente critico e sino alla
fine della pandemia non sarà facile comprendere quali saranno i tempi e le
condizioni per recuperare il terremo perso nel perseguimento degli obiettivi
dell’Agenda 2030, che continua a rappresentare a livello globale il riferimento
principale per orientare la ripartenza in modo sostenibile, valorizzando gli
ambiti essenziale per la transizione verso uno sviluppo economico e sociale più
resiliente, inclusivo e in armonia con la natura.
Le
rilevanti ricadute socio-economiche della crisi in corso hanno fatto sì che i
principali sforzi dei diversi Paesi si siano concentrati sull’emergenza
occupazione e sociale, spesso trascurando gli investimenti più di lungo periodo
in una prospettiva green.
L’Unione
Europea (UE), grazie anche alla spinta della nuova presidenza costituisce un
esempio di maggiore lungimiranza ed è stata capace negli ultimi mesi di
mantenere una forte coerenza con le linee strategiche definite con il Green
Deal alla fine del 2019.
Sono
numerosi e significativi i documenti strategici e di pianificazioni realizzati
o in programma nel prossimo biennio che articolano questa visione strategica e
che descriveremo sinteticamente nelle prossime pagine.
La
nostra convinzione infatti è che l’UE stia in questo momento provando a fare un
importante salto di qualità nella transizione verso la sostenibilità, facendo
leva sull’eccezionale sforzo di investimento che la ripresa post-pandemica
richiede. Questa transizione si articola in diverse dimensioni che vedono il
pilastro ambientale della sostenibilità al centro delle interazioni con
l’economia e con il pilastro sociale:
la
transizione verso la decarbonizzazione (SDG13 dell’Agenda 2030), verso
l’economia circolare (SDG12), la transizione alimentare (SDG2), quella verso un
diverso rapporto con la natura ed ecosistemi più resilienti (SDG 14 e 15),
verso un sistema economico, produttivo ed abitativo ad inquinamento zero (SDG8
e SDG 11), la transizione energetica e infrastrutturale orientata alla
rinnovabilità e sostenibilità (SDG7 e SDG 9). Tutto ciò con le connesse
ricadute sociali ed economiche che coinvolgono tutti gli altri obiettivi
dell’Agenda 2030.
L’Europa
al centro delle politiche Green.
L’Europa
ha iniziato il 2019 con uno degli ultimi atti della Presidenza Junker che ha
presentato il 30 gennaio il documento “Verso un’Europa sostenibile entro il
2030”, in cui si misura proprio con l’Agenda 2030.
In tal
documento si evidenzia come gli SDGs grazie alla loro universalità hanno la
potenzialità di risolvere le spinte sociali disgregative sia all’interno che
all’esterno dell’Unione e inducono “a lavorare in un’ottica internazionale,
incitando i paesi, l’industria e le persone a unirsi in questa missione”. La
capacità di visione sistemica crea le condizioni per costruire la convergenza
delle politiche sociali, ambientali ed economiche, in quanto “La crescita
‘verde’ avvantaggia tutti, i produttori come i consumatori”.
E ciò
si deve realizzare nel quadro della coerenza delle politiche interne ed
esterne. “Dobbiamo fare in modo di non esportare la nostra impronta ecologica o
creare povertà, disuguaglianze e instabilità in altre parti del mondo. In
quanto europei siamo del tutto consapevoli che gli impatti negativi che si
manifestano altrove avranno a loro volta un effetto boomerang per la nostra
economia e la nostra società”.
A ciò
seguiva la considerazione che una leadership europea nella transizione verso
un’economia verde e inclusiva, dando un forte impulso alla definizione di
regole internazionali è necessaria per conseguire un forte vantaggio
competitivo sul mercato globale.
Fin
qui le dichiarazioni di principio, è poi spettato alla nuova presidente della
Commissione Europea (CE), Ursula Von del Leyen, dare un reale impulso
strategico a questi orientamenti generali, segnando l’inizio del suo mandato
con la presentazione l’11 dicembre del Green New Deal.
Al
momento della presentazione le sue dichiarazioni furono: “Il Green Deal europeo
è la nostra nuova strategia di crescita, per restituire più di quanto togliamo,
trasformando il nostro modo di vivere e lavorare, di produrre e consumare…
Tutti
possiamo essere coinvolti nella transizione e tutti possiamo trarre vantaggio
dalle opportunità. Aiuteremo la nostra economia a essere un leader globale
muovendoci per primi e velocemente.
Siamo
determinati ad avere successo per il bene di questo pianeta e della vita su di
esso - per il patrimonio naturale dell'Europa, per la biodiversità, per le
nostre foreste e per i nostri mari. Mostrando al resto del mondo come essere
sostenibili e competitivi, possiamo convincere altri paesi muoversi con
noi".
Con il
Green Deal infatti la Ce si propone di posizionare l’UE come leader mondiale,
anche attraverso un Patto per il Clima che sarà presentato nel corso del 2020,
e si articola in 8 obiettivi, il primo dei quali riguarda ancora una volta il
clima.
Questi
obiettivi li approfondiremo successivamente uno per uno, salvo quelli più
connessi all’energia che considereremo congiuntamente, in quanto verranno
sviluppati nel capitolo successivo.
Gli
obiettivi sono supportati da cinque misure trasversali:
Perseguire
i finanziamenti e gli investimenti verdi, garantendo una transizione giusta,
con un piano di investimenti per un’Europa sostenibile che comprenda:
un
meccanismo e un Fondo per una transizione giusta, concentrato sulle regioni e
sui settori più dipendenti dalle fonti fossili;
una
strategia rinnovata in materia di finanza sostenibile per indirizzare i flussi
finanziari e di capitale privato verso gli investimenti verdi ed evitare gli
attivi non recuperabili.
E
trasformando la BEI nella nuova banca dell’UE per il clima, prevedendo che il
50% delle sue operazioni siano dedicate all’azione per il clima entro il 2025;
“Inverdire”
i bilanci nazionali e inviare i giusti segnali di prezzo, riorientando gli
investimenti pubblici, i consumi e la tassazione verso le priorità verdi,
abbandonando le sovvenzioni dannose, definendo con gli stati membri riforme
fiscali ben concepite che possano stimolare la crescita economica, migliorare
la resilienza agli shock climatici, contribuire a una società più equa e
sostenere una transizione giusta;
Stimolare
la ricerca e l’innovazione attraverso Horizon Europe e altre azioni sinergiche
a livello europeo e degli Stati membri, coinvolgendo un’ampia gamma di
portatori d’interessi tra cui regioni, cittadini, imprese, chiamando in causa
tutti i settori e le discipline in un impegno di sistema;
Fare
leva sull’istruzione e la formazione, definendo un quadro europeo delle
competenze che aiuti a coltivare conoscenze, abilità e attitudini connesse ai
cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile, utilizzando e aggiornando
strumenti quali il Fondo sociale europeo Plus, l’agenda per le competenze e la
garanzia per i giovani;
valutare
preventivamente gl’impatti ambientali, utilizzando gli strumenti di cui la
Commissione dispone per legiferare meglio basandosi sulle consultazioni
pubbliche, sulle previsioni degli effetti ambientali, sociali ed economici,
includendo nelle relazioni che accompagnano tutte le proposte legislative e gli
atti delegati una sezione specifica che illustra come viene garantito il
rispetto di tale principio.
Il 14
gennaio 2020 è stato quindi presentato il “Piano di investimenti connesso al
Green Deal”, finalizzato oltre che alla messa in campo diretta di risorse
comunitarie, nella creazione di un quadro favorevole per facilitare gli
investimenti pubblici e privati necessari per la transizione verso un'economia
climaticamente neutrale, verde, competitiva e inclusiva.
Il Piano si basa su tre dimensioni:
Finanziamento:
mobilitare
almeno 1.000 miliardi di euro di investimenti sostenibili nel prossimo
decennio, attribuendo un ruolo chiave alla Banca Europea per gli Investimenti
che aumenterà la quota che riservata ai progetti sostenibili dal 25 al 50%. Nel
complesso la CE ha previsto di destinare circa un quarto del nuovo budget
pluriennale a progetti sostenibili.
Abilitazione: fornire incentivi per sbloccare e
reindirizzare gli investimenti pubblici e privati, mettendo la finanza
sostenibile al centro del sistema finanziario e facilitando gli investimenti
sostenibili da parte delle autorità pubbliche.
Supporto:
la
Commissione fornirà supporto alle autorità pubbliche e ai promotori di progetti
nella pianificazione, ideazione e realizzazione di progetti sostenibili.
Al
tempo stesso è stato introdotto il meccanismo per una transizione giusta (JTM),
uno strumento chiave per garantire che la transizione verso la
decarbonizzazione avvenga in modo equo, senza lasciare indietro nessuno.
Il meccanismo fornisce un sostegno mirato per
aiutare a mobilitare almeno 100 miliardi di euro nel periodo 2021- 2027 per
alleviare l'impatto socioeconomico della transizione, aiutando i lavoratori e
le comunità che dipendono dalla catena del valore dei combustibili fossili.
Successivamente
poi si è avuta la crisi pandemica a livello internazionale che ha condizionato
tutte le scelte di policy.
In Europa fortunatamente il forte orientamento
strategico definito con il Green Deal ha di fatto indirizzato le scelte di
allocazione e condizionerà le modalità di erogazione degli ingenti fondi per la
ripartenza.
Il 27
maggio con la Comunicazione “Il bilancio dell’UE come motore del piano per la
ripresa europea” (COM(2020), 442 final), la CE, rispondendo alle necessità
straordinarie di finanziare la ripresa economica dei paesi membri dell’UE
colpiti dalla crisi del Covid-19, ha proposto l’introduzione di uno strumento
europeo di emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”) del valore di 750
miliardi di EURO, in aggiunta a un quadro finanziario pluriennale (QFP)
rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di euro. La novità del
fondo Next Generation EU è la possibilità per gli stati di poter beneficiare di
un meccanismo di finanziamento temporaneo che consente un aumento ingente e
tempestivo della spesa senza accrescere i debiti nazionali.
Per la
prima volta l’UE diventa il garante dell’indebitamento dei Paesi membri,
riuscendo così a contenere in misura significativa anche il costo
dell’indebitamento.
All’interno
della crisi più grave che abbia interessato l’economia globale ed europea negli
ultimi settantacinque anni, si tratta quindi di una grande opportunità per
accelerare la transizione verso un’economia più green e circolare.
Veniamo
ora ad analizzare come il Green Deal (e la connessa Next Generation UE) si
articola nelle politiche sulle dimensioni chiave della green economy.
Partiremo
dalle politiche prioritarie che caratterizzano il Green Deal Europeo, ovvero la
lotta al cambiamento climatico e l’economia circolare, per poi analizzare le
politiche sul sistema alimentare, sulla biodiversità, sull’inquinamento, con un
cenno finale su quelle inerenti l’energia e i trasporti che saranno analizzate
nel prossimo capitolo.
La
sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e incarnata
nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior ruolo
internazionale all’egida della transizione alla green, circular e decarbonised
economy, ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri, dopo gli
effetti della Brexit e dei neonazionalismi.
Il
cambiamento climatico
Il
2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più
caldo, dal 2010 al 2019. Con una temperatura media globale di 1,1°C al di sopra
dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta
particolarmente urgente.
Al
fine marzo 2020 sono 185 i Paesi più l’Unione Europea che hanno comunicato il
loro primo Contributo Nazionale Volontario alla Convenzione quadro delle
Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Il quadro degli impegni non è
inadeguato per raggiungere gli obiettivi di 1,5 o 2°C previsti dall'accordo di
Parigi e pertanto i Paesi sono stati invitati ad aggiornare i contributi a
livello nazionale o a comunicarne di nuovi entro il 2020, aumentando il loro
livello di ambizione nell'azione per il clima.
Anche
se le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 6% nel 2020 (in Italia la
riduzione è del 7.5% rispetto al 2019 secondo le stime Ispra) e la qualità
dell'aria è migliorata a causa del divieto di viaggiare e del rallentamento
economico dovuto alla pandemia, il miglioramento è solo temporaneo e la crisi
può compromettere alcuni degli impegni ed investimenti previsti. Viceversa i
governi dovrebbero utilizzare le lezioni apprese per accelerare le transizioni
necessarie per raggiungere l'accordo di Parigi, ridefinire il rapporto con
l'ambiente ed effettuare cambiamenti sistemici per ridurre le emissioni di gas
serra. L’Europa è in prima linea in questa sfida.
Tra il
1990 e il 2018 l’UE ha ridotto del 23 % le emissioni di gas a effetto serra,
mentre l'economia è cresciuta del 61 %. Tuttavia, mantenendo le attuali
politiche, la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra sarà limitata al
60% entro il 2050: per Bruxelles occorre fare di più.
Con il
Regolamento europeo sul clima del 4 marzo 2020, propedeutico al preannunciato
Patto per il Clima, la CE ha proposto un obiettivo giuridicamente vincolante di
azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050 (già
indicato nella risoluzione del Parlamento Europeo del 14 marzo 2019), assumendo
il compito di esaminare la legislazione dell'Unione e le politiche vigenti per
valutarne la coerenza rispetto all'obiettivo della neutralità climatica e alla
traiettoria stabilita.
Ciò
coinvolge i Piani nazionali per
l'energia e il clima degli Stati membri (la cui valutazione è prevista
all’art.6 del Regolamento), le relazioni periodiche dell'Agenzia europea
dell'ambiente e i più recenti dati
scientifici sui cambiamenti climatici e i relativi impatti.
Entro
il 2020 la Commissione dovrebbe
presentare il Piano corredato di una valutazione d'impatto per aumentare
l'obiettivo dell'UE di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per il 2030, portandolo
almeno al 50%-55% rispetto ai livelli del 1990 (oggi l’obiettivo è al 40%).
Tra le
varie misure da introdurre vi è anche la revisione della direttiva sulla
tassazione dell’energia, introducendo un meccanismo di adeguamento del carbonio
alle frontiere (border carbon tax). Ciò è necessario finche l’impegno dei
diversi Paesi rispetto all’accordo di Parigi non sarà più equilibrato.
Sull’adattamento,
cruciale date le conseguenze già evidenti del cambiamento climatico, il
regolamento prevede (art.4) che gli Stati membri elaborino e attuino strategie
e piani di adattamento che includono quadri completi di gestione dei rischi,
fondati su basi di riferimento rigorose in materia di clima e di vulnerabilità
e sulle valutazioni dei progressi compiuti.
Anche
in questo ambito l’UE vuole confermare il proprio ruolo di apripista,
recuperando lo spirito della COP di Parigi, purtroppo un po’ perso nelle COP
successive.
Anche
nell’ultima, tenutasi a dicembre 2019, a Madrid non sono state prese decisioni
particolarmente rilevanti o ambiziose, senza trovare un accordo su uno dei temi
più delicati, cioè il meccanismo che in futuro dovrebbe permettere ai paesi che
inquinano di meno di «cedere» la quota rimanente di gas serra a paesi che
inquinano di più.
Nei
documenti approvati alla fine della conferenza dalla plenaria vi è l’impegno
(anche se non vincolante) a presentare piani per ridurre ulteriormente le
proprie emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi fissati dagli
Accordi di Parigi sul clima. L’UE ha spinto in tale direzione, ma a frenare
compromessi più ambiziosi sono intervenuti i delegati di paesi come il Brasile
e soprattutto gli Stati Uniti, che hanno avviato le procedure per uscire
formalmente dagli Accordi di Parigi.
Cruciale
per l’impegno globale sul clima sarà pertanto la COP 26 che si terrà a Glasgow
a fine 2021, dopo il rinvio di un anno causa Covid-19.
La
tassonomia europea per la finanza sostenibile è una pietra miliare nell’agenda
verde europea: il primo sistema di classificazione al mondo di attività
economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, che darà una spinta reale
agli investimenti sostenibili.
L’economia
circolare e Il nuovo Piano di azione.
Per
quanto riguarda l’Economia circolare (EC), l’ultimo anno ha visto l’emanazione
di diversi provvedimenti comunitari, che sono culminati poi a marzo 2020 con il
nuovo Piano di azione.
A
marzo 2019, la Commissione europea ha adottato una relazione globale
sull'attuazione del piano d'azione per l'economia circolare del 2015 .
La
relazione indica, grazie alle attività di monitoraggio previste nel Piano, che
l’EC sta fornendo un contributo
significativo nella creazione di occupazione. Nel 2016 nei settori attinenti
all'economia circolare erano impiegati oltre quattro milioni di lavoratori (di cui 510.145 in Italia, saliti a 517.540
nel 2017), il 6% in più rispetto al 2012.
Ulteriori posti di lavoro sono destinati a essere creati nei
prossimi anni al fine di soddisfare la domanda prevista di materie prime
secondarie generata da mercati pienamente funzionanti. La circolarità ha
inoltre aperto nuove opportunità commerciali, dato origine a nuovi modelli di impresa e sviluppato nuovi mercati, sia
all'interno sia all'esterno dell'UE.
Nel 2017
attività circolari come la riparazione, il riutilizzo o il riciclaggio
hanno generato quasi 155 miliardi di euro di valore aggiunto, registrando
investimenti pari a circa 18,5 miliardi di euro.
In
Europa il riciclaggio di rifiuti urbani nel periodo 2008-2016 è aumentato e il
contributo dei materiali riciclati alla domanda globale di materiali registra
un continuo incremento. In media, tuttavia, i materiali riciclati riescono
soltanto a soddisfare meno del 12% della domanda di materiali dell'UE.
Questo
aspetto è ribadito da una recente relazione dei portatori di interessi secondo
la quale la piena circolarità si applicherebbe solo al 9% dell'economia mondiale, lasciando ampi
margini di miglioramento.
La CE
ha messo in campo nell’ultimo quinquennio una serie di azioni nell’ambito della EC, tra cui la prima strategia
settoriale ha riguardato la plastica: prevedendo che entro il 2030 tutti gli
imballaggi di plastica immessi sul mercato dell'UE siano riutilizzabili o
riciclabili;
e che,
entro il 2025, 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata vengano
utilizzati per la realizzazione di nuovi prodotti. Sono già state raggiunte
alcune tappe verso un riciclaggio della plastica di maggiore qualità. Tra
queste rientrano il nuovo obiettivo di riciclaggio per gli imballaggi di
plastica, fissato al 55% per il 2030, gli obblighi di raccolta differenziata e
i miglioramenti riguardanti i regimi di responsabilità estesa del produttore.
Si
prevede che questi ultimi agevoleranno la progettazione che mira alla
riciclabilità grazie all'eco-modulazione dei contributi dei produttori.
Ulteriori passi in avanti sono stati definiti con la direttiva 2019/904/UE
sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica
sull’ambiente (come le plastiche monouso).
La
strategia si è poi proposta di allargare a scala globale l’azione della UE. In
base alle iniziative introdotte, in particolare sulla plastica monouso, la
leadership dell'UE nelle sedi multilaterali ha giocato un ruolo fondamentale
nell’attivare l'interesse internazionale nei confronti dell'agenda sulla
plastica, come dimostrato da iniziative quali la piattaforma Global Plastics in
collaborazione con l’UNEP e il partenariato internazionale sui rifiuti di
plastica nel quadro della convenzione di Basilea.
Nel
2020 La Commissione europea ha, infine, adottato un nuovo piano d’azione per
l’economia circolare , uno degli elementi cardine del Green Deal europeo.
Il
nuovo Piano di azione dell’Unione Europea per l’economia circolare esprime la
chiara convinzione che l’estensione dell'economia circolare dai first movers
agli operatori economici tradizionali contribuirà in modo significativo al
conseguimento della neutralità climatica entro il 2050 e alla dissociazione
della crescita economica dall'uso delle risorse, garantendo allo stesso tempo
la competitività a lungo termine dell’UE e una ripresa dalla crisi pandemica
orientata alla sostenibilità.
Il
modello di crescita circolare viene chiaramente descritto come rigenerativo e
capace di contribuire agli obiettivi di riduzione dell’impronta dei consumi,
grazie alla diffusione di prodotti circolari. Esso intende rappresentare un
programma orientato al futuro per costruire un’Europa più pulita e competitiva
in co- creazione con gli operatori economici, i consumatori, i cittadini e le
organizzazioni della società civile, capace di accelerare il profondo
cambiamento richiesto dal Green Deal europeo. Il piano d’azione pone un quadro
strategico solido e coerente in cui i prodotti, i servizi e i modelli di
business sostenibili costituiranno la norma, ciò:
al
fine di trasformare i modelli di consumo in modo da evitare innanzitutto la
produzione di rifiuti;
focalizzandosi
sulle catene di valore dei prodotti chiave (il Piano ne individua sette:
elettronica e TIC; batterie e veicoli; imballaggi; plastica; prodotti tessili;
costruzioni e edilizia; prodotti alimentari;
riducendo
i rifiuti e garantire il buon funzionamento del mercato interno dell'UE per le
materie prime secondarie di alta qualità;
consentendo
all’Unione si assumerà sempre di più la responsabilità dei rifiuti che produce
(riducendo le spedizioni transfrontaliere).
Secondo
la CE nell’economia circolare esiste un chiaro vantaggio competitivo anche per
le singole aziende, in quanto la spesa delle imprese manifatturiere per
l'acquisto di materiali (circa il 40% della spesa complessiva) potrebbe
sensibilmente ridursi grazie a modelli a ciclo chiuso, incrementando la loro
redditività e proteggendole dalle fluttuazioni dei prezzi delle risorse.
La
transizione verso un modello circolare intende rafforzare la base industriale e
favorire la creazione di imprese e l'imprenditorialità tra le Pmi. Grazie alla
spinta innestata dalla circolarità le imprese adotteranno modelli innovativi
basati su una relazione più stretta con i clienti, favorendo la
personalizzazione di massa e l'economia collaborativa e partecipata.
Le
tecnologie digitali forniranno una ulteriore impulso alla circolarità e alla
dematerializzazione, consentendo all'Europa di ridurre la dipendenza dalle
materie prime.
Al
proposito è chiara la sinergia con la Strategia Industriale della UE presentata
nel marzo 2020, in cui si individuano tre fattori chiave per l’Europa: essere
più green, più circolare e più digitale.
Per
quanto riguarda i cittadini, l'economia circolare fornirà prodotti di elevata
qualità, funzionali, sicuri, efficienti e economicamente accessibili, che
durano più a lungo e sono concepiti per essere riutilizzati, riparati o
sottoposti a procedimenti di riciclaggio di elevata qualità. Un’intera gamma di
nuovi servizi sostenibili, modelli di "prodotto come servizio"
(product-as-service) e soluzioni digitali consentiranno di migliorare la
qualità della vita, creare posti di lavoro innovativi e incrementare le
conoscenze e le competenze.
Il
piano mira inoltre a garantire che l'economia circolare vada a beneficio delle
persone, delle regioni e delle città, contribuisca pienamente alla neutralità
climatica e sfrutti appieno il potenziale della ricerca, dell'innovazione e
della digitalizzazione.
Il
Piano prevede, infine, l'ulteriore messa a punto di un quadro di monitoraggio
adeguato che contribuisca a misurare il benessere al di là del PIL.
Particolare
attenzione meritano, nell’ambito del Piano, due azioni trasversali, che
dimostrano quale sia il livello di interconnessione tra le diverse politiche
europee.
La
prima attiene alla neutralità climatica. Al fine di conseguire questo obiettivo
la Commissione intende rafforzare le sinergie tra circolarità e riduzione dei
gas a effetto serra. Per fare ciò:
saranno
analizzati i metodi di misura dell'impatto della circolarità,
sulla
mitigazione dei cambiamenti climatici e sull'adattamento ai medesimi;
verranno
migliorati gli strumenti di modellizzazione per cogliere le ricadute positive
dell'economia circolare sulla riduzione delle emissioni di gas
a
effetto serra a livello nazionale e di UE;
sarà
promosso il rafforzamento del ruolo della circolarità nelle future revisioni
dei piani nazionali per l'energia e il clima e, se del caso, in altre politiche
in materia di clima.
Oltre
alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, il conseguimento della
neutralità climatica richiederà che il carbonio presente nell'atmosfera sia
assorbito, utilizzato nella nostra economia senza essere rilasciato e, quindi,
rimanendo stoccato per periodi di tempo più lunghi.
Per
incentivare l'assorbimento e una maggiore circolarità del carbonio, nel pieno
rispetto degli obiettivi in materia di biodiversità, la Commissione intende
lavorare a un quadro normativo per la certificazione degli assorbimenti di
carbonio basato su una contabilizzazione del carbonio solida e trasparente al
fine di monitorare e verificare l'autenticità degli assorbimenti.
La
seconda azione trasversale attiene alle politiche economiche. In tale ambito,
la Commissione intende:
migliorare
la divulgazione dei dati ambientali da parte delle imprese grazie al riesame
della direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non
finanziario;
sostenere
un'iniziativa promossa dalle imprese per sviluppare principi di contabilità
ambientale che integrino i dati finanziari con i dati sulle prestazioni
dell'economia circolare;
promuovere
l'integrazione di criteri di sostenibilità nelle strategie aziendali,
migliorando il quadro in materia di governo societario;
far sì
che gli obiettivi connessi all'economia circolare siano rispecchiati nel quadro
del riorientamento del processo del semestre europeo e nel contesto della
prossima revisione della disciplina in materia di aiuti di Stato a favore
dell'ambiente e dell'energia;
continuare
a incoraggiare l'applicazione più ampia di strumenti economici ben progettati,
come la tassazione ambientale che include imposte per il conferimento in
discarica e l'incenerimento, e a mettere gli Stati membri in condizione di
utilizzare le aliquote dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) per promuovere le
attività di economia circolare destinate ai consumatori finali come i servizi
di riparazione.
Sono
molte le novità nel Piano Europeo per l’economia circolare, ci concentriamo qui
su due tra le più significative.
Un
approccio efficace alla circolarità prende il via dalla progettazione dei
prodotti. Al proposito nel Piano per rendere i prodotti idonei a un'economia
neutra dal punto di vista climatico, efficiente sotto il profilo delle risorse
e circolare, ridurre i rifiuti e garantire che le prestazioni dei precursori
della sostenibilità diventino progressivamente la norma, la Commissione
proporrà un'iniziativa legislativa relativa ad una strategia in materia di
prodotti sostenibili. L'obiettivo centrale di questa iniziativa legislativa
sarà l'estensione della direttiva concernente la progettazione ecocompatibile
oltre ai prodotti connessi all'energia, in modo che il quadro della
progettazione ecocompatibile possa applicarsi alla più ampia gamma possibile di
prodotti e rispetti i principi della circolarità.
Dal
punto di vista delle misure, la Commissione valuterà la possibilità di
stabilire dei principi di sostenibilità e altre modalità adeguate a
disciplinare i seguenti aspetti:
miglioramento
della durabilità, della riutilizzabilità, della possibilità di upgrading e
della riparabilità dei prodotti, la questione della presenza di sostanze
chimiche pericolose nei prodotti e l'aumento della loro efficienza sotto il
profilo energetico e delle risorse;
aumento
del contenuto riciclato nei prodotti, garantendone al tempo stesso le
prestazioni e la sicurezza;
la
possibilità di ri fabbricazione e di riciclaggio di elevata qualità;
la
riduzione delle impronte carbonio e ambientale;
la limitazione
dei prodotti monouso e la lotta contro l'obsolescenza prematura;
l'introduzione
del divieto di distruggere i beni durevoli non venduti;
la
promozione del modello "prodotto come servizio" o di altri modelli in
cui i produttori mantengono la proprietà del prodotto o la responsabilità delle
sue prestazioni per l'intero ciclo di vita;
la
mobilitazione del potenziale di digitalizzazione delle informazioni relative ai
prodotti, ivi comprese soluzioni come i passaporti, le etichettature e le
filigrane digitali;
un
sistema di ricompense destinate ai prodotti in base alle loro diverse
prestazioni in termini di sostenibilità, anche associando i livelli elevati di
prestazione all'ottenimento di incentivi;
Sarà
data priorità ai gruppi di prodotti individuati nel contesto delle catene di
valore che figurano nel piano d'azione, come l'elettronica, le TIC e i tessili,
ma anche i mobili e i prodotti intermedi ad elevato impatto, come l'acciaio, il
cemento e le sostanze chimiche. Altri gruppi di prodotti saranno individuati in
base all'impatto ambientale e al loro potenziale di circolarità.
Progettare
un sistema alimentare giusto, sano e rispettoso dell’ambiente.
Lo
slogan utilizzato nella Strategia presentata il 20 maggio 2020 con la COM(2020)
381 final è “Dal produttore al consumatore” (from farm to fork).
La UE
si pone l’obiettivo di divenire riferimento mondiale per la sostenibilità,
attraverso una strategia specifica nel settore alimentare coerente con
l’economia circolare.
La
strategia "Dal produttore al consumatore", al centro del Green Deal e
del perseguimento dell’Agenda 2030 da parte della UE (in particolare per quanto
riguarda l’SDG 2), affronta in modo globale le sfide poste dal conseguimento di
sistemi alimentari sostenibili, riconoscendo i legami inscindibili tra persone,
società e pianeta sani. Il passaggio a un sistema alimentare sostenibile può
apportare benefici ambientali, sanitari e sociali, offrire vantaggi economici e
assicurare che la ripresa dalla crisi pandemica conduca l’UE su un percorso
sostenibile. Un sistema alimentare sostenibile deve garantire ai consumatori un
approvvigionamento sufficiente e diversificato di alimenti sicuri, nutrienti,
economicamente accessibili e sostenibili in qualsiasi momento, anche in tempi
di crisi.
Come è
noto noi viviamo una profonda contraddizione tra l’obesità e lo spreco
alimentare da un lato e la carenza di cibo per una parte della popolazione
europea dall’altro. Il 20% circa degli alimenti prodotti va sprecato e l'obesità è in aumento, con oltre la metà
della popolazione adulta europea attualmente in sovrappeso .
Al tempo stesso 33 milioni di cittadini
europei non possono permettersi un pasto di qualità ogni due giorni. Se i
regimi alimentari europei fossero conformi alle raccomandazioni nutrizionali e
più equilibrati (con una dieta maggiormente basata sui vegetali), l'impronta
ambientale e l’equità sociale dei sistemi alimentari sarebbe notevolmente
migliorata. Si stima che nel 2017 nell'UE oltre 950 000 decessi (uno su cinque)
e la perdita di oltre 16 milioni di anni di vita in buona salute fossero
attribuibili a cattive abitudini alimentari e alle malattie connesse.
Eppure
in generale i prodotti alimentari europei costituiscono già uno standard a
livello globale, sinonimo di sicurezza, abbondanza, nutrimento e qualità
elevata. Inoltre il settore agricolo dell'UE è l'unico grande sistema al mondo
ad aver ridotto le emissioni di gas a effetto serra (del 20 % dal 1990).
Questo
è il risultato di anni di politiche dell'UE volte a proteggere la salute umana,
degli animali e delle piante ed è frutto degli sforzi di agricoltori, pescatori
e produttori. I prodotti alimentari europei dovrebbero ora diventare lo
standard globale anche in materia di sostenibilità.
Sono
numerose le azioni che devono essere introdotte a questo fine, la strategia le
delinea, rimandando poi a fasi successive per una effettiva implementazione,
accompagnata da una ampia consultazione con tutti gli stakeholder.
Per
garantire la sostenibilità della produzione alimentare occorre il contributo di
tutti gli attori della filiera alimentare.
Ciò al
fine di accelerare la trasformazione dei metodi di produzione sfruttando al
meglio le “Nature based solutions”, le tecnologie digitali e satellitari per
aumentare la resilienza ai cambiamenti climatici e ridurre e ottimizzare
l'uso di fattori di produzione (acqua,
pesticidi e fertilizzanti). Queste soluzioni richiedono investimenti dal punto
di vista umano e finanziario, ma promettono anche rendimenti più elevati
creando valore aggiunto e riducendo i costi.
La CE
mira a ricompensare gli agricoltori, i pescatori e gli altri operatori della
filiera alimentare che hanno già compiuto la transizione verso pratiche
sostenibili, a consentire la transizione di tutti gli altri e a creare
ulteriori opportunità per le loro attività.
Per
estendere l’approccio già sviluppato in molti contesti della UE vi è
l'impellente necessità di ridurre la dipendenza da pesticidi e antimicrobici
(l’obiettivo è di ridurli di un ulteriore 50% entro il 2030, dopo che già sono
stati ridotti del 20% negli ultimi 5 anni), contenere il ricorso ai
fertilizzanti, potenziare l'agricoltura biologica, migliorare il benessere
degli animali e invertire la perdita di biodiversità. Nella strategia vengono
citati alcune aree di innovazione significativamente, come:
a) il
sequestro del carbonio da parte di agricoltori e silvicoltori (carbon farming),
con associati sistemi di certificazione e di pagamento;
b) la
bioeconomia circolare, di cui un esempio citato riguarda le bioraffinerie di
cui l’italiana Novamont è un pioniere, che si raccorda strettamente con il
Piano per l’economia circolare;
c) un
ambito particolarmente rilevante riguarda le emissioni di gas serra, che
provengono in larga parte (in Europa il 70% delle emissioni provenienti
dall’agricoltura, pari al 10,3% del totale) dall’allevamento, che occupa
peraltro il 68% della superficie agricola. In questo contesto la CE intende
agire sui mangimi, attraverso ad esempio l’immissione sul mercato di additivi
per mangimi sostenibili e innovativi, promuovendo le proteine vegetali
coltivate nell'UE e materie prime per mangimi alternative quali gli insetti, le
alghe e i sottoprodotti della bioeconomia (come gli scarti del pesce).
d)
L’agricoltura biologica deve essere promossa ulteriormente: ha effetti positivi
sulla biodiversità, crea posti di lavoro e attrae giovani agricoltori, e i
consumatori ne riconoscono il valore.
La
Commissione presenterà un piano d’azione sull’agricoltura biologica, con
l’obiettivo di raggiungere almeno il 25% della superficie agricola dell’UE
investita ad agricoltura biologica entro il 2030 e un aumento significativo
dell’acquacoltura biologica.
La
transizione verso un’agricoltura sostenibile dovrà essere sostenuta da una PAC
incentrata sul Green Deal.
La
nuova PAC, che la Commissione ha proposto nel giugno 2018, mira ad aiutare gli
agricoltori a migliorare le loro prestazioni ambientali e climatiche attraverso
un modello maggiormente orientato ai risultati, un uso più sistematico dei dati
e delle analisi, un miglioramento delle norme ambientali obbligatorie, nuove
misure volontarie e una maggiore attenzione agli investimenti nelle tecnologie
e nelle pratiche verdi e digitali. Intende inoltre garantire un reddito
dignitoso che consenta agli agricoltori di provvedere alle proprie famiglie, di
resistere a crisi di ogni tipo e di continuare a svolgere il loro ruolo di
custodi del territorio. In questa prospettiva la nuova PAC si propone di
migliorare l'efficienza e l'efficacia dei pagamenti diretti con il sostegno al
reddito agli agricoltori che ne hanno bisogno e contribuiscono al conseguimento
degli obiettivi ambientali, anziché a soggetti e imprese che semplicemente
possiedono terreni agricoli.
Occorre
al proposito tenere conto che nel 2017 le sovvenzioni della PAC, ad eccezione
del sostegno agli investimenti, hanno rappresentato il 57% del reddito agricolo
netto nell'UE.
La
capacità degli Stati membri di garantire questa impostazione sarà attentamente
valutata nei piani strategici e monitorata durante tutto il processo di
attuazione.
Inoltre
la CE richiederà, anche attraverso uno specifico codice di condotta, alle
imprese e alle organizzazioni del settore alimentare di impegnarsi in azioni
concrete in materia di salute e sostenibilità, mirate in particolare a:
riformulare i prodotti alimentari conformemente a linee guida per regimi
alimentari sani e sostenibili, ridurre la propria impronta ambientale e il
proprio consumo energetico, adottare opportune strategie di marketing e
pubblicitarie, ridurre gli imballaggi in linea con il nuovo Piano di azione
sull’Economia Circolare.
Tra le
azioni di policy previste vi sono:
a) Il
riesame della normativa sui materiali a contatto con gli alimenti al fine di
migliorare la sicurezza degli alimenti e la salute pubblica, sostenendo
l'impiego di soluzioni di imballaggio innovative e sostenibili che utilizzino
materiali ecologici, riutilizzabili e riciclabili;
b) Il
sostegno, allo scopo di creare filiere più corte la CE, della riduzione della
dipendenza dai trasporti a lunga distanza (nel 2017 circa 1,3 miliardi di
tonnellate di prodotti stati trasportati su strada);
c)
l’introduzione, al fine di consentire ai consumatori di fare scelte alimentari
consapevoli, sane e sostenibili, di un'etichettatura nutrizionale obbligatoria
e armonizzata sulla parte anteriore dell'imballaggio, nonché la possibilità di estendere le indicazioni di origine o di
provenienza;
d)
l’arricchimento delle EPD contemplando congiuntamente gli aspetti nutrizionali,
climatici, ambientali e sociali dei prodotti alimentari.
e) Il
sollecito agli Stati membri di utilizzare le aliquote IVA in modo mirato, ad
esempio per sostenere i prodotti ortofrutticoli biologici.
Preservare
e ripristinare gli ecosistemi e la biodiversità
La CE
ha definito nel maggio 2020 una nuova strategia per la biodiversità per
assicurare che l’UE svolga un ruolo fondamentale per l’arresto della perdita di
biodiversità a livello internazionale nelle prossime negoziazioni 2020 della
Convenzione per la diversità biologica, perseguendo il principio che tutte le
politiche dell’UE contribuiscano a preservare e ripristinare il capitale
naturale europeo.
Nella
strategia si evidenzia come la pandemia di Covid-19 abbia dimostrato una volta
di più quanto sia urgente intervenire per proteggere e ripristinare la natura,
facendo prendere coscienza dei legami che esistono tra la nostra salute e la
salute degli ecosistemi, oltre a dimostrare la necessità di adottare catene di
approvvigionamento e modi di consumo sostenibili che rispettino i limiti del
pianeta.
Da un
lato il rischio di insorgenza e diffusione delle malattie infettive aumenta con
la distruzione della natura, dall’altro investire nella protezione e nel
ripristino della natura sarà di cruciale importanza per la ripresa economica
dell'Europa dalla crisi Covid-19.
La
protezione della biodiversità ha giustificazioni economiche ineludibili, come è
stato anche evidenziato all’ultimo World Economic Forum.
I geni, le specie e i servizi ecosistemici
sono fattori di produzione indispensabili per l'industria e le imprese,
soprattutto per la produzione di medicinali. Oltre la metà del PIL mondiale
dipende dalla natura e dai servizi che fornisce: in particolare tre dei settori
economici più importanti — edilizia, agricoltura, settore alimentare e delle
bevande — ne sono fortemente dipendenti.
Si è
stimato che dal 1997 al 2011 i cambiamenti nella copertura del suolo abbiano
causato perdite tra 3.500 e 18.500 miliardi di euro l'anno in servizi
ecosistemici a livello mondiale e che il degrado del suolo sia costato
5.500-10.500 miliardi di euro l'anno.
La
conservazione della biodiversità può apportare benefici economici diretti a
molti settori dell'economia. Il rapporto benefici/costi complessivi di un
programma mondiale efficace per la conservazione della natura è valutato essere
superiore a 7 a 1. Gli investimenti nel capitale naturale sono così considerati
tra le cinque politiche più importanti di risanamento del bilancio della UE in
quanto offrono moltiplicatori economici elevati e un impatto positivo sul clima.
L’impegno
della UE per il capitale naturale riguarda:
a)
L’Estensione della rete di protezione dell’ambiente: la CE si propone di
proteggere almeno il 30% della superficie terrestre (4% in più di oggi) e il 30
% del mare (19% in più di oggi), con importanti ricadute non solo ambientali,
ma anche economiche. I benefici di Natura 2000 sono stati valutati tra i 200 e
i 300 miliardi di EUR all'anno e i nuovi investimenti per la protezione
genererebbero fino a 500.000 nuovi posti di lavoro [16]; così come nelle zone
marine protette per ogni euro investito se ne genererebbero almeno tre.
b) La
creazione di corridoi ecologici che, nell’ambito di una rete naturalistica
transeuropea davvero resiliente, impediscano l'isolamento genetico, consentano
la migrazione delle specie e preservino e rafforzino l’integrità degli
ecosistemi. In tale contesto la CE intende sostenere gli investimenti nelle
infrastrutture verdi e blu .
c) La
predisposizione di un Piano di ripristino della natura, di cui l'UE vuole fare
da apripista a livello globale. Tale Piano ridurrà le pressioni sugli habitat e
le specie, assicurando che gli ecosistemi siano sempre usati in modo
sostenibile, sostenendo il risanamento della natura, limitando
l'impermeabilizzazione del suolo e l'espansione urbana, contrastando
l'inquinamento e le specie esotiche invasive. In tale ambito la Commissione
proporrà nel 2021 obiettivi di ripristino della natura giuridicamente vincolanti
al fine di ripristinare gli ecosistemi degradati. Gli Stati membri dovranno
assicurare che almeno il 30 % delle specie e degli habitat il cui attuale stato
di conservazione non è soddisfacente lo diventi o mostri una netta tendenza
positiva. A questo scopo nel 2020 la Commissione e l'Agenzia europea
dell'ambiente forniranno orientamenti agli Stati membri su come selezionare le
specie e gli habitat e stabilirne l'ordine di priorità.
d)
L’intensificazione degli sforzi per proteggere il suolo (una risorsa
rinnovabile cruciale), ridurne l'erosione e aumentarne la fertilità, attraverso
una revisione nel 2021 della strategia tematica dell'UE per il suolo.
e) La
predisposizione nel 2021 di una specifica Strategia forestale coerente con le
ambizioni in materia di biodiversità e neutralità climatica. La proposta
includerà una tabella di marcia per la piantumazione di almeno 3 miliardi di
alberi supplementari nell'UE entro il 2030, nel pieno rispetto dei principi
ecologici. La piantumazione di alberi sarà supportata, attingendo dal programma
LIFE, anche dalla nuova piattaforma europea per l'inverdimento urbano.
f) La
proposta di un nuovo Piano d'azione per conservare le risorse della pesca e
proteggere gli ecosistemi marini, favorendo, tra l’altro, la transizione verso
tecniche di pesca più selettive e meno dannose con il sostegno del Fondo
europeo per gli affari marittimi.
g) Un
impegno ad adoperarsi maggiormente per ristabilire gli ecosistemi di acqua
dolce e le funzioni naturali dei fiumi, al fine di conseguire gli obiettivi (la
cui attuazione è in ritardo) della direttiva quadro sulle acque. Uno dei modi
per farlo consiste nell'eliminare o adeguare le barriere che impediscono il
passaggio dei pesci migratori e nel migliorare il flusso libero dei sedimenti:
s'intende così ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25.000 km di fiumi
entro il 2030, eliminando le barriere obsolete e ripristinando le pianure
alluvionali.
h) La
volontà di riportare la natura nelle città e ricompensare l'azione delle
comunità, per cui la CE invita le città europee di almeno 20.000 abitanti a
elaborare entro la fine del 2021 piani ambiziosi di inverdimento urbano, che
verranno supportati e valorizzati attraverso una piattaforma UE per il verde
urbano che verrà creata nel 2021.
Inquinamento
zero per un ambiente privo di sostanze tossiche.
La CE
si propone di essere più efficace nel monitorare, segnalare, prevenire e porre
rimedio all’inquinamento atmosferico, idrico, del suolo e dei prodotti di
consumo.
A tal
fine esaminerà insieme agli Stati membri tutte le politiche e i regolamenti in
modo più sistematico, definendo nel 2021 un piano d’azione per l’inquinamento
zero di aria, acqua e suolo. Nel caso delle norme sulla qualità dell’aria
saranno riviste per allinearle maggiormente alle raccomandazioni
dell’Organizzazione mondiale della sanità. Sarà perseguito l’Inquinamento zero
degl’impianti industriali, aggiornando gli strumenti normativi in coerenza con
gli obiettivi di sostenibilità e
decarbonizzazione.
Il 10
luglio 2020 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla Strategia
in materia di sostanze chimiche per la sostenibilità in cui, anticipando alcuni
degli indirizzi per il piano inquinamento zero, evidenzia le interconnessioni
tra diversi piani e strategie del Green Deal, quali la strategia per la
biodiversità, dal produttore al consumatore, economia circolare, nonché il
piano europeo per la lotta contro il cancro.
Il
2019 è stato il secondo anno più caldo in assoluto e la fine del decennio più
caldo, dal 2010 al 2019. Con una temperatura media globale di 1,1°C al di sopra
dei livelli preindustriali la sfida globale del clima si presenta
particolarmente urgente.
Le
infrastrutture: energia, mobilità e digitale.
Disporre
di infrastrutture di elevata efficienza nei settori dell’energia, dei trasporti
e del digitale è essenziale per un’UE integrata e competitiva, in cui i
cittadini e le imprese possano trarre pienamente vantaggio dalla libera
circolazione, dal mercato unico e da infrastrutture sociali adeguate. Le reti
transeuropee mirano in questa prospettiva a soddisfare il fabbisogno di
infrastrutture resilienti, sostenibili, innovative e senza soluzioni di
continuità.
Due
delle azioni specifiche previste nel Green Deal, energia e mobilità, possono in
questa sede essere semplicemente richiamate, in quanto verranno riprese
successivamente. In ogni caso qui troviamo le strategie presentate l’8 luglio
2020 per un sistema energetico integrato [COM(2020) 299 final] e per l’idrogeno
pulito [COM(2020) 301 final]. L’interconnessione tra le diverse strategie è
particolarmente richiesta dalla decarbonizzazione che richiede una visione di
sistema, investimenti e processi che integrino i diversi vettori energetici e
gli usi dell’energia. La strategia per l’idrogeno pulito viene ad integrarsi
efficacemente quale chiusura del sistema.
La CE
considera queste strategie come centrali nel piano di risanamento economico,
poiché propongono un percorso a costi contenuti, promuovendo investimenti
mirati nelle infrastrutture, che riducano i costi dell’energia per aziende e
clienti.
Ciò
vale anche nell’ambito della mobilità. Per conseguire la neutralità climatica è
necessario ridurre le emissioni prodotte dai trasporti del 90 % entro il 2050 e
occorrerà il contributo del trasporto stradale, ferroviario, aereo e per vie
navigabili. Una strada importante è quella della mobilità elettrica, dove a
livello globale siamo arrivati a più di 7 milioni di veicoli elettrici per
passeggeri o merci (erano 1,5 milioni nel 2016). Se in questo ambito è la Cina
a prevalere (con più di 3 milioni), l’Europa arriva a quasi 2 milioni e nei
primi tre mesi dell’anno, in una fase di forte contrazione del mercato, le
immatricolazioni sono cresciute dell’81,7% sul primo trimestre del 2019.
Nel
2020 la Commissione adotterà una strategia per una mobilità intelligente e
sostenibile per mettere gli utenti al primo posto e fornire loro alternative
più economiche, accessibili e pulite rispetto alle loro attuali abitudini.
In
ultimo, come abbiamo già evidenziato, la trasformazione verde e la
trasformazione digitale sono due sfide indissociabili. Secondo il Green Deal
europeo, queste sfide richiedono un immediato riorientamento verso soluzioni
più sostenibili che siano circolari, efficienti nell’impiego delle risorse e a
impatto climatico zero. È necessario che ogni cittadino, ogni lavoratore, ogni
operatore economico, ovunque viva, abbia un’equa possibilità di cogliere i
vantaggi di questa società sempre più digitalizzata.
La
Comunicazione “Plasmare il futuro digitale dell’Europa” del febbraio 2020 [20]
indica un pacchetto di azioni che il Parlamento europeo a giugno ha fatto
proprie, evidenziandone l’importanza nella trasformazione dell’economia e della
società europee, soprattutto quale mezzo per raggiungere la neutralità
climatica dell’UE entro il 2050 e per creare posti di lavoro, concordando che
l’accelerazione della trasformazione digitale rappresenterà una componente
essenziale della risposta dell’UE alla crisi economica generata dalla pandemia
di Covid-19.
Green
Economy e ripartenza.
Il
Consiglio europeo del 23 aprile 2020 accogliendo con favore la “Tabella di
marcia per la ripresa. Verso un’Europa più resiliente, sostenibile ed equa” ha
sostenuto che l’Unione europea ha bisogno di uno sforzo di investimento simile
al piano Marshall per sostenere la ripresa e modernizzare l’economia. Ciò
significa investire massicciamente nella transizione verde e nella
trasformazione digitale nonché nell’economia circolare parallelamente ad altre
politiche quali la politica di coesione e la politica agricola comune.
Una
scelta la cui bontà è confermata da uno studio dell'Università di Oxford
firmato da un team di esperti di fama internazionale, tra cui il Nobel “Joseph
Stiglitz” e l'economista del clima Lord “Nicholas Stern” della London School of
Economic, che hanno valutato circa 700 pacchetti di stimolo attuati contro la
crisi del 2008 (utile bussola quindi anche contro la crisi della pandemia): per
risollevare le economie, la strategia migliore, anche dal punto di vista
economico e dell’occupazione è stata puntare su politiche "green"
riducendo le emissioni di gas serra. Una grande opportunità per il nostro
Paese, che parte avvantaggiato: un’altra recente ricerca dell'Università di
Oxford e della Smith School of Enterprise and the Environment, partendo dal
primo e più grande database al mondo di prodotti green, colloca l'Italia al
secondo posto fra i paesi in grado di esportare "i prodotti più verdi e
complessi avendo una capacità di produzione green altamente avanzata”; e
addirittura al primo posto per il potenziale per diventare competitiva a
livello globale in prodotti ancora più green e tecnologicamente sofisticati. In
questo contesto il Green Deal europeo avrà una funzione essenziale in quanto
strategia di crescita inclusiva e sostenibile.
Le
risorse messe in campo come è noto sono molto significative. Al quadro
finanziario pluriennale rinforzato per il periodo 2021-2027 di 1100 miliardi di
euro si vanno a sommare i 750 miliardi di euro dello strumento europeo di
emergenza per la ripresa (“Next Generation EU”), nonché i 540 miliardi delle
misure eccezionali approvate dal Consiglio europeo del 23 aprile 2020.
Occorre
ricordare come questi stanziamenti eccezionali stiano caratterizzando i
principali Paesi a livello internazionale, con modalità che però risultano poco
coordinate a livello globale.
L’ONU
a marzo con il rapporto “Shared responsibility, global solidarity: Responding
to the socio-economic impacts of COVID-19” [21], ha posto in evidenza come il
mondo stia affrontando una crisi globale non solo sanitaria, ma umana, diversa
da qualsiasi altra nei 75 anni di storia delle Nazioni Unite proprio per la sua
estensione e profondità.
Questa
crisi richiede una risposta collettiva all’interno dei Paesi e soprattutto tra
Paesi: “da sole, le azioni a livello nazionale non possono corrispondere alla
scala globale e alla complessità della crisi”.
L’ONU
sottolinea quindi come tale momento richieda un'azione politica coordinata,
decisa e innovativa da parte delle principali economie mondiali e il massimo
sostegno finanziario e tecnico per le persone e i paesi più poveri e
vulnerabili, che saranno i più colpiti. Questa call to action ha avuto
difficoltà ad essere colta in un contesto internazionale sempre meno orientato
al multilateralismo.
In
questo contesto possiamo considerare l’Unione Europea, dopo le prime settimane
in cui ha stentato a trovare una visione comune, come un esempio di politiche
coordinate, in cui l’orientamento strategico green trova uno spazio centrale.
D’altronde la sfida per l’Europa, chiara anche prima dell’emergenza sanitaria e
incarnata nella nuova presidenza, è quella di riuscire a esercitare un maggior
ruolo internazionale all’egida della transizione alla green,” circular e
decarbonised economy”, ricostruendo il senso della coesione degli Stati membri,
dopo gli effetti della Brexit e dei neonazionalismi.
Nel
frattempo cosa stanno facendo i due Paesi leader dell’economia globale?
Alla
fine del mese di marzo il governo americano ha realizzato un maxi intervento
senza precedenti per stimolare l’economia USA; è stato stanziato un pacchetto
di aiuti pari a 2.000 miliardi di dollari, circa il 13% del PIL degli Stati
Uniti. Il pacchetto è di tipo emergenziale, prevedendo sostegno economico a
imprese e ospedali, oltre che assegni diretti a milioni di americani colpiti
dalla recessione.
Parallelamente
la Cina,
che ha innestato la pandemia, ma che è anche riuscita a contenerla sta cercando
di reperire i finanziamenti necessari per una più rapida transizione green che
consenta di superare i problemi ambientali del Paese, insieme alla sua
ripartenza post-Covid.
Il
settore manifatturiero cinese ha recuperato rapidamente, con le aziende che hanno avviato
il ritorno graduale al lavoro nei siti produttivi per i loro dipendenti, con il
supporto dei governi locali. La rapida ripresa è testimoniata dal valore del
China Manufacturing Purchasing Managers Index (PMI), passato da 35,7 a febbraio
a 52 a marzo [22].
Al
fine di mitigare l’impatto del Covid-19, il governo ha introdotto piani di
stimolo volti a rilanciare il sistema economico, con una particolare attenzione
alle “nuove infrastrutture”:
come i
ripetitori di segnale 5G, l’intelligenza artificiale, la creazione di grandi
database, treni ad alta velocità, griglie ad altissimo voltaggio e colonnine
per veicoli elettrici.
Una delle politiche più significative messe in
campo dalla Cina nell’ultimo periodo riguarda infatti quella che vedrà
diventare elettrici entro il 2020 il 30% dei veicoli pubblici.
Secondo
“Morgan Stanley”, gli investimenti della Cina in questo genere di
infrastrutture per i prossimi 10 anni ammonteranno a circa 180 miliardi di
dollari. Inoltre, per contrastare eventuali rallentamenti economici di breve
periodo, queste nuove infrastrutture possono aumentare la produttività a lungo
termine sfruttando le tecnologie di nuova generazione.
Questi
investimenti in innovazione sono sempre più spesso correlati alla green economy
oggi corrispondono ad una quota dell’8% del PIL cinese (ovvero circa 740
miliardi di euro). Il fabbisogno finanziario rispetto alla sostenibilità in
Cina è dell’ordine dei 2 mila miliardi, di cui il governo può supportare solo
il 15%. Per questo sono favoriti gli investimenti dall’estero di operatori che
conoscano le tecnologie adatte a raggiungere obiettivi utili, come trattamento
dell’aria, epurazione dell’acqua o smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
In
questo quadro internazionale cosa ci possiamo attendere per il nostro Paese?
Dalla
Commissione Europea potrebbero arrivare a breve in Italia 110 miliardi: 21 di
fondi riassegnati, 5 dalla BEI, i 36 del MES, 15 dal SURE, più altri 30 di
trasferimenti disponibili. Ad essi si potrebbero sommare, per comprendere
appieno l’impegno della CE e l’importanza per noi che l’Unione assume, i 180
miliardi di acquisti dei titoli di stato grazie all’estensione del quantitative
easing e i 350 miliardi di rifinanziamenti alle banche italiane per prestiti
alle imprese da parte della BCE.
I
finanziamenti che arriveranno dall’Europa saranno però vincolati alle” Country
Specific Recommendations” elaborate all’interno del processo del Semestre
europeo [23], che riguardano in particolare, oltre alle consuete
raccomandazioni sul bilancio pubblico e sul debito (questa volta però molto
attenuate): il Green new deal e la digitalizzazione; l’innovazione, la
formazione e lotta alle disuguaglianze; la riforma della Pubblica
amministrazione e della giustizia civile; oltre che il miglioramento del sistema
sanitario, tramite il MES.
Tra
questi, gli investimenti a favore della transizione verde saranno
particolarmente rilevanti per sostenere la ripresa e aumentare la resilienza
futura. L’Italia è molto vulnerabile ai fenomeni meteorologici estremi e alle
catastrofi idrogeologiche, compresi la siccità e gli incendi boschivi. Nella
percezione della CE la trasformazione dell’Italia in un’economia climaticamente
neutra necessiterà di consistenti investimenti pubblici e privati per un lungo
periodo di tempo.
Il
coinvolgimento degli attori finanziari e la tassonomia europea.
Se il
contributo europeo sarà nei prossimi anni consistente è necessario anche un
pari apporto da parte degli attori finanziari privati. In questo ambito sono
proseguiti i passi in avanti già manifestati negli scorsi anni.
A
livello europeo, nel marzo del 2018 era uscito il Piano di azione per la
finanza sostenibile, con l’obiettivo di incrementare gli investimenti in
progetti sostenibili e di promuovere l’integrazione dei criteri ambientali,
sociali e di governance (ESG) nella gestione dei rischi e nell’orizzonte
temporale degli operatori finanziari, in coerenza con l’Agenda 2030 e con
l’accordo di Parigi.
Il
primo passo previsto dal Piano era la predisposizione di una tassonomia europea
per la finanza sostenibile, ovvero un sistema condiviso di definizione e
classificazione delle attività economiche sostenibili. ll Parlamento europeo
con la risoluzione del 17 giugno 2020 riguardante “l’Istituzione di un quadro
che favorisce gli investimenti sostenibili” ha chiuso l’iter d’approvazione del
regolamento UE per la Tassonomia, adottato dal Consiglio europeo il 15 aprile
2020.
“Una
pietra miliare nella nostra agenda verde”, ha commentato il vicepresidente
della Commissione europea Valdis Dombrovskis, illustrando come si tratti del
“primo sistema di classificazione al mondo di attività economiche sostenibili
dal punto di vista ambientale, che darà una spinta reale agli investimenti
sostenibili”. Inoltre, è prevista anche l’istituzione formale di una
piattaforma sulla finanza sostenibile che “svolgerà un ruolo cruciale nello
sviluppo della tassonomia dell’Unione europea e della nostra strategia di
finanziamento sostenibile nei prossimi anni”.
Il
mercato degli investimenti sostenibili (SRI) sta crescendo in modo rapido (+27%
dal 2016 al 2018) e ha ampiamente superato i 30.000 miliardi di dollari.
L’Europa fa la parte del leone con Asset under Management superiori a 14.000
miliardi di dollari, che rappresentano già la metà del totale degli asset
investiti nella regione.
Anche
i dati di adesione a UN PRI testimoniano l’attenzione crescente degli
investitori verso questi temi: nel 2019 i “Principles for Responsible
Investment” hanno superato i 2.500 firmatari con una crescita del 20% rispetto
al 2018.
Le
emissioni di green bond dell’area euro hanno segnato un nuovo record nel 2019:
l’ammontare emesso ha raggiunto 170 miliardi di euro +50% rispetto all’anno
precedente.
Inoltre lo stock in circolazione di titoli
green a livello globale è stato pari a 566 miliardi di euro a fine gennaio
2020. Il mercato appare in ulteriore forte crescita: nel solo mese di gennaio
di quest’anno sono stati collocati sul mercato titoli per 20 miliardi di euro
pari al 75% di quanto emesso nel primo trimestre 2019 .
Negli
ultimi anni i green bond hanno conosciuto non solo una crescita delle emissioni
ma anche dei rendimenti.
NN
Investment Partners ha analizzato l’andamento degli indici dei green bond
rispetto agli indici tradizionali, nei comparti euro green bond ed euro
corporate green bond negli ultimi quattro anni.
Nel
2019 i green bond hanno generato rendimenti del 7,4% rispetto al 6% delle
obbligazioni ordinarie .
Tuttavia
i dati positivi degli ultimi anni potrebbero nascondere alcune criticità; uno
studio di Insight, la più grande società di asset management del gruppo BNY
Mellon, ha analizzato 83 green bond e 96 social impact bond presenti sul
mercato mondiale nel 2019; il 15% dei green bond e il 16% degli impact bond del
campione risultano in qualche modo sospetti, poiché generano dubbi sulla reale
sostenibilità dell’emissione, soprattutto per una mancanza di trasparenza sul
modo in cui i capitali raccolti verranno utilizzati per finanziare progetti
dichiarati come “verdi”.
Al
fine di orientare gli investitori, gli emittenti e di contrastare problemi come
il greenwashing, occorre quindi uno standard, riconosciuto a livello
internazionale e capace di disciplinare le componenti fondamentali dei green
bond. Il 18 giugno 2019 il TEG [26] ha pubblicato un report con cui ha
illustrato la sua proposta per uno standard europeo dei green bond (EU-GBS), il
secondo degli obiettivi prioritari del Piano di azione sulla finanza
sostenibile.
Affinché
un progetto sia finanziabile con il nuovo Green Bond Standard deve essere
allineato alla tassonomia europea; questo significa che il progetto deve
contribuire in modo sostanziale ad almeno uno dei 6 obiettivi ambientali
identificati dalla tassonomia europea (mitigazione del cambiamento climatico,
adattamento ai cambiamenti climatici, utilizzo sostenibile e protezione delle
risorse idriche e marine, transizione verso l’economia circolare, prevenzione e
riciclo dei rifiuti, prevenzione e controllo dell’inquinamento e protezione
degli ecosistemi) senza compromettere il raggiungimento degli altri (è il
concetto del “do not significant harm”) e deve presentare una serie di garanzie
sociali minime.
Al
fine di valutare la capacità di un’attività, di un progetto di contribuire al
raggiungimento di uno degli obiettivi della tassonomia è essenziale l’utilizzo
dei “technical screening criteria”; ad oggi il TEG ha sviluppato dei criteri
tecnici di selezione per valutare la capacità di un’attività di contribuire
agli obiettivi di “climate change mitigation e adaptation”, l’ambito
identificato come prioritario dalla CE; in questo caso sono state individuate 3
classi:
attività
a basse emissioni di carbonio e che già contribuiscono all’obiettivo della
neutralità climatica; si pensi alla produzione di energia solare.
Attività
in fase di transizione; possono contribuire al raggiungimento dell’obiettivo
zero emissioni entro il 2050 ma, attualmente non operano ancora su questo
livello; si pensi alla ristrutturazione di un edificio per assicurare una
maggiore efficienza energetica.
Attività
abilitanti; hanno un impatto sulle categorie precedenti. Per esempio un
produttore di pannelli solari o di pale eoliche consente la produzione di
energia rinnovabile che rientra nella prima classe.
É
interessante osservare un’evoluzione all’interno dei green bond, alla ricerca
di un posizionamento sempre più strategico rispetto alle sfide della
sostenibilità. Così settembre 2019 Enel ha lanciato il suo primo SDG linked
Bond, collocando con successo sul mercato americano un’emissione
obbligazionaria da 1,5 miliardi di dollari; gli ordini, per circa 4 miliardi di
dollari USA, hanno superato l’emissione di quasi 3 volte; a fronte di questo
successo, ad ottobre 2019 Enel ha deciso di intervenire anche sul mercato
europeo con il nuovo strumento obbligazionario e, ancora una volta, la domanda
ha superato l’offerta.
L’utilizzo
dei proventi non è vincolato ad una serie di progetti green eleggibili, ma agli obiettivi di sviluppo sostenibile
dell’Agenda 2030; questo garantisce maggiore flessibilità all’emittente e
l’ambito di intervento dei potenziali investimenti risulta più esteso; in
particolare Enel si è orientata alla creazione di valore mediante scelte di
business che supportano il perseguimento dei seguenti SDGs: “Energia
accessibile e pulita” SDG 7, “Imprese, innovazione e infrastrutture” SDG 9,
“Città e comunità sostenibili” SDG 11, “Lotta contro il cambiamento climatico”
SDG 13.
Le
risorse raccolte sul mercato dei capitali soddisfano l’ordinario fabbisogno
finanziario dell’emittente; quest’ultimo non utilizza le risorse per un
progetto specifico ma per il raggiungimento di un determinato target al quale
corrisponde un KPI. Per esempio, con l’emissione di settembre 2019, Enel si è
impegnata a raggiungere una percentuale di capacità installata da fonti
rinnovabili pari o superiore al 55% della capacità installata totale
consolidata entro il 31 dicembre 2021.
Il
processo di monitoraggio, basato sui KPI, consente di intervenire sul tasso di
interesse in base ai risultati conseguiti dall’azienda; nel caso in cui Enel
non rispettasse la condizione di capacità di energia rinnovabile installata nei
tempi dichiarati, il tasso di interesse legato al prestito obbligazionario sarà
automaticamente rettificato con un meccanismo di step up (incremento di 25
bps). Come
detto il monitoraggio che consente di intervenire sul costo del denaro risulta
molto attraente per gli investitori ed è anche un efficace incentivo per
l’emittente al fine di migliorare la propria performance di sostenibilità nel
tempo.
LA
TRANSIZIONE ENERGETICA
NON
AVRÀ LUOGO.
Comedonchisciotte.org
– (26 -5 – 2024) - By CptHook - Intervista a Jean-Baptiste Fressoz – ci dice:
(Il
nostro “corrispondente dalla Francia” Alceste de Ambris ci propone questa volta
una sua traduzione adattata da un’interessantissima intervista, molto più
lunga, di LeGrandContinent a Jean Baptiste Fressoz autore del libro che dà il
titolo a questo pezzo. Come al solito un sentito ringraziamento sia per
l’eccellente scelta che per l’ottima traduzione.)
(Le Grand
Continent- 22 febbraio 2024).
Una
delle tesi centrali del suo lavoro è la messa in discussione di una visione “a
fasi” della storia dell’energia e dei materiali, come successione di epoche
materiali distinte […].
Tuttavia,
questa visione fasica non deriva semplicemente dal senso comune, ma si ritrova
anche nelle opere dei maggiori autori di storia ambientale.
Potrebbe
tornare sul tipo di narrazione che questo tipo di opere propone, sull’uso del
termine “transizione” che viene fatto, e sui fenomeni che ci impedisce di
vedere?
Bisogna essere un futurologo o uno storico per
poter leggere la storia dell’energia in maniera “fasica”.
Se osserviamo un grafico che rappresenta il
mix energetico globale nell’arco di uno o due secoli, notiamo immediatamente
che non diminuisce alcun fattore.
Il
trucco per vedere le transizioni, a partire dagli anni ’70, è considerare le
energie primarie in termini relativi e includere il legno:
appaiono allora due transizioni, una dal legno
al carbone, l’altra dal carbone al petrolio.
Gli
storici hanno poi collegato a questa visione in termini relativi la nozione di
“sistema tecnico” – che è problematica – l’idea che ci sarebbe un “sistema del
legno”, un “sistema del carbone”, un “sistema del petrolio”, o ancora “un
sistema tecnico” della rivoluzione industriale incentrato sul carbone e sul
vapore.
Tutte
queste categorie sono astrazioni che semplificano drasticamente la complessità
materiale della produzione in ogni epoca.
Sicché
la cosa principale da raccontare e spiegare sarebbero le transizioni da un
sistema all’altro.
La
seconda caratteristica della storiografia è una forma di specializzazione.
Abbiamo storici del carbone, altri del legno e altri ancora del petrolio.
Di
conseguenza, le interrelazioni tra questi materiali e queste energie, che sono
il cuore del mio libro, sono state relativamente trascurate.
Infine, in terzo luogo, e questo è un difetto
abbastanza generale e che va ben oltre la questione energetica, gli storici
hanno avuto la tendenza a interessarsi a ciò che c’è di nuovo in ogni epoca.
Questo punto è stato perfettamente evidenziato
da “David Edgerton” in “The Shock of the Old”.
Tale
pregiudizio non fa che rifletterne uno molto più ampio: il fascino per l’innovazione.
Se aprite le pagine di “tecnologia” di un giornale,
troverete informazioni sulle novità o anche sugli ultimi accessori alla moda, e
poco o nulla sulle vecchie tecniche che ci accompagnano da molto tempo e che
sono molto più importanti.
Quanti
articoli leggiamo sullo sviluppo tecnologico dei trattori o delle macchine
utensili?
Eppure, è probabile che accadano cose
interessanti in queste settori, forse più importanti di Chat GPT.
Questo
modo di pensare alla storia e all’innovazione è molto pericoloso per
comprendere la sfida climatica.
Perché?
Prendiamo l’ultimo rapporto del Gruppo III
dell’IPCC dell’aprile 2022.
Ci sono diverse pagine su una discussione
molto strana: la prossima transizione avverrà più velocemente delle transizioni
energetiche del passato?
Ma
queste transizioni passate sono costruzioni intellettuali piuttosto spettrali.
Prendiamo ancora il “rapporto Pisani-Ferry,” presentato nel maggio 2023 a “Élisabeth
Borne”:
conclude che dobbiamo tassare i ricchi per
finanziare la transizione, ma inizia meno bene, con un grafico che mostra in
percentuali relative il mix energetico globale, per spiegare che abbiamo bisogno di
una nuova rivoluzione industriale.
L’idea è ripresa da “Agnès Pannier-Runacher,”
ex-ministro della transizione energetica.
Tutto
ciò riflette una comprensione insufficiente delle dinamiche energetiche e
materiali del passato:
durante la prima rivoluzione industriale,
nozione di per sé abbandonata da tempo dagli storici, tutto si è incrementato.
Non
c’è stata alcuna transizione da un’energia all’altra.
La legna da ardere è cresciuta nel XIX secolo
, l’energia del legno è cresciuta nel XX secolo … […]
Il mio
libro opera qualche scostamento rispetto alla storiografia abituale
dell’energia.
Innanzitutto, parte da una constatazione banale e
nota… fin
dagli anni ’20: la storia dell’energia è soprattutto una storia di
sovrapposizioni. Né le materie prime né le fonti energetiche sono mai obsolete.
E in secondo luogo, un punto meno banale e
meno noto: è una storia di simbiosi. Quando parliamo di “petrolio”,
“carbone”, in realtà stiamo trattando astrazioni statistiche.
Queste
fonti di energia poggiano su basi materiali molto più ampie di quanto indica il
loro nome.
Il
carbone, ad esempio, richiede molto legno (all’inizio del XX secolo serviva
circa una tonnellata di puntelli per estrarre 20 tonnellate di carbone ).
Di
conseguenza, nel 1900 l’Inghilterra utilizzò più legno per sostenere le sue
miniere di carbone di quanto ne bruciasse un secolo prima…
Per
quanto riguarda il petrolio, necessita di carbone (perché serve acciaio per
estrarlo e ancora più acciaio per bruciarlo) e quindi di legno… Tutti questi
materiali ed energie sono completamente intrecciati.
Il mio libro si rivolge anzitutto ai colleghi
storici dicendo:
“Guardate,
ci sono cose interessanti che non sono state raccontate”, come la storia dei
puntelli o dei tubi del petrolio.
La
domanda “La transizione avrà luogo?”» non mi interessa più tanto, perché tutti
sanno che non riusciremo a decarbonizzare l’economia globale in trent’anni.
Basta leggere i rapporti dell’Agenzia
Internazionale per l’Energia (IEA) o quelli dell’Amministrazione
dell’Informazione Energetica americana.
In “L’evento antropocene” (scritto con” Christophe Bonneuil”),
lei ha sostenuto la necessità di una storia dei servizi energetici.
Su questo punto si ritorna nel capitolo 1 di
questo libro, ricordando che questi servizi energetici non sono da confondere
con il consumo di energia primaria su territorio nazionale.
Può
illustrare questa distinzione con un esempio?
Più in generale, quali sono le implicazioni
più ampie di questa distinzione per la storia dell’energia e
dell’industrializzazione?
Questo
è un punto particolarmente importante per comprendere la storia
dell’industrializzazione nel XIX secolo, mentre diventa meno importante per
fare confronti tra paesi ricchi negli anni ‘60 che hanno sistemi energetici
relativamente simili
.
D’altra parte, all’inizio dell’industrializzazione, prendere in considerazione
solo l’energia primaria falsa completamente la comprensione delle dinamiche in
atto, perché appena si introduce una tonnellata di carbone nella propria
economia, all’improvviso l’energia esplode, perché il carbone contiene una
quantità enorme di energia.
Il
problema è che essa viene utilizzata nei motori a vapore o negli impianti di
illuminazione a gas, che hanno un rendimento disastroso e perdono gran parte
dell’energia primaria – l’efficienza dei motori a vapore passa dal 3 al 15% nel
corso del XIX secolo.
Si può
anche aggiungere che l’EROI (tasso di rendimento energetico) del carbone non
era eccezionale:
negli
anni ’20, l’8% del carbone inglese veniva utilizzato nelle miniere di carbone,
solo per estrarre carbone!
La
storia dell’energia è stata costruita su dati energetici primari, ma ciò che
conta per l’attività economica sono ovviamente i servizi energetici.
Ecco
perché la storia ha rafforzato la convinzione di un’industrializzazione
completamente determinata dal carbone. Questo è un punto importante,
soprattutto storiografico.
A un certo punto mi sono posto la domanda: “Sto iniziando a studiare la storia
non dell’energia, ma dei servizi energetici?” “.
In
realtà, ritorniamo più o meno alla storiografia econometrica degli anni ’70,
che ha dimostrato che la crescita era stata molto più graduale di quanto l’idea
di una rivoluzione industriale possa far pensare.
Gli storici-econometrici si sono basati non
sulle serie energetiche, ma su quelle economiche attraverso la ricostruzione
del PNL.
Insomma, il rischio era quello di ritrovarsi,
dopo tanti sforzi, con risultati abbastanza noti.
Ma ci sono comunque molte cose da raccontare
una volta che si tenga conto di questa distinzione.
Ad esempio, se si mette in relazione il numero
dei motori a vapore con il numero delle imprese in Francia nel 1900, si vede
che il 98,6% delle imprese industriali e agricole non disponeva di motori.
L’economia francese del 1900 era imperniata
soprattutto sull’energia muscolare!
Seguendo
lo storico “David Edgerton” , lei critica il pregiudizio – sia nella storia
della scienza e della tecnologia che in quella dell’energia – che porta a
focalizzarsi su ciò che è nuovo.
Al
contrario, propone “una storia senza direzione” mettendo in discussione l’idea
che alcune energie siano più “tradizionali” di altre.
Questo
disorientamento si manifesta nel suo lavoro dimostrando la modernità di
tecniche o energie considerate antiche (la candela o il carbone per esempio),
o, al contrario, relativizzando la modernità materiale di un edificio
emblematico del capitalismo industriale, il “Crystal Palace” dell’Esposizione
di Londra del 1851.
Potrebbe
tornare su questa critica e sul modo in cui la illustra?
Il
discorso sulla tecnologia fa ipotesi abbastanza arbitrarie su cosa sarebbe
moderno e cosa sarebbe antico.
Sul”
Crystal Palace”, in realtà, si sono fatti molti discorsi filosofici sulla
straordinaria modernità di questo edificio, simbolo della globalizzazione e del
capitalismo moderno.
Nei
libri di testo scolastici è anche la classica immagine del capitolo sulla
rivoluzione industriale…
Certamente
all’interno del palazzo di cristallo c’erano tantissime macchine e perfino un
grosso pezzo di carbone!
Ma per
quanto riguarda l’edificio stesso, contiene tre volte più legno che ferro e
vetro!
È
stato progettato dall’architetto di un grande proprietario terriero,
specialista in serre.
Si
tratta insomma di un edificio ancorato al mondo aristocratico e agricolo.
Da
notare che nel 1936 l’edificio bruciò improvvisamente perché il legno,
sottoposto per più di mezzo secolo all’effetto serra, era completamente
asciutto.
Il
palazzo di cristallo è in definitiva una buona metafora del capitalismo
moderno, ma certo non per le ragioni un po’ banali addotte ad esempio da “Sloterdijk”.
Il Crystal Palace illustra il divario
significativo tra la nostra comprensione di ciò che è moderno e la materialità
della modernità.
Ha
citato l’esempio della candela.
Questo
emblema dell’arcaismo è infatti un oggetto modernissimo del XIX secolo,
proveniente da laboratori di chimica organica, prodotto industrialmente in
grandi stabilimenti che importavano grassi da tutto il mondo e in particolare
olio di palma dall’ Africa occidentale.
Si
riciclava anche il grasso dei macelli, quindi è una prima forma di economia
circolare!
Le
candele steariche prodotte a Londra, Parigi o Marsiglia venivano esportate in
tutto il mondo alla fine del XIX secolo.
Questo
esempio è interessante perché gli storici critici della modernità – ad esempio”
Wolfgang Schivelbusch”, che ha scritto un buon libro sulla storia della luce –
prendono troppo sul serio le pretese dei modernizzatori, in questo caso
l’illuminazione a gas, di rappresentare la modernità.
Inoltre,
se torniamo alla storia della luce all’inizio del XX secolo, la grande
tecnologia di illuminazione non è l’elettricità, ma… la lampada a cherosene.
È un combustibile fossile ma rimane a bassa
tecnologia.
Quindi
sì, appena ci addentriamo in un settore ci rendiamo conto che abbiamo storie
stereotipate di cosa è moderno e cosa non lo è, di cosa è industriale e cosa
non lo è:
la candela ad esempio è più industriale del
gas o almeno la sua produzione è più concentrata.
Ci
sono fabbriche di candele molto grandi, mentre per il gas occorre installare
una o più fabbriche in ogni città.
Perché
gli storici sono affascinati dall’illuminazione a gas?
Perché è una tecnica che funziona in rete, e
la modernità significa necessariamente rete.
Il suo
libro può essere considerato una sorta di critica ambientale dell’economia
politica:
potrebbe
tornare al ruolo di alcuni economisti nella creazione dell’apatia climatica, e
in particolare a quello di “William Nordhaus”, vincitore del “Premio Nobel” per
l’Economia nel 2018 (viene ricordata la dichiarazione piuttosto sorprendente del
co-vincitore “Paul Romer” secondo cui, grazie alla ricerca e allo sviluppo
nelle innovazioni verdi, “decarbonizzare l’economia sarà così facile che,
guardando indietro, sembrerà di averlo fatto senza sforzo”)?
Il
caso di” Nordhaus” è interessante in relazione a quanto dico perché è il primo
economista del clima e ha ricevuto un premio Nobel per il suo lavoro, ma ha una
visione aberrante della storia delle tecniche che non è priva di conseguenze
sulle sue concezioni economiche.
In un famoso articolo “Nordhaus” dimostra che
il prezzo della luce è crollato nel corso della storia grazie al progresso
tecnologico.
Ma
confonde le date delle innovazioni e le date di utilizzo.
Le
teorie economiche di “Nordhaus” sono già state ben studiate da “Antonin Pottier”.
Il suo premio Nobel suscitò grande scalpore:
dimostrò, ad esempio, che un aumento ottimale del riscaldamento globale era di
3,5°C.
Ma c’è un aspetto del contesto storico che non
si è notato:
l’utopia
nucleare.
Quando”
Nordhaus” iniziò a riflettere sul clima nel 1974-75, lavorava all”’IIASA” (Istituto Internazionale di Analisi
dei Sistemi Avanzati), in un piccolo gruppo di esperti ossessionati dal “reattore nucleare autofertilizzante”.
Secondo
loro, il reattore autofertilizzante doveva essere disponibile e persino diffuso
entro il 2000.
Non
possiamo sopravvalutare l’importanza del reattore autofertilizzante
nell’immaginario dei primi esperti climatici, negli Stati Uniti e all’IIASA.
È stato un grande progetto tecnologico, ha
rappresentato dal 30 al 40% del settore pubblico di ricerca e sviluppo
sull’energia in Inghilterra, Francia e Stati Uniti negli anni ’70.
Era
una speranza immensa.
Grazie
al reattore autofertilizzante gli orizzonti temporali dell’energia diventano
infiniti o si possono contare in decine di migliaia di anni.
Tutto ciò ha avuto una grandissima influenza.
[…].
“Nordhaus”
ha avuto una grande influenza sui primi rapporti dell’IPCC.
Nel
secondo rapporto del 1995 si scrive esplicitamente che è meglio non fare sforzi
subito, perché poi sarà più facile, e che inoltre il ciclo naturale del
carbonio ci aiuta a ridurre la quantità di CO2 nell’atmosfera.
Infine, vorrei sottolineare che il presidente
del gruppo III dell’IPCC all’inizio degli anni ’90, “Robert Reinstein”, che –
cosa interessante – è apertamente scettico sul clima, spiega di aver consultato
“Nordhaus” e di aver tratto ispirazione dal suo lavoro! “
Quindi
sì, le teorie di Nordhaus” sono servite direttamente alla procrastinazione
climatica.
È vero
che a partire dagli anni 2000 la sua influenza si è erosa perché l’obiettivo
dei 2 gradi è diventato centrale nei negoziati sul clima, mentre “Nordhaus” ha
dichiarato esplicitamente:
“Due
gradi sono come i segnali sull’autostrada che indicano 50 miglia all’ora negli
Stati Uniti, è del tutto arbitrario e ingiustificato”.
Qui si
tratta del secondo” Nordhaus”, ben analizzato dal collega “Antonin Pottier”, il
“Nordhaus” del modello” DICE”, un modello costi/benefici dove arriva alla
conclusione che un aumento di 3,5 gradi corrisponde alla temperatura
economicamente ottimale!
Nella
terza parte, come ha accennato, ripercorre la storia del Gruppo III dell’IPCC (il gruppo che valuta le “soluzioni”) in modo abbastanza iconoclasta,
mostrando che quest’ultimo in realtà sostiene una linea piuttosto attendista
negli anni ’90.
Come
spiegare la profonda evoluzione che vedete negli anni 2000?
E come
ciò ha influito sulle soluzioni prospettate da allora (ricordiamo che nel 2005 troviamo
ancora in uno speciale rapporto dell’IPCC i progetti di “laghi” artificiali di
anidride carbonica sul fondo degli oceani…)?
Non
sono un esperto di queste questioni e ci sono persone che ci hanno lavorato più seriamente, come “Hélène
Guillemot” e “Béatrice Cointe”.
Negli
anni 2000 è stato imposto l’obiettivo dei 2 gradi, e addirittura di 1,5 gradi a
Parigi nel 2015.
Da
quel momento in poi abbiamo scenari molto diversi da quanto delineato nei primi
due rapporti.
Obiettivi
NZE (Net Zero Emissions) che includono enormi quantità di “emissioni negative”.
In
pratica si tratta di utilizzare il BECCS (Bioenergy Carbon Capture and Storage):
bruciare
legna nelle centrali termoelettriche per poi recuperare la CO2 e seppellirla
sottoterra.
Nessuno
ci crede veramente, ma è un elemento fondamentale per portare l’economia
globale sotto la soglia dei 2 °C.
Questo punto solleva una questione
interessante, mi sembra, sull’effetto politico, volontario o involontario, di
questi scenari a zero emissioni.
Il
loro obiettivo è ovviamente quello di illuminare il processo decisionale.
Sono esperimenti mentali assistiti dal
computer.
Fissiamo
un limite di riscaldamento al 2100 e lo IAM (Modello di Valutazione Integrata)
calcola le traiettorie che includono più o meno efficienza energetica,
diffusione delle energie rinnovabili, CCS o BECCS.
Questi
scenari sono puramente normativi.
Non sono predittivi, prospettici.
Ancora
una volta, le
previsioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (lo scenario Steps) non
prevedono la decarbonizzazione, ma solo una lieve riduzione del carbone entro
il 2050.
La
fattibilità e la plausibilità degli scenari NZE è stata poco o per nulla
valutata.
Il
loro realismo economico e tecnologico è probabilmente molto basso.
Ma
qual è l’effetto politico di questi scenari che sembrano dimostrare che tutto è
possibile?
Non ho
una risposta chiara, ma dobbiamo discuterne.
Dobbiamo
anche discutere sulla visione del mondo e della tecnologia che si riflette nei
rapporti del gruppo III dell’IPCC, in cui si parla principalmente di tecnologie
e soprattutto di tecnologie complesse che riguardano i paesi ricchi.
Il quarto rapporto annunciava, ad esempio, che
la fusione
nucleare sarebbe
stata disponibile in commercio entro il 2050.
Viceversa,
nei rapporti del gruppo III, si parla poco ad esempio dei treni o della
possibile diffusione delle biciclette o delle videoconferenze…
Naturalmente
queste visioni del futuro, che si tratti della fusione o del BECCS, sono
discutibili e altamente politiche.
Il
problema è che il dibattito è molto polarizzato:
non
appena si inizia a discutere la minima asserzione del gruppo III, anche quando
è un’assurdità evidente (quando si parla di storia), sulle piattaforme sociali
si viene bollati come pericolosi luddisti anti-scienza…
[…]
(jb fressozJean-Baptiste
Fressoz, nato nel 1977, è uno storico francese della scienza, della tecnologia
e dell’ambiente.)
L'orlo
della dissoluzione: la nevrosi
in
Occidente mentre l'argine si rompe.
Unz.com
- ALASTAIR CROOKE – (27 MAGGIO 2024) – ci dice:
Il
discorso dell'escalation militare è di moda in Europa, ma sia in Medio Oriente
che in Ucraina, la politica occidentale è in grave difficoltà.
Il
paradosso è che il “Team Biden” – del tutto inavvertitamente – sta facendo da
apripista alla nascita di un "nuovo mondo".
Lo fa
a forza della sua cruda opposizione al parto.
Più le
élite occidentali spingono contro la nascita – attraverso il "sionismo
salvifico"; "salvare l'Ucraina europea " e schiacciando il
dissenso – accelerano
perversamente il naufragio del Leviatano.
Il
doppio abbraccio d'addio del presidente Xi al presidente Putin dopo il vertice
del 16-17 maggio ha comunque suggellato la nascita – anche il New York Times,
con il consueto autoreferenzialismo, ha definito il caloroso abbraccio di Xi
come "sfida all'Occidente" ".
La
radice dell'imminente dissoluzione deriva proprio dal difetto che il titolo del
NY Times racchiude nella sua sprezzante etichettatura del cambiamento sismico
come vile anti-occidentalismo.
Riflette
la miopia di non voler vedere o sentire ciò che è così chiaramente in bella
vista davanti a noi:
se fosse semplicemente
"anti-Occidente" – nient'altro che la negazione della negazione –
allora la critica avrebbe qualche giustificazione.
Tuttavia,
non è una semplice antitesi.
Piuttosto,
la
dichiarazione congiunta Cina-Russia, composta da quasi 8.000 parole, evoca le leggi
elementari della natura stessa nel delineare l'usurpazione da parte
dell'Occidente dei principi fondamentali dell'umanità, della realtà e
dell'ordine – una critica che fa impazzire l'Occidente collettivo.
“David
Brooks”, l'autore statunitense che ha coniato il termine “BoBos” (Borghesia
Boema, cioè le élite metropolitane) per tracciare l'ascesa del wakeismo, ora afferma che il "liberalismo" (qualunque cosa significa
oggi) "è
malato" e in ritirata. I
l
classico zeitgeist "liberale" poggia su una base di impegni e
obblighi morali che precedono la scelta – i nostri obblighi verso le nostre
famiglie, verso le nostre comunità e nazioni, verso i nostri antenati e
discendenti, verso Dio o verso qualche insieme di verità trascendenti.
Tende
al tiepido e poco stimolante, dice “Brooks”:
"Evita le grandi domande come: perché
siamo qui? Qual è il significato di tutto questo? Coltiva piuttosto le gentili
virtù borghesi come la gentilezza e la decenza, ma non, come “Lefebvre”
ammette, alcune delle virtù più elevate, come il coraggio, la lealtà, la pietà
e l'amore altruistico".
Per
essere chiari, “Brooks”, in un altro articolo, sostiene che ponendo così tanta
enfasi sulla scelta individuale, il liberalismo puro attenua i legami sociali:
In un
ethos puramente liberale, una domanda invisibile si nasconde dietro ogni
relazione: questa persona è buona per me?
Ogni
connessione sociale diventa temporanea e contingente.
Quando
le società diventano liberali fino in fondo, trascurano (come citato da Brooks)
la verità fondamentale di “Victor Frankl” secondo cui "la ricerca di
significato dell'uomo è la motivazione primaria della sua vita".
La
dichiarazione congiunta “Xi-Putin” non è quindi solo un piano di lavoro
dettagliato per un futuro dei “BRICS” (anche se è in realtà un piano di lavoro
molto completo per il vertice BRICS di ottobre).
La
Russia e la Cina hanno piuttosto proposto una visione dinamica di principi
concreti come pilastri per una nuova società nel futuro post-occidentale.
Giocando
direttamente con le fonti primordiali di significato che sono più profonde
delle preferenze individuali – la fede, la famiglia, la terra e la bandiera –
la Russia e la Cina hanno raccolto i pezzi e hanno risollevato il mantello del “Movimento
dei Paesi Non Allineati di Bandung” promuovendo il diritto all'autodeterminazione
nazionale e la fine di sistemi di sfruttamento vecchi di secoli.
Ma
come e perché si può dire che l'Occidente sta accelerando la propria
dissoluzione?
Il New
York Times dà l'indizio del "perché":
la
vecchia ossessione "anglosassone" per una Russia ribelle che
l'Occidente non è mai stato in grado di piegare al proprio volere.
E ora,
Russia e Cina hanno firmato una dichiarazione congiunta in qualche modo simile
all'amicizia "senza limiti" dichiarata nel febbraio 2022, ma che va
oltre.
Ritrae
la loro relazione come
"superiore
alle alleanze politiche e militari dell'era della Guerra Fredda. L'amicizia tra
i due Stati non ha limiti, non ci sono aree di cooperazione
"proibite"...”
In
parole povere, questo viola la regola occidentale di lunga data della
triangolazione:
gli
Stati Uniti devono stare con l'uno, la Russia o la Cina, contro l'altro;
ma non dovrebbe mai essere permesso alla Cina
e alla Russia di unirsi contro gli Stati Uniti! – una dottrina santificata nel
'diritto canonico' occidentale fin dai tempi di Mackinder nel 19 eesimo Secolo.
Eppure,
quel "due contro uno" è esattamente ciò che il “Team Biden” ha
inavvertitamente "fatto".
Che
cos'è, allora, il "come"?
Il
problema con le soluzioni occidentali a qualsiasi problema geopolitico è che
invariabilmente comprende più o meno la stessa cosa.
La
combinazione di questo profondo disprezzo per la Russia – sussunta nella paura
sotterranea della Russia come presunto concorrente geo-strategico – invita
l'Occidente a ricorrere a ripetere lo stesso approccio di triangolazione, senza
la dovuta riflessione sul fatto che le circostanze siano cambiate o meno.
Questo
è il caso qui e ora, il che comporta un rischio "chiaro e presente"
di un'escalation non intenzionale e dannosa:
una
prospettiva che potrebbe levare proprio ciò che l'Occidente teme di più: una
perdita di controllo, che fa precipitare il sistema in caduta libera.
L'errore:
“Ray
McGover”n, un ex briefer presidenziale degli Stati Uniti, ha raccontato come
"Biden
è entrato in carica nel 2021, i suoi consiglieri gli hanno assicurato che
avrebbe potuto giocare sulla paura della Russia (sic) nei confronti della Cina
e creare un cuneo tra di loro.
Questo rappresenta la 'madre di tutti gli
errori' di giudizio, perché determina le circostanze in cui l''Ordine'
occidentale può dissolversi".
"Questa
[presunzione di debolezza russa] è diventata imbarazzante e chiara quando Biden
ha detto a Putin durante il loro vertice di Ginevra...
Permettetemi
di porre una domanda retorica:
"Avete
un confine di migliaia di miglia con la Cina. La Cina sta cercando di essere
l'economia più potente del mondo e il più grande e potente esercito del mondo".
“McGovern”
osserva che questo incontro ha dato a Putin una chiara conferma che Biden e i
suoi consiglieri erano bloccati in una valutazione tristemente obsoleta delle
relazioni Russia-Cina.
Ecco
il modo bizzarro in cui Biden ha descritto il suo approccio a Putin sulla Cina:
All'aeroporto
dopo il vertice, gli assistenti di Biden hanno fatto del loro meglio per
portarlo sull'aereo, ma non sono riusciti a impedirgli di condividere più
"saggezza" " sulla Cina: "La Russia è in una situazione
molto, molto difficile in questo momento Sono schiacciati dalla Cina".
'Sì':
più o meno la stessa cosa! Biden stava cercando, su consiglio dei suoi esperti,
di inserire l'onnipresente "cuneo" occidentale tra la Russia e una
"GRANDE" Cina.
Dopo
queste osservazioni, Putin e Xi hanno trascorso il resto del 2021 cercando di
disilludere Biden dal meme della "stretta cinese":
questo
sforzo reciproco è culminato nel vertice di amicizia "senza limiti"
Xi-Putin di quell'anno.
Se i
consiglieri avrebbero prestato attenzione, tuttavia, avrebbero infilato una
lunga storia di riavvicinamento russo-cinese.
E
invece no, erano ideologicamente congelati nell'idea che i due fossero
destinati ad essere eterni nemici.
Raddoppiando
l'errore. C'è di peggio:
Poi,
in una conversazione telefonica del 30 dicembre 2021, Biden ha assicurato a
Putin che
"Washington non aveva intenzione di schierare armi offensive in
Ucraina".
Tuttavia, il ministro degli Esteri Lavrov ha rivelato
che quando ha incontrato “Blinken” a Ginevra nel gennaio 2022, il segretario di
Stato americano ha fatto finta di non aver sentito parlare dell'impegno di
Biden nei confronti di Putin il 30 dicembre 2021.
Piuttosto,
“Blinken” ha insistito sul fatto che i missili a medio raggio statunitensi
potrebbero essere schierati in Ucraina e che gli Stati Uniti potrebbero essere
disposti a prendere in considerazione la possibilità di limitarne il numero.
Peggiorare
un errore adorabile.
Nell'agosto
2019, quando gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato che vietava i
missili a raggio intermedio in Europa, gli Stati Uniti avevano già schierato
missili in Romania e Polonia (affermando che il loro scopo era apparentemente
"difendersi dall'Iran").
Tuttavia,
i tubi installazioni sono deliberatamente configurati per ospitare missili da
crociera e balistici dotati di testate nucleari.
Ma
ecco il problema: non è possibile determinare quale missile è caricato, poiché
i tubi hanno dei coperchi.
Il
tempo necessario a questi missili per raggiungere Mosca sarebbe di 9 minuti
dalla Polonia e 10 dalla Romania.
Ma se,
come ha minacciato “Blinken”, i missili potrebbero essere installati in
Ucraina, si scenderebbe a soli 7 minuti (e se si trattasse di un missile
ipersonico, che gli Stati Uniti non avrebbero ancora, sarebbero solo 2-3
minuti)
Giusto
per chiarezza, questa (cioè l'Ucraina) è la guerra esistenziale della Russia
che combatterà, costi quel che costi.
Pechino
è pienamente consapevole dell'alta posta in gioco per la Russia (e in ultima
analisi anche per la Cina).
Le
conseguenze dell'affidarsi alle minacce e alle pressioni del tipo "sempre
le stesse tattiche di nuovo".
Il 18
maggio a Mosca, sulla scia dell'ultimo vertice Xi-Putin – come nota “MK
Bhadrakumar” – Lavrov ha previsto un'escalation delle forniture di armi
occidentali all'Ucraina, riflettendo non solo la necessità elettorale di “Biden”
di essere vista "di fronte" alla Russia", ma anche la realtà che
"la fase acuta del confronto politico-militare con l'Occidente"
continua. È in pieno svolgimento.
I
processi di pensiero occidentali, ha detto Lavrov, stanno virando
pericolosamente verso "i contorni della formazione di un'alleanza militare
europea – con una componente nucleare ". “Lavrov “si è lamentato del
fatto che "
hanno fatto una scelta a favore di una resa dei conti sul campo di battaglia:
siamo pronti per questo".
"L'agenda
per infliggere una sconfitta strategica alla Russia, militarmente e in altro
modo, è pura fantasia e sarà risolutamente contrastata".
L'inadeguatezza
militare europea spiega, preferibilmente, l'idea di aggiungere un componente
nucleare.
In
parole povere, con gli Stati Uniti incapaci di uscire o di moderare la loro
determinazione a preservare la loro egemonia, Lavrov vede la prospettiva di un
aumento della fornitura di armi occidentali all'Ucraina.
Il discorso dell'escalation militare è di moda
in Europa (su questo non c'è dubbio); ma sia in Medio Oriente che in Ucraina,
la politica occidentale è in grave difficoltà.
Ci
devono essere dubbi sul fatto che l'Occidente abbia la volontà politica, o
l'unità interna, di questa linea aggressiva.
Le
guerre trascinanti non sono tradizionalmente considerate "favorevoli agli
elettori" quando la campagna elettorale raggiunge il suo apice.
Un
attacco missilistico israeliano
trasforma
il campo profughi
in un
inferno a Rafah
unz.com
- MIKE WHITNEY – (27 MAGGIO 2024) – ci dice:
Domenica,
Israele ha lanciato diversi attacchi missilistici su una "zona
sicura" nel quartiere “Tal al-Sultan” di “Rafah”.
Le
esplosioni, che potevano essere udite a chilometri di distanza, hanno innescato
un enorme incendio che ha attraversato rapidamente l'accampamento,
intrappolando molte persone nelle loro tende, dove sono state bruciate vive.
Le scene raccapriccianti del sito sono apparse quasi
immediatamente su una serie di canali di social media dove milioni di
spettatori sono stati in grado di vedere in prima persona gli effetti
dell'assalto omicida di Israele.
Molti
dei video apparsi su Twitter sono quasi troppo dolorosi da guardare.
In una
clip particolarmente orribile, un uomo barbuto tiene in mano i resti senza
testa di un bambino che è stato fatto a pezzi pochi minuti prima.
Un
altro video mostra genitori e vicini di casa disperati che cercano di estrarre
i corpi carbonizzati dei loro bambini dalle macerie mentre le fiamme tremolano
sullo sfondo.
Un
terzo video mostra sei giovani che trasportano una vittima avvolta in una
trapunta attraverso un fumoso campo di detriti, i resti bombardati di un
edificio residenziale.
Guardare
questi inquietanti video post-apocalissi è allo stesso tempo traumatizzante e
deludente.
Stiamo chiaramente sperimentando un livello di
barbarie omicida mai visto nel dopoguerra.
Tenete
presente che alle vittime dell'attacco israeliano era stato ordinato di
trasferirsi nella loro posizione attuale solo pochi giorni prima.
E –
non appena si furono stabiliti – Israele li annientò senza pietà con bombe da
1.000 libbre.
Come
mai non è un omicidio a sangue freddo?
È un
omicidio. Come ha affermato recentemente l'autore “Norman Finklestein”,
"Israele sta uccidendo persone in un campo di concentramento".
Ha
ragione, non è vero?
E
ancora più scioccante è il fatto che massacrano donne e bambini con un gusto
che rasenta la psicosi clinica.
Ma non
è psicosi; è un ceppo di fanatismo fanatico che non ha eguali nei tempi
moderni.
Tenete
presente che non vi è alcun valore strategico nel far saltare in aria un
accampamento di sfollati
. Non
ha alcuno scopo militare.
Il che ci porta a credere che l'impulso a
queste atrocità sia qualcosa di completamente diverso; qualcosa di molto più
oscuro e sinistro.
Questo è puro sport sanguinario; uccidere per
il gusto di uccidere.
Nessuno
vuole ammetterlo, ma dopo sette mesi di implacabile ferocia non è più possibile
ignorare la pura verità;
Israele
è impegnato nelle forme più estreme di violenza omicida perché ciò rafforza il
loro senso collettivo di superiorità.
È scioccante. Questo è tratto da un articolo
su “Aljazeera “:
Funzionari
di Gaza affermano che il bilancio delle vittime degli attacchi aerei israeliani
su un campo che ospita profughi palestinesi vicino a Rafah, nella parte
meridionale della Striscia, è salito a 45....
Testimoni
hanno detto che almeno otto missili hanno colpito il campo – una zona designata
come sicura – domenica notte intorno alle 20:45 ora locale.
L'agenzia
di stampa “Wafa”, citando la “Mezzaluna Rossa Palestinese” (PRCS), ha affermato
che molti di coloro che sono morti sono stati "bruciati vivi"
all'interno delle loro tende nella zona di “Tal as-Sultan”...
Il
Comitato internazionale della Croce Rossa ha affermato che il suo ospedale da
campo a Rafah sta ricevendo un afflusso di vittime e che anche altri ospedali
stanno accogliendo un gran numero di pazienti.
"
Gli attacchi aerei hanno bruciato le tende, le tende si stanno sciogliendo e
anche i corpi delle persone si stanno sciogliendo", ha detto all'agenzia
di stampa “Reuters” uno dei residenti arrivati all'ospedale kuwaitiano di
Rafah.
Medici
Senza Frontiere ha affermato che "dozzine di feriti" sono stati
portati in una struttura da essa supportata.
"Siamo
inorriditi da questo evento mortale, che dimostra ancora una volta che nessun
posto è sicuro", ha scritto il gruppo sulla piattaforma di social media” X”,
ribadendo la sua richiesta per un cessate il fuoco immediato.
Il bilancio delle vittime dell'attacco
israeliano contro gli sfollati palestinesi a Rafah sale a 45 . “Al Jazeera”.
Tutte
le vittime dell'attacco israeliano sono state costrette a spostarsi numerose
volte nel recente passato.
Il
raduno di enormi gruppi di persone da un luogo all'altro è una forma di
tormento psicologico progettato per intensificare i sentimenti di paura e
insicurezza.
Lo scopo finale di queste operazioni
psicologiche è costringere i palestinesi a fuggire dal paese ogni volta che se
ne presenta l'occasione.
Con le loro case e città ormai distrutte, i
loro cari morti o feriti, il loro accesso al cibo e all'acqua interrotto e la
loro intera civiltà ridotta in macerie, l'aspettativa è che i palestinesi
lascino volontariamente la loro patria permettendo a Israele di controllare
l'intera area, dal fiume al mare, che è stato il piano sionista fin
dall'inizio.
Questo
è tratto da un articolo sul “World Socialist Web Site” :
... lo
storico israeliano di fama mondiale “Ilan Pappé” ha definito il "mito
fondativo" del sionismo:
che la
"Nakba" del 1948, in cui 750.000 palestinesi furono espulsi dalle
loro case, fu un reinsediamento volontario da parte dei palestinesi, non
sollecitato dalle azioni di Forze israeliane.
Il
libro di “Pappé” del 2006, “La pulizia etnica della Palestina”, è una
devastante esposizione di tutte le bugie della storiografia ufficiale
israeliana.
Dimostra
che lo sfollamento e l'uccisione di massa dei palestinesi nel 1948 furono il
risultato di un piano dettagliato e consapevole.
In un
agghiacciante parallelo con gli eventi dei giorni nostri,” Pappé “ha spiegato
che Israele ha mascherato i suoi piani come una risposta agli attacchi di una
milizia araba, osservando:
"La politica sionista era inizialmente
basata sulla ritorsione contro gli attacchi palestinesi nel febbraio 1947, ma
alla fine è si è evoluto in un'iniziativa per la pulizia etnica dell'intero
paese nel marzo 1948".
Ha
aggiunto:
Una
volta presa la decisione, ci sono voluti sei mesi per completare la missione.
Al termine, più della metà della popolazione nativa della Palestina, circa
800.000 persone, era stata sradicata, 531 villaggi erano stati distrutti e
undici quartieri urbani svuotati dei loro abitanti. Il piano deciso il 10 marzo
1948, e soprattutto la sua sistematica attuazione nei mesi successivi,
costituiva un chiaro esempio di operazione di pulizia etnica, considerata oggi
dal diritto internazionale un crimine contro l'umanità. (pag. 14).
Il
genocidio di Gaza segna il culmine di quelli che “Pappé” spiegò fossero gli
obiettivi "fissati
dal movimento sionista molto presto, quando era apparso in Palestina: avere
quanta più Palestina possibile con il minor numero possibile di
palestinesi".
Ogni
giorno, l'attuale politica israelo-americana di genocidio e pulizia etnica
diventa sempre più chiara.
Garantire la riorganizzazione del Medio
Oriente dominata dagli “Stati Uniti” , quello che “Biden” ha definito il
"sogno di generazioni", richiede, infatti, la "fine di
Gaza", cioè la repressione sistematica della resistenza organizzata del
popolo palestinese alla dominazione israeliana .
L'assalto
a Rafah e la pulizia etnica della Palestina, “World Socialist Web Site”.
Le
atrocità che vediamo compiersi giorno dopo giorno a Gaza sono alimentate dal
forte bisogno di controllare ogni centimetro della Palestina storica e di
espellere la sua popolazione nativa per stabilire una maggioranza ebraica
permanente all'interno dei contorni del nuovo Stato ampliato.
Il
massacro di ieri sera dimostra ancora una volta che Israele non si fermerà
davanti a nulla pur di raggiungere il suo obiettivo.
Il “principale
scienziato” del Regno Unito
afferma
che la
"nuova pandemia"
è
"assolutamente inevitabile".
Unz.com
- ANDREW ANGLIN – (26 MAGGIO 2024) – ci dice:
Questo
è esattamente quello che continua a dire, non è vero?
Una
nuova pandemia è inevitabile.
Naturalmente,
quando lo dico, sto parlando di una "pandemia", come il coronavirus,
che era una bufala.
Una
vera e propria pandemia non è nemmeno possibile nell'anno in corso a causa
delle procedure di pulizia:
igiene, sterilizzazione e così via.
Inoltre,
i virus probabilmente non esistono nemmeno, almeno non come vengono dipinti.
Ma c'è
il 100% di possibilità che i governi occidentali facciano un'altra bufala in
cui bloccano tutto e costringono le persone a fare ogni sorta di cose contro la
loro volontà, inclusa una bizzarra iniezione genetica.
Il “guardian)
:
L'ex
capo consigliere scientifico del governo Sir “Patrick Vallance” ha affermato
che un'altra pandemia è "assolutamente inevitabile" e ha esortato il governo britannico
entrante a concentrarsi sulla preparazione, avvertendo che "non siamo
ancora pronti".
Intervenendo
a un evento organizzato all'”Hay Festival a Powys”, “Vallance” ha affermato che
è "fantastico
che stiamo avendo un'elezione" poiché ci sono "chiaramente problemi
che devono essere risolti".
Una
delle cose che il prossimo governo dovrà fare è implementare " una
migliore sorveglianza per poter individuare questi fenomeni", ha
affermato.
Patric
Vallance ha anche ribadito ciò che ha detto ai leader del G7 nel 2021, ovvero
che "dobbiamo
essere molto più veloci, molto più allineati – e ci sono modi per farlo
–nell'ottenere test diagnostici rapidi, vaccini rapidi, trattamenti rapidi, in
modo da non dover ricorrere alle misure estreme che hanno avuto luogo"
durante la pandemia di Covid-19. Le misure che raccomanda sono possibili da
attuare, ritiene Vallance, ma "richiedono un certo coordinamento".
…
Ha
menzionato la spinta dell'”Organizzazione Mondiale della Sanit࣠per l'accordo
sulla pandemia, una proposta di accordo affinché i paesi lavorino insieme per
prepararsi alle pandemie, come uno dei "passi nella giusta direzione"
che si stanno compiendo.
"Ma
non credo che ci sia abbastanza attenzione", ha detto.
Se la questione verrà esclusa dalle agende del G7 e
del G20, "ci troveremo esattamente nella stessa posizione, e spero che
questo sia un risultato importante dell'indagine".
C'è
un'altra cosa nel cedere la totale sovranità degli Stati Uniti all'ONU.
Giusto
per essere sincero con te, non l'ho vissuto.
Leggo
un sacco di cose e studio un sacco di argomenti, ma non sono un esperto di
questo trattato dell'OMS.
Quasi
non ho bisogno di studiarlo, perché appena ne senti parlare è molto ovvio di
cosa si tratta.
Ma non
ho intenzione di mentire e affermare di aver impiegato del tempo per capire
tutte le implicazioni.
Ho
sentito un paio di podcast a riguardo.
Queste
persone sono pazzi, tuttavia.
Tutto
ciò che l'ONU fa è parte dell'agenda globalista per distruggere la sovranità
nazionale e creare un governo mondiale centralizzato gestito da ebrei.
L'ONU
non è una vera e propria organizzazione. Si tratta di un braccio del governo
degli Stati Uniti progettato per dare l'apparenza dell'indipendenza.
La
faccenda dell'accordo sulla pandemia è proprio come l'assurdità del
riscaldamento globale:
un piano per stabilire un sistema di governo
globale tecnocratico.
Tutto
proviene dal “World Economic Forum”.
Recentemente
ho visto alcune persone affermare che l'intera agenda del WEF è una sorta di
teoria della cospirazione del boom.
Questo
è solo puro idiotismo.
Il fatto che i boomer parlino del WEF non
significa che non sia importante.
Probabilmente
sono d'accordo sul fatto che diverse persone nella sfera dei media di destra
parlino del WEF come un modo per evitare di parlare degli ebrei, perché nei
media di destra c'è questo problema in cui i personaggi dei media parlano
costantemente di "loro" senza dire chi sono.
Quindi è facile dire che "loro" sono
"le élite di Davos".
Ma chi
sono le élite di Davos?
Puoi
controllare le persone che gestiscono il Forum, poi puoi controllare gli
elenchi dei partecipanti, e scoprirai che gli ebrei sono sovrarappresentati rispetto
alla loro popolazione di un fattore probabilmente di 100.000.
Ho
sempre avuto intenzione di consultare la loro pagina "leadership e
governance" e vedere quale percentuale è ebraica, ma se la dai
un'occhiata, vedrai che si tratta di un gruppo ebraico.
La
persona più influente nell'organizzazione è “Larry Fink “(BlackRock), il
secondo più influente è “Marc Benioff” (Salesforce), poi c'è “Christine Lagarde”
(FMI, Banca Centrale Europea) e così via.
I non ebrei provengono tutti da paesi occupati
dagli ebrei e la maggior parte di loro ha coniugi ebrei.
Dovrebbe
essere un'organizzazione che rappresenta "il mondo", ma il paese più
ricco con la popolazione più numerosa – la Cina – ha zero membri in posizioni
di leadership.
Seriamente.
Vai a
controllare.
Vedrai
un nome cinese e poi lo cercherai e scoprirai che la persona è di Taiwan,
Singapore o Hong Kong (e non ce ne sono nemmeno molti).
E,
naturalmente, non ci sono russi.
I
musulmani (un'altra massiccia popolazione) provengono tutti da stati arabi
allineati con gli ebrei.
Il WEF
è un'organizzazione estremamente importante che si sta occupando della
pianificazione di tutte queste agende delle Nazioni Unite relative alle “bufale”
sulla pandemia, sulle “bufale” meteorologiche e su varie altre “truffe
governative globali”.
Questo è vero.
È
anche vero che si tratta di un'organizzazione ebraica.
Virus,
condizioni atmosferiche, guerre:
queste
sono tutte truffe per creare un governo ebraico globale.
Il sito
web del WEF contiene dichiarazioni ufficiali a sostegno dell'Ucraina, di
Israele e di Taiwan, oltre a condannare l'attività cinese nel Mar Cinese
Meridionale (e condannare la Cina anche per un sacco di altre cose).
Pravda
americana:
La
vera origine degli ebrei come
Cazari,
Israeliti o Cananei.
Unz.com
- RON UNZ – (27 MAGGIO 2024) – ci dice:
Il
Prof. “John Beaty “sugli Ebrei come Cazari.
Nel
corso dell'ultima mezza dozzina di anni ho citato regolarmente il lavoro di “John
Beaty”, un rispettato accademico che ha trascorso tutta la sua carriera di
insegnante alla “Southern Methodist University” di Dallas, in Texas.
Durante
la seconda guerra mondiale, il Prof. Beaty prestò servizio nell'intelligence
militare e le sue responsabilità includevano la produzione dei rapporti
giornalieri di intelligence distribuiti alla Casa Bianca e al resto della
nostra leadership politica e militare. Questa posizione gli fornisce una
prospettiva unica sull'intero corso del conflitto.
Dopo
la fine della guerra, riprese la carriera accademica e nel 1951 pubblicò.
Poiché
Beaty era uno studioso rispettabile che possedeva una conoscenza cruciale delle
nostre attività in tempo di guerra, i suoi numerosi critici feroci, sia allora
che oggi, hanno sempre scelto di attaccare la sua credibilità su una questione
secondaria minore.
Nel
suo libro, aveva ripetutamente affermato che invece di essere discendenti degli
antichi israeliti, la maggior parte degli ebrei europei in realtà faceva
risalire i propri antenati ai Cazari , una feroce tribù guerriera turco-mongola
che per diversi secoli controllò un consistente impero in porzioni dell'attuale
giorno Russia meridionale e Ucraina.
I loro
governanti si erano convertiti al giudaismo nell'VIII secolo d.C. e, secondo
Beaty, i Cazari alla fine divennero gli antenati degli ebrei ashkenaziti
dell'Europa orientale, che costituivano la maggior parte della popolazione
ebraica globale, inclusa la stragrande maggioranza degli ebrei americani.
Il
libro di Beaty divenne un enorme best-seller conservatore durante gli anni '50,
e le sue affermazioni sui Cazari furono riprese da molti altri esponenti della
destra ostili all'influenza ebraica.
Ciò
era particolarmente vero per i principali predicatori cristiani antisemiti di
quell'epoca come “Gerald LK Smith” e “Gerald Winrod” , forse perché preferivano
credere che i loro avversari ebrei fossero in realtà i discendenti delle tribù
turche dell'Asia centrale piuttosto che i santi profeti dell'Antico Testamento;
e poiché Beaty stesso era un devoto cristiano, potrebbe essere stato
influenzato da fattori simili.
Negli
ultimi anni, anche molti antisionisti di ogni orientamento ideologico hanno
fatto propria la stessa teoria, sostenendo che gli ebrei europei che si
stabilirono in Palestina erano in realtà “Khazari” e quindi non avevano alcun
diritto legittimo su quella terra.
In
effetti, tra gli attivisti antiebraici o antisionisti su Internet,
"Khazar" è diventato abbastanza comune come sinonimo denigratorio di
"ebreo".
Gli
attuali sforzi per promuovere questa ipotesi Khazara possono avere una
dimensione politica pratica. Al giorno d'oggi una parte importante del sostegno
americano a Israele si basa sul grande corpo dei sionisti cristiani, che
identificano gli ebrei di oggi con gli israeliti dell'Antico Testamento. Tali
cristiani sostenevano con forza il ritorno di questi ebrei esiliati nella loro
antica patria e la restaurazione di uno stato ebraico in Palestina dopo duemila
anni, considerando questi eventi come l'adempimento delle profezie bibliche
necessarie per il ritorno di Cristo. Quindi, se si convincessero che gli ebrei
sono invece Khazari dell'Asia centrale, il loro sostegno potrebbe diminuire.
Dato
che le convinzioni di Beaty sui Cazari sembravano irrilevanti per il resto del
suo libro, per lo più le avevo ignorate. Ma sebbene tali teorie Khazar siano
raramente discusse nelle sedi principali, sono diventate così diffuse nei
circoli marginali e cospiratori che alcuni mesi fa ho finalmente deciso di
rivedere le prove e pubblicare le mie scoperte. Tuttavia, la mia lunga analisi
delle origini ebraiche è stata sepolta nel mezzo di un articolo molto lungo ,
circondato su entrambi i lati da questioni completamente indipendenti.
Pertanto, ora ho deciso di estrarre quel materiale ed espanderlo in una
trattazione molto più mirata e completa di questo importante argomento.
Avevo
aperto la mia analisi menzionando le affermazioni di Beaty e gli attacchi
contro di lui:
Sebbene
fossi vagamente a conoscenza dell'ipotesi cazara delle origini ebraiche, la
consideravo semplicemente una teoria accademica piuttosto marginale, finalmente
messa a tacere negli ultimi due decenni dalla moderna analisi del DNA. Ma Beaty
scriveva più di settant'anni fa, e citava il sostegno accademico apparentemente
credibile per le sue affermazioni, tra cui in particolare l' Enciclopedia
ebraica universale e la magistrale Storia degli ebrei in sei volumi ,
pubblicata nel diciannovesimo secolo da Heinrich Graetz. Il libro di Beaty era
apparso diversi anni prima che Watson e Crick scoprissero il DNA, quindi la sua
teoria sembrava un'innocua eccentricità, che difficilmente danneggiava la sua
credibilità sulle principali questioni che rientravano nell'ambito della sua
competenza personale.
La
stragrande maggioranza del materiale di Beaty era sembrava molto solidamente
argomentato, quindi le sue eccentriche affermazioni sui Khazari erano
naturalmente viste come la sua più grande debolezza, la questione su cui i suoi
aspri critici si sono concentrati per più di settant'anni al fine di screditare
il resto della sua analisi. Pertanto, ho deciso di prendermi un po' di tempo
per esplorare l'ipotesi cazara e la più ampia questione delle origini ebraiche,
in parte per valutare la credibilità di Beaty.
Arthur
Koestler e la tredicesima tribù.
Quando
Beaty pubblicò il suo libro nel 1951, la storia dei Khazari era probabilmente
sconosciuta a quasi tutti gli americani, ma una generazione dopo un altro libro
di uno scrittore molto diverso la portò improvvisamente all'attenzione del
pubblico, almeno nei circoli intellettuali.
Arthur
Koestler era un ebreo ungherese, uno dei primi sionisti ed ex comunista che in
seguito si rivoltò fortemente contro Stalin e presto divenne un importante
scrittore della Guerra Fredda. Era conosciuto soprattutto per Buio a
mezzogiorno , un resoconto vagamente romanzato dei processi di epurazione
stalinista degli anni '30 che mi aveva profondamente colpito quando avevo letto
il romanzo al liceo. Poi, nel 1976, ha pubblicato “The Thirteenth Tribe” , un
libro ampiamente discusso che promuove l'ipotesi Khazar sulle origini
dell'ebraismo europeo, e recentemente l'ho riletto per la prima volta dagli
anni '90.
Non
sono rimasto particolarmente colpito. A parte la storia della conversione dei
loro governanti al giudaismo, apparentemente esistono pochissime prove concrete
riguardo al grande impero cazaro, solo riferimenti sparsi nelle storie e nella
corrispondenza dei loro vicini e rivali bizantini, russi e islamici, quindi
sebbene il breve libro di Koestler Aveva solo un paio di centinaia di pagine,
in realtà sembrava pesantemente imbottito, riassumendo sostanzialmente le
storie molto meglio documentate delle altre potenze regionali per riempire le
sue pagine.
Koestler
era un intellettuale letterario piuttosto che uno storico o un antropologo
esperto, e gli sforzi che fece a favore della sua controversa teoria a volte mi
sembrarono piuttosto forzati. Tutti gli analisti concordano sul fatto che gli
ebrei dell'Europa orientale sono i discendenti di migranti ebrei dalla zona
renana della Germania oppure si sono convertiti ai turchi cazari. Ma questi
ebrei si chiamano "Askenazim" – che significa "tedesco" – e
parlano yiddish, un dialetto tedesco, che non contiene quasi parole turche.
Sebbene queste prove non stabiliscano in modo definitivo il caso della Renania,
tendono ovviamente a sostenerlo. Koestler cerca piuttosto debolmente di
spiegare questi semplici fatti sostenendo che gli ebrei cazari furono così
colpiti dall'alta cultura dei coloni tedeschi gentili che incontrarono che
adottarono la lingua di questi ultimi, il che è possibile ma non molto
plausibile.
Inoltre,
cominciamo a incontrare riferimenti alla presenza consistente di ebrei
dell'Europa orientale solo centinaia di anni dopo il crollo dell'Impero Cazaro,
quindi qualsiasi collegamento tra le due popolazioni sembra piuttosto tenue.
Mi
sono anche chiesto se la difesa di Koestler potesse essere in parte basata su
un motivo personale. Prima della conquista delle loro terre attuali, i membri
della tribù magiara che fondarono l'Ungheria avevano trascorso secoli come
vassalli dei Cazari, e quando finalmente si liberarono durante il IX secolo e
migrarono nell'Europa centrale, un piccolo segmento dei loro ex signori Cazari
venne con loro. Quindi, se Koestler avesse stabilito con successo la sua
teoria, sarebbe stato in grado di far risalire la propria discendenza ebraica
agli ex governanti dei gentili ungheresi del suo paese, fornendo una piacevole
spinta psicologica all'autostima di qualcuno cresciuto nel patchwork etnico
della mittel europa.
L'argomento
principale a favore dell'ipotesi cazara era stata la questione dei numeri.
L'Impero Cazaro era relativamente grande e popoloso, ei sostenitori tendevano a
sostenere che la maggior parte degli abitanti alla fine seguì i loro governanti
nel convertirsi all'ebraismo, diventando così una fonte molto più plausibile
dei milioni di ebrei dell'Europa centrale e orientale rispetto agli ebrei
immigrati dalla Renania, che probabilmente erano solo poche migliaia. Ma questo
ignora la realtà che le popolazioni che trovano una nicchia economica di
successo possono crescere molto rapidamente nel tempo.
Ad
esempio, il massimo leader sionista Chaim Weizmann aveva dieci fratelli nella
sua famiglia russa, e tassi di fertilità altrettanto elevati avevano aiutato la
popolazione ebraica russa a crescere da circa mezzo milione intorno al 1800 a
una cifra dieci volte maggiore un secolo dopo. Quindi, se sappiamo che gli
ebrei russi sono aumentati di dieci volte nel corso di un solo secolo, è
perfettamente possibile che alcune migliaia di ebrei tedeschi si siano
moltiplicati per cento nel corso di sei o settecento anni. Facendo un diverso
esempio storico, i molti milioni di franco-canadesi e cajun della Louisiana di
oggi sono tutti discendenti di appena un paio di migliaia di coloni francesi
che arrivarono nel Nuovo Mondo tre o quattrocento anni fa, mentre molte decine
di milioni di americani tracciano la maggior parte dei loro antenati risalgono
a poche migliaia di coloni britannici che erano arrivati nel continente più o
meno nello stesso periodo.
Inoltre,
le attività economiche molto particolari degli ebrei ashkenaziti sono un altro
fattore stranamente ignorato sia da Koestler che dai suoi critici. Gli ebrei
della Renania occupavano in stragrande maggioranza una nicchia imprenditoriale
minoritaria, essendo prestatori di denaro e commercianti tra la popolazione
gentile che li ospitava, e insieme alla gestione immobiliare e alla vendita di
alcolici, questo era lo stesso tipo di profilo professionale riempito dalle
popolazioni ashkenazite molto più tarde e più numerose di Europa centrale e
Ucraina. In netto contrasto, i Cazari erano feroci guerrieri tribali dell'Asia
centrale, e la loro improvvisa trasformazione in una minoranza di intermediari
che si guadagnava da vivere con gli affari e la finanza sembra molto meno
probabile.
Il
prof. Shlomo Sand e l'invenzione del popolo ebraico.
Il
libro di Koestler suscitò notevoli discussioni quando fu pubblicato quasi due
generazioni fa, ma molti dei revisori erano scettici o addirittura sprezzanti,
quindi non sono sicuro se abbia avuto un grande impatto a lungo termine sul
dibattito. In effetti, alcuni degli aspri critici di Koestler suggerirono
addirittura che lo avesse scritto semplicemente nella speranza che un'opera
così controversa potesse ravvivare il suo profilo pubblico che era in gran
parte svanito da quando i suoi primi scritti degli anni Quaranta avevano
originariamente stabilito il suo nome.
Molto
più recente e più influente nei circoli mainstream è stato il bestseller
internazionale ampiamente apprezzato
Forse
perché ora ero molto più concentrato sul tema delle origini ebraiche, la mia
reazione al lavoro di Sand fu molto più positiva rispetto alla prima volta.
Ad
esempio, mentre Koestler aveva distribuito le scarsissime prove storiche dei
Cazari in un intero libro, presentando il suo materiale in un modo piuttosto
tendenzioso e credulone, uno storico professionista come Sand era molto più
giudizioso, trattandolo con notevole cautela in 40 pagine. di testo, gran parte
del quale riassumeva attentamente le opinioni contrastanti di molti dei
principali storici ebrei degli ultimi due secoli.
Come
ha spiegato Sand, gli studiosi ebrei tradizionali che credevano nelle origini
cazare degli ebrei europei erano sempre stati una minoranza decisa, ma una
minoranza allo stesso tempo sostanziale e altamente considerata. Durante gli
anni '50, il Prof. John Beaty era stato arrostito e diffamato nel nostro paese
per il suo sostegno all'ipotesi Khazar, che veniva descritta come una
convinzione folle, probabilmente motivata dal suo odio per gli ebrei; ma
durante quello stesso periodo, il ministro dell'Istruzione israeliano era un
eminente studioso ebreo che sosteneva convinzioni molto simili.
Sebbene
Sand sembri accettare che una frazione considerevole degli ebrei dell'Europa
orientale abbia probabilmente radici cazare, difficilmente considera il caso
come solidamente dimostrato, né è centrale per la sua analisi complessiva, che
si è invece concentrata su un'ampia varietà di diverse conversioni al
giudaismo. negli ultimi duemila anni e più.
Alcune
delle conversioni sottolineate da Sand sembrano assolutamente innegabili, anche
se precedentemente sconosciute a un non specialista come me. Ad esempio,
intorno al 125 a.C., il re Yohanan Hyrcanus della dinastia dei Maccabei
conquistò il piccolo stato semitico vicino di Edom e convertì con la forza i
suoi abitanti al giudaismo. Questa storia fu spesso imbarazzante e
sottovalutata da molti storici ebrei moderni, soprattutto perché alcuni dei più
importanti successivi leader della Giudea come il re Erode il Grande, vari
importanti rabbini e persino gli zeloti più estremisti coinvolti nella Grande
Rivolta contro Roma erano principalmente di discendenza di convertiti edomiti.
Numerose
altre apparenti conversioni su larga scala all'ebraismo ebbero luogo, ma su
base volontaria. Sand fornisce lo sfondo del successivo regno ebraico dello
Yemen che sopravvisse per più di un secolo, così come le comunità ebraiche
molto grandi e fiorenti di Alessandria e del Nord Africa nell'era della tarda
Repubblica Romana, mentre Cicerone aveva notoriamente osservato nel 59 aC il
numero considerevole di ebrei che vivevano a Roma stessa. L'ebraismo era una
religione di proselitismo durante questo periodo, e questo fatto fu quasi
certamente responsabile della rapida comparsa di queste grandi popolazioni
ebraiche attraverso le rive del Mediterraneo piuttosto che di una massiccia
emigrazione di contadini ebrei dalla Palestina o di un aumento naturale della
popolazione non plausibilmente rapido nelle piccole comunità ebraiche
immigrate.
Infatti,
nonostante la considerevole perdita di vite umane durante le rivolte contro il
dominio romano, nel secolo successivo il numero degli ebrei raggiunse il
livello massimo nel mondo antico, forse il 7-8% dell'intera popolazione
dell'Impero Romano, pari a molti milioni. Sand sostiene plausibilmente che la
rapida espansione del giudaismo attraverso la conversione fosse probabilmente
iniziata con le conquiste di Alessandro e la creazione dei grandi regni
ellenistici che sostituirono l'impero persiano, e questo processo si era poi
accelerato con l'ascesa di Roma. Tutto ciò supporta la tesi centrale di Sand
secondo cui al tempo del tardo Impero Romano solo una frazione piuttosto
piccola della sua numerosa popolazione ebraica poteva effettivamente far risalire
le proprie radici agli Israeliti della Bibbia.
Molti degli altri fatti raccontati da Sands
sembrano essersi saldamente affermati nella cultura moderna tradizionale, ma
sono rimasti sconosciuti a un laico ignorante come me.
Ad
esempio, nel mezzo secolo trascorso dalle conquiste israeliane della guerra del
1967, ondate di determinati archeologi e storici israeliani hanno fatto ogni
sforzo per scoprire prove del ricco e potente stato ebraico di re Davide e re
Salomone, ma non hanno trovato quasi nulla a livello mondiale. Tutto. Ciò
suggerisce che la storia del loro potente regno fosse del tutto immaginaria o
così selvaggiamente esagerata da equivalere alla stessa cosa, con quelle famose
figure bibliche che in realtà regnavano su un minuscolo e povero pezzo di
territorio, così poco importante e oscuro da essere totalmente ignorato. nelle
cronache dei maggiori stati del Medio Oriente e anche da Erodoto quando qualche
secolo dopo compilò la sua corposa storia regionale.
Si
consideri anche la convinzione che gli ebrei furono espulsi dalla loro patria
in seguito al fallimento delle loro ripetute rivolte contro i romani nel I e II
secolo d.C. Questa storia dell'esilio ebraico è probabilmente quasi
universalmente accettata sia dagli ebrei che dai gentili, costituendo un
pilastro ideologico centrale per la "restaurazione" di una patria
ebraica nello Stato di Israele nel 1948 e il raduno di ebrei da tutto il mondo
che presto seguì. . Tuttavia, non ha assolutamente alcuna base fattuale ed è
accettato da pochi studiosi rispettabili, se non nessuno. Anche se i romani
vittoriosi avrebbero certamente potuto esiliare un sottile strato delle élite
ebraiche sconfitte come punizione, non avevano una politica di deportazione di
intere popolazioni, quindi i comuni giudei sopravvissuti alla loro sconfitta
rimasero sicuramente esattamente dov'erano, subendo semplicemente una perdita
di indipendenza politica. .
Come
ha sostenuto in modo convincente Sand, nel corso dei secoli molti di quegli
ebrei alla fine si sono convertiti al cristianesimo e poi all'Islam in seguito
alla conquista musulmana, e sono gli antenati dei palestinesi di oggi,
lievitati da una mescolanza di tutti i vari gruppi conquistatori degli ultimi
duemila anni. , inclusi arabi, crociati e turchi. Pertanto, i discendenti
diretti degli antichi Giudei vivevano ininterrottamente nella loro patria prima
della creazione dello Stato di Israele nel 1948. La tremenda ironia storica è
che gli attuali palestinesi – che ora subiscono orribili massacri a Gaza – sono
quasi certamente i discendenti diretti più vicini di la Bibbia Israelita fu
evidenziata da Sand ed era stata sottolineata in modo simile da Beaty nel suo
libro del 1951.
Sebbene
questo punto di vista possa sembrare scioccante per la stragrande maggioranza
sia dei gentili che degli ebrei, inclusa certamente la maggior parte degli
israeliani di oggi, Sand e Beaty non furono certo i soli a giungere a questa
conclusione. fu il padre fondatore di Israele e il primo primo ministro, mentre
divenne il secondo presidente del paese dopo la morte di Chaim Weizmann, e nel
1918, come giovani leader sionisti, erano stati coautori di , il libro sionista
più importante di quell'epoca, pubblicato con grande successo sia in ebraico
che in yiddish. In quell'opera riassumevano le forti prove storiche che i
palestinesi locali erano ovviamente solo ebrei convertiti da molto tempo,
esprimendo la speranza che sarebbero stati quindi assorbiti nel crescente
movimento sionista e sarebbero diventati parte integrante del loro pianificato
Stato di Israele; Ben-Zvi pubblicò un opuscolo successivo nel 1929 in cui
sosteneva gli stessi punti. Fu solo dopo che i palestinesi divennero sempre più
ostili alla colonizzazione sionista e iniziarono a scontrarsi violentemente con
i coloni europei che l'ascendenza giudea dei palestinesi fu gettata nel buco
della memoria e dimenticata.
Così,
nonostante una lunga serie di conquiste militari e di signori stranieri, gli
Israeliti dell'Antico Testamento erano rimasti al loro posto per oltre duemila
anni, arando ogni anno i loro campi fino a quando non furono brutalmente
sradicati ed espulsi dalla loro antica patria dai militanti sionisti nel 1948,
una storia che avevo raccontato in un lungo articolo il mese scorso.
I
diversi elementi della ricostruzione di Sand si incastrano perfettamente. La
Palestina non è mai stata una terra molto popolosa e i suoi abitanti erano
costituiti in maggioranza da contadini. Una volta riconosciuto che erano
rimasti al loro posto dopo il fallimento delle loro ripetute rivolte contro il
dominio romano, le grandi popolazioni ebraiche che in seguito troveremo sparse
lungo le rive del bacino del Mediterraneo diventano spiegabili solo come
risultato di conversioni religiose su larga scala. Un tale sviluppo non
sorprendeva affatto, dato il declino del paganesimo tradizionale e la nascita
di vari nuovi culti durante quegli stessi secoli del tardo Impero Romano.
Pertanto, sembra innegabile che la stragrande maggioranza degli ebrei di
quell'epoca avesse pochi o nessun ascendente giudeo.
Sand
sembra uno studioso di grande reputazione e il suo best-seller internazionale è
stato trattato con molto rispetto o addirittura elogiato entusiasticamente da
un lungo elenco di organi di stampa e revisori mainstream, compresi quelli
israeliani. Ma la sua specialità accademica era la storia francese piuttosto
che il mondo classico, e molte delle sue affermazioni sulla dimensione e sullo
status degli ebrei nell'impero romano mi sembravano così sorprendenti che
decisi di valutarle leggendo Gli ebrei nel mondo romano . Pubblicato nel 1973
da Michael Grant, un eminente storico antico britannico.
Anche
se l'enfasi di Grant era molto diversa, il suo racconto sembrava generalmente
coerente con quello di Sand. I dati sulla popolazione dell'epoca classica hanno
una notevole incertezza, ma Grant sembrava accettare la numerosa popolazione
ebraica sparsa in tutto l'impero di Roma, che secondo lui avrebbe potuto
raggiungere una cifra fino a otto milioni, forse rappresentando fino al 20% del
totale nelle province orientali di lingua greca. Anche le prove diffuse delle
conversioni ebraiche sono state ampiamente documentate, anche se, a differenza
di Sand, Grant credeva che la seconda moglie dell'imperatore Nerone fosse
semplicemente simpatizzante dell'ebraismo piuttosto che una vera e propria
convertita ebrea.
Alcune
delle recensioni che ho letto sembravano anche confermare le importanti
scoperte di Sand. Un lungo articolo sul suo libro era apparso sulla prima
pagina di una delle sezioni del New York Times, e il giornalista aveva
contattato vari esperti mainstream, che confermarono molte delle sorprendenti
affermazioni dell'autore: l'espulsione degli ebrei dalla Palestina era solo un
mito, gli ebrei moderni erano sostanzialmente i discendenti di convertiti
successivi.
E i
palestinesi di oggi erano probabilmente i discendenti diretti degli antichi
giudei. Fui anche lieto di scoprire che l'autore del Times si era concentrato
su molti degli stessi punti sorprendenti che avevo tratto dalla rilettura del
testo. Un'esauriente pagina di Wikipedia fornisce un riassunto imparziale del
libro di Sand, compresi gli elogi che ha attirato da parte di tanti importanti intellettuali
ebrei.
Sebbene
Sand abbia naturalmente attirato aspre critiche soprattutto da parte dei
sionisti, ho notato che molti degli attacchi più aspri contro il suo lavoro si
concentravano sul suo sostegno all'ipotesi Khazar, sebbene costituisse solo una
piccola parte del suo libro e lui fosse cauto nelle sue affermazioni. Ciò
rispecchiava da vicino la strategia impiegata contro Beaty più di mezzo secolo
prima.
In
realtà sospetto che la viscerale reazione ebraica all'ipotesi Khazar promossa
da Beaty, Koestler e Sand possa in parte essere dovuta a una sfortunata
coincidenza. Nella cultura ebraica, i maiali sono considerati animali
disgustosi e impuri e sia in ebraico che in yiddish la parola per maiale è
"Chazar", pronunciato " KHA-zer". Poiché la maggior parte
degli ebrei probabilmente non ha mai sentito parlare dei Cazari, potrebbero
aver naturalmente supposto che il nome avesse la stessa pronuncia e fosse in
qualche modo correlato ai maiali. Quindi, se avessero scoperto che vari
accademici sostenevano che gli ebrei facevano risalire i loro antenati a una
sorta di "popolo-maiale", la loro risposta molto ostile non sarebbe
stata sorprendente.
Le
prove genetiche decisive.
Per
secoli, quasi tutto ciò che abbiamo saputo sul mondo antico si è basato su
prove letterarie ed epigrafiche, ma nell'ultima generazione l'analisi del DNA e
la genetica delle popolazioni hanno iniziato a fornire ulteriori fonti di
informazione, potenzialmente molto più obiettive dal punto di vista
scientifico. E la natura e le origini dell'ebraismo mondiale sono un obiettivo
importante di questa ricerca recentemente migliorata.
Sand è
uno storico, fortemente impegnato nelle sue convinzioni antirazziste e un
individuo con profonde radici comuniste. Quando ho letto per la prima volta il
suo libro una decina di anni fa, sono rimasto sorpreso dal fatto che sembrava
ignorare quasi completamente alcune delle rivelazioni sulle origini ebraiche
prodotte da studi genetici che erano stati recentemente nelle notizie e quindi
sono stato piuttosto sprezzante del suo lavoro quando l'ho brevemente
menzionato in un articolo del 2016:
Ad
esempio, il best-seller internazionale di Shlomo Sand, L'invenzione del popolo
ebraico, è stato ampiamente elogiato nei circoli liberali di sinistra e
antisionisti e ha attirato una notevole attenzione nei media mainstream. Ma
anche se ho trovato molte parti della storia estremamente interessanti,
l'affermazione centrale sembrava errata. Per quanto ne so, sembrano esserci
prove genetiche schiaccianti che gli ebrei ashkenaziti europei facciano
effettivamente risalire gran parte dei loro antenati alla Terra Santa, essendo
apparentemente i discendenti di poche centinaia (presumibilmente ebrei)
mediorientali, per lo più maschi, che si stabilirono nell'Europa meridionale
qualche tempo dopo la caduta di Roma e presero mogli locali dell'Italia
settentrionale, rimanendo poi in gran parte endogame per i successivi mille
anni di crescente presenza nell'Europa centrale e orientale. Tuttavia, essendo
uno storico piuttosto che un ricercatore genetico, il Prof. Sand era
apparentemente inconsapevole di queste prove concrete e si concentrò su
indicatori letterari e culturali molto più deboli, forse anche influenzato
dalle sue stesse predilezioni ideologiche.
Dato
il fascino del pubblico ebraico per le loro origini ancestrali e il fatto che
così tanti giornalisti e ricercatori genetici sono essi stessi ebrei, non
sorprende che le implicazioni dell'analisi del DNA ebraico siano state così
ampiamente trattate dai media. Ma quando uno di questi genetisti ebraici rivelò
nel 2010 che popolazioni di ebrei ampiamente separate sembravano molto più
strettamente imparentate tra loro di quanto non lo fossero con qualsiasi
popolazione locale ospitante tra le quali avevano vissuto per molti secoli,
Sand scandalosamente disse a Science Magazine che " Hitler ne sarebbe
stato certamente molto contento", offendendo profondamente lo scienziato.
Reazioni ideologiche accese come queste furono tra le ragioni per cui avevo
respinto il libro di Sand quando l'avevo letto un anno o due dopo.
Ma
dopo aver riletto Sand, ho in qualche modo temperato la mia valutazione
fortemente negativa. L'autore ha dedicato alcune pagine alla discussione delle
prove genetiche, fornendo vari esempi per sostenere che esse erano state spesso
distorte dalle predisposizioni ideologiche dei ricercatori, mentre i media
tendevano a promuovere quegli studi che sostenevano il quadro sionista e
ignoravano quelli che lo contestavano. Quindi, sebbene l'autore concordasse sul
fatto che l'analisi genetica avesse "un brillante futuro", credeva
che fosse ancora "una scienza relativamente giovane" le cui scoperte
attuali dovrebbero essere trattate con notevole cautela. Anche se trovavo
ancora poco convincenti le argomentazioni di Sand, la sua posizione non era così
antiscientifica come la ricordavo.
Per
ironia della sorte, come aveva notato uno dei revisori ostili del suo libro,
molti aspetti del quadro genetico oggi ampiamente accettato sembrano rafforzare
fortemente le conclusioni generali di Sand. La stragrande maggioranza degli
ebrei del mondo sono ashkenaziti europei, e la maggior parte delle analisi del
DNA ha concluso che sono in stragrande maggioranza i discendenti di una piccola
popolazione fondatrice di più di mille anni fa, i cui maschi erano
apparentemente ebrei mediorientali ma con un'ampia maggioranza di origine
ebraica. le femmine sono gentili dell'Italia settentrionale o tedesche. Questa
conclusione supporta quindi effettivamente l'affermazione di Sand secondo cui
gli ebrei moderni avevano antenati convertiti molto numerosi, sebbene il loro
albero genealogico sia diverso da quello da lui suggerito. Nel frattempo,
quegli stessi studi hanno rivelato al massimo un piccolo frammento di
ascendenza turca, sembrando escludere l'ipotesi Khazar di cui Sand aveva
discusso a lungo.
Per
decenni, il giornalista Jon Entine si è concentrato fortemente su questo tipo
di questioni, con il suo sito web Genetic Literary Project dedicato a
quell'argomento. Diversi anni fa ho letto il suo libro del 2007 Abraham's
Children , che discuteva della particolare genetica della popolazione ebraica,
e sebbene i ricercatori del DNA abbiano ovviamente fatto passi da gigante
durante i successivi sedici anni, ho deciso di rileggerlo.
Sebbene
l'obiettivo principale del libro di Entine fosse l'evidenza genetica delle
origini ebraiche, egli dedicò anche parte di un capitolo a sfidare fortemente
l'ipotesi cazara su basi storiche generali, e trovare le sue argomentazioni
piuttosto persuasive. Anche se certamente riconosce che i convertiti Khazari
possono aver contribuito all'ascendenza degli ebrei askhenaziti - trova anche
alcune prove genetiche sparse a sostegno di questa possibilità - quel
contributo sembra essere stato piuttosto piccolo, con la stragrande maggioranza
della linea ebraica maschile che ha le sue origini nell'antico Medio Oriente. E
dopo la formazione della popolazione ashkenazita, la successiva mescolanza
degli ebrei dell'Europa orientale con gli schiavi ei baltici tra i quali
vissero per secoli fu assolutamente trascurabile, con solo lo 0,5% delle donne
ebree in ogni generazione che ebbero figli con i gentili.
Tuttavia,
rileggendo il racconto di Entine, ho notato alcuni elementi che sembravano
supportare le argomentazioni cautelative che Sand avrebbe sottolineato nel suo
libro pubblicato l'anno successivo. Secondo Entine, il sostegno finanziario
cruciale per la ricerca genetica innovativa era venuto da un ricco magnate
ebreo in Gran Bretagna, che aveva una forte attenzione personale agli antenati
ebrei e quindi finanziò un progetto che sembrava dimostrare che tutti i membri
attuali della casta sacerdotale ebraica - i Cohanim - erano apparentemente
discendenti maschi diretti del sommo sacerdote Aronne dell'Antico Testamento.
Inoltre, lo scienziato capo di questo sforzo era un ricercatore ebreo
ferventemente devoto che fece risalire i suoi antenati personali esattamente a
quella linea sacra. Anche se non c'era nulla che suggerisse che queste forti
convinzioni ideologiche avessero distorto le loro scoperte scientifiche, lo
scetticismo di qualcuno come Sand non è affatto irragionevole. E in effetti un
libro pubblicato diversi anni dopo da un importante ricercatore genetico, anche
lui ebreo, sembrò sfatare completamente quell'eccitante ipotesi biblica, che
aveva fatto notizia a livello mondiale quando era stata annunciata.
Quest'ultimo
breve libro era Legacy: A Genetic History of the Jewish People , del Prof.
Harry Ostrer , pubblicato nel 2012 dalla Oxford University Press, che sembrava
avere una visione molto sobria e sobria di queste complesse questioni
genetiche. Gran parte della discussione di Ostrer era storica, ed egli notò con
una certa ironia che le diffuse credenze genetiche fermamente stabilite da una
generazione di scienziati ebrei venivano talvolta completamente ribaltate da
quelle della generazione successiva, solo per essere altrettanto fermamente
resuscitate da una terza generazione. Ovviamente, in tali circostanze è molto
importante mantenere un'adeguata cautela scientifica. Ma Ostrer confermò le
conclusioni di Entine riguardo all'apparente ascendenza maschile mediorientale
degli ebrei ashkenaziti e la loro totale dissomiglianza genetica dai popoli
turchi sembrava virtualmente escludere l'ipotesi Khazar.
Ho
anche acquistato e letto “The Maternal Genetic Lineages of Ashkenazic Jew”s, un
brevissimo libro del 2022 di “Kevin Alan Brook”, un ricercatore genetico
indipendente. Nel corso degli anni, Brook è diventato uno dei maggiori esperti
dei Cazari, sostenendo che essi fornivano solo una frazione insignificante
dell'ascendenza ashkenazita, e questo lavoro molto recente sembrava cementare
pienamente questa conclusione, anche se in modo noioso: quasi l'intero testo
consisteva in un elenco enciclopedico delle origini ancestrali delle molte
centinaia di principali genotipi materni ebraici. quasi nessuno dei quali
sembra avere una componente turca significativa.
Per coloro che sono interessati ad esplorare
l'argomento in modo più dettagliato, consiglio vivamente la pagina Wikipedia
estremamente completa sull'ipotesi Khazar , che contiene quasi 13.000 parole
inclusi numerosi riferimenti e un'ampia sezione sulle prove genetiche.
Tuttavia, essendo Wikipedia, dobbiamo trattare le sue affermazioni su un
argomento così controverso con notevole cautela. Ad esempio, ho notato che
nella sezione Antisemitismo , l'articolo affermava che Wilmot Robertson, il
padre fondatore del moderno nazionalismo bianco americano, era un sostenitore,
ma quando ho controllato, ho scoperto che aveva effettivamente respinto
l'ipotesi Khazar come "Uno dei la più antica delle storielle
razziali", dichiarando che era stata definitivamente smentita dalle prove
genetiche.
L'articolo
di Wikipedia ha anche dedicato una sottosezione al lavoro molto controverso del
genetista israelo-americano Eran Elhaik , che ha pubblicato diversi articoli
negli ultimi dieci anni tentando di far rivivere l'ipotesi Khazar, ma con una
grande maggioranza di ricercatori genetici che sono stati aspramente critici
nei confronti della sua metodologia. e risultati. Ho letto uno dei principali
articoli di Elhaik insieme a un riassunto di supporto , così come altri due
articoli di importanti gruppi di ricerca che presentano la prospettiva opposta,
quella tradizionale .
La mia
esperienza tecnica nell'analisi genetica non è sufficientemente forte per
valutare adeguatamente questi argomenti contrastanti, ma una delle principali
affermazioni di Elhaik ha attirato la mia attenzione. Ha contrapposto la sua
"Ipotesi Khazariana" di origini ebraiche con la tradizionale
"Ipotesi della Renania", ma ha ripetutamente affermato che
quest'ultima affermava che gli ebrei ashkenaziti erano esclusivamente i
discendenti dei Giudei semiti, il che sembra un totale errore di quella
posizione. Invece, i ricercatori tradizionali descrivono quegli ebrei come una
popolazione ibrida, forse per metà mediorientale ma quasi per metà europea, un
presupposto molto diverso.
L'ascendenza
della popolazione è comunemente analizzata esaminando una tabella PCA di
marcatori genetici e quella fornita nell'articolo di Elhaik ha mostrato che gli
ebrei dell'Europa orientale e centrale sembrano raggrupparsi a metà strada tra
europei e mediorientali, esattamente come ci aspetteremmo, e completamente
distanti dai turchi. Quindi non vedevo nulla che mi portasse a dubitare della
prospettiva dominante.
Sulla
base di tutte queste prove, sembra che ci siano poche indicazioni che gli ebrei
ashkenaziti abbiano una sostanziale ascendenza cazara, e un forte sostegno per
l'idea che siano una popolazione ibrida mediorientale/europea, esattamente come
i ricercatori mainstream hanno da tempo affermato.
Come
gli ebrei come punici risolvono le prove contrastanti
Tuttavia,
nell'esaminare queste prove genetiche ho visto un ovvio enigma che sembrava
essere passato inosservato in tutte le discussioni che avevo letto.
La
maggior parte degli esperti tradizionali sembrava ammettere tranquillamente che
Sand aveva ragione nel sostenere che al tempo dell'Impero Romano la stragrande
maggioranza degli ebrei che vivevano lungo le rive del Mediterraneo erano
probabilmente di stirpe convertita, con pochi antenati dagli israeliti di
Palestina. Eppure le prove genetiche dipingevano un quadro molto diverso per le
principali popolazioni ebraiche successive.
Come
accennato, gli ebrei ashkenaziti sembrano derivare da maschi mediorientali che
presero mogli europee nei secoli successivi alla caduta di Roma. Nel frattempo,
anche gli ebrei sefarditi della Spagna musulmana sono di origine mediorientale,
ed erano la componente più ricca e numerosa degli ebrei per gran parte del
Medioevo prima della loro espulsione nel 1492 da parte di Ferdinando e
Isabella. Quindi, se solo una piccola frazione di ebrei avesse radici in
Palestina, sembra abbastanza strano che questi sarebbero diventati i
progenitori sia della linea sefardita che di quella maschile ashkenazita. Le
prove genetiche sembrano essere in conflitto con le forti prove letterarie e
storiche.
Penso
che la soluzione a questo apparente mistero derivi dalla considerazione di una
domanda molto semplice. Se milioni di pagani in tutto il mondo mediterraneo
probabilmente si convertirono al giudaismo durante i secoli successivi alle
conquiste di Alessandro Magno e all'ascesa di Roma, dovremmo chiederci quali
pagani fossero i più propensi a farlo.
I
Greci dominavano il mondo ellenistico, e il successo e il fascino della loro
cultura furono così travolgenti che un gran numero di ebrei in Palestina
divennero ardenti ellenizzatori, incorporando elementi pagani nel loro stile di
vita e alla fine scatenando la rivolta dei Maccabei contro tali detestate
influenze straniere. Sembra quindi molto improbabile che un numero
considerevole di greci o di gruppi influenzati dalla Grecia si siano convertiti
al giudaismo quando l'evidenza è che il flusso di quasi-convertiti era molto
più forte nella direzione opposta. E la lunga storia di aspra ostilità tra le
numerosissime popolazioni greche ed ebraiche di Alessandria mina ulteriormente
l'idea di numerosi convertiti greci.
Quindi,
se sembra piuttosto improbabile che un numero considerevole di Greci o Romani
si fosse convertito all'Ebraismo prima della nascita di Cristo, qual era la
probabile fonte dell'enorme numero di tali apparenti convertiti?
Si
presenta una possibilità intrigante.
Gli antichi Giudei erano un popolo semitico,
strettamente imparentato per lingua e cultura con i vicini Cananei,
contraddistinti principalmente dalla loro religione fieramente monoteistica.
E di
gran lunga il più grande e importante di questi popoli cananei furono i Fenici
, le cui città-stato costiere includevano Tiro, Sidone e Byblos, e che secoli
prima avevano fondato Cartagine come colonia nordafricana sulla costa della
Tunisia. Questi popoli punici, i Fenici e i Cartaginesi, erano rinomati come i
più grandi mercanti del mondo antico e avevano stabilito con successo un vasto
impero commerciale molto prima dell'ascesa della Grecia classica o di Roma, un
impero che durò per quasi mille anni.
Le loro attività commerciali li avevano resi
anche grandi innovatori, tanto che i Greci attribuivano loro il merito di aver
inventato l'Alfabeto, che poi fu preso in prestito e adattato da tutti gli
altri popoli.
Le
città fenicie furono infine sottomesse dai grandi imperi terrestri semitici
degli Assiri e dei Babilonesi, divenendo vassalli tributari, e questo status
continuò sotto l'impero persiano, che contava sui Fenici per fornire la maggior
parte della sua marina. Ma durante la vittoriosa campagna di Alessandro Magno
per conquistare la Persia, egli distrusse Tiro e ogni residuo dell'indipendenza
fenicia andò definitivamente perduto sotto i suoi successori ellenistici.
In
questa stessa epoca, Cartagine aveva stabilito un grande impero nordafricano
nel Mediterraneo occidentale, comprese molte colonie proprie, ed era
probabilmente diventata la città più grande e più ricca del mondo antico. Ma
durante il secolo successivo, le guerre puniche contro Roma si conclusero con
la sconfitta totale di Cartagine e la perdita di tutti i suoi territori,
culminando infine nella sua distruzione finale nel 146 aC.
Sappiamo
che gli israeliti avevano certamente avuto contatti regolari con i loro vicini
cugini fenici. Secondo la Bibbia, il re Salomone si affidò agli abili artigiani
di Tiro per i suoi progetti di costruzione, e in seguito un re d'Israele si
sposò con la dinastia regnante di quella stessa città. Anche se questi
particolari episodi storici sembrano abbastanza plausibili, penso che una
prospettiva molto più realistica sia che i ricchi e sofisticati mercanti della
Fenicia considerino gli Israeliti come i loro cugini rustici di campagna,
probabilmente poveri e ignoranti e fanaticamente religiosi con il loro credo
monoteista.
Tuttavia,
una volta che la Fenicia fu permanentemente caduta sotto il dominio straniero
degli eredi ellenistici di Alessandro e i Cartaginesi sopravvissuti furono
incorporati nell'impero creato dai loro acerrimi nemici romani, è facile
immaginare che molti membri di entrambe quelle popolazioni puniche avrebbero
potuto gradualmente diventare attratti verso una religione messianica come il
giudaismo sposato da un popolo semitico strettamente imparentato. Secondo stime
moderne, l'impero nordafricano di Cartagine comprendeva probabilmente 3-4
milioni di abitanti al suo apice, il che spiega facilmente l'origine di così
tanti apparenti convertiti ebrei che in seguito apparvero in quella stessa
parte del mondo.
Alessandria
era la città più grande e sofisticata della parte orientale dell'impero romano
e un terzo del suo milione di residenti erano ebrei, spesso coinvolti in
conflitti comunitari con un terzo che era greco. Sembra molto più probabile che
questi ebrei urbanizzati fossero i discendenti dei fenici convertiti piuttosto
che i contadini della Giudea che in qualche modo erano stati trasformati in
abitanti delle città in così gran numero. Sembra probabile che anche la
numerosa comunità ebraica di Cipro, al largo delle coste del Libano, abbia
radici simili. In effetti, Michael Grant notò che già nel 6 d.C. un importante
sobillatore ebreo coinvolto nell'agitazione anti-greca in Palestina portava il
nome distintamente punico di Annibale.
Gli
ebrei palestinesi non avevano alcuna tradizione marinara né alcuna storia di
colonizzazione e non furono mai conosciuti come mercanti, e la loro
caratteristica più notevole era il fanatismo religioso e le violente ribellioni
che regolarmente ispirava. Ma al tempo del primo Impero Romano, troviamo enormi
popolazioni ebraiche nelle città e nelle isole commerciali costiere, con
Giuseppe Flavio che afferma (probabilmente esagerato) che 500.000 ebrei
vivevano in Cirenaica, sulla costa libica, non lontano dalla distrutta
Cartagine. Quanto è plausibile che i contadini della Giudea possano essere
emigrati in tutte quelle località lontane in così gran numero, o che siano
diventati improvvisamente mercanti e commercianti di successo come molti di
questi ebrei sembravano essere?
Al di
fuori delle vicinanze del Medio Oriente, quelle regioni che in seguito
divennero centri di grandi popolazioni ebraiche furono la Spagna e porzioni
della costa nordafricana, entrambi territorio cartaginese, un modello molto
suggestivo. E anche se la popolazione ebraica dell'Impero Romano crebbe e
divenne un argomento di discussione crescente nelle storie di quell'epoca, ogni
menzione dei residui Fenici o Cartaginesi divenne sempre meno frequente, con
queste due tendenze storiche che potrebbero essere collegate.
Inoltre,
la conversione al giudaismo richiedeva la circoncisione degli adulti, un
processo molto doloroso e talvolta pericoloso che fungeva da grande deterrente
per i potenziali aderenti, e rinunciando a tale requisito, il cristianesimo fu
in grado di ingrossare notevolmente i suoi ranghi di convertiti gentili. Ma
Erodoto e alcune altre fonti antiche affermavano che i Fenici già praticavano
la circoncisione, il che avrebbe reso loro molto più facile diventare ebrei.
Le
città dei Fenici erano situate nell'attuale Libano e gran parte della
popolazione di quel paese sono i loro diretti discendenti. Per secoli, i
libanesi, sia che vivessero in patria che nella loro lontana diaspora, sono
stati ampiamente considerati come alcuni degli uomini d'affari e commercianti
più astuti del mondo, riflettendo sicuramente l'eredità fenicia e le sue
tradizioni durature. Ma sebbene gli ebrei della Giudea non abbiano mai avuto
una tale reputazione, gli ebrei sefarditi e ashkenaziti certamente l'hanno
avuta, suggerendo ulteriormente che le loro vere origini risalgono a un diverso
popolo semitico.
Anche
se non sembra esserci alcuna indicazione che questa teoria sull'origine sia mai
circolata all'interno della comunità ebraica, è stata abbastanza comune una
forte simpatia per gli altri popoli semitici.
Per
duemila anni, gli ebrei hanno considerato i romani come il loro nemico più
odiato, la nazione straniera che li ha conquistati e oppressi, ha brutalmente
represso le loro ripetute rivolte e ha demolito il loro Secondo Tempio, il
santuario centrale della loro religione.
Ma più di un secolo prima di conquistare
Gerusalemme, la stessa Roma era stata quasi distrutta da Cartagine durante la
seconda guerra punica, quindi nel corso della storia molti ebrei hanno ammirato
molto quell'impero semitico affine. Durante quella guerra, i Cartaginesi erano
stati guidati da Annibale , ampiamente considerato come uno dei comandanti
militari più brillanti della storia, che distrusse ripetutamente eserciti
romani di gran lunga superiori prima che il peso delle loro maggiori risorse
finalmente lo sopraffacesse. Annibale in seguito fuggì all'estero, offrendo i
suoi servizi a tutti i nemici di Roma, e molti anni dopo, quando stava per
cadere nelle mani dei romani, scelse il suicidio con il veleno piuttosto che
con la prigionia, spiegando così il nome della controversa "Direttiva
Annibale" del governo israeliano. " Per ragioni correlate, Sigmund
Freud spiegò che come ebreo aveva sempre considerato Annibale uno dei suoi eroi
personali .
Quindi,
a meno che il moderno test del DNA non sia diventato sufficientemente preciso
da distinguere la genetica degli antichi Giudei da quella dei loro stretti
cugini fenici, penso che quest'ultimo gruppo dovrebbe essere trattato come un
candidato principale per la vera origine degli ebrei moderni , compresi sia i
sefarditi della Spagna che la linea maschile degli ashkenaziti dell'Europa
orientale.
Vorrei
potermi prendere il merito personale di questa ipotesi audace e apparentemente
persuasiva che risolve molti enigmi diversi, ma non posso. Quasi cinquant'anni
fa mi capitò di leggere The Outline of History, l'ampia storia del mondo del
1920 del poliedrico britannico HG Wells, la cui narrazione si estende dalle
origini della vita alla fine della guerra mondiale, e dedicò un paio di
paragrafi nelle sue 1.200 pagine a presenta questa esatta teoria delle origini
ebraiche. che considerava così plausibile da essere quasi palesemente vero.
Trovai la sua ipotesi abbastanza convincente all'epoca e sono sempre rimasto
sorpreso dal fatto che nessun altro sembra averla mai ripresa nei cento anni
trascorsi da quando è stata proposta per la prima volta.
Ero
piuttosto soddisfatto della mia analisi di gennaio sulle origini ebraiche,
compreso il mio sfatamento dell'ipotesi Cazara e la tesi che avevo avanzato a
favore delle origini molto più probabili fenicio/cartaginesi degli ebrei
moderni. Sebbene HG Wells avesse brevemente abbozzato quella teoria più di un
secolo fa, l'avevo sempre considerata così plausibile che mi chiedevo perché
all'epoca fosse stata completamente ignorata e apparentemente quasi mai
menzionata altrove. Quindi sono stato felice di averlo ripreso, raccogliendo le
considerevoli prove di supporto letterario e genetico che si erano
costantemente accumulate dal 1920.
Le
implicazioni di questa ipotesi punica sono piuttosto interessanti. Durante il I
secolo dC, il cristianesimo era iniziato come una piccola setta religiosa
ebraica, ma presto attirò una moltitudine di convertiti gentili, che sommersero
gli originali aderenti alla Giudea, portando a importanti cambiamenti nelle sue
dottrine. Ma in base a questa ricostruzione, qualcosa di piuttosto simile
potrebbe essere accaduto all'ebraismo durante il secolo precedente, con i
convertiti punici in tutto il mondo mediterraneo che presto superarono di gran
lunga gli ebrei giudei originali.
Inoltre,
data la ricchezza e la raffinatezza di gran lunga maggiori di quegli ebrei
punici, essi avrebbero dominato soprattutto i ranghi d'élite della religione.
Eredi di un impero commerciale millenario, erano un popolo orgoglioso, forse
riluttante ad abbandonare tutte le proprie tradizioni mentre adottavano
l'ebraismo dei loro cugini rustici dell'entroterra. Pertanto, non sorprenderci
se alcuni elementi di quelle credenze pagane puniche continuare ad esistere
nella nuova versione della religione ebraica che alla fine emerse.
Anche
se alcuni di questi pensieri erano stati in fondo alla mia mente, la mia
esperienza religiosa era troppo scarsa per perseguirli adeguatamente e poiché
il mio articolo era già troppo lungo, ho lasciato cadere la questione.
Fortunatamente, qualcuno molto più esperto in tali questioni ha presto deciso
di affrontare la questione.
Considerata
l'evidente competenza di questo scrittore in storia religiosa e questioni
teologiche, mi ha fatto molto piacere che sembrasse convinto dalle mie
argomentazioni sull'origine fenicio/cartaginese degli ebrei e che
successivamente abbia prodotto un nuovo articolo sostenendo la mia ipotesi ed
estendendola in modi che non avevo mai conosciuto. considerato, attingendo alla
sua profonda familiarità con l'Antico e il Nuovo Testamento.
Implicazioni
religiose della teoria cartaginese.
Anche
se consiglio vivamente a chi fosse interessato di leggere l'intero articolo,
vale la pena discutere molti dei suoi punti importanti e citare alcuni dei suoi
passaggi chiave.
In
primo luogo, sebbene gli Israeliti fossero molto imparentati con i vicini
Cananei, notò che l'Antico Testamento era fortemente ostile nei confronti di
questi ultimi, che erano stigmatizzati come popolo maledetto.
"Ed
egli disse: Maledetto sia Canaan; servo dei servi sarà egli per i suoi
fratelli».
-Genesi
9:25
La
Bibbia usa il termine "cananeo" per riferirsi alle tribù pagane
indigene della terra di Canaan (i moderni Israele e Libano). La storia dei
Cananei inizia con il loro omonimo, Canaan. La Bibbia descrive come il padre di
Canaan, Cam, vede Noè nudo e lo racconta ai suoi fratelli, invece di aiutare a
coprire Noè. Come punizione, Noè maledice Canaan in Genesi 9:25. I discendenti
di Canaan si stabiliscono nella terra di Canaan e sono condannati per aver
praticato l'incesto, l'omosessualità, la bestialità e il sacrificio di bambini
(Levitico 18). Alla fine Dio comanda agli Israeliti di rimuoverli dalla parte
meridionale del paese (l'odierna Israele). Mentre alcuni hanno l'impressione
che i Cananei fossero stati completamente annientati, la Bibbia afferma in Giudici
3 1:4 che ai Cananei del nord (l'attuale Libano) fu permesso di sopravvivere
per mettere alla prova i futuri Israeliti in battaglia.
Ma i
Fenici ei loro coloni cartaginesi erano semplicemente i Cananei costieri,
quindi se alla fine divennero gli antenati della maggior parte degli ebrei
successivi, compresi i coloni sionisti che fondarono lo stato di Israele,
sottolineò che le ironie storiche e religiose risultanti erano enormi.
Mentre
la Bibbia descrive gli abitanti di questa terra come Cananei, i Greci avevano
un nome diverso per loro: Fenici. Cartagine fu fondata dai Fenici come colonia
nel IX secolo aC, circa tre secoli dopo che gli studiosi moderni ritengono che
si sia verificato lo spostamento dei Cananei per mano degli Israeliti.
Tuttavia, ci sono poche ragioni per pensare che questi Fenici/Cartaginesi
fossero qualcosa di diverso dai discendenti diretti dei Cananei biblici.
Ephraim Stern, presidente dell'Istituto di Archeologia dell'Università Ebraica
di Gerusalemme, affermò che i Fenici erano i discendenti dei Cananei dell'era
biblica, alcuni dei quali furono cacciati dalla Palestina dagli Israeliti
intorno al 1200 aC.
Già si
presenta un'incredibile ironia. Gli studiosi moderni riconoscono sottilmente
che la stragrande maggioranza degli ebrei romani non lasciò mai la Palestina,
il che significa che i palestinesi moderni sono i discendenti più vicini degli
antichi israeliti. Altri hanno già sottolineato quanto sia ironico che l'intero
progetto sionista si giustifichi con l'affermazione che essi sono i discendenti
degli Israeliti, ma in realtà stanno espellendo i veri discendenti degli
Israeliti dalla Terra Santa.
La
teoria cartaginese approfondisce ulteriormente questa già notevole ironia. I
coloni sionisti non sono solo un'entità straniera che attacca i veri israeliti,
ma sono in realtà i discendenti del popolo che fu maledetto e a cui Dio ordinò
esplicitamente di essere allontanato dal paese, secondo le scritture in cui
credono gli stessi sionisti religiosi. Hanno una connessione in Terra Santa,
semplicemente non è quella che vogliono.
Da una
prospettiva cristiana, la storia del sionismo moderno è la storia di un popolo
amareggiato che tenta di invertire il giudizio di Dio su di loro senza Cristo,
e a cui è stato permesso di esistere per mettere alla prova gli israeliti in
combattimento. Ciò finisce per rimanere vero teologicamente, nel senso che i
cristiani sono i nuovi israeliti e le società cristiane sono state conquistate
dalle organizzazioni ebraiche, e torna vero anche letteralmente, nel senso che
i discendenti israeliti sono ora fisicamente in combattimento con i discendenti
cananei nel mondo. terra Santa.
Le
decine di milioni di sionisti cristiani d'America si devono i campioni degli
israeliani che si identificano con gli israeliti della Bibbia, e sospetto che
molti di loro possano vagamente considerare i palestinesi come i discendenti
dei maledetti cananei. Ma i fatti reali sembrano essere l'opposto, con gli
ebrei israeliani che hanno una forte ascendenza cananea ei palestinesi
sofferenti di oggi che sono probabilmente i discendenti diretti più stretti
degli antichi israeliti.
Erickson
ha continuato a notare:
Si
crede comunemente che gli ebrei moderni siano seguaci dell'Antico Testamento,
differenziati dai cristiani solo per il loro rifiuto di Gesù come Messia. Le
scritture ebraiche sembrano indicare chiaramente Gesù come il Messia, lasciando
i cristiani frustrati per secoli per il rifiuto ebraico di accettarlo. Tuttavia,
gli studi del Prof. Israel Shahakhanno dimostrato che la religione ebraica
moderna include un'ampia varietà di pratiche strane e apparentemente pagane.
Molti li hanno accusati di adorazione del diavolo in generale, ma le origini
cananee potrebbero fornire maggiore chiarezza sull'essenza delle loro credenze.
Ha
spiegato che, secondo Shahak, molti ebrei talmudici credevano effettivamente
nell'esistenza di divinità supreme, sia maschili che femminili, la cui unione
sessuale è un obiettivo cruciale dei rituali religiosi ebraici. Trovò questo un
elemento molto sconcertante in un credo protettivo monoteista.
… Ero
sconcertato e mi chiedevo come una credenza così strana potesse essere finita
nel giudaismo moderno. Con il contesto cartaginese, tuttavia, ha perfettamente
senso, poiché i Cartaginesi adoravano una coppia divina, il maschio Baal-Hammon
e la femmina Tanit, come menzionato sopra.
Supponendo
che la teoria cartaginese sia vera, le prove suggeriscono che la moderna
religione ebraica è una sorta di ibrido tra il genuino giudaismo della Torah e
il paganesimo cananeo. Ciò non dovrebbe sorprendere, poiché i Fenici erano un
popolo orgoglioso con un impero durato un millennio, ed erano probabilmente
riluttanti a sottrarsi completamente alla propria religione in favore di quella
proveniente dai loro cugini contadini poveri.
A suo
notevole merito, Erickson non si sottrasse alle questioni più delicate, come il
sacrificio dei bambini, che sembrava collegare le pratiche religiose puniche
con quelle degli ebrei degli ultimi giorni.
Come
abbiamo spiegato in precedenza, i Cananei nella Bibbia si impegnavano in una
serie di pratiche pagane inquietanti, tra cui il sacrificio di bambini...
Nonostante la distanza tra Cartagine e la Fenicia, i Cartaginesi fenici
mantennero un legame ininterrotto con la loro religione nativa , e questo
includeva la pratica del sacrificio di bambini. Per molti anni si è dubitato
che i Cartaginesi sacrificassero effettivamente i bambini, ma recenti scoperte
hanno fornito prove schiaccianti che lo facessero.Un articolo
diHaaretzfornisceun utile riassunto:
"Anche
se si disperdero in tutto il Mediterraneo occidentale, i Fenici rimasero uniti
dalle loro pratiche religiose. Per secoli, Cartagine inviò ogni anno una
delegazione a Tiro per sacrificare al tempio del dio della città Melqart. Nella
stessa Cartagine, le divinità principali erano la coppia divina Baal-Hammon,
che significa "Signore del braciere", e Tanit, identificata con
Astarte La caratteristica più nota della religione fenicia era la pratica del
sacrificio di bambini L'area intorno al Mediterraneo occidentale (Cartagine,
Sicilia occidentale, Sardegna meridionale) è disseminata di sepolture di
bambini sacrificati, ma in realtà la pratica era comune nelle città fenicie di
tutto il Levante Diodoro Siculo riferisce che nel 310 aEV, durante un attacco alla
città, i cartaginesi sacrificarono oltre 200 bambini di nobili natali per
placare. Baal-Hammon".
Gli
studi del Prof. Ariel Toaff mostrano che anche questa pratica non terminò con
la distruzione di Cartagine e che gli ebrei europei praticarono il sacrificio
di bambini fino al Medioevo. L'esistenza del sacrificio infantile cartaginese
supporta fortemente i resoconti del sacrificio infantile cananeo nella Bibbia,
così come la ricerca del Prof. Toaff, e mostra un legame significativo tra
l'ebraismo rabbinico e il paganesimo cananeo.
In un
lungo passaggio, Erickson notò anche la forte associazione che sia i Fenici che
gli Ebrei successivi mantennero con Saturno:
Un'altra
continuità intrigante è il ruolo di Saturno nella cultura ebraica. Lo storico
Eusebio ricorda che la divinità suprema fenicia, El, fu divinizzata come la
stella Saturno . I romani collegavano Saturno anche alla divinità suprema
cartaginese, Baal-Hammon, forse rafforzato dal fatto che Saturno mangiava i
suoi figli nella mitologia romana.
Fonti
ebraiche romane e medievali attestano che almeno qualche forma di culto di
Saturno/Baal-Hammon rimase anche dopo che la massa dei Cartaginesi si convertì
al giudaismo. Shlomo Sela, professore presso il Dipartimento del pensiero
ebraico dell'Università Bar Ilan, ha analizzato le opere di Abraham ibn Ezra,
un eminente commentatore ebreo medievale, che scrisse una lunga opera nel
tentativo di difendere il legame tra gli ebrei e Saturno. Sela ha scritto che
questo collegamento è "storicamente confermato in quasi tutte le fonti che
sono state presentate sopra per dimostrare la persistenza del legame
Saturno-ebraico dall'antichità fino al Medioevo. Pertanto, sia Tacito che
sant'Agostino affermavano che gli ebrei facevano del sabato il loro giorno di
riposo per onorare o adorare Saturno".(pag. 40)
Per
evitare che qualcuno pensi che si tratti solo di propaganda romana o cristiana,
Sela afferma inoltre: "Che la società ebraica del periodo talmudico
riconoscesse la stessa associazione è dimostrato dal fatto che il Talmud
babilonese (Shabbat 156a) si riferisce a Saturno come Shabbetai, cioè il stella
dello Shabbat (sabato)."[7]Lo stesso Ibn Ezra non negò che lo Shabbat
(Sabato) fosse legato a Saturno, ma lo difese dicendo che gli ebrei si
riposavano per proteggersi dall'influenza maligna di Saturno, che si supponeva
fosse più forte in quel giorno. Anche il quotidiano ebraico Forward ammette il
collegamento, ma sostiene che gli ebrei chiamarono Saturno in onore del sabato
semplicemente perché i romani credevano che gli ebrei riposassero in onore di
Saturno.
Entrambe
queste spiegazioni sollevano seri interrogativi. L'Antico Testamento afferma
chiaramente e ripetutamente che Dio ha benedetto il giorno del Signore e lo ha
reso santo, e che deve essere dedicato solo a Dio (Esodo 20:8-11). Se gli ebrei
devoti riposano per Saturno, anche se dovessimo credere che sia per proteggersi
da Saturno, questo sarebbe come minimo un errore religioso. Insieme a ciò, si
potrebbe pensare che i più ebrei sarebbero stati profondamente offesi
dall'accusa romana di dedicare il sabato a una malvagia divinità pagana e si
sarebbero opposti strenuamente a tale connessione, dati i severi sentimenti
scritturali contro l'adorazione degli idoli. Invece, sembra che non abbiano
avuto problemi a chiamare Saturno "la stella del sabato", mettendo in
dubbio l'idea che i romani si sbagliassero su questo.
Dato
che gli ebrei hanno resistito alla conversione al cristianesimo per duemila
anni sotto enormi pressioni, e che usano persino un segno più matematico
diverso perché il nostro somiglia troppo a una croce, un termine improprio qui
sembrerebbe una vera e propria svista.
Inoltre,
sebbene la Stella di David sia diventata il simbolo principale del giudaismo,
le sue origini sono in realtà oscure poiché non viene menzionata da nessuna
parte nell'Antico Testamento. Ci sono invece riferimenti biblici a una stella
come simbolo di Saturno e alla sua associazione con le pratiche religiose
fenicie.
Santo
Stefano sembra alludere a questo nel suo discorso al Sinedrio (Atti 7), dove
paragona le loro azioni a quelle degli Israeliti disobbedienti nell'Antico
Testamento, compresi alcuni che decisero di adorare Moloch e Remphan al posto
di Dio:
"Sì,
voi avete preso il tabernacolo di Moloch e la stella del vostro dio Remphan,
figure che avete fatto per adorarli: e io vi porterò via oltre Babilonia".
-Atti
7:43
Remphan
(o Rephan) è il nome egiziano di Saturno.
Stefano si riferisce ad Amos 5:26 quando si riferisce alla stella di
Remphan:
"Ma
voi avete portato il tabernacolo del vostro Moloch e Chiun le vostre immagini,
la stella del vostro dio, che avete fatto per voi stessi."
-Amos
5:26
Chiun
è il nome ebraico di Saturno, e il commento biblico di Jamieson-Fausset-Brown
su questo versetto afferma che Saturno era probabilmente rappresentato con il
simbolo di una stella: "Probabilmente c'era una figura di una stella sulla
testa dell'immagine dell'idolo, per rappresentare il pianeta Saturno; quindi
"immagini" corrispondono a "stella" nella proposizione
parallela".[12]Sembra del tutto possibile che l'influenza cartaginese
abbia portato a una rinascita nell'uso di questo simbolo della stella di Saturno,
ed è ciò che ha portato Stefano a fare riferimento a questo versetto specifico.
Quando
ci chiediamo che aspetto avesse questo simbolo stellare, c'è ovviamente un
candidato molto ovvio: la Stella di David. Non molti cristiani sembrano esserne
consapevoli, ma nell'Antico Testamento non c'è alcuna menzione di una sorta di
"stella" di Davide, una stella simbolo per Davide, o qualsiasi altra
cosa che possa plausibilmente collegare Davide con il moderno simbolo
ebraico.[13]Le teorie sull'origine della stella di David sono vaghe e varie, ma
la pagina della Biblioteca Virtuale Ebraica sull'argomento dice in modo
interessante che "il più antico esempio indiscusso si trova su un sigillo
del VII secolo aEV trovato a Sidone".[14]Sidone era un'importante città
cananea/fenicia, e il VII secolo aC è solo un secolo dopo che si dice che il profeta
Amos sia vissuto.[15]
La
pagina afferma anche che le fonti arabe ed ebraiche si riferivano all'esagramma
come "il sigillo di Salomone" e che questo collega il simbolo con la
prima magia "giudaico-cristiana" come il primo secolo[16]Musica
Liricamagica Il Testamento di Salomone. In quest'opera non canonica, Dio dà a
Salomone un anello con inciso un pentagramma che gli permette di controllare i
demoni, e la storia si conclude con Salomone che adora Moloch e Remphan in
cambio di sesso. Questa sembra essere la prima fonte documentaria per la Stella
di David, che sembra risalire al tempo in cui visse Stefano e che collega anche
il simbolo con Saturno/Remphan.
Amos e
Stefano parlavano della Stella di David quando condannavano questo simbolo
della stella di Saturno? Forse non saremo mai in grado di confermarlo, ma dato
che il più antico esempio della Stella di David risale al tempo di Amos, in una
delle principali città di adoratori di Saturno, e le sue prime apparizioni
documentate la associano anche a Saturno al tempo di Stephen, questo sembra
altamente probabile.
Penso
che tutti questi elementi religiosi condivisi sostengano fortemente l'ipotesi
punica delle origini ebraiche, aggiungendosi alle considerevoli prove
letterarie e genetiche che avevo precedentemente descritto.
La
borsa di studio fondamentale di Israel Shahak e Ariel Toaff.
L'analisi
di Erickson si è basata in larga misura sugli studi degli accademici israeliani
Israel Shahak e Ariel Toaff, e ha citato ripetutamente il mio articolo del 2018
che descrive la loro ricerca innovativa. Pertanto, penso che valga la pena
includere parti di quel pezzo in cui ho discusso le notevoli opere di quei due
studiosi israeliani.
La mia
prima sorpresa è stata che gli scritti di Shahak includessero introduzioni o
commenti entusiastici di alcuni dei più importanti intellettuali pubblici
americani, tra cui Christopher Hitchens, Gore Vidal, Noam Chomsky e Edward
Said. Gli elogi provenivano anche da pubblicazioni di tutto rispetto come The
London Review of Books , Middle East International e Catholic New Times ,
mentre Allan Brownfeld dell'American Council for Judaism aveva pubblicato un
necrologio molto lungo ed elogiativo .
E ho
scoperto che il background di Shahak era molto diverso da quello che avevo
sempre immaginato.
Aveva
trascorso molti anni come pluripremiato professore di chimica all'Università
Ebraica e in realtà era tutt'altro che comunista. Mentre per decenni i partiti
politici al potere in Israele erano stati socialisti o marxisti, i suoi dubbi
personali sul socialismo lo avevano lasciato politicamente nel deserto, mentre
il suo rapporto con il minuscolo Partito Comunista israeliano era dovuto
esclusivamente al fatto che erano l'unico gruppo disposto a difendere i diritti
fondamentali. questioni relative ai diritti umani che erano il suo obiettivo
centrale. Le mie supposizioni casuali sulle sue opinioni e sul suo passato
erano completamente sbagliate.
Una
volta che ho iniziato a leggere i suoi libri, e considerando le sue
affermazioni, il mio shock è aumentato di cinquanta volte. In tutta la mia
vita, ci sono state pochissime volte in cui sono rimasto così totalmente
sbalordito come dopo aver digerito Storia ebraica, Religione ebraica: il peso
di tremila anni , il cui testo occupa appena un centinaio di pagine. Infatti,
nonostante la sua solida formazione nel campo delle scienze accademiche e i
lusinghieri avalli forniti da personaggi di spicco, trovavo piuttosto difficile
accettare la realtà di ciò che stavo leggendo. Di conseguenza, ho pagato una
somma considerevole a un giovane studente laureato che conoscevo, incaricandolo
di verificare le affermazioni contenute nei libri di Shahak e, per quanto ne sapeva,
tutte le centinaia di riferimenti che aveva controllato sembravano essere
accurati o almeno trovato in altre fonti.
Nonostante
tutta questa dovuta diligenza, devo sottolineare che non posso garantire
direttamente per le affermazioni di Shahak sull'ebraismo. La mia conoscenza di
quella religione è assolutamente trascurabile, essendo per lo più limitata alla
mia infanzia, quando mia nonna di tanto in tanto riusciva a trascinarmi alle
funzioni della sinagoga locale, dove ero seduto in mezzo a una massa di uomini
anziani che pregavano e cantavano in una strana lingua. indossando vari
indumenti rituali e talismani religiosi, un'esperienza che ho sempre trovato
molto meno piacevole dei miei soliti cartoni animati del sabato mattina.
Anche
se i libri di Shahaksono piuttosto brevi, contengono una tale densità di
materiale sorprendente che ci vorrebbero molte, molte migliaia di parole per
iniziare a riassumerli. Quasi tutto quello che sapeva – o che pensava di sapere
– sulla religione dell'ebraismo, almeno nella sua forma tradizionale
zelantemente ortodossa, era completamente sbagliato.
Ad
esempio, gli ebrei tradizionalmente religiosi prestano poca attenzione alla
maggior parte dell'Antico Testamento, e anche rabbini o studenti molto istruiti
che hanno dedicato molti anni a uno studio intensivo possono rimanere in gran
parte ignoranti del suo contenuto. Invece, il centro della loro visione
religiosa del mondo è il Talmud, una massa enormemente grande, complessa e in
qualche modo contraddittoria di scritti secondari e commenti costruiti nel
corso di molti secoli, motivo per cui la loro dottrina religiosa è talvolta
chiamata "giudaismo talmudico". ". Tra gran parte dei fedeli, il
Talmud è integrato dalla Cabala, un'altra grande raccolta di scritti
accumulati, per lo più incentrati sul misticismo e su ogni sorta di magia. Poiché
questi commenti e interpretazioni rappresentano il nucleo della religione,
molto di ciò che tutti danno per scontato nella Bibbia è considerato in modo
molto diverso.
Data
la natura delle basi talmudiche del giudaismo tradizionale e la mia totale
precedente ignoranza dell'argomento, qualsiasi tentativo da parte mia di
riassumere alcuni degli aspetti più sorprendenti della descrizione di Shahak
potrebbe essere parzialmente confuso, ed è certamente degno di correzione da
parte di qualcuno più esperto. in quel dogma. E poiché così tante parti del
Talmud sono altamente contraddittorie e intrise di un misticismo complesso,
sarebbe impossibile per qualcuno come me tentare di districare le apparenti
incoerenze che sto semplicemente ripetendo. Dovrei notare che, sebbene la
descrizione di Shahak delle credenze e delle pratiche dell'ebraismo talmudico
abbia provocato una tempesta di denunce, pochi di questi aspri critici sembrano
aver negato le sue affermazioni molto specifiche, comprese quelle più
sorprendenti, il che sembrerebbe rafforzare la sua credibilità.
Al
livello più basilare, la religione della maggior parte degli ebrei tradizionali
in realtà non è affatto monoteistica, ma contiene invece un'ampia varietà di
diversi dei maschili e femminili, che hanno relazioni piuttosto complesse tra
loro, con queste entità e le loro proprietà che variano enormemente tra i vari
popoli. numerose sotto sette ebraiche diverse, a seconda di quali parti del
Talmud e della Cabala pongono in primo piano. Ad esempio, il tradizionale grido
religioso ebraico "Il Signore è Uno" è sempre stato interpretato
dalla maggior parte delle persone come un'affermazione monoteistica e, in
effetti, molti ebrei hanno esattamente la stessa visione. Ma un gran numero di
altri ebrei credono che questa dichiarazione si riferisca invece al raggiungimento
dell'unione sessuale tra le entità divine primarie maschili e femminili. E,
cosa ancora più bizzarra, gli ebrei che hanno visioni così radicalmente diverse
non vedono assolutamente alcuna difficoltà nel pregare fianco a fianco e
semplicemente nell'interpretare i loro identici canti in modi molto diversi.
Inoltre,
gli ebrei apparentemente religiosi pregano Satana quasi con la stessa prontezza
con cui pregano Dio, ea seconda delle varie scuole rabbiniche, i particolari
rituali e sacrifici che praticano possono essere finalizzati ad ottenere il
sostegno dell'uno o dell'altro. Ancora una volta, fintanto che i rituali sono
seguiti correttamente, gli adoratori di Satana e gli adoratori di Dio vanno
perfettamente d'accordo e si utilizzano ebrei ugualmente pii, solo di una
tradizione leggermente diversa. Un punto che Shahak sottolinea ripetutamente è
che nell'ebraismo tradizionale la natura del rituale stesso è assolutamente
preminente, mentre l'interpretazione del rituale è piuttosto secondaria. Quindi
forse un ebreo che si lava le mani tre volte in senso orario potrebbe essere
inorridito da un altro che segue una direzione in senso antiorario, ma se il
lavaggio delle mani fosse inteso per onorare Dio o per onorare Satana non
sarebbe una questione di grande importanza.
Stranamente,
molti dei rituali tradizionali sono esplicitamente intesi a ingannare o
ingannare Dio o i suoi angeli o talvolta Satana, proprio come gli eroi mortali
di alcune leggende greche potrebbero cercare di ingannare Zeus o Afrodite. Ad
esempio, alcune preghiere devono essere pronunciate in aramaico anziché in
ebraico sulla base del fatto che i santi angeli apparentemente non capiscono la
prima lingua, e la loro confusione consente a quei versetti di scivolare senza
ostacoli e di avere effetto senza l'interferenza divina.
Inoltre,
poiché il Talmud rappresenta una massiccia raccolta di commenti pubblicati
accumulati nel corso di più di un millennio, anche i mandati più espliciti sono
stati talvolta trasformati nei loro opposti. Ad esempio, Maimonide, una delle
massime autorità rabbiniche, proibiva assolutamente ai rabbini di essere pagati
per il loro insegnamento religioso, dichiarando che ogni rabbino che riceveva
uno stipendio era un malvagio ladro condannato al tormento eterno; tuttavia in
seguito i rabbini alla fine "reinterpretarono" questa affermazione
per significare qualcosa di completamente diverso, e oggi quasi tutti i rabbini
riscuotono uno stipendio.
Un
altro aspetto affascinante è che fino a tempi molto recenti, la vita degli
ebrei religiosi era spesso dominata da ogni sorta di pratiche altamente
superstiziose, inclusi incantesimi magici, pozioni, incantesimi, fatture,
maledizioni e talismani sacri, con i rabbini che spesso avevano un ruolo
importante ruolo secondario come stregoni, e questo rimane del tutto vero anche
oggi tra i rabbini enormemente influenti di Israele e dell'area di New York
City. Gli scritti di Shahak non lo avevano reso caro a molti di questi
individui, e per anni lo attaccarono costantemente con ogni sorta di
incantesimi e terribili maledizioni mirate a provocarne la morte o la malattia.
Molte di queste pratiche ebraiche tradizionali non sembrano del tutto dissimili
da quelle che tipicamente associamo agli stregoni africani o ai preti Voodoo, e
in effetti, la famosa leggenda del Golem di Praga descriveva l'uso riuscito
della magia rabbinica per animare una creatura gigante costruita in argilla.
Non
dubito che gran parte dell'analisi sincera fornita sopra sarà piuttosto
angosciante per molte persone. In effetti, alcuni potrebbero credere che tale
materiale superi di gran lunga i confini del mero "antisemitismo" e
attraversare facilmente la soglia per costituire una vera e propria
"calunnia del sangue" contro il popolo ebraico. Questa accusa
estremamente dura, ampiamente usata dai difensori del comportamento israeliano,
si riferisce alla famigerata superstizione cristiana, prevalente per la maggior
parte del Medioevo e anche nei tempi più moderni, secondo cui gli ebrei a volte
rapivano piccoli bambini cristiani per drenare il loro sangue da utilizzare in
vari rituali magici, specialmente in connessione con la festa religiosa di
Purim. Una delle mie scoperte più scioccanti degli ultimi dodici anni è che c'è
una probabilità abbastanza forte che queste credenze apparentemente impossibili
fossero in realtà vere.
Personalmente
non ho alcuna esperienza professionale nelle tradizioni rituali ebraiche, né
nelle pratiche dell'ebraismo medievale. Ma uno dei più importanti studiosi del
mondo in questo campo è Ariel Toaff , professore di Rinascimento ebraico e
studi medievali all'Università Bar-Ilan vicino a Tel Aviv, e lui stesso figlio
del rabbino capo di Roma.
Nel
2007 ha pubblicato l'edizione italiana del suo studio accademico Blood
Passovers , basato su molti anni di diligente ricerca, assistito dai suoi
studenti laureati e guidato dai suggerimenti dei suoi vari colleghi accademici,
con una tiratura iniziale di 1.000 copie esaurite in tutto il mondo. il primo
giorno. Data l'eminenza internazionale di Toaff e l'enorme interesse, sarebbe
normalmente seguita un'ulteriore distribuzione internazionale, inclusa
un'edizione inglese da parte di una prestigiosa casa editrice accademica
americana. Ma l'ADL e vari altri gruppi di attivisti ebrei considerarono tale
possibilità con estremo sfavore, e sebbene questi attivisti non avessero
credenziali accademiche, apparentemente esercitarono una pressione sufficiente
per cancellare ogni ulteriore pubblicazione. Sebbene il Prof. Toaff abbia
inizialmente tentato di mantenere la sua posizione in modo ostinato, presto ha
seguito la stessa strada di Galileo, e le sue scuse sono diventate naturalmente
la base della voce sempre inaffidabile di Wikipedia sull'argomento.
Alla
fine, una traduzione inglese del suo testo è apparsa su Internet in formato PDF
ed è stata anche messa in vendita su Amazon.com, dove ne ho acquistato una
copia e alla fine l'ho letta. Date queste difficili circostanze, questo lavoro
di 500 pagine non è certo nella forma ideale, con la maggior parte delle
centinaia di note a piè di pagina scollegate dal testo, ma fornisce comunque un
mezzo ragionevole per valutare la controversa tesi di Toaff, almeno dal punto
di vista di un profano. Sembra certamente uno studioso estremamente erudito,
che attinge ampiamente alla letteratura secondaria in inglese, francese,
tedesco e italiano, nonché alle fonti documentarie originali in latino, latino
medievale, ebraico e yiddish. In effetti, nonostante la natura scioccante
dell'argomento, questo lavoro accademico è in realtà piuttosto arido e noioso,
con lunghissime digressioni riguardanti i particolari intrighi di vari oscuri
ebrei medievali. Va sottolineata la mia totale mancanza di esperienza in questi
settori, ma nel complesso ho pensato che Toaff avesse presentato un caso
piuttosto convincente.
Sembra
che un numero considerevole di ebrei ashkenaziti considerasse tradizionalmente
il sangue cristiano come dotato di potenti proprietà magiche e lo considerasse
una componente molto preziosa di alcune importanti osservanze rituali in
particolari festività religiose. Ovviamente, ottenere tale sangue in grandi
quantità era irto di rischi considerevoli, che ne aumentavano notevolmente il
valore monetario, e sembra che il commercio delle fiale di quel bene prezioso
fosse ampiamente praticato. Toaff sottolinea che, poiché le descrizioni
dettagliate delle pratiche di omicidio rituale ebraico sono descritte in modo
molto simile in luoghi ampiamente separati per geografia, lingua, cultura e
periodo di tempo, sono quasi certamente osservazioni indipendenti dello stesso
rito. Inoltre, egli nota che quando gli ebrei accusati venivano catturati e
interrogati, spesso descrivevano correttamente oscuri rituali religiosi che non
avrebbero potuto essere conosciuti dai loro interrogatori gentili, che spesso
confondevano dettagli minori. Pertanto, era molto improbabile che queste
confessioni fossero state inventate dalle autorità.
Inoltre,
come ampiamente discusso da Shahak, la visione del mondo dell'ebraismo
tradizionale implicava un'enfasi molto diffusa su rituali magici, incantesimi,
incantesimi e cose simili, fornendo un contesto in cui l'omicidio rituale e il
sacrificio umano difficilmente sarebbero stati del tutto inaspettato.
Ovviamente,
l'omicidio rituale di bambini cristiani per il loro sangue era visto con enorme
sfavore dalla popolazione gentile locale, e la diffusa credenza nella sua
esistenza rimaneva una fonte di aspre tensione tra le due comunità, divampando
occasionalmente quando un bambino cristiano scompariva misteriosamente in un
particolare periodo dell'anno, o quando veniva trovato un corpo che mostrava
tipi sospetti di ferite o mostrava una strana perdita di sangue. Di tanto in
tanto, un caso particolare raggiunse la ribalta pubblica, spesso portando a una
prova di forza politica tra gruppi ebraici e antiebraici. Durante la metà del
XIX secolo, ci fu uno di questi casi famosi nella Siria dominata dai francesi,
e poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale, la Russia fu devastata
da un conflitto politico simile nell'affare Beilis del 1913 in Ucraina.
Ho
incontrato per la prima volta queste idee davvero sorprendenti quasi una
dozzina di anni fa in un lungo articolo di Israel Shamir a cui si fa
riferimento in Counterpunch , e varrebbe sicuramente la pena leggerlo come
riassunto generale , insieme a un paio di suoi articoli successivi , mentre lo
scrittore Andrew Hamilton offre la panoramica più recente della controversia
del 2012. Shamir fornisce inoltre una copia gratuita del libro in formato PDF ,
una versione aggiornata con le note a piè di pagina opportunamente annotate nel
testo. Ad ogni modo, non ho l'esperienza per giudicare efficacemente la
probabilità dell'ipotesi Toaff, quindi inviterei coloro che sono interessati a
leggere il libro di Toaff o meglio ancora gli articoli correlati e decidere da soli.
Sebbene
questa analisi delle origini ebraiche e delle credenze religiose si sia
concentrata principalmente sul lontano passato, alcuni aspetti di essa possono
essere rilevanti per il conflitto in corso tra Israele e Gaza che ha catturato
così tanta attenzione nel mondo. Molti occidentali sono stati molto turbati
nello scoprire un comportamento israeliano di lunga data ma nascosto che trova
sorprendente e ripugnante, e alcuni di questi comportamenti possono essere
illuminati dalle sue radici religiose.
Il
mese scorso ho pubblicato un articolo che riportava la lunga intervista di
Tucker Carlson a un pastore cristiano palestinese della città santa di
Betlemme, che descriveva la grave oppressione che lui e il suo gregge cristiano
hanno subito per mano del governo ebraico estremista di Israele e dei coloni
militanti che sosteneva.
Ho
anche notato i fatti a lungo nascosti della Nakba originale del 1948 , in cui
circa 800.000 palestinesi nativi furono espulsi dalle loro antiche terre:
Alcuni
dei crimini commessi dai sionisti per terrorizzare i palestinesi e cacciarli
dal loro caso sono stati piuttosto scioccanti. Mentre la recente storia dei
militanti di Hamas che arrostivano un bambino israeliano in un forno era solo
una bufala di atrocità, abbiamo testimonianze oculari che nel 1948 i militanti
sionisti gettarono un giovane ragazzo palestinese in un forno e lo bruciarono
vivo, con suo padre che lo seguiva presto.
Ho
sottolineato che le credenze religiose degli ebrei talmudici che dominano
Israele hanno alcune importanti implicazioni politiche.
Non
avendo alcun interesse per la religione, non ho mai prestato attenzione a
queste cose, ma quelle convinzioni ovviamente dominano il pensiero degli ebrei
talmudici ferocemente impegnati che sono diventati un fattore così potente nel
governo e nella politica di Israele, e il loro dogma spirituale potrebbe avere
conseguenze fatali. Il mese scorso ho assistito a una presentazione che
suggeriva che quei ferventi ebrei messianici potrebbero essere sul punto di
ristabilire i sacrifici rituali come preparazione ai piani per distruggere le
sacre moschee islamiche del Monte del Tempio, risalenti a 1500 anni fa, e
ricostruire il Terzo Tempio ebraico al loro posto. in preparazione alla venuta
del Messia ebraico.
Tutto
ciò suggerisce alcune notevoli ironie politiche americane.
Da
quello che ho letto qua e là, i cristiani hanno tradizionalmente identificato
il Messia ebreo con l'Anticristo delle loro Scritture, così sotto una tale
interpretazione i numerosi sionisti cristiani d'America, inclusi leader come il
reverendo Franklin Graham e il reverendo John Hagee , hanno effettivamente
speso tutta la loro carriera al servizio dei seguaci dell'Anticristo, non certo
una piacevole scoperta per quei più cristiani.
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