La civiltà dei popoli affonda se il popolo si occupa solo del diritto di vivere e di quello di morire.
La
civiltà dei popoli affonda se il popolo si occupa solo del diritto di vivere e
di quello di morire.
Le
civiltà possono morire?
Equilibrimagazine.it
- Andrea Apollonio – (10 Luglio 2023) – ci dice:
Un
secolo fa, il poeta “Paul Valéry” scriveva che la morte di una civiltà si
manifesta con lo smarrimento del suo spirito; con la crisi della potenza
trasformatrice, creativa e progettuale degli umani e delle collettività.
Negli
anni ‘60, il filosofo “Cornelius Castoriadis” denunciava una crisi
dell’immaginario.
I
sintomi sono l’inerzia dei comportamenti; l’assuefazione alla propria postura
antropologica; un’accidia ‘peccaminosa’ e la negligenza al cambiamento.
Le civiltà muoiono quando rimangono uguali a sé
stesse e non sanno più riconoscere e interpretare i segnali cangianti dei venti
di un’epoca.
Periscono
quando i loro sapienti – siano essi sciamani, monaci, poeti o scienziati – non
sono all’altezza del compito che gli pertiene o quando i loro moniti rimangono
inascoltati.
Decedono
quando scompare il futuro come orizzonte delle attese e delle utopie e lo
sguardo, nostalgico, è sempre volto all’indietro, verso un campo di esperienze
sterili e memorie mortifere, o peggio, fisso sulle pareti anguste e ammuffite
di un presente ipertrofico.
Questo
smarrimento dello spirito significa quindi una crisi dell’immaginazione
storica, ossia della capacità di una collettività di collocarsi nel corso
dinamico della Storia, di immaginare, per sé e per gli altri, futuri possibili
e agire per la loro realizzazione.
Questa
grande recita che ci avvolge, fatta di conquiste, conflitti, accelerazioni,
stalli, progressi e regressioni, ha una sola costante implicita: nulla permane
identico a sé stesso, nemmeno il più orgoglioso, sagace e ostinato dei popoli.
E se
tutto intorno a noi è cambiato, come possiamo nutrire il sogno infantile di
rimanere ciò che eravamo?
La
scomparsa di ciò che siamo, in fondo, è un dato ineluttabile.
Dunque,
ci troviamo di fronte ad una civiltà morente? Potremmo riflettere lungamente sul
significato e l’uso di questo concetto.
Se intendiamo ‘civiltà’ come una combinazione
idealtipica di alcuni tratti antropologici essenziali, una combinazione che si
realizza nel mondo in configurazioni collettive coeve ma molto eterogenee tra
loro, ci sono buone ragioni per parlare di una civiltà globale contemporanea e
del suo stato critico.
Sono
due i tratti di questa civiltà globale a cui, in fondo, nessuna collettività ha
saputo sottrarsi:
un preciso modello d’organizzazione politica
del mondo, ossia il sistema nazionale incentrato sul culto della sovranità
westfaliana, e la condivisione di un sistema di relazioni economiche dominante
di tipo capitalista, con le asimmetrie, le diseguaglianze e le contraddizioni
che ne sono congenite.
Due
volti di una civiltà universale che oggi si riscopre mortale di fronte alle
grandi storture del mondo globalizzato:
l’anarchia
delle relazioni internazionali, uno spettro del Novecento che oggi riappare
nella forma di un una guerra tra stati sovrani nel cuore d’Europa, e le
trasformazioni climatiche accelerate, una dinamica di cambiamento perturbante
che ci pone di fronte all’orizzonte cataclismatico di un’imminente catastrofe
universale.
Un’esperienza inedita sin da quando, una notte
antica e nera come la pece, il “Sapiens primigenio” ha mosso i suoi passi nel
cuore dell’Africa.
Nemmeno
il più longevo degli imperi ha potuto essere eternamente identico a sé stesso e
fedele alla propria postura antropologica;
né il
più glorioso, ricco, astuto e potente degli imperatori ha saputo vivere due o
più esistenze:
non Alessandro, Serse, Carlo Magno, Gengis
Khan o Napoleone. Tuttavia, nell’esistenza degli individui, come in quella
delle civiltà, è possibile morire di due morti diverse.
C’è la
morte di chi procede imperterrito su un sentiero infido che cede sull’abisso,
una morte fatale che coglie impreparati;
ma c’è
anche la morte consapevole di chi, conoscendo la fuggevolezza della propria
esistenza, redige un testamento e sceglie gli eredi cui cedere il testimone e
consegnare, ritualmente, le ultime volontà.
Il nostro tempo, indubbiamente, esige la
scomparsa di questa forma antropologica, di questo modo di abitare il mondo
che, nel quadro vigente, produce criticità irrisolvibili:
da un
lato, l’imprevedibilità e l’ingovernabilità di un sistema politico anarchico;
dall’altro,
una fame bulimica di crescita e sviluppo che non può più essere soddisfatta.
Se gli
oracoli, i condottieri e i popoli del Ventunesimo secolo non sapranno cogliere
i segni premonitori di questi cieli tempestosi;
se non risponderanno al gracchiare incessante
di stormi impazziti di uccelli del malaugurio, la civiltà globale, prima o
dopo, in modo repentino o graduale, scomparirà come Atlantide:
sommersa per il peso insostenibile della sua
stessa esistenza.
La
crisi ecologica introduce un dubbio inquietante: il mondo esige la nostra
scomparsa.
Ciò
detto, abbiamo ancora le forze e il tempo necessari a dettare il nostro
testamento, esprimere le nostre volontà e, soprattutto, scegliere i nostri
eredi.
Questa non è una magra consolazione, ma la
nostra ambizione massima.
Moriremo
di questa morte attiva e consapevole solo fondando un nuovo popolo e passando
il testimone a una civiltà rinnovata.
La
verità è che i pochi elementi che trapelano dal futuro non danno ragioni per
cui rallegrarsi, e che molto è in mano a forze e spinte imponderabili.
Ciononostante,
al necessario pessimismo della ragione deve seguire l’ottimismo di una volontà
tenace.
Forse potremo rompere questo meccanismo
inerziale, questa paralisi dello spirito che conduce alla catastrofe definitiva
fondando un nuovo popolo, consapevole dell’insostenibilità di un sistema
politico anarchico e dei limiti ecologici della crescita.
Non
sarà un’avventura priva di ostacoli: per liberarci da questa paralisi dello
spirito, per fondare un nuovo popolo, non basta una Costituzione – ci vuole un
Esodo.
Forse
è giunto il tempo di abbandonare la modernità, grande culla della civiltà
globale, affrontando le insidie e abbracciando le promesse di un cammino ancora
vergine.
Povertà
e disuguaglianze ambientali.
Equilibrimagazine.it
- Alessandra Drigo – (7 Maggio 2024) – ci dice:
Tra
Stati Uniti ed Europa, le disparità nell’esposizione all’inquinamento
colpiscono maggiormente i gruppi della popolazione a basso reddito e le
minoranze etniche.
Quando
si pensa alla diseguaglianza economica, è facile immaginare che si tratti della
disparità di reddito o ricchezza tra gli individui all’interno di una società.
Quando
si parla invece di diseguaglianza ambientale, l’associazione potrebbe essere
meno semplice e immediata.
L’origine:
i fatti di Warren County, North Carolina (Usa).
Cosa
si intende esattamente con ‘disuguaglianza ambientale’?
Per
comprenderlo, dobbiamo muoverci nel tempo e nello spazio:
ci troviamo in North Carolina, nel 1978, dove
si sta decidendo il sito di discarica per circa 117.35 tonnellate di
policlorobifenile (PCB), una sostanza altamente inquinante.
Vengono
selezionate una discarica pubblica nella contea di Chatham e una proprietà
recentemente pignorata nella contea di Warren, nonostante quest’ultima
presentasse una falda poco profonda che la rendeva meno idonea.
In
particolare, la contea di Warren era abitata per il 60% da persone
afroamericane, e il 25% delle famiglie era al di sotto della soglia di povertà,
mentre le cifre corrispondenti per la contea di Chatham erano
significativamente più basse.
A
seguito della decisione finale di scaricare il rifiuto inquinato nel suolo
della contea di Warren, numerose proteste di risonanza nazionale hanno dato
origine al movimento per la giustizia ambientale.
Da lì,
si è cominciato a indagare sulla composizione etnica delle comunità vicine alle
principali discariche di rifiuti pericolosi e il tema ha progressivamente
ricevuto interesse fino ad assumere rilevanza accademica.
A oggi
gli Stati Uniti sono i più avanzati per produzione di studi scientifici volti a
indagare l’associazione tra inquinamento, povertà e appartenenza a una
minoranza etnica (afroamericana, latina, nativa, asiatica ecc.), verificando se le aree esposte ad
alti livelli di inquinamento sono sistematicamente popolate dai gruppi sociali
più svantaggiati.
Quando
vi sono disuguaglianze nell’esposizione all’inquinamento attribuibili
all’appartenenza a una classe sociale povera o all’essere parte di una
minoranza, siamo di fronte a una disuguaglianza ambientale.
L’”Agenzia
per la Protezione dell’Ambiente” degli Stati Uniti (EPA) definisce la giustizia
ambientale come «il trattamento equo e il coinvolgimento significativo di tutte le
persone, indipendentemente da reddito, colore della pelle, origine nazionale,
affiliazione tribale o disabilità, nei processi decisionali riguardanti la
salute umana e l’ambiente».
Questo
per garantire che le persone siano pienamente protette da impatti cumulativi di
esposizione all’inquinamento e altre forme di discriminazione strutturale,
promuovendo un accesso equo a un ambiente sano per vivere.
Individuare
e quantificare la disuguaglianza ambientale.
Negli
Stati Uniti, un primo filone di studi ha portato alla luce la correlazione tra
le caratteristiche socio-economiche dei residenti e l’ubicazione di siti
particolarmente inquinanti identificati nel ‘Toxic Release Inventory (TRI)’, il
database nazionale istituito per legge che richiede alle strutture private e
governative di comunicare annualmente la quantità di inquinanti emessi.
Lo studio di Banhzaf et al. (2019) per esempio, ha
guardato alla localizzazione dei siti registrati nel TRI nella Carolina del
Nord nel 2010, rivelando una distribuzione sproporzionata di tali siti nelle
sezioni di censimento abitate dai residenti a basso reddito.
Nel
dettaglio, il 63% dei siti registrati nel TRI della contea opera in sezioni di
censimento con reddito pro capite inferiore a 21.000 dollari.
Nello
studio di “Mohai e Saha”, che copre un periodo di cinquant’anni nello Stato del
Michigan, si è riscontrata una persistente localizzazione degli impianti di
trattamento, stoccaggio e smaltimento per rifiuti pericolosi in quartieri
composti prevalentemente da residenti della classe operaia e persone
non-bianche, individuando come tali disparità siano aumentate in modo
significativo durante gli anni Settanta e Ottanta.
Nonostante
gli studi sulla composizione socio-demografica dei residenti vicino a siti
inquinanti evidenzino correlazioni significative, è stato grazie all’utilizzo
di dati provenienti da stazioni di monitoraggio e informazioni satellitari che analisi più recenti hanno confermato
l’esistenza di disuguaglianze ambientali sistematiche per i gruppi sociali più
svantaggiati su scala nazionale.
Per il
periodo 2000-2016, Jbaily et al. (2020) ha mostrato che le aree corrispondenti
ai codici di avviamento postale degli Stati Uniti (circa 32.000) con forte
presenza di bianchi e nativi americani sono state costantemente esposte a
livelli medi di PM2,5 inferiori rispetto alle aree con maggiore concentrazione
di residenti di afroamericani, asiatici e ispanici/latini.
Parallelamente,
nel periodo 2004-2016, le aree con individui a basso reddito hanno registrato
livelli medi di PM2,5 più elevati.
I
settori dell’industria, i veicoli leggeri a benzina, l’edilizia e i veicoli
pesanti diesel sono stati identificati tra le maggiori fonti di disparità di
esposizione a PM2,54.
In generale, tale fenomeno di disuguaglianza
ambientale è stato definito come sistemico, sottolineando come le disparità di
esposizione razziale-etnica siano persistite anche quando l’esposizione
nazionale complessiva è diminuita.
Le
disuguaglianze ambientali esistono in Europa?
Risultati
e sfide future.
In
Europa l’evidenza delle disuguaglianze ambientali è generalmente meno chiara.
Le
società europee presentano una segregazione spaziale significativamente più
ridotta, rendendo meno evidenti le disuguaglianze ambientali, soprattutto nella
dimensione razziale.
A ogni modo, sebbene gli studi di queste
correlazioni siano ancora in fase iniziale rispetto agli Stati Uniti, i più
recenti hanno evidenziato l’esistenza di disuguaglianze ambientali anche nel
contesto europeo.
In
Germania, tramite le informazioni del censimento tedesco del 2011 e le
emissioni puntuali di 4971 industrie registrate nello “European Pollutant
Release and Transfer Register”, si è trovato che le aree con più alta
concentrazione di minoranze straniere sono situate più vicino agli impianti
industriali, specialmente nelle aree urbane.
Analizzando
le aree adiacenti ai 247 impianti E-PRTR in Austria nel 2013, si è riscontrato
che i quartieri entro un chilometro dal sito includono più immigrati, meno
persone con titoli di studio universitari e spazi abitativi più piccoli
rispetto alle aree esterne.
Mentre
a Vienna le disparità rilevate sono minori, la situazione al di fuori della
capitale si allinea ai risultati statunitensi.
L’individuazione
di similitudini tra le disuguaglianze ambientali in Europa e negli Stati Uniti,
sebbene con differenze di scala, solleva diverse questioni fondamentali.
È possibile che i meccanismi di formazione
alla base di queste disparità siano analoghe tra i due continenti?
Come
ha contribuito a tali disparità il contesto storico dell’industrializzazione e
della pianificazione urbana?
Per
acquisire una comprensione completa dei meccanismi che stanno alla base della
progressiva formazione delle disuguaglianze ambientali, sono necessarie
ulteriori ricerche.
Questo
è essenziale anche per orientare efficacemente l’impegno politico verso la
risoluzione di tale problema, fondamentale per progredire con equità verso gli
obiettivi di sviluppo sostenibile.
Italia: nazione precorritrice
del
declino occidentale?
Equilibrimagazine.it
- Alessandro Leonardi – (3 Maggio 2024) – ci dice:
Nel
2024 l’Italia si presenta come una nazione avanzata, con una popolazione di
quasi 59 milioni di abitanti, l’ottava economia mondiale e un patrimonio
privato superiore ai 10.000 miliardi di euro.
Nel
2023 l’aspettativa di vita è salita a 83,1 anni, collocando il Paese fra i più
longevi al mondo.
Ma
dietro questo apparente quadro idilliaco, è in corso da tempo un declino
sistemico che vede l’intersecarsi di cambiamenti mai visti prima. A partire da quello demografico, che
presenta alcuni dei peggiori parametri a livello mondiale.
L’attuale
tasso di natalità (1,2 figli per donna) è fra i più bassi al mondo, mentre le
nascite sono in costante calo dal 2008, cosa che ha determinato la progressiva
diminuzione degli abitanti di oltre 1,3 milioni di persone negli ultimi 9 anni.
Contemporaneamente
la popolazione ha raggiunto un’età media di 46,6 anni diventando la seconda più
vecchia al mondo, superata solo da quella giapponese.
Queste
dinamiche hanno creato un pericoloso sbilanciamento generazionale a favore
delle coorti più anziane, mentre quelle più giovani sono numericamente ridotte
e socialmente precarie.
Nonostante
il ripetuto allarme lanciato dai demografi, il dibattito pubblico è rimasto
piuttosto limitato concentrandosi quasi sempre sulla sostenibilità del sistema
pensionistico.
Ma la
progressiva riduzione dei giovani lavoratori è solo uno dei tanti elementi
negativi per una società legata ad un sistema industriale-tecnologico in rapida
evoluzione.
Entro pochi anni la coorte demografica più
numerosa, nata a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, diventerà sempre più anziana
ponendo una fortissima pressione sul servizio sanitario nazionale, già in
difficoltà da tempo.
Questa
pressione si ripercuoterà anche su tutti i servizi sociali dedicati
all’assistenza degli anziani, che dovranno fare affidamento su scarse strutture
pubbliche, sull’assistenza privata o l’impegno personale dei pochi eredi
(spesso figli unici).
Ma un
elemento ancora più insidioso è generato dall’invecchiamento generale della
nazione:
l’immobilismo culturale, politico ed
economico.
La presenza di numerose coorti anziane
rispetto a quelle più giovani finisce per spostare il peso politico verso le
prime, incentivando il mantenimento dello status quo a discapito dei
cambiamenti necessari.
La
società diventa inevitabilmente più rigida, chiusa, meno propensa al rischio,
meno vitale, incastrata negli schemi del passato, inadatti per affrontare la
globalizzazione in corso.
Questo
complesso fenomeno finisce per alimentare a cascata le altre crisi, dal declino
industriale, all’aumento delle diseguaglianze fino al decadimento
culturale-sociale.
Le
divisioni fra le generazioni si acuiscono e con esse anche gli sbilanciamenti
territoriali, con lo spopolamento accelerato del Sud a favore di alcune regioni
del Nord o di Paesi esteri.
In un
contesto del genere l’Italia diventa sempre più incapace ad adattarsi ai rapidi
cambiamenti esterni, scivolando ai margini dell’innovazione tecnologica.
Una
spirale che finisce per rendere irreversibile il declino del sistema
repubblicano, con gravi conseguenze per tutta la popolazione.
Per
fronteggiare questa deriva sono state suggerite molteplici riforme, incentrate
soprattutto sugli incentivi economici e la fornitura di adeguati servizi per le
giovani famiglie.
Ma in
nessuna nazione avanzata si sta invertendo nettamente la curva demografica,
nonostante l’implementazione di welfare state più potenti ed efficaci rispetto
al debole modello italiano.
I
cambiamenti culturali-sociali intervenuti negli ultimi decenni hanno compresso
la natalità fino ad alimentare la cosiddetta ‘trappola demografica’.
Per il
momento l’unica soluzione realistica è quella legata ai flussi migratori, ma
l’ingresso di centinaia di migliaia di persone richiede attenta pianificazione
ed enormi risorse.
Inoltre
tali ingressi, gestiti spesso in maniera caotica, hanno finito per alimentare
reazioni xenofobe, tensioni politiche e problematiche territoriali, che hanno
spinto i governi occidentali a militarizzare i confini.
Senza
radicali misure, questi trend raggiungeranno il loro culmine nel periodo
2030-2040, costringendo la nazione a forme di adattamento sempre più pesanti e
ingestibili essendo ormai diventata un ‘laboratorio’ del futuro occidentale.
Web e
social media data:
la”
brand reputation”
nell’era
della sostenibilità.
Equilibrimagazine.it
- Federica Carbone – (15 Maggio 2024) – ci dice:
La
reputazione conta.
Affrontare
la comprensione dei processi di costruzione della “reputazione dei brand”, con
particolare attenzione al settore alimentare e della moda, implica
necessariamente focalizzarsi sui canali “web e social”, che sono ricchi di dati
significativi su questo argomento.
In
questo contesto, l’ascolto attivo dei social media può fungere da strumento per
monitorare le opinioni delle persone sulle attività di un “brand”, consentendo
un’analisi approfondita della popolazione e delle sue opinioni, esaminando
inoltre le strategie e le pratiche digitali che contribuiscono alla costruzione
della reputazione online dei brand sui social media.
In
questo contesto, si propone di condurre uno studio specifico sulla percezione
specifica della sostenibilità relativa all’utilizzo di applicazioni
“sostenibili “, al fine di identificare i motivi che spingono le persone a
utilizzare tali applicazioni nella loro vita quotidiana.
L’ascolto
delle opinioni in rete.
Il
metodo di ricerca adotta un approccio misto, che combina analisi quantitativa e
qualitativa del testo.
L’analisi di ascolto della rete è stata
condotta utilizzando la “Blogmeter Suite”, una piattaforma di analisi “web e
social”.
La
piattaforma consente di condurre ricerche quantitative utilizzando parole
chiave che coprono il periodo di ricerca impostato:
in
questo caso, per uno sguardo più generico, si è scelto di monitorare l’ultimo
anno (da gennaio 2023 a gennaio 2024), al fine di individuare il linguaggio
comune utilizzato per discutere di un “corpus di app” coerenti con gli
obiettivi di ricerca: Vinted, Wallapop e Too Good To Go.
Sono
stati presi in considerazione tutti i termini correlati semanticamente al
concetto di “sostenibilità ambientale” ma anche ad altri ambiti interconnessi:
spreco alimentare, risparmio, moda di seconda
mano, fiducia e fedeltà dei consumatori.
Questo
approccio ha permesso di analizzare le opinioni relative all’uso di tali
applicazioni, attraverso un’analisi del “sentiment”.
L’obiettivo
è stato comprendere i benefici e gli svantaggi di queste “app”, oltre al loro
impatto sulla quotidianità degli utenti.
L’ingaggio
degli utenti.
Partendo
dall’analisi dei dati raccolti dai social media e dal web (es. Facebook, Instagram,
Twitter),
vengono proposte delle sintesi di alcuni dati interessanti che consentono di
valutare le opinioni espresse in rete dalle persone.
Fondamentali sono le menzioni che le persone
fanno di parole chiave concernenti il tema delle “app sostenibili”;
altrettanto
significativi sono i canali in cui si discute maggiormente di questi argomenti,
nonché gli “hashtag” più utilizzati dagli utenti. Emergono come argomenti
cruciali il “risparmio e la convenienza”, fortemente associati ad “app” come Vinted, che gode anche di una buona
reputazione tra i consumatori;
al
contrario, Wallapop
è poco
conosciuta e poco discussa.
Riscuote
molto successo, risultando evidentemente molto sentito, il tema dello spreco
alimentare:
TooGoodToGo è l’”app per eccellenza” nella
riduzione degli sprechi di cibo, usata da moltissimi italiani.
È un
ottimo fattore, inoltre, il fatto che più del 55% delle persone parli
positivamente delle applicazioni sostenibili, mostrando di avere effettivamente
molto a cuore il “tema della sostenibilità ambientale”.
Non
indifferente anche la percentuale di negatività:
a
fronte di tanti vantaggi riscontrati, questo dato sembra sottolineare che le
persone riconoscono anche una serie di problematiche e svantaggi, che spesso li
portano ad esser dubbiosi sulle potenzialità di queste piattaforme e delle
tipologie di acquisti che offrono.
Si
annoverano infatti prevalentemente timori degli utenti nella sperimentazione di
esperienze di acquisto non tradizionali e quindi intangibili, in quanto
digitali.
La
sostenibilità è reale?
I
risultati della ricerca sembrano in conclusione confermare che, benché queste “app”
vengano sempre più riconosciute promotrici tanto di pratiche rispettose
dell’ambiente quanto di principi economici e di tutela sociale, non sono al contempo uno strumento
integerrimo;
ciò è
dovuto principalmente al fatto che esse offrono un’esperienza digitale che,
come ogni attività online, comporta rischi e pericoli che non si riscontrano
nell’esperienza tradizionale in negozio;
questo
spinge spesso le persone, in maniera contrastante, a non fidarsi ciecamente di
queste applicazioni, nonostante se ne riconosca pienamente lo statuto di
strumenti convenienti in termini di ogni aspetto della sostenibilità.
Interessante
sarebbe, partendo da questo lavoro, investigare in futuro un’altra prospettiva
più quantitativa:
il prossimo “step” potrebbe essere misurare,
cioè, quanto queste esperienze non tradizionali di acquisto (che ormai sono all’ordine del giorno)
sono veramente sostenibili e rispettose della natura (si pensi ad esempio alle discussioni
sull’effettiva riduzione o meno dei “packaging” utilizzati).
Chiesto
l’Arresto di Netanyahu,
una “Decisione
Importante e
Fondamentale”.
Conoscenzealconfine.it
– (23 Maggio 2024) - Michele Blanco:
Chiesto
l’arresto di Netanyahu.
La Corte Penale Internazionale ha chiesto
l’arresto del primo ministro israeliano Netanyahu, con la giusta, evidente
motivazione: le sue politiche violano chiaramente il diritto internazionale e i
fondamentali diritti umani.
La
Corte penale internazionale (in inglese: International Criminal Court – ICC, in
francese: Cour pénale internationale – CPI) è un tribunale per crimini
internazionali che ha sede a L’Aia, nei Paesi Bassi.
La sua competenza è limitata ai crimini più seri e
gravi che riguardano tutta la comunità internazionale, tutti gli Stati del
mondo.
Questi
crimini sono il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra
(cosiddetti “crimina iuris gentium”), e di recente anche il crimine di
aggressione (art. 5, par. 1, Statuto di Roma).
La
Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può
intervenire se, e solo se, gli Stati non possono (o non vogliono) agire per
punire crimini internazionali.
La”
Corte penale internazionale” non è un organo dell’ONU e non va confusa con la “Corte
internazionale di giustizia delle Nazioni Unite”, anch’essa con sede all’Aia.
Ha
però alcuni legami con le Nazioni Unite:
ad
esempio il “Consiglio di sicurezza” ha il potere di deferire alla Corte
situazioni che altrimenti non sarebbero sotto la sua giurisdizione.
Ora la
cosa importante è se Israele si fermerà o se continuerà, come finora ha fatto,
nelle sue scellerate politiche contro il popolo Palestinese inerme e indifeso.
La
procura dell’Aja chiede ora l’arresto per Netanyahu e per i capi di Hamas.
Si
tratta di una notizia massimamente rilevante, che segna una svolta nel modo di
concepire il modus operandi del governo israeliano presieduto da Netanyahu.
Finalmente
si è arrivati a una presa di posizione forte su quello che resta un vero e
proprio massacro contro civili indifesi, fatto nel nome della lotta contro il
terrorismo e del diritto di Israele di difendersi.
Ma
chiediamoci cosa c’entrano milioni di persone, donne, bambini, civili inermi
con Hamas?
Israele, da troppi anni fa letteralmente tutto
ciò che vuole, senza il minimo rispetto dei diritti umani e del diritto ad
abitare dove per millenni hanno abitato i propri antenati.
La
grande novità di questi giorni è senza dubbio che “un tribunale internazionale”
perfettamente legittimato paragoni le politiche di Netanyahu direttamente a
quelle terroristiche di Hamas (Hamas ricordiamolo… è una creazione dello stesso
Israele ed è finanziato da Israele – nota di conoscenze al confine).
Come
ormai è a tutti evidente che all’orrendo attentato terroristico di Hamas
dell’ottobre 2023, Israele ha vergognosamente risposto con mezzi militari e
contro la popolazione civile e indifesa con solo alcuni stati occidentali che
approvano senza discutere, come purtroppo il nostro paese e gli Stati Uniti d’America, in maniera a sua volta terroristica…
non ci sono altre definizioni possibili.
Non
dimentichiamo neppure il fatto che, da più parti tra cui decine di governi di
nazioni di tutto il mondo, si è apertamente parlato di genocidio in relazione agli
attacchi di Israele contro il popolo di Palestinese, sottoposto effettivamente a un vero e
proprio massacro che, addirittura, la Cina ha giustamente definito nei termini di una
“vergogna per la civiltà”.
Se
perfino il tribunale dell’Aia, che solitamente è tutto fuorché assolutamente
neutrale, perché spesso ha negato gli interventi neocoloniali degli stati
occidentali, trattandosi del luogo in cui usualmente viene fatta valere la
giustizia dei vincitori, secondo la famosa formula di” Danilo Zolo”, prende questa volta una posizione così
importante, vuol dire che davvero, come si usa dire, si è oltrepassato ogni
limite e la misura è colma.
Una
decisione importante e fondamentale. Ci auguriamo che il governo di Israele si
fermi con le azioni di guerra. Visto che gran parte del popolo israeliano continua a
manifestare contro le azioni di guerra del suo governo.
Finalmente
si dovrebbe cambiare registro con la auspicata possibile nascita in terra di
Palestina di due Stati per i due popoli che abitano questo territorio, culla di
storiche civiltà e delle tre maggiori religioni monoteiste con più fedeli al
mondo.
(Michele
Blanco).
(lantidiplomatico.it/dettnews-chiesto_larresto_di_netanyahu_una_decisione_importante_e_fondamentale/51621_54829/)
DAL
DIRITTO DI MORIRE
AL
DOVERE DI MORIRE:
CHIAROSCURI
E PROSPETTIVE.
Centrostidilivatino.it
– (APR. 11, 2017) – Dott- Aldo RoccoVitale – ci dice:
Con
questo interessante studio sul “diritto di morire”, che pubblichiamo in
esclusiva, inizia la collaborazione con questo sito del Dott. Aldo Rocco
Vitale, dottore di ricerca in” Storia e Teoria generale del diritto” alla
Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Tor Vergata” di Roma.
Le
seguenti riflessioni tratteggiano in modo sintetico, ma secondo linee
essenziali, il tema attuale del diritto di morire e della sua configurabilità
da un punto di vista di teoria generale del diritto e nella prospettiva
biogiuridica.
La
crescente secolarizzazione del sapere giuridico che procede a tappe forzate, sospinta
anche dall’incedere del progresso tecnologico e delle cosiddette “scienze
positive” (dietro lo sviluppo delle quali il diritto arranca e stenta a trovare
“la quadra” delle problematiche giuridiche, etiche e sociali che ne
scaturiscono), ha aperto nuovi spazi d’indagine per la coscienza giuridica che prima
dell’epoca attuale erano difficilmente anche soltanto ipotizzabili.
Oggi,
invece, una sempre più dominante visione sociologica del diritto, in unione con
una simmetrica e corrispondente riduzione della percezione della dimensione
ontologica e assiologica dello stesso, hanno condotto alla rivendicazione
della tutela dei cosiddetti “nuovi diritti” che, tra l’inefficienza del
legislatore e l’avanguardismo di una parte delle corti, si insinuano tra le
fessure dell’ordinamento come l’acqua tra le crepe di una parete rocciosa,
plasmandone dall’interno la struttura.
In
questa inedita prospettiva, fondata sulla congiuntura di un individualismo di
base, che fiorisce in un vero e proprio soggettivismo etico, e di un sempre più
aggressivo utilitarismo post-capitalistico, che intende sottoporre la ragione del
diritto a quella del profitto, il diritto di morire si configura come la
rivendicazione ultima di una “libertà” che vuole domare il diritto piegandolo
ai capricci dell’“homo desiderans”.
Da
questa ridefinizione del fenomeno giuridico discendono delle conseguenze
inevitabili, concrete e sostanzialmente paradossali, come la metamorfosi del diritto di
morire in un vero e proprio dovere di morire, dinnanzi al quale la coscienza del
giurista, anche quella più sorda ai reclami fondativi della dimensione
ontologica, non può rimanere indifferente, a meno di voler sacrificare, con i
principi generali della millenaria tradizione giuridica (e filosofica)
occidentale, anche e soprattutto la civiltà nella sua stessa interezza.
I –
Introduzione.
«Tutti
muoiono, ma non tutti sono d’accordo su che cos’è la morte»:
ha
giustamente osservato “Thomas Nagel” evidenziando il paradosso per cui ciò che
tutti naturalmente accomuna, cioè la morte, è proprio ciò su cui tutti si è
sostanzialmente in disaccordo.
Del
resto, la suddetta “concordia discordantium canonum” a proposito della morte, è
altresì tipica anche del problema del diritto in sé considerato, posto che,
oggi, sebbene universalmente se ne riconosca l’importanza, non altrettanto
universale è l’accordo su cosa debba intendersi per diritto.
Questa,
in fondo, è la direzione tracciata dalla cultura giuridica odierna
(legislativa, dottrinale, interpretativa, applicativo-giudiziaria), almeno da
quando si è rinunciato ad ogni pretesa veritativa di carattere fondazionale per
il diritto, cioè da quando la struttura portante del diritto, ovvero il
riconoscimento della sua dimensione ontologica e assiologia, è stata depositata
nelle cantine della dogmatica giuridica.
Si è
fatto così spazio alle più seducenti e accattivanti (meno problematiche e più
comode per l’“operatore del diritto” che nel tempo ha sostituito l’antica
figura del “giurista”) prospettive sociologiche che hanno relegato il diritto
alla funzione di mero recettore formale della prassi sociale.
In
tale ottica, dunque, il diritto, non più ancorato ad una verità fondativa,
altro non diviene che la mera formalizzazione dei desideri, dei bisogni, delle
aspirazioni individuali o di gruppo, come precisa espressamente “Natalino Irti”
allorquando scrive che «caduto il vincolo obbligante della verità, si schiude
l’orizzonte delle possibilità. Se nessun diritto è necessario, tutti i diritti
sono possibili».
La già
menzionata linea teorica, cioè quella per cui è definitivamente tramontata la
«figura deontica originaria» (il dovere), per utilizzare la felice formula di
Norberto Bobbio, una volta consolidatasi, costituisce il terreno su cui nasce e
cresce l’albero dell’età dei cosiddetti “nuovi diritti”.
L’ordinamento,
in questa prospettiva, recepisce le diverse istanze individuali e le trasforma
in diritti soggettivi tutelati secondo lo schema legale del diritto positivo,
assistendo indifferentemente, sulla scorta del dogmatismo della neutralità
etica, tutte le potenziali richieste, anche se tra loro opposte:
la
voglia di non subire la gravidanza si legalizza, così, nel diritto all’aborto;
l’opposta
pretesa alla genitorialità si sacralizza nelle norme disciplinanti il diritto
per l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita; l’ambizione
ad una genitorialità sana si consacra nel diritto alla selezione embrionale per
una sana filiazione; e così via.
La
saldatura tra il moltiplicarsi dei nuovi diritti e il progresso tecnico in
grado di soddisfare praticamente tutti i tipi di richiesta non può, dunque, che
coinvolgere anche e soprattutto la fine dell’esistenza, tramite la
rivendicazione del cosiddetto “diritto di morire” che si configura come ultimo
momento di quel lungo percorso di riappropriazione del proprio corpo da parte
del soggetto, come nota “Stefano Rodotà” per il quale, infatti, «la rivendicazione del diritto di
morire diviene così parte integrante del più complesso movimento di
riappropriazione del corpo».
Tuttavia,
dei quesiti si pongono irrimediabilmente nella coscienza (giuridica) di chi
affronta il tema senza apriorismi di carattere ideologico: è davvero
configurabile il diritto di morire?
In una tale evenienza che sorte subisce la
natura del diritto?
Che
cosa accade alla relazione medico-paziente e al ruolo del medico?
Quali
sono le conseguenze che si possono profilare?
II –
Il diritto di morire.
Sebbene
ciascuno dei predetti quesiti sia meritevole di un approfondimento e di una
trattazione a se stante che consenta di coglierne la effettiva complessità, in
questa sede si possono tracciare i confini generali della questione nel suo
complesso così da poterne distinguere alcune delle più rilevanti sfumature.
Il
diritto di morire può essere ricostruito secondo tre differenti modalità che
ricalcano a grandi linee i tre diversi atteggiamenti che nel corso del tempo,
dell’umano incedere lungo i polverosi sentieri della storia, si sono profilati
nei confronti della morte in sé considerata.
La
morte, tradizionalmente, è stata dapprima subita, quindi combattuta e infine
sottomessa.
Nella
cultura classica la morte si subiva come evento ineluttabile, che magari, come
quella degli eroi omerici, conferiva onore e gloria per il resto dell’eternità,
ma che pendendo su tutte le teste delle umane esistenze ne rendeva vana ogni
fatica in senso contrario, come del resto recitano i versi di Simonide:
«Degli
uomini scarso è il potere,/ sono gli affanni vani;/ dolore su dolore è la breve
vita./ Su tutti uguale pende l’inevitabile morte:/ i vili e i forti ugualmente
l’hanno in sorte».
Successivamente,
contro la morte e contro il suo scandalo, si è dispiegato un movimento di
rivalsa, di lotta, di ribellione, come si evince dalle parole di “Oscar Wilde”:
«La
morte è l’unica cosa che mi spaventa. Ne ho orrore».
Il
progresso tecnico, la conoscenza scientifica, la nuova antropologia positivista
che a partire dal XIX secolo ha inteso l’uomo sempre più come una macchina da
poter riparare, hanno consentito di opporsi alla morte e di condurre contro di
essa una vera e propria guerra culturale e scientifica.
Si
pensi, oggi, alle diverse tecniche introdotte dal sapere bio-medico per
ritardare o evitare, in prospettiva, l’evento della morte di cui
l’invecchiamento è il mesto ambasciatore:
in questa prospettiva le sperimentazioni
scientifiche come la ricerca sulle cellule staminali, la riprogrammazione
dell’età cellulare, la terapia genica, la chirurgia preveniva e la chirurgia
sostitutiva, sono soltanto alcuni degli strumenti di questa incessante guerra
scatenata dalla modernità contro la morte.
In
ultimo, tuttavia, la morte, che non è stata ancora sconfitta nel predetto agone
tecno-culturale, viene allora ad essere sottomessa e soggiogata, imbrigliandone
le energie e facendone la propria più fedele alleata.
In un
tale scenario il diritto di morire può essere declinato in tre differenti
accezioni.
In
primo luogo,
come diritto indipendente e autonomo, opposto ovviamente, al diritto alla vita
e alla vita in sé stessa considerata.
In
questo senso “Friedrich Nietzsche “ha avuto modo di affermare che «voglio
insegnare il pensiero che dà a molti il diritto di sopprimersi – il grande pensiero
che seleziona e disciplina».
Il
diritto di morire si profila come qualcosa di radicalmente opposto al diritto
di vivere, poiché la morte è opposta alla vita, come il nulla all’esser-ci
dell’essere.
Questa
è la posizione di fondo condivisa dai cosiddetti “libertari”, cioè coloro i
quali ritengono che la libertà sia assoluta, in senso letterale, cioè
svincolata da ogni limite, e che anche la morte, dunque, possa e debba essere
il risultato dell’esercizio di questa infinita libertà che l’uomo rivendica per
sé e su di sé.
In
secondo luogo, il diritto di morire può essere ricondotto sotto l’alveo dello stesso
diritto alla vita, anzi, più specificamente del diritto alla salute, divenendo
l’esercizio definitivo di quest’ultimo, rivendicazione finale della propria
autodeterminazione sul proprio corpo, sulle proprie scelte terapeutiche, cioè
come “diritto negativo” del diritto di vivere, ovvero come non-esercizio di un
tale diritto di vivere.
Così
chiaramente si è pronunciato, per esempio, il Consiglio di Stato:
«Ai
sensi dell’art. 32 Cost., i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi
espressamente previsti dalla legge[…], soltanto in questi limiti è
costituzionalmente corretto ammettere limitazioni al diritto del singolo alla
salute, il quale, come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo
risvolto negativo:
il
diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi
finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri
dell’interessato e finanche di lasciarsi morire».
Questo,
in un certo senso e per grandi linee, è l’orientamento maggiormente diffuso
oggi nella cultura giuridica occidentale, ma che, tuttavia, sebbene sotto la
“mitezza” della forma legis, non differisce nella sua sostanza dalla prima visione
libertaria che intende dominare sul fenomeno della morte senza ostacoli o
confini.
In un
terzo senso, invece, il diritto di morire può essere inteso come
accompagnamento alla morte, ma senza provocarla, rispettandone
l’ineluttabilità, ma senza reputarla un diritto in senso stretto, cioè
considerandola parte della vita, poiché, come ha puntualizzato Vladimir Jankélévitch
«l’atteggiamento assunto verso la morte mi sembra in realtà un atteggiamento
assunto verso la vita».
Questa
ultima prospettiva è nella sostanza la visione condivisa secondo i criteri
morali e antropologici della tradizione giudaico-cristiana come si evince da
quanto disposto dal Catechismo della Chiesa Cattolica che così sancisce:
«L’interruzione
di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate
rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la
rinuncia all’“accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte:
si accetta di non poterla impedire».
Tuttavia,
oggi, il diritto di morire viene prevalentemente inteso nelle prime due
accezioni, non solo perché la cultura contemporanea, specialmente quella
giuridica è ormai una cultura post-cristiana che ha reciso ogni legame con i
propri fondamenti spirituali e teologici, ma specialmente perché è lo stesso
diritto, nella sua natura, ad essere stato dapprima ribaltato e poi
risolutamente, sebbene spesso inconsapevolmente, negato.
Il
diritto di morire, almeno nella corrente e dominante accezione con cui esso
viene reclamato, riflette, semplicemente, quella concezione prassistica del
diritto quale mero “normalizzatore” di tutto ciò che avviene a livello sociale.
Il
diritto, però, in un tale frangente viene negato nella sua stessa essenza,
poiché, come ha ben notato “Sergio Cotta”, «la riduzione della verità a prassi
comporta la negazione della verità dell’essere».
Il
diritto, privato della propria ragion d’essere, si tramuta così in mero
aggregato di norme formali piuttosto che in ordine (ordinato e ordinante)
fondato sulla giustizia, cioè sul riconoscimento di ciò che all’altro si deve e
dei limiti che la natura di tale riconoscimento impone, come per esempio
l’indisponibilità della vita, finanche della propria, come ha evidenziato “Francesco
Santoro-Passarelli” per il quale, infatti, «non esiste e non è neppure
concepibile, malgrado ogni sforzo dialettico, un diritto sulla propria persona
o anche su se medesimo, o sul proprio corpo, stante l’unità della persona, per
la quale può parlarsi soltanto di libertà, non di potere rispetto a se
medesima».
E
proprio le riflessioni di Santoro-Passarelli, consentono di rilevare che
l’evidente equivoco contemporaneo che pretende di legittimare il diritto di
morire come ultima disposizione di sé e della propria vita altro non è che la
traduzione a livello di dogmatica giuridica di quell’equivoco di base intorno
alla libertà che talvolta si riscontra perfino in ambito filosofico.
La
libertà, infatti, non significa assenza di limiti, confini, regole o zone
“indisponibili”, ma semmai proprio il contrario, perché è in ciò che consiste
la differenza radicale tra autentica libertà e sfrenata licenza, come ha
insegnato colui che viene comunemente identificato quale “padre” del
liberalismo politico e giuridico, cioè “John Locke” il quale così ha
puntualizzato:
«Sebbene questo sia uno stato di
libertà, tuttavia non è uno stato di licenza: sebbene in questo stato si abbia
la libertà incontrollabile di disporre della propria persona e dei propri
averi, tuttavia non si ha la libertà di distruggere né se stessi né qualsiasi
creatura in proprio possesso».
Su
questa stessa linea, alcuni decenni dopo, un geometra della razionalità
illuministica del calibro di “Immanuel Kant” ha potuto ricordare non solo la
distinzione etica e giuridica tra libertà e arbitrio, ma soprattutto che «il suicidio non è abominevole e
inammissibile perché Dio lo ha proibito, ma al contrario Dio lo ha proibito
perché, degradando al di sotto dell’animalità la dignità intrinseca dell’uomo,
è abominevole.
Perciò i moralisti, prima di ogni altra cosa,
sono tenuti a mostrare la natura intrinsecamente esecrabile del suicidio».
Ma,
del resto, tra gli aspri sentieri storici e tra gli scoscesi percorsi
concettuali che lungo l’arco del tempo, soprattutto nell’ambito del XX secolo,
si sono succeduti intorno al faticoso tema della libertà, anche in ambito più
strettamente secolare si è ben presto compreso che, con le parole di “Albert
Camus,” «la
libertà senza limiti è il contrario della libertà».
Occorre
recuperare, quindi, una tale consapevolezza presente sia nel pensiero più
prettamente religioso, sia in quello secolare, ma che, tuttavia, una
sconcertante assenza di riflessione, tanto nell’ambito politico quanto in
quello delle aule giudiziarie, sembra voler forzatamente ignorare travolgendo e
stravolgendo sia la natura del diritto che quello della libertà, cioè sia
l’ambito della relazionalità che quello della responsabilità, rivelando non già
una mancanza di fede nella trascendenza, quanto piuttosto nella stessa
razionalità, poiché, con le parole di “Piero Calamandrei” «c’è il caso che l’inesperto e il
dilettante (che è anche peggiore) di filosofia, si metta a proclamare che il
diritto consiste unicamente nel far tutti quanti il comodo proprio».
III – Il dovere di morire.
L’affermazione
di un diritto di morire in senso libertario, che è la modalità principale con
cui oggi il diritto di morire viene reclamato, comporta delle precise
conseguenze di carattere pratico e teoretico che trovano scaturigine nelle
suddette distorsioni intorno alla natura e alla funzione del diritto.
Il
diritto di morire, infatti, laddove è stato riconosciuto come espressione
dell’autodeterminazione individuale, si è ben presto tramutato in una esigenza
imposta di carattere sociale.
L’autonomia,
insomma, si è rovesciata nel suo opposto, cioè nell’eteronomia;
la libertà individuale è divenuta una
necessità sociale; la facoltà soggettiva è diventata un obbligo collettivo; il
diritto di morire, tramite una vera e propria forma di “interversio virtutis”
si è così trasformato in “dovere di morire”.
Il
dovere di morire viene in rilievo in almeno tre dimensioni tra loro complementari, come si
evince dal dibattito scientifico a livello internazionale che, come tutto e ben
presto, si travaserà anche in Italia con un analogo strumentario argomentativo.
In
primo luogo, in riferimento ai cosiddetti “mental illness”, cioè tutti quei soggetti a cui è
stata diagnosticata una” patologia psichica” e che, in ragione delle loro
sofferenze, spesso inespresse e inesprimibili per via delle condizioni in cui essi
versano, sono considerati meritevoli di morte (medicalmente) assistita.
Tanto
ha avuto modo di auspicare “Jukka Varelius” sulla nota rivista “Bioethics” con
un intervento dal significativo titolo “On the moral acceptability of
physician-assisted dying for non-autonomous psychiatric patients”, in cui per l’appunto si chiarisce
che anche i pazienti psichiatrici non autonomi possono spesso soffrire in modo
insopportabile per cui è necessario oramai mettere in discussione il divieto di
non poter somministrare loro una morte medicalmente assistita di cui invece
avrebbero assoluto bisogno.Una simile proposta è già in corso di attuazione in molti di
quei Paesi che, come l’Olanda o il Canada, hanno legalmente riconosciuto quel
diritto di morire poi mutato in dovere di morire.
Lo
sviluppo di una tale prassi è divenuto così ampio e allarmante da costringere
lo psichiatra “Paul Appelbaum” ad esprimere tutta la propria preoccupazione,
sulla rivista “Law and psychiatry”, ricordando che la morte medicalmente assistita per i pazienti
psichiatrici non può costituire una facile alternativa “terapeutica” rispetto
all’elaborazione di adeguati trattamenti medici e di supporto sociale per
questo tipo di pazienti.
Il
fenomeno, del resto, sta diventando così diffuso e fuori controllo che perfino
il quotidiano “Washington Post” si è di recente interessato alla tematica
parlando di vera e propria “crisi morale dell’Europa” a proposito della
crescente soppressione dei pazienti affetti da patologie psichiatriche senza o,
perfino, contro il loro stesso consenso.
In
secondo luogo, il dovere di morire si sta delineando con sempre maggior
intensità in relazione al reperimento di organi a fini di trapianto.
Il
noto bioeticista “Julian Savulescu”, infatti, ha espressamente ritenuto
l’eutanasia come un sistema adeguato per massimizzare il numero e la qualità
degli organi a fini di trapianto
Così,
accogliendo una simile proposta, il 24 marzo 2016, sul “Journal of Medical
Ethics” è stato pubblicato uno studio condotto da ricercatori dell’Università
di Maastricht in cui gli autori si chiedono se debba essere ancora applicata
rigorosamente la regola del donatore deceduto, invece di procedere con il
donatore ancora vivente per garantire una migliore protezione degli organi da
trapiantare.
In
terzo luogo, il dovere di morire si sta profilando come obbligo morale di
accettarne la liceità tramite la restrizione prima e la negazione poi del
diritto all’obiezione di coscienza del medico in caso di prassi eutanasiche.
Tra i
molteplici esempi possibili in questo senso, si considerino le riflessioni nel
settembre 2016 di “Julian Savulescu” e “Udo Schuklenk”, esposte in un saggio
dal titolo “Doctors have no right to refuse medical assistence in dying, abortion or
contraception”, tramite cui i due autori concludono che i medici possono senz’altro
avere opinioni e valori personali, ma che non possono vantare uno statuto morale speciale
che consenta loro di negare assistenza ai pazienti che ne hanno diritto in
alcune circostanze come la morte assistita, l’aborto o la contraccezione.
In una
simile prospettiva la morte si configura come un vero e proprio dovere di
carattere morale e giuridico che la società impone ai soggetti più deboli, per
non sopportarne il peso esistenziale, o per sfruttarne gli organi, come vere e
proprie “dispense biologiche”, o perfino per motivazioni di carattere
contabile, cioè per ottenere risparmi nell’economia del sistema sanitario di
riferimento.
In
quest’ultimo senso, del resto, si deve segnalare l’approccio analitico al
problema che è già in corso di sviluppo, come dimostra, tra i tanti esempi
possibili, l’articolo pubblicato il 23 gennaio 2017 sull’autorevole “Canadian
Medical Association Journal” a firma di “Aaron Trachtenberg” e” Braden Manns” secondo i quali la legalizzazione
della morte medicalmente assistita in Canada comporterebbe un vigoroso
ridimensionamento dei costi della sanità canadese con un risparmio di ben 138,8
milioni di dollari all’anno.
Lo
sfruttamento della morte a fini economici, tuttavia, non è qualcosa di inedito
posto che già nel 2014 “Roland Ripke” aveva sostenuto la possibilità di
sfruttare commercialmente l’industria della morte “medicalmente assistita” fino
a reputare, provocatoriamente, che chi non dovesse condividere una simile
prospettiva, pur sostenendo la morte medicalmente assistita, dovrebbe rivedere
l’intera sua opinione in merito per mancanza di coerenza.
Già
alla luce di questa rapida panoramica sul dibattito scientifico internazionale,
si intuisce quanto verosimile sia la possibilità di concretizzazione del
cosiddetto “slippery slope” in tema di fine vita, cioè il rischio di percorrere
il “pendio scivoloso” che conduce dalla morte volontaria a quella involontaria,
dall’affermazione di alcuni diritti “storici” alla negazione dei diritti
fondamentali.
Trovano
così perfetta collocazione le parole di “David Lamb” che riassume perfettamente
l’idea di questo
preciso capovolgimento etico e giuridico del diritto di morire in dovere di
morire:
«In
una società in cui l’uccisione su richiesta venga considerata lecita, i
moribondi finiscono in una situazione in cui sono costretti a esprimere il loro
desiderio di morire come l’adempimento di un ultimo dovere di buona creanza
verso i viventi».
Prima
di concludere, un secondo profilo emerge preponderante, cioè non solo e non
tanto la natura della relazione medico-paziente, tema articolato e complesso
che non può essere analizzato in questa sede sebbene fortemente connesso con la
problematica in questione, quanto piuttosto la responsabilità medica.
Tralasciando
tutta l’annosa e più tecnica problematica riguardante l’avvicendarsi, nelle
varie “epoche” giurisprudenziali e dottrinali, delle opinioni circa la natura
giuridica della obbligazione medica, se cioè essa sia una obbligazione di mezzo
o, piuttosto, una obbligazione di risultato, occorre guardare all’orizzonte,
esaminando, seppur sinteticamente, la prospettiva giuridica che grottescamente
viene a profilarsi a seguito della saldatura tra la legalizzazione del
diritto-dovere di morire da un lato e dall’altro di alcuni capisaldi della
prassi giudiziaria oramai consolidatisi nel corso dei decenni.
Sulla
scorta dell’affermazione delle cosiddette “wrongful actions”, infatti, che hanno ridisegnato i
confini della cosiddetta “malpractice medica”, ridefinendo la responsabilità del
medico nella sua opera professionale, non si può fare a meno di pensare che la
stessa figura medica, per esempio il rianimatore, o il medico di famiglia, o
magari il pediatra, potrebbe essere convenuto/imputato per non essere riuscito
a salvare la vita di un paziente, rispondendo, per esempio, per “wrongful diagnosis”, e, all’un tempo, per non essere
riuscito a uccidere un altro “paziente”, che tale richiesta aveva avanzato,
rispondendo altresì per wrongful death.
Si
intuisce fin troppo chiaramente tutto il paradosso intrinseco ad una simile
situazione che potrebbe ben presto venire ad esistere nel caso in cui,
riconosciuto il diritto-dovere di morire, fosse del tutto stravolta la natura e
la funzione della professione medica non più tesa a garantire la vita e la
salute del paziente, ma anche a sottrarle sulla base di una logica, perfino di
carattere commerciale, on demand.
Lo
scenario non può che complicarsi se al tutto si aggiungono le incertezze etiche
e scientifiche che sempre si sono addensate intorno alla morte cerebrale come
criterio di accertamento della fine dell’esistenza umana, specialmente alla
luce del dibattito mai sopito a livello filosofico e che è stato riacceso
recentemente, anche a livello scientifico, dallo studio pubblicato sul “Canadian Journal of Neurological
Sciences”
in cui gli autori dello stesso non solo hanno sollevato dubbi etici in seguito
alle registrazioni dell’elettroencefalogramma che hanno dimostrato una intensa
attività cerebrale per ben trenta minuti e pur dopo che è stata ufficialmente
dichiarata la morte cerebrale di un paziente susseguente al distacco dei suoi
trattamenti di sostegno vitale, ma hanno altresì auspicato ulteriori investigazioni
sull’attività cerebrale di altri pazienti, pur dichiarati morti, dato che
nessuno si è mai preso il disturbo di indagare scientificamente in tal senso.
Si
comprendono, insomma, tutte le difficoltà scientifiche, sociali, giuridiche ed
etiche che sorgono nel caso di un eventuale riconoscimento del diritto di
morire in grado di stravolgere sia la natura del diritto che quella della
professione medica, dovendosi ricordare, così, le parole di Hans Jonas” per il
quale, giustamente, «il paziente dev’essere assolutamente sicuro che il suo
medico non diventi il suo boia e che nessuna definizione lo autorizzi mai a
diventarlo».
IV –
Conclusioni.
In
considerazione di tutto quanto fin qui esposto, occorre prendere atto che il
riconoscimento del diritto-dovere di morire, nel senso comune con cui lo si
reclama e per cui lo si vuole legalizzare, presuppone il disconoscimento del
diritto come epifania della ontologica, e quindi indisponibile, relazionalità
naturale dell’uomo, conseguenza diretta del misconoscimento della sua verità
costitutiva, cioè la giustizia, quest’ultima abbandonata ai marosi della
mutevolezza dei tempi e dei capricci sociali, dimenticando la preziosa lezione
di S. Agostino che così in proposito ha scritto:
«Mossi
dalle innumerevoli e varie consuetudini, alcuni, per così dire,
semiaddormentati – in quanto non erano immersi nel sonno profondo della
stoltezza ma nemmeno erano svegli alla luce della sapienza – ritennero non
darsi giustizia di per sé stessa ma ogni popolo sarebbe autorizzato a
considerare giuste le sue costumanze.
Ora
siccome queste costumanze sono diverse nei diversi popoli mentre la giustizia
deve rimanere immutabile, diverrebbe ovvio che la giustizia non si trovi in
nessuna parte.
Per
non ricordare altro, non compresero che il detto:
“Non
fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te”, non può in alcun modo
variare secondo le diverse accezioni invalse nel mondo pagano».
In
conclusione, risuonano nella mente le acute parole di “Flavio Lopez de Oñate”
il quale insegna, soprattutto al giurista di oggi più conformisticamente e
pigramente sensibile al valore della mutevolezza del costume sociale che alla
sacralità universale della giustizia, che
«l’ufficio
del giurista consiste non nel tirar fuori le leggi dall’ambiente storico in cui
sono nate, per rilustrarle e collocarle in bella mostra, come campioni
imbalsamati nelle loro scatoline ovattate, in un sistema armonico che dia agli
occhi l’illusione tranquillante della loro perfetta simmetria e addormenti le
coscienza col far credere che il diritto viva per conto suo inattaccabile in un
empireo teorico in cui le contingenze umane non possono giungere a turbarlo; ma nel dare agli uomini la tormentosa,
ma stimolante consapevolezza che il diritto è perpetuamente in pericolo, e che
solo dalla loro volontà di prenderlo sul serio e di difenderlo a tutti i costi
dipende la loro sorte terrena, ed anche la sorte della civiltà».
L'amministratore
delegato di BlackRock promuove lo spopolamento, sostituendo gli esseri umani
alle macchine nei paesi in via di sviluppo per una migliore qualità della vita.
Naturalnews.com – (05/02/2024) - Belle Carter –
ci dice:
Per
l'amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, i paesi con popolazioni in
declino saranno "grandi vincitori" quando si tratta di affrontare i
problemi sociali che derivano dalla "sostituzione degli esseri umani con
le macchine".
Durante
l'incontro speciale del “World Economic Forum “(WEF) sulla collaborazione
globale, la crescita e lo sviluppo energetico che si è svolto dal 27 al 29
aprile a” Riyadh”, in Arabia Saudita, ha parlato davanti a un panel su
"Investire in mezzo alla frattura globale" e ha sottolineato come le
nazioni spopolate avrebbero maggiori possibilità di prepararsi ai problemi che
potrebbero derivare dall'intelligenza artificiale (AI) e dall'automazione per
aumentare la produttività ed elevare i loro standard di vita.
"Posso
sostenere che nei paesi sviluppati i grandi vincitori sono i paesi che hanno
una popolazione in calo", ha detto Fink.
"Abbiamo sempre pensato che la
diminuzione della popolazione sia una causa di crescita negativa, ma nelle mie
conversazioni con la leadership di questi grandi paesi sviluppati che hanno
politiche di immigrazione xenofobe, non permettono a nessuno di entrare,
riducendo la demografia:
questi paesi svilupperanno rapidamente la
robotica, l'intelligenza artificiale e la tecnologia”.
Ha
anche predetto che il paradigma della crescita negativa della popolazione sta
per cambiare e ha aggiunto:
"E
se la promessa, e sta per accadere, se la promessa di tutto ciò trasformerà la
produttività, come la maggior parte di noi pensa che accadrà, saremo in grado
di elevare il tenore di vita dei paesi, il tenore di vita degli individui,
anche con la diminuzione della popolazione".
Il più
grande gestore di investimenti del mondo, con 10 trilioni di dollari di asset
mondiali sotto la sua ala, ha anche affermato che c'è un grande divario tra i
"paesi in via di sviluppo della classe media che hanno una base e
un'istruzione" e i paesi in via di sviluppo con una popolazione in forte
espansione ma poca istruzione sarebbe evidente.
Per le popolazioni in crescita nei paesi in via di
sviluppo, in particolare in Africa, l'istruzione sarà fondamentale, secondo il
CEO di BlackRock.
"Per
quei paesi che hanno una popolazione in aumento, la risposta sarà l'istruzione
– per quei paesi che non hanno una base di stato di diritto o istruzione, è lì
che il divario diventerà sempre più estremo", ha aggiunto.
Per
alcuni critici, i messaggi veicolati dal WEF sono contraddittori.
Nello
show Alex Jones di InfoWars, ha sottolineato come il discorso di Fink
sull'automazione, l'intelligenza artificiale e una migliore qualità della vita
si scontri con l'agenda del Great Reset del WEF in cui: "non possiedi
nulla e sei felice".
"Vivresti
in un appartamento di 200 metri quadrati mangiando proteine di insetti",
ha sostenuto Jones.
"Fink
ti sta mentendo. Ha 15 jet privati e palazzi giganti ovunque.
Ma non si può avere niente.
Incredibile."
Blackrock
spende più del triplo per la sicurezza di Fink rispetto alle minacce alle sue
politiche ESG.
Fink,
esprimendo le sue controverse dichiarazioni, costa alla sua azienda un bel po'
di soldi.
L'anno scorso, BlackRock ha più che triplicato
la spesa per la sua sicurezza privata dopo aver ricevuto critiche per il suo
impegno a investire in società che promuovono controverse strategie ambientali,
sociali e di governance (ESG).
(Larry
Fink di BlackRock difende gli standard ESG per le aziende americane,
sottolineando la necessità di "forzare i comportamenti" in un video
del 2017.)
Blackrock
ha presentato una dichiarazione di delega alla Securities and Exchange
Commission (SEC) ad aprile, dimostrando di aver speso $ 563.513 per
"aggiornare i sistemi di sicurezza domestica" nelle residenze del
magnate l'anno scorso. L'azienda ha anche speso 216.837 dollari in guardie del
corpo per proteggerlo, come riportato dal Financial Times.
Nel
frattempo, ci sono stati fondi di investimento statali che sono stati ritirati
dalla società a causa delle sue politiche controverse.
Tra
questi, circa 13,3 miliardi di dollari di asset in segno di protesta contro le
società di finanziamento che si concentrano sui fattori ESG.
Il “Texas
Permanent School Fund” è stato l'ultimo a ritirare i soldi da BlackRock,
dicendo che avrebbe rimosso 8,5 miliardi di dollari dalla società, la più
grande rimozione fino ad oggi da parte di un fondo pensione guidato dai
repubblicani. Anche West Virginia, Florida, Missouri e altri stati a guida
repubblicana si sono uniti alla reazione contro l'azienda.
In
mezzo al contraccolpo, Fink si è scagliato contro i suoi critici politici
sostenendo che "mentono continuamente".
"Abbiamo
fatto un lavoro migliore ora nel raccontare la nostra storia in modo che le
persone possano prendere decisioni basate sui fatti, non sulle bugie e non
sulla disinformazione o sulla politicizzazione da parte di altri", ha
detto Fink durante una chiamata sugli utili del primo trimestre.
"Purtroppo,
ce ne sono ancora altri là fuori... che mentono continuamente su questi
temi".
Senza
fare nomi di politici statunitensi, ha fatto riferimento in qualche modo
indirettamente ai continui attacchi da parte dei politici sul lato repubblicano
della navata sia a Washington che in stati conservatori come il Texas.
I repubblicani hanno continuato a cercare di
trasformare Fink e la sua azienda nell'esempio preminente di ciò che accusano
di "investimento woke" mentre la stagione elettorale del 2024
continua a scaldarsi.
Ha
affermato che gli attacchi non stanno funzionando, citando un aumento degli
investimenti statunitensi nella sua azienda.
Ha
riferito che ci sono stati 1,9 trilioni di dollari di afflussi netti totali da
parte degli investitori statunitensi in BlackRock negli ultimi cinque anni e
quasi 300 miliardi di dollari di nuovi investitori statunitensi che sono
apparsi sui libri contabili della società solo nell'ultimo anno.
"Credo che con la stragrande maggioranza
dei nostri clienti, il nostro approccio fiduciario a lungo termine e le nostre
prestazioni stiano risuonando", ha affermato Fink.
(Globalism.news
per ulteriori notizie su come i globalisti si stanno muovendo per promuovere la
wokeness, l'automazione e lo spopolamento.)
(LifeSiteNews.com,
WEForum.org, NYPost.com, Finance.Yahoo.com)
Catapano:
“Le banche usano mezzi illeciti come il falso in bilancio e l’autoriciclaggio
nello svolgimento della loro attività al fine di ottenere enormi guadagni che
non dichiarano.”
Bolognatoday.it
– Michele – (26-1 -2015) - Giuseppe Catapano – (25-5-2024) – ci dicono:
(Nota-
Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno.
Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di
BolognaToday).
"Quando
la banca riceve contanti crea sui conti correnti denaro elettronico equivalente
al contante ottenuto "clonando" quindi il valore del denaro liquido
che dovrebbe essere annullato o distrutto.
Giuridicamente,
infatti, le banche non hanno una esplicita licenza di creare denaro virtuale,
ma vengono considerate solo come società di intermediazione finanziaria.
L'attività
principale delle banche consiste invece proprio nella creazione di denaro ex
novo, che - ad oggi - non risulta contabilizzato a bilancio come attivo.
Se gli
istituti di credito evitano di iscrivere in contabilità, nel risultato lordo
d'esercizio, la quota annuale di denaro virtuale che creano dal nulla, è
evidente che lo considererebbero esse stesse "denaro falso".
A norma di legge i debiti contratti con denaro falso
sono viziati e non sono giuridicamente validi.
Ne deriva che tutti i debiti contratti con le
banche sarebbero annullabili, un vero e proprio miracolo degno della
"Madonna dei Debitori"!
Ma la notizia buona è che non c'è nessun
bisogno di cambiare le regole esistenti:
se le
banche seguissero la regola contabile principale ovvero quella che richiede che
il bilancio esponga la situazione economica, patrimoniale e finanziaria reale,
allora si regolarizzerebbe questo denaro".
"Quello
che emerge dallo studio approfondito dei bilanci bancari è che essi sembrano
predisposti ad arte per occultare la creazione di denaro.
Le
banche, infatti, segnano i depositi e i conti correnti solo al passivo di
bilancio.
Ora
che è finalmente riconosciuto il fatto che le banche creano dal nulla il denaro
necessario per tutti gli impieghi, è evidente che questo denaro debba essere
registrato prima all'attivo, e solo dopo, al momento dell'impiego, al passivo.
Oggi
questo non avviene, è come se il proprietario di una casa la affittasse senza
averla prima registrata al catasto e pretendesse il pagamento dell'affitto
senza dimostrare la catena di titolarità della proprietà.
È un
vulnus della legalità.
In
parole semplici: le banche fanno guadagni enormi prestando denaro di cui non risultano
avere la proprietà, per cui non ci pagano le tasse, riottenendo indietro il denaro con
gli interessi.
Il margine operativo lordo delle banche
ammonta a enormi quantità di denaro, decine di miliardi di euro, di cui
beneficiano solo gli istituti di credito.
Il Pil del nostro Paese potrebbe raddoppiare
in un mese, se i "soldi virtuali" creati dalle banche fossero calcolati e
tassati come attivo.
"Al
momento non si dispone nemmeno di uno studio di settore dedicato all'attività
bancaria, in particolare per i codici ATECO 64.11.00 (Attività della Banca
Centrale) e 64.19.10 (Intermediazione monetaria di istituti monetari diverse
dalle Banche centrali).
"La
brama di denaro ha portato le banche a concentrarsi sulle attività finanziarie
e speculative.
La mia
opinione è che sia stato costruito "ad arte" un sistema finalizzato a
creare enormi riserve di denaro da utilizzare per costruire una catena di
comando in cima alla quale ci sono le banche e al di sotto i governi, che dovrebbero rappresentare gli
interessi dei cittadini, ma che oggi sono sotto scacco da parte delle banche
stesse, che vengono mediaticamente spacciate come "il mercato", al
punto da non poter più operare per il bene della propria comunità.
In
questa struttura piramidale che non ha nulla di democratico, si crea un vero e
proprio "governo delle banche" che condiziona la vita o la morte
degli Stati, manipolando i tassi, i cambi e i prezzi, dell'oro e delle materie
prime ad esempio, e finanziando rivoluzioni per soggiogare e indebitare le
popolazioni, come quella in Ucraina che da aprile si trova sul gobbo un
prestito di ben 17 miliardi di dollari da parte del FMI.
I condizionamenti politici ed economici legati a
questi prestiti internazionali, spacciati per “aiuti”, portano a conseguenze
geopolitiche disastrose, come è evidente dalle attuali tensioni che l’Occidente
sta creando con la Russia”.
(Questo
articolo è stato pubblicato il 25-5-2024. L’originale risale al 26-1-2015 da
“Michele”).
Breve
storia di risparmi, truffe e umana avidità.
Ristrutturazioneaziendale.it
– (18 ottobre 2022) - Franco Baiguera – ci dice:
1.
Premessa.
Nonostante
la cultura finanziaria nel nostro Paese si sia sempre più diffusa grazie – ma
non solo – alla tecnologia informatica e alla stampa economica, non solo
cartacea, è proprio il caso di ribadire che c’è sempre qualcuno, attirato dal
coro delle “sirene di Ulisse”, che cade nella trappola di malfattori che
adescano, senza scrupoli, persone ingenue ma anche – va detto – decisamente
avide.
Nel
caso che verrà poco oltre illustrato un gruppo di persone numeroso e
disomogeneo per estrazione culturale, zona geografica di residenza o età, viene
attirato nella rete tesa da un imbonitore – per usare un eufemismo – che,
promettendo interessi ben al di sopra della media di mercato sulle somme
investite, raccoglie ingenti somme da destinare a propri scopi personali.
La
ricostruzione di alcuni fatti significativi: lo schema Ponzi.
Alcuni
geni del male del mondo finanziario utilizzano la c.d catena di Sant’Antonio;
altri, strumenti più sofisticati, come la clonazione delle carte di credito
o di bancomat.
Quello
che stupisce, nel caso che ci interessa, è che il sig. Massimo Raggiro utilizzava un metodo ben noto da
tempo e risalente nel tempo: lo schema Ponzi, uno schema economico truffaldino di allocazione di
prodotti finanziari ideato da Charles Ponzi (1882-1949), che promette forti guadagni ai primi
investitori, a discapito di nuovi "investitori", a loro volta vittime
della truffa.
Lo
schema, in breve, funziona così:
un
truffatore promette guadagni fuori dagli standard, ad esempio il 10% al mese; e
quando gli viene chiesto in cosa consiste l'investimento, risponde riferendosi
in termini fumosi a meccanismi complessi o incomprensibili.
Il
truffatore diffonde la sua proposta, ad esempio con un passaparola, e attira un
primo gruppo di vittime, ognuna delle quali versa la sua quota da
"investire"; così inizia ad accumulare una prima somma di denaro data
dal totale delle quote di capitale versate dai primi (sprovveduti)
risparmiatori.
In
questa prima fase, senza un investimento documentato, solo pochi investitori
danno fiducia al truffatore, il quale assicura loro di rispettare i patti:
promette di pagare quanto pattuito, anche se per farlo dovesse andare in
perdita.
Per
fingere che l'investimento stia avendo successo, dopo un mese il truffatore
riconosce ad ogni vittima il 10% della quota versata, spacciandolo per il
profitto promesso;
in
realtà, non fa altro che sottrarre quel denaro al capitale iniziale.
I
primi "investitori", ripagati, reinvestono, del tutto o parzialmente
i fondi, reimmettendoli “nel giro”, e soprattutto parlano bene
dell'investimento attirando a loro volta nuove vittime;
questo
afflusso di nuovi "investitori" è importante perché la truffa possa
continuare, dato che il "guadagno" è mensile o a scadenza periodica
breve;
in
caso contrario, il capitale iniziale si esaurirebbe in poco tempo e la truffa
verrebbe scoperta quasi subito.
Se
l’imbonitore sa essere davvero convincente, il meccanismo può durare abbastanza
a lungo, magari anche a costo di qualche sacrificio che consiste nel dover
rimborsare tutto il capitale e gli interessi maturati a chi, ad esempio per
sopraggiunte necessità impellenti, lo richiede.
Ma
questo sacrificio è solo temporaneo, perché rafforza con effetto immediato
l’illusoria affidabilità dello schema Ponzi.
L’importante
è che il truffatore riesca a giocare sporco il più a lungo possibile per
massimizzare il guadagno senza essere scoperto prematuramente.
Prima
che ciò accada, infatti, l’organizzatore della truffa sparisce nel nulla con i
soldi disponibili in quel momento, probabilmente già dirottati verso lidi
inesplorabili.
Presto
o tardi, tuttavia, la difficoltà di reperire nuovi adepti porterà lo schema a
collassare da solo, non riuscendo a ripagare gli investimenti o venendo
scoperto dalle forze dell'ordine.
Lo
schema Ponzi è stato replicato più volte nella storia anche recente: una delle più note applicazioni
dello schema si è avuto con il caso Madoff, che rappresenta anche una delle più
grandi frodi mai attuate, che vanificò nel nulla circa 65 miliardi di dollari.
Ma
noto fu anche quello di Jan Lewan:
era un
immigrato polacco, trasferitosi da anni negli U.S.A., che organizzava show e
spettacoli con la sua band che, a suon di musica polka, intratteneva il
pubblico più anziano.
Gli
affari però non gli andavano per il meglio e lo showman decise di proporre ad
alcuni dei più affezionati spettatori un sistema di investimento ad alto
interesse e al di fuori delle banche, dando vita ad un vero e proprio schema
Ponzi che attrasse sempre più finanziatori:
la
storia è stata recentemente proposta all’attore Jack Black, interprete del film
Il re della Polka, un’esilarante pellicola rielaborata comicamente dalla quale
pare abbia attinto in maniera molto fedele il signor Massimo Raggiro.
In luogo degli intrattenimenti a base di
Polka, durante i quali Jan raccoglieva i fondi, Massimo Raggiro organizzava
eventi in location lussuose nelle quali sopraggiungeva ovviamente sempre in
ritardo come le prime donne dello spettacolo con automobili di gran lusso,
autisti privati e circondato da sedicenti professionisti del settore.
2.
Dallo schema Ponzi alla “Chimera srl”.
“Massimo
Raggiro “non poteva non operare tramite una società di facciata che chiameremo “Chimera
srl”, braccio formale utilizzato per la raccolta delle somme di denaro da
persone fisiche, indicando in contabilità causali fantasiose: naturalmente
nessuno le avrebbe lette, né ad alcuno potevano interessare; ma era necessario
garantire un minimo di credibilità se chicchessia ne avesse fatto richiesta.
Un
riassunto di alcuni dei fatti e dei movimenti più significativi può aiutare a
comprendere bene come Massimo Raggiro aveva organizzato il giro di denaro
tramite la “Chimera srl” a danno di numerose persone.
Attraverso
un vero e proprio martellamento psicologico – come sopra brevemente esposto – e
grazie al passaparola, venivano raccolte ingenti somme da vari soggetti (tutte
persone fisiche) e, contestualmente o poco dopo, venivano rimborsate anche
somme titolo di interessi;
alcune volte, anche l’intero capitale
investito:
il
rimborso del capitale investito ad alcuni risparmiatori costava di più a “Chimera
Srl”, ma aveva il grosso vantaggio di rendere più credibili le promesse fatte e
di rendere lo schema più durevole nel tempo.
Per
ricostruire nel modo più preciso possibile la truffa, si è dovuto procedere
analizzando la contabilità della Chimera srl nonché le pezze giustificative
provenienti da terzi, soprattutto dalle banche, ma anche i contratti reperiti,
la copia degli assegni e dei bonifici, eccetera, al fine di far quadrare un
cerchio molto spigoloso.
Un
esempio può essere di aiuto, partendo da un estratto della contabilità e
precisamente dalla scheda contabile della “Blind Bank” del mese di Maggio 202X:
1.
Incasso 200.000 € da un “risparmiatore” il 15/5/202X e, il giorno seguente,
2.
rimborso di importi a molti soggetti che in precedenza avevano già provveduto
ad effettuare versamenti, pari ad una percentuale in conto interessi molto
elevata.
Lo
schema, collaudato, funzionava.
Il conto corrente della Blind Bank si
incrementa nel corso del 202X fino a circa 5 milioni di euro, per poi
inesorabilmente azzerarsi prima di fine anno.
Come
anticipato, i flussi sono stati riscontrati anche per mezzo degli estratti
conto della Blind Bank:
sempre
a titolo di esempio: in data 10/6/202X vengono accreditati 100.000 € sul c/c n.
123456789 della Blind Bank da parte di un'altra persona fisica, con la causale
“Acquisto prima casa”;
causale
del tutto fantasiosa, in quanto la “Chimera srl “non svolgeva attività
immobiliari di alcun tipo.
Sono
emersi poi numerosi altri versamenti di rilevante importo, ai quali si
“accoppiavano” in modo assolutamente contestuale minori prelievi finalizzati a
foraggiare i soggetti entrati precedentemente nello schema Ponzi.
E
così, tra versamenti a favore ed alcuni rimborsi, lo “schema Ponzi” prosegue
senza alcun ostacolo.
Ma,
nel frattempo, Chimera srl disponeva anche alcuni bonifici all'estero a favore
della “Chimera con sede in Lussemburgo” e con la causale “aumento capitale
sociale per conto di Massimo Raggiro”:
come è facilmente intuibile, la società aveva
come beneficiario effettivo lo stesso Raggiro.
Quest’ultimo
era dotato di una innata capacità di convincimento tale che, per un buon lasso
temporale, fece aumentare gli incassi: sono stati reperiti, ad esempio,
sottoscrizioni da 220.000 € in un sol colpo!
Il
sistema procede fino a quando ben 900.000 € vengono trasferiti alla Chimera di
diritto lussemburghese in un sol giorno.
Ma lo
schema non avrebbe funzionato perfettamente se non si fosse riusciti, nell'arco
di poco tempo, a svuotare il salvadanaio - sia pure con diverse causali: prima
con la fantomatica sottoscrizione di capitale sociale, poi con descrizioni
generiche del tipo “trasferimento fondi” sino all’azzeramento di conti
italiani.
3. Il
diavolo fa le pentole ma non i coperchi.
La
truffa dura circa tre anni, o meglio tre esercizi sociali della “Chimera srl”.
Ma dietro a tutte queste movimentazioni finanziarie, dove stava la redditività aziendale,
necessaria a non allarmare né i risparmiatori (di cui i più avveduti
richiedevano copia del bilancio o lo estraevano presso il registro delle
imprese) né le banche?
È
proprio il caso di dire che il diavolo ha fatto le pentole (lo schema Ponzi) ma
non è riuscito a creare il coperchio per nascondere le malefatte:
semplicemente la redditività non era mai
esistita, era piuttosto un falso di bilancio, in quanto di tutto faceva la “Chimera
srl” fuorché pensare di svolgere un'attività economica.
Ma,
allora, come facevano i bilanci ad appalesare un pareggio o addirittura un
utile?
Nel
primo esercizio di attività il bilancio e la nota integrativa non dicono nulla
in merito ai ricavi;
questo,
in verità, nemmeno per gli anni successivi.
Sono
state reperite però, sempre in contabilità, due scritture di fine anno che
fanno ben comprendere la creatività applicata per la generazione di ricavi
inesistenti al fine di determinare un sia pur modesto risultato economico
positivo: modesto perché in questo modo non generava eccessivi debiti
tributari, positivo per poterlo rendere presentabile ai lettori.
Le
scritture contabili, ovviamente al 31/12, erano del seguente tipo:
-------------------------------
31/12/201x e x+1------------------------------
FATTURE
DA EMETTERE A PRESTAZIONI DI SERVIZI
------------------------------------
-------------------------------------------
Fino a
questo punto tutto quadra:
si
tratta di una tipica scrittura di fine esercizio, necessaria a far confluire in
bilancio i ricavi maturati e non ancora contabilizzati per fatture che possono
essere legittimamente emesse nell'esercizio successivo (per le società con
esercizio coincidente con l’anno solare a gennaio o nei primissimi mesi
dell'esercizio successivo).
La
scrittura ha l'effetto di incrementare i ricavi (nel caso Chimera srl,
prestazioni di servizi) e, conseguentemente, l'utile.
Allo
stesso tempo, si incrementa l'attivo circolante dello stato patrimoniale in
quanto il conto fatture da emettere rappresenta un credito a breve (in
particolar modo, per una società che sostiene attività di consulenza).
In
realtà, cosa avveniva?
Alla
fine dell’esercizio X la società presentava una perdita contabile ingente, ad
esempio di 250.000 €;
il che determinava un bilancio impresentabile,
con patrimonio netto assolutamente perso (dato che il capitale sociale
ammontava a 100.000,00 €) che avrebbe implicato tutte le conseguenze di legge.
L'idea,
molto banale, fu quella di contabilizzare ricavi fittizi per prestazioni di
servizi pari a 260.000 €:
questo
espediente permetteva di chiudere il bilancio con un utile di 6.000 € al netto
di 4.000 € di imposte stanziate (anche queste mai versate).
Il
problema si è riproposto nell’esercizio successivo, X+1, quando pur rimanendo
aperto il credito fittizio per fatture da emettere dell'anno X, il bilancio
presentava una perdita contabile di 200.000 €: che fare allora?
Niente
di più semplice:
quasi
immodificata l'annualità X, Chimera Srl (o, meglio, il suo amministratore)
pensò bene di stanziare ulteriori 205.000 € per fatture da emettere e chiudere
anche l’esercizio X+1 con un utile di 3.000 € stanziando imposte per 2.000 €.
Dai
bilanci non risultano ricavi reali a prova che, di fruttuosità dei fantomatici
investimenti, non vi era traccia.
E
così, ecco artefatti e modificati due bilanci in perdita con una semplice
annotazione contabile di due righe (una per esercizio):
ma, si potrebbe obiettare, le fatture sono
state emesse o potevano essere emesse nei periodi successivi, come
assolutamente lecito ma anche doveroso:
purtroppo
nessuna fattura a tale titolo risulta essere stata emessa successivamente:
il puerile ma efficace giochetto delle fatture
da emettere era strumentale soltanto a mantenere in vita la società Chimera Srl
per il tempo necessario a chiudere lo schema Ponzi.
Così
com'è purtroppo avvenuto: il coperchio, se c’era, non ha tenuto, a danno dei
risparmiatori – avidi - ma beffati.
4.
Conclusioni.
La
vicenda si è chiusa con quasi cinque milioni di euro (accertati) di risparmi
sottratti alle persone che hanno creduto in Massimo Raggiro e nella sua scatola
vuota, la Chimera srl, e andati in fumo.
Molti altri creditori, in realtà, non hanno nemmeno
voluto richiedere alcunché preferendo restare nell’oblio: troppa la vergogna di
essersi scioccamente fatti scippare i risparmi di una vita.
Ma
come è possibile, ci si potrebbe giustamente chiedere, che nel mondo attuale,
dove la comunicazione e le informazioni di ogni tipo sono ampiamente diffuse e
facilmente fruibili, tante persone si facciano ancora raggirare da un
incantatore di serpenti?
Massimo
Raggiro era fuor di dubbio una persona dotata di un certo fascino, seppur a
servizio del male;
mitomane,
al punto di riuscire a credere lui stesso alle fantasie che raccontava;
scaltra, tanto da creare un ambiente scenografico quasi teatrale:
automobili
di lusso, ambienti di elevata qualità, titoli nobiliari artefatti hanno indotto
i più in una sorta di torpore cerebrale, tanto da non distinguere più la realtà
dalla finzione.
Inoltre,
il tragico quadro della truffa è avvenuto in un contesto normativo e fattuale
favorevole:
nessuna
autorità può, senza segnalazione alcuna, intervenire tempestivamente sua una
società “meteora” (con tre anni di vita effettiva).
E l’unico soggetto terzo concretamente
coinvolto in diretta che, in aderenza alla normativa antiriciclaggio, avrebbe
potuto - anzi dovuto - agire con segnalazioni all’autorità competente la
potenziale attività criminosa (invero, ve ne erano tutti gli elementi
indiziari) era la banca, spettatrice privilegiata dei vorticosi flussi
finanziari.
Sul
motivo per cui la “Blind Bank” non si sia attivata vi sono due ipotesi
plausibili: o la normativa in tema di antiriciclaggio non è – in certi casi –
efficace, perché caratterizzata da lacune che non possono essere qui esplorate;
oppure
vi fu connivenza di uno o più funzionari della banca con la Chimera srl.
Da
ultimo, ma forse primo in ordine di importanza, un motivo che risale alla notte
dei tempi:
la credulità popolare è tale da indurre a
fidarsi più dell’amico del bar che non di seri professionisti o delle
principali istituzioni (pubbliche o private) che, in realtà, in questi casi,
funzionano molto bene nella fase preventiva.
Molto
meno, purtroppo, in quella successiva e repressiva, quando i risparmi sono
spariti ormai per sempre.
Per
non dire, infine, dell’inguaribile avidità umana.
L’avreste
mai detto che le banche
centrali
globali perdono
denaro?
Creditnews.it
– Alessandro Ruocco – (19 aprile 2024) – ci dice:
Le
banche centrali globali hanno subito ingenti perdite a causa delle politiche
monetarie restrittive.
I
rendimenti sui depositi bancari sono in aumento, mentre le entrate rimangono
sostanzialmente stabili.
Nonostante
ciò, non ci si attende alcun cambiamento nella politica monetaria.
La
situazione delle banche centrali.
Le
banche centrali di tutto il mondo stanno affrontando un periodo di turbolenze
finanziarie.
Le
politiche monetarie restrittive, adottate per contrastare l’inflazione prima
galoppante, ed oggi in diminuzione, ma ancora sopra livelli di guardia, hanno
portato a un aumento dei rendimenti sui depositi bancari, mentre le entrate
rimangono sostanzialmente stabili.
Il
risultato è un’ondata di perdite ingenti che sta mettendo a rischio la
stabilità finanziaria globale.
La Federal Reserve americana ha registrato risultati negativi
senza precedenti, con una perdita di oltre 50 miliardi di dollari nel secondo
trimestre del 2023.
La Bundesbank tedesca è stata penalizzata dalla mancanza di
condivisione dei rischi nell’Eurozona e dai bassi rendimenti dei titoli
tedeschi nel proprio bilancio, accumulando una perdita di oltre 20 miliardi di
euro nello stesso periodo.
Il
Bundesrechnungshof, l’equivalente tedesco della Corte dei Conti, ha persino lanciato un segnale
d’allarme riguardante la solidità finanziaria della Bundesbank.
Secondo
il rapporto degli ispettori tedeschi, la Bundesbank potrebbe rischiare di
esaurire il suo capitale e le sue riserve nei prossimi anni a causa delle
perdite derivanti dalle recenti decisioni di politica monetaria.
Ciò
potrebbe portare il Bundestag (il Parlamento tedesco) a dover decidere di
ricapitalizzare la banca centrale, effettuando un vero e proprio salvataggio
finanziario.
Va
comunque ricordato che il compito principale di una banca centrale non è
generare profitti, ma contribuire alla stabilità macroeconomica, che
rappresenta un bene di gran lunga più importante.
Un
problema per l’economia?
Le
perdite delle banche centrali non sono solo un problema finanziario, ma hanno
anche implicazioni significative per l’economia reale.
Le banche centrali con bilanci in rosso
potrebbero essere meno disposte a prestare denaro alle banche commerciali.
Così facendo limiterebbero la liquidità del
sistema finanziario e ostacolando la crescita economica.
Nonostante
le perdite ingenti, le banche centrali non sembrano intenzionate a cambiare
rotta.
La
Federal Reserve ha annunciato che non diminuirà i tassi di interesse fino a quando
l’inflazione non sarà sotto controllo.
La
Bundesbank ha
ribadito la sua posizione a favore di una politica monetaria restrittiva,
sottolineando l’importanza di mantenere la stabilità dei prezzi.
La
situazione attuale è quindi molto complessa.
Le
banche centrali si trovano di fronte a un dilemma: da un lato devono
contrastare l’inflazione, dall’altro devono evitare di innescare una
recessione.
La scelta di continuare con politiche
monetarie restrittive potrebbe avere un impatto negativo sulla crescita
economica.
Ma è
anche l’unica opzione per frenare l’inflazione e salvaguardare la stabilità
finanziaria.
Una spiegazione
economica sulle politiche delle banche centrali.
Si
potrebbe sostenere che le banche centrali stesse determinano il tasso sui
depositi, influenzando di conseguenza il loro bilancio economico.
Il punto cruciale è che il tasso sui depositi
bancari presso le banche centrali costituisce uno strumento di politica
monetaria, rappresentando un costo per le banche commerciali.
Se il
tasso sui depositi non aumentasse, le banche commerciali potrebbero essere
incentivate a ridurre i depositi presso la banca centrale e ad aumentare i
prestiti, andando contro l’obiettivo di stabilità dei prezzi della banca
centrale.
Negli
anni precedenti, l’opzione di ridurre i depositi presso la banca centrale era
stimolata dal tasso di remunerazione dei depositi, che era negativo (-0,5%).
Questo
ha spinto le banche a riversare liquidità nell’economia, anche in investimenti
con un basso rendimento atteso.
Aumentando
il tasso sui depositi, le banche commerciali sono incentivate a trattenere
parte delle risorse nei depositi redditizi, riducendo così la liquidità
nell’economia e contrastando l’inflazione.
Questa
politica comporta una perdita immediata per l’Eurosistema, per la FED e per
qualunque altra banca centrale, poiché i titoli detenuti sono a medio e lungo termine,
mentre il finanziamento è a breve termine (anche solo per la notte), e la
differenza di scadenze tra attività e passività non consente di bilanciare il
costo di finanziamento con i rendimenti attesi.
Possibili
soluzioni.
Quali
sono le possibili soluzioni? Alcune proposte includono:
Maggiore
condivisione dei rischi nell’Eurozona: questo permetterebbe di distribuire
le perdite tra le diverse banche centrali e di ridurre l’impatto su quelle più
fragili.
Aumento
del tasso di interesse sui depositi bancari: questo incentiverebbe le banche a
depositare denaro presso le banche centrali, aumentando le loro entrate.
La BCE
sta andando verso questa strada, e potrebbero farlo altre banche centrali.
Le
decisioni che le banche centrali prenderanno nei prossimi mesi avranno un
impatto significativo sull’economia globale.
È
importante monitorare la situazione con attenzione e valutare gli effetti delle
politiche monetarie restrittive sulla crescita economica e sulla stabilità
finanziaria.
Considerazioni
finali sulla situazione delle banche centrali.
Le
perdite attuali delle banche centrali sono il risultato dei bassi costi di
finanziamento degli Stati negli anni passati.
La Bundesbank, ad esempio, registra perdite
poiché lo Stato tedesco si è finanziato a tassi molto bassi, se non addirittura
negativi.
In passato, le politiche monetarie espansive
delle banche centrali hanno generato profitti considerevoli grazie ai tassi
negativi sui depositi, che hanno compensato i bassi rendimenti sui titoli.
Tuttavia,
nel corso degli ultimi dieci anni, la Bundesbank ha trasferito profitti per 22
miliardi di euro allo Stato, contribuendo al miglioramento del bilancio
pubblico.
Questi
profitti sono stati in gran parte pagati dalle banche, che a loro volta hanno
trasferito parte dei costi ai clienti.
Si
pone quindi la domanda su quali sarebbero stati gli impatti sull’economia e sul
gettito fiscale se le banche centrali non avessero adottato politiche monetarie
così espansive nel passato.
A
differenza di un’impresa privata, il compito principale di una banca centrale
non è quello di ottenere profitti.
È piuttosto di garantire l’equilibrio
macroeconomico, che è di gran lunga più importante.
Nell’area
dell’Euro e negli USA, questo obiettivo si concentra (soprattutto) sulla
stabilità dei prezzi, mirando a un tasso d’inflazione intorno al 2% annuo.
Le politiche monetarie espansive degli anni
precedenti hanno evitato una deflazione e una recessione economica,
specialmente dopo la Grande Crisi Finanziaria e durante la pandemia.
Attualmente,
l’obiettivo è controllare un’eventuale inflazione più elevata e persistente
rispetto alle aspettative di qualche anno fa, anche a causa delle due grandi
crisi in corso (guerra in Ucraina e crisi mediorientale).
Le perdite nei bilanci delle banche centrali
causate dalla sequenza temporale di politiche molto espansive seguite da
politiche moderatamente restrittive sono considerate un problema di minor
rilevanza rispetto alle perdite che politiche diverse avrebbero probabilmente
causato all’economia mondiale.
Una
banca centrale non dovrebbe sentirsi obbligata a stampare moneta per acquistare
attività redditizie solo per migliorare il proprio bilancio economico.
Ciò
diverrebbe un’attività estranea ai suoi compiti principali e potrebbe
compromettere la fiducia del pubblico nella moneta.
È
improbabile che qualche banca centrale dell’Eurozona, o la FED, la BoE, la BoJ
o la Banca Centrale Svizzera si trovi (mai) in una situazione così negativa.
Moneta
privatizzata:
analisi
e alternative.
Lafionda.org
– (7 Ott., 2023) - Enrico Grazzini – ci dice:
Questo
articolo ricapitola le tesi dell’autore sul tema della moneta svolte nel suo
testo “Il fallimento della moneta” (Fazi 2023) testo di sicura attualità ed
efficacia, nel contesto di crisi attuale che vede riproporsi tutti i problemi
che i decisori politici avevano promesso di sanare più di dieci anni fa –
ovviamente non hanno fatto nulla (nota della Redazione).
La
moneta viene creata dalle banche commerciali ma la privatizzazione del denaro
genera debito e crisi.
Perché
è necessario emettere una moneta digitale pubblica e libera dal debito.
Da
dove nasce la moneta? Chi crea il denaro?
La
grande maggioranza dell’opinione pubblica e anche molti economisti credono che
la moneta sia creata dallo Stato o dalla sua banca centrale, e che sia “neutrale”,
che cioè sia emessa dalle autorità pubbliche a beneficio, almeno in linea di
principio, di tutti i cittadini e di tutti gli operatori economici.
Non è così
Pochi sanno che circa il 95% della moneta che
normalmente utilizziamo viene creata ex nihilo dalle banche commerciali, e
viene creata per il loro profitto.
La
moneta dunque non è neutrale.
In effetti le banche centrali per conto dello
Stato emettono banconote e monete che valgono solo per le piccole spese
quotidiane, cioè per il 5% circa del valore totale delle transazioni.
Il
denaro vero è creato dalle banche – che, nella stragrande maggioranza, almeno
in Occidente (ma non in Cina, per esempio) sono banche private.
Le
banche commerciali non si limitano a prestare il denaro che i risparmiatori
depositano: creano moneta dal nulla.
Come
hanno dichiarato ufficialmente “Bank of England”, “Bundesbank” e la “FED”, le
banche creano esse stesse moneta ogni qualvolta concedono un credito ai loro
clienti (per es.: per mutui, credito al consumo, per i pagamenti a fornitori e
dipendenti, ecc).
È Bank of England (boe), la più antica banca
centrale del mondo, che ci spiega autorevolmente da chi e come viene creata la
maggior parte della moneta:
La
realtà di come viene creato il denaro oggi differisce dalla descrizione che si
può trovare in alcuni libri di testo di economia:
le banche non prestano soldi risparmiati e
depositati dalle famiglie ma creano loro stesse i depositi con i loro prestiti.
Ogni
volta che una banca fa un prestito genera immediatamente un deposito di valore
corrispondente nel conto bancario del debitore creando così nuovi soldi.
Le
banche creano moneta e sono “proprietarie” del denaro:
ma non
si tratta né di un complotto né di manovre particolarmente sofisticate.
Il
meccanismo di creazione del denaro è di una semplicità disarmante.
Quando
concede un prestito, nel suo bilancio la banca segna al passivo la moneta
che crea dal nulla a favore del cliente e segna all’attivo la stessa cifra
prestata al cliente, cifra che questi dovrà restituire con gli interessi.
La
moneta bancaria privata è quindi una pura creazione contabile, ma è anche
moneta spendibile e convertibile immediatamente in moneta legale.
Questa
è la vera magia della moneta bancaria:
l’impresa privata bancaria ha il privilegio
unico ed esclusivo concesso dallo Stato di emettere moneta privata (ovvero una
semplice “promessa di pagamento”) convertibile subito in moneta legale, ovvero
in banconote che tutti devono per legge accettare, e che quindi sono accettate
da tutti.
La
magia del denaro consiste in questo:
il
potere pubblico ha concesso alle banche di deposito l’enorme privilegio di
potere convertire immediatamente la moneta privata emessa dalle banche in
moneta legale, ovvero in moneta di Stato e garantita dallo Stato.
Il cliente che ha ricevuto il prestito da una
banca, cioè da un ente privato, può andare al bancomat e ritirare le banconote
di Stato.
Non è
una cosa da poco.
Facciamo
un esempio: lo Stato italiano accetta che la banca XY – controllata magari da
azionisti arabi, cinesi o americani – decida per conto suo e per il suo
profitto di fare un prestito a Pinco Pallino e accetta anche che questo
prestito possa convertirsi in banconote con valore legale, cioè con una moneta
che lo Stato stesso deve garantire.
La garanzia dello Stato è credibile grazie
alle imposte riscosse ogni anno dai contribuenti.
È
chiaro che questa “cessione di sovranità monetaria” alle banche private non è
di poco conto.
Banconote
a parte, la moneta che entra nell’economia reale, e anche in quella
finanziaria, è emessa dalle banche commerciali per il loro profitto, ovvero per
valorizzare il capitale degli azionisti: money-for-profit.
Le banche sono aziende private come le altre ma sono
autorizzate dallo Stato a creare denaro e a prestarlo dietro interesse.
Quindi su tutta la moneta che utilizziamo, a
parte le banconote, paghiamo un interesse al sistema bancario.
Quando restituiamo alle banche il denaro prestato
dalle banche, la moneta scompare dall’economia.
La
moneta bancaria è moneta digitale che viene creata con il computer in forma di
bit e che ha costi tendenzialmente pari a zero: non costa nulla ma può
procurare grandi profitti e un enorme potere perché con la moneta si può
acquistare tutto e, in un certo senso, anche la politica, o il consenso
elettorale.
La
regola basilare della creazione della moneta è che le banche centrali creano
moneta solo ed esclusivamente per le banche commerciali sotto forma di riserve
bancarie:
solo queste ultime invece sono autorizzate a
creare moneta per i cittadini, le imprese e l’amministrazione pubblica.
Anche
le banconote, che formalmente sono create dalla banca centrale per tutto il
pubblico, vengono distribuite al pubblico solo dalle banche commerciali, e
quindi, in un certo senso, sono moneta bancaria: bisogna infatti avere un conto
bancario per ritirare il contante di prima emissione.
Solo
le banche possono avere dei conti correnti presso le banche centrali;
e le
banche centrali creano moneta legale solo per le banche commerciali:
lo
scandalo è che i cittadini e gli operatori economici, lo Stato e le
amministrazioni pubbliche sono escluse dai processi di creazione e
distribuzione primaria di moneta.
Le
banche centrali creano con il computer per le banche commerciali riserve
monetarie per i pagamenti interbancari:
ma il
sistema monetario di banca centrale costituisce un sistema chiuso riservato
solo agli istituti di credito.
Pochi lo sanno ma, a parte le banconote, la
moneta di banca centrale non entra mai nell’economia reale e finanziaria.
La
banca centrale emette moneta solo per le banche private e pubbliche:
inoltre
fissa il prezzo di riferimento della moneta – il tasso centrale di interesse –
e così fa politica monetaria.
Tuttavia
solo le banche commerciali possono creare e distribuire moneta per l’economia
reale al prezzo che ogni singola banca decide per la sua clientela.
Il controllo effettivo sulla moneta che
utilizziamo normalmente è quindi sostanzialmente nelle mani del settore
privato, dei mercati, delle oligarchie bancarie.
Le banche centrali cercano di mantenere
stabile il valore della moneta manovrando il tasso di interesse ma sono
largamente impotenti di fronte alle dinamiche dei mercati.
Intervengono soprattutto per tamponare a posteriori le
crisi: ma nessuno è in grado di controllare i mercati globali.
A
parte la possibilità di “battere moneta”, per il resto le banche commerciali
sono imprese come tutte le altre:
infatti, come le altre aziende, nel sistema
competitivo caratteristico del capitalismo le banche corrono per massimizzare i
profitti e per incrementare il valore delle loro azioni.
Le
maggiori banche commerciali sono quotate in borsa e, come tutte le imprese
private, possono essere comprate e vendute, possono essere scalate, fondersi
con le altre banche o anche, naturalmente, fallire (e poi magari essere salvate
con i soldi dello Stato, cioè dei contribuenti).
Le banche sono la “fabbrica” della moneta che
è un bene pubblico ma, ovviamente, come tutte le imprese private, lavorano per
il beneficio dei loro azionisti.
Gli azionisti generalmente sono società finanziarie
internazionali di varia origine: società americane, inglesi, francesi, arabe,
giapponesi, o con sede alle Cayman, o cinesi, o svizzere o norvegesi o del
Lussemburgo, o quant’altro.
Ne
consegue che le banche non lavorano per il benessere della società e della
nazione.
La moneta delle banche viene emessa
semplicemente per fare profitto.
Il
problema è che la moneta bancaria è sempre emessa sotto forma di credito:
dunque entra nell’economia sempre e solo come debito da ripagare con gli
interessi.
Ma
un’economia fondata sul debito è destinata al fallimento.
Il
peccato mortale della moneta bancaria è dunque che essa è sempre moneta-debito
e quindi pesa sempre sull’economia reale.
La
moneta bancaria, che nasce come moneta-debito, viene sua volta prestata (vedi
per es. il mercato delle obbligazioni).
Così,
anche per effetto degli interessi composti, i debiti crescono automaticamente
in progressione geometrica e più di quanto cresce il PIL, ovvero più di quanto
crescono i redditi per ripagarli.
Più
aumenta la massa monetaria e più ancora aumenta il debito.
Questo regime monetario fondato sul debito e
sulla competizione per il massimo profitto porta dunque a un indebitamento
insostenibile e al fallimento.
Il
finazcapitalismo è caratterizzato da una legge generale:
la
crescita dei debiti totali – privati e pubblici – è superiore alla crescita
della massa monetaria (cioè, in gergo, alla crescita degli aggregati monetari
M1 e M2) e del pil, cioè della produzione totale annuale di una nazione.
Un
grafico realizzato dalla banca centrale americana, la Federal Reserve, è molto
chiaro a riguardo.
L’aggregato
monetario M1 comprende le banconote, le monete in circolazione e gli attivi
finanziari che possono svolgere immediatamente e alla pari il ruolo di mezzo di
pagamento, ossia i depositi in conto corrente bancari e postali. L’aggregato M2
comprende M1 e altri attivi finanziari a liquidità elevata ma la cui
conversione in M1 può essere soggetta a qualche restrizione (per esempio la
necessità di un preavviso, delle penalizzazioni o delle commissioni).
Secondo
la definizione della Banca Centrale Europea (bce), M2 comprende i depositi con
scadenza prestabilita fino a due anni e i depositi rimborsabili con preavviso
fino a tre mesi.
La moneta di base mostrata nel grafico è la
moneta di banca centrale, ossia (come vedremo) le riserve e le banconote, la
moneta legale, che, come si vede, costituisce una piccola parte rispetto agli
aggregati monetari costituiti dai depositi bancari. Il problema è che se il
debito totale cresce strutturalmente più della massa
monetaria
(M2) e del PIL (in inglese GDP, Gross National Product), allora cresce più dei
redditi necessari per coprire i debiti.
Diventa
impossibile ripagare i debiti.
Moneta
privatizzata: analisi e alternative
Secondo
l’autorevole Institute of International Finance il debito globale sia privato
che pubblico è salito a un livello record raggiungendo oltre il 300% del pil
globale.
Sarà
assolutamente impossibile restituire i debiti; e è anche molto difficile
restituirne anche solo una parte.
Se poi
il debito venisse restituito integralmente alle banche, l’economia
paradossalmente si fermerebbe completamente per mancanza di moneta.
Più i
debiti vengono restituiti più si sottrae moneta all’economia, e allora questa
entra in recessione per carenza di domanda e di potere di acquisto. In tale
modo uscire dalle crisi diventa impossibile senza l’introduzione di una moneta
pubblica priva di debito.
Il
mestiere del banchiere, come spiega ironicamente il grande economista americano
“Hyman Minsky”, è essenzialmente quello di “indebitare i clienti”.
Più le
banche fanno credito-debito più fanno business, e quindi sono tendenzialmente
portate a fare più credito/debito possibile, soprattutto nei periodi di boom.
Il credito è ovviamente fondamentale per lo
sviluppo dell’economia e il progresso della società.
Ma la
privatizzazione del sistema monetario – che invece è e dovrebbe essere un bene
pubblico – oltre alla crescita insostenibile del credito/debito comporta molte
altre conseguenze negative che approfondisco nel mio saggio intitolato
”Il
fallimento della moneta” .
Le
banche offrono un servizio indispensabile per la società: offrono credito a chi
se lo merita mediante un attento processo di selezione.
Senza il credito affidato a chi intraprende e
svolge attività produttive, l’economia e la società non possono funzionare.
In teoria la retribuzione dei banchieri
dovrebbe essere corrispondente al loro lavoro, e dunque alle attività legate a
questo processo di selezione e valutazione del merito creditizio;
ma in pratica a questa retribuzione si
aggiunge la rendita legata al monopolio sulla creazione di moneta, ovvero la
rendita derivata da quella che Keynes chiamava «la scarsità artificiale della
moneta».
Questa rendita si chiama “signoraggio”.
Il
signoraggio è una tassa che viene normalmente pagata alle banche dai debitori
in aggiunta al corrispettivo dovuto per le attività professionali dei
banchieri.
Il prezzo del credito è quindi sempre
maggiorato dalla rendita che il sistema bancario e le singole banche ricevono
grazie al potere esclusivo di creare moneta. Afferma Keynes:
Oggi
l’interesse non rappresenta il compenso di alcun sacrificio genuino, come non
lo rappresenta la rendita della terra. Il possessore di capitale può ottenere
l’interesse perché il capitale è scarso, proprio come il possessore della terra
può ottenere la rendita perché la terra è scarsa.
Ma,
mentre vi può essere una ragione intrinseca della scarsità della terra, non vi
sono ragioni intrinseche della scarsità del capitale…
Considero
perciò l’aspetto del capitalismo caratterizzato dall’esistenza del redditiero
come una fase di transizione destinata a scomparire quando esso avrà compiuto
la sua opera.
E con la scomparsa del redditiero molte altre
cose del capitalismo subiranno un mutamento radicale.
Keynes
prevedeva che il signoraggio sarebbe diventato superfluo a causa della
sopravveniente abbondanza del capitale e della corrispondente caduta del tasso
di interesse, fattori che avrebbero provocato l’eutanasia del rentier, ovvero
la scomparsa della rendita finanziaria.
In
questo senso Keynes si dimostra un rivoluzionario radicale perché credeva
ottimisticamente che l’economia liberale grazie alla guida pubblica
politicamente illuminata potesse evolversi gradualmente e pacificamente verso
una società più egualitaria e di piena occupazione, una società senza rendite.
Il presupposto fondamentale per lo sviluppo
della società è, secondo Keynes, proprio la fine della rendita monetaria legata
alla «scarsità artificiale della moneta».
Per
Keynes:
Potremmo
dunque in pratica mirare, poiché non vi è nulla di tutto questo che sia
irraggiungibile, a un aumento del volume di capitale finché questo non sia più
scarso, così che l’investitore senza funzioni [il rentier, il redditiero, il
finanziere – nda] non riceva più un premio gratuito, e potremmo mirare ad un
sistema di imposizione diretta tale da consentire che l’intelligenza e la
determinazione e la capacità direttiva del finanziere, dell’imprenditore” et
hoc genus omne” [traduzione: e tutto questo genere di persone, di capitalisti –
nda], i quali certamente amano tanto il loro mestiere che il loro lavoro
potrebbe ottenersi ad assai minor prezzo che attualmente, siano imbrigliate al
servizio della collettività, a condizioni ragionevoli di compenso.
Il
prezzo del credito applicato dalle banche comprende quindi non solo il lavoro
del banchiere ma la rendita derivata dal monopolio della moneta:
esso è
quindi sempre un “prezzo esagerato”, una sorta di tassa implicita e nascosta
che grava sulle imprese, le famiglie e gli enti pubblici.
Il
credito bancario ha dunque una natura ambigua:
alimenta le attività produttive e genera
ricchezza, ma contemporaneamente trasferisce la ricchezza dal debitore al
redditiero, e quindi frena il processo di accumulazione del settore
industriale.
Ma il
signoraggio bancario non è certamente l’unico problema del money-for-profit.
La
corsa cieca e competitiva per il massimo profitto nel più breve tempo possibile
fa crescere enormemente le diseguaglianze di ricchezza, alimenta i colossi
dell’industria fossile, è pro-ciclica (cicli di boom and burst), gonfia i
mercati finanziari e immobiliari, nutre la speculazione e è all’origine delle
frequenti e violente crisi finanziarie che sconvolgono la società provocando
povertà e disoccupazione.
Non a
caso l’Occidente è sempre sull’orlo di una nuova grave crisi finanziaria.
Il
capitale finanziario nei periodi di euforia crea montagne di titoli, moltiplica
i valori fittizi rispetto all’economia reale e si alimenta di nuove scommesse;
nel tentativo di guadagnare moneta dalla moneta la finanza non finanzia più
tanto le attività produttive, ma le scommesse.
Il
mercato diventa così caotico e incerto, autoreferenziale e volubile, una sorta
di casinò – come lo definiva la britannica “Susan Strange.
Il
surplus di capitale moltiplica a dismisura i titoli finanziari nei periodi di
boom per soddisfare l’appetito insaziabile di utili e plusvalente da parte del
capitale.
Il
debito, cioè il cosiddetto “effetto leva” alimenta le scommesse speculative.
Tuttavia diventa impossibile realizzare tutto il capitale creato sulla carta,
ossia trasformare il “capitale fittizio” (come lo chiamava Karl Marx) in valore
reale.
Il valore nominale dei titoli derivati – che
non sono altro che pure scommesse su scommesse – raggiunge oltre 10 volte il
PIL mondiale.
Alla fine, la catena dei debiti si spezza.
I mercati precipitano improvvisamente nella
crisi perché i titoli sono in eccesso rispetto ai valori reali:
e
quando tutti fuggono precipitosamente dai mercati finanziari e cercano di
trasformare i loro titoli in liquidità, in denaro vero, il capitale fittizio si
brucia in pochi giorni trascinando nella crisi il sistema bancario e la società.
In
ultima analisi, sono la privatizzazione della moneta, la leva dei debiti,
l’avidità dei più ricchi e la spinta ad accumulare sempre più soldi al di là di
ogni possibile limite a provocare le crisi.
Il sistema di “finanzcapitalismo”, come lo
chiamava Luciano Gallino, porta così al fallimento dell’economia produttiva e
della pacifica convivenza sociale.
I
mercati globali della finanza sono per loro natura caotici e gettano l’economia
produttiva, le nazioni e il lavoro nella costante incertezza.
La
finanza privata apre un abisso tra debitori e creditori, e alimenta i conflitti
e le guerre.
I
mercati finanziari dominano sugli Stati:
così
le istituzioni democratiche vengono svuotate della loro sostanza.
Le crisi sono il terreno di cultura di
crescenti conflitti sociali che alimentano a destra il populismo e forme
fascistoidi e nazionalistiche di reazione alla crisi globale (come nel caso
della “Lega di Salvini o del “Tea Party Movement” negli USA), e a sinistra
movimenti popolari di rivolta (pensiamo per esempio a “Occupy Wall Street”, o,
per certi aspetti, a Syriza, Podemos, o al Movimento 5 Stelle in Italia) che cercano di ottenere riforme
radicali del regime politico e finanziario.
Per
superare questo sistema ingiusto e insostenibile nel mio saggio propongo che la
nuova moneta digitale – ovvero la moneta che sostituirà almeno in parte le
banconote, e che le banche centrali di tutto il mondo stanno attualmente
studiando e sperimentando – venga gestita come un bene pubblico e non venga
amministrata dai privati.
La
nuova moneta digitale di banca centrale è già stata lanciata in Cina e verrà
introdotta anche nell’eurozona nel giro di due o tre anni: con essa si apre
finalmente la possibilità – peraltro oggi fortemente e duramente contrastata
dalle banche commerciali – che i cittadini, le imprese e le amministrazioni
pubbliche possano aprire dei conti correnti in banca centrale e possano quindi
ottenere direttamente moneta digitale legale, ovvero la forma monetaria che –
come la banconote – è la più sicura di tutti perché la banca centrale non può
mai fallire.
La
funzione monetaria (che è di interesse pubblico) deve essere separata dalla
funzione creditizia privata;
e il
sistema dei pagamenti verrebbe gestito come bene pubblico da un istituto
pubblico quale è la banca centrale.
Le banche private continuerebbero ovviamente a
fare credito ai loro clienti:
ma lo
farebbero con i loro propri soldi e con quelli degli altri investitori che
prestano loro dei denari, cioè a loro rischio e pericolo;
ma non potrebbero più creare moneta a loro piacimento,
provocando eccesso di debito e crisi.
Le
banche commerciali funzionerebbero come intermediari, ovvero svolgerebbero il
mestiere che tutti pensano – erroneamente – che oggi svolgano.
Nel
mio saggio propongo che la moneta digitale pubblica debba essere emessa libera
dal debito (debt-free);
e
propongo che il nuovo sistema di “banconote digitali” non sia gestito dallo
Stato e dai governi, e neppure dai tecnocrati alla Mario Draghi o alla
Christine Lagarde che assecondano i mercati, ma dalla società civile.
In
democrazia le banche centrali dovrebbero aprirsi al pubblico e essere governate
dalle organizzazioni del lavoro, delle imprese e dei consumatori, cioè da chi è
interessato alle politiche monetarie perché ne subisce direttamente le
conseguenze.
Il
sistema monetario è un bene comune e è troppo importante per essere lasciato
solo nelle mani dei banchieri e dei tecnocrati.
Non può neppure essere lasciata nelle mani dei
governi e dei politici, che già controllano la spesa pubblica (circa il 40-50%
del PIL).
La concentrazione del potere in capo ai governi e allo
Stato va evitata:
i politici acquisterebbero un potere eccessivo
e esagerato sulle banche, il credito e la società.
La
moneta deve essere democratica e governata dalla società civile. Così
finalmente il sistema monetario, che è un bene comune delle comunità nazionali,
potrebbe soddisfare l’interesse collettivo.
Queste
analisi e queste proposte possono apparire strane e eccentriche: in realtà il
mio saggio sulla moneta intende offrire una visione alternativa ma del tutto
realistica a questo fallimentare sistema monetario privatizzato che è alla base
della finanziarizzazione dell’economia e delle crisi economiche.
Non è
un saggio “contro le banche” ma spiega semplicemente come funziona nella realtà
il sistema monetario, e quello bancario e finanziario.
Il mio
libro nasce dal rapporto avuto con Luciano Gallino negli ultimi anni della sua
vita e dai suoi studi sul sistema finanziario e monetario.
È compito delle forze progressiste e di
sinistra fare comprendere all’opinione pubblica la natura privatistica di un
sistema che è finora rimasto avvolto per gran parte nel mistero e
nell’ignoranza, a beneficio esclusivo della concentrazione della ricchezza monetaria
nelle mani dell’1%.
Occorre
una nuova moneta pubblica e democratica.
Dare
all'Ucraina missili da sparare
contro
la Russia è
una
dichiarazione
di guerra.
Unz.com
- MIKE WHITNEY – (24 MAGGIO 2024) – ci
dice:
Il
deputato chiede attacchi diretti contro la Russia:
il
presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, “Michael McCaul”,
mostra una mappa dei potenziali obiettivi in Russia.
In un
disperato tentativo di scongiurare un'umiliante sconfitta in Ucraina, "il
segretario di Stato “Antony Blinken” avrebbe chiesto al presidente Biden di
dare il via libera agli attacchi missilistici ucraini su obiettivi in
profondità all'interno della Russia".
Il
cambiamento di politica non avrà alcun impatto materiale sulla guerra di terra
in corso in Ucraina, anche se potrebbe innescare una risposta che metterebbe la
NATO in conflitto diretto con Mosca.
In
breve, l'incombente sconfitta di Washington in Ucraina ha costretto i decisori
dell'amministrazione ad attuare una strategia che potrebbe far precipitare una
terza guerra mondiale.
Questo è dal “New York Times”:
Dalle
prime spedizioni americane di armi sofisticate all'Ucraina, il presidente Biden
non ha mai vacillato su un divieto:
il
presidente Volodymyr Zelensky ha dovuto accettare di non spararle mai in
territorio russo, insistendo sul fatto che avrebbe violato il mandato di Biden
di "evitare la terza guerra mondiale".
Ma il
consenso intorno a questa politica si sta sfilacciando.
Spinto
dal Dipartimento di Stato, c'è ora un vigoroso dibattito all'interno
dell'amministrazione sull'allentamento del divieto per consentire agli ucraini
di colpire i siti di lancio di missili e artiglieria appena oltre il confine
con la Russia, obiettivi che secondo Zelensky hanno consentito le recenti
conquiste territoriali di Mosca.
Per
mesi, Zelensky ha organizzato attacchi contro navi, impianti petroliferi e
centrali elettriche russe, ma lo ha fatto in gran parte con droni di
fabbricazione ucraina, che non hanno la potenza e la velocità delle armi
americane.
Ora, sta aumentando la pressione sugli Stati
Uniti per aiutare l'Ucraina a prendere di mira i siti militari russi,... con
armi fornite dagli americani....
Gli
Stati Uniti stanno ora valutando la possibilità di addestrare le truppe ucraine
all'interno del paese, piuttosto che inviarle in un campo di addestramento in
Germania.
Ciò
richiederebbe l'invio di personale militare americano in Ucraina, un'altra cosa
che Biden ha proibito fino ad ora.
Solleva la questione di come gli Stati Uniti
risponderebbero se gli addestratori, che probabilmente si troverebbero vicino
alla città occidentale di Leopoli, venissero attaccati.
I russi hanno periodicamente preso di mira
Leopoli, anche se è lontana dalle principali aree di combattimento.
I
russi... sono stati poco sottili nel giocare con le preoccupazioni americane su
un'escalation della guerra.
Questa settimana hanno iniziato esercitazioni
molto pubbliche con le unità che sarebbero state coinvolte nell'uso di armi
nucleari tattiche, del tipo che verrebbe utilizzato sulle truppe ucraine.
I
notiziari russi hanno detto che si trattava di "una risposta a
dichiarazioni provocatorie e minacce da parte di funzionari occidentali contro
la Russia". …
Gli
esercizi in corso... vengono liquidati come spacconate e flettere i muscoli....
Nella
sua intervista al Times, Zelensky ha respinto i timori di un'escalation,
affermando che il presidente russo Vladimir V. Putin ha già intensificato la
guerra.
E
pensava che fosse improbabile che Putin avrebbe mai tenuto fede alla sua
minaccia di scatenare un'arma nucleare.
All'interno
della Casa Bianca, un dibattito sul permettere all'Ucraina di sparare armi
statunitensi in Russia, New York Times:
Non
usiamo mezzi termini:
gli
attacchi missilistici sul territorio russo sono un flagrante atto di
aggressione contro la Federazione Russa.
È
un'aperta dichiarazione di guerra.
L'amministrazione Biden si sta impegnando in
una politica che metterà gli Stati Uniti contro la Russia in una guerra tra due
superpotenze nucleari.
Perché?
Perché Biden lo sta facendo?
Lo sta
facendo perché gli Stati Uniti sono fortemente coinvolti nell'esito della
guerra in Ucraina, e l'Ucraina sta perdendo la guerra piuttosto male.
Ecco
un breve riassunto del veterano di combattimento e analista militare colonnello
“Daniel Davis”:
Fidatevi
di me quando vi dico che non c'è alcuna possibilità che l'Ucraina abbia mai
successo in una guerra contro la Russia.
Non
c'è strada per la vittoria militare per l'Ucraina.
Punto.
Non
importa se diamo loro 60 miliardi di dollari o 120 miliardi di dollari o 200
miliardi di dollari.
Non
cambierà nulla, perché le fondamenta su cui è costruita la potenza combattiva a
livello nazionale sono irrevocabilmente dalla parte della Russia.
Non si può invertire la marea perché non si
possono cambiare le basi.
La
potenza aerea è dalla parte della Russia, la difesa aerea è dalla parte della
Russia, il potenziale militare-industriale è dalla parte della Russia,
consentendo la produzione di una grande quantità di artiglieria, munizioni,
armi stesse, droni, attrezzature per la guerra elettronica e, soprattutto, le
persone sono tutte dalla parte della Russia.
La
Russia ha più persone e avrà sempre più persone...
A mio
parere, è irragionevole continuare a sperare che la parte ucraina sia in grado
di vincere se diamo solo un po' più di soldi, perché non funzionerà...
L'UCRAINA NON VINCERÀ MAI...
Punto.
Tenente
colonnello dell'esercito americano in pensione Daniel Davis: Ho oltre 20 anni
di esperienza di combattimento militare.
(Daniel
Davis).
Non
sorprende che le opinioni di Davis siano condivise dalla stragrande maggioranza
degli esperti militari che hanno seguito da vicino gli eventi sul campo.
La valutazione complessiva di questi esperti è
invariabilmente la stessa:
l'Ucraina sta perdendo, e sta perdendo
malamente.
Non ci sarà alcuna inversione di tendenza
perché, in ogni area della capacità di combattimento, la Russia ha un chiaro
vantaggio.
L'Ucraina
non ha la potenza di fuoco, gli aerei, i carri armati, i veicoli corazzati, i
missili, l'artiglieria pesante, i sistemi di difesa aerea, le munizioni, la
capacità industriale o la manodopera per far arretrare l'esercito russo o anche
solo per fermare la persistente offensiva russa.
In poche parole, l'Ucraina non può e non vuole
vincere.
E questo non è solo il punto di vista di
uomini come “Davis” che pensano che i combattimenti dovrebbero cessare
immediatamente.
È anche il punto di vista delle “élite globaliste”, come” Richard Haass”, che pensano
che la guerra dovrebbe essere prolungata.
“Haass”
è il presidente emerito del prestigioso “Council On Foreign Relations”, e le sue opinioni sull'Ucraina sono
probabilmente condivise da un'ampia sezione trasversale di “ricche élite” che pensano che ci sia qualcosa da
guadagnare trascinando il conflitto per un altro anno o giù di lì.
Date un'occhiata a questo estratto da un
recente articolo di “Haas” e vedete se riuscite a individuare le somiglianze
tra la sua analisi e quella di “Davis”:
. ..
cosa dovrebbero cercare di ottenere l'Ucraina e i suoi sostenitori in
Occidente? Che cosa dovrebbe costituire il successo?
Alcuni
rispondono che il successo dovrebbe essere definito come il recupero di tutto
il territorio perduto da parte dell'Ucraina, per ristabilire i confini del
1991. Sarebbe un grave errore.
Non
fraintendetemi:
ristabilire
confini legittimi e legali sarebbe altamente auspicabile, dimostrando che
l'aggressione non è accettabile.
Ma la
politica estera deve essere fattibile oltre che auspicabile, e l'Ucraina
semplicemente non è in grado di liberare la Crimea e le sue regioni orientali
attraverso la forza militare.
La
matematica è inevitabile.
La Russia ha troppi soldati e un'economia di
guerra in grado di produrre grandi quantità di armi e munizioni.
Nonostante le sanzioni, la Russia è stata in
grado di aumentare la sua base militare-industriale e ha accesso ad armi e
munizioni prodotte in Iran e Corea del Nord e a prodotti e tecnologie cinesi
che contribuiscono allo sforzo bellico del Cremlino.
Un
altro fattore che milita contro uno sforzo ucraino per riconquistare le sue
terre con la forza è che le operazioni offensive tendono a richiedere molto di
più in termini di manodopera, equipaggiamento e munizioni rispetto agli sforzi
difensivi. Ciò
è particolarmente vero quando le difese hanno avuto la possibilità di costruire
fortificazioni, come ha fatto la Russia in gran parte del territorio ucraino
che occupa. Perché organizzare un'altra controffensiva nel 2025 sarebbe un
errore, “Novaya Gazeta”.
Quindi,”
Haass” ammette apertamente che la guerra è una discrepanza e che l'Ucraina non
può ragionevolmente aspettarsi di riconquistare il territorio che ha perso.
Ammette
che "la Russia ha troppi soldati" (manodopera illimitata),
"un'economia di guerra in grado di produrre grandi quantità di armi e
munizioni" (capacità industriale illimitata) e "la Russia... ha
accesso ad armi e munizioni... che contribuiscono allo sforzo bellico del
Cremlino".
(Produzione illimitata di armi) In breve,
l'analisi di “Haass” è identica a quella di “Davis”.
Entrambi
concordano sui fondamentali, cioè che l'Ucraina non può e non vincerà.
Ma poi
l'articolo prende una piega insolita, in cui “Haass” trae inspiegabilmente
dalla sua analisi le conclusioni esattamente opposte a quelle di Davis”.
Si
tratta di un sorprendente gioco di prestigio retorico che farebbe invidia a “Svengali.
Ecco
cosa dice dopo aver elencato i numerosi motivi per cui l'Ucraina non vincerà la
guerra:
"Alcuni
rispondono che il successo dovrebbe essere definito come il recupero di tutto
il territorio perduto da parte dell'Ucraina, per ristabilire i confini del
1991. Sarebbe un grave errore".
Pensateci
per un minuto.
Quindi,
secondo “Haass”, vincere la guerra non significa più vincere la guerra.
Non
significa riconquistare il territorio conquistato, non significa espellere i
russi dall'Ucraina orientale e non significa prevalere nella guerra di terra.
Significa "cosa" esattamente?
“Haass”
spiega:
"Quale
strategia... L'Ucraina e i suoi sostenitori dovrebbero perseguire?
In primo luogo, l'Ucraina dovrebbe enfatizzare
la difensiva, un approccio che le consentirebbe di gestire le sue risorse
limitate e frustrare la Russia.
In
secondo luogo, all'Ucraina dovrebbero essere dati i mezzi – capacità di attacco
a lungo raggio – e la libertà di attaccare le forze russe ovunque in Ucraina,
così come le navi da guerra russe nel Mar Nero e gli obiettivi economici
all'interno della stessa Russia.
La Russia deve arrivare a sentire il costo di
una guerra che ha iniziato e prolungato.
In
terzo luogo, i sostenitori dell'Ucraina devono impegnarsi a fornire aiuti
militari a lungo termine.
L'obiettivo di tutto quanto sopra è quello di
segnalare a Vladimir Putin che il tempo non è dalla parte della Russia e che
non può sperare di sopravvivere all'Ucraina.
Perché
organizzare un'altra controffensiva nel 2025 sarebbe un errore, “Novaya Gazeta”
Quindi,
questa è la nuova strategia? Questo è il piano B?
Sì, a
quanto pare. E guardate cosa comporta il Piano B:
Rannicchiati
in una postura difensiva.
Usare
"capacità di attacco a lungo raggio" per attaccare obiettivi in
Russia (è
qui che Blinken ha avuto l'idea?)
Pompare
altri miliardi nel "buco nero" ucraino per prolungare una guerra che
non può essere vinta.
In
breve, provocare, tormentare e infliggere più dolore possibile alla Russia per
tutto il tempo necessario.
Finché
cosa ci vuole?
Cosa
significa?
“Haass”
spiega anche questo:
Un
cessate il fuoco provvisorio quasi certamente non porterebbe a nulla di simile
alla pace, che probabilmente dovrà aspettare l'arrivo di una leadership russa
che scelga di porre fine allo status di paria del paese.
Questo potrebbe non accadere per anni o
decenni.
Oh,
quindi il vero obiettivo è il cambio di regime. Che sorpresa!
Non si
tratta solo di "spostare i pali della porta" (cambiando la
definizione di "vincere" una guerra).
Questa è una rivelazione dell'agenda
dell'élite,
che guarda oltre la fatua propaganda sull'"aggressione non provocata"
e si concentra interamente sulla geopolitica, la forza trainante delle
relazioni internazionali.
Nella
mente di “Haass”, l'Ucraina non è un campo di battaglia su cui i patrioti
ucraini e russi sacrificano le loro vite per i loro paesi.
No.
Nella
mente di”Haass”, l'Ucraina è la porta d'accesso all'Asia centrale, che dovrebbe
essere la regione più prospera del prossimo secolo.
I plutocrati occidentali intendono essere i
principali attori nello sviluppo dell'Asia centrale, ed è per questo che stanno
cercando di rimuovere il più grande ostacolo alla penetrazione occidentale, che
è la Russia.
Una
volta che la Russia sarà stata indebolita e arretrata, Washington sarà libera
di diffondere le sue basi militari in tutta l'Eurasia, gettando le basi per
contenere la rivale Cina attraverso provocazioni, accerchiamenti e
strangolamento economico.
Questo
è il motivo per cui la definizione di "successo" di “Haass” è più
flessibile di quella della gente comune che valuta queste questioni in termini
di enorme sofferenza umana che causano.
Nella
visione globalista, queste cose sono solo di secondaria importanza.
Ciò che conta davvero è il potere; potere
geopolitico sotto forma di egemonia globale.
Questo
è l'obiettivo strategico finale.
Non
importa nient'altro.
Ed è
per questo che l'amministrazione “Biden” sta per approvare l'uso di armi
d'attacco a lungo raggio di fabbricazione americana per distruggere obiettivi
sul territorio russo.
Perché,
anche se non aumenta le possibilità dell'Ucraina di vincere la guerra, aiuta a
far avanzare l'agenda geopolitica globalista che considera l'Ucraina come un mero
trampolino di lancio per lanciare attacchi contro la Russia.
Le
élite sono così ubriache di arroganza che si sono convinte che Putin non vedrà
questi attacchi missilistici sul territorio russo come una dichiarazione di
guerra.
E lo
sono.
Il
paleo conservatorismo ha vinto
il
dibattito metapolitico,
poi il
potere politico.
Unz.com
- HUNTER WALLACE – (20 MAGGIO 2024) – ci dice:
L'editore
di “VDARE.com” “Peter Brimelow” scrive:
Stiamo
ancora una volta pubblicando in modo incrociato i “Hunter Wallace”, questa
volta il suo potente discorso ai 20esimo Celebrazione dell'anniversario di
James Edwards” Il programma radiofonico” Political Cesspool”.
Wallace
molto gentilmente dà a me, al grande “Pat Buchanan” e a molti altri scrittori”
VDARE.com” il merito di averlo ispirato e informato politicamente negli ultimi
quasi 25 anni (!)
Celebra
anche il fatto che, nonostante l'establishment corrotto del Partito
Repubblicano, i numerosi guardiani auto-nominati, il colpo di stato comunista
in corso, i complotti del Deep State e, nel caso di” VDARE.com”, la legge senza
scrupoli del procuratore generale di New York “Letitia James”, le nostre idee
stanno vincendo con la base repubblicana (alias l'America).
Abbiamo
aggiunto molti link al discorso di Wallace” – pronunciandolo ad alta voce,
ovviamente non ne aveva bisogno – e questo include i link alla dozzina di
sondaggi che cita che mostrano che gli americani stanno iniziando a vedere cosa
sta succedendo.
“Hunter
Wallace”: Questa mattina ho pronunciato il seguente discorso alla Conferenza
per il 20° anniversario del pozzo nero politico.
Oggi
voglio parlarvi di un paradosso.
A
livello di metapolitica, che è il regno delle idee, dei valori e delle
priorità, sembra che tutto sia cambiato a destra.
A livello politico, invece, non è cambiato
molto.
Continuiamo
ad essere amaramente delusi.
Siamo
come “Charlie Brown” che cerca di calciare il pallone che Lucy tira sempre via
all'ultimo minuto.
Le
vittorie politiche sembrano sempre all'orizzonte.
Sono
politicamente attivo dal 2000.
Comincerò
da lì perché la mia coscienza politica risale solo a circa 24 anni fa, all'alba
del nuovo millennio.
Avevo
20 anni e frequentavo il secondo anno alla “Auburn University” in Alabama. Ero
sempre più preoccupato per le questioni razziali come l'immigrazione
clandestina e l'”affirmative action”.
Ho votato per la prima volta alle elezioni
presidenziali del 2000.
Ho
votato per Al Gore perché non mi piaceva George W. Bush.
Non è
stato un voto ideologico.
Avevo
un'antipatia istintiva per quell'uomo.
Come
molti di voi ricorderanno, “Pat Buchanan” si candidò alla presidenza nel 2000
con il “Reform Party”.
Ha sconfitto Donald Trump alle primarie e ha
ottenuto 450.000 voti alle elezioni generali.
Alcuni
di voi probabilmente facevano parte di quello 0,4% di americani che hanno
votato per lui.
Ho
sentito parlare per la prima volta di Pat Buchanan durante il riconteggio in
Florida, quando i voti per lui sul famigerato "ballottaggio a
farfalla" nella contea di Palm Beach, in Florida, sono costati ad Al Gore
la presidenza.
Ero
troppo giovane per ricordare le sue campagne presidenziali negli anni '90.
Col
senno di poi, gli anni intorno al 2000 sono stati l'inverno del paleo conservatorismo
e la stagione estiva del dominio neoconservatore della destra.
La National Review, il Weekly Standard e il
Commentary, che erano tutti controllati da neoconservatori di prima e seconda
generazione, definivano i confini della rispettabile destra di spirito.
FOX News, anch'essa controllata dai
neoconservatori e dominata da cattolici irlandesi come” Bill O'Reilly” e “Sean
Hannity”, ha definito la destra di basso livello.
La
destra religiosa era dominata dai sionisti cristiani e dai neoconservatori come
Richard John Neuhaus.
“ Pat
Buchanan”, che era stato diffamato come antisemita da “William F. Buckley”,
aveva lasciato il Partito Repubblicano e aveva portato il Partito Riformista
nell'oblio.
“Sam
Francis”, che era stato licenziato dal” Washington Times” per le osservazioni
fatte alla conferenza “American Renaissance” del 1994, ha pubblicato il
Citizens Informer ai margini della destra.
Sia
Buchanan che Francis sono stati pubblicati da “VDARE”, fondata da “Peter
Brimelow” nel 1999.
Non
ricordo molto dei giorni di gloria dell'era Reagan durante la Guerra Fredda,
quando gli Stati Uniti trionfarono sull'Impero del Male e cadde il Muro di
Berlino. Ha coinciso con la mia infanzia.
Non
ricordo nemmeno “William F. Buckley”.
Questo è importante perché ora sono di mezza
età e nessuno più giovane di me ricorda nemmeno questa volta.
Le mie
influenze formative nella giovane età adulta negli anni 2000 sono state George
W. Bush e l'11 settembre, la guerra in Iraq e il crollo del 2008.
Ho anche sviluppato le mie opinioni
interagendo con persone che la pensano allo stesso modo su Internet, non
guardando la televisione.
All'inizio
degli anni 2000, la destra tradizionale era ancora schiava della sua visione
del reaganismo, che sembrava diventare più ambiziosa solo dopo che lo stesso
Reagan aveva lasciato la scena politica.
La
destra mainstream era a favore della guerra, dell'immigrazione e della
globalizzazione.
Era "ottimista" sul futuro
dell'America.
Ha
sostenuto l'amnistia per gli stranieri illegali e il libero scambio globale.
Il nazionalismo e il populismo sono stati
stigmatizzati a destra.
Il "razzismo" era fortemente tabù.
L'antisemitismo è stato verboten. Protezionismo era una parolaccia.
Il vero conservatorismo è stato definito come
liberalismo classico.
L'SPLC e l'ADL erano considerate rispettate
organizzazioni di "controllo".
Era un
partito in cui “John McCain” era considerato un "anticonformista" e
il principale rivale dell'establishment.
Gran
parte dell'energia della destra in quel momento era concentrata sulla
"fine del male" e sulla "fine della tirannia" nel mondo,
esportando la democrazia e il liberalismo in Medio Oriente.
Quelli
di noi che si sono ribellati a questa gloriosa visione e che si sono
identificati con i suoi critici hanno sviluppato un acuto senso di
emarginazione.
Gli
identitari bianchi, i paleoconservatori, i populisti di destra e i libertari
hanno sempre fatto parte della coalizione repubblicana.
Eravamo
partner junior però.
I
valori e le priorità dell'establishment repubblicano e la sua base demografica
tra gli elettori bianchi istruiti al college nei sobborghi erano molto diversi.
Il movimento conservatore ha inteso la propria
coalizione come uno "sgabello a tre gambe" di conservatori sociali
(la destra religiosa), falchi della difesa (neocon) e conservatori fiscali
(sostenitori del libero mercato).
Negli
anni 2000 la realtà della coalizione repubblicana stava diventando più
complessa di questa antiquata immagine di sé.
C'erano
milioni di elettori bianchi scontenti che rifiutavano la sinistra e di solito
votavano repubblicano, ma che erano disallineati con la destra tradizionale per
varie ragioni, soprattutto a causa della sua stupida ideologia che era ancora
una reazione all'era del New Deal.
I
conservatori tradizionali avevano “FOX News” e il “Wall Street Journal”, la “National
Review” e il “Washington Times,” “Rush Limbaugh “e “Michael Savage”.
Avevano
guardiani in tutte le istituzioni che sorvegliavano per tenere fuori i
"razzisti".
A quei
tempi c'era anche “Tucker Carlson”. Al contrario, abbiamo avuto “Pat Buchanan”
in esilio su “MSNBC”.
Avevamo il nostro arcipelago alternativo di
web zine, forum, podcast e blog su internet.
Abbiamo
anche avuto la sezione commenti ... Ve li ricordate?
Questi
siti web sono esplosi di numero negli anni 2000 e sono stati il semenzaio della
nostra controcultura dissidente di destra.
Abbiamo
discusso e dibattuto tutte le questioni tabù.
Abbiamo
letto tutti gli esperti che sono stati epurati dal conservatorismo rispettabile
come “Joe Sobran” e “John Derbyshire”.
Questa
"conversazione nazionale" è stata portata avanti in modo clandestino
e si è svolta al di fuori dei canali tradizionali.
Non ha attirato molta attenzione fino a quando
il consenso che si è gradualmente sviluppato da esso è diventato noto negli
anni 2010 come "alt-right".
Nel
mio caso, tutto è iniziato con la scoperta di “Stormfront” nel 2001 e la
lettura del
libro di “Pat Buchanan” “The Death of The West”, che parlava del declino
culturale occidentale e della “Grande Sostituzione”.
“ Pat
Buchanan” ha pubblicato in quegli anni un fiume di libri e rubriche: Il grande
tradimento (1998), Una repubblica, non un impero (1999), La morte
dell'Occidente (2002), Dove la destra è andata male (2004), Stato di emergenza
(2006), Il giorno della resa dei conti (2007), Il suicidio di una superpotenza
(2011).
Ho
letto anche Alien Nation (1995) di Peter Brimelow e The Path to National
Suicide (1991) di Lawrence Auster.
Ho letto La curva a campana (1994) di Richard
Herrnstein e Charles Murray. Ho letto Paved With Good Intentions (1992) di
Jared Taylor. Ho letto The Culture of Critique (1998) del Dr. Kevin MacDonald e
My Awakening (1998) di David Duke.
Ho
divorato le rubriche di Sam Francis, Steve Sailer e Paul Gottfried su VDARE e
Chronicles.
Ho ascoltato il programma radiofonico del Dr.
William Pierce.
Ho
letto Justin Raimondo su Antiwar.com.
Leggevo
i paleolibertari su LewRockwell.com.
Col
senno di poi, ho assorbito la mia politica da “Pat Buchanan” e da altri uomini
più anziani nella sfera paleoconservatrice/paleolibertaria/identitaria bianca.
In particolare, ricordo che Buchanan diceva
tutto ciò che c'era davvero da dire su questioni che andavano dallo
sradicamento al cambiamento demografico, al declino religioso e culturale
dell'Occidente, al liberalismo, all'Impero americano, al potere della lobby
israeliana al Congresso.
È
tutto lì.
Buchanan ha anche scritto il libro definitivo
sulla Seconda Guerra Mondiale – “Churchill, Hitler e La guerra inutile” – che è
stato pubblicato nel 2008.
Le
questioni relative all'identità nazionale sono diventate per noi le questioni
salienti.
Capimmo
che il resto della nostra vita sarebbe stato caratterizzato da un'epoca
tumultuosa di cambiamenti razziali e culturali.
I liberali conservatori tradizionali non
riuscivano a immaginare un mondo in cui qualcuno sarebbe stato disturbato da
questo.
Tutto
si sarebbe risolto una volta che le dimensioni del governo fossero state
ridotte.
Sono
passati quasi 25 anni. Questa è un'intera fase della vita.
Ero un
giovane adulto nel 2001.
Sono un uomo di mezza età con due figli nel
2024.
Mi
vengono i capelli grigi. Una generazione sotto di me ha raggiunto l'età adulta.
La generazione dei miei nonni è morta.
Ora
viviamo in un mondo in cui tutti coloro che hanno meno di 45 anni sono
cresciuti su Internet.
Pubblichiamo
su Internet da un quarto di secolo, leggiamo e condividiamo articoli,
commentiamo articoli, produciamo e ascoltiamo podcast, produciamo e guardiamo
video, ospitiamo e partecipiamo a conferenze come questa.
Lo
sviluppo dei social media ha essenzialmente gettato benzina sulla conversazione
che stavamo già avendo online.
Internet è stato relativamente gratuito fino
al 2017.
I
poteri forti non hanno colto il significato di ciò che stava accadendo fino a
quando “Hillary Clinton” non ha perso le elezioni del 2016.
Ecco
alcuni numeri che nel 2004 avrei trovato troppo ottimistici:
In un
recente sondaggio Marist dell'aprile 2024, l'84% degli elettori repubblicani ha
sostenuto l'espulsione di TUTTI gli stranieri illegali.
Il 77% considera il razzismo anti-bianco
problematico quanto il razzismo anti-nero. Il 65% pensa che l'immigrazione sia
negativa per l'economia.
Il 77% ha dichiarato di ritenere che l'America
sia troppo politicamente corretta.
Il 56% desidera un leader forte che infranga
le regole per sistemare le cose.
Il 28%
crede che potrebbe anche dover ricorrere alla violenza per risolvere il
problema.
Il sondaggio ha rilevato che l'opposizione
all'immigrazione clandestina, il politicamente corretto e il razzismo
anti-bianco sono stati i temi più galvanizzanti e unificanti per gli elettori
repubblicani.
In un
recente sondaggio del “Chicago Council on Global Affairs” del maggio 2024,
l'86% dei repubblicani ha dato priorità al controllo e alla riduzione
dell'immigrazione come importante obiettivo politico.
L'89%
è favorevole all'aumento delle espulsioni.
L'87%
è favorevole all'espansione del muro di confine con il Messico.
L'85%
voleva penalizzare le imprese che assumono clandestini.
Solo il 33% è favorevole a un percorso verso
la cittadinanza per gli stranieri illegali.
In un
recente sondaggio Gallup dell'aprile 2024, il 27% degli americani ha scelto
l'immigrazione come il problema più importante.
Questa è la prima volta nella storia del sondaggio
Gallup che l'immigrazione non solo è stata la questione più importante, ma è
rimasta lì negli ultimi tre mesi.
In un
recente sondaggio di “U Mass Amherst”, il 60% dei repubblicani ha dichiarato di
ritenere che l'America sia in pericolo di perdere la propria identità.
Il 66% crede che la “Grande Sostituzione” stia
avvenendo.
Diversi
sondaggi su questo tema hanno dimostrato che gli americani lo capiscono in
termini di cambiamento demografico razziale e culturale.
Nel
più recente sondaggio sui valori americani del “PRRI”, il 52% dei repubblicani
ha affermato di credere che Dio volesse che l'America fosse una terra promessa
per i cristiani europei.
Il 72% pensa che l'America sia diventata
troppo morbida e femminile.
Il 55% vede gli immigrati come invasori.
Il 69%
vede gli immigrati come una minaccia per i costumi e i valori americani.
Solo
il 30% crede che la "supremazia bianca" sia ancora un problema.
In un
recente sondaggio del “Chicago Council on Global Affair”s, il 53% degli
elettori repubblicani voleva che l'America rimanesse fuori dagli affari
mondiali.
Questa
è la prima volta nella storia dell'indagine che si preferisce rimanere fuori
dagli affari mondiali piuttosto che prendere parte attiva agli affari mondiali.
Negli
anni 2000, solo il 27% degli elettori repubblicani in media voleva rimanere
fuori dagli affari mondiali.
Nell'ultimo
sondaggio “New York Times/Siena”, il 69% degli americani voleva grandi
cambiamenti al sistema o abbatterlo del tutto.
In un
sondaggio di “CBS News”, l'81% degli elettori delle primarie repubblicane ha
dichiarato di essere d'accordo con Trump sul fatto che gli immigrati stanno
"avvelenando il sangue" del paese.
In un
recente sondaggio “Gallup”, solo il 17% degli elettori repubblicani è
soddisfatto del modo in cui funziona la nostra democrazia, in calo rispetto al
67% del 1998.
In un
recente sondaggio “American Compass”, il 77% degli elettori repubblicani ha
sostenuto i dazi per aumentare la produzione americana.
Il 78%
ha sostenuto il sostegno governativo allo sviluppo di tecnologie avanzate come
i semiconduttori.
Il 57%
pensa che gli investitori di Wall Street stiano indebolendo la nostra economia.
Il 41% degli elettori repubblicani ha
addirittura un'opinione positiva dei sindacati.
In un
recente sondaggio pubblicato in un articolo del “Jerusalem Post”, quasi la metà
(42,4%) dei giovani cristiani evangelici sotto i 30 anni ha dichiarato di non
sostenere né Israele né i palestinesi.
Dal 2018 c'è stato un crollo del 50% del
sostegno a Israele tra i giovani evangelici.
In un
recente sondaggio Gallup, il 30% degli elettori repubblicani disapprova le
azioni militari israeliane a Gaza.
Un recente sondaggio “Pew ha rilevato che il
26% degli elettori repubblicani si oppone agli aiuti militari a Israele.
Un recente sondaggio Reuters/Ipsos ha rilevato
che il 34% dei repubblicani è meno propenso a sostenere candidati che
sostengono gli aiuti militari a Israele.
Il sostegno a Israele è fortemente legato all'età.
In
generale, l'opinione pubblica di destra sta andando nella giusta direzione su
quasi tutte le nostre questioni chiave.
Le questioni identitarie sono ora la forza animatrice
della coalizione repubblicana. Viviamo in un mondo in cui” Rich Lowr”y pubblica
libri come “The Case for Nationalism” e scrive articoli come "Yes, Fight
Anti-White Racism" e in cui l'immigrazione è la questione più importante.
“Yoram
Hazony” ospita la conferenza sul conservatorismo nazionale.
Anche
i nostri nemici tradizionali ora vogliono essere percepiti come nazionalisti.
Questi
sentimenti si sono fatti strada anche nella retorica ufficiale della campagna
elettorale.
Donald
Trump si candiderà nel 2024 per espellere tutti gli stranieri illegali,
costruire il muro di confine, porre fine al nostro coinvolgimento nelle guerre
all'estero, promulgare enormi dazi sulle merci cinesi (Joe Biden lo ha già
battuto), smantellare lo Stato profondo, porre fine alla discriminazione
anti-bianca e così via.
Se
Trump riuscirà effettivamente a portare a termine uno di questi lodevoli
obiettivi è una questione a parte.
Sta
facendo il suo discorso a un pubblico che vuole queste cose.
È una
cosa che volevamo 20 anni fa, quando la maggior parte dei repubblicani
applaudiva come sigilli il “Patriot Act” e sosteneva l'invasione dell'Iraq.
Anche
l'esercito degli Stati Uniti è ora sospetto a destra.
Sei
anni fa, le élite evangeliche sveglie della “Southern Baptist Convention” come “Dwight
McKissic” e “Russell Moor”e hanno montato una campagna per far cacciare il mio
amico “James Edwards “dalla sua chiesa.
La”
Southern Baptist Convention “ha condannato l'alt-right.
Oggi,
tutte le chiese cristiane, compresa la mia – il Sinodo della Chiesa luterana
del Missouri – si stanno dividendo sulla crescente influenza della destra
dissidente e del nazionalismo cristiano.
Le
grandi élite di “Eva” come “Russell Moore” e “Beth Moore” sono state estromesse
da posizioni di influenza.
La “Chiesa Presbiteriana” in America ha
recentemente cancellato un panel che presentava “David French” a causa di una
travolgente reazione online.
Ad aprile, la famiglia francese ha abbandonato
l'APC dopo aver accusato la loro ultima chiesa di essere "piena di
neo-confederati" che li hanno ripetutamente affrontati al tavolo della
comunione.
Più
della metà dei repubblicani del Sud ora sostiene un divorzio nazionale.
Sono
tutti numeri molto incoraggianti.
Che si
tratti del nazionalismo cristiano bianco, di un divorzio nazionale, della
crescita del nazionalismo e del populismo nella destra americana,
dell'opposizione al globalismo, del sostegno alla politica industriale,
dell'opposizione esplicita all'anti-bianchesimo, del desiderio di deportare
tutti gli stranieri illegali e tagliare l'immigrazione legale, dello
scetticismo sul nostro più grande alleato Israele, della preoccupazione per il
declino culturale o del desiderio di rimanere fuori dalle guerre straniere, la
gente comune ha ricevuto il messaggio.
Sta
risonando.
Persino
“Charlie Kirk” può essere trovato a criticare “MLK” in questi giorni.
Nonostante
tutte queste buone notizie, che sono benvenute e attese da tempo, il problema è
che c'è ancora molto lavoro da fare.
Nulla
di ciò che vogliamo sta realmente accadendo, nonostante la crescita del
sostegno pubblico.
Invece, il Congresso ha recentemente votato
per spendere 95 miliardi di dollari per sostenere le guerre in Israele e
Ucraina.
L'immigrazione
clandestina è attualmente ai massimi storici.
La discriminazione
e l'odio contro i bianchi nell'istruzione non sono mai stati così intensi.
Lo Stato Profondo non è mai stato così fuori
controllo.
Donald Trump è attualmente sotto processo a
New York.
I
monumenti confederati e altri monumenti storici come le statue di Cristoforo
Colombo sono stati abbattuti per anni.
Nel
frattempo, i repubblicani della Camera hanno finanziato un nuovo edificio
dell'FBI, rinnovato e ampliato la sorveglianza governativa e hanno tenuto oltre
20 votazioni separate su Israele e l'antisemitismo negli ultimi due mesi.
Ci è
stato detto che gli studenti ebrei nei campus della” Ivy League” stanno
affrontando l'equivalente del Sud di “Jim Crow” e della “Germania nazista”.
La
Camera Repubblicana ha recentemente approvato l' “Antisemitism Awareness Act” e
l' “Israel Security Assistance Support
Act”, che toglierebbero i fondi al nostro Dipartimento della Difesa fino a
quando Israele non otterrà gli aiuti militari che hanno recentemente approvato
il Congresso.
Non è esagerato
dire che l'”Amen Corner” di Israele a Capitol Hill incombe come un problema più
grande che mai.
Ha dirottato l'agenda legislativa.
Nessun'altra
questione che la nazione deve affrontare riceve un'attenzione adeguata.
La
vittoria per noi sembra così vicina e allo stesso tempo ancora così lontana
perché è così difficile immaginare che i nostri attuali rappresentanti spendano
il loro capitale politico per affrontare uno qualsiasi dei nostri problemi.
Anche se Donald Trump vincesse le elezioni del
2024, c'è da chiedersi:
questo avvantaggerà noi o principalmente
Israele?
Abbiamo
fatto molta strada negli ultimi 25 anni.
La battaglia metapolitica sta per essere
vinta.
La
sfida dei prossimi 20 anni sarà capire come tradurre queste conquiste
metapolitiche in potere politico tangibile e vittorie politiche effettive.
Grazie.
(Hunter
Wallace scrive per “Occidental Dissent.”)
Perché
nessuno si preoccupa del fatto
che la Russia stia facendo esercitazioni
nucleari
al confine con l'Ucraina?
Unz.com
- ANDREW ANGLIN – (22 MAGGIO 2024) ci dice:
L'Occidente
ha chiarito che è assolutamente disposto a rischiare una guerra nucleare nel
tentativo di dominare l'ex Ucraina orientale.
La
situazione attira l'attenzione sul fatto che le persone che governano il mondo
occidentale non sono semplicemente diaboliche, ma anche inconcepibilmente
stupide.
È
stato detto un milione di volte, ma non c'è alcuna rilevanza strategica per
l'Occidente per l'Ucraina orientale.
È estremamente rilevante per i russi,
naturalmente, ed è per questo che gli americani erano interessati ad esso.
Stavano
tentando di usare il conflitto in Ucraina per causare il collasso dello stato
russo.
Il
problema, tuttavia, è che questo non ha funzionato. Lo Stato russo non è
crollato.
Ora
c'è una seria confusione su quale sia effettivamente lo scopo della guerra.
È
chiaramente impossibile che l'Ucraina vinca. Nessuno fa più questa
affermazione.
Invece, l'Occidente sta parlando di
un'escalation verso una sorta di situazione nucleare.
Nessuno
ha idea di quale sia la logica di tutto questo.
Tutto
quello che possiamo fare è osservare le loro azioni.
Le loro dichiarazioni non significano nulla.
Non
pretenderei di sapere cosa stia realmente succedendo.
Ma la
cosa sembra funzionare sull'inerzia.
C'è:
Corruzione
massiccia negli Stati Uniti e in Ucraina.
L'odio
ebraico per la Russia.
Lobbismo
dell'industria degli armamenti.
L'ossessione
della leadership della NATO per la guerra.
Il
desiderio degli Stati Uniti di indebolire l'Europa.
Una
politica americana generale di essere sempre in guerra con qualcuno.
Costi
irrecuperabili.
Veri
pazzi che vogliono passare a una guerra mondiale e/o credono che la Russia stia
tentando di ristabilire una versione cristiana dell'Unione Sovietica.
Non
sembra esserci alcuna logica di base.
Si
tratta solo di questi diversi fattori.
In
gran parte si tratta dello stesso genere di cose che hanno tenuto gli Stati
Uniti coinvolti in Afghanistan per così tanto tempo.
È solo che in Afghanistan la posta in gioco
era praticamente zero.
Nella
situazione in Ucraina, la posta in gioco è potenzialmente una guerra nucleare,
che potrebbe uccidere miliardi di persone.
NOTA:
Non credo alle sciocchezze sull'inverno nucleare e non sono convinto che tutte
le bombe nucleari verrebbero sparate.
Di
recente ho visto parte di un'intervista con quel mulatto del Regno Unito e una
donna che ha scritto un libro sulla guerra nucleare.
Era
piuttosto noioso.
Fondamentalmente
propaganda degli anni '80.
Tutti sparerebbero davvero tutte le bombe
nucleari se ne venisse sparata una?
Ne
dubito seriamente. E anche se lo facessero, l'intera faccenda
dell'"inverno nucleare" non è nemmeno reale.
In un
atto di puro masochismo, ho recentemente riletto "The Road" del mio
scrittore preferito di tutti i tempi, “Cormac McCarthy”.
(Sono
sarcastico. McCarthy è il peggior scrittore e una piaga di livello Biden sulla
corsa irlandese).
Questo
genere di cose è semplicemente sciocco.
Una guerra nucleare sarebbe probabilmente una
buona cosa.
Ma non
credo che chi è al comando voglia davvero una guerra nucleare.
Ancora una volta, non lo sappiamo.
Non
sappiamo nemmeno chi comanda.
A
quanto pare, si tratta di “Antony Blinken”, “Jake Sullivan” e poi,
secondariamente, alcune persone come “David Cameron” e “Boris Johnson”. Sembra avere senso che queste persone
siano al comando, e sono solo molto stupide.
Per
essere chiari, "arma nucleare tattica" è un gergo che significa
fondamentalmente una piccola bomba.
Gli
Stati Uniti hanno detto che se la Russia colpisse l'Ucraina con una bomba del
genere, non bombarderebbero la Russia, ma farebbero saltare in aria l'intera
marina.
Questo
è ciò che ha detto “David Petraeus”, almeno, e sembrava che stesse parlando in
veste semi-ufficiale, una sorta di portavoce del ruolo.
Questo
è successo quasi due anni fa, ma non sono a conoscenza di nessun'altra
dichiarazione fatta da un funzionario competente su come gli Stati Uniti
avrebbero risposto se una tale bomba atomica fosse stata usata in Ucraina.
Questa
affermazione di “Petraeus” è priva di senso, tuttavia, poiché se la NATO
attaccasse la Russia nella misura da lui suggerita, la Russia inizierebbe a
sparare vere armi nucleari contro le città europee e presumibilmente americane.
Fondamentalmente,
se la Russia usasse una piccola bomba atomica in Ucraina, la NATO dovrebbe
iniziare una guerra nucleare o semplicemente non fare nulla, forse inviare
alcune forze NATO in Ucraina, il che innescherebbe effettivamente una serie di
eventi che porterebbero la Russia a sparare armi nucleari serie.
Detto
questo, anche se la Russia sta attualmente facendo esercitazioni "nucleari
tattiche" al confine con l'Ucraina, non è chiaro se l'Ucraina sia
l'obiettivo che sta potenzialmente minacciando.
Il “Guardian”:
Le
forze russe hanno iniziato esercitazioni militari vicino all'Ucraina simulando
l'uso di armi nucleari tattiche in risposta a ciò che Mosca ritiene minacce da
parte di funzionari occidentali su un maggiore coinvolgimento nel conflitto.
Vladimir
Putin ha ordinato le esercitazioni all'inizio di questo mese in una mossa che i
funzionari russi hanno detto essere un avvertimento all'Occidente a non
intensificare ulteriormente le tensioni.
Il
Cremlino è stato particolarmente irritato dal presidente francese, Emmanuel
Macron, che ha ventilato la possibilità di inviare truppe europee per
combattere la Russia in Ucraina, e dalle osservazioni del ministro degli Esteri
britannico, David Cameron, che ha affermato che l'Ucraina ha il diritto di
utilizzare armi fornite da Londra per colpire siti in Russia.
Affermare
che la Russia è stata "arrabbiata" è editoriale.
Non
credo che volessero che fosse editoriale, penso che sia solo una scrittura
scadente.
La
Russia sta rispondendo in modo logico.
Non
c'è emozione qui. Almeno non c'è alcuna emozione visibile.
A
differenza degli americani, nessun alto funzionario russo è mai emotivo in
pubblico, tranne Medvedev, che è fondamentalmente una sorta di figura di
"fan service" per il popolo russo.
Ma
Putin, il suo portavoce Peskov, l'alto diplomatico Lavrov – nessuna di queste
persone è mai emotiva in pubblico.
Ebbene,
Putin ha versato qualche lacrima durante l'evento della sua vittoria elettorale
mentre cantava una canzone patriottica.
Quindi
immagino che sia un'emozione.
Ma è
amore per il paese e per la gente. (Ho anche il sospetto che sia piuttosto difficile
per lui dover mandare i ragazzi a morire in Ucraina. Questo è ciò a cui ho
pensato quando ho visto le lacrime all'evento sulla Piazza Rossa.)
Al
contrario, gli americani sono fuori di testa. Ricordate quel discorso di “Joe
Biden” in cui urlava su un palco buio con luci rosso sangue?
Se
cerchi solo "Biden che urla" ottieni un sacco di clip.
È
ovviamente un vecchio senile e squilibrato, e questi lampi di rabbia sono
relativamente normali per qualcuno con il suo stadio di demenza.
Ma è
ancora il capo dello stato americano.
Antony
Blinken non si arrabbia, ma sembra sempre tremare, pronto a raggomitolarsi in
posizione fetale e iniziare a piangere.
Poi
c'è un sacco di diversi funzionari americani che vanno in TV urlando di tutte
le persone che stanno per uccidere.
Lindsey
Graham è il più notevole, probabilmente, ma Tom Cotton, Josh Hawley, Marco
Rubio, tutti i vari democratici ebrei – la maggior parte delle persone che si
vedono nel governo americano appaiono molto instabili emotivamente.
È molto raro vedere persone normali comportarsi come i
politici americani, a meno che non siano ubriachi o sotto l'effetto di droghe.
Forse
le persone povere si emozionano in questo modo, non ne sono sicuro, ma io non
sono nella mia vita intorno a questo genere di cose. (Ancora una volta, a meno che la
gente non stia bevendo, e non credo che queste persone stiano bevendo.
Potrebbero essere sotto l'effetto di droghe.)
Quindi,
è molto interessante che il Guardian abbia usato la parola "rabbia"
in relazione alla Russia.
Ancora
una volta, penso che sia solo una cattiva scrittura.
"Il
Cremlino è stato particolarmente irritato da..." dovrebbe essere "Il
Cremlino ha citato specificamente..."
Ma un
po' di brutta scrittura.
Per
me, la cosa più strana è quanto tutti sembrino essere indifferenti alla
minaccia di una guerra nucleare.
Durante
la Guerra Fredda, la gente viveva in costante panico. O, almeno, questo è il
modo in cui viene rappresentato.
C'è una probabilità molto, molto più alta che
una guerra nucleare possa accadere ora di quanto non ce ne sia mai stata
durante la Guerra Fredda, eppure non stiamo nemmeno ricevendo annunci di
pubblica utilità su ciò che dovremmo fare se accadesse.
“Piers
Morgan” ha detto a “John Mearsheimer” che centinaia di milioni di persone che
muoiono in una guerra nucleare varrebbe la pena per dimostrare a Putin che
amiamo la democrazia.
(Perdonami,
non ho il timestamp. L'intera intervista è affascinante, nella misura in cui
Morgan è rappresentativo dell'opinione popolare.)
È
stata un'intervista particolarmente surreale, che mi ha quasi portato a credere
che Morgan sia una specie di troll, che finge di essere ritardato per
evidenziare la follia di persone che respingono con disinvoltura la minaccia di
Londra, New York, Chicago e così via.
Potrebbe
esserci un qualche tipo di piano segreto all'opera qui?
Per
quanto ne so, non c'è alcuna prova che stia accadendo qualcosa al di là di ciò
che sembra stia accadendo:
il
mondo occidentale è gestito da persone che sono sia malvagie che stupide, e
stanno agendo in base agli impulsi associati, tentando di ristabilire un mondo
unipolare dominato dagli Stati Uniti, e lo fanno in un modo che è maniacale e
destinato a finire in un fallimento catastrofico di qualche tipo.
Ma,
sopra ho menzionato “La strada”, un'opera di finzione a cui possiamo fare
riferimento quando analizziamo come la mente popolare concepisce una potenziale
guerra nucleare.
Un'idea alla moda tra gli appassionati di letteratura
è che la narrativa riguardi principalmente l'estetica.
Personalmente, anche se mi interessa
l'estetica letteraria, mi piace la narrativa soprattutto perché contiene idee.
L'idea che la letteratura riguardi
principalmente l'estetica è effettivamente nichilista, a mio avviso.
Questo è ciò che ci porta Thomas Pynchon,
Cormac McCarthy e David Foster Wallace e tutto ciò che è germogliato dalle
opere di quegli uomini terribili.
Persino
Ernest Hemingway, da hacker qual era, non vi direbbe che la letteratura
riguardava principalmente l'estetica.
Due
pezzi di puerile narrativa che trattano di guerra nucleare che ho consumato di
recente condividevano un concetto che ho trovato piuttosto intrigante.
Dopo
aver visto la terribile (anche se leggermente ipnotizzante) serie Apple TV
"Silo", ed essere stato estremamente frustrato dal finale “cliffhanger”,
sono andato a leggere la serie di romanzi (Wool and Shift di Hugh Howey).
La
storia parla di rifugi antiatomici, i silos del titolo, dove le persone hanno
vissuto per centinaia di anni.
La
grande rivelazione è che i funzionari governativi hanno costruito i rifugi e
poi hanno intenzionalmente iniziato una guerra nucleare per spazzare via tutto
il resto dell'umanità in modo che la specie umana potesse ricominciare da capo
con una piccola popolazione unificata che emergeva dai silos quando la
superficie diventava di nuovo abitabile.
Avevo
intenzione di scriverne circa un anno fa, e poi me ne sono dimenticato (come
faccio con molte cose di cui intendo scrivere).
Poi,
contro il mio buon senso, mi sono sottoposto alla serie “Fallout d”i Amazon,
basata sull'omonima serie di videogiochi.
Con il
CEO dello sviluppatore del gioco, “Todd Howard” di Bethesda, in qualità di
produttore esecutivo, la serie doveva far parte del canone di “Fallout”.
Tuttavia,
conteneva un nuovo pezzo di tradizione:
le
persone che hanno costruito i rifugi antiatomici (noti come "caveau"
nella serie) hanno intenzionalmente iniziato una guerra nucleare per ripulire
il pianeta e consentire agli umani di emergere in un nuovo mondo.
Era effettivamente la stessa trama di “Silo/Wool”.
“Wool”
è stato pubblicato nel 2011, quindi è possibile che gli sceneggiatori della
serie” Fallout” l'abbiano letto.
(Ho
letto, guardato e giocato un sacco di fantascienza, e non mi sono mai imbattuto
in questo punto della trama da nessun'altra parte.)
Ma è
anche possibile che più di una persona abbia pensato a questa idea, perché ha
senso quando si guarda al modo in cui il mondo sta trattando l'idea di una
catastrofica guerra nucleare globale.
Di
nuovo: non c'è alcuna prova di questo, e quindi non c'è motivo di crederci.
Ma ci
ho pensato molto da quando mi sono imbattuto in questo concetto una seconda
volta nella serie di “Fallout”.
Ci
sono persone che sappiamo che stanno preparando rifugi antiatomici
È diventato molto popolare in Nuova Zelanda.
Mark
Zuckerberg ha costruito quella che WIRED chiama "una città
sotterranea" alle Hawaii.
Il costo dichiarato è di 100 milioni di
dollari, ma probabilmente è molto di più.
Doveva
essere segreto, ma ora è solo "segreto".
Jeff
Bezos ha senza dubbio un bunker del genere, ma non c'è traccia di esso.
A
quanto pare, ha fatto un lavoro migliore di Zuckerberg nel mantenere il
segreto. E ci sono, naturalmente, varie voci su enormi città sotterranee
gestite dall'esercito americano.
Mentre
è chiaro che le persone che gestiscono il governo degli Stati Uniti sono
effettivamente ritardate, non credo che si possa dire lo stesso dei vari
miliardari del mondo.
Essere
un politico occidentale non richiede alcuna abilità, l'unico requisito è la
totale mancanza di qualsiasi forma normale di moralità umana (oltre un certo livello,
probabilmente ti viene anche richiesto di impegnarti in qualche atto disgustoso
in video per assicurarti di non uscire dalle righe).
È
certamente interessante che nessun miliardario, a parte Elon Musk e il cast del
podcast” All-In”, stia facendo di quella che sembra essere una danza insensata
in una guerra nucleare.
“Jeff
Bezos”, la cui società ha pubblicato “Wool” e prodotto la “serie Fallout”,
possiede il “Washington Post”, che è una delle principali pubblicazioni
responsabili della normalizzazione dell'idea di una guerra nucleare per
proteggere la democrazia in Ucraina.
“Max
Boot” è un uomo così intelligente e onesto.
Pazzesco,
ha speso così tanti sforzi cercando di convincere il mondo che l'Ucraina stava
per vincere una guerra contro la Russia.
I
miliardari che costruiscono rifugi è solo una cosa ovvia.
Certo
che farebbero una cosa del genere.
Ma si
potrebbe pensare che se fossero contrari a una guerra nucleare, interverrebbero
e pagherebbero i politici per fare marcia indietro.
È un cliché, ma è anche vero che i politici prendono
soldi per promuovere qualsiasi cosa.
Se i
miliardari lo volessero, ci sarebbe un serio contingente al Congresso che si
opporrebbe a questa mossa verso la guerra nucleare.
Lo sto
solo buttando là fuori.
In
definitiva, dubito che ci sia un piano segreto da parte dell'élite globale per
iniziare una guerra nucleare per spazzare via la maggior parte della
popolazione mondiale, mantenendo una piccola parte delle persone nei rifugi
antiatomici per emergere e formare un nuovo mondo, dove preservano le risorse
limitate della terra e non vengono trascinati giù dal peso morto dei
"mangiatori inutili".
Molto
probabilmente, tutto questo è esattamente quello che sembra:
l'Occidente è governato da un gruppo di ebrei
pazzi e idioti che sono sfrenati perché non ci sono più adulti nella stanza, e
alla fine spingeranno il mondo sull'orlo del baratro, a quel punto la Cina farà
un miracolo economico e diplomatico e impedirà al mondo di finire.
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