La civiltà dei popoli affonda se il popolo si occupa solo del diritto di vivere e di quello di morire.

 

La civiltà dei popoli affonda se il popolo si occupa solo del diritto di vivere e di quello di morire.

 

 

 

Le civiltà possono morire?

Equilibrimagazine.it - Andrea Apollonio – (10 Luglio 2023) – ci dice:

 

 

Un secolo fa, il poeta “Paul Valéry” scriveva che la morte di una civiltà si manifesta con lo smarrimento del suo spirito; con la crisi della potenza trasformatrice, creativa e progettuale degli umani e delle collettività.

Negli anni ‘60, il filosofo “Cornelius Castoriadis” denunciava una crisi dell’immaginario.

I sintomi sono l’inerzia dei comportamenti; l’assuefazione alla propria postura antropologica; un’accidia ‘peccaminosa’ e la negligenza al cambiamento.

 Le civiltà muoiono quando rimangono uguali a sé stesse e non sanno più riconoscere e interpretare i segnali cangianti dei venti di un’epoca.

Periscono quando i loro sapienti – siano essi sciamani, monaci, poeti o scienziati – non sono all’altezza del compito che gli pertiene o quando i loro moniti rimangono inascoltati.

Decedono quando scompare il futuro come orizzonte delle attese e delle utopie e lo sguardo, nostalgico, è sempre volto all’indietro, verso un campo di esperienze sterili e memorie mortifere, o peggio, fisso sulle pareti anguste e ammuffite di un presente ipertrofico.

Questo smarrimento dello spirito significa quindi una crisi dell’immaginazione storica, ossia della capacità di una collettività di collocarsi nel corso dinamico della Storia, di immaginare, per sé e per gli altri, futuri possibili e agire per la loro realizzazione.

Questa grande recita che ci avvolge, fatta di conquiste, conflitti, accelerazioni, stalli, progressi e regressioni, ha una sola costante implicita: nulla permane identico a sé stesso, nemmeno il più orgoglioso, sagace e ostinato dei popoli.

E se tutto intorno a noi è cambiato, come possiamo nutrire il sogno infantile di rimanere ciò che eravamo?

La scomparsa di ciò che siamo, in fondo, è un dato ineluttabile.

 

Dunque, ci troviamo di fronte ad una civiltà morente? Potremmo riflettere lungamente sul significato e l’uso di questo concetto.

 Se intendiamo ‘civiltà’ come una combinazione idealtipica di alcuni tratti antropologici essenziali, una combinazione che si realizza nel mondo in configurazioni collettive coeve ma molto eterogenee tra loro, ci sono buone ragioni per parlare di una civiltà globale contemporanea e del suo stato critico.

Sono due i tratti di questa civiltà globale a cui, in fondo, nessuna collettività ha saputo sottrarsi:

 un preciso modello d’organizzazione politica del mondo, ossia il sistema nazionale incentrato sul culto della sovranità westfaliana, e la condivisione di un sistema di relazioni economiche dominante di tipo capitalista, con le asimmetrie, le diseguaglianze e le contraddizioni che ne sono congenite.

Due volti di una civiltà universale che oggi si riscopre mortale di fronte alle grandi storture del mondo globalizzato:

l’anarchia delle relazioni internazionali, uno spettro del Novecento che oggi riappare nella forma di un una guerra tra stati sovrani nel cuore d’Europa, e le trasformazioni climatiche accelerate, una dinamica di cambiamento perturbante che ci pone di fronte all’orizzonte cataclismatico di un’imminente catastrofe universale.

 Un’esperienza inedita sin da quando, una notte antica e nera come la pece, il “Sapiens primigenio” ha mosso i suoi passi nel cuore dell’Africa.

 

Nemmeno il più longevo degli imperi ha potuto essere eternamente identico a sé stesso e fedele alla propria postura antropologica;

né il più glorioso, ricco, astuto e potente degli imperatori ha saputo vivere due o più esistenze:

 non Alessandro, Serse, Carlo Magno, Gengis Khan o Napoleone. Tuttavia, nell’esistenza degli individui, come in quella delle civiltà, è possibile morire di due morti diverse.

C’è la morte di chi procede imperterrito su un sentiero infido che cede sull’abisso, una morte fatale che coglie impreparati;

ma c’è anche la morte consapevole di chi, conoscendo la fuggevolezza della propria esistenza, redige un testamento e sceglie gli eredi cui cedere il testimone e consegnare, ritualmente, le ultime volontà.

 Il nostro tempo, indubbiamente, esige la scomparsa di questa forma antropologica, di questo modo di abitare il mondo che, nel quadro vigente, produce criticità irrisolvibili:

da un lato, l’imprevedibilità e l’ingovernabilità di un sistema politico anarchico;

dall’altro, una fame bulimica di crescita e sviluppo che non può più essere soddisfatta.

Se gli oracoli, i condottieri e i popoli del Ventunesimo secolo non sapranno cogliere i segni premonitori di questi cieli tempestosi;

 se non risponderanno al gracchiare incessante di stormi impazziti di uccelli del malaugurio, la civiltà globale, prima o dopo, in modo repentino o graduale, scomparirà come Atlantide:

 sommersa per il peso insostenibile della sua stessa esistenza.

La crisi ecologica introduce un dubbio inquietante: il mondo esige la nostra scomparsa.

Ciò detto, abbiamo ancora le forze e il tempo necessari a dettare il nostro testamento, esprimere le nostre volontà e, soprattutto, scegliere i nostri eredi.

 Questa non è una magra consolazione, ma la nostra ambizione massima.

Moriremo di questa morte attiva e consapevole solo fondando un nuovo popolo e passando il testimone a una civiltà rinnovata.

La verità è che i pochi elementi che trapelano dal futuro non danno ragioni per cui rallegrarsi, e che molto è in mano a forze e spinte imponderabili.

Ciononostante, al necessario pessimismo della ragione deve seguire l’ottimismo di una volontà tenace.

 Forse potremo rompere questo meccanismo inerziale, questa paralisi dello spirito che conduce alla catastrofe definitiva fondando un nuovo popolo, consapevole dell’insostenibilità di un sistema politico anarchico e dei limiti ecologici della crescita.

Non sarà un’avventura priva di ostacoli: per liberarci da questa paralisi dello spirito, per fondare un nuovo popolo, non basta una Costituzione – ci vuole un Esodo.

Forse è giunto il tempo di abbandonare la modernità, grande culla della civiltà globale, affrontando le insidie e abbracciando le promesse di un cammino ancora vergine. 

 

 

 

Povertà e disuguaglianze ambientali.

Equilibrimagazine.it - Alessandra Drigo – (7 Maggio 2024) – ci dice:

 

 

Tra Stati Uniti ed Europa, le disparità nell’esposizione all’inquinamento colpiscono maggiormente i gruppi della popolazione a basso reddito e le minoranze etniche.

Quando si pensa alla diseguaglianza economica, è facile immaginare che si tratti della disparità di reddito o ricchezza tra gli individui all’interno di una società.

Quando si parla invece di diseguaglianza ambientale, l’associazione potrebbe essere meno semplice e immediata.

 

L’origine: i fatti di Warren County, North Carolina (Usa).

Cosa si intende esattamente con ‘disuguaglianza ambientale’?

Per comprenderlo, dobbiamo muoverci nel tempo e nello spazio:

 ci troviamo in North Carolina, nel 1978, dove si sta decidendo il sito di discarica per circa 117.35 tonnellate di policlorobifenile (PCB), una sostanza altamente inquinante.

Vengono selezionate una discarica pubblica nella contea di Chatham e una proprietà recentemente pignorata nella contea di Warren, nonostante quest’ultima presentasse una falda poco profonda che la rendeva meno idonea.

In particolare, la contea di Warren era abitata per il 60% da persone afroamericane, e il 25% delle famiglie era al di sotto della soglia di povertà, mentre le cifre corrispondenti per la contea di Chatham erano significativamente più basse.

A seguito della decisione finale di scaricare il rifiuto inquinato nel suolo della contea di Warren, numerose proteste di risonanza nazionale hanno dato origine al movimento per la giustizia ambientale.

Da lì, si è cominciato a indagare sulla composizione etnica delle comunità vicine alle principali discariche di rifiuti pericolosi e il tema ha progressivamente ricevuto interesse fino ad assumere rilevanza accademica.

A oggi gli Stati Uniti sono i più avanzati per produzione di studi scientifici volti a indagare l’associazione tra inquinamento, povertà e appartenenza a una minoranza etnica (afroamericana, latina, nativa, asiatica ecc.), verificando se le aree esposte ad alti livelli di inquinamento sono sistematicamente popolate dai gruppi sociali più svantaggiati.

 

Quando vi sono disuguaglianze nell’esposizione all’inquinamento attribuibili all’appartenenza a una classe sociale povera o all’essere parte di una minoranza, siamo di fronte a una disuguaglianza ambientale.

L’”Agenzia per la Protezione dell’Ambiente” degli Stati Uniti (EPA) definisce la giustizia ambientale come «il trattamento equo e il coinvolgimento significativo di tutte le persone, indipendentemente da reddito, colore della pelle, origine nazionale, affiliazione tribale o disabilità, nei processi decisionali riguardanti la salute umana e l’ambiente».

Questo per garantire che le persone siano pienamente protette da impatti cumulativi di esposizione all’inquinamento e altre forme di discriminazione strutturale, promuovendo un accesso equo a un ambiente sano per vivere. 

 

Individuare e quantificare la disuguaglianza ambientale.

Negli Stati Uniti, un primo filone di studi ha portato alla luce la correlazione tra le caratteristiche socio-economiche dei residenti e l’ubicazione di siti particolarmente inquinanti identificati nel ‘Toxic Release Inventory (TRI)’, il database nazionale istituito per legge che richiede alle strutture private e governative di comunicare annualmente la quantità di inquinanti emessi.

 Lo studio di Banhzaf et al. (2019) per esempio, ha guardato alla localizzazione dei siti registrati nel TRI nella Carolina del Nord nel 2010, rivelando una distribuzione sproporzionata di tali siti nelle sezioni di censimento abitate dai residenti a basso reddito.

 

Nel dettaglio, il 63% dei siti registrati nel TRI della contea opera in sezioni di censimento con reddito pro capite inferiore a 21.000 dollari.

Nello studio di “Mohai e Saha”, che copre un periodo di cinquant’anni nello Stato del Michigan, si è riscontrata una persistente localizzazione degli impianti di trattamento, stoccaggio e smaltimento per rifiuti pericolosi in quartieri composti prevalentemente da residenti della classe operaia e persone non-bianche, individuando come tali disparità siano aumentate in modo significativo durante gli anni Settanta e Ottanta.

Nonostante gli studi sulla composizione socio-demografica dei residenti vicino a siti inquinanti evidenzino correlazioni significative, è stato grazie all’utilizzo di dati provenienti da stazioni di monitoraggio e informazioni satellitari che analisi più recenti hanno confermato l’esistenza di disuguaglianze ambientali sistematiche per i gruppi sociali più svantaggiati su scala nazionale.

 

Per il periodo 2000-2016, Jbaily et al. (2020) ha mostrato che le aree corrispondenti ai codici di avviamento postale degli Stati Uniti (circa 32.000) con forte presenza di bianchi e nativi americani sono state costantemente esposte a livelli medi di PM2,5 inferiori rispetto alle aree con maggiore concentrazione di residenti di afroamericani, asiatici e ispanici/latini.

Parallelamente, nel periodo 2004-2016, le aree con individui a basso reddito hanno registrato livelli medi di PM2,5 più elevati.

I settori dell’industria, i veicoli leggeri a benzina, l’edilizia e i veicoli pesanti diesel sono stati identificati tra le maggiori fonti di disparità di esposizione a PM2,54.

 In generale, tale fenomeno di disuguaglianza ambientale è stato definito come sistemico, sottolineando come le disparità di esposizione razziale-etnica siano persistite anche quando l’esposizione nazionale complessiva è diminuita. 

 

Le disuguaglianze ambientali esistono in Europa?

Risultati e sfide future.

In Europa l’evidenza delle disuguaglianze ambientali è generalmente meno chiara.

Le società europee presentano una segregazione spaziale significativamente più ridotta, rendendo meno evidenti le disuguaglianze ambientali, soprattutto nella dimensione razziale.

 A ogni modo, sebbene gli studi di queste correlazioni siano ancora in fase iniziale rispetto agli Stati Uniti, i più recenti hanno evidenziato l’esistenza di disuguaglianze ambientali anche nel contesto europeo.

In Germania, tramite le informazioni del censimento tedesco del 2011 e le emissioni puntuali di 4971 industrie registrate nello “European Pollutant Release and Transfer Register”, si è trovato che le aree con più alta concentrazione di minoranze straniere sono situate più vicino agli impianti industriali, specialmente nelle aree urbane.

Analizzando le aree adiacenti ai 247 impianti E-PRTR in Austria nel 2013, si è riscontrato che i quartieri entro un chilometro dal sito includono più immigrati, meno persone con titoli di studio universitari e spazi abitativi più piccoli rispetto alle aree esterne.

Mentre a Vienna le disparità rilevate sono minori, la situazione al di fuori della capitale si allinea ai risultati statunitensi.

L’individuazione di similitudini tra le disuguaglianze ambientali in Europa e negli Stati Uniti, sebbene con differenze di scala, solleva diverse questioni fondamentali.

 È possibile che i meccanismi di formazione alla base di queste disparità siano analoghe tra i due continenti?

Come ha contribuito a tali disparità il contesto storico dell’industrializzazione e della pianificazione urbana?

 

Per acquisire una comprensione completa dei meccanismi che stanno alla base della progressiva formazione delle disuguaglianze ambientali, sono necessarie ulteriori ricerche.

Questo è essenziale anche per orientare efficacemente l’impegno politico verso la risoluzione di tale problema, fondamentale per progredire con equità verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

 

Italia: nazione precorritrice

del declino occidentale?

Equilibrimagazine.it - Alessandro Leonardi – (3 Maggio 2024) – ci dice:

 

Nel 2024 l’Italia si presenta come una nazione avanzata, con una popolazione di quasi 59 milioni di abitanti, l’ottava economia mondiale e un patrimonio privato superiore ai 10.000 miliardi di euro.

Nel 2023 l’aspettativa di vita è salita a 83,1 anni, collocando il Paese fra i più longevi al mondo.

Ma dietro questo apparente quadro idilliaco, è in corso da tempo un declino sistemico che vede l’intersecarsi di cambiamenti mai visti prima. A partire da quello demografico, che presenta alcuni dei peggiori parametri a livello mondiale.

 

L’attuale tasso di natalità (1,2 figli per donna) è fra i più bassi al mondo, mentre le nascite sono in costante calo dal 2008, cosa che ha determinato la progressiva diminuzione degli abitanti di oltre 1,3 milioni di persone negli ultimi 9 anni.

Contemporaneamente la popolazione ha raggiunto un’età media di 46,6 anni diventando la seconda più vecchia al mondo, superata solo da quella giapponese.

Queste dinamiche hanno creato un pericoloso sbilanciamento generazionale a favore delle coorti più anziane, mentre quelle più giovani sono numericamente ridotte e socialmente precarie.

Nonostante il ripetuto allarme lanciato dai demografi, il dibattito pubblico è rimasto piuttosto limitato concentrandosi quasi sempre sulla sostenibilità del sistema pensionistico.

Ma la progressiva riduzione dei giovani lavoratori è solo uno dei tanti elementi negativi per una società legata ad un sistema industriale-tecnologico in rapida evoluzione.

 Entro pochi anni la coorte demografica più numerosa, nata a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, diventerà sempre più anziana ponendo una fortissima pressione sul servizio sanitario nazionale, già in difficoltà da tempo.

Questa pressione si ripercuoterà anche su tutti i servizi sociali dedicati all’assistenza degli anziani, che dovranno fare affidamento su scarse strutture pubbliche, sull’assistenza privata o l’impegno personale dei pochi eredi (spesso figli unici).

 

Ma un elemento ancora più insidioso è generato dall’invecchiamento generale della nazione:

 l’immobilismo culturale, politico ed economico.

 La presenza di numerose coorti anziane rispetto a quelle più giovani finisce per spostare il peso politico verso le prime, incentivando il mantenimento dello status quo a discapito dei cambiamenti necessari.

La società diventa inevitabilmente più rigida, chiusa, meno propensa al rischio, meno vitale, incastrata negli schemi del passato, inadatti per affrontare la globalizzazione in corso.

Questo complesso fenomeno finisce per alimentare a cascata le altre crisi, dal declino industriale, all’aumento delle diseguaglianze fino al decadimento culturale-sociale.

Le divisioni fra le generazioni si acuiscono e con esse anche gli sbilanciamenti territoriali, con lo spopolamento accelerato del Sud a favore di alcune regioni del Nord o di Paesi esteri.

In un contesto del genere l’Italia diventa sempre più incapace ad adattarsi ai rapidi cambiamenti esterni, scivolando ai margini dell’innovazione tecnologica.

Una spirale che finisce per rendere irreversibile il declino del sistema repubblicano, con gravi conseguenze per tutta la popolazione.

Per fronteggiare questa deriva sono state suggerite molteplici riforme, incentrate soprattutto sugli incentivi economici e la fornitura di adeguati servizi per le giovani famiglie.

Ma in nessuna nazione avanzata si sta invertendo nettamente la curva demografica, nonostante l’implementazione di welfare state più potenti ed efficaci rispetto al debole modello italiano.

I cambiamenti culturali-sociali intervenuti negli ultimi decenni hanno compresso la natalità fino ad alimentare la cosiddetta ‘trappola demografica’.

Per il momento l’unica soluzione realistica è quella legata ai flussi migratori, ma l’ingresso di centinaia di migliaia di persone richiede attenta pianificazione ed enormi risorse.

Inoltre tali ingressi, gestiti spesso in maniera caotica, hanno finito per alimentare reazioni xenofobe, tensioni politiche e problematiche territoriali, che hanno spinto i governi occidentali a militarizzare i confini.

Senza radicali misure, questi trend raggiungeranno il loro culmine nel periodo 2030-2040, costringendo la nazione a forme di adattamento sempre più pesanti e ingestibili essendo ormai diventata un ‘laboratorio’ del futuro occidentale.

Web e social media data:

la” brand reputation”

nell’era della sostenibilità.

Equilibrimagazine.it - Federica Carbone – (15 Maggio 2024) – ci dice:

 

La reputazione conta.

Affrontare la comprensione dei processi di costruzione della “reputazione dei brand”, con particolare attenzione al settore alimentare e della moda, implica necessariamente focalizzarsi sui canali “web e social”, che sono ricchi di dati significativi su questo argomento.

In questo contesto, l’ascolto attivo dei social media può fungere da strumento per monitorare le opinioni delle persone sulle attività di un “brand”, consentendo un’analisi approfondita della popolazione e delle sue opinioni, esaminando inoltre le strategie e le pratiche digitali che contribuiscono alla costruzione della reputazione online dei brand sui social media.

In questo contesto, si propone di condurre uno studio specifico sulla percezione specifica della sostenibilità relativa all’utilizzo di applicazioni “sostenibili “, al fine di identificare i motivi che spingono le persone a utilizzare tali applicazioni nella loro vita quotidiana.

 

L’ascolto delle opinioni in rete.

Il metodo di ricerca adotta un approccio misto, che combina analisi quantitativa e qualitativa del testo.

 L’analisi di ascolto della rete è stata condotta utilizzando la “Blogmeter Suite”, una piattaforma di analisi “web e social”.

La piattaforma consente di condurre ricerche quantitative utilizzando parole chiave che coprono il periodo di ricerca impostato:

in questo caso, per uno sguardo più generico, si è scelto di monitorare l’ultimo anno (da gennaio 2023 a gennaio 2024), al fine di individuare il linguaggio comune utilizzato per discutere di un “corpus di app” coerenti con gli obiettivi di ricerca: Vinted, Wallapop e Too Good To Go.

Sono stati presi in considerazione tutti i termini correlati semanticamente al concetto di “sostenibilità ambientale” ma anche ad altri ambiti interconnessi:

 spreco alimentare, risparmio, moda di seconda mano, fiducia e fedeltà dei consumatori.

Questo approccio ha permesso di analizzare le opinioni relative all’uso di tali applicazioni, attraverso un’analisi del “sentiment”.

L’obiettivo è stato comprendere i benefici e gli svantaggi di queste “app”, oltre al loro impatto sulla quotidianità degli utenti.

 

L’ingaggio degli utenti.

Partendo dall’analisi dei dati raccolti dai social media e dal web (es. Facebook, Instagram, Twitter), vengono proposte delle sintesi di alcuni dati interessanti che consentono di valutare le opinioni espresse in rete dalle persone.

 Fondamentali sono le menzioni che le persone fanno di parole chiave concernenti il tema delle “app sostenibili”;

altrettanto significativi sono i canali in cui si discute maggiormente di questi argomenti, nonché gli “hashtag” più utilizzati dagli utenti. Emergono come argomenti cruciali il “risparmio e la convenienza”, fortemente associati ad “app” come Vinted, che gode anche di una buona reputazione tra i consumatori;

al contrario, Wallapop è poco conosciuta e poco discussa.

Riscuote molto successo, risultando evidentemente molto sentito, il tema dello spreco alimentare:

TooGoodToGo è l’”app per eccellenza” nella riduzione degli sprechi di cibo, usata da moltissimi italiani.

È un ottimo fattore, inoltre, il fatto che più del 55% delle persone parli positivamente delle applicazioni sostenibili, mostrando di avere effettivamente molto a cuore il “tema della sostenibilità ambientale”.

Non indifferente anche la percentuale di negatività:

a fronte di tanti vantaggi riscontrati, questo dato sembra sottolineare che le persone riconoscono anche una serie di problematiche e svantaggi, che spesso li portano ad esser dubbiosi sulle potenzialità di queste piattaforme e delle tipologie di acquisti che offrono.

Si annoverano infatti prevalentemente timori degli utenti nella sperimentazione di esperienze di acquisto non tradizionali e quindi intangibili, in quanto digitali.

 

La sostenibilità è reale?

I risultati della ricerca sembrano in conclusione confermare che, benché queste “app” vengano sempre più riconosciute promotrici tanto di pratiche rispettose dell’ambiente quanto di principi economici e di tutela sociale, non sono al contempo uno strumento integerrimo;

ciò è dovuto principalmente al fatto che esse offrono un’esperienza digitale che, come ogni attività online, comporta rischi e pericoli che non si riscontrano nell’esperienza tradizionale in negozio;

questo spinge spesso le persone, in maniera contrastante, a non fidarsi ciecamente di queste applicazioni, nonostante se ne riconosca pienamente lo statuto di strumenti convenienti in termini di ogni aspetto della sostenibilità.

Interessante sarebbe, partendo da questo lavoro, investigare in futuro un’altra prospettiva più quantitativa:

 il prossimo “step” potrebbe essere misurare, cioè, quanto queste esperienze non tradizionali di acquisto (che ormai sono all’ordine del giorno) sono veramente sostenibili e rispettose della natura (si pensi ad esempio alle discussioni sull’effettiva riduzione o meno dei “packaging” utilizzati).

 

 

 

Chiesto l’Arresto di Netanyahu,

una “Decisione Importante e

Fondamentale”.

Conoscenzealconfine.it – (23 Maggio 2024) - Michele Blanco:

 

Chiesto l’arresto di Netanyahu.

 La Corte Penale Internazionale ha chiesto l’arresto del primo ministro israeliano Netanyahu, con la giusta, evidente motivazione: le sue politiche violano chiaramente il diritto internazionale e i fondamentali diritti umani.

La Corte penale internazionale (in inglese: International Criminal Court – ICC, in francese: Cour pénale internationale – CPI) è un tribunale per crimini internazionali che ha sede a L’Aia, nei Paesi Bassi.

 La sua competenza è limitata ai crimini più seri e gravi che riguardano tutta la comunità internazionale, tutti gli Stati del mondo.

Questi crimini sono il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (cosiddetti “crimina iuris gentium”), e di recente anche il crimine di aggressione (art. 5, par. 1, Statuto di Roma).

La Corte ha una competenza complementare a quella dei singoli Stati, dunque può intervenire se, e solo se, gli Stati non possono (o non vogliono) agire per punire crimini internazionali.

La” Corte penale internazionale” non è un organo dell’ONU e non va confusa con la “Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite”, anch’essa con sede all’Aia.

Ha però alcuni legami con le Nazioni Unite:

ad esempio il “Consiglio di sicurezza” ha il potere di deferire alla Corte situazioni che altrimenti non sarebbero sotto la sua giurisdizione.

Ora la cosa importante è se Israele si fermerà o se continuerà, come finora ha fatto, nelle sue scellerate politiche contro il popolo Palestinese inerme e indifeso.

La procura dell’Aja chiede ora l’arresto per Netanyahu e per i capi di Hamas.

Si tratta di una notizia massimamente rilevante, che segna una svolta nel modo di concepire il modus operandi del governo israeliano presieduto da Netanyahu.

Finalmente si è arrivati a una presa di posizione forte su quello che resta un vero e proprio massacro contro civili indifesi, fatto nel nome della lotta contro il terrorismo e del diritto di Israele di difendersi.

Ma chiediamoci cosa c’entrano milioni di persone, donne, bambini, civili inermi con Hamas?

 Israele, da troppi anni fa letteralmente tutto ciò che vuole, senza il minimo rispetto dei diritti umani e del diritto ad abitare dove per millenni hanno abitato i propri antenati.

La grande novità di questi giorni è senza dubbio che “un tribunale internazionale” perfettamente legittimato paragoni le politiche di Netanyahu direttamente a quelle terroristiche di Hamas (Hamas ricordiamolo… è una creazione dello stesso Israele ed è finanziato da Israele – nota di conoscenze al confine).

Come ormai è a tutti evidente che all’orrendo attentato terroristico di Hamas dell’ottobre 2023, Israele ha vergognosamente risposto con mezzi militari e contro la popolazione civile e indifesa con solo alcuni stati occidentali che approvano senza discutere, come purtroppo il nostro paese e gli Stati Uniti d’America, in maniera a sua volta terroristica… non ci sono altre definizioni possibili.

Non dimentichiamo neppure il fatto che, da più parti tra cui decine di governi di nazioni di tutto il mondo, si è apertamente parlato di genocidio in relazione agli attacchi di Israele contro il popolo di Palestinese, sottoposto effettivamente a un vero e proprio massacro che, addirittura, la Cina ha giustamente definito nei termini di una “vergogna per la civiltà”.

Se perfino il tribunale dell’Aia, che solitamente è tutto fuorché assolutamente neutrale, perché spesso ha negato gli interventi neocoloniali degli stati occidentali, trattandosi del luogo in cui usualmente viene fatta valere la giustizia dei vincitori, secondo la famosa formula di” Danilo Zolo”, prende questa volta una posizione così importante, vuol dire che davvero, come si usa dire, si è oltrepassato ogni limite e la misura è colma.

Una decisione importante e fondamentale. Ci auguriamo che il governo di Israele si fermi con le azioni di guerra. Visto che gran parte del popolo israeliano continua a manifestare contro le azioni di guerra del suo governo.

Finalmente si dovrebbe cambiare registro con la auspicata possibile nascita in terra di Palestina di due Stati per i due popoli che abitano questo territorio, culla di storiche civiltà e delle tre maggiori religioni monoteiste con più fedeli al mondo.

(Michele Blanco).

(lantidiplomatico.it/dettnews-chiesto_larresto_di_netanyahu_una_decisione_importante_e_fondamentale/51621_54829/)

 

 

 

 

DAL DIRITTO DI MORIRE

AL DOVERE DI MORIRE:

CHIAROSCURI E PROSPETTIVE.

Centrostidilivatino.it – (APR. 11, 2017) – Dott- Aldo RoccoVitale – ci dice:

 

Con questo interessante studio sul “diritto di morire”, che pubblichiamo in esclusiva, inizia la collaborazione con questo sito del Dott. Aldo Rocco Vitale, dottore di ricerca in” Storia e Teoria generale del diritto” alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Tor Vergata” di Roma.

Le seguenti riflessioni tratteggiano in modo sintetico, ma secondo linee essenziali, il tema attuale del diritto di morire e della sua configurabilità da un punto di vista di teoria generale del diritto e nella prospettiva biogiuridica.

La crescente secolarizzazione del sapere giuridico che procede a tappe forzate, sospinta anche dall’incedere del progresso tecnologico e delle cosiddette “scienze positive” (dietro lo sviluppo delle quali il diritto arranca e stenta a trovare “la quadra” delle problematiche giuridiche, etiche e sociali che ne scaturiscono), ha aperto nuovi spazi d’indagine per la coscienza giuridica che prima dell’epoca attuale erano difficilmente anche soltanto ipotizzabili.

Oggi, invece, una sempre più dominante visione sociologica del diritto, in unione con una simmetrica e corrispondente riduzione della percezione della dimensione ontologica e assiologica dello stesso, hanno condotto alla rivendicazione della tutela dei cosiddetti “nuovi diritti” che, tra l’inefficienza del legislatore e l’avanguardismo di una parte delle corti, si insinuano tra le fessure dell’ordinamento come l’acqua tra le crepe di una parete rocciosa, plasmandone dall’interno la struttura.

In questa inedita prospettiva, fondata sulla congiuntura di un individualismo di base, che fiorisce in un vero e proprio soggettivismo etico, e di un sempre più aggressivo utilitarismo post-capitalistico, che intende sottoporre la ragione del diritto a quella del profitto, il diritto di morire si configura come la rivendicazione ultima di una “libertà” che vuole domare il diritto piegandolo ai capricci dell’“homo desiderans”.

Da questa ridefinizione del fenomeno giuridico discendono delle conseguenze inevitabili, concrete e sostanzialmente paradossali, come la metamorfosi del diritto di morire in un vero e proprio dovere di morire, dinnanzi al quale la coscienza del giurista, anche quella più sorda ai reclami fondativi della dimensione ontologica, non può rimanere indifferente, a meno di voler sacrificare, con i principi generali della millenaria tradizione giuridica (e filosofica) occidentale, anche e soprattutto la civiltà nella sua stessa interezza.

 

I – Introduzione.

 

«Tutti muoiono, ma non tutti sono d’accordo su che cos’è la morte»:

ha giustamente osservato “Thomas Nagel” evidenziando il paradosso per cui ciò che tutti naturalmente accomuna, cioè la morte, è proprio ciò su cui tutti si è sostanzialmente in disaccordo.

Del resto, la suddetta “concordia discordantium canonum” a proposito della morte, è altresì tipica anche del problema del diritto in sé considerato, posto che, oggi, sebbene universalmente se ne riconosca l’importanza, non altrettanto universale è l’accordo su cosa debba intendersi per diritto.

Questa, in fondo, è la direzione tracciata dalla cultura giuridica odierna (legislativa, dottrinale, interpretativa, applicativo-giudiziaria), almeno da quando si è rinunciato ad ogni pretesa veritativa di carattere fondazionale per il diritto, cioè da quando la struttura portante del diritto, ovvero il riconoscimento della sua dimensione ontologica e assiologia, è stata depositata nelle cantine della dogmatica giuridica.

Si è fatto così spazio alle più seducenti e accattivanti (meno problematiche e più comode per l’“operatore del diritto” che nel tempo ha sostituito l’antica figura del “giurista”) prospettive sociologiche che hanno relegato il diritto alla funzione di mero recettore formale della prassi sociale.

In tale ottica, dunque, il diritto, non più ancorato ad una verità fondativa, altro non diviene che la mera formalizzazione dei desideri, dei bisogni, delle aspirazioni individuali o di gruppo, come precisa espressamente “Natalino Irti” allorquando scrive che «caduto il vincolo obbligante della verità, si schiude l’orizzonte delle possibilità. Se nessun diritto è necessario, tutti i diritti sono possibili».

 

La già menzionata linea teorica, cioè quella per cui è definitivamente tramontata la «figura deontica originaria» (il dovere), per utilizzare la felice formula di Norberto Bobbio, una volta consolidatasi, costituisce il terreno su cui nasce e cresce l’albero dell’età dei cosiddetti “nuovi diritti”.

L’ordinamento, in questa prospettiva, recepisce le diverse istanze individuali e le trasforma in diritti soggettivi tutelati secondo lo schema legale del diritto positivo, assistendo indifferentemente, sulla scorta del dogmatismo della neutralità etica, tutte le potenziali richieste, anche se tra loro opposte:

la voglia di non subire la gravidanza si legalizza, così, nel diritto all’aborto;

l’opposta pretesa alla genitorialità si sacralizza nelle norme disciplinanti il diritto per l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita; l’ambizione ad una genitorialità sana si consacra nel diritto alla selezione embrionale per una sana filiazione; e così via.

La saldatura tra il moltiplicarsi dei nuovi diritti e il progresso tecnico in grado di soddisfare praticamente tutti i tipi di richiesta non può, dunque, che coinvolgere anche e soprattutto la fine dell’esistenza, tramite la rivendicazione del cosiddetto “diritto di morire” che si configura come ultimo momento di quel lungo percorso di riappropriazione del proprio corpo da parte del soggetto, come nota “Stefano Rodotà” per il quale, infatti, «la rivendicazione del diritto di morire diviene così parte integrante del più complesso movimento di riappropriazione del corpo».

Tuttavia, dei quesiti si pongono irrimediabilmente nella coscienza (giuridica) di chi affronta il tema senza apriorismi di carattere ideologico: è davvero configurabile il diritto di morire?

 In una tale evenienza che sorte subisce la natura del diritto?

Che cosa accade alla relazione medico-paziente e al ruolo del medico?

Quali sono le conseguenze che si possono profilare?

II – Il diritto di morire.

Sebbene ciascuno dei predetti quesiti sia meritevole di un approfondimento e di una trattazione a se stante che consenta di coglierne la effettiva complessità, in questa sede si possono tracciare i confini generali della questione nel suo complesso così da poterne distinguere alcune delle più rilevanti sfumature.

Il diritto di morire può essere ricostruito secondo tre differenti modalità che ricalcano a grandi linee i tre diversi atteggiamenti che nel corso del tempo, dell’umano incedere lungo i polverosi sentieri della storia, si sono profilati nei confronti della morte in sé considerata.

La morte, tradizionalmente, è stata dapprima subita, quindi combattuta e infine sottomessa.

Nella cultura classica la morte si subiva come evento ineluttabile, che magari, come quella degli eroi omerici, conferiva onore e gloria per il resto dell’eternità, ma che pendendo su tutte le teste delle umane esistenze ne rendeva vana ogni fatica in senso contrario, come del resto recitano i versi di Simonide:

«Degli uomini scarso è il potere,/ sono gli affanni vani;/ dolore su dolore è la breve vita./ Su tutti uguale pende l’inevitabile morte:/ i vili e i forti ugualmente l’hanno in sorte».

Successivamente, contro la morte e contro il suo scandalo, si è dispiegato un movimento di rivalsa, di lotta, di ribellione, come si evince dalle parole di “Oscar Wilde”:

«La morte è l’unica cosa che mi spaventa. Ne ho orrore».

 

Il progresso tecnico, la conoscenza scientifica, la nuova antropologia positivista che a partire dal XIX secolo ha inteso l’uomo sempre più come una macchina da poter riparare, hanno consentito di opporsi alla morte e di condurre contro di essa una vera e propria guerra culturale e scientifica.

Si pensi, oggi, alle diverse tecniche introdotte dal sapere bio-medico per ritardare o evitare, in prospettiva, l’evento della morte di cui l’invecchiamento è il mesto ambasciatore:

 in questa prospettiva le sperimentazioni scientifiche come la ricerca sulle cellule staminali, la riprogrammazione dell’età cellulare, la terapia genica, la chirurgia preveniva e la chirurgia sostitutiva, sono soltanto alcuni degli strumenti di questa incessante guerra scatenata dalla modernità contro la morte.

In ultimo, tuttavia, la morte, che non è stata ancora sconfitta nel predetto agone tecno-culturale, viene allora ad essere sottomessa e soggiogata, imbrigliandone le energie e facendone la propria più fedele alleata.

In un tale scenario il diritto di morire può essere declinato in tre differenti accezioni.

In primo luogo, come diritto indipendente e autonomo, opposto ovviamente, al diritto alla vita e alla vita in sé stessa considerata.

 

In questo senso “Friedrich Nietzsche “ha avuto modo di affermare che «voglio insegnare il pensiero che dà a molti il diritto di sopprimersi – il grande pensiero che seleziona e disciplina».

Il diritto di morire si profila come qualcosa di radicalmente opposto al diritto di vivere, poiché la morte è opposta alla vita, come il nulla all’esser-ci dell’essere.

Questa è la posizione di fondo condivisa dai cosiddetti “libertari”, cioè coloro i quali ritengono che la libertà sia assoluta, in senso letterale, cioè svincolata da ogni limite, e che anche la morte, dunque, possa e debba essere il risultato dell’esercizio di questa infinita libertà che l’uomo rivendica per sé e su di sé.

 

In secondo luogo, il diritto di morire può essere ricondotto sotto l’alveo dello stesso diritto alla vita, anzi, più specificamente del diritto alla salute, divenendo l’esercizio definitivo di quest’ultimo, rivendicazione finale della propria autodeterminazione sul proprio corpo, sulle proprie scelte terapeutiche, cioè come “diritto negativo” del diritto di vivere, ovvero come non-esercizio di un tale diritto di vivere.

Così chiaramente si è pronunciato, per esempio, il Consiglio di Stato:

«Ai sensi dell’art. 32 Cost., i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge[…], soltanto in questi limiti è costituzionalmente corretto ammettere limitazioni al diritto del singolo alla salute, il quale, come tutti i diritti di libertà, implica la tutela del suo risvolto negativo:

il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato e finanche di lasciarsi morire».

 

Questo, in un certo senso e per grandi linee, è l’orientamento maggiormente diffuso oggi nella cultura giuridica occidentale, ma che, tuttavia, sebbene sotto la “mitezza” della forma legis, non differisce nella sua sostanza dalla prima visione libertaria che intende dominare sul fenomeno della morte senza ostacoli o confini.

In un terzo senso, invece, il diritto di morire può essere inteso come accompagnamento alla morte, ma senza provocarla, rispettandone l’ineluttabilità, ma senza reputarla un diritto in senso stretto, cioè considerandola parte della vita, poiché, come ha puntualizzato Vladimir Jankélévitch «l’atteggiamento assunto verso la morte mi sembra in realtà un atteggiamento assunto verso la vita».

 

Questa ultima prospettiva è nella sostanza la visione condivisa secondo i criteri morali e antropologici della tradizione giudaico-cristiana come si evince da quanto disposto dal Catechismo della Chiesa Cattolica che così sancisce:

«L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’“accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire».

Tuttavia, oggi, il diritto di morire viene prevalentemente inteso nelle prime due accezioni, non solo perché la cultura contemporanea, specialmente quella giuridica è ormai una cultura post-cristiana che ha reciso ogni legame con i propri fondamenti spirituali e teologici, ma specialmente perché è lo stesso diritto, nella sua natura, ad essere stato dapprima ribaltato e poi risolutamente, sebbene spesso inconsapevolmente, negato.

Il diritto di morire, almeno nella corrente e dominante accezione con cui esso viene reclamato, riflette, semplicemente, quella concezione prassistica del diritto quale mero “normalizzatore” di tutto ciò che avviene a livello sociale.

Il diritto, però, in un tale frangente viene negato nella sua stessa essenza, poiché, come ha ben notato “Sergio Cotta”, «la riduzione della verità a prassi comporta la negazione della verità dell’essere».

Il diritto, privato della propria ragion d’essere, si tramuta così in mero aggregato di norme formali piuttosto che in ordine (ordinato e ordinante) fondato sulla giustizia, cioè sul riconoscimento di ciò che all’altro si deve e dei limiti che la natura di tale riconoscimento impone, come per esempio l’indisponibilità della vita, finanche della propria, come ha evidenziato “Francesco Santoro-Passarelli” per il quale, infatti, «non esiste e non è neppure concepibile, malgrado ogni sforzo dialettico, un diritto sulla propria persona o anche su se medesimo, o sul proprio corpo, stante l’unità della persona, per la quale può parlarsi soltanto di libertà, non di potere rispetto a se medesima».

E proprio le riflessioni di Santoro-Passarelli, consentono di rilevare che l’evidente equivoco contemporaneo che pretende di legittimare il diritto di morire come ultima disposizione di sé e della propria vita altro non è che la traduzione a livello di dogmatica giuridica di quell’equivoco di base intorno alla libertà che talvolta si riscontra perfino in ambito filosofico.

La libertà, infatti, non significa assenza di limiti, confini, regole o zone “indisponibili”, ma semmai proprio il contrario, perché è in ciò che consiste la differenza radicale tra autentica libertà e sfrenata licenza, come ha insegnato colui che viene comunemente identificato quale “padre” del liberalismo politico e giuridico, cioè “John Locke” il quale così ha puntualizzato:

«Sebbene questo sia uno stato di libertà, tuttavia non è uno stato di licenza: sebbene in questo stato si abbia la libertà incontrollabile di disporre della propria persona e dei propri averi, tuttavia non si ha la libertà di distruggere né se stessi né qualsiasi creatura in proprio possesso».

Su questa stessa linea, alcuni decenni dopo, un geometra della razionalità illuministica del calibro di “Immanuel Kant” ha potuto ricordare non solo la distinzione etica e giuridica tra libertà e arbitrio, ma soprattutto che «il suicidio non è abominevole e inammissibile perché Dio lo ha proibito, ma al contrario Dio lo ha proibito perché, degradando al di sotto dell’animalità la dignità intrinseca dell’uomo, è abominevole.

 Perciò i moralisti, prima di ogni altra cosa, sono tenuti a mostrare la natura intrinsecamente esecrabile del suicidio».

 

Ma, del resto, tra gli aspri sentieri storici e tra gli scoscesi percorsi concettuali che lungo l’arco del tempo, soprattutto nell’ambito del XX secolo, si sono succeduti intorno al faticoso tema della libertà, anche in ambito più strettamente secolare si è ben presto compreso che, con le parole di “Albert Camus,” «la libertà senza limiti è il contrario della libertà».

Occorre recuperare, quindi, una tale consapevolezza presente sia nel pensiero più prettamente religioso, sia in quello secolare, ma che, tuttavia, una sconcertante assenza di riflessione, tanto nell’ambito politico quanto in quello delle aule giudiziarie, sembra voler forzatamente ignorare travolgendo e stravolgendo sia la natura del diritto che quello della libertà, cioè sia l’ambito della relazionalità che quello della responsabilità, rivelando non già una mancanza di fede nella trascendenza, quanto piuttosto nella stessa razionalità, poiché, con le parole di “Piero Calamandrei” «c’è il caso che l’inesperto e il dilettante (che è anche peggiore) di filosofia, si metta a proclamare che il diritto consiste unicamente nel far tutti quanti il comodo proprio».

 

 III – Il dovere di morire.

 

L’affermazione di un diritto di morire in senso libertario, che è la modalità principale con cui oggi il diritto di morire viene reclamato, comporta delle precise conseguenze di carattere pratico e teoretico che trovano scaturigine nelle suddette distorsioni intorno alla natura e alla funzione del diritto.

Il diritto di morire, infatti, laddove è stato riconosciuto come espressione dell’autodeterminazione individuale, si è ben presto tramutato in una esigenza imposta di carattere sociale.

L’autonomia, insomma, si è rovesciata nel suo opposto, cioè nell’eteronomia;

 la libertà individuale è divenuta una necessità sociale; la facoltà soggettiva è diventata un obbligo collettivo; il diritto di morire, tramite una vera e propria forma di “interversio virtutis” si è così trasformato in “dovere di morire”.

Il dovere di morire viene in rilievo in almeno tre dimensioni tra loro complementari, come si evince dal dibattito scientifico a livello internazionale che, come tutto e ben presto, si travaserà anche in Italia con un analogo strumentario argomentativo.

In primo luogo, in riferimento ai cosiddetti “mental illness”, cioè tutti quei soggetti a cui è stata diagnosticata una” patologia psichica” e che, in ragione delle loro sofferenze, spesso inespresse e inesprimibili per via delle condizioni in cui essi versano, sono considerati meritevoli di morte (medicalmente) assistita.

Tanto ha avuto modo di auspicare “Jukka Varelius” sulla nota rivista “Bioethics” con un intervento dal significativo titolo “On the moral acceptability of physician-assisted dying for non-autonomous psychiatric patients”, in cui per l’appunto si chiarisce che anche i pazienti psichiatrici non autonomi possono spesso soffrire in modo insopportabile per cui è necessario oramai mettere in discussione il divieto di non poter somministrare loro una morte medicalmente assistita di cui invece avrebbero assoluto bisogno.Una simile proposta è già in corso di attuazione in molti di quei Paesi che, come l’Olanda o il Canada, hanno legalmente riconosciuto quel diritto di morire poi mutato in dovere di morire.

Lo sviluppo di una tale prassi è divenuto così ampio e allarmante da costringere lo psichiatra “Paul Appelbaum” ad esprimere tutta la propria preoccupazione, sulla rivista “Law and psychiatry”, ricordando che la morte medicalmente assistita per i pazienti psichiatrici non può costituire una facile alternativa “terapeutica” rispetto all’elaborazione di adeguati trattamenti medici e di supporto sociale per questo tipo di pazienti.

Il fenomeno, del resto, sta diventando così diffuso e fuori controllo che perfino il quotidiano “Washington Post” si è di recente interessato alla tematica parlando di vera e propria “crisi morale dell’Europa” a proposito della crescente soppressione dei pazienti affetti da patologie psichiatriche senza o, perfino, contro il loro stesso consenso.

In secondo luogo, il dovere di morire si sta delineando con sempre maggior intensità in relazione al reperimento di organi a fini di trapianto.

Il noto bioeticista “Julian Savulescu”, infatti, ha espressamente ritenuto l’eutanasia come un sistema adeguato per massimizzare il numero e la qualità degli organi a fini di trapianto

Così, accogliendo una simile proposta, il 24 marzo 2016, sul “Journal of Medical Ethics” è stato pubblicato uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Maastricht in cui gli autori si chiedono se debba essere ancora applicata rigorosamente la regola del donatore deceduto, invece di procedere con il donatore ancora vivente per garantire una migliore protezione degli organi da trapiantare.

 

In terzo luogo, il dovere di morire si sta profilando come obbligo morale di accettarne la liceità tramite la restrizione prima e la negazione poi del diritto all’obiezione di coscienza del medico in caso di prassi eutanasiche.

 

Tra i molteplici esempi possibili in questo senso, si considerino le riflessioni nel settembre 2016 di “Julian Savulescu” e “Udo Schuklenk”, esposte in un saggio dal titolo “Doctors have no right to refuse medical assistence in dying, abortion or contraception”, tramite cui i due autori concludono che i medici possono senz’altro avere opinioni e valori personali, ma che non possono vantare uno statuto morale speciale che consenta loro di negare assistenza ai pazienti che ne hanno diritto in alcune circostanze come la morte assistita, l’aborto o la contraccezione.

In una simile prospettiva la morte si configura come un vero e proprio dovere di carattere morale e giuridico che la società impone ai soggetti più deboli, per non sopportarne il peso esistenziale, o per sfruttarne gli organi, come vere e proprie “dispense biologiche”, o perfino per motivazioni di carattere contabile, cioè per ottenere risparmi nell’economia del sistema sanitario di riferimento.

In quest’ultimo senso, del resto, si deve segnalare l’approccio analitico al problema che è già in corso di sviluppo, come dimostra, tra i tanti esempi possibili, l’articolo pubblicato il 23 gennaio 2017 sull’autorevole “Canadian Medical Association Journal” a firma di “Aaron Trachtenberg” e” Braden Manns” secondo i quali la legalizzazione della morte medicalmente assistita in Canada comporterebbe un vigoroso ridimensionamento dei costi della sanità canadese con un risparmio di ben 138,8 milioni di dollari all’anno.

 

Lo sfruttamento della morte a fini economici, tuttavia, non è qualcosa di inedito posto che già nel 2014 “Roland Ripke” aveva sostenuto la possibilità di sfruttare commercialmente l’industria della morte “medicalmente assistita” fino a reputare, provocatoriamente, che chi non dovesse condividere una simile prospettiva, pur sostenendo la morte medicalmente assistita, dovrebbe rivedere l’intera sua opinione in merito per mancanza di coerenza.

 

Già alla luce di questa rapida panoramica sul dibattito scientifico internazionale, si intuisce quanto verosimile sia la possibilità di concretizzazione del cosiddetto “slippery slope” in tema di fine vita, cioè il rischio di percorrere il “pendio scivoloso” che conduce dalla morte volontaria a quella involontaria, dall’affermazione di alcuni diritti “storici” alla negazione dei diritti fondamentali.

Trovano così perfetta collocazione le parole di “David Lamb” che riassume perfettamente l’idea di questo preciso capovolgimento etico e giuridico del diritto di morire in dovere di morire:

«In una società in cui l’uccisione su richiesta venga considerata lecita, i moribondi finiscono in una situazione in cui sono costretti a esprimere il loro desiderio di morire come l’adempimento di un ultimo dovere di buona creanza verso i viventi».

Prima di concludere, un secondo profilo emerge preponderante, cioè non solo e non tanto la natura della relazione medico-paziente, tema articolato e complesso che non può essere analizzato in questa sede sebbene fortemente connesso con la problematica in questione, quanto piuttosto la responsabilità medica.

Tralasciando tutta l’annosa e più tecnica problematica riguardante l’avvicendarsi, nelle varie “epoche” giurisprudenziali e dottrinali, delle opinioni circa la natura giuridica della obbligazione medica, se cioè essa sia una obbligazione di mezzo o, piuttosto, una obbligazione di risultato, occorre guardare all’orizzonte, esaminando, seppur sinteticamente, la prospettiva giuridica che grottescamente viene a profilarsi a seguito della saldatura tra la legalizzazione del diritto-dovere di morire da un lato e dall’altro di alcuni capisaldi della prassi giudiziaria oramai consolidatisi nel corso dei decenni.

 

Sulla scorta dell’affermazione delle cosiddette “wrongful actions”, infatti, che hanno ridisegnato i confini della cosiddetta “malpractice medica”, ridefinendo la responsabilità del medico nella sua opera professionale, non si può fare a meno di pensare che la stessa figura medica, per esempio il rianimatore, o il medico di famiglia, o magari il pediatra, potrebbe essere convenuto/imputato per non essere riuscito a salvare la vita di un paziente, rispondendo, per esempio, per “wrongful diagnosis”, e, all’un tempo, per non essere riuscito a uccidere un altro “paziente”, che tale richiesta aveva avanzato, rispondendo altresì per wrongful death.

Si intuisce fin troppo chiaramente tutto il paradosso intrinseco ad una simile situazione che potrebbe ben presto venire ad esistere nel caso in cui, riconosciuto il diritto-dovere di morire, fosse del tutto stravolta la natura e la funzione della professione medica non più tesa a garantire la vita e la salute del paziente, ma anche a sottrarle sulla base di una logica, perfino di carattere commerciale, on demand.

 

Lo scenario non può che complicarsi se al tutto si aggiungono le incertezze etiche e scientifiche che sempre si sono addensate intorno alla morte cerebrale come criterio di accertamento della fine dell’esistenza umana, specialmente alla luce del dibattito mai sopito a livello filosofico e che è stato riacceso recentemente, anche a livello scientifico, dallo studio pubblicato sul “Canadian Journal of Neurological Sciences” in cui gli autori dello stesso non solo hanno sollevato dubbi etici in seguito alle registrazioni dell’elettroencefalogramma che hanno dimostrato una intensa attività cerebrale per ben trenta minuti e pur dopo che è stata ufficialmente dichiarata la morte cerebrale di un paziente susseguente al distacco dei suoi trattamenti di sostegno vitale, ma hanno altresì auspicato ulteriori investigazioni sull’attività cerebrale di altri pazienti, pur dichiarati morti, dato che nessuno si è mai preso il disturbo di indagare scientificamente in tal senso.

 

Si comprendono, insomma, tutte le difficoltà scientifiche, sociali, giuridiche ed etiche che sorgono nel caso di un eventuale riconoscimento del diritto di morire in grado di stravolgere sia la natura del diritto che quella della professione medica, dovendosi ricordare, così, le parole di Hans Jonas” per il quale, giustamente, «il paziente dev’essere assolutamente sicuro che il suo medico non diventi il suo boia e che nessuna definizione lo autorizzi mai a diventarlo».

IV – Conclusioni.

In considerazione di tutto quanto fin qui esposto, occorre prendere atto che il riconoscimento del diritto-dovere di morire, nel senso comune con cui lo si reclama e per cui lo si vuole legalizzare, presuppone il disconoscimento del diritto come epifania della ontologica, e quindi indisponibile, relazionalità naturale dell’uomo, conseguenza diretta del misconoscimento della sua verità costitutiva, cioè la giustizia, quest’ultima abbandonata ai marosi della mutevolezza dei tempi e dei capricci sociali, dimenticando la preziosa lezione di S. Agostino che così in proposito ha scritto:

«Mossi dalle innumerevoli e varie consuetudini, alcuni, per così dire, semiaddormentati – in quanto non erano immersi nel sonno profondo della stoltezza ma nemmeno erano svegli alla luce della sapienza – ritennero non darsi giustizia di per sé stessa ma ogni popolo sarebbe autorizzato a considerare giuste le sue costumanze.

Ora siccome queste costumanze sono diverse nei diversi popoli mentre la giustizia deve rimanere immutabile, diverrebbe ovvio che la giustizia non si trovi in nessuna parte.

Per non ricordare altro, non compresero che il detto:

“Non fare agli altri quel che non vuoi sia fatto a te”, non può in alcun modo variare secondo le diverse accezioni invalse nel mondo pagano».

In conclusione, risuonano nella mente le acute parole di “Flavio Lopez de Oñate” il quale insegna, soprattutto al giurista di oggi più conformisticamente e pigramente sensibile al valore della mutevolezza del costume sociale che alla sacralità universale della giustizia, che

«l’ufficio del giurista consiste non nel tirar fuori le leggi dall’ambiente storico in cui sono nate, per rilustrarle e collocarle in bella mostra, come campioni imbalsamati nelle loro scatoline ovattate, in un sistema armonico che dia agli occhi l’illusione tranquillante della loro perfetta simmetria e addormenti le coscienza col far credere che il diritto viva per conto suo inattaccabile in un empireo teorico in cui le contingenze umane non possono giungere a turbarlo; ma nel dare agli uomini la tormentosa, ma stimolante consapevolezza che il diritto è perpetuamente in pericolo, e che solo dalla loro volontà di prenderlo sul serio e di difenderlo a tutti i costi dipende la loro sorte terrena, ed anche la sorte della civiltà».

 

 

 

L'amministratore delegato di BlackRock promuove lo spopolamento, sostituendo gli esseri umani alle macchine nei paesi in via di sviluppo per una migliore qualità della vita.

 Naturalnews.com – (05/02/2024) - Belle Carter – ci dice:

 

Per l'amministratore delegato di BlackRock, Larry Fink, i paesi con popolazioni in declino saranno "grandi vincitori" quando si tratta di affrontare i problemi sociali che derivano dalla "sostituzione degli esseri umani con le macchine".

Durante l'incontro speciale del “World Economic Forum “(WEF) sulla collaborazione globale, la crescita e lo sviluppo energetico che si è svolto dal 27 al 29 aprile a” Riyadh”, in Arabia Saudita, ha parlato davanti a un panel su "Investire in mezzo alla frattura globale" e ha sottolineato come le nazioni spopolate avrebbero maggiori possibilità di prepararsi ai problemi che potrebbero derivare dall'intelligenza artificiale (AI) e dall'automazione per aumentare la produttività ed elevare i loro standard di vita.

"Posso sostenere che nei paesi sviluppati i grandi vincitori sono i paesi che hanno una popolazione in calo", ha detto Fink.

 "Abbiamo sempre pensato che la diminuzione della popolazione sia una causa di crescita negativa, ma nelle mie conversazioni con la leadership di questi grandi paesi sviluppati che hanno politiche di immigrazione xenofobe, non permettono a nessuno di entrare, riducendo la demografia:

 questi paesi svilupperanno rapidamente la robotica, l'intelligenza artificiale e la tecnologia”.

Ha anche predetto che il paradigma della crescita negativa della popolazione sta per cambiare e ha aggiunto:

"E se la promessa, e sta per accadere, se la promessa di tutto ciò trasformerà la produttività, come la maggior parte di noi pensa che accadrà, saremo in grado di elevare il tenore di vita dei paesi, il tenore di vita degli individui, anche con la diminuzione della popolazione".

Il più grande gestore di investimenti del mondo, con 10 trilioni di dollari di asset mondiali sotto la sua ala, ha anche affermato che c'è un grande divario tra i "paesi in via di sviluppo della classe media che hanno una base e un'istruzione" e i paesi in via di sviluppo con una popolazione in forte espansione ma poca istruzione sarebbe evidente.

 Per le popolazioni in crescita nei paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, l'istruzione sarà fondamentale, secondo il CEO di BlackRock.

"Per quei paesi che hanno una popolazione in aumento, la risposta sarà l'istruzione – per quei paesi che non hanno una base di stato di diritto o istruzione, è lì che il divario diventerà sempre più estremo", ha aggiunto.

Per alcuni critici, i messaggi veicolati dal WEF sono contraddittori.

Nello show Alex Jones di InfoWars, ha sottolineato come il discorso di Fink sull'automazione, l'intelligenza artificiale e una migliore qualità della vita si scontri con l'agenda del Great Reset del WEF in cui: "non possiedi nulla e sei felice".

"Vivresti in un appartamento di 200 metri quadrati mangiando proteine di insetti", ha sostenuto Jones.

"Fink ti sta mentendo. Ha 15 jet privati e palazzi giganti ovunque.

 Ma non si può avere niente.

Incredibile."

Blackrock spende più del triplo per la sicurezza di Fink rispetto alle minacce alle sue politiche ESG.

Fink, esprimendo le sue controverse dichiarazioni, costa alla sua azienda un bel po' di soldi.

 L'anno scorso, BlackRock ha più che triplicato la spesa per la sua sicurezza privata dopo aver ricevuto critiche per il suo impegno a investire in società che promuovono controverse strategie ambientali, sociali e di governance (ESG).

(Larry Fink di BlackRock difende gli standard ESG per le aziende americane, sottolineando la necessità di "forzare i comportamenti" in un video del 2017.)

Blackrock ha presentato una dichiarazione di delega alla Securities and Exchange Commission (SEC) ad aprile, dimostrando di aver speso $ 563.513 per "aggiornare i sistemi di sicurezza domestica" nelle residenze del magnate l'anno scorso. L'azienda ha anche speso 216.837 dollari in guardie del corpo per proteggerlo, come riportato dal Financial Times.

Nel frattempo, ci sono stati fondi di investimento statali che sono stati ritirati dalla società a causa delle sue politiche controverse.

Tra questi, circa 13,3 miliardi di dollari di asset in segno di protesta contro le società di finanziamento che si concentrano sui fattori ESG.

Il “Texas Permanent School Fund” è stato l'ultimo a ritirare i soldi da BlackRock, dicendo che avrebbe rimosso 8,5 miliardi di dollari dalla società, la più grande rimozione fino ad oggi da parte di un fondo pensione guidato dai repubblicani. Anche West Virginia, Florida, Missouri e altri stati a guida repubblicana si sono uniti alla reazione contro l'azienda.

In mezzo al contraccolpo, Fink si è scagliato contro i suoi critici politici sostenendo che "mentono continuamente".

"Abbiamo fatto un lavoro migliore ora nel raccontare la nostra storia in modo che le persone possano prendere decisioni basate sui fatti, non sulle bugie e non sulla disinformazione o sulla politicizzazione da parte di altri", ha detto Fink durante una chiamata sugli utili del primo trimestre.

"Purtroppo, ce ne sono ancora altri là fuori... che mentono continuamente su questi temi".

Senza fare nomi di politici statunitensi, ha fatto riferimento in qualche modo indirettamente ai continui attacchi da parte dei politici sul lato repubblicano della navata sia a Washington che in stati conservatori come il Texas.

 I repubblicani hanno continuato a cercare di trasformare Fink e la sua azienda nell'esempio preminente di ciò che accusano di "investimento woke" mentre la stagione elettorale del 2024 continua a scaldarsi.

Ha affermato che gli attacchi non stanno funzionando, citando un aumento degli investimenti statunitensi nella sua azienda.

Ha riferito che ci sono stati 1,9 trilioni di dollari di afflussi netti totali da parte degli investitori statunitensi in BlackRock negli ultimi cinque anni e quasi 300 miliardi di dollari di nuovi investitori statunitensi che sono apparsi sui libri contabili della società solo nell'ultimo anno.

 "Credo che con la stragrande maggioranza dei nostri clienti, il nostro approccio fiduciario a lungo termine e le nostre prestazioni stiano risuonando", ha affermato Fink.

(Globalism.news per ulteriori notizie su come i globalisti si stanno muovendo per promuovere la wokeness, l'automazione e lo spopolamento.)

(LifeSiteNews.com, WEForum.org, NYPost.com, Finance.Yahoo.com)

 

 

 

 

 

Catapano: “Le banche usano mezzi illeciti come il falso in bilancio e l’autoriciclaggio nello svolgimento della loro attività al fine di ottenere enormi guadagni che non dichiarano.”

Bolognatoday.it – Michele – (26-1 -2015) - Giuseppe Catapano – (25-5-2024) – ci dicono:

(Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di BolognaToday).

"Quando la banca riceve contanti crea sui conti correnti denaro elettronico equivalente al contante ottenuto "clonando" quindi il valore del denaro liquido che dovrebbe essere annullato o distrutto.

Giuridicamente, infatti, le banche non hanno una esplicita licenza di creare denaro virtuale, ma vengono considerate solo come società di intermediazione finanziaria.

L'attività principale delle banche consiste invece proprio nella creazione di denaro ex novo, che - ad oggi - non risulta contabilizzato a bilancio come attivo.

Se gli istituti di credito evitano di iscrivere in contabilità, nel risultato lordo d'esercizio, la quota annuale di denaro virtuale che creano dal nulla, è evidente che lo considererebbero esse stesse "denaro falso".

 A norma di legge i debiti contratti con denaro falso sono viziati e non sono giuridicamente validi.

 Ne deriva che tutti i debiti contratti con le banche sarebbero annullabili, un vero e proprio miracolo degno della "Madonna dei Debitori"!

 Ma la notizia buona è che non c'è nessun bisogno di cambiare le regole esistenti:

se le banche seguissero la regola contabile principale ovvero quella che richiede che il bilancio esponga la situazione economica, patrimoniale e finanziaria reale, allora si regolarizzerebbe questo denaro".

 

"Quello che emerge dallo studio approfondito dei bilanci bancari è che essi sembrano predisposti ad arte per occultare la creazione di denaro.

Le banche, infatti, segnano i depositi e i conti correnti solo al passivo di bilancio.

Ora che è finalmente riconosciuto il fatto che le banche creano dal nulla il denaro necessario per tutti gli impieghi, è evidente che questo denaro debba essere registrato prima all'attivo, e solo dopo, al momento dell'impiego, al passivo.

Oggi questo non avviene, è come se il proprietario di una casa la affittasse senza averla prima registrata al catasto e pretendesse il pagamento dell'affitto senza dimostrare la catena di titolarità della proprietà.

È un vulnus della legalità.

In parole semplici: le banche fanno guadagni enormi prestando denaro di cui non risultano avere la proprietà, per cui non ci pagano le tasse, riottenendo indietro il denaro con gli interessi.

 Il margine operativo lordo delle banche ammonta a enormi quantità di denaro, decine di miliardi di euro, di cui beneficiano solo gli istituti di credito.

 Il Pil del nostro Paese potrebbe raddoppiare in un mese, se i "soldi virtuali" creati dalle banche fossero calcolati e tassati come attivo.

"Al momento non si dispone nemmeno di uno studio di settore dedicato all'attività bancaria, in particolare per i codici ATECO 64.11.00 (Attività della Banca Centrale) e 64.19.10 (Intermediazione monetaria di istituti monetari diverse dalle Banche centrali).

"La brama di denaro ha portato le banche a concentrarsi sulle attività finanziarie e speculative.

La mia opinione è che sia stato costruito "ad arte" un sistema finalizzato a creare enormi riserve di denaro da utilizzare per costruire una catena di comando in cima alla quale ci sono le banche e al di sotto i governi, che dovrebbero rappresentare gli interessi dei cittadini, ma che oggi sono sotto scacco da parte delle banche stesse, che vengono mediaticamente spacciate come "il mercato", al punto da non poter più operare per il bene della propria comunità.

In questa struttura piramidale che non ha nulla di democratico, si crea un vero e proprio "governo delle banche" che condiziona la vita o la morte degli Stati, manipolando i tassi, i cambi e i prezzi, dell'oro e delle materie prime ad esempio, e finanziando rivoluzioni per soggiogare e indebitare le popolazioni, come quella in Ucraina che da aprile si trova sul gobbo un prestito di ben 17 miliardi di dollari da parte del FMI.

 I condizionamenti politici ed economici legati a questi prestiti internazionali, spacciati per “aiuti”, portano a conseguenze geopolitiche disastrose, come è evidente dalle attuali tensioni che l’Occidente sta creando con la Russia”.

(Questo articolo è stato pubblicato il 25-5-2024. L’originale risale al 26-1-2015 da “Michele”).

 

 

 

 

Breve storia di risparmi, truffe e umana avidità.

Ristrutturazioneaziendale.it – (18 ottobre 2022) - Franco Baiguera – ci dice:    

 

1. Premessa.

Nonostante la cultura finanziaria nel nostro Paese si sia sempre più diffusa grazie – ma non solo – alla tecnologia informatica e alla stampa economica, non solo cartacea, è proprio il caso di ribadire che c’è sempre qualcuno, attirato dal coro delle “sirene di Ulisse”, che cade nella trappola di malfattori che adescano, senza scrupoli, persone ingenue ma anche – va detto – decisamente avide.

Nel caso che verrà poco oltre illustrato un gruppo di persone numeroso e disomogeneo per estrazione culturale, zona geografica di residenza o età, viene attirato nella rete tesa da un imbonitore – per usare un eufemismo – che, promettendo interessi ben al di sopra della media di mercato sulle somme investite, raccoglie ingenti somme da destinare a propri scopi personali. 

La ricostruzione di alcuni fatti significativi: lo schema Ponzi.

Alcuni geni del male del mondo finanziario utilizzano la c.d catena di Sant’Antonio;

 altri, strumenti più sofisticati, come la clonazione delle carte di credito o di bancomat.

Quello che stupisce, nel caso che ci interessa, è che il sig. Massimo Raggiro utilizzava un metodo ben noto da tempo e risalente nel tempo: lo schema Ponzi, uno schema economico truffaldino di allocazione di prodotti finanziari ideato da Charles Ponzi (1882-1949), che promette forti guadagni ai primi investitori, a discapito di nuovi "investitori", a loro volta vittime della truffa.

Lo schema, in breve, funziona così:

un truffatore promette guadagni fuori dagli standard, ad esempio il 10% al mese; e quando gli viene chiesto in cosa consiste l'investimento, risponde riferendosi in termini fumosi a meccanismi complessi o incomprensibili.

Il truffatore diffonde la sua proposta, ad esempio con un passaparola, e attira un primo gruppo di vittime, ognuna delle quali versa la sua quota da "investire"; così inizia ad accumulare una prima somma di denaro data dal totale delle quote di capitale versate dai primi (sprovveduti) risparmiatori.

In questa prima fase, senza un investimento documentato, solo pochi investitori danno fiducia al truffatore, il quale assicura loro di rispettare i patti: promette di pagare quanto pattuito, anche se per farlo dovesse andare in perdita.

Per fingere che l'investimento stia avendo successo, dopo un mese il truffatore riconosce ad ogni vittima il 10% della quota versata, spacciandolo per il profitto promesso;

in realtà, non fa altro che sottrarre quel denaro al capitale iniziale.

 

I primi "investitori", ripagati, reinvestono, del tutto o parzialmente i fondi, reimmettendoli “nel giro”, e soprattutto parlano bene dell'investimento attirando a loro volta nuove vittime;

questo afflusso di nuovi "investitori" è importante perché la truffa possa continuare, dato che il "guadagno" è mensile o a scadenza periodica breve;

in caso contrario, il capitale iniziale si esaurirebbe in poco tempo e la truffa verrebbe scoperta quasi subito.

Se l’imbonitore sa essere davvero convincente, il meccanismo può durare abbastanza a lungo, magari anche a costo di qualche sacrificio che consiste nel dover rimborsare tutto il capitale e gli interessi maturati a chi, ad esempio per sopraggiunte necessità impellenti, lo richiede.

Ma questo sacrificio è solo temporaneo, perché rafforza con effetto immediato l’illusoria affidabilità dello schema Ponzi.

L’importante è che il truffatore riesca a giocare sporco il più a lungo possibile per massimizzare il guadagno senza essere scoperto prematuramente.

Prima che ciò accada, infatti, l’organizzatore della truffa sparisce nel nulla con i soldi disponibili in quel momento, probabilmente già dirottati verso lidi inesplorabili.

Presto o tardi, tuttavia, la difficoltà di reperire nuovi adepti porterà lo schema a collassare da solo, non riuscendo a ripagare gli investimenti o venendo scoperto dalle forze dell'ordine.

Lo schema Ponzi è stato replicato più volte nella storia anche recente: una delle più note applicazioni dello schema si è avuto con il caso Madoff, che rappresenta anche una delle più grandi frodi mai attuate, che vanificò nel nulla circa 65 miliardi di dollari.

Ma noto fu anche quello di Jan Lewan:

era un immigrato polacco, trasferitosi da anni negli U.S.A., che organizzava show e spettacoli con la sua band che, a suon di musica polka, intratteneva il pubblico più anziano.

Gli affari però non gli andavano per il meglio e lo showman decise di proporre ad alcuni dei più affezionati spettatori un sistema di investimento ad alto interesse e al di fuori delle banche, dando vita ad un vero e proprio schema Ponzi che attrasse sempre più finanziatori:

la storia è stata recentemente proposta all’attore Jack Black, interprete del film Il re della Polka, un’esilarante pellicola rielaborata comicamente dalla quale pare abbia attinto in maniera molto fedele il signor Massimo Raggiro.

 In luogo degli intrattenimenti a base di Polka, durante i quali Jan raccoglieva i fondi, Massimo Raggiro organizzava eventi in location lussuose nelle quali sopraggiungeva ovviamente sempre in ritardo come le prime donne dello spettacolo con automobili di gran lusso, autisti privati e circondato da sedicenti professionisti del settore.

 

2. Dallo schema Ponzi alla “Chimera srl”.

 

“Massimo Raggiro “non poteva non operare tramite una società di facciata che chiameremo “Chimera srl”, braccio formale utilizzato per la raccolta delle somme di denaro da persone fisiche, indicando in contabilità causali fantasiose: naturalmente nessuno le avrebbe lette, né ad alcuno potevano interessare; ma era necessario garantire un minimo di credibilità se chicchessia ne avesse fatto richiesta.

Un riassunto di alcuni dei fatti e dei movimenti più significativi può aiutare a comprendere bene come Massimo Raggiro aveva organizzato il giro di denaro tramite la “Chimera srl” a danno di numerose persone.

Attraverso un vero e proprio martellamento psicologico – come sopra brevemente esposto – e grazie al passaparola, venivano raccolte ingenti somme da vari soggetti (tutte persone fisiche) e, contestualmente o poco dopo, venivano rimborsate anche somme titolo di interessi;

 alcune volte, anche l’intero capitale investito:

il rimborso del capitale investito ad alcuni risparmiatori costava di più a “Chimera Srl”, ma aveva il grosso vantaggio di rendere più credibili le promesse fatte e di rendere lo schema più durevole nel tempo.

Per ricostruire nel modo più preciso possibile la truffa, si è dovuto procedere analizzando la contabilità della Chimera srl nonché le pezze giustificative provenienti da terzi, soprattutto dalle banche, ma anche i contratti reperiti, la copia degli assegni e dei bonifici, eccetera, al fine di far quadrare un cerchio molto spigoloso.

Un esempio può essere di aiuto, partendo da un estratto della contabilità e precisamente dalla scheda contabile della “Blind Bank” del mese di Maggio 202X:

1. Incasso 200.000 € da un “risparmiatore” il 15/5/202X e, il giorno seguente,

2. rimborso di importi a molti soggetti che in precedenza avevano già provveduto ad effettuare versamenti, pari ad una percentuale in conto interessi molto elevata.

Lo schema, collaudato, funzionava.

 Il conto corrente della Blind Bank si incrementa nel corso del 202X fino a circa 5 milioni di euro, per poi inesorabilmente azzerarsi prima di fine anno.

Come anticipato, i flussi sono stati riscontrati anche per mezzo degli estratti conto della Blind Bank:

sempre a titolo di esempio: in data 10/6/202X vengono accreditati 100.000 € sul c/c n. 123456789 della Blind Bank da parte di un'altra persona fisica, con la causale “Acquisto prima casa”;

causale del tutto fantasiosa, in quanto la “Chimera srl “non svolgeva attività immobiliari di alcun tipo.

Sono emersi poi numerosi altri versamenti di rilevante importo, ai quali si “accoppiavano” in modo assolutamente contestuale minori prelievi finalizzati a foraggiare i soggetti entrati precedentemente nello schema Ponzi.

 

E così, tra versamenti a favore ed alcuni rimborsi, lo “schema Ponzi” prosegue senza alcun ostacolo.

Ma, nel frattempo, Chimera srl disponeva anche alcuni bonifici all'estero a favore della “Chimera con sede in Lussemburgo” e con la causale “aumento capitale sociale per conto di Massimo Raggiro”:

 come è facilmente intuibile, la società aveva come beneficiario effettivo lo stesso Raggiro.

Quest’ultimo era dotato di una innata capacità di convincimento tale che, per un buon lasso temporale, fece aumentare gli incassi: sono stati reperiti, ad esempio, sottoscrizioni da 220.000 € in un sol colpo!

Il sistema procede fino a quando ben 900.000 € vengono trasferiti alla Chimera di diritto lussemburghese in un sol giorno.

Ma lo schema non avrebbe funzionato perfettamente se non si fosse riusciti, nell'arco di poco tempo, a svuotare il salvadanaio - sia pure con diverse causali: prima con la fantomatica sottoscrizione di capitale sociale, poi con descrizioni generiche del tipo “trasferimento fondi” sino all’azzeramento di conti italiani. 

3. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

La truffa dura circa tre anni, o meglio tre esercizi sociali della “Chimera srl”. Ma dietro a tutte queste movimentazioni finanziarie, dove stava la redditività aziendale, necessaria a non allarmare né i risparmiatori (di cui i più avveduti richiedevano copia del bilancio o lo estraevano presso il registro delle imprese) né le banche?

È proprio il caso di dire che il diavolo ha fatto le pentole (lo schema Ponzi) ma non è riuscito a creare il coperchio per nascondere le malefatte:

 semplicemente la redditività non era mai esistita, era piuttosto un falso di bilancio, in quanto di tutto faceva la “Chimera srl” fuorché pensare di svolgere un'attività economica.

Ma, allora, come facevano i bilanci ad appalesare un pareggio o addirittura un utile?

Nel primo esercizio di attività il bilancio e la nota integrativa non dicono nulla in merito ai ricavi;

questo, in verità, nemmeno per gli anni successivi.

Sono state reperite però, sempre in contabilità, due scritture di fine anno che fanno ben comprendere la creatività applicata per la generazione di ricavi inesistenti al fine di determinare un sia pur modesto risultato economico positivo: modesto perché in questo modo non generava eccessivi debiti tributari, positivo per poterlo rendere presentabile ai lettori.

Le scritture contabili, ovviamente al 31/12, erano del seguente tipo:

 

------------------------------- 31/12/201x e x+1------------------------------

FATTURE DA EMETTERE A PRESTAZIONI DI SERVIZI

------------------------------------     -------------------------------------------

Fino a questo punto tutto quadra:

si tratta di una tipica scrittura di fine esercizio, necessaria a far confluire in bilancio i ricavi maturati e non ancora contabilizzati per fatture che possono essere legittimamente emesse nell'esercizio successivo (per le società con esercizio coincidente con l’anno solare a gennaio o nei primissimi mesi dell'esercizio successivo).

La scrittura ha l'effetto di incrementare i ricavi (nel caso Chimera srl, prestazioni di servizi) e, conseguentemente, l'utile.

Allo stesso tempo, si incrementa l'attivo circolante dello stato patrimoniale in quanto il conto fatture da emettere rappresenta un credito a breve (in particolar modo, per una società che sostiene attività di consulenza).

In realtà, cosa avveniva?

Alla fine dell’esercizio X la società presentava una perdita contabile ingente, ad esempio di 250.000 €;

 il che determinava un bilancio impresentabile, con patrimonio netto assolutamente perso (dato che il capitale sociale ammontava a 100.000,00 €) che avrebbe implicato tutte le conseguenze di legge.

L'idea, molto banale, fu quella di contabilizzare ricavi fittizi per prestazioni di servizi pari a 260.000 €:

questo espediente permetteva di chiudere il bilancio con un utile di 6.000 € al netto di 4.000 € di imposte stanziate (anche queste mai versate).

Il problema si è riproposto nell’esercizio successivo, X+1, quando pur rimanendo aperto il credito fittizio per fatture da emettere dell'anno X, il bilancio presentava una perdita contabile di 200.000 €: che fare allora?

Niente di più semplice:

quasi immodificata l'annualità X, Chimera Srl (o, meglio, il suo amministratore) pensò bene di stanziare ulteriori 205.000 € per fatture da emettere e chiudere anche l’esercizio X+1 con un utile di 3.000 € stanziando imposte per 2.000 €.

Dai bilanci non risultano ricavi reali a prova che, di fruttuosità dei fantomatici investimenti, non vi era traccia.

E così, ecco artefatti e modificati due bilanci in perdita con una semplice annotazione contabile di due righe (una per esercizio):

 ma, si potrebbe obiettare, le fatture sono state emesse o potevano essere emesse nei periodi successivi, come assolutamente lecito ma anche doveroso:

purtroppo nessuna fattura a tale titolo risulta essere stata emessa successivamente:

 il puerile ma efficace giochetto delle fatture da emettere era strumentale soltanto a mantenere in vita la società Chimera Srl per il tempo necessario a chiudere lo schema Ponzi.

Così com'è purtroppo avvenuto: il coperchio, se c’era, non ha tenuto, a danno dei risparmiatori – avidi - ma beffati.

4. Conclusioni.

La vicenda si è chiusa con quasi cinque milioni di euro (accertati) di risparmi sottratti alle persone che hanno creduto in Massimo Raggiro e nella sua scatola vuota, la Chimera srl, e andati in fumo.

 Molti altri creditori, in realtà, non hanno nemmeno voluto richiedere alcunché preferendo restare nell’oblio: troppa la vergogna di essersi scioccamente fatti scippare i risparmi di una vita.

Ma come è possibile, ci si potrebbe giustamente chiedere, che nel mondo attuale, dove la comunicazione e le informazioni di ogni tipo sono ampiamente diffuse e facilmente fruibili, tante persone si facciano ancora raggirare da un incantatore di serpenti?

Massimo Raggiro era fuor di dubbio una persona dotata di un certo fascino, seppur a servizio del male;

mitomane, al punto di riuscire a credere lui stesso alle fantasie che raccontava; scaltra, tanto da creare un ambiente scenografico quasi teatrale:

automobili di lusso, ambienti di elevata qualità, titoli nobiliari artefatti hanno indotto i più in una sorta di torpore cerebrale, tanto da non distinguere più la realtà dalla finzione.

Inoltre, il tragico quadro della truffa è avvenuto in un contesto normativo e fattuale favorevole:

nessuna autorità può, senza segnalazione alcuna, intervenire tempestivamente sua una società “meteora” (con tre anni di vita effettiva).

 E l’unico soggetto terzo concretamente coinvolto in diretta che, in aderenza alla normativa antiriciclaggio, avrebbe potuto - anzi dovuto - agire con segnalazioni all’autorità competente la potenziale attività criminosa (invero, ve ne erano tutti gli elementi indiziari) era la banca, spettatrice privilegiata dei vorticosi flussi finanziari.

Sul motivo per cui la “Blind Bank” non si sia attivata vi sono due ipotesi plausibili: o la normativa in tema di antiriciclaggio non è – in certi casi – efficace, perché caratterizzata da lacune che non possono essere qui esplorate;

oppure vi fu connivenza di uno o più funzionari della banca con la Chimera srl.

Da ultimo, ma forse primo in ordine di importanza, un motivo che risale alla notte dei tempi:

 la credulità popolare è tale da indurre a fidarsi più dell’amico del bar che non di seri professionisti o delle principali istituzioni (pubbliche o private) che, in realtà, in questi casi, funzionano molto bene nella fase preventiva.

Molto meno, purtroppo, in quella successiva e repressiva, quando i risparmi sono spariti ormai per sempre.

Per non dire, infine, dell’inguaribile avidità umana.  

 

 

 

L’avreste mai detto che le banche

centrali globali perdono denaro?

Creditnews.it – Alessandro Ruocco – (19 aprile 2024) – ci dice:

Le banche centrali globali hanno subito ingenti perdite a causa delle politiche monetarie restrittive.

I rendimenti sui depositi bancari sono in aumento, mentre le entrate rimangono sostanzialmente stabili.

Nonostante ciò, non ci si attende alcun cambiamento nella politica monetaria.

La situazione delle banche centrali.

Le banche centrali di tutto il mondo stanno affrontando un periodo di turbolenze finanziarie.

Le politiche monetarie restrittive, adottate per contrastare l’inflazione prima galoppante, ed oggi in diminuzione, ma ancora sopra livelli di guardia, hanno portato a un aumento dei rendimenti sui depositi bancari, mentre le entrate rimangono sostanzialmente stabili.

Il risultato è un’ondata di perdite ingenti che sta mettendo a rischio la stabilità finanziaria globale.

La Federal Reserve americana ha registrato risultati negativi senza precedenti, con una perdita di oltre 50 miliardi di dollari nel secondo trimestre del 2023.

La Bundesbank tedesca è stata penalizzata dalla mancanza di condivisione dei rischi nell’Eurozona e dai bassi rendimenti dei titoli tedeschi nel proprio bilancio, accumulando una perdita di oltre 20 miliardi di euro nello stesso periodo.

Il Bundesrechnungshof, l’equivalente tedesco della Corte dei Conti, ha persino lanciato un segnale d’allarme riguardante la solidità finanziaria della Bundesbank.

Secondo il rapporto degli ispettori tedeschi, la Bundesbank potrebbe rischiare di esaurire il suo capitale e le sue riserve nei prossimi anni a causa delle perdite derivanti dalle recenti decisioni di politica monetaria.

Ciò potrebbe portare il Bundestag (il Parlamento tedesco) a dover decidere di ricapitalizzare la banca centrale, effettuando un vero e proprio salvataggio finanziario.

Va comunque ricordato che il compito principale di una banca centrale non è generare profitti, ma contribuire alla stabilità macroeconomica, che rappresenta un bene di gran lunga più importante.

Un problema per l’economia?

Le perdite delle banche centrali non sono solo un problema finanziario, ma hanno anche implicazioni significative per l’economia reale.

 Le banche centrali con bilanci in rosso potrebbero essere meno disposte a prestare denaro alle banche commerciali.

 Così facendo limiterebbero la liquidità del sistema finanziario e ostacolando la crescita economica.

Nonostante le perdite ingenti, le banche centrali non sembrano intenzionate a cambiare rotta.

La Federal Reserve ha annunciato che non diminuirà i tassi di interesse fino a quando l’inflazione non sarà sotto controllo.

La Bundesbank ha ribadito la sua posizione a favore di una politica monetaria restrittiva, sottolineando l’importanza di mantenere la stabilità dei prezzi.

La situazione attuale è quindi molto complessa.

Le banche centrali si trovano di fronte a un dilemma: da un lato devono contrastare l’inflazione, dall’altro devono evitare di innescare una recessione.

 La scelta di continuare con politiche monetarie restrittive potrebbe avere un impatto negativo sulla crescita economica.

Ma è anche l’unica opzione per frenare l’inflazione e salvaguardare la stabilità finanziaria.

Una spiegazione economica sulle politiche delle banche centrali.

Si potrebbe sostenere che le banche centrali stesse determinano il tasso sui depositi, influenzando di conseguenza il loro bilancio economico.

 Il punto cruciale è che il tasso sui depositi bancari presso le banche centrali costituisce uno strumento di politica monetaria, rappresentando un costo per le banche commerciali.

Se il tasso sui depositi non aumentasse, le banche commerciali potrebbero essere incentivate a ridurre i depositi presso la banca centrale e ad aumentare i prestiti, andando contro l’obiettivo di stabilità dei prezzi della banca centrale.

Negli anni precedenti, l’opzione di ridurre i depositi presso la banca centrale era stimolata dal tasso di remunerazione dei depositi, che era negativo (-0,5%).

Questo ha spinto le banche a riversare liquidità nell’economia, anche in investimenti con un basso rendimento atteso.

Aumentando il tasso sui depositi, le banche commerciali sono incentivate a trattenere parte delle risorse nei depositi redditizi, riducendo così la liquidità nell’economia e contrastando l’inflazione.

Questa politica comporta una perdita immediata per l’Eurosistema, per la FED e per qualunque altra banca centrale, poiché i titoli detenuti sono a medio e lungo termine, mentre il finanziamento è a breve termine (anche solo per la notte), e la differenza di scadenze tra attività e passività non consente di bilanciare il costo di finanziamento con i rendimenti attesi.

Possibili soluzioni.

Quali sono le possibili soluzioni? Alcune proposte includono:

Maggiore condivisione dei rischi nell’Eurozona: questo permetterebbe di distribuire le perdite tra le diverse banche centrali e di ridurre l’impatto su quelle più fragili.

Aumento del tasso di interesse sui depositi bancari: questo incentiverebbe le banche a depositare denaro presso le banche centrali, aumentando le loro entrate.

La BCE sta andando verso questa strada, e potrebbero farlo altre banche centrali.

Le decisioni che le banche centrali prenderanno nei prossimi mesi avranno un impatto significativo sull’economia globale.

È importante monitorare la situazione con attenzione e valutare gli effetti delle politiche monetarie restrittive sulla crescita economica e sulla stabilità finanziaria.

Considerazioni finali sulla situazione delle banche centrali.

Le perdite attuali delle banche centrali sono il risultato dei bassi costi di finanziamento degli Stati negli anni passati.

 La Bundesbank, ad esempio, registra perdite poiché lo Stato tedesco si è finanziato a tassi molto bassi, se non addirittura negativi.

 In passato, le politiche monetarie espansive delle banche centrali hanno generato profitti considerevoli grazie ai tassi negativi sui depositi, che hanno compensato i bassi rendimenti sui titoli.

Tuttavia, nel corso degli ultimi dieci anni, la Bundesbank ha trasferito profitti per 22 miliardi di euro allo Stato, contribuendo al miglioramento del bilancio pubblico.

Questi profitti sono stati in gran parte pagati dalle banche, che a loro volta hanno trasferito parte dei costi ai clienti.

Si pone quindi la domanda su quali sarebbero stati gli impatti sull’economia e sul gettito fiscale se le banche centrali non avessero adottato politiche monetarie così espansive nel passato.

A differenza di un’impresa privata, il compito principale di una banca centrale non è quello di ottenere profitti.

 È piuttosto di garantire l’equilibrio macroeconomico, che è di gran lunga più importante.

Nell’area dell’Euro e negli USA, questo obiettivo si concentra (soprattutto) sulla stabilità dei prezzi, mirando a un tasso d’inflazione intorno al 2% annuo.

 Le politiche monetarie espansive degli anni precedenti hanno evitato una deflazione e una recessione economica, specialmente dopo la Grande Crisi Finanziaria e durante la pandemia.

Attualmente, l’obiettivo è controllare un’eventuale inflazione più elevata e persistente rispetto alle aspettative di qualche anno fa, anche a causa delle due grandi crisi in corso (guerra in Ucraina e crisi mediorientale).

 Le perdite nei bilanci delle banche centrali causate dalla sequenza temporale di politiche molto espansive seguite da politiche moderatamente restrittive sono considerate un problema di minor rilevanza rispetto alle perdite che politiche diverse avrebbero probabilmente causato all’economia mondiale.

Una banca centrale non dovrebbe sentirsi obbligata a stampare moneta per acquistare attività redditizie solo per migliorare il proprio bilancio economico.

Ciò diverrebbe un’attività estranea ai suoi compiti principali e potrebbe compromettere la fiducia del pubblico nella moneta.

È improbabile che qualche banca centrale dell’Eurozona, o la FED, la BoE, la BoJ o la Banca Centrale Svizzera si trovi (mai) in una situazione così negativa. 

 

 

 

Moneta privatizzata:

analisi e alternative.

Lafionda.org – (7 Ott., 2023) - Enrico Grazzini – ci dice:

Questo articolo ricapitola le tesi dell’autore sul tema della moneta svolte nel suo testo “Il fallimento della moneta” (Fazi 2023) testo di sicura attualità ed efficacia, nel contesto di crisi attuale che vede riproporsi tutti i problemi che i decisori politici avevano promesso di sanare più di dieci anni fa – ovviamente non hanno fatto nulla (nota della Redazione).

La moneta viene creata dalle banche commerciali ma la privatizzazione del denaro genera debito e crisi.

Perché è necessario emettere una moneta digitale pubblica e libera dal debito.

Da dove nasce la moneta? Chi crea il denaro?

La grande maggioranza dell’opinione pubblica e anche molti economisti credono che la moneta sia creata dallo Stato o dalla sua banca centrale, e che sia “neutrale”, che cioè sia emessa dalle autorità pubbliche a beneficio, almeno in linea di principio, di tutti i cittadini e di tutti gli operatori economici.

 Non è così

 Pochi sanno che circa il 95% della moneta che normalmente utilizziamo viene creata ex nihilo dalle banche commerciali, e viene creata per il loro profitto.

La moneta dunque non è neutrale.

 In effetti le banche centrali per conto dello Stato emettono banconote e monete che valgono solo per le piccole spese quotidiane, cioè per il 5% circa del valore totale delle transazioni.

Il denaro vero è creato dalle banche – che, nella stragrande maggioranza, almeno in Occidente (ma non in Cina, per esempio) sono banche private.

Le banche commerciali non si limitano a prestare il denaro che i risparmiatori depositano: creano moneta dal nulla.

Come hanno dichiarato ufficialmente “Bank of England”, “Bundesbank” e la “FED”, le banche creano esse stesse moneta ogni qualvolta concedono un credito ai loro clienti (per es.: per mutui, credito al consumo, per i pagamenti a fornitori e dipendenti, ecc).

 È Bank of England (boe), la più antica banca centrale del mondo, che ci spiega autorevolmente da chi e come viene creata la maggior parte della moneta:

La realtà di come viene creato il denaro oggi differisce dalla descrizione che si può trovare in alcuni libri di testo di economia:

 le banche non prestano soldi risparmiati e depositati dalle famiglie ma creano loro stesse i depositi con i loro prestiti.

Ogni volta che una banca fa un prestito genera immediatamente un deposito di valore corrispondente nel conto bancario del debitore creando così nuovi soldi.

Le banche creano moneta e sono “proprietarie” del denaro:

ma non si tratta né di un complotto né di manovre particolarmente sofisticate.

Il meccanismo di creazione del denaro è di una semplicità disarmante.

Quando concede un prestito, nel suo bilancio la banca segna al passivo la moneta che crea dal nulla a favore del cliente e segna all’attivo la stessa cifra prestata al cliente, cifra che questi dovrà restituire con gli interessi.

La moneta bancaria privata è quindi una pura creazione contabile, ma è anche moneta spendibile e convertibile immediatamente in moneta legale.

Questa è la vera magia della moneta bancaria:

 l’impresa privata bancaria ha il privilegio unico ed esclusivo concesso dallo Stato di emettere moneta privata (ovvero una semplice “promessa di pagamento”) convertibile subito in moneta legale, ovvero in banconote che tutti devono per legge accettare, e che quindi sono accettate da tutti.

La magia del denaro consiste in questo:

il potere pubblico ha concesso alle banche di deposito l’enorme privilegio di potere convertire immediatamente la moneta privata emessa dalle banche in moneta legale, ovvero in moneta di Stato e garantita dallo Stato.

 Il cliente che ha ricevuto il prestito da una banca, cioè da un ente privato, può andare al bancomat e ritirare le banconote di Stato.

Non è una cosa da poco.

Facciamo un esempio: lo Stato italiano accetta che la banca XY – controllata magari da azionisti arabi, cinesi o americani – decida per conto suo e per il suo profitto di fare un prestito a Pinco Pallino e accetta anche che questo prestito possa convertirsi in banconote con valore legale, cioè con una moneta che lo Stato stesso deve garantire.

 La garanzia dello Stato è credibile grazie alle imposte riscosse ogni anno dai contribuenti.

È chiaro che questa “cessione di sovranità monetaria” alle banche private non è di poco conto.

Banconote a parte, la moneta che entra nell’economia reale, e anche in quella finanziaria, è emessa dalle banche commerciali per il loro profitto, ovvero per valorizzare il capitale degli azionisti: money-for-profit.

 Le banche sono aziende private come le altre ma sono autorizzate dallo Stato a creare denaro e a prestarlo dietro interesse.

 Quindi su tutta la moneta che utilizziamo, a parte le banconote, paghiamo un interesse al sistema bancario.

 Quando restituiamo alle banche il denaro prestato dalle banche, la moneta scompare dall’economia.

La moneta bancaria è moneta digitale che viene creata con il computer in forma di bit e che ha costi tendenzialmente pari a zero: non costa nulla ma può procurare grandi profitti e un enorme potere perché con la moneta si può acquistare tutto e, in un certo senso, anche la politica, o il consenso elettorale.

La regola basilare della creazione della moneta è che le banche centrali creano moneta solo ed esclusivamente per le banche commerciali sotto forma di riserve bancarie:

 solo queste ultime invece sono autorizzate a creare moneta per i cittadini, le imprese e l’amministrazione pubblica.

Anche le banconote, che formalmente sono create dalla banca centrale per tutto il pubblico, vengono distribuite al pubblico solo dalle banche commerciali, e quindi, in un certo senso, sono moneta bancaria: bisogna infatti avere un conto bancario per ritirare il contante di prima emissione.

Solo le banche possono avere dei conti correnti presso le banche centrali;

e le banche centrali creano moneta legale solo per le banche commerciali:

lo scandalo è che i cittadini e gli operatori economici, lo Stato e le amministrazioni pubbliche sono escluse dai processi di creazione e distribuzione primaria di moneta.

Le banche centrali creano con il computer per le banche commerciali riserve monetarie per i pagamenti interbancari:

ma il sistema monetario di banca centrale costituisce un sistema chiuso riservato solo agli istituti di credito.

 Pochi lo sanno ma, a parte le banconote, la moneta di banca centrale non entra mai nell’economia reale e finanziaria.

La banca centrale emette moneta solo per le banche private e pubbliche:

inoltre fissa il prezzo di riferimento della moneta – il tasso centrale di interesse – e così fa politica monetaria.

Tuttavia solo le banche commerciali possono creare e distribuire moneta per l’economia reale al prezzo che ogni singola banca decide per la sua clientela.

 Il controllo effettivo sulla moneta che utilizziamo normalmente è quindi sostanzialmente nelle mani del settore privato, dei mercati, delle oligarchie bancarie.

 Le banche centrali cercano di mantenere stabile il valore della moneta manovrando il tasso di interesse ma sono largamente impotenti di fronte alle dinamiche dei mercati.

 Intervengono soprattutto per tamponare a posteriori le crisi: ma nessuno è in grado di controllare i mercati globali.

A parte la possibilità di “battere moneta”, per il resto le banche commerciali sono imprese come tutte le altre:

 infatti, come le altre aziende, nel sistema competitivo caratteristico del capitalismo le banche corrono per massimizzare i profitti e per incrementare il valore delle loro azioni.

Le maggiori banche commerciali sono quotate in borsa e, come tutte le imprese private, possono essere comprate e vendute, possono essere scalate, fondersi con le altre banche o anche, naturalmente, fallire (e poi magari essere salvate con i soldi dello Stato, cioè dei contribuenti).

 Le banche sono la “fabbrica” della moneta che è un bene pubblico ma, ovviamente, come tutte le imprese private, lavorano per il beneficio dei loro azionisti.

 Gli azionisti generalmente sono società finanziarie internazionali di varia origine: società americane, inglesi, francesi, arabe, giapponesi, o con sede alle Cayman, o cinesi, o svizzere o norvegesi o del Lussemburgo, o quant’altro.

Ne consegue che le banche non lavorano per il benessere della società e della nazione.

 La moneta delle banche viene emessa semplicemente per fare profitto.

Il problema è che la moneta bancaria è sempre emessa sotto forma di credito: dunque entra nell’economia sempre e solo come debito da ripagare con gli interessi.

Ma un’economia fondata sul debito è destinata al fallimento.

Il peccato mortale della moneta bancaria è dunque che essa è sempre moneta-debito e quindi pesa sempre sull’economia reale.

La moneta bancaria, che nasce come moneta-debito, viene sua volta prestata (vedi per es. il mercato delle obbligazioni).

Così, anche per effetto degli interessi composti, i debiti crescono automaticamente in progressione geometrica e più di quanto cresce il PIL, ovvero più di quanto crescono i redditi per ripagarli.

Più aumenta la massa monetaria e più ancora aumenta il debito.

 Questo regime monetario fondato sul debito e sulla competizione per il massimo profitto porta dunque a un indebitamento insostenibile e al fallimento.

Il finazcapitalismo è caratterizzato da una legge generale:

la crescita dei debiti totali – privati e pubblici – è superiore alla crescita della massa monetaria (cioè, in gergo, alla crescita degli aggregati monetari M1 e M2) e del pil, cioè della produzione totale annuale di una nazione.

Un grafico realizzato dalla banca centrale americana, la Federal Reserve, è molto chiaro a riguardo.

L’aggregato monetario M1 comprende le banconote, le monete in circolazione e gli attivi finanziari che possono svolgere immediatamente e alla pari il ruolo di mezzo di pagamento, ossia i depositi in conto corrente bancari e postali. L’aggregato M2 comprende M1 e altri attivi finanziari a liquidità elevata ma la cui conversione in M1 può essere soggetta a qualche restrizione (per esempio la necessità di un preavviso, delle penalizzazioni o delle commissioni).

Secondo la definizione della Banca Centrale Europea (bce), M2 comprende i depositi con scadenza prestabilita fino a due anni e i depositi rimborsabili con preavviso fino a tre mesi.

 La moneta di base mostrata nel grafico è la moneta di banca centrale, ossia (come vedremo) le riserve e le banconote, la moneta legale, che, come si vede, costituisce una piccola parte rispetto agli aggregati monetari costituiti dai depositi bancari. Il problema è che se il debito totale cresce strutturalmente più della massa

monetaria (M2) e del PIL (in inglese GDP, Gross National Product), allora cresce più dei redditi necessari per coprire i debiti.

Diventa impossibile ripagare i debiti.

Moneta privatizzata: analisi e alternative

Secondo l’autorevole Institute of International Finance il debito globale sia privato che pubblico è salito a un livello record raggiungendo oltre il 300% del pil globale.

Sarà assolutamente impossibile restituire i debiti; e è anche molto difficile restituirne anche solo una parte.

Se poi il debito venisse restituito integralmente alle banche, l’economia paradossalmente si fermerebbe completamente per mancanza di moneta.

Più i debiti vengono restituiti più si sottrae moneta all’economia, e allora questa entra in recessione per carenza di domanda e di potere di acquisto. In tale modo uscire dalle crisi diventa impossibile senza l’introduzione di una moneta pubblica priva di debito.

Il mestiere del banchiere, come spiega ironicamente il grande economista americano “Hyman Minsky”, è essenzialmente quello di “indebitare i clienti”.

Più le banche fanno credito-debito più fanno business, e quindi sono tendenzialmente portate a fare più credito/debito possibile, soprattutto nei periodi di boom.

 Il credito è ovviamente fondamentale per lo sviluppo dell’economia e il progresso della società.

Ma la privatizzazione del sistema monetario – che invece è e dovrebbe essere un bene pubblico – oltre alla crescita insostenibile del credito/debito comporta molte altre conseguenze negative che approfondisco nel mio saggio intitolato

”Il fallimento della moneta” .

Le banche offrono un servizio indispensabile per la società: offrono credito a chi se lo merita mediante un attento processo di selezione.

 Senza il credito affidato a chi intraprende e svolge attività produttive, l’economia e la società non possono funzionare.

 In teoria la retribuzione dei banchieri dovrebbe essere corrispondente al loro lavoro, e dunque alle attività legate a questo processo di selezione e valutazione del merito creditizio;

 ma in pratica a questa retribuzione si aggiunge la rendita legata al monopolio sulla creazione di moneta, ovvero la rendita derivata da quella che Keynes chiamava «la scarsità artificiale della moneta».

 Questa rendita si chiama “signoraggio”.

Il signoraggio è una tassa che viene normalmente pagata alle banche dai debitori in aggiunta al corrispettivo dovuto per le attività professionali dei banchieri.

 Il prezzo del credito è quindi sempre maggiorato dalla rendita che il sistema bancario e le singole banche ricevono grazie al potere esclusivo di creare moneta. Afferma Keynes:

Oggi l’interesse non rappresenta il compenso di alcun sacrificio genuino, come non lo rappresenta la rendita della terra. Il possessore di capitale può ottenere l’interesse perché il capitale è scarso, proprio come il possessore della terra può ottenere la rendita perché la terra è scarsa.

Ma, mentre vi può essere una ragione intrinseca della scarsità della terra, non vi sono ragioni intrinseche della scarsità del capitale…

Considero perciò l’aspetto del capitalismo caratterizzato dall’esistenza del redditiero come una fase di transizione destinata a scomparire quando esso avrà compiuto la sua opera.

 E con la scomparsa del redditiero molte altre cose del capitalismo subiranno un mutamento radicale.

Keynes prevedeva che il signoraggio sarebbe diventato superfluo a causa della sopravveniente abbondanza del capitale e della corrispondente caduta del tasso di interesse, fattori che avrebbero provocato l’eutanasia del rentier, ovvero la scomparsa della rendita finanziaria.

In questo senso Keynes si dimostra un rivoluzionario radicale perché credeva ottimisticamente che l’economia liberale grazie alla guida pubblica politicamente illuminata potesse evolversi gradualmente e pacificamente verso una società più egualitaria e di piena occupazione, una società senza rendite.

 Il presupposto fondamentale per lo sviluppo della società è, secondo Keynes, proprio la fine della rendita monetaria legata alla «scarsità artificiale della moneta».

Per Keynes:

Potremmo dunque in pratica mirare, poiché non vi è nulla di tutto questo che sia irraggiungibile, a un aumento del volume di capitale finché questo non sia più scarso, così che l’investitore senza funzioni [il rentier, il redditiero, il finanziere – nda] non riceva più un premio gratuito, e potremmo mirare ad un sistema di imposizione diretta tale da consentire che l’intelligenza e la determinazione e la capacità direttiva del finanziere, dell’imprenditore” et hoc genus omne” [traduzione: e tutto questo genere di persone, di capitalisti – nda], i quali certamente amano tanto il loro mestiere che il loro lavoro potrebbe ottenersi ad assai minor prezzo che attualmente, siano imbrigliate al servizio della collettività, a condizioni ragionevoli di compenso.

Il prezzo del credito applicato dalle banche comprende quindi non solo il lavoro del banchiere ma la rendita derivata dal monopolio della moneta:

esso è quindi sempre un “prezzo esagerato”, una sorta di tassa implicita e nascosta che grava sulle imprese, le famiglie e gli enti pubblici.

Il credito bancario ha dunque una natura ambigua:

 alimenta le attività produttive e genera ricchezza, ma contemporaneamente trasferisce la ricchezza dal debitore al redditiero, e quindi frena il processo di accumulazione del settore industriale.

 

Ma il signoraggio bancario non è certamente l’unico problema del money-for-profit.

La corsa cieca e competitiva per il massimo profitto nel più breve tempo possibile fa crescere enormemente le diseguaglianze di ricchezza, alimenta i colossi dell’industria fossile, è pro-ciclica (cicli di boom and burst), gonfia i mercati finanziari e immobiliari, nutre la speculazione e è all’origine delle frequenti e violente crisi finanziarie che sconvolgono la società provocando povertà e disoccupazione.

Non a caso l’Occidente è sempre sull’orlo di una nuova grave crisi finanziaria.

Il capitale finanziario nei periodi di euforia crea montagne di titoli, moltiplica i valori fittizi rispetto all’economia reale e si alimenta di nuove scommesse; nel tentativo di guadagnare moneta dalla moneta la finanza non finanzia più tanto le attività produttive, ma le scommesse.

Il mercato diventa così caotico e incerto, autoreferenziale e volubile, una sorta di casinò – come lo definiva la britannica “Susan Strange.

Il surplus di capitale moltiplica a dismisura i titoli finanziari nei periodi di boom per soddisfare l’appetito insaziabile di utili e plusvalente da parte del capitale.

Il debito, cioè il cosiddetto “effetto leva” alimenta le scommesse speculative. Tuttavia diventa impossibile realizzare tutto il capitale creato sulla carta, ossia trasformare il “capitale fittizio” (come lo chiamava Karl Marx) in valore reale.

 Il valore nominale dei titoli derivati – che non sono altro che pure scommesse su scommesse – raggiunge oltre 10 volte il PIL mondiale.

 Alla fine, la catena dei debiti si spezza.

 I mercati precipitano improvvisamente nella crisi perché i titoli sono in eccesso rispetto ai valori reali:

e quando tutti fuggono precipitosamente dai mercati finanziari e cercano di trasformare i loro titoli in liquidità, in denaro vero, il capitale fittizio si brucia in pochi giorni trascinando nella crisi il sistema bancario e la società.

In ultima analisi, sono la privatizzazione della moneta, la leva dei debiti, l’avidità dei più ricchi e la spinta ad accumulare sempre più soldi al di là di ogni possibile limite a provocare le crisi.

 Il sistema di “finanzcapitalismo”, come lo chiamava Luciano Gallino, porta così al fallimento dell’economia produttiva e della pacifica convivenza sociale.

I mercati globali della finanza sono per loro natura caotici e gettano l’economia produttiva, le nazioni e il lavoro nella costante incertezza.

La finanza privata apre un abisso tra debitori e creditori, e alimenta i conflitti e le guerre.

I mercati finanziari dominano sugli Stati:

così le istituzioni democratiche vengono svuotate della loro sostanza.

 Le crisi sono il terreno di cultura di crescenti conflitti sociali che alimentano a destra il populismo e forme fascistoidi e nazionalistiche di reazione alla crisi globale (come nel caso della “Lega di Salvini o del “Tea Party Movement” negli USA), e a sinistra movimenti popolari di rivolta (pensiamo per esempio a “Occupy Wall Street”, o, per certi aspetti, a Syriza, Podemos, o al Movimento 5 Stelle in Italia) che cercano di ottenere riforme radicali del regime politico e finanziario.

Per superare questo sistema ingiusto e insostenibile nel mio saggio propongo che la nuova moneta digitale – ovvero la moneta che sostituirà almeno in parte le banconote, e che le banche centrali di tutto il mondo stanno attualmente studiando e sperimentando – venga gestita come un bene pubblico e non venga amministrata dai privati.

La nuova moneta digitale di banca centrale è già stata lanciata in Cina e verrà introdotta anche nell’eurozona nel giro di due o tre anni: con essa si apre finalmente la possibilità – peraltro oggi fortemente e duramente contrastata dalle banche commerciali – che i cittadini, le imprese e le amministrazioni pubbliche possano aprire dei conti correnti in banca centrale e possano quindi ottenere direttamente moneta digitale legale, ovvero la forma monetaria che – come la banconote – è la più sicura di tutti perché la banca centrale non può mai fallire.

La funzione monetaria (che è di interesse pubblico) deve essere separata dalla funzione creditizia privata;

e il sistema dei pagamenti verrebbe gestito come bene pubblico da un istituto pubblico quale è la banca centrale.

 Le banche private continuerebbero ovviamente a fare credito ai loro clienti:

ma lo farebbero con i loro propri soldi e con quelli degli altri investitori che prestano loro dei denari, cioè a loro rischio e pericolo;

 ma non potrebbero più creare moneta a loro piacimento, provocando eccesso di debito e crisi.

Le banche commerciali funzionerebbero come intermediari, ovvero svolgerebbero il mestiere che tutti pensano – erroneamente – che oggi svolgano.

Nel mio saggio propongo che la moneta digitale pubblica debba essere emessa libera dal debito (debt-free);

e propongo che il nuovo sistema di “banconote digitali” non sia gestito dallo Stato e dai governi, e neppure dai tecnocrati alla Mario Draghi o alla Christine Lagarde che assecondano i mercati, ma dalla società civile.

In democrazia le banche centrali dovrebbero aprirsi al pubblico e essere governate dalle organizzazioni del lavoro, delle imprese e dei consumatori, cioè da chi è interessato alle politiche monetarie perché ne subisce direttamente le conseguenze.

Il sistema monetario è un bene comune e è troppo importante per essere lasciato solo nelle mani dei banchieri e dei tecnocrati.

 Non può neppure essere lasciata nelle mani dei governi e dei politici, che già controllano la spesa pubblica (circa il 40-50% del PIL).

 La concentrazione del potere in capo ai governi e allo Stato va evitata:

 i politici acquisterebbero un potere eccessivo e esagerato sulle banche, il credito e la società.

La moneta deve essere democratica e governata dalla società civile. Così finalmente il sistema monetario, che è un bene comune delle comunità nazionali, potrebbe soddisfare l’interesse collettivo.

Queste analisi e queste proposte possono apparire strane e eccentriche: in realtà il mio saggio sulla moneta intende offrire una visione alternativa ma del tutto realistica a questo fallimentare sistema monetario privatizzato che è alla base della finanziarizzazione dell’economia e delle crisi economiche.

Non è un saggio “contro le banche” ma spiega semplicemente come funziona nella realtà il sistema monetario, e quello bancario e finanziario.

Il mio libro nasce dal rapporto avuto con Luciano Gallino negli ultimi anni della sua vita e dai suoi studi sul sistema finanziario e monetario.

 È compito delle forze progressiste e di sinistra fare comprendere all’opinione pubblica la natura privatistica di un sistema che è finora rimasto avvolto per gran parte nel mistero e nell’ignoranza, a beneficio esclusivo della concentrazione della ricchezza monetaria nelle mani dell’1%.

Occorre una nuova moneta pubblica e democratica.   

 

 

 

 

 

Dare all'Ucraina missili da sparare

contro la Russia è una

dichiarazione di guerra.

Unz.com -  MIKE WHITNEY – (24 MAGGIO 2024) – ci dice:

 

Il deputato chiede attacchi diretti contro la Russia:

il presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, “Michael McCaul”, mostra una mappa dei potenziali obiettivi in Russia.

In un disperato tentativo di scongiurare un'umiliante sconfitta in Ucraina, "il segretario di Stato “Antony Blinken” avrebbe chiesto al presidente Biden di dare il via libera agli attacchi missilistici ucraini su obiettivi in profondità all'interno della Russia".

Il cambiamento di politica non avrà alcun impatto materiale sulla guerra di terra in corso in Ucraina, anche se potrebbe innescare una risposta che metterebbe la NATO in conflitto diretto con Mosca.

In breve, l'incombente sconfitta di Washington in Ucraina ha costretto i decisori dell'amministrazione ad attuare una strategia che potrebbe far precipitare una terza guerra mondiale.

 Questo è dal “New York Times”:

Dalle prime spedizioni americane di armi sofisticate all'Ucraina, il presidente Biden non ha mai vacillato su un divieto:

il presidente Volodymyr Zelensky ha dovuto accettare di non spararle mai in territorio russo, insistendo sul fatto che avrebbe violato il mandato di Biden di "evitare la terza guerra mondiale".

Ma il consenso intorno a questa politica si sta sfilacciando.

Spinto dal Dipartimento di Stato, c'è ora un vigoroso dibattito all'interno dell'amministrazione sull'allentamento del divieto per consentire agli ucraini di colpire i siti di lancio di missili e artiglieria appena oltre il confine con la Russia, obiettivi che secondo Zelensky hanno consentito le recenti conquiste territoriali di Mosca.

Per mesi, Zelensky ha organizzato attacchi contro navi, impianti petroliferi e centrali elettriche russe, ma lo ha fatto in gran parte con droni di fabbricazione ucraina, che non hanno la potenza e la velocità delle armi americane.

 Ora, sta aumentando la pressione sugli Stati Uniti per aiutare l'Ucraina a prendere di mira i siti militari russi,... con armi fornite dagli americani....

Gli Stati Uniti stanno ora valutando la possibilità di addestrare le truppe ucraine all'interno del paese, piuttosto che inviarle in un campo di addestramento in Germania.

Ciò richiederebbe l'invio di personale militare americano in Ucraina, un'altra cosa che Biden ha proibito fino ad ora.

 Solleva la questione di come gli Stati Uniti risponderebbero se gli addestratori, che probabilmente si troverebbero vicino alla città occidentale di Leopoli, venissero attaccati.

 I russi hanno periodicamente preso di mira Leopoli, anche se è lontana dalle principali aree di combattimento.

I russi... sono stati poco sottili nel giocare con le preoccupazioni americane su un'escalation della guerra.

 Questa settimana hanno iniziato esercitazioni molto pubbliche con le unità che sarebbero state coinvolte nell'uso di armi nucleari tattiche, del tipo che verrebbe utilizzato sulle truppe ucraine.

I notiziari russi hanno detto che si trattava di "una risposta a dichiarazioni provocatorie e minacce da parte di funzionari occidentali contro la Russia". …

Gli esercizi in corso... vengono liquidati come spacconate e flettere i muscoli....

Nella sua intervista al Times, Zelensky ha respinto i timori di un'escalation, affermando che il presidente russo Vladimir V. Putin ha già intensificato la guerra.

E pensava che fosse improbabile che Putin avrebbe mai tenuto fede alla sua minaccia di scatenare un'arma nucleare.

All'interno della Casa Bianca, un dibattito sul permettere all'Ucraina di sparare armi statunitensi in Russia, New York Times:

Non usiamo mezzi termini:

gli attacchi missilistici sul territorio russo sono un flagrante atto di aggressione contro la Federazione Russa.

È un'aperta dichiarazione di guerra.

 L'amministrazione Biden si sta impegnando in una politica che metterà gli Stati Uniti contro la Russia in una guerra tra due superpotenze nucleari.

 

Perché? Perché Biden lo sta facendo?

Lo sta facendo perché gli Stati Uniti sono fortemente coinvolti nell'esito della guerra in Ucraina, e l'Ucraina sta perdendo la guerra piuttosto male.

Ecco un breve riassunto del veterano di combattimento e analista militare colonnello “Daniel Davis”:

Fidatevi di me quando vi dico che non c'è alcuna possibilità che l'Ucraina abbia mai successo in una guerra contro la Russia.

Non c'è strada per la vittoria militare per l'Ucraina.

Punto.

Non importa se diamo loro 60 miliardi di dollari o 120 miliardi di dollari o 200 miliardi di dollari.

Non cambierà nulla, perché le fondamenta su cui è costruita la potenza combattiva a livello nazionale sono irrevocabilmente dalla parte della Russia.

 Non si può invertire la marea perché non si possono cambiare le basi.

 

La potenza aerea è dalla parte della Russia, la difesa aerea è dalla parte della Russia, il potenziale militare-industriale è dalla parte della Russia, consentendo la produzione di una grande quantità di artiglieria, munizioni, armi stesse, droni, attrezzature per la guerra elettronica e, soprattutto, le persone sono tutte dalla parte della Russia.

La Russia ha più persone e avrà sempre più persone...

A mio parere, è irragionevole continuare a sperare che la parte ucraina sia in grado di vincere se diamo solo un po' più di soldi, perché non funzionerà... L'UCRAINA NON VINCERÀ MAI...

Punto.

Tenente colonnello dell'esercito americano in pensione Daniel Davis: Ho oltre 20 anni di esperienza di combattimento militare.

(Daniel Davis).

Non sorprende che le opinioni di Davis siano condivise dalla stragrande maggioranza degli esperti militari che hanno seguito da vicino gli eventi sul campo.

 La valutazione complessiva di questi esperti è invariabilmente la stessa:

 l'Ucraina sta perdendo, e sta perdendo malamente.

 Non ci sarà alcuna inversione di tendenza perché, in ogni area della capacità di combattimento, la Russia ha un chiaro vantaggio.

L'Ucraina non ha la potenza di fuoco, gli aerei, i carri armati, i veicoli corazzati, i missili, l'artiglieria pesante, i sistemi di difesa aerea, le munizioni, la capacità industriale o la manodopera per far arretrare l'esercito russo o anche solo per fermare la persistente offensiva russa.

 In poche parole, l'Ucraina non può e non vuole vincere.

 E questo non è solo il punto di vista di uomini come “Davis” che pensano che i combattimenti dovrebbero cessare immediatamente.

 È anche il punto di vista delle “élite globaliste”, come” Richard Haass”, che pensano che la guerra dovrebbe essere prolungata.

“Haass” è il presidente emerito del prestigioso “Council On Foreign Relations”, e le sue opinioni sull'Ucraina sono probabilmente condivise da un'ampia sezione trasversale di “ricche élite” che pensano che ci sia qualcosa da guadagnare trascinando il conflitto per un altro anno o giù di lì.

 Date un'occhiata a questo estratto da un recente articolo di “Haas” e vedete se riuscite a individuare le somiglianze tra la sua analisi e quella di “Davis”:

. .. cosa dovrebbero cercare di ottenere l'Ucraina e i suoi sostenitori in Occidente? Che cosa dovrebbe costituire il successo?

Alcuni rispondono che il successo dovrebbe essere definito come il recupero di tutto il territorio perduto da parte dell'Ucraina, per ristabilire i confini del 1991. Sarebbe un grave errore.

Non fraintendetemi:

ristabilire confini legittimi e legali sarebbe altamente auspicabile, dimostrando che l'aggressione non è accettabile.

Ma la politica estera deve essere fattibile oltre che auspicabile, e l'Ucraina semplicemente non è in grado di liberare la Crimea e le sue regioni orientali attraverso la forza militare.

La matematica è inevitabile.

 La Russia ha troppi soldati e un'economia di guerra in grado di produrre grandi quantità di armi e munizioni.

 Nonostante le sanzioni, la Russia è stata in grado di aumentare la sua base militare-industriale e ha accesso ad armi e munizioni prodotte in Iran e Corea del Nord e a prodotti e tecnologie cinesi che contribuiscono allo sforzo bellico del Cremlino.

Un altro fattore che milita contro uno sforzo ucraino per riconquistare le sue terre con la forza è che le operazioni offensive tendono a richiedere molto di più in termini di manodopera, equipaggiamento e munizioni rispetto agli sforzi difensivi. Ciò è particolarmente vero quando le difese hanno avuto la possibilità di costruire fortificazioni, come ha fatto la Russia in gran parte del territorio ucraino che occupa. Perché organizzare un'altra controffensiva nel 2025 sarebbe un errore, “Novaya Gazeta”.

Quindi,” Haass” ammette apertamente che la guerra è una discrepanza e che l'Ucraina non può ragionevolmente aspettarsi di riconquistare il territorio che ha perso.

Ammette che "la Russia ha troppi soldati" (manodopera illimitata), "un'economia di guerra in grado di produrre grandi quantità di armi e munizioni" (capacità industriale illimitata) e "la Russia... ha accesso ad armi e munizioni... che contribuiscono allo sforzo bellico del Cremlino".

 (Produzione illimitata di armi) In breve, l'analisi di “Haass” è identica a quella di “Davis”.

Entrambi concordano sui fondamentali, cioè che l'Ucraina non può e non vincerà.

Ma poi l'articolo prende una piega insolita, in cui “Haass” trae inspiegabilmente dalla sua analisi le conclusioni esattamente opposte a quelle di Davis”.

Si tratta di un sorprendente gioco di prestigio retorico che farebbe invidia a “Svengali.

Ecco cosa dice dopo aver elencato i numerosi motivi per cui l'Ucraina non vincerà la guerra:

"Alcuni rispondono che il successo dovrebbe essere definito come il recupero di tutto il territorio perduto da parte dell'Ucraina, per ristabilire i confini del 1991. Sarebbe un grave errore".

Pensateci per un minuto.

Quindi, secondo “Haass”, vincere la guerra non significa più vincere la guerra.

Non significa riconquistare il territorio conquistato, non significa espellere i russi dall'Ucraina orientale e non significa prevalere nella guerra di terra.

 Significa "cosa" esattamente?

“Haass” spiega:

"Quale strategia... L'Ucraina e i suoi sostenitori dovrebbero perseguire?

 In primo luogo, l'Ucraina dovrebbe enfatizzare la difensiva, un approccio che le consentirebbe di gestire le sue risorse limitate e frustrare la Russia.

In secondo luogo, all'Ucraina dovrebbero essere dati i mezzi – capacità di attacco a lungo raggio – e la libertà di attaccare le forze russe ovunque in Ucraina, così come le navi da guerra russe nel Mar Nero e gli obiettivi economici all'interno della stessa Russia.

 La Russia deve arrivare a sentire il costo di una guerra che ha iniziato e prolungato.

In terzo luogo, i sostenitori dell'Ucraina devono impegnarsi a fornire aiuti militari a lungo termine.

 L'obiettivo di tutto quanto sopra è quello di segnalare a Vladimir Putin che il tempo non è dalla parte della Russia e che non può sperare di sopravvivere all'Ucraina.

Perché organizzare un'altra controffensiva nel 2025 sarebbe un errore, “Novaya Gazeta”

 

Quindi, questa è la nuova strategia? Questo è il piano B?

Sì, a quanto pare. E guardate cosa comporta il Piano B:

 

Rannicchiati in una postura difensiva.

Usare "capacità di attacco a lungo raggio" per attaccare obiettivi in Russia (è qui che Blinken ha avuto l'idea?)

Pompare altri miliardi nel "buco nero" ucraino per prolungare una guerra che non può essere vinta.

In breve, provocare, tormentare e infliggere più dolore possibile alla Russia per tutto il tempo necessario.

Finché cosa ci vuole?

Cosa significa?

“Haass” spiega anche questo:

Un cessate il fuoco provvisorio quasi certamente non porterebbe a nulla di simile alla pace, che probabilmente dovrà aspettare l'arrivo di una leadership russa che scelga di porre fine allo status di paria del paese.

 Questo potrebbe non accadere per anni o decenni.

Oh, quindi il vero obiettivo è il cambio di regime. Che sorpresa!

Non si tratta solo di "spostare i pali della porta" (cambiando la definizione di "vincere" una guerra).

 Questa è una rivelazione dell'agenda dell'élite, che guarda oltre la fatua propaganda sull'"aggressione non provocata" e si concentra interamente sulla geopolitica, la forza trainante delle relazioni internazionali.

Nella mente di “Haass”, l'Ucraina non è un campo di battaglia su cui i patrioti ucraini e russi sacrificano le loro vite per i loro paesi.

No.

Nella mente di”Haass”, l'Ucraina è la porta d'accesso all'Asia centrale, che dovrebbe essere la regione più prospera del prossimo secolo.

 I plutocrati occidentali intendono essere i principali attori nello sviluppo dell'Asia centrale, ed è per questo che stanno cercando di rimuovere il più grande ostacolo alla penetrazione occidentale, che è la Russia.

Una volta che la Russia sarà stata indebolita e arretrata, Washington sarà libera di diffondere le sue basi militari in tutta l'Eurasia, gettando le basi per contenere la rivale Cina attraverso provocazioni, accerchiamenti e strangolamento economico.

Questo è il motivo per cui la definizione di "successo" di “Haass” è più flessibile di quella della gente comune che valuta queste questioni in termini di enorme sofferenza umana che causano.

Nella visione globalista, queste cose sono solo di secondaria importanza.

 Ciò che conta davvero è il potere; potere geopolitico sotto forma di egemonia globale.

Questo è l'obiettivo strategico finale.

Non importa nient'altro.

 

Ed è per questo che l'amministrazione “Biden” sta per approvare l'uso di armi d'attacco a lungo raggio di fabbricazione americana per distruggere obiettivi sul territorio russo.

Perché, anche se non aumenta le possibilità dell'Ucraina di vincere la guerra, aiuta a far avanzare l'agenda geopolitica globalista che considera l'Ucraina come un mero trampolino di lancio per lanciare attacchi contro la Russia.

Le élite sono così ubriache di arroganza che si sono convinte che Putin non vedrà questi attacchi missilistici sul territorio russo come una dichiarazione di guerra.

E lo sono.    

 

Il paleo conservatorismo ha vinto

il dibattito metapolitico,

poi il potere politico.

Unz.com - HUNTER WALLACE – (20 MAGGIO 2024) – ci dice:

 

L'editore di “VDARE.com” “Peter Brimelow” scrive:

Stiamo ancora una volta pubblicando in modo incrociato i “Hunter Wallace”, questa volta il suo potente discorso ai 20esimo Celebrazione dell'anniversario di James Edwards” Il programma radiofonico” Political Cesspool”.

Wallace molto gentilmente dà a me, al grande “Pat Buchanan” e a molti altri scrittori” VDARE.com” il merito di averlo ispirato e informato politicamente negli ultimi quasi 25 anni (!)

Celebra anche il fatto che, nonostante l'establishment corrotto del Partito Repubblicano, i numerosi guardiani auto-nominati, il colpo di stato comunista in corso, i complotti del Deep State e, nel caso di” VDARE.com”, la legge senza scrupoli del procuratore generale di New York “Letitia James”, le nostre idee stanno vincendo con la base repubblicana (alias l'America).

 

Abbiamo aggiunto molti link al discorso di Wallace” – pronunciandolo ad alta voce, ovviamente non ne aveva bisogno – e questo include i link alla dozzina di sondaggi che cita che mostrano che gli americani stanno iniziando a vedere cosa sta succedendo.

“Hunter Wallace”: Questa mattina ho pronunciato il seguente discorso alla Conferenza per il 20° anniversario del pozzo nero politico.

Oggi voglio parlarvi di un paradosso.

A livello di metapolitica, che è il regno delle idee, dei valori e delle priorità, sembra che tutto sia cambiato a destra.

 A livello politico, invece, non è cambiato molto.

Continuiamo ad essere amaramente delusi.

Siamo come “Charlie Brown” che cerca di calciare il pallone che Lucy tira sempre via all'ultimo minuto.

Le vittorie politiche sembrano sempre all'orizzonte.

 

Sono politicamente attivo dal 2000.

Comincerò da lì perché la mia coscienza politica risale solo a circa 24 anni fa, all'alba del nuovo millennio.

Avevo 20 anni e frequentavo il secondo anno alla “Auburn University” in Alabama. Ero sempre più preoccupato per le questioni razziali come l'immigrazione clandestina e l'”affirmative action”.

 Ho votato per la prima volta alle elezioni presidenziali del 2000.

Ho votato per Al Gore perché non mi piaceva George W. Bush.

Non è stato un voto ideologico.

Avevo un'antipatia istintiva per quell'uomo.

Come molti di voi ricorderanno, “Pat Buchanan” si candidò alla presidenza nel 2000 con il “Reform Party”.

 Ha sconfitto Donald Trump alle primarie e ha ottenuto 450.000 voti alle elezioni generali.

Alcuni di voi probabilmente facevano parte di quello 0,4% di americani che hanno votato per lui.

Ho sentito parlare per la prima volta di Pat Buchanan durante il riconteggio in Florida, quando i voti per lui sul famigerato "ballottaggio a farfalla" nella contea di Palm Beach, in Florida, sono costati ad Al Gore la presidenza.

Ero troppo giovane per ricordare le sue campagne presidenziali negli anni '90.

Col senno di poi, gli anni intorno al 2000 sono stati l'inverno del paleo conservatorismo e la stagione estiva del dominio neoconservatore della destra.

 La National Review, il Weekly Standard e il Commentary, che erano tutti controllati da neoconservatori di prima e seconda generazione, definivano i confini della rispettabile destra di spirito.

 FOX News, anch'essa controllata dai neoconservatori e dominata da cattolici irlandesi come” Bill O'Reilly” e “Sean Hannity”, ha definito la destra di basso livello.

La destra religiosa era dominata dai sionisti cristiani e dai neoconservatori come Richard John Neuhaus.

“ Pat Buchanan”, che era stato diffamato come antisemita da “William F. Buckley”, aveva lasciato il Partito Repubblicano e aveva portato il Partito Riformista nell'oblio.

“Sam Francis”, che era stato licenziato dal” Washington Times” per le osservazioni fatte alla conferenza “American Renaissance” del 1994, ha pubblicato il Citizens Informer ai margini della destra.

Sia Buchanan che Francis sono stati pubblicati da “VDARE”, fondata da “Peter Brimelow” nel 1999.

Non ricordo molto dei giorni di gloria dell'era Reagan durante la Guerra Fredda, quando gli Stati Uniti trionfarono sull'Impero del Male e cadde il Muro di Berlino. Ha coinciso con la mia infanzia.

Non ricordo nemmeno “William F. Buckley”.

 Questo è importante perché ora sono di mezza età e nessuno più giovane di me ricorda nemmeno questa volta.

Le mie influenze formative nella giovane età adulta negli anni 2000 sono state George W. Bush e l'11 settembre, la guerra in Iraq e il crollo del 2008.

 Ho anche sviluppato le mie opinioni interagendo con persone che la pensano allo stesso modo su Internet, non guardando la televisione.

All'inizio degli anni 2000, la destra tradizionale era ancora schiava della sua visione del reaganismo, che sembrava diventare più ambiziosa solo dopo che lo stesso Reagan aveva lasciato la scena politica.

La destra mainstream era a favore della guerra, dell'immigrazione e della globalizzazione.

 Era "ottimista" sul futuro dell'America.

Ha sostenuto l'amnistia per gli stranieri illegali e il libero scambio globale.

 Il nazionalismo e il populismo sono stati stigmatizzati a destra.

 Il "razzismo" era fortemente tabù. L'antisemitismo è stato verboten. Protezionismo era una parolaccia.

 Il vero conservatorismo è stato definito come liberalismo classico.

 L'SPLC e l'ADL erano considerate rispettate organizzazioni di "controllo".

Era un partito in cui “John McCain” era considerato un "anticonformista" e il principale rivale dell'establishment.

Gran parte dell'energia della destra in quel momento era concentrata sulla "fine del male" e sulla "fine della tirannia" nel mondo, esportando la democrazia e il liberalismo in Medio Oriente.

Quelli di noi che si sono ribellati a questa gloriosa visione e che si sono identificati con i suoi critici hanno sviluppato un acuto senso di emarginazione.

Gli identitari bianchi, i paleoconservatori, i populisti di destra e i libertari hanno sempre fatto parte della coalizione repubblicana.

Eravamo partner junior però.

I valori e le priorità dell'establishment repubblicano e la sua base demografica tra gli elettori bianchi istruiti al college nei sobborghi erano molto diversi.

 Il movimento conservatore ha inteso la propria coalizione come uno "sgabello a tre gambe" di conservatori sociali (la destra religiosa), falchi della difesa (neocon) e conservatori fiscali (sostenitori del libero mercato).

Negli anni 2000 la realtà della coalizione repubblicana stava diventando più complessa di questa antiquata immagine di sé.

C'erano milioni di elettori bianchi scontenti che rifiutavano la sinistra e di solito votavano repubblicano, ma che erano disallineati con la destra tradizionale per varie ragioni, soprattutto a causa della sua stupida ideologia che era ancora una reazione all'era del New Deal.

I conservatori tradizionali avevano “FOX News” e il “Wall Street Journal”, la “National Review” e il “Washington Times,” “Rush Limbaugh “e “Michael Savage”.

Avevano guardiani in tutte le istituzioni che sorvegliavano per tenere fuori i "razzisti".

A quei tempi c'era anche “Tucker Carlson”. Al contrario, abbiamo avuto “Pat Buchanan” in esilio su “MSNBC”.

 Avevamo il nostro arcipelago alternativo di web zine, forum, podcast e blog su internet.

Abbiamo anche avuto la sezione commenti ... Ve li ricordate?

Questi siti web sono esplosi di numero negli anni 2000 e sono stati il semenzaio della nostra controcultura dissidente di destra.

Abbiamo discusso e dibattuto tutte le questioni tabù.

Abbiamo letto tutti gli esperti che sono stati epurati dal conservatorismo rispettabile come “Joe Sobran” e “John Derbyshire”.

Questa "conversazione nazionale" è stata portata avanti in modo clandestino e si è svolta al di fuori dei canali tradizionali.

 Non ha attirato molta attenzione fino a quando il consenso che si è gradualmente sviluppato da esso è diventato noto negli anni 2010 come "alt-right".

 

Nel mio caso, tutto è iniziato con la scoperta di “Stormfront” nel 2001 e la lettura del libro di “Pat Buchanan” “The Death of The West”, che parlava del declino culturale occidentale e della “Grande Sostituzione”.

“ Pat Buchanan” ha pubblicato in quegli anni un fiume di libri e rubriche: Il grande tradimento (1998), Una repubblica, non un impero (1999), La morte dell'Occidente (2002), Dove la destra è andata male (2004), Stato di emergenza (2006), Il giorno della resa dei conti (2007), Il suicidio di una superpotenza (2011).

Ho letto anche Alien Nation (1995) di Peter Brimelow e The Path to National Suicide (1991) di Lawrence Auster.

 Ho letto La curva a campana (1994) di Richard Herrnstein e Charles Murray. Ho letto Paved With Good Intentions (1992) di Jared Taylor. Ho letto The Culture of Critique (1998) del Dr. Kevin MacDonald e My Awakening (1998) di David Duke.

Ho divorato le rubriche di Sam Francis, Steve Sailer e Paul Gottfried su VDARE e Chronicles.

 Ho ascoltato il programma radiofonico del Dr. William Pierce.

Ho letto Justin Raimondo su Antiwar.com.

Leggevo i paleolibertari su LewRockwell.com.

Col senno di poi, ho assorbito la mia politica da “Pat Buchanan” e da altri uomini più anziani nella sfera paleoconservatrice/paleolibertaria/identitaria bianca.

 In particolare, ricordo che Buchanan diceva tutto ciò che c'era davvero da dire su questioni che andavano dallo sradicamento al cambiamento demografico, al declino religioso e culturale dell'Occidente, al liberalismo, all'Impero americano, al potere della lobby israeliana al Congresso.

È tutto lì.

 Buchanan ha anche scritto il libro definitivo sulla Seconda Guerra Mondiale – “Churchill, Hitler e La guerra inutile” – che è stato pubblicato nel 2008.

Le questioni relative all'identità nazionale sono diventate per noi le questioni salienti.

Capimmo che il resto della nostra vita sarebbe stato caratterizzato da un'epoca tumultuosa di cambiamenti razziali e culturali.

 I liberali conservatori tradizionali non riuscivano a immaginare un mondo in cui qualcuno sarebbe stato disturbato da questo.

Tutto si sarebbe risolto una volta che le dimensioni del governo fossero state ridotte.

Sono passati quasi 25 anni. Questa è un'intera fase della vita.

Ero un giovane adulto nel 2001.

 Sono un uomo di mezza età con due figli nel 2024.

Mi vengono i capelli grigi. Una generazione sotto di me ha raggiunto l'età adulta. La generazione dei miei nonni è morta.

Ora viviamo in un mondo in cui tutti coloro che hanno meno di 45 anni sono cresciuti su Internet.

Pubblichiamo su Internet da un quarto di secolo, leggiamo e condividiamo articoli, commentiamo articoli, produciamo e ascoltiamo podcast, produciamo e guardiamo video, ospitiamo e partecipiamo a conferenze come questa.

Lo sviluppo dei social media ha essenzialmente gettato benzina sulla conversazione che stavamo già avendo online.

 Internet è stato relativamente gratuito fino al 2017.

I poteri forti non hanno colto il significato di ciò che stava accadendo fino a quando “Hillary Clinton” non ha perso le elezioni del 2016.

Ecco alcuni numeri che nel 2004 avrei trovato troppo ottimistici:

In un recente sondaggio Marist dell'aprile 2024, l'84% degli elettori repubblicani ha sostenuto l'espulsione di TUTTI gli stranieri illegali.

 Il 77% considera il razzismo anti-bianco problematico quanto il razzismo anti-nero. Il 65% pensa che l'immigrazione sia negativa per l'economia.

 Il 77% ha dichiarato di ritenere che l'America sia troppo politicamente corretta.

 Il 56% desidera un leader forte che infranga le regole per sistemare le cose.

Il 28% crede che potrebbe anche dover ricorrere alla violenza per risolvere il problema.

 Il sondaggio ha rilevato che l'opposizione all'immigrazione clandestina, il politicamente corretto e il razzismo anti-bianco sono stati i temi più galvanizzanti e unificanti per gli elettori repubblicani.

In un recente sondaggio del “Chicago Council on Global Affairs” del maggio 2024, l'86% dei repubblicani ha dato priorità al controllo e alla riduzione dell'immigrazione come importante obiettivo politico.

L'89% è favorevole all'aumento delle espulsioni.

L'87% è favorevole all'espansione del muro di confine con il Messico.

L'85% voleva penalizzare le imprese che assumono clandestini.

 Solo il 33% è favorevole a un percorso verso la cittadinanza per gli stranieri illegali.

In un recente sondaggio Gallup dell'aprile 2024, il 27% degli americani ha scelto l'immigrazione come il problema più importante.

 Questa è la prima volta nella storia del sondaggio Gallup che l'immigrazione non solo è stata la questione più importante, ma è rimasta lì negli ultimi tre mesi.

In un recente sondaggio di “U Mass Amherst”, il 60% dei repubblicani ha dichiarato di ritenere che l'America sia in pericolo di perdere la propria identità.

 Il 66% crede che la “Grande Sostituzione” stia avvenendo.

Diversi sondaggi su questo tema hanno dimostrato che gli americani lo capiscono in termini di cambiamento demografico razziale e culturale.

Nel più recente sondaggio sui valori americani del “PRRI”, il 52% dei repubblicani ha affermato di credere che Dio volesse che l'America fosse una terra promessa per i cristiani europei.

 Il 72% pensa che l'America sia diventata troppo morbida e femminile.

 Il 55% vede gli immigrati come invasori.

Il 69% vede gli immigrati come una minaccia per i costumi e i valori americani.

Solo il 30% crede che la "supremazia bianca" sia ancora un problema.

In un recente sondaggio del “Chicago Council on Global Affair”s, il 53% degli elettori repubblicani voleva che l'America rimanesse fuori dagli affari mondiali.

Questa è la prima volta nella storia dell'indagine che si preferisce rimanere fuori dagli affari mondiali piuttosto che prendere parte attiva agli affari mondiali.

Negli anni 2000, solo il 27% degli elettori repubblicani in media voleva rimanere fuori dagli affari mondiali.

Nell'ultimo sondaggio “New York Times/Siena”, il 69% degli americani voleva grandi cambiamenti al sistema o abbatterlo del tutto.

In un sondaggio di “CBS News”, l'81% degli elettori delle primarie repubblicane ha dichiarato di essere d'accordo con Trump sul fatto che gli immigrati stanno "avvelenando il sangue" del paese.

In un recente sondaggio “Gallup”, solo il 17% degli elettori repubblicani è soddisfatto del modo in cui funziona la nostra democrazia, in calo rispetto al 67% del 1998.

In un recente sondaggio “American Compass”, il 77% degli elettori repubblicani ha sostenuto i dazi per aumentare la produzione americana.

Il 78% ha sostenuto il sostegno governativo allo sviluppo di tecnologie avanzate come i semiconduttori.

Il 57% pensa che gli investitori di Wall Street stiano indebolendo la nostra economia.

 Il 41% degli elettori repubblicani ha addirittura un'opinione positiva dei sindacati.

In un recente sondaggio pubblicato in un articolo del “Jerusalem Post”, quasi la metà (42,4%) dei giovani cristiani evangelici sotto i 30 anni ha dichiarato di non sostenere né Israele né i palestinesi.

 Dal 2018 c'è stato un crollo del 50% del sostegno a Israele tra i giovani evangelici.

In un recente sondaggio Gallup, il 30% degli elettori repubblicani disapprova le azioni militari israeliane a Gaza.

 Un recente sondaggio “Pew ha rilevato che il 26% degli elettori repubblicani si oppone agli aiuti militari a Israele.

 Un recente sondaggio Reuters/Ipsos ha rilevato che il 34% dei repubblicani è meno propenso a sostenere candidati che sostengono gli aiuti militari a Israele.

 Il sostegno a Israele è fortemente legato all'età.

In generale, l'opinione pubblica di destra sta andando nella giusta direzione su quasi tutte le nostre questioni chiave.

 Le questioni identitarie sono ora la forza animatrice della coalizione repubblicana. Viviamo in un mondo in cui” Rich Lowr”y pubblica libri come “The Case for Nationalism” e scrive articoli come "Yes, Fight Anti-White Racism" e in cui l'immigrazione è la questione più importante.

“Yoram Hazony” ospita la conferenza sul conservatorismo nazionale.

Anche i nostri nemici tradizionali ora vogliono essere percepiti come nazionalisti.

Questi sentimenti si sono fatti strada anche nella retorica ufficiale della campagna elettorale.

Donald Trump si candiderà nel 2024 per espellere tutti gli stranieri illegali, costruire il muro di confine, porre fine al nostro coinvolgimento nelle guerre all'estero, promulgare enormi dazi sulle merci cinesi (Joe Biden lo ha già battuto), smantellare lo Stato profondo, porre fine alla discriminazione anti-bianca e così via.

Se Trump riuscirà effettivamente a portare a termine uno di questi lodevoli obiettivi è una questione a parte.

Sta facendo il suo discorso a un pubblico che vuole queste cose.

È una cosa che volevamo 20 anni fa, quando la maggior parte dei repubblicani applaudiva come sigilli il “Patriot Act” e sosteneva l'invasione dell'Iraq.

Anche l'esercito degli Stati Uniti è ora sospetto a destra.

Sei anni fa, le élite evangeliche sveglie della “Southern Baptist Convention” come “Dwight McKissic” e “Russell Moor”e hanno montato una campagna per far cacciare il mio amico “James Edwards “dalla sua chiesa.

La” Southern Baptist Convention “ha condannato l'alt-right.

Oggi, tutte le chiese cristiane, compresa la mia – il Sinodo della Chiesa luterana del Missouri – si stanno dividendo sulla crescente influenza della destra dissidente e del nazionalismo cristiano.

Le grandi élite di “Eva” come “Russell Moore” e “Beth Moore” sono state estromesse da posizioni di influenza.

 La “Chiesa Presbiteriana” in America ha recentemente cancellato un panel che presentava “David French” a causa di una travolgente reazione online.

 Ad aprile, la famiglia francese ha abbandonato l'APC dopo aver accusato la loro ultima chiesa di essere "piena di neo-confederati" che li hanno ripetutamente affrontati al tavolo della comunione.

Più della metà dei repubblicani del Sud ora sostiene un divorzio nazionale.

Sono tutti numeri molto incoraggianti.

Che si tratti del nazionalismo cristiano bianco, di un divorzio nazionale, della crescita del nazionalismo e del populismo nella destra americana, dell'opposizione al globalismo, del sostegno alla politica industriale, dell'opposizione esplicita all'anti-bianchesimo, del desiderio di deportare tutti gli stranieri illegali e tagliare l'immigrazione legale, dello scetticismo sul nostro più grande alleato Israele, della preoccupazione per il declino culturale o del desiderio di rimanere fuori dalle guerre straniere, la gente comune ha ricevuto il messaggio.

Sta risonando.

Persino “Charlie Kirk” può essere trovato a criticare “MLK” in questi giorni.

Nonostante tutte queste buone notizie, che sono benvenute e attese da tempo, il problema è che c'è ancora molto lavoro da fare.

Nulla di ciò che vogliamo sta realmente accadendo, nonostante la crescita del sostegno pubblico.

 Invece, il Congresso ha recentemente votato per spendere 95 miliardi di dollari per sostenere le guerre in Israele e Ucraina.

L'immigrazione clandestina è attualmente ai massimi storici.

La discriminazione e l'odio contro i bianchi nell'istruzione non sono mai stati così intensi.

 Lo Stato Profondo non è mai stato così fuori controllo.

 Donald Trump è attualmente sotto processo a New York.

I monumenti confederati e altri monumenti storici come le statue di Cristoforo Colombo sono stati abbattuti per anni.

Nel frattempo, i repubblicani della Camera hanno finanziato un nuovo edificio dell'FBI, rinnovato e ampliato la sorveglianza governativa e hanno tenuto oltre 20 votazioni separate su Israele e l'antisemitismo negli ultimi due mesi.

Ci è stato detto che gli studenti ebrei nei campus della” Ivy League” stanno affrontando l'equivalente del Sud di “Jim Crow” e della “Germania nazista”.

La Camera Repubblicana ha recentemente approvato l' “Antisemitism Awareness Act” e l'  “Israel Security Assistance Support Act”, che toglierebbero i fondi al nostro Dipartimento della Difesa fino a quando Israele non otterrà gli aiuti militari che hanno recentemente approvato il Congresso.

Non è esagerato dire che l'”Amen Corner” di Israele a Capitol Hill incombe come un problema più grande che mai.

 Ha dirottato l'agenda legislativa.

Nessun'altra questione che la nazione deve affrontare riceve un'attenzione adeguata.

La vittoria per noi sembra così vicina e allo stesso tempo ancora così lontana perché è così difficile immaginare che i nostri attuali rappresentanti spendano il loro capitale politico per affrontare uno qualsiasi dei nostri problemi.

 Anche se Donald Trump vincesse le elezioni del 2024, c'è da chiedersi:

 questo avvantaggerà noi o principalmente Israele?

Abbiamo fatto molta strada negli ultimi 25 anni.

 La battaglia metapolitica sta per essere vinta.

La sfida dei prossimi 20 anni sarà capire come tradurre queste conquiste metapolitiche in potere politico tangibile e vittorie politiche effettive.

Grazie.

(Hunter Wallace scrive per “Occidental Dissent.”)

 

 

 

 

 

Perché nessuno si preoccupa del fatto

che la Russia stia facendo esercitazioni

nucleari al confine con l'Ucraina?

Unz.com - ANDREW ANGLIN – (22 MAGGIO 2024) ci dice:

 

L'Occidente ha chiarito che è assolutamente disposto a rischiare una guerra nucleare nel tentativo di dominare l'ex Ucraina orientale.

La situazione attira l'attenzione sul fatto che le persone che governano il mondo occidentale non sono semplicemente diaboliche, ma anche inconcepibilmente stupide.

È stato detto un milione di volte, ma non c'è alcuna rilevanza strategica per l'Occidente per l'Ucraina orientale.

 È estremamente rilevante per i russi, naturalmente, ed è per questo che gli americani erano interessati ad esso.

Stavano tentando di usare il conflitto in Ucraina per causare il collasso dello stato russo.

Il problema, tuttavia, è che questo non ha funzionato. Lo Stato russo non è crollato.

 

Ora c'è una seria confusione su quale sia effettivamente lo scopo della guerra.

È chiaramente impossibile che l'Ucraina vinca. Nessuno fa più questa affermazione.

 Invece, l'Occidente sta parlando di un'escalation verso una sorta di situazione nucleare.

Nessuno ha idea di quale sia la logica di tutto questo.

Tutto quello che possiamo fare è osservare le loro azioni.

 Le loro dichiarazioni non significano nulla.

Non pretenderei di sapere cosa stia realmente succedendo.

Ma la cosa sembra funzionare sull'inerzia.

C'è:

Corruzione massiccia negli Stati Uniti e in Ucraina.

L'odio ebraico per la Russia.

Lobbismo dell'industria degli armamenti.

L'ossessione della leadership della NATO per la guerra.

Il desiderio degli Stati Uniti di indebolire l'Europa.

Una politica americana generale di essere sempre in guerra con qualcuno.

Costi irrecuperabili.

Veri pazzi che vogliono passare a una guerra mondiale e/o credono che la Russia stia tentando di ristabilire una versione cristiana dell'Unione Sovietica.

Non sembra esserci alcuna logica di base.

Si tratta solo di questi diversi fattori.

In gran parte si tratta dello stesso genere di cose che hanno tenuto gli Stati Uniti coinvolti in Afghanistan per così tanto tempo.

 È solo che in Afghanistan la posta in gioco era praticamente zero.

Nella situazione in Ucraina, la posta in gioco è potenzialmente una guerra nucleare, che potrebbe uccidere miliardi di persone.

NOTA: Non credo alle sciocchezze sull'inverno nucleare e non sono convinto che tutte le bombe nucleari verrebbero sparate.

Di recente ho visto parte di un'intervista con quel mulatto del Regno Unito e una donna che ha scritto un libro sulla guerra nucleare.

Era piuttosto noioso.

Fondamentalmente propaganda degli anni '80.

 Tutti sparerebbero davvero tutte le bombe nucleari se ne venisse sparata una?

Ne dubito seriamente. E anche se lo facessero, l'intera faccenda dell'"inverno nucleare" non è nemmeno reale.

In un atto di puro masochismo, ho recentemente riletto "The Road" del mio scrittore preferito di tutti i tempi, “Cormac McCarthy”.

(Sono sarcastico. McCarthy è il peggior scrittore e una piaga di livello Biden sulla corsa irlandese).

Questo genere di cose è semplicemente sciocco.

 Una guerra nucleare sarebbe probabilmente una buona cosa.

Ma non credo che chi è al comando voglia davvero una guerra nucleare.

 Ancora una volta, non lo sappiamo.

Non sappiamo nemmeno chi comanda.

A quanto pare, si tratta di “Antony Blinken”, “Jake Sullivan” e poi, secondariamente, alcune persone come “David Cameron” e “Boris Johnson”. Sembra avere senso che queste persone siano al comando, e sono solo molto stupide.

Per essere chiari, "arma nucleare tattica" è un gergo che significa fondamentalmente una piccola bomba.

Gli Stati Uniti hanno detto che se la Russia colpisse l'Ucraina con una bomba del genere, non bombarderebbero la Russia, ma farebbero saltare in aria l'intera marina.

Questo è ciò che ha detto “David Petraeus”, almeno, e sembrava che stesse parlando in veste semi-ufficiale, una sorta di portavoce del ruolo.

Questo è successo quasi due anni fa, ma non sono a conoscenza di nessun'altra dichiarazione fatta da un funzionario competente su come gli Stati Uniti avrebbero risposto se una tale bomba atomica fosse stata usata in Ucraina.

 

Questa affermazione di “Petraeus” è priva di senso, tuttavia, poiché se la NATO attaccasse la Russia nella misura da lui suggerita, la Russia inizierebbe a sparare vere armi nucleari contro le città europee e presumibilmente americane.

Fondamentalmente, se la Russia usasse una piccola bomba atomica in Ucraina, la NATO dovrebbe iniziare una guerra nucleare o semplicemente non fare nulla, forse inviare alcune forze NATO in Ucraina, il che innescherebbe effettivamente una serie di eventi che porterebbero la Russia a sparare armi nucleari serie.

Detto questo, anche se la Russia sta attualmente facendo esercitazioni "nucleari tattiche" al confine con l'Ucraina, non è chiaro se l'Ucraina sia l'obiettivo che sta potenzialmente minacciando.

Il “Guardian”:

Le forze russe hanno iniziato esercitazioni militari vicino all'Ucraina simulando l'uso di armi nucleari tattiche in risposta a ciò che Mosca ritiene minacce da parte di funzionari occidentali su un maggiore coinvolgimento nel conflitto.

Vladimir Putin ha ordinato le esercitazioni all'inizio di questo mese in una mossa che i funzionari russi hanno detto essere un avvertimento all'Occidente a non intensificare ulteriormente le tensioni.

Il Cremlino è stato particolarmente irritato dal presidente francese, Emmanuel Macron, che ha ventilato la possibilità di inviare truppe europee per combattere la Russia in Ucraina, e dalle osservazioni del ministro degli Esteri britannico, David Cameron, che ha affermato che l'Ucraina ha il diritto di utilizzare armi fornite da Londra per colpire siti in Russia.

Affermare che la Russia è stata "arrabbiata" è editoriale.

Non credo che volessero che fosse editoriale, penso che sia solo una scrittura scadente.

La Russia sta rispondendo in modo logico.

Non c'è emozione qui. Almeno non c'è alcuna emozione visibile.

A differenza degli americani, nessun alto funzionario russo è mai emotivo in pubblico, tranne Medvedev, che è fondamentalmente una sorta di figura di "fan service" per il popolo russo.

Ma Putin, il suo portavoce Peskov, l'alto diplomatico Lavrov – nessuna di queste persone è mai emotiva in pubblico.

 

Ebbene, Putin ha versato qualche lacrima durante l'evento della sua vittoria elettorale mentre cantava una canzone patriottica.

Quindi immagino che sia un'emozione.

Ma è amore per il paese e per la gente. (Ho anche il sospetto che sia piuttosto difficile per lui dover mandare i ragazzi a morire in Ucraina. Questo è ciò a cui ho pensato quando ho visto le lacrime all'evento sulla Piazza Rossa.)

Al contrario, gli americani sono fuori di testa. Ricordate quel discorso di “Joe Biden” in cui urlava su un palco buio con luci rosso sangue?

Se cerchi solo "Biden che urla" ottieni un sacco di clip.

È ovviamente un vecchio senile e squilibrato, e questi lampi di rabbia sono relativamente normali per qualcuno con il suo stadio di demenza.

Ma è ancora il capo dello stato americano.

Antony Blinken non si arrabbia, ma sembra sempre tremare, pronto a raggomitolarsi in posizione fetale e iniziare a piangere.

Poi c'è un sacco di diversi funzionari americani che vanno in TV urlando di tutte le persone che stanno per uccidere.

Lindsey Graham è il più notevole, probabilmente, ma Tom Cotton, Josh Hawley, Marco Rubio, tutti i vari democratici ebrei – la maggior parte delle persone che si vedono nel governo americano appaiono molto instabili emotivamente.

 È molto raro vedere persone normali comportarsi come i politici americani, a meno che non siano ubriachi o sotto l'effetto di droghe.

Forse le persone povere si emozionano in questo modo, non ne sono sicuro, ma io non sono nella mia vita intorno a questo genere di cose. (Ancora una volta, a meno che la gente non stia bevendo, e non credo che queste persone stiano bevendo. Potrebbero essere sotto l'effetto di droghe.)

Quindi, è molto interessante che il Guardian abbia usato la parola "rabbia" in relazione alla Russia.

Ancora una volta, penso che sia solo una cattiva scrittura.

"Il Cremlino è stato particolarmente irritato da..." dovrebbe essere "Il Cremlino ha citato specificamente..."

Ma un po' di brutta scrittura.

 

Per me, la cosa più strana è quanto tutti sembrino essere indifferenti alla minaccia di una guerra nucleare.

Durante la Guerra Fredda, la gente viveva in costante panico. O, almeno, questo è il modo in cui viene rappresentato.

 C'è una probabilità molto, molto più alta che una guerra nucleare possa accadere ora di quanto non ce ne sia mai stata durante la Guerra Fredda, eppure non stiamo nemmeno ricevendo annunci di pubblica utilità su ciò che dovremmo fare se accadesse.

“Piers Morgan” ha detto a “John Mearsheimer” che centinaia di milioni di persone che muoiono in una guerra nucleare varrebbe la pena per dimostrare a Putin che amiamo la democrazia.

(Perdonami, non ho il timestamp. L'intera intervista è affascinante, nella misura in cui Morgan è rappresentativo dell'opinione popolare.)

 

È stata un'intervista particolarmente surreale, che mi ha quasi portato a credere che Morgan sia una specie di troll, che finge di essere ritardato per evidenziare la follia di persone che respingono con disinvoltura la minaccia di Londra, New York, Chicago e così via.

Potrebbe esserci un qualche tipo di piano segreto all'opera qui?

Per quanto ne so, non c'è alcuna prova che stia accadendo qualcosa al di là di ciò che sembra stia accadendo:

il mondo occidentale è gestito da persone che sono sia malvagie che stupide, e stanno agendo in base agli impulsi associati, tentando di ristabilire un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti, e lo fanno in un modo che è maniacale e destinato a finire in un fallimento catastrofico di qualche tipo.

Ma, sopra ho menzionato “La strada”, un'opera di finzione a cui possiamo fare riferimento quando analizziamo come la mente popolare concepisce una potenziale guerra nucleare.

 Un'idea alla moda tra gli appassionati di letteratura è che la narrativa riguardi principalmente l'estetica.

 Personalmente, anche se mi interessa l'estetica letteraria, mi piace la narrativa soprattutto perché contiene idee.

 L'idea che la letteratura riguardi principalmente l'estetica è effettivamente nichilista, a mio avviso.

 Questo è ciò che ci porta Thomas Pynchon, Cormac McCarthy e David Foster Wallace e tutto ciò che è germogliato dalle opere di quegli uomini terribili.

Persino Ernest Hemingway, da hacker qual era, non vi direbbe che la letteratura riguardava principalmente l'estetica.

Due pezzi di puerile narrativa che trattano di guerra nucleare che ho consumato di recente condividevano un concetto che ho trovato piuttosto intrigante.

Dopo aver visto la terribile (anche se leggermente ipnotizzante) serie Apple TV "Silo", ed essere stato estremamente frustrato dal finale “cliffhanger”, sono andato a leggere la serie di romanzi (Wool and Shift di Hugh Howey).

La storia parla di rifugi antiatomici, i silos del titolo, dove le persone hanno vissuto per centinaia di anni.

La grande rivelazione è che i funzionari governativi hanno costruito i rifugi e poi hanno intenzionalmente iniziato una guerra nucleare per spazzare via tutto il resto dell'umanità in modo che la specie umana potesse ricominciare da capo con una piccola popolazione unificata che emergeva dai silos quando la superficie diventava di nuovo abitabile.

Avevo intenzione di scriverne circa un anno fa, e poi me ne sono dimenticato (come faccio con molte cose di cui intendo scrivere).

Poi, contro il mio buon senso, mi sono sottoposto alla serie “Fallout d”i Amazon, basata sull'omonima serie di videogiochi.

Con il CEO dello sviluppatore del gioco, “Todd Howard” di Bethesda, in qualità di produttore esecutivo, la serie doveva far parte del canone di “Fallout”.

Tuttavia, conteneva un nuovo pezzo di tradizione:

le persone che hanno costruito i rifugi antiatomici (noti come "caveau" nella serie) hanno intenzionalmente iniziato una guerra nucleare per ripulire il pianeta e consentire agli umani di emergere in un nuovo mondo.

 Era effettivamente la stessa trama di “Silo/Wool”.

“Wool” è stato pubblicato nel 2011, quindi è possibile che gli sceneggiatori della serie” Fallout” l'abbiano letto.

(Ho letto, guardato e giocato un sacco di fantascienza, e non mi sono mai imbattuto in questo punto della trama da nessun'altra parte.)

Ma è anche possibile che più di una persona abbia pensato a questa idea, perché ha senso quando si guarda al modo in cui il mondo sta trattando l'idea di una catastrofica guerra nucleare globale.

Di nuovo: non c'è alcuna prova di questo, e quindi non c'è motivo di crederci.

Ma ci ho pensato molto da quando mi sono imbattuto in questo concetto una seconda volta nella serie di “Fallout”.

Ci sono persone che sappiamo che stanno preparando rifugi antiatomici

 È diventato molto popolare in Nuova Zelanda.

Mark Zuckerberg ha costruito quella che WIRED chiama "una città sotterranea" alle Hawaii.

 Il costo dichiarato è di 100 milioni di dollari, ma probabilmente è molto di più.

Doveva essere segreto, ma ora è solo "segreto".

Jeff Bezos ha senza dubbio un bunker del genere, ma non c'è traccia di esso.

A quanto pare, ha fatto un lavoro migliore di Zuckerberg nel mantenere il segreto. E ci sono, naturalmente, varie voci su enormi città sotterranee gestite dall'esercito americano.

Mentre è chiaro che le persone che gestiscono il governo degli Stati Uniti sono effettivamente ritardate, non credo che si possa dire lo stesso dei vari miliardari del mondo.

Essere un politico occidentale non richiede alcuna abilità, l'unico requisito è la totale mancanza di qualsiasi forma normale di moralità umana (oltre un certo livello, probabilmente ti viene anche richiesto di impegnarti in qualche atto disgustoso in video per assicurarti di non uscire dalle righe).

È certamente interessante che nessun miliardario, a parte Elon Musk e il cast del podcast” All-In”, stia facendo di quella che sembra essere una danza insensata in una guerra nucleare.

“Jeff Bezos”, la cui società ha pubblicato “Wool” e prodotto la “serie Fallout”, possiede il “Washington Post”, che è una delle principali pubblicazioni responsabili della normalizzazione dell'idea di una guerra nucleare per proteggere la democrazia in Ucraina.

“Max Boot” è un uomo così intelligente e onesto.

Pazzesco, ha speso così tanti sforzi cercando di convincere il mondo che l'Ucraina stava per vincere una guerra contro la Russia.

I miliardari che costruiscono rifugi è solo una cosa ovvia.

Certo che farebbero una cosa del genere.

Ma si potrebbe pensare che se fossero contrari a una guerra nucleare, interverrebbero e pagherebbero i politici per fare marcia indietro.

 È un cliché, ma è anche vero che i politici prendono soldi per promuovere qualsiasi cosa.

Se i miliardari lo volessero, ci sarebbe un serio contingente al Congresso che si opporrebbe a questa mossa verso la guerra nucleare.

Lo sto solo buttando là fuori.

In definitiva, dubito che ci sia un piano segreto da parte dell'élite globale per iniziare una guerra nucleare per spazzare via la maggior parte della popolazione mondiale, mantenendo una piccola parte delle persone nei rifugi antiatomici per emergere e formare un nuovo mondo, dove preservano le risorse limitate della terra e non vengono trascinati giù dal peso morto dei "mangiatori inutili".

Molto probabilmente, tutto questo è esattamente quello che sembra:

 l'Occidente è governato da un gruppo di ebrei pazzi e idioti che sono sfrenati perché non ci sono più adulti nella stanza, e alla fine spingeranno il mondo sull'orlo del baratro, a quel punto la Cina farà un miracolo economico e diplomatico e impedirà al mondo di finire.

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