Demonizzare la nostra identità.
Demonizzare
la nostra identità.
L’Importanza
dell’Identità.
Conoscenzealconfine.it
– (19 Giugno 2024) - Matteo Brandi – ci
dice:
Perché
ricordare chi siamo è essenziale per aprirci al mondo.
Tra le
grandi menzogne che ci vengono propinate dagli aedi del pensiero unico ve n’è
una particolarmente odiosa:
per dialogare col mondo si deve annullare,
disconoscere e persino demonizzare la propria identità.
Basterebbe
applicare un po’ di sano senso critico per accorgersi di quanto sia sbagliato
questo pensiero, tuttavia viviamo l’epoca della follia istituzionalizzata e
dunque talvolta sottolineare l’ovvio è necessario.
Sull’entrata del Tempio di Apollo a Delfi, in Grecia,
era iscritta una massima che ancora oggi splende in tutta la sua saggezza:
gnōthi
seautón, ovvero “conosci te stesso.”
I
padri della filosofia, non a caso, erano ben consci dell’importanza della
coscienza di sé, essenziale per instaurare un rapporto vero sia con la propria
persona che con gli altri.
Invece
il megafono della narrazione dominante, declinata in mille modi diversi
attraverso ogni ganglio della produzione culturale, ripete a tutti noi l’esatto
opposto.
Ai
giovani, soprattutto, viene urlato nelle orecchie l’ordine perentorio di
disfarsi delle proprie radici, della propria identità e di ogni legame col
passato e con la propria terra di origine.
Il motivo?
Si
tratterebbe, secondo questa folle interpretazione, di fardelli inutili, di
sovrastrutture opprimenti, addirittura di peccati originali di fronte ai quali
si deve fare ammenda.
Un
simile tarlo mentale, che il sottoscritto non esita a definire “olocausto
neuronale”, sta imputridendo l’Occidente.
A farne le spese sono le ultime generazioni,
cresciute nell’humus dell’odio verso di sé.
Sii
tutto e niente, e sarai felice, questo è il messaggio di fondo ripetuto in
maniera martellante dalla più potente macchina propagandistica della Storia.
Inutile
dire come i risultati di questo indottrinamento siano disastrosi, sotto ogni
aspetto.
Abbiamo
più volte analizzato la triste parabola dei borghi italiani, condannati allo
spopolamento, oppure la trasformazione delle nostre splendide città in immobili
musei a cielo aperto (cadaveri da esposizione, mi verrebbe da dire), privi
della vitalità autoctona e spogliati di ogni peculiarità culturale.
A ben vedere però il fenomeno ha ripercussioni
ancora più ampie.
Le
comunità territoriali, una volta ben radicate e ricche di una conoscenza
tramandata tramite il perdurare della tradizione, finiscono per sfilacciarsi e
atomizzarsi.
Divenendo dunque facile preda del potere, che
tutto vuole tranne che trovarsi dinanzi una collettività coesa e orgogliosa.
Prendiamo
ad esempio due piccoli abitati.
Immaginiamo che le due realtà partano da
condizioni identiche:
stesso
numero di abitanti, stesse caratteristiche naturali, stesse risorse e persino
stesso percorso storico.
L’unica differenza sta nella mentalità dei
cittadini.
Nel
primo caso abbiamo persone che danno per scontato che il loro futuro risieda
lontano dalla cittadina di nascita, considerata priva di qualsivoglia avvenire
e, in fin dei conti, del tutto irrilevante.
Nel
secondo siamo di fronte a una cittadinanza innamorata del proprio luogo,
conscia del passato che ne innerva ogni singola viuzza e convinta che il
trasferimento altrove sia nient’altro che un’opzione.
Vi chiedo:
secondo voi questi due borghi, dal punto di
vista materiale praticamente identici, andranno incontro allo stesso destino?
La risposta è semplice: no.
Il diverso approccio dei residenti porterà da
una parte a un declino rapido e dall’altra una continua ricerca di nuove idee
per tenere in vita l’abitato.
La differenza sta nella coscienza di sé, in
quel “gnōthi seautón” che scaccia via fatalismo e rassegnazione perché rivela
le mille strade ancora percorribili.
Non
solo.
Conoscere
sé stessi, sia come individui sia come comunità (nazionale, culturale,
popolare, linguistica, territoriale ecc…), è la conditio sine qua non per un
proficuo ed equilibrato incontro con l’altro.
Quando non sussiste questa condizione, una
delle due parti ha sempre la meglio sull’altra, schiacciandola o semplicemente
camminando sulla sua voluta insipienza.
A volte il processo è violento, altre invece è
graduale, quasi dolce, ma nondimeno letale per chi, stupidamente, ha scelto di
disconoscersi e flagellarsi.
Pensate
a quante relazioni tossiche potrebbero essere evitate se entrambe le persone
coinvolte avessero reale contezza di sé.
Serve forse uno psicologo per intuirlo?
Ci si
può benissimo sentire parte di qualcosa di più grande, dal globo fino
all’intero universo, senza tuttavia dimenticare la propria identità di
partenza, quel “genius loci” che parla di noi.
Le due cose non vanno in contrasto, anzi, si
rinforzano a vicenda.
Invece la vulgata globalista,(appoggiata nel mondo dalle “finte”
sinistre! N.D.R) acerrima
nemica di ogni afflato identitario che non sia legato alla sfera sessuale o
quella consumistica, dichiara con perentoria sicumera la necessità di
sradicarsi per abbracciare il tutto.
E così
anche la Storia viene distorta affinché la si possa leggere solo come una lunga
sequela di crimini e atrocità commesse dai propri antenati, una semplice “lista
delle vergogne” a cui dar fuoco per fare tabula rasa e ricominciare da zero.
Viene
buttato il bambino con l’acqua sporca.
Di
proposito.
La
cosa inquietante è che questa visione è spinta anche e soprattutto in ambito
scolastico e universitario.
I luoghi del sapere diventano fabbriche di
soldatini spinti da un odio dogmatico verso il passato che li circonda e che
tenta, inutilmente, di parlargli.
Tutto
va abbattuto, sfregiato, dissacrato.
Nulla
deve avere più un senso e un valore.
Un’autodistruzione
nichilista spacciata per apertura verso “il diverso”.
Ma che succede quando quest’ultimo, bontà sua,
non è animato dallo stesso spirito suicida?
Cosa
succede quando la naturale commistione tra più culture, che ha donato
all’Italia il suo patrimonio artistico unico al mondo, viene sostituita
dall’incontro squilibrato tra chi vuole dissolversi e chi no?
Lascio
a voi la conclusione.
In
definitiva, è necessario costruire una contro-narrazione che smonti pezzo dopo
pezzo l’isteria in cui siamo immersi fino al collo.
Non
c’è nulla di sano, di razionale o di giusto nel prendere a colpi d’ascia le
proprie radici pensando che questo possa farci librare in aria. Finiremo solo
per appassire e morire.
Va
invece preservato il nostro passato proiettandone la forza (e gli insegnamenti)
nel futuro.
C’è un
potenziale immenso in ogni luogo, in ogni lingua, in ogni costume.
E non parlo solo del tornaconto economico, che
pure esiste, bensì di un benessere collettivo che deriva dal ristabilire un
legame con la propria Storia, ritornando a progredire in maniera armoniosa.
Ne
gioverebbero anche le arti, dall’architettura alla moda, oggi inghiottite dal
vortice anti-identitario che tutto appiattisce.
Potremmo
dire, senza paura di esagerare, che il vero progresso lo si possa conseguire
solo tenendo accesa la fiamma dell’identità.
Una
fiamma che va usata non per bruciare il prossimo ma per illuminare la strada.
L’alternativa è procedere al buio e finire, inevitabilmente, per perdersi.
(Matteo
Brandi).
(proitalia.org/articoli/limportanza-dellidentita).
Meta deumanizzazione:
sono
un essere umano?
Lamenteemeravigliosa.it
– Roberto Muelas Lobato – (14-2-2023) – ci dice:
Non
solo possiamo deumanizzare gli altri, ma anche sentirci deumanizzati.
Questo
fenomeno viene chiamato “meta deumanizzazione”, ovvero pensare che altri ci
stiano deumanizzando.
Meta
deumanizzazione: sono un essere umano?
Deumanizzare
significa attribuire ad altre persone caratteristiche tipiche degli animali o
negare loro altri tratti umani.
In
altre parole, significa considerare qualcuno “meno persona, più animale”.
Non
solo possiamo deumanizzare gli altri, ma anche sentirci deumanizzati.
Questo
fenomeno viene chiamato meta deumanizzazione, ovvero pensare che altri ci
stiano deumanizzando, considerandoci inferiori alla rappresentazione che
abbiamo dell’essere umano.
La
deumanizzazione è un concetto, una convinzione.
“Meta”
si riferisce all’idea di ciò che gli altri pensano di noi.
La
meta deumanizzazione, quindi, consiste nel credere che qualcuno veda in noi
tratti animali.
Si tratta di una metacognizione che ci porta a
sviluppare atteggiamenti ostili nei confronti degli altri.
Più
modi per intendere la meta deumanizzazione.
La
deumanizzazione, a livello di gruppo, può essere intesa come quel processo
psicologico che spoglia gli altri della loro identità di gruppo.
Li colloca al di fuori della morale accettata
e mette in evidenza l’incoerenza dei loro valori con i nostri.
Questo
processo facilita la violenza nei confronti della categoria disumanizzata.
Nella
teoria della deumanizzazione emergono due modelli:
l’infra
umanizzazione e il modello duale.
Infra
umanizzazione: negare l’esistenza di emozioni in altri membri del gruppo, ovvero non
distinguerli dagli animali.
Chi
deumanizza attribuisce un’essenza animale al deumanizzato, mentre mantiene la
convinzione che gli altri membri del suo gruppo abbiano un’essenza umana.
In
modo evidente, le emozioni che vengono negate sono quelle tipiche dell’uomo,
ossia le emozioni secondarie come la vergogna.
Non sono messe in discussione, invece, le
emozioni primarie come la paura o l’eccitazione, che condividiamo con parte del
mondo animale.
Il
modello duale racchiude due tipi di deumanizzazione:
l’animalizzazione e la meccanizzazione.
La prima nega nell’altro quei tratti che
distinguono l’uomo dall’animale. Ritenendolo privo di capacità cognitive, di
pensiero raffinato, di comportamento civile, lo si mette allo stesso livello di
un animale.
La
seconda nega nella persona quei tratti che esprimono la natura umana, ma sono
anche presenti nel mondo animale, come la capacità di provare emozioni e
affetto.
In questo caso l’altro viene paragonato a un
oggetto, un robot o un automa.
Tipi
di deumanizzazione.
La
deumanizzazione può assumere diverse forme.
Così come avviene con il pregiudizio, può
essere esplicita o sottile.
Deumanizzare
in modo sottile significa negare alcuni tratti della dignità umana, ma non
tutti.
In
questo modo, l’altro non è del tutto umano ai nostri occhi, ma neanche un
animale.
Deumanizzare in modo esplicito consiste nel
considerare membri di un gruppo più simili ad animali che a persone.
La
differenza tra un atteggiamento radicale o sottile si nota nelle conseguenze.
In
modo ovvio, la forma esplicita di deumanizzazione avrà un impatto più forte;
una deumanizzazione sottile, tuttavia, è più facile da accettare e, quindi, più
difficile da sradicare.
Paragonare
un’etnia a scimmie, a capre, etc., non è facilmente accettato.
Dire, invece, che i membri di un gruppo non si
lavano e hanno un cattivo odore è un’idea che si fa strada più facilmente.
Demonizzare
quanti si trovano in basso è sempre stato un modo conveniente per giustificare
le disuguaglianze sociali.
(Owen
Jones)
Evoluzione
da scimmia a uomo.
La
meta deumanizzazione.
Cosa
succede quando pensiamo di essere oggetto di deumanizzazione?
La
risposta più evidente è: deumanizziamo.
Se
siamo convinti che qualcuno ci sta negando la dignità umana, è comune adottare
lo stesso atteggiamento.
Si
tratta di un circolo vizioso che, tuttavia, non termina in sé stesso.
Sentirsi
disumanizzati da qualcuno porta a disumanizzarlo a nostra volta, cosa che
conduce a sviluppare atteggiamenti ostili.
Per
atteggiamento ostile si intende la tendenza ad aggredire, sostenere misure
punitive o non essere disposti a condividere risorse.
Ad
esempio, nel caso degli immigrati, pensare che ci stiano deumanizzando ci
spinge ad approvare leggi che ne impediscono l’entrata nel nostro paese.
Nei casi più estremi, a sostenere pratiche
come la tortura o la vendetta.
In
definitiva, quando sentiamo che qualcuno sta negando la nostra umanità,
neghiamo, a nostra volta, la sua.
Questo
ci farà entrare in un circolo vizioso e sviluppare intenzioni ostili, condivise
dall’altro.
Il grande pericolo della “meta deumanizzazione”
è, in definitiva, una reciproca ostilità.
Identità,
visione e contraddizione.
Decidiamo
chi essere
Bullone.org
– Lorenzo Carpané – (19 sett. 2022) – ci dice:
«Visione»
è ampiezza e prospettiva e con esse creazione; «identità» è limitazione e
introspezione e con esse ripetizione.
Lo
confesso (prima confessione), quando sento qualcuno che parla di identità mi
viene l’orticaria.
Sarà
perché questa parola è spesso associata a «patria», «popolo», «nazione» e via
discorrendo.
Parole
anche queste belle e nobili, come anche «identità», di per sé.
Mi
sono chiesto da dove venga questa idiosincrasia (fastidio, noia, avversione).
Forse
è nell’associazione tra questi due mondi:
quello
identitario, che mette l’accento sul concetto di uniformità (identico, dal
latino idem, cioè lo stesso) applicato alla moltitudine.
Mi fa pensare a un grande cerchio, dove c’è
chi sta dentro (gli identici) e chi sta fuori (i diversi).
Dentro
una massa informe di tutti uguali, fuori una costellazione di diversi.
«Quasi
quasi me ne sto fuori», penso.
Pensiamoci,
ragazzi.
Senza
demonizzare nessuno (ma forse sì), non è che i famosi e famigerati algoritmi
dei social funzionino proprio così?
Ti
fanno trovare quello che è «identico» a te, ti chiudono dentro il cerchio o la
cerchia di chi ti è identico.
E così
non vedi non chi o cosa è diverso, ma non vedi la molteplicità delle diversità.
Ok,
voi mi direte che non tutti i social sono uguali, che per esempio “TikTok”
funziona in altro modo:
vero,
non agisce sull’identità delle persone (gli amici), ma su quella dei contenuti.
Detto in veneto: «par mi no cambia gnente» (per me non cambia nulla).
Ok, mi
potreste anche dire che trovarsi con chi la vede nello stesso modo è anche
bello, perché ti dà tranquillità e pace.
Ve lo
concedo. Confesso (seconda confessione), che lo faccio anche io, qualche volta.
Ma.
Forse
si può cercare un’altra parola, che è «visione», almeno per come la intendo io
e che voglio spiegarvi.
Quanto
«identità» chiude, tanto «visione» apre.
Perché
«avere una visione» implica che si guardi avanti e fuori, quanto «identità» ti
porta a guardarti indietro e dentro.
Identità
o visione.
«Visione»
è ampiezza e prospettiva e con esse creazione, immaginazione, generazione.
È gioventù. È vita, è eros, è dinamicità.
«Identità»
è limitazione e introspezione e con esse ripetizione, falsificazione, stasi.
È vecchiaia.
Avere
una visione significa pensare al percorso che si vuole fare; significa che la
vita, se ha un senso, sta in una continua ricerca (chi l’avrà già detto?), con
un obiettivo che sta là in fondo, che non raggiungeremo mai ma che vediamo e
desideriamo.
E nel
fare questo percorso cerchiamo di accompagnarci con chi condivide con noi
questa tensione verso il futuro.
Santo
cielo! Mi sto contraddicendo?
Non
vorrà dire che il concetto di identità salta fuori sotto mentite spoglie?
Forse
e se fosse così, pazienza.
Ma
forse, e sottolineo forse, si tratta di altro.
Non
cerco di accompagnarmi con chi la pensa come me, con chi si sente forte della
sua appartenenza, con chi si chiude.
Ma con
chi, come me, come noi, ama gli spazi liberi, ama le contraddizioni, ama
mettersi costantemente in discussione, ama chi si evolve ed è e si mantiene
diverso, non uguale nemmeno a sé stesso.
AI: la
vera sfida è ridefinire il “ruolo”
dell’essere
umano nel processo.
Theinnovation.it
– (29-4-2024) – Arianna Perri – ci dice:
L’intelligenza
artificiale (AI) rappresenta una tecnologia in grado di permeare e trasformare
ogni aspetto della nostra economia e società.
L’AI
consente, infatti, potenziali incrementi di produttività o risparmio in ore
lavorate, con previsioni (tracciate da “The European House Ambrosetti” in un
recente studio realizzato per Microsoft) che indicano un potenziale aumento del
PIL italiano del 18% in caso di adozione estesa nel sistema-Paese.
L’AI
pare destinata a pervadere le strategie delle imprese dell’ecosistema digitale,
trasformare i modelli di business delle aziende, innovare e semplificare i
processi e i servizi delle pubbliche amministrazioni, modificare le politiche
del lavoro e del welfare e avere un impatto profondo sul sistema dei valori,
sull’etica e sulla vita quotidiana delle persone.
Ma in
questo contesto, ci sarà ancora spazio per l’essere umano?
Quale
sarà il suo ruolo all’interno del processo (Human in the loop)?
“Il termine Intelligenza Artificiale è
una catacresi, ossia una parola che usiamo per chiamare qualcosa che non ha un
nome proprio”, così ha esordito “Maurizio Ferraris”, Professore ordinario di
“Filosofia teoretica” presso l’Università di Torino, nella sessione
“Intelligenza, verità, futuro” dell’evento di “Associazione Italiana per
l’intelligenza Artificiale” (AIxIA) “AI Forum 2024”, che “TIG” – The Innovation
Group ha organizzato lo scorso 4 aprile a Milano, a Palazzo Mezzanotte.
L’intelligenza artificiale, spiega “Maurizio
Ferraris”, al contrario di quanto il nome possa suggerire, non è
intrinsecamente “intelligente” nel senso umano del termine.
Piuttosto, dimostra una notevole autonomia
nelle attività specifiche per cui è programmata.
La sua “intelligenza” è il risultato di
algoritmi, dati e modelli, ed è priva di una comprensione simile a quella
umana:
non può sostituirci in termini di creatività,
empatia e intuizione.
L’essere
umano rimane distintivo grazie alle sue qualità peculiari, aspetti che non
possono essere replicati dall’AI, come ribadito da “Federico Faggin”, fisico,
inventore e imprenditore, anche lui ospite all’evento “AI Forum 2024”:
“La
differenza tra l’AI e l’essere umano risiede proprio nella coscienza e nel
libero arbitrio, concetti che la scienza attuale non riesce ancora a spiegare
appieno. Sebbene la scienza possa considerare l’essere umano come una macchina,
essa non riesce a ridurci a un semplice algoritmo.
Queste
concezioni errate ci portano a considerare l’AI come superiore a noi,
rendendoci potenzialmente suoi succubi”.
La lezione che il fisico Faggin ci consegna è
che dovremmo considerare l’AI non come una minaccia alla nostra identità o alla
nostra superiorità, quanto piuttosto come un’opportunità per ampliare le nostre
capacità e migliorare la nostra comprensione del mondo circostante.
Permangono,
tuttavia, preoccupazioni legate a come e in che misura l’applicazione dell’AI
possa farci perdere alcune competenze.
In aiuto ci viene il punto di vista del”
Professor Ferraris”:
“Qualsiasi
tecnologia da una parte abilita nuove possibilità, dall’altra sospende e limita
alcune funzioni dell’essere umano.
Ad
esempio, l’introduzione della carta e della matita per i calcoli ha portato
alla perdita della capacità di fare calcoli mentali.
Tuttavia, ciò non significa che dovremmo
abbandonare completamente le vecchie abilità, poiché ogni nuova invenzione non
sostituisce quella precedente, ma si aggiunge a essa.
Le abilità tradizionali devono coesistere con
le nuove, preservando così la diversità delle competenze delle persone”.
Ha
senso parlare di etica dall’AI?
Si
parla spesso di “intelligenza artificiale etica”, ma l’espressione è impropria.
Non è tanto corretto parlare di “AI etica” o di “etica
dell’AI”, quanto piuttosto di etica nello sviluppo e nell’utilizzo di questa
tecnologia.
La macchina stessa non possiede una qualità
etica intrinseca;
è piuttosto l’essere umano che la progetta, la
programma e la utilizza a determinarne la qualità etica.
Bisogna
quindi concentrarsi sull’educazione delle persone e non della macchina. Etica e
responsabilità umana sono aspetti centrali nel dibattito sull’intelligenza
artificiale:
se da
una parte l’AI può causare incidenti, dall’altra è necessario riconoscere che
la responsabilità giuridica di tali errori rimane saldamente nelle mani
dell’essere umano che l’ha programmata e che la utilizza.
Come ribadito da” Federico Faggin” durante il
suo intervento “L’AI è un grande dono, ma dobbiamo usarlo bene e per farlo
occorre integrare etica, buoni intenzioni e volontà di collaborare”.
In
conclusione, mentre alcune preoccupazioni sono legittime, demonizzare il
progresso tecnologico non è la soluzione. D’altronde è inevitabile che la
tecnologia continui il suo corso.
Piuttosto
la vera sfida che l’intelligenza artificiale ci presenta risiede nel ridefinire
la relazione tra l’umanità e la tecnologia, e di conseguenza, il nostro ruolo
nei suoi confronti.
Perché
non ha senso mitizzare
(o
demonizzare) l’intelligenza artificiale.
Linkiesta.it - Luciano Floridi – (10 -3-2022)
– ci dice:
Come
spiega Luciano Floridi in “Etica dell’intelligenza artificiale” (Raffaello
Cortina Editore), dopo anni di esaltazione, stiamo per affrontare una stagione
in cui si parlerà meno dell’IA.
L’errore
è pensare che sia o un miracolo o una piaga.
Invece è solo una delle tante soluzioni
escogitate dall’ingegno umano.
Il
problema con le metafore stagionali è che sono cicliche.
Se diciamo che l’IA ha trascorso un brutto
inverno, dobbiamo anche ricordarci che l’inverno farà ritorno, ed è meglio
farsi trovare pronti.
L’inverno
dell’IA è quella fase in cui la tecnologia, gli affari e i media escono dalla
loro calda e confortevole bolla, si raffreddano, temperano le loro speculazioni
fantascientifiche e le loro esagerazioni irragionevoli, e fanno i conti con ciò
che l’IA può o non può davvero fare come tecnologia in modo misurato.
Gli
investimenti diventano più attenti e i giornalisti smettono di scrivere di IA,
per inseguire altri temi in voga e alimentare la moda seguente.
L’IA
ha conosciuto diversi inverni.
Tra i
più rilevanti, ce n’è stato uno alla fine degli anni Settanta e un altro a
cavallo degli anni Ottanta e Novanta.
Oggi parliamo di un altro prevedibile inverno.
L’IA è soggetta a questi cicli di esagerazioni
perché è una speranza o una paura che abbiamo nutrito da quando siamo stati
cacciati dal paradiso:
qualcosa che fa tutto per noi, al nostro
posto, meglio di noi, con tutti i vantaggi sognati (saremo in vacanza per
sempre) e i rischi paventati (saremo ridotti in schiavitù) che ne derivano.
Per
alcune persone, speculare su tutto questo è irresistibile.
È il
selvaggio West delle “ipotesi” e degli scenari del “come se”.
Ma spero che il lettore mi perdonerà, se mi
permetterò di dire:
“Te
l’avevo detto”.
Da
tempo ho messo in guardia contro commentatori ed “esperti” che facevano a gara
per vedere chi la raccontava più grossa.
Ne è seguita una pletora di miti.
Parlavano
dell’IA come se fosse l’ultima panacea, che avrebbe risolto e superato tutto;
o come
la catastrofe finale, una superintelligenza che avrebbe distrutto milioni di
posti di lavoro, sostituendo avvocati e medici, giornalisti e ricercatori,
camionisti e tassisti, e finendo per dominare gli esseri umani come se fossero
animali domestici.
Molti
hanno seguito” Elon Musk” nel dichiarare che lo sviluppo dell’IA rappresentava
il più grande rischio esistenziale corso dall’umanità.
Come
se la maggior parte dell’umanità non vivesse nella miseria e nella sofferenza.
Come
se guerre, carestie, inquinamento, riscaldamento globale, ingiustizia sociale e
fondamentalismo fossero fantascienza o solo seccature trascurabili, che non
meritano considerazione.
Oggi,
la pandemia da Covid-19 ha posto fine a queste sciocche affermazioni.
Alcuni
hanno insistito sul fatto che leggi e regolamenti giungerebbero sempre troppo
tardi senza tenere mai il passo dell’IA, quando in realtà le norme non
riguardano il ritmo ma la direzione dell’innovazione, poiché dovrebbero guidare
il corretto sviluppo di una società.
Se ci piace dove stiamo andando, possiamo
andarci alla velocità che vogliamo.
È a
causa della nostra mancanza di visione che abbiamo paura.
Oggi
sappiamo che una normativa è in corso di elaborazione, almeno nell’Unione
Europea.
Altri (non necessariamente diversi dai
precedenti) hanno affermato che l’IA fosse una scatola nera magica che non
potremmo mai spiegare, quando in realtà si tratta di individuare il corretto
livello di astrazione al quale interpretare le complesse interazioni
ingegnerizzate:
anche
il traffico automobilistico nel centro di una città diventa una scatola nera se
pretendiamo di scoprire perché ogni singolo individuo si trovi lì in quel
momento.
C’è un
crescente sviluppo di strumenti adeguati per monitorare e capire come i sistemi
di apprendimento automatico raggiungono i loro risultati.
Inoltre,
tali persone diffondono scetticismo sulla possibilità di delineare un quadro
etico che sintetizzi ciò che intendiamo per IA socialmente buona, laddove in
realtà la Ue, l’Ocse e la Cina convergono su principi molto simili, che offrono
una piattaforma comune per ulteriori accordi […].
Si
tratta di irresponsabili in cerca di titoli.
Dovrebbero vergognarsi e chiedere scusa.
Non
solo per i loro commenti insostenibili, ma anche per la grande trascuratezza e
l’allarmismo, che hanno tratto in inganno l’opinione pubblica sia su una
tecnologia potenzialmente utile – che può fornire e difatti fornisce soluzioni
utili, dalla medicina ai sistemi di sicurezza e monitoraggio – sia sui rischi
reali, che sappiamo essere concreti ma molto meno fantasiosi, dalla
manipolazione quotidiana delle scelte all’aumento della pressione sulla privacy
individuale e di gruppo, dai conflitti informatici all’uso dell’IA da parte
della criminalità organizzata per riciclaggio di denaro e furto di identità
[…].
Il
rischio insito in ogni estate dell’IA è che le aspettative esagerate si
trasformino in una distrazione di massa.
Il rischio insito in ogni inverno dell’IA è
che il contraccolpo sia eccessivo, la delusione troppo profonda, cosicché
soluzioni potenzialmente preziose vengono buttate via con l’acqua delle
illusioni.
Gestire il mondo è un compito sempre più
complesso:
le
megalopoli e la loro “trasformazione in città smart” ne sono un buon esempio.
Inoltre,
siamo posti a confronto con problemi planetari – pandemie, cambiamenti
climatici, ingiustizie sociali, migrazioni – che richiedono livelli di
coordinamento sempre più elevati per essere risolti.
Abbiamo
bisogno naturalmente di tutta la buona tecnologia che possiamo disegnare,
sviluppare e implementare per affrontare queste sfide, e di tutta
l’intelligenza umana che possiamo esercitare per mettere tale tecnologia al
servizio di un futuro migliore.
(Ma un
futuro migliore…per chi? N.D.R)
L’IA
può svolgere un ruolo importante in tutto questo perché abbiamo bisogno di
modalità sempre più intelligenti per elaborare immense quantità di dati, in
maniera efficiente, efficace, sostenibile ed equa.
Ma l’IA deve essere trattata come una normale
tecnologia, non come un miracolo né come una piaga, bensì come una delle tante
soluzioni che l’ingegno umano è riuscito a escogitare.
Questa
è anche la ragione per cui il dibattito etico resta sempre una questione
interamente umana.
Ora
che il nuovo inverno potrebbe arrivare, possiamo provare a imparare alcune
lezioni ed evitare di allignare in questo andirivieni di illusioni
irragionevoli e disillusioni esagerate.
Non
dimentichiamo che l’inverno dell’IA non dovrebbe essere l’inverno delle sue
opportunità.
Certamente
non sarà l’inverno dei suoi rischi o delle sue sfide.
Dobbiamo chiederci se le soluzioni di IA
rimpiazzeranno davvero le soluzioni precedenti, come ha fatto l’automobile con
la carrozza, le diversificheranno, come ha fatto la moto con la bicicletta, o
le integreranno ed espanderanno, come ha fatto lo smartwatch digitale con
l’orologio analogico.
Quale
sarà il livello di sostenibilità, accettabilità sociale o preferibilità di ogni
IA che emergerà in futuro, forse dopo un nuovo inverno?
Indosseremo davvero degli strani occhiali per
vivere in un mondo virtuale o aumentato creato e abitato da sistemi di IA?
Oggi molte persone sono restie a indossare
occhiali anche quando ne hanno davvero bisogno, solo per motivi estetici.
E poi ci sono soluzioni IA fattibili nella
vita di tutti i giorni?
Sono
disponibili le competenze, gli insiemi di dati, l’infrastruttura e i modelli di
business necessari per garantire il successo dell’implementazione dell’IA?
I
futurologi trovano queste domande noiose.
A loro
piace un’idea unica, semplice, che interpreta e cambia tutto, che può essere
dispiegata con leggerezza in un libro facile che fa sentire il lettore
intelligente, un libro che deve essere letto da tutti oggi e ignorato da tutti
domani.
È la
cattiva alimentazione del cibo spazzatura per i pensieri e la maledizione del
bestseller da aeroporto.
Dobbiamo
resistere all’eccesso di semplificazione.
Questa
volta, dobbiamo pensare in modo più approfondito ed esteso a ciò che stiamo
facendo e pianificando con l’IA.
Questo
esercizio si chiama filosofia, non futurologia.
(Luciano
Floridi).
Gender
tech. Corpi, esperienze
e identità femminili sotto
la lente della tecnologia.
Ilbolive.unipd.it - Federica DʹAuria – Laura Tripaldi - (13-2-2024) – ci dicono:
Dalla pillola anticoncezionale al test di gravidanza,
fino alle app per il monitoraggio del ciclo mestruale, le tecnologie di genere
influenzano fortemente il modo in cui viene conosciuto e rappresentato il corpo
delle donne a livello scientifico, culturale e politico.
In
“Gender tech: Come la tecnologia controlla il corpo delle donne” (Editori
Laterza)” Laura Tripaldi” racconta la nascita e l’evoluzione delle principali
tecnologie rivolte allo studio della biologia femminile e approfondisce il
complesso rapporto tra progresso scientifico, genere e cultura.
“Credo
che l’approccio storico allo studio della scienza sia molto importante”, ha
raccontato “Tripaldi” a Il Bo Live.
“Spesso
tendiamo a considerare il sapere scientifico come un oggetto universale,
assoluto e separato dal contesto culturale che lo ha prodotto.
L’adozione
di una prospettiva storica permette invece di scoprire quanto lo sguardo
scientifico sia influenzato da fattori culturali, sociali e politici.
Il mio lavoro ha avuto inizio con alcune
ricerche che ho svolto sulla pillola anticoncezionale, dettate da un interesse
puramente personale.
Man mano che approfondivo la storia di questo
farmaco basandomi sui molti libri che ne raccontano la nascita e gli sviluppi,
mi sono resa conto che la pillola non era l’unica tecnologia a nascondere un
passato controverso e a tratti oscuro (segnato da terribili episodi di
ingiustizia e violenza coloniale, ndr).
Così è
nata l’idea di raccogliere queste storie in un libro unico”.
L'intervista
completa a Laura Tripaldi.
Montaggio
di Barbara Paknazar.
Tripaldi
non nega certo il potenziale emancipativo di tecnologie rivoluzionarie come la
pillola anticoncezionale e il test di gravidanza, che hanno permesso alle donne
di riappropriarsi dello sguardo scientifico sulla loro sessualità e del
controllo della loro salute riproduttiva;
d’altra parte, però, “Gender tech” evidenzia
anche gli aspetti più ambigui di queste e altre tecnologie progettate per
scrutare dentro i nostri corpi, riflettendo sulla loro capacità di plasmare le
identità sessuali contemporanee.
“A un
livello più immediato, l’ambiguità è data dalla tendenza a presentare queste
tecnologie come strumenti in grado di restituirci la nostra autonomia,
tralasciando però di mettere in guardia rispetto agli usi meno desiderabili di
questi dispositivi che in mani altrui rischiano di diventare mezzi di controllo
e sorveglianza”, spiega Tripaldi.
“Un
secondo livello della mia riflessione è legato invece al rapporto tra le
tecnologie e la natura che esse indagano.
L’ambiguità, in questo caso, è dovuta al fatto
che noi conosciamo e concepiamo culturalmente i corpi delle donne attraverso la
rappresentazione (che è, in un certo senso, una “trasformazione”) che la
tecnologia ci restituisce di loro.
Ogni
strumento tecnologico, in altre parole, proietta uno sguardo sull’oggetto che
investiga e, così facendo, costruisce e produce retroattivamente la natura che
indaga”.
Per
capire quanto la tecnologia riesca a plasmare e a definire il genere femminile
e i condizionamenti sociali e culturali che influenzano la nostra percezione a
riguardo, basta chiederci: “cos’è una donna?”
e
renderci conto che le conoscenze biologiche, anatomiche e biochimiche su cui si
fonda la nostra risposta sono sempre rese possibili e mediate dagli strumenti
tecnologici, che hanno la funzione di trasformare un oggetto o un fenomeno del
mondo esterno in un insieme di dati che possono essere analizzati, misurati e
ordinati secondo relazioni di causa-effetto.
Questo
vale naturalmente per ogni aspetto della realtà che studiamo con metodo
scientifico.
Lo
scopo di Tripaldi era però quello di scoprire cosa accade quando sono i corpi
delle donne ad essere sottoposti allo sguardo della tecnologia e approfondire
le conseguenze a livello privato, pubblico, politico e culturale di ciò che
tale sguardo restituisce.
Tutto
questo perché le donne, come ricorda l’autrice, sono soggetti politici:
la loro natura, la loro salute, le scelte, i
diritti e i loro comportamenti sono sempre oggetto di dibattiti e battaglie
politiche.
“Il
capitolo che ho scritto con più passione e, allo stesso tempo, con più fatica è
quello che riguarda la nascita dell’ecografia e la rappresentazione del feto,
che siamo abituati a considerare un oggetto naturale, ma di cui in realtà
conosciamo solo ciò che ci viene trasmesso attraverso lo sguardo della
tecnologia”, racconta Tripaldi.
“Perciò
ho tracciato la storia dell’iconografia del feto a partire dal Settecento per
capire come la sua immagine si sia evoluta nel corso del tempo fino a oggi,
diventando il simbolo principale delle battaglie degli antiabortisti”.
Tripaldi
esplora anche le implicazioni politiche, sociali ed economiche delle tecnologie
digitali, come ad esempio le app di “period tracking “(finalizzate al
monitoraggio del ciclo mestruale), che se da una parte rispondono al desiderio
delle donne – specialmente di quelle più giovani – di riappropriarsi della
consapevolezza dei propri processi biologici e della gestione della propria
salute sessuale e riproduttiva, dall’altra sono capaci di modificare in modo
inaspettatamente profondo i loro comportamenti.
“Tutte
le tecnologie – non solo quelle digitali – agiscono su di noi”, sottolinea
Triapaldi.
“Esse
ci “trasformano” perché influenzano la nostra percezione di noi stesse, di chi
siamo e della nostra natura.
Le
diffusissime app di “period tracking” sono particolarmente rilevanti da questo
punto di vista;
il
loro funzionamento ha iniziato a suscitare in me un senso di inquietudine
quando mi sono accorta di non sapere fino in fondo che fine facessero i dati
raccolti da queste app sulla mia salute e non solo.
Queste
app, infatti, non raccolgono informazioni solo sul ciclo mestruale ma spesso ci
chiedono di rispondere a domande relative anche allo stato d’animo o ad altri
aspetti della nostra vita privata (relativi, ad esempio, all’alimentazione,
ndr).
Un “period
tracker “si occupa inoltre di fornire consigli mirati.
Ad esempio, quando sanno che sta per arrivare
la mestruazione, mandano messaggi del tipo “mangia del cioccolato” oppure “fai
yoga”.
Vengono suggeriti, in altre parole, alcuni
comportamenti (ed è in questo senso che le tecnologie digitali ci modificano)
spesso basati su pregiudizi culturali di fondo rispetto al modo in cui si
dovrebbe sentire o dovrebbe agire una donna a seconda della fase del ciclo in
cui si trova”.
La
riflessione di Tripaldi non è un tentativo di demonizzare le tecnologie che
racconta, né quello di mettere in discussione la loro utilità sul piano sia
personale che scientifico ed epistemologico.
L’autrice
si auspica, piuttosto, di contribuire ad aprire uno spazio di discussione più
ampio sulla relazione tra tecnologia, corpo e identità.
“Il
dibattito femminista sul rapporto con la tecnologia si divide principalmente in
due correnti di pensiero”, spiega Tripaldi.
“Da un lato c’è chi considera la natura e il
corpo femminile come qualcosa di inviolabile, quasi sacro, e che rifiuta perciò
totalmente ogni ingerenza tecnologica. Esiste invece un’altra corrente di
femminismo che abbraccia la tecnologia, rifiutando un’idea normativa di natura.
Pur non condividendo la prima di queste due
posizioni, ritengo personalmente che un approccio eccessivamente aperto e
acritico rispetto alla tecnologia sia pericoloso, perché stiamo parlando di
strumenti che non sono dotati semplicemente di una “forza salvifica”, ma che
possono anche essere manipolati e che, proprio come una spugna, assorbono le
strutture di potere esistenti, pregiudizi compresi.
Credo
perciò che sarebbe auspicabile trovare una via di mezzo basata da un lato sulla
conoscenza del funzionamento, delle storie e del potenziale trasformativo di
queste tecnologie e dall’altro sulla volontà di immaginare collettivamente lo
sviluppo delle tecnologie del futuro”.
L’Unione
Europea blocca
l’AI
di Meta.
Ilbolive.unipd.it - Anna Cortelazzo – (20 giugno 2024) –
ci dice:
Un po’ ce lo potevamo aspettare, ma non con
queste tempistiche.
Era
già tutto pronto, e il 26 giugno Meta avrebbe dovuto lanciare anche in Europa
la sua intelligenza artificiale, che avrebbe potuto allenarsi utilizzando i
contenuti degli utenti su Facebook, Instagram e Whatsapp.
Nessun
utente avrebbe dovuto dare il proprio consenso, ma in conformità al “GDPR”
esisteva una procedura per opporsi (qui abbiamo spiegato come impedire all’AI
di Meta di allenarsi con i nostri dati):
non
esattamente intuitiva, ma ne abbiamo viste di peggiori.
Questa
possibilità non era prevista invece per gli utenti degli altri paesi, che hanno
dovuto accettare la novità di buon grado senza poter opporsi, a meno di non
abbandonare le tre piattaforme.
In
varie agenzie di comunicazione fervevano i preparativi, visto che la
possibilità di creare immagini “dal nulla” quando un cliente ha un budget
scarso semplificava il lavoro a entrambe le parti in gioco.
Peccato
che “dal nulla” non esiste, e che quelle immagini sarebbero appunto state il
frutto della combinazione tra moltissimi elementi di altre foto condivise sui
social dagli utenti.
In effetti il dubbio sulla liceità del
procedimento per un’istituzione che come l’Unione Europea è sempre stata molto
attenta alla privacy dei suoi cittadini era sorto, ma con il diritto di
opposizione garantito da Meta, per quanto non troppo pubblicizzato, sembrava
essere tutto a posto.
All’ultimo
momento, però, l’Unione Europea ha bloccato il lancio di Meta AI sul suo
territorio, anche se, come Meta stessa ha fatto notare in un articolo sul suo
blog, le autorità europee erano state informate ancora a marzo.
Eppure
la “Irish Data Protection Commission” (DPC), Garante Privacy irlandese, ha
aspettato l’ultimo momento per bloccare Meta AI (agendo a nome delle autorità
di protezione dei dati europee) perché non garantisce la privacy degli utenti,
anche se l'azienda aveva garantito che i dati raccolti non sarebbero stati
collegabili a un profilo specifico, tanto che in un primo momento la” DPC”
aveva dato un parere positivo.
Quello
che stupisce, infatti, è soprattutto il timing:
un
blocco a poco più di una settimana da un lancio crea ingenti danni economici
all’azienda che lo subisce, e Meta era convinta di aver avuto un approccio
conforme alle leggi e ai regolamenti europei.
L’ipotesi è che il blocco sia dovuto alle
recenti denunce di alcune associazioni non profit che agiscono per il diritto
alla privacy, come per esempio” None Of Your Business”, che si occupa di
protezione dei consumatori, che aveva criticato la procedura di
silenzio/assenso:
gli
utenti, infatti, non venivano interpellati direttamente, ma se non si
preoccupavano di fare “opt-out” per opporsi al trattamento dei dati davano
implicitamente il loro consenso.
La cosa è ancora più grave perché se questi
dati non sono legati all’account, come ha dichiarato Meta, ne risulta
difficile, se non impossibile, anche la cancellazione su richiesta.
“Rimaniamo
molto fiduciosi che il nostro approccio sia conforme alle leggi e ai
regolamenti europei.
La
formazione AI non è esclusiva dei nostri servizi e siamo più trasparenti di
molte delle nostre controparti del settore.”
(Meta)
Cosa
succederà adesso non è chiaro, ma di sicuro chi aspettava a braccia aperte e
tastiere pronte questa innovazione è destinato a rimanere deluso, visto che la “DPC”
ha chiesto esplicitamente di ritardare le procedure di addestramento.
Probabilmente
Meta dovrà sedersi al tavolo delle trattative (ma potrebbe anche rinunciare,
come aveva fatto inizialmente, ma per lungo tempo, per il lancio europeo del
nuovo social” Threads”, legato a “Instagram”), anche se si è già lamentata
dell’”ulteriore ritardo nel portare i benefici dell'IA ai cittadini europei”,
rilevando come le procedure dell’azienda siano più trasparenti di quelle dei
concorrenti.
Superando
l’iniziale sogghigno dovuto a una reazione piuttosto infantile (“maestra, ma
anche i miei compagni vanno a sbirciare nell’armadietto delle bambine!”) ci
troviamo a constatare che siamo di nuovo di fronte a un conflitto tra
innovazione e privacy, che ci spinge a chiederci come sia possibile che una
tecnologia così avanzata non lo sia abbastanza per garantirla.
Va anche notato che nulla impediva a Meta di
lanciare la sua AI anche in Europa, senza raccogliere i dati dei cittadini:
certo, ci sarebbero state frizioni culturali,
com’è successo con le forzature etniche e sociali di “Gemini”, che restituiva
immagini di papi donna e senatrici afroamericane del XIX secolo, ma se è
l’innovazione che interessa (e non i dati altrui) su questi inconvenienti si
potrebbe chiudere un occhio.
La
Disobbedienza Giusta:
raccontarsi
per superare
i
disturbi alimentari.
Identitagolosa.it
– Raffaele Foglia – (21-3-2024) – ci dice:
L'incontro
in collaborazione con” Fondazione Cotarella”:
le testimonianze dei ragazzi, i podcast, le
esperienze di chi li segue.
Con
una gran voglia di vivere.
L'incontro
sulla Disobbedienza Giusta.
(Paolo
Vizzari, Luca Marchini, Aurora Caporossi, Laura Dalla Ragione, Enrico Parisi,
Lucia La Paglia, David Scatolla, Grazia Boccacci, Luna Pagnin, Francesca
Finazzi, Alba Toninelli e Ruggero Parrotto.)
Raccontare
i propri successi. Ma anche i propri fallimenti.
Comunque,
parlarne.
Per
poter affrontare e superare i problemi.
Questa
è la “Disobbedienza Giusta”, quella che ti porta a superare i disturbi del
comportamento alimentare.
Mai titolo dell’incontro in collaborazione con
Fondazione Cotarella moderato da Paolo Vizzari allo spazio L’Arena durante
Identità Milano poteva essere più giusto: Alimentarsi di Vita.
Partendo dalle esperienze di chi è riuscito a
superare questi problemi.
Come “Grazia
Boccacci”:
«Difficile spiegare l’emozione che provo. Ci sono
persone che mi sono state vicino. Quando non stavo bene, ricevevo dagli amici
inviti a uscire, ma io prendevo delle scuse, volevo stare in casa per dedicarmi
alla malattia. Ora devo dire grazie a queste persone che sono state con me».
Una
storia che si unisce a quella di “David Scatolla”, 25 anni.
«Da 5 anni soffro, anzi ho sofferto di
disturbi alimentari.
Un
periodo duro, dove ero timoroso, ansioso, con insoddisfazioni e sensi di colpa.
Ringrazio “Fondazione Cotarella” perché sta credendo in me.
Mi sento cambiato, sto continuando a
disobbedire, dire no al disturbo alimentare mi ha messo più allegria, forza ed
energia».
“Luna
Pagnin” è autrice del podcast “Spazio Lunare”, personal trainer e attivista per
disturbi alimentari:
«Anche
io ho disobbedito al disturbo alimentare. Ho aperto un podcast per raccontare
la mia storia, affinché chi ascolta non si sentisse giudicato, in uno spazio
sicuro, senza mai sentirsi fuori luogo».
Altro
podcast è” La Parte Bella”, che è la guarigione: «Circa un anno fa – spiega
l’autrice…
Storie
da raccontare per superare i disturbi alimentari.
“Alba
Toninelli” - ho sentito di poter dire “sono guarita”.
Così
grazie a Fondazione Cotarella è nato il podcast, che porta il racconto di chi
ci è passato».
Con”
Chiacchiere Gourmet”, il terzo podcast, si cerca di cambiare prospettiva, come
spiega “Francesca Finazzi”:
«Chiacchiere Gourmet nasce da un mio piccolo
sogno, che ho raccontato a Dominga Cotarella.
Anch’io
ho sofferto di disturbi, e mi sono chiesta che ruolo avesse il cibo. Così è
nata l’idea di andare a scoprire tramite gli chef l’essenza, il senso del cibo;
andare da loro, raccontare il loro mondo, e avvicinare i giovani
all’enogastronomia».
Per non demonizzare il cibo.
Da un
punto di vista terapeutico, il lavoro è altrettanto importante, come
sottolinea” Laura Dalla Ragione” (Psichiatra e Psicoterapeuta, fondatrice della
Rete per i “Disturbi del Comportamento Alimentare della USL 1 Umbria):
«Vent’anni
fa ho aperto le prime strutture italiane sui disturbi dell’alimentazione fuori
dagli ospedali.
Ai
tempi quella era considerata una strada molto disobbediente e io fui attaccata.
Ora, dopo vent’anni, tutti gli spazi riabilitativi sono fuori dagli ospedali,
in spazi vivibili.
Per
poter costruire un percorso».
Uno
spazio per tornare a vivere, insieme:
questo
è “Animenta”, come racconta la fondatrice e presidente “Aurora Caporossi”:
«È un giardino dove stare insieme, farsi forza
e affrontare i problemi. “Animenta” è un insieme di tante storie, raccontando
sui social media la sofferenza. L’obiettivo è di fare in modo che i ragazzi che
riscoprano il senso della società. Il problema non è il cibo, ma il valore che
esso assume. E c’è il tema delle ricadute».
I temi
da affrontare sarebbero davvero tanti.
“
Lucia La Paglia” è gastronoma e anche modella:
«Sono un po’ il nemico – esordisce con una
battuta - C’è un motivo se siamo spinti a parlare qui, tutti noi abbiamo avuto
una disobbedienza verso il cibo che ha portato alla vergogna. Di cosa ci
vergogniamo? Raccontare la mia storia non è esibizionismo, ma condividere,
affinché anche solo una persona possa riconoscersi in tutto questo. Per
combattere questa vergogna, c’è l’ascolto».
“Luca
Marchini”, chef di “L’erba del Re” a Modena, ha fatto entrare i ragazzi “nella
tana del lupo”.
«Sono stato contattato dal centro diurno
dell’Usl di Modena e mi hanno chiesto di parlare di ricette ai ragazzi. Io
faccio il cuoco e faccio ricette che servono per creare piatti che piacciono
alla gente. Alla fine la mia disobbedienza è stata quella di accentrare
l’attenzione non sul piatto e sul mangiare, ma su quello che c’è oltre: sulla
parte olfattiva, su quella visiva… Comporre un piatto senza mangiarlo. E ognuno
dei ragazzi si è potuto esprimere».
“Enrico
Parisi”, delegato nazionale “Coldiretti Giovani Impresa”, ha poi commentato:
«Ho imparato una cosa bellissima, che non esistono
errori, ma solo lezioni, e attraverso le lezioni puoi diventare una persona
migliore».
A
tirare le fila è stato infine “Ruggero Parrotto”, direttore della “Fondazione
Cotarella”:
«Loro,
i ragazzi, sono pezzi di un mondo, una comunità. Una delle cose più importanti
è che il modello che stiamo costruendo è pensare che non esiste il giovane che
sta male e basta, ma c’è un sistema, una comunità che si è accorta del male
tardi. Per questo dobbiamo dare ascolto anche alle famiglie, alla comunità, per
cercare di affrontare queste situazioni. Anche perché quando uno esce da
struttura di cura, se lasciato solo, spesso ricade. Se in questo contesto la
famiglia e gli amici non sono accoglienti, questa persona non si salva».
Guerra
civile nei campus Usa,
Biden:
«Non c’è diritto al caos.»
Editoraledomani.it
- DAVIDE LERNER – (02 maggio 2024) ci dice:
Dopo
lo sgombero dei manifestanti pro Palestina alla “Columbia”, oggi è stato il
turno di “Ucla”: sono 1.300 gli arresti nel paese.
La
contestazione si diffonde.
Il
presidente condanna le violenze, ma esclude l’invio della Guardia nazionale
Il
grande prato dove sorgeva l’accampamento pro Palestina dell’università Columbia
dall’alto sembra una lunga tavola da scacchi.
Nei
quadranti che fino a martedì notte erano protetti dalle tende è rimasta l’erba
verdeggiante e impeccabile che decora tutte le altre parti del campus
dell’”ateneo Ivy League” che fu frequentato da” Obama,” Ruth Bader Ginsburg”, e
prima ancora presieduto da “Dwight D. Eisenhower”.
Ai
lati però c’è il prato calpestato e ingiallito su cui per una decina di giorni
gli studenti hanno bivaccato, ospitato seminari su Gaza, venerato il grande
intellettuale palestinese “Edward Said” che fu professore a Columbia, o
discettato su perché l’”antisionismo” non c’entri nulla con l’”antisemitismo”.
Hanno cantato i famosi slogan contro Israele:
dal fiume al mare, la Palestina sarà araba,
non vogliamo i due stati, vogliamo tutto.
Viva
l’intifada. E sventolato bandiere palestinesi.
Se
nell’epicentro della protesta ora regna la calma, è tutto il contrario nel
resto del paese.
Il diffondersi a macchia d’olio della protesta
studentesca pro Palestina giovedì ha costretto perfino il presidente” Joe Biden”
a intervenire.
«Il dissenso è essenziale per la democrazia»,
ha detto alla Casa Bianca. «Ma il dissenso non deve mai portare al disordine».
Gli
americani, ha detto, hanno «il diritto di protestare, ma non il diritto di
creare il caos».
Dietro
al prato, dai piani alti dell’edificio della Columbia dedicato a “Joseph
Pulitzer”, si guarda nella direzione di Amsterdam Avenue e si vede “Hamilton
Hall”, il palazzo che da lunedì sera a martedì sera era stato occupato dai
contestatori dopo il fallimento dei negoziati con l’amministrazione e
l'escalation della protesta lanciata da una frangia degli studenti accampati.
MONDO.
(L’antisemitismo
nei campus- per Biden- è un problema serio. MATTEO MUZIO).
I
grandi striscioni che inneggiavano all’intifada esposti sulla facciata del
palazzo ora sono stati rimossi, così come il grande cartello all’ingresso che
dedicava l’edificio a” Hind Rajab”, una bambina di sei anni uccisa
dall’esercito israeliano durante l’offensiva su Gaza (è vicino a 35.000 il
conto delle vittime palestinesi).
Il
palazzo era già stato occupato nel 1968, in occasione della protesta contro la
guerra in Vietnam e contro l’espansione di Columbia nel quartiere popolare di
Harlem, con cui “Columbia” è divenuta uno dei maggiori proprietari di immobili
di New York.
Oggi
il campus è presidiato dagli agenti del “Nypd,” invitati a rimanere dalla
presidente dell’ateneo “Minouche Shafik” almeno fino al 17 maggio, due giorni
dopo la
grande cerimonia della graduation.
Ma
alle spalle del palazzo Hamilton, fuori dai cancelli, alcuni studenti
continuano la protesta usando gessi per scrivere “Polizia fuori dal nostro
campus” a caratteri cubitali sull’asfalto del marciapiede.
E
soprattutto, nel resto del paese, la contestazione partita dalle tende di
Columbia a metà aprile è in piena escalation.
Quasi
quaranta atenei vivono mobilitazioni studentesche in solidarietà con la
Palestina.
Giovedì
a finire sotto i riflettori è stata la prestigiosa” University of California”,
a Los Angeles, dove agenti in tenuta antisommossa hanno fatto irruzione nella
tendopoli filopalestinese allestita dagli studenti, infrangendo la barriera
protettiva ai margini dell’area occupata.
Gli
studenti si sono scontrati con la polizia, che ha sgomberato l’accampamento
alla fine di una giornata drammatica in cui gli accampati sono anche stati
aggrediti da manifestanti filoisraeliani.
Oltre
1.300 persone sono state arrestate in tutto il paese.
IMMAGINARIO
PARALLELO.
A
Ucla, come in tanti altri atenei ispirati dall’accampamento di Columbia,
l’amministrazione universitaria si trova di fronte al dilemma se proteggere a
tutti i costi la libertà di espressione, oppure piegarsi alle pressioni di chi
squalifica il linguaggio e i metodi dei contestatori come violenti.
Al
contrario di quanto accadeva negli anni della “cancel culture”, in questo caso
sono perlopiù i conservatori a voler tracciare una linea rossa che delimiti la
libertà di espressione, mentre i progressisti, sull’onda dell’indignazione per
il comportamento dell’esercito israeliano a Gaza, giustificano le forme
talvolta estreme della protesta.
Un
elemento questo emerso nello stesso discorso di una portavoce della protesta di
Columbia poche ore prima dell’intervento della polizia sul campus.
«I miei compagni hanno rinominato questo
palazzo, che sorge su terra rubata agli indigeni (americani) e che porta il
nome di un colono bianco, dedicandolo a “Hind Rajab”», ha detto.
Dietro
di lei, utilizzando una corda, i contestatori riempivano un cestino pieno di
pizze, snack e viveri per i compagni barricati.
Tre di
loro lo issavano affacciandosi dal balcone dell’Hamilton, i volti completamente
coperti da scialli e keffiyeh, sventolando una bandiera palestinese. Uno
studente ebreo, davanti all’edificio, non poteva fare a meno di notare la
ricercata somiglianza con le famose immagini dei militanti palestinesi alle
Olimpiadi di Monaco nel 1972, nell’operazione in cui 11 israeliani rimasero
uccisi.
Malgrado
le condizioni più che tollerabili per gli studenti dell’occupazione, i quadri
della protesta non resistevano alla tentazione di paragonare sé stessi gli
abitanti di Gaza.
«Hanno
chiuso e bloccato il campus. Ci minacciano di sospensione. Ci impediscono di
usare il bagno. Ci impediscono di ricevere cibo, ci impediscono di ricevere
acqua. Questo è un assedio», ha scandito una leader della protesta, attaccando
l’amministrazione definita “sionista” dell’università, prima dello sgombero.
L’imitazione
con risvolti parodici del conflitto reale è stata una costante delle proteste
filopalestinesi a Columbia.
Basti pensare alle delegazioni che tornavano
dai negoziati per il «rilascio» dei compagni sospesi e per il disinvestimento
da Israele, ai paragoni fra le misure di sicurezza adottate sul campus e quelle
della Palestina reale, e alle accuse alla dirigenza di violare principi
umanitari come l’esercito israeliano a Gaza.
«Volete che gli studenti muoiano di sete e
fame, o si ammalino gravemente? Chiediamo aiuti umanitari di base», ha detto
una portavoce davanti al palazzo occupato.
Gli
ultimi discorsi prima dello sgombero di martedì contenevano in nuce le ragioni
per cui la protesta è divenuta controversa, attirandosi accuse di essere
violenta e antisemita.
«Torneremo
in tutta la Palestina. E credetemi, torneremo a milioni perché siamo
palestinesi e ci riuniremo alla terra che ci è stata rubata», recitava uno dei
comunicati letti da una manifestante alla stampa.
«Stiamo dedicando la nostra vita (...) non
solo per la fine del genocidio a Gaza, ma per la liberazione della Palestina
dal fiume al mare».
LE
CONDANNE DELLA POLITICA.
La
retorica dei martiri, dell’intifada, del cancellare Israele, della
demonizzazione dei “sionisti”, come se il movimento fosse ancora in fase
costitutiva e non avesse realizzato il proprio obiettivo quasi 80 anni fa, ha
provocato l’indignazione bipartisan della politica e di tanta parte del mondo
ebraico.
Lo
Speaker della Camera dei rappresentanti, “Mike Johnson”, ha condannato
duramente i dirigenti dell’ateneo durante una visita al campus, accusandoli di
non avere fatto abbastanza per tutelare gli studenti ebrei.
Soltanto
l’ala
progressista del Partito democratico ha appoggiato gli studenti, con
visite della deputata Ilhan Omar e della stessa “Alexandria Ocasio-Cortez”.
Gli
studenti ebrei della protesta, da parte loro, hanno provato a confutare le
accuse.
Mercoledì
24 aprile sei o sette di loro hanno presieduto un seminario sull’antisemitismo
spiegando come non esista sovrapposizone possibile fra antisionismo e
antisemitismo e come, anzi, i valori dell’ebraismo siano in contraddizione con
il sionismo.
«Hai letto” Lo Stato ebraico” di Theodor Herzl, lo sai
che è un libro colonialista?»,
ha chiesto Remi, una ventenne inglese di
religione ebraica.
“Maya
Passman,” di madre libanese e di padre ebreo americano, ha detto «Dopo il 7
ottobre non ho parlato con mio padre per tre settimane».
Sam,
un coetaneo americano, messo alle strette, ha ammesso che i messaggi del
movimento potevano essere confezionati con più attenzione all’inizio della
protesta.
Ha
detto che il coro «Non vogliamo i due stati, vogliamo il ’48» (cioè tutto il
territorio della Palestina storica) reciterebbe piuttosto «Non vogliamo i due
stati, ricordiamo il ’48».
Ma è
soltanto quello che gli piacerebbe sentire.
Shay,
un ventenne americano, ha raccontato le difficoltà attraversate in famiglia per
mantenere la sua posizione antisraeliana.
Un’altra
contestatrice ebrea ha sostenuto che l’insulto “Tornatene in Polonia”, usato
contro americani ebrei vicino al campus, non fosse antisemita: «È solo capitato
che la persona a cui è stato rivolto fosse ebrea».
“Jasmine
Sarryeh-Jemersic”, una trentaquattrenne studente giordano-americana di origini
palestinesi, ha liquidato le critiche agli slogan dicendo che «chiamare la mia
terra Palestina non minaccia certo una potenza nucleare come Israele, stabilita
da oltre 70 anni.
E non
mi pare la parte israeliana sia più orientata a soluzioni ragionate».
Ma “Arian
Lehrer”, trentasettenne studentessa israeliana di sinistra e sensibile alla
causa palestinese, dice:
«Spero
imparino a difendere i diritti dei palestinesi senza disumanizzare e
demonizzare la nostra identità».
Il
controllo di Israele sull'America
diventa
sempre più forte.
Unz.com - FILIPPO GIRALDI – (14 GIUGNO 2024) –
ci dice:
La
politica estera degli Stati Uniti si basa sull'accondiscendenza nei confronti
dello Stato ebraico.
Nel
settembre 2017 ho scritto un articolo per il sito Unz Review intitolato
"Gli ebrei d'America stanno guidando le guerre dell'America" con il
sottotitolo "Non dovrebbero ricusare se stessi quando si tratta del Medio
Oriente?"
L'articolo
si concentrava sul fatto che la maggior parte degli individui e dei gruppi
negli Stati Uniti che si stavano agitando per la guerra con l'Iran in
particolare erano ebrei e la maggior parte non nascondeva la propria lealtà a
Israele, guidato allora come oggi dal primo ministro Benjamin Netanyahu.
Sostenni
che era un errore lasciare che gli ebrei gestissero le relazioni dell'America
in Medio Oriente, in particolare, poiché alcuni di loro avrebbero certamente
sperimentato un conflitto di interessi che inevitabilmente non sarebbe stato
vantaggioso per gli Stati Uniti.
E, si potrebbe aggiungere, che nonostante il legame
che lega un governo straniero, nessun gruppo filo-israeliano è mai stato
obbligato a registrarsi ai sensi del “Foreign Agents Registration Act” del 1938
che fornirebbe una certa trasparenza sulle finanze e sui contatti diretti con
il governo israeliano o la sua ambasciata a Washington.
Il risultato finale di tutto ciò è quello di
rendere estremamente facile l'uso del denaro, che i miliardari sionisti hanno
in abbondanza, per corrompere il processo del governo degli Stati Uniti per
conto di uno stato di apartheid che in realtà non è un alleato e non ha valori
che si adattano bene a quella che una volta era la democrazia americana.
Se
misurato dai commenti ricevuti sul sito di Unz, l'articolo sulla difesa etnica
che promuove le guerre americane si è rivelato il più popolare che abbia mai
scritto ed è stato ripreso ampiamente online e in varie pubblicazioni sia negli
Stati Uniti che all'estero.
Inevitabilmente, però, ha prodotto una
reazione negativa da parte dei molti amici di Israele e nel giro di 24 ore è
stato aggiunto un aggiornamento al post online originale.
La mattina del 21 settembre Phil Giraldi è
stato licenziato al telefono dall'”American Conservative”, dove era stato un
collaboratore regolare per quattordici anni.
Gli è
stato detto che "gli ebrei d'America stanno guidando le guerre
americane" era inaccettabile.
La
direzione e il consiglio di amministrazione del “TAC” sembrano aver dimenticato
che la rivista è stata lanciata con un articolo del fondatore” Pat Buchanan”
intitolato "Di chi è la guerra?", che in gran parte faceva le stesse
affermazioni di Giraldi sulla spinta ebraica per un'altra guerra, in quel caso
con l'Iraq.
“Buchanan”
è stato diffamato e denunciato come antisemita da molte delle stesse persone
che ora stanno attaccando “Giraldi” in modo simile.
Il
tumore maligno del TAC che ha fatto il vero sparo è stato particolarmente
irritato dalla mia affermazione nell'articolo che ebrei di spicco, come “Bill
Kristol”, che appaiono regolarmente in televisione per sostenere linee dure
contro l'Iran e altri, mentre articolano una "minaccia per l'America"
quando in realtà stanno agendo per conto di Israele, dovrebbero apparire sopra
un'etichetta che recita qualcosa come "ebreo é un esplicito sostenitore
dello stato di Israele".
Aggiunsi
che sarebbe stato un po' come un'etichetta di avvertimento su una bottiglia di
veleno per topi, traducibile approssimativamente come "ingerisci anche la
più piccola dose delle sciocchezze vomitate da “Bill Kristol” a tuo rischio e
pericolo".
In
effetti, è la ricca e influente diaspora ebraica e la sua incessante menzogna e
corruzione che sostiene la narrazione fittizia di Israele come una "terra
senza popolo per un popolo senza terra".
La giornalista australiana “Caitlin Johnstone”
osserva che "Tutto ciò che riguarda Israele è falso.
È una
nazione completamente sintetica creata senza alcun riguardo per i movimenti
sociopolitici organici della terra e della sua gente, schiaffeggiata senza
radici in cima a un'antica civiltà preesistente con radici profonde.
Ecco perché non può esistere senza essere
sostenuta artificialmente dalla propaganda senza sosta, dalle lobby, dalle
operazioni di influenza online e dalla violenza militare di massa".
Il mio
punto nel rivisitare il passato è che sette anni fa non si sarebbe mai
immaginato il controllo che la lobby ebraica ha ottenuto sulla politica estera
degli Stati Uniti, così come su molte politiche interne, in gran parte grazie
alle misure allarmanti pro-Israele che sono state avanzate da un Donald “Trump”
ignorante e sconsiderato, seguito dal totalmente insensato e incurante “Joe
Biden”.
Biden
ha una maggioranza di ebrei che occupano posizioni di alto livello nella sua
amministrazione ed è giusto dire che gli ebrei sono ai comandi della politica
mediorientale e di ciò che sta accadendo in Ucraina.
Il Segretario di Stato “Anthony Blinken” è poco più di
un portavoce e sostenitore di Israele, come ha chiarito quando è arrivato in
Israele dopo l'attacco di Hamas e ha annunciato:
"Vengo davanti a voi come ebreo..."
e ha proseguito con la storia dell'olocausto
della sua famiglia, anche se ha omesso di menzionare che il suo patrigno
lavorava per “Robert Maxwell”, una delle principali spie israeliane.
E non dimentichiamoci del Congresso, dove i
fanatici filo-israeliani hanno preso il controllo completo (con la sola
eccezione di “Tom Massie”) del Partito Repubblicano.
Questo
controllo viene esercitato attraverso donazioni politiche esagerate e una
copertura mediatica favorevole che dipende dalla propria visione favorevole di
Israele.
Sta
attualmente circolando una storia che indica che “Miriam Adelson”, erede di
origine israeliana della fortuna multimiliardaria del casinò” Sheldon Adelson”,
ha offerto a Trump 100 milioni di dollari come contributo alla campagna politica
se prometterà di consentire l'annessione israeliana di tutta la Palestina
storica dopo aver vinto le elezioni di novembre.
Alcuni
membri del Congresso hanno rivelato che quando sono emersi per la prima volta
come candidati politici, un rappresentante dell'”American Israel Public Affairs
Committee” (AIPAC) sarebbe passato casualmente a determinare il loro punto di
vista sul Medio Oriente.
In alcuni casi, agli aspiranti legislatori
verrebbe chiesto di firmare una dichiarazione in cui si impegnano a sostenere
Israele in modo pieno e acritico, qualunque cosa faccia.
E di
recente abbiamo appreso che Israele conduce importanti operazioni segrete di
intelligence utilizzando falsi personaggi sui social media che diffondono
storie filo-israeliane per influenzare il processo decisionale e mantenere il
controllo del governo degli Stati Uniti.
Oltre
a ciò, secondo “Massie”, che ha detto a “Tucker Carlson”, ogni repubblicano al
Congresso oltre a lui "ha una persona dell'AIPAC" assegnata a loro
con cui sono in costante comunicazione, che descrive come "come la tua
babysitter" per assicurarsi che nessuno esiti quando si tratta di politiche
che hanno un impatto su Israele.
Si
presume che si tratti di stagisti forniti dall'AIPAC o dall'”Anti-Defamation
League” (ADL) che spiano i funzionari per timore che deviino dalla loro lealtà
giurata allo Stato ebraico.
Chiamerei
tale attività spionaggio straniero connesso all'incitamento a commettere
tradimento che dovrebbe essere smascherato come la metafora del veleno per topi
citata sopra.
Questi
mostri che promuovono gli interessi di un paese straniero non sono veramente
nostri amici e non vogliono fare nulla di utile per il popolo americano.
Anche
il sostegno a Israele da parte dei media è artificioso ed essenzialmente falso,
va oltre le storie distorte e ignora i palestinesi.
Generalmente
e dall'alto verso il basso è imposto.
Da ottobre organi di stampa come il “New York
Times”, la “CNN” e la “CBC “sono stati denunciati attraverso fughe di notizie
riguardanti le richieste dei loro massimi dirigenti, che sono spesso ebrei, di
inclinare la loro copertura di Gaza per sostenere le narrazioni favorite da
Israele.
Ci sono state dimissioni nel governo per il
genocidio israeliano sostenuto da “Biden” e “Briahna Joy Gray” è stata appena
licenziata da “The Hill” per aver leggermente criticato Israele mentre
co-conduceva lo show "Rising", un destino che tutti i dipendenti dei
media devono capire per “non condividere il destino di Gray “se non sono
sufficientemente solidali con l'entità sionista.
Il sostegno di Israele da parte di Hollywood e
di altre celebrità è altrettanto forzato.
Una
società di marketing di Hollywood ha dovuto spiegare un'e-mail appena trapelata
che istruiva i dipendenti dell'azienda a "fare una pausa nel lavorare con
qualsiasi celebrità o influencer o taste maker che pubblicasse post contro
Israele".
Altri
nuovi sviluppi sul fronte israeliano che sono emersi negli ultimi sette anni
includono gli attacchi alla libertà di parola e di associazione, lo sviluppo di
una legislazione filo-israeliana a livello statale e locale che nega i benefici
governativi e i posti di lavoro ai cittadini che sostengono il boicottaggio
pacifico di Israele, e l'ultimo abominio dell”'Antisemitism Awareness Act”, che
sta cercando di criminalizzare qualsiasi critica allo Stato ebraico.
La legge è solo un aspetto di come il potere
dei gruppi ebraici organizzati sul governo e sui media stia plasmando il tipo
di società in cui gli americani vivranno nel prossimo futuro.
Sarà
una società priva di diversi diritti costituzionali fondamentali, come la
libertà di parola, a causa della deferenza verso le preferenze di un piccolo
gruppo demografico.
Anche
le prossime elezioni sono state prese di mira dalla "Lobby", con
gruppi ebraici che hanno raccolto centinaia di milioni di dollari per compiere
attacchi contro candidati considerati anti-israeliani.
La mano pesante ispirata dai sionisti del
governo e delle istituzioni educative americane è stata osservata di recente
anche negli arresti e in altre punizioni, tra cui il blocco delle opportunità
di lavoro e la cancellazione delle lauree agli studenti che protestano contro
il genocidio israeliano dei palestinesi.
I
contro-manifestanti ebrei, a volte violenti come nel recente caso dell'UCLA, di
norma non vengono puniti e i loro gruppi studenteschi non vengono toccati,
mentre i gruppi pro-palestinesi sono banditi dal campus.
A
volte il farsi in quattro per compiacere gli israeliani è del tutto ridicolo.
Il
Congresso sta attualmente cercando di approvare un disegno di legge che
punirebbe le “Maldive” per aver bloccato i viaggi verso le isole per i titolari
di passaporto israeliano mentre la guerra a Gaza continua.
Il
deputato democratico “Josh Gottheimer” del “New Jersey” sta guidando gli sforzi
per fare pressione sul governo della località turistica dell'Oceano Indiano.
“Gottheimer”,
noto per essere uno dei più aggressivi sostenitori di Israele al Congresso, sta
cercando un sostegno bipartisan nello sviluppo della legislazione che si
chiamerà” Protecting Allied Travel Here (PATH) Act”.
La
legislazione potrebbe bloccare qualsiasi aiuto o assistenza degli Stati Uniti
alle Maldive fino a quando gli israeliani non avranno di nuovo il permesso di
visitare il paese.
“Gottheimer”
ha sostenuto che "i dollari dei contribuenti non dovrebbero essere inviati
a una nazione straniera che ha bandito tutti i cittadini israeliani – uno dei
nostri più grandi alleati democratici".
Ha
anche aggiunto, prevedibilmente, che la mossa maldiviana è stata
"antisemita".
Così,
a mio modesto parere, siamo stati sempre più fregati senza sosta da Israele,
nonostante gran parte delle punizioni che si svolgono alla luce del sole, ma
gli sventurati disgraziati del Congresso sono troppo deboli e terrorizzati
dalla lobby ebraica per fare qualcosa al riguardo.
E ora abbiamo il criminale di guerra Benjamin
Netanyahu che
si presenta alla fine di luglio per un altro giro di ruffianeria e
strisciamento, oltre ad applaudire e inchinarsi alla Sessione Congiunta di
quello stesso Congresso che ha fatto così tanto per dare a “Bibi”, strumenti e
denaro che gli hanno permesso di uccidere 35.000 palestinesi, per lo più
civili, e il numero è in aumento.
È una vergogna e quando il mondo si siederà e
farà i conti con ciò che è accaduto e determinerà di chi è la colpa, i nodi
verranno inevitabilmente al pettine. L'America il paria.
Quasi fa rima.
(Philip
M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest,
una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501 (c) 3.)
L’Affaire
Bergoglio: dalla
Partecipazione
al G7 alla Dicitura
Secondo
cui “Si Può Ridere Anche di Dio”
Conoscenzealconfine.it
– (25 Giugno 2024) - Diego Fusaro – ci dice:
Bergoglio,
che sembra aver fatto della distruzione di ogni ponte tra cielo e terra la
propria missione speciale, ha candidamente affermato, come se fosse la cosa più
ovvia del mondo, che, (sono parole sue) “si può ridere anche di Dio”.
Il
travagliato affaire Bergoglio non si placa e continua anzi a far discutere
indefessamente di sé.
Per la
prima volta nella storia un, tra virgolette, Papa, e nel caso di Bergoglio le
virgolette sono d’obbligo, partecipa al G7.
Al raduno delle grandi potenze che comandano
il mondo e che si sono auto investite della missione, non gliel’ha infatti
conferita nessuno, di promuovere la pace con le armi, la democrazia con i
missili e la libertà con le bombe.
Orwell
era davvero un dilettante rispetto al nostro presente.
Stiamo
parlando naturalmente dell’Occidente, che già da tempo sarebbe più opportuno
appellare “Uccide-nte”.
Ebbene,
anche Bergoglio era presente nella sontuosissima e sfarzosa località di “Borgo
Egnazia”, ove il consesso dei potenti della terra si è svolto con un dispendio
di danari davvero notevole, che stona, tanto più se si considerano le
condizioni miserrime in cui le classi nazionali popolari versano ogni giorno in
tutto l’Occidente.
La
notizia non deve passare sotto silenzio, da che realmente è epocale.
Bergoglio,
che curiosamente assai spesso risulta malato quando si tratta di celebrazioni
religiose ufficiali, non si lascia sfuggire questa ghiotta occasione relativa a
questioni mondane.
D’altro canto, Bergoglio ci ha abituati negli
anni.
Egli
sembra trovarsi decisamente più a proprio agio in tv con “Fabio Fazio” o ai
consessi dei potenti piuttosto che ai luoghi del sacro, come del resto sembra
preferire le questioni mondane rispetto alle cose ultime della trascendenza e
dell’eternità.
Proprio in ciò riposa la religione del nulla di
Bergoglio, vuoi anche la sua teologia liquida, smart e chiusa alla
trascendenza, votata all’immanenza e alle cose mondane.
Come
non ci stanchiamo di ripetere da tempo, con Bergoglio, che “Non è il Papa”, da
che” Ratzinger” rimase papa “in sede impedita” fino alla sua morte, la chiesa
cattolica si è venuta ridefinendo come una neo-chiesa post-cristiana e smart,
semplice gran cassa della “globalizzazione liberal-progressista del PD italiano
e Dem Usa” e in tinta arcobaleno”, mero raddoppiamento del pensiero unico politicamente
corretto, che in tal guisa diventa anche teologicamente corretto.
Insomma,
una fede low-cost che rende ormai indistinguibile il cattolico dal consumatore.
Proprio
così, ai tempi di Bergoglio, il buon cattolico coincide in toto con il buon
liberal globalista, che ha introiettato i moduli del pensiero unico funzionale
all’ordine mondiale asimmetrico della globalizzazione turbo-capitalistica.
Del
resto, nei giorni scorsi lo stesso Bergoglio ha candidamente affermato, come se
fosse la cosa più ovvia del mondo, che, (sono parole sue) “si può ridere anche
di Dio”.
Bergoglio
ride di Dio.
Proprio
così, per Bergoglio si può ridere anche di Dio.
Migliaia
di anni di teologia, da Agostino di Ippona a Tommaso d’Aquino, da Anselmo di
Aosta a Duns Scoto, sono stati buttati con un colpo alle ortiche, con un’uscita
tanto misera e infelice.
A opera di colui il quale, idealmente dovrebbe
rappresentare il facitore di ponti, questo dice la parola pontifex, il facitore
di ponti tra cielo e terra, tra trascendenza e immanenza, tra Dio e uomo.
Invece
sembra aver fatto della distruzione di ogni ponte tra cielo e terra la propria
missione speciale.
Ebbene,
un Dio di cui l’uomo può ridere semplicemente non è più un Dio, ma è un ente
dissacrato tra gli altri, privo di sacertà, il sacro e l’indisponibile, ridotto
a cosa del mondo a disposizione dell’uomo.
Non ci
stupiremmo davvero se un giorno o l’altro Bergoglio si affacciasse con
nonchalance al balcone di San Pietro e si rivolgesse ai fedeli citando
direttamente Nietzsche: “Fratelli e sorelle, Dio è morto!”
(Diego
Fusaro - Radioattività – Lampi del Pensiero Quotidiano)
(radioradio.it/2024/06/laffaire-bergoglio-dalla-partecipazione-al-g7-alla-dicitura-secondo-cui-si-puo-ridere-anche-di-dio/)
Le
oscure origini del
“Great
Reset” di Davos.
Globalresearch.ca
– (08 giugno 2024) - DiF. William Engdahl – ci dice:
È
importante capire che non c'è una sola idea nuova o originale nel cosiddetto
programma del “Grande Reset” di “Klaus Schwab” per il mondo.
Né la sua agenda per la “Quarta Rivoluzione
Industriale” è una sua pretesa di aver inventato la nozione di “Stakeholder
Capitalism” un prodotto di “Schwab”.
“Klaus
Schwab” è poco più di un abile agente di pubbliche relazioni per un'agenda
tecnocratica globale”, un'unità corporativa del potere corporativo con il governo,
comprese le Nazioni Unite, un'agenda le cui origini risalgono all'inizio degli anni
'70 e anche prima. I
Il
Grande reset di Davos è semplicemente un progetto aggiornato per una “dittatura
distopica globale” sotto il controllo delle Nazioni Unite che è stato
sviluppato per decenni.
Gli
attori chiave erano “David Rockefeller” e il suo protettore, “Maurice Strong”.
All'inizio
degli anni '70, probabilmente non c'era persona più influente nella politica
mondiale del defunto allora ampiamente noto come “presidente della Chase
Manhattan Bank”.
Creare
il nuovo paradigma.
Alla
fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, i circoli internazionali
direttamente legati a David Rockefeller lanciarono una serie abbagliante di
organizzazioni d'élite e think tank.
Questi
includevano:
Il Club di Roma; il 1001: A Nature Trust,
legato al World Wildlife Fund (WWF); la conferenza di Stoccolma per la Giornata
della Terra delle Nazioni Unite; lo studio del MIT, I limiti della crescita; e
la Commissione Trilaterale di David Rockefeller.
Club
di Roma.
Nel
1968 David Rockefeller fondò un think tank neo-malthusiano, “The Club of Rome”,
insieme ad “Aurelio Peccei” e “Alexander King”.
Aurelio
Peccei, era un alto dirigente della casa automobilistica Fiat, di proprietà
della potente famiglia italiana Agnelli.
Gianni
Agnelli della Fiat era un amico intimo di David Rockefeller e membro dell'”International
Advisory Committee” della Chase Manhattan Bank di Rockefeller.
Agnelli
e David Rockefeller erano amici intimi dal 1957.
Agnelli divenne membro fondatore della “Commissione
Trilaterale” di David Rockefeller nel 1973.
Alexander
King, capo del Programma scientifico dell'OCSE, è stato anche consulente della
NATO.
Quello fu l'inizio di quello che sarebbe
diventato il movimento neo-malthusiano del "popolo inquina".
Nel
1971 il Club di Roma pubblicò un rapporto profondamente imperfetto, “Limiti
alla crescita”, che prevedeva la fine della civiltà come la conoscevamo a causa
della rapida crescita della popolazione, combinata con risorse fisse come il
petrolio.
Il rapporto concludeva che senza cambiamenti
sostanziali nel consumo delle risorse, "il risultato più probabile sarà
un declino piuttosto improvviso e incontrollabile sia della popolazione che
della capacità industriale".
Si
basava su false simulazioni al computer da parte di un gruppo di scienziati
informatici del “MIT”.
Si
affermava l'audace previsione:
"Se
le attuali tendenze di crescita della popolazione mondiale,
dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della produzione alimentare e
dell'esaurimento delle risorse continueranno invariate, i limiti alla crescita
su questo pianeta saranno raggiunti entro i prossimi cento anni".
Era il
1971.
Nel
1973 Klaus Schwab, nel suo terzo incontro annuale dei leader aziendali a Davos,
invitò Peccei a Davos per presentare i limiti della crescita agli
amministratori delegati delle aziende riuniti.
Nel
1974, il Club di Roma dichiarò coraggiosamente:
"La Terra ha il cancro e il cancro è
l'Uomo".
Poi:
"il
mondo sta affrontando una serie senza precedenti di problemi globali
interconnessi, come la sovrappopolazione, la carenza di cibo, l'esaurimento
delle risorse non rinnovabili [petrolio-noi], il degrado ambientale e la
cattiva governance".
Sostenevano che,
è
necessaria una ristrutturazione "orizzontale" del sistema mondiale...
cambiamenti drastici nello strato normativo – cioè nel sistema di valori e
negli obiettivi dell'uomo – sono necessari per risolvere la crisi energetica,
alimentare e altre crisi, cioè cambiamenti sociali e Se si vuole che avvenga la
transizione verso una crescita organica, sono necessari cambiamenti negli
atteggiamenti individuali.
Nel
loro rapporto del 1974, “L'umanità al punto di svolta” , il Club di Roma sostenne inoltre:
La
crescente interdipendenza tra nazioni e regioni deve quindi tradursi in una
diminuzione dell'indipendenza.
Le nazioni non possono essere interdipendenti
senza che ciascuna di esse rinunci a parte della propria indipendenza, o almeno
riconosca dei limiti alla propria indipendenza.
Ora è
il momento di elaborare un piano generale per la crescita organica sostenibile
e lo sviluppo mondiale basato sull'allocazione globale di tutte le risorse
limitate e su un nuovo sistema economico globale.
Questa
è stata la prima formulazione dell'Agenda 21 delle Nazioni Unite, dell'Agenda
2030 e del Great Reset di Davos del 2020.
David
Rockefeller e Maurice Strong.
Di
gran lunga l'organizzatore più influente dell'agenda di "crescita
zero" di Rockefeller nei primi anni '70 fu l'amico di lunga data di David
Rockefeller, un petroliere miliardario di nome Maurice Strong.
Il
canadese Maurice Strong è stato uno dei principali promotori della teoria scientificamente errata
secondo cui le emissioni di CO2 provocate dall'uomo dai veicoli di trasporto, dalle
centrali a carbone e dall'agricoltura hanno causato un aumento drammatico e
accelerato della temperatura globale che minaccia "il pianeta", il
cosiddetto riscaldamento globale.
In
qualità di presidente della Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite per la
Giornata della Terra del 1972, Strong ha promosso un'agenda di riduzione della
popolazione e abbassamento del tenore di vita in tutto il mondo per
"salvare l'ambiente".
Strong
ha dichiarato la sua agenda ecologista radicale:
"L'unica
speranza per il pianeta non è il collasso delle civiltà industrializzate? Non è
nostra responsabilità realizzarlo?"
Questo
è ciò che sta accadendo ora sotto la copertura di una tanto pubblicizzata pandemia
globale.
Strong
è stata una scelta curiosa quella di guidare un'importante iniziativa delle
Nazioni Unite per mobilitare l'azione sull'ambiente, poiché la sua carriera e
la sua considerevole fortuna erano state costruite sullo sfruttamento del
petrolio, come un insolito numero di nuovi sostenitori della "purezza
ecologica", come David Rockefeller o “Robert O. Anderson” dell”'Aspen
Institute” o “John Loudon” della Shell.
Strong
aveva incontrato David Rockefeller nel 1947 quando era un giovane canadese
diciottenne e da quel momento la sua carriera si legò alla rete della famiglia
Rockefeller.
Attraverso la sua nuova amicizia con David
Rockefeller, Strong, all'età di 18 anni, ricevette una chiave Posizione delle
Nazioni Unite sotto il Tesoriere delle Nazioni Unite, Noah Monod.
I
fondi delle Nazioni Unite furono opportunamente gestiti dalla “Chase Bank di
Rockefeller”.
Questo era tipico del modello di
"partenariato pubblico-privato" implementato da Strong: guadagno
privato dal governo pubblico.
Negli
anni '60 Strong era diventato presidente dell'enorme conglomerato energetico e
compagnia petrolifera di Montreal noto come “Power Corporation”, allora di
proprietà dell'”influente Paul Desmarais”.
Secondo
quanto riferito, la “Power Corporation” è stata utilizzata anche come fondo
nero politico per finanziare campagne di politici canadesi selezionati come “Pierre
Trudeau”, padre del protetto di Davos “Justin Trudeau”, secondo la ricercatrice
investigativa canadese “Elaine Dewar”.
Summit
della “Terra I” e Summit della “Terra di Rio”.
Nel
1971 Strong fu nominato sottosegretario delle Nazioni Unite a New York e
segretario generale della prossima conferenza sulla Giornata della Terra, la
Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano (Summit della Terra I) a
Stoccolma, in Svezia.
Quell'anno
fu anche nominato amministratore fiduciario della “Fondazione Rockefeller”, che
finanziò il suo lancio del progetto “Stockholm Earth Day”.
A Stoccolma fu creato il “Programma delle
Nazioni Unite per l'ambiente” (UNEP) con Strong come capo.
Nel
1989 Strong fu nominato dal Segretario generale delle Nazioni Unite a capo
della “Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo” del 1992 o
UNCED ("Rio Earth Summit II" ).
Ha
supervisionato la stesura degli obiettivi delle Nazioni Unite per l'ambiente
sostenibile, l'Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile che costituisce la base
del Great Reset di Klaus Schwab, nonché la creazione del Gruppo
intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite.
Strong,
che era anche membro del consiglio del WEF di Davos, aveva fatto in modo che
Schwab fungesse da consigliere chiave per il Summit della Terra di Rio.
In
qualità di Segretario Generale della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio,
Strong ha anche commissionato un rapporto al Club di Roma, “La prima
rivoluzione globale”, scritto da “Alexander King”, in cui ammetteva che l'affermazione
sul riscaldamento globale da CO2 era semplicemente uno stratagemma inventato
per forzare il cambiamento:
"Il
nemico comune dell'umanità è l'uomo. Nella ricerca di un nuovo nemico che ci
unisse, ci è venuta l'idea che l'inquinamento, la minaccia del riscaldamento
globale, la scarsità d'acqua, la carestia e simili sarebbero stati all'altezza.
Tutti questi pericoli sono causati dall'intervento umano, ed è solo attraverso
un cambiamento di atteggiamenti e comportamenti che possono essere superati. Il
vero nemico quindi è l'umanità stessa".
Il
delegato del presidente” Clinton” a Rio, “Tim Wirth”, ha ammesso la stessa
cosa, affermando:
"Dobbiamo
affrontare il problema del riscaldamento globale. Anche se la teoria del
riscaldamento globale è sbagliata, faremo la cosa giusta in termini di politica
economica e politica ambientale".
A Rio
Strong ha introdotto per la prima volta l'idea manipolativa di "società
sostenibile" definita in relazione a questo obiettivo arbitrario di
eliminare la CO2 e altri cosiddetti gas serra.
L'Agenda
21 è diventata Agenda 2030 nel settembre 2015 a Roma, con la benedizione del
Papa, con 17 obiettivi "sostenibili".
Ha
dichiarato, tra le altre cose,
"La
terra, per la sua natura unica e per il ruolo cruciale che svolge
nell'insediamento umano, non può essere trattata come un bene ordinario,
controllato da individui e soggetto alle pressioni e alle inefficienze del
mercato.
La
proprietà privata della terra è anche uno strumento principale di accumulazione
e concentrazione della ricchezza e quindi contribuisce all'ingiustizia
sociale...
La
giustizia sociale, il rinnovamento e lo sviluppo urbano, la fornitura di
abitazioni dignitose e condizioni sane per le persone possono essere raggiunti
solo se la terra viene utilizzata nell'interesse della società nel suo
insieme".
In
breve, la
proprietà privata della terra deve diventare socializzata per "la società
nel suo insieme", un'idea ben nota ai tempi dell'Unione Sovietica e una
parte fondamentale del “Grande Reset di Davos”.
A Rio
nel 1992, dove era presidente e segretario generale, Strong dichiarò:
"È
chiaro che gli attuali stili di vita e i modelli di consumo della classe media
benestante – che comportano un'elevata assunzione di carne, il consumo di
grandi quantità di cibi surgelati e pronti, l'uso di combustibili fossili,
elettrodomestici, aria condizionata a casa e sul posto di lavoro e abitazioni
suburbane – non sono sostenibili".
A quel
tempo Strong era al centro stesso della trasformazione delle Nazioni Unite nel
veicolo per imporre di nascosto un nuovo "paradigma" tecnocratico
globale, utilizzando terribili avvertimenti sull'estinzione del pianeta e sul
riscaldamento globale, fondendo le agenzie governative con il potere aziendale
in un controllo non eletto. praticamente di tutto, sotto la copertura della
"sostenibilità".
Nel
1997 Strong ha supervisionato la creazione del piano d'azione successivo all'”Earth
Summit”, “The Global Diversity Assessment”, un progetto per l'avvio di una “quarta
rivoluzione industriale”, un inventario di ogni risorsa del pianeta, come
sarebbe controllata e come questa rivoluzione sarebbe raggiunta.
A quel
tempo Strong era co-presidente del “Forum economico mondiale di Davos di Klaus
Schwab”.
Nel 2015, alla morte di Strong, il fondatore
di Davos Klaus Schwab scrisse:
"È
stato il mio mentore fin dalla creazione del Forum: un grande amico; un
consigliere indispensabile; e, da molti anni, membro del nostro Consiglio di
Fondazione."
Prima
di lasciare le Nazioni Unite a causa dello scandalo di corruzione “Food-for-Oil”
in Iraq, Strong è stato membro del” Club di Roma”, amministratore dell'”Aspen
Institute”, amministratore della “Fondazione Rockefelle”r e della “Fondazione
Rothschild”.
Strong
è stato anche direttore del “Tempio della Comprensione del Lucifer Trust” (noto
anche come Lucis Trust) ospitato presso la Cattedrale di St. John the Divine a
New York City,
"dove
i rituali pagani includono la scorta di pecore e bovini all'altare per la
benedizione.
Qui, il vicepresidente” Al Gore” ha tenuto un
sermone, mentre i fedeli marciavano verso l'altare con ciotole di compost e
vermi..."
Questa
è l'origine oscura dell'agenda del “Grande Reset di Schwab”, secondo la quale
dovremmo mangiare vermi e non avere proprietà privata per "salvare il
pianeta".
L'agenda
è oscura, distopica e intesa a eliminare miliardi di noi "umani
comuni".
(F.
William Engdahl è consulente e docente in materia di rischi strategici, ha
conseguito una laurea in politica presso l'Università di Princeton.)
(Ma è
mai possibile che ai nostri giorni si possa impunemente dichiarare che miliardi
di uomini debbono essere uccisi solo per glorificare Klaus Schwab & C.?
N.D.R.)
Cambiamenti
climatici e C02:
sostenibilità
falsa contro
sostenibilità
reale.
Globalresearch.ca
- Mark Keenan – (24 giugno 2024) – ci dice:
Il
moderno movimento verde è molto lontano dai principi originali
dell'ambientalismo.
La
finta sostenibilità è l'agenda politica progettata e promossa dalle Nazioni
Unite, implementata da governi sottomessi e che serve gli obiettivi della super
entità bancaria privata e mega-aziendale.
Al centro di questa agenda c'è l'inganno del
cambiamento climatico e altre false narrazioni delle Nazioni Unite, come
descritto nel libro “Transcending the Climate Change Deception Towards Real
Sustainability” .
Nella
sezione "FALSA sostenibilità" possiamo considerare punti tra cui:
Il
cambiamento climatico provocato dall'uomo è una bugia conveniente:
non è causato dalla CO2 o dal metano prodotto
dal bestiame, come le mucche.
Negli
anni '30 le temperature erano più alte di oggi, ma l'ONU ignora questi dati.
Un
presidente del comitato IPPC delle Nazioni Unite si è effettivamente dimesso
per protestare contro le bugie e le false informazioni dell'IPPC delle Nazioni
Unite.
La
maggior parte degli scienziati che affermano che il cambiamento climatico è un
problema ricevono sovvenzioni pubbliche perpetue.
L'IPCC
delle Nazioni Unite sceglie attentamente i dati, utilizza modelli imperfetti e
scenari non lontanamente correlati al mondo reale.
Geoingegneria
con il pretesto di combattere il cambiamento climatico e la tecnologia
utilizzata per inquinare i cieli.
I
banchieri centrali stanno finanziando interamente l'avanzamento del
"progetto" mondiale sul cambiamento climatico.
I banchieri centrali hanno preso il controllo
del vero movimento ambientalista nel 1992 creando la falsa agenda sul
cambiamento climatico.
Tra
gli altri interessi finanziari, la dinastia bancaria dei Rockefeller ha
promosso l'agenda dell'allarmismo climatico.
Il “Chicago Climate Exchange” è una bufala che
genera denaro da trilioni di dollari.
L'energia
rinnovabile non è una soluzione praticabile ai problemi energetici mondiali.
Ciò è
dimostrato dal lavoro di David MacKay, (1967 – 2016) ex Regius Professor di
Ingegneria presso l'Università di Cambridge ed ex Capo Consulente Scientifico
del Dipartimento per l'Energia e i Cambiamenti Climatici del Regno Unito, nel
suo libro “Sustainable Energy without Hot Air”, vedi nota finale.
La sua
analisi mostra che un'area grande il doppio dell'intero paese del Galles
dovrebbe essere completamente coperta da turbine eoliche per soddisfare la
domanda di energia nel Regno Unito, in base al consumo energetico medio pro
capite.
Quello
che segue è un estratto dal suo libro:
"In
primo luogo, affinché qualsiasi impianto rinnovabile possa dare un contributo
apprezzabile – un contributo paragonabile al nostro consumo attuale – deve
avere le dimensioni di un paese.
Per
soddisfare un quarto del nostro attuale consumo energetico mediante la
coltivazione di colture energetiche, ad esempio, sarebbe necessario che il 75%
della Gran Bretagna fosse coperto da piantagioni di biomassa...
Qualcuno
che vuole vivere con energia rinnovabile, ma si aspetta che le infrastrutture
associate a quella rinnovabile non siano grandi o invadente, si illude...
siamo
costretti a concludere che il consumo attuale non sarà mai coperto dalle
energie rinnovabili britanniche...
I
mulini a vento che sarebbero necessari per fornire al Regno Unito 20 kWh/gg pro
capite ammontano a 50 volte l'intero hardware eolico di Danimarca;
7 volte tutti i parchi eolici della Germania;
e
raddoppiare l'intera flotta di tutte le turbine eoliche nel mondo...
La
capacità di energia solare necessaria per fornire questi 50 kWh al giorno per
persona nel Regno Unito è più di 100 volte superiore a quella fotovoltaica nel
mondo intero..."
L'assurdità
delle auto elettriche – vedi questo articolo “Guidare un'auto elettrica è un
falso ambientalismo” – Elon Musk lo smaschera.
L'assurdità
delle bottiglie di plastica e degli imballaggi di plastica che rilasciano
microplastiche dannose per la salute negli alimenti destinati al consumo umano.
Il
fallimento della "rivoluzione verde" dell'agricoltura industriale che
degrada la qualità del suolo e la fertilità attraverso l'uso di grandi quantità
di erbicidi e pesticidi a base chimica.
Desertificazione:
l'ONU afferma erroneamente che l'allevamento di animali è una causa, ma in
realtà è una soluzione.
Il
vero ambientalismo è stato dirottato dagli ingannevoli obiettivi di sviluppo
sostenibile delle Nazioni Unite – vedi l'articolo “Decodificare gli obiettivi
di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”:
indottrinare
i tuoi figli nel nuovo ordine mondiale "falso sostenibile."
Trent'anni
di sviluppo sostenibile definito dalle Nazioni Unite non hanno risolto i reali
problemi ambientali e di benessere umano.
L'Agenda
21/2030 delle Nazioni Unite e l'ingannevole reimpostazione dell'agenda del
Forum Economico Mondiale sono “agende di controllo” e sono l'opposto della vera
sostenibilità.
Le città intelligenti dell'Agenda 2030 delle
Nazioni Unite sono intelligenti per i controllori del cosiddetto "nuovo
ordine mondiale", ma non sono intelligenti per te.
Lo
sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite è un problema presentato come
soluzione.
Il
trucco dei siti patrimonio mondiale e del "rewilding" consiste nello
spostare gli agricoltori indipendenti e le popolazioni locali fuori dalla terra
e in città intelligenti dove non possono coltivare molto cibo.
La
globalizzazione delle mega-corporazioni è solo un paradigma distruttivo.
È un progetto per il controllo delle mega-corporazioni
sulle risorse mondiali e sull'approvvigionamento alimentare mondiale.
Politiche
di sviluppo insensate non possono produrre una società sana.
Va
sottolineata la tragedia dei beni comuni e la privatizzazione di tutto – vedi
anche questo articolo:
“ La
Banca Mondiale” e il “Fondo Monetario Internazionale” sono organizzazioni che
hanno devastato il mondo in via di sviluppo incatenando i cosiddetti paesi in
via di sviluppo (e anche i cosiddetti paesi del primo mondo) a debito
impagabile.
La
parola "sostenibile" è stata utilizzata dalle forze
finanziarie/politiche decenni fa.
L'ingannevole
definizione “Brundtland” di sviluppo sostenibile influenza le strategie
politiche di sviluppo sostenibile.
Dovrebbero
essere notati i falsi albori/i fallimenti/i difetti del disaccoppiamento, della
sostituzione delle risorse e delle strategie di eco-efficienza.
Le
politiche internazionali per lo "sviluppo sostenibile" sostengono
erroneamente forme inquinanti di crescita del PIL;
e sostiene erroneamente l'usura e l'attuale
ortodossia finanziaria basata sul debito.
Le
politiche delle Nazioni Unite non sconvolgeranno mai l'ortodossia, infatti la
direzione centrale delle politiche delle Nazioni Unite è allineata e progettata
dall'ortodossia.
La
strategia dell'economia verde/crescita verde è una globalizzazione distruttiva
dipinta di verde.
L'ONU promuove erroneamente "forme
inquinanti di crescita del PIL", causando così un impatto ambientale.
Oltre
un certo punto, la crescita del PIL non aumenta il benessere umano, lo
impoverisce.
L'economia
contemporanea è un'ideologia errata e non è una disciplina scientifica.
Ci
sono problemi sistemici nell'attuale sistema economico della globalizzazione –
vedi anche il libro “Demonic Economics”.
A chi
servono realmente le Nazioni Unite?
La
scioccante verità sul comunismo, il capitalismo e la Seconda Guerra Mondiale –
vedi anche il libro “Censored History”.
Tutti
i governi che promuovono la “falsa agenda di sostenibilità” sono società
registrate in debito perpetuo con mega-banche di proprietà privata e sono progettate
per tassarti e controllarti – vedi anche il libro “Demonic Economics”.
Sotto
la "sostenibilità
REALE"
possiamo considerare punti tra cui:
Superare
l'inganno del cambiamento climatico – Verso la vera sostenibilità.
È la vera
sfida della sostenibilità? La Terra da cui tutti dipendiamo:
che dire dell'inquinamento reale del suolo,
dell'aria e dell'acqua?
Non è
corretto attribuire la responsabilità dei problemi di sostenibilità alla
crescita demografica invece di affrontarne le cause profonde nel sistema
finanziario e aziendale.
La via
da seguire verso una società umana mondiale "reale", sostenibile e
resiliente, fiorente, implica una realtà distinta dall'illusione.
Nel
sistema attuale il mondo economico è governato dagli ulteriori elementi della
creazione di debito e dai loro tentacoli di controllo mega-aziendale.
Si tratta di aggirare il reset tecnocratico
mondiale del WEF/ONU del governo totalitario mondiale non eletto.
Implica
aggirare la falsa scienza in cui la "scienza" è stata cooptata e
adattata per agire come un bastone con cui costringerti a conformarti – vedi anche il libro “Godless Fake
Science”
Il
principio scientifico di precauzione per proteggere la vita umana e la natura è
stato ampiamente ignorato in questo sistema di globalizzazione aziendale.
Questo principio dovrebbe essere utilizzato
per prevenire effetti a lungo termine potenzialmente indesiderati e
inconoscibili di tecnologie che non sono state testate su un arco di tempo
prolungato, come i “nuovi OGM”, i “nuovi composti chimici artificiali” e le “nanotecnologie”.
I
tentativi dell'era moderna di definire scientificamente la sostenibilità
"reale" implicano il bilanciamento dei flussi di materiali con la
capacità della natura attraverso la progettazione sostenibile.
Questi
tentativi includono:
progettazione” Cradle to Cradle”,
progettazione sostenibile ed efficienza.
Tuttavia,
queste strategie da sole non riusciranno mai a compensare i danni del sistema
inquinante della globalizzazione aziendale.
I fattori principali della globalizzazione:
il sistema monetario-debito che lascia tutti i
governi con un vasto debito impagabile;
l'usura
che pretende il PIL a tutti i costi dai governi;
e
occorre affrontare il problema del crescente controllo da parte delle imprese
sulle risorse mondiali.
Una
ritirata sostenibile da un sistema di globalizzazione difettoso implica la
creazione di sistemi locali resilienti e l'eliminazione di false narrazioni,
come l'allarmismo climatico provocato dall'uomo.
Attualmente viviamo in un sistema dipendente
dal petrolio, dal gas e dal carbone (si noti che l'espediente delle auto elettriche
dipende dall'elettricità creata principalmente da petrolio e carbone).
Esiste
il rischio di un collasso sociale se l'energia restituita dall'energia
investita per questi combustibili diventa troppo bassa e se il costo di questi
combustibili aumenta oltre quello che le persone possono permettersi di pagare.
Per
evitare la dipendenza c'è bisogno di tecnologie intermedie come definite da autori come “EF Schumacher”.
L'importanza
dell'agricoltura biologica e degli alimenti privi di tossine e composti chimici
artificiali.
Nel
mondo della produzione convenzionale, un agricoltore può spruzzare i suoi
raccolti con pesticidi;
queste
sostanze chimiche possono avere effetti devastanti sulla biodiversità
necessaria per una sana fertilità del suolo.
La
realtà della produzione vegetale convenzionale è l'uso routinario di erbicidi,
come il glifosato, pesticidi e fungicidi.
Nelle generazioni passate tutti i prodotti
alimentari erano "organici", ora le sostanze chimiche vengono
utilizzate abitualmente nella produzione alimentare.
Un'enorme
industria trae enormi profitti dalla vendita di sostanze chimiche utilizzate
nel sistema alimentare controllato dalle multinazionali;
alcune di queste sostanze chimiche sono in
realtà tossiche per l'uomo e per la biodiversità da cui dipende la salute del
suolo.
Le
sostanze chimiche non appartengono al nostro sistema alimentare né al suolo.
Quando gli agricoltori biologici richiedono la certificazione dell'etichetta
biologica, i prodotti possono essere controllati per oltre 800 sostanze
chimiche che potrebbero essere presenti sul prodotto!
La
mente vacilla di fronte a questa realtà.
"Quanto
diverso sarebbe il panorama dei supermercati, se invece di cercare
"biologico certificato" tutti i prodotti che sono stati spruzzati
dovessero avere un'etichetta che descrive i trattamenti chimici che hanno
ricevuto nel suo viaggio dal seme al supermercato.
Quanto
sarebbe diverso il nostro sistema alimentare?
Immagina che il tuo sacchetto di carote sia
etichettato con i seguenti 10 prodotti chimici applicati sulle carote coltivate
in Irlanda nel 2015, l'ultimo anno in cui sono disponibili dati.
Lambda-cialotrina,
Linuron, Metribuzin, Azoxystrobin, Difenoconazolo, Pendimetalin,
Prothioconazolo, Boscalid, Pyraclostrobin, Tebuconazolo" – Agricoltore
biologico irlandese, Green Earth Organics.
Vedi
anche la soluzione del bio char per la gestione del suolo e la
desertificazione. Fermare la produzione di cibo OGM:
nessuno
conosce gli effetti a lungo termine sugli esseri umani e sui prodotti della
natura.
Dio ci ha dato tutti i cibi naturali di cui
abbiamo bisogno per vivere in modo sano: non scherzare con il disegno di Dio.
Sii
consapevole degli ingredienti dei vaccini – perché iniettare agli animali da
allevamento, come i polli, vaccini contenenti tossine, la cui scienza è a dir
poco discutibile.
Fai
anche attenzione alle tossine nell'acqua fluorata.
L'importanza
delle mucche nelle comunità autosufficienti è in netto contrasto con la falsa
agenda politica delle Nazioni Unite per ridurre il numero di vacche e, in
effetti, impedisce alle popolazioni locali di tutto il mondo di produrre il
proprio latte crudo sano mantenendo le mucche nelle comunità locali.
Riscoprire il potere e le dinamiche dei
cavalli è anche un'opzione per le comunità rurali resilienti.
Si può
anche esplorare lo splendore degli antichi villaggi forestali e l'agricoltura
forestale per frutta, erbe, materiali da costruzione, ecc.
Con
numerose ridicole normative agricole imposte dal governo, molte delle quali
basate sulla falsa scienza del cambiamento climatico causato dall'uomo, c'è la
necessità che l'agricoltura tradizionale sia disaccoppiata da un sistema
controllato dal governo.
È
possibile esplorare la costruzione di case naturali utilizzando materiali
naturali e senza l'uso di prodotti a base chimica, vernici e mobili (compresi
gli isolamenti con pompa a parete) che possono scaricare gas nella tua casa.
Esistono
innumerevoli modi in cui le persone libere possono facilmente lavorare per il
reciproco vantaggio proprio e della società senza che i governi si intromettano
imponendo le loro false politiche di sostenibilità.
L'unica vera autorità è Dio, non i sistemi di
potere aziendali e politici imperfetti e corrotti creati dall'uomo che spingono
l'agenda della "falsa sostenibilità" delle Nazioni Unite per
perseguire i propri obiettivi.
(Mark
Keenan è un ex scienziato presso il
Dipartimento per l'energia e i cambiamenti climatici del governo britannico e
presso la Divisione Ambiente delle Nazioni Unite.
Collabora
regolarmente con Global Research.
È
autore dei seguenti libri disponibili su amazon.com:
Superare
l'inganno del cambiamento climatico verso la vera sostenibilità.
Bufala
climatica sulla CO2 – Come i banchieri hanno preso il controllo del movimento
per l'ambiente reale.
Falsa
scienza senza Dio.
Nessun
problema, nessun virus.
L'economia
demoniaca e i trucchi dei banchieri.
I
falsi sbarchi sulla Luna e le bugie della NASA.
Storia
censurata del Nuovo Ordine Mondiale – Seconda Guerra Mondiale, Comunismo,
Sionismo, Ebrei e Vaticano.)
La
vera storia del delitto Matteotti:
furono
la corona inglese e Vittorio
Emanuele
III a volere la sua morte.
Lacrunadellago.net
- Cesare Sacchetti – (25/06/2024) – ci dice:
C’è un
falso passato che non vuole passare, almeno dalle parti della sinistra
progressista e anche quelle del centrodestra liberale che amano molto
l’esercizio di ripetere la mistificazione della storia.
Lo si
è visto recentemente con il noto programma “Repor”t che qualche ingenuo ancora
scambia per “informazione libera” quando esso, specie di recente, ha assunto le
forme di una fabbrica di depistaggi storici per provare a nascondere la verità
sotto un tappeto di menzogne.
E’
stato questo il caso della strage di Capaci nella quale persero la vita il
giudice Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo, e gli uomini della sua scorta,
quando “Report” in una recente puntata ha provato a far credere che il valoroso
magistrato siciliano fosse sulle tracce di una pista che lo stava portando
direttamente ai presunti intrighi tra mafia e DC.
Poco
importa però che Falcone negli ultimi mesi della sua vita non stesse facendo
nulla di tutto questo.
Poco
importa che il direttore generale degli Affari Penali, chiamato dal governo
Andreotti e impallinato dalla sinistra ante e post – comunista, stesse seguendo
una pista molto lontana dalla Balena Bianca e invece molto vicina a quelle di
Botteghe Oscure.
È la
famosa, almeno per chi ha letto questo blog di recente, indagine di “Giovanni
Falcone” sui fondi neri del PCI che ammontavano almeno a 985 miliardi di lire,
una montagna di denaro sporco sulla quale gli “eroi” del pool di Mani Pulite
non posarono mai gli occhi mentre “Falcone” che gli occhi ce li posò e che
saltò in aria poco prima di volare a” Mosca” e arrivare ai nomi di coloro che
beneficiavano delle tangenti del vecchio PCUS, ovvero il partito comunista
dell’Unione Sovietica.
Il
caso Matteotti e la propaganda antifascista.
Stiamo
assistendo ora ad un altro esercizio di falsificazione della storia, ma
stavolta non si tratta di storia recente, ma più antica, se vogliamo, che
risale almeno ai tempi del fascismo, ovvero il famigerato delitto del deputato
socialista “Giacomo Matteotti”.
“Report”,
ancora una volta, ha fatto la sua parte e ha veicolato il messaggio che a
ordinare il delitto fu Benito Mussolini, per impedire che il deputato
socialista rivelasse un affare di corruzione, del quale si dirà a breve, e dove
in realtà sono coinvolti attori tutt’altro che fascisti.
A
seguire la stessa (falsa) narrazione sono stati nei giorni passati le citate
due braccia della “democrazia liberale”, centrodestra e centrosinistra, che
come un sol uomo hanno rovesciato la responsabilità del delitto Matteotti al
fascismo e a Benito Mussolini.
Il
fascismo, si sa, è una vera e propria ossessione per il liberalismo e per la
putrida repubblica angloamericana partorita dall’armistizio di Cassibile e sono
mesi questi ai quali si assiste sempre di più ad una trita ripetizione di quei
consunti riti antifascisti nella speranza, o meglio illusione, di esorcizzare
la paura di un possibile ritorno di quell’epoca, considerata la profonda e attuale
crisi della liberal-democrazia.
Matteotti
è sempre stato un vecchio cavallo di battaglia della sinistra antifascista e
ancora una volta si è rispolverato il repertorio del duce “assassino” che
ordina l’uccisione del deputato per sopprimere la sua irrefrenabile avversione
al governo fascista.
Ora,
per chi conosce un minimo la storia del fascismo, e per chi conosce le doti
politiche e intellettuali di Mussolini, sa che non c’era nulla di più sciocco
da un punto di vista politico per l’allora presidente del Consiglio che
ordinare la morte di Matteotti.
Il
guadagno politico era pressoché nullo perché il deputato socialista non era
assolutamente in grado di fare alcunché per arrestare la crescente avanzata del
fascismo né tantomeno avrebbe potuto farlo in ottica futura, perché il
fascismo, come fenomeno politico e sociale, era estremamente popolare tra gli
italiani ed estremamente impopolare invece tra quegli ambienti d’Oltralpe, in
particolare Londra, dove esso era considerato una temibile minaccia.
E per
comprendere il filo dell’assassinio di Giacomo Matteotti occorre risalire al
contesto politico e geopolitico di quel tempo che fu spiegato abbastanza bene
proprio da un insospettabile come Matteo Matteotti, figlio di Giacomo, ed ex deputato
sia del partito socialista italiano, sia del partito socialista democratico
italiano nato da una scissione dei socialisti nel dopoguerra.
Matteo
Matteotti e la verità sull’omicidio di suo padre.
Matteo
Matteotti rilasciò una intervista allo storico “Marcello Staglieno” nel 1985
che fu pubblicata sulla rivista “Storia Illustrata”.
In
questa intervista, il deputato socialista ripercorre tutti i retroscena della
morte del padre e prende in considerazione una pista che poco ha a che vedere
con gli interessi politici di Mussolini e molto invece con quelli della corona
italiana e soprattutto della corona britannica.
Matteo
Matteotti afferma che il giorno in cui suo padre Giacomo fu prelevato dal noto “Amerigo
Dumini”, membro della” Ceka” – una sorta
di polizia politica fascista così chiamata per emulare la più famigerata “Ceka “di
stampo sovietico fondata dai bolscevichi di Lenin e Trotskij – mentre il
deputato passeggiava in Lungotevere “Arnaldo da Brescia” per recarsi alla
Camera dei Deputati.
Quando
Matteotti fu fatto salire a forza sulla” Lancia Trikappa” dei sequestratori,
uno di essi, “Viola”, estrasse un coltello con il quale ferì all’addome e al
torace l’uomo, morto in seguito alle ferite e abbandonato poi nelle campagne
romane, dove venne ritrovato soltanto due mesi dopo.
La
storia che i vari storici liberali raccontano è che questo delitto sia stato
ordinato da Mussolini per “punire” il discorso contro il fascismo pronunciato
da Matteotti alla Camera pochi giorni prima, ma questa storia, come al solito,
non è molto attinente ai fatti e “sorvola” tutti quegli elementi che invece
portano altrove.
Matteo
Matteotti all’epoca, animato da una onestà intellettuale di cui non c’è traccia
dalle parti della sinistra comunista, vuole vedere quegli elementi e scopre che
il giorno nel quale suo padre fu prelevato da” Dumini” portava con sé dei
documenti importanti che aiuterebbero a comprendere chi fu davvero il mandante
di quell’assassinio.
Il
figlio del deputato si sofferma a fare queste interessanti considerazioni su
quella documentazione.
“Nel
1924, dopo l’uccisione di mio padre, i giornali – ma non soltanto quelli –
parlarono della denuncia che avrebbe dovuto essere portata da Giacomo Matteotti
davanti alla Camera, riferendosi in particolare ad un dossier, contenuto nella
sua cartella il giorno del rapimento, che riguardava appunto, assieme alle
bische, i petroli.”
La
pista degli affari delle grandi corporation petrolifere dell’epoca, che sono
ancora sostanzialmente le stesse sotto altro nome, non viene presa in
considerazione dalla vulgata antifascista poiché questa ha tutto l’interesse a
gettare il cadavere di Matteotti addosso a Mussolini, e mentre fa questa
operazione protegge ovviamente invece i mandanti sovranazionali di
quell’omicidio e le loro sponde qui in Italia.
Ciò
non deve destare stupore in quanto compito precipuo degli ambienti liberali e
progressisti è sempre quello di tutelare gli interessi di quei potentati esteri
che da sempre hanno cercato di controllare l’Italia, Paese strategico sotto
molteplici aspetti, su tutti quello geopolitico e spirituale, per via della sua
inestricabile relazione con il cattolicesimo, così detestato dagli ambienti
massonici e protestanti.
Matteo
Matteotti quando gli viene chiesto di questi documenti prende invece in seria
considerazione questa ipotesi che sembra avere più di qualche fondatezza, come
confermò uno degli storici più autorevoli del fascismo, Renzo De Felice.
“Non
ne ho le prove materiali. Però uno storico serio come Renzo De Felice afferma
che le insistenti voci di un delitto affaristico “non possono essere lasciate
cadere a priori” (Mussolini il fascista – La conquista del potere 1921-1925.
Einaudi 1966, p. 626 n.d.a.).
Ed
esistono due documenti, sempre citati da De Felice:
1) un
rapporto “riservatissimo” di polizia per “De Bono”, nel quale si afferma che “Turati
“sarebbe stato in possesso di copia dei documenti sulla “Sinclair” che aveva
mio padre e dove si precisa che” Filippo Filippelli” del Corriere Italiano
aveva contribuito all’uccisione per rendere un servizio all’onorevole” Aldo
Finzi” e al fascismo;
2) un rapporto dell’ambasciata tedesca a Roma inviato
a Berlino (10 settembre 1924) che parla di quei tali documenti pervenuti nelle
mani di mio padre.”
Il
personaggio citato da Matteo Matteotti, il capo della polizia, “De Bono”, è uno
degli elementi chiave per comprendere in quali ambienti è maturato questo
delitto e chi aveva davvero interesse a togliere dalla scena politica Giacomo
Matteotti e su di lui si tornerà in seguito.
L’affare
della Anglo-Iranian Oil.
A
rivelare il contenuto esplosivo di quei documenti citati dal figlio di
Matteotti e da Renzo De Felice fu “Giancarlo Fusco “che in suo articolo per “Stampa
Sera” scrisse che “Aimone di Savoia d’Aosta”, nonno del contemporaneo “Aimone”
di cui abbiamo parlato in un altro contributo, nel 1942 rivelò che Matteotti si era
recato a Londra nel 1924 per partecipare ad una riunione massonica tenutasi
presso la loggia inglese “L’unicorno e il leone” del quale il deputato
socialista era membro.
È in
questa circostanza che il politico apprese che esistevano delle scritture
private firmate da re Vittorio Emanuele III nelle quali il sovrano di casa
Savoia si impegnava a garantire i diritti di sfruttamento dei giacimenti
petroliferi italiani alla “Sinclair Corporation,” storica società americana del
petrolio, legata a sua volta ad un’altra nota società petrolifera, allora nota
come “Anglo-Iranian Oil”.
La “Anglo-Iranian
Oil” è la prima società petrolifera britannica ed essa è nata con il preciso
scopo di sfruttare i vasti giacimenti petroliferi iraniani che fecero la
fortuna di Londra, ma soprattutto di tutto il reticolato di imprese e
corporation legate al “grande” capitale della city londinese.
Quando
si parla di capitale “inglese” non si può non parlare di loro, ovvero dei “famigerati Rothschild” che sono da sempre stati il vero
referente della corona britannica tanto da prendere impegni solenni con” i
banchieri di origine askenazita” per assicurargli la creazione dello stato ebraico in
Palestina, come avvenne con la nota dichiarazione Balfour.
Negli
anni a seguire dopo il caso Matteotti, la “Anglo-Iranian Oil” divenne la “British
Petroleum”, una delle multinazionali leader del settore petrolifero, e se i
lettori stanno pensando che questa sia nelle mani del governo britannico si
sbagliano, poiché
i proprietari sono ancora una volta gli onnipresenti fondi di investimento di
Vanguard e BlackRock dentro i quali ci sono i capitali dei citati Rothschild,
dei DuPont, dei Rockefeller, dei Warburg e dei Morgan.
Questo
dà un’idea più esaustiva delle enormi proporzioni degli interessi in gioco che
travalicano di gran lunga i confini italiani per approdare invece nei luoghi
del potere finanziario internazionale.
Nelle
scritture private citate sopra ce n’è un’altra nella quale si rivela che
Vittorio Emanuele III dopo aver di sua sponte, senza aver informato Mussolini,
preso accordi per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi italiani era
entrato come azionista nel capitale della “Sinclair Corporation” e questo
faceva di lui un diretto beneficiario di quell’illecito patto con Londra e la
corporation anglo-americana.
Ad
avere tutto l’interesse che Matteotti sparisse dalla scena, come si vede, non
era affatto Mussolini ma il re d’Italia che coltivava stretti rapporti d’affari
con la corona britannica, che assieme al sovrano italiano aveva tutto
l’interesse a insabbiare un enorme scandalo internazionale che avrebbe potuto
incrinare ancora di più i rapporti tra Londra e Roma, divenuta una “spina nel fianco” della
Gran Bretagna dei Rothschild dopo l’ascesa del fascismo.
Si
presti attenzione ora per un momento al depistaggio storico eseguito da “Report”.”
Il
programma di RaiTre” occulta completamente la storia di queste carte, e prende
lo scandalo della “Sinclair Oil” per scaricarlo addosso a Mussolini piuttosto
che invece
al re che aveva tramato alle spalle del presidente del Consiglio per dare agli
angloamericani i diritti di sfruttamento di alcuni giacimenti in Italia,
diritti poi annullati dal governo di Mussolini alla fine del 1924.
Mussolini
anche in quell’occasione si dimostrò impermeabile agli interessi dei britannici
mentre la corona italiana invece purtroppo era di fronte a questi
permeabilissima tanto da mettere al primo posto i suoi affari davanti a quelli
del Paese.
La
presenza degli inglesi si vede poi anche quando questi si sono adoperati per
informare i loro referenti in Italia che Matteotti aveva con sé delle carte che
potevano sollevare un enorme scandalo internazionale.
Ad
informare De Bono che Matteotti era in possesso di quei documenti fu infatti un
agente inglese, tale “Thirshwalder,” che andò dall’allora capo della polizia che si
attivò subito per eseguire il delitto, poiché la sua fedeltà non andava al
governo fascista ma a Vittorio Emanuele III.
Una
volta passate in rassegna tutte queste informazioni, Matteo Matteotti giunge
quindi alla conclusione più logica.
Non fu
il duce a ordinare quella operazione.
“Mussolini
voleva – fin dal 1922, subito dopo la marcia su Roma – riavvicinarsi ai
socialisti.
Il 7
giugno 1924, quando già il delitto era in piena fase di progettazione,
pronunciò un discorso che era un appello alla collaborazione rivolto proprio ai
socialisti.
Per
questo l’attacco fattogli da mio padre pochi giorni prima fece infuriare il
duce: è un fatto innegabile.
Ma è
altrettanto vero che quel 7 giugno Mussolini pensava – nonostante mio padre –
di poter avere i socialriformisti, D’Aragona e forse Turati, al governo.
Ci
sono in proposito due testimonianze:
quella
di Giunta e quella di Carlo Silvestri.
Anzi a quest’ultimo, come risultava da una sua
deposizione al processo Matteotti rifatto nel 1947, fu proprio Mussolini in
persona a dichiararlo, aggiungendo che Matteotti era stato vittima di loschi
interessi.
No, il
duce non aveva alcun interesse a farlo uccidere:
si sarebbe alienato per sempre la possibilità
di un’alleanza con i suoi vecchi compagni., che non finì mai di rimpiangere…”
Quanto
accaduto nel secolo scorso e nella storia più recente non è altro che un
classico capovolgimento della storia.
Gli
ambienti della sinistra antifascista nelle loro ipocrite celebrazioni hanno
pensato bene di occultare tutti quei collegamenti che indicano i veri mandanti
dell’omicidio Matteotti nella corona britannica, nelle corrotte compagnie del petrolio
in mano ai Rothschild e quegli elementi infedeli delle istituzioni italiane, e
nello stesso Vittorio Emanuele III, impegnato in questo sporco intrigo a
curare i suoi affari e quelli di potenze estere.
Da un
punto di vista storico, è ancora più interessante prendere in esame il ruolo
giocato proprio dal re d’Italia.
Il
tradimento del re nei confronti di Mussolini e dell’Italia non è iniziato il 25
luglio 1943 quando Vittorio Emanuele III ordinò illegalmente l’arresto del duce
e preparò il terreno all’infame armistizio di Cassibile.
Il
tradimento del re verso il suo Paese e il governo italiano iniziò già quasi 20
anni prima quando il monarca si premurava di fare i suoi loschi affari con
Londra e i vari magnati del petrolio angloamericani.
Le
carte citate da Matteo Matteotti e Renzo De Felice mostrano che il re d’Italia
di fatto giocava il ruolo di una quinta colonna che aveva lo scopo di eseguire
le volontà di Londra e non certo quelle di Roma.
Quanto
accaduto con la storia del delitto Matteotti non è altro dunque che l’ennesimo
capovolgimento della verità eseguito dalla storiografia liberale e progressista
che non ha interesse a raccontare la vera storia, ma ha soltanto quello invece
di dare fiato alle sempre più deboli trombe della retorica antifascista.
Si
cerca ossessivamente di sostituire la verità con la bugia, ma l’impressione è
che in questo particolare frangente storico, il liberal-progressismo non ha
perso soltanto la battaglia politica dopo il fallimento del mondialismo, ma
anche quella della storia.
La
verità è rimasta seppellita a lungo e il venir meno del vecchio status quo non
può più impedire che essa venga pienamente alla luce.
La
storia, quella vera, non può più essere nascosta.
Quella
feroce guerra tra logge
massoniche:
la massoneria italiana
verso
l’implosione definitiva?
Lacrunadellago.net
- Cesare Sacchetti – (23/06/2024) – ci dice:
Sono
fratelli muratori quelli che in queste ultime settimane sembrano più impegnati
a scannarsi in una tremenda guerra fratricida piuttosto che a perseguire lo
spirito della “fratellanza” di cui tanto amano riempirsi le loro bocche.
Non
che nella massoneria ci sia mai stato un qualche vero e sincero spirito di
fratellanza in quanto tale società segreta non mira affatto ad una sorta di
generale pace e comunione tra gli uomini, ma piuttosto la libera muratoria non
mira altro che alla nascita di un sistema politico che nelle logge viene
chiamato da secoli “repubblica universale”.
La
repubblica universale è quell’espressione che incarna alla perfezione lo
spirito di quello che i massoni chiamano “Nuovo Ordine Mondiale” che altro non
è che un piano che mira all’abbattimento della civiltà cristiana da sostituire
con una religione di stampo misterico e luciferiano qual è appunto quella della
massoneria.
I
lettori probabilmente avranno già famigliarità con il concetto di” Grande
Architetto dell’Universo2, identificato dai massoni con l’acronimo GADU, che è
il misterioso dio dei grembiulini la cui natura non viene rivelata agli
iniziati di grado inferiore, ma soltanto a quelli di grado superiore, vicini al
33°, i quali hanno il “privilegio”, per così dire, di apprendere che il dio
massonico altri non è che “Satana”.
Nella
letteratura massonica e in quella dei pentiti della massoneria c’è ampia
traccia di tutto questo e suggeriamo alcuni titoli in questo link nel quale i
lettori potranno farsi un’idea della vera natura di questa associazione.
Ora i
massoni italiani stanno vivendo un momento di estrema crisi della loro
esistenza, quale non si era visto dagli inizi del secolo scorso, ma che a
volerla dire tutta, non si è probabilmente visto nella storia tutta della
massoneria italiana.
Negli
ultimi mesi, e ne abbiamo parlato in precedenza, i liberi muratori sono
invischiati in una feroce guerra per la guida del “Grande Oriente d’Italia”, da
sempre legato all’obbedienza di Londra, la vera centrale della massoneria
internazionale dal 1717, anno ufficiale di fondazione di questa società
misterica.
Dopo
la fine del mandato di “Stefano Bisi” come Gran Maestro del Grande Oriente
d’Italia,
ci sono state delle elezioni per stabilirne il successore e il cui esito è
stato contestato non poco dall’altra parte che è uscita sconfitta, in
particolare la corrente di “Noi Insieme”, guidata da “Leo Taroni”.
I
massoni vicini a Taroni non riconoscono il risultato che ha visto come
vincitore e successore di Bisi,” Antonio Seminario”, attualmente “Gran Maestro
del Grande Oriente d’Italia”.
I riti
massonici e gli elenchi segreti.
Taroni
però non è un massone di poco conto, per così dire.
Taroni
appartiene infatti al Rito Scozzese Antico e Accettato (RSAA), un corpo
massonico all’interno dello stesso Grande Oriente d’Italia e che segue appunto
il citato rito scozzese, che è uno dei più praticati all’interno delle varie
logge massoniche.
Ora,
prima che i lettori vengano confusi dalle varie espressioni di carattere
esoterico, è necessario tenere a mente che le massonerie praticano diversi
riti, tra i quali c’è appunto quello scozzese, ma anche quello francese,
praticato esclusivamente dai massoni del Grande Oriente di Francia e quello di “Mizraim”, seguito dal
famigerato Giuseppe Garibaldi e dall’occultista e satanista “Alesteir Crowley”,
un personaggio ancora oggi venerato dai massoni e dai satanisti di tutto il
mondo.
Le vie
esoteriche sono diverse ma conducono tutte alla stessa sorgente satanica,
quindi i lettori non si lasciano trarre in inganno dalle fumose ed eteree
denominazioni utilizzate dai grembiulini.
In
questo momento particolare, il lacerante problema che sta affrontando la
massoneria italiana è quello che ha portato alla scissione del rito scozzese
dal Grande Oriente d’Italia.
Il
rito scozzese può essere considerato a tutti gli effetti come un “passepartout”
per accedere ai gradi più alti della massoneria e costituisce, o meglio
costituiva, una élite massonica composta da 4mila membri sui 23mila iscritti
complessivi del Grande Oriente d’Italia.
Si
tenga presente che noi “profani” non iniziati ai misteri massonici, e siamo
grati di ciò, non abbiamo accesso agli iscritti e i vari governi che si sono
succeduti dal 1948 in poi, anno della tanto decantata, non da noi,
inaugurazione della costituzione liberale non hanno mai pensato di bussare alle
porte dei liberi muratori per chiedere conto di tali elenchi e vedere se in tali registri sono
presenti i nomi di coloro che fanno parte del governo, del Quirinale ma anche
di tutti quei corpi quali forze dell ‘ordine e magistratura che costruiscono la
spina dorsale dello Stato.
Oltre
a questi poi, esistono altri elenchi di nomi ancora più riservati e che
appartengono alle cosiddette super logge, sulle quali il procuratore “Agostino
Cordova “stava tentando di far luce prima che piombò la mannaia della procura
di Roma nei panni di “Augusta Iannini”, moglie di Bruno Vespa, che pensò bene
di archiviare il tutto.
In
entrambi i casi, sia nel caso delle logge ordinarie sia in quello delle logge
segrete, i vari governanti dell’ultimo mezzo secolo e oltre non hanno mai
pensato di chiedere la pubblicazione dei nomi dei membri di queste logge, ma
hanno invece preferito trincerarsi dietro la fantomatica “libertà
d’associazione” della carta, senza tenere in conto, volutamente diremmo, che la
massoneria non è una specie di circolo della briscola, ma un vero e proprio
antistato.
Antistato
ci sembra l’espressione più appropriata se si pensa che la natura della
massoneria è quella di una società internazionale che aspira alla costituzione
di un governo mondiale e alla conseguente fine dello Stato nazionale,
liquefatto nella famigerata governance mondiale.
E
oltre a questo si deve considerare che i liberi muratori non riconoscono le
leggi dello Stato, in quanto per loro vengono prima le direttive interne delle
logge, e se dovesse sorgere un contrasto tra il primo e le seconde, i massoni
non hanno alcuna difficoltà a violare le leggi statali pur di affermare i loro
codici di condotta, che, ricordiamolo, prevedono anche l’omicidio dell’iniziato
che diventi una “minaccia” per l’organizzazione, e se si vuole saperne di più
si può chiedere qualcosa al massone americano “William Morgan”, ucciso dai suoi “fratelli” perché stava per
denunciare la natura eversiva della libera muratoria.
Adriano
Lemmi: il primo leader della massoneria italiana
Il
contrasto che è sorto, e di cui si diceva in precedenza, non c’è mai stato dal
1908.
Era
morto da poco Adriano Lemmi, che è stato il primo Gran Maestro del Grande
Oriente d’Italia.
Ora se
i lettori aprono la pagina a lui dedicata nel sito appunto del “GOI”,
troveranno il ritratto di un “patriota” che ha servito fedelmente la causa
risorgimentale di “Giuseppe Mazzini”, altro massone di alto rango molto vicino
ad “Albert Pike”, che fino al 1870 era considerato il capo e la figura più
influente della massoneria mondiale.
Se
invece si aprono i libri di “Domenico Margiotta”, ex massone pentito e
convertitosi al cattolicesimo, si apprende la vera storia di “Adriano Lemmi”,
quella di un ladro di origini ebraiche che già da giovane era ricercato dalle
autorità francesi per le truffe consumate ai danni di alcuni malcapitati
francesi.
“Lemmi” è uno degli uomini meno noti
nella storia risorgimentale eppure uno dei più decisivi per compiere la volontà
della massoneria internazionale di unificare l’Italia non certo per restituire
alla Penisola l’unione perduta nei secoli passati, ma piuttosto per edificare uno Stato
di natura secolare e liberale che mettesse al bando il cattolicesimo e
scristianizzasse l’Italia.
La
Chiesa Cattolica, allora ancora presidiata da pontefici cattolici e non intenti
a prostrarsi ai piedi della Pachamama, aveva compreso pienamente la natura
della massoneria e aveva denunciato più volte la pericolosità di questa
organizzazione condannata in innumerevoli encicliche, di cui ricordiamo la
magistrale “Mirari Vos” di “Leone XIII” che con grande arguzia spiegò la natura
esoterica e ingannevole della libera muratoria.
“Lemmi”,
braccio destro di Mazzini, è l’uomo che pianifica e dirige gli omicidi di
quelle figure politiche che sono ritenute un intralcio per i piani della
massoneria, tra le quali ci sono quelle di “Carlo III,” duca di Parma, e “Ferdinando
II”, re delle Due Sicilie, sfuggito già a due attentati e infine avvelenato.
Mazzini
era entusiasta del suo “piccolo ebreo” e “Lemmi” negli anni successivi alla
morte di Mazzini scala rapidamente la gerarchia della massoneria italiana fino
a diventarne il suo capo indiscusso, non senza prima corrompere altre logge
della massoneria che erano invece quelle formalmente riconosciute dall’estero.
Il
potente massone, e anche spregiudicato usuraio, però aveva una sfrenata
ambizione che voleva portarlo, dopo la morte di “Pike”, a trasferire la sede
del direttorio centrale della massoneria da “Charleston”, negli Stati Uniti, a “Roma”,
per poter dare a lui lo scettro della massoneria mondiale e per consentirgli di
attuare ancora meglio la sua guerra contro la Chiesa Cattolica, poiché si tenga
presente che “Lemmi “era animato da un odio satanico tanto da intitolare tutte
le sue circolari al suo dio, ovvero “Satana”, e, come se ciò non bastasse, a far porre il crocefisso negli
orinali delle logge.
Attraverso
vari intrallazzi e imbrogli, “Lemmi “riesce a raggiungere anche questo
obiettivo prima di morire nel 1906, circostanza che rese inevitabile la
scissione tra il Rito Scozzese Antico e Accettato e il Grande Oriente d’Italia
nel 1908 in quanto era l’immenso potere di “Lemmi” a tenere unite le varie
logge.
La
frattura si ricompose soltanto negli anni’60, dopo la nascita della repubblica
dell’anglosfera e dopo i decenni nei quali invece il fascismo aveva fatto
tabula rase della massoneria tutta con una apposita legge varata nel 1925, e
alla quale si opposero in particolare i comunisti, su tutti Gramsci, che fece un
discorso alla Camera contro il provvedimento, e ciò dovrebbe, ancora una volta,
dare un’idea precisa di quali interessi faccia davvero il marxismo che grida
contro il capitale, ma poi protegge i suoi circoli esoterici e riceve i suoi
finanziamenti, e su questo si veda la (vera) storia di Lenin e dei bolscevichi.
Verso
una dismissione della massoneria italiana?
Siamo
giunti così ai giorni nostri con una scissione che non si vedeva dal 1908 ma in
un contesto molto diverso da quello attuale.
All’epoca,
lo Stato liberale non era ancora entrato nella sua crisi più acuta e non era
ancora stato soppiantato dal fascismo che recise i legami con Londra e
soppresse la massoneria.
Il
problema della massoneria italiana in questa sua fase storica è che si vede
priva delle vecchie protezioni internazionali poiché il tanto agognato “Novus
Ordo Secolorum” che avrebbe dovuto manifestarsi dopo il tentato” Grande Reset”
non si è manifestato, e il contesto storico ha preso una piega del tutto
diversa.
Sulla
scena si affacciano altri poteri che vogliono il ritorno degli Stati nazionali
e vogliono difendere l’identità cristiana quali la “Russia di Putin”.
L’anglosfera,
alla quale la massoneria italiana era fedele, si è avviata verso una crisi
sistemica dalla quale non sembra esserci via d’uscita se non quella della fine
stessa del potere angloamericano al quale i vari circoli massonici e
mondialisti avevano affidato lo scettro dal 1945 in poi.
L’impero
americano de facto non esiste più e Washington, dopo Trump, non è più tornata
ad indossare i panni dell’imperatore che dispensava guerre in giro per il mondo
su mandato del movimento sionista internazionale, all’apice di questo sistema
di potere.
Questo
ha provocato una guerra feroce all’interno della massoneria italiana che è
sempre stata legata a Londra, che, a sua volta, si trova a dover affrontare una
situazione senza precedenti nella sua storia con il serio rischio della fine
della dinastia dei Windsor.
Sta
finendo il vecchio mondo. Sta finendo tutto quello status quo che teneva in
vita la repubblica dell’anglosfera e i poteri massonici ad essi legati.
L’ultimo
capitolo di questa guerra è quello che ha portato alla sospensione del “Rito
Scozzese Antico e Accettato” su ordine di Seminario, una mossa che ha tutta
l’aria di essere una risposta ad un’altra espulsione, quella di “Stefano Bisi”,
ex Gran Maestro del GOI, che apparteneva anche al “RSSA,” e che è stato espulso
da questo.
Si
procede così.
A
colpi di espulsioni incrociate, ma noi non escludiamo che sotto la superficie
delle carte bollate ci sia un’altra guerra, ben più feroce e sanguinaria della
quale la scia di misteriosi “suicidi” potrebbe essere l’esempio più manifesto.
L’ultimo
ad aggiungerci a questa lunga serie di morti anomale è stato il generale
Graziano, presidente di Fincantieri, e già accusato di aver partecipato alla
frode elettorale contro Trump.
Lo
hanno preceduto Angelo Onorato, marito di Francesca Donato, il rettore della
Cattolica, Franco Anelli, il sindaco di Corte Palasio, comune lodigiano che
annovera una serie storica di strane morti e “suicidi” anomali, e Bruno
Astorre, senatore del PD.
Nessuna
di queste morti è stata ancora pienamente spiegata.
Nessuna
seria indagine risulta essere stata fatta dalla magistratura che ancora oggi
non ha pubblicato il risultato dell’autopsia di Astorre né mostrato un filmato
del suo presunto suicidio in una delle zone più sorvegliate di Roma, quella
vicina al Pantheon e a piazza Navona.
Siamo
ad un punto di svolta nella storia della massoneria italiana. Noi non ci
sentiamo di escludere che la generale crisi del mondialismo e dell’anglosfera
portino ad una implosione di queste logge che hanno deciso di combattersi senza
esclusione di colpi per provare a sopravvivere a questa fase storica.
La
campana della storia stavolta sembra proprio suonare per la libera muratoria
italiana che non è mai stata così vicina, dai tempi del fascismo, ad una
profonda e violenta crisi che sta mettendo in dubbio la sua stessa esistenza.
I
partiti atlantici cancellano il MES/ESM
(con M5S e FdI). La Lega/Renzusconi
voleva votarlo “ma non è aria”.
E
Salvini appoggia Giorgetti.
Mittdolcino.com
– (2 gennaio 2024) – Mitt Dolcino – ci dice:
Ci
prepariamo al 2024, si rincorrono i “passi” che porteranno alla fine della EU,
ovvero della sfida finale di Davos all’asse Americano. A cui l’Italia
partecipa… (oggi si chiama Patto di Camp David).
Negli
scorsi giorni c’è stato un triplo colpo da knock-out.
Prima
la Germania blocca le sovvenzioni alla transizione energetica (auto elettrica,
cappotti per abitazioni, pompe di calore ecc.): oltre Gottardo non se lo
possono più permettere, soprattutto dopo lo scandalo dei conti truccati dai
predecessori di Scholz (cfr. Angela Merkel).
Notizia
praticamente cancellata dai radar, quanto meno sotto le Alpi, la cancellazione
delle sovvenzioni Green in Germania.
Non è
per altro dato sapere da dove siano spuntati i documenti che hanno convinto la “Corte
Costituzionale tedesca” al grande passo, dopo anni di truffe organizzate
accuratamente celate.
Il
giorno dopo la FED addirittura paracaduta un proprio membro apicale, vice
presidente e capo della ricerca della FED di Dallas, nel direttorio di Banca
d’Italia, votata all’unanimità da palazzo Koch.
Ossia gettando le basi per una transizione
ordinata per la Penisola in caso di fine della moneta unica.
Giusto
24 ore ed ecco il Parlamento italiano, dopo aver ceduto all’EU con il “semper
fidelis leghista Giorgetti” (pro-EU, intendiamo), al “voto cruciale”: sulla
riforma del patto di stabilità, il clamoroso NO MES!
Un
voto d’impatto, un sonoro “NO all’EU” che colpisce al cuore l’asse
franco-tedesco, proprio dove fa male.
Ciò è
accaduto con un voto in aula imprevisto dai più, ma non da noi; ossia con unità
d’intenti tra i due partiti più squisitamente atlantici in seno al potere
romano, che resta la Capitale della Repubblica: FdI e M5S.
È
chiaro infatti che Crosetto/Meloni e Giuseppy Conte sono lo yin e lo yan
dell’atlantismo italico, oggi.
Scriveremo
in calce due pensierini.
I
dettagli sul voto del MES sono addirittura dirimenti: Giorgetti voleva votarlo
“ma non era aria”.
E
Salvini che difende Giorgetti, invece di azzannarlo alla gola. Solo qualche
giorno fa ricordiamo la nomenclatura leghista puntualizzare che “firmare il MES
non significa attivarlo”.
Inutile aggiungere altro…
Insomma,
il tradimento della Lega è venuto fuori nella sua interezza.
Estratti….
(Renzi appare a capo del Renzusconi , l’ex sindaco già parla da cd. statista,
peccato non abbia i voti).
Tradotto:
il
Renzusconi era schierato per un SI in aula al MES, solo che ordini superiori
hanno convinto i due partiti filo atlantici ormai quasi di maggioranza – FdI e
M5S, su input esterno – a votare compattamente NO MES.
Ossia “NO EU”. Bang!
Dunque
la Lega, costretta al NO dalla sua ininfluenza politica nel voto, vista la
“strana alleanza” “giallo-nera”, cerca di salvare il salvabile, con l’inganno,
come sempre…
Si sa
infatti che il renzusconi, di cui la Lega fa parte, è pro EU (cfr. “Cambiare l’EU dal di dentro”,
basta tenere la ricca cadrega).
Dunque
il fine è sempre stato legare le mani alla Penisola, sperando lato Lega in una forma di
secessione del nord successiva, prebenda ipotizzata genericamente da Berlino e
Parigi (…).
Bene,
sappiate che tale piano revanscista anti-italiano è fallito. E il “renzusconi”
perde ogni credibilità per i nemici esterni dell’Italia, che è la cosa più
importante!
I
grandi eventi del 2024.
A
questo aggiungeteci che i grandi eventi ancora non sono maturati, ma andiamo a
poco. Mettere in sicurezza l’Italia era il primo passo.
Se
possiamo dare un consiglio agli amici americani, ora bisogna andare davvero in
fondo: il “renzusconi”
vive di scandali, come genesi, è il momento di affrontarli pubblicamente (…).
La
Lega non a caso va spedita verso il 5% alle prossime elezioni, chissà dove
sarà/sarebbe se un grosso scandalo la travolgesse pure…
Ben
ricordando che Michele Geraci, l’italiano pro- Cina per antonomasia, il vero
artefice della Via della Seta che fece infervorare gli USA di Pompeo, era non
solo in quota Lega ma fu anche sottosegretario al governo in quota leghista
alla firma dell’accordo con la Cina oggi cancellato per volere di Giorgia
Meloni/Guido Crosetto (…).
Gli
effetti dell’ uno-due-tre sopra citato saranno profondissimi.
Da una
parte sembra gli americani si siano finalmente resi conto della pericolosità
materiale del “renzusconi”, in relazione al rischio che rappresenta per i piani
globali a stelle e strisce (vedasi il clamoroso “caso Uss”, il carcerato
apicale amico del clan putiniano lasciato fuggire in Russia con complicità
lombarde; evento inconsulto che fece addirittura alzare in volo sopra Milano
gli F35 americani armati di tutto punto, così si dice, ndr).
Dall’altra
il MES finalmente chiude grazie al voto italiano, bloccando lo strumento
principe dell’EU francotedesca per attaccare stile Grecia il principale alleato
americano in EU.
Il
Patto del Quirinale andrà invece cancellato col successore di Mattarella. O
anche prima, in caso di grande scandalo italiano. O di guerra nel Mediterraneo.
Resta
che i piani USA di difesa del proprio spazio vitale sono solo agli albori.
Da una
parte la guerra con la Russia è finita, con Washington i moscoviti si sono
accordati:
l’Armata Rossa si è resa conto che una guerra
per procura con un paese relativamente imbelle come l’Ucraina l’ha bloccata,
beccandosi anche droni sul Cremlino.
Immaginatevi cosa sarebbe successo se fosse
stata guerra vera con un forte paese NATO…
(L’icona
Putin intanto – da qualche settimana – “straparla”, letteralmente, ndr).
Dunque
ecco spiegato l’accordo russo-americano, operativo ormai, che comporterà la
fine delle scaramucce in giro per il mondo tra i due imperi. Chiaramente,
l’Ucraina tornerà in larga parte russa, come è giusto che sia, la guerra la’ è
già finita.
Dall’altra
l’Iran diventa il focus:
il
paese che mai condannò Hitler per le sue gesta oggi finanzia i terroristi che stanno mettendo in pericolo gli
interessi occidentali.
Ben
sapendo che l’Iran potrebbe già avere una piccola atomica.
E che
Tehran resta il primo fornitore di petrolio alla Cina…
In
ultimo, l’EU.
Il
piano revanscista anti USA del duo Merkel-Putin è fallito, sostituire il South
Stream con il North Stream è stato il vero fallimento, con fuochi artificiali
annessi.
E
visto che Berlino è a letto pure con Pechino, non resta che terminare l’euro,
vari piccioni con una sola fava.
Il
modo per farlo in teoria è semplice: l’EU attuale, traditrice – infatti ha
tradito davvero tutti – va liquidata.
Soprattutto l’euro.
Per il
fine basta affamare un continente senza risorse primarie, vedasi Francia senza
Niger e Mediterraneo senza Suez (per colpa iraniana, geniale!).
Se poi
aggiungiamo Panama bloccata ai container cinesi causa riscaldamento climatico,
ma solo in un senso, indovinate quale, capite la grandezza del piano.
E
senza dimenticare che Londra controlla Gibilterra dal 1700, casomai servisse…
Intanto
in Italia, si guarda al futuro…
L’alleanza
atlantica FdI-M5S sperimentata nel NO MES ha pieno senso compiuto:
a
parte l’atlantismo di fondo, anche a livello politico c’è ampio margine di
trattativa, ad es. per tutti gli argomenti mirati a sterilizzare le mire simil-neo-coloniali
dell’EU sulla Penisola.
Idem,
per i temi sociali: ad esempio fermare i clandestini, puntando ad es. su “più
figli dagli italiani”.
La
ricostruzione delle filiere nazionali è invece la vera sfida:
sebbene
sia un punto condiviso, la compagine manca di vision. Ossia di cervelli
politico-gestionali in grado di implementare tale enorme progetto.
D’ogni
modo tale cd. strana alleanza ha già vinto:
una
semplice apertura privilegiata all’Italia dell’enorme mercato consumistico
americano, ad esempio, via prossimo accordo bilaterale, mettendo così in
subordine l’EU non allineata, sarebbe sufficiente per creare il consenso
interno necessario a qualsiasi riforma che il paese necessiti.
Via
crescita del PIL e ritorno del benessere diffuso.
Come
col piano Marshall.
(Mitt
Dolcino)
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