Demonizzare la nostra identità.

 

Demonizzare la nostra identità.

 

 

 

L’Importanza dell’Identità.

Conoscenzealconfine.it – (19 Giugno 2024)  - Matteo Brandi – ci dice:

 

Perché ricordare chi siamo è essenziale per aprirci al mondo.

Tra le grandi menzogne che ci vengono propinate dagli aedi del pensiero unico ve n’è una particolarmente odiosa:

 per dialogare col mondo si deve annullare, disconoscere e persino demonizzare la propria identità.

Basterebbe applicare un po’ di sano senso critico per accorgersi di quanto sia sbagliato questo pensiero, tuttavia viviamo l’epoca della follia istituzionalizzata e dunque talvolta sottolineare l’ovvio è necessario.

 Sull’entrata del Tempio di Apollo a Delfi, in Grecia, era iscritta una massima che ancora oggi splende in tutta la sua saggezza:

gnōthi seautón, ovvero “conosci te stesso.”

I padri della filosofia, non a caso, erano ben consci dell’importanza della coscienza di sé, essenziale per instaurare un rapporto vero sia con la propria persona che con gli altri.

Invece il megafono della narrazione dominante, declinata in mille modi diversi attraverso ogni ganglio della produzione culturale, ripete a tutti noi l’esatto opposto.

Ai giovani, soprattutto, viene urlato nelle orecchie l’ordine perentorio di disfarsi delle proprie radici, della propria identità e di ogni legame col passato e con la propria terra di origine.

 Il motivo?

Si tratterebbe, secondo questa folle interpretazione, di fardelli inutili, di sovrastrutture opprimenti, addirittura di peccati originali di fronte ai quali si deve fare ammenda.

Un simile tarlo mentale, che il sottoscritto non esita a definire “olocausto neuronale”, sta imputridendo l’Occidente.

 A farne le spese sono le ultime generazioni, cresciute nell’humus dell’odio verso di sé.

Sii tutto e niente, e sarai felice, questo è il messaggio di fondo ripetuto in maniera martellante dalla più potente macchina propagandistica della Storia.

Inutile dire come i risultati di questo indottrinamento siano disastrosi, sotto ogni aspetto.

Abbiamo più volte analizzato la triste parabola dei borghi italiani, condannati allo spopolamento, oppure la trasformazione delle nostre splendide città in immobili musei a cielo aperto (cadaveri da esposizione, mi verrebbe da dire), privi della vitalità autoctona e spogliati di ogni peculiarità culturale.

 A ben vedere però il fenomeno ha ripercussioni ancora più ampie.

Le comunità territoriali, una volta ben radicate e ricche di una conoscenza tramandata tramite il perdurare della tradizione, finiscono per sfilacciarsi e atomizzarsi.

 Divenendo dunque facile preda del potere, che tutto vuole tranne che trovarsi dinanzi una collettività coesa e orgogliosa.

Prendiamo ad esempio due piccoli abitati.

 Immaginiamo che le due realtà partano da condizioni identiche:

stesso numero di abitanti, stesse caratteristiche naturali, stesse risorse e persino stesso percorso storico.

 L’unica differenza sta nella mentalità dei cittadini.

Nel primo caso abbiamo persone che danno per scontato che il loro futuro risieda lontano dalla cittadina di nascita, considerata priva di qualsivoglia avvenire e, in fin dei conti, del tutto irrilevante.

Nel secondo siamo di fronte a una cittadinanza innamorata del proprio luogo, conscia del passato che ne innerva ogni singola viuzza e convinta che il trasferimento altrove sia nient’altro che un’opzione.

 Vi chiedo:

 secondo voi questi due borghi, dal punto di vista materiale praticamente identici, andranno incontro allo stesso destino?

 La risposta è semplice: no.

 Il diverso approccio dei residenti porterà da una parte a un declino rapido e dall’altra una continua ricerca di nuove idee per tenere in vita l’abitato.

 La differenza sta nella coscienza di sé, in quel “gnōthi seautón” che scaccia via fatalismo e rassegnazione perché rivela le mille strade ancora percorribili.

Non solo.

Conoscere sé stessi, sia come individui sia come comunità (nazionale, culturale, popolare, linguistica, territoriale ecc…), è la conditio sine qua non per un proficuo ed equilibrato incontro con l’altro.

 Quando non sussiste questa condizione, una delle due parti ha sempre la meglio sull’altra, schiacciandola o semplicemente camminando sulla sua voluta insipienza.

 A volte il processo è violento, altre invece è graduale, quasi dolce, ma nondimeno letale per chi, stupidamente, ha scelto di disconoscersi e flagellarsi.

Pensate a quante relazioni tossiche potrebbero essere evitate se entrambe le persone coinvolte avessero reale contezza di sé.

 Serve forse uno psicologo per intuirlo?

Ci si può benissimo sentire parte di qualcosa di più grande, dal globo fino all’intero universo, senza tuttavia dimenticare la propria identità di partenza, quel “genius loci” che parla di noi.

 Le due cose non vanno in contrasto, anzi, si rinforzano a vicenda.

 Invece la vulgata globalista,(appoggiata nel mondo dalle “finte” sinistre! N.D.R) acerrima nemica di ogni afflato identitario che non sia legato alla sfera sessuale o quella consumistica, dichiara con perentoria sicumera la necessità di sradicarsi per abbracciare il tutto.

E così anche la Storia viene distorta affinché la si possa leggere solo come una lunga sequela di crimini e atrocità commesse dai propri antenati, una semplice “lista delle vergogne” a cui dar fuoco per fare tabula rasa e ricominciare da zero.

Viene buttato il bambino con l’acqua sporca.

Di proposito.

La cosa inquietante è che questa visione è spinta anche e soprattutto in ambito scolastico e universitario.

 I luoghi del sapere diventano fabbriche di soldatini spinti da un odio dogmatico verso il passato che li circonda e che tenta, inutilmente, di parlargli.

Tutto va abbattuto, sfregiato, dissacrato.

Nulla deve avere più un senso e un valore.

Un’autodistruzione nichilista spacciata per apertura verso “il diverso”.

 Ma che succede quando quest’ultimo, bontà sua, non è animato dallo stesso spirito suicida?

Cosa succede quando la naturale commistione tra più culture, che ha donato all’Italia il suo patrimonio artistico unico al mondo, viene sostituita dall’incontro squilibrato tra chi vuole dissolversi e chi no?

Lascio a voi la conclusione.

In definitiva, è necessario costruire una contro-narrazione che smonti pezzo dopo pezzo l’isteria in cui siamo immersi fino al collo.

Non c’è nulla di sano, di razionale o di giusto nel prendere a colpi d’ascia le proprie radici pensando che questo possa farci librare in aria. Finiremo solo per appassire e morire.

Va invece preservato il nostro passato proiettandone la forza (e gli insegnamenti) nel futuro.

C’è un potenziale immenso in ogni luogo, in ogni lingua, in ogni costume.

 E non parlo solo del tornaconto economico, che pure esiste, bensì di un benessere collettivo che deriva dal ristabilire un legame con la propria Storia, ritornando a progredire in maniera armoniosa.

Ne gioverebbero anche le arti, dall’architettura alla moda, oggi inghiottite dal vortice anti-identitario che tutto appiattisce.

Potremmo dire, senza paura di esagerare, che il vero progresso lo si possa conseguire solo tenendo accesa la fiamma dell’identità.

Una fiamma che va usata non per bruciare il prossimo ma per illuminare la strada. L’alternativa è procedere al buio e finire, inevitabilmente, per perdersi.

(Matteo Brandi).

(proitalia.org/articoli/limportanza-dellidentita).

 

 

 

 

Meta deumanizzazione:

sono un essere umano?

Lamenteemeravigliosa.it – Roberto Muelas Lobato – (14-2-2023) – ci dice:

Non solo possiamo deumanizzare gli altri, ma anche sentirci deumanizzati.

Questo fenomeno viene chiamato “meta deumanizzazione”, ovvero pensare che altri ci stiano deumanizzando.

Meta deumanizzazione: sono un essere umano?

Deumanizzare significa attribuire ad altre persone caratteristiche tipiche degli animali o negare loro altri tratti umani.

In altre parole, significa considerare qualcuno “meno persona, più animale”.

Non solo possiamo deumanizzare gli altri, ma anche sentirci deumanizzati.

Questo fenomeno viene chiamato meta deumanizzazione, ovvero pensare che altri ci stiano deumanizzando, considerandoci inferiori alla rappresentazione che abbiamo dell’essere umano.

La deumanizzazione è un concetto, una convinzione.

“Meta” si riferisce all’idea di ciò che gli altri pensano di noi.

La meta deumanizzazione, quindi, consiste nel credere che qualcuno veda in noi tratti animali.

 Si tratta di una metacognizione che ci porta a sviluppare atteggiamenti ostili nei confronti degli altri.

Più modi per intendere la meta deumanizzazione.

La deumanizzazione, a livello di gruppo, può essere intesa come quel processo psicologico che spoglia gli altri della loro identità di gruppo.

 Li colloca al di fuori della morale accettata e mette in evidenza l’incoerenza dei loro valori con i nostri.

Questo processo facilita la violenza nei confronti della categoria disumanizzata.

Nella teoria della deumanizzazione emergono due modelli:

l’infra umanizzazione e il modello duale.

 

Infra umanizzazione: negare l’esistenza di emozioni in altri membri del gruppo, ovvero non distinguerli dagli animali.

Chi deumanizza attribuisce un’essenza animale al deumanizzato, mentre mantiene la convinzione che gli altri membri del suo gruppo abbiano un’essenza umana.

In modo evidente, le emozioni che vengono negate sono quelle tipiche dell’uomo, ossia le emozioni secondarie come la vergogna.

 Non sono messe in discussione, invece, le emozioni primarie come la paura o l’eccitazione, che condividiamo con parte del mondo animale.

 

Il modello duale racchiude due tipi di deumanizzazione:

 l’animalizzazione e la meccanizzazione.

 La prima nega nell’altro quei tratti che distinguono l’uomo dall’animale. Ritenendolo privo di capacità cognitive, di pensiero raffinato, di comportamento civile, lo si mette allo stesso livello di un animale.

La seconda nega nella persona quei tratti che esprimono la natura umana, ma sono anche presenti nel mondo animale, come la capacità di provare emozioni e affetto.

 In questo caso l’altro viene paragonato a un oggetto, un robot o un automa.

 

Tipi di deumanizzazione.

La deumanizzazione può assumere diverse forme.

 Così come avviene con il pregiudizio, può essere esplicita o sottile.

Deumanizzare in modo sottile significa negare alcuni tratti della dignità umana, ma non tutti.

In questo modo, l’altro non è del tutto umano ai nostri occhi, ma neanche un animale.

 Deumanizzare in modo esplicito consiste nel considerare membri di un gruppo più simili ad animali che a persone.

 

La differenza tra un atteggiamento radicale o sottile si nota nelle conseguenze.

In modo ovvio, la forma esplicita di deumanizzazione avrà un impatto più forte; una deumanizzazione sottile, tuttavia, è più facile da accettare e, quindi, più difficile da sradicare.

Paragonare un’etnia a scimmie, a capre, etc., non è facilmente accettato.

 Dire, invece, che i membri di un gruppo non si lavano e hanno un cattivo odore è un’idea che si fa strada più facilmente.

Demonizzare quanti si trovano in basso è sempre stato un modo conveniente per giustificare le disuguaglianze sociali.

(Owen Jones)

 

Evoluzione da scimmia a uomo.

La meta deumanizzazione.

Cosa succede quando pensiamo di essere oggetto di deumanizzazione?

La risposta più evidente è: deumanizziamo.

Se siamo convinti che qualcuno ci sta negando la dignità umana, è comune adottare lo stesso atteggiamento.

Si tratta di un circolo vizioso che, tuttavia, non termina in sé stesso.

Sentirsi disumanizzati da qualcuno porta a disumanizzarlo a nostra volta, cosa che conduce a sviluppare atteggiamenti ostili.

Per atteggiamento ostile si intende la tendenza ad aggredire, sostenere misure punitive o non essere disposti a condividere risorse.

Ad esempio, nel caso degli immigrati, pensare che ci stiano deumanizzando ci spinge ad approvare leggi che ne impediscono l’entrata nel nostro paese.

 Nei casi più estremi, a sostenere pratiche come la tortura o la vendetta.

In definitiva, quando sentiamo che qualcuno sta negando la nostra umanità, neghiamo, a nostra volta, la sua.

Questo ci farà entrare in un circolo vizioso e sviluppare intenzioni ostili, condivise dall’altro.

 Il grande pericolo della “meta deumanizzazione” è, in definitiva, una reciproca ostilità.

 

 

 

 

Identità, visione e contraddizione.

Decidiamo chi essere

Bullone.org – Lorenzo Carpané – (19 sett. 2022) – ci dice:

«Visione» è ampiezza e prospettiva e con esse creazione; «identità» è limitazione e introspezione e con esse ripetizione.

Lo confesso (prima confessione), quando sento qualcuno che parla di identità mi viene l’orticaria.

Sarà perché questa parola è spesso associata a «patria», «popolo», «nazione» e via discorrendo.

Parole anche queste belle e nobili, come anche «identità», di per sé.

Mi sono chiesto da dove venga questa idiosincrasia (fastidio, noia, avversione).

Forse è nell’associazione tra questi due mondi:

quello identitario, che mette l’accento sul concetto di uniformità (identico, dal latino idem, cioè lo stesso) applicato alla moltitudine.

 Mi fa pensare a un grande cerchio, dove c’è chi sta dentro (gli identici) e chi sta fuori (i diversi).

Dentro una massa informe di tutti uguali, fuori una costellazione di diversi.

«Quasi quasi me ne sto fuori», penso.

Pensiamoci, ragazzi.

Senza demonizzare nessuno (ma forse sì), non è che i famosi e famigerati algoritmi dei social funzionino proprio così?

Ti fanno trovare quello che è «identico» a te, ti chiudono dentro il cerchio o la cerchia di chi ti è identico.

E così non vedi non chi o cosa è diverso, ma non vedi la molteplicità delle diversità.

Ok, voi mi direte che non tutti i social sono uguali, che per esempio “TikTok” funziona in altro modo:

vero, non agisce sull’identità delle persone (gli amici), ma su quella dei contenuti. Detto in veneto: «par mi no cambia gnente» (per me non cambia nulla).

Ok, mi potreste anche dire che trovarsi con chi la vede nello stesso modo è anche bello, perché ti dà tranquillità e pace.

Ve lo concedo. Confesso (seconda confessione), che lo faccio anche io, qualche volta.

Ma.

Forse si può cercare un’altra parola, che è «visione», almeno per come la intendo io e che voglio spiegarvi.

Quanto «identità» chiude, tanto «visione» apre.

Perché «avere una visione» implica che si guardi avanti e fuori, quanto «identità» ti porta a guardarti indietro e dentro.

 

Identità o visione.

«Visione» è ampiezza e prospettiva e con esse creazione, immaginazione, generazione.

 È gioventù. È vita, è eros, è dinamicità.

«Identità» è limitazione e introspezione e con esse ripetizione, falsificazione, stasi.

 È vecchiaia.

Avere una visione significa pensare al percorso che si vuole fare; significa che la vita, se ha un senso, sta in una continua ricerca (chi l’avrà già detto?), con un obiettivo che sta là in fondo, che non raggiungeremo mai ma che vediamo e desideriamo.

E nel fare questo percorso cerchiamo di accompagnarci con chi condivide con noi questa tensione verso il futuro.

Santo cielo! Mi sto contraddicendo?

Non vorrà dire che il concetto di identità salta fuori sotto mentite spoglie?

Forse e se fosse così, pazienza.

Ma forse, e sottolineo forse, si tratta di altro.

Non cerco di accompagnarmi con chi la pensa come me, con chi si sente forte della sua appartenenza, con chi si chiude.

Ma con chi, come me, come noi, ama gli spazi liberi, ama le contraddizioni, ama mettersi costantemente in discussione, ama chi si evolve ed è e si mantiene diverso, non uguale nemmeno a sé stesso.

 

 

 

 

AI: la vera sfida è ridefinire il “ruolo”

dell’essere umano nel processo.

 

Theinnovation.it – (29-4-2024) – Arianna Perri – ci dice:

 

L’intelligenza artificiale (AI) rappresenta una tecnologia in grado di permeare e trasformare ogni aspetto della nostra economia e società.

L’AI consente, infatti, potenziali incrementi di produttività o risparmio in ore lavorate, con previsioni (tracciate da “The European House Ambrosetti” in un recente studio realizzato per Microsoft) che indicano un potenziale aumento del PIL italiano del 18% in caso di adozione estesa nel sistema-Paese.

L’AI pare destinata a pervadere le strategie delle imprese dell’ecosistema digitale, trasformare i modelli di business delle aziende, innovare e semplificare i processi e i servizi delle pubbliche amministrazioni, modificare le politiche del lavoro e del welfare e avere un impatto profondo sul sistema dei valori, sull’etica e sulla vita quotidiana delle persone.

Ma in questo contesto, ci sarà ancora spazio per l’essere umano?

Quale sarà il suo ruolo all’interno del processo (Human in the loop)?

 

Il termine Intelligenza Artificiale è una catacresi, ossia una parola che usiamo per chiamare qualcosa che non ha un nome proprio”, così ha esordito “Maurizio Ferraris”, Professore ordinario di “Filosofia teoretica” presso l’Università di Torino, nella sessione “Intelligenza, verità, futuro” dell’evento di “Associazione Italiana per l’intelligenza Artificiale” (AIxIA) “AI Forum 2024”, che “TIG” – The Innovation Group ha organizzato lo scorso 4 aprile a Milano, a Palazzo Mezzanotte.

 L’intelligenza artificiale, spiega “Maurizio Ferraris”, al contrario di quanto il nome possa suggerire, non è intrinsecamente “intelligente” nel senso umano del termine.

 Piuttosto, dimostra una notevole autonomia nelle attività specifiche per cui è programmata.

 La sua “intelligenza” è il risultato di algoritmi, dati e modelli, ed è priva di una comprensione simile a quella umana:

 non può sostituirci in termini di creatività, empatia e intuizione.

 

L’essere umano rimane distintivo grazie alle sue qualità peculiari, aspetti che non possono essere replicati dall’AI, come ribadito da “Federico Faggin”, fisico, inventore e imprenditore, anche lui ospite all’evento “AI Forum 2024”:

“La differenza tra l’AI e l’essere umano risiede proprio nella coscienza e nel libero arbitrio, concetti che la scienza attuale non riesce ancora a spiegare appieno. Sebbene la scienza possa considerare l’essere umano come una macchina, essa non riesce a ridurci a un semplice algoritmo.

Queste concezioni errate ci portano a considerare l’AI come superiore a noi, rendendoci potenzialmente suoi succubi”.

 La lezione che il fisico Faggin ci consegna è che dovremmo considerare l’AI non come una minaccia alla nostra identità o alla nostra superiorità, quanto piuttosto come un’opportunità per ampliare le nostre capacità e migliorare la nostra comprensione del mondo circostante.

Permangono, tuttavia, preoccupazioni legate a come e in che misura l’applicazione dell’AI possa farci perdere alcune competenze.

 In aiuto ci viene il punto di vista del” Professor Ferraris”:

“Qualsiasi tecnologia da una parte abilita nuove possibilità, dall’altra sospende e limita alcune funzioni dell’essere umano.

Ad esempio, l’introduzione della carta e della matita per i calcoli ha portato alla perdita della capacità di fare calcoli mentali.

 Tuttavia, ciò non significa che dovremmo abbandonare completamente le vecchie abilità, poiché ogni nuova invenzione non sostituisce quella precedente, ma si aggiunge a essa.

 Le abilità tradizionali devono coesistere con le nuove, preservando così la diversità delle competenze delle persone”.

Ha senso parlare di etica dall’AI?

Si parla spesso di “intelligenza artificiale etica”, ma l’espressione è impropria.

 Non è tanto corretto parlare di “AI etica” o di “etica dell’AI”, quanto piuttosto di etica nello sviluppo e nell’utilizzo di questa tecnologia.

 La macchina stessa non possiede una qualità etica intrinseca;

 è piuttosto l’essere umano che la progetta, la programma e la utilizza a determinarne la qualità etica.

Bisogna quindi concentrarsi sull’educazione delle persone e non della macchina. Etica e responsabilità umana sono aspetti centrali nel dibattito sull’intelligenza artificiale:

se da una parte l’AI può causare incidenti, dall’altra è necessario riconoscere che la responsabilità giuridica di tali errori rimane saldamente nelle mani dell’essere umano che l’ha programmata e che la utilizza.

 Come ribadito da” Federico Faggin” durante il suo intervento “L’AI è un grande dono, ma dobbiamo usarlo bene e per farlo occorre integrare etica, buoni intenzioni e volontà di collaborare”.

In conclusione, mentre alcune preoccupazioni sono legittime, demonizzare il progresso tecnologico non è la soluzione. D’altronde è inevitabile che la tecnologia continui il suo corso.

Piuttosto la vera sfida che l’intelligenza artificiale ci presenta risiede nel ridefinire la relazione tra l’umanità e la tecnologia, e di conseguenza, il nostro ruolo nei suoi confronti.

 

 

 

 

Perché non ha senso mitizzare

(o demonizzare) l’intelligenza artificiale.

 Linkiesta.it - Luciano Floridi – (10 -3-2022) – ci dice:

 

Come spiega Luciano Floridi in “Etica dell’intelligenza artificiale” (Raffaello Cortina Editore), dopo anni di esaltazione, stiamo per affrontare una stagione in cui si parlerà meno dell’IA.

L’errore è pensare che sia o un miracolo o una piaga.

 Invece è solo una delle tante soluzioni escogitate dall’ingegno umano.

Il problema con le metafore stagionali è che sono cicliche.

 Se diciamo che l’IA ha trascorso un brutto inverno, dobbiamo anche ricordarci che l’inverno farà ritorno, ed è meglio farsi trovare pronti.

L’inverno dell’IA è quella fase in cui la tecnologia, gli affari e i media escono dalla loro calda e confortevole bolla, si raffreddano, temperano le loro speculazioni fantascientifiche e le loro esagerazioni irragionevoli, e fanno i conti con ciò che l’IA può o non può davvero fare come tecnologia in modo misurato.

Gli investimenti diventano più attenti e i giornalisti smettono di scrivere di IA, per inseguire altri temi in voga e alimentare la moda seguente.

L’IA ha conosciuto diversi inverni.

Tra i più rilevanti, ce n’è stato uno alla fine degli anni Settanta e un altro a cavallo degli anni Ottanta e Novanta.

 Oggi parliamo di un altro prevedibile inverno.

 L’IA è soggetta a questi cicli di esagerazioni perché è una speranza o una paura che abbiamo nutrito da quando siamo stati cacciati dal paradiso:

 qualcosa che fa tutto per noi, al nostro posto, meglio di noi, con tutti i vantaggi sognati (saremo in vacanza per sempre) e i rischi paventati (saremo ridotti in schiavitù) che ne derivano.

Per alcune persone, speculare su tutto questo è irresistibile.

È il selvaggio West delle “ipotesi” e degli scenari del “come se”.

 Ma spero che il lettore mi perdonerà, se mi permetterò di dire:

“Te l’avevo detto”.

Da tempo ho messo in guardia contro commentatori ed “esperti” che facevano a gara per vedere chi la raccontava più grossa.

 Ne è seguita una pletora di miti.

Parlavano dell’IA come se fosse l’ultima panacea, che avrebbe risolto e superato tutto;

o come la catastrofe finale, una superintelligenza che avrebbe distrutto milioni di posti di lavoro, sostituendo avvocati e medici, giornalisti e ricercatori, camionisti e tassisti, e finendo per dominare gli esseri umani come se fossero animali domestici.

Molti hanno seguito” Elon Musk” nel dichiarare che lo sviluppo dell’IA rappresentava il più grande rischio esistenziale corso dall’umanità.

Come se la maggior parte dell’umanità non vivesse nella miseria e nella sofferenza.

Come se guerre, carestie, inquinamento, riscaldamento globale, ingiustizia sociale e fondamentalismo fossero fantascienza o solo seccature trascurabili, che non meritano considerazione.

Oggi, la pandemia da Covid-19 ha posto fine a queste sciocche affermazioni.

Alcuni hanno insistito sul fatto che leggi e regolamenti giungerebbero sempre troppo tardi senza tenere mai il passo dell’IA, quando in realtà le norme non riguardano il ritmo ma la direzione dell’innovazione, poiché dovrebbero guidare il corretto sviluppo di una società.

 Se ci piace dove stiamo andando, possiamo andarci alla velocità che vogliamo.

È a causa della nostra mancanza di visione che abbiamo paura.

Oggi sappiamo che una normativa è in corso di elaborazione, almeno nell’Unione Europea.

 Altri (non necessariamente diversi dai precedenti) hanno affermato che l’IA fosse una scatola nera magica che non potremmo mai spiegare, quando in realtà si tratta di individuare il corretto livello di astrazione al quale interpretare le complesse interazioni ingegnerizzate:

anche il traffico automobilistico nel centro di una città diventa una scatola nera se pretendiamo di scoprire perché ogni singolo individuo si trovi lì in quel momento.

C’è un crescente sviluppo di strumenti adeguati per monitorare e capire come i sistemi di apprendimento automatico raggiungono i loro risultati.

Inoltre, tali persone diffondono scetticismo sulla possibilità di delineare un quadro etico che sintetizzi ciò che intendiamo per IA socialmente buona, laddove in realtà la Ue, l’Ocse e la Cina convergono su principi molto simili, che offrono una piattaforma comune per ulteriori accordi […].

 

Si tratta di irresponsabili in cerca di titoli.

 Dovrebbero vergognarsi e chiedere scusa.

Non solo per i loro commenti insostenibili, ma anche per la grande trascuratezza e l’allarmismo, che hanno tratto in inganno l’opinione pubblica sia su una tecnologia potenzialmente utile – che può fornire e difatti fornisce soluzioni utili, dalla medicina ai sistemi di sicurezza e monitoraggio – sia sui rischi reali, che sappiamo essere concreti ma molto meno fantasiosi, dalla manipolazione quotidiana delle scelte all’aumento della pressione sulla privacy individuale e di gruppo, dai conflitti informatici all’uso dell’IA da parte della criminalità organizzata per riciclaggio di denaro e furto di identità […].

Il rischio insito in ogni estate dell’IA è che le aspettative esagerate si trasformino in una distrazione di massa.

 Il rischio insito in ogni inverno dell’IA è che il contraccolpo sia eccessivo, la delusione troppo profonda, cosicché soluzioni potenzialmente preziose vengono buttate via con l’acqua delle illusioni.

 Gestire il mondo è un compito sempre più complesso:

le megalopoli e la loro “trasformazione in città smart” ne sono un buon esempio.

Inoltre, siamo posti a confronto con problemi planetari – pandemie, cambiamenti climatici, ingiustizie sociali, migrazioni – che richiedono livelli di coordinamento sempre più elevati per essere risolti.

Abbiamo bisogno naturalmente di tutta la buona tecnologia che possiamo disegnare, sviluppare e implementare per affrontare queste sfide, e di tutta l’intelligenza umana che possiamo esercitare per mettere tale tecnologia al servizio di un futuro migliore.

(Ma un futuro migliore…per chi? N.D.R)

L’IA può svolgere un ruolo importante in tutto questo perché abbiamo bisogno di modalità sempre più intelligenti per elaborare immense quantità di dati, in maniera efficiente, efficace, sostenibile ed equa.

 Ma l’IA deve essere trattata come una normale tecnologia, non come un miracolo né come una piaga, bensì come una delle tante soluzioni che l’ingegno umano è riuscito a escogitare.

Questa è anche la ragione per cui il dibattito etico resta sempre una questione interamente umana.

Ora che il nuovo inverno potrebbe arrivare, possiamo provare a imparare alcune lezioni ed evitare di allignare in questo andirivieni di illusioni irragionevoli e disillusioni esagerate.

Non dimentichiamo che l’inverno dell’IA non dovrebbe essere l’inverno delle sue opportunità.

Certamente non sarà l’inverno dei suoi rischi o delle sue sfide.

 Dobbiamo chiederci se le soluzioni di IA rimpiazzeranno davvero le soluzioni precedenti, come ha fatto l’automobile con la carrozza, le diversificheranno, come ha fatto la moto con la bicicletta, o le integreranno ed espanderanno, come ha fatto lo smartwatch digitale con l’orologio analogico.

Quale sarà il livello di sostenibilità, accettabilità sociale o preferibilità di ogni IA che emergerà in futuro, forse dopo un nuovo inverno?

 Indosseremo davvero degli strani occhiali per vivere in un mondo virtuale o aumentato creato e abitato da sistemi di IA?

 Oggi molte persone sono restie a indossare occhiali anche quando ne hanno davvero bisogno, solo per motivi estetici.

 E poi ci sono soluzioni IA fattibili nella vita di tutti i giorni?

Sono disponibili le competenze, gli insiemi di dati, l’infrastruttura e i modelli di business necessari per garantire il successo dell’implementazione dell’IA?

I futurologi trovano queste domande noiose.

A loro piace un’idea unica, semplice, che interpreta e cambia tutto, che può essere dispiegata con leggerezza in un libro facile che fa sentire il lettore intelligente, un libro che deve essere letto da tutti oggi e ignorato da tutti domani.

È la cattiva alimentazione del cibo spazzatura per i pensieri e la maledizione del bestseller da aeroporto.

Dobbiamo resistere all’eccesso di semplificazione.

Questa volta, dobbiamo pensare in modo più approfondito ed esteso a ciò che stiamo facendo e pianificando con l’IA.

Questo esercizio si chiama filosofia, non futurologia.

(Luciano Floridi).

 

 

 

 

 

Gender tech. Corpi, esperienze

 e identità femminili sotto

 la lente della tecnologia.

  Ilbolive.unipd.it - Federica DʹAuria –  Laura Tripaldi - (13-2-2024) – ci dicono:

 

 Dalla pillola anticoncezionale al test di gravidanza, fino alle app per il monitoraggio del ciclo mestruale, le tecnologie di genere influenzano fortemente il modo in cui viene conosciuto e rappresentato il corpo delle donne a livello scientifico, culturale e politico.

In “Gender tech: Come la tecnologia controlla il corpo delle donne” (Editori Laterza)” Laura Tripaldi” racconta la nascita e l’evoluzione delle principali tecnologie rivolte allo studio della biologia femminile e approfondisce il complesso rapporto tra progresso scientifico, genere e cultura.

“Credo che l’approccio storico allo studio della scienza sia molto importante”, ha raccontato “Tripaldi” a Il Bo Live.

“Spesso tendiamo a considerare il sapere scientifico come un oggetto universale, assoluto e separato dal contesto culturale che lo ha prodotto.

L’adozione di una prospettiva storica permette invece di scoprire quanto lo sguardo scientifico sia influenzato da fattori culturali, sociali e politici.

 Il mio lavoro ha avuto inizio con alcune ricerche che ho svolto sulla pillola anticoncezionale, dettate da un interesse puramente personale.

 Man mano che approfondivo la storia di questo farmaco basandomi sui molti libri che ne raccontano la nascita e gli sviluppi, mi sono resa conto che la pillola non era l’unica tecnologia a nascondere un passato controverso e a tratti oscuro (segnato da terribili episodi di ingiustizia e violenza coloniale, ndr).

Così è nata l’idea di raccogliere queste storie in un libro unico”.

L'intervista completa a Laura Tripaldi.

Montaggio di Barbara Paknazar.

 

Tripaldi non nega certo il potenziale emancipativo di tecnologie rivoluzionarie come la pillola anticoncezionale e il test di gravidanza, che hanno permesso alle donne di riappropriarsi dello sguardo scientifico sulla loro sessualità e del controllo della loro salute riproduttiva;

 d’altra parte, però, “Gender tech” evidenzia anche gli aspetti più ambigui di queste e altre tecnologie progettate per scrutare dentro i nostri corpi, riflettendo sulla loro capacità di plasmare le identità sessuali contemporanee.

 

“A un livello più immediato, l’ambiguità è data dalla tendenza a presentare queste tecnologie come strumenti in grado di restituirci la nostra autonomia, tralasciando però di mettere in guardia rispetto agli usi meno desiderabili di questi dispositivi che in mani altrui rischiano di diventare mezzi di controllo e sorveglianza”, spiega Tripaldi.

“Un secondo livello della mia riflessione è legato invece al rapporto tra le tecnologie e la natura che esse indagano.

 L’ambiguità, in questo caso, è dovuta al fatto che noi conosciamo e concepiamo culturalmente i corpi delle donne attraverso la rappresentazione (che è, in un certo senso, una “trasformazione”) che la tecnologia ci restituisce di loro.

Ogni strumento tecnologico, in altre parole, proietta uno sguardo sull’oggetto che investiga e, così facendo, costruisce e produce retroattivamente la natura che indaga”.

 

Per capire quanto la tecnologia riesca a plasmare e a definire il genere femminile e i condizionamenti sociali e culturali che influenzano la nostra percezione a riguardo, basta chiederci: “cos’è una donna?”

e renderci conto che le conoscenze biologiche, anatomiche e biochimiche su cui si fonda la nostra risposta sono sempre rese possibili e mediate dagli strumenti tecnologici, che hanno la funzione di trasformare un oggetto o un fenomeno del mondo esterno in un insieme di dati che possono essere analizzati, misurati e ordinati secondo relazioni di causa-effetto.

 

Questo vale naturalmente per ogni aspetto della realtà che studiamo con metodo scientifico.

Lo scopo di Tripaldi era però quello di scoprire cosa accade quando sono i corpi delle donne ad essere sottoposti allo sguardo della tecnologia e approfondire le conseguenze a livello privato, pubblico, politico e culturale di ciò che tale sguardo restituisce.

Tutto questo perché le donne, come ricorda l’autrice, sono soggetti politici:

 la loro natura, la loro salute, le scelte, i diritti e i loro comportamenti sono sempre oggetto di dibattiti e battaglie politiche.

 

“Il capitolo che ho scritto con più passione e, allo stesso tempo, con più fatica è quello che riguarda la nascita dell’ecografia e la rappresentazione del feto, che siamo abituati a considerare un oggetto naturale, ma di cui in realtà conosciamo solo ciò che ci viene trasmesso attraverso lo sguardo della tecnologia”, racconta Tripaldi.

“Perciò ho tracciato la storia dell’iconografia del feto a partire dal Settecento per capire come la sua immagine si sia evoluta nel corso del tempo fino a oggi, diventando il simbolo principale delle battaglie degli antiabortisti”.

 

Tripaldi esplora anche le implicazioni politiche, sociali ed economiche delle tecnologie digitali, come ad esempio le app di “period tracking “(finalizzate al monitoraggio del ciclo mestruale), che se da una parte rispondono al desiderio delle donne – specialmente di quelle più giovani – di riappropriarsi della consapevolezza dei propri processi biologici e della gestione della propria salute sessuale e riproduttiva, dall’altra sono capaci di modificare in modo inaspettatamente profondo i loro comportamenti.

 

“Tutte le tecnologie – non solo quelle digitali – agiscono su di noi”, sottolinea Triapaldi.

“Esse ci “trasformano” perché influenzano la nostra percezione di noi stesse, di chi siamo e della nostra natura.

Le diffusissime app di “period tracking” sono particolarmente rilevanti da questo punto di vista;

il loro funzionamento ha iniziato a suscitare in me un senso di inquietudine quando mi sono accorta di non sapere fino in fondo che fine facessero i dati raccolti da queste app sulla mia salute e non solo.

 

Queste app, infatti, non raccolgono informazioni solo sul ciclo mestruale ma spesso ci chiedono di rispondere a domande relative anche allo stato d’animo o ad altri aspetti della nostra vita privata (relativi, ad esempio, all’alimentazione, ndr).

Un “period tracker “si occupa inoltre di fornire consigli mirati.

 Ad esempio, quando sanno che sta per arrivare la mestruazione, mandano messaggi del tipo “mangia del cioccolato” oppure “fai yoga”.

 Vengono suggeriti, in altre parole, alcuni comportamenti (ed è in questo senso che le tecnologie digitali ci modificano) spesso basati su pregiudizi culturali di fondo rispetto al modo in cui si dovrebbe sentire o dovrebbe agire una donna a seconda della fase del ciclo in cui si trova”.

 

La riflessione di Tripaldi non è un tentativo di demonizzare le tecnologie che racconta, né quello di mettere in discussione la loro utilità sul piano sia personale che scientifico ed epistemologico.

L’autrice si auspica, piuttosto, di contribuire ad aprire uno spazio di discussione più ampio sulla relazione tra tecnologia, corpo e identità.

“Il dibattito femminista sul rapporto con la tecnologia si divide principalmente in due correnti di pensiero”, spiega Tripaldi.

 “Da un lato c’è chi considera la natura e il corpo femminile come qualcosa di inviolabile, quasi sacro, e che rifiuta perciò totalmente ogni ingerenza tecnologica. Esiste invece un’altra corrente di femminismo che abbraccia la tecnologia, rifiutando un’idea normativa di natura.

 Pur non condividendo la prima di queste due posizioni, ritengo personalmente che un approccio eccessivamente aperto e acritico rispetto alla tecnologia sia pericoloso, perché stiamo parlando di strumenti che non sono dotati semplicemente di una “forza salvifica”, ma che possono anche essere manipolati e che, proprio come una spugna, assorbono le strutture di potere esistenti, pregiudizi compresi.

Credo perciò che sarebbe auspicabile trovare una via di mezzo basata da un lato sulla conoscenza del funzionamento, delle storie e del potenziale trasformativo di queste tecnologie e dall’altro sulla volontà di immaginare collettivamente lo sviluppo delle tecnologie del futuro”.

 

 

 

 

L’Unione Europea blocca

l’AI di Meta.

 Ilbolive.unipd.it - Anna Cortelazzo – (20 giugno 2024) – ci dice:

 

 Un po’ ce lo potevamo aspettare, ma non con queste tempistiche.

Era già tutto pronto, e il 26 giugno Meta avrebbe dovuto lanciare anche in Europa la sua intelligenza artificiale, che avrebbe potuto allenarsi utilizzando i contenuti degli utenti su Facebook, Instagram e Whatsapp.

Nessun utente avrebbe dovuto dare il proprio consenso, ma in conformità al “GDPR” esisteva una procedura per opporsi (qui abbiamo spiegato come impedire all’AI di Meta di allenarsi con i nostri dati):

non esattamente intuitiva, ma ne abbiamo viste di peggiori.

Questa possibilità non era prevista invece per gli utenti degli altri paesi, che hanno dovuto accettare la novità di buon grado senza poter opporsi, a meno di non abbandonare le tre piattaforme.

In varie agenzie di comunicazione fervevano i preparativi, visto che la possibilità di creare immagini “dal nulla” quando un cliente ha un budget scarso semplificava il lavoro a entrambe le parti in gioco.

 

Peccato che “dal nulla” non esiste, e che quelle immagini sarebbero appunto state il frutto della combinazione tra moltissimi elementi di altre foto condivise sui social dagli utenti.

 In effetti il dubbio sulla liceità del procedimento per un’istituzione che come l’Unione Europea è sempre stata molto attenta alla privacy dei suoi cittadini era sorto, ma con il diritto di opposizione garantito da Meta, per quanto non troppo pubblicizzato, sembrava essere tutto a posto.

All’ultimo momento, però, l’Unione Europea ha bloccato il lancio di Meta AI sul suo territorio, anche se, come Meta stessa ha fatto notare in un articolo sul suo blog, le autorità europee erano state informate ancora a marzo.

Eppure la “Irish Data Protection Commission” (DPC), Garante Privacy irlandese, ha aspettato l’ultimo momento per bloccare Meta AI (agendo a nome delle autorità di protezione dei dati europee) perché non garantisce la privacy degli utenti, anche se l'azienda aveva garantito che i dati raccolti non sarebbero stati collegabili a un profilo specifico, tanto che in un primo momento la” DPC” aveva dato un parere positivo.

 

Quello che stupisce, infatti, è soprattutto il timing:

un blocco a poco più di una settimana da un lancio crea ingenti danni economici all’azienda che lo subisce, e Meta era convinta di aver avuto un approccio conforme alle leggi e ai regolamenti europei.

 L’ipotesi è che il blocco sia dovuto alle recenti denunce di alcune associazioni non profit che agiscono per il diritto alla privacy, come per esempio” None Of Your Business”, che si occupa di protezione dei consumatori, che aveva criticato la procedura di silenzio/assenso:

gli utenti, infatti, non venivano interpellati direttamente, ma se non si preoccupavano di fare “opt-out” per opporsi al trattamento dei dati davano implicitamente il loro consenso.

 La cosa è ancora più grave perché se questi dati non sono legati all’account, come ha dichiarato Meta, ne risulta difficile, se non impossibile, anche la cancellazione su richiesta.

“Rimaniamo molto fiduciosi che il nostro approccio sia conforme alle leggi e ai regolamenti europei.

La formazione AI non è esclusiva dei nostri servizi e siamo più trasparenti di molte delle nostre controparti del settore.”

(Meta)

Cosa succederà adesso non è chiaro, ma di sicuro chi aspettava a braccia aperte e tastiere pronte questa innovazione è destinato a rimanere deluso, visto che la “DPC” ha chiesto esplicitamente di ritardare le procedure di addestramento.

Probabilmente Meta dovrà sedersi al tavolo delle trattative (ma potrebbe anche rinunciare, come aveva fatto inizialmente, ma per lungo tempo, per il lancio europeo del nuovo social” Threads”, legato a “Instagram”), anche se si è già lamentata dell’”ulteriore ritardo nel portare i benefici dell'IA ai cittadini europei”, rilevando come le procedure dell’azienda siano più trasparenti di quelle dei concorrenti.

Superando l’iniziale sogghigno dovuto a una reazione piuttosto infantile (“maestra, ma anche i miei compagni vanno a sbirciare nell’armadietto delle bambine!”) ci troviamo a constatare che siamo di nuovo di fronte a un conflitto tra innovazione e privacy, che ci spinge a chiederci come sia possibile che una tecnologia così avanzata non lo sia abbastanza per garantirla.

 Va anche notato che nulla impediva a Meta di lanciare la sua AI anche in Europa, senza raccogliere i dati dei cittadini:

 certo, ci sarebbero state frizioni culturali, com’è successo con le forzature etniche e sociali di “Gemini”, che restituiva immagini di papi donna e senatrici afroamericane del XIX secolo, ma se è l’innovazione che interessa (e non i dati altrui) su questi inconvenienti si potrebbe chiudere un occhio.

 

 

 

La Disobbedienza Giusta:

raccontarsi per superare

i disturbi alimentari.

Identitagolosa.it – Raffaele Foglia – (21-3-2024) – ci dice:

 

L'incontro in collaborazione con” Fondazione Cotarella”:

 le testimonianze dei ragazzi, i podcast, le esperienze di chi li segue.

Con una gran voglia di vivere.

L'incontro sulla Disobbedienza Giusta.

(Paolo Vizzari, Luca Marchini, Aurora Caporossi, Laura Dalla Ragione, Enrico Parisi, Lucia La Paglia, David Scatolla, Grazia Boccacci, Luna Pagnin, Francesca Finazzi, Alba Toninelli e Ruggero Parrotto.)

 

Raccontare i propri successi. Ma anche i propri fallimenti.

Comunque, parlarne.

Per poter affrontare e superare i problemi.

Questa è la “Disobbedienza Giusta”, quella che ti porta a superare i disturbi del comportamento alimentare.

 Mai titolo dell’incontro in collaborazione con Fondazione Cotarella moderato da Paolo Vizzari allo spazio L’Arena durante Identità Milano poteva essere più giusto: Alimentarsi di Vita.

 Partendo dalle esperienze di chi è riuscito a superare questi problemi.

Come “Grazia Boccacci”:

 «Difficile spiegare l’emozione che provo. Ci sono persone che mi sono state vicino. Quando non stavo bene, ricevevo dagli amici inviti a uscire, ma io prendevo delle scuse, volevo stare in casa per dedicarmi alla malattia. Ora devo dire grazie a queste persone che sono state con me».

Una storia che si unisce a quella di “David Scatolla”, 25 anni.

 «Da 5 anni soffro, anzi ho sofferto di disturbi alimentari.

Un periodo duro, dove ero timoroso, ansioso, con insoddisfazioni e sensi di colpa. Ringrazio “Fondazione Cotarella” perché sta credendo in me.

 Mi sento cambiato, sto continuando a disobbedire, dire no al disturbo alimentare mi ha messo più allegria, forza ed energia».

“Luna Pagnin” è autrice del podcast “Spazio Lunare”, personal trainer e attivista per disturbi alimentari:

«Anche io ho disobbedito al disturbo alimentare. Ho aperto un podcast per raccontare la mia storia, affinché chi ascolta non si sentisse giudicato, in uno spazio sicuro, senza mai sentirsi fuori luogo».

Altro podcast è” La Parte Bella”, che è la guarigione: «Circa un anno fa – spiega l’autrice…

 

Storie da raccontare per superare i disturbi alimentari.

“Alba Toninelli” - ho sentito di poter dire “sono guarita”.

Così grazie a Fondazione Cotarella è nato il podcast, che porta il racconto di chi ci è passato».

Con” Chiacchiere Gourmet”, il terzo podcast, si cerca di cambiare prospettiva, come spiega “Francesca Finazzi”:

 «Chiacchiere Gourmet nasce da un mio piccolo sogno, che ho raccontato a Dominga Cotarella.

Anch’io ho sofferto di disturbi, e mi sono chiesta che ruolo avesse il cibo. Così è nata l’idea di andare a scoprire tramite gli chef l’essenza, il senso del cibo; andare da loro, raccontare il loro mondo, e avvicinare i giovani all’enogastronomia».

 Per non demonizzare il cibo.

Da un punto di vista terapeutico, il lavoro è altrettanto importante, come sottolinea” Laura Dalla Ragione” (Psichiatra e Psicoterapeuta, fondatrice della Rete per i “Disturbi del Comportamento Alimentare della USL 1 Umbria):

«Vent’anni fa ho aperto le prime strutture italiane sui disturbi dell’alimentazione fuori dagli ospedali.

Ai tempi quella era considerata una strada molto disobbediente e io fui attaccata. Ora, dopo vent’anni, tutti gli spazi riabilitativi sono fuori dagli ospedali, in spazi vivibili.

Per poter costruire un percorso».

Uno spazio per tornare a vivere, insieme:

questo è “Animenta”, come racconta la fondatrice e presidente “Aurora Caporossi”:

 «È un giardino dove stare insieme, farsi forza e affrontare i problemi. “Animenta” è un insieme di tante storie, raccontando sui social media la sofferenza. L’obiettivo è di fare in modo che i ragazzi che riscoprano il senso della società. Il problema non è il cibo, ma il valore che esso assume. E c’è il tema delle ricadute».

I temi da affrontare sarebbero davvero tanti.

“ Lucia La Paglia” è gastronoma e anche modella:

 «Sono un po’ il nemico – esordisce con una battuta - C’è un motivo se siamo spinti a parlare qui, tutti noi abbiamo avuto una disobbedienza verso il cibo che ha portato alla vergogna. Di cosa ci vergogniamo? Raccontare la mia storia non è esibizionismo, ma condividere, affinché anche solo una persona possa riconoscersi in tutto questo. Per combattere questa vergogna, c’è l’ascolto».

 

“Luca Marchini”, chef di “L’erba del Re” a Modena, ha fatto entrare i ragazzi “nella tana del lupo”.

 «Sono stato contattato dal centro diurno dell’Usl di Modena e mi hanno chiesto di parlare di ricette ai ragazzi. Io faccio il cuoco e faccio ricette che servono per creare piatti che piacciono alla gente. Alla fine la mia disobbedienza è stata quella di accentrare l’attenzione non sul piatto e sul mangiare, ma su quello che c’è oltre: sulla parte olfattiva, su quella visiva… Comporre un piatto senza mangiarlo. E ognuno dei ragazzi si è potuto esprimere».

 

“Enrico Parisi”, delegato nazionale “Coldiretti Giovani Impresa”, ha poi commentato:

 «Ho imparato una cosa bellissima, che non esistono errori, ma solo lezioni, e attraverso le lezioni puoi diventare una persona migliore».

A tirare le fila è stato infine “Ruggero Parrotto”, direttore della “Fondazione Cotarella”:

«Loro, i ragazzi, sono pezzi di un mondo, una comunità. Una delle cose più importanti è che il modello che stiamo costruendo è pensare che non esiste il giovane che sta male e basta, ma c’è un sistema, una comunità che si è accorta del male tardi. Per questo dobbiamo dare ascolto anche alle famiglie, alla comunità, per cercare di affrontare queste situazioni. Anche perché quando uno esce da struttura di cura, se lasciato solo, spesso ricade. Se in questo contesto la famiglia e gli amici non sono accoglienti, questa persona non si salva».

 

 

 

 

Guerra civile nei campus Usa,

Biden: «Non c’è diritto al caos.»

 

Editoraledomani.it - DAVIDE LERNER – (02 maggio 2024) ci dice:  

 

Dopo lo sgombero dei manifestanti pro Palestina alla “Columbia”, oggi è stato il turno di “Ucla”: sono 1.300 gli arresti nel paese.

La contestazione si diffonde.

Il presidente condanna le violenze, ma esclude l’invio della Guardia nazionale

Il grande prato dove sorgeva l’accampamento pro Palestina dell’università Columbia dall’alto sembra una lunga tavola da scacchi.

Nei quadranti che fino a martedì notte erano protetti dalle tende è rimasta l’erba verdeggiante e impeccabile che decora tutte le altre parti del campus dell’”ateneo Ivy League” che fu frequentato da” Obama,” Ruth Bader Ginsburg”, e prima ancora presieduto da “Dwight D. Eisenhower”.

Ai lati però c’è il prato calpestato e ingiallito su cui per una decina di giorni gli studenti hanno bivaccato, ospitato seminari su Gaza, venerato il grande intellettuale palestinese “Edward Said” che fu professore a Columbia, o discettato su perché l’”antisionismo” non c’entri nulla con l’”antisemitismo”.

 Hanno cantato i famosi slogan contro Israele:

 dal fiume al mare, la Palestina sarà araba, non vogliamo i due stati, vogliamo tutto.

Viva l’intifada. E sventolato bandiere palestinesi.

Se nell’epicentro della protesta ora regna la calma, è tutto il contrario nel resto del paese.

 Il diffondersi a macchia d’olio della protesta studentesca pro Palestina giovedì ha costretto perfino il presidente” Joe Biden” a intervenire.

 «Il dissenso è essenziale per la democrazia», ha detto alla Casa Bianca. «Ma il dissenso non deve mai portare al disordine».

Gli americani, ha detto, hanno «il diritto di protestare, ma non il diritto di creare il caos».

Dietro al prato, dai piani alti dell’edificio della Columbia dedicato a “Joseph Pulitzer”, si guarda nella direzione di Amsterdam Avenue e si vede “Hamilton Hall”, il palazzo che da lunedì sera a martedì sera era stato occupato dai contestatori dopo il fallimento dei negoziati con l’amministrazione e l'escalation della protesta lanciata da una frangia degli studenti accampati.

MONDO.

(L’antisemitismo nei campus- per Biden- è un problema serio. MATTEO MUZIO).

 

I grandi striscioni che inneggiavano all’intifada esposti sulla facciata del palazzo ora sono stati rimossi, così come il grande cartello all’ingresso che dedicava l’edificio a” Hind Rajab”, una bambina di sei anni uccisa dall’esercito israeliano durante l’offensiva su Gaza (è vicino a 35.000 il conto delle vittime palestinesi).

Il palazzo era già stato occupato nel 1968, in occasione della protesta contro la guerra in Vietnam e contro l’espansione di Columbia nel quartiere popolare di Harlem, con cui “Columbia” è divenuta uno dei maggiori proprietari di immobili di New York.

Oggi il campus è presidiato dagli agenti del “Nypd,” invitati a rimanere dalla presidente dell’ateneo “Minouche Shafik” almeno fino al 17 maggio, due giorni dopo la grande cerimonia della graduation.

Ma alle spalle del palazzo Hamilton, fuori dai cancelli, alcuni studenti continuano la protesta usando gessi per scrivere “Polizia fuori dal nostro campus” a caratteri cubitali sull’asfalto del marciapiede.

E soprattutto, nel resto del paese, la contestazione partita dalle tende di Columbia a metà aprile è in piena escalation.

Quasi quaranta atenei vivono mobilitazioni studentesche in solidarietà con la Palestina.

Giovedì a finire sotto i riflettori è stata la prestigiosa” University of California”, a Los Angeles, dove agenti in tenuta antisommossa hanno fatto irruzione nella tendopoli filopalestinese allestita dagli studenti, infrangendo la barriera protettiva ai margini dell’area occupata.

Gli studenti si sono scontrati con la polizia, che ha sgomberato l’accampamento alla fine di una giornata drammatica in cui gli accampati sono anche stati aggrediti da manifestanti filoisraeliani.

Oltre 1.300 persone sono state arrestate in tutto il paese.

 

IMMAGINARIO PARALLELO.

A Ucla, come in tanti altri atenei ispirati dall’accampamento di Columbia, l’amministrazione universitaria si trova di fronte al dilemma se proteggere a tutti i costi la libertà di espressione, oppure piegarsi alle pressioni di chi squalifica il linguaggio e i metodi dei contestatori come violenti.

Al contrario di quanto accadeva negli anni della “cancel culture”, in questo caso sono perlopiù i conservatori a voler tracciare una linea rossa che delimiti la libertà di espressione, mentre i progressisti, sull’onda dell’indignazione per il comportamento dell’esercito israeliano a Gaza, giustificano le forme talvolta estreme della protesta.

Un elemento questo emerso nello stesso discorso di una portavoce della protesta di Columbia poche ore prima dell’intervento della polizia sul campus.

 «I miei compagni hanno rinominato questo palazzo, che sorge su terra rubata agli indigeni (americani) e che porta il nome di un colono bianco, dedicandolo a “Hind Rajab”», ha detto.

 

Dietro di lei, utilizzando una corda, i contestatori riempivano un cestino pieno di pizze, snack e viveri per i compagni barricati.

Tre di loro lo issavano affacciandosi dal balcone dell’Hamilton, i volti completamente coperti da scialli e keffiyeh, sventolando una bandiera palestinese. Uno studente ebreo, davanti all’edificio, non poteva fare a meno di notare la ricercata somiglianza con le famose immagini dei militanti palestinesi alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, nell’operazione in cui 11 israeliani rimasero uccisi.

Malgrado le condizioni più che tollerabili per gli studenti dell’occupazione, i quadri della protesta non resistevano alla tentazione di paragonare sé stessi gli abitanti di Gaza.

«Hanno chiuso e bloccato il campus. Ci minacciano di sospensione. Ci impediscono di usare il bagno. Ci impediscono di ricevere cibo, ci impediscono di ricevere acqua. Questo è un assedio», ha scandito una leader della protesta, attaccando l’amministrazione definita “sionista” dell’università, prima dello sgombero.

L’imitazione con risvolti parodici del conflitto reale è stata una costante delle proteste filopalestinesi a Columbia.

 Basti pensare alle delegazioni che tornavano dai negoziati per il «rilascio» dei compagni sospesi e per il disinvestimento da Israele, ai paragoni fra le misure di sicurezza adottate sul campus e quelle della Palestina reale, e alle accuse alla dirigenza di violare principi umanitari come l’esercito israeliano a Gaza.

 «Volete che gli studenti muoiano di sete e fame, o si ammalino gravemente? Chiediamo aiuti umanitari di base», ha detto una portavoce davanti al palazzo occupato.

Gli ultimi discorsi prima dello sgombero di martedì contenevano in nuce le ragioni per cui la protesta è divenuta controversa, attirandosi accuse di essere violenta e antisemita.

«Torneremo in tutta la Palestina. E credetemi, torneremo a milioni perché siamo palestinesi e ci riuniremo alla terra che ci è stata rubata», recitava uno dei comunicati letti da una manifestante alla stampa.

 «Stiamo dedicando la nostra vita (...) non solo per la fine del genocidio a Gaza, ma per la liberazione della Palestina dal fiume al mare».

 

LE CONDANNE DELLA POLITICA.

La retorica dei martiri, dell’intifada, del cancellare Israele, della demonizzazione dei “sionisti”, come se il movimento fosse ancora in fase costitutiva e non avesse realizzato il proprio obiettivo quasi 80 anni fa, ha provocato l’indignazione bipartisan della politica e di tanta parte del mondo ebraico.

Lo Speaker della Camera dei rappresentanti, “Mike Johnson”, ha condannato duramente i dirigenti dell’ateneo durante una visita al campus, accusandoli di non avere fatto abbastanza per tutelare gli studenti ebrei.

Soltanto l’ala progressista del Partito democratico ha appoggiato gli studenti, con visite della deputata Ilhan Omar e della stessa “Alexandria Ocasio-Cortez”.

Gli studenti ebrei della protesta, da parte loro, hanno provato a confutare le accuse.

Mercoledì 24 aprile sei o sette di loro hanno presieduto un seminario sull’antisemitismo spiegando come non esista sovrapposizone possibile fra antisionismo e antisemitismo e come, anzi, i valori dell’ebraismo siano in contraddizione con il sionismo.

 «Hai letto” Lo Stato ebraico” di Theodor Herzl, lo sai che è un libro colonialista?»,

 ha chiesto Remi, una ventenne inglese di religione ebraica.

“Maya Passman,” di madre libanese e di padre ebreo americano, ha detto «Dopo il 7 ottobre non ho parlato con mio padre per tre settimane».

Sam, un coetaneo americano, messo alle strette, ha ammesso che i messaggi del movimento potevano essere confezionati con più attenzione all’inizio della protesta.

Ha detto che il coro «Non vogliamo i due stati, vogliamo il ’48» (cioè tutto il territorio della Palestina storica) reciterebbe piuttosto «Non vogliamo i due stati, ricordiamo il ’48».

Ma è soltanto quello che gli piacerebbe sentire.

Shay, un ventenne americano, ha raccontato le difficoltà attraversate in famiglia per mantenere la sua posizione antisraeliana.

Un’altra contestatrice ebrea ha sostenuto che l’insulto “Tornatene in Polonia”, usato contro americani ebrei vicino al campus, non fosse antisemita: «È solo capitato che la persona a cui è stato rivolto fosse ebrea».

“Jasmine Sarryeh-Jemersic”, una trentaquattrenne studente giordano-americana di origini palestinesi, ha liquidato le critiche agli slogan dicendo che «chiamare la mia terra Palestina non minaccia certo una potenza nucleare come Israele, stabilita da oltre 70 anni.

E non mi pare la parte israeliana sia più orientata a soluzioni ragionate».

Ma “Arian Lehrer”, trentasettenne studentessa israeliana di sinistra e sensibile alla causa palestinese, dice:

«Spero imparino a difendere i diritti dei palestinesi senza disumanizzare e demonizzare la nostra identità».

 

Il controllo di Israele sull'America

diventa sempre più forte.

 Unz.com - FILIPPO GIRALDI – (14 GIUGNO 2024) – ci dice:

 

La politica estera degli Stati Uniti si basa sull'accondiscendenza nei confronti dello Stato ebraico.

Nel settembre 2017 ho scritto un articolo per il sito Unz Review intitolato "Gli ebrei d'America stanno guidando le guerre dell'America" con il sottotitolo "Non dovrebbero ricusare se stessi quando si tratta del Medio Oriente?"

L'articolo si concentrava sul fatto che la maggior parte degli individui e dei gruppi negli Stati Uniti che si stavano agitando per la guerra con l'Iran in particolare erano ebrei e la maggior parte non nascondeva la propria lealtà a Israele, guidato allora come oggi dal primo ministro Benjamin Netanyahu.

Sostenni che era un errore lasciare che gli ebrei gestissero le relazioni dell'America in Medio Oriente, in particolare, poiché alcuni di loro avrebbero certamente sperimentato un conflitto di interessi che inevitabilmente non sarebbe stato vantaggioso per gli Stati Uniti.

 E, si potrebbe aggiungere, che nonostante il legame che lega un governo straniero, nessun gruppo filo-israeliano è mai stato obbligato a registrarsi ai sensi del “Foreign Agents Registration Act” del 1938 che fornirebbe una certa trasparenza sulle finanze e sui contatti diretti con il governo israeliano o la sua ambasciata a Washington.

 Il risultato finale di tutto ciò è quello di rendere estremamente facile l'uso del denaro, che i miliardari sionisti hanno in abbondanza, per corrompere il processo del governo degli Stati Uniti per conto di uno stato di apartheid che in realtà non è un alleato e non ha valori che si adattano bene a quella che una volta era la democrazia americana.

Se misurato dai commenti ricevuti sul sito di Unz, l'articolo sulla difesa etnica che promuove le guerre americane si è rivelato il più popolare che abbia mai scritto ed è stato ripreso ampiamente online e in varie pubblicazioni sia negli Stati Uniti che all'estero.

 Inevitabilmente, però, ha prodotto una reazione negativa da parte dei molti amici di Israele e nel giro di 24 ore è stato aggiunto un aggiornamento al post online originale.

 La mattina del 21 settembre Phil Giraldi è stato licenziato al telefono dall'”American Conservative”, dove era stato un collaboratore regolare per quattordici anni.

Gli è stato detto che "gli ebrei d'America stanno guidando le guerre americane" era inaccettabile.

La direzione e il consiglio di amministrazione del “TAC” sembrano aver dimenticato che la rivista è stata lanciata con un articolo del fondatore” Pat Buchanan” intitolato "Di chi è la guerra?", che in gran parte faceva le stesse affermazioni di Giraldi sulla spinta ebraica per un'altra guerra, in quel caso con l'Iraq.

“Buchanan” è stato diffamato e denunciato come antisemita da molte delle stesse persone che ora stanno attaccando “Giraldi” in modo simile.

Il tumore maligno del TAC che ha fatto il vero sparo è stato particolarmente irritato dalla mia affermazione nell'articolo che ebrei di spicco, come “Bill Kristol”, che appaiono regolarmente in televisione per sostenere linee dure contro l'Iran e altri, mentre articolano una "minaccia per l'America" quando in realtà stanno agendo per conto di Israele, dovrebbero apparire sopra un'etichetta che recita qualcosa come "ebreo é un esplicito sostenitore dello stato di Israele".

Aggiunsi che sarebbe stato un po' come un'etichetta di avvertimento su una bottiglia di veleno per topi, traducibile approssimativamente come "ingerisci anche la più piccola dose delle sciocchezze vomitate da “Bill Kristol” a tuo rischio e pericolo".

 

In effetti, è la ricca e influente diaspora ebraica e la sua incessante menzogna e corruzione che sostiene la narrazione fittizia di Israele come una "terra senza popolo per un popolo senza terra".

 La giornalista australiana “Caitlin Johnstone” osserva che "Tutto ciò che riguarda Israele è falso.

È una nazione completamente sintetica creata senza alcun riguardo per i movimenti sociopolitici organici della terra e della sua gente, schiaffeggiata senza radici in cima a un'antica civiltà preesistente con radici profonde.

 Ecco perché non può esistere senza essere sostenuta artificialmente dalla propaganda senza sosta, dalle lobby, dalle operazioni di influenza online e dalla violenza militare di massa".

Il mio punto nel rivisitare il passato è che sette anni fa non si sarebbe mai immaginato il controllo che la lobby ebraica ha ottenuto sulla politica estera degli Stati Uniti, così come su molte politiche interne, in gran parte grazie alle misure allarmanti pro-Israele che sono state avanzate da un Donald “Trump” ignorante e sconsiderato, seguito dal totalmente insensato e incurante “Joe Biden”.

Biden ha una maggioranza di ebrei che occupano posizioni di alto livello nella sua amministrazione ed è giusto dire che gli ebrei sono ai comandi della politica mediorientale e di ciò che sta accadendo in Ucraina.

 Il Segretario di Stato “Anthony Blinken” è poco più di un portavoce e sostenitore di Israele, come ha chiarito quando è arrivato in Israele dopo l'attacco di Hamas e ha annunciato:

 "Vengo davanti a voi come ebreo..."

 e ha proseguito con la storia dell'olocausto della sua famiglia, anche se ha omesso di menzionare che il suo patrigno lavorava per “Robert Maxwell”, una delle principali spie israeliane.

 E non dimentichiamoci del Congresso, dove i fanatici filo-israeliani hanno preso il controllo completo (con la sola eccezione di “Tom Massie”) del Partito Repubblicano.

Questo controllo viene esercitato attraverso donazioni politiche esagerate e una copertura mediatica favorevole che dipende dalla propria visione favorevole di Israele.

Sta attualmente circolando una storia che indica che “Miriam Adelson”, erede di origine israeliana della fortuna multimiliardaria del casinò” Sheldon Adelson”, ha offerto a Trump 100 milioni di dollari come contributo alla campagna politica se prometterà di consentire l'annessione israeliana di tutta la Palestina storica dopo aver vinto le elezioni di novembre.

Alcuni membri del Congresso hanno rivelato che quando sono emersi per la prima volta come candidati politici, un rappresentante dell'”American Israel Public Affairs Committee” (AIPAC) sarebbe passato casualmente a determinare il loro punto di vista sul Medio Oriente.

 In alcuni casi, agli aspiranti legislatori verrebbe chiesto di firmare una dichiarazione in cui si impegnano a sostenere Israele in modo pieno e acritico, qualunque cosa faccia.

E di recente abbiamo appreso che Israele conduce importanti operazioni segrete di intelligence utilizzando falsi personaggi sui social media che diffondono storie filo-israeliane per influenzare il processo decisionale e mantenere il controllo del governo degli Stati Uniti.

Oltre a ciò, secondo “Massie”, che ha detto a “Tucker Carlson”, ogni repubblicano al Congresso oltre a lui "ha una persona dell'AIPAC" assegnata a loro con cui sono in costante comunicazione, che descrive come "come la tua babysitter" per assicurarsi che nessuno esiti quando si tratta di politiche che hanno un impatto su Israele.

Si presume che si tratti di stagisti forniti dall'AIPAC o dall'”Anti-Defamation League” (ADL) che spiano i funzionari per timore che deviino dalla loro lealtà giurata allo Stato ebraico.

Chiamerei tale attività spionaggio straniero connesso all'incitamento a commettere tradimento che dovrebbe essere smascherato come la metafora del veleno per topi citata sopra.

Questi mostri che promuovono gli interessi di un paese straniero non sono veramente nostri amici e non vogliono fare nulla di utile per il popolo americano.

Anche il sostegno a Israele da parte dei media è artificioso ed essenzialmente falso, va oltre le storie distorte e ignora i palestinesi.

Generalmente e dall'alto verso il basso è imposto.

 Da ottobre organi di stampa come il “New York Times”, la “CNN” e la “CBC “sono stati denunciati attraverso fughe di notizie riguardanti le richieste dei loro massimi dirigenti, che sono spesso ebrei, di inclinare la loro copertura di Gaza per sostenere le narrazioni favorite da Israele.

 Ci sono state dimissioni nel governo per il genocidio israeliano sostenuto da “Biden” e “Briahna Joy Gray” è stata appena licenziata da “The Hill” per aver leggermente criticato Israele mentre co-conduceva lo show "Rising", un destino che tutti i dipendenti dei media devono capire per “non condividere il destino di Gray “se non sono sufficientemente solidali con l'entità sionista.

 Il sostegno di Israele da parte di Hollywood e di altre celebrità è altrettanto forzato.

Una società di marketing di Hollywood ha dovuto spiegare un'e-mail appena trapelata che istruiva i dipendenti dell'azienda a "fare una pausa nel lavorare con qualsiasi celebrità o influencer o taste maker che pubblicasse post contro Israele".

 

Altri nuovi sviluppi sul fronte israeliano che sono emersi negli ultimi sette anni includono gli attacchi alla libertà di parola e di associazione, lo sviluppo di una legislazione filo-israeliana a livello statale e locale che nega i benefici governativi e i posti di lavoro ai cittadini che sostengono il boicottaggio pacifico di Israele, e l'ultimo abominio dell”'Antisemitism Awareness Act”, che sta cercando di criminalizzare qualsiasi critica allo Stato ebraico.

 La legge è solo un aspetto di come il potere dei gruppi ebraici organizzati sul governo e sui media stia plasmando il tipo di società in cui gli americani vivranno nel prossimo futuro.

Sarà una società priva di diversi diritti costituzionali fondamentali, come la libertà di parola, a causa della deferenza verso le preferenze di un piccolo gruppo demografico.

 

Anche le prossime elezioni sono state prese di mira dalla "Lobby", con gruppi ebraici che hanno raccolto centinaia di milioni di dollari per compiere attacchi contro candidati considerati anti-israeliani.

 La mano pesante ispirata dai sionisti del governo e delle istituzioni educative americane è stata osservata di recente anche negli arresti e in altre punizioni, tra cui il blocco delle opportunità di lavoro e la cancellazione delle lauree agli studenti che protestano contro il genocidio israeliano dei palestinesi.

I contro-manifestanti ebrei, a volte violenti come nel recente caso dell'UCLA, di norma non vengono puniti e i loro gruppi studenteschi non vengono toccati, mentre i gruppi pro-palestinesi sono banditi dal campus.

A volte il farsi in quattro per compiacere gli israeliani è del tutto ridicolo.

Il Congresso sta attualmente cercando di approvare un disegno di legge che punirebbe le “Maldive” per aver bloccato i viaggi verso le isole per i titolari di passaporto israeliano mentre la guerra a Gaza continua.

Il deputato democratico “Josh Gottheimer” del “New Jersey” sta guidando gli sforzi per fare pressione sul governo della località turistica dell'Oceano Indiano.

“Gottheimer”, noto per essere uno dei più aggressivi sostenitori di Israele al Congresso, sta cercando un sostegno bipartisan nello sviluppo della legislazione che si chiamerà” Protecting Allied Travel Here (PATH) Act”.

La legislazione potrebbe bloccare qualsiasi aiuto o assistenza degli Stati Uniti alle Maldive fino a quando gli israeliani non avranno di nuovo il permesso di visitare il paese.

“Gottheimer” ha sostenuto che "i dollari dei contribuenti non dovrebbero essere inviati a una nazione straniera che ha bandito tutti i cittadini israeliani – uno dei nostri più grandi alleati democratici".

Ha anche aggiunto, prevedibilmente, che la mossa maldiviana è stata "antisemita".

Così, a mio modesto parere, siamo stati sempre più fregati senza sosta da Israele, nonostante gran parte delle punizioni che si svolgono alla luce del sole, ma gli sventurati disgraziati del Congresso sono troppo deboli e terrorizzati dalla lobby ebraica per fare qualcosa al riguardo.

 E ora abbiamo il criminale di guerra Benjamin Netanyahu che si presenta alla fine di luglio per un altro giro di ruffianeria e strisciamento, oltre ad applaudire e inchinarsi alla Sessione Congiunta di quello stesso Congresso che ha fatto così tanto per dare a “Bibi”, strumenti e denaro che gli hanno permesso di uccidere 35.000 palestinesi, per lo più civili, e il numero è in aumento.

 È una vergogna e quando il mondo si siederà e farà i conti con ciò che è accaduto e determinerà di chi è la colpa, i nodi verranno inevitabilmente al pettine. L'America il paria.

 Quasi fa rima.

(Philip M. Giraldi, Ph.D., è direttore esecutivo del Council for the National Interest, una fondazione educativa deducibile dalle tasse 501 (c) 3.)

 

 

 

 

 

L’Affaire Bergoglio: dalla

Partecipazione al G7 alla Dicitura

Secondo cui “Si Può Ridere Anche di Dio”

Conoscenzealconfine.it – (25 Giugno 2024) - Diego Fusaro – ci dice:

 

Bergoglio, che sembra aver fatto della distruzione di ogni ponte tra cielo e terra la propria missione speciale, ha candidamente affermato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, che, (sono parole sue) “si può ridere anche di Dio”.

Il travagliato affaire Bergoglio non si placa e continua anzi a far discutere indefessamente di sé.

Per la prima volta nella storia un, tra virgolette, Papa, e nel caso di Bergoglio le virgolette sono d’obbligo, partecipa al G7.

 Al raduno delle grandi potenze che comandano il mondo e che si sono auto investite della missione, non gliel’ha infatti conferita nessuno, di promuovere la pace con le armi, la democrazia con i missili e la libertà con le bombe.

Orwell era davvero un dilettante rispetto al nostro presente.

Stiamo parlando naturalmente dell’Occidente, che già da tempo sarebbe più opportuno appellare “Uccide-nte”.

Ebbene, anche Bergoglio era presente nella sontuosissima e sfarzosa località di “Borgo Egnazia”, ove il consesso dei potenti della terra si è svolto con un dispendio di danari davvero notevole, che stona, tanto più se si considerano le condizioni miserrime in cui le classi nazionali popolari versano ogni giorno in tutto l’Occidente.

La notizia non deve passare sotto silenzio, da che realmente è epocale.

Bergoglio, che curiosamente assai spesso risulta malato quando si tratta di celebrazioni religiose ufficiali, non si lascia sfuggire questa ghiotta occasione relativa a questioni mondane.

 D’altro canto, Bergoglio ci ha abituati negli anni.

Egli sembra trovarsi decisamente più a proprio agio in tv con “Fabio Fazio” o ai consessi dei potenti piuttosto che ai luoghi del sacro, come del resto sembra preferire le questioni mondane rispetto alle cose ultime della trascendenza e dell’eternità.

 Proprio in ciò riposa la religione del nulla di Bergoglio, vuoi anche la sua teologia liquida, smart e chiusa alla trascendenza, votata all’immanenza e alle cose mondane.

Come non ci stanchiamo di ripetere da tempo, con Bergoglio, che “Non è il Papa”, da che” Ratzinger” rimase papa “in sede impedita” fino alla sua morte, la chiesa cattolica si è venuta ridefinendo come una neo-chiesa post-cristiana e smart, semplice gran cassa della “globalizzazione liberal-progressista del PD italiano e Dem Usa” e in tinta arcobaleno”, mero raddoppiamento del pensiero unico politicamente corretto, che in tal guisa diventa anche teologicamente corretto.

Insomma, una fede low-cost che rende ormai indistinguibile il cattolico dal consumatore.

Proprio così, ai tempi di Bergoglio, il buon cattolico coincide in toto con il buon liberal globalista, che ha introiettato i moduli del pensiero unico funzionale all’ordine mondiale asimmetrico della globalizzazione turbo-capitalistica.

Del resto, nei giorni scorsi lo stesso Bergoglio ha candidamente affermato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, che, (sono parole sue) “si può ridere anche di Dio”.

Bergoglio ride di Dio.

Proprio così, per Bergoglio si può ridere anche di Dio.

Migliaia di anni di teologia, da Agostino di Ippona a Tommaso d’Aquino, da Anselmo di Aosta a Duns Scoto, sono stati buttati con un colpo alle ortiche, con un’uscita tanto misera e infelice.

 A opera di colui il quale, idealmente dovrebbe rappresentare il facitore di ponti, questo dice la parola pontifex, il facitore di ponti tra cielo e terra, tra trascendenza e immanenza, tra Dio e uomo.

Invece sembra aver fatto della distruzione di ogni ponte tra cielo e terra la propria missione speciale.

Ebbene, un Dio di cui l’uomo può ridere semplicemente non è più un Dio, ma è un ente dissacrato tra gli altri, privo di sacertà, il sacro e l’indisponibile, ridotto a cosa del mondo a disposizione dell’uomo.

Non ci stupiremmo davvero se un giorno o l’altro Bergoglio si affacciasse con nonchalance al balcone di San Pietro e si rivolgesse ai fedeli citando direttamente Nietzsche: “Fratelli e sorelle, Dio è morto!”

(Diego Fusaro - Radioattività – Lampi del Pensiero Quotidiano)

(radioradio.it/2024/06/laffaire-bergoglio-dalla-partecipazione-al-g7-alla-dicitura-secondo-cui-si-puo-ridere-anche-di-dio/)

 

 

Le oscure origini del

“Great Reset” di Davos.

Globalresearch.ca – (08 giugno 2024) - DiF. William Engdahl – ci dice:

                                                                         

È importante capire che non c'è una sola idea nuova o originale nel cosiddetto programma del “Grande Reset” di “Klaus Schwab” per il mondo.

 Né la sua agenda per la “Quarta Rivoluzione Industriale” è una sua pretesa di aver inventato la nozione di “Stakeholder Capitalism” un prodotto di “Schwab”.

 

“Klaus Schwab” è poco più di un abile agente di pubbliche relazioni per un'agenda tecnocratica globale”, un'unità corporativa del potere corporativo con il governo, comprese le Nazioni Unite, un'agenda le cui origini risalgono all'inizio degli anni '70 e anche prima. I

Il Grande reset di Davos è semplicemente un progetto aggiornato per una “dittatura distopica globale” sotto il controllo delle Nazioni Unite che è stato sviluppato per decenni.

Gli attori chiave erano “David Rockefeller” e il suo protettore, “Maurice Strong”.

 

All'inizio degli anni '70, probabilmente non c'era persona più influente nella politica mondiale del defunto allora ampiamente noto come “presidente della Chase Manhattan Bank”.

Creare il nuovo paradigma.

Alla fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, i circoli internazionali direttamente legati a David Rockefeller lanciarono una serie abbagliante di organizzazioni d'élite e think tank.

Questi includevano:

 Il Club di Roma; il 1001: A Nature Trust, legato al World Wildlife Fund (WWF); la conferenza di Stoccolma per la Giornata della Terra delle Nazioni Unite; lo studio del MIT, I limiti della crescita; e la Commissione Trilaterale di David Rockefeller.

 

Club di Roma.

Nel 1968 David Rockefeller fondò un think tank neo-malthusiano, “The Club of Rome”, insieme ad “Aurelio Peccei” e “Alexander King”.

Aurelio Peccei, era un alto dirigente della casa automobilistica Fiat, di proprietà della potente famiglia italiana Agnelli.

Gianni Agnelli della Fiat era un amico intimo di David Rockefeller e membro dell'”International Advisory Committee” della Chase Manhattan Bank di Rockefeller.

Agnelli e David Rockefeller erano amici intimi dal 1957.

 Agnelli divenne membro fondatore della “Commissione Trilaterale” di David Rockefeller nel 1973.

Alexander King, capo del Programma scientifico dell'OCSE, è stato anche consulente della NATO.

 Quello fu l'inizio di quello che sarebbe diventato il movimento neo-malthusiano del "popolo inquina".

 

Nel 1971 il Club di Roma pubblicò un rapporto profondamente imperfetto, “Limiti alla crescita”, che prevedeva la fine della civiltà come la conoscevamo a causa della rapida crescita della popolazione, combinata con risorse fisse come il petrolio.

 Il rapporto concludeva che senza cambiamenti sostanziali nel consumo delle risorse, "il risultato più probabile sarà un declino piuttosto improvviso e incontrollabile sia della popolazione che della capacità industriale".

 

Si basava su false simulazioni al computer da parte di un gruppo di scienziati informatici del “MIT”.

Si affermava l'audace previsione:

"Se le attuali tendenze di crescita della popolazione mondiale, dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della produzione alimentare e dell'esaurimento delle risorse continueranno invariate, i limiti alla crescita su questo pianeta saranno raggiunti entro i prossimi cento anni".

Era il 1971.

Nel 1973 Klaus Schwab, nel suo terzo incontro annuale dei leader aziendali a Davos, invitò Peccei a Davos per presentare i limiti della crescita agli amministratori delegati delle aziende riuniti.

Nel 1974, il Club di Roma dichiarò coraggiosamente:

 "La Terra ha il cancro e il cancro è l'Uomo".

Poi:

"il mondo sta affrontando una serie senza precedenti di problemi globali interconnessi, come la sovrappopolazione, la carenza di cibo, l'esaurimento delle risorse non rinnovabili [petrolio-noi], il degrado ambientale e la cattiva governance".

 Sostenevano che,

è necessaria una ristrutturazione "orizzontale" del sistema mondiale... cambiamenti drastici nello strato normativo – cioè nel sistema di valori e negli obiettivi dell'uomo – sono necessari per risolvere la crisi energetica, alimentare e altre crisi, cioè cambiamenti sociali e Se si vuole che avvenga la transizione verso una crescita organica, sono necessari cambiamenti negli atteggiamenti individuali.

 

Nel loro rapporto del 1974, “L'umanità al punto di svolta” , il Club di Roma sostenne inoltre:

La crescente interdipendenza tra nazioni e regioni deve quindi tradursi in una diminuzione dell'indipendenza.

 Le nazioni non possono essere interdipendenti senza che ciascuna di esse rinunci a parte della propria indipendenza, o almeno riconosca dei limiti alla propria indipendenza.

Ora è il momento di elaborare un piano generale per la crescita organica sostenibile e lo sviluppo mondiale basato sull'allocazione globale di tutte le risorse limitate e su un nuovo sistema economico globale.

 

Questa è stata la prima formulazione dell'Agenda 21 delle Nazioni Unite, dell'Agenda 2030 e del Great Reset di Davos del 2020.

David Rockefeller e Maurice Strong.

Di gran lunga l'organizzatore più influente dell'agenda di "crescita zero" di Rockefeller nei primi anni '70 fu l'amico di lunga data di David Rockefeller, un petroliere miliardario di nome Maurice Strong.

Il canadese Maurice Strong è stato uno dei principali promotori della teoria scientificamente errata secondo cui le emissioni di CO2 provocate dall'uomo dai veicoli di trasporto, dalle centrali a carbone e dall'agricoltura hanno causato un aumento drammatico e accelerato della temperatura globale che minaccia "il pianeta", il cosiddetto riscaldamento globale.

In qualità di presidente della Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite per la Giornata della Terra del 1972, Strong ha promosso un'agenda di riduzione della popolazione e abbassamento del tenore di vita in tutto il mondo per "salvare l'ambiente".

Strong ha dichiarato la sua agenda ecologista radicale:

"L'unica speranza per il pianeta non è il collasso delle civiltà industrializzate? Non è nostra responsabilità realizzarlo?"

Questo è ciò che sta accadendo ora sotto la copertura di una tanto pubblicizzata pandemia globale.

Strong è stata una scelta curiosa quella di guidare un'importante iniziativa delle Nazioni Unite per mobilitare l'azione sull'ambiente, poiché la sua carriera e la sua considerevole fortuna erano state costruite sullo sfruttamento del petrolio, come un insolito numero di nuovi sostenitori della "purezza ecologica", come David Rockefeller o “Robert O. Anderson” dell”'Aspen Institute” o “John Loudon” della Shell.

Strong aveva incontrato David Rockefeller nel 1947 quando era un giovane canadese diciottenne e da quel momento la sua carriera si legò alla rete della famiglia Rockefeller.

 Attraverso la sua nuova amicizia con David Rockefeller, Strong, all'età di 18 anni, ricevette una chiave Posizione delle Nazioni Unite sotto il Tesoriere delle Nazioni Unite, Noah Monod.

I fondi delle Nazioni Unite furono opportunamente gestiti dalla “Chase Bank di Rockefeller”.

 Questo era tipico del modello di "partenariato pubblico-privato" implementato da Strong: guadagno privato dal governo pubblico.

Negli anni '60 Strong era diventato presidente dell'enorme conglomerato energetico e compagnia petrolifera di Montreal noto come “Power Corporation”, allora di proprietà dell'”influente Paul Desmarais”.

Secondo quanto riferito, la “Power Corporation” è stata utilizzata anche come fondo nero politico per finanziare campagne di politici canadesi selezionati come “Pierre Trudeau”, padre del protetto di Davos “Justin Trudeau”, secondo la ricercatrice investigativa canadese “Elaine Dewar”.

Summit della “Terra I” e Summit della “Terra di Rio”.

Nel 1971 Strong fu nominato sottosegretario delle Nazioni Unite a New York e segretario generale della prossima conferenza sulla Giornata della Terra, la Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano (Summit della Terra I) a Stoccolma, in Svezia.

Quell'anno fu anche nominato amministratore fiduciario della “Fondazione Rockefeller”, che finanziò il suo lancio del progetto “Stockholm Earth Day”.

 A Stoccolma fu creato il “Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente” (UNEP) con Strong come capo.

Nel 1989 Strong fu nominato dal Segretario generale delle Nazioni Unite a capo della “Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo” del 1992 o UNCED ("Rio Earth Summit II" ).

Ha supervisionato la stesura degli obiettivi delle Nazioni Unite per l'ambiente sostenibile, l'Agenda 21 per lo sviluppo sostenibile che costituisce la base del Great Reset di Klaus Schwab, nonché la creazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) delle Nazioni Unite.

Strong, che era anche membro del consiglio del WEF di Davos, aveva fatto in modo che Schwab fungesse da consigliere chiave per il Summit della Terra di Rio.

In qualità di Segretario Generale della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio, Strong ha anche commissionato un rapporto al Club di Roma, “La prima rivoluzione globale”, scritto da “Alexander King”, in cui ammetteva che l'affermazione sul riscaldamento globale da CO2 era semplicemente uno stratagemma inventato per forzare il cambiamento:

"Il nemico comune dell'umanità è l'uomo. Nella ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, ci è venuta l'idea che l'inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d'acqua, la carestia e simili sarebbero stati all'altezza. Tutti questi pericoli sono causati dall'intervento umano, ed è solo attraverso un cambiamento di atteggiamenti e comportamenti che possono essere superati. Il vero nemico quindi è l'umanità stessa".

Il delegato del presidente” Clinton” a Rio, “Tim Wirth”, ha ammesso la stessa cosa, affermando:

 

"Dobbiamo affrontare il problema del riscaldamento globale. Anche se la teoria del riscaldamento globale è sbagliata, faremo la cosa giusta in termini di politica economica e politica ambientale".

 

A Rio Strong ha introdotto per la prima volta l'idea manipolativa di "società sostenibile" definita in relazione a questo obiettivo arbitrario di eliminare la CO2 e altri cosiddetti gas serra.

L'Agenda 21 è diventata Agenda 2030 nel settembre 2015 a Roma, con la benedizione del Papa, con 17 obiettivi "sostenibili".

Ha dichiarato, tra le altre cose,

"La terra, per la sua natura unica e per il ruolo cruciale che svolge nell'insediamento umano, non può essere trattata come un bene ordinario, controllato da individui e soggetto alle pressioni e alle inefficienze del mercato.

La proprietà privata della terra è anche uno strumento principale di accumulazione e concentrazione della ricchezza e quindi contribuisce all'ingiustizia sociale...

La giustizia sociale, il rinnovamento e lo sviluppo urbano, la fornitura di abitazioni dignitose e condizioni sane per le persone possono essere raggiunti solo se la terra viene utilizzata nell'interesse della società nel suo insieme".

In breve, la proprietà privata della terra deve diventare socializzata per "la società nel suo insieme", un'idea ben nota ai tempi dell'Unione Sovietica e una parte fondamentale del “Grande Reset di Davos”.

 

A Rio nel 1992, dove era presidente e segretario generale, Strong dichiarò:

"È chiaro che gli attuali stili di vita e i modelli di consumo della classe media benestante – che comportano un'elevata assunzione di carne, il consumo di grandi quantità di cibi surgelati e pronti, l'uso di combustibili fossili, elettrodomestici, aria condizionata a casa e sul posto di lavoro e abitazioni suburbane – non sono sostenibili".

A quel tempo Strong era al centro stesso della trasformazione delle Nazioni Unite nel veicolo per imporre di nascosto un nuovo "paradigma" tecnocratico globale, utilizzando terribili avvertimenti sull'estinzione del pianeta e sul riscaldamento globale, fondendo le agenzie governative con il potere aziendale in un controllo non eletto. praticamente di tutto, sotto la copertura della "sostenibilità".

Nel 1997 Strong ha supervisionato la creazione del piano d'azione successivo all'”Earth Summit”, “The Global Diversity Assessment”, un progetto per l'avvio di una “quarta rivoluzione industriale”, un inventario di ogni risorsa del pianeta, come sarebbe controllata e come questa rivoluzione sarebbe raggiunta.

 

A quel tempo Strong era co-presidente del “Forum economico mondiale di Davos di Klaus Schwab”.

 Nel 2015, alla morte di Strong, il fondatore di Davos Klaus Schwab scrisse:

 

"È stato il mio mentore fin dalla creazione del Forum: un grande amico; un consigliere indispensabile; e, da molti anni, membro del nostro Consiglio di Fondazione."

Prima di lasciare le Nazioni Unite a causa dello scandalo di corruzione “Food-for-Oil” in Iraq, Strong è stato membro del” Club di Roma”, amministratore dell'”Aspen Institute”, amministratore della “Fondazione Rockefelle”r e della “Fondazione Rothschild”. 

Strong è stato anche direttore del “Tempio della Comprensione del Lucifer Trust” (noto anche come Lucis Trust) ospitato presso la Cattedrale di St. John the Divine a New York City,

"dove i rituali pagani includono la scorta di pecore e bovini all'altare per la benedizione.

 Qui, il vicepresidente” Al Gore” ha tenuto un sermone, mentre i fedeli marciavano verso l'altare con ciotole di compost e vermi..."

Questa è l'origine oscura dell'agenda del “Grande Reset di Schwab”, secondo la quale dovremmo mangiare vermi e non avere proprietà privata per "salvare il pianeta".

L'agenda è oscura, distopica e intesa a eliminare miliardi di noi "umani comuni".

(F. William Engdahl è consulente e docente in materia di rischi strategici, ha conseguito una laurea in politica presso l'Università di Princeton.)

(Ma è mai possibile che ai nostri giorni si possa impunemente dichiarare che miliardi di uomini debbono essere uccisi solo per glorificare Klaus Schwab & C.? N.D.R.)

 

 

 

 

Cambiamenti climatici e C02:

sostenibilità falsa contro

sostenibilità reale.

Globalresearch.ca - Mark Keenan – (24 giugno 2024) – ci dice:

 

Il moderno movimento verde è molto lontano dai principi originali dell'ambientalismo.

La finta sostenibilità è l'agenda politica progettata e promossa dalle Nazioni Unite, implementata da governi sottomessi e che serve gli obiettivi della super entità bancaria privata e mega-aziendale.

 Al centro di questa agenda c'è l'inganno del cambiamento climatico e altre false narrazioni delle Nazioni Unite, come descritto nel libro “Transcending the Climate Change Deception Towards Real Sustainability” .

 

Nella sezione "FALSA sostenibilità" possiamo considerare punti tra cui:

Il cambiamento climatico provocato dall'uomo è una bugia conveniente:

 non è causato dalla CO2 o dal metano prodotto dal bestiame, come le mucche.

Negli anni '30 le temperature erano più alte di oggi, ma l'ONU ignora questi dati.

Un presidente del comitato IPPC delle Nazioni Unite si è effettivamente dimesso per protestare contro le bugie e le false informazioni dell'IPPC delle Nazioni Unite.

La maggior parte degli scienziati che affermano che il cambiamento climatico è un problema ricevono sovvenzioni pubbliche perpetue.

L'IPCC delle Nazioni Unite sceglie attentamente i dati, utilizza modelli imperfetti e scenari non lontanamente correlati al mondo reale.

Geoingegneria con il pretesto di combattere il cambiamento climatico e la tecnologia utilizzata per inquinare i cieli.

I banchieri centrali stanno finanziando interamente l'avanzamento del "progetto" mondiale sul cambiamento climatico.

 I banchieri centrali hanno preso il controllo del vero movimento ambientalista nel 1992 creando la falsa agenda sul cambiamento climatico.

Tra gli altri interessi finanziari, la dinastia bancaria dei Rockefeller ha promosso l'agenda dell'allarmismo climatico.

 Il “Chicago Climate Exchange” è una bufala che genera denaro da trilioni di dollari.

L'energia rinnovabile non è una soluzione praticabile ai problemi energetici mondiali.

Ciò è dimostrato dal lavoro di David MacKay, (1967 – 2016) ex Regius Professor di Ingegneria presso l'Università di Cambridge ed ex Capo Consulente Scientifico del Dipartimento per l'Energia e i Cambiamenti Climatici del Regno Unito, nel suo libro “Sustainable Energy without Hot Air”, vedi nota finale.

La sua analisi mostra che un'area grande il doppio dell'intero paese del Galles dovrebbe essere completamente coperta da turbine eoliche per soddisfare la domanda di energia nel Regno Unito, in base al consumo energetico medio pro capite.

Quello che segue è un estratto dal suo libro:

"In primo luogo, affinché qualsiasi impianto rinnovabile possa dare un contributo apprezzabile – un contributo paragonabile al nostro consumo attuale – deve avere le dimensioni di un paese.

Per soddisfare un quarto del nostro attuale consumo energetico mediante la coltivazione di colture energetiche, ad esempio, sarebbe necessario che il 75% della Gran Bretagna fosse coperto da piantagioni di biomassa...

Qualcuno che vuole vivere con energia rinnovabile, ma si aspetta che le infrastrutture associate a quella rinnovabile non siano grandi o invadente, si illude...

siamo costretti a concludere che il consumo attuale non sarà mai coperto dalle energie rinnovabili britanniche...

I mulini a vento che sarebbero necessari per fornire al Regno Unito 20 kWh/gg pro capite ammontano a 50 volte l'intero hardware eolico di Danimarca;

 7 volte tutti i parchi eolici della Germania;

e raddoppiare l'intera flotta di tutte le turbine eoliche nel mondo...

La capacità di energia solare necessaria per fornire questi 50 kWh al giorno per persona nel Regno Unito è più di 100 volte superiore a quella fotovoltaica nel mondo intero..."

 

L'assurdità delle auto elettriche – vedi questo articolo “Guidare un'auto elettrica è un falso ambientalismo” – Elon Musk lo smaschera.

L'assurdità delle bottiglie di plastica e degli imballaggi di plastica che rilasciano microplastiche dannose per la salute negli alimenti destinati al consumo umano.

Il fallimento della "rivoluzione verde" dell'agricoltura industriale che degrada la qualità del suolo e la fertilità attraverso l'uso di grandi quantità di erbicidi e pesticidi a base chimica.

Desertificazione: l'ONU afferma erroneamente che l'allevamento di animali è una causa, ma in realtà è una soluzione.

Il vero ambientalismo è stato dirottato dagli ingannevoli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite – vedi l'articolo “Decodificare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”:

indottrinare i tuoi figli nel nuovo ordine mondiale "falso sostenibile."

Trent'anni di sviluppo sostenibile definito dalle Nazioni Unite non hanno risolto i reali problemi ambientali e di benessere umano.

L'Agenda 21/2030 delle Nazioni Unite e l'ingannevole reimpostazione dell'agenda del Forum Economico Mondiale sono “agende di controllo” e sono l'opposto della vera sostenibilità.

 Le città intelligenti dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite sono intelligenti per i controllori del cosiddetto "nuovo ordine mondiale", ma non sono intelligenti per te.

Lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite è un problema presentato come soluzione.

Il trucco dei siti patrimonio mondiale e del "rewilding" consiste nello spostare gli agricoltori indipendenti e le popolazioni locali fuori dalla terra e in città intelligenti dove non possono coltivare molto cibo.

La globalizzazione delle mega-corporazioni è solo un paradigma distruttivo.

 È un progetto per il controllo delle mega-corporazioni sulle risorse mondiali e sull'approvvigionamento alimentare mondiale.

Politiche di sviluppo insensate non possono produrre una società sana.

Va sottolineata la tragedia dei beni comuni e la privatizzazione di tutto – vedi anche questo articolo:

“ La Banca Mondiale” e il “Fondo Monetario Internazionale” sono organizzazioni che hanno devastato il mondo in via di sviluppo incatenando i cosiddetti paesi in via di sviluppo (e anche i cosiddetti paesi del primo mondo) a debito impagabile.

La parola "sostenibile" è stata utilizzata dalle forze finanziarie/politiche decenni fa.

L'ingannevole definizione “Brundtland” di sviluppo sostenibile influenza le strategie politiche di sviluppo sostenibile.

Dovrebbero essere notati i falsi albori/i fallimenti/i difetti del disaccoppiamento, della sostituzione delle risorse e delle strategie di eco-efficienza.

Le politiche internazionali per lo "sviluppo sostenibile" sostengono erroneamente forme inquinanti di crescita del PIL;

 e sostiene erroneamente l'usura e l'attuale ortodossia finanziaria basata sul debito.

Le politiche delle Nazioni Unite non sconvolgeranno mai l'ortodossia, infatti la direzione centrale delle politiche delle Nazioni Unite è allineata e progettata dall'ortodossia.

La strategia dell'economia verde/crescita verde è una globalizzazione distruttiva dipinta di verde.

 L'ONU promuove erroneamente "forme inquinanti di crescita del PIL", causando così un impatto ambientale.

Oltre un certo punto, la crescita del PIL non aumenta il benessere umano, lo impoverisce.

L'economia contemporanea è un'ideologia errata e non è una disciplina scientifica.

Ci sono problemi sistemici nell'attuale sistema economico della globalizzazione – vedi anche il libro “Demonic Economics”.

A chi servono realmente le Nazioni Unite?

La scioccante verità sul comunismo, il capitalismo e la Seconda Guerra Mondiale – vedi anche il libro “Censored History”.

Tutti i governi che promuovono la “falsa agenda di sostenibilità” sono società registrate in debito perpetuo con mega-banche di proprietà privata e sono progettate per tassarti e controllarti – vedi anche il libro “Demonic Economics”.

Sotto la "sostenibilità REALE" possiamo considerare punti tra cui:

 

Superare l'inganno del cambiamento climatico – Verso la vera sostenibilità.

È la vera sfida della sostenibilità? La Terra da cui tutti dipendiamo:

 che dire dell'inquinamento reale del suolo, dell'aria e dell'acqua?

Non è corretto attribuire la responsabilità dei problemi di sostenibilità alla crescita demografica invece di affrontarne le cause profonde nel sistema finanziario e aziendale.

La via da seguire verso una società umana mondiale "reale", sostenibile e resiliente, fiorente, implica una realtà distinta dall'illusione.

Nel sistema attuale il mondo economico è governato dagli ulteriori elementi della creazione di debito e dai loro tentacoli di controllo mega-aziendale.

 Si tratta di aggirare il reset tecnocratico mondiale del WEF/ONU del governo totalitario mondiale non eletto.

Implica aggirare la falsa scienza in cui la "scienza" è stata cooptata e adattata per agire come un bastone con cui costringerti a conformarti – vedi anche il libro “Godless Fake Science”

Il principio scientifico di precauzione per proteggere la vita umana e la natura è stato ampiamente ignorato in questo sistema di globalizzazione aziendale.

 Questo principio dovrebbe essere utilizzato per prevenire effetti a lungo termine potenzialmente indesiderati e inconoscibili di tecnologie che non sono state testate su un arco di tempo prolungato, come i “nuovi OGM”, i “nuovi composti chimici artificiali” e le “nanotecnologie”.

I tentativi dell'era moderna di definire scientificamente la sostenibilità "reale" implicano il bilanciamento dei flussi di materiali con la capacità della natura attraverso la progettazione sostenibile.

Questi tentativi includono:

 progettazione” Cradle to Cradle”, progettazione sostenibile ed efficienza.

Tuttavia, queste strategie da sole non riusciranno mai a compensare i danni del sistema inquinante della globalizzazione aziendale.

 I fattori principali della globalizzazione:

 il sistema monetario-debito che lascia tutti i governi con un vasto debito impagabile;

l'usura che pretende il PIL a tutti i costi dai governi;

e occorre affrontare il problema del crescente controllo da parte delle imprese sulle risorse mondiali.

Una ritirata sostenibile da un sistema di globalizzazione difettoso implica la creazione di sistemi locali resilienti e l'eliminazione di false narrazioni, come l'allarmismo climatico provocato dall'uomo.

 Attualmente viviamo in un sistema dipendente dal petrolio, dal gas e dal carbone (si noti che l'espediente delle auto elettriche dipende dall'elettricità creata principalmente da petrolio e carbone).

Esiste il rischio di un collasso sociale se l'energia restituita dall'energia investita per questi combustibili diventa troppo bassa e se il costo di questi combustibili aumenta oltre quello che le persone possono permettersi di pagare.

Per evitare la dipendenza c'è bisogno di tecnologie intermedie come definite da autori come “EF Schumacher”.

L'importanza dell'agricoltura biologica e degli alimenti privi di tossine e composti chimici artificiali.

Nel mondo della produzione convenzionale, un agricoltore può spruzzare i suoi raccolti con pesticidi;

queste sostanze chimiche possono avere effetti devastanti sulla biodiversità necessaria per una sana fertilità del suolo.

La realtà della produzione vegetale convenzionale è l'uso routinario di erbicidi, come il glifosato, pesticidi e fungicidi.

 Nelle generazioni passate tutti i prodotti alimentari erano "organici", ora le sostanze chimiche vengono utilizzate abitualmente nella produzione alimentare.

Un'enorme industria trae enormi profitti dalla vendita di sostanze chimiche utilizzate nel sistema alimentare controllato dalle multinazionali;

 alcune di queste sostanze chimiche sono in realtà tossiche per l'uomo e per la biodiversità da cui dipende la salute del suolo.

Le sostanze chimiche non appartengono al nostro sistema alimentare né al suolo. Quando gli agricoltori biologici richiedono la certificazione dell'etichetta biologica, i prodotti possono essere controllati per oltre 800 sostanze chimiche che potrebbero essere presenti sul prodotto!

La mente vacilla di fronte a questa realtà.

 

"Quanto diverso sarebbe il panorama dei supermercati, se invece di cercare "biologico certificato" tutti i prodotti che sono stati spruzzati dovessero avere un'etichetta che descrive i trattamenti chimici che hanno ricevuto nel suo viaggio dal seme al supermercato.

Quanto sarebbe diverso il nostro sistema alimentare?

 Immagina che il tuo sacchetto di carote sia etichettato con i seguenti 10 prodotti chimici applicati sulle carote coltivate in Irlanda nel 2015, l'ultimo anno in cui sono disponibili dati.

Lambda-cialotrina, Linuron, Metribuzin, Azoxystrobin, Difenoconazolo, Pendimetalin, Prothioconazolo, Boscalid, Pyraclostrobin, Tebuconazolo" – Agricoltore biologico irlandese, Green Earth Organics.

 

Vedi anche la soluzione del bio char per la gestione del suolo e la desertificazione. Fermare la produzione di cibo OGM:

nessuno conosce gli effetti a lungo termine sugli esseri umani e sui prodotti della natura.

 Dio ci ha dato tutti i cibi naturali di cui abbiamo bisogno per vivere in modo sano: non scherzare con il disegno di Dio.

Sii consapevole degli ingredienti dei vaccini – perché iniettare agli animali da allevamento, come i polli, vaccini contenenti tossine, la cui scienza è a dir poco discutibile.

Fai anche attenzione alle tossine nell'acqua fluorata.

L'importanza delle mucche nelle comunità autosufficienti è in netto contrasto con la falsa agenda politica delle Nazioni Unite per ridurre il numero di vacche e, in effetti, impedisce alle popolazioni locali di tutto il mondo di produrre il proprio latte crudo sano mantenendo le mucche nelle comunità locali.

 Riscoprire il potere e le dinamiche dei cavalli è anche un'opzione per le comunità rurali resilienti.

Si può anche esplorare lo splendore degli antichi villaggi forestali e l'agricoltura forestale per frutta, erbe, materiali da costruzione, ecc.

Con numerose ridicole normative agricole imposte dal governo, molte delle quali basate sulla falsa scienza del cambiamento climatico causato dall'uomo, c'è la necessità che l'agricoltura tradizionale sia disaccoppiata da un sistema controllato dal governo.

È possibile esplorare la costruzione di case naturali utilizzando materiali naturali e senza l'uso di prodotti a base chimica, vernici e mobili (compresi gli isolamenti con pompa a parete) che possono scaricare gas nella tua casa.

Esistono innumerevoli modi in cui le persone libere possono facilmente lavorare per il reciproco vantaggio proprio e della società senza che i governi si intromettano imponendo le loro false politiche di sostenibilità.

 L'unica vera autorità è Dio, non i sistemi di potere aziendali e politici imperfetti e corrotti creati dall'uomo che spingono l'agenda della "falsa sostenibilità" delle Nazioni Unite per perseguire i propri obiettivi.

(Mark Keenan  è un ex scienziato presso il Dipartimento per l'energia e i cambiamenti climatici del governo britannico e presso la Divisione Ambiente delle Nazioni Unite.

Collabora regolarmente con Global Research.

È autore dei seguenti libri disponibili su amazon.com:

Superare l'inganno del cambiamento climatico verso la vera sostenibilità.

Bufala climatica sulla CO2 – Come i banchieri hanno preso il controllo del movimento per l'ambiente reale.

Falsa scienza senza Dio.

Nessun problema, nessun virus.

L'economia demoniaca e i trucchi dei banchieri.

I falsi sbarchi sulla Luna e le bugie della NASA.

Storia censurata del Nuovo Ordine Mondiale – Seconda Guerra Mondiale, Comunismo, Sionismo, Ebrei e Vaticano.)

 

 

 

 

La vera storia del delitto Matteotti:

furono la corona inglese e Vittorio

Emanuele III a volere la sua morte.

Lacrunadellago.net - Cesare Sacchetti – (25/06/2024) – ci dice:

 

C’è un falso passato che non vuole passare, almeno dalle parti della sinistra progressista e anche quelle del centrodestra liberale che amano molto l’esercizio di ripetere la mistificazione della storia.

Lo si è visto recentemente con il noto programma “Repor”t che qualche ingenuo ancora scambia per “informazione libera” quando esso, specie di recente, ha assunto le forme di una fabbrica di depistaggi storici per provare a nascondere la verità sotto un tappeto di menzogne.

E’ stato questo il caso della strage di Capaci nella quale persero la vita il giudice Falcone, sua moglie, Francesca Morvillo, e gli uomini della sua scorta, quando “Report” in una recente puntata ha provato a far credere che il valoroso magistrato siciliano fosse sulle tracce di una pista che lo stava portando direttamente ai presunti intrighi tra mafia e DC.

Poco importa però che Falcone negli ultimi mesi della sua vita non stesse facendo nulla di tutto questo.

Poco importa che il direttore generale degli Affari Penali, chiamato dal governo Andreotti e impallinato dalla sinistra ante e post – comunista, stesse seguendo una pista molto lontana dalla Balena Bianca e invece molto vicina a quelle di Botteghe Oscure.

È la famosa, almeno per chi ha letto questo blog di recente, indagine di “Giovanni Falcone” sui fondi neri del PCI che ammontavano almeno a 985 miliardi di lire, una montagna di denaro sporco sulla quale gli “eroi” del pool di Mani Pulite non posarono mai gli occhi mentre “Falcone” che gli occhi ce li posò e che saltò in aria poco prima di volare a” Mosca” e arrivare ai nomi di coloro che beneficiavano delle tangenti del vecchio PCUS, ovvero il partito comunista dell’Unione Sovietica.

 

Il caso Matteotti e la propaganda antifascista.

Stiamo assistendo ora ad un altro esercizio di falsificazione della storia, ma stavolta non si tratta di storia recente, ma più antica, se vogliamo, che risale almeno ai tempi del fascismo, ovvero il famigerato delitto del deputato socialista “Giacomo Matteotti”.

“Report”, ancora una volta, ha fatto la sua parte e ha veicolato il messaggio che a ordinare il delitto fu Benito Mussolini, per impedire che il deputato socialista rivelasse un affare di corruzione, del quale si dirà a breve, e dove in realtà sono coinvolti attori tutt’altro che fascisti.

A seguire la stessa (falsa) narrazione sono stati nei giorni passati le citate due braccia della “democrazia liberale”, centrodestra e centrosinistra, che come un sol uomo hanno rovesciato la responsabilità del delitto Matteotti al fascismo e a Benito Mussolini.

Il fascismo, si sa, è una vera e propria ossessione per il liberalismo e per la putrida repubblica angloamericana partorita dall’armistizio di Cassibile e sono mesi questi ai quali si assiste sempre di più ad una trita ripetizione di quei consunti riti antifascisti nella speranza, o meglio illusione, di esorcizzare la paura di un possibile ritorno di quell’epoca, considerata la profonda e attuale crisi della liberal-democrazia.

Matteotti è sempre stato un vecchio cavallo di battaglia della sinistra antifascista e ancora una volta si è rispolverato il repertorio del duce “assassino” che ordina l’uccisione del deputato per sopprimere la sua irrefrenabile avversione al governo fascista.

Ora, per chi conosce un minimo la storia del fascismo, e per chi conosce le doti politiche e intellettuali di Mussolini, sa che non c’era nulla di più sciocco da un punto di vista politico per l’allora presidente del Consiglio che ordinare la morte di Matteotti.

Il guadagno politico era pressoché nullo perché il deputato socialista non era assolutamente in grado di fare alcunché per arrestare la crescente avanzata del fascismo né tantomeno avrebbe potuto farlo in ottica futura, perché il fascismo, come fenomeno politico e sociale, era estremamente popolare tra gli italiani ed estremamente impopolare invece tra quegli ambienti d’Oltralpe, in particolare Londra, dove esso era considerato una temibile minaccia.

E per comprendere il filo dell’assassinio di Giacomo Matteotti occorre risalire al contesto politico e geopolitico di quel tempo che fu spiegato abbastanza bene proprio da un insospettabile come Matteo Matteotti, figlio di Giacomo, ed ex deputato sia del partito socialista italiano, sia del partito socialista democratico italiano nato da una scissione dei socialisti nel dopoguerra.

Matteo Matteotti e la verità sull’omicidio di suo padre.

Matteo Matteotti rilasciò una intervista allo storico “Marcello Staglieno” nel 1985 che fu pubblicata sulla rivista “Storia Illustrata”.

 

In questa intervista, il deputato socialista ripercorre tutti i retroscena della morte del padre e prende in considerazione una pista che poco ha a che vedere con gli interessi politici di Mussolini e molto invece con quelli della corona italiana e soprattutto della corona britannica.

Matteo Matteotti afferma che il giorno in cui suo padre Giacomo fu prelevato dal noto “Amerigo Dumini”, membro della” Ceka” –  una sorta di polizia politica fascista così chiamata per emulare la più famigerata “Ceka “di stampo sovietico fondata dai bolscevichi di Lenin e Trotskij – mentre il deputato passeggiava in Lungotevere “Arnaldo da Brescia” per recarsi alla Camera dei Deputati.

Quando Matteotti fu fatto salire a forza sulla” Lancia Trikappa” dei sequestratori, uno di essi, “Viola”, estrasse un coltello con il quale ferì all’addome e al torace l’uomo, morto in seguito alle ferite e abbandonato poi nelle campagne romane, dove venne ritrovato soltanto due mesi dopo.

La storia che i vari storici liberali raccontano è che questo delitto sia stato ordinato da Mussolini per “punire” il discorso contro il fascismo pronunciato da Matteotti alla Camera pochi giorni prima, ma questa storia, come al solito, non è molto attinente ai fatti e “sorvola” tutti quegli elementi che invece portano altrove.

Matteo Matteotti all’epoca, animato da una onestà intellettuale di cui non c’è traccia dalle parti della sinistra comunista, vuole vedere quegli elementi e scopre che il giorno nel quale suo padre fu prelevato da” Dumini” portava con sé dei documenti importanti che aiuterebbero a comprendere chi fu davvero il mandante di quell’assassinio.

Il figlio del deputato si sofferma a fare queste interessanti considerazioni su quella documentazione.

Nel 1924, dopo l’uccisione di mio padre, i giornali – ma non soltanto quelli – parlarono della denuncia che avrebbe dovuto essere portata da Giacomo Matteotti davanti alla Camera, riferendosi in particolare ad un dossier, contenuto nella sua cartella il giorno del rapimento, che riguardava appunto, assieme alle bische, i petroli.”

La pista degli affari delle grandi corporation petrolifere dell’epoca, che sono ancora sostanzialmente le stesse sotto altro nome, non viene presa in considerazione dalla vulgata antifascista poiché questa ha tutto l’interesse a gettare il cadavere di Matteotti addosso a Mussolini, e mentre fa questa operazione protegge ovviamente invece i mandanti sovranazionali di quell’omicidio e le loro sponde qui in Italia.

Ciò non deve destare stupore in quanto compito precipuo degli ambienti liberali e progressisti è sempre quello di tutelare gli interessi di quei potentati esteri che da sempre hanno cercato di controllare l’Italia, Paese strategico sotto molteplici aspetti, su tutti quello geopolitico e spirituale, per via della sua inestricabile relazione con il cattolicesimo, così detestato dagli ambienti massonici e protestanti.

Matteo Matteotti quando gli viene chiesto di questi documenti prende invece in seria considerazione questa ipotesi che sembra avere più di qualche fondatezza, come confermò uno degli storici più autorevoli del fascismo, Renzo De Felice.

Non ne ho le prove materiali. Però uno storico serio come Renzo De Felice afferma che le insistenti voci di un delitto affaristico “non possono essere lasciate cadere a priori” (Mussolini il fascista – La conquista del potere 1921-1925. Einaudi 1966, p. 626 n.d.a.).

Ed esistono due documenti, sempre citati da De Felice:

1) un rapporto “riservatissimo” di polizia per “De Bono”, nel quale si afferma che “Turati “sarebbe stato in possesso di copia dei documenti sulla “Sinclair” che aveva mio padre e dove si precisa che” Filippo Filippelli” del Corriere Italiano aveva contribuito all’uccisione per rendere un servizio all’onorevole” Aldo Finzi” e al fascismo;

 2) un rapporto dell’ambasciata tedesca a Roma inviato a Berlino (10 settembre 1924) che parla di quei tali documenti pervenuti nelle mani di mio padre.”

 

Il personaggio citato da Matteo Matteotti, il capo della polizia, “De Bono”, è uno degli elementi chiave per comprendere in quali ambienti è maturato questo delitto e chi aveva davvero interesse a togliere dalla scena politica Giacomo Matteotti e su di lui si tornerà in seguito.

 

L’affare della Anglo-Iranian Oil.

 

A rivelare il contenuto esplosivo di quei documenti citati dal figlio di Matteotti e da Renzo De Felice fu “Giancarlo Fusco “che in suo articolo per “Stampa Sera” scrisse che “Aimone di Savoia d’Aosta”, nonno del contemporaneo “Aimone” di cui abbiamo parlato in un altro contributo, nel 1942 rivelò che Matteotti si era recato a Londra nel 1924 per partecipare ad una riunione massonica tenutasi presso la loggia inglese “L’unicorno e il leone” del quale il deputato socialista era membro.

 

È in questa circostanza che il politico apprese che esistevano delle scritture private firmate da re Vittorio Emanuele III nelle quali il sovrano di casa Savoia si impegnava a garantire i diritti di sfruttamento dei giacimenti petroliferi italiani alla “Sinclair Corporation,” storica società americana del petrolio, legata a sua volta ad un’altra nota società petrolifera, allora nota come “Anglo-Iranian Oil”.

La “Anglo-Iranian Oil” è la prima società petrolifera britannica ed essa è nata con il preciso scopo di sfruttare i vasti giacimenti petroliferi iraniani che fecero la fortuna di Londra, ma soprattutto di tutto il reticolato di imprese e corporation legate al “grande” capitale della city londinese.

Quando si parla di capitale “inglese” non si può non parlare di loro, ovvero dei “famigerati Rothschild” che sono da sempre stati il vero referente della corona britannica tanto da prendere impegni solenni con” i banchieri di origine askenazita” per assicurargli la creazione dello stato ebraico in Palestina, come avvenne con la nota dichiarazione Balfour.

 

Negli anni a seguire dopo il caso Matteotti, la “Anglo-Iranian Oil” divenne la “British Petroleum”, una delle multinazionali leader del settore petrolifero, e se i lettori stanno pensando che questa sia nelle mani del governo britannico si sbagliano, poiché i proprietari sono ancora una volta gli onnipresenti fondi di investimento di Vanguard e BlackRock dentro i quali ci sono i capitali dei citati Rothschild, dei DuPont, dei Rockefeller, dei Warburg e dei Morgan.

Questo dà un’idea più esaustiva delle enormi proporzioni degli interessi in gioco che travalicano di gran lunga i confini italiani per approdare invece nei luoghi del potere finanziario internazionale.

Nelle scritture private citate sopra ce n’è un’altra nella quale si rivela che Vittorio Emanuele III dopo aver di sua sponte, senza aver informato Mussolini, preso accordi per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi italiani era entrato come azionista nel capitale della “Sinclair Corporation” e questo faceva di lui un diretto beneficiario di quell’illecito patto con Londra e la corporation anglo-americana.

Ad avere tutto l’interesse che Matteotti sparisse dalla scena, come si vede, non era affatto Mussolini ma il re d’Italia che coltivava stretti rapporti d’affari con la corona britannica, che assieme al sovrano italiano aveva tutto l’interesse a insabbiare un enorme scandalo internazionale che avrebbe potuto incrinare ancora di più i rapporti tra Londra e Roma, divenuta una “spina nel fianco” della Gran Bretagna dei Rothschild dopo l’ascesa del fascismo.

 

Si presti attenzione ora per un momento al depistaggio storico eseguito da “Report”.”

Il programma di RaiTre” occulta completamente la storia di queste carte, e prende lo scandalo della “Sinclair Oil” per scaricarlo addosso a Mussolini piuttosto che invece al re che aveva tramato alle spalle del presidente del Consiglio per dare agli angloamericani i diritti di sfruttamento di alcuni giacimenti in Italia, diritti poi annullati dal governo di Mussolini alla fine del 1924.

Mussolini anche in quell’occasione si dimostrò impermeabile agli interessi dei britannici mentre la corona italiana invece purtroppo era di fronte a questi permeabilissima tanto da mettere al primo posto i suoi affari davanti a quelli del Paese.

La presenza degli inglesi si vede poi anche quando questi si sono adoperati per informare i loro referenti in Italia che Matteotti aveva con sé delle carte che potevano sollevare un enorme scandalo internazionale.

Ad informare De Bono che Matteotti era in possesso di quei documenti fu infatti un agente inglese, tale “Thirshwalder,” che andò dall’allora capo della polizia che si attivò subito per eseguire il delitto, poiché la sua fedeltà non andava al governo fascista ma a Vittorio Emanuele III.

Una volta passate in rassegna tutte queste informazioni, Matteo Matteotti giunge quindi alla conclusione più logica.

Non fu il duce a ordinare quella operazione.

Mussolini voleva – fin dal 1922, subito dopo la marcia su Roma – riavvicinarsi ai socialisti.

Il 7 giugno 1924, quando già il delitto era in piena fase di progettazione, pronunciò un discorso che era un appello alla collaborazione rivolto proprio ai socialisti.

Per questo l’attacco fattogli da mio padre pochi giorni prima fece infuriare il duce: è un fatto innegabile.

Ma è altrettanto vero che quel 7 giugno Mussolini pensava – nonostante mio padre – di poter avere i socialriformisti, D’Aragona e forse Turati, al governo.

Ci sono in proposito due testimonianze:

quella di Giunta e quella di Carlo Silvestri.

 Anzi a quest’ultimo, come risultava da una sua deposizione al processo Matteotti rifatto nel 1947, fu proprio Mussolini in persona a dichiararlo, aggiungendo che Matteotti era stato vittima di loschi interessi.

No, il duce non aveva alcun interesse a farlo uccidere:

 si sarebbe alienato per sempre la possibilità di un’alleanza con i suoi vecchi compagni., che non finì mai di rimpiangere…”

Quanto accaduto nel secolo scorso e nella storia più recente non è altro che un classico capovolgimento della storia.

Gli ambienti della sinistra antifascista nelle loro ipocrite celebrazioni hanno pensato bene di occultare tutti quei collegamenti che indicano i veri mandanti dell’omicidio Matteotti nella corona britannica, nelle corrotte compagnie del petrolio in mano ai Rothschild e quegli elementi infedeli delle istituzioni italiane, e nello stesso Vittorio Emanuele III, impegnato in questo sporco intrigo a curare i suoi affari e quelli di potenze estere.

Da un punto di vista storico, è ancora più interessante prendere in esame il ruolo giocato proprio dal re d’Italia.

Il tradimento del re nei confronti di Mussolini e dell’Italia non è iniziato il 25 luglio 1943 quando Vittorio Emanuele III ordinò illegalmente l’arresto del duce e preparò il terreno all’infame armistizio di Cassibile.

Il tradimento del re verso il suo Paese e il governo italiano iniziò già quasi 20 anni prima quando il monarca si premurava di fare i suoi loschi affari con Londra e i vari magnati del petrolio angloamericani.

Le carte citate da Matteo Matteotti e Renzo De Felice mostrano che il re d’Italia di fatto giocava il ruolo di una quinta colonna che aveva lo scopo di eseguire le volontà di Londra e non certo quelle di Roma.

Quanto accaduto con la storia del delitto Matteotti non è altro dunque che l’ennesimo capovolgimento della verità eseguito dalla storiografia liberale e progressista che non ha interesse a raccontare la vera storia, ma ha soltanto quello invece di dare fiato alle sempre più deboli trombe della retorica antifascista.

Si cerca ossessivamente di sostituire la verità con la bugia, ma l’impressione è che in questo particolare frangente storico, il liberal-progressismo non ha perso soltanto la battaglia politica dopo il fallimento del mondialismo, ma anche quella della storia.

La verità è rimasta seppellita a lungo e il venir meno del vecchio status quo non può più impedire che essa venga pienamente alla luce.

La storia, quella vera, non può più essere nascosta.

 

 

 

 

Quella feroce guerra tra logge

massoniche: la massoneria italiana

verso l’implosione definitiva?

Lacrunadellago.net - Cesare Sacchetti – (23/06/2024) – ci dice:

 

Sono fratelli muratori quelli che in queste ultime settimane sembrano più impegnati a scannarsi in una tremenda guerra fratricida piuttosto che a perseguire lo spirito della “fratellanza” di cui tanto amano riempirsi le loro bocche.

Non che nella massoneria ci sia mai stato un qualche vero e sincero spirito di fratellanza in quanto tale società segreta non mira affatto ad una sorta di generale pace e comunione tra gli uomini, ma piuttosto la libera muratoria non mira altro che alla nascita di un sistema politico che nelle logge viene chiamato da secoli “repubblica universale”.

La repubblica universale è quell’espressione che incarna alla perfezione lo spirito di quello che i massoni chiamano “Nuovo Ordine Mondiale” che altro non è che un piano che mira all’abbattimento della civiltà cristiana da sostituire con una religione di stampo misterico e luciferiano qual è appunto quella della massoneria.

I lettori probabilmente avranno già famigliarità con il concetto di” Grande Architetto dell’Universo2, identificato dai massoni con l’acronimo GADU, che è il misterioso dio dei grembiulini la cui natura non viene rivelata agli iniziati di grado inferiore, ma soltanto a quelli di grado superiore, vicini al 33°, i quali hanno il “privilegio”, per così dire, di apprendere che il dio massonico altri non è che “Satana”.

Nella letteratura massonica e in quella dei pentiti della massoneria c’è ampia traccia di tutto questo e suggeriamo alcuni titoli in questo link nel quale i lettori potranno farsi un’idea della vera natura di questa associazione.

Ora i massoni italiani stanno vivendo un momento di estrema crisi della loro esistenza, quale non si era visto dagli inizi del secolo scorso, ma che a volerla dire tutta, non si è probabilmente visto nella storia tutta della massoneria italiana.

Negli ultimi mesi, e ne abbiamo parlato in precedenza, i liberi muratori sono invischiati in una feroce guerra per la guida del “Grande Oriente d’Italia”, da sempre legato all’obbedienza di Londra, la vera centrale della massoneria internazionale dal 1717, anno ufficiale di fondazione di questa società misterica.

Dopo la fine del mandato di “Stefano Bisi” come Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, ci sono state delle elezioni per stabilirne il successore e il cui esito è stato contestato non poco dall’altra parte che è uscita sconfitta, in particolare la corrente di “Noi Insieme”, guidata da “Leo Taroni”.

 

I massoni vicini a Taroni non riconoscono il risultato che ha visto come vincitore e successore di Bisi,” Antonio Seminario”, attualmente “Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia”.

 

I riti massonici e gli elenchi segreti.

Taroni però non è un massone di poco conto, per così dire.

Taroni appartiene infatti al Rito Scozzese Antico e Accettato (RSAA), un corpo massonico all’interno dello stesso Grande Oriente d’Italia e che segue appunto il citato rito scozzese, che è uno dei più praticati all’interno delle varie logge massoniche.

Ora, prima che i lettori vengano confusi dalle varie espressioni di carattere esoterico, è necessario tenere a mente che le massonerie praticano diversi riti, tra i quali c’è appunto quello scozzese, ma anche quello francese, praticato esclusivamente dai massoni del Grande Oriente di Francia e quello di “Mizraim”, seguito dal famigerato Giuseppe Garibaldi e dall’occultista e satanista “Alesteir Crowley”, un personaggio ancora oggi venerato dai massoni e dai satanisti di tutto il mondo.

Le vie esoteriche sono diverse ma conducono tutte alla stessa sorgente satanica, quindi i lettori non si lasciano trarre in inganno dalle fumose ed eteree denominazioni utilizzate dai grembiulini.

In questo momento particolare, il lacerante problema che sta affrontando la massoneria italiana è quello che ha portato alla scissione del rito scozzese dal Grande Oriente d’Italia.

Il rito scozzese può essere considerato a tutti gli effetti come un “passepartout” per accedere ai gradi più alti della massoneria e costituisce, o meglio costituiva, una élite massonica composta da 4mila membri sui 23mila iscritti complessivi del Grande Oriente d’Italia.

Si tenga presente che noi “profani” non iniziati ai misteri massonici, e siamo grati di ciò, non abbiamo accesso agli iscritti e i vari governi che si sono succeduti dal 1948 in poi, anno della tanto decantata, non da noi, inaugurazione della costituzione liberale non hanno mai pensato di bussare alle porte dei liberi muratori per chiedere conto di tali elenchi e vedere se in tali registri sono presenti i nomi di coloro che fanno parte del governo, del Quirinale ma anche di tutti quei corpi quali forze dell ‘ordine e magistratura che costruiscono la spina dorsale dello Stato.

 

Oltre a questi poi, esistono altri elenchi di nomi ancora più riservati e che appartengono alle cosiddette super logge, sulle quali il procuratore “Agostino Cordova “stava tentando di far luce prima che piombò la mannaia della procura di Roma nei panni di “Augusta Iannini”, moglie di Bruno Vespa, che pensò bene di archiviare il tutto.

 

In entrambi i casi, sia nel caso delle logge ordinarie sia in quello delle logge segrete, i vari governanti dell’ultimo mezzo secolo e oltre non hanno mai pensato di chiedere la pubblicazione dei nomi dei membri di queste logge, ma hanno invece preferito trincerarsi dietro la fantomatica “libertà d’associazione” della carta, senza tenere in conto, volutamente diremmo, che la massoneria non è una specie di circolo della briscola, ma un vero e proprio antistato.

Antistato ci sembra l’espressione più appropriata se si pensa che la natura della massoneria è quella di una società internazionale che aspira alla costituzione di un governo mondiale e alla conseguente fine dello Stato nazionale, liquefatto nella famigerata governance mondiale.

E oltre a questo si deve considerare che i liberi muratori non riconoscono le leggi dello Stato, in quanto per loro vengono prima le direttive interne delle logge, e se dovesse sorgere un contrasto tra il primo e le seconde, i massoni non hanno alcuna difficoltà a violare le leggi statali pur di affermare i loro codici di condotta, che, ricordiamolo, prevedono anche l’omicidio dell’iniziato che diventi una “minaccia” per l’organizzazione, e se si vuole saperne di più si può chiedere qualcosa al massone americano “William Morgan”,  ucciso dai suoi “fratelli” perché stava per denunciare la natura eversiva della libera muratoria.

Adriano Lemmi: il primo leader della massoneria italiana

Il contrasto che è sorto, e di cui si diceva in precedenza, non c’è mai stato dal 1908.

Era morto da poco Adriano Lemmi, che è stato il primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.

Ora se i lettori aprono la pagina a lui dedicata nel sito appunto del “GOI”, troveranno il ritratto di un “patriota” che ha servito fedelmente la causa risorgimentale di “Giuseppe Mazzini”, altro massone di alto rango molto vicino ad “Albert Pike”, che fino al 1870 era considerato il capo e la figura più influente della massoneria mondiale.

Se invece si aprono i libri di “Domenico Margiotta”, ex massone pentito e convertitosi al cattolicesimo, si apprende la vera storia di “Adriano Lemmi”, quella di un ladro di origini ebraiche che già da giovane era ricercato dalle autorità francesi per le truffe consumate ai danni di alcuni malcapitati francesi.

Lemmi” è uno degli uomini meno noti nella storia risorgimentale eppure uno dei più decisivi per compiere la volontà della massoneria internazionale di unificare l’Italia non certo per restituire alla Penisola l’unione perduta nei secoli passati, ma piuttosto per edificare uno Stato di natura secolare e liberale che mettesse al bando il cattolicesimo e scristianizzasse l’Italia.

La Chiesa Cattolica, allora ancora presidiata da pontefici cattolici e non intenti a prostrarsi ai piedi della Pachamama, aveva compreso pienamente la natura della massoneria e aveva denunciato più volte la pericolosità di questa organizzazione condannata in innumerevoli encicliche, di cui ricordiamo la magistrale “Mirari Vos” di “Leone XIII” che con grande arguzia spiegò la natura esoterica e ingannevole della libera muratoria.

“Lemmi”, braccio destro di Mazzini, è l’uomo che pianifica e dirige gli omicidi di quelle figure politiche che sono ritenute un intralcio per i piani della massoneria, tra le quali ci sono quelle di “Carlo III,” duca di Parma, e “Ferdinando II”, re delle Due Sicilie, sfuggito già a due attentati e infine avvelenato.

Mazzini era entusiasta del suo “piccolo ebreo” e “Lemmi” negli anni successivi alla morte di Mazzini scala rapidamente la gerarchia della massoneria italiana fino a diventarne il suo capo indiscusso, non senza prima corrompere altre logge della massoneria che erano invece quelle formalmente riconosciute dall’estero.

Il potente massone, e anche spregiudicato usuraio, però aveva una sfrenata ambizione che voleva portarlo, dopo la morte di “Pike”, a trasferire la sede del direttorio centrale della massoneria da “Charleston”, negli Stati Uniti, a “Roma”, per poter dare a lui lo scettro della massoneria mondiale e per consentirgli di attuare ancora meglio la sua guerra contro la Chiesa Cattolica, poiché si tenga presente che “Lemmi “era animato da un odio satanico tanto da intitolare tutte le sue circolari al suo dio, ovvero “Satana”, e, come se ciò non bastasse, a far porre il crocefisso negli orinali delle logge.

 

Attraverso vari intrallazzi e imbrogli, “Lemmi “riesce a raggiungere anche questo obiettivo prima di morire nel 1906, circostanza che rese inevitabile la scissione tra il Rito Scozzese Antico e Accettato e il Grande Oriente d’Italia nel 1908 in quanto era l’immenso potere di “Lemmi” a tenere unite le varie logge.

La frattura si ricompose soltanto negli anni’60, dopo la nascita della repubblica dell’anglosfera e dopo i decenni nei quali invece il fascismo aveva fatto tabula rase della massoneria tutta con una apposita legge varata nel 1925, e alla quale si opposero in particolare i comunisti, su tutti Gramsci, che fece un discorso alla Camera contro il provvedimento, e ciò dovrebbe, ancora una volta, dare un’idea precisa di quali interessi faccia davvero il marxismo che grida contro il capitale, ma poi protegge i suoi circoli esoterici e riceve i suoi finanziamenti, e su questo si veda la (vera) storia di Lenin e dei bolscevichi.

 

Verso una dismissione della massoneria italiana?

Siamo giunti così ai giorni nostri con una scissione che non si vedeva dal 1908 ma in un contesto molto diverso da quello attuale.

All’epoca, lo Stato liberale non era ancora entrato nella sua crisi più acuta e non era ancora stato soppiantato dal fascismo che recise i legami con Londra e soppresse la massoneria.

Il problema della massoneria italiana in questa sua fase storica è che si vede priva delle vecchie protezioni internazionali poiché il tanto agognato “Novus Ordo Secolorum” che avrebbe dovuto manifestarsi dopo il tentato” Grande Reset” non si è manifestato, e il contesto storico ha preso una piega del tutto diversa.

Sulla scena si affacciano altri poteri che vogliono il ritorno degli Stati nazionali e vogliono difendere l’identità cristiana quali la “Russia di Putin”.

L’anglosfera, alla quale la massoneria italiana era fedele, si è avviata verso una crisi sistemica dalla quale non sembra esserci via d’uscita se non quella della fine stessa del potere angloamericano al quale i vari circoli massonici e mondialisti avevano affidato lo scettro dal 1945 in poi.

L’impero americano de facto non esiste più e Washington, dopo Trump, non è più tornata ad indossare i panni dell’imperatore che dispensava guerre in giro per il mondo su mandato del movimento sionista internazionale, all’apice di questo sistema di potere.

Questo ha provocato una guerra feroce all’interno della massoneria italiana che è sempre stata legata a Londra, che, a sua volta, si trova a dover affrontare una situazione senza precedenti nella sua storia con il serio rischio della fine della dinastia dei Windsor.

Sta finendo il vecchio mondo. Sta finendo tutto quello status quo che teneva in vita la repubblica dell’anglosfera e i poteri massonici ad essi legati.

L’ultimo capitolo di questa guerra è quello che ha portato alla sospensione del “Rito Scozzese Antico e Accettato” su ordine di Seminario, una mossa che ha tutta l’aria di essere una risposta ad un’altra espulsione, quella di “Stefano Bisi”, ex Gran Maestro del GOI, che apparteneva anche al “RSSA,” e che è stato espulso da questo.

Si procede così.

A colpi di espulsioni incrociate, ma noi non escludiamo che sotto la superficie delle carte bollate ci sia un’altra guerra, ben più feroce e sanguinaria della quale la scia di misteriosi “suicidi” potrebbe essere l’esempio più manifesto.

L’ultimo ad aggiungerci a questa lunga serie di morti anomale è stato il generale Graziano, presidente di Fincantieri, e già accusato di aver partecipato alla frode elettorale contro Trump.

Lo hanno preceduto Angelo Onorato, marito di Francesca Donato, il rettore della Cattolica, Franco Anelli, il sindaco di Corte Palasio, comune lodigiano che annovera una serie storica di strane morti e “suicidi” anomali, e Bruno Astorre, senatore del PD.

Nessuna di queste morti è stata ancora pienamente spiegata.

Nessuna seria indagine risulta essere stata fatta dalla magistratura che ancora oggi non ha pubblicato il risultato dell’autopsia di Astorre né mostrato un filmato del suo presunto suicidio in una delle zone più sorvegliate di Roma, quella vicina al Pantheon e a piazza Navona.

Siamo ad un punto di svolta nella storia della massoneria italiana. Noi non ci sentiamo di escludere che la generale crisi del mondialismo e dell’anglosfera portino ad una implosione di queste logge che hanno deciso di combattersi senza esclusione di colpi per provare a sopravvivere a questa fase storica.

La campana della storia stavolta sembra proprio suonare per la libera muratoria italiana che non è mai stata così vicina, dai tempi del fascismo, ad una profonda e violenta crisi che sta mettendo in dubbio la sua stessa esistenza.

 

 

 

 

I partiti atlantici cancellano il MES/ESM

 (con M5S e FdI). La Lega/Renzusconi

 voleva votarlo “ma non è aria”.

E Salvini appoggia Giorgetti.

Mittdolcino.com – (2 gennaio 2024) – Mitt Dolcino – ci dice:

 

Ci prepariamo al 2024, si rincorrono i “passi” che porteranno alla fine della EU, ovvero della sfida finale di Davos all’asse Americano. A cui l’Italia partecipa… (oggi si chiama Patto di Camp David).

Negli scorsi giorni c’è stato un triplo colpo da knock-out.

 

Prima la Germania blocca le sovvenzioni alla transizione energetica (auto elettrica, cappotti per abitazioni, pompe di calore ecc.): oltre Gottardo non se lo possono più permettere, soprattutto dopo lo scandalo dei conti truccati dai predecessori di Scholz (cfr. Angela Merkel).

Notizia praticamente cancellata dai radar, quanto meno sotto le Alpi, la cancellazione delle sovvenzioni Green in Germania.

Non è per altro dato sapere da dove siano spuntati i documenti che hanno convinto la “Corte Costituzionale tedesca” al grande passo, dopo anni di truffe organizzate accuratamente celate.

Il giorno dopo la FED addirittura paracaduta un proprio membro apicale, vice presidente e capo della ricerca della FED di Dallas, nel direttorio di Banca d’Italia, votata all’unanimità da palazzo Koch.

 Ossia gettando le basi per una transizione ordinata per la Penisola in caso di fine della moneta unica.

Giusto 24 ore ed ecco il Parlamento italiano, dopo aver ceduto all’EU con il “semper fidelis leghista Giorgetti” (pro-EU, intendiamo), al “voto cruciale”: sulla riforma del patto di stabilità, il clamoroso NO MES!

Un voto d’impatto, un sonoro “NO all’EU” che colpisce al cuore l’asse franco-tedesco, proprio dove fa male.

Ciò è accaduto con un voto in aula imprevisto dai più, ma non da noi; ossia con unità d’intenti tra i due partiti più squisitamente atlantici in seno al potere romano, che resta la Capitale della Repubblica: FdI e M5S.

È chiaro infatti che Crosetto/Meloni e Giuseppy Conte sono lo yin e lo yan dell’atlantismo italico, oggi.

Scriveremo in calce due pensierini.

I dettagli sul voto del MES sono addirittura dirimenti: Giorgetti voleva votarlo “ma non era aria”.

E Salvini che difende Giorgetti, invece di azzannarlo alla gola. Solo qualche giorno fa ricordiamo la nomenclatura leghista puntualizzare che “firmare il MES non significa attivarlo”.

 Inutile aggiungere altro…

Insomma, il tradimento della Lega è venuto fuori nella sua interezza.

Estratti…. (Renzi appare a capo del Renzusconi , l’ex sindaco già parla da cd. statista, peccato non abbia i voti).

Tradotto:

il Renzusconi era schierato per un SI in aula al MES, solo che ordini superiori hanno convinto i due partiti filo atlantici ormai quasi di maggioranza – FdI e M5S, su input esterno – a votare compattamente NO MES.

 Ossia “NO EU”. Bang!

 

Dunque la Lega, costretta al NO dalla sua ininfluenza politica nel voto, vista la “strana alleanza” “giallo-nera”, cerca di salvare il salvabile, con l’inganno, come sempre…

Si sa infatti che il renzusconi, di cui la Lega fa parte, è pro EU (cfr. “Cambiare l’EU dal di dentro”, basta tenere la ricca cadrega).

Dunque il fine è sempre stato legare le mani alla Penisola, sperando lato Lega in una forma di secessione del nord successiva, prebenda ipotizzata genericamente da Berlino e Parigi (…).

Bene, sappiate che tale piano revanscista anti-italiano è fallito. E il “renzusconi” perde ogni credibilità per i nemici esterni dell’Italia, che è la cosa più importante!

 

I grandi eventi del 2024.

A questo aggiungeteci che i grandi eventi ancora non sono maturati, ma andiamo a poco. Mettere in sicurezza l’Italia era il primo passo.

Se possiamo dare un consiglio agli amici americani, ora bisogna andare davvero in fondo: il “renzusconi” vive di scandali, come genesi, è il momento di affrontarli pubblicamente (…).

La Lega non a caso va spedita verso il 5% alle prossime elezioni, chissà dove sarà/sarebbe se un grosso scandalo la travolgesse pure…

Ben ricordando che Michele Geraci, l’italiano pro- Cina per antonomasia, il vero artefice della Via della Seta che fece infervorare gli USA di Pompeo, era non solo in quota Lega ma fu anche sottosegretario al governo in quota leghista alla firma dell’accordo con la Cina oggi cancellato per volere di Giorgia Meloni/Guido Crosetto (…).

Gli effetti dell’ uno-due-tre sopra citato saranno profondissimi.

 

Da una parte sembra gli americani si siano finalmente resi conto della pericolosità materiale del “renzusconi”, in relazione al rischio che rappresenta per i piani globali a stelle e strisce (vedasi il clamoroso “caso Uss”, il carcerato apicale amico del clan putiniano lasciato fuggire in Russia con complicità lombarde; evento inconsulto che fece addirittura alzare in volo sopra Milano gli F35 americani armati di tutto punto, così si dice, ndr).

 

Dall’altra il MES finalmente chiude grazie al voto italiano, bloccando lo strumento principe dell’EU francotedesca per attaccare stile Grecia il principale alleato americano in EU.

Il Patto del Quirinale andrà invece cancellato col successore di Mattarella. O anche prima, in caso di grande scandalo italiano. O di guerra nel Mediterraneo.

Resta che i piani USA di difesa del proprio spazio vitale sono solo agli albori.

Da una parte la guerra con la Russia è finita, con Washington i moscoviti si sono accordati:

 l’Armata Rossa si è resa conto che una guerra per procura con un paese relativamente imbelle come l’Ucraina l’ha bloccata, beccandosi anche droni sul Cremlino.

 Immaginatevi cosa sarebbe successo se fosse stata guerra vera con un forte paese NATO…

(L’icona Putin intanto – da qualche settimana – “straparla”, letteralmente, ndr).

Dunque ecco spiegato l’accordo russo-americano, operativo ormai, che comporterà la fine delle scaramucce in giro per il mondo tra i due imperi. Chiaramente, l’Ucraina tornerà in larga parte russa, come è giusto che sia, la guerra la’ è già finita.

 

Dall’altra l’Iran diventa il focus:

il paese che mai condannò Hitler per le sue gesta oggi finanzia i terroristi che stanno mettendo in pericolo gli interessi occidentali.

Ben sapendo che l’Iran potrebbe già avere una piccola atomica.

E che Tehran resta il primo fornitore di petrolio alla Cina…

 

In ultimo, l’EU.

 

Il piano revanscista anti USA del duo Merkel-Putin è fallito, sostituire il South Stream con il North Stream è stato il vero fallimento, con fuochi artificiali annessi.

E visto che Berlino è a letto pure con Pechino, non resta che terminare l’euro, vari piccioni con una sola fava.

Il modo per farlo in teoria è semplice: l’EU attuale, traditrice – infatti ha tradito davvero tutti – va liquidata.

 Soprattutto l’euro.

Per il fine basta affamare un continente senza risorse primarie, vedasi Francia senza Niger e Mediterraneo senza Suez (per colpa iraniana, geniale!).

Se poi aggiungiamo Panama bloccata ai container cinesi causa riscaldamento climatico, ma solo in un senso, indovinate quale, capite la grandezza del piano.

E senza dimenticare che Londra controlla Gibilterra dal 1700, casomai servisse

Intanto in Italia, si guarda al futuro…

L’alleanza atlantica FdI-M5S sperimentata nel NO MES ha pieno senso compiuto:

a parte l’atlantismo di fondo, anche a livello politico c’è ampio margine di trattativa, ad es. per tutti gli argomenti mirati a sterilizzare le mire simil-neo-coloniali dell’EU sulla Penisola.

Idem, per i temi sociali: ad esempio fermare i clandestini, puntando ad es. su “più figli dagli italiani”.

La ricostruzione delle filiere nazionali è invece la vera sfida:

sebbene sia un punto condiviso, la compagine manca di vision. Ossia di cervelli politico-gestionali in grado di implementare tale enorme progetto.

D’ogni modo tale cd. strana alleanza ha già vinto:

una semplice apertura privilegiata all’Italia dell’enorme mercato consumistico americano, ad esempio, via prossimo accordo bilaterale, mettendo così in subordine l’EU non allineata, sarebbe sufficiente per creare il consenso interno necessario a qualsiasi riforma che il paese necessiti.

Via crescita del PIL e ritorno del benessere diffuso.

Come col piano Marshall.

(Mitt Dolcino)

 

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