Cosa sta succedendo nel mondo?



Cosa sta succedendo nel mondo?



“Intelligenza” Artificiale: il Nuovo,

Elettrizzante Brivido per Postmoderni Annoiati.

Conoscenzealconfine.it – (7 Agosto 2024) - Matteo Donadoni - ci dice

 

La scienza si è ridotta a tecnica prima, e poi a raccolta di fenomeni di applicazione statistica e a fantasie con pretese teleologiche.

Una di queste fantasie è la ricreazione artificiale dell’intelligenza umana, con la sottesa e malcelata soddisfazione di farsi demiurgo più preciso del Padreterno.

“Padre Patrauld, professore di matematica, era molto affezionato a Bonaparte e orgoglioso di averlo per allievo.

Invece gli altri professori, nelle cui materie il “ragazzo corso” non era altrettanto brillante, lo snobbavano”.

 (G. Gerosa, Napoleone, Milano 2001, p. 25).

Che significa in questo caso “corso”?

A) Nato in Corsica.

B) Che segue un corso di studi.

C) Che agisce di corsa, frettoloso, superficiale.

D) Corsaro.

E) Corsivo.

Questa è solo una del centinaio di domande proposte al test d’ammissione alla Facoltà di Medicina nel 2024.

 Quello che studenti e politici (le due categorie maggiormente desiderose della vita comoda) vorrebbero eliminare, perché difficile e discriminatorio.

La Facoltà di Medicina sforna medici, non droghieri, ovvero sono quelli che affetteranno noi come salami, perciò si richiederebbe, se non eccellente maestria, almeno un grano di sale.

E di quella che una volta chiavano coscienza.

 

Un medico privo di scrupoli in circolazione è una calamità a norma di legge, per esempio un medico che non rispettasse i principi della medicina ippocratica procurerebbe morte, menomazioni, avvelenamenti (e l’abbiamo constatato durante la “pan demenza” quando la maggior parte di medici e infermieri, pagati profumatamente, applicavano folli protocolli della morte sui pazienti, senza battere ciglio.

Protocolli non ancora rimossi… a quel che risulta – nota di conoscenze al confine).

Considerato poi che viviamo nella civiltà della società contrattuale regolata dalla mentalità legalistica, qualsiasi medico non ippocratico sarebbe protetto dallo scudo penale del consenso cosiddetto “informato”.

Di questa tragedia è forse responsabile il concetto di progressismo, ovvero del primato del progresso, preso come dogma, principio alla base della società postmoderna, tanto in campo scientifico quanto etico religioso.

Tanto più che alla guida della chiesa e della scienza ormai finiscono persone pronte a dire che il Paraclito non è altro che la vaporizzazione di un nebulizzatore da quattro soldi in una pubblicità per casalinghe disperate, o che l’intelligenza artificiale è solamente un elettrodomestico più funzionale alle attività intellettuali a casa e in ufficio.

Forse hanno ragione, l’IA può diventare la lavatrice dei cervelli, se ancora ve ne fosse bisogno.

Il principio di primato del progresso rispetto almeno all’attualità avrebbe dovuto, con ogni evidenza, essere abbandonato a seguito delle due guerre mondiali, esito ultimo del prurito ideologico progressista.

Se non c’è ancora stata una terza guerra, è solo perché l’orrore e lo spavento della distruzione nucleare della seconda, ha in qualche modo fatto da diga per una sorta di istinto di autoconservazione applicato alle nazioni.

Tuttavia, come abbiamo ben appreso, i popoli possono essere distrutti in mille modi anche più vili o più subdoli, dall’aborto al glifosato, alle terapie geniche sperimentali, dall’ibridazione razziale coatta, alla conversione nichilistica della scuola tinteggiata di cultura woke.

Tutto rema verso l’irrazionalismo di massa.

Non tutto ciò che si può fare, però, deve essere per ciò stesso fatto:

 i samurai hanno cessato di esistere formalmente dopo la Restaurazione Mejii del 1869, Alexander Bain aveva appena inventato il Fax nel 1843, e, siccome Lincoln fu assassinato nel 1865, esiste una finestra di 22 anni in cui i samurai avrebbero teoricamente potuto inviare un Fax a Lincoln per mandarlo in tutta coscienza a quel paese insieme al commodoro Perry per la fine del glorioso periodo del sakoku. Ma non l’hanno evidentemente mai fatto.

Noi però scriviamo questo pezzo, considerato poco meno di un borborigmo da tutti gli addetti ai lavori nel campo della cyber tecnologia e della robotica, profetizzando il loro fallimento nel campo della filosofia e dell’eudemonologia. Non perché non siamo dei complottisti, ma perché la ricerca della macchina androide pensante è fallimentare a priori, in ogni finestra temporale.

La rete neurale, mi si risponderà, simula il sistema di apprendimento umano, migliorandosi e autocorreggendosi, impara, in soldoni.

Possiamo crederlo, il fatto è che il ragionamento va fermato ex ante (prima).

Tutto questo entusiasmo proteso verso il meglio sarebbe un atteggiamento sano e buona cosa, se non fosse che la scienza, nata con intento comprensivo della realtà, si è ridotta a tecnica prima, e poi a raccolta di fenomeni di applicazione statistica e desideri a capriccio della fantasia, con pretese teleologiche.

 Si chiama “riduzionismo scientifico”. Per cui la processione verso il meglio è finita verso il peggio.

Una di queste fantasie è la ricreazione artificiale dell’intelligenza umana, con la sottesa e malcelata soddisfazione di farsi demiurgo più preciso del Padreterno.

 Un uomo perfetto, un uomo migliore dell’umano, un transumano che finalmente ponga fine all’imperfetta creatura di Dio.

 

Non basta, tuttavia, simulare l’uomo per creare l’uomo, fra l’altro partendo dalla fisica.

L’autocoscienza umana per esempio non è ricreabile, essa è esclusa a priori dalla AI, perché prerogativa dello spirito.

 Lo spirito non presuppone nessun supporto materiale, non presuppone dei chip così come non presuppone del cervello.

 Le intelligenze angeliche sono autocoscienti e non hanno un cervello.

Tutto facilmente dimostrabile.

 Se per ogni attività sensitiva, anche animale, è predisposto un organo di senso, così come un oggetto del sentire (suono, orecchio, udito), ciascuna di esse non ha la capacità riflessiva (l’orecchio non ode l’udito, l’occhio non vede la vista), il pensiero è capace di pensare sé stesso.

Esiste il fenomeno di pensare di pensare, il sapere di pensare, e il pensare di pensare non è ancorato a nessun organo di senso.

Ne deriva che la capacità autoriflessiva è di origine spirituale.

Un robot potrà avere una elevata capacità di immagazzinamento dati, potrà scimmiottare il modo di procedere dell’intelligenza umana, grazie a logaritmi inseriti da una reale intelligenza umana, e l’etica di ciò va discussa a parte, ma non potrà mai avere un’anima.

L’uomo inanimato non è un uomo, al massimo è cadavere, potrà al limite essere un computer che deambula, senza avere la volontà di andare.

Perciò, concludendo, l’illusione postmoderna di farsi demiurgo è solo l’ennesima maschera nichilistica dietro la quale sentirsi superuomini, con intenti buoni o malvagi lo dirà la storia…

Chiudete le finestre, è in arrivo un temporale.

In ogni caso, ad oggi, rimane valido il vecchio adagio: chi vuole va, chi non vuole manda (il robot).

(Matteo Donadoni)

(ricognizioni.it/intelligenza-artificiale-il-nuovo-elettrizzante-brivido-per-postmoderni-annoiati/)

 

 

 

 

Cosa Sta Succedendo

in Inghilterra?

Conoscenzealconfine.it – (8 Agosto 2024) - Andrea Zhok – ci dice:

 

Quello che sta accadendo in Inghilterra è l’ennesimo campanello d’allarme – che, temo, rimarrà inascoltato – intorno al carattere strutturalmente fallimentare del modello liberal-globalista, dominante negli ultimi quattro decenni.

I fatti che si riescono con qualche fatica a ricostruire sono i seguenti.

Una settimana fa a Southport, Merseyside, durante una festa rivolta ai bambini, “Axel Rudakubana”, un ragazzo diciassettenne, nato a Cardiff da genitori ruandesi, ha attaccato gli astanti a colpi di coltello, uccidendo tre bambine (6, 7 e 9 anni).

Altre 9 persone, tra cui due adulti, sono state ferite; sei sono in gravi condizioni.

Le ragioni dell’attacco non sono chiare, ma si sospetta la malattia mentale.

 Il soggetto aveva una diagnosi di “ASD” (autism spectrum disorder), diagnosi che stante quel che è successo non sembra molto calzante, ma che comunque richiama qualche problema di carattere psichiatrico.

Sulla scorta della tragedia, immediatamente, parti della popolazione locale sono insorte prendendo di mira “gli immigrati”, categoria abbastanza indeterminata da finire per estendersi a tutti i soggetti in qualche modo identificabili come “etnicamente eccentrici”, inclusi anche gli islamici.

Questi ultimi hanno messo a loro volta in moto pattuglie di difesa, che hanno iniziato a prendere di mira negozi, pub e “inglesi bianchi”.

In brevissimo tempo gli scontri si sono propagati ad altre aree del paese: Manchester, London, Sunderland, Hartlepool, Aldershot, Belfast, ecc.

Ciò che si evince, con una certa angoscia, dai filmati, è che gli scontri hanno preso una piega schiettamente etnico-razziale, in cui per essere aggrediti da una di queste bande contrapposte basta essere “del colore sbagliato”.

La reazione del governo è stata caratteristica:

si sono accusati dei disordini i soliti “gruppi di estrema destra” e le “fake news“, come se questa – quand’anche vera – fosse una spiegazione.

Il problema, ovviamente, è che, come sempre accade in queste situazioni, l’evento scatenante è sempre solo un’occasione, una scintilla occasionale, la cui eventuale irrazionalità non rappresenta un semplice “errore”.

Le autorità, ad esempio, hanno puntato il dito su alcune fake news che dipingevano l’omicida come islamico, mentre la famiglia non lo sarebbe.

Ma è ovvio che l’eventuale notizia falsa ha potuto fare da accelerante solo perché una fiamma covava da tempo.

 (Va da sé, che anche se la famiglia fosse stata davvero di origine islamica, questo, razionalmente parlando, non avrebbe significato nulla, ma chiaramente la questione qui non ha più a che fare con imputazioni che potrebbero reggere in un tribunale: qui il fenomeno è sociale e acefalo).

Sul tema delle fake news va anche notato che una delle ragioni per cui esse attecchiscono così facilmente è l’inaffidabilità sistematica delle news ufficiali.

Ad esempio, inizialmente non si riusciva in nessun modo a sapere quali fossero le caratteristiche etniche dell’aggressore, che veniva presentato come un “giovane gallese”.

Come accade oramai sistematicamente, l’omissione era intenzionale, perché – questa è l’idea – al lettore l’aspetto etnico non deve interessare, essendo giuridicamente irrilevante e potenzialmente fuorviante.

 Ma nel momento in cui il pubblico capisce che le informazioni ufficiali non sono più notizie, ma lezioni paternalistiche, finisce per accettare più volentieri informazioni “clandestine”.

Stesso discorso si può fare per le solite accuse a molla all’Estrema Destra, come se si trattasse di un morbo, un virus, un fungo che accidentalmente cresce in certe aree e che andrebbe solo debellato con l’adeguato fungicida.

Ma anche laddove a promuovere disordini così estesi ci siano gruppi politicamente organizzati di estrema destra, la domanda reale è sempre:

perché sono nati, perché crescono, perché hanno seguito?

 

Ed è qui che l’inadeguatezza culturale delle odierne classi dirigenti, sostanzialmente ovunque in occidente, si rende visibile.

 L’attitudine ad esaminare i fatti sociali in termini di dinamiche strutturali e culturali di lungo periodo è pressoché assente.

Si ragiona in termini legalistici, come se la società fosse un tribunale in cui si va a valutare solo la responsabilità personale per violazioni di legge dimostrabili.

Ma ovviamente il livello a cui nascono le tensioni e gli scontri è sempre solo in minima parte alla luce del sole, e solo un’esigua minoranza dei conflitti riescono ad essere identificati e condotti davanti ad una giuria.

Di fatto, quanto maggiore è la conflittualità sociale, tanto più grande sarà la percentuale di conflitti che non risulta ufficialmente visibile.

Capisco che il primo ministro “Starmer”, o chiunque altro fosse stato al posto suo, non possa in questo momento far altro che appellarsi all’ordine pubblico, agli arresti, ai processi, alle cariche della polizia, ma è un errore drammatico pensare che sia a questo livello che tali problemi possono trovare una soluzione.

Si tratta di problemi che montano nei decenni e ci mettono un minuto a prendere fuoco, magari per un fraintendimento.

Sul piano strutturale il problema è abbastanza semplice da descrivere:

ampi movimenti migratori di persone su brevi periodi di tempo creano sempre tensioni, perché producono incertezza, insicurezza e competizione sul mercato del lavoro.

Se poi queste persone presentano anche costumi o una cultura rilevantemente divergenti, le tensioni ne risultano ancora più esacerbate.

 

Si tratta comunque di processi di carattere prevalentemente quantitativo.

Le variabili decisive sono la quantità di persone per unità di tempo.

Come diceva “Polanyi”, nei fenomeni sociali la variabile più importante è la loro velocità.

Il medesimo mutamento se avviene in dieci o in cinquanta anni, semplicemente non è il medesimo fenomeno e non ha le medesime conseguenze.

Non si tratta di predicare società ermeticamente chiuse, che non sono mai esistite, ma di comprendere che l’alternativa non può mai essere il “liberi tutti”.

 

Qui alla rigidità ideologica conservatrice (che fu, e che ancora talvolta fa capolino) di una società etnicamente e culturalmente “incontaminata” ha fatto da contraltare negli anni una rigidità ideologica opposta e simmetrica, in cui la “contaminazione”, il “multiculturalismo”, il “melting pot” sono diventati altrettanti slogan pubblicitari, vaghi, retorici e soprattutto ipocriti.

Le argomentazioni del globalismo liberale hanno sempre mescolato disinvoltamente argomenti pseudo-utilitaristi (ci serve manodopera, chi ci pagherà le pensioni, ecc.) con argomenti pseudo-umanitari (il dovere dell’accoglienza, l’amore per il diverso, il diritto d’asilo, ecc.).

L’importante è sempre stato poter utilizzare una batteria argomentativa quando l’altra appariva momentaneamente implausibile.

Ma di fatto i meccanismi profondi che hanno alimentato la retorica del “melting pot” qui sono di due soli tipi, un meccanismo crudamente economico e un meccanismo ideologico.

Sul piano economico, la libertà di movimento della forza lavoro consente al capitale di ottenere mano d’opera a buon prezzo senza dover pagare per la crescita e l’educazione di quelle braccia, che arrivano pronte dall’estero.

Questo processo abbatte il potere contrattuale del lavoro meno qualificato, tenendo bassi i salari.

 

Sul piano ideologico, la visione liberale ha proposto un modello di universalismo astratto in cui le componenti culturali, linguistiche, religiose, e di costume sono considerate fattori marginali e contingenti, che era non solo possibile, ma doveroso mettere da parte.

La combinazione di queste pressioni nel lungo periodo hanno creato ferite sociali profonde, squilibri, tensioni, tipicamente più percepite nelle fasce della popolazione meno abbiente.

Spero di sbagliarmi, ma per alcuni paesi come Francia e Regno Unito, non so, se ne potrà uscire con qualcosa di meno che una sorta di guerra civile.

 Non ci resta che sperare che in altri paesi ci siano ancora in margini per un allentamento dei processi degenerativi.

 

Una cosa, comunque, è sicura.

 La retorica di chi dice che, siccome migrazioni ci sono sempre state, bisogna semplicemente “accogliere il cambiamento”, è complicità nel degrado.

(Andrea Zhok)

(t.me/andreazhok)

 

 

 

 

Perché è a rischio

la pace nel mondo.

Italiaoggi.it - Marino Longoni – (7-8-2024) – ci dice:

 

Il mondo sembra si stia avvitando in una logica violenta e inarrestabile, che rischia di trascinarlo verso l'autodistruzione.

È la logica primordiale della guerra con solide radici nella realtà della natura umana, delle strutture politiche, nei sentimenti e nelle pulsioni dei popoli, che periodicamente torna a insanguinare la terra.

Solo che oggi gli uomini non hanno a disposizione solo spade e frecce, o archibugi e cannoni, ma missili teleguidati, droni di ogni tipo, e migliaia di bombe atomiche.

Un caso concreto per illustrare questa logica diabolica.

In una situazione cronicizzata di conflitto, Israele viene colpito da un missile lanciato da Hezbollah, che uccide 12 bambini in un campo di calcio.

 Un crimine che desta indignazione in tutto il paese, desiderio di vendetta, necessità di una risposta adeguata a punire il nemico, intimorirlo e fargli capire che non si è disposti subire un affronto simile.

Sangue chiama sangue.

 

I politici, di solito, in queste situazioni ci sguazzano perché, finché sussiste il pericolo, il loro potere è al sicuro.

E se uscissero vittoriosi dalla sfida, potrebbe esserne addirittura rafforzato.

 Scatta quindi la reazione, inevitabile e violenta, che produce altri lutti e un corrispondente desiderio di vendetta da parte del nemico.

Che avrà a sua volta la necessità di vendicarsi per affermare la propria volontà potenza, di intimorire l'avversario e dimostrargli la propria determinazione.

E così via, in una spirale perversa che vede aumentare sempre più la violenza, magari coinvolgendo paesi amici o alleati.

 È quello che sta succedendo in Israele, ma anche in Ucraina e in altre parti del mondo, anche se spesso i conflitti “minori” non trovano spazio sui media occidentali.

 L'umanità sembra stia scivolando lungo una china di lutti e devastazioni e non si vede chi potrebbe fermare questa logica primitiva che spinge tutti ad armarsi sempre di più, a mettere da parte le ragioni della collaborazione e della convivenza pacifica, per non farsi trovare impreparati al peggio.

Una logica bestiale, che sembra iscritta nel DNA umano, tante sono le volte che si è manifestata nel corso della storia umana, causando lutti e devastazioni senza fine.

Inarrestabile, perversa, mortale, ma che le forze della ragione non riescono ad arginare.

 

 

 

 

Israele, Snidar è il

regista del 7 ottobre.

Italiaoggi.it - Massimo Solari – (9-8-2024) – ci dice:

 

Il successore di Ismail Haniyeh (ucciso a Teheran) è molto peggio di chi lo ha preceduto.

Ha guidato la feroce aggressione ai civili dei kibbutz.

Dopo l'uccisione del capo storico di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuta a Teheran lo scorso 31 luglio, sembra addirittura ad opera di una frangia deviata dei Guardiani della rivoluzione che ha collocato una bomba a comando remoto nella camera dove avrebbe soggiornato, siamo col fiato sospeso nell'attesa dell'annunciata reazione da parte del governo iraniano.

La reazione potrebbe portare ad un allargamento del conflitto mediorientale?

Secondo l'intelligence degli Stati Uniti non dovrebbe accadere, anche perché proprio la diplomazia Usa sta cercando di convincere Teheran a tenere bassa la tensione.

Anzi, di più, secondo il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, John Kirby, siamo «più vicino che mai a un accordo sul cessate il fuoco» a Gaza.

Il bello è che il Dipartimento di Stato Usa sembra crederci.

Ma se, nei rapporti con l'Occidente, il regime iraniano è parificato alla Corea del Nord?

 Non esistono rapporti diplomatici tra Usa e Iran, che è sotto sanzioni economiche, commerciali, scientifiche e militari.

Nel 2021 il neo eletto presidente Biden aveva promosso un allentamento delle sanzioni che si è ovviamente fermato con l'inizio della guerra Russia Ucraina e l'immediato appoggio dato dall'Iran a Putin.

 

L'intelligence Usa prevede che Teheran non attaccherà direttamente Israele ma farà attaccare dagli Houthi.

Comunque, a otto giorni dall'uccisione di Haniyeh, e con la consapevolezza che possiamo essere smentiti tra il momento nel quale scriviamo e quello nel quale l'articolo sarà pubblicato, tutto tace.

L'intelligence Usa prevede che Teheran non attaccherà direttamente Israele ma farà attaccare dagli Houthi o dalle milizie degli Hezbollah stanziate in Libano.

Oppure l'attacco potrebbe essere concentrico e partire dal sud del Libano, dall'Iraq, dall'Iran e dallo Yemen degli Houthi per «confondere» il “sistema Iron Dome” che protegge Israele dagli attacchi dal cielo.

Un massiccio attacco contemporaneo potrebbe rivelare delle falle nel sistema israeliano di controllo dei propri cieli.

 

La nomina di Snidar vuol dire che da parte di Hamas non esiste nessuna prospettiva di pace.

Resta il fatto: la nomina di Yahya Snidar al posto di Ismail Haniyeh è un chiaro segnale: Snidar è l’uomo che gestisce le operazioni dentro alla Striscia di Gaza, ha organizzato il 7 ottobre in ogni dettaglio assieme a Mohammed Deif, eliminato dall’esercito israeliano a luglio.

Dunque, da parte di Hamas, non sembra esistere nessuna prospettiva di pace e neppure di inizio delle trattative o di un cessate il fuoco, anzi, sembra che Hamas tenti di aumentare la propria influenza anche sulla Cisgiordania palestinese.

Se Teheran, come ha appena dichiarato, ha due priorità:

 colpire Israele per vendicare Haniyeh e ottenere una tregua a Gaza, non può che optare per una risposta simbolica, simile a quella di aprile quando, pur avendo utilizzato più di 300 tra droni, missili balistici e da crociera, i danni che ha provocato ad Israele sono stati minimi.

Se l'Iran vuole la pace deve muoversi ora, prima delle elezioni Usa.

Sembra che il regime degli Ayatollah stia subendo male le conseguenze delle sanzioni Usa e stia cercando qualche forma di appeasement per far ripartire la propria economia.

Come per la guerra Russo-Ucraina, la pace passa sempre dagli Usa:

se l'America smette di rifornire Israele di munizioni la guerra di Gaza è già terminata.

Cosa che è più vicina oggi, Biden regnante, della possibilità di una vittoria di Trump alle elezioni di novembre.

Trump è molto lontano dal ritenere un problema il conflitto Ucraino, ma è invece particolarmente legato a Benjamin Netanyahu.

 Se ricordate, poche settimane fa lo ha ricevuto con grande affetto nella sua residenza di Mar-a-Lago in Florida.

Dunque, se davvero l'Iran vuole la pace e ci sia consentito dubitarne alquanto, deve muoversi ora, prima delle elezioni Usa.

Dopo potrebbe davvero essere troppo tardi.

 

 

 

 

Al Meeting ritorna la politica.

Italiaoggi.it - Carlo Valentini – (9-8 -2024) – ci dice:

Debutto di Gentiloni quale leader del campo largo.

 Tajani e Salvini si marcano a vicenda.

Zuppi: dialogo coi musulmani e pace a Gaza e Ucraina.

 

Prove da premier.

Paolo Gentiloni, quasi disoccupato europeo, riceverà la benedizione di Comunione e Liberazione e farà il suo ingresso nella politica italiana.

Questo suo primo bagno di folla avverrà al Meeting dell’Amicizia, il tradizionale raduno annuale della Compagnia delle Opere, braccio economico-operativo di Cl: 45esima edizione, a Rimini dal 20 al 25 agosto, apertura affidata al Patriarca di Gerusalemme dei Latini Pierbattista Pizzaballa (Una presenza per la pace).

 

Se il campo largo di Elly Schlein supererà gli sgambetti sul suo cammino, quando ci sarà da scegliere il candidato presidente del Consiglio da proporre agli elettori, Gentiloni sarà in pole.

 Lo vuole una parte del Pd, lo vuole Matteo Renzi.

Lo vuole anche Giuseppe Conte e, se ancora al comando dei 5stelle, lo accetterà in cambio di qualche contropartita pesante.

 Comunque sul palco di Rimini, Gentiloni proporrà il suo programma per l’Italia, forte del suo passato di commissario europeo e di un feeling col grande vecchio piddino Romano Prodi.

 Ovvio che questo debutto sia tra le attese di questa edizione del Meeting, anche perché egli sarà l’unico ospite di peso dell’opposizione al governo, presente con ministri e sottosegretari a valanga, molti però relegati nelle sezioni tematiche, i ciellini non negano un posto a nessuno, soprattutto se si tratta di un governativo, ma filtrano gli ingressi nella sala grande.

 Dove potrebbe avere il tappeto rosso (beh, non proprio rosso) Giorgia Meloni, che però di fronte all’invito è rimasta nel vago:

no, forse, vediamo.

Papa Francesco non apprezza questo connubio con la politica, tanto più che in passato il collateralismo con Roberto Formigoni ha lasciato qualche ferita.

 Così nel 2021 ha ghigliottinato il movimento, allontanando “Julian Carron”, successore del fondatore don Luigi Giussani.

Ne è seguito un po’ di disorientamento e la politica lasciata fuori dalla porta.

 Con questa edizione ritorna a fare capolino, con buona pace del Papa.

 

Malagola e Ugolini in nuovi referenti politici dei ciellini.

Oggi il referente politico, al posto di Formigoni, è Maurizio Lupi, che guida il drappello di “Noi Moderati”, e proprio perché espressione di questo mondo cattolico è molto gettonato dai media.

 Farà parte del picchetto d’onore all’ingresso.

Ma per cercare di non sbracare di nuovo con la politica e non affossare la spiritualità, il Pontefice ha mandato il cardinale Matteo Zuppi, che starà a Rimini qualche giorno.

 Un’opera di mediazione, come quella che Joe Biden ha affidato a Antony Blinken per il Medio Oriente.

Ma anche Zuppi, come Blinken, stringe poco perché la politica è nel Dna del Meeting, che metterà il naso perfino nella campagna elettorale per il successore di Stefano Bonaccini alla presidenza dell’Emilia-Romagna.

 

È stata infatti inserita tra gli ospiti Elena Ugolini, ciellina Doc e antagonista (a capo del centrodestra) del candidato Pd, Michele De Pascale (che guida il campo largo). Una sponsorizzazione che la Ugolini ritiene preziosa per raccogliere voti nella difficile competizione elettorale.

Non a caso la sua immagine è curata da” Comin & Partners”, società che è anche coinvolta nell’organizzazione del Meeting e nel Forum in Masseria di” Bruno Vespa”.

 

Tajani e Salvini presenti.

La schiera dei ministri sarà guidata da Antonio Tajani e Matteo Salvini.

Si marcano a vicenda e hanno detto sì entrambi per non lasciare campo libero all’amico-nemico.

Tra i non politici spiccano il presidente della Corte Costituzionale, “Augusto Barbera”, il presidente della Banca d’Italia,” Fabio Panetta”, il vicepresidente del Csm, “Fabio Pinelli”, il presidente del Cnel, “Renato Brunetta”.

Il Meeting è un colossal:

140 convegni, 450 relatori, 14 mostre (una è dedicata alla storia dei Giubilei, in vista di quello del prossimo anno), 17 spettacoli (tra cui: San Francesco la superstar del Medioevo), 3 mila volontari, una superficie di 120mila metri quadrati, un parcheggio con 9mila posti, 180 sponsor (Enel, Intesa San Paolo, Eni, Generali, Ferrovie dello Stato, Easybank, Conserve Italia, ecc.).

 L’”agenzia Nova” lancerà ogni giorno notizie sull’evento in lingua araba.

 

Il titolo di questa edizione è “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora cosa cerchiamo?”, tratto dal romanzo Il passeggero dello scrittore americano “Cormac McCarthy”, recentemente scomparso.

Spiega il presidente del Meeting, “Bernhard Scholz”, che ha il compito di mixare politica e spiritualità:

 «Rifletteremo sulla vulnerabilità della democrazia. Contro i veleni dell’odio e del disprezzo, dei complottismi e delle estreme polarizzazioni. Renderemo presenti germogli di riconciliazione che nascono in mezzo alle guerre, incontri che diventano cantieri di pace».

 

Zuppi mediatore di pace.

L’università Cattolica è mobilitata con docenti e studenti e sotto il suo patrocinio si incontreranno (il 23 agosto, titolo: Educare alla conciliazione) Muhammad Bin Abdul Karim Al-Issa, segretario generale della Lega Musulmana Mondiale e il cardinal Matteo Zuppi, presidente della Cei.

Un altro incontro-clou sarà quello tra il premio Nobel per la Pace 2022 “Oleksandra Matvijcuk”, avvocata ucraina, e il nunzio apostolico a Kiev, “Visvaldas Kulbokas”.

 Mentre la” Fondazione De Gasperi” (il segretario generale è il deputato FdI, Lorenzo Malagola) celebrerà con una mostra e un filmato il 70esimo anniversario della scomparsa dello statista, avvenuta il 19 agosto 1954.

 

Salvini occupa uno stand per il suo ministero.

Tra gli stand che completano la coreografia del Meeting ci sarà quello del ministero dei Trasporti con un focus sul ponte sullo Stretto ma anche una “mappa interattiva delle infrastrutture in costruzione” (voluti da Salvini), poi quelli del ministero degli Esteri (C’è un’Italia che coopera), dei Beni Culturali, dell’Istruzione, dell’Ambiente.

Una sorta di cittadella dei ministeri che si trasferisce a Rimini.

 

Conclude “Andrea Dellabianca”, presidente della “Compagnia delle Opere”:

«Ci sentiamo parte della storia di oggi e desideriamo esserlo in quella di domani continuando a sostenere questo importantissimo momento di confronto e di fabbrica di idee».

 

 

 

 

Il cambiamento climatico:

le cause, gli effetti, i rimedi.

Enelgreenpower.com -Redazione – (9-8-2024) – ci dice

 

Perché il cambiamento climatico ci preoccupa tanto?

 Cosa l’ha provocato e quali rischi corriamo? Le cause dell’effetto serra creato dalle attività dell’uomo e gli impegni presi per invertire la tendenza.

La spinta all’elettrificazione.

Cambiamento climatico.

La vita sulla Terra esiste grazie alla combinazione di tre fattori:

 la giusta distanza dal Sole, la composizione chimica dell’atmosfera e la presenza del ciclo dell’acqua.

 L’atmosfera, in particolare, assicura al nostro pianeta un clima adatto alla vita grazie al cosiddetto effetto serra naturale.

Quando i raggi solari raggiungono la superficie terrestre, vengono solo in parte assorbiti, mentre in parte vengono riflessi verso l’esterno;

in assenza di atmosfera si disperderebbero nello spazio, ma vengono invece in buona parte trattenuti e quindi reindirizzati verso la Terra da alcuni gas presenti nell’atmosfera (i gas a effetto serra, appunto, fra cui principalmente l’anidride carbonica e il metano, ma anche il vapore acqueo e altri ancora).

 

Il risultato è un’ulteriore quantità di calore che si somma a quella proveniente dai raggi solari assorbiti direttamente.

 Un’aggiunta significativa: senza l’effetto serra naturale la temperatura media sulla Terra sarebbe di -18 gradi centigradi anziché di circa +15.

Le cause del cambiamento climatico.

Se è un fenomeno così vantaggioso perché oggi siamo così preoccupati?

 Cosa vuole dire che è in corso il surriscaldamento del pianeta?

 E cosa si intende per cambiamento climatico?

Cambiamenti climatici ci sono sempre stati, nella storia del Pianeta.

Ma il riscaldamento climatico a cui assistiamo da circa 150 anni è anomalo perché innescato dall’uomo e dalle sue attività.

Si chiama effetto serra antropico e si aggiunge all’effetto serra naturale.

Con la rivoluzione industriale l’uomo ha improvvisamente rovesciato in atmosfera milioni di tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra portando la quantità di CO2 presente in atmosfera al doppio rispetto ai minimi degli ultimi 700 mila anni (410-415 parti per milione rispetto a 200-180 parti per milione).

 Lo si può osservare anche day-by-day grazie alle rilevazioni degli osservatori, come quello attivo al Mauna Loa, nell’arcipelago delle Hawaii.

Da circa 15 anni i dati prodotti da migliaia di scienziati in tutto il mondo, analizzati e sistematizzati dall”’Intergovernmental Panel on Climate Change” (IPCC), concordano nel dichiarare che il “global warming” deriva dall’effetto serra antropico, cioè innescato dalle attività dell’uomo.

 In realtà le basi scientifiche del collegamento tra i livelli di anidride carbonica e la temperatura erano state stabilite già nel XIX secolo, grazie al lavoro del Premio Nobel “Svante Arrhenius”, confermato dallo scienziato statunitense “David Keeling” negli anni Sessanta.

 

 Le conseguenze del cambiamento climatico.

Rispetto ai livelli preindustriali la temperatura media del Pianeta è aumentata di 0,98 °centigradi e la tendenza osservata dal 2000 a oggi fa prevedere che, in mancanza di interventi, potrebbe arrivare a +1,5 °C tra il 2030 e il 2050.

L'impatto del riscaldamento globale è già evidente:

il ghiaccio marino artico è diminuito in media del 12,85% per decennio, mentre i registri delle maree costiere mostrano un aumento medio di 3,3 millimetri del livello del mare all'anno dal 1870.

 Il decennio 2009-2019 è stato il più caldo mai registrato e il 2020 è stato il secondo anno più caldo di sempre, appena al di sotto del massimo stabilito nel 2016.

Le “stagioni degli incendi” sono diventate più lunghe e intense, come in Australia nel 2019, dal 1990 a oggi ogni anno sono aumentati gli eventi meteorologici estremi, come i cicloni e le alluvioni, che colpiscono anche in periodi dell’anno atipici rispetto al passato e sono sempre più devastanti.

Fenomeni come El Niño sono diventati più irregolari e hanno causato pericolose siccità in aree già minacciate dall'aridità cronica, come l'Africa orientale, mentre la Corrente del Golfo sta rallentando e potrebbe cambiare rotta.

Le specie vegetali e animali si spostano in modo imprevedibile da un ecosistema all’altro, creando danni incalcolabili alla biodiversità in tutto il mondo.

Definire tutto questo con il termine “climate change” è corretto ma non rende abbastanza l’idea.

Dobbiamo iniziare a parlare di crisi climatica perché il clima è sempre cambiato, ma non così in fretta e non con delle infrastrutture rigide e complesse come sono le città e il sistema produttivo ai quali i Paesi più industrializzati sono abituati.

0,98°

L'aumento della temperatura nel 2019 rispetto ai livelli preindustriali.

1,5°

L’aumento della temperatura entro il 2030 - 2050 senza interventi.

97%

Percentuale degli scienziati che attribuisce il riscaldamento globale alle attività umane.

 

Le soluzioni al cambiamento climatico.

Le attività umane influenzano sempre di più il clima e la temperatura della Terra bruciando combustibili fossili e abbattendo le foreste pluviali.

Questo aggiunge enormi quantità di gas serra a quelli presenti naturalmente nell'atmosfera, aumentando l'effetto serra e il riscaldamento globale.

 A provocare più danni è soprattutto il consumo di carbone, petrolio e gas, che rappresentano la maggior parte delle emissioni di gas serra.

 Nel 2019, secondo il” Global Energy Perspective 2019” di “McKinsey” le fonti fossili erano responsabili dell’83% delle emissioni totali di CO2 e la sola produzione di elettricità attraverso il carbone incideva per il 36%, anche se nel 2020 - per effetto della pandemia dal Covid-19 - le emissioni sono poi scese drasticamente (fonte World Energy Outlook 2020).

È stato stimato che l'attuale tendenza delle emissioni di CO2 dovute alla combustione del carbone è responsabile di circa un terzo dell'aumento di 1 grado centigrado delle temperature medie annuali al di sopra dei livelli preindustriali, rendendola la principale fonte di emissioni nella storia umana.

In assoluto il petrolio è la seconda fonte di emissioni, avendo prodotto nel 2019 12,54 miliardi di tonnellate di CO2 (l’86% del totale del carbone di 14,550 miliardi di tonnellate).

Anche l’abbattimento delle foreste provoca danni consistenti: gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo l’anidride carbonica dall'atmosfera, quindi se vengono abbattuti l'effetto benefico si perde e il carbonio immagazzinato negli alberi viene rilasciato nell'atmosfera, accentuando all'effetto serra.

Infine, l’aumento degli allevamenti intensivi di bestiame e l’uso di fertilizzanti contenenti azoto contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas a effetto serra.

Gli accordi internazionali.

Cosa fare per rimediare?

 Nel dicembre del 2015, alla Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) è stato firmato l’atteso Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici che fornisce un quadro credibile per raggiungere la decarbonizzazione, con obiettivi a lungo termine per affrontare il cambiamento climatico e una struttura flessibile basata sui contributi dei singoli governi.

I governi firmatari si sono impegnati a limitare l'aumento della temperatura al di sotto di 2° centigradi rispetto ai livelli preindustriali con sforzi per rimanere entro 1,5°, per raggiungere il picco delle emissioni il prima possibile e raggiungere la carbon neutrality nella seconda metà del secolo.

Nonostante il successo della COP21, molte sono le questioni lasciate aperte dall'accordo.

Nel 2018 la COP24 di Katowice ha poi approvato le regole di attuazione dell'Accordo di Parigi (il cosiddetto "Paris Rulebook").

Nel 2021, la Cop26 di Glasgow ha poi ribadito l’impegno a raggiungere entro il 2050 la cosiddetta “Carbon Neutrality “a livello globale.

 

La strada da percorrere per la decarbonizzazione è chiara e si chiama transizione energetica:

il passaggio da un mix energetico incentrato sui combustibili fossili a uno a basse o a zero emissioni di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili.

 Le tecnologie per la decarbonizzazione ci sono, sono efficienti e vanno scelte a tutti i livelli. 

E un grande contributo alla decarbonizzazione arriva dall’elettrificazione dei consumi finali.

Si tratta di rimpiazzare in tutti i settori - dalle abitazioni ai trasporti, compresi quelli a lunga percorrenza, fino all’industria pesante - le tecnologie basate sui combustibili fossili con quelle che utilizzano l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili in tutti i settori, ottenendo non solo l’abbattimento delle emissioni a effetto serra, ma anche dell’inquinamento atmosferico, in particolare nelle città.

La scienza offre dati certi, proiezioni di scenari futuri studiati attentamente.

 Il cambiamento del clima non aspetta e non si ferma.

Serve un cambiamento culturale forte, un vero e proprio mutamento di paradigma per tradurre in realtà ciò su cui tutti ormai sono d’accordo.

 

 

 

 

A Gaza è genocidio?

Che cos’è un crimine contro l’umanità?

Le parole per capire il conflitto.

It-gariwo.net – Marcello Flores – Joshua Evangelista – (12-1 – 2024) – ci dicono:

Intervista allo storico Marcello Flores, tra i principali esperti di genocide studies.

 

Giovedì 11 gennaio, presso la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Uniti all'Aja, sono iniziate le udienze sul caso presentato dal Sudafrica, secondo il quale la guerra nella Striscia di Gaza costituirebbe un atto di genocidio contro il popolo palestinese.

 Si tratta in un processo complesso, dall'alto significato politico:

mai la Corte internazionale di giustizia, fino ad oggi, ha condannato per genocidio nessuno stato.

A prescindere da come si pronuncerà la Corte - probabilmente ci vorranno molti anni -, si può dire che a Gaza è in corso un atto genocidario?

Se no, come si può definire quello che sta accadendo?

Dopo l'attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre e della successiva guerra condotta da Israele, nei media e sui social network è aumentato in maniera esponenziale l'utilizzo dei termini "genocidio", "crimini di guerra", "crimini contro l'umanità", "pogrom".

Abbiamo chiesto al professore Marcello Flores, uno dei maggiori esperti italiani di Genocide Studies, il suo punto di vista su ciascuno di questi termini e sulla applicazione al contesto mediorientale.

 

Marcello Flores, facciamo chiarezza sulle parole.

Che cos'è il genocidio?

Per la Convenzione sul genocidio che è stata promulgata il 9 dicembre 1948, genocidio è la distruzione parziale o completa di un gruppo etnico, religioso o nazionale.

 Nel caso in cui, però, c'è l'intenzione da parte di chi commette quella violenza di distruggere il gruppo in quanto tale.

Che cosa significa questo? Cosa cambia rispetto agli altri crimini?

 

Significa che non si tratta di una violenza, sia pure terribile, dovuta a motivazioni quali possono essere una guerra, una volontà di conquista, una sopraffazione di potere.

 Deve essere il risultato di una volontà di far scomparire dall'umanità un preciso gruppo etnico, religioso o nazionale.

Evidentemente, i carnefici che stanno compiendo quella violenza ritengono che quel gruppo non possa e non debba avere il diritto di vivere.

 

L'attacco del 7 ottobre di Hamas può essere considerato una pratica genocidaria?

Quando i giuristi affronteranno questa questione lo faranno con estrema difficoltà e insieme delicatezza, come in genere è accaduto in tutti i vari momenti in cui la giustizia internazionale ha dovuto decidere se qualche episodio di violenza fosse o meno un genocidio.

Personalmente non ritengo che possa essere considerata un'opera di genocidio, ma un crimine contro l'umanità, perché è la volontà di compiere un massacro indiscriminato che colpisce coloro che si incontrano, andandoli a cercare nei kibbutz e nel rave – che presumibilmente i massacratori sapevano che si stesse svolgendo in quel momento.

 È stato fatto con una programmazione sicuramente generale, ma senza la volontà di compiere qualche cosa che andasse, oltre a un massacro violento, dimostrativo, fatto per colpire improvvisamente e probabilmente anche per suscitare una reazione.

 

La risposta di Israele a Gaza può essere considerata genocidaria? Che cosa possiamo dire della denuncia del Sudafrica alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia?

La denuncia del Sudafrica credo che rappresenti la volontà di portare al più presto possibile il governo di Israele di fronte alla giustizia internazionale.

 L'accusa di genocidio è l'accusa più grave, quindi è quella che in qualche modo smuove più rapidamente la possibilità di un giudizio, sia pure di tipo iniziale.

Ricordiamo, per esempio, che dopo l'operazione Piombo Fuso perpetuata una quindicina d'anni fa dall'esercito israeliano a Gaza, una commissione delle Nazioni Unite aveva individuato sia le azioni dell'esercito israeliano sia quelle di Hamas come crimini contro l'umanità.

 Ma non era intervenuta la Corte internazionale di giustizia.

 Io credo che la reazione - sicuramente sproporzionata in termini di diritto internazionale - che l'esercito israeliano ha fatto e sta facendo a Gaza, non possa essere considerata genocidio, ma possa essere sicuramente considerata un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità.

 Perché l'attacco e il coinvolgimento di civili sono assolutamente evidenti da tutte le documentazioni che abbiamo, anche se dovremmo analizzare meglio le informazioni che ricaviamo in modo generico dai media.

Escluderei però che si possa parlare di genocidio, se non da un punto di vista propagandistico che secondo me serve a poco.

 

A proposito di chiarezza sull’uso dei termini, che differenza c’è tra un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità?

 

I crimini di guerra sono elencati nelle convenzioni di Ginevra. Se si va a vedere lo statuto della Corte penale Internazionale, ci sono decine di atti che possono essere considerati crimini di guerra.

 Ad esempio il bombardamento e la distruzione di ospedali, di scuole, di edifici religiosi, di culto o di edifici culturali, così come il coinvolgimento di civili nelle uccisioni.

 Analizzare è estremamente complicato: almeno a partire dalla Seconda guerra mondiale ogni guerra è in larga parte rivolta contro i civili.

 Però sicuramente rientrano nei crimini di guerra una serie di torture nei confronti di prigionieri.

 I crimini contro l'umanità si hanno quando le popolazioni civili sono maggiormente colpite in quanto tali, non in quanto vittime secondarie di azioni militari, magari perché ritenute in qualche modo corresponsabili di quel potere che si vuole colpire.

Ma ci sono delle evoluzioni giuridiche.

Quali?

Per esempio, dalla seconda metà degli anni ‘90 lo stupro di massa è un crimine di guerra e un crimine contro l'umanità e può essere anche considerato come un mezzo di genocidio.

 Lo è stato nel caso del Ruanda, in un paio di sentenze.

E questa è una delle novità più rilevanti del diritto internazionale, se pensiamo che nelle prime due guerre mondiali le centinaia di migliaia di stupri che ci sono stati erano considerati in qualche modo una inevitabile necessità o comunque una parte della guerra.

Da questo punto di vista credo che la lunga inchiesta del New York Times sulla violenza nei confronti delle donne perpetrata da Hamas il 7 ottobre, sia una raccolta di prove significative per la giustizia internazionale.

 

A proposito di parole legate al 7 ottobre, molti hanno descritto l’attacco di Hamas come un pogrom.

Pogrom è diventato a livello simbolico un termine che indica un massacro indiscriminato.

Se vogliamo essere rigorosi, quello del 7 ottobre non mi sembra un pogrom.

 I pogrom erano violenze spontanee di massa accadute verso la fine dell'800 in una serie di città della Russia e della Polonia nei confronti di comunità ebree locali, in cui ci fu la tolleranza e a volte anche la stessa sollecitazione delle forze dell'ordine.

Ma erano il frutto di qualcosa di abbastanza spontaneo.

 In risposta al ferimento accidentale da parte di ebrei di un bambino non ebreo, la comunità ebraica veniva assalita, molti venivano feriti o uccisi, la sinagoga veniva bruciata e così via.

 In quel clima molto particolare nasce il termine pogrom.

Nel caso del 7 ottobre il carattere spontaneo manca del tutto, nel senso che è stato un'azione organizzata di tipo militare, sebbene vi abbiano partecipato non solo militari, da quello che si è capito, ma anche cittadini della Striscia di Gaza non organizzati militarmente.

 Però il cuore di quella azione non è stata una rivolta spontanea.

Sono anche dell'idea che questa parola sia diventata un modo per definire una violenza di massa concentrata nei confronti di qualcuno.

Ma siccome non tutti sanno davvero che cosa vuol dire e come sia nata, si può tollerare questo utilizzo.

 

Un’altra parola utilizzata per descrivere le gravi discriminazioni subite dai palestinesi è apartheid.

Nel corso della sua carriera lei si è occupato molto di apartheid in Sudafrica.

Apartheid è qualcosa di molto preciso che appartiene alla storia del Sudafrica.

 Si riferisce a quella legislazione nata negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, che tende a codificare e a concretizzare quella che era una politica razzista già esistente precedentemente.

 Implica una separazione netta e totale, da tutti i punti di vista, della popolazione nera - che in quel caso era la popolazione di maggioranza – da quella bianca che era quella minoritaria e dominante.

Dal punto di vista del potere politico, questo significava che i neri non potevano vivere nelle stesse parti della città dei bianchi, tant'è vero che furono costruite le “township” come Soweto, che era la più famosa.

C'erano mezzi di trasporto per neri e altri per i bianchi.

 Negli Stati Uniti del caso di “Rosa Parks”, che dette inizio alla lotta per i diritti civili nel 1954, nello stesso mezzo di trasporto c'era una parte riservata ai bianchi e una parte ai neri.

In Sudafrica, invece, un nero non poteva salire in nessun mezzo di trasporto dei bianchi.

I neri per lavorare avevano dei permessi e dei percorsi obbligatori, quindi c'era veramente questa separazione voluta e completa, che era anche e forte da un punto di vista simbolico.

 Ora mi sembra che si possono dare vari giudizi sull'occupazione o l'oppressione dello Stato di Israele nei confronti della Striscia di Gaza e in parte anche della Cisgiordania, ma direi che non si tratta di apartheid.

Da una parte perché all'interno dello Stato di Israele, per esempio, i cittadini arabi e palestinesi israeliani hanno diritti di voto come gli altri cittadini.

Quelli che vivono nei territori occupati hanno intanto un margine di autorganizzazione che si può giudicare essere più o meno fittizio, ma che comunque esiste.

Ad esempio, se ci fosse una politica di apartheid i palestinesi non potrebbero entrare negli ospedali israeliani.

Quindi direi che è una forzatura ideologico-propagandistica da parte di tutti quelli che vogliono sottolineare le colpe dello Stato di Israele, alla luce delle sofferenze che effettivamente i palestinesi da decenni hanno in quei territori.

 

Se secondo lei non possiamo parlare di apartheid, dal momento che questa parola ha un perimetro così preciso, quale termine può definire la condizione dei palestinesi oggi?

Le difficoltà di accesso a servizi di base sono forme di discriminazione e di oppressione diversificate.

Anche perché negli ultimi venti trent'anni le condizioni sono cambiate.

Sono diverse da quando la Striscia di Gaza era occupata militarmente dallo Stato di Israele e ha lasciato l’autonomia.

Nei primi anni c'era una un'oppressione generale, ma non quel controllo che, per esempio, aumenterà molto di più dopo con l'operazione Piombo Fuso, una reazione violenta a degli attacchi missilistici di Hamas e che ha provocato questa struttura di contenimento/oppressione della Striscia nel suo insieme.

 Non riesco a trovare una parola simbolo, se non “forme di oppressione e di discriminazione”, che vanno elencate e valutate e che sono difficili da riassumere.

Un'altra parola molto evocativa è ghetto.

“ Masha Gessen” sul “Newyorker” ha paragonato Gaza ai ghetti della seconda guerra mondiale e ne è scaturita un’ampia polemica.

Che cos’è un ghetto? Si può dire che Gaza sia un ghetto?

I ghetti hanno una storia molto precisa.

Ci sono quelli dell'epoca medievale o inizio dell'età moderna e quelli della Seconda guerra mondiale, che l'occupazione tedesca ha instaurato nelle città europee.

Di nuovo.

Credo che sia un modo per cercare di dare un'idea emotiva forte di una condizione che sicuramente è spesso analoga a quella di un ghetto, nel senso che è non facile se non addirittura impossibile, per la gran parte dei palestinesi, uscire quando vogliono.

 Però la struttura del ghetto era molto diversa e quindi se si usano questi paralleli storici bisognerebbe adeguarli e spiegarli in questo modo.

Il rischio è proprio di non far capire la diversità che c'è tra una struttura di oppressione di oggi rispetto a strutture di oppressione che erano presenti nel passato.

 Del resto il ghetto di Varsavia era diverso dal ghetto di Venezia del 1400.

Il nome era lo stesso solo perché riguardava gli ebrei.

 

Torniamo a parlare di genocidio.

“Raphael Lemkin”, il coniatore di questo termine, scrisse anche degli aspetti culturali delle politiche genocidarie.

Alla fine, però, nella Convenzione sul genocidio del 1948 questo concetto fu lasciato cadere.

 Dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina si è parlato dell’intenzione del Cremlino di perpetuare un genocidio culturale verso le popolazioni invase.

Dal momento che questa definizione non fa parte della Convenzione, secondo lei ha senso parlare di genocidio culturale e quindi denunciarlo?

L’dea che “Lemkin” aveva di genocidio culturale era molto ampia e non particolarmente specificata.

 Il genocidio culturale non fu inserito nella Convenzione del ’48 perché grandi potenze come la Francia e la Gran Bretagna erano all'epoca potenze coloniali e quindi rischiavano di poter essere accusate di genocidio culturale.

Inoltre ci fu l'intervento del delegato siriano alle Nazioni Unite che disse che non si possono equiparare la distruzione di una biblioteca e la distruzione di un gruppo umano.

La risposta ovvia è che le cose sono collegate, perché nel momento in cui si distrugge la biblioteca di un gruppo spesso si sta anche distruggendo il gruppo stesso.

Oggi ci sono giudizi della giustizia internazionale e una serie di prese di posizione che hanno ampliato la possibilità di considerare il genocidio culturale.

 Credo che sia difficile che possa essere usato come elemento del genocidio, se non in presenza di una volontà di sterminio fisico anche del gruppo stesso.

Per quello che riguarda l’Ucraina, io credo che forse l'unico esempio in cui si potrebbe parlare di genocidio è il caso di “Bucha”, che è analogo a quello di “Srebrenica”.

 Sono casi in cui un evento particolare ha avuto un carattere genocida. Per quanto riguarda la Russia di Putin, al netto di questo singolo episodio, sicuramente ci sono stati crimini di guerra e crimini contro l'umanità.

L’ultima domanda non può che essere sulla prevenzione del genocidio oggi. Quali sono i contesti più a rischio oggi, di cui si parla però meno a livello mediatico?

 

Se guardiamo alle violenze nei confronti di minoranze o gruppi specifici che stanno accadendo oggi nel mondo, ci accorgiamo che quelle che - da un punto di vista numerico e spesso anche dal punto di vista della potenza distruttrice - sono totalmente messe in silenzio rispetto ai due casi più in vista, quello israelo-palestinese e quello russo-ucraino.

Anche quest’ultimo, tra l'altro, dopo l'attacco del 7 ottobre è diventato in qualche modo meno rilevante.

Se noi pensiamo che il numero di uccisi ogni giorno in Siria o nello Yemen era decine di volte superiore, capiamo che c'è un una diversità di atteggiamento che rende estremamente complicato poter affrontare il tema della prevenzione dei genocidi.

Nei confronti di quello che sta accadendo in Medio Oriente l'attenzione mediatica del mondo intero rende di fatto impossibile un genocidio, tant’è vero che si parla di genocidio già prima che questo venga compiuto.

Negli altri casi non sappiamo se sta avvenendo o no, perché non sappiamo se i gruppi che sono colpiti oggi in Siria, nello Yemen o in altre parti del mondo, pensiamo all'Africa e altre parti dell'Asia, siano dei gruppi che rischiano davvero. Perché c'è una logica geopolitica e mediatica che ovviamente fa una forte distinzione.

In questo contesto, quali sono gli strumenti concreti che si hanno oggi per prevenire un genocidio?

La prevenzione può esistere su due piani.

Mettendo in evidenza i primi livelli di discriminazione che avvengono nei confronti di qualche gruppo.

E oggi avviene per lo meno in una cinquantina di Paesi, nei confronti dei quali però la comunità internazionale non ha gli strumenti o non vuole avere gli strumenti per poter far nulla.

L'altra è quella di poter intervenire nei momenti in cui la violenza diventa più forte e in cui l'intervento può essere possibile.

Non solo per il genocidio, ma anche per i crimini di guerra o per i crimini contro l'umanità.

Ricordiamo il caso della Siria, uno dei luoghi con il numero maggiore di vittime degli ultimi anni, in cui il presidente Obama aveva annunciato un intervento qualora si fosse superata la linea dell'uso ripetuto di un'arma letale e proibita come i gas.

Poi invece non se ne fece nulla, continuarono i massacri indiscriminati di civili e in più venne lasciata alla Russia di Putin la possibilità di inserirsi in quella zona come potenza rilevante.

Credo che questo vada ricondotto alla difficoltà che oggi esiste a livello interno nazionale di garantire un equilibrio e un diritto che, per quanto parziali, nel corso della Guerra fredda avevano avuto delle proprie regole grazie alle due superpotenze e che in questo secolo, invece, sono messe continuamente in discussione.

Il nuovo mondo multipolare non ha ancora trovato le sue fondamenta dal punto di vista sia politico sia del diritto.

(Joshua Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo)

 

 

 

 

 

“Apple”, tutte le dispute nel mondo:

ecco cosa sta succedendo

Agendadigitale.eu – (28 mar. 2024) - Barbara Calderini – ci dice:

 

Cultura e società digitali.

Competenze digitali.

Approfondiamo le contestazioni mosse ad Apple su diversi fronti, in USA, UE e nel resto del mondo, per capire come il colosso di Cupertino stia affrontando queste sfide

“Apple pay “commissione UE.

Il panorama legale che circonda Apple e il suo ecosistema, in particolare l’”App Store”, è diventato sempre più intricato e controverso negli ultimi anni, con una serie di sfide antitrust e normative che pongono l’azienda di Cupertino al centro di una disputa globale sulla concorrenza e la legalità delle sue pratiche commerciali.

Nella controversia legale in corso tra Apple e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, si è aperto un nuovo capitolo incentrato sulle politiche di apertura della big tech.

In risposta alle critiche e alle pressioni, Apple ha dichiarato di aver intrapreso azioni concrete per rendere la sua piattaforma più accessibile ai terzi, pur mantenendo rigorosi standard di sicurezza.

Per oltre un decennio, Apple ha dimostrato una straordinaria capacità nel mantenere un’immagine impeccabile, trasformando ogni nuovo prodotto in un’icona culturale e un successo commerciale.

 Tuttavia, il 2024 sta portando una serie di sfide che mettono alla prova la tenacia del gigante tecnologico di Cupertino.

Le contestazioni.

La controversia si estende anche oltre i confini degli Stati Uniti, con l’Unione Europea che ha avviato indagini formali contro Apple per presunte violazioni delle normative antitrust e del Digital Markets Act.

Le modifiche proposte da Apple per conformarsi al “DMA” sono state accolte con critiche da parte di sviluppatori e altre grandi aziende tecnologiche, che le considerano ancora insufficienti a garantire una concorrenza equa sul mercato digitale.

 

A ciò si aggiunge anche la battaglia legale tra Apple, Epic Games e altre aziende, anch’essa destinata a plasmare il futuro dell’App Store e dell’ecosistema tecnologico globale, con implicazioni significative per gli sviluppatori, gli utenti e il panorama competitivo nel suo complesso.

Mentre le diverse parti si preparano a difendere le proprie posizioni in tribunale, il risultato di queste dispute avrà un impatto duraturo sul modo in cui le grandi piattaforme tecnologiche operano e sono regolamentate in tutto il mondo.

 

Le accuse del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Nelle settimane recenti, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha avviato un’azione legale antitrust contro Apple, accusandola di favorire i propri prodotti rispetto ai concorrenti all’interno del suo ecosistema, soprattutto su iPhone. Secondo l’accusa, Apple avrebbe ostacolato la concorrenza impedendo ad altre aziende di offrire applicazioni in competizione con le proprie, come nel caso del portafoglio digitale.

In particolare, secondo il governo, le azioni di Apple sarebbero caratterizzate da pratiche esclusive e anticoncorrenziali, limitando le scelte dei consumatori, aumentando i prezzi, riducendo la qualità e ostacolando l’innovazione.

Il governo afferma che le politiche dell’azienda nei confronti degli sviluppatori isolino Apple dalla competizione.

Nonostante l’azione legale, sostenuta dall’amministrazione Biden e da 16 stati, sembra che Apple non sia troppo preoccupata.

Ha risposto dichiarando di non essere d’accordo con le conclusioni dei procuratori e anticipando una ferma opposizione in difesa del nucleo aziendale e dei principi che distinguono i prodotti Apple in mercati altamente competitivi.

I sei presunti motivi di abuso.

La denuncia del Dipartimento di Giustizia evidenzia almeno sei modi in cui Apple avrebbe abusato della sua posizione dominante:

“Green bubbles” di” iMessage”:

Il Dipartimento di Giustizia sostiene che Apple abbia deliberatamente reso difficile agli utenti iPhone inviare messaggi a coloro che possiedono telefoni “Android”, creando una percezione di qualità inferiore degli smartphone non Apple.

Le cosiddette “Green bubbles” di “iMessage”, che indicano gli “utenti Android”, sarebbero infatti illegali secondo l’accusa.

 

Esclusività di Apple Pay:

 “Apple Pay” è l’unico modo per i possessori di iPhone di utilizzare la tecnologia di pagamento mobile integrata negli iPhone.

Questa esclusività, secondo il Dipartimento di Giustizia, priva gli utenti dei vantaggi e delle innovazioni che potrebbero derivare dall’introduzione di portafogli digitali multipiattaforma.

Limitazioni degli “Apple Watch”:

Apple Watch, uno dei prodotti di maggior successo di Apple, è progettato per funzionare esclusivamente con iPhone.

Questo, secondo l’accusa, costringe i clienti ad acquistare iPhone e limita l’innovazione e la concorrenza nel settore degli smartwatch.

Vietare gli app store di terze parti:

 Apple permette solo l’installazione di app tramite il proprio App Store, impedendo la concorrenza e limitando le scelte degli utenti.

Questo, afferma il Dipartimento di Giustizia, ostacola l’innovazione e crea un ambiente monopolistico.

Limitare le super app:

Apple impone agli sviluppatori di scrivere codice specifico per il suo sistema operativo, impedendo la creazione di app universali in grado di funzionare su più piattaforme.

Non solo Apple, l’UE apre la prima indagine “Dma” sulle “big tech”.

In settimana la Commissione ha avviato un’indagine di non conformità ai sensi del “Digital Markets Act” (DMA) sulle regole di Alphabet in materia di “steering” in Google Play e di “self-preferencing” in Google Search, sulle regole di Apple in materia di “steering” nell’App Store e nella schermata di scelta di Safari e sul “modello di pagamento o consenso” di “Meta”.

La Commissione sospetta che le misure messe in atto da questi gate keeper non rispettino effettivamente gli obblighi imposti dalla “DMA”.

Inoltre, la Commissione ha avviato indagini sulla nuova struttura tariffaria di Apple per gli app store alternativi e sulle pratiche di classificazione di Amazon sul suo marketplace.

Infine, la Commissione ha ordinato ai gate keeper di conservare determinati documenti per monitorare l’effettiva attuazione e il rispetto dei loro obblighi.

 

Alphabet e Apple su” app store”.

La Commissione ha avviato un procedimento per valutare se le misure attuate da Alphabet e Apple in relazione ai loro obblighi in materia di app store violino la DMA.

L’articolo 5(4) del DMA impone ai gate keeper di consentire agli sviluppatori di app di “indirizzare” i consumatori verso offerte al di fuori degli app store dei gate keeper, a titolo gratuito.

La Commissione teme che le misure adottate da Alphabet e Apple non siano pienamente conformi, in quanto impongono diverse restrizioni e limitazioni. Queste limitano, tra l’altro, la capacità degli sviluppatori di comunicare e promuovere liberamente le offerte e di concludere direttamente i contratti, anche imponendo vari oneri.

 

Google search.

La Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di “Alphabet” per stabilire se la visualizzazione dei risultati di ricerca di Google da parte di Alphabet possa portare all’autoreferenzialità in relazione ai servizi di ricerca verticali di Google (ad esempio, Google Shopping, Google Flights e Google Hotels) rispetto ad analoghi servizi concorrenti.

La Commissione teme che le misure attuate da “Alphabet” per conformarsi al” DMA” non garantiscano che i servizi di terzi presenti nella pagina dei risultati di ricerca di Google siano trattati in modo equo e non discriminatorio rispetto ai servizi di Alphabet, come richiesto dall’articolo 6, paragrafo 5, del DMA.

 

Il rispetto da parte di Apple degli obblighi di scelta degli utenti.

La Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Apple in merito alle misure adottate per ottemperare agli obblighi di (i) consentire agli utenti finali di disinstallare facilmente qualsiasi applicazione software su iOS, (ii) modificare facilmente le impostazioni predefinite su iOS e (iii) proporre agli utenti schermate di scelta che devono effettivamente e facilmente consentire loro di selezionare un servizio predefinito alternativo, come un browser o un motore di ricerca sul proprio iPhone.

La Commissione teme che le misure di Apple, compresa la progettazione della schermata di scelta del “browser web”, possano impedire agli utenti di esercitare realmente la loro scelta di servizi all’interno dell’ecosistema Apple, in violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, del DMA.

 

Il modello “paga o acconsenti” di “Meta”.

Infine, la Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Meta per verificare se il modello “paga o acconsenti” recentemente introdotto per gli utenti dell’UE sia conforme all’articolo 5, paragrafo 2, del DMA, che impone ai gate keeper di ottenere il consenso degli utenti quando intendono combinare o utilizzare in modo incrociato i loro dati personali tra diversi servizi della piattaforma principale.

 

La Commissione teme che la scelta binaria imposta dal modello “paga o acconsenti” di Meta possa non fornire una reale alternativa nel caso in cui gli utenti non acconsentano, non raggiungendo così l’obiettivo di prevenire l’accumulo di dati personali da parte dei gate keeper.

Altre misure di indagine e di applicazione.

La Commissione sta inoltre adottando altre misure investigative per raccogliere fatti e informazioni al fine di chiarire se:

Amazon possa privilegiare i prodotti di marca propria sull’Amazon Store in violazione dell’articolo 6(5) del DMA, e

la nuova struttura tariffaria di Apple e gli altri termini e condizioni per gli app store alternativi e la distribuzione di app dal web (side loading) possano vanificare gli obblighi previsti dall’articolo 6(4) del DMA.

La Commissione ha inoltre adottato cinque ordini di conservazione indirizzati ad Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft, chiedendo loro di conservare i documenti che potrebbero essere utilizzati per valutare la loro conformità agli obblighi del DMA, in modo da preservare le prove disponibili e garantire un’applicazione efficace.

Infine, la Commissione ha concesso a Meta una proroga di 6 mesi per conformarsi all’obbligo di interoperabilità (articolo 7 DMA) per Facebook Messenger.

 La decisione si basa su una disposizione specifica dell’articolo 7(3) DMA e fa seguito a una richiesta motivata presentata da Meta.

Facebook Messenger rimane soggetto a tutti gli altri obblighi DMA.

 

Le prossime tappe.

La Commissione intende concludere il procedimento avviato oggi entro 12 mesi.

 Se l’indagine lo giustificherà, la Commissione informerà i gate keeper interessati delle sue conclusioni preliminari e spiegherà le misure che sta pensando di adottare o che il gate keeper dovrebbe adottare per rispondere efficacemente alle preoccupazioni della Commissione.

In caso di violazione, la Commissione può imporre ammende fino al 10% del fatturato mondiale totale dell’azienda.

 Tali ammende possono arrivare al 20% in caso di violazione ripetuta.

Inoltre, in caso di violazioni sistematiche, la Commissione può adottare ulteriori misure correttive, quali l’obbligo per il gate keeper di vendere un’attività o parti di essa, o il divieto per il gate keeper di acquisire ulteriori servizi connessi alla non conformità sistemica.

 

Il nodo di “Car Play”.

Non solo.

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ritiene altresì che il colosso tecnologico stia estendendo il proprio dominio dagli smartphone all’industria automobilistica.

Secondo la denuncia, infatti, Apple starebbe minando l’innovazione anche nel settore automobilistico attraverso la pratica delle chiavi digitali dell’auto abbinata al sistema di infotainment “CarPlay”.

Ovvero, la richiesta agli sviluppatori di aggiungere le chiavi digitali sviluppate per le proprie app ad “Apple Wallet”, aumenterebbe la dipendenza del conducente dall’iPhone.

Inoltre, Apple avrebbe chiesto ai produttori di automobili di rendere Car Play più centrale nelle loro auto, esercitando così un maggiore potere sui partner commerciali, comprese le case automobilistiche americane.

I motivi dell’accusa non sembrano nuovi, ma la denuncia del Dipartimento di Giustizia e degli stati coinvolti rappresenta comunque un ulteriore significativo passo nel dibattito in corso sulla posizione di Apple nel mercato tecnologico e sulla legittimità delle restrizioni imposte al suo approccio “walled garden.“

La difesa di Apple contro le accuse di monopolio.

Apple si dichiara pronta ad affrontare con fermezza le accuse di monopolio in violazione della Sezione 2 dello Sherman Act avanzate dal governo degli Stati Uniti.

Secondo i sostenitori di Apple, il Dipartimento di Giustizia si basa principalmente su informazioni obsolete o poco accurate e potrebbe non essere in grado di dimostrare danni reali ai consumatori.

 Pertanto, ritengono che il procuratore generale” Merrick Garland” e i suoi colleghi rischiano di subire perdite significative se dovessero insistere su argomentazioni poco consistenti e che non riflettono la realtà attuale.

Le accuse, a loro dire, sembrano includere affermazioni che potrebbero persino apparire addirittura ridicole e non aggiornate, come quella secondo cui Apple potrebbe deliberatamente peggiorare i propri prodotti per preservare il monopolio sugli smartphone.

Anche l’accusa riguardante le “super app” sembrerebbe poco fondata, dato che Apple non ha mai espresso un divieto esplicito su questo tipo di app e, anzi, molte super app esistenti sono disponibili proprio su dispositivi Apple.

È probabile che la questione si protrarrà per anni e, in base alle argomentazioni attuali del Dipartimento di Giustizia, pare che Apple abbia già affrontato, in diverse occasioni, molte delle critiche sollevate.

La società ha dichiarato di avere diverse linee di difesa a disposizione per contrastare le affermazioni del Dipartimento di Giustizia.

Il “mercato rilevante.”

Uno dei punti chiave della difesa di Apple sarà sicuramente la contestazione della definizione del mercato rilevante proposta dal governo.

 Mentre il Dipartimento di Giustizia sostiene che il mercato rilevante sia limitato agli “smartphone ad alte prestazioni”, Apple potrebbe argomentare che tale definizione esclude gli smartphone entry-level e non riflette accuratamente il panorama complessivo del settore.

Inoltre, Apple contesta la teoria legale alla base delle accuse e le prove a sostegno di essa.

La società respinge l’accusa di mantenere illegalmente un monopolio in violazione della Sezione 2 dello Sherman Act, sostenendo che la sua condotta non è escludente né anticoncorrenziale.

Apple sostiene al contrario che le regole dell’azienda per gli sviluppatori siano progettate proprio per migliorare l’esperienza degli utenti e non intendono limitare la concorrenza.

Secondo Apple, i consumatori mostrano infatti un grande apprezzamento per i suoi prodotti, mentre il governo sembra che stia essenzialmente chiedendo a un giudice statunitense di assumere il ruolo di un ingegnere e ridefinire completamente l’ecosistema di Apple.

 

I precedenti favorevoli.

La difesa di Apple si basa anche su precedenti giudiziari favorevoli.

La società cita, a sua difesa, il caso del 2021 contro Epic Games, in cui un giudice della California ha respinto l’affermazione che Apple fosse un monopolista.

 Il giudice distrettuale statunitense “Yvonne Gonzalez Rogers” dichiarò che la quota di mercato di Apple, che superava allora il 55%, e i suoi margini di profitto elevati non rappresentassero ancora una violazione delle leggi antitrust vigenti.

Sebbene il giudice avesse riconosciuto alcuni comportamenti anticoncorrenziali di Apple, tali da dover richiedere l’adeguamento di alcune sue pratiche commerciali, tuttavia non ravvisò alcuna violazione delle leggi antitrust federali da parte dell’azienda.

In particolare Apple sottolinea come il Dipartimento di Giustizia abbia modificato la teoria alla base della sua denuncia almeno sei volte in quattro anni ( la causa del Dipartimento di Giustizia era infatti preparazione da anni), nonostante l’assenza di prove o danni conferenti.

 Questo perché, a detta della società, i tribunali federali hanno già costantemente stabilito come le azioni di Apple siano conformi alle leggi antitrust federali.

Nel distretto settentrionale della California, il giudice “Gonzalez Rogers” ha dato ragione ad Apple riguardo alle regole dell’”App Store”, e la decisione viene confermata anche dalla Corte d’Appello del Nono Circuito.

Apple attribuisce grande importanza anche alla recente vittoria ottenuta nella causa antitrust riguardante l’algoritmo della frequenza cardiaca su Apple Watch, respingendo le accuse avanzate da “AliveCor”, una società californiana specializzata nello sviluppo e nella produzione di dispositivi medici.

Secondo AliveCor, Apple avrebbe agito in modo anti competitivo indebolendo deliberatamente la funzionalità della sua analisi del ritmo cardiaco per danneggiare i concorrenti.

La decisione emessa lo scorso febbraio dal giudice distrettuale statunitense “Jeffrey S. White “è stata definita da Apple come un successo totale, confermando come non vi fosse alcuna prova che le azioni dell’azienda fossero in alcun modo anti competitive.

Nel frattempo, “AliveCor “ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso contro la decisione della corte. Tuttavia, la sentenza non avrà alcun impatto sulle controversie ancora in sospeso sui brevetti tra le due società, che rimangono pendenti presso la Commissione per il commercio internazionale degli Stati Uniti e il “Patent Trial and Appeal Board” degli Stati Uniti.

 

Il caso “Pacific Bell Telephone Co”. contro “LinkLine Communications, Inc”.

Ma i casi giudiziari citati da Apple non finiscono qui:

Apple sostiene infatti di non essere obbligata a riprogettare i suoi prodotti per favorire i rivali, richiamando l’attenzione su un altro precedente caso della Corte Suprema degli Stati Uniti.

Il riferimento è alla vicenda giudiziaria del 2009, Pacific Bell Telephone Co. contro LinkLine Communications, Inc (che a sua volta richiama il caso Nel caso Verizon Communications v. Law Offices of Curtis V. Trinko, del 2004).

In tale caso, la Corte Suprema ritenne all’unanimità che “Pacific Bell” non avesse violato la legge antitrust statunitense addebitando tariffe presumibilmente eccessive per consentire ad altri fornitori di servizi Internet di utilizzare le sue linee per fornire una connessione Internet.

Apple sostiene che questa decisione stabilisca un precedente importante, dimostrando che un’azienda non è tenuta ad adottare le preferenze dei suoi concorrenti se ciò comporta un peggioramento dell’esperienza degli utenti del proprio prodotto.

 In altre parole, Apple ritiene di non essere obbligata a modificare il suo ecosistema per favorire i suoi concorrenti, specialmente se ciò può compromettere la qualità o l’esperienza utente offerta dai suoi dispositivi iPhone.

A ciò si aggiunge anche l’esito dell’ultimo evento giudiziario in cui il giudice distrettuale statunitense “P. Casey Pitts” ha stabilito che la” California Crane School” non è riuscita a fornire prove dirette di accordi di non concorrenza tra Google e Apple riguardanti il motore di ricerca predefinito su iPhone e altri dispositivi Apple.

 

Il rapporto con gli sviluppatori e i concorrenti.

La società contrasta anche la tesi del governo riguardo al presunto controllo delle app, sostenendo viceversa come stia offrendo agli sviluppatori molteplici strumenti per creare app innovative.

D’altra parte, all’accusa del Dipartimento di Giustizia che ha sollevato preoccupazioni riguardo al controllo esercitato da Apple sulla creazione e distribuzione delle app, note come “Super App“, realizzate utilizzando linguaggi di programmazione come HTML5 e JavaScript, Apple ha ribattuto evidenziando quanto le Super App, come WeChat di Tencent in Cina e Data Neu di Tata in India, non stiano godendo di grande popolarità tra i consumatori statunitensi (e non solo).

Nel complesso quadro legale che pone Apple sotto i riflettori per presunte pratiche anticoncorrenziali, l’azienda ha dunque già respinto energicamente le accuse mosse dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, definendole come argomentazioni basate su un’interpretazione selettiva e strumentale che non rispecchia la realtà del mercato tecnologico o le intenzioni concrete dell’azienda.

Piuttosto ha ribadito con forza il proprio impegno costante nel promuovere un ambiente aperto e competitivo per gli sviluppatori sulla sua “piattaforma iOS “ed ha altresì menzionato il progetto di adozione dei “Rich Communication Services” (RCS), che consentirà agli utenti iPhone di comunicare con dispositivi non Apple.

Una mossa che è stata presentata come una dimostrazione tangibile del desiderio di Apple di promuovere l’interoperabilità e la libertà di scelta degli utenti.

 

La mail interna.

Una delle principali questioni sollevate dal Dipartimento nei confronti di Apple riguarda la citazione di un’email interna datata marzo 2016, in cui un dirigente Apple discuteva con il “CEO “Tim Cook sull’eventualità di portare iMessage su dispositivi Android:

“moving iMessage to Android will hurt us more than help us”.

Un frammento di testo che Apple riferisce come funzionale alle accuse ma in realtà parte di un dialogo più ampio che non dovrebbe essere interpretato come una prova definitiva di pratiche anticoncorrenziali.

 

Ovviamente tanto non convince il Dipartimento di Giustizia che ha infatti citato una serie di pratiche aziendali, incluso il presunto uso di restrizioni onerose per mantenere il controllo sugli acquisti in-app e limitare la concorrenza nel settore.

In particolare, il Dipartimento di Giustizia ha citato il requisito imposto da Apple secondo cui qualsiasi gioco in streaming su cloud, o qualsiasi aggiornamento di un gioco, debba essere presentato come un’applicazione autonoma per l’approvazione da parte di Apple, aumentando in tal modo i costi associati al rilascio dei giochi su iPhone.

Lo scenario.

Sia come sia, quando il caso arriverà in tribunale, Apple sarà pronta a sostenere la sua posizione.

Probabile che la società sosterrà che altri colossi tecnologici come “Samsung,” “Google” e “Xiaomi” rappresentino attori di una competizione significativa, sfatando così l’idea di un presunto monopolio da parte di Apple.

 

Inoltre prevedibile che Apple difenda strenuamente le proprie funzionalità di sicurezza e privacy applicate all’iPhone, sostenendo quanto tali caratteristiche vengano implementate per proteggere gli interessi degli utenti e non per limitare la concorrenza.

 

Il Dipartimento di Giustizia, d’altro canto, sarà chiamato a dimostrare che queste funzionalità siano effettivamente utilizzate in modo pretestuoso per consolidare il potere di Apple sul mercato.

 In definitiva, il confronto legale tra Apple e il Dipartimento di Giustizia avrà un impatto duraturo sul panorama tecnologico globale, delineando i confini tra apertura, sicurezza e concorrenza nel mondo digitale in continua evoluzione.

 E forse servirà anche a mettere un punto sulla storia giudiziaria infinita che vede contrapposte sul fronte dell’antitrust Apple ed Epic.

 

Epic Games VS Apple per l’apertura dell’App Store.

Epic Games, il produttore di “Fortnite”, ha infatti intentato una nuova causa contro Apple per il controllo eccessivo sull’App Store, sollevando preoccupazioni sul rispetto delle disposizioni stabilite in seguito alla disputa legale conclusa nel 2021.

Nel primo grado di giudizio, Epic Games ha subito una parziale sconfitta contro Apple, con la sentenza che ha stabilito la violazione del contratto da parte di Epic per aver implementato un sistema di pagamento alternativo nella sua App Fortnite.

Di conseguenza, Epic è stata condannata a pagare il 30% delle entrate raccolte ad Apple.

 Tuttavia, il giudice” Yvonne Gonzalez Rogers” ha anche emesso anche un’ingiunzione permanente per imporre ad Apple di non vietare agli sviluppatori di includere nelle loro app collegamenti esterni o altre “call to action” che indirizzassero gli utenti verso meccanismi di acquisto esterni alla piattaforma.

 Ciò ha consentito alle “app Ios” di orientare gli utenti verso opzioni di pagamento diverse da quelle disponibili con i pagamenti “in-app”.

 

Nella relazione presentata in veste di “amicus curiae” da parte di aziende come Microsoft, Meta, X e Match, intervenute a sostegno di Epic Games, si afferma che le tariffe richieste da Apple sono eccessive e che ci sono troppe restrizioni sulle modalità con cui gli sviluppatori possono indirizzare gli utenti ai loro siti esterni.

In particolare, si lamenta il fatto che Apple non permetta agli sviluppatori di inserire link diretti che consentano agli utenti di effettuare acquisti senza passare dai sistemi di pagamento in-app.

Anche se Apple consente agli sviluppatori di utilizzare modalità di pagamento esterne, richiede comunque commissioni che vanno dal 12% al 27%.

 

Epic Games ha dichiarato in tribunale che Apple non rispetta l’ordinanza emessa dalla giudice e ritiene che anche per questo dovrebbe essere accusata non solo di pratiche concorrenziali scorrette, ma anche di oltraggio alla corte.

Secondo Epic, l’implementazione di Apple rende, invero, praticamente inutilizzabili i link nelle app a causa delle commissioni e delle relative restrizioni imposte.

 

Nell’intervento “amicus curiae”, le aziende hanno spiegato che Apple non permette loro neanche di includere informazioni basilari su modalità di acquisto alternative all’acquisto in-app.

 A tanto si aggiunge il fatto per cui, Apple non consentirebbe agli utenti delle app di conoscere le modalità per ricevere sconti acquistando direttamente da siti esterni all’App Store.

Nonostante le dichiarazioni di Apple che assicurano il pieno rispetto del provvedimento della corte e l’offerta agli sviluppatori di modalità per informare gli utenti sui pagamenti alternativi sia all’interno che all’esterno delle app, Epic Games e le aziende sostenitrici restano convinte che le pratiche di Apple siano inaccettabili e dannose per la concorrenza nel settore.

La battaglia legale tra Epic Games e Apple è dunque destinata a durare, con entrambe le parti che si preparano a difendere le proprie posizioni nei prossimi sviluppi del caso.

E non è tutto.

Il coinvolgimento di Google.

Nei prossimi cinque mesi, il tribunale federale di Melbourne sarà il palcoscenico di una battaglia tra Epic Games, Apple e Google, che metterà sotto la lente d’ingrandimento il controllo esercitato da Apple sul suo impero e le pratiche di Google nell’ecosistema Android.

Le cause legali, inizialmente avviate nel 2020 e sospese nell’aprile 2021 in attesa degli esiti delle cause parallele negli Stati Uniti, coinvolgono ancora una volta Epic Games contro Apple e Google, entrambi accusati di abuso di potere di mercato nei confronti dei loro app store.

Sebbene Epic abbia perso parzialmente la causa antitrust contro Apple nel 2021, ha ottenuto una vittoria contro Google alla fine dello stesso anno.

Adesso, i casi, inizialmente separati, sono riuniti in un unico processo dinanzi al giudice “Jonathan Beach”, al fine di evitare la duplicazione delle prove testimoniali.

Le differenze tra le cause.

Le cause presentano similitudini ma anche importanti differenze.

Mentre” iOS “e l’”App Store di Apple” sono completamente chiusi e controllati dall’azienda, Google consente il “side loading” delle app su Android, oltre ad avere il suo app store e ad autorizzare altri produttori di telefoni ad avere i propri.

Tuttavia, entrambe le aziende addebitano commissioni per le transazioni nei propri app store.

La battaglia legale metterà alla prova le difese di entrambe le società.

 Apple, vista come l’avversario più riluttante al cambiamento, sostiene che la sicurezza degli utenti iPhone sia in gioco e che Epic stia cercando di ottenere ulteriori profitti a spese di essa.

Google, che si è vantata di offrire un ecosistema più aperto, deve difendere le sue pratiche contro le accuse di danneggiare la concorrenza.

Le presentazioni di apertura del processo dureranno due settimane, seguite da tre mesi di prove di testimoni ed esperti e due settimane di presentazioni di chiusura. Tra i testimoni attesi ci sono il CEO di Epic, Tim Sweeney, e dirigenti chiave di Apple e Google.

 I testimoni chiave di Apple includono Phil Schiller, responsabile dell’App Store, e Craig Federighi, vicepresidente senior dell’ingegneria del software, che discuteranno dello sviluppo e del funzionamento dello store, oltre all’approccio della società alla sicurezza e alla privacy degli utenti.

La sentenza del “giudice Beach” è attesa entro sei mesi dalla fine del processo, ma potrebbero esserci ricorsi successivi.

Indipendentemente dall’esito, i cambiamenti implementati da Apple nell’App Store dell’UE a seguito del “Digital Markets Act” potrebbero indicare una direzione futura anche per l’Australia.

 Nel frattempo, Apple ha ripristinato l’account sviluppatore di Epic nell’UE.

Questi sviluppi, insieme all’accusa del Dipartimento, rappresentano, peraltro, solo gli ultimi di una serie di casi simili intentati da regolatori in tutto il mondo, con l’Europa che non lesina sferzate a destra e a manca.

La compliance al “Digital Markets Act”.

Oltre alle dispute in corso sulla costa occidentale, Epic e Apple si stanno infatti scontrando anche in Europa con riguardo alla conformità di Apple al Digital Markets Act.

In effetti, con l’entrata in vigore del Digital Markets Act (DMA), Apple si trova sotto i riflettori come mai prima d’ora, costretta a confrontarsi con una serie di nuove normative che mettono in discussione il suo rigido controllo sull’ecosistema iOS.

Nell’ultimo mese, “Margrethe Vestager”, dal 2014 Commissario europeo per la concorrenza, ha rivelato che Stati Uniti e Unione Europea hanno raggiunto un livello di allineamento senza precedenti riguardo alla necessità di regolamentare il settore tecnologico.

“Non ricordo una cooperazione così efficace da molto tempo a questa parte”, ha recentemente affermato.

Il modo in cui Apple e gli altri gate keeper si adatteranno a questi cambiamenti rimane però ancora incerto.

Le modifiche proposte da Apple comprendono una serie di nuove opzioni per sviluppatori e utenti, tra cui l’introduzione di oltre 600 nuove API e strumenti.

Tra le novità, vi è la possibilità di side load di app da fonti diverse dall’App Store, consentendo agli utenti dell’UE di scaricare app da mercati alternativi.

Inoltre, “Safari” mostrerà una schermata di scelta del browser per consentire agli utenti di selezionare il browser predefinito su iOS 17.4.

 

Le modifiche all’App store.

Per quanto riguarda l’App Store, sono state implementate nuove opzioni di pagamento, consentendo l’uso di fornitori di servizi di pagamento (PSP) all’interno dell’app e l’elaborazione dei pagamenti tramite collegamento.

 

Tuttavia, le tariffe e le restrizioni imposte da Apple continuano a sollevare critiche significative da parte degli sviluppatori.

Le modifiche apportate da Apple per conformarsi al DMA hanno suscitato critiche significative, soprattutto da parte della “Federazione Europea degli Sviluppatori di Giochi “(EGDF) che ha etichettato le modifiche come anticoncorrenziali e ha sollevato dubbi sulla transizione alle nuove norme.

Anche Meta e Microsoft hanno criticato le modifiche di Apple, definendole non conformi al DMA e dannose per la concorrenza nel mercato digitale.

Altre grandi aziende tecnologiche, tra cui appunto Epic Games e Spotify, hanno sollecitato l’intervento della Commissione europea per bloccare le modifiche proposte da Apple.

Nonostante le critiche, Apple, muovendo da altre prospettive ha piuttosto continuato a sollevare dubbi sulla sicurezza e sulla privacy associate alle modifiche, sottolineando la necessità di implementare ulteriori misure protettive.

Tanto non è passato inosservato agli occhi della Commissione europea che infatti ha già avviato le prime indagini formali contro Apple (oltre Google e “Meta Platforms” per sospette violazioni della legge sui mercati digitali) il cui focus è incentrato proprio sulla struttura tariffaria applicata al suo App Store.

Le indagini potrebbero protrarsi per un anno e, in caso di violazioni accertate, Apple e le altre aziende coinvolte potrebbero essere multate fino al 10% del loro fatturato mondiale totale.

Le violazioni ripetute potrebbero comportare multe più elevate e interventi più invasivi nella struttura aziendale.

Sembra dunque che il futuro dell’App Store di Apple sia destinato ad essere modellato dalle sfide antitrust e dai cambiamenti normativi in corso a livello globale.

 

Le vicende legali in UE, UK e Corea del Sud.

La pressione su Apple per adattarsi a un ambiente normativo sempre più complesso è destinata a intensificarsi, con conseguenze significative per lo sviluppo delle app e per gli utenti di iOS.

La denuncia del Dipartimento americano arriva infatti un mese dopo che il produttore di iPhone è già stato multato per aver violato le leggi antitrust dell’UE.

In Europa, DMA a parte, la Commissione Europea ha inflitto ad Apple una multa di 1,8 miliardi di euro per pratiche anticoncorrenziali nell’ambito dell’App Store, sostenendo come l’azienda abbia impedito ai rivali dello streaming musicale di offrire agli utenti promozioni e aggiornamenti di abbonamenti.

Una situazione analoga si è verificata nei Paesi Bassi e in Corea del Sud, dove Apple è stata multata per pratiche sleali riguardanti i pagamenti all’interno delle app.

Inoltre Apple si trova al centro di un’azione legale collettiva anche nel Regno Unito, in cui oltre 1.500 sviluppatori stanno chiedendo un risarcimento di 785 milioni di sterline, pari a 1 miliardo di dollari, per le tariffe applicate sull’App Store.

L’azione legale nel Regno Unito segue una serie di iniziative simili intraprese da governi e organizzazioni in tutto il mondo contro le politiche dell’App Store di Apple.

 La società è stata oggetto di indagini o accuse di pratiche anticoncorrenziali anche in paesi come Francia, Germania e Giappone.

Sempre nel Regno Unito, l’Autorità britannica per la concorrenza e i mercati (CMA) ha avviato un’indagine sulle condizioni dell’App Store di Apple sin da marzo 2021.

 

Il futuro di Apple.

Anche gli investitori stanno mostrando segni di preoccupazione. Mentre il settore tecnologico nel suo complesso ha visto un aumento delle valutazioni, le azioni di Apple sono invece diminuite, evidenziando la crescente incertezza sul futuro dell’azienda.

L’annuncio dell’indagine del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) nei confronti di Apple ha scatenato flessioni significative delle azioni del gigante tecnologico, che ora (24 marzo) figura tra le società a grande capitalizzazione più deboli degli Stati Uniti.

Gli esperti di Wall Street hanno suggerito che, sebbene al momento non si attendano cambiamenti immediati nel modello di business di Apple, è probabile che l’azienda debba alla fine trovare un accordo per risolvere il caso.

Si prevede che ciò possa comportare il pagamento di una multa sostanziale e la necessità di rinegoziare la struttura futura dell’App Store, con possibili ripercussioni sui ricavi dei servizi ad alto margine.

In aggiunta, le preoccupazioni riguardanti il calo delle vendite di iPhone in Cina hanno portato il CEO Tim Cook a intraprendere un viaggio nel paese per affrontare la situazione.

Almeno per ora però non è chiaro se e come Apple riuscirà a invertire la dinamica sfavorevole, nonostante la robustezza del suo core business.

Conclusione.

Le sfide di Apple non si limitano agli aspetti legali e finanziari.

 Tanto è vero che si registra una crescente pressione da parte degli investitori affinché l’azienda entri nel campo dell’intelligenza artificiale generativa, un settore che alcuni ritengono possa portare a profitti enormi.

Mentre rivali come Microsoft e Google stanno già facendo passi avanti in questo settore, Apple deve ancora proporre un prodotto concreto.

La situazione si fa dunque sempre più tesa per Apple, ma non tutto è perduto. La società continua a registrare profitti enormi, e il suo marchio rimane estremamente popolare tra i consumatori.

Il vero test per Apple sarà la sua capacità di adattarsi alle normative e rispondere efficacemente a queste sfide, mantenendo allo stesso tempo la fiducia dei suoi clienti e investitori.

Per ora, il destino dell’azienda più preziosa al mondo rimane, tra detrattori e sostenitori, piuttosto incerto.

 

 

 

 

 

Il mondialismo a luglio ha cercato

non solo di uccidere Trump,

ma anche Putin e Orban.

Lacrunadellago.net – Cesare Sacchetti – (09/08/2024) – ci dice:

 

Luglio è stato un mese molto caldo, non solo per ciò che riguarda la meteorologia – e non certo per la bufala dei cambiamenti climatici – ma soprattutto per ciò che riguarda la geopolitica.

Abbiamo visto come il presidente Trump sia stato vittima di una elaborata cospirazione che ha cercato di ucciderlo durante il suo comizio a Butler, in Pennsylvania, lo scorso 13 luglio.

Ancora oggi i media non hanno rivelato nulla di tutte quelle tracce del complotto che chiamano in causa i vertici della finanza internazionale.

Nulla è stato detto da costoro sul fatto che il giorno prima dell’attentato, il 12 luglio, un fondo di investimenti, l’”Austin Wealth Management”, molto legato alla “lobby sionista “e al colosso finanziario “BlackRock”, si riversava sui mercati per piazzare migliaia di scommesse al ribasso contro il titolo del gruppo mediatico di Trump.

Qualche attento osservatore dei mercati lo ha fatto notare.

Non si piazzano scommesse al ribasso il giorno prima i raduni di Trump, in quanto sono previsti dei rialzi del suo titolo in borsa, non dei cali, e quindi chi fa una operazione del genere in borsa, vuol dire che sa molto bene che qualcosa di estremamente negativo sta per accadere alla persona che possiede una certa società, in questo caso Donald Trump.

Non ci è stato detto nemmeno nulla sul fatto che la vetreria dal quale avrebbe sparato “Thomas Crooks”, cecchino di origini ebraiche, era di proprietà di “BlackRock “che dopo il fallito attentato si è affrettata stranamente a vendere la proprietà, quasi a voler tentare di recidere ogni legame tra quanto accaduto e il fondo di investimenti.

“BlackRock” poi salta fuori nuovamente sempre in relazione a “Crooks”, che studiava nella scuola di questo fondo, una circostanza che dovrebbe far chiaramente capire che ovunque nella cospirazione per uccidere Donald Trump si vede costante la presenza di questo conglomerato dell’economia mondiale – che sotto il suo stretto anonimato custodisce le ingentissime risorse dei Rothschild, dei Rockefeller e degli altri signori della finanza askenazita mondiale – e non certo quella dell’Iran, come sono impegnati a far credere i media Occidentali nel loro depistaggio.

A luglio però non c’è stato soltanto il complotto per uccidere Donald Trump, ma anche quello per fare fuori l’altra grande nemesi del “Nuovo Ordine Mondiale”, ovvero la Russia di Vladimir Putin.

La storia degli attentati contro Putin.

Non è la prima volta che determinati ambienti cercano di eliminare il presidente russo.

Se diamo uno sguardo alla letteratura, per così dire, degli attentati subiti da Putin dobbiamo risalire almeno all’inizio degli anni 2000, quando l’ex direttore dell’intelligence russa subì un attentato contro la sua vita mentre presenziava al funerale del politico russo,” Anatoly Sobchak”.

Non è stata quella l’unica occasione nella quale Putin ha subito un attentato. Secondo quanto riferito da lui stesso, il presidente russo sarebbe sopravvissuto almeno a 5 attentati contro la sua persona in quella che è una guerra contro di lui che procede da almeno 24-25 anni.

Questa caccia al nuovo zar della Russia si spiega con la frattura che egli ha provocato rispetto al precedente decennio degli anni’90, nei quali i veri signori del potere erano quegli oligarchi askenaziti che si sono adoperati con ogni mezzo per porre fine alla presidenza di Putin.

La Russia degli anni’90 era infatti difficilmente definibile come uno Stato sovrano, in quanto, come ha raccontato lo stesso presidente russo, all’epoca i vari ufficiali della CIA si trovavano nei posti chiave del Paese, e il presidente Eltsin, così amato dall’anglosfera e deriso nei consessi internazionali per il suo alcolismo, non era altro che l’utile idiota di quei poteri che avevano trasformato la Russia post-sovietica in una enclave governata da rapaci finanzieri senza scrupoli e dallo stato profondo di Washington.

Questa guerra per rovesciare il presidente Putin non si è mai interrotta ed è proseguita anche nelle settimane più recenti, quando sarebbe stato scoperto direttamente dal servizio segreto russo, l’FSB, un altro piano per uccidere il presidente.

Secondo quanto riferisce la TV di Stato russa, “Rossiya 1”, stavolta a concepire un piano per eliminare il capo di Stato russo sarebbero stati i famigerati servizi segreti ucraini che contavano di uccidere Putin il giorno della parata della Marina, che in Russia ricorre il 28 luglio.

A rivelare il complotto è stato un esponente del governo, quale il vice-ministro degli Esteri russo,” Sergei Ryabkov”, che ha definito come “folle” il proposito dei nazisti ucraini di voler uccidere Putin.

“Ryabkov” afferma che qualora questo piano fosse riuscito ciò avrebbe portato ad un grave deterioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, già non certo idilliaci e normalizzati soltanto da Trump, tanto da rischiare un conflitto tra i due Paesi, che altro non è che lo scenario che determinati personaggi ai vertici del potere mondialista vogliono a tutti i costi.

 

Il mondialismo e la ricerca della terza guerra mondiale.

I lettori ricorderanno che prima della sua sconfitta alle presidenziali del 2016, Hillary Clinton, scriveva su Twitter, oggi X, che qualora il presidente degli Stati Uniti avesse dato l’ordine di lanciare un attacco nucleare, la gerarchia militare chiamata in causa per eseguirlo non si sarebbe potuta tirare indietro, dal momento che il presidente è il comandante in capo e i suoi ordini non possono essere disattesi.

Il tweet di Hillary Clinton su come deve essere eseguito un attacco nucleare.

Sembrava di essere piombati nelle trame del film “Wargames,” laddove venivano affrontate le tematiche di come ridurre al minimo l’intervento umano in caso di guerra nucleare per evitare appunto rifiuti di eseguire degli ordini che avrebbero significato la fine del mondo per come lo si è conosciuto.

Hillary Clinton sembrava ossessionata da questa “esigenza”.

 Alla candidata del partito democratico interessava che i suoi ordini da futuro presidente non fossero disattesi anche se questi avrebbero significato una guerra nucleare con la Russia, poiché è questo ciò che i signori del caos vogliono e sono stati loro stessi a rivelarlo come si può leggere nella famigerata corrispondenza epistolare tra i due massoni di alto grado, “Pike” e “Mazzini”, e come si può vedere anche nel film distopico “Gaia” del fondatore del M5S, “Gianroberto Casaleggio”, che auspicava una guerra nucleare per consentire al Leviatano mondiale di vedere finalmente la luce.

A fermare questo piano cospiratorio sarebbero stati, come detto, i servizi russi ma è altrettanto interessante notare che Mosca avrebbe chiamato Washington per chiedere assistenza nello sventare questa manovra eversiva che avrebbe precipitato il mondo nel caos globale.

Secondo quanto riferisce lo stesso “Ryabkov”, ci sarebbe stata infatti una conversazione telefonica tra le due parti lo scorso 12 luglio, e la tempistica è molto interessante perché questo scambio precede di due giorni il tentato omicidio contro Donald Trump.

A chiamare il governo americano sarebbe stato il ministro della Difesa, “Andrei Belousov”, che avrebbe chiesto al suo omologo, il segretario alla Difesa “Lloyd Austin”, di fermare il tentativo di omicidio studiato dai servizi ucraini contro il presidente Putin.

Il governo americano, da parte sua, ha negato qualsiasi coinvolgimento in questa cospirazione ed è ragionevole pensare che i russi non avevano neanche bisogno in realtà di chiamare in causa Washington per sventare il piano, visto che erano molto bene informati sulle manovre dei nazisti ucraini.

“Ryabkov” non ha detto di più sul contenuto della conversazione tra “Belousov” e “Lloyd Austin”, ma è ragionevole pensare che Mosca più che chiedere un eventuale aiuto agli Stati Uniti, volesse chiedere conto di un loro possibile coinvolgimento nella cospirazione oppure che i russi volessero far sapere al governo americano che era stato orchestrato un piano per uccidere Putin.

Non va dimenticato che ancora ad oggi è un rebus irrisolto quello su chi sono i veri governanti della Casa Bianca, se si considera che “Joe Biden” non è chiaramente in grado di intendere e di volere, e, in aggiunta a questo, se si prende anche in esame il fatto che il corso della politica estera di Washington non si è spostato rispetto a Trump come avrebbe dovuto fare sulla carta.

I russi sono probabilmente molto meglio informati su chi è veramente in controllo della Casa Bianca e forse hanno voluto fargli sapere che c’era questo piano per avvertirli delle manovre destabilizzanti che determinati personaggi erano pronti a mettere in atto.

 

A nostro avviso per ciò che riguarda il ruolo degli ucraini occorre chiamare in causa altri poteri.

Appare impossibile pensare che da solo il servizio segreto ucraino potesse organizzare ed eseguire un simile colpo senza l’assistenza di qualche potenza straniera dotata di una struttura di intelligence molto più organizzata e con mezzi finanziari e militari di gran lunga superiori a quelli di una Ucraina ormai ridotta allo sbando.

L’identikit di questa potenza potrebbe essere a tutti gli effetti quello della Gran Bretagna, dal momento che gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo molto più defilato nel sostegno agli ucraini, mentre Londra è stata in prima linea nel fornire assistenza a Kiev e nella esecuzione di tutta una serie di gravissime provocazioni contro Mosca.

L’Ucraina di Zelensky è poi strettamente legata anch’essa al citato “fondo di investimenti BlackRock”, al quale il presidente ucraino ha gentilmente svenduto una intera porzione di territorio ucraino sul quale il fondo di investimenti conta poi di poter fare i suoi affari, anche se questa eventualità sembra allontanarsi sempre di più poiché il futuro di Zelensky e dell’Ucraina stessa è tutt’altro che chiaro, ma piuttosto molto nebuloso.

Se guardiamo poi con attenzione ai bersagli di questi attentati vediamo che erano rivolti contro quelli che sono i due principali oppositori del mondialismo, e contro coloro che rappresentano gli ostacoli più grandi per la nascita di una governance mondiale.

 

L’alleanza tra Trump e Putin ha mandato a monte il piano di Davos.

Questa alleanza tra Stati Uniti e Mosca da tempo tormenta non poco Davos e la finanza dei Rothschild, poiché se le prime due potenze mondiali siglano un’alleanza per il reciproco rispetto della sovranità nazionale e si oppongono all’idea di un governo unico globale, quest’ultimo proposito è destinato a restare una chimera.

La vera e propria campagna di menzogne inaugurata nel 2016 attraverso la bufala del “Russia gate” serviva proprio allo scopo di minare o azzoppare i propositi di Trump di stabilire dei rapporti più stretti con il Cremlino, uno scenario che era ed è considerato una nemesi da Hillary Clinton e tutti i poteri del globalismo che sostenevano la sua campagna.

 

Soltanto la “defezione” americana difatti era più che sufficiente a mandare a monte l’idea del governo mondiale, come era ben conscio uno dei membri di tale piano, Henry Kissinger, e se agli Stati Uniti si aggiungono Russia e Cina, tale proposito diventa chiaramente impossibile.

L’opposizione di Stati Uniti, Russia e Cina evoca quanto disse “Q”, che si ritiene essere un gruppo di intelligence militare vicino a Trump, il quale scrisse che Trump, Putin e Xi Jinping erano in opposizione al “Nuovo Ordine Mondiale”.

I Rockefeller e le altre famiglie della finanza newyorchese, da par loro, stavano da tempo lavorando ad una “tempesta perfetta”, ovvero una crisi globale artificiale di massime proporzioni dal quale sarebbe poi dovuto scaturire il tanto agognato supergoverno mondiale.

La simulazione pubblicata proprio dalla fondazione Rockefeller e dal titolo “Operazione Lockstep” sembrava aver scelto lo scenario “pandemico” come la strada maestra da intraprendere per precipitare il mondo in uno stato di generale repressione autoritaria.

Le nazioni sarebbero state sostituite da dei conglomerati regionali molto simili a quelli concepiti dal conte Kalergi e da Winston Churchill che già a Copenaghen nel 1950 chiedeva la formazione di un governo mondiale.

Era tutto pronto.

E’ questo in realtà un piano molto antico che risale ai tempi del secolo dei Lumi, quando “Adam Weishaupt”, nei suoi scritti, rivelava che la sua setta, gli “Illuminati di Baviera” fondati nel 1776, non aveva altra aspirazione che quella di cancellare la precedente civiltà cristiana e di annullare i confini delle nazioni per lasciare il posto al dominio della massoneria e della sua repubblica universale.

I cospiratori però non hanno fatto i conti con quei politici che hanno detto no a questo infernale cospirazione per ridurre in schiavitù il mondo intero.

La farsa pandemica aveva tutte le caratteristiche ideali per la crisi perfetta, quella che consentisse di abbattere definitivamente quello che restava della precedente civiltà e spianare la strada ad una tirannia globale nella quale il credo luciferiano sarebbe stato praticato apertamente.

Teosofi come “David Spengler” sono stati molto espliciti al riguardo. Nessuno potrà entrare nel Nuovo Ordine Mondiale senza aver primo avuto una iniziazione luciferiana, e il vaccino, e il suo contenuto, in questo senso è sembrato essere una sorta di anticipazione del futuro marchio della Bestia ancora, per fortuna, molto lontano da venire.

La crisi artificiale però non ha partorito il risultato sperato.

 La farsa si è a poco a poco spenta e la distanza tra i popoli, ormai tramortiti e disillusi dalla democrazia liberale, e le classi dirigenti fedeli a Davos, al Bilderberg e alle massonerie si è fatta sempre più profonda.

Sono ormai davvero in pochi ancora a credere alle bugie di questi signori.

 A luglio quindi i signori del caos sembrano essersi giocati il tutto per tutto.

Hanno messo in atto un doppio piano.

Hanno prima provato ad uccidere il presidente Trump, vivo per una circostanza che appare un miracolo divino, e poi hanno concepito un altro omicidio, quello del presidente Putin.

Non solo sono stati sventati due questi tentativi ai danni di Trump e Putin, ma persino un terzo concepito ai danni del primo ministro ungherese Orban contro il quale si preparava un attentato esplosivo contro la sua auto il 5 luglio, il giorno nel quale si recava all’aeroporto per volare a Mosca.

 

Il premier magiaro è da tempo sulla lista nera dell’Unione europea, tanto che non poche volte sono arrivate velate minacce da Bruxelles verso Budapest, soprattutto dopo che Orban ha dato vita ad una serie di iniziative diplomatiche dopo la nomina dell’Ungheria a presidente di turno del Consiglio UE, tutte volte a stabilire dei rapporti più stretti con il Cremlino.

A Bruxelles sono anni che il primo ministro magiaro è finito sulla lista nera di George Soros che ha più volte cercato, senza fortuna, di scatenare anche in Ungheria le sue rivoluzioni colorate, vero e proprio marchio di fabbrica del principe della sovversione internazionale, legato alla sempre presente famiglia Rothschild.

A luglio le forze infernali che vogliono trascinare il mondo verso il caos generalizzato si sono letteralmente scatenate.

La bestia ferita del globalismo è ben consapevole che la sua fine è vicina e il mese passato si è giocata il tutto per tutto, tanto da mostrare al mondo intero, ancora una volta, qual è la vera natura di questa battaglia e qual è la vera natura di coloro che vogliono a tutti i costi edificare il loro totalitarismo mondiale.

Il Nuovo Ordine Mondiale ha provato a togliere di scena coloro che hanno mandato a monte il Grande Reset e ha fallito miseramente.

Il meccanismo che si è messo in moto dopo il 2021 appare irreversibile. Non appare esserci scampo per invertire la crisi del mondialismo.

Non appare esserci scampo per i nemici di Dio e dell’umanità intera.

 

EU: Arriva la Tessera Vaccinale!

Conoscenzealconfine.it – (9 Agosto 2024) - Massimo Mazzucco – ci dice:

 

A partire dal prossimo settembre cinque nazioni europee – Belgio, Germania, Grecia, Lettonia e Portogallo – sperimenteranno la nuova Tessera Vaccinale Europea (EVC).

Tale certificato verrà sperimentato in diversi formati, dalla tessera vera e propria (tipo carta di credito) fino al formato digitale, da caricare direttamente nella smart phone.

Secondo “Vaccines Today” la nuova Tessera Vaccinale “mira a dare potere alle persone, consolidando tutti i loro dati vaccinali in un’unica posizione facilmente accessibile”, mentre il programma sperimentale “mira ad aprire la strada ad altri paesi, armonizzando la terminologia vaccinale, sviluppando una sintassi comune, garantendo adattabilità in diversi contesti sanitari e perfezionando i piani di implementazione dell’EVC”.

 

Se tutto andrà bene… “nel 2026 il sistema EVC sarà esteso oltre la fase pilota, consentendo un’ampia adozione in tutti gli Stati membri dell’UE”.

Il sito” Children’s Health Defense” di “Robert Kennedy Jr.” ha raccolto i commenti di diversi medici ed esperti del settore sulla tessera vaccinale europea:

il dott. “David Bel”l, medico della sanità pubblica, consulente biotech ed ex direttore di “Global Health Technologies”, ha affermato:

 “La proposta di tessera vaccinale riflette un crescente sforzo di utilizzare gli strumenti della sanità pubblica come mezzo per concentrare la ricchezza e fornire un mezzo per controllare le popolazioni.

Ricorda molto gli approcci in alcune parti d’Europa prima della seconda guerra mondiale, e serve essenzialmente ad uno scopo simile:

escludere dalla società gli individui che non vogliono obbedire alle istruzioni del governo.

 La sperimentazione in Europa è il naturale passo successivo, che aumenta notevolmente la probabilità di lockdown ricorrenti per consentire la vaccinazione obbligatoria di massa, e quindi per aumentare i profitti sui vaccini”.

Anche l’avvocato olandese “Meike Terhorst” ha criticato il programma pilota, definendo il passaporto vaccinale digitale “una minaccia diretta alla nostra libertà e anche alla sovranità di qualsiasi stato. Tutti i nostri poteri sono affidati ai globalisti, al gruppo di banchieri e investitori”.

 

“Catherine Austin Fitts”, fondatrice ed editrice del” Solari Report” ed ex vice-ministro USA per l’edilizia e lo sviluppo urbano, ha affermato:

“L’obiettivo è il controllo finanziario. Non esiste uno scopo legittimo di salute pubblica. I banchieri centrali si nascondono dietro una narrazione sanitaria: politiche come il lockdown sono un modo per gestire l’inflazione e la domanda di risorse quando la politica monetaria è altamente inflazionistica”.

 

Gli esperti hanno anche collegato l’implementazione dell’EVC agli avvertimenti del governo e dei funzionari sanitari sulla “prossima pandemia”, potenzialmente causata dall’influenza aviaria o da una “Malattia X” ancora sconosciuta.

Secondo Fitts “è in atto una strategia per prepararsi a una pandemia di influenza aviaria.

I vaccini contro l’influenza aviaria sono già stati spediti in Europa.

 Una tessera vaccinale può essere utilizzata per cercare di fare pressione o costringere le persone a fare un’altra iniezione non necessaria”.

Il giornalista scientifico e autore francese “Xavier Bazin” ha detto:

“Per il momento, una tessera vaccinale in Europa ha lo scopo di garantire che la maggior parte dei bambini riceva la vaccinazione”.

Tuttavia, egli crede che il passo successivo sia cercare di rendere obbligatorio il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (MMR) in tutta Europa.

 “Anche se non dovessero avere successo con l’”MMR”, questo tipo di tessera sarà perfetta quando arriverà la prossima ‘pandemia’ e vorranno rendere obbligatorio un vaccino di emergenza, come hanno fatto con il COVID “, ha affermato Bazin.

 

Sempre” David Bell” ha affermato:

“L’OMS e altre agenzie hanno il chiaro intento di collegare la conformità ai dettami sanitari centralizzati con la possibilità delle persone di svolgere la loro vita quotidiana.”

“Meike Terhorst” ha concluso:

“Il passaporto vaccinale digitale è un mezzo tecnico per violare le libertà personali, come il diritto di dire di no a una vaccinazione. È un mezzo per trasformare esseri umani liberi in schiavi. Questo passaporto vaccinale digitale è stato pianificato molti anni in anticipo dai globalisti”.

 

Ma l’Europa della “Von der Leyen” se ne frega di queste opinioni.

 Loro – i burattini ben pagati delle case farmaceutiche – vanno avanti come schiacciasassi lungo il loro percorso, stabilito e progettato già molti anni fa.

Solo una presa di coscienza collettiva e una robusta ribellione da parte della popolazione europea, potranno fermare la nostra caduta verso la definitiva schiavitù.

(Massimo Mazzucco).

(luogocomune.net/medicina-salute/eu-arriva-la-tessera-vaccinale).

Perché “BlackRock” vuole mettere le mani sul Venezuela.

Lacrunadellago.net - Cesare Sacchetti – (02/08/2024) – ci dice:

 

Siamo alle solite. Ogni qualvolta ci sono le elezioni in Venezuela, assistiamo alla solita isteria dei media mainstream che accendono la macchina del falso e puntualmente parlano di “frode elettorale”.

Non importa molto ai loro occhi se di prove di questa “frode” non ce ne siano e non ne siano state nemmeno mostrate dalla opposizione venezuelana guidata da un personaggio come “Maria Corina Machado”, sulla quale diremo meglio più avanti.

Ai media interesse promuovere una certa narrazione, ed è quella che il Venezuela da 24 anni a questa parte sia diventato una sorta di feroce “dittatura” soltanto perché in questo Paese da quasi un quarto di secolo non c’è un governo che compiace le istanze della cosiddetta anglosfera.

Ora se ci soffermiamo un attimo a guardare i fatti e prendere in esame il sistema venezuelano, vediamo che esso è molto più serio e rigoroso di quello che c’è, ad esempio, in diversi Paesi europei o negli Stati Uniti e le frodi sono alquanto complesse a causa di un controllo incrociato tra voto cartaceo e voto elettronico e suggeriamo di dare uno sguardo alla ottima spiegazione del voto in Venezuela fatta dall’agenzia di stampa “BreakThrough News”.

L’analisi del voto in Venezuela è stata fatta dall’agenzia “Break Trogu.”

Vogliamo ricordare qui, a titolo di esempio, che negli Stati Uniti sono andati a votare diversi immigrati irregolari oppure che hanno votato anche i morti nel 2020 attraverso la famigerata frode ai danni di Trump, ma qui ovviamente per i media Occidentali di frode non c’era l’ombra, nonostante le prove della truffa fossero evidenti e visibili a tutti.

Vogliamo anche ricordare quanto accaduto alle elezioni europee in Italia, nelle quali in diversi casi nei verbali c’erano delle firme di elettori che non erano ancora andati al seggio e non erano ancora andati a votare, e sarebbe alquanto interessante sapere chi sono quelle mani “fantasma” che hanno votato al posto dei loro legittimi proprietari.

 

In Venezuela questo non è accaduto e il voto è stato, fino a prova contraria, regolare e sancito anche da diversi osservatori internazionali che di certo non possono considerarsi amici di questo Paese.

Potremmo metterla in questi termini.

 Le elezioni degli “amici” sono sempre regolari, mentre quelle dei nemici sono sempre una “frode”, a dimostrazione dell’ipocrita doppio standard che governa le sempre più corrotte democrazie Occidentali.

A dare il via al fiume di menzogne anche in questa occasione è stato il “Washington Post” che ha proposto un suo “exit poll” nel quale affermava che l’opposizione in Venezuela avrebbe vinto con il 65% di voti, peccato però che non c’è traccia di questo 65% nei voti reali e a questo punto appare chiaro che i sondaggi dei vari istituti Occidentali sono come i numeri al lotto.

 

Ne puoi dare quanti ne vuoi, ma essi non esistono nella realtà.

Una volta compreso che in Venezuela non c’è stata frode e che le elezioni sono state regolari sarebbe il caso di soffermarsi ora sulla storia recente di questo Paese e sul perché ci sia una feroce battaglia su di esso da 25 anni a questa parte.

Il Venezuela: da colonia dell’anglosfera a Chavez.

Il Venezuela fino alla fine degli anni 90 era sostanzialmente una periferia dell’anglosfera in America Latina.

Washington ha sempre messo in atto la dottrina Monroe per quello che riguarda l’intero continente americano, e tale dottrina si è tramutata semplicemente nel dominio dell’impero americano per tutto il Sudamerica.

Il Sudamerica è una zona di mondo che pullula di risorse naturali.

 Ci sono oro, petrolio, rame, zinco e altri metalli che sono strategici per la produzione di molti materiali e fanno gola alle potenti corporation angloamericane che vogliono avere il controllo di quelle risorse per dominare i mercati.

Un esempio dello scontro di interessi tra i Paesi dell’America Latina e il potere economico dell’anglosfera è quello al quale si assistette ai tempi della presidenza di Salvador Allende in Cile.

Il Cile è un Paese nel quale ci sono ricchissime miniere di rame e queste, come noto, rappresentano una risorsa strategica per la distribuzione dell’energia elettrica, in quanto i cavi usati per portare la corrente sono in rame, uno dei conduttori migliori e meno costosi tra le materie prime più pregiate.

In Cile, la compagnia che controllava la produzione nazionale di rame era la celebre “Anaconda”, e se guardiamo un po’ alla storia di questa società, vediamo che i nomi che la controllavano erano quelli delle onnipresenti famiglie della finanza askenazita, quali i Rothschild e i Rockefeller.

L’ascesa al potere di Allende dopo le elezioni del 1970 rappresenta un problema poiché il nuovo presidente decide di nazionalizzare le risorse di rame che passano sotto il controllo dello Stato.

Henry Kissinger decide così di risolvere il “problema” dei Rockefeller attraverso l’organizzazione di un colpo di Stato che depone Allende nel 1973 e mette al suo posto Pinochet, l’uomo “benedetto” da Washington e dall’anglosfera.

Quello che si è verificato in Cile è il conflitto che ha influenzato tutto il secolo scorso, ovvero quello tra gli Stati nazionali sempre più depotenziati progressivamente della loro sovranità dopo la fine della seconda guerra mondiale, e i vari potentati della finanza di New York e Londra, che sono stati, purtroppo, i veri detentori del potere nel secolo scorso.

Il processo al quale si assiste in Venezuela non è molto dissimile da quello che si è verificato in Cile.

 

Hugo Chavez e le nazionalizzazioni del Venezuela.

Nel 1998 sale al potere un uomo che non è stato scelto in anticipo dai poteri dell’anglosfera e che decide di restituire le risorse petrolifere nazionali al Paese e al suo popolo.

Quell’uomo è l’ex ufficiale dell’esercito Hugo Chávez che si guadagna un trionfo elettorale in quell’anno tale da aggiudicarsi il 58% delle preferenze.

Chávez segue il percorso seguito e tracciato da Allende già nel 1971.

Il presidente venezuelano attua una serie di nazionalizzazioni sotto la sua presidenza, che finirà soltanto con la sua precoce morte nel 2013, e che manda su tutte le furie quelli che erano i veri padroni del Paese fino al 1997.

Se si dà uno sguardo alle industrie nazionalizzate dallo statista venezuelano si vede che gli attori che hanno pagato lo scotto delle sue politiche economiche sono, ad esempio, la francese Total e le americane Exxon e ConocoPhillips, alle quali Chavez tolse i diritti di sfruttamento di progetti petroliferi nella regione dell’Orinoco nel 2007.

La consultazione dell’azionariato di queste corporation ci aiuta a comprendere quali interessi stava toccando il leader venezuelano.

La Exxon e la ConocoPhillips sono di proprietà degli ormai “leggendari” fondi di investimento BlackRock e Vanguard nei quali ci siamo imbattuti in svariate occasioni, poiché questi due fondi detengono il controllo dell’economia mondiale.

 

Chavez conduce una battaglia per la sovranità del suo Paese e tale battaglia non può non passare dalla riconquista delle risorse nazionali.

A Washington non sono affatto contenti del nuovo corso politico intrapreso dal Paese, e nel 2002, la” lobby sionista neocon” tenta di rovesciare il presidente in un golpe diretto dal famigerato “John Bolton,” politico americano di origini ebraiche, membro della amministrazione Bush, nonché architetto della guerra all’Iraq nel 2003, e vicinissimo alla potente “lobby filo-israeliana dell’AIPAC “che esercita un fortissimo ruolo di controllo sul Congresso americano.

(White House national security adviser Bolton arrives to speak about the political unrest in Venezuela, outside the White House in Washington.)

(John Bolton)

 

Ora se alcuni lettori pensano di poter derubricare il presidente venezuelano nella categoria dei marxisti o dei comunisti, ci dispiace informarli che sono in errore a meno che questi non siano così superficiali come alcuni commentatori angloamericani che non appena sentono parlare di nazionalizzazioni gridano immediatamente al “comunismo”.

L’economia del Venezuela ha seguito un modello di economia mista dal 1998 in poi e, sotto molti aspetti, Chavez non ha fatto altro che ispirarsi al percorso seguito dall’Italia dagli anni’30 in avanti quando fu costituito l’IRI ai tempi del fascismo, e che fu poi anche il pilastro della riscossa della rinascita economica italiana nel dopoguerra.

La proprietà privata dei piccoli e medi imprenditori venezuelani non fu mai messa in discussione e anche per ciò che riguarda la filosofia morale del chavismo si può affermare che in esso c’è ben poco di comunista o marxista.

Non c’è stata traccia della secolarizzazione che i regimi comunisti hanno portato in altre parti del mondo dal momento che lo stesso Chávez affermava che non bisognava ispirarsi al leninismo e al trotzkismo ma piuttosto ai valori della fede cristiana.

Se proprio si volesse cercare di iscrivere il chavismo in una corrente politica, a nostro parere questo è molto più vicino alla impostazione del socialismo nazionale e invece molto lontano dal territorio del marxismo.

 

 

Chavez ha così spiegato come il suo partito debba ispirarsi ai valori cristiani.

E questa impostazione sovranista del chavismo è rimasta immutata anche sotto il mandato di Maduro, a differenza di quello che vorrebbe fare invece l’attuale leader dell’opposizione della quale si accennava in precedenza, Maria Corina Machado, che ha un’agenda politica che potrebbe definirsi come una sintesi politica delle istanze liberali e marxiste.

La Machado vorrebbe infatti interrompere e rovesciare il percorso economico seguito dal Venezuela per riconsegnare le industrie petrolifere, quelle dell’energia elettrica e delle telecomunicazioni ai soliti fondi di BlackRock e Vanguard, e ciò significherebbe semplicemente che il Paese tornerebbe ad essere di proprietà dei Rothschild e dei Rockefeller.

Il Venezuela sotto l’opposizione verrebbe sottoposto ad una brutale ondata di privatizzazioni e le risorse strategiche del Paese passerebbero dalle mani dello Stato a quelle dei potentati stranieri che tornerebbero ad essere i dominus indiscussi del Paese.

La leader della opposizione venezuelana ha in mente anche quella che potrebbe essere definita una destrutturazione morale delle radici cristiane del Paese attraverso una vera e propria secolarizzazione del Venezuela.

La Machado propone infatti la legalizzazione dell’aborto, la distribuzione della cannabis, i matrimoni gay, e, come se già non fosse abbastanza, l’eutanasia.

Appare evidente che questa cosiddetta destra liberale venezuelana non è molto distante da una versione venezuelana del partito radicale italiano in quanto questi punti sono presi direttamente dall’agenda di quella famiglia di partiti liberali e progressisti che hanno trasformato diversi Paesi, ad esempio l’Olanda, in fetidi pozzi di corruzione morale senza più traccia alcuna delle precedenti radici cristiane.

 

La Machado ha chiaramente un solo scopo.

Quello di trasformare il Venezuela in una nuova colonia nelle mani dei signori dell’anglosfera e questo spiega anche come la politica venezuelana sia da tempo in stretto contatto con gli esponenti del mondo neocon americano, tanto che l’ex presidente Bush la ricevette alla Casa Bianca già nel 2005.

 

Infatti George Bush riceve Maria Corina Machado alla Casa Bianca nel maggio del 2005.

Voler quindi provare a definire il Venezuela come “comunista” o la leader della destra liberal-marxista come una “paladina della libertà” non sarebbe altro che un grave errore di analisi che finirebbe per ingannare il lettore e portarlo a sostenere paradossalmente gli interessi dell’alta finanza in Venezuela.

La battaglia per il Venezuela è quella che ogni Paese che una leadership non sottomessa ai voleri di BlackRock e Vanguard dovrebbe combattere.

Negli anni passati probabilmente molti lettori ricordano che questo Paese ha attraversato una dura crisi economica, e ovviamente se si sfogliano le pagine dei quotidiani Occidentali, si vedrà che ciò è stato il risultato delle sue presunte politiche marxiste, mai esistite in realtà, quando invece quanto accadeva in Venezuela era il diretto risultato di una feroce guerra economica che non si è mai interrotta da quando Chavez divenne presidente nel 1998.

È la guerra per conquistare questo Paese e farlo tornare parte del cortile dell’anglosfera sempre più piccolo e sempre più in crisi.

Il presidente Maduro ha fatto una riflessione molto intelligente in questi giorni quando si è soffermato a commentare i tentativi di rovesciare il suo governo tramite l’ennesima rivoluzione colorata.

Maduro ha affermato che coloro che stanno cercando di mettere fine alla sua presidenza sono gli stessi poteri che hanno cercato di uccidere Trump e che hanno ucciso JFK.

Il filo che lega questa sovversione internazionale è sempre quello della finanza askenazita e dei suoi signori quali i citati Rothschild, Rockefeller, DuPont e Morgan.

Sono loro che vogliono instaurare un governo fantoccio in Venezuela. Sono loro che da più di un secolo soffocano la libertà dei popoli e la sovranità delle nazioni.

 

 

 

 

Come mai le Leggi sull’uso dell’ AI, in caso di guerra, sono

diverse tra USA e UE?

Lapekoranera.it – (07/08/2024” -Manlio Lo Presti - Glauco Benigni – ci dicono:

 

(google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.bbc.co.uk%2Fnews%2Fbusiness-41035201&psig=AOvVaw2sYx1NI9bRE0X1hvrX2fHN&ust=1723107237759000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBEQjRxqFwoTCKCP3-fA4ocDFQAAAAAdAAAAABAJ)

 

Risponde ChatGPT.

 

Agli inizi di agosto ’24 è entrata in vigore la Legge Europea sull’AI (Intelligenza Artificiale), ma la maggior parte delle norme si applicherà a far data dal 2.8.2026.

 Nel frattempo la Commissione sta promuovendo il Patto IA che sollecita l’impegno volontario, per i Soggetti coinvolti nelle attività, ad anticipare l’attuazione della Legge prima della sua entrata in vigore legale.

 Una sorta di autoregolamentazione.

 

È questa una strada diversa da quella adottata dagli Stati Uniti, i quali hanno promulgato il 30 ottobre 2023 un’Ordinanza Presidenziale, a firma Joe Biden;

 ed è diversa anche dal percorso della Cina, che sin dal 2017 ha cominciato a pubblicare linee guida dette “Piano di Sviluppo “AI” per le Future Generazioni”.

Il presidente russo Vladimir Putin, invece, nel novembre 2023 ha annunciato l’intenzione di approvare una strategia nazionale per lo sviluppo dell’IA, essenziale secondo il leader del Cremlino per evitare il “monopolio occidentale”.

Quindi la Legge russa non c’è ancora e secondo alcuni osservatori il motivo potrebbe essere una “certa dipendenza” dalla visione di Pechino.

In tutto il mondo le Nazioni che hanno formulato norme, regolamenti, leggi e/o linee guida sono già una settantina. In questa grande scena – che comunque è ben lungi da configurarsi quale scena di riferimento globale condivisa – un aspetto di enorme rilevanza è quello che riguarda le norme sull’uso dell’AI riferite a armi e attività militari.

Purtroppo, è questo un aspetto che è sempre più tragicamente presente ma resta nel cono d’ombra dell’informazione.

Cerchiamo di saperne di più.

E scopriamo che:

mentre in USA le norme esistono e sono ben strutturate, nell’AI Act dell’Unione Europea, non sono previste norme specifiche che regolano le attività militari.

Sorpresa!?

Sembrerebbe di no! Abbiamo chiesto il Perché di tale “diversità” a CHATGPT che ci ha risposto così:

1) L’Unione Europea ha competenze limitate in materia di difesa e sicurezza nazionale.

Queste aree rientrano principalmente nella sovranità degli Stati membri. La politica di difesa è una prerogativa nazionale e regolamentare l’uso dell’IA in ambito militare potrebbe superare le competenze attuali dell’UE.

2) Le attività militari sono strettamente legate alla sicurezza nazionale e spesso richiedono un alto livello di segretezza.

 Regolamentare l’IA militare a livello dell’UE potrebbe complicare la gestione delle informazioni sensibili e delle strategie di difesa degli Stati membri.

3) Molti Stati membri dell’UE hanno già le proprie normative e linee guida riguardanti l’uso dell’IA in ambito militare.

Queste regolamentazioni possono variare significativamente in base alle specifiche esigenze e strategie di difesa di ciascun paese.

4) Le questioni militari e l’uso dell’IA in ambito militare sono spesso affrontate attraverso trattati e accordi internazionali.

 Ad esempio, esistono discussioni globali sull’uso di armi autonome letali (LAWS) nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite su certe armi convenzionali (CCW).

Queste piattaforme sono considerate più appropriate per trattare tali questioni rispetto a una normativa interna dell’UE.

5) L’AI Act si concentra principalmente sull’uso dell’IA in contesti civili e commerciali, mirando a bilanciare l’innovazione con la sicurezza dei cittadini. Inclusi in questa regolamentazione sono settori come la salute, la finanza e i trasporti.

L’inclusione delle attività militari avrebbe richiesto un’analisi e una regolamentazione molto diverse, rendendo il processo normativo più complesso e disomogeneo.

6) L’uso dell’IA in ambito militare solleva complesse questioni etiche e morali, come l’uso di armi autonome.

Queste questioni richiedono un dibattito etico approfondito e un approccio normativo specifico, spesso meglio trattato in contesti internazionali dedicati.

 

Conclusioni:

“L’esclusione delle attività militari dall’”AI Act” riflette la complessità e la sensibilità del settore della difesa.

 Le attività militari richiedono un approccio diverso, probabilmente più adatto a livello nazionale o attraverso trattati internazionali specifici, piuttosto che essere incluse in una normativa ampia e generale sull’IA come l’”AI Act” dell’UE”.

( N.d.R … probabilmente anche la sede NATO è considerata più appropriata per affrontare questi temi.)

Bene … questo è il “punto di vista” di CHATGPT.

 

 Resta però non affrontata una questione fondamentale, ovvero:

come è stato trattato il tema in generale da quelle Nazioni che hanno voluto esprimere norme al riguardo.

Anche in questo caso abbiamo posto la questione a CHATGPT che ci ha risposto così:

 

“Il problema centrale nei regolamenti sull’IA che affrontano le questioni militari e di guerra riguarda principalmente l’equilibrio tra l’innovazione tecnologica e le implicazioni etiche e di sicurezza.

Ecco alcuni degli aspetti chiave:

1. Autonomia delle Armi e Decisioni Letali.

Uno dei temi più dibattuti è l’uso delle armi autonome letali (LAWS) (n.d.r killer robots , munizioni vaganti  e altri ordigni che possono colpire obiettivi senza l’intervento umano).

Queste armi possono prendere decisioni di vita o di morte.

 Le preoccupazioni principali includono:

Controllo Umano:

La necessità di garantire che ci sia sempre un controllo umano significativo nelle decisioni letali, per evitare scenari in cui macchine prendano decisioni etiche complesse senza supervisione umana.

Responsabilità:

 Difficoltà nel determinare chi è responsabile in caso di malfunzionamento o uso improprio delle armi autonome. Questa ambiguità potrebbe complicare l’attribuzione della responsabilità legale e morale.

 

2. Rispetto del Diritto Internazionale Umanitario (DIU)

Le tecnologie di IA devono essere conformi al diritto internazionale umanitario, che regola la condotta della guerra e protegge i civili e i combattenti che non partecipano più alle ostilità.

Le sfide includono:

– Distinzione e Proporzionalità:

Assicurare che i sistemi di IA possano distinguere tra combattenti e civili e che qualsiasi attacco sia proporzionato rispetto all’obiettivo militare legittimo.

Riduzione del Danno Collaterale:

Minimizzare il rischio di danni collaterali e vittime civili, che richiede sofisticati algoritmi di riconoscimento e analisi in tempo reale.

3. Sicurezza e Cybersecurity.

L’uso di IA in ambito militare introduce rischi significativi legati alla cybersecurity:

– Hacking e Manipolazione:

 I sistemi di IA possono essere vulnerabili a hacking e manipolazioni, che potrebbero portare a conseguenze disastrose se utilizzati in operazioni militari.

Difesa contro Attacchi Cibernetici:

Necessità di sviluppare misure di difesa robusta per proteggere i sistemi di IA da attacchi cibernetici che potrebbero compromettere la sicurezza nazionale.

4. Trasparenza e Supervisione

La trasparenza e la supervisione sono cruciali per garantire che l’uso dell’IA in ambito militare sia etico e legittimo:

Supervisione Internazionale:

Creazione di meccanismi di supervisione internazionale per monitorare l’uso delle tecnologie di IA militari e assicurare la conformità con le leggi internazionali.

Trasparenza Operativa:

Implementazione di requisiti di trasparenza per garantire che le operazioni militari condotte con IA siano documentate e sottoposte a revisione pubblica e legale.

5. Etica e Norme Internazionali.

L’adozione di norme e principi etici internazionali è essenziale per guidare lo sviluppo e l’uso dell’IA in ambito militare:

– Standard Etici:

Sviluppo di standard etici comuni per l’uso dell’IA nelle operazioni militari, che includano il rispetto dei diritti umani e la dignità umana.

– Cooperazione Internazionale:

Promozione della cooperazione internazionale per affrontare le sfide etiche e normare l’uso dell’IA in guerra, attraverso trattati e accordi multilaterali.

 

Questi problemi evidenziano la necessità di un quadro normativo globale che possa bilanciare l’innovazione tecnologica con imperativi etici e di sicurezza, garantendo che l’uso dell’IA in ambito militare sia responsabile e conforme ai principi umanitari.

Sono belle parole, senza dubbio:

 controllo e responsabilità umane; riconoscimento diversificato a distanza tra civili e combattenti; limitazione di danni collaterali; protezione da attacchi di hackers; supervisione internazionale e conformità ai trattati; operazioni documentate e sottoposte a revisione pubblica; standard etici comuni; rispetto diritti umani e dignità; cooperazione e accordi multilaterali!

Tutti argomenti da Consiglio di Sicurezza dell’ONU o da G20, visioni del nemico (quasi) poetiche, che però non compaiono all’Ordine del Giorno di quelle spettabili Istituzioni mondiali.

E del resto perché aspettarcelo visti i tempi?

Resta il fatto che purtroppo le guerre appaiono sempre più prossime e vicine e che l’AI è già abbondantemente utilizzata per scopi bellici e i morti muoiono in deroga o, peggio, in assenza, di ogni auspicabile quadro normativo globale condiviso dalle parti belligeranti.

 

 

 

L’arte dello spionaggio e la

presunta potenza della robotica

 

Lapekoranera.it - Manlio Lo Presti – (4-8-2024) – ci dice:

 

Il Prof. Caligiuri ha pubblicato il 3 agosto 2024 sul periodico “Il Riformista” un articolo sulle spie che non appartengono al passato. I temi trattati dal coltissimo esperto di intelligence suscitano alcune riflessioni.

(Pagina 2 de IL RIFORMISTA del 3 agosto 2024.)

In ogni epoca storica, fino al tempo presente, disporre delle giuste informazioni ha consentito di prendere decisioni più mirate ed efficaci. Tuttavia, non è opportuno oggi sopravvalutare gli strumenti tecnologici a disposizione.

Significherebbe confermare ancora una volta l’intuizione di “Marshall McLuhan” che, con mirabile sintesi, affermò che “Il medium è il messaggio”.

Cioè, la tendenza a trasformare lo strumento da mezzo a fine.

Un esempio?

Si vive per la macchina, si accumula compulsivamente denaro, ecc.

 

Non si finisce di ripetere che dietro a qualsiasi dispositivo fra gli uomini antichi e oggi fra i moderni ci sono sempre gli umani che gestiscono e decidono i contenuti e gli obiettivi.

In questo caso, aggiungere contenuti alla cosiddetta intelligenza artificiale.

Il fattore umano continua ad essere il fattore determinante di successo di qualsiasi operazione di informazione sia pure con l’appoggio di strumentazioni tecniche.

 Oggi, sembra fari strada, pericolosamente, la tendenza a magnificare gli strumenti rispetto all’azione umana (humint) a causa del crescente feticismo e dell’eccessivo fideismo per la tecnotronica.

 Gli strumenti tecnici cambiano continuamente denominazione: computeristica, blockchain, intelligenza artificiale.

I profeti del transumanesimo preconizzano una ibridazione avanzata uomo-macchina portando avanti il principio pericoloso che parifica e, anzi, sminuisce il peso degli umani in confronto con la megamacchina.

Ancora una volta, gli umani determinano i contenuti dei programmi che guidano le macchine.

 Si stanno studiando dispositivi auto aggiornantesi e autoriparantesi.

Questi profeti della robotica e della ibridazione uomo-macchina, dietro ai quali ci sono generosi finanziatori e creatori del caos sociale esistente in Occidente, non stanno dicendo nulla di nuovo.

L’ibridazione uomo-macchina esiste da quando gli umani hanno iniziato ad utilizzare strumenti afferrati con il pollice opponibile.

Un processo che continua oggi fruendo di altre “estensioni”, fra le quali l’adozione di mezzi di trasporto che hanno eliminato l’unità di tempo e di luogo.

 

Oltre alle attuali discriminazioni si aggiunge quella fra chi utilizza strumenti tecnici e chi ne è fuori.

Cosa ne facciamo di questa gente?

 Sarà eliminata fisicamente perché improduttiva?

Ci sarà una nuova edizione patinata della “Conferenza di Wannsee”? Quale etica coprirà queste nuove forme di eliminazione di massa che si profilano all’orizzonte?

Gli esperti di Steve Jobs conoscono Eccles, Parisi, Lurija, Parisi, Marchesini, Braitenberg?

 Forse sì, ma sono stati ignorati.

 È stato più facile seguire i dettami del “Discorso sulla guerra totale” di Goebbels.

 

Con la creazione del cellulare la Apple ha fatto l’affare del secolo con profitti enormi e ha ottenuto l’istantaneo controllo individuale di milioni di persone.

Sappiamo che quasi sempre un affare per le aziende non è un vantaggio per i destinatari.

È da verificare se il cellulare abbia aumentato, o più realisticamente, abbia amputato le capacità cognitive del cervello passato sotto il controllo dei Servizi.

“Zsolt Katona” fu il primo ad affermare che il cliente va portato al prodotto e non il contrario.

Il gradimento dei clienti è ancora oggi marginale nonostante sia pubblicizzato il contrario.

Il fideismo feticista nei confronti della cosiddetta intelligenza artificiale ha posto in secondo piano la verifica dei suoi contenuti e il metodo di selezione e di inserimento dei dati – e quali – nel sistema.

Rimane solo la certezza che i dati sono selezionati dagli umani ma non è chiaro il processo di controllo e gestione dei flussi inseriti.

L’A.I. non è in grado di comprendere né di immaginare un fine ultimo, uno scopo.

La spinta alla realizzazione del progetto A.I., costato miliardi, sta provocando il più grande saccheggio e la manipolazione delle opere dell’ingegno umano del quale non sono pagati i diritti d’autore.

Con questo saccheggio l’A.I. è partita subito male e ha mostrato il vero motivo della sua esistenza:

si tratta di una megamacchina delocalizzata ingegnerizzata per il controllo di vaste masse umane mediante programmi ancillari quali l’identificazione facciale, il tracciamento delle transazioni bancarie e di acquisto di beni e di servizi, i dati di navigazione in rete.

Non possiamo certo pensare che questi obiettivi siano stati creati per il sostegno di un libero scambio democratico.

Come al solito, diventa sempre più urgente individuare chi controlla il controllore. 

La megamacchina è in grado di controllare masse di umani con l’identificazione facciale pur facendo ancora molti errori, con gli utilizzi bancari, con gli acquisti, con la navigazione in rete.

Una marea immane di dati che sono custoditi in luoghi dove non possono accedere eventuali controllori dei Paesi democratici.

 

Rimane il problema del tracciamento di miliardi di persone prive di dispositivi elettronici difficilmente controllabili.

Li confiniamo fisicamente in aree di raccolta eufemisticamente chiamate “Città da quindici minuti” rievocando i fantasmi del ridetto Goebbels?

L’articolo ha ragione a prefigurare una nuova partizione dell’umanità fra coloro che sono dentro il fortino tecnotronico e chi è fuori.

Ma quanto conviene essere assediati e odiati mortalmente dagli esclusi senza lavoro, senza dignità, senza certezze?

La questione merita una risposta che non arriverà perché gli interessi mondiali trascurano e scavalcano il gioco democratico che ha procedure lente di decisione, mentre i colossi hanno sempre fretta di agire anche provocando centinaia di milioni di disoccupati, di morti in conflitti, di deceduti per vaccinazioni di massa letali.

La democrazia del confronto e della condivisione confligge inevitabilmente con la robotica per niente democratica.

Le tecnologie non hanno battute d’arresto, non si ammalano, non hanno ideologie da seguire.

Le tecnologie hanno l’unico scopo di funzionare indefinitamente.

Le tecnologie implicano costi immensi che solo un pugno di colossi aziendali mondiali possono affrontare, spesso in forma di cartello.

I loro obiettivi non coincidono quasi mai con gli interessi delle democrazie che sono sempre più scavalcate e ancora meno tutelano gli interessi sociali ed economici dei cittadini.

Come si può credere alla versione della vicenda dell’aggressione di Hamas attualmente in circolazione?

Ci sono troppi punti oscuri per consentire una valutazione ragionevole. Non può essere credibile che l’attacco di Hamas su jeep e camion rumorosi e sferraglianti sia sfuggito all’ossessivo e minuzioso controllo del sistema israeliano del costo di oltre 35 miliardi di euro?

 Un reticolo di rilevatori capaci di avvertire lo spostamento di un piccolo grillotalpa nel deserto non “vede” questi invasori?

Sembra riproposta anche qui la versione dell’attacco del Campidoglio di Washington da parte di quattro scalmanati urlanti disorganizzati con cappelli cornuti che il servizio d’ordine di oltre 2.000 ex marines di due metri di altezza e super addestrati non è riuscito a fermare?

Ancora, ricorda l’assalto di quattro stracciaroli alla sede centrale della CGIL a Roma presidiata 76 ore al giorno da 200 pretoriani del servizio d’ordine.

Come possono essere credibili queste narrazioni?

 

Ad inizio articolo, l’Autore correttamente afferma che la ex-Italia ha perso la Seconda guerra mondiale.

Trovo singolare che non venga evidenziato che anche la Germania – colpevole di 52 milioni di morti – fu sconfitta ma ha vinto la guerra perché utilizzata dagli Usa contro l’Unione sovietica:

la guerra fredda era iniziata prima della fine del conflitto mondiale.

Il confronto continua anche nei film con il clamoroso caso della pellicola di Benigni dove arrivano gli Usa nel campo di sterminio e non i russi di cui si hanno centinaia di fotografie scattate da premiate agenzie fotografiche USA!

Ecco ancora le ombre di Orwell.

È condivisibile l’affermazione dell’Autore che gli umani avranno sempre una marcia in più rispetto all’A.I.

Infine, non si fa cenno alla cosiddetta “eterogenesi dei fini” che sparigliano i progetti umani anche più dettagliati.

 In molti casi è una fortuna per bloccare progetti totalmente psicopatici, folli e sanguinari.

Forse, la domanda fondamentale non è come e quando l’intelligence nazionale agisce a tutela degli interessi nazionali e contro altre nazioni.

Il confronto dirimente non è più fra Stati.

La questione è come far sopravvivere le democrazie contro l’espansione infestante delle tecnologie mitizzate e adorate feticisticamente come strumenti della vittoria finale.

 Si tratta di una scommessa molto complicata e non può essere verificata.

La robotica non sarà mai democratica e i sistemi di governo che ancora hanno un simulacro di democrazia, saranno seppellite se ricorreranno acriticamente e in modo eccessivo alla c.d. intelligenza artificiale.

Non a caso, iniziano le prime fughe dalla A.I. certificate dallo scetticismo di Wall Street che non vede positivo un incremento degli investimenti a mille miliardi di dollari.

(ilfattoquotidiano.it/2024/08/03/big-tech-ha-investito-oltre-100-miliardi-in-sei-mesi-nellintelligenza-artificiale-e-la-spesa-e-prevista-in-salita-a-1000-miliardi-in-5-anni/7647200/).

 La dinamica dell’eccessiva spinta al massacro artificiale presenta molte somiglianze con la macchinazione della speculazione subprime teleguidati dalla” Lehman Brothers” ed altre strutture finanziarie di proprietà dei soliti finanzieri americani.

 Un ottimo e purtroppo drammatico memento è l’articolo di Borsa Italiana leggibile qui:

(borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/crisimutuisubprime.htm)

 Una fonte ufficiale ed istituzionale e non dei soliti russi, cinesi, complottisti, terrapiattisti, fascisti-tutti-ignoranti, ed infine del solito cornuto e bastardo di Putin.

 Da notare che” Xi Jin Pin” non è mai citato perché con la Cina si fanno ancora affari e si riciclano giornalmente migliaia di miliardi di coloro che saccheggiano, affamano e uccidono il pianeta.

Quindi, la Cina ha partecipato ai giochi olimpici…

 

La pratica della raccolta di informazioni deve rimanere un’arte umana.

 Aggiungerei che gli analisti europei e soprattutto italiani dovrebbero smetterla di analizzare e continuare pensare il mondo utilizzando unicamente la lente americanocentrica ipertecnologica e hollywoodiana.

Si tratta di un errore di prospettiva che provoca gravissimi errori di valutazione e di analisi di Paesi che si muovono su binari differenti, che hanno antropologie abissalmente diverse.

A parte la elegante e brillante eccezione del” Prof. Caligiuri”, il 165% dei giornalisti, autori, professoroni di rinomate università private e pubbliche, centri di ricerca & affini, osservatori e tutti i c.d. “esperti” usano in modo eccessivo e ossessivo terminologie angloamericane che sono fuorvianti e inducono ad errori valutativi e visuali da presbiopia.

Il mondo non è una rappresentazione spettacolare, una sceneggiatura hollywoodiana roboante e smargiassa.

 Lo spionaggio (e non “intelligence”) è un lavoro silenzioso di pazienza, è roba di pertinenza di miniatori certosini.

 Si attende una reazione avversaria anche per dieci/venti anni.

Non ci sono eroi che cavalcano vittoriose navi interstellari e fanno ricorso a stroboscopiche macchine iperveloci, o usano milioni di satelliti occhiuti che scrutano i movimenti del più piccolo animale sulla terra.

L’arte concreta dello spionaggio è sovente una pratica mortalmente noiosa.

 È uno scorrere minuzioso di carte, di collegamento di fatti attuali da incrociare con notizie diffuse in anni precedenti da un periodico di un altro continente.

E queste ricerche non possono fare esclusivo affidamento sui dati vomitati da elaborazioni A.I. di cui non conosciamo l’autenticità a priori dei dati immessi e quelli esclusi.

Le ricerche, quelle veramente efficaci, devono continuare a spidocchiare con acribia le carte, i pizzini, il pettegolezzo della porta accanto, del bar…

Non arrivano i nostri né il settimo cavalleggeri versione robotica 165.30.15.2.0

Lo spionaggio vero è l’azione imprevedibile dell’agente dormiente che si attiva dopo venti anni, la signora della porta accanto che passa da trent’anni documenti scientifici al nemico, il dipendente che si sente tradito: imprendibili!

 

Anche l’ottimo Prof. Caligiuri sarà d’accordo sul fatto che lo spionaggio è un durissimo sacerdozio minimalista e artigianale che sfugge alle catalogazioni cinematografiche e robotiche. 

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