Cosa sta succedendo nel mondo?
Cosa sta succedendo nel mondo?
“Intelligenza”
Artificiale: il Nuovo,
Elettrizzante
Brivido per Postmoderni Annoiati.
Conoscenzealconfine.it
– (7 Agosto 2024) - Matteo Donadoni - ci dice
La
scienza si è ridotta a tecnica prima, e poi a raccolta di fenomeni di
applicazione statistica e a fantasie con pretese teleologiche.
Una di
queste fantasie è la ricreazione artificiale dell’intelligenza umana, con la
sottesa e malcelata soddisfazione di farsi demiurgo più preciso del Padreterno.
“Padre
Patrauld, professore di matematica, era molto affezionato a Bonaparte e
orgoglioso di averlo per allievo.
Invece
gli altri professori, nelle cui materie il “ragazzo corso” non era altrettanto
brillante, lo snobbavano”.
(G. Gerosa, Napoleone, Milano 2001, p. 25).
Che
significa in questo caso “corso”?
A)
Nato in Corsica.
B) Che
segue un corso di studi.
C) Che
agisce di corsa, frettoloso, superficiale.
D)
Corsaro.
E)
Corsivo.
Questa
è solo una del centinaio di domande proposte al test d’ammissione alla Facoltà
di Medicina nel 2024.
Quello che studenti e politici (le due
categorie maggiormente desiderose della vita comoda) vorrebbero eliminare,
perché difficile e discriminatorio.
La
Facoltà di Medicina sforna medici, non droghieri, ovvero sono quelli che
affetteranno noi come salami, perciò si richiederebbe, se non eccellente
maestria, almeno un grano di sale.
E di
quella che una volta chiavano coscienza.
Un
medico privo di scrupoli in circolazione è una calamità a norma di legge, per
esempio un medico che non rispettasse i principi della medicina ippocratica
procurerebbe morte, menomazioni, avvelenamenti (e l’abbiamo constatato durante
la “pan demenza” quando la maggior parte di medici e infermieri, pagati
profumatamente, applicavano folli protocolli della morte sui pazienti, senza
battere ciglio.
Protocolli
non ancora rimossi… a quel che risulta – nota di conoscenze al confine).
Considerato
poi che viviamo nella civiltà della società contrattuale regolata dalla
mentalità legalistica, qualsiasi medico non ippocratico sarebbe protetto dallo
scudo penale del consenso cosiddetto “informato”.
Di
questa tragedia è forse responsabile il concetto di progressismo, ovvero del
primato del progresso, preso come dogma, principio alla base della società
postmoderna, tanto in campo scientifico quanto etico religioso.
Tanto
più che alla guida della chiesa e della scienza ormai finiscono persone pronte
a dire che il Paraclito non è altro che la vaporizzazione di un nebulizzatore
da quattro soldi in una pubblicità per casalinghe disperate, o che
l’intelligenza artificiale è solamente un elettrodomestico più funzionale alle
attività intellettuali a casa e in ufficio.
Forse
hanno ragione, l’IA può diventare la lavatrice dei cervelli, se ancora ve ne
fosse bisogno.
Il
principio di primato del progresso rispetto almeno all’attualità avrebbe
dovuto, con ogni evidenza, essere abbandonato a seguito delle due guerre
mondiali, esito ultimo del prurito ideologico progressista.
Se non
c’è ancora stata una terza guerra, è solo perché l’orrore e lo spavento della
distruzione nucleare della seconda, ha in qualche modo fatto da diga per una
sorta di istinto di autoconservazione applicato alle nazioni.
Tuttavia,
come abbiamo ben appreso, i popoli possono essere distrutti in mille modi anche
più vili o più subdoli, dall’aborto al glifosato, alle terapie geniche
sperimentali, dall’ibridazione razziale coatta, alla conversione nichilistica
della scuola tinteggiata di cultura woke.
Tutto
rema verso l’irrazionalismo di massa.
Non
tutto ciò che si può fare, però, deve essere per ciò stesso fatto:
i samurai hanno cessato di esistere
formalmente dopo la Restaurazione Mejii del 1869, Alexander Bain aveva appena
inventato il Fax nel 1843, e, siccome Lincoln fu assassinato nel 1865, esiste
una finestra di 22 anni in cui i samurai avrebbero teoricamente potuto inviare
un Fax a Lincoln per mandarlo in tutta coscienza a quel paese insieme al
commodoro Perry per la fine del glorioso periodo del sakoku. Ma non l’hanno
evidentemente mai fatto.
Noi
però scriviamo questo pezzo, considerato poco meno di un borborigmo da tutti
gli addetti ai lavori nel campo della cyber tecnologia e della robotica,
profetizzando il loro fallimento nel campo della filosofia e
dell’eudemonologia. Non perché non siamo dei complottisti, ma perché la ricerca
della macchina androide pensante è fallimentare a priori, in ogni finestra
temporale.
La
rete neurale, mi si risponderà, simula il sistema di apprendimento umano,
migliorandosi e autocorreggendosi, impara, in soldoni.
Possiamo
crederlo, il fatto è che il ragionamento va fermato ex ante (prima).
Tutto
questo entusiasmo proteso verso il meglio sarebbe un atteggiamento sano e buona
cosa, se non fosse che la scienza, nata con intento comprensivo della realtà,
si è ridotta a tecnica prima, e poi a raccolta di fenomeni di applicazione
statistica e desideri a capriccio della fantasia, con pretese teleologiche.
Si chiama “riduzionismo scientifico”. Per cui
la processione verso il meglio è finita verso il peggio.
Una di
queste fantasie è la ricreazione artificiale dell’intelligenza umana, con la
sottesa e malcelata soddisfazione di farsi demiurgo più preciso del Padreterno.
Un uomo perfetto, un uomo migliore dell’umano,
un transumano che finalmente ponga fine all’imperfetta creatura di Dio.
Non
basta, tuttavia, simulare l’uomo per creare l’uomo, fra l’altro partendo dalla
fisica.
L’autocoscienza
umana per esempio non è ricreabile, essa è esclusa a priori dalla AI, perché
prerogativa dello spirito.
Lo spirito non presuppone nessun supporto
materiale, non presuppone dei chip così come non presuppone del cervello.
Le intelligenze angeliche sono autocoscienti e
non hanno un cervello.
Tutto
facilmente dimostrabile.
Se per ogni attività sensitiva, anche animale,
è predisposto un organo di senso, così come un oggetto del sentire (suono,
orecchio, udito), ciascuna di esse non ha la capacità riflessiva (l’orecchio
non ode l’udito, l’occhio non vede la vista), il pensiero è capace di pensare
sé stesso.
Esiste
il fenomeno di pensare di pensare, il sapere di pensare, e il pensare di
pensare non è ancorato a nessun organo di senso.
Ne
deriva che la capacità autoriflessiva è di origine spirituale.
Un
robot potrà avere una elevata capacità di immagazzinamento dati, potrà
scimmiottare il modo di procedere dell’intelligenza umana, grazie a logaritmi
inseriti da una reale intelligenza umana, e l’etica di ciò va discussa a parte,
ma non potrà mai avere un’anima.
L’uomo
inanimato non è un uomo, al massimo è cadavere, potrà al limite essere un
computer che deambula, senza avere la volontà di andare.
Perciò,
concludendo, l’illusione postmoderna di farsi demiurgo è solo l’ennesima
maschera nichilistica dietro la quale sentirsi superuomini, con intenti buoni o
malvagi lo dirà la storia…
Chiudete
le finestre, è in arrivo un temporale.
In
ogni caso, ad oggi, rimane valido il vecchio adagio: chi vuole va, chi non
vuole manda (il robot).
(Matteo
Donadoni)
(ricognizioni.it/intelligenza-artificiale-il-nuovo-elettrizzante-brivido-per-postmoderni-annoiati/)
Cosa
Sta Succedendo
in
Inghilterra?
Conoscenzealconfine.it
– (8 Agosto 2024) - Andrea Zhok – ci dice:
Quello
che sta accadendo in Inghilterra è l’ennesimo campanello d’allarme – che, temo,
rimarrà inascoltato – intorno al carattere strutturalmente fallimentare del
modello liberal-globalista, dominante negli ultimi quattro decenni.
I
fatti che si riescono con qualche fatica a ricostruire sono i seguenti.
Una
settimana fa a Southport, Merseyside, durante una festa rivolta ai bambini, “Axel
Rudakubana”, un ragazzo diciassettenne, nato a Cardiff da genitori ruandesi, ha
attaccato gli astanti a colpi di coltello, uccidendo tre bambine (6, 7 e 9
anni).
Altre
9 persone, tra cui due adulti, sono state ferite; sei sono in gravi condizioni.
Le
ragioni dell’attacco non sono chiare, ma si sospetta la malattia mentale.
Il soggetto aveva una diagnosi di “ASD” (autism
spectrum disorder), diagnosi che stante quel che è successo non sembra molto
calzante, ma che comunque richiama qualche problema di carattere psichiatrico.
Sulla
scorta della tragedia, immediatamente, parti della popolazione locale sono
insorte prendendo di mira “gli immigrati”, categoria abbastanza indeterminata
da finire per estendersi a tutti i soggetti in qualche modo identificabili come
“etnicamente eccentrici”, inclusi anche gli islamici.
Questi
ultimi hanno messo a loro volta in moto pattuglie di difesa, che hanno iniziato
a prendere di mira negozi, pub e “inglesi bianchi”.
In
brevissimo tempo gli scontri si sono propagati ad altre aree del paese:
Manchester, London, Sunderland, Hartlepool, Aldershot, Belfast, ecc.
Ciò
che si evince, con una certa angoscia, dai filmati, è che gli scontri hanno
preso una piega schiettamente etnico-razziale, in cui per essere aggrediti da
una di queste bande contrapposte basta essere “del colore sbagliato”.
La
reazione del governo è stata caratteristica:
si
sono accusati dei disordini i soliti “gruppi di estrema destra” e le “fake
news“, come se questa – quand’anche vera – fosse una spiegazione.
Il
problema, ovviamente, è che, come sempre accade in queste situazioni, l’evento
scatenante è sempre solo un’occasione, una scintilla occasionale, la cui
eventuale irrazionalità non rappresenta un semplice “errore”.
Le
autorità, ad esempio, hanno puntato il dito su alcune fake news che dipingevano
l’omicida come islamico, mentre la famiglia non lo sarebbe.
Ma è
ovvio che l’eventuale notizia falsa ha potuto fare da accelerante solo perché
una fiamma covava da tempo.
(Va da sé, che anche se la famiglia fosse
stata davvero di origine islamica, questo, razionalmente parlando, non avrebbe
significato nulla, ma chiaramente la questione qui non ha più a che fare con
imputazioni che potrebbero reggere in un tribunale: qui il fenomeno è sociale e
acefalo).
Sul
tema delle fake news va anche notato che una delle ragioni per cui esse
attecchiscono così facilmente è l’inaffidabilità sistematica delle news
ufficiali.
Ad
esempio, inizialmente non si riusciva in nessun modo a sapere quali fossero le
caratteristiche etniche dell’aggressore, che veniva presentato come un “giovane
gallese”.
Come
accade oramai sistematicamente, l’omissione era intenzionale, perché – questa è
l’idea – al lettore l’aspetto etnico non deve interessare, essendo
giuridicamente irrilevante e potenzialmente fuorviante.
Ma nel momento in cui il pubblico capisce che
le informazioni ufficiali non sono più notizie, ma lezioni paternalistiche,
finisce per accettare più volentieri informazioni “clandestine”.
Stesso
discorso si può fare per le solite accuse a molla all’Estrema Destra, come se
si trattasse di un morbo, un virus, un fungo che accidentalmente cresce in
certe aree e che andrebbe solo debellato con l’adeguato fungicida.
Ma
anche laddove a promuovere disordini così estesi ci siano gruppi politicamente
organizzati di estrema destra, la domanda reale è sempre:
perché
sono nati, perché crescono, perché hanno seguito?
Ed è
qui che l’inadeguatezza culturale delle odierne classi dirigenti,
sostanzialmente ovunque in occidente, si rende visibile.
L’attitudine ad esaminare i fatti sociali in
termini di dinamiche strutturali e culturali di lungo periodo è pressoché
assente.
Si
ragiona in termini legalistici, come se la società fosse un tribunale in cui si
va a valutare solo la responsabilità personale per violazioni di legge
dimostrabili.
Ma
ovviamente il livello a cui nascono le tensioni e gli scontri è sempre solo in
minima parte alla luce del sole, e solo un’esigua minoranza dei conflitti
riescono ad essere identificati e condotti davanti ad una giuria.
Di
fatto, quanto maggiore è la conflittualità sociale, tanto più grande sarà la
percentuale di conflitti che non risulta ufficialmente visibile.
Capisco
che il primo ministro “Starmer”, o chiunque altro fosse stato al posto suo, non
possa in questo momento far altro che appellarsi all’ordine pubblico, agli
arresti, ai processi, alle cariche della polizia, ma è un errore drammatico
pensare che sia a questo livello che tali problemi possono trovare una
soluzione.
Si
tratta di problemi che montano nei decenni e ci mettono un minuto a prendere
fuoco, magari per un fraintendimento.
Sul
piano strutturale il problema è abbastanza semplice da descrivere:
ampi
movimenti migratori di persone su brevi periodi di tempo creano sempre
tensioni, perché producono incertezza, insicurezza e competizione sul mercato
del lavoro.
Se poi
queste persone presentano anche costumi o una cultura rilevantemente
divergenti, le tensioni ne risultano ancora più esacerbate.
Si
tratta comunque di processi di carattere prevalentemente quantitativo.
Le
variabili decisive sono la quantità di persone per unità di tempo.
Come
diceva “Polanyi”, nei fenomeni sociali la variabile più importante è la loro
velocità.
Il
medesimo mutamento se avviene in dieci o in cinquanta anni, semplicemente non è
il medesimo fenomeno e non ha le medesime conseguenze.
Non si
tratta di predicare società ermeticamente chiuse, che non sono mai esistite, ma
di comprendere che l’alternativa non può mai essere il “liberi tutti”.
Qui
alla rigidità ideologica conservatrice (che fu, e che ancora talvolta fa
capolino) di una società etnicamente e culturalmente “incontaminata” ha fatto
da contraltare negli anni una rigidità ideologica opposta e simmetrica, in cui
la “contaminazione”, il “multiculturalismo”, il “melting pot” sono diventati
altrettanti slogan pubblicitari, vaghi, retorici e soprattutto ipocriti.
Le
argomentazioni del globalismo liberale hanno sempre mescolato disinvoltamente
argomenti pseudo-utilitaristi (ci serve manodopera, chi ci pagherà le pensioni,
ecc.) con argomenti pseudo-umanitari (il dovere dell’accoglienza, l’amore per
il diverso, il diritto d’asilo, ecc.).
L’importante
è sempre stato poter utilizzare una batteria argomentativa quando l’altra
appariva momentaneamente implausibile.
Ma di
fatto i meccanismi profondi che hanno alimentato la retorica del “melting pot”
qui sono di due soli tipi, un meccanismo crudamente economico e un meccanismo
ideologico.
Sul
piano economico, la libertà di movimento della forza lavoro consente al capitale di
ottenere mano d’opera a buon prezzo senza dover pagare per la crescita e
l’educazione di quelle braccia, che arrivano pronte dall’estero.
Questo
processo abbatte il potere contrattuale del lavoro meno qualificato, tenendo
bassi i salari.
Sul
piano ideologico, la
visione liberale ha proposto un modello di universalismo astratto in cui le
componenti culturali, linguistiche, religiose, e di costume sono considerate
fattori marginali e contingenti, che era non solo possibile, ma doveroso
mettere da parte.
La
combinazione di queste pressioni nel lungo periodo hanno creato ferite sociali
profonde, squilibri, tensioni, tipicamente più percepite nelle fasce della
popolazione meno abbiente.
Spero
di sbagliarmi, ma per alcuni paesi come Francia e Regno Unito, non so, se ne potrà uscire con qualcosa di
meno che una sorta di guerra civile.
Non ci resta che sperare che in altri paesi ci
siano ancora in margini per un allentamento dei processi degenerativi.
Una
cosa, comunque, è sicura.
La retorica di chi dice che, siccome
migrazioni ci sono sempre state, bisogna semplicemente “accogliere il
cambiamento”, è complicità nel degrado.
(Andrea
Zhok)
(t.me/andreazhok)
Perché
è a rischio
la
pace nel mondo.
Italiaoggi.it
- Marino Longoni – (7-8-2024) – ci dice:
Il
mondo sembra si stia avvitando in una logica violenta e inarrestabile, che
rischia di trascinarlo verso l'autodistruzione.
È la
logica primordiale della guerra con solide radici nella realtà della natura
umana, delle strutture politiche, nei sentimenti e nelle pulsioni dei popoli,
che periodicamente torna a insanguinare la terra.
Solo
che oggi gli uomini non hanno a disposizione solo spade e frecce, o archibugi e
cannoni, ma missili teleguidati, droni di ogni tipo, e migliaia di bombe
atomiche.
Un
caso concreto per illustrare questa logica diabolica.
In una
situazione cronicizzata di conflitto, Israele viene colpito da un missile
lanciato da Hezbollah, che uccide 12 bambini in un campo di calcio.
Un crimine che desta indignazione in tutto il
paese, desiderio di vendetta, necessità di una risposta adeguata a punire il
nemico, intimorirlo e fargli capire che non si è disposti subire un affronto
simile.
Sangue
chiama sangue.
I
politici, di solito, in queste situazioni ci sguazzano perché, finché sussiste
il pericolo, il loro potere è al sicuro.
E se
uscissero vittoriosi dalla sfida, potrebbe esserne addirittura rafforzato.
Scatta quindi la reazione, inevitabile e
violenta, che produce altri lutti e un corrispondente desiderio di vendetta da
parte del nemico.
Che
avrà a sua volta la necessità di vendicarsi per affermare la propria volontà
potenza, di intimorire l'avversario e dimostrargli la propria determinazione.
E così
via, in una spirale perversa che vede aumentare sempre più la violenza, magari
coinvolgendo paesi amici o alleati.
È quello che sta succedendo in Israele, ma
anche in Ucraina e in altre parti del mondo, anche se spesso i conflitti
“minori” non trovano spazio sui media occidentali.
L'umanità sembra stia scivolando lungo una
china di lutti e devastazioni e non si vede chi potrebbe fermare questa logica
primitiva che spinge tutti ad armarsi sempre di più, a mettere da parte le
ragioni della collaborazione e della convivenza pacifica, per non farsi trovare
impreparati al peggio.
Una
logica bestiale, che sembra iscritta nel DNA umano, tante sono le volte che si
è manifestata nel corso della storia umana, causando lutti e devastazioni senza
fine.
Inarrestabile,
perversa, mortale, ma che le forze della ragione non riescono ad arginare.
Israele,
Snidar è il
regista
del 7 ottobre.
Italiaoggi.it
- Massimo Solari – (9-8-2024) – ci dice:
Il
successore di Ismail Haniyeh (ucciso a Teheran) è molto peggio di chi lo ha
preceduto.
Ha
guidato la feroce aggressione ai civili dei kibbutz.
Dopo
l'uccisione del capo storico di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuta a Teheran lo
scorso 31 luglio, sembra addirittura ad opera di una frangia deviata dei
Guardiani della rivoluzione che ha collocato una bomba a comando remoto nella
camera dove avrebbe soggiornato, siamo col fiato sospeso nell'attesa
dell'annunciata reazione da parte del governo iraniano.
La
reazione potrebbe portare ad un allargamento del conflitto mediorientale?
Secondo
l'intelligence degli Stati Uniti non dovrebbe accadere, anche perché proprio la
diplomazia Usa sta cercando di convincere Teheran a tenere bassa la tensione.
Anzi,
di più, secondo il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, John
Kirby, siamo «più vicino che mai a un accordo sul cessate il fuoco» a Gaza.
Il
bello è che il Dipartimento di Stato Usa sembra crederci.
Ma se,
nei rapporti con l'Occidente, il regime iraniano è parificato alla Corea del
Nord?
Non esistono rapporti diplomatici tra Usa e
Iran, che è sotto sanzioni economiche, commerciali, scientifiche e militari.
Nel
2021 il neo eletto presidente Biden aveva promosso un allentamento delle
sanzioni che si è ovviamente fermato con l'inizio della guerra Russia Ucraina e
l'immediato appoggio dato dall'Iran a Putin.
L'intelligence
Usa prevede che Teheran non attaccherà direttamente Israele ma farà attaccare
dagli Houthi.
Comunque,
a otto giorni dall'uccisione di Haniyeh, e con la consapevolezza che possiamo
essere smentiti tra il momento nel quale scriviamo e quello nel quale
l'articolo sarà pubblicato, tutto tace.
L'intelligence
Usa prevede che Teheran non attaccherà direttamente Israele ma farà attaccare
dagli Houthi o dalle milizie degli Hezbollah stanziate in Libano.
Oppure
l'attacco potrebbe essere concentrico e partire dal sud del Libano, dall'Iraq,
dall'Iran e dallo Yemen degli Houthi per «confondere» il “sistema Iron Dome”
che protegge Israele dagli attacchi dal cielo.
Un
massiccio attacco contemporaneo potrebbe rivelare delle falle nel sistema
israeliano di controllo dei propri cieli.
La
nomina di Snidar vuol dire che da parte di Hamas non esiste nessuna prospettiva
di pace.
Resta
il fatto: la nomina di Yahya Snidar al posto di Ismail Haniyeh è un chiaro
segnale: Snidar è l’uomo che gestisce le operazioni dentro alla Striscia di
Gaza, ha organizzato il 7 ottobre in ogni dettaglio assieme a Mohammed Deif,
eliminato dall’esercito israeliano a luglio.
Dunque,
da parte di Hamas, non sembra esistere nessuna prospettiva di pace e neppure di
inizio delle trattative o di un cessate il fuoco, anzi, sembra che Hamas tenti
di aumentare la propria influenza anche sulla Cisgiordania palestinese.
Se
Teheran, come ha appena dichiarato, ha due priorità:
colpire Israele per vendicare Haniyeh e
ottenere una tregua a Gaza, non può che optare per una risposta simbolica,
simile a quella di aprile quando, pur avendo utilizzato più di 300 tra droni,
missili balistici e da crociera, i danni che ha provocato ad Israele sono stati
minimi.
Se
l'Iran vuole la pace deve muoversi ora, prima delle elezioni Usa.
Sembra
che il regime degli Ayatollah stia subendo male le conseguenze delle sanzioni
Usa e stia cercando qualche forma di appeasement per far ripartire la propria
economia.
Come
per la guerra Russo-Ucraina, la pace passa sempre dagli Usa:
se
l'America smette di rifornire Israele di munizioni la guerra di Gaza è già
terminata.
Cosa
che è più vicina oggi, Biden regnante, della possibilità di una vittoria di
Trump alle elezioni di novembre.
Trump
è molto lontano dal ritenere un problema il conflitto Ucraino, ma è invece
particolarmente legato a Benjamin Netanyahu.
Se ricordate, poche settimane fa lo ha
ricevuto con grande affetto nella sua residenza di Mar-a-Lago in Florida.
Dunque,
se davvero l'Iran vuole la pace e ci sia consentito dubitarne alquanto, deve
muoversi ora, prima delle elezioni Usa.
Dopo
potrebbe davvero essere troppo tardi.
Al
Meeting ritorna la politica.
Italiaoggi.it
- Carlo Valentini – (9-8 -2024) – ci dice:
Debutto
di Gentiloni quale leader del campo largo.
Tajani e Salvini si marcano a vicenda.
Zuppi:
dialogo coi musulmani e pace a Gaza e Ucraina.
Prove
da premier.
Paolo
Gentiloni, quasi disoccupato europeo, riceverà la benedizione di Comunione e
Liberazione e farà il suo ingresso nella politica italiana.
Questo
suo primo bagno di folla avverrà al Meeting dell’Amicizia, il tradizionale
raduno annuale della Compagnia delle Opere, braccio economico-operativo di Cl:
45esima edizione, a Rimini dal 20 al 25 agosto, apertura affidata al Patriarca
di Gerusalemme dei Latini Pierbattista Pizzaballa (Una presenza per la pace).
Se il
campo largo di Elly Schlein supererà gli sgambetti sul suo cammino, quando ci
sarà da scegliere il candidato presidente del Consiglio da proporre agli
elettori, Gentiloni sarà in pole.
Lo vuole una parte del Pd, lo vuole Matteo
Renzi.
Lo
vuole anche Giuseppe Conte e, se ancora al comando dei 5stelle, lo accetterà in
cambio di qualche contropartita pesante.
Comunque sul palco di Rimini, Gentiloni
proporrà il suo programma per l’Italia, forte del suo passato di commissario
europeo e di un feeling col grande vecchio piddino Romano Prodi.
Ovvio che questo debutto sia tra le attese di
questa edizione del Meeting, anche perché egli sarà l’unico ospite di peso
dell’opposizione al governo, presente con ministri e sottosegretari a valanga,
molti però relegati nelle sezioni tematiche, i ciellini non negano un posto a
nessuno, soprattutto se si tratta di un governativo, ma filtrano gli ingressi
nella sala grande.
Dove potrebbe avere il tappeto rosso (beh, non
proprio rosso) Giorgia Meloni, che però di fronte all’invito è rimasta nel
vago:
no,
forse, vediamo.
Papa
Francesco non apprezza questo connubio con la politica, tanto più che in
passato il collateralismo con Roberto Formigoni ha lasciato qualche ferita.
Così nel 2021 ha ghigliottinato il movimento,
allontanando “Julian Carron”, successore del fondatore don Luigi Giussani.
Ne è
seguito un po’ di disorientamento e la politica lasciata fuori dalla porta.
Con questa edizione ritorna a fare capolino,
con buona pace del Papa.
Malagola
e Ugolini in nuovi referenti politici dei ciellini.
Oggi
il referente politico, al posto di Formigoni, è Maurizio Lupi, che guida il
drappello di “Noi Moderati”, e proprio perché espressione di questo mondo
cattolico è molto gettonato dai media.
Farà parte del picchetto d’onore all’ingresso.
Ma per
cercare di non sbracare di nuovo con la politica e non affossare la
spiritualità, il Pontefice ha mandato il cardinale Matteo Zuppi, che starà a
Rimini qualche giorno.
Un’opera di mediazione, come quella che Joe
Biden ha affidato a Antony Blinken per il Medio Oriente.
Ma
anche Zuppi, come Blinken, stringe poco perché la politica è nel Dna del
Meeting, che metterà il naso perfino nella campagna elettorale per il
successore di Stefano Bonaccini alla presidenza dell’Emilia-Romagna.
È
stata infatti inserita tra gli ospiti Elena Ugolini, ciellina Doc e antagonista
(a capo del centrodestra) del candidato Pd, Michele De Pascale (che guida il
campo largo). Una sponsorizzazione che la Ugolini ritiene preziosa per
raccogliere voti nella difficile competizione elettorale.
Non a
caso la sua immagine è curata da” Comin & Partners”, società che è anche
coinvolta nell’organizzazione del Meeting e nel Forum in Masseria di” Bruno
Vespa”.
Tajani
e Salvini presenti.
La
schiera dei ministri sarà guidata da Antonio Tajani e Matteo Salvini.
Si
marcano a vicenda e hanno detto sì entrambi per non lasciare campo libero
all’amico-nemico.
Tra i
non politici spiccano il presidente della Corte Costituzionale, “Augusto
Barbera”, il presidente della Banca d’Italia,” Fabio Panetta”, il
vicepresidente del Csm, “Fabio Pinelli”, il presidente del Cnel, “Renato
Brunetta”.
Il
Meeting è un colossal:
140
convegni, 450 relatori, 14 mostre (una è dedicata alla storia dei Giubilei, in
vista di quello del prossimo anno), 17 spettacoli (tra cui: San Francesco la
superstar del Medioevo), 3 mila volontari, una superficie di 120mila metri
quadrati, un parcheggio con 9mila posti, 180 sponsor (Enel, Intesa San Paolo,
Eni, Generali, Ferrovie dello Stato, Easybank, Conserve Italia, ecc.).
L’”agenzia Nova” lancerà ogni giorno notizie
sull’evento in lingua araba.
Il
titolo di questa edizione è “Se non siamo alla ricerca dell’essenziale, allora
cosa cerchiamo?”, tratto dal romanzo Il passeggero dello scrittore americano “Cormac
McCarthy”, recentemente scomparso.
Spiega
il presidente del Meeting, “Bernhard Scholz”, che ha il compito di mixare
politica e spiritualità:
«Rifletteremo sulla vulnerabilità della democrazia.
Contro i veleni dell’odio e del disprezzo, dei complottismi e delle estreme
polarizzazioni. Renderemo presenti germogli di riconciliazione che nascono in
mezzo alle guerre, incontri che diventano cantieri di pace».
Zuppi
mediatore di pace.
L’università
Cattolica è mobilitata con docenti e studenti e sotto il suo patrocinio si
incontreranno (il 23 agosto, titolo: Educare alla conciliazione) Muhammad Bin
Abdul Karim Al-Issa, segretario generale della Lega Musulmana Mondiale e il
cardinal Matteo Zuppi, presidente della Cei.
Un
altro incontro-clou sarà quello tra il premio Nobel per la Pace 2022 “Oleksandra
Matvijcuk”, avvocata ucraina, e il nunzio apostolico a Kiev, “Visvaldas
Kulbokas”.
Mentre la” Fondazione De Gasperi” (il
segretario generale è il deputato FdI, Lorenzo Malagola) celebrerà con una
mostra e un filmato il 70esimo anniversario della scomparsa dello statista,
avvenuta il 19 agosto 1954.
Salvini
occupa uno stand per il suo ministero.
Tra
gli stand che completano la coreografia del Meeting ci sarà quello del
ministero dei Trasporti con un focus sul ponte sullo Stretto ma anche una
“mappa interattiva delle infrastrutture in costruzione” (voluti da Salvini),
poi quelli del ministero degli Esteri (C’è un’Italia che coopera), dei Beni
Culturali, dell’Istruzione, dell’Ambiente.
Una
sorta di cittadella dei ministeri che si trasferisce a Rimini.
Conclude
“Andrea Dellabianca”, presidente della “Compagnia delle Opere”:
«Ci
sentiamo parte della storia di oggi e desideriamo esserlo in quella di domani
continuando a sostenere questo importantissimo momento di confronto e di
fabbrica di idee».
Il
cambiamento climatico:
le
cause, gli effetti, i rimedi.
Enelgreenpower.com
-Redazione – (9-8-2024) – ci dice
Perché
il cambiamento climatico ci preoccupa tanto?
Cosa l’ha provocato e quali rischi corriamo?
Le cause dell’effetto serra creato dalle attività dell’uomo e gli impegni presi
per invertire la tendenza.
La
spinta all’elettrificazione.
Cambiamento
climatico.
La
vita sulla Terra esiste grazie alla combinazione di tre fattori:
la giusta distanza dal Sole, la composizione
chimica dell’atmosfera e la presenza del ciclo dell’acqua.
L’atmosfera, in particolare, assicura al
nostro pianeta un clima adatto alla vita grazie al cosiddetto effetto serra
naturale.
Quando
i raggi solari raggiungono la superficie terrestre, vengono solo in parte
assorbiti, mentre in parte vengono riflessi verso l’esterno;
in
assenza di atmosfera si disperderebbero nello spazio, ma vengono invece in
buona parte trattenuti e quindi reindirizzati verso la Terra da alcuni gas
presenti nell’atmosfera (i gas a effetto serra, appunto, fra cui principalmente
l’anidride carbonica e il metano, ma anche il vapore acqueo e altri ancora).
Il
risultato è un’ulteriore quantità di calore che si somma a quella proveniente
dai raggi solari assorbiti direttamente.
Un’aggiunta significativa: senza l’effetto
serra naturale la temperatura media sulla Terra sarebbe di -18 gradi centigradi
anziché di circa +15.
Le
cause del cambiamento climatico.
Se è
un fenomeno così vantaggioso perché oggi siamo così preoccupati?
Cosa vuole dire che è in corso il
surriscaldamento del pianeta?
E cosa si intende per cambiamento climatico?
Cambiamenti
climatici ci sono sempre stati, nella storia del Pianeta.
Ma il
riscaldamento climatico a cui assistiamo da circa 150 anni è anomalo perché
innescato dall’uomo e dalle sue attività.
Si
chiama effetto serra antropico e si aggiunge all’effetto serra naturale.
Con la
rivoluzione industriale l’uomo ha improvvisamente rovesciato in atmosfera
milioni di tonnellate di anidride carbonica e altri gas serra portando la
quantità di CO2 presente in atmosfera al doppio rispetto ai minimi degli ultimi
700 mila anni (410-415 parti per milione rispetto a 200-180 parti per milione).
Lo si può osservare anche day-by-day grazie
alle rilevazioni degli osservatori, come quello attivo al Mauna Loa,
nell’arcipelago delle Hawaii.
Da
circa 15 anni i dati prodotti da migliaia di scienziati in tutto il mondo,
analizzati e sistematizzati dall”’Intergovernmental Panel on Climate Change”
(IPCC), concordano nel dichiarare che il “global warming” deriva dall’effetto
serra antropico, cioè innescato dalle attività dell’uomo.
In realtà le basi scientifiche del
collegamento tra i livelli di anidride carbonica e la temperatura erano state
stabilite già nel XIX secolo, grazie al lavoro del Premio Nobel “Svante
Arrhenius”, confermato dallo scienziato statunitense “David Keeling” negli anni
Sessanta.
Le conseguenze del cambiamento climatico.
Rispetto
ai livelli preindustriali la temperatura media del Pianeta è aumentata di 0,98
°centigradi e la tendenza osservata dal 2000 a oggi fa prevedere che, in
mancanza di interventi, potrebbe arrivare a +1,5 °C tra il 2030 e il 2050.
L'impatto
del riscaldamento globale è già evidente:
il
ghiaccio marino artico è diminuito in media del 12,85% per decennio, mentre i
registri delle maree costiere mostrano un aumento medio di 3,3 millimetri del
livello del mare all'anno dal 1870.
Il decennio 2009-2019 è stato il più caldo mai
registrato e il 2020 è stato il secondo anno più caldo di sempre, appena al di
sotto del massimo stabilito nel 2016.
Le
“stagioni degli incendi” sono diventate più lunghe e intense, come in Australia
nel 2019, dal 1990 a oggi ogni anno sono aumentati gli eventi meteorologici
estremi, come i cicloni e le alluvioni, che colpiscono anche in periodi
dell’anno atipici rispetto al passato e sono sempre più devastanti.
Fenomeni
come El Niño sono diventati più irregolari e hanno causato pericolose siccità
in aree già minacciate dall'aridità cronica, come l'Africa orientale, mentre la
Corrente del Golfo sta rallentando e potrebbe cambiare rotta.
Le
specie vegetali e animali si spostano in modo imprevedibile da un ecosistema
all’altro, creando danni incalcolabili alla biodiversità in tutto il mondo.
Definire
tutto questo con il termine “climate change” è corretto ma non rende abbastanza
l’idea.
Dobbiamo
iniziare a parlare di crisi climatica perché il clima è sempre cambiato, ma non
così in fretta e non con delle infrastrutture rigide e complesse come sono le
città e il sistema produttivo ai quali i Paesi più industrializzati sono
abituati.
0,98°
L'aumento
della temperatura nel 2019 rispetto ai livelli preindustriali.
1,5°
L’aumento
della temperatura entro il 2030 - 2050 senza interventi.
97%
Percentuale
degli scienziati che attribuisce il riscaldamento globale alle attività umane.
Le
soluzioni al cambiamento climatico.
Le
attività umane influenzano sempre di più il clima e la temperatura della Terra
bruciando combustibili fossili e abbattendo le foreste pluviali.
Questo
aggiunge enormi quantità di gas serra a quelli presenti naturalmente
nell'atmosfera, aumentando l'effetto serra e il riscaldamento globale.
A provocare più danni è soprattutto il consumo
di carbone, petrolio e gas, che rappresentano la maggior parte delle emissioni
di gas serra.
Nel 2019, secondo il” Global Energy
Perspective 2019” di “McKinsey” le fonti fossili erano responsabili dell’83%
delle emissioni totali di CO2 e la sola produzione di elettricità attraverso il
carbone incideva per il 36%, anche se nel 2020 - per effetto della pandemia dal
Covid-19 - le emissioni sono poi scese drasticamente (fonte World Energy
Outlook 2020).
È
stato stimato che l'attuale tendenza delle emissioni di CO2 dovute alla
combustione del carbone è responsabile di circa un terzo dell'aumento di 1
grado centigrado delle temperature medie annuali al di sopra dei livelli
preindustriali, rendendola la principale fonte di emissioni nella storia umana.
In
assoluto il petrolio è la seconda fonte di emissioni, avendo prodotto nel 2019
12,54 miliardi di tonnellate di CO2 (l’86% del totale del carbone di 14,550
miliardi di tonnellate).
Anche
l’abbattimento delle foreste provoca danni consistenti: gli alberi aiutano a
regolare il clima assorbendo l’anidride carbonica dall'atmosfera, quindi se
vengono abbattuti l'effetto benefico si perde e il carbonio immagazzinato negli
alberi viene rilasciato nell'atmosfera, accentuando all'effetto serra.
Infine,
l’aumento degli allevamenti intensivi di bestiame e l’uso di fertilizzanti
contenenti azoto contribuiscono ad aumentare le emissioni di gas a effetto
serra.
Gli
accordi internazionali.
Cosa
fare per rimediare?
Nel dicembre del 2015, alla Conferenza delle
Parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti
climatici (UNFCCC) è stato firmato l’atteso Accordo di Parigi sui cambiamenti
climatici che fornisce un quadro credibile per raggiungere la
decarbonizzazione, con obiettivi a lungo termine per affrontare il cambiamento
climatico e una struttura flessibile basata sui contributi dei singoli governi.
I
governi firmatari si sono impegnati a limitare l'aumento della temperatura al
di sotto di 2° centigradi rispetto ai livelli preindustriali con sforzi per
rimanere entro 1,5°, per raggiungere il picco delle emissioni il prima
possibile e raggiungere la carbon neutrality nella seconda metà del secolo.
Nonostante
il successo della COP21, molte sono le questioni lasciate aperte dall'accordo.
Nel
2018 la COP24 di Katowice ha poi approvato le regole di attuazione dell'Accordo
di Parigi (il cosiddetto "Paris Rulebook").
Nel
2021, la Cop26 di Glasgow ha poi ribadito l’impegno a raggiungere entro il 2050
la cosiddetta “Carbon Neutrality “a livello globale.
La
strada da percorrere per la decarbonizzazione è chiara e si chiama transizione
energetica:
il
passaggio da un mix energetico incentrato sui combustibili fossili a uno a
basse o a zero emissioni di carbonio, basato sulle fonti rinnovabili.
Le tecnologie per la decarbonizzazione ci
sono, sono efficienti e vanno scelte a tutti i livelli.
E un
grande contributo alla decarbonizzazione arriva dall’elettrificazione dei
consumi finali.
Si
tratta di rimpiazzare in tutti i settori - dalle abitazioni ai trasporti,
compresi quelli a lunga percorrenza, fino all’industria pesante - le tecnologie
basate sui combustibili fossili con quelle che utilizzano l’elettricità
prodotta da fonti rinnovabili in tutti i settori, ottenendo non solo l’abbattimento
delle emissioni a effetto serra, ma anche dell’inquinamento atmosferico, in
particolare nelle città.
La
scienza offre dati certi, proiezioni di scenari futuri studiati attentamente.
Il cambiamento del clima non aspetta e non si
ferma.
Serve
un cambiamento culturale forte, un vero e proprio mutamento di paradigma per
tradurre in realtà ciò su cui tutti ormai sono d’accordo.
A Gaza
è genocidio?
Che
cos’è un crimine contro l’umanità?
Le
parole per capire il conflitto.
It-gariwo.net
– Marcello Flores – Joshua Evangelista – (12-1 – 2024) – ci dicono:
Intervista
allo storico Marcello Flores, tra i principali esperti di genocide studies.
Giovedì
11 gennaio, presso la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Uniti
all'Aja, sono iniziate le udienze sul caso presentato dal Sudafrica, secondo il
quale la guerra nella Striscia di Gaza costituirebbe un atto di genocidio
contro il popolo palestinese.
Si tratta in un processo complesso, dall'alto
significato politico:
mai la
Corte internazionale di giustizia, fino ad oggi, ha condannato per genocidio
nessuno stato.
A
prescindere da come si pronuncerà la Corte - probabilmente ci vorranno molti
anni -, si può dire che a Gaza è in corso un atto genocidario?
Se no,
come si può definire quello che sta accadendo?
Dopo
l'attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre e della successiva guerra condotta da
Israele, nei media e sui social network è aumentato in maniera esponenziale
l'utilizzo dei termini "genocidio", "crimini di guerra",
"crimini contro l'umanità", "pogrom".
Abbiamo
chiesto al professore Marcello Flores, uno dei maggiori esperti italiani di
Genocide Studies, il suo punto di vista su ciascuno di questi termini e sulla
applicazione al contesto mediorientale.
Marcello
Flores, facciamo chiarezza sulle parole.
Che
cos'è il genocidio?
Per la
Convenzione sul genocidio che è stata promulgata il 9 dicembre 1948, genocidio
è la distruzione parziale o completa di un gruppo etnico, religioso o
nazionale.
Nel caso in cui, però, c'è l'intenzione da
parte di chi commette quella violenza di distruggere il gruppo in quanto tale.
Che
cosa significa questo? Cosa cambia rispetto agli altri crimini?
Significa
che non si tratta di una violenza, sia pure terribile, dovuta a motivazioni
quali possono essere una guerra, una volontà di conquista, una sopraffazione di
potere.
Deve essere il risultato di una volontà di far
scomparire dall'umanità un preciso gruppo etnico, religioso o nazionale.
Evidentemente,
i carnefici che stanno compiendo quella violenza ritengono che quel gruppo non
possa e non debba avere il diritto di vivere.
L'attacco
del 7 ottobre di Hamas può essere considerato una pratica genocidaria?
Quando
i giuristi affronteranno questa questione lo faranno con estrema difficoltà e
insieme delicatezza, come in genere è accaduto in tutti i vari momenti in cui
la giustizia internazionale ha dovuto decidere se qualche episodio di violenza
fosse o meno un genocidio.
Personalmente
non ritengo che possa essere considerata un'opera di genocidio, ma un crimine
contro l'umanità, perché è la volontà di compiere un massacro indiscriminato
che colpisce coloro che si incontrano, andandoli a cercare nei kibbutz e nel
rave – che presumibilmente i massacratori sapevano che si stesse svolgendo in
quel momento.
È stato fatto con una programmazione
sicuramente generale, ma senza la volontà di compiere qualche cosa che andasse,
oltre a un massacro violento, dimostrativo, fatto per colpire improvvisamente e
probabilmente anche per suscitare una reazione.
La
risposta di Israele a Gaza può essere considerata genocidaria? Che cosa
possiamo dire della denuncia del Sudafrica alla Corte internazionale di
giustizia dell’Aia?
La
denuncia del Sudafrica credo che rappresenti la volontà di portare al più
presto possibile il governo di Israele di fronte alla giustizia internazionale.
L'accusa di genocidio è l'accusa più grave,
quindi è quella che in qualche modo smuove più rapidamente la possibilità di un
giudizio, sia pure di tipo iniziale.
Ricordiamo,
per esempio, che dopo l'operazione Piombo Fuso perpetuata una quindicina d'anni
fa dall'esercito israeliano a Gaza, una commissione delle Nazioni Unite aveva
individuato sia le azioni dell'esercito israeliano sia quelle di Hamas come
crimini contro l'umanità.
Ma non era intervenuta la Corte internazionale
di giustizia.
Io credo che la reazione - sicuramente
sproporzionata in termini di diritto internazionale - che l'esercito israeliano
ha fatto e sta facendo a Gaza, non possa essere considerata genocidio, ma possa
essere sicuramente considerata un crimine di guerra o un crimine contro
l'umanità.
Perché l'attacco e il coinvolgimento di civili
sono assolutamente evidenti da tutte le documentazioni che abbiamo, anche se
dovremmo analizzare meglio le informazioni che ricaviamo in modo generico dai
media.
Escluderei
però che si possa parlare di genocidio, se non da un punto di vista
propagandistico che secondo me serve a poco.
A
proposito di chiarezza sull’uso dei termini, che differenza c’è tra un crimine
di guerra e un crimine contro l’umanità?
I
crimini di guerra sono elencati nelle convenzioni di Ginevra. Se si va a vedere
lo statuto della Corte penale Internazionale, ci sono decine di atti che
possono essere considerati crimini di guerra.
Ad esempio il bombardamento e la distruzione
di ospedali, di scuole, di edifici religiosi, di culto o di edifici culturali,
così come il coinvolgimento di civili nelle uccisioni.
Analizzare è estremamente complicato: almeno a
partire dalla Seconda guerra mondiale ogni guerra è in larga parte rivolta
contro i civili.
Però sicuramente rientrano nei crimini di
guerra una serie di torture nei confronti di prigionieri.
I crimini contro l'umanità si hanno quando le
popolazioni civili sono maggiormente colpite in quanto tali, non in quanto
vittime secondarie di azioni militari, magari perché ritenute in qualche modo
corresponsabili di quel potere che si vuole colpire.
Ma ci
sono delle evoluzioni giuridiche.
Quali?
Per
esempio, dalla seconda metà degli anni ‘90 lo stupro di massa è un crimine di
guerra e un crimine contro l'umanità e può essere anche considerato come un
mezzo di genocidio.
Lo è stato nel caso del Ruanda, in un paio di
sentenze.
E
questa è una delle novità più rilevanti del diritto internazionale, se pensiamo
che nelle prime due guerre mondiali le centinaia di migliaia di stupri che ci
sono stati erano considerati in qualche modo una inevitabile necessità o
comunque una parte della guerra.
Da
questo punto di vista credo che la lunga inchiesta del New York Times sulla
violenza nei confronti delle donne perpetrata da Hamas il 7 ottobre, sia una
raccolta di prove significative per la giustizia internazionale.
A
proposito di parole legate al 7 ottobre, molti hanno descritto l’attacco di
Hamas come un pogrom.
Pogrom
è diventato a livello simbolico un termine che indica un massacro
indiscriminato.
Se
vogliamo essere rigorosi, quello del 7 ottobre non mi sembra un pogrom.
I pogrom erano violenze spontanee di massa
accadute verso la fine dell'800 in una serie di città della Russia e della
Polonia nei confronti di comunità ebree locali, in cui ci fu la tolleranza e a
volte anche la stessa sollecitazione delle forze dell'ordine.
Ma
erano il frutto di qualcosa di abbastanza spontaneo.
In risposta al ferimento accidentale da parte
di ebrei di un bambino non ebreo, la comunità ebraica veniva assalita, molti
venivano feriti o uccisi, la sinagoga veniva bruciata e così via.
In quel clima molto particolare nasce il
termine pogrom.
Nel
caso del 7 ottobre il carattere spontaneo manca del tutto, nel senso che è
stato un'azione organizzata di tipo militare, sebbene vi abbiano partecipato
non solo militari, da quello che si è capito, ma anche cittadini della Striscia
di Gaza non organizzati militarmente.
Però il cuore di quella azione non è stata una
rivolta spontanea.
Sono
anche dell'idea che questa parola sia diventata un modo per definire una
violenza di massa concentrata nei confronti di qualcuno.
Ma
siccome non tutti sanno davvero che cosa vuol dire e come sia nata, si può
tollerare questo utilizzo.
Un’altra
parola utilizzata per descrivere le gravi discriminazioni subite dai
palestinesi è apartheid.
Nel
corso della sua carriera lei si è occupato molto di apartheid in Sudafrica.
Apartheid
è qualcosa di molto preciso che appartiene alla storia del Sudafrica.
Si riferisce a quella legislazione nata negli
anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, che tende a
codificare e a concretizzare quella che era una politica razzista già esistente
precedentemente.
Implica una separazione netta e totale, da
tutti i punti di vista, della popolazione nera - che in quel caso era la
popolazione di maggioranza – da quella bianca che era quella minoritaria e
dominante.
Dal
punto di vista del potere politico, questo significava che i neri non potevano
vivere nelle stesse parti della città dei bianchi, tant'è vero che furono
costruite le “township” come Soweto, che era la più famosa.
C'erano
mezzi di trasporto per neri e altri per i bianchi.
Negli Stati Uniti del caso di “Rosa Parks”,
che dette inizio alla lotta per i diritti civili nel 1954, nello stesso mezzo
di trasporto c'era una parte riservata ai bianchi e una parte ai neri.
In
Sudafrica, invece, un nero non poteva salire in nessun mezzo di trasporto dei
bianchi.
I neri
per lavorare avevano dei permessi e dei percorsi obbligatori, quindi c'era
veramente questa separazione voluta e completa, che era anche e forte da un
punto di vista simbolico.
Ora mi sembra che si possono dare vari giudizi
sull'occupazione o l'oppressione dello Stato di Israele nei confronti della
Striscia di Gaza e in parte anche della Cisgiordania, ma direi che non si
tratta di apartheid.
Da una
parte perché all'interno dello Stato di Israele, per esempio, i cittadini arabi
e palestinesi israeliani hanno diritti di voto come gli altri cittadini.
Quelli
che vivono nei territori occupati hanno intanto un margine di autorganizzazione
che si può giudicare essere più o meno fittizio, ma che comunque esiste.
Ad
esempio, se ci fosse una politica di apartheid i palestinesi non potrebbero
entrare negli ospedali israeliani.
Quindi
direi che è una forzatura ideologico-propagandistica da parte di tutti quelli
che vogliono sottolineare le colpe dello Stato di Israele, alla luce delle
sofferenze che effettivamente i palestinesi da decenni hanno in quei territori.
Se
secondo lei non possiamo parlare di apartheid, dal momento che questa parola ha
un perimetro così preciso, quale termine può definire la condizione dei
palestinesi oggi?
Le
difficoltà di accesso a servizi di base sono forme di discriminazione e di
oppressione diversificate.
Anche
perché negli ultimi venti trent'anni le condizioni sono cambiate.
Sono
diverse da quando la Striscia di Gaza era occupata militarmente dallo Stato di
Israele e ha lasciato l’autonomia.
Nei
primi anni c'era una un'oppressione generale, ma non quel controllo che, per
esempio, aumenterà molto di più dopo con l'operazione Piombo Fuso, una reazione
violenta a degli attacchi missilistici di Hamas e che ha provocato questa
struttura di contenimento/oppressione della Striscia nel suo insieme.
Non riesco a trovare una parola simbolo, se
non “forme di oppressione e di discriminazione”, che vanno elencate e valutate
e che sono difficili da riassumere.
Un'altra
parola molto evocativa è ghetto.
“
Masha Gessen” sul “Newyorker” ha paragonato Gaza ai ghetti della seconda guerra
mondiale e ne è scaturita un’ampia polemica.
Che
cos’è un ghetto? Si può dire che Gaza sia un ghetto?
I
ghetti hanno una storia molto precisa.
Ci
sono quelli dell'epoca medievale o inizio dell'età moderna e quelli della
Seconda guerra mondiale, che l'occupazione tedesca ha instaurato nelle città
europee.
Di
nuovo.
Credo
che sia un modo per cercare di dare un'idea emotiva forte di una condizione che
sicuramente è spesso analoga a quella di un ghetto, nel senso che è non facile
se non addirittura impossibile, per la gran parte dei palestinesi, uscire
quando vogliono.
Però la struttura del ghetto era molto diversa
e quindi se si usano questi paralleli storici bisognerebbe adeguarli e
spiegarli in questo modo.
Il
rischio è proprio di non far capire la diversità che c'è tra una struttura di
oppressione di oggi rispetto a strutture di oppressione che erano presenti nel
passato.
Del resto il ghetto di Varsavia era diverso
dal ghetto di Venezia del 1400.
Il
nome era lo stesso solo perché riguardava gli ebrei.
Torniamo
a parlare di genocidio.
“Raphael
Lemkin”, il coniatore di questo termine, scrisse anche degli aspetti culturali
delle politiche genocidarie.
Alla
fine, però, nella Convenzione sul genocidio del 1948 questo concetto fu
lasciato cadere.
Dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina
si è parlato dell’intenzione del Cremlino di perpetuare un genocidio culturale
verso le popolazioni invase.
Dal
momento che questa definizione non fa parte della Convenzione, secondo lei ha
senso parlare di genocidio culturale e quindi denunciarlo?
L’dea
che “Lemkin” aveva di genocidio culturale era molto ampia e non particolarmente
specificata.
Il genocidio culturale non fu inserito nella
Convenzione del ’48 perché grandi potenze come la Francia e la Gran Bretagna
erano all'epoca potenze coloniali e quindi rischiavano di poter essere accusate
di genocidio culturale.
Inoltre
ci fu l'intervento del delegato siriano alle Nazioni Unite che disse che non si
possono equiparare la distruzione di una biblioteca e la distruzione di un
gruppo umano.
La
risposta ovvia è che le cose sono collegate, perché nel momento in cui si
distrugge la biblioteca di un gruppo spesso si sta anche distruggendo il gruppo
stesso.
Oggi
ci sono giudizi della giustizia internazionale e una serie di prese di
posizione che hanno ampliato la possibilità di considerare il genocidio
culturale.
Credo che sia difficile che possa essere usato
come elemento del genocidio, se non in presenza di una volontà di sterminio
fisico anche del gruppo stesso.
Per
quello che riguarda l’Ucraina, io credo che forse l'unico esempio in cui si
potrebbe parlare di genocidio è il caso di “Bucha”, che è analogo a quello di “Srebrenica”.
Sono casi in cui un evento particolare ha
avuto un carattere genocida. Per quanto riguarda la Russia di Putin, al netto di questo
singolo episodio, sicuramente ci sono stati crimini di guerra e crimini contro
l'umanità.
L’ultima
domanda non può che essere sulla prevenzione del genocidio oggi. Quali sono i
contesti più a rischio oggi, di cui si parla però meno a livello mediatico?
Se
guardiamo alle violenze nei confronti di minoranze o gruppi specifici che
stanno accadendo oggi nel mondo, ci accorgiamo che quelle che - da un punto di
vista numerico e spesso anche dal punto di vista della potenza distruttrice -
sono totalmente messe in silenzio rispetto ai due casi più in vista, quello
israelo-palestinese e quello russo-ucraino.
Anche
quest’ultimo, tra l'altro, dopo l'attacco del 7 ottobre è diventato in qualche
modo meno rilevante.
Se noi
pensiamo che il numero di uccisi ogni giorno in Siria o nello Yemen era decine
di volte superiore, capiamo che c'è un una diversità di atteggiamento che rende
estremamente complicato poter affrontare il tema della prevenzione dei
genocidi.
Nei
confronti di quello che sta accadendo in Medio Oriente l'attenzione mediatica
del mondo intero rende di fatto impossibile un genocidio, tant’è vero che si
parla di genocidio già prima che questo venga compiuto.
Negli
altri casi non sappiamo se sta avvenendo o no, perché non sappiamo se i gruppi
che sono colpiti oggi in Siria, nello Yemen o in altre parti del mondo,
pensiamo all'Africa e altre parti dell'Asia, siano dei gruppi che rischiano
davvero. Perché c'è una logica geopolitica e mediatica che ovviamente fa una
forte distinzione.
In
questo contesto, quali sono gli strumenti concreti che si hanno oggi per
prevenire un genocidio?
La
prevenzione può esistere su due piani.
Mettendo
in evidenza i primi livelli di discriminazione che avvengono nei confronti di
qualche gruppo.
E oggi
avviene per lo meno in una cinquantina di Paesi, nei confronti dei quali però
la comunità internazionale non ha gli strumenti o non vuole avere gli strumenti
per poter far nulla.
L'altra
è quella di poter intervenire nei momenti in cui la violenza diventa più forte
e in cui l'intervento può essere possibile.
Non
solo per il genocidio, ma anche per i crimini di guerra o per i crimini contro
l'umanità.
Ricordiamo
il caso della Siria, uno dei luoghi con il numero maggiore di vittime degli
ultimi anni, in cui il presidente Obama aveva annunciato un intervento qualora
si fosse superata la linea dell'uso ripetuto di un'arma letale e proibita come
i gas.
Poi
invece non se ne fece nulla, continuarono i massacri indiscriminati di civili e
in più venne lasciata alla Russia di Putin la possibilità di inserirsi in
quella zona come potenza rilevante.
Credo
che questo vada ricondotto alla difficoltà che oggi esiste a livello interno
nazionale di garantire un equilibrio e un diritto che, per quanto parziali, nel
corso della Guerra fredda avevano avuto delle proprie regole grazie alle due
superpotenze e che in questo secolo, invece, sono messe continuamente in
discussione.
Il
nuovo mondo multipolare non ha ancora trovato le sue fondamenta dal punto di
vista sia politico sia del diritto.
(Joshua
Evangelista, Responsabile comunicazione Gariwo)
“Apple”,
tutte le dispute nel mondo:
ecco
cosa sta succedendo
Agendadigitale.eu
– (28 mar. 2024) - Barbara Calderini – ci dice:
Cultura
e società digitali.
Competenze
digitali.
Approfondiamo
le contestazioni mosse ad Apple su diversi fronti, in USA, UE e nel resto del
mondo, per capire come il colosso di Cupertino stia affrontando queste sfide
“Apple
pay “commissione UE.
Il
panorama legale che circonda Apple e il suo ecosistema, in particolare l’”App
Store”, è diventato sempre più intricato e controverso negli ultimi anni, con
una serie di sfide antitrust e normative che pongono l’azienda di Cupertino al
centro di una disputa globale sulla concorrenza e la legalità delle sue
pratiche commerciali.
Nella
controversia legale in corso tra Apple e il Dipartimento di Giustizia degli
Stati Uniti, si è aperto un nuovo capitolo incentrato sulle politiche di
apertura della big tech.
In
risposta alle critiche e alle pressioni, Apple ha dichiarato di aver intrapreso
azioni concrete per rendere la sua piattaforma più accessibile ai terzi, pur
mantenendo rigorosi standard di sicurezza.
Per
oltre un decennio, Apple ha dimostrato una straordinaria capacità nel mantenere
un’immagine impeccabile, trasformando ogni nuovo prodotto in un’icona culturale
e un successo commerciale.
Tuttavia, il 2024 sta portando una serie di
sfide che mettono alla prova la tenacia del gigante tecnologico di Cupertino.
Le
contestazioni.
La
controversia si estende anche oltre i confini degli Stati Uniti, con l’Unione
Europea che ha avviato indagini formali contro Apple per presunte violazioni
delle normative antitrust e del Digital Markets Act.
Le
modifiche proposte da Apple per conformarsi al “DMA” sono state accolte con
critiche da parte di sviluppatori e altre grandi aziende tecnologiche, che le
considerano ancora insufficienti a garantire una concorrenza equa sul mercato
digitale.
A ciò
si aggiunge anche la battaglia legale tra Apple, Epic Games e altre aziende,
anch’essa destinata a plasmare il futuro dell’App Store e dell’ecosistema
tecnologico globale, con implicazioni significative per gli sviluppatori, gli
utenti e il panorama competitivo nel suo complesso.
Mentre
le diverse parti si preparano a difendere le proprie posizioni in tribunale, il
risultato di queste dispute avrà un impatto duraturo sul modo in cui le grandi
piattaforme tecnologiche operano e sono regolamentate in tutto il mondo.
Le
accuse del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.
Nelle
settimane recenti, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha avviato
un’azione legale antitrust contro Apple, accusandola di favorire i propri
prodotti rispetto ai concorrenti all’interno del suo ecosistema, soprattutto su
iPhone. Secondo l’accusa, Apple avrebbe ostacolato la concorrenza impedendo ad
altre aziende di offrire applicazioni in competizione con le proprie, come nel
caso del portafoglio digitale.
In
particolare, secondo il governo, le azioni di Apple sarebbero caratterizzate da
pratiche esclusive e anticoncorrenziali, limitando le scelte dei consumatori,
aumentando i prezzi, riducendo la qualità e ostacolando l’innovazione.
Il
governo afferma che le politiche dell’azienda nei confronti degli sviluppatori
isolino Apple dalla competizione.
Nonostante
l’azione legale, sostenuta dall’amministrazione Biden e da 16 stati, sembra che
Apple non sia troppo preoccupata.
Ha
risposto dichiarando di non essere d’accordo con le conclusioni dei procuratori
e anticipando una ferma opposizione in difesa del nucleo aziendale e dei
principi che distinguono i prodotti Apple in mercati altamente competitivi.
I sei
presunti motivi di abuso.
La
denuncia del Dipartimento di Giustizia evidenzia almeno sei modi in cui Apple
avrebbe abusato della sua posizione dominante:
“Green
bubbles” di” iMessage”:
Il
Dipartimento di Giustizia sostiene che Apple abbia deliberatamente reso
difficile agli utenti iPhone inviare messaggi a coloro che possiedono telefoni “Android”,
creando una percezione di qualità inferiore degli smartphone non Apple.
Le
cosiddette “Green bubbles” di “iMessage”, che indicano gli “utenti Android”,
sarebbero infatti illegali secondo l’accusa.
Esclusività
di Apple Pay:
“Apple Pay” è l’unico modo per i possessori di
iPhone di utilizzare la tecnologia di pagamento mobile integrata negli iPhone.
Questa
esclusività, secondo il Dipartimento di Giustizia, priva gli utenti dei
vantaggi e delle innovazioni che potrebbero derivare dall’introduzione di
portafogli digitali multipiattaforma.
Limitazioni
degli “Apple Watch”:
Apple
Watch, uno dei prodotti di maggior successo di Apple, è progettato per
funzionare esclusivamente con iPhone.
Questo,
secondo l’accusa, costringe i clienti ad acquistare iPhone e limita
l’innovazione e la concorrenza nel settore degli smartwatch.
Vietare
gli app store di terze parti:
Apple permette solo l’installazione di app
tramite il proprio App Store, impedendo la concorrenza e limitando le scelte
degli utenti.
Questo,
afferma il Dipartimento di Giustizia, ostacola l’innovazione e crea un ambiente
monopolistico.
Limitare
le super app:
Apple
impone agli sviluppatori di scrivere codice specifico per il suo sistema operativo,
impedendo la creazione di app universali in grado di funzionare su più
piattaforme.
Non
solo Apple, l’UE apre la prima indagine “Dma” sulle “big tech”.
In
settimana la Commissione ha avviato un’indagine di non conformità ai sensi del “Digital
Markets Act” (DMA) sulle regole di Alphabet in materia di “steering” in Google
Play e di “self-preferencing” in Google Search, sulle regole di Apple in
materia di “steering” nell’App Store e nella schermata di scelta di Safari e
sul “modello di pagamento o consenso” di “Meta”.
La
Commissione sospetta che le misure messe in atto da questi gate keeper non
rispettino effettivamente gli obblighi imposti dalla “DMA”.
Inoltre,
la Commissione ha avviato indagini sulla nuova struttura tariffaria di Apple
per gli app store alternativi e sulle pratiche di classificazione di Amazon sul
suo marketplace.
Infine,
la Commissione ha ordinato ai gate keeper di conservare determinati documenti
per monitorare l’effettiva attuazione e il rispetto dei loro obblighi.
Alphabet
e Apple su” app store”.
La
Commissione ha avviato un procedimento per valutare se le misure attuate da Alphabet e Apple in relazione ai loro obblighi in
materia di app store violino la DMA.
L’articolo
5(4) del DMA impone ai gate keeper di consentire agli sviluppatori di app di
“indirizzare” i consumatori verso offerte al di fuori degli app store dei gate keeper,
a titolo gratuito.
La
Commissione teme che le misure adottate da Alphabet e Apple non siano pienamente conformi, in
quanto impongono diverse restrizioni e limitazioni. Queste limitano, tra l’altro, la
capacità degli sviluppatori di comunicare e promuovere liberamente le offerte e
di concludere direttamente i contratti, anche imponendo vari oneri.
Google
search.
La
Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di “Alphabet” per
stabilire se la visualizzazione dei risultati di ricerca di Google da parte di
Alphabet possa portare all’autoreferenzialità in relazione ai servizi di
ricerca verticali di Google (ad esempio, Google Shopping, Google Flights e
Google Hotels) rispetto ad analoghi servizi concorrenti.
La
Commissione teme che le misure attuate da “Alphabet” per conformarsi al” DMA”
non garantiscano che i servizi di terzi presenti nella pagina dei risultati di
ricerca di Google siano trattati in modo equo e non discriminatorio rispetto ai
servizi di Alphabet, come richiesto dall’articolo 6, paragrafo 5, del DMA.
Il
rispetto da parte di Apple degli obblighi di scelta degli utenti.
La
Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Apple in merito alle
misure adottate per ottemperare agli obblighi di (i) consentire agli utenti
finali di disinstallare facilmente qualsiasi applicazione software su iOS, (ii)
modificare facilmente le impostazioni predefinite su iOS e (iii) proporre agli
utenti schermate di scelta che devono effettivamente e facilmente consentire
loro di selezionare un servizio predefinito alternativo, come un browser o un
motore di ricerca sul proprio iPhone.
La
Commissione teme che le misure di Apple, compresa la progettazione della
schermata di scelta del “browser web”, possano impedire agli utenti di
esercitare realmente la loro scelta di servizi all’interno dell’ecosistema
Apple, in violazione dell’articolo 6, paragrafo 3, del DMA.
Il
modello “paga o acconsenti” di “Meta”.
Infine,
la Commissione ha avviato un procedimento nei confronti di Meta per verificare
se il modello “paga o acconsenti” recentemente introdotto per gli utenti
dell’UE sia conforme all’articolo 5, paragrafo 2, del DMA, che impone ai gate keeper
di ottenere il consenso degli utenti quando intendono combinare o utilizzare in
modo incrociato i loro dati personali tra diversi servizi della piattaforma
principale.
La
Commissione teme che la scelta binaria imposta dal modello “paga o acconsenti”
di Meta possa non fornire una reale alternativa nel caso in cui gli utenti non
acconsentano, non raggiungendo così l’obiettivo di prevenire l’accumulo di dati
personali da parte dei gate keeper.
Altre
misure di indagine e di applicazione.
La
Commissione sta inoltre adottando altre misure investigative per raccogliere
fatti e informazioni al fine di chiarire se:
Amazon
possa privilegiare i prodotti di marca propria sull’Amazon Store in violazione
dell’articolo 6(5) del DMA, e
la
nuova struttura tariffaria di Apple e gli altri termini e condizioni per gli
app store alternativi e la distribuzione di app dal web (side loading) possano
vanificare gli obblighi previsti dall’articolo 6(4) del DMA.
La
Commissione ha inoltre adottato cinque ordini di conservazione indirizzati ad
Alphabet, Amazon, Apple, Meta e Microsoft, chiedendo loro di conservare i
documenti che potrebbero essere utilizzati per valutare la loro conformità agli
obblighi del DMA, in modo da preservare le prove disponibili e garantire
un’applicazione efficace.
Infine,
la Commissione ha concesso a Meta una proroga di 6 mesi per conformarsi
all’obbligo di interoperabilità (articolo 7 DMA) per Facebook Messenger.
La decisione si basa su una disposizione
specifica dell’articolo 7(3) DMA e fa seguito a una richiesta motivata
presentata da Meta.
Facebook
Messenger rimane soggetto a tutti gli altri obblighi DMA.
Le
prossime tappe.
La
Commissione intende concludere il procedimento avviato oggi entro 12 mesi.
Se l’indagine lo giustificherà, la Commissione
informerà i gate keeper interessati delle sue conclusioni preliminari e
spiegherà le misure che sta pensando di adottare o che il gate keeper dovrebbe
adottare per rispondere efficacemente alle preoccupazioni della Commissione.
In
caso di violazione, la Commissione può imporre ammende fino al 10% del
fatturato mondiale totale dell’azienda.
Tali ammende possono arrivare al 20% in caso
di violazione ripetuta.
Inoltre,
in caso di violazioni sistematiche, la Commissione può adottare ulteriori
misure correttive, quali l’obbligo per il gate keeper di vendere un’attività o
parti di essa, o il divieto per il gate keeper di acquisire ulteriori servizi
connessi alla non conformità sistemica.
Il
nodo di “Car Play”.
Non
solo.
Il
Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ritiene altresì che il colosso
tecnologico stia estendendo il proprio dominio dagli smartphone all’industria
automobilistica.
Secondo
la denuncia, infatti, Apple starebbe minando l’innovazione anche nel settore
automobilistico attraverso la pratica delle chiavi digitali dell’auto abbinata
al sistema di infotainment “CarPlay”.
Ovvero,
la richiesta agli sviluppatori di aggiungere le chiavi digitali sviluppate per
le proprie app ad “Apple Wallet”, aumenterebbe la dipendenza del conducente
dall’iPhone.
Inoltre,
Apple avrebbe chiesto ai produttori di automobili di rendere Car Play più
centrale nelle loro auto, esercitando così un maggiore potere sui partner
commerciali, comprese le case automobilistiche americane.
I
motivi dell’accusa non sembrano nuovi, ma la denuncia del Dipartimento di
Giustizia e degli stati coinvolti rappresenta comunque un ulteriore
significativo passo nel dibattito in corso sulla posizione di Apple nel mercato
tecnologico e sulla legittimità delle restrizioni imposte al suo approccio
“walled garden.“
La
difesa di Apple contro le accuse di monopolio.
Apple
si dichiara pronta ad affrontare con fermezza le accuse di monopolio in
violazione della Sezione 2 dello Sherman Act avanzate dal governo degli Stati
Uniti.
Secondo
i sostenitori di Apple, il Dipartimento di Giustizia si basa principalmente su
informazioni obsolete o poco accurate e potrebbe non essere in grado di
dimostrare danni reali ai consumatori.
Pertanto, ritengono che il procuratore
generale” Merrick Garland” e i suoi colleghi rischiano di subire perdite
significative se dovessero insistere su argomentazioni poco consistenti e che
non riflettono la realtà attuale.
Le
accuse, a loro dire, sembrano includere affermazioni che potrebbero persino
apparire addirittura ridicole e non aggiornate, come quella secondo cui Apple
potrebbe deliberatamente peggiorare i propri prodotti per preservare il
monopolio sugli smartphone.
Anche
l’accusa riguardante le “super app” sembrerebbe poco fondata, dato che Apple
non ha mai espresso un divieto esplicito su questo tipo di app e, anzi, molte
super app esistenti sono disponibili proprio su dispositivi Apple.
È
probabile che la questione si protrarrà per anni e, in base alle argomentazioni
attuali del Dipartimento di Giustizia, pare che Apple abbia già affrontato, in
diverse occasioni, molte delle critiche sollevate.
La
società ha dichiarato di avere diverse linee di difesa a disposizione per
contrastare le affermazioni del Dipartimento di Giustizia.
Il
“mercato rilevante.”
Uno
dei punti chiave della difesa di Apple sarà sicuramente la contestazione della
definizione del mercato rilevante proposta dal governo.
Mentre il Dipartimento di Giustizia sostiene che il
mercato rilevante sia limitato agli “smartphone ad alte prestazioni”, Apple
potrebbe argomentare che tale definizione esclude gli smartphone entry-level e
non riflette accuratamente il panorama complessivo del settore.
Inoltre,
Apple contesta la teoria legale alla base delle accuse e le prove a sostegno di
essa.
La
società respinge l’accusa di mantenere illegalmente un monopolio in violazione
della Sezione 2 dello Sherman Act, sostenendo che la sua condotta non è
escludente né anticoncorrenziale.
Apple
sostiene al contrario che le regole dell’azienda per gli sviluppatori siano
progettate proprio per migliorare l’esperienza degli utenti e non intendono
limitare la concorrenza.
Secondo
Apple, i consumatori mostrano infatti un grande apprezzamento per i suoi
prodotti, mentre il governo sembra che stia essenzialmente chiedendo a un
giudice statunitense di assumere il ruolo di un ingegnere e ridefinire
completamente l’ecosistema di Apple.
I
precedenti favorevoli.
La
difesa di Apple si basa anche su precedenti giudiziari favorevoli.
La
società cita, a sua difesa, il caso del 2021 contro Epic Games, in cui un
giudice della California ha respinto l’affermazione che Apple fosse un
monopolista.
Il giudice distrettuale statunitense “Yvonne
Gonzalez Rogers” dichiarò che la quota di mercato di Apple, che superava allora
il 55%, e i suoi margini di profitto elevati non rappresentassero ancora una
violazione delle leggi antitrust vigenti.
Sebbene
il giudice avesse riconosciuto alcuni comportamenti anticoncorrenziali di
Apple, tali da dover richiedere l’adeguamento di alcune sue pratiche
commerciali, tuttavia non ravvisò alcuna violazione delle leggi antitrust
federali da parte dell’azienda.
In
particolare Apple sottolinea come il Dipartimento di Giustizia abbia modificato
la teoria alla base della sua denuncia almeno sei volte in quattro anni ( la
causa del Dipartimento di Giustizia era infatti preparazione da anni),
nonostante l’assenza di prove o danni conferenti.
Questo perché, a detta della società, i
tribunali federali hanno già costantemente stabilito come le azioni di Apple
siano conformi alle leggi antitrust federali.
Nel
distretto settentrionale della California, il giudice “Gonzalez Rogers” ha dato
ragione ad Apple riguardo alle regole dell’”App Store”, e la decisione viene
confermata anche dalla Corte d’Appello del Nono Circuito.
Apple
attribuisce grande importanza anche alla recente vittoria ottenuta nella causa
antitrust riguardante l’algoritmo della frequenza cardiaca su Apple Watch,
respingendo le accuse avanzate da “AliveCor”, una società californiana
specializzata nello sviluppo e nella produzione di dispositivi medici.
Secondo
AliveCor, Apple avrebbe agito in modo anti competitivo indebolendo
deliberatamente la funzionalità della sua analisi del ritmo cardiaco per
danneggiare i concorrenti.
La
decisione emessa lo scorso febbraio dal giudice distrettuale statunitense “Jeffrey
S. White “è stata definita da Apple come un successo totale, confermando come
non vi fosse alcuna prova che le azioni dell’azienda fossero in alcun modo anti
competitive.
Nel
frattempo, “AliveCor “ha annunciato l’intenzione di presentare ricorso contro
la decisione della corte. Tuttavia, la sentenza non avrà alcun impatto sulle
controversie ancora in sospeso sui brevetti tra le due società, che rimangono
pendenti presso la Commissione per il commercio internazionale degli Stati
Uniti e il “Patent Trial and Appeal Board” degli Stati Uniti.
Il
caso “Pacific Bell Telephone Co”. contro “LinkLine Communications, Inc”.
Ma i
casi giudiziari citati da Apple non finiscono qui:
Apple
sostiene infatti di non essere obbligata a riprogettare i suoi prodotti per
favorire i rivali, richiamando l’attenzione su un altro precedente caso della
Corte Suprema degli Stati Uniti.
Il
riferimento è alla vicenda giudiziaria del 2009, Pacific Bell Telephone Co.
contro LinkLine Communications, Inc (che a sua volta richiama il caso Nel caso
Verizon Communications v. Law Offices of Curtis V. Trinko, del 2004).
In
tale caso, la Corte Suprema ritenne all’unanimità che “Pacific Bell” non avesse
violato la legge antitrust statunitense addebitando tariffe presumibilmente
eccessive per consentire ad altri fornitori di servizi Internet di utilizzare
le sue linee per fornire una connessione Internet.
Apple
sostiene che questa decisione stabilisca un precedente importante, dimostrando
che un’azienda non è tenuta ad adottare le preferenze dei suoi concorrenti se
ciò comporta un peggioramento dell’esperienza degli utenti del proprio
prodotto.
In altre parole, Apple ritiene di non essere
obbligata a modificare il suo ecosistema per favorire i suoi concorrenti,
specialmente se ciò può compromettere la qualità o l’esperienza utente offerta
dai suoi dispositivi iPhone.
A ciò
si aggiunge anche l’esito dell’ultimo evento giudiziario in cui il giudice
distrettuale statunitense “P. Casey Pitts” ha stabilito che la” California
Crane School” non è riuscita a fornire prove dirette di accordi di non
concorrenza tra Google e Apple riguardanti il motore di ricerca predefinito su
iPhone e altri dispositivi Apple.
Il
rapporto con gli sviluppatori e i concorrenti.
La
società contrasta anche la tesi del governo riguardo al presunto controllo
delle app, sostenendo viceversa come stia offrendo agli sviluppatori molteplici
strumenti per creare app innovative.
D’altra
parte, all’accusa del Dipartimento di Giustizia che ha sollevato preoccupazioni
riguardo al controllo esercitato da Apple sulla creazione e distribuzione delle
app, note come “Super App“, realizzate utilizzando linguaggi di programmazione
come HTML5 e JavaScript, Apple ha ribattuto evidenziando quanto le Super App,
come WeChat di Tencent in Cina e Data Neu di Tata in India, non stiano godendo
di grande popolarità tra i consumatori statunitensi (e non solo).
Nel
complesso quadro legale che pone Apple sotto i riflettori per presunte pratiche
anticoncorrenziali, l’azienda ha dunque già respinto energicamente le accuse
mosse dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, definendole come
argomentazioni basate su un’interpretazione selettiva e strumentale che non
rispecchia la realtà del mercato tecnologico o le intenzioni concrete
dell’azienda.
Piuttosto
ha ribadito con forza il proprio impegno costante nel promuovere un ambiente
aperto e competitivo per gli sviluppatori sulla sua “piattaforma iOS “ed ha
altresì menzionato il progetto di adozione dei “Rich Communication Services”
(RCS), che consentirà agli utenti iPhone di comunicare con dispositivi non
Apple.
Una
mossa che è stata presentata come una dimostrazione tangibile del desiderio di
Apple di promuovere l’interoperabilità e la libertà di scelta degli utenti.
La
mail interna.
Una
delle principali questioni sollevate dal Dipartimento nei confronti di Apple
riguarda la citazione di un’email interna datata marzo 2016, in cui un
dirigente Apple discuteva con il “CEO “Tim Cook sull’eventualità di portare
iMessage su dispositivi Android:
“moving
iMessage to Android will hurt us more than help us”.
Un
frammento di testo che Apple riferisce come funzionale alle accuse ma in realtà
parte di un dialogo più ampio che non dovrebbe essere interpretato come una
prova definitiva di pratiche anticoncorrenziali.
Ovviamente
tanto non convince il Dipartimento di Giustizia che ha infatti citato una serie
di pratiche aziendali, incluso il presunto uso di restrizioni onerose per mantenere
il controllo sugli acquisti in-app e limitare la concorrenza nel settore.
In
particolare, il Dipartimento di Giustizia ha citato il requisito imposto da
Apple secondo cui qualsiasi gioco in streaming su cloud, o qualsiasi
aggiornamento di un gioco, debba essere presentato come un’applicazione
autonoma per l’approvazione da parte di Apple, aumentando in tal modo i costi
associati al rilascio dei giochi su iPhone.
Lo
scenario.
Sia
come sia, quando il caso arriverà in tribunale, Apple sarà pronta a sostenere
la sua posizione.
Probabile
che la società sosterrà che altri colossi tecnologici come “Samsung,” “Google”
e “Xiaomi” rappresentino attori di una competizione significativa, sfatando
così l’idea di un presunto monopolio da parte di Apple.
Inoltre
prevedibile che Apple difenda strenuamente le proprie funzionalità di sicurezza
e privacy applicate all’iPhone, sostenendo quanto tali caratteristiche vengano
implementate per proteggere gli interessi degli utenti e non per limitare la
concorrenza.
Il
Dipartimento di Giustizia, d’altro canto, sarà chiamato a dimostrare che queste
funzionalità siano effettivamente utilizzate in modo pretestuoso per
consolidare il potere di Apple sul mercato.
In definitiva, il confronto legale tra Apple e
il Dipartimento di Giustizia avrà un impatto duraturo sul panorama tecnologico
globale, delineando i confini tra apertura, sicurezza e concorrenza nel mondo
digitale in continua evoluzione.
E forse servirà anche a mettere un punto sulla
storia giudiziaria infinita che vede contrapposte sul fronte dell’antitrust
Apple ed Epic.
Epic
Games VS Apple per l’apertura dell’App Store.
Epic
Games, il produttore di “Fortnite”, ha infatti intentato una nuova causa contro
Apple per il controllo eccessivo sull’App Store, sollevando preoccupazioni sul
rispetto delle disposizioni stabilite in seguito alla disputa legale conclusa
nel 2021.
Nel
primo grado di giudizio, Epic Games ha subito una parziale sconfitta contro
Apple, con la sentenza che ha stabilito la violazione del contratto da parte di
Epic per aver implementato un sistema di pagamento alternativo nella sua App
Fortnite.
Di
conseguenza, Epic è stata condannata a pagare il 30% delle entrate raccolte ad
Apple.
Tuttavia, il giudice” Yvonne Gonzalez Rogers”
ha anche emesso anche un’ingiunzione permanente per imporre ad Apple di non
vietare agli sviluppatori di includere nelle loro app collegamenti esterni o
altre “call to action” che indirizzassero gli utenti verso meccanismi di
acquisto esterni alla piattaforma.
Ciò ha consentito alle “app Ios” di orientare
gli utenti verso opzioni di pagamento diverse da quelle disponibili con i
pagamenti “in-app”.
Nella
relazione presentata in veste di “amicus curiae” da parte di aziende come
Microsoft, Meta, X e Match, intervenute a sostegno di Epic Games, si afferma
che le tariffe richieste da Apple sono eccessive e che ci sono troppe
restrizioni sulle modalità con cui gli sviluppatori possono indirizzare gli
utenti ai loro siti esterni.
In
particolare, si lamenta il fatto che Apple non permetta agli sviluppatori di
inserire link diretti che consentano agli utenti di effettuare acquisti senza
passare dai sistemi di pagamento in-app.
Anche
se Apple consente agli sviluppatori di utilizzare modalità di pagamento
esterne, richiede comunque commissioni che vanno dal 12% al 27%.
Epic
Games ha dichiarato in tribunale che Apple non rispetta l’ordinanza emessa
dalla giudice e ritiene che anche per questo dovrebbe essere accusata non solo
di pratiche concorrenziali scorrette, ma anche di oltraggio alla corte.
Secondo
Epic, l’implementazione di Apple rende, invero, praticamente inutilizzabili i
link nelle app a causa delle commissioni e delle relative restrizioni imposte.
Nell’intervento
“amicus curiae”, le aziende hanno spiegato che Apple non permette loro neanche
di includere informazioni basilari su modalità di acquisto alternative
all’acquisto in-app.
A tanto si aggiunge il fatto per cui, Apple
non consentirebbe agli utenti delle app di conoscere le modalità per ricevere
sconti acquistando direttamente da siti esterni all’App Store.
Nonostante
le dichiarazioni di Apple che assicurano il pieno rispetto del provvedimento
della corte e l’offerta agli sviluppatori di modalità per informare gli utenti
sui pagamenti alternativi sia all’interno che all’esterno delle app, Epic Games
e le aziende sostenitrici restano convinte che le pratiche di Apple siano
inaccettabili e dannose per la concorrenza nel settore.
La
battaglia legale tra Epic Games e Apple è dunque destinata a durare, con
entrambe le parti che si preparano a difendere le proprie posizioni nei
prossimi sviluppi del caso.
E non
è tutto.
Il
coinvolgimento di Google.
Nei
prossimi cinque mesi, il tribunale federale di Melbourne sarà il palcoscenico
di una battaglia tra Epic Games, Apple e Google, che metterà sotto la lente
d’ingrandimento il controllo esercitato da Apple sul suo impero e le pratiche
di Google nell’ecosistema Android.
Le
cause legali, inizialmente avviate nel 2020 e sospese nell’aprile 2021 in
attesa degli esiti delle cause parallele negli Stati Uniti, coinvolgono ancora
una volta Epic Games contro Apple e Google, entrambi accusati di abuso di
potere di mercato nei confronti dei loro app store.
Sebbene
Epic abbia perso parzialmente la causa antitrust contro Apple nel 2021, ha
ottenuto una vittoria contro Google alla fine dello stesso anno.
Adesso,
i casi, inizialmente separati, sono riuniti in un unico processo dinanzi al
giudice “Jonathan Beach”, al fine di evitare la duplicazione delle prove
testimoniali.
Le
differenze tra le cause.
Le
cause presentano similitudini ma anche importanti differenze.
Mentre”
iOS “e l’”App Store di Apple” sono completamente chiusi e controllati
dall’azienda, Google consente il “side loading” delle app su Android, oltre ad avere il suo app store e
ad autorizzare altri produttori di telefoni ad avere i propri.
Tuttavia,
entrambe le aziende addebitano commissioni per le transazioni nei propri app
store.
La
battaglia legale metterà alla prova le difese di entrambe le società.
Apple, vista come l’avversario più riluttante
al cambiamento, sostiene che la sicurezza degli utenti iPhone sia in gioco e
che Epic stia cercando di ottenere ulteriori profitti a spese di essa.
Google,
che si è vantata di offrire un ecosistema più aperto, deve difendere le sue
pratiche contro le accuse di danneggiare la concorrenza.
Le
presentazioni di apertura del processo dureranno due settimane, seguite da tre
mesi di prove di testimoni ed esperti e due settimane di presentazioni di
chiusura. Tra i testimoni attesi ci sono il CEO di Epic, Tim Sweeney, e dirigenti
chiave di Apple e Google.
I testimoni chiave di Apple includono Phil
Schiller, responsabile dell’App Store, e Craig Federighi, vicepresidente senior
dell’ingegneria del software, che discuteranno dello sviluppo e del
funzionamento dello store, oltre all’approccio della società alla sicurezza e
alla privacy degli utenti.
La
sentenza del “giudice Beach” è attesa entro sei mesi dalla fine del processo,
ma potrebbero esserci ricorsi successivi.
Indipendentemente
dall’esito, i cambiamenti implementati da Apple nell’App Store dell’UE a
seguito del “Digital Markets Act” potrebbero indicare una direzione futura
anche per l’Australia.
Nel frattempo, Apple ha ripristinato l’account
sviluppatore di Epic nell’UE.
Questi
sviluppi, insieme all’accusa del Dipartimento, rappresentano, peraltro, solo
gli ultimi di una serie di casi simili intentati da regolatori in tutto il
mondo, con l’Europa che non lesina sferzate a destra e a manca.
La
compliance al “Digital Markets Act”.
Oltre
alle dispute in corso sulla costa occidentale, Epic e Apple si stanno infatti
scontrando anche in Europa con riguardo alla conformità di Apple al Digital
Markets Act.
In
effetti, con l’entrata in vigore del Digital Markets Act (DMA), Apple si trova
sotto i riflettori come mai prima d’ora, costretta a confrontarsi con una serie
di nuove normative che mettono in discussione il suo rigido controllo
sull’ecosistema iOS.
Nell’ultimo
mese, “Margrethe Vestager”, dal 2014 Commissario europeo per la concorrenza, ha
rivelato che Stati Uniti e Unione Europea hanno raggiunto un livello di
allineamento senza precedenti riguardo alla necessità di regolamentare il
settore tecnologico.
“Non
ricordo una cooperazione così efficace da molto tempo a questa parte”, ha
recentemente affermato.
Il
modo in cui Apple e gli altri gate keeper si adatteranno a questi cambiamenti
rimane però ancora incerto.
Le
modifiche proposte da Apple comprendono una serie di nuove opzioni per
sviluppatori e utenti, tra cui l’introduzione di oltre 600 nuove API e
strumenti.
Tra le
novità, vi è la possibilità di side load di app da fonti diverse dall’App
Store, consentendo agli utenti dell’UE di scaricare app da mercati alternativi.
Inoltre,
“Safari” mostrerà una schermata di scelta del browser per consentire agli
utenti di selezionare il browser predefinito su iOS 17.4.
Le
modifiche all’App store.
Per
quanto riguarda l’App Store, sono state implementate nuove opzioni di pagamento,
consentendo l’uso di fornitori di servizi di pagamento (PSP) all’interno
dell’app e l’elaborazione dei pagamenti tramite collegamento.
Tuttavia,
le tariffe e le restrizioni imposte da Apple continuano a sollevare critiche
significative da parte degli sviluppatori.
Le
modifiche apportate da Apple per conformarsi al DMA hanno suscitato critiche
significative, soprattutto da parte della “Federazione Europea degli
Sviluppatori di Giochi “(EGDF) che ha etichettato le modifiche come
anticoncorrenziali e ha sollevato dubbi sulla transizione alle nuove norme.
Anche
Meta e Microsoft hanno criticato le modifiche di Apple, definendole non
conformi al DMA e dannose per la concorrenza nel mercato digitale.
Altre
grandi aziende tecnologiche, tra cui appunto Epic Games e Spotify, hanno sollecitato l’intervento
della Commissione europea per bloccare le modifiche proposte da Apple.
Nonostante
le critiche, Apple, muovendo da altre prospettive ha piuttosto continuato a
sollevare dubbi sulla sicurezza e sulla privacy associate alle modifiche,
sottolineando la necessità di implementare ulteriori misure protettive.
Tanto
non è passato inosservato agli occhi della Commissione europea che infatti ha
già avviato le prime indagini formali contro Apple (oltre Google e “Meta
Platforms” per sospette violazioni della legge sui mercati digitali) il cui
focus è incentrato proprio sulla struttura tariffaria applicata al suo App
Store.
Le
indagini potrebbero protrarsi per un anno e, in caso di violazioni accertate,
Apple e le altre aziende coinvolte potrebbero essere multate fino al 10% del
loro fatturato mondiale totale.
Le
violazioni ripetute potrebbero comportare multe più elevate e interventi più
invasivi nella struttura aziendale.
Sembra
dunque che il futuro dell’App Store di Apple sia destinato ad essere modellato
dalle sfide antitrust e dai cambiamenti normativi in corso a livello globale.
Le
vicende legali in UE, UK e Corea del Sud.
La
pressione su Apple per adattarsi a un ambiente normativo sempre più complesso è
destinata a intensificarsi, con conseguenze significative per lo sviluppo delle
app e per gli utenti di iOS.
La
denuncia del Dipartimento americano arriva infatti un mese dopo che il
produttore di iPhone è già stato multato per aver violato le leggi antitrust
dell’UE.
In
Europa, DMA a parte, la Commissione Europea ha inflitto ad Apple una multa di
1,8 miliardi di euro per pratiche anticoncorrenziali nell’ambito dell’App
Store, sostenendo come l’azienda abbia impedito ai rivali dello streaming
musicale di offrire agli utenti promozioni e aggiornamenti di abbonamenti.
Una
situazione analoga si è verificata nei Paesi Bassi e in Corea del Sud, dove
Apple è stata multata per pratiche sleali riguardanti i pagamenti all’interno
delle app.
Inoltre
Apple si trova al centro di un’azione legale collettiva anche nel Regno Unito,
in cui oltre 1.500 sviluppatori stanno chiedendo un risarcimento di 785 milioni
di sterline, pari a 1 miliardo di dollari, per le tariffe applicate sull’App
Store.
L’azione
legale nel Regno Unito segue una serie di iniziative simili intraprese da
governi e organizzazioni in tutto il mondo contro le politiche dell’App Store
di Apple.
La società è stata oggetto di indagini o
accuse di pratiche anticoncorrenziali anche in paesi come Francia, Germania e
Giappone.
Sempre
nel Regno Unito, l’Autorità britannica per la concorrenza e i mercati (CMA) ha
avviato un’indagine sulle condizioni dell’App Store di Apple sin da marzo 2021.
Il
futuro di Apple.
Anche
gli investitori stanno mostrando segni di preoccupazione. Mentre il settore
tecnologico nel suo complesso ha visto un aumento delle valutazioni, le azioni
di Apple sono invece diminuite, evidenziando la crescente incertezza sul futuro
dell’azienda.
L’annuncio
dell’indagine del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti (DoJ) nei
confronti di Apple ha scatenato flessioni significative delle azioni del
gigante tecnologico, che ora (24 marzo) figura tra le società a grande
capitalizzazione più deboli degli Stati Uniti.
Gli
esperti di Wall Street hanno suggerito che, sebbene al momento non si attendano
cambiamenti immediati nel modello di business di Apple, è probabile che
l’azienda debba alla fine trovare un accordo per risolvere il caso.
Si
prevede che ciò possa comportare il pagamento di una multa sostanziale e la
necessità di rinegoziare la struttura futura dell’App Store, con possibili
ripercussioni sui ricavi dei servizi ad alto margine.
In
aggiunta, le preoccupazioni riguardanti il calo delle vendite di iPhone in Cina
hanno portato il CEO Tim Cook a intraprendere un viaggio nel paese per
affrontare la situazione.
Almeno
per ora però non è chiaro se e come Apple riuscirà a invertire la dinamica
sfavorevole, nonostante la robustezza del suo core business.
Conclusione.
Le
sfide di Apple non si limitano agli aspetti legali e finanziari.
Tanto è vero che si registra una crescente
pressione da parte degli investitori affinché l’azienda entri nel campo
dell’intelligenza artificiale generativa, un settore che alcuni ritengono possa
portare a profitti enormi.
Mentre
rivali come Microsoft e Google stanno già facendo passi avanti in questo
settore, Apple deve ancora proporre un prodotto concreto.
La
situazione si fa dunque sempre più tesa per Apple, ma non tutto è perduto. La
società continua a registrare profitti enormi, e il suo marchio rimane
estremamente popolare tra i consumatori.
Il
vero test per Apple sarà la sua capacità di adattarsi alle normative e
rispondere efficacemente a queste sfide, mantenendo allo stesso tempo la
fiducia dei suoi clienti e investitori.
Per
ora, il destino dell’azienda più preziosa al mondo rimane, tra detrattori e
sostenitori, piuttosto incerto.
Il
mondialismo a luglio ha cercato
non
solo di uccidere Trump,
ma
anche Putin e Orban.
Lacrunadellago.net
– Cesare Sacchetti – (09/08/2024) – ci dice:
Luglio
è stato un mese molto caldo, non solo per ciò che riguarda la meteorologia – e
non certo per la bufala dei cambiamenti climatici – ma soprattutto per ciò che
riguarda la geopolitica.
Abbiamo
visto come il presidente Trump sia stato vittima di una elaborata cospirazione
che ha cercato di ucciderlo durante il suo comizio a Butler, in Pennsylvania,
lo scorso 13 luglio.
Ancora
oggi i media non hanno rivelato nulla di tutte quelle tracce del complotto che
chiamano in causa i vertici della finanza internazionale.
Nulla
è stato detto da costoro sul fatto che il giorno prima dell’attentato, il 12
luglio, un fondo di investimenti, l’”Austin Wealth Management”, molto legato
alla “lobby sionista “e al colosso finanziario “BlackRock”, si riversava sui
mercati per piazzare migliaia di scommesse al ribasso contro il titolo del
gruppo mediatico di Trump.
Qualche
attento osservatore dei mercati lo ha fatto notare.
Non si
piazzano scommesse al ribasso il giorno prima i raduni di Trump, in quanto sono
previsti dei rialzi del suo titolo in borsa, non dei cali, e quindi chi fa una
operazione del genere in borsa, vuol dire che sa molto bene che qualcosa di
estremamente negativo sta per accadere alla persona che possiede una certa
società, in questo caso Donald Trump.
Non ci
è stato detto nemmeno nulla sul fatto che la vetreria dal quale avrebbe sparato
“Thomas Crooks”, cecchino di origini ebraiche, era di proprietà di “BlackRock “che
dopo il fallito attentato si è affrettata stranamente a vendere la proprietà,
quasi a voler tentare di recidere ogni legame tra quanto accaduto e il fondo di
investimenti.
“BlackRock”
poi salta fuori nuovamente sempre in relazione a “Crooks”, che studiava nella
scuola di questo fondo, una circostanza che dovrebbe far chiaramente capire che
ovunque nella cospirazione per uccidere Donald Trump si vede costante la
presenza di questo conglomerato dell’economia mondiale – che sotto il suo stretto anonimato
custodisce le ingentissime risorse dei Rothschild, dei Rockefeller e degli
altri signori della finanza askenazita mondiale – e non certo quella dell’Iran,
come sono impegnati a far credere i media Occidentali nel loro depistaggio.
A
luglio però non c’è stato soltanto il complotto per uccidere Donald Trump, ma
anche quello per fare fuori l’altra grande nemesi del “Nuovo Ordine Mondiale”,
ovvero la
Russia di Vladimir Putin.
La
storia degli attentati contro Putin.
Non è
la prima volta che determinati ambienti cercano di eliminare il presidente
russo.
Se
diamo uno sguardo alla letteratura, per così dire, degli attentati subiti da
Putin dobbiamo risalire almeno all’inizio degli anni 2000, quando l’ex
direttore dell’intelligence russa subì un attentato contro la sua vita mentre
presenziava al funerale del politico russo,” Anatoly Sobchak”.
Non è
stata quella l’unica occasione nella quale Putin ha subito un attentato. Secondo quanto riferito da lui
stesso, il presidente russo sarebbe sopravvissuto almeno a 5 attentati contro
la sua persona in quella che è una guerra contro di lui che procede da almeno
24-25 anni.
Questa
caccia al nuovo zar della Russia si spiega con la frattura che egli ha
provocato rispetto al precedente decennio degli anni’90, nei quali i veri signori del potere erano quegli
oligarchi askenaziti che si sono adoperati con ogni mezzo per porre fine alla
presidenza di Putin.
La
Russia degli anni’90 era infatti difficilmente definibile come uno Stato
sovrano, in quanto, come ha raccontato lo stesso presidente russo, all’epoca i
vari ufficiali della CIA si trovavano nei posti chiave del Paese, e il
presidente Eltsin, così amato dall’anglosfera e deriso nei consessi
internazionali per il suo alcolismo, non era altro che l’utile idiota di quei
poteri che avevano trasformato la Russia post-sovietica in una enclave
governata da rapaci finanzieri senza scrupoli e dallo stato profondo di
Washington.
Questa
guerra per rovesciare il presidente Putin non si è mai interrotta ed è
proseguita anche nelle settimane più recenti, quando sarebbe stato scoperto
direttamente dal servizio segreto russo, l’FSB, un altro piano per uccidere il
presidente.
Secondo
quanto riferisce la TV di Stato russa, “Rossiya 1”, stavolta a concepire un
piano per eliminare il capo di Stato russo sarebbero stati i famigerati servizi
segreti ucraini che contavano di uccidere Putin il giorno della parata della
Marina, che in Russia ricorre il 28 luglio.
A
rivelare il complotto è stato un esponente del governo, quale il vice-ministro
degli Esteri russo,” Sergei Ryabkov”, che ha definito come “folle” il proposito
dei nazisti ucraini di voler uccidere Putin.
“Ryabkov”
afferma che qualora questo piano fosse riuscito ciò avrebbe portato ad un grave
deterioramento dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, già non certo idilliaci e
normalizzati soltanto da Trump, tanto da rischiare un conflitto tra i due
Paesi, che altro non è che lo scenario che determinati personaggi ai vertici
del potere mondialista vogliono a tutti i costi.
Il
mondialismo e la ricerca della terza guerra mondiale.
I
lettori ricorderanno che prima della sua sconfitta alle presidenziali del 2016,
Hillary Clinton, scriveva su Twitter, oggi X, che qualora il presidente degli
Stati Uniti avesse dato l’ordine di lanciare un attacco nucleare, la gerarchia
militare chiamata in causa per eseguirlo non si sarebbe potuta tirare indietro,
dal momento che il presidente è il comandante in capo e i suoi ordini non
possono essere disattesi.
Il
tweet di Hillary Clinton su come deve essere eseguito un attacco nucleare.
Sembrava
di essere piombati nelle trame del film “Wargames,” laddove venivano affrontate
le tematiche di come ridurre al minimo l’intervento umano in caso di guerra
nucleare per evitare appunto rifiuti di eseguire degli ordini che avrebbero
significato la fine del mondo per come lo si è conosciuto.
Hillary
Clinton sembrava ossessionata da questa “esigenza”.
Alla candidata del partito democratico
interessava che i suoi ordini da futuro presidente non fossero disattesi anche
se questi avrebbero significato una guerra nucleare con la Russia, poiché è
questo ciò che i signori del caos vogliono e sono stati loro stessi a rivelarlo
come si
può leggere nella famigerata corrispondenza epistolare tra i due massoni di
alto grado,
“Pike” e “Mazzini”, e come si può vedere anche nel film distopico “Gaia” del
fondatore del M5S, “Gianroberto Casaleggio”, che auspicava una guerra nucleare per
consentire al Leviatano mondiale di vedere finalmente la luce.
A fermare
questo piano cospiratorio sarebbero stati, come detto, i servizi russi ma è
altrettanto interessante notare che Mosca avrebbe chiamato Washington per
chiedere assistenza nello sventare questa manovra eversiva che avrebbe
precipitato il mondo nel caos globale.
Secondo
quanto riferisce lo stesso “Ryabkov”, ci sarebbe stata infatti una
conversazione telefonica tra le due parti lo scorso 12 luglio, e la tempistica
è molto interessante perché questo scambio precede di due giorni il tentato
omicidio contro Donald Trump.
A
chiamare il governo americano sarebbe stato il ministro della Difesa, “Andrei
Belousov”, che avrebbe chiesto al suo omologo, il segretario alla Difesa “Lloyd
Austin”, di fermare il tentativo di omicidio studiato dai servizi ucraini
contro il presidente Putin.
Il
governo americano, da parte sua, ha negato qualsiasi coinvolgimento in questa
cospirazione ed è ragionevole pensare che i russi non avevano neanche bisogno
in realtà di chiamare in causa Washington per sventare il piano, visto che
erano molto bene informati sulle manovre dei nazisti ucraini.
“Ryabkov”
non ha detto di più sul contenuto della conversazione tra “Belousov” e “Lloyd
Austin”, ma è ragionevole pensare che Mosca più che chiedere un eventuale aiuto
agli Stati Uniti, volesse chiedere conto di un loro possibile coinvolgimento
nella cospirazione oppure che i russi volessero far sapere al governo americano
che era stato orchestrato un piano per uccidere Putin.
Non va
dimenticato che ancora ad oggi è un rebus irrisolto quello su chi sono i veri
governanti della Casa Bianca, se si considera che “Joe Biden” non è chiaramente in grado di
intendere e di volere, e, in aggiunta a questo, se si prende anche in esame il
fatto che il
corso della politica estera di Washington non si è spostato rispetto a Trump
come avrebbe dovuto fare sulla carta.
I
russi sono probabilmente molto meglio informati su chi è veramente in controllo
della Casa Bianca e forse hanno voluto fargli sapere che c’era questo piano per
avvertirli delle manovre destabilizzanti che determinati personaggi erano
pronti a mettere in atto.
A
nostro avviso per ciò che riguarda il ruolo degli ucraini occorre chiamare in
causa altri poteri.
Appare
impossibile pensare che da solo il servizio segreto ucraino potesse organizzare
ed eseguire un simile colpo senza l’assistenza di qualche potenza straniera
dotata di una struttura di intelligence molto più organizzata e con mezzi
finanziari e militari di gran lunga superiori a quelli di una Ucraina ormai
ridotta allo sbando.
L’identikit
di questa potenza potrebbe essere a tutti gli effetti quello della Gran
Bretagna, dal momento che gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo molto più
defilato nel sostegno agli ucraini, mentre Londra è stata in prima linea nel
fornire assistenza a Kiev e nella esecuzione di tutta una serie di gravissime
provocazioni contro Mosca.
L’Ucraina
di Zelensky è poi strettamente legata anch’essa al citato “fondo di
investimenti BlackRock”, al quale il presidente ucraino ha gentilmente svenduto
una intera porzione di territorio ucraino sul quale il fondo di investimenti
conta poi di poter fare i suoi affari, anche se questa eventualità sembra
allontanarsi sempre di più poiché il futuro di Zelensky e dell’Ucraina stessa è
tutt’altro che chiaro, ma piuttosto molto nebuloso.
Se
guardiamo poi con attenzione ai bersagli di questi attentati vediamo che erano
rivolti contro quelli che sono i due principali oppositori del mondialismo, e
contro coloro che rappresentano gli ostacoli più grandi per la nascita di una
governance mondiale.
L’alleanza
tra Trump e Putin ha mandato a monte il piano di Davos.
Questa
alleanza
tra Stati Uniti e Mosca da tempo tormenta non poco Davos e la finanza dei
Rothschild,
poiché se le prime due potenze mondiali siglano un’alleanza per il reciproco
rispetto della sovranità nazionale e si oppongono all’idea di un governo unico
globale, quest’ultimo proposito è destinato a restare una chimera.
La
vera e propria campagna di menzogne inaugurata nel 2016 attraverso la bufala
del “Russia gate” serviva proprio allo scopo di minare o azzoppare i propositi
di Trump di stabilire dei rapporti più stretti con il Cremlino, uno scenario
che era ed è considerato una nemesi da Hillary Clinton e tutti i poteri del
globalismo che sostenevano la sua campagna.
Soltanto
la “defezione” americana difatti era più che sufficiente a mandare a monte l’idea del governo mondiale, come era ben conscio uno dei membri
di tale piano, Henry Kissinger, e se agli Stati Uniti si aggiungono Russia e
Cina, tale proposito diventa chiaramente impossibile.
L’opposizione
di Stati Uniti, Russia e Cina evoca quanto disse “Q”, che si ritiene essere un
gruppo di intelligence militare vicino a Trump, il quale scrisse che Trump,
Putin e Xi Jinping erano in opposizione al “Nuovo Ordine Mondiale”.
I
Rockefeller e le altre famiglie della finanza newyorchese, da par loro, stavano
da tempo lavorando ad una “tempesta perfetta”, ovvero una crisi globale artificiale di
massime proporzioni dal quale sarebbe poi dovuto scaturire il tanto agognato
supergoverno mondiale.
La
simulazione pubblicata proprio dalla fondazione Rockefeller e dal titolo
“Operazione Lockstep” sembrava aver scelto lo scenario “pandemico” come la
strada maestra da intraprendere per precipitare il mondo in uno stato di
generale repressione autoritaria.
Le
nazioni sarebbero state sostituite da dei conglomerati regionali molto simili a
quelli concepiti dal conte Kalergi e da Winston Churchill che già a Copenaghen
nel 1950 chiedeva la formazione di un governo mondiale.
Era
tutto pronto.
E’
questo in realtà un piano molto antico che risale ai tempi del secolo dei Lumi,
quando “Adam Weishaupt”, nei suoi scritti, rivelava che la sua setta, gli “Illuminati
di Baviera” fondati nel 1776, non aveva altra aspirazione che quella di
cancellare la precedente civiltà cristiana e di annullare i confini delle
nazioni per lasciare il posto al dominio della massoneria e della sua
repubblica universale.
I
cospiratori però non hanno fatto i conti con quei politici che hanno detto no a
questo infernale cospirazione per ridurre in schiavitù il mondo intero.
La
farsa pandemica aveva tutte le caratteristiche ideali per la crisi perfetta,
quella che consentisse di abbattere definitivamente quello che restava della
precedente civiltà e spianare la strada ad una tirannia globale nella quale il
credo luciferiano sarebbe stato praticato apertamente.
Teosofi
come “David Spengler” sono stati molto espliciti al riguardo. Nessuno potrà
entrare nel Nuovo Ordine Mondiale senza aver primo avuto una iniziazione
luciferiana, e il vaccino, e il suo contenuto, in questo senso è sembrato
essere una sorta di anticipazione del futuro marchio della Bestia ancora, per
fortuna, molto lontano da venire.
La
crisi artificiale però non ha partorito il risultato sperato.
La farsa si è a poco a poco spenta e la
distanza tra i popoli, ormai tramortiti e disillusi dalla democrazia liberale,
e le classi dirigenti fedeli a Davos, al Bilderberg e alle massonerie si è
fatta sempre più profonda.
Sono
ormai davvero in pochi ancora a credere alle bugie di questi signori.
A luglio quindi i signori del caos sembrano
essersi giocati il tutto per tutto.
Hanno
messo in atto un doppio piano.
Hanno
prima provato ad uccidere il presidente Trump, vivo per una circostanza che
appare un miracolo divino, e poi hanno concepito un altro omicidio, quello del
presidente Putin.
Non
solo sono stati sventati due questi tentativi ai danni di Trump e Putin, ma
persino un terzo concepito ai danni del primo ministro ungherese Orban contro
il quale si preparava un attentato esplosivo contro la sua auto il 5 luglio, il
giorno nel quale si recava all’aeroporto per volare a Mosca.
Il
premier magiaro è da tempo sulla lista nera dell’Unione europea, tanto che non
poche volte sono arrivate velate minacce da Bruxelles verso Budapest,
soprattutto dopo che Orban ha dato vita ad una serie di iniziative diplomatiche
dopo la nomina dell’Ungheria a presidente di turno del Consiglio UE, tutte
volte a stabilire dei rapporti più stretti con il Cremlino.
A
Bruxelles sono anni che il primo ministro magiaro è finito sulla lista nera di
George Soros che ha più volte cercato, senza fortuna, di scatenare anche in
Ungheria le sue rivoluzioni colorate, vero e proprio marchio di fabbrica del
principe della sovversione internazionale, legato alla sempre presente famiglia
Rothschild.
A
luglio le forze infernali che vogliono trascinare il mondo verso il caos
generalizzato si sono letteralmente scatenate.
La
bestia ferita del globalismo è ben consapevole che la sua fine è vicina e il
mese passato si è giocata il tutto per tutto, tanto da mostrare al mondo
intero, ancora una volta, qual è la vera natura di questa battaglia e qual è la
vera natura di coloro che vogliono a tutti i costi edificare il loro
totalitarismo mondiale.
Il
Nuovo Ordine Mondiale ha provato a togliere di scena coloro che hanno mandato a
monte il Grande Reset e ha fallito miseramente.
Il
meccanismo che si è messo in moto dopo il 2021 appare irreversibile. Non appare
esserci scampo per invertire la crisi del mondialismo.
Non
appare esserci scampo per i nemici di Dio e dell’umanità intera.
EU:
Arriva la Tessera Vaccinale!
Conoscenzealconfine.it
– (9 Agosto 2024) - Massimo Mazzucco – ci dice:
A
partire dal prossimo settembre cinque nazioni europee – Belgio, Germania,
Grecia, Lettonia e Portogallo – sperimenteranno la nuova Tessera Vaccinale
Europea (EVC).
Tale
certificato verrà sperimentato in diversi formati, dalla tessera vera e propria
(tipo carta di credito) fino al formato digitale, da caricare direttamente
nella smart phone.
Secondo
“Vaccines Today” la nuova Tessera Vaccinale “mira a dare potere alle persone,
consolidando tutti i loro dati vaccinali in un’unica posizione facilmente
accessibile”, mentre il programma sperimentale “mira ad aprire la strada ad
altri paesi, armonizzando la terminologia vaccinale, sviluppando una sintassi
comune, garantendo adattabilità in diversi contesti sanitari e perfezionando i
piani di implementazione dell’EVC”.
Se
tutto andrà bene… “nel 2026 il sistema EVC sarà esteso oltre la fase pilota,
consentendo un’ampia adozione in tutti gli Stati membri dell’UE”.
Il
sito” Children’s Health Defense” di “Robert Kennedy Jr.” ha raccolto i commenti
di diversi medici ed esperti del settore sulla tessera vaccinale europea:
il
dott. “David Bel”l, medico della sanità pubblica, consulente biotech ed ex
direttore di “Global Health Technologies”, ha affermato:
“La proposta di tessera vaccinale riflette un
crescente sforzo di utilizzare gli strumenti della sanità pubblica come mezzo
per concentrare la ricchezza e fornire un mezzo per controllare le popolazioni.
Ricorda
molto gli approcci in alcune parti d’Europa prima della seconda guerra
mondiale, e serve essenzialmente ad uno scopo simile:
escludere
dalla società gli individui che non vogliono obbedire alle istruzioni del
governo.
La sperimentazione in Europa è il naturale
passo successivo, che aumenta notevolmente la probabilità di lockdown
ricorrenti per consentire la vaccinazione obbligatoria di massa, e quindi per
aumentare i profitti sui vaccini”.
Anche
l’avvocato olandese “Meike Terhorst” ha criticato il programma pilota,
definendo il passaporto vaccinale digitale “una minaccia diretta alla nostra
libertà e anche alla sovranità di qualsiasi stato. Tutti i nostri poteri sono affidati
ai globalisti, al gruppo di banchieri e investitori”.
“Catherine
Austin Fitts”, fondatrice ed editrice del” Solari Report” ed ex vice-ministro
USA per l’edilizia e lo sviluppo urbano, ha affermato:
“L’obiettivo
è il controllo finanziario. Non esiste uno scopo legittimo di salute pubblica.
I banchieri centrali si nascondono dietro una narrazione sanitaria: politiche
come il lockdown sono un modo per gestire l’inflazione e la domanda di risorse
quando la politica monetaria è altamente inflazionistica”.
Gli
esperti hanno anche collegato l’implementazione dell’EVC agli avvertimenti del
governo e dei funzionari sanitari sulla “prossima pandemia”, potenzialmente
causata dall’influenza aviaria o da una “Malattia X” ancora sconosciuta.
Secondo
Fitts “è in atto una strategia per prepararsi a una pandemia di influenza
aviaria.
I
vaccini contro l’influenza aviaria sono già stati spediti in Europa.
Una tessera vaccinale può essere utilizzata
per cercare di fare pressione o costringere le persone a fare un’altra
iniezione non necessaria”.
Il
giornalista scientifico e autore francese “Xavier Bazin” ha detto:
“Per
il momento, una tessera vaccinale in Europa ha lo scopo di garantire che la
maggior parte dei bambini riceva la vaccinazione”.
Tuttavia,
egli crede che il passo successivo sia cercare di rendere obbligatorio il
vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (MMR) in tutta Europa.
“Anche se non dovessero avere successo con
l’”MMR”, questo tipo di tessera sarà perfetta quando arriverà la prossima
‘pandemia’ e vorranno rendere obbligatorio un vaccino di emergenza, come hanno
fatto con il COVID “, ha affermato Bazin.
Sempre”
David Bell” ha affermato:
“L’OMS
e altre agenzie hanno il chiaro intento di collegare la conformità ai dettami
sanitari centralizzati con la possibilità delle persone di svolgere la loro
vita quotidiana.”
“Meike
Terhorst” ha concluso:
“Il
passaporto vaccinale digitale è un mezzo tecnico per violare le libertà
personali, come il diritto di dire di no a una vaccinazione. È un mezzo per trasformare esseri
umani liberi in schiavi. Questo passaporto vaccinale digitale è stato pianificato
molti anni in anticipo dai globalisti”.
Ma
l’Europa della “Von der Leyen” se ne frega di queste opinioni.
Loro – i burattini ben pagati delle case
farmaceutiche – vanno avanti come schiacciasassi lungo il loro percorso,
stabilito e progettato già molti anni fa.
Solo
una presa di coscienza collettiva e una robusta ribellione da parte della
popolazione europea, potranno fermare la nostra caduta verso la definitiva
schiavitù.
(Massimo
Mazzucco).
(luogocomune.net/medicina-salute/eu-arriva-la-tessera-vaccinale).
Perché
“BlackRock” vuole mettere le mani sul Venezuela.
Lacrunadellago.net
- Cesare Sacchetti – (02/08/2024) – ci dice:
Siamo
alle solite. Ogni qualvolta ci sono le elezioni in Venezuela, assistiamo alla
solita isteria dei media mainstream che accendono la macchina del falso e
puntualmente parlano di “frode elettorale”.
Non
importa molto ai loro occhi se di prove di questa “frode” non ce ne siano e non
ne siano state nemmeno mostrate dalla opposizione venezuelana guidata da un
personaggio come “Maria Corina Machado”, sulla quale diremo meglio più avanti.
Ai
media interesse promuovere una certa narrazione, ed è quella che il Venezuela
da 24 anni a questa parte sia diventato una sorta di feroce “dittatura”
soltanto perché in questo Paese da quasi un quarto di secolo non c’è un governo
che compiace le istanze della cosiddetta anglosfera.
Ora se
ci soffermiamo un attimo a guardare i fatti e prendere in esame il sistema
venezuelano, vediamo che esso è molto più serio e rigoroso di quello che c’è,
ad esempio, in diversi Paesi europei o negli Stati Uniti e le frodi sono
alquanto complesse a causa di un controllo incrociato tra voto cartaceo e voto
elettronico e suggeriamo di dare uno sguardo alla ottima spiegazione del voto
in Venezuela fatta dall’agenzia di stampa “BreakThrough News”.
L’analisi
del voto in Venezuela è stata fatta dall’agenzia “Break Trogu.”
Vogliamo
ricordare qui, a titolo di esempio, che negli Stati Uniti sono andati a votare
diversi immigrati irregolari oppure che hanno votato anche i morti nel 2020
attraverso la famigerata frode ai danni di Trump, ma qui ovviamente per i media
Occidentali di frode non c’era l’ombra, nonostante le prove della truffa
fossero evidenti e visibili a tutti.
Vogliamo
anche ricordare quanto accaduto alle elezioni europee in Italia, nelle quali in
diversi casi nei verbali c’erano delle firme di elettori che non erano ancora
andati al seggio e non erano ancora andati a votare, e sarebbe alquanto
interessante sapere chi sono quelle mani “fantasma” che hanno votato al posto
dei loro legittimi proprietari.
In
Venezuela questo non è accaduto e il voto è stato, fino a prova contraria,
regolare e sancito anche da diversi osservatori internazionali che di certo non
possono considerarsi amici di questo Paese.
Potremmo
metterla in questi termini.
Le elezioni degli “amici” sono sempre
regolari, mentre quelle dei nemici sono sempre una “frode”, a dimostrazione
dell’ipocrita doppio standard che governa le sempre più corrotte democrazie
Occidentali.
A dare
il via al fiume di menzogne anche in questa occasione è stato il “Washington
Post” che ha proposto un suo “exit poll” nel quale affermava che l’opposizione
in Venezuela avrebbe vinto con il 65% di voti, peccato però che non c’è traccia
di questo 65% nei voti reali e a questo punto appare chiaro che i sondaggi dei
vari istituti Occidentali sono come i numeri al lotto.
Ne
puoi dare quanti ne vuoi, ma essi non esistono nella realtà.
Una
volta compreso che in Venezuela non c’è stata frode e che le elezioni sono
state regolari sarebbe il caso di soffermarsi ora sulla storia recente di
questo Paese e sul perché ci sia una feroce battaglia su di esso da 25 anni a
questa parte.
Il
Venezuela: da colonia dell’anglosfera a Chavez.
Il
Venezuela fino alla fine degli anni 90 era sostanzialmente una periferia
dell’anglosfera in America Latina.
Washington
ha sempre messo in atto la dottrina Monroe per quello che riguarda l’intero
continente americano, e tale dottrina si è tramutata semplicemente nel dominio
dell’impero americano per tutto il Sudamerica.
Il
Sudamerica è una zona di mondo che pullula di risorse naturali.
Ci sono oro, petrolio, rame, zinco e altri
metalli che sono strategici per la produzione di molti materiali e fanno gola
alle potenti corporation angloamericane che vogliono avere il controllo di
quelle risorse per dominare i mercati.
Un
esempio dello scontro di interessi tra i Paesi dell’America Latina e il potere
economico dell’anglosfera è quello al quale si assistette ai tempi della
presidenza di Salvador Allende in Cile.
Il
Cile è un Paese nel quale ci sono ricchissime miniere di rame e queste, come
noto, rappresentano una risorsa strategica per la distribuzione dell’energia
elettrica, in quanto i cavi usati per portare la corrente sono in rame, uno dei
conduttori migliori e meno costosi tra le materie prime più pregiate.
In
Cile, la compagnia che controllava la produzione nazionale di rame era la
celebre “Anaconda”, e se guardiamo un po’ alla storia di questa società,
vediamo che i nomi che la controllavano erano quelli delle onnipresenti
famiglie della finanza askenazita, quali i Rothschild e i Rockefeller.
L’ascesa
al potere di Allende dopo le elezioni del 1970 rappresenta un problema poiché
il nuovo presidente decide di nazionalizzare le risorse di rame che passano
sotto il controllo dello Stato.
Henry
Kissinger decide così di risolvere il “problema” dei Rockefeller attraverso
l’organizzazione di un colpo di Stato che depone Allende nel 1973 e mette al
suo posto Pinochet, l’uomo “benedetto” da Washington e dall’anglosfera.
Quello
che si è verificato in Cile è il conflitto che ha influenzato tutto il secolo
scorso, ovvero quello tra gli Stati nazionali sempre più depotenziati
progressivamente della loro sovranità dopo la fine della seconda guerra
mondiale, e i vari potentati della finanza di New York e Londra, che sono
stati, purtroppo, i veri detentori del potere nel secolo scorso.
Il
processo al quale si assiste in Venezuela non è molto dissimile da quello che
si è verificato in Cile.
Hugo
Chavez e le nazionalizzazioni del Venezuela.
Nel
1998 sale al potere un uomo che non è stato scelto in anticipo dai poteri
dell’anglosfera e che decide di restituire le risorse petrolifere nazionali al
Paese e al suo popolo.
Quell’uomo
è l’ex ufficiale dell’esercito Hugo Chávez che si guadagna un trionfo
elettorale in quell’anno tale da aggiudicarsi il 58% delle preferenze.
Chávez
segue il percorso seguito e tracciato da Allende già nel 1971.
Il
presidente venezuelano attua una serie di nazionalizzazioni sotto la sua
presidenza, che finirà soltanto con la sua precoce morte nel 2013, e che manda
su tutte le furie quelli che erano i veri padroni del Paese fino al 1997.
Se si
dà uno sguardo alle industrie nazionalizzate dallo statista venezuelano si vede
che gli attori che hanno pagato lo scotto delle sue politiche economiche sono,
ad esempio, la francese Total e le americane Exxon e ConocoPhillips, alle quali Chavez tolse i diritti di
sfruttamento di progetti petroliferi nella regione dell’Orinoco nel 2007.
La
consultazione dell’azionariato di queste corporation ci aiuta a comprendere
quali interessi stava toccando il leader venezuelano.
La
Exxon e la ConocoPhillips sono di proprietà degli ormai “leggendari” fondi di
investimento BlackRock e Vanguard nei quali ci siamo imbattuti in svariate
occasioni, poiché questi due fondi detengono il controllo dell’economia
mondiale.
Chavez
conduce una battaglia per la sovranità del suo Paese e tale battaglia non può
non passare dalla riconquista delle risorse nazionali.
A
Washington non sono affatto contenti del nuovo corso politico intrapreso dal
Paese, e nel 2002, la” lobby sionista neocon” tenta di rovesciare il presidente
in un golpe diretto dal famigerato “John Bolton,” politico americano di origini
ebraiche, membro della amministrazione Bush, nonché architetto della guerra
all’Iraq nel 2003, e vicinissimo alla potente “lobby filo-israeliana dell’AIPAC
“che esercita un fortissimo ruolo di controllo sul Congresso americano.
(White
House national security adviser Bolton arrives to speak about the political
unrest in Venezuela, outside the White House in Washington.)
(John
Bolton)
Ora se
alcuni lettori pensano di poter derubricare il presidente venezuelano nella categoria
dei marxisti o dei comunisti, ci dispiace informarli che sono in errore a meno
che questi non siano così superficiali come alcuni commentatori angloamericani
che non appena sentono parlare di nazionalizzazioni gridano immediatamente al
“comunismo”.
L’economia
del Venezuela ha seguito un modello di economia mista dal 1998 in poi e, sotto
molti aspetti, Chavez non ha fatto altro che ispirarsi al percorso seguito
dall’Italia dagli anni’30 in avanti quando fu costituito l’IRI ai tempi del
fascismo, e che fu poi anche il pilastro della riscossa della rinascita
economica italiana nel dopoguerra.
La
proprietà privata dei piccoli e medi imprenditori venezuelani non fu mai messa
in discussione e anche per ciò che riguarda la filosofia morale del chavismo si
può affermare che in esso c’è ben poco di comunista o marxista.
Non
c’è stata traccia della secolarizzazione che i regimi comunisti hanno portato
in altre parti del mondo dal momento che lo stesso Chávez affermava che non
bisognava ispirarsi al leninismo e al trotzkismo ma piuttosto ai valori della
fede cristiana.
Se
proprio si volesse cercare di iscrivere il chavismo in una corrente politica, a
nostro parere questo è molto più vicino alla impostazione del socialismo
nazionale e invece molto lontano dal territorio del marxismo.
Chavez
ha così spiegato come il suo partito debba ispirarsi ai valori cristiani.
E
questa impostazione sovranista del chavismo è rimasta immutata anche sotto il
mandato di Maduro, a differenza di quello che vorrebbe fare invece l’attuale
leader dell’opposizione della quale si accennava in precedenza, Maria Corina Machado, che ha
un’agenda politica che potrebbe definirsi come una sintesi politica delle
istanze liberali e marxiste.
La
Machado vorrebbe infatti interrompere e rovesciare il percorso economico
seguito dal Venezuela per riconsegnare le industrie petrolifere, quelle
dell’energia elettrica e delle telecomunicazioni ai soliti fondi di BlackRock e
Vanguard, e ciò significherebbe semplicemente che il Paese tornerebbe ad essere
di proprietà dei Rothschild e dei Rockefeller.
Il
Venezuela sotto l’opposizione verrebbe sottoposto ad una brutale ondata di
privatizzazioni e le risorse strategiche del Paese passerebbero dalle mani
dello Stato a quelle dei potentati stranieri che tornerebbero ad essere i
dominus indiscussi del Paese.
La
leader della opposizione venezuelana ha in mente anche quella che potrebbe
essere definita una destrutturazione morale delle radici cristiane del Paese
attraverso una vera e propria secolarizzazione del Venezuela.
La
Machado propone infatti la legalizzazione dell’aborto, la distribuzione della
cannabis, i matrimoni gay, e, come se già non fosse abbastanza, l’eutanasia.
Appare
evidente che questa cosiddetta destra liberale venezuelana non è molto distante
da una versione venezuelana del partito radicale italiano in quanto questi
punti sono presi direttamente dall’agenda di quella famiglia di partiti
liberali e progressisti che hanno trasformato diversi Paesi, ad esempio
l’Olanda, in fetidi pozzi di corruzione morale senza più traccia alcuna delle
precedenti radici cristiane.
La
Machado ha chiaramente un solo scopo.
Quello
di trasformare il Venezuela in una nuova colonia nelle mani dei signori
dell’anglosfera e questo spiega anche come la politica venezuelana sia da tempo
in stretto contatto con gli esponenti del mondo neocon americano, tanto che
l’ex presidente Bush la ricevette alla Casa Bianca già nel 2005.
Infatti
George Bush riceve Maria Corina Machado alla Casa Bianca nel maggio del 2005.
Voler
quindi provare a definire il Venezuela come “comunista” o la leader della
destra liberal-marxista come una “paladina della libertà” non sarebbe altro che
un grave errore di analisi che finirebbe per ingannare il lettore e portarlo a sostenere paradossalmente
gli interessi dell’alta finanza in Venezuela.
La
battaglia per il Venezuela è quella che ogni Paese che una leadership non
sottomessa ai voleri di BlackRock e Vanguard dovrebbe combattere.
Negli
anni passati probabilmente molti lettori ricordano che questo Paese ha
attraversato una dura crisi economica, e ovviamente se si sfogliano le pagine
dei quotidiani Occidentali, si vedrà che ciò è stato il risultato delle sue
presunte politiche marxiste, mai esistite in realtà, quando invece quanto
accadeva in Venezuela era il diretto risultato di una feroce guerra economica
che non si è mai interrotta da quando Chavez divenne presidente nel 1998.
È la
guerra per conquistare questo Paese e farlo tornare parte del cortile
dell’anglosfera sempre più piccolo e sempre più in crisi.
Il
presidente Maduro ha fatto una riflessione molto intelligente in questi giorni
quando si è soffermato a commentare i tentativi di rovesciare il suo governo
tramite l’ennesima rivoluzione colorata.
Maduro
ha affermato che coloro che stanno cercando di mettere fine alla sua presidenza
sono gli stessi poteri che hanno cercato di uccidere Trump e che hanno ucciso
JFK.
Il
filo che lega questa sovversione internazionale è sempre quello della finanza
askenazita e dei suoi signori quali i citati Rothschild, Rockefeller, DuPont e
Morgan.
Sono
loro che vogliono instaurare un governo fantoccio in Venezuela. Sono loro che
da più di un secolo soffocano la libertà dei popoli e la sovranità delle
nazioni.
Come
mai le Leggi sull’uso dell’ AI, in caso di guerra, sono
diverse
tra USA e UE?
Lapekoranera.it
– (07/08/2024” -Manlio Lo Presti - Glauco Benigni – ci dicono:
(google.com/url?sa=i&url=https%3A%2F%2Fwww.bbc.co.uk%2Fnews%2Fbusiness-41035201&psig=AOvVaw2sYx1NI9bRE0X1hvrX2fHN&ust=1723107237759000&source=images&cd=vfe&opi=89978449&ved=0CBEQjRxqFwoTCKCP3-fA4ocDFQAAAAAdAAAAABAJ)
Risponde
ChatGPT.
Agli
inizi di agosto ’24 è entrata in vigore la Legge Europea sull’AI (Intelligenza
Artificiale), ma la maggior parte delle norme si applicherà a far data dal
2.8.2026.
Nel frattempo la Commissione sta promuovendo
il Patto IA che sollecita l’impegno volontario, per i Soggetti coinvolti nelle
attività, ad anticipare l’attuazione della Legge prima della sua entrata in
vigore legale.
Una sorta di autoregolamentazione.
È
questa una strada diversa da quella adottata dagli Stati Uniti, i quali hanno
promulgato il 30 ottobre 2023 un’Ordinanza Presidenziale, a firma Joe Biden;
ed è diversa anche dal percorso della Cina,
che sin dal 2017 ha cominciato a pubblicare linee guida dette “Piano di
Sviluppo “AI” per le Future Generazioni”.
Il
presidente russo Vladimir Putin, invece, nel novembre 2023 ha annunciato
l’intenzione di approvare una strategia nazionale per lo sviluppo dell’IA,
essenziale secondo il leader del Cremlino per evitare il “monopolio
occidentale”.
Quindi
la Legge russa non c’è ancora e secondo alcuni osservatori il motivo potrebbe
essere una “certa dipendenza” dalla visione di Pechino.
In
tutto il mondo le Nazioni che hanno formulato norme, regolamenti, leggi e/o
linee guida sono già una settantina. In questa grande scena – che comunque è
ben lungi da configurarsi quale scena di riferimento globale condivisa – un
aspetto di enorme rilevanza è quello che riguarda le norme sull’uso dell’AI
riferite a armi e attività militari.
Purtroppo,
è questo un aspetto che è sempre più tragicamente presente ma resta nel cono
d’ombra dell’informazione.
Cerchiamo
di saperne di più.
E
scopriamo che:
mentre
in USA le norme esistono e sono ben strutturate, nell’AI Act dell’Unione
Europea, non sono previste norme specifiche che regolano le attività militari.
Sorpresa!?
Sembrerebbe
di no! Abbiamo chiesto il Perché di tale “diversità” a CHATGPT che ci ha
risposto così:
1)
L’Unione Europea ha competenze limitate in materia di difesa e sicurezza
nazionale.
Queste
aree rientrano principalmente nella sovranità degli Stati membri. La politica
di difesa è una prerogativa nazionale e regolamentare l’uso dell’IA in ambito
militare potrebbe superare le competenze attuali dell’UE.
2) Le attività
militari sono strettamente legate alla sicurezza nazionale e spesso richiedono
un alto livello di segretezza.
Regolamentare l’IA militare a livello dell’UE
potrebbe complicare la gestione delle informazioni sensibili e delle strategie
di difesa degli Stati membri.
3)
Molti Stati membri dell’UE hanno già le proprie normative e linee guida
riguardanti l’uso dell’IA in ambito militare.
Queste
regolamentazioni possono variare significativamente in base alle specifiche
esigenze e strategie di difesa di ciascun paese.
4) Le
questioni militari e l’uso dell’IA in ambito militare sono spesso affrontate
attraverso trattati e accordi internazionali.
Ad esempio, esistono discussioni globali
sull’uso di armi autonome letali (LAWS) nell’ambito della Convenzione delle
Nazioni Unite su certe armi convenzionali (CCW).
Queste
piattaforme sono considerate più appropriate per trattare tali questioni
rispetto a una normativa interna dell’UE.
5)
L’AI Act si concentra principalmente sull’uso dell’IA in contesti civili e
commerciali, mirando a bilanciare l’innovazione con la sicurezza dei cittadini.
Inclusi in questa regolamentazione sono settori come la salute, la finanza e i
trasporti.
L’inclusione
delle attività militari avrebbe richiesto un’analisi e una regolamentazione
molto diverse, rendendo il processo normativo più complesso e disomogeneo.
6)
L’uso dell’IA in ambito militare solleva complesse questioni etiche e morali,
come l’uso di armi autonome.
Queste
questioni richiedono un dibattito etico approfondito e un approccio normativo
specifico, spesso meglio trattato in contesti internazionali dedicati.
Conclusioni:
“L’esclusione
delle attività militari dall’”AI Act” riflette la complessità e la sensibilità
del settore della difesa.
Le attività militari richiedono un approccio
diverso, probabilmente più adatto a livello nazionale o attraverso trattati
internazionali specifici, piuttosto che essere incluse in una normativa ampia e
generale sull’IA come l’”AI Act” dell’UE”.
(
N.d.R … probabilmente anche la sede NATO è considerata più appropriata per
affrontare questi temi.)
Bene …
questo è il “punto di vista” di CHATGPT.
Resta però non affrontata una questione
fondamentale, ovvero:
come è
stato trattato il tema in generale da quelle Nazioni che hanno voluto esprimere
norme al riguardo.
Anche
in questo caso abbiamo posto la questione a CHATGPT che ci ha risposto così:
“Il
problema centrale nei regolamenti sull’IA che affrontano le questioni militari
e di guerra riguarda principalmente l’equilibrio tra l’innovazione tecnologica
e le implicazioni etiche e di sicurezza.
Ecco
alcuni degli aspetti chiave:
1.
Autonomia delle Armi e Decisioni Letali.
Uno
dei temi più dibattuti è l’uso delle armi autonome letali (LAWS) (n.d.r killer
robots , munizioni vaganti e altri
ordigni che possono colpire obiettivi senza l’intervento umano).
Queste
armi possono prendere decisioni di vita o di morte.
Le preoccupazioni principali includono:
Controllo
Umano:
La
necessità di garantire che ci sia sempre un controllo umano significativo nelle
decisioni letali, per evitare scenari in cui macchine prendano decisioni etiche
complesse senza supervisione umana.
Responsabilità:
Difficoltà nel determinare chi è responsabile
in caso di malfunzionamento o uso improprio delle armi autonome. Questa
ambiguità potrebbe complicare l’attribuzione della responsabilità legale e
morale.
2.
Rispetto del Diritto Internazionale Umanitario (DIU)
Le
tecnologie di IA devono essere conformi al diritto internazionale umanitario,
che regola la condotta della guerra e protegge i civili e i combattenti che non
partecipano più alle ostilità.
Le
sfide includono:
–
Distinzione e Proporzionalità:
Assicurare
che i sistemi di IA possano distinguere tra combattenti e civili e che
qualsiasi attacco sia proporzionato rispetto all’obiettivo militare legittimo.
– Riduzione del Danno Collaterale:
Minimizzare
il rischio di danni collaterali e vittime civili, che richiede sofisticati
algoritmi di riconoscimento e analisi in tempo reale.
3.
Sicurezza e Cybersecurity.
L’uso
di IA in ambito militare introduce rischi significativi legati alla
cybersecurity:
–
Hacking e Manipolazione:
I sistemi di IA possono essere vulnerabili a
hacking e manipolazioni, che potrebbero portare a conseguenze disastrose se
utilizzati in operazioni militari.
– Difesa contro Attacchi Cibernetici:
Necessità
di sviluppare misure di difesa robusta per proteggere i sistemi di IA da
attacchi cibernetici che potrebbero compromettere la sicurezza nazionale.
4.
Trasparenza e Supervisione
La
trasparenza e la supervisione sono cruciali per garantire che l’uso dell’IA in
ambito militare sia etico e legittimo:
– Supervisione Internazionale:
Creazione
di meccanismi di supervisione internazionale per monitorare l’uso delle
tecnologie di IA militari e assicurare la conformità con le leggi
internazionali.
– Trasparenza Operativa:
Implementazione
di requisiti di trasparenza per garantire che le operazioni militari condotte
con IA siano documentate e sottoposte a revisione pubblica e legale.
5.
Etica e Norme Internazionali.
L’adozione
di norme e principi etici internazionali è essenziale per guidare lo sviluppo e
l’uso dell’IA in ambito militare:
–
Standard Etici:
Sviluppo
di standard etici comuni per l’uso dell’IA nelle operazioni militari, che
includano il rispetto dei diritti umani e la dignità umana.
–
Cooperazione Internazionale:
Promozione
della cooperazione internazionale per affrontare le sfide etiche e normare
l’uso dell’IA in guerra, attraverso trattati e accordi multilaterali.
Questi
problemi evidenziano la necessità di un quadro normativo globale che possa
bilanciare l’innovazione tecnologica con imperativi etici e di sicurezza,
garantendo che l’uso dell’IA in ambito militare sia responsabile e conforme ai
principi umanitari.
Sono
belle parole, senza dubbio:
controllo e responsabilità umane;
riconoscimento diversificato a distanza tra civili e combattenti; limitazione
di danni collaterali; protezione da attacchi di hackers; supervisione
internazionale e conformità ai trattati; operazioni documentate e sottoposte a
revisione pubblica; standard etici comuni; rispetto diritti umani e dignità;
cooperazione e accordi multilaterali!
Tutti
argomenti da Consiglio di Sicurezza dell’ONU o da G20, visioni del nemico
(quasi) poetiche, che però non compaiono all’Ordine del Giorno di quelle
spettabili Istituzioni mondiali.
E del
resto perché aspettarcelo visti i tempi?
Resta
il fatto che purtroppo le guerre appaiono sempre più prossime e vicine e che l’AI è già abbondantemente utilizzata
per scopi bellici e i morti muoiono in deroga o, peggio, in assenza, di ogni
auspicabile quadro normativo globale condiviso dalle parti belligeranti.
L’arte
dello spionaggio e la
presunta
potenza della robotica
Lapekoranera.it - Manlio Lo Presti – (4-8-2024) – ci
dice:
Il
Prof. Caligiuri ha pubblicato il 3 agosto 2024 sul periodico “Il Riformista” un
articolo sulle spie che non appartengono al passato. I temi trattati dal
coltissimo esperto di intelligence suscitano alcune riflessioni.
(Pagina
2 de IL RIFORMISTA del 3 agosto 2024.)
In
ogni epoca storica, fino al tempo presente, disporre delle giuste informazioni
ha consentito di prendere decisioni più mirate ed efficaci. Tuttavia, non è
opportuno oggi sopravvalutare gli strumenti tecnologici a disposizione.
Significherebbe
confermare ancora una volta l’intuizione di “Marshall McLuhan” che, con
mirabile sintesi, affermò che “Il medium è il messaggio”.
Cioè,
la tendenza a trasformare lo strumento da mezzo a fine.
Un
esempio?
Si
vive per la macchina, si accumula compulsivamente denaro, ecc.
Non si
finisce di ripetere che dietro a qualsiasi dispositivo fra gli uomini antichi e
oggi fra i moderni ci sono sempre gli umani che gestiscono e decidono i
contenuti e gli obiettivi.
In
questo caso, aggiungere contenuti alla cosiddetta intelligenza artificiale.
Il
fattore umano continua ad essere il fattore determinante di successo di
qualsiasi operazione di informazione sia pure con l’appoggio di strumentazioni
tecniche.
Oggi, sembra fari strada, pericolosamente, la
tendenza a magnificare gli strumenti rispetto all’azione umana (humint) a causa
del crescente feticismo e dell’eccessivo fideismo per la tecnotronica.
Gli strumenti tecnici cambiano continuamente
denominazione: computeristica, blockchain, intelligenza artificiale.
I
profeti del transumanesimo preconizzano una ibridazione avanzata uomo-macchina
portando avanti il principio pericoloso che parifica e, anzi, sminuisce il peso
degli umani in confronto con la megamacchina.
Ancora
una volta, gli umani determinano i contenuti dei programmi che guidano le
macchine.
Si stanno studiando dispositivi auto aggiornantesi
e autoriparantesi.
Questi
profeti della robotica e della ibridazione uomo-macchina, dietro ai quali ci
sono generosi finanziatori e creatori del caos sociale esistente in Occidente,
non stanno dicendo nulla di nuovo.
L’ibridazione
uomo-macchina esiste da quando gli umani hanno iniziato ad utilizzare strumenti
afferrati con il pollice opponibile.
Un
processo che continua oggi fruendo di altre “estensioni”, fra le quali
l’adozione di mezzi di trasporto che hanno eliminato l’unità di tempo e di
luogo.
Oltre
alle attuali discriminazioni si aggiunge quella fra chi utilizza strumenti
tecnici e chi ne è fuori.
Cosa
ne facciamo di questa gente?
Sarà eliminata fisicamente perché
improduttiva?
Ci
sarà una nuova edizione patinata della “Conferenza di Wannsee”? Quale etica coprirà queste nuove
forme di eliminazione di massa che si profilano all’orizzonte?
Gli
esperti di Steve Jobs conoscono Eccles, Parisi, Lurija, Parisi, Marchesini,
Braitenberg?
Forse sì, ma sono stati ignorati.
È stato più facile seguire i dettami del “Discorso
sulla guerra totale” di Goebbels.
Con la
creazione del cellulare la Apple ha fatto l’affare del secolo con profitti
enormi e ha ottenuto l’istantaneo controllo individuale di milioni di persone.
Sappiamo
che quasi sempre un affare per le aziende non è un vantaggio per i destinatari.
È da
verificare se il cellulare abbia aumentato, o più realisticamente, abbia
amputato le capacità cognitive del cervello passato sotto il controllo dei
Servizi.
“Zsolt
Katona” fu il primo ad affermare che il cliente va portato al prodotto e non il
contrario.
Il
gradimento dei clienti è ancora oggi marginale nonostante sia pubblicizzato il
contrario.
Il
fideismo feticista nei confronti della cosiddetta intelligenza artificiale ha
posto in secondo piano la verifica dei suoi contenuti e il metodo di selezione
e di inserimento dei dati – e quali – nel sistema.
Rimane
solo la certezza che i dati sono selezionati dagli umani ma non è chiaro il
processo di controllo e gestione dei flussi inseriti.
L’A.I.
non è in grado di comprendere né di immaginare un fine ultimo, uno scopo.
La
spinta alla realizzazione del progetto A.I., costato miliardi, sta provocando
il più grande saccheggio e la manipolazione delle opere dell’ingegno umano del
quale non sono pagati i diritti d’autore.
Con
questo saccheggio l’A.I. è partita subito male e ha mostrato il vero motivo
della sua esistenza:
si
tratta di una megamacchina delocalizzata ingegnerizzata per il controllo di
vaste masse umane mediante programmi ancillari quali l’identificazione
facciale, il tracciamento delle transazioni bancarie e di acquisto di beni e di
servizi, i dati di navigazione in rete.
Non
possiamo certo pensare che questi obiettivi siano stati creati per il sostegno
di un libero scambio democratico.
Come
al solito, diventa sempre più urgente individuare chi controlla il
controllore.
La
megamacchina è in grado di controllare masse di umani con l’identificazione
facciale pur facendo ancora molti errori, con gli utilizzi bancari, con gli
acquisti, con la navigazione in rete.
Una
marea immane di dati che sono custoditi in luoghi dove non possono accedere
eventuali controllori dei Paesi democratici.
Rimane
il problema del tracciamento di miliardi di persone prive di dispositivi
elettronici difficilmente controllabili.
Li
confiniamo fisicamente in aree di raccolta eufemisticamente chiamate “Città da
quindici minuti” rievocando i fantasmi del ridetto Goebbels?
L’articolo
ha ragione a prefigurare una nuova partizione dell’umanità fra coloro che sono
dentro il fortino tecnotronico e chi è fuori.
Ma
quanto conviene essere assediati e odiati mortalmente dagli esclusi senza
lavoro, senza dignità, senza certezze?
La
questione merita una risposta che non arriverà perché gli interessi mondiali
trascurano e scavalcano il gioco democratico che ha procedure lente di
decisione, mentre i colossi hanno sempre fretta di agire anche provocando
centinaia di milioni di disoccupati, di morti in conflitti, di deceduti per
vaccinazioni di massa letali.
La
democrazia del confronto e della condivisione confligge inevitabilmente con la
robotica per niente democratica.
Le
tecnologie non hanno battute d’arresto, non si ammalano, non hanno ideologie da
seguire.
Le
tecnologie hanno l’unico scopo di funzionare indefinitamente.
Le
tecnologie implicano costi immensi che solo un pugno di colossi aziendali
mondiali possono affrontare, spesso in forma di cartello.
I loro
obiettivi non coincidono quasi mai con gli interessi delle democrazie che sono
sempre più scavalcate e ancora meno tutelano gli interessi sociali ed economici
dei cittadini.
Come
si può credere alla versione della vicenda dell’aggressione di Hamas
attualmente in circolazione?
Ci
sono troppi punti oscuri per consentire una valutazione ragionevole. Non può essere credibile che
l’attacco di Hamas su jeep e camion rumorosi e sferraglianti sia sfuggito
all’ossessivo e minuzioso controllo del sistema israeliano del costo di oltre
35 miliardi di euro?
Un reticolo di rilevatori capaci di avvertire lo
spostamento di un piccolo grillotalpa nel deserto non “vede” questi invasori?
Sembra
riproposta anche qui la versione dell’attacco del Campidoglio di Washington da
parte di quattro scalmanati urlanti disorganizzati con cappelli cornuti che il
servizio d’ordine di oltre 2.000 ex marines di due metri di altezza e super
addestrati non è riuscito a fermare?
Ancora,
ricorda l’assalto di quattro stracciaroli alla sede centrale della CGIL a Roma
presidiata 76 ore al giorno da 200 pretoriani del servizio d’ordine.
Come
possono essere credibili queste narrazioni?
Ad
inizio articolo, l’Autore correttamente afferma che la ex-Italia ha perso la
Seconda guerra mondiale.
Trovo
singolare che non venga evidenziato che anche la Germania – colpevole di 52
milioni di morti – fu sconfitta ma ha vinto la guerra perché utilizzata dagli
Usa contro l’Unione sovietica:
la
guerra fredda era iniziata prima della fine del conflitto mondiale.
Il
confronto continua anche nei film con il clamoroso caso della pellicola di Benigni dove
arrivano gli Usa nel campo di sterminio e non i russi di cui si hanno
centinaia di fotografie scattate da premiate agenzie fotografiche USA!
Ecco
ancora le ombre di Orwell.
È
condivisibile l’affermazione dell’Autore che gli umani avranno sempre una
marcia in più rispetto all’A.I.
Infine,
non si fa cenno alla cosiddetta “eterogenesi dei fini” che sparigliano i
progetti umani anche più dettagliati.
In molti casi è una fortuna per bloccare
progetti totalmente psicopatici, folli e sanguinari.
Forse,
la domanda fondamentale non è come e quando l’intelligence nazionale agisce a
tutela degli interessi nazionali e contro altre nazioni.
Il
confronto dirimente non è più fra Stati.
La
questione è come far sopravvivere le democrazie contro l’espansione infestante
delle tecnologie mitizzate e adorate feticisticamente come strumenti della
vittoria finale.
Si tratta di una scommessa molto complicata e
non può essere verificata.
La
robotica non sarà mai democratica e i sistemi di governo che ancora hanno un
simulacro di democrazia, saranno seppellite se ricorreranno acriticamente e in
modo eccessivo alla c.d. intelligenza artificiale.
Non a caso,
iniziano le prime fughe dalla A.I. certificate dallo scetticismo di Wall Street
che non vede positivo un incremento degli investimenti a mille miliardi di
dollari.
(ilfattoquotidiano.it/2024/08/03/big-tech-ha-investito-oltre-100-miliardi-in-sei-mesi-nellintelligenza-artificiale-e-la-spesa-e-prevista-in-salita-a-1000-miliardi-in-5-anni/7647200/).
La dinamica dell’eccessiva spinta al massacro
artificiale presenta molte somiglianze con la macchinazione della speculazione
subprime teleguidati dalla” Lehman Brothers” ed altre strutture finanziarie di
proprietà dei soliti finanzieri americani.
Un ottimo e purtroppo drammatico memento è
l’articolo di Borsa Italiana leggibile qui:
(borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/crisimutuisubprime.htm)
Una fonte ufficiale ed istituzionale e non dei
soliti russi, cinesi, complottisti, terrapiattisti, fascisti-tutti-ignoranti,
ed infine del solito cornuto e bastardo di Putin.
Da notare che” Xi Jin Pin” non è mai citato
perché con la Cina si fanno ancora affari e si riciclano giornalmente migliaia
di miliardi di coloro che saccheggiano, affamano e uccidono il pianeta.
Quindi,
la Cina ha partecipato ai giochi olimpici…
La
pratica della raccolta di informazioni deve rimanere un’arte umana.
Aggiungerei che gli analisti europei e
soprattutto italiani dovrebbero smetterla di analizzare e continuare pensare il
mondo utilizzando unicamente la lente americanocentrica ipertecnologica e
hollywoodiana.
Si
tratta di un errore di prospettiva che provoca gravissimi errori di valutazione
e di analisi di Paesi che si muovono su binari differenti, che hanno
antropologie abissalmente diverse.
A
parte la elegante e brillante eccezione del” Prof. Caligiuri”, il 165% dei
giornalisti, autori, professoroni di rinomate università private e pubbliche,
centri di ricerca & affini, osservatori e tutti i c.d. “esperti” usano in modo eccessivo e ossessivo
terminologie angloamericane che sono fuorvianti e inducono ad errori valutativi
e visuali da presbiopia.
Il
mondo non è una rappresentazione spettacolare, una sceneggiatura hollywoodiana
roboante e smargiassa.
Lo spionaggio (e non “intelligence”) è un
lavoro silenzioso di pazienza, è roba di pertinenza di miniatori certosini.
Si attende una reazione avversaria anche per
dieci/venti anni.
Non ci
sono eroi che cavalcano vittoriose navi interstellari e fanno ricorso a
stroboscopiche macchine iperveloci, o usano milioni di satelliti occhiuti che
scrutano i movimenti del più piccolo animale sulla terra.
L’arte
concreta dello spionaggio è sovente una pratica mortalmente noiosa.
È uno scorrere minuzioso di carte, di
collegamento di fatti attuali da incrociare con notizie diffuse in anni
precedenti da un periodico di un altro continente.
E
queste ricerche non possono fare esclusivo affidamento sui dati vomitati da
elaborazioni A.I. di cui non conosciamo l’autenticità a priori dei dati immessi
e quelli esclusi.
Le
ricerche, quelle veramente efficaci, devono continuare a spidocchiare con
acribia le carte, i pizzini, il pettegolezzo della porta accanto, del bar…
Non
arrivano i nostri né il settimo cavalleggeri versione robotica 165.30.15.2.0
Lo
spionaggio vero è l’azione imprevedibile dell’agente dormiente che si attiva
dopo venti anni, la signora della porta accanto che passa da trent’anni
documenti scientifici al nemico, il dipendente che si sente tradito:
imprendibili!
Anche l’ottimo Prof. Caligiuri sarà d’accordo sul fatto che lo spionaggio è un durissimo sacerdozio minimalista e artigianale che sfugge alle catalogazioni cinematografiche e robotiche.
Commenti
Posta un commento