I padroni di “BlackRock” vogliono un mondo unico governato da loro.
I
padroni di “BlackRock” vogliono un mondo unico governato da loro.
Il
popolo inglese si rivolta?
Che
strano...
Maurizioblondet.it - Maurizio Blondet – (4
Agosto 2024) – ci dice:
Qui da
noi i media tacciono perché gli è stato ordinato cosi, quindi pochi sanno che
l’Inghilterra è in rivolta dopo la strage di tre bambini di “Southport”
ammazzati a coltellate da un ruandese.
A
Manchester, Londra e altre città i cittadini sono in piazza (con le cattive) e
chiedono uno stop all’accoglienza degli immigrati cantando “rivogliamo il
nostro Paese”.
La Polizia carica… e le prende.
Si
sono visti anche immigrati col machete intenzionati ad attaccare chi protesta.
Le
comunità di migranti continuano a scendere nelle strade delle città britanniche
contro i manifestanti anti-migranti che il mainstream bolla e attacca dei
violenti appartenenti all’ultradestra del Regno Unito.
Tra
non molto assisteremo all’ennesimo grido di accusa “E’ stato Putin”?
Il
fatto è che la “sinistra” (laborista) al governo è quella scelta dalla
plutocrazia al potere con un colpo di mano.
Appena
visto dai sondaggi che il governo “conservatore” guidato dal miliardario indù
Sunak, i miliardari hanno messo a capo dei laburisti questo “Starner”, dopo
aver eliminato dalla corsa il vero capo laborista Corbyn in quanto ”antisemita.”
(maurizioblondet.it/il-laborista-starmer-nuovo-capo-del-governo-uk/).
E’ di
“sinistra” questo “Starner”- come no raccomandato apertamente e direttamente da
“Blackrock”, come ha spiegato il “Guardian”
esplicitamente:
“Starner”
ha un
piano:
chiederà
a BlackRock di ricostruire la Gran Bretagna.
Pensa
che un governo a corto di soldi che vuole evitare aumenti delle tasse non ha
altra scelta che collaborare con” la grande finanza”, attraendo investimenti
privati per ricostruire le infrastrutture che stanno crollando dopo anni di
sotto investimenti dei conservatori.
Il partito laburista ha già fatto i conti:
per
mobilitare 3 sterline di capitale privato da investitori istituzionali, è
necessario offrire loro 1 sterlina in sussidi pubblici.
Ma
ogni volta che senti il partito laburista annunciare una simile partnership
infrastrutturale, pensa alla politica nascosta.
BlackRock
privatizzerà la Gran Bretagna, i nostri alloggi, l’istruzione, la sanità, la
natura e l’energia verde, con i soldi dei nostri contribuenti come dolcificante.
Capito?
il Mega Capitale Privato otterrà da “Starner”
sussidi pubblici peri il 25% di quel che investe:
dopo di che diverrà proprietario delle opere
pubbliche e che ha rimodernato, ferrovie, autostrade, centrali elettriche o che
so io.
Insomma
la privatizzazione pagata dai contribuenti. E’ o non è il “laborista ideale” per la Plutocrazia?
Ma
forse tutto sommato il regime plutocratico non è troppo simpatico al popolino
inglese, impoverito e da ultimo spaventato dl fatto che il governo offe qualche
migliaio di sterline ai coltivatori perché smettano di produrre generi
alimentari, ovviamente nel “programma green” denominato “agricoltura
sostenibile”:
insomma il “Programma Fame per le Bocche
Inutili” dell’Agenda 2030 attivato anche qui in Italia con gli espropri
decretati da Draghi per coprire i campi di fotovoltaico.
Si
aggiunga che questa gente impoverita abita e vive a contatto con gli africani e i musulmani, e ne subisce la
“cultura” senza difesa.
Come
ha scritto “The Critic”:
“Solo
nelle ultime settimane, i titoli dei media sono stati dominati da eventi che,
nel complesso, indicano un rapido declino dell’ordine pubblico.
L’11
luglio, il nuovo governo laburista ha annunciato che 5.000 prigionieri
sarebbero stati rilasciati in anticipo, per alleviare il sovraffollamento delle
carceri.
Il 15
luglio, sono emerse segnalazioni secondo cui la Metropolitan Police di Londra,
un tempo grandiosa, non era riuscita a risolvere un singolo furto con scasso,
furto di telefono o furto di auto in 166 quartieri di Londra negli ultimi tre
anni.
Il 17
luglio, un rifugiato giordano che aveva aggredito un’agente di polizia donna a
Bournemouth è stato risparmiato dai lavori socialmente utili perché non sapeva
parlare inglese, e il 18 luglio, due richiedenti asilo dall’Egitto che avevano
rubato un orologio dal valore di £ 25.000 nel West End di Londra sono stati
risparmiati dal carcere.
Nello
stesso giorno si sono verificati due casi distinti di rivolta.
Nella
zona di Harehills a Leeds, la polizia è stata attaccata e un autobus a due
piani è stato incendiato dai residenti locali dopo che quattro bambini rom sono
stati presi in carico dai servizi sociali.
Nel
distretto di Tower Hamlets, a East London, a maggioranza bengalese, sono
scoppiate rivolte in risposta ai disordini politici in Bangladesh.
Vorrei
sottolinearlo ancora una volta: tutti questi incidenti si sono verificati
nell’arco di una sola settimana.
Negli
anni passati, ognuno di questi incidenti di alto profilo avrebbe dominato
l’attenzione nazionale e provocato una conversazione sullo stato della legge e
dell’ordine in questo paese.
Oggi, sono poco più che carne da macello per
il ciclo di notizie 24 ore su 24, fugaci come storie di drammi di celebrità
insulsi o di noiose trame politiche.
E la
lista continua.
23
luglio,” Anjem Choudhary” viene accusato di aver diretto un gruppo terroristico
islamico.
24 luglio, ai cadetti britannici di una
caserma dell’esercito a Gillingham viene detto di non indossare uniformi in
pubblico dopo che un ufficiale è stato preso di mira e accoltellato.
26 luglio, scoppiano proteste dopo che la
polizia della “Greater Manchester” viene registrata mentre trattiene due
fratelli visti litigare con i passeggeri all’aeroporto di Manchester.
27 luglio, sei persone arrestate dopo una
sparatoria a Watford.
29
luglio, un uomo morto e altri due feriti dopo una rissa con i coltelli nell’East
London.
30 luglio, scoppia una rissa con i machete a “Southend”
e i dimostranti scendono in piazza a” Southport” dopo un brutale attacco con
coltello in una scuola di danza, in cui sono morte tre ragazze e ne sono
rimaste ferite altre otto “.
Un
amico più complottista di me sospetta che sia il Potere a provocare la guerra
civile…
Io
voglio solo sperare che la rivolta inglese sia spontanea;
la plebe inglese ha coraggio fisico e
fierezza;
certo
non credo che vincerà – subirà quello che Macron ha fato ai Gilet Gialli – e
almeno il “Potere Anglo” avrà meno agio di fare la guerra a Putin.
E certo questo è un intoppo dell’“Occidente,
adesso siamo NOI” che loro chiamano:
impostori, “democrazia”.
I
fondi d’investimento:
I padroni
del mondo.
Sbilanciamoci.info - Alessandro Volpi
-Recensioni – (20 Giugno 2024) – ci dice:
Economia
e finanza.
L’economia
mondiale è sempre più controllata dai grandi fondi d’investimento.
Un
terzo della proprietà delle 500 maggiori imprese mondiali è nelle mani di 10
fondi finanziari.
Le
analisi del libro di Alessandro Volpi, “I padroni del mondo. Come i fondi
finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia”.
Il
2022 ha segnato un anno record per i patrimoni gestiti da grandi fondi
finanziari. I primi dieci fondi del pianeta hanno registrato attivi per 44 mila
miliardi di dollari e due soli di essi – BlackRock e Vanguard – ne gestiscono
quasi la metà.
In pratica, due soli fondi gestiscono un
valore pari ad un quinto dell’intero Pil mondiale.
Ma non
finisce qui:
gli
stessi 10 fondi detengono ormai circa il 30% – secondo alcuni studi il 40% –
delle prime 500 società mondiali.
Una
concentrazione di potere, e di capacità di incidere sul panorama politico e
sociale, oltre che economico, mai conosciuta nella storia contemporanea.
Per fare un confronto, i due più grandi fondi sovrani
del mondo, “di proprietà” degli Stati, il Fondo petrolifero norvegese e il
Fondo cinese, superano di poco i 2.000 miliardi di dollari
Neppure le politiche pubbliche di investimento dei
grandi paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, possono competere con una simile
liquidità disponibile.
Basterebbe considerare la portata del bilancio
dell’Unione Europea o programmi come “Next Generation Eu” e lo statunitense “Inflation
Reduction Act2 per comprendere la siderale distanza dalla potenza di fuoco dei
grandi fondi.
Alla
luce di ciò è difficile capire dove siano oggi il “libero mercato” e gli spazi
per le politiche pubbliche.
Vanguard, BlackRock e pochi altri fondi
gestiscono i risparmi di chi non avrà più lo Stato sociale e possono offrire a
questo popolo di risparmiatori una platea di titoli praticamente infinita,
nell’illusione perenne del “portafoglio senza perdite”.
I “padroni del mondo”, che hanno sostituito i
ben più contenuti “padroni del vapore” di rossiana memoria, sembrano nelle
condizioni di garantire una sorta di continua moltiplicazione delle risorse,
attraverso un vero e proprio monopolio mondiale capace di generare rendimenti
finanziari favorevoli, adoperando le dinamiche dei dividendi.
I “clienti” globali dei fondi, più o meno
benestanti, che si consegnano a simili colossi costituendone gli enormi attivi,
diventano parte decisiva di un sistema finanziario concentratissimo che
controlla vastissime parti del sistema produttivo e della finanza speculativa.
Il
processo in atto è molto lineare.
I
giganti della finanza sono in grado di fare i prezzi dei mercati attraverso gli
strumenti della finanza derivata (le scommesse), che creano in maniera
pressoché infinita.
Con
tali strumenti riescono a garantire alti rendimenti ai risparmiatori che
affidano loro i propri risparmi e, con queste risorse, comprano porzioni
decisive della proprietà delle imprese e delle società, di cui manipolano i
titoli così da ottenere dividendi sempre più rilevanti.
In tal
modo i grandi fondi operano una radicale concentrazione del potere economico e
sostituiscono, in gran parte, la finanza all’economia della produzione,
trasformando i profitti in rendimenti finanziari.
In
ultima analisi sono tali fondi a decidere i prezzi e, di conseguenza, a
scegliere cosa deve continuare ad essere oggetto della produzione e a quali
condizioni.
L’apparente
democraticità delle gestioni patrimoniali svuota le politiche economiche e fa
appassire i sistemi di welfare.
Questi fondi mirano anche a creare una
volatilità finanziaria gestibile, nell’ambito della quale le oscillazioni dei
prezzi dei titoli e dei beni non dovrebbero essere mai casuali ma dovrebbero,
al contrario, rispondere alle dinamiche costruite dagli stessi fondi che hanno
bisogno di periodi di inflazione ma anche di un successivo raffreddamento di
prezzi per evitare che i redditi dei propri clienti si riducano di più dei
vantaggi finanziari che sono in grado di garantire loro.
Quanto
avvenuto tra la metà del 2021 e la fine del 2023 ben illustra un simile
andamento:
dopo
un’impennata folle dei prezzi, da dicembre del 2022 è iniziata una discesa,
soprattutto dei prezzi dell’energia, che è stata spinta, ancora una volta, da
operazioni di Borsa e che è servita ad evitare una recessione troppo brusca.
Esiste
l’elenco dei 20 maggiori fondi d’investimento del mondo nel 2022.
(Thinking
Ahead di WTW Investments e IPE).
L’Europa
in questo quadro ha un peso limitato rispetto all’assoluta centralità degli
Stati Uniti:
le
prime dieci società europee che si occupano di risparmio gestito hanno attivi
per poco meno di 13 mila miliardi e, in realtà, quelle che gestiscono più di
mille miliardi di euro sono solo cinque, con Amundi, controllata dal Credit
Agricole, che ne gestisce, da sola, quasi 2 mila.
In
alcuni casi, in tali società europee compaiono partecipazioni di fondi a stelle
e strisce.
I
maggiori fondi d’investimento europei.
Apple,
grazie alla lievitazione delle proprie quotazioni, ha superato i 3.000 miliardi
di dollari di capitalizzazione nel 2022, in pratica più del Pil francese, con
un incremento del valore del titolo del 53%;
nel
2023, la capitalizzazione è scesa sensibilmente conoscendo una ripresa nel
corso dell’anno.
Ma di chi sono questi titoli? e dunque chi ha
guadagnato così tanto?
La
risposta è semplice.
I due già ricordati fondi finanziari più
grandi del pianeta, Vanguard e BlackRock, possiedono azioni Apple
rispettivamente per 255 e 200 miliardi di dollari e, se si aggiungono altri due
fondi, che rappresentano il terzo e il quarto azionista di Apple, si arriva ad
un valore azionario di 700 miliardi di dollari.
Come è
naturale, le impennate del titolo fanno lievitare i rendimenti di tali fondi.
Dopo
Apple, nella classifica delle società quotate con maggiore valore azionario si
collocano Microsoft (di cui tre fondi possiedono quasi 500 miliardi – Vanguard,
in particolare, 220 miliardi di dollari) e Alphabet, di cui gli stessi fondi
possiedono azioni per oltre 100 miliardi (Vanguard ne possiede per oltre 50
miliardi di dollari).
Non è
certo un caso che proprio i grandi fondi insistano con continuità sull’esigenza
di mantenere alti i prezzi di Borsa delle azioni, anche a discapito di
strategie di investimento non immediatamente remunerative.
Considerazioni
analoghe sono possibili per la nuova “star” delle Borse, “Nvidia”, la società
high tech che è cresciuta di più nel 2023 superando i 1000 miliardi di dollari
di capitalizzazione e le cui azioni sono possedute da Vanguard e BlackRock per
87 e 77 miliardi di dollari.
La
corsa è continuata nel 2004 arrivando a superare i 2500 miliardi, con
un’ulteriore crescita delle quote delle Big Three.
La
tecnologia crea aspettative, che, se ben veicolate in un sistema di scambi dove
pochissimi player fanno i prezzi, generano subito, ancor prima della verifica
reale dell’efficienza dei servizi o dei prodotti delle società, una colossale
ricchezza finanziaria destinata ad alimentare un gigantesco supermarket dove
condurre anche milioni di piccoli risparmiatori.
Il
tutto con una forza e una velocità in grado di travolgere regole,
programmazioni, dati reali e dunque di cancellare la prerogativa del mercato di
svolgere la propria funzione di attribuzione più o meno coerente del valore.
L’elenco
delle partecipazioni dei grandi fondi è davvero sterminato, con una
concentrazione pressoché sconosciuta in passato.
Si tratta infatti di un fenomeno decisamente
recente.
Nel
2001, Vanguard, BlackRock e State Street detenevano solo il 7% del valore
azionario delle società che compongono l’indice S&P.
Tale
percentuale, già raddoppiata nel 2013, oggi si avvicina al 30%.
In
merito a ciò è significativo rilevare che anche i diritti di voto dei tre
colossi in questione nelle assemblee degli azionisti di tali società sono
saliti dal 12,5% a ben oltre il 33% attuale.
È,
questo, un dato utile per smentire la tesi, assai diffusa, secondo cui i grandi
fondi utilizzino poco tali diritti di voto:
in realtà la presenza di loro rappresentanti
nelle assemblee dei soci e nei consigli di amministrazione è frequentissima e
molto condizionante.
Naturalmente
pesano poi le partecipazioni incrociate;
i
grandi fondi possiedono azioni di altri fondi, di banche e assicurazioni che a
loro volta sono azionisti degli stessi fondi.
State Street, Vanguard e Black Rock, di fatto,
si controllano a vicenda essendo fondi di fondi senza alcuna trasparenza e
presentando al loro interno gli incroci di cui si è parlato in premessa.
In
pratica ciascuno dei fondi ha partecipazione negli altri due e a sua volta è
partecipato da società che appartengono al fondo capofila, in una sequenza
praticamente non ricostruibile dove compaiono, nella proprietà, gli stessi
amministratori.
In
diverse di queste società è presente anche il fondo di” Warren Buffett” – “Berkshire
Hathaway” – ovviamente a sua volta partecipato dagli altri tre.
C’è
però un dato che merita una particolare considerazione.
I grandi fondi non sono presenti nelle società
asiatiche, a partire da “Tencent”, “Alibaba” e numerose altre.
In pratica sembra profilarsi una distinzione
fra le società “occidentali” e quelle legate al sistema cinese dove invece i
fondi non sono ancora entrati.
In questo senso, i miliardari cinesi devono
buona parte della loro fortuna a concessioni “pubbliche” e a forme di
“privilegio” legate allo stretto rapporto con “uomini forti” e vertici di
partito che hanno impedito, finora, l’approdo delle “Big Three”.
Tuttavia
qualche eccezione sembra emergere.
“
Berkshire Hathaway” ha infatti comprato, nel novembre del 2022, 60 milioni di
azioni, pari a 4 miliardi di dollari, della società” Taiwan Semiconductor
Manifacturing Company”, che vale in Borsa 400 miliardi e produce chip e
semiconduttori con una posizione quasi monopolista.
È
possibile conoscere le quote di proprietà delle maggiori imprese mondiali
detenute da quattro maggiori fondi d’investimento.
Ed
anche la percentuale sul capitale totale che è la somma delle azioni detenute
come investitori istituzionali e come fondi comuni.
Ecco
le quattro maggiori fondi di investimento.
“Black Rock” ,“Vanguard”,”State Street Corp.” e“Geode
Capital Mgmt.
Una
valutazione a parte merita, nella descrizione del successo dei fondi, il volume
dei premi delle assicurazioni, da quelle sanitarie a quelle contro le calamità
naturali, che sta rapidamente crescendo, sostituendosi, in moltissimi casi,
alle forme del welfare.
Se si
scorre l’elenco delle principali compagnie assicurative per premi raccolti, si
trovano alcune realtà davvero molto grandi:
United
Health Group, che peraltro ha una capitalizzazione di quasi 500 miliardi di
dollari, Elevance Health, Prudential Financial e Centene Corporation.
Chi
sono i maggiori azionisti, anche in questo caso?
Non è
difficile immaginarlo: Vanguard, BlackRock e State Street che possiedono, in tutte
le società appena ricordate, oltre il 20% delle azioni.
Alle
“Big Three“, si aggiunge, nel mondo delle assicurazioni, il fondo Berkshire
Hathaway.
La
gestione dei rischi, nel monopolio finanziario del super capitalismo, non può
che essere affidato ai “padroni del mondo” che, naturalmente, possiedono tutti
i mezzi per definire cosa sia realmente rischioso e cosa non lo sia.
“Il culto dei miliardari per il futuro
distrae
dalle storture del presente»
valori.it
– Maurizio Bongioanni – (6-5-2024) – ci dice:
Da
filosofia nata nei circoli dei super-ricchi a culto:
il “lungo
termismo” sarà il nuovo neoliberismo?
(Finanza
etica ed economia sostenibile).
Uno
dei capisaldi del “lungo termismo” sta nella colonizzazione dello spazio.
Ne
“L’utopia dei miliardari”, edito da Edizioni Tlon, la giornalista “Irene Doda”
ci racconta degli «autoproclamati creatori del futuro»:
professori di Oxford, miliardari della Silicon
Valley, ideologi e guru ultra-ricchi. Tutti uniti da un’unica filosofia: quella
del “lungo termismo”.
Ma di
cosa parliamo quando diciamo “lungotermismo”?
Lo abbiamo chiesto direttamente a” Irene Doda”.
Irene
Doda, che cos’è il “lungotermismo”?
Il
lungotermismo è una filosofia, un’ideologia, un culto, una para religione.
In
poche parole, è un modo di pensare alle cose.
È nata
nei circoli legati ai miliardari tech e ai filosofi dell’università di Oxford.
Parliamo quindi di contesti molto elitari, molto bianchi e molto maschili.
I principali pilastri del “lungotermismo sono
tre”.
Per
prima cosa,
la priorità morale non è fare del bene per il presente, o per il futuro dei
nostri figli.
L’impatto
di ciò che facciamo deve essere a lungo termine, lunghissimo, in termini di
milioni di anni.
Agisco
oggi su ciò che avrà un impatto sui miei discendenti.
Una
falla logica che però fa parlare molto di colonizzazione dello spazio e di
diritti delle generazioni future, con implicazioni anche politiche.
Il
secondo aspetto riguarda il numero di persone: più l’umanità è prospera e più si sta
bene.
È
un’equazione che di fatto non trova nessun riscontro nella realtà.
Non
perché siamo malthusiani e dobbiamo ridurre drasticamente la popolazione
mondiale, ma perché semplicemente non abbiamo un sistema economico che permette
il benessere a tutti.
Il sistema andrebbe prima cambiato, altrimenti
l’attuale assetto geopolitico mondiale continuerà a privilegiare enormemente
sempre una piccola parte della popolazione.
Il
terzo pilastro del “lungotermismo” è l’idea che noi, persone vive oggi, abbiamo gli stessi
diritti e lo stesso valore degli esseri umani che saranno vivi tra un milione
di anni e che pertanto vanno tutelati.
Se
qualcuno mi dicesse che i diritti delle persone del futuro sono gli stessi
diritti delle persone del presente, tendenzialmente non mi verrebbe da
smentirlo.
Se
penso ai cambiamenti climatici, per esempio, si dice spesso che ciò che
facciamo non lo stiamo facendo solo per l’attuale generazione, ma per quelle
che verranno. Qualcuno non potrebbe obiettare che anche questo è “lungotermismo”?
Il
problema è la scala che applico alle soluzioni che voglio adottare.
Mi
spiego: quando parlo di cambiamenti climatici, le domande che mi pongo
riguardano il tipo di società che voglio lasciare alle persone che verranno
dopo di me.
Quindi
mi farò delle domande su quali tipi di comportamenti ambientali voglio adottare
e su come questi ridurranno la mia impronta di CO2, come redistribuisco le
risorse per avere una società più equa, come riduco il consumo di suolo per
creare una società più sana, come creo dei beni pubblici accessibili a tutti,
eccetera.
Sono
tutte domande molto concrete, che mettono in discussione il nostro attuale modo
di vivere e il nostro sistema politico-economico-geopolitico.
Insomma,
che mettono in discussione il nostro modo di agire.
Il” lungotermismo”, invece, non si pone
affatto queste domande pratiche.
Il suo modo di agire è talmente ipotetico e
riguarda un futuro talmente lontano che il sistema dominante non viene messo in
discussione.
Una
chiara distinzione. Tra l’altro hai accennato a implicazioni politiche: a cosa
ti riferivi?
Per
esempio:
chi
decide i diritti soggettivi dell’umanità “in potenza”, cioè dell’umanità del
futuro?
Le
idee del “lungotermismo” sono facilmente mutuabili da frange conservatrici.
Pensiamo
al caso dell’aborto:
se un
embrione è una vita in potenza, va tutelato in ogni modo, anche a spese della
vita e dell’autodeterminazione delle donne.
Questo
è quello che si intende quando si dice che l’essere umano di oggi ha gli stessi
diritti di quello che verrà.
È
molto problematico a livello politico.
È un
po’ il dilemma del carrello applicato su scala mondiale:
se
lascio morire migliaia di persone per salvare un ipotetico milione di nuovi
nati che domani prospererà su un altro pianeta, ecco, il lungotermismo mi dice
di fare di tutto per salvare l’umanità che verrà, non quella del presente.
E quel che è peggio è che un paradosso morale
così pericoloso e utilitaristico viene propugnato da un manipolo di persone che
oggi hanno un sacco di potere nelle proprie mani.
Forse
l’esempio più lampante del “lungotermismo” è Elon Musk, ma non è il solo che
citi, giusto?
Nel
libro cito diversi personaggi:
alcuni
più conosciuti, come “Elon Musk”, e altri meno, come “Vitalik Buterin”, il
fondatore della criptovaluta “Ethereum”.
Poi ci sono “Dustin Moskovitz”, cofondatore di
Facebook, e “William MacAskill”, tra i creatori del “movimento dell’altruismo
efficace,” una filosofia “parente” del lungotermismo.
E “Nick Bostrom”, uno dei padri del
lungotermismo, che parla della colonizzazione del superammasso della Vergine,
l’insieme delle galassie che contiene la nostra.
Sono
tutti personaggi che non sentirai mai mettere in discussione l’attuale modello
di sviluppo perché sono loro a condurlo.
Sono
miliardari che approfittano dei benefici di questo sistema e, in sostanza,
fanno quello che gli pare.
Qual è
il rapporto del” lungotermismo” con la tecnologia e con i cambiamenti
climatici?
Questa
filosofia ritiene che i cambiamenti climatici siano un rischio esistenziale e
quindi cerca il più possibile di rendere l’umanità resiliente a essi.
Fin
qui tutto bene, ma come lo fa?
Ad
esempio colonizzando lo spazio o lasciandosi indietro la Terra e cercando
risorse sugli asteroidi.
Anche
in questo caso non c’è nessuna analisi sociale dei cambiamenti climatici che
tra le loro cause, e non solo tra gli effetti, hanno le disuguaglianze.
Infatti, chi è maggiormente colpito dagli eventi
climatici estremi non vive nei nostri appartamenti riscaldati nel Nord del
mondo e non fa parte della cricca del lungotermismo.
L’industria
tecnologica, in questo, ha un enorme impatto ambientale.
Prendiamo ad esempio i data center per l’intelligenza
artificiale.
Ma la visione di questi guru tecnologici non è improntata a risolvere questi
problemi pratici, ma è molto più catastrofica:
l’IA
diventerà autocosciente e causerà l’estinzione della specie umana.
Quindi, il miliardario di turno à la Elon Musk
viene investito di un’aura messianica come il solo capace di domare questa
forza sovrannaturale.
Ma è
tutta una strategia di marketing per non condividere la loro tecnologia con il
resto del mondo, ma mantenerla una scoperta elitaria, per pochi.
È il
marketing della catastrofe, come dice il giornalista “Andrea Signorelli”:
timori che distraggono dal vero dibattito sull’intelligenza artificiale che
riguarda chi la produce, come viene prodotta, cosa c’è dietro, per cosa si usa.
E qui
ci ricolleghiamo con quello che dicevamo all’inizio:
tutte queste domande interrogano il presente,
ma il presente non è l’orizzonte del lungotermismo.
Per
chiudere ti chiedo: nel tuo libro parli anche di un lungotermismo buono.
Esiste?
C’è
bisogno di pensare nel lungo termine, d’accordo, però c’è bisogno di pensarlo
in altri modi.
E gli
altri modi che io propongo sono ad esempio quello di un’azione ovviamente molto
più critica e radicale del sistema in cui viviamo, un approccio “dal basso” e
poi un’analisi del beneficio: da chi è creato il “bene”? Oppure: il mio “bene” è lo stesso
che intendono i lungotermisti? Evidentemente no.
L’idea
di un’umanità che sta tutta sulla stessa barca di fronte a grandi rischi
esistenziali è poco accurata.
Ci
sono sì dei rischi che riguardano tutta l’umanità, ad esempio i cambiamenti
climatici, ma non riguarderanno tutti allo stesso modo.
Perché
ci saranno i miliardari che andranno a rifugiarsi nei bunker e quindi hanno
sicuramente più opportunità di noi e del Sud del mondo di sfuggire alla
catastrofe. Ora, non sappiamo se il “lungotermismo” dominerà il mondo come ha
fatto il neoliberismo, però è sicuramente interessante parlarne perché, se hai
tanti soldi e molta influenza, anche le idee più pazzoidi possono affermarsi su
larga scala.
Gli
ultra-ricchi hanno guadagnato
1.500 miliardi di dollari nel 2023.
Valori.it
– Andrea Barolini – (02.01.2024) – ci dice:
Il
“Billionaires index” pubblicato dall'agenzia Bloomberg conferma che il 2023 ha
sorriso ai patrimoni dei miliardari più ricchi del mondo.
Tra
questi vi è anche il miliardario sudafricano, naturalizzato americano, Elon
Musk.
Il
2023 è stato un anno che ha fatto sorridere la piccolissima quota di persone
più ricche del Pianeta.
I 500 tra uomini e donne con i patrimoni più
alti del mondo, infatti, hanno visto crescere la loro ricchezza di ben 1.500
miliardi di dollari nei dodici mesi appena conclusi.
A riferirlo è il “Billionaires index”
pubblicato dall’agenzia di stampa “Bloomberg”. Secondo il quale, in questo
modo, è stata totalmente compensata la perdita di 1.400 miliardi che era stata
registrata nell’anno precedente.
Tra
gli ultra-ricchi, vincono i magnati del settore tecnologico.
Secondo
quanto indicato dalla stessa agenzia americana, a far lievitare i patrimoni
degli ultra-ricchi sono state soprattutto le performance degli asset
tecnologici. Questi ultimi, infatti, hanno fatto registrare nuovi record,
nonostante la congiuntura economica non favorevole.
Ciò grazie soprattutto alla crescita
dell’industria legata all’intelligenza artificiale.
I
proprietari delle aziende del settore high-tech, infatti, hanno visto la loro
ricchezza aumentare del 48%.
Con
una crescita netta di 658 miliardi di dollari.
A
sorridere, più di tutti, è stato il cofondatore e amministratore delegato di
Tesla, Elon Musk.
Il magnate di origini sudafricane ha visto il
proprio patrimonio aumentare di ben 95,4 miliardi di dollari.
Grazie non soltanto all’azienda specializzata
in veicoli elettrici, ma anche per via delle performance di “SpaceX”.
Il che
consolida la sua posizione di uomo più ricco del mondo, davanti al francese
“Bernard Arnault”, proprietario del “marchio di lusso LVMH”.
Al
terzo posto c’è Jeff Bezos, fondatore di Amazon, la cui ricchezza è aumentata
di 70 miliardi di dollari.
Seguono
poi il fondatore di Microsoft Bill Gates e l’ex amministratore delegato della
stessa azienda Steve Ballmer.
Ma il
secondo aumento più corposo è stato quello di Mark Zuckerberg:
il numero uno di Meta ha guadagnato infatti
più di 80 miliardi di dollari.
Nel
mondo vi sono 1,1 miliardi di poveri: perché gli ultra-ricchi sono indecenti.
In
controtendenza il miliardario indiano “Goutam Adani”, che ha perso 37,3
miliardi di dollari.
In buona parte a causa dell’operazione legata
alla vicenda della “Hindenburg Research”, piccola società di ricerca
finanziaria con sede a New York che nello scorso gennaio aveva accusato il
“gruppo Adani” di aver manipolato i titoli delle sue società e di frode
commerciale.
Un
macigno che aveva fatto perdere al più grande gruppo industriale dell’India 70
miliardi di dollari.
A
fronte di ciò, secondo i dati della “Oxford Poverty and Human Development
Initiative”, sempre nel 2023, nelle 110 nazioni meno ricche del mondo, 1,1
miliardi di persone su 6,1 miliardi vivono in condizioni di povertà (534
milioni di loro risultano concentrati nella sola Africa subsahariana).
Ma 730 milioni di poveri sono cittadini di
Paesi a medio reddito.
Quasi
100 milioni di persone risultano in condizioni di povertà estrema.
Il che
significa che sono costrette a privarsi di almeno la metà, se non la totalità
dei beni necessari per uscire dalla soglia di indigenza.
È la
fotografia di un mondo sempre più diseguale e ingiusto.
E a poco servono la beneficenza o le
iniziative filantropiche.
Ciò
che è sempre più necessario è un cambiamento profondo nel nostro mondo di
concepire il rapporto con la creazione e la distribuzione della ricchezza.
Le
cifre contenute nel “Billionaires index” sono infatti, semplicemente,
indecenti. Con buona pace di chi ancora sostiene la tanto vecchia quanto
smentita dai fatti ricetta neoliberista nota come “trickle-down theory”,
secondo la quale l’accumulo di ricchezza sarebbe utile perché qualche briciola
potrebbe poi piovere anche sulle middle class e sui poveri.
Il
Peccato Originale della Cerimonia
d’Apertura delle Olimpiadi.
Conoscenzealconfine.it
– (5 Agosto 2024) - Rodolfo Casadei – ci dice:
Prima
di kitsch, blasfemia, oscenità, conformismo e bruttezza, si è vista la
negazione della permanenza dell’identità delle cose, l’affermazione della loro
plasmabilità infinita:
Parigi
non era più Parigi.
È
questa l’ideologia contemporanea.
All’indomani
della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici una gragnuola di commenti
negativi si è abbattuta sugli organizzatori, colpevoli di aver dato vita con
grande dispiego di mezzi a uno spettacolo contrassegnato da volgarità, kitsch,
blasfemia, oscenità, conformismo ideologico, bruttezza.
La polemica con coloro che invece lodano lo
stile innovativo e i contenuti ideologici dello spettacolo, soprattutto i suoi
aspetti dissacratori, andrà avanti per anni.
La
farsa dell’Ultima Cena trasformata in convivio transessuale o di Maria Antonietta
che canta con la sua testa decapitata in mano, il Dioniso più simile a un
bevitore sovrappeso che al dio greco, la Guardia Repubblicana ridotta a fare da
orchestrina danzante all’”afrobeat” di “Aya Nakamura”, gli accenni a una scena
di sesso a tre, saranno citati per decenni come segni dell’improvvisa
accelerazione della decadenza della Francia, soprattutto perché acclamati come
apogei di grandezza dalle autorità politiche francesi (Macron, Attal, Le Maire,
ecc).
Il
Peccato Originale dell’Inaugurazione delle Olimpiadi.
In
realtà, il peccato originale da cui discendono tutti questi peccati più o meno
mortali sta, appunto in quanto originale, a monte:
la
decisione di svolgere cerimonia d’inaugurazione e gran parte dei giochi nel
cuore della città, in parte usandola come telone di fondo, come sfondo
scenografico dell’una e degli altri, in parte utilizzando strade, acque ed
edifici per destinazioni d’uso diverse da quelle per cui sono state create.
Il peccato originale è stato quello di
strappare la cerimonia di inaugurazione e parte dei giochi ai luoghi che sin
dall’antichità sono deputati ad ospitare gli eventi sportivi: gli stadi.
Per
realizzare il suo sogno (evidentemente condiviso dal governo nazionale e dal
capo dello Stato) di fare di Parigi stessa il fondale di uno spettacolo in
mondovisione di quattro ore, il comitato organizzatore ha preso in ostaggio la
capitale della Francia coi suoi cittadini, che da mesi vivono in stato di
assedio, limitati all’estremo nella libertà di movimento e di attività
economica, sia perché bisognava, con costosissimi lavori, attrezzare per eventi
sportivi aree, strutture ed edifici nati per altro, sia per ragioni di
sicurezza.
I
Giochi Olimpici sono nati nell’antica Grecia anche come momento di tregua dalle
guerre, invece per garantire la sicurezza degli attuali giochi che si svolgono
in uno dei luoghi più nevralgici del mondo come obiettivo di attentati
terroristici, sono stati mobilitati ben 53 mila poliziotti, gendarmi e militari
francesi, più 2.500 stranieri.
Un’Ideologia
più Forte del Woke.
L’ideologia
contemporanea non è riassumibile nel politicamente corretto, nel woke,
nell’inclusione che in realtà include solo quello che decidono di includere gli
inclusori, nel genderismo, nel post-storicismo;
a
monte di tutto questo ci sta la negazione della permanenza dell’identità delle
cose, l’affermazione della loro plasmabilità infinita e della fungibilità dei
significati.
Non
c’è più nulla in natura che sia naturale, ma non c’è nemmeno più nulla di
artificiale e storico che debba rimanere nei limiti dell’identità e delle
funzioni che chi l’ha creato ha assegnato nel corso della storia.
Perciò
una città può non essere più una città, cioè un luogo di socialità e di scambi
forgiato da una storia di secoli, ma il palcoscenico di uno spettacolo, la
parete su cui si proiettano luci e immagini, un deserto percorso da poliziotti
armati fino ai denti, in definitiva:
il pretesto per impartire una lezione di
“valori” al mondo.
Al di
là della condivisibilità o meno dei “valori” esibiti, usando un massimo di
violenza contro la città di Parigi – paragonabile a usare la schiena di uno
studente come lavagna – il punto dolente sta nel fatto stesso di
strumentalizzare la “Ville Lumière” per qualcosa che è altro da essa.
Il
Messaggio di Parigi alle Olimpiadi 2024.
Una
città, qualunque città, è un messaggio in sé stessa, per il fatto che è un
luogo portatore di tutta la sua storia e di tutto il suo presente, coi suoi
splendori e i suoi angoli bui;
nel
momento in cui la strumentalizzo per farle dire non quel che lei dice con la
sua dinamica esistenza, ma quel che voglio io, io sto violentando quella città.
E sto
dimostrando a tutti che fra i miei valori e fra i princìpi guida della mia
vita, non c’è il rispetto per l’identità di quella realtà, per la sua natura
intrinseca e storica insieme.
Persino
di un organismo vibrante e imponente come una città il Potere può decidere di
fare quello che vuole.
La
Visione Post-Moderna del Mondo.
Parliamoci
chiaro:
lo stravolgimento del significato delle città
non comincia coi Giochi Olimpici 2024 di Parigi.
Facciate
di chiese medievali e palazzi rinascimentali o neoclassici sono diventate nel
primo scorcio del XXI secolo, teloni cinematografici per proiettare documentari
su specie animali in via di estinzione o sequenze di variopinti addobbi
natalizi, piazze come quella del Duomo di Milano sono diventate boschetti
tropicali con palme e banani, ecc.
(Rodolfo
Casadei) - (tempi.it/olimpiadi-cerimonia-apertura-peccato-originale).
Tutti
i miliardari under 30
hanno
ereditato la loro ricchezza.
Econopoly.ilsole24ore.com
– (11 Aprile 2024) - Post di Massimo Taddei – ci dice:
Nella
classifica dei miliardari nel mondo c’è molto poco spazio per i giovani.
Delle 2.781 persone menzionate nella lista
Forbes del 2024, che raccoglie tutti i miliardari conosciuti sul Pianeta, solo
15 hanno meno di 30 anni.
Il dato più preoccupante, però, riguarda la ragione di questa ricchezza:
in
tutti i casi questi giovani sono diventati miliardari ereditando la loro
fortuna.
La
distribuzione della ricchezza tra poco meno di tremila persone, ossia lo
0,00004 per cento della popolazione globale, ci interessa poco per capire il
livello delle disuguaglianze globali, ma la tendenza registrata tra i super
ricchi sembra replicare quello che avviene anche nel resto della popolazione.
Il calo demografico, la fine della crescita
esponenziale nei paesi avanzati a favore di uno sviluppo più moderato nel tempo
e, in generale, le peggiori condizioni economiche cui si trovano di fronte i
giovani di oggi stanno rendendo l’eredità sempre più fondamentale come metodo
per accumulare ricchezza.
Come
Zuckerberg e Musk, avremo altri giovani miliardari tech?
In un
precedente articolo, avevamo raccontato come i” Millennial” siano destinati a
diventare la generazione più benestante della storia, ma solo grazie alla
ricchezza che erediteranno dai loro genitori.
Anche
tra i miliardari, la tendenza sembra essere quella:
nel
giro dei prossimi trent’anni, passeranno tra generazioni oltre 5 mila miliardi
di dollari, ossia la quota di ricchezza in mano agli over 70 nella lista Forbes.
Sembra
essere finita l’epoca dei giovani imprenditori tech, come Mark Zuckerberg o Elon Musk, che riescono ad accumulare in breve
tempo una fortuna grazie a delle innovazioni dirompenti, come Facebook o PayPal.
Inizia invece il periodo dei” nepo babies”, come si direbbe negli Stati Uniti, ossia di chi riesce ad avere successo
grazie al lavoro fatto nelle generazioni passate dalla propria famiglia.
Non
solo i miliardari under 30 sono solo 15, ma la loro ricchezza è anche molto
concentrata su poche industrie.
Ad
occupare le prime cinque posizioni, per esempio, sono i fratelli Firoz e Zahan Mistry,
ereditieri del colosso multinazionale indiano” Tata”, e Leonardo Maria, Luca e
Clemente Del Vecchio, figli del patron di “Luxottica” scomparso nel 2022.
Basta
miliardari fai-da-te?
Il
fatto che sempre meno miliardari si siano “fatti da soli” può far pensare che
sia ormai impossibile avere successo nella vita partendo da una condizione
svantaggiata.
Non è
necessariamente così: il numero di milionari, per esempio, è cresciuto di molto
dal 2000 a oggi.
Nei
soli Stati Uniti, si è passati da circa 7 milioni all’inizio del Millennio a
oltre 22 milioni nel 2022.
L’idea
del self-made man (o woman) sembra però essere diventata sempre più un’ideale
piuttosto che un fenomeno concreto nelle economie avanzate.
È un
fatto che non riguarda solo i più ricchi, anche perché per diventare miliardari
occorre spesso tempo e raggiungere questo traguardo prima dei 30 anni può
essere molto difficile, ma anche le persone comuni che vogliono migliorare la
propria condizione.
In
Italia 5 generazioni per la scalata del reddito.
Secondo
l’Ocse, per esempio, in Italia ci vogliono cinque generazioni per passare dal
10 per cento più povero fino a raggiungere il reddito medio.
Se
nasci povero, le probabilità di rimanere tale sono quindi molto alte.
Anche
se si trova un lavoro, poi, è più difficile che sia ben retribuito e che
permetta una crescita tale da poter puntare a diventare milionario, miliardario
o anche solo più ricco dei propri genitori.
Secondo una ricerca di “Nicola Bianchi”
(Northwestern University) e “Matteo Paradisi “(Einaudi Institute for Economics
and Finance), nel 1985, gli under 35 italiani guadagnavano in media il 23,7 per
cento in meno rispetto agli over 50, mentre oggi questo divario è salito al
44,3 per cento.
Se già un tempo era più semplice diventare
ricchi al crescere dell’età, anche grazie all’esperienza e ai risparmi già
accumulati, oggi per i giovani diventa sempre più difficile stare al passo con
i propri genitori.
Le
prospettive economiche poco rosee e la mancanza di modelli di successo, anche
tra i giovani miliardari, potrebbero contribuire ancora di più alla fine
dell’ideale del self-made man.
Certo,
l’idea che nella vita sia necessario avere successo a tutti i costi può portare
a una cultura tossica sul lavoro e nella vita, ma è anche vero che, se nella
società andranno avanti sempre più solo gli ereditieri, sempre meno persone
potrebbero crescere con il sogno di avere successo.
E le conseguenze sulla capacità innovativa
delle nostre economie rischiano di essere disastrose.
L’Iran
Tiene il Mondo con il Fiato Sospeso.
Conoscenzealconfine.it
– (6 Agosto 2024) – Redazione- Simplicius76 (CptHook) – ci dice:
Il
Medio Oriente è di nuovo in una fase di riscaldamento.
Stranamente,
è durante le Olimpiadi che ancora una volta una grande guerra minaccia di
infiammarsi.
Alcuni ricorderanno che fu durante le
Olimpiadi estive di Pechino, l’8 agosto 2008 che la Russia fu costretta ad
entrare in Georgia, e che fu durante le Olimpiadi invernali di Pechino del
febbraio 2022 che prese il via l’Operazione Militare Speciale.
Ora
siamo nel bel mezzo delle Olimpiadi di Parigi e l’Iran minaccia una risposta
“senza precedenti” all’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniyeh il 31
luglio a Teheran.
In
attesa, gli Stati Uniti hanno iniziato a portare nella regione importanti
rinforzi, tra cui F-22, bombardieri stealth B-2 Spirit, un’armata con il gruppo
della portaerei USS Roosevelt e navi da sbarco anfibio con 4.000 Marines
statunitensi a bordo.
Durante
i grandi attacchi di aprile, gli Stati Uniti hanno dichiarato che sarebbe stato
molto difficile replicare il loro presunto successo nel fermare i missili
iraniani. “Riteniamo che sarà molto difficile replicare l’enorme successo che
abbiamo avuto nello sconfiggere l’attacco se l’Iran lancerà di nuovo centinaia
di missili e droni – e gli israeliani lo sanno”, ha detto un altro funzionario
statunitense.
Uno
dei motivi è che per cercare di abbattere le centinaia di droni e missili
balistici iraniani, è stata consumata un’enorme quantità di missili.
Dal
momento che per abbattere un singolo bersaglio sono solitamente necessari più
missili di difesa aerea, sarà sempre necessario che Stati Uniti e complici
sparino molti più missili, che sono già di per sé molto più costosi.
L’intera
industria della Difesa ha suonato per mesi un campanello d’allarme sul fatto
che le forze statunitensi nella regione si stanno avvicinando a un punto di
crisi per quanto riguarda la loro capacità di rifornire le risorse di difesa
aerea. Anche in una eventuale guerra contro la Cina, sanno che sarebbero in
grave difficoltà.
Ora
alcuni rapporti sostengono che l’Iran si stia ancora trattenendo in attesa di
colpire in un momento di sua scelta:
“Iran
ed Hezbollah si preparano ad attaccare Israele nel giorno sacro di” Tisha B’Av”
– “Sky News Arabia”.
“Fonti
di intelligence occidentali hanno riferito a “Sky News Arabia” che l‘Iran sta
pianificando un attacco contro Israele nel giorno di Tisha B’Av (12-13 agosto)
in risposta all’uccisione del leader di Hamas Ismail Haniya”.
“L’attacco
sarà coordinato con Hezbollah.
La Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha
annunciato l’intenzione di vendicare la morte di Haniya”.
“La
scelta della data per l’attacco è legata al significato simbolico del “giorno
di Tisha B’Av”, quando gli ebrei piangono la distruzione del Primo e del
Secondo Tempio.
Ciò
potrebbe esercitare una pressione psicologica sugli israeliani e ripristinare
il morale dei gruppi filo-iraniani”.
Per
quanto riguarda l’assistenza che la Russia potrebbe fornire all’asse della
resistenza mediorientale, c’è una notizia non confermata secondo cui l’Iran
avrebbe ricevuto uno dei più potenti strumenti di guerra elettronica della
Russia, il complesso “Murmansk”:
“L’Iran,
a quanto pare, ha ricevuto i sistemi russi di guerra elettronica a lunghissimo
raggio Murmansk-BN.
In
precedenza, questi complessi erano stati dispiegati nella Flotta del Nord e in
Crimea (il 475° Centro di guerra elettronica era responsabile del loro
utilizzo).
La
loro caratteristica distintiva è un raggio di soppressione fino a 5 mila
chilometri. Il complesso” Murmansk-BN” si trova su sette camion.
Le sue
antenne sono montate su quattro supporti telescopici alti fino a 32 metri”.
A
sostegno di questa tesi, ci sono le nuove notizie secondo cui sarebbero
arrivati a Teheran due velivoli da trasporto russi, Il-96 e Il-76:
“Volo
cargo IL-76 della ‘Gelix Airlines’ (reg. RA-76360) Mosca (VKO)=> Teheran
(IKA).
Questa
compagnia di charter è nota per i trasferimenti di armi, non sono sicuro di
cosa sia questo volo, ma è interessante, è la prima volta che viene visto in
Iran”.
Inoltre,
due articoli illuminanti hanno rivelato che la Russia sarebbe stata sul punto
di consegnare grandi quantità di armi agli “Houthi”, ma che gli Stati Uniti
l’hanno fatta desistere in una sorta di compromesso dell’ultimo minuto:
“La
Russia si stava preparando a consegnare missili e altre attrezzature militari
ai ribelli “Houthi” in “Yemen” alla fine del mese scorso, ma si è tirata
indietro all’ultimo minuto in mezzo a una raffica di sforzi dietro le quinte da
parte degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita per fermarla”, riferisce la CNN.
Inoltre,
nuove notizie indicano che dietro la serie di successi degli “Houthi” sulle
navi del Mar Rosso, ci siano ufficiali del servizio russo di intelligence GRU.
Quindi,
come tutti possono vedere, la Russia è già stata abbastanza attiva nell’opporsi
asimmetricamente all’imperialismo americano, come ho detto molte volte
rispondendo alle domande su come la Russia intenda “controbattere” agli Stati
Uniti che usano l’Ucraina come proxy per danneggiare gli interessi russi.
Ora il
mondo intero è sulle spine in attesa di ciò che accadrà.
Il
senatore Lindsay Graham ha presentato al Congresso una risoluzione per
autorizzare una guerra su larga scala contro l’Iran.
Il
campanello d’allarme ha squillato al Pentagono, indicando importanti tavole
rotonde di pianificazione a tarda notte e preparativi di guerra.
Secondo
quanto riferito, Biden ha avuto un “discorso duro” con Netanyahu, in cui
avrebbe detto che, per questa volta, gli Stati Uniti lo sosterranno, ma che, se
alzerà nuovamente la tensione, non potrà contare sull’appoggio degli Stati
Uniti, il che è abbastanza aperto all’interpretazione.
A
questo punto è chiaro, come abbiamo già scritto molte volte qui, che Netanyahu
ha bisogno di un’escalation perpetua per salvare il suo regime in crisi.
Solo
mantenendo la gente in perenne paura e angoscia può impedire loro di
raccogliere i mezzi e il consenso per rovesciarlo.
Inoltre, Israele sembra temere il confronto con gli “Hezbollah”,
che hanno l’appoggio dell’Iran, e vorrebbe che gli Stati Uniti vincolassero l’Iran in
una guerra, o lo eliminassero del tutto, prima di intraprendere la rischiosa
sfida con gli Hezbollah.
L’ultima
cosa che l’amministrazione Biden probabilmente vuole è una guerra su larga
scala alla vigilia delle elezioni presidenziali, che si ripercuoterebbe
negativamente sulla campagna di Kamala Harris.
Pertanto, le notizie sull’esasperazione
dell’amministrazione nei confronti di Israele sono probabilmente vere.
(Simplicius76)
– (simplicius76.substack.com/p/iran-keeps-world-on-pins-and-needles).
(comedonchisciotte.org/liran-tiene-il-mondo-con-il-fiato-sospeso).
La
pace è sempre possibile,
non
dobbiamo mai rassegnarci.
Famigliacristiana.it – (04/04/2024) - Andrea
Riccardi – ci dice:
Solo
Francesco ha il coraggio di gridarlo contro chi ritiene la Terza Guerra
mondiale inevitabile.
Il
terribile attentato a Mosca ha sconvolto tutti per l’assurda violenza contro
gente innocente.
L’attribuzione,
da parte russa, di una responsabilità agli ucraini suscita paura.
C’è il
rischio che una tale interpretazione porti a un’escalation del conflitto.
Ora
sembra che la pista del terrorismo islamico sia incontrovertibile.
Tuttavia
l’atmosfera è densa di odio.
Basta
poco: può incendiare le polveri, un incidente reale o amplificato.
Viene da pensare all’attentato di Sarajevo,
nel 1914, che – centodieci anni fa – portò alla Prima guerra mondiale.
Un
mese dopo l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono
asburgico, l’Impero di Vienna era già in guerra con la Serbia.
Seguì
il conflitto mondiale con nove milioni di caduti militari e cinque milioni di
morti civili.
La guerra è come il fuoco:
quando
scoppia, non è facile controllarlo, perché travolge tutti, al di là delle
intenzioni.
In un
mondo pieno di conflitti, in cui sono coinvolti molti Stati e in cui il
terrorismo è un attore rilevante dall’Africa all’Europa, non si rischia una
guerra più grande delle attuali.
Una
guerra mondiale?
È la
domanda che ci poniamo in molti, che teniamo dentro di noi, cui non troviamo
risposte rassicuranti.
Osserviamo
gli eventi che si dipanano sotto i nostri occhi con un sentimento cupo: non
verrà un giorno in cui tutto scoppierà?
Del
resto, prima dell’attacco russo dell’Ucraina, l’invasione sembrava impossibile,
nonostante le prove.
Poi è successo.
Ed
eccoci in guerra da due anni!
Questo
sentimento cupo sul futuro viene dal fatto che, ormai, non si immagina più la
pace.
La pace sembra impossibile.
La pace, come destino comune dell’umanità, è
scivolata (speriamo non del tutto) dalle agende degli attori internazionali.
Siamo
preoccupati, ma impotenti.
Ci si
arma e ci si prepara a un’eventualità che i più non vogliono, un conflitto più
grande.
Bisogna
avere il coraggio di ripudiare l’atteggiamento rassegnato e rimettere la pace
al centro.
La
gente non vuole la guerra.
La
sostiene in qualche Paese, manipolata dalla propaganda.
Bisogna far emergere la profonda volontà di
pace della maggioranza.
Giovanni
XXIII, che aveva vissuto da militare la Prima guerra mondiale, lanciò un
messaggio prima del Vaticano II:
«Le madri e i padri di famiglia detestano la
guerra:
la
Chiesa, madre di tutti indistintamente, solleverà una volta ancora la
conclamazione (...) per effondersi in supplichevole precetto di pace:
pace
che previene i conflitti delle armi, pace che nel cuore di ciascun uomo deve
avere sue radici e sua garanzia».
Dobbiamo
dar voce all’«anelito dei popoli», delle madri e dei padri, delle donne che non
vogliono la guerra.
Non
possiamo rassegnarci fatalisticamente a che, un giorno, la guerra verrà.
In
Italia e in altri Paesi europei, il sentimento della maggioranza è che si eviti
la guerra e si percorrano le vie di un forte e vero dialogo.
Allora
bisogna gridare!
E
agire come e dove si può per ridare alla pace il suo posto nel futuro del
mondo. Papa Francesco, troppo criticato per le sue parole di pace, ha il
coraggio di rompere il conformismo ufficiale e mediatico, che ha cancellato la
pace dai discorsi pubblici e dal nostro orizzonte.
Con la
voce e a mani nude si può ancora fermare la rassegnazione alla guerra.
La
pace è possibile:
dipende
dalla congiuntura internazionale, ma in fondo dipende anche da noi!
Dobbiamo
liberarci
dalla
follia della guerra
sbilanciamoci.info
– (2 Aprile 2024) - Michael Von der Schulenburg – ci dice:
Discorso
di Michael von der Schulenburg, ex diplomatico tedesco all’Onu, alla marcia per
la pace di Pasqua a Berlino sulla necessità di un negoziato vero per la pace e
per un voto europeo contro guerra e razzismo.
Marcia
della Pace a Berlino il 30 marzo 2024.
Michael
von der Schulenburg.
Cari
amici,
vorrei
darvi il benvenuto e ringraziarvi per aver dimostrato il coraggio e l’impegno
di venire a queste marce di Pasqua.
Anche se non siamo più in tanti, siete ancora
la coscienza della Germania che si oppone alla follia che la pace in Europa e
nel mondo possa essere raggiunta solo attraverso la vittoria militare.
Questo
ha un significato molto particolare per noi cittadini dell’Unione Europea.
Perché solo l’Unione Europea è minacciata da tante guerre e conflitti
pericolosi nelle nostre immediate vicinanze.
Né gli
Stati Uniti né la Cina si trovano in una situazione geografica così pericolosa
come la nostra.
Inoltre, la guerra più grande e pericolosa, in
cui le armi nucleari hanno un’importanza strategica per la prima volta nella
storia dell’umanità, si sta svolgendo sul suolo europeo, in Ucraina.
Eppure
le nostre responsabili élite politiche dell’Unione Europea sono cadute in una
logica di guerra che può essere descritta solo come una follia.
È la
follia dell’irresponsabilità politica nei momenti di maggior pericolo per
l’umanità.
È la
follia dei generali tedeschi che contemplano la possibilità di usare i missili “Taurus”
e il modo in cui la responsabilità tedesca potrebbe essere nascosta.
Il fatto che l’uso di un’arma del genere, che
potrebbe distruggere il Cremlino senza alcun preavviso, porterebbe a un
contraccolpo nucleare, non sembra giocare un ruolo in queste considerazioni.
È la
follia di un presidente francese che contempla il dispiegamento di truppe NATO
nella guerra in Ucraina e del suo capo di Stato maggiore che propone la
mobilitazione di 60.000 soldati NATO per scatenare una guerra paneuropea.
È la
follia di un dibattito al Bundestag in cui, dopo due anni di guerra, le
proposte della coalizione “Ampel” e dell’”opposizione CDU/CSU” sembrano ancora
dichiarazioni di guerra senza nemmeno un accenno alla volontà di trovare
soluzioni pacifiche.
È la
follia dei fautori della guerra che continuano a parlare di voler sconfiggere
la Russia pur accettando di distruggere l’intera Ucraina nel processo.
È la
follia dei politici verdi che vogliono farci credere che non dobbiamo avere
paura di una guerra nucleare anche se partecipiamo direttamente a questa guerra
contro la potenza nucleare russa.
È la
follia di un presidente della Commissione europea che si reca a Kiev nel
secondo anniversario della guerra e pretende di difendere i valori europei a
fianco del primo ministro italiano, le cui radici affondano nel passato
fascista dell’Italia.
È una
follia dell’Unione europea voltare le spalle a un progetto di pace europeo e
distribuire sempre più spesso miliardi di sussidi alle industrie della difesa.
È una
follia permettere che questa guerra si protragga per un terzo anno, ben sapendo
che l’Ucraina non può più vincere questa guerra e che costerà solo più vite
umane.
È la
follia dei nostri politici responsabili, ossessionati dalla loro retorica di
guerra, che gridano dai loro salotti accoglienti agli ucraini nelle trincee di
continuare a combattere e di lasciarli morire e soffrire per noi.
È una
follia che dopo due anni della più pericolosa e terribile guerra sul suolo
europeo, noi europei non abbiamo finora ottenuto nulla per porre fine a questa
guerra attraverso i negoziati.
Perché
gli ucraini sono il popolo tradito che deve pagare con il proprio sangue tutta
questa follia.
E siamo anche noi europei che siamo stati
ingannati dai nostri politici responsabili e che dobbiamo pagare per le
conseguenze di questa guerra, indebolendo l’Europa come sede di affari,
riducendo i nostri salari reali, le nostre pensioni e le nostre prestazioni
sociali, nonché aumentando le spese per la difesa e concedendo sussidi sempre
più ampi ai rifugiati ucraini.
Ma
questa follia oggi va ben oltre la guerra in Ucraina.
Oggi
domina la follia globale di credere che i conflitti possano essere risolti solo
con l’uso della forza militare e non più con la diplomazia.
È una
follia che i nostri ministri degli Esteri sembrino sempre più dei guerrafondai
e non i principali diplomatici dei nostri Paesi, il cui compito principale
dovrebbe essere quello di prevenire le guerre e cercare soluzioni pacifiche
laddove le guerre sono scoppiate.
È una
follia accettare il fatto che oggi nel mondo ci siano le guerre più intense
dalla fine della guerra fredda.
È una
follia credere che la nostra sicurezza possa essere trovata solo in una spesa
per la difesa sempre più alta e che la stiamo acquistando con meno protezione
del clima, meno giustizia sociale, ma con più fame, più povertà, più rifugiati,
più migranti e più, anzi più sacrifici umani.
È una
follia credere di poter promuovere la democrazia e lo Stato di diritto nel
mondo esportando sempre più armi.
Ed è
una follia il rapido sviluppo di sistemi d’arma sempre più potenti e
tecnologicamente molto complessi, sistemi d’arma che non conoscevamo nemmeno
durante la Guerra Fredda e che potrebbero distruggere completamente il nostro
mondo e tutta la vita sulla terra più volte nel giro di pochi minuti.
Ed è
una follia che, in un’epoca di sistemi d’arma sempre più potenti, abbiamo
annullato tutti i trattati sulla limitazione degli armamenti e tutte le misure
di controllo reciproco di questi trattati che avevamo concluso durante la
Guerra Fredda e nel periodo immediatamente successivo per rendere il mondo più
sicuro.
È una
follia aver creato un mondo “libero” da ogni vincolo morale e umano per
un’industria degli armamenti sempre più perversa e sovvenzionarla con fondi
pubblici.
È la
follia dello smantellamento di tutte le misure di rafforzamento della fiducia
che un tempo miravano a rassicurare gli uni e gli altri che non ci sarebbero
stati attacchi a sorpresa.
È la
follia dei nostri attuali armamenti che fanno esattamente il contrario e mirano
a sorprendere il nemico, dandogli sempre meno tempo per reagire
E la
finestra di opportunità sempre più breve per reagire agli attacchi porta alla
follia finale di uno sviluppo in cui lasciamo sempre più all’intelligenza
artificiale il compito di decidere tra guerra e pace.
La
sopravvivenza del nostro pianeta, la sopravvivenza dell’umanità, potrebbe
quindi essere decisa da un’intelligenza artificiale.
Dobbiamo
fare delle elezioni europee un voto a favore della pace.
È
urgente che tutti noi ripensiamo, che sollecitiamo i nostri governi a ripensare
per porre fine a questa follia.
Non
siamo più in grado di organizzare grandi manifestazioni per la pace come
all’epoca della guerra illegale di aggressione contro l’Iraq, anche se oggi la
situazione della sicurezza nel mondo è molto più pericolosa per l’umanità di
quanto non fosse nel 2003.
Eppure
c’è speranza.
Perché ci sono segni di un cambiamento
nell’opinione pubblica.
Nonostante
tutti i media guerrafondai, oggi in Europa c’è una maggioranza crescente
contraria a ulteriori forniture di armi e favorevole ai negoziati. Dobbiamo
fare leva su questo!
Dobbiamo
riuscire a trasformare questa tendenza della popolazione in una forza politica.
Per
farlo, dobbiamo invitare i cittadini europei a fare delle elezioni europee un
voto a favore della pace.
In
queste elezioni europee c’è ora un’alternativa politica per votare a favore
della pace senza dover accettare obiettivi nazionalisti o addirittura razzisti.
Invito
quindi tutti voi a votare il 9 giugno per la pace, per il buon senso, per le
soluzioni pacifiche e per la giustizia sociale.
(Michael von der Schulenburg è un ex
diplomatico della OSCE e Assistent Secretary-General delle Nazioni Unite. )
L’eclisse
delle classi dirigenti.
Sbilanciamoci.info - Giulio Marcon – (5 Agosto
2024) - ci dice:
Negli
ultimi 30 anni le classi dirigenti, a livello nazionale e globale, ci hanno
condotto sull’orlo del collasso sociale e ambientale: negli stessi giorni in
cui si ritroveranno al workshop dello Studio Ambrosetti, Sbilanciamoci!
promuove il Forum dell’alternativa al paradigma dell’economia dominante.
Quando
si parla di classi dirigenti, tutti pensano alla politica e ai partiti.
Troppo
comodo, troppo facile.
Le classi dirigenti – capaci di condizionare e
influenzare le decisioni e di avere potere – attraversano diversi ambiti, dove
si annida l’élite di una società: magistratura, chiesa, giornalismo, impresa…
Tra i
diversi ambiti delle classi dirigenti si stabiliscono alleanze, complicità,
mutui affari.
In Gran Bretagna (e negli Stati Uniti) si
preferisce parlare di establishment, ma più o meno si tratta della stessa cosa.
Gramsci
ricordava che in certe epoche della nostra storia le classi dirigenti, quando
non riescono a esercitare l’egemonia sulla società, diventano sovversive,
ricorrendo al ribaltamento della democrazia e delle regole del gioco per
rimanere in sella.
Accadde
in Italia con il fascismo, ma sta avvenendo in dosi omeopatiche e con forme
forse meno drammatiche anche oggi.
Quella
che lo scrittore jugoslavo “Predrag Matvejevic”, riferendosi ai paesi nati
dalla disgregazione della Jugoslavia, chiamava “democratura” – crasi tra
democrazia e dittatura – si potrebbe applicare a diversi altri paesi nel mondo
attuale.
Si
potrebbe parlare ad esempio di Trump, di Orban e di altri.
Le
pulsioni autoritarie si avvertono ovunque, anche in Italia.
Le tre
riforme targate Fratelli d’Italia (premierato), Forza Italia (giustizia) e Lega
(autonomia differenziata) vanno in quella direzione.
Per non parlare di ciò che succede nel mondo
dell’informazione.
Quando
perdono la calma, le pulsioni autoritarie degli uomini e delle donne al governo
tornano a galla come riflessi pavloviani.
Tra le
classi dirigenti ci sono anche gli imprenditori che negli anni ’20 del secolo
scorso, in gran parte, non ebbero dubbi:
si
schierarono con il sovversivismo fascista, anzi lo finanziarono.
Nel secondo dopoguerra, abbiamo avuto
imprenditori illuminati o animati dalla responsabilità sociale e pubblica:
Olivetti,
Falck, Pirelli, per citarne alcuni.
Oggi
abbiamo in gran parte figuranti – non tutti, ci sono anche begli esempi –
disposti a vendersi per un piatto di lenticchie (sconti fiscali).
La
cosa buffa è che molti imprenditori non si sentono “classe dirigente”,
dimenticandosi che abbiamo avuto un premier imprenditore – Berlusconi – per 9
anni e una trentina di ministri provenienti dall’establishment imprenditoriale
dagli anni ’80 ad oggi.
Tra
meno di due mesi (6-8 settembre) una parte di questo mondo si ritroverà a
Cernobbio, sulle sponde del lago di Como, in occasione del workshop dello
Studio Ambrosetti.
Non
vogliamo generalizzare:
qualcosa di buono potrà venir fuori
dall’incontro.
Ma
sicuramente mancherà un esame critico di come l’establishment negli ultimi 30
anni ci abbia portato al collasso sociale e ambientale, a una crisi strutturale
del paradigma insostenibile dell’economia dominante.
Ecco
perché negli stessi giorni dell’evento organizzato dallo Studio Ambrosetti,
Sbilanciamoci! terrà il suo Forum a Cernobbio – e a Como – per esprimere un
punto di vista diverso, alternativo a un modello di sviluppo insostenibile e
ingiusto (sbilanciamoci.info/laltra-cernobbio-torna-il-forum-di-sbilanciamoci/).
Parleremo
di guerre, di giusta transizione, di diritti, di quello che sta succedendo di
drammatico al nostro pianeta.
Oggi è
in gioco il futuro della nostra amata terra, l’unica che abbiamo.
La
guerra sta tornando?
Ilbolive.unipd.it – (10 giugno 2024) - Daniele Mont
D'Arpizio – ci dice:
Dulce et decorum est pro patria mori.
Per
quasi due secoli è stato insegnato che dare il proprio sangue, anche a costo di
uccidere e di massacrare, era la più nobile delle azioni per il cittadino
moderno:
un
sogno – poi divenuto incubo – a lungo alimentato dagli Stati nazionali per poi
eclissarsi nella ricca e sazia Europa postbellica.
Fino ai nostri giorni, nei quali il demone del
conflitto armato torna prepotentemente ad affacciarsi negli orizzonti europei,
ammesso che ne sia mai uscito.
Ed è
proprio l’aggressione all’Ucraina ad aver spinto uno storico come Marco Mondini
a scrivere il suo ultimo libro:
“Il
ritorno della guerra, Combattere, uccidere e morire in Italia 1861-2023” (Il
Mulino 2024) racconta come fin dall’inizio la nostra storia assomigli a
un’unica narrazione fatta di uomini in armi, sacrifici, guerre e combattimenti.
“In
Italia la guerra è strettamente connessa alla fondazione della nazione – spiega
Mondini, che insegna “storia contemporanea e history of conflicts” presso
l’università di Padova –.
Per
oltre un secolo gli italiani sono andati a morire prima per l’indipendenza e
poi per la difesa della patria, credendo che questo facesse parte del patto di
cittadinanza: un’attitudine sopravvissuta persino al disastro della seconda
guerra mondiale”.
Ma la
Costituzione del ’48 non ha ripudiato la guerra?
“Ha
ripudiato le guerre di aggressione, ma allo stesso tempo indica chiaramente che
la difesa è sacro dovere del cittadino.
E non poteva essere diversamente, dato che
nasce dalla Resistenza, una guerra che contiene al suo interno molteplici
guerre e tanti progetti, ma la cui essenza è la volontà di centinaia di
migliaia di uomini, e per la prima volta anche le donne, di mettere a rischio
la vita per un’idea di Paese e di democrazia.
Senza
che gli venga chiesto, ma spesso anzi contro le stesse autorità.
D’altra
parte, fino all’inizio degli anni ’60, l’Italia è un Paese in pieno riarmo,
anche perché presidia il fianco mediterraneo e quello sud-orientale
dell’Alleanza atlantica.
Si
investe ad esempio moltissimo nelle fortificazioni della cosiddetta soglia di
Gorizia, con una spesa per la difesa ben oltre il 4% del Pil: oggi ci
affanniamo per raggiungere il 2%”.
Poi
che succede?
“Nel
1961 ad Assisi si tiene la prima grande marcia per la pace ed è la spia di una
profonda svolta sul piano politico e culturale:
poco a poco il pacifismo assume le forme di un
grande movimento di massa, in grado di fare opinione e spostare consensi.
Una parte crescente della popolazione maschile
adulta inizia a pensare che la leva sia una tassa non solo inutile e scomoda,
ma anche illegittima;
negli
anni ’80 poi l'obiezione di coscienza diventa addirittura maggioritaria:
un
fenomeno fino a poco prima inimmaginabile”.
Che
c’è di male?
“Di
per sé nulla, se non fosse che – anche spesso preferiamo ignorarlo – siamo
figli della rivoluzione francese, che ha tolto il monopolio della violenza al
principe per consegnarlo ai cittadini.
Per oltre due secoli la guerra è stata il
momento supremo della sopravvivenza della nazione, che in quanto tale
riguardava tutti: i maschi adulti partivano al fronte, tutti gli altri li
sostenevano.
Poi a
un certo punto questa narrativa si è inceppata, anche perché ci siamo
trasformati da cittadini in consumatori:
i cittadini hanno innanzitutto doveri, i
consumatori solo diritti e spesso anche delle pretese.
A
lungo gli italiani, come gli altri europei, hanno voluto credere che la guerra
non fosse non solo impossibile ma anche impensabile.
Il 24
febbraio 2022, anche se in realtà i segnali della crisi erano presenti da
tempo, ha definitivamente rotto quest’illusione:
la
guerra è tornata a far parte della nostra quotidianità e a questo dobbiamo
rassegnarci”.
In
questo momento però non sono le nostre frontiere ad essere minacciate.
“È
perlomeno ingenuo pensare che nel 21° secolo un conflitto non ci riguardi, sia
sul piano tecnico che politico, solo perché si svolge a poche centinaia di
chilometri. La guerra non è solo quella che si combatte sui campi di battaglia
ma anche quella cibernetica e ibrida:
da questo punto di vista negli ultimi anni
siamo stati anche noi oggetto di forme di aggressione e di intimidazione”.
Molti
comunque preferirebbero non immischiarsi.
“La
leadership russa ha detto chiaramente che il suo obiettivo non è solo l’Ucraina
ma la ricostituzione del “russkiy mir”, che in quanto tale comprenderebbe Paesi
che, come i Baltici, fanno parte della nostra coalizione politico-militare.
Putin
è permanentemente in conflitto dal 2007 e il suo regime, come per certi versi
il fascismo, deve continuare a fare la guerra per rimanere in sella.
In
questo sta l’equivoco di parte del nostro pacifismo:
con un
leader così, che peraltro ha stracciato tutti i trattati di pace che ha
firmato, non si può ragionare con le nostre stesse categorie costi/benefici”.
Ha
comunque l’atomica.
“Ma
non è un suicida e sa bene che la Russia non ha le risorse militari e
soprattutto economiche per reggere uno scontro diretto con la Nato.
La
guerra di massa moderna è una funzione dell’economia, non dovremmo mai
dimenticarlo, e la tanto conclamata superiorità militare russa negli anni
scorsi è stata impiegata solo in conflitti asimmetrici, contro avversari molto
più deboli e disorganizzati.
Lo
scontro con un vero esercito regolare ben motivato come quello ucraino, anche
se molto meno armato, è stato un colossale fiasco.
Detto
questo, molto dipenderà dalle elezioni presidenziali in America.
Una
vittoria di Trump probabilmente comprometterebbe la tenuta della Nato.
Non
c’è insomma alternativa alla violenza?
“Più
che altro bisogna tornare a pensare alla sicurezza in termini di responsabilità
collettiva:
lo
abbiamo già visto con la pandemia, che non a caso ha attinto largamente
all’immaginario e alla terminologia militare.
Tutto però deve ripartire dal nesso tra
individuo e comunità.
Paesi
più piccoli come Svezia e Danimarca hanno reintrodotto la coscrizione
obbligatoria, estendendola alle donne.
Noi
per il momento non andiamo verso quella direzione, ma dobbiamo comunque pensare
a come allargare la platea delle persone mobilitabili in caso di necessità, ad
esempio con un più ampio ricorso al personale della riserva”.
Per
concludere, proprio gli italiani non farebbero bene a tenersi alla larga da
armi e battaglie?
“Che gli italiani che non sappiano
combattere è un anti mito fin dai tempi di “Erasmo da Rotterdam”, anche se
durante il Rinascimento i più grandi professionisti della guerra venivano dalla
Penisola.
Certi luoghi comuni però vanno anche smontati;
innanzitutto perché non ci sono popoli che combattono meglio o peggio:
i tedeschi, che pur avendo perso due guerre
mondiali hanno fama di popolo guerriero, a partire dal 1945 hanno vissuto una
demilitarizzazione culturale così profonda da compromettere l’attuale
efficienza della” Bundeswehr”.
C’è però un altro motivo per cui è ingiusto
oltre che ingrato insistere sulla natura imbelle degli italiani:
il
fatto che questi, nonostante e spesso anche contro generali e politici non
all’altezza, abbiano comunque continuato a fare quello che ritenevano il loro
dovere, facendosi massacrare pur di resistere sul Piave come a Cefalonia, ma
anche in guerre di aggressione sbagliate come quelle del fascismo”.
Un
aspetto quasi schizofrenico della nostra storia.
“…che
non può essere spiegato solamente con la costrizione dei tribunali militari e
le decimazioni, e che finora è stato sorprendentemente poco indagato dai
colleghi storici.
Per
questo ho voluto approfondirlo in questo libro”.
Macron
alla tv francese: "L'Europa deve
essere
pronta alla guerra se vuole la pace"
Rainews.it
– (14-3-2024) – Reuters – Redazione – Intervista all’ Elisione – ci dice:
"Se la guerra dovesse estendersi in
Europa, sarebbe unica scelta e responsabilità della Russia.
Ma
decidere, noi oggi, di essere deboli, decidere, oggi, che non risponderemo, è
già essere sconfitti". Ma questo, io non lo voglio".
Sono
alcuni passi delle dichiarazioni, dal tono molto deciso, rilasciate dal
presidente francese “Emmanuel Macron” in un'intervista alle tv francesi France
2 e Tf1.
L'inquilino
dell'Eliseo ha detto che l'Europa dovrebbe prepararsi alla guerra se vuole la
pace, definendo la Russia del presidente Vladimir Putin un avversario che non
si fermerebbe in Ucraina se sconfiggesse le truppe di Kiev nel conflitto che
ormai dura da due anni.
"Due
anni fa abbiamo detto che non avremmo mai inviato carri armati.
L'abbiamo
fatto.
Due
anni fa abbiamo detto che non avremmo mai inviato missili a medio raggio.
L'abbiamo fatto.
Abbiamo detto che non avremmo mai inviato
aerei, alcuni sono in procinto di farlo.
Abbiamo
quindi posto troppi limiti, se così posso dire, nel nostro vocabolario.
Non
siamo in un'escalation, non siamo in guerra con la Russia.
Semplicemente,
dobbiamo essere chiari, non dobbiamo lasciare che la Russia vinca".
Macron
aveva già suscitato ampie polemiche il mese scorso con l'affermazione di non
poter escludere il dispiegamento di truppe in Ucraina in futuro, ricavando
l'immediata reazione di molti leader che hanno subito preso le distanze mentre
altri, soprattutto nell'Europa orientale, hanno espresso sostegno.
"Se
la Russia vince questa guerra, la credibilità dell'Europa sarà ridotta a
zero", ha proseguito Macron nell'intervista televisiva.
Il
leader francese ha affermato che è importante che l'Europa non tracci linee
rosse, che segnalerebbero debolezza al Cremlino e lo incoraggerebbero a
proseguire con l'invasione dell'Ucraina.
Ma si
è rifiutato di fornire dettagli su come potrebbe essere messo in pratica
l'eventuale dispiegamento delle truppe in Ucraina.
Incalzato
dalle domande, ha detto che la Francia non inizierebbe mai un'offensiva contro
la Russia e che Parigi non è in guerra con Mosca, nonostante il fatto che la
Russia abbia lanciato attacchi aggressivi contro gli interessi francesi
all'interno e all'esterno dei suoi confini.
“Non
condurremo mai un'offensiva, non prenderemo mai l'iniziativa”, ha detto il
presidente francese.
"La
Francia è una forza di pace.
Semplicemente, oggi per avere la pace in
Ucraina, non dobbiamo essere deboli e quindi dobbiamo guardare lucidamente alla
situazione, e dobbiamo con determinazione, volontà, coraggio, dire che siamo
pronti a usare i mezzi per raggiungere il nostro obiettivo che è che la Russia
non vinca".
Macron
ha quindi affermato che l'Ucraina si trova in una situazione
"difficile" sul terreno e che è necessario un maggiore sostegno da
parte degli alleati.
Ha anche detto di sperare che arrivi un giorno
il momento in cui negoziare la pace con un presidente russo "chiunque esso
sia", quasi auspicando la possibilità che in un prossimo futuro Putin non
sia più al potere in Russia.
Von
der Leyen e Macron, davvero non
escludete la Terza guerra mondiale?
Valori.it
- Andrea Barolini – (01.03.2024) – ci dice:
Alcune
dichiarazioni sulla guerra in Ucraina di Emmanuel Macron e di Ursula von der
Leyen hanno lasciati sinceramente sgomenti.
La
presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente
francese Emmanuel Macron hanno partecipato ad un recente vertice della Nato.
Nelle
ultime settimane tre notizie si sono susseguite, e con esse un’altalena di
speranze, timori e sconcerto.
La prima è giunta da Mosca: Vladimir Putin ha
rilasciato un’intervista a “Tucker Carlson”, ex presentatore di Fox News.
Il
presidente russo ha dichiarato che Washington dovrebbe convincere l’Ucraina ad
aprire un tavolo di negoziati.
Era la
prima volta che Putin si lasciava intervistare da un giornalista occidentale,
da quando ha deciso di invadere la nazione guidata da Volodymyr Zelensky.
E non
stupisce che il leader del Cremlino abbia scelto proprio Carlson:
un
conservatore, vicino a Trump, che in passato ha insultato il presidente
ucraino. Ma tant’è:
Putin evoca un tavolo di negoziati e questa
resta una notizia.
Se ci sia o meno da fidarsi, è un’altra
partita ovviamente.
Lo
“zar” fa sul serio?
È solo propaganda? Impossibile dirlo.
Putin ha invaso una nazione vicina, provocando
morte e distruzione.
Ma non
si può neppure evitare di registrare quella che, almeno in linea teorica,
potrebbe rappresentare un’apertura.
La
seconda notizia è arrivata lunedì 26 febbraio dalla Francia.
Il presidente Emmanuel Macron, nel corso di
una riunione internazionale tenuta a Parigi, ha ribadito la necessità di
«assicurare la sconfitta» della Russia.
E, fin qui, niente di nuovo.
Quindi
ha chiesto un «sussulto» agli alleati.
Che
non implicherebbe però soltanto il “solito” invio di armi a Kiev.
No:
stavolta il presidente ha evocato a chiare lettere l’ipotesi di inviare truppe
in Ucraina.
«Molti
tra coloro che oggi dicono “mai, mai” sono gli stessi che dicevano “mai carri
armati, mai aerei, mai missili a lungo raggio” due anni fa», ha argomentato il
leader transalpino.
Immediate
e sdegnate le reazioni dell’opposizione: «È una follia», ha tagliato corto il
primo segretario del Partito socialista, “Olivier Faure”.
“Léon
Deffontaines”, del Partito comunista, ha definito le dichiarazioni di Macron
«irresponsabili», e avvertito che potrebbero «portare la Francia e il mondo
intero in guerra».
Mentre
la co-presidente del gruppo GUE del parlamento europeo, “Manon Aubry,” ha
parlato di «escalation guerrafondaia» e ha chiesto che ci si mobiliti per
«utilizzare tutti i mezzi che la Francia ha a disposizione per agire per la
pace».
Perfino
il presidente dei Repubblicani, il conservatore “Eric Ciotti” si è chiesto se
queste parole fossero «davvero riflettute».
E Macron non ha mancato di rispondere,
confermando quanto detto e spiegando che le sue sono state affermazioni
«pensate, pesate e misurate».
La
terza notizia, più recente, è giunta da Bruxelles.
In un
discorso al Parlamento europeo, la presidente della Commissione ha lanciato un
appello ad investire nelle armi e nella difesa.
Lanciandosi in un incomprensibile paragone tra
l’acquisto di vaccini anti-Covid e quello di bombe, carri armati e missili.
Ma soprattutto, parlando di un possibile
conflitto in Europa, ha detto che «dobbiamo essere preparati».
L’aria
che tira è pesantissima.
Se Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen
avessero agitato volutamente lo spauracchio di una guerra mondiale per
convincere tutti a fare ciò che vuole la Nato, ovvero avviare un’enorme fase di
riarmo, investendo miliardi pubblici e privati, sarebbe davvero irresponsabile.
Perché la storia ci ha insegnato (o almeno
dovrebbe) che non è certo riempiendo il mondo di caccia bombardieri o testate
nucleari che si garantiscono sicurezza e pace.
Qualora
invece stessero davvero pensando ad avviare un’opera di convincimento verso
l’opinione pubblica per lanciarsi in una guerra contro la Russia (e magari,
chissà, anche contro quei Paesi che si sentirebbero a quel punto di sostenere
Putin), si tratterebbe di qualcosa di talmente folle e lunare da lasciare
basiti.
Il 23
febbraio, nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, il segretario generale “António Guterres” ha spiegato che «è davvero il
momento di instaurare la pace.
Una
pace giusta, fondata sulla Carta dell’Onu, sul diritto internazionale e sulle
risoluzioni del Consiglio di sicurezza».
Tra
pochi mesi saremo chiamati alle urne in Europa.
Forse ad orientare i nostri voti dovrebbero
essere prima di tutto le intenzioni dei candidati in merito alla volontà o meno
di trascinarci nella Terza guerra mondiale.
(P.S.
Disclaimer a vantaggio chi vive con il dito puntato sulla tastiera pronto a
dare del filo-putiniano a chiunque (e soprattutto a caso). Questa testata non
si è mai schierata con Putin e non apprezza il comportamento della Russia (e
non solo con l’Ucraina).
Ci
riserviamo il sacrosanto diritto di schierarci con la pace, con le popolazioni
civili, con gli oppressi. Esattamente come nel conflitto a Gaza, nel quale la
condanna del barbaro e crudele attacco di Hamas del 7 ottobre non ci impedisce
di schierarci contro la barbara, mortifera e crudele invasione di Israele.)
Borrell
a Kiev:
l’Europa deve
sostenere
l’Ucraina «a qualunque costo».
Legrandcontinent.eu
– (12-2-2024) – Redazione – ci dice:
«Lo
stato naturale delle cose rimane la lotta tra grandi potenze. Nel mondo di
oggi, la geopolitica sta tornando in auge e la Russia non ha dimenticato la
propria illusione imperiale.
Ecco perché la vostra guerra è stata un
campanello d'allarme per l'Unione Europea.
Dal 24 febbraio 2022, questa guerra non è
stata solo una questione di assistenza militare e finanziaria per la maggior
parte di noi, ma è stata soprattutto una rivoluzione nella nostra mentalità...
Ora
dobbiamo anche cambiare l'intero quadro istituzionale dell'Unione Europea per
adattarlo a questa nuova realtà geostrategica».
(Lel
Grand Continent)
La
scorsa settimana l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la
politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea, “Josep
Borrell”, ha visitato l’Ucraina per la sesta volta dall’invasione massiccia
della Russia.
Il
capo della diplomazia europea si è rivolto alla “Rada”, il Consiglio supremo,
il parlamento unicamerale dell’Ucraina.
Il suo
discorso si è svolto in un contesto di tensione.
Dopo
il fallimento della controffensiva ucraina, gli annunci della ripresa economica
della Russia e la sempre più evidente presa di distanza degli Stati Uniti, il
capo della diplomazia europea ha dichiarato che gli europei devono «cambiare
paradigma e passare dal sostegno all’Ucraina “finché serve” all’impegno a
sostenere l’Ucraina “costi quel che costi».
Signor
Presidente, membri della Rada, signore e signori,
sono
molto onorato di essere ancora una volta qui con voi a Kyiv.
E vi
ringrazio di aver issato la bandiera dell’Unione europea.
Questa
è la mia sesta visita in Ucraina, la quarta dall’inizio della guerra, e in una
città che, negli ultimi dieci anni, è stata più consapevole della propria
identità europea di qualsiasi altra capitale del continente.
Come
ha scritto “Yuri Andrukhovych” – i cui libri sono sempre più tradotti in molte
lingue europee –
«Kyiv
ha vinto il competizione per diventare lo scenario della più bella di tutte le
rivoluzioni: la rivoluzione di Kyiv, la rivoluzione della dignità».
Abbiamo
appena celebrato il decimo anniversario di questa rivoluzione ‘hidnista’, della
dignità in ucraino, e so che per difenderla avete pagato e state ancora pagando
un prezzo terribile.
Nato
nel 1960 a Ivano-Frankivsk, nell’Ucraina occidentale, “Yuri Andrukhovych” è una
delle figure più popolari della letteratura ucraina contemporanea, tradotto in
venti lingue.
Poeta,
saggista, romanziere e performer, ha fondato il gruppo letterario Bu-Ba-Bu
(Burlesque-Balagan-Bouffonnade).
Molti
degli eroi della vostra rivoluzione sono morti sul fronte, combattendo contro
gli invasori russi per la vostra libertà.
Come,
ad esempio,” Roman Ratushny”, attivista contro la corruzione. Non aveva neppure
25 anni.
Vladimir
Putin pensava che la guerra sarebbe durata solo una settimana, ma due anni
dopo, siete ancora qui.
Alcuni
dei vostri soldati combattono in prima linea dall’inizio della guerra.
Sono stati gli eroi della battaglia di Kyiv,
quando le truppe russe erano a 8 chilometri di distanza.
Sono
stati gli eroi di Kharkiv, un nome che oggi tutti in Europa conoscono.
Lo
hanno fatto – lo avete fatto – con il vecchio equipaggiamento sovietico, senza
poter contare ancora sull’aiuto dell’Occidente.
Lo
avete fatto grazie alla motivazione dell’esercito e del popolo.
Oggi
avete liberato metà del territorio che la Russia aveva preso e avete tolto il
blocco nel Mar Nero.
In
ogni città liberata, le vostre truppe sono state accolte da persone la cui
gioia per la liberazione era pari al dolore che avevano patito.
I vostri soldati hanno visto ovunque morte e
devastazione e hanno scoperto ovunque fosse comuni.
Lo so
perché l’ho visto di persona a “Bucha”.
La
guerra è costata la vita a tanti.
Ma
permettetemi di citare una persona in particolare: “Victoria Amelina”,
finalista al premio dell’Unione Europea per la Letteratura.
Lavorava
come investigatrice di crimini di guerra e invece di mettersi al riparo, e’
andata nell’Ucraina orientale per raccontare le storie delle persone che
vivevano sotto occupazione.
L’estate
scorsa un missile russo, come quelli caduti su Kyiv ieri sera, l’ha uccisa
mentre cenava in una nota pizzeria.
Era
certamente un obiettivo. Aveva solo 37 anni.
È
diventata “Colei che è volata via troppo presto”, come aveva scritto in una
delle sue poesie.
Parlo
di lei non potendo parlare di tutte le vittime e gli eroi di questa guerra.
Ci
sono molte tragedie come quella di Victoria Amelina.
E
tutte ci ricordano ciò per cui il popolo ucraino sta combattendo: la libertà e
la propria terra.
I soldati russi non sanno per cosa stanno
combattendo.
I soldati ucraini combattono per la loro
stessa esistenza, per la vita delle loro famiglie, per il futuro dei loro
figli, per la vostra libertà, per la vostra cultura. Perché la lingua ucraina
non sia zittita e i vostri libri – come quello di Victoria – non restino
incompiuti.
Sapete
qual è il vero confine tra Russia e Ucraina?
Non è
solo la linea del fronte sul campo di battaglia: è la linea del fronte politico
tra un mondo governato dalla legge e dalla libertà e un mondo in cui i potenti
impongono la loro volontà in patria e in altri paesi.
È la
linea del fronte tra democrazia e regimi autoritari.
Niente
di meno.
Un’Ucraina
che si oppone alla guerra di annientamento della Russia dà un forte contributo
alla sicurezza dell’Europa nel suo complesso.
Visto
il mio ruolo di “Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la
Politica di sicurezza”, potete facilmente comprendere quanto questo tema mi
stia a cuore.
Non si
tratta di una frase retorica per strappare un applauso, ma della cruda realtà.
L’Ucraina dà un enorme contributo alla
sicurezza dell’Europa nel suo complesso.
E il
miglior impegno che possiamo assumere per la sicurezza dell’Ucraina è di
integrarla nell’Unione europea.
Permettetemi
di ricordarvi cos’è l’Unione Europea.
L’Unione Europea non è un’alleanza militare.
L’Unione
Europea è stata costruita intorno all’economia, per disinnescare i conflitti
tra gli europei attraverso negoziati e compromessi.
E ha
funzionato.
Dopo
le due terribili guerre mondiali del secolo scorso, l’Unione Europea ha goduto
di pace per quasi 80 anni.
Il
vecchio antagonismo tra gli ex imperi europei è scomparso.
I
confini sono diventati invisibili.
Ma
questo è anche il motivo per cui molti europei hanno dimenticato che il mondo
può essere un luogo terrificante in cui chi ha potere può imporre la sua
ragione. Abbiamo fatto pace gli uni con gli altri e tendiamo a credere che la
pace sia lo stato naturale delle cose, il che purtroppo non è vero.
Lo
stato naturale delle cose è ancora la lotta tra grandi potenze. Nel mondo di oggi, la geopolitica sta
tornando in auge e la Russia non ha dimenticato la propria illusione imperiale.
Ecco
perché la vostra guerra è stata un campanello d’allarme per l’Unione Europea.
Dal 24
febbraio 2022, questa guerra non è stata solo una questione di assistenza
militare e finanziaria per la maggior parte di noi, ma soprattutto una
rivoluzione del nostro modo di pensare.
Abbiamo preso coscienza di quanto sia
pericoloso il mondo a due passi da noi.
Questo
ci ha fatto cambiare mentalità.
Ora
dobbiamo anche cambiare l’intero quadro istituzionale dell’Unione Europea per
adattarlo a una nuova realtà geostrategica.
La ragion d’essere dell’UE non è più fare la
pace tra noi, ma affrontare le sfide ai nostri confini.
Esattamente
due anni fa, il 6 gennaio 2022, quando la Russia stava già ammassando le sue
truppe sul confine, mi trovavo nel Donbass e incontrai il primo ministro “Denys
Shmyhal”.
Stavamo
parlando nel suo ufficio e mi chiese: “Quando ci invaderanno – perché ci
invaderanno – ci sosterrete?
Ci
fornirete le armi di cui abbiamo bisogno per difenderci?”.
Non
dimenticherò mai quella domanda e quel momento della mia vita:
“Ci
aiuterà?”.
All’epoca
non riuscii a dare una risposta netta, perché l’Unione Europea non aveva mai
fornito aiuti militari a un Paese in guerra.
Ma
quando poche settimane dopo vi fu l’invasione, reagimmo in un modo inedito. Da
allora e fino a ora siamo rimasti uniti e abbiamo fornito – non una promessa ma
un dato di realtà – 28 miliardi di euro in aiuti militari e in totale quasi 90
miliardi di euro in aiuti umanitari, economici e finanziari.
La
scorsa settimana, gli Stati membri dell’UE – come sapete – hanno concordato un
ulteriore pacchetto da 50 miliardi di euro per fornirvi finanziamenti certi per
i prossimi anni e per aiutarvi a pagare stipendi e pensioni, e a fornire
servizi pubblici.
Perché
dovete vincere la guerra e vincere la pace allo stesso tempo.
Permettetemi
di dire che la Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, e il
Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, hanno avuto il merito di
mettere insieme questo pacchetto di aiuti, di averlo sottoposto al Consiglio
Europeo e di aver lavorato duramente per farlo approvare da tutti gli Stati
membri.
Tuttavia, il pacchetto deve ancora essere
presentato al Parlamento europeo, che è l’autorità di bilancio dell’Unione.
È
necessario un accordo tra il Consiglio e il Parlamento sulla proposta della
Commissione.
Sono
fiducioso che arriverà entro la fine del mese.
Ma so
che dobbiamo andare oltre.
Ho già
detto che questa è la mia sesta visita in Ucraina.
Dobbiamo
cambiare il paradigma, passare dal sostegno all’Ucraina “per tutto il tempo
necessario” all’impegno a sostenere l’Ucraina “costi quel che costi”.
Non è una questione di durata: più breve è la
guerra, meglio è.
E
perché la guerra duri meno, il nostro sostegno deve essere più forte.
Dobbiamo
fare tutto il necessario per garantire la vittoria dell’Ucraina.
Il
riferimento è esplicito al famoso “whatever it takes” di Mario Draghi (la cui
fonte latina todo modo è senza dubbio riconducibile all’educazione gesuitica
dell’ex banchiere centrale), ripreso dal Presidente francese Emmanuel Macron
con il “quoi qu’il en coûte” durante la crisi pandemica.
Per quanto riguarda il conflitto in Ucraina,
vale la pena notare che il presidente lettone “Edgars Rinkēvičs” ha dichiarato,
in occasione di una conferenza stampa congiunta con il presidente ucraino
Volodymyr Zelensky a Riga l’11 gennaio, che è giunto il momento che gli europei
cambino la retorica del «sostenere l’Ucraina finché serve» e si impegnino
invece a sostenere l’Ucraina fino alla vittoria totale «costi quel che costi».
Sentiamo
dire da qualcuno che l’Ucraina non può vincere:
questo è disfattismo.
“Perché
continuare a sostenere l’Ucraina se non può vincere? Non è vero. Dobbiamo
contrastare questa idea.
La Russia ha perso molte guerre nella sua
storia.
E
dobbiamo anche smentire chi dice che “il sostegno occidentale non durerà”.
Sono
consapevole del peso delle mie parole in questo momento storico, qui davanti ai
rappresentanti del popolo ucraino.
E con
questa consapevolezza dico che quanti sostengono che Putin deve essere placato
si sbagliano.
Si sbagliavano nel 2022 e si sbagliano
oggi.
È
stato lo stesso Putin a dire: “Vogliamo porre fine a questo conflitto il prima
possibile, ma solo alle nostre condizioni”.
E
quali sono queste condizioni?
Denazificazione,
smilitarizzazione e smantellamento.
Questa è la ricetta di Putin per l’Ucraina.
E queste parole significano solo una cosa:
capitolazione dell’Ucraina.
Vladimir
Putin ha dimostrato più volte di non negoziare in buona fede e di non
rispettare gli accordi presi.
La
sua, ha chiaramente detto, è una guerra contro l’intero Occidente.
Dunque,
invece di cercare l’acquiescenza, dovremmo ricordare le lezioni che abbiamo
imparato dal 2022, evitare di ripetere gli errori commessi e raddoppiare i
nostri sforzi dove abbiamo avuto successo.
Guardiamo
in faccia la realtà.
Nel
2023 la Russia non ha compiuto praticamente alcun progresso sul campo di
battaglia.
Le vostre forze armate sono riuscite a
indebolire il dominio aereo russo in prima linea e a rompere il blocco dei
porti del Mar Nero.
Avete
costretto la Russia a ritirare la maggior parte della sua flotta dalla Crimea
occupata e le esportazioni di grano ucraino si stanno nuovamente avvicinando ai
livelli prebellici.
Il
blocco alle vostre esportazioni di grano è saltato.
Ed è
finito non grazie ad accordi con la Russia, ma grazie alla vostra lotta e ai
corridoi di solidarietà introdotti dall’UE, che hanno rappresentato un
importante sostegno per le esportazioni ucraine.
Avete dimostrato anche una ingegnosità
incredibile.
Due anni fa, l’Ucraina aveva sette impianti di
produzione di droni militari.
Oggi ne ha centinaia. Ieri ne ho visitati due.
È
davvero qualcosa di rivoluzionario.
Non lo dico perché me l’hanno detto, ma perché
l’ho visto con i miei occhi.
Ho visto giovani appassionati, con molto
ingegno e creatività, mettere a disposizione
le loro competenze tecniche e trasformate
vecchie fabbriche in impianti per attrezzature ad alta tecnologia, come droni
che costano 300 euro e possono distruggere carri armati.
L’ingegnosità ucraina è incredibile.
Sono
certo che, quando questa guerra sarà finita, l’Ucraina sarà uno dei principali
produttori mondiali di nuove attrezzature militari.
Permettetemi
quindi di congratularmi con voi e con il vostro popolo.
Allo
stesso tempo, la Russia sta ’cannibalizzando’ – se così si può dire – il
proprio futuro.
Putin
ha mobilitato l’intera economia, società e sistema politico per lo sforzo
bellico.
I talenti – quando possono – lasciano il Paese
e il declino demografico sta accelerando.
Tuttavia, dobbiamo anche riconoscere che la
Russia è stata in grado di adattarsi alla guerra e che la sua economia è più
resistente del previsto.
Dobbiamo
guardare in faccia la realtà:
è
vero, le sanzioni stanno avendo un pesante impatto sull’economia russa e sullo sforzo
bellico.
Colpiscono
quasi 2.000 entità e individui, e c’è stata una riduzione del 60% dello scambio commerciale con la Russia rispetto a
prima della guerra.
Ci
siamo liberati della dipendenza energetica dalla Russia.
Oggi
diamo priorità alla lotta contro l’elusione delle sanzioni, che è un compito
molto difficile, ma sta funzionando:
lentamente
ma inesorabilmente.
Ci
stiamo concentrando sul monitoraggio preciso dei flussi commerciali e sul
blocco della riesportazione di beni che potrebbero essere utilizzati sul campo
di battaglia. È un lavoro certosino che facciamo ogni giorno.
Soprattutto,
abbiamo urgente bisogno di rilanciare l’industria europea della difesa.
So che vi aspettate da noi più sostegno
militare, più munizioni, più tutto.
Negli
ultimi due anni, la maggior parte del nostro sostegno militare è arrivato dalle
scorte dei nostri eserciti.
Ricostituire queste scorte continuando a
fornirvi più armi e munizioni è una sfida importante per la nostra industria
della difesa, che aveva ridotto la produzione a livelli da tempo di pace.
Tuttavia,
abbiamo già invertito questa tendenza. La capacità produttiva della nostra
industria è già aumentata del 40% dall’inizio della guerra. Entro la fine
dell’anno raggiungeremo una capacità produttiva di 1,4 milioni di munizioni.
Voglio
essere franco.
Ho parlato con i vostri militari e so che il
fabbisogno di munizioni è maggiore. Tuttavia, stiamo lavorando duramente su
questo tema ed entro la fine dell’anno forniremo all’Ucraina oltre un milione
di proiettili.
Questo
si aggiunge alle munizioni che l’industria europea vende all’Ucraina.
Per
essere chiari.
L’Ucraina viene rifornita attraverso due
canali: donazioni ed esportazioni.
Quando
parliamo di un milione di proiettili, parliamo solo di donazioni.
Questo
è ovviamente un grosso problema, perché si tratta di munizioni gratuite per
l’Ucraina.
Di là
dalle donazioni, la nostra industria sta già producendo e vendendo una quantità
simile di munizioni;
non
posso darvi un numero preciso perché siamo in tempo di guerra, ma il totale è
molto più alto delle cifre di cui il pubblico sente parlare.
Stiamo
cercando di dare priorità alle forniture all’Ucraina, dicendo alle nostre forze
armate e ai nostri clienti nei Paesi terzi che possono aspettare perché non
sono in guerra.
La priorità deve essere data all’Ucraina.
Come
ho detto, con 28 miliardi di euro abbiamo già fornito un significativo sostegno
militare.
Per
quest’anno – 2024 – i nostri Stati membri stanno pianificando ulteriori aiuti
militari per circa 20 miliardi di euro, sia a livello bilaterale sia attraverso
l’Unione Europea.
Conoscete
queste cifre, ma vorrei ricordarvele perché è importante che l’opinione
pubblica comprenda l’importanza del nostro sostegno.
Ma c’è
un’altra battaglia che si sta combattendo in questa guerra, una battaglia di
narrazioni, la battaglia per conquistare le menti e non solo riconquistare
territorio.
Questa
battaglia di narrazioni si sta svolgendo in tutto il mondo.
La
percezione che il resto del mondo ha della guerra di aggressione della Russia
contro l’Ucraina è decisiva per isolare Putin e far funzionare le sanzioni.
E nell’Unione Europea, sono io a essere
responsabile anche di questa battaglia.
Tutti,
non solo in occidente, ma anche in Africa, Sud America, Sud-Est asiatico,
devono capire le cause profonde di questa guerra, perché sta infuriando e qual’
è la vostra battaglia.
L’esperienza
che più ha segnato la storia di gran parte dei popoli nel mondo è stata il
colonialismo e noi europei siamo stati le potenze coloniali.
Eppure,
paradossalmente, molti di coloro che hanno subito il colonialismo non vedono la
Russia come una potenza imperialista e colonialista.
Dobbiamo
contrastare la narrazione russa.
Questa
non è una guerra “dell’Occidente contro tutti gli altri”, dei Paesi occidentali
contro il resto del mondo.
È una
guerra per difendere la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina.
È una guerra per difendere i principi della
Carta delle Nazioni Unite.
In un
mondo che sta diventando sempre più transazionale, è più importante che mai che
questi principi universali siano protetti, compresi dai cittadini e rispettati
dai leader mondiali.
È
proprio perché nasce da questi principi di sovranità e integrità territoriale
che la formula di pace presentata dall’Ucraina è al momento l’unica cornice per
una pace giusta e duratura.
Se
vogliamo contrastare la propaganda anti-occidentale russa, dobbiamo evitare di
usare due pesi e due misure ed essere coerenti con i nostri principi in tutto
il mondo.
Ad
essere onesti, non sono sicuro che sia sempre stato così, ma deve esserlo.
Ecco
perché l’Unione europea, e io personalmente, siamo così determinati a porre
fine alla tragedia della popolazione civile di Gaza e a garantire il rilascio
degli ostaggi detenuti da Hamas.
E poi arrivare finalmente alla soluzione dei
due Stati che la comunità internazionale sostiene da decenni.
Anche
questo fa parte dei nostri sforzi per costruire un mondo che resista alla legge
del più forte, con Paesi potenti in grado di cambiare i confini a piacimento e
i deboli che cadono preda della sopraffazione.
Finora
la strategia di Putin è stata un fallimento. E deve rimanere tale.
Se
avesse successo, incoraggerebbe la Russia e altre autocrazie a perseguire le
loro agende imperialistiche contro i loro vicini.
Dobbiamo
mostrare la Russia per quello che è: l’ultimo impero coloniale europeo, un
anacronismo.
Come scrisse lo scrittore russo “Mikhail
Shishkin” nella sua lettera a uno sconosciuto ucraino: “Il mio Paese è
scivolato fuori dal tempo”.
Oggi
la Russia rimane una potenza imperialista incapace di liberarsi di una visione
colonialistica della propria identità.
Finché
la questione dell’identità non sarà risolta, la Russia rimarrà una minaccia per
tutti i suoi vicini in Europa.
Come disse una volta Václav Havel:
“La
Russia non sa dove inizia e dove finisce”.
Finché
un Paese non sa dove inizia e dove finisce, rimane una seria sfida per i suoi
vicini.
Putin
lo ha confermato di recente facendo scrivere nei suoi manifesti di propaganda
elettorale che “i confini della Russia non hanno limiti “.
Finché la questione non sarà risolta, il
sistema politico russo rimarrà quello che è: autoritario, nazionalistico e
violento.
Nessuno
lo sa meglio di voi, ucraini.
Per
secoli siete stati vittime dell’imperialismo russo, relegati al rango di
‘piccoli russi’ – un modo di dire puramente colonialista – affamati durante l’”Holodomor”
o deportati in Siberia.
E l’imperialismo russo resta purtroppo una
brutale realtà.
Putin
è ossessionato dalle sue fantasie sulle ‘terre storiche russe’, nonostante lei,
caro Presidente, mi abbia mostrato mappe del 1.600 in cui l’Ucraina era
chiaramente una nazione sovrana.
Ecco
perché stiamo assistendo ancora una volta alla repressione della vostra lingua
e alle deportazioni nell’Ucraina occupata.
Assistiamo
in particolare alle orribili adozioni forzate di migliaia di bambini ucraini
per ‘russificarli’ e far loro dimenticare le radici ucraine, i genitori e le
famiglie.
Ma voi
non siete più il vassallo di qualche impero; non siete un oggetto, siete un
soggetto.
Gli ucraini sono padroni del proprio destino.
Nel
corso della storia, avete ripetutamente dimostrato la vostra determinazione a
essere un Paese libero.
Ed è
insieme che scriveremo il prossimo capitolo di questa storia.
Cari
membri del Parlamento,
Il
vostro futuro è nell’Unione Europea. Questo è ciò che volete. È anche ciò che i
leader dell’Unione Europea hanno deciso lo scorso dicembre. E questa decisione
deve ora diventare realtà.
Non
sono solo chiacchiere.
È un impegno serio e anche voi dovrete fare
uno sforzo.
Avete
rinnovato la scelta europea in molte occasioni.
E
capisco i vostri sentimenti.
Quando
ero un giovane spagnolo immerso nelle tenebre della dittatura, l’Europa era per
me il faro della libertà politica, della prosperità economica e crescita
sociale.
Come
voi, volevo assolutamente far parte di questa Unione Europea.
10
anni fa, piazza Maidan si è trasformata in un mare di giallo e blu.
Il
giallo e il blu delle bandiere ucraine si mescolavano al giallo e al blu delle
bandiere europee.
Oggi,
e ne ho avuto conferma nei miei incontri, la scelta europeista raccoglie il
consenso unanime delle forze politiche, della società civile e delle imprese.
Ma questo consenso deve essere preservato.
Dovete
mantenere questa unità.
Sarà
essenziale, perché il vostro percorso di adesione richiederà molti sforzi e
compromessi da parte vostra, membri della Rada, da parte vostra, governo, ma
anche da parte dei cittadini, delle imprese, della società civile.
Richiederà
una profonda e completa modernizzazione della governance, dell’economia e della
società.
Con l’Ucraina, l’Unione Europea sarà diversa.
E
all’interno dell’Unione Europea, l’Ucraina sarà un Paese diverso.
Questo
viaggio richiederà un grande sforzo e voi dovete essere pronti ad affrontarlo.
Vi
sosterremo in ogni fase del percorso. Ma come ogni altro Paese candidato,
dovrete attuare e applicare tutte le regole attuali dell’Unione Europea.
E
permettetemi di essere franco:
per molti anni, la corruzione è stata il punto
debole della società ucraina.
È
costata all’Ucraina un notevole ritardo nel suo sviluppo negli ultimi 30 anni.
Il Presidente dell’Ucraina, Volodymyr
Zelenskyy, è stato eletto con il mandato di combattere la corruzione.
Di recente sono stati compiuti progressi sia
in termini di legislazione sia di applicazione della legge e la vostra
posizione sta migliorando nell’indice annuale di “Transparency International”,
che misura il modo in cui un Paese affronta le sfide della corruzione.
Si
tratta chiaramente di uno sviluppo positivo, ma la strada da percorrere è
ancora lunga.
La
corruzione sta compromettendo in modo significativo l’efficacia dello sforzo
bellico e, in futuro, comprometterà l’efficacia della ricostruzione, ma sta
anche compromettendo il sostegno che ricevete dalle aziende dell’Unione
Europea.
Il
processo di adesione all’UE sarà accompagnato anche da un grande sforzo di
ricostruzione nei prossimi anni.
Questi due processi devono andare di pari
passo.
Quando ricostruite case, strade, ponti, porti,
dovete farlo in conformità con gli standard europei, soprattutto in termini di
efficienza energetica.
Ma
ancora più importanti delle infrastrutture fisiche sono le infrastrutture
invisibili che sono alla base delle democrazie.
La
separazione dei poteri, la governance inclusiva, il rispetto dei diritti umani,
la coesione sociale e l’uguaglianza sono le infrastrutture invisibili che
rendono un Paese libero e unito, sono il cuore di ogni società democratica.
Sono più difficili da costruire e mantenere
rispetto a strade, ponti e porti, ma sono la spina dorsale di società sane.
So che
è particolarmente difficile raggiungere questo obiettivo in un Paese in guerra.
Per
questo ho già detto che bisogna vincere due battaglie contemporaneamente:
vincere la guerra e vincere la pace.
Queste
due battaglie non devono essere combattute una dopo l’altra, ma insieme.
In
tempi di guerra, la tentazione di accentrare il potere e limitare la libertà di
espressione è sempre forte.
Ma il rispetto dello Stato di diritto e la
promozione del dialogo democratico tra governo e opposizione rafforzeranno la
resistenza e la capacità del Paese di vincere la guerra.
Cari
membri della Rada, questo non è un messaggio di parte.
Essere
una società democratica e inclusiva è il vostro più grande vantaggio contro la
dittatura di Putin.
So che un detto popolare ucraino dice che “per
ogni due ucraini, ci sono tre hetman”, o capi cosacchi.
In
Spagna si dice che se quattro spagnoli che cenano insieme, ci sono cinque
partiti politici.
È chiaro che il pluralismo può essere talvolta
difficile da gestire.
Ma la
pluralità di opinioni è la differenza assoluta tra società democratiche e
regimi autoritari, ed è la forza delle società europee.
Questo
è Putin non lo capirà mai.
Sono
stato Presidente del Parlamento europeo e so cosa significa un Parlamento.
Questa Rada deve essere il forum in cui la pluralità – questa forza – trova
spazio. Deve essere il forum in cui si discutono le riforme.
Deve
essere trasparente e tutti i gruppi sociali devono essere rappresentati.
Proprio
come avete fatto quando avete concordato la data e le circostanze delle
elezioni, una volta revocata la legge marziale.
È stato un segnale molto importante per
l’Ucraina e per il mondo.
Infine,
signore e signori della Rada.
Poco
prima di arrivare in Ucraina ho controllato il numero di allarmi aerei che sono
risuonati nei vostri cieli, nelle vostre notti, dopo la massiccia invasione
della Russia.
Sono stati quasi 40.000.
40.000
volte il popolo ucraino è dovuto correre al riparo – come abbiamo fatto noi ieri sera.
40.000
volte bambini hanno dovuto leggere e fare i compiti nei rifugi.
55
allarmi al giorno, in posti bellissimi come Kharkiv, Dnipro e Leopoli.
Noi
visitatori stranieri andiamo e veniamo, ma voi rimanete. E rimanete sotto
questa enorme pressione.
Dopo
le elezioni di giugno, un’altra generazione di leader europei salirà sui treni
per visitare Kyiv.
Treni
che, tra l’altro, non sono mai in ritardo, nemmeno sotto i bombardamenti.
I treni continueranno a portare nuovi
dirigenti che condivideranno con voi queste difficili circostanze.
Ma
sono convinto che quella nuova generazione di leader europei vi accompagnerà
nel vostro viaggio verso l’Unione europea.
Perché
– e questo è il messaggio più importante che voglio darvi – sappiamo che ciò
che state difendendo è anche la nostra sicurezza ai confini orientali
dell’Europa. E quando diciamo “Per la nostra e vostra libertà”, significa che
abbiamo un debito con voi.
E questo debito ci impedisce di cedere alla
stanchezza.
Gli
unici che avrebbero il diritto di essere stanchi di questa guerra siete voi e
non potete esserlo.
Le
guerre si vincono con l’impegno e la motivazione della gente.
Guardate cosa è successo in molti Paesi del
mondo dall’Afghanistan alla Spagna contro Napoleone.
Quante
guerre sono state vinte da chi aveva meno armi?
Sono
state vinte da persone che sapevano per cosa stavano combattendo.
Non
credo proprio che voi cederete alla stanchezza della guerra.
E se non lo farete voi, non lo faremo neppure
noi.
Grazie
infinite.
Il
negoziato necessario
per
giungere alla pace.
Azionecattolica.it
– Marco Mascia – (7 giugno 2024) – ci dice:
Da
«Dialoghi».
Nell’era
del nucleare e dell’interdipendenza planetaria asimmetrica, lo strumento per
risolvere le controversie non può che essere il negoziato.
La
strategia della deterrenza legata agli arsenali nucleari delle due superpotenze
ha segnato la politica internazionale del passato, nello scorso secolo, anzi
nello scorso millennio.
Correva l’era del bipolarismo, dello scontro
ideologico e militare tra Est e Ovest che ha provocato più di 150 guerre in 70
paesi con 20 milioni di morti.
Conflitti
combattuti tra i paesi in via di sviluppo e nei paesi in via di sviluppo.
La deterrenza appartiene ad un’altra epoca.
Oggi
non è più in grado di dare stabilità al sistema.
Soltanto
il negoziato, ancor più se multilaterale, può riportare un minimo di ordine nel
sistema internazionale.
Il 26
gennaio del 2022, papa Francesco al termine dell’Angelus afferma:
«Faccio un accorato appello a tutte le persone
di buona volontà, perché elevino preghiere a Dio onnipotente, affinché ogni
azione e iniziativa politica sia al servizio della fratellanza umana, più che
di interessi di parte».
Nella
lettera enciclica Fratelli tutti (2020) le parole di papa Francesco sono forti
e chiare:
«Il
compito delle Nazioni Unite, a partire dai postulati del Preambolo e dei primi
articoli della sua Carta costituzionale, può essere visto come lo sviluppo e la
promozione della sovranità del diritto, sapendo che la giustizia è requisito
indispensabile per realizzare l’ideale della fraternità universale. […]
Bisogna
assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al
negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle
Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale».
Nell’era
del nucleare e dell’interdipendenza planetaria la negoziazione è una necessità.
Nell’era
del nucleare e dell’interdipendenza planetaria asimmetrica che esaspera la
conflittualità, la negoziazione non può non passare da una condizione di
subalternità rispetto alla guerra ad una di priorità, anzi di necessarietà.
Gli
Stati sono di fatto obbligati a negoziare, sia fuori sia dentro le
organizzazioni internazionali.
Parafrasando
“von Clausewitz” in ottica irenica, possiamo dire che, in presenza di
conflitto, il negoziato internazionale è oggi la naturale continuazione della
politica con gli stessi mezzi.
Il
Diritto internazionale dei diritti umani, che ha le sue radici nella Carta
delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti umani,
definisce la guerra come “flagello”, la ripudia.
È un
diritto per la vita e per la pace.
È un
diritto per la cura che opera all’insegna del detto si vis pacem para pacem.
Poiché
oggi, diversamente che nel passato, ci si può difendere e fare giustizia con
mezzi diversi dalla guerra, questa è non soltanto giuridicamente illegittima,
ma anche moralmente non giustificabile neppure come ultima ratio o male minore.
Dinamiche
del negoziato.
Il
principale strumento per risolvere le controversie internazionali è il
negoziato, cioè quel processo attraverso il quale due o più parti combinano
punti di vista diversi in un’unica decisione.
Nella sostanza, il negoziato è una forma di
comunicazione bilaterale o multilaterale destinata a produrre un accordo tra
soggetti, in primis gli Stati, che posseggono allo stesso tempo interessi
comuni e interessi opposti.
Perché
un negoziato sia tale e non un “rito” simbolico, occorre che le parti siano
portatrici di obiettivi flessibili e siano quindi disposte a modificare le
rispettive posizioni iniziali.
Durante
i quarant’anni dell’era del bipolarismo, i negoziati cosiddetti “per il
disarmo” tra i blocchi dell’Ovest e dell’Est – macro-attori ideocratici, quindi
porta- tori di valori non flessibili – sono stati più “rito” che negoziato
reale.
L’obiettivo
naturale del negoziato è quello di pervenire ad un accordo, formale o
informale, tra le parti.
In
considerazione della densità e dell’estensione della prassi del negoziato nella
vita di relazione internazionale, la relativa tipologia è molto ampia.
I
negoziati si distinguono per situazione reale e per contenuti.
I negoziati si distinguono
innanzitutto a seconda delle situazioni reali da cui traggono origine:
conflitto oppure complessità.
Nel
primo caso si tratta di trovare una posizione comune per far cessare il
conflitto, nel secondo di gestire una situazione che crea difficoltà
all’esercizio delle capacità di governo degli attori in campo.
Avuto
riguardo al numero delle parti coinvolte, il negoziato si distingue in
bilaterale e multilaterale.
Disarmo,
sicurezza (multidimensionale), cambiamento climatico e riequilibrio dei
rapporti tra paesi a diverso grado di sviluppo postulano una struttura
necessariamente globale di negoziato.
Se si
fa riferimento all’area geografica di operatività del processo, i negoziati si
distinguono in regionali, continentali, globali.
Il negoziato può essere segreto (es. Yalta,
febbraio 1945) o, più frequentemente, pubblico.
Ovviamente
non si può parlare di democrazia per le relazioni internazionali se persiste la
pratica delle intese segrete.
A
seconda dei contenuti, i negoziati si qualificano come economici, militari,
culturali, umanitari, istituzionali, politici.
Un nuovo tipo di negoziato è quello che fa
interagire attori di diverse specie:
Stati,
organizzazioni internazionali intergovernative, networks di società civile
globale, singole “autorità”.
Tra i principali esiti negoziali, si ricordano la “Convenzione
di Ottawa” per la messa al bando delle mine antipersona, lo “Statuto di Roma”
che ha dato vita alla “Corte penale internazionale”, il “Trattato per la messa
al bando delle armi nucleari”.
Tutte
le Convenzioni internazionali sui diritti umani sono il risultato di questa
negoziazione tra attori pubblici e privati, intergovernativi e transnazionali,
locali e internazionali.
Questo
tipo di negoziazione è il più democratico e trasparente, oltre che per il fatto
di essere pubblico, anche e soprattutto perché consente la partecipazione di
organizzazioni della società civile.
Un
negoziato può avere esito positivo o negativo, o dare luogo a uno stallo.
È
appena il caso di sottolineare che, nell’interazione negoziale, ciascun attore
esercita un potere che non dipende soltanto dalla potenza dello Stato di cui è
rappresentante (potere istituzionale), ma anche dalle sue proprie risorse.
Un
potere personale che si manifesta attraverso la capacità di comunicare, la
simpatia, il bagaglio culturale, ma anche attraverso minacce, ricatti, promesse
di ricompensa, appello al senso dell’etica e dell’onore, alla buona fede ecc.
L’esito
del negoziato può essere positivo o negativo, a seconda che si raggiunga o meno
la posizione comune.
Ma,
come abbiamo ricordato sopra, può anche dar luogo a situazioni di stallo, nel
senso di continuare indefinitamente come processo negoziale:
in
questo caso, è la continuazione temporale, più o meno produttiva, a costituire
in quanto tale un esito.
Un
significativo esempio è quello del “negoziato” fra palestinesi e israeliani.
Riflessioni
sulla possibilità di un negoziato tra Russia e Ucraina.
Alla
luce di queste premesse, ci domandiamo:
esistono
allo stato attuale del conflitto bellico le premesse per l’avvio di un
negoziato tra Russia e Ucraina?
Come
dovrebbe essere il negoziato?
Bilaterale o multilaterale, regionale o
globale, territoriale o multidimensionale, solo intergovernativo o anche
transnazionale, segreto o pubblico?
Le
parti sono portatrici di obiettivi flessibili e quindi aperte a modificare le
rispettive posizioni di partenza?
Oppure
sono ideologicamente distanti e (ancora) incapaci di esprimere una effettiva
volontà negoziale?
La
guerra in Ucraina, provocata dall’invasione russa, sta mettendo a repentaglio
la pace e la sicurezza internazionale, anche in ragione del fatto che sono
militarmente coinvolti, a fianco della stessa Ucraina, Stati Uniti e Unione
europea.
È del
tutto evidente che un eventuale negoziato non potrà che avere un raggio
d’azione globale e coinvolgere una pluralità di attori, statuali e
intergovernativi, sopranazionali e transnazionali, economici e militari.
Dovrebbe
svolgersi sotto l’autorità dell’Onu, cioè di quella organizzazione
internazionale multilaterale creata all’indomani della Seconda guerra mondiale
per mantenere pace e sicurezza internazionale e che oggi è l’unica che continua
ad esplorare possibili vie per aprire un negoziato.
Il
dato di fatto è che nessuna delle due parti in guerra è in questo momento
disponibile ad aprire un negoziato.
L’Ucraina
insiste sul suo piano di pace articolato in dieci punti.
La
Russia difende le sue conquiste territoriali.
L’Ue
non ha mai voluto assegnarsi un ruolo terzo e proporsi come negoziatore.
Fin
dall’inizio dell’invasione russa, gli stati membri dell’Ue e le tre principali
istituzioni europee, Consiglio, Commissione e Parlamento, non hanno mai voluto
assegnare all’Ue un ruolo terzo, si sono invece apertamente schierati per la
guerra con la convinzione di poterla vincere.
Insomma,
non c’è traccia di una seppur piccola volontà negoziale da parte dell’Ue e dei
suoi Stati membri, della Nato e degli Stati Uniti.
Ciò che questa leadership politica
“occidentale” si ostina a non capire è che negoziare non vuol dire cedere alla
guerra e alla legge della forza ma fermare la sua pericolosa escalation
militare.
Diversamente
dal passato, la nostra epoca ci offre un ventaglio di strumenti, in primis il
diritto internazionale dei diritti umani e l’Organizzazione delle Nazioni
Unite, idonei a risolvere pacificamente con il negoziato i conflitti e a
prevenire la guerra, qualsiasi guerra.
La loro efficacia dipende dalla conoscenza e
dalla volontà politica di farli rendere.
Nell’enciclica”
Pacem in terris”, papa Giovanni XXIII indica tra i “segni dei tempi”
l’Organizzazione delle Nazioni Unite (l’istituzione) e la Dichiarazione
universale dei diritti umani (la legge).
Bandiera
bianca, un invito al dialogo in tempi di conflitto.
È in
questa cornice che devono essere lette le parole di papa Francesco che tanto
clamore hanno suscitato.
Nel
diritto internazionale bandiera bianca è “un segnale esplicito di richiesta di
colloquio”.
Vuole
dire “veniamo in pace”.
Il
fondatore del Diritto internazionale moderno, “Ugo Grozio”, ci dice che con il
simbolo della bandiera bianca si vuole avviare un negoziato, non arrendersi.
Ancora
“Grozio” diceva che durante una guerra ci possono essere dei momenti di
interruzione dei combattimenti.
Li
chiamava “isole di accordo nel mezzo di una belligeranza” e affermava che è
possibile anche con i nemici.
È
questo il senso delle parole di papa Francesco: il nemico è sempre nemico, ma
conserva lo status di interlocutore.
A
livello universale con bandiera bianca si vuole segnalare al nemico la
richiesta di una tregua, di trattative.
Generalmente,
chi la mostra indica di non essere nelle condizioni di sostenere l’offensiva
del nemico.
Le
tregue servono per addormentare un conflitto, per ridurre il dispendio di
sangue, per fare in modo che i combattimenti si interrompano.
Per dare respiro alle persone che stanno
soffrendo, per consentire ai malati di essere curati e l’accesso di aiuti
umanitari.
La tregua è la premessa per l’avvio di un
negoziato.
Nessuno
deve rassegnarsi alla guerra e alla corsa al riarmo.
Ma
bandiera bianca è anche un simbolo citato esplicitamente nel diritto
internazionale umanitario.
Il
modo in cui dev’essere utilizzata è formalizzato nell’articolo 32 delle
Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907 che, assieme alle quattro Convenzioni
di Ginevra del 1949 e ai successivi Protocolli aggiuntivi, costituiscono la
base del diritto internazionale umanitario.
L’articolo
specifica che chi si presenta con una bandiera bianca è «autorizzato da uno dei
belligeranti a entrare in trattative coll’altro» e «ha diritto
all’inviolabilità».
È
urgente l’apertura di un negoziato multilaterale serio, strutturato, concreto,
onesto e coraggioso sotto l’autorità delle Nazioni Unite.
Guardando
al presente ma anche al futuro.
Per
fermare le indicibili sofferenze del popolo ucraino.
Per scongiurare la catastrofe atomica.
Per
impedire l’esplosione di una nuova devastante crisi sociale e ambientale in
Europa e nel mondo.
Nessuno
deve rassegnarsi alla guerra e alla corsa al riarmo.
Nessuno deve piegarsi alle leggi della
violenza.
Non
esiste una violenza giusta così come non esiste una guerra giusta.
Le guerre costituiscono una criminale sequela
che ha le caratteristiche del circolo vizioso: guerra chiama guerra.
Perché
il cerchio si spezzi occorre che vengano meno gli attributi militari degli
Stati-nazione, si affermino strutture democratiche di governo mondiale, si
metta in funzione il sistema di sicurezza collettiva previsto dalla Carta delle
Nazioni Unite, si renda obbligatoria per tutti gli Stati la giurisdizione della
Corte internazionale di giustizia.
Questa
deve essere la bussola per i governi che vogliono porre fine alle guerre e
costruire un ordine internazionale più giusto, equo, solidale e democratico.
Papa
Francesco: «Voi siete chiamati ad essere protagonisti e non spettatori del
futuro».
Ma
papa Francesco, rivolgendosi lo scorso 19 aprile nell’Aula Paolo VI ai seimila
alunni e insegnanti della Rete nazionale delle scuole di pace, ci richiama
tutti alla responsabilità individuale e collettiva:
«Voi
siete chiamati ad essere protagonisti e non spettatori del futuro. […] Tutti
siamo interpellati dalla costruzione di un avvenire migliore e, soprattutto,
che dobbiamo costruirlo insieme! […]
Non
possiamo solo delegare le preoccupazioni per il “mondo che verrà” e per la
risoluzione dei suoi problemi alle istituzioni deputate e a co- loro che hanno
particolari responsabilità sociali e politiche.
È vero
che queste sfide richiedono competenze specifiche, ma è altrettanto vero che
esse ci riguardano da vicino, toccano la vita di tutti e chiedono a ciascuno di
noi partecipazione attiva e impegno personale. […]
In questo tempo ancora segnato dalla guerra,
vi chiedo di essere artigiani della pace;
in una
società ancora prigioniera della cultura dello scarto, vi chiedo di essere
protagonisti di inclusione;
in un
mondo attraversato da crisi globali, vi chiedo di essere costruttori di futuro,
perché la nostra casa comune diventi luogo di fraternità».
(Questo
articolo è tratto da Dialoghi (n. 2-2024) in uscita nei prossimi giorni. Marco
Mascia è docente di Relazioni internazionali all’Università di Padova dove è
presidente del Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” e
titolare della Cattedra Unesco Diritti umani, democrazia e pace.)
Viktor
Orbán: "La Commissione Ue ha fallito
su
tutto: dalla guerra ai migranti.
Ora
rinasca la destra: Meloni e Le Pen
si
mettano d'accordo."
Ilgiornale.it
- Francesco Giubilei – (4 Giugno 2024) – ci dice:
Il
primo ministro ungherese: "Vogliamo aderire all’Ecr anche se siamo
consapevoli dei temi che possono dividerci. Con Giorgia ci conosciamo da molti
anni, al governo ha fatto molto bene."
Viktor
Orbán: "La Commissione Ue ha fallito su tutto: dalla guerra ai migranti.
Ora rinasca la destra: Meloni e Le Pen si mettano d'accordo."
Viktor
Orbán mi accoglie in una sala del monastero carmelitano di Budapest, oggi sede
dell'ufficio del primo ministro ungherese, circondato da libri antichi e un
grande mappamondo affacciato sul Danubio.
È un luogo importante per l'identità ungherese
poiché, quando i turchi conquistarono Buda, fu trasformato in una moschea prima
di essere ricostruito come un monastero carmelitano.
Indossa
un paio di jeans, una camicia azzurra e una giacca blu: «Devo andare a fare campagna
elettorale per le elezioni europee in una città in Romania per la comunità
magiara».
Nella Romania occidentale vivono oltre un
milione di magiari con passaporto ungherese che rappresentano un'importante
comunità.
Orbán
è un fiume in piena e, appena mi accoglie, chiede se sono stato alla
manifestazione per la pace che si è svolta a Budapest lo scorso fine settimana:
«È
stato un grande evento per difendere la pace e la dignità nato dalla società
civile», spiega il primo ministro ungherese aggiungendo «avrebbe dovuto vedere
quante persone erano presenti, la politica non può essere solo social, bisogna
dimostrare di avere il consenso del popolo».
E
Orbán, piaccia o meno, ha un elevato consenso in Ungheria.
Primo
ministro, tra pochi giorni ci saranno le europee, cosa si aspetta da queste
elezioni?
Pensa sia possibile un cambio di maggioranza a
Bruxelles?
«Mi
aspetto soprattutto due cose: rinforzare la democrazia e avete una nuova
maggioranza di destra.
Questa
Commissione europea ha fallito sull'agricoltura, sulla guerra,
sull'immigrazione, sull'economia, ora devono lasciare.
Rinforzare
la democrazia significa eleggere una diversa Commissione da quella attuale che,
da quanto governo, è stata la peggiore.
Al tempo stesso serve una rinascita della
destra in Europa, abbiamo un'opportunità storica per cambiare la maggioranza.
I
partiti di destra devono collaborare, siamo nelle mani di due donne che devono
trovare un accordo».
Fidesz
entrerà nel gruppo dei conservatori europei Ecr presieduto da Giorgia Meloni?
«Noi
vogliamo aderire all'Ecr anche se siamo consapevoli ci siano temi che possono
dividerci da alcuni partiti che ne fanno parte a cominciare dalla visione sulla
guerra in Ucraina».
È
un'ipotesi anche l'adesione al gruppo di Identità e Democrazia dopo l'uscita di
Afd?
«Abbiamo
varie opzioni, anche l'ipotesi di un nuovo grande gruppo di destra europeo, la
priorità è fare qualcosa di utile per l'Europa».
Nell'ultima
legislatura europea l'Ungheria ha subito una procedura di infrazione per il
rispetto dello Stato di diritto, pensa sia stata una decisione politica
dell'UE?
«L'Unione
europea utilizza strumenti di ricatto, nei confronti dell'Italia lo fa con la
leva economica e finanziaria a causa del vostro alto debito pubblico, nei
nostri confronti con le politiche sul gender e l'immigrazione.
È una questione politica, non c'entra niente
il rispetto dello stato di diritto.
Noi
resistiamo, abbiamo strategie per difendere la nostra sovranità.
Per
l'Italia è diverso, senza Italia non ci può essere l'Unione europea ma noi
siamo una nazione con 10 milioni di abitanti.
La nostra lotta contro il federalismo di
Bruxelles può però rappresentare un esempio per tante altre nazioni europee».
Pensa
che il debito pubblico rappresenti un problema per l'Italia?
«Avere
un alto debito pubblico è un problema per la sovranità nazionale per tutti, noi
siamo passati da un rapporto debito pil all'83% al 70% e prima del covid
eravamo scesi sotto al 70%, è una questione di indipendenza.
Certo
per voi è diverso perché avete l'euro e quindi non avete margini sulle
politiche monetarie».
L'Ungheria
è accusata di non sostenere l'Ucraina, accusa che lei ha sempre respinto. Può
spiegare ai lettori italiani qual è la posizione ungherese sulla guerra in
Ucraina?
«L'Ungheria
confina con l'Ucraina, non è una guerra qualsiasi ma al nostro confine.
L'Italia
è lontana geograficamente, per voi è un'altra cosa.
Ci sono cittadini ungheresi della minoranza
magiara in Ucraina che combattono con l'esercito ucraino e perdono la vita,
siamo l'unica nazione dell'Ue i cui cittadini perdono la vita in Ucraina.
La
guerra è stata iniziata dalla Russia, su questo non ci sono dubbi ma noi
dobbiamo chiederci come agire.
Siamo
a un bivio: o isolare il conflitto e trovare una strada diplomatica o andare
più a fondo nella guerra.
Se
permetteremo all'Ucraina con le armi che fornisce anche l'Italia di colpire in
Russia ci saranno conseguenze con una forte reazione russa e il rischio di un
coinvolgimento della Nato è a un passo».
Non è
quindi d'accordo con la strategia europea sul conflitto ucraino?
«La
strategia dell'Ue è fallimentare anche tatticamente, non ci rendiamo conto che
stiamo giocando con il fuoco.
L'idea
dell'Unione europea è nata su un progetto di pace, dopo la seconda guerra
mondiale l'Europa si è resa conto che non sarebbe sopravvissuta a un'altra
guerra. Dovremmo chiederci qual è l'interesse strategico dell'Europa e chiedere
il cessate il fuoco.
Tutto
ciò è sbagliato e l'opinione pubblica vuole la pace, non la guerra che non è un
gioco politico».
L'immigrazione
è una delle principali sfide che le nazioni europee devono affrontare, quale
pensa dovrebbe essere il modo per fermare l'immigrazione illegale?
«La
Commissione europea ha fallito anche nell'ambito dell'immigrazione, non è
riuscita a trovare una soluzione se non ipotizzando quote di immigrati da
gestire tra i paesi europei.
Ma
questo, oltre al fatto che sono in completo disaccordo, non significa risolvere
il problema dell'immigrazione, noi dobbiamo risolverlo una volta per tutte».
Qual è
la ricetta ungherese?
«Fin
dall'inizio l'ho detto ai partner europei: l'Ungheria dice no all'immigrazione,
punto.
La
nostra posizione è semplice, siamo un popolo di dieci milioni di abitanti,
vogliamo mantenere la nostra identità e il nostro sistema di welfare stabile.
Io
difendo i confini del nostro paese perché il mio compito, da capo di governo, è
tutelare gli ungheresi».
Quindi
qual è secondo lei la soluzione all'immigrazione incontrollata dal Nord Africa
all'Europa?
«Dobbiamo
aiutarli a casa loro tramite progetti di cooperazione e sviluppo tra l'Unione
Europea e l'Africa.
Da cristiano sto male ogni volta che vedo
persone soffrire ma dire che la soluzione ai loro problemi consiste nel venire
in Europa significa non raccontare la verità. Come fece “Tony Abbott” (il primo
ministro australiano ideatore del progetto No Way, ndr) dobbiamo evitare a
livello europeo l'arrivo di immigrati irregolari nel territorio europeo,
nessuno deve più arrivare in Europa senza permesso degli stati nazionali».
In
Italia il caso di Ilaria Salis è molto discusso, la sinistra italiana accusa
l'Ungheria di non rispettare i suoi diritti di detenuta e la magistratura di
non essere indipendente, come risponde?
«Noi
ungheresi amiamo le donne italiane, non c'è perciò nessuna preclusione nei suoi
confronti.
Non
amiamo però quando uno straniero viene in Ungheria per compiere un reato
picchiando cittadini ungheresi.
Io non
conosco il sistema giudiziario italiano ma da noi funziona così, lo dico a
tutti gli italiani preoccupati per il trattamento che la vostra concittadina
Ilaria Salis ha ricevuto qui in Ungheria:
ha
avuto un trattamento uguale a tutti gli altri detenuti in Ungheria, dovrebbe
smettere di fare la vittima.
Inoltre
lo scorso dicembre il nostro sistema giudiziario è stato giudicato dall'Unione
europea totalmente indipendente dopo due anni di indagine».
Cosa
pensa della candidatura di Ilaria Salis alle elezioni europee con l'estrema
sinistra?
«In
Ungheria non sarebbe apprezzata una candidata che va in un altro paese a fare
quello che ha fatto Ilaria Salis con motivazioni politiche e ideologiche, non
so in Italia»
Conosce
Giorgia Meloni da molti anni, qual è la sua opinione sul suo governo?
«Con
Giorgia Meloni ci conosciamo da molti anni, la sostenevo già quando era leader
di un partito al 4%.
La prima volta che la incontrai pensai:
farà strada perché ha due doti più importanti
per chi fa politica, carattere e personalità.
Inoltre
è una donna cristiana che ama la propria nazione, è quello che ci vuole. Certo,
ora che è al governo ha maggiori responsabilità ma nell'anno e mezzo di governo
ha fatto molto bene ed è rispettata in Europa, lo vedo perché sono anche io nel
consiglio europeo.
Ora ha
un ruolo importante anche in Europa e molto dipenderà dalle sue decisioni».
Lei
era un amico di Silvio Berlusconi, che ricordo ha di lui?
«Berlusconi
era un amico, la politica europea è spesso noiosa e Berlusconi rompeva gli
schemi del politicamente corretto ma era anche un lottatore che non mollava
mai.
Nonostante
tutto quello che gli ha fatto la sinistra in Italia con i media e la giustizia
non ha mai perso l'ottimismo.
Lo rispettavo molto perché era uno dei
politici più intelligenti che abbia mai conosciuto, mi manca e prego per lui».
Qualche
mese fa ha incontrato Donald Trump, con cui ha un rapporto stretto, pensa che
possa vincere le elezioni presidenziali?
In che
modo una vittoria di Trump potrebbe cambiare anche la politica europea?
«Penso
che Trump abbia possibilità di diventare il nuovo presidente degli Stati Uniti.
Serve un presidente non globalista che superi
la visione dei democratici di esportare la democrazia, è la cosa più stupida
che abbia mai sentito.
Trump
è stato l'unico presidente che non ha fatto guerre e ha cercato una soluzione
di pace in Medio Oriente».
Crede
che la guerra tra Russia e Ucraina potrebbe risolversi se Trump fosse eletto?
«Se
Trump e l'Unione Europea volessero, la guerra terminerebbe in 24 ore.
La
guerra, non bisogna dimenticarlo, è fatta da uomini e gli stessi uomini, se c'è
la volontà, hanno tutta la capacità di fare la pace.
Penso
che se Trump diventasse presidente in un giorno riuscirebbe a garantire il
cessate il fuoco in Ucraina per poi aprire le trattative».
L'Italia
sta vivendo un grave inverno demografico mentre in Ungheria, grazie alle
politiche familiari del suo governo, la natalità è tornata a crescere, può
spiegarci quali sono le misure principali delle politiche familiari del suo
governo?
«Il
calo delle nascite è dovuto a un cambiamento dei valori avvenuto negli anni in
modo graduale in Europa, è necessario dare garanzie e aiuti alle donne.
Serve
un sistema che protegga le donne con agevolazioni e incentivi ma anche tramite
un sistema fiscale amico della famiglia come abbiamo realizzato in Ungheria
dove il tasso di natalità è cresciuto negli ultimi anni anche se in modo non
ancora sufficiente».
L'Ungheria
è diventata un luogo in cui arrivano conservatori da tutto il mondo grazie ai
suoi think tank e fondazioni, come mai un'attenzione così importante per la
cultura?
«In un
oceano liberal, c'è una sola isola conservatrice ed è l'Ungheria.
Un'isola
di libertà in cui si può criticare il gender, le politiche sull'immigrazione e
la guerra senza conseguenze.
Oggi in Europa la libertà è in pericolo per il
politicamente corretto e la prossima generazione di europei rischia di non
essere più libera, dobbiamo lottare per loro».
Chi ha
causato la guerra in Ucraina?
Unz.com
- John J. Mearsheimer – (5 agosto 2024) – ci dice:
La
questione di chi sia responsabile della guerra in Ucraina è stata una questione
profondamente controversa da quando la Russia ha invaso l'Ucraina il 24
febbraio 2022.
La
risposta a questa domanda è enormemente importante perché la guerra è stata un
disastro per una serie di motivi, il più importante dei quali è che l'Ucraina è
stata effettivamente distrutta. Ha perso una parte sostanziale del suo
territorio ed è probabile che ne perda di più, la sua economia è a brandelli,
un numero enorme di ucraini sono sfollati interni o sono fuggiti dal paese e ha
subito centinaia di migliaia di vittime. Naturalmente, anche la Russia ha
pagato un prezzo significativo del sangue. A livello strategico, le relazioni
tra Russia ed Europa, per non parlare di Russia e Ucraina, sono state
avvelenate per il prossimo futuro, il che significa che la minaccia di una
grande guerra in Europa sarà con noi ben dopo che la guerra in Ucraina si sarà
trasformata in un conflitto congelato. Chi sia responsabile di questo disastro
è una domanda che non scomparirà presto e se qualcosa è probabile che diventi
più importante man mano che l'entità del disastro diventa più evidente a più
persone.
La
saggezza convenzionale in Occidente è che Vladimir Putin sia responsabile della
guerra in Ucraina. L'invasione mirava a conquistare tutta l'Ucraina e a
renderla parte di una grande Russia, così si sostiene. Una volta raggiunto
questo obiettivo, i russi si sarebbero mossi per creare un impero nell'Europa
orientale, proprio come fece l'Unione Sovietica dopo la seconda guerra
mondiale. Pertanto, Putin è in ultima analisi una minaccia per l'Occidente e
deve essere affrontato con forza. In breve, Putin è un imperialista con un
piano generale che si inserisce perfettamente in una ricca tradizione russa.
L'argomento
alternativo, con cui mi identifico, e che è chiaramente l'opinione minoritaria
in Occidente, è che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno provocato la guerra.
Questo non vuol dire, ovviamente, che la Russia abbia invaso l'Ucraina e abbia
iniziato la guerra. Ma la causa principale del conflitto è la decisione della
NATO di portare l'Ucraina nell'alleanza, che praticamente tutti i leader russi
vedono come una minaccia esistenziale che deve essere eliminata. L'espansione
della NATO, tuttavia, fa parte di una strategia più ampia che mira a rendere
l'Ucraina un baluardo occidentale al confine con la Russia. Portare Kiev
nell'Unione Europea (UE) e promuovere una rivoluzione colorata in Ucraina –
trasformandola in una democrazia liberale filo-occidentale – sono gli altri due
pilastri della politica. I leader russi temono tutti e tre i fronti, ma temono
di più l'espansione della NATO. Per far fronte a questa minaccia, il 24
febbraio 2022 la Russia ha lanciato una guerra preventiva.
Il
dibattito su chi abbia causato la guerra in Ucraina si è recentemente acceso
quando due importanti leader occidentali – l'ex presidente Donald Trump e
l'eminente deputato britannico Nigel Farage – hanno sostenuto che l'espansione
della NATO è stata la forza trainante del conflitto. Non sorprende che i loro
commenti siano stati accolti con un feroce contrattacco da parte dei difensori
della saggezza convenzionale. Vale anche la pena notare che il segretario
generale uscente della NATO, Jens Stoltenberg, ha detto due volte nell'ultimo
anno che "il presidente Putin ha iniziato questa guerra perché voleva
chiudere la porta della NATO e negare all'Ucraina il diritto di scegliere la
propria strada". Quasi nessuno in Occidente ha contestato questa notevole
ammissione del capo della NATO, che non l'ha ritrattata.
Il mio
obiettivo qui è quello di fornire un'introduzione, che esponga i punti chiave
che supportano l'idea che Putin abbia invaso l'Ucraina non perché fosse un
imperialista intenzionato a rendere l'Ucraina parte di una grande Russia, ma
principalmente a causa dell'espansione della NATO e degli sforzi dell'Occidente
per rendere l'Ucraina una roccaforte occidentale al confine con la Russia.
*
Permettetemi
di iniziare con le SETTE RAGIONI PRINCIPALI per rifiutare la saggezza
convenzionale.
IN
PRIMO luogo, semplicemente non ci sono prove precedenti al 24 febbraio 2022 che
Putin volesse conquistare l'Ucraina e incorporarla alla Russia. I sostenitori
della saggezza convenzionale non possono indicare nulla di ciò che Putin ha
scritto o detto che indichi che era intenzionato a conquistare l'Ucraina.
Quando
vengono sfidati su questo punto, i fornitori della saggezza convenzionale
forniscono prove che hanno poca o nessuna attinenza con le motivazioni di Putin
per invadere l'Ucraina. Ad esempio, alcuni sottolineano che ha detto che
l'Ucraina è uno "stato artificiale" o non uno "stato
reale". Tali commenti opachi, tuttavia, non dicono nulla sul motivo per
cui è andato in guerra. Lo stesso vale per la dichiarazione di Putin che vede
russi e ucraini come "un solo popolo" con una storia comune. Altri
sottolineano che ha definito il crollo dell'Unione Sovietica "la più
grande catastrofe geopolitica del secolo". Ma Putin ha anche detto:
"Chi non sente la mancanza dell'Unione Sovietica non ha cuore. Chi lo
vuole indietro non ha cervello". Altri ancora, puntano il dito contro un
discorso in cui dichiarò che "l'Ucraina moderna è stata interamente creata
dalla Russia o, per essere più precisi, dalla Russia bolscevica e
comunista". Ma questo non costituisce certo una prova che fosse interessato
a conquistare l'Ucraina. Inoltre, ha detto nello stesso discorso: "Certo,
non possiamo cambiare gli eventi passati, ma dobbiamo almeno ammetterli
apertamente e onestamente".
Per
sostenere che Putin era intenzionato a conquistare tutta l'Ucraina e a
incorporarla nella Russia, è necessario fornire prove che 1) pensava che fosse
un obiettivo desiderabile, 2) pensava che fosse un obiettivo fattibile e 3)
intendeva perseguire tale obiettivo. Non ci sono prove negli atti pubblici che
Putin stesse contemplando, tanto meno l'intenzione di porre fine all'Ucraina
come Stato indipendente e di renderla parte della grande Russia quando ha
inviato le sue truppe in Ucraina il 24 febbraio 2022.
In
effetti, ci sono prove significative che Putin ha riconosciuto l'Ucraina come
un paese indipendente. Nel suo noto articolo del 12 luglio 2021 sulle relazioni
russo-ucraine, che i sostenitori della saggezza convenzionale spesso indicano
come prova delle sue ambizioni imperiali, dice al popolo ucraino: "Volete
stabilire un vostro Stato: siete i benvenuti!" Riguardo a come la Russia
dovrebbe trattare l'Ucraina, scrive: "C'è solo una risposta: con
rispetto". Conclude quel lungo articolo con le seguenti parole: "E
cosa sarà l'Ucraina, spetta ai suoi cittadini decidere". Queste
dichiarazioni sono direttamente in contrasto con l'affermazione che Putin
voleva incorporare l'Ucraina all'interno di una grande Russia.
In
quello stesso articolo del 12 luglio 2021 e di nuovo in un importante discorso
pronunciato il 21 febbraio 2022, Putin ha sottolineato che la Russia accetta
"la nuova realtà geopolitica che ha preso forma dopo la dissoluzione
dell'URSS". Lo ha ribadito per la terza volta il 24 febbraio 2022, quando
ha annunciato che la Russia avrebbe invaso l'Ucraina. In particolare, ha
dichiarato che "non è nostro piano occupare il territorio ucraino" e
ha chiarito di rispettare la sovranità ucraina, anche se solo fino a un certo
punto: "La Russia non può sentirsi al sicuro, svilupparsi ed esistere di
fronte a una minaccia permanente dal territorio dell'Ucraina di oggi". In
sostanza, Putin non era interessato a rendere l'Ucraina parte della Russia; era
interessato a fare in modo che non diventasse un "trampolino di
lancio" per l'aggressione occidentale contro la Russia.
In
secondo luogo, non ci sono prove che Putin stesse preparando un governo
fantoccio per l'Ucraina, coltivando leader filo-russi a Kiev, o perseguendo
misure politiche che avrebbero reso possibile occupare l'intero paese e alla
fine integrarlo nella Russia.
Questi
fatti sono in contrasto con l'affermazione che Putin era interessato a
cancellare l'Ucraina dalla carta geografica.
In
terzo luogo, Putin non aveva abbastanza truppe per conquistare l'Ucraina.
Cominciamo
con i numeri complessivi. Ho stimato a lungo che i russi hanno invaso l'Ucraina
con al massimo 190.000 soldati. Il generale Oleksandr Syrskyi, l'attuale
comandante in capo delle forze armate ucraine, ha recentemente dichiarato in
un'intervista a The Guardian che la forza di invasione russa era composta da
soli 100.000 uomini. In effetti, il Guardian usava lo stesso numero prima
dell'inizio della guerra. Non c'è modo che una forza di 100.000 o 190.000
uomini possa conquistare, occupare e assorbire tutta l'Ucraina in una grande
Russia.
Si
consideri che quando la Germania invase la metà occidentale della Polonia nel
settembre 1939, la Wehrmacht contava circa 1,5 milioni di uomini. L'Ucraina è
geograficamente più di 3 volte più grande della metà occidentale della Polonia
nel 1939 e l'Ucraina nel 2022 aveva quasi il doppio delle persone rispetto alla
Polonia quando i tedeschi hanno invaso. Se accettiamo la stima del generale
Syrskyi secondo cui 100.000 soldati russi hanno invaso l'Ucraina nel 2022,
significa che la Russia aveva una forza di invasione di 1/15esimo le dimensioni
delle forze tedesche che entrarono in Polonia. E quel piccolo esercito russo
stava invadendo un paese che era molto più grande della Polonia sia in termini
di dimensioni territoriali che di popolazione.
Numeri
a parte, c'è la questione della qualità dell'esercito russo. Per cominciare, si
trattava di una forza militare in gran parte progettata per difendere la Russia
dall'invasione. Non era un esercito pronto a lanciare una grande offensiva che
avrebbe finito per conquistare tutta l'Ucraina, tanto meno minacciare il resto
d'Europa. Inoltre, la qualità delle forze combattenti lasciava molto a
desiderare, poiché i russi non si aspettavano una guerra quando la crisi ha
iniziato a scaldarsi nella primavera del 2021. Pertanto, avevano poche
opportunità di addestrare una forza d'invasione qualificata. In termini di
qualità e quantità, la forza d'invasione russa non era vicina ad essere
l'equivalente della Wehrmacht tra la fine degli anni '30 e l'inizio degli anni
'40.
Si
potrebbe obiettare che i leader russi pensavano che l'esercito ucraino fosse
così piccolo e così disarmato che il loro esercito avrebbe potuto facilmente
sconfiggere le forze ucraine e conquistare l'intero paese. In realtà, Putin e i
suoi luogotenenti erano ben consapevoli che gli Stati Uniti e i loro alleati
europei avevano armato e addestrato l'esercito ucraino da quando è scoppiata la
crisi il 22 febbraio 2014. La grande paura di Mosca era che l'Ucraina stesse
diventando un membro de facto della NATO. Inoltre, i leader russi hanno
osservato che l'esercito ucraino, che era più grande della loro forza di
invasione, combatteva efficacemente nel Donbass tra il 2014 e il 2022.
Sicuramente hanno capito che l'esercito ucraino non era una tigre di carta che poteva
essere sconfitta rapidamente e con decisione, soprattutto perché aveva un
potente sostegno dall'Occidente.
Infine,
nel corso del 2022, i russi sono stati costretti a ritirare il loro esercito
dall'oblast di Kharkiv e dalla parte occidentale dell'oblast di Kherson. In
effetti, Mosca ha ceduto il territorio che il suo esercito aveva conquistato
nei primi giorni della guerra. Non c'è dubbio che la pressione dell'esercito
ucraino abbia avuto un ruolo nel forzare il ritiro russo. Ma, cosa più
importante, Putin e i suoi generali si sono resi conto di non avere forze
sufficienti per tenere tutto il territorio che il loro esercito aveva
conquistato a Kharkiv e Kherson. Quindi, si sono ritirati e hanno creato
posizioni difensive più gestibili. Questo non è certo il comportamento che ci
si aspetterebbe da un esercito che è stato costruito e addestrato per
conquistare e occupare tutta l'Ucraina. Naturalmente, non è stato progettato
per quello scopo e quindi non poteva raggiungere quel compito erculeo.
In
quarto luogo, nei mesi precedenti l'inizio della guerra, Putin ha cercato di
trovare una soluzione diplomatica alla crisi che si stava preparando.
Il 17
dicembre 2021, Putin ha inviato una lettera sia al presidente Joe Biden che al
capo della NATO Stoltenberg proponendo una soluzione alla crisi basata su una
garanzia scritta che: 1) l'Ucraina non avrebbe aderito alla NATO, 2) nessuna
arma offensiva sarebbe stata stazionata vicino ai confini della Russia e 3) le
truppe e le attrezzature della NATO spostate nell'Europa orientale dal 1997
sarebbero state rimosse nell'Europa occidentale. Qualunque cosa si pensi della
fattibilità di raggiungere un accordo basato sulle richieste di apertura di
Putin, su cui gli Stati Uniti si sono rifiutati di negoziare, dimostra che
stava cercando di evitare la guerra.
In
quinto luogo, subito dopo l'inizio della guerra, la Russia ha contattato
l'Ucraina per avviare negoziati per porre fine alla guerra ed elaborare un
modus vivendi tra i due paesi.
I
negoziati tra Kiev e Mosca sono iniziati in Bielorussia appena quattro giorni
dopo l'ingresso delle truppe russe in Ucraina. Quella pista bielorussa è stata
alla fine sostituita da una pista israeliana e da una pista di Istanbul. Tutte
le prove disponibili indicano che la Russia stava negoziando seriamente e non
era interessata ad assorbire il territorio ucraino, ad eccezione della Crimea,
che aveva annesso nel 2014, e forse del Donbass. I negoziati si sono conclusi
quando gli ucraini, con la spinta della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, si
sono allontanati dai negoziati, che stavano facendo buoni progressi quando si
sono conclusi.
Inoltre,
Putin riferisce che quando i negoziati erano in corso e stavano facendo
progressi, gli è stato chiesto di rimuovere le truppe russe dall'area intorno a
Kiev come gesto di buona volontà, cosa che ha fatto il 29 marzo 2022. Nessun
governo in Occidente o ex politico ha contestato l'affermazione di Putin, che è
direttamente in contrasto con l'affermazione che era intenzionato a conquistare
tutta l'Ucraina.
Sesto,
mettendo da parte l'Ucraina, non c'è una scintilla di prova che Putin stesse
contemplando la conquista di altri paesi dell'Europa orientale.
Inoltre,
l'esercito russo non è nemmeno abbastanza grande da invadere tutta l'Ucraina,
tanto meno per cercare di conquistare gli Stati baltici, la Polonia e la
Romania. Inoltre, tutti questi paesi sono membri della NATO, il che
significherebbe quasi certamente una guerra con gli Stati Uniti e i suoi
alleati.
Settimo,
quasi nessuno in Occidente ha sostenuto che Putin avesse ambizioni imperiali
dal momento in cui ha preso le redini del potere nel 2000 fino all'inizio della
crisi ucraina il 22 febbraio 2014. A quel punto, è diventato improvvisamente un
aggressore imperiale. Perché? Perché i leader occidentali avevano bisogno di un
motivo per incolparlo di aver causato la crisi.
Probabilmente
la migliore prova che Putin non è stato visto come una seria minaccia durante i
suoi primi quattordici anni in carica è che è stato invitato al vertice della
NATO dell'aprile 2008 a Bucarest, dove l'alleanza ha annunciato che l'Ucraina e
la Georgia sarebbero diventate membri. Putin, ovviamente, era infuriato per
quella decisione e ha reso nota la sua rabbia. Ma la sua opposizione a
quell'annuncio non ha avuto quasi alcun effetto su Washington perché l'esercito
russo è stato giudicato troppo debole per fermare un ulteriore allargamento
della NATO, proprio come era stato troppo debole per fermare le ondate di
espansione del 1999 e del 2004. L'Occidente pensava di poter spingere ancora
una volta l'espansione della NATO in gola alla Russia.
A
questo proposito, l'allargamento della NATO prima del 22 febbraio 2014 non
mirava a contenere la Russia. Dato il triste stato della potenza militare
russa, Mosca non era in grado di conquistare l'Ucraina, tanto meno di
perseguire politiche revansciste nell'Europa orientale. Significativamente,
l'ex ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca Michael McFaul, che è uno strenuo
difensore dell'Ucraina e un feroce critico di Putin, osserva che la presa della
Crimea da parte della Russia nel 2014 non era stata pianificata prima dello
scoppio della crisi; è stata una mossa impulsiva in risposta al colpo di stato
che ha rovesciato il leader filo-russo dell'Ucraina. In breve, l'espansione
della NATO non era destinata a contenere una minaccia russa, perché l'Occidente
non pensava che ce ne fosse una.
È
stato solo quando è scoppiata la crisi ucraina nel febbraio 2014 che gli Stati
Uniti e i loro alleati hanno improvvisamente iniziato a descrivere Putin come
un leader pericoloso con ambizioni imperiali e la Russia come una seria
minaccia militare che la NATO doveva contenere. Questo brusco cambiamento di
retorica è stato progettato per servire a uno scopo essenziale: consentire
all'Occidente di incolpare Putin per la crisi e assolvere l'Occidente dalla
responsabilità. Non sorprende che questo ritratto di Putin abbia guadagnato
molta più trazione dopo che la Russia ha invaso l'Ucraina il 24 febbraio 2022.
C'è
una svolta nella saggezza convenzionale che vale la pena menzionare. Alcuni
sostengono che la decisione di Mosca di invadere l'Ucraina abbia poco a che
fare con Putin stesso e invece faccia parte di una tradizione espansionistica
che precede di molto Putin ed è profondamente radicata nella società russa.
Questa propensione all'aggressione, che si dice sia guidata da forze interne,
non dall'ambiente di minaccia esterna della Russia, ha spinto praticamente
tutti i leader russi nel tempo a comportarsi violentemente nei confronti dei
loro vicini. Non si può negare che Putin sia al comando in questa storia o che
abbia portato la Russia alla guerra, ma si dice che abbia poca influenza. Quasi
tutti gli altri leader russi avrebbero agito allo stesso modo.
Ci
sono due problemi con questo argomento. Per cominciare, non è falsificabile,
poiché il tratto di lunga data nella società russa che produce questo impulso
aggressivo non viene mai identificato. Si dice che i russi siano sempre stati
aggressivi – non importa chi sia al comando – e lo saranno sempre. È quasi come
se fosse nel loro DNA. La stessa affermazione è stata fatta una volta a
proposito dei tedeschi, che nel corso del XX secolo sono stati spesso ritratti
come aggressori congeniti. Argomenti di questo tipo non sono presi sul serio
nel mondo accademico per una buona ragione.
Inoltre,
quasi nessuno negli Stati Uniti o nell'Europa occidentale ha descritto la
Russia come intrinsecamente aggressiva tra il 1991 e il 2014, quando è
scoppiata la crisi ucraina. Al di fuori della Polonia e degli Stati baltici, la
paura di un'aggressione russa non è stata una preoccupazione frequentemente
espressa durante quei ventiquattro anni, come ci si aspetterebbe se i russi
fossero stati programmati per l'aggressione. Sembra chiaro che l'improvvisa
comparsa di questa linea di argomentazione sia stata una comoda scusa per
incolpare la Russia di aver causato la guerra in Ucraina.
Permettetemi
di cambiare marcia e di esporre le TRE RAGIONI PRINCIPALI per pensare che
l'espansione della NATO sia stata la causa principale della guerra in Ucraina.
In
primo luogo, i leader russi hanno detto più volte prima dell'inizio della
guerra che consideravano l'espansione della NATO in Ucraina una minaccia
esistenziale che doveva essere eliminata.
Putin
ha rilasciato numerose dichiarazioni pubbliche in cui espone questa linea di
argomentazione prima del 24 febbraio 2022. Parlando al Consiglio del Ministero
della Difesa il 21 dicembre 2021, ha dichiarato: "quello che stanno
facendo, o cercando o pianificando di fare in Ucraina, non sta accadendo a
migliaia di chilometri di distanza dal nostro confine nazionale. Si trova sulla
soglia di casa nostra. Devono capire che semplicemente non abbiamo più nessun
posto dove ritirarci. Pensano davvero che non vediamo queste minacce? O pensano
che staremo semplicemente a guardare l'emergere di minacce alla Russia?"
Due mesi dopo, in una conferenza stampa del 22 febbraio 2022, pochi giorni
prima dell'inizio della guerra, Putin ha dichiarato: "Siamo categoricamente
contrari all'adesione dell'Ucraina alla NATO perché rappresenta una minaccia
per noi, e abbiamo argomenti a sostegno di ciò. Ne ho parlato più volte in
questa sala". Ha poi chiarito che riconosceva che l'Ucraina stava
diventando un membro de facto della NATO. Gli Stati Uniti e i loro alleati, ha
detto, "continuano a pompare le attuali autorità di Kiev piene di moderni
tipi di armi". Ha continuato dicendo che se questo non fosse stato
fermato, Mosca "sarebbe rimasta con un 'anti-Russia' armato fino ai denti.
Questo è totalmente inaccettabile".
Anche
altri leader russi – tra cui il ministro della Difesa, il ministro degli
Esteri, il vice ministro degli Esteri e l'ambasciatore russo a Washington –
hanno sottolineato la centralità dell'espansione della NATO per causare la
crisi ucraina. Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov lo ha ribadito in modo
sintetico in una conferenza stampa del 14 gennaio 2022: "La chiave di
tutto è la garanzia che la NATO non si espanderà verso est".
Si
sente spesso l'argomento che i timori russi erano infondati perché non c'era
alcuna possibilità che l'Ucraina si unisse all'alleanza nel prossimo futuro, se
mai lo avrebbe fatto. In effetti, si dice che gli Stati Uniti e i loro alleati
europei abbiano prestato poca attenzione a portare l'Ucraina nella NATO prima
della guerra. Ma anche se l'Ucraina entrasse a far parte dell'alleanza, ciò non
rappresenterebbe una minaccia esistenziale per la Russia, perché la NATO è
un'alleanza difensiva. Pertanto, l'espansione della NATO non può essere stata
una causa della crisi originaria, scoppiata nel febbraio 2014, o della guerra
iniziata nel febbraio 2022.
Questa
linea di argomentazione è falsa. In effetti, la risposta occidentale agli
eventi del 2014 è stata quella di raddoppiare la strategia esistente e
avvicinare ancora di più l'Ucraina alla NATO. L'alleanza ha iniziato ad
addestrare l'esercito ucraino nel 2014, con una media di 10.000 soldati
addestrati all'anno per i successivi otto anni. Nel dicembre 2017,
l'amministrazione Trump ha deciso di fornire a Kiev "armi difensive".
Altri paesi della NATO sono presto entrati in azione, spedendo ancora più armi all'Ucraina.
Inoltre, l'esercito, la marina e l'aeronautica ucraini hanno iniziato a
partecipare a esercitazioni militari congiunte con le forze della NATO. Lo
sforzo dell'Occidente di armare e addestrare l'esercito ucraino spiega in buona
parte perché se l'è cavata così bene contro l'esercito russo nel primo anno di
guerra. Come titolava il Wall Street Journal dell'aprile 2022, "Il segreto
del successo militare dell'Ucraina: anni di addestramento della NATO".
Mettendo
da parte gli sforzi in corso dell'alleanza per rendere l'esercito ucraino una
forza combattente più formidabile in grado di operare a fianco delle truppe
della NATO, nel 2021 c'è stato un rinnovato entusiasmo in Occidente per
l'ingresso dell'Ucraina nella NATO. Allo stesso tempo, il presidente Zelensky,
che non aveva mai mostrato molto entusiasmo per l'ingresso dell'Ucraina
nell'alleanza e che era stato eletto nel marzo 2019 su una piattaforma che
chiedeva di lavorare con la Russia per risolvere la crisi in corso, ha
invertito la rotta all'inizio del 2021 e non solo ha abbracciato l'adesione
alla NATO per l'Ucraina, ma ha anche adottato un approccio intransigente nei
confronti di Mosca.
Il
presidente Biden, che si è insediato alla Casa Bianca nel gennaio 2021, era da
tempo impegnato a portare l'Ucraina nella NATO ed era un super-falco nei
confronti della Russia. Non sorprende che, il 14 giugno 2021, la NATO abbia
emesso un comunicato al vertice annuale di Bruxelles, in cui affermava:
"Ribadiamo la decisione presa al vertice di Bucarest del 2008 che
l'Ucraina diventerà membro dell'Alleanza". Il 1° settembre 2021, Zelensky
ha visitato la Casa Bianca, dove Biden ha chiarito che gli Stati Uniti erano
"fermamente impegnati" nelle "aspirazioni euro-atlantiche
dell'Ucraina". Poi, il 10 novembre 2021, il segretario di Stato Antony
Blinken e il suo omologo ucraino, Dmytro Kuleba, hanno firmato un importante
documento: la "Carta USA-Ucraina sul partenariato strategico".
L'obiettivo di entrambe le parti, si legge nel documento, è quello di
"sottolineare... un impegno per l'attuazione da parte dell'Ucraina delle
riforme profonde e complete necessarie per la piena integrazione nelle
istituzioni europee ed euro-atlantiche". Riafferma inoltre esplicitamente
l'impegno degli Stati Uniti nei confronti della "Dichiarazione del vertice
di Bucarest del 2008".
Sembra
che ci siano pochi dubbi sul fatto che l'Ucraina sia sulla buona strada per
diventare membro della NATO entro la fine del 2021. Ciononostante, alcuni
sostenitori di questa politica sostengono che Mosca non avrebbe dovuto
preoccuparsi di quel risultato, perché "la NATO è un'alleanza difensiva e
non rappresenta una minaccia per la Russia". Ma non è così che Putin e gli
altri leader russi pensano della NATO, ed è ciò che pensano che conta. In
breve, non c'è dubbio che Mosca vedesse l'adesione dell'Ucraina alla NATO come
una minaccia esistenziale che non poteva essere tollerata.
In
secondo luogo, un numero considerevole di individui influenti e molto
apprezzati in Occidente riconobbe prima della guerra che l'espansione della
NATO – specialmente in Ucraina – sarebbe stata vista dai leader russi come una
minaccia mortale e alla fine avrebbe portato al disastro.
William
Burns, che ora dirige la CIA, ma era l'ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca
al momento del vertice della NATO dell'aprile 2008 a Bucarest, scrisse un memo
all'allora segretario di Stato Condoleezza Rice che descrive succintamente il
pensiero russo di portare l'Ucraina nell'alleanza. "L'ingresso
dell'Ucraina nella NATO", ha scritto, "è la più luminosa di tutte le
linee rosse per l'élite russa (non solo per Putin). In più di due anni e mezzo
di conversazioni con i principali attori russi, dai tirapugni nei recessi
oscuri del Cremlino ai più acuti critici liberali di Putin, devo ancora trovare
qualcuno che veda l'Ucraina nella NATO come qualcosa di diverso da una sfida
diretta agli interessi russi". La NATO, ha detto, "si vedrebbe...
come lanciare il guanto di sfida strategico. La Russia di oggi risponderà. Le
relazioni russo-ucraine entreranno in un profondo congelamento... Creerà un
terreno fertile per l'ingerenza russa in Crimea e nell'Ucraina orientale".
Burns
non è stato l'unico politico occidentale nel 2008 a capire che portare
l'Ucraina nella NATO era pieno di pericoli. Infatti, al vertice di Bucarest,
sia la cancelliera tedesca Angela Merkel che il presidente francese Nicolas
Sarkozy si sono opposti all'adesione dell'Ucraina alla NATO perché capivano che
avrebbe allarmato e fatto infuriare la Russia. La Merkel ha recentemente
spiegato la sua opposizione: "Ero molto sicura... che Putin non lascerà
che ciò accada. Dal suo punto di vista, sarebbe una dichiarazione di
guerra".
Per
fare un ulteriore passo avanti, numerosi politici e strateghi americani si
opposero alla decisione del presidente Clinton di espandere la NATO negli anni
'90, quando la decisione era in discussione. Quegli oppositori capirono fin
dall'inizio che i leader russi l'avrebbero vista come una minaccia ai loro
interessi vitali e che la politica alla fine avrebbe portato al disastro.
L'elenco degli oppositori include figure di spicco dell'establishment come
George Kennan, sia il segretario alla Difesa del presidente Clinton, William
Perry, che il suo presidente del Joint Chiefs of Staff, il generale John
Shalikashvili, Paul Nitze, Robert Gates, Robert McNamara, Richard Pipes e Jack
Matlock, solo per citarne alcuni.
La
logica della posizione di Putin dovrebbe avere perfettamente senso per gli
americani, che sono stati a lungo impegnati nella Dottrina Monroe, che
stabilisce che a nessuna grande potenza lontana è permesso di formare
un'alleanza con un paese dell'emisfero occidentale e di collocare lì le sue
forze militari. Gli Stati Uniti interpreterebbero una mossa di questo tipo come
una minaccia esistenziale e farebbero di tutto per eliminare il pericolo.
Naturalmente, questo è ciò che accadde durante la crisi dei missili di Cuba nel
1962, quando il presidente Kennedy chiarì ai sovietici che i loro missili a
testata nucleare avrebbero dovuto essere rimossi da Cuba. Putin è profondamente
influenzato dalla stessa logica. Dopotutto, le grandi potenze non vogliono che
grandi potenze lontane si trasferiscano nel loro cortile.
In
terzo luogo, la centralità della profonda paura della Russia che l'Ucraina
aderisca alla NATO è illustrata da due sviluppi che si sono verificati
dall'inizio della guerra.
Durante
i negoziati di Istanbul che si svolsero subito dopo l'inizio dell'invasione, i
russi resero evidente che l'Ucraina doveva accettare la "neutralità
permanente" e non poteva aderire alla NATO. Gli ucraini hanno accettato la
richiesta della Russia senza alcuna seria resistenza, sicuramente perché
sapevano che altrimenti sarebbe stato impossibile porre fine alla guerra. Più
di recente, il 14 giugno 2024, Putin ha formulato due richieste che l'Ucraina
avrebbe dovuto soddisfare prima di accettare un cessate il fuoco e l'inizio dei
negoziati per porre fine alla guerra. Una di queste richieste era che Kiev
dichiarasse "ufficialmente" "che abbandona i suoi piani di
adesione alla NATO".
Niente
di tutto ciò sorprende, poiché la Russia ha sempre visto l'Ucraina nella NATO
come una minaccia esistenziale che deve essere prevenuta a tutti i costi.
Questa logica è la forza trainante della guerra in Ucraina.
Infine,
è evidente dalla posizione negoziale della Russia a Istanbul e dai commenti di
Putin sulla fine della guerra nel suo discorso del 14 giugno 2024 che non è
interessato a conquistare tutta l'Ucraina e a renderla parte di una grande
Russia.
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