La vita politica è fatta di indiscrezioni.
La
vita politica è fatta di indiscrezioni.
Forza
Italia e Pier Silvio Berlusconi:
la
clamorosa indiscrezione.
msn.com
- Christian Luca Di Benedetto - News Mondo – (23-7-2024) – ci dice:
La
possibile alleanza tra Forza Italia e Pd potrebbe scuotere la politica
italiana. Giorgia Meloni teme l’abbandono del Centrodestra.
Il
panorama politico italiano potrebbe essere sull’orlo di un cambiamento epocale,
secondo voci riportate da Dagospia e affaritaliani.it, Forza Italia,
storicamente ancorata al Centrodestra, potrebbe spostarsi verso sinistra,
stringendo un’alleanza con il Partito Democratico (Pd).
Questo
possibile cambio di rotta sta generando grande preoccupazione tra le fila della
destra, in particolare per la premier Giorgia Meloni.
Gli
interessi di Pier Silvio Berlusconi e il cambio di direzione di Forza Italia.
La
possibile svolta di Forza Italia è influenzata da vari fattori, tra cui gli
interessi imprenditoriali di Pier Silvio Berlusconi in Germania.
Pier
Silvio, amministratore delegato di Mediaset, ha consolidato importanti rapporti
con “Friedrich Merz”, leader della CDU tedesca.
Questa
rete di contatti potrebbe favorire l’espansione di Mediaset come broadcaster
europeo, una mossa strategica per l’azienda.
Secondo
indiscrezioni riportate da Dagospia, diverse voci da Berlino stanno suggerendo
alla famiglia Berlusconi di allontanarsi da un governo italiano etichettato
come “ultra-destra” e impresentabile.
Inoltre,
le tensioni tra Forza Italia e Giorgia Meloni non sono mancate, specialmente
riguardo alla tassa sugli extra profitti delle banche e al taglio del canone
Rai.
Questi
conflitti interni potrebbero spingere Forza Italia a rivedere la sua posizione
politica.
La
reazione di Giorgia Meloni e le possibili elezioni anticipate.
La
prospettiva di un abbandono di Forza Italia dal Centrodestra ha messo in
allarme Giorgia Meloni.
La premier, consapevole del peso politico del
partito fondato da Silvio Berlusconi, teme un indebolimento della sua
coalizione.
In uno
scenario estremo, Meloni potrebbe decidere di dimettersi e chiamare elezioni
anticipate, cercando di ricompattare il fronte della destra.
Come
riportato da Dagospia, se Pier Silvio e Marina Berlusconi dovessero assicurare
al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che il partito è pronto a
staccarsi dalla destra per allearsi con il Pd, potrebbe aprirsi uno scenario
imprevedibile.
Invece
di chiamare un tecnico come Mario Draghi, Mattarella potrebbe decidere di
sciogliere immediatamente le Camere, dando inizio a una nuova fase della
politica italiana.
(Tajani:
"FI in sintonia con la famiglia Berlusconi" -Mediaset)
Kennedy
Jr. rilancia:
«Sono
l'unico che può battere Trump»
CDT.ch
– Corriere del Ticino – Msn.com – Cristian Luca Di Benedetti – (22-7-2024) – ci
dice:
Il
candidato indipendente ha invitato i suoi elettori ad appoggiarlo, ribadendo
tuttavia di essere pronto ad ascoltare il Partito Democratico qualora venisse
contattato per sfidare Harris.
Rieccolo.
Robert F. Kennedy Jr. ha parlato.
Dopo un lungo, verrebbe da dire lunghissimo
silenzio a margine dell'attentato a Donald Trump.
Ha
parlato, dicevamo.
Sfruttando
l'onda lunga generata dal ritiro di Joe Biden dalla corsa e invitando gli
elettori a unirsi e appoggiare la sua candidatura come indipendente.
Una
terza via, insomma, che potrebbe percorrere chi, indeciso, non riesce a
identificarsi né con Donald Trump né con Kamala Harris o chi per lei.
Attenzione,
però, perché lo stesso Kennedy Jr. si è detto «aperto» ad ascoltare i leader
del Partito Democratico qualora lo contattassero per sfidare Harris in ottica
nomination.
Aggiungendo
che, in ogni caso, è «l'unico candidato che può battere Donald Trump».
Figlio
di Robert F. Kennedy, avvocato e ambientalista, Kennedy Jr. è stato etichettato
da più parti come un “no-vax” e un complottista.
Etichette che lui, puntualmente, ha cercato di
scucirsi.
Durante la sua corsa, si è profilato come la
più grande minaccia politica ai due Partiti principali.
Non
tanto, o non solo, per via del suo cognome ma perché, di fatto, la sua agenda è
simile e sovrapponibile a quella di Trump pur con una vocazione smaccatamente
liberal.
Nelle
ultime due settimane, in ogni caso, Kennedy Jr. aveva cancellato le principali
apparizioni mentre dall'attentato a Trump non aveva più inviato e-mail di
raccolta fondi.
Se
negli scorsi mesi il candidato indipendente aveva cercato di controbattere agli
eventi elettorali principali, come il dibattito fra Joe Biden e Donald Trump,
in quest'ultimo periodo Kennedy Jr. ha fatto poco, pochissimo per spostare
l'attenzione dai temi dominanti, fra cui – prima del ritiro di Biden – il
citato attentato a Trump e la Convention Repubblicana.
C'era
chi, addirittura, dopo quanto successo a Butler, in Pennsylvania, era convinto
che presto o tardi Kennedy Jr. si sarebbe ritirato dalla corsa per sostenere
nientepopodimeno che Trump.
Indiscrezioni che, dopo l'incontro di lunedì
scorso fra i due a Milwaukee, avevano costretto Kennedy Jr. a pubblicare una
smentita via social:
«No, non mi ritiro dalla corsa».
Processi
e politica
nell’Italia
repubblicana.
Doppiozero.com - Alberto Mittone – (18 Luglio
2024) – ci dice:
Il
saggio” Conflitto tra poteri”.
Magistratura,
politica e processi nell’Italia repubblicana (Il Saggiatore, 2024) degli
storici M. Flores e M. Franzinelli ha una peculiarità:
ricostruisce
i rapporti tra giustizia e politica dal sorgere della Repubblica ad oggi
attraverso la rilettura dei processi penali.
I
capitoli si snodano in vari periodi riletti attraverso la loro significatività
storica con l’affiancamento di una rassegna di processi svoltisi in quegli
anni.
Ciò
detto, perché servirsi dei processi?
La
risposta è inequivoca: i processi si sviluppano attraverso l’“iter” processuale
originato da un fatto ignoto e dalla ricerca di chi lo ha provocato.
Non solo:
essi
sono densi di storicità in quanto rappresentano lo specchio di una fase storica
in cui è maturato quell’evento e come si innestano i personaggi in quel
periodo.
Non è
un caso che siano fiorite riviste e numeri unici (ad esempio “Epoca” ed
“Europeo”) che su di essi hanno indugiato e che la cronaca nera venga
raccontata con spazi dilatati e da penne illustri (Arpino, Buzzati come
ricordato in “Delitti in prima pagina”, Doppiozero).
Non è un caso che la letteratura se ne sia
appassionata, come testimoniano le fluviali pubblicazioni sul rapporto tra
“Diritto e letteratura”, in una gara di fantasia con le produzioni
cinematografiche.
Per non parlare del processo “mediatico”,
spettacolo ormai autonomo avente come oggetto le procedure penali in corso che
vengono discusse nei salotti televisivi.
Si usano prove processuali disponibili,
integrandole con indiscrezioni e servizi fuori sede, facendo nascere
l’impressione, più fumosa che reale, di maneggiarle con sicurezza.
In sostanza viene trattato un fatto di cronaca
nera in luoghi lontani dalle regole del codice, dove il giudice è il pubblico e
non un magistrato imparziale, dove il dibattito avviene tra ospiti ed esperti
in un set, dove spesso filtra la contrapposizione tra il bene e il male e dove
è protagonista un pubblico che vuole più giudicare che essere informato.
Diverso
dal significato del processo è quello delle sentenze:
esse
rappresentano il momento finale dell’iter, quando cioè il giudice spiega in uno
scritto le ragioni della sua decisione.
Quindi
esse manifestano come vengono valutati i reati e le prove in un dato momento
storico (con questa ispirazione “Governatori, Stato cittadino in Tribunale”,
Laterza 1970 e “Valori socio-culturali nella giurisprudenza”, Laterza 1970).
Ma la magistratura è un potere?
La Costituzione non la disegna forse come un
‘ordine’, cioè come una struttura della Stato delegata a svolgere una funzione
fondamentale, cioè rendere giustizia?
Ma
come e quando è diventata un ‘potere’?
Il
discorso si dilata perché coinvolge il rapporto non solo con la politica ma con
la società tutta, con le sue richieste, le sue aspettative, il suo
coinvolgimento, come peraltro il saggio mette bene in luce con la scansione
delle fasi.
E quel rapporto tra
magistratura-politica-società è sottoposto al pendolo della storia che ne
disegna i connotati nel passare del tempo.
L’avvio
della Repubblica: una transizione difficile con rotture e continuità .
Il
momento iniziale della Repubblica è caratterizzato dal difficile rapporto con
il passato, che presenta una scivolosa continuità che si salda con una stentata
rottura.
I sistemi, quello politico e giudiziario,
sembrano vivere in simbiosi, ma la prima significativa frattura innovativa ha
luogo con la Costituzione che prevede il Consiglio Superiore della
Magistratura, l’autogoverno e le garanzie di indipendenza di tutti i magistrati
a differenza del passato, compresi quelli del pubblico ministero.
Dal
1945 al 1948 allo stesso tempo non ha successo la normativa sull’epurazione e
si assiste all’applicazione estensiva dell’amnistia Togliatti del 1946,
analogamente a quanto avvenne in Germania per il ruolo nel dopoguerra riservato
alle ex spie che entrarono in posizioni di rilievo (di recente “Falanga”, Gli
uomini di Himmler, Carocci 2024).
Negli
anni successivi dilaga il fenomeno dei magistrati, ma anche di intellettuali e
politici, distintisi durante il regime spesso attivamente anche nella vicenda
razziale del 1938, che ingrossano il gruppo misto degli “insospettabili” nei
ranghi parlamentari, istituzionali, giornalistici, spesso paladini delle virtù
in un’Italia frettolosa e che aspira a dimenticare.
Classica,
e mai sufficientemente ricordata, è la carriera di “Gaetano Azzariti”,
giurista, magistrato, al vertice della piramide ministeriale fascista,
sottoscrittore del “Manifesto della razza’, presidente del “Tribunale della
razza”.
Cambiato
il vento, viene chiamato nel 1946 come capo di gabinetto dal guardasigilli
Togliatti e nominato nel 1955 giudice costituzionale dal presidente Gronchi.
Come
se non bastasse, diviene presidente della Corte nel 1957 e un suo busto
attualmente troneggia nei corridoi del palazzo.
I
processi trattati nel saggio relativi a questo periodo:
il processo al maresciallo Graziani; delitto
Rosselli: dalla pena di morte alle assoluzioni generalizzate; i processi per
l'eccidio di Portella della Ginestra; l'omicidio di Bracci e il biondino di
Primavalle; cronaca nera e dossieraggi politici: il caso Montesi;
Renzi-Aristarco: l'Armata Sagapò.
Verso
la democrazia.
Nei
primi anni ‘50 la magistratura è ancora in larga parte irrigidita nel passato,
resistente alla Costituzione soprattutto negli organi superiori.
Si
intravedono però fermenti grazie anche a decisioni e a contributi letterari di
magistrati che descrivono un modello non tradizionale di giudice.
Esemplari
sono i romanzi di “Giuseppe Guido Lo Schiavo” (Piccola Pretura del 1949) da cui
Pietro Germi trasse nel 1949 il film “In nome della legge”, e di “Dante Troisi”
(Diario di un giudice del 1955) citato nel saggio.
Con il
decennio degli anni ‘60 il passato si allontana e anche per il potere
giudiziario inizia il disgelo, soprattutto nel periodo tra il 1956 e il 1958
con l’entrata in funzione della “Corte Costituzionale” e del” Consiglio
Superiore della Magistratura”.
I
processi relativi a questo periodo trattati nel saggio: “l'apparato
paramilitare comunista”: il” processo Acerbi”; il” processo Guareschi-Degasperi”,
“Sicilia 1956”: “lo sciopero alla rovescia” di Danilo Dolci;” processo al
vescovo di Prato”; “il Vicario” ovvero i silenzi di Pio XII; il “processo
Fenaroli–Ghiani”.
1965-1975:
rotture e contrasti, depistaggi e voglia di verità.
Si
sviluppa l’associazionismo giudiziario, l’Associazione nazionale magistrati
tenta di resistere su alcuni profili tradizionali come il principio gerarchico
e la funzione della Cassazione quale organo di indirizzo.
Nel 1964 si costituisce “la corrente di
Magistratura democratica” che si distingue soprattutto come avanguardia
garantista, mantenendo successivamente un elevato tasso di politicizzazione.
In
quegli anni si chiude una fase di discriminazione con l’ingresso delle donne in
magistratura e nel 1965 vengono nominate le prime otto magistrate.
Negli
anni ‘70 la magistratura entra in un periodo cruciale:
diviene
militante, interventista, attiva, ipercinetica affrontando uno dei periodi
sociali e politici più bui.
Si
sovrappongono le lotte sociali, la contestazione studentesca del ‘68, la
tragica deriva del terrorismo, mentre si radicano i movimenti protagonisti
dell’epoca seguente.
Si staglia il tragico attentato di piazza
Fontana con il corollario di depistaggi, in un clima di scontro anche
istituzionale nel quale emerge la volontà politica di privilegiare una pista
anarchica in realtà inconsistente, con interferenze dei servizi a vario
livello.
Gli
anni ‘70 sono anche quelli in cui la magistratura, con i pretori, tenta di
calare il principio di uguaglianza nelle disposizioni normative,
interpretandole come si usava dire in termini “costituzionalmente orientati”.
Allo
stesso tempo emergono fatti di corruzione con coinvolgimenti autorevoli e
istituzionali come nello ‘scandalo dei petroli’.
Gli
anni sono anche attraversati da episodi tragici di natura istituzionale (si
pensi a Sindona e all’omicidio Ambrosoli) e dal terrorismo, vicende che hanno
posto in pericolo la stabilità dello Stato, con la magistratura che unita ad
altre energie ha contribuito a mantenerne la sussistenza pur con un contributo
doloroso di sangue. Sono di quegli anni gli omicidi dei magistrati Occorsio del
1976, Alessandrini del 1979, Galli del 1980.
Esemplare,
in questo senso, è il processo conclusosi a Torino nel 1978 nei confronti delle
“Brigate rosse”.
Il suo svolgimento fu segnato
dall’intransigente rispetto delle regole processuali nonostante le continue
azioni sanguinarie rivendicate dagli imputati (una tra tutte l’omicidio del
magistrato Coco a Genova nel 1976).
Il
saggio (p. 435) accenna a una pagina di cui si rese protagonista Leonardo
Sciascia.
Nel 1977 il Presidente dell’Ordine degli
Avvocati Fulvio Croce, chiamato ad assumere la difesa di ufficio dei
brigatisti, cinque giorni prima dell’inizio del processo viene ucciso a colpi
di pistola.
A
questo punto molti giurati sorteggiati si sottraggono all’incarico presentando
certificati medici funzionali soltanto a eludere la designazione.
Sulla
paura di fronte a ripetuti fatti di sangue inizia così un dibattito crudo ed
aspro.
A
fronte di Eugenio Montale che riconosce di aver potuto subire la paura (“Non si
può chiedere a nessuno di essere un eroe. Una paura giustificata dal dato
attuale delle cose, non metafisica né esistenziale”,
“La sconfitta dello Stato viene da lontano”,
Corriere della Sera 3.5.1977), interviene “Alessandro Galante Garrone” secondo
cui era inaccettabile quanto proveniva da un senatore a vita e ricorda un
giovane che spiegò di aver accettato l’incarico di giurato perché: “Lo Stato
siamo noi”. (“Il coraggio d’essere giusti”, La Stampa 8.5.1977), seguito da
Italo Calvino (“I cittadini democratici che non si arrendono proprio quando
l’istituzione si dimostra fragile…. Ci sono momenti in cui… accettano i rischi
anche molte persone che, per loro gusto, non amano il pericolo”,“Al di là della
paura”, Corriere della Sera, 11.5.1977).
Interviene controcorrente Leonardo Sciascia:
“Non vorrei entrare in una giuria – e
specialmente quella chiamata a giudicare i delitti contro lo Stato.
Così come non capisco che cosa polizia e
magistratura difendano… ancor meno capirei che io, proprio io, fossi chiamato a
fare da cariatide a questo crollo o disfacimento di cui mi sento responsabile.
Salvare
la democrazia, difendere la libertà, non cedere, non arrendersi … sono soltanto
parole.
C’è una classe di potere che non muta e che
non muterà se non suicidandosi.
Non voglio per nulla distoglierla da questo
proposito o contribuire a riconfermarla”. (“Non voglio aiutarli in alcun modo”,
“Corriere della sera”, 12.5.1977).
Quindi,
secondo lo scrittore, quei cittadini impauriti rappresentano la sconfitta dello
Stato perché esso non li protegge, opinione condensata nella frase forse sua
mai smentita: “Né con lo Stato né con le Brigate Rosse”.
Non si
tira indietro Giorgio Amendola che intima il silenzio agli intellettuali
afflitti dall'ipertrofia del dubbio, in realtà sabotatori di una lotta che non
ammette disobbedienza
. (“Le
dichiarazioni di Sciascia e Montale non mi hanno sorpreso in quanto il coraggio
civico non è mai stata una qualità di larghe sfere della cultura italiana”,
“Intervista con Giorgio Amendola”, L’Espresso, 5.6.1977).
(Su
questo dibattito Borgna, “Un paese migliore”, Laterza 2006, e Atti Convegno
“Storico per passione civile”, Edizioni dell’Orso, 2009).
Nel
1979, uscito dal PCI, Sciascia aderisce al Partito Radicale e già in quell’anno
presenta l’introduzione di “Diario di una giurata popolare” al processo delle
Brigate Rosse di Adelaide Aglietta, dirigente radicale che pur minacciata aveva
accettato l’incarico di giurato (p. 441).
La posizione di Sciascia è quasi
irriconoscibile rispetto alla precedente:
"Nelle
prime pagine di questo diario “Adelaide Aglietta” ricorda quel mio breve
articolo in cui esprimevo un'opinione sull'essere giurato nel processo a Torino
contro le Brigate Rosse.
Opinione
che continuo a sostenere come abbastanza sensata e per nulla eversiva se
affermavo che, per rispetto e dovere verso me stesso avrei accettato di fare il
giurato in un processo di quel tipo:
e anzi
forzando la mia innata e assoluta ripugnanza a giudicare i miei simili… Di un
dovere verso una astrazione e astratto io facevo un dovere concreto e
inamovibile; e con gli stessi effetti”.
Di
quella emblematica vicenda si ricorda ancora che 134 cittadini evitarono
l’incarico di giurato e solo grazie ad alcuni, come la citata Aglietta, si
formò la giuria che condannò il 23 giugno 1978 ventinove brigatisti a pene tra
i dieci e i quindici anni di carcere.
Consentirono
la celebrazione del processo anche 20 avvocati torinesi che, sorteggiati,
avevano accettato di essere difensori di ufficio a differenza di altri 210
dichiaratisi indisponibili o indisposti.
Durante
lo svolgimento delle udienze, a rendere ancor più pesante il clima, il 9 maggio
viene ucciso Aldo Moro.
I
processi trattati nel saggio relativi a questo periodo: “il disastro del
Vajont; il reato di plagio:
Aldo
Braibanti; “l’obbedienza rimane una virtù”:” la condanna di Don Milani”; “il
rifiuto del matrimonio riparatore”: Franca Viola;
“il
reato di educazione sessuale”: il processo alla “Zanzara”; “la repressione
giudiziaria dell’autunno caldo”.
1975-78-79:
la magistratura diviene protagonista – La P2.
Negli
anni ‘80 inizia la legittimazione esterna della magistratura con processi di
vasta eco sociale e mediatica, anche attraverso la tv con spettacoli che
esaltano il suo intervento (Processo in pretura, Telefono giallo), mentre il
sistema politico si ritrae progressivamente.
Nel
1981 i giudici istruttori di Milano sequestrano le liste degli aderenti alla P2
con risultati imbarazzanti tra politici, giornalisti e anche magistrati.
In questo periodo vengono affrontati anche
temi spinosi, come la candidatura sconfitta di Falcone a capo dell’Ufficio
Istruzione palermitano, come le valutazioni di professionalità, come il
trasferimento d’ufficio e la responsabilità civile dei magistrati che dà luogo,
sulla scia del “caso Tortora”, a un referendum e a successive modifiche
legislative.
Nel
1989, dopo un’incubazione lunga e travagliata, entra in vigore il nuovo codice
di procedura penale che subentra a quello fascista del 1930.
I
processi trattati nel saggio relativi a questo periodo: “le schedature Fiat”; “il
primo processo alle Brigate Rosse”; il “processo di piazza Fontana”; “Enzo
Tortora: dalla tv al carcere”; “diffamazione di Stato”,” la condanna di Camilla
Cederna”;” i processi infiniti del caso Moro”.
1985-1995:
lo scontro tra giustizia e politica.
In
questo decennio si manifestano fatti corruttivi che anticipano, nei temi e
nell’intervento della magistratura, la stagione di “Mani pulite” con processi
svoltisi a Torino, Savona, Firenze, Catania.
Analoga
attenzione viene rivolta alle “questioni di mafia in Sicilia” con stragi di
uomini delle istituzioni, ma anche con la consapevolezza della gravità del
problema e della necessità di affrontarlo con mezzi e uomini diversi.
Recidendo
i rapporti che avevano impedito un efficace contrasto del fenomeno vengono
studiate strategie che, pur con difficoltà, porteranno alla “Direzione
nazionale antimafia”.
Nel
decennio degli anni ‘90 la legittimazione della magistratura come potere è
compiuta divenendo protagonista anche per le continue scie di sangue come
quelle di Falcone e Borsellino.
I due
sistemi, quello giudiziario e quello politico, sono alla resa dei conti:
i giudici entrano a gamba tesa nella storia di quei
rapporti e la “vicenda di Mani pulite” in questo senso è epocale.
I
processi trattati nel saggio relativi a questo periodo:
il
maxiprocesso palermitano alla mafia; l’omicidio Calabresi e l’ombra lunga di
Lotta Continua; il ciclone in un bicchier d’acqua: Mani pulite; Licio Gelli e
la P2: tanto rumore per nulla; le Fosse Ardeatine e il capitano Priepke; le
frequentazioni mafiose di Giulio Andreotti.
Stato,
giustizia politica, conflitto senza soluzione.
Con
gli anni ‘90 si assiste alla discesa in politica di Berlusconi, con
impostazioni relative alla giustizia differenti dal passato.
Il programma del suo primo governo è moderato
e di apertura verso l’Associazione nazionale magistrati, ma per breve tempo a
causa delle indagini a personaggi vicini a lui dal fratello Paolo all’amico
Dell’Utri, fino a toccare lo stesso Berlusconi.
Che nasca e cresca la tensione via via
incandescente tra i due poteri è storia nota, ed è palpabile in un clima in cui
la resa dei conti è in atto.
Con i
successivi governi la componente progressista della magistratura si impegna
sempre più ad esplorare un’affermazione per via giudiziaria. S’inaspriscono i contrasti tra la
maggioranza governativa e la magistratura, continuano i processi contro
Berlusconi e come risposta vengono approvate norme ad personam o utili alla
persona, come
la riforma del delitto di falso in bilancio e il ritocco alla prescrizione dei
reati.
Ma
proprio in questi anni gradualmente la magistratura associata perde identità,
forse per una collocazione troppo veloce nel sistema politico.
Essa
da conservatrice è divenuta il suo opposto, da muto sostegno del passato ha
assunto il ruolo di attivista sovvertitrice, si è proposta come controllo del
sistema politico ed amministrativo, ha ingigantito la propria dimensione di
potere.
La classe politica sente di doverla contattare
sulle riforme, anche per il timore di sue reazioni dure come lo sciopero spesso
minacciato.
Il problema permane tuttora ad esempio con la
riforma del reato di abuso di ufficio, o con il progetto politico di modifica
dell’ordinamento giudiziario, come la separazione della carriera di giudice da
quella di pubblico ministero per così distinguere il giudicante e l’accusatore.
I
processi trattati nel saggio relativi a questo periodo:
Cesare
Previti e la corruzione giudiziaria; macelleria messicana alla scuola Diaz, nel
G8 di Genova; Extraordinary renditions: il sequestro Abu Omar; bunga bunga a
giudizio: Ruby, nipote di Mubarak; il Plan Cóndor alla sbarra; nelle mani della
legge: Stefano Cucchi.
Il
saggio si sviluppa con riflessioni ed interrogativi che permeano la
ricostruzione storica, guidata con mano esperta dagli autori ne avrebbe potuto
essere altrimenti.
La scelta dei processi, come ogni scelta, può
essere discussa.
Qualche
vicenda giudiziaria forse è assente, mentre qualche altra è collegata non tanto
al rapporto tra poteri ma al sentire della società dell’epoca.
Come
ad esempio a proposito del processo al Vescovo di Prato, del delitto Montesi,
oppure il disastro del Vajont con la politica lontana, ma con condotte colpose
vicine all’evento.
Oppure il processo all’autore dello scritto”
Il Vicario” per la violenta critica all’operato di Pio XII e a lui solo.
Oppure
il celebre “processo a Fenaroli”, accusato e condannato per aver fatto uccidere
da un sicario la moglie, in cui domina la curiosità popolare ma è assente la
politica.
E ancora si potrebbe discutere sui commenti
degli autori sulla vicenda del sequestro Abu Omar o sulla diffamazione
attribuita a Camilla Cederna.
Ma questa potrebbe essere un’altra storia.
SEGRETI
DI MAFIA. DIARIO DI UN CRONISTA.
Attilio
Bolzoni racconta:
«I Pm mi hanno ascoltato sulla mia inchiesta
su mafia e politica. 28 anni dopo»
Editorialedomani.it
– (13 febbraio 2024) – Redazione – Attilio Bolzoni – Nellio Trocchia - ci dice:
Attilio
Bolzoni racconta a “Nello Trocchia” degli incroci tra Berlusconi e i fratelli
Graviano raccontati da Spatuzza e dell’inchiesta fatta per Repubblica, dal
titolo “Quell’affare
di mafia e mattoni”, che ha portato la magistratura a interrogarlo quasi
trent’anni dopo.
Pubblichiamo
un estratto del libro di Attilio Bolzoni “Controvento. Racconti di frontiera” edito da Zolfo editore (2023).
Roma,
20 marzo 1994.
Articolo firmato con Giuseppe D’Avanzo.
È il
cuore malato di Palermo. Macerie che resistono dal dopoguerra. Palazzi cadenti
e piazze vuote che segnano il confine dei quattro antichi Mandamenti della
città. È la più ricca «torta» immobiliare d’Italia, un affare da mille miliardi
di lire. E c’è un pentito di Cosa Nostra che parla del business.
Fa il
nome di Silvio Berlusconi.
È Totò
Cancemi, rappresentante della «famiglia» di Porta Nuova.
Le rivelazioni del boss disertore non si
fermano ai Quattro Mandamenti.
Racconta anche dei latitanti in visita «nella
tenuta tra Milano e Monza» di proprietà o comunque amministrata da Marcello
Dell’Utri, braccio destro del Cavaliere; degli interessi palermitani della
Fininvest; delle pericolose frequentazioni che – fin dal 1978 – Marcello
Dell’Utri, presidente di Publitalia, ha coltivato con gli uomini d’onore dei
più potenti clan siciliani.
Due
lunghe testimonianze, una confessione che Totò Cancemi ha cominciato il 18
febbraio e concluso esattamente una settimana dopo, la mattina di venerdì 25.
Le sue dichiarazioni, in questi giorni, sono
all’esame delle procure di Caltanissetta e Palermo.
Ma
anche i magistrati di Firenze e di Catania hanno sulle loro scrivanie due
dossier sugli amici e collaboratori di Silvio Berlusconi.
A
Catania, le investigazioni sarebbero concentrate su un giro di centinaia di
migliaia di dollari del clan Santapaola e su alcune società di Alberto
Dell’Utri, il fratello gemello del presidente di Publitalia.
A
Firenze, c’è un altro pentito che «parla» e accusa.
Per fatti di mafia, dunque, quattro procure
della Repubblica indagano su Silvio Berlusconi e i fratelli Dell’Utri.
Sono
queste le notizie che nella giornata di ieri hanno attraversato il Paese da
Milano a Palermo.
Con un seguito di indiscrezioni, ballon
d’essai, voci non controllate e non controllabili.
Allo stato dei fatti, ci sono tre elementi
certi.
Primo.
Il pentito Cancemi chiama in causa Silvio Berlusconi e i suoi due
collaboratori.
Secondo. Le indagini, in tutte e quattro le
procure, sono nella fase preliminare.
Si
stanno cioè raccogliendo conferme della consistenza delle accuse del pentito
per aprire formalmente l’istruttoria.
Terzo.
Né Berlusconi né Marcello e Alberto Dell’Utri sono per il momento iscritti
all’elenco degli indagati in nessuna delle «distrettuali» antimafia.
Ieri
sera è circolata insistente la voce che il presidente di Publitalia avesse già
lo status di indagato alla procura di Caltanissetta.
La voce non ha trovato alcuna conferma.
Al
contrario, ambienti giudiziari hanno precisato all’agenzia Ansa che «si indaga
su Marcello Dell’Utri in relazione a una vicenda di riciclaggio di denaro
proveniente dal traffico internazionale di stupefacenti affidato da Cosa Nostra
direttamente o indirettamente all’amministratore delegato di Publitalia».
Sempre
all’Ansa, Dell’Utri ha affidato nella notte la sua prima replica: «Sono accuse
farneticanti, ignobili calunnie».
L’inchiesta
incrociata sui vertici della Fininvest ha il suo epicentro in Sicilia, proprio
dove Totò Cancemi ha avuto una lunga carriera criminale:
da
semplice soldato della «famiglia» di Porta Nuova a rappresentante della Commissione provinciale di Palermo.
Il mafioso ha confessato ai giudici e ai carabinieri
del Ros i legami che stringono Marcello Dell’Utri e alcuni esponenti di Cosa
Nostra.
Un
elenco lunghissimo, composto non da uomini d’onore qualunque ma dai capi, dai
sottocapi e dai consiglieri di due delle più importanti «famiglie» di Palermo: quella di Porta Nuova e quella di
Santa Maria del Gesù.
Girolamo
Mimmo Teresi è il primo personaggio della lista fatta dal pentito Totò Cancemi.
Mimmo
Teresi era il più fidato amico di Stefano Bontate e suo consigliori.
Furono
uccisi entrambi, nel 1981, a distanza di un mese.
Gli
altri due nomi citati da Cancemi sono quelli di Pietro Lo Jacono e di Ignazio
Pullarà, una volta capidecina di Bontate e poi passati nelle fila dei
Corleonesi di Riina.
Ma
Totò Cancemi parla anche della sua «famiglia» e, soprattutto, del «punto di
riferimento» che aveva in Lombardia: Vittorio Mangano.
Non è
un mafioso sconosciuto alle cronache.
L’uomo
d’onore di Porta Nuova è stato il primo a trascinare il nome del Cavaliere
Silvio Berlusconi in una vecchia vicenda di mafia.
Vittorio Mangano è stato stalliere ad Arcore
(nella tenuta di Berlusconi) nella seconda metà degli anni Settanta.
Il
mafioso era emigrato da quelle parti e aveva trovato occupazione proprio ad
Arcore.
Silvio
Berlusconi, il 26 giugno 1987, al giudice istruttore milanese Giorgio Della
Lucia ha spiegato come conobbe quel picciotto palermitano:
«Avevo
bisogno di un fattore. Chiesi a Marcello Dell’Utri ed egli mi presentò il
Mangano, persona conosciuta da un suo amico…».
Insomma,
la spiegazione di un normale, anche se incauto, rapporto di lavoro.
Ma il
racconto di Totò Cancemi offre un’altra versione della presenza di Vittorio
Mangano in Lombardia.
Nella
«tenuta tra Monza e Milano – confessa il pentito di Porta Nuova – trovarono
rifugio Ciccio Mafara (un boss ucciso nei primi anni Ottanta nella guerra di
mafia) e, durante la latitanza, i fratelli Grado e Contorno, anche loro uomini
d’onore di Santa Maria del Gesù.
Gli
investigatori hanno ritenuto che si trattasse di “Totuccio Contorno”. Poi il
pentito ha spiegato: «No, non sono io. Credo che sia Giuseppe Contorno… In
quegli anni lui aveva interessi a Milano con i Pullarà, Ignazio e
Giovambattista».
Le
rivelazioni di Totò Cancemi non si fermano però alle amicizie e alle
frequentazioni mafiose di Marcello Dell’Utri.
Il
boss svela i retroscena del grande affare del centro storico.
Parla
degli investimenti che Silvio Berlusconi avrebbe fatto in attesa del secondo
«grande sacco» della città, quello che la mafia stava preparando dai tempi di
Lima e Ciancimino, Calò e Buscetta.
Totò
Cancemi indica espressamente l’acquisto di immobili da parte del Cavaliere.
E poi fa entrare in scena un misteriosissimo
personaggio che avrebbe fatto da intermediario, a Palermo, nell’«affare centro
storico».
Il pentito lo chiama «il ragioniere».
Sarebbe
stato questo «ragioniere», in nome e per conto di Berlusconi, a trattare
direttamente l’operazione.
Sarebbe stata, dunque, la mafia a favorire l’ingresso
in Sicilia del Cavaliere per spartire la «torta» del grande risanamento di uno
dei centri storici più belli d’Europa?
Su
queste dichiarazioni del pentito di Porta Nuova sono in corso investigazioni in
tutta la Sicilia occidentale.
Indaga
la procura di Palermo, ma anche quella di Caltanissetta dove Cancemi, per la
prima volta, ha deciso di vuotare il sacco sulle stragi mafiose dell’estate
1992.
Sono
indagini partite alla fine dello scorso febbraio e concentrate soprattutto a
Palermo, si cercano anche società in qualche modo legate a Marcello Dell’Utri e
a suo fratello Alberto.
Più
complessa e articolata l’inchiesta dei magistrati di Catania.
Anche
lì s’indaga sullo staff del Cavaliere, seguendo le tracce del «tesoro» di
Benedetto Nitto Santapaola e dei suoi fedelissimi prestanome.
I giudici hanno trovato collegamenti con
alcune società di Alberto Dell’Utri, il fratello di Marcello.
Collegamenti
che hanno lasciato una traccia: intercettazioni telefoniche.
Questa
di Catania è un’investigazione difficilissima, gli esperti partono da centinaia
di migliaia di dollari, i proventi del riciclaggio della «Santapaola Spa».
È questo il quadro più attendibile delle
indagini in corso. Meglio, di indagini che muovono appena i primi passi.
I
magistrati, pur rifiutando di fare qualsiasi commento, non nascondono
inquietudine e perplessità.
La fuga di notizie può pregiudicare
l’inchiesta?
La
preoccupazione, in alcuni palazzi di giustizia, è che «la danza» sia soltanto
agli inizi.
Una
valanga di voci indica frotte di pentiti testimoni del «caso Berlusconi».
È la
prima valanga di indiscrezioni senza fondamento che, già in queste ore,
intorbida e confonde l’intera indagine.
Un
caso per tutti.
Fonti
imprecisate hanno diffuso che anche il pentito Gioacchino La Barbera avrebbe
reso «esplosive dichiarazioni» su Silvio Berlusconi.
Avrebbe
detto: «Si sapeva dentro Cosa Nostra che Berlusconi era nostro amico, che con
lui si potevano fare affari».
In
realtà, ecco che cosa ha semplicemente riferito La Barbera:
«Sono stato contattato da alcuni uomini della
Fininvest, tra la fine del ’92 e l’inizio del ’93, quando avevano necessità di
installare nella zona di Palermo dei ripetitori tv.
Dovevo
occuparmi del movimento terra. Non avevo le macchine adatte. E quel lavoro non
lo feci io».
(“Controvento.
Racconti di frontiera” di Attilio Bolzoni, edito da Zolfo Editore).
Gli
Antisemiti Oggi sono
gli
Ebrei Stessi! Breve
Storia
dei “Kazari.”
Conoscenzealconfine.it
– (24 Luglio 2024) - Marcello Pamio – ci dice:
La
popolazione mondiale è stata ingannata a credere che la parola “semita” si
riferisca esclusivamente al popolo ebraico.
In
realtà niente è più lontano dalla Verità!
Le
parole “semita” e “antisemitismo” non appaiono neppure nell’edizione del 1828
dell’”America Dictionary of the English Language”.
Furono coniate solo verso la fine del secolo
scorso.
Ma
allora chi sono i semiti?
I semiti secondo l’autorevole “Oxford University
Dictionary” del 1944, sono il popolo appartenente alla razza umana che
comprende la maggior parte dei popoli citati in Genesi 10, che discendevano da
“Shem”, figlio di Noè, come gli Arabi, gli Ebrei e gli Aramei, e che parlavano
una lingua semitica come madrelingua.
Quindi
gli ebrei nella società moderna non hanno niente a che fare con gli ebrei dei
tempi antichi!
È un
fatto storico che circa il 95% degli ebrei moderni non sono di razza semitica:
sono di razza turca, i cosiddetti Cazari (o Kazari).
“I
Cazari non vennero dalla Giordania, ma dal Volga, non da Canaan, ma dal
Caucaso.
Geneticamente
sono parenti più degli Unni, degli Ungari e dei Magiari, che del seme di
Abramo, di Isacco e di Giacobbe.
La
storia dell’”impero Cazaro” man mano che sorge dal passato, comincia ad
assomigliare alla più crudele beffa che la storia abbia mai interpretato” (Arthur Kostler, “La tredicesima
tribù”).
Gli
ebrei dei nostri tempi sono divisi in due gruppi principali:
Sefarditi e Aschenaziti (o Ashkenaziti).
I
sefarditi sono i discendenti degli ebrei dei tempi antichi e negli anni
Sessanta il loro numero era stimato in 500.000.
Gli
aschenaziti o ebrei kazari nello stesso periodo erano circa 11 milioni.
L’enciclopedia
ebraica ci racconta dei Cazari:
“Un
popolo di origine turca la cui vita e storia sono collegate strettamente con
l’inizio della storia degli ebrei in Russia…
spinti
dalle tribù dei nomadi delle steppe e dal loro stesso desiderio di vendetta e
di preda.
Nella
seconda metà del VI° secolo i cazari si spostarono verso occidente…
il regno dei cazari era saldamente istituito
nella maggior parte della Russia meridionale molto tempo prima della fondazione
della monarchia Russa.
A quel
tempo il regno dei cazari era all’apice del suo potere e costantemente in
guerra.
Alla
fine dell’VIII° secolo il “Cagan”, il re dei cazari, e altri personaggi
importanti, insieme con molto del suo popolo pagano, adottarono la religione
ebraica.
Avendo i cristiani alla loro sinistra, e i
musulmani alla loro destra, fu loro chiesto di aderire a una delle due
religioni.
Intorno
al IX° secolo sembra che tutti i cazari fossero ebrei e che si fossero
convertiti al giudaismo solo poco tempo prima! “
Perciò,
impariamo da fonti rigorosamente ebraiche che la maggior parte degli ebrei
moderni non possono rivendicare di essere discendenti degli ebrei originali, e
possibili eredi della Palestina.
A
causa di questo fatto storico, il termine “antisemitismo” non si riferisce agli
Ebrei moderni!
Tale
termine è usato come parola offensiva.
Quando
i cosiddetti ebrei sentono che qualcuno si oppone ai loro obiettivi, li
etichettano usando la parola “antisemita” o “antisemitico”, attraverso i canali
mediatici che hanno a disposizione e controllano.
E li
controllano tutti!
Una
delle più potenti famiglie cazare del mondo è quella dei Rothschild, il cui
nome significa “Scudo Rosso”, non a caso simbolo dei Cazari!
Poiché
gli ebrei moderni non sono di origine ebraica, non hanno mai avuto e né avranno
mai il diritto di rivendicare la terra della Palestina.
Lo
Stato di Israele quindi è assolutamente illegale.
Nessuno
può negare che oggi la popolazione più antisemita è probabilmente quella degli
ebrei moderni.
Perché
vi chiederete?
Semplice:
odiano e combattono gli arabi perché loro sono realmente d’origine semita!
(Marcello
Pamio)
(t.me/marcellopamio)
Il
Blocco degli Houthi
Manda
in Bancarotta
il
Porto Israeliano di Eilat.
Conoscenzealconfine.it
– (23 Luglio 2024) - Robert Inlakesh – ci dice:
Nonostante
la formazione di una coalizione navale multinazionale guidata dagli Stati
Uniti, il porto di Eilat, controllato da Israele, sarebbe andato in bancarotta
e starebbe cercando un salvataggio da parte del governo.
La
situazione sottolinea il fallimento degli sforzi guidati dagli Stati Uniti
contro il blocco attuato nel Mar Rosso dall’organizzazione militare yemenita
“Ansar Allah” – nota in modo peggiorativo come “Houthis” – fino a quando
Israele non porrà fine alla sua guerra contro Gaza.
“Bisogna
riconoscere che il porto è in uno stato di bancarotta“, ha dichiarato “Gideon
Golber”, amministratore delegato del porto di Eilat, che da mesi parla delle
sue disastrose condizioni economiche e ora chiede il sostegno finanziario del
governo israeliano.
Parlando
alla Commissione Affari Economici della Knesset il 7 luglio, “Golber” ha
sottolineato che in seguito al blocco del Mar Rosso da parte di “Ansar Allah”
l’attività economica è cessata.
Il 19
novembre, al largo di “Hodeidah”, “Ansar Allah” sequestrò la nave israeliana
“Galaxy Leader”, dichiarando l’operazione un atto di solidarietà con Gaza.
Il generale di brigata “Yahya Saree”, portavoce delle
“Forze Armate yemenite”, annunciò poi che a nessuna nave legata a Israele
sarebbe stato consentito il passaggio nel Mar Rosso.
Sebbene
“Ansar Allah” avesse iniziato a sparare missili e droni contro Israele il 19
ottobre, il blocco totale del Mar Rosso per impedire alle navi di raggiungere
il porto di Eilat, gestito da Israele, non fu pienamente applicato fino alla
fine di novembre.
A
dicembre, il Segretario alla Difesa statunitense “Lloyd Austin” annunciò che
gli Stati Uniti avrebbero guidato una coalizione navale multinazionale
denominata “Operazione Prosperity Guardian” per garantire il libero passaggio
delle navi dirette a Eilat.
Secondo
la “Reuters”, nel primo mese di blocco l’attività economica del porto di Eilat
è calata dell’85%.
Nonostante lo scarso successo degli sforzi delle
marine statunitensi e britanniche per combattere il blocco, esse sono rimaste
fiduciose di poter ripristinare il flusso di navi verso Israele.
Tuttavia,
dopo le continue sconfitte inflitte da “Ansar Allah”, che ha impedito alle navi
di attraversare quelle acque pur difese dalla coalizione guidata dagli Stati
Uniti, è stata annunciata un’altra operazione militare, l’operazione “Poseidon
Archer”.
Questa
operazione, che mirava a distruggere le infrastrutture militari yemenite, non è
però riuscita a localizzare gli obiettivi critici.
Dopo
un attacco yemenita su larga scala contro le navi americane il 10 gennaio, sono
continuati gli attacchi aerei periodici e gli attacchi di rappresaglia contro
le navi.
A
giugno, l’amministratore delegato del porto di Eilat ha dichiarato:
“Sono
sette mesi che non si lavora. “
Ha
attribuito questo fatto alla debolezza della coalizione nel trattare con “Ansar
Allah”:
“Nonostante
la guerra non è possibile trascurare questo problema.
Purtroppo
non ci sono soluzioni, quindi non mi vergogno di dire ai clienti di pagare agli
Houthi 100.000 dollari per attraversare, e io parteciperò al finanziamento. Non
dormo la notte, e se si devono pagare gli egiziani per passare il Canale di
Suez, o gli Houthi per passare “Bab al Mandab”, allora è quello che serve“.
Un
mese prima, il porto di Eilat è stato criticato per aver minacciato di
licenziare metà dei suoi circa 120 lavoratori.
Questa
mossa ha attirato la condanna del principale sindacato israeliano, l’”Histadrut”,
e ha persino coinvolto la” Knesset” israeliana.
Ciò
nonostante, il collasso economico del porto di Eilat, che è avvenuto negli
ultimi otto mesi ed è stato trattato dai media ebraici israeliani, ha ricevuto
poca attenzione dai media occidentali.
Ciò è
probabilmente dovuto al clamoroso fallimento militare dell’”Operazione
Prosperity Guardian”, che ha prosciugato ingenti risorse e fondi dei
contribuenti statunitensi nel tentativo, imbarazzante e alla fine fallito, di
salvare un porto israeliano.
(Robert
Inlakesh - analista politico, giornalista e documentarista).
(mintpressnews.com/us-naval-efforts-falter-as-yemens-blockade-bankrupts-israels-eilat-port/287894/)
“L’ideologia
gender è pericolosa”
di
Laura Schettini.
Pandorarivista.it
– Olimpia Capitano – (6-3-2024) – ci dice:
(Recensione
a:” Laura Schettini, L’ideologia gender è pericolosa”, Laterza, Bari-Roma 2023.)
Negli
ultimi anni le questioni di genere hanno preso spazio nel dibattito pubblico,
sia grazie alla crescita del movimento transfemminista “Non Una di Meno”
(evidente dai numeri della manifestazione del 25 novembre di quest’anno), sia
perché esse sono diventate tema centrale nella costruzione della propaganda
delle destre.
Può essere utile partire da un paradosso:
il
discorso politico promosso dalle destre evoca il genere come pericolo
incombente mentre, tuttavia, ne lamenta la fumosità e relega la questione a una
nicchia sociale priva di problemi “reali” nella vita.
Laura Schettini, ricercatrice in storia
contemporanea presso l’Università di Padova e autrice di” L’ideologia gender è
pericolosa” (Laterza 2023), prende le mosse proprio da questa apparente
contraddizione e cerca di scioglierla nel corso del testo, in prospettiva
storica e teorica.
Nel
primo capitolo l’autrice ricostruisce la storia della polemica intorno alla
presunta esistenza di un’ideologia gender e analizza la campagna anti gender, i
suoi obiettivi, il ruolo che il femminismo ha giocato e tuttora gioca in questa
partita.
Nel
secondo capitolo approfondisce come e perché il genere è stato introdotto nelle
scienze umane e i suoi significati.
Infine, Schettini mostra come, almeno dalla
fine dell’Ottocento, si sia cercato di costruire la nazione su un’idea precisa
di famiglia, di cosa implichi essere o uomo o donna, di quali siano le forme
della sessualità e i corpi accettabili.
Gli
studi concordano nell’individuare nella conferenza mondiale sulle donne di
Pechino del 1995 il momento in cui la Chiesa inizia a denunciare la categoria
del gender ma, come sottolinea Schettini sin dall’inizio del primo capitolo,
già all’indomani della conferenza ONU su popolazione e sviluppo (1994) e
durante i lavori preparatori per quella di Pechino, l’ostilità verso il termine
gender aveva iniziato a palesarsi.
D’altronde,
fu estremamente rilevante l’impatto dell’introduzione di un discorso sui
diritti riproduttivi da parte delle femministe, così come la loro inedita
visibilità nelle organizzazioni non governative che parteciparono agli incontri
preparatori e alle conferenze.
La base teorica della formulazione
dell’ideologia gender si trova negli interventi e nei pamphlet che furono
scritti e fatti circolare durante il forum delle ONG di Pechino.
In particolare, Dale O’Leary, giornalista
ultracattolica e militante dei gruppi che lei stessa definì movimenti pro life
e pro family, portò a Pechino il testo Gender:” the deconstruction of women”.
Questo pamphlet introdusse dispositivi
discorsivi e strategie comunicative che, per quanto in parte mutati, sono
ancora largamente utilizzati da pro family e anti gender.
Anzitutto
si parte dall’idea che il dato biologico implichi una netta distinzione binaria
tra uomini e donne e ne determini le diverse vocazioni sociali e familiari – va
da sé che niente è concepibile al di fuori dell’eteronormatività.
Dunque, ci si sofferma sulla differenza tra
femminismo ottocentesco dell’equità e femministe del genere:
le prime avrebbero riconosciuto la differenza
biologica e avrebbero agito entro i suoi confini.
Le seconde, invece, avrebbero messo a rischio
la salute fisica e psichica delle donne, esponendole a inadeguate
sollecitazioni contrarie alla loro “natura”.
Le
donne, infatti, avrebbero modo di esprimere la propria forza e potere
esclusivamente all’interno di dimensioni predeterminate, come quella domestica
e familiare.
Rifiutare
questo porterebbe a negare la propria specificità per seguire un modello
maschile, contribuendo al suo trionfo ma senza proporre misure concrete per
aiutare le donne.
In
sostanza, le teorie del gender hanno iniziato a essere progressivamente
raccontate soprattutto come qualcosa che prima di tutto attacca i diritti delle
donne, impedendo una trasformazione sociale a loro misura.
Il tema della concretezza si è reso evidente
anche in rapporto al dibattito intorno al sessismo nella lingua italiana.
Negli
anni Settanta e ancora di più negli anni Ottanta, i movimenti delle donne
iniziarono ad attirare l’attenzione sul ruolo del linguaggio nel rimarcare e
radicare le asimmetrie di genere, senz’altro riproducendole, ma anche
collaborando a produrle.
Osservare
in prospettiva storica l’uso del linguaggio e le sue trasformazioni, come
sottolinea Schettini, permette di comprendere la centralità politica della
questione:
nel
1984 fu creata una Commissione per la parità tra uomo e donna, che produsse le
Raccomandazioni per un uso non sessista della linga italiana:
per la scuola e l’editoria scolastica (1986).
Le
Raccomandazioni ebbero il merito di confutare esplicitamente l’argomento della
sacralità della lingua italiana, sottolineandone la struttura dinamica e sempre
mutevole – si pensi alla continua acquisizione di neologismi entrati a far
parte del costume sociale o all’adozione nel vocabolario di parole di
provenienza estera.
Tuttavia,
le reazioni ai mutamenti linguistici non sono sempre le medesime:
le
trasformazioni che non coinvolgono in modo profondo le strutture sociali
vengono più facilmente accettate;
in caso contrario, determinano conflittualità
sociale.
La
lingua si pone come territorio politico e minimizzare tali questioni significa
compiere un tentativo di invisibilizzazione politica.
Questioni più che concrete, dunque.
Un
altro tema importante che è largamente approfondito da Schettini nel secondo
capitolo è quello del rapporto tra la nascita della storia delle donne e
l’esplosione dei movimenti femministi.
I movimenti delle donne, infatti,
individuarono subito nella narrazione storica uno dei terreni principali di
costruzione e legittimazione dell’oppressione patriarcale, perciò un campo di
battaglia entro cui agire.
Le
femministe sottolinearono che la storia non era giustapponibile al passato,
quanto alla narrazione del passato, parziale e orientata da chi la scrive.
I
movimenti femministi rilevarono ben presto le relazioni tra la cancellazione
delle donne dalla narrazione storica e la loro svalorizzazione nel presente da
una parte, e tra il protagonismo storico degli uomini e le loro posizioni di
potere e dominio dall’altra.
“Angela
Groppi” e “Margherita Pelaja”, studiose centrali per la storia delle donne in
Italia, affermarono che «interrogare la storia, guardare al passato per
ritrovarvi i graffiti di esistenze femminili mute e nascoste o per riportare
alla luce i fiumi carsici dei movimenti delle donne è stata una passione e una
esigenza nata all’interno del femminismo italiano».
La
nascita di questo ragionamento in Italia è ben rappresentata dall’editoriale
del numero di esordio di DWF, rivista dedicata agli studi sulle donne e
pubblicata per la prima volta nel 1975.
Nell’editoriale
si espresse chiaramente la necessità di porre le donne al centro nelle
discipline – soprattutto antropologia, storia, letteratura – partendo dalla
consapevolezza che le scienze umane potevano essere espressione e garanzia di
ideologie e istituzioni fondate sulla discriminazione.
Anche
per questo i luoghi di produzione intellettuale delle donne spesso non furono
università ma luoghi altri:
i centri di documentazione, le case editrici,
le biblioteche, le librerie delle donne.
I primi studi furono soprattutto dedicati alla
restituzione di esperienze collettive di donne, privilegiando le ribelli del
passato e i fenomeni da cui emergevano alterità e specificità, tra cui la
caccia alle streghe;
la partecipazione a momenti chiave della vita
politica nazionale come il Risorgimento, la Liberazione e la Resistenza; o
ancora, la storia dei corpi e della sessualità, della famiglia, dell’aborto e
della maternità.
Il
fine era quello di rompere il carattere unitario e progressivo della narrazione
storica, di mettere in crisi le grandi narrazioni, le categorie dell’analisi
storica, le sue periodizzazioni.
Tuttavia,
la storia delle donne aveva in sé dei limiti che vennero messi a critica nel
corso degli anni Ottanta.
Una ricca storiografia sulla domesticità,
soprattutto statunitense, fece propria la concettualizzazione delle sfere
separate, ossia il riconoscimento di un confinamento storico delle donne nello
spazio distinto della casa, inteso come luogo del privato laddove svolgere le
proprie funzioni “naturali”.
Tuttavia, la sfera domestica, non fu solo
luogo di oppressione ma anche di rapporti, complicità, affetto ed erotismo tra
donne: ma tra quali donne?
Iniziò
a emergere la variabilità, sincronica e diacronica, dei modelli prescritti, dei
ruoli riservati alle donne e delle tipologie di relazioni intessute, sulla base
di molti altri fattori e circostanze, tra cui la provenienza e la condizione di
classe.
Si
realizzò la necessità di approfondire tale complessità e, al contempo, si
comprese l’insufficienza di una ricostruzione della storia delle donne intese
come gruppo omogeneo.
Il
rischio era insomma quello di creare una storia compensativa, con scarsi
margini di incidenza sull’obiettivo di cambiare le narrazioni costituite e,
dunque, di mettere in discussione i rapporti di potere.
Alcune
autrici misero a tema la necessità di allargare lo sguardo, di andare oltre la
messa a fuoco della presenza delle donne nel passato, concentrandosi sulla
dinamica di costruzione delle relazioni di potere – tra queste ebbero un ruolo
fondamentale “Joan Kelly-Gadol”, “Natalie Zemon Davis”, “Joan Scott” e, in
Italia, Gianna Pomata.
Si
iniziò a superare un orientamento delle ricerche fondato sulla differenza tra i
sessi e si cominciò a indagare i significati di volta in volta attribuiti a
questa differenza.
Il
punto non fu più l’esistenza o meno di un’identità biologica femminile o
maschile ma cosa culturalmente e politicamente si era costruito intorno a esse
e con quali obiettivi:
guardando
a tali significati si rese possibile produrre un ripensamento delle strutture
sociali, del potere, dei simboli e delle periodizzazioni.
La
categoria del genere fu il dispositivo teorico per assumere tali premesse, lo
strumento principale per analizzarle all’interno di una molteplicità di ambiti
di ricerca.
La
storia delle donne e di genere è uno strumento essenziale per decostruire gli
argomenti dell’ideologia gender, incentrata su distinzione biologica e
“naturalità” dei ruoli, della famiglia e degli orientamenti sessuali.
Infatti,
la ricerca storica ha svelato come nel corso del tempo, all’interno di contesti
radicalmente differenti, le persone abbiano costruito famiglie diverse, fatte
di una donna o di un uomo con i figli, di più coppie, di persone con legami di
sangue e non, di figli non biologici, di relazioni non eterosessuali e via
dicendo.
Allo stesso modo, si è rivelata l’esistenza di
corpi e posture, di estetiche e pratiche non conformi: dinamiche che non sono
proprie della contemporaneità ma che – verrebbe da dire “naturalmente” – hanno
attraversato la storia.
Nel
terzo capitolo “Schettini” ce ne mostra alcune tracce, raccontandoci di
moltissime esperienze che hanno osteggiato e superato i confini tra i generi.
Si tratta di episodi apparentemente “piccoli”
ma che hanno scosso cronache nazionali e internazionali, scomodato illustri
scienziati e costituito un cruccio per decoro e pubblica sicurezza – in Italia
soprattutto nell’Ottocento.
Non
c’è ragione per credere che tutto ciò non esistesse o esistesse in forma e
numeri radicalmente meno visibili prima dell’Ottocento:
i
caratteri di novità, piuttosto, sono nel rilievo politico acquisito da sesso e
genere. Nella seconda metà di quel secolo si decise di fissare le fondamenta
della nuova nazione assegnando una funzione essenziale di stabilità alla
famiglia, alla separazione tra la sfera pubblica legata alla cittadinanza
maschile e la sfera privata legata alla domesticità femminile.
Un
ulteriore contributo – in termini teorici e di pratiche politiche – alla
decostruzione di questi assunti “naturali” è emerso grazie ai movimenti di
liberazione sessuale negli anni Ottanta del Novecento.
La
prima sistematizzazione teorica dal valore politico e programmatico della
contestazione del binarismo di genere fu elaborata da “Teresa de Lauretis” a
inizio anni Novanta:
quest’ultima
introdusse nel dibattito accademico la “Queer theory”, riprendendo un termine
diffuso come insulto negli ambiti omosessuali nell’Ottocento e poi ripreso come
categoria di identificazione sociale e politica, per introdurre nuovi elementi
di complessità e sottolineare che non tutte le forme di sessualità si definivano
entro logiche binarie, in opposizione all’eterosessualità, o in forme stabili.
Gli studi si sono poi sviluppati ponendo a
tema come etnia, provenienza sociale determinassero esperienze diverse e
conflittualità anche all’interno di macro categorie identitarie (“gli
omosessuali”, ad esempio).
Una
delle studiose che ha avuto più seguito in questi anni di diffusione della
teoria queer è stata “Judith Butler”:
la sua sistematizzazione teorica implicò una
opposizione al binarismo meno focalizzata sugli orientamenti sessuali e che
poneva al centro i significati attribuiti alle differenze e alle identità
sessuali.
Secondo
l’autrice le identità di genere sono intese come performance, ossia come
ripetizioni e interpretazioni di norme e aspettative sociali.
Rompere
le performatività normative attraverso atti corporei sovversivi, come
travestimenti, travisamenti, confusioni di genere, diventa in questo senso uno
strumento rivoluzionario contro il sistema binario.
Dunque,
in conclusione, seguendo il ragionamento di “Schettini” e le posizioni esposte
fin qui, la centralità contemporanea della questione gender appare come
prodotto di processi opposti:
da un
lato la lunga durata del progetto di costruzione nazional-familista proprio
delle destre e del cattolicesimo conservatore, legato all’idea di nazione come
comunità etnica;
dall’altro,
la presenza e l’agire di esperienze e culture politiche – anche diverse e in
contrasto tra loro – che hanno mosso e continuano a muovere una critica
radicale a questo progetto, disattendendo attraverso la violazione, sia
estetica sia politica, della costruzione di confini tra i generi.
Si
tratta, ad ogni modo e benché in forme diverse, di una questione di potere, di
un conflitto tra modelli dominanti e parti sociali, posizionamenti, pratiche e
identità non riconosciute e discriminate.
In questo senso è senz’altro augurabile che
l’ideologia gender sia un’ideologia pericolosa.
Musk
attacca l’ideologia gender
“Mio Figlio “ucciso” dal virus woke”.
Laverita.info
– Francesco Bonazzi – (24 luglio 2024) – ci dice:
L’imprenditore
attaccai dottori per il cambio di sesso del figlio Xavier: “MI mentirono”.
Un
figlio diventato donna “ucciso dal virus mentale woke”.
Vivian
Jenna Wilson, nata Xavier Musk ha 20 anni e per fortuna è viva e vegeta, ma il
padre Elon si è ampiamente pentito di aver dato l’assenso al suo cambio di
sesso.
E ora
promette una lotta senza quartiere contro l’ideologia che, partendo dal
politicamente corretto e arrivando al cancel culture, intende annullare le
differenze di genere.
Il
fondatore di Tesla è andato giù duro in una intervista televisiva e lo ha fatto pochi giorni dopo aver
annunciato il trasferimento della sede
di “X “dalla California al Texsas, per via della nuova legge
californiana che vieta alle scuole di avvertire i genitori se un allievo inizia
a usare pronomi diversi per riferirsi a se stesso.
Vivian
ha un fratello gemello e con il padre Elon Musk non parla sia per il cambio di
sesso e sia per motivi politici, dal momento che si proclama comunista convinta
e “odia i ricchi”, come racconta lui.
IL
miliardario sudafricano, 53 anni, seppe della sua intenzione di cambiare sesso
dalla cognata, quattro anni fa, e diede il proprio consenso nel timore che
Xavier potesse suicidarsi.
UN
“errore” che non si perdona e per il quale grida alla truffa.
Musk
si è fatto intervistare dalla TV conservatrice “Daily Wire”e ha risposto alle
domande di un noto psicologo americano, Jordan Peterson.
Ha
raccontato che suo figlio era chiaramente un adolescente “stranito” e confuso,
a sedici anni, e che “è stato ucciso dal virus mentale woke”.
Parole
dette con evidente dolore, ma assai pesanti.
Ecco
il racconto di Musk:
Mi
hanno sostanzialmente ingannato nel dare il consenso ai farmaci che bloccano la
pubertà (…) parlandomi anche del rischio di suicidio in caso di diniego (…)
Questo
è successo nel 2022, prima che io capissi cosa stava succedendo.
C’era
il Covid, c’era molta confusione e mi è stato detto che Xavier avrebbe potuto
togliersi la vita se non faceva quella cosa.
(…)
I
farmaci che bloccano la pubertà sono stati definiti da Musk “semplici
sterilizzatori “. Poi ha parlato da padre, con enorme tristezza:
“Essenzialmente
ho perso mio figlio e adesso capisco se chiamano questa cosa
“dead naming”.
Lo
chiamano così perché tuo figlio è morto e mio figlio lo è.”Ucciso dal virus
Woke”
(…)
Se
questa è la tragedia personale di Elon e Vivian che hanno rotto ogni rapporto
(lei ha preso il cognome della madre), c’ è un profilo pubblico perché
l’imprenditore (…) si è schierato con Donald Trump.
(…) Pochi giorni fa Musk ha annunciato
che sposterà la sede di “X” in Texas dopo che il governatore Gavin Newsòm,
democratico, ha vietato alle scuole di informare i genitori dei ragazzi che si
fanno chiamare con pronomi diversi da quelli che risultano dai documenti.
“Questa
è l’ultima goccia” ha commentato. (…)
Case
green, la direttiva “morbida”
delude gli ambientalisti e
preoccupa
i proprietari.
Editorialedomani.it
– (17 marzo 2024) - ENRICO DALCASTAGNÉ – ci dice:
La
direttiva votata dal Parlamento Ue prevede lo stop alle vecchie caldaie e nuovi
sostegni ai pannelli solari.
La
versione approvata ha scadenze lunghe, ma il centrodestra vota contro e parla
di «eco-follia».
Per i
costruttori la norma sarà difficile da applicare e i costi ricadranno sulle
famiglie.
Legambiente: «Le lobby frenano la transizione
ecologica»
Per i
sostenitori porterà a un calo delle emissioni e alla creazione di posti di
lavoro, per i critici non cambierà nulla e metterà in difficoltà le famiglie.
La “direttiva
Case green,” approvata martedì dal Parlamento europeo, mira a ridurre le
emissioni di gas serra e i consumi energetici degli edifici entro il 2030, per
arrivare alla neutralità climatica per il 2050.
Gli
edifici nuovi, sia pubblici che privati, dovranno essere a emissioni zero,
mentre per quelli esistenti si prevedono nuovi requisiti di efficienza.
Un
traguardo ambizioso, frutto di lunghe trattative, a cui si sono opposti i
partiti al governo:
Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno
votato contro, nonostante la versione approvata sia più soft rispetto alla
proposta della Commissione.
Per la
sua adozione definitiva, il documento dovrà essere approvato dal Consiglio Ue;
una
volta entrato in vigore, l’Italia e gli altri paesi avranno due anni di tempo
per preparare piani nazionali con le misure da seguire per centrare gli
obiettivi.
RISCALDAMENTO
ALTERNATIVO.
Secondo
l’intesa, almeno il 16 per cento degli edifici pubblici con le peggiori
prestazioni andrà ristrutturato entro il 2030 e la percentuale salirà al 26 per
cento entro il 2033.
Per le
case private si applicherà un obiettivo di riduzione dei consumi del 16 per
cento dal 2030 e del 22 per cento entro il 2035.
Per garantire flessibilità, gli stati potranno
applicare esenzioni per gli edifici storici, agricoli, militari e per quelli
utilizzati temporaneamente.
Un
punto centrale riguarda l’addio alle vecchie caldaie.
Lo
stop definitivo alla vendita dei motori alimentati a gas e metano, inizialmente
previsto per il 2035, è stato posticipato al 2040.
Ma già
dal prossimo anno le caldaie a combustibile fossile non potranno più essere
incentivate.
Al
contrario, saranno possibili incentivi per i sistemi che combinano una caldaia
con un impianto solare termico o una pompa di calore.
L’obbligo
di installare i pannelli solari, invece, riguarderà i nuovi edifici pubblici e
sarà progressivo, dal 2026 al 2030, mentre saranno attuate strategie e misure
nazionali per dotare di impianti solari gli edifici residenziali.
È
proprio l’abbinamento tra pannelli solari e caldaie a pompa di calore, infatti,
una delle tipologie di interventi che consentono di fare il salto di classe
energetica.
UNA
DIRETTIVA SVUOTATA?
La
proposta avanzata dalla Commissione aveva scatenato forti polemiche in Italia,
ma la versione uscita dal negoziato è molto meno vincolante e non impone alcun
obbligo ai proprietari delle abitazioni.
Tanto che alcuni gruppi ambientalisti hanno
parlato di un provvedimento «svuotato di senso».
Eppure, tra le delegazioni italiane
all’Europarlamento hanno votato a favore solo Partito democratico, Movimento 5
stelle, Alleanza verdi e sinistra e Italia viva.
«Nella
sua ultima versione è una discreta direttiva, certo un po’ annacquata rispetto
alle intenzioni iniziali.
L’impianto regge, ma purtroppo hanno pesato le
pressioni di quei gruppi parlamentari che vedono negativamente il Green deal –
dice a Domani Stefano Ciafani, presidente di Legambiente –
In
generale, comunque, l’obiettivo di decarbonizzare anche tramite interventi
sull’edilizia è rimasto in piedi».
L’associazione
è però critica con una delle modifiche della versione approvata:
il
bando completo agli apparecchi alimentati a combustibili fossili, posticipato
al 2040.
«È
sbagliato continuare a favorire il mercato delle caldaie a gas, dato che oggi
si possono riscaldare gli ambienti ricorrendo alle pompe di calore, che non
sono tanto costose.
Si rimanda l’addio alle vecchie caldaie per
fare un piacere alle lobby», dice ancora Ciafani.
LA
PECULIARITÀ ITALIANA.
All’approvazione
del testo si è opposto Matteo Salvini, che ha parlato di «un’ennesima follia europea: grazie
all’impegno della Lega erano state fermate alcune eco-follie, ma non è
bastato», ha detto il capo del Carroccio.
E il
provvedimento preoccupa gli stakeholder del settore immobiliare.
Per
Confedilizia, la confederazione dei proprietari di casa, è un testo «migliorato
ma difficilmente realizzabile», considerato che il nostro patrimonio edilizio è
molto vecchio (il 74 per cento delle case è sotto la classe D, cioè di
un’efficienza media).
«Secondo
alcune stime, ogni famiglia dovrebbe sborsare dai 20 ai 55mila euro», ha
avvisato il presidente Giorgio Spaziani Testa.
Altre
criticità riguardano il timore che la “corsa al green” possa deprezzare le
abitazioni poco ecologiche:
l’Aspesi,
la prima associazione italiana di imprese immobiliari, ha lamentato una
svalutazione che potrebbe essere tra il 30 e il 40 per cento.
Più
equilibrato è il giudizio di Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, la
principale associazione dei costruttori:
«C’è
stata una battaglia, che noi abbiamo compreso, per mitigare misure che
rischiavano di essere irrealistiche. C’era un approccio troppo ideologico che è
stato superato. Ora è il momento di chiudere ogni scontro e metterci tutti
insieme per raggiungere gli obiettivi previsti».
«Nella
sua prima versione il testo non teneva presenti le particolarità del nostro
patrimonio immobiliare: l’Italia ha immobili vetusti e soprattutto nelle mani
di privati, e in più dobbiamo convivere con il rischio sismico – dice
Brancaccio a Domani – Il paese subirà un impatto maggiore rispetto a stati con
un tessuto urbano differente: per questo servono incentivi adatti al contesto
italiano».
DA
DOVE VENGONO I SOLDI
Fin
dalla sua presentazione, la proposta ha alimentato polemiche per l’assenza di
finanziamenti da parte dell’Unione europea.
E le
risorse costituiscono il punto debole della direttiva anche nella sua ultima
versione.
Pure i
deputati che l’hanno appoggiata sono delusi dal fatto che non sia previsto uno
stanziamento specifico, che difficilmente arriverà nella prossima legislatura,
con un Parlamento che potrebbe spostarsi a destra.
La
Commissione stima che entro il 2030 serviranno 275 miliardi di investimenti
annui per la svolta energetica del parco immobiliare, cioè 152 miliardi
all’anno in più rispetto alle risorse attuali.
Per il
momento gli stati dovranno accontentarsi dei fondi disponibili, a cominciare da
quelli del Recovery fund.
A
questi si sommano i tradizionali fondi di coesione, che prevedono la
ristrutturazione energetica tra gli usi prioritari.
A
partire dal 2026 entrerà poi in campo il “Social climate fund”.
Oltre
al nodo degli stanziamenti, c’è un’incognita che riguarda le misure specifiche
per raggiungere gli obiettivi.
Ed è
una pagina ancora tutta da scrivere.
«Servono strumenti di pianificazione di lungo
periodo, non interventi emergenziali. L’Europa deve strutturare un fondo per la
transizione – dice la presidente dell’Ance – Si dovranno prevedere strumenti ad
hoc, dai mutui green al ripristino della cessione del credito».
«Il
centrodestra teme tanto la patrimoniale, ma c’è una patrimoniale che chi
possiede una casa e chi è in affitto conosce già: è la bolletta del gas –
rilancia Ciafani –
L’Italia consenta a proprietari e affittuari
di superare il problema al più presto.
Per
farlo bisogna efficientare gli edifici ricorrendo a nuovi sgravi fiscali e
tornare alla cessione del credito d’imposta sulle opere di ristrutturazione».
La
maggioranza Ursula perde i pezzi.
Finestre
di dialogo con i Verdi e i Conservatori.
Rainews.it
– (22-6-2024) – Redazione – ci dice:
“Renew
“perde i pezzi e la maggioranza storica è a quota 399. Troppo pochi per
superare l'ostacolo dei franchi tiratori. L'apertura ai Verdi crea problemi al
Ppe mentre quella ai Conservatori è complicata per la divisione interna ad Ecr.
Un
leader convertito al populismo fuori dal gruppo ma, soprattutto, sette
eurodeputati in meno.
I liberali di Renew perdono la delegazione
ceca, guidata all'ex premier Andej Babis e scendono a 74 seggi, ormai a nove di
distanza dal gruppo dei conservatori e riformisti.
Mai,
nella storia recente dell'unione, l'eurocamera aveva iniziato con un così
corposo movimento di delegazioni da un gruppo all'altro.
Nel caso di Babis, il suo addio era atteso e
permetterà a Renew di accogliere un'altra delegazione ceca, composta dai due
eletti del movimento Stan.
L'addio
di Ano accresce l'allarme per i numeri della maggioranza Ursula, scesa sotto
quota 400.
E con
l'incubo dei franchi tiratori pronto a concretizzarsi, per Ursula von der Leyen
l'appoggio esterno all'asse Ppe-S&d-Renew appare inevitabile.
Babis
va a ingrossare il già grande gruppo dei non iscritti. "ha scelto un
percorso populista che è incompatibile con i nostri valori", ha
sottolineato la macroniana Valerie Hayer.
L'ex
premier, famigerato per i suoi servizi di sicurezza e coinvolto in varie
inchieste giudiziarie, potrebbe contribuire alla formazione di un gruppo
targato Visegrad, con gli orbaniani, il partito slovacco Smer di Robert Fico e
gli sloveni di Janez Jansa, attualmente nel Ppe ma in odore di uscita.
Mancano
solo le delegazioni di tre paesi per formare un nuovo gruppo tutto a trazione
iper-populista.
La
somma della maggioranza Ursula fa al momento 399 (189 popolari, 136 socialisti
e 74 liberali), 39 più della soglia minima.
Ed è un margine troppo labile per dormire
sonni tranquilli. Basti pensare che nel 2019 furono una settantina i franchi
tiratori.
L'ipotesi
di allargamento ai Verdi.
Alla
presidente della commissione servirebbe l'appoggio dei verdi (51 seggi) o
quello di una parte di Ecr, a cominciare dai meloniani.
Aritmeticamente farebbe comodo avere entrambi
a bordo.
Politicamente il discorso è diverso. I verdi
cercano una legittimazione all'interno della coalizione.
Nel
Ppe la reazione è stata fredda.
"nessuno
ancora ci ha invitati al tavolo", hanno ammesso dai greens.
Una
nutrita fronda del Ppe non si fida dei verdi, a cominciare dal leader Manfred
Weber.
"i
verdi sono pronti a sostenere l'accordo con la Tunisia sui migranti? O
l'accordo Mercosur?", è la domanda che circola tra i più scettici.
"Ogni apertura ai verdi farebbe perdere
voti anziché guadagnarli", ha avvertito il capodelegazione di Fi Fulvio
Martusciello.
L'ipotesi
di allargamento ai Conservatori.
Dalla
parte opposta, invece, c’è l'apertura a Giorgia Meloni.
La trattativa è delicata, i tatticismi
mascherano le reali intenzioni dei giocatori al tavolo.
A von
der Leyen basterebbe che Fdi votasse sì in plenaria e l'importanza dell’Italia
coadiuva l'ipotesi che a Roma sia assegnato un commissario di peso.
Meloni,
tuttavia, su questo punto non si è ancora scoperta e porta con sé la zavorra di
un gruppo, quello di Eco, che per metà è pubblicamente contrario ad un’Ursula
bis.
La Spitzenkandidat del Ppe, nei prossimi
giorni, dovrebbe parlare con le singole delegazioni: sarà lei che dovrà gestire
la parte meno nobile della trattativa - quella delle poltrone - prima del
vertice dei 27 di giovedì e venerdì.
Ursula
von der Leyen è stata rieletta
presidente della Commissione europea.
Wired.it
– Riccardo Piccolo – (18-7-2024) – ci dice:
Nel
suo discorso al Parlamento europeo, l'annuncio di un commissario al
Mediterraneo e della lotta al cyberbullismo. Ottenuta la maggioranza
dall'alleanza tra popolari e socialisti.
Ursula
von der Leyen è stata rieletta presidente della Commissione europea. Candidata
favorita, ha ottenuto 401 voti in favore, 284 contrari e 15 astenuti al
Parlamento europeo.
La votazione si è tenuta nel pomeriggio, verso
le 13 e il risultato è stato diffuso alle 14.15.
Von
der Leyen, membro del Partito popolare europeo (Ppe) si era candidata a un
secondo mandato già lo scorso febbraio ed era stata confermata a fine giugno
dal Consiglio europeo.
Per
essere rieletta necessitava di almeno 361 voti su 720, ossia la maggioranza
assoluta dei membri dell’assemblea.
Von
der Leyen sapeva di poter contare su una base di 401 voti provenienti
dall'alleanza che l'ha eletta nel 2019.
Questa coalizione comprende il Partito
popolare europeo (Ppe), il gruppo più numeroso con 188 deputati, i Socialisti e
democratici (S&D) e i liberali di Renew Europe.
Tuttavia,
l'esito rimaneva incerto per due ragioni principali.
In primo luogo, il numero complessivo di
deputati di questa alleanza è inferiore rispetto a cinque anni fa, riducendo il
margine di sicurezza.
In
secondo luogo, la natura segreta del voto avrebbe potuto incoraggiare
defezioni, soprattutto tra i membri più critici o meno allineati all'interno di
ciascun gruppo.
Fratelli
d'Italia ha votato contro.
Il
discorso di von der Leyen.
“Le
scelte definiscono il destino e in un mondo pieno di avversità il destino
dipende da ciò che faremo ora - ha detto la candidata presidente all'assemblea
riunita in sessione plenaria -. L'Europa è davanti a una scelta decisiva che
definirà la nostra posizione nel mondo nel prossimo quinquennio. L'Europa non
può controllare dittatori e demagoghi nel mondo ma può scegliere di tutelare la
nostra democrazia”.
Ursula
von der Leyen ha messo nero su bianco in 30 pagine il suo progetto politico.
"È
essenziale che il centro democratico in Europa regga. Ma se questo centro deve
reggere, deve essere all'altezza delle preoccupazioni e delle sfide che i
cittadini devono affrontare", si legge.
La
presidente della Commissione designata si impegna a mantenere in piedi il Green
Deal europeo, oggetto di polemiche in campagna elettorale, e a lanciare un
piano per l'industria pulita nei primi 100 giorni del mandato.
Obiettivo:
centrare la riduzione delle emissioni del 90% per il 2040.
"Il”
Clean Industrial Deal” deve consentirci di investire di più insieme nelle
tecnologie pulite e strategiche e nelle industrie ad alta intensità
energetica", si legge, e "per questo proporrò un nuovo Fondo europeo
per la competitività nel quadro della nostra proposta per un bilancio nuovo e
rafforzato". "Per quanto riguarda i finanziamenti e gli investimenti
pubblici, la prima priorità sarà garantire l'utilizzo delle risorse disponibili
tramite NextGenerationEU e il bilancio attuale", ha detto Von der Leyen.
La
candidata presidente ha richiamato la necessità di una tregua a Gaza:
"La
soluzione a due Stati è il modo migliore per garantire la sicurezza, per
entrambi, israeliani e palestinesi.
La gente della regione merita la pace e la
prosperità, e l'Ue sarà con loro". Respinte con forza le interferenze
esterne di Cina e Russia.
Tra le
nomine previste: un commissario alla Difesa, uno al Mediterraneo, che lavorerà
a stretto contatto con l'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di
sicurezza, e un “vicepresidente per l'implementazione, la semplificazione e le
relazioni interistituzionali”.
"Dobbiamo rendere le imprese più facili e
veloci in Europa.
Metterò velocità, coerenza e semplificazione
tra le principali priorità politiche", sottolinea von der Leyen, che
anticipa che "ogni commissario avrà il compito di concentrarsi sulla
riduzione degli oneri amministrativi e sulla semplificazione dell'attuazione:
meno burocrazia e rendicontazione, più fiducia, migliore applicazione,
autorizzazioni più rapide".
Linea
ferma contro l'estrema destra:
“Sono
convinta che la versione dell'Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale
sia comunque la migliore versione dell'Ue della storia.
Non
lascerò che la polarizzazione estrema della nostra società venga accettata e
non accetterò che gli estremismi o le demagogie distruggano il nostro stile di
vita europeo”.
Fronte
tech, dice:
"Affronteremo
la piaga del cyberbullismo, agiremo contro la progettazione delle piattaforme
che inducono dipendenza e convocheremo la prima inchiesta a livello Ue
sull'impatto dei social media sulla salute dei giovani. L'infanzia e
l'adolescenza sono periodi di straordinario sviluppo ma anche di vulnerabilità,
vediamo sempre più report sulla crisi della salute mentale. I social media,
l'eccessivo tempo davanti allo schermo e le pratiche di dipendenza hanno fatto
il loro tempo".
Le
prospettive del voto.
Una
eventuale bocciatura della Spitzenkandidat del Ppe, evento mai accaduto prima,
avrebbe potuto significativi ritardi e complicazioni politiche. I leader della
maggioranza avrebbero dovuto infatti proporre un nuovo candidato entro un mese,
posticipando l'insediamento del nuovo presidente all'inizio del 2025 anziché a
novembre, con conseguente stallo istituzionale.
Il
gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), di cui Fratelli d'Italia è
la maggiore delegazione, è rimasto incerto sul proprio appoggio fino alla fine
e si è mosso in ordine sparso.
Infatti, nonostante alcune posizioni più
radicali, Ecr condivide diverse vedute con la maggioranza Ursula, come il
sostegno all'Ucraina, distinguendosi perciò da altri gruppi di estrema destra.
In cambio del loro supporto, i conservatori chiedono da mesi un maggior
coinvolgimento nelle nomine alle cariche Ue, da cui sono stati finora
largamente esclusi.
Von
der Leyen ha mostrato una certa apertura verso questa proposta, pur escludendo
una "collaborazione strutturale" con il gruppo di destra, per non
alienarsi la sua stessa maggioranza.
Fratelli d'Italia ha votato contro.
In
questa situazione, la scelta di Giorgia Meloni, leader del gruppo, si prospetta
rischiosa, anche perché all'interno dei Conservatori ci sono almeno due
delegazioni, quella ceca e quella olandese, che hanno deciso di dare il proprio
appoggio a von der Leyen.
Meloni,
le elezioni asso nella manica
per
spegnere Salvini e Tajani:
ma
occhio al ‘cane’ da tartufo Renzi.
msn.com
- Aldo Rosati – Il Riformista – (23-7-2024) – ci dice:
La
carta è sempre rimasta sullo sfondo, nel senso che Giorgia Meloni non l’ha mai
tolta dal mazzo.
Usando anche la ‘clava’ dei sondaggi, come
l’ultimo di Swg, che quota Fratelli d’Italia di nuovo al 30%.
Per
ora solo un’arma di pressione in Parlamento con i riottosi della Lega
(bastonati lunedì dalla mancata discussione in consiglio dei ministri del
disegno di legge sulla concorrenza), ‘guardate che rimando tutti a votare’.
Le
botte tra Salvini e Tajani e il ruolo dei figli di Berlusconi.
Un’arma
spuntata osservano alcuni, perché Giorgia Meloni dovrebbe comunque riproporre
la stessa coalizione, fissando però la sua incontrastata leadership (il 30%) e
stabilendo nuove regole di ingaggio, e non sarebbe poco, per una leader che non
ha perso il gusto per il campo di battaglia.
Certo è che le tensioni nel centrodestra hanno
ampiamente superato l’aspetto fisiologico delle scaramucce, le liti tra i
vicepresidenti Salvini e Tajani sono diventate transnazionali (‘a Bruxelles
voti come Elly Schlein’, ‘tu come Ilaria Salis’). In più ci sono i figli di
Berlusconi, Pier Silvio e Marina che ormai ostentano pubblicamente disincanto
verso la presidente del Consiglio, creando scompiglio in quella che sembrava
l’unica isola pacificata del centrodestra, Forza Italia.
La
“maggioranza parallela”.
Un’accelerazione
improvvisa dopo l’intemerata a Strasburgo di Giorgia Meloni (l’opposizione ad
Ursula), che non solo non ha calmato la Lega, ma ha messo in allarme il mondo
produttivo.
Non ci sarà la temuta reazione dell’Europa,
Palazzo Chigi continua a scommettere su un Commissario di peso (concorrenza,
coesione, bilancio, le deleghe più desiderate) ma è comunque sintomatico (ed un
po’ divertente) ascoltare i colonnelli di Fratelli d’Italia fare affidamento su
una risorsa linguistica di Giulio Andreotti: ‘maggioranza parallela’.
Secondo
Carlo Fidanza infatti, lo strappo della Presidente del Consiglio in Europa è
già stato dimenticato, perché una maggioranza in fondo si ricrea per ogni nuovo
dossier, per dire che nulla è perduto.
Tajani
paga dazio a Bruxelles.
Una
sorta di ‘moral suasion’, Giorgia non vuole approfondire i contrasti con
l’Europa (come si evince anche dal cordiale incontro con Antonio Costa, il
presidente del Consiglio Europeo, che non ha avuto il voto dell’Italia) ed incassare
al più presto il ‘cheap’ sulla commissione.
Per
ora a pagare dazio è stata Forza Italia, sulle 7 commissioni finite al partito
Popolare al Parlamento Europeo, nessuna è andata a Tajani, “sconta l’isolamento
della sua capa”, ha fatto notare maliziosamente la deputata di Italia Viva,
Isabella De Monte.
Il
candidato più gettonato per Bruxelles resta il ministro Raffaele Fitto, molto
distaccata Elisabetta Belloni.
È che
sulla sostituzione del ministro pugliese, naturalmente, si è già aperta la
bagarre.
Tanto
da spingere il capogruppo di FdI a Montecitorio Tommaso Foti a mettere le mani
avanti ‘non ci sarà trippa per gatti’.
Lega e Forza Italia nel frattempo si erano
ingolosite, avanzando le candidature di Luca Zaia (che Salvini vuole piazzare
ovunque per togliersi di torno un concorrente temibile in via Bellerio), e di
Letizia Moratti.
Giorgia tanto per cambiare, è di altro avviso,
per sostituire Fitto, pensa ad un cocktail interno:
l’indispensabile Giovanbattista Fazzolari al
Pnrr, Nello Musmeci al Sud, e gli Affari europei al viceministro Edmondo
Cirielli.
Il
‘cane’ da tartufo Renzi: elezioni all’orizzonte?
In più
per gli appassionati della cabala, ci sarebbero da registrare i movimenti del
‘cane’ da tartufo per eccellenza della politica italiana: Matteo Renzi.
Dopo
un anno e mezzo di bastonate reciproche con il Pd, il leader di Italia Viva,
nel giro di 24 ore, ha improvvisamente scelto da che parte stare: con il campo
largo.
Una
giravolta, che come tutte quelle precedenti del senatore di Rignano, che nella
scorsa legislatura prima ha incoronato Giuseppe Conte e poi lo ha disarcionato
per portare a Palazzo Chigi Mario Draghi, ha creato curiosità e naturalmente
polemiche.
Il
punto in questione però non è la sua supposta abilità (si vedrà nei prossimi
mesi), ma i motivi che hanno spinto l’ex sindaco di Firenze, a muoversi proprio
ora.
“Sente
l’odore del prossimo disfacimento della maggioranza, e si posiziona nel campo
avverso per partecipare alla raccolta”, scommettono i più sensibili al fascino
dell’ex rottamatore.
Insomma anche il centrosinistra ha iniziato a
sperarci, spinto da un calendario favorevole, le prossime elezioni in agenda
riguarderanno l’Umbria, la Toscana e la Liguria, candidati unitari del campo
largo sono possibili.
D’altra
parte nel calcio estivo si fa presto a diventare campioni di Italia.
Contadini.
Kelebeklerblog.com
– (30/01/2024) - Miguel Martinez – ci dice:
È da
un po’ che mi manca il tempo per scrivere: un buon segno, vuol dire che sto
facendo molte cose interessanti.
Ieri
sera comunque abbiamo parlato tra amici e complici della grande rivolta
contadina che è scoppiata in queste settimane in Europa.
Piccola
scena commovente:
i
contadini francesi che sequestrano il cibo importato ai camion che lo stanno
portando ai supermercati perché costa ancora di meno di quello francese, e lo
distribuiscono ai “Restos du coeur” per sfamare i senza tetto.
La
premessa: alla base di tutta la nostra vita c’è la produzione agricola.
Che è
rappresentata da due vicini di casa.
Il
primo è Giovanni da Montespertoli, che ieri sera ci faceva assaggiare il vino,
il formaggio e la soprassata che lui cresce, cura e vende al mercato contadino
alla Gavinana.
Il
secondo è il suo vicino di campo:
un
imprenditore del rame con base a Milano.
Un commercialista gli ha suggerito un modo
facile per arricchirsi ancora di più – intercettare i fondi europei per
l’agricoltura (il 60% delle risorse europee finisce in agricoltura), e così lui
ha mandato un omino benvestito a Montespertoli a comprargli un campo che fa
cospargere incessantemente di prodotti chimici, dove ogni tanto qualche operaio
viene mandato a raccogliere i prodotti che ottengono i sussidi.
Poi si
potrebbero pure buttare, ma c’è pure un ridicolo margine in più a venderli alla
Grande Distribuzione Organizzata.
Contadini
francesi distruggono il parcheggio dell’ipermercato Leclerc a Clermont
l’Hérault.
Oggi,
spiega Giovanni, tutta la categoria è in difficoltà estrema.
Per
poter produrre abbastanza da ottenere un minimo margine dalle multinazionali
della grande distribuzione, il contadino deve attingere a ogni possibile
canale, tra fondi europei (che però si riversano soprattutto sulle grandi
imprese) e prestiti, per “modernizzare” il proprio lavoro, cioè per fare di ciò
che nasce dalla biodiversità, una replica della fabbrica.
Insomma,
il sistema finanziario obbliga il contadino, per sopravvivere, a distruggere
l’ambiente;
e il
prezzo per salvare l’ambiente consiste nel privare il contadino della sua
sopravvivenza.
La
rivolta contadina è quindi una questione complessa, anche dal punto di vista
ambientale.
Ma
alla fine, la questione è sempre quella – il modo incredibile in cui il
capitalismo riesce a distruggere sistematicamente ogni possibilità di vita
umana e non.
Qualche
sera fa, sull’autostrada che collega Milano e Bergamo, di notte vediamo, tra
gli infiniti capannoni, uno più grande e brutto degli altri, ma tutto
illuminato (alla faccia della sostenibilità) a tricolore – luce verde, rossa e
bianca, e la scritta “PLANET FARMS”.
Cercando
in rete una foto dell’azienda in versione patriottica, trovo solo questo…
evidentemente sono un po’ camaleontici.
Colpiti
dal kitsch sovranodale, indaghiamo:
si
tratta di un’immensa fabbrica dove pochi operai producono un’insalata “senza
pesticidi”:
infatti non servono, visto che gli insetti non
ci possono entrare, come non ci possono entrare i raggi del sole e nemmeno un
granello di dirt (che in inglese indica significativamente sia terra che
sporco).
E
finalmente capisco come il Green sia il nemico ultimo e assoluto della Natura.
La
mattina dopo, dalla casa di Bergamo dove ci ospitano degli amici, apriamo la
finestra e guardiamo fuori.
Una
giornata splendida, solo se che c’è in lontananza una densa nuvola nerissima:
scopriamo che durante la notte, ha preso fuoco proprio “Planet Farms”.
Che
non sapevo mica che l’insalata facesse un fumo così.
Sulla
rivolta contadina, suggerisco due importanti letture.
La
prima è un articolo di “Dario Dongo”, Italia, protesta degli agricoltori contro
Coldiretti. #VanghePulite, che apre un mondo.
La
seconda è un articolo di “Igor Giussani”, Sulla protesta degli agricoltori
tedeschi, che approfondisce la falsa questione dei sussidi.
“POLITICAMENTE
CORRETTO E CANCEL CULTURE:
GLI
OSPITI INQUIETANTI DELL’INCLUSIONE SCOLASTICA”
Inchiostronero.it
– Salvatore Grandone – (24-7-2024) – ci dice:
Come
tante altre realtà culturali, anche la scuola italiana sta vivendo i contraccolpi
dell’esposizione mediatica, soprattutto sulle piattaforme social.
Le dinamiche proprie del politicamente
corretto e della cancel culture iniziano a entrare nelle classi con conseguenze
rilevanti sul benessere della comunità educante
L’inclusione
è il valore fondamentale dell’odierna scuola italiana.
Formulato
con un imperativo categorico suonerebbe così: “abbraccia la differenza!”.
Dietro
l’inclusione vi è infatti l’idea che la differenza vada compresa, riconosciuta,
accolta, che la differenza sia una risorsa.
La
questione dell’inclusione è stata posta nel nostro mondo scolastico a partire
dalla necessità di trovare strategie di apprendimento personalizzate per i
“Bisogni educativi speciali” (D.M. MIUR 27.12.2012).
In
origine, all’interno di questa macrocategoria rientravano gli alunni con
disabilità, con disturbi specifici dell’apprendimento o con particolari forme
di neurodivergenza.
Un po’
alla volta si è sempre più ampliata la casistica, comprendendo gli studenti
plus dotati, quello neoarrivati in Italia, ecc.
Non è
questa la sede per analizzare sul piano normativo l’evoluzione delle direttive
ministeriali.
Quello
che è interessante osservare è la progressiva estensione del concetto di
bisogno educativo speciale in modo coerente rispetto al valore sotteso
(l’inclusione).
Se
ogni differenza va tutelata, allora ogni alunno incarna con la sua stessa
presenza una propria specialità.
“Siamo tutti speciali!”, questo è infatti un
altro motto dell’inclusione scolastica.
Sul
piano teorico il discorso è coinvolgente; su quello pratico ha prodotto però
esiti ambigui.
È
evidente che l’enfasi sull’inclusione avrebbe dovuto condurre a un’offerta
educativa variegata e di qualità.
Tuttavia, è innegabile che molte
contraddizioni persistono.
Sono
pochi i docenti realmente formati – soprattutto “in concreto” – a rispondere in
modo adeguato alle esigenze della specialità.
In ogni caso, le classi sono mediamente
sovraffollate e anche i docenti più competenti avrebbero grandi difficoltà a
mettere in essere una didattica personalizzata.
Gli
effetti più visibili della politica dell’inclusione scolastica non vanno allora
tanto cercati sul versante formativo.
Qui si è ancora in pieno contingentismo.
In
alcuni contesti, grazie alla presenza fortuita di determinati elementi (circoli
virtuosi tra dirigenti, docenti, studenti, famiglie, ecc.), l’inclusione
riesce;
in
molti altri, in condizioni più tipiche e medie, i risultati lasciano a
desiderare.
Tangibili
sono invece i risvolti burocratici e retorici.
Affinché
l’inclusione sia recepita ovunque, dalla piccola scuola di montagna al liceo
storico della grande città, occorre individuare, elencare, riportare le
differenze;
è necessario indicare con appositi documenti
le strategie adottate dalle istituzioni scolastiche o dai singoli gruppi di
docenti (ad esempio dai consigli di classe) per venire incontro alle molteplici
specialità.
Parallelamente, da parte dei pedagogisti, dei
politici, dei docenti formatori e di quelli social – negli ultimi anni in
rapida ascesa – la politica dell’inclusione si dispiega in discorsi che
appaiano più retorici che programmatici.
Dalla
“riflessione” sull’inclusione si sta passando gradualmente alla “retorica”
dell’inclusione.
Alla
persistente incapacità di far corrispondere alle idee i fatti, le prime hanno
preso il sopravvento sui secondi: l’ideale tende a sovrastare il reale.
Una
delle derive più inquietanti della svolta retorica del discorso sull’inclusione
è l’insorgenza nel mondo scolastico di due fenomeni che da anni imperversano
sui media:
il
politicamente corretto e la cancel culture.
Per
mostrare quanto sta accadendo è utile prendere spunto da un recente evento di
cronaca.
Pochi
mesi fa una docente di lettere di una scuola media di Treviso avrebbe deciso
autonomamente di dispensare due studenti di fede non cattolica, un musulmano e
un buddista, dallo studio di Dante e in particolare della Divina Commedia.
Appena la notizia è giunta sui social subito è
entrata in azione la macchina della vergogna.
I
primi a sollevarsi sono stati i” docenti influencer” che hanno fatto rimbalzare
l’informazione sulle loro pagine con post e reel polemici inneggiando al “Dante
non si tocca!”.
Con il
peso delle community che ripostano e retwittano, la bolla speculativa
dell’indignazione è cresciuta rapidamente fino ad attirare l’attenzione
dell’Ufficio scolastico regionale e del Ministro “Giuseppe Valditara”.
Si è parlato anche di una possibile sanzione
nei confronti dell’insegnante.
L’aspetto
interessante di questa vicenda è la sua logica interna.
Invece di prendere posizione “pro” o “contro”,
ricorrendo alla tipica arma social dello stigma, proviamo a cogliere quello che
vi è “dietro”.
La
retorica dell’inclusione ha iniziato a diffondere tra i docenti un acuto senso
di incertezza.
L’attenzione
si è spostata sulla forma, soprattutto sull’uso delle parole.
Ed è
proprio l’accento marcato sul linguaggio che apre la strada alle dinamiche del
politicamente corretto.
“Eugenio
Capozzi” definisce il politicamente corretto come «un’incarnazione estrema del
progressismo, fondata su un relativismo etico radicale, e su un’idea
altrettanto radicale dell’autodeterminazione del soggetto» (Politicamente corretto. Storia di
un’ideologia).
Certo
nel calderone del politicamente corretto, come osserva un altro esperto sul
tema “Davide Piacenza”, vi sono anche forze positive che spingono per la
«maggiore considerazione dei più deboli, dei senza voce e di coloro che fino a
tempi recenti hanno subito tirannie e oppressioni»
(La correzione del mondo. Cancel culture,
politicamente corretto e i nuovi fantasmi della società frammentata).
Tuttavia,
la prassi del politicamente corretto ha portato, continua “Piacenza”, alla
«creazione di una società disseminata di trappole comunicative incrociate».
Qui si
congiungono le strade dell’inclusione e del politicamente corretto:
la retorica della specialità sta conducendo
l’inclusione nelle sabbie mobili delle trappole comunicative.
Se la differenza, qualunque essa sia, è
irriducibile e intoccabile, allora come tracciare il confine che delimita la
personalizzazione dell’apprendimento?
Quali
limiti gli insegnanti non possono varcare nel rispondere ai bisogni educativi
degli studenti?
La
questione non è affatto retorica, anche perché molti docenti – soprattutto se
vediamo quanto accade all’estero – si giocano il posto di lavoro e a volte
anche di più.
Penso
all’insegnante francese di Storia “Samuel Paty” che nel 2020 ha pagato con la
vita l’aver mostrato in classe alcune vignette satiriche su Maometto –
nonostante abbia chiesto agli studenti musulmani di uscire prima di far vedere
le caricature.
O
ancora, nel 2023, l’insegnante della Florida, “Carrasquilla”, della “Classical
School di Tallahassee” costretta alle dimissioni per aver proiettato le
immagini del David di Michelangelo.
I genitori degli alunni hanno giudicato le
raffigurazioni del David pornografiche e hanno fatto pressione sulla dirigenza
affinché la docente fosse allontanata.
Certo,
si dirà, di fronte a questi eventi più o meno gravi, si muove la macchina
dell’indignazione per sanzionare e condannare.
Ma,
attenzione, il corollario del politicamente corretto è la cancel culture.
Si tratta di un’espressione ambigua che
«assume diversi significati all’orecchio di parlanti diversi».
«Nella
sua versione meno contestabile […] la possiamo definire come quella tendenza a
chiedere che una rappresentazione di idee o atteggiamenti contrari alla morale progressista occidentale
corrente non sia soltanto criticata o denunciata in un discorso pubblico
orientato al progresso etico della società, ma vada punita con la decadenza da
ogni ruolo e piattaforma (anche privati o professionali) del responsabile,
spesso sull’onda di forme di pressione collettiva nate su Twitter e altri
social network.»
Chi
non sa destreggiarsi nelle trappole comunicative corre il rischio di essere
esposto alla gogna mediatica e di essere “cancellato”.
Non
solo, la cancel culture si trasforma spesso in strumento di condanna della
destra conservatrice, che vede come una minaccia all’identità nazionale
qualsiasi proposta di accogliere la differenza.
Può allora accadere che chi fa un passo falso
nel politicamente corretto si ritrovi ad essere difeso da gruppi di persone che
non vorrebbe dalla sua parte.
Insomma,
la retorica dell’inclusione e la “socializzazione” della scuola sta esponendo
la comunità educante all’insidia del politicamente corretto e della cancel
culture.
Si ha sensazione che la scuola italiana sia entrata in
una nuova fase dove la finzione e la dimensione mediatica hanno un peso
maggiore rispetto alla realtà.
In questa situazione di incertezza i docenti
sono sempre più esposti agli strali di chi, per un pugno di followers e di
like, è disposto subito a insorgere contro tutto e contro tutti.
Ecco
come la normale quotidianità scolastica diventa un campo minato.
Oggi è
andata bene, perché non ho dispensato un alunno musulmano dallo studio di
Dante.
Ma
domani potrebbe andarmi male perché ingenuamente mostro un’immagine del David
di Michelangelo.
E se sono ancora fortunato, chi mi assicura
che un domani non potrei avere problemi per altro, magari per aver letto dei
versi di un poeta in cui è contenuta qualche parola non politicamente corretta?
Certo,
la scuola in Italia è in prevalenza statale e i docenti hanno garanzie che in
altri Paesi, come ad esempio negli Stati Uniti, non hanno.
Eppure,
la convergenza dei fattori appena esposti a cui va aggiunta la tendenza ad
aziendalizzare le realtà scolastiche, con il relativo ingresso di attori
privati, potrebbe in futuro costituire un cocktail esplosivo in grado di
minacciare la qualità della nostra offerta formativa e la libertà stessa di
insegnamento.
(Salvatore
Grandone)
“IL
FALLIMENTO DI BIDEN E
L’OCCASIONE RUSSA IN UCRAINA”
Inchiostronero.it
– visione TV - Rostislav Ishchenko – (23-7-2024) – ci dice:
[…] È evidente che la dirigenza
democratica ha deciso di liberarsi di Biden prima della convention nazionale,
prevista per il mese prossimo (19-22 agosto).
Dal punto di vista della campagna elettorale,
questa è una decisione assolutamente corretta.
I democratici guadagnano un mese extra per
promuovere il nuovo candidato. Rimangono poco più di tre mesi alle elezioni (5
novembre), e le votazioni preliminari inizieranno il 20 settembre (tra due
mesi).
Tuttavia,
i problemi interni degli americani ci interessano solo nella misura in cui
influenzano la politica estera degli Stati Uniti.
Da
questo punto di vista, il ritiro di Biden dalla campagna presidenziale crea una
sorta di crisi di legittimità in politica estera.
Anatra
zoppa.
Rinunciando
alla rielezione per un secondo mandato, il presidente diventa automaticamente
una “anatra zoppa” — un leader uscente a cui non è consigliabile prendere
decisioni strategicamente importanti, per evitare che il successore debba
rivederle tra quattro o cinque mesi.
La
maggior parte degli alleati degli USA si sta già orientando verso Trump,
considerato l’unico vincitore possibile delle elezioni.
Le sue
probabilità sono davvero alte.
Come
già detto, per i democratici, già compromessi dal governo di un Biden
semi-cosciente, sarà difficile promuovere un nuovo leader al punto da creare
una reale alternativa a Trump.
Soprattutto
considerando che la decisione finale su chi sarà il candidato democratico verrà
presa solo tra un mese alla convention.
Nel
frattempo, all’interno del partito ci sarà comunque una lotta.
Magari non molto acuta, se il consenso delle
élite è stato raggiunto non solo sul ritiro di Biden, ma anche sulla nomina del
suo successore (cosa non certa).
Ma anche se il nuovo leader formale dei
democratici è già stato scelto, continuerà la lotta per la posizione di
vicepresidente e per i ruoli nel team (sia della campagna elettorale che del
governo).
Le
scarse possibilità dei democratici di vittoria non diminuiscono l’importanza
della nomina per un politico, poiché accresce il suo peso per il futuro.
Alla fine, anche se queste fossero le ultime
elezioni nella storia degli USA, nessuno lo sa ancora e tutti cercano di
ottenere un vantaggio per il futuro, che un giorno potrebbe consentire loro di
lottare per la presidenza (almeno nella fase delle primarie).
Questa
lotta interna tra i democratici genera una crisi di legittimità nella politica
estera americana.
Biden non può più prendere decisioni
strategiche.
Anche
se lo facesse, nessuno si affretterebbe a metterle in atto — si aspetterebbe la
conferma del prossimo presidente.
In
questo contesto, se il presidente USA (anche se uscente) può ancora costringere
i propri funzionari a obbedire, i partner stranieri certamente cercheranno di
aspettare per vedere come finirà l’epopea di Biden, il cui mandato
presidenziale è stato messo in discussione dalla legittimità sin dall’inizio
fino alla fine, culminando in una totale impotenza della squadra di governo a
sei mesi dalle prossime elezioni.
Se per
i principali alleati americani in Europa e nella regione Asia-Pacifico la crisi
di legittimità di Biden implica la necessità di aspettare, per le élite ucraine
apre una finestra (piuttosto una fessura) di opportunità.
Almeno,
così sembra a loro.
I
procuratori americani che controllano Kiev stanno perdendo il loro punto di
riferimento.
Non
sanno più chi sia più prezioso per la storia:
Zelensky,
deciso a combattere fino alla fine, o i suoi oppositori politici interni,
desiderosi di concludere la pace a qualsiasi costo.
Finora
in Ucraina si è mantenuto un fragile equilibrio grazie al fatto che gli Stati
Uniti non permettevano ai “pacifisti” di spodestare Zelensky, ma allo stesso
tempo proibivano a quest’ultimo di incarcerare, uccidere o espellere dal paese
i politici filo-occidentali che chiedevano una pace urgente (finché
dall’Ucraina si può salvare qualcosa).
Washington,
quindi, teneva tutte le porte aperte e tutte le strade libere per sé.
Tuttavia,
ora che gli Stati Uniti, con il ritiro di Biden dalla corsa elettorale, devono
temporaneamente perdere un centro unico di decisione, l’opposizione ucraina a
Zelensky ottiene almeno tre mesi (fino alle elezioni di novembre), e in
sostanza quasi sei mesi (fino all’insediamento del nuovo presidente USA nel
gennaio 2025) di relativa libertà d’azione.
Se in
questo periodo riuscissero a spodestare Zelensky, la nuova amministrazione USA
si troverebbe di fronte a un fatto compiuto e sarebbe costretta a giocare con
le carte che si troverebbe in mano.
Il
ridotto controllo sulla politica ucraina da parte degli americani, occupati con
i propri problemi interni, si è già riflesso sul governo di Kiev.
La nota scandalista politica “Maryana Bezuhla”,
che in precedenza attaccava i militari, improvvisamente si è rivolta contro
Zelensky.
La
risposta è stata immediata:
Bezuhla è stata rimossa dal comitato della “Verkhovna
Rada” e inserita nella lista nera di “Myrotvorets”, avvertendo così che il
governo non si fermerà davanti a nessuna repressione nella lotta contro
l’opposizione.
Il
problema del governo ucraino è che a fare dichiarazioni, finire in prigione,
fuggire dal paese o addirittura morire saranno mercenari: professionisti
politici “kamikaze”, coltivati nei terreni di Soros per le Maidan e abituati al
fatto che i loro padroni non li lasceranno in balia degli eventi e che il
carcere e le ferite minori sono pagati il doppio.
I veri oppositori, sotto forma di politici
“ex” (sia ex leader di Maidan sia i loro ex avversari, uniti dal desiderio di
mantenere per sé un pezzo di Ucraina come base alimentare) e oligarchi, sono
per la maggior parte già fuori dall’Ucraina.
Coloro
che per qualche motivo sono rimasti a Kiev non attaccano formalmente il governo
e non subiscono repressioni.
Cioè,
si deve combattere con un’idra a cui, per quanto teste tagli, ne crescono
sempre di nuove in quantità doppia.
Colpire
i “centri decisionali” (anche a livello ucraino), senza sufficienti motivazioni
(partecipazione comprovata a un complotto), è pericoloso, perché non si sa come
potrebbe finire.
Le parti si accusano da tempo di tradire gli
interessi della nazione, ma nessuno sa da che parte si schiereranno i resti
della nazione (compresi i militari).
Pertanto,
esiste una notevole probabilità che nelle prossime settimane l’ampiezza delle
oscillazioni dello scontro a Kiev raggiunga i massimi livelli.
Le
parti saranno pronte a passare a un’opzione militare in qualsiasi momento, in
attesa dell’errore dell’avversario che permetta di partire con sicurezza.
In
questo periodo, non solo l’attenzione dei politici di Kiev, ma anche le
principali forze e risorse di entrambe le parti saranno distratte dal fronte e
rivolte al conflitto interno.
Questa
situazione apre alla Russia la prospettiva di concludere l’Operazione Speciale
o, almeno, di raggiungere successi territoriali strategici (catastrofici per
Kiev) e di infliggere alle forze armate ucraine una sconfitta da cui non
potranno riprendersi, nei quasi due mesi estivi restanti e in autunno di
quest’anno.
Questo
è compreso in seno all’Unione Europea, che ha ripreso a minacciare la Russia
con una “guerra con l’Europa, se Mosca vince in Ucraina”, dopo quasi un anno di
pausa.
Tuttavia,
c’è un dettaglio:
senza
gli Stati Uniti, l’Europa non può combattere, e gli Stati Uniti non sono pronti
per combattere.
E non saranno pronti, almeno fino a febbraio
2025 (finché
non saranno effettuate tutte le principali nomine della nuova amministrazione).
Quindi
anche per la Russia, fino alla fine dell’anno, si apre una finestra di
opportunità.
(Traduzione
a cura di Pino Cabras)
(voennoedelo.com/posts/id62145-proval-bajdena-i-perspektivy-spetsoperatsii-na-ukraine)
“Holodomor
ingegnerizzato”:
gli agricoltori del Regno Unito
vengono
pagati per distruggere
le
colture alimentari.
Naturalnews.com – (24/07/2024) - Lance D.
Johnson – ci dice:
Nello
spirito dell'“Holodomor” dell'Unione Sovietica del 1932, il governo del Regno
Unito ha implementato un programma che paga gli agricoltori per NON coltivare
cibo.
Questa
mossa assurda ha suscitato polemiche e disturbato gli agricoltori di tutto il
Regno Unito, ricordando i giorni in cui il governo affamava intenzionalmente le
popolazioni per il proprio tornaconto politico e territoriale.
L'odierno
programma di riduzione della fame nel Regno Unito, noto come “Sustainable
Farming Incentive” (SFI), fa parte della più ampia strategia del governo per
incoraggiare pratiche agricole "sostenibili dal punto di vista
ambientale".
Invece
di introdurre gradualmente queste nuove pratiche agricole, il governo
britannico ha deciso di distruggere completamente la produzione agricola e di
mettere milioni di persone a rischio di fame e di prezzi alimentari sbalorditivi.
Se
questo schema non è intenzionalmente progettato per affamare le persone, allora
potrebbe essere basato sulla follia dei leader di governo che sono arrivati a
credere che la stampa infinita di denaro risolverà tutti i loro problemi e
renderà tutte le loro visioni una realtà.
Se
questi leader sono disposti a chiudere le fattorie e a coltivare le fonti di
cibo, assegnando una determinata quantità di denaro agli agricoltori, allora
l'intero continente è destinato a soffrire sotto il comunismo.
La
sicurezza alimentare è a rischio nel Regno Unito, mentre il governo pianifica
l'abbattimento totale dell'agricoltura.
L'agricoltore
della Cornovaglia “Keith Andrews” ha recentemente attirato l'attenzione sul
programma di abbattimento dell'agricoltura attraverso un video virale su
TikTok, in cui ha rivelato che agli agricoltori vengono offerti incentivi
finanziari per lasciare i loro campi incolti o dedicarli ad attività non
alimentari per un massimo di TRE ANNI!
Andrews
ha rivelato che gli sono state offerte 2.500 sterline per acro per NON
coltivare cibo ogni anno, optando invece per piantare miscele di api e semi di
uccelli selvatici, una pratica che gli fa guadagnare pagamenti aggiuntivi
nell'ambito della SFI.
"Sto
per arare un campo. Metterò l'orzo primaverile. Riceverò 440 sterline dal
governo, per acro. Poi, quando si tratta delle dimensioni del raccolto,
lascialo marcire nel terreno", ha spiegato Andrews nel video.
Il
Dipartimento per l'Ambiente, l'Alimentazione e gli Affari Rurali (Defra) ha
introdotto lo SFI come parte del suo Piano di Transizione Agricola, che cerca
di allineare l'agricoltura del Regno Unito con obiettivi ambientali come il
raggiungimento di "zero emissioni nette di carbonio" entro il 2050.
Lanciato
inizialmente nel 2022, l'SFI si è poi ampliato per includere visioni più
totalitarie, fornendo al contempo maggiori ricompense finanziarie agli
agricoltori che adottano "pratiche rispettose dell'ambiente".
La
pretesa di sostenibilità non è altro che un linguaggio ambiguo.
“Jeremy
Clarkson”, una figura di spicco nella comunità agricola, ha espresso la sua
frustrazione per la politica in un recente articolo, osservando che incentiva
gli agricoltori ad allontanarsi dalla produzione alimentare per garantire
sovvenzioni ambientali più redditizie.
"Conosco
un tizio che ha sottratto il 60% della sua fattoria alla produzione alimentare
e non è il solo", ha osservato Clarkson, sottolineando le preoccupazioni
sulla sostenibilità di tali pratiche nel soddisfare i bisogni alimentari della
nazione.
La
stampa di denaro da sola non può rimediare alle conseguenze nella vita reale
delle fattorie chiuse e della perdita di fonti di cibo.
Il
ministro di Stato del Defra, Sir “Mark Spencer”, ha difeso l'iniziativa,
sostenendo che il suo ruolo nella promozione della biodiversità e nella
riduzione dell'impronta di carbonio dell'umanità non ha eguali.
"Non
c'è una superficie minima o massima o una lunghezza della siepe, quindi gli
agricoltori possono scegliere quanta terra coprire con il loro accordo
SFI", ha affermato Spencer.
Sir “Mark Spencer” è disposto a distruggere
l'intera infrastruttura agricola del Regno Unito per placare la convinzione
isterica del governo che il mondo finirà a causa del carbonio.
Nonostante
le folli convinzioni ambientaliste di Spencer, i cittadini chiedono che il
programma venga chiuso perché mina la sicurezza alimentare e pone un'indebita
pressione finanziaria sugli agricoltori già alle prese con l'aumento dei costi
di produzione.
Le tangenti e i pagamenti da parte del governo
non saranno sufficienti a sostenerli e a impedire loro di produrre e
massimizzare i frutti del loro lavoro. Peggio ancora, questi pagamenti vengono
utilizzati per fini distruttivi che hanno conseguenze nella vita reale a cui il
denaro da solo non può porre rimedio.
Dopo
il respingimento, il governo britannico ha ridotto la minaccia del comunismo,
impegnandosi a smantellare il 25% dei terreni agricoli dalla produzione
alimentare e designando pagamenti che limitano, ma non fanno crollare del tutto
la produzione agricola, almeno non ancora.
(Expose-News.com)
– (TikTok.com) – (Gov.uk)
L'individuo
che ha visitato la casa e il posto
di lavoro di Thomas Crooks ha anche visitato
l'edificio di Washington, DC, vicino
all'ufficio
dell'FBI
nel giugno 2023, come mostrano
i dati del telefono cellulare appena acquisiti.
Naturalnews.com – (24/07/2024) - Ethan Huff –
ci dice:
L'”Oversight
Project” ha condotto un'indagine approfondita sui dati della pubblicità mobile
per determinare i movimenti di “Thomas Matthew Crooks” e dei suoi collaboratori
nel periodo precedente al tentativo di assassinio di Donald Trump.
Numerosi
dispositivi "visitavano regolarmente" sia la casa che il posto di
lavoro dei truffatori, ha scoperto l'”Oversight Project”.
Uno di
loro, legato a un individuo specifico, ha anche visitato un edificio a
Washington, DC, situato in Gallery Place vicino agli uffici del “Federal Bureau
of Investigation” (FBI) il 26 giugno 2023.
Un
altro dispositivo collegato a “Crooks “ha visitato Plymouth, Massachusetts,
tramite un volo da Pittsburgh a Boston all'inizio di marzo di quest'anno.
Quel
dispositivo è rimasto all'Hotel 1620 Plymouth Harbor dall'1 al 3 marzo 2024.
Un
altro dispositivo collegato al lavoro di “Crooks” ha viaggiato a “Butler”, in
Pennsylvania, il 4 e l'8 luglio.
Quel
dispositivo ha smesso di trasmettere tutta l'attività il 12 luglio, solo poche
settimane prima che Trump tenesse un comizio a Butler in cui, secondo quanto
riferito, gli hanno sparato all'orecchio destro.
Un
altro dispositivo collegato a “Crooks” ha visitato “Allegheny Arms & Gun
Works”, un negozio di armi, il 30 agosto 2023.
Di
seguito sono riportati tutti i luoghi rilevanti noti all'interno di Bethel
Park, Penn., che sono collegati alla casa e al luogo di lavoro di “Crooks”:
1)
Edificio amministrativo della scuola superiore, YMCA e del distretto scolastico
(novembre 2023 - aprile 2024).
2)
Luogo di lavoro (luglio 2023 - luglio 2024).
3)
Ubicazione di casa (luglio 2023 - luglio 2024).
4)
Allegheny Arms & Gun Works (30 agosto 2023).
5)
Tang Soo Do Karate College / Bethel Park Laundromat (febbraio 2024 - maggio
2024).
6)
Centro di giardinaggio Flora Park (25 febbraio 2024).
7)
Campo da golf di South Park (giugno 2023 - giugno 2024)
8)
Pianeta fitness (febbraio 2024 - maggio 2024)
(Correlato:
Sapevi che
il Dipartimento di Giustizia di Biden sta pianificando di abbandonare tutti i
procedimenti giudiziari contro Trump dopo il tentativo di omicidio?)
Almeno
nove dispositivi collegati a Truffatori.
Tutto
sommato, i dati di identificazione pubblicitaria hanno collegato almeno nove
dispositivi a Crooks.
L'”Oversight
Project” afferma di essere disposto a condividere i suoi risultati con
"indagini legittime" volte ad andare a fondo di ciò che è accaduto.
"Per
la protezione degli informatori e le nostre indagini, non condivideremo
ulteriori informazioni con la task force del Congresso a causa del tessuto
connettivo tra tale entità e l'FBI, l'USSS e altre entità", ha affermato
il gruppo.
("Se
avete ulteriori informazioni, indizi o suggerimenti, inviateci un'e-mail
direttamente all'indirizzo tips.oversightproject@heritage.org.")
Su” X”,
alcuni hanno ipotizzato che forse “Crooks” avesse un gestore o due legati ai
dispositivi che viaggiavano indietro e da casa e dal posto di lavoro ad altri
luoghi chiave in tutta l'area.
"L'FBI
stava tramando questo, a quanto pare", ha scritto uno, collegandosi al
post qui sotto da "legislazione" (@legislationpage):
"Questa
tana del coniglio diventa sempre più profonda", ha detto un altro a
proposito del caso Crooks.
Dai
un'occhiata al seguente video da "Breaking911" (@Breaking911) che
mostra il tetto dove i servizi segreti erano appollaiati per guardare dove era
posizionato il tiratore:
"Anche
se avessi assunto 10 uomini dalla strada con zero esperienza per fornire la
sicurezza, avrebbero saputo che c'era un grosso problema molto prima che lui
salisse sul palco", ha detto qualcuno a proposito di come i servizi
segreti abbiano completamente abbandonato la palla al comizio di Trump Butler.
"Sapevano
e hanno lasciato che accadesse", ha risposto un altro.
"Un
tetto così perfetto!" ha commentato un altro a proposito di ciò che viene
mostrato nel video qui sopra. "Si può vedere il tetto dall'interno
dell'edificio!"
(Le ultime notizie sulla ricandidatura
di Trump alla presidenza nel 2024 sono disponibili su Trump.news).
(ThreadReaderApp.com
- NaturalNews.com)
La “Corte
Mondiale” ha
diradato
la
nebbia che nasconde il sostegno occidentale ai crimini di Israele.
Unz.com
- JONATHAN COOK – (24 LUGLIO 2024) – ci dice:
La
sentenza legale della più alta corte del mondo obbliga gli stati occidentali
non solo a porre fine alla persecuzione del movimento di boicottaggio, ma ad
assumere questa causa come propria.
Non
lasciarti ingannare.
La
sentenza della “Corte Internazionale di Giustizia” (ICJ) del 19 luglio che ha dichiarato illegale l'occupazione
israeliana della Palestina è sconvolgente.
Israele è uno stato canaglia, secondo la più
alta corte del mondo.
Per
questo motivo, la sentenza sarà accuratamente ignorata dalla cabala degli stati
occidentali e dai loro media che per decenni hanno coperto con successo
Israele.
Dubitosi
che debbano solo guardare l'accoglienza che il primo ministro israeliano
Benjamin Netanyahu riceve durante la sua visita negli Stati Uniti questa
settimana.
Anche
se è attualmente perseguito per crimini di guerra dal procuratore capo della Corte
penale internazionale, il Congresso degli Stati Uniti gli darà un benvenuto da
eroe quando
si rivolgerà ai suoi rappresentanti mercoledì.
Le
calorose strette di mano e le standing ovation ricorderanno che Netanyahu ha
avuto il pieno sostegno delle potenze occidentali durante i nove mesi di
massacro di almeno 16.000 bambini palestinesi a Gaza – con altri 21.000
dispersi, la maggior parte dei quali sotto le macerie.
Il
benvenuto sarà un promemoria del fatto che le capitali occidentali sono
pienamente d'accordo con il livellamento di Gaza da parte di Israele e la fama
della sua popolazione – in quello che la stessa corte ha concluso a gennaio
equivaleva a un " genocidio plausibile ".
E
servirà come un pesante schiaffo in faccia a coloro che, come la Corte Mondiale, si impegnano
per il diritto internazionale, ricordando loro che l'Occidente e il suo stato cliente
più favorito credeva di essere intoccabile.
I
politici e gli editorialisti occidentali continueranno a sottolineare che la
Corte Mondiale non offre altro che un "parere consultivo" e "non
vincolante".
Quello
che non faranno notare è che questa opinione è il punto di vista collettivo dei
giudici più eminenti del mondo in materia di diritto internazionale, le persone
nella posizione migliore per pronunciarsi sulla legalità dell'occupazione.
E non
è vincolante solo perché le potenze occidentali che controllano i nostri
organismi internazionali hanno intenzione di non fare nulla per attuare una
decisione che non gli conviene.
Ciononostante,
la sentenza avrà conseguenze drammatiche per Israele e per i suoi protettori
occidentali, anche se tali conseguenze richiederanno mesi, anni o addirittura
decenni per essere attuate.
Avviso
"top secret"
La
sentenza della scorsa settimana è separata dal caso ricevuta a gennaio dalla
Corte Internazionale di Giustizia che ha processato Israele per genocidio a
Gaza. Una decisione in merito potrebbe essere ancora lontana molti mesi.
Questa
sentenza è stata presa in risposta a una richiesta dell'Assemblea Generale
delle Nazioni Unite nel dicembre 2022 di un parere sulla legalità
dell'occupazione israeliana che dura da 57 anni.
Questa
può sembrare una deliberazione più banale di quella sul genocidio, ma le
implicazioni alla fine sono probabilmente altrettanto profonde.
Coloro
che non hanno familiarità con il diritto internazionale possono sottovalutare
l'importanza della sentenza della Corte Mondiale, se non altro perché avevano
già ipotizzato che l'occupazione fosse illegale.
Ma non
è così che funziona il diritto internazionale. Un'occupazione belligerante è
permessa purché soddisfi due condizioni.
In
primo luogo,
deve essere strettamente militare, progettato per proteggere la sicurezza dello
Stato occupante e salvaguardare i diritti del popolo occupato.
E in
secondo luogo, deve
essere una misura temporanea – mentre si negoziano per ripristinare il governo
civile e consentire l'autodeterminazione del popolo occupato.
Sorprendentemente,
ci sono voluti 57 anni perché la più alta corte del mondo emette una
conclusione che avrebbe dovuto essere guardata in faccia per tutto quel tempo.
La
natura militare dell'occupazione è stata sovvertita quasi dal momento in cui
Israele ha occupato i territori palestinesi nel giugno 1967.
Nel
giro di pochi mesi, Israele aveva scelto di trasferire civili ebrei – per lo
più nazionalisti religiosi estremisti – nei territori palestinesi occupati per
aiutarli a colonizzarli.
Israele
sapeva che si trattava di una grave violazione del diritto internazionale
perché il suo stesso consulente legale lo aveva avvertito di questo in un memo
"top secret" portato alla luce dal giornalista israeliano “Gershom
Gorenberg” circa due decenni fa.
In una
dichiarazione che amplia il ragionamento della “Corte Internazionale di
Giustizia”, il presidente della “Corte Nawaf Salam” ha fatto specifico
riferimento agli avvertimenti di “Theodor Meron” , che all'epoca era l'esperto
legale del ministero degli Esteri israeliano.
Nel
settembre 1967, il suo memo avvertiva che qualsiasi decisione di stabilire
insediamenti civili nei territori palestinesi occupati "contravviene alle
disposizioni esplicite della Quarta Convenzione di Ginevra".
Tali
disposizioni, ha aggiunto, erano "volte a prevenire la
colonizzazione".
Nove
giorni dopo, il governo israeliano calpestò il memorandum di Meron e aiutò un
gruppo di giovani israeliani a creare il primo insediamento a Kfar Etzion.
Costruzione
di una pace fittizia.
Oggi,
centinaia di insediamenti illegali – molti dei quali ospitano milizie armate –
controllano più della metà della Cisgiordania e gran parte di Gerusalemme Est.
Piuttosto
che proteggere i diritti dei palestinesi sotto occupazione, come richiede il
diritto internazionale, l'esercito israeliano assiste i coloni ebrei nel
terrorizzare i palestinesi.
L'obiettivo
è quello di cacciarli dalla loro terra.
Nelle
parole del governo israeliano, gli insediamenti sono lì per
"giudaizzare" il territorio palestinese.
Nelle
parole di tutti gli altri, sono lì per la pulizia etnica della popolazione
palestinese.
Il che
ci porta alla seconda violazione da parte di Israele delle leggi di
occupazione. Trasferendo centinaia di migliaia di coloni nei territori
occupati, Israele ha intenzionalmente bloccato ogni possibilità di nascita di
uno Stato palestinese.
Gli
insediamenti non erano accampamenti di fortuna.
Alcuni
si sono sviluppati presto in piccole città, come “Ariel” e “Maale Adumim”, con
centri commerciali, parchi, piscine pubbliche, sinagoghe, fabbriche,
biblioteche, scuole e università.
Non
c'era nulla di "temporaneo" in loro. Erano lì per annettere
gradualmente il territorio palestinese sotto la copertura di un'occupazione che
Washington e i suoi alleati europei hanno cospirato per far finta che fosse
temporanea.
L'intero
processo di Oslo avviato nei primi anni '90 è stato un esercizio di esca, o una
"Versailles palestinese", come lo studioso palestinese “Edward Said”
aveva avvertito all'epoca.
Israele
non è mai stato serio nel concedere ai palestinesi uno stato significativo – un
fatto che l'allora primo ministro israeliano, “Yitzhak Rabin”, ha ammesso poco
prima di essere ucciso da un colono di estrema destra nel 1995.
La
finta pacificazione di Oslo è stata progettata per far guadagnare più tempo a
Israele per espandere gli insediamenti, vincolando anche i palestinesi a
infiniti obblighi contrattuali che non sono mai stati ricambiati da Israele.
Nella
sua risposta infuriata alla decisione della corte della scorsa settimana,
Netanyahu ha dato via al gioco.
Ha
detto: "Il
popolo ebraico non è occupante della propria terra, compresa la nostra eterna
capitale Gerusalemme né in Giudea e Samaria [la Cisgiordania], la nostra patria
storica".
La sua
è una visione bipartisan in Israele. Tutti i partiti ebraici nel parlamento
israeliano hanno la stessa posizione.
La
scorsa settimana hanno votato per respingere ogni possibilità di creare uno
Stato palestinese sulla base del fatto che sarebbe una "minaccia
esistenziale" per Israele.
Solo
una manciata di legislatori – tutti appartenenti alla minoranza palestinese di
Israele – hanno dissentito.
Regime
dell'apartheid.
La
sentenza della Corte Mondiale è molto significativa in quanto fa saltare in
aria in modo permanente la storia di copertura degli stati occidentali su Israele.
I
giudici sottolineano che l'occupazione permanente dei territori da parte di
Israele, e il trasferimento di coloni ebrei in essi, ha reso necessario lo
sviluppo di due sistemi di leggi separate e distinti.
Una è
per i coloni ebrei, che sancisce per loro i diritti di cui godono gli
israeliani.
I palestinesi, al contrario, devono
sottomettersi ai capricci di un regime militare alieno e bellicoso.
C'è
una parola per un racconto accordo: “apartheid”.
Nell'ultimo
decennio, nella comunità mondiale dei diritti umani – da “Amnesty International”
a “Human Rights Watch” – era già emerso un consenso sul fatto che Israele fosse
uno stato di apartheid.
Ora il
più alto organo giudiziario del mondo ha dichiarato di essere d'accordo.
L'apartheid
è un crimine contro l'umanità.
Ciò
significa che i funzionari israeliani sono criminali di guerra, a prescindere
dai crimini che stanno attualmente commettendo a Gaza.
Questo
è il motivo per cui i media israeliani hanno riportato il panico all'interno
del governo israeliano per la “sentenza della Corte Internazionale di Giustizia”.
I
funzionari temono che la “Corte penale internazionale”, la sua corte sorella,
non avrà altra scelta che emettere mandati di arresto contro Netanyahu e il suo
ministro della difesa, Yoav Gallant, come già richiesto dal suo procuratore
capo.
È
anche probabile che rafforzi la determinazione del CPI per convincere i
funzionari israeliani più anziani dei crimini associati al programma di
colonizzazione di Israele.
Un ex
funzionario del ministero degli Esteri israeliano ha detto al quotidiano “Haaretz”
che la sentenza della “Corte Mondiale” ha smentito la pretesa di Israele di
essere uno Stato di tipo occidentale:
"L'aura
democratica non ci protegge più come prima".
Atti
di aggressione.
La “Corte
Internazionale di Giustizia” ha concluso che il regime di apartheid di Israele
sui palestinesi – così come le politiche di pulizia etnica attuate dalle sue
milizie di coloni – sono atti di aggressione.
La
rappresentazione dell'Occidente di un "conflitto" tra Israele ei
palestinesi, con gli sforzi per risolvere questa "disputa", è
volutamente confusa.
Anche
la sua rappresentazione della furia di Israele a Gaza come una "guerra
contro Hamas" è una menzogna, secondo questa sentenza.
La “Corte
Internazionale di Giustizia” ha effettivamente ridicolizzato l'affermazione di
Israele e dei suoi alleati occidentali secondo cui l'occupazione di Gaza è
terminata quando Israele ha ritirato i suoi soldati verso la recinzione
perimetrale e subito dopo ha istituito un assedio all'enclave via terra, mare e
aria.
Israele
è giudicato pienamente responsabile delle sofferenze dei palestinesi prima del
7 ottobre e dopo.
È
Israele che ha attaccato permanentemente i palestinesi – attraverso la sua
occupazione illegale, il suo regime di apartheid, il suo assedio di Gaza e la
sua progressiva annessione di territori che dovrebbero costituire uno stato
palestinese.
La
violenza palestinese è una risposta, non la causa che la spinge.
Sono i
palestinesi che reagiscono, quelli che resistono, secondo la sentenza.
L'establishment politico e mediatico occidentale ha causa ed effetto al
contrario.
Ci
sono ulteriori conseguenze per la sentenza della” Corte Internazionale di
Giustizia”.
Non si
scende a compromessi sull'apartheid. Nessuno suggerirà di incontrare il
Sudafrica dell'apartheid a metà strada.
Le
fondamenta razziste di un racconto Stato devono essere sradicate.
Gli
stati di apartheid devono essere ricostituiti da zero.
La
Corte Mondiale chiede che Israele non solo ritiri le sue forze di occupazione
dai territori palestinesi e fermi l'espansione degli insediamenti, ma anche che
smantelli gli insediamenti nella loro interezza.
I coloni devono lasciare la Palestina.
I
giudici chiedono anche "riparazioni" per i palestinesi per l'enorme
danno arrecato loro da decenni di occupazione e apartheid.
Ciò
include la concessione a quei palestinesi che hanno subito la pulizia etnica
dal 1967 il diritto di tornare alle loro terre, e richiede a Israele di pagare
un risarcimento finanziario su larga scala per il furto decennale di risorse
chiave.
Complice
di crimini di guerra.
Ma le
implicazioni non si applicano solo a Israele.
Nel
deferire il caso alla “Corte Internazionale di Giustizia”, l'”Assemblea
Generale delle Nazioni Unite” ha chiesto alla Corte di fornire un parere su
come i suoi 192 Stati membri dovrebbero rispondere alle sue conclusioni.
Se i
leader israeliani sono criminali di guerra, allora sostenerli – come le
capitali occidentali hanno fatto per decenni – rende quegli stati complici dei
crimini di Israele contro l'umanità.
Per le
potenze occidentali, la sentenza rende la loro continua vendita di armi, la
copertura diplomatica e lo status commerciale preferenziale che danno a Israele
collusione nel crimine di occupazione prolungata e apartheid.
Ma c'è
di più.
Significa
anche che gli Stati occidentali non solo devono smettere di molestare, e
persino di incarcerare, coloro che cercano di penalizzare Israele per i suoi
crimini – i sostenitori del movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e
Sanzioni (BDS) – ma dovrebbero assumere proprio questa causa.
Ora
hanno l'obbligo legale implicito di unirsi a tali azioni, imponendo sanzioni a
Israele per essere uno stato canaglia.
Il
nuovo governo laburista britannico ha già cercato di spostare l'attenzione dal
governo su un terreno discorsivo che si adatta meglio a Israele.
Ha
risposto con una dichiarazione che "il Regno Unito si oppone fermamente
all'espansione degli insediamenti illegali e all'aumento della violenza dei
coloni".
Ma
come ha osservato l'ex ambasciatore britannico “Craig Murray”, non è stato
questo che ha deciso la “Corte Internazionale di Giustizia”.
"Non
è in discussione l'espansione degli insediamenti illegali di Israele. È la loro
esistenza ", ha scritto.
Allo
stesso modo, l'amministrazione Biden si è lamentata della sentenza della corte.
In un
atto di spettacolare ginnastica mentale, ha sostenuto che porre fine
all'occupazione avrebbe "complicato gli sforzi per risolvere il
conflitto".
Ma
come notato in precedenza, secondo la sentenza della “Corte Internazionale di
Giustizia”, non c'è "conflitto" se non nell'immaginazione egoistica
di Israele e dei suoi patroni.
Ci sono l'occupazione e l'apartheid, atti
permanenti di aggressione da parte di Israele contro il popolo palestinese.
Inoltre,
gli Stati Uniti hanno avvertito gli altri Stati di non intraprendere
"azioni unilaterali" contro Israele, come la “sentenza della Corte
Internazionale di Giustizia” li obbliga a fare.
Washington sostiene che tali azioni
"approfondiranno le divisioni".
Ma una
divisione – tra i sostenitori del diritto internazionale e i trasgressori della
legge come Israele e Washington – è esattamente ciò di cui c'è bisogno.
La
sentenza della” Corte Mondiale” ribalta decenni di slittamento linguistico da
parte dell'Occidente, il cui obiettivo è stato quello di spostare il quadrante
ideologico a favore dell'agenda annessionista incrementale di Israele.
È di
vitale importanza che gli attivisti, i gruppi legali e per i diritti umani
continuino a tenere i piedi sotto i riflettori dei governi britannico e
statunitense sulla “Corte Internazionale di Giustizia”.
La
nebbia si dirada.
I
sostenitori di Israele trarranno conforto dal fatto che una precedente sentenza
della “Corte Mondiale “su Israele è stata completamente ignorata sia da Israele
che dai suoi protettori occidentali.
Alla
richiesta di un parere consultivo, nel 2004 i giudici hanno stabilito che,
sotto la copertura di rivendicazioni di sicurezza, Israele stava annettendo
illegalmente aree di territorio costruendo il suo "muro di
separazione" lungo 800 km su terra palestinese.
Israele
non ha smantellato il muro, anche se in risposta ha deviato parti di esso e ha
abbandonato la costruzione in altre aree.
Ma
quella sentenza della “Corte Internazionale di Giustizia”, vecchia di due
decenni, era molto più restrittiva di quella attuale.
Era
limitata a una specifica politica israeliana piuttosto che affrontare l'intero
dominio di Israele sui palestinesi.
Non ha
contestato il carattere politico di Israele, identificandolo come uno stato di
apartheid.
E
c'erano poche implicazioni evidenti nella sentenza per i patroni occidentali di
Israele.
E,
cosa forse più importante, 20 anni fa i funzionari israeliani non correvano il
pericolo di essere messi sul banco degli imputati dalla “Corte penale
internazionale” con l'accusa di crimini di guerra, come lo sono ora.
La
decisione della “Corte Mondiale” stringe il cappio legale intorno al collo di
Israele e rende difficile per la “CPI” continuare a trascinare i piedi
nell'emissione di mandati di arresto per funzionari israeliani.
E
questo metterà le multinazionali, le banche e i fondi pensione in una posizione
giuridica ancora più difficile se continueranno a ignorare la propria
complicità con la criminalità di Israele.
Potrebbero
presto trovarsi a pagare un prezzo anche con i loro clienti.
“Adidas”
potrebbe essere una delle prime vittime di una simile reazione dopo aver ceduto
alle pressioni israeliane il 19 luglio per eliminare la modella
palestinese-americana “Bella Hadid” come volto di una nuova campagna
pubblicitaria – paradossalmente, lo stesso giorno in cui la” Corte Mondiale” ha
annunciato la sua sentenza. Ci saranno conseguenze anche per i tribunali nazionali in
Occidente. Sarà difficile per i giudici ignorare il parere della Corte Mondiale
quando i loro governi cercheranno di punire gli attivisti solidali palestinesi.
Coloro
che promuovono il boicottaggio e le sanzioni contro Israele, o che cercano di
fermare le aziende che forniscono armi a Israele, stanno facendo ciò che,
secondo la Corte Mondiale, i governi occidentali dovrebbero fare di propria
iniziativa.
Ma,
cosa forse più importante di tutte, la sentenza sconvolgerà in modo decisivo il
discorso intenzionalmente ingannevole dell'Occidente su Israele.
Questa
sentenza spoglia l'intera base del linguaggio che le potenze occidentali hanno
usato su Israele.
Una
realtà che è stata capovolta per decenni dall'Occidente è stata rimessa
saldamente in piedi dalla “Corte Mondiale”.
L'occupazione
– non solo gli insediamenti – è illegale.
Israele
è legalmente definito come uno stato di apartheid, come lo era il Sudafrica
prima di esso, e impegnato in un progetto di annessione e pulizia etnica.
Le
vittime sono i palestinesi, non Israele.
È la
loro sicurezza che ha bisogno di protezione, non quella di Israele.
Sono loro che hanno diritto all'assistenza
finanziaria, sotto forma di riparazioni, non Israele.
Di
conseguenza, la finta pacificazione dell'Occidente si rivela crudamente per la
farsa che è sempre stata.
Continuare con questo tipo di doppiezza – come
il leader britannico “Keir Starmer”, ad esempio, sembra determinato a fare –
servirà solo a mettere in evidenza la malafede di chi è impegnato in tali
esercizi.
D'altra
parte, le potenze occidentali che aiutano Israele a continuare il suo lavoro di
segregazione, espropriazione e pulizia etnica dei palestinesi saranno
smascherate come complici dei crimini di Israele contro l'umanità.
Le
parole hanno potere.
Sono
il nostro percorso per comprendere la realtà.
E la “Corte
Mondiale “ha appena diradato la nebbia.
Pulire
la nebbia sulla finestra.
L'Occidente
farà del suo meglio ancora una volta per nascondere i crimini di Israele.
Ma la “Corte Mondiale” ha reso un servizio ai
palestinesi e al resto dell'umanità smascherando Israele per quello che è:
uno
stato canaglia e criminale.
Il
movimento per cercare l'amicizia
e i
valori comuni a destra.
Unz.com
- KEVIN MACDONALD – (18 LUGLIO 2024) – ci dice:
Essendo
qualcuno che si è mosso due volte per cercare amicizia e senso di sicurezza in
un paese ostile alle persone di destra, posso identificarmi perfettamente con
le persone descritte nell'articolo qui sotto, tranne per il fatto che le
persone di cui si parla qui sono cristiani seri, veri credenti.
Non
sono solo "cristiani culturali" come me, cioè qualcuno che ammira
alcuni aspetti e l'influenza della Chiesa nella storia europea, come le forti
identità cristiane di coloro che combatterono nella “Reconquista spagnola”, ma
che deplora la recente discesa del gran parte del cristianesimo tradizionale si
trasformi in risveglio e sottomissione alla cultura dominante, essenzialmente
anticristiana.
Molte
di queste persone immaginano senza dubbio una” Reconquista” dell'Europa
occidentale che riporterebbe il cristianesimo (e forse, almeno implicitamente,
la bianchezza) al centro della cultura occidentale.
Ma,
nonostante queste differenze, abbiamo praticamente tutto il resto in comune,
compreso il luogo di residenza e il desiderio di inserirci in una comunità con
valori condivisi.
I luoghi principali menzionati qui sono” Coeur
d'Alene”, Idaho, una piccola città vicino a Nashville, e la periferia di
Dallas-Fort Worth.
Queste
località sono tutte negli stati rossi, almeno per ora, fino a quando il diluvio
di immigrazione non avrà la conseguenza prevista di trasformare il paese in una
nazione di minoranza bianca satura di persone che si identificano come
LGBTUQIA+ e la propaganda di accompagnamento che sta tentando di massimizzare
il numero di persone con queste identità.
Questa propaganda viene diffusa a gran voce in
tutto il sistema educativo e in tutti i principali media.
È
sorprendente che nell'articolo una moglie scambi le tazze da tè con il marito
per avere quella più femminile.
Queste persone sostengono le nozioni
tradizionali dei ruoli sessuali.
Sembrano
capire che le differenze sessuali su base biologica sono reali e che è un
adattamento (o forse parte del piano di Dio) aderirvi.
E notate le foto di una ragazza che ricama.
Ma una
cosa è trovarsi in una zona favorevole, è comunque importante sviluppare
relazioni sociali con persone di cui ti puoi fidare.
Nel
mio caso faccio parte di un piccolo gruppo tutto maschile che condivide gli
stessi valori e cerca di sviluppare progetti che portino più persone come noi
nella nostra zona e in aree simili in tutto il Paese.
Mi
rendo conto che spesso le persone non possono semplicemente alzarsi e muoversi,
ma molte persone sì.
E per
la felicità a lungo termine, consiglio vivamente che sia essenziale vivere tra
persone che la pensano allo stesso modo, culturalmente ed etnicamente omogenee.
“Robert
Putnam”, la cui ricerca sulla crescente solitudine nella società americana e
sugli effetti dannosi del multiculturalismo sulla comunità (ad esempio, la
mancanza di volontà di contribuire ai beni pubblici) è ben nota, comprende
l'importanza di legare con altri simili sebbene, come la maggioranza comunità
ebraica liberale con cui si identifica, è totalmente favorevole all'esperimento
multiculturale.
Le
persone qui descritte hanno successo economico e sono ben istruite, inclusi
alcuni rifugiati del “Claremont Institute”, un think tank conservatore.
Ancora
più importante, sono altamente fertili, con famiglie intatte con 4-8 figli
(probabilmente con altri in programma.
Fanno
quindi parte dell'ipotetica rivoluzione demografica descritta da “Edward
Dutton” e “JO Rayner-Hilles” in cui i conservatori culturali diventeranno
dominanti a causa della loro fertilità, sebbene le nostre élite ostili faranno
del loro meglio per importare il mélange multietnico e non bianco che
preferiscono per espropriarli definitivamente.
Queste
persone si stanno organizzando in piccoli gruppi.
Non
sono tipi che scendono in strada con le armi.
E suppongo che si sintonizzino con i
principali media conservatori come “FoxNews”, che non li educherà mai
sull'importanza dell'etnicità negli affari umani, tanto meno li informerà della
realtà di come un'élite ebraica molto influente sia sulla buona strada per
trasformare il paese in qualcosa che detestano.
Un
esempio dall'articolo:
Nella
nuova città natale del signor “Kressin”, nell'Idaho, le strade sono pulite e la
gente lascia le porte aperte.
La sua
famiglia vive in una casa che possono permettersi di possedere, con una
staccionata bianca e spazio per un trampolino nel cortile.
Nell'accogliente
soggiorno c'è un pianoforte verticale in un angolo, mentre inni e romanzi
classici sono allineati sugli scaffali sul muro.
"Molti
nella nostra generazione hanno un desiderio molto, molto grande di
radicarsi", ha detto.
"E sono cresciuti in un'epoca in cui
questo non era molto apprezzato".
In una
mattina di un giorno feriale di questa primavera, ha fatto una vivace
passeggiata mattutina fuori dalla porta di casa e su per Tubbs Hill, con fiori
selvatici sparsi lungo il sentiero e viste svettanti sul lago cristallino
sottostante.
A casa
sua in seguito, “Lauren Kressin,” che era incinta dell'ottavo figlio della
coppia, ha servito il tè alla pesca in porcellana spaiata con gusto, scambiando
tranquillamente le tazze con lui in modo che aveva quella "meno
femminile",
ha detto con un sorriso.
Ricominciare
da capo in” Idaho”, ha detto “Kressin” in seguito, faceva parte di un progetto
a così lungo termine che non si aspetta di vederne la conclusione.
"L'antica aristocrazia terriera in Inghilterra piantava querce che
sarebbero maturate davvero solo in 400 anni", ha detto.
"Chissà
cosa riserva il futuro, ma se non inizi nemmeno a costruire una cultura
familiare, sei destinato a fallire".
Ma
naturalmente, essendo il “New York Times”, è obbligatorio coinvolgere un
accademico che è ostile a tutto questo:
I
critici del circolo dicono che presentano una versione ripulita di alcuni degli
elementi più oscuri della destra, tra cui un'omogeneità culturale fino al
razzismo e un'apertura all'uso della violenza per raggiungere fini politici.
"È
questa l'idea di organizzare il malcontento a livello locale e costruire una
rete che nel prossimo decennio o tre decenni o addirittura mezzo secolo
continuerà a spostare il Partito Repubblicano sempre più a destra, e a
mobilitare gli elettori nelle parti scontente del paese, molti dei quali
uomini", ha detto “Damon Linker”, docente di scienze politiche presso
l'Università della Pennsylvania, che ha scritto in modo critico della folla.
"È
una versione intellettuale del movimento delle milizie".
(Il
compiaciuto e ipocrita Damon Linker).
Sì,
non c'è niente di peggio che stare in mezzo a persone come te.
Persone che condividono la tua cultura e i
tuoi valori, e sì (Dio non voglia!), anche il tuo background etnico (non
menzionato qui, ovviamente) – un segno sicuro di razzismo per il tuo
giornalista-accademico come “Linker”.
L'articolo
vale la pena di essere letto:
“New
York Times”: " Perché un nuovo trust di cervelli conservatori si sta reinsediando
in tutta l'America ".
Il “Claremont
Institute” si trova nel sud della California sin dalla sua fondazione alla fine
degli anni '70.
Dal
suo trespolo ai piedi delle montagne di San Gabriel, è diventato un importante
centro intellettuale della destra pro-Trump.
Senza
clamore, tuttavia, “alcune delle figure chiave di Claremont” hanno lasciato la
California per trovare climi ideologicamente più amichevoli.
Ryan P. Williams, presidente del think tank,
si è trasferito in un sobborgo nell'area di Dallas-Fort Worth all'inizio di
aprile.
Il suo
amico e collega di Claremont “Michael Anton” – un nativo della California che
ha svolto un ruolo importante nel 2016 per convincere gli intellettuali
conservatori a votare per Trump – si è trasferito nell'area di Dallas due anni
fa.
Anche
il vicepresidente dell'istituto per le operazioni e l'amministrazione si è
trasferito lì.
Altri
stanno seguendo.
Williams
ha aperto un piccolo ufficio in un altro sobborgo di Dallas-Fort Worth a
maggio, e ha detto che si aspetta di ridurre la sede californiana di Claremont.
"Molti
di noi condividono la sensazione che la cristianità si sta sgretolando",
ha detto “Skyler Kressin”, 38 anni, che è amico dei “leader di Claremont” e
condivide molte delle loro preoccupazioni.
Ha
lasciato la California meridionale per trasferirsi a “Coeur d'Alene”,
nell'Idaho, nel 2020.
"Abbiamo
bisogno di essere impegnati, abbiamo bisogno di costruire".
"C'è
un cambiamento interessante in corso in Texas.
Penso che ci sia un rinnovato senso di ricerca
della comunità e dei valori e della cultura condivisi tra le persone di
destra", ha detto Ryan Williams, presidente del Claremont Institute.
Credito...
“Shelby Tauber” per il “New York Times”.
Mentre
Trump porta avanti la sua terza campagna presidenziale, con i suoi sostenitori
incoraggiati dal dibattito della scorsa settimana, molti dei giovani attivisti
e pensatori che sono sorti sotto la sua influenza si vedono come parte di un
progetto che va ben oltre la politica elettorale.
Piuttosto, è un movimento per rivendicare i
valori della civiltà occidentale così come la vedono.
Le loro ambizioni dipingono un'immagine del
Paese che vorrebbero qualora Trump tornasse alla Casa Bianca, un paese guidato
dalla loro versione dei valori cristiani, con famiglie più numerose e meno
immigrati.
Prevedono
un panorama estetico da abbinare, con un'architettura più classica, e uomini
che indossano abiti tradizionali.
La
loro visione include una leadership locale più forte e uno "stato
amministrativo" nazionale inaridito, spingendoli a festeggiare la scorsa
settimana quando la “Corte Suprema” ha effettivamente posto fine alla
"deferenza della Chevron", che potrebbe portare all'indebolimento di
migliaia di norme federali sull'ambiente, la protezione dei lavoratori e oltre.
Stufi
di quella che vedono come una cultura secolare sempre più ostile e disordinata,
molti si stanno spostando verso quelli che vedono come stati e regioni più
accoglienti, combattendo per la società americana da "conservatori”.
Alcuni
si vedono come partecipanti e sostenitori di un "grande tipo", un
riordino sociale in cui conservatori e liberali si dividono naturalmente in
comunità e aree più omogenee.
(E
alcuni, tra cui il signor “Kressin”, stanno contemporaneamente inseguendo i
costi della vita più bassi e i quartieri più sicuri che alimentano molti
traslochi ordinari.)
Anche
“Ryan Williams “riceve la “National Humanities Medal” dal presidente Donald
Trump a nome del “Claremont Institute” durante una cerimonia alla Casa Bianca
nel novembre 2019.
Credito... “Samuel Corum” per il” New York
Times”.
L'anno
in cui Kressin si diffonde in Idaho, lui e Williams presero parte a una
conversazione informale a Claremont sulla necessità di nuove istituzioni in
quella che alcuni sperano sarà una società americana ringiovanita.
L'idea
era quella di una "comunità fraterna", come ha detto un leader, che
dava la priorità agli incontri di persona.
Il risultato fu la “Society for American Civic
Renewal”, tutta maschile, un'organizzazione sociale riservata ai cristiani solo
su invito.
Il
gruppo ha circa 10 logge in vari stati di sviluppo finora, con membri che vanno
da sette a diverse dozzine di persone.
Gli
obiettivi del gruppo, secondo i leader, includono l'identificazione di
"élite locali" in tutto il paese e la coltivazione di
"potenziali incaricati e assunzioni per un futuro regime allineato" –
con cui intendono una seconda presidenza Trump, ma anche un futuro che
descrivono in termini radicali e talvolta apocalittici.
Alcuni ci avvertono di un imminente collasso
della società che richiederà cittadini armati e benpensanti per ristabilire
l'ordine.
I
legami del gruppo con Claremont gli danno accesso all'influenza in una futura
amministrazione Trump:
Anton ha fatto parte del Consiglio di
sicurezza nazionale di Trump e un membro del consiglio di amministrazione di
Claremont, “John Eastman”, ha consigliato la campagna elettorale di Trump nel
2020.
Deve
affrontare accuse penali in Arizona e Georgia per i piani per mantenere Trump
al potere dopo aver perso quella corsa.
La
loro retorica può sembrare espansiva fino al punto di opacità.
"Come
i grandi uomini dell'Occidente ci hanno lasciato in eredità le loro azioni,
così noi dobbiamo lasciare un'eredità per i nostri figli", proclama il
sito web del gruppo.
"Le opere sollevate dalle nostre mani a
questo scopo dureranno a lungo dopo che saremo sepolti".
La
loro produzione, finora, sembra più modesta.
La sezione di casa di “Kressin” ha ospitato un
esperto di abbigliamento maschile, che ha esortato i membri a vestirsi in un
"classico stile americano", e una proiezione e discussione del film
d'avventura navale del 2003 "Master and Commander".
Gli
uomini socializzano al di fuori delle riunioni e si passano affari.
I
critici del circolo dicono che presentano una versione ripulita di alcuni degli
elementi più oscuri della destra, tra cui un'omogeneità culturale fino al
razzismo e un'apertura all'uso della violenza per raggiungere fini politici.
"È
questa l'idea di organizzare il malcontento a livello locale e costruire una
rete che nei prossimi dieci o tre decenni o addirittura mezzo secolo continuerà
a spostare il Partito Repubblicano sempre più verso destra e a mobilitare gli
elettori nelle parti scontente del paese, molti di loro sono uomini", ha
detto Damon Linker, docente di scienze politiche all'Università della
Pennsylvania, che ha scritto in modo critico nei confronti della folla.
"È una versione intellettuale del movimento della
milizia."
Nei
suoi primi due anni, hanno detto i leader, la SACR ha ricevuto finanziamenti
significativi da “Charles Haywood”, un ex imprenditore dell'Indiana.
Il signor Haywood sembra divertirsi a essere
un provocatore online.
Ha
definito la rivolta del 6 gennaio 2021 una "protesta contro la giustizia
elettorale" e ha elogiato il romanzo razzista del 1973 "Il campo dei
santi".
Pubblicando
un post sulla piattaforma “X” il mese scorso, ha scritto che i cittadini nati
all'estero dovrebbero essere espulsi per reati tra cui "lavorare per causa
di sinistra".
Altri
leader attribuiscono il tono apocalittico dei documenti fondanti del gruppo a
Haywood, che ha rifiutato di commentare.
I
membri della società sono giovani, per lo più colletti bianchi (e per lo più
bianchi) e spesso ricchi.
Alcuni
hanno lasciato le istituzioni d'élite per avviare le proprie aziende e
investire in imprese di tendenza conservatrice.
“Josh
Abbotoy”, direttore esecutivo di American Reformer”, un giornale con sede a
Dallas che funge da pubblicazione informale interna per il movimento, si sta
trasferendo in una piccola città fuori Nashville questa settimana con sua
moglie e quattro figli.
Attraverso la sua nuova rete professionale,
sta raccogliendo fondi per sviluppare un corridoio di paradisi conservatori tra
il Medio Tennessee e il Kentucky occidentale, dove ha anche acquistato
centinaia di acri di proprietà.
Si
aspetta che circa 50 famiglie si trasferiscano nella città del Tennessee – che
ha rifiutato di identificare – nel prossimo anno, comprese le persone che
lavorano da casa per aziende tecnologiche e altre società.
“Abbotoy”
sta scommettendo molto sulla rivitalizzazione del Sud rurale in senso più
ampio, poiché la flessibilità dei colletti bianchi incontra la disillusione
conservatrice nei confronti delle istituzioni e delle città liberali.
Vede
il progetto del Tennessee come un "copione" per gli sviluppi futuri
in cui i vicini condividono valori sociali conservatori e godono, ha suggerito,
di una sorta di cultura cristiana ambientale.
"Personalmente
pagherei volentieri alte tasse HOA per essere in un quartiere dove devo passare
davanti a una chiesa architettonicamente significativa ogni giorno, e posso
sentire le campane della chiesa", ha detto.
“Abbotoy”
è cresciuto in una cultura evangelica che incoraggiava i cristiani conservatori
ad andare nel "mondo" a influenzare le istituzioni secolari, comprese
le aziende e le università.
Ma
questo approccio, che ha definito le ultime generazioni dell'evangelicalismo
tradizionale, sembra sempre più insostenibile per le persone della sua cerchia.
“Abboto”y,
che si è laureato alla “Harvard Law School”, ha lasciato un lavoro presso
un'importante società di infrastrutture nel 2021 ed è venuto a lavorare per “Nate
Fische”r, un venture capitalist di Dallas e prolifico networker la cui azienda
investe in progetti conservatori e si oppone al "DEI/ESG e alla
burocratizzazione della cultura aziendale americana".
Fischer
è il presidente della sezione di Dallas della SACR.
“Andrew
Beck”, consulente di marchi per politici conservatori ed entità tra cui SACR e
Claremont, si è trasferito con sua moglie e i loro sei figli, insieme ai suoi
genitori e cinque dei suoi fratelli e alle loro famiglie, da “Staten Island”
alla periferia a nord di Dallas nel 2020.
Quasi
30 membri della famiglia ora vivono nella stessa zona, proprio come a New York.
"Qualcosa
si sta spostando in modo tettonico", ha detto “Beck”, che ha scritto un
saggio ampiamente condiviso sulla " " per la rivista online di
Claremont, American Mind.
" Non si tratta tanto di delimitare una
roccaforte dove poter vivere in un bozzolo, quanto di far parte di un luogo che
puoi davvero considerare come casa."
I
membri devono essere di sesso maschile, appartenere a una chiesa
"cristiana trinitaria", un'ampia categoria che comprende cattolici e
protestanti, ma non membri della “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi
Giorni”.
I
membri devono anche descriversi come "americani senza trattino", in
riferimento al che sollecitava la piena assimilazione degli immigrati.
Un
numero della Claremont Review of Books dell'inverno 2016-2017.
Brad Torchia per il New York Times.
L'appartenenza
interconfessionale del gruppo riflette il fatto che nell'era Trump, il
cristianesimo conservatore sta diventando sempre più un'identità culturale e
politica, con le differenze teologiche che cadono nel dimenticatoio e il
cristianesimo che serve come una sorta di espressione generica di ribellione
contro la modernità.
Una
significativa minoranza di membri è cattolica, compreso il signor” Kressin.” Del gruppo fanno parte anche presbiteriani,
battisti e carismatici.
"Molti
nella nostra generazione hanno un desiderio molto, molto grande di
radicarsi", ha detto. "E sono cresciuti in un'epoca in cui questo non
era molto apprezzato".
Ricominciare
da capo in Idaho, ha detto” Kressin” in seguito, faceva parte di un progetto a
così lungo termine che non si aspetta di vederne la conclusione.
"L'antica
aristocrazia terriera in Inghilterra piantava querce che sarebbero maturate
davvero solo in 400 anni", ha detto. "Chissà cosa riserva il futuro,
ma se non inizi nemmeno a costruire una cultura familiare, sei destinato a
fallire".
LO
STATO PROFONDO AVEVA PUNTATO
TUTTO
SULL’ELIMINAZIONE DI TRUMP,
E ORA?
Comedonchisciotte.org – Markus – (25 Luglio
2024) - Finian Cunningham - strategic-culture.su -ci dice:
È
andata malissimo per lo Stato Profondo.
Sbarazzarsi
di Donald Trump utilizzando un assassino solitario il 13 luglio avrebbe fatto
pendere la gara presidenziale a favore di Joe Biden.
Ma non
ha funzionato.
E, dal
punto di vista dello Stato Profondo, non poteva andare peggio.
Trump se l’è cavata con un graffio ad un
orecchio e un’iconica opportunità fotografica che lo ha trasformato in un eroe
americano, dandogli la spinta per riprendersi la Casa Bianca.
Questo slancio politico ha finalmente
costretto Biden a gettare la spugna, visto che la sua fragilità non può
competere con l’energica campagna elettorale di Trump.
Gli
attori chiave dell’establishment statunitense – lo Stato Profondo dell’impero –
hanno fatto una scommessa per necessità.
Trump
non è il loro genere di persona.
Ha
parlato troppo di porre fine al lucroso racket della guerra in Ucraina contro
la Russia.
Ci sono però troppi interessi personali che
spingono per il mantenimento di questa guerra per procura.
Non si
tratta solo di profitti per il complesso militare-industriale e per Wall
Street. Si tratta anche di affrontare geopoliticamente la Russia per preservare
l’egemonia statunitense.
L’opposizione
dichiarata di Trump al racket e la sua promessa di porre immediatamente fine al
conflitto in caso di elezione a novembre lo hanno messo nel mirino.
C’è
una stretta somiglianza con il caso di John F. Kennedy.
JFK
era contrario all’intensificazione della guerra per procura contro l’Unione
Sovietica in Vietnam e, più in generale, voleva un ridimensionamento della
Guerra Fredda.
La sua opposizione agli enormi interessi
acquisiti dello Stato Profondo aveva portato all'”azione esecutiva” di Dallas,
il 22 novembre 1963.
Il
libro di” James Douglass”, JFK and the Unspeakable: Why He Died and Why It
Matters, è probabilmente il miglior resoconto di quello che era stato un
efferato omicidio da parte dello Stato americano e un colpo di Stato contro un
presidente eletto, un libro che, una volta compreso, cambia per sempre la
visione della politica americana.
Come
nel caso dell’attentato a Trump a Butler, in Pennsylvania, anche a Dallas c’era
l’apparente circostanza di un tiratore solitario.
A
differenza di “Thomas Matthew Crooks”, che ha sparato diversi colpi contro
Trump, non era stato il ventiquattrenne Lee Harvey Oswald a sparare contro JFK
mentre attraversava in un’auto scoperta la Dealey Plaza.
Oswald
era stato solo un capro espiatorio scelto dallo Stato Profondo per coprire i
veri assassini – diverse squadre di cecchini dispiegate quel giorno dallo Stato
Profondo.
Nel
caso del ventenne “Crooks”, anche lui è un capro espiatorio, ma la differenza è
che gli è stato permesso di entrare in un luogo di massima sicurezza e di
sparare qualche colpo prima di essere eliminato.
Come
l’Oswald opportunamente ucciso, i morti non parlano.
Quindi non sapremo mai fino a che punto Crooks sia
stato aiutato per riuscire ad eludere gli agenti di polizia e i servizi segreti
e salire su un tetto per sparare a Trump.
Come
nel caso di JFK, l’insabbiamento è già iniziato.
In
mezzo a furiose critiche di incompetenza, il “Dipartimento di Sicurezza
Nazionale e l’FBI £stanno indagando sugli eventi che hanno portato al tentato
assassinio. Come si fa a credere che organizzazioni complici e coinvolte nel
fatto indaghino correttamente su sé stesse?
Non
possono – e non lo faranno, per definizione.
Dopo
l’uccisione di Kennedy, la Commissione Warren aveva indagato sugli eventi di
Dallas.
La
commissione era presieduta da Allen Dulles, ex direttore della CIA, la stessa
agenzia che era stata coinvolta nell’assassinio di JFK.
Prevedibilmente,
la Commissione Warren aveva prodotto un rapporto che attribuiva l’assassinio a
Lee Harvey Oswald, che [ovviamente] aveva fatto tutto da solo.
Il
fatto che i media statunitensi abbiano acconsentito per 60 anni a questo
insabbiamento farsesco dimostra la profondità della propaganda, del lavaggio
del cervello e la farsa del cosiddetto “giornalismo indipendente”.
Per
quanto riguarda Trump, invece, gli uomini dello Stato Profondo sono diventati
negligenti.
Invece
di usare tiratori professionisti, per sparare hanno usato un ragazzo che, a
detta di tutti, non era un gran tiratore, anche se il suo fucile semiautomatico
era l’arma migliore per il lavoro.
Ora lo
Stato profondo ha un problema ancora più grosso.
Lo
scampato pericolo di Trump lo ha elevato a icona, con il volto insanguinato e
il pugno di sfida in aria.
La
rabbia dell’opinione pubblica per il solo fatto di sospettare che lo Stato
Profondo abbia compiuto un’azione scellerata ha dato alla sua campagna
presidenziale una spinta senza precedenti.
Anche
tra gli elettori incerti, il disprezzo per l’establishment statunitense
potrebbe giocare a favore di Trump.
Contro
l’energica campagna di Trump, Biden ha dovuto ritirarsi.
La sua demenza, messa in evidenza nel dibattito
televisivo del 27 giugno, stava già causando il panico tra i funzionari e gli
sponsor del Partito Democratico. Contro un eroico sopravvissuto a un
assassinio, Biden non aveva alcuna possibilità.
In
questa fase avanzata, è dubbio che i Democratici troveranno un candidato valido
contro Trump.
Biden
ha appoggiato la sua vicepresidente, Kamala Harris, ma il suo mediocre profilo
non è certo un biglietto vincente.
La Convention nazionale democratica si terrà
solo il 19 agosto, quando verrà ufficialmente nominato un candidato. Allora
mancheranno solo due mesi alle elezioni del 7 novembre.
I
Democratici sono diventati il veicolo scelto dallo Stato Profondo per
perseguire le guerre e la proiezione di potenza imperiale degli Stati Uniti.
Trump
è troppo anticonformista per l’agenda imperiale.
Anche il suo compagno di corsa alla
vicepresidenza, il senatore “JD Vance”, ha espresso una forte opposizione alla
guerra per procura in Ucraina.
Il
candidato repubblicano afferma che costringerà il regime di Kiev ad avviare
negoziati con la Russia per trovare una soluzione di pace alla guerra che dura
da due anni e mezzo.
Vance
ha proposto che l’Ucraina accetti la richiesta della Russia di non entrare mai
nell’alleanza della NATO.
Le
elezioni americane si stanno trasformando in un grosso problema per lo Stato
Profondo.
Aveva
scommesso sulla sconfitta di Trump, ma ha finito per spingerlo alla Casa
Bianca.
Il lucroso racket della guerra in Ucraina e la
resa dei conti geopolitica contro la Russia sono ora in pericolo.
Senza
dubbio, gli Stati Uniti si stanno dirigendo verso una crisi senza precedenti,
come non si vedeva dai tempi della Guerra Civile.
(Finian
Cunningham) – (strategic-culture.su).
(strategic-culture.su/news/2024/07/23/deep-state-bet-farm-on-taking-trump-out-now-what/)
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