La vita politica è fatta di indiscrezioni.

 

La vita politica è fatta di indiscrezioni.

 

 

 

Forza Italia e Pier Silvio Berlusconi:

la clamorosa indiscrezione.

msn.com - Christian Luca Di Benedetto - News Mondo – (23-7-2024) – ci dice:

 

La possibile alleanza tra Forza Italia e Pd potrebbe scuotere la politica italiana. Giorgia Meloni teme l’abbandono del Centrodestra.

Il panorama politico italiano potrebbe essere sull’orlo di un cambiamento epocale, secondo voci riportate da Dagospia e affaritaliani.it, Forza Italia, storicamente ancorata al Centrodestra, potrebbe spostarsi verso sinistra, stringendo un’alleanza con il Partito Democratico (Pd).

Questo possibile cambio di rotta sta generando grande preoccupazione tra le fila della destra, in particolare per la premier Giorgia Meloni.

Gli interessi di Pier Silvio Berlusconi e il cambio di direzione di Forza Italia.

La possibile svolta di Forza Italia è influenzata da vari fattori, tra cui gli interessi imprenditoriali di Pier Silvio Berlusconi in Germania.

Pier Silvio, amministratore delegato di Mediaset, ha consolidato importanti rapporti con “Friedrich Merz”, leader della CDU tedesca.

Questa rete di contatti potrebbe favorire l’espansione di Mediaset come broadcaster europeo, una mossa strategica per l’azienda.

Secondo indiscrezioni riportate da Dagospia, diverse voci da Berlino stanno suggerendo alla famiglia Berlusconi di allontanarsi da un governo italiano etichettato come “ultra-destra” e impresentabile.

Inoltre, le tensioni tra Forza Italia e Giorgia Meloni non sono mancate, specialmente riguardo alla tassa sugli extra profitti delle banche e al taglio del canone Rai.

Questi conflitti interni potrebbero spingere Forza Italia a rivedere la sua posizione politica.

La reazione di Giorgia Meloni e le possibili elezioni anticipate.

La prospettiva di un abbandono di Forza Italia dal Centrodestra ha messo in allarme Giorgia Meloni.

 La premier, consapevole del peso politico del partito fondato da Silvio Berlusconi, teme un indebolimento della sua coalizione.

In uno scenario estremo, Meloni potrebbe decidere di dimettersi e chiamare elezioni anticipate, cercando di ricompattare il fronte della destra.

 

Come riportato da Dagospia, se Pier Silvio e Marina Berlusconi dovessero assicurare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella che il partito è pronto a staccarsi dalla destra per allearsi con il Pd, potrebbe aprirsi uno scenario imprevedibile.

Invece di chiamare un tecnico come Mario Draghi, Mattarella potrebbe decidere di sciogliere immediatamente le Camere, dando inizio a una nuova fase della politica italiana.

(Tajani: "FI in sintonia con la famiglia Berlusconi" -Mediaset)

 

 

 

 

Kennedy Jr. rilancia:

«Sono l'unico che può battere Trump»

CDT.ch – Corriere del Ticino – Msn.com – Cristian Luca Di Benedetti – (22-7-2024) – ci dice:

 

Il candidato indipendente ha invitato i suoi elettori ad appoggiarlo, ribadendo tuttavia di essere pronto ad ascoltare il Partito Democratico qualora venisse contattato per sfidare Harris.

Rieccolo. Robert F. Kennedy Jr. ha parlato.

 Dopo un lungo, verrebbe da dire lunghissimo silenzio a margine dell'attentato a Donald Trump.

Ha parlato, dicevamo.

Sfruttando l'onda lunga generata dal ritiro di Joe Biden dalla corsa e invitando gli elettori a unirsi e appoggiare la sua candidatura come indipendente.

Una terza via, insomma, che potrebbe percorrere chi, indeciso, non riesce a identificarsi né con Donald Trump né con Kamala Harris o chi per lei.

Attenzione, però, perché lo stesso Kennedy Jr. si è detto «aperto» ad ascoltare i leader del Partito Democratico qualora lo contattassero per sfidare Harris in ottica nomination.

Aggiungendo che, in ogni caso, è «l'unico candidato che può battere Donald Trump».

Figlio di Robert F. Kennedy, avvocato e ambientalista, Kennedy Jr. è stato etichettato da più parti come un “no-vax” e un complottista.

 Etichette che lui, puntualmente, ha cercato di scucirsi.

 Durante la sua corsa, si è profilato come la più grande minaccia politica ai due Partiti principali.

Non tanto, o non solo, per via del suo cognome ma perché, di fatto, la sua agenda è simile e sovrapponibile a quella di Trump pur con una vocazione smaccatamente liberal.

Nelle ultime due settimane, in ogni caso, Kennedy Jr. aveva cancellato le principali apparizioni mentre dall'attentato a Trump non aveva più inviato e-mail di raccolta fondi.

Se negli scorsi mesi il candidato indipendente aveva cercato di controbattere agli eventi elettorali principali, come il dibattito fra Joe Biden e Donald Trump, in quest'ultimo periodo Kennedy Jr. ha fatto poco, pochissimo per spostare l'attenzione dai temi dominanti, fra cui – prima del ritiro di Biden – il citato attentato a Trump e la Convention Repubblicana.

C'era chi, addirittura, dopo quanto successo a Butler, in Pennsylvania, era convinto che presto o tardi Kennedy Jr. si sarebbe ritirato dalla corsa per sostenere nientepopodimeno che Trump.

 Indiscrezioni che, dopo l'incontro di lunedì scorso fra i due a Milwaukee, avevano costretto Kennedy Jr. a pubblicare una smentita via social:

 «No, non mi ritiro dalla corsa».

 

 

 

 

Processi e politica

nell’Italia repubblicana.

 Doppiozero.com - Alberto Mittone – (18 Luglio 2024) – ci dice:

 

Il saggio” Conflitto tra poteri”.

Magistratura, politica e processi nell’Italia repubblicana (Il Saggiatore, 2024) degli storici M. Flores e M. Franzinelli ha una peculiarità:

ricostruisce i rapporti tra giustizia e politica dal sorgere della Repubblica ad oggi attraverso la rilettura dei processi penali.

I capitoli si snodano in vari periodi riletti attraverso la loro significatività storica con l’affiancamento di una rassegna di processi svoltisi in quegli anni.

Ciò detto, perché servirsi dei processi?

La risposta è inequivoca: i processi si sviluppano attraverso l’“iter” processuale originato da un fatto ignoto e dalla ricerca di chi lo ha provocato.

 Non solo:

essi sono densi di storicità in quanto rappresentano lo specchio di una fase storica in cui è maturato quell’evento e come si innestano i personaggi in quel periodo.

 

Non è un caso che siano fiorite riviste e numeri unici (ad esempio “Epoca” ed “Europeo”) che su di essi hanno indugiato e che la cronaca nera venga raccontata con spazi dilatati e da penne illustri (Arpino, Buzzati come ricordato in “Delitti in prima pagina”, Doppiozero).

 Non è un caso che la letteratura se ne sia appassionata, come testimoniano le fluviali pubblicazioni sul rapporto tra “Diritto e letteratura”, in una gara di fantasia con le produzioni cinematografiche.

 Per non parlare del processo “mediatico”, spettacolo ormai autonomo avente come oggetto le procedure penali in corso che vengono discusse nei salotti televisivi.

 Si usano prove processuali disponibili, integrandole con indiscrezioni e servizi fuori sede, facendo nascere l’impressione, più fumosa che reale, di maneggiarle con sicurezza.

 In sostanza viene trattato un fatto di cronaca nera in luoghi lontani dalle regole del codice, dove il giudice è il pubblico e non un magistrato imparziale, dove il dibattito avviene tra ospiti ed esperti in un set, dove spesso filtra la contrapposizione tra il bene e il male e dove è protagonista un pubblico che vuole più giudicare che essere informato.

Diverso dal significato del processo è quello delle sentenze:

esse rappresentano il momento finale dell’iter, quando cioè il giudice spiega in uno scritto le ragioni della sua decisione.

Quindi esse manifestano come vengono valutati i reati e le prove in un dato momento storico (con questa ispirazione “Governatori, Stato cittadino in Tribunale”, Laterza 1970 e “Valori socio-culturali nella giurisprudenza”, Laterza 1970).

 Ma la magistratura è un potere?

 La Costituzione non la disegna forse come un ‘ordine’, cioè come una struttura della Stato delegata a svolgere una funzione fondamentale, cioè rendere giustizia?

Ma come e quando è diventata un ‘potere’?

Il discorso si dilata perché coinvolge il rapporto non solo con la politica ma con la società tutta, con le sue richieste, le sue aspettative, il suo coinvolgimento, come peraltro il saggio mette bene in luce con la scansione delle fasi.

 E quel rapporto tra magistratura-politica-società è sottoposto al pendolo della storia che ne disegna i connotati nel passare del tempo.

 

L’avvio della Repubblica: una transizione difficile con rotture e continuità .

 

Il momento iniziale della Repubblica è caratterizzato dal difficile rapporto con il passato, che presenta una scivolosa continuità che si salda con una stentata rottura.

 I sistemi, quello politico e giudiziario, sembrano vivere in simbiosi, ma la prima significativa frattura innovativa ha luogo con la Costituzione che prevede il Consiglio Superiore della Magistratura, l’autogoverno e le garanzie di indipendenza di tutti i magistrati a differenza del passato, compresi quelli del pubblico ministero.

Dal 1945 al 1948 allo stesso tempo non ha successo la normativa sull’epurazione e si assiste all’applicazione estensiva dell’amnistia Togliatti del 1946, analogamente a quanto avvenne in Germania per il ruolo nel dopoguerra riservato alle ex spie che entrarono in posizioni di rilievo (di recente “Falanga”, Gli uomini di Himmler, Carocci 2024).

 

Negli anni successivi dilaga il fenomeno dei magistrati, ma anche di intellettuali e politici, distintisi durante il regime spesso attivamente anche nella vicenda razziale del 1938, che ingrossano il gruppo misto degli “insospettabili” nei ranghi parlamentari, istituzionali, giornalistici, spesso paladini delle virtù in un’Italia frettolosa e che aspira a dimenticare.

Classica, e mai sufficientemente ricordata, è la carriera di “Gaetano Azzariti”, giurista, magistrato, al vertice della piramide ministeriale fascista, sottoscrittore del “Manifesto della razza’, presidente del “Tribunale della razza”.

Cambiato il vento, viene chiamato nel 1946 come capo di gabinetto dal guardasigilli Togliatti e nominato nel 1955 giudice costituzionale dal presidente Gronchi.

Come se non bastasse, diviene presidente della Corte nel 1957 e un suo busto attualmente troneggia nei corridoi del palazzo.

 

I processi trattati nel saggio relativi a questo periodo:

 il processo al maresciallo Graziani; delitto Rosselli: dalla pena di morte alle assoluzioni generalizzate; i processi per l'eccidio di Portella della Ginestra; l'omicidio di Bracci e il biondino di Primavalle; cronaca nera e dossieraggi politici: il caso Montesi; Renzi-Aristarco: l'Armata Sagapò.

 

Verso la democrazia.

Nei primi anni ‘50 la magistratura è ancora in larga parte irrigidita nel passato, resistente alla Costituzione soprattutto negli organi superiori.

Si intravedono però fermenti grazie anche a decisioni e a contributi letterari di magistrati che descrivono un modello non tradizionale di giudice.

Esemplari sono i romanzi di “Giuseppe Guido Lo Schiavo” (Piccola Pretura del 1949) da cui Pietro Germi trasse nel 1949 il film “In nome della legge”, e di “Dante Troisi” (Diario di un giudice del 1955) citato nel saggio.

Con il decennio degli anni ‘60 il passato si allontana e anche per il potere giudiziario inizia il disgelo, soprattutto nel periodo tra il 1956 e il 1958 con l’entrata in funzione della “Corte Costituzionale” e del” Consiglio Superiore della Magistratura”.

 

I processi relativi a questo periodo trattati nel saggio: “l'apparato paramilitare comunista”: il” processo Acerbi”; il” processo Guareschi-Degasperi”, “Sicilia 1956”: “lo sciopero alla rovescia” di Danilo Dolci;” processo al vescovo di Prato”; “il Vicario” ovvero i silenzi di Pio XII; il “processo Fenaroli–Ghiani”.

 

1965-1975: rotture e contrasti, depistaggi e voglia di verità.

 

Si sviluppa l’associazionismo giudiziario, l’Associazione nazionale magistrati tenta di resistere su alcuni profili tradizionali come il principio gerarchico e la funzione della Cassazione quale organo di indirizzo.

 Nel 1964 si costituisce “la corrente di Magistratura democratica” che si distingue soprattutto come avanguardia garantista, mantenendo successivamente un elevato tasso di politicizzazione.

In quegli anni si chiude una fase di discriminazione con l’ingresso delle donne in magistratura e nel 1965 vengono nominate le prime otto magistrate.

Negli anni ‘70 la magistratura entra in un periodo cruciale:

diviene militante, interventista, attiva, ipercinetica affrontando uno dei periodi sociali e politici più bui.

Si sovrappongono le lotte sociali, la contestazione studentesca del ‘68, la tragica deriva del terrorismo, mentre si radicano i movimenti protagonisti dell’epoca seguente.

 Si staglia il tragico attentato di piazza Fontana con il corollario di depistaggi, in un clima di scontro anche istituzionale nel quale emerge la volontà politica di privilegiare una pista anarchica in realtà inconsistente, con interferenze dei servizi a vario livello.

Gli anni ‘70 sono anche quelli in cui la magistratura, con i pretori, tenta di calare il principio di uguaglianza nelle disposizioni normative, interpretandole come si usava dire in termini “costituzionalmente orientati”.

Allo stesso tempo emergono fatti di corruzione con coinvolgimenti autorevoli e istituzionali come nello ‘scandalo dei petroli’.

Gli anni sono anche attraversati da episodi tragici di natura istituzionale (si pensi a Sindona e all’omicidio Ambrosoli) e dal terrorismo, vicende che hanno posto in pericolo la stabilità dello Stato, con la magistratura che unita ad altre energie ha contribuito a mantenerne la sussistenza pur con un contributo doloroso di sangue. Sono di quegli anni gli omicidi dei magistrati Occorsio del 1976, Alessandrini del 1979, Galli del 1980.

 

Esemplare, in questo senso, è il processo conclusosi a Torino nel 1978 nei confronti delle “Brigate rosse”.

 Il suo svolgimento fu segnato dall’intransigente rispetto delle regole processuali nonostante le continue azioni sanguinarie rivendicate dagli imputati (una tra tutte l’omicidio del magistrato Coco a Genova nel 1976).

Il saggio (p. 435) accenna a una pagina di cui si rese protagonista Leonardo Sciascia.

 Nel 1977 il Presidente dell’Ordine degli Avvocati Fulvio Croce, chiamato ad assumere la difesa di ufficio dei brigatisti, cinque giorni prima dell’inizio del processo viene ucciso a colpi di pistola.

A questo punto molti giurati sorteggiati si sottraggono all’incarico presentando certificati medici funzionali soltanto a eludere la designazione.

Sulla paura di fronte a ripetuti fatti di sangue inizia così un dibattito crudo ed aspro.

A fronte di Eugenio Montale che riconosce di aver potuto subire la paura (“Non si può chiedere a nessuno di essere un eroe. Una paura giustificata dal dato attuale delle cose, non metafisica né esistenziale”,

 “La sconfitta dello Stato viene da lontano”, Corriere della Sera 3.5.1977), interviene “Alessandro Galante Garrone” secondo cui era inaccettabile quanto proveniva da un senatore a vita e ricorda un giovane che spiegò di aver accettato l’incarico di giurato perché: “Lo Stato siamo noi”. (“Il coraggio d’essere giusti”, La Stampa 8.5.1977), seguito da Italo Calvino (“I cittadini democratici che non si arrendono proprio quando l’istituzione si dimostra fragile…. Ci sono momenti in cui… accettano i rischi anche molte persone che, per loro gusto, non amano il pericolo”,“Al di là della paura”, Corriere della Sera, 11.5.1977).

 Interviene controcorrente Leonardo Sciascia:

 “Non vorrei entrare in una giuria – e specialmente quella chiamata a giudicare i delitti contro lo Stato.

 Così come non capisco che cosa polizia e magistratura difendano… ancor meno capirei che io, proprio io, fossi chiamato a fare da cariatide a questo crollo o disfacimento di cui mi sento responsabile.

Salvare la democrazia, difendere la libertà, non cedere, non arrendersi … sono soltanto parole.

 C’è una classe di potere che non muta e che non muterà se non suicidandosi.

 Non voglio per nulla distoglierla da questo proposito o contribuire a riconfermarla”. (“Non voglio aiutarli in alcun modo”, “Corriere della sera”, 12.5.1977).

 

Quindi, secondo lo scrittore, quei cittadini impauriti rappresentano la sconfitta dello Stato perché esso non li protegge, opinione condensata nella frase forse sua mai smentita: “Né con lo Stato né con le Brigate Rosse”.

Non si tira indietro Giorgio Amendola che intima il silenzio agli intellettuali afflitti dall'ipertrofia del dubbio, in realtà sabotatori di una lotta che non ammette disobbedienza

. (“Le dichiarazioni di Sciascia e Montale non mi hanno sorpreso in quanto il coraggio civico non è mai stata una qualità di larghe sfere della cultura italiana”, “Intervista con Giorgio Amendola”, L’Espresso, 5.6.1977).

(Su questo dibattito Borgna, “Un paese migliore”, Laterza 2006, e Atti Convegno “Storico per passione civile”, Edizioni dell’Orso, 2009).

Nel 1979, uscito dal PCI, Sciascia aderisce al Partito Radicale e già in quell’anno presenta l’introduzione di “Diario di una giurata popolare” al processo delle Brigate Rosse di Adelaide Aglietta, dirigente radicale che pur minacciata aveva accettato l’incarico di giurato (p. 441).

 La posizione di Sciascia è quasi irriconoscibile rispetto alla precedente:

"Nelle prime pagine di questo diario “Adelaide Aglietta” ricorda quel mio breve articolo in cui esprimevo un'opinione sull'essere giurato nel processo a Torino contro le Brigate Rosse.

Opinione che continuo a sostenere come abbastanza sensata e per nulla eversiva se affermavo che, per rispetto e dovere verso me stesso avrei accettato di fare il giurato in un processo di quel tipo:

e anzi forzando la mia innata e assoluta ripugnanza a giudicare i miei simili… Di un dovere verso una astrazione e astratto io facevo un dovere concreto e inamovibile; e con gli stessi effetti”.

 

Di quella emblematica vicenda si ricorda ancora che 134 cittadini evitarono l’incarico di giurato e solo grazie ad alcuni, come la citata Aglietta, si formò la giuria che condannò il 23 giugno 1978 ventinove brigatisti a pene tra i dieci e i quindici anni di carcere.

Consentirono la celebrazione del processo anche 20 avvocati torinesi che, sorteggiati, avevano accettato di essere difensori di ufficio a differenza di altri 210 dichiaratisi indisponibili o indisposti.

Durante lo svolgimento delle udienze, a rendere ancor più pesante il clima, il 9 maggio viene ucciso Aldo Moro.

 

I processi trattati nel saggio relativi a questo periodo: “il disastro del Vajont; il reato di plagio:

Aldo Braibanti; “l’obbedienza rimane una virtù”:” la condanna di Don Milani”; “il rifiuto del matrimonio riparatore”: Franca Viola;

“il reato di educazione sessuale”: il processo alla “Zanzara”; “la repressione giudiziaria dell’autunno caldo”.

 

1975-78-79: la magistratura diviene protagonista – La P2.

 

Negli anni ‘80 inizia la legittimazione esterna della magistratura con processi di vasta eco sociale e mediatica, anche attraverso la tv con spettacoli che esaltano il suo intervento (Processo in pretura, Telefono giallo), mentre il sistema politico si ritrae progressivamente.

Nel 1981 i giudici istruttori di Milano sequestrano le liste degli aderenti alla P2 con risultati imbarazzanti tra politici, giornalisti e anche magistrati.

 In questo periodo vengono affrontati anche temi spinosi, come la candidatura sconfitta di Falcone a capo dell’Ufficio Istruzione palermitano, come le valutazioni di professionalità, come il trasferimento d’ufficio e la responsabilità civile dei magistrati che dà luogo, sulla scia del “caso Tortora”, a un referendum e a successive modifiche legislative.

Nel 1989, dopo un’incubazione lunga e travagliata, entra in vigore il nuovo codice di procedura penale che subentra a quello fascista del 1930.

I processi trattati nel saggio relativi a questo periodo: “le schedature Fiat”; “il primo processo alle Brigate Rosse”; il “processo di piazza Fontana”; “Enzo Tortora: dalla tv al carcere”; “diffamazione di Stato”,” la condanna di Camilla Cederna”;” i processi infiniti del caso Moro”.

 

1985-1995: lo scontro tra giustizia e politica.

 

In questo decennio si manifestano fatti corruttivi che anticipano, nei temi e nell’intervento della magistratura, la stagione di “Mani pulite” con processi svoltisi a Torino, Savona, Firenze, Catania.

Analoga attenzione viene rivolta alle “questioni di mafia in Sicilia” con stragi di uomini delle istituzioni, ma anche con la consapevolezza della gravità del problema e della necessità di affrontarlo con mezzi e uomini diversi.

Recidendo i rapporti che avevano impedito un efficace contrasto del fenomeno vengono studiate strategie che, pur con difficoltà, porteranno alla “Direzione nazionale antimafia”.

Nel decennio degli anni ‘90 la legittimazione della magistratura come potere è compiuta divenendo protagonista anche per le continue scie di sangue come quelle di Falcone e Borsellino.

I due sistemi, quello giudiziario e quello politico, sono alla resa dei conti:

 i giudici entrano a gamba tesa nella storia di quei rapporti e la “vicenda di Mani pulite” in questo senso è epocale.

 

I processi trattati nel saggio relativi a questo periodo:

il maxiprocesso palermitano alla mafia; l’omicidio Calabresi e l’ombra lunga di Lotta Continua; il ciclone in un bicchier d’acqua: Mani pulite; Licio Gelli e la P2: tanto rumore per nulla; le Fosse Ardeatine e il capitano Priepke; le frequentazioni mafiose di Giulio Andreotti.

 

Stato, giustizia politica, conflitto senza soluzione.

Con gli anni ‘90 si assiste alla discesa in politica di Berlusconi, con impostazioni relative alla giustizia differenti dal passato.

 Il programma del suo primo governo è moderato e di apertura verso l’Associazione nazionale magistrati, ma per breve tempo a causa delle indagini a personaggi vicini a lui dal fratello Paolo all’amico Dell’Utri, fino a toccare lo stesso Berlusconi.

 Che nasca e cresca la tensione via via incandescente tra i due poteri è storia nota, ed è palpabile in un clima in cui la resa dei conti è in atto.

Con i successivi governi la componente progressista della magistratura si impegna sempre più ad esplorare un’affermazione per via giudiziaria. S’inaspriscono i contrasti tra la maggioranza governativa e la magistratura, continuano i processi contro Berlusconi e come risposta vengono approvate norme ad personam o utili alla persona, come la riforma del delitto di falso in bilancio e il ritocco alla prescrizione dei reati. 

Ma proprio in questi anni gradualmente la magistratura associata perde identità, forse per una collocazione troppo veloce nel sistema politico.

Essa da conservatrice è divenuta il suo opposto, da muto sostegno del passato ha assunto il ruolo di attivista sovvertitrice, si è proposta come controllo del sistema politico ed amministrativo, ha ingigantito la propria dimensione di potere.

 La classe politica sente di doverla contattare sulle riforme, anche per il timore di sue reazioni dure come lo sciopero spesso minacciato.

 Il problema permane tuttora ad esempio con la riforma del reato di abuso di ufficio, o con il progetto politico di modifica dell’ordinamento giudiziario, come la separazione della carriera di giudice da quella di pubblico ministero per così distinguere il giudicante e l’accusatore.

 

I processi trattati nel saggio relativi a questo periodo:

Cesare Previti e la corruzione giudiziaria; macelleria messicana alla scuola Diaz, nel G8 di Genova; Extraordinary renditions: il sequestro Abu Omar; bunga bunga a giudizio: Ruby, nipote di Mubarak; il Plan Cóndor alla sbarra; nelle mani della legge: Stefano Cucchi.

 

Il saggio si sviluppa con riflessioni ed interrogativi che permeano la ricostruzione storica, guidata con mano esperta dagli autori ne avrebbe potuto essere altrimenti.

 La scelta dei processi, come ogni scelta, può essere discussa.

Qualche vicenda giudiziaria forse è assente, mentre qualche altra è collegata non tanto al rapporto tra poteri ma al sentire della società dell’epoca.

Come ad esempio a proposito del processo al Vescovo di Prato, del delitto Montesi, oppure il disastro del Vajont con la politica lontana, ma con condotte colpose vicine all’evento.

 Oppure il processo all’autore dello scritto” Il Vicario” per la violenta critica all’operato di Pio XII e a lui solo.

Oppure il celebre “processo a Fenaroli”, accusato e condannato per aver fatto uccidere da un sicario la moglie, in cui domina la curiosità popolare ma è assente la politica.

 E ancora si potrebbe discutere sui commenti degli autori sulla vicenda del sequestro Abu Omar o sulla diffamazione attribuita a Camilla Cederna.

 Ma questa potrebbe essere un’altra storia.

 

 

 

SEGRETI DI MAFIA. DIARIO DI UN CRONISTA.

Attilio Bolzoni racconta:

 «I Pm mi hanno ascoltato sulla mia inchiesta su mafia e politica. 28 anni dopo»

Editorialedomani.it – (13 febbraio 2024) – Redazione – Attilio Bolzoni – Nellio Trocchia - ci dice:

 

Attilio Bolzoni racconta a “Nello Trocchia” degli incroci tra Berlusconi e i fratelli Graviano raccontati da Spatuzza e dell’inchiesta fatta per Repubblica, dal titolo “Quell’affare di mafia e mattoni”, che ha portato la magistratura a interrogarlo quasi trent’anni dopo.

Pubblichiamo un estratto del libro di Attilio Bolzoni “Controvento. Racconti di frontiera” edito da Zolfo editore (2023).

Roma, 20 marzo 1994.

 Articolo firmato con Giuseppe D’Avanzo.

 

È il cuore malato di Palermo. Macerie che resistono dal dopoguerra. Palazzi cadenti e piazze vuote che segnano il confine dei quattro antichi Mandamenti della città. È la più ricca «torta» immobiliare d’Italia, un affare da mille miliardi di lire. E c’è un pentito di Cosa Nostra che parla del business.

Fa il nome di Silvio Berlusconi.

È Totò Cancemi, rappresentante della «famiglia» di Porta Nuova.

 Le rivelazioni del boss disertore non si fermano ai Quattro Mandamenti.

 Racconta anche dei latitanti in visita «nella tenuta tra Milano e Monza» di proprietà o comunque amministrata da Marcello Dell’Utri, braccio destro del Cavaliere; degli interessi palermitani della Fininvest; delle pericolose frequentazioni che – fin dal 1978 – Marcello Dell’Utri, presidente di Publitalia, ha coltivato con gli uomini d’onore dei più potenti clan siciliani.

Due lunghe testimonianze, una confessione che Totò Cancemi ha cominciato il 18 febbraio e concluso esattamente una settimana dopo, la mattina di venerdì 25.

 Le sue dichiarazioni, in questi giorni, sono all’esame delle procure di Caltanissetta e Palermo.

Ma anche i magistrati di Firenze e di Catania hanno sulle loro scrivanie due dossier sugli amici e collaboratori di Silvio Berlusconi.

 

A Catania, le investigazioni sarebbero concentrate su un giro di centinaia di migliaia di dollari del clan Santapaola e su alcune società di Alberto Dell’Utri, il fratello gemello del presidente di Publitalia.

A Firenze, c’è un altro pentito che «parla» e accusa.

 Per fatti di mafia, dunque, quattro procure della Repubblica indagano su Silvio Berlusconi e i fratelli Dell’Utri.

Sono queste le notizie che nella giornata di ieri hanno attraversato il Paese da Milano a Palermo.

 Con un seguito di indiscrezioni, ballon d’essai, voci non controllate e non controllabili.

 Allo stato dei fatti, ci sono tre elementi certi.

Primo. Il pentito Cancemi chiama in causa Silvio Berlusconi e i suoi due collaboratori.

 Secondo. Le indagini, in tutte e quattro le procure, sono nella fase preliminare.

 

Si stanno cioè raccogliendo conferme della consistenza delle accuse del pentito per aprire formalmente l’istruttoria.

Terzo. Né Berlusconi né Marcello e Alberto Dell’Utri sono per il momento iscritti all’elenco degli indagati in nessuna delle «distrettuali» antimafia.

 

Ieri sera è circolata insistente la voce che il presidente di Publitalia avesse già lo status di indagato alla procura di Caltanissetta.

 La voce non ha trovato alcuna conferma.

Al contrario, ambienti giudiziari hanno precisato all’agenzia Ansa che «si indaga su Marcello Dell’Utri in relazione a una vicenda di riciclaggio di denaro proveniente dal traffico internazionale di stupefacenti affidato da Cosa Nostra direttamente o indirettamente all’amministratore delegato di Publitalia».

Sempre all’Ansa, Dell’Utri ha affidato nella notte la sua prima replica: «Sono accuse farneticanti, ignobili calunnie».

L’inchiesta incrociata sui vertici della Fininvest ha il suo epicentro in Sicilia, proprio dove Totò Cancemi ha avuto una lunga carriera criminale:

da semplice soldato della «famiglia» di Porta Nuova a rappresentante della  Commissione provinciale di Palermo.

 Il mafioso ha confessato ai giudici e ai carabinieri del Ros i legami che stringono Marcello Dell’Utri e alcuni esponenti di Cosa Nostra.

Un elenco lunghissimo, composto non da uomini d’onore qualunque ma dai capi, dai sottocapi e dai consiglieri di due delle più importanti «famiglie» di Palermo: quella di Porta Nuova e quella di Santa Maria del Gesù.

Girolamo Mimmo Teresi è il primo personaggio della lista fatta dal pentito Totò Cancemi.

Mimmo Teresi era il più fidato amico di Stefano Bontate e suo consigliori.

Furono uccisi entrambi, nel 1981, a distanza di un mese.

Gli altri due nomi citati da Cancemi sono quelli di Pietro Lo Jacono e di Ignazio Pullarà, una volta capidecina di Bontate e poi passati nelle fila dei Corleonesi di Riina.

 

Ma Totò Cancemi parla anche della sua «famiglia» e, soprattutto, del «punto di riferimento» che aveva in Lombardia: Vittorio Mangano.

Non è un mafioso sconosciuto alle cronache.

L’uomo d’onore di Porta Nuova è stato il primo a trascinare il nome del Cavaliere Silvio Berlusconi in una vecchia vicenda di mafia.

 Vittorio Mangano è stato stalliere ad Arcore (nella tenuta di Berlusconi) nella seconda metà degli anni Settanta.

Il mafioso era emigrato da quelle parti e aveva trovato occupazione proprio ad Arcore.

Silvio Berlusconi, il 26 giugno 1987, al giudice istruttore milanese Giorgio Della Lucia ha spiegato come conobbe quel picciotto palermitano:

«Avevo bisogno di un fattore. Chiesi a Marcello Dell’Utri ed egli mi presentò il Mangano, persona conosciuta da un suo amico…».

 

Insomma, la spiegazione di un normale, anche se incauto, rapporto di lavoro.

Ma il racconto di Totò Cancemi offre un’altra versione della presenza di Vittorio Mangano in Lombardia.

Nella «tenuta tra Monza e Milano – confessa il pentito di Porta Nuova – trovarono rifugio Ciccio Mafara (un boss ucciso nei primi anni Ottanta nella guerra di mafia) e, durante la latitanza, i fratelli Grado e Contorno, anche loro uomini d’onore di Santa Maria del Gesù.

 

Gli investigatori hanno ritenuto che si trattasse di “Totuccio Contorno”. Poi il pentito ha spiegato: «No, non sono io. Credo che sia Giuseppe Contorno… In quegli anni lui aveva interessi a Milano con i Pullarà, Ignazio e Giovambattista».

 

Le rivelazioni di Totò Cancemi non si fermano però alle amicizie e alle frequentazioni mafiose di Marcello Dell’Utri.

Il boss svela i retroscena del grande affare del centro storico.

Parla degli investimenti che Silvio Berlusconi avrebbe fatto in attesa del secondo «grande sacco» della città, quello che la mafia stava preparando dai tempi di Lima e Ciancimino, Calò e Buscetta.

Totò Cancemi indica espressamente l’acquisto di immobili da parte del Cavaliere.

 E poi fa entrare in scena un misteriosissimo personaggio che avrebbe fatto da intermediario, a Palermo, nell’«affare centro storico».

 Il pentito lo chiama «il ragioniere».

Sarebbe stato questo «ragioniere», in nome e per conto di Berlusconi, a trattare direttamente l’operazione.

 Sarebbe stata, dunque, la mafia a favorire l’ingresso in Sicilia del Cavaliere per spartire la «torta» del grande risanamento di uno dei centri storici più belli d’Europa?

Su queste dichiarazioni del pentito di Porta Nuova sono in corso investigazioni in tutta la Sicilia occidentale.

Indaga la procura di Palermo, ma anche quella di Caltanissetta dove Cancemi, per la prima volta, ha deciso di vuotare il sacco sulle stragi mafiose dell’estate 1992.

 

Sono indagini partite alla fine dello scorso febbraio e concentrate soprattutto a Palermo, si cercano anche società in qualche modo legate a Marcello Dell’Utri e a suo fratello Alberto.

Più complessa e articolata l’inchiesta dei magistrati di Catania.

Anche lì s’indaga sullo staff del Cavaliere, seguendo le tracce del «tesoro» di Benedetto Nitto Santapaola e dei suoi fedelissimi prestanome.

 I giudici hanno trovato collegamenti con alcune società di Alberto Dell’Utri, il fratello di Marcello.

Collegamenti che hanno lasciato una traccia: intercettazioni telefoniche.

Questa di Catania è un’investigazione difficilissima, gli esperti partono da centinaia di migliaia di dollari, i proventi del riciclaggio della «Santapaola Spa».

 È questo il quadro più attendibile delle indagini in corso. Meglio, di indagini che muovono appena i primi passi.

I magistrati, pur rifiutando di fare qualsiasi commento, non nascondono inquietudine e perplessità.

 La fuga di notizie può pregiudicare l’inchiesta?

La preoccupazione, in alcuni palazzi di giustizia, è che «la danza» sia soltanto agli inizi.

Una valanga di voci indica frotte di pentiti testimoni del «caso Berlusconi».

 

È la prima valanga di indiscrezioni senza fondamento che, già in queste ore, intorbida e confonde l’intera indagine.

Un caso per tutti.

Fonti imprecisate hanno diffuso che anche il pentito Gioacchino La Barbera avrebbe reso «esplosive dichiarazioni» su Silvio Berlusconi.

Avrebbe detto: «Si sapeva dentro Cosa Nostra che Berlusconi era nostro amico, che con lui si potevano fare affari».

In realtà, ecco che cosa ha semplicemente riferito La Barbera:

 «Sono stato contattato da alcuni uomini della Fininvest, tra la fine del ’92 e l’inizio del ’93, quando avevano necessità di installare nella zona di Palermo dei ripetitori tv.

Dovevo occuparmi del movimento terra. Non avevo le macchine adatte. E quel lavoro non lo feci io».

(“Controvento. Racconti di frontiera” di Attilio Bolzoni, edito da Zolfo Editore).

 

 

 

 

Gli Antisemiti Oggi sono

gli Ebrei Stessi! Breve

Storia dei “Kazari.”

Conoscenzealconfine.it – (24 Luglio 2024) - Marcello Pamio – ci dice:

 

La popolazione mondiale è stata ingannata a credere che la parola “semita” si riferisca esclusivamente al popolo ebraico.

In realtà niente è più lontano dalla Verità!

Le parole “semita” e “antisemitismo” non appaiono neppure nell’edizione del 1828 dell’”America Dictionary of the English Language”.

 Furono coniate solo verso la fine del secolo scorso.

Ma allora chi sono i semiti?

 I semiti secondo l’autorevole “Oxford University Dictionary” del 1944, sono il popolo appartenente alla razza umana che comprende la maggior parte dei popoli citati in Genesi 10, che discendevano da “Shem”, figlio di Noè, come gli Arabi, gli Ebrei e gli Aramei, e che parlavano una lingua semitica come madrelingua.

Quindi gli ebrei nella società moderna non hanno niente a che fare con gli ebrei dei tempi antichi!

È un fatto storico che circa il 95% degli ebrei moderni non sono di razza semitica: sono di razza turca, i cosiddetti Cazari (o Kazari).

“I Cazari non vennero dalla Giordania, ma dal Volga, non da Canaan, ma dal Caucaso.

Geneticamente sono parenti più degli Unni, degli Ungari e dei Magiari, che del seme di Abramo, di Isacco e di Giacobbe.

La storia dell’”impero Cazaro” man mano che sorge dal passato, comincia ad assomigliare alla più crudele beffa che la storia abbia mai interpretato” (Arthur Kostler, “La tredicesima tribù”).

 

Gli ebrei dei nostri tempi sono divisi in due gruppi principali:

 Sefarditi e Aschenaziti (o Ashkenaziti).

I sefarditi sono i discendenti degli ebrei dei tempi antichi e negli anni Sessanta il loro numero era stimato in 500.000.

Gli aschenaziti o ebrei kazari nello stesso periodo erano circa 11 milioni.

L’enciclopedia ebraica ci racconta dei Cazari:

“Un popolo di origine turca la cui vita e storia sono collegate strettamente con l’inizio della storia degli ebrei in Russia…

spinti dalle tribù dei nomadi delle steppe e dal loro stesso desiderio di vendetta e di preda.

Nella seconda metà del VI° secolo i cazari si spostarono verso occidente…

 il regno dei cazari era saldamente istituito nella maggior parte della Russia meridionale molto tempo prima della fondazione della monarchia Russa.

A quel tempo il regno dei cazari era all’apice del suo potere e costantemente in guerra.

Alla fine dell’VIII° secolo il “Cagan”, il re dei cazari, e altri personaggi importanti, insieme con molto del suo popolo pagano, adottarono la religione ebraica.

 Avendo i cristiani alla loro sinistra, e i musulmani alla loro destra, fu loro chiesto di aderire a una delle due religioni.

Intorno al IX° secolo sembra che tutti i cazari fossero ebrei e che si fossero convertiti al giudaismo solo poco tempo prima! “

Perciò, impariamo da fonti rigorosamente ebraiche che la maggior parte degli ebrei moderni non possono rivendicare di essere discendenti degli ebrei originali, e possibili eredi della Palestina.

A causa di questo fatto storico, il termine “antisemitismo” non si riferisce agli Ebrei moderni!

Tale termine è usato come parola offensiva.

Quando i cosiddetti ebrei sentono che qualcuno si oppone ai loro obiettivi, li etichettano usando la parola “antisemita” o “antisemitico”, attraverso i canali mediatici che hanno a disposizione e controllano.

E li controllano tutti!

Una delle più potenti famiglie cazare del mondo è quella dei Rothschild, il cui nome significa “Scudo Rosso”, non a caso simbolo dei Cazari!

Poiché gli ebrei moderni non sono di origine ebraica, non hanno mai avuto e né avranno mai il diritto di rivendicare la terra della Palestina.

Lo Stato di Israele quindi è assolutamente illegale.

Nessuno può negare che oggi la popolazione più antisemita è probabilmente quella degli ebrei moderni.

Perché vi chiederete?

Semplice: odiano e combattono gli arabi perché loro sono realmente d’origine semita!

(Marcello Pamio)

(t.me/marcellopamio)

 

 

 

 

 

Il Blocco degli Houthi

Manda in Bancarotta

il Porto Israeliano di Eilat.

Conoscenzealconfine.it – (23 Luglio 2024) - Robert Inlakesh – ci dice:

 

Nonostante la formazione di una coalizione navale multinazionale guidata dagli Stati Uniti, il porto di Eilat, controllato da Israele, sarebbe andato in bancarotta e starebbe cercando un salvataggio da parte del governo.

La situazione sottolinea il fallimento degli sforzi guidati dagli Stati Uniti contro il blocco attuato nel Mar Rosso dall’organizzazione militare yemenita “Ansar Allah” – nota in modo peggiorativo come “Houthis” – fino a quando Israele non porrà fine alla sua guerra contro Gaza.

“Bisogna riconoscere che il porto è in uno stato di bancarotta“, ha dichiarato “Gideon Golber”, amministratore delegato del porto di Eilat, che da mesi parla delle sue disastrose condizioni economiche e ora chiede il sostegno finanziario del governo israeliano.

Parlando alla Commissione Affari Economici della Knesset il 7 luglio, “Golber” ha sottolineato che in seguito al blocco del Mar Rosso da parte di “Ansar Allah” l’attività economica è cessata.

 

Il 19 novembre, al largo di “Hodeidah”, “Ansar Allah” sequestrò la nave israeliana “Galaxy Leader”, dichiarando l’operazione un atto di solidarietà con Gaza.

 Il generale di brigata “Yahya Saree”, portavoce delle “Forze Armate yemenite”, annunciò poi che a nessuna nave legata a Israele sarebbe stato consentito il passaggio nel Mar Rosso.

Sebbene “Ansar Allah” avesse iniziato a sparare missili e droni contro Israele il 19 ottobre, il blocco totale del Mar Rosso per impedire alle navi di raggiungere il porto di Eilat, gestito da Israele, non fu pienamente applicato fino alla fine di novembre.

A dicembre, il Segretario alla Difesa statunitense “Lloyd Austin” annunciò che gli Stati Uniti avrebbero guidato una coalizione navale multinazionale denominata “Operazione Prosperity Guardian” per garantire il libero passaggio delle navi dirette a Eilat.

Secondo la “Reuters”, nel primo mese di blocco l’attività economica del porto di Eilat è calata dell’85%.

 Nonostante lo scarso successo degli sforzi delle marine statunitensi e britanniche per combattere il blocco, esse sono rimaste fiduciose di poter ripristinare il flusso di navi verso Israele.

Tuttavia, dopo le continue sconfitte inflitte da “Ansar Allah”, che ha impedito alle navi di attraversare quelle acque pur difese dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, è stata annunciata un’altra operazione militare, l’operazione “Poseidon Archer”.

Questa operazione, che mirava a distruggere le infrastrutture militari yemenite, non è però riuscita a localizzare gli obiettivi critici.

Dopo un attacco yemenita su larga scala contro le navi americane il 10 gennaio, sono continuati gli attacchi aerei periodici e gli attacchi di rappresaglia contro le navi.

A giugno, l’amministratore delegato del porto di Eilat ha dichiarato:

“Sono sette mesi che non si lavora. “

Ha attribuito questo fatto alla debolezza della coalizione nel trattare con “Ansar Allah”:

“Nonostante la guerra non è possibile trascurare questo problema.

Purtroppo non ci sono soluzioni, quindi non mi vergogno di dire ai clienti di pagare agli Houthi 100.000 dollari per attraversare, e io parteciperò al finanziamento. Non dormo la notte, e se si devono pagare gli egiziani per passare il Canale di Suez, o gli Houthi per passare “Bab al Mandab”, allora è quello che serve“.

Un mese prima, il porto di Eilat è stato criticato per aver minacciato di licenziare metà dei suoi circa 120 lavoratori.

Questa mossa ha attirato la condanna del principale sindacato israeliano, l’”Histadrut”, e ha persino coinvolto la” Knesset” israeliana.

Ciò nonostante, il collasso economico del porto di Eilat, che è avvenuto negli ultimi otto mesi ed è stato trattato dai media ebraici israeliani, ha ricevuto poca attenzione dai media occidentali.

Ciò è probabilmente dovuto al clamoroso fallimento militare dell’”Operazione Prosperity Guardian”, che ha prosciugato ingenti risorse e fondi dei contribuenti statunitensi nel tentativo, imbarazzante e alla fine fallito, di salvare un porto israeliano.

(Robert Inlakesh - analista politico, giornalista e documentarista).

(mintpressnews.com/us-naval-efforts-falter-as-yemens-blockade-bankrupts-israels-eilat-port/287894/)

 

 

 

 

“L’ideologia gender è pericolosa”

di Laura Schettini.

Pandorarivista.it – Olimpia Capitano – (6-3-2024) – ci dice:

 

 

(Recensione a:” Laura Schettini, L’ideologia gender è pericolosa”, Laterza, Bari-Roma 2023.)

Negli ultimi anni le questioni di genere hanno preso spazio nel dibattito pubblico, sia grazie alla crescita del movimento transfemminista “Non Una di Meno” (evidente dai numeri della manifestazione del 25 novembre di quest’anno), sia perché esse sono diventate tema centrale nella costruzione della propaganda delle destre.

 Può essere utile partire da un paradosso:

il discorso politico promosso dalle destre evoca il genere come pericolo incombente mentre, tuttavia, ne lamenta la fumosità e relega la questione a una nicchia sociale priva di problemi “reali” nella vita.

 Laura Schettini, ricercatrice in storia contemporanea presso l’Università di Padova e autrice di” L’ideologia gender è pericolosa” (Laterza 2023), prende le mosse proprio da questa apparente contraddizione e cerca di scioglierla nel corso del testo, in prospettiva storica e teorica.

Nel primo capitolo l’autrice ricostruisce la storia della polemica intorno alla presunta esistenza di un’ideologia gender e analizza la campagna anti gender, i suoi obiettivi, il ruolo che il femminismo ha giocato e tuttora gioca in questa partita.

Nel secondo capitolo approfondisce come e perché il genere è stato introdotto nelle scienze umane e i suoi significati.

 Infine, Schettini mostra come, almeno dalla fine dell’Ottocento, si sia cercato di costruire la nazione su un’idea precisa di famiglia, di cosa implichi essere o uomo o donna, di quali siano le forme della sessualità e i corpi accettabili.

 

Gli studi concordano nell’individuare nella conferenza mondiale sulle donne di Pechino del 1995 il momento in cui la Chiesa inizia a denunciare la categoria del gender ma, come sottolinea Schettini sin dall’inizio del primo capitolo, già all’indomani della conferenza ONU su popolazione e sviluppo (1994) e durante i lavori preparatori per quella di Pechino, l’ostilità verso il termine gender aveva iniziato a palesarsi.

D’altronde, fu estremamente rilevante l’impatto dell’introduzione di un discorso sui diritti riproduttivi da parte delle femministe, così come la loro inedita visibilità nelle organizzazioni non governative che parteciparono agli incontri preparatori e alle conferenze.

 La base teorica della formulazione dell’ideologia gender si trova negli interventi e nei pamphlet che furono scritti e fatti circolare durante il forum delle ONG di Pechino.

 In particolare, Dale O’Leary, giornalista ultracattolica e militante dei gruppi che lei stessa definì movimenti pro life e pro family, portò a Pechino il testo Gender:” the deconstruction of women”.

 Questo pamphlet introdusse dispositivi discorsivi e strategie comunicative che, per quanto in parte mutati, sono ancora largamente utilizzati da pro family e anti gender.

Anzitutto si parte dall’idea che il dato biologico implichi una netta distinzione binaria tra uomini e donne e ne determini le diverse vocazioni sociali e familiari – va da sé che niente è concepibile al di fuori dell’eteronormatività.

 Dunque, ci si sofferma sulla differenza tra femminismo ottocentesco dell’equità e femministe del genere:

 le prime avrebbero riconosciuto la differenza biologica e avrebbero agito entro i suoi confini.

 Le seconde, invece, avrebbero messo a rischio la salute fisica e psichica delle donne, esponendole a inadeguate sollecitazioni contrarie alla loro “natura”.

Le donne, infatti, avrebbero modo di esprimere la propria forza e potere esclusivamente all’interno di dimensioni predeterminate, come quella domestica e familiare.

Rifiutare questo porterebbe a negare la propria specificità per seguire un modello maschile, contribuendo al suo trionfo ma senza proporre misure concrete per aiutare le donne.

In sostanza, le teorie del gender hanno iniziato a essere progressivamente raccontate soprattutto come qualcosa che prima di tutto attacca i diritti delle donne, impedendo una trasformazione sociale a loro misura.

 Il tema della concretezza si è reso evidente anche in rapporto al dibattito intorno al sessismo nella lingua italiana.

Negli anni Settanta e ancora di più negli anni Ottanta, i movimenti delle donne iniziarono ad attirare l’attenzione sul ruolo del linguaggio nel rimarcare e radicare le asimmetrie di genere, senz’altro riproducendole, ma anche collaborando a produrle.

Osservare in prospettiva storica l’uso del linguaggio e le sue trasformazioni, come sottolinea Schettini, permette di comprendere la centralità politica della questione:

nel 1984 fu creata una Commissione per la parità tra uomo e donna, che produsse le Raccomandazioni per un uso non sessista della linga italiana:

 per la scuola e l’editoria scolastica (1986).

Le Raccomandazioni ebbero il merito di confutare esplicitamente l’argomento della sacralità della lingua italiana, sottolineandone la struttura dinamica e sempre mutevole – si pensi alla continua acquisizione di neologismi entrati a far parte del costume sociale o all’adozione nel vocabolario di parole di provenienza estera.

Tuttavia, le reazioni ai mutamenti linguistici non sono sempre le medesime:

le trasformazioni che non coinvolgono in modo profondo le strutture sociali vengono più facilmente accettate;

 in caso contrario, determinano conflittualità sociale.

La lingua si pone come territorio politico e minimizzare tali questioni significa compiere un tentativo di invisibilizzazione politica.

 Questioni più che concrete, dunque.

 

Un altro tema importante che è largamente approfondito da Schettini nel secondo capitolo è quello del rapporto tra la nascita della storia delle donne e l’esplosione dei movimenti femministi.

 I movimenti delle donne, infatti, individuarono subito nella narrazione storica uno dei terreni principali di costruzione e legittimazione dell’oppressione patriarcale, perciò un campo di battaglia entro cui agire.

Le femministe sottolinearono che la storia non era giustapponibile al passato, quanto alla narrazione del passato, parziale e orientata da chi la scrive.

I movimenti femministi rilevarono ben presto le relazioni tra la cancellazione delle donne dalla narrazione storica e la loro svalorizzazione nel presente da una parte, e tra il protagonismo storico degli uomini e le loro posizioni di potere e dominio dall’altra.

“Angela Groppi” e “Margherita Pelaja”, studiose centrali per la storia delle donne in Italia, affermarono che «interrogare la storia, guardare al passato per ritrovarvi i graffiti di esistenze femminili mute e nascoste o per riportare alla luce i fiumi carsici dei movimenti delle donne è stata una passione e una esigenza nata all’interno del femminismo italiano».

La nascita di questo ragionamento in Italia è ben rappresentata dall’editoriale del numero di esordio di DWF, rivista dedicata agli studi sulle donne e pubblicata per la prima volta nel 1975.

Nell’editoriale si espresse chiaramente la necessità di porre le donne al centro nelle discipline – soprattutto antropologia, storia, letteratura – partendo dalla consapevolezza che le scienze umane potevano essere espressione e garanzia di ideologie e istituzioni fondate sulla discriminazione.

Anche per questo i luoghi di produzione intellettuale delle donne spesso non furono università ma luoghi altri:

 i centri di documentazione, le case editrici, le biblioteche, le librerie delle donne.

 I primi studi furono soprattutto dedicati alla restituzione di esperienze collettive di donne, privilegiando le ribelli del passato e i fenomeni da cui emergevano alterità e specificità, tra cui la caccia alle streghe;

 la partecipazione a momenti chiave della vita politica nazionale come il Risorgimento, la Liberazione e la Resistenza; o ancora, la storia dei corpi e della sessualità, della famiglia, dell’aborto e della maternità.

Il fine era quello di rompere il carattere unitario e progressivo della narrazione storica, di mettere in crisi le grandi narrazioni, le categorie dell’analisi storica, le sue periodizzazioni.

Tuttavia, la storia delle donne aveva in sé dei limiti che vennero messi a critica nel corso degli anni Ottanta.

 Una ricca storiografia sulla domesticità, soprattutto statunitense, fece propria la concettualizzazione delle sfere separate, ossia il riconoscimento di un confinamento storico delle donne nello spazio distinto della casa, inteso come luogo del privato laddove svolgere le proprie funzioni “naturali”.

 Tuttavia, la sfera domestica, non fu solo luogo di oppressione ma anche di rapporti, complicità, affetto ed erotismo tra donne: ma tra quali donne?

Iniziò a emergere la variabilità, sincronica e diacronica, dei modelli prescritti, dei ruoli riservati alle donne e delle tipologie di relazioni intessute, sulla base di molti altri fattori e circostanze, tra cui la provenienza e la condizione di classe.

Si realizzò la necessità di approfondire tale complessità e, al contempo, si comprese l’insufficienza di una ricostruzione della storia delle donne intese come gruppo omogeneo.

Il rischio era insomma quello di creare una storia compensativa, con scarsi margini di incidenza sull’obiettivo di cambiare le narrazioni costituite e, dunque, di mettere in discussione i rapporti di potere.

Alcune autrici misero a tema la necessità di allargare lo sguardo, di andare oltre la messa a fuoco della presenza delle donne nel passato, concentrandosi sulla dinamica di costruzione delle relazioni di potere – tra queste ebbero un ruolo fondamentale “Joan Kelly-Gadol”, “Natalie Zemon Davis”, “Joan Scott” e, in Italia, Gianna Pomata.

Si iniziò a superare un orientamento delle ricerche fondato sulla differenza tra i sessi e si cominciò a indagare i significati di volta in volta attribuiti a questa differenza.

Il punto non fu più l’esistenza o meno di un’identità biologica femminile o maschile ma cosa culturalmente e politicamente si era costruito intorno a esse e con quali obiettivi:

guardando a tali significati si rese possibile produrre un ripensamento delle strutture sociali, del potere, dei simboli e delle periodizzazioni.

La categoria del genere fu il dispositivo teorico per assumere tali premesse, lo strumento principale per analizzarle all’interno di una molteplicità di ambiti di ricerca.

La storia delle donne e di genere è uno strumento essenziale per decostruire gli argomenti dell’ideologia gender, incentrata su distinzione biologica e “naturalità” dei ruoli, della famiglia e degli orientamenti sessuali.

Infatti, la ricerca storica ha svelato come nel corso del tempo, all’interno di contesti radicalmente differenti, le persone abbiano costruito famiglie diverse, fatte di una donna o di un uomo con i figli, di più coppie, di persone con legami di sangue e non, di figli non biologici, di relazioni non eterosessuali e via dicendo.

 Allo stesso modo, si è rivelata l’esistenza di corpi e posture, di estetiche e pratiche non conformi: dinamiche che non sono proprie della contemporaneità ma che – verrebbe da dire “naturalmente” – hanno attraversato la storia.

Nel terzo capitolo “Schettini” ce ne mostra alcune tracce, raccontandoci di moltissime esperienze che hanno osteggiato e superato i confini tra i generi.

 Si tratta di episodi apparentemente “piccoli” ma che hanno scosso cronache nazionali e internazionali, scomodato illustri scienziati e costituito un cruccio per decoro e pubblica sicurezza – in Italia soprattutto nell’Ottocento.

Non c’è ragione per credere che tutto ciò non esistesse o esistesse in forma e numeri radicalmente meno visibili prima dell’Ottocento:

i caratteri di novità, piuttosto, sono nel rilievo politico acquisito da sesso e genere. Nella seconda metà di quel secolo si decise di fissare le fondamenta della nuova nazione assegnando una funzione essenziale di stabilità alla famiglia, alla separazione tra la sfera pubblica legata alla cittadinanza maschile e la sfera privata legata alla domesticità femminile.

 

Un ulteriore contributo – in termini teorici e di pratiche politiche – alla decostruzione di questi assunti “naturali” è emerso grazie ai movimenti di liberazione sessuale negli anni Ottanta del Novecento.

La prima sistematizzazione teorica dal valore politico e programmatico della contestazione del binarismo di genere fu elaborata da “Teresa de Lauretis” a inizio anni Novanta:

quest’ultima introdusse nel dibattito accademico la “Queer theory”, riprendendo un termine diffuso come insulto negli ambiti omosessuali nell’Ottocento e poi ripreso come categoria di identificazione sociale e politica, per introdurre nuovi elementi di complessità e sottolineare che non tutte le forme di sessualità si definivano entro logiche binarie, in opposizione all’eterosessualità, o in forme stabili.

 Gli studi si sono poi sviluppati ponendo a tema come etnia, provenienza sociale determinassero esperienze diverse e conflittualità anche all’interno di macro categorie identitarie (“gli omosessuali”, ad esempio).

Una delle studiose che ha avuto più seguito in questi anni di diffusione della teoria queer è stata “Judith Butler”:

 la sua sistematizzazione teorica implicò una opposizione al binarismo meno focalizzata sugli orientamenti sessuali e che poneva al centro i significati attribuiti alle differenze e alle identità sessuali.

Secondo l’autrice le identità di genere sono intese come performance, ossia come ripetizioni e interpretazioni di norme e aspettative sociali.

Rompere le performatività normative attraverso atti corporei sovversivi, come travestimenti, travisamenti, confusioni di genere, diventa in questo senso uno strumento rivoluzionario contro il sistema binario.

 

Dunque, in conclusione, seguendo il ragionamento di “Schettini” e le posizioni esposte fin qui, la centralità contemporanea della questione gender appare come prodotto di processi opposti:

da un lato la lunga durata del progetto di costruzione nazional-familista proprio delle destre e del cattolicesimo conservatore, legato all’idea di nazione come comunità etnica;

dall’altro, la presenza e l’agire di esperienze e culture politiche – anche diverse e in contrasto tra loro – che hanno mosso e continuano a muovere una critica radicale a questo progetto, disattendendo attraverso la violazione, sia estetica sia politica, della costruzione di confini tra i generi.

Si tratta, ad ogni modo e benché in forme diverse, di una questione di potere, di un conflitto tra modelli dominanti e parti sociali, posizionamenti, pratiche e identità non riconosciute e discriminate.

 In questo senso è senz’altro augurabile che l’ideologia gender sia un’ideologia pericolosa.

 

 

 

Musk attacca l’ideologia gender

 “Mio Figlio “ucciso” dal virus woke”.

Laverita.info – Francesco Bonazzi – (24 luglio 2024) – ci dice:

 

L’imprenditore attaccai dottori per il cambio di sesso del figlio Xavier: “MI mentirono”.

Un figlio diventato donna “ucciso dal virus mentale woke”.

Vivian Jenna Wilson, nata Xavier Musk ha 20 anni e per fortuna è viva e vegeta, ma il padre Elon si è ampiamente pentito di aver dato l’assenso al suo cambio di sesso.

E ora promette una lotta senza quartiere contro l’ideologia che, partendo dal politicamente corretto e arrivando al cancel culture, intende annullare le differenze di genere.

Il fondatore di Tesla è andato giù duro in una intervista televisiva  e lo ha fatto pochi giorni dopo aver annunciato il trasferimento della sede  di “X “dalla California al Texsas, per via della nuova legge californiana che vieta alle scuole di avvertire i genitori se un allievo inizia a usare pronomi diversi per riferirsi a se stesso.

Vivian ha un fratello gemello e con il padre Elon Musk non parla sia per il cambio di sesso e sia per motivi politici, dal momento che si proclama comunista convinta e “odia i ricchi”, come racconta lui.

IL miliardario sudafricano, 53 anni, seppe della sua intenzione di cambiare sesso dalla cognata, quattro anni fa, e diede il proprio consenso nel timore che Xavier potesse suicidarsi.

UN “errore” che non si perdona e per il quale grida alla truffa.

Musk si è fatto intervistare dalla TV conservatrice “Daily Wire”e ha risposto alle domande di un noto psicologo americano, Jordan Peterson.

Ha raccontato che suo figlio era chiaramente un adolescente “stranito” e confuso, a sedici anni, e che “è stato ucciso dal virus mentale woke”.

Parole dette con evidente dolore, ma assai pesanti.

Ecco il racconto di Musk:

Mi hanno sostanzialmente ingannato nel dare il consenso ai farmaci che bloccano la pubertà (…) parlandomi anche del rischio di suicidio in caso di diniego (…)

Questo è successo nel 2022, prima che io capissi cosa stava succedendo.

C’era il Covid, c’era molta confusione e mi è stato detto che Xavier avrebbe potuto togliersi la vita se non faceva quella cosa.

(…)

I farmaci che bloccano la pubertà sono stati definiti da Musk “semplici sterilizzatori “. Poi ha parlato da padre, con enorme tristezza:

“Essenzialmente ho perso mio figlio e adesso capisco se chiamano questa cosa

  “dead naming”.

Lo chiamano così perché tuo figlio è morto e mio figlio lo è.”Ucciso dal virus Woke”

(…)

Se questa è la tragedia personale di Elon e Vivian che hanno rotto ogni rapporto (lei ha preso il cognome della madre), c’ è un profilo pubblico perché l’imprenditore (…) si è schierato con Donald Trump.

(…) Pochi giorni fa Musk ha annunciato che sposterà la sede di “X” in Texas dopo che il governatore Gavin Newsòm, democratico, ha vietato alle scuole di informare i genitori dei ragazzi che si fanno chiamare con pronomi diversi da quelli che risultano dai documenti.

“Questa è l’ultima goccia” ha commentato. ()    

 

 

 

Case green, la direttiva “morbida”

 delude gli ambientalisti e

preoccupa i proprietari.

Editorialedomani.it – (17 marzo 2024) - ENRICO DALCASTAGNÉ – ci dice:

 

La direttiva votata dal Parlamento Ue prevede lo stop alle vecchie caldaie e nuovi sostegni ai pannelli solari.

La versione approvata ha scadenze lunghe, ma il centrodestra vota contro e parla di «eco-follia».

Per i costruttori la norma sarà difficile da applicare e i costi ricadranno sulle famiglie.

 Legambiente: «Le lobby frenano la transizione ecologica»

 

Per i sostenitori porterà a un calo delle emissioni e alla creazione di posti di lavoro, per i critici non cambierà nulla e metterà in difficoltà le famiglie.

La “direttiva Case green,” approvata martedì dal Parlamento europeo, mira a ridurre le emissioni di gas serra e i consumi energetici degli edifici entro il 2030, per arrivare alla neutralità climatica per il 2050.

Gli edifici nuovi, sia pubblici che privati, dovranno essere a emissioni zero, mentre per quelli esistenti si prevedono nuovi requisiti di efficienza.

Un traguardo ambizioso, frutto di lunghe trattative, a cui si sono opposti i partiti al governo:

 Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno votato contro, nonostante la versione approvata sia più soft rispetto alla proposta della Commissione.

Per la sua adozione definitiva, il documento dovrà essere approvato dal Consiglio Ue;

una volta entrato in vigore, l’Italia e gli altri paesi avranno due anni di tempo per preparare piani nazionali con le misure da seguire per centrare gli obiettivi.

RISCALDAMENTO ALTERNATIVO.

Secondo l’intesa, almeno il 16 per cento degli edifici pubblici con le peggiori prestazioni andrà ristrutturato entro il 2030 e la percentuale salirà al 26 per cento entro il 2033.

Per le case private si applicherà un obiettivo di riduzione dei consumi del 16 per cento dal 2030 e del 22 per cento entro il 2035.

 Per garantire flessibilità, gli stati potranno applicare esenzioni per gli edifici storici, agricoli, militari e per quelli utilizzati temporaneamente.

Un punto centrale riguarda l’addio alle vecchie caldaie.

Lo stop definitivo alla vendita dei motori alimentati a gas e metano, inizialmente previsto per il 2035, è stato posticipato al 2040.

Ma già dal prossimo anno le caldaie a combustibile fossile non potranno più essere incentivate.

Al contrario, saranno possibili incentivi per i sistemi che combinano una caldaia con un impianto solare termico o una pompa di calore.

L’obbligo di installare i pannelli solari, invece, riguarderà i nuovi edifici pubblici e sarà progressivo, dal 2026 al 2030, mentre saranno attuate strategie e misure nazionali per dotare di impianti solari gli edifici residenziali.

È proprio l’abbinamento tra pannelli solari e caldaie a pompa di calore, infatti, una delle tipologie di interventi che consentono di fare il salto di classe energetica.

 

UNA DIRETTIVA SVUOTATA?

La proposta avanzata dalla Commissione aveva scatenato forti polemiche in Italia, ma la versione uscita dal negoziato è molto meno vincolante e non impone alcun obbligo ai proprietari delle abitazioni.

 Tanto che alcuni gruppi ambientalisti hanno parlato di un provvedimento «svuotato di senso».

 Eppure, tra le delegazioni italiane all’Europarlamento hanno votato a favore solo Partito democratico, Movimento 5 stelle, Alleanza verdi e sinistra e Italia viva.

 

«Nella sua ultima versione è una discreta direttiva, certo un po’ annacquata rispetto alle intenzioni iniziali.

 L’impianto regge, ma purtroppo hanno pesato le pressioni di quei gruppi parlamentari che vedono negativamente il Green deal – dice a Domani Stefano Ciafani, presidente di Legambiente –

In generale, comunque, l’obiettivo di decarbonizzare anche tramite interventi sull’edilizia è rimasto in piedi».

L’associazione è però critica con una delle modifiche della versione approvata:

il bando completo agli apparecchi alimentati a combustibili fossili, posticipato al 2040.

«È sbagliato continuare a favorire il mercato delle caldaie a gas, dato che oggi si possono riscaldare gli ambienti ricorrendo alle pompe di calore, che non sono tanto costose.

 Si rimanda l’addio alle vecchie caldaie per fare un piacere alle lobby», dice ancora Ciafani.

 

LA PECULIARITÀ ITALIANA.

All’approvazione del testo si è opposto Matteo Salvini, che ha parlato di «un’ennesima follia europea: grazie all’impegno della Lega erano state fermate alcune eco-follie, ma non è bastato», ha detto il capo del Carroccio.

E il provvedimento preoccupa gli stakeholder del settore immobiliare.

Per Confedilizia, la confederazione dei proprietari di casa, è un testo «migliorato ma difficilmente realizzabile», considerato che il nostro patrimonio edilizio è molto vecchio (il 74 per cento delle case è sotto la classe D, cioè di un’efficienza media).

 

«Secondo alcune stime, ogni famiglia dovrebbe sborsare dai 20 ai 55mila euro», ha avvisato il presidente Giorgio Spaziani Testa.

Altre criticità riguardano il timore che la “corsa al green” possa deprezzare le abitazioni poco ecologiche:

l’Aspesi, la prima associazione italiana di imprese immobiliari, ha lamentato una svalutazione che potrebbe essere tra il 30 e il 40 per cento.

Più equilibrato è il giudizio di Federica Brancaccio, presidente dell’Ance, la principale associazione dei costruttori:

«C’è stata una battaglia, che noi abbiamo compreso, per mitigare misure che rischiavano di essere irrealistiche. C’era un approccio troppo ideologico che è stato superato. Ora è il momento di chiudere ogni scontro e metterci tutti insieme per raggiungere gli obiettivi previsti».

«Nella sua prima versione il testo non teneva presenti le particolarità del nostro patrimonio immobiliare: l’Italia ha immobili vetusti e soprattutto nelle mani di privati, e in più dobbiamo convivere con il rischio sismico – dice Brancaccio a Domani – Il paese subirà un impatto maggiore rispetto a stati con un tessuto urbano differente: per questo servono incentivi adatti al contesto italiano».

 

DA DOVE VENGONO I SOLDI

Fin dalla sua presentazione, la proposta ha alimentato polemiche per l’assenza di finanziamenti da parte dell’Unione europea.

E le risorse costituiscono il punto debole della direttiva anche nella sua ultima versione.

Pure i deputati che l’hanno appoggiata sono delusi dal fatto che non sia previsto uno stanziamento specifico, che difficilmente arriverà nella prossima legislatura, con un Parlamento che potrebbe spostarsi a destra.

La Commissione stima che entro il 2030 serviranno 275 miliardi di investimenti annui per la svolta energetica del parco immobiliare, cioè 152 miliardi all’anno in più rispetto alle risorse attuali.

Per il momento gli stati dovranno accontentarsi dei fondi disponibili, a cominciare da quelli del Recovery fund.

A questi si sommano i tradizionali fondi di coesione, che prevedono la ristrutturazione energetica tra gli usi prioritari.

A partire dal 2026 entrerà poi in campo il “Social climate fund”.

Oltre al nodo degli stanziamenti, c’è un’incognita che riguarda le misure specifiche per raggiungere gli obiettivi.

Ed è una pagina ancora tutta da scrivere.

 «Servono strumenti di pianificazione di lungo periodo, non interventi emergenziali. L’Europa deve strutturare un fondo per la transizione – dice la presidente dell’Ance – Si dovranno prevedere strumenti ad hoc, dai mutui green al ripristino della cessione del credito».

«Il centrodestra teme tanto la patrimoniale, ma c’è una patrimoniale che chi possiede una casa e chi è in affitto conosce già: è la bolletta del gas – rilancia Ciafani –

 L’Italia consenta a proprietari e affittuari di superare il problema al più presto.

Per farlo bisogna efficientare gli edifici ricorrendo a nuovi sgravi fiscali e tornare alla cessione del credito d’imposta sulle opere di ristrutturazione».   

 

 

 

La maggioranza Ursula perde i pezzi.

Finestre di dialogo con i Verdi e i Conservatori.

 

Rainews.it – (22-6-2024) – Redazione – ci dice:

“Renew “perde i pezzi e la maggioranza storica è a quota 399. Troppo pochi per superare l'ostacolo dei franchi tiratori. L'apertura ai Verdi crea problemi al Ppe mentre quella ai Conservatori è complicata per la divisione interna ad Ecr.

Un leader convertito al populismo fuori dal gruppo ma, soprattutto, sette eurodeputati in meno.

 I liberali di Renew perdono la delegazione ceca, guidata all'ex premier Andej Babis e scendono a 74 seggi, ormai a nove di distanza dal gruppo dei conservatori e riformisti.

Mai, nella storia recente dell'unione, l'eurocamera aveva iniziato con un così corposo movimento di delegazioni da un gruppo all'altro.

 Nel caso di Babis, il suo addio era atteso e permetterà a Renew di accogliere un'altra delegazione ceca, composta dai due eletti del movimento Stan.

L'addio di Ano accresce l'allarme per i numeri della maggioranza Ursula, scesa sotto quota 400.

E con l'incubo dei franchi tiratori pronto a concretizzarsi, per Ursula von der Leyen l'appoggio esterno all'asse Ppe-S&d-Renew appare inevitabile.

Babis va a ingrossare il già grande gruppo dei non iscritti. "ha scelto un percorso populista che è incompatibile con i nostri valori", ha sottolineato la macroniana Valerie Hayer.

L'ex premier, famigerato per i suoi servizi di sicurezza e coinvolto in varie inchieste giudiziarie, potrebbe contribuire alla formazione di un gruppo targato Visegrad, con gli orbaniani, il partito slovacco Smer di Robert Fico e gli sloveni di Janez Jansa, attualmente nel Ppe ma in odore di uscita.

Mancano solo le delegazioni di tre paesi per formare un nuovo gruppo tutto a trazione iper-populista.

La somma della maggioranza Ursula fa al momento 399 (189 popolari, 136 socialisti e 74 liberali), 39 più della soglia minima.

 Ed è un margine troppo labile per dormire sonni tranquilli. Basti pensare che nel 2019 furono una settantina i franchi tiratori.

 

L'ipotesi di allargamento ai Verdi.

Alla presidente della commissione servirebbe l'appoggio dei verdi (51 seggi) o quello di una parte di Ecr, a cominciare dai meloniani.

 Aritmeticamente farebbe comodo avere entrambi a bordo.

 Politicamente il discorso è diverso. I verdi cercano una legittimazione all'interno della coalizione. 

Nel Ppe la reazione è stata fredda.

"nessuno ancora ci ha invitati al tavolo", hanno ammesso dai greens.

Una nutrita fronda del Ppe non si fida dei verdi, a cominciare dal leader Manfred Weber.

"i verdi sono pronti a sostenere l'accordo con la Tunisia sui migranti? O l'accordo Mercosur?", è la domanda che circola tra i più scettici.

 "Ogni apertura ai verdi farebbe perdere voti anziché guadagnarli", ha avvertito il capodelegazione di Fi Fulvio Martusciello.

 

L'ipotesi di allargamento ai Conservatori.

Dalla parte opposta, invece, c’è l'apertura a Giorgia Meloni.

 La trattativa è delicata, i tatticismi mascherano le reali intenzioni dei giocatori al tavolo.

A von der Leyen basterebbe che Fdi votasse sì in plenaria e l'importanza dell’Italia coadiuva l'ipotesi che a Roma sia assegnato un commissario di peso.

Meloni, tuttavia, su questo punto non si è ancora scoperta e porta con sé la zavorra di un gruppo, quello di Eco, che per metà è pubblicamente contrario ad un’Ursula bis.

 La Spitzenkandidat del Ppe, nei prossimi giorni, dovrebbe parlare con le singole delegazioni: sarà lei che dovrà gestire la parte meno nobile della trattativa - quella delle poltrone - prima del vertice dei 27 di giovedì e venerdì.

 

 

 

Ursula von der Leyen è stata rieletta

 presidente della Commissione europea.

Wired.it – Riccardo Piccolo – (18-7-2024) – ci dice:

Nel suo discorso al Parlamento europeo, l'annuncio di un commissario al Mediterraneo e della lotta al cyberbullismo. Ottenuta la maggioranza dall'alleanza tra popolari e socialisti.

Ursula von der Leyen è stata rieletta presidente della Commissione europea. Candidata favorita, ha ottenuto 401 voti in favore, 284 contrari e 15 astenuti al Parlamento europeo.

 La votazione si è tenuta nel pomeriggio, verso le 13 e il risultato è stato diffuso alle 14.15.

Von der Leyen, membro del Partito popolare europeo (Ppe) si era candidata a un secondo mandato già lo scorso febbraio ed era stata confermata a fine giugno dal Consiglio europeo.

Per essere rieletta necessitava di almeno 361 voti su 720, ossia la maggioranza assoluta dei membri dell’assemblea.

Von der Leyen sapeva di poter contare su una base di 401 voti provenienti dall'alleanza che l'ha eletta nel 2019.

 Questa coalizione comprende il Partito popolare europeo (Ppe), il gruppo più numeroso con 188 deputati, i Socialisti e democratici (S&D) e i liberali di Renew Europe.

Tuttavia, l'esito rimaneva incerto per due ragioni principali.

 In primo luogo, il numero complessivo di deputati di questa alleanza è inferiore rispetto a cinque anni fa, riducendo il margine di sicurezza.

In secondo luogo, la natura segreta del voto avrebbe potuto incoraggiare defezioni, soprattutto tra i membri più critici o meno allineati all'interno di ciascun gruppo.

Fratelli d'Italia ha votato contro.

Il discorso di von der Leyen.

“Le scelte definiscono il destino e in un mondo pieno di avversità il destino dipende da ciò che faremo ora - ha detto la candidata presidente all'assemblea riunita in sessione plenaria -. L'Europa è davanti a una scelta decisiva che definirà la nostra posizione nel mondo nel prossimo quinquennio. L'Europa non può controllare dittatori e demagoghi nel mondo ma può scegliere di tutelare la nostra democrazia”.

Ursula von der Leyen ha messo nero su bianco in 30 pagine il suo progetto politico.

"È essenziale che il centro democratico in Europa regga. Ma se questo centro deve reggere, deve essere all'altezza delle preoccupazioni e delle sfide che i cittadini devono affrontare", si legge.

La presidente della Commissione designata si impegna a mantenere in piedi il Green Deal europeo, oggetto di polemiche in campagna elettorale, e a lanciare un piano per l'industria pulita nei primi 100 giorni del mandato.

Obiettivo: centrare la riduzione delle emissioni del 90% per il 2040.

"Il” Clean Industrial Deal” deve consentirci di investire di più insieme nelle tecnologie pulite e strategiche e nelle industrie ad alta intensità energetica", si legge, e "per questo proporrò un nuovo Fondo europeo per la competitività nel quadro della nostra proposta per un bilancio nuovo e rafforzato". "Per quanto riguarda i finanziamenti e gli investimenti pubblici, la prima priorità sarà garantire l'utilizzo delle risorse disponibili tramite NextGenerationEU e il bilancio attuale", ha detto Von der Leyen.

La candidata presidente ha richiamato la necessità di una tregua a Gaza:

"La soluzione a due Stati è il modo migliore per garantire la sicurezza, per entrambi, israeliani e palestinesi.

 La gente della regione merita la pace e la prosperità, e l'Ue sarà con loro". Respinte con forza le interferenze esterne di Cina e Russia.

 

Tra le nomine previste: un commissario alla Difesa, uno al Mediterraneo, che lavorerà a stretto contatto con l'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, e un “vicepresidente per l'implementazione, la semplificazione e le relazioni interistituzionali”.

 "Dobbiamo rendere le imprese più facili e veloci in Europa.

 Metterò velocità, coerenza e semplificazione tra le principali priorità politiche", sottolinea von der Leyen, che anticipa che "ogni commissario avrà il compito di concentrarsi sulla riduzione degli oneri amministrativi e sulla semplificazione dell'attuazione: meno burocrazia e rendicontazione, più fiducia, migliore applicazione, autorizzazioni più rapide".

Linea ferma contro l'estrema destra:

“Sono convinta che la versione dell'Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale sia comunque la migliore versione dell'Ue della storia.

Non lascerò che la polarizzazione estrema della nostra società venga accettata e non accetterò che gli estremismi o le demagogie distruggano il nostro stile di vita europeo”.

Fronte tech, dice:

"Affronteremo la piaga del cyberbullismo, agiremo contro la progettazione delle piattaforme che inducono dipendenza e convocheremo la prima inchiesta a livello Ue sull'impatto dei social media sulla salute dei giovani. L'infanzia e l'adolescenza sono periodi di straordinario sviluppo ma anche di vulnerabilità, vediamo sempre più report sulla crisi della salute mentale. I social media, l'eccessivo tempo davanti allo schermo e le pratiche di dipendenza hanno fatto il loro tempo".

 

Le prospettive del voto.

Una eventuale bocciatura della Spitzenkandidat del Ppe, evento mai accaduto prima, avrebbe potuto significativi ritardi e complicazioni politiche. I leader della maggioranza avrebbero dovuto infatti proporre un nuovo candidato entro un mese, posticipando l'insediamento del nuovo presidente all'inizio del 2025 anziché a novembre, con conseguente stallo istituzionale.

Il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (Ecr), di cui Fratelli d'Italia è la maggiore delegazione, è rimasto incerto sul proprio appoggio fino alla fine e si è mosso in ordine sparso.

 Infatti, nonostante alcune posizioni più radicali, Ecr condivide diverse vedute con la maggioranza Ursula, come il sostegno all'Ucraina, distinguendosi perciò da altri gruppi di estrema destra. In cambio del loro supporto, i conservatori chiedono da mesi un maggior coinvolgimento nelle nomine alle cariche Ue, da cui sono stati finora largamente esclusi.

Von der Leyen ha mostrato una certa apertura verso questa proposta, pur escludendo una "collaborazione strutturale" con il gruppo di destra, per non alienarsi la sua stessa maggioranza.

 Fratelli d'Italia ha votato contro.

In questa situazione, la scelta di Giorgia Meloni, leader del gruppo, si prospetta rischiosa, anche perché all'interno dei Conservatori ci sono almeno due delegazioni, quella ceca e quella olandese, che hanno deciso di dare il proprio appoggio a von der Leyen.

 

 

 

Meloni, le elezioni asso nella manica

per spegnere Salvini e Tajani:

ma occhio al ‘cane’ da tartufo Renzi.

msn.com - Aldo Rosati – Il Riformista – (23-7-2024) – ci dice:

La carta è sempre rimasta sullo sfondo, nel senso che Giorgia Meloni non l’ha mai tolta dal mazzo.

 Usando anche la ‘clava’ dei sondaggi, come l’ultimo di Swg, che quota Fratelli d’Italia di nuovo al 30%.

Per ora solo un’arma di pressione in Parlamento con i riottosi della Lega (bastonati lunedì dalla mancata discussione in consiglio dei ministri del disegno di legge sulla concorrenza), ‘guardate che rimando tutti a votare’.

Le botte tra Salvini e Tajani e il ruolo dei figli di Berlusconi.

Un’arma spuntata osservano alcuni, perché Giorgia Meloni dovrebbe comunque riproporre la stessa coalizione, fissando però la sua incontrastata leadership (il 30%) e stabilendo nuove regole di ingaggio, e non sarebbe poco, per una leader che non ha perso il gusto per il campo di battaglia.

 Certo è che le tensioni nel centrodestra hanno ampiamente superato l’aspetto fisiologico delle scaramucce, le liti tra i vicepresidenti Salvini e Tajani sono diventate transnazionali (‘a Bruxelles voti come Elly Schlein’, ‘tu come Ilaria Salis’). In più ci sono i figli di Berlusconi, Pier Silvio e Marina che ormai ostentano pubblicamente disincanto verso la presidente del Consiglio, creando scompiglio in quella che sembrava l’unica isola pacificata del centrodestra, Forza Italia.

La “maggioranza parallela”.

Un’accelerazione improvvisa dopo l’intemerata a Strasburgo di Giorgia Meloni (l’opposizione ad Ursula), che non solo non ha calmato la Lega, ma ha messo in allarme il mondo produttivo.

 Non ci sarà la temuta reazione dell’Europa, Palazzo Chigi continua a scommettere su un Commissario di peso (concorrenza, coesione, bilancio, le deleghe più desiderate) ma è comunque sintomatico (ed un po’ divertente) ascoltare i colonnelli di Fratelli d’Italia fare affidamento su una risorsa linguistica di Giulio Andreotti: ‘maggioranza parallela’.

Secondo Carlo Fidanza infatti, lo strappo della Presidente del Consiglio in Europa è già stato dimenticato, perché una maggioranza in fondo si ricrea per ogni nuovo dossier, per dire che nulla è perduto.

Tajani paga dazio a Bruxelles.

Una sorta di ‘moral suasion’, Giorgia non vuole approfondire i contrasti con l’Europa (come si evince anche dal cordiale incontro con Antonio Costa, il presidente del Consiglio Europeo, che non ha avuto il voto dell’Italia) ed incassare al più presto il ‘cheap’ sulla commissione.

Per ora a pagare dazio è stata Forza Italia, sulle 7 commissioni finite al partito Popolare al Parlamento Europeo, nessuna è andata a Tajani, “sconta l’isolamento della sua capa”, ha fatto notare maliziosamente la deputata di Italia Viva, Isabella De Monte.

Il candidato più gettonato per Bruxelles resta il ministro Raffaele Fitto, molto distaccata Elisabetta Belloni.

È che sulla sostituzione del ministro pugliese, naturalmente, si è già aperta la bagarre.

Tanto da spingere il capogruppo di FdI a Montecitorio Tommaso Foti a mettere le mani avanti ‘non ci sarà trippa per gatti’.

 Lega e Forza Italia nel frattempo si erano ingolosite, avanzando le candidature di Luca Zaia (che Salvini vuole piazzare ovunque per togliersi di torno un concorrente temibile in via Bellerio), e di Letizia Moratti.

 Giorgia tanto per cambiare, è di altro avviso, per sostituire Fitto, pensa ad un cocktail interno:

 l’indispensabile Giovanbattista Fazzolari al Pnrr, Nello Musmeci al Sud, e gli Affari europei al viceministro Edmondo Cirielli.

Il ‘cane’ da tartufo Renzi: elezioni all’orizzonte?

In più per gli appassionati della cabala, ci sarebbero da registrare i movimenti del ‘cane’ da tartufo per eccellenza della politica italiana: Matteo Renzi.

Dopo un anno e mezzo di bastonate reciproche con il Pd, il leader di Italia Viva, nel giro di 24 ore, ha improvvisamente scelto da che parte stare: con il campo largo.

Una giravolta, che come tutte quelle precedenti del senatore di Rignano, che nella scorsa legislatura prima ha incoronato Giuseppe Conte e poi lo ha disarcionato per portare a Palazzo Chigi Mario Draghi, ha creato curiosità e naturalmente polemiche.

Il punto in questione però non è la sua supposta abilità (si vedrà nei prossimi mesi), ma i motivi che hanno spinto l’ex sindaco di Firenze, a muoversi proprio ora.

“Sente l’odore del prossimo disfacimento della maggioranza, e si posiziona nel campo avverso per partecipare alla raccolta”, scommettono i più sensibili al fascino dell’ex rottamatore.

 Insomma anche il centrosinistra ha iniziato a sperarci, spinto da un calendario favorevole, le prossime elezioni in agenda riguarderanno l’Umbria, la Toscana e la Liguria, candidati unitari del campo largo sono possibili.

D’altra parte nel calcio estivo si fa presto a diventare campioni di Italia.

 

 

 

Contadini.

 

Kelebeklerblog.com – (30/01/2024) - Miguel Martinez – ci dice:

È da un po’ che mi manca il tempo per scrivere: un buon segno, vuol dire che sto facendo molte cose interessanti.

Ieri sera comunque abbiamo parlato tra amici e complici della grande rivolta contadina che è scoppiata in queste settimane in Europa.

Piccola scena commovente:

i contadini francesi che sequestrano il cibo importato ai camion che lo stanno portando ai supermercati perché costa ancora di meno di quello francese, e lo distribuiscono ai “Restos du coeur” per sfamare i senza tetto.

La premessa: alla base di tutta la nostra vita c’è la produzione agricola.

Che è rappresentata da due vicini di casa.

Il primo è Giovanni da Montespertoli, che ieri sera ci faceva assaggiare il vino, il formaggio e la soprassata che lui cresce, cura e vende al mercato contadino alla Gavinana.

Il secondo è il suo vicino di campo:

un imprenditore del rame con base a Milano.

 Un commercialista gli ha suggerito un modo facile per arricchirsi ancora di più – intercettare i fondi europei per l’agricoltura (il 60% delle risorse europee finisce in agricoltura), e così lui ha mandato un omino benvestito a Montespertoli a comprargli un campo che fa cospargere incessantemente di prodotti chimici, dove ogni tanto qualche operaio viene mandato a raccogliere i prodotti che ottengono i sussidi.

Poi si potrebbero pure buttare, ma c’è pure un ridicolo margine in più a venderli alla Grande Distribuzione Organizzata.

 

Contadini francesi distruggono il parcheggio dell’ipermercato Leclerc a Clermont l’Hérault.

 

Oggi, spiega Giovanni, tutta la categoria è in difficoltà estrema.

Per poter produrre abbastanza da ottenere un minimo margine dalle multinazionali della grande distribuzione, il contadino deve attingere a ogni possibile canale, tra fondi europei (che però si riversano soprattutto sulle grandi imprese) e prestiti, per “modernizzare” il proprio lavoro, cioè per fare di ciò che nasce dalla biodiversità, una replica della fabbrica.

Insomma, il sistema finanziario obbliga il contadino, per sopravvivere, a distruggere l’ambiente;

e il prezzo per salvare l’ambiente consiste nel privare il contadino della sua sopravvivenza.

La rivolta contadina è quindi una questione complessa, anche dal punto di vista ambientale.

Ma alla fine, la questione è sempre quella – il modo incredibile in cui il capitalismo riesce a distruggere sistematicamente ogni possibilità di vita umana e non.

Qualche sera fa, sull’autostrada che collega Milano e Bergamo, di notte vediamo, tra gli infiniti capannoni, uno più grande e brutto degli altri, ma tutto illuminato (alla faccia della sostenibilità) a tricolore – luce verde, rossa e bianca, e la scritta “PLANET FARMS”.

Cercando in rete una foto dell’azienda in versione patriottica, trovo solo questo… evidentemente sono un po’ camaleontici.

Colpiti dal kitsch sovranodale, indaghiamo:

si tratta di un’immensa fabbrica dove pochi operai producono un’insalata “senza pesticidi”:

 infatti non servono, visto che gli insetti non ci possono entrare, come non ci possono entrare i raggi del sole e nemmeno un granello di dirt (che in inglese indica significativamente sia terra che sporco).

E finalmente capisco come il Green sia il nemico ultimo e assoluto della Natura.

La mattina dopo, dalla casa di Bergamo dove ci ospitano degli amici, apriamo la finestra e guardiamo fuori.

Una giornata splendida, solo se che c’è in lontananza una densa nuvola nerissima: scopriamo che durante la notte, ha preso fuoco proprio “Planet Farms”.

Che non sapevo mica che l’insalata facesse un fumo così.

Sulla rivolta contadina, suggerisco due importanti letture.

La prima è un articolo di “Dario Dongo”, Italia, protesta degli agricoltori contro Coldiretti. #VanghePulite, che apre un mondo.

La seconda è un articolo di “Igor Giussani”, Sulla protesta degli agricoltori tedeschi, che approfondisce la falsa questione dei sussidi.

 

 

 

“POLITICAMENTE CORRETTO E CANCEL CULTURE:

GLI OSPITI INQUIETANTI DELL’INCLUSIONE SCOLASTICA”

 

Inchiostronero.it – Salvatore Grandone – (24-7-2024) – ci dice:

Come tante altre realtà culturali, anche la scuola italiana sta vivendo i contraccolpi dell’esposizione mediatica, soprattutto sulle piattaforme social.

 Le dinamiche proprie del politicamente corretto e della cancel culture iniziano a entrare nelle classi con conseguenze rilevanti sul benessere della comunità educante

L’inclusione è il valore fondamentale dell’odierna scuola italiana.

Formulato con un imperativo categorico suonerebbe così: “abbraccia la differenza!”.

 

Dietro l’inclusione vi è infatti l’idea che la differenza vada compresa, riconosciuta, accolta, che la differenza sia una risorsa.

La questione dell’inclusione è stata posta nel nostro mondo scolastico a partire dalla necessità di trovare strategie di apprendimento personalizzate per i “Bisogni educativi speciali” (D.M. MIUR 27.12.2012).

In origine, all’interno di questa macrocategoria rientravano gli alunni con disabilità, con disturbi specifici dell’apprendimento o con particolari forme di neurodivergenza.

Un po’ alla volta si è sempre più ampliata la casistica, comprendendo gli studenti plus dotati, quello neoarrivati in Italia, ecc.

 

Non è questa la sede per analizzare sul piano normativo l’evoluzione delle direttive ministeriali. 

Quello che è interessante osservare è la progressiva estensione del concetto di bisogno educativo speciale in modo coerente rispetto al valore sotteso (l’inclusione).

Se ogni differenza va tutelata, allora ogni alunno incarna con la sua stessa presenza una propria specialità.

 “Siamo tutti speciali!”, questo è infatti un altro motto dell’inclusione scolastica.

Sul piano teorico il discorso è coinvolgente; su quello pratico ha prodotto però esiti ambigui.

È evidente che l’enfasi sull’inclusione avrebbe dovuto condurre a un’offerta educativa variegata e di qualità.

 Tuttavia, è innegabile che molte contraddizioni persistono.

Sono pochi i docenti realmente formati – soprattutto “in concreto” – a rispondere in modo adeguato alle esigenze della specialità.

 In ogni caso, le classi sono mediamente sovraffollate e anche i docenti più competenti avrebbero grandi difficoltà a mettere in essere una didattica personalizzata.

Gli effetti più visibili della politica dell’inclusione scolastica non vanno allora tanto cercati sul versante formativo.

 Qui si è ancora in pieno contingentismo.

In alcuni contesti, grazie alla presenza fortuita di determinati elementi (circoli virtuosi tra dirigenti, docenti, studenti, famiglie, ecc.), l’inclusione riesce;

in molti altri, in condizioni più tipiche e medie, i risultati lasciano a desiderare.

Tangibili sono invece i risvolti burocratici e retorici.

Affinché l’inclusione sia recepita ovunque, dalla piccola scuola di montagna al liceo storico della grande città, occorre individuare, elencare, riportare le differenze;

 è necessario indicare con appositi documenti le strategie adottate dalle istituzioni scolastiche o dai singoli gruppi di docenti (ad esempio dai consigli di classe) per venire incontro alle molteplici specialità.

 Parallelamente, da parte dei pedagogisti, dei politici, dei docenti formatori e di quelli social – negli ultimi anni in rapida ascesa – la politica dell’inclusione si dispiega in discorsi che appaiano più retorici che programmatici.

Dalla “riflessione” sull’inclusione si sta passando gradualmente alla “retorica” dell’inclusione.

Alla persistente incapacità di far corrispondere alle idee i fatti, le prime hanno preso il sopravvento sui secondi: l’ideale tende a sovrastare il reale.

Una delle derive più inquietanti della svolta retorica del discorso sull’inclusione è l’insorgenza nel mondo scolastico di due fenomeni che da anni imperversano sui media:

il politicamente corretto e la cancel culture.

Per mostrare quanto sta accadendo è utile prendere spunto da un recente evento di cronaca.

Pochi mesi fa una docente di lettere di una scuola media di Treviso avrebbe deciso autonomamente di dispensare due studenti di fede non cattolica, un musulmano e un buddista, dallo studio di Dante e in particolare della Divina Commedia.

 Appena la notizia è giunta sui social subito è entrata in azione la macchina della vergogna.

I primi a sollevarsi sono stati i” docenti influencer” che hanno fatto rimbalzare l’informazione sulle loro pagine con post e reel polemici inneggiando al “Dante non si tocca!”.

Con il peso delle community che ripostano e retwittano, la bolla speculativa dell’indignazione è cresciuta rapidamente fino ad attirare l’attenzione dell’Ufficio scolastico regionale e del Ministro “Giuseppe Valditara”.

 Si è parlato anche di una possibile sanzione nei confronti dell’insegnante.

L’aspetto interessante di questa vicenda è la sua logica interna.

 Invece di prendere posizione “pro” o “contro”, ricorrendo alla tipica arma social dello stigma, proviamo a cogliere quello che vi è “dietro”.

La retorica dell’inclusione ha iniziato a diffondere tra i docenti un acuto senso di incertezza.

L’attenzione si è spostata sulla forma, soprattutto sull’uso delle parole.

Ed è proprio l’accento marcato sul linguaggio che apre la strada alle dinamiche del politicamente corretto.

“Eugenio Capozzi” definisce il politicamente corretto come «un’incarnazione estrema del progressismo, fondata su un relativismo etico radicale, e su un’idea altrettanto radicale dell’autodeterminazione del soggetto» (Politicamente corretto. Storia di un’ideologia).

 

Certo nel calderone del politicamente corretto, come osserva un altro esperto sul tema “Davide Piacenza”, vi sono anche forze positive che spingono per la «maggiore considerazione dei più deboli, dei senza voce e di coloro che fino a tempi recenti hanno subito tirannie e oppressioni»

 (La correzione del mondo. Cancel culture, politicamente corretto e i nuovi fantasmi della società frammentata).

Tuttavia, la prassi del politicamente corretto ha portato, continua “Piacenza”, alla «creazione di una società disseminata di trappole comunicative incrociate».

Qui si congiungono le strade dell’inclusione e del politicamente corretto:

 la retorica della specialità sta conducendo l’inclusione nelle sabbie mobili delle trappole comunicative.

 Se la differenza, qualunque essa sia, è irriducibile e intoccabile, allora come tracciare il confine che delimita la personalizzazione dell’apprendimento?

Quali limiti gli insegnanti non possono varcare nel rispondere ai bisogni educativi degli studenti?

 

La questione non è affatto retorica, anche perché molti docenti – soprattutto se vediamo quanto accade all’estero – si giocano il posto di lavoro e a volte anche di più.

Penso all’insegnante francese di Storia “Samuel Paty” che nel 2020 ha pagato con la vita l’aver mostrato in classe alcune vignette satiriche su Maometto – nonostante abbia chiesto agli studenti musulmani di uscire prima di far vedere le caricature.

O ancora, nel 2023, l’insegnante della Florida, “Carrasquilla”, della “Classical School di Tallahassee” costretta alle dimissioni per aver proiettato le immagini del David di Michelangelo.

 I genitori degli alunni hanno giudicato le raffigurazioni del David pornografiche e hanno fatto pressione sulla dirigenza affinché la docente fosse allontanata.

Certo, si dirà, di fronte a questi eventi più o meno gravi, si muove la macchina dell’indignazione per sanzionare e condannare.

Ma, attenzione, il corollario del politicamente corretto è la cancel culture.

 Si tratta di un’espressione ambigua che «assume diversi significati all’orecchio di parlanti diversi».

 

«Nella sua versione meno contestabile […] la possiamo definire come quella tendenza a chiedere che una rappresentazione di idee o atteggiamenti  contrari alla morale progressista occidentale corrente non sia soltanto criticata o denunciata in un discorso pubblico orientato al progresso etico della società, ma vada punita con la decadenza da ogni ruolo e piattaforma (anche privati o professionali) del responsabile, spesso sull’onda di forme di pressione collettiva nate su Twitter e altri social network.»

Chi non sa destreggiarsi nelle trappole comunicative corre il rischio di essere esposto alla gogna mediatica e di essere “cancellato”.

Non solo, la cancel culture si trasforma spesso in strumento di condanna della destra conservatrice, che vede come una minaccia all’identità nazionale qualsiasi proposta di accogliere la differenza.

 Può allora accadere che chi fa un passo falso nel politicamente corretto si ritrovi ad essere difeso da gruppi di persone che non vorrebbe dalla sua parte.

Insomma, la retorica dell’inclusione e la “socializzazione” della scuola sta esponendo la comunità educante all’insidia del politicamente corretto e della cancel culture.

 Si ha sensazione che la scuola italiana sia entrata in una nuova fase dove la finzione e la dimensione mediatica hanno un peso maggiore rispetto alla realtà.

 In questa situazione di incertezza i docenti sono sempre più esposti agli strali di chi, per un pugno di followers e di like, è disposto subito a insorgere contro tutto e contro tutti.

Ecco come la normale quotidianità scolastica diventa un campo minato.

Oggi è andata bene, perché non ho dispensato un alunno musulmano dallo studio di Dante.

Ma domani potrebbe andarmi male perché ingenuamente mostro un’immagine del David di Michelangelo.

 E se sono ancora fortunato, chi mi assicura che un domani non potrei avere problemi per altro, magari per aver letto dei versi di un poeta in cui è contenuta qualche parola non politicamente corretta?

Certo, la scuola in Italia è in prevalenza statale e i docenti hanno garanzie che in altri Paesi, come ad esempio negli Stati Uniti, non hanno.

Eppure, la convergenza dei fattori appena esposti a cui va aggiunta la tendenza ad aziendalizzare le realtà scolastiche, con il relativo ingresso di attori privati, potrebbe in futuro costituire un cocktail esplosivo in grado di minacciare la qualità della nostra offerta formativa e la libertà stessa di insegnamento.

(Salvatore Grandone)

 

 

 

 

 

“IL FALLIMENTO DI BIDEN E

 L’OCCASIONE RUSSA IN UCRAINA

Inchiostronero.it – visione TV - Rostislav Ishchenko – (23-7-2024) – ci dice:

 

[…] È evidente che la dirigenza democratica ha deciso di liberarsi di Biden prima della convention nazionale, prevista per il mese prossimo (19-22 agosto).

 Dal punto di vista della campagna elettorale, questa è una decisione assolutamente corretta.

 I democratici guadagnano un mese extra per promuovere il nuovo candidato. Rimangono poco più di tre mesi alle elezioni (5 novembre), e le votazioni preliminari inizieranno il 20 settembre (tra due mesi).

Tuttavia, i problemi interni degli americani ci interessano solo nella misura in cui influenzano la politica estera degli Stati Uniti.

Da questo punto di vista, il ritiro di Biden dalla campagna presidenziale crea una sorta di crisi di legittimità in politica estera.

Anatra zoppa.

Rinunciando alla rielezione per un secondo mandato, il presidente diventa automaticamente una “anatra zoppa” — un leader uscente a cui non è consigliabile prendere decisioni strategicamente importanti, per evitare che il successore debba rivederle tra quattro o cinque mesi.

La maggior parte degli alleati degli USA si sta già orientando verso Trump, considerato l’unico vincitore possibile delle elezioni.

Le sue probabilità sono davvero alte.

Come già detto, per i democratici, già compromessi dal governo di un Biden semi-cosciente, sarà difficile promuovere un nuovo leader al punto da creare una reale alternativa a Trump.

Soprattutto considerando che la decisione finale su chi sarà il candidato democratico verrà presa solo tra un mese alla convention.

Nel frattempo, all’interno del partito ci sarà comunque una lotta.

 Magari non molto acuta, se il consenso delle élite è stato raggiunto non solo sul ritiro di Biden, ma anche sulla nomina del suo successore (cosa non certa).

 Ma anche se il nuovo leader formale dei democratici è già stato scelto, continuerà la lotta per la posizione di vicepresidente e per i ruoli nel team (sia della campagna elettorale che del governo).

Le scarse possibilità dei democratici di vittoria non diminuiscono l’importanza della nomina per un politico, poiché accresce il suo peso per il futuro.

 Alla fine, anche se queste fossero le ultime elezioni nella storia degli USA, nessuno lo sa ancora e tutti cercano di ottenere un vantaggio per il futuro, che un giorno potrebbe consentire loro di lottare per la presidenza (almeno nella fase delle primarie).

Questa lotta interna tra i democratici genera una crisi di legittimità nella politica estera americana.

 Biden non può più prendere decisioni strategiche.

Anche se lo facesse, nessuno si affretterebbe a metterle in atto — si aspetterebbe la conferma del prossimo presidente.

In questo contesto, se il presidente USA (anche se uscente) può ancora costringere i propri funzionari a obbedire, i partner stranieri certamente cercheranno di aspettare per vedere come finirà l’epopea di Biden, il cui mandato presidenziale è stato messo in discussione dalla legittimità sin dall’inizio fino alla fine, culminando in una totale impotenza della squadra di governo a sei mesi dalle prossime elezioni.

Se per i principali alleati americani in Europa e nella regione Asia-Pacifico la crisi di legittimità di Biden implica la necessità di aspettare, per le élite ucraine apre una finestra (piuttosto una fessura) di opportunità.

Almeno, così sembra a loro.

I procuratori americani che controllano Kiev stanno perdendo il loro punto di riferimento.

Non sanno più chi sia più prezioso per la storia:

Zelensky, deciso a combattere fino alla fine, o i suoi oppositori politici interni, desiderosi di concludere la pace a qualsiasi costo.

Finora in Ucraina si è mantenuto un fragile equilibrio grazie al fatto che gli Stati Uniti non permettevano ai “pacifisti” di spodestare Zelensky, ma allo stesso tempo proibivano a quest’ultimo di incarcerare, uccidere o espellere dal paese i politici filo-occidentali che chiedevano una pace urgente (finché dall’Ucraina si può salvare qualcosa).

Washington, quindi, teneva tutte le porte aperte e tutte le strade libere per sé.

 

Tuttavia, ora che gli Stati Uniti, con il ritiro di Biden dalla corsa elettorale, devono temporaneamente perdere un centro unico di decisione, l’opposizione ucraina a Zelensky ottiene almeno tre mesi (fino alle elezioni di novembre), e in sostanza quasi sei mesi (fino all’insediamento del nuovo presidente USA nel gennaio 2025) di relativa libertà d’azione.

Se in questo periodo riuscissero a spodestare Zelensky, la nuova amministrazione USA si troverebbe di fronte a un fatto compiuto e sarebbe costretta a giocare con le carte che si troverebbe in mano.

 

Il ridotto controllo sulla politica ucraina da parte degli americani, occupati con i propri problemi interni, si è già riflesso sul governo di Kiev.

 La nota scandalista politica “Maryana Bezuhla”, che in precedenza attaccava i militari, improvvisamente si è rivolta contro Zelensky.

La risposta è stata immediata:

 Bezuhla è stata rimossa dal comitato della “Verkhovna Rada” e inserita nella lista nera di “Myrotvorets”, avvertendo così che il governo non si fermerà davanti a nessuna repressione nella lotta contro l’opposizione.

Il problema del governo ucraino è che a fare dichiarazioni, finire in prigione, fuggire dal paese o addirittura morire saranno mercenari: professionisti politici “kamikaze”, coltivati nei terreni di Soros per le Maidan e abituati al fatto che i loro padroni non li lasceranno in balia degli eventi e che il carcere e le ferite minori sono pagati il doppio.

 I veri oppositori, sotto forma di politici “ex” (sia ex leader di Maidan sia i loro ex avversari, uniti dal desiderio di mantenere per sé un pezzo di Ucraina come base alimentare) e oligarchi, sono per la maggior parte già fuori dall’Ucraina.

Coloro che per qualche motivo sono rimasti a Kiev non attaccano formalmente il governo e non subiscono repressioni.

 

Cioè, si deve combattere con un’idra a cui, per quanto teste tagli, ne crescono sempre di nuove in quantità doppia.

Colpire i “centri decisionali” (anche a livello ucraino), senza sufficienti motivazioni (partecipazione comprovata a un complotto), è pericoloso, perché non si sa come potrebbe finire.

 Le parti si accusano da tempo di tradire gli interessi della nazione, ma nessuno sa da che parte si schiereranno i resti della nazione (compresi i militari).

Pertanto, esiste una notevole probabilità che nelle prossime settimane l’ampiezza delle oscillazioni dello scontro a Kiev raggiunga i massimi livelli.

Le parti saranno pronte a passare a un’opzione militare in qualsiasi momento, in attesa dell’errore dell’avversario che permetta di partire con sicurezza.

In questo periodo, non solo l’attenzione dei politici di Kiev, ma anche le principali forze e risorse di entrambe le parti saranno distratte dal fronte e rivolte al conflitto interno.

Questa situazione apre alla Russia la prospettiva di concludere l’Operazione Speciale o, almeno, di raggiungere successi territoriali strategici (catastrofici per Kiev) e di infliggere alle forze armate ucraine una sconfitta da cui non potranno riprendersi, nei quasi due mesi estivi restanti e in autunno di quest’anno.

Questo è compreso in seno all’Unione Europea, che ha ripreso a minacciare la Russia con una “guerra con l’Europa, se Mosca vince in Ucraina”, dopo quasi un anno di pausa.

Tuttavia, c’è un dettaglio:

senza gli Stati Uniti, l’Europa non può combattere, e gli Stati Uniti non sono pronti per combattere.

 E non saranno pronti, almeno fino a febbraio 2025 (finché non saranno effettuate tutte le principali nomine della nuova amministrazione).

Quindi anche per la Russia, fino alla fine dell’anno, si apre una finestra di opportunità.

(Traduzione a cura di Pino Cabras)

(voennoedelo.com/posts/id62145-proval-bajdena-i-perspektivy-spetsoperatsii-na-ukraine)

 

 

 

 

 

“Holodomor ingegnerizzato”:

 gli agricoltori del Regno Unito

vengono pagati per distruggere

le colture alimentari.

 Naturalnews.com – (24/07/2024) - Lance D. Johnson – ci dice:

 

Nello spirito dell'“Holodomor” dell'Unione Sovietica del 1932, il governo del Regno Unito ha implementato un programma che paga gli agricoltori per NON coltivare cibo.

Questa mossa assurda ha suscitato polemiche e disturbato gli agricoltori di tutto il Regno Unito, ricordando i giorni in cui il governo affamava intenzionalmente le popolazioni per il proprio tornaconto politico e territoriale.

L'odierno programma di riduzione della fame nel Regno Unito, noto come “Sustainable Farming Incentive” (SFI), fa parte della più ampia strategia del governo per incoraggiare pratiche agricole "sostenibili dal punto di vista ambientale".

Invece di introdurre gradualmente queste nuove pratiche agricole, il governo britannico ha deciso di distruggere completamente la produzione agricola e di mettere milioni di persone a rischio di fame e di prezzi alimentari sbalorditivi.

Se questo schema non è intenzionalmente progettato per affamare le persone, allora potrebbe essere basato sulla follia dei leader di governo che sono arrivati a credere che la stampa infinita di denaro risolverà tutti i loro problemi e renderà tutte le loro visioni una realtà.

Se questi leader sono disposti a chiudere le fattorie e a coltivare le fonti di cibo, assegnando una determinata quantità di denaro agli agricoltori, allora l'intero continente è destinato a soffrire sotto il comunismo.

La sicurezza alimentare è a rischio nel Regno Unito, mentre il governo pianifica l'abbattimento totale dell'agricoltura.

L'agricoltore della Cornovaglia “Keith Andrews” ha recentemente attirato l'attenzione sul programma di abbattimento dell'agricoltura attraverso un video virale su TikTok, in cui ha rivelato che agli agricoltori vengono offerti incentivi finanziari per lasciare i loro campi incolti o dedicarli ad attività non alimentari per un massimo di TRE ANNI!

Andrews ha rivelato che gli sono state offerte 2.500 sterline per acro per NON coltivare cibo ogni anno, optando invece per piantare miscele di api e semi di uccelli selvatici, una pratica che gli fa guadagnare pagamenti aggiuntivi nell'ambito della SFI.

"Sto per arare un campo. Metterò l'orzo primaverile. Riceverò 440 sterline dal governo, per acro. Poi, quando si tratta delle dimensioni del raccolto, lascialo marcire nel terreno", ha spiegato Andrews nel video.

Il Dipartimento per l'Ambiente, l'Alimentazione e gli Affari Rurali (Defra) ha introdotto lo SFI come parte del suo Piano di Transizione Agricola, che cerca di allineare l'agricoltura del Regno Unito con obiettivi ambientali come il raggiungimento di "zero emissioni nette di carbonio" entro il 2050.

Lanciato inizialmente nel 2022, l'SFI si è poi ampliato per includere visioni più totalitarie, fornendo al contempo maggiori ricompense finanziarie agli agricoltori che adottano "pratiche rispettose dell'ambiente".

La pretesa di sostenibilità non è altro che un linguaggio ambiguo.

“Jeremy Clarkson”, una figura di spicco nella comunità agricola, ha espresso la sua frustrazione per la politica in un recente articolo, osservando che incentiva gli agricoltori ad allontanarsi dalla produzione alimentare per garantire sovvenzioni ambientali più redditizie.

"Conosco un tizio che ha sottratto il 60% della sua fattoria alla produzione alimentare e non è il solo", ha osservato Clarkson, sottolineando le preoccupazioni sulla sostenibilità di tali pratiche nel soddisfare i bisogni alimentari della nazione.

La stampa di denaro da sola non può rimediare alle conseguenze nella vita reale delle fattorie chiuse e della perdita di fonti di cibo.

Il ministro di Stato del Defra, Sir “Mark Spencer”, ha difeso l'iniziativa, sostenendo che il suo ruolo nella promozione della biodiversità e nella riduzione dell'impronta di carbonio dell'umanità non ha eguali.

"Non c'è una superficie minima o massima o una lunghezza della siepe, quindi gli agricoltori possono scegliere quanta terra coprire con il loro accordo SFI", ha affermato Spencer.

 Sir “Mark Spencer” è disposto a distruggere l'intera infrastruttura agricola del Regno Unito per placare la convinzione isterica del governo che il mondo finirà a causa del carbonio.

Nonostante le folli convinzioni ambientaliste di Spencer, i cittadini chiedono che il programma venga chiuso perché mina la sicurezza alimentare e pone un'indebita pressione finanziaria sugli agricoltori già alle prese con l'aumento dei costi di produzione.

 Le tangenti e i pagamenti da parte del governo non saranno sufficienti a sostenerli e a impedire loro di produrre e massimizzare i frutti del loro lavoro. Peggio ancora, questi pagamenti vengono utilizzati per fini distruttivi che hanno conseguenze nella vita reale a cui il denaro da solo non può porre rimedio.

Dopo il respingimento, il governo britannico ha ridotto la minaccia del comunismo, impegnandosi a smantellare il 25% dei terreni agricoli dalla produzione alimentare e designando pagamenti che limitano, ma non fanno crollare del tutto la produzione agricola, almeno non ancora.

(Expose-News.com) – (TikTok.com) – (Gov.uk)

 

 

 

 

 

L'individuo che ha visitato la casa e il posto

 di lavoro di Thomas Crooks ha anche visitato

 l'edificio di Washington, DC, vicino all'ufficio

dell'FBI nel giugno 2023, come mostrano

 i dati del telefono cellulare appena acquisiti.

 Naturalnews.com – (24/07/2024) - Ethan Huff – ci dice:

 

L'”Oversight Project” ha condotto un'indagine approfondita sui dati della pubblicità mobile per determinare i movimenti di “Thomas Matthew Crooks” e dei suoi collaboratori nel periodo precedente al tentativo di assassinio di Donald Trump.

Numerosi dispositivi "visitavano regolarmente" sia la casa che il posto di lavoro dei truffatori, ha scoperto l'”Oversight Project”.

Uno di loro, legato a un individuo specifico, ha anche visitato un edificio a Washington, DC, situato in Gallery Place vicino agli uffici del “Federal Bureau of Investigation” (FBI) il 26 giugno 2023.

Un altro dispositivo collegato a “Crooks “ha visitato Plymouth, Massachusetts, tramite un volo da Pittsburgh a Boston all'inizio di marzo di quest'anno.

Quel dispositivo è rimasto all'Hotel 1620 Plymouth Harbor dall'1 al 3 marzo 2024.

Un altro dispositivo collegato al lavoro di “Crooks” ha viaggiato a “Butler”, in Pennsylvania, il 4 e l'8 luglio.

Quel dispositivo ha smesso di trasmettere tutta l'attività il 12 luglio, solo poche settimane prima che Trump tenesse un comizio a Butler in cui, secondo quanto riferito, gli hanno sparato all'orecchio destro.

Un altro dispositivo collegato a “Crooks” ha visitato “Allegheny Arms & Gun Works”, un negozio di armi, il 30 agosto 2023.

Di seguito sono riportati tutti i luoghi rilevanti noti all'interno di Bethel Park, Penn., che sono collegati alla casa e al luogo di lavoro di “Crooks”:

1) Edificio amministrativo della scuola superiore, YMCA e del distretto scolastico (novembre 2023 - aprile 2024).

2) Luogo di lavoro (luglio 2023 - luglio 2024).

3) Ubicazione di casa (luglio 2023 - luglio 2024).

4) Allegheny Arms & Gun Works (30 agosto 2023).

5) Tang Soo Do Karate College / Bethel Park Laundromat (febbraio 2024 - maggio 2024).

6) Centro di giardinaggio Flora Park (25 febbraio 2024).

7) Campo da golf di South Park (giugno 2023 - giugno 2024)

8) Pianeta fitness (febbraio 2024 - maggio 2024)

(Correlato: Sapevi che il Dipartimento di Giustizia di Biden sta pianificando di abbandonare tutti i procedimenti giudiziari contro Trump dopo il tentativo di omicidio?)

Almeno nove dispositivi collegati a Truffatori.

Tutto sommato, i dati di identificazione pubblicitaria hanno collegato almeno nove dispositivi a Crooks.

L'”Oversight Project” afferma di essere disposto a condividere i suoi risultati con "indagini legittime" volte ad andare a fondo di ciò che è accaduto.

"Per la protezione degli informatori e le nostre indagini, non condivideremo ulteriori informazioni con la task force del Congresso a causa del tessuto connettivo tra tale entità e l'FBI, l'USSS e altre entità", ha affermato il gruppo.

("Se avete ulteriori informazioni, indizi o suggerimenti, inviateci un'e-mail direttamente all'indirizzo tips.oversightproject@heritage.org.")

Su” X”, alcuni hanno ipotizzato che forse “Crooks” avesse un gestore o due legati ai dispositivi che viaggiavano indietro e da casa e dal posto di lavoro ad altri luoghi chiave in tutta l'area.

"L'FBI stava tramando questo, a quanto pare", ha scritto uno, collegandosi al post qui sotto da "legislazione" (@legislationpage):

"Questa tana del coniglio diventa sempre più profonda", ha detto un altro a proposito del caso Crooks.

Dai un'occhiata al seguente video da "Breaking911" (@Breaking911) che mostra il tetto dove i servizi segreti erano appollaiati per guardare dove era posizionato il tiratore:

"Anche se avessi assunto 10 uomini dalla strada con zero esperienza per fornire la sicurezza, avrebbero saputo che c'era un grosso problema molto prima che lui salisse sul palco", ha detto qualcuno a proposito di come i servizi segreti abbiano completamente abbandonato la palla al comizio di Trump Butler.

"Sapevano e hanno lasciato che accadesse", ha risposto un altro.

"Un tetto così perfetto!" ha commentato un altro a proposito di ciò che viene mostrato nel video qui sopra. "Si può vedere il tetto dall'interno dell'edificio!"

(Le ultime notizie sulla ricandidatura di Trump alla presidenza nel 2024 sono disponibili su Trump.news).

(ThreadReaderApp.com - NaturalNews.com)

 

 

 

 

La “Corte Mondiale” ha diradato

la nebbia che nasconde il sostegno occidentale ai crimini di Israele.

Unz.com - JONATHAN COOK – (24 LUGLIO 2024) – ci dice:

 

La sentenza legale della più alta corte del mondo obbliga gli stati occidentali non solo a porre fine alla persecuzione del movimento di boicottaggio, ma ad assumere questa causa come propria.

Non lasciarti ingannare.

La sentenza della “Corte Internazionale di Giustizia” (ICJ) del 19 luglio che ha dichiarato illegale l'occupazione israeliana della Palestina è sconvolgente.

 Israele è uno stato canaglia, secondo la più alta corte del mondo.

Per questo motivo, la sentenza sarà accuratamente ignorata dalla cabala degli stati occidentali e dai loro media che per decenni hanno coperto con successo Israele.

Dubitosi che debbano solo guardare l'accoglienza che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu riceve durante la sua visita negli Stati Uniti questa settimana.

Anche se è attualmente perseguito per crimini di guerra dal procuratore capo della Corte penale internazionale, il Congresso degli Stati Uniti gli darà un benvenuto da eroe quando si rivolgerà ai suoi rappresentanti mercoledì.

Le calorose strette di mano e le standing ovation ricorderanno che Netanyahu ha avuto il pieno sostegno delle potenze occidentali durante i nove mesi di massacro di almeno 16.000 bambini palestinesi a Gaza – con altri 21.000 dispersi, la maggior parte dei quali sotto le macerie.

Il benvenuto sarà un promemoria del fatto che le capitali occidentali sono pienamente d'accordo con il livellamento di Gaza da parte di Israele e la fama della sua popolazione – in quello che la stessa corte ha concluso a gennaio equivaleva a un " genocidio plausibile ".

E servirà come un pesante schiaffo in faccia a coloro che, come la Corte Mondiale, si impegnano per il diritto internazionale, ricordando loro che l'Occidente e il suo stato cliente più favorito credeva di essere intoccabile.

I politici e gli editorialisti occidentali continueranno a sottolineare che la Corte Mondiale non offre altro che un "parere consultivo" e "non vincolante".

Quello che non faranno notare è che questa opinione è il punto di vista collettivo dei giudici più eminenti del mondo in materia di diritto internazionale, le persone nella posizione migliore per pronunciarsi sulla legalità dell'occupazione.

E non è vincolante solo perché le potenze occidentali che controllano i nostri organismi internazionali hanno intenzione di non fare nulla per attuare una decisione che non gli conviene.

Ciononostante, la sentenza avrà conseguenze drammatiche per Israele e per i suoi protettori occidentali, anche se tali conseguenze richiederanno mesi, anni o addirittura decenni per essere attuate.

 

Avviso "top secret"

La sentenza della scorsa settimana è separata dal caso ricevuta a gennaio dalla Corte Internazionale di Giustizia che ha processato Israele per genocidio a Gaza. Una decisione in merito potrebbe essere ancora lontana molti mesi.

Questa sentenza è stata presa in risposta a una richiesta dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 2022 di un parere sulla legalità dell'occupazione israeliana che dura da 57 anni.

Questa può sembrare una deliberazione più banale di quella sul genocidio, ma le implicazioni alla fine sono probabilmente altrettanto profonde.

Coloro che non hanno familiarità con il diritto internazionale possono sottovalutare l'importanza della sentenza della Corte Mondiale, se non altro perché avevano già ipotizzato che l'occupazione fosse illegale.

Ma non è così che funziona il diritto internazionale. Un'occupazione belligerante è permessa purché soddisfi due condizioni.

In primo luogo, deve essere strettamente militare, progettato per proteggere la sicurezza dello Stato occupante e salvaguardare i diritti del popolo occupato.

E in secondo luogo, deve essere una misura temporanea – mentre si negoziano per ripristinare il governo civile e consentire l'autodeterminazione del popolo occupato.

Sorprendentemente, ci sono voluti 57 anni perché la più alta corte del mondo emette una conclusione che avrebbe dovuto essere guardata in faccia per tutto quel tempo.

La natura militare dell'occupazione è stata sovvertita quasi dal momento in cui Israele ha occupato i territori palestinesi nel giugno 1967.

Nel giro di pochi mesi, Israele aveva scelto di trasferire civili ebrei – per lo più nazionalisti religiosi estremisti – nei territori palestinesi occupati per aiutarli a colonizzarli.

Israele sapeva che si trattava di una grave violazione del diritto internazionale perché il suo stesso consulente legale lo aveva avvertito di questo in un memo "top secret" portato alla luce dal giornalista israeliano “Gershom Gorenberg” circa due decenni fa.

In una dichiarazione che amplia il ragionamento della “Corte Internazionale di Giustizia”, il presidente della “Corte Nawaf Salam” ha fatto specifico riferimento agli avvertimenti di “Theodor Meron” , che all'epoca era l'esperto legale del ministero degli Esteri israeliano.

Nel settembre 1967, il suo memo avvertiva che qualsiasi decisione di stabilire insediamenti civili nei territori palestinesi occupati "contravviene alle disposizioni esplicite della Quarta Convenzione di Ginevra".

Tali disposizioni, ha aggiunto, erano "volte a prevenire la colonizzazione".

Nove giorni dopo, il governo israeliano calpestò il memorandum di Meron e aiutò un gruppo di giovani israeliani a creare il primo insediamento a Kfar Etzion.

Costruzione di una pace fittizia.

Oggi, centinaia di insediamenti illegali – molti dei quali ospitano milizie armate – controllano più della metà della Cisgiordania e gran parte di Gerusalemme Est.

Piuttosto che proteggere i diritti dei palestinesi sotto occupazione, come richiede il diritto internazionale, l'esercito israeliano assiste i coloni ebrei nel terrorizzare i palestinesi.

L'obiettivo è quello di cacciarli dalla loro terra.

Nelle parole del governo israeliano, gli insediamenti sono lì per "giudaizzare" il territorio palestinese.

Nelle parole di tutti gli altri, sono lì per la pulizia etnica della popolazione palestinese.

Il che ci porta alla seconda violazione da parte di Israele delle leggi di occupazione. Trasferendo centinaia di migliaia di coloni nei territori occupati, Israele ha intenzionalmente bloccato ogni possibilità di nascita di uno Stato palestinese.

Gli insediamenti non erano accampamenti di fortuna.

Alcuni si sono sviluppati presto in piccole città, come “Ariel” e “Maale Adumim”, con centri commerciali, parchi, piscine pubbliche, sinagoghe, fabbriche, biblioteche, scuole e università.

Non c'era nulla di "temporaneo" in loro. Erano lì per annettere gradualmente il territorio palestinese sotto la copertura di un'occupazione che Washington e i suoi alleati europei hanno cospirato per far finta che fosse temporanea.

L'intero processo di Oslo avviato nei primi anni '90 è stato un esercizio di esca, o una "Versailles palestinese", come lo studioso palestinese “Edward Said” aveva avvertito all'epoca.

Israele non è mai stato serio nel concedere ai palestinesi uno stato significativo – un fatto che l'allora primo ministro israeliano, “Yitzhak Rabin”, ha ammesso poco prima di essere ucciso da un colono di estrema destra nel 1995.

La finta pacificazione di Oslo è stata progettata per far guadagnare più tempo a Israele per espandere gli insediamenti, vincolando anche i palestinesi a infiniti obblighi contrattuali che non sono mai stati ricambiati da Israele.

Nella sua risposta infuriata alla decisione della corte della scorsa settimana, Netanyahu ha dato via al gioco.

Ha detto: "Il popolo ebraico non è occupante della propria terra, compresa la nostra eterna capitale Gerusalemme né in Giudea e Samaria [la Cisgiordania], la nostra patria storica".

La sua è una visione bipartisan in Israele. Tutti i partiti ebraici nel parlamento israeliano hanno la stessa posizione.

La scorsa settimana hanno votato per respingere ogni possibilità di creare uno Stato palestinese sulla base del fatto che sarebbe una "minaccia esistenziale" per Israele.

Solo una manciata di legislatori – tutti appartenenti alla minoranza palestinese di Israele – hanno dissentito.

 

Regime dell'apartheid.

La sentenza della Corte Mondiale è molto significativa in quanto fa saltare in aria in modo permanente la storia di copertura degli stati occidentali su Israele.

I giudici sottolineano che l'occupazione permanente dei territori da parte di Israele, e il trasferimento di coloni ebrei in essi, ha reso necessario lo sviluppo di due sistemi di leggi separate e distinti.

Una è per i coloni ebrei, che sancisce per loro i diritti di cui godono gli israeliani.

 I palestinesi, al contrario, devono sottomettersi ai capricci di un regime militare alieno e bellicoso.

C'è una parola per un racconto accordo: “apartheid”.

Nell'ultimo decennio, nella comunità mondiale dei diritti umani – da “Amnesty International” a “Human Rights Watch” – era già emerso un consenso sul fatto che Israele fosse uno stato di apartheid.

 

Ora il più alto organo giudiziario del mondo ha dichiarato di essere d'accordo.

L'apartheid è un crimine contro l'umanità.

Ciò significa che i funzionari israeliani sono criminali di guerra, a prescindere dai crimini che stanno attualmente commettendo a Gaza.

Questo è il motivo per cui i media israeliani hanno riportato il panico all'interno del governo israeliano per la “sentenza della Corte Internazionale di Giustizia”.

I funzionari temono che la “Corte penale internazionale”, la sua corte sorella, non avrà altra scelta che emettere mandati di arresto contro Netanyahu e il suo ministro della difesa, Yoav Gallant, come già richiesto dal suo procuratore capo.

È anche probabile che rafforzi la determinazione del CPI per convincere i funzionari israeliani più anziani dei crimini associati al programma di colonizzazione di Israele.

Un ex funzionario del ministero degli Esteri israeliano ha detto al quotidiano “Haaretz” che la sentenza della “Corte Mondiale” ha smentito la pretesa di Israele di essere uno Stato di tipo occidentale:

"L'aura democratica non ci protegge più come prima".

 

Atti di aggressione.

La “Corte Internazionale di Giustizia” ha concluso che il regime di apartheid di Israele sui palestinesi – così come le politiche di pulizia etnica attuate dalle sue milizie di coloni – sono atti di aggressione.

La rappresentazione dell'Occidente di un "conflitto" tra Israele ei palestinesi, con gli sforzi per risolvere questa "disputa", è volutamente confusa.

Anche la sua rappresentazione della furia di Israele a Gaza come una "guerra contro Hamas" è una menzogna, secondo questa sentenza.

La “Corte Internazionale di Giustizia” ha effettivamente ridicolizzato l'affermazione di Israele e dei suoi alleati occidentali secondo cui l'occupazione di Gaza è terminata quando Israele ha ritirato i suoi soldati verso la recinzione perimetrale e subito dopo ha istituito un assedio all'enclave via terra, mare e aria.

Israele è giudicato pienamente responsabile delle sofferenze dei palestinesi prima del 7 ottobre e dopo.

È Israele che ha attaccato permanentemente i palestinesi – attraverso la sua occupazione illegale, il suo regime di apartheid, il suo assedio di Gaza e la sua progressiva annessione di territori che dovrebbero costituire uno stato palestinese.

La violenza palestinese è una risposta, non la causa che la spinge.

Sono i palestinesi che reagiscono, quelli che resistono, secondo la sentenza. L'establishment politico e mediatico occidentale ha causa ed effetto al contrario.

Ci sono ulteriori conseguenze per la sentenza della” Corte Internazionale di Giustizia”.

Non si scende a compromessi sull'apartheid. Nessuno suggerirà di incontrare il Sudafrica dell'apartheid a metà strada.

Le fondamenta razziste di un racconto Stato devono essere sradicate.

Gli stati di apartheid devono essere ricostituiti da zero.

La Corte Mondiale chiede che Israele non solo ritiri le sue forze di occupazione dai territori palestinesi e fermi l'espansione degli insediamenti, ma anche che smantelli gli insediamenti nella loro interezza.

 I coloni devono lasciare la Palestina.

I giudici chiedono anche "riparazioni" per i palestinesi per l'enorme danno arrecato loro da decenni di occupazione e apartheid.

Ciò include la concessione a quei palestinesi che hanno subito la pulizia etnica dal 1967 il diritto di tornare alle loro terre, e richiede a Israele di pagare un risarcimento finanziario su larga scala per il furto decennale di risorse chiave.

Complice di crimini di guerra.

Ma le implicazioni non si applicano solo a Israele.

Nel deferire il caso alla “Corte Internazionale di Giustizia”, l'”Assemblea Generale delle Nazioni Unite” ha chiesto alla Corte di fornire un parere su come i suoi 192 Stati membri dovrebbero rispondere alle sue conclusioni.

Se i leader israeliani sono criminali di guerra, allora sostenerli – come le capitali occidentali hanno fatto per decenni – rende quegli stati complici dei crimini di Israele contro l'umanità.

Per le potenze occidentali, la sentenza rende la loro continua vendita di armi, la copertura diplomatica e lo status commerciale preferenziale che danno a Israele collusione nel crimine di occupazione prolungata e apartheid.

Ma c'è di più.

Significa anche che gli Stati occidentali non solo devono smettere di molestare, e persino di incarcerare, coloro che cercano di penalizzare Israele per i suoi crimini – i sostenitori del movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) – ma dovrebbero assumere proprio questa causa.

Ora hanno l'obbligo legale implicito di unirsi a tali azioni, imponendo sanzioni a Israele per essere uno stato canaglia.

Il nuovo governo laburista britannico ha già cercato di spostare l'attenzione dal governo su un terreno discorsivo che si adatta meglio a Israele.

Ha risposto con una dichiarazione che "il Regno Unito si oppone fermamente all'espansione degli insediamenti illegali e all'aumento della violenza dei coloni".

Ma come ha osservato l'ex ambasciatore britannico “Craig Murray”, non è stato questo che ha deciso la “Corte Internazionale di Giustizia”.

"Non è in discussione l'espansione degli insediamenti illegali di Israele. È la loro esistenza ", ha scritto.

Allo stesso modo, l'amministrazione Biden si è lamentata della sentenza della corte.

In un atto di spettacolare ginnastica mentale, ha sostenuto che porre fine all'occupazione avrebbe "complicato gli sforzi per risolvere il conflitto".

Ma come notato in precedenza, secondo la sentenza della “Corte Internazionale di Giustizia”, non c'è "conflitto" se non nell'immaginazione egoistica di Israele e dei suoi patroni.

 Ci sono l'occupazione e l'apartheid, atti permanenti di aggressione da parte di Israele contro il popolo palestinese.

Inoltre, gli Stati Uniti hanno avvertito gli altri Stati di non intraprendere "azioni unilaterali" contro Israele, come la “sentenza della Corte Internazionale di Giustizia” li obbliga a fare.

 Washington sostiene che tali azioni "approfondiranno le divisioni".

Ma una divisione – tra i sostenitori del diritto internazionale e i trasgressori della legge come Israele e Washington – è esattamente ciò di cui c'è bisogno.

La sentenza della” Corte Mondiale” ribalta decenni di slittamento linguistico da parte dell'Occidente, il cui obiettivo è stato quello di spostare il quadrante ideologico a favore dell'agenda annessionista incrementale di Israele.

È di vitale importanza che gli attivisti, i gruppi legali e per i diritti umani continuino a tenere i piedi sotto i riflettori dei governi britannico e statunitense sulla “Corte Internazionale di Giustizia”.

La nebbia si dirada.

I sostenitori di Israele trarranno conforto dal fatto che una precedente sentenza della “Corte Mondiale “su Israele è stata completamente ignorata sia da Israele che dai suoi protettori occidentali.

Alla richiesta di un parere consultivo, nel 2004 i giudici hanno stabilito che, sotto la copertura di rivendicazioni di sicurezza, Israele stava annettendo illegalmente aree di territorio costruendo il suo "muro di separazione" lungo 800 km su terra palestinese.

Israele non ha smantellato il muro, anche se in risposta ha deviato parti di esso e ha abbandonato la costruzione in altre aree.

Ma quella sentenza della “Corte Internazionale di Giustizia”, vecchia di due decenni, era molto più restrittiva di quella attuale.

Era limitata a una specifica politica israeliana piuttosto che affrontare l'intero dominio di Israele sui palestinesi.

Non ha contestato il carattere politico di Israele, identificandolo come uno stato di apartheid.

E c'erano poche implicazioni evidenti nella sentenza per i patroni occidentali di Israele.

E, cosa forse più importante, 20 anni fa i funzionari israeliani non correvano il pericolo di essere messi sul banco degli imputati dalla “Corte penale internazionale” con l'accusa di crimini di guerra, come lo sono ora.

La decisione della “Corte Mondiale” stringe il cappio legale intorno al collo di Israele e rende difficile per la “CPI” continuare a trascinare i piedi nell'emissione di mandati di arresto per funzionari israeliani.

E questo metterà le multinazionali, le banche e i fondi pensione in una posizione giuridica ancora più difficile se continueranno a ignorare la propria complicità con la criminalità di Israele.

Potrebbero presto trovarsi a pagare un prezzo anche con i loro clienti.

“Adidas” potrebbe essere una delle prime vittime di una simile reazione dopo aver ceduto alle pressioni israeliane il 19 luglio per eliminare la modella palestinese-americana “Bella Hadid” come volto di una nuova campagna pubblicitaria – paradossalmente, lo stesso giorno in cui la” Corte Mondiale” ha annunciato la sua sentenza. Ci saranno conseguenze anche per i tribunali nazionali in Occidente. Sarà difficile per i giudici ignorare il parere della Corte Mondiale quando i loro governi cercheranno di punire gli attivisti solidali palestinesi.

Coloro che promuovono il boicottaggio e le sanzioni contro Israele, o che cercano di fermare le aziende che forniscono armi a Israele, stanno facendo ciò che, secondo la Corte Mondiale, i governi occidentali dovrebbero fare di propria iniziativa.

Ma, cosa forse più importante di tutte, la sentenza sconvolgerà in modo decisivo il discorso intenzionalmente ingannevole dell'Occidente su Israele.

Questa sentenza spoglia l'intera base del linguaggio che le potenze occidentali hanno usato su Israele.

Una realtà che è stata capovolta per decenni dall'Occidente è stata rimessa saldamente in piedi dalla “Corte Mondiale”.

L'occupazione – non solo gli insediamenti – è illegale.

Israele è legalmente definito come uno stato di apartheid, come lo era il Sudafrica prima di esso, e impegnato in un progetto di annessione e pulizia etnica.

Le vittime sono i palestinesi, non Israele.

È la loro sicurezza che ha bisogno di protezione, non quella di Israele.

 Sono loro che hanno diritto all'assistenza finanziaria, sotto forma di riparazioni, non Israele.

Di conseguenza, la finta pacificazione dell'Occidente si rivela crudamente per la farsa che è sempre stata.

 Continuare con questo tipo di doppiezza – come il leader britannico “Keir Starmer”, ad esempio, sembra determinato a fare – servirà solo a mettere in evidenza la malafede di chi è impegnato in tali esercizi.

D'altra parte, le potenze occidentali che aiutano Israele a continuare il suo lavoro di segregazione, espropriazione e pulizia etnica dei palestinesi saranno smascherate come complici dei crimini di Israele contro l'umanità.

Le parole hanno potere.

Sono il nostro percorso per comprendere la realtà.

E la “Corte Mondiale “ha appena diradato la nebbia.

Pulire la nebbia sulla finestra.

L'Occidente farà del suo meglio ancora una volta per nascondere i crimini di Israele.

 Ma la “Corte Mondiale” ha reso un servizio ai palestinesi e al resto dell'umanità smascherando Israele per quello che è:

uno stato canaglia e criminale.

 

 

Il movimento per cercare l'amicizia

e i valori comuni a destra.

Unz.com - KEVIN MACDONALD – (18 LUGLIO 2024) – ci dice:

Essendo qualcuno che si è mosso due volte per cercare amicizia e senso di sicurezza in un paese ostile alle persone di destra, posso identificarmi perfettamente con le persone descritte nell'articolo qui sotto, tranne per il fatto che le persone di cui si parla qui sono cristiani seri, veri credenti.

Non sono solo "cristiani culturali" come me, cioè qualcuno che ammira alcuni aspetti e l'influenza della Chiesa nella storia europea, come le forti identità cristiane di coloro che combatterono nella “Reconquista spagnola”, ma che deplora la recente discesa del gran parte del cristianesimo tradizionale si trasformi in risveglio e sottomissione alla cultura dominante, essenzialmente anticristiana.

Molte di queste persone immaginano senza dubbio una” Reconquista” dell'Europa occidentale che riporterebbe il cristianesimo (e forse, almeno implicitamente, la bianchezza) al centro della cultura occidentale.

Ma, nonostante queste differenze, abbiamo praticamente tutto il resto in comune, compreso il luogo di residenza e il desiderio di inserirci in una comunità con valori condivisi.

 I luoghi principali menzionati qui sono” Coeur d'Alene”, Idaho, una piccola città vicino a Nashville, e la periferia di Dallas-Fort Worth.

Queste località sono tutte negli stati rossi, almeno per ora, fino a quando il diluvio di immigrazione non avrà la conseguenza prevista di trasformare il paese in una nazione di minoranza bianca satura di persone che si identificano come LGBTUQIA+ e la propaganda di accompagnamento che sta tentando di massimizzare il numero di persone con queste identità.

 Questa propaganda viene diffusa a gran voce in tutto il sistema educativo e in tutti i principali media.

È sorprendente che nell'articolo una moglie scambi le tazze da tè con il marito per avere quella più femminile.

 Queste persone sostengono le nozioni tradizionali dei ruoli sessuali.

Sembrano capire che le differenze sessuali su base biologica sono reali e che è un adattamento (o forse parte del piano di Dio) aderirvi.

 E notate le foto di una ragazza che ricama.

 

Ma una cosa è trovarsi in una zona favorevole, è comunque importante sviluppare relazioni sociali con persone di cui ti puoi fidare.

Nel mio caso faccio parte di un piccolo gruppo tutto maschile che condivide gli stessi valori e cerca di sviluppare progetti che portino più persone come noi nella nostra zona e in aree simili in tutto il Paese.

Mi rendo conto che spesso le persone non possono semplicemente alzarsi e muoversi, ma molte persone sì.

E per la felicità a lungo termine, consiglio vivamente che sia essenziale vivere tra persone che la pensano allo stesso modo, culturalmente ed etnicamente omogenee.

“Robert Putnam”, la cui ricerca sulla crescente solitudine nella società americana e sugli effetti dannosi del multiculturalismo sulla comunità (ad esempio, la mancanza di volontà di contribuire ai beni pubblici) è ben nota, comprende l'importanza di legare con altri simili sebbene, come la maggioranza comunità ebraica liberale con cui si identifica, è totalmente favorevole all'esperimento multiculturale.

Le persone qui descritte hanno successo economico e sono ben istruite, inclusi alcuni rifugiati del “Claremont Institute”, un think tank conservatore.

Ancora più importante, sono altamente fertili, con famiglie intatte con 4-8 figli (probabilmente con altri in programma.

Fanno quindi parte dell'ipotetica rivoluzione demografica descritta da “Edward Dutton” e “JO Rayner-Hilles” in cui i conservatori culturali diventeranno dominanti a causa della loro fertilità, sebbene le nostre élite ostili faranno del loro meglio per importare il mélange multietnico e non bianco che preferiscono per espropriarli definitivamente.

 

Queste persone si stanno organizzando in piccoli gruppi.

Non sono tipi che scendono in strada con le armi.

 E suppongo che si sintonizzino con i principali media conservatori come “FoxNews”, che non li educherà mai sull'importanza dell'etnicità negli affari umani, tanto meno li informerà della realtà di come un'élite ebraica molto influente sia sulla buona strada per trasformare il paese in qualcosa che detestano.

Un esempio dall'articolo:

Nella nuova città natale del signor “Kressin”, nell'Idaho, le strade sono pulite e la gente lascia le porte aperte.

La sua famiglia vive in una casa che possono permettersi di possedere, con una staccionata bianca e spazio per un trampolino nel cortile.

Nell'accogliente soggiorno c'è un pianoforte verticale in un angolo, mentre inni e romanzi classici sono allineati sugli scaffali sul muro.

"Molti nella nostra generazione hanno un desiderio molto, molto grande di radicarsi", ha detto.

 "E sono cresciuti in un'epoca in cui questo non era molto apprezzato".

In una mattina di un giorno feriale di questa primavera, ha fatto una vivace passeggiata mattutina fuori dalla porta di casa e su per Tubbs Hill, con fiori selvatici sparsi lungo il sentiero e viste svettanti sul lago cristallino sottostante.

A casa sua in seguito, “Lauren Kressin,” che era incinta dell'ottavo figlio della coppia, ha servito il tè alla pesca in porcellana spaiata con gusto, scambiando tranquillamente le tazze con lui in modo che aveva quella "meno femminile",

 ha detto con un sorriso.

Ricominciare da capo in” Idaho”, ha detto “Kressin” in seguito, faceva parte di un progetto a così lungo termine che non si aspetta di vederne la conclusione. "L'antica aristocrazia terriera in Inghilterra piantava querce che sarebbero maturate davvero solo in 400 anni", ha detto.

"Chissà cosa riserva il futuro, ma se non inizi nemmeno a costruire una cultura familiare, sei destinato a fallire".

Ma naturalmente, essendo il “New York Times”, è obbligatorio coinvolgere un accademico che è ostile a tutto questo:

I critici del circolo dicono che presentano una versione ripulita di alcuni degli elementi più oscuri della destra, tra cui un'omogeneità culturale fino al razzismo e un'apertura all'uso della violenza per raggiungere fini politici.

"È questa l'idea di organizzare il malcontento a livello locale e costruire una rete che nel prossimo decennio o tre decenni o addirittura mezzo secolo continuerà a spostare il Partito Repubblicano sempre più a destra, e a mobilitare gli elettori nelle parti scontente del paese, molti dei quali uomini", ha detto “Damon Linker”, docente di scienze politiche presso l'Università della Pennsylvania, che ha scritto in modo critico della folla.

"È una versione intellettuale del movimento delle milizie".

(Il compiaciuto e ipocrita Damon Linker).

Sì, non c'è niente di peggio che stare in mezzo a persone come te.

 Persone che condividono la tua cultura e i tuoi valori, e sì (Dio non voglia!), anche il tuo background etnico (non menzionato qui, ovviamente) – un segno sicuro di razzismo per il tuo giornalista-accademico come “Linker”.

L'articolo vale la pena di essere letto:

“New York Times”: " Perché un nuovo trust di cervelli conservatori si sta reinsediando in tutta l'America ".

Il “Claremont Institute” si trova nel sud della California sin dalla sua fondazione alla fine degli anni '70.

Dal suo trespolo ai piedi delle montagne di San Gabriel, è diventato un importante centro intellettuale della destra pro-Trump.

Senza clamore, tuttavia, “alcune delle figure chiave di Claremont” hanno lasciato la California per trovare climi ideologicamente più amichevoli.

 Ryan P. Williams, presidente del think tank, si è trasferito in un sobborgo nell'area di Dallas-Fort Worth all'inizio di aprile.

Il suo amico e collega di Claremont “Michael Anton” – un nativo della California che ha svolto un ruolo importante nel 2016 per convincere gli intellettuali conservatori a votare per Trump – si è trasferito nell'area di Dallas due anni fa.

Anche il vicepresidente dell'istituto per le operazioni e l'amministrazione si è trasferito lì.

Altri stanno seguendo.

Williams ha aperto un piccolo ufficio in un altro sobborgo di Dallas-Fort Worth a maggio, e ha detto che si aspetta di ridurre la sede californiana di Claremont.

"Molti di noi condividono la sensazione che la cristianità si sta sgretolando", ha detto “Skyler Kressin”, 38 anni, che è amico dei “leader di Claremont” e condivide molte delle loro preoccupazioni.

Ha lasciato la California meridionale per trasferirsi a “Coeur d'Alene”, nell'Idaho, nel 2020.

"Abbiamo bisogno di essere impegnati, abbiamo bisogno di costruire".

"C'è un cambiamento interessante in corso in Texas.

 Penso che ci sia un rinnovato senso di ricerca della comunità e dei valori e della cultura condivisi tra le persone di destra", ha detto Ryan Williams, presidente del Claremont Institute.

Credito... “Shelby Tauber” per il “New York Times”.

Mentre Trump porta avanti la sua terza campagna presidenziale, con i suoi sostenitori incoraggiati dal dibattito della scorsa settimana, molti dei giovani attivisti e pensatori che sono sorti sotto la sua influenza si vedono come parte di un progetto che va ben oltre la politica elettorale.

 Piuttosto, è un movimento per rivendicare i valori della civiltà occidentale così come la vedono.

 Le loro ambizioni dipingono un'immagine del Paese che vorrebbero qualora Trump tornasse alla Casa Bianca, un paese guidato dalla loro versione dei valori cristiani, con famiglie più numerose e meno immigrati.

Prevedono un panorama estetico da abbinare, con un'architettura più classica, e uomini che indossano abiti tradizionali.

La loro visione include una leadership locale più forte e uno "stato amministrativo" nazionale inaridito, spingendoli a festeggiare la scorsa settimana quando la “Corte Suprema” ha effettivamente posto fine alla "deferenza della Chevron", che potrebbe portare all'indebolimento di migliaia di norme federali sull'ambiente, la protezione dei lavoratori e oltre.

Stufi di quella che vedono come una cultura secolare sempre più ostile e disordinata, molti si stanno spostando verso quelli che vedono come stati e regioni più accoglienti, combattendo per la società americana da "conservatori”.

Alcuni si vedono come partecipanti e sostenitori di un "grande tipo", un riordino sociale in cui conservatori e liberali si dividono naturalmente in comunità e aree più omogenee.

(E alcuni, tra cui il signor “Kressin”, stanno contemporaneamente inseguendo i costi della vita più bassi e i quartieri più sicuri che alimentano molti traslochi ordinari.)

Anche “Ryan Williams “riceve la “National Humanities Medal” dal presidente Donald Trump a nome del “Claremont Institute” durante una cerimonia alla Casa Bianca nel novembre 2019.

 Credito... “Samuel Corum” per il” New York Times”.

L'anno in cui Kressin si diffonde in Idaho, lui e Williams presero parte a una conversazione informale a Claremont sulla necessità di nuove istituzioni in quella che alcuni sperano sarà una società americana ringiovanita.

L'idea era quella di una "comunità fraterna", come ha detto un leader, che dava la priorità agli incontri di persona.

 Il risultato fu la “Society for American Civic Renewal”, tutta maschile, un'organizzazione sociale riservata ai cristiani solo su invito.

Il gruppo ha circa 10 logge in vari stati di sviluppo finora, con membri che vanno da sette a diverse dozzine di persone.

Gli obiettivi del gruppo, secondo i leader, includono l'identificazione di "élite locali" in tutto il paese e la coltivazione di "potenziali incaricati e assunzioni per un futuro regime allineato" – con cui intendono una seconda presidenza Trump, ma anche un futuro che descrivono in termini radicali e talvolta apocalittici.

 Alcuni ci avvertono di un imminente collasso della società che richiederà cittadini armati e benpensanti per ristabilire l'ordine.

I legami del gruppo con Claremont gli danno accesso all'influenza in una futura amministrazione Trump:

 Anton ha fatto parte del Consiglio di sicurezza nazionale di Trump e un membro del consiglio di amministrazione di Claremont, “John Eastman”, ha consigliato la campagna elettorale di Trump nel 2020.

Deve affrontare accuse penali in Arizona e Georgia per i piani per mantenere Trump al potere dopo aver perso quella corsa.

La loro retorica può sembrare espansiva fino al punto di opacità.

"Come i grandi uomini dell'Occidente ci hanno lasciato in eredità le loro azioni, così noi dobbiamo lasciare un'eredità per i nostri figli", proclama il sito web del gruppo.

 "Le opere sollevate dalle nostre mani a questo scopo dureranno a lungo dopo che saremo sepolti".

La loro produzione, finora, sembra più modesta.

 La sezione di casa di “Kressin” ha ospitato un esperto di abbigliamento maschile, che ha esortato i membri a vestirsi in un "classico stile americano", e una proiezione e discussione del film d'avventura navale del 2003 "Master and Commander".

Gli uomini socializzano al di fuori delle riunioni e si passano affari.

I critici del circolo dicono che presentano una versione ripulita di alcuni degli elementi più oscuri della destra, tra cui un'omogeneità culturale fino al razzismo e un'apertura all'uso della violenza per raggiungere fini politici.

"È questa l'idea di organizzare il malcontento a livello locale e costruire una rete che nei prossimi dieci o tre decenni o addirittura mezzo secolo continuerà a spostare il Partito Repubblicano sempre più verso destra e a mobilitare gli elettori nelle parti scontente del paese, molti di loro sono uomini", ha detto Damon Linker, docente di scienze politiche all'Università della Pennsylvania, che ha scritto in modo critico nei confronti della folla.

 "È una versione intellettuale del movimento della milizia."

Nei suoi primi due anni, hanno detto i leader, la SACR ha ricevuto finanziamenti significativi da “Charles Haywood”, un ex imprenditore dell'Indiana.

 Il signor Haywood sembra divertirsi a essere un provocatore online.

Ha definito la rivolta del 6 gennaio 2021 una "protesta contro la giustizia elettorale" e ha elogiato il romanzo razzista del 1973 "Il campo dei santi".

Pubblicando un post sulla piattaforma “X” il mese scorso, ha scritto che i cittadini nati all'estero dovrebbero essere espulsi per reati tra cui "lavorare per causa di sinistra".

Altri leader attribuiscono il tono apocalittico dei documenti fondanti del gruppo a Haywood, che ha rifiutato di commentare.

I membri della società sono giovani, per lo più colletti bianchi (e per lo più bianchi) e spesso ricchi.

Alcuni hanno lasciato le istituzioni d'élite per avviare le proprie aziende e investire in imprese di tendenza conservatrice.

“Josh Abbotoy”, direttore esecutivo di American Reformer”, un giornale con sede a Dallas che funge da pubblicazione informale interna per il movimento, si sta trasferendo in una piccola città fuori Nashville questa settimana con sua moglie e quattro figli.

 Attraverso la sua nuova rete professionale, sta raccogliendo fondi per sviluppare un corridoio di paradisi conservatori tra il Medio Tennessee e il Kentucky occidentale, dove ha anche acquistato centinaia di acri di proprietà.

Si aspetta che circa 50 famiglie si trasferiscano nella città del Tennessee – che ha rifiutato di identificare – nel prossimo anno, comprese le persone che lavorano da casa per aziende tecnologiche e altre società.

“Abbotoy” sta scommettendo molto sulla rivitalizzazione del Sud rurale in senso più ampio, poiché la flessibilità dei colletti bianchi incontra la disillusione conservatrice nei confronti delle istituzioni e delle città liberali.

Vede il progetto del Tennessee come un "copione" per gli sviluppi futuri in cui i vicini condividono valori sociali conservatori e godono, ha suggerito, di una sorta di cultura cristiana ambientale.

"Personalmente pagherei volentieri alte tasse HOA per essere in un quartiere dove devo passare davanti a una chiesa architettonicamente significativa ogni giorno, e posso sentire le campane della chiesa", ha detto.

 

 

“Abbotoy” è cresciuto in una cultura evangelica che incoraggiava i cristiani conservatori ad andare nel "mondo" a influenzare le istituzioni secolari, comprese le aziende e le università.

Ma questo approccio, che ha definito le ultime generazioni dell'evangelicalismo tradizionale, sembra sempre più insostenibile per le persone della sua cerchia.

“Abboto”y, che si è laureato alla “Harvard Law School”, ha lasciato un lavoro presso un'importante società di infrastrutture nel 2021 ed è venuto a lavorare per “Nate Fische”r, un venture capitalist di Dallas e prolifico networker la cui azienda investe in progetti conservatori e si oppone al "DEI/ESG e alla burocratizzazione della cultura aziendale americana".

Fischer è il presidente della sezione di Dallas della SACR.

“Andrew Beck”, consulente di marchi per politici conservatori ed entità tra cui SACR e Claremont, si è trasferito con sua moglie e i loro sei figli, insieme ai suoi genitori e cinque dei suoi fratelli e alle loro famiglie, da “Staten Island” alla periferia a nord di Dallas nel 2020.

Quasi 30 membri della famiglia ora vivono nella stessa zona, proprio come a New York.

"Qualcosa si sta spostando in modo tettonico", ha detto “Beck”, che ha scritto un saggio ampiamente condiviso sulla " " per la rivista online di Claremont, American Mind.

 " Non si tratta tanto di delimitare una roccaforte dove poter vivere in un bozzolo, quanto di far parte di un luogo che puoi davvero considerare come casa."

I membri devono essere di sesso maschile, appartenere a una chiesa "cristiana trinitaria", un'ampia categoria che comprende cattolici e protestanti, ma non membri della “Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni”.

I membri devono anche descriversi come "americani senza trattino", in riferimento al che sollecitava la piena assimilazione degli immigrati.

Un numero della Claremont Review of Books dell'inverno 2016-2017.

 Brad Torchia per il New York Times.

L'appartenenza interconfessionale del gruppo riflette il fatto che nell'era Trump, il cristianesimo conservatore sta diventando sempre più un'identità culturale e politica, con le differenze teologiche che cadono nel dimenticatoio e il cristianesimo che serve come una sorta di espressione generica di ribellione contro la modernità.

Una significativa minoranza di membri è cattolica, compreso il signor” Kressin.”  Del gruppo fanno parte anche presbiteriani, battisti e carismatici.

"Molti nella nostra generazione hanno un desiderio molto, molto grande di radicarsi", ha detto. "E sono cresciuti in un'epoca in cui questo non era molto apprezzato".

Ricominciare da capo in Idaho, ha detto” Kressin” in seguito, faceva parte di un progetto a così lungo termine che non si aspetta di vederne la conclusione.

"L'antica aristocrazia terriera in Inghilterra piantava querce che sarebbero maturate davvero solo in 400 anni", ha detto. "Chissà cosa riserva il futuro, ma se non inizi nemmeno a costruire una cultura familiare, sei destinato a fallire".

 

 

 

LO STATO PROFONDO AVEVA PUNTATO

TUTTO SULL’ELIMINAZIONE DI TRUMP,

E ORA?

 Comedonchisciotte.org – Markus – (25 Luglio 2024) - Finian Cunningham - strategic-culture.su -ci dice:

È andata malissimo per lo Stato Profondo.

Sbarazzarsi di Donald Trump utilizzando un assassino solitario il 13 luglio avrebbe fatto pendere la gara presidenziale a favore di Joe Biden.

Ma non ha funzionato.

E, dal punto di vista dello Stato Profondo, non poteva andare peggio.

 Trump se l’è cavata con un graffio ad un orecchio e un’iconica opportunità fotografica che lo ha trasformato in un eroe americano, dandogli la spinta per riprendersi la Casa Bianca.

 Questo slancio politico ha finalmente costretto Biden a gettare la spugna, visto che la sua fragilità non può competere con l’energica campagna elettorale di Trump.

Gli attori chiave dell’establishment statunitense – lo Stato Profondo dell’impero – hanno fatto una scommessa per necessità.

Trump non è il loro genere di persona.

Ha parlato troppo di porre fine al lucroso racket della guerra in Ucraina contro la Russia.

 Ci sono però troppi interessi personali che spingono per il mantenimento di questa guerra per procura.

Non si tratta solo di profitti per il complesso militare-industriale e per Wall Street. Si tratta anche di affrontare geopoliticamente la Russia per preservare l’egemonia statunitense.

L’opposizione dichiarata di Trump al racket e la sua promessa di porre immediatamente fine al conflitto in caso di elezione a novembre lo hanno messo nel mirino.

C’è una stretta somiglianza con il caso di John F. Kennedy.

JFK era contrario all’intensificazione della guerra per procura contro l’Unione Sovietica in Vietnam e, più in generale, voleva un ridimensionamento della Guerra Fredda.

 La sua opposizione agli enormi interessi acquisiti dello Stato Profondo aveva portato all'”azione esecutiva” di Dallas, il 22 novembre 1963.

Il libro di” James Douglass”, JFK and the Unspeakable: Why He Died and Why It Matters, è probabilmente il miglior resoconto di quello che era stato un efferato omicidio da parte dello Stato americano e un colpo di Stato contro un presidente eletto, un libro che, una volta compreso, cambia per sempre la visione della politica americana.

Come nel caso dell’attentato a Trump a Butler, in Pennsylvania, anche a Dallas c’era l’apparente circostanza di un tiratore solitario.

A differenza di “Thomas Matthew Crooks”, che ha sparato diversi colpi contro Trump, non era stato il ventiquattrenne Lee Harvey Oswald a sparare contro JFK mentre attraversava in un’auto scoperta la Dealey Plaza.

Oswald era stato solo un capro espiatorio scelto dallo Stato Profondo per coprire i veri assassini – diverse squadre di cecchini dispiegate quel giorno dallo Stato Profondo.

Nel caso del ventenne “Crooks”, anche lui è un capro espiatorio, ma la differenza è che gli è stato permesso di entrare in un luogo di massima sicurezza e di sparare qualche colpo prima di essere eliminato.

Come l’Oswald opportunamente ucciso, i morti non parlano.

 Quindi non sapremo mai fino a che punto Crooks sia stato aiutato per riuscire ad eludere gli agenti di polizia e i servizi segreti e salire su un tetto per sparare a Trump.

Come nel caso di JFK, l’insabbiamento è già iniziato.

In mezzo a furiose critiche di incompetenza, il “Dipartimento di Sicurezza Nazionale e l’FBI £stanno indagando sugli eventi che hanno portato al tentato assassinio. Come si fa a credere che organizzazioni complici e coinvolte nel fatto indaghino correttamente su sé stesse?

Non possono – e non lo faranno, per definizione.

 

Dopo l’uccisione di Kennedy, la Commissione Warren aveva indagato sugli eventi di Dallas.

La commissione era presieduta da Allen Dulles, ex direttore della CIA, la stessa agenzia che era stata coinvolta nell’assassinio di JFK.

Prevedibilmente, la Commissione Warren aveva prodotto un rapporto che attribuiva l’assassinio a Lee Harvey Oswald, che [ovviamente] aveva fatto tutto da solo.

Il fatto che i media statunitensi abbiano acconsentito per 60 anni a questo insabbiamento farsesco dimostra la profondità della propaganda, del lavaggio del cervello e la farsa del cosiddetto “giornalismo indipendente”.

Per quanto riguarda Trump, invece, gli uomini dello Stato Profondo sono diventati negligenti.

Invece di usare tiratori professionisti, per sparare hanno usato un ragazzo che, a detta di tutti, non era un gran tiratore, anche se il suo fucile semiautomatico era l’arma migliore per il lavoro.

Ora lo Stato profondo ha un problema ancora più grosso.

Lo scampato pericolo di Trump lo ha elevato a icona, con il volto insanguinato e il pugno di sfida in aria.

La rabbia dell’opinione pubblica per il solo fatto di sospettare che lo Stato Profondo abbia compiuto un’azione scellerata ha dato alla sua campagna presidenziale una spinta senza precedenti.

Anche tra gli elettori incerti, il disprezzo per l’establishment statunitense potrebbe giocare a favore di Trump.

Contro l’energica campagna di Trump, Biden ha dovuto ritirarsi.

 La sua demenza, messa in evidenza nel dibattito televisivo del 27 giugno, stava già causando il panico tra i funzionari e gli sponsor del Partito Democratico. Contro un eroico sopravvissuto a un assassinio, Biden non aveva alcuna possibilità.

In questa fase avanzata, è dubbio che i Democratici troveranno un candidato valido contro Trump.

Biden ha appoggiato la sua vicepresidente, Kamala Harris, ma il suo mediocre profilo non è certo un biglietto vincente.

 La Convention nazionale democratica si terrà solo il 19 agosto, quando verrà ufficialmente nominato un candidato. Allora mancheranno solo due mesi alle elezioni del 7 novembre.

I Democratici sono diventati il veicolo scelto dallo Stato Profondo per perseguire le guerre e la proiezione di potenza imperiale degli Stati Uniti.

Trump è troppo anticonformista per l’agenda imperiale.

 Anche il suo compagno di corsa alla vicepresidenza, il senatore “JD Vance”, ha espresso una forte opposizione alla guerra per procura in Ucraina.

Il candidato repubblicano afferma che costringerà il regime di Kiev ad avviare negoziati con la Russia per trovare una soluzione di pace alla guerra che dura da due anni e mezzo.

Vance ha proposto che l’Ucraina accetti la richiesta della Russia di non entrare mai nell’alleanza della NATO.

Le elezioni americane si stanno trasformando in un grosso problema per lo Stato Profondo.

Aveva scommesso sulla sconfitta di Trump, ma ha finito per spingerlo alla Casa Bianca.

 Il lucroso racket della guerra in Ucraina e la resa dei conti geopolitica contro la Russia sono ora in pericolo.

Senza dubbio, gli Stati Uniti si stanno dirigendo verso una crisi senza precedenti, come non si vedeva dai tempi della Guerra Civile.

(Finian Cunningham) – (strategic-culture.su).

(strategic-culture.su/news/2024/07/23/deep-state-bet-farm-on-taking-trump-out-now-what/)

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